Yoga Sutra ITA

January 28, 2017 | Author: Luca Siddhartha | Category: N/A
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(quarta di copertina)

Lo Yoga Sutra di Patanjali, “la bibbia dello Yoga”, è stato travisato per secoli. È sempre stato considerato un opera filosofica. Ma lo Yoga, come tutti sanno, è una disciplina psicofisica. Ad una lettura scientifica lo Yoga Sutra si è rivelato infatti essere un manuale tecnico. Ciò che descrive è appunto la tecnica psicofisica dello Yoga. Il suo scopo è realizzare il Kaivalya, la trance estatica. La lettura scientifica dello Yoga Sutra è un’operazione rivoluzionaria. Questo è un libro rivoluzionario.

Giulio Cesare Giacobbe

Yoga Sutra il testo fondamentale dello Yoga nella sua versione originale

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A Eraldina, la compagna della mia seconda vita

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Premessa

Fino ad oggi lo Yoga è stato teoricamente considerato una filosofia o addirittura una religione. Questa interpretazione è fondata sui commenti redatti nei confronti di un’opera classica e fondamentale: gli Yoga Sutra di Patanjali. Ma tutti sanno che lo Yoga è una disciplina psicofisica. Come è possibile che una disciplina psicofisica abbia come proprio testo fondamentale un’opera filosofica o addirittura religiosa? Questo libro nasce da questa domanda. Una traduzione letterale del testo e una sua lettura scevra da condizionamenti metafisici ha condotto a una scoperta eccezionale. Gli Yoga Sutra di Patanjali sono un manuale tecnico. Essi descrivono la tecnica psicofisica dello Yoga. Come era naturale che facessero. Non solo: descrivono dettagliatamente il Kaivalya, la trance estatica. Che è poi lo scopo per cui lo Yoga è stato fondato. Il suo obiettivo pratico. La trance estatica è uno stato alterato di coscienza in cui si realizza il Sat-Chit-Ananda, la coscienza di pura esistenza. Uno stato di beatitudine. La descrizione della tecnica psicofisica e dello stato alterato di coscienza raggiunto con essa rientrano obbligatoriamente nella categoria della trattazione psicologica.

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Gli Yoga Sutra di Patanjali sono quindi un trattato di psicologia, comprendente anche considerazioni sulla psicologia generale umana. Possiamo affermare che esso è il primo trattato di psicologia della storia. Sia che la sua datazione sia riportata al II sec. a.C. sia che sia riportata al V sec. d.C. Non soltanto: esso è anche il primo trattato scientifico della psicologia, che anticipa di oltre mille anni la psicologia scientifica occidentale. In esso troviamo infatti scoperte psicologiche realizzate dalla scienza occidentale soltanto nell’ultimo secolo. Una per tutte l’inconscio. Come è avvenuto che la dimensione scientifica di un’opera di così enorme valore sia stata ignorata per secoli? Tutto è dipeso dai commenti che su di essa si sono redatti nel corso dei secoli. Tali commenti sono stati scritti da studiosi il cui interesse teorico era esclusivamente di natura filosofica. Più precisamente metafisica. Quindi sconfinante con la religione. Ma lo Yoga è una disciplina psicofisica. Anzi, se si esclude il Pranayama, la tecnica riguardante la respirazione, esso è un disciplina squisitamente psicologica. Lo Yoga persegue infatti un obiettivo esclusivamente psicologico, la realizzazione di uno stato psichico straordinario, la trance estatica. Utilizza, in questo intento, delle metodiche specificamente psichiche, sia pure accompagnate in parte da metodiche corporee. Sottende una teoria psicologica di cui traccia le linee essenziali. Offre infine la possibilità di sperimentare stati psichici (percettivi) paranormali. Questa lettura scientifica e necessariamente, per adesione al testo, psicologica, degli Yoga Sutra di Patanjali è rivoluzionaria. Per questo, questo libro è un libro rivoluzionario. Come dovrebbero essere tutti i libri.

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Lo Yoga

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Le origini Sin dai primordî dell’umanità, i grandi spettacoli naturali hanno suscitato nell’essere umano l’idea dell’infinità e dell’eternità. La sua esperienza lo ha indotto ad attribuire ad un autore personale qualsiasi evento ed era quindi naturale che egli concepisse un’entità cosmica autrice degli eventi naturali. Nacque così la religione. Il tentativo di comunicare con l’entità cosmica diede origine al rito. Il rito è nella sua sostanza un protocollo comportamentale ripetitivo che può sortire due effetti. Abbassare la tensione esistenziale costituita dall’atteggiamento generale di difesa, in quanto durante il rito gli eventi ambientali sono completamente controllati. Indurre, in seguito all’abbassamento della tensione e alla reiterazione dei gesti, uno stato autoipnotico. E’ appunto nello stato autoipnotico indotto dal rito religioso, non di rado aiutato dall’assunzione di sostanze stupefacenti, che gli esseri umani, probabilmente in uno stadio già avanzato di civilizzazione, sperimentarono la trance estatica nella sua forma particolare di estasi mistica. La trance estatica è caratterizzata dalla perdita delle percezioni fondamentali (della realtà ambientale, della particolarità oggettuale, dell’Io, del tempo e dello spazio) normalmente presenti nella percezione ordinaria. E’ evidentemente uno stato deficitario della percezione. Il vissuto soggettivo di tale stato è tuttavia estremamente gratificatorio. In effetti la trance estatica costituisce lo stato percettivo terminale di un processo di trasformazione della modalità percettiva articolato in diverse fasi. La prima di esse è costituita dal ricorso nella percezione di uno stesso oggetto sensoriale o concettuale, ottenuto mediante la concentrazione dell’attenzione. Una seconda fase si ha quando l’oggetto della percezione diviene esclusivo, monopolizzando completamente la percezione. In una terza fase l’oggetto della percezione è il risultato esclusivo della riproduzione di tracce mnestiche e quindi è completamente astratto.

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La quarta fase consiste nella rarefazione della percezione astratta e nell’afflusso massivo e simultaneo di dati mnestici alla percezione, cioè nella percezione intuitiva. La quinta fase è costituita dall’esplosione dell’inconscio, in cui si ha una percezione istantanea e simultanea (intuitiva ed olistica) di tutto o quasi il materiale mnestico. E’ come se i circuiti neuronali cerebrali si attivassero tutti insieme per un breve istante. Il soggetto ha cioè accesso, sia pure per un solo attimo, al proprio inconscio. Sul piano soggettivo ciò equivale all’accesso all’intero esistente, in quanto la rappresentazione di esso risiede nel deposito mnestico del soggetto. Si ha quindi una percezione di cosmicità e di onniscienza. La sesta fase è costituita da un’implosione della percezione, in cui si ha appunto la perdita delle percezioni fondamentali, la quale si concretizza nell’assenza di qualsiasi oggetto esterno alla percezione, ossia in un vuoto mentale in cui è presente soltanto l’autoconsapevolezza di esistenza della percezione. Possiamo denominare questo stato autopercezione in quanto la percezione ha come oggetto se stessa, si ha cioè un’autoriflessione della percezione. E’ come se avvenisse nel sistema neuronale cerebrale un corto circuito. L’autoconsapevolezza di esistenza come percezione diviene percezione di autocontrollo totale della dinamica percettiva e quindi, esaurendo la percezione in quel momento tutto l’esistente, percezione di onnipotenza. L’assenza della percezione dello spazio dà luogo ad una percezione di omnipresenza. L’assenza della percezione del tempo dà luogo ad una percezione di eternità. L’assenza della percezione dell’Io, perenne oggetto di aggressioni presunte o reali e quindi attivatore costante dello stato di tensione, dà luogo ad una totale assenza di tensione e quindi ad una percezione di beatitudine. Questa ultima fase costituisce propriamente lo stato di estasi, che denomineremo tecnicamente percezione estatica. La trance estatica costituisce un processo spontaneo di reazione

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dell’organismo in situazioni critiche particolari 1. Oggi noi sappiamo che essa consiste nella elaborazione da parte del sistema neuronale cerebrale di alcune sostanze endogene particolari: i neurotrasmettitori chiamati genericamente endorfine. Essi sono simulati da alcune sostanze stupefacenti. La cultura indica ha elaborato una tecnica psicologica capace di generare la trance estatica 2: essa è stata chiamata Yoga, termine che denota l’unione con la cosmicità percepita nello stato di estasi. L’esperienza yogica deve essere molto antica, se è vero che nel sigillo ritrovato a Mohenjo Daro, nella valle dell’Indo, datato dagli studiosi alla seconda metà del terzo millenio a.C., la positura rappresentata è il Mulabandha-asana, una positura tipica della tradizione Hatha Yoga, già posteriore rispetto a tradizioni più antiche. Occorre tuttavia attendere la seconda metà del primo millennio a.C. per avere i primi documenti letterarî esplicitamente riferiti ad una tradizione yogica: la Bhagavad Gita (V-I sec. a.C.) e gli Yoga Sutra (II sec. a.C.?). L’esperienza della trance estatica ha probabilmente suggerito i caratteri attribuiti dal pensiero religioso indico alla divinità. L’espressione Sat-Chit-Ananda (eterna esistenza, infinita coscienza, eterna beatitudine), indicante lo stato esistenziale della divinità, presente in tutta la cultura indica, è infatti evidentemente la descrizione essenziale dello stato estatico. Lo svincolamento dai limiti del tempo e dello spazio, e quindi la soddisfazione definitiva del programma fondamentale di sopravvivenza individuale, è una costante aspirazione umana. L’assimilazione o addirittura l’identificazione dell’essere umano con la divinità, cioè con un’entità cosmica trascendente, soddisfa teori1 Come ad esempio il pericolo di vita: il fenomeno è abbastanza noto; viene descritto come la proiezione istantanea del film della propria vita e l’assunzione di un distacco assoluto, intensamente gratificante. Anche nello stato di coma si hanno esperienze di assenza delle percezioni fondamentali: cfr. C.T. TART, States of Consciousness, Dutton & Co., New York, 1975; trad. it. Stati di coscienza, Ubaldini, Roma, 1977. 2 Che la trance estatica attuabile con la tecnica yogica sia analoga all’estasi mistica e all’estasi da stupefacenti è affermato da Patanjali in Yoga Sutra, IV, 1: «Le percezioni paranormali (tipiche della trance estatica: N.d.R.) si ottengono o spontaneamente, o con l’uso di droghe, o con i mantra, o con l’ascesi, o con il Samadhi (il processo conclusivo della metodica psichica yoga: N.d.R.)».

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camente questa aspirazione. E’ nata così la filosofia. La dimensione più consona alla figura metafisica dell’entità cosmica è evidentemente quella percettiva o coscienziale. La sua istituzione ha quindi comportato una sostanzializzazione metafisica della funzione percettiva. Il termine anima, che non a caso è originario della tradizione yogica 3 , è quello usato dalla cultura occidentale per designare quella figura, consistente sostanzialmente in un’entità coscienziale. L’assimilazione o l’identificazione dell’essere umano con l’entità cosmica deriva evidentemente dall’assunzione di quest’ultima come referente della percezione estatica. Nella cultura indica del periodo in cui si hanno i primi documenti letterarî dello Yoga erano presenti due figure metafisiche che potevano assolvere il ruolo di referente della percezione estatica: Purusha, istituita nell’ambito della filosofia Sankhya 4, e Atman, istituita 3 Il termine sanscrito anima indica precisamente una percezione paranormale realizzabile durante il processo samadhico (fase di trance della pratica yogica), consistente nella percezione di sé come un punto atomico senza dimensioni: cfr. Yoga Sutra, III, 46. 4 La filosofia Sankhya costituisce il primo sistema conoscitivo sistematico e compiuto della cultura indica. Essa ha i proprî archetipi nei Veda (Inno all’Uomo Cosmico, Rig Veda, 10, 90; X sec. a.C.), ma viene sistematicamente esposta da Isvara Krsna nel V secolo a.C. J. PEREIRA la assimila al sistema di Plotino (cfr. Hindu Theology: a Reader, Image Books, New York, 1976; trad. it. Manuale delle teologie induiste, Ubaldini, Roma, 1979, p. 47). Può essere definita tecnicamente un realismo discriminazionistico. Essa istituisce infatti una discriminazione, sul piano ontologico, fra Purusia, coscienza o “spirito”, e Prakriti, materia, che vengono contrapposte l'una all'altra come due sostanze diverse e distinte. Sono la res cogitans e la res extensa cartesiane. Questa distinzione si riflette nell'ambito della conoscenza, dove la coscienza e la materia assolvono rispettivamente le due diverse funzioni di soggetto ed oggetto. E` tuttavia proprio l'ambito della conoscenza, che istituisce una relazione fra coscienza e materia. La coscienza viene considerata la causa passiva delle trasformazioni della materia, nel senso che queste (cioè i fenomeni osservabili) vengono considerate il risultato dell'esistenza stessa della coscienza, senza alcun intervento attivo di quest'ultima. In altri termini, la coscienza, per il semplice fatto di esistere, rende manifeste le trasformazioni della materia, le quali assumono l'aspetto di fenomeni osservabili. Questa complicata relazione può essere semplificata dicendo che la coscienza costituisce il processo della rappresentazione fenomenica la cui origine è la materia, di per sé inconoscibile. Il vissuto umano è quindi dovuto unicamente alla coscienza: il suo apparente legame con i fenomeni fisici e addirittura la sua identificazione con la materia è unicamente il risultato di un'operazione compiu-

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nell’ambito della filosofia Puratana Vedanta 5. ta dalla stessa coscienza, ossia dalla sua naturale funzione della conoscenza. I fenomeni sono quindi soltanto l'aspetto che la materia assume nel suo rapporto con la coscienza attraverso il processo della conoscenza, ma non hanno nulla a che fare con il noumeno materiale: in realtà nella materia, per il Sankhya, non avviene alcuna trasformazione sostanziale. La convinzione che la materia subisca delle trasformazioni sostanziali e la relazione di identità istituita dalla coscienza fra sé e la materia sono basate sulla falsa convinzione che sussista una relazione di identità ontologica fra coscienza e materia. Questa falsa convinzione è la causa della sofferenza umana ed ha a sua volta la sua causa nell'ignoranza umana (Avidya), cioè a dire nella struttura logica della conoscenza umana, che costituisce la funzione fondamentale della coscienza. Al problema di come sia possibile un rapporto causale fra due sostanze ontologicamente distinte come la coscienza e la materia viene presentata come soluzione parziale una particolare teoria della causalità (Satkaryavada), consistente nel considerare l'effetto coessenziale alla causa (ad esempio il fumo è coessenziale al fuoco, è cioè già insito in esso). In forza di tale teoria, coscienza e materia sono considerate coessenziali, cioè la loro natura è considerata fondamentalmente la stessa, sebbene esse costituiscano due sostanze ontologicamente distinte. Come si vede, il discriminazionismo o dualismo ontologico della filosofia Sankhya risulta piuttosto attenuato e tendente fondamentalmente ad un monismo, accennato nell'identità di natura delle due sostanze componenti la realtà, la coscienza e la materia, anche se sussiste in questa filosofia quel tanto di dualismo che basta a giustificare l'esperienza comune, operante, sulla base dell'esperienza psicologica di percezioni interne ed esterne al corpo, una distinzione fra res cogitans e res extensa, e quindi a poter classificare la filosofia Sankhya come realismo. Il Purusha presentava caratteri che bene si adattavano al presunto referente della percezione estatica: l'essere umano è infatti, per il Sankhya, pura coscienza, o, se si preferisce, puro spirito (Purusha), non coinvolto nelle trasformazioni della materia, quindi immutabile, incorruttibile, eterno: esattamente le caratteristiche che venivano percepite nello stato yogico di percezione estatica. Da qui l’associazione istituita dai primi commentatori fra Sankhya e Yoga. 5 Il Puratana Vedanta o Vedanta Antico evidenzia più esplicitamente la tendenza monistica già presente nel Sankhya. Esso, elaborato essenzialmente da Badarayana nel V secolo a.C., ha infatti nei Veda, ancor più che il Sankhya, la sua matrice ideologica: da qui il suo nome. Dei Veda il Puratana Vedanta riprende il concetto di sostanza assoluta, il Brahman o Sé, concepito tuttavia come sostanza trascendente, causa remota degli accidenti del mondo: «Da dove provengono gli stati di creazione, mantenimento e dissoluzione del mondo: quello è il Brahman.» (J.PEREIRA, op. cit., p. 236). L’essere umano è concepito come un’entità coscienziale, l’Atman o anima, formalmente distinta dal Brahman (« ... l’anima e il Sé sono dichiarati differenti.», Idem, p. 239), ma sostanzialmente coincidente e formalmente tendente all’unione con esso: «La Rivelazione insegna l’unione dell’anima con il Brahman.» (Idem, p. 240). L’Atman, ancora più del Purusha, era adatto ad essere assunto come referente della percezione estatica: infatti, mentre il denotato del termine Purusha è sostanzialmente un concetto («lo ‘Spirito’ è soltanto una categoria comprendente Spiriti individua-

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Ed infatti nei primi documenti della tradizione letteraria dello Yoga, la Bhagavad Gita e gli Yoga Sutra, sono presenti entrambi tali termini. La tradizione letteraria dello Yoga è stata costituita nel seguito, fino ai nostri giorni, sostanzialmente da commenti a quelle prime due opere capitali. Essi sono commenti di natura filosofica, avendo assunto la figura metafisica del Purusha o Atman un’importanza preponderante sul piano della speculazione teorica rispetto all’approfondimento della tecnica di induzione della trance estatica. Al punto da passare da una dimensione personale ad una dimensione impersonale con il ricorso, in ultimo, alla filosofia Advaita Vedanta 6, li di numero illimitato.», Idem, p. 47), il denotato del termine Atman è un’entità coscienziale che in assenza di una consistenza ontologica dell’Io («L’Io esiste esclusivamente nella percezione ordinaria.», PATANJALI, Yoga Sutra, IV, 4) può assumere il ruolo di autentico ed ultimo sostrato della personalità umana. 6 La tendenza monistica del Puratana Vedanta diviene assoluta nell’Advaita Vedanta in seguito all’influenza della tradizione buddhista: la «teologia dell’Identità sembra essere buddhista nei suoi archetipi, poiché non c'è enunciazione monista nella tradizione vedica che non possa essere interpretata nel senso della Differenzanella-Identità» (J. PEREIRA, op. cit., pag. 181). Infatti secondo l'Advaita Vedanta, che presenta una sua prima esposizione sistematica con Shamkara (VIII sec. d.C.), la realtà è costituita da un'unica sostanza, esauriente in sé tutto l'esistente e contenente tutto il possibile. Essa è indefinibile ed inconoscibile, in quanto posta al di là del rapporto conoscitivo soggetto-oggetto e di qualsiasi altro fenomeno osservabile, noumeno unico ed universale, principio unitario ed origine della molteplicità fenomenica e quindi sia della coscienza che della materia, le quali altro non sono che forme di quell'unica sostanza cosmica. Utilizzando l'antico termine usato nei Veda, codesta sostanza è stata chiamata Brahman. Possiamo assimilarla al concetto di energia della nostra fisica. La diversità, e quindi l'indipendenza, fra natura (Prakrti: non-Sé, molteplicità), e coscienza umana (Atman: Sé, unità), non è quindi ontologica ma logica, o se si preferisce formale. Tali diversità e indipendenza vengono istituite nell'ambito del processo conoscitivo, ove coscienza e natura si contrappongono nelle due diverse funzioni di soggetto ed oggetto. In realtà è lo stesso Brahman che dà luogo ad una coscienza-soggetto e ad una natura-oggetto nell'ambito del processo conoscitivo, in quanto tutti suoi fenomeni. In pratica, sia la coscienza, cioè l'essere umano, che la materia, cioè la natura, altro non sono che atti di Brahman, privi in sé di alcuna sostanzialità ma riferibili alla sostanza cosmica in qualità di funzioni. L'assunzione della consapevolezza della coincidenza non soltanto della coscienza, ma anche della natura, con l'unica sostanza universale, costituisce quindi l'evento centrale della dinamica della realtà, in quanto atto fondamentale e necessario di autocoscienza di Brahman e insieme atto di conoscenza totale della realtà. La percezione estatica, risultato della pratica yogica, assume quindi all’interno di questo sistema

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che con Vivekananda ed Aurobindo ha assunto un aspetto dichiaratamente teologico. 7 La tradizione letteraria dello Yoga ha dunque utilizzato, in diverse epoche storiche, diversi sistemi filosofici proponenti una figura metafisica alla quale essa ha assimilato l’ipotetico referente della percezione estatica. La dimensione metafisica è indubbiamente importante, per lo Yoga. La sua importanza non è tuttavia conoscitiva, ma psicologica. Infatti la tradizione yogica non ha mai aggiunto nulla alle tradizioni filosofiche che di volta in volta ha utilizzato come teorie generali istituenti la figura metafisica a cui assimilare il referente della percezione estatica. Nondimeno, l’attribuzione di una dimensione cosmica e metafisica allo stato estatico costituisce indubbiamente un motivo di esaltazione dell’Io di portata cospicua. Infatti la trance estatica, non in sé perché caratterizzata proprio dall’assenza della percezione dell’Io, bensì in quanto figura concettuale di riferimento, diviene oggetto di una polarizzazione del vissuto psichico, sia precedente sia successivo alla sua esperienza, che si configura idealmente come identificazione del soggetto con un’entità cosmica assoluta.. Questo non fa sì tuttavia che lo Yoga sia, in sé, una metafisica. La dimensione metafisica ha nello Yoga una funzione puramente strumentale a livello psicologico, ma non coincide con la sua essenza. filosofico una funzione metafisica ben più pregnante della semplice funzione psicologica di attivazione di uno stato straordinario di coscienza, in quanto viene considerato un atto di assunzione di autoconsapevolezza da parte dello stesso Brahman e quindi di eliminazione (sia pure provvisoria e locale) del meccanismo formale della fenomenicità manifestantesi nel dualismo coscienza-natura. Nell'ambito di questo sistema filosofico, l'uomo (e ogni altro essere dotato di coscienza) acquista un'importanza cosmica, essendo il punto di incontro fra coscienza e natura, il nodo formale attraverso il quale l'Assoluto (Brahman) si manifesta come fenomenicità e si riconosce come unità sostanziale immutabile ed eterna. 7 Cfr. VIVEKANANDA, The complete works, Advaita Ashrama, Mayavati, (date diverse); trad. it. Jnana Yoga Lo Yoga della conoscenza, Ubaldini, Roma, 1963; Yoga pratici Karma Yoga, Bhakti Yoga, Raja Yoga, Ubaldini, Roma, 1963 e AUROBINDO, The complete works, Sri Aurobindo Ashram Trust, Pondicherry, (date diverse); trad. it. La sintesi dello Yoga, 3 volumi, Ubaldini, Roma, 1967, 1969; Lo Yoga della Bhagavad Gita, Ed. Mediterranee, Roma, 19771, 19812.

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Lo Yoga è in sé una tecnica psicologica. Questo fatto non è mai stato perduto di vista nella tradizione pratica dello Yoga, quasi esclusivamente orale. Nessuno ha mai sperimentato lo stato di trance estatica in seguito alla lettura dei commenti filosofici della tradizione teorica dello Yoga. Chi ci è riuscito, lo ha fatto in seguito all’applicazione della tecnica psicologica tramandata dalla sua tradizione pratica. Il riferimento ideale ad una dimensione metafisica può essere psicologicamente utile, ma a rigori non è necessario. Tanto è vero che nell’ambito culturale buddhista, notoriamente antimetafisico, lo Yoga è stato probabilmente praticato senza alcun riferimento filosofico. 8 Che lo Yoga non è una filosofia è daltronde esplicitamente dichiarato dal più importante dei suoi rappresentanti contemporanei 9. Che è propriamente una disciplina o una tecnica è riconosciuto anche dagli studiosi della sua tradizione letteraria di orientamento filosofico 10. Lo Yoga viene praticato, in tutte le sue tradizioni, negli Ashram (specie di conventi) sotto la direzione di un Guru, o maestro, che è nello stesso tempo istruttore tecnico e maestro spirituale. L’accesso allo Yoga costituiva tradizionalmente una via iniziatica, nel senso che veniva praticata tradizionalmente una selezione fra gli aspiranti all’internato nell’Ashram e gli ammaestramenti ivi impartiti venivano vincolati dal giuramento del segreto. Le ragioni di codesto apparato esoterico sono due. 8

L. De La Vallée Poussin ritiene che le comunità buddhiste abbiano adottato una forma “pura”, cioè di mera tecnica pratica, dello Yoga, senz’alcun riferimento o sistemazione metafisica, specificatamente senz’alcun influsso del Sankhya, tanto più che l’elaborazione yogica del Sankhya è probabilmente posteriore (cfr. Le Buddhisme e le Yoga de Patanjali, in Mélanges chinois et bouddiques, 1937, pp. 223-242). 9 «Lo Yoga non è una filosofia: non è una religione né una filosofia. Non è qualcosa su cui si possa ragionare. E' ciò che tu dovresti essere ...» (O.RAJNEESH, Yoga: the Science or the Soul, Rajneesh Foundation International, Poona (India), 1976; trad. it. Yoga La scienza dell'anima, ECIG, Genova, 1990, vol. I, p. 25). 10 «Lo Yoga non è uno shastra: non è una scrittura sacra. E’ una disciplina. E’ qualcosa che tu devi fare. Non è una curiosità; non è una speculazione filosofica. E’ qualcosa di più profondo: si tratta di vita o di morte.» (O.RAJNEESH, op. cit., p. 27). «... lo yogasastra, l'edificio dottrinale dello Yoga, rivela più di qualsiasi altra "filosofia" la propria natura di techne, o ars: Vyasa lo paragona, in effetti, all'arte medica ...» (Aforismi dello Yoga, a cura di P. MAGNONE, Promolibri, Torino, 1991, p. 11).

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La prima, indubbiamente presente, consiste in un’esigenza di protezione del patrimonio di sapere del maestro, e quindi del suo potere. La seconda è basata sulla consapevolezza, derivata dall’ esperienza, che non tutte le persone sono in grado di affrontare la disciplina yogica, la quale, nel caso di psicosi o di nevrosi molto avanzata, può risultare controproducente o addirittura pericolosa 11.

Le tradizioni Lo Yoga non presenta un’unica forma ed un’unica tradizione. Abbiamo in effetti diversi tipi di Yoga. Le tradizioni yogiche sono parecchie e tendono a moltiplicarsi 12, ma tre tradizioni fondamentali si sono affermate nel tempo e da esse le altre tradizioni hanno tratto la loro origine. Esse sono il Kriya Yoga, il Raja Yoga e lo Hata Yoga. Le origini storiche di queste tre tradizioni fondamentali sono ordinatamente successive, come testimoniano i documenti letterarî loro inerenti. La Bhagavad Gita, la prima testimonianza che riguarda il Kriya Yoga, è databile al V-I sec. a.C. Lo Yoga Sutra, il primo trattato sistematico del Raja Yoga, risale al II sec. a.C. oppure al V sec. d. C. La Goraksa Sataka, la prima esposizione dello Hatha Yoga, è probabilmente dell’XI secolo d.C. La sua esposizione più compiuta, lo Hatha Yoga Pradipika, è datata 1629. Ad una successione temporale delle tre tradizioni fondamentali corrisponde una loro successione esperenziale: dall’esperienza spontanea dell’estasi mistica del Kriya Yoga si passa all’induzione scientifica della trance estatica del Raja Yoga e da questo alla sua variante “corporea” dello Hata Yoga. 11

«Lo Yoga non va bene per gente malata: è per coloro che sono in ottima salute dal punto di vista medico, per le persone normali. E’ per coloro che non sono schizofrenici, o matti, o nevrotici.» (O.RAJNEESH, op. cit., p. 33). 12 Ancora recentemente sono state istituite nuove tradizioni, come quella del Sahaja Yoga, commistione fra Kundalini Yoga e Bhakti Yoga, fondato da un’anziana signora indiana di nome Adi Mataji, autonominatasi Shri Shakti e propostasi come oggetto di culto: raccoglie fedeli anche in Italia.

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Il tentativo di fondare una tecnica capace di riprodurre intenzionalmente lo stato di estasi mistica sperimentato durante i riti religiosi senza fare ricorso allo stesso rito o all’uso di droghe ha dato probabilmente origine inizialmente al Kriya Yoga. Kriya significa “pratica”: in questo caso indica la pratica di vita, il comportamento quotidiano. Il Kriya Yoga può essere infatti definito uno yoga comportamentale. Esso non richiede sedute particolari ed uso di metodiche specifiche, bensì l’adozione di comportamenti ed atteggiamenti psichici atti ad indurre l’estasi mistica. Tali comportamenti ed atteggiamenti psichici hanno quindi il fine di indurre uno stato di autosuggestione in cui si istituisca un’identificazione del soggetto con la cosmicità, sostanzializzata idealmente in un’entità metafisica e più precisamente nella divinità. Un’analisi psicologica anche soltanto superficiale del rito religioso aveva infatti posto in rilievo le sue due caratteristiche fondamentali: la concentrazione e l’iterazione. Ed infatti, come vedremo più compiutamente nel Raja Yoga, sono proprio la concentrazione della percezione su un oggetto (Dharana) e l’iterazione della percezione di un medesimo oggetto (Dhyana), ad innescare il processo dell’autoipnosi (Samadhi) che sfocia nella trance estatica (Kaivalya). L’oggetto della concentrazione e dell’iterazione percettiva era nel rito religioso la divinità: tale rimane nel Kriya Yoga. La divinità in tutte le sue possibili rappresentazioni, dall’immagine materiale al concetto astratto, dall’individuazione personale all’impersonalità cosmica, è il fulcro oggettuale intorno al quale ruota tutta la metodica psichica del Kriya Yoga. Essa consiste essenzialmente nell’instaurazione di una dinamica percettiva endogena (costituita cioè da concetti astratti) e monooggettuale (cioè tendenzialmente di tipo ossessivo), che sostituendo gli oggetti della percezione ordinaria con l’oggetto intramentale della divinità crea uno stato autoipnotico suscettibile di sfociare nello stato estatico. Il risultato più congruo alla metodica psichica del Kriya Yoga è propriamente non lo stato estatico bensì il cosiddetto stato di illuminazione, in cui è assente, fra le percezioni fondamentali, la sola percezione dell’Io. L'eliminazione della percezione dell’Io è per tutte le tradizioni dello

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Yoga, come per il Buddhismo, l'obiettivo principale del loro intervento psicologico. Poiché scopo fondamentale dello Yoga è la realizzazione dell'unione (sul piano psichico, dell'identificazione) con la cosmicità, è evidente infatti che essa può essere realizzata soltanto attraverso tale eliminazione. Affinché l'eliminazione della percezione dell’Io e la conseguente identificazione psichica con la cosmicità avvengano in modo spontaneo e coinvolgano tutta la personalità del soggetto, la tradizione del Kriya Yoga ha differenziato comportamenti ed atteggiamenti induttivi a seconda della tipologia psicologica individuale. Essa ha distinto tre tipi psicologici fondamentali, in corrispondenza delle tre funzioni fondamentali dell’essere umano: il tipo emozione, il tipo azione, il tipo intelletto. Per ciascuno di essi ha elaborato una metodica psicologica particolare: il Bhakti Yoga, il Karma Yoga, il Jnana Yoga. Bhakti significa devozione. Il Bhakti Yoga è la via del mistico. L’entità cosmica viene concepita come entità personale e viene instaurato a livello psichico in un primo tempo un rapporto di amanteamato fra l’Io e codesta entità, che possiamo a questo punto chiamare propriamente Dio. Lo scopo di questo primo stadio è vedere Dio in ogni cosa, concepire cioè ogni cosa come manifestazione diretta di Dio. L’instaurazione sistematica di un comportamento di contemplazione, che ovviamente ha alla sua base, oltre ad una predisposizione psicologica, anche un convincimento religioso, cioè una fede, conduce con la pratica ad assumere codesto comportamento come abituale e permanente. Il secondo stadio consiste nella trasformazione del rapporto dualistico soggetto-oggetto, amante-amato, di contemplazione di Dio da parte dell’Io, in un rapporto monistico di identificazione dell’Io con Dio, concepito a questo punto come entità, o meglio come coscienza, cosmica impersonale. Il processo autosuggestivo di identificazione con la presunta coscienza cosmica impersonale comporta necessariamente la perdita della percezione dell’Io. Ove il processo di alterazione della percezione ordinaria proseguisse fino alla perdita delle altre percezioni fondamentali, della realtà am-

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bientale, della particolarità oggettuale, del tempo e dello spazio, fino a confluire nella percezione di cosmicità, di infinità, di eternità, di beatitudine, si realizzerebbe lo stato di trance dell’estasi mistica, che è appunto lo scopo finale del Kriya Yoga. Karma significa azione. Il Karma Yoga è la via dell’uomo d’azione. Premessa anche qui la personalizzazione dell’entità cosmica e la presenza di un convincimento religioso, viene instaurato a livello psichico un atteggiamento di dedizione, vissuta come sacrificio rituale, di tutte le proprie azioni, e quindi anche dei proprî pensieri, in una parola di tutto il proprio vissuto, alla divinità. Il comportamento viene caratterizzato quindi da un completo ed assoluto altruismo, ove l’attenzione è rivolta all’esterno e l’Io è quindi ignorato. Tale atteggiamento e tale comportamento vengono assunti come sistematici, finché divengono abituali e permanenti, il che conduce ad interpretare gli eventi, comprese le proprie e le altrui azioni, come dirette manifestazioni della divinità, finché quest’ultima diviene l’oggetto centrale e monopolizzante della percezione. Si ottiene così l’identificazione con la divinità, percepita a questo punto come coscienza cosmica impersonale e si instaurano i processi di illuminazione e di estasi mistica. Jnana significa conoscenza. Il Jnana Yoga è la via del filosofo. L’identificazione dell’Io con la coscienza cosmica impersonale viene conseguita nel Jnana Yoga attraverso l’attività del pensiero razionale. La vita viene dedicata, in esso, allo studio delle modalità di manifestazione ed ai rapporti metafisici esistenti fra l’Assoluto (assunto pregiudizialmente come entità coscienziale cosmica) ed il mondo fenomenico, finché lo stesso Assoluto finisce per monopolizzare i contenuti psichici e si ottiene l’identificazione dell’Io con esso o meglio la perdita della percezione dell’Io e quindi l’attivazione dei processi di illuminazione e di estasi mistica. Gli Yoga comportamentali, come gli altri tipi di Yoga, sono fondamentalmente basati sul processo della concentrazione percettiva, ossia sul meccanismo della selezione volontaria dell’attenzione. Nel caso del Bhakti Yoga l’attenzione cosciente viene concentrata sulle percezioni emotive, intenzionalmente indirizzate verso

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l’adorazione della divinità. Nel caso del Karma Yoga, l’attenzione viene concentrata sulle percezioni fisiche, segnatamente sulle percezioni di azione e di moto, intenzionalmente dedicate alla divinità. Nel caso del Jnana Yoga, l’attenzione viene concentrata sulle percezioni intellettive o pensieri razionali, intenzionalmente rivolti alla divinità e ai suoi rapporti con il mondo fenomenico. Aurobindo ha proposto la fusione delle tre metodiche del Kriya Yoga in un unico Yoga comportamentale integrale che facendo leva contemporaneamente sulle tre componenti fondamentali della psichicità umana conduce ad un coinvolgimento totale della personalità nell’esperienza mistica ed ha affermato non senza fondamento che tale Yoga integrale era precisamente la forma originaria di Kriya Yoga 13. Infatti in tutti tre i procedimenti, l’instaurazione di un flusso di contenuti coscienziali differente da quello ordinario incentrato sui bisogni dell’Io, dove anzi i bisogni dell’Io vengono esclusi dalla coscienza, conduce all’eliminazione della stessa percezione dell’Io e quindi all’identificazione con l’entità cosmica, che sfocia nella trance estatica. Il meccanismo psichico del superamento dell’Io, o meglio della distrazione della coscienza dai bisogni dell’Io, si trova alla base non soltanto del Kriya Yoga, ma anche del Raja Yoga e dello Hata Yoga, nonché di tutte le dottrine soteriologiche orientali, dal Buddhismo al Taoismo. Il Kriya Yoga, specie nella sua componente del Bhakti Yoga, è la forma di Yoga che conta il maggior numero di divulgatori e seguaci, che non di rado si dedicano a vere e proprie forme di culto (da qui la definizione di Yoga come religione): fra essi famosi in Occidente sono, oltre a Vivekananda ed Aurobindo già citati, Prabhupada 14 e Satya Sai Baba 15, ancora viventi alla data di stesura di questo saggio. 13 Cfr. AUROBINDO, The complete works, vol. IV, Sri Aurobindo Ashram, Pondicherry (India), 1965; trad. it. La sintesi dello Yoga, 3 volumi, Ubaldini, Roma, 1967, 1969. 14 E’ il fondatore della setta religiosa dei cosiddetti “arancioni”, gli adoratori di Krishna, diffusa in tutto il mondo occidentale. 15 Fondatore di un Ashram e di un’intera città universitaria a Putthaparti, suo villaggio natale, nella provincia di Madras in India. Dotato di grande autorità nel suo paese, è stato nominato governatore della provincia ed è riverito dalle più alte auto-

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Raja Yoga significa “Yoga regale”: esso è considerato la tradizione principale, più compiuta, dello Yoga, la sua forma classica. E' di fatto la tradizione in cui le metodiche psicologiche presentano il maggiore sviluppo ed una forma propriamente scientifica. Il Raja Yoga è probabilmente derivato da un’analisi e da una rielaborazione scientifica dei processi indotti dal Kriya Yoga, le quali hanno condotto all’eliminazione del ricorso alla religiosità e, attraverso un percorso nettamente laico, alla costruzione di un itinerario percettivo culminante in una trance estatica ancora più profonda ed estraniante. Il Raja Yoga richiede infatti sedute particolari ed uso di metodiche specifiche, nonché una pratica costante e protratta nel tempo. Le metodiche del Raja Yoga sono otto: due comportamentali, Yama (astensione dalla violenza, dalla falsità, dal furto, dalla lussuria, dall’avidità) e Niyama (purezza, contentamento, frugalità, introspezione e dedizione alla divinità); due corporee, Asana (positura del corpo) e Pranayama (sospensione progressiva dell’atto respiratorio); quattro specificamente psichiche, Pratyahara (inibizione delle percezioni sensoriali), Dharana (concentrazione percettiva su un unico oggetto), Dhyana (presenza percettiva di un unico oggetto), Samadhi (processo della trance estatica). Le metodiche psichiche costituiscono, secondo questa tradizione, lo Yoga vero e proprio: «I tre processi mentali della dharana, del dhyana e del samadhi costituiscono lo yoga vero e proprio; i cinque precedenti anga, possono considerarsi meramente propedeutici.» 16 Il suo obiettivo è l’induzione dello stato di estasi (Kaivalya), in quanto culmine del processo samadhico o di trance. Lo Hatha Yoga costituisce uno sviluppo in direzione corporea del Raja Yoga. rità dello Stato indiano che lo credono un Avatar, ossia un’incarnazione divina. Autore di vistosi “miracoli” (fra cui materializzazioni di oggetti preziosi), è visitato da milioni di persone provenienti da tutte le parti del mondo. Per avere un’idea del fenomeno, basti sapere che nella sola Italia esistono oltre una decina di associazioni di suoi devoti, che organizzano mensilmente voli charter alla volta dell’India. Fra essi vi è anche Antonio Craxi, che ha curato la traduzione di alcuni suoi scritti. Ha una produzione letteraria enorme: oltre una cinquantina di volumi. 16 I.K.TAIMNI, The Science of Yoga, The Theosophical Publishing House, Wheaton (USA), 1961; trad. it. La scienza dello Yoga (commento agli Yoga Sutra di Patanjali alla luce del pensiero moderno), Ubaldini, Roma, 1970, p. 267.

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Ha e Tha indicano le due polarità maschile e femminile: l’entità cosmica, assunta come energia, concetto già presente nella tradizione vedica dove è stato indicato con il termine Brahman, si manifesterebbe nell’essere umano come energia sessuale. La trance estatica, epilogo del processo yogico, è considerata l’atto conclusivo di un processo di trasformazione dell’energia sessuale in energia psichica e quindi dell’energia individuale in energia cosmica. Il procedimento psicofisico attraverso il quale si realizza la trasformazione è l’atto sessuale. Lo Hatha Yoga comprende sette metodiche: una comportamentale, Satkarman (atti purificatorî); tre corporee, Asana (positure), Mudra (movimenti), Pranayama (sospensione dell’atto respiratorio); tre psichiche, Pratyahara (inibizione delle percezioni sensoriali), Dhyana (presenza percettiva di un unico oggetto), Samadhi (processo della trance estatica). Come si vede, rispetto al Raja Yoga vi è un incremento delle metodiche corporee ed una semplificazione delle metodiche comportamentali e psichiche. Il Satkarman corrisponde a Yama e Niyama. L’Asana, dall’unica positura originale del Raja Yoga, il Siddhaasana, si moltiplica nello Hatha Yoga in decine di positure costituenti in alcuni casi dei veri e proprî esercizî di contorsionismo. Ad esse aggiunge i Mudra (movimenti corporei). Il Pranayama porta nello Hatha Yoga ai limiti fisiologici la metodica di sospensione del respiro già presente nel Raja Yoga. 17 E` proprio lo Hata Yoga, la forma di Yoga che viene normalmente insegnata nelle palestre occidentali, peraltro limitata all’Asana. Una forma particolare di Hatha Yoga è il cosiddetto Kundalini Yoga. Esso è fondato sulla teoria fisiologico-metafisica secondo cui l’energia cosmica (Kundalini, che nell’essere umano assume la forma della sessualità) avrebbe come propria sede nel corpo umano la base della colonna vertebrale. La trance estatica costituirebbe l’esito di un processo in cui essa, risalendo lungo i centri nervosi (Chakras) posti lungo la colonna vertebrale, perviene alla sommità del cranio (Sahasrara Chakra, forse la 17

Per avere un’idea dello sviluppo del Pranayama nello Hatha Yoga, vedi A.V.

LYSEBETH, Pranayama. La dinamica del respiro, Ubaldini, Roma, 1973.

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ghiandola pineale) e confluendo nel campo energetico universale porrebbe il soggetto in comunicazione con la cosmicità. Il Kundalini Yoga costituisce probabilmente un tentativo di dare un fondamento fisiologico all’evento apparentemente eminentemente psichico della trance estatica. Il Raja Yoga è considerato la tradizione classica dello Yoga perché comprende teoricamente le altre due tradizioni fondamentali, il Kriya e lo Hatha. Infatti, essenzialmente, il Kriya è uno sviluppo dello Yama e del Niyama; lo Hatha dell’Asana e del Pranayama. L’inclusione del Kriya Yoga nel Raja Yoga è testimoniata dalla sua citazione specifica nel trattato classico del Raja Yoga, gli Yoga Sutra, che considera il Kriya Yoga una parte del Niyama 18. La derivazione dello Hatha Yoga dal Raja Yoga è testimoniata dal documento più importante della tradizione Hatha, la Hatha Yoga Pradipika 19. Il Raja Yoga è considerato la tradizione classica dello Yoga anche perché presenta la gamma più estesa ed articolata di metodiche psichiche, che sono in definitiva ai fini yogici quelle conclusive. Come abbiamo visto, infatti, le metodiche psichiche Raja sono il Pratyahara, il Dharana, il Dhyana, il Samadhi. Nella tradizione Hatha manca la metodica Dharana. Le metodiche psichiche del Kriya Yoga non presentano dal punto di vista tecnico una particolare specificità, consistendo praticamente in atteggiamenti psichici di devozione che si possono considerare essenzialmente dei rituali religiosi. Il Raja Yoga è considerato infine la tradizione classica dello Yoga perché presenta nella sua tradizione letteraria il trattato espositivo più completo e sistematico, l’unico di tutta la tradizione yogica che si può definire effettivamente scientifico, su tutte le metodiche yogiche, con particolare riguardo a quelle specificamente psichiche: gli Yoga Sutra.

Psichico e corporeo 18 19

Cfr. Yoga Sutra, II, 1. Cfr. SVATMARAMA, Hatha Yoga Pradipika, I, 1-3.

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La distinzione fra psichico e corporeo è nello Yoga come in qualsiasi tecnica riguardante l’essere umano difficilmente praticabile ad oltranza. In effetti tale distinzione, assente nella cultura orientale, è un retaggio della filosofia cartesiana che corrisponde all’effettiva esigenza logica della mente umana di distinzione fra gli oggetti, derivante dalla sua tendenza a prendere in considerazione un oggetto per volta e quindi a considerare ogni oggetto come a sé stante, distinto e separato dal contesto («oggetto chiaro e distinto»). Ma questa è un’esigenza puramente teorica. Nella realtà non esiste alcuna distinzione fattuale fra psichico e corporeo. Non vi è infatti alcuno stato psichico che non abbia per corrispondente uno stato corporeo e viceversa. Psichico e corporeo sono due aspetti logici, o, se si preferisce, fenomenici, di una stessa struttura biofisica fatta di cellule e stati elettrochimici. Oggi infatti noi parliamo più propriamente di psicosoma. 20 Tuttavia, poiché noi ci comportiamo praticamente come se la realtà fosse davvero strutturata come la nostra esigenza logica ci richiede, al fine di indirizzare nella giusta direzione la nostra indagine è necessario chiarirci quale è l’ambito al quale dobbiamo dedicare la nostra attenzione, nella comprensione della tradizione tecnica dello Yoga. Essa comprende indubbiamente metodiche che possiamo definire teoricamente corporee e metodiche che possiamo definire teoricamente psichiche. Nelle tre tradizioni fondamentali dello Yoga le metodiche corporee hanno assunto un diverso rilievo. Nel Kriya Yoga e nel Raja Yoga sono ridotte all’essenziale. 21 Nello Hatha Yoga sono ampliate notevolmente. 22 Le metodiche corporee giocano probabilmente un ruolo importante, nell’induzione della trance estatica. 20

Cfr. K. DYCHTWALD, Psicosoma, Ubaldini, Roma, 1980. La Bhagavad Gita dedica due sutra all’Asana (VI, 13-14) e due al Pranayama (IV, 29; V, 27). Lo Yoga Sutra dedica tre sutra all'Asana (II, 46-48) e tre al Pranayama (II, 49-51). 22 La Hatha Yoga Pradipika dedica trentasei sutra alla metodica Asana (I, 1954); sessantasei alla metodica Mudra (III, 5-54, 83-98); novantasette alla metodica Pranayama (II, 1-78; III, 55-73). 21

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L'ipossìa cerebrale ottenuta con la sospensione prolungata dell’atto respiratorio (Pranayama), contribuiscono certamente all’innesco della reazione endorfinica cerebrale. Tuttavia le metodiche psichiche hanno nello Yoga un rilievo imprescindibilmente fondamentale. Anzi, se si considera il fatto che esse sono preponderanti nel Kriya Yoga e nel Raja Yoga e paritetiche con le metodiche corporee nello Hatha Yoga, possiamo affermare che esse sono prevalenti nella generalità della tecnica yogica. Di fatto, le metodiche psichiche sono decisive per l’attuazione dello stato di trance estatica, che costituisce l’obiettivo pratico di tutte le tradizioni yogiche. La centralità delle metodiche psichiche nella tecnica yogica è testimoniata dal fatto che la più caratterizzata di esse, la Dhyana, è stata assunta come rappresentativa di tutto lo Yoga. Dal termine Jhan, versione Pali di Dhyana, sono derivati Ch’an e Zen, termini con i quali lo Yoga, nella sua versione buddhista, è stato diffuso in Cina e in Giappone.

