Tesi mistica matematica e l'arte islamica

July 20, 2017 | Author: francescobrandina | Category: Mosque, Arabs, Dome, Mathematics, Physics & Mathematics
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La mistica matematica e le arti nell'Islām Introduzione La matematica e la geometria sono alle radici del pensiero scientifico; soprattutto nel nostro occidente contemporaneo dove l'equazione mente scientifica-mente artistica è condizione comune. A un primo sguardo sembra difficile trovare obiezioni a questo dato, ma se ci si concentra sul concetto di matematica iniziano a sorgere domande, dubbi, specie di tipo filosofico. Per esempio, da dove vengono i numeri? Questa domanda elementare ci lascia senza risposte a tutta prima, e in pochi potrebbero realmente anche solo tentare di formulare ipotesi convincenti. Ciò nonostante esistono studiosi che hanno provato a rispondere ed hanno confutato le tesi che per una mente scientifico-tecnica (cioè paradossalmente per una mente matematica), sono difficilmente accettabili1. I numeri servono, e si sarebbero sviluppati certamente dalle esigenze pratiche di tutti i giorni; ma anche e soprattutto da un ordine “divino”, qualcosa che esula dalle capacità comuni del pensiero, sarebbero cioè una sorta di codice, che, se appreso correttamente permetterebbe di raggiungere “le radici della verità”2. Storicamente le scienze della matematica, della geometria e dell'astronomia sono state appannaggio delle classi sacerdotali presso la maggior parte delle culture strutturate socialmente, degli sciamani o di tutti quei gruppi che vantavano un contatto mistico con il divino, oltre che l'arrogarsi un formidabile potere politico3. Le scienze matematiche quindi, oltre che come 1 2 3

Ifrah, pp. 13-44. Mozzati, pp. 10-11. La forma di dispotismo definito orientale nasce dalla necessità generate dallo sfruttamento intensivo di acqua e inondazioni, per sostenere l'interesse comune.

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capisaldi del pensiero esatto e pratico possono essere lette in una chiave mistico-magica. Nei paesi musulmani questa visione delle cose ha preso più piede che altrove, e Dio viene visto come un architetto perfetto che detta proprie regole imperscrutabili alle quali gli uomini devono sottomettersi4. L'arte e l'architettura islamica hanno come punto di partenza comune l'adeguamento (o il tendere all'adeguamento), a queste regole. Un'arte che ad una prima visione (nostra, secondo le nostre regole culturali) superficiale può apparire povera e semplicemente decorativa rispetto a quanto noi definiamo classico, aulico, è in realtà piena di slanci di individualità. Diviene, se analizzata attraverso questo filtro, perfetta e immutabile; un'espressione, un'arte altamente sofisticata che non lascia spazio ad errori in quanto realizzazione della volontà divina5. Un'arte che pervade ogni cosa come lo spirito, l'afflato divino. Arte che perciò non solo decora ogni strumento di uso comune, ma nobilita ogni superficie rendendo visibile l'anima di ogni cosa. Perciò l'arte islamica accuratamente avvolge, come un'aura, ogni cosa che possa “toccare”: una brocca per l'acqua, un tappeto come le pareti e gli spazi di una moschea. Un'arte totale quindi che può abbracciare ogni attività umana, che non distingue tra umiltà e importanza di ciò che tocca, ma gratifica della sua benedizione ogni cosa. Così come lo spirito divino gratifica l'universo. L'obiettivo che mi propongo per questa tesi è di indagare - seppur nei limiti di un lavoro di questo genere - le scienze esatte del mondo islamico applicate all'arte, per quanto reperibili attraverso una chiave magico-mistica; cercando di trovare punti fermi e comuni alla base delle opere che verranno analizzate. Cercherò di individuare tra varie opere dell'arte islamica esempi a sostegno della mia tesi. Privilegiando quindi una sorta di dimostrazione pratica, e solo sfiorandole per il minimo che può servire a

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Le basi di tale sistema sono: L'autarchia, la divisione del lavoro sociale, le prestazioni di corvée, ed un progresso tecnico con forte spunto iniziale. Spinelli, p. 99. Critchlow, pp. 6-8. Spinelli, pp. 98-105.

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supporto, le speculazioni filosofiche. Limiterò inoltre le eventuali considerazioni personali. Cercherò di portare esempi atti a “far tornare i conti” del mio discorso secondo una logica prettamente matematica. L'intento non è dimostrare che 1+1 fa 2 (o magari 11, ampliando l'orizzonte formale), ma piuttosto far notare come, adeguandosi a queste leggi molte cose assumano fluidità ed armonia; quasi all'interno di una corrente dal flusso naturale da cui lasciarsi fiduciosamente trasportare, senza “remare contro”, magari attraverso giudizi fuorvianti, e di certo limitanti. Si tratta di un lavoro che cercherà di evitare quindi giudizi, confronti tra l'arte islamica e occidentale, penalizzanti in definitiva per entrambi. Ciò che mi ha spinto ad affrontare questo discorso è la curiosità sorta nell'aver scoperto come nulla sia catalogabile per definizioni poste a priori; e l'aver del pari compreso che ciò che per una cultura viene strutturato in un modo definito, può essere assolutamente logico e valido in maniera totalmente differente se applicato ad altri luoghi e da altre genti. Nonostante - e questo è il fascino dei numeri nell'arte - resti tra i diversi punti di vista una relazione logica, paradossale e allo stesso tempo completamente sensata. Una forma di fascino che coglie il proprio segno toccando l'anima e il pensiero.

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Fondamenti di numerologia e la nascita dei numeri arabi Per cominciare questa trattazione ho cercato di reperire alcuni cenni di storia dei numeri e della matematica, per capire da dove arrivano le conoscenze scientifico-esoteriche che influenzeranno il pensiero artistico islamico. Agli albori della storia dell'umanità (2000 a.C.)6, le numerazioni scritte erano assai primitive, esse consistevano spesso in smisurate ripetizioni di simboli identici. Gli egizi, per esempio, attribuivano cifre specifiche solo a ciascuno dei seguenti numeri: 1 10 100 1000 10000 100000 1000000 Visto che la loro numerazione era basata sul principio additivo, si limitavano a ripetere ognuna di tali cifre tante volte quanto era necessario. Ad esempio per il numero 5473 bisognava ripetere 5 volte la cifra del migliaio, 4 volte quella del centinaio, 7 quella della decina e 3 quella dell'unità; erano quindi necessari 19 simboli grafici. Col passare del tempo fu necessaria una scrittura più rapida, e si attribuirono quindi segni particolari a quantità maggiori di numeri; per esempio se inizialmente solo 1 e 10 avevano un grafismo, ora si attribuirono simboli a ognuno dei numeri: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 ecc. Anche se questo sistema necessitava di un grande sforzo mnemonico, permetteva una considerevole economia di simboli, visto che per scrivere lo stesso numero 5473 servivano ora solo quattro segni grafici invece di diciannove. Due millenni più tardi greci ed ebrei ebbero l'idea di sfruttare questo stesso sistema, ma questa volta usando come base le lettere in sequenza dei rispettivi alfabeti. Occorre un ulteriore passo indietro; la nascita dell'alfabeto avvenne attorno al 1500 a.C. Lungo le coste siriane-palestinesi, ad opera dei fenici7. A causa di fitti rapporti che questo popolo aveva con quelli vicini l'invenzione ebbe un successo considerevole, tutto il Medio Oriente fino al confine con il 6 7

Ifrah, p. 187. Idem, pp. 187-213.

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continente indiano finì per accettare questo sistema8. Le lettere fenicie generarono così l'alfabeto ebraico, quello arabo e quello greco (oltre a molti altri); i quali a loro volta ne ispirarono di ulteriori come quello latino. Questa successione di 22 simboli (come ogni successione di elementi), non appena codificata rigidamente divenne una speciale “macchina per contare”; per questo motivo in molti casi si abbinarono numeri a singole lettere dell'alfabeto. Un esempio concreto si trova nei numeri quindici e sedici dell'alfabeto ebraico. Entrambi vengono scritti in maniera anomala perché composti dalle quattro lettere Yod, He, Waw; e He, che si leggono Yahvé. Quest'ultimo sarebbe “il vero nome proprio di Dio”, e quindi il nome “generatore” per eccellenza. Nessun uomo può pronunciare questo nome senza peccare; perciò l'uso dei gruppi numerici quindici e sedici è stato proibito9. Fu verso il XV secolo che lo stesso procedimento comparve presso gli arabi. Ci furono poeti che diedero fondo a tutta la loro immaginazione per comporre “frasi numeriche”, e i ragionamenti filosofici sui numeri favorirono lo sviluppo della “numerologia”. Si formarono così delle associazioni mistiche o misticheggianti che si spinsero ad ogni tipo di interpretazioni e di profezie partendo dalla base numerica. Esse alimentarono il pensiero occultista e magico oltre alle credenze e alle superstizioni10. L'alfabeto divenne quindi una pedina fondamentale nelle pratiche magiche. Non è difficile neppure ai giorni nostri trovare un uso magico della scrittura; portare un braccialetto col proprio nome, o un anello col nome dell'amato; sono tutte pratiche più o meno consapevoli di attribuire capacità magiche alla scrittura. In molte tradizioni vengono dati a questa usanza fondamenta teologiche: la scrittura è un dono degli dei ed è quindi indissolubilmente legata al loro mondo; la scrittura quindi, come una fonte di energia. Il fatto stesso di tracciare un segno o di inciderlo, è potenzialmente un fatto magico; e magico 8 9 10

Cardona, pp. 186-190. Idem, pp. 192-195. Ifrah, pp. 201-207.

