Unigastro, Manuale di Gastroenterologia.pdf

March 26, 2018 | Author: Dario Talamo | Category: Cirrhosis, Diarrhea, Liver, Digestive System, Medical Specialties
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Coordinamento Nazionale Docenti Universitari ai Gastroenterologia

EDITRICE GASTROENTEROLOGICA ITALIANA

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Coordinamento Nazionale Docenti Universitari di Gastroenterologia

EDITRICE G A S TR O E N TE R O L O G O ITALIANA

Un sentito ringraziamento a MSD Italia S.r.l. M SD che ha fornito le pen drive allegate al volume e utilizzate per l'edizione dei contenuti multimediali interattivi

C o m it a t o s c i e n t i f i c o

E ditor: Giacomo Carlo Stumiolo C o-editor: Stefano Milani S ection E d ito r volume: Mario Rizzetto (Epatiti acute e croniche), Massimo Colombo (Cirrosi epatica e sue complicanze'), Erica Villa (Insufficienza epatica), Antonio Benedetti (Malattie delle vie biliari), Vincenzo Savarino (Malattie deU’esqfago), Leonardo Marzio (Malattie dello stomaco), Enrico Corazziari (Patologie fu n zio n a li), Dario Conte (Diarree e malassorbimenti), Franco Bazzoli (Neoplasie gastroenteriche), Francesco Pallone (Malattie ir\fiammatone croniche intestinali), Italo Vantini (Malattie del pancreas) E d ito r p en drive: Giuseppe Mazzella C o-editor: Patrizia Burra (Casi clinici), Carola Severi (Procedure diagnostiche e Schede di approfondimento) S e g re te ria di red azio n e e coordinam ento editoriale: Alessandra Zuliani

Edizione con pen drive (volume e pen drive non vendibili separatamente) © 2013 Editrice Gastroenterologica Italiana S.r.l. C.so di Francia 197,00191 Roma Tel. 06 36388336 - Fax 06 36387434 E-maìL [email protected]

1

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi. Le richieste di riproduzione di testi, grafici, immagini, tabelle, dovranno essere inoltrate all'Editore e sono disciplinate dalle norme vigenti in materia

Realizzazioni editoriale e distribuzione II Pensiero Scientifico Editore S.r.l. Via San Giovanni Valdamo 8, 00138 Roma Tel. (+39) 06 862821 - Fax (+39) 06 86282260 [email protected] vmw.pensiero.it - www.vapensiero.lnfo www.facebook.com/PensieroScientifico Grafica e lmpaginazione: Studiografico agostini, Roma Copertina: Doppiosegno s.rt.c., Roma Stampato in Italia dalle Arti Grafiche Tris S.r.l. Via delle Case Rosse 23, 00131 Roma Coordinamento redazionale: Silvana Guida, Martina Tfeodoli ISBN 978-88490-0447-2

Autori dei contenuti cartacei e multimediali

Ludovico Abenavoli Montebianco Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Catanzaro Alfredo Alberti

Professore Ordinario di Gastroenterologia, Università degli Studi di Padova

Piero Luigi Almasio

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di Palermo

Domenico Alvaro

Professore Ordinario di Gastroenterologia, Sapienza Università di Roma

Antonio Amodio

Dirigente medico di Gastroenterologia, AOUI e Università degli Studi di Verona

Angelo Andriulli

Dirigente Ilivello, Ospedale "Casa Sollievo della Sofferenza", S. Giovanni Rotondo (FG)

Mano Angelico

Professore Ordinano di Gastroenterologia, Università degli Studi Tor Vergata di Roma

Imerio Angriman

Ricercatore Chirurgia generale, Università degli Studi di Padova

Bruno Annibaie

Professore Associato di Gastroenterologia, Sapienza Università di Roma

Alessandro Ardizzone

Professore a contratto di Gastroenterologia, Università degli Studi di Milano

j

Adolfo Francesco Attili

Professore Ordinario di Gastroenterologia, Sapienza Università di Roma

Francesco Azzaroli

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Bologna

Danilo Badiali

Ricercatore di Gastroenterologia, Sapienza Università di Roma

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Leonardo Baiocchi

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi Tor Vergata di Roma

Giovanni Barbara

Ricercatore di Medicina interna, Università degli Studi di Bologna

Claudio Bassi

Professore Ordinano di Chirurgia generale, Università degli Studi di Verona

Luigi Benini Mauro Bernardi

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di Verona ì j Professore Ordinario di Medicina interna, Università degli Studi di Bologna

Federico Biagi

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Pavia

Maria Rosa Biagini

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Firenze

Livia Biancone |

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi Tor Vergala di Roma

Ferruccio Bonino

Professore Ordinario di Gastroenterologia, Università degli Studi di Pisa

Maurizia Rossana Brunetto

Dirigente II livello, Azienda Ospedaliera Universitaria, Pisa

Andrea Buda.

Dirigente I livello, Gastroenterologia, Azienda Ospedaliera, Padova

Elisabetta Bugianesi Luca Busetto

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Torino I Dirigente medico I livello, Azienda Ospedaliera, Padova,

Giuseppe Cabibbo

Assegnista di ricerca, Università degli Studi di Palermo

Calogero Cammà

Professore Ordinano di Gastroenterologia, Università degli Studi di Palermo

IV

M A N U A L E DI G A S T R O E N T E R O L O G IA 2 0 1 3 -2 0 1 5

Nicola Caporaso

Professore Ordinario di Gastroenterologia, Università degli Studi "Federico II" di Napoli

Flavio Caprioli

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Milano

Gabriele Capurso

Dirìgente I livello, Ospedale “S. Andrea", Roma

Vincenzo Cardinale

Ricercatore di Gastroenterologia, Sapienza Università di Roma

Fabiana Castiglione

Ricercatore di Gastroenterologia, Università, degli Studi "Federico II" di Napoli

Giulia Martina Cavestro

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Parma

Piero Chirletti

Professore Ordinario di Chirurgia generale, Sapienza Università di Roma

Carolina dacci

Professore Ordinario di Gastroenterologia, Università degli Studi di Salerno

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Alessia Ciancio

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Torino

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Michele Cicala

Professore Associato di Gastroenterologia, Università Campus Biomedico, Roma

Vito Corleto

Ricercatore di Gastroenterologia, Sapienza Università di Roma

Elena Corradini

Ricercatore di Medicina interna, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

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Guido Costamagna

Professore Ordinario di Chirurgia generale, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma

Antonio Craxì

Professore Ordinario di Gastroenterologia, Università degli Studi di Palermo

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Rosario Cuomo

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi “Federico II" di Napoli

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Agesilao D’Arienzo

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi 'Federico II" di Napoli

Roberto De Franchis

Professore Ordinario di Gastroenterologia, Università degli Studi di Milano

Roberto De Giorgio

^Professore Associato di Medicina interna, Università degli Studi di Bologna

Samuele De Minicis

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Ancona

Adriano De Santis

Ricercatore di Gastroenterologia, Sapienza Università di Roma

Giovanna Del Vecchio Bianco Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi Tor Vergata di Roma Alessandra Dell’Era

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Milano

Gianfranco Delle Fave

Professore Ordinario di Gastroenterologia, Sapienza Università di Roma

Luigi Demelia

Professore Ordinario di Gastroenterologia, Università degli Studi di Cagliari

Emilio Di Giulio

Ricercatore di Gastroenterologia, Sapienza Università di Roma

Alfredo Di Leo

Professore Ordinario di Gastroenterologia; Università degli Studi di Bari

Vito Di Marco

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di Palermo

Francesco Di Mario

Professore Ordinario di Gastroenterologia, Università degli Studi di Parma

Michele Di Stefano

Dirìgente I livello, IRCCS, Policlinico US. Matteo", Padova

Giuseppe Dodi

Professore Associato di Chirurgia generale, Università degli Studi di Padova

Pietro Dulbecco

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Genova

Luca Fabris

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Padova

Stefano Fagiuoli

Dirigente II livello, Gastroenterologia, Ospedali Riuniti, Bergamo

Luigi Familiari

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di Messina

Fabio Farinati

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di Padova

Alessandro Federico

Ricercatore di Gastroenterologia, Il Università degli Studi di Napoli

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A U T O R I DEI C O N T E N U T I C A R TA C E I E M U L T IM E D IA L I

Davide Festi

Professore Ordinario di Gastroenterologia, Università degli Studi di Bologna

Natale Figura

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di Siena

Annarosa Floreani

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di Padova

Giuseppe Frieri

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di L'Aquila

•Walter Fries

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Messina

Luca Frulloni

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di Verona

V

Lorenzo Fuccio

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Bologna

Pietro Fusaroli

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Bologna

Armando Gabbrielli

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Verona

Andrea Galli

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di Firenze

Antonio Gasbarrini

Professore Ordinario di Medicina interna, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma

Giorgio Enrico Gerunda

Professore Ordinario di Chirurgia generale, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

Edoardo Giovanni Giannini

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Genova

Stefano Ginanni Corradini

Ricercatore di Gastroenterologia, Sapienza Università di Roma

Enzo Ierardi

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di Foggia

Gaetano Inserra

Ricercatore di Gastroentervlogia, Università degli Studi di Catania

Pietro Invemizzi

Dirigente II livello, Istituto Clinico Humanitas, Rozzano (MI)

Giacomo Laffi

Professore Ordinario di Medicina interna, Università degli Studi di Firenze

Pietro Lampertico

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Milano

Alberto Lanzini

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di Brescia

Giovanni Latella

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di L’Aquila

Marco Lenzi

Professore Associato di Medicina interna, Università degli Studi di Bologna

Carmela Loguercio

Professore Ordinario di Gastroenterologia, II Università degli Studi di Napoli

Maria Grazia Lucà

Dirigente medico I livello, Ospedali Riuniti, Bergamo

Francesco Luzza

Professore Ordinano di Gastroenterologia, Università degli Studi di Catanzaro

Francesca Maccioni

Ricercatore di Diagnostica per immagini e Radioterapia, Sapienza Università di Roma

Giovanni Maconi

Pìofessore Associato di Gastiventerologia, Università degli Studi di Milano

Alberto Malesci

Professore Ordinano di Gastroenterologia, Università degli Studi di Milano

Giulio Marchesini

Professore Ordinario di Medicina interna, Università degli Studi di Bologna

Santino Marchi

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di Pisa

Marco Marzioni

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Ancona

Sara Massironl

Dirigente I livello, IRCCS Ospedale Maggiore, Policlinico, Milano

Giuseppe Mazzella

Professore Ordinario di Gastroenterologia, Università degli Studi di Bologna

Manuela Merli

Professore Associato di Gastroenterologia, Sapienza Università di Roma

Stefano Milani

Professore Ordinario di Gastroenterologia, Università degli Studi di Firenze

Marco Montagnani

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Bologna

»vanni Monteleone

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi Tor Vergataci Roma

tonio Morelli

Professore Ordinario di Gastroenterologia, Università degli Studi di Perugia ! ! Ricei'catoro di Gastroenterologia, Università degli Studi di Perugia

via Morelli

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Dmena Morisco

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi "Federico II" di Napoli

sangela Muratori

Dirigente I livello, Azienda Ospedaliera "S. Orsola Malpighi", Bologna

ssimiliano Mutignani

Professore Associato di Chirurgia generale, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma

rardo Nardone

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi "Federico II" di Napoli

)io Pace

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Milano

dia Pallotta

Ricercatore di Gastroenterologia, Sapienza Università di Roma

serto Penaglni

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di Milano

ncesco Perri

Dirigente I livello, Ospedale "Casa Sollievo della Sofferenza", S. Giovanni Rotondo (FG)

vatore Petta

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Palermo

;onio Picarelli

Ricercatore di Gastroenterologìa, Sapienza Università di Roma

conino Picciotto

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di Genova

;onello Pietrangelo

Professore Ordinario di Medicina interna, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia i 1 Professore Ordinario di Gastroenterologia, Università degli Studi di Firenze i * ■m 1Professore Ordinario di Chirurgia generale, Università degli Studi di Bologna

ssimo Pinzani berto Poggioli

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no Pomerri

Professore Associato di Diagnostica per immagini e Radioterapia, Università degli Studi, Padova

riabeatrice Principi

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Bari

>rgio Ricci

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Ferrara

»vanni Ricci

Professore Associato di Gastroenterologia, Sapienza Università di Roma

gi Ricciardiello

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Bologna

briele Riegler

Professore Associato di Gastroenterologia, II Università degli Studi di Napoli

viero Riggio

Professore Associato di Gastroenterologia, Sapienza Università di Roma

reo Romano

Professore Associato di Gastroenterologia, II Università degli Studi di Napoli

ssimo Rugge

Professore Ordinario di Anatomia patologica, Università degli Studi di Padova

ria Grazia Rumi

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di Milano j

tncesco Paolo Russo

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Padova

)rgio Maria Saracco

Professore Ordinario di Gastroenterologia, Università degli Studi di Torino

>vanni Samelli

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi "Federico II" di Napoli

oardo Savarino

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Padova

ìppo Schepis

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Modena

azio Schillaci

Professore Ordinario di Scienze mediche tecniche applicate, Università degli Studi Tor Vergata di Roma

mcesco Selvaggi

Professore Associato di Chirurgia generale, II Università degli Studi di Napoli

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i u n i u l i u u in i c iv u 11 u n n i n u c i c m u l i i ivic u im li

Marco Senzolo'

Dirigente I livello, Azienda Ospedaliera, Padova

Antonina Smedile

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di Torino

Cristiano Spada

Dirigente I livello, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma

Vincenzo Stanghellini

Professore Ordinario di Medicina interna, Università degli Studi di Bologna

'Mario Strazzabòsco

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di Milano Bicocca

Giacomo Carlo Stumiolo

Professore Ordinario di Gastroenterologia, Università degli Studi di Padova

Gianluca Svegliati Baroni

Professore Associato di Gastroenterologia, Università Politecnica delle Marche, Ancona

Roberto Testa

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di Genova

Pier Alberto Testoni

Professore Associato di Gastroenterologia, Università S. Raffaele, Milano

Pierluigi Toniutto

Ricercatore di Medicina interna, Università degli Studi di Udine

Paolo Usai

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di Cagliari

Italo Vantini

Professore'Ordinario di Gastroenterologia, Università degli Studi di Verona

Maurizio Vecchi

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di Milano

Piero Vemia

Professore Associato di Gastroenterologia, Sapienza Università di Roma

Mauro Viganò !

Dirigente I livello, Ospedale “S. Giuseppe", Milano

Nicola Villanova

Diligente I livello, Azienda Ospedaliera "S. Orsola Malpighi", Bologna

Rocco Maurizio Zagari

Professore Associato di Gastroenterologia, Università degli Studi di Bologna

Patrizia Zentilin ! Fabiana Zingone

Assègnista di Ricerca, Università degli Studi di Salerno

Ricercatore di Gastroenterologia, Università degli Studi di Genova

indice

Presentazione Giuseppe Mazzetta, Stefano Milani, Giacomo Carlo Stumiolo Approccio al paziente Italo Vantini

XV

xvn

Metodologìe EBM Giuseppe Cabibbo, Calogero Cammà

XXI

Epidemiologia delle malattie digestive, fattori di rischio Piero Luigi Almasio

XXVI

Appropriatezza e/o prioritizzazione degli esami endoscopici Angelo Andriulli, Francesco Perri

XXXI

Sezione I. Epatiti acute e croniche 1 2 3 4 5 6 7 8 9

Epatite virale acuta Nicola Caporaso, Pierluigi Toniutto

1

Epatite cronica B: storia naturale e terapia Ferruccio Bonino, Maurizia Rossana Brunetto, Pietro Lampertico, Mauro Viganò

6

Epatite cronica D Antonina Smedile

16

Epatite cronica da virus C: storia naturale e terapia Alfredo Alberti, Alessia Ciancio, Antonio Craxì, Vito Di Marco, Salvatore Petta

20

Malattie autoimmuni del fegato Pietro Invemizzi, Marco Lenzi

29

Epatite alcolica e sindrome astinenziale Carmela Loguercio, Filomena Morisco

33

Steatosi e steatoepatite non alcolica Elisabetta Bugianesi, Gianluca Svegliati Baroni

39

Epatopatie da accumulo: malattia di Wilson ed emocromatosi Elena Corradini, Luigi Demelia, Antonello Pietrangelo

44

Epatite da farmaci Annarosa Floreani, Antonino Picciotto

51

Sezione II. Cirrosi epatica e sue complicanze 10 La cirrosi Adolfo Francesco Attili, Manuela Merli

58

11 Ipertensione portale e malattie vascolari epatiche Massimo Pinzani, Marco Senzolo

63

12 Ascite Mauro Bernardi, Giacomo Loffi

69

13 Encefalopatia Edoardo Giovanni Giannini, Oliviero Riggio

76

14 Tumori epatici Alfredo Di Leo, Giorgio Maria Saracco

80

Sezione III. Insufficienza epatica 15 Insufficienza epatica acuta Mario Angelico

87

16 Trapianto di fegato Stefano Fagiuoli, Giorgio Enrico Gerunda, Maria Grazia Lucà

90



Sezione IV. Malattie delle vie biliari 17 Ittero e colestasi Luca Fabris, Mario Strazzabosco

, • . • Ì•

98

18 Malattie da rarefazione delle vie biliari Marco Mansioni

1 07

19 Calcolosi biliare Davide Festi

111

!0 Neoplasie delle vie biliari Domenico Alvaro, Vincenzo Cardinale

119

Sezione V. Malattie dell’esofago !1 La malattia da reflusso gastroesofageo Fabio Pace, Patrizia Zentilin

126

2 Dolore toracico non cardiaco Michele Cicala, Edoardo Savarino

136

3 Esofago di Barrett Rosario Cuomo, Gerardo Nardone

142

24 Esofagiti non da reflusso Alessandro Federico, Marco Romano 25 Disordini motori Luigi Benini, Roberto Penagini

Sezione Vi. Malattie dello stomaco 26 Gastrite; ulcera peptica ed Helicobacter pylori Bruno Annibaie, Rocco Maurizio Zagari 27 Danni da farmaci e stomaco Francesco Di Mario, Enzo Ierardi 28 Emorragie digestive Roberto De Franchis, Alessandra DeWEra i

:

I

Sezione VII. Patologie funzionali

29 Fisiopatologia neuromotoria Roberto De Giorgio 30 La dispepsia Francesco Luzza, Nadia Pallotta 31 Sindrome dell’intestino irritabile Giovanni Barbara, Vincenzo StangheUini 32 Dolore addominale e addome acuto Piero Cbirletti, Agesilao D Arienzo 33 Malattia diverticolare e sue complicanze Fabiana Castiglione, Gabriele Riegler, Francesco Selvaggi 34 La stipsi Danilo Badiali 35 Patologia anorettale Giuseppe Dodi, Giovanni Latella

Sezione Vili. Diarree e malassorblmentl 36 Meccanismi e approccio alla fisiopatologia della diarrea Flavio Caprioli, Vito Corleto, Giuseppe Frieri 37 Infezioni dell’apparato digerente Natale Figura 38 Maldigestione e malassorbimento Carolina dacci, Fabiana Zingone

M A N U A LE DI G A S T R O E N T E R O L O G IA 2 0 1 3 -2 0 1 5

XII

39 Valutazione dello stato nutrizionale Sara Massironi

253

40 Obesità e problemi correlati Luca Busetto, Giulio Marchesini, Nicola Villanova

258

Sezione IX. Neoplasie gastroenteriche 41

Neoplasie dell'esofago Luigi Familiari, Antonio Morelli

265

42 Tumori dello stomaco Fabio Farinati, Massimo Rugge

273

43 Neoplasie del colon e dell’intestino Gilberto Poggioli, Luigi Ricciardiello

283

44 Prevenzione del cancro del colon Emilio Di Giulio

298

45 Tumori neuroendocrini gastrointestinali Gianfranco Delle Fave

305

Sezione X. Malattie infiammatorie croniche intestinali 46 La malattia di Crohn Livia Biancone, Gilberto Poggioli

312

47 La colite ulcerosa Imerio Angriman, Maurizio Vecchi

324

Sezione XI. Malattie del pancreas 48 Pancreatite acuta Pier Alberto Testoni

336

49 Pancreatite cronica Luca Frulloni

34 4

50 Neoplasie del pancreas Claudio Bassi, Armando Gabbrielli, Alberto Malesci

353

Indice analitico

365

Elenco delle abbreviazioni

373

Istruzioni per l’uso della pen drive

377

Pen drive Indice dei contenuti

CASI CLINICI

PROCEDURE DIAGNOSTICHE

Malattie del fegato, delle vie biliari e del pancreas

1. B reath te st 2. Manometria, pH-metria, pH -im pedenzometria 3. Paracentesi 4. G astrostom ia endoscopica p ercu tan ea (PEG) 5. Esofagogastroduodenoscopia 6. C olonscopia 7. C olangiopancreatografia retrograda 8. E coendoscopia 9. E nteroscopia 10. Laparoscopia 11. Ecografia addom inale 12. B iopsia epatica 13. Ra60 anni. - Palpazione di una massa nal-quadranti addominali di destra. Soggetti di tutte le età. - Palpazione di una massa rettale. Soggetti di tutte le età. - Anemia slderopenlca a causa sconosciuta. Maschi di tutte le età, o donne In menopausa,

I criteri di appropriatezza per la richiesta di esami endoscopici sono appropriati? Le linee-guida sull’appropriatezza degli esami endoscopici sono state concordate da un con­ senso raggiunto tra esperti del settore negli anni '90. In tale occasione gli esperti, sulla base del loro personale convincim ento, hanno delineato un a serie di condizioni p e r le quali un’indagine endoscopica è da considerarsi ap p ro p riata I criteri convenuti rappresentano un consenso di esperti, anche se il p arere di questi ultimi era stato filtrato attraverso un’a tten ta disam ina dei dati della le tte ra tu ra La verifica sperim entale di quanto p revisto dalle linee-guida h a condotto all’am ara so rp resa che i criteri di appropriatez­ za proposti non siano né sensibili né specifici. P ertanto, siam o ancora oggi davanti al problem a di esaudire u n a crescente dom anda di esam i en­ doscopici a fronte di un num ero limitato di uni­ tà eroganti tali prestazioni. Sulla base di quanto precedentem ente discusso potrem m o suggerire i seguenti criteri operativi: - ü primo esam e endoscopico è sem pre da consi­ derarsi appropriato, indipendentem ente dall’e­ tà del soggetto richiedente l’indagine. Anche un primo esam e che attesti l’assenza di lesioni nell’organo esplorato ha valore diagnosticoterapeutico e non dovrebbe essere rifiutato. - La decisione sui tem pi entro i quali erogare la prim a indagine endoscopica dovrebbe essere lasciata al vaglio del m edico curante, che do­ vrebbe valutare l’urgenza e la gravità dei sin­ tom i da investigare. - La ripetizione nel tem po dell’indagine endo­ scopica è da-' considerarsi come potenzial­ m ente inappropriata e dovrebbe essere ero­ gata sulla sco rta dei criteri di appropriatezza degli esam i endoscopici.

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MAlNUALfc U I U A S rH O fc N T E R O L O G IA 2 0 1 3 -2 0 1 5

Bibliografia 1. Linee-guida ASGE sull'appropriatezza degli esami endoscopici (Appropriate use of gastrointestinal endoscopy. American Society for Gastrointestinal Endoscopy. Gastrointest Endosc 2000;52:831-7). Reperibili al seguente link: http://www.asge.org/ WorkAre a/sho wcontent. aspx?id= 15156 2. Linee-guida EPAGE sull’appropriatezza degli esa­ mi endoscopici (AAW. The European Panel on Appropriateness of Gastrointestinal Endoscopy [EPAGE]. Endoscopy 1999;8:571-695). Reperibili al seguente link: http://www.epage.ch/EPAGE_ ADM/EPAGE l/start2.html 3. Froehlich F, Pache I, Bumand B, et al. Perfor­ mance of panel-based criteria to evaluate the appropriateness of colonoscopy: a prospective study. Gastrointest Endosc 1998;48:128-36.

i

.

4. Morini S, Hassan C, Meucci G, Toldi jA, Zullo A, Minoli G. Diagnostic yield of open access colono­ scopy according to appropriateness. Gastrointest Endosc 2001;54:175-9. 5. Andriulli A, Annese V, Terruzzi V, Grossi E, Mi­ noli G. "Appropriateness" or “prioritization" for GI endoscopic procedures? Gastrointest Endosc 2006;63:1034-6. 6. Decreto Giunta Regione Lombardia ni 38571 del 25.9.1998. 7. Parente F, Bargiggia S, Bianchi Porro G. Prospec­ tive audit of gastroscopy under the “three-day rule”: a regional initiative in Italy to reduce wait­ ing time for suspected malignancy. Aliment Phar­ macol Ther 2002;16:1011-4. 8. Thome K, Hutchings HA, Elwyn G. The effects of the Two-Week Rule on NHS colorectal cancer di­ agnostic services: a systematic literature review. BMC Health Serv Res 2006;6:43.

sezione i | | Epatiti acute e croniche --- ----- T ------------- !------- 1------------------------------------------------------------------------------------- .

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Epatite virale acuta N IC O L A C A P O R A S O , P IE R L U IG I T O N 1 U T T O

OBIETTIVI DIDATTICI /

Descrivere l'attóale stato di conoscenza r sull’epidemiologia e fisiopatologia delle i rie forma di epatite virale acuta.

/

Fornire gli strumenti conoscitivi per una i fretta I' v v ;i" diagnosi delle epatiti virali acute.

/

Evidenziare le attuali strategie di prevem epatiti virali acute. .

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L'epatite virale acuta (ÈVA) è un processo n e­ crotico e infiammatorio acuto del fegato, la cui presentazione clinica è variabile da forme asintomatiche fino all’insufficienza | epatica acuta. Gli agenti virali' responsabili delle epatiti acute sono classificati in virus epatiticii maggiori, virus epatitici minorii e virus esotici. I virus epatitici maggiori sono definiti tali perché il loro princi­ pale organo bersaglio è il fegato (tabella 1.1). I virus epatitici m inori sono così definiti pei> ché non sono epatotropi, m a possono occasio­ nalmente causare epatite. Le infezioni da virus di Epstein Barr e da citomegalovirus provocano un’epatite generalm ente di m odesta entità, la cui diagnosi si basa sulla dim ostrazione della p osi­ tività degli anticorpi specifici di classe IgM. Gli Herpes viru s e il virus della rosolia si associano raram ente a epatite se acquisiti ¡in età adulta. I virus esotici sono rappresentati dal virus della febbre gialla, il jvirus della febbre di Lassa o di altre febbri emorragiche, molto rari nel nostro Paese. D danno epatocitario in1corso di ÈVA esita in un aum ento im portante dei valori del­ le trans sm inasi e in m inor m isura degli indici di

colestasi. L’EVA sintom atica è caratterizzata da un periodo prodrom ico con m alessere genera­ le, inappetenza, nausea, vomito, diarrea, febbre, rash cutaneo e artralgie. Nella fase di m alattia conclam ata può essere presente l’ittero, accom ­ pagnato d a urine ipercrom iche, feci acoliche e dolore in ipocondrio destro. L’EVA può esitare in guarigione, cronicizzazione o m orte nella fase acuta, p e r epatite fulminante (FHF). La FHF si verifica in 1/1000 casi; è u n a sindrom e comples­ sa che determ ina u n ’irreversibile insufficienza delle funzioni epatocitarie e multiple disfunzioni d’organo, inclusi reni, polmoni, midollo osseo, sistem a circolatorio e cervello. Nei casi in cui non è possibile un recupero della funzione epa­ tica, vi è l’indicazione a un trapianto di fegato.

Epatite acuta da HAV HAV è un virus delle dim ensioni di 27 nm, a singola cate n a di RNA a polarità positiva, sfe­ rico e privo di envelope, classificato all'interno della famiglia delle P ico m a virid a e. L’infezione nell’uom o è so sten u ta da 4 differenti genotipi virali (1, 2, 3 e 7). L’epatite da HAV si manife­ sta principalm ente nell’età infantile nei Paesi in via di sviluppo m entre nei Paesi industrializ­ zati la prevalenza è b assa tra gli adolescenti e i giovani adulti. La via di trasm issione principale deH'infezione è quella fecale-orale, attraverso il contatto diretto tra le persone o l'ingestione di cibo o liquidi contam inati, m olto raro un con­ tagio attraverso l’esposizione a emoderivati. I

Tabella 1.1 Caratteristiche virologiche, modalità di trasmissione ed evoluzione dell'infezione del virus epatitici maggiori VIRUS HAV HEV HBV HDV HCV

FAMIGLIA

I !

Picomaviridae Hepevìridae Hepadnaviridae ; Virus satellite Flavivirldae

ACIDO NUCLEICO

VIE DI TRASMISSIONE

CRONICIZZAZIONE

RNA RNA DNA RNA RNA

Enfteraie Enterale Parenterale Parenterale Parenterale

No No SI SI SI



M A N U A LE DI G A S T R O E N T E R O L O G IA 2 0 1 3 -2 0 1 5

soggetti a rischio sono rappresentati dai contatti sessuali o familiari con persone infette, gli omo­ sessuali maschi, i viaggiatori in aree endemiche, i tossicodipendenti e gli operatori sanitari. Do­ p o l’ingestione, il virus, che sopravvive all’aci­ d ità gastrica, attraversa la m ucosa intestinale e raggiunge il fegato tram ite il circolo portale. La replicazione di HAV avviene principalm ente negli epatociti m a si ritiene che il danno epatocellulare sia conseguenza della risp o sta immune d ell’ospite, Il periodo d'incubazione è com preso tr a le 2 e le 4 settim ane, L’epatite acu ta da HAV p u ò m anifestarsi in modo asintom atico; sinto­ m atico (con insorgenza di ittero), generalm ente autolim itantesi in circa 8 settim ane; colestatico, n e l quale l’ittero persiste p er 10 settim ane o più; recidivante, caratterizzato da due o più episodi di acuzie in un periodo di 6-10 settim ane, con u n a FHF. Nei bam bini prevale la form a asinto­ m atica m entre negli adulti prevale quella sinto­ m atica. La FHF, associata preferenzialm ente al genotipo 1B,1 è rara e osservabile nei pazienti giovani. E ssa si m anifesta durante la prim a set­ tim ana in oltre la m età dei soggetti e nel 90% d e i casi entro 4 settim ane dall’insorgenza dei sintom i. La diagnosi di epatite acu ta da HAV si b asa sulla dim ostrazione degli anticorpi IgM anti-HAV, i quali sono determ inabili nel siero m olto precocem ente dopo l’esordio dei sintom i e rimangono positivi per circa 4 mesi. In segui­ to compaiono gli Ac anti-HAV di classe IgG che persistono indefinitam ente e sono espressione d i im munità perm anente (figura 1.1).

F ig u ra 1.1 Andamento del marcatori Immunologie! di Infezione nell'epatite acuta da HAV

r~?tterò~l T S ln to n iil

La ricerca delTHAV-RNA nel siero e nelle feci h a una valenza esclusivam ente a scopo di ricer­ ca. La m alattia è prevenibile con la vaccinazio­ ne, la cui schedula prevede la som m inistrazione di due dosi, distanziate di 6-12 mesi. In Italia è consigliata la vaccinazione dei gruppi a rischio, o ssia soggetti non im m uni che si recano in zo­ n e ad alta endemia, i militari, il p ersonale ospe­ daliero, i soggetti istituzionalizzati, i lavoratori addetti al trattam ento dei rifiuti liquidi, gli omo­ sessuali attivi, i tossicodipendenti, gli emofilie!, i pazienti affetti da epatopatie croniche e i tra­ piantati di fegato, anche se in questi ultim i la sua efficacia è minore.

Epatite acuta da HEV HEV2 3 è un virus delle dim ensioni di 27-34 nm, appartenente alla famiglia degli H epeviridae, il cui genom a consiste in un singolo fila­ m ento di RNA di 7,2 kb con 3 Open R eading F ram es (ORF) parzialm ente sovrapposti. Sono stati identificati 4 genotipi diversi di HEV (1-4) ciascuno dei quali h a ulteriori sottotipi. Mentre 1 genotipi 1 e 2 sono prevalenti nelle aree iperendem iche di infezione quali l’Asia e l’Africa, nelle quali il reservoir dell’infezione è l ’uomo, i genotipi 3 e 4 sono prevalenti in Giappone, Stati Uniti e Europa, dove i reservoirs dell’infezione sem brano essere i suini e i cervidi. In questo ca­ so l’infezione nell’uom o può essere considerata come u n a zoonosi. La m odalità di contagio è per via oro-fecale con l’ingestione di acqua o cibi contam inati (in particolare la carne e il fegato dei suini infetti). La c o ttu ra dei cibi den atu ra il virus m entre l’acidità gastrica no. D p eriodo d ’in­ cubazione è variabile tra 28 e 40 giorni. Il virus è determ inabile nelle feci circa 1 settim ana pri­ m a dell’inizio dei sintom i e persiste p e r alcune settim ane m entre è determ inabile nel siero nel­ le prim e 2 settim ane dopo l’esordio dei sintomi. L’epatite acuta itterica è la form a p iù com une di presentazione dell’infezione da HEV la quale ge­ neralm ente si risolve spontaneam ente in poche I I settim ane. Il 20,6% di u n a serie di pazienti ita­ | m liani con epatite acuta n o n A-C presen tav a una diagnosi di epatite da HEV, sostenuta prevalen­ tem ente dal genotipo 1 e p e r la m aggior p arte * dei casi legata all’effettuazione di viaggi in aree endemiche. L’infezione da HEV può essere una causa di scom penso acuto di u n a p reesistente m alattia epatica cronica. Nei pazienti immunosoppressi e trapiantati d’organo sono stati de­ scritti casi di epatite da HEV divenuta cro n ic a

! I

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Settim ane dopo l'esposizione ALT - alanlna-amlnotransferasl

C A P IT O L O 1. EPATITE V IR A LE ACUTA

Esiste una forma particolarm ente severa di epa­ tite acuta da HEV, con esito spesso fatale, os­ servabile nelle donne in gravidanza, le cui cause sono non ancora identificate. La diagnosi dell’e­ patite da HEV può essere effettuata utilizzando test sierologici o virologici. La determ inazione degli anticorpi di tipo IgM nel siero è possibile entro 3 mesi dall'infezione m a spesso essi sono presenti con titolo m olto basso, m entre la positi­ vità degli anticorpi di tipo IgG persiste p er molti anni (figura 1.2).

Figura 1.2 Andamento dei marcatori Immunologie! di Iniezione nell'epatite acuta da HEV

Settim ane dopo l'esposizione ALT e alanlna-amlnotransferasl

I test anticoipali, a causa della loro scarsa ac­ curatezza diagnostica, non sono approvati negli Stati Uniti. La ricerca di HEV-RNA rilevabile da alcune settim ane prim a dell’insorgenza dei sin­ tomi e per alcuni giorni successivi, nelle feci, nel siero e nella bile, rappresen ta la m etodica più sensibile e specifica p er la diagnosi dell’epatite acuta da HEV. È attesa la commercializzazione di un vaccino.

Epatite acuta da HBV HBV è un virus a DNA appartenente alla fami­ glia degli H epadnaviridae. La particella infettiva (42 nm) è rivestita da un m antello lipoproteico contenente l’antigene di superficie (HBsAg), all'interno del quale si trova il nucleocapside ca­ ratterizzato dall’antigene core (HBcAg), il quale a sua volta contiene il genom a virale e l’enzima

3

DNA polimerasi. La form a secretoria della pro­ te in a core è denom inata HBeAg e appare pre­ cocem ente nel siero dei soggetti con infezione acuta. A livello della regione pre-core del gene C è sta ta d escritta u n a m utazione frequente e cli­ nicam ente rilevante che im pedisce la traduzione della regione pre-core e determ ina la m ancata espressione dell’HBeAg, anche in corso di atti­ v a replicazione virale. HBV è classificabile in 8 genotipi maggiori (A-H); la distribuzione geogra­ fica dei genotipi è varia: il tipo A è più comune nell’Europa del Nord-Est e n el N ord America m entre il genotipo D è più com une nell'Europa del Sud e in India. La m utazione del pre-core è p iù frequentem ente associata ai genotipi B, C e D. La patogenesi del danno da HBV è da ricon­ dursi al danno im m unom ediato. HBV è diffuso n el m ondo in m aniera ubiquitaria, con prevalen­ za nelle zone a basso tenore socioeconom ico, so­ prattu tto Asia, Africa e America Latina, e in par­ ticolari categorie a rischio (tossicodipendenti, omosessuali, emodializzati, emofilici, conviventi di pazienti portato ri del virus). Le vie di trasm is­ sione di HBV sono prevalentem ente parenterali, anche inapparenti, attraverso m icrolesioni delle m ucose e della cute oltre che sessuale e vertica­ le. L’Italia è un P aese a b assa endemia; l’inciden­ za di epatite acu ta da HBV si è rid o tta progressi­ vam ente in seguito alle m igliorate nórm e com­ portam entali e all’introduzione della vaccina­ zione, obbligatoria dal 1991 per i nuovi nati e gli adolescenti. La diagnosi d’infezione prim aria da HBV si basa sulla determ inazione dell’HBsAg nel siero. La fase di virem ia è indicata dalla presenza di HBV-DNA nel siero ed è accom pagnata, oltre che dalla p resenza di HBsAg, dalla com parsa di HBeAg. Questi eventi caratterizzano il periodo d’incubazione, che precede l’EVA, e dura 60-180 giorni. La produzione di anticorpi anti-HBc è la prim a risposta im m unologica dell’ospite. Quan­ do l’infezione evolve verso la guarigione, l’HBVDNA e l’HBeAg scom paiono nel siero e si rende dosabile l’anticoipo anti-HBe. In seguito il titolo dell'HBsAg si riduce fino a scom parire e compa­ iono gli anticorpi anti-HBs, i quali perdurano nel tem po e perm ettono di considerare il soggetto im m unologicam ente guarito dall’infezione (figu­ r a 1.3). L’espressione clinica dell’infezione acuta è eterogenea poiché, nella maggior parte dei casi, il decorso è paucisintom atico. La fase itterica è generalm ente breve (inferiore a 3 m esi). La m alattia può avere un decorso più severo negli adulti rispetto ai bam bini e nei pazienti coin­ fettati con altri virus epatitici o che presentano

M A N U A L E DI G A S T R O E N T E R O L O G IA 2 0 1 3 -2 0 1 5

F igu ra 1.3 Andamento dei marcatori immunologie! di Infezione nell’epatite acuta da HBV

Mesi ALT - Blanlnn-aminolransferasl

u n ’epatopatia cronica. La probabilità di gua­ rigione è inversam ente proporzionale all’età; una p ercentuale m olto b assa (1-5%) degli adulti infetti cronicizza rispetto al 90% di coloro che contraggono l’infezione in età perinatale. Come conseguenza dell’elevato tasso di guarigione ne­ gli adulti im m unocom petenti, l’ep atite acuta da HBV non costituisce u n ’indicazione accertata al trattam ento antivirale solo nei casi di epatite acuta con evoluzione verso l’insufficienza epa­ tica. La prevenzione dell’infezione può essere effettuata m ediante profilassi passiva e attiva. L’uso delle im m unoglobuline (HBIG) fornisce un ’im m unità solo tem poranea. Il loro im piego è lim itato nei neonati da m adre HBsAg positi­ va, entro 12 ore dalla n ascita e nella profilassi post-esposizione, entro 48 ore dal contagio, co­ m e supporto alla vaccinazione. Le HBIG ad alte dosi sono utilizzate nella prevenzione della reci­ diva di epatite da HBV nei pazienti trapiantati di fegato. E disponibile un vaccino ricom binante che si som m inistra in 3 dosi, secondo la schedula 0-1-6 m esi e che induce livelli protettivi di Ac anti-HBs nel 95% dei bam bini e nel 90% degli adulti. In Italia la vaccinazione è attualm ente ob­ bligatoria p e r tu tti i nuovi n ati e consigliata agli appartenenti a gruppi a rischio.4

differente distribuzione geografica e associati a diversi p attern di m alattia. U genotipo 1 è il più diffuso, p resen te in Nord-America, Europa, Airica, Asia. I genotipi 2 e 4 sono stati identificati so­ lo in Asia orientale e determ inano una m alattia generalm ente di en tità m odesta, m entre il tipo 3 è presente esclusivam ente n el Sud A m erica e causa una m alattia particolarm ente severa, n danno necroinfìam m atorio conseguente all’infe­ zione è secondario a un effetto im mrmom ediato. HDV si trasm ette p e r via parenterale', in m aniera sovrapponibile all'infezione da HBV.; I principali fattori di rischio sono la tossicodipendenza, la convivenza con un p o rtato re cronico di HBV e u n elevato num ero di p artn er sessuali. La coin­ fezione acu ta si verifica in caso di contem pora­ n e a esposizione prim aria a HBV e HDV. In questi casi la cronicizzazione dell’infezione; è rara. I pa­ zienti con infezione cronica da HBV sono invece esposti alla sovrainfezione da HDY. In oltre il 90% dei casi la sovrainfezione esita in un’epatite cronica. Le m anifestazioni cliniche sono variabi­ li. La m aggioranza delle coinfezioni si presen ta com e u n ’epatite HBV acu ta classica. U na pos­ sibile caratteristica è la co m p arsa di un picco bifasico delle transam inasi, il prim o causato da HBV e il secondo da HDV. La sovrainfezione vi­ ceversa causa epatiti severe che assum ono non di rad o un decorso fulm inante. I m arcatori d’in­ fezione da HDV devono essere eseguiti in tu tti i soggetti HBsAg positivi che si p resentino p e r la prim a volta all’osservazione e n ei portato ri cro­ nici di HBV che p resentino variazioni cliniche e biochim iche significative. Già n elle fasi precoci dell'infezione (entro 7-15 giorni) com paiono gli

Figu ra 1.4 Andamento dei marcatori immunologi'ci di infezione nell’epatite acuta da HDV

Epatite acuta da HDV HDV è un virus difettivo a RNA del diam etro di 36 nm, che richiede la contem poranea presenza di HBV. E sistono alm eno 8 genotipi di HDV, con

ALT ■ alanlna-am lnotransferael

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C A P IT O L O 1. EPATITE VIRALE AC U TA

Ac anti-HDV di classe IgM e IgG.i Nella coinfe­ zione il titolo delle IgM tende a diminuire rapi­ dam ente m entre le IgG indicano la guarigione. Nella sovrainfezione che cronicizza, le IgM per­ durano nel tem po ad alto titolo e sono indice di m alattia in fase florida. L’HDV-RNA è anch’esso presente a elevati livelli nel siero5 (figura 1.4). ■M U .. j-

Figura 1.5 Andamento dei marcatori immunologie! di iniezione nell’epatite acuta da HCV HCV RNA

Epatite acuta da HCV ’" r . • j •" I. HCV è urj virus a RNA a singola elica apparte­ nente alla famiglia dei Flaviyiridae. Il genom a virale h a unialto grado di variabilità p er cui nello stesso soggetto circola u n a popolazione virale polimorfa, definita “quasispecie". Esistono alme­ no 6 genotipi maggiori e oltre 100 sottotipi del virus. I genotipi 1, 2 e 3 sono diffusi so prattut­ to in America, Europa, Giappone e Australia. Il genotipo 3a' è presente principalm ente nei tos­ sicodipendenti, il 4 è endem ico in Egitto, il 6 in Sud-Africa e il 6 nel Sud-Est Asiatico. I diversi genotipi non sono associati aliai severità del danno epatico, m entre influenzano fortem ente la risposta alla terapia antivirale (i genotipi 1 e 4 presentano una m inore sensibilità agli attuali farmaci antivirali rispetto ai genotipi 2 e 3). Le forme sintom atiche di epatite acuta da HCV han­ no una maggiore probabilità di guarigione spon­ tanea rispetto alle form e con esordio e decorso asintomatic^. La patogenesi del danno epatico è principalmente im munom ediata. HCV è diffuso nel m ondo i^i m odo ubiquitario, anche se l’inci­ denza nei Paesi industrializzati è in diminuzione. D virus si trasm ette p er via parenterale. Attual­ mente, il rischio di infezione acuta d a HCV è as­ sociato alla: tossicodipendenza, alle procedure medico-chirurgiche, anche a seguito di interven­ ti di chirurgia minore, alla dialisi, alla m ultipla esposizione ¡sessuale, a pratiche quali tatuaggi, piercing e agopuntura. Ò rischio connesso alla puntura accidentale in ambito sanitario appare modesto (0,42%). In questi casi è consigliata la ricerca im m ediata degli anticorpi anti-HCV e la ricerca di HCV-RNA dopo 2-4 settimane. La dia­ gnosi di epatite acuta da HCV è certa quando in un soggetto! ricettivo all’infezione, compaiono per la prim a volta gli Ac anti-HCV, la cui p resen­ za è già dimostrabile al mom ento dell’esordio clinico dell’infezione nella maggioranza dei casi. L’unica m odalità p er dim ostrare direttam ente la presenza dell’infezione è basata sull’identifica­ zione nel siero del HCV-RNA6¡(figura 1.6).

Settimane daU'esposlzhme

CONCETTI CHIAVE /

L'infezione con I virus epatiticl maggiori rappresenta la causa più frequente di epatite acuta.

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Le Infezioni acute da HAV e HEV guariscono spontane­ amente, quelle da HBV, HDV e H CV esitano frequente­ mente in epatiti croniche.

/

L'Infezione da HBV è la forma di epatite virale acuta che con maggiore frequenza causa una FHF.



La diagnosi delie epatiti acute virali si basa principal­ mente sulla ricerca nel siero degli anticorpi specifici di tipo IgM,e IgG e sulla ricerca del materiale genetico dei singoli virus, nel siero e, in alcuni, casi nelle feci.

/

La prevenzione delle epatiti virali da HAV e HBV è pos­ sibile mediante l'utilizzo di vaccini altamente efficaci.

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Epatite cronica B: storia naturale* e terapia’ F E R R U C C IO B O N IN O ,* M A U R IZ IA R O S S A N A B R U N E T T O ,* P IE T R O L A M P E R T IC O ,* * M A U R O V IG A N Ò **

OBIETTIVI DIDATTICI Storia naturale /

Identificare le diverse fasi che caratterizzano la atorla naturale deirinfezlone cronica da HBV.

/

Capire le relazioni patogenetlche delle Interazioni tra virus e risposta immune antivirale che sono specifiche di ciascuna fase dell'infezione cronica.

/

Distinguere il portatore di Infezione cronica associata a epatite cronica B dal portatore cronico di HBsAg non attivo senza danno epatico virus Indotto.

/

Conoscere I diversi esiti delle 2 forme di epatite cronica B: HBeAg positiva e HBeAg negativa.

/

Valutare I principali fattori e cofattorl di malattia che determinano la frequenza e l'incidenza degli esiti di malattia.

Terapia /

Saper Inquadrare correttamente il paziente con epatite cronica B attraverso l'anamnesi, l'esame obiettivo e la richiesta degli accertamenti di I e II livello.

