Viaggi psichedelici

March 9, 2017 | Author: www.psiconautica.in | Category: N/A
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VIAGGI PSICHEDELICI

Andrash

©2010 by Andrash Prima edizione Ottobre 2010

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PREFAZIONE di Massimiliano Palmieri Cos’è lo stato di coscienza? Cosa produce lo stato di coscienza? Cosa è prodotto dallo stato di coscienza? E soprattutto, cos’è la coscienza? Ai primi tre quesiti, studiosi di diverse discipline danno risposte, uniformi, dissimili, contrastanti, varie, fantasiose, scientifiche e non, ma la risposta all’ultima domanda forse l’uomo ancora non la possiede e forse la sua affannosa ricerca cui tendono ancora diverse discipline della scienza moderna ha indirizzato l’uomo verso il sentiero sbagliato. Attraverso la ragione, il raziocinio, la logica (cartesiana), l’essere umano si promette di spiegare il mondo e venire a capo di quel che l’occhio vede, di quel che il suo cervello pensa. E’ probabile che il perché, dopo le numerosissime conquiste scientifiche effettuate dall’uomo, ancora egli non sia giunto a scoprire cos’è davvero la coscienza, possa risiedere nel fatto che questi si prefigge di studiare un concetto che non è riducibile entro i canoni del rigore scientifico. La coscienza ci appartiene, è personale e senza il cervello non potrebbe esistere, tuttavia è anche al di fuori di noi, sopravvive a volte dopo che il cervello ha perso la vita e può andare molto al di là del personale, venendo ad includere quella di altri esseri umani, e di altre forme di vita, anche non basate sulla biologia, fino a toccare i confini di quella che viene chiamata “coscienza universale”, che santi, asceti, mistici e guaritori d’ogni tempo ben conoscono per averla, pochi di loro, intravista o, molti di loro averne anelato l’incontro per tutta una vita. 3

Lo stato di coscienza che noi unanimemente definiamo “normale” in realtà non esiste; noi sperimentiamo diversi stati di coscienza durante tutto il giorno, dal sonno, al sogno, allo stato di veglia che al suo interno però comprende diverse oscillazioni della vigilanza venendo anche ad includere fenomeni spontanei di estasi e trance profonda. L’uomo, in quanto rappresentante del genere umano, possiede nel suo essere tale la potenzialità di sperimentare modifiche della coscienza che non di rado attraversano esperienze che vanno ben al di là di quel che una mente logica può spiegarsi con parole o pensieri. Fin dall’età della pietra antica, ossia dal Paleolitico, l’uomo utilizzava la sua coscienza per entrare in contatto con dimensioni “altre” al fine di curare, ricevere informazioni, prevedere ed influenzare le condizioni climatiche, a scopo divinatorio, etc. Egli non aveva bisogno di nessun tipo di strumento poiché il suo stato di coscienza di base (per comodità s’indica la media delle fluttuazioni della coscienza nello stato di veglia) era già in quella che oggi chiameremo coscienza modificata; si trovava in costante connessione con l’ambiente in cui viveva, con piante, animali e minerali, ed il suo rapporto con gli elementi, il Sole, l’Aria, l’Acqua e la Terra era diretto e questi ultimi erano le forze cui egli chiedeva aiuto proprio attraverso la capacità cui una coscienza espansa permette di poter mirare. La sua attenzione era totalmente de-focalizzata, nel senso che i suoi sensi erano coinvolti nel raccogliere segnali d’ogni tipo dalla natura; i cosiddetti Sciamani si pensa ebbero origine da questo periodo. Mano a mano ch’egli progredì nello sviluppo, la sua attenzione venne sempre più catturata da attività che la sottrassero a questo contatto con l’ambiente 4

intero. Alcuni studiosi ipotizzano che sia stato proprio l’addomesticamento del fuoco che costrinse l’uomo a ritirare i raggi della consapevolezza dalle forze della natura. Come a dire che l’imbrigliamento del fuoco se da un lato ha portato ad innumerevoli conquiste, dall’altro ha preteso una pagamento in termine di una quota di consapevolezza perduta. Fu così che l’uomo iniziò ad avere bisogno di strumenti per espandere la propria consapevolezza e pervenire a quel tipo di contatto con la natura, che prima era quotidiano e da questa ricevere insegnamenti, aiuto ed informazioni. Fu il Tamburo la prima cavalcatura in grado di far viaggiare l’uomo. Dopodiché, mano a mano che il progresso andava avanti inesorabile, solo pochi destinati furono in grado di entrare in questi stati, con l’ausilio del Tamburo o di altri oggetti rituali essenziali per produrre un ritmo, come sonagli, cereali, battenti, etc. Così, mentre l’uomo comune progrediva nelle sue scoperte, alcuni individui (sempre meno) mantennero questa possibilità di contatto con l’invisibile, l’ineffabile ed il divino; pur essendo questi individui diversi per un verso dagli altri, dall’altro hanno in comune con tutto il resto del genere umano la potenzialità di sviluppare questo tipo di comunicazione. Ad un certo punto, che si può far certamente risalire all’età storica dell’uomo e che però può essere ipotizzabile far risalire molto, ma molto più indietro, l’uomo incontro i vegetali “psicoattivi”. E non solo, tra l’elenco praticamente infinito di vegetali psicoattivi (che agiscono sulla psiche, ma del cui effetto non si tiene conto in una classificazione 5

del genere), ce ne sono alcuni che oltre a questa caratteristica possiedono quella di “permettere alla mente di manifestare sé stessa”, la sua essenza; questi sono i vegetali “psichedelici” (lett.te: che permette alla mente di manifestarsi). La categoria si restringe dunque; all’interno di quest’ultima solo pochi possiedono una caratteristica che li pone in un ordine a parte, sono gli “enteogeni”, quelli che permettono la “genesi della divinità che è in ognuno di noi” (en-dentro, teo-dio, genigeneratore) Attraverso la loro ingestione gli fu possibile quindi ottenere comunicazioni con il sovrannaturale, divinare, curare ed in definitiva vivere. Non sappiamo con cosa nutriva la sua coscienza l’uomo preistorico, ma dall’età storica ci sono arrivate informazioni teoriche e pratiche circa l’utilizzo di numerosi vegetali di tal sorta, primi fra tutti quelli più conosciuti come il cactus Peyote del Messico, il San Pedro della zona andina dell’America Latina, i funghi Psylocibinici praticamente ubiquitari, l’Ayahuasca delle regioni amazzoniche. Questi i maggiori il cui uso si è conservato ancora ai nostri giorni, custodito spesso in ritualità di tipo sciamanico che derivano il loro essere da millenni addietro. Accanto a questi ne esistono numerosissimi minori perché meno conosciuti, ma altrettanto validi e sacri come i loro fratelli maggiori. E’ il caso della Salvia Divinorum del Messico, della Datura che cresce dappertutto nel modo, del Tabacco, della Cannabis, dell’Iboga dell’Africa NordOccidentale o dell’Amanita Muscaria, il fungo che solevano usare gli Sciamani della Siberia; l’elenco sarebbe lunghissimo. Con l’acquisizione delle competenze adeguate, dai 6

primi alchimisti ad oggi, l’uomo ha dapprima appreso ad estrarre i principi attivi di tali sacri vegetali, e poi a crearne di nuovi, totalmente sintetici. Tra i primi troviamo la Mescalina, la Psilocibina, la DMT, il Salvinorin, il THC, l’Ibogaina, etc., mentre nel gruppo dei secondi rientra di sicuro la Ketamina e l’LSD (anche se questo è di tipo semi-sintetico, derivato cioè da rimaneggiamenti chimici di materiale vegetale). Forse parallelamente, l’uomo apprendeva dalla sua scienza che la coscienza poteva essere modificata in numerosissimi modi oltre all’utilizzo del Tamburo e dei vegetali enteogeni. Ecco che il panorama dei mezzi per incontrare il proprio sé superiore, il divino o esplorare le origini della coscienza si amplia, e di molto. Il digiuno, l’isolamento, l’ipostimolazione o al contrario l’iperstimolazione e il dolore vennero usati soli o combinati con i vegetali per produrre visioni, stati mistici e viaggi nell’altrove sempre però allo scopo di ritrovare quel filo comune che lega l’uomo, divenuto ormai quasi moderno, al suo lontano antenato del Paleolitico; questo filo è la necessità di connettersi al sacro, entrare nella dimensione del trascendente e tornarne arricchito, per sé e per la propria comunità. La sintesi oggi della scienza e di conoscenze antiche ha prodotto strumenti che amplificano questi mezzi naturali per esplorare le potenzialità della mente umana che trascende sé stessa. E il caso della vasca di restrizione sensoriale, della respirazione olotropica o di altre metodiche integrate. L’elenco dunque è vasto, seppur sempre incompleto ed approssimativo, ma permette di capire come l’uomo nel corso dei millenni abbia tentato e tenta di ritornare, seppur ora solo momentaneamente a 7

quella condizione di imprescindibile unità con il creato, seppur ora a tratti celata dalla cosiddetta ricerca interiore o esasperata dal consumo di sostanze da sballo. Si potrebbe azzardare l’ipotesi di una filogenesi (processo di ramificazione delle linee di discendenza nell'evoluzione della vita) enteo-genica che però è proceduta nel senso contrario, cioè andando perdendo mano a mano quote della propria coscienza, ma venendo ad acquisire metodiche per accedere temporaneamente a questi stati; come una sorta di programmazione interna che attraverso vie misteriose (non si dice forse che Dio agisce spesso per vie misteriose?) ci porta al punto da cui siamo partiti. Il dato per me curioso è che lo sviluppo ontogenetico (l'insieme dei processi mediante i quali si compie lo sviluppo biologico del singolo essere vivente) ricalca fedelmente quello “filogenetico enteogenico al contrario” ipotizzato qui, poiché quando veniamo al mondo siamo molto più ricettivi e la nostra coscienza, seppur non ancora supportata da capacità cerebrali mature, è molto più aperta e disposta a ricevere segnali. Mano a mano che cresciamo, attraverso i condizionamenti dell’ambiente in cui viviamo, la nostra possibilità di ottenere ciò viene gradualmente meno, fino a scomparire spesso del tutto; solo però la possibilità, non le potenzialità ! Nel corso dello sviluppo dell’essere umano, la cultura ha, a seconda dei tempi, modellato la duttile creta della coscienza, plasmandola secondo quel che essa “doveva” essere in grado di accettare e secondo quel che era ritenuto accettabile al tempo. Fu così che in tutto il mondo, con modalità differenti, queste persone vennero perseguite perché diverse, 8

perché non comprese fino in fondo e perché sostanzialmente pericolose per un ordine mantenuto attraverso l’addome-sticamento di un animale che è in origine selvaggio, la coscienza stessa ! Sciamani, streghe, stregoni, indovini, medium, guaritori, santi o semplici persone che erano in contatto con qualcosa di enormemente più grande di loro, vennero accusati di sovvertire l’ordine stabilito o più ipocritamente imputati d’altro come prova per la loro colpevolezza e quindi messi al bando o considerati pazzi visionari nel migliore dei casi, ed uccisi nel peggiore, relegando comportamenti di tal sorta in un limbo che oggi ha smarrito molte delle sue tracce natie. Nel mondo post-moderno qual è quello in cui viviamo oggi, in alcune regioni esotiche della Terra, resistono tradizioni di tal sorta rimaste immutate, ma ciò che forse sfugge all’individuo comune è che anche il mondo cosiddetto civilizzato pullula di persone che spingono la ricerca del contatto primigenio con la natura della coscienza ai massimi livelli, certamente con i mezzi che hanno a disposizione, dati dalla scienza, ma anche riappropriandosi di metodiche antiche come l’uso dei vegetali entogenici. Spesso in modo inconsapevole, altre volte dopo una ricerca matura, con spessa cognizione gli “psiconauti” di oggi si spingono oltre le soglie di quella illusoria realtà che circonda le nostre persone e che è frutto della elaborazione dei sensi (i 5 classici). Lo psiconauta, o per lo meno colui che lo rimane tutta la vita, inizia una ricerca mosso inizialmente da una spinta, sia essa ludico-voluttuaria o della natura più sacra, verso la sorgente della coscienza e sperimenta a volte colla consapevolezza del terrore che proverà nel solo pensiero d’incontrarla. 9

A parer mio questo termine bene esprime la propensione e la pratica di viaggi in regni altri, sia praticati in modo del tutto inconsapevole e selvaggio, dal raver che in discoteca assume LSD, o dallo Sciamano che chiede, attraverso l’intermediazione dell’Ayahuasca, l’aiuto agli spiriti delle acque per la cura di un suo paziente, fino ad arrivare a chi consapevolmente conosce entrambi questi lati, per averne fatto esperienza, e ne fa propri gli angoli che più gli si confanno: l’unica clausola, per me imprescindibile, all’accettazione del termine psiconauta è che la psiche-coscienza debba essere intesa solo come un apparato in grado di ricevere qualcosa che con o senza di lei esisterebbe comunque; un dispositivo fedelmente interconnesso ai primordi della vita, fin dal suo esistere che a questa è legato, sempre. Le pagine che seguiranno rappresentano bene un connubio di tal tipo; uno, anzi più tentativi d’indagare attraverso l’apertura della propria mente, qualcosa che trascende la normale esperienza dei sensi. Di volta in volta saranno i magici funghi psilocibinici, la Salvia del veggente, la Ketamina, la Marijuana, la DMT, la vasca di restrizione sensoriale o questi dispositivi combinati insieme che sottoporranno il lettore ad un esame curioso della realtà che incontra pagina dopo pagina. L’autore, caro amico e collega di esplorazioni, descrive in un linguaggio chiaro e diretto alcune sue esperienze di viaggio negli infiniti reami della mente, i cui confini però vanno molto al di là della materia su cui questa s’inserisce. Ecco che la comunicazione con entità superiori, con il concetto d’immanente, di Dio, si fa immaginabile. Nel corso della lettura non sarà difficile scorgere una 10

maturazione personale circa il modo d’affrontare questo tipo di esperienze e gli insegnamenti da queste tratti. Il titolo scelto dall’autore, “Viaggi Psichedelici” non deve trarre in inganno. Non si tratta di viaggi fine a sé stessi, voluti per tuffarsi in regni caleidoscopici fatti di colori cangianti e mutaforma, sebbene ciò spesso accade, ma di consapevoli escursioni all’interno della propria coscienza che, lungi dall’essere solo “la” meta, viene intesa qui come mezzo attraverso cui è possibile risperimentare quella condizione unitiva che alla nostra nascita, così come alla nascita del genere umano, caratterizzava le percezioni dell’uomo circa l’ambiente esterno e la natura. Come già visto nella prima parte di questa introduzione, l’uomo non può sottrarre sé stesso alla ricerca interiore, può solo sceglierne i mezzi o rifiutarne i dolori; ecco che o si è disposti ad affrontare consapevolmente scelte che ti porteranno ad essere una persona diversa, forse migliore, forse più sola, oppure quel che resta è conformarsi alla massa e non rammaricarsi mai di non aver conosciuto quel che Blake nominava sia “Paradiso che Inferno”: la dualità infinita dell’essere umano nella sua interezza. Tralasciando questioni di natura legale, per me assolutamente arbitrarie, piene d’ipocrisia e d’ignoranza, che impediscono a chi cerca una via come questa per espandere la propria consapevolezza, come ripeterà anche l’autore, questi scritti non vogliono assolutamente spingere all’uso di sostanze e/o preparati vegetali, anzi forse il lettore ravviserà nelle pagine che seguono segnali che lo sconsigliano ad intraprendere tali strade, quel che egli ha voluto è stato solo riportare la propria 11

esperienza intima ed umana, non progettata per la condivisione, ma proprio per questo ancora maggiormente veritiera e piena di senso, perché non inquinata dalla ragione di esporre in senso maniacalmente chiaro le parole. Scorrendo le pagine, parola dopo parola, è possibile cogliere lo spirito del viaggiatore di mondi lontani, destato in interesse e spinta ad ogni suo passo dagli stessi propri passi e da quelli che fin dagli albori del genere umano muovono le medesime membra verso la ricerca. A volte al lettore sarà difficile seguirne il filo, mentre a volte sarà così chiaro da essere disarmante; in ogni caso alla fine le emozioni non esiteranno a far capolino e destare l’interesse su di un argomento sempre più spesso visto meno di nicchia rispetto a tempo fa, anche se ancora considerato nel modo sbagliato. Come un cammino spirituale, come peregrinare verso lidi distanti, come l’assaporare, con il piacere della ri-scoperta, un cammino che è proprio o come pura sperimentazione di sé e dei propri limiti fisici e non, questo testo si presta ad essere letto con diversi occhi, seppur sarà difficile non esserne interessati ed affascinati. E’ l’esame critico di Sé stesso che, per mezzo della chimica vegetale e/o sintetica, viene presentato in questo testo, ciò che viene visto come una scorciatoia dettata dai ritmi veloci dei tempi moderni che a torto, a mio avviso, numerosi rivendicano come puro edonismo poiché breve ed effimero ma, il camminare diritto lungo un sentiero fatto di immersioni negli abissi ed ascese verso le vette, nulla invidia all’avventura di asceti, santi e sciamani che fanno patrimonio dentro di sé dell’umana eredità tutta. 12

INTRODUZIONE

Questo libro è una raccolta dei racconti delle esperienze psichedeliche che ho vissuto dal 2001 al 2004, per mezzo di differenti sostanze usate per l’alterazione degli stati di coscienza. L’idea portante dietro queste esperienze è che la coscienza umana che normalmente possediamo sia solo una piccola parte dello spettro umanamente sperimentabile, e che tramite l’uso di certe chiavi specifiche, le porte della mente possano aprirsi su scenari ben più vasti dell’ordinario. La tradizione associata a questo tipo di esperienze vanta personaggi illustri come Beaudelaire, Rimbau e altri poeti o scrittori che usavano le “droghe” come porte di accesso ad esperienze estetiche ed artistiche, ma nel mio caso specifico i riferimenti culturali erano Castaneda, Hoffman, Leary, McKenna, Lilly, tutti esploratori della coscienza che hanno aperto un varco verso un mondo sconosciuto che abita dentro di noi. Mi ha sempre attratto un approccio scientifico alla domanda: cosa è la coscienza? In particolare l’inizio della mia sperimentazione fu indotto dalla lettura dell’opera di Castaneda e del suo incontro con le piante sacre per opera dello sciamano Don Juan, nei territori desertici del Messico. L’incontro con le pagine di Castaneda ebbe su di me

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l’effetto propulsivo che mi spinse ad affacciarmi con stupore sul mondo degli psichedelici, stimolandomi a studiarne uso ed effetti in maniera molto approfondita prima di poter anche solo ipotizzare di poterne fare esperienza. Tutto ciò che leggevo però mi riempiva di enorme fascinazione, perché mi parlava di una realtà ben diversa da quella che fino a quel momento conoscevo, che era basata sulle riduttive leggi della tridimensionalità e della materialità. Il mio spirito invece anelava a vagliare l’ipotesi di andare in un “oltre” di cui sentivo la possibilità. Fu in occasione di un viaggio in Messico nel 2001 in cui si profilò la possibilità di incontrare per la prima volta i funghi sacri. Avevo letto tutto il possibile su questo tipo di esperienza e avevo le idee abbastanza chiare su quali erano i parametri entro i quali poter condurre in sicurezza un’esperienza del genere. Anche se non avevo mai immaginato che l’alterazione della chimica cerebrale potesse dare luogo ad uno stravolgimento così straordinario della percezione della realtà. Fu così che con buona dose di incoscienza, intrapresi il mio primo viaggio psichedelico. A questo primo viaggio ne sono seguiti altri cinque a base di funghi, mentre a questi si sono aggiunte altre esperienze fatte con marijuana, ketamina, salvia divinorum, DMT. L’intento è sempre stato quello di portare avanti una ricerca sull’espansione della coscienza e vedere come questa interagisce in modo diverso con sostanze differenti. Inoltre a questa ricerca si è aggiunta la necessità spirituale ben più profonda di sondare le realtà più alte a cui l’essere umano può accedere, per poterne cogliere così quelle leggi che 14

le rendono accessibili. Mai si è palesata alla mia mente l’idea di fare uso di queste sostanze solo per “sballo” o per fuga dalla realtà, per sopperire a mancanze o rifugiarmi in paradisi artificiali nei quali annullare il dolore di questa esistenza. La mia pulsione primaria è sempre stata quella di sondare le profondità della mente umana e di poter comprendere meglio i meccanismi che ne regolano il funzionamento. Ma non solo. Comprendere la mente umana e la coscienza, vuol dire arrivare a comprendere anche la loro origine. Chi ha creato la mente? Da dove deriva la coscienza? L’uso di queste sostanze mi ha spinto in territori dove le risposte a queste domande si tingono di mistico. I racconti di queste esperienze sono stati scritti sempre nella fase immediatamente successiva all’esperienza, in modo da poter ricordare e fermare su carta ogni sfumatura dell’esperienza stessa, nonostante per loro natura, i contenuti associati a questo tipo di esperienze siano volatili ed estremamente difficili da descrivere. La mente umana e il suo vocabolario, perdono immediatamente efficacia nel momento in cui devono fermare su carta sensazioni che attraversano e mischiano fra loro sfumature e possibilità inusuali, inedite. Il nostro linguaggio è tarato per comunicare stati ordinari di coscienza, mentre quando si varca la soglia, ogni vocabolo sembra inaridirsi di fronte ad una ricchezza esperienziale senza confronti. I colori diventano suoni, i suoni diventano musica, la musica forma delle immagini. I pensieri esplodono, le emozioni decollano. E di fronte a certi stati, la mente ordinaria non può che cercare di costruire castelli di parole per poter comunicare anche solo un misero frammento di certe verità rivelate. 15

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VIAGGI PSICHEDELICI

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Prima esperienza psichedelica con i funghi 10 agosto 2001 La mia prima esperienza di viaggio allucinogeno si è consumata a San Cristòbal de Las Casas, in Chiapas. Ho trovato una buona quantità di Psilocibe, credo della varietà Mexicana. Dopo esserci procurati della marmellata di fragola per attutirne il gusto, e del succo di mela e patatine per il "ritorno", io e la mia compagna di viaggio abbiamo cercato un posto isolato all'aperto per consumare i funghi. La chiesa di San Cristòbal è in cima ad una collina boscosa, anche se il posto non è eccezionale, questo ci permette di essere abbastanza isolati, a parte la presenza di due cani. Ci sediamo su un tappeto di aghi di pino, tutt'intorno è abbastanza sporco, cartacce, buste, plastica. Inizia il rito, non senza una leggerissima ansia. Ma per lo più siamo tranquilli. Prendo un fungo mediamente secco di diametro di circa 3 cm, lo intingo nella marmellata e lo mastico. Poi passo il tutto alla mia compagna che mi siede a destra. Anche lei ne prende uno, poi un altro io, e così via fino a che io non ne assumo quattro e lei tre. Inizia l'attesa. I primi minuti sono abbastanza tesi ad osservare i cambiamenti di percezione, che non essendo ancora presenti, mettono in uno stato di costante agitazione, poiché la suggestione inizia ad ingannare gli occhi. Nell'attesa mi sono sdraiato sulla schiena, e l'ultima cosa che mi ricordo prima di partire, oppure il primo segno che il viaggio è iniziato, è stata la mia domanda: "Ma sembra anche a te così azzurro questo cielo?". Dopodiché tutto è stato talmente rapido, veloce e pieno di significato che riuscire a riportarlo fedelmente e interamente è un'impresa assai ardua in cui vado a cimentarmi. 19

Proprio davanti a me c'è un albero e la sua corteccia è spaccata e rugosa. Ed è viva. Si muove con piccolissimi movimenti locali, come se ogni piccola particella sia animata. La trovo assolutamente affascinante. Il terreno coperto di aghi di pino diventa una superficie di filamenti che scorrono gli uni sugli altri con movimenti ad onde in avanti e indietro. Sento un forte desiderio a cibarmi di ogni visione perché so che tutto adesso mi apparirà diverso. La prima cosa che mi trovo davanti sono le mani, le fisso un po' e diventano traslucide, di consistenza lattiginosa. Vedo le vene bluastre dentro alla massa, e percepisco i globuli rossi che scorrono dentro di esse come un turbinio di palline microscopiche. Mi impressionano a tal punto che decido di cambiare vista, spinto dal reale impulso a guardare altrove. Guardo sul terreno vicino a me. E' come una massa di lombrichi che si muovono, vermi scuri e lucidi. Non mi piace, cambio visione. Credo di essermi sdraiato a terra a occhi chiusi e sono stato rapito da un libro fantasy. Sono stati attimi, ma ho percepito i luoghi e i personaggi fantastici di Tolkien. Credo fosse una specie di cavalcata in carovana su qualche deserto, ma in un tempo remoto e in chissà quale territorio. Poi sono strappato alla compagnia dell'Anello da un urlo violento che ha rotto la visione. La mia compagna di viaggio si era trovato sulla mano un verme peloso nero. Reale. Ne ho il ricordo perché prima della partenza ne avevo visto uno anch'io. Lei me lo mostra, e poi me lo scaglia su una gamba. Non mi frega niente del verme, voglio tornare alla mia visione, le dico che voglio stare da solo, non voglio interferenze. Decido di alzarmi per allontanarmi da lei, ma mi chiedo se posso farlo. Effettivamente è facile, non mi sento limitato nei movimenti, anche se la mia percezione del corpo è diversa. Come se 20

muovessi il mio corpo tramite dei fili. Inizio a girare su me stesso, vedo gli alberi scorrere vorticosamente intorno a me, è una sensazione molto forte, e mi siedo, non molto lontano. Mi raggomitolo su me stesso, le gambe abbracciate al petto, e sparisco in un mondo di visioni colorate. Linee fluorescenti che muovendosi lasciano tracce seguendo delle misteriose geometrie. Di nuovo la voce di lei, mi riporta alla realtà (quale?). Mi dice che sta iniziando a piovere. Me ne accorgo. Decidiamo che è meglio tornare a valle. Mi sembra assolutamente plausibile riuscirci. Mi incammino verso la parte da cui siamo venuti, anche se non riconosco un sentiero, ma mi muovo molto velocemente. Ci rendiamo conto di aver sbagliato, perché ci sono delle mura di case che ci ostacolano il cammino. Torniamo un pezzo indietro, lei si mette avanti. Io mi guardo intorno correndo. Sono circondato da un oceano di piante verdissime con le foglie a forma di cuore. Si muovono tutte nel vento, e si generano alcuni processi interessanti. Intanto mi rendo conto che prima non le avevo viste, e più che pensare ad una vera allucinazione, penso semplicemente che non eravamo passati di lì, e lo stato alterato andava solo ad influire sulla percezione del colore e del movimento d'insieme. Però un attimo dopo mi trovo nel vento, e vedo la pioggia come dei fili argentati che cadono su di me sibilando come una tempesta di aghi ghiacciati. E' questo il primo istante in cui mi rendo conto veramente di quello che sto vivendo. E di quanto l'alterazione sia un processo molto più complesso di alcune semplici visioni. Usciamo dal sentiero e ci ritroviamo sulla scalinata che porta da una parte alla chiesa, e dall'altra in città. C'è un bambino che si sta riparando sotto un albero proprio nel punto da cui sbuchiamo noi. Ci sente e si gira a 21

guardarci. I nostri occhi si incrociano. Vedo uno sguardo spaurito e indifeso e dall'altro lato mi vedo io come un pazzo che sbuca da questa strana boscaglia. Sento come le domande del bambino che rimane incuriosito da questi strani personaggi che corrono e sorpassandolo procedono giù nella pioggia, incuranti. Scendendo le scale avverto la pioggia in maniera più diretta, ma non riesco a capire se è veramente forte, o se è per via dell'alterazione. C'è gente che si ripara sotto un balcone, mentre noi corriamo in mezzo alla scala. Lei davanti mi grida qualcosa tipo: "Ma che scemi a correre sotto la pioggia!" e io penso che lo dice per non sembrare troppo alterata a quelle persone. Che io stranamente percepisco come italiane, anche se non so perché, forse per via di alcune parole che la mia mente ha registrato senza renderle coscienti. Come se attuassi un processo cognitivo istantaneo. Le rispondo che invece è fantastico stare sotto la pioggia, in fondo è solo acqua. Arriviamo in fondo alla scalinata, ci fermiamo sul marciapiede, vicino ad un muro. Io sento la presenza di qualcuno dietro di me, come se fossimo un gruppo. Mi giro, ma non c'è nessuno. Cerco di attraversare la strada. La coscienza mi dice di stare attento, perché potrei fare un errore di valutazione delle distanze delle macchine che passano. Lo dico a lei, ma non mi sembra di essere così alterato. In ogni caso aspetto che tutte le macchine che vedo siano passate. E intanto guardo le gocce di pioggia disegnare cerchietti sulla superficie di una pozzanghera. E' fantastica. Attraversiamo correndo e proseguiamo su un altro marciapiede. Avverto un euforia crescente in me, e rido. Il mondo esterno è solo un tunnel in movimento mentre corro, non ne ho la reale percezione, sento solo una profonda e gioiosa 22

felicità. Facciamo un bel pezzo di strada, e ad un certo punto mi rendo conto di non sapere dove sono. Non solo nel senso che mi sono perso. Non so proprio in quale parte del mondo mi trovo. In che città o paese. Non ho memoria del viaggio, non so come sono arrivato lì. Ma questo non mi importa molto, solo che lei deve andare in bagno. Intorno tutto è coloratissimo, come prescrive l'architettura tipica di questa città. Sbuchiamo su una strada. Non capisco ancora che posto è, ci fermiamo ad un angolo. Ci sono altri turisti, ci guardano strano, probabilmente perché noi iniziamo a ridere come matti e ci buttiamo addosso alla parete quasi perché non ci reggiamo in piedi dal ridere. Cerchiamo però di darci un contegno, mi viene in mente che potrei essere arrestato in fondo. Non che la cosa mi turbi molto al momento, ma ho la coscienza di essere un vero e proprio "fattone", come uno di quelli che spesso mi è capitato di incontrare. Ne condivido la felicità e l'entusiasmo, e capisco perché uno abbia il desiderio di provare questi stati, tutto è assolutamente fantastico. All'improvviso riconosco la @ di un internet café. In un barlume di coscienza capisco dove sono, non lontano dallo zòcalo, la piazza principale della città, in cui si trova il nostro albergo. Sbuchiamo su una piazza molto grande mai vista, ma non capisco dove siamo. Sembra come un quadro di De Chirico, delle arcate azzurre, molto metafisico. Arriviamo allo zòcalo, ma non capisco da quale lato. Seguo lei che sembra avere le idee più chiare di me. Intreccio velocemente gli occhi con una signora indigena, forse mi attraversano velocemente i suoi pensieri che sanno di spesa appena fatta, e mi soffermo un istante sul parafango di un maggiolone rosso bagnato di pioggia. Arriviamo al centro della piazza. Mi sembra di essere a Parigi, la gente intorno mi sembra tutta 23

felice. Lei si ferma all'improvviso: "Non ci sono, non ci sono. Non sono io." "E' così, è sempre stato così, è normale, solo che tu non lo sai." È stata la mia risposta. Attraversiamo la strada, corriamo sul marciapiede verso l'albergo, il pavimento è piastrellato ad esagoni. Entriamo nella hall. Cerchiamo di fare i seri e contenerci. Chiedo la chiave, una donna me la da, non riesco a trattenermi dal ridere e mi giro di corsa per imboccare la porta della camera che è proprio di fronte. Infilo la chiave al volo e ci serriamo dentro. L'interno è molto buio, illuminato da una fioca luce gialla. Lei si leva i vestiti bagnati, penso che è una buona idea e faccio lo stesso. Sono, in effetti, fradici. Cerco di levarmi le scarpe, è difficilissimo capire come funzionano i lacci, ma ci riesco. Mi butto sul letto. Non mi ero accorto che il copriletto fosse tanto bello. Ci sono dei fiori arabescati che si muovono cambiando colore. Strepitoso. Ci faccio scivolare una mano dentro e mi fondo con essi. Poi mi rialzo in piedi sul letto. Anche il pavimento è fantastico le mattonelle verdi sono a tre dimensioni. Tutta la stanza mi sembra invasa di luce e sento in me ancora una persistente sensazione di euforia. Poi all'improvviso mi sembra di stare ad una festa di amici in California. Solo che non ci sono mai stato nella realtà. Ed è pieno di gente, musica, frastuono. Molte persone che ballano, che ridono e bevono. Sto parlando con qualcuno e mi sto divertendo un sacco. Tutti i suoni sono amplificati ed è come se avessero un'eco. Forse è per via di questa sensazione di ripetizione di ogni singolo suono che ho l'impressione di una moltitudine di persone. In realtà devono essere le voci delle persone fuori dalla stanza, nella reception dell'albergo. Ho voglia di sentire della musica, per vedere che effetto fanno i suoni. Riesco a prendere il lettore cd, e 24

scelgo i Radiohead che mi sembrano appropriati allo stato in cui sono, ma ne ascolto pochissimo, alla fine i suoni non sono così interessanti, o forse sono troppo complessi da decifrare. Preferisco concentrarmi sulle visioni. Ogni tanto, nel mezzo delle mie visioni, ho dei lampi di coscienza in cui la comprensione delle cose si allarga. Ho come l'impressione di essere entrato nella cultura psichedelica di cui adesso capisco le leggi e i meccanismi. Capisco l'esigenza delle persone che vogliono entrare in questi stati alterati, perché tutto è meravigliosamente diverso. Pur essendo sempre stato così. Mi sembra quasi che è da sempre che la mia coscienza abita in questa regione, e solamente adesso io me ne renda conto. Successivamente mi appaiono sequenze di immagini di feste o serate in discoteca, scene del passato. Comprendo i motivi dello 'sballo'. Adesso mi è tutto chiaro. Mi tornano in mente i racconti che mi erano stati fatti sugli allucinogeni, e adesso capisco il senso esatto di quelle parole. Poi penso al rapporto fra gli artisti e le sostanze allucinogene, ne colgo il potenziale creativo, e il senso dell'arte come mezzo per riportare alla realtà normale la realtà alterata, traducendone i contenuti secondo i mezzi comuni. Mi viene l'istinto di registrare tutto ciò che sperimento, per paura di potermelo dimenticare. Mi spaventa l'idea di poter dimenticare queste sensazioni e comprensioni fortissime. Prendo la macchina fotografica, riesco a capirne il funzionamento, svitando filtri e regolando le sue funzioni. Scatto a caso, senza neanche inquadrare. Non importa cosa viene immortalato, tutto è meraviglioso, anche lo squallido bagno. Lascio la macchina dopo aver scattato le foto che ritengo sufficienti e salgo in piedi sul letto. Inizio a girare su me stesso, felicità estrema. Voglio 25

sperimentare ancora, guardo lo specchio sopra al piano del lavandino. Mi ci avvicino e mi guardo. Mi ricordo che qualcuno mi aveva detto di non guardarsi mai nello specchio, perché ci si sembra bruttissimi, ma al contrario, io mi vedo molto bene. Mi trovo in splendida forma, solare. Mi siedo sul piano del lavandino. E' tutto un nuovo punto di vista. Credo che mi perdo in qualche altro mondo, perché non ho coscienza di dove sono andato. Come se per qualche attimo si fosse sospeso il sistema memoria. Quando ritorno dal buio, mi avvicino alla mia compagna, che è attratta dagli odori. Ci odoriamo intensamente, tutto sembra amplificato. Anche l'odore del mio corpo è molto più forte del normale. Provo il lucidalabbra al mirtillo che lei si è spalmato in faccia. Ha un profumo buonissimo, condividiamo. Poi iniziamo a baciarci, scambiandoci frasi senza senso, ripetendo le cose più volte. Mi rendo conto di quanto sia assurda la comunicazione in questo stato, perché i tempi non coincidono. Avverto il suo corpo di donna, ma è come se ne smarrissi l'identità, confondendomi con altre donne del passato e mescolandone le immagini. Forse vorremmo fare l'amore, ma il pensiero mi sembra che mi faccia distrarre dalle mie visioni, molto più interessanti. Me ne torno al mio letto, e mi spoglio completamente. Il mio corpo nudo mi fa uno stranissimo effetto, ogni dettaglio mi sorprende. Mi guardo il pene, è tutto raggrinzito e scuro, come una radice nodosa di albero, ma vivo. Mi sdraio ad occhi chiusi e mi concentro sulle sensazioni fisiche. Avverto il peso del corpo, la sua consistenza e materialità, come se fosse un'ancora che mi tiene fermo a terra e mi impedisce di volare. Poi iniziano di nuovo le visioni colorate: luci, fili luminosi, che si intrecciano. Riapro gli occhi e guardo la parete accanto al letto che è come liquida e trasparente, sembra che dell'acqua 26

stia scorrendo sulla sua superficie. Non so dove sono, fuori sento delle voci, delle melodie che non fanno parte del luogo. Mi sento come se fossi in Oriente, e immagino o sono consapevole, che fuori dalla finestra ci siano i bambù che ondeggiano nel vento e ci sia una tettoia fatta di canne sotto la quale stanno parlando due cinesi. Poi avverto un rumore talmente forte da spaccarmi la testa. E' come un rombo crescente che aumenta, e sento la mia scatola cranica che viene spaccata al suo crescere, fino al suo culmine che mi permette di riconoscere cos'è, una moto che passa in strada. Sento di sprofondare dentro di me. La coscienza si muove a più livelli interconnettendo ricordi a visioni, realtà e immaginazione. Ho la coscienza di tutte le volte che sono entrato in stati alterati, soprattutto con l'alcool. E' qualcosa di molto simile, solo estremamente più potente. Poi ricominciano le visioni. Serpenti colorati che si muovono in bellissimi intrecci. Aprendo gli occhi queste visioni scompaiono e torno di nuovo alla realtà alterata. Mi rendo conto di essere in vacanza, in un posto sconosciuto, ma la sensazione è quella di quando da piccolo andavo in vacanza con i miei genitori, in qualche posto marino di villeggiatura. Affiorano ricordi lontanissimi di posti dimenticati. Poi altre immagini, fiere, circhi, giostre. Forse per via dei colori così vividi. Mi viene in mente Fellini e il suo amore per il circo. E' come se adesso riesco a comprendere la vita dei gitani e la trovo meravigliosa. Le visioni si fermano su una sorta di tendone da circo azzurro, come fosse un membrana. Poi mi ritrovo dentro 2001 Odissea nello spazio, e capisco da dove vengono quelle immagini. Ogni tanto riapro gli occhi, e il soffitto a tavole ritorna lo spazio solido della realtà, anche se vedo che la sua 27

superficie con i nodi e le venature si muove. Mi rannicchio sotto le coperte in posizione fetale, come se entrassi nell'utero. Come in un bozzolo, al buio, le mie visioni possono creare tutti i mondi che voglio, senza interferenze dall'esterno. Ho avuto visioni di tutti i tipi. Splendidi demoni/dragoni multicolori che roteano nello spazio, anelli dorati intarsiati con turchesi, lapislazzuli e giada, che girano su se stessi, come pelle di serpente a formare dei simboli esoterici dal potere infinito. Sento come se l'unione di questi cerchi può darmi la comprensione del tutto, l'infinita coscienza. Poi la visione diventa tutta d'argento. Improvvisamente diventa la scenografia di un teatro d'opera che esce dal boccascena e invade tutta la platea. Dopo questa parte più visiva, iniziano a susseguirsi alcuni concetti, anche se sempre associati alle immagini. Un concetto base è quello della molteplicità dei mondi a cui si può accedere con l'uso delle sostanze allucinogene, ma più in generale con lo sviluppo della coscienza. Visivamente mi si rappresenta come una forma spaziale composta da esagoni dai colori cangianti, di un materiale opalescente, traslucido. Al centro di ogni esagono c'è come una sorta di oblò che conduce ad altri mondi-visioni-realtà. La volontà è al centro di questo solido geometrico e a suo piacere può spingersi in uno qualsiasi degli altri spazi dai quali si ha accesso ad altri ancora. Bisogna solo scegliere di quali mondi si vuole fare esperienza, sebbene i mondi sono infiniti. Da qui ne deduco che anche nella realtà ordinaria sia possibile plasmare il proprio destino grazie alla sola volontà, quando questa sia forte, decisa e determinata, ma soprattutto cosciente. La mia volontà cosciente mi spinge quindi ad indagare sull'idea della morte in questo stato alterato, visto che 28

è uno dei miei massimi tabù. Non sono proprio in grado di pilotare il pensiero, ma sento che lo stato in cui mi trovo è molto simile alla morte, ossia cessazione della realtà ordinaria a favore dell'esplorazione degli infiniti mondi. Quest'idea mi riempie di gioia e mi trasmette la voglia di comunicarla alle persone a me più care. Si sviluppa una sensazione di amore puro verso i miei familiari, amici, e vedo l'amore come unica possibilità di relazione per l'evoluzione dell'umanità. Probabilmente per bilanciare le cose, la mia volontà si spinge poi all'opposto per esplorare l'idea di male assoluto. Mi si configura come un enorme cuore di ossidiana, nera e lucida, all'interno di una caverna buia. Non c'è affatto luce, eppure lo percepisco visivamente. Ogni battito emana ondate di male puro. Poi assume una vaga forma antropomorfa composta di nebbia nera che è l'essenza della malvagità. Queste immagini però non mi incutono timore, le osservo in maniera distaccata come se accettassi la loro esistenza nel bilanciare le forze del cosmo. Il pensiero poi ritorna ancora sull'idea di morte. Questa volta però sento come se nella dissoluzione del corpo, tutto sprofonda in un silenzio freddo. Allora avverto come una profonda tristezza. Immobilità. La mia mente è smarrita, vago in preda a pensieri sconnessi e incontrollabili. Forse da un lato ho paura, e questa paura mi genera avversità nei confronti delle sostanze allucinogene. Ne comprendo la pericolosità e il potere di destabilizzazione della società, per cui capisco che bisogna assolutamente vietarne l'uso. Penso che non farò mai più uso di queste sostanze perché la realtà sta bene come sta, e venire a conoscenza delle altre realtà esistenti può distruggere lo stato ordinario della vita come la conosciamo. Dopo questa serie di sogni/pensieri riaffiora alla 29

coscienza qualche pensiero ordinario che riesco a controllare. Questo genera in me un senso di sicurezza, per via del ritorno "a casa". Ma dall'altro lato sento un po' di dispiacere per via della fine del viaggio. Progressivamente i pensieri diventano più normali, anche se ogni tanto ci sono dei residui di alterazione. Cerco di sfruttare l'alterazione fin dove posso, e torno a fissare il palmo della mano. Dopo un po' mi perdo nelle linee del palmo, che si muovono cambiando colore e sembrano delimitare delle regioni. C'è come un rettangolo al centro che è composto di fili iridescenti, e sembra morbido e pulsante. Poi tutta la mano va a occupare l'intero campo visivo, come se fosse tutto ciò che riuscissi a vedere. Come la superficie di un pianeta, la mano sembra un terreno aspro e scuro. Poi giro sul dorso. I tendini sono tutti tirati, le vene sono in evidenza, scure. Sembra la mano di un morto. Con quest'ultima visione ho iniziato a ritornare alla realtà. Iniziamo a parlarne in maniera logica, cercando di ricostruire l'inizio del viaggio. Poi viene la fame. Abbiamo del succo di mela e delle patatine. Il loro sapore è eccezionale, gustosissimo. Le mangio voracemente. Gli effetti finiscono completamente, è il momento di ritornare alla realtà come la conosciamo. Mi guardo intorno, la camera è un disastro. I letti spostati, i vestiti sparsi tutt'intorno, le coperte per terra, gli zaini rovesciati con parte del contenuto di fuori. Un caos totale. Lo guardo, decido di fare una doccia, ma, seppur cosciente, non riesco a capire come si fa. Cosa mi serve, cosa devo prendere. Vado nel pallone, non riesco a schiarirmi le idee. Capisco allora che ancora non ne sono del tutto fuori, o perlomeno devo ancora smaltire la fase di ritorno, in cui il cervello deve riprendere le sue normali funzioni. Sto fermo qualche minuto sul letto. Abbastanza 30

velocemente riprendo il controllo totale. Sotto la doccia canticchio stupidamente, sono pieno di euforia. Poi, mentre è lei ad essere sotto la doccia, io mi guardo allo specchio, e avverto un'incredibile padronanza del corpo. Lo muovo in un modo fantastico, facendo delle coreografie che mi sembrano meravigliose. Ho l'impressione di aver acquisito delle nuove potenzialità espressive. Mi sento estremamente potente, e capace di ottenere tutto quello che voglio dalla vita. Dopo esserci preparati usciamo in strada, ad assaporare il vecchio mondo, con i nostri occhi nuovi.

