Xella (a cura di) Quando Un Dio Muore
Short Description
Paolo Xella e altri autori approfondiscono gli aspetti della divinità che muore nelle culture del Vicino Oriente Antico ...
Description
QUANDO UN DIO MUORE MORTI E ASSENZE DIVINE NELLE ANTICHE TRADIZIONI MEDITERRANEE
a cura di
PAOLO XELLA Contributi di GABRIELLA SCANDONE MATTHIAE - PAOLA PISI ANNA MARIA POLVANI - PAOLO XELLA SERGIO RIBICHINI - MARIA GRAZIA LANCELLOTTI GIULIA SFAMENI GASPARRO - MARIA ROCCHI ILEANA CHIRASSI COLOMBO
ESSEDUE EDIZIONI
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA ' Copyright 2001 by Essedue edizioni 37122 Verona- Corso Porta Nuova, 99
In copertina: Deposizione di Franco Pistoso (coll. priv.)
Stampato in Italia - Printed in Italy GRAFICHE FIORINI - VIA ALTICHIERO, I I - VERONA
SOMMARIO
PAOLOXELLA Prefazione Al.ITORI VARI
Il problema del "dio che muore"
5
GABRIELLA SCANDONE MATrniAE Osiride l'Africano, ovvero la morte re gale
15
PAOLAPISI Dumuzi-Tammuz, alla ricerca di un dio
31
ANNA MARIAPOLVANI Telipinu e gli dèi nascosti in Anatolia
63
PAOLOXELLA Da Baal di Ugarit agli dèi fenici: una questione di vita o di morte
73
SERGIO RIBICHINI La scomparsa di Adonis
97
MARIA GRAZIA LANCELLOTTI Attis, il caro estinto
115
GIULIA SFAMENI GASPARRO
Demetra e Kore-Persefone a Eleusi: assenze divine e destini umani
151
MARIA ROCCHI
Morte di Dioniso e nuova armonia delle sue membra
181
ILEANA CHIRASSI COLOMBO
Postfazione: Why a God Must Die
199
Elenco delle abbreviazioni
209
Gli Autori di questo libro
211
PREFAZIONE*
PAOLOXELLA
Come è ben noto, la novità del messaggio cristiano, la sua forza dirompente che mina nelle fondamenta i sistemi religiosi del mondo antico spazzandoli via nell'arco di pochi secoli, risiede nello "scandalo della croce", cioè nell'incredibile realtà dell'unico Dio che scende sulla terra acquistando la natura umana fino alle conseguenze più estreme. Ma alla Sua morte segue la Sua resurrezione, prototipo e garanzia della resurrezione di tutti gli uomini che in Lui avranno fede. Secondo le pa role di Paolo: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture,
fu
sepolto e resuscitato il terzo giorno secondo le Scritture ( ...). Ora,
se
si predica che Cristo è resuscitato dai morti, come possono dire alcuni di voi che non esiste la resurrezione dei morti? Se non esiste la resurre zione dei morti neanche Cristo è resuscitato! ( ...)Ora, invece, Cristo è resuscitato
dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a
causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la resurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti rice veranno vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono
di Cristo; poi
sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ri dotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza»
Corinzi 15, 3-24).
(/ Lettera ai
Per contro, la circostanza che altre religioni, diverse dal Cristiane simo, contemplano una (o più) divinità che muore, può essere causa di
•
Per quanto riguarda le grafie dei nomi dei personaggi divini e/o mitici, s i
è talvolta preferito adottare deliberatamente l a forma più consueta, pur se non perfettamente coerente rispetto alla traslitterazione dalla lingua origi nale: cf. ad esempio i casi di Attis, Adonis e Osiride che, a rigore, avreb bero dovuto essere citati come Attis/ Adonis/Osiris dvvero come Attide/ Adonide/Osiride. In ogni caso, si sono lasciati i singoli Autori liberi di decidere sui criteri specifici da adottare, fatta salva la coerenza interna, nell'ambito dei propri contributi.
