Verra - Introduzione a Hegel

April 6, 2017 | Author: Pietro Cesana | Category: N/A
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Introduzione a

HEGEL di Valerio Verra

Editori Laterza ♢ Mauritius ♢

l FILOSOFI Ogni volume di questa collana co-· i stituisce un ampio capitolo di storict ~ della filosofia, dedicato a un autore o 5 a una corrente di pensiero. Le singole «Introduzioni» offrono gli strumenti critici essenziali per intendere l'opera dei filosofi alla luce delle più recenti prospettive storiog rafiche.

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l FILOSOFI 49

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© 1988, Gius. Laterza

& Figli

Prima edizione 1988

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INTRODUZIONE A

HEGEL DI

VALERIO VERRA

EDITORI LATERZA

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Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel maggio 1988 nello stabilimento d'arti grafiche Gius. Laterza & Figli, Bari CL 20-3244-9 ISBN 88-420-3244-1

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GEORG W. F. HEGEL

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I. GLI SCRITTI GIOVANILI

Da molto tempo si è diffusa la consuetudine di indicare il primo trentennio (la metà all'incirca!) della vita di Hegel come periodo « giovanile » e di chiamare « giovanili » gli scritti di quel periodo. E, in fondo, non ci sono motivi tali da indurre a discostarsi da tale consuetudine, il che comporterebbe, oltretutto, notevoli difficoltà di raccordo con i titoli, gli schemi e il linguaggio stesso di molti studi hegeliani. È però necessario ricordare che tale qualifica e tale periodizzazione non hanno un senso puramente cronologico, ma risalgono a una svolta negli studi hegeliani dovuta a Dilthey e al suo programma di studiare il pensiero di Hegel in modo genetico, storico-filologico; una svolta, per altro, che in Dilthey e nei suoi seguaci corrisponde al privilegiamento dello Hegel « giovane », assertore di una concezione « panteistica » della « vita », rispetto allo Hegel maturo irretitosi e irrigiditosi nelle· ma:glie del sistema 1• Non è certo questo il luogo per discutere tale schema interpretativo, ma va sottolineato almeno il ruolo che ha giuocato e giuoca in tale programma la ricerca, la pubblicazione e la interpretazione degli inediti. Se poi nel caso del « giovane » Hegel tale ruolo è stato addirittura deter1

Cfr. W. Dilthey, Die ]ugendgeschichte Hegels, Berlin 1905 (trad. it. di G. Cavallo, Napoli 1986).

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minante ed esclusivo (le prime pubblicazioni di Hegel risalgono, come è noto, al periodo di Jena), ha avuto notevolissima importanza per la lettura dell'intera opera di Hegel nel nostro secolo, portando a uno spostamento di prospettiva veramente radicale rispetto all'Ottocento. Alla morte di Hegel, infatti, il suo pensiero era sostanzialmente conosciuto attraverso la Fenomenologia dello spirito del 1807, la Scienza della logica del 1812-16, di cui Hegel aveva ancora fatto a tempo a rivedere la prima parte, poco prima della morte (1831), l'Enciclopedia delle scir:nze filosofiche in com pendio del 1817, di cui aveva pubòlicato la terza edizione nel 1830, e la Filosofia del diritto del 1821. Tuttavia, già con l'« edizione completa » delle opere promossa e pubblicata dagli « amici del defunto » ( 1832-45) il quadro dell'opera lasciato da Hegel veniva profondamente mutato in base a una precisa linea interpretativa. Poiché era largamente diffusa la convinzione che l'essenza del pensiero hegeliano consistesse precisamente nel « sistema », a cui per altro si attribuiva una sostanziale definitività e conclusività rispetto all'intero corso della filosofia, quell'edizione mirava a presentare il sistema nel modo più compiuto e persuasivo, ricorrendo, là dove appariva necessario, ad integrazioni di non poco conto. A tale scopo poi venivano utilizzati anche manoscritti delle lezioni hegeliane o appunti e trascrizioni di quanti le avevano seguite, per lo più senza preoccuparsi della loro diversa origine e datazione, ma accostandoli in base alla loro adeguatezza ad illuminare e rendere perspicuo il pensiero hegeliano, spesso condensato, soprattutto nell'Enciclopedia, in paragrafi estremamente succinti, dato il loro uso didattico. A questo intento dobbiamo se fin dalla prima metà dell'Ottocento furono fatti conoscere i grandi cicli delle lezioni hegeliane sull'arte, la religione, la filosofia della storia e la storia della filosofia, ma è facile immaginare come, non appena vennero avanzati criteri storico-filologici rigorosi, sia iniziato un lavoro, se non di smantellamento, quanto meno di revisione critica molto radicale di tale impresa, accusata di aver costretto lo sviluppo vivo ed autentico del pensiero hegeliano in un'impalcatura sistematica arti4 ♢ Mauritius ♢

ficiosa, soffocante e spesso del tutto distorcente. Sottolineare l'efficacia, la fecondità, i meri ti del tipo di ricerca storico-filologica, fattasi nel frattempo sempre più scaltrita e tuttora in pieno sviluppo, può essere perfino superfluo; d'al tra parte però, soprattutto in sede storio grafica, non si può certo dimenticare che l'in tero Ottocento, dai grandi protagonisti delle polemiche antihegeliane e antiidealistiche, alla diffusione dell'hegelismo o, addirittura, alla fioritura di forme di neohegelismo nelle più diverse aree culturali, ha avuto precisamente come termine di riferimento e di confronto lo Hegel « sistematico » consacrato dall'« edizione completa » delle sue opere. Ci si trova dunque di fronte a una complessità di piani e di metodi interpretativi che, almeno nell'ottica di un discorso introduttivo globale, non sembra si possano o si debbano sacrificare l'uno all'altro, ma vadano piuttosto via via evidenziati e raccordati per consentire l'accesso più vasto e articolato possibile alla pluralità degli aspetti del pensiero hegeliano e della sua fortuna che vi sono coinvolti. Una volta precisati questi punti preliminari, non c'è poi ragione di non accogliere anche quel tanto di pathos che si accompagna al canone storiografico dello Hegel « giovane » e che in qualche misura corrisponde proprio a quel fermento di idee, di aspirazioni, di speranze rinnovatrici, se non addirittura rivoluzionarie, che animava i giovani filosofi-teologi dello Stift di Tiibingen. Soprattutto negli ultimi decenni si è insistito molto sull'importanza della Rivoluzione francese per la formazione dell'idealismo tedesco ed in particolare del pensiero hegeliano 2 , ed è importante sottolineare un aspetto specifico di questo rap2

Oltre all'opera di G. Lukacs, Der ;unge Hegel und die Probleme der kapitalistischen Gesellschaft, Ziirich-Wien 1948 (trad. it. di R. Salmi, Torino 1960), si veda J. Ritter, Hegel und die franzosische Revolution, Koln-Opladen 1957; nuova ed. con modifiche, Frankfurt a. M. 1965 (trad. it. di A. Carcagni, Napoli 1970, con in app. un'ampia bibl. sulla teoria politica di Hegel a cura di K. Griinder e G. Cantillo, pp. 89-112) e la suggestiva ricerca di fonti anche minori e trascurate compiuta da J. D'Hondt, Hegel secret, Paris 1968.

