Tesina per Esame di Operatore Socio Sanitario
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relazione e tesina per l'esame di OSS (Operatore Socio Sanitario)...
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Dorsy Academy Corso per Operatori Socio Sanitari 20102010-2011
elaborato di Demetrio Serraglia
Indice 1. Presentazione personale
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2. Il ruolo professionale dell’Operatore Socio Sanitario
p. 4
3. La mia esperienza di tirocinio
p. 6
3.1. Le informazioni sull’ente
p. 8
3.2. La mia giornata tipo
p. 10
3.3. Competenze acquisite
p. 11
4. Conclusioni
p. 13
5. Ringraziamenti
p. 16
Elaborato di Demetrio Serraglia
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1. PRESENTAZIONE PERSONALE Mi chiamo Demetrio Serraglia, ho 33 anni, e circa un anno fa, il primo maggio 2010 (data significativa) mi sono ritrovato ad essere disoccupato dopo un ‘esperienza di cinque anni come impiegato presso un’agenzia di assicurazioni. L’agenzia preso cui lavorava aveva chiuso e quindi mi dovevo confrontare con il mio futuro lavorativo, ero ad un bivio: proseguire in quel settore
o
cambiare
totalmente
ambito?
Nel
corso
dell’esperienza lavorativa in ambito assicurativo ho acquisito buone capacità di relazionarmi con il pubblico, affrontando e risolvendo quelle problematiche che possono insorgere quando si ha un rapporto diretto con i clienti nell’ottica di un servizio efficace. Ma quello che ora cercavo era diverso, desideravo ora iniziare un’esperienza professionale in cui ci sia realmente il contato umano vero e non di facciata, e ho pensato che l’ambito socio assistenziale potesse essere un’opportunità il tal senso. Ho così deciso, con l’appoggio fondamentale della mia fidanzata, di trasferirmi dal Veneto (mia amata terra natia) a Varese per vivere con lei e così rimettendomi in gioco dal punto di vista professionale, iniziando una nuovo percorso: quello dell’Operatore Socio Sanitario. Lavorare in questo ambito per me significa prendersi cura degli altri in modo professionale, competente ed umano, perché la guarigione inizia dai rapporti umani che si possono instaurare con i pazienti e gli ospiti. L’intenzione che spinge una persona ad intraprendere questa professione per me è un elemento basilare, lavorare in ambito sanitario non è una professione come le altre ma un modo di essere nel mondo. L’esperienza di lavoro con gli anziani, e non solo, per me è molto importante, ritengo sia fondamentale preservare e curare quella che è la memoria storica ed umana che risiede nelle generazioni che ci hanno preceduto, la cura degli anziani è doverosa poiché è quanto loro stessi hanno fatto nei nostri confronti quando eravamo giovani o in difficoltà. Essere vicini alle persone nell’ultima parte della loro vita in modo competente e professionale è quanto meno auspicabile, possibilmente entrando in empatia con loro applicando un sistema olistico di cura che tenga conto interamente della persona: corpo, mente, anima, tessuto relazionale, ecc. È con questi presupposti che nell’ottobre del 2010 ho iniziato questo percorso formativo, cercando nel contempo di mettere a frutto a 360° le mie precedenti esperienze sia scolastiche (Laurea in
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Storia e Maturità professionale Alberghiera) che extra scolastiche (la mia decennale esperienza come capo scout), che lavorative. Nel mio bagaglio culturale inoltre possiamo trovare la conoscenza della lingua veneta e dell’italiano, e a livello scolastico sia la lingua francese che quella inglese. Inoltre nell’uso del computer ho buone conoscenze di word, base di excel, so utilizzare i vari programmi di posta elettronica, e so usare internet. Nel mio corso di studio universitario ho superato l’idoneità informatica. Durante il servizio di leva militare, nel 2004, ho conseguito l’attestato di primo soccorso rilasciato dal SUEM di Crespano del Grappa (TV)
