Tempio Di Iside a File

November 23, 2017 | Author: tormael_56 | Category: Hellenistic Period, Temple, Egyptian Hieroglyphs, Rome, Isis
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Quaderni di egittologia 2

Un ringraziamento all’arch. Antonio Giammarusti, che ha condiviso con l’autore l’esperienza traumatica dello spostamento dei templi, per il suo apporto nello studio delle architetture.

Alessandro Roccati

I templi di FILE

ARACNE

Copyright © MMV ARACNE EDITRICE S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] 00173 Roma via Raffaele Garofalo, 133 A/B (06) 72672222 – (06) 93781065 telefax 72672233 ISBN 88-7999-797-1

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

I edizione: aprile 2005

“[Il Faraone …] ha costruito il Pilone per la dea Sole, la signora Iside, dispensatrice di vita, signora dell’Abaton (l’isola di Biga), signora di File, con bella pietra. La sua altezza è perfetta, la sua larghezza giusta e tutte le sue cose secondo le regole. Conceda essa vita forza e salute al sovrano Tolomeo XII”

INDICE

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Prefazione

L’orizzonte interculturale

Premessa Una frontiera culturale L’archiviazione culturale

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Il santuario di File

Le ricerche archeologiche Gli elementi costruttivi L’importanza di File Gli studi su File

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Una religione per Iside

Dottrina e sacerdozio Il culto di Iside I misteri di Osiride La natività di Horo Epilogo

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PREFAZIONE

La minuscola isola di File si trova sul Nilo a monte della prima cateratta, praticamente dove passa il Tropico del Cancro. Per circa mille anni, dal VI sec. a.C. al VI sec. d.C. su quest’isola si accumularono, sostituirono, fusero costruzioni sacre fino ad occuparla completamente e a richiedere ampliamenti artificiali con massicce sostruzioni inserite nei banchi di sabbia e in grado di reggere le aggressioni del Nilo. Tanta pietà religiosa era dovuta ad un progetto politico e ad un messaggio di salvezza che fu superato, e non senza difficoltà, solo dal più recente cristianesimo. L’espansione della religione di Iside avvenne con il concorso di circostanze storiche e politiche favorevoli, che l’avrebbero portata ad attraversare i deserti e i mari, arrivare tanto a Meroe quanto a Roma. La vita del santuario di File ricoprì approssimativamente la durata della città di Roma dalla sua fondazione alla caduta dell’impero d’occidente: un periodo denso di avvenimenti e di trasformazioni ai quali il tempio di Iside e la sua religione non rimasero estranei, come la stessa elaborazione del mito. Lo spostamento di tutti i templi di File su un’isola più elevata, eseguito da un’impresa italiana negli anni ’70, è stato l’ultimo atto delle opere per salvare le antichità della Nubia dalla sommersione causata dalla costruzione di dighe, a cominciare dalla fine dell’Ottocento. La “morte di File”, preconizzata da Pierre Loti in una polemica rievocazione, ha dato almeno la possibilità di un’autopsia che ha consentito osservazioni essenziali sui materiali e sulle vicende del santuario, e l’autore di queste pagine è stato partecipe di tale drammatica e unica esperienza durante un lungo soggiorno alle dipendenze del Ministero degli Affari Esteri. Un quarto di secolo trascorso da allora non ha diminuito il ricordo dei risultati raggiunti, li ha anzi arricchiti di riflessioni nate dalla collocazione del lavoro di File in un orizzonte di apporti e di scambi culturali che corrisponde all’ascesa e all’irradiamento del culto di Iside, e che ha contribuito ad una lettura in profondità, certamente non ancora esaurita, dei materiali archiviati per secoli e che suscitarono l’ispirazione e la meditazione di folle di fedeli di ogni rango e provenienza. Cuore di una grande religione del passato, che seppe unire popoli lontani per sedi e tradizioni, il tempio di Iside a File resta testimone 9

quasi intatto, a differenza del centro di culto di altre religioni coeve, quale reliquia di una fede oramai spenta, e tuttavia degna di accompagnarsi ad altri grandi momenti spirituali della nostra storia. Alessandro Roccati Karima, marzo 2004

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L’ORIZZONTE INTERCULTURALE

Fig. 1 Ricostruzione del santuario di Amasi (570–526 a.C.)