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porto, ossia il fatto che il problema della rivoluzione politica era sentito in stretta connessione con quello della rivoluzione filosofica costituita dal criticismo 3 , che Kant stesso aveva suggestivamente accostato alla rivoluzione copernicana. Non si trattava cioè di trasferire più o meno meccanicamente e acriticamente i modelli rivoluzionari francesi in Germania, tanto più quando si erano ormai radicalizzati in forme tiranniche e liberticide, ma di domandarsi piuttosto se proprio gli esiti negativi della Rivoluzione francese non dipendessero in una certa misura dalla inadeguatezza della filosofia a cui si era ispira t a. Del resto, l'attribuzione alla filosofia kantiana di una funzione epocale etico-politica è un tema largamente diffuso in quegli anni ad opera di uno dei primi e più entusiasti seguaci del criticismo kantiano, K. L. Reinhold ( 1758-1823) che tanto ha contribuito alla propagazione della filosofia critica con i suoi Briefe ii. ber di e Kantische Philoso phie 4 e con il suo insegnamento a Jena dal l 78 7 al l 79 4. La tesi fondamentale di Reinhold era infatti che la filosofia kantiana abbisognasse di una sistemazione adeguata e definitiva, per poter adempiere al compito che le spettava in campo non soltanto filosofico, ma etico, politico e religioso, quale filosofia fonda t a, a differenza dalle precedenti, Si veda la celebre lettera a Schelling del 16 aprile 1795: « Dal sistema kantiano e dal suo più alto perfezionamento prevedo in Germania una rivoluzione che partirà dai principi già esistenti, i quali, dopo una generale rielaborazione, richiedono soltanto di essere applicati a tutto l'attuale sapere. Certo sussisterà sempre una filosofia esoterica, e l'idea di Dio come lo assoluto ne farà parte integrante [ ... ] Credo che non ci sia miglior segno dei tempi di questo: che l'umanità è rappresentata come degna di stima in se stessa; una dimostrazione questa che l'aureola che circondava il capo degli oppressori e degli dei della terra dilegua. I filosofi dimostreranno questa dignità, i popoli impareranno a sentirla e non si contenteranno più di esigere i loro diritti sinora calpestati nella polvere, ma essi stessi li riprenderanno e se ne approprieranno» (G. W. F. Hegel, Lettere, trad. it. a c. di P. Manganaro, con introd. di E. Garin, Bari 1972). 4 Queste « lettere » comparvero dapprima nel 1786-88 nell'importante riv. « Teutscher Merkur » e poi, ampliate e rielaborate, in due voli. a Leipzig 1790-92. 3

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interamente sull'apriori e sulla libertà dell'uomo. Secondo Reinhold c'era una sostanziale convergenza tra gli esiti della filosofia kantiana e l'aspirazione di Lessing (un autore assai caro e spesso citato dallo Hegel « giovane »!) alla fondazione puramente morale della religione, all'avvento del Vangelo eterno, di un'epoca in cui gli uomini avrebbero adorato Dio in spirito e verità e dimostrato con la retti tu dine della loro vi t a e delle loro azioni la validità delle loro credenze. Del resto, tanto per Lessing quanto per Reinhold, questa era in effetti l'autentica religione praticata e professata da Gesù, del tutto diversa ed opposta rispetto alla divinizzazione della persona del Maestro compiuta poi dai discepoli ed imposta dalle Chiese. D'altra parte questi quadri, già abbastanza sconvolgenti rispetto alle concezioni tradizionali della religione e del cristianesimo, erano stati ulteriormente spezzati e travolti da una polemica anche questa di grande importanza per la formazione dell'idealismo tedesco e di cui ancora Lessing, sia pur del tutto inconsapevolmente, aveva dato lo spunto. Secondo Jacobi, infatti, Lessing, poco prima di morire, gli avrebbe dichiarato di condividere le posizioni panteistiche di Spinoza e, comunque, di non poter più accettare la concezione ortodossa e tradizionale della divinità come persona e come creatore. Di qui una complessa polemica inizialmente in tesa a scagionare Lessing da una accusa considerata infamante, stanti le valutazioni correnti nell'epoca di Spinoza come ateo e nemico di ogni autentica morale, ma soprattutto ad evitare di compromettere le posizioni illuministiche di cui Lessing era il più prestigioso esponente in una linea che ne avrebbe smascherato il sostanziale ateismo e anticristianesimo. Ben presto però la polemica prende tutt'altra piega e, soprattutto con Herder e con Goethe, si trasforma in una vigorosa ripresa degli elementi naturalistici di Spinoza, una volta liberato il suo sistema dalle scorie matematizzanti residuo della mentalità dell'epoca cartesiana. All'esigenza di una nuova concezione della libertà dell'uomo si accompagna così quella di un nuovo senso della n atura come vi t a infinita, come uni totalità che va molto oltre gli schemi tradizionali del 7 ♢ Mauritius ♢

cristianesimo, ma anche del rigido materialismo meccanictstlco in cui la natura sembrava essere stata costretta e rattrappita dall'illuminismo francese. Con la rinascita dello spinozismo si ha dunque una sorta di ri voi uzione, etica, religiosa e metafisica che per tanti aspetti si nutre e si accompagna ad un senso estetico della n atura e della realtà, potenzia t o a sua volta dal rinnovato entusiasmo per il mondo greco 5 • Un entusiasmo però che non si limita all'arte greca, celebrata da Winckelmann, ma si estende all'intera vita etica, politica e religiosa dei Greci che nessuno, forse, come Schiller aveva osato contrapporre al mondo cristiano e moderno, quale modello superiore e perduto di armonia tra l'uomo e la natura, tra l'uomo e la divinità e, in ultima analisi, dell'uomo con se stesso. Quello Schiller che, pur apprezzando e condividendo l'affermazione kantiana della libertà dello spirito, ne aveva criticato gli aspetti dualistici, ascetici e rigoristici: autentica morale infatti non ci può essere a spese della natura e dei sentimenti, ma solo là dove si realizza una spontanea ed armonica cooperazione di sensibilità e di ragione, nell'« anima bella » per la quale il dovere è diventato natura. Quello Schiller, infine, la cui critica severa del mondo moderno, governato dall'intelletto e portato a frammentare la società e gli individui in nome di esigenze utilitaristiche, e la cui insoddisfazione per gli esiti della Rivoluzione francese avevano trovato espressione nella grande utopia estetico-politica delle può essere il « bisogno della filosofia» che sorge «quando la potenza dell'unificazione scompare dalla vita degli uomini e le opposizioni hanno perduto il loro rapporto vivente e la loro azione reciproca e guadagnano l'indi pendenza » 4 • Compito della filosofia è dunque quello di corrodere e sciogliere le rigidità in cui la riflessione si è fissata e l'intelletto ha soffocato la vita, per integrarle in una totalità razionale. Per questo la filosofia non può non essere « sistema » e non può certo rinviare a un «principio fondamentale » che, se fosse veramente tale, dovrebbe lasciare fuori di sé o l'identità o la differenza degli opposti, ma, appunto perciò, non potrebbe mai essere speculativo, cogliere ed esprimere l'identità assoluta. Attraverso un'ampia Trad. it. di R. Bodei nel vol. G. W. F. Hegel, Primi scritti critici, Milano 1971, pp. 3-120. 4 lvi, p. 15. 3