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2. IL RUOLO DELL’OPERATORE SOCIO SANITARIO “L’operatore Socio Sanitario è un operatore di interesse sanitario che, a seguito dell’attestato di qualifica conseguito al termine di specifica formazione professionale, svolge attività indirizzate a soddisfare i bisogni primari della persona il un contesto sia sociale che sanitario e a favorire il benessere e l’autonomia della persona. Tale attività è svolta sia nel settore sociale che in quello sanitario, in servizi di tipo socio-assistenziale e socio-sanitario, in ambito ospedaliero, residenziale e domiciliare. Svolge la propria attività in collaborazione con gli altri operatori prmfessionali preposti all’assistenza sanitaria e a quella sociale, secondo il criterio del lavoro multiprofessionale. L’OSS è un operatore di supporto ad alta integrazione socio sanitaria. Opera in base a criteri di bassa discrezionalità e alta riproducibilità ed è affiancabile a diverse figure professionali sia sanitarie sia sociali. In ambito sanitario è prevalente l’integrazione con il personale infermieristico all’interno dell’equipe assistenziale. Agisce in base alle competenze acquisite ed in applicazione dei piani di lavoro e dei protocolli operativi predisposti dal personale sanitario e sociale preposto, responsabile del processo assistenziale. Negli ambiti delle attività e delle competenze individuate, l’operatore sociosanitario: •
Opera in quanto agisce in autonomia rispetto a precisi e circoscritti interventi;
•
Coopera in quanto svolge solo parte delle attività alle quali concorre con latri professionisti (infermieri professionali, terapisti della riabilitazione, dietologi, educatori professionali etc.)
•
Collabora in quanto svolge attività su precise indicazioni dei professionisti.”1
Senza ombra di dubbio principalmente, analizzando quanto scritto dalla legge regionale, l’OSS non agisce se prima non ha ricevuto indicazioni dalle figure professionali che lo subordinano; inoltre è necessario che collabori con tutta l’equipe sanitaria al fine di perseguire un unico obbiettivo. Ciò vuole significare che anche l’OSS deve essere informato sulla patologia dell’ospite/paziente, sui progetti di recupero dello stesso, sulle capacità residue e sulle attività che egli può compiere individualmente e quelle che invece deve assolutamente compiere con supervisione del personale. L’operatore prima di iniziare qualsiasi procedura deve sempre documentarsi sulla situazione del paziente, su quali sono le principali precauzioni da adottare durante l’igiene del malato, durante i suoi trasferimenti, ecc.
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Regione Lombardia - Deliberazione Giunta Regionale 18 luglio 2007 – N. 8/5101
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Il ruolo dell’OSS non è quindi da sottovalutare se si considera che è la figura che sta più tempo a contatto con il paziente.
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3. LA MIA ESPERIENZA DI TIROCINIO Iniziando quella che è stata la mia esperienza di tirocinio non sapevo cosa aspettarmi, ciò non significa che la scuola non mi avesse preparato teoricamente su cosa fosse il lavoro per cui stavo studiando, ma mi rendevo pienamente conto della differenza che poteva esserci tra la teoria e la pratica (la realtà della sofferenza, l’intimità con cui l’operatore si deve confrontare con il paziente/ospite, il come avrei reagito confrontandomi con il disagio di una parte della vita che la nostra società tende ad ignorare). Principalmente sono stato spinto verso questa professione da due eventi: la perdita di lavoro avvenuta il primo maggio 2010 (data significativa visto che è la festa dei lavoratori), e l’ultima parte di vita di mia nonna paterna trascorsa in RSA2. Probabilmente se non avessi mai perso il lavoro mai avrei preso in considerazione il lavoro dell’OSS come mia professione; e sicuramente l’aver visto il vissuto di mia nonna in RSA mi ha fatto intuire che questo poteva essere un lavoro per me, un lavoro in cui ci si può donare ed in cui si può ricevere molto (soprattutto dal punto di vista emozionale e di relazione). Già dal primo giorno del primo tirocinio presso l’RSA Molina di Varese c’è stato un feeling con questo lavoro, è scoccata la scintilla. L’impacciataggine e la paura verso cosa andavo incontro sono sparite velocemente, e a questi sentimenti è subentrata la gioia e la felicità per un lavoro che non è un semplice lavoro come tanti altri ma un’esperienza di vita che ti forma e ti cambia giorno per giorno. Quello che ho provato è la fortuna di tornare sempre a casa felice, e questo sentimento si è confermato anche nell’esperienza