Tesi Laurea Architettura Elisabetta Carattin Emergency Shelter progetto moduli abitativi FRP terremoto emergenza

October 8, 2017 | Author: Elisabetta Carattin | Category: Fear, Psychological Trauma, Psychology & Cognitive Science, Psychological Concepts, Behavioural Sciences
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CAP 1 1

VIVERE IN EMERGENZA

L’EMERGENZA

_1.1 AFFRONTARE L’EMERGENZA

LA ‹‹SINDROME DELL’IMMUNITA’›› LA CONDIZIONE DI EMERGENZA L’‹‹EMERGERE›› DELL’EMERGENZA

_1.2

AFFRONTARE UN EVENTO CRITICO

_1.1

AFFRONTARE LA SOFFERENZA

2

IL CONCETTO DI EVENTO CRITICO COME REAGISCE UNA PERSONA COINVOLTA IN UN EVENTO CRITICO INTRODUZIONE LE STRATEGIE DI ‹‹COPING››

UNA RISPOSTA ALL’EVENTO CRITICO

_2.1 LA PSICOLOGIA DELL’EMERGENZA DI CHE COSA SI OCCUPA OBIETTIVI

3



ASPETTI PSICOLOGICI CONNESSI ALLA RISPOSTA EMERGENZIALE

_3.1 GLI EFFETTI DEL TERREMOTO IL TERREMOTO VISIBILE IL TERREMOTO ‹‹INVISIBILE››

_3.2

COME PERCEPIAMO IL PERICOLO IN CASO DI EMERGENZA L’ALLARME LA PAURA IL PANICO

_3.3 REAZIONI PSICOLOGICHE NELLE SITUAZIONI DI CRISI LO STRESS

_3.5

4

LE VITTIME

OGNI SUPERSTITE E’ UN INDIVIDUO UNICO TIPOLOGIE DI VITTIME LA ‹‹SINDROME DEL SOPRAVVISSUTO››

FASI DI RISPOSTA PSICOLOGICA A UN EVENTO CATASTROFICO

_4.1

FASE DI EMERGENZA E FASE IMMEDIATAMENTE SUCCESSIVA

_4.1

FASE DI POST-EMERGENZA

 _4.2

 _4.3

 5 _5.1

FASE DI AVVERTIMENTO FASE DI ALLARME FASE DI IMPATTO FASE DELL’INVENTARIO

FASE DELL’EROISMO FASE DELLA LUNA DI MIELE FASE DI DISILLUSIONE FASE DI RICOSTRUZIONE

MODELLO DELLA REAZIONE BIOPSICOSOCIALE FASI TEMPORALI

UN CASO STUDIO

EFFETTI SULLA SALUTE DEL TERREMOTO DI S. GIULIANO, 2002

INTERVENIRE NELL’EMERGENZA SOPRAVVISSUTI, NON VITTIME 

RIPRISTINARE LE ROUTINE QUOTIDIANE

_5.2 POPOLAZIONE A RISCHIO _5.2.1 BAMBINI

L’IMPORTANZA DELLA RIAPERTURA DELLA SCUOLA

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1

AUTOCOSTRUIRE 

_1.1 FATTORI CHE MOTIVANO L’AUTOCOSTRUZIONE _1.1.1 _1.1.2

MOTIVAZIONI FISIOLOGICHE

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MOTIVAZIONI CONTINGENTI

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_1.2 CARATTERI DELLA TECNOLOGIA



_1.2.1 _1.2.2

ASPETTI “SOFT”

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_1.3 TRE CASI STUDIO 



_1.3.1 _1.3.2 _1.3.3

2



AUTOCOSTRUZIONE “PAUCA”: Progetto AUtocostruzione CArpenedolo (Brescia) AUTOCOSTRUZIONE A ZELARINO (Venezia) AUTOCOSTRUZIONE A CORCIANO (Perugia): 

PARTECIPARE

_2.1 PROMUOVERE LA PARTECIPAZIONE _2.1.1

INDICAZIONI PER LA PROMOZIONE DELLA PARTECIPAZIONE

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_2.2 ESPERIENZE DI PARTECIPAZIONE

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_2.2.1

LABORATORIO DI QUARTIERE DELL’UNESCO. OTRANTO 1979

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VIVERE IN EMERGENZA

1

L’EMERGENZA

_1.1 AFFRONTARE L’EMERGENZA LA ‹‹SINDROME DELL’IMMUNITA’››

LA CONDIZIONE DI EMERGENZA

L’‹‹EMERGERE›› DELL’EMERGENZA

Dalla lettura di numerosi fatti di cronaca, si ricava l’impressione che in Italia, ma anche nel resto del mondo, stiano esplodendo con esiti catastrofici, una dietro l'altra, situazioni che erano comunque a rischio. Palazzi che crollano, tubature del gas che perdono ed esplodono nonostante i controlli, allagamenti continui a causa di cattiva manutenzione delle condotte, incendi, crolli di strutture in seguito a eventi sismici, eccetera. In tutti questi casi la mancanza di una adeguata organizzazione e gli errori umani hanno aggravato ulteriormente il bilancio in termini di vite e di sofferenza; in genere, ciò si verifica perché la prevenzione che riguarda la sicurezza delle persone viene considerata come una parola senza contenuto, usata spesso solo con fini propagandistici. Purtroppo, bisogna aggiungere che nella maggior parte delle persone è radicata una convinzione, non del tutto consapevole, che fa persuadere dal fatto che un evento temuto possa colpire chiunque, in qualsiasi momento. Le persone, infatti, hanno la tendenza a esorcizzare le situazioni di potenziale rischio sviluppando una artificiosa ‹‹sindrome dell’immunità››: tale convinzione ha la funzione di negazione del pericolo. E’ opportuno, invece, mettere in evidenza come le situazioni di pericolo (spesso incentivate da un terreno favorevole) si verifichino inevitabilmente e inneschino, di conseguenza, una condizione di emergenza. “Negli ambienti quotidiani di vita e di lavoro si possono verificare condizioni straordinarie o impreviste verso le quali non abbiamo, o pensiamo di non avere, strumenti idonei per farvi fronte. Nel lessico comune queste situazioni vengono identificate con il termine emergenza, condizione che si determina al verificarsi improvviso di avvenimenti indesiderati o fuori dalla consuetudine, che possono mettere in pericolo l’integrità fisica o psicologica delle persone che si trovano in un ambiente, oppure danneggiare o distruggere beni o cose”.1 Le notizie di cronaca, in merito agli eventi emergenziali, mettono anche in evidenza come di frequentemente gli individui, di fronte a catastrofi naturali, attentati o incidenti, siano confusi, inermi, incapaci di soluzioni; le stesse notizie, però, cominciano finalmente anche a riportare anche alcune novità nel campo dell'emergenza che, se fino a ieri erano state di esclusiva compentenza medica, oggi stanno necessariamente per diventare multidisciplinari, con particolare attenzione agli aspetti psicologici. ______________________________________________________________________ 4

D’Angelo Benedetto, D’Angelo Nicola, Tatano Valeria, Zanut Stefano, La sicurezza nelle scuole e il piano di emergenza, Sistemi Editoriali, Napoli, 2005, Vol 2, pg 85 - IUAV - TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA – AA 2005/2006

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1

Si stanno infatti cominciando a mettere in evidenza gli aspetti psicologici connessi con la risposta emergenziale: “l'emozione, il forte turbamento, la preoccupazione e l'inquietudine che produce la paura sulla persona è un'esperienza selettiva di intensità rilevante, accompagnata da modificazioni fisiologiche spesso importanti e per lo più tali da modificare il comportamento volontariamente o involontariamente […] più il trauma è intrusivo, maggiore sarà l'impatto emotivo e fisico sulla persona […]”.2 Nelle politiche di prevenzione nei confronti dei disastri si comincia ad affrontare un processo analitico e conoscitivo dei modelli di comportamento delle reazioni della collettività nei confronti degli eventi disastrosi.

_1.2

IL CONCETTO DI EVENTO CRITICO

Al fine di comprendere cosa possa significare vivere in condizione di stato di emergenza, è opportuno definire da subito il significato di evento critico. Per evento critico si può intendere qualsiasi situazione capace di produrre nella persona un grave sconvolgimento e una grave preoccupazione. Da questo punto di vista si considerano tra gli eventi critici situazioni come:        

COME REAGISCE UNA PERSONA COINVOLTA IN UN EVENTO CRITICO

AFFRONTARE UN EVENTO CRITICO

coinvolgimento in una catastrofe o in un disastro di vaste proporzioni, incidente automobilistico, coinvolgimento in un atto criminale sia come vittima, sia come semplice testimone diretto, perdita improvvisa di una persona cara, incidente automobilistico, abusi durante l'infanzia, violenza sessuale, ecc.3

Di fronte a un evento critico, anche estremamente tragico, la persona sviluppa delle reazioni che rappresentano, in primo luogo, il tentativo di dare un senso a quello che avviene, in modo da non esserne psicologicamente sopraffatto. Tali reazioni sono dovute al fatto che, di fronte a un evento particolarmente tragico, le strategie di coping, successivamente accennate, non saranno più sufficienti; la persona fa, quindi, di tutto per ridurre, in un modo o nell'altro, la sua sofferenza e il pericolo distruttivo che è prodotto da questo evento che risulta essere molto più influente, sul piano cognitivo e comportamentale, rispetto alle sue capacità difensive. E’ doveroso comunque ricordare come queste reazioni “possano essere considerate ‹‹normali›› in quanto è proprio quello che è accaduto ad essere patologico”4

_______________________ 2 3 4

Lo Iacono Antonio, Psicologia dell’emergenza, Editori Riuniti, Roma, 2002, pg 7 Zuliani Antonio, Psicologia dell’emergenza (in corso di stampa) Ibidem

- IUAV - TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA – AA 2005/2006

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2

Figura 1. Reazioni di un individuo a seguito di un evento critico.5

_1.1

INTRODUZIONE

LE STRATEGIE DI ‹‹COPING››

AFFRONTARE LA SOFFERENZA

Nel corso dell’ esistenza di ognuno è inevitabile che si presentino situazioni dolorose che possono, di conseguenza, dare avvio a sofferenze intime. Per fare fronte a questa condizione di sofferenza, arriviamo a sviluppare una o più modalità, o strategie, sia operative sia psicologiche le quali, pure non essendo in grado di evitare il disagio, ne limitano certamente sia gli effetti quantitativi che qualitativi. Per spiegare questo fenomeno, con un esempio alla portata del nostro vissuto quotidiano, basti pensare a come una persona, quando è alle prese con una difficoltà o con una delusione, cerchi di attenuare la sofferenza: essa si dedicherà probabilmente a un hobby, agli acquisti, a una attività sportiva ect. Le reazioni che le persone mettono in atto sono denominate con il termine inglese coping e, in senso generale, possono essere inserite in alcune categorie generali: 

la distrazione: attenuazione dell’attenzione verso il problema pensando ad altro o intraprendendo una qualche attività;



la ridefinizione della situazione: tentativo di considerare il problema sotto un’ottica diversa al fine di farlo apparire più tollerabile o di farlo, comunque, ricadere all’interno di una situazione già nota o che si è precedentemente affrontata con successo;



l’azione diretta: raccolta di informazioni sul problema in modo da pensare a tutte le possibili soluzioni per risolverlo;



la catarsi: esprimere le proprie emozioni al fine di ridurre la tensione, l’ansia e la frustrazione collegate al problema;



la rassegnazione: accettare che il problema sia irrisolvibile;



la ricerca di un supporto sociale all’interno del quale trovare un supporto emozionale;



il rilassamento, ottenuto con tecniche distensive e attività tranquillizzanti;

_______________________ 5

Organizzazione Mondiale della Sanità, Handbook for Emergency Field Operation pg 204

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3



la fede: ricorsa a un supporto spirituale.