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analisi dell'opera di Kant e di Fichte, Hegel cerca di mettere in luce le ragioni per cui anche queste filosofie, che pure hanno colto il senso speculativo dell'a priori e della soggettività non abbiano saputo rimanere fedeli al punto di vista speculativo· e siano ricadute nell'opposizione intellettiva tra soggetto ed oggetto. Soltanto con la filosofia di Schelling si è affermata la necessità di intendere l'assoluto come identità. In altri termini, la filosofia non può limitarsi ad affermare l'identità di soggetto ed oggetto in senso soggettivo, come accade in Fichte, ma deve affermare tale identità anche in senso oggettivo. In questa polemica vengono coinvolte complesse questioni che vanno dalla funzione speculativa dell'intuizione, alla necessità di dar conto adeguatamente della natura e di non ridurla a un morto strumento del soggetto, cosi come le implicanze etiche e politiche di una concezione inadeguata della soggettività come finita, come costretta ad un semplice dover essere. Per quanto riguarda poi l'articolarsi della filosofia come sistema, essa deve avere anzitutto una parte teoretica in generale (la filosofia . della natura) e una parte pratica in generale (la filosofia dell'intelligenza). Ciascuna di queste parti, per quanto costituisca una totalità a sua volta articolata, deve però trovare un punto di incontro e di « indifferenza » con l'altra che è costituito dall'intuizione dell'assoluto. Tale intuizione si articola nella « polarità » dell'arte e della speculazione, dove però il termine arte indica tanto l'arte in senso stretto « come un prodotto dell'individuo, del genio, che appartiene però all'umanità », quanto la religione «come prodotto di una moltitudine, di una comune genialità, ma anche appartenente ad ogni singolo individuo ». Arte e speculazione, infine « sono nella loro essenza culto divino, entrambe un'intuizione vivente della vita assoluta e quindi un tutt'uno con essa » 5 • Nell'estate del medesimo anno, Hegel consegue l'abilitazione all'insegnamento universitario discutendo una serie 5

I vi, p. 93.

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di tesi 6 dense di spunti dialettici e pubblica la dissertazione De orbitis planetarum 7 dove, in polemica contro le concezioni newtoniane, afferma la validità ed adeguatezza delle teorie di Keplero per spiegare razionalmente i moti celesti. Nel 1802 Hegel inizia a pubblicare con Schelling il « Giornale cri tico della filosofia » dove compare una serie di scritti polemici, alcuni dei quali di grande respiro speculativo. Ricordiamo brevemente il saggio del 1802 (scritto insieme a Schelling) dal titolo Introduzione. Sull'essenza della critica filosofica in generale e sul suo rapporto allo stato presente della filosofia in particolare: occorre guardarsi da una critica ispirata soltanto al desiderio di salvare la finitezza, mentre un'autentica critica filosofica deve essere guidata da un'idea, deve mirare alla sistematicità, non limi t arsi a invalidare le posizioni singole cri tic a te, ma preparare la strada alla vera filosofia. Con il saggio sul Rapporto dello scetticismo con la filosofia. Esposizione delle sue diverse modificazioni e confronto dello scetticismo moderno con quello antico 8 , sempre del 1802, Hegel affronta un tema cruciale nei primi sviluppi del criticismo e che conserverà pure notevole importanza nella concezione hegeliana della fenomenologia e della dialettica. Rispetto ali' affermarsi del criticismo kantiano non erano infatti mancate nell'ultimo decennio del Settecento obiezioni di tipo scettico a cui già Fichte aveva prestato grande attenzione. Così S. Maimon (1754-1800), sia pur con intento non ostile, ma consono allo spirito della critica, tanto da essere apprezzato da Kant, aveva sostenuto che la filosofia kantiana non aveva superato le istanze scettiche, poiché si era limitata a mostrare i fondamenti della conoscenza scientifica della natura, presupponendone però l'universalità e la necessità come un quid 6

Sono riportate dal Rosenkranz nell'opera sopracit., pp. 173176 della trad. it. 7 Cfr. la trad. it. con introd. a c. di A. Negri, Le orbite dei pianeti, Roma-Bari 1984. 8 Trad. it. di N. Merker, Bari 1970.

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facti. Ma, soprattutto con Enesidemo-Schulze 9

( 1761-

18 3 3), la cri tic a scettica a Kan t e a Reinhold si era fatta aspra e totale. Il pensiero critico di Kant e la filosofia elementare di Reinhold non riescono, secondo Schulze, ad adempiere al compito che si sono proposti perché non sono in grado di mostrare quali siano le condizioni effetti ve della scientificità del pensiero filosofico, o, peggio, se si accettano i loro presupposti occorre respingere le loro conclusioni, poiché vi è contraddizione tra l'affermazione dell'invalicabilità dell'esperienza e quella della definitività e a priorità della filosofia critica ed elementare. Prendendo le mosse da un nuovo scritto di Schulze (Kritik der theoretischen Philosophie, Hamburg 1801), ma riferendosi anche all'opera precedente, Hegel attacca la pretesa dello scetticismo moderno di condizionare il sapere filosofico alla coscienza rappresentativa e rivendica la superiorità dello scetticismo antico che, al contrario, aveva impegnato tutte le sue forze nel mostrare l'insostenibilità delle opinioni fondate sulla rappresentazione. Per questa ragione, anzi, a differenza di quanto farà nelle Lezioni sulla storia della filosofia, Hegel privilegia apertamente i più antichi « tropi » scettici poiché, a differenza di quelli successivi, non concernevano posizioni filosofiche più o meno sottili o elabora te, ma le pretese di validità della coscienza comune 10 • In questo senso, anzi, il vero scetticismo, quello scetticismo che ha la sua espressione più alta nel Parmenide di Platone, è implicito nella filosofia in

A Gottlob Ernst Schulze (1761-1833) toccò la ventura di essere cit. nell'epoca soprattutto con il titolo dell'opera che ebbe una certa forttma e che fu anche recensita da Fichte: Aenesidemus oder 'uber die Fundamente der von dem Herr Pro/. Reinhold in ]ena gelieferten Elementarphilosophie} nebst einer V erteidigung des Skepticismus gegen die Anmassungen der Vernunftkritik, 1792, rist. Berlin 1911. to Ci sia consentito di rinviare in merito al nostro studio Hegel e lo scetticismo antico: la funzione dei tropi, in Lo scetticismo antico, Atti del Convegno organizzato dal Centro di studio del pensiero antico del CNR, nov. 1980, a c. di G. Giannantoni, 2 voli., Napoli 1981, vol. I, pp. 47-60. 9

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quanto tale, poiché non esprime altro che il necessario momento di negazione della ragione rispetto al finito. Tra i più belli o, forse senz'altro il più bello di questo gruppo di scritti, per l'ampiezza del respiro storicoculturale e per efficacia espressiva (sia pure con punte piuttosto aspre di polemica!): Fede e sapere o la filosofia

della soggettività nella completezza delle sue forme come filosofia di Kant, di Jacobi e di Fichte 11 , ancora del 1802. Uno scritto, tra l'altro, molto sintomatico del modo hegeliano di confrontarsi con le filosofie precedenti in base a criteri unicamente speculativi. Al lettore infatti può apparire sorprendente che Kant, Jacobi e Fichte vengano considerati come espressioni dell'illuminismo e dell'eudemonismo, tanto più se si pensa alle polemiche a favore di un'etica della libertà pura ed incondizionata sostenute, sia pur in modo diverso, da questi tre autori. Ma, in realtà, il giudizio hegeliano intende chiaramente e dichiaratamente andare al di là della mens auctoris e considerare la portata effettiva dei sistemi filosofici in questione. Ed allora Kant, J acobi e Fichte si presentano come la realizzazione completa delle possibilità inerenti al pensiero moderno dopo che la grande .battaglia illuministica tra fede e ragione si è conclusa con lo svuotamen to reciproco dei due termini. Bisogna rifarsi, per intendere questo giudizio, al fatto che secondo Hegel il pensiero moderno ha .scoperto ed esaltato, con il protestantesimo, la purezza della soggettività, come pura bellezza interiore, sdegnosa di contaminarsi con il mondo. Perciò il rapporto della soggettività con l'esterno si è realizzato poi attraverso un semplice . rovesciamento di termini, sfociando nell'eu demonismo, che non va inteso però come esaltazione della felicità - poiché la felicità rettamente concepita non è qualcosa di empirico o di sensibile - bensl come attaccamento al finito considerato quale limite invalicabile. Per questa concezione del finito, la bella soggettività del protestantesimo si trasforma in soggettività empirica, la poe11

Trad. it. di R. Bodei nel vol. G. W. F. Hegel, Primi scritti critici, Milano 1971, pp. 123-253.