/

Saper Individuare I pazienti che devono essere considerati per un trattamento antivirale.

/

Conoscere I farmaci attualmente disponibili e i loro meccanismi d'azione.

/

Saper indicare le strategie di trattamento disponibili e la terapia di prima linea per i diversi profili di malattia.

/

Saper Interpretare il risultato degli esami ematochlmlcl da eseguirsi durante li trattamento per valutarne l'efficacia e i possibili effetti collaterali.

STORIA MATURALE La storia naturale dell’infezione cronica da virus dell’epatite B (H ep a titis B Viì'us, HBV) e dell’epatite cronica che ne può conseguire dipende dall’eterogeneità delle relazioni inter­ correnti tra virus, epatociti infetti e risposta im m unitaria anti virale.1-3 Infatti HBV non è di­ rettam ente citopatico e h a notevoli capacità di sfuggire al riconoscim ento d a parte del sistem a Im munitario producendo in grande eccesso sia

l'antigene nucleocapsidico, nella sua form a secretoria o antigene “e" (HBeAg), sia l’antigene di superficie nella form a di particelle subvirali (HBsAg). U danno epatico necroinflam m atorio (epatite) si m anifesta esclusivam ente quando il sistem a im mune riconosce la presenza del virus com e estranea e scaten a la risp o sta infiammato ria p er eliminare le cellule infette. L’infezione cronica da HBV può, quindi, decorrere anche in un fegato norm ale senza danno necroinfiam ­ m atorio. Ciò rende n ecessaria la distinzione tra infezione cronica da HBV ed epatite cronica B.

DÌ r'| à -|M p || f|

:|-

Infezione cronica L’infezione cronica consegue alla capacità del :; | virus di sfuggire alla sorveglianza e al controllo del sistem a immune, grazie alla produzione di $ elevati livelli sierici di antigeni virali, HBeAg e $ HBsAg.1-3 Nella prim a fase d’infezione la florida Jreplicazione virale (milioni di virioni p e r mi di .|}j sangue, elevati livelli di HBV-DNA) fa sì che sia $ possibile evidenziare (m ediante tecniche immu- ¡K noistochim iche) l’antigene virale nucleocapsidi- £ co (HBeAg) all’interno dei nuclei della m aggior |§ p arte degli epatociti (90%) e l’antigene di super­ ficie (HBsAg) diffuso sulla m em brana cellulare. Q uesta fase d’infezione è definita di “immunotolleranza” e si associa all’assenza di significati/ vo danno epatico, indotto dal virus (figura 2.1). Quando il sistem a im m une riconosce il virus come estraneo e attiva la risp o sta antivirale determ ina la transizione dell’infezione nella fase di :fg "immunoeliminazione” (figura 2.1). U na delle cause della p erd ita di immunotolle: ranza può essere la rid o tta espressione dell’antigene HBeAg che ne è l’induttore principale. La } produzione dell’HBeAg è m odulata sia a livello trascrizionale che traslazionale e fattori quali ci- § tochine, ormoni, farm aci e m utazioni genetiche f nel genom a virale possono causare una riduzio­ ne o il blocco rispettivam ente dell’espressione o : della secrezione dell’antigene n el sangue. La durata della fase d’im m unotolleranza è più lunga

C A P IT O L O 2. EPATITE C R O N IC A B: S TO R IA N ATURALE E TE R A P IA

Figura 2.1 Storia naturale dell'infezione cronica da HBV

nelle infezioni acquisite in epoca neonatale, in particolare nei bim bi nati da mam m e HBeAg p o ­ sitive, a causa della tolleranza indotta n el siste­ m a immune del nascituro dal passaggio transpla­ centare dell’HBeAg.3 Al contrario, la d urata dell’im munotolleranza è più breve nei sogget­ ti con infezione contratta in età adulta, ove si escludano i soggetti con ridotta im m unocom petenza. Alla perdita delTimm unotolleranza con­ seguono uno o più episodi epatitici, rem ittenti, caratterizzati da elevazioni delle transam inasi superiori a 5 volte i valori norm ali, p e r lo più asintomatiche. La perdita dell’im m unotolleran­ za si associa quindi alla com parsa del danno epatico necroinfiammatorio (epatitico) che nel­ la maggioranza dei casi determ ina la progressi­ va scom parsa dell’HBeAg circolante e la positivizzazione dell’anticorpo anti-HBe (sieroconversione HBeAg/anti-HBe). L’incidenza annuale di sieroconversioni varia dal 2-15% in funzione dell’età, livello delle transam inasi e genotipo vi­ rale (ad esempio, più elevata p er genotipo B che C).23 Nelle aree geografiche a più alta endem ia dove prevalgono i genotipi B e C, com e in Asia, circa il 90% dei bam bini rim ane HBeAg positi­ vo fino a 10-15 anni e il 90% delle sieroconver­ sioni avviene entro i 40 anni di età.2 Nel bacino del M editerraneo prevale invece l’infezione da genotipo D e la maggioranza dei portato ri p re­ senta la sieroconversione HBeAg/anti-HBe en­ tro i 20 anni.1 Se la risposta im mune è efficace e in grado di controllare la replicazione virale, si ha la transizione alla fase di im m unocontrollo o infezione inattiva (figura 2.1), che è carat­ terizzata dalla persistenza di HBsAg circolante con replicazione virale molto bassa (HBV-DNA sierico *2000 Ul/ml), livelli norm ali delle transa-

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minasi, scom parsa dei segni istologici di epatite e negativizzazione dell’HBcAg intraepatico alle colorazioni im m unoistochim iche. L’HBsAg può persistere anche all’interno degli epatociti (fo­ calm ente o diffusam ente) a causa della sintesi di varianti difettive dell'antigene di superficie vi­ rale che si accum ulano nel citoplasm a cellulare e a cui fanno assum ere il tipico aspetto a vetro sm eriglio {ground glass cells) alla colorazione istologica con ematossilina-eosina. Nei p o rta­ tore non attivo di HBsAg l’infezione cronica persiste senza epatite cronica e può perdurare indefinitam ente senza causare ulteriore danno epatico (può tu ttavia essere p resen te fibrosi, com e esito del danno necroinfiam m atorio oc­ corso durante la fase d’immunoeliminazione). Il p ortatore di HBsAg non attivo rap p resen ta il prototipo più frequente (alm eno 60%) dei circa 450 milioni di p o rtato ri che esistono al mondo. In questa fase dell’infezione il sistem a im mune è capace di controllare la replicazione e trascri­ zione dei geni virali senza determ inare la lisi cellulare, attraverso m eccanism i che sono in grado di m odulare l’attività del m inicrom osom a virale (HBV-DNA circolare superspiralizzato, circular supercoiled DNA o ccc-DNA).3 L’enti­ tà di tale controllo sul ccc-DNA e la progressiva riduzione del num ero degli epatociti infetti de­ term inano la len ta e graduale cad u ta dei livelli sierici di HBsAg e la su a eventuale scom parsa con positivizzazione dell’anticoipo anti-HBs (sieroconversione HBsAg/anti-HBs). L’incidenza di tale sieroconversione v aria tra lo 0,7 e il 2,5% annualm ente.34 In assenza di HBsAg circolante la presenza di HBV-DNA nel fegato con o senza gli anticorpi contro gli antigeni virali anti-HBc e anti-HBs caratterizza il p o rtato re di infezione cosidetta “occulta”, condizione che è anche ti­ p ica di chi è guarito naturalm ente da un epatite acuta B.1-3 Le condizioni di p o rtato re cronico di HBV inattivo (HBsAg positivo) o po rtato re oc­ culto (HBsAg negativo) non sono condizioni associate a epatite cronica e nelle popolazioni della n o stra area geografica, infettate p er lo più dal genotipo virale D, non conferiscono nem­ m eno u n rischio superiore di tum ore del fegato rispetto alla popolazione norm ale, purché il pas­ saggio da infezione attiva a non attiva sia avve­ nuto prim a dello sviluppo irreversibile di cirrosi epatica.12 Le stesse condizioni costituiscono in­ vece un rischio di tum ore del fegato p e r asiatici e africani che sono infettati d a altri genotipi vi­ rali e sono anche esposti maggiorm ente ad altri cancerogeni am bientali (ad esempio, aflatossine). L’infezione virale può però riattivarsi sia nei

IV IM IN U /M -E U l U M Ü I n U C I N I C H U L U Ü I M

p ortatori cronici di HBV inattivi (HBsAg positi­ vi) che occulti (HBsAg negativi) in conseguenza di un ridotto controllo im m une conseguente a m alattie o terapie im m unosoppressive. Infatti, le raccom andazioni delle attuali linee-guida pre­ vedono che tali soggetti siano sottoposti a una specifica profilassi della riattivazione epatitica m ediante trattam ento tem poraneo con farm aci antivirali in caso di terapie im m unosoppressive (ad esem pio, boli cortisonici, im muno- o che­ m ioterapie).

HBeAg positiva In circa il 30-40% dei casi dei portatori di in­ fezione cronica la risposta im m unitaria virus specifica, sviluppatasi con la p erd ita dell’immunotolleranza, non è in grado di controllare effi­ cacem ente l'infezione virale: ne consegue che il danno epatico si m antiene nel tem po e, per convenzione, si definisce cronica un’epatite B che non guarisce dopo 6 mesi dal suo esordio. La form a di epatite cronica HBeAg positiva (tipo I) è caratterizzata d a persistenza dell’antigene HBeAg nel siero, elevazione delle transam inasi e presenza di necroinfiam m azione intraepatica. In tale condizione è possibile colorare gli antigeni virali rispettivam ente nei nuclei (HBeAg) e ci­ toplasm i (HBsAg) degli epatociti, m a con distri­ buzione focale e non più diffusa come nella fase d ’im m unotolleranza (tabella 2.1).

100 m ilioni U l/m l e ALT nella norm a, n o n devono essere tra tta ti a m eno che vi sia un'anam nesi fam iliare positiva p er CE o cirrosi o il riscontro di fibrosi significati­ v a alla b iopsia epatica, accertam ento che viene consigliato nei pazienti con un profilo clinico e virologico tipico della fase di im m unotolleranza ed età superiore ai 35-40 anni. I pazienti “immunotolleran ti” devono essere controllati a inter­ valli di 3-6 m esi e periodicam entè rivalutati per la terapia. I “carrier inattivi” di HBsAg (fase HI della sto ria naturale), cioè HBsAg positivi, HBe­ Ag negativi, HBV-DNA

C o n s u m o d i a lc o l, o b e s ità , In s u lin o -re s is te n z a , s te a to s i, c o ln fe z io n l c o n HIV o H BV

C irro s i ( 1 0 -5 0 % )

C A P IT O L O 4 . EPATITE C R O N IC A D A V IR U S C: S T O R IA NATU R A LE E TE R A P IA

Taueua **•> Fattori associati alla progressione della fibrosi epatica in pazienti con epatite cronica da HCV

Fattori non modificabili „ Fattori modificabili

-

Età al momento dell’infezione Sesso maschile Menopausa Mutazioni HFE

-

Consumo di alcol Consumo di cannabis Coinfezlonl virali con HBV e/o HIV Obesità Insulino-resistenza Diabete mellito di tipo 2 Steatosl epatica Livelli sierici di vitamina D

ra metabolica. Il consum o di alcol può acce­ lerare la progressione della m alattia di fegato in soggetti con ep atite C. L’alcol di p e r sé, se consumato in alte concentrazioni è un fa tto re di rischio p er m alattie croniche di fegato e tale effetto, a concentrazioni anche più basse, è n o ­ tevolmente amplificato nei soggetti con ep atite C. Quindi il consum o di alcolici di qualunque tipo, anche in m oderata quantità, va abolito. D fumo di cannabis, p resen te nella m arijuana, è associato a u n a più elevata frequenza di fibro­ si epatica avanzata nei soggetti con ep atite da HCV. Al contrario il consum o di caffè sem b ra esercitare un ruolo protettivo sulla p ro g res­ sione della fibrosi epatica dell’epatite cronica da HCV. Cofattori di patologia sono le coinfe­ zioni virali, p resen ti so p rattu tto in p opolazioni di tossicodipendenti o nei soggetti p o litrasfu ­ si prima del 1992. La coinfezione con il virus dell’epatite B determ ina un’im po rtan te accele­ razione nella progressione di m alattia, m a que­ sta condizione si è notevolm ente rid o tta con l’introduzione della vaccinazione universale per l’epatite B. Un problem a em ergente è le­ gato alla coinfezione con HTV. Nei soggetti con infezione da HIV, grazie alTutilizzo delle terapie retrovirali, l’aspettativa di vita è notevolm ente aumentata, m a l'aum entata sopravvivenza fa sì che l’epatite cronica da HCV p o ssa evolvere in cirrosi epatica in circa la m età del tem po os­ servato nei pazienti m onoinfetti, ta n t’è che og­ gi le complicanze della cirrosi ep atica da HCV rappresentano la più frequente cau sa di m orte nei soggetti con infezione da HTV. A lcune al­ terazioni m etaboliche possono interferire con la progressione della fibrosi epatica. È docu­

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m en tato com e l’obesità, e in m odo p articolare l’o b esità viscerale, l’insulino-resistenza, il dia­ bete, e quindi la steato si, ovvero l’accum ulo di gocce di grasso negli epatociti, si associano a u n a p iù veloce p rogressione dell’ep atite C. Tali evidenze hanno p o rta to a individuare targ et su cui intervenire p e r ritard a re l’evoluzione del­ la m alattia di fegato. Nei pazienti con epatite C la dieta, l’attività fisica e, in u ltim a analisi, la riduzione del p eso corp o reo determ inano un m iglioram ento della sensibilità all'insulina e si associano a u n a p iù len ta evoluzione del danno epatico. Al paziente v a so tto lin eata la n e cessità di praticare u n ’in ten sa attività fisica e di effettuare u n a d ieta equilibrata m irate al m antenim ento di u n adeguato p eso corporeo. L’efficacia di farm aci ad attività insulino-sensibilizzante, sep p u r concettualm ente utili, deve a n co ra essere v alu tata n ei pazienti con epatite C. Infine, la p resen za di bassi livelli sierici di vitam ina D e, m eno frequentem ente, l’accum u­ lo ep atico di ferro o la presen za di m utazioni genetiche a carico del gene HFE, possono con­ tribuire a u n a p iù veloce progressione della m alattia di fegato.

TERAPIA Introduzione Dallo scorso decennio l’interferone (IFN) standard è stato sostituito dall’IFN peghilato (P), a lento rilascio, in combinazione con la ribavirina (R). L’efficacia della combinazione P+R è b uona n ell’infezione so sten u ta dal genotipo 2 e 3 dell’HCV (fra il 70% e l’80% di eradicazione dell’HCV), lim itata nell'infezione sostenuta dall’HCV genotipo 1 (circa il 45% di eradicazione).1 Negli ultimi anni sono stati sviluppati nuovi farm aci che interferiscono con funzioni del vi­ rus, necessarie al suo ciclo biologico abbatten­ done la replicazione; sono chiam ati D irect A ctin g A n tiv ira ls (DAA). I prim i DAA giunti all’uso clinico sono due inibitori della NS-3 p ro teasi dell’HCV, il boceprevir (B)2 e il telaprevir (T),3 m olecole peptidom im etiche dell’enzim a virale. R eprim ono ener­ gicam ente la replica del virus, m a non riescono, se som m inistrati in m onoterapia, a prevenire la rapida em ergenza di m utanti virali resistenti che ne vanificano l’azione terapeutica. Tuttavia la som m inistrazione contem poranea di P+R

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M A N U A LE DI G A S T R O E N T E R O L O G IA 2 0 1 3 -2 0 1 5

abolisce o contiene il rischio di resistenze. La triplice terap ia T+P+R oppure B+P+R, p oten­ zia e consolida la soppressione del virus indot­ ta dall’antivirale garantendo nella m aggioranza dei pazienti la guarigione dall’infezione; essa è pertan to divenuta la prim a linea terap eu tica nell’epatite cronica da HCV so sten u ta dal ge­ notipo 1 delTHCV. La duplice terap ia rim ane al m om ento l’unico trattam en to nei pazienti con genotipo 2, 3 e 4.

Definizione di risposta terapeutica L’obiettivo della terap ia è la risp o sta virale so sten u ta (S u sta in e d Viral Response, SVR). L’SVR è sinonim o di cu ra deirinfezione da HCV. La SVR è definita dalla p ersisten za di un risultato negativo al te s t p e r HCV-RNA piasm a­ tico sei m esi dopo un trattam en to che è stato efficace nell’abb attere la virem ia a valori non determ inabili durante il corso terapeutico; p er essere garantiti dall’effettiva elim inazione del virus è necessario che la determ inazione dell’HCV-RNA sierico sia co n d o tta con u n m etodo di quantificazione sensibile, rap p resen tato da u n te s t PCR rea l-tim e con u n a soglia di quan­ tificazione (L im it o f Q uantification, LOQ) ¿15 Ul/ml. I pazienti che durante la terap ia non raggiun­ gono un livello di non rilevabilità di HCV-RNA sono definiti n o n responder, vanno distinti i n u il responder, nei quali la carica virale nel corso della terap ia non scende m ai al di sotto di 1 Log10 dal valore basale, dai p a rtia l responder ; nei quali la carica virale in corso di cu ra scende m a non raggiunge m ai la non rilevabilità. Una p arte dei pazienti infine p resen ta tran sito ria­ m ente una fase di n on rilevabilità di HCV-RNA, m a con ripositivizzazione dopo la sospensione della terapia; questi pazienti sono chiam ati relapser. Altri pazienti ancora hanno u n a fase di HCVRNA non rilevabile in terap ia m a tornano posi­ tivi ancor prim a di sospendere la terapia e sono definiti con breakthrough virale.

I fattori che condizionano la risposta terapeutica II genotipo dell’HCV Un fattore m olto im portante nella risposta alla terapia antivirale è il genotipo dell’HCV. Negli studi registrativi della terap ia P+R, l’SVR

globale per il genotipo 2 è stato di oltre 1*8096, p e r il genotipo 3 del 70% circa, p e r il genotipo 1 del 45-55%. Tuttavia l’en tità delTSVR con la te­ rapia P+R è inferiore nella pratica' quotidiana; in un recen te studio prosp ettico osservazionale in 2.604 pazienti prom osso in Italia dall’AIFA, la percentuale globale di SVR è sta ta del 51% nell’infezione da HCV-2/HCV-3 e del! 38% nell’in­ fezione da HCV-1.4La triplice terap ia PRT o PRB è efficace solo nel genotipo 1; è più efficace nel genotipo lb che la.

Stadio di fibrosi epatica La risp o sta alla terap ia sia con la duplice che con la triplice terap ia dim inuisce con l’aum enta­ re della fibrosi accum ulata nel fegato. Pertanto, indipendentem ente dal genotipo, le risposte so­ no più basse nei pazienti cirrotici o con fibrosi avanzata rispetto ai casi con fibrosi iniziale o m oderata.

Comorbilità L’obesità, la sindrom e m etabolica, l’insulinoresistenza e il diabete riducono lai risposta; è raccom andata la loro correzione, p er quanto possibile, p rim a di iniziare la terapia. La steatosi epatica è frequente nei pazienti con epatite C cronica. La steato si nei pazienti HCVr3 risolve in caso di SVR.

Interleuchina 28B Nei pazienti con HCV-1 trattati con P+R han­ no assunto un ruolo prognostico im portante i polimorfismi nella sequenza a m onte del gene um ano che codifica p er l’interleuchina B, loca­ lizzato sul crom osom a 19. Il polimorfismo più utilizzato in letteratu ra è lo sneap rst12979860, che com porta tre maggiori polimorfismi, definiti; 1. CC (citosina-citosina) 2. CT (citosina-tim idina) 3. TT (timi dina-timi dina). Nei pazienti con HCV-1 che esprim ono CC le probabilità di SVR sono il doppio di quelle dei pazienti con genotipo TT, m entre sono interm e­ die in quelli con genotipo CT. Nei pazienti cau­ casici con polimorfismo CC e m alattia epatica non avanzata, la probabilità di SVR con P+R e di circa il 71%.6 P erm ettendo di identificare i pazienti p iù pro­ p ensi alla risposta alla duplice terapia, l’accerta­ m ento del polimorfismo consente di personaliz­ zare e ottim izzare il trattam ento, sfruttando la duplice terapia P+R nei pazienti CCj im piegan­ do invece la triplice, nei soggetti con genotipo IL28B p iù sfavorevole.

o A r i l U L U h . c r / A i 11 c

is n u m w x

Gli interim temporali di risposta durante la terapia Quanto più; rapido è l’abbattim ento della viremia e il raggiungimento di un te st HCV-RNA negativo, tanto più probabile diviene l’SVR. L’interim più im portante è la risp o sta virologi­ ca rapida (RVR); l’HCV-RNA non è più determ i­ nabile 4 settim ane dopo l’inizio della terapia. Il raggiungimento della RVR ha u n alto valore p re ­ dittivo positivo: nei pazienti HCV-1 trattati con la duplice terapia che raggiungono u n a RVR, la p r o b a b ilità di SVR supera l’80% con sole 24 set­ timane di P+R e non è necessario quindi prose­ guire per le 48| settim ane canoniche. Con la triplice terapia assum e valore la rispo­ stavirologica rapida estesa (eRVR) in cui, nel pa­ ziente trattato, l’HCV-RNA diventa non rilevabile alla quarta settim ana e così resta sino alla dodi­ cesima settim ana di trattam ento (tabella 4.2). Con i regimi terapeutici a base di T si ottiene una eRVR nella maggioranza dei pazienti n a iv e (65%), e ciò perm ette di accorciare la durata del­ la terapia a 2 4 settimane, ovvero 12 di T+P+R seguite da altre 12 di P+R.

Tabella 4.2 Nuova nomenclatura della risposta virologica con DAA HCV-RNA non rilevabile alla settimana 4 e alla 12

B

RVR

HCV-RNA non rilevabile alla settimana 4 dopo la tase di U

Responsivo

Calo di HCV-RNA >1 logl 0 dopo la LI

Non responsivo ;

Calo di HCV-RNA 20 unità)

1 2 2 2

>llmite superiore di norma >1,1 x limite superiore di norma

1 2

Compatibile con EAI Tipica per EAI

1 2

SI No

2 0 EAI probabile: ¿6 EAI definita: ;>7

LKM SLA/LP IgG Istologia* Assenza di epatite virale

* Evidenza di epatite

è una condizione necessaria; EAI a

epatite autoim mune

Fra 1 quattro param etri utilizzati l’aumento delle immunoglobulme/IgG è utile per la diagno* si in quanto correla con la fase di attività di m a­ la ttia Gli elevati livelli di immunoglobuline sono spesso l’unico elem ento indicativo di patologia epatica autoim m une nelle forme ad esordio acu­ to altrimenti non distinguibili da quelle a eziolo­ gia virale o tossica. Circa u n 10% dei pazienti tu t­ tavia alla diagnosi h a valori norm ali di IgG. Nei pazienti che rispondono al trattam ento i valori di IgG tendono a normalizzarsi. Gli autoanticorpi non organo-specifici rappresentano u n elemento caratteristico dell'EAI. Nessun autoanticorpo è

M A N U A L E D I G A S T R O E N T E R O L O G IA 2 0 1 3 -2 0 1 5

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tuttavia patognom onico di EAI con l’unica ec­ cezione dell’anticorpo Soluble L iv e r A n tig en / Liver-Pancreas (SLA/LP) presente solo nel 30% d ei casi. Occorre ricordare che la ricerca di que­ s to m arcatore non viene fatta di routine e nel ca­ s o di motivato sospetto di epatite autoimmune In assenza di altri m arcatori è suggeribile inviare u n campione di siero a un centro specializzato p e r la ricerca di questa reattività autoanticorpar le. Nonostante queste limitazioni la presenza di autoanticorpi, il loro titolo e la loro specificità rappresentano elementi im portanti e talvolta cri­ tici nella diagnosi di EAI. Sulla base del profilo autoanticorpale l'EAI viene classificata in due sottotipi. L’EAI di tipo 1 associata agli anticor­ p i anti-nucleo, anti-muscolo liscio e SLA e l’EAI di tipo 2 associata all’anticorpo anti-LKMl e/o anti-LCl. I due sottotipi differiscono dal punto di vista epidemiologico m a non da quello clini­ co/terapeutico. La biopsia epatica è requisito ir­ rinunciabile p er la diagnosi. Nei casi ad esordio acuto che vanno in diagnosi differenziale con form e virali o tossiche l’istologia può essere l’u­ nico elemento che consente di identificare cor­ rettam ente l’eziologia autoimmune. Nello score semplificato la necrosi periportale o epatite di interfaccia è considerata il quadro morfologico tipico, sebbene non patognom onico, di EAI in associazione con infiammazione portale, pre­ senza di plasmacellule nell’infiltrato e rosette infiammatorie. L’indicazione al trattam ento dei pazienti con m alattia severa è assoluta1 m entre

vi è discussione relativam ente ai pazienti con m alattia lieve e asintom atica. Tuttavia in ragione del dim ostrato rischio di progressione di m alat­ tia nei pazienti che m antengono una m alattia lie­ ve in corso di trattam ento e del rischio di fiares iperacuti nei pazienti non trattati il suggerimento è quello di trattare tutti i pazienti tenendo conto delle caratteristiche e delle controindicazioni in­ dividuali. Va sottolineato che in presenza di un esordio acuto in cui vi sia un fondato sospetto di eziologia autoimm une il trattam ento v a iniziato im m ediatam ente. Lo schem a d’immunosoppres-sione dipende dalla severità di malattia, dall’età del paziente e dalla presenza di com orbilità e prevede l’utilizzo di prednisone o prednisolone in m onoterapia alla dose iniziale di 1 mg/kg/die con decalaggio di 10 mg ogni settim ana fino a un m antenim ento che realizzi un com pleto control­ lo biochimico di m alattia e che va p rotratto per alm eno 2 o 3 anni prim a di considerare un even­ tuale sospensione4 (tabella 6.2). In alternativa si può considerare u n a terapia di associazione con 30 mg di prednisone e 0,51 mg/kg di azatioprina. Con questo schem a oltre l’80% dei pazienti consegue una com pleta remis­ sione di m alattia intesa come normalizzazione delle transam inasi e delle immunoglobuline.3 Se la diagnosi di EAI non è sicura è preferibile uti­ lizzare gli steroidi in m onoterapia, poiché la ri­ sposta al trattam ento può essere utilizzata come criterio di supporto alla diagnosi. Recentemente la budesonide è stata p ro p o sta in alternativa al

Tabella 5.2 Regime di Immunosoppressione in pazienti adulti M0N0TERAPIA Prednisone* da solo (mg/die)

TERAPIA DI COMBINAZIONE Prednisone* (mg/dle)

Azatioprina USA (mg/die)

Settimana 1 Settimana 2 Settimana 3 Settimana 4 Mantenimento fino a end polnt Ragioni della preferenza

60 40 30 30 20 e meno Cltopenia Gravidanza Neoplasie Ciclo breve (s6 mesi) Deficit di tiopurina metiltransferasi

Il prednisolona può essere usalo a l posto del prednisone a dosi equivalenti

EU (mg/kg/die)

V2 1-2 1-2 1-2 1-2

Stato post-menopausale Osteoporosi Diabete Obesità Acne Labilità emotiva ipertensione

C A P IT O L O 5. M ALA TTIE A U T O IM M U N I DE L FEGATO

e d n i s o n e come trattam ento dell’EAI sulla base di un trial europeo m ulticentrico.61 risultati dello studio suggeriscono che la budesonide può esse­ re considerata u n ’alternativa terapeutica nei pa­ zienti nei quali il prednisone sia controindicato a causa degli effetti collaterali. Si sottolinea tu tta­ via che a causa delle caratteristiche farmacoci­ netiche della budesonide il suo utilizzo è sconsi­ gliato nei pazienti cirrotici con circoli collaterali e che non vi sono riferim enti in letteratura relati­ vi all’efficacia della budesonide nei pazienti con esordio acuto. L’obiettivo della terapia è quello di ottenere una com pleta normalizzazione del­ le trans aminasi e delle immunoglobuline cui di solito corrisponde u n ’attività istologica lieve o minima. La m ancata normalizzazione delle transaminasi corrisponde al persistere di un’attività istologica quantizzabile in un H istologicdl A ctivity Index (HAI) di 6 o più.6 La ripetizione della biopsia in corso di trattam ento può essere utile per guidare eventuali variazioni terapeutiche. La possibilità di sospendere la terapia immunosoppressiva dipende dalla durata della terapia stessa e dal raggiungimento di una stabile rem issione supportata da una com pleta risoluzione dell’at­ tività istologica (HAIs3). La prognosi dell’EAI trattata è buona e nella maggior p arte dei casi l’aspettativa di vita ritorna normale.

Cirrosi biliare primitiva La cirrosi biliare primitiva (CBP) è u n a rara malattia cronica del fegato caratterizzata da innalzamento degli indici di colestasi, positivi­ tà degli autoanticorpi anti-m itocondrio (AMA), istologia epatica peculiare (dapprim a prolifera­ zione duttulare, poi duttopenia e infine fibrosi e cirrosi; reperto caratteristico è la presenza di granulomi). Il term ine “cirrosi", applicato a questa malattia, è da considerarsi quantom eno inesatto, dal m om ento che essa rap p resen ta so­ lamente l’ultima fase della storia naturale, dopo 10-20 anni dall’esordio, in assenza di trattam en­ to.6La m alattia h a una prevalenza molto variabi­ le a seconda dell’area geografica ed è com presa fra 6,7 e 402 casi p e r milione. È più frequente nelle donne con un rapporto femminermaschi di 10:1. Il 20% dei pazienti con CBP presen ta simul­ taneamente o consecutivam ente un’altra m alat­ tia autoimmune, tra le più frequenti si segnalano sclerosi sistem ica, tiroidite autoim m une, sin­ drome di Sjögren, m alattia celiaca. Nonostante sia noto il coinvolgimento del si­ stema immunitario nella CBP, n o n è a tu tt’oggi

31

stato individuato alcun agente causale. Vi sono però num erose evidenze rispetto ai fattori di rischio ambientali: il fum o di sigaretta e le infe­ zioni ricorrenti delle mucose, e in particolare del tratto urinario (specie se sostenute da Escherichia coli) hanno un ruolo riconosciuto. Il ruolo dei cosmetici, così com e delle gravidanze e di terapie orm onali non è invece del tutto chiarito. Oltre alle esposizioni ambientali, i fattori genetici sono critici nel determ inare la suscettibilità alla m alattia Oltre che una certa quota di clustering familiare e di concordanza fra i gemelli m ono­ zigoti, particolari varianti alleliche dell’MHC di classe E (DRB1*08, *11, *13) sem brano conferire u na maggiore suscettibilità alla m a la ttia 7 Nume­ rosi com ponenti dell’im m unità innata (C4*Q0, C4B*2, NRAMP1/SLC11A1, MBL, VDR) e adattativa (CTLA4, ILbeta, TNF-a, IL12A, IL12RB2) si sono dim ostrati in grado di determ inare un au­ m entato rischio di sviluppare CBP.8 Nella m età dei casi la CBP viene diagnosticata in modo casuale quando, p e r altri accertam enti o durante uno screening, vengono rilevati anomali livelli dei m arcatori di patologia epatica- le transam inasi (AST e ALT) e soprattutto gli indici di colestasi (y-GT e fosfatasi alcalina).0 In assenza di AMA (5% dei casi), utile p e r la diagnosi è la presenza di specifici tipi di anticoipi anti-nucleo (ANA), come gli anti-gp210 e gli anti-splOO.10 Il danno istologico è classificato in quattro stadi, solo l’ultim o dei quali corrisponde a u n a franca cirrosi (tabella 6.3).

Tabella 5.3 Criteri per la diagnosi di CBP La diagnosi di CBP è data dalla presenza di almeno due dei seguenti tre criteri: 1. positività della ricerca degli AMA (che si riscontra nel 95% del casi) a titolo adeguato (1:40 airimmunofiuorescenza Indiretta); 2. persistenza per oltre 6 mesi di alti valori di fosfatasi alcalina (maggiori di 1,5 volte); 3. biopsia epatica compatibile.

La CBP è u n a m alattia cronica ad andam en­ to, nella m aggior p arte dei casi, indolente. Ini­ zialm ente la sintom atologia è aspecifica e, do­ ve presente, è dom inata da astenia e prurito.6 9 Può com parire ittero, steatorrea, xantelasm i, iperpigm entazione c u ta n e a Oggi raram ente si osserva u n a m alattia avanzata al mom ento della diagnosi, con segni di cirrosi, ipertensio­ ne portale e/o insufficienza epatica. Le com­ plicanze extraepatiche della colestasi cronica

IVIMINL/MLC UI O M O I HUC1N I E r t U L U O I t t ÜU I .J-¡¿U I O

com prendono il m alassorbim ento di vitamine liposolubili. Aum entati valori di IgM sono piut­ tosto frequenti. Esistono sindrom i cosiddette overlap con l’EAI, caratterizzate da elevazione più m arcata delle transam inasi, risposta allo steroide simile a quella osservata in EAI e isto­ logicamente aspetti di epatite d’interfaccia con necrosi periportale e infiltrato plasm acellulare, oltre ai reperti caratteristici della colangiopatia granulom atosa È aum entato il rischio di epatocarcinom a, p er il quale è consigliabile intrapren­ dere un program m a di sorveglianza sem estrale (ecografia epatica e dosaggio dell’alfa-fetoproteina). La prognosi a breve term ine (fino a 2 an­ ni) e negli stadi avanzati di m alattia può essere calcolata secondo il “Mayo Score’1, u n sistem a di punteggio elaborato dalla Mayo Clinic negli Stati Uniti. La positività p e r gli anti-gp210 e gli anti-splOO h a invece un ruolo prognostico nelle fasi iniziali di malattia. L’unica terapia attualm ente approvata p er la CBP è l’acido ursodesossicolico (UDCA) a dosaggio di 13-15 mg/kg/die, che è in grado di norm alizzare gli indici di colestasi e m igliora­ re la prognosi di questi pazienti che si è dim o­ strata paragonabile a quella della popolazione generale.6 L’UDCA è globalm ente u n farm aco sicuro, con pochi effetti collaterali quali diar­ re a o sintom i d a reflusso. C irca il 40% dei pa­ zienti h a una risposta subottim ale all’UDCA. È utile altresì provvedere alla supplem entazione con calcio e vitam ina D p e r prevenire, ove p o s­ sibile, la p erd ita di m assa o s s e a Un p roblem a nella gestione dei pazienti con CBP può essere il trattam ento del prurito, che si può giovare dell’im piego di colestiram ina, oppure rifampicina, antistam inici, naloxone. La plasm aferesi e il M olecular A dsorbent R ecìrc u la tin g S y ste m (MARS) sono provvedim enti utili n ei casi gravi e resistenti ad altri trattam enti. H trap ian to di fegato trova indicazione nella m alattia avan­ zata, com plicata da cirrosi sco m p en sata e/o insufficienza epatica, com e pure n ei casi di prurito refrattario e severam ente invalidante. La CBP ricorre nel post-trapianto in c irca il 20% dei casi.

CONCETTI CHIAVE /

L’EAI deve essere considerata In diagnosi differenziale in tutti i pazienti con alterazione degli enzimi epatici.

/

La diagnosi si fonda su criteri clinici e nei casi com­ plessi mediante l'utillzzo dello score semplificato per la diagnosi di EAI.



La risposta alia terapia immunosoppressiva à caratteri­ stica e supporta la diagnosi.

/

Gli steroidi sono il farmaco di scelta per l’induzione dal­ la remissione.

/

L’azatioprina ò il farmaco per II mantenimento della re­ missione.

/

Il mantenimento della immunosoppressione deve esse­ re protratto per un minimo di 2 /3 anni.

«

/

Non infrequenti sono le forme di overlap tra EAI e CBP.



La diagnosi di CBP si basa su presenza di colesta­ si, positività per A M A e lesioni patognomoniche alla biopsia epatica.

/

SI ritiene che fattori genetici svolgano un ruolo più Im­ portante rispetto a quelli ambientali nello scatenare la risposta autoimmunltaria. j

/

L'UDCA è l'unica terapia a oggi riconosciuta per la CBP.



La CBP è un'indicazione per il trapianto di fegato.

Bibliografia .

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:

6

Epatite alcolica e sindrome astinenziale C A R M E L A L O G U E R C IO , F IL O M E N A M O R IS C O

OBIETTIVI DIDATTICI / Acquisire conospenze sull’epidemiologia e i rischi connessi all’uso e all'abuso di alcol. /

Fornire elementi;sul principali meccanismi patogeneticl del ¡danno epatico indotto da alcol.

/

Orientare lo studente all'approccio dei principali quadri clinici dell'epatopatia alcolica.

/

Fornire elementi;nell'iter terapeutico.

. I ; i dice stradale identifica in 0,5 g di alcol il limite massimo p er porsi alla guida di autoveicoli. Tale limite viene raggiunto, mediamente, dopo l’inge­ stione di circa due UA. In Italia, il 46% degli inci­ denti stradali è connesso all’uso di alcol. Per pa­ tologia epatica da alcol si intende un danno acuto o cronico del fegato indotto da uso incongruo di bevande alcoliche. In Italia, si calcola che l’alcol, da solo o associato ad altri cofattori, sia responsa­ bile di circa il 25% di tutte le epatopatie croniche severe, con una crescita di casi incidenti che si triplica annualmente.

Entità del problema Le problematiche alcol-correlate possono es­ sere di tipo psichico, fìsico e sociale e, nella scala del danno globalmente inteso, l'alcol rappresenta la quarta causa al mondo. Le patologie d’organo alcol-correlate sono condizioni molto più diffuse nella popolazione rispetto alla punta dell’iceberg rappresentato dall’alcol-dipendenza e il loro esor­ dio è in funzione non solo della quantità di etano­ lo, ma principalmente della tipologia del bere (è un fattore di rischio anche il bere eccessivo occa­ sionale). Molte di tali patologie d’organo iniziano precocemente già nella fascia di età 16-29 anni. In Europa, 55 milioni di persone sono consumatori di alcol a rischio, 23 milioni gli alcol-dipendenti e la mortalità alcol-attribuibile è circa il 6,3 % di tutti i decessi. Negli ultimi anni si è registrato un incremento nei tassi di ospedalizzazione alcol-at­ tribuibile con riscontro di dimissioni ospedaliere per patologie totalm ente attribuibili all’alcol an­ che per la classe di età 0-14 anni in tutte le regioni italiane. Fra i giovani e le donne, si è assistito a un progressivo allontanamento dal tradizionale modello di consumo mediterraneo, con aumen­ to dell’uso di alcol fuori pasto alla ricerca dello sballo" (binge drin kin g : consumo di almeno 5 unità alcoliche fuori dai pasti e nell’arco di tempo di circa 2 ore). Dai ricordare che p er unità alcolica (UA) o drink si intende circa 12-13 g di etanolo puro contenuti in: 1 bicchiere di vino (125 mi), 1 lattina di birra comune (330 mi), 1 ¡bicchierino di superalcolico (30|40 mi). Va ricordato che il co-

Metabolismo dell’etanolo e suoi effetti L’etanolo ingerito è assorbito p e r oltre 1*8096 dal duodeno e dal digiuno. La m inore quantità di acqua corporea nelle donne ne determina una maggiore concentrazione ematica, a parità di quantità ingerita. La quantità di etanolo che arriva al fegato (figura 6.1) è altresì influenzata dall’atti­ vità dell’alcol-deidrogenasi (ADH) gastrica (first pass m etabolism ), a sua volta influenzata dalla concentrazione di etanolo nelle bevande (fun­ ziona di più se la bevanda contiene più etanolo),

Figu ra 6.1 Destino dell’alcol dopo ingestione per os

M A N U A L E DI G A S T R O E N T E R O L O G IA 2 0 1 3 -2 0 1 5

34

dall’abitudine al bere (funziona meno per un uso continuo di alcol), dal sesso e dall’età (funziona m eno nelle donne giovani; dopo i 50 anni la sua attività è uguale fra i due sessi), dall’assunzione d i alcuni farmaci. Una volta raggiunto il fegato 11 metabolismo d ell’etanolo avviene prevalentemente negli epatociti della regione pericentrale, che è la zona a m inore tensione di 0 2, spiegando la localizzazio­ n e prevalentemente centro lobulare del danno da etanolo. I sistemi deputati al metabolismo dell'alcol sono diversi ed entrano in attività in rapporto alla quantità di etanolo assunto e alla durata del consumo (figura 6.2). Il principale sistem a di detossificazione è rap­ presentato dall’enzima alcol-deidrogenasi (ADH) NAD-dipendente, presente nel citosol degli epatociti. Attraverso questa via m etabolica l’etanolo viene ossidato ad acetaldeide (ACT) e NADH + H*. L’acetaldeide a sua volta è ossidata dail’aldeide-deidrogenasi (ALDH), anch’essa NAD-dipen­ dente, in acetato e NADH + H \ L’acetato viene convertito in acetil-CoA che può essere utilizzato nel ciclo di Krebs oppure come substrato per la sintesi di acidi grassi. Per concentrazioni supe­ riori o continuative di alcol si attiva un’altra via metabolica: il M icrosomal Ethanol O xidizing S ystem (MEOS); la sua attivazione si traduce in accelerato metabolismo di etanolo, farmaci e

sostanze tossiche (con possibili interferenze tra loro e influenza sulla biodisponibilità dei farma­ ci stessi). L’ACT è particolarm ente tossica per l’epatocita in quanto, legandosi alle proteine dei microtubuli e del sistem a microsomiale, com­ preso il citocromo P 450 2E1 (CYP2E1), causa rigonfiamento degli epatociti (sw elling) e inne­ sca la risposta immunitaria. Induce, inoltre, perossidazione delle m em brane lipidiche e, ad alte e costanti concentrazioni, riduce la capacità del mitocondri di metabolizzarla, danneggiandone le membrane. Tale ultimo evento si traduce in rila­ scio di citocromo C che, a sua volta, è capace di attivare il sistem a delle caspasi (m orte cellulare). Infine l’ACT interagisce con il DNA cellulare con possibili effetti sulla cancerogenesi. La notevole presenza di ioni H* nel citoplasm a sp o sta l’equi­ librio ossido-riduttivo con produzione di perossi­ do di idrogeno (H20 2). Questo a sua volta attiva il sistem a delle catalasi con ulteriore produzione di ACT. Lo spostam ento dell’equilibrio ossido-ridut­ tivo porta altresì ad alterazione del metabolismo glucidico e lipidico, con riduzione della gluconeogenesi e quindi ipoglicemia e diversione verso la chetogenesi con aum ento dell’acido lattico, aum entata produzione di acidi grassi a partire dall’alfa-glicero-fosfato e acetil-CoA, aumentata produzione di trigliceridi a partire da acidi grassi in eccesso.

Figura 6.2 Vie metaboliche di ossidazione dell'etanolo Per c o n s u m i o c c a s io n a li P e r c o n s u m i m a g g io r i

:

e m o d e s ti

e c o n tin u a tiv i

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® « P- Tali mo­ lecole sono prodotte direttamente dall’epatocita e dalle cellule di Kupffer attivate sia dagli stessi prodotti di lipoperossidazione, sia da endotossine provenienti dall’intestino. Infatti l’alcol induce al­ terazione della flora batterica intestinale (disbiosi) e aumento della perm eabilità della barriera, favorendo quindi il passaggio nel circolo portale e sistemico di batteri ed endotossine (il lipopolisaccaride, LPS). L’apoptosi è altresì conseguen­ za dell’inibizione di alcuni geni survival (c-Met) e dell’induzione di alcuni segnali proapoptotici (TNF-a e Fas ligand) da parte dei KOS. Gli eventi sovradescritti richiamano neutrofili con ulteriore produzione di ROS, con l’aggravamento del dan­ no. La fibrosi si instaura per attivazione delle cel­ lule stellate (cellule di Ito) per opera dei prodotti di perossidazione lipidica e delle citochine TNF-a e TGF-p, e per azione diretta da parte dell’acetal­ deide. Infatti l’acetaldeide da un lato attiva la pro­ duzione di TGF-p e dall’altro blocca l’azione delle metalloproteinasi, deputate alla degradazione del collagene. Infine al processo di flbrogenesi contri­ buisce sia l’attivazione delle cellule dell’endotelio vascolare, sia il rilascio di Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF), secondario all’ipossia. L’ulteriore produzione di citochine proinfiammatorie da parte dei linfociti T attivati dall’ace­ taldeide contribuisce all’attivazione del sistem a Immunitario che partecipa alla patogenesi del

danno epatico. Il perpetuarsi di questi fenomeni, specie in presenza di uso continuato di etanolo a danno già innescato, p orta alla fine al sovverti­ m ento strutturale del lobulo epatico e alla cirrosi. A parità di consumo di etanolo, solo il 25-30% dei bevitori sviluppa una m alattia epatica severa. Ciò suggerisce il ruolo di possibili cofattori capaci di influenzare la storia naturale della malattia. I prin­ cipali sono: - predisposizione genetica, com e i polimorfi­ smi della P a ta tin -L ike Phospholipase Dom a in -C o n ta in ìn g P rotein 3 (PNPLA3) ca­ paci di influenzare la progressione verso la cirrosi; - sesso ed età (im portante in tal senso il ruolo dannoso additivo degli estrogeni); - ferro; - m alnutrizione e obesità; - virus epatitici; - xenobiotici e farmaci.

Quadri clinici dell’epatopatia alcolica Lo spettro clinico dell’epatopatia alcolica è molto ampio e va dalla steatosi alla steatoepatite alcolica di diversa gravità fino alla cirrosi e alle sue complicanze. Nella tabella 6.1 riportiamo un prospetto riassuntivo delle principali caratteri­ stiche dell’epatopatia alcolica. Le manifestazioni cliniche possono avere esordio acuto o cronico.

