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September 27, 2017 | Author: Marco Menegon | Category: Sigmund Freud, Greek Tragedy, Psychoanalysis, Unconscious Mind, Surrealism
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L’archivio dell’anima Guidarelli Lucrezia -

- Liceo Classico G. Perticari di Senigallia, anno scolastico 2008/2009 -

“La letteratura è come un archivio, ancora in gran parte inesplorato, della psiche umana e della realtà che in essa si riflette.”

Bibliografia: 2

 I luoghi dell’arte, storia opere percorsi, Electa Mondadori, Milano 2003 a cura di Bocca, Ficcadori, Negri, Nova. Vol. n°6

 La letteratura greca, storia e testi, Dario del Corno, Principato Milano 2003. vol. n°2

 Grandi classici, Marsilio Editori 2007, Euripide, Le tragedie vol. II

 Protagonisti e testi della filosofia, a cura di Giovanni Fornero, Paravia. Vol.D tomo 1

 Antologia Armellini – Colombo, La letteratura italiana, vol.B, Zanichelli 1999.

 Guida storica – Manuale per lo studente, Armellini – Colombo, La letteratura italiana, Zanichelli

L’archivio dell’anima

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La “seconda rivoluzione copernicana”: psicanalisi e scoperta dell’inconscio (interpretazione delle forme artistiche precedenti e influenza sulle successive).

 Vita di Freud: persecuzione e censura da parte dei nazisti

 Concetto di riproduzione dei processi psichici nell’opera d’arte (“Il poeta e la fantasia”).

 Giacomo Leopardi:  prima intuizione della natura desiderativa dell’animo umano: la “teoria del piacere” e la “poetica dell’indefinito”  parallelo con Freud: ruolo della letteratura come sublimazione dei desideri illimitati

 Tragedia greca: l’evento collettivo come prototipo di gruppo terapeutico.  Baccanti: Dioniso e la teoria del desiderio represso.

 Pittura del primo ‘900:  I romantici come primi esploratori dell’animo umano  Cèzanne: il recupero di situazione psicologiche simili attraverso la memoria  De Chirico e gli accostamenti casuali: anticipazione del surrealismo  I surrealisti e l’”automatismo psichico”. Due esempi: 1) Magritte: dal trauma infantile allo stravolgimento delle relazioni ordinarie; 2) Dalì e l’influenza della memoria.

Introduzione La scelta dell’argomento per la mia tesina deriva da una commistione organica fra un mio particolare interesse ed il percorso di studi che ho compiuto e che è ormai giunto al termine, almeno di una delle tante sezioni di cui è costituito. Ho scelto di concentrare la

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mia attenzione sul rapporto fra la psicoanalisi (e quindi la figura più rappresentativa di tale disciplina, il filosofo Sigmund Freud) e la letteratura, in particolare quella greca, che costituisce, a mio parere, uno dei pilastri più specifici ed affascinanti del percorso di studi classici. Più nello specifico la mia argomentazione sarà articolata su pochi concetti fondamentali che tenterò di spiegare nel modo più esauriente possibile: è quindi la scelta di una conoscenza di tipo intensivo, come l’avrebbe definita Galileo Galilei, anziché estensivo. Mi sembra opportuno presentare in primo luogo a grandi linee il percorso personale del padre della psicoanalisi, in modo da capire quali circostanze abbia sviluppato una scoperta di tale portata.

VITA DI FREUD Nasce a Freiberg, in Moravia, nel 1856, da genitori ebrei, che si trasferiscono a Vienna nel 1860. Laureatosi in medicina, intraprende studi di anatomia del sistema nervoso, lavorando nel laboratorio neurofisiologico di Brucke. Nel 1822 per ragioni economiche è costretto ad abbandonare la ricerca scientifica e ad intraprendere la professione medica, dedicandosi alla psichiatria. Nel 1855, grazie ad una borsa di studio, si reca a Parigi, dove Jean Martin Charcot stava studiando i fenomeni isterici. Nel 1889 passa un breve periodo a Nancy, dove i procedimenti dell’ipnosi venivano praticati e studiati da un’altra scuola, quella di Ambroise Lièbeault e dal suo discepolo Hippolyte Bernheim, allora in aspra contrapposizione a Charcot. Tornato a Vienna in virtù di successive ricerche sull’isteria, condotte in collaborazione con Joseph Breuer, perviene alla scoperta dell’inconscio e quindi alla fondazione della teoria psicoanalitica. Il sia pur lento e contrastato successo delle sue teorie fa sì che nel 1910 nasca, a Norimberga, la Società internazionale di Psicoanalisi. Nel 1933 i nazisti, a Berlino, bruciano le opere dell’ebreo Freud. Nel 1938 lascia Vienna e si reca come esule a Londra, ove muore nel 1939.