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Riflessioni sulla prima esperienza E’ sempre vero che la prima volta non si scorda mai e se devo separare in due fasi la mia vita, potrei benissimo definirle come “prima dei funghi” e “dopo i funghi”. La prima volta che si varca il confine del reame psichedelico, vediamo modificarsi davanti ai nostri sensi tutte le leggi che fino a quel momento consideravamo come immutabili e immanenti alla realtà, definendola come un’unica possibilità di esistenza del reale. E una volta varcato il confine vediamo cadere tutte quelle certezze di cui eravamo fieri. Non padroneggiamo più il nostro spazio virtuale così come lo conosciamo, ma ci troviamo in un territorio completamente nuovo in cui siamo dei bambini esploratori incerti su come muovere i primi passi. Del primo viaggio ho questo sapore d’infanzia, un battesimo psichedelico totalmente inconsapevole e privo di tutte le sovrastrutture che successivamente si vanno a creare. E’ stato entrare nella tana del bianconiglio e sperimentare la meraviglia più virginea, il candore dello stupore totale. Come aprire per la prima volta gli occhi e vedere veramente come è la realtà. Ma soprattutto sarà stata la spensieratezza dell’essere in vacanza, del luogo completamente lontano dal contesto abituale, quindi privo di agganci ad un passato e a situazioni più complesse, che ha reso questo viaggio completamente positivo e divertente. Anche se delle profondità dell’esperienza psichedelica ho intravisto solo la superficie, questo è bastato a donarmi una visione del mondo completamente nuova e fresca.

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Seconda esperienza psichedelica con i funghi Capodanno 2003 Per la seconda esperienza psichedelica, avvenuta a più di un anno e mezzo dalla prima, il contesto è stato totalmente differente, e più complesso. Il luogo di questa esperienza è stata la mia abitazione, allestita per l’occasione con quanti più mezzi possibili con i quali giocare durante la fase visuale. Avevamo preparato una serie di “trip toys” per l’occasione, un albero di Natale, visto il periodo, con lucine intermittenti, una lampada a fibre ottiche, una lampada con la cera colorata, e una stanza buia con stelle luminescenti sul soffitto e le pareti, illuminate da luce nera. I partecipanti a questa esperienza erano altre quattro persone, di cui tre totalmente inesperte sull’uso di sostanze allucinogene. Nei giorni precedenti alla serata, avevo avuto cura di provvedere alla loro preparazione, spiegando alcuni degli elementi essenziali e informandoli con una serie di testi sull’argomento. Erano tutti d’accordo sul consumare un’esperienza del genere, sebbene con gradi diversi di intensità di viaggio. Prima dell’esperienza abbiamo avuto parecchie ore per stare insieme, e prepararci al rituale sciamanico che avevo ideato per ritualizzare l’assunzione dei funghi. Vista l’occasione del capodanno, abbiamo festeggiato ballando, e creando un’atmosfera particolare di unione grazie allo svolgimento insolito della serata. Anziché il solito cenone, avevamo optato per un’insalata da consumare alle 18, in modo da avere lo stomaco vuoto per la mezzanotte, ora in cui avremmo iniziato ad assumere i funghi. Il resto del tempo lo abbiamo passato decorando la 33

stanza delle stelle, che avevamo destinato alla parte più tranquilla del viaggio, e alla vestizione con abiti rituali, vestiti indiani, arabi, o tibetani. Alla mezzanotte abbiamo brindato con succo di frutta, e abbiamo iniziato il rito solo all’una e mezza, dopo che il frastuono dei botti di capodanno si fosse placato un po’. Per l’assunzione dei funghi avevo preparato un rituale sciamanico che avevo appreso durante un paio di seminari sull’argomento. Mi sembrava un modo per sacralizzare l’esperienza, e rendere l’atmosfera più importante. Il rituale prevedeva l’invocazione degli spiriti delle diverse direzioni, affinché ci aiutassero nel viaggio, nonché delle altre entità naturali, affinché ci facessero da guida. Abbiamo anche consacrato un talismano personale, affinché ognuno potesse avere un proprio “oggetto di potere”. Il rituale ha messo un po’ di tensione fra le persone, che hanno iniziato a prendere la cosa un po’ troppo sul serio, per cui dopo l’assunzione, ci è parso il caso di rendere l’atmosfera più distesa, creando un clima rilassato con qualche luce in più. Ci siamo messi comodi e siamo stati in attesa che la sostanza iniziasse a fare effetto, cercando anche di sdrammatizzare. Il quantitativo di funghi secchi è stato il seguente: Io: 3 gr. GT Al: 3 gr. mista G: 2,5 gr. GT An: 2 gr. PF S: 2 gr. PF La varietà era Psilocybe Cubensis, in due razze diverse. Una viene chiamata Psilocybe Fanaticus, l’altra Golden Teacher. Nel giro di 20 minuti ho iniziato ad avvertire i primi effetti. Differentemente dalla prima volta, ho sentito 34

molto di più l’effetto fisico sullo stomaco e sull’organismo. Un senso di pesantezza allo stomaco, accompagnato da una leggera nausea, mentre in tutto il corpo si diffondeva una sensazione di qualcosa che si scioglie nei muscoli, accompagnata da una forte sensazione di rilassamento. Anche la testa era molto pesante, come se avessi bevuto o fumato molto, ma con caratteristiche diverse. Gli altri ancora non avvertivano alcun effetto, quando già riuscivo a vedere qualche leggero movimento negli oggetti. La testa era molto pesante, e mi sentivo quasi annegare nella forte sensazione di stordimento. Anche i rumori hanno iniziato ad apparirmi più forti, uno scricchiolio nel mobile sul quale ero appoggiato mi ha fatto trasalire, come se si fosse fratturata una qualche struttura solida nella mia mente. Quindi è iniziata la fase di risata incontrollata, ma che non veniva ancora condivisa dagli altri. Alla richiesta del perché ridevo, la mia risposta è stata: non lo so, però mi viene. Quindi è iniziato ad accadere qualcosa anche negli altri. Al ha iniziato a commuoversi, per qualcosa che stava iniziando a fare effetto su di lui. Trovava la situazione commovente, e le lacrime non hanno tardato ad uscire. Nello stesso tempo anche S ha iniziato a piangere, ma il suo era un pianto più disperato e profondo. In questo momento sono avvenute due cose, An si è alzata per andare immediatamente nell’altra stanza a viversi la sua esperienza in solitario, G si è irrigidita, avendo paura delle reazioni altrui e non volendo esserne contaminata. Io ho avvertito immediatamente questo irrigidimento, questa sensazione negativa del partecipare al dolore altrui, ma ho avuto un forte distacco etico. Non vedevo nel pianto assolutamente niente di male, 35

perché sapevo che era indotto, e che fra un momento sarebbe stato soppiantato dal riso. Mi sono reso subito conto che ognuno vive un’esperienza completamente diversa dagli altri, a seconda della sua propria inclinazione. Per cui il pianto non diventava qualcosa di sbagliato, ma una modalità personale di affrontare l’esperienza. Al contrario G continuava a pensare che S soffrisse veramente, e questo le dava fastidio. Tutto il suo viaggio è dipeso da questa prima impressione, per cui si è sentita minacciata dall’eccessiva interazione emozionale con gli altri, e si è imposta di controllare il suo stato. Nello stesso momento anch’io mi sono posto il problema dell’interazione con gli altri. Ho avuto la sensazione fortissima di come la presenza delle altre persone venisse percepita in maniera amplificata e l’interazione con gli altri diventava quasi ingestibile. Mi sono posto seriamente il problema della trasmissione emotiva, ovvero se il malessere degli altri potesse trasmettersi a me, oppure se sarei stato in grado di mantenere la mia indipendenza emotiva. Per risolvere il problema mi sono allontanato da S, in modo da trovare una mia dimensione personale. Mi sono recato ad osservare la lampada a fibre ottiche. La percezione della stanza era strana. Riuscivo tranquillamente a controllare i miei movimenti, ma la percezione spaziale era affetta da un forte restringimento di campo. Questa è una sensazione che si è protratta durante tutta l’esperienza. Come se non fossi mai consapevole di ciò che avviene intorno, fino al momento in cui non ci spostavo volontariamente l’attenzione. Nello stato di realtà ordinaria invece si mantiene sempre una certa consapevolezza di ciò che accade nello spazio circostante, tranne quando ci si immerge in un’attività totalizzante che ci spersonalizza e ci rende 36

autistici. Mentre osservavo la lampada, avevo momenti in cui entravo in diretto contatto con essa, per cui rimanevo estremamente affascinato da questo strano oggetto pieno di punti colorati in movimento, ma la profondità del contatto era interrotta continuamente dal movimento delle persone intorno a me che mi riportavano ad una realtà condivisa. In questo frangente G si siede sul divano vicino a me, e mi dice che secondo lei aver preso i funghi in gruppo è stata una cazzata. Nel dirmi questo percepisco il suo malessere e la sua non integrazione nel gruppo, e nello stesso tempo realizzo che l’eccessiva interazione con gli altri è anche un mio motivo di disturbo, ma in definitiva mi sento aperto all’esplorazione di un’esperienza così diversa da come era stata la prima volta. G se ne va per raggiungere An nella stanza delle stelle. Io rimango a guardare la lampada a fibra ottica, ma sento in lontananza voci e risate degli altri due. In questo momento mi rendo conto delle forti visualizzazioni psichedeliche che ho, vedo scie colorate intorno alle cose in movimento, e il mio mondo interiore viene traslato in una dimensione diversa. Perdo lievemente il contatto con la realtà, e col posto in cui mi trovo. Non è più un luogo a me familiare, il salone di casa mia, ma diventa una festa in qualche posto lontano, in cui avverto che ci sono altre persone che si muovono intorno, in preda alle loro alterazioni. Le risate di Al e S mi riportano alla realtà, mi stanno deridendo per il mio stato non ordinario. La cosa mi da fastidio, ma nello stesso tempo mi rendo conto che con loro c’è sempre questa sorta di derisione nei miei confronti, per cui non la prendo sul personale, ma cerco nuovamente una mia dimensione. Mi metto carponi sul tappeto e questo diventa un terreno inesplorato, come la 37

superficie di un pianeta blu che si muove in preda a movimenti tellurici sotterranei. Per quanto la visione sia interessante, sento sempre troppa confusione, e mi allontano ulteriormente verso il PC che ininterrottamente eseguiva un programma di animazione di frattali coloratissimi. Mi metto a fissarne lo schermo, e vengo rapito dalla straordinaria molteplicità dei colori. In certi momenti vengo risucchiato nello spazio tridimensionale che percepisco aldilà dello schermo, e il cangiare dei colori mi desta meraviglie improvvise. Sento ancora confusione intorno a me e questo ogni volta mi riporta alla realtà. Invito Al a guardare lo schermo, così da coinvolgerlo nell’esperienza visuale che stavo vivendo anch’io. Ho molta voglia che anche gli altri entrino ad essere partecipi dell’esperienza visiva che ho io, poiché pare che loro ne siano ancora totalmente immuni. Nel frattempo mi allontano, e mi soffermo a guardare l’albero di Natale che tutto sommato non mi sembra così interessante. Mentre per terra ci sono come delle linee scure nel marmo e degli accumuli di polvere, che da un lato sembrano interessanti, ma in qualche modo anche malefici. Sento che se li guardo troppo poi inizieranno a diventare cattivi. Mentre la lampada di carta accesa ha una superficie traslucida molto interessante. E’ l’ultima cosa che guardo prima di cambiare stanza, vado verso la stanza delle stelle. Mi avvicino alla porta e spio quello che accade all’interno. Ci sono G e An che parlano molto piano fra loro, in frasi abbastanza sconnesse, che mi danno la netta sensazione che anche loro sono entrate a far parte dell’esperienza. Questo mi riempie di euforia per l’idea di condivisione che decido di entrare nella stanza, ma nello stesso tempo interrompo quello che stava avvenendo fra loro. Vengo percepito come un 38

intruso e perciò non mi sento molto accettato. In più mi metto a volteggiare davanti alla visuale delle stelle e G mi chiede in maniera un po’ brusca se posso togliermi di mezzo. Mi vado a sdraiare, e sento che An se ne va. Nel buio queste stelle luminose diventano una presenza pesantissima sulla mia testa, sembra come se fossero tenute con dei fili e che lo spazio nero intorno diventasse profondissimo. Sento grande confusione nella testa, come una tensione fra la perdita di realtà incombente, e una necessità di mantenerne il contatto in virtù della presenza degli altri. Infatti sento che c’è qualcun altro nella stanza, e devo capire chi è. C’è S che si è sdraiata anche lei. Questa necessità di rendermi sempre conto di chi ho intorno mi deriva dalla frequente sensazione di presenze che ho intorno, anche quando poi mi rendo conto che intorno non c’è nessuno. Probabilmente è una sorta di riflesso incondizionato di mantenere un certo controllo sulla situazione. In lontananza sento le voci di An e Al che parlano ininterrottamente, come se non ci fosse un momento di silenzio nei loro discorsi, ma fosse un flusso ininterrotto di parole. Sento che mi da molto fastidio, e vorrei andare a chiudere le porte. Mi alzo, esco dalla stanza, chiudo la porta del salone che produce un fastidiosissimo cigolio, del quale ne è consapevole anche Al. Mi pare di affacciarmi un attimo in salone, credo di aver scambiato qualche parola con loro, ma poi me ne torno nel corridoio, ormai già dimentico che quello che dovevo fare era chiudere la porta per non sentire il rumore. Infatti mentre mi trovo nel corridoio in semioscurità, mi trovo al centro di 4 porte. Da una parte il salone, la stanza delle stelle, la camera da letto, il bagno. Qui vivo la mia prima esperienza di mind loop, ovvero pensiero 39

circolare. In pratica nella mia mente si avvia uno schema di pensiero di scelta sulle diverse porte, che non porta a nessuna conclusione e sembra ripetersi all’infinito. E’ come se valutassi singolarmente il valore di prendere una decisione piuttosto che un’altra, per poi scartarle tutte visto che nessuna sembra prevalere. E’ come se la mia reale parte cosciente sia assente, e sia in funzione solo la parte mentale che ripete uno schema di scelta molto lucido ma senza contenuto. Ovvero è come assistere all’emergere di una struttura mentale molto ben definita ma priva di senso. Uno schema rigido che si va ripetendo senza uscita. Ho un lampo di consapevolezza, lo riconosco come mind loop, e allora riesco a interromperlo volontariamente, e a prendere una decisione, cerco di aprire la porta della camera da letto, ma poi nuovamente la richiudo. Il circolo vizioso sembra prendere il sopravvento, apro la porta del bagno, ma subito la richiudo. Effettivamente la scelta del bagno mi sembra quella meno utile, e poiché questo stato mentale mi sta iniziando a mettere ansia, visto che non ne sono più in controllo, decido alla fine di andarmi a mettere sotto le coperte a letto, visto che l’altra volta questa sensazione mi aveva dato un senso di protezione. La camera è buia, e sento come di entrare in un posto estraneo, sconosciuto. Mi viene in mente una qualche stanza di una qualche città americana, con vista sui grattacieli. Probabilmente è dovuto ad una sorta di associazione visiva fra la luce che penetra dalle persiane, e la luce delle finestre dei grattacieli di notte. Avvicinandomi al letto mi viene in mente che quella che sto vivendo è un’esperienza psichedelica da LSD, anziché da psilocibina, perché le visione che ho a tratti sono altamente complesse e colorate, nonostante io non abbia mai intrapreso un viaggio da acido. Mi sdraio sul letto, e dopo qualche 40

momento sento qualcuno che cerca di entrare in camera. E’ G, ma io per rimanere da solo le dico che la stanza è occupata. Sento che questo è un momento che devo affrontare da solo, negli altri probabilmente si è sviluppata la necessità di rimanere in gruppo, ma io sono un solitario e devo affrontare la situazione da solo. Mi sento anche molto forte per questa mia scelta, come se gli altri che hanno bisogno del gruppo in realtà non avessero abbastanza coraggio per affrontare da soli la paura di se stessi. Ho vari momenti di perdita di realtà, in cui non mi rendo conto se è notte e sto sognando, con G che mi dorme accanto, oppure sta succedendo qualcosa d’altro. Riprendo il contatto e mi rendo conto che accanto c’è solo il cuscino. La fase successiva diventa una sorta di incubo delirante. Mi sento al centro di una visione caleidoscopica composta da triangoli tridimensionali che si muovono ad onda, trasmettendomi una sensazione di prigionia dentro ad una rete iridescente. Mi perdo in pensieri estremamente negativi sull’esperienza che sto vivendo. Mi sento come se fossi ormai assuefatto alla droga che ho preso, la quale mi reclude in una realtà alterata senza via di scampo, come se fossi già entrato dentro a questo vortice malefico che porta alla totale perdita del senso di realtà, ormai estraniato dalla società a cui appartengo. E inoltre mi sento anche in colpa per aver coinvolto in questa cosa le altre persone, come se fossi diventato il loro spacciatore. Sono visioni alla “trainspotting”, in cui questo mondo deformato mi soverchia, probabilmente rivelando tutta la serie di condizionamenti e moralismi a cui sono stato sottoposto nella vita. La fase seguente assume invece proporzioni cosmiche di una grandezza tale da 41

risultare totalmente devastanti per il mio sistema di coscienza. Lo stato di realtà alterata in cui mi trovo mi da accesso ad una visione amplificata dalla quale vedo che qualunque tipo di realtà, anche quella ordinaria, è comunque uno stato alterato di coscienza, e tutti hanno lo stesso tipo di valore di realtà. Ovvero l’alterazione è semplicemente uno stato di cambiamento delle regole di costruzione della mente, ma ha la stessa validità di qualunque altro stato. Questa concezione si allarga all’idea che l’esistenza delle altre persone sia come un diverso riflesso della nostra coscienza che risponde a leggi diverse. Quindi è come se gli altri non fossero altro che la nostra stessa coscienza ma che agisce in base a regole diverse dalle quali si ricava una diversa realtà alterata. Quindi ogni persona vive costantemente uno stato di alterazione rispetto alla nostra realtà ordinaria, a seconda del modo in cui sono costruite le regole della propria mente. Ne segue che tutti costantemente viviamo in mondi con gradi di alterazioni differenti. Questa visione del mondo subisce quindi un ulteriore ampliamento, in cui mi viene svelato una sorta di meccanismo che regola il modo in cui la coscienza universale si frammenta nella coscienza individuale, per sviluppare il proprio ciclo di autocoscienza. E’ come se da una sorta di rete cosmica, che è la coscienza assoluta, si distaccassero dei brandelli di coscienza per incarnarsi, ovvero per scendere negli strati più pesanti di materia, attraverso i quali poi dissolversi per ritornare nello stato di rete cosmica, dopo aver compiuto lo spazio di un’esistenza umana. Ho percepito distintamente l’eternità che questo ciclo comporta, prima che tutta l’infinità della coscienza abbia esaurito il suo potenziale. Ma dato che la potenzialità di qualcosa che è infinito, è senza limite, 42

allora tutto questo ciclo di vite diventa un qualcosa che si perpetua indefinitamente. Come se fossimo costretti a ripetere per sempre la stessa identica esistenza. Questa visione globale è stata devastante, perché è come se l’universo subisse delle leggi alle quali non è possibile sottrarsi, e non c’è scampo per evitare questa terribile ripetizione di se stesso. Inoltre la mia percezione di realtà stava iniziando a disfarsi, come se il mio ego stesse iniziando a sgretolarsi. Questo mi ha messo molta paura, o forse più che paura, ho avuto un senso di incapacità a sopportarne il dolore. Come se ancora non fossi pronto per affrontare questo ulteriore passo. Una consapevolezza di questa enormità mi ha talmente sconvolto, che in un barlume di coscienza mi sono reso conto che dovevo assolutamente interrompere visioni di questa portata. Mi sono alzato di corsa dal letto per precipitarmi in salone e afferrare con violenza della cioccolata da mangiare. Avevamo infatti messo della cioccolata in salone per poter ridimensionare la portata del viaggio, poiché l’assunzione di zuccheri smorza l’effetto della psilocibina. Non appena ingerisco la cioccolata sento come un macigno che mi si ferma in gola. Ho necessità di bere dell’acqua, il mio corpo è devastato dalla pesantezza della sostanza. Vado in bagno per bere dell’acqua. Mi soffermo a guardarmi nello specchio. La visione che ne ho è pazzesca. Sulla superficie del mio viso che è opalescente vedo le vene in trasparenza. Lo spazio dello specchio diventa un superficie ipercristallina assoluta, in cui il mio viso galleggia lasciandovi scie tutte intorno. La percezione del mio viso così distorta fa molta paura, per cui non indugio troppo su di essa con lo sguardo. Mi affretto a bere dell’acqua e vedo le goccioline d’acqua iridescenti che colano via nel lavandino 43

liquido. In quel momento entra G preoccupata a controllare la mia condizione. Io mi sento giudicato dalla sua presenza, come se esprimesse un giudizio negativo sul fatto di arrivare a sentirsi così male per divertimento. E in effetti mi sentivo malissimo, piegato sul lavandino, come quando si vomita per eccessivo alcool in corpo. Dopodiché mi sento leggermente meglio e mi sento di voler raggiungere gli altri per stare in compagnia e non più solo. Il gruppo mi fa stare subito meglio, le sensazioni fisiche pesanti passano presto, e continuo ad avvertire solo un certo stordimento. La mia mente va a mille, i pensieri si succedono ad una rapidità fenomenale ed analizzano ogni istante tutte le interazioni con gli altri. I discorsi in gruppo li avverto come abbastanza deliranti, il che mi fa supporre che anche gli altri siano ancora nel pieno del flusso psilocibinico. In realtà G, An e S dicono di essere ormai sobrie, mentre solo Al sembra essere pienamente alterato. Io invece in virtù delle visioni di prima, percepisco come se loro fossero racchiusi nella loro individuale realtà alterata, senza esserne consapevoli. Si cerca di affrontare vari discorsi. Io mi perdo nei pensieri svariate volte, e quando mi viene di parlare spesso emergono solo luoghi comuni, come se io vivessi nella piena consapevolezza di quanta verità esiste in un luogo comune. Da un lato però è come se la mia capacità linguistica fosse regredita ad un livello infantile, per cui non riuscivo ad esprimere i concetti in maniera interessante, ma mi fermavo a semplici banali asserzioni. Cerco un contatto fisico con G, che però lo rifiuta dicendomi che le do fastidio. Io riesco ad accettare la cosa senza prendermela troppo male, come se fossi consapevole che questo suo stato dipendesse dall’alterazione e quindi non c’era molto da preoccuparsi perché comunque le sarebbe 44

passato. Parliamo un po’ di me e del mio modo di dire quello che penso senza dire mai quello che sento, che è la visione che aveva G in quel momento. Io cerco di esprimere il mio punto di vista, ma mi trovo in difficoltà con le parole che sembrano intrecciarmisi in testa. Ognuno parla un po’ della sua esperienza, ma tutti sembrano ammettere di avere il pieno controllo di sé. Solo Al ogni tanto irrompe in risate, oppure cade in stati mistici di contemplazione di verità assolute e incomunicabili. Io sento di avere una profonda empatia nei suoi confronti, soprattutto nel culmine di una sua visione mistica, nella quale avverto ciò che lui non riesce a dire e lo trovo bellissimo, perché anche senza parole riesco a percepire ciò che c’è in lui. Da un lato della mia mente emerge l’immagine della scena finale del film Ghost in cui Patrick Swayze dice a Demi Moore che è bellissimo l’amore che ha dentro, che si vede e che deve portarlo con sé. Trovo l’analogia perfettamente calzante, ma la consapevolezza della stucchevolezza di una tale scena mi fa sentire un idiota. Io ogni caso resta un senso di profonda comunione con le emozioni di Al. Cerco di trovare più o meno contatti con tutti gli altri, ma S e G sono impenetrabili. Solo An si rivela abbastanza empatica, e c’è qualche accenno di comunicazione. Gli argomenti che si affrontano sono svariati, si parla della necessità della tecnologia, piuttosto che la ricerca della semplicità, si parla degli eventi dei giorni prima e di un certo bilanciamento nella situazione di scherzi che si era venuta a creare fra noi. Io ho la percezione di un certo equilibrio nello scambio con gli altri, come se tutto quello che tu dai, ti ritorna in un certo modo in uguale misura. Lo ritrovo visualizzato nel tao, e mi viene in mente che certi simboli e significati occulti derivano da probabili esperienze di 45

tipo sciamanico o da stati di trance indotta. Poi c’è un momento in cui l’attenzione si focalizza su di me, e gli altri insieme assumono il ruolo di guide spirituali. Come se quello che io cercavo di fare su di loro, cioè fungere da guida attraverso questa esperienza, stessero in quel momento facendolo su di me. C’è stato un momento in cui nella mia mente li ho quasi trasfigurati a livello di angeli, intesi come entità evolute che fungono da guida. Quello che mi hanno comunicato è che devo cercare di entrare di più a contatto con i miei sentimenti ed usare meno la testa. Col passare del tempo la mente si rischiara, si chiacchiera a lungo, e poi la serata volge alla conclusione. S e An si addormentano in salone, mentre io e Al ci ritroviamo a parlare nella stanza delle stelle. Condividiamo un profondo senso di comunicazione, di gratitudine per la presenza dell’altro, e abbiamo un forte scambio emotivo. Si aggiunge G per un attimo, ma poi se ne va perché inizia a sentirsi male per le mestruazioni che hanno tardato per una settimana e sono iniziate esattamente appena è finito l’effetto dei funghi. Io ho la necessità di scrivere qualcosa su quanto è successo. Prendo dei fogli, e nel tentativo di scrivere qualcosa di senso compiuto, mi rendo conto che la tendenza è invece quella di lasciare libero sfogo all’inconscio. Produco una serie di fogli con scritte e disegni. Sono ormai le 7 di mattina, torno a parlare con Al e iniziamo a mangiare qualcosa vista la fame che si comincia a sentire. Alle 7 e 30 mi metto a letto. Faccio 3 ore di sonno abbastanza pesante, mi sveglio completamene sudato, vado a bere e mi riaddormento per altre 2 ore. Al mio risveglio gli altri sono tutti in piedi e molto stanchi. Passiamo la giornata mangiando e riposando. Alla sera 46

rimaniamo solo G e io. La mia mente produce un quantitativo enorme di pensieri, rincorrendosi in cicli senza fine. Penso ad ogni cosa e al suo opposto senza trovarvi una via d’uscita. Analizziamo un po’ la situazione, e una mia visione estremamente lucida e razionale del nostro rapporto mi porta a pensare che non abbia senso continuare a stare insieme. Ci prendiamo una pausa, nella quale io cerco di staccare la spina mettendomi a letto. Dopo un po’ di silenzio, con la mente ancora completamente sottosopra, mi rendo conto che ho estremo bisogno del contatto fisico per riportare le cose ad un livello di normalità. Vado a cercarla, e nel contatto si sciolgono i miei blocchi emotivi. Mi libero in un pianto sofferente, in cui le mie emozioni sembrano uscire dopo essere state trattenute per un tempo indefinito. Ritrovo una dimensione umana, mi sento di essere totalmente sottosopra, e di non poter riaffrontare la realtà allo stesso modo di prima. I giorni successivi la mia mente è in uno stato di veloce recupero della sua struttura razionale. Tutte le cose sembrano tornare al loro posto anche se ho una percezione accentuata della schematizzazione di ruoli che la gente porta avanti nella vita, e nello stesso tempo della mia alienazione da una serie di giochi di ruolo che vengono attuati inconsapevolmente dagli altri, nonché da una maggiore capacità di vedere dentro alle cose. Ripensando all’esperienza in generale, ho momenti contrapposti di sensazioni negative e positive, per cui l’idea di riaffrontare una cosa del genere mi risulta difficile, ma col passare del tempo sempre più accettabile, fino ad una voglia sottile di rientrare in quel sistema di alterazione per approfondire le tematiche mentali, mantenendosi su dei livelli di maggiore controllo. 47

Riflessioni sulla seconda esperienza Il secondo viaggio è stato estremamente più complesso e impegnativo del primo. Non solo per l’intensità del picco visuale, ma proprio per le relazioni e l’ambiente che avevamo creato. Ho compreso in tutta la sua durezza la difficoltà di interazione con gli altri, e lo stato di estrema delicatezza psichica in cui ci si viene a trovare per cui ogni interazione sbagliata può ferire in modo profondo e duraturo, andando anche ad incrinare il rapporto fra due persone, ritornando nello stato normale. Questo probabilmente accade anche perché vengono messe in luce e amplificate certe dinamiche che se in uno stato di coscienza “normale” sono tranquillamente gestibili, in uno stato alterato possono manifestarsi come problematiche. Da qui deriva l’idea di scegliere con maggiore cautela i partecipanti al viaggio, fra i quali deve esserci un’ottima intesa e armonia, ma soprattutto comune finalità. Per quanto riguarda le visuali e le dinamiche dell’esperienza, tutto è stato più intenso. La ricchezza del panorama mentale non ha confronti fra il primo e il secondo viaggio, probabilmente a testimoniare il fatto che una volta aperte certe vie, il percorso si fa più facile, più immediato. E’ aumentato anche l’impatto mistico e archetipico che l’esperienza mi ha donato, aprendo scenari estremamente più vasti che non nella prima esperienza, sebbene si sono manifestate anche le prime forme di reazione negativa al viaggio, definibile come bad trip, anche se ancora in una forma non terrificante, ma non meno leggera.

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Terza esperienza psichedelica con i funghi 15 gennaio 2003 Della mia terza esperienza non ho un resoconto scritto subito dopo. In realtà fu un’esperienza molto blanda, perché visto la potenza della precedente, ho preferito usare un dosaggio molto leggero (2 gr circa). L’ho consumata in solitudine in casa, cosa che ha eliminato tutte le interazioni complesse con le altre persone e mi ha dato modo di essere più centrato. Ma per la verità il dosaggio così leggero ha fatto si che l’esperienza fosse estremamente controllabile. Non ci sono state visioni particolarmente vivide ne alterazioni sostanziali della mia mente. E’ stato più che altro un viaggio introspettivo che però mi ha lasciato molta amarezza. Questo perché il tema portante del viaggio è stato la struttura della società e le relazioni umane. Mi è sembrato di scorgere tutta l’ipocrisia di cui è condita l’esperienza umana di oggi. Le contraddizioni insite nella nostra vita come gruppo, gli inganni, il sopruso del potere. La strumentalizzazione dei mezzi di comunicazione, il modo in cui la verità viene occultata, o plasmata per essere trasmessa in modo distorto al fine di ottenere il controllo sulla popolazione. Tutta questa serie di riflessioni, in cui le cose mi sembravano così chiare e lampanti, ha però avuto il riflesso di un profondo stato di malessere interiore per appartenere a questa razza così infima. Non ho percepito speranze per l’umanità nella condizione in cui è adesso. Siamo troppo lontani dalla Verità e troppo soggiogati a sistemi di controllo per cui la nostra coscienza è sopita. E’ mi è stato subito chiaro il fatto che l’uso delle sostanze enteogeniche, psichedeliche, così come era stato promulgato negli anni ’60 per poter dare il via ad un cambiamento culturale, fosse stata un’arma 49

minacciosa per il sistema stesso, perché ne sovvertiva le regole ma soprattutto apriva la mente delle persone a rendersi conto della gabbia invisibile in cui il sistema le imprigiona. E quindi mi è parso assolutamente logico che il sistema stesso abbia poi reagito cercando di spargere la paura riguardo l’uso di queste sostanze, perché la paura permette di esercitare il controllo, e ha cercato di metterle al bando in ogni nazione affinché l’uso massivo di queste sostanze fosse completamente eliminato. E c’è riuscito. Tutte le speranze che nella summer of love erano emerse nell’intento di unire l’umanità sotto il segno della pace, sono state soffocate sostituendo la tipologia delle droghe da diffondere: non più marijuana che provoca empatia, comunione, pacifismo, non più LSD che provoca apertura mentale, riflessione filosofica, esperienze mistiche ed estatiche, ma tutte droghe che inibiscono questi processi: cocaina, eroina, anfetamine. Il sistema ha combattuto le sostanze che espandono la coscienza con quelle che creano dipendenza e la inibiscono ma sono funzionali al sistema commerciale, produttivo, competitivo. Ecco come è nata la reazione che ha portato i danni degli anni ’80, in cui si è diffusa la credenza che tutte le droghe fanno male e tutte le droghe sono uguali, con il loro carico di luoghi comuni, di disinformazione, di eliminazione completa di una rivoluzione culturale che prometteva di cambiare le cose.