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è anche quello che resta, cioè la scritta che rimane nel tempo e nello stesso continua ad operare11. E' interessante dopo questa digressione, focalizzare la nascita delle cifre arabe, la cui storia nonostante il nome parte dall'India; poiché fu in tale ambito che vennero inventati il concetto e la cifra “0”; cifra che cambiò radicalmente i sistemi matematici di tutto il mondo12. La matematica indiana è nata al servizio della religione; infatti sono le necessità religiose che hanno modellato le conoscenze sociali, politiche, e scientifiche indiane13. L'astronomia ad esempio si è sviluppata per determinare i giorni più auspicabili per compiere sacrifici, mentre regole geometriche ferree14 erano necessarie per la costruzione di altari per i sacrifici pubblici. Su questo sfondo circa nel V secolo d. C. fece la sua comparsa lo 0 “moderno”. Da qui entrano in gioco gli arabi, intermediari tra l'India e l'occidente. Essi in un epoca in cui l'Europa in crisi non era in grado di assimilare o sviluppare conoscenze, seppero inglobare immensi retaggi culturali15. Nell'Islām il periodo che va dall'VIII al XIII secolo fu un periodo di straordinario sviluppo scientifico; si raccolsero tutte le opere filosofiche, scientifiche e letterarie “estere”, traducendole in arabo e studiandole attentamente. Per quanto riguarda le cifre, in un primo momento gli arabi si volsero alla numerazione alfabetiche greca ed ebraica, sulla quale modellarono il loro alfabeto. In seguito grazie agli scambi commerciali che essi intrattenevano allora col subcontinente indiano vennero a conoscenza dell'astronomia, dell'aritmetica e dell'algebra vedica, e a partire dalla fine dell'VIII secolo ne adottarono per intero il sistema numerico16. Va di fatto riconosciuta agli arabi dell'epoca una straordinaria apertura mentale e di spirito, che permise loro di ammettere la superiorità di scoperte fatte da studiosi stranieri e integrarle senza alcuna 11 12 13 14 15 16

Cardona, pp. 65-66. Ifrah, pp. 245-252. Gheverghese, pp. 225-233. Idem, pp. 226.229. Ifrah, pp. 277-290. Idem, pp. 269-276.

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esitazione nella propria cultura nascente. Essi inoltre non si accontentarono di “copiare” le scienze altrui, ma le ampliarono apportando il loro personale contributo. Con grandi capacità di sintesi seppero conciliare il rigore matematico greco con la praticità indiana. Essi diedero quindi un carattere nuovo ed universale a conoscenze in precedenza nazionali, grazie alla loro ambizione di convertire il mondo intero. Si dovette al fatto che gli arabi all'epoca pervennero a livelli scientifici e culturali superiori rispetto ai popoli occidentali l'espressione “numeri arabi” data alle cifre indiane. In conclusione a questo paragrafo trovo sia interessante analizzare il significato simbolico delle prime dieci cifre del nostro sistema numerico17: 1) Rappresenta l'assoluto, il primordiale e il non duale. È associato al Sole e dal giorno; è un simbolo maschile ed è rappresentato visivamente dal punto. 2) È un simbolo femminile, rappresenta la dualità e la diversità. È associato alla Luna ed alla notte, ed è visivamente rappresentato da due punti collegati da una linea. 3) È il primo numero maschile, simboleggia il giorno, la luce, la mano destra ed il Sole. Associato al pianeta Giove, è visivamente rappresentato dal triangolo. 4) È un numero femminile, simboleggia completezza e perfezione, equilibrio ed ordine. Associato a Rahu18, un pianeta minore, visivamente è rappresentato dal quadrato. 5) È un numero maschile creato dal primo numero maschile e dal primo numero femminile, rappresenta l'amore e l'unione del maschio e della femmina. Simboleggia i poteri magici e l'intelligenza. Associato al pianeta Mercurio, è visivamente rappresentato dal pentagono. 6) È un numero femminile, prodotto dal primo numero femminile e dal primo numero maschile; simboleggia il 17 18

Bunce, pp.16-55. Rahu e Ketu non sono due pianeti, ma due punti calcolabili nel cielo natale di ogni persona, rappresentati i nodi lunari, ossia i punti d'intersezione tra l'orbita lunare del giorno di nascita e l'eclittica. Per l'astrologia indiana rappresentano: il primo, l'evoluzione spirituale necessaria all'anima per liberarsi, ed il secondo il retaggio degli errori passati da superare. Citazione Anna Spinelli, p. 144.

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macrocosmo, la bellezza materiale e l'attrazione, la carità divina e l'equilibrio. Associato al pianeta Venere, visivamente è rappresentato dall'esagono. 7) Numero maschile, considerato il numero della creazione e della perfezione; è il numero della legge naturale. Associato a Ketu, altro pianeta minore, è visivamente rappresentato dall'ettagono. 8) Denota perfezione e fortuna, giustizia ed equilibrio tra amore e repulsione; rappresenta la maternità. Associato a Saturno, è visivamente rappresentato dall'ottagono. 9) È un numero maschile perfetto, denota completezza e forza. Associato al pianeta Marte, è rappresentato da un poligono a nove lati. 10) Primo numero a due cifre, questo numero femminile rappresenta l'unità che emerge dalla molteplicità; denota completezza e successo. Come il numero 1 è un simbolo solare. La geometria e la cosmogonia La vera realtà è assoluta ed infinita, non spiegabile attraverso forme umane19. L'Islām, l'ultima in ordine temporale delle religioni rivelate, riafferma e restaura la verità primitiva e primordiale, l'unità e l'unicità di Dio, dove la molteplicità non è che un riflesso dell'unità che comincia e finisce in se stessa20. La spiritualità islamica ha portato allo sviluppo di un arte in conformità a questo credo, la ricerca di assoluto e unità combinata con la consapevolezza nomade riguardo la caducità delle cose ha portato ad un'arte aniconica, dove un mondo paradisiaco si rispecchia non attraverso le immagini, bensì tramite forme geometriche e ritmiche attraverso arabeschi e calligrafia. Per questo motivo la spiritualità islamica è stata chiamata Pitagorismo Abramico21, letteralmente un metodo 19 20 21

Mozzati, pp. 8-9. Critchlow, p. 6. Critchlow, pp. 6-8.

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tipicamente monoteista che vede nei numeri e nelle figure la struttura dell'universo stesso; universo che è creazione di un dio unico. Questo ha fatto sì che nascesse un'arte sacra di natura essenzialmente geometrica, ed un sistema scientifico che indaga l'essenza dell'anima, come fonte di tutte le conoscenze. Singole forme e figure secondo la concezione islamica Alla base di tutte le forme è il punto, l'origine della geometria. Il punto non ha dimensioni, se si esclude quella metafisica. Il punto è allo stesso tempo idea ed espressione, abbraccia due realtà opposte in se stesso. Lā ilahā illā Allāh: ‘non vi è altro dio all'infuori di Dio’, la professione di fede musulmana, si può leggere anche “niente tranne il tutto”, e può aiutarci a capire il senso profondo di questo simbolo. Da questo centro si può tracciare una linea, cioè il punto che guarda se stesso. Quest'ultima sarà il raggio del cerchio che si viene a creare, la base di tutte le figure geometriche, esempio ideale di inizio e di fine, bidimensionale, vicino sia all'origine che alle figure solide. Fatto questo primo passo è possibile arrivare alle prime tre figure solide: il triangolo, l'esagono, e il quadrato; rispettivamente di tre, sei e quattro lati. Questi numeri formano le fondamenta delle leggi matematiche alla base di quest'arte geometrica. Arte che rifugge il mondo delle rappresentazione per quello delle forme pure, quelle cioè che caratterizzano il paradiso; un mondo bidimensionale che ci permette di cogliere i principi e le idee vere, prima che vengano corrotte dalle nostre tre dimensioni, vale a dire dalla molteplicità22. Un esempio è il ritrovare queste idee anche nelle miniature persiane dove ogni singolo personaggio è perfetto, ed allo stesso tempo perfettamente isolato nella sua bidimensionalità23.