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sia del suo dolore nella prosa della soddisfazione della finitezza e della buona coscienza. Che le filosofie di Kan t, di Jacobi e di Fichte abbiano dunque polemizzato contro l'eudemonismo nulla cambia circa la loro effettiva consistenza e, quindi, circa il fatto che dal presupposto dell'eudemonismo non escono, ma soltanto ne danno l'espressione più completa ed esauriente. La filosofia kantiana rappresenta il lato oggettivo di questo processo, postulando il concetto assoluto come ragion pratica quale oggettività suprema nel finito; la filosofia di Jacobi ne rappresenta il lato soggettivo, poiché trasferisce l'opposizione e l'identità, postulata in modo assoluto, nella soggettività del sentimento come aspirazione infinita e dolore insanabile; la filosofia di Fichte ne rappresenta la sintesi, poiché esige la forma dell'oggettività e dei princlpi, come Kant, ma al tempo stesso pone il conflitto di questa oggettività pura contro la soggettività come un'aspirazione e una identità soggettiva. Portando a termine il ciclo delle forme possibili della filosofia della riflessione, questi sistemi hanno fatto venire alla luce, sia pur indirettamente, l'insufficienza di una concezione puramente negativa dell'assoluto e dell'infinito. Cosl il >, ma un principio al tempo stesso della propria identità e della propria distinzione, della propria uguaglianza e della propria disuguaglianza; si ha cosl un secondo mondo sopra sensibile « inverti t o >> rispetto al primo, poiché non è la tautologia, bensl il suo rovesciamento, pur includendo nel suo movimento tanto la tautologia, quanto la distinzione. In tal modo è finalmente possibile scorfrutto di un processo infinito di riflessione in se stesso, proprio come l'autocoscienza; il fenomeno non è un semplice «caso» di una legge, ma rispecchia una collisione di leggi, per cui si deve passare da una concezione meccanicistica ad una organicistica di legge, dove la seconda appare come l'inversione, il rovesciamento della prima; a tale proposito, per intendere come il rovesciamento possa essere il modo di manifestare la verità, Gadamer si richiama anche alla concezione e funzione della satira (H. Gadamer, Hegels Dialektik, Tiibingen 1971, trad. it. di R. Dottori e C. Angelino, Torino 1973, pp. 46-70).

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gere il carattere « infinito » del processo di manifestazione dell'interno nell'esterno e comprendere che mediante l'« infinità » la legge è perfettamente giunta alla necessità e che tutti i momenti dell'apparenza sono assunti al suo interno. In tal modo però la coscienza come intelletto non ha più a che fare con una spiegazione puramente estrinseca, ma, al contrario, è venuta a cadere la cortina che separava la coscienza dal soprasensibile. I due estremi, quello del puro interno e quello del puro esterno, sono venuti a coincidere e la coscienza si scopre come atto con cui l'in terno guarda nell'interno, ossia autocoscienza. Tenendo fermo il modello fondamentale del discorso fenomenologico, per cui ogni movimento della coscienza corrisponde a quello del suo oggetto e viceversa, si può comprendere che la coscienza, giungendo a scoprire come intelletto il carattere internamente riflesso della realtà come manifestazione di leggi che si riflettono in se stesse nel loro manifestarsi, giunge a cogliere se stessa come riflessione di se stessa su se stessa nelle sue manifestazioni, quali che siano gli ulteriori complessi sviluppi che tutto questo implica. Ma, come sottolinea Hegel, l'importante è che l'opinione, la percezione, l'intelletto sono ormai svaniti, anche se la conquista dell' autocoscienza non sarebbe stata certo possibile senza la peripezia segnata appunto da opinione, percezione e intelletto.

L}autocoscienza. La trattazione dell'autocoscienza è indubbiamente la sezione della Fenomenologia che ha avuto maggiore risonanza nel nostro secolo 21 • Nella sezione precedente, riguardante la coscienza, venivano infatti trattati temi gnoseologici, trascendentali, epistemologici e metafiPer motivi diversi, ma talora convergenti, ne sono stati protagonisti nella prima metà del nostro secolo tanto il marxismo quanto l'esistenzialismo. Negli anni più recenti, oltre agli sviluppi del marxismo, specie nella Scuola di Francoforte, va ricordato il confronto tra la Fenomenologia e la psicanalisi stabilito nella filosofia francese. (Cfr. P. Ricoeur, De tinterprétation. Essai sur Freud, Paris 1965, trad. it. di E. Renzi, Milano 1966; ]. Lacan, Ecrits, Paris 1966, trad. it. di G. Contri, 2 voli., Torino 1974.) 21

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sici, spesso sviluppati con argomentazioni molto sottili ed eleganti, ma di sapore piuttosto specialistico. Nella trattazione dell'autocoscienza sono invece coinvolti i problemi dell'uomo e della sua storia nel senso più vasto e più vivo del termine: dall'appetito, alla lotta per il riconoscimento e per l'intersoggettività, dalla funzione universalizzante del lavoro, al formarsi di un elevato senso di libertà interiore in un'epoca di paura e di servitù, ma anche di grande cultura, fino allo sviluppo di quella « coscienza infelice » che vede in parte la ripresa dei temi degli Scritti teologici giovanili e che diventa ormai un'analisi critica di grandi fasi del cristianesimo. Il fulcro di questa ampiezza di orizzonti e ricchezza di tematiche sta nel fatto che l'autocoscienza non può affatto essere intesa come una sorta di vuota identità, di autointuizione formale, non può rimanere chiusa nella singolarità del soggetto, il che anzi è proprio la caratteristica della sua finitezza ed astrattezza e va pertanto superato. L'autocoscienza infatti appare inizialmente come qualcosa che ancora si distingue dall'altro, ma non è principio e superamento di tale distinzione. Di qui l'impulso a superare tale stato di scissione, a trovare l'oggetto che le consenta di realizzare effetti vamen te la propria identità. Ma tale fine non può essere conseguito fino a quando l'autocoscienza come appetito si dirige unicamente ad oggetti che si mostrano dipendenti dall'autocoscienza, che l'autocoscienza può annientare e consumare, senza che però in tal modo sia superato l'appetito, che torna inevitabilmente a riprodursi. L'autocoscienza, in altri termini, ha bisogno di essere « riconosciuta », ossia di realizzare la propria libertà e identità mediante un altro essere altrettanto libero ed autocosciente e capace quindi di darle la certezza di essere tale. Questo non può avve. ' . . ntre pero attraverso un rapporto puramente comunicativo, o comunque teoretico, ma comporta inevitabilmente una dimensione pratica di lotta e di sfida. Se infatti autocoscienza vuoi dire indipendenza, l'autocoscienza deve essere pron t a a tutto, anche a rischiare la vi t a, pur di ottenere dall'altro tale riconoscimento. Ed è chiaro che di rischio si tratta, e non già di morte, poiché se la lotta si con47 ♢ Mauritius ♢