La definizione di yoga Lo Yoga presenta dunque un obiettivo esclusivamente psicologico, la realizzazione della trance estatica, ed un’operatività prevalentemente psicologica, sia pure accompagnata, in alcune sue tradizioni, da una modalità corporea particolare. Non solo, nella sua tradizione del Raja Yoga esso presenta l’esposizione degli elementi essenziali di una teoria psicologica; istituisce, nella tradizione del Kriya Yoga, uno specifico atteggiamento psichico; usa, in tutte le tradizioni, metodiche capaci di effetti terapeutici in ambito psichico; testimonia infine, nelle tradizioni del Raja Yoga e dello Hatha Yoga, l’esperienza di stati psichici paranormali. Possiamo dunque definire lo Yoga una disciplina psicologica, o, se si vuole, una tecnica psicofisica ad orientamento prevalentemente psicologico. Patanjali infatti, il più autorevole esponente della tradizione teorica dello Yoga, ha dato di esso una definizione generale essenzialmente

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psicologica: «La tecnica dello Yoga consiste nell’inibizione della percezione ordinaria» 23. Ancora oggi non manca chi fra gli studiosi dei commenti filosofici della tradizione letteraria dello Yoga lo definisce esplicitamente una psicologia. 24 La definizione scientifica di Yoga come tecnica psicofisica ad orientamento prevalentemente psicologico è tuttavia estranea alla cultura occidentale, sia nella sua componente popolare, sia nella sua componente dotta. Presso la prima, infatti, la diffusione della tradizione Hatha, di forte componente corporea, ha quasi rovesciato il rapporto, inducendo una definizione popolare dello Yoga come disciplina ad intervento quasi esclusivamente corporeo. Presso la seconda, l’analisi filologica dei commentarî delle opere fondamentali della letteratura yogica, seguendo l’orientamente prevalentemente filosofico di quelli, ha dato luogo ad una definizione dello Yoga come disciplina filosofica. Poiché lo Yoga, sia in quanto propriamente tecnica psicologica sia in quanto dimensione esperenziale attuante una proiezione metafisica, presenta come sua componente tecnica fondamentale quella psicologica, questo saggio costituirà dunque un’analisi psicologica dello Yoga. Un’analisi psicologica dello Yoga è a mio parere particolarmente utile ed urgente per la cultura occidentale per due ragioni. Che lo Yoga è come dimostrato una disciplina psicologica ed in particolare che è una delle due discipline psicologiche più importanti della cultura orientale, insieme con il Buddhismo. Che una tale analisi psicologica non è stata finora mai tentata nella 23

Yoga Sutra, I, 2. «... lo Yoga avverte la necessità della via pratica come ausilio insostituibile e determinante al conseguimento di una definitiva emancipazione dal dolore e dall’ignoranza. Per questo, anche se il trattato di Patanjali-Vyasa non è scevro di implicazioni ardue a comprendersi, esso tuttavia, nella sua complessità, è forse ricco di un fascino maggiore che non le chiare e stringate formule di Isvarakrsna. Di contro alla loro essenziale nudità si leva tutto il vario edificio psicologico dello yoga, culminante in quella che potremmo chiamare, senza un preciso riferimento alla psicoanalisi occidentale, la “teoria dell’inconscio” (karma, samskara, eccetera).» (Aforismi sullo Yoga, con il commento di Vyasa, a cura di C. PENSA, Boringhieri, Torino, 1962, pp. 7-8). 24

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cultura occidentale in misura strettamente tecnica e specifica 25. Quest’analisi psicologica verrà indirizzata in particolare alle metodiche psichiche specifiche dello Yoga, che sono, come abbiamo visto, il Pratyahara, il Dharana, il Dhyana, il Samadhi, presenti sia nella tradizione Raja che Hatha. Le metodiche psichiche della tradizione Kriya, infatti, pur essendo di estremo interesse per lo psicologo, non presentano dal punto di vista tecnico una particolare specificità, consistendo praticamente, come abbiamo visto, in atteggiamenti psichici di devozione che si possono riscontrare anche in altre tradizioni mistiche comprese quelle occidentali. Questo saggio si applicherà dunque all’analisi psicologica del trattato teorico dello Yoga che più di ogni altro, come è universalmente riconosciuto, ha esposto in modo completo e sistematico, cioè propriamente scientifico, la tecnica e la teoria yogica: gli Yoga Sutra di Patanjali.

25 I trattati di I.K. TAIMNI (The Science of Yoga, op. cit.) e di O.RAJNEESH (Yoga: the Science of the Soul, op. cit.), pur essendo ricchi di spunti ed osservazioni di natura psicologica, non costituiscono studî specificamente psicologici.

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L’opera

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La teoria dello Yoga è esposta sistematicamente in una raccolta di centonovantasei sutra o enunciati tramandata con il titolo Yoga Sutra, attribuita dalla tradizione a Patanjali, la cui identità è controversa, per cui a seconda della sua soluzione essa risale al II sec. a. C. o al V sec. d. C. 26 Gli Yoga Sutra costituiscono la trattazione più sistematica che noi possediamo delle metodiche psicologiche dello Yoga nonché l’esposizione più completa dell’intera disciplina yogica in tutte le sue componenti tradizionali. Gli Yoga Sutra appartengono formalmente alla tradizione Raja. Tuttavia, per le ragioni sopra esposte, come il Raja Yoga è considerato unanimemente la tradizione classica dello Yoga, così gli Yoga Sutra sono considerati il trattato classico dello Yoga. 27 Possiamo definire gli Yoga Sutra una descrizione della tecnica psicologica yogica, e poiché tale descrizione comprende anche l’esposizione di alcuni fondamentali processi psicologici umani, possiamo considerarli un trattato, sia pure essenziale, di psicologia, anzi uno dei primi trattati di psicologia della storia umana. 28

26 Alcuni studiosi identificano l’autore degli Yoga Sutra con un famoso grammatico del II sec. a.C.; altri scorgono in Yoga Sutra, IV, 16 riferimenti polemici ad una scuola buddhista del V sec. d.C., per cui considerano l’intera opera risalente a quest’epoca. La tesi più attendibile è quella di Dasgupta della composizione frazionata: i primi tre libri risalirebbero al Patanjali grammatico (non vi è traccia di un altro Patanjali nella storia letteraria indica, il che sarebbe quanto meno improbabile se l’autore originario degli Yoga Sutra fosse un altro), il quarto (che contiene diversità di terminologia e ripetizioni rispetto ai libri precedenti, contro il criterio rigidamente osservato nei primi tre libri della massima economia espressiva) sarebbe un’aggiunta posteriore, databile nel V sec. d.C. sulla base del riferimento visto. 27 Gli «Yoga Sutra costituiscono il libro più adatto per uno studio profondo e sistematico dello yoga. Negli antichi tempi gli adepti dello yoga avevano l’obbligo di impararli a memoria e di meditare regolarmente e profondamente sui sutra per portarne alla luce i significati più profondi. ... gli Yoga Sutra costituiscono la base più opportuna, non soltanto perché forniscono tutte le informazioni essenziali circa lo yoga in maniera magistrale, ma anche perché sono il capolavoro riconosciuto della letteratura yoga, ed hanno superato la prova del tempo e dell’esperienza.» (I.K. TAIMNI, La scienza dello Yoga, op. cit., p. 10). 28 «Lo Yoga è una scienza pura e nel mondo dello Yoga Patanjali è il nome più importante. E’ un uomo raro, senza pari. Per la prima volta nella storia dell’umanità, la religione fu portata a livello di scienza: egli fece della religione una scienza di leggi allo stato puro, senza dogmi.» (O.RAJNEESH, Yoga La scienza dell'anima, vol. I, op. cit., p. 23).

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Il rigore formale e linguistico, la sistematicità, l'essenzialità, la precisione, l'esattezza dell'osservazione, il metodo sperimentale e l'esasustività descrittiva degli Yoga Sutra contribuiscono anzi a definirlo un trattato scientifico. 29 Se dal punto di vista pratico lo Yoga è una tecnica psicologica; dal punto di vista teorico, se lo identifichiamo con gli Yoga Sutra, esso può dunque essere definito una psicologia. Sugli Yoga Sutra sono stati scritti nel periodo dal VII al XVII secolo, nell’ambito della cultura indica, diversi commenti. 30 Essi sono tutti di natura filosofica. I commenti moderni degli Yoga Sutra 31 si rifanno all’uno o all’altro dei commenti antichi, per cui costituiscono, con rare eccezioni 32, anch'essi delle letture filosofiche. I commenti filosofici degli Yoga Sutra, costituenti evidentemente un’amplificazione dell’interpretazione metafisica dell’esperienza della percezione estatica, hanno dato luogo ad una lettura in senso metafisico 29 «Lo Yoga è una scienza pura come la matematica, la fisica o la chimica. ... Lo Yoga è una scienza pura e nel mondo dello Yoga Patanjali è il nome più importante. ... Patanjali è come un Einstein nel mondo dei Buddha. E’ una rarità. Avrebbe potuto facilmente essere un Premio Nobel come Einstein, o Bohr o Max Plank o Heisemberg, poiché ha un tipo di approccio comune alle menti scientifiche più rigorose. Non è un poeta, Krishna è un poeta. Non è un moralista, Mahavira è un moralista. Fondamentalmente Patanjali è uno scienziato che pensa in termini di leggi. E’ arrivato a comprendere le leggi che reggono l’essere umano e l’intima struttura che regge la mente umana e la realtà.» (O.RAJNEESH, op. cit., pp. 23-25). 30 I principali sono quelli di Vyasa (Yogabhasya, VII sec.) e di Bhoja (Rajamartanda, IX sec.). Commenti meno influenti sono quelli di Ramananda Sarasvati (Maniprabha, XVI sec.) e di Nagesa (Chayavyakhya, XVII sec.). 31 I commenti italiani (con traduzione) degli Yoga Sutra sono, in ordine cronologico di edizione, i seguenti: 1) Aforismi sullo Yoga, a cura di C. PENSA, op. cit.; 2) I.K. TAIMNI, La scienza dello Yoga, op. cit.; 3) I Sutra sullo Yoga di Patanjali, a cura di SWAMI ANAND VIDEHA (pseudonimo di un autore italiano), I Dioscuri, Genova, 1990; 4) O.RAJNEESH, Yoga La scienza dell'anima, op. cit., 3 vll.); 5) Aforismi dello Yoga, a cura di P. MAGNONE, op. cit.. Ad essi si farà riferimento in questo saggio, per comodità del lettore italiano. 32 Ad esempio quello di Taimni, che propone una lettura latamente scientifica degli Yoga Sutra. Per quanto anche in esso siano presenti forti suggestioni metafisiche, costituisce un inizio di approccio psicologico allo Yoga non privo di profondità. Pur raggiungendo questo mio saggio soluzioni particolari ed una visione generale completamente diverse da quelle proposte dal saggio di Taimni, a quest’ultimo esso deve non poche suggestioni e spunti di riflessione, nonché l’unico riferimento interpretativo iniziale compatibile con un approccio psicologico alla materia.

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delle descrizioni di Patanjali e quindi allo stravolgimento del loro autentico significato tecnico, che è, come vedremo, specificamente psicologico. Essi hanno fondato la tradizione teorica dello Yoga ed hanno ingenerato l’errata convinzione che lo Yoga sia una filosofia. Ma lo Yoga non è una filosofia. La filosofia a cui si fa riferimento nei commenti agli Yoga Sutra è infatti il Sankhya, non lo Yoga, e ciò non autorizza neppure a identificare lo Yoga con il Sankhya 33. 33 Specialisti autorevoli hanno abbinato lo Yoga al Sankhya, quasi costituissero due versioni di un unico sistema filosofico: «Les systèmes philosophiques Yoga e Sankhya se ressemblent à tel point que la plupart des affirmations de l’un sont valables aussi pour l’autre.» (M. ELIADE, Patanjali et le Yoga, Ed. du Seuil, Paris, 1962, p. 12); «Metafisicamente lo Yoga è il Sankhya» (J.PEREIRA, Manuale delle teologie induiste, op. cit., p. 71). Il Pereira fa addirittura derivare dal Sankhya il principio psicologico fondamentale dello Yoga: «Dalla dottrina [del Sankhya] si evolve quello che possiamo chiamare il ‘principio yogico’, caratteristico della speculazione indica. Si crede che la coscienza sia luminosa di per sé, ma contaminata da un mondo esterno che la invade nella forma di una molteplicità di concetti e di sentimenti. La tendenza della mente verso il mondo esterno contaminante può essere controllata, secondo questo principio, eliminando tutti i concetti all'infuori di quello su cui è messa a fuoco la concentrazione e infine (come stato ideale) eliminando assolutamente tutti i concetti, con la coscienza rivolta alla chiara luminosità della sua natura originale.» (ibidem). Non mancano tuttavia specialisti che sostengono l'indipendenza dello Yoga dal Sankhya. Taimni afferma esplicitamente che se lo Yoga fa un uso strumentale del Sankhya, non si fonda tuttavia su di esso, non costituendo lo Yoga una filosofia ma una scienza pratica: «Lo Yoga è una scienza pratica, ed ogni scienza pratica possiede generalmente una base teoretica che può corrispondere più o meno esattamente, nella realtà, ai fatti che costituiscono la base reale della scienza. Poiché il sistema di yoga descritto da Patanjali è essenzialmente un sistema scientifico, era inevitabile che egli addottasse come base teorica quel particolare sistema filosofico che presenta la veste più scientifica e la trattazione più esauriente. La scelta del Sankhya a questo proposito era pertanto del tutto naturale. Ma ciò non significa necessariamente che lo yoga si fondi sul Sankhya, o lo segua in toto. Il fatto stesso che esso si discosti dal Sankhya sul problema estremamente fondamtale dell’Isvara e che abbia suggerito un metodo indipendente per ottenere il samadhi mediante l’Isvara-pranidhana mostra che questa somiglianza apparente fra i due sistemi non va presa troppo alla lettera. Ha pure grande significato il fatto che il Sankhya, pur occupandosi con grandissima ampiezza di problemi teorici, taccia quasi del tutto per quanto riguarda i metodi pratici di ottenere la liberazione dai legami dell’avidya. Ciò mostra che il sistema veniva concepito come nulla più che una filosofia puramente teorica, che offrisse una teoria scientifica ed estremamente plausibile della vita e dell’universo in termini intellettuali. Le verità reali dell’esistenza andavano scoperte direttamente da ciascuno e da sé, seguendo un sistema pratico, quale quello descritto nello Yoga Sutra.» (I.K. TAIMNI, La scienza dello Yoga, op. cit., pp. 60-61). Lo stesso

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Infatti Purusha, il termine fondamentale tipico della filosofia Sankhya, è usato negli Yoga Sutra con un’accezione diversa da quella originale. Nella filosofia Sankhya esso designa il concetto categoriale di coscienza. 34 Negli Yoga Sutra esso denota invece il referente dello stato di autopercezione 35, ossia l’entità coscienziale individuale, che è più propriamente denotata dal termine Atman, tipico della filosofia Vedanta 36, il quale non a caso è usato negli Yoga Sutra come suo sinonimo 37. Il fatto che vi sia negli Yoga Sutra l’uso sinonimico di termini facenti capo a sistemi filosofici differenti ed il fatto che il loro stesso uso sia occasionale 38 depongono per un uso strumentale di essi in senso psicologico. Infatti più propriamente tali due termini designano negli Yoga Sutra un concreto stato percettivo 39: lo stato di autopercezione. La presenza negli Yoga Sutra di riferimenti alla filosofia Sankhya 40 dimostra ovviamente che la tradizione teorica dello Yoga faceva riferiPereira riconosce che «lo Yoga differisce dal Sankhya nel fatto di essere una disciplina mistica (sic!), dove il contemplatore si sforza di sperimentare, non lo Spirito supremo, ma il proprio Spirito (o Energia Mentale).» (J.PEREIRA, op. cit., p. 72). 34 «... coscienza o Spirito ... lo ‘Spirito’ è soltanto una categoria comprendente Spiriti individuali di numero illimitato.» (J. PEREIRA, op. cit., pp. 47). 35 Cfr. Yoga Sutra, I, 16; III, 36; III, 50; III, 56; IV, 18; IV, 34. 36 Nella quale ha il significato specifico di anima, ossia appunto di entità coscienziale individuale: cfr. J. PEREIRA, op. cit., pp. 237-240, 250, 254-255. 37 Cfr. Yoga Sutra, II, 5; II, 41; IV, 25. La sinonimìa di Purusha e Atman nell’ambito dello Yoga Sutra è confermata, sul piano linguistico, dalla stessa traduzione che na dà ad esempio Taimni, che traduce sia Purusha (cfr. I, 16; III, 50; op. cit., p. 38, 328) sia Atman (cfr. II, 5; II, 41; op. cit., p. 136, 227) con "Sé" e Atman con “coscienza” (cfr. IV, 25; op. cit., p. 382), lo stesso termine usato da Pereira per tradurre Purusha (cfr. op. cit., p. 47). Anche Pensa (cfr. op. cit., p. 81) e Magnone (cfr. op. cit., p. 66) traducono Atman, con «Sé». Lo stesso Patanjali associa entrambi i termini con il termine khyati (cfr. Yoga Sutra, I, 16 e II, 5). 38 Nel trattato di Patanjali il termine Purusha ricorre in soli sei sutra (I, 16; III, 36; III, 50; III, 56; IV, 18; IV, 34); il termine Atman in tre (II, 5; II, 41; IV, 25). 39 Il termine khyati, associato sia a Purusha che ad Atman, significa conoscenza: indica quindi evidentemente uno stato percettivo. La consistenza in uno stato percettivo del referente del termine Purusha è daltronde esplicitamente denunciata in Yoga Sutra, IV, 20. 40 Oltre all’uso del termine Purusha, vi è negli Yoga Sutra l’uso anche se molto limitato (ricorre soltanto in IV, 2; IV, 3) di un altro termine tipico della filosofia Sankhya, Prakrti, ed inoltre vi è il riferimento alla teoria fenomenologica dei Guna, fondata dal Sankhya (vedi più avanti la nota al sutra 9 (II, 18)).

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mento, per il proprio inserimento in una Weltanschaung generale, a quel sistema conoscitivo. E’ daltronde naturale che una tecnica come quella yogica, costituendo una descrizione normativa particolare, presenti la necessità terorica di inserimento in una descrizione generale dell’esistente, tanto più che è presente in essa anche la necessità di fondare sul piano ontologico lo stato di percezione estatica e quindi di reperire un suo referente che evidentemente si presta ad una sostanzializzazione metafisica. La presenza di termini tipicamente filosofici in un trattato di psicologia come gli Yoga Sutra ha dunque evidentemente la ragione, se non di trasformare lo Yoga in una filosofia, certamente di evidenziare l’implicazione metafisica di cui si è detto, che era certamente presente nella tradizione teorica dello Yoga. Tale identificazione è tecnicamente fondata sull'assunzione di esistenza di un soggetto percipiente impersonale, che apparentemente si instaura nell'autopercezione. Il parlare di un “soggetto percipiente impersonale” è soltanto una metafora basata sull’analogia con il concetto di soggetto percipiente (Io) istituito nella percezione ordinaria. Nello stato di autopercezione è la percezione stessa a divenire oggetto della percezione. A rigori, possiamo affermare che il centro di autoidentificazione del soggetto percipiente viene spostato non dall'Io ad un soggetto percipiente impersonale, bensì dall'Io alla stessa percezione. In altri termini, viene eliminata la percezione dell’Io, cioè di un soggetto percipiente individuale. E in effetti è proprio l'assenza della percezione di un soggetto percipiente individuale, a caratterizzare l'autopercezione, come osserva lo stesso Patanjali 41. Come si vede, è sulla percezione, che si gioca la partita dello Yoga, più precisamente sulla trasformazione della percezione da ordinaria in straordinaria. In altri termini, sulla instaurazione di uno stato percettivo straordinario che la tradizione yogica denomina Kaivalya e che noi abbiamo denominato percezione estatica, il quale si presenta come stato di trance. Lo Yoga è dunque fondamentalmente una tecnica psicologica atta a procurare la trance estatica. 41

Cfr. Yoga Sutra, II, 22; II, 25.

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Da ciò deriva la necessità di una lettura specificamente e sistematicamente psicologica degli Yoga Sutra. Essa non è stata fino ad oggi tentata per il semplice motivo che fino ad oggi gli psicologi occidentali non si sono interessati sistematicamente di quest'opera. Quella che segue è appunto una lettura psicologica degli Yoga Sutra, la quale intende restituirli al loro autentico significato. Essa non ha ovviamente la pretesa di essere qualcosa di più di un’ipotesi (come daltronde qualsiasi traduzione) né tanto meno di costituire un’ipotesi autorevole sul piano filologico, bensì soltanto un’ipotesi degna di interesse sul piano psicologico, che spero possa essere seguita da altre. Una lettura psicologica comporta naturalmente la rinuncia ad un’interpretazione sistematicamente metafisica del testo. Vedremo daltronde che nel testo di Patanjali non vi sono di fatto affermazioni di carattere metafisico, anche se vi sono termini che fanno riferimento a teorie metafisiche, segnatamente il Sankhya ed il Vedanta, come ho detto. La presente traduzione è stata costruita sulla traduzione letterale del testo originale riportata da I.K. Taimni. 42 Per la sua genesi linguistica, vedi il testo originale riportato più avanti. L’ordine originale di esposizione non segue negli Yoga Sutra criteri specificamente logici, almeno dal punto di vista della mentalità occidentale. 43 Al fine di una maggiore evidenza e chiarezza della teoria psicologica esposta, i sutra sono quindi qui riportati in un ordine diverso da quello originale, che sarà tuttavia richiamato per ognuno di essi. Anche questo è un contributo ad una perfetta intelligenza del testo.

42

Cfr. La scienza dello Yoga, op. cit. Ciò fa presumere che gli Yoga Sutra non siano stati scritti né con l’intento di costituire un’opera di divulgazione dello Yoga, che era tradizionalmente oggetto di conoscenza e di attività iniziatica e quindi era riservato esclusivamente ad un rapporto privato e personale se non addirittura settario e segreto fra maestro e discepolo, né con l’intento di costituire un manuale didattico. Possiamo ipotizzare che il suo intento fosse esclusivamente esoterico, di ausilio mnemonico per gli iniziati: «Negli antichi tempi gli adepti dello yoga avevano l’obbligo di impararli a memoria e di meditare regolarmente e profondamente sui sutra per portarne alla luce i significati più profondi.» (I.K. TAIMNI, op. cit., p. 10). 43

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La materia verrà divisa per paragrafi intitolati ai diversi argomenti trattati.

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Gli Yoga Sutra

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Yoga Sutra La percezione ordinaria 1 (IV, 23) Tutte le percezioni ordinarie si presentano composte di un soggetto percipiente, di un oggetto percepito e di un contesto percettivo. Questo sutra, che costituisce se non proprio una definizione quanto meno una descrizione analitica della percezione, è di grande importanza per la comprensione della psicologia yogica. Se io percepisco un cavallo, questa percezione è composta di tre subpercezioni: 1) la percezione di me stesso, ossia l’autoimmagine che ho in quel momento di me stesso (ad esempio di individuo debole in pericolo): soggetto percipiente; 2) la percezione del cavallo come esso si presenta a me oggettivamente: oggetto percepito; 3) la percezione della reazione che io ho nei confronti del cavallo (ad esempio, di paura): contesto percettivo. Il soggetto percipiente, l’oggetto percepito e il contesto percettivo determinano il significato dell’oggetto percepito: esso consiste infatti nel rapporto che il soggetto percipiente istituisce con l’oggetto percepito in funzione del contesto percettivo. Il significato dell’oggetto percepito è quindi determinato da: 1) l’autoimmagine del soggetto percipiente o Io (“soggetto percipiente”); 2) la consistenza oggettiva dell’oggetto percepito (“oggetto percepito”); 3) la reazione che l’Io ha nei confronti dell’oggetto percepito (“contesto percettivo”). Va notato che il soggetto percipiente e il contesto percettivo costituiscono il maggiore apporto alla determinazione del significato dell’oggetto percepito, mentre quest’ultimo, o meglio la sua consistenza oggettiva, gioca paradossalmente un ruolo minore, in codesta determinazione. Un esempio può chiarire meglio il concetto. Se l’oggetto percepito consiste in una comunicazione verbale, il suo significato è determinato da: 1) la consistenza oggettiva della comunicazione verbale, ossia il suo si-

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gnificato linguistico ed il suo tono acustico, poniamo “Chi sei?” proferito con tono alto di voce (oggetto percepito); 2) l’autoimmagine attuale dell’Io del soggetto, poniamo un’autoimmagine di individuo perseguitato (soggetto percipiente); 3) la reazione dell’Io all’oggetto percepito, poniamo l’attivazione di un programma di condizionamento di difesa, concretantesi in uno stato di tensione (contesto percettivo). In definitiva, il significato dell’oggetto percepito che è stato determinato in questo caso è quello di minaccia. Non sempre il significato attribuito da un soggetto ad un oggetto è reale, cioè non sempre corrisponde alla reale consistenza dell’oggetto. La nevrosi potrebbe definirsi da questo punto di vista come la cronicizzazione dell’attribuzione di significati non reali agli oggetti da parte del soggetto nevrotico. 2 (II, 20) Il soggetto percipiente, sebbene consistente in percezione, in presenza degli oggetti percepiti sembra essere l’autore della percezione. In questo sutra si afferma esplicitamente che l’Io consite sostanzialmente in una percezione. Propriamente, quindi, non si può parlare di Io, ma di percezione dell’Io. Questa posizione psicologica è indubbiamente vicina a quella buddhista. La presenza di elementi buddhisti negli Yoga Sutra non è soltanto documentata ma addirittura assunta come criterio di datazione del testo 44. 3 (II, 17) Il dualismo soggetto-oggetto è alla base della percezione ordinaria. Nella percezione ordinaria è sempre presente la percezione dell’Io, o percezione del soggetto percipiente, e quindi il dualismo soggetto percipiente-oggetto percepito. Secondo la psicologia yogica, l’istituzione del dualismo soggettooggetto è alla base della condizione mentale umana fondamentalmente sofferente in quanto fondamentalmente divisa. Esso conduce a tutte le divisioni e a tutti i conflitti, primo fra tutti la distinzione fra l’individuo e il resto dell’universo. Soltanto con il superamento di tale dualismo indirettamente nello stato di illuminazione (cfr. sutra 166) e direttamente nello stato di percezione estatica (cfr. sutra 195), può essere risolta tale condizione intrinsecamente conflittuale. 44

Cfr. Aforismi sullo Yoga, a cura di C. PENSA, op. cit., p. 9.

44

4 (II, 24) La causa del dualismo soggetto-oggetto l’inconsapevolezza. Per la definizione di inconsapevolezza vedi il sutra 34.

è

5 (IV, 17) La presenza nella percezione di un determinato oggetto percepito dipende dalla sussistenza del contesto percettivo. In ogni percezione ordinaria è presente un contesto percettivo (o contesto emotivo, consistente nella reazione del soggetto percipiente nei confronti dell’oggetto percepito), il quale gioca un ruolo fondamentale nel determinare il significato dell’oggetto percepito, in quanto esso è fondamentalmente quello che l’oggetto percepito assume per il soggetto percipiente in funzione della sua reazione. Il significato dell’oggetto percepito determina la sua posizione nel campo di attenzione del soggetto percipiente, cioè appunto la presenza o meno dell’oggetto percepito nella percezione. 6 (II, 18) La percezione ordinaria, sia sensoriale che concettuale, presenta le stesse forme fondamentali dei fenomeni, materia, azione, cognizione, le quali possono essere trascese. In questo sutra vi è un esplicito riferimento alla teoria dei Guna, fondata dalla filosofia Sankhya e poi diffusasi in tutta la cultura indica45. Secondo tale teoria, tutti gli oggetti della percezione o fenomeni si presentano in tre forme fondamentali (Guna), materia, azione, cognizione, alle quali corrispondono le tre modalità della percezione ordinaria, sensazione, emozione, pensiero. Tali tre forme corrispondono alla classificazione vedica (X sec. a.C.) dei tre stati fondamentali dell’energia universale (Brahmann): passività, attività, equilibrio, (o distruzione, creazione, conservazione). Da essa deriva la simbolizzazione religiosa della Trimurti indhu e da questa della Trinità cristiana. L’affermazione che la percezione presenta le stesse forme fondamentali dei fenomeni è il riconoscimento della corrispondenza biunivoca esistente fra cognizione, azione, materia e pensiero, emozione, sensazione. E’ evidente che non sono le forme fondamentali dei fenomeni, di per sé immutabili, ad essere trascese, bensì le forme fondamentali della perce45

La teoria dei Guna è riportata anche nella Bahagavad Gita (V-I sec. a.C.): cfr. III, 5; III, 27-29; XIV, 5-25; XVII, 9-13, 17-22; XVIII, 40.

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zione ordinaria, o forme ordinarie della percezione, cioè la sensazione, l’emozione e il pensiero, ad esse corrispondenti (cfr. sutra 55). Il trascendimento totale delle forme fondamentali della percezione ordinaria si ha nella percezione estatica (cfr. sutra 127 e 191). 7 (III, 15) La differenziazione delle forme della percezione ordinaria dipende dalla diversità dei processi percettivi. La sensazione, l’emozione e il pensiero fanno capo a processi percettivi (fisiologici) differenziati. La sensazione infatti costituisce la reazione percettiva agli stimoli ambientali, il pensiero costituisce la reazione percettiva agli stimoli mnestici, l’emozione costituisce la reazione del programma fondamentale di sopravvivenza ad una aggressione, che si traduce nella creazione di uno stato di tensione consistente in contrazioni muscolari percepite dal soggetto sotto forma di “sensazioni interne”. 8 (II, 21) La percezione del soggetto percipiente esiste soltanto in presenza delle tre forme ordinarie della percezione. La percezione del soggetto percipiente, cioè dell’Io, esiste soltanto nella percezione ordinaria (cfr. sutra 39): nella percezione estatica, infatti, insieme con l’assenza delle forme ordinarie della percezione (sensazione, emozione, pensiero), si ha l’assenza della percezione dell’Io (cfr. sutra 194). 9 (IV, 13) Le proprietà, attuali o potenziali, degli oggetti percepiti nella percezione ordinaria sono riconducibili alle tre forme fondamentali dei fenomeni. Si fa qui riferimento a tutte le proprietà percepibili di un oggetto: esse saranno attuali o potenziali a seconda che saranno presenti o non presenti nella percezione. Per le tre forme fondamentali dei fenomeni vedi il commento al sutra 6. Le proprietà degli oggetti percepiti nella percezione ordinaria sono riconducibili alle tre forme fondamentali dei fenomeni, quindi avremo proprietà di oggetti materiali, quali ad esempio le dimensioni spaziali, la densità, la distanza, il colore, ecc.; proprietà di azioni, quali ad esempio la durata, l’intensità, il ritmo, ecc.; proprietà di cognizioni, quali ad esempio la verità, la coerenza, la precisione, la completezza, ecc.

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10 (II, 19) Le tre forme ordinarie della percezione (sensazione, pensiero, emozione) presentano quattro gradi: particolare, universale, differenziato, indifferenziato. Si può ipotizzare che Patanjali si riferisca qui ai quattro gradi della percezione ordinaria definibili sulla base della distinzione istituibile fra le modalità di presentazione degli oggetti alla percezione (fenomeni). Il primo grado, “particolare”, è quello della percezione in cui l’oggetto si presenta come oggetto particolare, cioè individuale, separato e distinto dagli altri oggetti del mondo fenomenico: questo primo grado della percezione corrisponde alla percezione sensoriale. Il secondo grado, “universale”, è quello della percezione in cui l’oggetto si presenta come riferimento universale o categoria di oggetti particolari: questo secondo grado della percezione corrisponde alla percezione concettuale. Il terzo grado, “differenziato”, è quello della percezione in cui l’oggetto presenta ancora delle differenziazioni, ossia un’articolazione di elementi al suo interno: questo terzo grado della percezione corrisponde alla percezione intuitiva o gnosi (per la definizione di gnosi cfr. il commento al sutra 97). Il quarto grado, “indifferenziato”, è quello della percezione in cui l’oggetto non presenta più differenziazioni al suo interno, presentandosi la percezione come olistica: questo quarto grado della percezione corrisponde allo stato di illuminazione: (per la definizione di quest’ultimo cfr. il commento al sutra 166). 11 (III, 14) Le forme ordinarie della percezione, dalla più concreta alla più astratta, sono inerenti agli oggetti concreti. Le forme ordinarie della percezione, dalla più concreta alla più astratta, sono nell’ordine la sensazione, l’emozione, il pensiero. Esse, in quanto corrispondenti alle tre forme fondamentali dei fenomeni (per queste ultime vedi il commento al sutra 6), sono inerenti agli oggetti concreti. 12 (IV, 16) La realtà degli oggetti concreti non dipende dalla percezione: essi infatti sussistono indipendentemente da essa. Questo sutra dimostra un orientamento fenomenologico generale di tipo realistico della psicologia yogica (cfr. anche il commento al sutra 27). 13 (IV, 14) La realtà degli oggetti concreti risulta dalla loro unicità, al di là delle trasformazioni da essi assunte nella percezione ordinaria.

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Il ragionamento è il seguente. Prendiamo un oggetto reale, ad esempio un cavallo. Esso è indubbiamente unico in se stesso: non presenta forme diverse dalla sua propria. Da esso derivano tuttavia nella percezione un’immagine che chiamiamo sensazione (prima forma), un concetto che chiamiamo pensiero (seconda forma), una combinazione percettiva che chiamiamo emozione (terza forma). Possiamo dire che l’oggetto “cavallo” ha assunto nella percezione tre trasformazioni, ossia tre forme (le tre forme ordinarie della percezione: per esse vedi il commento al sutra 6), ma esso in se stesso è unico: è proprio questa sua unicità a garantire della sua esistenza reale. 14 (IV, 15) Gli oggetti concreti, in se stessi, sono distinti non soltanto dalla percezione, ma anche dagli oggetti percepiti, a causa delle trasformazioni che questi ultimi presentano nella percezione. L’oggetto reale in sé, ad esempio un cavallo, è distinto non soltanto dalla percezione in quanto processo fisiologico avente luogo in un altro individuo, ma anche dalle trasformazioni o forme che esso cavallo assume nella percezione di quest’altro individuo (che sono le stesse forme ordinarie della percezione: per queste ultime vedi il commento al sutra 6), le quali, come abbiamo visto a proposito del sutra 1, dipendono dall’autoimmagine del soggetto percipiente e dall’emozione suscitata nel soggetto percipiente dall’oggetto percepito. 15 (IV, 24) Le percezioni ordinarie, sebbene differenziate, si presentano in una sequenza continua, in quanto associate fra loro mediante innumerevoli collegamenti mnestici. “Una sequenza continua”: è ciò che accade in una pellicola cinematografica; i singoli fotogrammi sono di per sé differenziati fra loro e discreti, ma la finalità del loro assemblamento è quella di dar luogo ad una trama, ossia ad un insieme costituito di parti logicamente collegate fra loro. “Collegamenti mnestici”: sono appunto le tracce mnestiche, che istituiscono il collegamento logico fra le percezioni: è sulla base delle tracce mnestiche, collegate fra loro in una complessa rete di relazioni logiche, che noi conferiamo all’insieme delle nostre percezioni, di per sé differenziate e discrete, la forma di una sequenza continua. Per inciso, la rete di relazioni logiche istituite fra le tracce mnestiche, costituisce la base logica e psicologica dell’Io, come ha acutamente notato il Buddha, che ne ha quindi dedotto la sua inconsistenza ontologica.

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16 (IV, 19) La percezione ordinaria non è autopercipiente poiché è essa stessa oggetto di percezione. Lo stato in cui la percezione diviene oggetto di se stessa (autopercezione), che è uno stato di trance in cui si realizza il cosiddetto vuoto mentale, non è, per definizione, una modalità della percezione ordinaria. Questo viene formalmente sancito quando si afferma che vi è “distinzione fra pensiero (percezione ordinaria) ed autopercezione” (sutra 172) e che “non si può avere simultaneamente percezione ordinaria ed autopercezione” (sutra 174). Vi è quindi, pregiudizialmente, un obiezione formale, ad impedire di definire la percezione ordinaria autopercipiente. Ad essa si aggiunge un’obiezione logica. Nel processo della percezione soggetto ed oggetto sono necessariamente distinti. Quindi nella percezione che ha per oggetto il processo percettivo ordinario il soggetto non può essere quest’ultimo ma qualcos’altro: appunto un processo percettivo diverso, che è quello dell’autopercezione. 17 (IV, 21) Se la percezione ordinaria fosse autopercipiente essa sarebbe percezione di se stessa e non vi sarebbero quindi in essa riproduzioni di tracce mnestiche differenziate. La percezione estatica è definita “quello stato della percezione in cui non sono più presenti le sue tre forme ordinarie” (sutra 191) ( per le tre forme ordinarie della percezione, vedi il commento al sutra 6), ossia in cui la percezione diviene indifferenziata. Se la percezione ordinaria fosse autopercipiente, coinciderebbe con la percezione estatica e “non vi sarebbero quindi in essa riproduzioni di tracce mnestiche differenziate”. La notazione di questo sutra sembra banale. La sua funzione è tuttavia quella di rimarcare il fatto, fondamentale, che nella percezione ordinaria non è presente l’autopercezione, intesa come stato di trance in cui si realizza il vuoto mentale. La consapevolezza ottenibile nel corso dell’oggettificazione degli stati emotivi e mentali (contesto percettivo) e dello stesso Io, o meglio della sua autoimmagine (soggetto percipiente), fino alla sua eliminazione nello stato di illuminazione, fa quindi ancora parte della percezione ordinaria (cfr. sutra 168). 18 (I, 5) La percezione ordinaria, con o senza tensione, è di cinque specie.

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Vi è qui un esplicito riferimento alla teoria della tensione esposta nei sutra 31-45. 19 (I, 6) Le cinque specie della percezione ordinaria sono: la conoscenza vera, la conoscenza fallace, l’astrazione, il sogno, la reminiscenza. 20 (I, 7) La conoscenza vera consiste nella sensazione, nell’inferenza, nella testimonianza. La sensazione può definirsi “conoscenza diretta di oggetti o fatti presenti”. L’inferenza può definirsi “conoscenza indiretta di oggetti o fatti non presenti mediante procedimento logico (mentale )”. La testimonianza può definirsi “conoscenza indiretta di oggetti o fatti non presenti mediante resoconto di altri che ne hanno fatto conoscenza diretta mediante sensazione”. 21 (I, 8) La conoscenza fallace consiste nella percezione di una forma degli oggetti esistenti non corrispondente alla loro forma reale. 22 (I, 9) L’astrazione consiste nella percezione di soli simboli. L’”astrazione” consiste nella concettualizzazione. “Simboli”, letteralmente “parola vuota di sostanza”: tale locuzione non esprime il concetto che i simboli oggetto dell’astrazione non abbiano alcun oggetto reale loro corrispondente, bensì che essi, in quanto simboli, non costituiscono oggetti reali, sostanze, bensì soltanto oggetti percepiti. 23 (I, 10) presenti.

Il sogno consiste in percezioni sensoriali di oggetti non

24 (I, 11) La reminiscenza consiste nella ripetizione della percezione di un oggetto sperimentato, in assenza di esso.

La memoria 25 (II, 12) La memoria, in cui è registrata la tensione, determina la percezione.

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La memoria è l’insieme delle tracce mnestiche, sia di percezioni che di processi comportamentali, esistenti in un individuo, acquisite con l’esperienza o ereditate geneticamente (cfr. sutra 28). Comprende quindi l’inconscio individuale descritto da Freud e l’inconscio collettivo descritto da Jung. La registrazione nella memoria della tensione non risolta con l’azione ha costituito oggetto di scoperta e studio da parte della psicologia occidentale nell’ultimo secolo: soprattutto note sono le ricerche di Wilhelm Reich 46, che è arrivato ad osservare delle vere e proprie corazze caratteriali assunte in seguito alla memorizzazione degli stati di tensione, manifestantesi come cronicizzazione di contrazioni muscolari. Sulla stessa base della presenza di stati di tensione permanenti, Henri Laborit ha esposto recentemente una teoria sulla inibizione dell’azione 47che ha dato origine alla metodica psicoterapeutica della bioenergetica 48. La tensione nasce sempre a livello della percezione. E’ infatti a livello della percezione, che l’oggetto percepito assume il suo significato, e in particolare il significato di aggressione (vedi il commento al sutra 1). Tuttavia il significato assunto dall’oggetto percepito, poiché è determinato dall’autoimmagine del soggetto e dalla sua reazione, è evidentemente un risultato di esperienze precedenti e cioè della memoria. E’ dunque la memoria, in definitiva, che determina la percezione. Questo sutra è strettamente collegato con il sutra 31, che enuncia praticamente lo stesso principio. Dalla lettura di entrambi si evince che memoria e tensione sono quasi coincidenti, nel senso che la tensione, non soltanto quella attuale ma anche quella pregressa, determina la percezione ed è appunto tramite il meccanimo della memoria che la tensione pregressa si manifesta e diviene tensione attuale. 26 (IV, 9) Anche la sequenza delle percezioni memorizzate, come quella delle percezioni attuali, presenta una differenziazione di genere, spazio e tempo. Il senso precipuo di questo sutra è che come le percezioni sensoriali (attuali) facenti capo al mondo esterno presentano una differenziazione di genere, spazio e tempo, così anche le percezioni concettuali facenti 46

Cfr. W. REICH, Character Analysis, Vision Press, London, 1948. Cfr. H. LABORIT, L’Inibition d’Action, Masson & C., Paris, 1979; trad. it. L’inibizione dell’azione, Il Saggiatore, Milano, 1986. 48 Cfr. D. BOADELLA e J. LISS, La psicoterapia del corpo, Ubaldini, Roma, 1986. 47

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capo alla memoria (pregressa nella sua costituzione) presentano la stessa differenziazione. Ciò dipende evidentemente dal fatto che tale differenziazione è istituita dalla differenziazione delle stesse percezioni ordinarie, sensoriali o concettuali, derivante dalla sua dinamica sequenziale (cfr. anche il commento al sutra 27). 27 (IV, 12) La percezione del tempo esiste a causa della differenza delle proprietà degli oggetti percepiti. Per la psicologia yogica il tempo assume consistenza nell’ambito della percezione a causa della differenza delle proprietà degli oggetti percepiti nella percezione ordinaria, cioè a causa della differenza delle stesse percezioni ordinarie fra loro, che presentandosi secondo un ordine sequenziale istituiscono già di per sé un ordine temporale. Lo Yoga non dice se il tempo è una dimensione del mondo fisico o soltanto una dimensione della percezione umana. Questa è un’ulteriore prova che lo Yoga non è una filosofia, sia pure nella sua accezione specifica di fenomenologia, bensì una psicologia. Allo Yoga non interessa infatti il problema filosofico della consistenza reale del tempo, bensì il problema psicologico del perché nella percezione ordinaria vi è la percezione del tempo, che invece è assente nello stato di illuminazione (cfr. sutra 168) e quindi a maggior ragione nella percezione estatica, anche se un orientamento fenomenologico generale di tipo realistico è rintracciabile negli Yoga Sutra (cfr. sutra 12). Per la definzione delle proprietà degli oggetti percepiti, vedi il sutra 9. 28 (IV, 10) Le percezioni memorizzate sono anche genetiche, a causa dell’ereditarietà. Questo sutra afferma che oltre alla memorizzazione delle nostre stesse esperienze, noi ereditiamo la memorizzazione di esperienze dei genitori, del ceppo familiare, del gruppo sociale, del gruppo etnico, della razza, ecc. E’ la concezione dell’inconscio collettivo. Non può sfuggire il rilievo storico della sua presenza nell’epoca della composizione degli Yoga Sutra. Il corrispettivo mitico e popolare di questa teoria scientifica è il noto mito della reincarnazione. 29 (IV, 11) L’inibizione delle percezioni memorizzate comporta l’inibizione delle percezioni ordinarie, in quanto collegate. L’inibizione della percezione ordinaria, finalità tecnica dello Yoga (cfr. sutra 46), avviene per inibizione prima delle sensazioni (Pratiyahara) e

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poi del pensiero (Dhyana, Dharana) (e quindi delle emozioni, che sono una composizione dei due). L’inibizione del pensiero è quindi conclusiva, per l’inibizione della percezione ordinaria. Ma cos’è il pensiero se non riproduzione di tracce mnestiche, ossia percezione memorizzata. Ecco perché si afferma in questo sutra che l’inibizione delle percezioni memorizzate comporta l’inibizione delle percezioni ordinarie. Evidentemente qui il punto di vista è quello pratico operativo dell'intervento yogico e non quello fisiogenetico della formazione delle percezioni memorizzate, che seguono ovviamente le esperienze, di cui costituiscono le tracce: da quest'ultimo punto di vista è vero esattamente il contrario, e cioè che l'inibizione delle esperienze comporta l'inibizione delle percezioni memorizzate, o meglio della loro formazione. 30 (IV, 28) L’eliminazione delle sensazioni derivanti dalla riproduzione automatica delle tracce mnestiche si attua, come per la tensione, con la consapevolezza. Le “sensazioni” di cui si parla in questo sutra non sono le percezioni derivanti da uno stimolo ambientale, cioè extramentale, bensì intramentale: si tratta della riproduzione mnestica di sensazioni pregresse, ossia della reminiscenza delle sensazioni. Durante il processo del Pratyahara vengono inibite le sensazioni propriamente intese; durante i processi del Dharana e del Dhyana vengono inibite le riproduzioni mnestiche delle sensazioni. La consapevolezza costituisce il meccanismo psichico specifico atto ad ottenere tale risultato. Per quanto riguarda l’eliminazione o meglio l’attenuazione della tensione in seguito alla riduzione dell’inconsapevolezza, cioè all’assunzione progressiva della consapevolezza, cfr. sutra 45.

La tensione 31 (II, 13) Essendo la tensione registrata nella memoria, essa determina la percezione. Inizia qui l’esposizione di due teorie fondamentali per la cultura orientale: la teoria del Karma o della memoria e la teoria dei Klesa o della tensione, che sono strettamente collegate.

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La famosa teoria del Karma, nota come legge del karma nella sua connotazione psicologica e morale, è anch’essa fondamentale nella cultura orientale. Essenzialmente essa ennuncia che le nostre esperienze presenti sono condizionate dalle nostre esperienze passate e cioè che l’essere umano è condizionato dalla sua memoria. Secondo tale teoria, ogni nostra azione ed ogni nostra percezione lasciano una traccia (Samskara) nella nostra memoria. Tale traccia, riproducendosi e combinandosi con le percezioni attuali, determina a sua volta le nostre azioni e le nostre percezioni. Non vi è dubbio che ci troviamo qui di fronte alla concezione di inconscio, che, come si vede, precorre nella cultura orientale di diversi secoli la scoperta freudiana. Il materiale registrato nella memoria inconscia non è limitato tuttavia, secondo questa teoria, alle sole azioni compiute nel corso di una vita individuale, ma è esteso alle azioni compiute nelle vite precedenti (reincarnazioni). Questo, tradotto scientificamente, può costituire un’enunciazione della memoria genetica esplicitamente dichiarata nel sutra 28 e quindi dell’inconscio collettivo. Poiché la qualità delle azioni attuali è determinata dalla qualità delle azioni pregresse, comprese quelle registrate nella memoria genetica (“incarnazioni anteriori”), il grado di sofferenza della vita individuale deriva, oltre che dall’esperienza contingente, dalla negatività di codeste azioni pregresse. Il processo karmico si configura quindi come un recupero, sul piano della percezione ordinaria e quindi dell’identificazione con l’Io, cioè sul piano della coscienza individuale, della moralità, che sul piano della percezione estatica, cioè della presunta coscienza impersonale, è esclusa in quanto quest’ultima è svincolata dalla riproduzione delle tracce mnestiche. Il processo della determinazione automatica delle azioni su base mnestica (fatalismo) può essere infatti, secondo la psicologia yogica, interrotto con l’attivazione della trance estatica, che disattiva il processo di registrazione e di riproduzione delle tracce mnestiche (cfr. sutra 89 e 112). La teoria dei Klesa è diffusa in tutta la cultura orientale ed è comune alla tradizione yogica ed a quella buddhista, dalla quale probabilmente deriva. E’ una diretta conseguenza della teoria del Karma. Essenzialmente essa enuncia che nella condizione umana è insito lo stato di tensione. Il termine Klesa, tradotto impropriamente con sofferenza nelle versioni occidentali, indica uno stato della percezione ordinaria dichiarato costante, al punto da essere considerato una caratteristica della condizio-

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ne umana: è evidente quindi che non si tratta della sofferenza comunemente intesa in quanto dolore corporeo o psichico accidentale. In effetti si intende quello stato permanente di tensione derivante dalla condizione stessa dell’individuo in quanto permanentemente oggetto potenziale di aggressione da parte dell’ambiente. La tensione costituisce una reazione naturale di difesa all’aggressione: è evidentemente una manifestazione del programma generale di condizionamento alla sopravvivenza di cui è dotato ogni organismo vivente. Lo stato di tensione, infatti, costituendo uno stato spiacevole, spinge l’individuo ad agire per liberarsene. L’azione è costituita dal contrattacco o dalla fuga all’aggressione, che risolvono la tensione. Nel caso di inazione, la tensione rimane memorizzata e si ripropone alla percezione 49. Nell’uomo civilizzato alle aggressioni fisiche si sono aggiunte ed in gran parte sostituite le aggressioni simboliche, che non giungono più direttamente dall’ambiente ma dalla memoria, attraverso la memorizzazione e quindi l’attribuzione all’Io di un ruolo sociale, di un ruolo professionale, di un ruolo morale, di uno statuts economico e così via (autoimmagini), esteso spesso anche ad oggetti materiali, a persone e persino a costruzioni ideologiche assunti come proprietà e quindi come estensioni dell’Io. Questo fatto è enunciato esplicitamente nei sutra 25, 31, 32, 100, 170, che costituiscono altrettante evidenziazioni della scoperta dell’inconscio da parte della psicologia orientale. Nell’ultimo sutra citato, cause supplementari dello stato di tensione vengono addirittura individuate nella “stessa energia cinetica della percezione ordinaria” e nel “conflitto esistente fra le forme ordinarie della percezione” (per queste ultime, vedi il commento al sutra 6). L’individuo si trova così a fronteggiare una congerie di aggressioni alle quali non può rispondere con l’azione, o perché endogene, cioè provenienti dalla sua stessa memoria e quindi dalla sua stessa attività percettiva, o, se esogene, cioè provenienti dall’ambiente, perché bloccato dalle regole sociali. Gli stati di tensione memorizzati tendono a riproporsi alla percezione e poiché ogni percezione viene memorizzata, le tracce mnestiche della tensione tendono ad autorafforzarsi e ad aumentare così la loro capacità di riproporsi alla percezione, divenendo una costante della percezione ordinaria:. E’ quella che gli orientali chiamano la condizione umana votata alla sofferenza. La tensione è infatti vissuta come sofferenza. 49

Cfr. H. LABORIT, op. cit.