Queste strategie agiscono molto bene fino a quando si devono gestire crisi causate da eventi ordinari, ma quando la persona si trova a far fronte a un evento critico queste stesse tattiche rischiano di non funzionare come previsto e di non riuscire a contenere la sofferenza, che diventa molto elevata.

2

UNA RISPOSTA ALL’EVENTO CRITICO

_2.1 LA PSICOLOGIA DELL’EMERGENZA

DI CHE COSA SI OCCUPA

La Psicologia dell'Emergenza è una disciplina recentissima, nata in Italia, nel maggio del 1999, contemporaneamente all'organizzazione del Convegno “Psicologia ed Emergenza”, tenutosi presso l'aula magna dell'Università degli Studi La Sapienza di Roma. Si occupa di strutturare un adeguato sostegno psicologico e logistico alle popolazioni coinvolte in una situazione emergenziale e racchiude, al suo interno, competenze derivanti non solo dal campo della psicologia ma anche da altri settori quali l’architettura, l’ingegneria etc… in modo da fornire risposte in interventi ad ampio spettro. La P.E. “ha come propria finalità lo studio, la prevenzione e il trattamento dei processi psichici, delle emozioni e dei comportamenti che si determinano prima, durante e dopo gli eventi critici. Oggetto di studio e di intervento di questo settore della psicologia sono tanto il singolo individuo, di cui tende a ripristinare e a tutelare l'assetto cognitivo ed emozionale per preservarlo dall'azione destabilizzante dell'angoscia traumatica, quanto la comunità nel suo complesso, per la prevenzione o il superamento di quei fenomeni psichici che si determinano nei grandi gruppi umani, come la sindrome da disastro, il panico collettivo, l'esodo di massa etc.”.6

OBIETTIVI

La P.E. interviene a dare supporto alle popolazioni sinistrate non solamente nella fase immediatamente successiva all’evento ma opera anche come forma di prevenzione (intesa come informazione) in quella che lo precede e in quella che si sussegue nel lungo periodo, fino al ristabilimento delle condizioni pre-catastrofe. Il verificarsi della condizione di emergenza “genera domande a una velocità molto superiore a quella necessaria per elaborare risposte […]. Per gestire un’emergenza occorre sapere imparare rapidamente. Per imparare rapidamente, nel corso di un’emergenza, è necessario avere già imparato prima”.7 _______________________ 6

Lo Iacono Antonio, Psicologia dell’emergenza, Editori Riuniti, Roma, 2002, pg. 37. M. Caliguri, Comunicare l’emegenza, in Atti del IV COMP-P.A., Salone della comunicazione pubblica e dei servizi al cittadino, Bologna, 1997, citato in, D’Angelo Benedetto, D’Angelo Nicola, Tatano Valeria, Zanut Stefano, La sicurezza nelle scuole e il piano di emergenza, Sistemi Editoriali, Napoli, 2005, Vol 2, pg 85pg 85] 7

- IUAV - TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA – AA 2005/2006

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4

L’intervento di soccorso si articola in varie fasi:

3



prima: preparazione delle persone a rischio a fronteggiare gli eventi che si prevede possano accadere.



durante: attuazione di interventi di pronto soccorso psichico volti al sostegno dell' Io e della persona coinvolta



dopo: attività volta a ridurre o superare i danni psicologici riportati dalle vittime attraverso interventi di riabilitazione del loro quadro psichico.8

ASPETTI PSICOLOGICI CONNESSI ALLA RISPOSTA EMERGENZIALE

_3.1 GLI EFFETTI DEL TERREMOTO IL TERREMOTO VISIBILE

IL TERREMOTO ‹‹INVISIBILE››

“Nella cultura europea l’‹‹oggetto della memoria›› più emblematico è la casa, la costruzione in cui si abita. Per essa, soggettivamente almeno, il tempo di riferimento è l’eternità. Si acquista la casa per sé e per i propri figli. Nessuno arriva a prevedere che un giorno sarà abbattuta. Ma a questo caso limite si affiancano altri oggetti del paesaggio quotidiano, come alcuni mobili e alcune suppellettili, che entrano profondamente nella sfera affettiva. A essi si affida (o si vorrebbe affidare) il compito di durare, di accumulare memoria, di fornire una specie di riferimento temporale, di funzionare come un orologio analogico, che con il suo lento decadimento segna il trascorrere dei tempi lunghi dell’esistenza […]”.9 Premettendo che un evento tragico ha effetti distruggenti per qualsiasi essere umano, il valore che la cultura occidentale, in particolare, attribuisce agli oggetti è dovuto al fatto che in essi si ripone la capacità di essere testimoni della nostra vita; essendo concepiti per essere durevoli, rappresentano un punto di riferimento della vita familiare e spesso un valore assoluto in termini economici. Nel caso in cui venga a mancare il confronto con tali preesistenze diviene quindi “facilmente immaginabile cosa si prova nel momento in cui la propria casa è improvvisamente distrutta: la perdita della parte muraria coincide con la perdita degli aspetti più intimi e privati della propria vita quotidiana (la cucina, la camera da letto, l’armadio con i propri vestiti, gli oggetti che costituiscono un ricordo)”.10 La vittima che sopravvive a una catastrofe, anche se supera l’evento senza subire danni o menomazioni fisiche, riporta ferite non visibili, ma non per questo meno profonde e dolorose, sotto forma di psico-traumi legati alla paura prodotta dall’evento o che lo stesso possa ripetersi. _______________________ 8

Lo Iacono Antonio, op. cit., pg. 38. Manzini, Ezio, Artefatti. Verso una nuova ecologia dell’ambiente artificiale, Domus Academy ed., Milano, 1990, pg. 55. 10 Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Protezione Civile, Linee guida per l’individuazione delle aree di ricovero per strutture prefabbricate di Protezione Civile, Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri (Pubbl. nella G.U. n. 44 del 23 febbraio 2005), pg. 6. 9

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E’ opportuno tenere in considerazione che il sisma non provoca danni solamente a livello fisico, e quindi empiricamente osservabili (su persone, strutture, etc.), ma anche a livello cognitivo e comportamentale. Si tratta, come lo definisce M. Grignani, di un “terremoto invisibile”11, ovvero di reazioni psicologiche alla catastrofe paragonabili a un metaforico sisma che “nemmeno si vede e nemmeno si ode”12 che avviene all’interno della sfera psicologica dell’individuo coinvolto nella catastrofe. Sulla base di quanto affermato, è comunque necessario riportare nuovamente a memoria come le reazioni di una persona di fronte a un evento particolarmente critico rientrino nella norma delle reazioni biopsicosociali, l’elemento a essere insolito è proprio quello che è accaduto.

_3.2

L’ALLARME

LA PAURA

COME PERCEPIAMO IL PERICOLO IN CASO DI EMERGENZA

Quando ci si sente esposti a situazioni che si ritiene possano arrecare un danno, o una menomazione, a se stessi o a gruppi di persone, il primo comportamento fisiologico che si mette in atto è lo stato di allarme; si tratta di una modalità di risposta atavica che prepara l’organismo a mobilitare le energie e le difese al fine di preservare la propria sicurezza, attivando comportamenti di attacco-fuga. In caso di emergenza i comportamenti fisiologici attivati dallo stato di allarme sono connessi con l'attivazione emotiva (arousal)13 la quale, elevando il livello di attivazione del cervello ‹‹corticale››, la parte più evoluta del nostro cervello, consente di mantenere questa in uno stato di vigilanza e quindi di adeguata ricezione degli stimoli provenienti dal mondo esterno. In questo modo si predispone l’organismo a elevare lo stato di tutela in modo da consentire tempestivi comportamenti di azione-reazione, consentendo anche di avvertire altri indididui dell'eventuale pericolo, dando quindi il tempo di organizzarsi per affrontare la situazione. La paura è un sentimento che può essere considerato sia come causa che come effetto di situazioni di pericolo, sia quando queste sono presenti sia quando se ne percepisce solamente la presenza. La paura è prodotta dalla repentina situazione di cambiamento causata dall’esposizione alla situazione di emergenza: in casi estremi questa condizione psicologica può inibire la volontà di vivere in quanto può far venir meno la capacità adattativa nei confronti dell’intorno. “L'essere umano proprio perché non nasce ‹‹perfetto›› nel senso dell'autonomia istintuale e locomotoria (la maggior parte degli animali sono abbastanza indipendenti dopo la nascita) si sente disadattato in un nuovo ambiente ed è destinato, di tanto in tanto, a ripercorrere questo iniziale disadattamento. E' come se ogni tanto avesse bisogno di chiedersi: ‹‹dove sono? chi sono? cosa sto facendo qui? ››. Ciò succede soprattutto quando tende a razionalizzare e a prendere le distanze dai processi istintuali ed emotivi”. 14 _______________________ 11

12 13 14

http://www.psiconline.it/article.php?sid=62

Ibidem termine inglese difficilmente traducibile (letteralmente “risveglio”) Lo Iacono Antonio, Psicologia dell’emergenza, Editori Riuniti, Roma, 2002, pg. 17

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Naturalmente, la percezione della paura è funzione di molte variabili tra cui:  caratteristiche del fenomeno (pericolo);  scenario, contesto, situazione in cui è presente il pericolo;  stadio dello sviluppo delle personalità (bambino, adolescente, adulto);  abitudini/attitudini mentali, condizione psicologica (equilibrio) dei singoli;  ruoli psicologici svolti abitualmente dai singoli (ruolo sociale, ruolo nel lavoro)  condizioni socio-culturali del sistema;  conoscenza, vissuto singolo e collettivo del fenomeno.15

La paura è un agente endogeno: come tale può essere conosciuta e quindi affrontata. La paura è infatti un nostro regolatore emotivo e controllandola può paradossalmente rivelarsi come uno straordinario sistema difensivo: la paura ha infatti il vantaggio, come d’altro canto il dolore, di attivare il livello di vigilanza, segnalare uno stato di allarme: di fronte a un pericolo spesso ci si predispone automaticamente all'azione facendo leva su tutte le possibilità individuali di sopravvivenza. Va quindi sottolineato come la paura possa considerarsi uno strumento di conoscenza: un fattore incentivante per affrontare la complessità della vita e per prevenire i rischi reali che si presentano quotidianamente. E’ opportuno, comunque, tenere presente che è inevitabile avvertire un aumento della sensazione di pericolo, e quindi di ansia, quando ci si sente vulnerabili. In seguito, secondo la sensibilità di ciascuno, quest’ansia è suscettibile di modificarsi in paura, in angoscia, fino ad arrivare, in casi estremi, al panico e al terrore.