incredulità o sconcerto, e non solo al giorno d'oggi. Già alcuni autori cristiani restarono colpiti da talune analogie - vere o presunte - tra certi culti pagani e la "vera" religione, additando i primi come tentativi dia bolici di generare confusione e fuorviare la fede. E' tuttavia fuori di dubbio che, nel mondo antico, la credenza in "morti" divine dai diversi esiti (inclusi resurrezioni e/o ritorni) e dalle varie conseguenze per l'umanità, fosse abbastanza diffusa. Per tenerci lontani dall'epoca elle nistica e romana, vanno ricordati - tra i casi non studiati in questo libro - quelli mesopotamici di Apsu nella cosmogonia dell'Enuma e/ish, di Kingu, il dio che viene sacrificato dalle altre divinità perché l'uomo riceva da lui la scintilla divina, o ancora della voluttuosa Inanna, ridotta a cadavere nell'aldilà ma che poi, fortunatamente, viene ripescata grazie al sacrificio di un suo sostituto. Tali esempi potreb bero agevolmente moltiplicarsi, e i saggi che seguono ne forniscono un'esemplificazione eloquente. Comunque stiano le cose, proprio la "passione" e la "morte" di al cune divinità sono state al centro di una riflessione profonda che non ha cessato di interessare tan�o gli studiosi delle religioni che quelli del Cristianesimo primitivo. Si tratta di un problema complesso e deli cato, nella misura in cui esso chiama in causa le radici stesse della no stra cultura e che può coinvolgere emotivamente tanto i credenti quanto i laici. Le domande di fondo, di rado formulate esplicitamente, sono più o meno le seguenti: se esistono prima di Cristo tradizioni relative a personaggi divini che hanno anch'essi sperimentato e superato la morte, e se questa loro vicenda ha conseguenze positive (talora addirittura salvifiche, a vario livello) per l'umanità, c'è un rapporto storico e genetico con la vicenda di Gesù? Qual è la consistenza, quali i limiti (se ve ne sono) della novità di quest'ultima e· del messaggio su di essa incentrato? Si tratta di un "modello" mitico rituale preesistente e confluito mutatis mutandis nella tradizione cristiana, oppure quest'ultima, con una metabasis eis allo genos, ha compiuto anche sul piano storico un incomparabile salto di qualità, segnando indelebilmente l'itinerario spirituale dell'umanità? L'ampiezza straordinaria e le profonde implicazioni di queste do mande sono tali da rendere impensabile che in un solo volume si possa anche solo presumere di dare delle risposte definitive. E non si tratta soltanto di limiti negli strumenti concettuali o nello spazio materiale, ma anche perché ci si propone qui di restare solidamente ancorati al
2
piano storico, rifiutando programmaticamente ogni indebita evasione nel campo delle valutazioni etiche e teologiche dei fatti studiati. Ma anche così l'impresa è impegnativa e irta di difficoltà di vario tipo. In questo volume ci si propone di indagare, con obiettività, rigore storico e coerenza metodologica, proprio alcune figure di questi "dèi morenti", nel tentativo di ricostruire, attraverso un'attenta analisi delle fonti, le tradizioni mitico-rìtualì che li concernono. Lo scopo è quello di fornire una messa a punto chiara, affidabile e aggiornata per ciascun personaggio preso in considerazione, nonché una valutazione storico religiosa d'insieme, che serva da riferimento per futuri ulteriori appro fondimenti. Il materiale esaminato è estremamente vario sia per la dispersione spazio-temporale delle fonti che per la tipologia delle stesse: dai testi cuneiformi mesopotamici, ittiti e siriani ai geroglifici egiziani; dalle iscrizioni alfabetiche semitiche alle testimonianze letterarie ed epigrafi che classiche; dalla documentazione archeologica e iconografica ai testi patristici. Ciò ha comportato la necessità di suddividere i temi e fare ri corso, per ciascuno di essi, a studiosi che fossero anche specialisti delle varie aree culturali, pur se tutti accomunati dalla sensibilità e dal l'interesse per i problemi storico-religiosi e dalla consapevole utilizza zione di una specifica metodologia. Non si è trattato soltanto di esporre "monograficamente" i dossiers relativi a ciascun personaggio, ma ogni Autore è stato posto di fronte ad un problema comune e specifico: valutare se e in quali modi, forme e tempi i vari personaggi
muoiano, avendo cura di distinguere tra morti vere e proprie (ma è le cito parlare di morte "umana" per un dio?) e scomparse, latitanze, as senze, ecc. Inoltre, si è cercato di indagare cosa avvenisse dopo tali eventuali morti/scomparse: se cioè il dio risorgesse, ritornasse o
re
stasse confinato nell'aldilà, e quali conseguenze avessero questi esiti per i loro fedeli e l'umanità in genere. La scelta dei personaggi qui presentati è tutt'altro che arbitraria. Si tratta, in primo luogo, dì tutte quelle figure che, nel corso degli ultimi due secoli, sono già stati chiamati dagli studiosi a far parte della cJi.. scutibile (e discussa) categoria degli "dèi morenti''. Proprio la necessità di ridìscutere i limiti e l'eventuale arbitrarietà di tale operazione ha comportato tuttavia l'esigenza di aggiungervi altri personaggi apparen temente affini ai primi, ma generalmente omessi (più o meno voluta-
3