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Premessa

Nel I° millennio a.C. le identità culturali sono ben consolidate, esse si rafforzano nel loro confronto vicendevole, ma giungono anche ad affrontarsi e a interagire. Le applicazioni di questo processo variano nel tempo e nelle aree geografiche, dipendendo tanto da condizionamenti politico–ideologici quanto dalla forza della tradizione, dalla capacità di resistenza o di sopraffazione. In generale si riscontra però un notevole parallelismo di innovazioni e reazioni nella civiltà a contatto. La forza di una grande religione sta appunto nella sua attrazione e nell’influsso che riesce a esercitare sulle comunità più disparate. Nello stesso periodo gli assetti politici si estendono fino a conglobare entità culturali con tradizioni autonome e prestigiose, e necessitano di una giustificazione ideologica e spirituale in grado di coinvolgere popoli e masse al di là delle loro differenze geografiche e sociali. Tale prospettiva genera trasformazioni tanto rispetto alla tradizione quanto in funzione del nuovo orizzonte di ricezione.

Una frontiera culturale

La edificazione di un santuario monumentale per la dea Iside equivalse ad una scelta politica. Dopo la riunificazione dell’Egitto sotto il potentato settentrionale della dinastia (libica) di Sais, verso il mezzo del VII sec. a.C., venne un impulso alla migrazione di entità religiose e culturali verso sud, per riempire lo spazio lasciato vuoto dalla ritirata dei faraoni nubiani. Fu così che Iside approdò nell’isolotto di File, poco più di un banco di sabbia accanto all’eminenza granitica dell’isola di Biga, in prossimità della prima cateratta. Lo spostamento dei santuari negli anni ’70, per sottrarli alla sommersione permanente causata dalle dighe di Aswan, ha portato in luce installazioni cultuali di Psammetico II e di Amasi, integrate queste da costruzioni templari di Nectanebo I, il cui portale di accesso non fu demolito sotto la dinastia tolemaica, ma rimase inglobato nella mole del primo pilone eretto nel II sec. a.C. da Tolomeo VI. Insieme con Iside si mosse dal delta il culto della dea Neith che si stabilì più a nord, nella città di Esna, l’antica Eleithyiaspolis, dove 13

anche sorse un tempio la cui decorazione si protrasse, come a File, durante l’impero romano, fino al II sec. d.C. Più tardi, nel V sec. a.C. fu stabilita ad Elefantina, presso Aswan, una comunità aramaica con il suo dio. Il santuario di Iside a File possiede nondimeno un duplice aspetto fondamentale: — da un lato rappresenta la trasformazione architettonica degli elementi religiosi che si manifestano in altri contesti culturali in forma di discorsi o racconti mitologici; — inoltre il santuario venne a costituire un punto di convergenza e di irradiamento di flussi culturali che legarono per tutto il periodo della sua esistenza l’Africa all’Europa. Nel santuario di File si trovan dunque concentrati e assimilati elementi di natura disparata che risultano: — dalla loro diversità rispetto al linguaggio di base proprio della tradizione faraonica (es. i leoni meroitici davanti al primo pilone del tempio di Iside); — dall’assunzione di funzioni e valori diversi da parte di elementi architettonici e decorativi tradizionali e dalla modificazione dei loro rapporti preesistenti (es. il dromos e il suo gioco prospettico); — dall’accostamento e dalla fusione di elementi in origine disparati (es. il portale di Nectanebo I inglobato nel primo pilone).

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L’archiviazione culturale

La tradizione letteraria durante il lungo percorso della civiltà faraonica si manifesta in forme molteplici. Il discorso orale comincia ad acquisire una dimensione testuale durante il secondo millennio a.C., e la redazione visiva attraversa trasformazioni espressive complesse, dalla composizione di opere libresche, su papiro, alla rappresentazione figurata secondo i principi dell’arte, alla fusione di scrittura e figurazione all’interno di una esposizione ambientale che adopera come base di attuazione lo spazio architettonico. I santuari egizi del primo millennio a.C. sono il coronamento di un processo che vede svilupparsi, secondo i canoni di una grammatica e di una sintassi del tempio, una “decorazione” che rivesta le pareti di pietra (la pietra è la dimensione permanente del sacro) in armonia con le funzioni cultuali degli spazi dove queste si affacciano. In questi casi si conserva la valenza attiva delle espressioni letterarie e artistiche, legate alla grafia monumentale — i geroglifici — e al disegno, entrambi dotati di efficacia performativa, all’interno di un edificio “vivente”, la cui monumentalità traduce in una dimensione permanente tutto quanto rappresenta, dalla forma architettonica alle registrazioni simboliche che esso riporta. Questa materia viva attualizza e tramanda il patrimonio di pensiero di cui è depositaria, e può istituire corrispondenze con i documenti letterari consegnati ai papiri anche sotto diverse forme grafiche (soprattutto lo ieratico librario) e linguistiche (ad esempio attraverso traduzione in greco dall’egizio). La fissazione in forme permanenti di esistenza e di comunicazione, attraverso la lettura dei libri e la frequentazione dei santuari, comprende altresì un processo di archiviazione del sapere come costituzione e riferimento di una identità culturale. I processi storici che assistono alla formazione di materiali di archiviazione cui attingere, sono suscitati da esigenze complesse e successivamente offrono spunto di ispirazione e di propagazione dei messaggi che vi sono consegnati. La collocazione di File all’estremità meridionale dell’Egitto, o all’estremità settentrionale della Nubia, secondo i punti di vista, ne fa il punto d’incontro e di espressione di culture che hanno i loro epicentri completamente separati tra loro. Queste culture si succedono, con riferimento al periodo di funzionamento dei templi di File, attraverso un arco temporale lungo circa un millennio. Esse 15