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Quando la ricorrenza nella percezione dello stato di tensione giunge ad un’intensità intollerabile si ha lo stato di nevrosi. Evidentemente la tradizione yogica era consapevole, come quella buddhista, di questo fondamentale meccanismo psichico. Tutte le tradizioni soteriologiche orientali (Buddhismo, Yoga, Taoismo, Zen), che tanta parte hanno in quella cultura, hanno come proprio obiettivo quello di liberare l’essere umano dalla “sofferenza”, intesa appunto come tensione. Poiché la tensione costituisce un meccanismo di difesa dell’Io, esse hanno individuato nella eliminazione dell’identificazione con l’Io (stato di illuminazione) o addirittura della sua stessa percezione (stato di trance estatica) il metodo di soluzione radicale del problema. 32 (II, 14) Le percezioni comprendono maggiore o minore tensione, a seguito dell’esaltazione o della depressione dell’Io. La lezione letterale del sutra è “a causa del merito o del demerito”: vi è un evidente riferimento all’ambito morale. Il recupero della moralità da parte dello Yoga, che è essenzialmente una tecnica psicologica e non una teoria filosofia né tanto meno una teoria religiosa o morale, è autentico, ma presenta una valenza precipuamente psicologica. Infatti il giudizio di merito o di demerito è emesso dallo stesso soggetto sulla base della regola morale della società cui appartiene (è quindi storico e soggettivo). L’azione giudicata meritoria, ponendo l’individuo in armonia con la società, comporta uno stato di relativa sicurezza (non aggressione da parte dell’ambiente sociale), cioè di abbassamento della tensione, e quindi di esaltazione dell’Io; l’azione giudicata demeritoria, ponendo l’individuo in conflitto con la società, comporta uno stato di insicurezza (possibile aggressione da parte dell’ambiente sociale), cioè di inalzamento della tensione, e quindi di depressione dell’Io. Va notato che l’esaltazione o la depressione dell’Io sono registrate nella memoria sotto forma di autoimmagine positiva o negativa dello stesso soggetto. La dipendenza dalla memoria, della tensione presente nella percezione è quindi giustamente sottolineata dalla tradizione yogica, che ancora una volta evidenzia di costituire una psicologia non trascurabile. 33 (II, 3) Le cause della tensione sono: l’inconsapevolezza, l’Io, l’attrazione, la repulsione, l’istinto di sopravvivenza.

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34 (II, 5) L’inconsapevolezza consiste nello scambiare per stato di autopercezione, permanente, puro, piacevole lo stato di non autopercezione, impermanente, impuro, spiacevole. Il termine “permanente” pone in rilievo l’aspetto statico dell’autopercezione, stato di trance in cui è presente un’unica percezione, quella di esistenza; il termine “puro” indica che la percezione si presenta nell’autopercezione nella sua essenzialità senza l’aggiunta di oggetti esterni ad essa; il termine “piacevole” è riferito all’assenza di tensione nell’autopercezione, conseguenza dell’assenza della percezione dell’Io. Lo stato di non autopercezione, ossia la percezione ordinaria, presenta invece i caratteri opposti. Il termine “impermanente” pone in rilievo l’aspetto dinamico della percezione ordinaria, costituita da sequenze di percezioni diverse; il termine “impuro” indica la presenza nella percezione ordinaria di oggetti esterni alla percezione stessa; il termine “spiacevole” è riferito alla presenza costante della tensione nella percezione ordinaria. Questo sutra fornisce esplicitamente la definizione di inconsapevolezza e quindi anche, implicitamente, quella di consapevolezza: l’inconsapevolezza è lo stato psichico in cui il soggetto presume la presenza dell’autocoscienza (in quanto la identifica con la percezione dell’Io), mentre essa è in realtà assente (in quanto coincidente con la percezione estatica); la consapevolezza è lo stato psichico in cui il soggetto non presume la presenza dell’autocoscienza (in quanto non la identifica con la percezione dell’Io), sapendola coincidente con la percezione estatica. Sia l’inconsapevolezza che la consapevolezza appartengono alla percezione ordinaria. Per una più completa definizione della consapevolezza vedi il commento al sutra 166. 35 (II, 4) L’inconsapevolezza è causa delle altre cause della tensione, le quali presentano quattro gradi: evidente, alternato, attenuato, latente. I primi due gradi, evidente e alternato, sono tipici dello stato psichico ordinario; gli ultimi due, attenuato e latente, sono tipici dello stato di illuminazione, ottenibile con l’esercizio del Kriya Yoga (per quest’ ultimo, vedi sutra 76; per l’eliminazione dei primi due gradi delle cause della tensione, vedi sutra 90). 36 (II, 34) I pensieri negativi come l’avidità, l’avarizia, l’ira, sia relativi all’Io sia relativi agli altri individui, essendo accompagna-

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ti dalla tensione, sia moderata che intensa, danno luogo ad una permanente inconsapevolezza: occorre quindi indurre la percezione costante di pensieri positivi. Per la teoria della tensione, vedi il commento al sutra 31. Per “pensieri positivi” la tradizione yoga intende tutti quelli che implicano unione: generosità, simpatia, ammirazione, fiducia, stima, benevolenza, amore, etc.; per “pensieri negativi” intende tutti quelli che implicano separazione: avidità, avarizia, ira, antipatia, biasimo, sospetto, disistima, malevolenza, odio, etc. E’ da notare che secondo la prescrizione di questo sutra vanno evitati non soltanto i pensieri negativi relativi ad altri individui, ma anche quelli relativi a se stessi. Questo sutra costituisce una prescrizione di igiene mentale molto importante, che può considerarsi una vera e propria norma di prevenzione della nevrosi. 37 (II, 33) La percezione costante di pensieri positivi conduce alla soppressione sistematica dei pensieri negativi. Questo sutra pone in evidenza il possibile uso quotidiano della legge della memoria o legge del Karma: poiché la registrazione mnestica delle percezioni tende a riprodursi e quindi a condizionare le percezioni successive, una certa frequenza di “pensieri positivi” induce alla positività sistematica del pensiero. E’ valida ovviamente anche la reciproca: una certa frequenza di “pensieri negativi” induce alla negatività sistematica del pensiero. Questo sutra va quindi riferito al sutra precedente in quanto descrivente la modalità tecnica di attuazione della prescrizione di igiene mentale colà contenuta. Coltivare i pensieri positivi per sopprimere i pensieri negativi conduce dunque secondo la tradizione psicologica dello Yoga ad una riduzione sistematica della tensione. Occorre tuttavia esercitare un ferreo controllo sui contenuti mentali, attraverso la pratica dell’introspezione (cfr. sutra 64 e 73) e del Dhyana (cfr. sutra 88, 89, 90). La tecnica psicologica yogica di igiene mentale è una tecnica attiva e si contrappone alla tecnica psicologica buddhista (Vipassana) che è invece passiva, consistendo esclusivamente nella costituzione dello stato di consapevolezza.

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38 (II, 6) L’Io consiste nell’identificazione della percezione con un soggetto percipiente. Per la psicologia yogica come per quella buddhista l’Io consiste in una percezione, e precisamente nella percezione di un soggetto percipiente (cfr. sutra 2). E’ infatti precisamente la percezione del soggetto percipiente, o percezione dell’Io, ad essere eliminata nella percezione estatica: cfr. sutra 194. La percezione dell’Io, consueta nella percezione ordinaria, è dunque una delle cause della tensione. 39 (IV, 4) La percezione dell’Io è unicamente un fenomeno della percezione ordinaria. Infatti la percezione dell’Io è assente nella percezione estatica: cfr. sutra 194. 40 (IV, 5) L’Io è il referente unico della sequenza delle percezioni ordinarie molteplici e distinte. L’Io è quindi, secondo la psicologia yogica, sul piano sostanziale una percezione; sul piano fenomenico un referente logico. Anche in questo aspetto vi è una coincidenza fra psicologia yogica e psicologia buddhista. 41 (II, 7) L’attrazione verso gli oggetti percepiti deriva dal piacere. Non si tratta del piacere attuale ma del piacere potenziale, a cui il soggetto tende. In termini più tecnicamente psicologici, non ci si riferisce qui alla percezione di un oggetto extramentale o fisico, la quale comporti un contesto percettivo (cfr. sutra 1) di assenza di tensione (piacere attuale), bensì alla percezione di un oggetto intramentale o mnemonico, il quale aveva comportato un contesto percettivo di assenza di tensione (piacere potenziale), cioè al tipo di percezione che è stato tecnicamente definito reminiscenza (cfr. sutra 24): in questo caso la percezione risulta composta da un contesto percettivo di tensione, dovuta specificamente alla depressione dell’Io derivante dall’assenza dell’oggetto capace di provocare la sua eliminazione, cioè il piacere. E’ la situazione tipica del desiderio, così frequente nello stato psichico ordinario, che viene assunto a causa fondamentale della sofferenza umana nell’ambito della psicologia buddhista.

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42 (II, 8) La repulsione verso gli oggetti percepiti deriva dal dolore. Qui si tratta della presenza di una forte tensione costituente il contesto percettivo di quelle percezioni al cui oggetto viene attribuita una funzione di minaccia all’incolumità o alla sopravvivenza del soggetto, anche in una sua particolare identificazione con l’Io. 43 (II, 9) L’istinto di sopravvivenza è un automatismo che domina persino l’illuminato. L’istinto di sopravvivenza costituisce infatti il programma principale di condizionamento genetico di tutti gli organismi biologici. Tale programma di condizionamento è ovviamente sempre attivo, anche in seguito all’attivazione di stati psichici particolari, come il cosiddetto stato di illuminazione. Per la definizione di stato di illuminazione, vedi il commento al sutra 166. 44 (II, 16) La tensione deve essere evitata. Questa non è evidentemente una prescrizione morale, bensì psicologica. 45 (II, 10) Le cause della tensione possono essere attenuate in seguito alla riduzione dell’inconsapevolezza. L’inconsapevolezza è stata infatti definita causa delle altre cause della tensione (cfr. sutra 35): è evidente che la sua riduzione comporta un’attenuazione delle cause della tensione e quindi della tensione stessa.

Lo yoga 46 (I, 2) La tecnica dello Yoga consiste nell’inibizione della percezione ordinaria. Il termine “inibizione” pone in evidenza l’aspetto attivo delle tecniche yogiche (mantras, kriyas, drishtis, ecc.), di contro all’aspetto passivo delle tecniche buddhiste (Vipassana). Percezione ordinaria: la lezione originale “modificazioni della mente” pone in evidenza l’aspetto dinamico della percezione ordinaria, costi-

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tuita da sequenze di percezioni diverse, in contrapposizione all’aspetto statico della percezione straordinaria del Kaivalya o percezione estatica. Questo sutra costituisce la definizione più concisa possibile dello Yoga. La concisione è sistematicamente perseguita in tutti gli Yoga Sutra. 47 (I, 3) In seguito all’inibizione della percezione ordinaria, la percezione assume la sua modalità essenziale. La modalità essenziale della percezione è la percezione estatica (vedi sutra 191-195). La definizione di essenzialità della percezione estatica è riferita evidentemente al fatto che essa costituisce la modalità in cui la percezione è ridotta all’essenziale, cioè a se stessa, senz’alcun oggetto esterno. 48 (I, 4) Diversamente, la percezione si presenta nella modalità di percezione ordinaria. 49 (I, 41) In seguito all’inibizione della percezione ordinaria, la percezione assume la sua modalità essenziale e come in un cristallo trasparente non vi è più in essa distinzione fra soggetto percipiente, oggetto percepito e percezione. L’assenza della percezione dell’Io, ossia dello stesso soggetto percipiente, nella percezione estatica (enunciata esplicitamente nel sutra 194), conduce, venendo a mancare uno dei suoi elementi costitutivi, all’assenza nella stessa percezione della distinzione fra soggetto percipiente, oggetto percepito e percezione (cfr. sutra 195). Si è cioè in presenza della percezione autoriflessa o stato di autoriflessione della percezione (che noi abbiamo denominato autopercezione), in cui la percezione percepisce se stessa in un gioco speculare di autoriflessione da cui qualsiasi altro elemento è escluso e quindi è assente qualsiasi altro termine logico di paragone. In pratica, la percezione diviene, nell’autopercezione, esclusivamente percezione di esistenza in quanto percezione. L’immagine del cristallo trasparente è pregnante: esso, diversamente da uno specchio, non riflette alcuna immagine esterna; la metafora vuole significare che nella percezione estatica non vi è alcun oggetto esterno alla percezione stessa, che si riflette su se stessa: ciò è enunciato esplicitamente nei sutra 92, 116, 192.

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50 (II, 23) Il dualismo soggetto-oggetto può quindi risolversi nella modalità essenziale della percezione, ossia nella percezione estatica. Cfr. anche sutra 3 e 195. 51 (I, 12) L’inibizione della percezione ordinaria si attua con l’esercizio costante e il non attaccamento. 52 (I, 13) zo.

L’esercizio costante consiste nella persistenza dello sfor-

53 (I, 14) L’esercizio costante produce un sicuro effetto quando lo si persegue per lungo tempo, senza interruzione e con zelo. 54 (I, 15) Il non attaccamento è il dominio consapevole del distacco dagli oggetti percepiti. 55 (I, 16) Il non attaccamento definitivo si ha nell'autopercezione, in cui non vi è più la tendenza della percezione ad assumere le sue tre forme ordinarie. Poiché l’attaccamento consiste nel legame istituito fra l’Io e gli oggetti della percezione, è evidente che nell’autopercezione, in cui viene eliminato sia l’Io che gli oggetti della percezione, non sia più presente l’attaccamento e quindi si abbia il non attaccamento definitivo. Per le forme ordinarie della percezione, vedi il commento al sutra 6. 56 (II, 29) La pratica yogica si divide in otto fasi: Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana, Samadhi. 57 (II, 30) Lo Yama consiste nell'astensione dalla violenza, dalla falsità, dal furto, dalla lussuria, dall'avidità. Lo Yama si presenta apparentemente come una norma etica di controllo dei rapporti con gli altri soggetti sociali. In realtà si tratta di una norma psicologica di igiene mentale. Infatti, per la legge della memoria (vedi il commento al sutra 31), la pratica della violenza, della falsità, del furto, della lussuria e dell'avidità, contravvenendo alle leggi sociali e quindi ponendo il soggetto in una situazione di possibile aggressione da parte dell’ambiente sociale, darebbe luogo ad un sedimento mnestico ricco di tensione e quindi ad una percezione attuale particolarmente

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tensiva, che costituirebbe un impedimento alla pratica del Samyama Yoga (per quest’ultimo, vedi sutra 129). Yama, Niyama, Asana e Pranayama, costituenti quello che tradizionalmente è denominato Bahiranga Yoga o Yoga esteriore (vedi anche sutra ), hanno precisamente lo scopo di abbassare la tensione al punto da permettere la pratica del Samyama Yoga. Quest’ultimo infatti non è praticabile con successo in uno stato di tensione. Questo è un principio fondamentale, per lo Yoga. L’iniziazione tradizionale ha precisamente questo scopo: di accertare che l’aspirante non sia un portatore cronico e irrecuperabile di tensione, cioè un nevrotico grave o uno psicotico. 58 (II, 35) L'astensione costante dalla violenza dà luogo all’eliminazione dell’ostilità . L’indicazione di questo sutra costituisce un’esemplificazione, come quelle esposte nei sutra successivi, del processo psichico per il quale l’iterazione delle percezioni positive induce la rarefazione delle percezioni negative. Ciò in quanto ogni percezione, lasciando di sé una traccia mnestica, tende a riprodursi. L’iterazione delle percezioni positive, come l’iterazione delle percezioni negative, tende quindi ad aumentare automaticamente. 59 (II, 36) L'astensione costante dalla falsità dà luogo all’assoluta assenza di secondi fini . L’azione deve essere fine a se stessa: è questa l’enunciazione fondamentale del Karma Yoga, uno dei tre tipi di Kriya Yoga (per quest’ultimo, vedi i sutra 75 e 76; cfr. anche Bhagavad Gita, III, 3, 7; III, 19; XIII, 25; XVIII, 50). 60 (II, 37) L'astensione costante dal furto dà luogo alla consapevolezza della preziosità di ciò che si ha. La valorizzazione degli oggetti posseduti deriva evidentemente dall’attenzione che si rivolge ad essi, non distratta dall’attenzione rivolta agli oggetti non posseduti. 61 (II, 38) L'astensione costante dalla lussuria dà luogo ad accumulo di energia. Questa indicazione di massima, che evidenzia semplicemente la ovvia conservazione dell’energia non consumata nell’attività sessuale, è stata assunta a norma fondamentale nel Kundalini Yoga, in cui l’aumento di energia derivante dalla pratica del Dhyana, Dharana e Samadhi (che

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comportano una diminuzione della tensione e quindi di dispendio energetico), invece di essere usato nell’attività sessuale, viene convertito in energia psichica. 62 (II, 39) L'astensione costante dall'avidità dà luogo alla conoscenza del processo di generazione delle percezioni. Quest’affermazione sembra di primo acchito piuttosto peregrina. In effetti vi è una connessione, fra astensione dall'avidità e conoscenza del processo di generazione delle percezioni, ma esattamente opposta a quella enunciata: la conoscenza del processo di generazione delle percezioni dà luogo all’astensione dall'avidità. E’ infatti lo spostamento del centro di identificazione coscienziale dall’Io all’osservazione impersonale dei processi psichici, ossia il processo di disidentificazione dall’Io, che conduce all’astensione costante dall'avidità, manifestazione naturale di difesa dell’Io in quanto suscettibile di aumentare la sua sicurezza essendo fondamentalmente un’azione di controllo dell’ambiente. L’astensione dall'avidità, essendo in definitiva una qualità comportamentale coglibile a livello interpersonale, si presenta immediatamente come la manifestazione evidente della conoscenza della dinamica percettiva e quindi può essere colta immediatamente come la sua causa. 63 (II, 31) Lo Yama costituisce il grande voto iniziale: esso deve essere osservato in qualsiasi condizione e in tutti le fasi dello Yoga. Le ragioni della necessità preliminare dello Yama consistono nel fatto che esso costituisce, in quanto processo di attenuazione della tensione, una condizione indispensabile alla pratica del Samyama Yoga: cfr. il commento al sutra 57. 64 (II, 32) Il Niyama consiste nella purezza, nell’accettazione, nella frugalità, nell'introspezione e nella dedizione alla divinità. Il Niyama si presenta apparentemente come una norma morale o di controllo dei propri appetiti, cioè dei rapporti con l’Io. In realtà anche in questo caso si tratta di una norma psicologica di igiene mentale. Infatti l’”impurità”, cioè la mancanza di controllo corporeo e mentale, il rifiuto sistematico dell’ambiente, la dipendenza dagli oggetti materiali, la mancanza di consapevolezza dei proprî processi psichici e la dedizione di sé al mondo materiale (mancanza di spiritualità), provocano, per la stessa instabilità di tali oggetti o situazioni, uno stato di vulnerabilità dell’Io e quindi un accumulo di tensione. La pratica del Niyama è

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quindi indispensabile, per le stesse ragioni dello Yama, alla pratica del Samyama Yoga (cfr. il commento al sutra 57). 65 (II, 40) La purezza corporale dà luogo al disgusto per il corpo e per il contatto fisico. E’ proprio la pratica della pulizia corporale, che porta il disgusto per le impurità corporali: la persistenza nello stato di naturalità provoca l'indifferenza per la mancanza di igiene. Ne sono la prova gli opposti atteggiamenti occidentale ed orientale nei confronti della corporeità: il primo, che ha spinto l'igienismo alle sue estreme conseguenze, rifiuta essenzialmente la corporeità naturale, il secondo l'accetta passivamente. E` contro questa tradizionale accettazione della non igienicità, che lo Yoga si rivolge con questo sutra. 66 (II, 41) La purezza mentale è necessaria alla pratica del Kriya Yoga e del Samyama Yoga ed anche all’attuazione dell’autopercezione. Per “purezza mentale” si intende l'eliminazione di tutti gli stati psichici negativi (cfr. sutra 36). La purezza mentale consiste in pratica nell’igiene mentale o autocontrollo psichico, che è ancora oggi indicato nella tradizione yogica contemporanea come la prima fase necessaria all’autorealizzazione: «Fate che la mente sorvegli le sue stesse acrobazie; arginate la piena folle dei pensieri, degli intrighi e dei progetti; non avrete più turbamenti né ansie, nella mente. Se non si snebbia la mente, Jnana non può albeggiare; completo è l’uomo che vi è riuscito.» 50. 67 (II, 42) L’accettazione dà luogo alla massima diminuzione della tensione. L’accettazione totale dell’ambiente e del proprio vissuto psichico, compresa la sofferenza propria e altrui (che costituisce il tradizionale atteggiamento “fatalista” orientale, il quale deriva dalla consapevolezza della legge del karma: vedi il commento al sutra 31), ha la funzione specifica di eliminare il conflitto fra l’Io e il suo ambiente fisico o psichico e quindi di sciogliere la tensione, il che è la finalità di tutta la pratica del Niyama (l’eliminazione sistematica di ogni conflitto è al centro 50 SATHYA SAI BABA, Prema-Dhyana, Sri Sathya Sai Books and Publications Trust, Prasanthi Nilayam (India), 19847; trad. it. Sai Baba fiume d’amore, Edizioni Sathya, Torino, 1981, pag. 19.

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di un’altra disciplina psicologica orientale, il Taoismo, che sul concetto di armonia o assenza sistematica di conflitto fonda la propria teoria e la propria pratica). Lo scioglimento della tensione non è tuttavia totale: tale sarà soltanto nella percezione estatica; nella percezione ordinaria, anche accompagnata dal contesto percettivo dell’accettazione, rimarrà pur sempre un residuo, per quanto minimo, di tensione, non fosse altro per la stessa energia cinetica della modalità sequenziale della percezione (cfr. sutra 170). 68 (II, 43) La frugalità dà luogo alla purificazione e quindi all'efficienza corporea. La pratica della frugalità consiste non soltanto in una sana ed essenziale alimentazione, ma anche soprattutto in una non dipendenza dagli oggetti materiali. Questo sutra intende affermare che la purificazione e l'efficienza corporee derivano da un'alimentazione moderata. La cultura orientale, al di là della carenza alimentare costante nella sua economia, ha sempre esaltato un’alimentazione naturale ed essenziale: questo elemento è ancora oggi presente, non soltanto nell’ambito della tradizione yogica orale, ma nell’intera cultura orientale. Recentemente in Occidente è stata riscoperta l'importanza fondamentale dell'alimentazione ai fini della qualità della vita, il che daltronde è logico: il nostro organismo è il risultato degli alimenti che assumiamo. La cosiddetta macrobiotica, oggi di moda, è un'occidentalizzazione di pratiche orientali di derivazione yogica, ancorché filtrate attraverso la cultura nipponica. 69 (III, 37) Nell’introspezione si attuano le intuizioni sensoriali, uditiva, tattile, visiva, gustativa e olfattiva. Per inuizione si intende un afflusso massivo di dati mnestici alla percezione, che quindi si presenta come unica ma risulta composta al suo interno di una congerie di dati e delle loro relazioni. In altri termini si può definire un accesso massivo all’inconscio. Così è ad esempio l’intuizione di un’intera teoria scientifica o di un’intera vita in un unico flash percettivo. Ovviamente, fra le tracce mnestiche attivate vi possono essere anche tracce di percezioni sensoriali. Il risultato dell’attivazione simultanea di un insieme massivo di tracce mnestiche di percezioni sensoriali consiste evidentemente in percezioni sensoriali particolarmente rafforzate, in quanto multiple: Vyasa e Bhoja defini-

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scono “divine” codeste “intuizioni sensoriali” 51. E’ evidente comunque che si tratta di fenomeni allucinatorî. L’attivazione della percezione intuitiva costituisce un passaggio automatico, nel processo di trasformazione della percezione ordinaria in percezione estatica: la ritroviamo, oltre che a proposito dell’introspezione, anche a proposito delle percezioni paranormali (cfr. sutra 72), dello stato di illuminazione (cfr. sutra 95), della gnosi (cfr. sutra 97), dell’estasi mistica (cfr. sutra 101 e 102). 70 (III, 34) Mediante l’intuizione si ottiene la conoscenza di ogni cosa. Poiché la memoria inconscia del soggetto contiene tutto ciò che il soggetto ha appreso sul mondo che lo circonda, è evidente che un accesso massivo all’inconscio equivale per il soggetto ad un’espansione conoscitiva tendenzialmente totale. Essa è caratterizzata anche dal trascendimento della dimensione spazio-temporale: cfr. sutra 168. 71 (III, 39) In seguito alla conoscenza dei processi mentali ed al venir meno della causa della percezione ordinaria, si attua l’intuizione sensoriale del corpo altrui. Poiché “il dualismo soggetto-oggetto è alla base della percezione ordinaria” (sutra 3) e “la causa del dualismo soggetto-oggetto è l’inconsapevolezza” (sutra 4), è da presumere che per “causa della percezione ordinaria” si intenda appunto l’inconsapevolezza. Per la sua definizione, vedi sutra 34. 72 (III, 38) Le intuizioni sensoriali costituiscono delle percezioni paranormali ma, per il fatto di essere rivolte ad oggetti esterni alla percezione, sono degli ostacoli nel Samadhi. Per la definizione di intuizione, vedi il commento al sutra 69. Le intuizioni sensoriali comportano l’afflusso massivo alla percezione non soltanto dei dati mnestici ma anche delle loro relazioni spaziali e temporali: questo genera l’impressione soggettiva di trascendimento dello spazio e del tempo, esplicitamente enunciato nei sutra 101 e 102. E’ stato spontaneo quindi definire “poteri” (Siddhis) da parte della tradizione yogica tali percezioni intuitive, la cui realisticità è tale da indurre il soggetto a scambiarle per percezioni sensoriali aventi oggetti e51

Cfr. PENSA, op. cit., p. 164 e MAGNONE, op. cit., p. 125.

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sterni e non interni, ossia oggetti reali e non tracce mnestiche inconscie. Da questo è derivata la fama di magia dello Yoga, alimentata soprattutto dalla tradizione tibetana, che è derivata dalla fusione di elementi di una preesistente cultura magico-animistica, della tradizione yogica e della tradizione buddhista. In realtà si tratta di processi percettivi intuitivi che possono essere definiti di tipo allucinatorio, per cui la loro denominazione appropriata è appunto quella di percezioni paranormali. Il Samadhi costituisce un processo di interiorizzazione della percezione, ossia di eliminazione progressiva degli oggetti esterni alla stessa (cfr. sutra 105-116). E’ ovvio quindi che si affermi da parte della tradizione yogica che le intuizioni sensoriali o percezioni paranormali (le famose Siddhis o “poteri”) costituiscano degli ostacoli nella pratica del Samadhi. 73 (II, 44) L'introspezione dà accesso all’estasi mistica. Sulla necessità dell’introspezione o autoosservazione (che permette, attraverso l’assunzione del ruolo di osservatore delle proprie dinamiche psichiche, lo sviluppo della disidentificazione dall’Io, e quindi la comunione o l’identificazione con una supposta entità coscienziale cosmica, cioè appunto l’estasi mistica), cioè dell’autocontrollo mentale per l’itinerario di autorealizzazione yogica, la tradizione del Bhakti Yoga insiste da sempre. Già la Bhagavad Gita: «”Quando un uomo allontana dalla sua mente tutti i desideri, o figlio di Pritha, e trova soddisfazione soltanto nella coscienza divina (Atman), si può dire che egli è saldo nella saggezza.” (II, 55) ... In questa condizione l’uomo vive ritirato interiormente anche quando agisce esteriormente; concentrato in sé anche quando lo sguardo si posa sugli oggetti; unicamente occupato nel Divino, anche quando agli occhi altrui sembra preoccuparsi degli affari del mondo.» 52. Anche la tradizione yogica contemporanea afferma che «il Sadhaka deve imparare per primo il segreto dello sguardo interiorizzato, la ’visione al didentro’, ed a distogliere l’attenzione dall’esterno. Ben poco vi è stato detto del mondo interiore; eppure la ‘Vita Divina’ non è che questo modo di ‘vivere interiormente’. ... L’Esame di Se Stesso è la porta dalla quale il Sadhaka entra nel Regno Interiore.» 53. 52 AUROBINDO, Le Yoga de la Bhagavad Gita, Sri Aurobindo Ashram Trust, Pondicherry, 1969; trad. it. Lo Yoga della Bhagavad Gita, Ed. Mediterranee, Roma, 19812, p. 99. 53 SATHYA SAI BABA, op. cit., p. 19.

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74 (II, 45) Il compimento dell’estasi mistica è il Samadhi. «Il fatto che l’isvara-pranidhana (cioè “la dedizione alla divinità”: n.d.R.) possa condurre, infine, al samadhi, costituisce una rivelazione sorprendente. A questo fatto abbiamo già fatto riferimento in I, 23, laddove Patanjali non soltanto indica la possibilità di attingere il samadhi mediante l’isvara-pranidhana, ma anche, nei sutra successivi, mostra che il sentiero dell’isvara-pranidhana costituisce praticamente un sentiero alternativo e indipendente per giungere alla medesima meta che si attinge seguendo l’astanga-yoga, nelle sue otto fasi o parti.» 54. Il “sentiero alternativo e indipendente” è il Bhakti Yoga: «L’allievo coscienzioso sarà in grado di vedere, nell’isvara-pranidhana, l’essenza del bhakti-yoga.» 55; l’estasi mistica costituisce precisamente il risultato della pratica di codesto particolare sentiero yogico. 75 (II, 1) La frugalità, l'introspezione e l’estasi mistica costituiscono il Kriya Yoga. Kriya Yoga significa letteralmente, “Yoga pratico”: si riferisce ai tre yoga comportamentali (Karma Yoga, Jnana Yoga e Bhakti Yoga) la cui sintesi è stata descritta e vissuta da Aurobindo 56. 76 (II, 2) Il Kriya Yoga viene praticato per attenuare la tensione, al fine di attuare il Samadhi. E’ proprio l’attenuazione della tensione, che permette di iniziare il processo samadhico: in stato di eccesso di tensione non è possibile infatti esercitare il controllo sulle funzioni mentali. Con l’esercizio del Kriya Yoga, la tensione viene ridotta al minimo grado possibile nell’ambito della percezione ordinaria, essendo ridotte al grado latente le sue cause (cfr. sutra 35). 77 (II, 46) L’Asana richiede stabilità e comodità. L’Asana consiste in una determinata positura corporea: occorre usare una posizione che mantenga l’equilibrio statico del corpo anche in caso di sopravvenienza dello stato di trance e non costituisca in alcun caso una distrazione per la concentrazione mentale. Secondo la tradizione 54

TAIMNI, op. cit., p. 231.

55

Idem, p. 213. Cfr. La sintesi dello Yoga, op. cit.

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yogica è inoltre fondamentale che la colonna vertebrale rimanga distesa e verticale per tutto il tempo della seduta di “meditazione” (esercizio di Dharana, Dhyana e Samadhi), in modo da agevolare lo svolgersi di particolari processi biochimici lungo il midollo spinale e nei gangli nervosi principali (Cakras), i quali oltre ad essere agevolati dalla distensione della colonna utilizzano evidentemente la forza di gravità; è necessario infine aumentare l’afflusso di sangue al cervello onde bilanciare la situazione di parziale anoressia cerebrale provocata dalla pratica contestuale del Pranayama, il che si ottiene riducendo la circolazione negli arti inferiori ed aumentando così la disponibilità sanguinea per la parte superiore del corpo. La posizione (asana) che presenta tutte queste prerogative è quella classica del Siddha Asana, o “posizione del loto”, consistente nella tradizionale seduta a gambe incrociate, che infatti è l’unica usata nel Raja Yoga o Yoga classico. Lo sviluppo abnorme dell’Asana, che ha visto l’invenzione di oltre un centinaio di posizioni, è invece una prerogativa dello Hatha Yoga, la derivazione ad orientamento corporeo del Raja Yoga. In sostanza l’Asana ha lo scopo di porre il corpo nella condizione di non disturbare il processo di attivazione degli stati straordinarî di coscienza. 78 (II, 47) L’Asana può essere mantenuta mediante la concentrazione su una figura illimitata e l'annullamento dello sforzo. Cronologicamente sul piano dei processi psicofisici, i due processi della concentrazione mentale e dell’annullamento dello sforzo si presentano nella progressione qui riportata: prima si ha la concentrazione mentale su una figura illimitata e poi, di conseguenza, poiché la concentrazione mentale produce un calo della tensione, si ha l’annullamento dello sforzo. Le tre regole fondamentali dell’Asana sono: 1 Immobile; 2 per molto tempo; 3 senza sforzo. Il mantenere a lungo l’immobilità non è certamente un’impresa facile, specie se si considera che l’attenzione deve rimanere ben veglia e vigile. L’annullamento dello sforzo, ossia il rilassamento muscolare in una posizione comoda (ecco l’inopportunità di asanas complicate) insieme con la concentrazione mentale su una figura illimitata sono i mezzi indicati dalla tradizione yogica per ottenere tale scopo. La concentrazione su una figura illimitata come il cerchio favorisce la circolarità della sensazione e quindi l’induzione di uno stato di autoipnosi. E’ appunto da questo stato psichico, che hanno inizio i processi successivi (Pratyahara, Dharana, Dhyana, Samadhi).

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79 (II, 48) Dalla pratica dell’Asana deriva la riduzione della tensione. Essendo l’Asana una metodica ad orientamento corporeo, è evidente che la modalità tensiva da essa risolta è più specificamente quella corporea, ossia la contrazione muscolare, che è appunto la manifestazione corporea dello stato di tensione. Ecco dunque lo scopo finale della pratica dell’Asana: la riduzione della tensione nella sua componente corporea. Se tale riduzione può essere ottenuta per altra via, la pratica dell’Asana non è indispensabile. Ecco perché nella tradizione del Kriya Yoga viene data poca importanza alla pratica dell’Asana. L’uso dell’Asana come metodica di rilassamento corporeo ha suggerito a J. H. Schultz la fondazione del suo training autogeno 57 che tanta fortuna ha avuto presso la psicoterapia occidentale, fino a quando non si è capito che la sua funzione terapeutica è soltanto sintomatica: la formazione della tensione avviene a monte, cioè a livello psichico. Occorre quindi intervenire con un’igiene mentale come quella suggerita dallo Yama e dal Niyama, preferibilmente a livello preventivo. 80 (II, 49) Il Pranayama consiste nella sospensione dell’atto respiratorio: esso si pratica congiuntamente con l’Asana. L’atto respiratorio, secondo la tradizione yogica, è la manifestazione nel corpo fisico del flusso e del riflusso attuantisi nel “corpo eterico” (Pranamaya Kosa) di una delle cinque forme dell’energia vitale, il Prana. Il Prana sarebbe «un tipo estremamente reale e altamente specializzato di energia composita, con una base materiale interamente diversa dalle altre specie di energia che operano nel corpo.» 58. L’atto respiratorio può quindi considerarsi «il legame di connessione tra la materia e l’energia da un lato, la coscienza e la mente dall’altro» 59. La regolazione dell’atto respiratorio comporta dunque, secondo la tradizione yogica, la regolazione del Prana. L’opera intermediatrice fra soma e psiche da parte dell’atto respiratorio è ben nota alla scienza occidentale: la tensione psichica ha come proprio correlato, tra gli altri, l’alterazione del ritmo cardio-respiratorio, per cui una regolarizzazione volontaria di 57 Vedi J. H. SCHULTZ, Das Autogene Training; Verlag, Stuttgart, 1966; trad. it. Il training autogeno, Feltrinelli, Milano, 1968. 58 TAIMNI, op. cit., p. 238. 59 Idem, p. 237.

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quest’ultimo comporta necessariamente uno scioglimento della tensione. 81 (II, 50) La regolazione dell’inspirazione, dell’espirazione e della sospensione secondo modalità, tempi e ritmi determinati può rendere la respirazione affievolita e di lunga durata. E’ noto come l’esasperazione di questa pratica conduca a fenomeni da baraccone, come i fakiri (ancora oggi presenti in India) che dopo lungo esercizio sono in grado di rallentare il ritmo respiratorio (e cardiaco) a livelli di ibernazione, il che gli permette di rimanere sepolti sotto terra per lunghi periodi. Certamente non è questo, lo scopo del Pranayama, che tuttavia persegue indubbiamente l’instaurazione di una ipossia cerebrale controllata, la quale favorisce il manifestarsi di fenomeni autoipnotici, allucinatorî e di trance, tipici delle fasi superiori delSamadhi. Tutti gli autori responsabili sconsigliano la pratica del Pranayama senza l’ausilio di una guida esperta: il pericolo potenziale di una ipossia cerebrale incontrollata, con eventuali conseguenze invalidanti o addirittura mortali, è evidente. 82 (II, 51) Una quarta regolazione non riguarda l’atto respiratorio. «Il quarto tipo di pranayama cui si fa riferimento nel presente sutra è il pranayama reale, del quale tutti gli esercizi precedenti non sono che una preparazione.» «Il respiro esteriore viene tenuto sospeso in qualsiasi posizione, esterna o interna; e non vi è nulla che riveli che si sta svolgendo una qualche attività. Eppure le correnti praniche nel pranamaya kosa (il “corpo eterico”: N.d.R.), che si trovano ora sotto il controllo completo del sadhaka (“l’iniziato”: N.d.R.), vengono manipolate e dirette con lo scopo di determinare nel veicolo i mutamenti desiderati.» 60. 83 (II, 52) Ad essa segue la lucidità mentale Tradizionalmente, la regolazione del flusso pranico all’interno del “corpo eterico” comporta una purificazione della percezione dai contesti percettivi emozionali: questo permette di definire la percezione più lucida. In effetti l’ipossia cerebrale comporta una rarefazione della dinamica percettiva ed una perdita della percezione dell’Io: da qui

60

TAIMNI, op. cit., p. 244.

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l’attenuazione o addirittura l’azzeramento delle reazioni tensive ed emozionali. 84 (II, 53) e quindi la possibilità del Dharana. E’ dunque la lucidità mentale, ossia l’eliminazione delle emozioni, che rende possibile il Dharana (concentrazione della mente su un unico oggetto), non il Pranayama in sé. Nella tradizione Raja Yoga, tuttavia, è precisamente il Pranayama, ad assolvere alla funzione di realizzare la lucidità mentale. 85 (II, 54) Il Pratyahara consiste nell’inibizione delle percezioni sensoriali e nell’assunzione di soli oggetti mentali; Il Pratyahara consiste quindi nell’astrazione dal contesto ambientale, ossia nella percezione di sole riproduzioni di tracce mnestiche. 86 (II, 55) con ciò si ha la completa eliminazione delle percezioni sensoriali. Ovviamente l’eliminazione delle percezioni sensoriali è temporanea, limitata alla seduta yogica. 87 (III, 1) Il Dharana consiste nella concentrazione della percezione su un oggetto. Il Dharana consiste quindi nella ricorrenza nella percezione di un medesimo oggetto, che, come abbiamo visto per il Pratyayahara, consiste in un oggetto mentale, in particolare un mantra (vedi sutra 103). 88 (III, 2) Il Dhyana consiste nella presenza di un unico oggetto nella percezione. La differenza fra Dharana (che possiamo denominare concentrazione) e Dhyana (che possiamo denominare contemplazione) consiste nel fatto che, mentre nel primo, che costituisce uno stadio iniziale, si ha nella percezione la ricorrenza o la presenza preponderante, di un medesimo oggetto, nel secondo, che è uno stadio più avanzato, si ha nella percezione la presenza esclusiva di un unico oggetto. 89 (IV, 6) Con la pratica del Dhyana si elimina la registrazione delle tracce mnestiche delle percezioni. Ovviamente, ripetendosi la stessa percezione, non si ha registrazione di tracce di altre percezioni (ma di quella certamente sì). Poiché ordinariamente le percezioni presentano oggetti che facilmente vengono in-

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terpretati come aggressioni all’Io, eliminando la sequenza ordinaria di percezioni di oggetti aggressivi, si elimina la tensione e quindi la registrazione di tensione nella memoria. E’ proprio la mancanza della tensione, e quindi della sua registrazione in memoria, la quale dà luogo alla non riproduzione ossessiva delle percezioni realizzatesi nella pratica del Dhyana, che fa dichiarare l’eliminazione della registrazione delle tracce mnestiche delle percezioni. Ovviamente, tale eliminazione è impossibile: ogni percezione viene registrata in memoria. Ciò che si elimina è la sua riproduzione ossessiva, la quale dipende dal carico di tensione registrato insieme alla percezione. 90 (II, 11) Con la pratica del Dhyana si possono eliminare alcuni gradi delle cause della tensione. I gradi delle cause della tensione cui si referisce questo sutra sono il grado evidente e quello alternato: cfr. sutra 35. Il motivo per cui la pratica del Dhyana permette di ridurre le cause della tensione, e quindi la tensione stessa, al grado attenuato o latente, consiste nel fatto che la ripetizione della percezione di un unico oggetto, che si presuppone gratificante o neutro, ossia privo di aggressività o pericolosità nei confronti dell’Io, non dà luogo all’attivazione del meccanismo di difesa consistente nello stato di tensione. L’affermazione che le cause della tensione permangono ancora in questa fase della percezione, che appartiene pur sempre alla modalità della percezione ordinaria, è giustificata dal fatto che esse sono contenute nella memoria inconscia come tracce mnestiche che possono riprodursi in qualsiasi momento in modo automatico, indipendentemente dalla volontà. E’ soltanto negli stadi avanzati del Samadhi, e quindi nel Kaivalya o percezione estatica autoriflessa, che l’inconscio, trovandosi completamente sotto il controllo della percezione cosciente, non è più in grado di riprodurre automaticamente fuori del controllo della volontà le tracce mnestiche costituenti cause di tensione: cfr. sutra 112. 91 (I, 40) L’ambito degli oggetti su cui può esercitarsi il Dhyana si estende dal più piccolo atomo alla più grande infinità. L’oggetto della contemplazione (Dhyana) è relativamente indifferente e può essere qualunque: ciò che importa, per l’induzione dell’autopercezione, è il processo stesso di concentrazione dell’attenzione su un unico oggetto (cfr. sutra 175), che rarefacendo la percezione porta gradualmente al vuoto mentale.

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92 (III, 3) Il Samadhi consiste nel passaggio dalla percezione di un unico oggetto all’autopercezione, cioè alla percezione estatica priva di oggetto esterno a se stessa. Il Samadhi costituisce quindi propriamente il processo psichico fondamentale dello Yoga, quello che segna il passaggio dalla percezione ordinaria alla percezione straordinaria della trance estatica. Esso può essere definito come il processo di trasformazione della percezione da ordinaria in estatica, da presentante un oggetto esterno a se stessa (nella fattispecie un unico oggetto, costituito da un concetto astratto prima (Nirvitarka Samadhi) e da un’intuizione poi (Nirvicara Samadhi)) a non presentante alcun oggetto esterno a se stessa, ossia autoriflessa. Da questo sutra risulta non esservi una differenza essenziale fra autopercezione e percezione estatica, che sono sottilmente distinte sul solo piano tecnico (cfr. il commento al sutra 177). 93 (IV, 7) Con la pratica dello Yoga la percezione non si presenta più nelle sue tre forme ordinarie ma diviene indifferenziata. Per le forme ordinarie della percezione vedi il commento al. sutra 6. L’”indifferenziazione” della percezione ottenuta con la pratica dello Yoga consiste in un primo momento nella riduzione della percezione alla percezione di un solo oggetto (intramentale) che ovviamente essendo sempre lo stesso è già indifferenziato, ma soprattutto nel momento conclusivo nella riduzione della percezione alla percezione della sola esistenza in quanto percezione, senz’alcuna differenziazione. In altri termini la sequenza di percezione differenziate caratteristica della percezione ordinaria viene sostituita nella percezione estatica da un’unica percezione indifferenziata. 94 (IV, 8) Con la pratica dello Yoga le forme ordinarie della percezione sono soltanto il risultato della volontà. Questo sutra attesta la possibilità di passaggio intenzionale e volontario dallo stato di percezione estatica allo stato di percezione ordinaria, il che garantendo la reversibilità volontaria dello stato di trance ne fa una condizione in certa misura controllabile e quindi priva di pericolosità. Il requisito della reversibilità, oltre quello della consapevolezza, è ciò che permette di distinguere il processo yogico dalla fuga schizofrenica, strutturalmente simile (cfr. La psicologia). Per le forme ordinarie della percezione vedi il commento al sutra 6.

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95 (II, 28) Con la pratica dello Yoga, in seguito al superamento progressivo delle distinzioni, si attua la percezione intuitiva che conduce allo stato di consapevolezza proprio dell’illuminazione. Le distinzioni al cui superamento si accenna in questo sutra sono quelle presenti nella percezione ordinaria ed assenti nella percezione estatica, dal dualismo soggetto-oggetto (cfr. sutra 3), alle forme fondamentali della percezione (cfr. sutra 6), alle specie della percezione (cfr. sutra 19). Il superamento delle distinzione è comunque, al livello dello stato di illuminazione, un risultato puramente concettuale, o meglio, intuitivo. Non si tratta cioè dell’instaurazione dello stato di trance estatica in cui ogni distinzione fra le percezioni e all’interno della percezione stessa è annullata sussistendo un’unica percezione, quella di esistenza. Lo stato di illuminazione è uno stato psichico pre o post kaivalico, e quindi un particolare stato della percezione ordinaria, più precisamente quel particolare stato psichico in cui, pur nell’ambito della percezione ordinaria, il soggetto assume come oggetto particolare della percezione la propria dinamica percettiva: è appunto ciò che tecnicamente viene denominato consapevolezza (cfr. il commento al sutra 166). Un dato certo che distingue lo stato di illuminazione dalla restante percezione ordinaria è dunque la presenza frequente o costante della percezione intuitiva, che tende a monopolizzarsi nella consapevolezza. Per la definizione di percezione intuitiva o intuizione, vedi il commento al sutra 69.

Il samadhi 96 (I, 19) Alcuni accedono al Samadhi spontaneamente. Il Samadhi, che è il processo psichico introduttivo alla percezione estatica, è dichiarato dunque un processo naturale spontaneo che può accadere a determinati individui (non è precisato qui sulla base di quali doti costituzionali) non necessariamente portati al misticismo e non praticanti lo Yoga o altra disciplina psicologica. 97 (I, 20) Altri accedono al Samadhi in seguito all’uso della fede, della volontà, della costanza e della gnosi.

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Per gnosi si intende un processo continuo di percezioni intuitive (per la definizione di quest’ultime, vedi il commento al sutra 69): cfr. anche il commento al sutra 114. Lo stesso termine è usato nella tradizione esoterica e lo si ritrova in Aurobindo 61. 98 (I, 21)

Il Samadhi è accessibile a chi lo persegue con pervicacia.

99 (I, 23) Il Samadhi è accessibile inoltre nell’estasi mistica. Questo è l’unico caso, in tutti gli Yoga Sutra, di ripetizione integrale: questo sutra è praticamente la ripetizione del sutra 74. Evidentemente Patanjali attribuiva all’estasi mistica un’importanza rilevante: è molto probabile che l’estasi mistica abbia costituito storicamente la prima modalità di accesso all’esperienza della percezione estatica; dalla pratica dell’estasi mistica è nata indubbiamente la tradizione del Bhakti Yoga, che è quindi probabilmente la più antica delle tradizioni yogiche; la sua preminenza sulle altre tradizioni per tutto il corso della storia indiana compresa l’epoca moderna (i più noti rappresentanti moderni dello Yoga, da Vivekananda, ad Aurobindo, a Sathya Sai Baba, sono Bhakti Yogin) parrebbe confermare tale ipotesi. 100 (I, 24) L’estasi mistica consiste in una particolare modalità percettiva in cui vi è assenza di riproduzione delle tracce mnestiche negative e quindi di tensione nella percezione. Per la teoria della tensione vedi il commento al sutra 31. 101 (I, 25) Nell’estasi mistica si ha l’inizio della percezione olistica. La “percezione olistica”, quella cioè in cui diverse percezioni vengono percepite come un’unità, è evidentemente la stessa percezione intuitiva: per la sua definizione, vedi il commento al sutra 69. Le relazioni intercorrenti fra i dati affluenti massivamente alla percezione, le quali vengono altresì portate alla percezione e percepite simultaneamente, sono fondamentalmente le relazioni spaziali e temporali. Nella “percezione olistica” l’accorpamento unitario avviene prevalentemente per le relazioni spaziali. 102 (I, 26) Nell’estasi mistica si ha la percezione di esperienze remote in quanto si ha il trascendimento dei limiti temporali. 61

Cfr. La sintesi dello Yoga, op. cit.

