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August 16, 2017 | Author: prossimail | Category: Personal Computers, Nazi Germany, Wilhelm Reich, God, Psychoanalysis
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Disclaimer Questa rivista online è diretta emanazione del Laboratorio di Italiano Scritto e non rappresenta una testata giornalistica poiché viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62/2001. Le immagini pubblicate sono quasi tutte tratte da Internet e quindi valutate di pubblico dominio (è consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro). L’autore dichiara di non essere responsabile per i commenti inseriti. Eventuali commenti dei lettori, lesivi dell’immagine o dell’onorabilità di persone terze non sono da attribuirsi all’autore, nemmeno se il commento viene espresso in forma anonima o criptata. In ogni caso, la redazione non si assume responsabilità per il contenuto degli articoli.

Capo Redattore Giovanni Potente

Grafico Marco Florio

Redattori Francesco Cerminara Pietro Ciardullo Francesco Corigliano Salvatore Di Benedetto Marco Florio Antonella Impieri Hermann Inzillo Giacinta Oliva Francesca Sola Angelo Massimo Tuttobene

Collaboratori Alessandra Cappa Italo Romano

Supporto Tecnico Ing. Polimeni

SVAR Presentanzione   di Giovanni Potente

Personaggi  “non  autorizzati”   • Marcus Garvey, il profeta anticolonialista – Hermann Inzillo - 6 • Giordano Bruno: un uomo che ha tentato di valorizzare il concetto di “IO PENSO” – Alessandra Cappa - 9 • Wilhelm Reich e l’energia orgonica – Salvatore Di Benedetto -11 • Il mancato progresso italiano – Marco Florio - 14 • Ipazia: una verità negata – Antonella Impieri - 16 • Nikola Tesla: dagli Dei all’umanità – Angelo Massimo Tuttobene - 19 • La profezia Lakota – Giacinta Oliva – 24 • Flavio Claudio Giuliano: il miraggio pagano – Francesca Sola – 27

Le  migliori  tesine  del  Laboratorio  di  Italiano  Scritto   2011/2012 • Apologia della musica – Francesco Agresta - 32 • Il finanziamento Pubblico ai Partiti è espressione di democrazia o un grave spreco di soldi pubblici? – Mariangela Astorino - 38 • Crescita e Sviluppo: Il Movimento Cooperativo – Mariangela Aurelio – 42 • Immigrazione: una risorsa per l’Italia – Maggie Bagnato – 49 • L’inaffidabilità della traduzione della Bibbia – Mariangela Bennardo – 53 • Il vamprio ed il capitalismo – Sabrina Borrelli - 58 • La trasgressione come creatività – Raffaella D’Agostino – 62 • I cellulari provocano gravi danni alla salute – Martina De Masi - 65 • Il business spietato delle case farmaceutiche – Alessandra Imparato - 69 • Cuore d’inchiostro: l’importanza della lettura – Cuda Mariya Korchak - 75 • Rinnovabile: una risorsa per l’Italia – Viviana Mambrino - 79 • Multinazionali: avidità di pochi, povertà di molti – Luigi Pullano - 82 • Il linguaggio dei media evolve tra vecchi e nuovi poteri – Cosmo Sisca - 85

• Gruppo Bilderberg: governo di pochi – Maria Pia Spadafora - 88 • Fantomatica Onnipotenza – Alessandra La Neve - 91 • Oratori di ieri, persuasori di oggi – Floriana Ciccaglioni - 98 • Leggere non è una perdita di tempo – Claudia Magnelli - 103 • “TI LOVVO!!!” La lingua italiana tra evoluzione e ignoranza – Valeria Giordano - 107

Cultura  e  Società   • Si prega la clientela di spegnere la tv e di indignarsi – Francesco Cerminara - 113 • Potere e controllo mentale – Alessia Mollo – 115 • Inflazione: cause, implicazioni e conseguenze – Italo Romano- 120 • Intervista a Paolo Rossi Barnard – Francesco Cerminara - 125 • Il Governo mondiale privato e il paradosso del Capitalismo – Giovanni Potente - 128 • Il condizionamento religioso – Francesco Corigliano - 134

SVAR Gentili lettori, il numero 5 di SVAR, che ho il piacere di presentarvi, consta di 3 sezioni. 1. La prima è “a tema”. Gli articoli sono dedicati ad alcune figure della Storia tanto bistrattate ed oggi misconosciute quanto, invece, degne di tutta la nostra attenzione e del nostro rispetto. Penso ad Ipazia, il cui talento di scienziata-filosofa fu sacrificato sull’altare del più becero e truculento fanatismo religioso. La sua infelice sorte rappresenta per noi un monito fondamentale: l’intelligenza deve potersi esprimere libera da ogni dogma e preconcetto, libera anche dai moderni “fanatismi” tecnocratici che stanno costringendo la ricerca scientifica (ormai ben poco “pura”) a risultare funzionale alle logiche industriali e di mercato. Penso, ancora, a quel Toro Seduto sciamano-guerriero che tanta spiritualità avrebbe potuto trasmettere all’ “uomo bianco” che ne sterminò il popolo. E mi riferisco pure a Nikola Tesla e Wilhelm Reich, il cui genio e le cui scoperte, se non fossero stati brutalmente boicottati dall’apparato industriale, finanziario, accademico e politico degli Stati Uniti, avrebbero rappresentato per l’umanità una straordinaria fonte di sviluppo materiale e spirituale. 2. La seconda è costituita dalle migliori tesine degli studenti del Laboratorio di Italiano Scritto dell’anno accademico 2011-2012, quindi è l’esito del lavoro e del talento di alcuni tra i nostri migliori studenti. 3. La terza è una miscellanea di articoli di argomenti vari. Questa suddivisione, tuttavia, cela un filo conduttore unico, una tensione essenziale: la ferma volontà, condivisa dai membri della Redazione e dai collaboratori di SVAR, di non fermarsi alle “versioni ufficiali” dei fatti e alle ricostruzione di comodo che ci vengono fornite su “come va il mondo”. Noi coltiviamo la nostra vocazione spontanea al “sospetto”: il “sospetto” che le “grandi narrazioni” precostituite della storiografia e della cultura ufficiale celino verità da far tremare i polsi, cui occorre dedicare i propri sforzi, i propri studi, persino la propria esistenza. Ogni singola sillaba di questa rivista è frutto di questo impegno.

GIOVANNI POTENTE

Personaggi "non autorizzati"

Marcus Garvey, il profeta anticolonialista Inzillo Hermann

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gni volta che pianto un seme, lui mi dice uccidilo prima che cresca, lui mi dice uccidili prima che crescano.” Cantava Bob Marley in I shot the Sheriff, nel 1973 a meno di dieci anni dall’assassinio di Malcom X e Martin Luther King. Il cantautore aveva in comune con i due attivisti la voglia di vivere in un mondo migliore, non soltanto per i suoi connazionali che ancora a più di cento anni dalla morte di Abramo Lincoln erano costretti a relazionare con uomini poco inclini alla pelle bruna e propensi a definirla negra o nera imitando il colore del loro animo. Bob in quegli anni scopriva anche la malattia che lo avrebbe condotto alla morte, il cancro, non curato dal Giamaicano perché fedele al rastafarianesimo, movimento spirituale filo cristiano che fra le altre cose non prediligeva le cure artificiali. L’ideale Rasta, come amava ricordare Robert Marley, trae insegnamento dalla vita e dalle parole di Marcus Garvey, eroe nazionale giamaicano che aveva un sogno: emancipare tutti gli africani del mondo, non nel loro paese d’emigrazione, ma in Africa. Marcus Garvey nasce il 17 agosto del 1887 a St’ Ann’s Bay in Giamaica, trascorre la sua giovinezza fra i Caraibi e l’America Centrale, finché trasferitosi per ragioni di studio in Inghilterra approderà a Londra; città che per prima accoglierà le sue spoglie il 10 Giugno del 1940. Londra sarà per lui un vero campo di addestramento; lì apprenderà le filosofie di Robert