fatta in Ospedale. Ma cosa ho imparato che una legge non può spiegare o più semplicemente non vuole affrontare? L’accogliere le persone in difficoltà; non trattarle come numeri per rispettare in modo integralista la legge sulla privacy; farle sentire vive perché si vuole avere una relazione con loro, si vuole conoscere il loro vissuto; essere disposti ad accogliere senza giudizio una lacrima od uno sfogo; capire che non siamo tutti uguali; interrogarsi su cosa sia il benessere; confrontarsi con la morte non come negazione della vita ma come parte della vita stessa. Queste sono le emozioni su cui mi sono confrontato, e le risposte che nascono da queste domande fanno a mio avviso la differenza tra l’essere OSS o fare l’OSS. Questo per me è il punto di partenza per avere una dimensione olistica del lavoro in ambito socio sanitario e assistenziale, certamente senza sottovalutare la professionalità nell’utilizzo degli strumenti e nell’applicare le competenze tecniche che la normativa, l’esperienza e la ricerca scientifica ci mettono a disposizione.
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Residenza Sanitaria Assistenziale
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Non pretendo in queste poche pagine di dare risposte risolutive, né tanto meno pretendo che quanto ho affermato sia condiviso, ma sicuramente se chi legge si dovesse soffermare per qualche istante su questi temi ne sarei ben felice. Altro mio auspicio è che sempre più persone accogliessero il tempo del fine vita (sia proprio che dei congiunti) in modo più sereno e proprio, e non come un momento alieno e da estromettere, così facendo indubbiamente il rapporto con la vita dal concepimento fino alla dipartita sarebbe diverso, non egoistico ma sociale per la ricerca di un benessere che sia veramente tale e di tutti, nella capacità di affrontare il dolore. Ho imparato parlando con i pazienti e gli ospiti con cui mi sono relazionato quotidianamente che le terapie se somministrate in modo meccanico o ancor peggio dogmatico non guariscono ma rattoppano una malattia che prima o poi potrà ripresentarsi, parte essenziale del metodo di cura e la relazione che si istaura con il malato (il tutto associato a quelle che possono essere le medicine necessarie), essendo anche consci che l’essere umano non è immortale e che la medicina non ci deve portare alla vita eterna ma a vivere armoniosamente con noi stessi e possibilmente anche con gli altri. Un sorriso associato ad una pastiglia può fare la differenza nel nostro lavoro sia per noi che per gli altri.
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3.1 LE INFORMAZIONI SULL’ENTE Il mio primo tirocinio si è svolto presso l’RSA Molina di Varese, in modo particolare nel padiglione Perelli (uno dei padiglioni dedicati alle persone anziane), ed è proprio questa l’esperienza su cui desidero soffermarmi. Per descrivere l’ente farò mie le parole utilizzate nella carta dei servizi dell’ente stesso; la carta dei servizi è il documento
che
viene
consegnato agli ospiti, e familiari,
al
momento
dell’entrata nella loro nuova casa, ovvero l’RSA. Dico che l’RSA diviene la nuova casa per l’ospite perché nella stragrande maggioranza dei casi, quando uno entra in queste strutture, sarà qui che trascorrerà l’ultimo periodo della propria vita, che siano mesi o anni. Essendo una struttura molto ampia, oltre ad essere una struttura che ospita anziani, nell’RSA Molina possiamo trovare altre complessi collegati come un nucleo per degenza di riabilitazione di mantenimento ed un asilo nido. “La Fondazione in qualità di Residenza Sanitaria Assistenziale opera in regime di accreditamento con il Sistema Sanitario Nazionale, all’interno della A.S.L. della Provincia di Varese. La Struttura è inserita in un parco di 25.000 m2 ed è composta da quattro grandi Case e un Centro Diurno Integrato, che prendono il nome di illustri benefattori: · Caravatti · Perelli-Paradisi-Carcano · Molina · Buzio-Maccechini Nei seminterrati sono dislocati diversi servizi: la lavanderia, le palestre di fisioterapia, i magazzini, la cucina centrale, la mensa per i dipendenti, gli spogliatoi del personale, le camere ardenti, gli ambulatori medici, le aule didattiche e il salone teatro. Nel corpo centrale sono disposti: la cappella, il bar e il locale per il parrucchiere.