mente) dalla suddetta "categoria". Ciò ha permesso non soltanto di ar ricchire il panorama dell'indagine, ma anche di verificare più a fondo la validità euristica di certe tipologie e di evitare discriminazioni arbitrarie talvolta inconsciamente finalizzate (sia consentito di avanzare questo sospetto) a "far tornare meglio i conti", nell'una o nell'altra direzione. Si prendono dunque le mosse dall'egiziano Osiride, mitico re del l'aldilà e prototipo del faraone defunto, per passare al mesopotamico Dumuzi-Tammuz, a sua volta identificato in epoca tarda con il bell' Adonis, l'amato dalle donne che lo piangono alle porte del tempio di Gerusalemme. L'Anatolia fornisce, attraverso il
dio Telipinu (ma
anche attraverso altre figure minori), un caso di personaggio che, indiscutibilmente,
non muore ma si
nasconde,
con
conseguenze
catastrofiche per il mondo divino e umano. Se vi è una tradizione consolidata di dèi che muoiono variamente e ritornano alla vita (in forma divina o divinizzata), la ritroviamo senza alcun dubbio in Siria Palestina, come testimonia esplicitamente il caso di Baal a Ugarit, alla fine del II millennio,
e poi quelli (meno espliciti ma comunque
sufficientemente chiari) di alcune divinità cittadine fenicie (Melqart, Eshmun, lo stesso Adonis, sia pure con gli opportuni "distinguo"). L'Attis trapiantato, per così dire, dalla Frigia in Grecia e quindi a Roma, forse un antico re divinizzato e rifunzionalizzato a fini cultuali e teologici, rappresenta in un certo senso il ponte di passaggio con l'Occidente. Qui Eleusi si segnala per la peculiarità della vicenda delle divine Madre e Figlia,
Demetra e Kore, la
cui
sorte alternante
condiziona il destino umano. Chiude il panorama Dioniso, un immor tale che condivide paradossalmente e tragicamente con gli eroi e gli uomini la prerogativa della morte. Il nostro obiettivo era di riflettere e far riflettere, proponendoci di fornire la più solida informazione storica possibile su un tema dalle implicazioni
inesorabili:
quell'ineluttabile destino mortale
in
cui
l'uomo ha voluto di volta in volta coinvolgere i suoi divini interlocu tori. Testimonianza, forse, di un'ambizione senza limiti e insieme di un'angoscia senza tempo, ma anche esigenza insopprimibile di fornire alla propria esperienza culturale il più sublime dei fondamenti.
4
IL PROBLEMA DEL "DIO CHE MUORE"
AUTORI VARI*
La definizione
di "dio che muore e risorge" (dying and rising god)
ha conosciuto un'enorme fortuna grazie all'opera di Sir James George Frazer' il quale, a sua volta, era debitore ai lavori etnografici di W. Mannhardt sul folklore contadino europeo, oltre che a certe correnti del pensiero romantico tedesco2• La teoria di Frazer concerneva alcuni personaggi maschili delle an tiche tradizioni religiose mediterranee (il "fenicio" Adonis, identificato col mesopotamico Tammuz), il frigio Attis, l'egiziano Osiride, tutti considerati protagonisti di una vicenda mitico-rituale di "morte" e "resurrezione" apparentemente connessa con l'alternarsi delle stagioni e il periodico rigenerarsi della natura. Queste figure sarebbero state mani festazioni di un unico "modello" mitico-rituale di cui sembrava abba stanza semplice delineare lo schema: personaggi soggetti a una crisi, caratterizzati da una morte e una discesa nell'aldilà, con un successivo periodico ritorno alla vita, tutti profondamente legati ad una dea da un rapporto amoroso. Ad essi Frazer aggiungeva anche Kore/Persefone e Dioniso, che mostravano caratteri specifici, ma che potevano in qual che modo assimilarsi ai primi. La vicenda del dio che stagionalmente muore e quindi ritorna
dal
mondo dei morti avrebbe dunque simbolizzato il processo naturale che veniva riattualizzato dall'uomo attraverso riti specifici, il cui scopo
era
quello di favorire il ritorno della vita in tutte le sue forme. Per lungo tempo la teoria frazeriana raccolse ampi consensi e pochi dubitavano dell'effettiva esistenza di un "archetipo" di dio morente e ri sorgente nelle antiche culture del Mediterraneo. Col progredire delle conoscenze, ai personaggi chiamati in causa da Frazer se ne aggiunsero
anzi degli altri: il babilonese Marduk, il sumerico Dumuzi controparte
(se fu invece prestata a una figura importantissima, cioè il dio siro
del più tardo Tammuz, l'anatolico Telipinu. Minore attenzione pure)
palestinese Baal, l'unico personaggio per il quale (come si vedrà me glio) è attestato senza ombra di dubbio un ritorno alla vita, senza con5
tare alcuni dèi fenici come Melqart e Eshmun, per i quali la documen tazione era oggettivamente molto meno abbondante, ma indubbia mente orientata in senso analogo. Col passare del tempo cominciarono ad affacciarsi dei dubbi e si re gistrarono progressive reazioni critiche all'impostazione frazeriana e al l'idea stessa che esistesse una categoria di "dèi morenti e risorgenti". La storia recente degli studi mostra che ci si
è confrontati con
l'impostazione del Frazer seguendo due direttrici tendenziali. Da un lato, ci si è posti di fronte a tale teoria nel suo impianto generale per verificame poi l'eventuale fondatezza e limiti attraverso specifiche esemplificazioni; dall'altro lato, vari studiosi interessati monografica mente a questo o a quel personaggio "morente" hanno compiuto un cammino inverso, partendo cioè dai singoli dossiers per riconfrontarsi poi con la teoria generale, modificando la o respingendola, a seconda dei casi. Si può aggiungere che, in generale, il primo approccio è più frequente presso gli storici delle religioni "di mestiere", laddove i l secondo h a più largamente caratterizzato l e ricerche degli specialisti dei vari settori.