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Anche in questo sutra vi è un riferimento alla percezione intuitiva di cui al sutra precedente. In questo caso l’accento è posto sulla percezione contemporanea di diverse relazioni temporali. L’afflusso massivo e contemporaneo del materiale mnestico alla percezione dà luogo alla eliminazione della scansione temporale determinata dalla modalità sequenziale ordinaria della percezione, e quindi ad un’impressione soggettiva di trascendimento della dimensione temporale. 103 (I, 27) Il mantra inducente l’estasi mistica è il pranava OM. Il mantra è un suono mentale che viene ripetuto monopolizzando l'attenzione della mente (Dharana), fino a focalizzarla su un unico punto (Dhyana) ed infine a svuotarla (Samadhi). E’ evidentemente lo strumento di un meccanismo di autoipnosi. Il mantra OM (pronuncia aum), detto pranava, è ritenuto il nome evocatore della «suprema Coscienza per quanto riguarda il nostro sistema solare» 62. 104 (I, 22) Il Samadhi presenta tre gradi: lieve, medio, intenso. Vi è forse un riferimento alla distinzione fra Sabija Samadhi, Nirbija Samadhi e Dharma Mega Samadhi: vedi sutra 111, 116, 124. 105 (I, 17) Quando persistono congiunti il pensiero logico, la volontà, la percezione dell'Io e l’assenza della tensione si ha uno stato percettivo detto Samprajnata Samadhi. Samprajnata Samadhi significa “Samadhi con conoscenza”: indica evidentemente la presenza del pensiero logico, chiaramente enunciata nello stesso sutra. Questo sutra espone la prima distinzione di stato introdotta dagli Yoga Sutra all’interno di quel processo psichico complesso e articolato denominato Samadhi. Evidentemente lo stato di Sampajnata differisce dallo stato di percezione ordinaria per la sola assenza della tensione. 106 (I, 18) Un altro stato percettivo, detto Asamprajnata Samadhi, si ha quando, inibite le sensazioni dopo opportuno esercizio, si ha soltanto la riproduzione delle tracce mnestiche. Asamprajnata Samadhi significa “non Samadhi con conoscenza” 63: indica cioè uno stato samadhico diverso dal Samprajnata Samadhi ma 62

TAIMNI, op. cit., p. 71.

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non necessariamente caratterizzato dall’assenza del pensiero logico, bensì piuttosto, come enunciato in questo sutra, dall’assenza della senzazione. L’”opportuno esercizio” è un esplicito riferimento al Pratyahara: per quest’ultimo vedi sutra 85. La “sola riproduzione delle tracce mnestiche” consiste nella percezione di soli “oggetti mentali” (reminiscenze di sensazioni e concetti), con l’esclusione di “oggetti esterni”. E’ il risultato dell’astrazione (Pratyahara), ossia dell’introversione della percezione o inibizione delle senzazioni. Si tratta quindi di uno stato percettivo in cui sono presenti il pensiero e la beatitudine ma è assente la sensazione. 107 (I, 42) Lo stato percettivo nel quale sono presenti ora distinti ora confusi le sensazioni, i concetti e le intuizioni è detto Savitarka Samadhi . Savitarka Samadhi significa “Samadhi con il ragionamento”: evidentemente indica la presenza, anche se intermittente, del pensiero logico: cfr. sutra 105. Il Savitarka Samadhi fa parte del Sabija Samadhi: cfr. sutra 111. In esso, quindi, la percezione ordinaria presenta una prima alterazione: sensazioni, concetti e intuizioni non si presentano più sempre distinti fra loro ma iniziano a confondersi in percezioni di tipo olistico (cfr. sutra 101). Per la definizione di percezione intuitiva o intuizione, vedi il commento al sutra 69. 108 (I, 43) Lo stato percettivo nel quale vi è soltanto una chiara riproduzione mnestica dell’essenza degli oggetti senza la loro completa rappresentazione è detto Nirvitarka Samadhi. Nirvitarka Samadhi significa “Samadhi senza il ragionamento”: indica l’assenza del pensiero logico articolato. In definitiva, il Nirvitarka Samadhi è quello stato psichico in cui sono presenti soltanto concetti astratti senza una connessione logica fra loro: la “chiara riproduzione mnestica dell’essenza degli oggetti” consiste evidentemente nel concetto astratto di quell’oggetto.

63

Cfr. Idem, pp. 39-48.

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109 (I, 44) Il Savitarka Samadhi e il Nirvitarka Samadhi comprendono il Savicara Samadhi e il Nirvicara Samadhi, che riguardano concetti astratti. Savicara Samadhi significa “Samadhi con la volontà”: in questo stato evidentemente i concetti astratti sono il risultato dell’intenzionalità. Nirvicara Samadhi significa “Samadhi senza la volontà”: in questo stato evidentemente non vi è più intenzionalità da parte del soggetto; la percezione procede in modo completamente automatico. Evidentemente Savicara e Nirvicara non sono propriamente fasi samadhiche, bensì modalità di presentazione, delle fasi samadhiche, in cui la percezione è il risultato di un atto volontario oppure di un processo automatico. 110 (I, 45) Concetti astratti sono presenti anche nel grado indifferenziato della percezione. Per la definizione di “grado indifferenziato della percezione”, vedi il commento al sutra 10. 111 (I, 46) Il Savicara Samadhi e il Nirvicara Samadhi fanno parte del Sabija Samadhi. Sabija Samadhi significa “Samadhi con seme”, cioè con oggetto: nel Sabija Samadhi la percezione ha ancora un oggetto esterno ad essa, ossia non è ancora autoriflessiva. 112 (I, 50) Nel Sabija Samadhi si ha l’inibizione della riproduzione delle tracce mnestiche. L’inibizione della riproduzione delle tracce mnestiche (nel modo ordinario, cioè discreto) avviene in quanto la modalità percettiva caratteristica del Sabija Samdhi è l’intuizione (cfr. sutra 114) (per la definizione di percezione intuitiva o intuizione, vedi il commento al sutra 69), la quale si sostituisce alla reminiscenza ordinaria costituita da sequenze di dati mnesitici discreti. 113 (I, 47) Quando il Nirvicara Samadhi giunge al massimo stadio si ha la percezione astratta. Per “percezione astratta” si intende in questo sutra la percezione esclusivamente astratta. 114 (I, 48) Dalla percezione astratta si confluisce nella percezione intuitiva o gnosi.

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La sinteticità dei simboli astratti prelude all’intuizione (per la definizione di percezione intuitiva o intuizione, vedi il commento al sutra 69). Il processo continuo di percezioni intuitive è indicato nella cultura occidentale con il termine gnosi; cfr. anche sutra 97. 115 (I, 49) La percezione astratta e la percezione intuitiva non hanno oggetti particolari, come invece la sensazione e il pensiero logico. La percezione astratta e la percezione intuitiva non hanno oggetti particolari bensì: oggetti generali, nel caso della percezione astratta; oggetti composti (consistenti in insiemi di oggetti colti sinteticamente nelle loro reciproche relazioni logiche), nel caso della percezione intuitiva. Per la definizione di percezione intuitiva o intuizione, vedi il commento al sutra 69. 116 (I, 51) In seguito all’inibizione della stessa percezione intuitiva, si attua il Nirbija Samadhi, in cui si ha l’inibizione di qualsiasi oggetto esterno alla percezione. Nirbija Samadhi significa “Samadhi senza seme”, cioè senza oggetto. Nel Nirbija Samadhi la percezione non ha più un oggetto esterno ad essa, ma costituisce essa stessa il suo oggetto, cioè si ha l’autoriflessione della percezione od autopercezione: infatti il Nirbija Samadhi precede immediatamente il Dharma-Mega-Samadhi che è l’ultima fase del Samadhi, la quale culmina nella percezione estatica o Kaivalya. 117 (III, 8) Il Nirbija Samadhi è lo yoga più profondo. La definizione del Nirbija Samadhi come “yoga più profondo” è basata sul fatto che esso è quello in cui si realizza l’autoriflessione della percezione, ossia il processo più interno possibile alla percezione stessa. 118 (III, 9) Il processo iniziale del Nirbija Samadhi, in cui si ha nella percezione un’inibizione progressiva della riproduzione delle tracce mnestiche è detto Nirodha Parinama. Nirodha Parinama significa “processo inibitivo”. Poiché ad iniziare dal Pratyahara oggetti della percezione sono esclusivamente le riproduzioni di tracce mnestiche, ossia i concetti astratti (cfr. sutra 85), un’inibizione progressiva di questi ultimi porta progressivamente verso il vuoto mentale e quindi verso l’autopercezione.

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119 (III, 10) Nel Nirodha Parinama la riproduzione delle tracce mnestiche non presenta tensione. Abbiamo visto come l’assenza della tensione sia una caratteristica già della prima fase del Samadhi, ossia del Samprajnata Samadhi (cfr. sutra 105): a maggior ragione questa caratteristica viene mantenuta nel Nirodha Parinama, che è la fase iniziale del Nirbija Samadhi, lo stato in cui si realizza progressivamente la percezione estatica. 120 (III, 11) Il processo del Nirbija Samadhi in cui si ha nella percezione l’alternanza di un unico oggetto e di una molteplicità di oggetti è detto Samadhi Parinama. Samadhi Parinama significa “processo samadhico”. In esso si ha la riproduzione della medesima traccia mnestica, che equivale alla percezione del medesimo concetto, per un periodo determinato di tempo, alternata alla riproduzione di diverse tracce mnestiche, che equivale alla percezione di una molteplicità di concetti, cioè di un’intuizione, per un altro periodo determinato di tempo (per la definizione di percezione intuitiva o intuizione, vedi il commento al sutra 69). Nel Samadhi Parinama il vuoto mentale, che nel Nirodha Parinama inizia a presentarsi (cfr. sutra 118), raggiunge una durata significativa: in esso si alternano quindi periodi di vuoto a periodi di riproduzione di tracce mnestiche, singolarmente come concetti o collettivamente come intuizioni. 121 (III, 12) Il processo del Nirbija Samadhi in cui l'oggetto che esce e quello che entra nella percezione è esattamente lo stesso è detto Ekagrata Parinama. Ekagrata Parinama significa “processo di concentrazione”. In esso si ha un’alternanza fra assenza (vuoto mentale) e presenza di oggetto (concetto o intuizione) nella percezione, ma l’oggetto che si alterna al vuoto mentale è sempre il medesimo. In termini clinici si ha uno stato ipnotico in cui uno stesso concetto molto astratto e rarefatto si ripresenta ritmicamente alla percezione alternandosi a periodi di vuoto mentale. 122 (III, 13) Il Nirodha Parinama, il Samadhi Parinama e l’Ekagrata Parinama costituiscono i processi di modificazione della percezione ordinaria precedenti l’autopercezione. Per la descrizione dell’autopercezione, vedi sutra 171-190.

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123 (III, 44) Lo stato percettivo detto Maha-Videha è il primo ad essere estraneo alla percezione ordinaria ed è pertanto inimmaginabile: in esso vengono eliminati gli ostacoli che impediscono l’autopercezione. Maha-Videha significa “grande visione”. Si tratta di uno stadio del processo samadhico, considerato una Siddhi o percezione paranormale 64. E’ precisamente quello stato percettivo straordinario che precede immediatamente il vuoto dell’autopercezione e che consiste nell’esplosione dell’inconscio, ossia nell’afflusso istantaneo di tutti o quasi tutti i dati mnestici alla percezione. E’ come se le reti neuronali corrispondenti alle percezioni intuitive, già attivate nella fase precedente del Sabija Samadhi, venissero attivate tutte insieme contemporaneamente. Il soggetto ha cioè accesso, sia pure per un solo attimo, al proprio inconscio. Sul piano soggettivo ciò equivale all’accesso all’intero esistente, in quanto la rappresentazione di esso risiede nel deposito mnestico del soggetto. Vengono quindi travalicati, a livello soggettivo, tutti i limiti conoscitivi, compresi quelli spaziali e temporali (vedi anche sutra 70, 156). Si ha quindi una percezione di cosmicità e di onniscienza. 124 (IV, 29) Il Dharma-Mega-Samadhi è l’ultima fase del Nirbija Samadhi: in esso confluisce anche lo stato di illuminazione, ove sia assente ogni attaccamento. Il Dharma-Mega-Samadhi viene denotato come “Samadhi della nuvola delle proprietà”: denota quella fase del processo samadhico in cui si esce completamente e definitivamente dalla percezione ordinaria sia pure nelle sue modalità astratte dei concetti e delle intuizioni, cioè dallo stato in cui sono ancora presenti nella percezione le proprietà degli oggetti percepiti (per la loro definzione, vedi il commento al sutra 9). Tale stato è pittoricamente denominato nuvola in quanto stato di oscurità o confusione (in realtà di complicazione) rispetto allo stato di purità ed essenzialità della percezione estatica. 125 (IV, 33) Nel Dharma-Mega-Samadhi è completamente conoscibile il processo di percezione del tempo. Il processo di percezione del tempo è completamente conoscibile nel Dharma-Mega-Samadhi in quanto, poiché “la percezione del tempo esiste a causa della differenza delle proprietà degli oggetti percepiti” (su64

Cfr. TAIMNI, op. cit., p. 316.

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tra 27), l’eliminazione nel Dharma-Mega-Samadhi delle forme ordinarie della percezione (cfr. sutra 127) comporta l’eliminazione della stessa differenziazione della percezione e quindi anche della differenziazione delle proprietà degli oggetti percepiti: si ha quindi l’eliminazione della percezione del tempo e viene realizzata la consapevolezza che la percezione del tempo altro non è che il risultato della percezione della differenza delle proprietà degli oggetti percepiti e quindi in definitiva della differenziazione della percezione ordinaria, dovuta alla sua stessa dinaminca sequenziale. 126 (IV, 30) Nel Dharma-Mega-Samadhi si ha la cessazione della percezione ordinaria e della tensione. 127 (IV, 32) Nel Dharma-Mega-Samadhi si ha l’eliminazione delle forme ordinarie della percezione. Per la descrizione delle forme ordinarie della percezione, vedi il commento al sutra 6. 128 (IV, 31) L'esperienza comune è poco in confronto con l'infinità della conoscenza che si sperimenta nel Dharma-Mega-Samadhi, in seguito alla eliminazione della percezione ordinaria. Il vuoto mentale è dunque, secondo la tradizione yogica, non semplicemente l'assenza delle percezioni ordinarie ma l'inizio di una nuova eccezionale esperienza conoscitiva concernente la realtà noumenica. Le percezioni di cosmicità, di onniscienza, di onnipotenza, di onnipresenza, di beatitudine che presiedono alla percezione estatica (vedi Lo Yoga) giocano evidentemente un ruolo importante in tale esperienza.

Il samyama yoga e le percezioni paranormali 129 (III, 4) Il Dharana, il Dhyana e il Samadhi costituiscono il Samyama Yoga. 130 (III, 5) La pratica del Samyama Yoga dà accesso alla gnosi. Come già definito nel commento ai sutra 97 e 114, per gnosi si intende il processo continuo di percezioni intuitive (per la definizione di quest’ultime, vedi il commento al sutra 69).

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131 (III, 6) La pratica del Samyama Yoga è progressiva. Non soltanto il Samyama Yoga è distinto nelle tre fasi del Dharana, del Dhyana e del Samadhi, ma lo stesso Samadhi è distinto nelle diverse fasi viste più sopra. 132 (III, 7) Il Samyama Yoga costituisce lo yoga interiore. Il Samyama Yoga è detto Antaranga Yoga o “Yoga interiore” in quanto dedicato espressamente al controllo della percezione, ossia dei processi psichici, in contrapposizione alle fasi precedenti dello Yoga, più propriamente dedicate al controllo del comportamento (cfr. TAIMNI, op. cit., p. 267). Potremmo definirlo più propriamente Yoga psichico. Yama, Niyama, Asana e Pranayama costituiscono quello che tradizionalmente è denominato Bahiranga Yoga o “Yoga esteriore” ed è considerato propedeutico all’Antaranga, soprattutto in ordine all’attenuazione dello stato di tensione (cfr. sutra 67, 76 e 79). Un’altra tradizione (Ashtanga Yoga) attribuisce all’Antaranga Yoga anche il Pratyahara, che altrimenti resterebbe escluso dalla classificazione. 133 (III, 48) Esercitando il Samyama Yoga sull’aspetto percettivo, essenziale, personale, immanente e finale degli organi di senso, si ottiene il controllo di essi. La locuzione “esercitare il Samyama Yoga su un oggetto” indica la sua assunzione come oggetto della concentrazione (Dharana) e della contemplazione (Dhyana): ciò vale anche per il seguito. L’aspetto “percettivo” degli organi di senso può consistere nella funzione percettiva da essi esercitata; l’aspetto “essenziale”, nella loro consistenza organica; l’aspetto “personale”, nel loro essere inerenti ad un soggetto; l’aspetto “immanente”, nel loro essere collegati con la rete mnestica; l’aspetto “finale” nel loro essere finalizzati, tutti insieme, alla vita percettiva del soggetto. Questa può essere l’ipotesi psicologica di interpretazione di questo sutra, che ha trovato nei commentatori interpretazioni le più disparate. 134 (III, 49) Dal controllo degli organi di senso deriva la percezione extrasensoriale immediata che dà l’impressione di dominio sulla natura. Il controllo degli organi di senso comporta il controllo e quindi l’eliminazione delle percezioni sensoriali: per “percezione extrasenso-

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riale immediata” si intende quindi evidentemente una percezione che esclude il processo sensoriale, cioè l'intuizione. L’”impressione di dominio sulla natura” è quindi fondamentalmente una fantasia, tuttavia la sua modalità percettiva, l’intuizione, la rende particolarmente “vera” per il soggetto, in quanto l’intuizione presenta una capacità suggestiva anche superiore a quella sensoriale. 135 (III, 45) Esercitando il Samyama Yoga sull'aspetto grossolano, reale, sottile, pervasivo e funzionale della funzione sensoriale, si ottiene il controllo di essa. Questo sutra è evidentemente in correlazione con il sutra 133. Anche qui si può avanzare un’ipotesi di interpretazione psicologica: l’aspetto “grossolano” della funzione sensoriale può consistere nelle singole percezioni sensoriali atomiche, ad esempio la percezione del colore, della forma, delle dimensioni, ecc.; l’aspetto “reale”, nella rappresentazione sensoriale dell’oggetto concreto reale (cfr. sutra 12); l’aspetto “sottile”, nel concetto astratto dell’oggetto; l’aspetto “pervasivo” nella sua traccia mnestica; l’aspetto “funzionale” nella percezione in sé come funzione. Anche questo sutra ha trovato nei commentatori interpretazioni le più disparate. 136 (III, 46) Dal controllo della funzione sensoriale si attuano le percezioni paranormali di perfezione corporea e di espansione degli aspetti della funzione sensoriale, quali la percezione atomica del corpo e le altre. Secondo la tradizione yogica, durante il processo samadhico si attiverebbero nel soggetto dei poteri paranormali (Siddhis) che condurrebbero alla conoscenza intima ed al controllo extrasensoriale del mondo fisico. La psicologia scientifica non può non dire che si tratta di percezioni allucinatorie proprie dello stato di trance, riscontrabili anche in seguito all’assunzione di sostanze stupefacenti, come enunciato esplicitamente nel sutra 137. L’espressione “espansione degli aspetti della funzione sensoriale” è al proposito significativa. Lo stesso Patanjali le definisce “apparenze” (vedi questo stesso sutra nell’Appendice). L’assunzione di uno specifico oggetto del Dharana e del Dhyana fa sì che durante il Samadhi (trance) tale oggetto divenga il polo intorno al quale ruotano i concetti astratti e le intuizioni che si manifestano in tale stato, e sono proprio le intuizioni polarizzate su tale oggetto a costituire, con la loro forza suggestiva, i “poteri” di cui si sente investito il sogget-

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to nei confronti di quell’oggetto. Si tratta evidentemente di un accesso massivo alla percezione del materiale mnestico inconscio relativo a quell’oggetto, e quindi, risiedendo nella memoria inconscia del soggetto ciò che l’intero cosmo è per il soggetto, della percezione intuitiva ed olistica di tutte le relazione che quell’oggetto ha con il resto del cosmo. Tale percezione non può non suscitare nel soggetto la suggestione di un totale dominio dell’oggetto e delle sue relazioni. A seconda dell’oggetto al quale si applica la concentrazione e la contemplazione, si attivano quindi percezioni paranormali specifiche. Le percezioni paranormali o Siddhis classiche della tradizione yogica sono: Anima, Mahima, Laghima, Garima, Prapti, Prakamya, Ishitva e Vashitva. La percezione atomica del corpo è denominata Anima: nella tradizione yogica: consiste nella percezione del proprio corpo come un punto atomico senza dimensioni, situato al centro dell'universo (massima contrazione). E’ interessante, che uno stato percettivo particolare costituente una fase del processo samadhico sia stato assunto nella cultura occidentale come referente dell’identità cosmica o transpersonale dell’essere umano. Evidentemente ancora una volta la cultura orientale ha costituito una fonte di informazione e di ispirazione per l’Occidente, anche se la versione occidentale presenta un’alterazione dell’informazione originale: in questo caso si è assunto uno stadio intermedio (Anima) per lo stadio finale (Kaivalya) del processo di realizzazione della percezione estatica, alla quale anche la cultura orientale aveva intitolato un referente (Purusha o Atma). 137 (IV, 1) Le percezioni paranormali si attuano o spontaneamente, o con l'uso di droghe, o con i mantra, o con l'estasi mistica, o con il Samadhi. Questo sutra è importante, perché ci attesta che la trance estatica non è soltanto il risultato della pratica dello Yoga. Ciò significa che lo Yoga costituisce una tecnica di induzione di uno stato percettivo che anche se straordinario è da considerarsi naturale, come dichiarato esplicitamente nel sutra seguente. Poiché tuttavia l’estasi mistica indottta è il risultato di un’altra tecnica yogica, il Bhakti Yoga (cfr. sutra 74 e 75), e poiché la metodica mantrica è una sua specifica modalità operativa (cfr. sutra 103), si può dire che le percezioni paranormali sono riscontrabili nell’ambito della pratica yogica, del misticismo spontaneo (di cui abbiamo molti esempi anche nella cultura occidentale), della reazione alle sostanze stupefacenti e, vi è da aggiungere, della patologia.

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138 (IV, 2) Le percezioni paranormali sono processi naturali. Le percezioni paranormali sono cioè una conseguenza naturale del processo yogico di inibizione della percezione ordinaria, così come dell’assunzione di sostanze stupefacenti e dello stato di estasi mistica (vedi sutra 137). 139 (IV, 3) Le percezioni paranormali non si sviluppano automaticamente, ma richiedono la rimozione dell’ostacolo della percezione ordinaria. Le percezioni paranormali si muovono sul terreno della percezione intuitiva: esse infatti precedono ma non coincidono con la percezione estatica. La “percezione ordinaria” dichiarata “ostacolo” da rimuovere è quindi la modalità percettiva propriamente ordinaria, quella cioè che fa capo alle sensazioni al pensiero logico ed alle emozioni. 140 (III, 52) Occorre evitare il piacere e l'orgoglio provenienti dall'esperienza delle percezioni paranormali, poiché favoriscono il ritorno alla percezione ordinaria. Le percezioni paranormali sono quindi semplicemente un fenomeno transitorio, nel processo di realizzazione della trance estatica, sul quale non bisogna indulgere e del quale non bisogna presumere oltre misura. 141 (III, 47) La percezione di perfezione corporea comprende le percezioni di bellezza, grazia, forza, solidità. 142 (III, 30) Esercitando il Samyama Yoga sul chakra dell'ombelico, si ha la percezione dell'organizzazione del corpo. Inizia qui una serie di sutra dedicati alle percezioni paranormali derivanti dalla pratica del Samyama Yoga. Della loro configurazione psicologica ho già detto nel commento al sutra 136: si tratta sempre comunque di esperienze soggettive. 143 (III, 40) Mediante il dominio dell’Udana, si ha la percezione della levitazione. L'Udana, insieme con il Prana, l’Apana, il Samana, il Vyana, è uno dei cinque tipi di energia nervosa individuati dalla tradizione yogica 65. 65

Cfr. TAIMNI, op. cit., p. 313.

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144 (III, 41) Mediante il dominio del Samana si ha la percezione del divampare. Pensa afferma, sulla scorta di Vyasa, che «lo yogin, resosi padrone del soffio equilibrante, ravviva il suo fuoco interno epperciò risplende.» 66; Magnone dichiara, sulla scorta di Bhoja, che «lo yogin appare come infiammato di ardore» 67; Taimni interpreta come «divampare del fuoco gastrico», ossia controllo della secrezione gastrica, che darebbe la facoltà «di digerire qualunque quantità di cibo» 68. 145 (III, 31) Esercitando il Samyama Yoga sulla gola, si ottiene la cessazione della fame e della sete. 146 (III, 32) Esercitando il Samyama Yoga sul nervo Kurma Nadi, si ottiene l'immobilità. Le nadi sono nella tradizione yogica le grandi ramificazioni nervose del sistema simpatico (Ida), parasimpatico (Pingala) e volontario (Sushumna). «Il Kurma è una delle ben note varietà di prana, ed il nervo particolare che serve come suo veicolo è detto Kurma Nadi. Tale varietà di prana ha ovviamente qualcosa a che fare con i movimenti del corpo, poiché controllandolo lo yogi acquista il potere di rendere immobile il proprio corpo.» 69. Per la definizione di prana, vedi il commento al sutra 80. Il riferimento all’”immobilità” dimostra come l'esercizio del Samyama Yoga (Dharana, Dhyana, Samadhi) si svolga contemporaneamente all'esercizio dell'Asana e del Pranayama. 147 (III, 25) Esercitando il Samyama Yoga sulle forze degli animali, si ha la percezione del loro vigore. 148 (III, 43) Esercitando il SamyamaYoga sulla relazione fra il corpo e lo spazio e sulla leggerezza, si ha la percezione dello spostamento attraverso lo spazio.

66

PENSA, op. cit., p. 166. MAGNONE, op. cit., p. 128. 68 TAIMNI, op. cit., p. 314. 69 TAIMNI, op. cit., p. 302. 67

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Per “spostamento attraverso lo spazio” si intende tradizionalmente uno spostamento istantaneo da un punto all’altro dello spazio senza la percorrenza dello spazio intermedio. 149 (III, 35) Esercitando il Samyama Yoga sul cuore, si ottiene la consapevolezza dei processi percettivi. L’istituzione di questa relazione fra processi percettivi e cuore è probabilmente fondata sulla convinzione arcaica che il cuore fosse la sede dell’attività percettiva. 150 (III, 21) Esercitando il Samyama Yoga sul processo della visione, lo si interrompe. Secondo i commenti tradizionali, questo sutra è riferito alla siddhi dell’invisibilità acquistabile dallo yogi, il quale sparirebbe alla vista degli astanti, magari per apparire in un altro luogo. Può darsi che il descrivere questo sia stata anche l’intenzione di Patanjali. Ma non è del tutto da escludersi la possibilità di un’interpretazione riduttiva, di questo sutra. Infatti il processo della visione che viene interrotto nello stato samadhico può essere benissimo quello dello stesso soggetto: anzi abbiamo visto come ogni processo di percezione sensoriale viene interrotto già nel Pratyahara. Diversamente, possiamo assumere senz’altro anche questa percezione paranormale come un’intuizione sensoriale di tipo allucinatorio (cfr. il commento al sutra 69). 151 (III, 22) Analogamente, si può interrompere la ricezione del suono, e così per le altre percezioni sensoriali. 152 (III, 42) Esercitando il Samyama Yoga sulla relazione fra l'orecchio e il suono, si ottiene un udito senza limiti. 153 (III, 17) Il suono, il significato e la sensazione si presentano normalmente confusi: esercitando il Samyama Yoga su di essi, si attua la loro differenziazione e la comprensione dei suoni pronunciati da tutti gli esseri viventi. Questa analisi del linguaggio come composizione di suono, significato e sensazione è di un certo interesse. Per quanto riguarda “la comprensione dei suoni pronunciati da tutti gli esseri viventi”, sussiste il rilievo esposto inizialmente (vedi sutra 136).

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154 (III, 33) Esercitando il Samyama Yoga su un punto interno al cranio, si ha la visione degli illuminati. Il “ punto interno al cranio” di cui si parla in questo sutra è, secondo Taimni (cfr. op. cit., pag. 303), la ghiandola pituitaria o ipofisi; ma potrebbe anche trattarsi dell'epifisi, o ghiandola pineale (Descartes vi vide il luogo di incontro fra corpo e anima): la collocazione anatomica del punto di concentrazione è infatti alla base del cranio, verso l'occipite. Potrebbe trattarsi inoltre del Sahasrara Cakra o “apertura del brahman”: «Nel cranio c’è una fessura chiamata “apertura del brahman”, che è sorgente di luce: come il fulgore che si effonde da una gemma all’interno di una casa si raccoglie nel buco della serratura, così la luce rivelativa del sattva che ha sede nel cuore, effusa, si raccoglie nell’apertura del brahman. Colui che vi si concentra ottiene la visione dei Perfetti, uomini divini che abitano l’intervallo tra cielo e terra, benché invisibili alle altre creature: li vede, e conversa con loro.» 70. I “Perfetti” sono «coloro che si sono perfezionati e vivono nella condizione di illuminazione suprema.» 71. 155 (III, 53) Esercitando il Samyama Yoga sul processo della successione temporale, si ottiene la consapevolezza propria dello stato di illuminazione. Poiché il trascendimento della dimensione spazio-temporale è una caratteristica dello stato di illuminazione (cfr. sutra 168), è logico che assumendo come oggetto del Dharana e del Dhyana il processo della successione temporale, insito nella stessa dinamica percettiva sequenziale, si acquisisce la consapevolezza che la temporalità costituisce una modalità della percezione e non della stessa consapevolezza, che in quanto percezione non soggetta a cambiamenti non è soggetta alla dimensione spazio-temporale. Lo stesso trascendimento della dimensione temporale è attribuito allo stato di estasi mistica: cfr. sutra 102. 156 (III, 16) Esercitando il Samyama Yoga sui tre processi del Nirodha Parinama, del Samadhi Parinama, dell'Ekagrata Parinama, si ottiene la conoscenza del passato e del futuro. Evidentemente assumendo come oggetto del Dharana e del Dhyana gli stessi processi di modificazione della percezione ordinaria precedenti 70 71

BHOJA, riportato in MAGNONE, op. cit., p. 122. TAIMNI, op. cit., p. 303.

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l’autopercezione (cfr. sutra 122) si ottiene un afflusso massivo di dati mnestici alla percezione, che il soggetto interpreta come riferiti al suo passato e al suo futuro. L’accesso massivo alla memoria inconscia determina nel soggetto, come già notato (cfr. il commento al sutra 70), la percezione di dominio dell’intero esistente senza limiti, quindi anche senza limiti spazio-temporali. Lo stato percettivo cui si riferisce questo sutra è quindi evidentemente il Maha-Videha (cfr. sutra 123). 157 (III, 18) Esercitando il Samyama Yoga sulle tracce mnestiche si ottiene la conoscenza delle esperienze antecedenti alla nascita. Secondo i commenti tradizionali, questo sutra è riferito alla mitologia della reincarnazione e quindi il riferimento è alle vite precedenti. Può darsi che questa sia stata anche l’intenzione di Patanjali. Ma non è del tutto da escludersi la possibilità di un’interpretazione non mitica ma scientifica e specificamente psicologica di questo sutra. Infatti le esperienze prenatali, ossia intrauterine, sono evidentemente registrate nella memoria del soggetto, ma ordinariamente non accessibili: la pratica del Samyama Yoga, estendendo straordinariamente l’accesso alla memoria inconscia, porta probabilmente alla percezione le tracce di tali esperienze. 158 (III, 23) Esercitando il Samyama sulle tracce mnestiche, attive o latenti, oppure da segni premonitori, si ottiene la conoscenza del momento della propria morte. Anche in questo caso si tratta evidentemente di un’intuizione. 159 (III, 24) Esercitando il Samyama Yoga sull'amore, sulla compassione, sulla letizia e sull'indifferenza, si ottiene la qualità corrispondente. «E’ legge psicologica ben nota che se pensiamo a una qualità senza interruzione, essa tende a divenire sempre più parte del nostro carattere. Tale effetto è esaltato dalla meditazione, nella quale la concentrazione mentale è di gran lunga più intensa che nel pensiero ordinario.» 72. La pratica dell'amore, della compassione, della letizia e dell'indifferenza è dichiarata favorente la concentrazione: cfr. sutra 184.

72

TAIMNI, op. cit., p. 294.

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160 (III, 19) Esercitando il Samyama Yoga sugli oggetti della percezione si ottiene la conoscenza generale della percezione altrui; La percezione diretta dei processi psichici che si realizza nel processo samadhico (vedi il sutra precedente) può conferire al soggetto una conoscenza generale del funzionamento dell’apparato psichico umano, il che costituisce effettivamente una buona base, per la conoscenza dei processi psichici ricorrenti negli individui umani. Se a ciò si aggiunge l’accesso diretto e massivo al materiale mnestico attivato con l’intuizione, e quindi evidentemente una più ampia conoscenza degli oggetti più usuali e ricorrenti nella percezione ordinaria, si vede come una percezione intuitiva dello stato emotivo altrui sia possibile. Ciò prescinde ovviamente, come specifica il sutra seguente, da una lettura del pensiero puntuale e particolareggiata. 161 (III, 20) non tuttavia dei suoi oggetti, a causa del loro non essere oggetto del Samyama Yoga. La “telepatia” degli yogin avanzati è limitata quindi all’intuizione degli stati emotivi e non estesa agli oggetti specifici della percezione altrui. Niente di magico, quindi, come ammesso anche dalla tradizione, ma soltanto e semplicemente una spiegabilissima accentuata sensibilità intuitiva agli stati d’animo altrui. 162 (III, 26) Esercitando il Samyama Yoga sull’invisibile, si ottiene la conoscenza del piccolissimo e del grandissimo. L’”invisibile” è costituito dagli oggetti non visibili con la vista ordinaria. Il “piccolissimo” e il “grandissimo” denotano l’universo microscopico e l’universo astronomico. 163 (III, 27) Esercitando il Samyama Yoga sul Sole, si ottiene la conoscenza del sistema solare. 164 (III, 28) Esercitando il Samyama Yoga sulla Luna, si ottiene la conoscenza della disposizione delle stelle. 165 (III, 29) Esercitando il Samyama Yoga sulla stella polare, si ottiene la conoscenza dei moti delle stelle.

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L’illuminazione 166 (II, 26) Il mezzo dell’eliminazione del dualismo soggettooggetto è l’illuminazione, che è uno stato ininterrotto di consapevolezza. Questo sutra, insieme con i sutra 34 e 168, ci permette di costruire una definizione della consapevolezza propria dello stato di illuminazione e quindi, poiché la consapevolezza ne costituisce la caratteristica più saliente, dello stesso stato di illuminazione. Il termine “consapevolezza” denota tecnicamente lo stato psichico in cui il soggetto assume come oggetto particolare della percezione le proprie reazioni emotive (contesto percettivo) o l’immagine del proprio Io (soggetto percipiente) intervenienti nella percezione (cfr. sutra 1), in altri termini la propria dinamica percettiva. Il soggetto diviene così consapevole del proprio assetto emotivo e della propria identificazione. Un esempio può chiarire il processo. Se io vedo un cavallo, nello stato comune della percezione ordinaria l’oggetto della percezione è banalmente il cavallo. In tale percezione è tuttavia presente anche la percezione dell’Io e il contesto percettivo o reazione emotiva alla visione del cavallo. Essi costituiscono una specie di contorno o modalità della percezione, non costituiscono l’oggetto specifico della percezione, che rimane il cavallo. L’attenzione del soggetto percipiente è cioè concentrata sul cavallo; si può dire che il “fuoco” della percezione è il cavallo. Se però il “fuoco” della percezione si sposta sul contesto percettivo o sull’immagine dell’Io, essi divengono gli oggetti specifici della percezione, ed in tal caso è evidente che il soggetto percipiente non può più identificarsi con quell’Io che è invece l’oggetto della sua osservazione: da qui l’autoidentificazione del soggetto con un ipotetico soggetto impersonale o più propriamente con lo stesso processo percettivo: questo è appunto lo stato di consapevolezza. Per meglio comprendere lo stato percettivo della “consapevolezza”, che è l’essenza del cosiddetto stato di illuminazione, principale nel Buddhismo ma pur sempre importantissimo nello Yoga in quanto stato percettivo concomitante alla trance estatica, è opportuno crearne un modello rappresentativo.

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A B C D Facendo riferimento alla composizione della percezione ordinaria esposta nel sutra 1, rappresentiamo la percezione come costituita di quattro schermi A, B, C e D, rispettivamente sovrapposti fra loro nell’ordine. Lo schermo A rappresenta l’oggetto percepito e possiamo pensarlo come uno schermo opaco bianco (come un telone cinematografico) sul quale è proiettata l’immagine di un oggetto, ad esempio un cavallo. Lo schermo B rappresenta il contesto percettivo, ossia la reazione emotiva del soggetto alla vista dell’oggetto, e possiamo pensarlo come uno schermo trasparente colorato. Per inciso, il concetto di colorazione della percezione da parte del contesto percettivo è precisamente introdotto da Patanjali con l’espressione “mente colorata” nel sutra 1 (cfr. IV, 23 nell’Appendice). Lo schermo C rappresenta l’autoimmagine del soggetto, cioè l’Io o soggetto percipiente, e possiamo pensarlo anch’esso come uno schermo trasparente colorato. Lo schermo D rappresenta la percezione in se stessa e possiamo pensarlo come uno schermo completamente trasparente privo di colorazione. Per inciso è precisamente questa l’immagine usata da Patanjali per rappresentare la modalità essenziale della percezione (autopercezione), ossia la percezione in se stessa. Nello stato comune della percezione ordinaria l’attenzione è focalizzata sullo schermo A: ciò non significa che gli schermi B e C non vengano percepiti, ma vengono percepiti per così dire sfuocati, come avviene

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per i piani di una scena non messi a fuoco dall’apparecchio di ripresa. Essi tuttavia influiscono sulla lettura dell’oggetto dello schermo A in quanto lo “colorano”, cioè, come abbiamo affermato nel commento al sutra 1, ne determinano il significato. Nello stato di consapevolezza, l’attenzione è focalizzata sullo schermo B (primo stadio: consapevolezza della reazione emotiva, cioè del contesto percettivo) oppure sullo schermo C (secondo stadio: consapevolezza dell’immagine dell’Io, cioè del soggetto percipiente). Ciò non significa che lo schermo A non venga percepito, ma viene percepito per così dire sfuocato. Prendiamo adesso in considerazione il centro di identificazione del soggetto nella nostra rappresentazione. Esso è di estrema importanza perché è quello che determina precisamente lo stato percettivo del soggetto, dallo stato comune della percezione ordinaria allo stato di consapevolezza (illuminazione), allo stato di autopercezione o percezione estatica. Vale qui la legge psicologica scoperta implicitamente dalla psicologia yogica ma ripresa ed esplicitata nella psicosintesi di Assagioli 73 : noi siamo dominati da ciò con cui ci identifichiamo ma dominiamo ciò con cui non ci identifichiamo. Il centro di identificazione del soggetto risulta situato nello “schermo” immediatamente sovrapposto a quello su cui è focalizzata l’attenzione. Nello stato comune della percezione ordinaria, in cui l’attenzione è focalizzata sullo schermo A, il centro di identificazione del soggetto è situato in corrispondenza dello schermo B: infatti il soggetto si identifica con la propria reazione emotiva (contesto percettivo), è totalmente preso da essa. Nel primo stadio dello stato di consapevolezza, in cui l’attenzione è focalizzata sullo schermo B, il centro di identificazione del soggetto è situato in corrispondenza dello schermo C: infatti il soggetto si identifica con il proprio Io ma osserva la propria reazione emotiva con distacco. Nel secondo stadio dello stato di consapevolezza, in cui l’attenzione è focalizzata sullo schermo C, il centro di identificazione del soggetto è situato in corrispondenza dello schermo D: infatti il soggetto non si identifica più con il proprio Io ma con la stessa percezione. Immagine dell’Io (schermo C), reazione emotiva (schermo B), e oggetto percepito (schermo A), sono ancora percepiti ma il soggetto 73 Cfr. R.ASSAGIOLI, Psychosynthesis. A manual of principles and techniques, Dormann & C., New York 1965; trad. it. Principi e metodi della psicosintesi terapeutica, Astrolabio, Roma 1973.

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non si identica più con alcuno di essi, in particolare non si identifica più con l’Io (soggetto percipiente ordinario), quindi viene meno nello stato di illuminazione l’assoggettazione al processo percettivo ordinario con il suo condizionamento spazio-temporale (cfr. sutra 168) e il dualismo soggetto-oggetto (cfr. sutra 166): oggetto della percezione è lo stesso processo percettivo (cfr. sutra 168). Lo stato di illuminazione “costituisce la modalità estrema della percezione ordinaria” (sutra 168). Al di là di questo stato c’è la percezione estatica: in essa gli schermi A, B e C si dissolvono, la percezione non ha più alcun oggetto esterno a se stessa, si riflette su stessa, si autoriflette cioè, è un’autopercezione, si presenta come semplice percezione di esistenza come percezione: è la trance. Il soggetto ha il controllo completo della dinamica percettiva che ha ridotto all’essenziale e percepisce se stesso come percezione impersonale: l’impersonalità è una caratteristica della trance estatica (cfr. sutra 173). Lo stato di “consapevolezza”, ossia il processo psichico di spostamento del centro di autoidentificazione dal piano B al piano C al piano D del nostro modello, è un fenomeno ordinario, non limitato allo stato straordinario dell’”illuminazione”. Lo stato di illuminazione costituisce uno stato straordinario soltanto in merito alla durata di tale processo. Non è un’esperienza straordinaria infatti, per quanto eccezionale, il divenire consapevoli del proprio stato emotivo o della propria autoimmagine in una determinata situazione; abitualmente però tale esperienza si presenta come un flash, ha cioè una durata brevissima o comunque temporanea, mentre nello stato di illuminazione essa presenta una durata costante, è “uno stato ininterrotto di consapevolezza” (sutra 166), e quindi dà luogo ad una permanente estraneazione del soggetto dal proprio vissuto. Possiamo dire che lo stato di illuminazione consiste nella fissazione dello stato di consapevolezza, ossia nell’assunzione permanente di tale stato. Poiché lo stato di consapevolezza non è uno stato di trance, ma anzi di presenza particolare nella percezione ordinaria, dove l’oggetto della percezione ordinaria (nell’esempio fatto, il cavallo) non viene meno, dobbiamo dire che lo stato di consapevolezza fa parte della percezione ordinaria, anche se ne costituisce la “modalità estrema” (cfr. sutra 168). La consapevolezza consiste dunque nell’attivazione di una specifica funzione psichica, quella dell’oggettivazione della dinamica percettiva, in cui il soggetto assume il ruolo dell’osservatore nei confronti della propria stessa percezione. La consapevolezza costante e quindi lo stato

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di illuminazione costituisce uno stato psichico fondamentale nell’itinerario verso la percezione estatica, pur non concidendo con essa: è propriamente uno stato psichico concomitante alla percezione estatica, in quanto la precede o la segue; è lo stato percettivo che il soggetto assume immediatamente prima o dopo la trance estatica, è la porta di accesso e di uscita da essa. Lo stato di illuminazione costituisce, come è noto, l’obiettivo precipuo del Buddhismo; l’assunzione dello stato di consapevolezza assume quindi un’importanza centrale in tale disciplina, costituendo la modalità fondamentale della sua principale tecnica meditativa, la Vipassana. 167 (III, 54) Dalla consapevolezza propria dello stato di illuminazione si ottiene la capacità di riconoscere gli eventi identici nonostante le differenze dei particolari, del contesto e della collocazione. Nella realtà vi sono, secondo la psicologia yogica, molti eventi essenzialmente identici nella loro struttura logica, che tuttavia vengono considerati fenomenicamente differenti fra loro a causa dei diversi particolari, del diverso contesto ambientale e della loro diversa collocazione spazio-temporale. La conoscenza di tale identità avviene in seguito all’attivazione del processo di oggettivazione della dinamica percettiva, ossia della consapevolezza, che trascendendo la dimensione spaziotemporale (cfr. sutra 168) e quindi le differenze ambientali coglie la comune struttura logica degli eventi e dunque li riconduce alla loro essenziale identità. 168 (III, 55) La consapevolezza propria dello stato di illuminazione trascende la dimensione spazio-temporale, non è soggetta al processo percettivo e costituisce la modalità estrema della percezione ordinaria. Nello stato di illuminazione, caratterizzato dalla percezione intuitiva o gnosi (cfr. sutra 169 e 114), il soggetto assume la consapevolezza che la temporalità costituisce una modalità della percezione ma non attiene all’”osservatore” della dinamica percettiva con il quale egli si è identificato, ossia alla stessa consapevolezza in quanto percezione non soggetta a cambiamenti e quindi non soggetta alla dimensione spaziotemporale ed allo stesso processo percettivo sequenziale. E’ questa dello stato di illuminazione, come afferma questo sutra, una modalità estrema della percezione ordinaria: oltre di essa vi è il vuoto mentale, la trance, l’autopercezione. Vedi anche il sutra 155 e il commento relativo.

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169 (II, 27) Il settimo grado dell’illuminazione è la gnosi. Per “gnosi” si intende un processo continuo di percezioni intuitive (per la definizione di quest’ultime, vedi il commento al sutra 69). «Molte sciocchezze sono state scritte da parte di diversi commentatori per spiegare questo sutra. E’ del tutto naturale che il processo per conseguire la piena illuminazione debba essere graduale e percorso per fasi. Ma identificare tali mutamenti trascendenti della coscienza con il processo ordinario del pensiero, come alcuni studiosi hanno fatto, è del tutto assurdo. Meglio sarà lasciare il problema qual’è, come un problema cioè di esperienze trascendenti che non sono interpretabili nei termini dei processi intellettivi.» 74. 170 (II, 15) Soltanto l’illuminato, è consapevole che nella percezione ordinaria vi è tensione a causa della sua stessa energia cinetica, della tensione registrata nelle tracce mnestiche, e del conflitto esistente fra le forme fondamentali dei fenomeni. La consapevolezza propria dello stato di illuminazione, ossia lo stato permanente di consapevolezza, possiede un’altra caratteristica precipua: l’assenza della tensione, derivante dalla disidentificazione con l’Io, il permanente oggetto potenziale di aggressioni ambientali. Il soggetto non si identifica più con l’Io ma con l’ipotetico osservatore impersonale della dinamica psichica o più propriamente con lo stesso stato di consapevolezza. Tale identificazione presenta un connotato di staticità, di immutabilità: si tratta di una staticità ed immutabilità emotiva, di uno stato di equanimità. Lo stato di equanimità diviene centrale, nel vissuto del soggetto, che trova così un suo centro di identificazione univoco ed unitario, non più sottoposto alle continue variazioni e all’instabilità emotiva della percezione ordinaria. Egli diviene tuttavia consapevole della tensione persistente nella percezione Il flusso continuo di pensieri, di per sé, indipendentemente dal loro oggetto, è generatore di tensione, in quanto essendo manifestazione di un’energia cinetica (elettrica: il grado di potenziale acquistato dalle cellule cerebrali) tende a coinvolgere tutto l’organismo in un movimento (che si traduce in secrezione di adrenalina), come sperimenta facilmente chi non riesce a prendere sonno per l’intensa attività mentale. 74

TAIMNI, op. cit., p. 190.

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Ogni traccia mnestica di percezione o comportamento accompagnato da tensione registra ovviamente anche tale tensione, la quale costituisce una spinta alla riproduzione percettiva della stessa traccia. Ecco perché spesso la percezione è costituita dalla riproduzione di tracce mnestiche accompagnata da tensione, ossia da pensieri di paura o desiderio. La tensione, se non sciolta, si ripropone alla percezione in misura tendenzialmente ossessiva: è questa la genesi della nevrosi. Esiste un conflitto costituzionale naturale e irrisolvibile fra le forme fondamentali dei fenomeni (materia, azione e cognizione: cfr. il commento al sutra 6), come è stato posto in rilievo anche nella cultura occidentale (vedi la distinzione cartesiana fra “res extensa” e “res cogitans”): esse non possono risolversi l’una nell’altra ma rimangono sostanzialmente distinte. Il desiderio dell’essere umano (che partecipa di tutte tre le forme) di farle coincidere in un’unica manifestazione (si pensi soltanto all’impulso frequente di trasformare immediatamente il pensiero in azione o l’azione in materia), non potendo trovare in alcun modo soddisfazione, crea un contesto di tensione nella percezione.