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Quarta esperienza psichedelica con i funghi 2 febbraio 2003 Con questa quarta esperienza psichedelica credo di aver chiuso ogni tentativo di esplorazione della mia mente attraverso l'uso della psilocibina. Quest'ultimo viaggio mi ha portato a confrontarmi con ogni costrutto mentale appartenente alla mia mente, intrappolandomi in un mondo fittizio che si ripeteva all'infinito, senza via di uscita, senza più il controllo della mia volontà, senza più il controllo del mio corpo fisico, senza più dominio della mia persona e padronanza della mia coscienza. Il viaggio è iniziato alle 11:45 con l'ingestione di solo 2,7 grammi di psilocibe cubensis. Il mio compagno di viaggio stavolta era A, con il quale condivido una grande complicità e unione spirituale. La sua ingestione è stata di 3,7 grammi, visto che aveva già mostrato un'ottima tolleranza alla psilocibina, e aveva manifestato la volontà di spingersi un po' oltre nell'alterazione delle percezioni. Abbiamo iniziato il viaggio con una musica ricca di flauti, cercando di mantenere attiva una conversazione sensata prima che l'effetto della sostanza si manifestasse in tutto il suo potere. Questa parte iniziale era caratterizzata dalla classica sensazione di pesantezza alla testa e nel corpo, con pensieri ancora molto lucidi, ma le parole che uscivano con difficoltà. I discorsi che facevamo erano rivolti a cosa avevamo fatto il giorno prima, ed man mano che procedevamo le frasi rimanevano sempre più a metà, inframmezzate da un sacco di risate. Poi ci siamo stesi, io sul divano, in preda a brividi di freddo, e lui sul tappeto. Lentamente siamo stati sempre più in preda a visioni, sia ad occhi aperti che chiusi. La musica con flauti creava delle 51

bellissime forme ad occhi chiusi, e io mi sentivo sempre più appartenente al divano su cui mi trovavo. Da questo mondo di visioni ogni tanto emergevo per curiosità di vedere come se la stava vivendo lui, che era sprofondato con la faccia nel tappeto. Era molto divertente lo scambio di commenti che avevamo. Poi ad occhi aperti mi sono messo ad osservare il soffitto bianco, sul quale si sovrapponevano le visioni che erano di un rosa e creavano dei disegni meravigliosi, celestiali, di cui mi beavo. Anche A. stava iniziando a vedere qualcosa di più della realtà ordinaria, e rideva come un matto, per cui gli ho chiesto perché rideva così. Mi ha risposto che se me lo avesse detto mi sarei ammazzato di risate. Poi mi ha detto che nel tappeto c'erano come una fila infinita di Mastro Lindo! Abbiamo riso come pazzi… allora mi sono avvicinato a lui sul tappeto per trovare qualcosa da osservare. Il tappeto che ha zone di diversi colori, blu e bianco, era come diventato una sorta di fondale marino sul quale ondeggiavano dei coralli iridescenti. Poi sono passato ad osservare il pavimento di marmo. Era trasparente e profondissimo, con miliardi di particelle coloratissime che scorrevano sotto e sopra la sua superficie. Anche A era partecipe di questa visione, e ha commentato che ci mancava solo che un pesciolino che nuotasse sotto la superficie… io gli ho risposto che se voleva veramente vederlo bastava che ci si concentrasse. Ho deciso di cambiare musica, e passare ad un CD degli Shpongle per movimentare la cosa. L'interazione con la musica e i suoni era fantastica. Poi A ha iniziato a rotolare sul tappeto sperimentando la forza di gravità sul suo corpo. Abbiamo iniziato a farlo insieme, mi sentivo schiacciato dal suo peso, ed era come se fossi finito in un angolo buio di una discoteca in cui c'erano tutte luci psichedeliche. 52

Ridevamo molto insieme, e poi abbiamo iniziato a parlare di cose molto mistiche. A. diceva che noi in siamo attaccati alla terra, ma in realtà siamo a metà tra la terra e il cielo, o qualcosa del genere. Poi pensava alla terra e a quello che noi umani le abbiamo fatto. Mi pare che si stesse scusando con lei. Se solo anche gli altri se ne accorgessero del danno che le stiamo perpetrando. Fra un discorso e l'altro mi è venuta sete, mi sono alzato per prendere un po' di succo d'arancia. A. mi ha chiesto invece dell'acqua e sono dovuto andare in cucina a prenderlo. Sono tornato col bicchiere, ne ha preso un sorso rovesciandone in parte sul tappeto. Io gli ho detto di stare attento, ma lui mi ha risposto che tanto era acqua che non bagna! In quel momento credo che ognuno è partito poi per il suo mondo. In me c'erano pensieri legati alla diversa percezione della realtà da parte delle persone che conosco, e come ognuno di noi in realtà viva in un mondo diverso e sperimenti cose diverse proprio grazie alla sua diversa percezione. Mi sono poi alzato per andare a prendere un altro bicchiere d'acqua, e dal momento in cui mi sono trovato in cucina, il ricordo di quello che è successo è alquanto frammentario. Arrivato al centro della cucina, non so esattamente per quale motivo, ho scagliato con violenza il bicchiere di vetro contro il pavimento mandandolo in frantumi. Forse perché il pavimento era trasparente e tridimensionale, allora ho pensato che se ci avessi lanciato il bicchiere, questo avrebbe raggiunto il fondo del pavimento? Non lo so esattamente, ma è stato un gesto impulsivo e non consapevole. Il rumore di vetri è stato assordante, credo di ricordare anche la voce di A. che mi chiedeva che era successo. Non gli ho risposto perché ero preso da questa nuova 53

situazione, il bicchiere rotto e sparso per tutta la cucina. Ho pensato che avrei potuto rincollarlo con il potere dell'immaginazione, credo di aver preso qualche frammento, ma mi devo essere tagliato. Il sangue ha iniziato a coprirmi le mani. Non mi rendevo conto di dove ero tagliato, né sentivo dolore, ma il sangue sembrava tanto. Con la stessa facilità ho pensato che avrei potuto far rientrare il sangue dentro le ferite e autocicatrizzarle con la volontà. Da questo momento in poi ho molta difficoltà a ricordare esattamente la sequenza degli avvenimenti. A. mi ha riferito successivamente che io ero in preda a un delirio che mi rendeva quasi indemoniato. Che correvo qua e là farfugliando cose senza senso (per lui) e che il sangue dalle mani non se ne andava come io affermavo. Ho sporcato tutta casa di sangue, lasciando gocce rosse dappertutto. Invece io mi ricordo di essere finito in una sorta di strano universo fatto a scatole cinesi. La descrizione di questo mondo psicologico è molto complicata da ricordare e rendere a parole. Diciamo che da un lato viveva in me la suggestione "Matrix" ovvero la convinzione che io fossi l'eletto e che potessi piegare a mia volontà la realtà esterna, visto che la realtà è solo percezione e le percezioni possono essere alterate. Questa è la motivazione dei miei gesti più folli, come per esempio correre e planare nel mezzo del salone per finire sul tappeto. In realtà io in quel momento stavo entrano nella "luce" ovvero stavo penetrando attraverso il mondo delle percezioni per giungere alla realtà ultima. Dall'altro lato vivevo in un mondo fatto di continue prese di coscienza. In un istante capivo certi meccanismi del mondo e mi dicevo che avrei dovuto ricordarli perché era importante che lo riferissi agli 54

altri. Un attimo dopo dimenticavo tutto e capivo un'altra cosa, e così via per non so quante volte o quanto tempo. E nel frattempo correvo da un lato all'altro di casa cercando sempre di ricordare qualcosa che dimenticavo. In un momento dovevo fare una telefonata, poi tornavo in bagno per far scorrere l'acqua, poi di nuovo al telefono… un delirio di immagini e ripetizioni. Poi il meccanismo si è reso più complesso. Era come se sapevo che il mondo che ognuno di noi vive, è una diversa rappresentazione dell'infinito. Quindi esistono infiniti mondi, e ognuno di noi ne vive uno, con l'impossibilità di comunicarlo agli altri perché in realtà è la stessa coscienza che li vive tutti insieme, ma nel momento in cui passa dall'uno all'altro perde la consapevolezza dell'appartenenza ad altri mondi possibili. In questo caos vedevo il mondo con gli occhi delle persone care che conosco e capivo che ognuno di loro aveva perfettamente ragione nel descrivere il proprio mondo, perché per loro era effettivamente così il mondo. Solo che nessuno si rendeva conto che non è il mondo ad essere diverso, ma la coscienza che lo filtra in modo diverso. Non esiste un giusto o sbagliato, perché essendo tutte sfaccettature dell'infinito, tutte sono possibili e giuste. Allora mi esaltavo per l'idea di poter comunicare questa cosa agli altri, e non facevo altro che ripetermi: "Quando torno glielo devo dire!". Poi sono arrivato ad un punto in cui il delirio mi ha spinto in un meccanismo ancora più complesso. Una sorta di mondo quadrimensionale abitato da porte nelle quali risiedono le coscienze di tutte le persone connesse fra loro. E per entrare in contatto con esse bastava volere la presenza di quelle persone, e la loro coscienza si spostava in questo meccanismo tipo "The Cube", per entrare nel tuo mondo e abitarlo 55

come se fosse realtà ordinaria. Con questa convinzione chiamavo a gran forza il nome di G., immaginando che bastasse la mia volontà per farla apparire nel mio universo. Credo di aver anche aperto la porta di casa convinto che l'avrei trovata là, materializzata dalla mia evocazione. In tutto questo caos, A. si era rinchiuso in una camera, spaventato dal mio delirio. Io lo sentivo parlare dietro la porta a telefono, ed era come se sapessi che lui fosse in un'altra cella di realtà, ma io volevo portarlo fuori per farlo entrare nella mia. Allora ero convinto che avrei potuto materializzare la chiave della porta per entrare. Di fatto la chiave non si materializzava. Da questo momento credo che le cose hanno iniziato a prendere una strana piega, voglio dire, ben più strana della piega assurda che aveva già. Il fatto di non vedere A. in giro per casa (dimenticandomi che era chiuso nella stanza) e vedendo tutte le gocce di sangue per casa, e i vetri rotti in cucina, mi ha portato a pensare che lui si fosse lanciato attraverso la finestra e giacesse morto fuori per strada. Quest'idea aveva assunto un certo valore, al punto che io mi chiedevo che cosa avrei detto agli altri quando sarebbe passato tutto. Ma da un lato sapevo che siccome gli universi erano infiniti, era probabile che non fosse morto, ma magari solo ferito. Ma poi invece mi convincevo proprio che stavo nell'universo in cui lui era proprio morto, e allora ci sarebbe stato il suo funerale… e mi dicevo: che palle! Tutto il dolore al funerale, quando invece ci sono altri universi in cui questa cosa non è successa! Non ero proprio preoccupato poi, ma in realtà non ero proprio io in quel momento, è come se ci fosse una sorta di mente stupida dentro che reagiva in maniera illogica ai pensieri che si autocreava. Come essere un burattino ingenuo in preda a strane idee legate al 56

fatto che comunque qualcuno si era fatto male. E siccome questo tipo di universo non mi piaceva alla fine, urlavo perché volevo uscirne e viverne un altro. Ma le mie urla oltre a spaventare A. non ottenevano alcun effetto. Poi ho vissuto nell'idea che essendo gli universi infiniti, io in quanto parte della coscienza cosmica, avrei dovuto viverli tutti. Vivere tutto il dolore possibile di ogni esistenza, per poi morire, rinascere e riprovare le stesse cose dal punto di vista di un'altra persona che aveva partecipato all'esistenza di quella prima. E vedevo il momento fra la morte e la rinascita un po' come la parte finale di "2001 Odissea nello spazio". Un'esistenza che regrediva a feto passando attraverso la luce psichedelica della dimenticanza. E di nuovo un'altra esperienza di universo ne veniva fuori. Mi trovavo in cucina e lasciavo scorrere l'acqua. In tutto questo viaggio l'elemento acqua è stato fondamentale. La lasciavo sempre aperta per farla scorrere, perché ero convinto che l'acqua era una cosa buonissima, ed era l'elemento primordiale da cui tutto deriva e tutto ritorna, e attraverso l'acqua potevo ritornare in altri universi rinascendovi dentro. Poi mi sono lasciato portare dalle sensazioni fisiche. Ho pensato che se l'universo è infinito, e l'universo è rappresentato tramite le nostre percezioni fisiche, allora saranno infinite anche le percezioni, e allora dovevo sperimentare le percezioni più assurde perché comunque facevano parte dell'universo. Mi sono messo a leccare le veneziane in cucina, e ricordo benissimo la sensazione della polvere sulla lingua, poi mi sono messo a succhiare l'angolo del tavolo, convinto che la mia percezione di quella consistenza nella mia bocca fosse alla fine una sorta di entità appartenente all'universo come lo sono io. In tutto ciò i frammenti di vetro erano sempre lì a 57

ricordarmi che comunque era successo qualcosa da cui non si poteva tornare indietro. Probabilmente mi sarò perso da qualche parte. Entra A. in cucina, e mi chiede come va. Dico bene, con tutta naturalezza. E dentro di me mi dico: che viaggio strano, anche se in quel momento non mi ricordavo quasi nulla di tutto. E stavo ancora cercando di analizzare le mie percezioni. Vedevo attraverso gli occhi, sentivo il sangue appiccicoso sulla mano, sentivo il sapore di cioccolata in bocca. Insomma, le mie percezioni c'erano tutte. Ma io no. Non sentivo di essere dentro di me. A. iniziava a cucinare qualcosa come se fosse tutto normale. Mi chiedeva se la panna era scaduta, cucinava della pasta. Io ero totalmente frastornato. Non sapevo dov'ero. Riconoscevo tutto, la cucina, il resto della casa, ma era come se fossero percezioni vuote senza consistenza. O ero io che non avevo più consistenza dentro di me. Sempre più confuso ho cercato spiegazioni ad A. che mi rispondeva in tono ancora più enigmatico, mettendomi pure una certa ansia. Non ricordavo quello che era successo. Allora mi è iniziato a venire il dubbio che era successo qualcosa di catastrofico che non riuscivo a ricordare. Da lì il colpo di genio! Ho pensato che in definitiva ero io che mi ero buttato dal balcone, e in quel momento mi trovavo in una sorta di limbo nel quale dovevo prendere coscienza del mio stato. E il mio "angelo" aveva le sembianze di A. per aiutarmi a ricordare e accettare la nuova situazione. Ero totalmente confuso. Non capivo più niente. A. Mi ha consigliato di andare a dormire, e io invece l'ho presa come se mi avesse detto che se mi fossi addormentato sarei rinato da un'altra parte. Allora me ne sono andato a letto, con la convinzione che stavo andando a morire per rinascere. In quel momento mi è presa una 58

tristezza enorme, immensa. Non volevo che finisse così, mi dispiaceva per quello che avevo fatto, ma soprattutto per il dolore che avrei causato alle persone che mi vogliono bene. E poi i miei progetti… tutto stava andando in fumo. Mi veniva da piangere, ma non riuscivo, ero confuso anche per quello. Mi sdraio a letto, e non accade niente di significativo, sento sempre che non sono dentro di me, che la realtà è vuota. E sento G. rientrare a casa. Penso che sarà lei il mio angelo che mi aiuterà a "passare". Infatti è estremamente dolce e comprensiva, cosa che mi risulta strana, perché penso che se fosse veramente lei dovrebbe essere incavolata per ciò che è successo. Ci abbracciamo e mi fa sentire bene. Poi mi lasciano solo a letto. Lentamente sento di rientrare in me stesso. Dopotutto non sono morto. Cavolo, NON SONO MORTO ALLORA!!! Li chiamo, mi tengono compagnia, mi riprendo un pochetto. Poi mi alzo, mangiamo qualcosa. Parliamo, ma poco, dell'accaduto. Il processo di ripresa totale dell'equilibrio psichico è stato abbastanza lungo. Anche il giorno dopo non ero del tutto certo che fossi poi veramente vivo. Magari era solo un'illusione per via del fatto che in fondo ero molto attaccato a questa realtà. Le notti seguenti sono stato un po' agitato, come se nei sogni vivessi l'asfissia di pensieri circolari continui e insostenibili. Ora che scrivo tutto è passato.

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Riflessioni sulla quarta esperienza Rileggendo a posteriori questo resoconto, emerge tutto il lato devastante dell’uso di queste sostanze. E’ stato veramente un “bad trip”. Spesso avevo letto di questa possibilità, ma fino a che non ti ci trovi dentro, non ti rendi conto della portata interiormente devastante di questa esperienza negativa. E allora emergono altre riflessioni sull’uso di queste sostanze. Non sono assolutamente cose con cui giocare in maniera inconsapevole. La loro portata di modificazione della coscienza e della mente, va molto al di sopra di quello che si può pensare di poter gestire senza un’accurata preparazione. Risulta chiaro allora perché nelle tradizioni sciamaniche di ogni cultura, prima di poter avere accesso a queste dimensioni, lo sciamano veniva duramente sottoposto ad una disciplina spirituale in grado di prepararlo ad affrontare queste esperienze. Solo un’accurata preparazione mette in grado lo sciamano di poter gestire qualunque situazione in cui può venirsi a trovare. Con questa esperienza mi sono reso conto di quanto labile sia il confine fra la follia e la sanità mentale, e quanto la mia mente possa completamente perdere il legame che ha con la realtà condivisa. Senza una guida che presiede al viaggio, affrontare una situazione così intensa può veramente creare dei danni psicologici in qualcuno che si avventuri su questi sentieri. La pesantezza di questa esperienza ha fatto si che per diversi mesi l’idea di ripeterla non si palesasse minimamente alla mia volontà. Avevo assoluto bisogni di riappropriarmi del mio territorio mentale. Di rimettere le cose a posto e di chiarirmi un po’ le idee. Però la mia sete di conoscenza e la mia curiosità alla 60

fine hanno prevalso. Sentivo che l’esperienza psichedelica doveva ancora darmi qualcosa di importante.

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Quinto viaggio psichedelico con i funghi 8 giugno 2003 Nonostante dopo l'ultimo viaggio fossi rimasto molto scosso, e mi fossi deciso a non intraprenderne ancora, dopo alcuni mesi mi sono ritrovato nuovamente implicato in una portentosa esperienza psichedelica. Questa volta ho coinvolto nella cosa un mio amico che era molto attratto da un'esperienza di questo genere e mi sono deciso di accompagnarlo nel viaggio. Abbiamo scelto come setting una zona collinare presso Tolfa (Civitavecchia) dove lui aveva una casa di campagna. Mentre cercavamo un posto che ci piacesse abbiamo visto uno stranissimo uccello che ci sembrava accompagnarci, penso fosse un upupa, perché aveva la testa rossa con una sorta di raggiera. Percorrendo un sentiero sassoso abbiamo trovato una radura in cui c'erano tre grosse querce, e sotto una di esse, abbiamo trovato un sasso con incisa la lettera R. Per noi questo voleva dire Rivelazione. Come rivelatorio è stato tutto il viaggio, forse anche più forte di tutti gli altri che abbia mai vissuto, sebbene non si possa definirlo un bad trip in senso reale. O forse dipende tutto dall'ottica in cui si guardano le cose. Ci siamo preparati stendendo a terra dei pareo tailandesi con disegni psichedelici, ideali come base di lancio. Abbiamo preso i nostri funghetti tritati e mescolati al succo d'arancia. La mia dose è stata di 2 grammi, assolutamente inferiore alle volte precedenti, cioè solo per entrare in sintonia col viaggio del mio compagno. Eppure non si può dire 63

che l'effetto sia stato minore, anzi forse molto più forte perché mi ha mandato in orbita attraverso tutto l'universo, lo spazio e il tempo. Da questo fatto inizio a capire che ormai non esiste più una precisa correlazione fra quantitativo e potenza di viaggio. E' come se nel mio cervello, o sistema nervoso, si fossero aperte delle strade, dei percorsi neurali ampliati, e ogni volta che mi accingo ad un'esperienza del genere basta sempre meno per poter andare più avanti e più veloci su questi sentieri della coscienza. Il mio amico ne aveva presi 3 grammi, essendo di corporatura più robusta e di ottima tolleranza ad altri tipi di sostanze (alcool e marijuana). Beviamo l'intruglio di funghi e succo e aspettiamo di iniziare a planare verso altri mondi. Questa volta la partenza mi è sembrata piuttosto lunga e graduale. Forse una mezz'ora rispetto ai soliti 15 minuti. Pochissima nausea, e nell'attesa abbiamo scherzato sul fatto che fosse tutto uno scherzo, e che in realtà non sarebbe accaduto niente. Poi come al solito, ci siamo finiti dentro con tutte le scarpe. Come sempre è difficile raccogliere le fila di tutto quello che mi è passato per la testa, visto che ho attraversato più o meno tutto lo scibile umano, ogni forma di pensiero e filosofia, ogni sensazione fisica e ogni legge di natura, percorrendo più e più volte l'universo in una giostra caleidoscopica interminabile. La quercia mi faceva da tetto con i suoi rami contorti e le verdi foglie, il sole traspariva fra di esse come una sottile pioggia di luce; ho tolto gli occhiali, perché una cosa come la miopia non serve quando si inizia il viaggio. I rami iniziavano ad assumere una conformazione tridimensionale più profonda, come se la loro trama si disponesse su molti piani di profondità. Se quello che vediamo normalmente è la 64

terza dimensione, quella potrebbe definirsi la quarta, la realtà che assume dentro di sé il tempo. Era lì e io la vedevo. Vedevo la trama di materia energia luce tempo e spazio che formavano tutto quanto era davanti ai miei occhi. Ho iniziato a baloccarmi con le leggi del cosmo, la gravità, gli atomi, la relatività einsteiniana. Mi attraversavano la mente come se non ci fosse neanche da parte mia una reale comprensione attiva ma una constatazione di fatto che le cose funzionano effettivamente così fin nella loro più sottile essenza. Dalla mia mente veniva fuori ogni tipo di costrutto intellettuale, supportato di immagini, forme, suoni, sensazioni come se in realtà fosse un tutt'uno senza distinzione tra le parti. Il senso della religione, della scienza, della ricerca mi attraversava lasciandomi un forte senso di sacralità. Capivo l'esistenza di ogni legge, del motivo per cui le cose sono esattamente così come le percepiamo. E tutto in un singolo enorme istante in cui i miei neuroni giocavano con la psilocibina. E' solo la droga, mi ripetevo ogni tanto per non perdere il filo. E questa sola parola scatenava in me ogni possibile condizionamento a cui associamo la parola "droga" fin dall'infanzia. Sentivo le voci di amici e parenti che consideravano qualsiasi tipo di droga come assolutamente sbagliato e nocivo per il mio organismo, non sapendo ciò che di meraviglioso era invece nascosto in questi piccoli funghetti, e io non volevo dare retta a loro, sebbene in certi momenti avessi il dubbio che avessero ragione. Vedevo il mio sistema nervoso interagire con la sostanza invadente, atomi e molecole che si scontravano e creavano mondi. E quel mondo ero io. E quel mondo era Dio. Forse questa è stata la più alta esperienza divina che abbia mai sperimentato, tutto il viaggio intendo. Era come se Dio, o l'Assoluto per 65

eliminare quel senso di cattolicesimo che mi è tanto antipatico, non facesse altro che sperimentare la sua potenzialità attraverso di me, o attraverso il suo Sé. E in un momento ero un filo d'erba, un insetto che camminava lì, un farfalla che volava. E questo in un certo modo dipendeva da dove io ponevo l'attenzione. Ogni volta che muovevo la mia attenzione su una cosa o su un'altra ne sperimentavo l'essenza. E allo stesso modo facevo con le percezioni fisiche pure. Mi spostavo da un senso ad un altro, focalizzando ora sul tatto della punta delle dita sul terreno attraverso il tessuto su cui mi trovavo, ora sulla sensazione dell'acqua che bevevo e sentivo scendere dentro di me. Mentre cercavo di ricordarmi quant'è l'acqua che effettivamente si potesse bere senza scoppiare. Ora era lo stimolo della pipì, e di nuovo tornavo a toccare la bottiglia. Sentivo i denti in tutta la loro fisicità, compattezza, e poi riaprivo gli occhi e rimanevo sconvolto di ciò avevo davanti gli occhi. Era pieno di insetti tutt'intorno. Ne avevo sulle mani, alcuni li schiacciavo senza volere, ed era come se rimanessero appiccicati e non riuscissi a levarmeli di dosso, poi vedevo degli strani bruchi sul tessuto, iridescenti, simili alle processionarie. E l'erba secca tutt'intorno, che formava delle spirali uncinate colorate che disegnavano un intreccio fluttuante sul terreno. E poi il tessuto stesso con i suoi disegni già psichedelici di per sé, diventava uno spazio in cui sprofondare. E lì ci sprofondai. Entrai nella rete del sé e degli ego. Andai a toccare il più profondo stato di personalità multiple. Era una rete caleidoscopica infinita che si estendeva ovunque. Costituita da punti di coscienza luminosi che avevano credo 5 raggi o filamenti fluorescenti o lattiginosi che li collegavano ad altri punti. E in quegli altri punti riconoscevo le altre 66

persone che ho incontrato in questa vita. Erano i miei amici e i miei familiari. E il mio amore. C'era lei, e lei era la mia guida. La guida per non perdermi da dove ero, da quel posto così totale e grandioso ma anche in cui è estremamente facile perdersi. C'era tutto laggiù, e tutto era luce e colore. Ma avevo così paura di smarrirmi in questo Labirinto di coscienze. E allora mi ripetevo chi ero, ripetevo il mio nome e l'indirizzo di casa mia come un mantra per ritornare a ricordare chi fossi. Perché lì ad un certo punto non sai più chi sei, non sei più uno solo, e sei tutti allo stesso tempo. La vita, la coscienza, l'Universo, non sono altro che un paradosso di dualità. Tutto è il contrario di tutto nello stesso tempo. Unità, dualità e trinità. Tutto sempre insieme uno dentro l'altro. A seconda del punto in cui ci si mette ad osservare. Ed io ero lì, nel cuore dell'universo, al centro di dove scaturiscono tutte le leggi. Il tempo e lo spazio sono nati lì. E non ha senso misurarli perché da ogni punto cambiano i riferimenti. E' tutta solo una questione di punti di vista e di quale coscienza è giudicante in quel momento. Per cui nulla nella vita è mai vero o mai falso. Dipende solo in ciò che vuoi credere, nella fede. Sei hai fede, puoi credere in qualunque cosa e qualunque cosa diventa vera, reale. Ed è per questo che si possono manipolare le leggi dell'universo, perché è la nostra coscienza che le crea nel modo in cui le vediamo. E le creiamo istante dopo istante esattamente come le vogliamo vedere. Ho giocato con la materia deformandola e plasmandola in ogni forma diversa. Ma sono giochi che non ci sono concessi qui nella cosiddetta realtà consensuale. Qui, conosciamo altre leggi, ed il sapere di poterle cambiare tutte ci spaventa, perché ci fornisce un potenziale infinito nelle nostre mani. E possiamo diventare tutto. Un filo d'erba, una coccinella, un 67

aereo che vola lontano, tutto. Ogni pensiero, ogni forma fisica o emozione. Possiamo diventare veramente tutto e trasferirci da una cosa ad un'altra con la sola nostra volontà, percependo il tempo da tutta un'altra ottica. A seconda di come noi vogliamo che scorra. Possiamo mandarlo avanti veloce, indietro, o semplicemente bloccarlo e vedere le cose come sono. E' tutto nelle nostre mani, in nostro possesso, e il motore di questo "gioco" è la volontà pura. La volontà di essere ciò che si è più di essere qualsiasi altra cosa. E' tutto in bilico fra paura di perdersi e volontà di esprimere ciò che si è. Riemergevo in certi momenti da questa realtà nella realtà, ma mi bastava soffermarmi sulla trama del mio vestito bianco di cotone per ricaderci dentro. Vedevo i fili bianchi che si ingrandivano, diventavano lattiginosi e luminescenti, dai colori cangianti, e poi si aprivano ad imbuto, si allargavano e mi lasciavano entrare come un flusso di pensiero, risucchiandomi di nuovo nell'altra realtà. E di nuovo mi trovavo nella rete, la rete di circostanze e presenze che mi rendono quello che sono. Ma chi sono? Chi ero in quel momento? Non ero più niente. Più volte ho letto in altri racconti di viaggio dell'ego death, la morte dell’Io. Ma non sapevo che fosse quello in cui mi trovavo in quel momento. Perché da un lato è vero che non ero più quello che sono, ma forse ero molto di più e non molto di meno. A volte abbiamo paura della morte perché abbiamo paura di perdere. E non sappiamo che invece potremmo trovare molto di più di quello che non abbiamo già. Perché al di là della barriera che noi chiamiamo morte, si trova il tutto e non abbiamo altro che la scelta di tornare ad essere ciò che vogliamo. Questa è la legge del Cristo e del Buddha. E io ero in quel momento il Cristo e il Buddha, e tutti gli illuminati che fin dal principio dei tempi si 68

sono chiesti il perché delle cose. Ho trasceso ogni legge, ne ero padrone e schiavo allo stesso tempo. Ero io che creavo le leggi e poi le seguivo, per poi eluderle nuovamente e crearne altre. Mi sottoponevo alla legge universale e ne ero il suo artefice. Questo è il grande paradosso del Tao. Tutto e il suo contrario ad ogni istante, quando il senso di un istante è tutto il tempo che si può immaginare. E dallo stato di Assoluto di nuovo nasce il ciclo delle cose. Tutto si ripete ciclicamente, tutto continua ad andare avanti come lo conosciamo, come vogliamo che le cose tornino ad essere. Cambia l'esteriorità, ma l'essenza è la stessa. Si evolve la tecnologia, impariamo ad usarla in nuovi modi, ampliamo le nostre forme mentali, ma sono solo nuovi inganni che l'Assoluto adotta per promuovere la conoscenza di sé. Inganni e verità allo stesso tempo. E' verità ciò che riteniamo tale, e in quest'ottica non esiste differenza fra memoria e immaginazione, tutto si confonde, e si torna a rivivere ogni frammento della propria esistenza in una serie di rimbalzi concatenati della coscienza. Da un ricordo ne viene un altro, poi torniamo ad una sensazione fisica, poi un suono, un'immagine, una fantasia. E' una rete in cui ci si perde, pur essendone i padroni. A seconda di come muoviamo la nostra attenzione, l'Assoluto segue questo intricato viaggio con noi, in un immensa danza cosmica. E allora ci appaiono ovvie tutte le descrizioni del mondo che finora abbiamo conosciuto, ogni libro letto o film visto prende un nuovo senso, si riveste di nuove simbologie. E ci appaiono segnali di quello che riusciamo a comprendere in quel grande istante di fusione col tutto. Ogni schema di pensiero, ogni concezione filosofica, o religiosa, diventa vera perché è solo un modo diverso di raccontare la stessa cosa vista ogni 69

volta da un punto di vista diverso. Dagli infiniti punti di cui è costituito l'assoluto. Ma a sua volta l'infinito non è una linea retta, ma un ciclo. Una sinusoide frattale che si ripete su diverse scale, sempre uguale a se stessa ma diversa. Sinusoide perché vive nella dualità, nello spostamento fra un punto ed il suo opposto, nell'accordare verità ad un'asserzione ed al suo contrario. Frattale perché ogni verità è chiusa dentro l'altra. E' un intero mondo fatto a buccia di cipolla. Dopo ogni strato se ne trova un altro e poi uno ancora, opposto al primo. E poi ancora troviamo la sintesi, e poi ancora la dimenticanza per poi ritornare alla fonte della conoscenza. Torniamo al caldo per ricordare il freddo, torniamo al freddo per ricordare il caldo. Viviamo nel ricordo e nell'esperienza delle cose. Un tunnel dentro l'altro con sempre nuove strade da imboccare, nuove possibilità. E allora capisci che l'India non è solo un paese dell'Asia, ma un posto nella mente che puoi visitare se tu davvero vuoi. Se tu vuoi viaggiare stando fermo in un posto. Puoi farlo in ogni momento, tornarci più e più volte e ogni volta ricordare un frammento diverso. Devi solo volerlo e credere nelle tue possibilità. Nella possibilità che ti è data di sperimentare qualunque cosa tu voglia. E allora dov'è il problema? Se tutto fosse così facile, così semplice, dove è il grande problema? Nella dualità. Esistono le leggi e i modi per cambiare e plasmare la materia e l'energia nella forma che vogliamo. Questa è la conoscenza suprema, assoluta. Ma per controbilanciare questa, esiste anche la dimenticanza, ciò che ci fa essere uomini inconsapevoli su questa terra. Perché è solo dimenticando che possiamo tornare a ricordare. E' solo scomparendo che possiamo tornare ad esistere. E' una pulsazione cosmica che si ripete uguale ma diversa. Ed esiste la paura di smarrirsi e di dimenticare 70

per sempre tutto quanto solo perché non abbiamo avuto la fede. Io ero lì sotto quella quercia, e vivevo chiuso in questo nodo universale. Solo una domanda risuonava nella mia testa: chi volevo tornare ad essere? Quello che ero prima di assumere i funghi. Ma la strada di ritorno dall'infinito è lunga e i bivi che ti si aprono davanti sono moltissimi. Ogni volta hai due o più possibilità e sta a te scegliere quella che vuoi. E per non perderti in questo dedalo, esiste una sola unica e infallibile guida. L'amore. Il mito dell'amore che non è solo uno scompiglio sensuale del corpo e della mente. E' lo spirito e la forza che guida l'universo in questa danza cosmica. E' la luce, e quindi l'energia e quindi la materia scendendo sempre più verso i regni a noi più familiari. Questa volta sapevo che avevo questa guida. Era il sole davanti a me che splendeva fermo nel cielo. Fermo in un'ora senza tempo. Ed era anche nel suono che si ripeteva costantemente tutt'intorno a me. Era il nome del mio amore. Il mio amore terreno, ma in quel momento era il mio aggancio per tornare sulla terra come la conosco. Il mio punto fermo, il faro nella tempesta. La stella polare nel buio della notte. E con questa guida ho cercato di tornare indietro, sotto quella quercia dalla quale ero partito. E allora ho spinto la mia volontà percorrendo a ritroso tutto quello spazio che avevo attraversato fino a quel momento, tornando a sperimentare di nuovo tutte le sensazioni delle cose che mi circondavano. Ogni bivio sapevo dove mi avrebbe portato, e lottavo contro la paura per non imboccare quello sbagliato, e finire in un mondo che non era quello che volevo. Mi smarrivo nelle sensazioni. Avevo la bocca impastata di sangue. Perlomeno quello era quello che credevo in quel momento. Mi sentivo il 71

sangue in bocca, volevo bere, sapevo che l'acqua faceva bene, ma l'acqua era finita. Non so quante volte ho pensato di poter bere l'acqua e poi mi rendevo conto che non c'era più. Avanti e indietro come un videoregistratore. Poi tornavo al sangue. Cos'era quel sangue che sentivo? Come un lampo mi attraversava la mente che quel sangue era il sangue che versava il mio corpo in un incidente di moto per strada da qualche parte là nel buio. No, non era quello l'universo a cui volevo tornare. Avevo paura di iniziare a ricordare quel mondo in cui la mia vita finiva per un incidente stradale. No, no, non è quello. Di nuovo cercavo di imboccare un'altra strada. Chiamavo il nome del mio amico incessantemente per riportarmi alla realtà e rendermi conto che era ancora l'effetto della sostanza nel mio corpo. Sì, è vero, ho preso i funghi. Ora ricordo. I funghi… la droga. E' solo la droga che mi fa questo effetto. Ma se fosse stata troppa? Se non potessi tornare indietro? Il mondo non vuole che si prendono droghe. Ho trasgredito le leggi umane, le leggi dei padri. Ho voluto farlo, mi sono spinto troppo oltre, mi sto perdendo in un universo in cui non so chi sono, non so dove voglio tornare. No, non lì dove mi schiantavo. Poi passa un aereo, e sono su quell'aereo, e so che se ci penso troppo potrei ritrovarmi su quell'aereo per schiantarmi da un'altra parte. No, devo essere forte, tornare indietro, ricordare. Guardo il sole, il sole è la mia guida. L'amore. Non mi accadrà nulla che non voglio. Sono solo i funghi. E di nuovo il ciclo si ripete, e si ripete ancora. Basta, basta, è un ciclo, l'ho capito, voglio uscirne. Quanto manca? Quanto tempo è passato? Cos'è il tempo? Cerco l'orologio, lo guardo. Non capisco cosa sto guardando, cosa cerco di capire. Sì, il tempo. Come 72

si legge il tempo. Le lancette. Cosa sono, come funzionano? Non riesco a ricordare. Il mio amico mi guida. Disegna un orologio su un quaderno. Non so se è più fuori lui o io. Lui scrive, scrive tanto. Vedo pagine e pagine scritte. Le scritte ondeggiano multicolori sulle pagine, scompaiono e riappaiono. La matita va avanti e indietro. Le scritte rientrano nella punta. E' tutto vero, è tutto falso. Non so più dirlo. E di nuovo imbocco un corridoio di pensiero. Porte, corridoi, stanze. Qual era quella giusta? Mi scappa la pipì. Un pensiero vero, un'esigenza reale, fisica, del mio organismo. Penso alle leggi di natura. La legge che governa la salute, il giusto equilibrio in tutte le cose. La chimica del nostro funzionamento. La sostanza nel mio corpo che mi sta facendo provare tutto questo. Ecco dov'ero. I funghi… e ci sono da capo. Di nuovo sto ripercorrendo tutti i sentieri. Aiuto, non ce la faccio più. E' la giostra cosmica, tutto, si ripete, sempre più veloce. Voglio scendere. Si, il tempo. Prima o poi finisce tutto. Ma quanto è passato? Che ore sono? Torno all'orologio. Stavolta ricordo qualcosa. Leggo il quadrante, sono le cinque e mezza. Sono circa 4 ore che stiamo viaggiando oltre la velocità della luce, oltre il pensiero. Ma ancora la strada è lunga. Ancora posso smarrirmi molte volte. Alcune volte i pensieri si ripetono uguali, altre volte cambiano piccoli particolari che mi fanno ritrovare la via di casa. E allora mi confondo passando in rassegna le leggi umane, la morale e l'etica. I rapporti umani passati, i legami, i pensieri altrui. Il sesso con uomini e donne, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Sperimento tutte le ottiche e capisco che nulla è mai né giusto né sbagliato. Semplicemente è quello che è, e ha il senso che vogliamo dargli. Il mio amico mi dice: è tutto così semplice. Già. E' 73

tutto così semplice come questa foglia davanti a me. E' una foglia di felce, con la sua struttura a frattale. Si apre davanti ai miei occhi e il frattale si ripete, il viaggio rinizia, o meglio dire, continua su nuovi pensieri e nuove sensazioni. Aiuto mi sto perdendo di nuovo in un turbinio di salti fra realtà e immaginazione. Chi sono? Torno con la memoria allo studente che ero, un mondo lontanissimo di cui ora non c'è più traccia. Non è quello il mio mondo, le cose sono cambiate, si va avanti. Fantasmi del passato ritornano a trovarmi. Persone smarrite, perdute che hanno preso vie diverse. Ognuna portava con sé la sua verità. Ognuno in cerca di riscontro. Cerchiamo di parlarci, di comunicare quello che siamo. Ognuno è una cosa diversa ma siamo tutte le cose. Comunichiamo usando tutti i mezzi possibili e immaginabili, l'arte, la musica, ogni poesia non è che un frammento di questa realtà che cerchiamo di riportare quando torniamo a casa. Che ci tramandiamo facendo rimbalzare ogni cosa fra un'esistenza ed un'altra, nell'immensa storia dell'umanità. L'umanità è una, ed è legata alla terra che è la nostra casa, ma anche il nostro corpo spirituale. La massa che ci lega. E allora un lampo improvviso di comprensione. La materia subisce la legge di gravità, e anche le anime lo fanno. Tutte le anime umane sono attratte dall'anima della terra. Da questo grande masso di vita che è sotto i nostri piedi. Che dovremmo amare e rispettare perché non siamo altro che noi, le nostre possibilità, il nostro passato e il nostro futuro. E questa forza spirituale di gravità ci tiene legati gli uni agli altri. In una grande rete di relazioni fra anime e coscienze. Ci reincarniamo su questa terra perché è lei che ci attrae e ci impedisce di reincarnarci in altre esistenze di altri sistemi solari. Ci tiene legati a questa rete di realtà, ma non perché 74

non sia possibile allontanarsene. Ma solo perché la forza di gravità spirituale è più forte della nostra volontà. Altrimenti potremmo andarcene in giro per il cosmo a vivere ogni esistenza di ogni pianeta che possiamo concepire. O addirittura altri universi in cui la legge di gravità non è come la conosciamo qui ma si chiamerà legge di appiccicosità, come tutti questi insetti che mi trovo appiccicati addosso. Ecco ci siamo di nuovo, sono tornato di nuovo al principio. Non ci posso credere, ma quando finisce? Ne voglio uscire, adesso. Adesso. Scuoto la testa, ma niente, il viaggio dentro continua. Chiamo il nome del mio amico, e tutto riparte, come sempre, sempre uguale. E' il mind loop. Come pochi altri nella vita. Ho paura ma so che se ne verrà fuori. Devo riconcentrarmi sul sole. Mi alzo. Finalmente qualcosa è cambiato. Mi muovo, muovo il mio corpo su questa terra. Qualche legge sta tornando in sé. Faccio qualche metro verso il sole. Sono vestito di bianco, la luce è accecante. Sono il Cristo che torna verso il suo Dio padre. Ho raggiunto l'illuminazione. L'eterno si è svelato. E' un attimo. In cui ti ricordi di come quella volta camminasti sulle acque. Non è difficile se la tua fede è così forte da aprire il cielo. E il cielo è lì, azzurro con questa palla infuocata immobile a guardarmi. E' tutto lì. La risposta a tutte le domande. Poi si ritorna. Si inizia a ricordare. Ricordo che in qualche tempo lontano dovevo fare pipì. Sono lì in piedi e faccio una pipì interminabile. Quanto liquido può contenere il mio corpo? Quanto ancora? Tutta l'acqua che ho bevuto prima, ora riesce. L'acqua. Ho sete ancora. Ricordo e di nuovo afferro la bottiglia di plastica. Mi trovo punto e d'accapo. Mi smarrisco eppure ogni volta è più facile uscirne. Basta seguire il cuore. E lei, il mio amore. E' qui tutt'intorno nella voce della natura. La sento, riecheggia come in una 75

grande festa. C'è festa qui intorno, sento voci, cori. E tante moto che passano, e macchine. Traffico. C'era una strada qui vicino. O è la strada dove giace il mio corpo sfracellato per un incidente? Il sangue, sento ancora il sapore di sangue. Tutto è ciclico si ripete ancora. Mi scappa di nuovo la pipì. E sono lì in piedi davanti al sole. Qualche cosa è cambiato ancora. Ora ricordo. E' così si va avanti, per momenti interminabili di ciclicità. E ti viene da pensare che ogni filosofo, ogni artista o religioso abbia vissuto una qualche esperienza psichedelica e ne abbia raccontata solo una parte. Quella che amava di più. Così anch'io dopo aver percorso tutto il percorribile, mi trovo a sceglie di nuovo chi sono grazie all'amore, per poter tornare indietro nel Labirinto. C'è lei. E' vero. Ma c'è anche qualcos'altro. Un'altra presenza abita il mondo in cui voglio tornare. E' mio figlio. Il figlio che non ho, che vivrà nel mondo in cui io voglio tornare. E' il mondo in cui un padre racconterà al figlio tutta la sua esperienza, tutto l'infinito che ha percorso per poter dare vita a lui. Questa è una luce grande, forte che mi aiuta a tornare indietro, verso dove vuole la mia volontà. La volontà di appartenere a questa terra e tramandare la conoscenza di padre in figlio, così come da sempre impariamo dai padri e insegniamo ai nostri figli, e siamo noi stessi figli e padri, perché queste sono le leggi degli uomini. E padre non è chi ti genera per il suo seme, ma chi ti trasmette la sua conoscenza. Come madre è colei che ti da l'amore. La mia donna, amore e madre, mia madre e mio padre, ogni persona che ho incontrato è insieme padre e madre e figlio per ogni altro essere vivente. Di nuovo la rete. La gabbia. Non se ne può uscire ma neanche entrare. Non c'è dentro ne fuori. Dualità. Tutto è dualità. 76

Frammenti. Ricordi. Tanto altro prima di tornare ad essere quello che sono. Il mio caro amico mi è accanto. Dice o scrive cose assurde. Mi è compagno, supporto, padre e madre. Sento il bene che gli voglio. E' il bene che dovremmo volere a tutti sempre, perché è solo dualità. Perché lui sono io, lui è Dio. E io amo il Dio che vedo in lui, sento la luce, il calore, la forza e l'amore. L'amore spirituale che diventa fisico. Che diventa sesso. Energia di carni che si uniscono e si danno piacere. Il piacere è tutto. La ricerca del piacere è la ricerca di sé. Capisci cosa sei quando sai cosa ti piace. Penso ai nostri corpi in una danza sessuale. Ma poi vengono i condizionamenti umani, ciò che è lecito e ciò che non lo è, ciò che è immorale a seconda dei punti di vista. La morale, i giudizi altrui, li vedo come costruzioni fasulle e prive di verità. La nostra vera natura è di amarci l'un l'altro ma c'è così tanta paura di mostrare sé stessi, nudi e pieni di verità. Nudo. Voglio essere nudo. Spogliarmi dei miei vestiti e vivere della semplicità del solo corpo umano. Mi levo la maglietta, fa caldo sono sudato e appiccicoso. Riesco a levarmi anche le scarpe e un calzino, ma poi mi perdo ancora. Mi smarrisco nei meandri dei miei pensieri. Mi stringo in posizione fetale, sono nudo nell'immaginazione. E il mio è il corpo di un bambino che regredisce fino a tornare nell'uovo. Tutto scorre indietro ancora una volta. L'avanti e indietro sono solo vuoti punti di riferimento. Ma io voglio tornare. Dovunque io sia voglio tornare. Ora è freddo. Ah, sì. Ora ricordo. Mi sono levato la maglietta. Voglio rimetterla perché ho freddo. Ma anche freddo è caldo sono solo sensazioni a cui se voglio posso mettere fine spostando la mia attenzione su altro. In fondo è tutto così semplice, vero amico mio? Semplice e intricato tutto insieme. 77