Love, Booker T. Washington e Martin Delay, parteciperà alla redazione di un giornale e di una radio e potrà raccogliere i frutti del primo congresso Panafricano presieduto da Dubois nel 1909 due anni prima del suo arrivo. Tale conferenza porterà alla formazione di un’Associazione Panafricana proprio nella sua capitale natia, Kingston, che articolerà il suo progetto in sei punti. 1. Garantire i diritti politici e civili di tutta le popolazioni africane e dei loro discendenti nel mondo intero. 2. Migliorare la condizione dei nostri fratelli in Africa in America e nel resto del mondo, incrementando gli sforzi affinché la giustizia sia effettiva. 3. Stimolare l’impegno del nostro popolo nel commercio, nelle industrie e nell’educazione. 4. Incentivare le relazioni fra la razza negra e quella caucasica. 5. Organizzare una sede unica per raccogliere tutti i progressi scritti o realizzati in forma statistica dal nostro popolo in ogni parte del mondo. 6. Stabilire un fondo monetario che si utilizzerà unicamente per il compimento di quanto detto. Garvey leggerà gli scritti di Robert Love a riguardo e apprenderà dal giornalista l’irruenza e la dialettica necessaria per affrontare, da uomo di colore, l’ostilità bianca che persino in Giamaica, terra fra le più multietniche del mondo, era dilagante. Dopo una breve corrispondenza epistolare, Garvey accoglierà volentieri anche le idee cosmopolite di Washington che, molto sinteticamente, prospettavano una capitolazione delle ostilità

contro i neri tramite una loro stessa elevazione sociale, generata soprattutto da un efficace sistema di educazione. Poco più tardi la cosa si concretizzerà con l’apertura di una filiale del Tuskegee Institue in Giamaica. Nell’arco di questi anni, Garvey, che da bambino non era mai stato direttamente colpito dall’odio razziale, riceve in circostanze ancora più sgradevoli il primo insulto personale: nigger (negro), pronunciato, come a distanza di anni lui stesso ricorda, dal padre della sua migliore amica, che dopo un’infanzia ed un’adolescenza trascorse insieme, fu costretta a chiudere i contatti con lui. Garvey, ancora ragazzo, comprese sulla propria pelle quanto le idee nazionaliste di Delay potessero essere congruenti alla situazione in cui versava la sua gente; il nazionalismo nero, movimento il cui fine era l’indipendenza per i popoli africani dalla colonizzazione europea, subirà fra gli anni dieci e gli anni venti del novecento un esponenziale incremento di sostenitori guidati da un’unica persona: Marcus Garvey. Garvey mosse i primi passi ancora una volta nella sua terra natia, la Giamaica. Dopo aver viaggiato per la maggior parte dei territori colonizzati in America Latina, ed aver visitato più della metà degli stati europei; iniziò a porsi delle domande, chiedendosi: “Dov’è il Governo degli uomini Neri?”, “Dov’è il Re ed il suo Regno?”, “Dov’è il Presidente, lo stato, l’ambasciatore, l’esercito, le navi e i grandi uomini d’affari?”, non trovandoli si pose come obiettivo riuscire e crearli. Nel giro di 5 giorni dopo esser sbarcato in Giamaica, nell’estate del 1914 riunì i suoi più fidati amici e fondò l’Universal Negro Improvement Association (UNIA) e l’African Communities League (ACL). Seguendo le orme dei già presenti movimenti Panafricani, forte delle sue idee nazionaliste portate allo stremo dalla sua giovane età, Garvey riuscirà con la sua associazione a surclassare qualsiasi altro sistema di tutela ‘accademico’, traslerà la rivoluzione dai congressi alle piazze si porrà da solo alla guida di popolose marce e determinati sitin; portando sulle strade rumori e suoni che dopo di lui rimarranno silenziosi per altri quarant’anni finché due emblemi della libertà non decideranno di sacrificarsi per essa. Anticipando ulteriormente i tempi, Garvey, come Malcom X e King, muoverà la coscienza degli Stati con un’assoluta non violenza, combattendo però la battaglia più dura non contro i

bianchi, ma contro i suoi stessi fratelli che vedevano in Marcus un veleno pericoloso per ciò che a fatica nel tempo guadagnarono. A tal proposito Garvey disse: “Non ho alcun desiderio di condurre tutti i negri in Africa, alcuni di loro che non stanno bene qui, non staranno bene neanche li”. Egli era inoltre proprietario di un giornale, il Negro World, principale fonte di propaganda del suo movimento, nel 1919 scrisse una violenta accusa contro Edwin P. Kilroe, pubblico ministero statunitense che indagava sull’ UNIA nel tentativo di trovare grane per poterla chiudere, Garvey venne prima arrestato e non contento Kilroe inviò un sicario per toglierlo di mezzo per sempre. L’assassinio fallì ed il sicario morì suicida in prigione, Tyler, il sicario, a differenza di Oswald non fece correre rischi ai mandanti. Tutto ciò accadeva ad Harlem quartiere di New York che assumerà i connotati di un campo di battaglia per Garvey e la sua UNIA; politici a lui ostili tenteranno di ostacolarlo all’esterno ed all’interno delle sue fila, arginandole o separandole come conveniva all’occasione. Garvey reagirà alle opposizioni con ancora più incisività, aggiungendo alle due associazioni ed al giornale anche una compagnia navale, la Black Star Line in evidente opposizione alla White Star Line la produttrice del Titanic. L’impresa navale era un ulteriore tassello nel progetto utopistico di Garvey, lo scopo primo era traghettare gli uomini di colore dai paesi coloniali all’Africa, affinché giunto il Re Nero essi riuniti avrebbero potuto fondare uno stato completamente Africano, senza influenze esterne ed autonomo. Criteri d’azione così ben riusciti, capaci di far iscrivere all’UNIA quasi undici milioni di persone e di portarne in piazza al Madison Square Garden venticinquemila, finirono con lo scardinare ogni vincolo che frenava i suoi avversari nel ricorrere a metodi inoppugnabili. Nell’arco di un anno il numero di infiltrati che manomettevano la serenità interna dell’associazione mandò in frantumi prima la Black Star Line e a catena il giornale e i due figli prediletti di Garvey, l’UNIA e la ACL. Dopo aver trascorso 5 anni in prigione, lascerà le Americhe per rifugiarsi nuovamente in Europa, dove con molta più parsimonia di azioni trascorrerà il resto della sua vita finché non morirà di infarto all’età di 52 anni. Questa è la breve storia di un uomo che ha

cambiato oggi la vita di pochi, forse di pochissimi. Dimenticato dai suoi contemporanei e quasi sconosciuto al mondo odierno. Malcom X e Martin Luther King decisamente a buon merito ne hanno oscurato le gesta, loro che divenendo martiri riuscirono con la morte ad imprimere in eterno il loro messaggio. Bob Marley, seppur defunto, può ancora oggi con la sua musica esprimere l’uomo Garvey con parole che rispetto alle sue, meglio riescono a raggiungere le menti moderne. Kwame Nkrumah, colui il quale rese libera ed indipendente la repubblica del Ghana è forse l’unico ad aver realizzato il sogno di lui, divenendo quel re nero tanto agognato dal profeta. Non mancheranno da parte del politico encomi al mentore attivista; il più grande dei quali è probabilmente la stella nera sulla bandiera del Paese. Marcus rimane comunque un uomo tradito dalla società, convinto che il denaro avrebbe comprato le terre per uno stato africano, come gli ebrei fecero in Palestina; che l’educazione e l’efficienza sociale avrebbero elevato l’uomo nero al pari di quello bianco, senza considerare che quella stessa istruzione aveva reso l’uomo bianco razzista. Ed infine, in uno sprazzo di lucida insanità, che non può non essere celebrato; cercò di ragionare con il Ku Klux Klan, definendo loro avversari migliori dei politici statunitensi, poiché facenti parte di un Clan, proprio come il suo, e quindi adatto ad entrarvi in competizione, con il solito motto : ‘vinca il migliore’.