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PERSECUZIONE: LA CENSURA NAZISTA A proposito di questi ultimi episodi che segnarono profondamente la vita del

filosofo,

analizzare

i

è motivi

interessante per

i

quali

nell’ideologia nazista, un’opera come quella di un importante psicoanalista non potesse essere accettata in nessun modo dal regime. Il 25 Aprile 1935 Goebbels assunse la suprema autorità di censura. Tenere segreti i nomi degli autori e dei libri vietati rispondeva a precisi disegni politici e culturali. I singoli librai e bibliotecari, ma anche i privati cittadini, erano obbligati ad esercitare in prima persona la censura. Molti di loro esclusero dai propri cataloghi alcuni autori secondo il proprio arbitrio per paura di ripercussioni. L’8 maggio 1933 fu pubblicato sul Volkischer Beobachter, famoso giornale nazista, un elenco delle motivazioni per le quali venivano bruciati i libri. Secondo il giornale bisognava respingere le opere -

dei teorici del marxismo,

-

di coloro che esaltavano la Repubblica di Weimar,

-

di coloro che attaccavano i fondamenti della morale e della religione,

-

di autori pacifisti, in particolare degli scrittori critici nei confronti della Prima Guerra Mondiale o nei confronti del valore militare tedesco,

-

di autori che erano espressione dell’espansione della società urbana.

A queste categorie molto ampie si aggiungevano poi i romanzieri di sinistra che criticavano la società borghese, gli autori comunisti, gli autori di satira contro la borghesia, giornalisti oppositori del regime, scienziati antinazisti, fra cui Albert Einstein. I motivi della persecuzione delle opere del padre della psicoanalisi non si limitano al fatto che Freud era di origine ebraica: la condanna delle sue opere si riferisce alla

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“sopravvalutazione della vita sessuale”. La sessualità viene percepita come un pericolo in quanto aspetto irrazionale del comportamento umano. Il sesso era considerato dai nazisti solo nella dimensione fisica, come mezzo per dar vita ad individui puri. Infatti una delle prime misure antisemite prese in Germania e anche in Italia fu vietare i matrimoni e i rapporti tra “ariani”e componenti di razze “inferiori”. I nazisti sciolsero la società viennese della psicoanalisi, la casa di Freud fu più volte perquisita dai soldati nazisti. Gli amici e i conoscenti insistettero affinché Freud lasciasse Vienna per l’Inghilterra. Fu Mussolini a persuadere Hitler a non attaccare direttamente e lasciar fuggire un personaggio così famoso in tutto il mondo. Per ottenere il permesso per lasciare l’Austria Freud fu costretto a firmare una dichiarazione in cui affermava di essere stato trattato con grande rispetto dalle autorità tedesche. Ironicamente Freud aggiunse la frase: “Posso vivamente raccomandare la Gestapo a chicchessia!”. Il 4 giugno 1938 Freud, con la moglie e i figli partì per Londra anche se, vecchio e malato, avrebbe

preferito

rimanere

a

Vienna

e

trascorrervi gli ultimi anni di vita. I familiari che

rimasero,

le

quattro

anziane

sorelle,

furono deportate nei campi di concentramento di Auschwitz e Theresienstadt. Il 10 novembre 1938 Freud annotò nel proprio diario: “Pogrom in Germania: vandalismo e brutalità segnano l’inizio della persecuzione con la Notte dei Cristalli”. Lo scienziato morì meno di un anno più tardi senza conoscere il destino del suo popolo.

IL

CONCETTO

DI

RIPRODUZIONE

PSICHICI NELL’OPERA D’ARTE

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DEI

PROCESSI

La tesi che Freud sviluppa è piuttosto semplice: l’uomo è portato naturalmente a seguire la ricerca del piacere ed il soddisfacimento delle sue pulsioni libidiche, ma essendo un animale sociale, e dovendo vivere all’interno di una comunità, non può manifestare e concretizzare queste pulsioni. Vivere in società vuol dire accettare delle regole che consentano una convivenza appunto civile, e dei comportamenti che essendo propedeutici alla serenità della vita collettiva, non prevedono il soddisfacimento delle pulsioni primarie dell’uomo. Freud chiarisce questo concetto ne “Il poeta e la fantasia” (1907) quando classifica le fantasie degli adulti in due tipi fondamentali di desiderio: i desideri ambiziosi e quelli erotici. I primi tipicamente maschili, i secondi femminili. Ma spesso essi sono intrecciati: fantasie di compiere azioni grandiose ed eroiche per ottenere l’amore della dama. Si tratta di desideri che vanno nascosti in quanto “alla donna ben educata viene riconosciuta in genere solo una minima parte dei suoi bisogni sessuali, e il giovane uomo deve imparare a reprimere l’eccesso di quella presunzione che è retaggio dei vezzeggiamenti infantili, se vuole inserirsi nella società tanto ricca di individui similmente presuntuosi”. Sostanzialmente l’uomo deve autodisciplinarsi, la ricerca spasmodica del piacere è continuamente