Fig. 2 Egitto e Nubia

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vedono fronteggiarsi e avvicendarsi mondi culturali così ricchi e diversi come le culture nubiana ed egizia, ellenistica e cristiana, che tutti lasciano segni evidenti, riconoscibili ad una lettura consapevole degli imponenti resti archeologici. Il linguaggio architettonico e decorativo si inserisce nella tradizione della civiltà faraonica, ma in parte traduce nelle sue forme elementi di altre culture. La componente ellenizzante si osserva: — nella struttura plastica dei rilievi; — nella varietà e nel numero dei colonnati che producono ombra, necessaria in quella latitudine, e nello stesso tempo creano un effetto chiaroscurale che muove e alleggerisce le massicce architetture; — nella asimmetria degli spazi che genera effetti prospettici, mentre gli spazi stessi si ampliano per accogliere folle di fedeli che attira una nuova forma di devozione, lontana dalle barriere inaccessibili dei templi faraonici del secondo millennio; benché il dromos, quale terrazza sul Nilo, possieda efficaci paralleli nell’architettura faraonica tarda, la sua struttura irregolare richiama con evidenza i portici dell’agorà di Assos, in Anatolia, che furono edificati intorno al IV sec. a.C.; — nello stesso tempo visitatori del periodo ellenistico lasciano epigrafi nella lingua greca, ed è stata ritrovata pure un’epigrafe latina del 116 a.C.; in greco sono alcune dediche dei templi (ad es. il tempietto di Hathor); — una consuetudine popolare collegabile con quella delle epigrafi greche produsse un grande numero di graffiti demotici, la lingua e scrittura epicorica dell’Egitto del tempo, da visitatori egizi e nubiani; — la interpretazione ellenistica di Iside si ritrova in otto inni scritti in geroglifici all’interno del santuario e uno di essi ripreso nel mammisi, la cui composizione, pur adottando elementi di fraseologia più antica, non si può documentare prima del regno di Tolomeo II, al cui regno risale il santuario (prima metà del III sec. a.C.). Pertanto essi si possono accostare alle aretalogie isiache che si diffusero nel Mediterraneo, e di cui serba eco il romanzo di Apuleio. Le composizioni in geroglifico ebbero invece diffusione nella regione del Nilo, dall’Alto Egitto fino alla Dodecascheno, su cui si estendevano i possedimenti del tempio. Una stela inserita nel secondo pilone e inscritta su un masso di granito rosa al tempo di Tolomeo V, dopo che questo re riprese il possesso dell’Egitto meridionale nel 196 a.C., registra l’assegnazione della regione della Dodecascheno al tempio di Iside. 17