Quadri a esordio acuto L’e p a tite a c u ta a lc o lic a può comparire in u n paziente con fegato sano o con danno epa­ tico cronico preesistente. Esordisce in seguito a ingestione acuta di un'abbondante quantità di etanolo e non si differenzia da altre forme di epatite acuta. All’esame obiettivo possono essere presenti segni aspecifici di abuso etilico, quali, ad esempio, una congiuntiva iniettata o trem ori a fi­ ni scosse. Gli esami ematochimici m ostrano ipertransaminasem ia, in genere non superiore a 10 volte i valori normali, piastrinopenia e leucocito­ si neutrofila. Nel 60% dei casi sono presenti ittero, febbre, ascite e, più raram ente, encefalopatia. In alcuni casi l’epatite acuta può essere secondaria a un’astinenza acuta. È necessario formulare la diagnosi in maniera tem pestiva e soprattutto, nei casi più severi, valutare precocem ente il rischio di mortalità utilizzando la discrim inante di Maddrey. Essa prende in considerazione i valori sieri­ ci del tem po di protrom bina del paziente e della bilirubina totale secondo la seguente formula

[(4,6xPT) + bilirubina sierica (mg/dl)]; un risulta­ to superiore a 32 è predittivo di una probabilità di m orte del 50% a 1 mese. Più recentem ente è sta­ ta proposta il Glasgow Alcoholic H ep a titis Sco­ re (GAHS) che valuta i seguenti param etri: età, leucociti, azotemia, bilirubina sierica e tempo di protrombina; un valore del GAHS superiore a 8 è correlato a un elevatissimo rischio di mortalità. Il com a etilico può esordire in un soggetto etilista ed essere di varia natura: neurologico, per gra­ ve compromissione cerebrale da intossicazione acuta; ipoglicemico, di tipo chetoacidosico; p ost­ traum atico; misto. La sin d ro m e d a a s tin e n z a è scatenata in un etilista cronico dalla brusca sospensione o ridu­ zione dell’assunzione di alcol. Il quadro clinico, definito come sindrom e da astinenza minor, è ca­ ratterizzato da tremori, nausea, vomito, diarrea, crampi, insonnia, agitazione psicomotoria, crisi di grande male. Diversamente, le forme più seve­ re sono caratterizzate da allucinazioni uditive a contenuto accusatorio e minaccioso che possono regredire nel giro di 1- 3 settimane. Talvolta il qua­ dro clinico può progredire nella sindrom e da asti­ nenza maggiore in cui sono presenti allucinazioni, convulsioni sino al quadro del d eliriu m tremens (stato di confusione mentale crescente, disturbi del sonno, sudorazione profusa, profondo stato depressivo).

Quadri di patologia cronica La s te a to s i e p a tic a è presente nell’80-90% dei consum atori abituali di più di 30 g di etano­ lo puro/die. Istologicamente può essere di tipo micro-vescicolare, o più frequentem ente di tipo misto, micro e macro-vescicolare, caratterizzatà da piccoli e grandi vacuoli lipidici intraepatocitari

che spostano il nucleo lateralmente.' La steatosi è asintomatica, mentre all’esame obiettivo può essere presente epatomegalia non dolente, con margine smusso, consistenza poco aum entata e superfìcie liscia All’esame ecografico il fegato ap­ pare iperriflettente, di aspetto “brillante”. I dati di laboratorio, nella maggior p arte dei casi comple­ tam ente nella norma, possono talvolta evidenzia­ re lieve-moderata ipertransam inasem ia e/o incre­ mento della y-GT. L’associazione di tali alterazioni con iperlipidemia, anemia emolitica e.ittero confi­ gurano il quadro della sindrome di Zieve. La presenza istologica di necroinfiammazione caratterizza la s te a to e p a tite . Le lesioni elemen­ tari peculiari sono la presenza di infiltrato neutrofilo, il rigonfiamento degli epatociti (cellule balloniformi), per alterazione dei microtubuli, i corpi di MaÙory (corpuscoli ap optatici acidofili perinucleari, costituiti da aggregati diicitocheratina), esito della perossidazione lipidica e, infine, la fibrosi perivenulare, talora anche perisinusoidale, (chicken wire-like pattern) a significato progno­ stico sfavorevole. Il quadro clinico non è diverso da quello della semplice steatosi e non sono noti param etri biochimici o strum entali in grado di dif­ ferenziare le due forme. Tuttavia le due patologie , hanno diversa prognosi e la steatoepatite presen­ ta una probabilità del 40% di sviluppare cirrosi in 5 anni. La c irro si e p a tic a è spesso asintom atica o oli­ gosintomatica, con reperti clinici di una modesta epatom egaliaTalvolta è chiaramente manifesta con un fegato nodulare, di consistenza aumentata e margine assottigliato, accom pagnata da splenomegalia e segni di ipertensione portale. Talora la cirrosi esordisce direttam ente con una delle sue complicanze: ascite, ittero, encefalopatia epati-

Tabella 6.1 Principali caratteristiche cliniche dell'epatopatia alcolica e della sindrome astinenziale STEATOSI/STEATOEPATITE

CIRROSI

SINDROME ASTINENZIALE LIEVE

Asintomatica

Ginecomastia

Tremori

Ipertransaminasemia

Ipertransaminasemia

Spider naevl

Nausea

Leucocitosi neutrofila

Aumento y-GT

Ascite

Vomito

Leucopiastrinopenia

Diarrea

EPATITE ACUTA ALCOLICA Congiuntivite lperemlca, tremori a fini scosse

Ittero Febbre Neuropatia periferica Malnutrizione

Encefalopatia

Crampi

Ipoalbuminemia, Iperbilirubinemia, allungamento del tempo di protrombina

Insonnia Agitazione psicomotoria Crisi di grande male

ca, e m o r r a g ia digestiva dovuta a rottura di varici e s o fa g e e o gastriche, gastrite erosiva, sindrome di M allory-W eiss:

Approccio clinico al paziente che beve L'iter diagnostico per l’epatopatia alcolica è so­ stanzialmente ¡comune alle altre forme di malattia epatica ed è mirato a; - riconoscere la presenza e definire l’en tità e la durata dell’uso incongruo di alcol; - riconoscere l’esistenza e definire lo stadio evolutivo dèlia m alattia epatica; - individuare1la presenza di possibili cofattori di danno. ; Anamnesi. ; Gli aspetti principali da indagare sono: l’età dii inizio del consumo, l’assunzione quotidiana o concentrata al fine settimana, l’uso ai pasti o fuori dei pasti. Inoltre episodi di ubria­ chezza e fattori inducenti al consumo; Il paziente può riferire episodi di tremori, vomito mattutino, amnesie, incidenti stradali o sul lavoro. L’anamne­ si si avvale anche di test atti a valutare la dipen­ denza (AUDnj CAGE, MALT). Da ricordare che esistono varie modalità del bere. L’uso abituale o l'abuso occasionale possono essere interrotti con una corretta informazione. L’abuso cronico con

consumo abituale di forti dosi di alcol, m a senza dipendenza fisica, può richiedere l’intervento di personale specializzato (medico, psicologo, ecc.) per l’interruzione. La dipendenza (alcolismo) con tendenza ad aum entare le dosi di alcol (tolleran­ za) determina conseguenze sul comportamento e sullo stato di salute. In questi casi vi è necessità assoluta di intervento multidisciplinare specifico. Va tuttavia sottolineato che il danno epatico attri­ buibile all’etanolo può esistere anche in assenza di dipendenza dall’alcol. L’esam e o b ie ttiv o . Deve m ettere in evidenza: - la coesistenza di patologie alcol-correlate a carico di altri organi od apparati; - i segni clinici dell'epatopatia alcolica. Importante valutare in prima istanza l’alito (alitosi alcolemica) quale segno possibile di un'inge­ stione recente di etanolo. Alcuni segni e sintomi clinici sono1più frequenti, quali ad esempio aste­ nia, sintomi dispeptici, malnutrizione, atrofìa te­ sticolare, ginecomastia, perdita dei peli cutanei, spider riaevi. Possono essere altresì presenti con­ giuntiva iniettata o acquosa, tremori, sudorazio­ ne, ansia, disturbi tattili, uditivi e visivi, iperten­ sione, tachicardia, legati sia all’abuso di alcol che a una sindrome da astinenza. Tuttavia, la scarsa sintom aticità delle varie forme, finché compensa­ te, non consente sempre una definizione clinicolaboratoristica del tipo o fase di malattia epatica.

Tabella 6.2 Principali marcatori di consumo etanoiico

MARCATORI DI CONSUMORECENTE Dosaggio delle concentrazioni di etanolo

Significatività limitata (breve emivita piasmatica deH’etanolo)

MARCATORI DI CONSUMOCRONICO t y-GT: effetto di induzione

Indice sensibile ma aspecifico; progressiva riduzione con astinenza: 50% in 2 settimane, normalizzazione in 5 settimane

f ALT: prevalente localizzazione centrolobulare della necrosi; danno mitocondri

Poco specifica ma sensibile (presente anche nel 53% del bevitori senza danno epatico); Indicativo, ma non specifico, rapporto ALT/AST 33%).8 La diagnosi di NAFLD può essere p o sta in base alla presenza dei classici fattori di rischio, dopo aver escluso altre cause n ote di epatopatia cronica, m entre la distinzione tra steatosi sem plice e NASH presen­ ta ancora m olte difficoltà diagnostiche e la biop­ sia epatica rim ane lo strum ento più affidabile. L’ampia prevalenza della NAFLD nella popola­ zione generale tuttavia controindica l’uso esten­ sivo della biopsia, p er cui si stanno sviluppando diversi approcci non invasivi al paziente, fra cui m arcatori di apoptosi (citocheratina-18, CK-18), adipocitochine (adiponectina, resistina, TNF-a, IL-6), prodotti di lipoperossidazione, marcatori di turnover della m atrice extracellulare. Vari pa­ ram etri clinici e biochimici sono stati combinati in algoritmi m atem atici p e r la predizione della NASH. Tra questi, il “NAFLD fibrosis score” (che include età, BMI, AST/ALT ratio, albumina, pia­ strine e IFG/diabete) p resen ta u n ’ottim a accura­ tezza diagnostica. Tra le m etodiche di immagine, l’elastografia epatica (Fibroscan) rappresenta lo strum ento più prom ettente, anche se l’obesità e la steatosi possono limitare la su a attendibilità diagnostica Un possibile algoritmo diagnostico p er la NASH è riportato nella figura 7.2.

Trattamento • jÏ ••; Il trattam en to di scelta p e r i pazienti con NASH non è an co ra com pletam ente definito. L’approccio terapeu tico principale consiste nella m odifica dei fattori di rischio, in p arti­ colare dello stile di vita, d ato che quest’ulti­ mo può sensibilm ente influenzare qualsiasi approccio terapeutico. Un calo ponderale di 7-10% risp etto al peso iniziale n ell’arco di 6-12 m esi è racco m an d ato dalle so cietà in tem a­ zionali; u n calo pon d erale tro p p o rapido può esacerbare la necroinfiam m azione epatica. La dieta ottim ale p e r i pazienti co n NASH non è an co ra definita, m a si racco m an d a un ridotto apporto di carboidrati a rapido assorbim ento, bevande dolci, acidi grassi satu ri e un incre­

42

M A N U A L E DI G A S T R O E N T E R O L O G IA 2 0 1 3 *2 0 1 5

Figura 7.2 Flow chart della gestione cllnica del paziente con NAFLD

m en to degli acidi grassi poiinsaturi co-3 e fibre vegetali.6 U na m od erata attività fisica p e r alm e­ n o cinque giorni a settim an a è racco m an d ata p e r evitare l’increm ento pon d erale dopo la die­ ta. Il limite m aggiore al cam biam ento dello sti­ le di vita è rappresentato dalla com pliance del paziente, p er cui è consigliabile ad o ttare te c ­ n ic h e di terapia com portam entale quando p o s­ sibile. Farm aci an tiobesità (orlistat e sibutram ina) hanno un'efficacia lim itata n ella NASH. La chirurgia bariatrica deve essere riserv ata a p azien ti con obesità grave o in p resen za di com orbilità. Tra le tecniche utilizzate, il by-pass gastrico e il bendaggio gastrico hanno dato ri­ su lta ti prom ettenti, m entre la diversione biliopan creatica deve essere evitata p e r il rischio di evoluzione fibrotica. Tra i farm aci utilizzati, gli insulino-sensibilizzanti h anno u n forte ra­ zionale per l’associazione tra NASH e insulinoresistenza.6 La m etform ina è un biguanide che m igliora la sensibilità epatica all’insulina ridu­ cen d o la produzione epatica di glucosio e p ro ­ m uovendo la fi-ossidazione m itocondriale de­ gli acidi grassi. Nei trial finora pubblicati, l’uso di m etform ina h a dato risultati co ntrastanti; il tria l più num eroso con end-point istologico ha m o strato una significativa riduzione di danno necroinfìam m atorio, steato si e u n m igliora­ m en to della fibrosi in fase iniziale. La m etfor­ m in a è particolarm ente in dicata n ei soggetti obesi e sovrappeso p e r l’azione concom itante di riduzione del peso corporeo. L’acidosi latti­

ca è rara, m a rim ane un potenziale p ericolo nei pazienti con cirrosi. La sosp en sio n e del tra tta ­ m ento è seguita dal rito m o dei param etri epa­ tici ai livelli p retrattam en to . I glitazoni (pioglitazone e rosiglitazone) sono agonisti selettivi dei P eroxisom e P ro lifera to r A ctiv a te d n u clea r Receptors (PPAR), che agiscono m igliorando la sensibilità insulinica ed elim inando l’accum ulo di grasso dalle sedi ectopiche, quali il fegato e il m uscolo. I glitazoni sono efficaci nel ridurre la steato si e la necroinfiam m azione, m eno effi­ caci nella fibrosi, m a l’increm ento ponderale, la ritenzione di fluidi, l’anem izzazione e l’incre­ m entato rischio di frattu re ossee n e sconsiglia­ no l’uso nella cirrosi. Il rosiglitazone è stato recentem ente elim inato dal com m ercio p e r il rischio a lungo term ine di eventi cardiovasco­ lari, m entre il pioglitazone è an co ra utilizzato. Dato che le terap ie dei p azienti con NASH de­ vono essere utilizzate p e r u n lungo periodo di tem po o p e r tu tta la vita, l’assenza di rischi a lungo term ine è di fondam entale im portanza. La dislipidem ia è u n a com ponente im portante della sindrom e m etabolica e deve essere tra tta ­ ta con fibrati o con statine. N onostante questi farm aci non abbiano d im ostrato efficacia nel m iglioram ento istologico della NASH, possono essere utilizzati nei p azienti con NASH in base alle linee-guida. Tra i farm aci antipertensivi, gli ACE-inibitori hanno effetti benefici sul profilo biochim ico e istologico n ei pazienti NASH in studi iniziali. Altri farm aci epatoprotettivi, tra

C A P IT O L O 7. STEATO SI E STEATO E PA TITE N O N A L C O L IC A

cui antiossidanti come la vitam ina E, la b etaina e la silibina, e farm aci anticitochine, com e la pentossifillina, sono stati testati in trial clinici controllati con risultati variabili. La vitam ina E alla dose di 800 IU/giorno p e r due anni, si è dim ostrata efficace nella riduzione della n e ­ croinfiammazione, con risultati paragonabili alia som m inistrazione di pioglitazone. B enché ben tollerata, la su a som m inistrazione a dosi elevate e p er lunghi p eriodi è s ta ta asso ciata a un increm ento di m ortalità da cause varie. La silibina, u n flavonoide con p ro p rietà antiossi­ danti, ha m ostrato risu ltati incoraggianti in un recente trial ed è priva di significativi effetti collaterali a breve e lungo term ine. Il trapianto di fegato nei pazienti con NASH è seguito inva­ riabilmente dalla ricom parsa di steato si p o st­ trapianto e la NASH può recidivare nell’arco di 2-5 anni. Tuttavia la funzionalità dell’organo è m antenuta a 5-10 anni dal trapianto.

CONCETTI CHIAVE /

La NAFLD comprende un ampio spettro di danno isto­ logico caratterizzato da infiltrazione grassa del fega­ to ed eventualmente necroinfiammazione e/o fibrosi (NASH).

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La NAFLD ha una prevalenza nella popolazione gene­ rale fino al 30% e il 10-15% del soggetti con NAFLD ha una NASH. La prognosi a lungo termine della NAFLD dipende dall’entità di danno istologico.

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La NAFLD è comunemente associata alle componenti della sindrome metabolica e risulta da una comples­ sa interazione tra fattori genetici e ambientali aventi l'insulino-reslstenza come meccanismo patogenetico fondamentale. Tra i fattori responsabili della progres­ sione del danno epatico la lipotosslcità gioca un ruolo fondamentale.

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/

La NAFLD è spesso aslntomatlca e la sua diagnosi av­ viene tramite riscontro occasionale di elevati livelli di transamlnasl o di steatosi all'ecografia, in assenza di altre cause note di epatopatia cronica.

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La biopsia epatica è II mezzo diagnostico più affidabile per Identificare una NASH, m a marcatori non Invasivi di danno epatico sono In corso di definizione.

/

La terapia della NAFLD implica II trattamento delle com­ ponenti della sindrome metabolica secondo le linee­ guida, in particolare mediante dieta e attività fisica. Far­ maci Insullnosenslbillzzanti (metformina e glitazoni), an­ tiossidanti (vitamina E) ed epatoprotettori (silibina) sono stati sperimentati In trial clinici, ma a oggi non esiste un farmaco con un'indicazione specifica per la NASH.

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8

Epatopatie da accum ulo: malattia di Wilson* ed emocromatosi” E L E N A C O R R A D IN I,* * L U IG I D E M E L IA ,* A N T O N E L L O P IE T R A N G E L O * *

OBIETTIVI DIDATTICI ✓

Determinare epidemiologia e genetica.

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Riassumere la fisiopatologia.

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Descrivere le manifestazioni cliniche.

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Fornire gli strumenti per la diagnosi.

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Formulare strategie terapeutiche.

M alattia di Wilson È un a m alattia ereditaria di tipo m onogenico, a trasm issione autosom ica recessiva, dovuta al­ la m utazione del gene che codifica p e r l’ATPasi7B, deputata al trasporto del ram e all’interno dell’epatocita e verso il polo biliare, attraverso il quale il m etallo viene fisiologicam ente escreto. Q uesta m utazione determ ina un’alterata escrezione epatica di ram e con conseguente ac­ cumulo del m etallo nel fegato e in altri organi e apparati, in particolare nel cervello e nella cor­ nea, con m anifestazioni cliniche m olto variabi­ li. Sono state identificate più di 200 m utazioni del gene, che rendono conto della variabilità sia dell’esordio che degli aspetti anatom ofunzionali e del quadro clinico.

Clinica La m alattia di Wilson (WD) si caratterizza per u na grande eterogeneità clinica, che com porta spesso un ritardo o anche una m ancata diagnosi; sebbene infatti si conosca lo spettro clinico, la storia naturale della m alattia è m eno n o ta p e r via della su a variabile evoluzione. Le manifestazioni epatiche sono presenti nella maggior parte dei pazienti e si caratterizzano p e r la distensione e il dolore addominale; il reperto obiettivo più fre­ quente è l’epatom egalia m entre gli esam i di labo­ ratorio evidenziano un rialzo delle transaminasi. Raram ente il quadro d’esordio è un’epatite acuta fulminante; in questi casi il tasso di m ortalità è virtualm ente intorno al 100% in assenza di tra­ pianto di fegato.

Altre volte si m anifesta com e u n ’epatite acuta j che si risolve spontaneam ente e re sta u n episo­ dio isolato p e r poi evolvere dopo anni di decor­ so asintom atico in un quadro di cirrosi. All’e­ pisodio acuto può seguire u n quadro idi epatite cronica attiva oppure la m alattia può presentare u n andam ento cronico ab in itio con decorso subdolo fino alla cirrosi. I pazienti con m anifestazioni epatiche hanno un rischio di m ortalità cinque volte p iù alto ri­ spetto ai pazienti con interessam ento neurolo­ gico. Le m anifestazioni neurologiche p o sso n o es­ sere il sintom o d’esordio della m alattia in assen­ za di m anifestazioni epatiche. Le m anifestazio­ ni cliniche più com uni sono distonia degli arti, trem ori, disturbi della locom ozione. A ltre mani­ festazioni sono scialorrea, disfagia e disartria, difficoltà nella scrittura; si arriva col tem po a quadri più gravi di sp asticità e acinesiai II 90% dei pazienti con interessam ento n eu ro ­ logico e il 50% c irca di pazienti a interessam en ­ to epatico p resentano, all’esam e con lam p ad a a fessura, il caratteristico anello di K ayser Fleisc h e r determ inato dal deposito di sali di ram e nella co rn ea a livello della m em b ran a del Descem et Le m anifestazioni psichiatriche p iù com uni sono le alterazioni della personalità con facile irritabilità, depressione maggiore, ideazione e tentativi di m essa in atto di intenti suicidi, falli­ m ento nello studio o nel lavoro. Sono d escritte anche turbe sessuali con rid o tta inibizione com ­ portam entale. Infine vi sono deficit cognitivi, psicosi, stati d ’ansia e altri sintom i psichiatrici m eno frequenti.1

Diagnosi La diagnosi p reco ce di WD è essenziale per prevenire la progressione dell’epato p atia e le com plicanze neurologiche inabilitanti. I criteri seguiti p er p oter porre diagnosi di m a­ lattia di Wilson sono quelli stabiliti da Stem lieb (figura 8.1): devono essere presenti alm eno due delle tipiche manifestazioni cliniche-laboratori-

Flowchart della diagnosi di malattia di Wilson

stiche: l’anello di Kayser Fleischer all'esame con la lampada a fessura, sintomi neurologici tipici e bassi livelli di ceruloplasmina sierica (250 pg p e r gram mo di tessuto secco (gts) in assenza di colestasi. L’escrezione tìi ram e nelle 241ore riflette la quantità di ram e libero in circolo! Il livello convenzionale considerato diagnosti­ co per m alattia di Wilson è superiore a 100 pg/24 ore. Peraltro il 16-23% circa dei pazienti con WD t ! ,

presenta livelli norm ali di c u p ru ria Inoltre una cupruria/24 h elevata può riscontrarsi in presen­ za di altre patologie epatiche (epatopatie cole­ statiche, autoimm uni) e negli WD eterozigoti. L’istologia epatica, l’im m unoistochim ica e il dosaggio del ram e epatico rivestono un ruolo fondam entale nella diagnosi e stadiazione della m alattia II contenuto epatico di ram e *250 pg/ gts rim ane la migliore evidenza biochim ica di m alattia di Wilson. Le norm ali concentrazioni raram ente superano i 50 pg/gts. In diversi studi la diagnosi m olecolare è stata in grado di identificare individui presintom atici tra i fam iliari di individui affetti e di etichettare com e w ild -ty p e o eterozigoti individui ai quali p recedentem ente era sta ta so sp e ttata diagnosi di WD sulla base di elem enti clinico-laboratoristici dubbi. Nell’ite r diagnostico svolge un ruo­ lo im portante la RMN cerebrale che dovrebbe essere effettu ata alla diagnosi e n el follow-up in tu tti i pazienti affetti d a m orbo di Wilson. Infatti può evidenziare anom alie a carico dell’SNC in pazienti asintom atici o con solo interessam en­ to epatico ed evidenziare il successo del tratta­ m ento chelante in quanto le alterazioni a carico dell’SNC (e ccettu ata l’atrofia) sono reversibili con la terapia. La tom ografia a em issione di fotone singolo (SPECT) può essere utilizzata con su ccesso n ella diagnosi p reco ce di coinvol­ gim ento neurologico in pazienti asintom atici, con solo in teressam en to epatico e con quadri neurologici silenti sia clinicam ente sia alla RMN e n el m onitoraggio della terap ia chelante (figura 8.1).

Terapia I trattam enti attualm ente disponibili sono costituiti dagli agenti cheianti e dai sali di zinco (tabella 8.1).

Tabella 8.1

Protocollo terapeutico nella malattia di Wilson FENOTIPO_______________ TERAPIA

POSOLOGIA

Paziente asintomatico

Sali di zinco 150 mg/die (acetato e solfato)

Malattia epatica

Penlcillamina o trientine

Malattia neuropslchlatrica

900*1800 mg/die in fase di Induzione 600-900 mg in fase di mantenimento

Sali di zinco 150 mg/die * (acetato e solfato) Epatite acuta fulminante Trapianto Cirrosi epatica scompensata Trapianto

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M A N U A LE DI G A S T R O E N T E R O L O G IA 2 0 1 3 -2 0 1 5

Tra gli agenti chetanti il più im portante è la penicillam ina che svolge la sua funzione princi­ palm ente mobilizzando il ram e dal tessuto epati­ co e dagli altri siti di deposito, determ inando la s u a escrezione con le urine.5 L’uso iniziale della penicillamina fu p er il tra tta ­ m ento dei pazienti sintomatici.4Un peggioramen­ to dei sintomi neurologici viene riportato dal 10 al 50% dei pazienti trattati con penicillamina du­ rante la fase iniziale del trattam ento. Per contro l’interruzione della terapia determ ina una signi­ ficativa progressione della malattia epatica fino alla comparsa di insufficienza epatocellulare tale d a rendere indispensabile il trapianto di fegato. L’uso della penicillam ina è associato a num e­ ro si effetti collaterali, alcuni dei quali sono nel 20-30% dei pazienti di u n a severità tale da indur­ r e la sospensione del farmaco. L’altro agente chelante utilizzato è la trientin a (2,2,2-tetramine), introdotta nel 1982 come terap ia alternativa p er i pazienti affetti da WD intolleranti alla penicillamina; è sta ta approvata dalla US FDA con questa indicazione. Un ruolo im portante nel futuro p o trà svolgerlo il tetratiom olibdato (TM), un farm aco in fase sperim en­ tale negli Stati Uniti e n o n ancora disponibile in comm ercio. I sali di zinco costituiscono l’altro gruppo m olto im portante di farm aci nel trattam ento di p azienti con WD. Lo zinco interferisce con l’uptake del ram e a livello del tratto gastroenterico e induce le metallotioneine degli enterociti. Le m etallotioneine h anno u n’affinità elevata p er il ram e, legano p re­ ferenzialm ente il ram e contenuto negli enteroci­ t i e inibiscono il loro ingresso nella circolazio- * n e portale. Una volta legato, il ram e non viene assorbito m a escreto p er via fecale tram ite gli enterociti, persi p e r il norm ale turnover. Il tratta­ m ento con lo zinco induce un bilancio negativo del ram e e quindi rimuove il ram e immagazzina­ to . Lo zinco ha pochissim i effetti collaterali e il peggioram ento neurologico registrato spesso co n i chetanti non è com une con lo zinco. I sali attualm ente utilizzati (solfato, acetato e gluconato) non presentano differenze p e r quanto ri­ guarda l’efficacia, m a l’acetato di zinco sem bre­ rebbe essere il più tollerato. Per quanto riguarda l’approccio terapeutico e il managem ent del paziente, sono im portanti le linee-guida p roposte nel 2012 dall’Associazione E uropea5che raccom andano: - l’uso di agenti chetanti (penicillam ina o trientina) come terapia di prim a linea p er i pazien­ ti sintomatici;

- l’uso di sali di zinco o agenti chelanti (penicillam ina o trientina) com e terapia di p rim a li­ nea nei pazienti neurologici o presintom atici; - l’esecuzione alm eno due volte l’anno di ceruloplasmLna, cuprem ia, enzimi epatici, para­ metri di funzionalità epatica, esam e fisico e neurologico a causa del lungo follow-up della malattìa. La te ra p ia m edica deve essere m o d u lata in funzione della cupruria, del ram e libero e del quadro clinico. Utile potreb b e essere anche il m onitoraggio istologico so p rattu tto quando si osserva progressione della m alattia clinica. La biopsia ep atica è u n a m eto d ica invasiva che p resen ta u n a serie di inconvenienti: rischi di complicazioni, inesperienza sia n ell’esecuzione che nella lettu ra e limitazioni com e l’erro re di cam pionam ento e la variabilità di in terp re ta­ zione. Con questa prospettiva sono state inserite da qualche anno m etodiche indirette di valutazione della fibrosi epatica com e il F ibroscan (elastom etria epatica). Rispetto alla biopsia epatica questo te st p resen ta notevoli vantaggi: sempli­ cità di esecuzione, non invasività, costo limitato e ripetibilità. Sono stati individuati i cut-off che consento­ no di differenziare i diversi stadi di fibrosi.8La sua p articolarità n el follow-up della WD deriverebbe dal fatto che è un te st ripetibile e privo di eventi avversi consentendo u n a p iù precisa valutazione dell’efficacia della terap ia nell’evo­ luzione della m alattia D trapianto ortotopico di fegato è indicato per tu tti i pazienti con WD che p resentino se­ gni e sintomi di epatopatia sco m p en sata non responsiva alla terap ia m edica ed è l’u nica op­ zione te ra p e u tic a p erip a z ie n ti con insufficienza epatocellulare fulminante. Oltre a migliorare la sopravvivenza, il trapian­ to di fegato corregge i difetti metabolici della WD. La sopravvivenza a un anno v aria dal 79 aU’87% e i pazienti che sopravvivono a questo periodo m ostrano una successiva sopravviven­ z a a lungo term ine.

Emocrom atosi Q uesto paragrafo prende in rasseg n a le di­ verse form e di em ocrom atosi ereditaria, illu­ strandone i principali elem enti di so sp etto e di diagnostica differenziale. A oggi, so n o state de­ scritte num erose cause di sovraccarico del ferro nell’uom o (tabella 8.2). F ra le m alattie ereditarie

■m

C A P IT O L O 8. EPATOPATIE D A A C C U M U L O : M A LA TTIA DI W IL S O N ED E M O C R O M A T O S I

responsabili di epatopatia da accum ulo di ferro, la più frequente è l'em ocrom atosi. L’emocromatosi fu descritta p er la prim a vol­ ta come reperto autoptico nella seconda m età dell'Ottocento, m a solo negli ultim i decenni si è iniziato a com prenderne le basi genetiche e fisiopatologiche, dim ostrando com e essa sia un'entità clinica unica m a geneticam ente etero­ genea e come il fegato rivesta un ruolo centrale sia dal punto di vista patogenetico che clinico­ patologico, Varie sono le mutazioni geniche re­ sponsabili di questa patologia e, com unem ente, le diverse forme di em ocrom atosi vengono di­ stinte in base al gene coinvolto e all’epoca di in­ sorgenza della m alattia (tabella 8.2).7 E sse sono tutte accom unate dal m edesim o meccanism o patogenetico: aum entato assorbim ento intesti­ nale del ferro degli alim enti ed eccessivo rila­ scio del ferro depositato nelle cellule del siste­ ma reticoloendoteliale, entram bi causati da una ridotta sintesi o funzione dell’orm one epatico che regola negativam ente tali processi, l’epcidina. L’epcidina secreta dal fegato, u n a volta in circolo, si lega alla ferroportina, la pro tein a che esporta il ferro d a enterociti, m acrofagi e cellule

Tabella 8.2 Principali malattie/cause di sovraccarico del ferro nell'uomo CONDIZIONI EREDITARIE Emocromatosi ereditaria - Forma adulta: HFE-,TfB2-, FPN-correlata - Forma giovanile: HJV-, HAMP-correlata Malattia della ferroportina Aceruloplasmlnemla Atransferrinemia Difetto dl DMT-1 Sovraccarico di ferro correlato a mutazioni della ferrltina H Anemie ereditarie con eritropoiesi inefficace _______ _______ CONDIZIONI ACQUISITE Post-trasfusionale Parenterale Orale

Epatopatie croniche (alcolica, virale, metabolica) CONDIZIONI A GENESI MISTA (0 INDEFINITA) Malattie neurodegeneratlve e mitocondriall Porfiria cutanea tarda Siderosi africana Emocromatosi neonatale alloimmune

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placentali nel to rren te circolatorio, e la degrada, causando la ritenzione di ferro in queste cellule. La carenza di epcidina nell’em ocrom atosi deter­ m ina un incontrollato rilascio di ferro da p arte della ferroportina enterocitaria e macrofagica, che, una volta satu ra ta la capacità legante della tran sferrin a sierica, si traduce in sovraccarico tessutale, con potenziale danno e m alattie d’or­ gano: fibrosi epatica, cirrosi e cancro del fegato, ipogonadism o, diabete, cardiom iopatia, artropatia, iperpigm entazione cutanea. La severità del quadro clinico è strettam ente in rapporto all’entità e rapidità con cui si instau­ ra l’eccesso di ferro n ell’organismo, a su a volta dipendente dal ruolo che la specifica p roteina m u tata riveste nella regolazione dell’attività dell’epcidina e, di conseguenza, delTomeostasi del ferro. Si distinguono, infatti, form e di emo­ crom atosi giovanile (legate a mutazioni del gene dell’emogiuvelina, HJV, o dell’epcidina, HAMP), a esordio precoce, p iù severo, con m aggior coin­ volgim ento cardiaco ed endocrino, e form e di m alattia dell’adulto (legate a m utazioni del gene HFE, o del gene del recetto re 2 della transferri­ na, TfR2, o della ferroportina, FPN), a esordio tardivo, ed espressività clinica più m oderata e interessam ento soprattu tto epatico.8 N ella popolazione caucasica la form a più frequente di em ocrom atosi, responsabile di circa l’80% dei casi, è quella associata alla so­ stituzione am inoacidicap.C 282Y n ella pro tein a HFE dovuta al cam bio nucleotidico c.845G>A in omozigosi del gene HFE. La frequenza allelica di C282Y è intorno al 6%, il che si traduce in u n a frequenza genotipica della omozigosità C282Y di 1/250-300. Tale frequenza, a testim o ­ n ianza dell’origine nord-europea della m alat­ tia, si riduce drasticam ente, fino allo 0%, nelle popolazioni sud-europee. N onostante l’alta prevalenza dell’om ozigosità C282Y, la p en e­ tran za di m alattia negli omozigoti è variabile e tendenzialm ente bassa, aggirandosi intorno al 10-30% (a seco n da del significato che si dà al term ine “m alattia”: sintom i associati a siderosi? C om prom issione d ’organo associata a sidero­ si?). Infatti, l’em ocrom atosi H FE-correlata può essere suddivisa in stadi di d u rata indefinita e n o n sem pre progressivi. L’om ozigosità C282Y costituisce solo u n a predisposizione genetica al sovraccarico di ferro che può non associarsi a d alcuna anom alia biochim ica e clinica o, più spesso, accom pagnarsi a un isolato increm en­ to della saturazione della transferrina. In una p ercen tu ale m inore di omozigoti, circa il 30%, è p resen te anche u n a m odesta siderosi tessutale

asintom atica, riflessa dall'increm ento della ferritinem ia, o paucisintom atica (astenia, m ales­ sere, artralgie). U na frazione di questi pazienti pro gredirà poi verso un sovraccarico di ferro più m arcato con conseguente danno d’organo: p revalentem ente epatopatia (fibrosi, cirrosi e cancro), artropatia (condrocalcinosi e artropatia so p rattu tto della seconda e terza m etacarpofalangea) e, negli stadi più avanzati, endocrinop atie e card io p atia Q uesti dati epidem iologici indicano che fattori am bientali e/o genetici ad­ dizionali possono m odificare significativam ente l’espressività fenotipica e la progressione della m alattia. La p enetranza è certam ente maggiore nel sesso m aschile, in quanto le donne in età fer­ tile sono verosim ilm ente p ro tette dalle p erdite em atiche mensili, oltre che d a altri potenziali fattori correlati al sesso no n a n co ra caratteriz­ zati. Inoltre sono state descritte diverse varianti di geni, im plicati direttam ente o indirettam ente nella regolazione dello stato del ferro, in grado di influenzare l’espressione del fenotipo p atolo­ gico. L’abuso di alcol rap p resen ta invece il più im portante fattore acquisito che in crem en ta si­ gnificativam ente l’accum ulo di ferro tessutale, il rischio di danno epatico e la su a p ro g ressio ­ ne. Sono state implicate* com e possibili fattori aggravanti, la severità di m alattia, ma, con un ruolo m inore, anche le epatopatie virali cro­ niche e la steato si epatica. È di u tilità clinica, inoltre, sapere che i pazienti affetti d a porfiria cutanea ta rd a presentano u n a m aggior p reva­ lenza di m utazioni del gene HFE risp etto alla popolazione norm ale. Sono state identificate due ulteriori modifica­ zioni am inoacidiche di HFE: H63D (frequenza allelica 14%) e S65C (frequenza allelica 0,5%). L’eterozigosi sem plice di H63D (com e quella di S65C) va considerata un sem plice polimorfismo senza alcun effetto sull’assetto del ferro. L’omozigosi H63D può accom pagnarsi ad aum en­ to della saturazione della tran sferrin a e/o della ferritina, o anche a m inim a siderosi ep atica periportale, m a non si associa a m alattia emocrom atosica. L’eterozigosi com posta C282Y/H63D, invece, è stata ritrovata nel 5,6% di pazienti con fenotipo em ocrom atosico. Sulla base però dei dati disponibili, gli eterozigoti com posti sem ­ b rano m anifestare la m alattia solo in p resenza di cofattori di danno, ad esem pio u n a NASH/ NAFLD o abuso alcolico, co iatto li quindi che vanno sem pre ricercati e corretti in p resen za di un assetto C282Y/H63D di HFE. La m alattia ereditaria asso ciata a sovracca­ rico di ferro m aggiorm ente prevalente, dopo

rem ocrom atosi-H FE, è la cosiddetta “m alattia della ferroportina”,8 d ovuta a m utazioni con per­ dita di funzione della ferro p o rtin a A differenza di tu tte le form e di em ocrom atosi, che hanno u n a trasm issione autosom ica recessiva, quella correlata a m utazioni di FPN p resen ta un’ere­ ditarietà autosom ica dom inante. U n'ulteriore peculiarità di questa m alattia è che l’iperferritinem ia si associa a b assa o norm ale saturazione della tran sferrin a Q uesto dipende dal fatto che il ferro re sta intrappolato nelle cellule del siste­ m a reticoloendoteliale della milza e del fegato e viene rilasciato a fatica alla transferrina sierica (e, indirettam ente, al m idollo p e r la produzione di globuli rossi). Infatti, i pazienti presentano anche u n a rid o tta tolleranza a regimi aggressivi di salassoterapia con tendenza all’an em ia Quando sospettare quindi una form a di emo­ crom atosi ereditaria? Di fronte a un .paziente con sintom i e segni di m alattia quali epatopatia, artropatia, am enorrea, im potenza, diabete, car­ diopatia, ipeipigm entazione cutanea inspiegata, si p ro ced erà al dosaggio della saturazione della transferrina e della ferritina che risulteranno in­ variabilm ente aum entate in presenza di danno d’organo causato da em ocrom atosi (tabella 8.3).

Tabella 8.3 Il sospetto clinico di emocromatosl-HFE o di malattia della ferroportina EMOCROMATOSI HFE-CORRELATA - Maschio, 40-50 anni, etnia caucasica, con astenia, iperpigmentazione cutanea, artralgia e/o epatomegalia - Soggetto di etnia caucasica con iperferritinemia (senza altra causa apparente) ed elevata saturazione della transferrina - Soggetto di etnia caucasica con cirrosi, diabete, iperpigmentazione cutanea, artropatia e insufficienza gonadica - Soggetto di etnia caucasica con un sovraccarico di ferro parenchimale (con gradiente porto-centrale e assente/marginale siderosi kupfferiana) alla biopsia epatica. Essenziale per la diagnosi: omozigosi C282Y-HFE ed evidenza di siderosi tessutale MALATTIA DELLA FERROPORTINA - Maschio o femmina, 10-80 anni, etnia Indifferente, con iperferritinemia senza altra causa apparente e normale/bassa saturazione della transferrina - iperferritinemia In più membri di una famiglia e, in particolare, nel padre o la madre del probando (ereditarietà autosomica dominante) - Soggetto con sovraccarico di ferro kupfferlano alla biopsia epatica o ferro-splenico alla RM In assenza di patologia emolitica/ ematologica. Essenziale per la diagnosi: iperferritinemia isolata e mutazione patogénica di FPN

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L’insieme di questi elem enti clinicorbioumorali giustifica l’inyio del paziente ^ ’indagine ge­ netica, alla ricerca di u n a omozigosi C282Y di HFE. Un’altra eventualità è rappresentata dalla frequente eveniènza di un paziente che si pre­ senta per iperferritinem ia isolata, senza mani­ festazioni cliniche suggestive di emocromatosi. (figura 8.2). La ferritina sierica è un sensibile indice dello stato corporeo del ferro, m a è m olto poco speci­ fica. Infatti, come proteina di fase acuta, è altera­ ta in corso di diverse condizioni patologiche. In presenza di un’iperferritinemia, quindi^ dappri­ ma si valuterannb le cause più frequenti, ovvero abuso alcolico,-stati infiammatori; acuti! o croni­ ci, patologia neoplastica, sindrom e m etabolica e necrosi epatica (figura 8.2). U na volta escluse o trattate queste condizioni, ci si troverà a porre diagnosi differenziale delle cause genetiche di iperferritinemia, la più com une delle quali, come detto, è l’em ocrom atosi HFE-correlata, seguita come frequenza ;dalla m alattia della ferroportin a A tale scopo,!si valuterà la saturazione della transfem na che, se maggiore di 45% in almeno due misurazioni,! im porrà la ricerca della omo­ zigosi C282Y attraverso il te st genetico HFE. La positività del te s t ci perm etterà da sola di por­ re diagnosi genetica di em ocrom atosi HFE e programmare la terapia (vedi oltre). Solo se la fenitina supera i ¡1000 mg/l, soprattutto in un pa­ ziente con più di quaranta anni, epatom egalia ed elevazione delle transaminasi, è indicata l’esecu­ zione di biopsia epatica per quantificare il ferro

:

m a lfa i i i a u i w il ììu n

t u t M U U i - i U M A i u ì >i

tessutale e valutare la severità del danno d’orga­ no. Nell’emocromatosi, l’accum ulo di ferro nel fegato è tipicam ente epatocitario con gradiente porto-centrale e, solo negli stadi più avanzati, an­ che kupfferiano. Se il test HFE non è positivo, si procederà alla ricerca di forme di emocrom atosi non-HFE solo dopo aver conferm ato che esiste una reale siderosi epatica, ad esem pio attraver­ so una RM, o un accum ulo di ferro parenchim ale attraverso im a biopsia epatica (figura 8.2). Nel caso invece di una saturazione della transferrina norm ale-bassa, è ragionevole prendere in consi­ derazione la m alattia della ferro p o rtin a In tal ca­ so, è utile verificare la presenza e la distribuzio­ ne della siderpsi tram ite m etodiche più o meno invasive (biopsia epatica o risonanza magnetica) al fine di avere elem enti di conferm a e d’indirizzo della diagnostica genetica. Infatti, patognomonico per la diagnosi è un precoce e m arcato accu­ mulo di ferro nelle cellule di Kupffer alla biopsia epatica o un accum ulo di ferro n ella milza alla RM addominale (accum ulo assente nell’emocrom atosi HFE n o n avanzata) (tabella 8.3). Altre più rare patologie im plicate nella diagnosi differen­ ziale di siderosi epatica e/o iperferritinem ia sono di pertinenza ultraspecialistica Come d etto la siderosi tessutale può essere valutata con m etodiche biochim iche (ferritina) e strum entali o non invasive (RM) o invasive (biopsia epatica). Il gold standard in term ini di sensibilità e specificità re sta la biopsia epatica che h a però ovvi limiti legati all’invasività e alla rid o tta cam pionatura di tessuto. La SQUID (S u -

Figura 8.2 Approccio al paziente con iperferritinemia E s c lu d e re : a b u s o a lc o lic o , s ta t i in fia m m a to r i e n e o p la s tic l, N A S H /N A F LD , ■diabete s c o m p e n s a to , n e c r o s i e p a tic a

N o rm a le /B a s s a

R ic o n s id e ra re e d e s c lu d e re c a u s e d i ip e r fe rr itin e m ia s e c o n d a rle

1 S e fe rr o e p a to c ita rio

Se fe rr o p r e fe r e n z ia lm e n te

(b io p s ia ) e /o s o v ra c c a r ic o d i fe rro

K u p ffe ria n o ( b io p s ia ) e /o a s s o c ia ta

s o lo e p a tic o (R M )

s id e ro s i s p le n lc a (R M )

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C o n s id e ra re e m o c r o m a to s l- n o n HFE

1 C o n s id e ra re m a la ttia d e lla fe rro p o rtin a

M A N U A L E DI G A S T R O E N T E R O L O G IA 2 0 1 3 -2 0 1 5

50

perconcLucting Q uantum Interference Device) offrirebbe soddisfacenti garanzie in term ini di accuratezza, m a la difficoltà di standardizzazio­ n e e la disponibilità lim itata a pochissim i centri superspecialistici nel mondo, la rende inutilizza­ bile nella routine diagnostica. La terapia di scelta dell’em ocrom atosi è ba­ sa ta sul salasso, che, attraverso la rim ozione del ferro in eccesso, perm ette di prevenire, risolve­ re o limitare la maggior parte delle m anifestazio­ ni cliniche della m alattia La terap ia di attacco p revede un salasso di 450-500 mi una/due volte alla settim ana fino al raggiungim ento di u n a ferritinem ia inferiore a 50 ng/ml e saturazione della transferrina 250 mcg/gts.

/

La D-penlclllamlna è II farmaco di elezione sla In mo­ noterapia che in associazione con I sali di zinco.

/

La terapia deve durare tutta la vita.

/

Follow-up ogni sei mesi con esami della funzionalità epatica, del metabolismo del rame ed eventuale valu­ tazione con il Fibroscan.

E m o cro m a to si /

L'emocromatosi ereditaria va sospettata in soggetti con patologie d'organo (ad esemplo, epatopatia croni­ ca/cirrosi, diabete, cardiopatia o artropatia) non spie­

gate che presentino un aumento della saturazione della I P transferrina (almeno in due determinazioni successive) i | f e della ferritina sierica. v*|§ /

La presenza di omozigosi C 282V di HFE e segni di so­ vraccarico di ferro circolatorio e tessutale sono suffi­ cienti per porre la diagnosi di emocromatosi ereditaria anche In assenza di una biopsia epatica, Indicata In­ vece In pazienti >40 aa con Ipertransamlnasemla e/o epatomegalia a scopo prognostico per stadlare la ma­ lattia epatica.



La diagnosi e la terapia precoce basata sul salasso permettono di prevenire, arrestare o limitare II danno d’organo.

/

L’artropatla, il diabete insulino-dipendente, la cirrosi e i'ipogonadismo di lunga durata sono in genere irrever­ sibili.

/

L’iperferritinemia isolata è spesso causata da disordini non legati ad anomalie genetiche del ferro (ad esemplo, malattie metaboliche, infiammazione, abuso alcolico, ecc.). L’eventuale ricerca di cause ereditarie richiede la preventiva dimostrazione di sovraccarico circolatorio (aumento della saturazione della transferrina) e, so­ prattutto, tessutale (attraverso una RM e, nel caso, una biopsia epatica) di ferro.

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EPATSTE DA FARSViACI

9

A N N A R O S A F L O R E A N I, A N T O N IN O P IC C IO T T O

Dimensioni del problema

OBIETTIVI DIDATTICI /

A p p re n d e re i m e c c a n is m i fis io p a to lo g lc l d e l d a n n o e p a tico da farmaci.

/

A p p re n d e re I p rin c ip a li q u a d ri c lin ic i di e p a tite In a s s o c ia zio n e c o n fa rm a c i p o te n z ia lm e n te to s sici.

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A cq u is ire a lc u n e in fo rm a zio n i s u lla to s s ic ità e p a tic a di p ro d o tti d a e rb o ris te ria .