repressa

e

lo

sfogo

di

questa

repressione

è

strettamente

legato

all’espressione artistica, in particolare alla letteratura, di cui Freud era un grande appassionato: sentiva un’affinità tra sé e gli scrittori e intuiva la facilità con cui questi raggiungevano “quelle percezioni che a lui personalmente erano costate tanto”. “Probabilmente noi e lui (gli psicoanalisti e il poeta) attingiamo alle stesse fonti, lavoriamo sopra lo stesso oggetto, ciascuno di noi con un metodo diverso e la coincidenza dei risultati sembra costituire una garanzia che abbiamo entrambi lavorato in modo corretto. Il nostro procedimento consiste nell’osservazione cosciente di processi psichici abnormi (…). Il poeta certo procede in modo diverso: rivolge la propria attenzione all’inconscio nella propria psiche, spia le sue possibilità di sviluppo e ne da una espressione artistica, in luogo di esprimerle con una critica cosciente. Così egli sperimenta in noi quanto noi apprendiamo da altri e cioè le leggi a cui deve sottostare l’attività dell’inconscio; ma non ha bisogno di enunciare queste leggi e neppure di riconoscerle chiaramente poiché la sua intelligenza critica non vi si ribella, esse si trovano contenute e incorporate nelle sue creazioni”.

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In sostanza l’intuizione di Freud parte dall’analisi del meccanismo utilizzato dal poeta nel momento della creazione artistica: egli esprime attraverso il suo talento, artistico o letterario, ciò che lo psicanalista tenta di estrapolare dalla psiche del paziente attraverso la seduta terapeutica. Entrambi procedono secondo lo stesso metodo ma utilizzano linguaggi differenti: l’analisi della psiche è implicita nel linguaggio artistico, esplicita in quello psicoanalitico. La differenza nel linguaggio trova la sua coerente giustificazione nei differenti obiettivi delle due discipline: infatti la psicoanalisi come scienza si propone di esplicitare e chiarire al suo specifico pubblico i meccanismi della psiche, l’artista, attraverso questo stesso metodo che resta implicito (e in molti casi anche inconscio), trasmette la sua percezione della realtà al lettore. Il fine dell’uno costituisce il mezzo dell’altro. Freud è convinto che la letteratura, la filosofia, l’arte in generale rappresentino naturalmente una valvola di sfogo di tali pulsioni, che vengono estrapolate dall’inconscio per essere tradotte in espressioni di forma diversa, concettualmente comprensibili da tutti gli uomini. In pratica il letterato applica su se stesso una forma naturale di psicoterapia che riporta in superficie, in forma diversa, ciò che ha rimosso. Infatti lo scrittore naturalmente analizza i processi più profondi della psiche utilizzando il suo talento per descriverli, una sorta di analisi naturale dei propri processi psicologici che hanno forse un valore terapeutico per lo scrittore. In sostanza un lavoro naturale, che viene praticato dalla psiche del poeta e del letterato, e che svolge la funzione di far convivere pacificamente l’inconscio dell’uomo (che vorrebbe il soddisfacimento delle proprie pulsioni e dei propri desideri) con la realtà, nella quali tali pulsioni e desideri, non sarebbero accettabili. Freud ha avuto un rapporto intenso con la letteratura nei confronti della quale aveva una particolare predilezione anche in virtù della sua ipotesi secondo la quale in letteratura gli impulsi naturali dell’uomo vengono riportati alla luce senza necessità di terapie. Freud si sente soprattutto una sorta di matematico che è riuscito ad estrapolare la “regola”, la funzione, la formula con le quali la psiche attua questo processo di parziale annullamento del processo di rimozione delle pulsioni e dei desideri.

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E’ con “L’interpretazione dei sogni” che Freud apre la via alla conoscenza di quel continente sommerso che è il nostro inconscio; ma la scoperta dell’inconscio non è di Freud, come egli stesso riconosce: “i poeti ed i filosofi hanno scoperto l’inconscio prima di me; quel che ho scoperto io è il metodo scientifico che consente lo studio dell’inconscio” (Discorso in occasione del suo 70° compleanno, cit. in R.Bodei, Letteratura e psicoanalisi, Zanichelli, Bologna 1982, pag. 3) . E’ quindi ovvio che la psicoanalisi si rivolga alla letteratura, che è come un “archivio ancora in gran parte inesplorato, della psiche umana e della realtà che in essa si riflette: poeti e artisti hanno sia pure sistematicamente scandagliato l’animo umano più in profondità di quanto abbiano fatto finora gli psicoanalisti”. Scrittori, poeti ed artisti infatti esprimono ciò che è stato rimosso nell’animo umano, cioè desideri e pulsioni libidiche che minacciano la stessa società (Il disagio della civiltà); “lo esprimono però attraverso la creazione artistica, cioè in forme socialmente accettabili. In questo modo “l’opera d’arte”, alimentando immagini di desiderio e allentando la tensione provocata dalla continua rimozione imposta dalla civiltà alla soddisfazione delle pulsioni, sancisce ufficialmente una periodica rivincita della fantasia e del principio del piacere contro il principio della realtà” (Bodei, Letteratura e psicoanalisi, c p.6) Per lo stesso artista, come scrive Freud ne Il poeta e la fantasia, l’arte diventa una compensazione alla sua vita tra i disagi che la società gli impone. Ma vi è di più. L’analisi naturale (ed anch’essa inconscia), attraverso la quale il poeta o il filosofo scava il suo inconscio, gli permette di riportarlo alla luce in modo criptato, attraverso l’utilizzo della fantasia e dei simboli, che a loro volta vengono compresi dai lettori delle sue opere, su due livelli. Quello meno profondo della comprensione del testo, e quello più profondo della immedesimazione, attraverso la quale anch’essi compiono una sorta di autoanalisi. Le pulsioni libidiche e la ricerca del piacere vengono perciò esorcizzate dal genere umano attraverso la lettura, o attraverso la comprensione di un’opera d’arte, e vengono così mantenute a livello più profondo, senza che vi sia il pericolo che vengano riportate al livello conscio, e conseguentemente concretizzate. Una sorta di cibo per l’anima che consente al genere umano di mantenere al minimo le nefaste conseguenze della liberazione delle pulsioni naturali dell’uomo, che porterebbero