elude con la morte di uno dei due contendenti non si ha il riconoscimento, bensì il semplice annullamento del rapporto. L'esito dunque di tale lotta non può essere che l'instaurarsi dèl rapporto tra signore e servo, ossia tra l'autocoscienza pronta a rinunciare alla vita pur di essere riconosciuta indipendente, e l'autocoscienza che accetta di essere dipendente, pur di non rinunciare alla vita. Altrettanto inevitabilmente però tale rapporto si rovescia di segno, nel senso che l'ulteriore sviluppo dell'autocoscienza passa attraverso il servo e non il signore. Il signore infatti rimane chiuso nell'affermazione della propria indipendenza e nella fruizione immediata degli oggetti e considera il servo come semplice strumento della soddisfazione dei suoi appetiti; .il servo, al contrario, è costretto a lavorare per il signore, ma lavorare significa trattenere l'appetito, non fruire dell'oggetto, ma dargli una forma; in questo modo l'oggetto assume un'indipendenza rispetto al servo che con il lavoro l'ha formato, l'ha universalizzato, anche se il servo non ne è consapevole, non vi si riconosce. Si compie così la dialettica di paura e di servizio: senza la disciplina del servizio la paura infatti non si traduce sul piano della realtà effettiva, rimane interiore e la coscienza non si oggettiva a se stessa. Questa coincidenza della coscienza e del suo oggetto, come risultato del suo lavoro, non si realizza però nel servo, ma sol t an t o in una forma di coscienza che « pensa » tale coincidenza, e, quindi, è un'autocoscienza libera, anche se sol t an t o in senso immediato, in quanto coscienza pensante. Questa libertà dell'autocoscienza si è manifestata storicamente come stoicismo ed ha potuto venire alla luce come « universale forma dello spirito » soltanto in tempi di « generale paura e servitù, ma anche di generale cultura che aveva elevato il formare all'altezza del pensare ». Tale coscienza è quindi negativa verso la relazione signoria-servitù: il suo operare non è né quello del signore che trova la propria verità nel servo, né quella del servo che trova la propria verità nella volontà del signore e nel servizio resogli; anzi il suo operare è di essere libera sul trono ed in ca48 ♢ Mauritius ♢

tene, e in ogni dipendenza del suo singolo esserci; è di riservarsi l'inerzia che dal movimento dell'esistenza, cosl dall'agire come dal patire, si rifugia sempre nell'essenza semplice del pensiero 22 •

La realizzazione effettiva di ciò di cui lo stoicismo è soltanto il concetto si ha nello scetticismo, dove la negatività astratta dello stoicismo diventa principio di scompaginamento di ogni certezza nella realtà; l'inquietudine dialettica dello scetticismo fa esperienza della propria libertà come pura accidentalità e confusione, continua contraddizione di sé. Ma poiché si tratta di due manifestazioni della medesima coscienza e della sua negatività, la coscienza giunge a riconoscere in sé tale duplicità che prima si distribuiva in due singoli (il signore e il servo) e a riprodurla in se stessa. È questa la nuova figura della « coscienza infelice » 23 scissa in se stessa, che dapprima proietta la sua essenza in un immutabile ed essenziale a cui si contrappone come mutabile e inessenziale. Il rapporto all'immutabile è del tutto infelice, perché la coscienza, come accidentale, se ne sente puramente dipendente e vive questo rapporto come « devozione», come nostalgia per un'impossibile conciliazione: si ha soltanto come «un vago bruslo di campane o una calda nebulosità », un «pensare musicale » che non arriva al concetto. Spinta da questa nostalgia la coscienza va alla ricerca dell'immutabile come di un singolo, ma in realtà ne trova sol t an t o il sepolcro (si pensi alle Crociate!), poiché è assurdo e contraddittorio voler trovare l'al di là realizzato in un oggetto della certezza sensibile. La coscienza scopre quindi che la sua essenza deve essere realizzata nel mondo, con il lavoro e con l'impegno, un lavoro però del tutto diverso da quello del servo, poiché il mondo è visto ora come sacro e tutto ciò. che vi si inTrad. DN, I, 167. 23 Per la centralità di questo tema nella Fenomenologia si veda il libro di J. W ahi, Le malheur de la conscience dans la philosophie de Hegel, Paris 1929; 2a ed. 1951 (trad. it. di F. Ochetto, pref. di E. Paci, Milano 1972). 22

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contra e vi si realizza, come un dono. Perciò stesso, però, la coscienza non può identificarsi con il mondo, ed è spinta a tornare a se stessa, liberandosi da ogni legame con il mondo e affidandosi interamente a un mediatore, a un ministro. È la dimensione dell'ascetismo, con la quale la coscienza giunge a compiere il più completo sacrificio del suo Io, ma, cosl facendo, « come ha tolto l'operare in quanto operare suo, cosl, in sé, ha dimesso da lei anche la sua infelicità derivante dall'operare stesso » 24 • La coscienza ha cosl superato in sé la condizione dell'avere l'in sé nell'al di là di se stessa, e le è sorta la rappresentazione della ragione, ossia di essere assolutamente in sé o di essere ogni realtà.

La ragione. Mentre sinora l'autocoscienza era preoccupata della sua indipendenza e libertà, di salvare se stessa a spese del mondo, ormai divenuta certa di sé come ragione, è come se per la prima volta vedesse sorgere davanti a sé un mondo nuovo che sa essere suo e che vuole verificare come tale. Questa posizione, osserva Hegel, corrisponde a quella dell'idealismo che sa esser la ragione principio di tutto, ma, a differenza dell'idealismo, che si chiude in una propria certezza puramente soggettiva, qui la ragione passa a verificare la propria presenza nel mondo attraverso tre grandi momenti, che sono quelli dell'osservare, del realizzarsi mediante se stessa e dell'operare concreto come individualità. Il primo momento è quello della « ragione osservatrice » che cerca e trova se stessa nell'oggetto immediato, quale consapevolezza del proprio operare come operare esterno. Hegel vi dedica un'analisi molto ampia, toccando molti temi e problemi studiati pure nella logica e nella filosofia della n atura. N on si tratta, infatti, qui dell'osservazione puramente empirica della natura, ma di una osservazione che ne vuole rintracciare l'essenza razionale, ossia ricondurre l'empiria a leggi. Tale procedimento però entra in crisi o, meglio, mostra tutti i suoi limiti precisamente rispetto alla natura come vita organica e alla sua 24

Trad. DN, I, 188-89.

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struttura intrinsecamente teleologica 25 • Perciò la ragione si rivolge, per così dire, dall'esterno all'interno, e si dedica ali' osservazione delle leggi logiche del pensiero e a quelle della vita psichica. Hegel tratta questo tema abbastanza sbrigativamente 26 , soprattutto per quel che riguarda le leggi logiche di cui critica l'inconsistenza, in quanto presentate come leggi isolate e separate dal movimento concreto del pensiero. Piuttosto severa anche la critica alla psicologia che si esaurisce in una descrizione di facoltà, inclinazioni, passioni, ecc., senza saperne cogliere l'unità all'interno della vita dell'autocoscienza. Si compie così l'ultimo passo della ragione osservatrice che si illude di trovare maggiore concretezza mediante due scienze (o pseudoscienze) allora in voga: la fisiognomica n e la frenologia 28 • La prima presenta larghi margini di arbitrarietà nella Per quanto riguarda gli interessi hegeliani di filosofia della natura specificamente in rapporto ai problemi della vita organica nel periodo di Jena, alle sue fonti ed anche ai rapporti con gli ambienti scientifici di Jena, oltre che le influenze della vicina Weimar (a cominciare da Goethe), cfr. O. Breidbach, Das Organische in Hegels Denken. Studie zur Naturphilosophie und Biologie um 1800, Wiirzburg 1982 e spec. le pp. 149-286, Zu Hegels Nàturphtlosophie. 26 Un'ampia e approfondita trattazione delle leggi logiche si trova invece nella Logica, e precisamente nel secondo capitolo della seconda parte concernente le essenzialità o determinazioni della riflessione; per quanto riguarda la psicologia si veda la filosofia dello spirito soggettivo. TI Il suo maggior esponente è il pastore svizzero J. C. Lavater (1741-1801) una complessa figura di letterato, teologo e antropologo che fu apprezzato anche da Goethe ed ebbe rapporti molto intensi con la cultura ted. dell'epoca. Nel 1774-78 pubblicò i quattro voli. di Physiognomische Fragmente zur Beforderung der Menschenkenntnis und Menschenliebe. 28 È la dottrina allora insegnata e sostenuta dall'anatomista tedesco F.]. Gall (1758-1828) che, con il suo collaboratore e discepolo J. Chr. Spurzheim, pubblicò nel 1809 la memoria Recherches sur le système nerveux en général et sur celui du cerveau en particulier e, successivamente, il trattato: Anatomie et physiologie du système nerveux en général et du cerveau en particulierJ avec observations sur la possibilité de reconnaitre plusieurs dispositions intellectuelles et morales de l) homme et d es animaux par la configuration de leurs tetes, 4 voll., Paris 1810-19. Le sue dottrine ebbero però risonanza già a cavallo del secolo per il suo insegnamento a Vienna, 25