Premesse n fegato è la sede principale del metabolism o di composti esogeni (xenobiotici) o endogeni (prodotti nel fegato stesso o in altri organi e tes­ suti). Quasi tutti i farm aci necessitano di u n a prim a fase m etabolica in cui avviene un a reazione di idrossilazione, catalizzata da uno dei 57 tipi di citocromo P450. In una seconda fase, caratterizzata dalla co­ niugazione con acido glucuronico, glutatione, ecc., si form ano m etaboliti inattivi o comunque con attività diversa che diventano idrofili. Vi è poi una terza fase che è caratterizzata dal trasporto dei m etaboliti fuori dalla cellula epa­ tica attraverso la m em brana citoplasm atica o il polo biliare (figura 0.1).

I dati riguardanti l’incidenza del danno epati­ co d a farm aci (DEF) sono limitati poiché la mag­ gior p arte dei casi non è rip o rtata in letteratura. Il D E F è responsabile com unque dell’1,2-6,6% delle cause di danno epatico acuto. L’incidenza di D EF nella popolazione generale è stim ata tra 1 e 2 casi p e r 100.000 abitanti p e r anno. Vi so­ no com unque am pie variazioni geografiche sia in E uropa che negli Stati Uniti. Il paracetam olo è responsabile del 50% dei casi di insufficienza ep atica acu ta nei Paesi anglosassoni ed è la cau­ sa principale di trapianto di fegato p e r epatite fulm inante da farmaci.

Fattori im plicati nella suscettibilità al danno epatico Nella figura 9.2 sono riportati i vari fattori coinvolti nella patogenesi del danno epatico. La suscettibilità al danno epatico dipende dall’in­ terrelazione di vari fattori legati all’ospite (età, sesso, peso corporeo, aspetti genetici, im m uno­ logie!, coesistenza di altre patologie) e all’am ­ biente (dieta, quantità di alcol assunto, assun­ zione di più farm aci). Oltre a questi, gioca un ruolo im portante il potenziale tossico del farm a­ co legato alla classe a cui appartiene, alla dose assu n ta e alla d u rata dell’assunzione.

Figura 9.1

Metabolismo epatico del farmaci Fasi I

Fase II

Figu ra 9.2 Fattori coinvolti nelle epatopatie da farmaci

M A N U A L I: U l Ü A S I H U t N I h H U L U U I A 2 U 1 3 -2 0 1 5

Meccanismi pafogenetici I farm aci possono deteim inare epatotossicità attraverso due m eccanism i fondam entali: effet­ to tossico diretto sul fegato (che è dose- e dura­ ta-dipendente) e idiosincrásico (figura 9.3).1 En­ tram bi questi m eccanism i coinvolgono uno o più differenti tipi di cellule presenti nel fegato: epatociti, colangiociti, cellule epiteliali sinusoidali, cellule stellate e cellule di Kupffer. Le reazioni idiosincrasiche possono essere m etaboliche o im m unom ediate con possibili aspetti di overlap. L’idiosincrasia m etabolica si s^ lu p p a quando un farm aco, o uno dei suoi m etaboliti, si lega a u na pro tein a cellulare avendo com e risultato la disfunzione della cellula. Un altro m eccanism o coinvolge la deplezione di glutatione, le modi­ ficazioni del processo di riduzione-ossidazione o l’induzione di stress ossidativo intracellulare. Un altro m eccanism o ancora coinvolge la sensi­ bilizzazione delle cellule epatiche verso citochine, com e il T um or N ecrosis Factor (TNF), che possono p ortare all’apoptosi o alla necrosi. Nel D EF im m unom ediato una porzione del farm aco, o un suo m etabolita, si lega a proteine cellulari form ando un coniugato aptene-carrier. Q uesto fenom eno è cohosciuto com e “aptenizzazione". I com plessi MHC di tipo II-peptidi aptenizzati sono p resen ti sulla superficie delle cellule di Kupffer e prom uovono la formazione di antigeni che vengono riconosciuti dalle cel­ lule T helper e citotossiche. U lteriore p resen ta­ zione degli antigeni da p arte degli epatociti, in associazione con l’MHC di tipo I, attiva risposte im muni um orali e cellulari che portano al dan­ no epatico. La reazione infiam m atoria è m ediata da varie citochine proinfiam m atorie quali TNF, FasL, NO, IFN-y e altre. Il TNF induce u n a casca­ ta di caspasi che portano all’apoptosi. In m olti casi, il D EF h a m anifestazioni allergiche com­ p rendenti febbre, rush cutanei, nefrite intersti­ ziale, eosinofilia periferica e infiltrato eosinofilo del parenchim a epatico. A lcune persone sono suscettibili di svilup­ p are reazioni idiosincrasiche m entre altre non lo sono. La spiegazione di questo è che enzimi epatici, in particolare il P450, responsabile del m etabolism o di m olecole estranee com presi farmaci, hanno u n ’am pia variabilità n ella loro espressione e nella loro attività catalitica per cui ne risulta un’am pia v arietà fenotipica tra le persone. Sebbene fattori genetici siano riten u ti impor­ tanti nel determ inare la suscettibilità al DEF, non sono sufficienti da soli a iniziare questo pro-

cesso. Intervengono infatti vari fattori di rischio, in particolare: l’età superiore a 65 anni,!il sesso femminile, la som m inistrazione contem poranea di più farmaci, lo stato nutrizionale, la gravidan­ za, un recente intervento chirurgico, la dose del farm aco e l’introito alcolico. Molti farm aci causano solo un transitorio increm ento delle transam inasi, di solito da 3 a 5 volte il limite superiore della norm a: Si può verificare anche un decrem ento dei valori del­ le transam inasi durante la som m inistrazione continua, si determ ina cioè u n a s o rta di adat­ tam ento biologico il cui esatto m eccanism o rim ane sconosciuto. I pazienti che sviluppano D EF sono un piccolo gruppo (6-1096) di quelli che sviluppano tran sito rie elevazioni degù en­ zimi epatici. Un esem pio di ciò è il transitorio e m odico increm ento delle tran sam in asi che si osserva in circa il 3% dei pazienti ini terapia con statine e che di solito si norm alizza entro i prim i tre m esi di terapia. Anche alcuni anti­ biotici possono essere responsabili di DEF, in particolare: l’associazione tra am oxicillina e acido clavulanico, la m inociclina, la nitrofurantoina, il trim etoprim -sulfam etossazolo | e l’eritrom icina. N ella m aggior p arte dei casi si tra tta di m odeste alterazioni delle transam inasi che n o n richiedono la sospensione del farm aco. Ec­ cezionalm ente, com e nel caso di am oxicillina/ acido clavulanico si può assistere a u n danno di tipo colestatico prolungato che co n tin u a anche dopo la cessazione della terapia.

F igu ra 9.3 M eccanism o patogenetico del danno epatico da farm aci. Quadri anatom o-clinicl D ife tto g e n e tic o

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L e g a m e c o v a le n te

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FARMACO

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T lin fo c iti s e n s ib iliz z a li*

Danno dirette ' Danno Im m unom odlato

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H D EF h a u n ampio sp ettro di m anifesjazioni e il quadro clinico può sim ulare ep atite acuta virale, steatosi, colangite acuta, cirrosi bilia­ re primitiva, colangite sclero san te primitiva,

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crAi 11 c

NASH, m alattia veno-occlusiva acu ta o suba­ c u ta , epatite autoim m une e cirrosi criptoge­ netica (tabella 9.1).2 La presentazione clinica del DEF può essere com presa txa m oderate elevazioni delle transam inasi all’insufficienza e p a t i c a fulminante, anche se i l quadro clinico tipico è quello dell’epatite acuta. D danno epa­ tico severo è caratterizzato da un increm ento delle transam inasi (>10 volte il limite norm ale), iperbilirubinemia; ittero e ridotta; attività protidosintetica L’epatite fulm inante si sviluppa rapidamente (entro pochi giorni o settim ane) e si m anifesta con encefalopatia e sev era coagulopatia sino all’edem a cerebrale, alla sepsi e alla m orte. Sulla base del p attern biochim ico il DEF può essere classificato in 3 gruppi: epatocellulare, colestatico e m isto (tabella 9.2). Il predominante aum ento delle transam inasi ca­ ratterizza la m orte epatocellulare m entre il dan­ no dei dotti biliari si esprim e con iin particolare aumento della fosfatasi alca lin a Le form e m iste si traducono in un sostanziale equilibrio degli enzimi epatici. Istopatologicam ente, il danno epatocellulare si manifesta come necrosi degli epatociti con o senza steatosi. H danno colestatico è caratteriz­ zato da infiammazione p ortale e m odesto danno i Tabella 9.1 Fenotipi o pattern clinic di DEF TIPO DI DEF Epatite Immunoallergica Epatite autolmmune-lìke Necrosi epatica acuta Epatite acuta Insufficienza epatica acute Epatite cronica Epatite colestatica

Colestasi Steatosi acuta NASH Sindrome da ostruzione del sinusoidi Danno vascolare Trombosi Iperplasia nodulare focale Sindrome da vanificazione dei dotti biliari Neoplasia epatica

1 | POTENZIALE FARMACO

{



Sulfamidici, penicilline, antibiotici macrolidi, anticonvulsivanti Minocldina, nitrofurantoina ! Paracetamolo, alotano Isoniazide, flutamide; Aspirina Metildopa, idralazina Amoxlcillina-ac. clavulanico,1 nimesullde, tlclopldina, clorpromazlna, azatioprina, sulfonliuree Testosterone, cidosporlna Aspirina, tetracicline, nucleosldlcl antivirali Amiodarone, metotrexato, ac. valprolco Busulfan, melfalan ! .. .. ...j ... Azatioprina, alcaloidi plrrolldinlcl Contraccettivi Steroidi anabolizzanti, contraccettivi Fenotiazine, amoxicillina, ibuprofen Steroidi anabolizzanti, contraccettivi

u n

r n n iv m u i

Tabella 9.2 Pattern biochim ici di DEF e relativa tipologia di danno Danno epatocellulare

ALT (espresso in volte la norma)/ALP (espresso in volte la norma) ^5 Danno colestatico

ALT (espresso In volte la norma)/ALP (espresso In volte la norma) *2 Pattern misto ALT (espresso In volte la norma)/ALP (espresso In volte la norma) >2 e 6%) sono m anife­ stazioni cliniche associate fortem ente a favo­ re di un DEF. i 7. N uova e sp o siz io n e a c c id e n ta le o tn te n zio nale a l fa rm a c o ( re c h a lle n g e y . se c’è ricomparsa del danno epatico la probabilità 'di danno da farm aci è altissim a (si raggiunge un criterio praticam ente di certezza).: 8. Segnalazione in lettera tu r a di danno epatico con il farm aco incrim inato: è buo­ na norm a clinica eseguire u n a ricerca ordine dei casi di danjno epatico segnalati in lettera­ tura con il farm aco in questione. Il p reced en ­ te riscontro in! letteratura di DEF aum enta la probabilità diaignostica La biopsia epatica h a un ruolo, Ise la diagnosi è incerta, nel discrim inare altre càuse di danno epatico dal m om ento che in caso, di DEF le le­ sioni istologiche non sono caratteristiche. Può anche avere un ruolo prognostico, in caso di se­ verità di danno epatico.

Terapia I ! H più im portante provvedim ento nella terapia del DEF è l’im m ediata sospensione dell’agente potenzialmente dannoso. Il tim ing è fondam en­ tale per prevenire danni epatici irreversibili. L'overdose di paracetam olo è tra tta ta con Nacetilcisteina che esercita il suo effetto epatoprotettivo ricostituendo i depositi di glutatione. Nei casi di insufficienza epatica fulm inante è da prendere in considerazione il trapianto di fega­ to. La prolungata colestasi può portare a coagulopatia da deficit di assorbim ento ¡di vitam ina K che deve essere supplem entata p e r via parenterale. In questi pazienti può anche esserci intenso prurito da gestire;con colestiram ina, sertralina e cicli di radiazione con luce ultravioletta (UVA). L’acido ursodesossicolico può avere un ruolo

nel ridurre l’ittero, l’astenia, il p rurito e miglio­ rare gli enzimi epatici. L’uso del cortisone può essere preso in considerazione in presenza di chiare manifestazioni di ipersensibilità e se non vi è m iglioram ento biochim ico dopo 8-12 setti­ mane. Tuttavia i dati sulla sicurezza e sull’effica­ cia degli steroidi sono m olto incerti.

CONCETTI CHIAVE /

11 danno epatico da farmaci (DEF) ha un’incidenza non chiaramente definita (ma è sottostimata).

/

Si può manifestare con qualunque tipo di farmaco o prodotto da erboristeria, anche a pìccole dosi e dopo un'unica somministrazione.

/

SI può manifestare con tutti I vari quadri anatomoclinici di epatopatia: dalle forme acute alle croniche. È la causa principale di insufficienza epatica acuta.

/

È di difficile diagnosi quando concomitano altre cause di danno epatico.

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Sezione n Cirrosi epatica e sue complicanze

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LA CIRROSI! A D O L F O F R A N C E S C O A T T IL I, M A N U E L A M E R L I

OBIETTIVI DIDATTICI /

Conoscere la prevalenza, l'incidenza e le cause più frequenti della cirrosi,



Conoscere le basi flslopatologlche della cirrosi e delle sue complicanze.

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Conoscere I principali segni clinici e gli strumenti di indagine utili per la diagnosi e la stadiazione della cirrosi.

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Conoscere la storia naturale e 1 principali Indirizzi terapeutici nella cirrosi.

La cirrosi è il più im portante fattore di rischio p e r l’epatocarcinom a E caratterizzata anatomopatologicam ente dalla presenza contem poranea d i fibrosi e noduli di rigenerazione. Q ueste al­ terazioni anatom iche rappresentano il risultato finale dell’azione di fattori epatolesivi di diver­ s a natura come virus, alcol o sostanze tossiche c h e agendo cronicam ente causano progressiva necro si degli epatociti, infiammazione, conse­ guente sviluppo di fibrosi e, successivam ente, sovvertim ento strutturale del p a ren ch im a Ma­ croscopicam ente la cirrosi può essere micronodulare o m acronodulare in rapporto alla dim en -! sione (m inore o maggiore di 3 mm ) dei noduli su lla superficie ep a tic a Un esem pio di cirrosi m icronodulare è la cirrosi alcolica m entre la cirrosi post-virale è più frequentem ente m acro­ nodulare. Le principali conseguenze della cirro­ s i sono la progressiva riduzione della capacità funzionale del fegato e il sovvertim ento della m icrocircolazione epatica che causa a sua volta ipertensione portale e apertura di sh u n t arterovenosi e circoli collaterali.

Eziologia La cirrosi è l’esito finale di m alattie epatiche croniche di diversa eziologia (tabella 10.1). Le form e virali e alcoliche rappresentano nel no­ stro Paese oltre il 90% di tu tte le cirrosi. L’eziolo­ gia virale è conferm ata dalla p resenza nel siero

del paziente di m arcatori di infezione da virus dell’epatite B, D elta o C. Una cirrosi è di proba­ bile origine alcolica in presenza di un consumo alcolico giornaliero maggiore di 40 g negli uo­ mini e di 20 g nelle donne che dura alm eno 10 anni. Non sono infrequenti le cirrosi a eziologia m ista alcolica e virale. Le altre form e di cirrosi sono più rare e vanno tu ttavia sem pre indagate in tu tti coloro con una m alattia ep atica cronica nei quali le cause virale o alcolica siano state escluse. Nei casi sprovvisti di un evidente fat­ tore eziologico la cirrosi viene definita criptoge­ n e tic a È stato anche ipotizzato che alcune delle cirrosi criptogenetiche possano rappresentare un’evoluzione della steatoepatite non alcolica

Prevalenza e incidenza La cirrosi è una m alattia cronica a elevato im patto sociale, m olto diffusa nel nostro Pae­ se. La m ortalità annua p er cirrosi ep atica in Ita­ lia è di 19,5 p er 100.000 abitanti, inclusa tra le dieci principali cause di m orte. La prevalenza è maggiore nel sesso m aschile che in quello fem­ minile. Nel N ord Italia e soprattu tto nelle regio­ ni di Nord-Est vi è u n a maggiore frequenza di cirrosi alcoliche m entre al Sud e al C entro pre? valgono le form e a eziologia virale. L’incidenza di nuovi casi di cirrosi in Italia è stim ata pari a

Tabella 10.1 Fattori eziologici della cirrosi epatica - Virus epatite B, C e D - Abuso di alcol - Patologie autoimmuni (epatite cronica autoimmune, cirrosi biliare primitiva, colangite sclerosante) - Disordini metabolici (emocromatosi primitiva, malattia di Wilson, deficienza di al-antitripsina, porfiria, ecc.) - Farmaci e tossici (metotrexato, amiodarone, a metildopa, tetradoruro di carbonio) - Cause vascolari (scompenso cardiaco dx, pericardite costrittiva, malattia di Budd-Chiari) - By-pass Intestinale chirurgico - Steatoepatite non alcolica

C A P IT O L O 10. LA C IR R O S I

3 0 -6 0 / 1 0 0 .0 0 0 /anno,

p er un totale di circa 26.000 casi ogni anno. Il trend tem porale degli ultimi 20 anni dim ostra che la m ortalità p er cir­ rosi in Italia è in lenta diminuzione p u r essendo tale diminuzione parzialm ente com pensata da un aumento della m ortalità p er tum ore prim iti­ vo del fegato. Q uest’ultim o è più frequente sia perché più frequentem ente diagnosticato con le moderne m etodiche sia p er aum ento della vita media dei cirrotici che aum enta la probabilità di insorgenza di tumore. Infine bisogna ricordare che la cirrosi è una malattia che con le sue complicanze influisce negativamente sulla qualità della vita ed è una causa frequente di ricorso alle cure m ediche e al ricovero ospedaliero (20% dei ricoveri ospeda­ lieri di pertinenza gastroenterologica). nuovi

Fisiopatologia I meccanismi fìsiopatologici alla base della cirrosi sono la necrosi epatocitaria, la f i l o g e ­ nesi e le alterazioni del m icrocircolo epatico. Le alterazioni della vascolarizzazione epatica contribuiscono alla progressiva riduzione della massa epatica funzionante in quanto l’epatocita, per svolgere la su a attività, deve m antenere i rapporti fisiologici con il m icrocircolo e con il sistema biliare. Tali alterazioni inoltre, sono determinanti nella patogenesi dell’ipertensione portale che è alla base delle più im portanti com­ plicanze della cirrosi.

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sinusoidi che perdono elasticità e fenestrature; successivam ente la fibrosi sostituisce le zone di necrosi form ando setti porto-portali e p o rto ­ centrali. Gli epatociti che stanno tentando di ri­ generarsi si ritrovano così inglobati in stru ttu re anatom icam ente disordinate, i cosiddetti “nodu­ li di rigenerazione”.

LMpertensione portale Il sovvertim ento architetturale del fegato e la presenza di una vasocostrizione attiva a livello del m icrocircolo epatico determ inano l’instau­ rarsi dell’ipertensione p o rtale (vedi capitolo 11). Alla genesi dell’ipertensione p ortale nel cir­ rotico contribuisce anche un aum ento del flus­ so em atico nella v ena p o rta proveniente dalla dilatazione del letto vascolare a livello splanc­ nico (iperaffiusso portale). La vasodilatazione splancnica è p arte di un’alterazione em odina­ m ica più generalizzata, p ropria della cirrosi, che v a so tto il nom e di sindrom e circolatoria iperdinam ica. La vasodilatazione e la conseguente ipovolem ia relativa (il volum e circolante non sareb b e sufficiente a saturare un letto vascolare abnorm em ente dilatato) com portano l’attivazio­ ne dei sistem i v asocostrittori (noradrenalina, vasopressina, ecc.) e dei sistem i sodioritentivi (renina, angiotensina, aldosterone). Q uesto fa­ vorisce un’attiva ritenzione di acqua e sodio e u n a secondaria ipervolem ia che, p u r n o n com ­ pensando l’estrem a vasodilatazione, finisce col favorire l’iperafflusso portale aggravando così l’ipertensione p ortale stessa.

La fibrogenesl H danno cronico delle cellule epatocitarie a t­ tiva la proliferazione di cellule infiammatorie, cellule di Kuppfer e piastrine che a loro volta liberano citochine (T um o r N ecrosis Factor - TNF, IL-2, IL-6) e fattori di crescita (Platelet Derived Growth Factor beta - PDGF-fì, TVansforming Growth Factor beta - TGF-0). Le cito­ chine infiammatorie determ inano u n ’attivazione delle cellule di Ito che perdono i granuli ricchi di vitamina A, acquisiscono la capacità di sinte­ tizzare actina, assum endo caratteristiche simili a quelle dei fibroblasti (m yofibroblast liké), in grado di sintetizzare collagene. La progressiva deposizione di tessuto connettivo (collagene di tipo I e in, flbronectina e proteoglicani) cau­ sa, nel tempo, com pleto sovvertim ento della normale architettura del parenchim a epatico. Inizialmente l’accum ulo di collagene interessa le zone subendoteliali (spazio di Disse) deter­ minando la cosiddetta “capillarizzazione" dei

Quadro clinico Un paziente con cirrosi co m pensata è spesso privo di sintom i clinicam ente rilevanti. Talvol­ ta nelle form e virali è p resen te astenia o, nelle form e di origine autoim m une, può essere p re­ sen te febbricola. Il p rurito può essere l’unico sintom o nelle form e colestatiche. Q uesta fase asintom atica o paucisintom atica della cirrosi può durare molti anni e la diagnosi in questo caso può scaturire da eventi casuali: in seguito all’esecuzione di esam i em atochim ici di routine o durante le indagini che precedono un inter­ v en to operatorio, o a seguito di una ecografìa addom inale. Quando la m alattia è nella fase di com penso, i rep erti po sso n o essere sovrapponi­ bili a quelli di u n’epatite cronica (epatom egalia all’esam e obiettivo e m o d esta alterazione dei te s t di citonecrosi). In questo caso, la difficol­ tà di distinguere chiaram ente tra la presenza

M A N U A L C : U l U A O I n u e i v i c n \-» i-i-» v a in í u i j - í u i j

di u n ’epatite cronica e la cirrosi epatica può rendere necessaria, p er un a co rre tta stadiazione, l'esecuzione di una biopsia ep atica in cui gli elem enti caratteristici della cirrosi saranno il riscontro di fibrosi e la presen za di noduli di rigenerazione. Con il progredire della m alattia, quando si è determ inata im a riduzione significa­ tiva della m assa epatica funzionante o quando si è in stau rata un a grave ipertensione n el d istretto della vena porta, com paiono invece segni clini­ ci più evidenti. Conseguenze della rid o tta fun­ zione epatocitaria sono im a rid o tta sintesi dei fattori della coagulazione, u n a ipoalbum inem ia e la riduzione della colinesterasi. Un aum ento della fosfatasi alcalina e il pru rito po sso n o ve­ rificarsi precocem ente nelle form e colestatiche com e la cirrosi biliare prim itiva, caratterizzata da “vanificazione” dei dotti biliari intraepatici minori. Nelle form e non colestatiche u n aum en­ to progressivo dei valori della bilirubinem ia (>3 mg/dl) segnala u no stadio avanzato di m alattia. L’ipertensione p o rtale determ ina n el paziente cirrotico l'instaurarsi delle m anifestazioni cli­ niche di maggiore rilevanza quali lo sviluppo delle varici esofagee, la gastropatia congestizia, l’ascite e l’encefalopatia. Il progressivo aum en­ to volum etrico della m ilza determ ina un seque­ stro intrasplenico più frequentem ente di globuli bianchi e p iastrine (leuco-piastrinopenia secon­ daria a ipersplenism o). In questa fase, quando il paziente si re c a a consultare il m edico, l’insie­ m e degli elem enti anam nestici dei segni clini­ ci e delle alterazioni degli esam i em atochim ici rende la diagnosi facilm ente evidente. Non è infrequente che u n paziente sc o p ra di essere affetto d a cirrosi a seguito dell’im provvisa com ­ p arsa di u n a delle com plicanze della m alattia: u n versam ento ascitico, u n ’em orragia digestiva da ro ttu ra di varici esofagee, l’insorgenza di en­ cefalopatia epatica. La diagnosi differenziale in questi pazienti è in genere facilitata dall’eviden­ za clinica e biochim ica della m alattia epatica cronica sottostante.

Le complicanze L’insorgenza delle com plicanze della m alattia definisce la cirrosi “scom pensata”. Ogni anno il 10% dei pazienti con cirrosi “com pensata” p ro ­ gredisce verso un a condizione di cirrosi “scom ­ p en sata”. Le com plicanze più rilevanti nella sto ria naturale della cirrosi epatica sono l’em or­ ragia digestiva (capitoli 11 e 28), il versam ento ascitico (capitolo 12), e l’encefalopatia epatica

(capitolo 13). Complicanze m eno frequenti ma! ugualm ente tem ibili sono la peritonite battericaspontanea, la sindrom e epato-renale e .la trom* bosi portale. Nella sto ria naturale della cirrosi ep atica di lunga d urata può intervenire anche l’epatocarcinom a (capitolo 14).

Valutazione del paziente cirrotico

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Nella diagnosi di cirrosi il m edico deve porsi 9 : i seguenti obiettivi: - definire la causa della m alattia; - stadiare la gravità; 1 fi - accertare eventuali complicanze. j P er quanto riguarda l’eziologia è im portante m indagare sull’eventuale presen za di abuso alcolico e conoscere il p attern sierologico p e r quan- ^ to riguarda i virus dell'epatite in quanto questi rappresentano le cause più frequenti dj cirrosi * ep atica nel nostro Paese. U lteriori indagini sa­ ranno riservate, com e già detto, solo ai pazienti n ei quali siano state escluse l’eziologia alcolica e virale. Definire la cau sa della cirrosi è m olto,f* im portante perché in alcuni casi è possibile in­ tervenire neutralizzando il fattore eziologico. Q uesto può avvenire con la sospensione delle bevande alcoliche, utilizzando farm aci antivirali ìf.. p e r l’epatite B o terapie chelanti p e r l’accum ulo | | di ferro nell’em ocrom atosi o ram e n ella malattia di Wilson. Frequentem ente questi interventi f sono in grado di m igliorare la m alattia o quanto | | m eno di stabilizzarla. P er la stadiazione della gravità di malattia viene com unem ente utilizzata la classificazio- 'M ne di Child-Pugh b asata sui valori di alcuni test di funzione epatica e sull’eventuale p resen za di | | ascite e/o encefalopatia (tabella 10.2). ¡Più recentem ente p e r i pazienti con cirrosi avanzata

______________________________________ m Tabella 10.2 Indice di Child-Pugh per la stadiazione prognostica della cirrosi epatica, il punteggio è assegnato in proporzione al crescente grado di anormalità (modificata da Durand e Valla 2Ò05) 1 Encefalopatia Ascite Bilirubina (mg/dl) Albumina (g/di) Attività protrombinica (%) Fra 5

a6 e

Assente Assente 3,5 >70

2

ì i

3

I e II grado ili e IV grado Scarsa Moderata •'f: ■vr >23 >2,8 1,1 G/DL) ASCITE DA IPERTENSIONE PORTALE - Cirrosi - Epatite alcolica -Ascite cardiaca -Ascite a patogenesi mista - Metastasi epatiche massive - insufficienza epatica fulminante - Sindrome di Budd-Chiari -Trombosi della vena porta - Malattia veno-occlusiva - Mixedema - Steatosl della gravidanza GRADIENTE BASSO (50% delle ore di veglia Completamente dipendente, confinato a letto/sedia

0

Trattamento La scelta del trattam ento è legata alla presen­ za o assenza di cirrosi e stadiazione clinica del tum ore. P er quanto non esistano studi control­ lati di confronto sull’efficacia dei trattam en ti di­ sponibili è norm alm ente a ccettata la superiorità d el trapianto di fegato in pazienti selezionati ri­ sp etto alla terapia ablativa

vivenza a cinque anni del 50%.15 Non esistono studi di confronto con pazienti sottoposti a tra­ pianto ortotopico di fegato.

Cirrotici con tumore precoce (stadi 0 e A della BCLC) D trapianto di fegato è la migliore opzione per pazienti con tum ore singolo 6,5 o 3 dei seguenti: età 40 anni causa non-A non-B non-C; alotano; reazione Idiosincrásica a farmaci ittero comparso oltre una settimana prima dell'encefalopatia INR >3,5 bilirubina >17,5 mg/dl

Tabella 16.4 Principali indicazioni a trapianto di fegato dell’adulto in Italia (studio m ulticentrico, 2007-2009; m odificata da Angelico et al. 2011) HCC su cirrosi* Cirrosi HCV Cirrosi alcolica Cirrosi HBV Malattie colastatiche*' Cirrosi criptogenetica Epatite fulminante Indicazioni rare***

43% 22%

10%

¡7% ¡6% ¡3% 2% ¡7%

• Cirrosi HCV 6 0% . seguita da HBV 20% e alcolica 10% ** 50% CBP, 25% CSP, rimanente 25% m alattia rare **’ Più frequenti c irrosi aulo lm m une e fegato pollclstico, seguiti da am iioidosi, sindrom e di Budd-Chiari, fibrosi cistica, em ocrom atosl, m alattia di W ilson, altre indicazioni

differire tra i diversi Centri, oltre che ¡variare nel tem po in base alle esperienze m aturate.

___________________ CUCHY CRITERIA____________________ icefalopatia e: fattore V :$ ziente epatopatico: infatti gli indici prognostici^ più utilizzati in epatologia, quali la classificazio-f ne di Child-Turcotte-Pugh e il MELD score, inclu- ^j dono i valori di bilirubina nei loro algoritmi.

Fisiopatologia del metabolismo della bilirubina La bilirubina è un com posto tetrapirrolico,^ prodotto finale della degradazione dell’eme, che £ si form a prevalentem ente n el sistem a reticolo-^ endoteliale della milza e del midollo osseo. La;: bilirubina deriva principalm ente dal cataboli-i| smo dell’eme contenuto nell’em oglobm a deiff globuli rossi senescenti (circa l’80% dei 250-300 mg di pigm ento prodotto nelle 24 ore), mentre f u na quota più piccola ( | dell’epitelio biliare e può condurre alla cirrosi e all’in\ sufficienza epatica.

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La cirrosi biliare primitiva è una patologia a genesi immunomediata che colpisce prevalentemente il sesso femminile. Si manifesta nel corso della IV-V decade e comporta una progressiva distruzione dei dotti biliari intraepatici di medio e piccolo calibro. La colangite sclerosante primitiva è una patologia a ge- • nesi immunomediata che colpisce più frequentemente maschi giovani. Determina un danno fibro-obllteratlvo del dotti epatici di grosso calibro extra- e intraepatici.

Bibliografia 1. European Association for the Study of the Liver. EASL Clinical Practice Guidelines: management of cholestatic liver diseases. J Hepatol 2009;51:237-67. 2. Nguyen DL, Juran BD, Lazaridis KN. Primary bi­ liary cirrhosis. Best Pract Res Clin Gastroenterol 2010;24:647-54. 3. Boonstra K, Beuers U, Ponsioen CY. Epidemio­ logy of primary sclerosing cholangitis and prima­ ry biliaiy cirrhosis: a systematic review. J Hepatol 2012;56(5): 1181-8. 4. Karlsen TH, Schrumpf E, Boberg KM. Primary sclerosing cholangitis. Best Pract Res Clin Gastro­ enterol 2010;24:655-66. 5. Pollheimer MJ, Halilbasic E, Fickert P, TVauner M. Pathogenesis of primary sclerosing cholangitis. Best Pract Res Clin Gastroenterol 2012;25:727-39.

19 CaicoÈosi biliare D A V ID E F E S T I

OBIETTIVI DIDATTICI /

Conoscere le principali form e di litiasi biliare, la loro

epidemiologia e patogenesi. / Saper riconoscere le manifestazioni cllniche della litiasi biliare. / Conoscere il percorso diagnostico-terapeutlco per la litiasi della colecisti e della via biliare principale.

I calcoli possono form arsi nella colecisti (evenienza più frequente) e/o nell’albero biliare (evenienza m olto più rara), sia intra- che extra­ epatico.

Litiasi della colecisti Sulla base delle loro caratteristiche stru ttu ­ rali, i calcoli della colecisti possono essere di colesterolo (o prevalentem ente di colesterolo) o pigmentali (cioè con un elevato contenuto in calcio); la patogenesi è differente.

Patogenesi della litiasi biliare coiesterolica Alla base della form azione dei calcoli di cole­ sterolo vi è un alterato rapporto quali/quantita­ tivo tra i com ponenti principali della bile stessa, cioè il colesterolo, gli acidi biliari e i fosfolipidi. Ruolo del colesterolo La bile è u n a soluzione acquosa nella quale il colesterolo, lipide insolubile in acqua, viene veicolato all’interno di micelle e vescicole. La presenza delle une o delle altre dipende dalla diluizione della bile e dalla com posizione della stessa in acidi biliari (i diversi acidi biliari h an ­ no differente capacità di form are m icelle) e in fosfolipidi. E siste u n a capacità critica di tenere in soluzione il colesterolo da p arte degli acidi biliari e dei fosfolipidi, su p erata la quale la bi­ le diventa su p ersatu ra in colesterolo. Quando il colesterolo è in eccesso nella bile, esso può essere ancora ten u to in soluzione in cristalli li­ quidi; in genere però, si form ano due fasi di cui

una è form ata da cristalli di colesterolo m onoi­ drato, l'altra da cristalli liquidi. La supersaturazione biliare è il prerequisito p e r la form azione dei cristalli di colesterolo e della loro successi­ va aggregazione nel calcolo. Il p ro cesso della litoform azione p arte da una fase caratterizzata dalla secrezione da p arte dell’ep ato cita di una bile su p ersatu ra in colesterolo, a cui fa segui­ to la form azione di cristalli di colesterolo, la loro aggregazione e infine la crescita del cal­ colo all’interno della colecisti (figura 19.1). La supersaturazione in colesterolo della bile rap­ p resen ta più frequentem ente la conseguenza di u n ’au m en tata secrezione biliare di colesterolo, a su a volta pro vo cata da u n ’au m en tata sinte­ si epatocitaria di questo lipide, m a può essere anche pro v o cata da u n a rid o tta sin tesi e secre­ zione biliare degli acidi biliari e dei fosfolipidi. Il background genetico della litiasi è stato in­ tensam ente studiato a p artire d alla sco p erta nel to p o inbred di geni lith. Q uesti appaiono coin­ volti nella regolazione dell’HMG-CoA reduttasi, enzim a chiave nella sintesi del colesterolo, m a altri geni, codificanti p e r la sintesi degli acidi biliari, sem brano coinvolti n ella patogenesi del­ la malattia.

Figura 19.1 Storia naturale della litiasi biliare coiesterolica dalla formazio­ ne di bile sovrasatura di colesterolo alla formazione del calcoli e dei sintomi. La litiasi biliare è una condizione largamente asintomatica e non necessita di specifici interventi terapeutici, se non quando diventa sintomatica

Formazione di cristalli

Formazione di calcoli

CSI - Indice di saturazione del colesterolo nella bile

Accrescimento di calcoli

Fase del sintomi

12

M A N U A LE DI G A S T R O E N T E R O L O G IA 201 3 -2 0 1 5

Ruolo degli acidi biliari L’ep ato c ita sintetizza, a p artire dal colestero), gli acidi biliari primari: l’acido colico e l’aci0 chenodesossicolico, che vengono escreti con 1 bile; giunti nell’intestino, entram bi sono meibolizzati da parte della flora b atterica in acidi iliari secondari: acido desossicolico dal colico, acido litocolico e acido ursodesossicolico dal henodesossicolico. GLi acidi biliari, prim a di ssere secreti nel canalicolo biliare, vengono oniugati nell’epatocita co n gli am inoacidi glicia e taurina, divenendo in tal m odo p iù stabili e lonei a svolgere le loro funzioni nell’intestino; \oltre, poiché l’assorbim ento delle form e coiugate avviene m ediante un trasp o rto facilitad e/o attivo presente nell’ileo term inale, viene ivorito il loro ricircolo e lim itata la loro neointesi epatica. La sintesi degli acidi biliari è geeticam ente regolata dagli acidi biliari stessi (in articolare dall’acido chenodesossicolico) m e­ lante feedback negativo sull’attività dell’enzila ep atico CYP7A1 che avvia la trasform azione el colesterolo ad acidi biliari e dalla produzione i FGF-19 (Fibroblast G rowth Factor) da p arte elTintestino, che blocca l’attività del CYP7A1. Questi m eccanism i m antengono costante la u an tità assoluta di acidi'biliari (pool), che è cira di 2 g nel soggetto in norm opeso. Poiché, peò, gli acidi biliari sono “forzati’’ a m uoversi tra intestino e il fegato da trasportato ri (Intestincd lite A c id Transporler, IBAT) presen ti sia nell’i2 0 term inale sia sulla m em brana basolaterale .ell’epatocita (N a Taurocholate C otransporter )o lypeptide, NTCP; O rganic A n io n Transporsr P rotein, OATP) la grandezza to tale del pool [egli acidi biliari può essere contenuta a fronte iella possibilità di un a loro secrezione epatica li 12-16 g nelle 24 ore. Nei pazienti con calcoli biliari di colesterolo il •ool to tale degli acidi biliari è diminuito m entre i au m entata la percentuale relativa dell’acido lesossicolico. Non è chiaro il significato patogeletico di queste alterazioni, tuttavia anche altri attori (diete, rallentam ento nel transito intestilale) potrebbero essere la causa di un aumen0 delle concentrazioni di acido desossicolico iella bile. Infatti l’aum ento delle concentrazioni >iliari dell’acido desossicolico sono correlate a in prolungato transito intestinale, che favorisce 1 catabolism o dell’acido colico ad acido desosìicolico d a p arte della flora batterica.

Altri fattori Se la supersaturazione di colesterolo resta il nom ento patogenetico fondam entale p e r lo svi­

luppo del calcolo, altri fattori sono im p o rta n ti1 per la litoformazione: - la presenza di composti nella bile (pronucleanti) che determinano un’accelerata aggrega­ zione (nucleazione) dei cristalli di colesterolo; - un deficit della m otilità colecistica che, deter­ m inando una stasi biliare, facilita l’aggrega­ zione dei cristalli; - un difetto motorio che coinvolge tutto l’appa­ rato digerente, in particolare l’intestino tenue. I pazienti litiasici hanno u n volume della colecisti a digiuno (basale) più grande rispetto a quello di soggetti non litiasici e ili una percen­ tuale significativa è p resen te un difetto di svuo­ tam ento della colecisti; tu tto ciò favorisce una stasi deliab ile nella colecisti e quindi i processi di aggregazione dei cristalli di colesterolo e la : successiva crescita dei calcoli (figura 19.1). Il difetto m otorio intestinale favorisce la forma­ zione dell’acido desossicolico, che a su a volta favorisce la secrezione di u n a bile su p ersatu ra

Patogenesi deila iftiasi pigmentaria I calcoli pigm entari rapp resen tan o circa il 25% dei calcoli biliari; si distinguono in calco­ li neri (iblock stones') e m arroni (broum stones) che si associano a d emolisi cronica e alle m alat­ tie croniche del fegato. I calcoli di pigm ento nero sono com posti da u n polimero insolubile di bilirubina m escolato a carbonato e fosfato di calcio. In genere! que­ sti. calcoli sono p resen ti nella cistifellea e si ac­ com pagnano a u n ’em olisi cronica, quale quella associata alla sferocitosi ereditaria, all’anemia d repanocitica e all’aum ento dell’em ocateresi in genere. I calcoli m arroni sono com posti principal­ m ente d a bilirubinato di calcio, palm itato di cal­ cio e anche da colesterolo e si associano più fre­ quentem ente a infezioni delle vie biliari. La loro formazione è ubiquitaria nell'albero biliare, e in genere recidivano nel dotto biliare.

Epidemiologia Litiasi biliare coleste/eJica La litiasi biliare coiestero lica è particolar­ m ente frequente nei Paesi occidentali, essendo probabilm ente dipendente dallo stile di vita occidentale (caratterizzato d a sed en tarietà e alim entazione ipercalorica). Infatti si ritiene che questa form a di litiasi costitu isca u n a delle m anifestazioni cliniche della sindrom e m eta­ b o lic a Oltre ai fattori am bientali, anche quel­ li genetici hanno un ruolo im portante, come

U A H IIU L U la . U A L U U L U til UILIAH b

dimostrato dagli elevati tassi di prevalenza in popolazioni quali glij indiani del N ord A m erica e i cileni. Grazie all’im piego dell’ecografia (m eto­ dica sicura e accurata) sono stati eseguiti studi epidemiologici che hanno perm esso di valutare sia la dim ensione del problem a, attraverso la misura della prevalenza, incidenza, sto ria n a tu ­ rale dèlia m alattia, sia i fattori di rischio della malattia, la cui conoscenza è indispensabile p er sviluppare program m i di prevenzione della m a­ lattia stessa. La prevalenza della m alattia, definita com e la somma delle litiasi attuali e delle p recedenti co­ lecistectomie (asportazione chirurgica della co­ lecisti) per litiasi, in E uropa varia tra il 9 e il;19%. In un recente studio, effettuato in Italia su un campione di popolazione generale superiore a 30.000 persone (M ulticentrica Italiana Colelitia­ si, MICOL), la prevalenza della m alattia è risul­ tata pari al 18,9% nel sesso femminile e al 9,5% in quello maschile; esiste, inoltre, una relazione lineare p er entram bi i sessi tra frequenza della colelitiasi e progressione dell’età; l’incidenza media annuale è risultata essere 0,67 c a si/l00/ anno con un valore medio p e r i m aschi di 0,66 casi/100/anno e un valore medio p er le fem m i­ ne di 0,81 casi/l00/anno. P er quanto riguarda i fattori di rischio della m alattia, dagli studi epi­ demiologici e da quelli clinici sono emersi, oltre al sesso femminile eiall’età, la familiarità, il nu­ mero di gravidanze, l’eccedenza ponderale (in­ dice di m assa corporea, B od y M ass Index, BMI >28), elevati livelli di trigliceridi ematici, bassi livelli sierici di colesterolo, u n a sto ria di diete ripetute, la sedentarietà. Inoltre patologie quali il diabete, la cirrosi epatica, l’angina pectoris, l’infarto m iocardico, l’ulcera peptica, l’uso di farmaci quali gli estròprogestinici, il clofibrato, l’octreotide e situazioni cliniche quali la chirur­ gia bariatrica, le resezioni ileali, la vagotonia tronculaie, la nutrizione parenterale totale. Gli studi epidemiologici hanno consentito anche di identificare fattori protettivi nei confronti del­ la malattia, quali un’attività fisica regolare, ima dieta ricca in carboidrati com plessi e fibre e con un modico consum o di alcol e di caffè.

Storia naturale della litiasi biliare Gli studi epidem iologici hanno dim ostrato come il sintom o specifico, cioè quello indicati­ vo della, e correlato alla m alattia, sia rap p re­ sentato dalla colica biliare, definita com e un dolore all'ipocondrio: destro/epigastrio, a volte irradiato posteriorm ente, della du rata superio­ re ai 30 minuti, che costringe al riposo e non

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sco m p are con la defecazione. A queste carat­ teristich e si p o sso associare n au sea e vomito. Q uesta m anifestazione clinica è p resen te in circa il 20% dei soggetti p o rtato ri di litiasi bi­ liare. Non sono invece considerati sintom i correlati alla litiasi quelli "dispeptici” (pesantezza p o stprandiale, gonfiore epigastrico, eruttazio­ ni, intolleranza ai grassi/fritti, ecc.), in quanto equam ente p resen ti n ella popolazione litiasica e in quella non litiasica. P er quanto riguarda il quadro clinico, i d ati disponibili indicano com e il 16-30% dei pazienti inizialm ente asintom atici p o ssa sviluppare u n a colica in un arco di tem po di 10-20 anni, m entre circ a il 50% dei soggetti sintom atici n o n sviluppa più sintom i. P er le com plicanze, i tassi stim ati indicano in 0,5-1% all’anno il rischio di co m p arsa di com plicanze. È im portante sotto lin eare com e la m aggior par­ te degli stu d i epidem iologici riporti che la com ­ plicanza biliare è quasi sem pre p rece d u ta d a un episodio di colica biliare.

Litiasi pigmentaria Non esistono studi epidem iologici su ampie popolazioni che abbiano valutato prevalenza, incidenza e fattori associati a questo particola­ re tipo di calcoli. È sta ta descritta u n ’aum entata frequenza di tali calcoli in pazienti con resezioni dell’ileo distale e m alassorbim ento degli acidi biliari e in quelli con epatopatie croniche. Cal­ coli pigm entari sono p resenti con m aggiore fre­ quenza n ei m aschi anziani e, nei P aesi orientali, si associano a infezioni p a rassitan e d a Clonorchis s in e n s is o da A sc a ris lum bricoides.

Quadri clinici della litiasi biliare colecistica Litiasi silente I calcoli biliari possono restare asintom a­ tici p er tu tta la v ita ed essere diagnosticati ca­ sualm ente nel corso di u n ’indagine strum enta­ le effettuata p e r altri motivi. Come detto, solo il 16-30% di questi pazienti sviluppa sintom i in 10-20 anni e solo il 2-5% n ecessita di intervento chirurgico p er la com parsa di complicanze della m alattia (colecistite, p ancreatite, ecc.); pertan to vi è accordo nel ritenere che la colecistectom ia profilattica n on debba essere effettuata nel sog­ getto asintom atico p e r prevenire la com parsa di sintom i. La colecistectom ia profilattica non è indicata anche nella prevenzione del cancro del­ la cistifellea; infatti se si escludono specifiche condizioni in cui è stato segnalato un aum enta­ to rischio di neoplasia (colecisti a porcellana, anom ala giunzione coledoco-pancreatica), la colecistectom ia profilattica indurrebbe tassi di

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m ortalità/m orbilità nettam ente superiori a quel­ la dei casi di neoplasia evitati.

Litiasi sintomatica n viraggio della m alattia verso una fase sin­ tom atica è indicato dalla com parsa della colica e dalle possibili com plicanze (colecistite acuta, con o senza infezione), la cui frequenza è co­ m unque bassa, non superando lo 0,5-1%/anno, considerando globalmente i soggetti sintom atici e quelli asintom atici, n sintom o specifico della litiasi biliare è la colica biliare, anche se il ter­ mine “colica” è im proprio, in quanto il dolore è continuo e non a poussée, com e quello tipico degli organi cavi. Non è stato definito con cer­ tezza il m eccanism o patogenetico della colica- è probabile che l’incuneam ento di un calcolo nel dotto cistico rappresenti il prim o m om ento, a cui seguono alterazioni della pressione all’inter­ no della colecisti; a questi eventi inoltre si può associare u na condizione di infiammazione, con attivazione delle citochine.