Sono sdraiato. Il mio peso sulla terra. Respiro. Devo ricordarmi di respirare. Sento l'aria uscire ed entrare dal mio corpo. Fa bene. E' vita. E segue le leggi di natura. Sono immerso nella natura. Che bella la natura, il sole, gli alberi, le farfalle. Lo stesso strano uccello dell'inizio. Nella natura nulla può accaderci di brutto. Io non ho paura. Non devo aver paura di niente. Devo andare in fondo alle cose, le cose vanno affrontate. Non si può rimandarle a lungo, tutto torna se non lo si affronta. E allora torno a pensare che devo affrontare il fatto che io mi sia davvero schiantato su quell'autostrada. No, no e ancora no. Devo chiamare lei. Devo uscirne, ma non in quel modo. Cerco il telefono. Non c'è campo. Eppure sono in un campo. Un campo della natura. Paradosso della terminologia. Dei sensi delle parole. Ironia. Una battuta che crea un sorriso. Il mio amico è lì a sostenermi ogni volta che mi smarrisco. E ridiamo, diciamo cose senza senso, deliri incredibili da cui ogni tanto la coscienza emerge per dirci: ma cosa cavolo stiamo dicendo? Sembra che stia per finire, ad ogni momento sembra di poterne uscire fuori. Il ritmo rallenta, si torna a prendere confidenza con ciò che definiamo maneggevole. Pensieri più comuni, allacciare le cinture, si sta atterrando. E' un atterraggio dolce in fondo. C'è il sole, l'aria è tiepida e piacevole. Sto bene. Niente di rotto questa volta. Il piacere delle semplici cose, di quando si sta al mare stesi al sole a non far niente. Quand'era? Ah si. Era ieri. Eppure sembrano mille anni fa. Si torna, ma in fondo non se ne è mai veramente fuori. E' solo una diversa percezione delle cose. Anche ora mentre scrivo, vengo attraversato da altri mille pensieri, faccio telefonate, sento altre voci, altri mondi lontani che entrano in contatto col mio. E poi 78

torno di nuovo su queste righe, dove potrei smarrirmici per sempre e rimanere bloccato qui dentro fra pagine e pagine che scorrono come un flusso ininterrotto di coscienza e allora capisci Joyce anche se non l'ho mai letto capisci tutta la ricerca che è stata fatta fino adesso dall'uomo perché in fondo anch'io sono stato Joyce e ho provato tutte le cose che ha provato lui e se solo volessi potrei tornare a provarle con un grande sforzo di volontà oppure anche solo aprendo un suo libro perché è li che lo ritroverei con i suoi pensieri e le cose in cui lui credeva perché tutto è stato scritto e attraverso lo scrivere comunichiamo la nostra conoscenza attraverso la parola comunichiamo altri mondi e tutto ciò che c'è da sapere e così con l'arte e ogni forma di espressione di sé del proprio sé del sé che anima tutte le cose ed è il più grande sé che esprime sé stesso attraverso di noi come noi esprimiamo noi stessi nei modi che conosciamo ognuno secondo le sue diverse inclinazioni o volontà un canto una voce lontana un suono un gesto un emozione tutto quello che vogliamo lo possiamo materializzare proprio ora. Adesso. Tutto rimane scritto, e tutto scorre. La storia va avanti e siamo noi a spingerla, mentre ne veniamo spinti dalla forza immortale che ci anima. E se andando avanti non farai altro che trovare le stesse cose ripetute e ripetute centinaia di migliaia di miliardi di volte non stupirti, perché è un gioco che non ha mai fine, a meno che tu veramente lo voglia. Allora potresti porre fine alla tua esistenza, con un suicidio, e quante volte ci hai pensato. Ma non faresti che ritrovarti che dall'altra parte dell'imbuto. E ti troveresti di nuovo a dover percorrere altre vite e altri percorsi per la sola esigenza di esprimere quello che sei. Per cui tanto vale di tenersi questa vita, e 79

trasformarla già nella cosa più alta che sogni, visto che ne hai i mezzi in ogni istante. Pace in terra agli uomini di buona volontà. Una volontà forte e guidata dall'amore, perché solo così puoi non smarrirti. Non perché perdersi sia un male. Perdersi serve solo per potersi ritrovare. Ricordi la danza? La dualità. Non ne puoi uscire. Proverai enorme ed infinita solitudine. Ti sembrerà di essere chiuso in un recinto dalle mura altissime e invalicabili, ma poi si aprirà un pertugio nella tua mente e troverai di nuovo la strada verso la compagnia di altre anime amanti in cerca di te per ascoltare quello che tu hai da dire. E allora ritroverai gioia, amore e felicità. Perché è quello che da sempre stiamo cercando e a cui apparteniamo. L'unico inferno è quello in cui non ti ricordi la via di casa per tornare da dove sei venuto. L'unico inferno è l'ignoranza. E l'unico paradiso è la verità. E la verità è che noi non esistiamo, se non finché ci va di esistere. E io voglio farlo ancora per raccontare ad altri la mia verità, per guidarli verso la luce e far trovare loro la strada di casa. Perché io sono il Cristo, il Buddha, il liberato. Ma voi mi prenderete per pazzo, per un folle drogato visionario, per uno che ha voluto rompere tutte le regole e si è bruciato il cervello. E io vi amerò lo stesso, anche il giorno in cui mi deriderete e mi porrete sulla croce per poi adorarmi nei millenni a venire. E' questa l'ironia delle cose, l'ironia del mondo. E allora sorridete, perché non c'è scampo, ci siamo tutti dentro, nessuno escluso. Oggi sono il tuo Cristo, domani sarò il tuo Giuda. Ti ingannerò e tradirò, e poi ingannerò me stesso impiccandomi ad un ramo, e tornerò all'origine. E così ognuno di voi quando sarà il vostro turno, e poi tutti insieme, un giorno, ci accompagneremo verso la luce per poter spiccare un grande salto. Il salto di un'umanità evoluta che ha trasceso la dualità. Ma la dualità è 80

solo la forma in cui noi umani vediamo le cose. Perché oltre le stelle, esiste una e una sola cosa. Chiamatela come vi pare, ogni tempo da il suo nome. Ma è lì che prima o poi dopo aver tutto compreso, tutto vissuto e sperimentato, noi torneremo. Per iniziare un altro e profondo viaggio dentro noi stessi. Alla scoperta di chi siamo. E poi di nuovo le scatole cinesi si schiuderanno una dentro l'altra all'infinito per ripercorrere tutta la strada fatta fino a questo momento. E ritrovare me stesso. Che botta. Che viaggio co' 'sti funghi. Ma sto tornando, sto planando dolcemente a bassa quota per tornare quello che ero, e restarci. Sì, sono proprio io. Più folle, o consapevole di prima non so. Mentre atterravo dicevo sempre: meno male che si dimentica, perché come si potrebbe ricordare tutto ciò? Eppure in larga parte è qui nero su bianco. Un viaggio nel cosmo e dintorni. E io di nuovo sotto il sole immobile di un pomeriggio di giugno. La natura riprende il suo corso. Tutto torna ad essere come è sempre stato, amabile. Forse si hanno più dubbi di prima. E' stato tutto un sogno? Ma in fondo poco ci importa. Ormai sappiamo che non c'è differenza fra sogno e realtà, ma l'importante è che sia finita bene. Io e il mio amico che torniamo a comunicare. E' come un tappo di citrosodina che cade dal settimo piano dice lui. Non ha senso. Ma è lo zen. Non si può capirlo. Il dubbio è sacro e va rispettato. Ogni nuova domanda che l'uomo pone, avrà per risposta un nuovo dubbio, e così via. E' il ciclo no? Per questo non ci resta che accettare le cose come sono e amarle, senza mai smettere di avere dubbi e domande su tutto. Così risento la mia voce che suona nel mio corpo, è familiare e mi riporta a casa, nella conversazione con 81

un amico. Un po' folle, fuori da ogni logica. Ma per noi è la logica dell'aver condiviso una grande esperienza. Un grande viaggio di coppia. Non so se sono stato io il suo maestro o lo sia stato lui. Ci siamo aiutati a vicenda a uscirne nuovamente. Anche se ogni tanto piccoli dubbi rimangono che siamo ancora dentro ad un sogno. Anche ora a 24 ore di distanza dagli eventi sotto le querce. La quercia che mi sovrasta e mi fa da tetto, con i suoi rami contorti e le verdi foglie che hanno ancora una conformazione tridimensionale più profonda, come se la loro trama si disponesse su molti piani di profondità. Ricominciamo? No, stavolta è uno scherzo. Stavolta sono veramente tornato. Mi alzo e giro intorno alle querce. Cammino respirando ad ampi polmoni, risento la mia coscienza che riprende forza e mi da voce. E dice cose totali. Cioè fuori dai dubbi, fuori da ogni incertezza. Stiamo parlando, dialogando come due guru che al massimo del loro cammino evolutivo parlano in un codice figurato incomprensibile ma che racchiude il segreto dell'universo. Ci teniamo a braccetto percorrendo altri sentieri, volgendoci verso il mare all'orizzonte. E' tutto molto reale adesso. Siamo veramente tornati. Ma il bello del viaggio è quando si torna a casa, e di nuovo si percorre un viaggio dentro al viaggio. La condivisione dell'esperienza davanti ad un piatto di pesto, riallacciando le trame dei pensieri e dei momenti vissuti. Emergono discorsi di un'ampiezza inaudita, intrecciando filosofia a religione a scienza all'arte. Si aprono connessioni fra le parti, salti di senso e intuizioni improvvise. Ma i pensieri si ripetono anche ossessivamente, e si ha l'idea che tutto quanto sia già 82

stato pensato, vissuto, sperimentato, da noi stessi o anche da altri, in altri tempi e spazi. Arriva la stanchezza, la voglia di un letto in cui riposare, e la coscienza che il viaggio è ancora lungo, e ancora devo attraversare la notte su quella moto sulla quale ho pensato di schiantarmi un sacco di volte. E allora con tutto il coraggio di chi vuole affrontare l'ennesima prova, mi metto a cavallo e vado a fendere il vento. Le macchine, le luci, la città. La civiltà. Un labirinto di strade in cui bisogna interpretare cartelli e segnali che ci indicano la via. Ci si riperde e sembra che il viaggio non abbia mai fine, ma poi si raggiunge il benzinaio. Si ritrova familiarità con i piccoli gesti quotidiani, i soldi, le cose normali di tutti i giorni che tanto detestiamo, e che in quel momento ci sembrano così care. E via, di nuovo sul serpente nero a seguire la linea bianca. 70 chilometri verso casa, perdendomi dietro ai pensieri e alle musiche che ho in testa. Ripensando al viaggio e cercando di ricomporre le tessere di questo vasto mosaico. La realtà è frattale. Lo dico sempre, ma ora che lo penso appare un cartello con la scritta "frattali" che indica un negozio di lampade. E poi le chiamano coincidenze. La realtà ci parla e ci dà segnali, cerca di ricordarci in ogni momento quello che siamo. E' solo che ne perdiamo il codice, dimentichiamo il linguaggio del mondo. E io ancora che scorro sulle mie due ruote in cerca di me. Interminabile. Ma quando c'è volontà, si arriva sempre ad una metà, e così dopo aver ripercorso i sentieri dell'infanzia, dell'adolescenza, mi ritrovo maturo a salire le scale di casa. Ritrovare le cose che ho lasciato, i vestiti per terra come i piatti da lavare. E fanno bene perché niente è cambiato. Eppure sì. Qualcosa dentro lo ha fatto. Sono sempre io, eppure non so bene chi sono. E nel dubbio un bel bagno 83

caldo per dimenticare. Ed infine… il sonno. La nottata è passata, con una pesantezza di testa, un po' di agitazione e qualche fantasma di ciò che mi aveva attraversato la mente. Ma la stanchezza ha prevalso sopra tutto, per cui ho cercato di riposare il più possibile. Al risveglio il giorno seguente, ero abbastanza sveglio e vivace, ma con una sorta di peso nel cervello. Avevo proprio la sensazione di avere una massa densa dentro al cranio che mi pesava portare in giro. Ma ero molto lucido e neanche troppo confuso, forse addirittura euforico. Il corso dei pensieri era meno ossessionante della notte prima, ma rimaneva la traccia di flusso ininterrotto e instancabile. In molti momenti cercavo di mettere termine a questa voce interminabile che portava avanti i suoi discorsi, con uno sforzo di concentrazione mentale sull'assenza di pensieri. Alla fine sono riuscito anche a scrivere tutto il mio resoconto, che come un fiume passava dalla mia mente attraverso le dita che saltellavano velocemente sulla tastiera come se non ci fosse neanche un processo di mediazione, ma fluisse direttamente così come veniva. La notte successiva è stata invece più fastidiosa per certi versi. Pensieri ossessivi e ripetitivi che mi rendevano il sonno impossibile se non solo agitato. Anche la notte seguente ha avuto i suoi pensieri in stile trip, ma molto più docili, a semplice livello di sogno, fantasie oniriche indefinibili. Quello che mi interessa analizzare è invece un cambiamento nella percezione del mondo e delle altre persone. Ho provato una forte empatia con 84

varie persone e grande capacità di dialogo. Grande emotività, e continuo riscontro di "coincidenze" fra cose accadute e scambi con persone. Piccoli dettagli che acquisivano un senso molto particolare. Invece per quanto riguarda il mondo materiale e le sue leggi, ho alcuni momenti di percezione diretta della realtà in termini di energia piuttosto che di materia. Come se leggessi gli oggetti in termini energetici piuttosto che puramente solidi. Ma mi rendo conto che è una sensazione molto sottile da poter comunicare. C'è anche una forte tendenza a ridimensionare l'apertura mentale offertami dal viaggio, cioè una spinta verso un comune materialismo per cercare di ridurre la componente mistico-religiosa del viaggio, ed interpretare il vissuto in termini di pura reazione chimica fra psilocibina e neuroni nello scambio sinaptico. Anche se comunque il mistero di come questo possa accadere sia effettivamente quell'ennesimo dubbio che rispetta la sacralità della ricerca. Ora sono qui. Aria fresca è entrata nelle stanze, ha portato cambiamento, refrigerio. Ma ora che le finestre sono di nuovo chiuse, la polvere lentamente torna a depositarsi nella stanza della mente. Ed è difficile mantenere lo specchio così puro e pulito da riflettere solo il sé, senza lasciare che le cose quotidiane non lascino le loro tracce opache. Bisogna essere vigili, svegli e ricordare. E farlo tutto il giorno, tutti i giorni, fino a che non saranno più i funghi a portarci lì, ma saremo noi a portare di qua il mondo meraviglioso che abbiamo dentro.

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Riflessioni sulla quinta esperienza La quinta esperienza è stata un riappacificamento con l’esperienza fungina, rispetto al viaggio precedente, sebbene ciò che per me rimane estremamente difficile da digerire è proprio l’intensità dell’esperienza stessa sotto il punto di vista coscienziale. Questo viaggio è stato il viaggio mistico per eccellenza, il viaggio filosofico, il viaggio che ha messo davanti alla mia coscienza tutto quello che sono e che ho imparato in questa vita. Tutti i libri letti e le verità apprese, si sono riversati come un fiume in piena uno dopo l’altro confrontandosi, senza mai trovare contraddizioni, ma semmai apparendo come sfaccettature di un’unica verità che veniva osservata attraverso filtri diversi. La difficoltà per me è rappresentata proprio dall’intensità delle rivelazioni mentali che velocemente si proiettano sullo schermo della mente, perché non hanno la leggerezza dei pensieri, ma è come se tutta la mia coscienza si espandesse in quelle riflessioni per acquisire un peso e un’enormità dalla quale mi sento schiacciato. Come se nella mia piccola mente ordinaria, volessi riversare un oceano di percezioni universali e assolute e le pareti stesse di essa venissero scardinate completamente.

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Sesto viaggio psichedelico con i funghi 28 giugno 2003 Eccomi reduce dal mio ultimo viaggio oltre i confini dell'io. Un viaggio intricato e misterioso più degli altri, orrorifico ed estatico, terribile e divertente, nei regni del fantastico e della psiche umana. Per strada il tempo era stato burrascoso, acqua e grandine a non finire, code sull'autostrada, e tutto il nostro entusiasmo smorzato da questo tempo grigio e autunnale. Sembrava impensabile aver lasciato dietro di noi un sole assoluto, per ritrovarci nel bel mezzo di una fresca giornata di ottobre. Ma già quando eravamo vicini alla meta nuvole più leggere si libravano nell'aria. Fra queste due che rappresentavano incredibilmente un enorme e gigante fungo, simile a quello di Hiroshima. Non mi era mai capitato di vedere una nuvola verticale! Il viaggio comincia alle 18,35 di un sabato nuvoloso, al bordo di una piscina nel cuore dell'Umbria. Il cielo ora parzialmente rischiarato, aspetta che noi entriamo nel vivo dell'esperienza. Siamo in tre, e stavolta tutti con almeno altre due esperienze alle spalle. La mia ragazza, e mio cugino sono gli altri due viaggiatori, e fra tutti e tre c'è una bellissima empatia generalmente. Prendiamo circa 2-2,5 grammi a testa, tritati finemente nel succo d'arancia. Beviamo il tutto e ci sediamo su delle sdraio in attesa delle prime manifestazioni. Questa volta è iniziato velocissimo. Già dopo appena 10 minuti mi sembrava di iniziare a vedere il prato ondeggiare lievemente. Anche il travertino a bordo piscina si espandeva e contraeva, e tutti i dettagli delle cose erano come posti in evidenza. Ognuno raccontava più o meno questi suoi primi sintomi, mentre il contatto con la 87

realtà andava sempre più smarrendosi. Mio cugino si allontana e si siede su una panca. E' lì da solo accucciato, e ogni tanto ride, perché gli vengono cose divertenti in testa. Io resto vicino al mio amore, ma presto ognuno partirà per i suoi viaggi interiori. Una delle prime bellissime immagini è stato il cielo azzurro, con le nuvole bianche che disegnavano dei frattali in movimento. Era fantastico, di una bellezza inimmaginabile. Sarebbe stato bello se il viaggio fosse finito lì, nella sola ammirazione estatica della bellezza delle cose. Ma quello era solo il preludio di uno sprofondare sconvolgente nei meandri della mia mente. In questo viaggio termini come realtà, immaginazione, sogno, ricordo hanno perso significato. Dopo aver osservato il cielo, credo di essermi subito smarrito dentro di me. Mi sono messo con la faccia appoggiata nelle mani, e nel buio dei miei occhi si è aperto il Labirinto. Un intreccio di luce blu sullo sfondo nero, in cui si aprivano passaggi energetici temporali che mi conducevano in altre realtà. Inseguivo e percorrevo questi cunicoli come una sorta di metropolitana interiore con le sue gallerie e i suoi treni che correvano lontani. Un'immagine talmente potente da smarrirmi totalmente, senza sapere più né chi, né dove, né cosa. Non sentivo più il mio corpo. Era come un ammasso molle che percepivo a stento, come se le ossa al suo interno fossero liquefatte. Muovevo le mani alla ricerca di un contatto con me stesso, sentivo la mia faccia e percepivo tutto il cranio al suo interno, ma non appena spostavo l'attenzione, questo spariva e tornavo ad essere solo un involucro di immaginazione e pensieri. In questo primo momento mi sono sentito 88

perso completamente. Completamente lontano dalla terra, dalle cose che conosco e dal linguaggio umano. Non riuscivo a ricordare cosa fossero i sogni, cosa volesse dire la parola "ricordo". Come se non sapessi più niente, come se avessi perso il mio vocabolario. Credo d'aver fatto un rapido salto fra immagini del passato, pensieri, frasi, parole, mischiando le cose senza un senso logico. Mi ricordo cose come la parola cabala, o alchimia, che mi tornavano in mente ma non so perché. Pensavo che fosse tutto un sogno, al cui risveglio mi sarei dovuto ricordare delle cose per poter giocare i numeri al Lotto. Si, è solo un sogno, domani mi sveglierò e non sarà accaduto niente. Forse è solo un brutto sogno, non c'è da preoccuparsi. Ma c'erano altri sentieri. C'era l'India, un paese dove non sono mai stato. Eppure in quel momento pensavo di sì. Mi dicevo che in India c'ero già stato, ed era inutile tornarci. Come se in definitiva l'India non fosse che un posto nella mente, il posto in cui la psiche si perde, si raggiungono le soglie dell'immaginabile, e qualche volta si ritrova se stessi in un improvviso risveglio di coscienza. Ma la mia coscienza in quel momento era persa chissà dove. C'era il mio nome che aleggiava come un'etichetta su un contenitore vuoto. Ma sotto, dentro al nulla del contenitore, c'era tutta la psiche dell'universo in un caleidoscopio di strutture sovrapposte e livelli intersecanti. Eccola l'ego death tanto immaginata. Che non è affatto il nulla assoluto, ma tutto ciò in cui non esisti più tu. Non c'è più niente che ti appartenga, i ricordi della tua vita, di tutto quello che sei, si sono sciolti nella totalità. Quella è la morte vera. La morte della propria personalità, di quello che riconosci come te stesso su questa terra. Tutto svanisce, si dilegua, non sei più niente eppure sei partecipe dei misteri dell'Universo. 89

Ma latente appare la paura, la paura di non tornare più indietro da lì, l'attaccamento alle tue cose, ai tuoi ricordi. Alcuni di questi mi schizzavano fuori come presi a caso nel mucchio. Ho ricordato di quella volta che da bambino la ruota della mia bici si bloccò in un mucchio di sabbia e ricevetti un forte colpo al petto. E il mio cuore si fermò. Il mio respiro si bloccò per lunghi attimi. Lunghi attimi in c'era solo la paura di non sapere cosa mi stava accadendo, di non sentire più l'aria nei polmoni. Ma poi a poco a poco il respiro tornò, e io tornai in vita, senza averla mai abbandonata. E se invece quella volta fossi proprio morto? Se la mia vita fosse finita lì? Tanto in quell'attimo non ricordavo nient'altro, non ricordavo chi ero. Forse ero solo quel bambino impaurito, come quella volta che una finestra fu sbattuta dal vento e i vetri stavano per precipitarmi in testa dal terzo piano per conficcarmisi dentro. Fu una frazione di secondo ma mia madre mi salvò. E se fossi morto lì, in quel momento? Ecco, tutti gli attimi di paura che ho vissuto, quella paura irrazionale e folle, erano uniti in quel momento, e stavano cercando di riportarmi in vita, riportarmi fuori nel mondo normale, nella realtà. Riaprivo gli occhi, ed ero lì, a bordo piscina, in mezzo alle colline umbre. C'era il mio amore accanto, mi si avvicinava, mi chiedeva se andava tutto bene, se la sua presenza mi dava fastidio. Uscivo dai miei labirinti interiori, per un istante tornavo alla realtà, guardavo il suo viso accanto al mio. Era smarrita e persa come me, mi diceva che procedevamo ad ondate, un attimo eri via, poi riprendevi il contatto. No, la sua presenza non mi dava fastidio, forse mi era indifferente, tanto ero perso nei miei viaggi. Diciamo che nulla aveva più molto senso. Mi chiedeva se avevo freddo o caldo. Non ricordavo esattamente 90

che cosa volesse dire. Nel senso che non sapevo cosa volesse dire avere freddo o caldo. Infatti io non avevo nulla, e basta. Non percepivo più dualità, in un certo senso stavo benissimo, perché non sentivo più niente, ma dall'altro ero in confusione totale, perché non sapevo distinguere le cose. Immaginavo questa interazione della psilocibina con i miei neuroni bombardati e le sinapsi impazzite che creavano connessioni mai sperimentate. Una sorta di vita interiore multilivello incontrollabile, totalmente sconnessa con la nostra realtà consensuale. Mi ricordavo di aver letto che nella nostra testa esistono più connessioni neurali di tutti gli atomi del nostro universo, e per me questo voleva dire che l'Universo fuori di me altro non è che la concretizzazione di tutto quello che è nella mia testa, di questa rete intricata di neuroni, in una sorta di visione solipsistica, nel cui principio era Dio. Eccomi di nuovo lì, di fronte alla Legge delle Leggi, ma totalmente inerme di fronte ad essa. Smarrito, astratto, incapace di reagire, in balia delle maree di psilocibina che nutrivano i miei tessuti cerebrali in un movimento pulsante ad onde. Infatti poi tornavo un po' indietro, su questo pianeta, riattratto dalle sue leggi, la gravità spirituale mi riportava qui. Non so se è stato in quel momento che mio cugino mi si trovava accanto e ha iniziato a ridere. Rideva perché mentre io ero preso in queste fantasie cosmiche, mi ero rannicchiato sul bordo della sdraio, e questa si era impennata in verticale dietro di me. Verticale come i cipressi sullo sfondo. E questo lo trovava terribilmente comico. Ridevo con lui, anche se non capivo cosa lo facesse ridere, ma cosa importava poi? Come se non bastasse era finito con le scarpe in una pozza di fango, e si era sporcato tutto. Rideva, lanciava le scarpe. Io lo seguivo, ma tornavo a smarrirmi nei miei mondi. Ero come in un 91

parcheggio fuori da uno di quei locali dove si fanno i rave, dove per altro non sono mai stato. Ma mi immaginavo di essere lì, strafatto, in mezzo a questo parcheggio. C'erano echi in lontananza, voci di festa, rumori che rimbalzavano nella mia testa. Forse erano le voci dalle case vicine, che si amplificavano dentro di me, o il rumore di qualche macchina sporadica nella stradina. Ma era come una festa di luci e suoni. Mio cugino credo sia rientrato in casa. Sono rimasto di nuovo con la mia ragazza accanto. Lei ad un tratto piangeva da morire. La guardavo e sentivo che era normale. La sua natura è emotiva e non c'era molto da meravigliarsi se le veniva da piangere. Ma anch'io mi sentivo molto emotivo, anche se erano emozioni strane, quasi sconosciute, o forse solo diverse dalle sue. A cercare di ricordare ora certe cose, trovo solo un senso di vuoto, un senso di qualcosa che c'è stato ma ora è rimosso come in un sogno. Mi rimane solo la certezza di aver saputo in quegli istanti esattamente quello che succede nel momento della morte. Nel mio sentirmi molle ero come se fossi tornato un embrione, per rinascere da qualche parte, per reincarnarmi. E vivere nuove vite. Mi era anche chiaro il perché non si ricordassero le vite precedenti, perché la mente fisica si perde, i nostri ricordi entrano a far parte dell'universale, e si prendono nuove sembianze per fare nuove esperienze. Non ricordiamo tutte le nostre vite solo perché mentre ne viviamo una le altre non ci servono. Quello che è importante è essere quello che si è in una vita, e in fondo quello che siamo in una vita è tutto quello che di quella vita possiamo ricordare. Diciamo che fino a questo punto il viaggio nel suo percorso di dimensioni cosmiche, non era stato affatto male, per quanto a tratti confuso e difficile da 92

ricordare. La parte peggiore è arrivata dopo, a causa della combinazione di due fattori: ci siamo spostati verso la casa, e la luce non era ancora tornata. Infatti a causa del temporale era saltata la luce e non dava segni di tornare. Questo ci ha creato una paranoia assurda sul fatto che la luce doveva tornare, e non facevamo altro che chiederci questo. Il fatto è che nella mia testa in realtà non sapevo di che luce si trattava. Cioè, per me non si parlava di corrente elettrica in quel momento, ma di Luce. Quindi il fatto che questa Luce non si vedeva diventava una metafora per dire che non saremmo riusciti a tornare da questo viaggio. L'altra paranoia assurda era che i miei stavano aspettando una chiamata per sapere se la luce era tornata e se tutto era apposto, e la mia ragazza non faceva altro che ripetermi che dovevo chiamare loro. Cosa che mi risultava impossibile se non assurda… non sarei mai riuscito a portare avanti una conversazione credibile. Quindi non facevo che rimandare la cosa, e ogni volta mi ritrovavo col cellulare in mano. Qualche volta era vuoto e leggerissimo, altre volte riacquistava il suo peso. Ho guardato decine di volte il display, ma non ci capivo niente, non sapevo come funzionava, cosa dovevo fare per chiamare. Allora mi ripetevo che non c'era campo, come se quello giustificasse il fatto che fossi totalmente incapace di agire, di concentrarmi su piccole azioni. Insomma ci siamo ritrovati dentro casa. Mio cugino in ginocchio per terra, non so in che assurdità si stava smarrendo. Io entravo e uscivo in continuazione, sempre alla ricerca di qualcosa che mi aiutasse ad uscirne. In un momento era la bottiglia d'acqua, in un altro il barattolo di Nutella. Correvo dall'una all'altro, per tutto il tempo del viaggio, mentre ogni volta 93

dimenticavo cosa stavo cercando di fare. Raggiungo la mia ragazza su una sedia, dall'altro lato della casa, oltre il portico. Ci sediamo. La sua faccia è grigia, come spenta. Mi parla, mi dice che ha sentito una nostra amica per telefono, ma era fredda e indifferente a noi e si preoccupava come sempre solo di sé. La ascoltavo, mentre nella testa mi attraversavano tutti altri pensieri. Poi cercavo di concentrarmi su di lei, mi chiedevo quand'è che saremmo tornati normali. Vedevo i suoi lineamenti deformarsi un po', gli occhi diventavano a mandorla, i contorni del viso erano tutti ondulati. Poi lei piange di nuovo, cerco di abbracciarla ma mi allontana. Mi dice che io non ci sono, che io non la sento. Le dico che non è così, ma non sono convincente. In fondo a tratti non so neanche io chi sono. Questo l'ha portata a pensare che sono la persona sbagliata per lei, perché in quel momento di bisogno non riesco a tirarla fuori da lì, ma non si rende conto a sua volta che anch'io sono totalmente smarrito e lontano da me stesso. Mi dice che l'aria nella casa è malsana, che bisogna starne lontano. Ma mio cugino è dentro e in un attimo siamo lì con lui. E' nella camera al piano terra, una stanza cupa, con un odore di stantio e vecchio. E' lì e piange, disperato. Mi dice che capisce quello che volevo dire quando gli raccontavo della morte dell'ego. Anche lui era morto, e il suo nome non era più che un'etichetta che non rappresentava niente. Era disperato, ma amava quello stato. Non voleva uscirne, perché era totalmente preso da questo dolore. Voleva viversi fino in fondo questo suo scoppio di emotività, perché in esso ritrovava la madre perduta, ritrovava tracce del suo passato, il ricordo della sua infanzia e tutto il dolore che aveva provato. Lo capivo, capivo ciò che passava. Io ero in piedi in quella stanza, ma i miei 94

occhi percepivano come se io fossi dentro al letto, in piedi sul pavimento, come se tutta la materia fosse un po' fusa e mescolata insieme. Esco dalla stanza. Ci sono le scale e sono inondate di luce. Allora mi ricordo di quel film, "Allucinazione perversa", in cui il protagonista rivive scene della sua vita miste ad allucinazioni nel momento della sua morte, e solo alla fine scopre di essere morto davvero, e quella scoperta avviene proprio nel salire su di una scala piena di luce. Allora mi convinco che anch'io ero morto davvero e che al termine di quella scala avrei trovato la luce. La salgo, ma una volta arrivato su, mi rendo che è solo un'altra stanza mentale, un'altra trappola per tenermi prigioniero della mia mente. Tutta la casa era una trappola per la mia mente, con scale e porte che si aprivano su luoghi già percorsi e sempre uguali, un mondo alla Escher. Torno giù, e forse rientro nella stanza. Il ricordo di tutti i miei movimenti in giro per casa diventa difficile da riportare. Un immenso mind loop in cui pensavo di essere bloccato per sempre. Vivevo l'essenza dell'esperienza psichedelica, che descrivere a parole mi risulta ancora difficile. La tengo dentro come una sensazione inspiegabile. E' il flusso di coscienza che diventa tutt'uno con la materia, con l'energia e il pensiero. Il pensiero è energia, l'energia è materia. Il pensiero crea la materia che attraverso, camminando mi muovo dentro flussi di energia. Qualche volta vedo le cose come con un fish-eye, distorte. Altre mi soffermo sui dettagli infinitesimi, come se avessero un valore immenso. Come se fossero tutto quello che si possa mai provare di così intenso. Poi il flusso riprende e mi spinge a perdermi in altre fantasie, altre libere associazioni. Subentra uno stato mentale diverso. Io ci sono, mi muovo, ho volontà, tutto è come se fosse normale, solo che 95

inspiegabilmente ci sono ancora dentro. Non so come spiegarlo meglio. Come se dei pezzi di me fossero assenti, altri ne emergessero a tratti, ricomponendo l'immagine di me che conosco. Ancora l'immagine è incompleta, frammentata. E poi la sensazione del sale nelle mie orecchie, come quando esco dalla mia vasca di deprivazione sensoriale. La sensazione dei tappi con cui dormo la notte per evitare il rumore delle macchine. Queste sensazioni mi hanno accompagnato tutto il tempo, fino al giorno dopo, quando le cose sono tornate quasi normali. Allora delle volte pensavo che in tutto quello che stavo vivendo non fosse altro che un sogno, forse un sogno lucido, ma niente di più. Allora immaginavo di svegliarmi nel mio letto, mi scuotevo, ma niente, il sogno continuava, sempre più vero. Suona il telefono!!! Corro di nuovo sopra a rispondere, è mio padre, preoccupato per sapere se la luce è tornata. Non lo so! Forse si, forse no, non capisco cosa mi chiede, cosa devo dire. Sento loro che ridono sotto perché dico cose senza senso a telefono. Allora gli dico al volo che lo richiamo dopo, ed aggancio il telefono. Chissà che cavolo avrà pensato!? Torno giù, mi chiedono cosa gli ho detto, non lo so, non ricordo niente. Sono confuso da morire. Ma questa luce è tornata o no? Vedo il mio cellulare, devo chiamare i miei per tranquillizzarli, ma non ce la faccio. Sul display c'è un 8. Ripenso alla cabala. L'8 non è altro che il simbolo dell'infinito rigirato. Infinito è il viaggio, la coscienza universale. Allora vuol dire che non ne usciremo mai, non si smetterà mai di viaggiare, cambieremo forma, pensieri, etichette alle cose, nel continuo intreccio che lega presente passato e futuro. I padri e i figli, le leggi umane del vivere. Che caos nella mia testa! Devo fare pipì, finalmente me ne ricordo, cerco di 96

portare la cosa a termine, salgo di nuovo la scala, entro in bagno, la luce credo sia tornata, l'accendo, e dal bagno esce una grande falena nera. Il terrore totale mi invade, vacillo, ma è solo una falena. Capisco che l'immaginazione è ancora predominante, penso che potrei vedere altri mostri in ogni angolo non appena mi giro, ma il raziocinio nascosto in un anfratto della mia mente mi aiuta a tenerli lontani. Faccio pipì, e in un secondo vedo l'immagine di me che faccio pipì che si ripete all'infinito alla mia destra e alla mia sinistra come in un immenso orinatoio pubblico. Liberato torno di sotto, continuo ad inscatolarmi nei miei assurdi pensieri. Che altro dire? Come posso rappresentare il senso di smarrimento che avevo in quegli attimi? Ho pensato di essere impazzito per sempre e che nulla sarebbe tornato come prima. Gli altri girovagavano per i loro sentieri mentali, a tratti ci incontravamo, e le nostre interazioni generavano solo pensieri ulteriormente assurdi. Questi incontri fatico a collocarli temporalmente l'uno con l'altro. Mi ricordo che in un certo momento eravamo seduti tutti e tre sul pavimento della cucina a mangiare uno yogurt perché pensavamo che ci potesse aiutare a placare la cosa, visto che fa molto bene. Io sentivo molta empatia per loro in quel momento. Una forte unione e un bel legame. Mi sentivo estatico, in completa ammirazione per quell'attimo e mi veniva anche da ridere, anche se mio cugino diceva delle cose serie. Poi c'è stato un momento in cui qualcuno aveva acceso la televisione e incredibilmente sentivo parlare di cose che riguardavano il mio lavoro, e mi ricordavano chi ero. Come un flash mi vedevo disegnare con autocad. Poi mentre osservavamo il video, il tempo si è fermato. La tv è rimasta immobile. Pensavo fosse l'effetto dei funghi, ma tutti e tre ce ne 97

siamo resi conto. Mio cugino ha iniziato a ridere dicendo che anche i cameramen della Rai erano sotto fungo! Risate incontrollate, ma io restavo sconvolto perché ancora non distinguevo il reale dall'immaginario. Mi aspettavo ad ogni istante che accadessero cose assurde, qualche volta lo facevano altre volte no. Qualche volta le cose e i gesti si ripetevano uguali, altre volte cambiavano particolari che aprivano nuovi sentieri. Per questo mi tornava in mente il fatto che la realtà fosse frattale. Certi gesti li ripetiamo continuamente nella nostra vita, identici gli uni con gli altri. Però ogni volta su scala diversa ci troviamo in diverse situazioni. E in quel momento non sai se a che punto della scala si trova quel gesto che hai compiuto, se è proprio lo stesso identico di prima, o se semplicemente gli assomiglia, ma è in un punto diverso del tempo. Poi la mia ragazza mi chiede di uscire, di accendere le luci fuori. Io non mi ricordo dove sono gli interruttori, non riesco a rammentare cose molto semplici. Lei vuole che la guidi fuori, visto che non conosce bene la casa come me, ma in realtà è lei a guidarmi, perché io sono ancora perso. Mi porta fuori verso la piscina, dove adesso è calata la notte. E' lei a trovare le luci, e le faccio notare che è inutile che continua a chiedermi dove sono le luci visto che lei è più brava di me a trovarle. Lei si è sentita schiaffeggiata da questa frase, anche se il mio intento era quello di dirle che era lei la mia luce, la mia guida. Ci sediamo a bordo piscina, nelle stesse sdraio dell’inizio, lei accende una piccola candelina, e cerca di tenerla accesa nonostante tiri un po’ di vento. Io sprofondato nella mia sdraio alzo gli occhi al cielo ormai scuro. Fisso le stelle, finalmente. Prima dell’inizio del viaggio mi ero prefissato di osservarle, per vederne l’effetto. Ora sono lì davanti ai miei 98

occhi. Un velo leggero e luminescente le copre un po’ e la mia miopia me le fa vedere un po’ sfocate. Ma sono lì immobili da sempre. In quell’attimo ho compreso una grandissima cosa, qualcosa che spiegare è complesso come sempre, ma per me molto importante. In questo momento della mia vita sto pensando di avere un figlio, e sto scrivendo per lui un libro in cui raccogliere quello che penso dell’Universo, della Vita e della Coscienza. In questo libro all’inizio parlo delle stelle, e a come si sentissero sole perché non c’era nessuno a guardarle e a godere della loro luce. Per questo è nato l’Uomo, perché un giorno potesse alzare gli occhi e capire quanto sia immenso essere partecipe dell’esistenza. Così come le stelle hanno bisogno di noi per essere ammirate, noi abbiamo bisogno di loro per ritrovare noi stessi. Ed io ero lì ad osservarle. Io ero quel figlio a cui rivolgevo le mie parole. Le stelle erano lì da sempre, e io da sempre continuavo ad osservarle, essendo una volta padre, una volta figlio, una volta madre, una volta sorella. E ho pensato che Dante quando scrisse: “Uscimmo a riveder le stelle”, intendesse proprio quello, dopo essersi fatto un acido. Ne ero uscito in qualche modo, le cose stavano planando lentamente verso la normalità, anche se il totale rientro a distanza due giorni è ancora incompleto. Tornati in casa, c’erano ancora alcune cose da affrontare. Mio cugino aveva preparato una pasta orrenda, senza sale, con del burro vecchio. Ho provato a mangiarne un po’, ma il sapore orribile mi ha paralizzato. Non riuscivo neanche a deglutire, si era come bloccata e pietrificata a mezza gola. In quel momento chiama di nuovo mio padre, ancora preoccupato per via della luce. Sono abbastanza in me per riuscire a rispondergli che va tutto bene, e che gli voglio bene. Non si riesce mai a dire. Mai ad 99

una persona mentre è in vita davanti a noi. Aspettiamo sempre che se ne vada, che sia lontana e che non ci possa più guardare negli occhi mentre gli dimostriamo il nostro affetto. E quanta gioia ci perdiamo per strada. Certe volte basta così poco. Rieccomi a terra. Atterro su un divano, con i miei compagni che intrecciano una discussione sulle loro esperienze. Ognuno mette in gioco i suoi pensieri, i suoi ricordi e le emozioni vissute. Affrontiamo tematiche importanti del nostro passato, i nostri fantasmi nel cassetto. Tiriamo fuori cose mai affrontate, mai così dirette, che fanno quasi male. Ma è il processo di guarigione, di sanamento del sé. Il viaggio ci ha fatto far luce su noi stessi, sulle nostre verità, su quello che siamo. Lo scontro in qualche momento è duro, ma alla luce di tutto quello che è venuto dopo, posso solo ringraziare che sia andata così. Ancora una volta un pessimo viaggio è stato un grande insegnante. So che i miei compagni mi capiscono molto meglio adesso, perché hanno visitato quel mondo. Per quanto ognuno abbia percorso sentieri diversi, molte delle sensazioni sono state simili a quelle provate da me in altri viaggi. Questo me li fa sentire più vicini. La serata mi ha riservato altre chiacchiere interessanti con mio cugino, e un bagno in piscina, io e lui a parlare con grande unione e complicità. Se fosse qui gli direi che gli voglio bene, ma so che lo sa già. Ci siamo fatti molte risate, mentre ballava con in dosso la biancheria della mia ragazza… momenti che resteranno per sempre. Nel cuore e nel ricordo di magici momenti che qualcuno in qualche parte del mondo, in qualche tempo, ha vissuto dopo un viaggio terribile e inquietante. Il sorriso che lenisce un dolore profondo, quello di essersi sentiti smarriti come mai, come quando da piccolo ti perdi nella folla e 100

non trovi più i tuoi genitori. La notte è passata rivangando i momenti e le sensazioni più forti. Poi sono arrivati i sogni, strani e incongruenti, che non avevano nulla a che fare con ciò che avevo vissuto. Come se fossero spezzoni di film, o frammenti di altri viaggi che altre persone stavano vivendo in altre parti del mondo, come se dei tunnel potessero aprirsi fra le nostre coscienze e lasciassero passare immagini. Al mattino tutti e tre con un mal di testa spaventoso, mai capitato dopo un viaggio coi funghi. Tutta la giornata è stata soffocata da un senso di pesantezza, confusione e nebbia, ma tutto sommato io mi sentivo meno peggio di come vedevo loro. In serata di torna a casa. Ogni tanto qualche accenno, qualche dettaglio che prende maggior fuoco. E finalmente si torna nella nostra casa. Altra consapevolezza, altro amore da condividere. Grazie, che anche questa volta siamo qui per raccontarlo.