Giordano Bruno: un uomo che ha tentato di valorizzare il concetto di "IO PENSO" Cappa Alessandra

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7 Febbraio 1600: moriva sul rogo l’eretico Giordano Bruno, un frate domenicano accusato di aver commesso crimini contro la Santa Chiesa. Nonostante siano passati secoli da quella fatidica mattina pochissimi altri tra i grandi personaggi della cultura sono stati al centro di un acceso e critico dibattito come quello che ruota attorno alla figura di Bruno. Ma chi era Giordano Bruno? Una persona in possesso di una memoria prodigiosa, risultato di una sofisticata mnemotecnica coltivata fin dalla giovinezza, acume e grandi capacità critiche che gli costarono diverse accuse di eresia e furono causa dei continui conflitti con le diverse dottrine con cui ebbe a che fare. La sua esistenza fu caratterizzata da una serie di peripezie. Compì numerosi viaggi in diverse città d’Europa, da Ginevra a Tolosa fino in Inghilterra, e dovunque fu dapprima accolto con calore e rispetto per il suo spirito, la sua cultura e la sua eloquenza. Tuttavia in nessun posto riuscì a trovare un riparo duraturo. Le sue dottrine finivano sempre per urtare senza tregua le credenze dei suoi ospiti, di qualsiasi fede fossero. Infine, stanco della sua condizione di esiliato, Bruno ritornò in Italia, a Venezia, come precettore del nobile Giovanni Moncenigo. Questi, dopo sei mesi di ospitalità, lo denunciò al Tribunale dell’Inquisizione. Il famoso processo si tenne i primi tre anni nella città lagunare, proseguendo per i successivi sette a Roma, fino a quel definitivo “scacco” con cui la Chiesa uccise una delle menti più brillanti del mondo. Da qui nascerà il mito di Bruno come martire del libero pensiero, presentato come un vero e proprio

Socrate moderno, morto per non tradire le sue idee e per difendere il diritto al libero esercizio della ricerca filosofica, contro l’oscurantismo e la barbarie ecclesiastica. Egli fu partigiano di una teoria scientifica allora nuova in Europa: l’eliocentrismo del sistema copernicano. Precursore di quelle discipline parascientifiche che oggi ipotizzano l’esistenza di forme di vita extraterrestri, Giordano Bruno, “il sognatore”, rifiutando la cieca ubbidienza alle dottrine della Chiesa del tempo, trovò in Copernico (che a sua volta aveva sfidato la Chiesa nelle sue inflessibili tradizioni) un maestro, e avvalendosi della sua teoria la estese fino a coinvolgere l'intero universo. Laddove Copernico trattava del moto della Terra, Giordano Bruno immaginava un universo infinito, popolato da un'infinità di stelle come il nostro Sole, ciascuna circondata da pianeti ove crescono e prosperano esseri intelligenti. Le implicazioni teologiche del suo pensiero erano clamorose: postulando l’esistenza di altre forme intelligenti, o umane, Adamo non era più il padre comune dell’umanità e non ci poteva più essere redenzione universale. E d’altra parte, se l’Universo non era più chiuso e finito, prodotto totalmente distinto e distante dalla Divinità medesima, ma infinito e senza confini, esso possedeva troppi attributi della Divinità medesima: per la Chiesa, quindi, un terribile concorrente di Dio. L’infinità dell’Universo comportava che il motore di esso non fosse estrinseco all’Universo, ma intrinseco ad esso medesimo: non fuori, ma dentro l’Universo stesso. L’Infinito secondo Bruno poneva d’altra parte un altro problema altrettanto acuto: essendo l’universo un’emanazione di Dio, esso era di

conseguenza l’unico mediatore tra l’uomo e la divinità. Per Bruno, la vera eucaristia, quindi, era la comunione con la Divinità attraverso la contemplazione dell’Universo. Se in ogni molecola di natura si trova un riflesso dell’anima di Dio, il passo successivo era pensare che il Cristo non servisse più a nulla, che non fosse più necessaria la Redenzione. La Chiesa non poteva accettare tutto ciò e da qui il processo intentatogli durante il quale Giordano Bruno si presentò sempre come filosofo e non teologo, rifiutando accanitamente l’accusa di eresia: egli infatti non predicava ma consigliava l’idea di ricercare la verità sul principio primo dell’Universo. Bruno fu una personalità che si pose in maniera sarcastica e polemica nei confronti delle istituzioni culturali. Il rifiuto delle regole e dei dogmi erano alcuni dei suoi principi più radicati. Un uomo scomodo, quindi? Una minaccia per governi e istituzioni di potere? Assolutamente si! Giordano bruno era un contestatore, uno spirito ribelle a cui però è stata negata la possibilità di esprimersi liberamente, non lasciando emergere quanto di più positivo e moderno il suo IO possedesse. Ma che cosa ha dimostrato Giordano Bruno al di là delle rivoluzioni scientifiche e filosofiche? Che tutti gli uomini hanno la capacità ed il diritto di guardare con i propri occhi senza lasciarsi offuscare ed intimidire dal terrore e dalla paura di ciò che è definito peccato e dalla volontà di controllo da parte del potere. Ai suoi tempi, però, purtroppo bisognava accettare in toto quello che veniva proposto dalla dottrina cattolica ed il fatto che qualcuno si permettesse di criticare la Chiesa, magari introducendo nuovi pensieri, poteva essere sufficiente per essere considerato eretico e messo a morte. Oggi non esiste più questa condanna, ma il resto? Non siamo, forse, ancora schiavi del “pensiero generale” che il Sistema ci propina? Attraverso questo articolo, il mio scopo non è tanto quello di considerare Giordano Bruno dal punto di vista filosofico, piuttosto dal punto di vista umano. Come lo immaginiamo? Come un pazzo che inveisce con le mani al cielo, il viso arrossato e gli occhi quasi fuori dalle orbite? Cosa aveva di così anomalo, di così diverso questo uomo? Solo il coraggio di valorizzare se stesso, di mettere in discussione ciò che lo circondava con lo scopo di capirne i “perché”, un uomo che non ha avuto

paura di esprimere quello che Nietzsche, altro grande personaggio incompreso, definì Superuomo! , e non ha accettato di sopprimere la propria volontà singola in nome di pochi che di saggezza ed umanità non ne sapevano molto. Io immagino Bruno come un uomo pacato che se ne va in giro per le strade, osservando in silenzio ciò che lo circonda e, ponendosi mille interrogativi, sollecita la sua mente alle più svariate soluzioni. Non potrebbe essere l’immagine di una persona qualunque? Eppure dalla storia ci viene descritto come un qualcuno che non aveva nulla a che fare con la gente comune, come un “diverso”. Non è forse un altro esempio di controllo del sistema? Un altro esempio di dogmatismo contro cui sollevare la nostra voce? Di sovversivi come Bruno il passato è stato pieno. Oggi forse con un termine più pacato potremmo definirli ribelli o anticonformisti, un tipologia di persona purtroppo ancora vista con diffidenza. Il perché? Perché “per il pensiero generale non è così”, perché sono “diversi”, perché non chinano il capo senza prima aver espresso la loro opinione, mettendosi in gioco per affermare e dimostrare tangibilmente il loro pensiero tanto da poter a volte ottenere seri e positivi risultati da sbandierare in faccia ai superbi saccenti. Ma forse, al giorno d’oggi se abbiamo la possibilità di essere o meno anticonformisti, se abbiamo la possibilità di tentare di sollevarci contro un muro di oppressione, se abbiamo l’opportunità di schierarci contro stereotipi culturali fatui, indipendentemente se ne si esce da vincitori o da sconfitti, lo dobbiamo a personaggi come Giordano Bruno, che pieni d’amore per se stessi, innanzitutto, ed amanti della dignità e della soggettività del singolo, alzandosi in piedi con umiltà e fermezza hanno dato potere e profonda dignità ad una delle espressioni che lascia fuoriuscire l’anima pensante di ogni singola persona: costoro hanno detto “Io penso”.

Wilhelm Reich e l'energia orgonica Di Benedetto Salvatore

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el corso della storia sono stati molti gli uomini che con le loro scoperte, le loro idee e la loro saggezza avrebbero potuto trasformare questo mondo in un posto meraviglioso, abbondante di tutto ciò che è necessario a ogni essere per vivere libero, sereno e felice. Questi uomini sono stati ridicolizzati, diffamati, isolati e talvolta uccisi dall’autorità di turno per mantenere la società nello status quo imperante. Tra i tanti nomi è doveroso menzionare il Dr. Wilhelm Reich per le sue grandi idee e scoperte che avrebbero migliorato non solo la nostra attuale società, ma anche noi stessi. Wilhelm Reich nacque il 24 marzo 1897 a Dobrzcynica in Bulkovina (l’attuale Romania), ai limiti orientali dell’impero Austro-Ungarico. Primogenito di una famiglia di agricoltori benestante fu istruito inizialmente in casa della madre e successivamente da un certo numero di tutori com’era comune a quel tempo. Fu subito evidente il suo eccellere negli studi, merito della viva intelligenza che aveva e, in parte, del timore che nutriva verso la grande severità del padre col suo orribile carattere, un tipo che non avrebbe sopportato un esito negativo del figlio negli studi. Reich ebbe una fanciullezza ed un’adolescenza molto difficili. All’età di 13 anni la madre si suicidò per sfuggire al violento carattere del padre che aveva scoperto un suo adulterio. Quattro anni dopo suo padre morì di polmonite e Reich, che