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alla distruzione del vivere sociale e contemporaneamente una terapia per la psiche degli uomini che altrimenti vivrebbero soffocati dall’insoddisfazione continua delle proprie pulsioni e dei propri desideri.

GIACOMO LEOPARDI: LETTERATURA COME SUBLIMAZIONE DEL DESIDERIO Il concetto di costante ma insoddisfatta ricerca del piacere non è certamente nuovo nell’ambito della letteratura. Fu proprio Giacomo Leopardi, illustre poeta e scrittore recanatese, il primo a riflettere su questa componente dell’animo umano. A questo punto il parallelo fra l’intuizione leopardiana e freudiana è evidente: entrambi ragionano sullo stesso problema proponendo soluzioni e apportando motivazioni differenti per i diversi campi e circostanze culturali in cui si mossero. Freud, psicoanalista del primo Novecento, fornì una teoria di stampo scientifico, Leopardi, scrittore e poeta del primo ‘800, dette una lettura di stampo “filosofico – esistenziale”. Negli appunti dello Zibaldone, celebre opera costituita da sette quaderni di oltre quattromilacinquecento pagine, fitte di appunti, abbozzi, osservazioni varie disposte alla rinfusa e non destinate alla pubblicazione, Leopardi sviluppa, attraverso progressivi aggiustamenti, la sua “teoria del piacere”, che è poi strettamente legata a quella del “pessimismo storico”: l’uomo è strutturalmente infelice perché è portato per natura a ricercare incessantemente una fonte di piacere. Tale desiderio nell’animo umano è costante e sempre presente ma impossibile da soddisfare poiché l’uomo aspira ad un piacere infinito e deve quindi inevitabilmente scontrarsi con il carattere circoscritto e occasionale dei piaceri terreni e concreti, non trovando così quella bramata sensazione di totale soddisfacimento. Risulta dunque evidente che, pur partendo dalle stessa premessa, cioè l’impossibilità di soddisfare in maniera illimitata ogni desiderio di piacere insito nell’animo umano, i due intellettuali identificano il limite a questa realizzazione in fattori differenti: da un lato Freud, in qualità di psicanalista, afferma che il limite è costituito da un’esigenza sociale di rapporti civili mentre la fonte di tali desideri, che definisce come sappiamo pulsioni, deriva principalmente dalla sfera sessuale; dall’altro lato Leopardi identifica il limite alla

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realizzazione dei desideri con la finitezza della realtà rispetto all’infinità dell’anima e la fonte della sofferenza sta nell’inconciliabile conflitto fra questa finitezza e l’infinità del desiderio. Il poeta recanatese spiega questo concetto nello Zibaldone attraverso un esempio: “se tu desideri un cavallo ti pare di desiderarlo come cavallo e come un tal piacere, ma in fatti lo desideri come un piacere astratto e illimitato. Quando giungi a possedere il cavallo, trovi un piacere necessariamente circoscritto e senti un vuoto nell’anima perché quel desiderio che tu avevi effettivamente non resta pago […]. E perciò tutti i piaceri debbono esser misti di dispiacere, come proviamo, perché l’anima nell’ottenerli cerca avidamente quello che non può trovare, cioè una infinità di piacere, ossia la soddisfazione di un desiderio illimitato.” Da questi concetti deriva quella che per Leopardi è l’infelicità strutturale dell’uomo, per Freud è lo sfogo nevrotico delle pulsioni a causa della repressione delle stesse. Entrambi gli autori però sembrano avere un aspetto in comune non indifferente: il ruolo della letteratura. Come abbiamo già osservato dalle teorie di Freud emerge il ruolo della letteratura come sfogo delle pulsioni represse attraverso la loro sublimazione, ma il concetto che esprime Leopardi (ovviamente in ambito filosofico) segue lo stesso principio: esiste una facoltà umana, l’immaginazione, che consente all’uomo di concepire mentalmente quel piacere infinito che la realtà gli nega. Ma non dimentichiamoci che siamo in pieno periodo romantico e l’immaginazione sta quindi alla base dell’atto creativo. Anche per Leopardi dunque la letteratura ha una funzione per così dire “di evasione” dalle costrizioni del mondo reale. Con queste premesse il ruolo del poeta diventa inevitabilmente fondamentale: egli deve essere capace di evocare attraverso l’arte della scrittura quell’infinito piacere di cui l’uomo non trova riscontro nella realtà. La soluzione letteraria dell’autore