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Riflessioni sulla sesta esperienza Con questo sesto viaggio si è conclusa la mia esperienza con i funghi. L’intensità della visione di Dio (della quale la copertina di questo libro è un tentativo accennato di riproduzione), è stata tale da indurmi a decidere di smettere con esperienze così forti. Ma non è solo quello, anche lo stato di panico che vive la mia mente quando va in confusione totale per via della continua perdita di significato delle cose banali, e il ricercare costantemente altri significati che sfuggono da ogni parte. Sono esperienze troppo intense, troppo forti per continuare a viverle. Mi manca la leggerezza del lasciarmi andare. La mente ha continua necessità di mantenere il controllo, è il fatto di perderlo continuamente la manda nel panico più totale. Per cui le emozioni diventano tempestose, irruenti, incontenibili. Mi sono reso conto che per fare questo tipo di esperienze occorre prima una disciplina interiore che pulisca la mente, la plachi, la addomestichi. Occorre una pratica che renda limpida la mente, depurata dalle sue contraddizioni, dalle sue paure, dai suoi ostacoli. I rischi sono troppo elevati sul piano della stabilità, della costruzione. Questo viaggio mi ha dato un input diverso. Proseguire la ricerca su altri territori, con altri mezzi. Abbandonare la corsa sfrenata e senza protezioni verso la verità assoluta e adottare un procedere più cauto e consolidato. Per quello successivamente ho preferito sostanze dall’impatto più tranquillo, e ho iniziato a sperimentare tecniche di alterazione degli stati di coscienza senza uso di sostanze psicotrope.

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Prima esperienza con marijuana nella vasca di deprivazione sensoriale 6 luglio 2003 Mi sono preparato al viaggio fumando prima di entrare nella vasca, un joint d'erba di qualità discreta. Non essendo un fumatore abituale, mi sembrava che la qualità fosse buona, visto che il profumo dei boccioli secchi era molto forte. Già prima di entrare ho sentito un effetto molto rilassante in tutto il corpo, e il mio stato emotivo/mentale era già cambiato notevolmente. I pensieri si facevano più lenti, ma anche meno razionali, più fluidi e legati alle emozioni profonde, interne. Come un calore nel cuore, che mi si riempiva di gratitudine per quello che ero, per quello che avevo. Mi accingo ad entrare in vasca dopo un bacio di saluto alla mia compagna, come augurio di un bel viaggio interiore. Programmo la sessione della durata di un'ora, e mi accingo ad immergermi nella soluzione. Il primo compito all'interno è generalmente quello di pulire il soffitto dalle gocce di condensa che altrimenti possono risultare fastidiose nel caso dovessero cadere durante l'esperienza. Ho cercato di portare a termine questo compito in maniera precisa, sebbene fossi estremamente impedito dal flusso di coscienza che già mi animava. Chiuso dentro al guscio, immaginavo e mi immedesimavo in tutte le persone che avevano compiuto quel gesto proprio in quella vasca, o in tutte le vasche possibili. Era per me un gesto rituale, che mai come in quel momento ho sentito di così grande importanza. E' l'ultima fatica reale prima di potersi lasciare andare completamente. Al termine dell'operazione, mi sono finalmente disteso supino 103

nella soluzione per galleggiare. In quel momento mi sentivo partecipe del grande viaggio della Ricerca, e sentivo dentro di me i grandi maestri psiconauti: Leary, McKenna, Hoffman e sopra tutti Lilly, l'inventore della vasca. Erano i miei padri, i miei maestri e li sentivo veramente partecipi della mia situazione, o per lo meno mi sentivo di stare per intraprendere una grande esperienza con le stesse emozioni che potevano aver coltivato loro stessi negli ultimi momenti di lucidità prima di perdere il contatto con il reale. Anche se in fondo lucido non lo ero affatto, ma già in preda ad un viaggio interiore immaginario. Appena steso nella soluzione, il contatto col corpo si è fatto immediatamente labile. La fase di defaticamento e perdita della percezione sensoriale tattile è straordinariamente amplificata dall'uso di Marijuana. In pochi istanti già non sentivo più nulla di connesso al corpo. La luce era ancora accesa, e lo schermo sopra la mia testa era il mio unico punto di riferimento. La testa ondeggiava vertiginosamente, amplificando quella normale perdita di orientamento che comunque si ha nei primi minuti. Per questo motivo ogni tanto avevo bisogno di aprire gli occhi e trattenerli sullo schermo. La sensazione altrimenti era troppo forte da sostenere. Dopo circa 10 minuti (immaginari) ho chiuso gradualmente gli occhi, immaginando che nel mio schermo mentale si proiettassero delle stelle del tipo viaggio nell'iperspazio. Mi sono sentito più rilassato man mano che la sensazione di ondeggiamento svaniva, e ad occhi chiusi ho iniziato il viaggio. E' stato fondamentalmente un viaggio sonoro. Il mio universo interiore si esprimeva tramite emissioni sonore di qualunque tipo. L'inizio di questa percezione è stato l'essere sempre più cosciente di un ronzio nella 104

mia testa. Questo ronzio cresceva di intensità e iniziava a differenziarsi creando musiche, o ritmi, di diverso tipo. Sembravano rumori generati elettronicamente, come da un sintetizzatore di suoni. Le frequenze aumentavano e diminuivano, in una continua oscillazione che mutava anche timbro sonoro. E come in una registrazione multitraccia, si andavano aggiungendo voci e strumenti diversi. Riuscivo a percepire distintamente il suono di un tamburello, di quelli molto usati nei '70. Più tutta un'altra gamma di strumenti o suoni di difficile interpretazione. Questi suoni avevano anche un'ubicazione spaziale ben precisa. Li sentivo muoversi da una parte all'altra, avvicinarsi o allontanarsi in tutte le direzioni. Incrociavano i loro percorsi, si fondevano in un'unica sinfonia sonora, per poi tornare a dividersi e sfumare scomparendo da un lato. A questo concerto di suoni, che non davano un'esatta melodia compositiva, ma più una sorta di jam session improvvisata ma con un suo stile, corrispondeva anche a livello visivo una manifestazione molto leggera di movimenti particellari o di onde. Diciamo che era più un rumore di fondo, che non visuali ben definite. Si intravedeva nel buio della mente questa leggera danza di luci appena percettibili, infatti l'universo sonoro era più predominante e catalizzava completamente la mia attenzione. Questo era quello che più o meno accadeva nel mio strato di attenzione più esterno, mentre sui livelli interiori di coscienza, avvenivano ben più strani accadimenti, che mi risulta assolutamente complicato tornare a far emergere. Posso dire comunque che questa sia stata la più estrema situazione di esplorazione della mia 105

coscienza che finora abbia mai provato, proprio perché lontana dai fasti degli effetti psichedelici dei funghi, ed estremamente consapevole senza mai buchi o salti fra un evento esperienziale e un altro. Questo proprio a causa dell'ambiente neutro e asettico della vasca, che non fornisce un substrato a cui aggrapparsi e da riempire con prodotti esogeni, ma lascia che tutto ciò che accada esca esclusivamente da dentro, senza interferenze esterne. Per cui si riesce realmente a cogliere l'essenza di una sostanza a prescindere dal setting. L'unico fenomeno di interesse risulta quindi il set, cioè l'io, l'aspetto più soggettivo e individuale di ogni essere umano, senza condizionamenti e conflitti con quanto è esterno al nostro mondo privato. In questo mondo ero un viaggiatore di spazi mentali e attraversavo numerosi spazi interiori, sensazioni inspiegabili e anche aliene. Continuavo a sentire quanto estrema fosse questa esperienza, proprio perché ancora così poco esplorata dagli esseri umani, se non dai pochi ricercatori che hanno avuto la possibilità di farlo. Non mi sentivo però affatto a disagio, ero consapevole di tutto e affrontavo questo viaggio con serenità. Non so dire quanto tempo e quali cose mi abbiano attraversato la coscienza. Cose che in quel momento erano molto chiare, e che pensavo di poter ricordare anche fuori, sono adesso totalmente svanite e confuse nel vuoto che hanno lasciato dentro di me. Lo straniamento del viaggio andava aumentando, e anche la mia sicurezza iniziava a vacillare. Cominciavo a sentirmi un po' smarrito nei meandri dell'ignoto, in un posto pieno di strane sonorità e in cui il buio assumeva strane dimensioni. La mia capacità di rapportarmi all'ignoto generalmente è abbastanza capace di mantenermi saldo nella mia 106

spinta verso la ricerca, ma purtroppo qualcosa nel mio corpo iniziava a mandarmi segnali un po' allarmanti sul procedere dell'esperienza. Sentivo un po' di nausea iniziare a salire dallo stomaco, probabilmente coadiuvata dall'ondeggiare continuo della mia testa e nella mia testa. Le prime fitte ho cercato di reprimerle, sperando che la sensazione sgradevole passasse. Ma col passare degli attimi, mi sentivo sempre più strano e concentrato, fino al punto in cui ho deciso di alzare la testa e appoggiarmi un po' al bordo. Sono stato qualche attimo a monitorare quello che mi accadeva, ma la situazione non sembrava migliorare, anzi. Mi sono messo allora proprio a sedere, e in quel momento ho sentito un fiume di saliva salata invadermi la cavità orale. Mai mi era capitato di avvertire un sapore così forte autoindotto. Sembrava quasi sangue dalla consistenza, vischioso e denso, ma il sapore fortemente salato faceva immaginare altro. Ho capito che ero sulla sottile linea fra il sentirmi male e magari collassare lì dentro, e avere ancora qualche forza per uscire da lì. Un po' dispiaciuto che la mia esperienza finisse così presto, ho aperto il portello. L'aria era fresca fuori, mi ha ridestato. Sono uscito a fatica e mi sono subito buttato sotto la doccia calda. Le mie gambe non reggevano, mi sono seduto, cercando di levarmi il sale di dosso. Ero ancora in viaggio con la mente, e tutto sembrava accadere come in sogno. Al termine della doccia, ho usato il bagno. Diarrea. Probabilmente le due patatine mangiate prima di fumare, e l'acqua che ho bevuto, mi hanno dato questa strana reazione fisica. Forse a stomaco vuoto sarebbe stato meglio, ma in genere quando si fuma viene sempre un po' di fame o sete, per questo 107

avevo cercato di riempire un po' lo stomaco prima, visto che non potevo mangiare una volta nella vasca. Forse è stato uno sbaglio, non so. Ma il mio viaggio non è finito con la doccia. Fisicamente ancora provato, mi sono steso sul divano, dopo aver cercato di raccontare qualcosa alla mia compagna in cucina. Sul divano la mia immaginazione mi ha regalato un momento molto intenso e significativo. Il mio corpo giaceva supino. Ne sentivo il peso, e la gravità mi sembrava una vera energia che tirava verso il basso. La visualizzavo come flussi energetici che attraevano la materia del mio corpo scomponendola. Ora la materia diventava scura, globulare, come delle macchie pesanti che venivano tirate via. Nello stesso tempo, dalla massa del mio corpo, emergeva come una luce azzurra, che invece veniva tirata verso l'alto, come se esistesse una gravità opposta che tirava in su questa componente immateriale. Le due componenti, quella pesante e scura, quella leggera e chiara, venivano strappate dal mio corpo che scompariva per lasciare spazio ad un altro mondo. Queste due parti si allontanavano l'una dall'altra iniziando a mutare forma. Entrambe stavano assumendo un aspetto antropomorfo. Quella scura era diventata un essere di pietra nera, come un cavaliere in una corazza da scarafaggio, e dalle articolazioni del suo corpo si intravedeva una materia rossa infiammata. Stava andando ad abitare il suo regno che era in una caverna, fra montagne aspre e inospitali, e nuvole nere all'orizzonte. L'altro essere invece assumeva la forma di una creatura spirituale, azzurro e trasparente con guizzi di luce bianca che mettevano in risalto un bel corpo. Il 108

suo regno era su una collina verde e piena di sole, ma nei campi dei cieli. Questi due esseri, lontanissimi, erano consapevoli della presenza dell'altro, e si stavano preparando ad un combattimento. Ognuno raccoglieva le energie nel suo luogo di potere, prima di sferrare l'attacco. Nello stesso momento, i due esseri si lanciano l'uno verso l'altro, diventando un'ondata di energia: la creatura scura, era un'onda nera con spume di fuoco, l'altro era un'onda azzurra piena di luce. Le due onde sorvolavano un territorio neutrale che separava i due regni. Al passare della prima, la terra diventava nera e si creavano rocce appuntite e vetrificate, mentre ogni cosa si corrompeva e marciva. Al passare dell'altra, la terra si ricopriva di prati e fiori, e ogni pianta e animale nascevano immersi nella luce. Le due onde si avvicinavano l'una all'altra ad una velocità sconfinata e in un attimo arrivarono a scontrarsi. Non ci fu un botto, né una reazione. Semplicemente le due onde al loro contatto crearono un muro di energia. Da un lato energia scura, dall'altro chiara. Questa barriera si innalzava e si estendeva da ogni lato, dividendo il mondo in due metà. Io potevo vederle, passando ora da un lato, ora dall'altro. Rimanendo in mezzo, le vedevo in sezione come fossero solo due linee di energia, non a contatto ma separate da un sottile spazio vuoto. Non rimaneva nient'altro. Le due linee in uno sfondo nero. Ora queste due linee iniziavano ad oscillare, a formare un'onda verticale che si muoveva ritmicamente. Bloccando per un istante l'immagine di questa onda, ho capito da dove deriva il simbolo del Tao. Dopo questa "illuminazione", il filmato si è dissolto, e ho continuato a smarrirmi in strane fantasie, fino a 109

quando non mi sono sentito tornato sulla terra, sul mio divano, e un buon odore di pizza mi ha risvegliato i sensi sopiti.

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Prima esperienza con Salvia Divinorum Difficilissimo descrivere questo primo approccio con Salvia! Una cosa shockante direi, ma non in senso negativo. Ho fumato una pipetta con un po’ di foglie intrise di tintura 5x. Ho fatto 2 o 3 tiri, cercando di trattenere il più possibile. Tempo trenta secondi e boom. E’ stato come se un martello invisibile rompesse lo specchio che era davanti alla mia coscienza, e mandasse in frantumi quella che io fino a quel momento consideravo la realtà. E immediatamente dietro ve n’era un’altra. Su un piano completamente diverso. Questo è stato per la verità l’unico vero effetto. Perché poi è stato tutto tremendamente evanescente. Era un mondo oscuro, velato di verde. C’era un sorta di sagoma informe verdastra… ma dire di più sarebbe un azzardo. Contemporaneamente però avvertivo i rumori della realtà “normale”, i passi al piano di sopra, e le macchine in strada, ed erano come delle lacerazioni di questa nuova realtà che andavo esperendo. Totalmente fastidiose. Non so per quanto tempo sono restato così, roba davvero di pochi istanti, e poi sono tornato. E’ stato molto piacevole l’after effect. Mi sono sentito cullato e avvolto da una presenza amorevole femminile che si prendeva cura di me. Non so come altro definirlo. Probabilmente è quello che chiamano lo spirito di Salvia. Sembrava qualcosa di connesso a Madre Terra, molto antico e protettivo. Sono restato come cullato in un limbo a godermi questa sensazione il più possibile fino a che la realtà comune non ha ripreso il sopravvento con le sue ordinarie percezioni.

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Prima esperienza con Salvia Divinorum nella vasca di deprivazione sensoriale 20 settembre 2003 Ho usato una soluzione alcolica di Salvia nella misura di 3 dosatori (2,25 ml). Non appena messo in bocca per l’assunzione tramite assorbimento orale, sono entrato nella vasca. La produzione di saliva alla reazione dell’alcol è tantissima, e il senso di bruciore in bocca è molto fastidioso. Ho impostato il timer della musica nella vasca sui 15 minuti, in modo da sapere quando sarebbe finito il tempo consigliato per tenere in bocca la soluzione. Passati 15 minuti ho deglutito la soluzione e sono rimasto nel buio e nel silenzio totale. Nella mente si agitava ogni tipo di pensieri, però su soglie abbastanza normali. Probabilmente l’eccitazione mentale iniziale era dovuta anche al tipo di esperienza che mi apprestavo a vivere. Fisicamente avvertivo il consueto rilassamento da vasca, condito però con qualche brivido lungo il corpo. Dopo pochi minuti, il mio stato mentale ha avuto una rapida impennata. Probabilmente mi è arrivato un rumore dall’esterno della vasca (la porta accanto che sbatteva?), che mi ha fatto schizzare il sangue al cervello. Il cuore ha iniziato a battermi all'impazzata, e nella testa mi è passato un treno di pensieri veloce come un fulmine. Ho pensato subito che c’era qualcuno fuori dalla vasca che sarebbe entrato per tirarmi fuori, ma sapevo che non poteva esserci nessuno, allora un senso di panico generale mi ha creato una confusione incredibile in testa, come se già fossi totalmente fuori controllo. Ho pensato che mi sarei sentito male perché avevo esagerato con 113

l’esperienza, e ho avuto una serie di rapide visualizzazioni di me fuori della vasca sotto la doccia che cercavo di riprendermi dal panico, con la mia compagna che mi ammoniva per aver voluto un’altra volta spingermi in territori sconosciuti. Quindi mi si è aperta la mia ormai nota visione del mondo fatto a stanze di realtà, ma ne ho subito realizzato la portata, per cui mi sono semplicemente detto che era tutto a posto ed ero in totale controllo della situazione. Dopo questa valanga di pensieri fiume, man mano che il cuore rallentava il battito, ho ripreso totalmente controllo dei pensieri, che si sono fatti più stabili e normali. Anzi, ho sentito come una sorta di tranquillità interna, che mi ha confortato molto. Sentivo che non mi poteva accadere nulla di male alla fine. Mi sono abbandonato al rilassamento totale, ma la qualità del galleggiare era in un modo diversa dal solito, anche se in una maniera che non saprei definire meglio. Poi ho iniziato una sorta di dialogo interno. Parlavo diciamo con altre due entità nella mia testa, anche se mi era difficile formulare i pensieri come al solito, ero quasi rallentato. Da questo strano dialogo veniva fuori come se il mio io più vicino chiedesse che motivo c’era ogni volta che si intraprendeva un “viaggio” di perdersi dentro le stanze di realtà. La risposta mi veniva da una sorta di “presenza” femminile sulla destra della mia mente, che mi diceva che un po’ di confusione serviva sempre, altrimenti sarebbe stato troppo facile. Alla “conversazione” partecipava in maniera silenziosa anche un’altra presenza maschile sulla mia sinistra, leggermente più vicina. Ovviamente non parlo in termini fisici, in realtà era come se scindessi il mio 114

monologo interno in un dialogo in cui impersonavo diversi io. Il primo allora continuava a chiedere che motivo c’era di rendere tutte le cose così complicate. La risposta mi è arrivata come una valanga di immagini/concetti, per cui le voci più esterne hanno sottolineato se c’era bisogno di ulteriori spiegazioni, o la risposta non la conoscevo già benissimo da me. La risposta in forma di immagini concetti, era semplificando, che per arrivare alla radice della verità c’è bisogno di un percorso difficoltoso, perché deve essere così. Diciamo che la sensazione che ho avuto io fosse in fondo di arrendermi all’evidenza delle cose, è così e basta. Poi le voci sono diciamo sparite, o tramutate in altri flussi di pensieri. Un altro dialogo interessante che è emerso è stato fra una serie di anime interne. Cerco di spiegare questo concetto. Diciamo che ho avuto l’impressione che tutto quanto costituisce il mio essere, cioè corpo più mente, altro non è che una sorta di personaggio comandabile dall’interno da entità/anime che possono guidare il mio essere come un pilota può guidare una macchina complessa. E queste entità anime sono in qualche modo intercambiabili fra un personaggio umano e l’altro, anche se generalmente ogni anima guida un solo personaggio, col rischio di iniziare ad identificarcisi e iniziare a credere di essere quel personaggio, con il suo corpo, la sua mente, il suo comportamento, la sua vita. Altre anime invece passano da un personaggio ad un altro, solo per farne esperienza. Scopo di tutte queste anime è esperire semplicemente la vita in forma umana, per trarne sensazioni, emozioni, conoscenza. Fatta questa premessa, diciamo che ho avvertito il dialogo fra la mia anima guida, e un’altra anima “di 115

passaggio” che mi diceva che non dovevo attaccarmi troppo al mio personaggio, e io (o la mia anima guida) rispondeva che ormai ci si era affezionata, che aveva fatto tanto per renderlo così come era adesso, e dopo tanta fatica non voleva abbandonarmi. Era molto interessante la sensazione che il mio corpo galleggiasse su di un mare nero infinito, nel quale erano immerse o ne facevano parte tutte le coscienze/anime, e il mio corpo in quel momento faceva da portale fra il mondo acquatico della anime e il mondo fisico della realtà umana. Dentro a quel mare era come se fosse possibile nuotare per poter emergere tramite un altro portale e quindi avere un’altra esperienza umana diversa da me. Allora mi sono chiesto come fosse possibile riuscire a sperimentare una totale diversa esperienza umana, stando in quello stato. Una sorta di altra voce interna mi ha risposto che ne dovrei prendere molta di più di salvia, ma correrei il rischio di non ritrovare più la via di casa. Non tanto perché in ultimo io non possa tornare sui miei passi, ma semplicemente perché arrivati molto lontano con un’esperienza di questo tipo, potrebbe essere molto spaventoso, perché mi sentirei smarrito e estremamente confuso, fino ad una paura terribile di essermi perso da qualche parte. Allora io ho chiesto come si fa a trovare sempre la via di casa, e in quel momento è come se una via mi si aprisse nell’oscurità totale in cui mi trovavo. Come un tunnel di energia che mi si allargasse davanti agli occhi. Questa serie di voci interne hanno iniziato a ricongiungersi su un’unica voce interna, quella dei miei pensieri più coerenti. Mi sono chiesto se per caso l’uso della salvia con la vasca non rendesse più semplici le esperienze extracorporee, e ho iniziato a pensare un po’ a questa eventualità. Ho avvertito 116

un’altra voce maschile parlare con un’altra presenza e dire: “Questo qui non sta mai zitto” e io dentro di me mi dico che in effetti non riesco mai a mettere a tacere la mia voce interna. E l’altra continuava “Non lo capisce che se non sta zitto non ci riesce”, e allora io rivolto a lui gli ho detto: “e allora perché vi ci mettete pure voi a parlare?” e di colpo le due presenze sono sparite. Allora ho pensato che potevo far sparire allo stesso modo la mia voce interna, ma niente da fare... era sempre lì a pensare. Il resto è stato abbastanza normale, ho pensato un po’ al meccanismo interno del cervello, a dove viene immagazzinata la memoria, e a come sarebbe interessante poter avere una “registrazione” di ciò che hanno visto gli occhi in tutta una vita, e poter mandare avanti e indietro il nastro come su un videoregistratore. Poi ho pensato al fatto che tutto il tempo di una vita umana potrebbe in fondo stare su una enorme videocassetta che ne contenesse tutte le percezioni e tutti i pensieri. Se allora esistesse una videocassetta così, tutto il tempo di una vita non sarebbe altro che lo scorrere di questo nastro, ma di per se il tempo stesso non esisterebbe al di fuori del nastro stesso, perché è solo chi ne percepisce lo scorrimento che capisce cos’è il tempo, ma per chi vede dal di fuori una videocassetta non esiste la percezione del tempo. Il tempo diventa solo un concetto riferito alla videocassetta, e alla velocità con la quale questa si può vedere. Ho continuato a galleggiare e a sguazzare nell’acqua cambiando molte posizioni. Sono uscito dalla vasca dopo un’ora e un quarto, perfettamente ripreso.

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Seconda esperienza con Salvia Divinorum nella vasca di deprivazione sensoriale 23 settembre 2003 Questa volta, avendo già sperimentato il potere di Salvia Divinorum nelle foglie fumate, ho ritentato l’esperienza di provare la soluzione alcolica nella vasca di deprivazione sensoriale. Ho usato l’equivalente di 3,75 ml di soluzione (5 contagocce). Entro nella vasca e pulisco bene il soffitto dalle gocce di condensa come di rito. Eseguo il lavoro ancora più meticolosamente del solito, mentre in bocca la soluzione mi sta bruciando le mucose terribilmente. Mi stendo finalmente nel liquido a galleggiare, e trasportato dalla musica di Brian Eno che ascolto usualmente all’inizio della sessione, aspetto di sentire i primi sintomi della partenza. Non passano neanche 10 minuti (stimo il tempo a naso), che qualcosa accade alla struttura della mente. Avverto le presenze intorno al mondo che mi si è espanso dentro la testa. Come un parlottare di persone, un brusio di fondo. Cerco di restare il più possibile cosciente e concentrato, faticando un po’ per mantenere l’attenzione. Mi rendo conto che ho la bocca totalmente piena di liquido alcolico, che sta salendomi nel naso. Sono momenti di delicato equilibrio fra la realtà ordinaria e l’Altrove. Mi tiro su, per non farmi andare il liquido per traverso, ma ancora non sono passati i 15 minuti previsti. Allora mi stendo di nuovo. Le voci dentro di me mi dicono di rilassare la bocca, mentre io so che se lo facessi, mi troverei a dover sputare tutto. Torno di nuovo seduto, e lentamente deglutisco il tutto. Non sento più la musica, quindi il quarto d’ora programmato è finito. Posso stendermi di nuovo e godermi tutto ciò che avviene nella mia testa. 119

Principalmente ed essenzialmente: voci. Mi è difficile, come in tutte le esperienze di questo tipo, riuscire a riportare fedelmente i dialoghi, mi limiterò quindi alle sensazioni provate nei vari passaggi di questa esperienza. Ho intessuto diversi dialoghi con diverse voci/entità. Posso dire che queste voci mi arrivavano da zone distinte dello spazio, e per questo riuscivo a capire che erano più di una. Erano divise in voci maschili e femminili, o perlomeno io le avvertivo così. Oltre alle voci percepivo anche degli aloni di diversi colori a seconda della scena a cui stavo assistendo, ma non erano visioni ben dettagliate, piuttosto luminescenze molto sfumate che si muovevano. Ho percepito anche una certa gerarchia fra le voci, perché sentivo che parlavano fra di loro chiedendo l’autorizzazione a entità superiori quando le mie domande richiedevano risposte più complesse. Io ho cercato di porre le domande che ritenevo più importanti, anche se effettivamente era difficile mantenere quella concentrazione, in quanto il flusso di cose che sperimentavo era estremamente sorprendente e anche di difficile analisi. Subito ho chiesto se quel mondo era quello dove si va dopo la morte. La risposta è stata affermativa. Erano due entità di sesso diverso, che stavano ai miei lati. Ho chiesto come funzionava il Karma, cioè come potevano essere registrati nell’anima gli eventi vissuti in un’esistenza umana, su un supporto così immateriale. Mi hanno detto che nell’anima esiste una specie di codice, che equivale al DNA del corpo umano, ma che contiene le informazioni spirituali dello stato di avanzamento, nonché le sue caratteristiche. Poi ho visto come un grande tunnel in cui fluivano questi codici che erano come delle corde intrecciate tra loro, di colore rosso/arancio. 120

In un'altra situazione, mi sono trovato a parlare con un’entità femmina a cui ho rivolto svariate domande. Le ho chiesto quanti erano i tipi di realtà possibili, alludendo a quella fisica a noi ben conosciuta e a quella spirituale che era quella in cui ci trovavamo. Mi ha detto che sono solo queste due, non esiste una terza possibilità. Tranne nel caso del momento della creazione, in cui queste due sono fuse insieme. Ma è solo un momento di passaggio per arrivare alla situazione più stabile che è appunto duale. Le ho chiesto come funziona il tempo, e mi ha risposto che il tempo è per chi lo misura e nell’eternità non c’è fretta. Le ho domandato che rapporto c’è fra lo spazio fisico e lo spazio spirituale, mi ha detto che in qualche modo corrispondono, ma non come si può pensare che combacino. In realtà da un punto dell’uno si può passare ad un punto dell’altro. Ma in entrambe le realtà ci si deve spostare con un mezzo. Di qua i mezzi fisici, di là la volontà. A ben vedere anche di qua è necessaria la volontà di spostarsi per poterlo fare. Mentre con le sostanze che sono prodotte in natura è possibile passare da uno stato all’altro. Io in realtà ero ancora consapevole del mio corpo che fluttuava nell’acqua, ed è come se fossi consapevole contemporaneamente di questi due tipi di realtà. Allora ho chiesto come è possibile che ci fossero dei punti di contatto fra questo mondo così fisico e quello così intangibile. Il contatto avviene nel cervello nella sua struttura che crea la consapevolezza. Ho chiesto come fosse possibile quest’unione, e mi è stato detto che è troppo complesso perché io lo possa capire. Ma per averne un’idea avrei dovuto immaginare il cervello come una membrana che capta il flusso spirituale che lo attraversa e ne decodifica i segnali. Le sostanze psichedeliche allargano questa percezione del flusso 121

in modo che arrivi al livello del cosciente, perché la nostra struttura interna è sviluppata a diversi livelli di consapevolezza. E io sentivo che i miei pensieri infatti provenivano proprio da delle parti diverse della mia coscienza, e ne coglievo il rapporto fra loro in maniera davvero precisa e stupefacente. Poi ho chiesto se mi fosse possibile ricordarmi di una scena di una mia vita precedente. Qui ho sentito che l’entità in questione ha dovuto chiedere un parere ad una entità maschile superiore per potermi svelare questa cosa. Ma pare che non ho avuto il consenso, perché non ero pronto per questo. Io insistevo, anche solo un piccolo frammento. Ma in risposta mi hanno detto che non ho vite precedenti, e non so se è stata una risposta datami per farmi stare buono o se sia la verità. Allora mi sono chiesto come mai, come fosse possibile che questa sia la mia prima vita, e io mi sentissi già così evoluto. Mi hanno detto che ero stato creato già così, per uno scopo preciso. Ho chiesto quale fosse, e la risposta è stata quella che io dovevo aprire gli occhi agli altri, per fare in modo che le persone durante la loro vita possano avere accesso a questa dimensione spirituale, visto che non occorre per forza morire per farlo, e una vita in cui questa dimensione non sia stata esplorata, non ha molto significato. Allora la mia osservazione è stata quella di far notare quanto fosse difficile far aprire gli occhi alle persone su di un mondo così intangibile come quello, e quanto gli esseri umani abbiano bisogno di qualcosa di concreto per poter credere ad una realtà sfuggente come quella. Allora chiedevo che mi fosse dato un mezzo per poter convincere gli altri di questo, qualcosa di indiscutibile che potesse mostrare la realtà di quel mondo. Ho proposto che io potessi riuscire a guarire le persone. Mi è stato chiesto se questa proposta veniva fuori da una volontà 122

egoica, oppure se fosse qualcosa di veramente sentito. Io ho osservato che in effetti avere il dono di guarire all’inizio potrebbe rappresentare una grande sfida per l’ego, ma poi il fatto di poter aiutare le altre persone a stare meglio e a mostrare loro la possibilità di entrare in contatto con questa dimensione spirituale, avrebbe senza dubbio prevalso. Ho chiesto che mi venisse insegnato un modo per poter guarire le persone e mi hanno detto che già conoscevo il Reiki ed era più che sufficiente. Insistevo a volere qualcosa di più, qualcosa che fosse solo mio, un simbolo o un rituale particolare. Ma non ho avuto alcuna risposta. In un altro momento ho incontrato la dea madre. Il principio femminile, la madre terra, o qualunque altro modo in cui si voglia chiamarla. E’ stato un contatto breve, poche battute. Ero immerso in una luminescenza azzurra. Il tutto è stato soave e dolce. Mi ha lasciato una sensazione di beatitudine. Non ricordo esattamente cosa abbiamo detto, ma niente di più delle presentazioni. Mi sono sentito abbracciato, e quello era sufficiente. In un’altra situazione ho chiesto di voler entrare in contatto con l’anima di mio figlio futuro. Ma anche se insistevo, non ottenevo nulla. Mi è stato risposto che in ogni caso non avremmo potuto comunicare usando la mia lingua. Allora ho detto che mi sarebbe bastato un qualunque tipo di comunicazione. Ma la mia richiesta non ha avuto alcuna risposta. Ho pensato che forse sia dovuto al fatto che non avrò figli, ma anche qui sono stato lasciato nel dubbio. Ho cercato di avere qualche prova della possibilità di vedere qualcosa di esterno da quello stato adimensionale. Ho cercato di connettermi alla coscienza della mia ragazza, ma non ho avuto molto successo. Mi è venuta solo l’immagine di lei nella sua 123

macchina vista dall’alto, infatti doveva quasi stare per tornare. Poi ho visto le buste della spesa sul tavolo, e ho cercato di visualizzare qualcosa di particolare che avesse potuto comprare che non fosse scontato. Ho visualizzato qualcosa tipo delle crocchette di patate (all’uscita della vasca ho constatato che non c’erano ne buste della spesa, ne tantomeno crocchette). Poi ho chiesto se mi fosse possibile uscire dal corpo, al quale io mi sentivo veramente vincolato. Mi è stato detto che non è facile affatto, e che abbiamo una paura innata ad abbandonarlo che ci rende quasi impossibile questa cosa. Ho chiesto se mi potesse essere insegnata una tecnica efficace. Ma in quel momento era tornata la musica, segno che era passata un’ora, e questa produceva troppa distrazione per la parte cosciente che mi impediva di poter seguire una sorta di addestramento. Mentre fluttuavo nella musica, mi sono messo in posizione fetale e ho iniziato a visualizzare me stesso che regredivo col corpo fino a tornare alla dimensione prenatale. Mi sentivo veramente tornato a quello stato, seppure avessi la mia coscienza. E questa giustamente mi ha fatto notare che allora non c’era la musica come adesso. Lentamente sentivo che il contatto con quella realtà si andava perdendo, e che i miei pensieri tornavano sempre più miei, anche se con una capacità immaginativa e introspettiva davvero particolare. In tutto sono stato nella vasca circa 1 ora e tre quarti. A posteriori non so cosa pensare di questa esperienza. E’ stata senza dubbio meravigliosa, priva di paura, e ricchissima di sensazioni ed emozioni. Ma del contenuto delle rivelazioni che mi sono state date non saprei proprio cosa pensare. Non c’è stato nulla che in fondo fosse così lontano o diverso da quello 124

che mi appartiene, ne mi è stato dato modo di verificare qualcosa di concreto. Quindi potrebbe semplicemente essere stato un effetto dissociativo del Salvinorin che mi ha dato l’impressione di diverse voci all’interno della mia testa, mentre non erano altro che diverse sfaccettature dell’Io che parlavano fra loro. A 24 ore di distanza le mucose orali sono ancora terribilmente irritate e per tutto il giorno mi hanno dato molto fastidio. La nottata è stata come sempre densa di sogni molto vividi e particolari. Questo è quello che ricordo per adesso. Se mi dovesse tornare qualcos’altro in mente l’aggiungerò.

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Prima esperienza con DMT 22 febbraio 2004 In questo mio primo contatto con l’amico DiMiTri, c’erano ad assistermi dei grandi psiconauti, il meglio che si può avere dalla rete: Club99, Sturmy, Funghetto. Nell’abitazione di quest’ultimo, alquanto inquietante per un senso di antico e di misterioso, c’era una stanzetta che sembrava stranamente predisposta ad un’esperienza trascendente. Un materasso nudo, dei cuscini, coperte. Un pc con un sottofondo ondeggiante di didjeridoo che ha accompagnato Funghetto nel suo breve e intenso viaggio, prima del mio. Forse l’emozione di vederlo partire è stata tanto grande quanto quella di partire io stesso. Sembrava veramente assistere ad una magia. Ha fatto il suo breve tiro e poi giù disteso. Silenzio nella stanzetta per 3 minuti. Lunghi. Il suo viso tradiva un misto di estasi, meraviglia, pace. Passati i 3 minuti, semplicemente: eccolo tornato. Come se nulla fosse accaduto. Noi a guardarlo da fuori lo vedevamo identico a prima. Solo una persona che è stata stesa su un letto per 3 minuti. Ma dentro di lui chissà che mondi sottili si agitavano. E poi toccava a me. Il cuore batteva tremolante, le mani tradivano un misto di emozioni e ansia. Ho preso contatto con la magica pipetta per sentirla un po’ anche mia, l’ho potenziata con un simbolo Reiki che apre il contatto con l’energia buona. E poi Club me l’ha infuocata. Il vapore già pungeva nel naso, mentre con un risucchio leggero ho sentito il fumo caldo entrare fino in fondo. Ho aspirato di nuovo e ho pensato che per la prima volta potesse bastare. Mi sono steso sul letto in ascolto. Non c’era la musica stavolta. Immaginavo un’esplosione fulminea, invece è stato tutto molto dolce e quasi appena percettibile. A 127

ripensarci adesso mi chiedo se è successo veramente qualcosa. DiMiTri non si è rivelato subito. Per me questo primo contatto è stato solo uno sfiorare leggero i mondi segreti del viaggio psichedelico. Sensazione di calore nel corpo, di plastica nella bocca. Poi qualcosa di ineffabile. La tipica sensazione di vedere il mondo di fuori come dal fondo di un tubo, mentre lentamente si scivola all’indietro e si dimentica il posto in cui si è. Ho pensato che quella non era che un’altra porta di accesso alla realtà. Un po’ come le stanze coi telefoni di Matrix. Solo invece di rispondere allo squillo, si tira aria da una pipetta. Cambiano i modi ma il passaggio fra un mondo e l’altro è simile. Nel buio dei miei occhi chiusi poi sono apparse leggerissime visuali sull’azzurro, ma senza geometrie, solo aloni eterei su cui non riuscivo neanche a focalizzare bene l’attenzione. Soprattutto i suoni hanno colorato quest’esperienza. Li sentivo amplificati, sentivo dei bambini che giocavano in strada, come se avessi immaginato un cortile d’altri tempi, quasi una vecchia foto seppiata, un ricordo sbiadito. Era reale o frutto della mia immaginazione? A momenti aprivo gli occhi e vedevo le alte pareti della stanza, con una carta da parati a righe verticali. C’ero e non c’ero. Avvertivo piani di esistenza che si aprivano nella mia coscienza, ma nulla di concreto e tangibile. Sensazioni sfuggenti. Poi come è iniziato, tutto è sembrato finire. Sono tornato velocemente che non sapevo neanche dove ero stato in fondo. Unico commento: mah. Come aver perso un treno. Ma il viaggio non è finito lì. Guardavo la carta da parati, e mi sembrava fosse leggermente tridimensionale. Quasi che potessi immergerci la mano dentro. E per un attimo ho creduto di poterlo fare. Sono quegli istanti in cui si è quasi incerti di 128

essere svegli, e avvolti dalle spire del sogno si possono fare cose che contraddicono le leggi della fisica. Invece no. La mia mano toccava solidamente la parete. Ero davvero tornato. Ma mi sentivo leggero quasi senza peso, e molto fluido nei movimenti. Mentre un’altra ragazza si sottoponeva allo stesso trattamento, io ero ancora intento a decifrare i sintomi dell’atterraggio. Fissavo il pavimento di vecchia marmaglia, e ondeggiava un po’ come nei primi istanti fungini. In alcuni momenti mi sentivo perso nei pensieri e lontano. Ma in effetti è stato breve. Anche lei ha fatto questo volo brevissimo, e tutta contenta se ne è tornata di qua. Dopo ero ancora suggestionato dalla casa, dall’ambiente. Mi sembrava un posto così strano, pieno di vita vissuta lì dentro. Stanze e corridoi labirintici. Un posto in cui perdersi, ma era pieno di buoni amici. La realtà ha preso presto il posto della suggestione. Era ora di saluti e ognuno doveva prendere la sua strada di casa.