IL PANICO

Quando l’organismo non è in grado di elaborare il meccanismo di risposta sopra citato, la conseguenza che ne deriva è il tramutarsi della paura in panico. Questa condizione si espone come “un cortocircuito fisiologico e comportamentale, un’overdose di emozione: l’individuo, o il gruppo, perde il controllo razionale e si comporta in modo anomalo, incongruo e non efficiente con la situazione che sta vivendo.”16

_______________________ 15

Zanut Dario, “Il comportamento umano in caso di emergenza” in D’Angelo B., D’Angelo N., Tatano V., Zanut S., La sicurezza nelle scuole e il piano di emergenza, Sistemi Editoriali, Napoli, 2005, Vol 2, pg. 54. 16 Ibidem, pg. 55 - IUAV - TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA – AA 2005/2006

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_3.3 REAZIONI PSICOLOGICHE NELLE SITUAZIONI DI CRISI

LO STRESS

Le reazioni di stress possono essere la conseguenza di eventi traumatizzanti di vario tipo. Prima, durante e dopo una calamità, i superstiti possono aver subito altri traumi, come incidenti gravi, violenze e abusi di vario tipo. E’ importante non partire dal presupposto che una calamità comporti esperienze dello stesso tipo e della stessa intensità per tutte le persone, né che tutti i superstiti subiscano la calamità avendo alle spalle storie simili di traumi passati. La percezione del disagio è funzione del vissuto di ogni singolo individuo. Non bisogna dimenticare che ciascun superstite percepisce il disastro in modo personale e unico: persone che hanno vissuto insieme l’evento calamitoso possono essere state esposte a eventi traumatici specifici di tipo diverso. Successivamente a un evento disastroso, le persone che subiscono le conseguenze più gravi sono quelle esposte direttamente ai pericoli e al rischio di morire. Infatti “quanto maggiori sono la minaccia di morte percepita e l’esposizione sensoriale (cioè quanto più si vedono immagini stressanti, si percepiscono odori stressanti, si odono suoni stressanti o si subiscono lesioni fisiche) tanto maggiore è la probabilità che si manifesti una condizione di stress post-traumatico”. 17

Figura 2: reazioni comuni di stress in condizioni di 18 calamità

_______________________. 17

Young Bruce H., L’assistenza psicologica nelle emergenze. Manuale per operatori e organizzazioni nei disastri e nelle calamità, Edizioni Erickson, Trento, 2002, pg. 31. 18 Ibidem pg 33 - IUAV - TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA – AA 2005/2006

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8

L'interesse verso le reazioni psicologiche generate da situazioni critiche va rintracciato nel fatto che, conseguentemente a un avvenimento traumatizzante, può verificarsi nella persona un “quadro psicopatologico tale da danneggiare profondamente la qualità della vita del soggetto. Questi stati psichici, infatti, per la loro natura spesso progressiva e invalidante possono determinare un marcato effetto destabilizzante sia del modo di essere, di sentire e di agire del soggetto, sia della sua capacità di far fronte alle richieste della vita”. 19 E’ comunque opportuno tenere in considerazione che qualunque avvenimento insolito può essere considerato come fattore di stress (almeno per il periodo di tempo immediatamente conseguente all’accaduto) ma che poi, quando la situazione comincia a divenire ordinaria, la persona coinvolta si rassicura e la include nel proprio mondo.

Nel caso in cui la situazione non si ristabilizzi in un arco di tempo relativamente breve (come nel caso delle prolungate attese per ritornare a una condizione ordinaria dopo il verificarsi di un evento critico), i comportamenti fisiologici attivati dall’organismo per fare fronte alla situazione di emergenza, se protratti eccessivamente nel tempo, possono provocare un accumulo negativo di stress che destabilizza le condizioni fisiche e psicologiche.

______________________

Lo Iacono Antonio, Psicologia dell’emergenza, Editori Riuniti, Roma, 2002, pg. 38. Tabelle: Organizzazione Mondiale della Sanità, Handbook for Emergency Field Operation pg 204 19 20

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9

_3.5

OGNI SUPERSTITE E’ UN INDIVIDUO UNICO

TIPOLOGIE DI VITTIME

Dall’analisi della letteratura internazionale, in merito alla P.E., si ricava che l’elenco delle persone suscettibili di subire gli effetti indotti da una situazione di emergenza sono molteplici. Naturalmente, a causa dei trascorsi esperenziali propri di ogni persona, è opportuno avere presente che ciascun superstite conosce il disastro in modo personale e unico; tuttavia, appare utile osservare che esistono delle situazioni comuni nelle quali le persone possono trovarsi a essere coinvolte. A partire da questa considerazione, al fine di semplificare la comprensione dell’ argomento preso in esame, è opportuno riportare una classificazione tipologica delle vittime:    

LA ‹‹SINDROME DEL SOPRAVVISSUTO››

LE VITTIME

vittime di primo livello: persone che sono state esposte direttamente all'evento critico, vittime di secondo livello: persone che hanno stretti legami famigliari o personali con le vittime di primo livello, vittime di terzo livello: i soccorritori chiamati a intervenire sulla scena dell'evento traumatico i quali, a loro volta, riportano danni psichici per la traumaticità delle situazioni cui devono far fronte, vittime di quarto livello: i membri delle comunità al di fuori dell’area colpita che, in qualche modo, si sono interessati od occupati dell’accaduto

Oltre alle quattro categorie sopra riportate, si presenta interessante aggiungerne ulteriori due portate in evidenza dal prof. Antonio Zuliani (docente di "Psicologia della famiglia e del bambino nelle situazioni di emergenza" presso l'Università degli Studi di Padova). La prima riguarda le “persone che essendo state vittime di un evento disastroso ne conservano […] una traccia psichica tale da sentire riaffiorare la sofferenza non appena altre persone sono coinvolte nello stesso evento”21; la seconda considera “le persone che potevano essere coinvolte […] che ordinariamente avrebbero dovuto essere sul posto del disastro, ma che, per motivi del tutto indipendenti dalla loro volontà, trovandosi altrove, si sono salvati”.22

______________________ 21

22

Zuliani Antonio, Psicologia dell’emergenza (in corso di stampa) Ibidem

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4

FASI DI RISPOSTA PSICOLOGICA A UN EVENTO CATASTROFICO

Quando avviene un disastro, generalmente, l’attenzione si focalizza unicamente sulla fase acuta, che si manifesta quando l'evento attua il suo impatto sul territorio o sulla popolazione. Questa visione è, però, riduttiva e non fa cogliere molte delle caratteristiche importanti delle reazioni psicologiche delle persone, che non sono determinate solamente da quanto avviene nel momento dell'impatto con l'evento disastroso, ma anche da una serie di situazioni personali e sociali precedenti. Queste reazioni si sviluppano in fasi non sempre chiaramente percepibili le une dalle altre, sia perché si susseguono senza soluzione di continuità, sia perché singoli individui, o gruppi, possono avere dei tempi di evoluzione diversi e una nuova fase può presentarsi quando quella precedente non è ancora del tutto superata.

_4.1

FASE DI EMERGENZA E FASE IMMEDIATAMENTE SUCCESSIVA

“In questa fase si verifica un’alta frequenza di reazioni di stress di grado lieve e moderato poiché i superstiti riconoscono bene il grave pericolo che la calamità ha comportato. Benché le reazioni di stress possano apparire ‹‹estreme›› e possano provocare sofferenza, generalmente non diventano problemi cronici. La maggioranza delle persone si riprende pienamente da una situazione di stress di intensità moderata in un arco di tempo compreso fra 6 e 16 mesi”.23 All'interno del processo che precede e segue un evento disastroso si possono identificare le seguenti fasi:    

avvertimento, allarme, impatto, inventario

______________________ 23

Young Bruce H., L’assistenza psicologica nelle emergenze. Manuale per operatori e organizzazioni nei disastri e nelle calamità, Edizioni Erickson, Trento, 2002, pg. 32. - IUAV - TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA – AA 2005/2006

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11

FASE DI AVVERTIMENTO

Precedente al disastro: periodo di latenza tra avviso e possibile evento disastroso. In questa fase sia il singolo, sia la comunità, sviluppano una serie di reazioni in previsione della eventualità che l'evento si realizzi. Durante questa fase si manifestano tutta una serie di comportamenti che non sempre sono idonei per affrontare la situazione in atto. Possono scattare meccanismi:  di negazione del pericolo: le persone esorcizzano il potenziale rischio sviluppando una fittizia ‹‹sindrome dell’immunità››,  psicosomatici (determinati dalla paura) quali: “aumento della frequenza cardiaca e respiratoria, irrigidimento muscolare, aumento della sudorazione, secchezza della bocca, nausea, tremori, vomito, etc. Su queste reazioni influiranno sia le passate esperienze di fronte ad eventi traumatici, sia la possibilità di accedere a informazioni su quanto sta accadendo e alla conoscenza dei mezzi di protezione possibili. In questa fase è di fondamentale importanza la modalità nella quale vengono fornite le informazioni che devono essere, per quanto possibile, brevi, chiare, coerenti e precise”. 24

FASE DI ALLARME

Poco prima dell'evento critico. In questa fase il pericolo, precedentemente paventato, diviene imminente e percepito come inevitabile. Questa fase, spesso di breve durata, è caratterizzata da “tati di ansia molto intensi, tensione e timore per la propria sorte e quella delle persone più care. Le persone sono facilmente orientate all'azione in modo tale da attivare comportamenti spesso non idonei (fughe, ingorghi stradali, ecc.). Indipendentemente dal fatto che l'evento disastroso si realizzi o meno, gli effetti psicologici di questa fase di allarme sono notevoli, e si manifestano anche a lungo termine, pur rimanendo, anche in questo caso, la possibilità di una massiccia negazione della presenza del pericolo. Uno degli aspetti ricorrenti in questa fase è il rifiuto delle persone, in specie se residenti da lungo tempo nel luogo come sono gli anziani, di lasciare le loro case di fronte a un pericolo.

FASE DI IMPATTO

Contemporaneamente all’accadimento dell’evento disastroso: può durare da alcuni istanti fino a pochi giorni. Le reazioni possibili in questa fase sono le più diverse. Da un lato le persone che sono coinvolte in queste situazioni presentano una sorta di distorsione del tempo che si manifesta attraverso la sensazione che il tutto stia accadendo al rallentatore. Gli stimoli sensoriali sono estremamente intensi a tal punto che ciò che essi vedono, ascoltano, gli odori che percepiscono non saranno mai del tutto dimenticati. Vi è una forte predominanza della paura. Tutto ciò sfocia in ansia, stupore, comportamenti automatici, incredulità, ottusità emotiva.

______________________ 24

Zuliani Antonio, Psicologia dell’emergenza (in corso di stampa)

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12

FASE DELL’INVENTARIO

Immediatamente dopo l'impatto. In questa fase i sopravvissuti sono impegnati in una grande opera di verifica delle conseguenze dell'evento su se stessi, sui familiari e sugli amici. Le conseguenze di questo atteggiamento comportano a un’attività di ricerca altamente stressante sia dal punto di vista fisico, sia da quello emotivo. Alcuni sopravvissuti si muovono senza meta, vagando, temporaneamente disorientati in una sorta di ‹‹ambiente›› nel quale tutto appare inizialmente avvolto da un terribile ‹‹silenzio›› dal quale a mano a mano emergono con sempre maggior vigore pianti, urla e lamenti e tutti quei rumori che rimarranno ben presenti a lungo nell'esperienza personale. Altri possono sperimentare sollievo e gratitudine per essere sopravvissuti, fino a giungere ad un senso di euforia. Si tratta di una fase importante perché è il primo momento nel quale le persone cercano di razionalizzare ciò che sta accadendo e quindi di convogliare le proprie risorse verso l’assistenza degli altri sopravvissuti.