La componente nubiana si manifesta anch’essa in forme del periodo meroitico, coevo delle dinastie ellenistiche e dell’impero romano. Vi son tracce di una presenza nubica della fase napatea (XXV din.), ma essa appartiene interamente ad un momento anteriore all’introduzione del culto di Iside: — in particolare vi è una intera stanza negli annessi orientali decorata con figurazioni e iscrizioni incise in scrittura e lingua meroitica, che risalgono al mezzo del III sec. d.C. (253 d.C.) al tempo dell’imperatore Treboniano Gallo; — l’accesso al tempio di Iside rivela una composizione complessa. Il portale monumentale di Nectanebo I fu inserito nel II sec. a.C. nel corpo di un alto pilone, dopo che Tolomeo II e Tolomeo III ebbero rifatto il precedente tempio eretto e decorato dai faraoni Amasi (XXVI din.) e lo stesso Nectanebo I (XXX din.). Blocchi del santuario di questi due faraoni furono riusati all’interno delle murature del tempio posteriore, dove sono stati ritrovati al momento dello smontaggio per lo spostamento dei templi nella nuova sede di Agilkia. Davanti al portale fu collocata una terrazza preceduta da una rampa a scalini, esattamente conforme a quella che è stata trovata davanti a diversi edifici palaziali investigati dall’archeologia meroitica. Sulla terrazza furono collocati due leoni in granito rosa di Aswan, seduti nella caratteristica posa meroitica, oltre a due obelischi (con i nomi di Tolomeo IX), trasportati in Inghilterra, a Kingston Lacey, nel 1818 (dal Belzoni) e nel 1829 (dal Linant de Bellefonds). Leoni simili, su terrazze analoghe, in arenaria locale, sono stati trovati a Napata (Gebel Barkal) dalla Missione archeologica in Sudan dell’Università di Roma “La Sapienza” e sono databili al regno di Natakamani, (prima metà del I sec. d.C.?). — la vocazione “meridionale” del santuario di Iside a File si rileva non solo dall’orientamento (il portale di accesso si apre verso sud, come nel tempio di Horo ad Edfu), ma ancora dai temi decorativi che si rifanno alla leggenda dell’Occhio del Sole, riportata altresì da un papiro demotico e di cui si conosce una traduzione in greco; — sacelli per il culto di Arensnufi e di Manduli, divinità dei nubiani e dei blemmi, si aprivano sul lato orientale del dromos antistante il tempio di Iside; — i re nubiani Adikhalamani ed Ergamene, che forse esercitarono per un breve periodo il loro possesso sull’isola di File al momento della secessione della Tebaide (fine III sec. a.C.), dedicarono una stela ed epigrafi in geroglifici egizi che sono state ritrovate negli scavi. In particolare Erga18

mene consacrò una stanza nel tempio di Arensnufi e Adikhalamani lavorò anche nel tempio di Debod, ora portato a Madrid. I legami del santuario di Iside si leggono egualmente nelle sue relazioni con altri santuari coevi: — il Tempio del leone a Musawwarat es–Sufra (III sec. a.C.) dove sono riprodotte alcune iscrizioni del tempio di Iside a File; — il tempio di Manduli a Kalabsha, costruito al tempo di Augusto, riporta sugli stipiti iscrizioni tratte dagli stipiti dell’ingresso al mammisi di File; — il tempio di Edfu (costruzione iniziata nel II sec. a.C.); — il tempio di Dakka nel cui interno è copiato uno degli inni a Iside (periodo tolemaico); — il palazzo di Natakamani, scavato a Napata (B1500) dalla Missione archeologica in Sudan dell’Università di Roma “La Sapienza”, mostra tre accessi sulla parte mediana di tre lati (est, sud e nord) costituiti da una terrazza preceduta da una scalinata del tutto analoga a quella ripristinata davanti al primo pilone del tempio di Iside a File. Sulle terrazze erano collocate, come a File, statue di leoni (coppie di maschio e femmina) assisi nella posa meroitica; — un edificio in corso di scavo da parte della Missione archeologica in Sudan dell’Università di Roma “La Sapienza” a Napata (B2100), contiguo e coevo al palazzo di Natakamani (B1500), dove alcuni capitelli riprendono quelli del dromos di File, lato orientale, e sono simili anche a quelli della facciata del citato tempio di Dakka (periodo romano); — a Napata fu trovata una statuetta di pietra della dea Iside con Horo fanciullo, ora conservata a Berlino, sulla quale è riportata una iscrizione meroitica (fine II sec. a.C.: la scrittura meroitica comincia ad apparire nel II sec. a.C.); una statua di Iside è stata recentemente rinvenuta negli scavi di Naga, probabilmente coeva al regno di Natakamani; — il tempio di Iside ad Aswan, dove sono copiati due degli inni a Iside. L’avvento del cristianesimo nel VI sec. d.C., in concorrenza a lungo con il culto di Iside, ebbe l’effetto della conservazione delle architetture, non ostante alcune manomissioni. I templi di Iside, Imhotep, Arensnufi, Harendotef, furon trasformati in chiese, e ne fu modificato parzialmente l’assetto in funzione delle esigenze del culto cristiano. Nel tempio di Iside la chiesa, dedicata a Santo Stefano, fu ricavata nello 19

spazio della corte piccola, murando alcuni intercolumni, in modo da orientare il culto verso est. Numerosi rilievi furono martellati per annientarne il potenziale diabolico. Furono aggiunte strutture leggere di legno e pitture, poi rimosse e sparite o cancellate dall’acqua durante la sommersione.

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Fig. 3 Il bacino di File

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