L'autopercezione 171 (III, 36) Nella percezione ordinaria non vi è distinzione fra pensiero ed autopercezione, sebbene in quest’ultima essi risultino perfettamente distinti; esercitando il Samyama Yoga sull’introspezione, si realizza l’autopercezione. Il pensiero è ordinariamente considerato la forma più astratta ed evoluta della percezione. Lo Yoga dimostra che questo titolo va invece attribuito all’autopercezione, la quale costituisce uno stato percettivo nettamente distinto dallo stato percettivo ordinario del pensiero. Ordinariamente si è incapaci di fare distinzione fra pensiero ed autopercezione, ovviamente per la mancanza dell’esperienza dell’autopercezione. Con l’esperienza dell’autopercezione, la distinzione fra pensiero ed autopercezione diventa evidente. L’esercizio del Samyama Yoga sull’introspezione consiste nell’assunzione dei proprî stessi processi psichici come oggetto di concentrazione (Dharana) e di contemplazione (Dhyana).

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172 (III, 50) Soltanto nella consapevolezza della distinzione fra pensiero ed autopercezione si ottiene la conoscenza ed il controllo di tutte le forme della percezione. La “consapevolezza della distinzione fra pensiero ed autopercezione” fa parte della consapevolezza propria dello stato di illuminazione. Infatti “il controllo di tutte le forme della percezione” si ottiene soltanto in seguito all’eliminazione del dualismo soggetto-oggetto (cfr. sutra 166) ed alla non assoggettazione al processo percettivo (cfr. sutra 168). 173 (IV, 18) L’autopercezione, in quanto comporta sempre l'impersonalità, comporta sempre la percezione della dinamica percettiva ed il suo controllo. L’autopercezione comporta la stessa spersonalizzazione e la stessa percezione della dinamica percettiva riscontrati nello stato di illuminazione (cfr. il commento ai sutra 166 e 168), che evidentemente non vengono meno con l’instaurazione dello stato di trance, almeno nella sua fase iniziale. Ciò che cambia dallo stato di illuminazione (che è una modalità speciale della percezione ordinaria) allo stato di autopercezione, è la presenza nella percezione di un oggetto esterno ad essa (un oggetto materiale o un oggetto mentale), che è sempre presente nello stato di illuminazione ma che viene a mancare, sia pure senza continuità, nello stato di autopercezione. La percezione di impersonalità e la percezione della stessa dinamica percettiva permangono dunque nello stato di illuminazione e nello stato estatico ma in quest’ultimo si ha un più completo controllo della dinamica percettiva in quanto si ha la riduzione della percezione alla sola percezione di autoesistenza (autopercezione). 174 (IV, 20) Non si può avere simultaneamente percezione ordinaria ed autopercezione. L’autopercezione è infatti per definizione uno stato percettivo che si differenzia dalla percezione ordinaria. 175 (IV, 22) L’autopercezione si attua in seguito alla percezione costante di uno stesso oggetto. La percezione costante di uno stesso oggetto costituisce la pratica della contemplazione o Dhyana. Il Dhyana è considerato quindi una pratica fondamentale, per l’accesso al Samadhi e quindi all’autopercezione: non per nulla l’intero Yoga è stato tramandato in Cina e in Giappone

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rispettivamente con il nome di Ch’an e di Zen, che derivano dal termine Jhan, versione Pali di Dhyana. 176 (IV, 25) Con la permanenza dell’autopercezione si ha il dissolvimento delle distinzioni istituite dal soggetto percipiente; Il “soggetto percipiente” è l’Io, la cui percezione è presente nella percezione ordinaria. Al dissolvimento della percezione dell’Io segue ovviamente il dissolvimento delle distinzioni da esso istituite. Queste (vedi anche sutra 95) sono la distinzione fra soggetto percipiente, oggetto percepito e contesto percettivo e la distinzione fra sensazione, pensiero ed emozione (forme fondamentali della percezione: vedi sutra 10). Ma poiché abbiamo visto che il dissolvimento dell’Io e quindi del dualismo soggetto-oggetto e quindi della distinzione fra soggetto percipiente, oggetto percepito e contesto percettivo è già un risultato dello stato di illuminazione (cfr. il commento al sutra 166), ne deriva che la distinzione che viene propriamente eliminata nello stato di autopercezione è quella fra le forme fondamentali della percezione (sensazione, pensiero ed emozione) e questo perché in effetti la percezione viene ridotta ad un’unica forma, quella di percezione di esistenza come percezione. 177 (IV, 26) allora la percezione, di per sé tendente alla differenziazione, si trasforma in percezione estatica. Questo sutra, insieme con il precedente, sembra istituire una distinzione tecnica fra autopercezione e percezione estatica su questa base: che nell’autopercezione non si avrebbe ancora il dissolvimento totale delle distinzioni istituite dal soggetto percipiente, mentre tale dissolvimento si attuerebbe completamente nella percezione estatica. Si tratta, come esposto esplicitamente nel sutra 191, delle tre forme ordinarie della percezione (sensazione, pensiero, emozione): infatti nel sutra 178 si dichiara che prima della trasformazione definitiva in percezione estatica «si hanno ancora oggetti derivanti dalla riproduzione automatica delle tracce mnestiche». La distinzione è puramente tecnica. Praticamente viene distinto un primo stadio in cui il processo di autoriflessione della percezione inizia ma non è ancora completo (autopercezione), ed un secondo stadio in cui esso è completo e definitivo (percezione estatica). Essenzialmente, tuttavia, autopercezione e percezione estatica coincidono. Nel sutra 92 non si fa infatti alcuna distinzione essenziale fra essi.

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178 (IV, 27) Durante tale trasformazione, si hanno ancora oggetti della percezione derivanti dalla riproduzione automatica delle tracce mnestiche. L’autopercezione è dunque il processo iniziale dell’autoriflessione della percezione, in cui si hanno ancora, sia pure sporadicamente, oggetti esterni alla percezione, cioè rappresentazioni, sia pure astratte o intuitive. 179 (I, 28) La ripetizione costante del pranava OM e la meditazione sul suo significato Vedi sutra 103. Il significato del pranava è quello di cosmicità o di divinità cosmica o comunque di trascendenza. 180 (I, 29) portano alla rimozione degli ostacoli al raggiungimento dell’autopercezione. Tecnicamente, quindi, la ripetizione costante del pranava OM nello stato di illuminazione porta all’instaurazione dello stato di autopercezione. 181 (I, 30) Gli ostacoli che impediscono il raggiungimento dell’autopercezione sono: la malattia, l'apatia, il dubbio, la negligenza, l'indolenza, il desiderio, il pensiero illusorio, l’impersistenza, l’instabilità, la distrazione. 182 (I, 31) Le manifestazioni della distrazione sono il dolore, la depressione, il nervosismo e l'ansia. Si intende la distrazione della percezione dalla propria autoriflessione. 183 (I, 32) Per eliminare la distrazione, occorre concentrarsi intensamente su un unico oggetto. Si tratta della metodica Dharana: vedi sutra 87. 184 (I, 33) La concentrazione è favorita dalla pratica dell'amore, della compassione, della letizia e dell'indifferenza nei confronti dei piaceri, dei dolori, delle virtù e dei vizi. In altri termini, la concentrazione è favorita dall’equilibrio e dalla serenità interiore, ossia dal distacco (mancanza di tensione) dagli accidenti mentali e reali. Cfr. sutra 159.

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185 (I, 34) La concentrazione è favorita anche dall'emissione e dalla sospensione del respiro. La metodica del Dharana utilizza cioè la metodica del Pranayama (per quest’ultima, cfr. sutra 80-81). 186 (I, 35) La concentrazione è favorita inoltre dalle percezioni sensoriali autoindotte, Le “percezioni sensoriali autoindotte” sono quelle autoindotte, secondo la tradizione yogica, dalla concentrazione mentale su alcune parti del corpo (la concentrazione sulla punta del naso, ad esempio, darebbe luogo alla percezione autoindotta di profumi; sulla punta della lingua, a sapori; sul punto mediano della lingua, a contatti; sulla radice della lingua, a suoni, e così via 75. 187 (I, 36) dagli stati di coscienza lucida e distaccata, E’ probabilmente un riferimento alla gnosi (per la sua definizione, cfr. sutra 97). 188 (I, 37) dall’assumere come oggetto della concentrazione un illuminato, Cfr. sutra 154. 189 (I, 38)

dallo stato ipnotico,

190 (I, 39) ed infine dall'esercizio intenzionale del Dhyana. Per la definizione di Dhyana vedi sutra 88.

La percezione estatica 191 (IV, 34) La percezione estatica, o Kaivalya, conclusione dell’autopercezione, è quello stato della percezione in cui non sono più presenti le sue tre forme ordinarie: essa costituisce il fondamento o la modalità essenziale della percezione, liberata definitivamente da qualsiasi oggetto esterno a se stessa.

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Cfr. il commento di BHOJA riportato in MAGNONE, op. cit., pp. 50-51.

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Kaivalya significa “isolamento” o “trance”. Nella percezione estatica la diversificazione delle forme ordinarie della percezione viene meno; la percezione assume quindi il grado indifferenziato (cfr. sutra 10). In pratica, con l’eliminazione della sensazione e dell’emozione, l’unica tipologica percettiva rimane il pensiero nelle sue speciali modalità astratta e intuitiva (cfr. sutra 110, 113, 114); anch’esso poi si dissolve nella percezione estatica. In essa non vi è più alcun oggetto esterno alla stessa percezione: la percezione si riflette in se stessa in un gioco infinitamente speculare. In pratica il soggetto percepisce la sola percezione di esistenza in quanto percezione: è divenuto la stessa percezione, si identifica totalmente con essa. 192 (III, 51) Con l'eliminazione totale dell’oggetto esterno alla percezione si ha il superamento anche della distinzione fra pensiero ed autopercezione e quindi la percezione estatica. Abbiamo visto nel sutra 171 che la distinzione fra pensiero, o meglio percezione dotata di un oggetto esterno a se stessa, ed autopercezione o percezione priva di un oggetto esterno a se stessa, è una caratteristica dell’autopercezione: l’esperienza dell’autoriflessione della percezione, in presenza ancora di sporadiche rappresentazioni, evidenzia ovviamente la differenza fra stato di totale assenza di oggetti esterni alla percezione (autopercezione) e presenza di essi (pensiero). Nella percezione estatica, la fase finale dell’autoriflessione della percezione, anche tale distinzione si dissolve, in quanto non si ha più percezione dotata di oggetto esterno a se stessa e quindi non si ha più alcun termine di paragone: la percezione si riflette in se stessa in un infinito vuoto speculare. 193 (III, 56) Nella percezione estatica non vi è distinzione fra pensiero ed autopercezione. L’assenza di distinzione fra pensiero ed autopercezione che si realizza nella percezione estatica è diversa dall’assenza di distinzione fra pensiero ed autopercezione esistente nella percezione ordinaria (cfr. sutra 171): in quest’ultima essa è dovuta alla mancanza dell’esperienza dell’autopercezione; nella percezione estatica, invece, essa è dovuta all’assenza del pensiero, ossia all’assenza nella percezione di qualsiasi oggetto esterno a se stessa.

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194 (II, 22) Nella percezione estatica viene eliminata la percezione del soggetto percipiente, che invece è presente in tutte le percezioni ordinarie. 195 (II, 25) La percezione estatica è quella percezione in cui è assente la percezione del soggetto percipiente e quindi il dualismo soggetto-oggetto. Cfr. sutra 3.

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La teoria psicologica degli Yoga Sutra

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La teoria Gli Yoga Sutra costituiscono, oltre che l’esposizione di una tecnica psicofisica, anche l’esposizione di una teoria psicologica, sia pure essenziale. Esporrò qui di seguito secondo un ordine logico coerente le proposizioni di tale teoria, che si possono evincere dagli Yoga Sutra. I numeri fra parentesi indicano i sutra dai quali esse sono evinte, riferiti alla lettura psicologica più sopra riportata. 1 La percezione presenta due modalità fondamentali: la percezione ordinaria e la percezione estatica; essa tende alla prima. (16, 17, 191, 177) 2 La percezione ordinaria è differenziata. (40) 3 Nella percezione ordinaria vi è percezione del tempo e dello spazio a causa della sua differenziazione. (27) 4 Ogni percezione ordinaria viene registrata mediante una traccia mnestica. (26) 5 Vi sono anche tracce mnestiche genetiche (ereditarie). (28) 6 Le percezioni ordinarie costituiscono in parte la reazione a stimoli ambientali, in parte la reazione a stimoli dovuti alla riproduzione di tracce mnestiche. (11, 15) 7 Le percezioni ordinarie, sebbene differenziate, si presentano in una sequenza continua, in quanto associate fra loro mediante collegamenti mnestici. (15) 8 Nella percezione ordinaria è sempre presente la percezione di un soggetto, di un oggetto e di un contesto emotivo. (1) 9 Il soggetto o Io è percepito come il referente della sequenza delle percezioni ordinarie. (2, 38, 39, 40) 10 L’Io consiste in un’immagine determinata dalla riproduzione di un insieme di tracce mnestiche. (2, 15, 31, 32) 11 Gli oggetti della percezione ordinaria presentano tre forme: materia, azione, cognizione; ad esse corrispondono tre forme di percezione ordinaria: sensazione, emozione, pensiero. (6, 10) 12 Le forme della percezione ordinaria costituiscono rappresentazioni di oggetti concreti reali. (11, 12, 13, 14) 13 La differenziazione delle forme della percezione ordinaria dipende dalla diversità dei processi percettivi. (7)

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14 La sensazione consiste nel processo di reazione agli stimoli ambientali. (11, 106) 15 Il pensiero consiste nel processo di riproduzione delle tracce mnestiche. (106) 16 L’emozione consiste nel processo di formazione della tensione in seguito alla riproduzione delle tracce mnestiche. (25, 31) 17 Le forme della percezione ordinaria presentano quatro gradi: particolare, universale, differenziato, indifferenziato. (10) 18 La presenza e il significato di un determinato oggetto nella percezione ordinaria dipende dal contesto emotivo. (5) 19 Il contesto emotivo viene determinato dalla riproduzione delle tracce mnestiche, cioè dall’istinto di sopravvivenza in funzione dell’immagine dell’Io. (25, 32, 33) 20 Il contesto emotivo determina il grado di tensione presente nella percezione. (18, 31) 21 La tensione è causata anche dell’energia cinetica e dalla differenziazione della stessa percezione ordinaria. (170) 22 La percezione estatica si presenta come una percezione unica indifferenziata di autopercezione. (93, 173, 191) 23 Nella percezione estatica non è presente la percezione del soggetto, dell’oggetto e del contesto emotivo. (49, 50) 24 La percezione estatica non presenta le tre forme della percezione ordinaria. (93, 191) 25 Nella percezione estatica non è presente la percezione del tempo e dello spazio. (102, 168) 26 Nella percezione estatica non si ha riproduzione di tracce mnestiche. (17, 100, 112, 118) 27 Nella percezione estatica non vi è tensione. (100, 126) 28 La percezione estatica si attua o spontaneamente, o nella gnosi, o nell’estasi mistica, o in seguito alla pratica dello Yoga. (96, 97, 99, 46, 47) 29 La gnosi consiste nella percezione intuitiva. (114) 30 L’estasi mistica consiste nella percezione intuitiva olistica in cui vi è assenza di tensione, e quindi parzialmente di riproduzione di tracce mnestiche, e trascendimento della dimensione temporale. (100, 101, 102) 31 In seguito alla pratica dello Yoga la percezione estatica si attua scientificamente mediante l’inibizione progressiva della percezione ordinaria. (46, 56, 104, 131)

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32 Durante il processo yogico di attuazione della percezione estatica si hanno percezioni paranormali fra cui intuizioni sensoriali e percezioni extrasensoriali. (69, 72, 134, 136) 33 Le percezioni paranormali sono processi percettivi naturali. (138) 34 Le percezioni paranormali si attuano, oltre che in seguito alla pratica dello Yoga, o spontaneamente, o con l’uso di droghe, o nell’estasi mistica. (137) 35 Vi è uno stato percettivo contiguo alla percezione estatica ma rientrante nella percezione ordinaria, in cui non si ha percezione del tempo e dello spazio e vi è eliminazione della tensione: è detto stato di illuminazione. (168, 30, 45)

Analisi della teoria Analizziamo in dettaglio la teoria riportata. Già la scoperta della trance estatica e la sua contrapposizione alla percezione ordinaria costituisce indubbiamente un risultato scientifico di una certa rilevanza, anche se non di portata universale, data la straordinarietà dell’esperienza estatica. Questa è definita dalla psicologia yogica la modalità essenziale della percezione e quella in cui si realizza il maggiore benessere possibile per l’essere umano: è quindi evidente la centralità assunta dalla percezione estatica in questa psicologia. Non meno interessante tuttavia per una psicologia generale è l’analisi della percezione ordinaria. L’identificazione della causa della scansione temporale della percezione nella sua differenziazione sequenziale parrebbe sottendere una fenomenologia idealistica che attribuisce tale scansione alla percezione e non alla realtà. Ma la fenomenologia yogica è indubbiamente realistica: la realtà degli oggetti concreti è dichiarata esplicitamente e ciò comporta anche la loro spazialità e la loro temporalità. Ciò che si afferma nella psicologia yogica è dunque che la percezione dello spazio e del tempo è limitata alla percezione ordinaria ed è dovuta alla differenziazione ed alla sequenzialità di quest’ultima. Essa non è presente invece nella percezione estatica, dove differen-

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ziazione e sequenzialità vengono eliminate. Capitale è la scoperta della funzione mnestica e di rilevante interesse anche la scoperta di una memoria genetica. La psicologia yogica si pone così al riparo da estremismi innatistici ed empiristici. Ai dati mnestici ereditati geneticamente (i cosiddetti istinti, e fra essi il più importante, il cosiddetto istinto di sopravvivenza, cioè il programma fondamentale di condizionamento alla reazione tensiva e quindi all’azione a fronte di un’aggressione) si aggiungono i dati mnestici accumulati nel corso dell’esistenza. Essi insieme formano una rete di condizionamenti che determina sia il comportamento che la percezione. In altri termini la nostra memoria determina il nostro vissuto, cioè la nostra modalità di lettura e quindi di reazione agli eventi esteriori ed interiori (sensazione e pensiero). Infatti la percezione, essenza del nostro vissuto, è indissolubilmente legata alla funzione mnestica: alla sensazione, percezione degli eventi esteriori, si sovrappone il pensiero, percezione delle tracce mnestiche. E’ evidente che ci troviamo di fronte alla scoperta dell’inconscio. E’ appunto la memoria inconscia, infatti, insieme con l’esperienza attuale, che determina il vissuto psichico. La legge karrmica è precisamente l’enunciazione della teoria dell’incoscio e quest’ultimo ha persino un nome proprio, nella psicologia yogica: karmasaya 76. «Il termine significa letteralmente il deposito, o meglio il luogo ove i karma (“esperienze”: N.d.R.) ‘dormono’. Karmasaya, ovviamente, fa riferimento a quel veicolo contenuto nella nostra costituzione intima che serve come ricettacolo di tutti i samskara, o impressioni risalenti ai nostri pensieri, desideri, sentimenti ed azioni (cioè le “tracce mnestiche”: N.d.R.).» 77 La differenziazione della percezione nei tre tipi della sensazione, del pensiero e dell’emozione, è forse banale, anche se è certamente fondamentale per una psicologia istituzionale. Meno banale è invece l’affermazione che tale differenziazione corrisponde ad una differenziazione fisiologica dei processi percettivi. 76

Cfr. Yoga Sutra, II, 12.

77

TAIMNI, op. cit., pp. 151-152.

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Poiché non abbiamo ulteriori particolari su questa ipotesi, possiamo tentare di ricostruirla sulla base degli elementi contenuti nel testo. Essa sembrerebbe configurarsi come una differenziazione di processi reattivi condizionati: il pensiero viene definito come reazione agli stimoli mnestici; possiamo dedurre che la sensazione consiste in una reazione agli stimoli ambientali. Ma come si forma il pensiero in questa teoria? Evidentemente dalla sensazione. E’ la stessa sensazione, base iniziale della percezione, che registrandosi in memoria in insiemi simili dà luogo ad una loro sintesi logica, ossia alla loro astrazione concettuale, la quale è evidentemente istituita su base analogica, ossia sull’isolamento degli elementi comuni. Il collegamento logico istituito fra le percezioni, che costituisce la base dinamica del nostro pensiero, altro non è dunque che un collegamento mnestico su base analogica. «Le percezioni ordinarie si presentano in una sequenza continua in quanto associate fra loro mediante innumerevoli collegamenti mnestici.» (sutra 15). Infatti è proprio soltanto in seguito all’inibizione della sensazione (Pratyahara), che si ottiene l’inibizione del pernsiero astratto (Samadhi): il loro rapporto consequenziale non è soltanto logico, ma anche funzionale. Più problematica è la definizione dell’emozione. L’enunciazione che essa consiste nel processo di formazione della tensione in seguito alla riproduzione delle tracce mnestiche corrisponde all’enunciazione che essa costituisce la reazione del programma fondamentale di sopravvivenza ad una aggressione, che si traduce nella creazione di uno stato di tensione consistente in contrazioni muscolari percepite dal soggetto sotto forma di “sensazioni interne”. Si tratta quindi di un comportamento percepito dallo stesso soggetto. E’ evidente inoltre che l’emozione, proprio in quanto comportamento, consiste in una reazione agli stimoli mnestici, ma necessariamente anche agli stimoli ambientali: si genera quindi in presenza sia della sensazione che del pensiero. Possiamo definire quindi, in quest’ipotesi, l’emozione come la reazione agli stimoli ambientali ed agli stimoli mnestici congiunti. La centralità dell’emozione nel processo percettivo è giustamente sottolineata dalla psicologia yogica, la quale giunge ad affermare,

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non senza fondamento, che la stessa presenza di un oggetto nella percezione è determinata dal contesto emotivo. Infatti è proprio la funzione assunta dall’oggetto in ordine alla sopravvivenza e più in generale al benessere del soggetto che determina il grado di tensione e quindi di interesse del soggetto per quell’oggetto. Esso entra quindi nel campo di ossservazione o attenzione del soggetto e diviene oggetto della sua percezione. Codesta osservazione non priva di un suo acume implica la scoperta di una funzione fondamentale, per lo psichismo umano: la concentrazione dell’attenzione. Poiché le metodiche Dharana e Dhyana consistono proprio nella concentrazione dell’attenzione su un unico oggetto, al punto da farlo divenire esclusivo nella percezione, non si può non dedurre che tale scoperta era stata effettuata dalla psicologia yogica, anche se la sua enuciazione non vi è esplicitata. La concentrazione dell’attenzione, che come altri processi fisiologici umani può essere sia involontaria che volontaria, è alla base non soltanto della dinamica yogica, ma dell’intero psichismo umano. E’ appunto mediante questo processo, infatti, che l’essere umano costruisce la propria esperienza e la propria conoscenza. Esso è un processo caratteristico della mente umana (e probabilmente anche di quella animale) e ne condiziona la modalità conoscitiva. Non a caso infatti Descartes ha enunciato il principio che la conoscenza umana avviene mediante la rappresentazione di “oggetti chiari e distinti”. La concentrazione dell’attenzione può divenire, come è evidente, un mezzo di conquista e di crescita come di isolamento e di autodistruzione. E’ attraverso la concentrazione dell’attenzione infatti che l’essere umano si difende dall’ambiente e lo controlla approfondone ed ampliandone la conoscenza; ma è anche attraverso la concentrazione dell’attenzione che l’essere umano si isola dall’ambiente e quindi ne perde il controllo. Facendo uso di questa fondamentale e potentissima funzione, evidentemente ben conosciuta dalla psicologia yogica, lo Yoga elimina lo stato permanente di tensione insito nella condizione umana individuale. La concentrazione dell’attenzione su di un oggetto neutro o positivo

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per la sopravvivenza del soggetto conduce al disinserimento del suo sistema d’allarme, la tensione. La stessa funzione della concentrazione dell’attenzione che è causa della formazione della tensione viene quindi utilizzata per la sua eliminazione. E’ rilevante, l’affermazione che il grado della tensione è determinato dal contesto emotivo, ossia dalla reazione soggettiva. Ciò implica che il grado di pericolosità attribuito ad un oggettto da parte dell’individuo umano non corrisponde al grado di pericolosità reale di quell’oggetto per lo stesso individuo umano, bensì ad un’ipotesi concettuale che l’individuo umano costruisce su base mnestica nei riguardi di quell’oggetto. Il grado della tensione è determinato dunque dal pensiero e in ultima istanza dalla memoria. Questa scoperta della psicologia yogica è collegata con l’importantissima teoria della sofferenza. L’estensione del concetto di sofferenza dal dolore allo stato pressocché permanente di malessere dovuto all’atteggiamento di allerta nei confronti di possibili aggressioni, che nell’essere umano abbiamo visto essere non soltanto esogene ma anche e soprattutto endogene, implica la definizione della stessa sofferenza, o meglio dello stato di malessere, come tensione. La tensione, nei suoi moltissimi gradi dal disagio all’intenso dolore fisico o psichico, è considerata dalla psicologia yogica il leit motiv dell’esistenza umana, la sua condizione esistenziale permanente derivante dall’identificazione con l’Io. L’Io individuale, proprio in quanto individuo, cioè parte separata e distinta, diversa, dall’ambiente, è permanentemente soggetto ad aggressioni da parte dell’ambiente, come azioni di rigetto nei confronti di un corpo estraneo, che minacciano il suo benessere, la sua incolumità, la sua stessa sopravvivenza. Da qui il suo continuo stato di allerta, cioè di tensione. L’attribuzione alla stessa dinamica percettiva sequenziale e differenziata di un’energia cinetica generativa di tensione è un’annotazione degna di figurare nella moderna neuroscienza. Noi ora sappiamo che la tensione consiste non soltanto in una contrazione muscolare e quindi nell’assunzione di potenziale elettrico da parte delle cellule muscolari, ma anche nell’assunzione di potenziale elettrico da parte delle cellule neuronali del sistema nervoso e

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dell’encefalo con esse collegate. I dati in nostro possesso indicano con molta probabilità che la percezione ha a che fare con l’assunzione di potenziale elettrico da parte delle cellule neuronali. Quindi la percezione stessa è una forma di tensione. Il vissuto soggettivo conferma questa ipotesi: ad un’intensa attività mentale corrisponde un grado rilevante della tensione, che impedisce ad esempio il sonno. La tensione è vissuta dal soggetto come malessere. Un malessere finalizzato all’azione come processo liberatorio. La logica fisiologica del piacere e del dolore è dunque utilizzata dalla natura per muovere l’organismo vivente all’azione. Ma cosa sono, sul piano fisiologico, il piacere ed il dolore, se non uno stato omeostatico di assenza di tensione ed uno stato critico di presenza di tensione? Il piacere è dunque semplicemente assenza di tensione. Il massimo piacere possibile è la totale assenza di tensione. Ed è appunto questo massimo piacere, l’assenza totale della tensione, l’obiettivo dello Yoga. Essendo l’identificazione con l’Io la causa fondamentale della tensione, sarà quindi l’eliminazione di tale identificazione il mezzo tecnico che condurrà al massimo piacere possibile. Ed infatti nella trance estatica viene attuata l’eliminazione della percezione dell’Io e quindi dell’identificazione del soggetto con esso. Ma quale processo psichico dà luogo alla percezione dell’Io e quindi dell’identificazione del soggetto con esso? La risposta è, per la psicologia yogica, evidente: il pensiero. Il pensiero è dunque la causa della costruzione e quindi della percezione dell’Io, dell’identificazione del soggetto con esso, nonché della formazione di una gran parte della tensione esistenziale, segnatamente di quella endogena. Il pensiero è quindi il fondamento del vissuto soggettivo dell’homo sapiens, e più precisamente dell’essere umano civilizzato. Centrale, per tutto il vissuto soggettivo dell’essere umano è dunque il primo prodotto spontaneo del pensiero: l’Io. L’influenza buddhista (segnatamente della scuola Abhidharma) nella teoria yogica dell’Io, se è evidente, è anche coerente con la teoria psicologica generale della tradizione yogica. La centralità assunta dalla percezione estatica in questa psicologia

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non può non comportare il destituimento di fondamento ontologico alla percezione dell’Io, che risulta del tutto assente in tale percezione. L’Io è quindi ridotto alla sua essenzialità: nient’altro che una percezione. Ed ovviamente una percezione costruita su base mnestica, visto che si tratta di un concetto e non di una sensazione. Precisamente l’Io è l’immagine che noi ci costruiamo in seguito alla sintesi concettuale o meglio intuitiva di tutte le nostre esperienze memorizzate. Abbiamo quindi che non soltanto tale immagine è continuamente rinnovata dalle nuove esperienze, ma anche che ambiti diversi di esperienza possono dare luogo a diverse immagini dell’Io. 78 In sostanza l’Io consiste nella nostra memoria. I noti casi di amnesia totale, in cui i soggetti perdono, insieme con la memoria, anche la conoscenza della propria identità, non fa che confermare questa teoria. La psicologia yogica non nega né la naturalità né la spontaneità della percezione dell’Io, che ha come propria base generativa la differenziazione mnestica e percettiva. Ammette che la percezione, di per sé, tende alla differenziazione. Non solo, ma riconosce anche la funzione di referente della sequenza percettiva da parte dell’Io, che quindi è assunto non soltanto come percezione fondamentale riassuntiva delle percezioni pregresse memorizzate, ma anche come referente logico ed esistenziale dell’intera sequenza percettiva. L’Io viene quindi ad essere percepito come esterno alla stessa percezione in quanto suo autore, anche se in realtà esso altro non è che una percezione fra le tante. E’ evidente tuttavia che la percezione dell’Io è necessariamente funzionale all’esercizio del programma fondamentale di sopravvivenza dell’organismo nell’ambito concettuale. La costituzione del pensiero, se permette all’organismo di fronteggiare non soltanto le aggressioni immediate ma anche quelle imminenti, assicurandogli quindi una maggiore probabilità di sopravvi78 Diverse autoimmagini dell’Io o subpersonalità sono state individuate anche da R. Assagioli nella sua psicosintesi: cfr. Principi e metodi della psicosintesi terapeutica, op. cit.

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venza, ha necessariamente bisogno di un suo referente logico. E’ lo stesso processo fisiologico del pensiero che istituisce quindi la referenza logica, o meglio analogica, dell’Io ed è lo stesso processo fisiologico del pensiero che istituisce la sua referenza esistenziale. Organismi non dotati di pensiero non hanno, secondo questa teoria, percezione dell’Io. La funzione fondamentale dell’immagine dell’Io e quindi della reazione soggettiva (contesto percettivo o emotivo) in ordine alla determinazione del significato degli oggetti della percezione, cioè della loro funzione in ordine alla sopravvivenza del soggetto, e addirittura della loro presenza nella percezione, è un’enunciazione fondamentale della psicologia yogica. La quale non soltanto conduce nelle sue conseguenze generali ad un relativismo o soggettivismo interpretativo della realtà di tipo pirandelliano, ma più particolarmente ad una creazione continua di tensione nel vissuto quotidiano, dove alle aggressioni fisiche reali si aggiungono, in misura preponderante, le aggressioni simboliche elaborate dal pensiero. È quella che gli orientali in generale chiamano “la condizione umana”, votata alla sofferenza mentale. Ecco dunque la ragione psicologica dell’eliminazione della percezione dell’Io, provvisoriamente nello stato di illuminazione e poi compiutamente nella percezione estatica. Con la sua eliminazione si elimina alla radice la causa stessa della tensione. Ma se l’Io altro non è che una percezione, che consistenza ha dunque il soggetto umano e che rapporto ha esso con la realtà? La psicologia yogica, che si assimila alla psicologia buddhista della scuola Abhidharma nel definire l’Io nient’altro che una percezione, se ne differenzia nella più importante e capitale definizione dell’essere umano. Per la psicologia dell’Abhidharma l’essere umano sostanzialmente non esiste, in quanto l’esistenza sostanziale viene riconosciuta soltanto ai Dharma, ossia ai processi percettivi elementari, e quindi in definitiva alla stessa percezione. La destituzione di fondamento ontologico al corpo umano (considerato dalla psicologia buddhista uno dei cinque Skandha, ossia nient’altro che un aggregato di percezioni elementari) comporta la destituzione di fondamento ontologico alla stessa materia.

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La realtà è fatta, per la psicologia Abhidharma, di eventi percettivi assolutamente impersonali, concepiti come eventi naturali. Per la psicologia yogica, invece, la materia esiste: infatti esistono gli oggetti concreti, indipendentemente dalla percezione. Quindi esiste anche il corpo umano: l’essere umano è fondamentalmente, come gli altri animali, un organismo biologico capace di percezione. In più esso è capace di pensiero. E’ certamente codesta, come già rilevato, una posizione fenomenologica realistica, molto vicina alla scienza occidentale contemporanea. Il delimitare l’esistenza dell’Io al pensiero e quindi alla percezione non è una rinuncia al realismo. L’Io è infatti concepito come percezione, o meglio come immagine, quindi sostanzialmente inesistente sul piano fisico. Ma non è l’immagine dell’Io che esiste sul piano della realtà concreta, bensì l’organismo. E l’immagine dell’Io è un prodotto fisiologico dell’organismo umano. Come si vede, lo Yoga, immaginato spesso come una dottrina idealistica e metafisica, ha sostanzialmente invece un orientamento materialistico o meglio organicistico. Una riprova ne è l’istituzione della tradizione dello Hatha Yoga, ad orientamento decisamente ed esplicitamente corporeo, che praticamente ha soppiantato il Raja Yoga presentandosi come una sua evoluzione o modificazione. Oggi lo Yoga praticato concretamente negli Ashram indiani è appunto una commistione di Raja Yoga e Hatha Yoga. La fondazione dell’Io costituisce una soluzione particolare al problema della sopravvivenza dell’organismo biologico. La scoperta nell’individuo umano dell’istinto di sopravvivenza, cioè più precisamente del programma fondamentale di condizionamento alla sopravvivenza che è come noto un processo fisiologico omeostatico. È arricchita infatti da una notazione che ne rileva la peculiarità. Tutti gli organismi viventi sono dotati di tale programma fondamentale e tale rilievo sarebbe, nell’ambito di una psicologia, banale. Ciò che rende peculiare il programma di condizionamento alla sopravvivenza nell’individuo umano è invece la sua costituzione in

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funzione dell’immagine dell’Io, derivata, come abbiamo visto, dallo sviluppo del pensiero. Ciò ha ampliato enormemente il “territorio” che l’individuo umano si trova a dover difendere, il quale negli altri animali è limitato al proprio corpo ed allo spazio immediatamente circostante mentre nell’homo sapiens è esteso alle immagini simboliche dell’Io, proiettate anche su concetti, oggetti ed organismi viventi. E’ quest’ultima notazione, che rivela la non banalità della psicologia yogica ed anzi una sua profondità non molto distante dalla psicologia occidentale moderna. Vi è piuttosto una percezione che giustamente Patanjali definisce non tanto fondamentale quanto essenziale, e che giustamente assume nella psicologia yogica una centralità capitale, la quale non soltanto sopravvive all’amnesia e quindi alla perdita della percezione dell’Io, ma anche alla perdita delle rimanenti percezioni fondamentali: la percezione di esistenza. Il fatto che nell’esperienza estrema della percezione estatica questa percezione di esistenza si distilli nella percezione di sé come percezione e quindi come evento sostanzialmente impersonale, se non può non stimolare estrapolazioni metafisiche, rimane sul piano specificamente psicologico semplicemente una constatazione, che semmai stimola implicazioni esistenziali e persino terapeutiche. Infatti la perdita delle percezioni fondamentali causa anche il disinserimento del sistema d’allarme naturale del programma di sopravvivenza e quindi l’annullamento totale della tensione. Poiché la tensione costituisce il corrispondente fisiologico di tutti gli stati di malessere, è evidente che il suo annullamento totale comporta uno stato di totale benessere. E’ questa ricerca del piacere in questa sua particolare forma totalizzante, evidentemente la ragione d’essere e lo scopo dello Yoga. Altro che metafisica! L’affermazione che la percezione estatica può attuarsi spontaneamente nell’individuo umano evidenzia che la psicologia yogica considera tale modalità percettiva, per quanto straordinaria, affatto naturale. Delle tre modalità di induzione della percezione estatica, la gnosi, l’estasi mistica, lo Yoga, quest’ultimo si presenta come una modalità scientifica, attuabile intenzionalmente e programmaticamente. Il fatto che tale modalità operativa richieda un’iniziazione ed una

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preparazione anche protratta nel tempo non ne diminuisce l’oggettività e la scientificità, ossia la riproducibilità. L’esercizio di qualsiasi pratica scientifica, richiede un’iniziazione ed una preparazione protratta nel tempo. L’accento posto dalla psicologia yogica sulla percezione intuitiva come modalità percettiva di transito dalla percezione ordinaria alla percezione estatica e in particolare come modalità percettiva olistica capace di attingere all’incoscio nella sua quasi totalità e quindi in definitiva all’intero universo della conoscenza individuale è un’altra caratteristica della psicologia yogica che ne denota la modernità. Lo stesso accento sull’intuizione come massima modalità conoscitiva umana sulla quale si sono costruite tutte le teorie scientifiche lo ritroviamo nella cultura occidentale moderna, da Bergson in poi. E’ piuttosto da rimarcare l’accesso massivo all’inconscio, che la psicologia yogica attribuisce al processo di abbandono della percezione ordinaria e di attivazione graduale della percezione estatica. L’evidenziazione di un tale evento psichico è evidentemente di importanza e di portata notevolissime, sia sul piano conoscitivo che sul piano terapeutico. Per quanto riguarda il problema delle percezioni paranormali, che la tradizione yogica popolare tende naturalmente a far passare per “poteri” reali, la psicologia yogica presenta una soluzione “psicologistica” che rende giustizia sia a tali fenomeni che allo Yoga. L’attribuzione delle percezioni paranormali sia alla pratica dello Yoga che all’assunzione di sostanze stupefacenti chiarisce definitivamente questo punto. Si tratta indubbiamente di stati allucinatori, sia pure dotati di una forza realistica molto convincente per il soggetto e quindi vissuti da questi come effettivi “poteri” reali. E’ significativo, infine, che lo stato di illuminazione venga ascritto dalla psicologia yogica alla percezione ordinaria e quindi nettamente distinto dalla trance estatica. Si tratta infatti di uno stato conoscitivo razionle, sia pure accompagnato da uno stato emotivo di esaltazione. 79

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Vedi G.C.Giacobbe, L’insegnamento originale di Buddha

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Sintesi della teoria Come si può vedere, la psicologia yogica costituisce una teoria essenziale nella sua esposizione, ma non priva di una sua scientificità e complessità e sorprendentemente di una sua modernità. I suoi capitoli più salienti sono i seguenti. La scoperta della memoria inconscia, insieme delle tracce mnestiche delle percezioni e dei comportamenti pregressi, che a sua volta determina la percezione e il comportamento attuali. L’evidenziazione del contesto emotivo come fattore principale di determinazione dell’oggetto della percezione e quindi la scoperta del relativismo o soggettivismo percettivo dell’individuo umano. La scoperta del processo della concentrazione dell’attenzione in quanto dinamica basilare della percezione. La definizione del pensiero come riproduzione delle tracce mnestiche. La scoperta dell’intuizione come modalità percettiva massiva di dati mnestici e quindi come modalità di accesso massivo all’inconscio. L’individuazione del pensiero come processo di formazione dell’immagine dell’Io. La definizione dell’Io come percezione a base mnestica e quindi la sua destituzione di consistenza ontologica. La definizione della sofferenza come stato permanente di tensione reattiva alla potenziale aggressività dell’ambiente. L’attribuzione all’identificazione con l’Io del processo causale di determinazione della tensione endogena. La definizione di piacere come stato di assenza della tensione. La scoperta dell’energia cinetica della percezione. La scoperta della percezione estatica come stato percettivo straordinario nel quale si attua l’inibizione della sequenzialità ordinaria della percezione e quindi delle percezioni fondamentali della realtà ambientale, della particolarità oggettuale, dell’Io, del tempo e dello spazio, e soprattutto l’inibizione della tensione, che dà luogo ad uno stato strordinario di benessere. La definizione dei “poteri” tradizionali (Siddhis) come stati allucinatori.

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La concezione biologica generale dell’essere umano. La psicologia yogica fornisce anche una teoria generale sulla genesi della tensione. Ogni essere umano nasce con una serie di dati mnestici registrati in memoria per via genetica (aspetto scientifico del celebre mito della reincarnazione). Ad essi aggiunge, nel corso della sua esperienza, i dati mnestici derivanti dalla registrazione delle percezioni sensoriali degli oggetti reali. Questi vengono sintetizzati in concetti astratti, che danno luogo al pensiero. Sulla base di quest’ultimo si genera un’immagine dell’Io, la quale divenendo il termine di riferimento dell’istinto di sopravvivenza ampia il campo di applicazione di questo estendendo la reazione naturale della tensione dalle aggressioni materiali reali alle aggressioni mentali presunte. Da qui la ricorrenza dello stato di tensione o sofferenza verso cui lo Yoga, come le altre dottrine soteriologiche orientali, si rivolge come mezzo di liberazione. La scoperta più rimarchevole della psicologia yogica è senza dubbio la determinazione della percezione e quindi del comportamento da parte della memoria incoscia (legge del Karma). Un risultato scientifico che anticipa, come si vede, di secoli la psicologia occidentale. La legge del Karma comporta il ben noto fatalismo orientale, che sul piano psicologico si traduce in un determinismo se non addirittura in un automatismo psicologico. Noi non possiamo, secondo questa teoria, comportarci diversamente da come ci comportiamo, dal momento che ogni nostro pensiero, e conseguentemente ogni nostra azione, è determinato dalle nostre esperienze passate, registrate nella nostra memoria inconscia. In altri termini, l’essere umano è un automa biologico. Da qui l’inconsistenza del libero arbitrio e della responsabilità personale, anche se non dell’intenzionalità, che sussiste sia pure determinata dalle sedimentazioni mnestiche. Più scientificamente questa teoria può essere esposta come una teoria del condizionamento mnemonico. Certo manca in essa l’accento sulla funzione dell’ambiente nei

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confronti del condizionamento, ma evidentemente l’accentuato psicologismo della tradizione yogica ha privilegiato l’aspetto interioristico della teoria, quello che fa capo ai meccanismi interni della funzione psichica. Vi è piuttosto da chiedersi che fine fanno in questa teoria la consapevolezza e la volontà, e soprattutto l’essere umano nella sua identificazione coscienziale. La cultura orientale è deterministica soltanto in parte: in essa è presente indubbiamente un’istanza volontaristica e liberistica. Per quanto riguarda la tradizione yogica, la risposta è evidentemente da cercarsi nel suo obiettivo, l’esperienza della trance estatica, che sottraendo l’essere umano all’automatismo percettivo lo sottrae anche a quello comportamentale, rendendolo capace di consapevolezza e volontà e quindi di libero arbitrio e responsabilità personale. Il disinserimento dell’automatismo mnestico trasforma l’essere umano da automa biologico in essere liberamente deliberante. La tradizione yogica lo ravvisa tuttavia propriamente non nello stato di trance estatica, che è uno stato di assoluta passività e di assoluto isolamento dall’ambiente quindi di non interazione con esso, ma nel cosiddetto stato di illuminazione, modalità particolare della percezione ordinaria in cui il soggetto, disidentificandosi dall’Io e dai suoi processi percettivi, diviene consapevole della sua stessa dinamica psichica ed è quindi in grado di determinarla con la propria volontà, sottraendosi all’automatismo mnestico. È evidente qui il riconoscimento scientifico del valore psicologico dello stato di Illuminazione proprio della tradizione buddhista, anche se viene attribuito al processo di auto-osservazione della Retta Concentrazione invece che alla scoperta delle due leggi universali dell’impermanenza e dell’interdipendenza. 80

Considerazioni psicologiche sulla pratica yogica

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vedi G.C.Giacobbe, L’insegnamento originale di Buddha, cit.

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Questo saggio si propone un esame della psicologia yogica e quindi dello Yoga in quanto teoria. E ciò è stato fatto, bene o male. Esso non si propone un esame dello Yoga in quanto pratica. Tuttavia non è forse inutile avanzare in chiusura alcune considerazioni psicologiche sulla pratica dello Yoga. Sommariamente, la pratica yogica si concreta in un’igiene mentale, definita dallo Yama e dal Niyama, in un condizionamento fisico, definito dall’Asana e dal Pranayama, e in una metodica di concentrazione ed autoipnosi, definita dal Pratyahara, dal Dharana, dal Dhyana e dal Samadhi. In definitiva la parte centrale della pratica yogica è la “meditazione” costituita dalla metodica di concentrazione. Essa si presenta di due tipi: la metodica mantrica e la metodica mandalica. La prima utilizza un suono (mantra) come oggetto della concentrazione, la seconda un’immagine (mandala). Fanno capo quindi a due differenti sistemi e dinamiche percettive. Entrambe tuttavia si risolvono nella trasformazione della percezione sensoriale in percezione concettuale e poi intuitiva e quindi danno luogo ad un processo di astrazione e di rarefazione della percezione che culmina nella trance autoipnotica. Come si è visto, lo Yoga costituisce nel suo insieme una metodologia piuttosto complessa di intervento sulla personalità, che comporta una trasformazione radicale di quest’ultima. Il regime di vita, le abitudini igieniche, le relazioni con gli altri, gli atteggiamenti morali, l'alimentazione, la gestione del corpo, l'igiene mentale, la filosofia di vita, la concezione di se stesso e del mondo, la propria autoimmagine, in una parola tutta la personalità è coinvolta nel processo yogico di trasformazione. Il momento culminante e lo scopo di tutto questo processo di trasformazione è l'esperienza della trance estatica. Tuttavia, se sul piano teorico, come abbiamo visto, lo Yoga si presenta come una psicologia scientifica scevra da ipotesi metafisiche, sul piano operativo gli individui che lo praticano sono naturalmente portati ad operare una proiezione metafisica che ha il preciso compito psicologico di soddisfare i loro bisogni narcisistici inattesi.

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Così lo stato di trance estatica è vissuto soggettivamente come lo stato di realizzazione del Sé, ossia della presunta entità coscienziale cosmica impersonale con la quale il soggetto si identifica, soddisfacendo così il suo bisogno di onnipotenza, che è soggettivamente confermato dalla completa esaustività dello stato di trance. La diffusione sul piano individuale di codesto processo psichico giustifica sul piano pratico le interpretazioni metafisiche degli Yoga Sutra, che possono servire da stimolo all’attuazione di tale processo, anche se non le giustifica sul piano teorico e su quello scientifico. Poiché l’esperienza della trance estatica costituisce l’obiettivo dello Yoga, il Samyama Yoga, costituito dalle metodiche Dharana, Dhyana e Samadhi, costituisce effettivamente la parte sostanziale dello Yoga; il resto è complementare. Eppure occorre guardarsi dal sottovalutare la parte propedeutica comprendente lo Yama, il Niyama, l'Asana, il Pranayama e il Pratyahara. Una secolare esperienza ha insegnato che ben difficilmente chi è privo di un proprio equilibrio psico-fisico e quindi di una propria serenità interiore riesce a condurre in porto con successo l'esperienza della meditazione, cioè del Samyama Yoga. Essa richiede un Io, come si dice in psicologia, “ben strutturato”. Per dissolvere l'Io nell'esperienza del Sé impersonale e ritornare all'Io arricchendolo con quell'esperienza, occorre infatti che l'Io abbia robuste radici e sicura capacità di autoreggimento. Altrimenti l'esperienza di autodissoluzione potrebbe danneggiarlo se non addirittura annientarlo. Si tratta dell'esperienza della percezione diretta e indubitabile di non esistere come individuo, con tutte le conseguenze che si possono immaginare, positive ma anche negative. L’esperienza soggettiva dell’onnipotenza può condurre infatti ad un’inflazione dell’Io che nell’identificazione con la cosmicità costruisce non l’ottimizzazione del suo rapporto con l’ambiente ma la perdita patologica del contatto con la realtà. Non a caso, infatti, la tradizione esoterica è molto cauta al riguardo. Prima di ammettere un allievo al Samyama Yoga, lo sottopone di regola ad una lunga serie di prove, formalmente tese ad accertare

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il suo superamento degli stadi precedenti ma sostanzialmente intese ad accertare il suo equilibrio psichico e la sua stabilità emotiva. Un’analisi psicologica dello stato di idenficazione soggettiva con il Sé cosmico impersonale è indubbiamente di estremo interesse. Essa esula dai limiti di questo saggio. Non voglio tuttavia esimermi dal proporne una traccia interpretativa. Premesso che siamo di fronte a un’esperienza di tipo mistico, come conferma tutta la trattazione teorica di Aurobindo 81, la soluzione psicologica deducibile dall'analisi del testo di Patanjali è che essa altro non sia che l'accesso massivo dell'inconscio, ossia della memoria, alla coscienza. Esso avverrebbe nel preciso momento del processo di trasformazione della percezione da ordinaria in estatica che è denominato Mahavideha dalla tradizione yogica e che di fatto ha una durata brevissima. E’ una specie di flash che ho definito come “esplosione psichica” e che consiste evidentemente nell’attivazione simultanea di tutti o quasi i circuiti neuronali cerebrali. E’ questa infatti l’esperienza percettiva che fonda precisamente il giudizio soggettivo di totale e completo controllo dell’esistente. Quest'esperienza straordinaria permette l'accesso ad una dimensione sovraindividuale, che addirittura viene vissuta come cosmica ed esaustiva della realtà. Per quanto riguarda la funzione psicologica della trance estatica, è d’obbligo ammettere che si tratta sostanzialmente di una fuga dalla realtà. La trance estatica è uno stato di assenza rispetto alla coscienza ordinaria, all’essere nel mondo. Questo dato era stato colto perfettamente dal Buddha, che dopo cinque anni di pratica dello Yoga si era dato a cercare la liberazione definitiva dalla sofferenza nello stato ordinario della coscienza. 82 81

Cfr. The complete works, op. cit.