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Ogni nucleo è dotato di salottini per il pranzo e la televisione, cucinette, bagni assistiti e del locale ad uso infermeria. Inoltre la Fondazione ha al proprio interno un Nucleo per degenza di riabilitazione di mantenimento e un Asilo Nido.”3
Casa Perelli Questa struttura, dove ho prestato tirocinio al secondo piano, prende il nome da i due benefattori "Perelli
Paradisi"
e
"Carcano" che con le loro
donazioni
consentirono
la
realizzazione di questa costruzione a metà degli anni '70. L'edificio dimensioni
è,
per
e capacità
ricettiva, il più grande fra i plessi dell'Ente. Al
piano
presente
terreno il
è
Nucleo
Alzheimer il Nucleo di riabilitazione di mantenimento. Il primo ed il secondo piano sono divisi ciascuno in due nuclei abitativi, mentre l'ultimo piano accoglie un unico nucleo. La struttura dispone di camere singole o doppie e di ampi salottini e sale da pranzo per la vita in comune.4
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Carta dei servizi Fondazione Molina Onlus Varese http://www.fondazionemolina.it
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3.2 LA MIA GIORNATA TIPO La mia giornata tipo durante il tirocinio sostanzialmente ripercorre quella che è la giornata dell’ospite, dato che l’operatore sta fianco a fianco durante la propria giornata lavorativa con l’ospite e diviene di fatto una nuova persona di famiglia, da qui la grande importanza del ruolo degli operatori che in alcuni casi aiutano l’ospite, mentre nei casi più gravi lo sostituiscono in quelle che sono le attività della vita quotidiana, anche le più semplici ed elementari. In tutte le fasi della giornata, che possono andare dalla sveglia e l’igiene dell’ospite, all’alimentazione, alle eventuali medicazioni, alla distribuzione delle terapie per arrivare alla buona notte, ciò che contraddistingue il rapporto tra operatore e ospite è proprio la ricerca da parte di quest’ultimo di un dialogo (anche una semplice chiacchierata), chi vive nell’RSA sicuramente vuole continuare a sentirsi considerato come persona e quindi cerca di raccontare e raccontarsi per sentirsi ancora vivo. A fronte di ciò uno dei compiti quotidiani degli operatori è quello di relazionarsi con gli ospiti, perché l’esperienza avuta mi dimostra che la vita è sempre, e vivere non è solo soddisfare i bisogni primari, perché fermandosi ai bisogni primari si sopravvive o meglio si fa vivere solo il corpo fisico perché quello psichico e spirituale muoiono.