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sua pretesa di trovare la manifestazione dell'anima nell' espressione del volto; la seconda, con la sua pretesa di ricondurre le funzioni spirituali alla conformazione cranica e cerebrale, mostra l'esito estremo della ragione osservatrice che si può condensare nell'affermazione: « l'essere dello spiri t o è un osso ». Al momento teoretico subentra dunque quello pratico, dove la ragione cerca di realizzarsi ancora però come pura individualità, con una esaltazione, di tono faustiano, dell'immediatezza della vi t a come ricerca del piacere: L'autocoscienza si getta dunque nella vita, e conduce a perfezione quella pura individualità nella quale essa sorge. Più che costruirsi la propria felicità, la coglie immediatamente e immediatamente la gode. Le ombre della scienza, delle leggi, dei principi che soli stanno tra lei e la propria effettualità, scompaiono come inerte nebbia incapace di accogliere l'autocoscienza e la certezza della sua realtà. L'autocoscienza prende la vita a quel modo che vien colto un frutto maturo, verso il quale si stende la mano proprio mentr'esso par che si offra 29 •

Ma la ricerca del piacere è intrinsecamente condannata alla frustrazione, al suo continuo annientamento, sentito come necessità, come destino estraneo ed ostile. Se dunque si è consuma t a la prima figura del suo realizzarsi mediante se stessa, l'autocoscienza è però sopravvissuta come in sé, come avente in sé la propria necessità. L'autocoscienza sente dunque di avere in sé la propria legge, nel proprio « cuore >>, che erige a giudice infallibile del bene e del male, legge che vuole dunque imporre al mondo. Ma questa figura in cui si riconoscono i tratti schilleriani del ribelle per entusiasmo morale, finisce nel delirio

che gli causò pure notevoli ostilità e che dovette abbandonare nel 1802, trasferendosi a Berlino e poi nel 1807 a Parigi: cfr. in merito W. Leibrand, Die spekulative Medizin der Romantik, Hamburg 1956. Anche per il confronto di Hegel con la fisiognomica e la frenologia, cfr. l'opera sopracit. di O. Breidbach, e precisamente la sezione Physiognomik und Schiidellehre, pp. 237-45. 29 Trad. DN, I, 302.

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della presunzione, poiché non può capire come il mondo si opponga alla sua legge e causi la sua stessa distruzione: Perciò il batticuore per il benessere dell'umanità passa nello smaniare della sconvolta presunzione, nella furia della coscienza per conservarsi contro la sua distruzione [ ... ] Allora la coscienza qualifica l'ordine universale come un'inversione della legge del cuore e della felicità: preti fanatici, despoti corrotti aiutati dai loro ministri che umiliando ed opprimendo cercano di rifarsi dell'umiliazione loro, avrebbero inventata questa inversione, manipolandola a indicibile miseria dell'urna~ nità inganna t a 30 •

Di fronte a questo scacco della legge del cuore non resta che affermare il valore della virtù, a cui però si contrappone il « corso del mondo » che ne manderebbe a vuoto la realizzazione. Perciò, per essere fedele a se stesso « il cavaliere della virtù » deve combattere un duello allo specchio, fingere soltanto di combattere, perché, se lo facesse sul serio, il confronto effettivo con il corso del mondo mostrerebbe che ciò che si propone come virtù non sono altro che astrazioni. Questo mettersi alla prova concretamente è quanto avviene nella terza ed ultima fase della ragione, come individualità che è reale a se stessa nel suo operare effettivo. La prima figura di questo processo è chiamata da Hegel «regno animale dello spirito» poiché l'individualità inizialmente non può che operare secondo le doti e caratteristiche che possiede per natura. Tuttavia la realizzazione di qualsiasi opera si configura sempre come particolare rispetto all'universalità dell'operare che dà luogo a una nuova nozione di oggettività, non più, per cosl dire, puramente materiale, ma spirituale 31 : la cosa (Sache) come termine ideale dell'operare. Ma proprio in questa sua aggettivazione l'individualità giunge al suo limite, poiché caratteristica della Sache è di essere pubblica, universale, Trad. DN, I, 313. Cfr. il Commento sopracitato di ed in part. p. 373. 30 31

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J.

Hyppolite, pp. 368-76

di provocare un incontro e una convergenza di tutti, che vi si precipitano « come le mosche al miele ». Si sviluppa cosl una complessa dialettica di lealtà e slealtà, in quanto la Sache in un certo senso è di tutti e di ciascuno a buon diritto, eppure non lo è propriamente. Un tale punto di incontro infatti può essere soltanto una Sache assoluta, ossia lo spirito come eticità. Prima di conseguire tale risultato però l'individualità deve portare a termine fin in fondo la sua peripezia, realizzando il cara t t ere assoluto della Sache ancora nell'ottica della propria singolarità, e, quindi, attribuendo validità immediata a quanto la ragione sa, dice, giudica essere giusto e buono. È la figura della ragione legisla trice che si consuma nell'esporre leggi e principi che sono tautologie ineseguibili e contraddittorie (« ognuno ha il dovere di dire la verità », « ama il prossimo tuo », ecc.). Di fronte a questo intrinseco vanificarsi dei suoi contenuti alla ragione non rimane che la pura forma dell'universalità, e quindi la ragione si configura come « esaminatrice di leggi », una figura che si rivela altrettanto sterile e negativa della precedente: Che il legiferare e l'esaminar leggi si siano dimostrati come nulli significa che entrambi, presi ciascuno singolarmente e isolatamente, sono soltanto momenti precari della coscienza etica [ ... ] la legge in quanto legge determina t a, ha un contenuto accidentale - il che vuoi dire qui che essa è legge di una singola coscienza di contenuto arbitrario. Quell'immediato legiferare è così la temerità tirannica che eleva a_ legge l'arbitrio, e riduce l'eticità a un'obbedienza ad esso, cioè a leggi che sono soltanto leggi, e non anco comandi. Allo stesso modo, il secondo momento, in quanto esso è isolato, significa l'esaminar leggi, il muovere l'inamovibile e la temerità del sapere, la quale, a forza di raziocini, si svincola dalle leggi assolute e le prende per un arbitrio a lei estraneo 32 • Dal superamento di queste due figure e della loro nullità si giunge a riconoscere il cara t t ere eterno della legge che non si fonda sull'arbitrio e obbedire alla quale non è 32

Trad. DN, I, 358.