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«Siddhartha aveva raggiunto grandi ottenimenti con i due maestri reputati i migliori insegnanti di meditazione della regione, ma il problema di fondo della liberazione dalla sofferenza lo tormentava ancora. Comprese che mol-

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E’ vero che esso si presenta come estremamente gratificatorio e costituisce quindi in sé un processo potenzialmente terapeutico nel caso di un vissuto particolarmente frustrante, ma la sua funzione e la sua portata esistenziale non si discostano dalla pratica di assunzione di sostanze stupefacenti, con la quale è anche esplicitamente paragonato, se non per la mancanza di effetti collaterali negativi sul fisico e sulla personalità. Non manca neppure il fenomeno dell’assuefazione e della dipendenza. Anche la proiezione metafisica dell’esperienza estatica, che con l’attribuzione allo stato di trance estatica del connotato di contatto con la realtà ultima o addirittura di stato percettivo ordinario di una presunta coscienza cosmica nobilita anche sul piano religioso quella che è essenzialmente soltanto un’esperienza percettiva per quanto straordinaria, non sposta i termini della questione. E’ interessante piuttosto, dal punto di vista psicologico, la modalità di accesso all’esperienza della trance estatica proposta dalla tradizione yogica, che si distingue nettamente per una sua precipua originalità dalle altre tradizioni soteriologiche a base psicologica, come il Buddhismo. Per quanto il termine consapevolezza sia usato in entrambe le tradizioni, le metodiche psichiche del Buddhismo e dello Yoga si differenziano infatti nettamente. La metodica Vipassana buddhista, che concretizza il processo proposto dal Buddha nella Retta Concentrazione, consiste nell’assunzione sistematica del ruolo dell’osservatore della propria dinamica psichica da parte del soggetto, che rimane in uno stato di consapevolezza dove i contenuti psichici sono quelli della percezione ordinaria. La metodica Dhyana yogica consiste invece nell’instaurazione di un processo di autoipnosi dove i contenuti psichici della percezione ordinaria si dissolvono nello stato di trance estatica.

to difficilmente avrebbe potuto apprendere altro da tutti i sapienti maestri di meditazione del regno, e seppe che doveva cercare la chiave dell’illuminazione da solo.» (Thich Nhat Hanh, Old path white clouds; trad. it. Vita di Siddhartha il Buddha, Ubaldini, Roma, 1992, pag. 148)

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La valenza terapeutica dello yoga Il problema se le tecniche yogiche possano essere utilizzate in ambito terapeutico è problema non ancora risolto dalla psicologia occidentale. Secondo la tradizione indiana, che ha indubbiamente a suo favore l’argomento non indifferente di un’enorme esperienza, il portatore di grossi disturbi psichici e di comportamento non può adire alle tecniche yogiche: una selezione in questo senso è precisamente lo scopo dei rituali iniziatici. Da tempo esiste una tendenza nella psicoterapia occidentale, per altro rivolta ai disturbi non strutturali della personalità e quindi alle nevrosi al di sotto dei casi borderline, ad utilizzare anche le tecniche yogiche e in generale le tecniche desunte dalla tradizione delle dottrine soteriologiche orientali in ambito specificamente terapeutico. 83 In linea teorica, lo Yoga presenta effettivamente una valenza terapeutica. Esso infatti, in quanto tecnica di attuazione della trance estatica, è propriamente un metodo di realizzazione di uno stato particolarmente intenso di gratificazione e di benessere psichico e quindi di eliminazione dello stato di frustrazione e di tensione. Tale eliminazione è tuttavia temporanea, in quanto limitata alla durata della trance. La portata terapeutica dello Yoga è quindi limitata all’ambito sintomatico. Essa è esattamente equivalente all’assunzione di sostanze stupefacenti, la quale è tuttavia evidentemente molto più facile da attuare. Vi sono tuttavia due importanti considerazioni, da prendere in esame. La prima è che il fall out della trance estatica, il cosiddetto stato di illuminazione, tende a protrarre nel tempo lo stato di assenza 83 Oltre a J. H. SCHULTZ, Il training autogeno, op. cit., cfr. A.W.WATTS, Psychotherapy East and West, Pantheon Books, New York, 1961; trad. it. Psicoterapie orientali e occidentali, Ubaldini, Roma, 1978.

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della tensione e quindi a superare l’ambito strettamente sintomatico. La seconda considerazione è che l’eccezionalità, la formidabilità e la centralità nel vissuto individuale dell’esperienza della trance estatica, oltre ad instaurare lo stato quasi permanente dell’illuminazione, comportano necessariamente, come ho già rilevato, una trasformazione radicale della personalità. Specie nel caso di proiezione metafisica e religiosa dell’esperienza yogica, che conduce alla costruzione di un’autoimmagine addirittura sovraumana o quanto meno transpersonale. Una trasformazione radicale della personalità può ovviamente comportare la soluzione terapeutica definitiva di uno stato patologico. Contro questa possibilità si può opporre l’aspetto patologico della stessa autoidentificazione con un’entità metafisica metaumana. Dobbiamo quindi concludere che la pratica yogica può avere una portata terapeutica sintomatica non però eziologicamente risolutiva, se non nel senso che sposta la patologia da una sindrome ansioso-depressiva ad una sindrome tendenzialmente paranoica. Vi è inoltre una grande controindicazione all’uso terapeutico dello Yoga che riguarda i soggetti a tendenza psicotica o con psicosi conclamata. Nei soggetti parapsicotici e psicotici l’esperienza della trance estatica può sortire un effetto devastante. Nei soggetti a tendenza schizofrenica l’esperienza della perdita della percezione dell’Io può causare una destrutturazione definitiva della personalità ed una perdita permanente di un centro di identificazione. Per contro nei soggetti a tendenza paranoica la proiezione metafisica dell’esperienza estatica con la conseguente identificazione con la divinità, favorita dalla tradizione letteraria dello Yoga, può causare un’inflazione irreversibile dell’Io con sconfinamento definitivo in un delirio di onnipotenza. La somministrazione dello Yoga in funzione terapeutica, se non può essere del tutto esclusa in linea teorica, va dunque amministrata con grande occulatezza e prudenza, che soltanto una lunga esperienza clinica può conferire.

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La misura più equilibrata è probabilmente quella di fatto già seguita spontaneamente dalla psicologia occidentale: l’uso dello Yoga limitato ad alcune sue metodiche specifiche. Quindi la rinuncia all’esperienza della trance estatica, peraltro di non facile attuazione e richiedente un impegno decisamente travalicante le dimensioni oggi tendenzialmente contenute della psicoterapia. Metodiche specifiche dello Yoga sono infatti in grado di fornire prestazioni particolari utili ai fini terapeutici. Esse sono lo Yama, il Niyama, l’Asana e il Dhyana. Per quanto riguarda l’Asana, ci ha già pensato Schultz con il suo training autogeno 84 che tanta fortuna ha avuto, per lo meno inizialmente, presso la psicoterapia ad orientamento corporeo. Minore è invece l’uso che è stato fatto finora da parte della psicoterapia occidentale delle altre metodiche citate. Esse meritano invece una certa attenzione. Lo Yama ed il Niyama possono costituire delle metodiche efficaci di prevenzione della nevrosi. Esse costituiscono un programma di igiene mentale che detiene indubbiamente la capacità di inibire la tensione al livello della sua formazione iniziale. Si presentano quindi come eziologicamente più efficaci e definitive del training autogeno, il quale è efficace soltanto a livello sintomatico e quindi temporaneo. Il Dhyana, specie nella sua versione mantrica, può essere efficace nei casi maniacali ed ossessivi. La distrazione sistematica dell’attenzione dall’oggetto libidico può generare un condizionamento alternativo capace di sostituirsi al meccanismo patologico e quindi di risolverlo. In questa direzione ho maturato personalmente un’esperienza positiva, con un numero rilevante di casi risolti. La pratica dello Yoga costituisce sostanzialmente, come ho già detto, una fuga dalla realtà. La trance estatica è infatti uno stato di assenza, di isolamento dall’ambiente. E’ un rifugio di gratificazione temporanea che può esercitare un’attrazione sui portatori di disagio accentuato. 84

Cfr. J. H. SCHULTZ, Il training autogeno, op. cit.

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Una persona soddisfatta della propria esistenza non ha nessun motivo ragionevole per praticare lo Yoga, se non per curiosità o indagine scientifica. Per questo, ho assimilato lo Yoga alla droga, come ha già fatto la sua stessa tradizione. Lo Yoga è, come la droga, un paradiso artificiale. Vi sono tuttavia importanti differenze fra lo Yoga e la droga. La più evidente è che lo Yoga non ha effetti collaterali organici o funzionali, se si esclude la possibile sindrome paranoide. Per quanto riguarda l’assuefazione, non vi è invece grande differenza fra Yoga e droga sul piano quantitativo. Come ho potuto constatare durante i miei soggiorni di studio in India, i praticanti avanzati di Yoga non sono in grado di rinunciare facilmente alla seduta giornaliera di “meditazione” come all’orientamento esistenziale impresso alla loro vita dalla pratica yogica e soprattutto dalla proiezione metafisica o religiosa conseguentemente effettuata. Le migliaia di “fedeli” che si riversano in India ad adorare i sedicenti Avatar ed a frequentare i loro Ashram ne sono la testimonianza più evidente. Esiste invece una differenza qualitativa fra i due tipi di assuefazione. Mentre lo stato di astinenza da stupefacenti si presenta come una sindrome con sintomatologia prevalentemente fisica, lo stato di astinenza da Yoga si presenta come una sindrome con sintomatologia prevalentemente psichica. Vi è tuttavia da porre in rilievo una considerazione: il fatto che lo Yoga costituisca una fuga dalla realtà non diminuisce la sua funzione terapeutica. Molti interventi terapeutici si configurano infatti come “fughe dalla realtà”, o meglio come deroghe alle condizioni esistenziali ordinarie. Tutte le volte che la causa della patologia si annida nell’ambiente ordinario del soggetto, come avviene nella maggior parte dei casi, l’intervento terapeutico si configura infatti come l’istituzione di un ambiente gratificatorio artificiale. Dal punto di vista psicologico, lo Yoga percorre dunque un itinerario terapeutico opposto alla psicanalisi e al buddhismo. Questi ultimi infatti trovano proprio in un rafforzamento del rap-

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porto con la realtà, guadagnato attraverso la conoscenza sistematica del patrimonio mnemonico e della dinamica psichica e quindi in definitiva attraverso la maturazione della consapevolezza, il loro procedimento esecutivo. 85 La consapevolezza di cui parlano gli Yoga Sutra è invece, come abbiamo visto, semplicemente il risultato dell’esperienza estatica. Si tratta della consapevolezza particolare che la trance estatica costituisce l’unico stato di vera beatitudine, di totale assenza di tensione, di assoluto affrancamento da ogni responsabilità, di definitivo appagamento, di completa sicurezza. Nell’esperienza ordinaria nulla di ciò è possibile. E’ evidente lo spostamento della centralità esistenziale dall’esperienza ordinaria all’esperienza estatica.

Conclusione Mi pare di avere dimostrato la coerenza e l’attendibilità di una lettura psicologica degli Yoga Sutra. La genesi di tale lettura, esposta più avanti, può forse fornire un’ulteriore prova di tale coerenza e attendibilità. L’esistenza di letture metafisiche degli Yoga Sutra è dovuta evidentemente all’esigenza nella pratica yogica di un supporto psicologico e culturale che soddisfi il bisogno di fuga narcisistica dalla realtà, quindi essenzialmente in funzione terapeutica. Ciò non può impedire tuttavia la legittimità e persino la necessità scientifica di una ricostruzione autentica della teoria psicologica dello Yoga. Questo è precisamente quanto con questo saggio ho modestamente tentato. Altri più capaci di me potranno, se lo vorranno, approfondire quest’indagine.

85 Le analogie operative di psicanalisi e buddhismo sono state poste autorevolmente in rilievo da un pool di psicanalisti e buddhisti famosi: cfr. E.FROMMD.SUZUKI-R.DE MARTINO, Zen Buddhism and Psychoanalysis, Harper & Brothers, New York, 1960; trad. it. Psicoanalisi e Buddhismo Zen, Ubaldini, Roma, 1968.

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Il testo originale

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Riproduco qui di seguito il testo originale di Patanjali e le considerazioni che hanno porrtato alla mia lettura psicologica degli Yoga Sutra, per coloro che sentissero l’esigenza scientificamente legittima di garantirsi dell’esistenza in essa di un minimo di fondatezza linguistica e logica. Essa è articolata su tre livelli. Il primo livello consiste nella traduzione letterale del testo sanscrito: è stata usata quella riportata da I.K. Taimni (La scienza dello Yoga, op. cit.), che costituisce l'unica presente nelle edizioni italiane. Essa è stampata in grassetto. Ove sono presenti in quella stessa traduzione versioni diverse per lo stesso termine, si è riportata la versione principale o quella più ricorrente. Eccezionalmente, per qualche termine particolare, sono ricorso alla traduzione letterale riportata da altri traduttori: quando ciò è avvenuto, è stato comunque sempre indicato. Il secondo livello consiste nella ricostruzione grammaticale della traduzione letterale, che si presenta sconnessa dal nostro punto di vista logico-linguistico. Essa è stampata in caratteri normali. Il terzo livello consiste nella lettura psicologica del secondo livello, ove i termini vengono quindi interpretati secondo codesta specifica lettura. Essa è stampata in corsivo. Ad essa segue il numero che lo stesso sutra ha assunto nella mia lettura esposta precedentemente, in modo che il lettore possa effettuare veloci raffronti. A tre codesti livelli seguono, per ciascun sutra, le eventuali considerazioni critiche che hanno condotto alla lettura psicologica riportata sopra. Esse sono stampate in caratteri ridotti. L’ordine di esposizione dei sutra è quello originale.

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YOGA SUTRA LIBRO PRIMO I, 1 Adesso, Yoga, esposizione. Adesso (si procederà all’) esposizione dello Yoga. Questo sutra non è stato riportato, per la sua non inseribilità e non significatività nell’ordinamento adottato.

I, 2 Dello Yoga, mente, modificazioni, inibizione. (La tecnica) dello Yoga (consiste) nell’inibizione delle modificazioni della mente. La tecnica dello Yoga consiste nell’inibizione della percezione ordinaria. 46 “Modificazioni della mente” (Citta Vritti): si tratta evidentemente della funzione percettiva; il termine “modificazioni” pone in evidenza l’aspetto dinamico della percezione ordinaria, in contrapposizione all’aspetto statico della percezione estatica. Ho usato quindi la più esplicita locuzione percezione ordinaria.

I, 3 Allora, del veggente, nella sua forma essenziale, fondazione. Allora (cioè, in seguito all’inibizione delle modificazioni della mente) (si ha) la fondazione del veggente nella sua forma essenziale. In seguito all’inibizione della percezione ordinaria, la percezione assume la sua modalità essenziale. 47 “Veggente” (drasitia): cioè il soggetto percipiente; ma in forza della definizione di soggetto percipiente come percezione (cfr. II, 20), traduco qui direttamente con quest’ultimo termine. Non è daltronde il soggetto percipiente (il quale viene eliminato in seguito all’inibizione della percezione ordinaria: cfr. II, 22), ad assumere la propria forma essenziale, bensì appunto la percezione.

I, 4 Modificazioni, identificazione, altrove. Altrove vi è identificazione (del veggente) con le modificazioni (della mente). Diversamente, la percezione si presenta nella modalità di percezione

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ordinaria. 48 “Veggente”: vedi I, 3. “Vi è identificazione”: ho tradotto si presenta nella modalità di per mantenere lo stile con il sutra precedente. Il concetto è evidentemente lo stesso.

I, 5 Modificazioni, di cinque specie, penose, non penose. Le modificazioni (della mente) sono di cinque specie, penose o non penose. La percezione ordinaria, con o senza tensione, è di cinque specie. 18 I termini klista e aklista fanno esplicito riferimento alla teoria dei klesa esposta in II, 3-9. Per l’interpretazione di klesa come tensione, vedi la nota a II, 3.

I, 6 Retta conoscenza conoscenza erronea, astrazione, sonno, memoria. (Le cinque specie delle modificazioni della mente sono:) retta conoscenza, conoscenza erronea, astrazione, sonno, memoria. Le cinque specie della percezione ordinaria sono: la conoscenza vera, la conoscenza fallace, l’astrazione, il sogno, la reminiscenza. 19 “Astrazione”: ho adottato la traduzione di Magnone (cfr. op. cit., p. 28). “Sonno”: ci si riferisce qui evidentemente al sogno (vedi I, 10). “Memoria”: ci si riferisce qui evidentemente alla reminiscenza (vedi I, 11).

I, 7 Evidenza dei sensi, inferenza, testimonianza, retta conoscenza. La retta conoscenza (consiste) nell’evidenza dei sensi, nell’inferenza, nella testimonianza. La conoscenza vera consiste nella sensazione, nell’inferenza, nella testimonianza. 20 “Retta conoscenza” (Pramana): già cosi tradotto in I, 6; cioè conosscenza vera. “Evidenza dei sensi” (Pratyaya): cioè sensazione.

I, 8 Conoscenza erronea, illusorio, conoscenza, non sua propria, forma, fondata. La conoscenza erronea (consiste nella) conoscenza illusoria fondata su una forma non sua propria. La conoscenza fallace consiste nella percezione di una forma degli oggetti esistenti non corrispondente alla loro forma reale. 21

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Degli oggetti esistenti: è sottinteso. “Forma non sua propria”: cioè forma non corrispondente alla forma reale (degli oggetti).

I, 9 Parola, conoscenza, conseguente da, vuoto di sostanza, astrazione. L’astrazione (consiste nella) conoscenza conseguente dalla parola vuota di sostanza. L’astrazione consiste nella percezione di soli simboli. 22 “Astrazione”: ho adottato la traduzione di Magnone (cfr. op. cit., p. 28). “Conoscenza”: evidentemente nel senso di percezione. “Parola vuota di sostanza”: cioè soli simboli.

I, 10 Assenza, evidenza dei sensi, sostanza, modificazione, sonno. Il sonno (consiste nella) modificazione (della mente) (assumente l’aspetto di) evidenza dei sensi in assenza di sostanza. Il sogno consiste in percezioni sensoriali di oggetti non presenti. 23 “Sonno”: è evidente che non si tratta del sonno, né genericamente inteso né specificamente in quanto sonno senza sogni, bensì del sogno, data l’enunciazione di presenza di percezioni; vedi anche I, 6. “Modificazione (della mente)”: cioè percezioni ordinarie (cfr. I, 1). “Evidenza dei sensi”: già così tradotto in I, 7; cioè sensazione; in definitiva, percezioni sensoriali. “In assenza di sostanza”: cioè di oggetti non presenti.

I, 11 Sperimentato, oggetto, ritenzione, memoria. La memoria (consiste nella) ritenzione di un oggetto sperimentato. La reminiscenza consiste nella ripetizione della percezione di un oggetto sperimentato, in assenza di esso. 24 “Memoria”: evidentemente ci si riferisce qui non alla traccia mnestica né alla sua registrazione ma alla percezione costituente la riproduzione della traccia mnestica, quindi si tratta più propriamente della reminiscenza. Ciò obbliga all’uso del termine ripetizione anziché “ritenzione”. “Di un oggetto sperimentato”: è evidente che si tratta della percezione di un oggetto sperimentato (cioè già percepito in passato). La locuzione in assenza di esso è stata aggiunta per ovvi motivi di chiarezza e precisione.

I, 12 Esercizio costante, non attaccamento, inibizione. L’inibizione (delle modificazioni della mente) (si attua) con

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l’esercizio costante e il non attaccamento. L’inibizione della percezione ordinaria si attua con l’esercizio costante e il non attaccamento. 25 I, 13 Di questi, fermamente fondato, sforzo, esercizio. Di questi (due), l’esercizio (è) lo sforzo fermamente fondato. L’esercizio costante consiste nella persistenza dello sforzo. 52 “Fermamente fondato”: cioè persistente, quindi persistenza dello sforzo.

I, 14 Che, invero, lungo, tempo, ininterrottamente, zelo, perseguito, fermo, fondamento. Che invero (diviene) un fondamento fermo (quando è) perseguito (per) lungo tempo ininterrottamente (con) zelo. L’esercizio costante produce un sicuro effetto quando lo si persegue per lungo tempo, senza interruzione e con zelo. 53 "Diviene un fondamento fermo": cioè produce un sicuro effetto.

I, 15 Visto, udito, oggetti, di colui che ha cessato di aver sete, consapevolezza della padronanza, non attaccamento. Il non attaccamento (è) la consapevolezza della padronanza (di sé) di colui che ha cessato di aver sete degli oggetti visti e uditi. Il non attaccamento è il dominio consapevole del distacco dagli oggetti percepiti. 54 “Consapevolezza della padronanza (di sé) di colui che ha cessato di aver sete degli oggetti visti e uditi”: cioèdominio consapevole del distacco dagli oggetti percepiti.

I, 16 Quello, supremo, consapevolezza del Purusha, libertà dal desiderio dei Guna. Quello supremo (non attaccamento) (si ha con) la consapevolezza del Purusha e la libertà dal desiderio dei Guna. Il non attaccamento definitivo si ha nell'autopercezione, in cui non vi è più la tendenza della percezione ad assumere le sue tre forme ordinarie. 55 “Purusha”: Rajneesh descrive così il Purusha citato da Patanjali in questo sutra: «Il secondo e ultimo passo dell’assenza di desiderio, per Patanjali, è la totale scomparsa dell’ego. Pura natura che fluisce. Nessun io, nessuno sforzo cosciente. Questo non vuol dire che tu non sarai cosciente: sarai perfetta consapevolezza, ma non sussisterà sforzo alcuno per essere cosciente. Esisterà una consapevolezza dell’assenza del Sé (cioè dell’Io: n.d.R.), con-

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sapevolezza allo stato puro. Hai realizzato te stesso e l’esistenza per ciò che è.» (O. RAJNEESH, Yoga. La scienza dell’anima, op. cit., vol. I, p. 217) Si tratta evidentemente di un particolare stato psichico, cioè percettivo. L’uso del termine “consapevolezza” lo conferma inequivocabilmente. J. Pereira traduce Purusha con il termine coscienza (cfr. Manuale delle teologie induiste, op. cit., p. 47). Una dichiarazione esplicita di consistenza del Purusha in uno stato percettivo si ha daltronde in IV, 20. Più precisamente si tratta di quello stato percettivo in cui non vi è oggetto esterno alla percezione (cfr. I, 51; III, 3; III, 51), ossia la percezione si presenta senza alcun oggetto esterno a se stessa. E’ ciò che chiamiamo comunemente il vuoto mentale. La percezione ha come oggetto esclusivo se stessa. Possiamo correttamente dire che la percezione riflette se stessa o si autoriflette: ho quindi denominato tale stato percettivo autopercezione. In pratica si ha una percezione di esistenza come percezione senza nient’altro, senza alcun oggetto. Tale stato percettivo straordinario è denominato tecnicamente Nirvana nella tradizione buddhista, Satori nella tradizione Zen, Kaivalya nella tradizione Yoga. E’ uno stato di trance. E’ ciò che ho denominato anche percezione estatica. Purusha e Kaivalya hanno dunque lo stesso referente, sono due sinonimi usati per indicare lo stato percettivo straordinario dell’autopercezione o percezione estatica. Infatti la stessa assenza dell’Io, o meglio della percezione dell’Io, riconosciuta da Rajneesh allo stato di Purusha è attribuita da Patanjali allo stato di Kaivalya (cfr. II, 25). Patanjali istituisce tecnicamente una differenza fra Purusha e Kaivalya, fra autopercezione e percezione estatica, considerando il primo la prima fase dell’autoriflessione della percezione, quelle in cui essa si instaura ma in cui si hanno ancora flash di sensazione (cfr. sutra 174), il secondo lo stadio finale e definitivo in cui è eliminato completamente qualsiasi oggetto esterno alla stessa percezione. Ma questa è una sfumatura, è una differenza più formale che sostanziale. Entrambi denotano essenzialmente il processo di autoriflessione della percezione. Purusha è un termine attinto dalla tradizione filosofica Sankhya che indicando lo “spirito”, ossia oltre che un’entità metafisica anche la funzione psichica o percettiva, poteva provvisoriamente connotare il difficile concetto della percezione autoriflessa. Così il termine Atman (cfr. II, 5; II, 41; IV, 25). Il termine Kaivalya è invece un termine tecnico introdotto probabilmente in seguito allo sviluppo della tradizione yogica ed attinente autonomamente a quest’ultima. La presenza in essa dei termini Purusha e Atma è da considerarsi evidentemente un retaggio storico ed un omaggio formale alla cultura tradizionale. “Libertà dal desiderio dei Guna”: come è noto, la teoria dei Guna consiste nella descrizione delle tre forme fondamentali dei fenomeni (materia, pensiero, azione), alle quali corrispondono le tre forme ordinarie della perce-

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zione (sensazione, pensiero, emozione); “libertà dal desiderio dei Guna” significa quindi che non vi è più la tendenza della percezione a presentare oggetti differenziati nelle tre forme fondamentali dei fenomeni (materia, pensiero, azione) e ad assumere quindi le sue tre forme ordinarie di sensazione, pensiero, emozione. Per semplicità e coerenza, essendo gli Yoga Sutra un trattato di psicologia e non di fenomenologia, ho fatto riferimento quindi alle forme ordinarie della percezione, tanto più che in II, 18 viene enunciata esplicitamente la coincidenza delle forme dei fenomeni con le forme della percezione.

I, 17 Ragionamento, deliberazione, beatitudine, egoità, associazione, Samprajnata. (Quando vi è ancora) l’associazione di ragionamento, deliberazione, beatitudine, egoità, (si ha) il Samprajnata. Quando persistono congiunti il pensiero logico, la volontà, la percezione dell'Io e l’assenza della tensione si ha uno stato percettivo detto Samprajnata Samadhi. 105 “Ragionamento”: ossia il pensiero logico. “Deliberazione”: ossia la volontà. “Beatitudine”: lo stato di beatitudine, secondo la teoria della tensione proposta dalla psicologia yogica (cfr. II, 3 e II, 13), consiste semplicemente nell’assenza della tensione. “Egoità”: propriamente non è l’Io ma la percezione dell’Io (cfr. II, 20).

I, 18 Cessazione, evidenza dei sensi, esercizio, preceduto da, impressioni, residuo, l’altro. L’altro (stato) (detto Asamprajnata Samadhi), preceduto dall’esercizio, (si ha quando rimane) il residuo delle impressioni (dopo) la cessazione dell’evidenza dei sensi. Un altro stato percetivo, detto Asamprajnata Samadhi, si ha quando, inibite le sensazioni dopo opportuno esercizio, si ha soltanto la riproduzione delle tracce mnestiche. 106 Tutti i commentatori concordano che questo sutra si riferisce all’Asamprajnata Samadhi. “Cessazione”: il termine inibizione pone più precisamente in rilievo l’intervento attivo e intenzionale dello yogi in codesto processo. “Evidenza dei sensi” (Pratyaya): già così tradotto in I, 7; cioè sensazioni. “Impressioni” (Samskara): sono le tracce mnestiche; così verrà tradotto anche nel seguito. “Residuo”: cioè riproduzione.

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I, 19 Nascita, provocato, disincarnato, immerso nella natura. Sia per chi è immerso nella natura sia per chi è disincarnato (il Samadhi) è provocato dalla loro stessa nascita. Alcuni accedono al Samadhi spontaneamente. 96 “Disincarnato”: ho tralasciato le interpretazioni metafisica (“anime senza corpo”) e sociologica (yogi di classe inferiore) date da alcuni commentatori, perché non interessanti la psicologia. Il concetto fondamentale è che l’accesso al Samadhi può, per alcune categorie (qualunque esse siano) di individui, avvenire spontaneamente, senza alcuno sforzo o esercizio particolari da parte loro. “Spontaneamente”: la stessa interpretazione viene data da Magnone (cfr. op. cit., p. 39). Anche le Siddhi o percezioni paranormali sono considerate acquisibili per nascita, ossia spontaneamente in seguito al possesso di doti costituzionali: cfr. IV, 1. Tutti i commentatori concordano che in questo sutra è sottinteso il termine Samadhi, riportato nel sutra seguente.

I, 20 Fede, volontà, memoria, gnosi, Samadhi, preceduto da, per altri. Per altri, il Samadhi è preceduto da fede, volontà, memoria, gnosi. Altri accedono al Samadhi in seguito all’uso della fede, della volontà, della costanza e della gnosi. 97 “Memoria”: «Il termine smrti non viene qui usato nel consueto senso psicologico di memoria, ma in un’accezione speciale: ... capacità di prender nota degli insegnamenti dell’esperienza e di trattenerli nella propria coscienza perché lo guidino in futuro.» (I.K. TAIMNI, op. cit., p. 55), cioè appunto la costanza. “Gnosi” (Prajna): ho adottato questa traduzione, proposta da Magnone (cfr. op. cit., p. 58), in quanto trova riscontro nella tradizione occidentale.

I, 21 Di coloro il cui desiderio è fortemente intenso, molto prossimo. Di coloro il cui desiderio è fortemente intenso (il Samadhi) è molto prossimo. Il Samadhi è accessibile a chi lo persegue con pervicacia. 98 “Di coloro il cui desiderio è fortemente intenso”: poiché non è sufficiente il semplice desiderio per accedere al Samadhi (altrimenti non ci sarebbe bisogno dello Yoga), vi è da ritenere che il concetto più fondato sia appunto a chi lo persegue con pervicacia.

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I, 22 Lieve, media, intensa, dopo di ciò, anche, gradazione. Dopo di ciò (vi è) anche una gradazione lieve, media ed intensa. Il Samadhi presenta tre gradi: lieve, medio, intenso. 104 Grammaticalmente questo sutra è chiaramente riferito, come il sutra precedente, al termine Samadhi, presente nel sutra I, 20: quindi al Samadhi è riferito anche il concetto di gradazione.

I, 23 Divinità, abbandono a, oppure. Oppure (vi si accede con) l’abbandono alla divinità. Il Samadhi è accessibile inoltre nell’estasi mistica. 99 “Abbandono alla divinità” (Isvara-pranidhana): è evidente che si tratta dell’estasi mistica: di fatto, è questo lo stato psichico concomitante o assimilabile al Samadhi.

I, 24 Cause di pena, esperienze, risultato, impressioni, intatto, centro di coscienza (Purusha), particolare, divinità (Isvara). La divinità (costituisce) un centro di coscienza particolare, intatto dalle impressioni risultato delle esperienze e (quindi) dalle cause di pena. L’estasi mistica consiste in una particolare modalità percettiva in cui vi è assenza di riproduzione delle tracce mnestiche negative e quindi di tensione nella percezione. 100 “Divinità”: è evidente che si tratta di una contrazione del concetto di “abbandono alla divinità” e quindi dell’estasi mistica. Ne è una prova inequivocabile l’assimilazione con lo stato di coscienza (Purusha) esplicita nel sutra ed abbiamo già dimostrato che il termine Purusha indica uno stato psichico o percettivo (cfr. nota a I, 16). Una prova fattuale dell’accezione psicologica del concetto di divinità nella tradizione yogica, si ha con l’intera tradizione del Bhakti Yoga (alla quale indubbiamente fanno riferimento questo e i sutra II, 44 e II, 45), la quale afferma esplicitamente che la divinità consiste in uno stato psichico realizzabile nell’essere umano e che appunto in questa realizzazione consiste l’autorealizzazione yogica. Così infatti già la Bhagavad Gita: «Colui che trova in sé la felicità, la quiete gioiosa e anche la luce interiore, quello yogi diventa il Brahman e raggiunge l’estinzione dell’Io nel Brahman.» (V, 24) (trad. di AUROBINDO in Lo Yoga della Bhagavad Gita, op. cit., p. 155). Così ancora la tradizione moderna del Bhakti Yoga: «Il processo yogico consiste nel distogliere l’anima umana, attratta dalle apparenze esteriori, dal suo egoismo incosciente, per rivolgerla ad una condizione superiore dove il Trascendente e l’Universale si riversino nello stampo individuale trasformandolo e rigenerandolo.»

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(AUROBINDO, La sintesi dello Yoga, vol. I, op. cit., p. 57). «Ci si accorge allora che tre sono le grandi tappe della Natura: una vita corporea che è la base della nostra esistenza in questo mondo materiale, una vita mentale alla quale emergiamo ed attraverso la quale eleviamo la vita del corpo verso un fine superiore, ampliandola e completandola, ed una esistenza divina, traguardo ultimo della vita corporea e mentale, che ritorna ad esse per liberarle e condurle verso più alte possibilità.» (Idem, p. 25). «Man mano che va progredendo, può combinare queste tre forme, risolvere le loro disarmonie in ritmi d’armonia e creare così, in se stesso, la divinità integrale, l’Uomo perfetto.» (Idem, p. 26). Anche nella tradizione yogica contemporanea si afferma che «Per mezzo di Dhyana raggiungerete l’Esperienza Divina di prender coscienza dell’Atman dentro di voi.” (SATHYA SAI BABA, Sai Baba fiume d’amore, op. cit., p. 16). Vedi anche nota a II, 44. Lo stato di divinità indicato dalla psicologia yogica è stato denominato inconscio superiore o Sé ed incluso nello schema della personalità umana da R.Assagioli nella sua psicosintesi, che costituisce una trasposizione in ambito psicologico occidentale di buona parte della psicologica yogica: «L’Io che non sa consistere pienamente nel suo più alto Sé, nella sua pura essenza spirituale, deve cercare altri appoggi e connessioni vitali, deve creare o scegliere una ‘immagine’, un ‘modello ideale’ di sé, adeguato alle sue forze e alla sua costituzione psichica e che quindi sia attuabile.» (R.ASSAGIOLI, Psychosyntesis. A manual of principles and techniques, Dormann & C., New York 1965; trad. it. Principi e metodi della psicosintesi terapeutica, Ubaldini, Roma 1973, pp. 30-31). “Centro di coscienza” (Purusha): Taimni traduce “centro della Coscienza divina”; il riferimento al Sankhya è evidente ma dal punto di vista psicologico è altrettanto evidente che si tratta di uno stato coscienziale, ossia di una modalità percettiva. Cfr. anche annotazione a I, 16. “Esperienze” (Karma): qui Taimni traduce con “azioni”, ma precisa a commento di II, 12 che trattasi di «ogni pensiero, desiderio, emozione ed azione» (op. cit., p. 151); il termine “azioni” è quindi restrittivo; tradizionalmente karma è appunto tradotto con il termine onnicomprensivo esperienze. “Impressioni risultato delle esperienze”: cioè appunto le tracce mnestiche (vedi I, 18). Si tratta ovviamente di tracce mnestiche negative, ossia portatrici di tensione nella percezione (cfr. II, 13). “Cause di pena” (Klesa): per la traduzione in tensione, vedi la nota a II, 3. E’ evidente che si tratta dell’eliminazione della tensione nella percezione: la tensione persiste come traccia mnestica; è proprio l’eliminazione della riproduzione delle tracce mnestiche ad eliminare la presenza della tensione nella percezione.

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I, 25 Questo, supremo, onniscenza, seme. (In) questo (stato) (si ha) il seme della suprema onniscenza. Nell’estasi mistica si ha l’inizio della percezione olistica. 101 “Seme”: cioè l’inizio. “Suprema onniscenza”: è la percezione olistica, sintetica e unitaria, della totalità della realtà quale è registrata nella memoria del soggetto.

I, 26 Esso, di antichi, persino, maestro, dal tempo, non limitato. (In) essa (cioè, nell’estasi mistica) (si ha) persino (la percezione) (di esperienze) antiche, (in quanto) non limitata dal tempo e maestra (di esso). Nell’estasi mistica si ha la percezione di esperienze remote in quanto si ha il trascendimento dei limiti temporali. 102 “Non limitata dal tempo e maestra (di esso)”: si ha cioè il trascendimento dei limiti temporali.

I, 27 Suo, designatore, Pranava. Il suo designatore è il Pranava. Il mantra inducente l’estasi mistica è il pranava AUM. 103 “Designatore”: in realtà non designa ma induce l’estasi mistica, quindi inducente l’estasi mistica. “Pranava”: ho aggiunto AUM per chiarezza.

I, 28 Sua ripetizione costante, suo significato, meditazione. La sua ripetizione costante e la meditazione sul suo significato: La ripetizione costante del pranava e la meditazione sul suo significato 179 I, 29 Da questo, volgersi all’interno, coscienza, attingimento, anche, ostacoli, scomparsa, e. e anche da questo (si ha) la scomparsa (degli) ostacoli all’attingimento (del) volgersi all’interno (della) coscienza. portano alla rimozione degli ostacoli al raggiungimento dell’autopercezione. 180 “All’attingimento”: cioèal processo di attuazione. “Volgersi all’interno (della) coscienza”: se non vi fosse il termine “attingimento” si potrebbe pensare che si tratti genericamente del processo di introspezione o di interiorizzazione della percezione, ma la presenza di tale termine obbliga ad assumere che si tratta proprio dell’autoriflessione della

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percezione, ossia appunto dell’autopercezione.

I, 30 Malatttia, apatia, dubbio, negligenza, indolenza, brama, illusione, incapacità di trovare un punto d’appoggio, instabilità mentale, distrazione, ostacoli. (Tali) ostacoli (sono) la malattia, l’apatia, il dubbio, la negligenza, l’indolenza, la brama, l’illusione, l’incapacità di trovare un punto d’appoggio, l’instabilità mentale, la distrazione. Gli ostacoli che impediscono il raggiungimento dell’autopercezione sono: la malattia, l'apatia, il dubbio, la negligenza, l'indolenza, il desiderio, il pensiero illusorio, l’impersistenza, l’instabilità, la distrazione. 181 I, 31 Dolore, depressione, nervosismo, ansia, distrazione, che accompagnano. (Le manifestazioni) che accompagnano la distrazione sono il dispiacere, la disperazione, il nervosismo e l'ansia. Le manifestazioni della distrazione sono il dolore, la depressione, il nervosismo e l'ansia. 182 I, 32 Questo, rimuovere, uno, principio, applicazione. Per rimuovere questo (cioè la distrazione), (è necessaria) l’applicazione (dell’attenzione) su un principio. Per eliminare la distrazione, occorre concentrarsi intensamente su un unico oggetto. 183 “Un principio”: il concetto espresso è quello di un unico oggetto della percezione; infatti si tratta della concentrazione su un unico oggetto (Dharana).

I, 33 Amicizia, compassione, gioia, indifferenza, piacere, dolore, virtù, vizio, oggetti, coltivando atteggiamenti, mente, purificazione. La mente (raggiunge) la purificazione (cioè, la concentrazione) coltivando gli atteggiamenti dell’amicizia, della compassione, della gioia, dell’indifferenza (nei confronti) del piacere, del dolore, della virtù e del vizio. La concentrazione è favorita dalla pratica dell'amore, della compassione, della letizia e dell'indifferenza nei confronti dei piaceri, dei dolori, delle virtù e dei vizi. 184 “Amicizia”: Magnone traduce “benevolenza” (cfr. op. cit., p. 49); ho prefe-

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rito il più esplicito e generale amore. “Dolore”: già così tradotto in I, 31.

I, 34 Emissione, arresto, oppure, del respiro. Oppure dall’emissione e dall’arresto del respiro. La concentrazione è favorita anche dall'emissione e dalla sospensione del respiro. 185 I, 35 Sensorio, oppure, funzionamento, nato, mente, stabilità, utile per determinare. Oppure il funzionamento sensorio nato dalla mente (è) utile per determinare la stabilità. La concentrazione è favorita inoltre dalle percezioni sensoriali autoindotte. 186 “Funzionamento sensorio”: cioèpercezioni sensoriali. “Nato dalla mente”: cioè generato dalla mente stessa, ossia autoindotto. “Per determinare la stabilità”: cioè favorisce.

I, 36 Sereno, oppure, luminoso. Oppure (da uno stato mentale) sereno e luminoso. dagli stati di coscienza lucida e distaccata, 187 I, 37 Essere umano che ha trasceso le passioni, oggetto, oppure, mente. Oppure dal (fare) oggetto della mente l’essere umano che ha trasceso le passioni (cioè, un illuminato). dall’assumere come oggetto della concentrazione un illuminato, 188 I, 38 Stato onirico, stato di sonno senza sogni, conoscenza, sostegno, anche. Anche dalla conoscenza (che ha come proprio sostegno) lo stato onirico (o) il sonno senza sogni. dallo stato ipnotico, 189 Questo sutra non può essere tradotto alla lettera: quale concentrazione può derivare dal sonno senza sogni? Si tratta invece probabilmente dello stato ipnotico, ad essere concomitante alla concentrazione, per quanto esso sia più precisamente indotto dalla concentrazione (ad esempio su figure circolari: cfr. II, 47).

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I, 39 Come, desiderato, mediante il Dhyana, oppure. Oppure mediante il Dhyana come desiderato. ed infine dall'esercizio intenzionale del Dhyana. 190 “Come desiderato”: cioè intenzionale.

I, 40 Minimo, atomo, massimo, infinità, estensione, suo, dominio. Il suo (cioè del Dhyana) dominio (ha) estensione dal minimo atomo alla massima infinità. L’ambito degli oggetti su cui può esercitarsi il Dhyana si estende dal più piccolo atomo alla più grande infinità. 91 “Dominio”: si tratta dell’ambito degli oggetti su cui può esercitarsi.

I, 41 Di colui le cui modificazioni mentali sono state annullate, trasparente, come, cristallo, conoscente, conoscenza, oggetti conosciuti, su cui poggia, assunzione della forma, fusione. Di colui le cui modificazioni mentali sono state annullate, (si ha) l’assunzione della forma su cui poggia (cioè, la forma essenziale) (e), come (in) un cristallo trasparente, la fusione di conoscente, conoscenza e oggetti conosciuti. In seguito all’inibizione della percezione ordinaria, la percezione assume la sua modalità essenziale e come in un cristallo trasparente non vi è più in essa distinzione fra soggetto percipiente, oggetto percepito e percezione. 49 “Di colui le cui modificazioni mentali sono state annullate”: cioè in seguito all’inibizione della percezione ordinaria.

I, 42 In questo, parola, conoscenza vera, conoscenza ordinaria fondata sulle percezioni dei sensi, alternanza, confusione, Savitarka. (Lo stato) in cui (sono presenti), (ora in) alternanza (ora in) confusione, conoscenza ordinaria fondata sulle percezioni dei sensi, parola e conoscenza vera (è detto) Savitarka (Samadhi). Lo stato percettivo nel quale sono presenti ora distinti ora confusi le sensazioni, i concetti e le intuizioni è detto Savitarka Samadhi. 107 “Alternanza”: cioè distinti gli uni dagli altri. “Parola”: cioè concetto. “Conoscenza vera”: conoscenza dell’essenza, cioè intuizione.

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I, 43 Memoria, chiarificazione, forma essenziale, privo, come se, oggetto in sé, soltanto, rappresentazione, Nirvitarka. (Lo stato nel quale) (si ha) soltanto la memoria chiara della forma essenziale dell’oggetto in sé come se (fosse) privo (della sua) rappresentazione (è detto) Nirvitarka (Samadhi). Lo stato percettivo nel quale vi è soltanto una chiara riproduzione mnestica dell’essenza degli oggetti senza la loro completa rappresentazione è detto Nirvitarka Samadhi. 108 I, 44 Con ciò, persino, Savicara, Nirvicara, e, oggetti sottili, descritto. Con ciò sono descritti persino il Savicara e il Nirvicara, (che riguardano) oggetti sottili. Il Savitarka Samadhi e il Nirvitarka Samadhi comprendono il Savicara Samadhi e il Nirvicara Samadhi, che riguardano concetti astratti. 109 “Oggetti sottili”: ossia concetti astratti.

I, 45 Oggetti sottili, e, grado indifferenziato della percezione, si estende. (L’ambito degli) oggetti sottili si estende (cioè, anche) al grado indifferenziato della percezione. Concetti astratti sono presenti anche nel grado indifferenziato della percezione. 110 “Oggetti sottili”: ossia concetti astratti (vedi sutra precedente). “Grado indifferenziato della percezione” (Alinga): così tradotto anche in II, 19.

I, 46 Quelli, soltanto, Sabija Samadhi. Quelli (fanno parte) soltanto (del) Sabija Samadhi. Il Savicara Samadhi e il Nirvicara Samadhi fanno parte del Sabija Samadhi. 111 I, 47 Nirvicara, all’attingimento della massima purezza, spirituale, chiarezza. (Quando) il Nirvicara (giunge) all’attingimento della massima purezza (si ha) la chiarezza spirituale. Quando il Nirvicara Samadhi giunge al massimo stadio si ha la percezione astratta. 113 “Chiarezza spirituale”: cioè “chiarezza percettiva”, ossia percezione (esclu-

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sivamente) astratta.

I, 48 Che porta la verità, qui, gnosi. Qui (si ha) la gnosi che porta la verità. Dalla percezione astratta si confluisce nella percezione intuitiva o gnosi. 114 “Gnosi” (Prajna): già così tradotto in I, 20. Percezione intuitiva o gnosi: ho esteso per maggiore chiarezza.

I, 49 Udito, inferenza, doppia conoscenza superiore, che possiede un altro oggetto, perché possiede un oggetto particolare. La doppia conoscenza superiore (cioè la percezione astratta e la percezione intuitiva) (è quella) che possiede un altro oggetto (rispetto) all’udito e all’inferenza, perché (queste ultime) possiedono un oggetto particolare. La percezione astratta e la percezione intuitiva non hanno oggetti particolari, come invece la sensazione e il ragionamento. 115 “Udito”: figura retorica in cui si usa il particolare al posto del generale; indica evidentemente la sensazione. “Inferenza”: cioè pensiero logico.

I, 50 Nato da esso, impressione, altre, impressioni, ciò che si interpone sulla strada di. L’impressione nata da esso (cioè, dal Sabija Samadhi) (è) ciò che si interpone sulla strada di altre impressioni. Nel Sabija Samadhi si ha l’inibizione della riproduzione delle tracce mnestiche. 112 “Ciò che si interpone”: cioè che inibisce; quindi si ha l’inibizione. "Impressioni": si tratta delle tracce mnestiche (vedi I, 18); non sono ovviamente le tracce mnestiche ad essere inibite, ma la loro riproduzione.

I, 51 Di quello, anche, inibizione,tutto, per inibizione, Nirbija Samadhi. Per inibizione anche di quello (cioè, del Sabija Samadhi) (si ha) l’inibizione di tutto (nel) Nirbija Samadhi. In seguito all’inibizione della stessa percezione intuitiva, si attua il Nirbija Samadhi, in cui si ha l’inibizione di qualsiasi oggetto esterno alla percezione. 116 “Per inibizione anche di quello (cioè, del Sabija Samadhi)”: non è propriamente il Sabija Samadhi, ad essere inibito, bensì la sua modalità percettiva

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più rarefatta, cioè appunto la percezione intuitiva (cfr. I, 48). “Inibizione di tutto”: cioè di qualsiasi oggetto esterno alla percezione; è l’oggetto esterno alla percezione, il “seme” (bija) cui si fa riferimento nel termine Sabija (“con seme”) e Nirbija (“senza seme”).

LIBRO SECONDO II, 1 Austerità, studio di sé, abbandono a Dio, Kriya Yoga. L’austerità, lo studio di sé e l’abbandono a Dio (costituiscono) il Kriya Yoga. La frugalità, l'introspezione e la dedizione alla divinità costituiscono il Kriya Yoga. 75 II, 2 Samadhi, per comportare, cause di pena, per attenuare, e. (Il Kriya Yoga) (viene praticato) (per) attenuare le cause di pena e per comportare il Samadhi. Il Kriya Yoga viene praticato per attenuare la tensione, al fine di attuare il Samadhi. 76 “Cause di pena” (klesa): vedi II, 3.

II, 3 Inconsapevolezza, Io, attrazione, repulsione, attaccamento alla vita, cause di pena. Le cause di pena (sono): l’inconsapevolezza, l’Io, l’attrazione, la repulsione, l’attaccamento alla vita. Le cause della tensione sono: l’inconsapevolezza, l’Io, l’attrazione, la repulsione, l’istinto di sopravvivenza. 33 “Cause di pena” (klesa): che non si tratti della sofferenza comunemente intesa, che è uno stato relativamente straordinario e comunque non permanente nella percezione ordinaria, è dimostrato dal fatto che le sue cause, elencate in questo sutra, sono sempre presenti, singolarmente o collettivamente, nello stato ordinario della percezione. La traduzione “vizi originali” di P. Magnone (cfr. op. cit., p. 64) è già più vicina al concetto effettivo della tradizione yogica. Il preciso significato psicologico del termine klesa indica in effetti un contesto percettivo (cfr. IV, 23) di disagio pressocché permanente o quanto meno ricorrente nell’individuo. Esso è appunto quello della tensione. Cfr. anche la nota a questo sutra nella Lettura psicologica degli Yoga Sutra. “Attaccamento alla vita”: cioè, secondo la terminologia psicologica, istinto

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di sopravvivenza.