Nell'uno come nell'altro caso, tuttavia,
della
teoria
frazeriana non è stato contestato tanto l'accostamento tra le figure selezionate, generalmente sempre analizzate a priori, quanto il comune simbolismo che esse avrebbero veicolato. Si è cercato di articolare i l concetto d i morte/rinascita della vegetazione criticando l a semplice equazione divinità
=
natura, senza abbandonare d'altronde del tutto
questa idea: non è raro verificare infatti che ci si continua talora a riferire a questi dèi come a delle figure legate ai cicli delle stagioni, caricandole però contemporaneamente di altre valenze simboliche. Attualmente gli studiosi sono tendenzialmente concordi sul fatto che l'interpretazione frazeriana è sorpassata e inadeguata, soprattutto perché chiama in causa personaggi le cui differenze sono forse più co spicue delle somiglianze e i cui rapporti con la sfera della fecon dità/fertilità - ammesso che esistano - sono limitati e, aggiungeremo noi, devono essere piuttosto considerati come elementi di un codice che va decifrato utilizzando una metodologia specifica. Questo però non significa che tutti i dubbi e i problemi siano stati risolti. In primo luogo, c'è ancora chi continua a restare pervicace mente attaccato ai vecchi schemi interpretativi, specie (ma non solo) in ambito biblico e vicino-orientale. All'estremo opposto, va segnalata la posizione di quanti, mirando ad eliminare ogni residuo dell'ingom brante impianto frazeriano, finiscono per dissolvere totalmente la pro6
blematica negando che si possa mai parlare di "morti" e "ritorni" i n vita per nessuna figura eroica e/o divina. Si deve infine registrare la posizione di chi, pur riconoscendo i limiti dell'impostazione frazeriana, recupera, per così dire, l'antica categoria degli "dèi morenti" in base a un'ottica diversa. A questi personaggi viene cioè riconosciuta una certa unità sostituendo la categoria degli "dèi morenti e risorgenti" con una macro-tipologia (che si presume storicamente fondata) che ravvisa i n essi dei cosiddetti "dèi in vicenda": personaggi soggetti a u n a crisi, ca ratterizzati da un rapporto intimo e privilegiato con i propri devoti che implica un'interferenza profonda tra il piano divino e quello umano,
senza negare i loro legami con il ciclo stagionale. A tali figure sarebbe per lo più connessa un'ideologia di salvezza (in questo mondo, nell'altro mondo) variamente orientata e diffusasi nelle culture mediter
ranee a partire dai culti cosiddetti mistici, ma i cui precedenti affonde rebbero in più antichi "culti di fecondità" (di problematica identifica zione e definizione i. Un cenno merita infine un altro approccio al problema, che man tiene in parte l'interpretazione frazeriana, ma ne ribalta i presupposti, proponendo di individuare precise situazioni storiche che avrebbero
prodotto personaggi del tipo dying gods. Questi ultimi troverebbero infatti la loro origine nell'accoglienza, in dell'istituto
regale
e
nella
conseguente
ambiente
aporia
politeistico,
provocata
dalla
circostanza che un uomo di rango "divino" come il sovrano (faraone, re) debba ugualmente subire la
sorte degli altri
mortali
e
non
condividere quella immortale delle divinità. Ricerche di questo tipo4 affrontano
il
problema
del
dying
god
ponendosi
in
decisa
contrapposizione alla teoria del "dema", resa popolare dagli studi di
A.E. Jensen, la quale sembrava offrire a etnologi e storici
delle
religioni una reale spiegazione alternativa all'origine del dying god 5 proposta dallo stesso Frazer. Jensen postulava infatti l'esistenza di un tipo di religione basata sul mito di un personaggio, maschile o femminile, che veniva ucciso e smembrato; i suoi resti venivano
sepolti e da essi spuntavano le prime piante alimentari.