_4.1

FASE DI POST-EMERGENZA

“E’ emerso che superata la fase di prima emergenza, la consegna dei container rappresenta un momento importante per gli utenti accolti nei campi, corrispondente all’assunzione di una piena consapevolezza psicologica nel nuovo ruolo di terremotato. Uno stato, questo, che mette tutti quanti sullo stesso piano psicologico e comportamentale, in una sorta di livellamento della condizione sociale e dello status posseduto prima dell’evento calamitoso”.25 Il campo e la sua gente da questo momento rappresenteranno, e per moltissimo tempo, un ambito abitativo fuori dall’ordinario con un conseguente nuovo nucleo sociale, nuove regole e rapporti interpersonali, nuove difficoltà. L’interazione con gli altri terremotati e gli elementi di socialità arrivano a livelli minimi: l’incertezza nel futuro genera nella popolazione stanchezza e chiusura psicologica. Le persone cercano di ritrovare la propria identità chiudendosi in se stesse a all’interno del proprio ambito familiare. Per i minori e i giovani permane una situazione di disagio, di caduta delle regole e perdita dei punti di riferimento. La consapevolezza per la perdita del proprio ambiente sociale aumenta lo stato di insofferenza nei confronti di questa nuova vita che costringe, tutti ugualmente, a vivere una realtà non scelta ma imposta da eventi non governabili. ______________________ 25

Cavallari Luigi, Abitare e costruire in emergenza. Tecnologie per l’adeguamento dell’habitat provvisorio, Sala Editori, Pescara, 2003, pg. 61. - IUAV - TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA – AA 2005/2006

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13

All'interno del processo che si sviluppa, nel lungo periodo, in seguito a un evento disastroso si possono identificare le seguenti fasi:     FASE DELL’EROISMO

dell’eroismo, della ‹‹luna di miele››, della disillusione, della ricostruzione

Da subito ad alcuni giorni dopo l’evento: La fase ‹‹eroica è caratterizzata dal fatto che sia le singole persone che le comunità manifestano un altruismo e un'iperattività volta al soccorso degli altri. Si tratta di un'attività spesso frenetica e senza la necessaria attenzione verso la protezione di se stessi e per la propria sicurezza. Questa attività può durare da alcune ore fino ad alcuni giorni. Un aspetto essenziale di aiuto per la popolazione colpita, potrebbe essere rappresentato dal “ripristino delle routine quotidiane delle persone coinvolte in un disastro. In questo modo si favorisce il fatto che la vita riprenda il suo senso fondamentale, proprio attraverso il recupero delle cose di ogni giorno che sottolineano il significato della continuità, così bruscamente interrotta dall'impatto con l'elemento disastroso”.26 Spesso sono necessari solo comportamenti cui si dà solitamente poca importanza, ma non per questo poco significativi, come il rispetto di alcuni orari, la rispesa della scansione tra i periodi di attività e quelli di riposo etc...

FASE DELLA LUNA DI MIELE

Da due settimane a due mesi: Dopo la fase eroica si manifestano situazioni nella quali si realizza una identificazione euforica con il gruppo, descritta dalla letteratura statunitense come ‹‹luna di miele››. Malgrado le perdite e i lutti recenti, questa fase è generalmente caratterizzata da ottimismo sia individuale che collettivo. In questa fase si sviluppa una forte solidarietà tra le persone, le differenze sociali sembrano scomparire a favore di un sentirsi l'uno accanto all'altro. Questa situazione è favorita dalla massiccia affluenza di soccorsi, dall'attenzione dei media e dalla visita di personaggi importanti. Le vittime iniziano a credere che tutto ritornerà come prima, che le loro case, che la loro comunità sarà ricostruita velocemente e senza complicazioni. Gli addetti a fornire soccorso tendono ad andarsene con l’impressione che la popolazione sia in grado di gestire autonomamente la situazione. La situazione comincia a manifestare lacune, però, già a partire dalla terza settimana: “le risorse cominciano a diminuire, l’interesse dei media si riduce e la complessità della ricostruzione e le difficoltà della rispesa diventano sempre più evidenti. Allo stesso tempo, l’aumento di energia conosciuto inizialmente dai superstiti e dalla comunità inizia a calare e compare la fatica, preparando il terreno per la terza fase”. 27 ______________________ 26

Zuliani Antonio, Psicologia dell’emergenza (in corso di stampa) Young Bruce H., L’assistenza psicologica nelle emergenze. Manuale per operatori e organizzazioni nei disastri e nelle calamità, Edizioni Erickson, Trento, 2002, pg. 34. 27

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14

FASE DI DISILLUSIONE

Da molti mesi a un anno o più: Questa fase è chiamata la “seconda catastrofe”.28 In questa fase vengono alla luce le reazioni delle vittime al disastro. Dopo l'iniziale ottimismo prende il posto una sorta di consapevolezza che i tempi e i modi del ripristino delle condizioni di vita saranno lunghi, che le sofferenze patite non verranno così facilmente cancellate: si tratta di un fondamentale confronto con la realtà. L'identificazione euforica si trasforma in disagio sempre maggiore: le persone prendono atto dell’illusione di essere aiutate. “Se nella fase di ‹‹luna di miele›› le differenze scomparivano, ora vengono sottolineate. Se prima una diversa distribuzione dei soccorsi all'interno di una stessa comunità non costituiva un problema, ora diviene fonte di attriti e ostilità.” 29

FASE DI RICOSTRUZIONE

Fino al totale ripristino delle condizioni pre-catastrofe : Questa fase fa riferimento alla ricostruzione fisica delle case, delle infrastrutture e dei servizi e a quella psicologica. Il fatto che il processo di ricostruzione ambientale abbia inizio ha una particolare funzione nel favorire anche il processo emotivo di adattamento alla nuova situazione del post disastro. In questa fase è importante ristabilire gli elementi associati alla normalità quotidiana (ripristino del ritmo sonno veglia, del tempo dedicato all'alimentazione e al riposo etc.). Quanto già detto sul valore delle routine quotidiane, ora diviene veramente decisivo perché esse sottolineano l'uscita dalla fase delle stretta emergenza e scandiscono importanti elementi di normalità. Questo elemento di ripristino risulta ancora più importante soprattutto per la popolazione più debole di fronte a eventi critici: i bambini e gli anziani.

_____________________ 28

Cavallari Luigi, Abitare e costruire in emergenza. Tecnologie per l’adeguamento dell’habitat provvisorio, Sala Editori, Pescara, 2003, pg. 69. 29 Zuliani Antonio, Psicologia dell’emergenza (in corso di stampa) - IUAV - TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA – AA 2005/2006

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15

_4.2

FASI TEMPORALI

MODELLO DELLA REAZIONE BIOPSICOSOCIALE

E’ stato più volte constatato che la reazione biopsicosociale normativa che si verifica negli individui e nelle comunità a seguito di una calamità assume la forma di un modello relativamente predicibile, osservabile nell’arco di tempo compreso fra l’esordio del disastro e i 18-36 mesi successivi. Questo modello si compone di quattro fasi relativamente distinte. Tuttavia queste fasi possono avere una durata variabile e, all’interno do ciascuna fase, esistono significative differenze individuali nella reazione dei superstiti.

Tabella: Modello della reazione biopsicosociale e fasi temporali 30

_____________________ 30

Young Bruce H., L’assistenza psicologica nelle emergenze. Manuale per operatori e organizzazioni nei disastri e nelle calamità, Edizioni Erickson, Trento, 2002, pg. 34.

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16

_4.3

EFFETTI SULLA SALUTE DEL TERREMOTO DI S. GIULIANO, 2002

UN CASO STUDIO

31

Il terremoto che ha colpito duramente il Molise, nel 2002, ha offerto l’opportunità di migliorare le conoscenze e la comprensione degli effetti delle calamità naturali. In questo contesto le AUSL di Campobasso e Termoli hanno avviato allo scopo di monitorare lo stato di salute della popolazione residente, esposta al sisma. Utilizzando le informazioni in possesso della Protezione Civile è stata disegnata una mappa della zona divisa in 3 aree concentriche, usando il criterio dell’importanza dei danni causati dal sisma (pesantemente colpite, moderatamente colpite, non colpite). In ciascuna area sono stati selezionati tre Comuni con caratteristiche sociodemografiche simili:   

San Giuliano di Puglia Petrella Tifernina Castropignano

pesantemente colpito moderatamente colpito non colpito

Per due anni sono state seguite le fasce di popolazione (6-18 anni e 19-65 anni e oltre) residenti al momento del sisma neiComuni di Petrella e Castropignano, mentre nel comune di San Giuliano è stata seguita tutta la popolazione residente. L’indagine è consistita nella somministrazione, da parte di personale delle AUSL di Campobasso e Termoli, di due questionari che per indagare la condizione sociodemografica, i comportamenti e le azioni intrapresi immediatamente dopo il sisma, e lo stato degli intervistati.

Tabella - Variazioni delle condizioni psicologiche dichiarate pre e post sisma. I dati rappresentano la differenza tra la percentuale pre e post terremoto

I risultati ottenuti hanno evidenziato negli adulti/anziani la presenza di effetti psico-fisici più evidenti a San Giuliano, con un deterioramento dello stato di salute percepita pre e post sisma. A San Giuliano si è rilevato, inoltre, un 14% degli intervistati con possibili disagi causati da stress, dei quali oltre il 50%ha cercato sostegno all’esterno della propria famiglia, ma solo un terzo si è rivolto a personale specializzato o a centri di ascolto opportunamente predisposti. La popolazione infantile ha manifestato alti livelli di Sindrome da stress a San Giuliano, con valori di gran lunga superiori a quelli registrati nella popolazione adulta (49% vs 14%); bambini con alti livelli di stress si sono osservati anche a distanza dall’epicentro del sisma (Petrella 39%, Castropignano 35%), in aree in cui si sono registrati danni fisici considerevolmente inferiori. _____________________ 31 FONTE:

Istituto Nazionale di Epidemiologia http://www.epicentro.iss.it/ben/2003/settembre2003/2.htm - IUAV - TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA – AA 2005/2006

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17

5 _5.1 RIPRISTINARE ROUTINE QUOTIDIANE

LE

INTERVENIRE NELL’EMERGENZA SOPRAVVISSUTI, NON VITTIME

Quando si interviene in caso di emergenza, non bisogna sottovalutare il senso di disperazione, di perdita di speranza e di punti di riferimento vissuto da chi ha subito la calamità, di conseguenza la risposta da fornire deve sottolineare la transitorietà di tali sentimenti. Le persone vanno incoraggiate a sentirsi dei sopravvissuti, capaci di resistere a un'esperienza avversa, e non vittime di questa: agenti attivi, capaci di superare il disastro e le sue conseguenze immediate, senza abbandonarsi alla perdita della speranza e alla depressione Sotto quest’ottica, l’aspetto essenziale di aiuto è rappresentato dal ripristino delle routine quotidiane delle persone coinvolte in un disastro. In questo modo si favorisce il fatto che la vita riprenda il suo senso fondamentale, proprio attraverso il recupero delle cose di ogni giorno che sottolineano il significato della continuità, così bruscamente interrotta dall'impatto con l'elemento disastroso.

Figura 32: la Paper House progettata daShigeru Ban per i terremotati di Niigata nel 2004.