II, 4 Inconsapevolezza, fonte, delle seguenti, dormiente, attenuato, alternante, pienamente attivo. L’inconsapevolezza (è) fonte delle seguenti, (le quali presentano grado) dormiente, attenuato, alternante, pienamente attivo. L’inconsapevolezza è causa delle altre cause della tensione, le quali presentano quattro gradi: evidente, alternato, attenuato, latente. 35 II, 5 Non eterno, impuro, dolore, non-Atma, eterno, puro, piacere, Atma, conoscenza, inconsapevolezza. L’inconsapevolezza (consiste) nella conoscenza del (cioè, nello scambiare il) non-Atma, non eterno, impuro, dolore, per Atma, eterno, puro, piacere. L’inconsapevolezza consiste nello scambiare per stato di autopercezione, permanente, puro, piacevole lo stato di non autopercezione, impermanente, impuro, spiacevole. 34 “Inconsapevolezza” (Avidya): già così tradotto in II, 3 e II, 4. "Atma": Taimni traduce, come per il termine Purusha, con “Sé”. La traduzione “Sé” del termine Atma è adottata, oltre che da Taimni, da Pensa (cfr. op. cit. p. 81) e da Magnone (cfr. op. cit. p. 66). Per esso valgono le considerazioni avanzate nella nota a I, 16. Anch'esso denota come Purusha, negli Yoga Sutra, l'autopercezione.. “Dolore” (Duhkha): già così tradotto in I, 31.

II, 6 Veggente, cognizione, identificazione, come se, egoità. L’egoità (è) come se (vi fosse) identificazione fra il veggente e la cognizione. L’Io consiste nell’identificazione della percezione con un soggetto percipiente. 38 II, 7 Piacere, deriva, attrazione. L’attrazione (verso gli oggetti percepiti) deriva dal piacere. L’attrazione verso gli oggetti percepiti deriva dal piacere. 41 II, 8 Dolore, deriva, repulsione. La repulsione (verso gli oggetti percepiti) deriva dal dolore. La repulsione verso gli oggetti percepiti deriva dal dolore. 42

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II, 9 Séguita automaticamente, saggio, persino, così, che domina, attaccamento alla vita. L’attaccamento alla vita séguita così automaticamente, che domina persino il saggio. L’istinto di sopravvivenza è un automatismo che domina persino l’illuminato. 43 “Il saggio” (Viduso): “colui che vede”, cioè l’illuminato.

II, 10 Esse, riassorbimento entro la rispettiva causa, atto a venire ridotto, sottile. Esse (cioè le cause di pena) (sono) atte a venire ridotte (ad uno stato) sottile (in seguito al) riassorbimento entro la rispettiva causa. Le cause della tensione possono essere attenuate in seguito alla riduzione dell’inconsapevolezza. 45 “Cause di pena”: già così tradotto in II, 3. Per la traduzione in tensione, vedi II, 3. “Rispettiva causa”: cioè l’inconsapevolezza (cfr. II, 4); ho usato direttamente questo termine per maggiore chiarezza e immediatezza.

II, 11 Dhyana, evitati, loro modi di essere. (Con la pratica del) Dhyana (vengono) evitati (alcuni dei) loro (cioè, delle cause di pena) modi di essere (cioè, gradi: quello evidente e quello alternato). Con la pratica del Dhyana si possono eliminare alcuni gradi delle cause della tensione. 90 “Cause di pena”: già così tradotto in II, 3. Per la traduzione in tensione, vedi II, 3.

II, 12 Radicato nelle cause di pena, veicolo dei semi delle esperienze, visto, non visto, vite, da sperimentare. Il veicolo dei semi delle esperienze, radicato nelle cause di pena, (determina) il visto, il non visto (e ciò che vi è) da sperimentare (nelle) vite. La memoria, in cui è registrata la tensione, determina la percezione. 25 ”Veicolo dei semi delle azioni” (Karmasaya): è, come è noto, il luogo nel quale vengono registrate tutte le nostre esperienze, o meglio le tracce mnestiche (Samskara) delle nostre esperienze, cioè la memoria o inconscio. “Cause di pena”: già così tradotto in II, 3. Per la traduzione in tensione, vedi

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nota a II, 3. “Radicato nelle cause di pena”: cioè che costituisce la radice delle cause di pena, ossia la registrazione mnemonica della tensione, causa della sua riproduzione percettiva. “Visto, non visto, da sperimentare (vedere)”: cioè le percezioni reali e immaginarie, presenti e future.

II, 13 Là essendo la radice, esso, maturazione, classe, vita, esperienze. Là (cioè, nel veicolo dei semi delle esperienze) essendo la radice (delle cause di pena), (in) esso (si ha) la maturazione (della) classe (delle) esperienze (della) vita. Essendo la tensione registrata nella memoria, essa determina la percezione. 31 "La radice delle cause di pena": per la traduzione in tensione, vedi II, 3. "Maturazione della classe delle esperienze della vita": cioè determina le diverse esperienze della vita; in termini rigorosamente psicologici, determina la percezione.

II, 14 Essi, gioia, dolore, frutto, merito, demerito, in ragione di. Esse (cioè le esperienze) (hanno come) frutto gioia o dolore in ragione del merito o del demerito. Le percezioni comprendono maggiore o minore tensione, a seguito dell’esaltazione o della depressione dell’Io. 32 “Gioia o dolore”: per la traduzione in tensione, vedi II, 3. “Merito o demerito”: per la traduzione in esaltazione o depressione dell’Io, vedi la nota a questo sutra in Lettura psicologica degli Yoga Sutra.

II, 15 (In ragione del) mutamento, ansietà, impressioni, dolori, Guna, modificazioni (della mente), in ragione del conflitto, e, dolore, soltanto, per l’illuminato. Soltanto per l’illuminato, le modificazioni (della mente) (sono) dolore, (in ragione del) mutamento, (dell’) ansietà (nelle) impressioni (dei) dolori, e in ragione del conflitto (fra) i Guna. Soltanto l’illuminato, è consapevole che nella percezione ordinaria vi è tensione a causa della sua stessa energia cinetica, della tensione registrata nelle tracce mnestiche, e del conflitto esistente fra le forme fondamentali dei fenomeni. 170 “Modificazioni (della mente)”: cioè percezione ordinaria (vedi I, 2). “Dolore”: per la traduzione in tensione, vedi II, 3.

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“A causa del mutamento”: cioè della sua stessa energia cinetica, in quanto la percezione ordinaria muove continuamente da un oggetto all’altro. “Ansietà”: cioè tensione. “Impressioni dei dolori”: cioè tracce mnestiche (vedi I, 18) di eventi accompagnati da tensione. L’intero concetto è espresso propriamente con la locuzione tensione registrata nelle tracce mnestiche. “Guna”: per la traduzione in forme fondamentali dei fenomeni; vedi I, 16.

II, 16 Da evitare, dolore, non ancora venuto. Il dolore non ancora venuto (è) da evitarsi. La tensione deve essere evitata. 44 “Dolore” (Duhkha): per la traduzione in “dolore”, vedi I, 31; per la traduzione in tensione, vedi II, 3.

II, 17 (Del) veggente, (e del) visibile, associazione, ciò che va evitato, causa. L’associazione del veggente e del visibile (è) la causa (di) ciò che va evitato (cioè, delle modificazioni della mente). Il dualismo soggetto-oggetto è alla base della percezione ordinaria. 3 “Modificazioni (della mente)”: cioè percezione ordinaria (vedi I, 2).

II, 18 Cognizione, attività, solidità, possiede le proprietà, elementi sensibili, organi di senso, coscienza (Atma), esperienza, e liberazione, col fine di, il visibile. Il visibile possiede le (stesse) proprietà dell’esperienza, (sia come) elementi sensibili, (oggetto) degli organi di senso, (sia come) coscienza: cognizione, attività, solidità; e col fine della liberazione (da essi). La percezione ordinaria, sia sensoriale che concettuale, presenta le stesse forme fondamentali dei fenomeni, materia, azione, cognizione, le quali possono essere trascese. 6 “Il visibile possiede le (stesse) proprietà dell’esperienza”: cioè i fenomeni presentano le stesse forme fondamentali della percezione e quindi la percezione presenta le stesse forme fondamentali dei fenomeni: ho invertito il soggetto per porre in rilievo il mutamento della modalità percettiva dalla percezione ordinaria alla percezione estatica; ho aggiunto la specificazione ordinaria per maggiore chiarezza. “Elementi degli organi di senso” (bhutendriya): cioè percezione sensoriale; cfr. III, 45.

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“Coscienza” (atma): sarebbe tecnicamente l'autopercezione, ma qui si tratta evidentemente dellapercezione concettuale contrapposta alla percezione sensoriale. “Col fine della liberazione (da essi)”: cioè “al fine del trascendimento di esse”, quindi che possono essere trascese.

II, 19 Particolare, universale, pura traccia, senza caratteristica differenziale, Guna, gradi. I Guna (presentano quattro) gradi: particolare, universale, pura traccia, senza caratteristica differenziale. Le tre forme ordinarie della percezione (sensazione, pensiero, emozione) presentano quattro gradi: particolare, universale, differenziato, indifferenziato. 10 “Guna”: per la traduzione in forme ordinarie della percezione; vedi I, 16. “Sensazione, pensiero, emozione”: aggiunte per chiarezza. “Pura traccia”: differenziato (PENSA, op. cit. p. 100; TAIMNI, op. cit. p. 170; MAGNONE, op. cit., p. 77). “Senza caratteristica differenziale”: indifferenziato (PENSA, op. cit. p. 100; TAIMNI, op. cit. p. 170; MAGNONE, op. cit., p. 77).

II, 20 Il veggente, soltanto pura visione, puro, sebbene, contenuto della mente, sembra vedere con. Il veggente, sebbene puro (cioè, in sé) (sia) soltanto pura visione, sembra vedere con il contenuto della mente. Il soggetto percipiente, sebbene consistente in percezione, in presenza degli oggetti percepiti sembra essere l’autore della percezione. 2 “Sebbene in sé sia soltanto pura visione”: cioè sebbene consistente in percezione. “Sembra vedere”: cioè sembra essere l’autore della percezione. “Con il contenuto della mente”: cioè in presenza degli oggetti percepiti.

II, 21 In funzione di quello, soltanto, del visibile, natura. La natura del visibile (è) soltanto in funzione di quello (cioè, del veggente). La percezione del soggetto percipiente esiste soltanto in presenza delle tre forme ordinarie della percezione. 8 “La natura del visibile (è) soltanto in funzione di quello (cioè, del veggente)”: ossia, il veggente esiste soltanto in presenza della natura del visibile. “Veggente”: ho tradotto ampliando il concetto di soggetto percipiente in forza di II, 6 e II, 20, in cui si enuncia esplicitamente che il soggetto perci-

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piente consiste sostanzialmente in una percezione. Propriamente, quindi, non si tratta del soggetto percipiente in quanto tale, che non esiste, ma della percezione del soggetto percipiente. “La natura del visibile”: cioè le forme fondamentali dei fenomeni; per la traduzione in forme ordinarie della percezione; vedi I, 16. Qui tale traduzione è necessaria a maggior ragione in quanto la sussistenza in sola presenza della percezione del soggetto percipiente è evidentemente riferita alle forme ordinarie della percezione. “In funzione di quello”: cioè tale che la percezione del soggetto percipiente esiste soltanto in presenza delle tre forme ordinarie della percezione (cfr. IV, 4).

II, 22 Il cui scopo è stato raggiunto, per, distrutto, sebbene, non distrutto, ciò, per gli altri, per il fatto di essere comune. (Per colui) il cui scopo è stato raggiunto, ciò (cioè, il veggente) (è) distrutto, sebbene non (sia) distrutto per gli altri, per il fatto di essere comune. Nella percezione estatica viene eliminata la percezione del soggetto percipiente, che invece è presente in tutte le percezioni ordinarie. 194 “Per colui il cui scopo è stato raggiunto”: cioè nella percezione estatica. “Ciò”: è il soggetto di II, 20, sottinteso in II, 21: il "veggente", cioè il soggetto percipiente. Per la traduzione in la percezione del soggetto percipiente, vedi sutra precedente. “Non distrutto”: cioè presente. “Per gli altri”: cioè per le altre percezioni, quelle ordinarie. “Per il fatto di essere comune”: cioè presente in tutte le percezioni ordinarie.

II, 23 Esso, maestro, poteri, natura essenziale, conoscenza, finalità, unione. L’unione di esso (cioè, l’oggetto percepito) (con) il maestro (cioè, il soggetto percipiente) (ha) i poteri della finalità (cioè, una finalità potenziale): la natura essenziale della conoscenza. Il dualismo soggetto-oggetto può quindi risolversi nella modalità essenziale della percezione, ossia nella percezione estatica. 50 “Unione di esso con il maestro”: connubbio del soggetto e dell’oggetto (cfr. Bhoja in MAGNONE, op. cit. p. 81); l’unione del soggetto e dell’oggetto costituisce un dualismo; quindi il dualismo soggetto-oggetto. “Ha una finalità potenziale”: cioè può risolversi. “Natura essenziale della conoscenza”: cioè modalità essenziale della perce-

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zione (cfr. I, 3). Ho aggiunto la locuzione percezione estatica per chiarezza.

II, 24 Sua, causa, mancanza di consapevolezza. La sua (cioè, dell’unione dell’oggetto percepito con il soggetto percipiente) causa (è) la mancanza di consapevolezza. La causa del dualismo soggetto-oggetto è l’inconsapevolezza. 4 II, 25 Questo, eliminazione, unione, scomparsa, rimedio, questo, del veggente, Kaivalya. Il rimedio di questo, (cioè) l’eliminazione dell’unione (dell’oggetto percepito con il soggetto percipiente), e di questo, (cioè) la scomparsa del veggente, (è) il Kaivalya. La percezione estatica è quella percezione in cui è assente la percezione del soggetto percipiente e quindi il dualismo soggetto-oggetto. 195 “Unione del discepolo con il maestro”: cfr. II, 23. “Scomparsa del veggente”: cfr. II, 21. "Kaivalya": è il termine tecnico che indica la percezione estatica. “Nella percezione”: aggiunto per completezza della definizione.

II, 26 Illuminazione, consapevolezza, ininterrotto, mezzo. Il mezzo (di tale eliminazione) è l’illuminazione, (che è uno stato) ininterrotto di consapevolezza. Il mezzo dell’eliminazione del dualismo soggetto-oggetto è l’illuminazione, che è uno stato ininterrotto di consapevolezza. 166 “Illuminazione” (Viveka): Vivekina è già stato tradotto “illuminato” (cfr. II, 15).

II, 27 Suo, settimo, grado, gnosi. Il suo settimo grado (è) la gnosi. Il settimo grado dell’illuminazione è la gnosi. 169 “Gnosi” (Prajna): cfr. I, 20.

II, 28 Fasi dello Yoga, mediante la pratica, dell’impurità, alla diminuzione graduale, conoscenza, splendore, fino a, illuminazione, consapevolezza. Mediante la pratica delle fasi dello Yoga, (in seguito) alla diminuzione graduale dell’impurità, (si attua) la conoscenza (che è) splendore, fino alla consapevolezza dell’illuminazione.

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Con la pratica dello Yoga, in seguito al superamento progressivo delle distinzioni, si attua la percezione intuitiva che conduce allo stato di consapevolezza proprio dell’illuminazione. 95 “Impurità”: si riferisce alle distinzioni presenti nella percezione ordinaria ed assenti nella percezione estatica, dal dualismo soggetto-oggetto (cfr. II, 17; II, 23), alle forme fondamentali della percezione (cfr. I, 6; II, 18; II, 19; ecc.), alle specie della percezione (cfr. ), ecc. "La conoscenza che è splendore": ossia la percezione intuitiva. “Fino a”: cioè che conduce a. “Illuminazione” (Viveka): Vivekina è già stato tradotto “illuminato” (cfr. II, 15).

II, 29 Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana, Samadhi, otto, membri. (La pratica yogica si divide in) otto membri: Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana, Samadhi. La pratica yogica si divide in otto fasi: Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana, Samadhi. 56 II, 30 Non violenza, veracità, non furto, continenza sessuale, non possessività, Yama. Lo Yama (è) non violenza, veracità, non furto, continenza sessuale, non possessività. Lo Yama consiste nell'astensione dalla violenza, dalla falsità, dal furto, dalla lussuria, dall'avidità. 57 II, 31 Classe, luogo, tempo, circostanza, non condizionato, che si estende a tutti gli stadi, grande voto. (Lo Yama) (costituisce) il grande voto (iniziale): esso, che si estende a tutti gli stadi, non (deve essere) condizionato dalla classe, dal luogo, dal tempo e dalla circostanza. Lo Yama costituisce il grande voto iniziale: esso deve essere osservato in qualsiasi condizione e in tutti le fasi dello Yoga. 63 II, 32 Purezza, contentamento, austerità, studio di sé, abbandono a Dio, Niyama. Il Niyama (consiste) nella purezza, nel contentamento, nell’austerità, nello studio di sé, nell’abbandono a Dio. Il Niyama consiste nella purezza, nell’accettazione, nella frugalità,

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nell'introspezione e nella dedizione alla divinità. 64 “Contentamento”: poiché lo scopo del Niyama, come dello Yama, è lo scioglimento della tensione, e poiché gran parte della tensione è provocata dal conflitto fra l’Io e il suo ambiente materiale o psichico, è evidente che la pratica di un atteggiamento capace di eliminare sistematicamente i conflitti dell’Io conduce ad uno scioglimento della tensione e quindi rientra nel Niyama; tale è appunto l’accettazione, intesa come accettazione di qualsiasi situazione, ambientale o psichica. Ancora oggi in India la tradizione yogica orale usa l’espressione Isvarasamtosa proprio nel senso di “divina accettazione”, in quanto l’accettazione è considerata nella cultura indica una qualità divina. “Austerità”: il concetto non è quello di ascesi, come comunemente si intente per “austerità”; la tradizione yogica è scevra, nella sua tradizione originale come è quella probabilmente del Raja Yoga, da eccessi. E l’ascesi è indubbiamente un eccesso. Inoltre la tradizione yogica è solare e positiva, va verso la crescita di energia, l’espansione dell’Io, l’identificazione dell’individuo con l’universo, l’ottimismo e la gioia. L’ascesi è negativa, va verso la mortificazione dell’Io e l’annichilimento. La tradizione yogica orale sopravissuta ad oggi inserisce nel Niyama la pratica della frugalità, che consiste non soltanto in una sana ed essenziale alimentazione, ma anche soprattutto in una non dipendenza dagli oggetti materiali. E’ probabile quindi che qui si intendesse indicare proprio il concetto di frugalità. “Abbandono a Dio”: qui non ho tradotto con estasi mistica come in I, 23 e II, 45, per evidenziare la fase preparatoria costituita dal Niyama e l’atteggiamento iniziale che l’adepto deve assumere, il quale è appunto la dedizione alla divinità, la quale può trasformarsi in estasi mistica e sfociare quindi nel Samadji (cfr. II, 44 e II, 45).

II, 33 Pensieri malvagi, per scacciare, gli opposti, presenza costante nella mente. Per scacciare i pensieri malvagi (occorre) la presenza costante nella mente degli opposti. La percezione costante di pensieri positivi conduce alla soppressione sistematica dei pensieri negativi. 37 “Per scacciare”: cfr. MAGNONE, op. cit. p. 88); cioè soppressione sistematica. “Pensieri malvagi”: cioè pensieri negativi. “Gli opposti”: cioè i pensieri positivi.

II, 34 Pensieri malvagi, violenza ed altro, fatto da sé, fatto mediante altri, istigato, avidità, avarizia, ira, illusione, causato

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da, moderato, intenso, dolore, ignoranza, senza fine, risultato, così, opposti, presenza costante nella mente. I pensieri malvagi di violenza ed altro, sia fatto da sé sia fatto mediante altri, istigato dall’illusione di avidità, avarizia, ira, (essendo) causato dal dolore moderato o intenso, (ha come) risultato l’inconsapevolezza senza fine: (occorre) così la presenza costante nella mente degli opposti. I pensieri negativi come l’avidità, l’avarizia, l’ira, sia relativi all’Io sia relativi agli altri individui, essendo accompagnati dalla tensione, sia moderata che intensa, danno luogo ad una permanente inconsapevolezza: occorre quindi indurre la percezione costante di pensieri positivi. 36 “Pensieri malvagi”: cioè pensieri negativi. “Causato dal dolore”: vedi la teoria della tensione, in nota a II, 3. “Degli opposti”: cioè di pensieri positivi.

II, 35 Non violenza, quando si è fermamente stabiliti, nella vicinanza di ciò, dell’ostilità, abbandono. Quando si è fermamente stabiliti nella vicinanza di ciò (cioè, in presenza), della non violenza, (si ha) l’abbandono dell’ostilità. L'astensione costante dalla violenza dà luogo all’eliminazione dell’ostilità. 58 “Fermamente stabiliti”: cioè astensione costante dall’opposto.

II, 36 Veracità, quando si è fermamente stabiliti, azione, risultato, condizione di essere un sostrato. Quando si è fermamente stabiliti nella veracità, l’azione (è) la condizione di essere un sostrato (cioè, la base) del risultato. L'astensione costante dalla falsità dà luogo all’assoluta assenza di secondi fini. 59 “Azione base del risultato”: cioè azione fine a se stessa, e quindi assenza di secondi fini.

II, 37 Non furto, quando si è fermamente stabiliti, tutte, gemme, manifestarsi. Quando si è fermamente stabiliti nel non furto, (si ha) il manifestarsi di tutte le gemme (che si possiedono). L'astensione costante dal furto dà luogo alla consapevolezza della preziosità di ciò che si ha. 60

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II, 38 Continenza sessuale, quando si è fermamente stabiliti, energia, ottenimento. Quando si è fermamente stabiliti nella continenza sessuale, (si ha) l’ottenimento dell’energia. L'astensione costante dalla lussuria dà luogo ad accumulo di energia. 61 II, 39 Non possessività, saldo, nascita, come e perché, conoscenza. La salda non possessività (dà) la conoscenza del come e perché della nascita. L'astensione costante dall'avidità dà luogo alla conoscenza del processo di generazione delle percezioni. 62 Tradizionalmente, l’interpretazione di questo sutra è quella della conoscenza delle “vite anteriori”, secondo la mitologia indica. Può anche darsi che fosse questa l’intenzione di Patanjali. Tuttavia, dal punto di vista psicologico, non è del tutto assurda l’interpretazione di esso nel senso di una conoscenza del processo di generazione delle percezioni (che sono poi alla base della nostra vita, attuale, passata o futura). In questo senso, la conoscenza del processo di generazione delle percezioni, ossia l’osservazione della dinamica percettiva e quindi la disidentificazione dall’Io, conduce, propriamente, all’astensione costante dall’avidità: cioè esattamente l’opposto di quanto sembra enunciare il sutra. Vi sono tuttavia due considerazioni da fare: la prima è che, essendo in definitiva l’astensione dall'avidità una qualità comportamentale coglibile a livello interpersonale, si presenta immediatamente come la manifestazione evidente della conoscenza della dinamica percettiva e quindi può essere colta immediatamente come la sua causa; la seconda è che, essendo nel testo sanscrito il verbo sottinteso, il significato originale potrebbe anche essere appunto quello opposto qui sopra enunciato. L'astensione dall'avidità, ossia dal possesso, che è la manifestazione più evidente dell'Io, conduce infatti al dissolvimento, sia pure parziale, della percezione dell’Io, o meglio allo spostamento del centro di identificazione coscienziale dall’Io all’osservazione impersonale dei processi psichici. E’ proprio tale posizione di osservazione impersonale dei processi psichici, che conduce alla conoscenza del processo di generazione delle percezioni.

II, 40 Purezza, membra, disgusto, con altri, non contatto. La purezza (dà luogo) al disgusto per le membra (cioè, per il corpo) e al non contatto con altri.

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La purezza corporale dà luogo al disgusto per il corpo e per il contatto fisico. 65 II, 41 Purezza mentale, letizia, concentrazione su un unico punto, controllo dei sensi, visione dell'Atma, capacità di, anche. La purezza mentale (dà) capacità di letizia, di concentrazione su un unico punto, di controllo dei sensi, ed anche di visione dell'Atma. La purezza mentale è necessaria alla pratica del Kriya Yoga e del Samyama Yoga ed anche all’attuazione dell’autopercezione. 66 “Letizia”: si tratta evidentemente dell’attenuazione della tensione, stato perseguibile con la pratica del Kriya Yoga (cfr. II, 2); ho quindi tradotto con quest’ultimo termine, per maggiore chiarezza. “Concentrazione su un unico punto”: cioè il Dharana (cfr. III, 1). “Controllo dei sensi”: cioè il Pratyahara (cfr. II, 54). E’ un riferimento alla pratica generale del Samyama Yoga; ho quindi tradotto con quest’ultimo termine, per maggiore chiarezza. “Visione dell'Atma": per la traduzione in autopercezione, vedi II, 5. La locuzione "visione dell'Atma" è rafforzativa e conferma che si tratta di uno stato percettivo. “(Dà) capacità”: la “purezza mentale”, in quanto norma fondamentale di quell’igiene mentale indispensabile per l’attenuazione della tensione con la quale lo Yoga non è praticabile (cfr. il commento ai sutra 57 e 64 in Gli Yoga Sutra), è necessaria alla pratica del Kriya Yoga e del Samyama Yoga, nonché alla realizzazione dell’autopercezione; in tal modo ho quindi tradotto per maggiore precisione.

II, 42 Contentamento, supremo, felicità, ottenimento. Il contentamento (dà) l’ottenimento della suprema felicità. L’accettazione dà luogo alla massima diminuzione della tensione. 67 “Contentamento”: per la traduzione in accettazione, vedi II, 32. “Felicità”: il significato proprio del termine Sukha, qui tradotto con “felicità”, è piacere, l’esatto opposto di Duhkha, “dolore”; abbiamo già visto che la causa del dolore, cioè della sofferenza, è la tensione (cfr. II, 3): è ovvio che la causa del suo opposto, è l’assenza, o meglio poiché nella percezione ordinaria non si può avere l’assenza assoluta della tensione, caratteristica della sola percezione estatica, la massima diminuzione della tensione.

II, 43 Corpo, sensi, perfezione, impurità, distruzione, austerità. L’austerità dà luogo alla distruzione delle impurità e alla perfezione dei sensi del corpo.

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La frugalità dà luogo alla purificazione e quindi all'efficienza corporea. 68 “Austerità”: già così tradotto in II, 32. Per la traduzione in frugalità, cfr. idem.

II, 44 Studio di sé, divinità desiderata, unione. Lo studio di sé (conduce) all’unione con la divinità desiderata. L'introspezione dà accesso all’estasi mistica. 73 “Unione con la divinità desiderata” (Ista-Devata-samprayoga): si tratta evidentemente di uno stato psichico. Lo stesso Aurobindo afferma esplicitamente l’accezione psicologica del termine Ista Devata: «La guida interiore è spesso velata in principio dall’intensità stessa dello sforzo personale ed anche perché l’ego è preoccupato di se stesso e dei propri fini. Man mano che aumenta in noi la chiarezza e il vortice dell’egoismo cede il luogo ad una più serena conoscenza di noi stessi, finiremo per scorgere la luce che aumenta in noi.» (SRI AUROBINDO, La sintesi dello Yoga, op. cit., vol. I, p. 61) «Ma se è difficile per l’uomo credere in qualcosa d’invisibile dentro di sé, gli è più facile credere in qualcosa che può immaginare fuori di sé. Il progresso spirituale della maggior parte degli esseri umani esige un sostegno esteriore, un oggetto esterno di fede. L’uomo ha bisogno di una immagine esteriore di Dio, o di un rappresentante umano - una incarnazione, un profeta o un guru. ... La disciplina spirituale indù soddisfa questi bisogni dell’anima con le sue concezioni dell’ista devata, dell’avatar e del guru.» (Idem, pp. 62-63). La coincidenza con “l’abbandono alla divinità” (cfr. I, 23; II, 45) è evidente. Ho quindi tradotto coerentemente con estasi mistica.

II, 45 Samadhi, compimento, divinità, abbandono. Il compimento dell’abbandono alla divinità (è) il Samadhi. Il compimento dell’estasi mistica è il Samadhi. 74 “Abbandono alla divinità”: per la traduzione in estasi mistica, vedi I, 23.

II, 46 Stabile, comoda, Asana. L’Asana (deve essere) stabile e comoda. L’Asana richiede stabilità e comodità. 77 II, 47 Sforzo, rilassamento, senza fine, mediante la meditazione. (L’Asana può essere mantenuta) mediante la meditazione (su una figura) senza fine e il rilassamento dello sforzo. L’Asana può essere mantenuta mediante la concentrazione su una

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figura illimitata e l'annullamento dello sforzo. 78 II, 48 Da quello, opposti, nessun assalto. Da quello (cioè, dall’Asana) (deriva) nessun assalto degli opposti. Dalla pratica dell’Asana deriva la riduzione della tensione. 79 “Assalto degli opposti”: ossia i conflitti psichici che si traducono praticamente nello stato di tensione.

II, 49 Questo, essendo stato, dell’inspirazione e dell’espirazione, movimento, interruzione, Pranayama. Essendo stato (attuato) questo (cioè, l’Asana), (si attua) il Pranayama (che è) l’interruzione del movimento dell’inspirazione e dell’espirazione. Il Pranayama consiste nella rarefazione dell’atto respiratorio: esso si pratica congiuntamente con l’Asana. 80 “Essendo stato attuato l’Asana”: il richiamo esplicito indica evidentemente che Pranayama e Asana vanno praticati congiuntamente, come attesta ancora la tradizione contemporanea.

II, 50 Esterno, interno, sospensione, luogo, tempo, numero, regolato, prolungato, attenuato. (L’atto respiratorio), esterno (cioè, l’espirazione), interno (cioè, l’inspirazione) (e in) sospensione, (se) regolato (secondo) luogo, tempo e numero, (diventa) prolungato e attenuato. La regolazione dell’inspirazione, dell’espirazione e della sospensione secondo modalità, tempi e ritmi determinati può rendere la respirazione affievolita e di lunga durata. 81 II, 51 Esterno, interno, sfera, che va al di là, quarta. La quarta (regolazione) (è quella) che va al di là della sfera dell’esterno (cioè, dell’espirazione) e dell’interno (cioè, dell’inspirazione). Una quarta regolazione non riguarda l’atto respiratorio. 82 II, 52 Allora, dissolvimento, luce, schermo. Allora (si ha) il dissolvimento dello schermo alla luce Ad essa segue la lucidità mentale 83 II, 53

Dharana, e, capacità, della mente.

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e la capacità del Dharana (cioè, concentrazione) della mente. e quindi la possibilità del Dharana. 84 II, 54 Proprî, oggetti, non contatto, mente, propria natura, funzionare secondo, come se, Pratyahara. Il Pratyahara (consiste nel) non contatto della mente con i proprî oggetti, come se essa funzionasse secondo la propria natura; Il Pratyahara consiste nell’inibizione delle percezioni sensoriali e nell’assunzione di soli oggetti mentali; 85 “Mente” (Citta): in quanto funzione di rappresentazione degli oggetti, cioè percezione; cfr. anche I, 2. “Non contatto della mente (percezione) con i proprî oggetti”: cioè non percezione degli stimoli ambientali, che sono gli oggetti proprî della percezione; quindi inibizione delle percezioni sensoriali. “Come se essa (la percezione) funzionasse secondo la propria natura”: cioè come se la percezione esercitasse la propria funzione (che è quella di produrre rappresentazioni) in se stessa, senza contatto con oggetti esterni a essa stessa, quindi con l’assunzione di soli oggetti mentali.

II, 55 Con ciò, massimo, dominio, sui sensi. con ciò (si ha) il massimo dominio sui sensi. con ciò si ha la completa eliminazione delle percezioni sensoriali. 86

LIBRO TERZO III, 1 Punto, che fissa, della mente, Dharana. Dharana (è il processo) che fissa un punto della mente. Il Dharana consiste nella concentrazione della percezione su un oggetto. 87 “(Processo) che fissa”: cioè concentrazione. “Della mente”: cioè della percezione. “Un punto”: cioè un oggetto.

III, 2 Qui, contenuto della coscienza, fluire ininterrottamente, Dhyana. Qui, nel fluire ininterrottamente (del medesimo) contenuto della coscienza, (è) il Dhyana. Il Dhyana consiste nella presenza di un unico oggetto nella perce-

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zione. 88 “Fluire ininterrottamente del medesimo”: cioè presenza di un unico. “Contenuto della coscienza”: cioè oggetto della percezione.

III, 3 Medesimo, oggetto, soltanto, apparire all’interno, forma essenziale, vuoto, come se, Samadhi. (Quando vi è) soltanto il medesimo oggetto, (poi) l’apparire (della percezione) all’interno (di se stessa) (cioè) la (sua) forma essenziale, come se (fosse) il vuoto, (si ha) il Samadhi. Il Samadhi consiste nel passaggio dalla percezione di un unico oggetto all’autopercezione, cioè alla percezione estatica priva di oggetto esterno a se stessa. 92 “L’apparire (della percezione) all’interno (di se stessa)”: cioè l’autopercezione. “Forma essenziale (della percezione)”: ossia percezione estatica (cfr. I, 3; I, 41; II, 23, IV, 34); ho tradotto direttamente con questa locuzione per maggiore chiarezza. Questo sutra non fa distinzione fra autopercezione e percezione estatica: li presenta come stati coincidenti.. “Come se (fosse) il vuoto”: cioè priva di oggetto esterno a se stessa.

III, 4 Tre, congiuntamente, Samyama. (Questi ultimi) tre (cioè, Dharana, Dhyana e Samadhi) congiuntamente (costituiscono) il Samyama (Yoga). Il Dharana, il Dhyana e il Samadhi costituiscono il Samyama Yoga. 129 III, 5 Padroneggiandolo, gnosi, luce. Padroneggiandolo, (si attua) la luce della gnosi. La pratica del Samyama Yoga dà accesso alla gnosi. 130 “Gnosi” (Prajna): ho adottato questa traduzione, proposta da P. Magnone (cfr. op. cit., p. 58), in quanto trova riscontro nella tradizione occidentale.

III, 6 Sua, per fasi, applicazione. La sua applicazione (avviene) per fasi. La pratica del Samyama Yoga è progressiva. 131 “Per fasi”: il concetto espresso non è quello delle fasi del Samyama (Dharana, Dhyana, Samadhi), già nominate e non certo richiedenti inutilmente un altro sutra, bensì della progressività della pratica del Samyama, nel senso che la pratica assidua delle tre fasi di esso conduce progressivamente lo

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yogi a sperimentare le fasi più progredite del Samadhi fino all’estrema esperienza del Kaivalya.

III, 7 I tre insieme, interno, in relazione con i precedenti. In relazione con i precedenti (stadî dello Yoga) i tre insieme (cioè, Dharana, Dhyana, Samadhi) (costituiscono lo Yoga) interno. Il Samyama Yoga costituisce lo yoga interiore. 132 III, 8 Quello, anche, esterno, rispetto al Nirbija (Samadhi). Anche quello (è) esterno rispetto al Nirbija (Samadhi). Il Nirbija Samadhi è lo yoga più profondo. 117 III, 9 Uscente, entrante, delle impressioni, soppressione, apparenza, momento della soppressione, mente, permeazione, Nirodha Parinama. La soppressione dell’apparenza delle impressioni, uscente ed entrante, e la permeazione della mente del momento della soppressione (è) il Nirodha Parinama. Il processo iniziale del Nirbija Samadhi, in cui si ha nella percezione un’inibizione progressiva della riproduzione delle tracce mnestiche è detto Nirodha Parinama. 118 “Il processo iniziale del Nirbija Samadhi”: aggiunto per chiarezza. “Apparenza delle impressioni”: cioè riproduzione delle tracce mnestiche(vedi I, 18). “Permeazione della mente del momento della soppressione”: cioè inibizione progressiva.

III, 10 Suo, tranquillo, flusso, impressioni. Il suo flusso (di) impressioni (è) tranquillo. Nel Nirodha Parinama la riproduzione delle tracce mnestiche non presenta tensione. 119 "Impressioni": cioè tracce mnestiche(vedi I, 18). “(E’) tranquillo”: cioè non presenta tensione.

III, 11 Interesse molteplice, della concentrazione, decadimento e resurrezione, della mente, Samadhi Parinama. Il decadimento e la resurrezione dell’interesse molteplice e della concentrazione della mente (è) il Samadhi Parinama. Il processo del Nirbija Samadhi in cui si ha nella percezione

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l’alternanza di un unico oggetto e di una molteplicità di oggetti è detto Samadhi Parinama. 120 “Il processo del Nirbija Samadhi”: aggiunto per chiarezza. “Il decadimento e la resurrezione”: cioè l’alternanza. “Interesse molteplice”: ossia “oggetto molteplice” o meglio molteplicità di oggetti. “Concentrazione della mente”: cioè presenza nella percezione di un unico oggetto.

III, 12 Allora, ancora, calato e sorto, uguale, contenuti, della mente, Ekagrata Parinama. (Quando) i contenuti della mente, (quello) calato e (quello) sorto, (sono) ancora uguali, allora (è) l’Ekagrata Parinama. Il processo del Nirbija Samadhi in cui l'oggetto che esce e quello che entra nella percezione è esattamente lo stesso è detto Ekagrata Parinama. 121 “Il processo del Nirbija Samadhi”: aggiunto per chiarezza. III, 13 Con ciò, elementi, organi di senso, proprietà, carattere, condizione, trasformazioni, spiegarsi. Con ciò (possono) spiegarsi le proprietà, il carattere, la condizione e le trasformazioni degli elementi (cioè, degli oggetti) degli organi di senso. Il Nirodha Parinama, il Samadhi Parinama e l’Ekagrata Parinama costituiscono i processi di modificazione della percezione ordinaria precedenti l’autopercezione. 122 “Con ciò”: cioè con il Nirodha Parinama, il Samadhi Parinama e l’Ekagrata Parinama; l’esplicitazione è stata aggiunta per chiarezza. “(Possono) spiegarsi”: cioè costituiscono i processi. “Le proprietà, il carattere, la condizione e le trasformazioni”: cioè le modificazioni. “Degli elementi (cioè, degli oggetti) degli organi di senso”: cioè degli oggetti della percezione; in definitiva, della stessa percezione (ordinaria). “Precedenti l’autopercezione”: aggiunto per chiarezza.

III, 14 Latente, manifesto, immanifesto, proprietà, correlate a, sostrato cui ineriscono le proprietà. Le proprietà, latenti, manifeste o immanifeste (nella percezione) sono correlate al sostrato cui ineriscono le proprietà (cioè, all’oggetto). Le forme ordinarie della percezione, dalla più concreta alla più a-

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stratta, sono inerenti agli oggetti concreti. 123 “Le proprietà”: a livello della percezione, si tratta più precisamente delle forme della percezione ordinaria (sensazione, pensiero, emozione), cioè le forme ordinarie della percezione. “Latenti, manifeste o immanifeste”: non si tratta della presenza o meno della forma di sensazione, pensiero o emozione nella percezione ordinaria, che c’è sempre, ma della diversa modalità della forma ordinaria, dalla più concreta (sensazione) alla più astratta (pensiero). “Sostrato cui ineriscono le proprietà”: cioè oggetto concreto.

III, 15 Processo, varietà, trasformazione, varietà, causa. Causa della varietà della trasformazione (della percezione ordinaria) (è) la varietà (del suo) processo. La differenziazione delle forme della percezione ordinaria dipende dalla diversità dei processi percettivi. 7 “Varietà della trasformazione”: cioè differenziazione delle forme.

III, 16 Trasformazioni, tre, esercitando il Samyama, passato, futuro, conoscenza. Esercitando il Samyama (Yoga) sulle tre trasformazioni (cioè il Nirodha Parinama, il Samadhi Parinama e l'Ekagrata Parinama) (si attua) la conoscenza del passato e del futuro. Esercitando il Samyama Yoga sui tre processi del Nirodha Parinama, del Samadhi Parinama, dell'Ekagrata Parinama, si attua la conoscenza del passato e del futuro. 156 III, 17 Suono, proposito, evidenza dei sensi, a causa della mutua sovrapposizione, confusione, essi, differenziazione, esercitando il Samyama su, tutti, gli essere viventi, suoni, comprensione. Il suono, il proposito (cioè, il significato) e l’evidenza dei sensi (cioè la sensazione) (presentano) confusione a causa della mutua sovrapposizione; esercitando il Samyama (Yoga) su di essi, (si attua la loro) differenziazione e la comprensione dei suoni di tutti gli esseri viventi. Il suono, il significato e la sensazione si presentano normalmente confusi: esercitando il Samyama Yoga su di essi, si attua la loro differenziazione e la comprensione dei suoni pronunciati da tutti gli esseri viventi. 153

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“Evidenza dei sensi”: cioè sensazione; già così tradotto in I, 7.

III, 18 Impressioni, mediante la percezione diretta, antecedente, nascita, conoscenza. Mediante la percezione diretta delle impressioni (si attua) la conoscenza (dell’esperienza) antecedente alla nascita. Esercitando il Samyama Yoga sulle tracce mnestiche si attua la conoscenza delle esperienze antecedenti alla nascita. 157 "Mediante la percezione diretta": cioè esercitando il Samyama Yoga; per un adeguamento formale ai restanti sutra, ho preferito questa forma esplicita. “Impressioni” (Samskara): cioè tracce mnestiche (vedi I, 18).

III, 19 Del contenuto della mente, altrui, mente, conoscenza; (Mediante la percezione diretta) del contenuto della mente (si ottiene) la conoscenza della mente altrui; Esercitando il Samyama Yoga sugli oggetti della percezione si ottiene la conoscenza generale della percezione altrui; 160 "Mediante la percezione diretta": cioè esercitando il Samyama Yoga; per un adeguamento formale ai restanti sutra, ho preferito questa forma esplicita (vedi sutra precedente). “Contenuto della mente”: cioè oggetti della percezione.

III, 20 non, anche, ciò, da cui è sostenuto, suo, a causa del non essere oggetto (del Samyama). non anche ciò da cui è sostenuto (cioè il suo sostrato od oggetto), a causa del suo non essere oggetto (del Samyama). non tuttavia dei suoi oggetti, a causa del loro non essere oggetto del Samyama Yoga. 161 III, 21 Corpo, forma visibile, esercitando il Samyama su, pertanto, percepibile, occhio, con la luce, sul non esservi contatto, invisibilità. Esercitando il Samyama sulla forma visibile del corpo, e pertanto sul non esservi contatto percepibile dell’occhio con la luce, (si ottiene) l’invisibilità. Esercitando il Samyama Yoga sul processo della visione, lo si interrompe. 150

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III, 22 Con ciò, suono, ed altri, scomparsa, è stato detto. (Da quanto) è stato detto, con ciò (ossia esercitando il Samyama su), (si ottiene) la scomparsa del suono ed altri. Analogamente, si può interrompere la ricezione del suono, e così per le altre percezioni sensoriali. 151 Questo sutra non è riportato da Pensa e da Magnone, che quindi si trovano per il seguito di questa terza parte con una numerazione sfalsata rispetto a Taimni e Videha.

III, 23 Attivo, dormiente, e, azioni, esse, esercitando il Samyama su, della morte, conoscenza, grazie a segni, oppure. Le azioni (sono) attive e dormienti: esercitando il Samyama su di esse oppure grazie a segni, (si ottiene) la conoscenza (del momento) della (propria) morte. Esercitando il Samyama sulle tracce mnestiche, attive o latenti, oppure da segni premonitori, si ottiene la conoscenza del momento della propria morte. 158 "Azioni": si tratta evidentemente delle tracce mnestiche delle azioni; sono esse infatti, e non le azioni, ad essere attive o latenti. L’uso della causa per l’effetto è una figura retorica. “Conoscenza (del momento) della (propria) morte”: così tutti i commentatori.

III, 24 Sull’amicizia eccetera, forza dei poteri. (Esercitando il Samyama Yoga) sull’amicizia eccetera, (si ottiene) la forza dei poteri (corrisponenti). Esercitando il Samyama Yoga sull'amore, sulla compassione, sulla letizia e sull'indifferenza, si ottiene la qualità corrispondente. 159 “Sull’amicizia eccetera”: vi è un evidente riferimento a I, 33, dove si elenca “amicizia, amore, compassione, letizia e indifferenza”; ho quindi esplicitato l’”eccetera”. “Amicizia”: ho preferito il più esplicito e generale amore. “Forza dei poteri”: cioè qualità corrispondente.

III, 25 Forze, forza di un elefante. (Esercitando il Samyama) sulle forze (degli animali), (si ottiene) la forza di un elefante. Esercitando il Samyama Yoga sulle forze degli animali, si ha la percezione del loro vigore. 147 “La forza di un elefante”: antonomastico, indica generalmente il vigore de-

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gli animali, oggetto di concentrazione. “Si ottiene la forza”: ossia si ha la percezione della forza, ossia del vigore degli animali.

III, 26 Intuizione, luce, dirigendo, pìccolo, nascosto, distante, conoscenza. Dirigendo la luce dell’intuizione sul nascosto, (si ottiene) la conoscenza del piccolo e del distante. Esercitando il Samyama Yoga sull’invisibile, si ottiene la conoscenza del piccolissimo e del grandissimo. 162 “Intuizione”: così Magnone (cfr. op. cit., p. 118). "Dirigendo la luce dell'intuizione": cioè esercitando il Samyama Yoga; per un adeguamento formale ai restanti sutra, ho preferito questa forma esplicita. “Nascosto”: cioè invisibile.

III, 27 Sistema solare, conoscenza, sul sole, esercitando il Samyama. Esercitando il Samyama sul sole, (si ottiene) la conoscenza del sistema solare. Esercitando il Samyama Yoga sul Sole, si ottiene la conoscenza del sistema solare. 163 III, 28 Luna, stelle, disposizione conoscenza. (Esercitando il Samyama) sulla Luna, (si ottiene) la conoscenza della disposizione delle stelle. Esercitando il Samyama Yoga sulla Luna, si ottiene la conoscenza della disposizione delle stelle. 164 III, 29 Stella polare, loro movimento, conoscenza. (Esercitando il Samyama) sulla stella polare, (si ottiene) la conoscenza del loro (cioè, delle stelle) movimento. Esercitando il Samyama Yoga sulla stella polare, si ottiene la conoscenza dei moti delle stelle. 165 III, 30 Sull’ombelico, corpo, organizzazione, conoscenza. (Esercitando il Samyama) sull'ombelico, si ottiene la conoscenza dell'organizzazione del corpo. Esercitando il Samyama Yoga sul chakra dell'ombelico, si ha la per-

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cezione dell'organizzazione del corpo. 142 “Chakra dell’ombelico”: così Magnone (cfr. op. cit., p. 120).

III, 31 Sulla gola, fame, sete, cessazione. (Esercitando il Samyama) sulla gola, si ottiene la cessazione della fame e della sete. Esercitando il Samyama Yoga sulla gola, si ottiene la cessazione della fame e della sete. 145 III, 32 Kurma Nadi, immobilità. (Esercitando il Samyama) sul Kurma Nadi, (si ottiene) l’immobilità. Esercitando il Samyama Yoga sul nervo Kurma Nadi , si ottiene l'immobilità. 146 “Nervo Kurma Nadi”: cfr. TAIMNI, op. cit., p. 302.

III, 33 Sulla luce sotto la sommità del capo, esseri perfetti, visione di. (Esercitando il Samyama) sulla luce sotto la sommità del capo, (si ha) la visione degli esseri perfetti. Esercitando il Samyama Yoga su un punto interno al cranio, si ha la visione degli illuminati. 154 “Esseri perfetti”: «coloro che si sono perfezionati e vivono nella condizione di illuminazione suprema.» (TAIMNI, op. cit., p. 303).

III, 34 Dalla conoscenza intuitiva, oppure, ogni cosa. Dalla conoscenza intuitiva, (si ottiene la conoscenza) oppure di ogni cosa. Mediante l’intuizione si ottiene la conoscenza di ogni cosa. 70 III, 35 Sul cuore, mente, consapevolezza. (Esercitando il Samyama) sul cuore, (si attua) la consapevolezza della mente. Esercitando il Samyama Yoga sul cuore, si ottiene la consapevolezza dei processi percettivi. 149 "Mente": per la traduzione in percezioni, cfr. I, 2; qui si tratta più precisamente dei processi percettivi.