aveva 17 anni, diresse per breve tempo la fattoria del padre fino a quando venne distrutta durante la Prima Guerra Mondiale nel 1915. Dopo aver servito l’esercito austriaco sul fronte italiano, iniziò a frequentare l’Università di Vienna e prese la laurea in medicina nel 1922. Mentre studiava per il suo dottorato Reich divenne il pupillo del Dr. Sigmund Freud e, in breve, dopo aver ottenuto la laurea, assistente clinico nella Clinica Psicoanalitica del Dr. Freud dove egli stesso divenne un pioniere della psicoanalisi. In questi anni si concentrò insieme a Freud nel curare pazienti afflitti da diversi tipi di nevrosi. Reich era d’accordo con la teoria di Freud secondo cui la nevrosi e alcune disfunzioni all’interno del corpo erano causate da blocchi che non permettevano agli istinti sessuali di esprimersi liberamente. In seguito però, dati i numerosi insuccessi che si susseguivano, egli prese le distanze da Freud per quanto riguarda la terapia che quest’ultimo utilizzava per curare quei malori. Tale terapia consisteva nel sublimare la sessualità del paziente, togliendogli dall’inconscio le pulsioni sessuali e portarlo a rinunciare in modo consapevole alle passioni stesse. Tutto ciò venne rigettato da Reich che invece si dedicò a rimuovere i conflitti emozionali che si erano creati nell’individuo a causa della repressione della sessualità portata avanti dalla struttura sociale. La famiglia con la sua educazione sessuofobica dei bambini e dei giovani, la chiesa con il suo proibizionismo dei

rapporti sessuali prima e al di fuori del matrimonio e il forte condizionamento di istituzioni come il matrimonio monogamico. A partire dal 1936 condusse esperimenti sulle infezioni che si trasmettevano per via aerea e si rese conto che era impossibile per i microorganismi contagiare dei corpi tramite l’aria. Ebbe qui inizio la campagna di diffamazione contro Reich sia da parte dei psicoanalisti che della medicina generale. Per circa un anno, quasi ogni giorno, apparivano articoli che gettavano fango sul suo nome e sul suo lavoro. Inoltre la minaccia Nazista si faceva sempre più pericolosa e vicina, la situazione stava diventando insostenibile. Fu così che nell’agosto del 1939 Wilhelm Reich lasciò l’Europa per trasferirsi negli Stati Uniti, e non vi fece mai più ritorno. Durante il periodo di ricerca sui microorganismi notò delle forme di transizione tra la materia non vivente e quella vivente: i bioni, da Reich definiti come “l’unità funzionale elementare di tutta la materia vivente”. Fu durante lo studio di un particolare tipo di bioni, i SAPA (Sand Packet), ottenuti dalla sabbia oceanica, che Reich scoprì una particolare radiazione che lo portò ad essere noto negli Stati Uniti e in seguito nel mondo intero. Reich chiamò questa radiazione “energia orgonica” (gennaio 1939). Iniziò a studiarne le caratteristiche, sia a livello puramente fisico che biologico, i quali differenziavano questa energia da tutte le altre. Si tratta di un’energia che non è né di natura elettrica, né di natura magnetica, una sorta di forza vitale che pervade tutto l’Universo e interagisce con tutti gli esseri viventi. Gli studi sperimentali sulle proprietà dell’energia orgonica avevano evidenziato, fra le altre cose, che le sostanze organiche hanno la caratteristica di attrarre e trattenere l’orgone, mentre le sostanze metalliche lo respingono. In base a queste osservazioni Reich fu in grado di creare degli accumulatori di energia orgonica, caratterizzati da strati alternati di materiale organico (lana) e metallo. Costruì dei motori in grado di catturare questa energia direttamente dall’atmosfera terrestre. Pensate ai risvolti che questa invenzione avrebbe portato nella vita di ogni uomo. Energia libera e potenzialmente infinita, niente più petrolio e inquinamento, niente più lavoro massacrante 9 ore al giorno, finalmente libertà ed equilibrio con la natura. L’Universo è abbondanza infinita, diceva Reich, viviamo in un’illusione di precarietà e di limitatezza. Nel corso

dei vari esperimenti con l’orgone il Dr. Reich toccò molti aspetti diversi della scienza. Tra questi le discipline della medicina, della fisica, della cosmologia e della meteorologia. Con degli accumulatori molto grandi di orgone, capaci di ospitare all’interno una persona, Reich curò molti suoi pazienti da diverse patologie. Nel suo libro “La Biopatia del Cancro” (1948), il Dr. Reich documentò accuratamente il suo lavoro riguardante il trattamento di diversi pazienti affetti da cancro terminale giudicati inguaribili dalla medicina ortodossa. Molti di questi guarirono ma, essendo un uomo di scienza molto attento, non fu così avventato da dichiarare il trattamento con l’orgone come una cura per il Cancro. In ambito meteorologico scoprì l’orgone atmosferico e notò che, in presenza di inquinanti di vario tipo, comprese emissioni elettromagnetiche, l’orgone diventava stagnante e causava malattia e danni ambientali. Chiamò questo orgone stagnante “orgone morto” o “DOR”. Gli effetti del DOR erano spesso quelli che contribuivano alla formazione della siccità e dei deserti. Il processo di desertificazione catturò particolarmente l’attenzione di Reich. Ben presto fu in grado di stabilire una connessione fra il processo di desertificazione ambientale e quello che egli definì il “deserto emozionale”. Così come può accadere nell’ambiente che l’energia orgonica venga sostituita dal DOR, la stessa cosa può verificarsi anche all’interno dell’individuo. Le conseguenze per l’ambiente sono la scomparsa progressiva della vegetazione, la trasformazione del terreno fino alla comparsa di sabbia, e la morte delle forme di vita presenti fino a quel momento. Parlando invece del deserto emozionale che subentra nell’interiorità dell’uomo, si ha la morte della creatività, sostituita da un comportamento meccanico e costruito, uno stato in cui ogni grazia e spontaneità naturali sono bandite e perseguitate. Per contrastare la desertificazione Reich aggiunse dei lunghi tubi di rame ad un accumulatore di orgone e lo puntò verso il cielo per aiutare l’orgone atmosferico a bilanciarsi e a creare condizioni favorevoli alla pioggia. Chiamò questo dispositivo “Cloud-buster” (acchiappa nuvole). In un esperimento iniziato nell’ottobre del 1954, ebbe successo nel far cadere la pioggia nel deserto intorno Tucson, in Arizona. Prima ancora che la pioggia cadesse, la presenza di nuovo orgone bilanciato aveva consentito la

crescita di ben trenta centimetri di erba. Questo spettacolo di verde si estendeva su qualcosa come da quaranta a ottanta miglia ad est e a nord della città. Diversi giornali del luogo descrissero quel meraviglioso e incredibile evento. Dopo che Reich riuscì a ripetere l’impresa per almeno un centinaio di volte, alcuni scienziati riconobbero la validità del metodo di Reich. Egli fu capace di dimostrare e misurare l’energia orgonica con un termometro, un elettroscopio e anche con un contatore Geiger. Durante gli anni trascorsi negli Stati Uniti aveva formato diversi gruppi di ricerca che si riunivano in alcuni istituti a lui dedicati, dove si sperimentava l’energia orgonica, il più noto era l’Orgone Institute a New York. Vennero periodicamente pubblicate sei riviste scientifiche che riportavano articoli sullo sviluppo del lavoro orgonomico. L’espandersi delle notizie circa le guarigioni che Wilhelm Reich riportò sui malati terminali di cancro, attrassero presto l’attenzione della Food and Drug Administration (FDA), che intervenne per bloccare le operazioni e scatenò contro Reich una guerra a tutto campo. Accusato di essere comunista, bollato ovunque come ciarlatano, Reich fu denunciato dalla FDA per aver enunciato la scoperta di un’energia che secondo loro non esisteva. Per anni la sua vita e il suo lavoro furono spiati dalla CIA e dall’FBI, coinvolgendo anche i suoi famigliari e i suoi collaboratori. Il suo telefono fu tenuto costantemente sotto controllo, e negli ultimi anni furono ritrovate microspie persino nella sua automobile. Il processo contro di lui si concluse con la messa all’indice di tutti i suoi libri e la distruzione di tutti i lavori scientifici relativi all’orgone. Era necessaria la comparsa della parola “orgone” a qualificare del materiale come degno di essere bandito e distrutto nel caso fosse stato pubblicato. Nonostante le difficoltà, Reich continuava a diffondere le sue teorie attraendo sempre più studenti nel suo istituto scientifico. Le persecuzioni contro di lui continuarono e nel maggio del 1956 Wilhelm Reich fu improvvisamente arrestato per una banale infrazione sulle leggi del trasporto commessa da un suo assistente e fu condannato a due anni di carcere. Dopo otto mesi di prigionia, morì nella sua cella per crisi cardiaca. La famiglia però non ha mai creduto a questa versione ed ha sempre sospettato che Reich sia stato avvelenato. Tutti i progetti, gli strumenti, la documentazione e i

macchinari di Reich furono sequestrati e distrutti. Tutti i suoi libri furono bruciati sotto la diretta supervisione dell’FDA e tutti i riferimenti all’energia orgonica furono cancellati per sempre dalle pagine della storia. Non si era mai vista da parte delle autorità americane, una furia così devastante contro una forma d’energia che secondo loro non esisteva nemmeno. Avendo letto fin qui potrebbe sembrare che Wilhelm Reich e tutto il suo lavoro siano stati distrutti per sempre, ma non è così. Egli rivive in tutti quegli uomini che, nonostante le informazioni perdute e la censura, hanno ripreso le sue opere e le sue ricerche ottenendo anche loro grandi risultati. Negli ultimi anni della sua vita, l’interesse di Reich era rivolto ai bambini del futuro. Solo consentendo ad ogni generazione successiva di crescere un poco più vicino alla natura, diceva, sarà possibile, per l’umanità, ritrovare un giorno il suo vero posto nel creato.