Complicanze La presenza di calcoli può determ inare irri­ tazione e fiogosi della parete colecistica che a loro volta possono causate colecistite cronica, così com e ripetuti attacchi di colecistiti subacu­ te. Nella bile di questi pazienti frequentem ente sono stati isolati batteri. La colecistite cronica è per lo più asintom atica p er anni m a p uò p ro ­ gredire verso un a m alattia sintom atica o p re­ sentarsi con delle complicanze. Dopo u na colica biliare, se la sintom atologia non recede, si può sospettare l’insorgenza di una colecistite acuta. Nel 96% dei casi il dotto cistico è ostruito da un calcolo. La prolungata ostruzione del d otto cistico può determ inare un progressivo accum ulo di m uco all’interno della colecisti con form azione di idrope (m ucocele). L’idrope è spesso asinto­ m atica, anche se i pazienti avvertono u n a certa dolenzia a carico del quadrante di destra. La co­ lecisti è palpabile come un a m assa che si può estendere fino alla fossa iliaca di destra. Il dimi­ nuito assorbim ento dei liquidi endolum inali, a causa dell’edem a presente nella regione dell’o­ struzione p er la com pressione dei vasi sangui­ gni della p arete della colecisti (infiammazione m eccanica), la form azione di lisolecitina dalla lecitina biliare p e r l’azione delie fosfolipasi (in­ fiamm azione chim ica) e la coesistenza di u n ’in­ fezione batterica (infiammazione b atterica) en­ trano in gioco nella genesi della colecistite acu­ ta. L’em piem a della colecisti si verifica quando

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il suo contenuto diventa purulento. H quadro | | j¿clinico è quello tipico della sepsi con febbre al« f i ta, brividi scuotenti, intenso dolore aU’ip o co n -if drio destro, m arcata leucocitosi neutroflla, pro­ strazione. Ú rischio di una sepsi Gram-negativa .? e della perforazione è elevato, p ertan to i p a l l i l i zienti vanno rapidam ente avviati all’intervento chirurgico con adeguata c o p ertu ra an tibiotica ì I b atteri più frequentem ente isolati apparten­ gono al genere E sch erich ia coli, Klebsiella, Streptococcus, Stafilococcus e C lostridium . < Nel 60-70% dei pazienti dopo il prim o attacco | di colecistite acuta la sintom atologia regredisce ' | spontaneam ente. D urante l'episodio, il paziente si p re se n ta francam ente sofferente, respira ,;!; superficialm ente, è rannicchiato e spesso appli­ ca u n a fonte di calore sulla p arete addominale p e r alleviare il dolore. L’addom e è scarsam ente trattab ile ed è apprezzabile u n a resisten za al $ quadrante superiore destro (dolore peritoneale 5v fi dovuto alla stim olazione dei ram i anteriori del® i: n ervo frenico, che innerva il p eritoneo diafram- ;$| \ m atico). Oltre al dolore, possono comparire altri sintom i, quali il vom ito e la nausea. Può f esservi febbre, raram ente vi è àttero (la bilimbi- Jj? n a difficilm ente su p era 4-5 mg/dl). La colecisti può essere palpabile e la palpazione dell’ipo- ìf condrio destro durante inspirazione profonda ^ , provoca dolore e arresto resp irato rio (segno di $£ Murphy). Biochim icam ente è p resen te leucoci- >É tosi neutrofila (10-15.000 cellule p e r m m 3), posi- % tività degli indici di fiogosi (PCR) e un aumento, jj in genere m odesto, degli enzim i di citonecrosi (transam inasi) e di colestasi (y-glutamiltrans- | jj peptidasi, fosfatasi alcalina). La colecistite enfisem atosa esordisce come u n a colecistite acuta (litiasica o alitiasica); l’infezione è so sten u ta da 'rib a tte ri gas-produttori (C lo strid iu m w elk ii o fi p e rfrin g e n s ed E scherichia coli), e si complica successivam ente con ischem ia o gangrena della ;, p arete colecistica. Favoriscono questa compli­ canza condizioni cliniche peculiari quali il dia­ b ete, la vasculite, la torsione della colecisti con occlusione a rte rio sa La gangrena della coleci­ sti predispone alla perforazione dell’organo e può insorgere com unque su im a colecistite eron ica senza sintom i prem onitori. La perforazio- £ ne libera nel p eritoneo è un evento dram matico con elevata m o rtalità (30%), anche se vi può es- ;; sere un iniziale e transitorio sollievo del dolore ■ all’ipocondrio destro (dovuto alla detensione % dell’organo). P ossono form arsi fistole con orga­ ni adiacenti, e la p iù com une è con il duodeno, che p erm ette il passaggio dei calcoli n ell’inte- ' | stino. Questi, se di grandi dim ensioni (>2,5 cm fe

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di diametro) possono determ inare un’occlusio­ ne intestinale (ileo biliare) p e r un loro im pegno nella valvola ileociecale. Fistole bilioenteriche “silenti" possono essere osservate nel corso di un intervento di colecistectom ia o diagnostica­ te radiologicamente p er la presenza di aria nelle vie biliari. U n'ulteriore com plicanza è rappre­ s e n ta ta dalla pancreatite acu ta biliare, provoca­ ta dall’incuneam ento nella papilla di Vater del calcolo migrato dalla colecisti.

Altre patologie della colecisti Colecisti a porcellana, colesterolosl delia colecisti, adenomiomatosi della colecisti La colecisti a porcellana si ha quando vi è deposizione di calcio n ella p arete colecistica nell’ambito di u n a colecistite cronica diagnosticabile, oltre che con l’ecografìa, con la sem pli­ ce radiografìa diretta dell’addome. Alcuni stu ­ di hanno suggerito una più elevata frequenza di sviluppo del carcinom a della colecisti, per questo può essere indicata la colecistectom ia profilattica. La colesterolosi della colecisti è la conseguenza dell’accum ulo di lipidi (in p artico­ lare di esteri di colesterolo) nella sottom ucosa della parete colecistica in form a diffusa (colecisti a fragola) o localizzata (polipi di coleste­ rolo). Questi quadri possono associarsi a una litiasi biliare colesterolica. Si ritiene che i p oli­ pi 10 mm, m entre è indicata la sorveglianza negli altri.

Colecistopatia alitìaslca Viene definita come la presenza di ricorren­ ti episodi di dolore biliare in assenza di calcoli nella colecisti, presenza di anorm alità colescintigrafiche dopo infusione ev di colecistochinina (CCK) con u n a frazione di eiezione inferiore al 40%, insorgenza della sintom atologia dopo in­ fusione di CCK, anorm alità dei te st di funzione epatica in relazione agli episodi dolorosi. Una sintomatologia molto simile viene d escritta nel soggetto con disfunzioni dello sfintere di Oddi. Questa entità clinica, pertanto, sarebbe correla­ tile a disfunzioni m otorie della colecisti in as­ senza di una patologia litiasica; secondo alcuni autori l’ablazione chirurgica della colecisti por­ terebbe alla scom parsa dei sintomi.

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Colecistite acuta alitiasica Circa il 5-10% dei pazienti con colecistite acu­ ta non ha calcoli ostruenti il cistico e in circa il 50% di essi non è possibile identificare una cau­ sa eziologica. La sintom atologia è indistinguibile da quella p resen te nella patologia litiasica Fat­ tori precipitanti sono considerati la vasculite, il diabete, la torsione della colecisti, u n adenocarcinom a ostruente il cistico, infezioni batteriche e parassitan e oltre a m alattie sistem iche quali la sarcoidosi, m alattie cardiovascolari, sifilide, actinomicosi, tubercolosi. Un rischio di coleci­ stite acuta alitiasica è stato descritto dopo gravi traum i o ustioni, o in donne post-partum con un travaglio particolarm ente estenuante, oppure dopo interventi chirurgici maggiori non a carico delle vie biliari.

Litiasi coledocica La litiasi coledocica è nella maggior parte dei casi secondaria alla migrazione del calcolo stesso dalla colecisti; m olto più ra ra è la litiasi primitiva, cioè quando il calcolo si form a primi­ tivam ente nel coledoco. L’incidenza della litia­ si coledocica aum enta con l’età e nel paziente anziano sono state segnalate prevalenze fino al 25%. Anche la litiasi coledocica può essere asintom atica, m a con percentuali nettam ente inferiori a quelle descritte p er la colecisti; nella maggior p arte dei casi la litiasi coledocica è sin­ tomatica, con relativam ente elevate probabilità di indurre complicanze.

Sintomatologìa L’ostruzione graduale della via biliare princi­ pale può po rtare inizialmente alla com parsa di ittero ingravescente e prurito: in genere, però, la m ancanza del sintom o dolore è p iù caratteri­ stica delle form e ostruttive neoplastiche. La co­ langite acuta invece è propriam ente tipica della litiasi coledocica e si m anifesta con dolore, feb­ bre con brivido, ittero (triade di Charcot). Nel 75% delle bilicolture sono p resen ti batteri e le em ocolture sono spesso positive. La leucocitosi neutrofila è quasi costante, con u n consensuale aum ento degli enzimi di colestasi, citolisi e della bilirubina. Le forme non suppurative rispondo­ no bene al trattam ento con antibiotici, m entre p er le forme suppurative, che si p resentano con sintom i di estrem a gravità, batteriem ia, confu­ sione m entale fino allo shock settico, occorre effettuare la bonifica della via biliare rapida­ m ente p er evitare che si formino ascessi epatici multipli, condizione questa gravata da elevata mortalità. U lteriore possibile com plicanza della

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litiasi coledocica è rappresen tata dalla p an crea­ tite acuta biliare, p e r incuneam ento del calcolo n ella papilla e conseguente ostruzione sia della v ia biliare sia del dotto di Wirsung. I quadri cli­ n ici vanno dalla pancreatite edem atosa alla pan­ creatite necrotico-em orragica. La sfìnterotom ia endoscopica e la rim ozione del calcolo rap p re­ sen tan o spesso la terapia di elezione.

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dei mezzi di contrasto iodato p e r l’opacizzazine delle vie biliari. La colangio-RM è ;in grado di identificare e ricostruire dettagliatam ente le vie" biliari; limiti dell’indagine sono legati 'alle dimeni1 sioni del calcolo, dal m om ento che in presenza < un calcolo di dim ensioni inferiori ai 5,mm l’in d i gine può essere falsam ente negativa. \ • 4*

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Ecoendoscopia

Diagnosi della litiasi biliare Biochimica epatica In corso di una colica biliare vi possono esse­ re transitorie alterazioni degli enzimi epatici e in p articolare delle transam inasi, della y-GT, della fosfatasi alcalina e della b ilirubina In genere la presenza di calcoli n ella via biliare si accom pa­ gna ad alterazioni enzim atiche bioum orali an­ che in assenza di u n a sintom atologia conclam a­ ta. La colecistite acuta, così com e la colangite, si accom pagna ad aum ento dei globuli bianchi e dei neutrofili, ad alterazioni degli indici biou­ m orali di flogosi (aum ento della VES, della POR) e ad aum ento delle transam inasi, y-GT, fosfatasi alcalina, bilirubina. In presenza di un coinvol­ gim ento pancreatico si osserva u n increm ento delle amilasi e delle lipasi.

Ecografia R appresenta la tecnica universalm ente uti­ lizzata p e r la conferm a del sospetto clinico di litiasi in quanto consente, con u n ’altissim a sensibilità e specificità, bassi costi, sicurezza e ripetibilità, di visualizzare calcoli anche di po­ chi millimetri all’interno della colecisti. I limiti dell’indagine sono rap presen tati da un abbon-; dante m eteorism o addom inale, obesità e il m an­ cato digiuno (la colecisti è contratta). La visua­ lizzazione ecografica di immagini iperecogene n ella via biliare principale indica con certezza u n a litiasi coledocica e rap p resen ta l’indagine di prim o livello p e r questo sospetto; tuttavia la sensibilità dell’ecografia p er la diagnosi di litiasi coledocica è inferiore a quella p e r la diagnosi di litiasi colecistica. In presenza di una sintom ato­ logia suggestiva e di un’ecografia negativa, o in presenza di una via biliare di calibro aum entato all'ecografia, occorre utilizzare ulteriori indagini strum entali quali la colangiografia in risonanza m agnetica (colangio-RM) o l’ecoendoscopia.

Risonanza magnetica (colangio-RM) L’introduzione nella diagnostica della RM e d ella possibilità di utilizzare la bile come mezzo di contrasto naturale (colangio-RM) h a rivolu­ zionato la radiologia tradizionale che faceva uso

L’ecoendoscopio è uno strum ento endosco; pico nel cui tra tto term inale è posizionato una sonda ecografica. L’ecoendoscopia è in grado visualizzare la via biliare nel suo trattò retroduofdenaie, solitam ente non esplorabile mediante', l’ecografia standard, e p erm ette la diagnosi di in elusi nella via biliare principale con la sensibilità e specificità p ropria dell’ecografia

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Colangiopancreatografia retrograda

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L’avvento della chirurgia laparoscopica ha cambiato la storia del trattam ento chirurgico della litiasi biliare sintom atica. Dal suo avvento, nel 1987, ad oggi num erosi studi hanno dim ostra­ to la superiorità della colecistectom ia laparosco­ pica (CL) rispetto alla tradizionale colecistecto­ mia laparotomie^. I vantaggi della CL rispetto a | L • -, Figura 19.2

Percorso diagnostico- erapeutico della litiasi del coledoco

Tomografia computerizzata La valutazione m ediante tom ografia compu- | terizzata della litiasi biliare trova u n a su a utilità i n ella valutazione del contenuto di calcio del c a k | colo stesso ai fini di un possibile trattam ento di dissoluzione con acidi biliari.

Trattamento della litiasi biliare Terapie mediche: acidi biliari e litotrissia

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Terapia chirurgica (colecistectomia i laparoscopica e colecistectomia laparotom ia)

La colangiopancreatografia retro g rad a endo$ scopica (ERCP) rap p resen ta la m etodica di eleXà zione nella gestione della litiasi coledocica; coni ferm a infatti la diagnosi di litiasi biliare effettua; ta con le altre m etodiche e perm ette di effettuare 5 la papLllosiìnterotomia endoscopica e i a bonificaci della via biliare con l’estrazione dei ¡calcoli. In| p resenza di infezione della via biliare, p rin c ip a li è possibile posizionare un sondino naso-biliare, | che perm ette il drenaggio della via biliare.

La terap ia di dissoluzione con acidi biliari (acido ursodesossicoiico, UDCA) è riservata a pazienti sintom atici, con calcoli di colesterolo, eventualm ente fluttuanti, di dim ensióni inferio­ ri a 10 mm. L’UDCA è correntem enté utilizzato nella terap ia dei calcoli biliari, m a anche di epa­ to patie croniche a im pronta colestatica. D dosag­ gio suggerito è di 10-15 mg/kg/die. n meccanismo d'azione con cui il colesterolo viene solubilizzato è attraverso la formazione di cristalli' liquidi; la dissoluzione avviene in circa il 70% dèi soggetti ideali con u n anno di terapia. Nel 60% dei pazienti a lO anni è p resente una recidiva, più frequente­ m ente con calcoli multipli. Pazienti con calcoli radio-opachi o di pigm ento n o n hanno; probabili­ tà di dissoluzione con la terapia con acidi biliari.

La terapia di fram m entazione d e l calcolo con onde d’urto generate da macchine! elettroi­ drauliche, piezoelettriche o elettrom agnetiche, dall’esterno 0 p er contatto, è rivolta a calcoli dell’albero biliare voluminosi, sem pre ¡di cole­ sterolo 0 prevalentem ente di colesterolo, in cui il trattamento endoscopico non sia stato riso­ lutore. La litotrissia è p receduta da una ERCP che una volta praticata la sfìnterotom ia, posi­ ziona un sondinjo naso-biliare, necessario, per effettuare indagini contrastografiche finalizzate a ottimizzare il puntam ento delle onde d’urto. Infatti il puntam ento ecografico, in passato uti­ lizzato per la dissoluzione dei calcoli colecistici, è raramente efficace nel trattam ento della litiasi coledocica. j

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quella la p a ro to m ia sono: m inore dolore, rapida m obilizzazione e celere rialim entazione del pa­ ziente, diminuzione del tem po di degenza, rapi­ do rito m o alle norm ali attività lavorative, minori com plicanze polm onari anche in soggetti a ri­ schio come i pazienti con cirrosi epatica. Nei Pa­ esi occidentali circa il 75% delle colecistectom ie avviene p e r via laparoscopica, con un tasso di conversione a colecistectom ia laparotom ica del 6 % circa. La CL trova indicazione anche nella co­ lecistite acuta. La frequenza di complicanze della CL (in particolare la lesione della via biliare) è funzione dell’esperienza dell’operatore (curva di apprendim ento del chirurgo e sua capacità di convertire un intervento laparoscopico in laparotom ico); inoltre la relativa facilità con cui vie­ ne effettuata la CL potrebbe allargare in m aniera non giustificata le indicazioni all’intervento, ad esem pio coinvolgendo pazienti asintomatici. La CL, effettuata da un operatore esperto, è grava­ ta da un tasso # sa. Le indagini di lab o rato rio non sono parti- É. colarm ente dirim enti: solo n el caso di ,coinvol-j js gim ento della via biliare p rincipale si osserva ' infatti un increm ento degli indici di colestasi. | | L’antigene carcinoem brionario (CEA) e U lf CA19-9 po sso n o essere aum entati, m a sono aspecifici. All’ecografia il GC si p u ò presenta- :g re com e irreg o larità di p a re te nelle form e in- ri filtranti o ppure com e lesione p o lipoide intra- A. lum inale generalm ente di diam etro >;1 cm, o - || com e m assa solida a livello della loggia della f colecisti. Negli sta d i p iù tardivi si p u ò avere interessam ento del fegato p e r contiguità. TC f e RM sono utili p e r v alutare l’esten sio n e della v m alattia e so p ra ttu tto la dissem inazione linfo- 6 n odale.2R ecentem ente anche l’ecoendoscopia è sta ta p ro p o sta p e r la cap acità di riconoscere l’estensione del tum ore. La MRCP v iene utilizzata nei casi con itte ro p e r evidenziare l’ostru- J zione biliare. La PET h a un ruolo p iù rilevante % n ella stadiazione (individuazione di m etastasi) ; che n ella diagnostica. Nei casi di diagnosi più :: difficile, è in d icata l’esecuzione di laparosco* % p ia esplorativa.

Terapia L’u nica potenziale te rap ia cu rativ a 4el GC è la resezione chirurgica; p u rtro p p o la maggior p a rte dei pazienti (80%) sfugge a un interven­ to di resezione con intento radicale. Lél radiote ra p ia e la ch em ioterapia (6-fluorouracile), singolarm ente o com binate, p o sso n o avere un ruolo so p ra ttu tto com e terap ie adiuvanti. Tut­ tavia, la prognosi com plessiva dei p azien ti sot­ to p o sti a te ra p ia dopo intervento n o n radicale è generalm ente pessim a, con sopravvivenza a 5 anni 3 polipi, indipendentem ente dalle dimensioni. Invepe quando 50 anni, e di sintom i refrattari alla terap ia con inibitori di p o m p a protonica (vedi dopo). È im portante ricordare che alm eno il 50% di pazienti con sintom i tipici di MRGE n o n presen ­ ta un reperto endoscopico di esofagite, e queste spiega i m odesti valori di sensibilità dell’endo­ scopia. La classificazione endoscopie^ di eso« fagite attualm ente più adoperata (Los Angeles, stadi da A a D) (figura 21.3) identifica come le­ sione minima la presenza di una singola erosio­ n e breve (arte, non va dim enticato com e l’esofagografia :on bario sia un ottim o te st p e r la.diagnosi di eriia iatale o di disturbi della m otilità dell’esofago :ome acalasia o SED. Il, ruolo dell’endoscopia :ome strum ento diagnostico nei pazienti con )TNC è limitato. Difatti, questa risulta norm ale n più del 60% dei pazienti con MRGE, m entre iiù raram ente si evidenzia un danno organico uale l’esofagite erosiva ( 2 0 % dei pazienti), l’eofago di B arrett (circa il 4% dei pazienti), le tenosi peptiche, l’esofagite eosinofìla (2 % dei azienti) e le neoplasie (raro). A ogni modo, se n paziente p resen ta anche sintom i d’allarme familiarità p er patologie neoplastiche esofagoastriche, età >45 aa, disfagia, anemizzazione, im agrimento, inappetenza e calo ponderale), rendim ento dell’endoscopia è potenzialm ente lolto superiore e diventa assolutam ente n eces­ ario eseguirla. In assenza di fatto ri di rischio/ liarme, il te st con IPP rap p resen ta il prim o aproccio diagnostico-terapeutico. Q uesto consi­ te nella som m inistrazione di un IPP ad alte dosi

al m attino (o eventualm ente anche alla sera) per u n a durata di alm eno 4 settim ane e fino a %mesi in base alla frequenza del DTNC (sensibilità 70% e specificità 85%). È im portante rico rd are .come la m ancata risposta all’IPP non escluda la MRGE come causa del DTNC (reflusso non-acido). Se il te st con IPP risultasse negativo o dubbio è opportuno procedere con la pH -m etria p, an­ cora meglio, con la pH -im pedenzom etria|¿o¿d sta n d a rd p e r la diagnosi di MRGE), al fine di docum entare una MRGE correlata sia a reflusso acido che non-acido (esposizione esofagea all’a­ cido e/o correlazione sintomi-reflussi). In| caso di negatività anche di questa m eto d ica si p o trà procedere alla m anom etria esofagea stazionaria convenzionale o ad alta risoluzione p e r identifi­ care un disturbo m otorio specifico quale l’acalasia o il SED (figura 22.1). Infine, non è chiaro il ruolo clinico dei test di provocazione del I{)TNC quali il te st di B em stein (infusione d iretta nell’e­ sofago distale di 0,1 N HCL tram ite sondino), il te st al Tensilon (som m inistrazione di u n farma­ co colinom im etico) o il te s t alla distensione con palloncino, che p ertanto dovrebbero lim itarsi al solo scopo di ricerca (tabella 2 2 .2 ) . 6

gura 22.1 goritmo diagnostico e terapeutico del dolore toracico

Test cardiologici positivi |

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A u m e n to d e lla d o s e d i IPP

M a n o m e tria e s o fa g e a N on

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V is ita c a rd io lo g ic a

T erapia a n tl-a n g ln o s a

Relapsa

3 re flu s s o

R ic e rc a re a tta c c h i d i p a n ic o , a n s ie tà , d e p re s s io n e

e t r a tta m e n to fa tto ri A n a lg e s ic i e te ra p ia lo c a le

V is ita p s ic h ia tric a

d i ris c h io N o ris p o s ta

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T ra tta m e n to d o lo re to ra c ic o n o n c a rd ia c o N o ris p o s ta C o nsidere N o n to ta lm e n te e ffic a c e

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U A K IIU L U ¿¿. U U L U R E T O R A C IC O NO N C A R D IA C O

Tabella 22.2 Test gastroenterologicl per investigare cause esofagee di dolore toracico (non cardiaco) Endoscopia

(In presenza di sintomi d'allarme)

po sso n o richiedere 6 - 8 settim ane p er diventare com pletam ente evidenti.

CONCETTI CHIAVE

Esofaflografìa con bario (non spesso indicata) Ecoendoscopia (evidenzia spessore della parete esofagea e spasmo) Test fisiopatologie! (valutano esposizione esofagea all'acido ' e correlazione sintomi/episodi di reflusso)

/

Il dolora toracico è un sintomo frequente, riferibile a patologie di diversi organi e apparati: cardiovascolare, gastroenterico, polmonare, muscoloscheletrico, neu­ rologico e psicologico. Dopo avere escluso una causa cardiologica, è verosimile (dal 40 al 60% ) una causa esofagea.

/

A una valutazione iniziale, è opportuno utilizzare il test con IPP ad alte dosi per almeno 28 giorni, in modo da individuare la principale causa esofagea di dolore toracico (MRGE), prima di pianificare ulteriori indagini.

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L'esofagogastroduodenoscopia e lo studio radiologico dell’esofago sono di solito scarsamente diagnostici. Per i pazienti che non rispondono positivamente agli IPP o con risposta parziale/dubbia, la pH-im pedenzometria e la manometria esofagea sono metodiche consigliate.

/

Nei pazienti con disturbi motori esofagei, dopo gli IPP, i rilassanti muscolari così com e i nitroderivati e i calcio­ antagonisti, seppur spesso deludenti, possono essere utilizzati. Infine, farmaci antidepressivi a basse dosi possono essere utili r e i pazienti con dolore toracico funzionale. 1

-p H -m e tria delle 2 4 h (valuta i reflussi acidi) - pH-im pedenzom etria delle 2 4 h (valuta I reflussi acidi e non-acidi) - pH-m etrla delle 4 8 -9 6 h m ediante sistem a catheter-free B rav o ® (valuta i reflussi acidi m a,in > 2 4 h)

Manometria esofagea (valuta disturbi motori) - Manometria esofagea stazionaria - M anom etria esofagea delle 24 h - M anom etria esofagea ad alta risoluzione Test provocativi (non generalm ente consigliati)

-Test di Bemstein (test di perfusione acida) - Test al Tensilon o Edrophonium (provocazione spasmo) -Test di distensione esofagea con palloncino

141

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Terapia La soppressionejacida m ediante gli IPP è l’ap­ proccio di trattam ento p e r il DTNC più efficace, sicuro e cost-effective. Tale trattam en to determ i­ na la to tale o parziale (>50%) risoluzione dei sin­ tomi fino all’80% dei pazienti con DTNC e MRGE. Se il sollievo dei sintom i è ottenuto |con alte do­ si di IPP, la m inim a dose efficace p e r il m anteni­ mento deve essere continuata. Alcuni pazienti richiedono l’uso continuo di alte dosi di IPP. Gli antagonisti dei recetto ri H2 sono so stan ­ zialmente m eno efficaci degli IPP. P er il tra tta ­ mento del DTNC secondario a disturbi m otori, l’evidenza che il loro trattam ento sia efficace è debole. Si possono usare i calcio-antagonisti e i nitrati a lunga durata d’azione. Nelle più rare forme a eziologia ‘¡funzionale”, gli effetti 1bene­ fici, com e analgesici viscerali, degli antidepres­ sivi triciclici (TCÀ) e inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) nel DTNC sono orm ai noti. P ossono essere usati triciclici a basse dosi (ad esem pio am itriptilina 50-75 mg o trazodone 100-150 mg) oppure sertralina o citalopram (50-200 o ?0 mg). I pazienti devono es­ sere incoraggiati a persistere con il trattam ento perché gli effetti collaterali tendono a dim inu­ ire dopo l’inizio della cura e gli effetti benefici

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23

Esofago di Barrett

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ROSARIO CUOM O, GERARDO NARDONE

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OBIETTIVI DIDATTICI ✓

Definizione di malattia.

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Comprensione del meccanismi patogenetlcl.

/

Gestione della malattia in relazione al potenziale rìschio neoplastico.

Introduzione L’esofago di B arrett (EB) fu descritto per la p rim a volta nel 1950 d a Norman B arrett come u n a rara condizione caratterizzata dalla pre­ sen za di epitelio colonnare gastrico a livello dell’esofago distale. A ttualm ente l’EB è ritenuto secondario all’esposizione cronica della m uco­ sa esofagea al contenuto gastrico costituito da acido, bile ed enzimi pancreatici. Q uesta patologia rap presen ta u n ’im portante lesione precancerosa p er il rischio di sviluppo di displasia e conseguente adenocarcinom a esofa­ geo, neoplasia che, negli ultimi anni, h a m ostra­ to u n considerevole e significativo increm ento (0,7% annuo dal 1994 al 2003).

ne, effettuato in M innesota nella C ontea di Olmsted, rip o rta che la m aggioranza dei casi di EB è un reperto occasionale in soggetti asintom atici che non rientrano in alcun program m a di sorveglianza. La variabilità dei dati epidemiologici dipende dalla popolazione studiata, m a anche dai criteri diagnostici adottati. L’EB è u n a m alattia dell’età adulta (50-60 anni) anche se è sta ta d escritta in bam bini, ma raram ente prim a dei 5 anni. È rip o rtato prevalentem ente in soggetti di razza b ian ca caucasici (popolazioni del Nord America, E uropa e Australia) m entre è raro nelle popolazioni ispaniche, afro-am ericane e asiatiche probabilm ente p er l’alta prevalenza in queste a eree dell’infezio­ ne da H. p ylo ri e la m inore incidenza di reflus­ so gastroesofageo. In teressa prevalentem ente soggetti di sesso, m aschile (2-3 volte più com u­ ne rispetto al sesso femminile), m a non è noto se questa maggiore prevalenza sia in relazione a variazioni orm onali o a u n a diversa distribu­ zione di tessuto adiposo che può influenzare i m eccanism i patogenetici del reflusso. Inoltre è descritta u n a maggiore incidenza in gruppi ’- familiari associata, in un certo num ero di casi, anche a u n a m aggiore incidenza di cancro eso­ fageo.

Epidemiologia L’incidenza dell’EB h a subito nel tem po un progressivo increm ento sia p er un maggiore uti­ lizzo della diagnostica endoscopica che p er un am pliam ento dei criteri di definizione. Studi re­ centi riportano, negli ultim i anni, un increm ento dell'incidenza di circa 30 volte da 0,37/100.000 individui/anno a 10,5/100.000 individui/anno . 1 In corso di esam i endoscopici esso è diagnosti­ cato in circa il 6 -1 2 % dei pazienti investigati per reflusso gastroesofageo sintom atico e nell’1 -2 % della totalità dei soggetti. La prevalenza nella popolazione generale dell’EB varia dallo 0,9 al 4,5% anche se gli studi autoptici riportano una prevalenza 10 volte superiore. A conferm a di questo dato, un im portante studio di popolazio­

Definizione e diagnosi La Consensus di M ontreal 2 del 2006 defini­ sce l’esofago di B arrett com e una m etaplasia epiteliale di tipo colonnare (sostituzione di epitelio pluristratificato squam oso con epitelio colonnare). Tale patologia può essere p rim a sosp e tta ta su base endoscopica (E ndoscopically Suspected Esophageal M etaplasia, ESEM) e poi conferm ata su base istologica. Il sospetto di EB in corso di esam e endoscopico è dato dall’osservazione di aree e di lingue di m ucosa ro ssastre che si estendono in esofago al di sop ra della linea Z (giunzione squam o-colonnare) nel contesto dell’epitelio squam oso ro sa chiaro

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143

C A P IT O L O 23. E S O F A G O DI B A R R E TT

(figura 23.1). L’istologia può pro d u rre tre diver­ se condizioni: 1 . assenza di m etaplasia = no diagnosi di EB; 2 . m etaplasia gastrica = diagnosi di EB, MG+; 3 . m etaplasia intestinale specializzata = diagno­ si di EB, MIS+.

Figura 23.1 Evidenza endoscoplca di esofago di Barrett All'endoscopia si osserva lo spostamento della giunzione squamo-colonnare In alto e la sua sostituzione con un segmento di epitelio colonnare. A: esofago normale; B: esofago di Barrett E p ite lio s q u a m o s o

E p ite lio c o lo n n a re

Poiché il rischio evolutivo dell’EB verso la di­ splasia e l’adenocarcinom a è proprio della metaplasia intestinale specializzata, alcuni ricerca­ tori ritengono che sarebbe più utile lim itare la definizione di EB solo ai pazienti che hanno una metaplasia intestinale .3 Quindi la prim a tappa p er una corretta dia­ gnosi di EB è l’identificazione endoscopica della giunzione squamo-colonnare o linea Z, dell’estre­ mità prossim ale delle pliche gastriche e della pinzettatura diaframmatica. Nel soggetto norm a­ le questi tre punti di repere coincidono e, in un uomo adulto alto circa 170-180 cm, si localizza­ no a circa 40 cm dalla rim a buccale. Nell’EB la giunzione squamo-colonnare o linea Z è dislocata in m aniera irregolare prossim alm ente e; in base alla distanza rispetto alle pliche gastriche, distin­ guiamo un EB lungo (estensione oltre i 3 cm), un EB corto (imento della vitam ina B12 (cobalam ina) dagli alim enti è un p ro cesso com­ plesso. La cobalam ina è legata strettam en te alle p roteine degli alim enti e viene rilasciata dall'a­ zione dell’acido cloridrico pro d o tto dalle cellule parietali della m ucosa o ssin tica La cobalam ina libera si lega quindi alle proteine salivari R, dato che in u n am biente acido ha un’affinità più alta per queste p roteine che non p er il fattore intrin­ seco (prodotto dalle cellule parietali). Nell'in­ testino tenue prossim ale, gli enzimi pancreati­ ci degradano le proteine K e la cobalamina, di nuovo libera, si lega al fattore intrinseco e viene quindi trasp o rtata all'ileo distale dove si lega ai suoi recetto ri specifici p er l’assorbim ento. L‘an e m ia p ern icio sa che consegue alla presenza di g e stri te cronica atrofica del corpo/fondo (GCA) è il proto tip o di tale alterazione del pro­ cesso fisiologico.1Di conseguenza, questi pazien­ ti presentano livelli sierici di vitam ina B12 bassi e positività p e r gli anticorpi anti-fattore intrinse­ co, m ark er specifico p er gastrite autoim m une.1 Inoltre, la m ucosa gastrica del coipo/fondo ha un im portante ruolo nel m eccanism o di assorbi­ m ento del ferro. L’assorbim ento del ferro aw ie-

M A N U A L E DI G A S T R O E N T E R O L O G IA 2 0 1 3 -2 0 1 5

162

ne nel duodeno e nel digiuno prossim ale ed è in­ fluenzato da diversi fattori, prim o fra tutti il tipo di ferro. Nella dieta infatti, si trovano due tipi di ferro, quello eroico, legato alle proteine, e quello non-emico, che utilizzano due diversi recettori sulle cellule mucosaii. U ferro etnico, contenuto nella carne, rappresenta solo il 5-1096 del ferro presente nelle diete occidentali e il suo assorbi­ m ento non dipende strettam ente dai depositi di ferro dell'organismo m a solo dalla quantità con­ ten u ta nella carne e dalla tem peratura di cottura. Il ferro non-emico, fonte principale di ferro nella dieta, è contenuto in cereali, verdine, legumi e frutta e il suo assorbim ento è strettam ente lega­ to ai depositi individuali e dipende da num erosi altri fattori. Innanzitutto il ferro non-emico nella su a form a fen ica (Fe+++) non può essere assor­ bito perché polim erizza e precipita. Il ferro può essere assorbito solo nella sua form a ferrosa. La secrezione acida gastrica ha un ntoLo chiave nel perm ettere l'assorbim ento del ferro non-emico in quanto l’acido lim ita la polimerizzazione e previene il legame con le proteine. Inoltre un pH acido perm ette la riduzione d a ferro ferrico (Fe+++) a ferro ferroso (Fe++). D più potente prom otore deO’assorbim ento di ferro non-emico è l'acido ascorbico, la-form a biochimicamente p iù attiva della vitam ina C che, insiem e al pH acido dello stom aco, converte il ferro ferrico in ferroso e form a un chelato col cloruro di ferro, in m odo da far rim anere l’elem ento solubile al pH alcalino del duodeno. Pertanto, la gastrite croni­ c a da H. pylori, sia essa cronica, superficiale o atrofica, quando interessa la m ucosa del coipo/ fondo può portare ad anem ia sideropenica come unico segno di presentazione.

Ulcera peptica Introduzione L'ulcera peptica è una lesione di continuo della m ucosa (cratere) dello stom aco (ulcera gastrica) o del duodeno (ulcera duodenale), di forma ro­ tonda od ovalare, che supera sem pre la m uscoLaris m ucosae e si estende alla sottom ucosa, rag­ giungendo talvolta anche la m uscolaris propria (figura 26.2). Benché abbia registrato in quest’ul­ tim o decennio un calo significativo, l’ulcera pep­ tica interessa ancora circa il 4% della popolazione generale ed è presente in circa il LQ% dei pazienti con sintomi dispeptici.2 L’ulcera duodenale è più frequente dell’ulcera gastrica e l’età più colpita è p iù bassa p er l’ulcera duodenale (30-40 anni) che p e r l’ulcera gastrica (50-70 anni).

Figura 26.2 Ulcera peptica

Eziologia L’u lcera p eptica h a un’eziologia multifattoria-| | g le, m a è sem pre il risultato di uno squilibrio tra | j | fattori aggressivi (acido cloridrico e pepsina) e § | fattori difensivi (m uco e bicarbonati) della mu: cosa gastroduodenale. Le principali cause dell’u lcera p ep tica s o n o S l’infezione da H. p y lo r i e l’assunzione di f a r ^ i m aci antinfiam m atori non steroidei (FANS),:M| com presa l’aspirina a basse dosi (tabella 26.1)J$g L’infezione d a H. p y lo ri è indubbiam ente l a | j | causa p iù frequente, essendo responsabile di $ circa l’80% delle ulcere gastriche e del 90% delle ^ u lcere duodenali. In circa il 3-5% dei casi l'v ^ ip cera p ep tica non è cau sata né dall’# . p y lo ri né | | | dall’assunzione di FANS o aspirina. In questi c # fg | si può essere causata d a condizioni patologiche |g | che si associano a un aum ento della secrezione:!!! acida, com e la sindrom e di Zollinger-Ellison, l à f $ m astocitosi sistem ica e l’iperplasia delle cellule ^ G antrali, o da uno stre ss post-chirurgico. - ./J H Tabella 26.1 Cause dell’ulcera peptica Frequenti

- Infezione da H. pylori - FANS o aspirina a basse dosi

Infrequenti o rare

-

Sindrome di Zolllnger-Elllson Mastocitosi sistemica Iperplasia delle cellule G antrali Stress post-chlrurglco Ipercalcemia Infezioni da Herpes simplex, citomegalovlms Idiopatiche

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C A P IT O L O 2 6 . G A S T R IT E , U L C E R A P E P T IC A ED H E L IC O B A C T E R P Y L O R I

n6( in un piccolissim o gruppo d i soggetti con sono riconoscibili fattori questi i casi d i “u lcera i d i o ­ patica”.3

p i u lc e ra peptica non W e z io lo g ic i noti: sono

Eziopatogenesi dell’ulcera peptica da Hellcobacter pylori 'Solo un a piccola percentuale dei soggetti con infezione d a H. p ylo ri sviluppa u n ’u lcera pepti­ ca, È stato ipotizzato l’intervento di fattori legati al batterlo (ceppi d i# , p ylo ri più virulenti), alla predisposizione genetica dell’ospite (ad esem ­ pio, fam iliarità di I grado p er u lcera peptica) e l’intervento di fattori ambientali (il fum o può favorire lo sviluppo dell’ulcera). I meccanism i patogenetici attraverso i quali l’infezione da H. p ylo ri determ ina la m alattia ul­ cerosa non sono del tu tto chiari, anche se il p ro ­ cesso patogenetico che sottende allo sviluppo dell’ulcera duodenale sem bra essere diverso da quello che p o rta all’ulcera gastrica (figura 26.3).

Figura 26.3 Schema Ipotetico del ruolo ùeW'H. pylori nella patogenesi dell'ulcera gastrica e dell'ulcera duodenale

L’ulcera duodenale si associa in genere a una gastrite cronica prevalentem ente antrale in as­ senza di atrofia delle ghiandole ossintiche acidosecementi. La gastrite antrale si associa nella maggior p arte dei soggetti con u lcera duodenale a un’ipersecrezione acida gastrica, conseguenza di un’aum entata liberazione di gastrina. L’iper-

163

gastrinem ia può essere dovuta a diversi fattori legati all’infezione da H. p ylo ri, tra cui u n ’ini­ bizione della secrezione della som atostatina, un orm one pro d o tto dalle cellule D dell’antro gastrico, che inibisce con u n ’azione p aracrina la liberazione di g astrina da p arte deùe cellule G. La com binazione di u n ’ipersecrezione acida gastrica e di una rid o tta secrezione di bicarbo­ nati duodenali d eterm ina lo sviluppo nel bulbo duodenale di aree di m etaplasia g astrica come risp o sta alTaum entato carico acido duodenale. UH, p y lo ri p resen te nello stom aco può quindi colonizzare le aree di m etaplasia gastrica duo­ denale con conseguente sviluppo di duodenite e predisporre allo sviluppo dell’u lcera duodena­ le. L’u lcera gastrica invece si associa in genere a im a gastrite cronica diffusa anche al corpo con atrofia delle ghiandole ossintiche e ridot­ ta secrezione acida. La patogenesi dell’ulcera g astrica è da riferirsi verosim ilm ente a u n a ri­ duzione dei m eccanism i di difesa della m ucosa all’attacco acido-peptico. Il tu tto conseguenza d ell’infiammazione cronica e del danno indotto alia m ucosa da p arte dell’io, p y lo r i.

Quadro clinico L’u lcera p ep tica si m anifesta p iù frequente­ m ente con un dolore localizzato in epigastrio, che può irradiarsi p osteriorm ente. Nel quadro clinico classico le caratteristiche del dolore epigastrico sono differenti a seco n d a che si tra tti di un’u lcera g astrica o di u n ’u lcera duo­ denale. Nell’u lcera g astrica il dolore è sordo, insorge p recocem ente subito dopo il p asto o, addirittura, può essere esacerbato dal pasto, m en tre n ell’u lcera duodenale il dolore è urente, insorge a digiuno o 2-3 ore dopo il p asto, op­ p u re d urante la n otte, e si atten u a con l’assun­ zione di cibo. Negli altri casi il dolore p resen ta caratteristich e m eno specifiche e può essere accom pagnato o sostituito da altri sintom i di­ speptici com e senso di ripienezza postp ran d ia­ le e pirosi epigastrica. Nell’1-2% dei pazienti l’u lcera p eptica si pre­ sen ta con una complicanza: emorragia, perfora­ zione e ostruzione. L’em orragia è la complicanza più frequente, si m anifesta in genere con ematem esi e/o m elena e p uò po rtare a uno shock ipovolem ico e talvolta alla m orte del paziente. Vi può essere uno stillicidio em atico cronico che si m anifesta con il quadro dell’anem ia sideropenica. La perforazione libera in cavità addom inale è u n a com plicanza m eno frequente caratterizzata da un dolore addom inale improvviso e violen­ tissim o. L’ostruzione è la com plicanza m eno fre-

quente ed è dovuta in genere a u n a sub-stenosi o stenosi pilorica provocata da fibrosi e/o defor­ m azione cicatriziale da ulcera bulbare o del ca­ nale pilorico o dell’antro pre-pilorico. La n ausea e il vom ito postprandiale sono i sintom i tipici dell’ostruzione. D iag n o si. Benché la presen za di u n quadro clinico classico p o ssa fornire un orientam ento diagnostico, la diagnosi di certezza dell’ulcera p ep tica si b asa sull’esecuzione di un'indagine strum entale: l’esam e radiologico con pasto baritato o l’esam e endoscopico del tratto digestivo superiore (esofagogastroduodenoscopia). L’esa­ m e endoscopico è l’indagine di p rim a scelta poi­ ché h a un a sensibilità del 95-100% e perm ette di evidenziare un sanguinam ento in atto o recente o i segni di rischio di sanguinam ento. Inoltre nel corso dell’esam e endoscopico è possibile effettuare prelievi bioptici della m ucosa. Ciò è particolarm ente im portante p e r l’u lcera gastri­ c a che deve necessariam ente essere sottoposta a biopsie m ultiple sui bordi p e r p o rre diagnosi differenziale tra un’ulcera benigna e un’ulcera m aligna Prelievi bioptici m ultipli perm ettono inoltre di fare diagnosi di infezione d a H. p ylo ri m ediante il te s t rapido all'ureasi e l'esam e isto­ logico. La sindrom e di Zollinger-Ellison è spesso caratterizzata d a ulcere multiple, localizzate a livello antrale, n ella p arte distale del bulbo duo­ denale e spesso anche nella seco n d a porzione duodenale. T erap ia. La sco p erta dell’# , p y lo r i h a m odi­ ficato la terapia dell’ulcera gastrica e duodenale che coincide oggi inevitabilm ente con il tra tta ­ m ento antibiotico eradicante l’infezione da H. pylori. Gli inibitori di pom pa p ro to n ica (IPP), che inibiscono profondam ente la produzione di acido cloridrico, sono i farm aci p iù efficaci p er il trattam ento delle ulcere non H. p y lo ri corre­ late, com e quelle da FANS, e n ella prevenzione delle com plicanze. L’uso dei FANS selettivi della COX-2 riduce il rischio di ulcere FANS correlate e può essere preso in considerazione n ei pazien­ ti a basso rischio cardiovascolare,

Helicobacter pylori Introduzione L’infezione da H. p y lo ri è una delle più diffu­ se nel m ondo, interessando circa la m età della popolazione m ondiale. La prevalenza dell’inie­ zione è inversam ente correlata con le condizio­ ni socio-econom iche. UH. p y lo ri infetta circa

1*80% degli adulti nelle popolazioni in via di svi- m i luppo, m entre è presen te nel 20-30% delle po. polazioni industrializzate. Nella m aggior parte dei casi l'infezione da H. p ylo ri viene acquisita precocem ente nell’infanzia o nell’adoloscenza e tende p oi a p ersistere p er tu tta la vita.4¡Negli ul­ timi decenni nei P aesi industrializzati l’inciden­ ■ i§ # f za dell’infezione da H. p y lo r i si è rid o tta mar­ catam ente grazie alle m igliorate condizioni so­ : cio-economiche. A ttualm ente solo il 10-20% dei bam bini nelle popolazioni sviluppate ò infettato dall’# , p y lo r i ,6il che significa che n ei prossimi # • decenni la prevalenza dell'infezione, e quindi dell’u lcera peptica, si rid u rrà ulteriorm ente.