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Idem, p. 7. Hattstein e Delius, pp. 520-529.

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La calligrafia La scrittura tra le arti islamiche è quella eccellente, la più nobile; poiché attraverso la rivelazione del Corano ha conferito visibilità alla parola di Dio. Unisce in se stessa i motivi geometrici e la ritmicità; caratteristiche che sono i due poli fondamentali di tutte le arti islamiche. Esistono vari stili calligrafici, ognuno dei quali adatto ad un'occasione piuttosto che ad un'altra. Perciò tra i vari stili nessuno è caduto in disuso col tempo24. Scrittura fondamentalmente fonetica, l'arabo è una lingua di natura astratta, non figurativa. Tradizionalmente la calligrafia veniva tracciata con un calamo, “penna realizzata con uno stelo di canna sottile”25, che consentiva di tracciare linee precise ed intrecciate, essendo l'arabo una lingua che non tende ad isolare i segni, ma ad integrarli in un ritmo continuo, quasi come un'opera visiva piuttosto che un testo. Un'arte legata alla grammatica, oltre che di precisione geometrica; in cui il punto d'arrivo è il coniugare la distinzione dei singoli segni con l'armonia e la fluidità dell'insieme. L'arabo si scrive da destra verso sinistra, dal campo dell'azione a quello del cuore leggendo tale movimento in chiave mistica; descrivendo un movimento che va dall'esterno verso l'interno. Paragonabile alla trama di un tessuto, la calligrafia è un simbolo che allude alla croce degli assi cosmici26. Il movimento ondulatorio orizzontale della scrittura corrisponderebbe alla dimensione del divenire, mentre quello verticale rappresenterebbe l'immutabilità: la stessa cosa vale per i tessitori. Un sistema di movimenti che quindi in senso verticale afferma l'unicità e l'immutabilità, mentre in senso orizzontale disperde i significati nella molteplicità27. In ambito decorativo la scrittura trova la sua collocazione per eccellenza nell'arabesco. Arte ove decorazioni ricche di parole alternate a racemi di piante fiorite evocano l'analogia tra i simboli 24 25 26 27

Burckhardt, pp. 75-76. Soravia, p. 12. Burckhardt, pp. 71-76. Idem, pp. 75-76.

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del “libro del mondo” e quello de “l'albero del mondo”28. L'universo musulmano è infatti sia un libro leggibile con gli strumenti adatti, sia un albero nel quale i rami e le foglie si sviluppano dallo stesso tronco. La scrittura araba è quindi molto più della semplice trascrizione di una lingua; essa ha in sé il valore della fede di ogni credente. Diversamente che un veicolo di comunicazione tra le persone, essa è un tramite tra gli uomini e il divino. L'architettura Parlando di architettura islamica, si nota innanzitutto una considerevole diversità tra le varie opere. Diversi sono i materiali di lavorazione, le tecniche, e lo stile; ma analizzando questi elementi apparentemente disparati, saltano agli occhi dei principi unitari29. La prima caratteristica fondamentale dell'architettura islamica è di essere legata al suolo, perciò ad esclusione del minareto30, mai elevata. In secondo luogo, essa evita il senso di pienezza e solidità; è quindi traforata, movimentata ed alleggerita con decorazioni. Esiste un rapporto ben definito tra ambiente naturale e ambiente architettonico grazie al carattere spiccatamente pittorico delle costruzioni; che spesso sono interamente ricoperte di decorazioni, le quali tendono a mascherare l'edificio senza creare un punto focale o un centro d'attenzione31. Questa tendenza a evitare elementi di risalto ha determinato lo stile decorativo. Due elementi edilizi sono i più significativi, l'arco e la cupola. Per quello che riguarda gli archi nessun altra cultura dispone di una varietà così ampia; è affascinante la sovrapposizione di archi sulle colonne che mirano ad eliminare la semplicità creando un religioso mistero32. Le cupole assumono in terra islamica 28 29 30

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Burckhardt, p. 76. Hoag, pp. 5-7. Eccezion fatta per le cupole Timuridi per esempio (XIV-XVI secolo), Hattstein e Delius, pp. 416-418. Mandel, pp. 6-29 Un esempio perfetto di questa sovrapposizione si trova nella Grande Moschea

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un'importanza tutta particolare, in quanto la tensione costante tra linee dritte e linee curve sarà un caposaldo dell'edilizia musulmana. Il termine qubba, cupola in arabo, accoglie in sé sempre un senso sacro, e riporta ad un'immagine del mondo come contrapposizione tra cielo e terra; la struttura a stanza cubica sormontata da una calotta ne è l'esempio più calzante. Elemento costruttivo decorativo è lo īwān; una sala coperta, completamente aperta su di un lato, dove inizialmente il sovrano amministrava la giustizia. In seguito esso venne inserito nella struttura della moschea, in cui lo īwān principale indicava la Mecca. Altro motivo architettonico tipico sono le decorazioni a muqarnas, serie di nicchie e di alveoli inizialmente funzionale ed in seguito solo decorative33. Tentando una lettura simbolicomistica dell'architettura araba, vi si trovano delle influenze straniere di origine indiana e cinese che è interessante analizzare; specie per quel che riguarda il versante indiano, dato che durante la dominazione del subcontinente da parte della dinastia islamica dei Moghul (XVI-XIX secolo), si raggiunsero livelli altissimi nell'architettura. In India la scienza del costruire e dell'edificare è codificata nel trattato del Vāstu; un testo in cui alla mera funzione abitativa di un edificio si sovrappone una finalità superiore di carattere sacrale34. La costruzione non è quindi un'espressione personale, ma uno strumento dalle finalità ben precise: il suo scopo è di avvicinare l'umano al divino. Il lavoro dell'artista dev'essere quindi completamente esente da difetti per riuscire ad evocare la presenza divina35. Un'architettura che punta alla coincidenza del microcosmo con il macrocosmo, e in cui l'edificio è modellato sulle proporzioni umane.

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di Cordova. Hoag, pp. 38-42. Ma da ricerche pubblicate dall'accademia russa delle scienze, sembra che i muqarnas servano per evitare echi e rifrazioni, permettendo alla voce di chi parla di essere udita correttamente. Citazione a voce della professoressa Anna Spinelli. Bellentani, pp. 10-11. Idem, pp. 18-19.

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Vāstumandala: mappa dell'abitare nel cosmo, nonché corpo del genio del sito, protettore della dimora e dei suoi abitanti; il magico diagramma compone la sua carne, le sue ossa ed i suoi organi vitali. Il genio è tutt'uno con il sito, i loro destini sono intrinsecamente collegati, e il benessere di uno è gioia per l'altro36.

Le decorazioni: l'arabesco Con il termine ‘arabesco’ intendiamo sia le decorazioni di forma vegetale stilizzate, sia quelle rigorosamente geometriche. Queste forme richiamano i motivi tipici di ogni forma d'arte islamica: il ritmo e la geometria. Tipiche dei popoli nomadi (beduini, turchi, e mongoli), sono le decorazioni più astratte; al contrario quelle dei popoli sedentari (persiani, indiani, bizantini), tendono al figurativismo.37 Si crede che l'arabesco a forme vegetali sia derivato dall'immagine della vigna, i cui viticci intrecciati, si prestano naturalmente ad una stilizzazione; e visto che in un paese arido e desertico non vi è nulla di più lussureggiante della vegetazione, si può leggere la vigna come simbolo dello “albero della vita”38. 36 37 38

Idem, p. 88. Mandel, pp. 30-35. Burckhardt, pp. 76-87.