A
tale
personaggio veniva esplicitamente ricondotto ad es. anche Osiride6•
Sulla
scia di Jensen,
altri
dying gods furono
interpretati
come
personaggi-dema, legati cioè ali' origine e al destino delle piante ali mentari. Appare dunque sempre più indispensabile interrogarsi sulla legitti mità di approcci che continuano a proporre l'accostamento - a vario ti7
tolo - di detenninate figure appartenenti a culture geograficamente e cronologicamente differenti: possiedono tali personaggi degli aspetti morfologici e funzionali veramente comuni che ne giustifichino la ri duzione a una tipologia unitaria? Ha senso un tale approccio dal punto di vista storico? Si possono mettere sullo stesso piano tennini (e av venimenti) come "morte", "scomparsa", "latenza" da una parte, e "resurrezione", "riapparizione" o "ritorno" dall'altra? E ancora: si può parlare dì "morte" per un dio o per un eroe nella stessa accezione (che andrebbe indagata scrupolosamente e caso per caso) che si usa per un essere umano? In altri tennini, quanto può una "tipologìa" fondata su queste basi costituire uno strumento enneneutico efficace per una mi gliore comprensione delle figure considerate? Ci si deve insomma in terrogare a fondo sulla liceità dì continuare ad accomunarle in una "categoria", magari non più legata ai vecchi e superati schemi fertili stici. Risulta queste
pertanto necessario riesaminare la
figure sia
usando
un
documentazione su
criterio rigorosamente
storico
sia
verificando - nella misura del possibile - cronologia e carattere delle fontì. Il materiale relativo ai vari personaggi è tutt'altro che omogeneo e non consente facili generalizzazioni. Parlare genericamente di
un
Osiride significa, ad esempio, ricostruire arbitrariamente a tavolino una figura unitaria che, come tale, non è mai esistita storicamente; la stessa figura di Dumuzi - troppo facilmente ( con)fusa con quella dì Tammuz - ha una storia plurimillenaria e, all'interno di questa, diverse sono ad esempio le tradizioni mitico-rituali concernenti il personaggio sumerico, da quelle accadiche che, specie a partire dal II millennio, sviluppano soprattutto gli aspetti del rituale che saranno molto più tardi recepiti dagli autori di lingua greca e latina. Oltre a questo, va tenuto conto del fatto che le figure in questione appartengono a tradizioni religiose diverse, testimoniate da fonti in va rie lingue: ìl dominio e il controllo diretto delle diverse documenta zioni da parte di un solo studioso appare perciò largamente utopistico. Lo storico delle religioni si vede costretto a "fidarsi" di volta in volta del sumerologo, dell'egittologo, del semitista, il che lo espone - se non proprio all'arbitrio altrui- certo all'utilizzo di traduzioni superate o eccessivamente disinvolte, su cui egli rischia poi di costruire interpre tazioni parzialmente o totalmente infondate. Partendo da una revisione critica delle fonti su ciascun personaggio, per ogni epoca e cultura, alla luce di conoscenze molto più approfon-
8
dite di quelle che aveva Frazer, questo libro si propone di verificare i fondamenti di tale "tipologia", le ragioni che ne hanno costituito il successo e quelle che eventualmente ne comprovano l'insostenibilità, parziale o totale. A tàle proposito, è importante tenere presente che lo stesso Frazer non si era inventato ex nihilo la sua teoria sui dying gods. Egli era stato indotto a focalizzare la sua attenzione su quelle specifiche figure da una tradizione tarda (cf. più avanti) che oggi siamo in grado di rico struire e che, appunto, accomunava i personaggi in questione in base ad una serie di pretese analogie. Lo studioso inglese quindi non si è mosso solamente sulla base di opzioni personali, ma ha recepito una scelta ed una valutazione in chiave allegorica sorta in un determinato momento culturale e storico e vi ha costruito una teoria storico-reli giosa. Il processo di identificazione tra le diverse figure si è mosso in epoca antica su due piani diversi che, successivamente, hanno finito per fondersi: da una parte, la riflessione razionalistica sui miti mirante ad attribuire alle divinità un "senso" naturistico e/o etico (cf. ad es. lo Stoicismo); dall'altra parte, lo sforzo compiuto dagli apologeti cristiani - per la potenziale pericolosità di figure cosl simili al Cristo di accentuare le