recanatese

consiste

nella

poetica

dell’indefinito:

il

soddisfacimento

di

un’incessante ricerca del piacere può essere garantito soltanto da sensazione incomplete, come la percezione di una luce di cui non si conosce la fonte, o di una melodia di cui non si è in grado di rintracciare la provenienza. Per questo Leopardi fa una distinzione fra “termini” e “parole”, definendo i primi vocaboli tipici del linguaggio scientifico, che forniscono quindi una definizione precisa dell’oggetto, le seconde invece vocaboli del linguaggio

poetico,

“poeticissime”,

come

le

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definisce,

perché

evocano

nel

lettore

un’immagine vaga dell’oggetto e proprio da questa sensazione di indefinitezza si genera il piacere. Forse non è un caso che una componente fondamentale della teoria leopardiana del piacere coinvolga anche la tematica del ricordo e dell’infanzia: “osservate che forse la massima parte delle immagini e delle sensazioni indefinite che noi proviamo pure dopo la fanciullezza e nel resto della vita, non sono altro che rimembranza della fanciullezza. […] La rimembranza è essenziale e principale nel sentimento poetico, non per altro se non perché il presente, qual ch’egli sia, non può esser poetico; e il poetico, in uno o in altro modo, si trova sempre consistere nel lontano, nell’indefinito, nel vago.” Dagli appunti dello Zibaldone emerge quindi che l’infanzia sia una componente fondamentale dell’esperienza umana proprio perché le situazioni presenti assumono una sfumatura di indefinita familiarità quando sono associate ad un ricordo infantile che, proprio perché lontano nel tempo e quindi estremamente vago, evoca la sensazione di piacere. Riassumendo, attraverso la distinzione fra “termini” e “parole”, l’indefinitezza di certe sensazioni uditive o visive, l’influenza dell’infanzia e del ricordo, il poeta è in grado di evocare nel lettore una sensazione di totale soddisfacimento del suo infinito desiderio di piacere, dando alla letteratura una simile funzione sublimatrice che Freud avrebbe ad essa attribuito poco meno di un secolo dopo. Egli era assolutamente incantato dall’intuizione dei poeti: “ci è consentito trarre un sospiro di sollievo vedendo che ai singoli uomini è dato ricavare senza una vera fatica, dal vortice dei propri sentimenti, le più profonde intuizioni mentre a noialtri non resta che farci strada a tastoni senza posa in tormentosa incertezza verso la medesima verità” Ed ancora: “su noi profani ha esercitato una straordinaria attrazione il problema dei sapere donde quella personalità ben strana che è il poeta tragga la propria materia, e come egli riesca ad avvincerci, suscitando in noi commozioni di cui forse non ci saremmo mai creduti capaci”.

INTERPRETAZIONE

PSICANALITICA

GRECA

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DELLA

TRAGEDIA

Fu proprio Goethe a dare il via ad un possibile collegamento fra psicoanalisi e tragedia greca, attraverso la stessa definizione di quest’ultima: “Ogni tragicità è fondata su un conflitto inconciliabile e se interviene o diventa possibile una conciliazione il tragico scompare”. La tragedia è un esempio di come si può prendere coscienza di tale conflitto e di come, attraverso la forma artistica, si possa esorcizzare il sentimento della frustrazione. Oggettivare, proiettare fuori di sé l’arcano, rende più accettabile l’impotenza che diventa non più l’impotenza dell’uomo, ma caratteristica del vivere umano. La funzione attribuita allo spettacolo del teatro presso gli antichi greci è indicativa di come naturalmente le antiche civiltà ricorressero a quanto era in loro potere per mantenere un equilibrio psicologico nella polis. La tragedia greca è da intendersi come un fenomeno collettivo, religioso e catartico, quasi un prototipo di gruppo terapeutico. Gli spettatori riuniti nel recinto sacro di Dioniso, sulle pendici dell’Acropoli, partecipavano ad un rito e di questa funzione erano consapevoli quanto gli autori e gli attori. Il teatro tragico costituiva un triplice fenomeno: -

religioso, in quanto aveva luogo nel contesto delle celebrazioni festive in onore di Dioniso. Così i greci non sentivano soltanto di assistere ad uno spettacolo, ma anche di partecipare ad un rito. Gli stessi argomenti delle tragedie costituiscono un’indagine sulla problematica natura della divinità e sono quindi strettamente collegate alla storia sacra del popolo greco;

-

politico, poiché la struttura della tragedia rispecchiava l’assetto democratico della polis grazie all’interrelazione dei piani in cui agiscono l’eroe e il coro, ossia l’individuo e la comunità;

-

agonico, in quanto la rappresentazione teatrale costituiva un concorso tra gli autori delle opere rappresentate: un collegio di giudici scelto fra i cittadini stabiliva una graduatoria in base alla quale si assegnavano i premi.

