Zygmunt Bauman - Homo Consumens
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Lo sciame in cerca di merci
Benedetto
Vecchi La «tirannia del momento» e il «populismo del mercato» alla luce del principio etico secondo il quale è illegittimo essere soddisfatti. Una critica aspra e apocalittica al consumo nell'ultima raccolta di saggi di Zygmunt Bauman. [il manifesto · 14 marzo 2007]
Innocui cartelloni pubblicitari che vengono modificati per mettere in rilievo il lato oscuro delle merci di cui incensano le lodi. Così, l'uomo Marlboro mantiene il cappello di cowboy che adorna tuttavia un teschio. Lo stesso è capitato a scarpe di ginnastica, maglioni, camicie, prodotte però da bambini o lavoratori costretti allo schiavismo. La tecnica di subadvertising è stata salutata come una delle efficaci forme di attivismo sociale che ha spostato l'attenzione dalla produzione al consumo. Non sappiamo però come la valuta Zygmunt Bauman, che al consumo ha dedicato il volume Homo consumens (Erickson edizioni, pp. 101, euro 10), nel quale usa parole sprezzanti verso i movimenti dei consumatori, qualificandoli come reazionari e espressione di un «populismo del mercato» che distoglie l'attenzione dalle condizioni lavorative di chi quelle merci produce e dal crescente esercito di «scarti umani» che la modernità liquida produce a sua volta. Un libro cupo, questo di Bauman, dove l'emergere dell'homo consumens si accompagna all'evanescenza della democrazia e dello stato sociale («la più grande realizzazione della civiltà umana finita sotto assedio»). Si potrebbe tranquillamente affermare che i saggi qui raccolti sono marchiati da un tono apocalittico che non ammette repliche. La modernità liquida dell'homo consumens oscilla infatti dalla disperata denuncia della manipolazione delle menti che caratterizza il film Essi vivono del regista John Carpenter alle atmosfere claustrofobiche e criminali dell'ultimo romanzo Regno a venire di James Ballard. Per Bauman, la centralità del consumo nelle società contemporanee va combattuta strenuamente, mettendo in evidenza la disintegrazione del legame sociale e la conseguente militarizzazione della vita in società. Le «armi» da usare in questa battaglia sono quelle della «morale» e del «principio di responsabilità», sapendo benissimo che l'esito non necessariamente sarà la vittoria. Chi ha seguito il percorso teorico dello studioso di origine polacca rimarrà stupito dal tono apodittico che pervade il volume, lontano da quella pacata e articolata forma di esposizione della sua riflessione che ha caratterizzato gran parte della sua produzione saggistica. Frasi secche, sempre di denuncia. La crescita dell'informazione è per Bauman una iattura, perché cancella ogni gerarchia di importanza negli argomenti della discussione pubblica, riducendo così la democrazia all'impersonale esercizio del potere di una élite che non tollera nessun controllo sul suo operato se non quello delle elezioni, che vedono vieppiù una partecipazione sempre più ridotta della popolazione. E poi: la tanto decantata libertà di scelta del consumatore non è altro che una retorica che nasconde l'obbligo di rinnovare l'acquisto di merci inutili, pena la cacciata nel girone infernale degli esclusi. Il consumatore vive continuamente all'interno di uno strano stato di emergenza decretato dal sovrano, dove non ci sono sospensioni dei diritti individuali, quanto appunto l'obbligo a rinnovare l'atto del consumo indipendentemente dal rapporto con «l'altro». Il singolo passa così da uno stato di euforia per il senso di liberazione dai vincoli all'orrore di una vita scandita da una visita al mall. La sua, chiosa ironicamente l'autore, è una vita sempre in movimento all'insegna però della «tirannia del momento», dove l'oscillazione tra apprendimento delle nuove merci e l'oblio del senso di appagamento che danno è repentina. Il principio etico del consumo, conclude amaramente Bauman, è racchiuso nella frase: «è illegittimo sentirsi soddisfatti». E tuttavia questo viaggio sulle montagne russe di sentimenti così contrastanti plasma l'intera vita sociale. Opacizzate le appartenenze «forti» (la classe, la nazione, il genere sessuale), l'immagine che meglio rappresenta questo continuo «movimento dei consumatori» è lo sciame, dove non c'è scambio, né cooperazione, né reciprocità, ma solo prossimità fisica e una generale direzione di movimento. Gli sciami si radunano casualmente e altrettanto casualmente si disperdono, una volta 1
cessato il motivo per cui si incontrano. Eppure, il sentimento forte che plasma lo sciame è il risentimento. Non però il sentimento su cui Friedrich Nietzsche si è molto dilungato per spiegare i conflitti a favore dell'eguaglianza sociale, ma quello più corrosivo e feroce di chi difende i propri privilegi o la propria esclusione. È noto che il filosofo tedesco indicò nel risentimento il propellente dei conflitti di classe e della tendenza a mortificare i singoli della società moderna. Il sentimento che Bauman indica come centrale nello sciame è quello di chi, partendo da uno stesso livello di vita, cerca di innalzare il proprio stato sociale spingendo in basso i suoi oppositori. Nutrono risentimento i poveri verso gli altri poveri che cercano di uscire dalle «discariche sociali» in cui vivono. Nutrono risentimento anche gli appartenenti della classe media verso i loro «simili». Gli unici che sono dispensati a vivere il risentimento sembrano essere i membri dell'élite, i quali non hanno l'obbligo di consumare, né di nutrire sentimenti di ostilità verso i loro simili. Sono, infatti, loro che scandiscono il tempo della vita sociale e se si sentono insicuri possono tranquillamente rifugiarsi nelle loro enclave militarizzare e protette da sguardi ostili. Non c'è nessun «principio speranza» a cui appellarsi, se non aderendo a quella caratteristica della natura umana che è prendersi cura dell'altro, conclude Bauman. Ma l'etica della responsabilità esprime la sua potenza politica solo se è un «fatto collettivo». Di azioni misericordiose è piena la modernità liquida, ma questo non ha certo cambiato lo stato delle cose. Dunque un'etica della responsabilità collettiva. Ma questa ricerca di una dimensione «sociale» dell'etica sposta l'asse della riflessione dal consumo alle pratiche di riappropriazione delle merci stesse. E dunque alla natura del potere e dei mezzi per trasformarla. Un argomento tuttavia escluso dalla riflessione proposta da Bauman in questo volume.
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