Progettare un immediato punto di riferimento per la comunità sinistrata, rappresenta un ottimo incentivo per consentire il naturale recupero delle attività quotidiane. Uno dei più recenti progetti per l’emergenza di Shigeru Ban, ad esempio, uno degli architetti che maggiormente si è adoperato per progettare strutture per le persone coinvolte in eventi critici, è fondamentalmente un casa costruita per fare fronte alla prima fase dell’emergenza. La struttura è stata progettata per essere localizzata all’interno di aree di ricovero coperte e per permettere da subito alle persone di ricavarsi, al suo interno un luogo accogliente in cui sentirsi rassicurati. In un primo momento era previsto che venisse realizzata una casa per ogni famiglia ma alla fine la casa è stata usata anche per altri scopi quali day-care per i bambini o come luogo in cu permettere agli studenti di ritirarsi per studiare, etc. _____________________ 32

Verticalia, Mostra catalogo dei materiali e delle soluzioni innovative per le pareti e le facciate in architettura, Supplemento della rivista “Frames – Architettura dei serramenti”, n.° 114, Gruppo Editoriale Faenza Editrice, Faenza, 2005, pg. 19 - IUAV - TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA – AA 2005/2006

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INCENTIVARE SOCIALITA’

LA

Premesso che la tempestività e l’efficienza nell’organizzazione dei lavori di allestimento delle strutture per l’emergenza costituiscono un fattore psicologico altamente positivo per il superamento dello choc post emergenziale, le scelte di carattere urbanistico e quelle legate all’allestimento definitivo dell’area di ricovero devono facilitare e promuovere la risposta emotiva delle persone, favorendo la socialità, devono tendere a ricreare un ambiente urbano funzionale e confortevole, tanto più la permanenza in condizioni di precarietà è prolungata nel tempo, devono smorzare il senso di confinamento delle persone in un’area ristretta e isolata dal contesto urbano. Come accennato sopra, per il ripristino delle attività ordinarie, è importante impegnare la popolazione disastrata in attività collettive materiali che consentono di trascorrere efficacemente il tempo di attesa al ritorno alla condizione ordinaria. Il senso di appartenenza alla comunità consente di recuperare o rafforzare l’identità personale e collettiva, dando grande valore alle attività che creano occasioni di incontro sociale, soprattutto tra culture diverse, “il terremoto non soltanto distrugge e allontana, ma paradossalmente riesce a creare e avvicinare. La paura riunisce le persone, costruisce legami più forti di una insipida quotidianità”. 2

Figura 33: Le Corbusier, Le Murondins33

Già verso la metà del secolo Le Corbusier aveva intuito la necessità di progettare un modello urbano con contenuti relativi alla costruzione di spazi e strutture per la vita associata per le popolazioni disastrate. Nel progetto di alloggi di emergenza “Le Murondins”, pensato nel 1940 per i sinistrati della Seconda Guerra Mondiale, Le Corbusier, infatti, non tralascia di risolvere l’alloggio nel contesto di un insediamento più complesso in riferimento a preesistenze infrastrutturali e in funzione di una attività lavorativa da svolgere. Per incentivare la vita associata e la ripresa delle attività caratterizzanti la comunità, il progetto propone di un insediamento di fattorie sulla “route national”, a poca distanza dal villaggio disastrato. _____________________ 33

Cecere Tiberio, Guida Ermanno, Mango Roberto, L’abitabilità transitoria. La ricerca archiettonica per nuove strategie abiataive, Fratelli Fiorentino, Napoli, 1984, pg. 31. - IUAV - TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA – AA 2005/2006

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_5.1 POPOLAZIONE A RISCHIO

_5.1.1

L’IMPORTANZA DELLA RIAPERTURA DELLA SCUOLA

BAMBINI

Nella fase di post-emergenza, i bambini, insieme agli anziani, rappresentano una fascia di popolazione psicologicamente a rischio: in particolare per loro, quindi, il ripristino delle routine quotidiane, è veramente decisivo perché esse sottolineano l'uscita dalla fase delle stretta emergenza e scandiscono importanti elementi di normalità. Le stesse abitudini quotidiane, gli incontri con le medesime persone appaiono come elementi fondamentali in questa stabilità. Generalmente più piccoli sono i bambini e più sono considerati vulnerabili a causa delle limitata capacità di esercitare un controllo sui processi mentali ed emozionali e fanno quindi molta fatica a comprendere gli eventi. Il bambino non ha ancora sviluppato un senso di autonomia e consapevolezza dei suoi comportamenti, è fondamentalmente dipendente dall’adulto. I principali riferimenti affettivi sono i genitori e la maestra cioè la persona che, per una parte consistente, della sua giornata, li sostituisce e li rappresenta. La riapertura delle scuole a fronte di un disastro è, dunque, molto importante. Il ritorno a scuola, se l'emergenza ha colpito un solo bambino o un gruppo di essi, rappresenta un importante elemento di ripristino della quotidianità. E’ quindi importante progettare una scuola che sia per loro un rifugio sicuro, anche se esso può essere solamente simbolico.

Figura34: Sean Godsell, “Future Shack”, 1995-2001

Nelle architetture per l’emergenza, il ricorso a rimandi simbolici è molto frequente. Uno degli esempi più recenti riguarda il progetto per la casa trasferibile “Future Shack” di Sean Godsell, in cui la tettoia parasole appare immediatamente come simbolo archetipo della casa. _____________________ 34

Leon Van Schaik, Sean Godsell. Opere e progetti, Electa, Milano, 2004, pg. 31.

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BIBLIOGRAFIA PSICOLOGIA DELL’EMERGENZA

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Lo Iacono Antonio, Psicologia dell’emergenza, Editori Riuniti, Roma, 2002 Bologna Roberto (a cura di), La reversibilità del costruire. L’abitazione transitoria in una prospettiva sostenibile, Maggioli Editore, Rimini, 2002

Cavallari Luigi, Abitare e costruire in emergenza. Tecnologie per l’adeguamento dell’habitat provvisorio, Sala Editori, Pescara, 2003 Claudio Claudi de Saint Mihiel, Progettazione e produzione di strutture temporanee per le emergenze insediative, Clean Edizioni, Napoli, 2003 Foti Massimo, Progettare per l’autocostruzione. Un’esperienza didattica nella Scuola di specializzazione “Tecnologia, architettura e città nei paesi in via di sviluppo” del Politecnico di Torino, Edizioni Clut, Torino, 1991 Zuliani Antonio, Psicologia dell’emergenza (in corso di stampa) D’Angelo Benedetto, D’Angelo Nicola, Tatano Valeria, Zanut Stefano, La sicurezza nelle scuole e il piano di emergenza, Sistemi Editoriali, Napoli, 2005 “FUTURE SHACK”, SEAN GOSELL

Leon Van Schaik (a cura di), Sean Godsell. Opere e progetti, Electa, Milano, 2004 “PAPER HOUSE”, SHIGERU BAN

“LE MURONDINS”, LE CORBUSIER

Verticalia, Mostra catalogo dei materiali e delle soluzioni innovative per le pareti e le facciate in architettura, Supplemento della rivista “Frames – Architettura dei serramenti”, n.° 114, Gruppo Editoriale Faenza Editrice, Faenza, 2005. Cecere Tiberio, Guida Ermanno, Mango Roberto, L’abitabilità transitoria. La ricerca archiettonica per nuove strategie abiataive, Fratelli Fiorentino, Napoli, 1984, pg. 31.

Manzini, Ezio, Artefatti. Verso una nuova ecologia dell’ambiente artificiale, Domus Academy ed., Milano, 1990

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SITOGRAFIA http://www.psiconline.it/article.php?sid=62 http://www.sipem.org/content/templates/articoli.asp?articleid=1290&zoneid=46 http://www.shelterproject.org/shelter/home/home.jsp http://www.reliefweb.int/rw/lib.nsf/AllDocsByUNID/e4fe896afff16709c1256cb10056558e http://www.architectureforhumanity.org/ http://www.protezionecivile.it/ http://www.croceblu.org/home/ http://www.who.int/bulletin/volumes/83/6/infocus0605/en/index.html http://www.epicentro.iss.it/ben/2003/settembre2003/2.htm

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2. AUTOCOSTRUIRE PER PARTECIPARE: PARTECIPARE PER AUTOCOSTRUIRE

INTRODUZIONE

Nel precedente capitolo si è visto come la Psicologia dell’Emergenza sia in grado di permettere la comprensione dei modelli di comportamento e delle reazioni della collettività nei confronti degli eventi disastrosi. La valutazione di questi processi reattivi dell’individuo ha messo in luce come le reazioni psicologiche delle persone in seguito a un evento critico si sviluppino in fasi temporali che, anche se non del tutto definite, permettono comunque di fissare un modello rappresentativo. Progettare una struttura architettonica su queste basi “può volere dire anche scoprire che l’input caratterizzante la tipologia del prodotto, del sistema, possa essere, per esempio, non il riuscire a dare il tutto pronto per l’uso e immediatamente disponibile nella sua totalità, ma forse riuscire a dare un semilavorato che si evolva nel tempo, di modo che l’impatto psicofisiologico dell’individuo di fronte all’evento disastroso possa essere controllato e orientato nella giusta direzione”.1 La realizzazione di una tale struttura evolutiva, oltre a promuovere la partecipazione della popolazione colpita, potrebbe addirittura mettersi in pratica attraverso una forma di autocostruzione. In questo caso, l’intervento autocostruttivo si configurerebbe come un processo che pone l’individuo alla ricerca di una esperienza partecipativa diretta all’organizzazione dello spazio fisico (inteso anche come solo intervento diretto nel processo di progettazione) e come occasione per far emergere gli interessi collettivi in luogo di quelli individuali. 1

INTRODUZIONE

AUTOCOSTRUIRE

I temi dell’autocostruzione e della costruzione facilitata hanno cominciato a comparire su testi e riviste specializzate verso la fine degli anni Sessanta ma dopo una fase di crescenti considerazioni, che hanno portato alla formazione di veri e propri centri di lavoro e di approfondimento, gli interessi sono progressivamente diminuiti, “le speranze restano ancora a livello di singolo esperimento, i contributi teorici sembrano non portare più nulla di nuovo […].”2 La causa del calo di considerazione nei confronti dell’autocostruzione può essere sicuramente ricercata nel fatto che si tratta, ormai, di un processo costruttivo abbastanza estraneo al nostro contesto e che, comunque, quando viene messo in pratica si manifesta generalmente attraverso forme di abusivismo edilizio che non risultano interessanti in quanto non riportano indicazioni utili né dal punto di vista tecnologico, né da quello procedurale né da quello delle motivazioni. Bisogna, inoltre, aggiungere che nelle città del mondo industrializzato l’autocostruzione si è spesso tradotta unicamente in un processo preferenziale di intervento per risolvere il problema abitativo e raramente, da parte dell’utente autocostruttore, è stata sfruttata (anche a causa di tecnologie non appropriate) la possibilità di progettare e realizzare la modificabilità nel tempo dello spazio fisico. _______________________ 1

Bologna Roberto (a cura di), La reversibilità del costruire. L’abitazione transitoria in una prospettiva sostenibile, Maggioli Editore, Rimini, 2002, pg. 38. 2 Raiteri Rossana (a cura di), C.N.R. Progetto Finalizzato Edilizia. Relazione finale del triennio di ricerca. Criteri e principi per la costruzione facilitata e l’autocostruzione con l’impiego di processi costruttivi, di strumenti e di tecnologie innovative, BE-MA editrice, Milano, 1994, pg. 150. - IUAV - TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA – AA 2005/2006

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_1.1 FATTORI CHE MOTIVANO L’AUTOCOSTRUZIONE