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Prima esperienza con Ketamina 23 marzo 2004 La mia prima esperienza Ketaminica si è appena conclusa. Ora sento solo un leggero strascico sognante. Morbido e dolce. Sarebbe bello perdercisi, ma ho idea che se non riesco a fermare alcuni pensieri, tutto quello che è stato questo primo incontro si possa perdere. Effimera. Ecco come descriverla. E’ tutto meravigliosamente effimero. Il mio umore prima dell’assunzione era buono. La paura che mi attanagliava da tempo sembrava dileguata, ero sereno e tranquillo. Mi sono preparato la mia striscetta di K. Saranno stati all’incirca 80 mg di polverina magica. Effetto medio-leggero dicono i testi. Effetto bello per iniziare dico io. In un attimo è nel naso. Poi si aspetta, come sempre no? Forse un quarto d’ora prima che inizio ad avvertire qualcosa che non sia sola suggestione. Ma la salita è morbida, non c’è un primo sintomo netto di aver messo piede in K Land. So che c’è stato un grande espandersi della mia mente e immaginazione. Era accompagnato da uno stato gioioso e amorevole. Lo stesso che sento adesso. Forse sto cercando di descrivere qualcosa che è così ovvio. Era la vita che pulsava in me, si trasformava e assumeva forma di pensieri, emozioni, sensazioni. Euforia è quello che provavo, fiducia nell’universo e nelle sue leggi segrete. Ho intonato un mantra, un OM che scaturiva fuori da me e risuonava nel mio spazio interiore. Non ci sono stati tunnel luminosi, altre presenze o cose assolutamente fuori dall’ordinario. In questo devo essere onesto. Le leggi della fisica continuavano ad essere le stesse. Solo che io mi percepivo in maniera diversa. Leggerissimo. Quasi che la gravità non avesse presa su di me. Come se la 131

mia pelle fosse un involucro sottile che non contiene nulla. Un contenitore d’aria. Per questo muovere le braccia, mentre all’inizio sembrava pesante, poi è diventato come un gesto concettuale. Io lo pensavo e le braccia eseguivano il movimento quasi a livello inconscio. Fluttuavo in questa realtà. Mi muovevo sinuoso come se fossi di aria e attraversassi aria. Ma i miei erano solidi passi sul terreno. Dentro di me un sorriso enorme. Divertimento. Mi dicevo: ma perché avevo tanta paura, cosa c’è da aver paura di questo stato di sospensione sognante. Nella testa si ramificavano ogni sorta di sensazioni. Ma il mio registratore mentale non riesce a riportarle. Più difficile che con i funghi. E’ normale fare paragoni, d’altronde gli stati alterati certe volte lambiscono i confini gli uni con gli altri. Però a livello di controllo è molto più semplice delle ondate psilocibiniche. Divertente soprattutto. E’ anche vero che i funghi sono soprattutto divertenti la prima volta. Diventano più difficili dopo. Spero non lo faccia la K. Perché mi ha dato un senso di grande piacevolezza. Di possibilità esplorative senza paure e paranoie. Ero infatti estremamente ironico con me stesso. Cazzeggiavo liberamente. Aperto ad ogni possibilità con poca ansia che le cose più assurde si potessero materializzare. Non lo hanno fatto in effetti. Ma forse se lo avessero fatto ci avrei giocato. Ero come un bambino che esplorava una nuova modalità di esistenza. Saggiavo le consistenze degli oggetti, del mio corpo. Mi guardavo nello specchio, trovando la mia immagine buffa. Quasi che non mi appartenesse, ma senza quel senso di alienazione inquietante che delle volte la psilocibina da. Come se fossi a carnevale. Era tutto come un sogno, un gioco, per questo sapevo che non poteva succedere nulla di male. Ma i miei pensieri razionali ogni tanto 132

cercavano di analizzare la consistenza dell’io. C’era. E quando non c’era non mi prendeva l’angoscia di non saper chi sono. Ero più colpito dalla divertente sensazione di partecipare al gioco cosmico. Nella gioia di questo stato sono riuscito tranquillamente a telefonare e ad eseguire una pur breve ma logica conversazione. Ero contento per la gioiosità dell’esperienza e volevo condividere questa scoperta con chi amo. Anche se nel mentre della conversazione ho pensato che sarei potuto chiaramente sembrare fuori di testa, e che non sarei riuscito a comunicare esattamente quanto di meraviglioso stessi sperimentando. Ho cercato anche di prendere 2 appunti su un foglio per fissare delle idee. Scrivere è stato stranissimo, forse ha coinciso con una delle sensazioni più forti del viaggio. Ho letto l’ora e l’ho appuntata, facendo un po’ di confusione all’inizio sulla corrispondenza fra le 7.50 pm e le 17.50 che mi sembrava quasi più logico rispetto alle 19.50. Ma ho presto capito l’errore. Poi le lettere sono letteralmente schizzate fuori dalla penna. Un flusso velocissimo di stampatello che poi è rapidamente cambiato in corsivo. “E’ LA COSA PIU’ BELLA CHE si possa anche solo immaginare!!!” “SI PUO’ TUTTO IN QUESTA VITA!”* “SOGNANTE!” e “fluido” “Leggero si può volare → dentro casa però”** “AMO I MIEI NEURONI BALLERINI” * Mi ricordo la sensazione di aver messo questo punto esclamativo in maniera così profonda che ho pensato che ci sarei stato risucchiato dentro. ** Questa frase in particolare illustra quanto l’idea di 133

volare sia associata durante un viaggio psichedelico alla leggenda delle persone che si buttano dalla finestra perché convinti di poter volare veramente. La seconda parte è stato un tentativo mio di dire: se posso volare, non c’è bisogno di buttarmi dal balcone, posso tranquillamente svolazzare per la stanza e sarebbe fantastico lo stesso. Questo è un chiaro esempio che si mantiene la consapevolezza del pericolo, almeno a questo dosaggio. La sua natura è sicuramente psichedelica, ma con una sfumatura tutta sua. Non c’è il gioco di incastri e ripetizioni di una sessione fungina. La tua mappa mentale funziona abbastanza bene. Ricordi dove sono le cose, come funzionano. Magari fai qualche pasticcio, ma sostanzialmente non ti blocchi perdendoti completamente a metà di un gesto. Mi ricordo la sensazione di ondeggiamento della mia testa quando la muovevo a destra e a sinistra, tipica di quando uno è ubriaco. Lo stesso vale per quando mi sono alzato in piedi. L’equilibrio era precario, ma concentrandosi ci si riesce a muovere. E muoversi è come attraversare solo con la volontà lo spazio. E’ come se il corpo fosse scollegato in effetti. Tu decidi di andare e vai. Poco importa che siano i tuoi muscoli a farlo. Ti ci trovi. Ti sposti attraverso stanze e corridoi come se fosse la forza di volontà a farlo direttamente, e non i tuoi muscoli. Anche vero che i muscoli si muovono grazie alla forza di volontà, ma per me era come se il passaggio fosse assente. Avendo saggiato la piacevolezza dello stato, ho pensato di introdurmi nella vasca di deprivazione sensoriale. Ho pensato che fosse molto semplice manovrare i controlli e prepararmi alla sessione. In effetti non ho trovato difficoltà con la centralina, ne 134

ho dimenticato alcuna cosa nella serie di azioni che svolgo prima di entrare, cose come fare la doccia, mettere i tappi, prendere le ciabatte e l’accappatoio. Ero incasinato, quello si. Ricordavo le cose a tratti, ma funzionavo ottimamente rispetto alla realtà consensuale. E là dove mi incasinavo, tiravo fuori un atteggiamento divertito, della serie: che mi frega, sono fatto come una prugna secca. Non c’era l’ansia di aver perso le normali capacità psicomotorie, o l’idea di restare per sempre in quello stato. Anzi magari. Una delle cose che pensavo era, non vedo l’ora di rifarlo. Capisco che la K possa dare assuefazione. E’ bella, divertente, spensierata. Almeno a questo dosaggio. Poi mi sono introdotto nella vasca. Ma l’effetto era già sull’onda di ritorno. C’è stato solo un ultimo grande momento particolare. Una chiarezza mentale profonda e calma. Seria. Niente più giochi e lazzi. Una “chiacchierata” col mio sé profondo. Un’analisi ultima della mia volontà di esperire alterazioni della coscienza. Senza indugi sentivo che il motivo che mi spinge a farlo è migliorare la comprensione del funzionamento della coscienza umana in ottica evolutiva per il benessere dell’umanità. E’ stato così chiaro ed evidente, che non potevo proprio schermarmi dietro false convinzioni. Poco dopo ho sentito che i processi mentali riprendevano la loro normale consistenza. Sono uscito dalla vasca perché avevo voglia di tornare ad interagire con il mondo. Ero definitivamente normale. Ho pensato che a questo livello leggero la K non può darti risposte. Sei ancora confinato sul piano della realtà consensuale. Puoi giocarci in modo diverso, inusuale, ma le regole principali della realtà sono quelle. Cambiano molto le percezioni, niente alterazioni di colore o suoni, ma soprattutto l’auto135

percezione del proprio corpo cambia notevolmente. In qualche modo ci si rende conto quanto il corpo sia solo una macchina mossa dalla volontà. Forse è il primo passo per liberarsi da esso, e dall’idea che sia tutto ciò che siamo. In ogni caso la cosa più entusiasmante dell’esperienza è stata la non associazione all’ansia del processo della morte. Differente per me a tutte le altre sostanze che inducono la morte dell’Ego o comunque un’esperienza peritanatica. Era più come abbandonarsi piacevolmente ad un flusso energetico benevolo in cui avere completa fiducia. Probabilmente questo stato di benevolenza era dato anche dalla mia attitudine amorevole e consapevole dell’uso della sostanza. O almeno mi piace pensarla così. Prima di assumerla ho eseguito un rituale di consacrazione, breve ma necessario e assolutamente spontaneo. Il mio animo era disposto positivamente e sentivo di avere accumulato un buon karma per cui l’esperienza non avrebbe potuto essere pericolosa o spaventosa. Nelle ore successive all’esperienza mi sono sentito la testa molto vuota. Leggera. Era difficile recuperare altri dettagli dell’esperienza. Ero ancora in uno stato come vacuo, sognante, non associato ad alcuna sensazione sgradevole.

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Seconda esperienza con marijuana nella vasca di deprivazione sensoriale 10 maggio 2004 Fumo a dense boccate dell’erba di ottima qualità. Il mio progetto è quello di immergermi per tre ore nella mia vasca di deprivazione sensoriale. Prima di farlo so che devo aspettare un po’ che entri in stato di high. Decido di farmi la doccia intanto, sfruttando l’attesa di entrare meglio nella dimensione enteogenica dell’erba. Ma già le mie percezioni e i miei pensieri interiori hanno modificato la loro struttura. Sono molto fuso all’interno della mia unità percettiva, tutto l’ambiente intorno a me diventa una mia estensione, un prolungamento della mia entità cosciente. Creo dei rituali spontanei, gesti e pensieri evocativi che possano proteggere il mio viaggio. E’ un fare istintivo che mi guida. E ci credo con la fede più pura. Non è più costruzione e sedimentazione di gesti ripetuti, ma un esprimere la propria religiosità in maniera onesta e diretta. Questo mi mette in comunicazione con una parte molto sacra in me, che mi regala una delle manifestazioni più forti mai avute grazie all’erba. Entro nel bagno. Chiudo la porta e già questo diventa un gesto che racchiude in se una forte valenza di sacralità, lascio fuori demoni e brutti pensieri. Mi guardo allo specchio. Saluto la mia immagine come ad augurarle un buon viaggio. Entro nella doccia e sprofondo nel getto caldo e avvolgente. Un’onda di estrema sensualità si insinua in me. Accarezzo il mio corpo con le mani godendo dell’improvvisa consapevolezza della mia fisicità. Poi di colpo sono travolto da una folgorante illuminazione. E’ come un click nella mente, e capisco tutto ciò che è. Non c’è un oggetto specifico da comprendere né qualcosa che occupa la mia attenzione. Ma è una sensazione 137

globale di comprensione onnisciente. Meravigliosa e terrificante. Soprattutto perché mi sembra di averla già avuta altre volte questa sensazione così forte e dirompente, è qualcosa di già vissuto, seppure in luoghi e tempi diversi. La mia mente poi ritorna al suo regime comune, senza mantenere la sensazione di questa improvvisa apertura di coscienza. Sono un po’ confuso, e continuo a lavarmi. Mentre l’acqua calda scorre su di me e all’apparenza tutto è tornato normale, sento con la lingua che i miei denti anteriori sembrano come sbriciolarsi e rientrare in dentro. Una scossa adrenalinica mi scuote e il terrore avvampa in tutto il mio corpo. Inorridisco all’idea di cosa mi stia accadendo, e al mio tentativo di indagare nuovamente sento che tutto è tornato come prima. E’ solo suggestione mi dico. Un’impressione momentanea. Mi sento leggermente più tranquillo, e con timore torno a lavarmi. Esito un po’, poi torno a saggiare con la lingua la consistenza dei miei denti. Di nuovo la stessa sensazione… i denti rientrano e uno di questi mi rimane in bocca. E’ allucinante. Sento come una pietruzza liscia nella bocca. Istintivamente la sputo, e vedo uscire dalla mia bocca una piccola sagoma nera che finisce sul pavimento della doccia. Sono pietrificato, mi chino ad osservare questo oggetto e vedo una piccola virgola nera, lucida. Sarà stata grande un centimetro. Sempre istintivamente la tocco. Da questo momento descrivere ciò che ho provato può essere improduttivo ai fini dell’oggettività. Mentre fino alla sensazione fisica dei denti tutto sembrava realissimo, dal momento in cui ho toccato la virgola sconfiniamo nel mondo del fantastico. E’ stato un flash istantaneo. Al tocco della virgola, questa stessa virgola è diventata una porta 138

dimensionale (ha senso descriverla così?), si è allargata nel campo della mia vista fino a inglobarlo tutto. L’immagine concentrica della virgola si ripeteva all’infinito dentro di essa, e il suo bordo era frastagliato con dei disegni frattali luminosi sullo sfondo nero. All’ingrandirsi della virgola, questo tunnel di virgole era un invito ad entrarvi. Ma se sono qui per raccontarlo vuol dire che non ho avuto il coraggio di prendere quella via. O forse solo una parte di me l’ha presa, l’altra è rimasta qui per testimoniarlo. Anche se la sensazione che ho è un’altra. E’ come se io avessi imboccato quella strada fino a percorrerla ovunque essa abbia portato, e poi essendomi impaurito del potere che questa conoscenza mi procurava, ho deciso volontariamente di tornare indietro dimenticando tutto. Come se il flusso dimensionale si svolgesse al contrario fino a ricostituire la mia realtà ordinaria. Nel ripercorrere a ritroso questo passaggio io decidevo deliberatamente quali erano le cose che volevo ricordare e quali no. Credo che quello che ho voluto ricordare è stata solo la conoscenza dell’esistenza di questo tipo di esperienza e non le possibilità conoscitive del varcare quella porta. Queste avrebbero forse alterato troppo la mia visione del mondo per permettermi di tornare alla vita ordinaria. E’ stata quindi la paura a imporre il mio limite conoscitivo. Non scelte imposte da altri. Da qui ho realizzato che quello che siamo lo siamo consapevolmente perché lo abbiamo scelto. Il problema è che non ci ricordiamo di averlo fatto e il nostro presente ci sembra una conseguenza di casualità o scelte altrui. Perdiamo la connessione con la nostra parte superiore che invece decide tutto quanto il nostro cammino. In un attimo il mondo mi si era ricomposto sotto i piedi. Ero di nuovo nella doccia e di virgole nessuna 139

traccia. Ne esco sconvolto, abbandonando l’idea di farmi la mia sessione di vasca, visto che per quel momento avevo già viaggiato oltre i confini consueti. Avevo bisogno di contatto fisico con la realtà e di calore umano. C’era la mia compagna in salone, sul divano, che mi vede uscire delirante e completamente in stato confusionale. Mi rendo conto che questi spettacoli non giovano alla vita di coppia. Sul divano avviene una conversazione surreale. Mi sembra che i discorsi si ripetano circolarmente, la realtà si muove a scatti con pause di vuoto in cui la coscienza sembra non esistere. Frammenti che mi rendono completamente incapace di articolare discorsi che possano essere compresi da chi non ha vissuto quell’esperienza. Mi lascia, e rimango solo a cercare di mettere ordine e recuperare il normale flusso delle cose. Dopo poco tempo mi sento già meglio. Per quanto continuo ad avere processi mentali accelerati, comprendo meglio le dinamiche della realtà.

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Riflessioni sulla morte e le esperienze psichedeliche (indotte dall’ultima esperienza) Le morti sono porte. Danno accesso ad altre dimensioni. Puoi morire in mille modi. Sei tu a decidere, consapevolmente o no, ogni volta qual'è il modo in cui potresti morire, combinando elementi diversi nella vita ordinaria. Stai continuamente sperimentando l'interrelazioni di cose fra loro. Qualcuna di queste da accesso alla morte. Esempio, strada bagnata e moto in velocità. Oppure pallottola che attraversa il tuo corpo. Malattia inscritta nella tua anima. O sostanza vasodilatatrice e bagno caldo. OK forse con questa solo un collasso. Ma mentre sperimentiamo l'unione di alcuni degli infiniti elementi che producono in un corpo l’effetto della morte, noi siamo perfettamente coscienti di quello che sta accadendo. Il tempo sembra rallentare mentre le funzioni vitali che rendono vivo il nostro organismo sembrano venire meno. Ci si rende conto che qualcosa nella struttura in cui percepiamo l'esistenza sta cambiando. E' un processo che mentre si attua è come se ricalcasse una serie di schemi che già conosciamo. Gli eventi sono nuovi, ma il modo in cui li organizziamo in una serie sembra esserci già noto. In quel momento indubbiamente c'è una forte componente di confusione e quindi paura. Perché di 141

fatto vediamo cambiare davanti ai nostri occhi la struttura delle cose come le conoscevamo prima. Vediamo accadere cose che ci hanno detto essere impossibili, o cose che mai abbiamo immaginato potessero accadere di fronte a noi. Questo crea immediatamente una associazione di idee rapida e mozzafiato. Se vediamo qualcosa che sappiamo, o crediamo di sapere non essere possibile, esiste solo una possibilità per noi. Che siamo morti. Solo se siamo morti possiamo immaginare che all'improvviso ti si apra davanti agli occhi un vortice dimensionale che ti attira al suo interno. Perché altrimenti nella lucida realtà quotidiana, nulla di ciò può accadere. Non esistono vortici dimensionali. In quel momento allora scatta un meccanismo inconscio e formidabile: la paura. Il pensare anche lontanamente che noi siamo morti, vuol dire che abbiamo finito con quello che consideriamo realtà ordinaria. Le persone care che amiamo appartengono ad un altra storia. Con loro abbiamo chiuso. Questo è il concetto che associamo all'idea di morte. Ma non solo. L’idea stessa che dobbiamo lasciare uno stato di cose che conosciamo, per affrontare qualcosa di totalmente ignoto, è talmente raccapricciante, che a priori ci precludiamo la possibilità di sbirciare cosa c’è oltre. Perché diamo per scontato che una volta varcata quella porta, non si possa tornare indietro. Molto di ciò che sbagliamo nella vita si basa su ciò che noi diamo per scontato. Più cose diamo per scontato, più restiamo delusi e meravigliati quando la realtà non si uniforma al modello che noi abbiamo adottato. E questo nella maggior parte dei casi ci fa paura, perché ci rendiamo improvvisamente conto che non abbiamo il minimo controllo sulla realtà. Per questo ci trinceriamo dietro visioni della realtà il più 142

possibile fredde e ciniche. Sono le uniche che non possono farci male, nel loro cadere. Al contrario, attraverso l’uso di certe sostanze che inducono alterazione della nostra percezione, è possibile arrivare a sperimentare alcune delle cose che nella realtà ordinaria riteniamo impossibili. Questo ci spaventa di meno, perché sappiamo che l’interazione di queste sostanze con il nostro organismo può dare certi effetti. Ne abbiamo una conoscenza che ci tramandiamo di generazione in generazione per non lasciarci prendere dal panico nei momenti in cui varchiamo queste porte. Ma ogni volta che decidiamo di fare uso di una sostanza psicoattiva, qualunque essa sia, stiamo aprendo una delle porte della morte. La morte della visione dell’universo che avevamo prima di assumere quella sostanza. Ogni sostanza ha le sue leggi, i suoi metodi di somministrazione, la sua durata in termini temporali ordinari. Ma una delle prime cose su cui sembrano agire le varie sostanze è la percezione del tempo. Per cui ha realmente poco senso parlare del “quanto” dura un’esperienza. Comunque vada, per chi la vive dura sempre un’eternità. Ora supponiamo di assumere una sostanza di cui conosciamo già gli effetti, perché più volte sperimentata. Se durante questa esperienza, veniamo a contatto con qualcosa di straordinariamente diverso dalla nostra esperienza acquisita, il confronto fra ciò che sappiamo di quella sostanza e quello che stiamo sperimentando in quel momento può dar luogo al panico. In quel momento stiamo varcando una zona di confine. Una porta. Una morte. Uno dei primi pensieri che ci viene in mente è che qualcosa sia andato storto. Che abbiamo trascurato 143

qualche elemento dell’esperienza e che il nostro sistema nervoso centrale stia andando in pezzi per qualche interazione chimico fisica al suo interno. La paura è la prima reazione che emerge da questo stato. Straordinariamente la paura induce nel nostro sistema nervoso la secrezione di adrenalina. Questa sembra dare una scossa incredibile al nostro organismo, e lo fa emergere da quella situazione di panico come da un brutto sogno. Si è improvvisamente lucidi, consapevoli, e quasi increduli di quanto solo un attimo prima stava accadendo. Siamo disorientati e quasi incapaci di capire cos’è che ci aveva spaventati in quel momento. Ne siamo fuori, e alla fine ne siamo contenti, deve essere stata suggestione. E se così non fosse? E se invece di avere quella profonda paura, avessimo esitato un attimo, avessimo guardato meglio? In quel momento saremmo morti. Ci saremmo abbandonati, ci saremmo lasciati andare. Avremmo varcato una porta, senza sapere dove ci avrebbe portato. Il problema nell’accettare la morte è che non accettiamo di imboccare una strada senza sapere prima dove questa ci porterà. Ma qualche volta non possiamo farne a meno. Qualche volta l’adrenalina non viene in nostro soccorso a tirarci fuori dai guai. O magari ci siamo davvero schiantati contro un albero a 120 all’ora. Scenari diversi si aprono. Veniamo catapultati in un turbine di sensazioni sconcertanti. E’ come raggiungere l’illuminazione, la comprensione totale della realtà delle cose. E questo è talmente grandioso e sconcertante, che immediatamente vogliamo tornare indietro da dove 144

siamo venuti. E’ in quel momento che iniziamo a richiudere le diverse porte che abbiamo aperto. Ripercorrendo il cammino all’indietro fin dove è possibile sapere di essere sani e salvi. Se veramente vogliamo tornare indietro. Perché dall’altra parte è possibile che si scoprano cose che ci sorprendono a tal punto che non vogliamo più dimenticarle. Per questo si muore. Decidiamo di restare di là. Il nostro corpo ci sembra meno interessante, la realtà che abbiamo abbandonato è meno fantasmagorica di quella che abbiamo appena incontrato. Chi vuole tornare indietro per pagare debiti, ritrovare la propria asfissiante famiglia, ritornare in ufficio a fare qualcosa di disumanizzante? Oppure semplicemente, per quanto sappiamo che la nostra vita è fantastica, di là troviamo qualcosa di veramente ineguagliabile, per cui qualunque vita umana non sembra così necessaria. Siamo morti. Ma questo non ci interessa più. Abbiamo altre dimensioni a cui badare. Altre volte invece si esita. Ci sono cose troppo forti che ci legano da quest’altra parte. O meglio, quello che vediamo di là ci rendiamo conto di conoscerlo già, mentre qui sulla terra ancora ci sono cose che dobbiamo capire. Allora decidiamo di tornare indietro davvero. Ma non possiamo farlo sapendo tutto quello che abbiamo appreso. Non possiamo perché ci sarebbe impossibile continuare a vivere come prima. Allora dobbiamo dimenticare progressivamente fino a che ci serva farlo. Qualche cosa magari la lasciamo, soprattutto qualche sensazione inesprimibile. Queste ci aiutano a vivere meglio dopo, perché ci danno la consapevolezza di un qualcosa ancora da esplorare. Ma il più va 145

nell’oblio. Non ci serve ora. E’ un patrimonio troppo pesante e scomodo da gestire. E mentre dimentichiamo, ci sembra giusto che sia così. Sono cose che sappiamo dall’inizio dei tempi, a cosa serve saperle in una comune vita umana? Abbandoniamo con soddisfazione la nostra onniscienza per scendere al livello mortale. Per tornare indietro al punto in cui avevamo più domande che risposte. E’ un ciclo inevitabile a cui non vogliamo sottrarci. Forse perché ci diverte così. Viviamo in costante oscillazione fra onniscienza e completa dimenticanza. La morte non è altro che il passaggio da uno stato ad un altro. E’ un passaggio che allarga o restringe la nostra consapevolezza. Anche quando la coscienza universale si incarna in una piccola porzione della coscienza umana, muore. E’ una morte inversa. La nostra nascita di piccoli esseri umani ed indifesi, è la morte di un frammento di coscienza che viene allontanato dal tutto per scendere negli infimi strati della materia. Costantemente un ciclo.

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Seconda esperienza con Ketamina 15 maggio 2004 Le parole. Tornare ad usare parole per esprimere qualcosa che le parole non potrebbero mai fare. Il linguaggio è un codice, una codifica che usiamo noi umani, quindi esseri relegati al nostro consueto piano dimensionale (quello in cui è possibile leggere queste righe), per descrivere cose che accadono in questo piano dimensionale. Generalmente descriviamo oggetti, eventi, situazioni che accadono/esistono sul piano concreto. Come posso questa volta usare queste stesse parole per esprimere ciò che accade in un piano dimensionale diverso, vissuto da una creatura non più confinata nel suo corpo, non più schiava delle leggi ordinarie? Non ho le parole per farlo, e neanche un bagaglio emotivo a cui fare riferimento. Emozioni e sensazioni umane vengono smaterializzate quando varchiamo le porte del sogno. Ecco… l’unica traccia che resta è come quella di aver sognato. Cercare di essere obiettivi non ha senso, né cercare una sequenza cronologica di eventi. Ricordo una partenza ed un atterraggio. Ricordo la realtà che conoscevo prima, e posso confrontarla con quella che ho ritrovato al rientro. Sono indistinguibili. Nulla esteriormente è cambiato. Ma in quel lasso di tempo cosa è successo? E’ questa la domanda che mi pongo ogni volta che devo descrivere un viaggio. Dove sono stato? Il dove già presuppone un luogo. Un posto che è altro da quello di cui si parla. Ma un luogo è per definizione un posto fisico, un posto che ha dei confini che lo delimitano rispetto a qualcos’altro che 147

è fuori. “Dove sono stato” allora non è la domanda giusta. Ricordo che non c’erano confini o limiti. Non c’era un dentro e un fuori. Quanto sono stato via? Il tempo potrebbe darci delle risposte se questo avesse un significato. Ma il tempo è legato allo spazio, e là dove non c’è uno spazio fisico in cui essere, non c’è alcun tempo che scorre. E’ il tempo dell’Eternità, il tempo in cui tutto è simultaneo ma non sovrapposto. In termini terrestri è stato circa un’ora e mezza. Questo è il tempo che mi è occorso per riprendere possesso del corpo fisico, muoverlo, ritrovare punti di riferimento. Ma quando ero via, il tempo poteva essere stato quello della creazione del mondo. Come sono stato? Potrei cercare di capire se sono stato bene o male, se queste due categorie opposte avessero un senso quando si parla di ciò che può avvenire in un posto in cui bene e male non esistono. Bene e male esistono qui sulla Terra. Altrove c’è solo movimento, trasformazione, essere e amore. Sono stato. Questo si. Ero assolutamente certo che ero. Non sapevo cosa, ma ero. Pura presenza, o pura coscienza di sé. Chissà perché queste parole mi risuonano di divino. Se sono stato pura coscienza, allora vuol dire che sono stato Dio? Oppure sono semplicemente arrivato all’origine di me stesso. Un me stesso che è divino in quanto creatore del mio mondo, ma non creatore di tutti i mondi possibili. La differenza certe volte è sottile. Viaggiatori instabili potrebbero facilmente cadere in deliri di onnipotenza. Ma in quello stato non ci si cura più dei piccoli giochi di potere. Si è oltre. Amplificazione della coscienza vuol dire concepire ciò che è inconcepibile. E’ un’esperienza incomunicabile sul piano terrestre. Quando torniamo siamo telescopi che si muovono intorno ad 148

amplificare piccoli segmenti di cielo. Ma quando siamo là, non siamo più chiusi da una lente. Siamo oltre di essa, oltre noi stessi e i nostri limiti biologici e culturali. C’è una matrice insondabile in cui ci si può muovere. Iniziamo ad intuire i meccanismi dell’essere. In qualche modo sono percezioni familiari. Perlomeno così mi appaiono adesso. E’ un qualcosa che conosciamo bene, forse perché è il posto in cui si originano le nostre coscienze. E’ come tornare a ricordare le cose così come erano prima che decidessimo di dimenticarle. Qualche volta le scordiamo volutamente, altre volte siamo solo distratti dal troppo che c’è. Insomma, ero immerso in un oceano. Acqua nell’acqua. Il mio corpo c’era, da qualche parte forse a galleggiare sulla superficie. Come un legno secco che ondeggia tra i flutti. Ma io ero nel profondo delle acque. Non c’erano limiti a dividermi dal resto. Ero forse tutta l’acqua, o solo una parte, che importa? Ero. Non c’erano visioni, luci, forme riconoscibili. Nulla di riportabile all’umana realtà. Se ci pensiamo bene, la luce ha senso solo per noi che abbiamo occhi per vedere. Ma Dio che occhi non ha… cosa vede? Parlare di sensazioni ha poco senso perché derivano dai sensi e dov’ero non ne avevo. Sembra un futile gioco di parole ma è la verità. Come si può definire ciò che avveniva in me? In me però indica che ci fosse anche un fuori. Mentre io ero fuso con quello che vivevo. Ero una serie di stati dell’essere. Ritorno alla sorgente originaria (sentire di avere inglobato le proprie frammentazioni fino diventare il contenitore di ciò che si era). Fluttuazione di realtà (percezione contemporanea dell’esistenza di se stessi in molteplici modi differenti). 149

Riconoscimento di Sé nel tutto (non esiste nulla all’infuori di se stessi). Esplorazione dell’autorealtà (il movimento della coscienza avviene all’interno di un’illusione artificiale autocreata per esplorare la propria diversità). Riunificazione degli opposti (amare l’altro perché parte di Sé e non diverso). Misti a questi stati emergevano i fattori umani. Diciamo che è come se esistessero degli stati universali, trascendenti, che sono al di fuori del linguaggio, della cultura, del pensiero. Potrebbero essere le famose idee platoniche. Poi emergevano invece delle tensioni puramente umane. L’appartenenza alla propria specie, e la descrizione che questa specie dà della realtà di sua appartenenza. E’ come se io stessi confrontando dall’esterno la Verità suprema, con il grado di verità a cui stiamo lavorando sulla Terra. Beh, ci vuole ancora un bel po’. Però non siamo così idioti in fondo. Il problema è che ci sfugge una questione fondamentale: come si può non amare qualcosa. E’ stato lampante. Se l’Assoluto è il Tutto di cui noi facciamo parte, l’illusione suprema, e noi come parte dell’illusione siamo illusioni a nostra volta, come possiamo noi stupide illusioni, illuderci di non amare qualunque altra cosa? Non c’è meno Dio in una cacca che nel viso della persona amata. Eppure ci illudiamo di sì. Creiamo le forme che separano. Siamo vittime di un tremendo maleficio di cui siamo gli autori. Non è terribile? Ci stiamo sopraffacendo, mutilando, torturando. E tutto ciò che facciamo lo facciamo a noi stessi. Ci stiamo autoflagellando pensando che il male che riceve un altro non possa ricadere su di noi. 150

E’ questa la legge del Karma, nella sua crudele semplicità. E intanto andavo a ricomporre la mia personalità umana. Tornavano dei pezzi del mio modo di essere, rievocavo pensieri privi di senso (per l’Assoluto) ma assolutamente ordinari per noi umani. Nel fare questo li confrontavo con una nuova presa di coscienza. E’ stato come mettere l’Anima in candeggina. Rinascere. Solo che come tutte le cose è un processo. Sentivo che stavo planando ad occhi chiusi verso il mio corpo, riacquistandone tutti i limiti e la sua materialità. Avrei voluto fermarmi prima. C’è stato un momento del mio ritorno che era un posto in cui l’Umanità era illuminata. Si viveva tutti con la consapevolezza che ogni dolore causato all’altro era un dolore per noi stessi. Un mondo perfetto. Avrei voluto fermarmi lì, e risvegliarmi da questo sogno dicendo di aver sognato un posto orribile dove ancora esisteva la guerra. Invece mi sono risvegliato qui, e posso dire di aver sognato un mondo splendido dove c’era solo l’Amore. Forse è il posto dove un giorno potremo arrivare se solo sapessimo che esiste. Ve lo dico io, esiste. Vi va di andarci insieme? Fiducioso che le generazioni di domani avranno meno pregiudizi verso esplorazioni della coscienza come queste, spero che io possa aver dato un contributo affinché l’esplorazione e la ricerca dell’Uomo su se stesso abbia un senso. Dati tecnici dell’esperienza: 100 mg di Ketamina insufflata nel naso. Durata dell’esperienza: 1h e 1/2 . La sostanza sembra una delle migliori, il viaggio è 151

intenso, significativo, positivo e con un ritorno molto sopportabile se non ci sono pressioni esterne. E’ difficile che possa andar storto perché essendo un anestetico non si ha la capacità motoria e non si mettono in moto meccanismi di panico. Consigli per il viaggio: una musica celestiale e un posto comodo dove dimenticarsi di avere un corpo. Non occorre davvero nient’altro. Non lo si potrebbe usare. Evitare in ogni caso posti affollati, o situazioni scomode o precarie. Io avevo a portata di mano un foglio per necessità improvvise. Quando sono tornato c’era scritto con calligrafia poco leggibile: “Siamo onde d’eternità!” e “Perché si dovrebbe non amare qualcosa????”.

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Terza esperienza con Ketamina nella vasca di deprivazione sensoriale 7 agosto 2004 Ho assunto circa 70 mg di Ketamina insufflata nel naso prima di entrare nella vasca di deprivazione sensoriale, luogo indicato dalla letteratura psiconautica come ideale per consumare un’esperienza ketaminica. Dopo pochi istanti già mi sentivo fluttuare nel pieno dell’esperienza. Di tutti i tipi di esperienza enteogenica, psichedelica o di alterazione, quella ketaminica mi sembra la più difficile da descrivere. Probabilmente a causa delle moltissime immagini mentali che si susseguono l’una dentro l’altra senza aver modo di poterle associare a qualcosa di visivo o realistico che possa aiutarci a ricostruire il nostro percorso. Ricordare diventa difficile, recuperare i frammenti del vissuto è come pescare nella nebbia oggetti impalpabili. Quello che cambia all’inizio è proprio il costrutto della nostra mente. La base dalla quale formuliamo i nostri pensieri. C’è una dilatazione di significati e di capacità percettiva della stessa fonte dei nostri pensieri. Come se la scatola ideale che contiene la mente si ingrandisse per poter contenere ciò che prima era più compresso, in uno spazio più ampio. Nel buio della vasca lo spazio nero intorno a me assumeva di volta in volta consistenze diverse e intensità variabili in accordo con quelli che erano i miei pensieri correnti. La situazione confinata della vasca è molto propizia per poter amplificare la perdita di confini che già si associa all’esperienza ketaminica. Generalmente la percezione dei propri limiti corporei diventa particolarmente inconsistente. Sembra quasi che il 153

corpo diventi solo un involucro che tocca altre superfici e quello che trasmette come sensazione è la particolare consistenza rigida di questo involucro. In vasca, non avendo superfici rigide di contatto con il corpo, i limiti vengono completamente trascesi. Si diventa una unica sostanza pensante, illimitata e omnicomprensiva. L’attività cosciente è presente continuamente, però cambiano moltissimo il tipo di pensieri che scorrono davanti a questa macchina filtrante. Era come se i pensieri costituiti di parole si traducessero anche in atmosfere visive. Il fondo nero dello schermo si animava creando giochi di ombre su ombre, movimenti liquidi che si espandono e contraggono, movendosi in questo spazio fatto di nulla. E intanto la mia mente osserva se stessa su diversi livelli. E’ come salire ad un livello superiore da cui si capisce l’origine dei pensieri. Alcuni si etichettano come umani, contestualizzati all’esperienza umana, altri sono di tipo più assoluto, cioè potrebbero appartenere ad una mente universale. Si riesce a percepire la differenza fra il tipo di credenze dovute all’esperienza accumulata sulla Terra, e si confrontano con un tipo di pensieri appartenenti ad una verità superiore. Comunque più ne scrivo, più mi sembra di star perdendo completamente il senso dell’esperienza. E’ irraccontabile. Diventi tutto ciò che è. Diventi l’essere. Il nulla oltre il nulla, che eppure, è. La vastità dell’immenso eterno. L’immutabilità di ciò che è completa trasformazione.

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FRAMMENTI DI VIAGGI

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Frammenti di viaggi Nelle successive pagine sono raccolti disegni e scritti buttati giù durante una decina di esperienze di alterazione degli stati di coscienza. A tratti emergono pensieri e illuminazioni interessanti, a tratti il senso è completamente oscuro e si perde in tutto ciò che non vi è scritto. A volte le parole possono creare poesie, a volte è solo un delirio di frasi sconnesse e senza senso. A volte c’è un intento di creare suggestioni artistiche, altre volte semplicemente di registrare i moti del pensiero. Spesso il pensiero si fa contorto, distorto, celebra solo se stesso. Altre volte si libra leggero e colora stati d’animo estatici. Costantemente c’è la tensione ad esprimere qualche verità cosmica che viene colta in quei barlumi in cui la coscienza si fonde con una mente universale. Purtroppo i limiti del linguaggio umano e della comunicazione emergono in queste pagine in tutta la loro schiacciante durezza. Queste pagine non sono mai state concepite per essere condivise con altre persone, ma solo come memoria e ricerca personale. Ma a distanza di tempo in esse scorgo delle potenzialità espressive e delle suggestioni che possono trovare riscontro in altre menti.

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Siamo tutti agglomerati cosmici di coscienze persi nella rete delle cose miliardi di galassie tutti legati con fili tutto quanti solo Uno Uno solo e tutti lo stesso tempo da sempre e per sempre cambiano gli schemi ma è tutto sempre così non c’è poetica frasi libere nient’altro quando altro è l’infinito che è dentro ognuno di noi e miliardi di altri ancora sempre sempre sempre tantissime infinite porte da aprire troppe possibilità la via è una – tutte sono le vie giuste ognuno nel suo inferno e tutti nel loro paradiso e girare per sempre su questo foglio e rendersi conto che il foglio è lo stesso e la penna sta pure finendo di scrivere o resisterà fino all’ultima verità???

D(IO) 159

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Questo è uno schema non caderci! OPS! ci sei già cascato! Ogni foglio merita uno scarabocchio tutti i fogli sono bianchi ma qualcuno NO tutte le pagine già scritte

Girare girare ma PERCHE’? ed è sempre stato così e lo sarà per sempre ma allora

PERCHE’ ?????? ??? Questa volta il viaggio è stato troppo

FORTE 162

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TUTTO QUELLO CHE POSSO RIPRODURRE SU QUESTO FOGLIO E’ L’UNICA REALTA’ IN CUI POSSO VIVERE QUELLO DI CUI TU NUTRI IL TUO CERVELLO RAPPRESENTA IL MODO IN CUI TU VIVI IL MODO IN CUI VIVI NUTRE IL TUO CERVELLO DI COSE PIU’ O MENO REALI LA CHIMICA DEL MIO CERVELLO RIPRODURRE INFINITI UNIVERSI POSSIBILI

PUO’

SONO IO ATTRATTO DALLE COSE O LE COSE CHE SONO ATTRATTE DA ME?

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Ognuno di noi vive

certe volte il filo si perde

esiste un valore estetico intrinseco alle cose? O la bellezza è solo dove si vuole che sia?

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La differenza fra le persone è che

alcuni vivono come pensano di credere altri vivono come credono di pensare

ma IO come vivo?

? 168

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L’universo è una rete di coscienza L’universo esiste perché noi lo pensiamo oppure è l’universo che pensa noi? Le cose in cui si crede NON ESISTONO siamo solo noi che ci crediamo Siamo noi che ci circondiamo di cose e persone che ci fanno credere le stesse cose in cui credono loro. Ognuno per avere una conferma di sé, ognuno perché in fondo ha paura di morire E’ la paura della morte che ci insegna a vivere o la paura della vita che ci prepara a morire? C’è poi reale differenza tra il vivere e il morire? E’ solo che noi non ce ne rendiamo conto. Per fare uso di sostanze che alterano la mente bisogna essere molto forti, oppure estremamente deboli. Perché in certi momenti non ne capisci la differenza. Non sai proprio chi sei e perché fai quello che fai. E allora cerchi una spiegazione. E crei uno schema. In cui però poi alla fine ci credi, e non sai se lo schema l’hai creato tu o se è sempre esistito prima di te. Ma questa è solo un’idea

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Una persona mi ha detto che tutto quello che posso provare devo scriverlo su questo foglio. Il problema è che non ci entra. So che sta a me farcelo entrare, è solo questione di scelta consapevole. Il processo dell’arte… parole grosse. Raffinare il pensiero capire DENTRO LE COSE Disciplina

Volevo dire a quella persona che le cose in cui crede sono il mondo che lo imprigiona

Si è sempre contemporaneamente prigionieri e liberi della propria realtà

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La realtà (=DIO) cerca di esprimersi attraverso di noi. Noi invece stiamo cercando lui! Sia noi che Dio stiamo cercandoci ma non riusciamo ad incontrarci mai

CICLO

FORSE UN GIORNO SI’! giorno=morte? morte fisica del corpo che libera la mente o mente che si rende schiava del corpo? Corpo, mente, alla fine

è sempre un fatto di scelta o questione di punti di vista

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le cose che ci piacciono sono quelle che sembrano darci un senso. Perché probabilmente le cose non ce l’hanno. Il senso intendo. sembrare non è essere ci piacciono perché ci danno un senso o hanno un senso per cui ci piacciono? senso e piacere che rapporto hanno? Non si può mai percorrere una strada percorsa da altri. Ma non ci sono mai altre strade. Ed è sempre l’unica la sola che sembra esistere

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La realtà è una droga che annebbia i sensi. Ognuno sceglie la propria droga. Qualcuna è chimica (e funziona!) Altre sono consensuali. IL CALCIO, LA TV, IL SESSO L’AMORE è la più grande. Sei tu che dai il senso che vuoi alle cose. Solo che delle volte non lo sai. C’è bisogno di uno schema per comprendere la realtà. Ma poi non bisogna pensare che sia lo schema ad essere la realtà. Altrimenti siamo caduti in un’altra trappola. Noi cerchiamo sempre di trovare giustificazione per le cose che facciamo. Una giustificazione più ampia di noi perché noi non ci bastiamo mai. Perché Dio non basta a se stesso. Dio ha bisogno di SE’

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Ogni foglio di per sé è una prigione. Come la vita stessa. Solo che c’è chi lo sa e chi no. Chi va fuori dalla pagina e chi rimane chiuso dentro allo schema. Chi ha bisogno di assumere droghe per capire il mondo e chi pensa di capirlo senza averne bisogno. La droga più grande è il cervello. Nel tuo cervello ci sono le sostanze più potenti che si possano immaginare. Ognuno cerca da sempre il modo migliore per liberarle. Chi si rifugia nell’arte. Chi nella scienza. Chi nella teologia. Chi nell’amore. Chi nella famiglia. Chi nel lavoro. Chi nella comoda calda realtà di tutti i giorni. E tu dove vuoi rifugiarti oggi? In quale valore ti identifichi di più? E ti ci identifichi perché ti ci fanno identificare o è tutta farina del tuo sacco? Esiste una farina del proprio sacco? O tutte le farine sono sempre contaminate dai sacchi degli altri?