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Euripide: Le Baccanti Oltre a ricalcare l’impianto della funzione terapeutica della psicoanalisi, la tragedia greca sembra, in certi aspetti, anticipare alcune delle fondamentali teorie psicoanalitiche, costituendo uno dei tanti tasselli che Freud avrebbe messo insieme per far salire in superficie quel fondo dell’iceberg che per l’uomo era fino ad allora sconosciuto. L’esempio

che

sembra

più

appropriato

è

quello

delle

Baccanti

ultima

opera

del

tragediografo Euripide rappresentata postuma nel 406. E’ interessante analizzare come Euripide sembri aver anticipato la teoria freudiana dei desideri repressi che, in quest’opera, riaffiorano tragicamente, grazie all’astuto inganno di Dioniso. Penteo rappresenta l’integrità morale, il modello di re a cui fa riferimento l’intera citta di Tebe: è l’incarnazione dello “spirito Apollineo”, parlando in termini nietzschiani. Nelle prime Battute della tragedia Penteo si rivolge a Dioniso in termini violenti “vattene a baccheggiare e non contaminarmi con il tuo delirio!” e lo stesso coro gli associa il carattere di “empia tracotanza”. Ma ciò che il re tebano sembra integralmente rifiutare in realtà, nel suo inconscio, costituisce il suo “grande desiderio represso”. Tale “repressione” è giustificata in questo contesto, dal ruolo che Penteo sa di ricoprire, dalla volontà di dimostrare di aver ereditato una regale moralità, dalla preoccupazione verso il giudizio del proprio popolo. Dioniso, in realtà, non fa altro che insinuarsi nell’inconscio di Penteo, come una sorta di psicoanalista, inducendo questa sua componente repressa ad affiorare in superficie, annullando quel dominio morale che costituiva soltanto una compensazione al desiderio represso. Il Dio non costringe Penteo con la forza: quasi fosse consapevole delle teorie dell’inconscio, si limita ad alimentare un istinto che in Penteo era già presente.

PENTEO E che forma hanno per te questi rituali? DIONISO Non possono essere rivelati a chi non sia iniziato. PENTEO E recano qualche vantaggio a chi li celebra? DIONISO A te non è lecito sentirne parlare, ma meritano di essere conosciuti.

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PENTEO Bell’artificio per farmi venir voglia di ascoltarlo. DIONISO I rituali del dio detestano i sacrileghi. PENTEO Sostieni di aver visto chiaramente il dio: com’era? DIONISO Come voleva: non stava certo a me deciderlo. PENTEO Hai schivato bene ancora una volta e senza rispondermi.

Penteo passa così dal definire i riti bacchici “sofismi

depravati” e dal rinchiudere in

prigione Dioniso stesso, a fare di quest’ultimo la sua unica guida. In sole 17 battute il re trasforma radicalmente il suo giudizio del rito: inizialmente lo definisce “fiamma che divampa con la violenza tracotante delle baccanti”, in seguito, alla domanda di Dioniso, che gli chiede se avesse voluto vedere le baccanti, radunate sui monti, risponde: “certo, e sarei disposto a pagare questa possibilità a peso d’oro”

PENTEO Allora ci andrò allo scoperto, mi hai detto giusto. DIONISO Devo farti da guida? Ti metterai in cammino? PENTEO Portatici subito, non stiamo a perder tempo. DIONISO Allora metti una veste di bisso. PENTEO Che cosa vuol dire? Devo vestirmi da donna da uomo che sono? DIONISO Per evitare che ti uccidano, se si accorgono che sei un uomo. PENTEO Ben detto anche questo. È da un pezzo che ti riveli astuto. DIONISO Mi ha istruito Dioniso. PENTEO E come si possono mettere in pratica questi tuoi bei suggerimenti? DIONISO Ti vestirò io. Entriamo. PENTEO Con che vestito? Da donna? Ho vergogna. DIONISO Non hai più voglia di osservare le menadi? PENTEO Che abito decidi di volermi far indossare? DIONISO Ti metterò sulla testa una chioma fluente. PENTEO E che cos’altro mi farai mettere? DIONISO Un peplo che ti arriva fino ai piedi e un turbante sulla testa. PENTEO E mi metterai addosso anche qualcos’altro? DIONISO un tirso in mano e una pelle screziata di cerbiatto.