_1.1.1

DESIDERIO DI CONTROLLARE L’AMBIENTE COSTRUITO

MOTIVAZIONI FISIOLOGICHE

Il disagio generato dalla mancanza di corrispondenza tra le propensioni e le esigenze dell’abitante e le caratteristiche dello spazio costruito può essere risolto attraverso la partecipazione dell’utenza al processo costruttivo dell’ambiente stesso. Quando gli utenti hanno la possibilità di dare un loro contributo alla progettazione o alla realizzazione dell’ambiente costruito si creano le condizioni base per stimolare il benessere individuale e sociale, dal momento che il valore del prodotto fisico, oltre a consistere nelle sue qualità materiali, è funzione anche dei rapporti che si determinano con chi lo usa. L’intervento diretto degli utenti nella costruzione non si pratica necessariamente solo attraverso la realizzazione del manufatto con le proprie mani (bisogna, anzi, ricordare che questa è una condizione che si verifica esclusivamente quando le possibilità economiche sono molto limitate); è infatti sufficiente che gli utenti siano in grado di intervenire almeno nel processo di progettazione o di gestione per poter ottenere risultati migliori. In tale modo si dà la possibilità all’utenza di definire le esigenze prestazionali, variabili nel breve e nel lungo periodo, che il prodotto dovrà soddisfare. Approfondimenti inerenti al controllo degli utenti sull’ambiente costruito sono stati espressi anche negli anni Settanta da John F.C. Turner. Questi studi, pure se riguardanti quasi esclusivamente casi di acquisizione dell’abitazione tramite autocostruzione, hanno rappresentato l’occasione per mettere in evidenza i valori dell’abitare determinati dalle esigenze variabili dell’utenza. Tuner esprimeva questo punto nei termini della teoria dei sistemi descrivendo l’abitare come un processo simultaneo avente luogo in un contesto modificato da degli attori (rappresentati dal settore commerciale, dal settore pubblico e dal settore dell’utenza in cerca di abitazione) dalle loro azioni e dalle loro realizzazioni. “Il contesto potrà essere modificato fino a un certo limite dall’azione degli attori; per esempio dalle realizzazioni che diventano parte del contesto. Per rappresentare realisticamente il processo nella sua globalità è essenziale un ulteriore elemento: il circuito di feedback, in questo caso le aspettative che motivano all’inizio gli attori”3

Figura 1. Definizione dell’abitare secondo la terminologia della teoria dei sistemi.3

_______________________ 3

Turner John.F.C., Fichter Robert, Libertà di costruire, il Saggiatore, Milano, 1979, pg.192. - IUAV - TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA – AA 2005/2006 ELISABETTA CARATTIN n matr 239262

2

_1.1.2

AUTOCOSTRUZIO NE COME POSSIBILITA’ RISOLUTIVA DEL PROBLEMA-CASA

MOTIVAZIONI CONTINGENTI

Come si è accennato in precedenza, l’ acquisizione dell’abitazione mediante la costruzione in proprio è ormai, in linea generale, una caratteristica delle città dei paesi in via di sviluppo, che denotano un’utenza molto povera che non ha alternative per risolvere il problema della casa se non tramite la realizzazione con le proprie mani; nelle città del mondo industrializzato, infatti, l’autocostruzione raramente viene considerata come processo preferenziale di intervento per risolvere il problema abitativo. E’ comunque opportuno sottolineare che anche oggi, nel nostro contesto, si presenta l’occasione di osservare, anche se ormai più sporadicamente, fenomeni autocostruttivi; si ritiene, infatti, che l’autocostruizone possa rappresentare ancora, per la fascia della popolazione economicamente più debole, un processo alternativo alle normali prassi di acquisizione della casa, dal momento che offre la possibilità di attuare un consistente risparmio sul costo della costruzione.

Figura 2. Autocostruttori presso il cantiere “Ripa” a Perugia (2004).4

_1.2 CARATTERI DELLA TECNOLOGIA

_1.2.1 MODELLI TECNICOORGANIZZATIVI

ASPETTI “SOFT”

I processi organizzativi dell’autocostruzione sono distinguibili fondamentalmente in base al grado di riduzione delle deleghe che l’utenza vuole e può mettere in atto. Si possono distinguere in: 

autogestione: l’utenza si assume il compito di gestire l’intervento senza impegnarsi in lavori manuali, quindi la sua attività si manifesta per lo più in un controllo di tipo economico-amministrativo

_______________________ 4

fonte: www.autocostruzzione.net/archivio.htm

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 

autofinitura e autoallestimento: l’utenza attua personalmente i lavori di allestimento interno e di finitura degli alloggi, partendo dalla realizzazione degli edifici “al rustico”, attuato da un’impresa, con la possibilità naturalmente di intervenire anche nella gestione economica, autocostruzione parziale: gli utenti delegano all’impresa solo la parte più impegnativa e di maggiore responsabilità, cioè la struttura, e realizzando da soli chiusure esterne, coperture e opere interne dell’alloggio autocostruzione totale: l’utente assume su di sé praticamente tutto il lavoro manuale, con o senza la gestione economico-amministrativa dell’intervento.5

I casi reali di autocostruzione possono collocarsi in tutte le situazioni intermedie sopra citate e possono essere realizzati sia da un singolo che da una cooperativa di autocostruttori; è comunque opportuno sottolineare che “data la complessità del manufatto edilizio, che è frutto di diversi apporti specialistici, se si vuole ottenere un risultato che abbia lo stesso valore di mercato e caratteristiche analoghe alla produzione edilizia normale, l’autogestione deve uscire dallo spontaneismo del singolo per darsi una organizzazione che fornisca assistenza procedurale e tecnica”6 all’interno di una struttura composta da tutti i soggetti partecipanti.

Figura 3: Gradi di riduzione delle deleghe da parte dell’utenza.7

_______________________ 5

Raiteri Rossana (a cura di), Criteri e principi per la costruzione facilitata e l’autocostruzione con l’impiego di processi costruttivi, di strumenti e di tecnologie innovative, BE-MA editrice, Milano, 1994, pg. 98 6 Corsini Costantino, Aiello Lorenzo, Novi Fausto, Pereira Luisa, Raiteri Rossana, Progetto e tecnologia per l’autocostruzione, Opera universitaria ed., Genova, 1984, pg 62 7 Corsini Costantino, Aiello Lorenzo, Novi Fausto, Pereira Luisa, Raiteri Rossana, op. cit., pg. 57 - IUAV - TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA – AA 2005/2006 ELISABETTA CARATTIN n matr 239262 4

_1.2.2 LA TECNOLOGIA APPROPRIATA

LA COSTRUZIONE FACILITATA

IL LIVELLO TECNOLOGICO

ASPETTI “HARD”

L’autocostruttore è l’utente della tecnologia: il processo di autocostruzione, per essere quindi praticabile, dovrebbe avere come presupposto fondamentale la facilità di impiego delle tecnologie. Gli interventi di autocostruzione, infatti, sono spesso limitati dalle difficoltà pratiche che implicano. Anche se è sempre possibile prevedere un intervento autocostruttivo a partire da una tecnologia del tutto tradizionale e realizzata anche con sistemi pesanti, con l’inizio degli anni Sessanta un ampio settore dell’innovazione tecnologica ha cominciato a riguardare studi di prodotti, semilavorati e processi costruttivi rivolti all’ambito della “costruzione facilitata”, in modo da consentire la semplificazione costruttiva. La tematica della costruzione facilitata ha cominciato ad apparire nel periodo successivo all’ultimo dopoguerra, momento in cui si stava assistendo a uno stato di trasformazione del settore dell’edilizia. A causa di imprese edili di piccole dimensioni e di scarsa manodopera, la capacità di garantire un manufatto qualitativamente accettabile, usando tecnologie costruttive tradizionali, cominciava a diminuire; da questo momento, la tecnologia inizia a ridefinirsi per fare ricorso a questo problema. A partire da questo periodo sarà infatti l’innovazione tecnologica a essere vista come la possibile soluzione ai problemi di un settore edilizio ancora in condizione di protoindustrializzazione. In funzione di questi obiettivi si cominciano a proporre metodi per permettere all’operaio edile di diventare l’utente della tecnologia: il lavoro diviene più rapido e semplice da eseguire, ad esempio, incrementando le lavorazioni a secco e utilizzando elementi leggeri e facilmente manovrabili. La costruzione facilitata rappresenta la possibilità estrema dell’autocostruzione. Quando si attua un intervento di autocostruzione il livello tecnologico dovrebbe essere appropriato e gestibile dall’utente (ed eventualmente adeguato anche al luogo e alla tradizione locale). L’autocostruzione si può realizzare attraverso tecnologie industriali sofisticate (in questo caso si parla di autocostruzione avanzata/spinta) oppure può anche comportare un basso contenuto tecnologico. L’innovazione tecnologica deve essere accettata dagli utenti: è di fondamentale importanza, infatti, coniugare l’innovazione tecnologica con la facilità di impiego delle tecnologie. Infatti, sarà più semplice, per un utente autocostruttore, controllare e comprendere il processo costruttivo se questo ammette un contenuto tecnologico non eccessivamente avanzato.

Figura 4. La Paper Log House di Shigeru Ban. La facilità costruttiva permessa dall’impiego di tecnologie non spinte.8

_______________________ 8

McQuaid Matilda, Shigeru Ban, Phaidon Press Limited, Londra, Londra, 2003 pg.36

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_1.3 TRE CASI STUDIO

EDILIZIA EVOLUTIVA

Figura 5. Vignetta ironica riguardante la realizzabilità e la qualità di un intervento di autocostruzione .9

Un aspetto rilevante dell’autocostruzione è che questo procedimento costruttivo, presupponendo la gestibilità e la flessibilità degli elementi costruttivi, dovrebbe permettere la modificabilità nel tempo del manufatto stesso, consentendo all’utente autocostruttore di intervenire nel processo di progettazione e di costruire, successivamente, le parti in crescita del volume in base alle sue esigenze e disponibilità. Questo processo di accrescibilità nel tempo si dovrebbe articolare in più sequenze consecutive: una volta superato il primo stadio collettivo di intervento autocostruttivo, gli stadi successivi di autocostruzione singola dovrebbero essere agevolati proprio in rapporto all’esperienza acquisita. L’elevato livello tecnologico proposto agli utenti autocostruttori può però portare questo criterio verso un esito fallimentare. I casi esaminati in seguito, infatti, metteranno in luce il loro risultato contrario alle aspettative proprio a causa della mancata accettazione e gestione della tecnologia da parte dell’utenza se non, e con qualche difficoltà, unicamente nella fase in cui tutta la cooperativa di autocostruttori era seguita in cantiere dai tecnici della cooperativa di appartenenza e aveva quindi a disposizione assistenza tecnica, amministrativa e commerciale. Tre casi studio, relativi all’esperienza italiana, paradigmatici in quanto portano tutti in evidenza il problema concernente l’impiego di tecnologie e scelte processuali non appropriate con la conseguente rinuncia al processo di partecipazione alla progettazione dell’ambiente costruito da parte dell’utenza.

_______________________ F.I.L.L.E.A. – C.G.I.L., Federazione Territoriale Lavoratori Legno, Edili e Affini di Bologna, “Il sindacato e l’autocostruzione. Un possibile contributo”, Atti del Convegno del 23 aprile 1982, Centro Produzione Stampa Sindacale, Bologna, 1983 pg.97 9

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6

_1.3.1

AUTOCOSTRUZIONE “PAUCA”: Progetto AUtocostruzione CArpenedolo (Brescia)

Anno del progetto: 1981. Criterio costruttivo: autocostruzione parziale spinta. Progettisti: archh. Fausto Novi, Rossana Raiteri, Ettore Zambelli. Agli inizi degli anni Ottanta i mutui erano ancora rari e troppo costosi; una Cooperativa di abitazione con circa ottocento soci, accomunati dalla scarsità di risorse economiche, formula di conseguenza il progetto di giungere in possesso di una casa per mezzo di un intervento di autocostruzione. Attraverso la partecipazione al processo costruttivo, il gruppo vuole inoltre sperimentare la possibilità di mutarsi da destinatario passivo della propria abitazione a operatore partecipante personalmente e fisicamente nella definizione della propria casa, nella sua concezione, nella sua programmazione e organizzazione e nel suo sviluppo progressivo.