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L'origine storica delle decorazioni astratte sarebbe invece da ricollegare ai simboli a doppia spirale (come lo yin-yang cinese), che rendono particolarmente il significato del “ritmo cosmico”. Nell'arabesco astratto il pieno e il vuoto si equilibrano e si equivalgono, e la continuità dell'intreccio invita l'occhio a seguirlo, perciò da un'esperienza visuale si passa ad una ritmica. Le decorazioni astratte nascono da una o più forme regolari iscritte in un cerchio e di fondamentale importanza sono le proporzioni. Per l'artista-artigiano che deve eseguire una decorazione, l'intreccio geometrico rappresenta la forma intellettualmente più appagante in quanto espressione dell'unità divina (unità che attraverso l'armonia e l'equilibrio si riflette nel mondo della molteplicità, ma che al contempo, essendo la decorazione costituita da un elemento solo, ritorna di nuovo su se stessa). In epoca ommayyade (VII-VIII secolo), all'inizio dell'espansione islamica, le decorazioni sono ancora legate alle influenza naturalista greca; ma col passare del tempo l'arabesco a forme vegetali arriva quasi ad identificarsi con il suo corrispondente geometrico. In una sorta di ritorno alle origini si ha una riduzione del motivo ornamentale alle sue forme essenziali; cosa che in terra musulmana avviene in ogni campo artistico. Questo accade in quanto una fede come quella islamica, che tende a vedere in ogni concatenazione di eventi la volontà di Dio, non può che tendere a forme essenziali e perfette. Ritroviamo in forma decorativa anche la scrittura, che diventa, soprattutto negli edifici religiosi, una necessità; ritroviamo infatti scritto il nome di Allāh e le sue qualità, come alternativa alle immagini, che sono vietate. Esempio di arabesco: le forme geometriche ed astratte vengono esaltate da queste decorazioni.

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La Ka’ba, il centro e l'origine Tra le costruzioni architettoniche l'unica a far parte in maniera indiscussa e caratterizzante del culto islamico è la Ka’ba, motivo per cui è giusto iniziare la trattazione partendo da essa. Ogni musulmano si rivolge verso la Ka’ba mentre recita le preghiere giornaliere, così come ogni moschea è orientata nella sua direzione. La Ka’ba è il luogo perfetto per simboleggiare il centro dell'Islām, ed allo stesso tempo il suo legame con Abramo la collega all'origine di tutte le religioni monoteiste. Centro e origine si trovano in questo luogo, come due facce di una spiritualità che si fonda su questa contrapposizione39. Il suo stesso nome Ka’ba, ‘cubo’, ci svela in maniera elementare la solidità della fede islamica e lo stretto legame che fin dalle origini la connette alle forme geometriche. Essa è “la casa di Dio” in senso stretto; di un Dio che abita al centro del mondo, così come nel profondo di ogni uomo. La sua stessa forma è connessa con l'idea del centro; ciascuna delle sue facce corrisponde a uno dei punti cardinali. Essa è il centro del mondo terrestre ed è attraversata dall'asse del cielo: il rito della circuambulazione riproduce il movimento circolare attorno all'asse polare. Questa credenza sottolinea il rapporto che esiste tra l'orientamento dei luoghi santi e la sottomissione alla volontà divina. Il fatto di pregare verso un punto unico, che nonostante sia ideale è situato sulla terra, integra la volontà umana nella volontà divina, rendendola giusta. Vi è un altro duplice simbolismo nella lettura dell'aspetto della Ka’ba, essa è contemporaneamente statica e dinamica. Statica in quanto centro della terra, dinamica in quanto obiettivo di un 39

Burckhardt, pp. 15-22.

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pellegrinaggio obbligatorio. Possono bastare queste poche considerazioni per inscrivere la sensibilità artistica musulmana in un mondo più simile a quello dell'Antico Testamento, piuttosto che in quello classico con cui l'artista islamico inizialmente dovette confrontarsi. Inoltre un altro pilastro dei canoni artistici islamici trova la sua giustificazione nella Ka’ba, poiché le origini dell'aniconismo sono profondamente legate a questo luogo. Storicamente il santuario si riporta fosse circondato da 360 idoli; uno per ciascuno dei giorni dell'anno lunare; e fu Maometto stesso ad infrangerli e a proclamare il rifiuto di ogni immagine potenzialmente oggetto di idolatria40. La nascita della moschea Moschea, in arabo Masğid, è un termine che indica un luogo in cui ci si prostra piamente, e inizialmente indicava i principali luoghi santi ai musulmani, come la Ka’ba, la Cupola della Roccia e la Casa del Profeta nella città di Medina41. In poco tempo questo nome venne esteso a tutti i luoghi di preghiera, ma attorno al X secolo solo le sale da preghiera più piccole mantennero tale definizione; le più importanti presero il nome di Ğāmī‘, che ha il senso di ‘luogo di raccolta’42. E' in questa evoluzione che si riesce a cogliere il senso profondo delle costruzioni sacre musulmane. La moschea altro non è che il luogo in cui i fedeli si raccolgono a pregare; senza essere, come accade spesso ai luoghi di culto di altre religioni, la Casa di Dio. Questa concezione si sviluppò naturalmente dall'abitudine dei primi seguaci di Maometto di avere come punto di ritrovo la casa del profeta; un'abitazione tradizionale araba con un cortile interno; su un lato del quale era ricavato un porticato. Caratteristica che ritroviamo intatta nelle prime moschee, definite storicamente moschee a cortile. Esse sono costruzioni a pianta squadrata formate da due 40 41 42

Burckhardt, pp. 21-22. Otto-Dorn, p. 21. Idem, pp. 21-24.

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elementi di base, il cortile appunto, e la sala da preghiera. Analizzando questa architettura delle origini non si può ancora parlare di stile islamico, ma se si prendono le distanze dai dettagli si nota già una prima caratteristica basilare dell'arte araba, ovvero la funzionalità. Verso un'arte islamica: gli Omayyadi - (661-750) Con la prima dinastia califfale il centro di potere islamico si spostò dall'Arabia in Siria. Damasco, la capitale nel cuore di un'antica provincia romana, testimonia dell'iniziale dipendenza dello stile arabo da quelli classici, all'epoca in una brillante fioritura autonoma sotto il segno dell'Impero Bizantino. E' un tempo in cui i Musulmani vengono a conoscenza diretta di tutta l'antichità classica mediterranea. Il tipo di moschea che si va delineando è sempre quello a due settori, ma vi si amplia una navata centrale, sviluppando la cosiddetta moschea su pianta a T43, nella sala di preghiera, a fianco di alcuni altri nuovi elementi. Questi sono per esempio la nicchia che esalta la parete direzionata verso Mecca (la qibla), a cui ci si volge durante la preghiera, ovvero il miḥrāb spesso cupolato in esterno, e la maqṣūra, uno spazio che lo racchiude insieme al pulpito, il minbar. La maqṣūra è l'area in cui i califfi guidano la preghiera del venerdì, a testimoniare della potenza della dinastia e del suo progressivo distacco dalla gente comune. Gli elementi introdotti sono simboli assimilati dall'arte sacra romano-cristiana, e durante questo primo periodo sono poco più che contrassegni della potenza del califfo. Un vero carico di significato religioso arriverà più gradualmente44. Il pulpito, il minbar, un piccolo trono a sei gradini nel quale sta chi guida la preghiera della comunità intera raccolta, è una struttura dalle decorazioni ricche e geometrizzanti da subito, che chiaramente ricalca equivalenti marmorei bizantini. Fattori che subito da quel tempo condizioneranno tutta la produzione posteriore di tale elemento, il quale conserverà fedelmente nei secoli tutte le 43 44

Idem, pp. 19-24. Idem, pp. 23-24.

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caratteristiche originarie. Infine tra le innovazioni del periodo compare il minareto; torre simbolo dell'Islām, la cui forma iniziale, quadrangolare, non condizionerà però le successive costruzioni45. Durante il regno omayyade fiorì anche l'arte decorativa; senza dubbio ancora toccata profondamente da quella bizantina, e da quella più provinciale copta. Entrambe ricche di figurazioni umane in pose ieratiche altamente simboliche, si vuole abbiano influenzato la decorazione delle abitazioni private omayyadi. Secondo una concezione difficile da sradicare, si è voluto credere fosse abitudine dei nuovi nobili arabi rifugiarsi in cosiddetti castelli ove dedicarsi ai piaceri della vita. Ciò in base a una immediata classificazione degli archeologi del XX secolo secondo quanto si può evincere dai dipinti e dai mosaici ritrovati46. In realtà in tali opere è chiara la volontà degli Omayyadi di dimostrare ascendenze regali; rifarsi a cerimoniali squisitamente imperiali dei grandi regni persiani del passato47. E' interessante notare nei lacerti rimasti il grande contrasto tra le figure e gli ornamenti; con questi ultimi che cominciano ad occupare sempre di più il campo, ad esibire accurate e finissime decorazioni geometriche e arabeschi. Volendo inquadrare l'arte dell'epoca omayyade si può affermare che nel mondo islamico del tempo nacque spontaneamente una volontà di dimostrare la propria potenza, pur se sulla falsariga di una tradizione millenaria attestata. Potenza che giustifica una tale ostentazione di simboli già appartenuti alle culture vinte. Infatti se nell'arte sacra si segue un modello cristiano, quello basilicale, nell'arte profana si guarda ai bizantini e al modello Sassanide48. Si tratta dunque di un arte mista nella quale - seppure in sordina - appaiono però i primi germi di quella che sarà poi l'arte araba classica; ovvero un florilegio di ornamentazioni geometriche, di arabeschi. E sebbene le decorazioni non siano ancora il fulcro delle opere, vi si coglie 45 46 47 48

Mandel, pp. 10-16. Otto-dorn, pp. 55-60. Hattstein e Delius, pp. 80-83. Spinelli, pp. 60-68.