somiglianze tra i diversi "dèi morenti", per creare una categoria "totalmente altra" da contrapporre in blocco alla figura del Salvatore. L'idea di una resurrezione di tali divinità legata a un qualche tipo di beneficio per gli uomini non era certo estranea ad alcune di queste tradizioni mitico-rituali, né occorre sempre e necessariamente pensare a un'influenza cristiana. Gli apologeti cristiani erano d'altra parte inclini a speculazioni razionalistiche sul divino, già operate dai filosofi precedenti. Essi si proponevano di dimostrare che i personaggi venerati non erano veri dèi, ma proiezioni di fenomeni naturali, vale a dire false rappresentazioni destinate a scomparire davanti alla verità cristiana dell'unico Dio. Nella stessa direzione, mutatis mutandis, andavano anche i Neoplatonici, ultimi difensori del paganesimo ormai al tramonto: nel loro caso, tuttavia, la rilettura dei miti e dei riti non eliminava la qualità divina dei protagonisti ma li
ipostatizzava,
considerandoli diverse manifestazioni di un unico principio articolato 1 nei vari livelli di realtà • Se le ragioni che hanno indotto certi autori antichi ad un accosta mento tipologico di questi personaggi si comprendono alla luce delle tendenze
culturali
e
religiose
della 9
loro
epoca,
è
più
difficile
giustificare l'attitudine di certi moderni a voler trovare a tutti i costi delle analogie (morte, resurrezione, nessi con il ciclo stagionale, eventi drammatici in generale affrontati) in figure che, a dispetto delle comuni radici mediterranee, sono molto differenti l'una dall'altra. A ben guardare, poi, un altro condizionamento è in agguato, con effetti forse non meno negativi sul piano scientifico. Si tratta dell'assunto che nega aprioristicamente l'esistenza di una sequenza morte/resurrezione nei dossiers
di
questi
personaggi,
e
comprensione storica di eventuali
che
impedisce
"resurrezioni"
ipso al
di
facto fuori
la del
Cristianesimo. In altri termini, si individua talora la tendenza - più evidente in chi è impegnato religiosamente, ma talvolta operante anche nei "laici" - a ritenere che a un solo dio nel corso della storia sia stato concesso di risorgere veramente, mentre per gli altri si tratterebbe, di volta in volta, di forme di "ritorno" di varia e differente natura. Valgano a titolo di esempio le osservazioni di K. Pri.imm, la cui acutezza di studioso sembra in questo caso essere superata dall'impegno fideistico. In un articolo dedicato proprio alle divinità "morenti e risor genti" egli criticava l'uso stesso della definizione (evidentemente derivata dalla terminologia cristiana), perché con essa «si afferma come storicamente accertato il fatto da provare, cioè la somiglianza del cristianesimo in un punto così centrale, risurrezione,
con
il
sostrato
qual è la
mitologico
di
dottrina della
questi
culti».
Egli
protestava contro l'applicazione ad altre figure, reali o mitiche, dell'idea di resurrezione. Per Pri.imm mancava, per questa vicenda, ogni paragone «non soltanto nell'ordine reale della storia, ma fino ad un certo grado anche in quello dell'ordine ideologico (per quanto era accessibile a Tertulliano, di cui si cita una celebre affermazione)». L'A. non escludeva però che l'idea di un dio morto e risorto potesse avere avuto una certa preistoria «almeno nel desiderio religioso dell'umanità antica». Reagiva
contro
l'affermazione
tout
court di
un
valore
soteriologico (da parte di non pochi storici della religione) attribuibile alla sorte degli eroi pagani, cosa che invece avrebbe potuto costituire un punto di partenza per un'indagine scientifica extra-teologica. Il valore soteriologico anzi non creerebbe difficoltà al Kerygma aposto lico della redenzione, che insegna il
fatto storico della salvezza
dell'uomo, avvenuto in un tempo e in un luogo determinato. Pri.imm sottolineava comunque (se pure ve ne fosse stato bisogno!) la libertà del teologo di affermare la trascendenza e 10
sublimità
dei misteri
cristiani, nonché di credere che i culti pagani avessero un valore sote riologico identico a quello cristiano7• In questo contesto pare allora quanto meno sospetta l'assenza, negli stu di di insieme sui dying gods, dell'ugaritico Baal, per cui i testi par lano esplicitamente di un ritorno in vita dall'aldilà come momento culminante della sua "vicenda", con tutte le implicazioni che essa