Figura 6. Alcune delle ipotesi di crescita nel tempo proposte agli autocostruttori dal gruppo di progettazione.10

Anche se l’acronimo dell’intervento allude a un’immagine di povertà, l’impiego della costruzione facilitata, in questa occasione, non ha alcuna attinenza con una semplificazione costruttiva ottenuta mediante l’utilizzo di tecnologie semplici. Si è infatti optato per una autocostruzione parziale “spinta”; meno spinta, comunque, di quanto il gruppo di autocostruttori avrebbe voluto inizialmente. _______________________ 10

Novi Fausto, Raiteri Rossana, Zambelli Ettore, Costruzione facilitata. Autocostruzione “pauca”, BE-MA editrice, Milano, 1985, pg. 20. - IUAV - TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA – AA 2005/2006 ELISABETTA CARATTIN n matr 239262 7

Intervento dell’impresa:  realizzazione delle fondazioni, del primo solaio e dei setti in c.c.a. di separazione tra le singole unità abitative. Intervento degli autocostruttori:  Solai: travi di legno e doghe in legno realizzabili completamente a secco (inusuale in Italia in quel periodo)  Chiusure esterne: mattone in laterizio stampato e montato a secco mediante spinotti di plastica. Era necessario comunque saldare le cortine di mattoni con getti di malta liquida.  Partizioni interne: pannelli di gesso protetto su nido d’ape e su telaio metallico.

Figure 7 e 8. Immagini della realizzazione della muratura esterna.11

A causa dell’inesperienza riguardo a queste tecniche costruttive, per potere sperimentare e fare pratica, è stato adibito un alloggio di testata a vera e propria scuola laboratorio; in esso si sono potute, infatti, rilevare le imprecisioni costruttive di prova. Dopo aver definito la distribuzione spaziale e tipologica insieme al gruppo di progettazione, la cooperativa di autocostruttori abbandona con esplicita volontà il criterio di accrescibilità nel tempo, fornendo prova della mancata accettazione, e capacità di gestione, della tecnica costruttiva non appropriata.

Figura 9. Spaccato assonometrico del progetto definitivo.12

_______________________ 11

Novi Fausto, Raiteri Rossana, Zambelli Ettore, op. cit., pg. 38 Ibidem, pg. 27 - IUAV - TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA – AA 2005/2006 12

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_1.3.2

AUTOCOSTRUZIONE A ZELARINO (Venezia)

Periodo dell’intervento: 1987 Criterio costruttivo: autocostruzione parziale spinta. Progettista: arch. Ettore Zambelli Anche questo intervento di autocostruzione, in vista di un ulteriore risparmio sul costo di realizzazione della casa, prevedeva il criterio di accrescibilità dell’unità abitativa nel tempo, programmato per l’attuazione di estensioni progressive fino alla saturazione del lotto riservato al singolo alloggio.

Figura 10. Assonometria dei primi nuclei abitativi base minimi.13

Figura 11. Assonometria dei successivi stadi singoli di completamento.14

_______________________ 13 14

Comune di Venezia, Assessorato Edilizia Convenzionata, Progetto autocostruzione Zelarino, pg. 26 Ibidem

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La prima fase realizzativa sarebbe dovuta consistere in un nucleo abitativo base minimo costruito dall’intero gruppo di autocostruttori a cui sarebbero dovuti seguire una serie di successivi stadi individuali di completamento (autocostruzione “in crescita”) da realizzarsi attraverso le stesse tecnologie a secco precedentemente previste per l’intervento di autocostruzione a Carpendolo.

Figura 12. Schema spaziale di crescita nel tempo.15

Mentre il primo stadio di costruzione dei nuclei minimi è stato gestito e realizzato dall’intero gruppo di autocostruttori, senza distinzioni tra gli alloggi (ognuno ha edificato le case non sapendo quale, alla fine, sarebbe divenuta di sua proprietà) i successivi interventi di ampliamento sarebbero dovuti essere differibili nel tempo a seconda della disponibilità e della volontà dei singoli nuclei di utenza. _______________________ 15

Comune di Venezia, Assessorato Edilizia Convenzionata, Progetto autocostruzione Zelarino, pg. 13

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10

Figura 13. Foto dell’intervento realizzato. Novembre 2005. E. Carattin

Figura 14. Foto dell’intervento realizzato. Novembre 2005. E. C.

Allo stato di fatto, però, il complesso residenziale non si presenta come quell’insieme di interventi di ampliamento, diversi da alloggio ad alloggio, che l’acquisizione e la padronanza della tecnica costruttiva, da parte degli utenti autocostruttori, avrebbe potuto rendere possibile. - IUAV - TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA – AA 2005/2006

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Anche in questo caso il particolare impegno che la fase di esecuzione ha comportato agli autocostruttori ha atrofizzato il criterio di accrescibilità della residenza nel tempo. Tutti gli alloggi, infatti, sono stati realizzati esattamente secondo gli stessi caratteri distributivi e nel medesimo momento. Un altro aspetto di differenza che si riscontra nella realtà rispetto al progetto originario riguarda la struttura dei solai. Come nella precedente realizzazione presso Carpendolo, anche in questo progetto erano state previste delle travi di legno e delle doghe in legno realizzabili completamente a secco. Nell’ esecuzione definitiva si è optato invece per un solaio laterocementizio dal momento che la soluzione progettuale proposta nell’intervento “Pauca” sarebbe risultata, in questo caso, economicamente svantaggiosa (a Carpenedolo avevano avuto la possibilità di acquistare una partita di legname canadese a basso costo).

Figura 15. Due immagini del cantiere con gli autocostruttori al lavoro. 16

Figura 16. Foto di un interno. Novembre 2005. E. C.

_______________________ 16

Rainteri Rossana, Trasformazioni tecnologiche dell'architettura : note sul ruolo della tecnologia nella progettazione, BE-MA editrice, Milano, 1992, pg 105! - IUAV - TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA – AA 2005/2006

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12

_1.3.3

AUTOCOSTRUZIONE A CORCIANO (Perugia):

Complesso residenziale “Il Rigo”: sistema costruttivo industrializzato “EH” per abitazioni a tipologia evolutiva. Progettisti: Studio Piano & Rice & Associati, S. Ispida, N. Okabe, L. Custer, E. Donato, G. Picardi, O. Di Blasi. Anno del progetto: 1978 (prima proposta progettuale)

Figura 17. Prima proposta progettuale.16

1985 (seconda proposta progettuale)

Figura 18. Seconda proposta progettuale. Foto dell’intervento realizzato. Aprile 2005. E. Carattin

_______________________ 16

Sistema costruttivo “EH”, Vibrocemento Perugina S.p.a. PRIMA PROPOSTA PROGETTUALE - IUAV - TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA – AA 2005/2006

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L’iniziativa è partita dalla considerazione del fabbisogno di abitazioni conseguente essenzialmente a due fattori: l’alto coefficiente di industrie presenti nel territorio rispetto al numero degli abitanti e la necessità di rinnovo edilizio. Lo scopo del piano di zona era quello di fornire edilizia evolutiva a carattere economicopopolare.

Figura 19. Assonometria dell’insediamento.

I progettisti hanno tentato di realizzare un insediamento che configurasse un modo di abitare tale da integrare la vita privata con la vita associata, incentivando la partecipazione di ciascun abitante, alle attività e allo sviluppo del proprio quartiere attraverso la gestione della propria abitazione, degli spazi comuni, delle attrezzature, delle attività cooperative come, ad esempio, il Laboratorio di Quartiere. L’intera area risulta organicamente divisa in due parti destinate alle residenze e cointeressate da una unica zona centrale destinata a servizi di interesse comune (impianti sportivi, centro sociale, centro culturale, scuola materna, etc). All’interno di questa area è presente anche il sopraccitato Laboratorio di Quartiere: un organismo che contiene utensili e attrezzi per l’autocostruzione parziale e per le modifiche e le manutenzioni dei singoli alloggi e delle dotazioni comuni.

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I criteri informatori della progettazione urbanistica sono nati dallo studio della realtà storica dell’Umbria e del comune di Corciano in particolare. I progettisti si sono ispirati alla densità, alle volumetrie, alle tipologie, agli spazi di sosta e alle percorrenze tipici dei piccoli centri storici umbri.

Figura 20. Il centro storico di Corciano e il Quartiere residenziale “Il Rigo”. Aprile 2005. E. Carattin.

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Il modulo abitativo base (sperimentale) era composto da un doppio elemento tridimensionale prefabbricato in c.c.a. a forma di U che formava un tunnel di 6 metri di altezza per 12 di lunghezza.

Figura 21. Assemblaggio degli elementi prefabbricati tridimensionali tramite addizione diretta. (fonte: www.rpbw.com)

All’interno l’involucro scatolare (fisso) poteva essere gestito dagli utenti attraverso la manipolazione di travi leggere, di pannelli-pavimento e attraverso la mobilità della chiusura verticale trasparente.

Figure 22 e 23. Mobilità della parete-finestra17. Costruzione di un solaio intermedio.18

Lo spazio abitativo risultava quindi dalla combinazione tra uno spazio primario (l’elemento tridimensionale in c.c.a.) costruito e progettato dagli specialisti, e uno spazio secondario, quello interno a doppia altezza, attrezzabile e trasformabile dagli stessi utenti dell’abitazione, anche attraverso la modificazione di elementi tecnologici provenienti dal Laboratorio di Quartiere. Grazie al presupposto di evolutività, lo spazio abitativo interno non è più una dimensione assoluta, irreversibile. La casa in questo modo potrebbe riuscire ad adattarsi, nel suo interno, alle esigenze mutevoli dell’utente. La conformazione degli spazi interni è infatti libera e affidata all’intervento diretto degli abitanti attraverso un processo di autocostruzione parziale spinta. _______________________ 17 18

Donin Giampiero, Renzo Piano. Pezzo per pezzo. Casa del libro, Roma, 1982, pg, 32 Sistema costruttivo “EH”, Vibrocemento Perugina S.p.a.

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Figura 24. Piante e sezioni indicanti i quattro stadi evolutivi di ogni singola unità abitativa.

Figure 25 e 26. La parete-finestra, (la sua traslazione avviene lungo l’angolare d’appoggio della partizione orizzontale interna). Esperienze di autocostruzione parziale. Montaggio di una trave leggera.

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SECONDA PROPOSTA PROGETTUALE

Figura 27. Fotografie di alcuni prospetti. Aprile 2005. E. Carattin.

Contrariamente alla prima proposta progettuale, in questa nuova soluzione, vengono perse sia l’organica distribuzione funzionale dell’insediamento, sia la potenzialità di realizzare moduli abitativi evolutivi. La caratteristica più saliente che caratterizza questa esperienza di Renzo Piano è il completo fallimento del principio ordinatore del progetto: la possibilità di edilizia evolutiva autocostruita.