Il mancato progresso italiano Florio Marco

O

rmai è riconosciuto che il computer è un oggetto più che diffuso e che lo usiamo quotidianamente per le cose più semplici come controllare la casella di posta o chiaccherare con gli amici, e per le cose un po’ più utili come visualizzare un percorso stradale o elaborare qualche dato importante. Ciò che prima si faceva impiegando vecchie e polverose enciclopedie ora è risolvibile con qualche semplice click. Si, i computer hanno rivoluzionato il mondo.

Ma quanti di voi sapranno rispondere alla domanda: chi ha inventato il primo PC? Chi non si interessa di queste tematiche risponderà per sentito dire il magnate informatico Bill Gates… beh la risposta è errata! Possiamo ringraziare lui per aver concesso a tutti di poter comprare un PC ad un prezzo accessibile alle famiglie. Se avete risposto il “visionario”, ed ormai defunto, Steve Jobs… vi siete avvicinati: è stato lui a creare Apple II a cui fu assegnato il nome di Personal Computer come lo intendiamo noi, ovvero un computer utilizzato dall’utente finale e non tramite intermediari esperti.Ma lo stesso Apple II non è altro che figlio di un progetto ancora più vecchio e… nostrano! Ebbene si, il primo PC, impropriamente usato con il termine appena descritto, è stato inventato proprio in Italia, ad Ivrea precisamente, in provincia di Torino da Pier Giorgio Perotto, ingegnere e informatico italiano, progettista dell’Olivetti. Ma andiamo per gradi. L’Olivetti nasce nel 1908

dall’Ingegner Camillo Olivetti e pian piano si fanno strada nel mondo della meccanica e dell’elettronica. Famosissime sono le lor macchine da scrivere e pochi sanno che sempre l’Olivetti si annovera il primato di uno dei primi calcolatori elettronici, sto parlando dell’ ELEA9000 (per esteso: ELaboratore Elettronico Aritmetico) creato nel 1957; il nome fa anche riferimento alla filosofia di Parmenide, la scuola eleatica appunto. Questo dispositivo ha aperto le porte all’informatica ma era ancora appannaggio di pochi “eletti”, roba da “scienziati”! Qui entra in gioco Pier Giorgio Perotto che nel 1964 crea la Programma101 (o P101) un calcolatore elettronico da scrivania per la gente comune. E’ stato uno dei pochi ad aver notato le potenzialità dei calcolatori elettronici e voleva condividerlo anche con la gente “comune”, senza intermediari specialisti del settore. Alcuni sostengono che la Perottina (così era stata chiama amichevolmente dai colleghi progettisti) si possa considerare l’archetipo del PC perché essa effettivamente era personalizzabile (ciò che appunto rende Personal un Computer). Il dispositivo era progettato per elaborare le informazioni che l’utente gli forniva tramite tastierino (azionato meccanicamente come tradizione aziendale voleva) ma le elaborazioni e le funzioni che poteva prevedere erano dettate dall’inserimento di una carta magnetica che “leggeva” automaticamente come programmarsi. Le “visioni” di Perotto non finiscono qui: l’uso della carta magnetica verrà poi ripreso dai primi

PC effettivi tramite l’utilizzo dei Floppy Disk (dischi magnetici appunto) per leggere/scrivere informazioni. L’anno successivo l’azienda partecipa ad una fiera sulle nuove tecnologie a New York dove la P101 messa in secondo rilievo perché di poco interesse per l’azienda che ostentava la sua tradizionale tecnologia meccanica, sarà considerata la star della fiera americana del 1965. Il prezzo accessibile (costava $3.200, circa un ottavo dei normali calcolatori in commercio all’epoca) e la semplicità di utilizzo ha permesso all’azienda italiana di entrare nella storia. Il 90% delle vendite vennero effettuate negli USA e sono proprio loro che beneficeranno di questa nuova tecnologia. L’azienda statunitense Hewlett-Packard Company, la nota hp per intenderci, studierà a fondo il dispositivo e l’elettronica italiana che aveva suscitato stupore (e magari un pizzico d’invidia) tanto da replicarlo migliorandolo. Scatta subito la violazione del brevetto e l’hp ammessa la colpa nel 1967 risarcirà l’Olivetti pagando una royalty di $900.000. Per quanto possa essere gratificante far rispettare i propri prodotti nel mondo, sono amareggiato per la scarsa attenzione che l’Italia da alle giovani e promettenti menti nostrane che hanno spesso e ufficiosamente cambiato la realtà sfoggiando altre bandiere che non il tricolore.

Ipazia: una verità negata Impieri Antonella

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ll’udienza generale di mercoledì 3 Ottobre 2007, il papa Benedetto XVI elogiò la «grande figura» del vescovo di Alessandria, Santo e Dottore della Chiesa, Cirillo. Alla numerosa folla accorsa a Piazza San Pietro, il papa presentò la figura del Santo in maniera ineccepibile e lodò la «grande energia» del Vescovo che «resse con mano ferma e grande prestigio la Diocesi Alessandrina» dal 412 al 444 d.C. Nel lungo discorso, che ebbe come intento l’esaltazione del Santo, sarebbe stata forse una nota stonata aggiungere che il Vescovo si macchiò di uno dei crimini più atroci e sempre insabbiati nella storia dell’umanità: l’assassinio della filosofa e scienziata alessandrina Ipazia. Bandiera di laicità, eroina proto femminista, martire della libertà e del pensiero, «prima strega bruciata sul rogo dell’inquisizione ecclesiastica1 », Ipazia era questo e molto altro ancora. Le fonti antiche ci tramandano la vita di una donna dedita allo studio della matematica, dell’astronomia e della filosofia neoplatonica che finì per essere maestra alla scuola di Alessandria, «simbolo insieme ad Atene della cultura antica2». Questa donna intelligente e tollerante attirò su di sé l’odio del Vescovo Cirillo, già noto alle cronache del tempo per aver organizzato una spedizione punitiva nei confronti degli ebrei della città, rei di aver teso un agguato agli attivisti cristiani uccidendone molti. L’eccessivo zelo di Cirillo si tramutò in spirito omicida: i suoi miliziani, i monaci parabalani, saccheggiarono le case dei

giudei che furono spogliati dei loro beni ed esiliati dalla città. Fu, questo, il grande pogrom che preannunciò il massacro di Ipazia. Nel marzo del 415 d.C. i monaci parabalani, su diretto comando di Cirillo, piombarono addosso alla filosofa che tornava a casa da una delle sue pubbliche apparizioni, la spogliarono delle vesti, la massacrarono con cocci aguzzi, facendola a brandelli e diedero alle fiamme i suoi resti. Il suo assassinio rimase impunito, nonostante l’indignazione del prefetto della città, Oreste, intimo amico di Ipazia e acerrimo avversario del Vescovo. L’inchiesta venne insabbiata e solo successivamente condannata dalle fonti bizantine che individuarono in Cirillo il diretto mandante del brutale assassinio e il suo responsabile morale. Secondo la professoressa Ronchey la lotta ideologica di Cirillo contro Ipazia fu frutto di una personale invidia del Vescovo nei confronti della scienziata: infatti, come dichiarato dalla Ronchey nel suo libro, è stato più volte dimostrato che fin dal quarto secolo la chiesa antica manteneva nei confronti del paganesimo intellettuale una saggia neutralità. Molti membri dell’establishment cristiano erano stati un tempo pagani e, divenuti cristiani, avevano conciliato la cultura cristiana alla paideia classica, dimostrando di saper attuare un sincretismo logico e necessario. Cirillo, invece, non si dimostrò capace di riuscire a superare le barriere ideologiche imposte dalla sua cieca intolleranza. Più che di invidia, che non basta a spiegare un gesto di così inaudita crudeltà, io