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assoggettarsi all'arbitrio di un padrone. Al contrario, essa vale come il diritto degli dei per l'Antigone di Sofocle, non scritto e infallibile: «Non oggi né ieri, ma sempre / Esso vive, e nessuno sa quando sia apparso » 33 •

Lo spirito. Con lo spirito si ha la realtà effettiva della vi t a etica, che nella sua immediatezza è la vi t a etica di un popolo. Ma lo spirito deve giungere al sapere di se stesso, sopprimendo la bella vi t a etica e percorrendo tutta una serie di figure che lo porteranno alla soglia di tale sapere. Di tale itinerario Hegel stesso ha dato uno schema particolarmente efficace che vale la pena di ricordare: Il vivente mondo etico è lo spirito nella sua verità; tosto che esso giunga all'astratto sapere della sua essenza, l'eticità tramonta nella formale universalità del diritto. Lo spirito, scisso ormai in se stesso, inscrive nel proprio elemento oggettivo, come in un'effettualità rigipa, l'uno dei suoi mondi, il regno della cultura, e di contro ad esso, nell'elemento del pensiero, il mondo della fede, il regno dell'essenza. Ma entrambi i mondi, còlti concettualmente dallo spirito che torna in sé dopo aver in tal modo perduto se stesso, vengono scompigliati e rivoluzionati dall'intellezione e dal suo diffondersi, il rischiaramento illuministico; e il regno superato ed esteso nell'al di qua e nell'al di là, ritorna nell'autocoscienza che ora, nella moralità, coglie sé come essenzialità e l'essenza come Sé effettuale; -né pone più fuori di sé il suo mon"do e il fondamento di questo, anzi fa tutto ardere in sé, e come cosczenza morale, è lo spirito certo di se stesso 34 •

E neppure ci sono difficoltà a individuare l'ampiezza dell'arco storico che corrisponde a questo itinerario e che va dall'antica Grecia, all'Impero Romano, alla età moderna, all'Illuminismo, alla Rivoluzione francese fino al trasmigrare dello spirito nella cui tura tedesca da Kant al Romanticismo. Per quanto riguarda il mondo greco abbiamo visto come Hegel nel saggio su Le maniere di trattare scienti33

34

Trad. DN, I, 360. Trad. DN, II, 4. 55 ♢ Mauritius ♢

ficamente il diritto naturale scorgesse nella tragedia greca il modello della tragedia dell'assoluto sul piano dell'eticità, e, in effetti, anche qui l'interpretazione della tragedia è essenziale per spiegare lo sviluppo e la crisi dell'eticità immediata. La sostanza etica dello spirito come coscienza si divide infatti in due « masse » ciascuna delle quali però conserva in sé l'intero spirito, l'intera eticità: la legge umana, da una parte, impersonata dall'uomo, e la legge divina dall'altra, impersonata dalla donna. La prima può anche essere chiama t a legge del giorno, poiché è la legge nota, il costume dato, il governo dello Stato; la seconda invece è la legge del regno delle ombre, perché esprime la continuità della famiglia, i « penati », al di là della esistenza fisica o della attività politica e sociale dei suoi membri. Ma è importante sottolineare come gli esponenti di queste due leggi, che sono poi i personaggi della tragedia, si identifichino interamente con esse, siano dei « caratteri », non delle coscienze soggettive e personali nel senso moderno. Non è, in altri termini, che ci sia o sia pensabile una sorta di conflitto interiore da cui questi personaggi siano travagliati, un dubbio, una scelta, tra principi diversi in conflitto o in collisione. La posizione di ciascuno dei due visto dall'altro è qualcosa di semplicemente negativo e incomprensibile. Antigone vede in Creante una forma di prepotenza e violenza che vuole imporsi ad ogni costo, Creante vede in Antigone una semplice manifestazione di capriccio femminile. La tragedia scaturisce dal fatto che le due leggi non possono semplicemente coesistere e integrarsi, ma è necessario che si compia l'azione, la quale comporta inevitabilmente una loro reciproca esclusione e si configura dunque come « destino ». Ciascuna delle due parti infatti escludç necessariamente l'al tra e se la trova di fronte come nemica, e, per questo, la stessa sofferenza appare come prova della colpa. Ma l'aspetto forse più profondo del loro destino è che in qualche modo il suo senso deve rimanere loro necessariamente nascosto, come si vede dalla tragedia di Edipo che uccide il padre e sposa la madre senza saperlo; quando infatti sopravviene la consapevolezza del signifi-

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ca t o del conflitto tra le due leggi, è perché en trambe sono già perite, tramontate, e con il loro tramonto hanno porta t o a quello della bella eticità. Ne consegue la frammentazione della sostanza etica in una pluralità atomistica di persone che sono regolate da una condizione o stato giuridico che ne riconosce l'universalità astratta. A tale loro dispersione corrisponde la concentrazione di questa condizione in una « persona assoluta », il « signore del mondo », che si oppone come forza negativa a > corrisponde al fatto che lo sP.irito inizialmente si trova in forma di coscienza, sa se stesso in forma naturale o immediata; la seconda, quella della « religione artistica », corrisponde al fatto che lo spirito si trova in forma di autocoscienza, poiché si è innalzato al di sopra della naturalità con la sua produttività, e la terza, infine, quella della « religione rivelata », corrisponde al fatto che lo spirito si trova come unità di coscienza ed autocoscienza, ha la figura di essere in sé e per sé, anche se ancora a livello di rappresentazione, e non ancora di concetto e sapere assoluto. La religione naturale, che comprende le religioni orientali sino ali 'Egitto, si articola a sua voi ta in religione dell'« essenza luminosa », la religione dei Parsi, che corrisponde alla figura fenomenologica della certezza sensibile; religione « della pian t a e dell'animale », la religione indiana, panteistica, che corrisponde alla figura della percezione e che dalla innocenza della « religione dei fiori » passa alla serietà della vi t a e della lotta nella « religione degli animali », a cui corrisponde un mondo caotico di tribù e popolazioni in conflitto tra loro; ed infine reli64 ♢ Mauritius ♢

gione del «capomastro» (Werkmeister) o artefice che corrisponde alla figura dell'intelletto; è la religione egiziana, una religione che rappresenta già il superamento dell'animalità, ma in un modo di lavorare puramente istintivo, regolare, come quello delle api. Piante ed animali vengon9 retrocessi a qualcosa che viene usato, ma manca ancora quel senso dello spiri t o che si realizza nel linguaggio: le grandi costruzioni, sia pur purificate dalla vita animale (i Mennoni), hanno bisogno del sole nascente per acquistare tonalità e vita 43 • Poiché l'autocoscienza è ancora semplicemente scissa e scomposta, esterno ed interno non sono ancora unificati, ma si ha soltanto una loro mescolanza enigmatica ed una forma ambigua ed oscura di sapienza destinata a chiarirsi soltanto quando nel mondo greco lo spirito incontra e trova se stesso come spirito con l'artista. Rispetto al mondo conflittuale o alla sudditanza a caste propri della religione naturale, la religione artistica corrisponde al mondo dello spiri t o etico, della « nazione libera», dove il costume costituisce la sostanza comune. Ma anche questa certezza dello spirito etico è ambigua, o, meglio, è un misto di quieto sussistere e di assoluta inquietudine, ed è in questa atmosfera che si colloca l'« arte assoluta ». La religione artistica pertanto si dispiega nell'opera d'arte «astratta», quella «vivente » e quella « spirituale ». La prima, dove il termine « astratto » nel senso hegeliano specifico indica un momento di contrapposizione, vede, da un lato, la realizzazione dello spirito nella rappresentazione plastica della divinità, in un certo senso quindi ridotta a cosa, e, dall'altro, l'interiorità posta nel linguaggio dell'inno e dell'oracolo, opposizione tra interno e esterno a sua volta superata nel culto. L'opera d'arte vivente è invece quella dove lo spirito si realizza nelle cerimonie misteriche, nelle feste e giuochi ginnici. È interessante rilevare come sia ancora una volta il linguaggio a mettere in luce il profilo e il contrasto tra queste diverse figure: Se ne veda la trattazione specifica nell'Estetica, trad. it. di N. Merker e N. Vaccaro, Milano 1963, pp. 721-22. 43