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già una sensibilità artistica squisitamente tutta araba.

La Cupola della Roccia, perno del mondo L'Islām nascente non aveva alle spalle una cultura artistica, poiché l'ambiente originario arabo era quello della vita nomade, dove i pochi oggetti artistici potevano forse essere tappeti, gioielli ed armi. Ma in seguito alla rivelazione di Maometto, gli uomini del deserto appresero che l'apparente monotonia del loro paesaggio era l'atmosfera ideale per cogliere l'unità divina. Con l'abbandono di una vita primitiva e il confronto con i grandi imperi confinanti, questo nucleo arabo scoprì la propria vocazione artistica. Sotto la guida dei califfi Omayyadi, il popolo dell'Islām che aveva appena dimostrato grande forza militare, vedendo le grandiose opere altrui, come le chiese bizantine, volle dimostrare di poter competere con le grandi civiltà sotto tutti gli aspetti, per cui si sentì spronato a sviluppare un'arte espressiva, uno stile proprio. Stile che fu molto di più di una semplice questione di orgoglio nazionale e piuttosto una vera e propria esteriorizzazione di un credo autonomo e di una propria tradizione. Il primo monumento fatto edificare della dinastia fu la Cupola della Roccia, a Gerusalemme (688-692), costruzione fortemente influenzata dall'architettura bizantina. Essa custodisce la roccia sacra sulla quale Abramo avrebbe dovuto sacrificare il figlio. La stessa pietra che secondo una tradizione islamica sarebbe stata il luogo dell'ascensione del profeta Maometto al cielo. Ultimo ma non minore particolare, il monumento sorge sulla spianata del leggendario Tempio di Salomone. L'edificio è caratterizzato da una base ottagonale, che nasce dalla rotazione di 45° di due quadrati sovrapposti ed è coronata da una cupola. Nello schema troviamo quindi il quadrato, l'ottagono, e il cerchio in questa sequenza; e vi si può leggere un simbolo di 19

elevazione dalla terra al cielo49, che diventerà tipico degli edifici islamici a cupola. Tutte le proporzioni dell'edificio mirano alla perfezione, nessuna misura è casuale, e tutte le parti si trovano tra loro in armonico rapporto. Armonia che vale pure per la struttura esterna della costruzione, ove quattro portali si aprono in direzione dei quattro punti cardinali. Non sussistono quindi dubbi che i costruttori dell'edificio lo concepissero come centro spirituale del mondo; quasi una trasposizione della Ka’ba50. All'interno della Cupola si contano 40 sostegni, numero che corrisponde a quello dei santi che per il profeta costituiscono “i pilastri” del mondo51. I mosaici presenti all'interno sono di origine bizantina quanto a stile realizzativo, ma vi si nota già l'aniconismo simbolico; dettaglio che fa pensare fosse già attivo il divieto di rappresentazioni figurative per gli spazi sacri52. Punto d'incontro tra l'arte bizantina e quella musulmana la Cupola della Roccia si può considerare come una straordinaria opera prima, che servì per canonizzare lo stile architettonico arabo. Al contempo si può vedere nell'opera un passaggio culturale definitivo: gli arabi con questa splendida Cupola chiarivano la loro posizione di potenza e le loro mire di espansione verso gli stessi popoli da cui traevano ispirazione. Pianta della Cupola della Roccia: si nota la base ottagonale formata dalla rotazione dei due quadrati uno sull'altro.

Verso l'Asia: Gli Abbāsidi - (750-1258) Successori degli Ommayyadi, gli Abbāsidi apportarono cambiamenti radicali sia sul piano politico che su quello artistico. Il centro culturale si sposta dalla Siria all'Iraq, da Damasco a Baghdad. Il cambiamento non è casuale, ma riflette un significato programmatico, rinunciare al Mediterraneo e volgersi verso l'Asia centrale. Non è un caso che le “guardie del corpo” dei 49 50

51 52

Spinelli, pp. 84-90. La Ka'ba ai tempi non era accessibile in quanto occupata da potenze rivali. Otto-Dorn, p. 55. Burckhardt, p.22. Idem, pp.20-22.

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califfi siano in questo periodo truppe scelte turche. Truppe che ben presto sarebbero divenute un'aristocrazia militare e che, se da un lato garantirono sicurezza allo stato, dall'altro ne costituirono una delle principali minacce53. Proprio queste influenze straniere dettero impulsi nuovi all'arte musulmana. Si impose infatti uno stile nuovo, di radice sciamanica fortemente simbolico. Periodo di forti mescolanze etniche, dove di strettamente arabo rimase la lingua, mezzo per eccellenza di trasmissione culturale; furono anni, quelli dell'ascesa abbaside, in cui si applicarono i dogmi della fede al quotidiano, ed all'espressione artistica; e in cui le necessità tecnico-pratiche portarono a una splendida fioritura scienze come la geometria, l'astronomia, la medicina e la magia. Influssi di misticismo persiano e centroasiatico si riscontrano nel valore magico dato alle lettere: ci si serve del loro valore numerico per calcolare cifre “segrete” che definiscono la realtà; inoltre ogni lettera dell'alfabeto arabo diviene l'iniziale di un attributo di Allāh54. Spostando la capitale più ad oriente gli Abbāsidi assorbirono idee e cerimoniali di tradizione persiana ed accolsero il concetto teologico di dimostrare il proprio potere attraverso la grandiosità dell'architettura55. Baghdad, la capitale, fu costruita seguendo regole di impostazione religiosa; essendo a pianta circolare, con quattro porte in posizione intermedia rispetto ai punti cardinali, il cui insieme componeva, come nella Cupola della Roccia, un ottagono composto da due quadrati ruotati uno sull'altro56. Queste forme geometriche conosciute ormai in tutta l'area Eurasiatica, simboleggiano sempre l'evoluzione dal terrestre verso il celeste, e vennero accolte ed interiorizzate con grande maestria dall'architettura islamica57. Un simbolo di comando usato all'epoca spicca per la somiglianza con la pianta della città; quello della ruota a raggi, di origine 53 54 55 56 57

Otto-Dorn, p. 86. Spinelli, p. 118. Mozzati, pp. 48-49. Spinelli, p. 86. Anche la Cupola della Roccia, costruzione precedente alla città di Baghdad, fu costruita secondo questi dettami. Otto-Dorn, pp. 52-55.

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indiana; simbolo solare, indicante il dominio sulle quattro parti del mondo58. Mentre tra gli elementi architettonici fondamentali del periodo troviamo il giardino, considerato come un vero e proprio dono di Dio; ed il mausoleo, una tomba di un sovranoeroe vista come una replica sacra della creazione del mondo59. Si può quindi concludere che in questo periodo si forma un patrimonio artistico innovativo e autonomo che fa trasparire attraverso le proprie opere sensazioni ormai intimamente islamiche60.

Le armi e le armature Necessariamente legata a pensieri di morte, ed investita di valore magico ovunque, l'arma è nella società islamica considerata “strumento di Dio”61. Si pensi alla ğihād, la guerra santa, un obbligo per tutti i credenti musulmani62; basta un particolare 58 59 60 61 62

Hoag, pp. 20-21. Spinelli, p. 180. Otto-Dorn, p. 127. Alfieri, p.61. L'obbligo alla ğihād è tale per i Sunniti, tra gli Sciiti esistono diverse interpretazioni. Enciclopedia dell'Islām, voce relativa.