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Vie di trasmissione

S i Le vie di trasm issione dell’infezione da H. V'M ■ 5;-;. p y lo ri non sono state ancora chiarite. L’infezio­ ne viene acquisista attraverso l’ingestione del m batterio e la trasm issione inter-um ana per via fecale-orale o oro-orale è la p iù plausibile. L'H. p ylo ri è stato isolato nella saliva, n ella placca d entaria e nelle feci di soggetti infetti1m a non è stato chiaram ente dim ostrato che queste pos­ "■¿r' sano essere sorgente o riserva di infezione. La re-infezione da H. p y lo ri dopo l’eradicazione, cioè eliminazione del batterio con terap ia anti­ biotica, è un’evenienza rara, interessando circa 11-2% all’anno dei soggetti. * . i

Meccanismi patogenetici

UH. p y lo ri è un b atterio gram -negatiyo in gra­ a , do di sopravvivere n ell’am biente acido dello sto­ m aco, p enetrare nello strato di m uco e;raggiun­ ► gere l’epitelio gastrico grazie a tre fattori: l’ureasi, la m otilità e le adesine. L’ureasi è un enzima, prodotto in grandi quantità dall’# , p y lo r i, che idrolizza l’u rea p resen te nel lum e gastrico con produzione di am m oniaca e bicarbonati. Questi neutralizzano l’acidità intra-gastrica creando in­ torno al batterio un am biente alcalino. La pre­ m I senza di flagelli rende il batterio mobile, men­ fv tre le adesine presenti sulla superficie batterica gli perm ettono di aderire all'epitelio gastrico. LIH. p y lo ri si localizza quasi sem pre al di sopra dell’epitelio, senza invadere la laminai propria, ed esercita il suo effetto patogeno sulla mucosa con due meccanismi: liberando enzim i e tossi­ ne e inducendo u n a risp o sta infiam matoria. Gli enzimi e le tossine alterano lo stra to di muco e danneggiano l'epitelio gastrico rendendo così la m ucosa più vulnerabile al danno acidorpeptico. F ra le num erose tossine p rodotte d all’# , pylori .'»•Tri. quelle sicuram ente p iù im portanti so n o la citotossina vacuolizzante VacA (citoto ssin a codifi­ Wk m

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cata dal gene vacA) e la citotossina CagA (citotossina codificata dal gene cagA). La citotossina VacA è una proteina che induce direttam ente vacuolizzazione delle cellule epiteliali. Benché il gene vacA sia sem pre p r e s e n te r à citotossina VacA viene pro d o tta soltanto da quei ceppi di # . pylori che p resentano anche il gene cagA, e che quindi producono anche la citotossina CagA. Circa il 60% dei ceppi di H. p y lo ri produce la ci­ totossina CagA; questa non h a in realtà un’azione tossica diretta, m a piuttosto u n a p otente azione antigenica attravèrso la quale induce u n ’intensa risposta infiam matoria della mucosa. La citotos­ sina CagA, attraverso un particolare apparato secretorio, viene | traslocata nelle !cellule epite­ liali dove induce Ila produzione e la liberazione di grandi quantità di interleuchina 8 (IL-8), che è una citochina pro-infiam m atoria poiché ha una potente azione chem iotattica e di attivazione dei granulociti neutrofili. I ceppi di H p ylo ri CagA positivi si associano pertanto a un più intenso infiltrato infiam matorio e a un più severo danno della mucosa. L’# . pylori, com e si è detto, in­ duce nella m ucosa una risposta infiammatoria. Il batterio produce num erose sostanze antigeni­ che come l’ureasi e i lipopolissaccaridi che at­ tivano linfociti T e m acrofagi nella m ucosa con conseguente liberazione d a p arte di questi di citochine pro-infiamm atorie quali1l'interleuchina 1 (U ri), 6 (IL-6) e 8 (IL-8). L'infezione da H. pylori induce inoltre un a risposta anticorpale si­ stemica e locale caratterizzata dalla produzione di im munoglobuline IgA, IgM e IgG, inefficace però nell’eliminazione dell’infezione.

Diagnosi Esistono diversi te st p e r la diagnosi di infe­ zione da # . pylori, alcuni invasivi e altri non invasivi. I te st cosiddetti invasivi sono quelli che ne­ cessitano dell’esàm e endoscopico, essendo ef­ fettuati su prelievi bioptici di m ucosa gastrica, e sono il te st rapido all’ureasi, l’esam e istologico e la coltura, I test non invasivi sono invece il lsC-ur&a breath test (13C-UBT) cioè il te s t del respiro, il test fecale e la sierologia. La sensibilità di tutti i test diagnostici, tranne la sierologia, può es­ sere rid otta dalla recente assunzione di p otenti antisecretori, come gli IPP, o antibiotici. Tutti i test diagnostici, tranne la sierologia, devono es­ sere eseguiti dopo almeno due settim ane dalla sospensione degli IPP e dopo quattro settim ane dalla sospensione di antibiotici, poiché questi farmaci, riducendo m arcatam ente la carica b at­

lbb

terica, possono indurie dei risultati falsamente negativi. Il test rapido all'ureasi è un te s t invasivo altam ente accurato [sensibilità e specificità >90%), poco costoso, che fornisce rapidam ente il risultato Centro 1 ora). Si introduce un cam­ pione bioptico di m ucosa gastrica in un brodo o agar contenenti u re a e u n indicatore di pH, il rosso fenolo. L’ureasi d ell'# , p y lo ri idrolizza l’u­ re a con produzione di am m oniaca che, essendo alcalina, determina, un aum ento delpH , indicato dal rosso fenolo con u n viraggio del colore da giallo a rosso. H test rapido all'ureasi non deve essere usato per valutare l’efficacia di un tratr tam ento antibiotico eradicante poiché la sen­ sibilità di questo test è fortem ente influenzata della carica b atterica dell’# , p ylori. Nei pazienti in cui il trattam ento antibiotico non è stato effi­ cace a eradicare l ’infezione m a ha indotto una m arcata riduzione deLla carica batterica, il test rapido all’ureasi può d are u n risultato falsamen­ te negativo. L’esam e istologico è altam ente accurato, con u n a sensibilità e specificità >95%, sia nella dia­ gnosi iniziale che nella diagnosi post-trattam ento dell’infezione da # . pylo ri. Poiché 1’# . p y lo ri è distribuito sulla m ucosa gastrica non in modo uniform e m a a chiazze, l’esam e istologico deve essere effettuato su aLmeno due biopsie di mu­ cosa gastrica prelevate nell’antro e due biopsie prelevate nel corpo. La coltura è orm ai caduta in disuso nella pra­ tica clinica p oiché è un esam e complesso, co­ stoso e con u n a relativam ente b a ssa sensibilità (non superiore all’80%). La coltura perm ette pe­ rò di eseguire l’antibiogram m a, cioè di testare la sensibilità del b atterio agli antibiotici, e può essere utile nei casi di infezione resistente agli antibiotici. La coltura va effettu ata fondam en­ talm ente dopo u n secondo fallim ento terapeu­ tico. Il ,9C‘U BT è il te s t di prim a scelta p e r la dia­ gnosi di Infezione d a # , p y lo r i poiché è u n test semplice, non invasivo e altam ente accurato, con una sensibilità e specificità >95% sia prim a sia dopo terapia antibiotica eradicante. Si somm inistra al paziente p er os una piccola quanti­ tà, 76-100 mg, di urea in arcata con carbonio 13 (13C-urea), che è un isotopo naturale non radio­ attivo del carbonio, e di acido citrico, quest’ul­ tim o serve a rallentare lo svuotam ento gastrico e prolungare il tem po di perm anenza dell'urea m arcata nello stom aco. La 13C-urea viene rapi­ dam ente idrolizzata dall’ureasi dell’# , p ylo ri in am m oniaca e u COr Vengono quindi raccolti due

M A N U /L E D I G A S T R O E N T E R O L O G IA 2 0 1 3 -2 0 1 5

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cam pioni di respiro facendo soffiare il pazien­ te con una cannuccia in una provetta, prim a e dopo 30 m inuti d illa som m inistrazione dell'urea m arcata. Un aumento della 13CO, neL respiro, m isurata con uno spettrom etro ai m assa, nei due cam pioni di respiro, indicherà la presenza dell’infezione da H. pylori. D a qualche anno sono disponibili in commer­ cio dei test feca li in grado di evidenziare con una m etodica im m unoenzim atica (ELISA) la presenza di antigeni d ii/, p ylo ri nelle feci. Esi­ sto no due tipi di test fecali, quelli basati sull’uso di anticorpi policlonall (te st fecali policlonali) e quelli basati sull'uso di anticorpi m onoclonali (test fecali monoclonali), questi ultim i di più re ­ cente introduzione. I te s t fecali m onoclonali, m a non quelli policlonali, hanno dim ostrato, al pari del l3C-UBT, un'elevata sensibilità e specificità, entram bi superiori al 95%, sia nella diagnosi ini­ ziale dell’infezione sia p e r valutate l'efficacia del trattam en to antibiotico eradicante. La sierologia consiste nei dosaggio di anti­ corpi sierici, immunoglobuline G (IgG), contro antigeni di superficie dell'H. p y lc ri m ediante tecniche di agglutinazione e m etodiche ELISA. La sierologia è un te s t semplice, am piam ente disponibile e poco costoso m a n on è altam ente accurato avendo una sensibilità e specificità in­ to rn o all’80%. La sierologia può essere utile nella diagnosi iniziale di infezione da H. p y lo r i in quei pazienti che non possono sospendere un tratta­ m ento con IPP poiché è l’unico te s t a non es­ sere influenzato dalla concom itante assunzione di antisecretori. La sierologia non deve essere mai u sa ta dopo un trattam ento antibiotico e ra­ dicante poiché è gravata da un’alta percentuale di risultati falsam ente positivi, essendo le IgG anticorpi di m em oria ch e persistono n el sangue p er anni, talvolta per tu tta la vita, anche dopo eradicazione del batterio.

Terapia N on esiste un antibiotico efficace da solo contro \'H. pylori. Numerosi sono i regimi tera­ p eutici utilizzati e uno di questi è la cosiddetta triplice terapia: un inibitore di pom pa protonica + claritromicinaCOOmg +• m etronidazoio 600 mg o amoxicillina 1000 m g , som m inistrati 2 w /d ie p er 10-14 giorni. L’antibiotico-resistenza dell’H. p y lo ri alla claritrom icina è la principale causa di fallim ento della triplice terapia. Nei casi di fallim ento, la terapia di seconda linea è la cosid­ d e tta quadruplice terapia, della durata sem pre di 10 giorni, con un inibitore di p om pa protoni­ ca, bism uto, tetraciclina e m etronidazoio*

CONCETTI CHIAVE /

La gastrite è una diagnosi istologica che dimostra la ' presenza di infiammazione acuta e/o cronica della { mucosa gastrica nella zona dove è stato effettuato il prelievo bioptlco. L’adeguato campionamento biopticoi sia dell'antro che del corpo/fondo è l'unico mezzo dia­ gnostico che cl permette di classificare correttamente Il quadro endoscopico gastrico.

/

La gastrlte, nella stragrande maggioranza del casi, è do-' /u ta aH'InfezIone da H. pylori. La gastrlte abitualmente ' non dà luogo a sintomatologia cllnica, può essere asso/ piata a sintomi dispeptici nel 20-30% del casi,



L'ulcera peptica è una malattia eronlca la cui sto­ ria naturale è caratterizzata da cicatrizzazioni, anche spontanee, e successive recidive e dalla comparsa ;; di complicanze talvolta mortali, come l'emorragia e la : perforazione.

J

Nel pazienti con ulcera gastrica o duodenale II sintomo; più frequente è il dolore epigastrico associato o meno ad altri sintomi come il senso di ripienezza postpran- ; diale o II bruciore retrosternale. In un terzo dei soggetti l’ulcera peptica non si associa ad alcun sintomo e si può presentare con una complicanza, come l'emorragia.

J

La terapia dell'ulcera peptica H. p y lo ri positiva si ba­ sa sull’eradicazione dell'H. p ylo ri mediante sommini­ strazione di farmaci antisecretori, gli inibitori di pompa protonlca, associati a due antibiotici (triplice terapia).

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L'infezione da H. p y lo ri si contrae nell’infanzia e quasi sempre persiste per tutta la vita. L'H. p y lo ri causa sem­ pre gastrite cronica e In sottogruppi di soggetti ò anche causa di ulcera peptica.

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La diagnosi di infezione da H. p ylo ri può essere fatta con test invasivi come il test rapido all'ureasi e l’esa­ m e istologico o test non Invasivi come II 1SC -U B T e il test fecale. Il 13C -U B T e il test fecale monoclonale con metodica ELISA sono altamente accurati sia nella diagnosi iniziale sia per verificare il successo della terapia antibiotica eradicante.

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27 D a m i da farmaci e stom aco FRANCESCO DI MARIO, ENZO IERARDI

OBIETTIVI DIDATTICI / Apprendere dati anamnestlcl, obiettivi e Iter diagnostico dei danni gastrici da farmaci. / individuare i principali farmaci che provocano danni gastrici. / Apprendere II meccanismo con cui I vari farmaci provocano I danni gastrici, I dosaggi e le vie di somministrazione legati alla gastrolesività. / Apprendere infine quali sono I presidi terapeutici per la prevenzione e la terapia dei danni gastrici da farmaci.

Introduzione Diversi agenti chimici sono stati associati all’insorgenza di danno a carico della m ucosa gastrica e duodenale. Pertanto, un a serie di pa­ tologie viene raggruppata sotto il nom e di “ga­ stropatie da farm aci”. Tale danno è oggettivato dal riscontro endoscopico di lesioni minime, come l’iperemia, fino a quadri di alterazioni più marcate, come erosioni e ulcerazioni. Clini­ camente lo spettro dei sintom i può variare da una sintom atologia dispeptica fino a un dolore francamente di tipo ulceroso e a episodi clinici drammatici quali em orragie digestive dovute al san g u in am elo di ulcere o di gastropatie erosi­ ve diffuse. Come l’endoscopia, anche l’istologia può m ostrare quadri caratterizzati da m odesta infiltrazione flogistica di tipo prevalentem ente polimorfonucleare o da ipeiplasia foveolare fi­ no alla presenza di una flogosi più m arcata o di intensa congestione della mucosa. La diagnosi si basa innanzi tutto sul sospetto clinico, in pre­ senza di una correlazione tem porale tra l’assun­ zione del farm aco e l’insorgenza dei segni della gastropatia. Altre cause di gastropatia (Helico­ bacter p ylori, anticorpi anticellule parietali e re ­ flusso biliare) devono essere escluse e il miglio­ ram ento che segue di solito la sospensione del farmaco può essere un ulteriore elem ento per rafforzare la diagnosi.

Fisiopatologia D m eccanism o flsiopatologico del danno ga­ strico da farm aci varia ovviam ente a seconda del farm aco coinvolto. Tuttavia, interviene in tutti i casi un’alterazione della barriera m ucosa gastrica che norm alm ente protegge la parete dello stom aco dai fattori aggressivi intraluminali, quali l’acido cloridrico e la pepsina. P ertan­ to, p rim a di illustrare i m eccanism i d’azione dei farm aci, è im portante accennare brevem ente a quest’ ultima. Gli elem enti base della barriera m ucosa ga­ strica sono: lo stato di m uco che form a un “film” sulla p arete, un norm ale turnover dell’epitelio, le prostaglandine (PG) e il m icrocircolo della la­ m ina pro p ria della mucosa. H “film” m ucoso che si tro v a sulla p arete della m ucosa dello stom aco è costituto da m ucine neutre p ro d o tte dalle cel­ lule colonnari dell’epitelio, che sono evidenzia­ bili con u n a positività all’acido periodico Schiff che conferisce loro una tipica colorazione in rosso. Il turnover epiteliale gastrico è dovuto a un rapido rinnovam ento delle cellule epiteliali, che avviene nell’arco di cinque giorni circa. In dettaglio, le cellule stam inali risiedono nel col­ letto ghiandolare al confine tra le foveole e le ghiandole gastriche e da questa sede migrano verso la superficie libera andando incontro a un p ro cesso di maturazione. Le cellule vecchie, inefficaci ad esercitare una protezione valida, vanno incontro a m orte program m ata a opera delle cellule del sistem a im m unitario (apoptosi). Un turn o v er efficace è dato da un bilancio equilibrato tra proliferazione e apoptosi. Le PG sono sostanze essenziali p er la barriera m uco­ sa gastrica stim olando la produzione di m uco e bicarbonati, assicurando un adeguato flusso em atico m ucosale e regolando sistem i di ripa­ razione e turnover cellulare. Il m icrocircolo gastrico, infine, può essere com prom esso, oltre che d a fattori locali, da malattie che alterano il sistem a circolatorio, quali il diabete mellito o l’aterosclerosi.

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I farm aci principalm ente coinvolti nella p ro ­ vocazione di un danno gastrico sono elencati nella tabella 27.1.

Tabella 27.1

Principali farmaci gastrolesivi - FANS: indometaclna, ketoprofene, naproxene, nimesulide, ketorolac, pìroxicam, diflunisal, Ibuprofene, paracetamolo (effetto molto blando) - Cortisonici -Anticoagulanti (aumentano li rischio di sanguinamento di lesioni già in atto): eparina, warfarin -Antiblastici - N-bifosfonatl -Antidepressivi -Antiaggreganti plastrinlci

Farmaci antinfiam m atori non steroidei (FANS) Secondo una stim a dell’Organizzazione Mon­ diale della Sanità (OMS), i FANS sono tr a i farm aci più usati al m ondo p er il trattam ento dell’infiammazione e del dolore. Inoltre, spesso l’assunzione non avviene sotto il controllo medico, m a p er “autom edicazione” da p arte del paziente in special m odo tr a la popo­ lazione anziana. L'uso dei FANS si associa a ben noti effetti collaterali sul sistem a gastrointesti­ nale quali dolore addominale, dispepsia, gastrite e duodenite erosiva, ulcera gastrica e duodenale, perforazione, emorragia, effetti che a volte pos­ sono anche essere fatali. La patogenesi del danno da FANS è legata a una duplice azione: topica e sistem ica.1 L’azione topica è correlata alla c apacità di le­ gare i fosfolipidi costituenti il m uco che riveste la superfìcie della m ucosa gastrica, aum entando così la perm eabilità di tale strato con retrodiffusione degli ioni idrogeno (H+) e danno m ucosale dovuto all’azione dell’acido intragastrico. L’azione sistem ica, invece, è determ inata dall’i­ nibizione delle ciclossigenasi (COX) enzimi re­ sponsabili della sintesi delle PG a p artire dall’aci­ do arachidonico. Esistono due varianti di questi enzimi: COX-1 e COX-2. La prim a rappresenta la forma costitutiva, responsabile della sintesi delle PG che, com e già riportato, agiscono a livello ga­ strico stim olando la produzione di m uco e bicar­ bonati, assicurando un adeguato flusso em atico m ucosale e regolando i sistem i di riparazione e di turnover cellulare dell’epitelio. La COX-1 svol-

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ge anche un ruolo im portante sul flusso renale e I sulla norm ale funzione delle piastrine. La; COX-2® è largam ente inducibile dall’infiammazione e si $31 ritiene che stimoli la produzione di p ro stag lan d k ® ne responsabili dei dolore e dell’infiammazione, fu I FANS inibiscono in m aniera n o n selettiv a'!! entram bi questi enzimi, sopprim endo lalsm tespS l fifdelle PG, che proteggono la m u co sa gastrica; ^ f i e favorendo l’insorgenza di u lcera gastrica e/o ìM. W: duodenale a volte com plicata con sanguinarne^ w to dovuto all’inibizione sulla funzione piastrini- f f | ca. Tale azione è risco n trata anche dopo s o m m a i nistrazione p arenterale di tali farm aci. Tr;a i vari / FANS usati l’ipobrufene e l’etodolac sono i me, | no tossici, m entre il ketoprofene e il piroxicam sono quelli più tossici a livello g a s tro in te stin a le ;^ L’uso dei FANS che inibiscono selettivam ente ^ la COX-2, sia quelli di p rim a generazione (celé-ff coxib e rofecoxib) che quelli di seco n d a gene- ? razione (etoricoxib, valdecoxib, parecoxib e '" lum iracoxib), si associa a u n a riduzione del rischio di ulcera. La base del m eccanism o è che, $ jj |f inibendo preferenzialm ente la COX-2, i coxib dovrebbero m antenere inalterato l'effetto antinfiam m atorio dei FANS tradizionali con minor ^ tossicità gastrointestinale dovuta al risparmio dell’azione sulla COX-1. I coxib, tuttavia, so n o ,1 controindicati in pazienti affetti d a patologie vascolari p erch é lasciano in alterata la sintesi del jj|| trom bossano con aum ento del rischio di trom- £• ; bosi. Il m eccanism o d’azione del danno gastrico indotto dai FANS è sintetizzato n ella figura 27.1.. • : H.

I Figura 27.1 Meccanismo d'azione del danno gastrico da FANS fans

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Inibizione delle COX-1 e 2

Riduzione della produzione di PG Aumento della produzione di leucotrienl e TumorNecrosis Factor(TNF)

C A P ITO LO 2 7 . D A N N I DA F A R M A C I E S T O M A C O

La prevenzione del danno gastrointestinale è ^ p o rta n te in quei ¡pazienti che richiedono una terapia a lungo term ine con FANS.12 P er tale scopo esistono varie opzioni; una può essere rappresentata dall’utilizzo di inibitori selettivi della COX-2, l’altra dalla som m inistrazione si­ multanea di FANS e inibitori di pom pa protoni­ ca È stato dim ostrato che entram be le opzio­ ni rappresentano una strategia efficace v olta a ridurre il rischio di; ospedalizzazione p er eventi acuti come em orragia o perforazione. Nel con­ testo dei FANS, l’aspirina, capostipite di questa famiglia di sostanze, m erita im a trattazione a parte p er alcuni aspetti particolari.

Aspirina

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num erosi studi sono sta ti rivolti all’uso di que­ sti farm aci in soggetti affetti da gastrite cronica attiva correlata alla p resenza del batterio. I dati disponibili dim ostrano che i pazienti eradicati dall’infezione gastrica da H elicobacter p ylori hanno una riduzione dell’incidenza dei danni ga­ strici da FANS rispetto a quelli con l ’infezione. La riduzione com unque è inferiore a quella otte­ n u ta quando i FANS sono associati agli inibitori di pom pa protonica. Sulla base di questi dati le linee-guida intem azionali ritengono appropriata l’eradicazione dell'H. p y lo ri, ove presente, in soggetti che sono destinati a un uso prolungato di FANS.

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Anche il m eccanism o con cui l’aspirina espleta il danno gastrico è duplice; tuttavia solo im o dei meccanismi, vale a dire l’azione di inibizione non selettiva della COXj è uguale a quello degli altri FANS. Il secondo effetto è legato alle proprietà chimiche del farm aco che, avendo un basso pK, a livello gastrico, dove è presente un pH acido, si trova in form a dissociata e si com porta come un acido, favorendo la retrodiffusione degli io­ ni H+ in aree di m inor resistenza della barriera mucosa. L’aspirina può causare ulcera anche alla dose minima di 10 mg. L’uso prolungato dell'a­ spirina da sola anche con un dosaggio al di sotto ¿ 150 mg/die può aum entare il rischio di compli­ canze gastrointestinali di 1,5-3 volte rispetto alla popolazione che non usa questi farmaci. Questo rischio aum enta ulteriorm ente (fino a 5 volte) se all’aspirina si associa un FANS non selettivo.3 Nei pazienti che richiedono terap ia croni­ ca con aspirina p er la prevenzione di m alattie cardiovascolari è preferibile associare a tale farmaco un inibitore di pompa. Dalle evidenze della letteratura sem brerebbe che l’utilizzo di questa terapia com binata appaia p iù sicuro, ai fini di eventuali danni gastrici, di quella con altri antiaggreganti piastrinici (ad esempio, Clopido­ grel). Infatti, gli inibitori di pom pa p rotonica po­ trebbero interferire con l’assorbim ento di questi ultimi, riducendone; pertanto, oltre alla gastrolesività, anche l'efficacia. Tuttavia, tale interfe­ renza non è ugualei p er tutti gli acido-inibitori, per cui attualm ente l’associazione è am m essa nella p ratica clinica per alcuni acido-inibitori (ad esempio, pantoprazolo) e a dosaggio basso (20 mg/die).

FANS ed Helicobacter pylori I FANS sono la ¡seconda causa di m alattia peptica dopo 1'Helicobacter pylo ri. Pertanto

Altri farm aci gastrolesivi La gamm a dei farm aci potenzialm ente gastro­ lesivi è riportata, come già riferito, neLla tabella 27.1. Passiam o brevem ente in rassegna i mec­ canism i d’azione di due categorie d ifa im a c i ga­ strolesivi m olto im piegati n ella p ratica clinica, cioè gli N-bifosfonati e gli steroidi.

N-bifosfonati La terap ia orale con N-bifosfonati è impiega­ ta nella prevenzione della riduzione della m assa o ssea dovuta all’assenza di p roduzione di estro­ geni nei soggetti di sesso fem minile in m enopau­ s a fisiologica e/o chirurgica e in altre condizioni associate a osteoporosi quali l’utilizzo cronico dì corticosteroidi.'4 Gli N-bifosfonati sono re­ sponsabili dell’insorgenza di esofagiti, erosioni e ulcere della m ucosa gastrica e rallentano il tem po di guarigione di lesioni presenti prim a del loro utilizzo. U n recen te studio h a evidenziato che l’effet­ to gastrolesivo, a differenza dei FANS, è dose­ dipendente p e r quanto concerne l’alendronato e il palendronato, Q uesto studio è stato condot­ to in vitro applicando direttam en te i farm aci su lla superficie m ucosa di un m odello ex-vivo di p arete gastrica. La som m inistrazione topica di 20-30 mg/ml di tali farm aci h a cau sato dan­ no epiteliale (necrpsi superficiale delle foveole ta lo ra estesa ad alcune ghiandole), m entre l’ap­ plicazione di im a dose m inore 3 mg/ml n o n ha determ inato sostanziali alterazioni. Lo stesso studio ha m esso in luce com e la patogenesi del danno m ucosale d a N-bifosfonati sia indipen­ dente dagli effetti che questi farm aci hanno sul m icrocircolo. L’uso di questi farm aci induce i n vivo l'in­ sorgenza di un danno istologico. Inoltre, non

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M A N U A LE DI G A S T R O E N T E R O L O G IA 2 0 1 3 -2 0 1 5

esistono evidenze che gli N-bifosfonati abbiano interazioni con le PG a differenza di ciò che è sta to riscontrato p er i FANS.

Steroidi È noto da tem po che il trattam ento con ste ­ roidi, largam ente impiegato p e r vari scopi te ra ­ peutici, aum entali rischio di sviluppo di lesioni com plicate da emorragie e perforazioni, a livello del tratto superiore dell’apparato gastrointesti­ nale, Rimane, tuttavia, d u b b ia i effettiva capaci­ tà di questi farm aci di d ar luogo a lesioni de no­ vo di tipo ulcerativo, È, invece, docum entata la loro capacità di ritardare la guarigione di lesioni erosive causate da altri fattori. P e r tali motivi è preferibile som ministrarli in m onoterapia. Infat­ ti, un recente studio docum enta che u n a terap ia com binata con steroidi a dosi m edio-basse as­ sociati a FANS a dosi elevate determ ina u n si­ gnificativo aum ento del rischio di complicanze gastrointestinali. Lo stesso studio, valutando gli effetti del prednisone, steroide m aggiorm ente p rescritto e indicato p er il trattam ento di im a v asta gamm a di patologie (m alattie infiamma­ to rie croniche intestinali, broncopatie croniche ostruttive, artriti, asm a), sottolinea il fatto che le com plicanze gastrointestinali che derivano dall’assunzione di tale farm aco sono uguali p er dosi com prese tra 10-30 mg e p er dosi inferiori a 10 mg in pazienti di qualsiasi età anche se il ses­ so femminile risulterebbe più a rischio di quello maschile. Il rischio di danno gastrico d a steroidi, a dif­ ferenza di quello d a FANS, cam bia a seconda della via di som ministrazione. È maggiore se gli steroidi vengono som m inistrati p e r via orale, m inore se som m inistrati per aerosol e ancora m inore se som m inistrato p e rv ia parenterale. P e r quanto concerne il m eccanism o del dan­ no gastrico da steroidi, essi possono aum entare la secrezione di acido cloridrico, riducendo al tem po stesso quella del m uco che ha la funzione di proteggere il tessuto gastrico. Q uesta secon­ da azione sarebbe m ediata d a u n a riduzione del tu rnover epiteliale.6 Di conseguenza, la m ucosa di rivestim ento può irritarsi, inducendo l’esacerbazione di ulcerazioni m ucose.

Altri farmaci U na potenziale gastrolesività v a riconosciuta a quei farm aci che interferiscono con la coagu­ lazione quali gli antiaggreganti piastrinici (cui abbiam o fatto cenno nel paragrafo dedicato

all’aspirina) e gli anticoagulanti, quali l’eparina e il warfarin. Un’altra categoria di farm aci gastrolesivi so­ no gli antidepressivi, in p articolare gli inibitori della ricaptazione della serotonina, come là fluorexitìna, che tra l’altro hanno il p o tere di pò-, tenziare l’azione gastrolesiva dei FANS. Infine, non va tra sc u rata la gastrolesività dei farm aci antiblastici.

CONCETTI CHIAVE /

DI fronte a un paziente con sintomatologia dolorosa ri-; ';$> ferita all’addome superiore, epigastralgla o emorragia digestive, bisogna nell'anamnesi tenere in considerazione la possibilità di assunzione di farmaci gastrolesivi. ^ | |

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I farmaci gastroleslvi più importanti sono i FANS: tali 3'-' farmaci hanno un effetto che non dipende né dal dosaggio, né dalla modalità di somministrazione. i|f|

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In presenza di un paziente candidato a fare uso croni- | s j co di FANS bisogna considerare un trattamento collaterale profilattico con inibitori della pompa protonica e J f la necessità di eradicare \'H. p ylo ri, se presente.

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GII N-bifosfonati, gli steroidi, gli anticoagulanti, gli antidepressivi e gli antiblastici sono potenziali fattori pa- -‘M §f togenetici di danni gastrici de novo o di complicanze di lesioni preesistenti, per cui si raccomanda un trattamento di profilassi con inibitori di pompa che, tuttavia, i f deve essere valutato alla luce di possibili interazioni con assorbimento e/o azione del farmaco gastrolesivo.

...... ......... ..................................V

Bibliografia 1. Kim HC, Lee MC, Moon YW, et al. The pattern of use of oral NSAJDs with or without co-prescrip­ tion of gastroprotective agent for arthritic knee by Korean practitioners. Knee Surg Relat Res 2011;23:203-7. 2. Valkhoff VE, van Soest EM, Mazzaglia G, et al. Ad­ herence to gastroprotection during cyclooxygenase-2 inhibitor use and the risk of upper gastroin­ testinal events: a population-based study. Arthritis t* Rheum 2012;64:2792-802. 3. Agtindez JA, Martinez C, P6rez-Sala D, Carballo M, • y i \J.5/ Torres MJ, Garcia-Martin E. Pharmacogenomics in . aspirin intolerance. Curr Drug Metab 2009; 10:9981008. 4. Khosla S, Bilezikian JP, Dempster DW, et al. Bene­ fits and risks of bisphosphonate therapy for osteo­ porosis. J Clin Endocrinol Metab 2012;97:2272-82. ;i- ?■ 5. Bebenek IG, Solaimani P, Bui P, Hankinson O. CY- §1 1 P2S1 is negatively regulated by corticosteroids in 'U'‘! human cell lines. Toxicol Lett 2012;209:30-4. it

If

28

Em orragie digestive R O B E R T O D E F R A N C H IS , A L E S S A N D R A D E L L ’E R A

OBIETTIVI DIDATTICI / Trattare la gestione del paziente con emorragia

digestiva aia acuta che cronica, / Descrivere le principali cause di sanguinamento In termini di epidemiologia, diagnosi e terapia nonché le principali metodiche utili nella diagnosi e nella terapia del sanguinamento digestivo.

introduzione Con il term ine di em orragia digestiva si in­ tende qualunque episodio di sanguinam ento di origine dal tubo digerente. Si distinguono em or­ ragie digestive superiori, che originano a m onte del legam ento di Treitz, ed emorragie digestive inferiori, che originano a valle dello stesso. In circa il 5% dei casi, però, non si riesce a identi­ ficare la sede del sanguinam ento m ediante l’e­ secuzione di esam i endoscopici convenzionali (esofagogastroduodenoscopia o EGDS, e ileocolonscopia); in questi casi si parla di em orragia digestiva di origine oscura. Secondo dati del Mi­ nistero della Salute, nel 2005 in Italia l’incidenza di ricoveri p e r em orragia digestiva superiore è stata di 60/100.000/anno; quella p er em orra­ gia digestiva inferiore è stata di 30-40/100.000/ anno. La m ortalità correlata a un episodio di emorragia digestiva superiore è di circa 8-10%, valore che è rim asto stabile negli ultimi 40 anni e che è fortem ente dipendente dalla causa del sanguinamento e dalla presenza di comorbilità. L’emorragia digestiva inferiore h a una prognosi migliore con un tasso di m ortalità inferiore al 5%. I sanguinam enti di origine oscura hanno in genere un andam ento cronico/interm ittente e sono di solito gravati da un a m inore m ortalità.

distinguono, pertanto, le seguenti m odalità di presentazione. - E m a tm e s v , em issione di sangue con il vomì’ to; di colore rosso vivo o bruno-nero (caffeano) quando il sangue ristagnato nello stom a­ co è stato alterato dall’acido cloridrico. - M elena: em issione di feci n ere (per la degra­ dazione dell’em oglobina a em atina n e l tratto intestinale), liquide o semiliquide, m aleodo­ ranti in m odo caratteristico. - E m atochezia: em issione di sangue ro sso vivo con le feci. - Pì'octorragia: em issione dal retto di sangue rosso vivo o rosso bruno, da solo o m isto a coaguli. - S a n g u in a m en to occulto: non visibili tracce em atiche riscontrabili solo con la ricerca del sangue occulto fecale. - S egni c lin ic i secondari alla p erd ita d i sa n gue i n a ssenza d i sa n g u in a m en to evid en ­ te (ad esem pio, in caso di em orragia acuta m assiva, quando il sangue n o n è stato ancora em esso dagli orifizi naturali): ipotensione or­ tostatica, angina, dispnea, shock. In genere la m elena è espressione di u n san­ guinam ento digestivo superiore e l’em atochezia o la p roctorragia di un sanguinam ento digestivo inferiore. In caso di sanguinam ento massivo dal tratto digestivo superiore il sangue, che h a un effetto catartico, p rocede velocem ente lungo il tratto intestinale dando luogo all’em issione di sangue rossastro dall’ano (m elena rossa). Di converso, in caso di transito intestinale rallen­ tato, un sanguinam ento dall’ileo o dal colon de­ stro può m anifestarsi con la com parsa di m ele­ n a e non di em atochezia/proctorragia.

Inquadramento del paziente con emorragia digestiva

Presentazione clinica La presentazione clinica dipende dalla se­ de del sanguinam ento, dall’entità della p erdita ematica e dalla velocità con cui essa avviene. Si

Di fronte a un paziente con em orragia digesti­ va bisogna innanzitutto pensare alla su a stabi­ lizzazione e successivam ente alla diagnosi e alla terap ia della fonte del sanguinam ento.1 Si deve

innanzitutto valutare l’urgenza della situazione m isurando la pressione arteriosa sistolica e la frequenza cardiaca in clino- e ortostatism o per verificare la presenza di ipotensione o rtosta­ tica. Può essere utile calcolare lo shock in d e x (frequenza cardiaca in battiti/m inuto/pressione arteriosa sistolica in mmHg); valori tr a 0,6-0,7 sono normali; tra 0,7 e 1 devono indurre a un m onitoraggio stretto e valori >1 sono indicativi di instabilità emodinam ica. Altri param etri da m onitorare sono l’ossim etria e la diuresi oraria. È im portante anche stim are la p e rd ita ema­ tica p e r poterla reintegrare nel m odo p iù ap­ propriato. A seco n d a della gravità della p erdita em atica avrem o alterazioni più o m eno m arcate della pressione sanguigna, della frequenza car­ diaca e la com parsa di segni e sintom i caratteri­ stici sulla base dei quali sarem o in grado di sti­ m are com e e in che m isura dovrem o ripristinare la volem ia (tabella 28.1). Nella gestione del paziente em orragico si devono incannulare almeno 2 vene periferiche, eventualm ente in caso di sanguinam ento m assi­ vo posizionare un catetere venoso centrale ed eseguire prelievi di sangue p e r em atocrito, test di coagulazione (PT, PTT), piastrine, gruppo sanguigno e prove di compatibilità. Fondam en­ tale è ricordare che il valore iniziale di em atocri­ to è un cattivo indicatore della p erd ita em atica acu ta in quanto col sanguinam ento si p erd e sia la com ponente corpuscolata che quella liquida del sangue in eguali proporzioni. In circa 24-72 ore si h a il richiam o dal com parto extravasco­ lare di liquidi p e r ripristinare la volem ia e si

assiste alla riduzione del valore di ematocrito. Nel caso di p erdita em atica cronica, invece, l’em atocrito è un buon indicatore della;, perdita f i ematica. La decisione di trasfondere il paziente V si b asa sulla presenza di vari elem enti: instabili- ' tà di polso e pressione, segni di sanguinamento ^ ì p ersistente (em atem esi, sangue ro sso dal son­ dino naso-gastrico, ematochezia), età avanzata, $$ coesistenza di patologie che rendano pericoloso :.|g il p rotrarsi dell'anem ia (cardiopatia ischemica, insufficienza vascolare cerebrale). La trasfusione è preferenzialm ente di emazie concentrate ^ avendo com e obiettivo di m antenere valori di ® em atocrito superiori al 30% n el paziente anzia^ no e 20% nel paziente giovane. La trasfusione di •. ¡ì & plasm a e/o piastrine va riservata ai casi di traf1 sfusione di grandi q uantità di sangue o di altera- $■' zioni della coagulazione. Oltre al ripristino della m assa circolante, bisogna prestare particolare attenzione alla p resenza di alterazioni dell’equi­ librio acido-base. L’ipossia cellulare, infatti, può ■, determ inare la produzione di lattati e quindi l’in£ staurarsi di acidosi m etabolica. Nel caso in cui ripovolem ia causi un'ipotensione m arca ta deve , ' :• essere utilizzato u n farm aco aminosimpaticomim etico (dopam ina, adrenalina o noradrenalina). ■

Valutazione clinica e localizzazione della sede del sanguinamento M entre si stabilizza il paziente è necessario effettuare u n ’anam nesi e u n esam e obiettivo accurati. In prim o luogo an d rà v alu tata l’e tà del &■

Tabella 28.1

Classificazione della gravità dell’emorragia e conseguente correzione emodinamica con infusione di liquidi (ATLS modificata) COLEMIA PERSA N % E IN ML Sequenza cardiaca

15% 750 ML

15-30% 750-1000 ML

30-40% 1500-2000 ML

>40% >2000 ML >140

120

Normale

Normale

30

20-30

5*15

Sclerosi multipla ■Malattie delI’SNC

Quadro clinico e diagnosi Si distinguono tre gradi di incontinenza: in­ continenza ai gas, incontinenza alle feci liquide e incontinenza alle feci solide. Precise inform a­ zioni anam nestiche e un accurato esam e digita­ le anorettale guideranno l’iter diagnostico stru­ m entale (tabella 35.2). L’esam e digitale consen­ te di valutare il tono anale a riposo e durante la contrazione volontaria e di escludere eventuali patologie organiche, quest’ultim e poi verificate meglio con una retto sco p ia L’ecografia tran sre t­ tale e la RMN della pelvi consentono di valutare l’integrità delle stru ttu re anatom iche che con­ trollano la continenza fecale. La m anom etria anorettale e l'elettrom iografia (EMG) p erm etto­ n o di valutare la funzionalità della m uscolatur a anale e del pavim ento pelvico. La m anom etria

H prim o approccio nel trattam ento dell’incontinenza fecale ha l'obiettivo eli regolare la defecazione attraverso una dieta ricca di fibre efficaci ad aum entare la consistenza della m assa fecale, Se necessario possono essere im piegati anche' farm aci anti-djarroici. Successivam ente va pro­ p osto un trattam ento riabilitativo m uscolare del pavim ento pelvico m ediante biofeedback. Con’ tale m etodica i pazienti vengono istruiti e alj^ nati a percepire anche piccoli volumi di aria inv m essi in u n palloncino posizionato nell’ampolla“:': rettale e a rispondere con u n a contrazione vó- ,, lontaria dello sfintere anale esterno. Il successo ottenuto con questo trattam ento v aria dal 60 al 70%, m a richiede u n a forte motivazione del pa­ ziente. Buoni risultati si possono o tten ere anche S con la tecn ica della stim olazione (neuromodula- . zione) del nervo sacrale. Nell’incontinenza do-‘ v uta a lesione traum atica dello sfintere anale è indicato un intervento di riparazione chirurgica con su tu ra dello sfintere anale o un intervento di p lastica rico stru ttiv a

CONCETTI CHIAVE /

Per prolasso anale si Intende la fuoriuscita dall’ano di emorroidi, mucosa rettale o retto. Terapia medica e trattamenti ambulatoriali devono essere sempre con­ siderati.

/

La malattia emorroidaria è una patologia molto fra- • quente, classificata in 4 gradi. Le terapie di scelta nelle emorroidi di l-ll grado sono la sclerosi e le legature ela­ stiche. Meno del 1 0 % dei pazienti necessita di inter­ vento chirurgico.

/

La ragade anale è una patologia frequente rappresen- ' tata da un’ulcerazione longitudinale del canale anale che causa dolore durante e dopo la defecazione. La terapia include farmaci miorilassanti topici, dilatatori anali, infiltrazioni locali di tossina botulinlca o sfinterotomia parziale laterale dello sfintere anale interno.

/

Le proctiti sono un’infiammazione acuta o cronica del­ la mucosa del retto. Possono essere infettive (trattate con specifici antibiotici e antivirali) e non Infettive (trat­ tate con formulazioni topiche di farmaci antinfiamma­ tori).

/

GII ascessi e le fistole perianall vengono classificati in base al loro rapporto con gli sfinteri anali. Gli ascessi vanno drenati. Le fistole vanno trattate da un chirurgo esperto del settore.

/

L’incontinenza fecale ha un severo Impatto negati­ vo sulla qualità di vita. Le cause più frequenti sono i

Tabella 35.2

Indagini diagnostiche per l'incontinenza fecale Per valutare la struttura e la funzione anorettale - Esame digitale anorettale - Rettoscopia - Ecografia trans-anale - Defecografia - RMN della pelvi e tefeco-RMN Per valutare la funzione anorettale - Manometria anorettale - EMC del muscoli puborettall e sfintere anale esterno - Latenza motoria del nervo pudendo

C A P IT O L O 3 5 . PA TO LO G IA A N O R ETTA LE

traumi da parto e da chirurgia anorettale, miopatie e lesioni neurologiche centrali o periferiche. La terapia comprende la riabilitazione muscolare del pavimento pelvico mediante biofeedback, la neuromodulazione sacrale e la chirurgia riparativa.

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Diarree e mal assorbimenti I

36 Meccanismi e approccio alla fisiopatologia delia diarrea FLAVIO CAPRIOLI, VITO C OR LETO , GIUSEPPE FRIERI

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OBIETTIVI DIDATTICI /

Comprenderà la corretta definizione di diarrea.

/

Comprendere i principali meccanismi fisiopatologici all’origine della diarrea.

/

Comprendere le principali eziologie responsabili delle differenti forme di diarrea.

/

Conoscere l'inquadramento clinico Iniziale del paziente con diarrea.

Premessa Ogni giorno nell’intestino si riversano circa dieci litri di liquidi, som m a di quelli ingeriti e quelli secreti. H 99% di questi fluidi viene assor­ bito nel corso delle 24 ore, con il risultato finale che circa 100 mi vengono espulsi con le feci (fi­ gura 36.1).

Figura 36.1 Bilancio di liquidi in condizioni fisiologiche nel tratto digestivo 1200 mi liquidi Ingeriti al giorno

1500 mi secrezioni salivari

2000 mi secrezioni gastriche

Qualsiasi m eccanism o in grado di aumentare le secrezioni, ridurre l’assorbim ento o, trattenere osm oticam ente fluidi nel lum e intestinale può determ inare un aum ento della p erd ita fecale di liquidi con conseguente com parsa di diarrea.

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Definizione P er diarrea si intende un aum ento del peso fecale dovuto p er lo più a un maggiore' contenu­ to di acqua, che può essere associato variabil­ m ente ad un aum ento del num ero di defecazioni e ad u n a riduzione della consistenza delle feci. ' m Di norm a, nelle nazioni industrializzate, il peso fecale dovrebbe essere inferiore a 200 grammi al giorno, anche se possono esistere variazioni tr a individui diversi legate a particolari abitudi­ n i alim entari o diversi stili di vita. Ad.esempio, soggetti che assum ono un elevato contenuto di fibre vegetali con la dieta possono presentare fisiologicam ente un peso fecale uguale o su­ perio re ai 300 grammi. Particolare attenzione ív v a p o sta n el non confondere la d iarrea con la sem plice riduzione della consistenza delle feci, l’incontinenza o il tenesm o. Indispensabile e pri­ o ritaria in questo caso è la sem plice valutazione del peso delle feci em esse nelle 24 ore. La d iarrea è un sintom o e non u n a malattia, e quindi non va tra tta ta di prim a intenzione, a par­ te quando si rendano n ecessari una reidratazio­ W ' n e urgente e un riequilibrio elettrolitico, come può accadere nelle form e più severe.

I

600 mi di bile 1500 mi secrezioni pancreatiche 1500 mi secrezioni Intestinali iA * (preval, piccolo Intestino)

100 mi di escrezione di liquidi

con le feci

Epidemiologia La diarrea, in particolare la form a acuta, è un p roblem a largam ente diffuso in tu tti i Paesi del mondo, ed è gravata da u n ’elevata m orbilità e m ortalità. Nei Paesi in via di sviluppo si registra an co ra una m ortalità di 5 milioni/anno, il 50% riferito a bam bini di età inferiore a 5j anni. Nei Paesi industrializzati la m ortalità è bassa, m a la d iarrea acu ta rap p resen ta la causa più comune di ricovero in ospedale di soggetti in età pedia-

6

■M ■44?

trica. La d iarrea cronica interessa il 6% della po­ polazione occidentale e rap presen ta 11,596 delle cause di ospedalizzazione negli adulti:

Meccanismi fisiopatologici -

...

.

;

' L'aumento del contenuto fecale di acqua può essere secondario aU’instaurarsi di diversi m ec­ canismi fisiopatologici: - diarrea secretoria; - diarrea d a aum entato carico osmotico; - diarrea infiammatoria; - diarrea motoria; - diarrea d a maldigestione. La c o n o sc e rla di questi m eccanism i è p arti­ colarmente im portante poiché ;ognuno di essi è alla base di 'differenti form e idi diarrea, con differente quadro clinico, severità e approccio terapeutico. Tuttavia, è da notare com e nella pa­ togenesi della m aggior p arte dei casi cooperino due o più dei m eccanism i sopracitati.