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Nell'entusiasmo bacchico il Sé è fuori di sé; ma nella bella corporeità è fuori di sé l'essenza spirituale. Quella ottusità della coscienza e il suo selvaggio balbettare devono venir accolti nel chiaro esserci della corporeità, e la chiarezza priva di spirito peculiare della corporeità deve venir accolta nell'interiorità dell'entusiasmo bacchico. L'elemento perfetto in cui l'interiorità è cosl esteriore come l'esteriorità è interiore, è ancora una volta il linguaggio; ma non quello dell'oracolo del tutto accidentale e singolo nel suo contenuto, né l'inno che resta al sentimento e loda solo il singolo iddio, né l'insensato balbettare della furia bacchica. Anzi il linguaggio ha raggiunto il suo contenuto chiaro ed universale [ ... ] universale, perché in quella festa che è l'onore dell'uomo, dilegua l'unilateralità delle statue, le quali contengono soltanto uno spirito nazionale, un carattere determinato della divinità 44 •

Se dunque il linguaggio è l'« elemento e la dimora » del Pantheon in cui si unificano i particolari spiriti nazionali, come opera d'arte spiri tu al e si dispiega poi in una traiettoria che va dali' epos alla commedia attraverso la tragedia e che si conclude con il tramonto della religione artistica e dell'eticità che ne era la base. Nella commedia infatti il pensiero razionale svuota e dissolve le essenze divine del loro elemento naturale; esse diventano « nuvole », « fumo » che svanisce, e, ridotte a semplici nozioni astratte di buono e di bello, possono venir riempite di qualsiasi contenuto, cadono in preda di un giuoco dialettico che sconfina nell'arbitrio e nell'accidentalità individuale. In questo concentrarsi della coscienza singola nella propria certezza di sé, l'autocoscienza intuisce che quello che le si contrapponeva come essenziale si risolve invece nel suo pensare e nel suo fare. Viene cosl a cadere ogni forma di timore, ma il risvolto di questa serenità della commedia, è, con il tramo n t o d eli'eticità nella condizione giuridica, l'avvento della coscienza infelice, come perdita di ogni fiducia nell'essenzialità delle divinità precedenti e dell'arte che le incarnava. Tuttavia questa perdita è un avanzamento rispetto alla vita etica, poiché è l'attesa del44

Trad. DN, II, 235. 66 ♢ Mauritius ♢

l'avvento dello spirito che è l'unità della sostanza che si aliena e diventa autocoscienza e dell'autocoscienza che si aliena e diventa cosa, insomma il farsi uomo dell'essenza divina. Si ha così la religione « rivelata », poiché in essa lo spirito vien a sapere se stesso come autocoscienza, in un sapere che coinvolge tutti i grandi temi del cristianesimo dalla Trinità, al pecca t o, alla redenzione e conciliazione. Di particolare importanza il nesso tra la morte dell'UomoDio e il suo risorgere nello spirito della comunità. Quella morte infatti non è sol t an t o la morte del suo la t o n aturale, ma soprattutto la morte dell'« astrazione dell'essenza divina », per cui quell'autocoscienza universale che era il Dio umano o l'uomo divino morto si trasfigura in universalità dello spirito ogni giorno morente e ogni giorno risorgente nella comunità. Il sapere che Dio è morto è dunque la perdita della sostanza e del suo contrapporsi alla coscienza, ma, al tempo stesso, è proprio l'avvento di quella pura soggettività che mancava alla sostanza. Tuttavia questa spiritualizzazione della sostanza avviene ancora a livello di rappresentazione, per cui la conciliazione appare come qualcosa di lontano e di là da venire; la comunità si è sì riconciliata con l'essenza e conosce l'oggetto non più come estraniato a sé, ma anzi come uguale a sé nel suo amore, ma per l'autocoscienza questa presenza immediata dell'essenza non ha ancora la «figura » di spirito.

Il sapere assoluto. La conclusione del cammino fenomenologico non può dunque essere se non quella forma di sapere dove lo spiri t o si sa in figura spiri tu al e, ossia il « sapere concettuale » nel quale viene riscattata la totalità delle figure precedenti comprendendone la necessità e la funzione. Si è giunti così alla « scienza », dove per un verso i movimenti dello spirito non si presentano più come figure della coscienza, ma come concetti determina ti nella loro purezza e, per altro verso, appare evidente la corrispondenza tra figure e concetti. Tuttavia l'aspett.o più interessante ed anche problematico di questa conclusione è l'intrinseca dimensione storico-anamnestica che viene rico-

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nosciuta al sapere assoluto. La scienza infatti non costituisce un punto di arrivo statico o intemporale, bensl è una condizione dello spirito che contiene in sé la necessità di alienarsi e di tornare al proprio inizio. T ale alienazione è mediata dalla Er-innerung 45 , quale interiorizzazione memorizzante o memoria interiorizzante da non intendersi però in senso puramente psicologico, ma, tutt'al contrario, nella sua funzione portante rispetto al costituirsi del sapere assoluto nella sua dimensione storica intrinseca. È proprio la Er-innerung che cala nella «notte dell'autocoscienza » l'intero processo di alienazione storica dello spirito e ne garantisce al tempo stesso la conservazione e la progressività: Se dunque questo spirito ricomincia da principio la sua cultura sembrando prender le mosse soltanto da sé, tuttavia esso ricomincia in pari tempo da un grado più alto. Il regno degli spiriti che in questo modo si è foggiato nell'esserci, costituisce una successione in cui uno spirito ha sostituito l'altro e ciascuno ha preso in consegna dal precedente il regno del mondo. La meta di quella successione è la rivelazione del profondo e questa rivelazione è il concetto assoluto 46 •

Per una più ampia analisi di questo concetto ci sia concesso di rinviare al nostro studio: Storia e memoria in Hegel, nel vol. AA.VV., Incidenza di Hegel, a c. di F. Tessitore, Napoli 1970, pp. 339-65. Tra le interpretazioni più importanti si possono ricordare quella di H. Marcuse che non solo rivendica il significato «antologico» della Erinnerung, ma considera la sua collocazione al termine della Fenomenologia come il momento più alto (e poi abbandonato) della concezione della storicità in Hegel (cfr. H. Marcuse, Hegels Ontologie un d die T heorie der Geschichtlichkeit, Frankfurt a. M. 1932, 2• ed. 1968, trad. it. di E. Arnaud, present. di M. Dal Pra, Firenze 1970), e quella di E. Bloch che polemizza contro la «malia dell'anamnesi» a cui Hegel non avrebbe saputo sottrarsi e che avrebbe bloccato i fermenti dialettici del suo pensiero (E. Bloch, Hegel e l}anamnesi, in Dialettica e speranza, a c. di L. Sichirollo e G. Scorza, Firenze 1967, pp. 146-62); tra gli studi successivi cfr. il vol. di R. Bodei, Sistema ed epoca in Hegel, Bologna 1975 ed in part. il cap. III, par. 6, Il sapere assoluto: ricordo ed oblio della continuità, pp. 174-83. 46 Trad. DN, II, 305. 45

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La conservazione di tali spiriti nella forma del loro esserci è
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