parlerei di insofferenza e di misoginia nei confronti di una donna che osava parlare ad un pubblico di soli uomini, di odio nei confronti di una vergine senza marito che in quel momento storico rappresentava ancora il paganesimo operante a livello intellettuale, un paganesimo senza dogmi e costrizioni, libero e pensante. Il grande maestro Osho un tempo scrisse: «Io non ti sto dando alcuna disciplina, perché ogni disciplina è una sottile forma di schiavitù. Non ti sto dando alcun comandamento, perché qualsiasi comandamento proveniente da una persona esterna ti imprigionerà e ti renderà schiavo. Ti sto solo insegnando ad essere libero e poi ti lascio a te stesso3 ». La «vittoria» di Cirillo su Ipazia simboleggia proprio questa schiavitù: la fine della libertà di pensiero e l’inizio delle verità dettate e non capite. Uccidendo Ipazia, Cirillo uccise la scoperta, la ricerca libera senza dogmi e senza comandamenti: da questo punto di vista fu, allora, un grande padre della Chiesa, quella Chiesa che pretese e ancor pretende di imporsi sulla libertà di parola e di opinione incarnate da Ipazia. Non citando la filosofa nel suo discorso, neanche per assolvere l’adorato Vescovo Cirillo dall’ombra che «la storia ha fatto pesare su di lui4», il papa Benedetto XVI non ha fatto altro che continuare a sventolare questa bandiera della vergogna; ha, volutamente o no, nascosto e negato una verità, portando avanti gli atteggiamenti tipici delle logiche di potere: schiacciare la libertà e occultare la verità. Ed è per questo motivo che Ipazia è degna di entrare a far parte del gruppo dei personaggi non riconosciuti e scomodi al potere: la sua figura è baluardo del libero pensiero e lei, più di altri, ha ostacolato, pagando un caro prezzo, il dileguarsi della cultura ufficiale che da sempre ha tentato di esercitare il suo potere condizionando le menti e manipolando la verità. Di Ipazia non restano scritti che testimonino il suo contributo effettivo alla scienza e alla filosofia neoplatonica, ma quel che a noi interessa è il contributo che Ipazia ha lasciato anche solo indirettamente: il suo saper essere una donna libera e pensante; il non cedere alla tranquillità del comandamento imposto; la determinazione nel chiedersi il perché delle cose. Per questi motivi gli illuministi ne hanno fatto una martire del libero pensiero, facendo convergere nella sua figura di donna le loro istanze e le lotte politiche. Vincenzo

Monti, ad esempio, si serve della figura di Ipazia nella sua lotta contro il fanatismo religioso che impedisce il vero trionfo della ragione e «incoraggia la Chiesa a ingerirsi nelle cose dello Stato5 »: […] La voce alzate, o secoli caduti, gridi l’Africa all’Asia e l’innocente ombra d’Ipazia il grido orrendo aiuti. Gridi irata l’Aurora all’Occidente, narri le stragi dall’altare uscite, e l’Occaso risponda all’Oriente. Mostri i sacri pugnali e le ferite Che larghe e tante nel suo seno aperse d’una parola, d’una idea la lite. Dica le colpe orribili e diverse della romana meretrice, e quanta i suoi mariti infamia ricoperse6. […] A questi gloriosi versi vorrei far seguire un resoconto della situazione attuale. Nonostante siano passati secoli, la figura di Ipazia e la verità sul comportamento dell’atroce Cirillo sembrano essere ancora un tabù. Infatti, nel 2009 venne presentato a Cannes il film di Alejandro Amenàbar dal titolo Agora. Il film narra, forse in maniera un po’ romanzata, la vita della giovane filosofa e la sua atroce fine per mano dei parabalani. Il regista non ha risparmiato i cristiani, ritraendoli come bruti che saccheggiano e distruggono la Biblioteca di Alessandria e compiono omicidi di massa in nome di Dio. Questo ritratto, fedele tra l’altro, ha forse fatto indignare la Chiesa cattolica, impegnata su tutti i fronti a salvaguardare la sua immagine, al punto che l’uscita del film nelle sale italiane era stata negata: nessuna casa cinematografica si era accollata le spese per la riproduzione del film in Italia. Come era prevedibile, tutto ciò ha causato un’accesa battaglia mediatica su internet e l’idea del complotto non ha fatto altro che garantire al film un sicuro successo nelle sale cinematografiche. Dispute a parte, Agora ha fatto conoscere anche al pubblico italiano la storia di Ipazia e soprattutto la figura del Vescovo Cirillo che, probabilmente, senza l’uscita di questo film, sarebbe rimasto nell’immaginario collettivo una «grande figura», lodato e osannato per il suo splendido operato.

Note:

1 . S. Ronchey, Ipazia. La vera storia, Milano, BUR, 2011 , p. 1 0. 2. Ibidem, p. 37. 3. Osho, Con te e senza di te, Milano, Mondadori, 201 2, p.1 64. 4. Tratto dall’articolo di Umberto Eco sull’Espresso. Per la lettura dell’articolo rimando a http://espresso.repubblica.it/dettaglio//21 26072 5. Ronchey, Ipazia, cit., p. 75. 6. V. Monti, Il fanatismo. Google books offre una versione digitalizzata dell’intero poemetto alla pagina web http://books.google.it/books?id=nASs1 O6jHCMC&prints ec=frontcover&dq=vincenzo+monti+il+fanatismo&hl=it& sa=X&ei=_HzPT6WhKMXh4QSZoMmSDA&ved=0CDw Q6AEwAQ#v=onepage&q=vincenzo%20monti%20il%2 0fanatismo&f=false

Nikola Tesla: dagli Dei all'umanità Tuttobene Angelo Massimo

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dotti sapienti che fanno parte dell’establishment scientifico provano un’innata avversione verso tutti coloro che non si allineano al loro gretto pensiero uniforme, utilizzando metodi, a volte, ancor più spregevoli e spietati della Santa Inquisizione. Le testimonianze di personaggi caduti nel baratro dell’oblio dovrebbero farci riflettere e suscitare in noi un maggiore interesse attraverso il quale indagare sul perché alcune teorie o scoperte siano state messe all’indice, bollate come pure e demenziali eresie. Si potrebbe fare un elenco di personaggi scomodi che hanno creato scompiglio con le loro scoperte. La loro “colpa” è di aver posto come unico obiettivo, il miglioramento delle condizioni dell’umanità. Tra i nomi più dobbiamo ricordare Nikola Tesla, “l’inventore” del XX secolo. "Mi chiamarono pazzo nel 1896 quando annunciai la scoperta di raggi cosmici. Ripetutamente si presero gioco di me e poi, anni dopo, hanno visto che avevo ragione. Ora presumo che la storia si ripeterà quando affermo che ho scoperto una fonte di energia finora sconosciuta, un’energia senza limiti, che può essere incanalata”. (Nikola Tesla)

Chiunque oggi, spinto dalla curiosità, dovesse accingersi a fare degli studi sul nostro personaggio, certamente rimarrebbe stupito dalla scarsità di materiale su di esso. Spesso alla voce Tesla nelle enciclopedie troviamo brevi paragrafi

che ci illustrano sinteticamente la sua vita, e nella migliore delle ipotesi si associa il suo nome alla cosiddetta bobina di Tesla, utilizzata in tutti i campi dell’ elettronica (un trasformatore usato nelle apparecchiature radio). Si conosce poco di questo scienziato poliedrico, anche perché i testi scritti in accordo con i sistemi del sapere, non diedero spazio alla divulgazione del suo pensiero e all’elaborazione delle sue teorie. Appare evidente che la grave assenza del suo nome dai libri di testo è da attribuire non all’inefficacia delle sue invenzioni, ma al disturbo che il suo ingegno avrebbe potuto creare alle economie mondiali, attraverso la sua serva: la scienza ufficiale, anch’essa non immacolata al perverso gioco del lucro. D’altronde chi possiede il controllo sulla scienza può dominare la società in tutta la sua interezza. “Scientia est potentia”, diceva sir Francis Bacon (ritenuto da alcuni addirittura uno dei primi fondatori della “nuova”massoneria post-medievale). Ma chi era veramente Nikola Tesla? E perché è stato volutamente oscurato dalla scienza ufficiale? Un personaggio scomodo, un malato di mente, di sicuro un personaggio fastidioso per i padri del profitto. Andiamo a ritroso nel tempo, fino al 1856, alla notte tra il 9 e 10 luglio: in mezzo al fragore dei tuoni e alla luce accecante dei fulmini, nasce Nikola Tesla. Episodio questo che verrà ricordato come un segno del destino, proprio perché fu il primo uomo a creare folgori nel suo laboratorio in Colorado. La sua famiglia era composta dal padre