Diarrea secretoria La diarrea secretoria è caratterizzata da una secrezione n etta di anioni (cloro o bicarbonato) o da un’inibizione dell’assorbim ento netto di so­ dio. Gli stimoli p er la secrezione intestinale di io­ ni provengono dal lum e intestinale, dallo spazio subepiteliale o !dalla circolazione sistem ica. La causa più com une di diarrea secretoria è rappre­ sentata dalle infezioni. Oltre a vìitis e tossine b at­ teriche (enterotjossine), anche altri agenti posso­ no aum entare la secrezione intestinale, tra cui farmaci, ormoni, neurotrasm ettitori, prostaglandine e acidi biliari (tabella 36.1).:Questi agenti si legano a specifici recettori di m em brana localiz­ zati a livello dèlia porzione apicale delle cellu­ le epiteliali intestinali. Il legame con i recettori determ ina l’attivazione di enzimi intracellulari quali l’adenilatq rid a si, la guanilato cuciasi e la fosfolipasi C. L'attivazione di questi enzimi por­ ta alla produzione di elevate quantità di secondi messaggeri intracellulari: cAMP,: cGMP e calcio che, attraverso l ’attivazione a cascata di specifì* che proteinchinasi, determ inano la fosforilazione di proteine tìi trasporto, aum entano la con­ duttanza della m em brana apicale al cloro e della m em brana basólaterale al potassio (figura 36.2). Il m eccanism o sop ra descritto rappresenta l’ele­ mento centrale! della diarrea secretoria. Infatti, la grande quantità di cloro endoluminale p rodot­ to da q uesta ipersecrezione rappresenta la forza trainante p e r la conseguente, passiva, secrezione paracellulare di! sodio, potassio è acqua.

Tabella 36.1

Principali cause di diarrea secretoria Sindromi congenite (cloridrorrea congenita) Tossina batterle tie Malassorbimento di acidi biliari Vascullti Farmaci e tossina - Antiacidi (ad esempio contenenti magnesio) - Artiaritmici (ad esempio efiinidina) - Antibiotici - Antipertensivi (ad esemplo p-bloccanti) - Antinfiammatori (ad esemplo FANS, sali d'oro) - Agenti antineo pia stei - Agenti antiretrovirali - Antiacidi (antl-H2, Inibitori di pompa protonica) - Colchlclna - Analoghi delle prostaglandine - Teoflllina - Prodotti a base di erbe - Metalli pesanti Abuso di lassativi (stimolanti} Neoplasie neuroendocrine (gastrinoma, VIPoma, somatostatinoma, sindrome da carcinolde, carcinoma midollare della tiroide) Neoplasie (carcinoma del colon, linfoma, adenoma villoso) Diarrea secretoria idiopatica - Epidemica (diarrea di Brainerd) - Sporadica

Figura 36.2

Principale meccanismo responsabile di diarrea secretiva

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Oltre alla stim olazione della secrezione, le enterotossine p ossono anche determ inare il bloc­ co di specifici m eccanism i di assorbim ento. È n oto com e la maggi or p arte delle enterotossine possa infatti inibire lo scam bio sodio-idrogeno a livello del piccolo intestino e del colon, bloccan­ do così u n a delle maggiori forze trainanti l’as­ sorbim ento di fluidi. L a grande quantità di acqua

234

M A N U A L E D I G A S T R O E N T E R O L O G IA 2 0 1 3 -2 0 1 5

ed elettroliti intraluminale viene em essa con le feci producendo una form a di diarrea che si caratterizza p er la perdita fecale di abbondanti quantità di cloro, sodio, bicarbonato e acqua, e in m inor m isura di potassio, un gap osm otico ri­ dotto e l’aum ento del pH delle feci. È stato infat­ ti dim ostrato come l’ipopotassiem ia riscontia­ bile in questa condizione deriva per la maggior p a rte da una perdita urinaria di potassio, p er ¡'instaurarsi di un iperaldosteronism o seconda­ rio alla perdita di sodio e liquidi. Ne risulta ima d iarrea con feci acquose e volum inose (>1000 ml/24 ore), con disidratazione, acidosi m etaboli­ ca e negativa risposta al te st del digiuno.

Diarrea osmotica È legata alla presenza di elevate concentra­ zioni di sostanze osm oticam ente attive nel lume intestinale, con conseguente richiam o di acqua d alla parete intestinale. Infatti, né il piccoLo inte­ stino né il colon hanno la capacità di instaurare e m antenere u n gradiente osm otico. Dal punto di vista fisiopatologico, qualora l’osm olarità endolum inale intestinale superi di 100 mOsm/kg quella piasm atica, si determ ina u n a secrezione n e tta di acqua nel lume, superiore al m ovim ento o pposto legato all’assorbim ento di sodio. Le for­ m e più note e frequenti di diarrea osm otica so­ no quelle determ inate dall’assunzione di alcuni lassativi (polietilenglicole e sali di magnesio, di solfato e di fosfato), d a introduzione di sostanze osm oticam ente attive (ad esem pio sorbitoLo con gom m e da m asticare e dolcificanti., glutam m a­ to ), da m alassorbim ento di carboidrati per cau­ se sia congenite (ad esem pio deficit di lattasi) che acquisite (ad esempio deficit di lattasi tra n ­ sitorio post-infettivo). E noto infatti come solo i m onosaccaridi, m a non i disaccaridi, possano essere assorbiti intatti attraverso la m em brana apicale intestinale. L’assenza di disaccaridasi d eterm ina pertanto il m ancato assorbim ento dei disaccaridi assunti con la dieta, quali il saccaro­ sio e il lattosio, e quindi il possibile sviluppo di d iarrea con m eccanism o osm otico. Dal punto di v ista clinico, in questa diarrea le concentrazioni fecali di sodio, potassio, cloro, bicarbonato, so ­ no più basse rispetto al norm ale, m entre risulta aum entato il gap osm otico. La diarrea osm otica è an ch ’essa acquosa, m a m eno volum inosa del­ le secretoria (500-1000 ml/24 ore) e non si ac­ com pagna a rilevanti alterazioni elettrolitiche € deU'equilibrio acido-base. La form a regredisce co n il digiuno, venendo a m ancare nel lume l'a­ gente osm oticam ente attivo e responsabile del quadro clinico.

Diarrea infiammatoria Le diarrea infiammatoria si determ ina a seguito di danni all'epitelio intestinale, associato a in­ fiammazione della mucosa, di origine idiopatica o autoimmune, da ipersensibilità, da infezioni, da farmaci, da radiazioni o ischemia. La risposta della m ucosa intestinale al danno dell’epitelio è seguita da iperplasia com pensatoria delle cripte, con riepitelizzazione della m ucosa ad opera di cellule assorbitive im mature. Queste determi­ nano un ridotto assorbim ento di cloro, sodio e quindi di acqua. Queste cellule m ostrano anche u n a rid o tta attività enzim atica (disaccaridasi, peptido-idrolasi) che contribuisce ad aggravare la diarrea determ inando l’instaurarsi di un mec­ canismo osmotico. Inoltre, in queste condizioni m orbose, il danno epiteliale risulta associato a un aum ento dell’infiltrato della p arete intestina­ le da p arte di cellule del sistem a immunitario, quali macrofagi, granulociti neutrofili ed eosinofili, m a si cells, linfociti e plasmacellule. Queste cellule contribuiscono alla p erdita di fluidi attra­ verso il rilascio di p otenti stim olanti della secre­ zione intestinale, quali citochine, eicosanoidi, ra­ dicali liberi, ossido nitrico, istamina, serotonina, adenosina e tachichinine. Un’ulteriore perdita di fluidi si produce in caso di infiammazione seve­ i m i ra, quando nella m ucosa intestinale si formano estese ulcere con essudazione di p roteine e san­ gue. Un classico esem pio di diarrea infiammato­ ria cronica è quella che si sviluppa nelle malattie infiam matorie croniche intestinali, quali la rettocolite ulcerosa e la m alattia di Crohn.

Diarrea motoria I fluidi e le sostanze introdotte con la dieta, p er essere assorbite necessitano di un adegua­ to tem po di contatto con l’epitelio intestinale. P ertanto, condizioni m orbose, associate a un ridotto tem po di transito intestinale, possono collegarsi alla com parsa di diarrea. Tale mecca­ nism o può ad esem pio evidenziarsi nel diabete mellito o dopo u n a vagotomia, condizioni che possono collegarsi a un aum ento della velocità di transito secondario a un danno del sistema nervoso enterico, nell’amiloidosi, nell’ipertiroidismo. Da rilevare infine com e anche condizioni m orbose associate a una riduzione della motilità intestinale possano favorire la com parsa di diar­ re a attraverso un aum ento della colonizzazione b atterica dell’intestino tenue (sindrom e da ipercrescita b atterica o sindrom e dell’ansa cieca), com e in pazienti affetti da sclerosi sistemica, pseudostruzione intestinale, gastroresezione, diverticolosi digiuno-ileale, by-pass intestinali.

C A P IT O L O 3 6 . M E C C A N IS M I E A P P R O C C IO A LLA F IS IO P A T O L O G IA D E LLA D IA R R E A

Diarrea da maldigestione In corso di alcune condizioni m orbose, co­ me la pancreatite cronica, l’assenza di enzimi pancreatici o di sali biliari nel lum e intestinale può determ inare un deficit della digestione ed emulsione dei grassi e digestione delle proteine assunte con la dieta, con conseguente sviluppo di una form a di diarrea caratterizzata da elevata concentrazione di lipidi e proteine (steato rrea o creatorrea), C aratteristiche analoghe h a la diar­ rea che insorge in caso di linfangectasia, patolo­ gia caratterizzata dalla presenza di alterazioni, su base congenita o acquisita, dei vasi linfatici intestinali, e associata ad aum entata p erd ita en­ terica di proteine e lipidi. Le resezioni intestinali possono causare diar­ rea per riduzione della superficie della m ucosa intestinale deputata all’assorbim ento. General­ mente, ad eccezione della form a severa (sindro­ me deH’intestino corto), questa diarrea è transi­ toria perché col tem po intervengono fenom eni adattivi (ipertrofia com pensatoria), in grado di compensare la rid o tta superfìcie e consentire il ripristino di un adeguato assorbim ento. Nel caso di resezione dell’ileo distale può generarsi diarrea p er il m ancato assorbim ento degli acidi biliari coniugati, funzione cui solo l’ileo distale è deputato, che raggiungendo il colon possono stimolare la secrezione di fluidi. Come riportato, ognuno dei m eccanism i de­ scritti può generare accum ulo di fluidi nel lume intestinale, e quindi diarrea. È però bene ricorda­ re come nessuno di questi agisca isolatamente. Ad esempio, i m eccanism i responsabili dell’ipersecrezione possono causare un m alassorbim ento di sodio; similm ente quelli che generano ridot­ to assorbim ento possono determ inare accum ulo di soluti nel lume, che di conseguenza produ­ cono un effetto osm otico. Infine, un aum entato volume luminale può essere di stim olo ad un’aumentata motilità o, in caso di m alassorbim ento, la diarrea si genera sia p er un aum entato effetto osmotico dei carboidrati non assorbiti che p er l’ipersecrezione indotta dal m alassorbim ento de­ gli acidi grassi a catena lunga Pertanto, di fronte a un caso di diarrea, non è sem pre facile indivi­ duare il m eccanism o fisiopatologico sottostante. Tuttavia, l’individuazione del m eccanism o pre­ minente può contribuire a identificare il corretto percorso diagnostico e terapeutico.

Diagnosi Per una corretta diagnosi, è necessario con­ siderare la durata del sintomo, il volum e fecale, la presenza di sintom i concom itanti (dolore ad­

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dominale, febbre, calo ponderale, ecc.), che pos­ sono orientare verso la diagnosi di origine della diarrea (infiam matoria vs osm otica, del tenue vs del colon) e aiutare nella discrim inazione fra diarrea funzionale e o rganica In questo m odo è possibile restringere progressivam ente il campo delle ipotesi diagnostiche, perm ettendo la pre­ scrizione di esam i più m irati in m odo da ridurre tem pi e costi, ottim izzando il processo diagnosti­ co, Nelle form e più gravi è necessario adottare da subito un trattam ento correttivo dei deficit di n atura idroelettrolitica, che possono insorgere indipendentem ente dalla patologia di base,

Durata La diarrea viene com unem ente definita acu­ ta quando la su a d u rata è inferiore alle quattro settim ane. Nel 70% dei casi una d iarrea acuta presen ta un’origine infettiva o tossinfettiva (in­ fezioni batteriche, virali, parassitarle, fungine); nel restante 30% dei casi si risco n tra u n ’origine n on infettiva (intossicazioni alim entari non in­ fettive, intolleranze o allergie alim entari, farm a­ ci, radiazioni, patologie vascolari intestinali). In u n a percentuale rilevante di casi di d iarrea acu­ ta acquisita in com unità non viene stabilita con certezza la c au sa eziologica. La d iarrea si definisce invece cronica quando la su a d u rata è superiore alle quattro settim ane. Le cause di d iarrea cronica infiam m atoria inclu­ dono le m alattie infiam m atorie croniche inte­ stinali (colite ulcerosa, m alattia di Crohn, coliti m icroscopiche), la m alattia celiaca, e alcune en­ terocoliti infettive, quali il C lostridiu m difficile, il citom egalovirus nel paziente im m unodepresso, la Y ersinia enterocolitica, e alcune parassitosi intestinali. Cause di d iarrea cronica non infiam m atoria includono l’assunzione cronica di lassativi, il deficit di disaccaridasi, l’assunzione di carboidrati non assorbibili, alcol, farm aci, la sindrom e d a ipercrescita b atterica del tenue, endocrinopatie, tum ori endocrini, deficit o ma­ lassorbim ento dei sali biliari, pan creatite croni­ ca, carcinomi del pancreas, pregressi interventi chirurgici sull’apparato digerente.

Caratteristiche delle feci Generalm ente, in corso di d iarrea le feci non sono formate. P ossono essere com pletam ente acquose, semiliquide, o sem iform ate. Le feci ac­ quose, specialm ente quando superano 1000 cc, sono tipiche delle diarree secretorie, caratteriz­ zate da una grande concentrazione, e quindi per­ dita, di elettroliti fecali. Nella diarrea osm otica, i soluti poco assorbiti determ inano il peso osmo­

tico, e in genere il volum e fecale risulta alto, m a inferiore a 1000 cc. Un m odo rapido p er distin­ guere queste due form e è quello di eseguire il te s t del digiuno, che determ ina un miglioramene to delle form e osm otiche, m a non di quelle se­ cretorie. La presenza di una steato rrea indica un m al assorbim ento o u n a m aldigestione dei gras­ si, e quindi suggerisce una patologia del tenue o del pancreas. La presenza di sangue, m uco o pus o rienta verso u n a patologia infiammatoria.

Patologia organica o funzionale Dopo le prim e iniziali valutazioni risulta uti­ le orientarsi verso un a origine organica o fun­ zionale della sintom atologia. Alcuni param etri suggeriscono u n disordine organico: diarrea acuta, anche notturna, continua piu tto sto che interm ittente, no n responsiva al digiuno, asso­ ciata a calo ponderale >5% del peso corporeo, aum ento degli indici di infiammazione, febbre, leucocitosi, anem ia, disprotidem ia. La presenza di m uco nelle feci non h a alcun valore diagnosti­ co (anche se, specie negli anziani, va esclusa la p resenza di un polipo villoso del retto ) sebbene la su a presenza p o ssa allarm are m olti pazienti, in quanto riscontro com une in individui con sin­ drom e dell’intestino irritabile. La specificità p er u n a causa organica della diarrea risulta superio­ re al 90% in presen za di alm eno tre dei param etri sopracitati, sebbene la sensibilità sia b a s s a Fat­ to ri di rischio che possono orientare verso u n ’o­ rigine infettiva sono rappresen tati d a dati anamnestici, quali l’assunzione di alim enti a rischio, concom itanza di altri casi nella com unità, viaggi in P aesi in via di sviluppo (diarrea del viaggia­ tore), anam nesi di pregressa assunzione di anti­ biotici e recente ospedalizzazione (patologia da C lo strìd iu m difficile), concom itante immunodepressione. A lcune patologie intestinali asso­ ciate alla presen za di d iarrea (m alattia celiaca, m alattie infiam m atorie intestinali, m alattia di Whipple, alcuni tum ori neuroendocrini) si pos­ sono associare a m anifestazioni extraintestinali a carico di vari organi e apparati. È necessario inoltre valutare la p resenza di casi in p arenti di I e II grado di alcune patologie caratterizzate da fam iliarità, quali m alattie infiam m atorie croni­ che intestinali e m alattia celiaca.

Esame obiettivo La valutazione clinica di un paziente con la d iarrea prevede prim a di tu tto la valutazione della presenza o m eno di segni di disidratazio­

ne. Segni com unem ente associati alla perdita di liquidi risultano la secchezza delle m ucose e il facile sollevam ento della cute del dorso delle mani, La presenza di ipotensione j ortostati­ ca indica u n a perd ita di fluidi significativa che richiede un im m ediato trattam ento. L’esame obiettivo dell’addom e deve prevedere, inoltre la ricerca di m asse (nella fossa iliaca ¡destra ad:4 k esem pio, ad indicare la presenza di im a malat- ' tia di Crohn), di dolorabilità o resistenze (nella W fossa iliaca sinistra p otrebbe indicare una malattia diverticolare) o distensione addominale (in pazienti con rettocolite ulcerosa;potrebbe indicare un sospetto di m egacolon, tossico). L’esplorazione rettale, che deve essere sempre ~ eseguita, serve a escludere la presen za di un fecalom a (frequente causa di pseudodiarrea, cioè di aum ento del num ero di scariche con normale p eso fecale nelle 24 ore, e di incontinenza fecale n ell’anziano), e di lesioni neoplastiche o infiam­ m atorie severe anorettali. ■i

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indagini diagnostiche Se l’anam nesi e T esarne obiettivo sono stati J; eseguiti con attenzione e con c u ra è; possibile ; program m are le indagini strum entali e di labo- J g ratorio in m odo m irato al so sp etto clinico. Le f ■ principali indagini diagnostiche di qui dispo- : ni amo p er stabilire le cause della d iarrea sono v rap p resen tate da esam i di fluidi organici (feci, risangue e urine) ed esam i strum entali (endosco- v p ia con eventuale prelievo bioptico p e r l’esame .¿rv istologico, tecniche di imaging, breath;test).

Esame delie feci L’esam e delle feci com prende l’esam e microscopico, m icrobiologico e biochimico. Il primo: W fornisce inform azioni sulla p resen za ó m eno di cellule infiam m atorie (leucociti) ed emazie. La positività di questi reperti indica l’esistenza di : lesioni infiam m atorie della m ucosa intestinale. I dosaggi di lattoferrina o di calprotectina feca­ le (entram bi p rodotti dei granulociti neutrofìli) rappresentano dei te st alternativi all'esam e mi­ croscopico delle feci. La calprotectina: fecale, in particolare, viene attualm ente riten u to un esa- ,;.V: m e non invasivo utile alla diagnosi differenziale fra diarree su base infiam m atoria o frizionale. L’esam e microbiologico è indirizzato alla ricer­ ca di virus, b atteri patogeni e p arassiti nelle feci. I virus più frequenti risultano i rotavirus, N orw alk v ir u s e citomegalovirus. Tra i batteri, oltre ai patogeni più com uni quali Salm onella e ;•Shigella, dovrebbero essere ricercati anche VEscherichia coli, il Cam pylobacter je ju h i, la Yer- -

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sinia enterocòlitica, e il C lostrid iu m difficile, in associazione alle tossine da questo prodotto. I parassiti principalm ente d a considerare risul­ tano VEntamoeba h ysto litica , ¡la G iardia la m ­ blia. In pazienti con sindrom e da im munodefi­ cienza acquisita (AIDS) è frequente il riscontro di C ryptosporidium pa rvu m . L’esam e chimico fornisce inforinazioni di tipo | quantitativo sul contenuto fecale di amidi, proteine e grassi. La colorazione dii Sudan HI perm ette la valutazione semiquantitativa del contenuto di grassi nelle feci e rappresen ta la prova definitiva, di steatorrea. È inoltre possibile valutare altri param etri attraverso Tesarne chim ico delle feci,.quali il pH, l’osmolarità, gjli elettroliti, i saljì biliari, gli acidi grassi a catena corta (SCFA), l’acido lattico, ecc. La m isurazione degli elettroliti' fecali e il calco­ lo del gap osm otico [calcolato; in base alla for­ mula 290 - 2 x (sodio fecale + potassio fecale)] possono essere utili p er differenziare le diarree osmotiche gap >126 mOsmoli/kg) dalle diarree secretorie (gap 38 °C). P e r u n a co rretta diagnosi, è n ecessaria u n a coprocoltura subito dopo la presentazione dei sintom i, perché l’esa­ m e è negativo se effettuato a distanza di cinque giorni dall’esordio. Il trattam en to antibiotico è controindicato p erché può com portare il rila­ scio di Shiga-tossina e, com e riportato in vari studi, può aum entare l’azione sistem ica della tossina. È indispensabile il monitoraggio della funzionalità renale. I ceppi STEC o verotossina-produttori si rife­ riscono ai quei ceppi di E. coli che producono alm eno un m em bro di u n a classe di po ten ti cito to ssine chiam ate Shiga, strutturalm ente e an­ tigeni cam ente simili alla tossin a p ro d o tta d a S. d ysenteriae sierotipo 1. La riserva principale di ceppi STEC è costi­ tu ita d a p rodotti caseari e dai bovini, che infet­ tano l’uom o tram ite contam inazione del cibo e dell’acqua, m a anche per contatto diretto. L’in­ fezione con questi batteri può causare indiffe­ ren tem en te diarrea acquosa, d iarrea em atica e sindrom e em olitico-urem ica

E . coli e n te ro a g g re g a tiv o - E A E C Q uesti ceppi sono stati ritenuti responsabili di un num ero sem pre crescente di casi di diar­ rea e sono anche responsabili di alcune forme di diarrea cronica e di alcuni casi di diarrea del viaggiatore. Clinicam ente vi sono ematochezia, m u correa e dolori colici intestinali. Nel maggio 2011 vi è sta ta un’im portante epidem ia, con 4137 casi, il 22% dei quali andati in co n tro a sindro­ m e em olitico-urem ica con 33 decessi^ mentre il restante 88% h a sviluppato u n a gastroenterite em orragica che h a po rtato a 17 decessi. E . c o li e n te ro in v a s iv o - E IE C j Gli EIEC non sono mobili, codificano per fat- ... tori plasm idici di invasione cellulare epiteliale; ^ (com e il T3SS), p ossono sfuggire alla fagocitosi, m oltiplicarsi nel cito p lasm a o stacolare l’assem- *7$ blaggio dei filam enti di actina e propagarsi da ' cellula a cellula. I ceppi EIEC p o sso n o causare d iarrea acquosa, contenente sangue io muco che può progredire in dissenteria (cioè diarrea purulenta), con forti dolori addom inali crampi­ formi, febbre e tenesm o. La terap ia antibiotica, ove necessaria, deve essere p reced u ta dall’esclusione di infezioni da ceppi STEC. i "|

Campylobacter spp Le specie capaci di causare enterite sono catalasi-positive e si sviluppano b e n e 'a 42-43 °C (termofile). Il C. je ju n i è quello maggiormente im plicato nella patologia en teritica dell’uomo. Sono m icroaerofili Gram-negativi, e hanno una morfologia a bastoncino ricurvo, a S, ad ala di gabbiano, con estrem ità a punta, che li rende diagnosticabili con esam e m icroscopico delle feci. I cam pylobacter sono ubiquitari e largamente diffusi n ell’am biente e negli anim ali selvatici e domestici. Sorgente di contam inazione sono an­ che latte crudo o acqua non clorata. lìn possibi­ le fattore di rischio è l’uso p ro tra tto di inibitori della p o m p a protonica. II riscontro di globuli rossi e di leucociti nelle feci (in più del 75% dei casi) e i rep erti bioptici intestinali depongono, in molti casi, p er una pa­ togenesi di tipo invasivo: i b atteri distruggono le tig h t ju n c tio n delle cellule epiteliali' enteriche e alterano l’arch itettu ra cellulare. L’enterite acu­ ta si m anifesta con dolori addom inali, febbre, anoressia, senso di m alessere, mialgia, artralgie che frequentem ente precedono la sintom atolo­ gia gastrointestinale, caratterizzata d a diarrea e spesso vomito. I sintom i si protraggono d a uno a

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sette giorni e, in circa la m età dei casi, è presen­ te sangue m acroscopico nelle feci e leucocitosi neutrofila. In alcuni casi l’infezione può assum e­ re i caratteri della colite acuta. Possono essere p re se n ti sintom i pseudo-appendicolari. La diagnosi si effettua tram ite coprocoltura o esam e batterioscopico, sensibile e specifico. ' La prognosi1è favorevole. La terapia, specie nei casi protratti e altam ente febbrili, prevede eritromicina (1-2 g/die nell’adulto, 30-50 mg/kg/ die nel bambino).

Enteriti invasive -w

Salmonella spp Le salm onelle hanno am pia diffusione am ­ bientale e possiedono antigeni som atici 0 (di natura polisaccaridica) e antigeni flagellali o ciliari H (di natura proteica). I sierotipi sono at­ tualmente oltre 2400. Le enteriti da Salm onella presentano andam ento stagionale con picco nel periodo giugno-ottobre. Piccolé epidem ie fami­ liari sono frequenti. Il serbatoio è rappresentato dagli animali domestici (pollame, bovini, ovini, maiali, ca­ ni, gatti), che albergano il germ e nell'intesti­ no, spesso in assenza di sintom atologia. I più im portanti veicoli di trasm issione sono le carni di pollo, i prodotti caseari e le uova. 'L’uso p ro ­ tratto di inibitori della pom pa proto n ica può fa­ vorire l’infezione. È bene ten er presente che: - le salm onelle non resistono all’ebollizione e alla pastotizzazione; una cottu ra rapida e superficiale ¡non garantisce però la sterilità dell’alimento, così com e la salatura (carne insaccata); ; - nella diffusione delle infezióni vanno ricor­ dati anche i portatori fecali umani, resp o n sa­ bili di diffusione indiretta o 1sem idiretta del germe; - le salm onelle possono invadere le cellule epiteliali alterando il citoschèletro e le stru t­ ture di m enibrana della cellula ospite; alcu­ ni ceppi possono produrre un'entero to ssin a sim il-tossinà colerica e una! eso to ssin a re­ sponsabile di lesioni m ucose enteriche. Le salm onelle inoltre a lte ra n o ,le funzioni dei m acrofagi presenti nello spazio sottom ucoso e nelle placche di Peyer e si m oltiplicano al loro intem oj - il periodo d’incubazione v aria da ppche ore a tre giorni e in funzione dell'entità dell'inoculo e dal veicolo. In caso di tossinfezione alimen­ tare, il periodo di incubazione è m olto breve

p erché il veicolo (crem a, panna, ecc.) può contenere enterotossine, oltre ai m icroorga­ nismi. La sintom atologia è condizionata dall'età del paziente e d è caratterizzata da febbre, nausea, vomito, dolori addom inali ed em issione di feci semiliquide contenenti m uco e spesso sangue m acroscopicam ente evidente. Leucociti e san­ gue occulto si evidenziano nelle feci della quasi totalità dei pazienti. Nel periodo neo natale e nei primi m esi di v ita l’infezione d a Salm onella può assum ere particolare gravità p e r la possibile meningite. L’enterite da Salm onella è in genere autolim itantesi; nei lattanti, negli anziani e nei soggetti im m unocom prom essi il decorso può essere p e r altro anche letale. La som m inistra­ zione di antibiotici è indicata nei casi di batteriernia e di localizzazioni extraintestinali. La g a s tr o e n te r ite è solo u n a delle malattie legate all’infezione d a S alm onella spp. In caso di batteriem ia, più frequente negli anziani, vi è aum entato rischio di infezioni endovascolari che richiedono cefalosporine di terza generazio­ ne e chinoionici. La fe b b re tifo id e o tifo a d d o m in a le è cau­ sata d a lla S. ty p h i; u n a sindrom e simile m a me­ no grave è causata d a S. p a r a iiy p k i A, B e C. In tal caso, la m alattia si chiam a anche “febbre paratifoide". L’uomo, m alato o portatore, è l'uni­ ca fonte di infezione. Il contagio avviene p e rv ia diretta interum ana (m ani) o indiretta m ediante ingestione di alimenti contam inati. L'acqua rap­ presen ta infatti il veicolo di trasm issione più temibile. Queste epidem ie sono a inizio brusco, di breve d urata e, se dovute a inquinamento di acquedotti, p resentano u na distribuzione dei ca­ si che segue fedelm ente quella della rete idrica inquinata. S. ty p h i p e n etra n ell’organism o p er v ia ora­ le, raggiunge 'l’intestino superan d o la b arrie ra gastrica, tanto più facilm ente quanto p iù eleva­ ta è la c arica in fettante e p assa nel linfonodi regionali dove viene rapidam ente fagocitata. U na p a rte di batteri, inoltre, raggiunge i linfo­ nodi m esenterici e attrav erso il dotto toracico si riversa nel sangue e diffonde in tu tto l'orga­ nism o (milza, fegato, midollo osseo, polm oni) causando u n a b atteriem ia di breve durata; S. ty p h i si m oltiplica quindi all’interno dei m acro ­ fagi con u n p eri odo di incubazione d ie v aria da u na a tre settim ane (in m edia 10-14 giorni). Dal fegato, attraverso la colecisti, rito m a nell’in­ testin o raggiungendo nuovam ente le stazioni linfatiche intestinali, dove, p er effetto della p reced en te sensibilizzazione, inizia il p ro cesso

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M A N U A LE DI G A S T R O E N T E R O L O G IA 2 0 1 3 -2 0 1 5

flogistico che p uò causare, o ltre all’ulcerazione d ella m ucosa, gravi com plicanze, com e em or­ ragie e/o perforazione della p arete intestinale con peritonite. Molti fattori che influenzano l'infettlvità e la d u rata del p eriodo d’incubazio­ ne sono: dose infettante, virulenza del ceppo e resistenza offerta alla colonizzazione dalla flo­ ra m icrobica. In epoca preantibiotica si individuavano quat­ tro periodi (ciascuno della d urata di sette giorni, settenari). Nel I settenario si aveva: febbre - ca­ ratterizzata da un a fase di ascesa di circa 0,51°C al giorno con un andam ento a gradini, fino a raggiungere i 39-41 °C dopo i prim i 5-7 ¿ o rn i (“curva di W underlich’’) - insiem e a m alessere generale, anoressia, mialgie, cefalea, dolori ad­ dom inali e diarrea. Nel II e HI periodo la tem pe­ ratu ra rim aneva elevata e i sintom i invariati; si p oteva avere la com parsa di un esantem a con m acule di 2-4 mm di colore rosa-salm one (rose­ ole tifiche) leucopenia, neutropenia, linfocitosi, confusione m entale e talo ra delirio. Nel IV se t­ tenario la tem peratura diminuiva gradualm ente di 0,5-1 °C e la sintom atologia regrediva. L’antibiosi ha ridotto drasticam ente la letalità e la gra­ vità dei sintom i. Nella maggior p arte di soggetti colpiti dall'infezione si svuuppa u n ’im m unità di tipo perm anente. La diagnosi, nella prim a fase viene eseguita m ediante em ocoltura. Maggiore probabilità di isolam ento può essere o ttenuta se si associa la coltura di un cam pione di succo duodenale (contenente bile) o di midollo osseo. Dalla seconda settim ana, si può com piere una ricerca qualitativa e quantitativa degli anticorpi anti-0 e anti-H, m ediante sieroagglutinazione di Widal. Particolare rilevanza riveste la ricerca degli anticoipi anti-O, m entre la presenza di soli anti-0 o di anti-0 a titolo elevato e anti-H a titolo inferiore è indice di infezione in atto. Nella fase più avanzata, quando il batterio p assa nel lume intestinale e viene elim inato con le feci, può es­ sere eseguita una coprocoltura. È previsto l’isolam ento del m alato fino alla negatività di tre coprocolture eseguite a inter­ valli di alm eno 24 h dopo la guarigione clinica (la prim a coprocoltura v a eseguita alm eno 3 giorni dopo la fine del trattam ento terapeutico). In Italia, la vaccinoprofilassi è obbligatoria p e r il personale di assistenza, p er gli addetti ai seguenti servizi: cucina, disinfezione, lavanderia e pulizia di ospedali e/o case di cura, disinfezio­ ne, lavanderie pubbliche, trasporto malati e ap­ provvigionam ento idrico. Dall’1% al 4% dei pazienti con febbre tifoide e dallo 0,2% allo 0,6% di quelli con salm onellosi

non tifoidea sviluppano uno stato di portatore cronico, con persistenza delle salm onelle nelle feci o nelle urine p e r più di u n anno. Fattori di rischio sono la litiasi biliare e la schistosomiasi vescicale. P er risolvere questo stato, la terap iacon am oxicillina o un chinoionico - va protratta anche p er sei settim ane, nei pazienti con calcoli della colecisti.

ShIgeila spp Shigella è uno dei patogeni intestinali più noti, anche se l'enterite da Shigella è poco fre­ quente. L’uom o è il solo ospite naturale e pertan­ to rap p resen ta la sola sorgente di infezione. La trasm issione, in genere, avviene tram ite acqua e cibi contam inati. L’enterite da Shigella colpisce a tu tte le età, con maggiore frequenza durante l’infanzia. La contagiosità delle shigelle è molto più alta rispetto a quella degli altri enterobatteri: 10-100 germi sono sufficienti a causare malattia. Si riconoscono fasi di adesione, di penetra­ zione e di m oltiplicazione del germ e nelle cellu­ le epiteliali della m ucosa del colon. L’invasività è so sten u ta dalla produzione di u n a neurotossina capace di attivare l’adenllciclasi della m ucosa intestinale. La tossina di Shiga pro do tta dalla S. d ysenteriae è composta d a due subunità A e B; essa si lega al ganglioside GB3 favorendo da ultim o la distruzione dell’e­ pitelio. Clinicam ente la m alattia si m anifesta come dissenteria bacillare, con d iarrea acquosa, feb­ b re non m olto elevata e cram pi addominali; ra­ ram ente sono p resenti vom ito e n au sea e tutto può esaurirsi in una settim ana. Talvolta la ma­ lattia esordisce in una form a dissenterica con d iarrea profusa, m uco e sangue nelle feci, feb­ b re elevata e convulsioni. H colon p resen ta ulcerazioni ed emorragie; La sottom ucosa non è interessata. L'infezione ten d e a diffondersi nell’am biente fam iliare e il 10% circa dei conviventi può diventare portatore asintom atico. Nel soggetto im m unocom petente la prognosi è buona. Nei lattanti e negli anziani la letalità si aggira intorno al 3%. La terapia an­ tibiotica prevede cefalosporine di terza genera­ zione e chinoionici.

Yerslnla spp Due specie di Yersinia provocano gastroente­ rite: Y. enterocolitica e Y. pseudotuberculosis. La Y. enterocolitica possiede flagelli che rendo­ no m obile il germe. La sorgente di infezione è rappresentata da anim ali domestici; im portante anche il contagio

C A P IT O L O 3 7 . IN F E Z IO N I D E LL'APPARATO D IG E R E N T E

interumano diretto o indiretto. Il potere p ato ­ geno di ceppi di Y. enterocolitica risiede nella, capacità d ’invadere l’epitelio colonizzato; per al­ cuni ceppi è stata dim ostrata anche la capacità di produrre una tossina term ostabile. L'enterite, particolarm ente frequente in età in­ feriore a lO anni, è la m anifestazione clinica più importante con periodo di incubazione molto variabile. Oltre alla diarrea, sono p resenti febbre e dolori addominali. Nei bam bini della seconda infanzia la sintom atologia dolorosa, localizzata alla fossa iliaca destra, conduce frequentem ente il paziente all’intervento p er “appendicite acu­ ta". In un quarto dei casi è presente sangue nelle feci. La durata m edia della sintom atologia è di 7-12 giorni. La disidratazione è rara. In corso di infezione da Y entercolitica, so­ no state descritte num erose m anifestazioni extraintestinali: artrite non suppurata, eritem a nodoso, uveite, sindrom e di Reiter, cardite, tiroidite, glom erulonefrite, epatite, pancreatite, anemia emolitica. Per l’isolam ento di questi batteri dalle feci, è determ inante l’impiego di terreni estrem am ente selettivi. P er p o n e diagnosi d’infezione in atto, è però necessario evidenziare u n a siero conver­ sione. L’antibiosi con tetracicline, cloramfenicolo, aminoglicosidi o cotrim ossazolo si è rilevata efficace, p urché precoce.

Clostridium difficile Si tra tta di un bastoncino Gram-positivo ana­ erobio obbligato, form ante spore e produttore di due enterotossine, A e B con effetto sulle giunzioni cellulari e sulla stru ttu ra citoscheletrica dell’epitelio intestinale. È stato inoltre dimo­ strato che alcuni ceppi di C. difficile producono anche un terzo tipo di tossina, probabilm ente associata a u n quadro clinico più grave. C. difficile è presente nell’intestino del 1770% dei neonati ed è uno dei com ponenti della flora saprofítica. Sotto form a di saprofita intesti­ nale è anche presente nel 3-8% della popolazio­ ne adulta in buona salute. Le percentuali sono più alte nei soggetti ospedalizzati, specialm en­ te se trattati con antibiotici. Le m olecole m ag­ giormente im putate nel favorire l'infezione da C. difficile sono le cefalosporine, l’ampicillina, l’amoxicillina, i fluorochinoloni, i m acrolidi (in particolare l’eritrom icina) e il trimethoprim-sulfametossazolo. I fattori che possono favorire l’insorgenza di diarrea associata a infezione da C. diffìcile sono l’età avanzata, le patologie em atologiche mali­ gne, l’uremia, l’immunodeficienza, la chirurgia

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dell’apparato digerente e l’uso di inibitori della p om pa protonica. La trasm issione avviene prin­ cipalm ente p er via entero-orale, tram ite contat­ to con soggetti infettati o con oggetti contam i­ nati dalle spore pro d o tte dal batterio, capaci di resistere a lungo nell'am biente esterno. La clinica dell'infezione da C. difficile varia dallo stato di p o rtato re inap p aren te fino a qua­ dri molto gravi o fulminanti. G eneralm ente, in caso di infezione evidente, i sintom i com paiono dopo 5-10 giorni di terap ia antiblotica continua­ tiva, m a la d iarrea può m anifestarsi dal primo giorno di terap ia Ano a 10 settim an e dopo l’in­ terruzione della stessa. La d iarrea da C. diffi­ cile può essere b reve e autolim itante, oppure prolungata e con volum i di feci simili a quelli che si osservano n el colera. I quadri clinici sono suddivisibili in: - C o lite lie v e -m o d e ra ta : si verifica nella maggior p a rte dei pazienti sintom atici; la diarrea m igliora in seguito a interruzione della te ra p ia antibiotica e risponde al tra tta ­ m ento con m etronidazolo. La febbre è assen­ te e la leucocitosi è inferiore a 20.000 globuli b ia n c h i ti - C o lite grave: è la form a più rara; la diarrea è profusa; sono presen ti dolore addominale, febbre, m arcata leucocitosi (>20.000 globuli bianchi/[il) e d elevata azotemia. Sono presen­ ti segni radiologici di colite. - C o lite fu lm in a n te : il quadro è caratterizza­ to da setticem ia e disfunzione multiorgano, ipotensione, elevati livelli di LDK, megacolon tossico e ileo paralitico. È letale nel 50% dei casi. L’infezione d a C. difficile spesso causa una colite non specifica, m a è possibile riscontrare endoscopicam ente u n a colite pseudom em bra­ nosa con presenza di placche rilevate, giallastre, aderenti, inizialmente di piccole dim ensioni e facilm ente distaccabili, m a che con il progredire della patologia tendono a confluire e a ingran­ dirsi. La diagnosi d’infezione d a C. difficile può essere effettuata tram ite rilevam ento delle to s­ sine su campioni fecali, tecnica riconosciuta co­ me gold-standard o la coltura del batterio, molto sensibile. La terapia delTinfezione d a C. difficile si avvale del m etronidazolo o della vancomicina som m inistrati per C3. In casi estrem am ente gra­ vi può rendersi necessario anche il trattam en­ to chirurgico tram ite colectom ia d’urgenza. Il problem a più im portante rim ane la prevenzione dell’infezione, so p rattu tto in am biente ospeda­ liero.

Enteriti virali Nei Paesi più avanzati, il 20-40% delle diarree infettive è causato da virus, soprattu tto re tavi7us) calicivirus, astrovirus e a d en oviru s, che si replicano a livello degli enterociti duodenali e del tenue digiunale, con fusione dei villi adia­ centi e riduzione della superficie assorbente.

Rota virus

sona a persona. I vinoni sono stabili in ambiente acido, hanno u n a bassissim a carica infettante (alta contagiosità), eliminano un alto numero di virioni e hanno prolungato tem po di eliminazione. Nei casi tipici, p er 12-60 ore si hanno nausea, dolori addominali, vomito, descritto tipicamente a getto, e una lieve diarrea non sanguinolenta che tende ad autolimitarsi. Nelle form e gravi la diarrea è più copiosa e può condurre a u n a disidratazione anche letale se non prontamente! corretta Si può evidenziare occasionalm ente febbricola Nel 30% dei casi la m alattia decorre in modo asintom atico. Per la diagnosi ci si b asa sulla RT-PCR.

■ I? f • ; . •

v I rota viru s contengono un RNA a doppio fi­ lam ento. L’enterite da ro ta viru s è endem ica in ' tu tto il mondo, con elevata letalità infantile, La trasm issione è entero-orale, anche se non è Adenovìrus esclusa la via aerogena. Durante la replicazione Sprovvisti di pericapside e hanno un genoma virale, NSP4, un a delle proteine n o n strutturali, costituito da DNA a doppia elica. Finora, sono in­ danneggia il citosclieletro microvillare (con ridu­ stati identificati 51 differenti sierotìpirj il 31, 40 5 zione dell’area assorbente degli enterociti) e le e 41 sono in grado di causare gastroenterite, tight ju n c tio n intercellulari, perm ettendo il p as­ soprattu tto nei bam bini sotto i due anni d’età, % saggio paracellulare di acqua ed elettroliti; inol­ m entre negli adulti sono im plicati in njanifestatre questa proteina può aumentare la conduttan­ zioni diarroiche soltanto nel 2-6% di tutti i casi di za transcellulare al cloro. Queste p roprietà patogastroenterite. La m odalità di trasm issione è per genetìche» di NSP4 fanno sì che essa possa essere co ntatto diretto d a p erso n a a persona. Il periodo | considerata u n a vera epropriaenterotossina. Do­ d’incubazione è relativam ente p iù lungo rispetto po d ’incubazione di 2-6 giorni, compaiono diar­ a quello di altri virus e va dagli otto ai aieci gior­ rea con feci liquide e mucose e dolori addominali ni m entre i sintom i durano 5-12 giorni e anche crampiformi, il vomito insorge nel 10% dei malati. di più. La sintom atologia negli adulti è di scarsa f : La diarrea ha un a durata m edia di sei giorni e il rilevanza. La diagnosi si b asa sulla RT-PCR. virus può essere eliminato p er 15-20 giorni dall’i­ nizio della m alattia L’infezione da rotavirus può Astrovirus comunque rimanere asintom atica L’im m unità Sono piccoli virus a RNA privi di involucro, acquisita non risulta essere protettiv a trasm essi p e r via entero-orale e responsabili del L a diagnosi prevede l’identificazione delle 20% circa dei casi di g astroenteriti sporadiche e particelle virali (con m etodiche m olecolari co­ me la RT-PCR) o dei suoi antigeni nelle feci o, . del 15% circa delle form e epidem iche. Le protei­ ne capsidiche possiedono attività simil-enteroIndirettamente, m ediante la dim ostrazione di to ssin a e sono in grado di distruggere le tight sieroconversione anticorpale. ju n c tio n aum entando così il flusso paracellula­ Vista l’alta incidenza di questa m alattia (115 re di m olecole. Dopo l’incubazione di 36-48 ore milioni con 1 milione di decessi), sono stati com pare u n a m odesta, diarrea, che di solito per­ sviluppati e distribuiti vaccini vivi attenuati, da dura fino a quattro giorni; i due terzi circ a dei 3omministrare per via orale. pazienti sono asintom atici. P er la diagnosi vedi la gastroenterite da a d en o vim s. CaUcivlrus . ..... • • ’ j . / " .A; Hanno singola molecola di RNA, organizzata I Cltomegalavlrus n due unità codificanti nei sapovirus e tre nei L’infezione del tratto digerente da p arte del w ro virus. I n o rw iru s sono i più comuni agenti citom egalovirus (CMV) è un problem a idi comu­ eziologici delle epidemie di gastroenteriti virali n e riscontro tra i pazienti immunodepjressi per rasm esse con l ’acqua e attraverso alcuni cibi. Nel infezione d a HIV, trapianto di organi, terapia con :aso di focolai epidemici, le percentuali di conta­ farm aci antiblastici o p e r altri motivi! Le sedi cio possono essere elevatissime (60-70%). Inorocoinvolte più di frequente sono l’esofago e il co­ )im s causano infezione prevalentem ente per via lon. I pazienti affetti da enterite da CMV posso­ intero-orale indiretta, tramite alcuni cibi, come i no sviluppare delle ulcerazioni focali e profonde nolluschi e le verdure, oppure p er mezzo dell’acche possono estendersi dalla sottom ucosa alla iua quando essa provenga da falde contaminate, m u sco la ris m ucosae. Q ueste lesioni possono n a anche in m odo diretto p er contatto da per­

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causare sa n g u in a m e lo massivo, perforazio­ ni e shock. Le m anifestazioni gastrointestinali d’infezione da CMV sono spesso conseguenza di un’infezione sistem ica, e potrebbero accom ­ pagnarsi a polm oniti e epatiti e interessare altri organi. L’infezione da CMV in pazienti con colite ulcerosa potrebbe svilupparsi come una superinfezione su una m ucosa infiam m ata o come complicanza di una terapia im m unosoppressiva. La letalità d a enterite d a CMV superava 1*80% prima della disponibilità del ganciclovir.

CONCETTI CHIAVE /

Le infezioni gastroenteriche batteriche e virali rappre­ sentano un problema rilevante a livello mondiale, per l'elevata morbilità e mortalità, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo.

/

I meccanismi patofisiologicl più rilevanti sono rappre­ sentati dalla produzione di tossine e dall’invasione del­ la parete intestinale.

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La diarrea associata a C lostridium d ifficile (dopo uso di antibiotici) rappresenta un problema grave, a rapida diffusione, e ad alto impatto sui costi sanitari.

/

Le enteriti virali sostengono II 20-4 0 % delle diarree in­ fettive nei Paesi più avanzati.

245

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38 ¡Vialdigestione e matassorbimento CAROLINA CIACCI, FABIANA ZINQONE

OBIETTIVI DIDATTICI ✓

Conoscere le basi della digestione e dell'assorbimento del cibo.

/

Imparare le alterazioni di questi processi: maldigestlone e malassorbimento.

/

Imparare a orientarsi nel corteo dei sintomi del malassorbimento per arrivare a una diagnosi di patologia d'organo.