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In questo episodio il riaffiorare del desiderio represso porta Penteo a mettersi letteralmente in ridicolo. In tal modo Dioniso raggiunge il suo obiettivo: “voglio che diventi lo zimbello dei Tebani” Poco prima di mettersi in cammino Penteo arriva addirittura ad affidarsi totalmente a Dioniso, con la compiaciuta soddisfazione dello stesso: “vedo con piacere che hai cambiato idea (…). Prima la tua mente era malata, adesso è come deve essere”. Con quest’ultima affermazione Dioniso si riallaccia all’opinione di Freud riguardo la “repressione”: lo scienziato è infatti convinto che la società moderna, industriale,

porterà

ad

una

progressiva

degenerazione

dell’uomo

che

si

evolverà

parallelamente ad un sempre maggior controllo da parte della società degli impulsi umani. Questi verranno inevitabilmente compensati con sfoghi tanto più violenti quanto più coercitiva è stata la repressione. E’ in questi termini che Freud spiega il meccanismo della guerra, come violento sfogo di compensazione ad impulsi repressi con l’imposizione. E’ una visione tragica che però si dimostra antiparallela rispetto all’ipotetica anticipazione euripidea: nelle baccanti infatti la repressione degli istinti come contenimento garantisce una spiritualità apollinea che si rispecchia nell’integrità morale, mentre lo sfogo di tali pulsioni conduce inesorabilmente alla tragedia, di cui Penteo, con la sua fine, costituisce un pregnante esempio. Bisogna comunque tenere presente l’influsso sofistico che caratterizza il teatro di Euripide: tale influsso coincide, secondo Nietzsche, con la morte della tragedia causata proprio dalla prevalenza dell’apollineo sul dionisiaco, della ragione sull’istinto.

L’INFLUENZA DELLA PSICANALISI: LA PITTURA DEL PRIMO ‘900 Mentre per quanto riguarda il simbolismo bisogna considerare il problema dell’anacronismo storico, altre correnti appunto successive alla scoperta della psicoanalisi, tentano di dare forma al “continente sommerso” dell’inconscio. In letteratura l’espressione che fu utilizzata (in particolare da Joice, Eliot o Svevo) è lo stream of consciousness (flusso di pensieri) sviluppato attraverso la tecnica letteraria del monologo interiore. In arte invece, e più

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nello specifico in pittura, la corrente che si propone di rappresentare sulla tela i processi dell’inconscio è il surrealismo. Infatti

è

con

questa

corrente

che,

grazie

anche

alla

diffusione

delle

ricerche

psicoanalitiche di Freud, il sogno e l'onirico entrano nell'universo costitutivo dell'arte non come fantasie allegoriche o stravaganti (tipiche del passato), ma come diretta espressione dell'inconscio portato così alla luce dalla profondità dell'io. L'interiorità dell'animo umano è esplorata nel corso della storia dell'arte soprattutto a partire dal Romanticismo, quando artisti come Turner, Friedrich e Gericault si addentrano in questa dimensione della realtà umana sempre esistita ma di cui non si è avuta per lungo tempo coscienza precisa. I romantici continuano però a rapportare lo sguardo verso il profondo con il mondo esteriore, proiettandolo cioè nell'aspetto della natura. E' nel corso del XX secolo che si assiste alla creazione di forme atte a rappresentare la parte oscura della coscienza, quell'inconscio ampiamente teorizzato nello stesso periodo da Sigmund Freud, padre della psicoanalisi.

Un

primo

approccio

alla

dimensione

psicologica va rintracciato nell’opera di Paul Cèzanne, il cui obiettivo artistico è proprio quello di RECUPERARE ATTRAVERSO LA MEMORIA SITUAZIONI PSICOLOGICHE SIMILI

NON

SOGGETTO,

NEL MA

LUOGO

NEL

O

NEL

SENTIMENTO

DELLA CIRCOSTANZA. Ne è un esempio l’opera “Giocatori di carte”, del 1893-96, nella quale, grazie al linguaggio geometrico utilizzato dall’autore, l’osservatore è i grado di percepire la diversa tensione psicologica di entrambi i soggetti. L’apporto di Cèzanne in relazione alla rivoluzione psicanalitica resta comunque anacronistico.

Spetta invece al movimento surrealista, riunito attorno alle idee di André Breton, il compito di fornire immagini fortemente suggestive in grado di fissare sulla tela i dettami

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imposti da quell'interiorità che scaturisce manifestandosi allo stesso modo nell'arte come nel sogno.