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3.3 COMPETENZE ACQUISITE Tutte le esperienze di tirocinio svolte in questo percorso professionale/scolastico sono state importanti per me perché ho potuto imparare un mestiere e crescere come persona, maturare confrontandomi con me stesso su temi importanti della vita che fino a qualche mese fa avevo solo marginalmente toccato. Oltre ad elementi più introspettivi ho sviluppato delle conoscenze pratiche e tecniche rispetto alla cura delle persone, il tutto lavorando in equipe con altri professionisti dell’ambito socioassistenziario e sanitario; inoltre in questa breve seppur intensa esperienza ho avuto modo di entrare in contatto e relazionarmi con le famiglie degli ospiti/pazienti, cercando di capire le loro emozioni ed il loro stato d’animo. Durante le fasi dell’igiene della persona ho imparato ad eseguire questa importante fase di prevenzione nonché di cura in modo discreto e non invasivo, tenendo conto che in queste mansioni si entra in contatto con l’intimità fisica della persona parzialmente o totalmente dipendente. Vivere in modo meccanicistico questo momento della giornata è quantomeno irrispettoso degli ospiti e anche di noi stessi. Ho assistito gli infermieri e medici durante le medicazioni, la distribuzione delle terapie e durante il posizionamento dei sondini naso gastrici e cateteri vescicali, collaborando nella raccolta di campioni di materiale biologico (urine e feci). Il ruolo che ho avuto è stato di ausilio sia al professionista con cui collaboravo ma anche di assistenza al paziente che si andava a curare, scambiando con esso una parola e “donando” un sorriso di conforto. Nell’esperienza ospedaliera ho imparato a rilevare i parametri vitali quali pressione arteriosa, temperatura corporea, glicemia, saturazione di ossigeno, frequenza cardiaca. Durante la distribuzione dei pasti ho appreso come è fondamentale non solo accertarsi che la persona mangi, ma che mangi anche ciò che le piace e che non consideri il pasto come un momento “obbligatorio” della giornata, ma che diventi elemento di socializzazione con cui confrontarsi, ridere ed anche arrabbiarsi: perché ogni emozione è importante per far sentire viva la persona. Ed è anche per questo che quasi tutti gli ospiti cercano la chiacchiera durante i pasti. Nel corso del momento conviviale del pasto ho imparato ad imboccare gli ospiti non più in grado di utilizzare le posate in modo autonomo, aiutandoli nell’alimentazione ma non ingozzandoli come animali all’ingrasso. Altre competenze acquisite riguardano la corretta sanificazione degli ambienti, procedendo nella pulizia e nel riordino dei locali (rifacimento letti sia liberi che occupati, rifornimento e smaltimento biancheria), in modo da renderli sempre più accoglienti rendendoli come fossero la vera e propria
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casa degli ospiti, in questa fase ho imparato a provvedere al lo smaltimento dei rifiuti secondo la propria categoria e pericolosità. Ho appreso l’utilizzo dei presidi per la deambulazione e come mobilizzare l’ospite, il tutto usufruendo di tutti quei strumenti che permettono, oltre che di tutelare la salute del paziente, anche di preservare la mia salute, così da lavorare in sicurezza. Inoltre, in ogni fase della giornata, ho imparato a riconoscere i più comuni sintomi e segni che indicano le variazioni dello stato di salute dell’ospite, questa particolare capacità diviene possibile solo se si sa “osservare” con tutti i sensi conoscendo il paziente con cui ci si relazione e si interagisce. In tutta questa esperienza ho confermato la mia volontà di rispettare, all’interno di quello che è il quadro normativo, l’autodeterminazione della persona, fintanto è nella capacità di intendere e volere, e ciò è un punto basilare per comunicare e relazionarsi in modo pieno e vero con il paziente/ospite e il suo contesto familiare.