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come questo per chiarirci l'importanza delle armi nella società musulmana, società che sin da epoca pre-islamica, era caratterizzata da scontri tra tribù. Si ha nella società araba delle origini una “coraggiosa”, ma allo stesso tempo “pericolosa” ammissione della necessità della violenza nella vita umana, e probabilmente proprio quest'impeto unito ad una fede senza esitazioni furono alla base della fase iniziale delle conquiste islamiche. Le armi bianche islamiche- probabilmente fin dallo sviluppo del Califfato - si differenziano tra armi da guerra ed armi da parata. Specialmente in queste ultime ritroviamo i motivi artistici e decorativi più tipicamente islamici. Compaiono infatti sontuose decorazioni formate da arabeschi geometrico-vegetali e pietre preziose che vengono posizionate in base al loro valore astrologico e in base ai loro significati specifici (ad esempio la giada simboleggia l'immortalità per chi maneggia l'arma)63. Le armi da guerra sono spesso più modeste ma non mancano comunque opere pregiate; alcun pezzi possono contenere scritte atte a simboleggiare il valore del guerriero64. Le armature invece sono spesso caratterizzate da simboli solari, essendo il Sole un chiaro simbolo di invincibilità, e portano spesso decorazioni ad andamento circolare concentrico, oppure vengono inserite in una campitura squadrata. In tal modo sommano in se stesse quindi sia i valori del cielo che della terra e tutta la gamma dei rispettivi significati. Ancora, a difesa dagli spiriti negativi gli orli e i margini sono strutturati in modo che non si veda né un inizio né una fine, divenendo così insuperabili ed impenetrabili65. Lo stesso motivo decorativo si ritrova anche negli scudi, dove però si aggiungono le scene di caccia ambientate in un giardino paradisiaco; immagini che evocano il potere sovrano, cioè di colui che mantiene l'ordine e trasforma la terra in paradiso66. Si può concludere quindi che anche nel campo delle armi la società 63 64 65 66

Spinelli, pp.138-142. Idem, pp.139-140. Citazione a voce di Anna Spinelli, p.139. Spinelli, pp. 139-140.

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islamica tende alla ricerca della perfezione e dell'unità che la caratterizza altrove67; e aggiungendo una considerazione personale, forse mai come in questo campo i simboli portafortuna erano graditi e “necessari” per coloro che passavano la vita combattendo. Kanjar arabo: a metà tra un pugnale ed una sciabola, questo esemplare da parata è ricco di pietre e decorazioni altamente simboliche.

Il giardino Il giardino islamico è legato all'immagine dell'oasi ed a quella del paradiso68; il Corano stesso usa la parola ğanna, ‘giardino’ appunto, per esprimere il concetto di paradiso69. Analizzando alla radice la parola giardino troviamo tra gli altri il significato di “cingere”, “circondare”; da qui l'idea che il giardino sia un luogo protetto. Allo stesso risultato arriviamo analizzando la parola di origine persiana pardes, ovvero ‘paradiso’70. Il concetto architettonico di giardino ha la sua origine nel mondo iranico-mesopotamico, e si sviluppa ovunque la civiltà agricola lo permetta. Il giardino è la patria originaria che Dio ha dato all'umanità, cioè la terra fertile, quella che permette di vivere. Il giardino è legato al numero 4, poiché quattro sono le direzioni naturalmente percettibili: avanti, dietro,destra e sinistra71. Nel giardino vivono gli alberi, creature vive capaci di raggiungere vette inimmaginabili per l'uomo e di vivere per tempi “divini”; queste considerazioni furono alla base del culto degli alberi che si venne a sviluppare anche nel mondo mesopotamico, e che 67 68 69 70 71

Alfieri, pp. 65-66. Mozzati, pp. 20-21. Hattstein, Delius, pp.490-493. Spinelli, p. 162. Idem, p.163.

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venne, in seguito, in epoche imprecisate, adottato in tutto il mondo euroasiatico. L'albero viene quindi visto come axis mundi72. A queste credenze si rifa col tempo anche la forma di governo definita “dispotismo orientale”, un’organizzazione della società nella quale tutti concorrono a mantenere la terra come un giardino per tutti, e nella quale il re, governa dalla sua sala squadrata, con quattro ingressi e cupolata, come un vero e proprio axis mundi vivente73. Nei giardini reali potevano trovarsi fiere ed animali pericolosi, che il re poteva uccidere a dimostrazione della sua potenza e della sua capacità di mantenere l'ordine. L’uso passerà anche al mondo islamico, ove fiere domate tenute nei giardini saranno un chiaro simbolo di prestigio74. Il giardino antico classico persiano è quadripartito75, suddiviso in figure geometriche precise, con al centro il luogo di culto o la sala del sovrano, e cinto tutt'attorno dalle mura che lo proteggono e lo preservano76. Altro elemento fondamentale che il mondo islamico esalterà è la presenza dell'acqua all'interno del giardino. L'acqua simboleggia contemporaneamente la nuova vita dopo la morte, e la sapienza tra le altre cose77. L'acqua scandisce lo spazio dell'ambiente, è incanalata dall'architettura del giardino e ne scandisce la sacra spazialità. Nel giardino musulmano le piante sono lasciate crescere naturalmente, sono invece i canali, i sentieri e i margini delle aiuole, ad essere modellati dall'uomo, secondo principi matematici, geometrici, architettonici, astronomici, e anche prettamente di tipo utilitaristico agricolo78, in una sorta di rapporto armonico tra materia e spirito, tra umano e divino. Il Corano stesso spinge il creato a tornare dal creatore promuovendo così il naturale piuttosto che l'umano, ecco quindi 72 73 74 75 76 77 78

Idem, pp.163-164. Spinelli, pp.164-165. Otto-Dorn, p. 105. Hattstein, Delius, pp. 491-492. Spinelli, pp. 165-168. Idem, p.172. Idem, pp. 172-173.

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il valore delle geometrie, dei colori, e di tutto questo tipo di decorazioni79. I mausolei Nella società islamica il mausoleo ha assunto nel tempo un grande valore; valore che ad un primo momento può apparire paradossale, dato che la glorificazione dei morti sembrerebbe estranea allo spirito musulmano. “La più bella tomba è quella che scompare dalla superficie della terra” è una citazione del Profeta Maometto80 e sembra non contemplare le costruzioni dei mausolei. Ma questo paradosso si spiega attraverso due elementi; il primo, fu la volontà dei sovrani di perpetuare il loro nome, una credenza certamente poco islamica, ma comprensibile se si considera la speranza che l'anima del defunto potesse trarre beneficio dalle preghiere che i visitatori avrebbero recitato in sua memoria. Mentre il secondo elemento, nasce dalla volontà del popolo di onorare i santi, i quali sono considerati i veri re della terra81. Analizzando l'architettura del mausoleo troviamo che essa risponde al concetto di elevazione spirituale; la tomba sarebbe infatti una replica sacra della creazione82. Storicamente la moltiplicazione dei mausolei in terra musulmana coincide con la salita al potere dei Selgiuchidi, e si ritiene quindi che quest'usanza affondi le proprie radici nelle credenze e nelle usanze dell'Asia centrale83; l'idea stessa del mausoleo, si spiega inoltre nell'ottica di un’accettazione sottomessa della figura del capo, nella quale si riconosce la volontà divina84. In analogia con l'architettura del giardino il tumulo sepolcrale contiene il corpo del capo mitizzato; vero e proprio axis mundi del suo regno; così 79 80 81 82 83 84

Idem, p. 173. Burckhardt, pp. 98-100. Burckhardt, pp. 98. Spinelli, pp. 179-180. Burckhardt, pp. 98-99. Spinelli, p. 180.

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come la collina primordiale conterrebbe l'albero della creazione85. Una particolare formula architettonica e prevalsa per i monumenti sepolcrali: il cubo coronato da una cupola con un ottagono che si inserisce nel punto di transizione tra i due86, e, caratteristica questa di tutti i luoghi funebri musulmani, queste costruzioni non hanno nulla di triste o di lugubre, ma al contrario l'emozione dominante che suscitano è la serenità87. Una caratteristica comune alla costruzione degli edifici funerari islamici è che essi si svilupparono secondo formule legate all'astronomia e all'astrologia; le quali li influenzarono nelle proporzioni della pianta. Ciò avrebbe portato all'impiego della figura del semiquadrato88 e di tutta la geometria ad esso relativa89. Questo sistema geometrico darà origine a tutta una serie di sperimentazioni tali da arrivare durante l’epoca della dinastia timuride (XIV-XVI secolo), a non produrre mai due mausolei uguali tra loro, pur partendo dallo stesso modulo90. Interessante da notare in conclusione, la scelta operata - sempre in epoca timuride - dagli architetti. Essi fecero in modo che nei mausolei la diagonale del semiquadrato fosse sempre un multiplo di cinque o della sua radice91; essendo il numero cinque connesso alla tradizione astrologica che lo designa come numero specifico del pianeta Saturno. Quest’ultimo caratterizza col proprio moto apparente in cielo la conclusione dei cicli principali della vita92, e quindi è significativamente adatto a connotare gli edifici funerari. 85 86 87 88

89 90 91 92

Idem, p.180-181. Burckhardt, pp.99-100. Idem, p. 100. Il semiquadrato ha la forma apparente di un quadrato, ma in realtà vi è una differenza minima tra base ed altezza. Avrà quindi il lato base di lunghezza l, ed il lato di altezza di lunghezza l+1. Ne risulta quindi una figura suddivisibile in due triangoli rettangoli, i cui lati sono legati da un sistema proporzionale e di cui almeno uno dei tre sarà espresso da un numero infinito. Spinelli, pp.193194. Idem, p. 193. Idem, p. 194. Idem, p. 194. Dato che impiega circa trent'anni per attraversare tutte le costellazioni zodiacali sull'eclittica. Citazione Anna Spinelli p. 194.