Il precursore del surrealismo può essere considerato Giorgio de Chirico, con la sua particolare opera del 1916 “le Muse inquietanti”. Con i simbolisti de Chirico ha in comune il tentativo di svelare il rapporto fra uomo e realtà senza far ricorso a strumenti scientifici. La sua arte è infatti soggettiva, priva di alcun senso logico: crea degli accostamenti casuali (assimilabili al concetto

delle

corrispondenze

di

Baudelaire)

che

trasmettono il non-senso: la sua pittura è un invito a riflettere sull’illogicità, tipica del mondo dell’inconscio. Da

de

Chirico

rielaborazione

in in

poi

i

chiave

surrealisti creativa

tentano del

la

pensiero

psicoanalitico.La psicoanalisi, nel suo compito di liberazione e svelamento delle forze occulte dell'inconscio, dei tabù e delle costrizioni che la coscienza troppo rigida impone alla personalità, dà l'impulso principale al progetto surrealista di rifondazione dei veri aspetti dell'esistenza umana, proprio a partire da UN ATTO DI LIBERAZIONE DA QUALUNQUE CONSAPEVOLEZZA RAZIONALE E CULTURALE CHE NON PERMETTA IL LIBERO ACCESSO E L'IMMEDIATA TRASPOSIZIONE DELLA FANTASIA SULLA MANO CHE GUIDA IL REALIZZARSI DELL'OPERA D'ARTE. I surrealisti infatti inizialmente tentano di assumere a metodo il concetto di automatismo psichico; ciò avviene soprattutto attraverso prove di "scrittura automatica" con la quale si intende l'operare dell'artista che procede secondo un'immediata corrispondenza tra inconscio

ed

azione

pittorica.

Il

principio

di

casualità,

il

fotomontaggio,

la

decontestualizzazione degli oggetti quotidiani e l’accostamento incongruo di figure prive di connessioni logiche vengono utilizzate per produrre quell’effetto di spaesamento, descritto da Freud riguardo i meccanismi del sogno, e di shock percettivo considerato indispensabile per accedere appunto alla surrealtà e favorire l’emergere dell’inconscio.

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All'interno del Surrealismo assume rilievo l'opera di René Magritte, nato a Lessines, Belgio, nel 1898, e figlio di un mercante. Da giovane si trasferisce più volte con la famiglia: nel 1910, all'età di 12 anni, si stabilisce a Châtelet, dove sua madre Adeline due anni dopo, nel 1912, muore gettandosi nel fiume Sambre; fu ritrovata annegata, con la testa avvolta dalla camicia da notte: questo fatto rimase particolarmente impresso in

alcuni

dipinti.

Probabilmente l’artista, dopo aver appreso alcune teorie di Freud relative alla rimozione, tentò di sublimare attraverso

la

pittura

questa

esperienza

traumatica che segnò profondamente la sua infanzia.

Nel

1926

si

avvicina

al

gruppo

surrealista e inizia la realizzazione di opere che racchiudono al loro interno le immagini più familiari, accostate però imprevedibilmente e trasformate in modo da stravolgere l'idea che si ha di esse e delle relazioni che normalmente suggeriscono, facendo così cadere ogni barriera e ogni rapporto negli usuali schemi mentali che classificano interno ed esterno, contenitore e contenuto, oggetto e nome che lo designa. E' a partire da Magritte che l'arte inizia a coincidere con

il

processo riflessivo su se stessa, che troverà altre soluzioni in anni a venire: l'artista non solo continuerà a interrogarsi sui fondamentali quesiti dell'essere, ma anche sul senso stesso delle sue interrogazioni.

Un

altro

grande

rappresentante

della

corrente

surrealista fu Salvator Dalì, stravagante pittore della Catalogna, dotato di una grande immaginazione ma con il vezzo

di

assumere

atteggiamenti

stravaganti

per

attirare l'attenzione su di sé. Tale comportamento ha talvolta irritato coloro che hanno amato la sua arte tanto quanto ha infastidito i suoi detrattori, in quanto i

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suoi modi eccentrici hanno in alcuni casi catturato l'attenzione del pubblico più delle sue opere. Il rapporto fra Dalì e la psicanalisi è segnato dall’esperienza terapeutica a cui si sottopose lo stesso artista, in cura presso lo stesso Freud. La sua opera più celebre è forse “La persistenza della memoria” (vedi immagine in copertina), del 1931. In quest’opera Dalì riesce a sintetizzare le principali innovazioni introdotte dai maggiori intellettuali del primo ‘900: ritroviamo infatti: -

la teoria di Breton sugli “oggetti a funzionamento simbolico” secondo cui gli oggetti più comuni e banali, defunzionalizzati, decontestualizzati o manipolati nelle loro caratteristiche strutturali, materiali o proporzionali, producono un’ironia capace di stimolare le facoltà percettive e visionarie dell’osservatore;

-

la teoria della “durata” di Bergson, strettamente legata ancora una volta al mondo dell’inconscio, nel quale presente, passato e futuro coesistono e i processi psichici non avvengono secondo un ordine cronologico.

Il gruppo surrealista ha influenza su alcune spiccate individualità artistiche del Novecento come Picasso che, pur non aderendo mai esplicitamente al movimento, ha, da questo, tratto spunti significativi per i suoi dipinti, specialmente degli anni Trenta, a conferma dell'importanza rivestita dalla diffusione di una poetica fortemente innovativa in quanto strettamente legata all'esplorazione dell'inconscio, sede privilegiata di ogni intuizione artistica.

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