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4. CONCLUSIONI Voglio partire, per queste riflessioni conclusive della mia relazione dell’esperienza di tirocinio svolta, da quelle che sono le basi su cui si regge il sistema sanitario nella penisola italiana, dalla definizione di salute data dall’OMS5 nel 1961, e dalla Carta di Ottawa per la promozione della salute sottoscritta da tutti i Paesi aderenti all’OMS. L’Articolo 32 della Costituzione della Repubblica italiana così va ad inquadrare la salute e le possibilità dell’individuo rispetto ad essa: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”6 La definizione più diffusa di salute è quella classica dell’OMS del 1961: "La salute è uno stato di completo benessere fisico,mentale e sociale e non semplicemente l'assenza di malattia e infermità" Da ciò consegue la definizione dell'OMS di malattia: "Malattia è lo stato di disadattamento fisico, psichico e sociale caratterizzato dall'insufficienza o dalla mancanza di benessere". La Carta di Ottawa sottoscritta dagli Stati appartenenti all’OMS definisce la promozione della salute come "il processo che consente alle persone di esercitare un maggior controllo sulla propria salute e di migliorarla. Per raggiungere uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, un individuo o un gruppo deve essere capace di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni, di cambiare l’ambiente circostante o di farvi fronte. La salute è quindi vista come una risorsa per la vita quotidiana, non è l’obiettivo del vivere. La salute è un concetto positivo che valorizza le risorse personali e sociali, come pure le capacità fisiche. Quindi la promozione della salute non è una responsabilità esclusiva del settore sanitario, ma va al di là degli stili di vita e punta al benessere."7. Queste definizioni dovrebbero essere la base da cui partire per ragionare della salute, di benessere e del nostro ruolo di OSS. Quello che ho visto è che nella nostra epoca si tende a delegare alla medicina e agli operatori che vi lavorano questioni importanti della vita quali la nascita, la vita e la morte, e la felicità nel suo complesso. Spesso si cercano risposte certe nella medicina, delle soluzioni ai grandi dubbi della vita, non si ha più voglia di ricercare dentro se stessi e di confrontarsi con una vita che non è infinita. La medicina ha sì allungato l’aspettativa di vita proiettando la morte sempre più avanti ma altresì non può sconfiggere la morte: nonostante tutto infatti esistono malattie intrattabili. La medicina non 5
Organizzazione Mondiale della Sanità Costituzione della Repubblica Italiana entrata in vigore il primo gennaio 1948 7 1° Conferenza Internazionale sulla promozione della salute - 17-21 novembre 1986 - Ottawa, Ontario, Canada 6
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è una scienza come le altre, perché deve fare i conti con le infinite individualità. Psiche e corpo non sono scindibili, quando una non sta bene anche l’altra non sta bene, quindi è necessario avere una visione olistica8 dell’essere umano . In questa visione il rapporto tra operatori e paziente acquista un’importanza determinante la quale scaturisce in quella che è definita alleanza terapeutica, difatti se il paziente non viene considerato come una persona, e quindi fatto sentire vivo, dall’operatore allora ogni cura attuata difficilmente verrà accolta. L’alleanza terapeutica tra operatore ed ammalato significa il non considerare l’ammalato come la sua malattia ma come persona che cerca di ritrovare un benessere nella sua nuova condizione di vita. I flash di riflessione su quella che può essere l’idea dell’alleanza terapeutica sono: -
E’una condivisione di idee, di valori che si traduce in un piano o progetto condiviso insieme in cui la condivisione degli scopi e l’accordo sui compiti favorisce il clima interpersonale positivo.
-
Le risorse disponibili permettono di creare nuove strategie comportamentali per il benessere dell’ammalato in quanto ogni persona ha lo stesso carico di lavoro e la stessa responsabilità.
In quest’ottica gli scopi dell’alleanza terapeutica sono: il sostenere e mantenere l’autonomia, ciò è importante per mantenere l’indipendenza funzionale, quindi non bisogna sostituirsi alla persona. Dobbiamo evitare gli scontri con il paziente perché il conflitto causa stress e peggiora la situazione, ciò non significa assolutamente commiserare ma entrare in empatia Nel quotidiano della riabilitazione proponiamo compiti semplici e reali, perché compiti complessi e non raggiungibili possono mettere la persona in confusione. Il tutto va realizzato in un ambiente adatto alle esigenze e bisogni dell’ammalato. L’alleanza terapeutica ha come obiettivi il mantenere la cura e l’immagine della persona, la dignità e l’autodeterminazione della persona è il primo obiettivo da raggiungere e da tenere sempre in considerazione. Da quanto sopra esposto si evince quindi la sostanziale differenza tra il fare l’OSS od essere OSS, perché non possiamo considerare il nostro lavoro come un lavoro come gli altri, ma un lavoro in cui l’operatore deve prendersi cura della persona, e non della malattia che essa ha. Dobbiamo avere una relazione con i pazienti, perché ogni storia di pazienti e diversa dagli altri. La scienza può arrivare fino ad un certo punto, mentre la relazione può fare di più e può supplire a dove non arriva la medicina. L’operatore, in questa visione, è un professionista competente e preparato che si fa carico del problema del paziente per aiutarlo a superarlo, prendendosi cura di lui. L’ambito sanitario ha dei 8
L'olismo è la teoria secondo cui l'intero è un tutto superiore rispetto alla somma delle sue parti. L'intero riveste quindi un significato diverso o superiore rispetto a quello delle singole parti prese autonomamente.