comporta per l'uomo. Tale personaggio resta quasi sempre ai margini
negli studi storico-religiosi, ovvero se ne mettono in dubbio i fonda menti documentari (in realtà inattaccabili), forse a causa dell'imbarazzo che può suscitare l'inclusione nella "tipologia" di un vero risorto, di ambiente siro-palestinese, la cui vicenda di "resurrezione" non può es sere ovviamente imputata all'influsso del Cristianesimo. Alla
luce
di
queste
riflessioni
si
rende
pertanto
necessario
riaffrontare il problema dei cosiddetti "dèi morenti e risorgenti" su nuove basi e con una nuova coscienza del condizionamento esercitato dal Cristianesimo e da una serie di scelte aprioristiche, connesse o no con quest'ultimo, vuoi di tipo polemico vuoi di tipo apologetico. In sede di esposizione specifica e di conclusioni si procederà a una valutazione generale e a una verifica delle analogie tra le diverse figure chiamate in causa, sia quelle citate tradizionalmente, sia quelle per lo più tenute fuori dall'indagine. Ma per essere ritenute tali, le eventuali analogie dovranno essere non solo di natura morfologica e funzionale, ma anche coerenti dal punto di vista storico. Solo a questo punto sarà possibile pronunciarsi sulla validità euristica del creare, per quello che
riguarda l'oggetto della presente ricerca (ma non solo per essa!), una "categoria" alla quale eventualmente far afferire - anche solo a scopo
euristico - i personaggi studiati. Ma, e questo vale la pena di sottoli
nearlo, proprio l'assenza di assunti aprioristici potrebbe condurci a una possibilità estrema, quella cioè che queste figure non permettano di proporre alcuna "tipologia". In questo caso sarà proprio la categoria 00. gli "dèi morenti" ad essere dichiarata morta per sempre.
11
•
Il testo di questo capitolo si fonda in gran parte su un lavoro ancora ine
dito di M.G. Lancellotti dal titolo "Le thème du 'dieu qui meurt' à l'époque perse: les aspects méthodologiques", presentato al Ve Colloque Internatio nal "La Transeuphratène à l'époque perse: religions, images", Parigi 30/3- 1/4/2000,
croyances, rites et
i cui Atti sono attualmente in corso di
stampa. Tale contributo è stato in qualche sua parte rielaborato e lieve mente modificato dal curatore, con il consenso dell'A., per essere adattato al presente volume, di cui costituisce un'ideale introduzione. Questo per quanto concerne la sua "storia" redazionale. Alcuni amici e più stretti col laboratori del volume (l. Chirassi Colombo,
S. Ribichini,
G. Scandone
Matthiae) ne hanno successivamente preso visione e hanno espresso la propria adesione al metodo e ai contenuti, oggetti del resto di discussioni e riflessioni comuni. E' dunque per tali ragioni che è apparso opportuno al curatore - d'intesa con gli interessati - adottare la formula "Autori vari" per la paternità di questo contributo: si rende così giustizia a chi vi ha concre tamente lavorato, ma se ne esplicita al contempo il carattere di riflessione comune aperta a molteplici apporti, diretti e indiretti, di vario tipo.
NOTE
J.G. Frazer, The Golden Bough, III ed., voli. IV-V, The Dying Gode Ado
nis Attis, Osiris, I ed., London 1890, 2 voli.; II ed., London 1900, 3 voli.; III ed., London 19 1 1- 1915, 12 voli. Per quanto riguarda la differenza tra le diverse edizioni cf. J.Z. Smith, Drudgery Divine, Chicago 1990, pp. 9 1-
92, nn. 12-13. 1
W. Mannhardt, Wald- und Feldkulte, 2 voli., Berlin 1875-1877 (Il ed.
1905). 2
Cf. U. Bianchi, "Initiation, mystère, gnose", in C.J. Bleeker (ed.), Initia
tion. Contribution to the Theme of the Study-Co nference of the Interna tional Association far the History of Religions Held at Strasbourg, Leiden
1965, pp. 154-171 =id., Selected Essays on Gnosticism, Dualism and Mysteriosophy, Leiden 1978, pp. 159- 176; id., "Lo studio delle religioni di mistero. L'intenzione del Colloquio", in U. Bianchi - M.J. Vermaseren (edd.), The Soteriology of the Orientai Cults in Roman Empire, Leiden
1982, pp. 1-15; id., "Epilegomena", in ibidem, pp. 9 17 -930; e altrove nella sua vasta produzione scientifica.
12
3
Cf. D. Sabbatucci, Il mito, il rito e la storia, Roma 1978; id., Da Osiride
a Quirino, Roma 1984, e altri luoghi della sua produzione scientifica, spe cie Mistica agraria e demistificazione, Roma 1986. Sul problema cf. infra la
Postfazione
di
l.