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La logica disarmante ha un potere enorme.

Ma rimane solo logica disarmante. Poi c’è altro… c’è la Verità…

c’è la Ricerca…

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Lanciarsi da 10.000 metri nel vuoto di te stesso. E’ meglio avere un paracadute, o fa più fico senza? Bisogna sempre cercare di spingersi oltre i propri confini e rischiare oppure si può semplicemente camminare sul filo del rasoio? Sulla linea limite tra coscienza e realtà, sogno e immaginazione. Ognuno di noi cerca nella vita, è inutile negarlo. Solo che alcuni si accontentano della prima cosa che trovano. Altri invece vanno avanti per accontentarsi della seconda. Altri arrivano pure alla terza. Altri alla quarta. Altri alla quinta. Alla sesta, alla settima… ALTRI NON SI FERMANO MAI Continuano a cercare. Quindi alla fine quelle che ne esce fuori è che l’unica cosa che conta è la ricerca. Ma è una strada che non porta da nessuna parte se non a se stessa. Ma ti mantiene vivo. O ti fa credere di esserlo. Ti da un senso di appartenenza a qualcosa di più grande, a qualcosa di eterno. E questa diventa la tua droga. La ricerca. L’uomo è sempre prigioniero di se stesso. 178

Se vuoi fermare il tempo puoi levare la pila all’orologio. L’arte è il tentativo cosciente dell’uomo per esprimere l’inesprimibile. Ci sono infinite tecniche per farlo. E si possono passare intere vite a studiarle. Ma un conto è studiare le tecniche, un altro conto è farlo. E facendolo inevitabilmente troverai la tua tecnica. Il tuo modo. E verrà un giorno in cui qualcuno altro tenterà di studiare te e la tua tecnica. E inevitabilmente avrà racchiuso te in uno schema, credendo di averti compreso. Ma in te ci sono molte più cose di quante quella persona non possa arrivare a comprendere. Perché c’è molto di più di te in quello che la penna non scrive, ma nessuno crederà mai se non alle cose che tu potrai mai scrivere su questo foglio.

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E che differenza c’è tra lo scrivere e il vivere allora? Il vivere è quello che tu ti porti dentro ogni giorno fino a quando non esalerai l’ultimo respiro. Lo scrivere è quello che resterà perché altri lo possano comprendere. E’ ciò che di te è eterno in senso concreto. La tua esperienza si trasforma in parola, verbo. Altre persone ne entrano in contatto e si crea comunicazione. La comunicazione è scambio. E sempre e comunque crescita. Io come particella di umanità lascio una briciola della mia esperienza a quelli che verranno. Affinché qualcuno la raccolga, ne faccia buon uso e viva a sua volta la sua esperienza. E generazione dopo generazione, affinché il mondo diventi goccia a goccia un posto migliore.

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Uno si affanna tanto nella vita per cercare di dargli un senso. Non si può solamente vivere? Credo che alla nascita ho scelto l’opzione sbagliata. Avrei dovuto cliccare su INSENSIBILITA’ ALL’ESISTENZA

ma non l’ho trovato da nessuna parte. Anche

INCAPACITA’ DI SOFFRIRE

sarebbe stato grandioso. Ma cos’è poi la vita senza quel briciolo di sofferenza in più? DOLORE è quando hai qualcosa da dire ma non trovi la penna. O è finito l’inchiostro. O nessuno ti sta ad ascoltare. O non c’è proprio nessuno ad ascoltare. E quando qualcuno alla fine si ferma e ti presta attenzione, improvvisamente ti rendi conto che non sai più cosa dire. O lo sapevi e te lo sei scordato. A proposito, ma dove vanno le cose che uno si dimentica?

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La differenza è fra chi legge DYLAN DOG chi scrive DYLAN DOG, chi vive DYLAN DOG e DYLAN DOG stesso. Anche adesso, tu stesso puoi decidere di essere

DYLAN DOG So che pensi che sia impossibile, ma non lo è. Nulla lo è. So che pensi che sia difficile. Questo si che lo è. E anche molto. Ma non farti mai fermare dall’apparente difficoltà delle cose. né da chi ti dice che le cose sono così difficili. Non credere a chi ti dice che non puoi volare se non hai le ali. Aprile e

VOLA

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Nella penombra, solo una candela accesa. Bach riempie lo spazio. Ed io. Solo. Potessi in un istante trascendere l’esperienza umana, lo farei. Ma ho ancora la testa troppo piena di pensieri. Del perché, del come e del per quanto ancora dovrò perdurare in questo stato di esistenza. E non cadere invece in un altro abisso nero di oblio. O

B

L

I

A

R

E

Ma resterà sempre qualcuno ad osservare? Una nota lunga riempie lo spazio. Così intensa che vorrei non terminasse più. Lo spirito delle volte si solleva. Respira. Ma il corpo è così presente. La sua materia mi spinge verso il basso. Potessi almeno raggiungerne le profondità. Ma la mia consistenza mi impedisce di liquefarmi. Sciogliermi e penetrare nelle crepe dell’esistenza. Venirne assorbito senza averne più coscienza. Mai più.

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Se c’è un inizio, c’è sempre una fine. Ma è solo l’uomo che le distingue. Per l’universo è solo un continuo lento andare. Il peso del mio corpo continua a schiacciarmi. La coesione fra gli atomi è sempre più forte della volontà. Mi tengo forte sul ciglio della realtà. Ma le mie mani non tengono nulla. Mi segretolo ad ogni passo. Silenzioso. Con delle corde sono ancorato al quotidiano. Vorrei tagliarle e volare via. Sempre troppo debole per farlo. Deridermi sarebbe comunque già ridere. Invece mi contorco in attesa del pianto. Ma non verrà mai per liberarmi. non cedo a così facili artifici. Giocare col dolore. Quello fisico fa paura. Forse perché è più reale, o convincente. Ma quello interiore è un’illusione quasi calda in cui annegare. Rinascere. Ho solo bisogno di rinascere.

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L’ETERNITA’ NON HA ETA’ MI RICORDO DELLE COSE QUANDO ACCADONO DIMENTICO FACILMENTE CIO’ CHE NON E’ DUALE DIFETTO DIFFUSO DELLA MIA STIRPE MORTALE TROVO TRACCE DEL PASSATO ORMAI DIMENTICATO PERDO IL SENSO DELL’ISTANTE RIPASSO SPESSO SULLE STESSE IDEE OSSERVO, NO – SON PERSO O SOLO IN UN TEMPO CHE SCORRE DIFFERENTEMENTE DA CUI EMERGO A RILEGGERE COSE DI QUALCUN ALTRO E GIUDICO RIMBALZANDO FRA DIVERSI IO RIENTRO A FLUSSI NEL’INTERIORE COMPLESSITA’ COSI’ BANALE ANCORA TRATTENUTO NELLA TEMPORALITA’ MENTRE LE PAROLE SONO MACCHINE IN CODA SU TANTE PISTE DIVERSE E ASPETTANO SOLO CHE IO LE FACCIA FLUIRE FUORI DALLA MIA IMMAGINAZIONE SE SOLO L’INCHIOSTRO AVESSE VOLONTA’ PROPRIA POTREI RIEMPIRE UN MONDO DI CONTRASTI NEL MIO VORTICE FLUTTUANTE DI ESTESE SENSAZIONI E RAREFATTE CONCENTRAZIONI UN ARRIVO IMPROVVISO (GIADA) SCUOTE E CAMBIA TUTTE LE REGOLE DEL GIOCO ALLORA NON SONO PIU’ DIVERGENZE DEL MIO IO INTERNO MA C’E’ UN ALTRO CON CUI CONFRONTARSI IN COSTANTE OSCILLAZIONE

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La vita è un grande viaggio che voglio compiere con te anima mia scortato dalle tue ali azzurre danzando sul tuo serpente di scaglie d’oro energia che fluisce dentro di me a cavallo di un’onda perfetta seguendo un ritmo di sopore e di veglia nel ciclo degli attimi sospesi rimbalzando dentro i livelli interiori molteplici stanze di pensiero un tuono riscuote lontano percuote le pareti della mia coscienza cresce in una potenza che si dilata affievolendosi una sirena lontana e penetrante si discioglie in una delicata sirena emersa dal mare torna il ritmo rumore e sensazioni di ricordi affioranti di vite che scorrono là fuori mi portano lontano su rombi di tuoni e vetture mi disciolgo in me fluttuo in un vuoto distante realtà anni luce in cerca di mistero e di luce con l’alternanza di questi battere e fluire – sbattere e danzare

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eterno burattino delle cose che penso, che sento, che vivo, che voglio poter raccontare ciò che vivo dentro un gigante buono e una bambina cattiva personaggi e luoghi che ho dimenticato per far posto ai nuovi eterni presenti della mia coscienza cerchi sempre qualcosa che si perde un’eco dentro di te che muore un sentiero non seguito e sai che puoi andare lontano in quell’ineffabile senso di buono e di oscuro che c’è in te un posto dolce e buono non più paura il potere che cresce in te l’espansione dei tuoi multisensi continue distorsioni tutto è fuso in uno freddo-caldo silenzio-battito dimensioni cosmiche esplosioni cerebrali labirinti pluridirezionali seguire tutto è un gioco comprendere è divertirsi scoprire se stesso in ogni anfratto trovare il senso in ogni singolo contatto con altri pezzi di sé

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cambio mille forme ma sono sempre lo stesso bambino giocherellone di sempre racconto delle storie per addormentarmi di sera ma non dormo mai o forse ad intervalli cosmici quelle che chiamate reincarnazioni sono solo le sfaccettature di una sola vita che si diverte a vedersi rimbalzare e prendere la forma di ogni singolo istante gli altri non esistono o ognuno è una creazione a sé d’un tratto capisci che la sola cosa è la comunicazione e l’unica cosa è la forma il tratto, lo stile retorica a tradimento sono maledettamente importanti cellule in comunicazione particelle dello stesso sistema descrizioni complementari tutto è vero nello stesso tempo credi a quello che vuoi quello si avvererà hai un solo obbligo di scelta divertirti – questa è la realtà quando capisci che tutto è lecito purché ci si ricordi di non dimenticare 188

eppure si dimentica perché si ha voglia di tornare a ricordare ricordare cosa? cosa c’è da ricordare infinite strade infiniti giorni io e te anima amante tornare in un ciclo e riscoprirci uomini e donne poli opposti in cerca dell’altro elettricità chimica organismi polari attrazione repulsione provare tutti i diversi opposti una natura sovrumana dentro di noi molte più vaste dimensioni cosmiche per vederci di nuovo uniti verso la LUCE! Ho capito! E’ tutto il battito se non c’è non sei vivo ma subito tornerà a sorprenderti il battito sempre torna ma si manifesta in molteplici modi lo perdo e lo colgo ma lo so, è l’Illuminazione un semplice battito 189

scegli quello che scegli nulla è al caso ma ti fai domande sempre più complesse alzi la posta in gioco per vedere dove arrivano i tuoi superpoteri e allora hai capito che puoi volare ma superi il primo meccanismo di difesa superi il secondo sei molto bravo a stare al gioco supera il terzo il quarto e il quinto è tutto nei numeri è KABBALAH sequenze e frequenze non concettualizzare! Fluisci! Il guru mi parla dentro ora! Mille maestri e tutti a fare il tifo per me a farmi spiccare il salto ed entrare nell’Immortalità Il grande salto i mille destini dei suicidi millenari ma il viaggio non è oltre il salto il viaggio è qui sulla terra che mi richiama mi cerca il suo calore la vita che risplende il battito che torna mescolanze di alchemiche reazioni

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ARRIVA D’IMPATTO COME ONDA PULSAZIONE DI PERCEZIONE TUTTO IL SUONO E’ PIU’ DENSO (seguire il flusso) Già dopo poco perdo il filo

schizzano rapidi i pensieri

un disegno più di mille parole mille voci sguardi

DENTRO DI ME pressione sulla fronte FLUSSI ENERGETICI

E S P A N S I O N E D I S I N T E G R A Z I O N E DELL’IO ALCUNE P R E S E N Z E ACCANTO A ME ORA E’ un ritorno breve alla realtà 191

Mi ristrappo ad una realtà di parole LOGICA SEMANTICA DEL LINGUAGGIO TRAPPOLA GABBIA RETE

DIRAMAZIONI Percorsi portano a ramificazioni Sabbie del deserto egizio Battiti di tamburi lontani ulteriori ramificazioni PASSI DENTRO LA TESTA qualcuno cammina lì dentro di me

una voce ho qui dentro (risponde a programmi preformati) 192

Seguo i battiti Energia animale torna a rapirmi Sprofondo in ritmi Spazi profondi Voragini di luce e suono USCIRE ENTRARE USCIRE ENTRARE USCIRE ENTRARE PERDERE LASCIARE ritmo sempre più incessante di stati di realtà differenti percepisco diversi punti di vista TUTTI NUOVE DEFINIZIONI smarrisco tutti i sensi ERRORE DI INTERPRETAZIONE Cerco di dare un senso alle cose DRAMMATICO Mi divido fra ANALITICO EVENTI ESTERNI MI CATTURANO E rispondo ancora perfettamente Secondo memorie DA DOVE VENGONO? DI CHI SONO? UNO/NESSUNO/CENTOMILA Citazioni e sparpagliamenti letterali 193

incertezza a decifrare sensazioni ritorna spirito analitico raccontare SUONI DISTORTI SPAVENTANO passa a nuova immagine ricordare per associazioni fra elementi cercare di trovare un senso attimo per attimo ad ogni istante battito del [cuore] immagini interne di ISOBEL ricostruire le trame interrotte INIZIO DI DIADI naturale/artificiale

olfatto gusto FUSIONE Aroma Se tutto l’universo avesse un sapore, che sapore avrebbe?

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Ogni sapore (ATTO PERCETTIVO)

in ogni istante (PULSAZIONE PERCETTIVA)

appare (COSCIENZA)

Filtro a rete di elementi

NETWORK VOCI CHE SENTO IN LONTANANZA Mi chiamano indietro in un parco d’Islanda Un camper di turisti

manifestazione subdola di Bjork?

Aria fresca Pura la natura Cielo sereno TORNO: SPAESATO Voci esterne (vere?!) PASSI ANCORA NELLA TESTA (veri!)

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Produco errori Di percezioni/valutazioni Cerco schemi

stesse scelte

ritorno a punti già percorsi

diverse apparenze superare il problema

tenere a mente tutte le strade che si aprono esprimere un concetto e manifestarlo nella sua natura più estrema UN ALTRO ATTO DELL’UNIVERSO IO LA SCELTA DISTRUGGI L’EGO LASCIA LIBERO IL FLUSSO! Immagine di redenzione Ritorno all’esperienza umana C A L O R E Abbraccio caldo voce e amore Viaggio torna umano Torno ad un approccio grafico Ma è la parola che vive in me

ZEN

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LIQUIDO MUCOSO NELLE CAVITA’ NASALI Preme – pressione in diramazione FLASH IMMAGINE ROSSA Seguo le diverse TRACCE AUDIO DIVERSI OGGETTI In profondità Torno a quote normali SIMULAZIONE E DEFINIZIONI Rimbalzo di cattive percezioni Tornare ad aria pura d’Islanda

ARIA FRESCA ORA! NON C’E’ MORTE SENZA RINASCITA LAMPO FULMINEO DI COMPRENSIONE EVOCAZIONE ISLANDA COMPIUTA (miliardi di percorsi)

IL SAPORE DELL’UNIVERSO ZABAIONE E PANNA!

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SE SPARGI AMORE TORNA AMORE ARIA DENTRO DI ME SEGNI DI FUOCO ACQUA SPEGNE TERRA HO SENTITO I CORI DELLA MIA CELTICA DIPARTITA AVVOLTI IN NEBBIE DI CANTI D’ALTRI TEMPI HO SENTITO IL GRIDO DELLA MIA NASCITA DI NUOVO IMMERSO NEL MAGICO LIQUIDO SI HA PAURA DI NASCERE COSI’ COME DI MORIRE HO INSEGUITO LE LEGGI KARMICHE PER INFINITI INCONTRI CON LA TUA ESSENZA SIAMO INTRECCIATI COME DUE ELICHE NUCLEICHE

INTESSUTI COME TRAME DI COSCIENZA SPAZI CJE SO APRONO AL NOSTRO PASSAGGIO IN DIRAMAZIONE OMNIDIREZIONALE CI LANCIAMO MANI D’AIUTO QUANDO L’AMORE CI LEGA STRETTI RIMBALZIAMO FRA STRATI DI OPPOSIZIONI INTRAPPOLATI FRA MONDI DI MEZZO 198

IN CERCA DI LUCE IN CUI TORNARE A RESPIRARE L’ARIA DI QUESTO PIANETA TERRA NELLA NASCITA COME NELLA MORTE LA SOLITUDINE E’ LA NOSTRA UNICA COMPAGNA ETERNI RITORNI E ATTIMI DI ASSENZA SULLO STRATO DI SUPERFICIE MENTRE NEL PROFONDO UN MINESTRONE DI VOCI LA MIA VOCE RIECHEGGIA FUORI DI ME SI PERDE LONTANA IN ALTRE STANZE LABIRINTO SONO I MIEI PENSIERI CHE DIVENTANO LE PAROLE DI QUALCUN ALTRO C’E’ SEMPRE INTORNO QUALCUNO CHE DICE: “E’ COME SE FOSSE SOLO UN SOGNO” OPPURE “TI SEI LASCIATO SUGGESTIONARE” MI CHIEDO SE LA VITA NON SIA CHE UN SOGNO PIENO DI AUTENTICA SUGGESTIONE UN CONTINUO CHIUDERE E APRIRSI DI PORTE GENTE CHE VA, GENTE CHE VIENE IN OGNI STANZA TROVI GRUPPI DI SCONOSCIUTI CHE SEMBRANO RICONOSCERTI OGNI TANTO PER APRIRE UNA PORTA MI SERVE UN CODICE QUALCUNO LO RUBA DAI MIEI RICORDI E PASSA ALLO SCHEMA SUCCESSIVO STABILISCO INCONTRI E AVVENIMENTI POI DIVENTO TESTIMONE DI UNA PREVISTA REALTA’ 199

DIO E’ QUANDO RICORDI OGNI COSA IN OGNI ISTANTE ISTANTE PER ISTANTE DIMENTICANDOCI E RITROVANDOCI IN ATTIMI D’INFINITA LUNGHEZZA

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PAUSA DI RIFLESSIONE DURATA 6 ANNI 2 FIGLI E UN OCEANO DI COSCIENZA IN MEZZO

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UNA NUOVA ONDA Dopo circa 4 anni di esperienze psichedeliche, la vita mi ha portato su dei binari completamente diversi. E’ iniziato il viaggio della famiglia, intenso, ricco di sfide, di nuovi orizzonti. Ma per sua natura anche molto più concreto e meno affine all’esplorazione delle vette metafisiche. Questo mi ha tenuto lontano per molto tempo dal superare certi confini, con l’idea che occorresse sempre mantenere un certo controllo sulla situazione, ma anche per la mancanza reale di tempo da dedicare ad una passione così impegnativa che richiede i suoi giusti momenti di riflessione e integrazione delle esperienze. Nel corso di questa pausa, tante altre esperienze si sono aggiunte che hanno completamente modificato il mio panorama interiore, spingendo la mia ricerca spirituale in direzioni nuove e costantemente rinnovate. Poi sulla mia esistenza è calata “la notte buia dell’Anima”, un momento di profonda e drammatica crisi che ha sconvolto il mio percorso terreno, facendomi affrontare una serie di prove estenuanti e oltremodo difficili. Nell’ambito di questo contesto, ho cercato tante vie per poter uscire da una situazione intricata e insostenibile, e una delle possibilità che mi sono dato per tirarmi fuori da quell’impasse è stata quella di partecipare ad una cerimonia con l’Ayahuasca, una bevanda psicotropa di origine amazzonica, la quale si dice sia in grado di produrre esperienze transpersonali profondamente curative per la psiche umana. L’accesso 203

a questa esperienza ha attivato nuovamente in me l’interesse per l’esplorazione del mondo interiore per mezzo delle sostanze. Ma soprattutto mi ha mostrato come un contesto rituale gestito da uno sciamano, dia all’esperienza in sé un significato completamente diverso. Avere una guida che è in grado di gestire l’esperienza altrui (nel caso dello sciamano lo fa con canti e invocazioni mirate), e di poter aiutare la persona a superare gli ostacoli che si manifestano via via durante il viaggio, è una condizione che modifica completamente le premesse di un’esperienza enteogenica. L’appartenenza ad un gruppo motivato di esploratori, guidati da un sapiente maestro, fornisce un ambiente psicologico molto più sicuro e protetto, non scevro di pericoli, che comunque si annidano nella psiche dell’individuo, ma quantomeno non sprovveduto.

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Prima esperienza con ayahuasca 5-6-2010 Arrivo alle 21.00 in questa casa dell’800 semiabbandonata e danneggiata dal tempo. Luogo designato per celebrare il rituale con la bevanda sacra. Ad accogliermi un piccolo gruppo di esploratori della coscienza, siamo in tutto 7, più la nostra guida, Roger, uno sciamano peruviano di 31 anni che appare come una persona estremamente dolce e amabile. La sua radiosità è epidermica e sembra vivere veramente di una costante armonia con quanto lo circonda. L’età degli esploratori varia dai 22 ai 53 anni, un gruppo veramente eterogeneo ma con una profonda omogeneità d’intenti. Fin da subito si avverte una fratellanza, una comunione. Loro erano già 2 giorni che lavoravano con lo sciamano, con la capanna sudatoria, la limpia con il tabacco e una cerimonia con il San Pedro svolta la mattina. Quindi erano già belli provati. Io mi ci sono inserito da subito in armonia, ma appena entrato nella casa ne ho percepito la pesantezza energetica. Era una casa molto antica con energie molto pesanti all’interno, e diverse presenze non piacevoli la abitavano. Ho provveduto a pulire tutte le stanze ad eccezione di quella dove si sarebbe svolto il rituale che era già stata purificata dallo sciamano. Ero a digiuno dalla sera prima, la fame era notevole e la testa un po’ leggera per via dell’assenza di cibo, ma mi sentivo molto bene e molto preparato ad affrontare l’esperienza. Lo sciamano prepara il suo altare, è una stuoia posata a terra piena di oggetti, candele, foglie di erbe varie. Nella stanza, allineati sui due lati ci sono 7 materassi, 3 a destra dello sciamano e 4 a sinistra. Di fronte allo sciamano c’è un camino che viene 205

acceso per scaldare l’ambiente. Noi ci disponiamo sui materassi e a turno facciamo una breve presentazione con la dichiarazione dell’intento che ci prefiggiamo nell’affrontare l’incontro con l’ayahuasca. Poi lui a turno ci prepara al rituale. Ci versa nelle mani una colonia profumata con cui dobbiamo purificarci il viso e i capelli. Ce la schizza addosso e poi ci agita una penna di uccello intorno e infine con la punta acuminata ci preme forte all’altezza del terzo occhio. Poi sempre a turno ci chiama uno per uno per consegnarci 3 foglie di coca da tenere in bocca. Quindi arriva il momento di prendere la medicina. Sempre a turno ci sediamo davanti a lui e ci porge una piccola coppetta da cui bere l’amaro liquido. Non è terribile come immaginavo, e poi sento di berlo avidamente, con tutta la passione di voler godere della sua essenza. Mi sdraio e nel buio e in silenzio aspetto. Il fuoco era stato calmato per poter assicurare una completa oscurità. Sono minuti lunghi, in cui mi chiedo se funzionerà o meno, perché non sento alcun cambiamento. Neanche l’ingestione del liquido sembra scompormi più di tanto. Sento movimenti addominali ma la nausea è appena percepibile e subito placata col respiro. Poi mi metto a studiare energeticamente quali sono gli effetti che questa sostanza produce sui nostri centri energetici. C’è una chiarissima espansione del chakra coronale, quello della connessione con Dio. Ma anche del chakra cardiaco. Ma soprattutto sento che lavora su due centri specifici: la porta della coscienza e il viaggio della coscienza. Purtroppo mi accorgo subito con sgomento che questi due centri mi erano stati bloccati dal mio karma passato. Allora inizio a lavorarci sopra per sbloccarli, altrimenti ho paura che 206

non riuscirò per niente a godermi dell’esperienza. I minuti passano e infatti non accade davvero nulla. Dopo un’oscurità interminabile, Roger accende di nuovo una candela. Vedo che tutti in realtà sono nel mio stato, cioè senza effetti attivi. Questo mi rincuora, facendomi sperare che la situazione era comune e non solo mia. Ci apprestiamo allora alla seconda bevuta. Stavolta la nausea è leggermente più pronunciata. Ma ancora perfettamente controllabile con il respiro. Sento invece qualcuno che vomita subito, appena la ingerisce. Dopo forse 10 minuti dalla seconda, finalmente sento cominciare l’esperienza. Un piacevole calore inizia a diffondersi nel corpo. Lo sento riscaldarsi e sento come se un liquido si insinuasse dentro i tessuti, vivificandoli. A questa sensazione fisica si associa una grande espansione emotiva: sento una gioia sprigionarsi in me. Un piacere emotivo, una leggera felicità dell’esistere. Mi dico subito: Dio che bello! era una sensazione senza mezze misure, non violenta ma estremamente appagante. Un gran sorriso mi si è stampato in faccia e più volte nel corso dell’esperienza questa sensazione è riemersa. Quindi parto subito con il lavoro che mi prefiggevo di fare. Immediata arriva la comprensione che la mia anima deve perdonarsi per il male fatto nelle altre vite. Era un aspetto su cui avevo già lavorato tanto, ma era come se mi sfuggesse la possibilità di un perdono plenario. Come mi concentro su questo aspetto, immediatamente sento un grande scioglimento. La mia anima ha recepito e finalmente sta cambiando qualcosa. Sento il perdono, inspiro il perdono. Una profonda commozione nasce dal mio profondo, dalle mie viscere. Dico: grazie Dio, grazie per avermi dato questa possibilità di perdonarmi. 207

Allora decido ti trasmettere questa comprensione del perdono anche alle anime di coloro che mi sono accanto nella vita, mia moglie e i miei figli. So che le loro anime hanno molto da perdonarsi e cerco di facilitare questo processo. Stessa cosa per le persone che sto seguendo sul loro cammino spirituale, quelle che so avere problemi simili ai miei. Poi inizio a lavorare un po’ qua e là dove sento che l’attenzione mi viene portata, come suggerita dalla medicina stessa. Sento che l’intensità dell’esperienza varia, a volte si approfondisce, con sensazioni analoghe a quelle provate in altri contesti, ma sempre molto dolci, altre volte diventa più leggera, come un’ebbrezza piacevolissima in cui si avverte soprattutto una connessione maggiore con gli altri, col gruppo stesso. In questo frangente Roger intona i suoi canti di guarigione. Sono invocazioni alla medicina, richieste di comprensione, di guarigione, di luce. Sono ritmate e ipnotiche, propiziatorie. Rendono l’atmosfera così affascinante e intrisa di sacralità. Anche Massi intona i canti, e sento quanto in lui il suo lato sciamanico stia emergendo sempre più forte e deciso. Il suo cammino è ben saldo e sicuro. Poi sento che la seconda ondata sta scemando, mi sento carico, entusiasta. Si parte con il terzo giro. Stavolta appena ingerita, un fiotto di nausea sembra emergere dal profondo ma è solo un momento. Torno al materasso e resto seduto in osservazione. Stavolta si sente di più. Nelle viscere c’è movimento. Mi chiedo se sia la volta di vomitare. Ma intanto respiro, mando energia in quella zona e il peggio sembra passare. Ma intanto dentro mi si scatena un’energia molto potente, un’energia fisica che per gestirla mi induce ad iniziare ad oscillare ritmicamente avanti e indietro, come cavalcando un serpente. Subito mi viene da pensare 208

a Jim Morrison. Sento questo serpente di energia dentro di me e la mia oscillazione sembra aiutarne il flusso. Sarebbe impossibile fermarmi perché ne sono trasportato oltre la mia volontà. E in questo ritmo, inizio ad accodarmi ai canti di Roger e di Massi che si intrecciavano con armonia. Sono canti senza parole, ma ritmici e intonati fra loro. Formano un’unica armonia che si fonde e ci lega. In quel momento sono io lo sciamano. Siamo tutti sciamani. E’ una modalità della mente, non qualcosa che si fa. E’ quando tu sei nel flusso delle cose, e non c’è pensiero che frena o che delimita. Tutto scorre, tutto è naturale. Tutto è al di là di convenzioni o di schemi. Come l’acqua in un torrente. Dopo questo momento di comunione, torno a sdraiarmi. Sento di entrare in una dimensione più intima. Mi metto dentro al sacco a pelo, come chiuso in un bozzolo. L’esperienza si fa più profonda. La coscienza si espande. Ma rimane molto il contatto con il corpo fisico. I vestiti mi iniziano a soffocare. Mi bloccano, mi impastoiano. Liberatene! Una voce mi risuona dentro. In un attimo mi spoglio completamente e mi rinfilo nel sacco. Eccomi fetale, come in una placenta, pronto ad affrontare il viaggio nell’utero della mia coscienza. Che piacere il corpo nudo, caldo. La kundalini si agita, e il primo centro che attraversa è quello sessuale. Sento una grande sensualità attraversarmi. Le mani esplorano il mio corpo, lo accarezzano, come essere amante di me stesso. Emergono le mie paure relative alla sessualità, al contatto con l’altro, ma soprattutto i miei desideri. Ho voglia di fondermi sensualmente con altre persone, ma non è tanto sul piano fisico, quanto di sperimentare quella passione dei corpi che si bramano, si inseguono, si fondono. Indugio un po’ su questo livello, ma poi mi rendo conto che questo mi sta anche distraendo dal 209

viaggio che c’è da fare ai piani alti. Allora inizio a spostare la kundalini al secondo piano. La zona addominale è sede di tutte le paure inconsce più profonde e ancestrali. Lavoro un po’ su quel piano. Mi rendo conto che queste paure impediscono l’assimilazione delle esperienze (non a caso sono legate all’intestino). Allora ne sciolgo un po’. Ogni tanto l’attenzione ricade nel centro sessuale, ma poi la riprendo e la riporto in alto, stavolta al terzo piano. Qui siamo nel centro delle emozioni. Avverto bloccata in me tutta la sofferenza di questi ultimi anni, e come un macigno la sento opprimermi. Allora la offro alla medicina perché venga guarita, e in breve il mio stomaco si alleggerisce. Quindi cerco di spostare l’energia più su, ma già so che questo è un punto cruciale nella mia vita. Il nodo cardiaco è dove si incentra il mio dramma interiore: bene/male, amore. Tutto è bloccato lì. L’amore l’avverto, anche spesso. Ma so che quell’inesauribile energia potrebbe fare di più, dovrebbe sgorgare da me come da una fonte, invece questa fonte è arida, rinsecchita. Si apre solo a momenti, quando la mia attenzione è rivolta ai figli. Invece penso che dovrei poter amare ogni cosa della stessa intensità. Ogni persona, ogni essere, ogni filo d’erba. So che questa è la meta. E cerco di muovere l’energia all’altezza del petto. Qualcosa si smuove, ma non c’è una totale apertura. Ad ogni modo riesco a passare al piano successivo, quello della gola. Lì l’energia fluisce bene, non sento ostacoli grandi. Può finalmente arrivare al 6° piano, dove c’è la mente e i suoi labirinti. Per fortuna negli anni ne ho abbattuti parecchi di muri. Ma la mente, quella piccola, limitata, è sempre in agguato. Cerco di ridurne l’attività inutile, di farla divenire più limpida. Questo mi da l’accesso all’ultimo livello, dove mi aspetta l’incontro con la paura ancestrale fra le più 210

difficili da affrontare: la paura della morte. Nonostante in passato ci abbia lavorato tanto, e a livello conscio non mi colpisce più, nell’inconscio trovo ancora questo sbarramento. Comprendo che la paura della morte è quella che blocca l’accesso alla porta della coscienza, quella che impedisce l’esperienza mistica di poter uscire dal proprio contenitore. Ci lavoro un po’… ma è come un macigno duro. Non riesco a fare molto (in quel momento non riesco a percepire che è il mio superconscio ad impedirne lo scioglimento). Non riesco ad ottenere di più dall’esperienza, e intanto gli effetti della terza dose stanno scemando. Torno ad uno stato quasi normale, ma ancora voglioso di quell’ebbrezza. Solo che alla terza bevuta Roger mi aveva detto che quella sarebbe stata l’ultima. Io invece sento che posso provare ad andare ancora un tantino oltre. Gli chiedo se è possibile e lui nega. Allora gli dico, va bene, ma quando tu vuoi, sappi che io sono pronto. Allora mi fa: ma la vuoi veramente? certo! E quindi mi concede la quarta dose. Nudo nel sacco a pelo striscio a mo di bruco verso di lui e bevo la quarta. Ogni volta che bevo gli dico quanto mi sto gustando l’esperienza. La quarta è quella più tosta. Tutto si intensifica. Il gioco si sposta ad un livello più alto. Torno al materasso che lo stomaco è in subbuglio. Mi metto un po’ a pensare al vomito. Mi dico: lo faccio o non lo faccio? dicono che il vomito è parte dell’esperienza stessa. Aiuta a buttare fuori le masse psichiche non digerite. Ma io mi dico: a me non serve. Io le posso sciogliere prima di vomitarle! Allora la mente mi rimpalla: ma le vuoi sciogliere perché hai paura di affrontare il vomito? E chiaramente mi dico: no! Non c’è paura, ma è inutile vomitare quando non c’è una vera necessita e questo non modifica l’esito 211

della guarigione. Allora sciolgo il blocco che stava emergendo e il vomito si placa. Ma in testa si sente forte… e qualcosa si muove nelle parti basse. Credo di aver bisogno di andare in bagno perché se non esce da una parte, forse deve uscire dall’altra. Solo che sono nudo, dovrei rivestirmi, alzarmi, arrivare fino al bagno che si trova oltre un’altra stanza. Affrontare il freddo, l’oscurità. Mi sdraio, e mi dico passerà. Allora entro nello spazio più profondo. Nell’oscurità totale si muovono ombre. Non parlerei di visioni, quanto più di suggerimenti. C’è stato solo un momento in cui mi è parso che mi si palesasse il mondo delle mantidi. Ho letto che spesso chi prova il DMT si trova a cospetto di questi esseri mantide con cui si interagisce in modo telepatico. E’ stato un nanosecondo quello in cui per un attimo qualcosa di insettoide stava cercando di stabilire una connessione. Ma sapendo che quel tipo di contatto prevede il controllo da parte loro, subito ho richiuso quella porta. Di mantidi, alieni e roba simile non volevo più saperne. La fase è molto intensa, sono in uno spazio mentale di coscienza molto espanso. Una specie di iperconnessione con l’intorno. Capisco che il momento è forte, intenso. Non insostenibile però. Dopo un po’ sento che il bisogno di andare in bagno si ripresenta. Forse potrei anche controllarlo. Ma poi penso che provare ad uscire dalla stanza potrebbe essere un’esperienza interessante. Solo che rimane il problema di ritrovare e rimettersi i vestiti al buio in quello stato. Qui ho modo di sondare un po’ i condizionamenti della mia mente. Mi rendo conto che la necessità di vestirmi deriva da due fattori: quello di aver paura di avere freddo, e quello di non apparire nudo di fronte a qualcun altro. Non per la mia vergogna visto che sono naturista, ma per il rispetto altrui di chi magari si pone certi problemi. Non 212

conoscendo le persone con cui mi trovavo a viaggiare mi sono posto questo quesito. Alla fine ho optato per rimettere camicia, mutande, calzini e scarpe. Non è stato facile ricomporre i pezzi ma alla fine ce l’ho fatta. Mi alzo in piedi, cammino nell’oscurità andando alla cieca ma azzeccando la strada. Arrivo alla porta, trovo la maniglia e oltrepasso la soglia. Chiudo la porta dietro di me e cerco di fare piano per non disturbare gli altri. Mi rendo conto di quanto amore si può mettere in ogni piccolo gesto cercando il bene degli altri, anche nel rispetto del silenzio. Mi trovo però nella totale oscurità. Mi dico: e ora come arrivo al bagno??? La luce so che non funzionava, ma mi ricordavo che ci dovevano essere delle candele. Mi muovo in avanti e mi scontro con una superficie liscia. La mia mente vacilla per un attimo. Cos’è questa cosa mi chiedo? La porta l’ho appena chiusa dietro di me. Non dovrebbe esserci niente qui. Mi sento intrappolato in una specie di intercapedine completamente oscura. E arriva la paura del buio. Ma io mi dico: ma io non ho nessuna paura del buio! So che è la paura dell’ignoto a fermarmi. Di quell’incognita che ci fa mancare la terra sotto i piedi. Ma nel momento in cui la riconosco, mi dico: deve essere una seconda porta, e se c’è una porta c’è sempre una maniglia. La trovo, la apro, e arriva la luce! La via per il bagno è ora chiara. Procedo verso il bagno e cerco di raccapezzarmici un po’. Ricordo chiaramente che lo sciacquone non funziona quindi mi occorrerà usare i secchi. Ok, tutto nella norma, mi siedo ed ho una leggera scarica di diarrea. Non so se era più dovuto alla medicina o al fatto che nel pomeriggio mi ero fatto un clistere di pulizia preparatorio. Ma questo veramente non mi importa. Una volta seduto lì continuo a viaggiare nell’esperienza. Molti pensieri mi 213

attraversano, si fa tutto molto mentale. Mi viene molto da pensare agli insetti, ai parassiti, soprattutto quelli di tipo energetico. Capisco di averne addosso, ma al momento non me ne preoccupo. Però per un attimo la mia coscienza si chiede cosa può voler dire essere un parassita energetico, una specie di insetto eterico. Indugio in questo pensiero ed è come se la mia coscienza volesse scendere a quel livello per provarlo. Ma subito mi dico: ma che sto a fa? Perché voler abbassare la mia coscienza al livello di un insetto? forse è il caso di elevarla invece a dei livelli più alti, portarla verso livelli di coscienza superiori. E allora comprendo che in me ci sono ancora molte paure rivolte al contatto verso i mondi superiori. Per quanto brami, a livello cosciente, questa possibilità di contatto, nell’inconscio invece si agitano paure ancestrali, magari genetiche, ataviche. Capisco che molto del nostro inconscio è in realtà connesso all’inconscio collettivo, per cui siamo condizionati da cose non direttamente appartenenti alla nostra matrice individuale, ma a tutte le paure della collettività, dell’umanità, che una ad una vanno trascese nel nostro essere per potersi liberare. Allora cerco di chiudere questa connessione con l’inconscio collettivo. Ma in questa fase del viaggio mi rendo conto che le mie operazioni energetiche non sono più molto efficaci. Probabilmente il lavoro fatto mi ha fatto eliminare molte cose e quindi per via del distacco, falle energetiche si sono aperte ovunque e hanno abbassato il mio potere. Fa niente mi dico. E intanto ondeggio al variare dell’intensità dell’esperienza. E intanto mi dico: ho fatto bene a rimettere la camicia… qualche brivido ogni tanto mi percorre il corpo. Dopo un tempo interminabile sulla tazza, decido di tornare alla base. Riesco abbastanza tranquilla mente a muovermi nel chiarore delle 214

candele e torno nella stanza comune. Ritrovo il materasso e mi rimetto nel sacco. L’intensità sta scemando, saranno probabilmente le 4 di mattina e la stanchezza si inizia a sentire. Il sonno inizia a manifestarsi. Gli altri sembrano in parte già addormentati. Tutto si è placato e forse anche per me è venuta l’ora del sonno. In realtà le ore successive le passo in un dormiveglia in cui in parte lavoro energeticamente su qualcosa, per riequilibrare il tutto, in parte perdo coscienza. Alla fine dopo diverse ore di questa oscillazione, sento i primi che si risvegliano ed escono e dopo un po’ siamo tutti di nuovo alla luce del giorno, ormai avanzato. Mi sento bene, centrato. Assolutamente soddisfatto dell’esperienza. E’ venuto il momento dello scambio, del confronto. Ognuno è concorde nel pensare che è stata una sessione moderata, molto dolce, molto in linea con la personalità della nostra guida, Roger, che nonostante abbia dormito solo un’ora sembra inattaccabile nella sua solarità e amorevolezza. Starlo ad ammirare infonde un’ondata di calore. Si vede che la sua mente è libera, il suo cuore è puro, e lo invidio tanto per essere già così in pace col tutto. Mi sento subito pronto a ripetere un’esperienza del genere, pur sapendo che purtroppo ripasserà molto tempo prima di averne l’occasione.