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limiti nella guarigione, non può risolvere tutti i problemi, altrimenti ci si trova di fronte alla morte, l’ultimo dei problemi che dobbiamo affrontare nella vita, disarmati. La malattia può essere non guaribile, ciò è sempre da ricordare. Nella nostra professione non bisogna eludere il problema della sofferenza e della morte come fosse una cosa che non tocca il nostro vissuto e quello dei nostri pazienti, non è una cosa altrui ma una cosa che fa parte della nostra vita e della nostra esperienza terrena. La salute è un dono, una fortuna, non è un diritto. Il diritto è bensì alla tutela della salute che si ha, e qui entriamo in gioco noi come operatori dell’ambito sanitario-assistenziale facendo in modo che anche nella malattia ci possa essere un benessere nel vivere, ricordandoci che la medicina non è onnipotente. La morte, come ultimo atto di vita, esiste e richiede rispetto. L’ospedale è il luogo dove la gente muore per circa l’80 % dei casi, ma nessuna persona vuole morire in ospedale. Così facendo la morte è sostanzialmente incubata, con una visione igienista, nella nostra società si muore soli, la morte viene considerata contagiosa (da allontanare, isolare, ghettizzare). Mentre la morte è uno dei momenti più importanti della vita. Quindi il nostro ruolo è fondamentale nell’accompagnamento del morente e molte volte nel sostituirsi ad una famiglia assente, che a paura, che non sa gestire la morte perché nessuno glielo ha mai insegnato. L’accompagnamento alla morte si estrinseca in piccole cose, gesti umani, una parola, soprattutto un ascolto, non eludendo i problemi ma entrando in un contatto umano con l’ospite. Il nostro compito è di non abbandonare chi muore e soffre, non facendogli fare una brutta morte, morendo da soli. Se la scienza medica non è utilizzata con empatia si rischia di perdere la propria libertà e la serenità sia come operatore che come paziente. Può esistere serenità anche in presenza di malattia, avendo la consapevolezza dei propri limiti mortali. E quindi come detto la medicina deve farsi carico globalmente della persona. Esistono i malati, mentre le malattie esistono nei libri. Nel campo del benessere la medicina non basta più. Ciò è il risultato di questa mia esperienza di tirocinio, un grande dono umano ricevuto, una condivisione con le persone che ho assistito, e la consapevolezza che questo lavoro mi piace, anche se la strada da percorrere è appena iniziata.
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6. RINGRAZIAMENTI Ringrazio tutti gli ospiti e pazienti che ho incontrato in questa esperienza molto importante per la mia crescita personale, per essersi affidati e per avermi fatto tornare a casa felice per il lavoro che stavo imparando. Sono grato alla mia fidanzata Edith perché mi ha consigliato di intraprendere questo percorso, probabilmente in alcuni aspetti mi conosce molto meglio di me stesso. Un grazie ai miei genitori Flavia e Valerio che mi hanno sostenuto in questo nuovo lavoro e nuova vita che mi ha portato lontano da loro. Un pensiero a mia nonna Assunta, a cui ho dedicato la copertina di questa relazione, che è scomparsa dopo mesi di sofferenza nel novembre del 2010, sicuramente mi è stata e mi è sempre vicina, dandomi la determinazione per superare con armonia ogni difficoltà, e accogliendo con gioia ogni novità che la vita mi dona.
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