Milutin, reverendo ortodosso, particolarmente erudito, con una straordinaria capacità mnemonica; da sua mamma, Georgina Djuka Mandic, che discendeva da una delle più antiche famiglie contadine del paese, nota per aver inventato numerosi attrezzi agricoli. Il giovane Tesla cresce in questo piccolo villaggio e fin dai primi anni si nota in lui una precoce bramosia di apprendimento. Rimaneva sveglio tutta la notte per studiare, rubando i libri del padre dalla sua biblioteca personale. L’infanzia del genio serbo venne turbata dalla prematura scomparsa del fratello maggiore, morto a soli 12 anni. Fu un trauma per il giovane Nikola che superò solo grazie alla ricerca e alla lettura. Egli fu un bambino fuori dal comune. A volte aveva delle visioni talmente vivide da non distinguere più la realtà tangibile dall’immaginario. Nessuno degli psicologi, ai quali Tesla si rivolse, gli seppero dare una risposta. Il fenomeno si manifestava spesso di notte. Queste illuminazioni lo accompagneranno per tutta la sua vita e caratterizzeranno ogni invenzione. La sua mente era in grado di formare un’ immagine che poi veniva sviluppata nella realtà, “semplicemente” utilizzando il calcolo mentale, senza l’ausilio di modelli o elaborati scritti. Stando alle sue parole, ogni suo pensiero veniva suggerito da una fonte esterna: i suoi organi sensoriali erano capaci di interagire con essa. Da quanto ci viene descritto dalla poche fonti, sembra di stare di fronte ad un essere sovrannaturale. Parlava 9 lingue e conosceva a menadito le opere di Shakespeare, Goethe e Locke. Verrebbe quasi da dire che Tesla faceva parte degli dèi scesi sul pianeta Terra per mettersi al servizio dell’umanità, sacrificando il suo ingegno e donandolo al genere umano. Scelse di non sposarsi e di non condividere la vita con una donna; delle donne non amava gli ornamenti utilizzati per abbellire la loro persona, come gli orecchini. Inoltre adorava il numero tre. Ma la cosa che lo rendeva umano, era il gioco d’azzardo, questo lo intrigò così tanto che arrivò a giudicarlo come la “quintessenza del piacere1 ”. Il suo corpo sembrava poter entrare in risonanza con qualsiasi tipo di vibrazione presente nell’ambiente. Il fischio di un treno lontano 30 km poteva produrgli dolori insopportabili ai timpani. Al buio aveva la sensibilità di un pipistrello. Riusciva a rilevare la presenza di un oggetto fino a 3 metri2.

Nonostante le sue doti fuori dal comune, Tesla non ebbe mai il senso degli affari né tanto meno metteva come fine ultimo il guadagno. Si considerava profondamente religioso, ma non fu mai un seguace ortodosso. Egli affermava: “Il dono della forza della ragione ci viene da Dio, dall’essere divino, se concentriamo le nostre menti su questa verità, stabiliamo un ‘armonia con questa grande forza3 ”. Queste sensazioni, lo portarono un giorno, ad avere un’illuminazione durante una passeggiata insieme ad un suo amico, nel parco di Budapest dove si trovava per lavoro e ad ideare l’invenzione del motore a campo magnetico (tecnica che verrà in seguito utilizzata per la corrente alternata, sostituendo gli obsoleti commutatori ad induzione polifase), disegnandolo sul terreno con un bastoncino di legno. Nel 1882 si trasferì a Parigi per collaborare con la Edison Continental Company, riuscendo a ridurre i difetti dei sistemi utilizzati nelle centrali elettriche. Conobbe l’ingegnere inglese Charles Batchelor, il miglior tecnico della Continental Edison Company europea. Sarà proprio quest’ultimo che con una lettere di presentazione portò Tesla ad emigrare negli USA, nel 1884, per conoscere Thomas Alva Edison, personaggio di spicco dell’epoca per aver ideato e commercializzato, la corrente alternata, l’invenzione del fonografo e la prima lampada elettrica, al quale fu proprio Tesla ad esporre i concetti della sua scoperta relativa alla corrente alternata. Edison era un fiero sostenitore della tecnologia relativa alla corrente continua, e le idee sostenute dal giovane scienziato serbo non suscitarono in lui alcun interesse, poiché andavano in contrasto con l’affermata idea del magnate della corrente continua. Riconoscendone comunque le potenzialità, lo volle con sé nei suoi laboratori. Per un periodo di tempo , il giovane immigrato dovette lavorare come scavatore di fossati, sempre per la stessa azienda, per poter sbarcare il lunario; solo successivamente gli fu affidato l’incarico di modifica della progettazione della dinamo, cioè dei generatori di corrente continua, con una promessa verbale di 50.000 $. Ma qual era il motivo che spinse il più noto ingegnere americano a non dar retta al progetto di Tesla sulla correnta alternata polifase? Semplice: l’inventore della prima lampadina aveva respinto il progetto in quanto tutto il suo impero fino ad allora costruito rischiava di

andare in fumo. A quell’epoca la corrente continua, seppur non adatta a coprire lunghe distanze, rappresentava lo standard di riferimento per tutto il mondo industrializzato, ed Edison ne era stato l’ideatore. Egli aveva un forte seguito nel mondo scientifico: i grandi magnati avevano fino a quel momento investito e finanziato nella tecnologia della corrente continua. Una volta terminato il proprio compito, Tesla si vide rifiutato il credito dallo stesso Edison con una battuta ironica di dubbio gusto: “Tesla, voi non capite il nostro humour americano”, sostenendo in pratica che la ricompensa promessa fosse stata solo uno scherzo. Non sembra troppo difficile a questo punto comprendere il motivo per cui il nostro uomo di scienza abbandonò la Edison Company. Tesla è un uomo tenace e non demorde. Il 16 maggio del 1888, viene invitato come relatore per una conferenza sulla corrente alternata presso l’Istituto Americano di Ingegneria Elettrica, durante la quale conosce uno degli uomini d’affari più noti dell’epoca, George Westinghouse, famoso per alcune invenzioni per il trasporto ferroviario. Quest’ultimo non esitò ad investire sul promettente scienziato serbo, acquistando i suoi brevetti sulla corrente alternata e stipulando un contratto milionario. Fu così creata la Westinghouse Electric Company. Questo per Edison fu un brutto colpo. Egli non poteva permettere un simile cambiamento. Con questo contratto stipulato con la Westinghouse, Tesla avrebbe ricevuto dei compensi altissimi, in particolare un milione di dollari per i brevetti e le royalties4. Nessuno, inizialmente, capì l’importanza di questa nuova via presentata da Tesla. Chi lo capì fece di tutto per portarlo fuori strada per non inceppare il meccanismo proficuo del commercio della corrente continua. Da allora chi ebbe il coraggio di promuovere le innovazioni del giovane scienziato di Smiljan, si portava dietro di sé le minacce e le persecuzioni dell’inquisizione finanziaria che dominava con i loro ingenti finanziamenti la scienza ufficiale. Iniziò così una “guerra delle correnti” tra Edison e Westinghouse. Ma Edison aveva dalla sua una carta in più: i media. Sfruttando la sua immagine riuscì a destabilizzare la gente, creando una propaganda negativa nei confronti della corrente alternata, attraverso dimostrazioni pratiche effettuate davanti al pubblico. Una su tutte,