L’esperimento si è risolto in una suggestione di natura tecnologica e assolutamente non in un reale processo di partecipazione dell’utenza alla progettazione. E’ necessario evidenziare come un altro limite fondamentale di questo intervento risieda pure nel motivo che all’utente sia stata data la possibilità di variare solo l’interno del modulo abitativo e non l’involucro che invece rimaneva fisso. L’esperienza legata all’evoluzione è fallita anche per il basso costo complessivo di questi tipi di abitazione. Le sovvenzioni statali, infatti, permettevano di realizzare la casa già allo stadio più complesso e vista la diffusa cultura della casa nel contesto socio-culturale italiano, pochi hanno voluto rinunciarci. Viene dunque ora adottato un sistema più tradizionale e meno costoso di prefabbricazione: il sistema costruttivo a elementi pesanti prefabbricati bidimensionali (meglio noto come sistema a banches plus tables).

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Figura 28. Fotografie dell’interno di un alloggio. Aprile 2005. E. C. E

Le partizioni, che prima erano mobili e leggere, sono ora invece fisse; la chiusura esterna non è più trasparente ma opaca e riporta a “memoria storica” i montanti e i traversi della parete-finestra sulla superficie esterna.

Figura 29 Fotografia del particolare di un prospetto Aprile 2005. E. C. E

Figura 30 Fotografia di quello che sarebbe dovuto essere il Laboratorio di Quartiere Aprile 2005. E. C. E

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PARTECIPARE

_2.1 PROMUOVERE LA PARTECIPAZIONE

“La differenza fondamentale che connota i processi di partecipazione attuali da quelli degli anni passati (soprattutto negli anni ’60 e ’70) è la perdita di una forte motivazione ideologica e dimostrativa che teneva uniti i gruppi di persone anche attraverso una sorta di indottrinamento pluralistico” .19 Abbandonata da tempo la vocazione ideologica, è ancora possibile stimolare le risorse dei soggetti partecipatori, e ciò può ora manifestarsi attraverso la dotazione di strumenti di conoscenza che permettono di esprimersi criticamente nell’interesse delle decisioni progettuali. L’informazione, sebbene costituisca il livello più basso di partecipazione, rappresenta il requisito minimo per accedere a forme di coinvolgimento attivo di coloro che desiderano intervenire in questo processo. Attraverso lo sviluppo di forme di comunicazione e di partecipazione della popolazione è possibile definire soluzioni spaziali appropriate, stabilire soluzioni tecnologiche differenziate ed è soprattutto possibile la definizione del tipo di processo che si intende attuare (considerando tutte le condizioni di contesto come l’abilità dei candidati autocostruttori e soprattutto la loro capacità di coesione e collaborazione) un punto critico, questo ultimo, per la buona riuscita di programmi di questo genere. “La partecipazione alla definizione dei progetti deve necessariamente avvenire nelle fasi iniziali delle ipotesi progettuali, ossia quando la partecipazione esprime il massimo dei contributi per l’individuazione di soluzioni efficaci e per la costruzione positiva del consenso”.20

Per aumentare il grado di partecipazione attiva è dunque fondamentale: - permettere ai partecipanti di accedere alle informazioni riguardanti i processi di pianificazione e progettazione - dotarli di spazi fisici e relazionali in cui ciò possa realizzarsi - individuare all’interno del gruppo i soggetti che già esprimono istanze partecipative e sostenerli nella loro azione

Un elemento di ostacolo nella possibilità di accesso alle informazioni da parte di una persona comune è spesso costituito dalla difficoltà tecnica dei documenti di pianificazione e progettazione, occorre dunque provvedere alla traduzione delle informazioni di tipo tecnico in forme semplificate e comprensibili anche ai non “addetti ai lavori”.

_______________________ !)

Raiteri Rossana (a cura di), Trasformazioni dell’ambiente costruito. La diffusione della sostenibilità. Gangemi Editore, Roma, 2003, pg 15. 20 Ibidem, pg 47. - IUAV - TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA – AA 2005/2006 ELISABETTA CARATTIN n matr 239262 20

_2.1.1

IL MUSEO TECNOLOGIE SEMPLICI A MADRAS

INDICAZIONI PER LA PROMOZIONE DELLA PARTECIPAZIONE

Anche se relativo a un’esperienza svolta in un contesto estraneo al nostro ambito di intervento, è interessante riportare, in questa sede, una vicenda riguardante un’azione di incentivazione alla partecipazione e all’autocostruzione, promossa dall’architetto ungherese Yona Friedman e resa possibile dall’utilizzo degli strumenti di comunicazione (in questo caso disegni semplificati) come modalità per divulgare, al più vasto numero di persone possibile, le informazioni grafiche e tecniche per la realizzazione di un manufatto edilizio. L’esperienza nasce da un’attività, svolta dal 1972, dall’ONU che consiste nel diffondere dei manuali illustrati con vignette animate con cui si insegnano le tecniche più semplici per controllare il territorio umanizzato e l’habitat con le risorse a disposizione. Il museo delle tecnologie semplici è un’indicazione su come costruire ambienti destinati a illustrare le tecnologie di sopravvivenza nella natura. “C’è una sapienza tecnica alle spalle, da parte degli architetti, e c’è una conoscenza delle reali possibilità economiche e tecnologiche delle comunità a cui ci si rivolge. Qui sta i piccolo o grande miracolo: la rispondenza della gente e l’invenzione dell’architettura attraverso l’artigianato tradizionale, a partire da una semplice idea strutturale, comunicata e verificata insieme su modelli. Il museo delle tecnologie semplici è stato realizzato in massima parte da maestranze illetterate che non avevano mai lavorato prima nel settore delle costruzioni e proprio per questo non si è fatto uso in cantiere dei consueti disegni architettonici come le piante gli alzati le sezioni e così via. I disegni sono stati schizzati durante le fasi di realizzazione e non prima.”21 Invece di essere prefigurato sulla carta l’edificio è stato realizzato in base a modelli e verificato su scala reale con prototipi poi ricopiati in cantiere dalle maestranze dopo averne compreso il principio costruttivo. Il museo delle tecnologie semplici è l’evidente dimostrazione che il metodo principale di trasmissione dei concetti architettonici non è il disegno tecnico in se stesso, che resta comunque di grande importanza, ma il prototipo [inteso come idea concettuale].

Figura 31 Indicazione schematica delle sezioni e dei prospetti21

______________________ 21

L’Arca Plus, n° 8, pg 34 - IUAV - TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA – AA 2005/2006

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_2.2 ESPERIENZE DI PARTECIPAZIONE

_2.2.1

LABORATORIO DI QUARTIERE DELL’UNESCO. OTRANTO 1979

progettisti: Piano & Rice Associates

Figura 32: il laboratorio in funzione 22

L’esperimento di Otranto, con il Laboratorio di Quartiere, ha dimostrato come possa essere possibile operare nel tessuto storico urbano attraverso tecnologie (sofisticate ma agili e maneggevoli da adoperare) e modalità di intervento innovativi. La finalità dell’intervento è stata quella di rendere possibile a una comunità tradizionale, insieme ai propri artigiani, di riparare la propria antica città in modo autonomo. La risorsa principale adottata è stata proprio la partecipazione, intesa come il prender parte ai procedimenti almeno quanto al prodotto. Il progetto per Otranto cercava di lasciare che fossero gli abitanti del luogo a determinare la forma futura della loro città e delle loro case e che fossero essi stessi a seguire questa trasformazione. Attraverso questo processo la comunità avrebbe conseguito spirito di iniziativa e una rinnovata coesione. In questa occasione è stato accuratamente evitato di ridurre la partecipazione a una mera esercitazione intellettuale svolta nelle fasi iniziali di un progetto e chiedendo a una comunità non preparata di prendere decisioni vincolanti, come era accaduto nella precedente esperienza di Corciano, con conseguente esito fallimentare. Dall’esperienza di Perugia in avanti, infatti lo stesso Piano rifiuterà esplicitamente la possibilità di accogliere processi partecipativi, laddove questi pretendano di influire sulla sintesi progettuale. ______________________ 22

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Al contrario quel che si cercava di realizzare a Otranto era un coinvolgimento continuo che raggiungeva il suo momento più alto nella partecipazione materiale. Le persone fondamentali da coinvolgere erano gli artigiani e le maestranze locali. La loro partecipazione era stimolata introducendo attrezzi specificamente individuati perché essi potessero facilmente maneggiarli. Il laboratorio non è concepito per essere usufruito passivamente dalla gente ma come uno strumento che consente agli individui di concorrere attivamente a formare il loro ambiente e il loro futuro in modo autonomo. Il laboratorio mobile era un cubo multifunzionale, definito dal suo autore come “utensile multiplo”, di due metri e quaranta centimetri, trasportato su un camion e sistemato in una piazza. Era suddiviso in quattro sezioni dimostrative in cui svolgere un ampio ventaglio di attività (analisi e diagnostica, informazione e didattica, progetto, lavoro e costruzione) che si offrivano alla curiosità e stimolavano la partecipazione degli abitanti del luogo. Di particolare interesse risultava essere il secondo lato, in cui alla comunità e agli artigiani venivano spiegati i nuovi metodi per fare le cose dopo che erano state formulate le proposte e sperimentata la loro fattibilità. Qui la risorsa principale non risiedeva tanto nelle risorse materiali ma nell’esperienza dei consulenti: non nelle attrezzature bensì nel prodotto.

Figura 34: sistemazione del laboratorio 23

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Bibliografia: Novi Fausto, Raiteri Rossana, Zambelli Ettore, Costruzione facilitata. Autocostruzione “pauca”, BE-MA editrice, Milano, 1985 Corsini Costantino, Aiello Lorenzo, Novi Fausto, Pereira Luisa, Raiteri Rossana, Progetto e tecnologia per l’autocostruzione, Opera universitaria ed., Genova, 1984 Turner John.F.C., Fichter Robert, Libertà di costruire, il Saggiatore, Milano, 1979 Raiteri Rossana (a cura di), Trasformazioni dell’ambiente costruito. La diffusione della sostenibilità. Gangemi Editore, Roma, 2003 Zambelli Ettore (a cura di), Il sistema edilizio aperto, Franco Angeli Editore, Milano, 1982 McQuaid Matilda, Shigeru Ban, Phaidon Press Limited, Londra, Londra, 2003 F.I.L.L.E.A. – C.G.I.L., Federazione Territoriale Lavoratori Legno, Edili e Affini di Bologna, “Il sindacato e l’autocostruzione. Un possibile contributo”, Atti del Convegno del 23 aprile 1982, Centro Produzione Stampa Sindacale, Bologna, 1983 Comune di Venezia, Assessorato Edilizia Convenzionata, Progetto autocostruzione Zelarino, Donin Giampiero, Renzo Piano. Pezzo per pezzo. Casa del libro, Roma, 1982 Buchanan Peter, Renzo Piano Building Workshop. Opera Completa, vol. 1, Phaidon Press Limited, Londra, 1983 Raiteri Rossana (a cura di), C.N.R. Progetto Finalizzato Edilizia. Relazione finale del triennio di ricerca. Criteri e principi per la costruzione facilitata e l’autocostruzione con l’impiego di processi costruttivi, di strumenti e di tecnologie innovative, BE-MA editrice, Milano, 1994 Raiteri Rossana , Trasformazioni tecnologiche dell'architettura : note sul ruolo della tecnologia nella progettazione, BE-MA editrice, Milano, 1992. L’Arca Plus, n° 8, pg 34

Sitografia: www.autocostruzzione.net/archivio.htm www.rpbw.com

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