III, 36 Pensiero, Purusha, estremamente, distinto, consapevolezza, non distinzione, esperienza, separato, interesse su sé, e-

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sercitando il Samyama su, Purusha, conoscenza. L’esperienza (ordinaria) (è) non distinzione fra pensiero e Purusha, (benché in quest'ultimo vi sia) consapevolezza (che essi sono) estremamente distinti; esercitando il Samyama sull’interesse su sé, (si realizza) la conoscenza del Purusha. Nella percezione ordinaria non vi è distinzione fra pensiero ed autopercezione, sebbene in quest’ultima essi risultino perfettamente distinti; esercitando il Samyama Yoga sull’introspezione, si realizza l’autopercezione. 171 “Esperienza”: cioè percezione; così tradotto anche in II, 18. "Purusha": per la traduzione con autopercezione, vedi I, 16.

III, 37 Da ciò, intuizione, uditiva, tattile, visiva, gustativa, olfattiva, si producono. Da ciò (cioè dall’introspezione) si producono l’intuizione uditiva, tattile, visiva, gustativa e olfattiva. Nell’introspezione si attuano le intuizioni sensoriali, uditiva, tattile, visiva, gustativa e olfattiva. 69 III, 38 Essi, nel Samadhi, ostacoli, nella condizione di essere volti verso l’esterno, poteri. Essi (cioè le ‘intuizioni sensoriali’) (sono) dei poteri, (ma) nella condizione di essere volti verso l’esterno, degli ostacoli nel Samadhi. Le intuizioni sensoriali costituiscono delle percezioni paranormali ma, per il fatto di essere rivolte ad oggetti esterni alla percezione, sono degli ostacoli nel Samadhi. 72 “Poteri”: cioè percezioni paranormali; vedi il commento al sutra 72 in Gli Yoga Sutra. “Nella condizione di essere volti verso l’esterno”: cioè per il fatto di essere rivolti ad oggetti esterni alla percezione.

III, 39 Legame, causa, allo sciogliersi, processi, dalla conoscenza di, della mente, altrui, corpo, ingresso. Allo sciogliersi della causa del legame (con la percezione ordinaria) e dalla conoscenza dei processi della mente (deriva) l’ingresso nel corpo altrui. In seguito alla conoscenza dei processi mentali ed al venir meno della causa della percezione ordinaria, si attua l’intuizione sensoriale del corpo altrui. 71

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“Causa del legame”: sottinteso “con la percezione ordinaria”; sinteticamente, causa della percezione ordinaria. “Processi”: così tradotto da Magnone (cfr. op. cit., p. 126). “Ingresso nel corpo altrui”: è evidente che si tratta di un'intuizione sensoriale, se non altro per il collegamento logico con il sutra precedente.

III, 40 Udana, mediante il dominio, acqua, fango, spina, ecc., non contatto, levitazione, e. Mediante il dominio dell'Udana, (si ha) la levitazione e il non contatto con acqua, fango, spina, ecc. Mediante il dominio dell'Udana, si ha la percezione della levitazione. 143 “La levitazione”: ossia la percezione della levitazione. “Non contatto con acqua, fango, spina, ecc.”: non riportato per snellimento, in quanto contenuto nel concetto di levitazione.

III, 41 Samana, mediante il dominio, divampare. Mediante il dominio del Samana (si ha) il divampare. Mediante il dominio del Samana si ha la percezione del divampare. 144 “Il divampare”: ossia la percezione del divampare.

III, 42 Orecchio, spazio, relazione, esercitando il Samyama, transfisico, udito. Esercitando il Samyama sulla relazione fra lo spazio e l'orecchio, (si ottiene) un udito transfisico. Esercitando il Samyama Yoga sulla relazione fra l'orecchio e il suono, si ottiene un udito senza limiti. 152 “Relazione fra lo spazio e l’orecchio”: cioè relazione fra l'orecchio e il suono. “Udito transfisico”: cioè udito senza limiti.

III, 43 Corpo, spazio, relazione, esercitando il Samyama, leggerezza, concentrazione della mente, e, spazio, spostamento attraverso. Esercitando il SamyamaYoga sulla relazione fra il corpo e lo spazio e concentrando la mente sulla leggerezza, si ha lo spostamento attraverso lo spazio. Esercitando il SamyamaYoga sulla relazione fra il corpo e lo spazio e sulla leggerezza, si ha la percezione dello spostamento attraverso

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lo spazio. 148 “Concentrando la mente sulla leggerezza”: ossia esercitando il SamyamaYoga sulla leggerezza. “Lo spostamento attraverso lo spazio”: ossia la percezione dello spostamento attraverso lo spazio.

III, 44 Esterno, inimmaginabile, condizione (della mente), Maha-Videha, pertanto, luce, schermo, dissoluzione. La condizione della mente detta Maha-Videha è esterna (a quella ordinaria) ed è pertanto inimmaginabile: in essa viene dissolto lo schermo alla luce. Lo stato percettivo detto Maha-Videha è il primo ad essere estraneo alla percezione ordinaria ed è pertanto inimmaginabile: in esso vengono eliminati gli ostacoli che impediscono l’autopercezione. 123 “Condizione della mente”: cioè stato percettivo. “Esterna (a quella ordinaria)”: cioè estraneo alla percezione ordinaria; ho aggiunto la precisazione è il primo ad essere per maggiore chiarezza. “Viene dissolto lo schermo alla luce”: cioè vengono eliminati gli ostacoli che impediscono l’autopercezione .

III, 45 Grossolano, reale, sottile, pervasivo, funzionale, esercitando il Samyama,bhuta, dominio. Esercitando il Samyama (sul loro aspetto) grossolano, reale, sottile, pervasivo e funzionale, (si ottiene) il dominio suibhuta. Esercitando il Samyama Yoga sull'aspetto grossolano, reale, sottile, pervasivo e funzionale della funzione sensoriale, si ottiene il controllo di essa. 135 “Bhuta”: Taimni suggerisce trattarsi degli elementi materiali fondamentali che interessano rispettivamente i cinque organi di senso: il suono, la luce, la densità, la fragranza, il sapore; tali elementi materiali presenterebbero rispettivamente cinque aspetti o stati, piuttosto difficili da sostenersi sul piano scientifico (cfr. op. cit., pp. 318-323). E’ più scientifico invece, specie dal punto di vista psicologico, assumere che il controllo del soggetto si eserciti non sugli elementi materiali bensì sugli organi di senso o meglio sulla funzione sensoriale, per la quale si spiegano più facilmente i suddetti cinque aspetti, definiti nel commento allo stesso sutra (133) nella lettura psicologica. Dal punto di vista esegetico, lo stesso Taimni dichiara accettabile l’interpretazione di bhuta come funzione: «I pancha-bhuta vengono pure chiamati pancha-tattva e potremo comprenderne la natura se avremo un’idea chiara circa il significato del termine tattva. ... Tattva può pure riferirsi ad una funzione, e la ‘pertinenza’ in questo caso può risiedere in un

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certo gruppo di cose che possiedono una funzione comune.» (TAIMNI, op. cit., pp. 318-319).

III, 46 Da ciò, anima, apparenza, corpo, perfezione, di essi, attributi, non ostruzione, e. Da ciò (cioè dal dominio sui bhuta), (si attua) l’anima (e le altre) apparenze, (ossia) la perfezione del corpo e la non ostruzione degli attributi di essi (cioè dei bhuta). Dal controllo della funzione sensoriale si attuano le percezioni paranormali di perfezione corporea e di espansione degli aspetti della funzione sensoriale, quali la percezione atomica del corpo e le altre. 136 “Anima”: si tratta specificatamente della percezione del proprio corpo come un punto atomico senza dimensioni, situato al centro dell'universo (massima contrazione); ho tradotto direttamente con percezione atomica del corpo per maggiore chiarezza e immediatezza. “Apparenze”: l’uso di questo termine denota evidentemente la consapevolezza da parte della psicologia yogica che si tratta di percezioni allucinatorie e non di poteri reali. “La perfezione del corpo e la non ostruzione degli attributi dei bhuta”: ritengo che tali due determinazioni siano da attribuirsi alle percezioni paranormali e non a stati alternativi come ipotizzato da Taimni (cfr. op. cit., p. 323). “Non ostruzione”: cioè espansione. “Gli attributi dei bhuta”: sono evidentemente gli stessi aspetti o stati della funzione sensoriale esposti nel sutra precedente.

III, 47 Bellezza, grazia, forza, solidità, corpo, perfezione. La perfezione del corpo (comprende) bellezza, grazia, forza, solidità. La percezione di perfezione corporea comprende le percezioni di bellezza, grazia, forza, solidità. 141 “La perfezione del corpo”: è evidente che si tratta della percezione della perfezione del corpo (cfr. sutra precedente).

III, 48 Percezione, forma essenziale, egoità, immanenza, finalità, esercitando il Samyama, organi di senso, dominio. Esercitando il Samyama sulla percezione, sulla forma essenziale, sull’egoità, sull’immanenza, sulla finalità, si ottiene il dominio sugli organi di senso. Esercitando il Samyama Yoga sull’aspetto percettivo, essenziale,

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personale, inerente e finale degli organi di senso, si ottiene il controllo di essi. 133 “Aspetto percettivo, essenziale, personale, inerente e finale”: cfr. MAGNONE, op. cit., p. 133.

III, 49 Da ciò, mente, velocità, senza mezzi, natura, dominio, e. Da ciò (cioè dal dominio sugli organi di senso) (deriva) la velocità della mente senza mezzi e il dominio sulla natura. Dal controllo degli organi di senso deriva la percezione extrasensoriale immediata che dà l’impressione di dominio sulla natura. 134 “La velocità della mente senza mezzi”: cioè la percezione extrasensoriale immediata: cfr. MAGNONE, op. cit., p. 134. “Il dominio sulla natura”: si tratta evidentemente dell’impressione di dominio sulla natura.

III, 50 Pensiero, Purusha, distinzione, consapevolezza, soltanto, tutte, forme di esistenza, dominio, conoscenza totale, e. Soltanto nella consapevolezza della distinzione fra pensiero e Purusha (si ottiene) la conoscenza totale e il dominio di tutte le forme di esistenza. Soltanto nella consapevolezza della distinzione fra pensiero ed autopercezione si ottiene la conoscenza ed il controllo di tutte le forme della percezione. 172 “Purusha”: per la traduzione con autopercezione, vedi I, 16. "Forme di esistenza": è evidentemente un implicito riferimento ai Guna, le forme fondamentali dei fenomeni; ma sul piano percettivo si tratta delle forme della percezione (cfr. I, 16).

III, 51 Non attaccamento a quella, persino, legame, seme, distruzione, Kaivalya. (Con) la distruzione del legame con il seme, (si ha) persino il non attaccamento a quella (distinzione fra pensiero e Purusha ) e quindi il Kaivalya. Con l'eliminazione dell’oggetto esterno alla percezione si ha il superamento anche della distinzione fra pensiero ed autopercezione e quindi la percezione estatica. 192 “Seme”: oggetto esterno alla percezione; cfr. I, 51. "Kaivalya": è il termine tecnico che indica la percezione estatica; cfr. I, 16.

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III, 52 Poteri divini, invito, piacere, orgoglio, evitare, di nuovo l’indesiderabile, risorgere. (Occorre) evitare il piacere e l'orgoglio dell'invito dei poteri divini, per il risorgere di nuovo dell’indesiderabile. Occorre evitare il piacere e l'orgoglio provenienti dall'esperienza delle percezioni paranormali, poiché favoriscono il ritorno alla percezione ordinaria. 140 "Indesiderabile": si tratta evidentemente della percezione ordinaria. Ho così tradotto per maggiore chiarezza.

III, 53 Istante, successione, esercitando il Samyama, illuminazione, derivante, conoscenza. Esercitando il Samyama sulla successione degli istanti, (si ottiene) la conoscenza derivante dall’illuminazione. Esercitando il Samyama Yoga sul processo della successione temporale, si ottiene la consapevolezza propria dello stato di illuminazione. 155 “Illuminazione” (Viveka): Vivekina è già stato tradotto “illuminato” (cfr. II, 15).

III, 54 Classe, caratteristica, luogo, differenza, a causa dell’assenza di definizione, di due uguali, da ciò, conoscenza. Da ciò (cioè dallo stato di illuminazione) (si ottiene) la conoscenza di due uguali che a causa dell’assenza di definizione (presentano) differenza di classe, caratteristica e luogo. Dalla consapevolezza propria dello stato di illuminazione si ottiene la capacità di riconoscere gli eventi identici nonostante le differenze dei particolari, del contesto e della collocazione. 167 Pensa, Taimni e Videha hanno attribuito a questo sutra un senso logicamente opposto a quello da me indicato: cioè che si ottiene la conoscenza della differenza esistente fra le cose simili nonostante esse non possano essere distinte per classe, caratteristica o posizione. Magnone ammette invece che “si perviene a riconoscere le cose uguali”, ma si associa agli altri nel dichiararle “indistinguibili per specie, caratteristica e posizione”. Vi sono due ordini di motivi che depongono per una traduzione come quella sopra riportata: grammaticali e scientifici. Grammaticalmente, il termine differenza è riferito ai tre termini precedenti, classe caratteristica luogo, e non al termine sucessivo di due uguali. Codesto erroneo riferimento conduce infatti a delle forzature: la traduzione del termine preciso di due uguali con “di due simili”; la ripetizione, non esistente

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nell’originale, del termine differenza (o distinzione): “Da questa, il riconoscimento della differenza tra due cose simili anche quando tale differenza non è indicata da specie, carattere e posizione” (Pensa), “Da ciò deriva la conoscenza della distinzione tra due cose simili che non possano venir distinte per classe, caratteristica o posizione” (Taimni), dove il riferimento del termine differenza ai termini classe caratteristica luogo è riconosciuto ma è accompagnato inspiegabilmente dal riferimento dello stesso termine al termine di due uguali, cosa grammaticalmente impossibile perché un termine è sempre riferito ad un unico altro termine e non a più termini, a meno che vi sia nella proposizione un quantificatore, che qui manca. Un’altra forzatura consiste nell’eliminazione, nella traduzione, del termine a causa dell’assenza di definizione. E’ evidente invece che proprio a causa dell’assenza di una definizione, che è la descrizione delle caratteristiche comuni ad una classe generale di oggetti, si assume ordinariamente per sostanziale la differenza limitata invece alla classe locale (contesto), alle caratteristiche (particolari) e al luogo (collocazione). Sul piano scientifico, la conoscenza della distinzione esistente fra eventi simili non distinguibili per classe, caratteristica o posizione, non è affatto rilevante. Essa conduce infatti ad una enumerazione di casi particolari, ossia ad una conoscenza parcellizzata, contraria alla tendenza conoscitiva della scienza che è diretta verso la generalizzazione. E’ scientificamente rilevante invece la conoscenza della sostanziale identità esistente fra eventi apparentemente differenti nei loro particolari, nel contesto logico e nella collocazione spazio-temporale, conoscenza che è ordinariamente impedita dall’assenza di una definizione scientifica di tali eventi. Ciò è esattamente quanto afferma questo sutra. Esso è particolarmente pregnante in ordine alla fenomenologia yogica, indipendente dalla filosofia Sankhya sul piano psicologico. Secondo tale fenomenologia, eventi fenomenicamente differenti vengono riconosciuti essenzialmente identici sulla scorta del processo di oggettivazione della dinamica percettiva, ossia della consapevolezza, che li riconduce alla loro essenziale identità psicologica dell’essere manifestazioni di un'unica funzione percettiva.

III, 55 Trascendente, conoscenza estesa a tutti i luoghi, conoscenza estesa a tutti gli istanti, non soggetto al processo fenomenico, e, termine ultimo, illuminazione, derivante, conoscenza. La conoscenza derivante dall’illuminazione è trascendente, estesa a tutti i luoghi, estesa a tutti gli istanti, non soggetta al processo fenomenico e termine ultimo (della percezione). La consapevolezza propria dello stato di illuminazione trascende la dimensione spazio-temporale, non è soggetta al processo percettivo

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e costituisce la modalità estrema della percezione ordinaria. 168 “Trascendente, estesa a tutti i luoghi, estesa a tutti gli istanti”: cioè trascende la dimensione spazio-temporale. “Non soggetta al processo fenomenico”: ossia non soggetta al processo percettivo. “Termine ultimo (della percezione)”: cioè modalità estrema della percezione ordinaria.

III, 56 Pensiero, Purusha, purezza, uguaglianza, Kaivalya. Nel Kaivalya (vi è) uguaglianza di purezza (fra) pensiero e Purusha. Nella percezione estatica non vi è distinzione fra pensiero ed autopercezione. 193 "Kaivalya": è il termine tecnico che indica la percezione estatica; cfr. I, 16. “Purusha”: per la traduzione con autopercezione, vedi I, 16.

LIBRO QUARTO IV, 1 Nascita, droghe, mantra, ascesi, Samadhi, derivante da, Siddhi. Le Siddhi (sono) derivanti dalla nascita, dalle droghe, dal mantra, dall’ascesi, dal Samadhi. Le percezioni paranormali si attuano o spontaneamente, o con l'uso di droghe, o con i mantra, o con l'estasi mistica o con il Samadhi. 137 “Dalla nascita”: quindi spontaneamente. “Ascesi”: costituisce un riferimento esplicito all’estasi mistica trattata in I, 23; I, 24; I, 25; I, 26; I, 27; II, 44; II, 45.

IV, 2 Altra specie, trasformazione, natura, flussi. Le trasformazioni in altra specie (sono) flussi della natura. Le percezioni paranormali sono processi naturali. 138 "Le trasformazioni in altra specie": cioè le percezioni paranormali. “Flussi” («letteralmente ‘col fluire della prakrti’»: TAIMNI, op. cit., p. 347): cioè flussi della natura; ossia processi naturali.

IV, 3 Causa accidentale, non direttamente, tendenze naturali, ostacolo, rimozione, ma, da ciò, come il contadino. (Loro) causa accidentale non (sono) direttamente le tendenze naturali, ma la rimozione dell’ostacolo da ciò, come (fa) il contadino.

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Le percezioni paranormali non si sviluppano automaticamente, ma richiedono la rimozione dell’ostacolo della percezione ordinaria. 139 “(Loro) causa accidentale non (sono) direttamente le tendenze naturali”: cioènon si sviluppano automaticamente. “La rimozione dell’ostacolo da ciò”: cioè la rimozione dell’ostacolo della percezione ordinaria. “Come (fa) il contadino”, che rimuove le pietre o rompe gli argini del campo (risaia) per irrigarlo: così tutti i commentatori. L’ho tralasciato in quanto ridondante.

IV, 4 Creato, mente, Io, solo. L’Io (è) creato solo dalla mente. La percezione dell’Io è unicamente un fenomeno della percezione ordinaria. 39 “L’Io”: per la traduzione in percezione dell’Io, valgono le stesse considerazioni avanzate a proposito di II, 21. E’ evidente che l’“Io” e il “soggetto percipiente” coincidono. “Creato”: poiché questa creazione non sussiste nella percezione estatica, è da considerarsi accidentale; si può tradurre quindi correttamente con fenomeno. “Mente”: sottinteso “modificazioni della”, quindi percezione ordinaria (vedi I, 2).

IV, 5 Attività, nella differenza, che dirige, mente, uno, di molti. (L’Io è) l’uno che dirige l’attività della mente nella differenza di molti. L’Io è il referente unico della sequenza delle percezioni ordinarie molteplici e distinte. 40 IV, 6 Di essi, nato dal Dhyana, privo di impressioni. Di essi, quelli nati dal Dhyana sono privi di impressioni. Con la pratica del Dhyana si elimina la registrazione delle tracce mnestiche delle percezioni. 89 “Di essi”: cioè delle percezioni. "Impressioni": cioè tracce mnestiche (vedi I, 18).

IV, 7 Esperienze, non bianco, non nero, di uno yogi, triplice, degli altri.

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Le esperienze (sono): di uno yogi, né bianche né nere; degli altri, triplici. Con la pratica dello Yoga la percezione non si presenta più nelle sue tre forme ordinarie ma diviene indifferenziata. 93 “Esperienze”: quindi percezioni. Ho usato il singolare perché la percezione, proprio in quanto indifferenziata, è necessariamente unica. “Né bianche, né nere”: cioè indifferenziate. “Triplici”: è evidente il riferimento alle tre forme ordinarie della percezione.

IV, 8 Perciò, loro fruizione, in forza, soltanto, manifestazione, dei desiderî. Perciò (le esperienze divengono) soltanto manifestazione dei desiderî, in forza della loro fruizione. Con la pratica dello Yoga le forme ordinarie della percezione sono soltanto il risultato della volontà. 94 IV, 9 Classe, spazio, tempo, diviso, persino, sequenza, memoria, impressioni, a causa dell’identità nella forma. Persino la sequenza delle impressioni nella memoria (ha un oggetto) diviso per classe, spazio e tempo, a causa dell’identità nella forma (di esse con le esperienze). Anche la sequenza delle percezioni memorizzate, come quella delle percezioni attuali, presenta una differenziazione di genere, spazio e tempo. 26 "Impressioni": si tratta delle tracce mnestiche (vedi I, 18) nell'effetto della loro riproduzione, cioè delle percezioni memorizzate.

IV, 10 Di esse, nessun inizio, anche, del desiderio di vivere, a causa della permanenza. Di esse (cioè delle impressioni) (non vi è) nessun inizio, anche a causa della permanenza del desiderio di vivere. Le percezioni memorizzate sono anche genetiche, a causa dell’ereditarietà. 28 IV, 11 Causa, effetto, soggetto, oggetto, a causa del fatto di essere legate insieme, di queste, alla scomparsa, scomparsa di esse. Alla scomparsa di queste (cioè delle impressioni) (si ha) la scompar-

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sa di esse (cioè delle esperienze), a causa del fatto di essere legate insieme, (come) causa ed effetto, soggetto ed oggetto. L’inibizione delle percezioni memorizzate comporta l’inibizione delle percezioni ordinarie, in quanto collegate. 29 “Alla scomparsa di queste”: il soggetto è indubbiamente lo stesso del sutra precedente, il quale a sua volta riassume il soggetto del sutra ad esso precedente (IV, 9), e cioè “le impressioni”, o meglio le percezioni memorizzate.

IV, 12 Passato, futuro, nella sua forma essenziale, esiste, a causa della differenza, delle proprietà. Il passato e il futuro esiste nella sua forma essenziale, a causa della differenza delle proprietà (degli oggetti percepiti ). La percezione del tempo esiste a causa della differenza delle proprietà degli oggetti percepiti. 27 La prima parte di questo sutra, “Il passato e il futuro esiste nella sua forma essenziale”, se presa a sé, parrebbe deporre per una concezione realistica del tempo, cioè per una concezione del tempo come dimensione della realtà. Ma la seconda parte, “a causa della differenza delle proprietà (degli oggetti percepiti )”, denuncia una concezione idealistica del tempo, ossia una concezione del tempo come dimensione della percezione. Vi sono importanti argomenti, a favore dell’attribuzione della concezione idealistica del tempo alla tradizione teorica yogica, alcuni interni al testo degli Yoga Sutra, altri esterni ad esso. Nel testo si afferma che le proprietà degli oggetti percepititi sono riconducibili alle tre forme fondamentali dei fenomeni (Guna) (cfr. IV, 13), ma queste costituiscono una modalità esclusiva della percezione ordinaria (cfr. IV, 24) che viene trascesa nella percezione estatica (cfr. IV, 34), in cui si ha la conoscenza dello stesso processo della percezione del tempo (cfr. IV, 33). La diversità delle forme degli oggetti percepiti dipende dalla diversità dei processi percettivi (III, 15). L’oggetto in se stesso è univocamente determinato e distinto dalla sua rappresentazione percettiva, di volta in volta diversa (cfr. IV, 15): è appunto questa diversità, questa trasformazione dalla rappresentazione percettiva di uno stesso oggetto, a dar luogo alla percezione del tempo (IV, 12). Gli argomenti esterni al testo degli Yoga Sutra sono fondamentalmente due. Il primo è l’utilizzazione da parte dello Yoga, come supporti ideologici, di filosofie caratterizzate in direzione idealistica, come il Sankhya e il Puratana Vedanta. Il secondo è l’indubbia parentela dello Yoga con il Buddhismo, che presenta una concezione nettamente idealistica del tempo, considerato, come l’Io, un connettore logico della percezione. Il probabile riferimento a tale concezione idealistica del tempo mi ha indot-

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to ad usare l’espressione esplicita la percezione del tempo.

IV, 13 Esse, manifeste, non manifeste, della natura dei Guna. Esse (cioè le proprietà degli oggetti percepiti), manifeste o non manifeste, (sono) della natura dei Guna. Le proprietà, attuali o potenziali, degli oggetti percepiti nella percezione ordinaria sono riconducibili alle tre forme fondamentali dei fenomeni. 9 “Manifeste o non manifeste”: cioè attuali o potenziali. Nella percezione ordinaria: aggiunto per chiarezza e completezza, in quanto nella percezione estatica le proprietà degli oggetti percepiti, riconducibili alle tre forme fondamentali dei fenomeni, non sono presenti (cfr. IV, 34).

IV, 14 Trasformazione, a causa dell’unicità, dell’oggetto, realtà. La realtà dell’oggetto (è) a causa della (sua) unicità, (al di là della sua) trasformazione. La realtà degli oggetti concreti risulta dalla loro unicità, al di là delle trasformazioni da essi assunte nella percezione ordinaria. 13 “Oggetti concreti”: ho aggiunto l’aggettivo per chiarezza; si tratta appunto degli oggetti concreti e non di quelli mentali. In quanto agli oggetti percepiti, la distinzione da essi degli oggetti concreti è evidenziata in IV, 15.

IV, 15 Oggetto che è il medesimo, a causa dell’esservi differenza della mente, di questi due, separato, modo di essere. A causa dell’esservi differenza della mente, l’oggetto, che è il medesimo (in se stesso), (è) separato (cioè distinto) (dal) modo di essere di questi due (cioè della mente e dell’oggetto percepito). Gli oggetti concreti, in se stessi, sono distinti non soltanto dalla percezione, ma anche dagli oggetti percepiti, a causa delle trasformazioni che questi ultimi presentano nella percezione. “A causa dell’esservi differenza della mente”: cioè a causa delle trasformazioni assunte dagli oggetti concreti nella percezione (ordinaria). 14 “Oggetti concreti”: vedi IV, 14. “Distinti non soltanto dalla percezione, ma anche dagli oggetti percepiti”: ho usato questa forma per mettere in evidenza la differenza fra oggetto concreto ed oggetto percepito, o meglio la sua rappresentazione percettiva (fenomenica).

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IV, 16 Non, e, una, mente, dipendente da, un oggetto, che, non conosciuto, allora, che cosa, sarebbe. E un oggetto non (è) dipendente da una mente: che non conosciuto, allora che cosa sarebbe? La realtà degli oggetti concreti non dipende dalla percezione: essi infatti sussistono indipendentemente da essa. 16 “Che non conosciuto, allora che cosa sarebbe?”: ho sciolto la domanda retorica per maggiore chiarezza e linearità.

IV, 17 L’assumere colore attraverso, a causa della necessità, per la mente, un oggetto, conosciuto, ignoto. (L’essere) un oggetto conosciuto o ignoto (è) a causa della necessità per la mente dell’assumere colore attraverso (di esso). La presenza nella percezione di un determinato oggetto percepito dipende dalla sussistenza del contesto percettivo. 5 “(L’essere) un oggetto conosciuto o ignoto”: ossia la presenza (o l’assenza) nella percezione di un determinato oggetto percepito. “A causa della necessità per la mente dell’assumere colore attraverso (di esso)”: cioè dipende dalla sussistenza del contesto percettivo (cfr. IV, 23). Il concetto di necessità del contesto percettivo è evidentemente contingente, dal momento che esso può essere eliminato nella percezione estatica in seguito all’eliminazione del soggetto percipiente, o meglio della sua percezione (cfr. II, 22).

IV, 18 Sempre, conosciute, le modificazioni della mente, del loro signore, del Purusha, a causa dell’immutabilità. Le modificazioni della mente (sono) conosciute sempre a causa dell’immutabilità del loro signore il Purusha. L’autopercezione, in quanto comporta sempre l'impersonalità, comporta sempre la percezione della dinamica percettiva ed il suo controllo. 173 “Le modificazioni della mente sono conosciute”: ossia si ha la percezione della dinamica percettiva. “Immutabilità”: l’autopercezione o percezione estatica si protrae senza modificazioni; la sua caratteristica principale è l’assenza della percezione dell’Io (cfr. ), ossia la percezione di impersonalità, la quale è precisamente quella che permette la percezione della dinamica percettiva. Ho quindi ampliato il concetto a questa caratteristica per meglio evidenziare la condizione connessa sistematicamente alla percezione della dinamica percettiva.

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“Purusha”: per la traduzione con autopercezione, vedi I, 16. "Del loro signore": l’autopercezione è definita "signore delle modificazioni della mente", ossia della percezione ordinaria (cfr. I, 2), in quanto nell’autopercezione si attua un controllo della dinamica percettiva, ridotta alla percezione di esistenza.

IV, 19 Non, questo, autoilluminante, a causa della sua percepibilità. Questo (cioè le modificazioni della mente) non (è) autoilluminante, a causa della sua percepibilità. La percezione ordinaria non è autopercipiente poiché è essa stessa oggetto di percezione. 16 IV, 20 Simultaneamente, e, ambedue, assenza di percezione. E (vi è) assenza di percezione simultaneamente di ambedue (cioè delle modificazioni della mente e del Purusia). Non si può avere simultaneamente percezione ordinaria ed autopercezione. 174 Per la traduzione di “Purusha” con autopercezione, vedi I, 16. In questo sutra vi è una dichiarazione esplicita di consistenza del Purusha in uno stato percettivo.

IV, 21 In una mente conoscibile da parte di un’altra mente, percezione delle percezioni, per assurdo, delle memorie, confusione, e. In una mente conoscibile da parte di un’altra mente, (vi sarebbe) per assurdo percezione delle percezioni e confusione delle memorie. Se la percezione ordinaria fosse autopercipiente essa sarebbe percezione di se stessa e non vi sarebbero quindi in essa riproduzioni di tracce mnestiche differenziate. 17 IV, 22 Della mente, che non cambia di luogo, la propria forma, sul presupposto, autocognizione, conoscenza. La conoscenza della propria forma, (ossia) l’autocognizione, (si ha) sul presupposto della mente che non cambia di luogo. L’autopercezione si attua in seguito alla percezione costante di uno stesso oggetto. 175

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IV, 23 Il conoscente, e il conosciuto, colorata, mente, include tutto. La mente colorata, il conoscente e il conosciuto includono tutto. Tutte le percezioni ordinarie si presentano composte di un soggetto percipiente, di un oggetto percepito e di un contesto percettivo. 1 “La mente colorata”: il termine “mente” indica nel trattato di Patanjali la percezione, ossia il processo percettivo. L’aggettivo “colorata” indica quanto è presente nella percezione oltre al soggetto percipiente e all’oggetto percepito, segnatamente la reazione che il soggetto percipiente ha nei confronti dell’oggetto percepito, ossia tecnicamente il contesto percettivo. “Il conoscente” (drasitia): già tradotto con soggetto percipiente in I, 3.

IV, 24 Questa, innumerevoli, mediante attaccamenti, variegata, sebbene, con un altro fine, per il fatto che agisce in associazione. Questa (la mente), sebbene variegata, (si presenta) con un altro fine, per il fatto che agisce in associazione mediante innumerevoli attaccamenti. Le percezioni ordinarie, sebbene differenziate, si presentano in una sequenza continua, in quanto associate fra loro mediante innumerevoli collegamenti mnestici. 15 “Variegata”: cioè differenziata. “Con un altro fine”: ossia in una sequenza continua. “Attaccamenti”: più precisamente collegamenti mnestici.

IV, 25 Distinzione, di chi vede, Atma, presenza costante nella mente, cessazione completa. Con la presenza costante nella mente dell'Atma (si ha) la cessazione completa della distinzione di chi vede. Con la permanenza dell’autopercezione si ha il dissolvimento delle distinzioni istituite dal soggetto percipiente; 176 Per la traduzione del termine “Atma” con autopercezione, vedi II, 5.

IV, 26 Allora, in verità, incline alla discriminazione, gravita verso il Kaivalya, la mente. Allora la mente, in verità incline alla discriminazione, gravita verso il Kaivalya. allora la percezione, di per sé tendente alla differenziazione, si trasforma in percezione estatica. 177 "La mente": cioè la percezione; vedi I, 2.

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"Gravita verso": indica una trasformazione. "Kaivalya" è il termine tecnico denotante la percezione estatica. Sembrerebbe da questo e dal precedente sutra che si possa istituire una differenza tecnica fra autopercezione e percezione estatica. Sembrerebbe cioè che un primo stadio di quello stato percettivo straordinario fosse l’autopercezione ed un secondo stadio, immediatamente successivo, fosse la percezione estatica. Ma quale differenza oltre quella cronologica viene istituita fra i referenti di tali due denominazioni? Non esiste in tutti gli Yoga Sutra l’indicazione di una distinzione tecnica fra i due, se non questa cronologica, accennata anche in IV, 34. Tutto fa pensare che in effetti i due termini siano sinonimi e che il loro uso distinto sia semplicemente un retaggio storico-culturale: vedi nota a I, 16.

IV, 27 Negli intervalli, in essa, altri Pratyaya, dalla forza delle impressioni. Negli intervalli, in essa (nella mente) (vi sono) altri Pratyaya, (derivanti) dalla forza delle impressioni. Durante tale trasformazione, si hanno ancora oggetti della percezione derivanti dalla riproduzione automatica delle tracce mnestiche. 178 "Negli intervalli": cioè durante tale trasformazione (vedi IV, 26). "Pratyaya”: in questo sutra ha il significato generale di oggetti della percezione («Pratyaya è un termine generalmente impiegato per indicare il contenuto della coscienza quando essa funziona normalmente attraverso un veicolo di qualsiasi grado di sottigliezza.» (TAIMNI, op. cit., p. 385). "Derivanti dalla forza delle impressioni": cioè derivanti dalla riproduzione automatica delle tracce mnestiche (vedi I, 18).

IV, 28 Rimozione, di questi, come delle cause di pena, è stato dichiarato. La rimozione di questo, come delle cause di pena, (si attua come) è stato dichiarato. L’eliminazione delle sensazioni derivanti dalla riproduzione automatica delle tracce mnestiche si attua, come per la tensione, con la consapevolezza. 30 “La rimozione di questo”: cioè l’eliminazione delle sensazioni derivanti dalla riproduzione automatica delle tracce mnestiche. “Cause di pena” (Klesa): già così tradotto in II, 3; per la traduzione in tensione, vedi note ai sutra II, 3-9. "Come è stato dichiarato": sottinteso ovviamente “a proposito della tensione”, quindi con la “riduzione dell’inconsapevolezza” (II, 10), il che è come

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dire con la consapevolezza, che infatti nell’autopercezione permette “il controllo di tutte le forme della percezione” (III, 50).

IV, 29 Nella conoscenza della meditazione suprema, persino, per chi non abbia più alcun interesse, in ogni modo, illuminazione, Dharma-Mega-Samadhi. Persino l'illuminazione, per chi non abbia più in ogni modo alcun interesse, (si trasforma) nella conoscenza della meditazione suprema, il Dharma-Mega-Samadhi. Il Dharma-Mega-Samadhi è l’ultima fase del Nirbija Samadhi: in esso confluisce anche lo stato di illuminazione, ove sia assente ogni attaccamento. 124 “Illuminazione” (Viveka): Vivekina è già stato tradotto “illuminato” (cfr. II, 15). "Interesse": cioè attaccamento. "Conoscenza della meditazione suprema": cioè esperienza dell’ultima fase della meditazione ossia ultima fase del Nirbija Samadhi. La sintassi della frase è stata cambiata per porre in rilievo il Dharma-MegaSamadhi in quanto ultima fase del Nirbija Samadhi.

IV, 30 Pertanto, cause di pena, esperienze, cessazione. Con ciò (si ha) la cessazione delle cause di pena e delle esperienze. Nel Dharma-Mega-Samadhi si ha la cessazione della percezione ordinaria e della tensione. 126 "Con ciò" (Tatah): così tradotto in IV, 32; cioè nel Dharma-Mega-Samadhi. L'ho sostituito per chiarezza. “Cause di pena” (Klesa): già così tradotto in II, 3; per la traduzione in tensione, vedi note a II, 3-9. "Esperienze" (Klesa): già così tradotto in I, 24; è evidente che si tratta della percezione ordinaria.

IV, 31 Allora, tutto, ciò che copre, impurità, dal quale è stato rimosso, della conoscenza, a causa dell'infinità di, il conoscibile, soltanto poco. Allora, il conoscibile, dal quale è stato rimosso tutto ciò che copre, (cioè) l'impurità, (risulta) soltanto poco, a causa dell'infinità della conoscenza. L'esperienza comune è poco in confronto con l'infinità della conoscenza che si sperimenta nel Dharma-Mega-Samadhi, in seguito alla eliminazione della percezione ordinaria. 128

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"Allora": cioè nel Dharma-Mega-Samadhi. L'ho sostituito per chiarezza. "Il conoscibile": cioè l'esperienza comune, intesa come percezione degli oggetti extramentali. "Tutto ciò che copre, (cioè) l'impurità": si tratta evidentemente della percezione ordinaria.

IV, 32 Con ciò, avendo adempiuto al loro scopo, dei mutamenti, processo, fine, dei Guna. Con ciò, avendo adempiuto al loro scopo, (si ha) la fine del processo dei mutamenti dei Guna. Nel Dharma-Mega-Samadhi si ha l’eliminazione delle forme ordinarie della percezione. 127 "Con ciò": cioè nel Dharma-Mega-Samadhi. L'ho sostituito per chiarezza. “Guna”: per la traduzione in forme ordinarie della percezione; vedi I, 16. Tale traduzione è qui necessaria a maggior ragione, in quanto l’eliminazione concerne le forme ordinarie della percezione e non le forme fondamentali dei fenomeni.

IV, 33 Istanti, corrispondenti, mutamento, scopo finale, interamente apprensibile, processo. Il processo degli istanti corrispondenti al mutamento (è) interamente apprensibile nello scopo finale. Nel Dharma-Mega-Samadhi è completamente conoscibile il processo di percezione del tempo. 125 "Il processo degli istanti corrispondenti al mutamento": cioè il processo del tempo, o più precisamente il processo di percezione del tempo: cfr. IV, 12. "Nello scopo finale" (sottinteso "dello Yoga"): cioè nello stesso DharmaMega-Samadhi.

IV, 34 Scopo del Purusha, privo, dei Guna, recessione, Kaivalya, natura essenziale, fondazione, oppure, del potere della mente pura, fine. Il Kaivalya, scopo del Purusha, recessione priva dei Guna, (costituisce) la fondazione oppure la natura essenziale del potere della mente pura. Fine. La percezione estatica, conclusione dell’autopercezione, è quello stato della percezione in cui non sono più presenti le sue tre forme ordinarie: essa costituisce il fondamento o la modalità essenziale della percezione, liberata definitivamente da qualsiasi oggetto esterno a se stessa. 191

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"Kaivalya": è il termine tecnico che indica la percezione estatica (cfr. II, 25; III, 13; III, 51; III, 56; IV, 26). “Purusha": per la traduzione in autopercezione vedi nota a I, 16. "Scopo del Purusha": ossia conclusione dell’autopercezione. “Recessione”: cioè si ritira in se stessa; il concetto viene espresso dalle locuzioni non sono più presenti le sue tre forme ordinarie e liberata definitivamente da qualsiasi oggetto esterno a se stessa. “Guna”: per la traduzione in forme ordinarie della percezione, vedi I, 16. "Mente": per la traduzione in percezione, vedi I, 2. “Pura”: il concetto è quello di percezione liberata definitivamente da qualsiasi oggetto esterno a se stessa.

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Appendice

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Schemi

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Schema sintetico della lettura psicologica degli Yoga Sutra

Può essere utile presentare uno schema sintetico degli Yoga Sutra, secondo la mia lettura psicologica, non soltanto per chiarire e semplificare la materia alquanto complessa, ma anche per avere di quest’opera un quadro che permetta di coglierne in breve spazio gli argomenti fondamentali. Il riferimento ai Sutra (secondo l’ordinamento esposto in questo trattato) è riportato fra parentesi.

La percezione ordinaria Tutte le percezioni ordinarie si presentano composte di 1) un soggetto percipiente (percezione dell’Io e sua autoimmagine), 2) un oggetto percepito (oggetto reale in sé) e 3) un contesto percettivo (reazione emotiva del soggetto a quell’oggetto): insieme determinano il significato assunto dall’oggetto percepito per quel soggetto (1). Il soggetto percipiente o Io non ha esistenza reale: è una modalità della percezione (2). Alla base della percezione ordinaria vi è il dualismo soggetto-oggetto (erronea visione dualistica della realtà) (3), dovuto all’inconsapevolezza o ignoranza (4, 34). La percezione ordinaria si presenta nelle tre forme di sensazione, emozione, pensiero in corrispondenza delle tre forme fenomeniche (Guna) del reale: materia, azione, cognizione (6). Gli oggetti reali esistono indipendentemente dalla percezione (12). La percezione, a causa dell’attribuzione del significato, altera la consistenza degli oggetti reali (14). La percezione ordinaria è di cinque specie: conoscenza vera, conoscenza fallace, astrazione, sogno, reminiscenza (18-24).

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La memoria La memoria determina la percezione (25): ciò è evidente nella percezione endogena (reminiscenza: pensiero e riproduzione mnestica della sensazione); ma anche nella percezione esogena: infatti la sensazione di oggetti extramentali (reali) assume un significato in seguito all’interferenza con essa del pensiero e della reazione emotiva del soggetto o contesto percettivo.

La tensione La tensione, essendo registrata nella memoria, determina la percezione (31): teoria del Karma (le azioni passate, memorizzate, specie se accompagnate da tensione, determinano le azioni presenti) e dei Klesa (la tensione, o sofferenza è uno stato abituale dell’essere umano). Le cause della tensione sono: l’inconsapevolezza, l’Io, l’attrazione, la repulsione, l’istinto di sopravvivenza (33). L’inconsapevolezza è alla base delle altre cause (35). I pensieri negativi (separazione) danno luogo ad una permanente inconsapevolezza: occorre quindi indurre la percezione costante di pensieri positivi (unione) (36). L’Io consiste nell’identificazione della percezione con un soggetto percipiente (38). L’istinto di sopravvivenza è un automatismo che domina persino l’illuminato (43). Le cause della tensione, e quindi la tensione stessa, possono essere attenuate in seguito alla riduzione dell’inconsapevolezza (45).

Lo yoga La tecnica dello Yoga consiste nell’inibizione della percezione ordinaria (46). In seguito all’inibizione della percezione ordinaria, la percezione assume la sua modalità essenziale di percezione estatica (47) in cui non vi è più distinzione fra soggetto percipiente, oggetto percepito e contesto percettivo (49) e quindi dualismo soggetto-oggetto (50). La pratica yogica si divide in otto fasi: Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana, Samadhi (56). Lo Yama consiste nell'astensione dalla violenza, dalla falsità, dal furto, dalla lussuria, dall'avidità (57). Il Niyama consiste nella purezza, nell’accettazione, nella frugalità, nell'introspezione e nella dedizione alla divinità (64).

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L'introspezione dà accesso all’estasi mistica (73). Il compimento dell’estasi mistica è il Samadhi (74). La frugalità, l'introspezione e l’estasi mistica costituiscono il Kriya Yoga (i tre yoga comportamentali:Karma Yoga, Jnana Yoga e Bhakti Yoga) (75). L’Asana richiede stabilità e comodità (77). L’Asana può essere mantenuta mediante la concentrazione su una figura illimitata e l'annullamento dello sforzo (78). Il Pranayama consiste nella sospensione dell’atto respiratorio: esso si pratica congiuntamente con l’Asana (80). Il Pratyahara consiste nell’inibizione delle percezioni sensoriali e nell’assunzione di soli oggetti mentali (85); con ciò si ha la completa eliminazione delle percezioni sensoriali (86). Il Dharana consiste nella concentrazione della percezione su un oggetto (87). Il Dhyana consiste nella presenza di un unico oggetto nella percezione (88). Con la pratica del Dhyana si elimina la registrazione delle tracce mnestiche delle percezioni(89). Il Samadhi consiste nel passaggio dalla percezione di un unico oggetto all’autopercezione, cioè alla percezione estatica priva di oggetto esterno a se stessa (92). Con la pratica dello Yoga la percezione non si presenta più nelle sue tre forme ordinarie ma diviene indifferenziata (93). Con la pratica dello Yoga le forme ordinarie della percezione sono soltanto il risultato della volontà (94). Con la pratica dello Yoga, in seguito al superamento progressivo delle distinzioni, si attua la percezione intuitiva che conduce allo stato di consapevolezza proprio dell’illuminazione (95).

Il samadhi Alcuni accedono al Samadhi spontaneamente (96). Altri accedono al Samadhi in seguito all’uso della fede, della volontà, della costanza e della gnosi (97). Il Samadhi è accessibile inoltre nell’estasi mistica (99). L’estasi mistica consiste in una particolare modalità percettiva in cui vi è assenza di riproduzione delle tracce mnestiche negative e quindi di tensione nella percezione (100).

Il samyama yoga e le percezioni paranormali 204

Il Dharana, il Dhyana e il Samadhi costituiscono il Samyama Yoga (129). Il Samyama Yoga costituisce lo yoga interiore (132). Esercitando il Samyama Yoga sui varî aspetti dell’attività percettiva, si ottiene il controllo di essi (133-136; 141-165). Le percezioni paranormali si attuano o spontaneamente, o con l'uso di droghe, o con i mantra, o con l'estasi mistica, o con il Samadhi (137). Le percezioni paranormali sono processi naturali (138). Le percezioni paranormali non si sviluppano automaticamente, ma richiedono la rimozione dell’ostacolo della percezione ordinaria (139). Occorre evitare il piacere e l'orgoglio provenienti dall'esperienza delle percezioni paranormali, poiché favoriscono il ritorno alla percezione ordinaria (140).

L’illuminazione Il mezzo dell’eliminazione del dualismo soggetto-oggetto è l’illuminazione, che è uno stato ininterrotto di consapevolezza (166). La consapevolezza propria dello stato di illuminazione trascende la dimensione spazio-temporale, non è soggetta al processo percettivo e costituisce la modalità estrema della percezione ordinaria (168). Il settimo grado dell’illuminazione è la gnosi (169). Soltanto l’illuminato, è consapevole che nella percezione ordinaria vi è tensione a causa della sua stessa energia cinetica, della tensione registrata nelle tracce mnestiche, e del conflitto esistente fra le forme fondamentali dei fenomeni (170).

L'autopercezione L’autopercezione, in quanto comporta sempre l'impersonalità, comporta sempre la percezione della dinamica percettiva ed il suo controllo (173). Con la permanenza dell’autopercezione si ha il dissolvimento delle distinzioni istituite dal soggetto percipiente (176); allora la percezione, di per sé tendente alla differenziazione, si trasforma in percezione estatica (177).

La percezione estatica La percezione estatica, conclusione dell’autopercezione, è quello stato della percezione in cui non sono più presenti le sue tre forme ordinarie: essa costituisce il fondamento o la modalità essenziale della percezione, liberata definitivamente da qualsiasi oggetto esterno a se stessa (191).

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La percezione estatica è quella percezione in cui è assente la percezione del soggetto percipiente e quindi il dualismo soggetto-oggetto (195).

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Schema sintetico delle fasi del samadhi

Può essere utile uno schema sintetico delle fasi del Samadhi, esposte nei Sutra dal 105 al 128 e dal 191 al 195.

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SABIJA con oggetto esterno alla percezione

SAVITARKA SAVICARA con ragionamento con volontà sensazioni, concetti, concetti astratti SAMPRAJNATA intuizioni, ora distincon oggetto senti, ora confusi soriale esterno assenza di tensione NIRVITARKA NIRVICARA senza senza volontà ragionamento concetti astratti astrazione ASAMPRAJNATA Senza oggetto sensoriale esterno sola riproduzione di tracce mnestiche

NIRODHA PARINAMA processo inibitivo inibizione progressiva della riproduzione delle tracce mnestiche SAMADHI PARINAMA processo samadhico alternanza di un unico oggetto NIRBIJA e di una molteplicità di oggetti senza oggetto esterno

EKAGRATA PARINAMA processo di concentrazione unico oggetto

alla MAHAVIDEHA percezione grande visione autoriflessione della percezione DHARMA-MEGA-SAMADHI grande trance dello stato originale eliminazione delle forme ordinarie della percezione KAIVALYA trance estatica sola coscienza di esistenza come percezione

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INDICE Premessa LO YOGA Le origini Le tradizioni Psichico e corporeo La definizione di Yoga GLI YOGA SUTRA L’opera Il testo - Lettura psicologica e ordinamento logico La percezione ordinaria La memoria La tensione Lo Yoga Il Samadhi Il Samyama Yoga e le percezioni paranormali L’illuminazione L’autopercezione La percezione estatica LA PSICOLOGIA La teoria psicologica degli Yoga Sutra Analisi della teoria Sintesi della teoria Considerazioni psicologiche sulla pratica yogica La valenza terapeutica dello yoga Conclusione Appendice Genesi della lettura psicologica degli Yoga Sutra Libro I Libro II Libro III Libro IV Bibliografia

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