Con il term ine m alassorbim ento si indica un ridotto assorbim ento dei nutrienti che avviene p er dim inuito uptake delle molecole da parte della m ucosa intestinale. La m aldigestione inve­ ce indica che nel lume^intestinale avviene una difettosa idrolisi dei nutrienti in m olecole più piccole e assorbibili. In genere la m aldigestlone è quindi seguita da m alassorbim ento. P er meglio com prendere i due concetti dob­ biam o conoscere com e norm alm ente il cibo vie­ ne digerito e assorbito. Il cibo che ingeriam o viene p rocessato nel lu­ me dell’intestino e assorbito nell’intestino tenue 0 piccolo intestino. L’intestino tenue non solo « assorbe i nutrienti m a anche secem e e assorbe acqua ed elettroliti, è ricco di cellule immunocom petenti, produce orm oni e peptidi bioattivi, e h a u n ’im portante funzione m otoria di m esco­ lam ento, di clearing e propulsione del suo con­ tenuto endolum inale. Proprio queste peculiarità fanno dell’intestino u n ’ottim a b arriera fisicochim ica contro gli agenti patogeni. L'intestino tenue si estende dal piloro gastri­ co alla valvola ileocecale. La sua lunghezza è m olto variabile, m a in m edia è di circa 7,5 m. Un sistem a di amplificazione della superficie assorbente garantisce le m olte funzioni del te ­ nue nel piccolo spazio della cavità addom inale. La m uco sa delle anse intestinali si solleva nelle pliche di K erckring che triplicano la superficie, 1 villi intestinali la decuplicano e i microvilli dell’enterocita aum entano la superficie di altre 20-30 volte. Si ottiene così u n a grande superfi­ cie assorbente il che rende ragione della consi­

derevole riserva funzionale deH'organo (figura 38.1). La digestione è il procedim ento attraverso il quale gli alimenti, non assorbibili così com e li ingeriamo, vengono ridotti in m olecole p iù sem­ plici, in grado di essere assorbite. Tale processo avviene attraverso alm eno tre fasi: 1. la riduzione chim ica ed enzim atica del cibo a m olecole più piccole grazie anche all’atti­ v ità di rim escolam ento e propulsione di sto­ m aco e intestino. La digestione h a inizio nella b o cca p e r la presenza dell’amilasi salivare che durante la m asticazione viene secreta ed em ulsionata ai cibo, p e r poi proseguire nel­ lo stom aco (in particolare p er le proteine) a o pera dell’acido e della pepsina, e quindi nell’intestino tenue. Il cibo digerito (chimo) così o ttenuto va incontro alle fasi successive; 2. la fase endoluminale, nel digiuno e ileo, in cui in un certo tem po (da m inuti a ore) agiscono gli enzimi idrolitici delle secrezioni salivari, gastriche, pancreatiche e i sali biliari; 3. una fase parietale, sulla m em brana dell’ente­ rocita, nella quale agiscono gli enzimi specifi­ ci sia sul brush border, sia sulla m em brana basolaterale. Quindi, la funzione di assorbimen-

Flgura 38.1 Progressivo incremento della superficie assorbente dell'intestino tenue causato dalla presenza di pliche di Kerckring, vllll e mlcrovllll

X 20*30

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to dei prodotti finali della digestione è svolta prevalentem ente nella m ucosa intestinale, In quanto lì si compie il passaggio nel sangue e nella linfa dei prodotti della digestione e di al­ tre sostanze (acqua, oligoelementi, ecc.). Il contatto tra il cibo, enzimi e superficie as­ sorbente è facilitato anche da due movimenti: la motilità delle anse e quella individuale dei vil­ li. La motilità, inoltre, protegge l’intestino dalla contaminazione dei b atteri provenienti in modo refluo dal colon o ingeriti con il cibo. Alcuni nutrienti hanno un’elettività topogra­ fica dell’assorbim ento a causa soprattutto della presenza di recettori specifici o carriers spe­ cifici (ad esempio, il ferro è assorbito in m as­ sima p arte nel duodeno e digiuno prossim ale, la vitamina B 12 e i sali biliari nell’ileo distale). L’intestino tenue garantisce u n a grande riserva funzionale, oltre che p e r i processi assorbitivi, anche p er quelli digestivi e immunitari. Per m e­ glio com prendere la genesi dei vari segni clinici ricordiamo brevem ente com e e dove sono as­ sorbiti i principali nutrienti (si veda lo schem a riassuntivo nella tabella 38.1).

Carboidrati I carboidrati forniscono circa il 50% delle ca­ lorie della dieta giornaliera. La digestione dell’a­ mido (polisaccaride costituente circa il 50% dei carboidrati) inizia nella bocca a opera delTamila-

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si salivare e prosegue in m assim a parte nell’inte­ stino p er o pera delTamilasi pancreatica. L'amido è prim a scisso in oligo-disaccaridi (maltosio, lat­ tosio e saccarosio) che, insiem e ai disaccaridi, vengono idrolizzati da specifici enzimi del brush border (oligo-disaccaridasi) in glucosio e galat­ tosio e fruttosio. D lattosio è il disaccaride a più lenta idrolisi operata dalla lattasi. H glucosio e il galattosio sono subito assorbiti con meccanism i specifici di trasporto attivo attraverso il cotrasportatore glucosio-galattosio-sodio, il fruttosio viene assorbito infine p e r diffusione facilitata.

Proteine Le proteine vengono inizialm ente digerite dalla pep sin a nello stom aco, poi dalia tripsina e chim otripsm a pan creatich e e dalle altre endoed esopeptidasi nel lum e intestinale. Il risulta­ to finale sono oligopeptidi, dipeptidi e amino­ acidi. Sul brusìi border degli enterociti ci sono oligopeptidasi e dipeptidasi che completano il processo digestivo con form azione di ami­ noacidi assorbibili. Gli am inoacidi richiedono quasi sem pre trasp o rto attivo p er concentrarsi nell’enterocita, e necessitano di specifici car­ riers in grado di trasportare solo 2-3 aminoacidi (ad esempio, triptofano/alanina, glicina/prolina/ idrossiprolina). L’assorbim ento degli aminoaci­ di segue due velocità: rapido n e l duodeno e di­ giuno, lento nell’ileo.

Tabella 38.1 Fisiopatologìa dell'assorbimento NUTRIENTE

SEDE PREFERENZIALE DELL'ASSORBIMENTO MECCANISMO DI ASSORBIMENTO

Carboidrati

Digiuno, ileo

Idrolizzati, prima dalle amilasl salivari e pancreatiche e poi dalle disaccaridasi degli enterociti, a monosaccaridi e quindi assorbiti attivamente come tali

Proteine e aminoacidi

Digiuno, ileo

Grassi

Digiuno, ileo

Sali biliari e Vlt B „

Ileo terminale

Vitamine llposolublli e colesterolo Acqua e sodio

Digiuno, ileo

Digeriti da pepsina, tripsina, chimotripslna, endo- ed esopeptidasi ad aminoacidi e oligopeptidi, questi ultimi poi scissi dalle oligopeptidasi degli enterociti, e quindi assorbiti attivamente Lipolisi che richiede la lipasi, la colipasi. I sali biliari. Si tarmano le micelio che veicolano I grassi attraverso l’epitelio e poi fino ai linfatici I sali biliari entrano negli enterociti con trasporto attivo. La vitamina Bt| necessita del fattore intrinseco gastrico per essere assorbita attraverso un complesso sistema che coinvolge almeno altre 5 differenti proteine Idrolisi nel lume da parte di un'esterasl pancreatica e suil'enterocita da una colesteroloesteresl. Il colesterolo entra liberamente nelle cellula e poi viene secreto nei linfatici

Digiuno, ileo, colon

Assorbiti per: (a) via transcellulare per pompa Na*VK*ATP-asl; (b) via paracellulare per le giunzioni serrate degli enterociti

Vitamine idrosolubili

Ileo prossimale

Quasi tutte per trasporto attivo con carriers specifici e solo in piccola quantità per diffusione passiva

Calcio Ferro

Digiuno, Ileo Digiuno

Trasporto attivo vitamina D,-dlpendente nel digiuno. Nell'Ileo diffusione passiva Recettori specifici e proteine di trasporto suil'enterocita

Alcune proteine possono essere assorbite in­ tere o in grossi frammenti p er endocitosi, con­ sentendo al sistem a im munitario il contatto con proteine abbastanza grandi da stim olare la rispo­ sta antigenica Se la m ucosa è infiammata o u lce­ ra ta si verifica una proteinodispersione, cioè una perdita di proteine attraverso l’intestino. Ne deri­ va un eccessivo turnover delle proteine, in parti­ colare dell’albumina (fino a 5-6 volte il norm ale), e quindi ipoalbuminemia e, di conseguenza, ede­ mi declivi. D dosaggio dell’oij-antitripsina fecale (simile all’albumina) consente di diagnosticare e m onitorare la proteinodispersione.

Lipidi e vitamine liposolubili

com e descritto in precedenza. Giunti) a contatto con questo strato di acqua le micelle liberano i grassi che entrano p e r diffusione nella cellula. I sali biliari coniugati invece non entrano negli enterociti ma, liberati nel lume, sono p oi per gran p arte attivam ente riassorbiti nell’ileo. La quota che sfugge a questo riciclo enteroepatico p assa nel colon, dove subisce la deconiugazione a opera dei b atteri e in grossa p a rte è eliminata con le feci. Q uesta quota (200-600 m g/die) è pari a quella che viene sintetizzata ex novo ogni gior­ no dal fegato. Il pool degli’acidi biliari (cioè la quantità di acidi biliari p resen te n el circolo ente­ roepatico e quotidianam ente se cre ta dal fegato) rim ane quindi costante (circa 2-4 g). ; Le vitamine liposolubili (vitamina. K, D, E e |3-carotene che nell’intestino diviene vitamina A) contenute nelle m iscele di grassi della nostra d ieta subiscono gli stessi pro cessi dei lipidi, ve­ nendo inseriti nei chilom icroni con tappe enzi­ m atiche n on del tu tto chiarite.

I lipidi costituiscono in m edia il 30% dell’ap­ porto calorico alim entare e sono costituiti da colesterolo, fosfolipidi e, in m assim a parte, da trigliceridi a lunga caten a con acidi grassi satu ­ ri e no. La digestione inizia nello stom aco m e­ diante la m odesta attività delle lipasi salivari e gastriche, e prosegue nell’intestino tenue. L’en­ Acqua, sodio e vitam ine idrosolubili tra ta nel duodeno dei grassi e dell’acido delle se ­ crezioni gastriche causa il rilascio di secretina Dei circa 7-9 litri di liquidi corporei, ricchi e colecistochinina c h e /a loro volta, regolano il in sodio, potassio, cloruri e bicarbonati, che flusso di bile e di secrezioni pancreatiche. L’e­ transitano attraverso l’intestino tenue (derivati dall’ingestione di liquidi con l’alim entazione e m ulsione delle particelle di grasso da p arte dei dalle secrezioni dalle ghiandole salivari, gastri­ sali biliari e della lecitina, consente alle lipasi/ che, pancreatiche e digiunali), raggiungono il colipasi pancreatiche di form are acidi grassi liberi, m onogliceridi e lisofosfolipidi, derivanti colon circa 2 litri e di questi circa il; 90% viene dalla digestione dei fosfolipidi, che si raccolgo­ assorbito, con eliminazione fecale di 100-150 mi no, insiem e a colesterolo, sali biliari e fosfolipi­ al giorno. Acqua e ioni sono assorbiti attraverso le tight di, in piccolissim e stru ttu re solubili, le micelle, ju n c tio n s tra gli enterociti (via paracellulare) e che li veicolano fino agli enterociti deputati al attraverso l’en terocita stesso (via transcellula­ loro assorbim ento. Nella com posizione delle re) p e r mezzo di pom pe e carriers. I due sistemi m icelle non entrano a far p arte gli acidi grassi a sono in connessione reciproca p erch é p e r far co rta e m edia catena che, in virtù della maggiore en trare acqua e sodio nella cellula si deve creare idrosolubilità, rimangono nel m ezzo acquoso. I sali biliari primari, sintetizzati nel fegato a un gradiente di soluti a o pera soprattu tto della pom pa NaVK4 ATP-asi della m em brana basolap artire dal colesterolo in una quantità pari a 200600 mg/die, sono secreti nella bile, coniugati con terale delle cellule. Tra le vitam ine idrosolubili, tiam ina e ribo­ glicina e taurina. La loro stru ttu ra m olecolare, flavina seguono l’acqua per diffusione passiva, con gruppi idroM ci e gruppi idrofobici, ne fa dei l’acido folico prim a viene idrolizzato a opera buoni detergenti, potendo legare sia acqua sia delle idrolisi dell’orletto a spazzola, scisso dai grassi. D urante la digestione, a concentrazioni di com plessi poliglutam m ati da cui è costituito, e 5-15 [imol/ml i sali biliari si aggregano in micelle. quindi reso un com posto oligo-glutammico as­ N elle micelle le molecole di sali biliari si dispon­ sorbibile attraverso un carrier specifico acido­ gono in modo che il polo idrofobo sia orientato verso il centro della micella, che diventa, così, dipendente. Il processo di idrolisi è inibito da alcuni farmaci, p e r esem pio la sulfasalazina, e un milieu chimico-fisico idoneo al trasporto di m olecole non idrosolubili, come quelle degli aci­ dall’alcol etilico. La vitam ina B12 (cobalamina) è coniugata nello stom aco a u n a glicoproteina di grassi, che sono in questa form a veicolati fi­ no allo strato di acqua che riveste gli enterociti, salivare, com plesso R, da cui si scinde nel duo­

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deno e si lega al fattore intrinseco (FI), prodotto dalle cellule;parietali gastriche e p resente nella secrezione gastrica. Così coniugata la vitam ina B12 resiste alla digestione e arriva fino all’ileo terminale dove trova recettori specifici sugli enterociti. È necessario ingerire alm eno 2,5 ng di cobalam ina al giorno, che è conservata in un pool di circaj4 mg (fegato, midollo, globuli rossi, altre cellule). Le patologie che alterano le ulti­ me anse dell’ileo, com e le enteriti regionali o la sindrome dell’ansa cieca interferiscono con l’as­ sorbimento della vitam ina BJ2. I

Calcio Il calcio è attivam ente assorbito lungo tu tto l'intestino attraverso un m eccanism o di diffu­ sione paracellulare passiva e un m eccanism o di trasporto! attivo enterocitario (quest’ultim o principalm ente nel duodeno e nel digiuno), en­ trambi regolati dalla vitam ina D3, 1,25-diidrocolecalciferòlo. Altre due proteine', la pro tein a legante il calcio e la calm odulina cooperano nell’assorbim ento con m eccanism i ancora non del tutto chiariti. L’assorbim ento dei sali di cal­ cio, m a soprattutto del calcio del latte, è p o ten ­ ziato dalla presenza di lattosio e dalla carenza di calcio nell’organismo. È necessario assum ere più di 1 g di' calcio al giorno, poiché di questo circa il 70% no n verrà assorbito.

Ferro !

La n ostra (lieta fornisce circa 20 mg di ferro al giorno: solo ll-2 mg di questo vengono assorbiti, ma in presenza di carenza o maggiore fabbiso­ gno questa quantità può aum entare. La maggior parte dell’assorbim ento avviene nel duodeno e digiuno prossim ale. Il ferro della dieta si trova sotto form a di ferro eme e ferro non eme (ferro inorganico). H ferro eme si trova negli alim enti di origine anim ale e viene assorbito con mag­ giore efficacia utilizzando sistem i di trasp orto alternativi a ¡quelli del ferro ionico. Il ferro non eme, p resen te negli alimenti di origine anim ale e vegetale, è assorbito con maggiore efficacia so t­ to form a di iòne ferroso (Fea+). La riduzione del­ lo ione ferrico (Fé3*) in ione ferroso avviene in massima p arte nell’am biente acido dello stom a­ co ed è fav o n ta dall’azione dell’acido ascorbico (vitamina C). L’assorbimento, del ferro richiede due tappe: en trata nella cellula e trasp o rto nel plasma. E ntram bi i m eccanism i sono variabil-

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m ente influenzati dal fabbisogno e dalla dose di ferro p resen te nel lume intestinale. La capacità di assorbire il ferro è maggiore n el duodeno­ digiuno risp etto all’ileo e può essere notevol­ m ente inibita da sostanze presen ti n el lume che ne lim itano la biodisponibilità (fosfati, carbo­ nati, fitati, fenoli). Tutte le patologie che colpi­ scono la p rim a p arte del tenue possono causare m alassorbim ento del ferro.

Mald¡gestione e malassorbimento N um erose patologie gastrointestinali posso­ no causare segni e sintom i clinici che configu­ rano un quadro di m alassorbim ento o maldigestione. La m a ld ig e s tio n e avviene se è presente un’anom alia della digestione del cibo nel lume dell’intestino che im pedisce la disponibilità dei nutrienti. N aturalm ente la m aldigestione è seguita d a m alassorbim ento dei nutrienti indi­ geriti. Le lipasi e amilasi pancreatich e sono in­ dispensabili alla digestione del cibo e quindi le patologie del p an creas che riducono l’escrezio­ ne di tali enzimi causano un m alassorbim ento di grassi, carboidrati e p ro tein e che rim angono indigeriti nel lum e e transitano fino al colon. L’au m entata escrezione di grassi, steatorrea, è un sintom o clinico che im pone la valutazione del p an creas e se c ’è stea to rre a gran p arte del pancreas deve essere com prom esso. Pancre­ atiti croniche da alcol o idiopatiche m a anche tum ori e resezioni del p an creas provocano in­ sufficienza del p an creas esocrino determ inando m aldigestione e m alassorbim ento dei nutrienti con u n a variabile e m ultiform e sintom atologia che include dim agram ento, ipotrofìa m uscolare, iperfagia e steatorrea. Nei bam bini l’insufficienza pan creatica è più com unem ente associata alla fibrosi cistica. Nel sospetto, te st al sudore, ecografia epatobiliopan creatica e altre indagini di imaging e l’analisi genetica saran no dirimenti, M aldigestione dei grassi p u ò essere dovuta anche alla sindrom e di Zollinger-Ellison, nella quale l'iperproduzione di acido gastrico non fa attivare gli enzimi nel lum e duodenale (gli enzi­ mi funzionano a pH neutro o basico). I livelli di gastrina del siero, l’esofagogastroduonescopia e l’imaging conferm eranno il sospetto diagnostico. Anche l’e stesa chirurgia gastrica causa maldigestione p e r un insiem e di motivi: ridotto m escolam ento, ipoproduzione di acido, rapido svuotam ento, diluizione del succo pancreatico e

250

M A N U A L E DI G A S T R O E N T E R O L O G IA 2 0 1 3 -2 0 1 5

an che una riduzione della produzione di enzimi p ancreatici p e r la vagotomia, che si associa alla chirurgia, perché il vago innervando il p ancreas contribuisce a regolarne la funzione. M olto spesso maldigestione p e r cause intralurninali e m alassorbim ento sono coesistenti. Ad esem pio resezioni estese dell'ultim a ansa ileale (superiori a 100 cm) com portano una riduzione d ell’assorbim ento dei sali biliari, che non viene com pensata da un’efficace produzione epatica, cosicché alla diarrea secretiva conseguente al m alassorbim ento si associa steato rrea p er una rid o tta formazione di micelle e quindi mal dige­ stione dei grassi. U n altro esem pio è dato dalla ridotta con­ centrazione dell'orm one colecistochina-pancreozim ina (CCK-PZ). La CCK-PZ è pro d o tta d alle cellule I del duodeno ed è indispensabile p e r contrarre la colecisti e p e r inviare un’ade­ g u ata concentrazione di sali biliari nel duodeno. U na lesione estesa della m ucosa duodenale, com e avviene nella celiachia, riduce le cellule I e la produzione di CCK-PZ e, anche se il resto d ell’intestino è sano e p otrebbe vicariare il trat­ to affetto, il m alassorbim ento di grassi avviene p e r riduzione della concentrazione di sali biliari. E perciò in m olte situazioni cliniche il p ro ­ cesso diagnostico p arte dai segni di m alassorbi­ m ento p er poi arrivare a definire se alla base vi sia o m eno maldigestione. Con il term ine di m a la sso rb im e n to si in­ ten d e un difettoso assorbim ento dei nutrienti p resen ti nel lume. Come già ribadito anteceden­ tem en te se i nutrienti non sono stati digeriti in m odo appropriato nel lume anche una p arete intestinale integra, con sufficiente superficie assorbente, non sarà in grado di far passare al­ cu n i nutrienti dal lume dell’intestino al sangue. Si preferisce pertanto, nella p ratica clinica, far rien tra re anche i quadri di m aldigestione nella p iù com plessa sindrom e da m alassorbim ento distinguendo: - u n m alassorbim ento da patologia pancreati­ c a come nell'insufficienza p an creatica dove la m aldigestione dei principali nutrienti, co­ m e precedentem ente descritto, p o rta un qua­ d ro di m alassorbim ento generalizzato; - u n m alassorbim ento da patologia epatobiliare dove, in caso di com prom issione epatica o colelitiasi, il ridotto pool biliare p o rta a maldigestione e quindi m alassorbim ento di gras­ si; e infine un m alassorbim ento da patologia intestinale. D m alassorbim ento da patologia intestinale p u ò presentarsi come:

- M alassorbim ento generalizzato. Un esempio è dato da un quadro di celiachia con com­ prom issione estesa della m ucosa intestinale. Il quadro clinico corrispondente compren­ d erà dim agram ento e ipotrofia m uscolare e diverse altre alterazioni tra le quali l’anemia sideropenica, l’osteoporosi, l’ipoproteinemia, n polipem ia e l’alterazione della coagulazione da deficit della vitam ina K. - M alassorbim ento p a rzia le in cui la limita­ tezza del deficit nutrizionale dipende dalla contenuta estensione di u n a lesione del tenue (Fe, folati, Ca, Vitamina B12, acidi biliari). Un esem pio di m alassorbim ento parziale è dato dall'interessam ento dell’ultim a ansa ileale l i t e nella m alattia di Crohn. D quadro clinico cor­ rispondente p o trà evidenziare u n deficit di folati e di vitam ina B12 e un m alassorbim ento di sali biliari. - M alassorbim ento selettivo derivato da uno r.:.' specifico difetto biochimico enterocitico. Ne ! f f è un esempio il deficit di lattasi, che causa l’intolleranza al lattosio, zucchero del latte. La lattasi scinde il lattosio, disaccaride non assorbibile, in galattosio e glucosio, rapida­ m ente assorbibili. Nei soggetti intolleranti a causa del deficit enzimatico il lattosio rima­ ne indigerito nel lume intestinale. D lattosio è osm oticam ente attivo, quindi trattiene nel lume intestinale acqua, p oi nel colon viene di­ gerito d a batteri che utilizzandolo, producono gas. Gas e acqua nel lume intestinale rendono ragione di borborigmi, m eteorism o e diarrea che rappresentano i classici sintom i riferiti dai pazienti con intolleranza al lattosio. La tabella 38.2 riassum e le cause principali di m aldigestione e m alassorbim ento. Tabella 38.2 Principali cause di maldigestione

malassorbimento

MALDIGESTIONE

MALASSORBIMENTO

Di origine pancreatica (pancreatite cronica, cancro del pancreas)

Resezioni intestinali estese: intestino corto

Di origine biliare (colestasl mediche o chirurgiche, lleitl o resezioni ileali)

Alterazioni della superficie assorbitiva: malattia di Crohn, giardiasi, linfomi, celiachia

Da inattivazione enzimatica

Difetti del trasporto intracellulara

Contaminazione batterica del tenue (deconlugazlone del sali biliari)

Insufficiente apporto di sangue

Difetto di mixing blllopancreatico (post-chirurglco)

Ostacolato deflusso di linfa

C A P IT O L O 3 8 . M A L D IG E S T IO N E E M A L A S S O R B IM E N T O

Quadro clinico 11 corteo di sintom i e segni che accom pagna il m alassorbim ento è secondario alla persisten­ za nell'intestino dei nutrienti m alassorbiti o al mancato utilizzo tessutale di tali nutrienti. Il malassorbim ento generalizzato è classicam ente caratterizzato da diarrea con steato rrea e calo ponderale. Il m alassorbim ento generalizzato e quello parziale sono generalm ente associati a u n a se ­ rie di segni e sintom i intestinali ed extraintestinali secondari al deficit di specifici nutrienti. La compromissione della m ucosa duodenale, tipi­ ca della celiachia p u ò ad esem pio determ inare un m alassorbim ento di ferro e calcio causa ri­ spettivamente di anem ia sideropenica e osteo­ penia. L’interessam ento dell’ultim a ansa ileale nella m alattia di Crohn e Vovergrowth batterico (SIBO) possono determ inare deficit di vitam i­ na B12, quindi anem ia m acrocitica e neuropatie periferiche, e di sali biliari che causano diarrea secretoria. Altri segni e sintom i da m alassorbi­ mento sono schem atizzati nella tabella 38.3.

Tabella 38.3 Segni e sintomi da malassorbimento

Apparato digerente

SINTOMI E SEGNI

CAUSA

-

- Malassorbimento - Fermentazione batterica

Diarrea +/- Steatorrea Calo ponderale Meteorismo Dolore addominale

Apparato -Anemia mlcroemopoietico macrocltlca - Emorragia

- Deficit Fe/Folatl/Vit B.. - Deficit VltK

Apparato muscolo­ scheletrico

- Osteopenia/osteoporosi - Deficit protratto Ca/Vit D -Atrofia muscolare - Malassorbimento -Tetania proteico - Deficit acuto Ca/Mg

Apparato endocrino

-Amenorrea, sterilità - Iperparatiroidismo secondario

Cute

- Dermatite diffusa - Deficit polivitamlnico - Ipercheratosl follicolare - Deficit Vit A - Edema - Ipoalbumlnemla

Sistema nervoso

- Neuropatia periferica distale -Xeroftalmla

- Malassorbimento - Deficit Ca/Vit D

-D eficit Vit B.. -D eficit Vit A

Diagnosi Il percorso diagnostico che deve guidare il medico nella diagnosi di m alassorbim ento è la

251

valutazione della su a presenza e quindi l'identi­ ficazione della causa. La valutazione di un m alassorbim ento genera­ lizzato può essere effettuata m ediante il dosag­ gio dei grassi fecali. Q uesto te s t consiste nella valutazione quantitativa dei lipidi presen ti nelle feci raccolte in un periodo di tre giorni, durante il quale il paziente segue una d ieta contenente 100 g di lipidi al giorno. Un quantitativo di grassi superiore a 7 g è indicativo di m alassorbim ento. n te s t è poco accettato dai pazienti m a anche dal p ersonale di laboratorio e p er questo p o co uti­ lizzato nella p ratica clinica. Un’utile indicazione può anche venire dal peso delle feci delle 24 ore da rip etere 3 volte in 7-10 giorni. P u r n o n essen­ do un te s t standardizzato si ritiene che con una dieta “occidentale” con una m odica assunzione di fibre il p eso delle feci in assenza di m alassor­ bim ento debba aggirasi tra i 250 e i 300 g. La p ratica clinica h a oram ai abbandonato il te st dello xilosio, uno zucchero non assorbibile che, se trovato nelle urine dopo averlo assunto in u n a soluzione acquosa, indica u n ’aum entata perm eabilità (e cioè un danno) della m ucosa in­ testinale. Molto im piegati nella pratica clinica nel sospet­ to di m alassorbim ento sono invece gli H 3 breath tests che misurano la concentrazione di idrogeno nell’aria espirata dal soggetto dopo assunzione di carboidrati, ferm entati dai batteri intraluminali. Nel Glucosio-Breath Test (GBT), il glucosio è ra­ pidam ente assorbito prossim alm ente nel piccolo intestino e non raggiunge il colon. Nei pazienti con SIBO, il GBT m ostra un singolo picco p re­ coce di idrogeno dovuto alla ferm entazione del glucosio da parte dei batteri presenti nel piccolo intestino. N onostante il largo utilizzo di questo test, il gold standard p er la diagnosi del SEBO è la coltura del succo digiunale (patologica >105 CFU/ml). Anche nel caso del deficit di lattasi, pur essendo la valutazione dell’attività della lattasi su biopsie digiunali il gold standard p e r la dia­ gnosi, tale te st è troppo invasivo e i suoi risultati possono essere influenzati dalla disseminazione irregolare della lattasi sulla parete intestinale, e viene p er questo nella pratica clinica sostituito dal lattosio H* breath test che valuta mediante l’idrogeno espirato l’entità del deficit enzimatico. Altro te st di m alassorbim ento è la scintigra­ fia serìata dopo som ministrazione di Se75-HCAT (acido om otaurocolico m arcato con selenio 75). Questo com posto viene fatto assum ere oralm en­ te e il paziente è sottoposto a scintigrafia seriata dopo 7 giorni per m isurare la ritenzione del Se75HCAT all’interno dell'organismo. U na ritenzione

IV1MINUMLC

UI u n o I n U C I N I C n U L U O I M

inferiore al 10% dopo 7 giorni è considerata indi­ cativa di m alassorbim ento di sali biliari. Questo te st tuttavia non è utilizzato nella p ratica clinica se non in centri altam ente specializzati. La ricerca degli anticorpi antitransglutam inasi e antiendom isio accanto aUa bio p sia intestina­ le perm ette di fare diagnosi di m alattia celiaca. L’esam e colonscopico con lo studio retrogrado dell’ultim a ansa ileale e biopsie intestinali, in­ siem e a indagini radiologiche com e la risonanza m agnetica dell’intestino, p erm etto n o di fare dia­ gnosi di m alattia di Crohn. La biopsia intestinale consente inoltre di porre diagnosi di m alattia di Whipple, di giardiasi, delTabetalipoproteinemia, e della linfangectasia. L’esam e parassitologico delle feci, eseguito su feci fresche e raccolte in tre giorni diversi, è ovviam ente indicato nel sospetto di giardiasi o di altre parassitosi. La clearance fecale dell’al-a n titrip sin a è in­ vece un te s t che quantifica il grado di protidodispersione intestinale che spesso si accom pagna all’enteropatia. L’al-an titrip sin a è u n a p roteina sierica che, in p resenza di im portanti lesioni in­ testinali, viene dispersa nel lum e dove, a causa della su a attività antiproteolitica, n o n viene di­ gerita dalle proteasi ivi presenti e viene elimina­ ta in tatta nelle feci. C onoscendo i livelli sierici, la su a determ inazione fecale costituisce un indi­ ce attendibile di protidodispersione. n te st di cellobiosio-m annitolo è un test che m isura la perm eabilità intestinale. Il cellobiosio, un disaccaride, p assa attraverso la m em brana basolaterale degli enterociti (tig h t ju n c tio n s ). Il m annitolo invece è un piccolo m onosaccaride che attraversa la barriera epiteliale attraverso ' p ori sulla m em brana apicale degli enterociti. Nei pazienti con danno alla m ucosa intestinale si avrà un com portam ento paradossale di questi zuccheri, vale a dire che p asserà più facilm en­ te il disaccaride rispetto al m onosaccaride più piccolo. Il te st si pratica som m inistrando 6 g di m annitolo e 2 g di cellobiosio in 100 mi di acqua e si raccolgono le urine delle successive 5 ore. Se la barriera m ucosale è interrotta, il rappor­ to tra l’escrezione dei due zuccheri sarà alto e indicherà la presenza di un danno della m ucosa intestinale.

¿ U 1 0 -^ U IO

Terapia La terap ia delle sindrom i da m alasso rb im en llt to deve essere rivolta a rim uovere la cau sa ezio^S logica. A ccanto a questo, 11 dove è indicato p er^S im portanti carenze nutrizionali, è possibile pra-iHi ticare un trattam ento di supporto con elettroliti,^. vitamine, ferro, album ina e liquidi ci la n u triz io n i ne parenterale n ei casi più severi. ;

----------------------------------------------;—

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CONCETTI CHIAVE

è ìì$

/

L’in te s tin o te n u e h a g ra n d e s u p e rfic ie a s s o r b iv a g ra n d e ris e rv a fu n z io n a le .

/

M o lti n u trie n ti h a n n o s e d e e m o d a lità d i!a s s o rb lm e n tO 'l ' Ì ‘s p e c ific i.

/

L a m a ld ig e s tio n e è u n 'a lte ra z io n e d e lla d ig e s tio n e del f e c ib o n e l lu m e in te s tin a le e d è s e g u ita d a m a la s s o rb l-:! j ^ m e n to a n c h e s e la m u c o s a d e ll’in te s tin o è in d e n n e d a ‘$ j p a to lo g ia .

/

Il m a la s s o rb im e n to è un m a n c a to a s s o rb im e n to d e T $ V n u trie n ti s ia p e r in d is p o n ib ilità d e i n u trie n ti a ll’assor^ : b im e n to s ia p e r u n d ife tto d e lla p a re te d e ll'in te s tin o . • %

; --------------------------------------------------I-------------- ^

Bibliografia essenziale

m -V-S©

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39 Valutazione defio stato nutrizionale ■

SARA MASSIRONI

OBIETTIVI DIDATTICI

Tabella 39.1

/

D efinire la m a ln u triz io n e e v a lu ta z io n e d e llo s ta to n u trizio n a le e rp e ta b o lic o .

Cause di m alnutrizione

/

C o n o s c e re le d iv e rs e c a u s e d i m a ln u trizio n e : In s u ffic ie n te in tro ito d i n u trie n ti, d e fic it p re -m u c o s a ll (m a ld ig e s tio n e )i d e fic it m u c o s a li (m a la s s o rb lm e n to ), de fic it p o s t-m u c o s a li (o s tru z io n e lin fa tic a ).

/

C o n o s c e re i q u à d ri clin ici d e lla m a ln u trizio n e : K w as h io rk o r, m a ra s m a , m a ln u triz io n e m is ta .

/

Id e n tific a re i m e c c a n is m i p a to g e n e tlc i c h e si in s ta u ra n o n e l c o rs o d e lla m a ln u triz io n e e d e fin ire P ip e rc a ta b o lls m o .

/

DIFETTO PRIMARIO

FISIOPATOLOGIA

MALATTIA

Deficit premucosali

Alterazione della digestione (processo meccanico e chimico che trasforma e riduce (1 cibo Ingerito in sostanze più semplici)

Pancreatite cronica Fibrosi cistica Disturbi della motilità gastrointestinale Sindrome dell'ansa cieca Sindrome post-gastrectomia

Deficit macosale

Alterazioni dell'assorbimento intestinale

Sindrome dell'intestino corto Celiachia Malattia di Crohn Malattie linfoproliferative del piccolo intestino Enteriti da raggi Ischemia intestinale Enteropatia AIDS-correlata

C o n o s c e re I p rin c ip i fo n d a m e n ta li e ;le In d ic a z io n i de lla n u triz io n e a rtific ia le , in p a rtic o la re d e lia n u trizio n e e n te r a le e p a re n te ra le .

!

•il! ....

La malnutrizione è uno stato di alterazione funzionale, strutturale e di sviluppo dell’organi­ smo conseguente alla discrepanza tra fabbiso­ gni) introiti e utilizzazione dei nutrienti tale da comportare un Recesso di m ortalità e m orbilità o un’alterazione della qualità della vita. La malnutrizione può dipendere da difetti che coinvol­ gono diversi passaggi nell'assunzione ¡energeti­ ca proveniente dai nutrienti: - introito insufficiente di nutrienti, come si os­ serva in pazienti disfagici p e r patologie neu­ rologiche/m otorie o stenosi neoplastiche, pazienti in alterato stato di coscienza, paresi gastrica, ecc.; - deficit pre-m ucosi che com portano maldigestione (alterazione del processo m eccanico e chim ico che trasform a e riduce il cibo in­ gerito in sostanze più sem plici e più facili da assorbire e assim ilare dall’organismo); - deficit m ucosi che com portano m alassorbimento (alterazione del passaggio di sostanze nutritive allajcircolazione sanguigna); - deficit post-m ucosi caratterizzati d a ostru­ zione linfatica o alterazioni vascolari (tabella 39.1). L’alterazione !di ciascuna di queste funzioni comporta un alterato equilibrio fra introiti e

-

Deficit post­ ín ucosale

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Ostruzione linfatica

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,

Alterazioni vascolari

j .

Linfangectasia intestinale congenita Unfangectasle secondarie - Carcinomi retroperitoneall - Linfomi - Fibrosi retroperitoneale -Tubercolosi - Sarcoldosl - Malattia di Whipple - Malattia di Crohn Pericardite costrittiva Scompenso cardiaco cronico

fabbisogni energetici e p o rta quindi a uno stato di malnutrizione. Gli introiti n ecessari al m ante­ nim ento di questo equilibrio sono costituiti da macToalemeriti (proteine, carboidrati, grassi), d a m icroelem enti (vitamine, minerali, elementi traccia) e dall’acqua, elem ento fondam entale e costituzionale di qualsiasi organism o viven­ te. Il term ine m a ln u trizio n e calorico‘proteica (MCP) viene usato p e r indicare il deficit di m a­ croelem enti, m entre il deficit dei singoli micro­ elem enti dà quadri clinici carenziali (tabella 39.2). Tutti e tre i gruppi di m acroelem enti forni­ scono una quote calorica. La m alnutrizione è classicam ente distinta in tre quadri principali:

254

M A N U A L E D I G A S T R O E N T E R O L O G IA 2 0 1 3 -2 0 1 5

1. il tipo Kwashiorkor, caratterizzato da caren­ za estrem a di proteine, con ipoalbuminemia, edemi e steatosi epatica; 2. il marasma, o malnutrizione calorica defini­ ta da un deficit di substrati calorici con una perdita sia di m assa m agra sia di pannicolo adiposo; 3. il tipo misto, caratterizzato dalla carenza sia degli apporti energetici sia di quelli proteici. Attualm ente si preferisce suddividere la malnutrizione in acuta e cronica.1 Il quadro clinico del K washiorkor p otrebbe essere assimilato alla perdita acuta di m assa m uscolare che com pare nei pazienti chirurgici com plicati non tra tta ti con adeguato supporto nutrizionale; la form a m arasm atica è invece m olto simile ai quadri riscontrati nell’anziano o n ei malati cronici in cui vi è riduzione della m a ssa m agra associata alla p erd ita di m assa g rassa e non sem pre vi è u n ’evidente riduzio­ n e delle proteine circolanti. La m anifestazione p iù eclatante della MCP è la p erd ita di peso. La risposta adattativa dell’organism o allo sta­ to di insufficiente apporto energetico com ­ p ren d e specifiche alterazioni m etaboliche che com portano l'ossidazione dei trigliceridi e del glucosio depositato nel-fegato so tto form a di glicogeno. Vista la m odesta en tità delle scorte di glicogeno epatico, la gran p arte dei tessuti (m uscolo, cuore, rene, ecc.) si ad atta a utiliz-

truffi zare principalm ente acidi grassi, risparmiando ? | i cosi glucosio. Dal m om ento che il fegato noijSf riesce a ricavare dalla glicogenolisi più di 3 g di glucosio all’ora, l’organism o è costretto ad 3 S attivare una via m etabolica “di emergenza" chiam ata giuconeogenesi. Tale processo consil ,rv ' ste nella produzione di glucosio a partire dagli / $ aminoacidi. Dal m om ento che n ell’organismo ' : non esistono depositi p roteici da utilizzare a scopo energetico, il corpo, p u r di sopravvivere al digiuno, è quindi co stretto a "cannibalizzare'’ la pro p ria m assa magra, costitu ita non solo da $ m uscoli scheletrici, m a anche da m uscoli lisci ; e proteine viscerali.8 Ciò com porta atrofia e '¡M debolezza dei m uscoli scheletrici (com presi i m uscoli respiratori), riduzione della m assa mu* scolare del cuore, rid o tta capacità di guarigione " delle ferite, assottigliam ento delia cute con una predisposizione a form are ulcere da decubito, im munodeficienza, stanchezza, ap atia e ipotermia. Tali effetti com paiono già quando vi è una- ',’| | p erd ita di peso involontaria m aggiore del 10%e ;.;ìj diventano clam orosi ed evidenti quando la per» . iy« dita di p eso su p era il 15%.3 E ssi divengono prògressivam ente irreversibili p e r cui una perdita di peso del 40-50% di solito è incom patibile con ;4 la sopravvivenza (figura 39.1). :; 0 Il calo ponderale può essere dovuto, oltre che all’inadeguata assunzione di energia p r ò - R i ­ veniente dai m acroelem enti (m alnutrizione) >

II

T a b e lla 3 9 .2 T ip i di v itam in e, fabbisogni e sindrom i da caren za iì VITAMINE UPOSOLUBILI

DOSAGGIO/DIE

ALTERAZIONI DA CARENZA

A (retinolo)

7 00 -1 00 0 mg

Alterazioni ossee, epiteliali e della vista

D (calciferolo)

5-10 mg

Rachitismo, osteomalacla

E (tocoferolo)

5-15 mg

Sterilità, atassia, anemia

K (fillochinone e varie)

2 mg

Emorragie

’ •vr-;

VITAMINE IDROSOLUBILI

.7- .v i

B1 (tlamlna)

0 ,8 -1,2 mg

Beri-beri: lesioni nervose e cardiache, edemi

B2 (ri boflavina)

0,8-1,8 mg

Lesioni cavo orale e oculari

B5 (acldopantotenlco)

4 -15 mg

Cefalea, parestesie, crampi, Ipotensione, tachicardia

B6 (plrldossina)

3 -4 mg

Convulsioni, lesioni cutanee, deficit antlcorpale

B12 (cobalamina)

2 -5 mg

Anemia perniciosa, polineuropatia Scorbuto: alterazioni cutanee e dentali, dei vasi, emorragie

C (acido ascorbico)

3 0-1 0 0 mg

M (biotina)

6 0-2 0 0 mg

Dermatiti, mialgie, depressione, nausea, astenia

M (acido follco)

200-400 mg

Anemia megaloblastica

PP (nlaclna o nicotinamide)

%

12-1 8 mfl

Pellagra: demenza, diarrea, dermatite

;É | . ■.$

C A P IT O L O 39. V A LU TA ZIO N E D E LLO STATO N U T R IZ IO N A L E

figura 39.1 . ..

di progressiva alterazione di organi e apparati In rapporto alla deplezione di massa magra (modificata da Hoffer 2001)*

Tappe

R id u zione de l b a g a g lio p ro te ic o 11 M a ssa m u sc o la re i M a ss a c a rd ia c a I M u s c o li re s p ira to ri i R ise rva p ro te ic a R a lle n ta m e n to del m e ta b o lis m o V • Ip ote ns ione

255

- p e r il sesso femminile: 655,1 +(9,56 x p eso) + (1,85 x h)-(4,67 x età). In caso di un aum ento del m etabolism o la BEE v a m oltiplicata p er un fattore di correzione diverso a seco n d a della causa: - febbre « BEE x 1,1; - stress m oderato = BEE x 1,2; - stress di m edia en tità = BEE x 1,4; - stress severo = BEE x 1,6.

Valutazione dello stato nutrizionale e metabolico

• Bradicardia • Ip o te rm ia

Stress m e ta b o lic o :; ^ :

• P a reg gio de l b ila n c io c o -p ro te ic o A lb u m in a s ie ric a n o rm a le

Deficit di m ic r o n u t r ie n t l: ^ Digiuno tro p p o s e v e ro •;?> •

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C o n tin u a e ra p id a perd ita d i p ro te in e e grassi IpoaJb um lnem ia Im m u n o d e fic ie n z a

anche da un increm ento delle richieste ener­ getiche (ipercatabolism o). L’ipercatabolism o è un’alterazione m etabolica indotta da differenti cause (traumi, interventi, infezioni, stress) che comporta u n a deplezione delle proteine, tram ite un’attivazione di ormoni, citochine e m ediatori che portano all’aum ento delle richieste energe­ tiche, a un alterato m etabolism o dei substrati e a un aum ento delle perdite azotate.2 L’entità della p erdita giornaliera di azoto (N) a digiuno definisce l’entità, e quindi la gravità, del catabo­ lismo. Come già visto, la via finale com une sia di malnutrizione sia di ipercatabolism o è il proces­ so di auto-cannibalism o3 (figura 39.1). L’equili­ brio energetico infatti si ottiene quando lo stato nutrizionale (apporti energetici) è in equilibrio con lo stato m etabolico (richieste energetiche). Il fabbisogno energetico è espresso dal m eta­ bolismo basale (BEE = B asai E nergy Eocpenditure), che rappresenta il consum o energetico medio deU’organism o a riposo, in perfetto equi­ librio termico. E sso si esprim e in kcal/die e in­ dica quanta energia è necessaria p e r tenere l’or­ ganismo sem plicem ente in vita. Clinicam ente la formula di Harris-Benedict fornisce una stim a del BEE (kcal/die) in funzione del sesso, deU’età e del peso: ~ per il sesso maschile: 66,47 +(13,75 x peso) + (5 x h)-(6,76 x età);

L’inquadram ento nutrizionale del paziente non può fondarsi su un singolo indice nutrizio­ nale, m a deve im piegare u n a serie di m isurazio­ ni antropom etriche, param etri clinici, determ i­ nazioni biochimiche, “te st im m unitari” o altre p rove più com plesse che vanno in terpretate alla luce del contesto clinico specifico del singo­ lo paziente. N essuno è un indicatore esclusivo dello stato nutrizionale. P er la sua facile e im­ m ed iata acquisizione, il principale indicatore a disposizione è il peso corporeo con le sue va­ riazioni. Un involontario calo ponderale >10% del p eso corporeo abituale negli ultim i 6 mesi è u n sensibile indicatore di MCP. H paziente va valutato sia p e r il suo stato nutrizionale sia per quello m etabolico (tabella 39.3).4

Supporto nutrizionale Com e già detto, tan to la m alnutrizione gra­ ve q uanto l’ip ercatabolism o com prom ettono le c a p a c ità adattative d ell’organism o, com pre­ sa la cap acità ad attativ a alla m alattia e com ­ p o rta n o u n aum entato rischio di m ortalità. In q u est’ottica, la m alnutrizione è u n a v era e pro­ p ria m alattia, che si esprim e clinicam ente con p e rd ita di peso, che com porta u n a m orb id ità e m ortalità, m a che h a u n a su a terap ia efficace. La te ra p ia della m alnutrizione è il su p p o rto n u ­ trizionale. E sso h a posologia e d u rata precisi, b asati su un accu rato calcolo dei fabbisogni calorici e proteici. La nutrizione artificiale è in­ d ic a ta in caso di: - m alnutrizione severa o m oderata con appor­ to alim entare insufficiente p e r più di 5 gg; - sta to nutrizionale norm ale, m a con insuffi­ ciente apporto alim entare p e r alm eno 10 gg oppure con ipercatabolism o severo o con ipercatabolism o m oderato e insufficiente ap­ p o rto p er alm eno 7 giorni.

MANUALfc Ul ü A b I HUfcIN I tM U LUU IA ¡¿Uia-ÜUlO

T a b e lla 39.3 Parametri utilizzati per la classificazione della malnutrizione proteico-calorica e deH’ipercatabolismo i

MALNUTRIZIONE Parametri antropometrici

Lieve

Moderata

Grave

Calo ponderale (su peso abituale)

5-10%

11-20%

Indice di massa corporea (kg/mJ)

17-18,4

16-16,9

>20% j •
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