Chirassi
Colombo,
anche
sui
rischi
di
una
"demolizione" indiscriminata. 4
Cf. soprattutto A.E. Jensen, Das religiose Weltbild einer fruhen Kultur,
Stuttgart 1948, tr. it. Come
una
cultura primitiva ha concepito il mondo,
Torino 1952. 5
Id., Mythos und Kult bei Naturvolker, Wiesbaden 1951.
6
Sulla rielaborazione filosofica e cristiana dei miti classici cf. tra gli altri
F. Buffière, Les mythes d'Homère et la pensée grécque, Paris 1956; J . Pépin, Mythe e t allégorie, Paris 1976; I. Chirassi Colombo, "Modalità dell'interpretatio cristiana di culti pagani", in M. Pavan (ed.), Mondo Classico e Cristianesimo, Roma 1989, pp. 30-43. Come ha giustamente sottolineato J.Z. Smith, op. ci t. (n. l), la teoria del dying god è molto più importante per la storia degli studi che per la ricerca storico-religiosa
in
quanto tale. 7
Cf. K. Pri.imm, "I cosiddetti 'dei morti e risorti' nell'Ellenismo", Grego
rianum, 39, 1958, pp. 410-439.
13
OSIRIDE, L'AFRICANO ovvero la morte regale
GABRIELLA SCANDONE MATIHIAE
"Per i Greci il carattere di Osiride
in quanto re
morto era quasi privo di significato. Per gli Egi ziani
ne costituiva
la caratteristica
più
impor
tante... Tuttavia le credenze greche oscurano com ple tamente quelle egiziane". (H. Frankfort,
Kingship and the Gods, p. 292).
Osiride, il celeberrimo dio dell'aldilà e re dei defunti nel sistema
re
ligioso egiziano classico, compare piuttosto tardi nel pantheon del paese del Nilo: le sue prime attestazioni, infatti, risalgono alla fine della V- inizi della VI dinastia
(2500- 2270 a. C. ca.). Egli è menzio Testi delle Piramidi, raccolta
nato per la prima volta esplicitamente nei
di formule magiche e non, di varia origine e antichità, destinate ad as sicurare la vita eterna nell'oltretomba prima di tutto al sovrano defunto
e, in seguito, a pochi privilegiati della famiglia reale. I Testi delle Pi ramidi sono così chiamati dagli studiosi moderni perché iscritti sulle pareti interne delle piramidi dell'ultimo faraone della V dinastia, Unas, di quasi tutti i faraoni della VI e di alcune regine consorti dell'ultimo
re
della VI dinastia, Pepi Il. Essi furono raccolti e sistemati, sembra, dai sacerdoti di Heliopolis, città del dio Sole: quindi, in essi prevale una visione dell'aldilà fortemente influenzata dal culto solare e dall'idea del destino celeste ed astrale riservato al sovrano post mortem.
Osiride, esponente di un altro corso di pensiero mitico-religioso, non vi ricopre perciò un ruolo particolarmente significativo. Egli è, tuttavia, presente e, dalle formule in cui è nominato, si può compren dere, seppur non in modo dettagliato che, a quell'epoca, il mito che ne narra i patimenti e il martirio era già stato costituito. Osiride mu()_r:� � discende nel Mondo Inferiore, sotto la terra, là dove ; pr �a-�� a reg_�� ��� -�1 _ ?
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tato lo stesso destino, in contrasto, ma anche in Qarallelo, con l'asces�
af cielo ed il soggiorno nella barca di Rà o tra le stelle imperiture ri
servatogli dalla religione di i111postazione sol ru�nella lotta..éoni:fQ v �! th pe�il d()minìo sull'Egìt"fò� La battaglia durò molti giorni e si concluse con la vìttoria di Horus, sostenuto dagli altri dèi anche du rante il successivo processo intentatogli da Seth, che non voleva asso lutamente cedere la regalità al nipote. lsid�E.()1slllnÌ ad Osiride anche d�l consorte e ne ebbe un figl}9 pre!Ilaturo e rachitico: ate\ 0 La narrazione di Plutarco riproduce abbastanza fedelmente il mito originale; se ne discosta, tuttavia, in alcuni punti, decisamente impor tanti. Innanzitutto, secondo la tradizione egiziana classica, Osiride non è ucciso da Seth con il sistema di chiuderlo vivo in una bara, ma viene colpito con un'arma, o affogato nel Nilo. Poi, la ricerca del cadavere del dio è condotta non dalla sola Iside, ma da Iside e dalla-·sorella Nef' tis, c��.!:�'§É. ()�!!t cì�����.Pe� :4f1am�llt!).tr'ici., :�����-�1?-:=��if�e mo��.!:�.� ebr}J?.C!.t_t.J_t�-�1:\�llt:at!lf:i�lla �t()ri(l_�g�z !��: In terzo J ��n. /
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