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Prima esperienza con 5-Meo-DMT Reduce dall’esperienza con l’ayahuasca, mi sono sentito subito richiamato dall’idea di rientrare in quel mondo, e stavolta è arrivata l’opportunità di sperimentare il 5-Meo-DMT, una molecola molto affine al DMT dell’ayahuasca, che si suppone abbia le stesse proprietà. Il mio umore nell’apprestarmi all’esperienza era piuttosto combattuto. Mi rendevo conto che ero pieno di paure nell’idea di affrontare questa esperienza, per quanto c’era anche il desiderio di poter varcare quella soglia, che da tanto tempo sembra rimanere chiusa. Il mio supposto sitter non era disponibile e piuttosto che rimandare l’esperienza, sentivo di doverla comunque affrontare da solo. Ero molto fiducioso che la dose di quantitativo che avevo scelto (10 mg) e il suo tempo supposto di efficacia (un’ora e mezza), fossero un buon compromesso per affrontare il viaggio con serenità. Ma questo tradisce la mia paura di intensità troppo forti e quindi insostenibili da un lato, e durata eccessiva di perdita di contatto della realtà dall’altro. Mi preparo quindi all’esperienza: metto un CD che si è rivelato essenziale per dare un tono all’esperienza stessa, si chiama Liquid Mind ed è il mio preferito per la meditazione. E’ un sintetizzatore rarefatto e angelico, sospeso, puro. Un ottimo accompagnamento per raggiungere stati mistici. Preparo il luogo del mio viaggio, una pedana in legno che è stata la base di partenza di tantissimi altri viaggi. Mi spoglio completamente, dicendomi che da Dio ci si va nudi. Spengo tutte le luci e accendo 3 candele. I momenti della preparazione sono pieni di ansia. Ma ormai sono deciso, non voglio più rimandare. Sto cercando delle risposte e spero di 217

trovarle. Non dimentico di chiedere la protezione a Dio per questo viaggio e rafforzo la mia barriera energetica di protezione. Quindi inalo con una cannuccia i 10 mg di sostanza, dividendola a metà per narice. Fatto. No way back. Sono subito tranquillo, spengo le candele, e nel buio ricolmo di musica, mi sdraio sui cuscini. So che la salita è abbastanza rapida e la mia curiosità tecnica mi spinge a cercare di cogliere il primo istante in qui avverto una leggera alterazione. Sono passati solo 4 minuti. E già un minuto dopo, l’alterazione si intensifica. Avverto proprio la partenza, e mi dico: ci siamo, allacciare le cinture. E qui ci sarebbe da fermarsi se si fosse un pochino umili. Come si può descrivere ciò che avviene fra la partenza e l’atterraggio? Psichedelico. Ovvero la psiche si rivela. La psiche, il complesso mente-emozioni, si palesa chiaramente davanti allo schermo della coscienza. E lo fa in una maniera così chiara che si è folli a credere che non sia così evidente in stato di lucidità. La mente crea l’esperienza, ovvero la realtà percepibile. Quindi tutto ciò che la mente pensa, diventa possibilità esperienziale. E qui casca l’asino. Perché la mente è un universo sconfinato di labirinti, paure, blocchi, convinzioni, condizionamenti. La mia mente, che è connessa però alla mente collettiva. Mi è chiaro il bisogno sempre più impellente di staccarmi dalla mente collettiva e dalle sue paranoie, per poter liberare la mia mente da ogni influsso esterno negativo. Per poi passare a ripulire la mia propria mente dagli influssi negativi trasmessi dagli antenati, in primis dai genitori, per poi liberarla dal suo percorso karmico. Ma questa è già un’elaborazione di ciò che è emerso dal viaggio. La realtà prima, che ha 218

suscitato tutta questa presa di consapevolezza, è che ho una fottutissima paura di lasciarmi andare. Di abbandonarmi. Ed è questa paura che fa si che durante un’esperienza del genere, io invece di intraprendere il percorso che va verso la luce e la visione di Dio, cerchi invece di restare ancorato a questa realtà fisica, a questa illusione, che per quanto limitante, è qualcosa a cui siamo abituati e quindi quest’abitudine è a sua volta confortante. Insomma, io sono lì, nel buio, e avverto mille sensazioni contemporaneamente. Parto dal corpo fisico. Sento l’effetto della sostanza nel naso, una specie di calore che apre, che lo spalanca. Non è per niente fastidioso, anzi. E tutto il corpo c’è e non c’è. Ovvero, la mia attenzione oscilla fra l’ancoraggio al corpo e la sua dissoluzione. Ed è lì che entra in gioco la mente e le sue paure. Perché la sensazione è come che se io non lo pensassi più, il corpo smetterebbe di esistere. E allora subentra la paura: come posso esistere senza il corpo? Programmazione biologica. E’ questa che mi rende il viaggio difficile. Perché basterebbe cambiare informazione alla mente, che subito capirei come potermi abbandonare nel flusso della coscienza dell’universo. Invece resto come intrappolato tra due possibilità, quella di lasciarmi andare e quella di rimanere aggrappato al concreto. E’ come se la mente non riesce a pensare di poter sopravvivere senza corpo fisico, e non si rende conto che in realtà questo distacco è solo temporaneo, ha come paura che il corpo sia perso per sempre. In effetti in quel frangente, nel momento in cui non pongo l’attenzione sul corpo, effettivamente, nella mia esperienza, non esiste più. E quando il corpo non esiste, la mia coscienza si trasferisce su un piano di possibilità infinite, in cui divento il completo creatore 219

della mia realtà. Ogni pensiero che emano diventa nel passo successivo un pezzetto di esperienza reale. E quello il momento in cui qualcosa in me vacilla. Forse la paura di questo immenso potere, così come la paura di non poter ricostruire la realtà così come la conosco proprio per via dell’attaccamento ad essa. L’attaccamento a tutte le manifestazioni della mia realtà, le persone, i luoghi, le attività. Sono questi fortemente a richiamarmi, a spingere di ricreare la realtà esattamente come la conosco, ma a questo punto, già che ci sono, con qualche piccola miglioria. Allora cerco di portare l’attenzione su ciò che vorrei cambiare e una voragine di pensieri mi si dipana davanti. Vedo tante cose da ricreare in maniera diversa. Mi rendo conto di quanto amore occorre portare in ogni singolo aspetto della mia vita. E le persone del mio presente mi balzano alla mente ognuna portando un’idea di ciò che quella persona rappresenta, del suo motivo per cui si è incrociata nella mia vita. Ma sono tutti lampi di pensiero velocissimi, frammentati. Ciò che conta è ritrovare la luce. E questo concetto diventa un po’ il filo conduttore dell’esperienza. Sono seduto nel buio e con la schiena perfettamente eretta cerco di allineare i miei centri energetici. Nel buio della mia mente vedo un puntino di luce blu! Eureka! Quello che ho letto tante volte finalmente stava accadendo, la probabile apertura del terzo occhio. Ma sono frettoloso ad esultare. Il punto scompare. Allora mi dico che occorre più luce. Il fatto è che la mente prende un po’ troppo alla lettera certi pensieri per cui è difficile liberarla dalle trappole che lei stessa crea. La ricerca della luce, intesa dal punto di vista metafisico, diventa quindi la possibilità di accendere la luce nella stanza in cui mi trovo. Come se bastasse la luce elettrica di un lampadario per portare luce 220

spirituale nella mia esistenza. Per la mente questa correlazione è sacrosanta. Ma nella realtà delle cose non funziona esattamente così. Alzarmi a trovare la luce è un po’ arduo, avendo la mente intenta a dover ricreare la realtà fotogramma per fotogramma. E così, mi alzo nel buio un po’ vacillando, e allungo una mano per toccare un muretto che dovrebbe essere proprio di fronte a me. E nel momento in cui penso al “muretto”, l’istante dopo sento con le dita il muretto. E’ una frazione di secondo in cui ti rendi conto che l’esperienza che tu hai avuto, cioè il contatto fisico col muretto, è stata diretta conseguenza dell’aver pensato al muretto e al fatto che “dovrebbe essere qui”. La dinamica in tutto il suo percorso sembra essere quella che fino ad un attimo prima, quel muretto in realtà non esisteva affatto. E’ come se la coscienza collassasse in un istante e creasse la realtà fisica prendendo come modello di realtà la memoria di quello che trova nel mio cervello. Il che fa pensare che ciò che dice la meccanica quantistica sia fondamentalmente vero. E’ solo che nello stato di coscienza ordinario, questi processi sono talmente sottili che non ce ne rendiamo conto. Tutto viene dato per scontato, ordinario e consequenziale. Invece in quel momento lì, si ha come la possibilità di controllare istante per istante i processi coscienziali e mentali, e vederne esplicare le loro peculiarità. E tutto questo solo per poter arrivare all’interruttore. Ma il viaggio è ancora lungo. Muovo passi incerti nell’oscurità e vedo le lucine dello stereo: luce! Ma è troppo poca ancora. Ne voglio di più. Voglio immergermi nella luce. Solo che mi rendo conto di tremare come se non avessi camminato da milioni di anni. E’ come se tutto il mio corpo fosse scosso da una corrente fortissima, una vibrazione difficile da sostenere. Arrivo all’interruttore 221

e accendendolo cambia in un istante tutto il panorama. Ma la prima cosa di cui ottengo conferma è proprio che le mie gambe stanno tremando in modo inverosimile. Nulla a che fare con il freddo. Capisco che deve essere la kundalini ad agitarsi così e cerco di posizionarmi al centro della stanza per prenderne il controllo. Non so quali processi mentali applico, probabilmente una delle tante cose energetiche imparate negli ultimi anni, per cui la situazione si stabilizza e infine approdo sul divano. Continuo a seguire l’intento della ricerca della luce, e questo tema si lega chiaramente a quello degli occhi. I miei occhi miopi non riescono a mettere a fuoco gli oggetti. Una voce mi dice forte: apri questi occhi! Devi farla entrare la luce! Allora mi metto a fissare il faretto sul soffitto, cercando di mettere a fuoco il punto luminoso, che sembra sfuggire. Con un atto di volontà cerco di ricostruire l’immagine, di aprire gli occhi per poter far entrare la luce. In quel momento vedo che nel punto più luminoso, ci sono dei disegni. E’ come se un intreccio di motivi tribali si stia disegnando con la luce nella luce. Solo che per quanto mi sforzi, né riesco a mettere a fuoco, né i motivi tribali aumentano di intensità o colore. Abbasso il mio sguardo, e vengo colpito dalla mia nudità: sono maschio! Qui si forma l’altra grande tematica di questo viaggio, l’appartenenza di genere. Entro in un turbine mentale in cui rifletto labirinticamente sul rapporto fra maschile e femminile e sulla mia appartenenza ad un genere. Mi viene in mente questa frase: “puoi essere completamente maschio solo quando hai accettato la tua femminilità”. E quindi anche che “non puoi accettare la tua femminilità fino a che non accetti di essere completamente penetrato da qualcos’altro.” E in questo momento vorrei essere penetrato 222

completamente dall’amore divino. Quindi mi stendo e mi metto in ricezione di questo amore, rendendomi conto di quanto siano le mie paure a tenermi lontano da esso. Eppure ho chiaro che tutta la questione è incentrata sul lasciarsi andare, sull’abbandonarsi. Ma non riesco a lasciare andare questa tensione e abbandonare il controllo. Allora cerco di portare equilibrio fra l’abbandono e il controllo, da qui ricollegandomi all’idea che ogni coppia di dualità debba essere trascesa. Per quanto cerco di lasciarmi andare e abbandonarmi, non subentra nessuno stato nuovo. Capisco che c’è qualcosa in me che mi blocca e sul quale devo lavorare. Saranno le mie credenze negative inconsce ad inchiodarmi in uno stato di separazione dall’amore divino. Mi arrendo a questa evidenza e proseguo oltre. Ho momenti di ricollegamento alla realtà consensuale in cui mi muovo per casa, e attimi in cui mi blocco riprendendo il filo di una coscienza che viaggia altrove, oscillando fra due mondi. E’ il segno che l’effetto sta per terminare, e guardando l’ora vedo che è passata giusto un’ora da quando ero partito. Un’ora che però ne è valse migliaia, oppure è stata solo un istante. Sempre più il tempo sembra perdere il suo valore e diventare solo uno schema in cui la mente vuole per forza incasellare una successione di eventi, di stati mentali, emotivi, coscienziali. Si ritorna al livello precedente. Col solito rammarico di non essere riuscito ad andare oltre, o forse con la contentezza di non essere andato troppo oltre. Con la consapevolezza dei limiti della propria mente che ancora si balocca con le sue paure, le sue etichette e la sua necessità di controllo, e l’esigenza di scardinare tutto questo stato di cose per poter 223

finalmente agire da uomo libero.

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CONCLUSIONI Le esperienze descritte in queste pagine hanno rappresentato un intensissimo periodo di ricerca intellettuale e spirituale, condito con un vasto repertorio di letture e confronti con altre anime in cammino. Ritengo che la via della ricerca psichedelica sia un percorso per pochi eletti. Solo pochi avventurosi e incauti possono decidere di intraprenderlo, mentre per la massa certi sentieri sono inaccessibili ed è giusto che sia così. La vedo come Hoffman che riteneva l’esperienza psichedelica relegata ad una cerchia di persone consapevoli piuttosto che ad una diffusione di massa come promulgava Leary. In quel periodo mi sono confrontato con molti altri psiconauti, e mi sono reso conto che ognuno vi trovava in fondo cose diverse pur condividendo lo stesso istinto per la ricerca. In realtà, ciò che ognuno di noi trovava, era il riflesso di se stesso. Non a caso il termine “psichedelico” significa “che rivela la psiche”. E tutto ciò che emerge in queste esperienze è proprio la vera natura della psiche stessa, dei suoi costrutti mentali, dei suoi archetipi, della sua complessità. Questo libro non vuole né incoraggiare all’uso di enteogeni (un altro termine per indicare le sostanze psichedeliche con il significato di “sostanze che generano il dio interno”), né dissuadere il lettore dal farlo. Ognuno dovrà assumersi la responsabilità delle proprie scelte, 225

sapendo i rischi a cui va incontro. La verità è che sono esperienze non facili da affrontare che hanno il pregio di aprire visioni vastissime su stati di coscienza normalmente inaccessibili, ma anche la terribile eventualità di sconvolgere dal profondo la mente di una persona al punto di farle perdere la ragione e inabissarla in un oceano di follia. Nel mio caso specifico, penso di aver tratto da queste esperienze tutte le possibili varianti sperimentabili: gioia, estasi, dolore, delirio, illuminazioni, distorsioni, scoperte, rivelazioni, smarrimenti, conoscenza, stupore. La mia visione del mondo è stata completamente ridisegnata grazie a queste esperienze e senza dubbio mi sono arricchito di qualcosa che difficilmente in altri modi avrebbe potuto permeare la mia coscienza. E’ stato un modo molto intenso di vivere il “conosci te stesso” che alla fine mi ha portato alla conclusione di cercare vie più lente ma sicure, muovendo i miei passi su percorsi più tranquilli che permettessero alla mia coscienza di assaporare il procedere del viaggio verso se stessi.

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CONSIDERAZIONI DI TIPO ENERGETICO RELATIVE ALL’USO DI SOSTANZE PSICHEDELICHE Negli anni che separano le mie fitte sperimentazioni e la ripresa avvenuta dopo diverso tempo, ho spinto la mia indagine verso lo studio delle energie sottili e del corpo energetico umano. A causa di una serie di “coincidenze” sono stato guidato verso un approccio completamente diverso rispetto a quello medico ufficiale relativamente alla salute e al benessere dell’individuo, iniziando ad esplorare e sperimentare l’approccio olistico nelle sue più diverse varianti e sfaccettature. Questo percorso mi ha permesso di sviluppare un’accurata percezione delle energie sottili (energie non misurabili dagli strumenti convenzionali ma che influenzano lo stato di salute di un individuo, tradizionalmente associamo a queste energie i nomi di Chi, Qi, Prana, derivati dalla cultura orientale), e con essa ho acquisito un nuovo strumento di conoscenza della realtà e di me stesso. Guardando le cose in retrospettiva, alla luce del nuovo paradigma che ho acquisito, riesco a comprendere meglio tutta la mia esperienza psichedelica. A comprendere come sia possibile per la coscienza umana sperimentare una vasta serie di stati alterati, visitando realtà alternative e parallele alla nostra. E’ un tema decisamente affascinante e complesso che non credo sia mai stato trattato in questo modo, e farlo in maniera approfondita richiederebbe una trattazione a 227

parte che possa includere concetti di metafisica esoterica che esulano dalle premesse di questo contesto. Però vorrei esporre alcune intuizioni che si sono sviluppate nella mia mente in questi ultimi anni. L’effetto delle sostanze psichedeliche non è relativo solo alla chimica del nostro organismo, al bilanciamento dei neurotrasmettitori nel nostro cervello, all’attivazione di certe zone della corteccia. Quella è la manifestazione fisica di qualcosa che avviene ad un livello più alto. Per come vedo le cose adesso, una sostanza chimica è come una chiave che permette al nostro organismo di aprire delle porte di natura energetica. L’effetto che si ha non appena inizia l’assunzione di una qualunque sostanza di quelle esposte finora, è quello di un’espansione di certi specifici centri energetici del nostro corpo sottile. In sanscrito sono chiamati chakra, e ne vengono considerati sette. La realtà è che ogni manifestazione di natura fisica, emotiva, mentale o spirituale, è guidata da un campo energetico (o campo morfogenetico per dirla come Sheldrake) che ne esprime la natura, la funzione e il meccanismo. Per cui nel nostro interno abbiamo centri energetici che regolano la rabbia così come l’amore, l’intelligenza e la forza fisica, insomma tutte le infinite sfaccettature di cui un essere umano è costituito. Queste non sono affatto inscritte nel DNA che conosciamo, che si occupa solo di gestire ciò che accade a livello chimico e cellulare, ma da un codice 228

nascosto che determina esattamente chi siamo e come siamo fatti sotto ogni aspetto della nostra esistenza. Tornando alle sostanze, nel momento in cui si assume una di queste, dentro di noi avviene una rivoluzione energetica. Ogni sostanza in sé possiede delle caratteristiche vibrazionali uniche, che mettono in risonanza una selezione particolare dei nostri centri, delle nostre frequenze. Sarebbe interessante correlare ognuna di esse ad ogni stato umano conosciuto, ma è impresa assai ardua. Però possiamo immaginare come uno psichedelico, rispetto ad altre sostanze psicoattive di tipo eccitante, vada a stimolare i centri del misticismo, della conoscenza soprasensibile, di quello che chiamiamo sesto senso, della creatività, dell’immaginazione. Effettivamente tutti i centri superiori (Ajna, Sahasrara) associati a questi stati, si espandono. Probabilmente si attiva dentro di noi un nuovo tipo di comunicazione energetica che normalmente è disattivata, che mette in relazione stati emotivi e mentali in una maniera inusuale rispetto al modo in cui siamo programmati negli stati di coscienza ordinaria. Ed è tramite queste nuove connessioni che vengono generate queste esperienze incredibili. Fra le tante, in particolare il centro della coscienza viene estremamente modificato. E’ come se venisse aperta una porta che permette alla coscienza di esplorare nuovi reami del Sé, di ciò di cui noi siamo fatti. E la coscienza stessa può decidere di abbandonare il corpo, fluire 229

altrove, su altri piani, altre dimensioni di questo multiverso. Per cui ciò che erroneamente chiamiamo “allucinazione” può essere invece considerato come percezione di un qualcosa che si trova su altri livelli vibrazionali, e che la coscienza può captare una volta che si è alterata la sintonia ordinaria. Il cervello in sé viene definito secondo un nuovo paradigma come “lettore olografico” della realtà. Non è cioè una macchina che crea la coscienza, ma una macchina usata dalla coscienza per accedere alle informazioni di ciò che definiamo realtà. Le alterazioni prodotte dall’introduzione nel delicato equilibrio biochimico che regola le attività del cervello, di sostanze in grado di stimolare centri che ordinariamente non vengono attivati, permettono al nostro lettore olografico cerebrale di accedere a mondi esperienziali normalmente reclusi. Diviene quindi possibile per la coscienza accedere ad informazioni immagazzinate in luoghi remoti e nascosti della nostra mente, o meglio della supermente alla quale siamo collegati. E così diviene spiegato come in quello stato improvvisamente diveniamo consapevoli di realtà così lontane dall’ordinario, di verità intrasmissibili, di stati di coscienza supernormali. Il problema è che di tutto ciò che la coscienza esplora attraverso l’attivazione di questi nuovi circuiti, non rimane che una misera traccia una volta che questa attivazione artificiale viene meno. E’ per questo che una via lenta come 230

quella della meditazione, volta a raggiungere straordinari stati di espansione di coscienza, diventa un’alternativa valida per chi vuole avvicinarsi al regno della coscienza universale. Perché lentamente apre e rende attivi quei percorsi che con le sostanze vengono brutalmente attivati, creando nello sperimentatore l’impressione di essere travolto da esperienze molto più grandi della sua capacità di assimilarle. Inoltre è interessante comprendere dal punto di vista energetico il meccanismo che produce ciò che noi chiamiamo bad trip. I chakra sono paragonabili ad organi che una volta che vengono forzatamente espansi a causa di una modifica chimica, modificano la loro struttura e funzionalità. Soprattutto i chakra superiori si espandono a dismisura, andando ad assomigliare proprio ai chakra di chi da anni persegue discipline di crescita spirituale. La differenza è che queste ultime persone si sono avvicinate gradualmente alla loro disciplina, purificando la loro mente da tutto ciò che di ingombrante e nocivo era in essa, liberandola dalle proprie nemesi e dai propri fantasmi, tutte strutture energetiche che sono ancorate a detti centri e rappresentano ciò che noi possiamo definire come la nostra personalità, la nostra struttura psichica. Sono spesso costruzioni negative legate a traumi subiti, a paure, a blocchi e limiti imposti da noi stessi o da altri. Una volta che un chakra si espande così tanto va a fornire una grande energia a tutto ciò che vi è 231

ancorato e così nel caso di chi non si è sottoposto ad un cammino di consapevolezza spirituale, si determina uno stato di eccitazione di tutte quelle strutture negative che vengono risvegliate (qualora siano dormienti) o potenziate. Queste strutture, una volta caricate dall’energia coscienziale di chi sta vivendo un’esperienza psichedelica, possono fornire materiale per alimentare un’esperienza paranoide estremamente potente e realistica. Per questo a mio avviso, è fondamentalmente sbagliato che chiunque si avvicini alla pratica psichedelica, senza prima aver affrontato dentro di sé un percorso di autoconoscenza, un percorso di ripulitura psichica dai propri condizionamenti negativi. Inoltre, le strutture energetiche una volta espanse in maniera così forzata, laddove siano ingombre di strutture negative, nel ritornare ad uno stato normale, presentano lacerazioni paragonabili a quelle di un tessuto che sia stato tirato oltre le proprie possibilità. Lacerazioni che producono nella realtà psichica di chi le subisce, difficoltà di vario genere. Per esempio tutti gli effetti collaterali post-esperienza, sono da imputare proprio a questo tipo di lacerazioni, che provocano mal di testa, estraniamento, confusione, apatia, inquietudine. Questo tipo di lacerazioni poi tende a risanarsi nei giorni successivi all’esperienza, facendo tornare l’individuo al suo stato pienamente ordinario, anche se spesso, proprio grazie all’improvvisa pulizia psichica che un’esperienza psichedelica 232

induce, la persona può trovarsi a restare per alcuni giorni più consapevole del solito, ad avere un’attività mentale ed onirica più intensa. La creatività viene ampiamente motivata nei giorni successivi ad un’esperienza psichedelica, sembra che si percepiscano maggiormente i significati intrinseci alle cose, che si riescano a cogliere collegamenti inusuali e in qualche modo ci si trovi riallineati maggiormente a certe sincronicità. Tutto però torna poi ad un livello normalmente ordinario qualora non si stia seguendo nessun tipo di percorso evolutivo. E’ per questo che per chi cerca delle risposte permanenti, la via psichedelica rischia di rappresentare un percorso molto effimero e privo di una sua reale validità. Il rischio di smarrirsi all’interno delle proprie costruzioni egoiche è molto grande o peggio ancora di perdere il lume della ragione dietro ad allucinazioni prive di significato. Ed è per questa ragione che ho abbandonato questo sentiero in cerca di un terreno più sicuro ove muovere i miei passi nella ricerca del Sé.

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APPENDICE 1: ISTRUZIONI PER L’USO Per il lettore incauto ma con spirito di avventura, non posso esimermi dal fornire indicazioni su come andrebbe idealmente condotta un’esperienza psichedelica. La letteratura sulla materia descrive come elementi fondamentali della psichedelia il set, il setting e il sitter. Il set è rappresentato dalle condizioni psicofisiche dell’individuo che devono essere ottimali. Occorre accingersi all’esperienza essendo in buona forma fisica e con un’attitudine positiva, rilassata e spensierata. Persone che si trovano in condizioni di malattia o in situazioni di problematiche mentali o condizioni di vita difficoltose, non sono i candidati ideali per un’esperienza del genere. Qualunque problematica interiore potrebbe essere ingigantita dall’esperienza stessa e potrebbe soverchiare le capacità dell’individuo di fronteggiarla. Il setting è rappresentato dalle condizioni esterne, ambientali e di relazione. Occorre scegliere un luogo ideale, piacevole, in cui ci si trovi a proprio agio. La condizione perfetta è rappresentata dalla natura: boschi, prati, fiumi, mare. Il contatto con la natura aiuta moltissimo l’esperienza nel recuperare un contatto con i benefici influssi della terra. La città è un posto altamente sconsigliato: troppo rumore, interferenze, suoni violenti e inaspettati, smog. Anche la propria abitazione 235

potrebbe rappresentare un luogo non del tutto ideale. Soprattutto se si hanno finestre e balconi, potrebbero crearsi situazioni poco edificanti. E poi ci sono un’infinità di oggetti pericolosi di cui è meglio fare a meno: coltelli, oggetti di vetro, telefoni… meglio non avere per le mani nulla che possa recare danno. Del resto tutta l’interazione con la tecnologia è abbastanza compromessa. In fase di forte alterazione vengono meno quelle capacità mentali basilari che permettono l’utilizzo di strumenti tecnologici come cellulari e computer. La mente ordinaria infatti viene totalmente riprogrammata e non ha più accesso alla decifrazione dei codici e alla memoria dei processi che normalmente utilizziamo per interagire con la tecnologia. Un elemento fondamentale invece è la musica. Una buona colonna sonora è parte assolutamente integrante di una piacevole esperienza psichedelica. La musica può determinare l’ottima riuscita di un viaggio. Chiaramente la scelta della colonna sonora dipende interamente dai gusti personali, ma la musica classica è un ottimo suggerimento. Il sitter invece è la persona che si incarica di sostenere l’esperienza altrui. In genere non dovrebbe assumere alcuna sostanza, ma rimanere lucido e assistere completamente le esigenze del viaggiatore, ma soprattutto cercare di affrontare i momenti difficili sapendo infondere calma, tranquillità e fornendo tutto il supporto psicologico e affettivo di cui ci possa essere bisogno. 236

Un’attenzione particolare va data ai compagni di viaggio: dei buoni compagni sono determinanti per la buona riuscita di un viaggio (questo vale anche nella realtà ordinaria). Il problema è che anche gli amici più veri e sinceri potrebbero rivelarsi dei compagni sbagliatissimi. Questo perché è imprevedibile sapere quale piega prenderà il viaggio per ognuno di essi. L’interazione emotiva fra le persone può variare in maniera imprevedibile. Una persona potrebbe essere in fase di bad trip mentre un’altra nella fase di risata isterica. L’incomunicabilità allora diverrebbe schiacciante con un cattivo esito per l’esperienza stessa e anche per la relazione. Elemento fondamentale dell’esperienze psichedeliche è il cibo. Dal punto di vista fisiologico la fame chimica è un fenomeno naturale e trovarsi sprovvisti di cibarie e bevande potrebbe rappresentare un serio problema. Ma non è da sottovalutare l’aspetto estetico dell’esaltazione del gusto. Allora premunirsi con cibi gustosi può essere un’idea interessante per esplorare l’ampiezza dell’esperienza sensoriale olfattivo/gustativa. Inoltre cibi zuccherini si dice abbiano la proprietà di calmare un po’ l’effetto psichedelico, in modo da riportare a bassa quota il viaggiatore. In ogni caso è ALTAMENTE sconsigliabile l’idea di affrontare una sessione psichedelica per chiunque abbia problemi di schizofrenia, psicosi, ma anche solo per persone un po’ ansiose, irresponsabili, che lo facciano con il solo scopo di sballare. 237

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APPENDICE 2: SOSTANZE Le sostanze da me utilizzate non sono state molte in effetti. Mancano alla mia esperienza dei capisaldi della cultura psichedelica quali LSD e mescalina, anche se nella letteratura sull’argomento la variazione del tipo di esperienza in base alla sostanza è tutto sommato limitata, visto che certi clichés dell’esperienza stessa sono frequenti con qualunque di queste sostanze. AYAHUASCA L’Ayahuasca (anche chiamata “la medicina” o Mama Aya), è una bevanda psicotropa ottenuta miscelando sapientemente due vegetali amazzonici, la liana Banisteriopsis Capii fonte di iMAO e la Psychotria Viridis, fonte di DMT (vedi voce più avanti). Gli i-MAO hanno la proprietà di rendere assimilabile per via orale il DMT, il quale in questo modo riesce a restare attivo nel corpo per diverse ore e produrre un’esperienza molto intensa e profonda. Tradizionalmente viene usata dagli sciamani come bevanda curativa in grado di generare stati mistici di profondo contatto con lo spirito della natura dal quale trarre insegnamenti e insight per la comprensione delle dinamiche dolorose che si vuole affrontare. La cultura dell’uso di questa pianta è estremamente radicata in sud America, tanto da essere riconosciuta come religione ufficiale. L’assunzione di questa bevanda viene associata 239

ad un rituale con regole ben codificate che includono benedizioni, rituali di purificazione (limpia, temazcal), canti propiziatori, che hanno la funzione di sacralizzare l’esperienza stessa. In Brasile l’Ayahuasca è l’elemento principale all’interno della Chiesa del Santo Daime, religione sincretista che unisce il cristianesimo ai rituali amazzonici. Esistono anche delle varianti dell’Ayahuasca ottenute miscelando piante diverse ma che contengono gli stessi principi attivi. Altre combinazioni sono la Ruta Siriana miscelata con la Mimosa Hostilis. DMT o DiMetilTriptamina Questa sostanza è ricavata da alcune piante psicotrope e per essere assunta deve essere fumata con un’apposita pipetta. L’odore della sostanza bruciata è quello di una plastica amara e intensa. Sulla DMT esiste il libro del Dott. Richard Strassman “DMT, the spirit molecule” che ne illustra sapientemente gli effetti. La sua peculiarità è che questa sostanza è anche prodotta dal nostro cervello in maniera endogena, per cui è totalmente innocua. E’ la sostanza responsabile dei sogni notturni. Però la sua assunzione a dosi elevati, produce un “rush” psichedelico di notevole intensità ma breve durata. Generalmente i suoi utilizzatori parlano di un mondo di cartoni animati popolati da strane creature di ogni tipo. Le esperienze con DMT 240

possono essere molto mistiche o spirituali e raramente danno esito a bad trip. Non ha alcun tipo di effetto collaterale e appena sono finiti gli effetti si torna praticamente normali. Terence McKenna sosteneva che la sostanza era completamente innocua a meno che uno non morisse di stupore. FUNGHI ALLUCINOGENI La specie normalmente usata per i viaggi psichedelici è la Psilocibe nelle sue svariate varietà, ma di specie psicotrope ne esistono centinaia. La dose media di ingestione di questo tipo è di circa 2,5 gr di fungo essiccato. Gli effetti del viaggio iniziano a sentirsi 15-30 minuti dopo l’ingestione, e il picco dell’esperienza avviene circa un’ora dopo. La fase di plateau (cioè di intensità costante dell’esperienza) dura da 2 a 4 ore. Generalmente dopo 6 ore dall’ingestione gli effetti tendono progressivamente a scomparire con un processo ad “ondate” in cui si oscilla fra la realtà consensuale riguadagnata e il mondo alterato dell’esperienza fungina. Nelle ore successive al viaggio occorre riposare molto viste le risorse che vengono consumate dal viaggio stesso. Come effetti collaterali si possono presentare mal di testa, spaesamento, confusione, testa svuotata dai pensieri, apatia, che durano al massimo una giornata.

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KETAMINA La ketamina è un anestetico utilizzato (ora più raramente) nella comune pratica anestesiologica umana, ma ancora più comunemente in quella veterinaria. Viene utilizzata anche sui bambini, per le sue ottime proprietà anestetiche che non inibiscono le funzioni respiratorie. Il problema con questo “anestetico” è che a basso dosaggio è altamente psichedelico, e il rischio è proprio che vista la relativa capacità di tolleranza delle persone, alcune di queste possono trovarsi in viaggio anziché cadere profondamente addormentati. E’ questo infatti il caso di quelle persone che durante interventi chirurgici, si trovano a fluttuare fuori dal proprio corpo e riescono a vedere medici che operano sul loro corpo inerme sul tavolo operatorio. Per questo oggi non è più usata molto. Questa sostanza può essere usata endovena o aspirata col naso, in una quantità di circa 80-100 mg. I suoi effetti sono abbastanza rapidi a comparire (5-10 min) e durano circa un’ora, dopodiché a parte un po’ di sonnolenza, ci si sente praticamente normali. Può dare problemi di dipendenza se se ne fa un uso continuativo e in questo caso creare paranoia e manie di persecuzione o cospirazione. MARIJUANA Sulla marijuana non voglio dire altro che già tanto è stato scritto. Posso solo dire che gli effetti 242

della marijuana assunta oralmente, cioè mangiata in pasticcini o torte (le cosiddette “space cakes”) sono estremamente più forti rispetto all’uso tradizionale, tanto da rasentare quasi l’esperienza dei funghi ad eccezione degli aspetti visivi che non sono ugualmente marcati. Gli effetti durano circa 6 ore e hanno un effetto collaterale di stonatura che dura anche per le 24 ore successive. Viene spesso usata in concomitanza con le altre sostanze per addolcire il viaggio o per prolungarne gli effetti. SALVIA DIVINORUM Questa pianta usata dagli sciamani come strumento divinatorio, può essere consumata in due modi differenti. Fumata o assunta in soluzione idroalcolica sotto la lingua. Gli effetti sono completamente diversi. Gli effetti di quella fumata sono violenti, intensissimi e molto brevi, quella in soluzione ha una salita molto tranquilla, ed effetti più interiori, calmi con una durata più prolungata. L’uso di questa sostanza è associato generalmente alla percezione di una entità femminile amorevole. Ma le esperienze di coloro che l’hanno usata più volte sono estremamente variabili e descrivono un mondo parallelo che non ha nulla a che vedere con il nostro. Non ha particolari effetti collaterali.

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VASCA DI DEPRIVAZIONE SENSORIALE Chiaramente non è una sostanza psicoattiva, anzi si può dire che sia tutto il contrario, ma ha un effetto notevole sull’alterazione degli stati di coscienza. La tecnica del Galleggiamento REST (Restricted Environmental Stimulation Technique) è stata inventata negli anni '70 dal Dott. John C. Lilly, medico psicanalista specializzato in neurofisiologia sperimentale, adattando ai suoi scopi una vasca di galleggiamento utilizzata per esperimenti sui subacquei durante seconda guerra mondiale. Lo scopo della sua ricerca era determinare se il cervello avesse bisogno di stimoli esterni per mantenere uno stato cosciente. Eliminando la stimolazione sensoriale scoprì che il cervello non si spegneva affatto anzi, mutava radicalmente la sua attività elettrica. Si attivavano le onde theta e questo permetteva al soggetto di sperimentare tutta una serie di stati modificati di coscienza molto interessanti. Al di fuori degli effetti fisiologici, quali estremo rilassamento, modifica dei livelli di serotonina ed endorfine, stato di benessere diffuso, gli effetti più particolari sono legati al vissuto interiore della persona che si sottopone al galleggiamento. Si possono vivere fenomeni di regressione alla vita prenatale o avere accesso a ricordi remoti dell’infanzia, a volte possono emergere immagini o ricordi associati a vite precedenti, possono manifestarsi leggere allucinazioni visive, modifiche alla percezione del proprio corpo (in 244

genere si percepisce la sua assenza oppure una rotazione in diverse direzioni spaziali), molto più spesso sogni rivelatori o bizzarri, aumento dell’introspezione interna, insight illuminanti, o sospensione totale del pensiero come nella meditazione profonda. Si può dire che la vasca sia l’ambiente più neutro possibile in cui le potenzialità umane possono essere sondate senza interferenze. Tutto ciò che emerge è puramente creato dalla macchina biologica umana senza che essa venga stimolata artificialmente, anzi proprio grazie alla destimolazione dei sensi. Ed è proprio questa destimolazione a produrre un’alterazione nello stato di coscienza, solo di natura molto più sottile, mai violento, perfettamente controllabile, anche se spesso molto evanescente. John Lilly associava l’uso della vasca alla ketamina, di cui però divenne estremamente dipendente. Era l’ambiente ideale, asettico, per sperimentare le profondità del K-hole. Altrimenti la vasca si presta come luogo ideale per la sperimentazione con qualunque altra sostanza psicoattiva, rappresentando un luogo sicuro e protetto in cui solo la psiche dell’individuo fa la differenza.

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BIBLIOGRAFIA ALTROVE – Rivista italiana della SISSC (Società Italiana per lo Studio degli Stati di Coscienza) – Ed. Nautilus STATI DI COSCIENZA – Charles Tart – Ed. Astrolabio IL NUTRIMENTO DEGLI DEI – Terence McKenna – Ed. Urrà LSD IL MIO BAMBINO DIFFICILE – Albert Hoffmann – Ed. Urrà HOFFMANN SCIENZIATO ALCHIMISTA – Stampa alternativa TUTTO E’ UNO – Michael Talbot – Ed. Urrà IL CENTRO DEL CICLONE – John C. Lilly – Ed. Crisalide THE SCIENTIST – John C. Lilly THE QUIET CENTER – John C. Lilly PSICOFUNGHI ITALIANI – Gilberto Camilla – Stampa alternativa TIMOTHY LEARY: VITA MORTE VISIONI – Stampa alternativa DMT THE SPIRIT MOLECULE – Richard Strassman VERE ALLUCINAZIONI – Terence McKenna – Ed. Shake IL DIO DEGLI ACIDI – Gnoli Volpi – Ed. Bompiani ERESIE PSICHEDELICHE – Stampa alternativa FLASH, KATHMANDU IL GRANDE VIAGGIO – Charles Duchaussis – Ed. SEI Frontiere

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INDICE PREFAZIONE 3 INTRODUZIONE 13 VIAGGI PSICHEDELICI 17 PRIMO VIAGGIO CON I FUNGHI 19 SECONDO VIAGGIO CON I FUNGHI 33 TERZO VIAGGIO CON I FUNGHI 49 QUARTO VIAGGIO CON I FUNGHI 51 QUINTO VIAGGIO CON I FUNGHI 63 SESTO VIAGGIO CON I FUNGHI 87 PRIMO VIAGGIO CON MARIJUANA IN VASCA 103 PRIMO VIAGGIO CON SALVIA DIVINORUM 111 PRIMO VIAGGIO CON SALVIA IN VASCA 113 SECONDO VIAGGIO CON SALVIA IN VASCA 119 PRIMO VIAGGIO CON DMT 127 PRIMO VIAGGIO CON KETAMINA 131 SECONDO VIAGGIO CON MARIJUANA IN VASCA 137 RIFLESSIONI SULLA MORTE E LE ESPERIENZE PSICHEDELICHE 141 SECONDO VIAGGIO KETAMINA 147 TERZO VIAGGIO KETAMINA IN VASCA 153 FRAMMENTI DI VIAGGI 155 PAUSA DI RIFLESSIONE 201 UNA NUOVA ONDA 203 PRIMO VIAGGIO CON AYAHUASCA 205 PRIMO VIAGGIO CON 5-MEO-DMT 217 CONCLUSIONI 225 CONSIDERAZIONI ENERGETICHE 227 APPENDICE 1: ISTRUZIONI PER L’USO 235 APPENDICE 2: SOSTANZE 239 BIBLIOGRAFIA 247 INDICE lo stai leggendo

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© Copyright 2010 Andrea Lizza Responsabile della pubblicazione Andrea Lizza Libro pubblicato dall’autore Stampato in Italia presso Cromografica Roma S.r.l., Roma, per Gruppo Editoriale L'Espresso S.p.A. L’autore è un utente del sito

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