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I gioielli, le pietre preziose e l'arte del vestire Nel mondo arabo, i gioielli sono l'unica ricchezza in possesso delle donne; e vengono indossati a protezione delle parti del corpo più delicate e vulnerabili93. Nei gioielli è fondamentale il colore dei metalli e delle pietre preziose che vi sono inserite; essendo le pietre collegate ai pianeti ed agli elementi naturali, quindi caricate di un alto valore protettivo. Il gioiello infatti vale quanto la parte del corpo che copre e protegge94. Volendo analizzare i significati dei preziosi, troviamo sommati in essi sia il valore delle forme geometriche (quali il quadrato inserito nel cerchio), come quello degli elementi floreali, riconducibili al giardino della creazione; e non ultimo il valore del movimento e del tintinnio che serve ad allontanare gli spiriti95. Per ogni parte del corpo vi sono gioielli appropriati, ed ognuno riveste un significato particolare; le collane hanno valore protettivo dal momento che stanno tra gola e cuore, gli orecchini indicano lo stato sociale, mentre i bracciali e tutti gli accessori che racchiudono una parte del corpo hanno un valore altamente protettivo che può anche divenire simbolo di potere96. Per quel che riguarda il vestire invece quel che determina il costume musulmano è primariamente la Sunna97, l'esempio dato da Maometto, e secondariamente il fatto che l'abito deve adattarsi ai gesti ed alle posture delle preghiere prescritte. Riguardo l'esempio del profeta, sappiamo che i limiti sono dettati dalla povertà spirituale, e dalla dignità98; sappiamo anche che Maometto prediligeva il bianco e che vietava agli uomini di portare ornamenti d'oro; che essendo per natura metallo sacro veniva destinato solo alle donne, viste come ciò di più sacro che un musulmano “possiede”99. Il costume maschile, nei paesi 93 94 95 96 97 98 99

Idem, p. 130. Idem, pp. 130-143. Idem, pp. 142-143. Spinelli, pp. 142-144. Burckhardt, p. 100. Idem, pp. 100-101. Idem, p. 101.

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musulmani, tende a cancellare le differenze sociali, e possiede una propria morale. Il corpo umano, creato a immagine di Dio, è una sorta di rivelazione, è necessario quindi velare il corpo, non per negarlo, ma per inserirlo nell'ambito delle cose sacre, che come tali devono rimaner nascoste alla folla100. Questo rilievo dato alla sacralità del corpo ed all'intimità tra la casa e i suoi abitanti, suggerisce un parallelo con il Vāstumandala (già citato nel paragrafo sull'architettura), il genio indù dei luoghi101. Esso costituisce un tutt'uno sia con il sito sia con gli abitanti della casa102, e può esser visto decisamente come “un vestito” che vela l'intera famiglia103. I tappeti La scarsa propensione degli islamici per pittura e scultura si può far derivare dall'abitudine originaria dei nomadi, di possedere solo oggetti utili e facilmente trasportabili104; proprio per questo l'arte del tappeto, è senza dubbio la più “nomade” tra le arti islamiche105. Detto questo occorre precisare, che esistono nel mondo musulmano due “culture” nomadi; quella turco-mongola, e quella arabo-iraniano-berbera106. Tra i due, il “filone” turcomongolo è indiscutibilmente il più artisticamente ricco; ed è proprio a questa “cultura” che viene attribuita l'invenzione del tappeto a nodi. Nonostante la loro origine come suppellettili per la tenda, i tappeti vennero adottati - e con grande successo - anche nella civiltà cittadina, e probabilmente nessun altro oggetto simboleggia così bene, l'influenza del nomadismo sulla cultura sedentaria nel mondo arabo. La decorazione base di un tappeto 100 101

102 103 104 105 106

Idem, p. 101. A sottolineare ancora una volta gli intensi scambi tra le due culture, indiana e araba. Bellentani, pp. 88-90. Citazione personale. Mandel, pp. 54-55. Burckhardt, pp. 112-113. Idem, p. 113.

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segue canoni ben definiti: motivi geometrici ripetuti, secondo una simmetria sia assiale, che diagonale107. Col passare del tempo i tappeti subirono influenze che si possono definire cittadine, mediate da frequenti scambi culturali e commerciali. E’ questa è una costante del mondo nomade. Questa tendenza verso la ricchezza di spunti dell'arte cittadina fu compensata da un ritorno alle origini attraverso la trasformazione di questa abbondanza di stilemi a elementi nuovamente geometrizzati e ripetuti ritmicamente108. L'arte nomade ha in sé qualcosa di indefinito e monotono; l'arte sedentaria invece ama l'ordine e la ricchezza; proprio per questo il tema preferito del tappeto “sedentario” è il giardino, con le sue piante riccamente fiorite e stilizzate109. I tappeti cosiddetti da preghiera invece, sono comuni ad entrambe le correnti. Essi sono riconoscibili dalla decorazione a nicchia, che richiama alla funzione del miḥrāb. A conclusione di questo breve excursus è interessante chiarire quello che è il significato esoterico del tappeto. Esso è un’immagine dello stato dell'esistenza: tutte le forme, tutti gli eventi sono in lui tessuti e vi appaiono uniti in una sola continuità. La trama, cioè ciò che unisce, non appare all'esterno. Così sono le qualità divine che stanno alla base dell'esistenza, se scomparissero dal tappeto della vita tutto con loro svanirebbe110. Tappeto a nicchia: si nota il richiamo al miḥrāb.

La miniatura 107 108 109 110

Burckhardt, p. 114. Idem, pp. 114-115. Idem,p. 115. Citazione Burckhardt, p. 117.

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Nel mondo islamico il libro fu sempre un oggetto molto amato, basti pensare che praticamente ogni persona possiede almeno un Corano111. I primi sviluppi della miniatura in senso stretto che hanno lasciato tracce fino a noi si ebbero nella scuola di Baghdad, in epoca Selgiuchide (XIII secolo), per impreziosire le traduzioni arabe di opere scientifiche greche112. Ai trattati fecero presto seguito le illustrazioni di libri di favole, che potevano sfuggire al divieto circa la riproduzione d'immagini in ambito religioso, e ben si prestavano alle illustrazioni. Il Corano stesso fu arricchito con ricche decorazioni geometriche113, ma non venne mai illustrato a figure. Ben presto, i caratteri principali della miniatura musulmana si delinearono: tra le principali caratteristiche troviamo la suddivisione della superficie della pagina da illustrare in rettangoli; i quali incastrandosi tra loro formano una trama geometrica che tende a conferire a quest'arte un carattere irreale e fortemente simbolico114. Alle origini di questa tecnica vi sono significati profondi, che traggono origine dalle credenze indiane; secondo le quali il disegno si origina dal punto centrale, punto dal quale viene poi tracciata la circonferenza, intesa come insieme di punti distinti ma tra loro equivalenti; come lo spazio ed il tempo già manifesti, ma non ancora differenziati115. Nel passaggio seguente viene tracciata una linea, verticale, passante per il centro che taglia la circonferenza esattamente a metà (L’attuarsi della dualità). E poi ancora un'altra linea, questa volta orizzontale, passante ancora per il centro a formare con l’altra una croce; croce dalla quale unendo gli estremi si ottiene un quadrato (L’inserimento nel mondo terrestre; lo spazio quadrato segna i confini dello spazio conosciuto oltre il quale sta ciò che è indefinito)116. Ritroviamo quindi anche in queste tecniche una 111 112 113 114 115 116

Mandel, p. 48. Otto-Dorn, pp. 299-300. Mandel, p. 48. Idem, pp.48-50. Bellentani, p. 148. Idem, p. 148-149.

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rappresentazione dell’universo, una riproduzione di un microcosmo; a sottolineare, ancora una volta, la relazione tra l’Uno e il Tutto117. Troviamo poi un elemento di continuità tra la miniatura e le arti nomadi: l'horror vacui, cioè il riempimento apparentemente ossessivo di tutti gli spazi della pagina118. Altra peculiarità di quest'arte è la prospettiva geometrica119, che libera da legami con una visione realistica, esalta il lato simbolico del disegno, e consente quindi anche ad uno sguardo profano di dare sfogo alla propria interpretazione personale120. Vale la pena poi analizzare l'arte libraria dell'epoca timuride (XV secolo), in quanto in questo periodo si ebbe un crescente sviluppo dell’arte della miniatura che sfociò poi in una vera pittura121. 122 Le miniature realizzate in quest'epoca (specialmente quelle della scuola di Herat), sono caratterizzate da una composizione ritmica basata sulla ripetizione di forme colorate, sulla profusione di dettagli precisi, e sulla creazione di punti d'appoggio spaziali123. Altra fondamentale acquisizione dell'epoca è la perfezione delle linee, che circondano ogni singolo particolare e lo fanno apparire a tal punto chiuso in se stesso che nemmeno in caso di soggetti in movimento ne viene spezzato l’isolamento; isolamento che rende un'idea di pace perfetta124. Un nome passato giustamente alla storia fu quello di Bihzad (1450 ca.-1535) artista di fama e personalità quasi “occidentali” attivo soprattutto tra il 1486 e il 1495, definito “il Raffaello d'oriente”125. Egli come il suo contemporaneo occidentale lavorò 117 118 119 120 121 122

123 124 125

Idem, p. 149. Mandel, pp. 50-51. Hattstein e Delius, pp. 484-487. Hattestein e Delius, p. 425-426. Idem, p.426. Le miniature timuridi sono caratterizzanti della pittura islamica; poiché oltre la novità elaborarono una tradizione già viva in Asia centrale. In quell’area era già attiva sin dalle conquiste di Alessandro (327-325 a.C. circa), una scuola artistica detta del Gandhāra, dove forme ellenistico-romane si adattarono ad un contenuto buddhista, che aveva prodotto pitture e affreschi di altissima qualità. Bussagli, pp. 9-42. Hattstein e Delius, p.427. Idem, pp. 426-428. Idem, p. 428.

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sul bilanciamento e sull'equilibrio delle figure, ottenendo risultati che nulla hanno da invidiare ai calcoli prospettici del Rinascimento126. Cercò inoltre di tendere ad una illustrazione realistica di movimenti, gesti, ed anche espressioni del volto; rendendo così i ritratti immediatamente riconoscibili agli occhi degli osservatori. Conclusione. L'arte islamica e la geometria naturale Ho iniziato questa tesi sostenendo che la matematica e la geometria sono alla base del pensiero scientifico in tutte le civiltà cosiddette “avanzate”. In questo paragrafo conclusivo vorrei proporre invece una visione più radicale della cosa; vorrei cioè, sostenere la tesi secondo la quale queste scienze esatte si sarebbero sviluppate perché alla base di ogni forma di vita naturale. Nel paragrafo introduttivo avevo inoltre posto, in parte provocatoriamente, questa domanda: da dove vengono i numeri? Ora vorrei ampliarne il senso, il coinvolgimento, e provare a dare una risposta. Ho cercato di leggere questo quesito come se fosse: da dove deriva il pensiero scientifico? La prima cosa che mi è venuta in mente è che questo tipo di pensiero sia stato suggerito dalle regole immutabili della natura, che con il passare del tempo sono state “tradotte” dagli uomini in linguaggi comodamente più convenzionali. Poi mentre stavo scrivendo questa tesi, tra testi di filosofia e architettura il cui nesso immediato può sfuggire, ho colto con lo sguardo in un prato una piantina cresciuta spontaneamente, ma in maniera incredibilmente perfetta dal punto di vista geometrico; tant'è che il pensiero è subito corso alle decorazioni islamiche. Informandomi ho scoperto che esiste una branca della geometria definita “frattale” che studia - tra le altre cose - anche le forme geometriche esistenti in natura; quelle che si ripetono nella loro struttura di fondo allo stesso modo anche su scale diverse. Quelle forme cioè, che compaiono immutabili sia quando percepite normalmente che quando viste 126

Citazione a voce Anna spinelli.

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attraverso una lente d'ingrandimento, e che sono analizzabili in termini matematici127. La possibilità di ottenere equazioni matematiche da forme naturali, unita alle conoscenze moderne che ci dicono che gli atomi, il DNA, le molecole, e le cellule si aggregano secondo schemi geometrici e matematici128, mi spinge a sostenere la tesi che esista una simmetria assoluta che non solo ci portiamo dentro, ma che ci struttura e ci condiziona in senso molto ampio. Una sorta di “geometria intuitiva”, che regola la nostra fisicità tanto quanto il nostro pensiero129, e che segue certe regole per il solo motivo che non può fare (o meglio, essere) altrimenti. Ritengo poi, che nel mondo musulmano, permeato dal pensiero religioso in ogni suo aspetto, questa cosiddetta “geometria intuitiva” si trovi a coincidere con quella che può essere chiamata “volontà divina”; ovvero ciò che un musulmano credente deve cercare di perseguire. Proverò ora a ricercare questa volontà limitandomi al campo artistico; per fare questo vale la pena ricordare l'atteggiamento degli islamici nei confronti dell'arte: che se da un lato fa parte delle cose stupende, dall'altro viene considerata menzogna, dato che “simula qualcosa di diverso da quel che è”130. Vi è un passo (sura III,43) del Corano, che racconta di Gesù che anima l'immagine di un uccello, per dimostrare con questo miracolo che soltanto Dio può creare la vita. E stando sempre ai racconti tramandatici, si crede che gli artisti nel giorno del Giudizio saranno sollecitati a dar vita alle loro creazioni, e qualora ne fossero incapaci finirebbero all'inferno131. Questo atteggiamento avrebbe quindi spinto gli artisti a creare opere il più possibile vicine a “quel che è”, incoraggiando così l'imitazione, o addirittura una sorta di “ricreazione” della natura e delle forme più perfette che essa 127

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Citazione da sito internet del 10/06/'08: www.frattali.it/introduzioneaifrattali.html Citazione da sito internet del 12/06/'08: http://www.miorelli.net/frattali/natura.html Jung ad esempio sosteneva che psiche e materia si potevano distinguere solo convenzionalmente; e che sono tra di loro collegate come due aspetti della stessa unità. Risé, p. 13. Hattstein e Delius, p. 38. Hattstein e Delius, pp. 38-39.

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racchiude. Non a caso tra le espressioni artistiche più care ai musulmani vi è il giardino, che nella sua forma tipica lascia crescere le piante naturalmente, con minime potature curative e non di abbellimento132. In conclusione ritengo che non sia un caso che molte opere d'arte islamica, richiamino le forme naturali più perfette. Entrambe infatti si alimentano dalla stessa sorgente. Foglia di pianta della famiglia delle Geraniaceae 133 su carta millimetrata: A sottolineare la geometricità della foglia134. Un esempio di arabesco: naturali.

In cui ritroviamo assonanze con le forme

Pianta della famiglia delle Geraniaceae: La piantina che mi ha suggerito il parallelo con le decorazioni islamiche. Cristalli di neve: Tra le forme geometriche naturali più perfette, veri e propri esempi di “arabeschi naturali”. Altro esempio di arabesco: Dove è evidente il richiamo alle forme naturali.

Bibliografia Alfieri B.M., Lanciotti L. e.a., Armi e armature islamiche, Milano, Bramante, 1974.

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Spinelli, p. 173. Piante non comuni diffuse in tutto l'areale mediterraneo, che sono state oggetto di coltivazione e di ibridazione per la bella fioritura. Citazione da sito internet del 15/06/'08: http://www.giardinaggio.it/giardino/perenni/perenni_singole/Geranium/Geraniu m.asp La definizione di frattale non è unica, ma approssimativa ed intuitiva. Ciò che conta è che una forma susciti determinate sensazioni, non tanto che venga catalogata in un determinato modo. Citazione da sito internet del 25/06/'08: www.frattali.it/introduzioneaifrattali.html

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Siti web consultati: 36

www.frattali.it/introduzioneaifrattali.html

1a Citazione - 10/06/'08 2a Citazione - 25/06/'08 www.miorelli.net/frattali/natura.html

Citazione - 12/06/'08 www.giardinaggio.it/giardino/perenni/perenni_singole/Geranium/Geranium.asp

Citazione - 15/06/'08

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