la crudele esecuzione dell’elefantessa Topsy, fatta abbrustolire viva infliggendole potentissime scariche elettriche secondo i dettami del brevetto di Tesla, per suscitare paura alle persone e creare ad hoc una posizione negativa della CA (CORRENTE ALTERNATA), scatenando una crudele campagna diffamatoria nei suoi confronti. Edison si servì di questi escamotage per insabbiare e portare fuori strada dall’ utilizzo commerciale le idee tesliane, con i riconoscimenti dell’opinione pubblica. La consacrazione definitiva per l’inventore della corrente alternata si ebbe il 10 maggio 1893, quando il presidente degli Usa Grover Cleveland spinse lo storico interruttore che accese più di 200.000 lampadine che illuminarono la fiera di Chicago. Tesla, uomo dall’animo nobile, tentò di sottrarre la scienza dal controllo dei banchieri per asservire l’umanità, questo era il libero pensiero di Tesla, libero come la sua free Energy. Potremmo elencare opere sterminate effettuate da Tesla, come il tachimetro utilizzato oggi nelle automobili, il radar, le lampade al neon, gli altoparlanti, il tubo catodico e tante altre. La lista dei suoi brevetti è interminabile. Ma la più sensazionale è di sicuro la progettazione di sistemi che ricavano energia dall’etere. Egli sosteneva l’esistenza in natura e nell’universo di un’energia inesauribile, gratuita e infinita. Vi è energia nel cosmo immagazzinata, che se efficacemente sfruttata può dare all’intera umanità ciò di cui necessita quotidianamente senza l’ausilio di fili o il consumo e lo sperpero di combustibili fossili. Fu una scoperta sensazionale. Grazie alla sua intuizione, rivelò che la crosta terrestre è un ottimo conduttore di energia elettrica. Egli sosteneva che la zona dell'atmosfera terrestre posta a 80 km dal suolo, detta ionosfera, era fortemente conduttrice, e quindi poteva essere sfruttata per trasportare energia elettrica per grandi distanze, catturando l'energia sprigionata dal sole e proponendo anche un “sistema mondiale di comunicazione”, utile per comunicare telefonicamente, trasmettere notizie, musica, immagini5 . Aveva praticamente teorizzato la radio, la moderna telefonia cellulare, la televisione e internet. Lo scienziato si era posto un obiettivo ambizioso, ma che richiedeva somme ingenti.L'articolo catturò l'attenzione di un altro magnate dell'epoca, J. P. Morgan che offrì un finanziamento di 150.000 $,

esiguo però per costruire tale stazione trasmittente. Tesla si mise subito al lavoro, procedendo alla costruzione di una torre altissima nel quartiere di Wanderclyffe, Long Island, New York. Per quanto la Wanderclyffe Tower si fondasse sul principio della radio, lo scopo che primariamente Tesla voleva conseguire era la trasmissione di elettricità senza fili, obiettivo che il nostro scienziato non espose a Morgan. Questo tipo di apparato avrebbe rivoluzionato il globo e di conseguenza avrebbe reso vano ogni investimento dei colossi del commercio dell’energia. Morgan era sempre stato informato che la torre servisse per le telecomunicazioni e su questa ipotesi l’aveva finanziata. Il 12 Dicembre 1901 il mondo fu sconvolto da una notizia sensazionale: Guglielmo Marconi aveva trasmesso la lettera “S” oltreoceano, da una località in Cornovaglia. Tale informazione era stata trasmessa a Newfoundland, in America. Morgan, contrariato, ritirò l'appoggio finanziario a Tesla. Ancora una volta gli interessi economici che i grandi finanziatori volevano perseguire frustravano l'obiettivo che lo scienziato serbo voleva perseguire. Con il sistema mondiale di trasmissione “wireless” di Tesla, chiunque avrebbe potuto rifornirsi di energia con una semplice antenna piantata in giardino, usufruendone dalle stazioni riceventi dislocate opportunamente sul globo. Tutti i lobbisty si schierarono contro i progetti futuristici del nostro inventore così come i mass media controllati dai potenti iniziarono una campagna diffamatoria nei suoi confronti. Riuscì a trasmettere con la Wanderclyffe Tower una notevole quantità di energia elettrica dal suo trasmettitore da Long Island a Los Angeles (4.000 km circa di distanza) con un consumo pari solo al 2 % rispetto al 30 % della corrente trasmessa via cavo. Purtroppo il suo obiettivo venne ostacolato con ogni mezzo possibile. Nel 1912 Tesla fu candidato al premio Nobel per la Fisica condividendo il premio con Marconi, che l’inventore di Smiljan rifiutò inderogabilmente affermando che Marconi aveva utilizzato 17 dei suoi brevetti sulla telegrafia senza fili. Solo nel giugno del 1943, cinque mesi dopo la sua morte, la Corte Suprema degli Stati Uniti in una sua decisione (caso 369, 21 giugno 1943) riconobbe che Tesla aveva per primo inventato la radio. Nel 1892 si recò in Germania per discutere di

un’interessante scoperta sulla fisica delle onde con il prof. Hertz. Divergenze di opinioni portarono lo scienziato serbo a far ritorno negli Usa senza aver avuto la possibilità di ottenere un cordiale confronto scientifico. Quello che aveva messo in luce era di poter migliorare il sistema hertziano in quanto andava incontro a considerevoli dispersioni nell’atmosfera producendo elettrosmog. Fu il primo a capire il problema dell’inquinamento elettromagnetico, e l’inefficacia della sua propagazione che poteva essere interrotta dagli ostacoli come montagne o grandi costruzioni ed essere condizionata sensibilmente da eventi meteorologici. La ricetrasmissione delle onde radio effettuata da Tesla era caratterizzata invece dall’alta qualità del segnale e da una scarsa dispersione su ampia scala sopprimendo le onde elettromagnetiche. Degli esperimenti effettuati dal nostro scienziato non ci restano che accenni su documenti rilasciati dagli archivi del FBI, tra i quali bisogna ricordare quello che avvenne nel già citato laboratorio di Colorado, dove riuscì a produrre fulmini artificiali di ben 50 m di estensione con tuoni fragorosi. Sul diario dove annotava alcuni appunti, ci vengono descritti i fenomeni dei fulmini globulari, o dette palle di fuoco6. In un’intervista rilasciata a William L. Laurence comparsa sul New York Times del 22/09/1940, Tesla annunciò al mondo la Teleforza, consistente di quattro invenzioni già testate che consistevano in: 1)un mezzo per produrre raggi nell’aria libera senza alcun vuoto; 2) un metodo di produrre una forza elettrica molto forte (per forza si intende tensione); 3) un metodo per amplificare questa forza elettrica; 4) un metodo per produrre una tremenda forza elettrica propellente. Alcuni scienziati posteriori, si sono appropriati delle scoperte e delle invenzioni di Tesla, per applicare a fini opposti a quelli dell’ingegnere slavo le armi a raggi di particelle per il progetto HAARP, le emissioni ELF per il controllo della mente e altri crimini contro l’umanità. La teleforza

, denominata raggio della morte, aveva la capacità di distruggere un’armata a 200 miglia di distanza. Tesla la considerava un’arma difensiva che presentava molte analogie con le armi laser a fasci di particelle: le forze armate americane intendevano posizionarla su navicelle o satelliti militari nell’ambito del progetto americano dello scudo spaziale. Il 5 gennaio 1943 Nikola Tesla contattò il dipartimento americano e parlò con il colonnello Erskine, proponendogli di rivelare il segreto del suo raggio della morte. Il 10 gennaio, esattamente due gironi dopo, venne trovato morto nella sua camera d’albergo. Il medico che lo esaminò, stabilì che la morte risaliva alle 22.30 del 7 gennaio. La segretaria di Tesla, Charlotte Muzar, scrisse che al momento della scoperta della morte dello scienziato nella sua stanza mancavano diversi fogli e alcuni oggetti7. Questi furono secretati dall’FBI . La causa del decesso venne ufficialmente attribuita dal medico a una trombosi delle coronarie, anche se fino al quel momento Tesla non aveva alcun disturbo di natura fisica. Vennero celebrati i funerali di stato ai quali parteciparono più di duemila persone. Dopo la sua morte, J.Edgar Hovver, capo dell’FBI, diramò un promemoria in cui raccomandava la massima riservatezza sulle ultime vicende collegate a Tesla, per evitare qualsiasi tipo di pubblicità sulle sue invenzioni. Classificò tutti gli studi di Tesla Top Secret e dispose il sequestro di tutti i suoi effetti personali. Gli agenti dell’FBI scoprirono così che lo scienziato nel 1932 aveva depositato una sua invenzione nella cassetta di sicurezza dell’Hotel Grosvenor Clinton e si impossessarono anche di quella. Gli uomini del governo requisirono un tir di materiale di estrema importanza, destinato a progetti di difesa nazionale. Thomas Berden, fisico- matematico statunitense, affermò di essere convinto che i documenti requisiti a Tesla nella camera d’albergo, dopo la sua morte furono utilizzati per la creazione della tecnologia H.A.A.R.P. (Hig Frequency Active Auroral Research Project), un sistema di armi geofisiche americano tuttora secretato. Questo brevetto avrebbe potuto alterare la ionosfera, ed inoltre sarebbe stato capace di neutralizzare missili , velivoli e satelliti nemici. Il sistema HAARP è in sostanza un dispositivo ideato per scopi difensivi, mai pubblicati ufficialmente dagli archivi dell’inventore.

La storia di quest’uomo venuto dall’Europa per cercare maggiore fortuna e mettere al servizio dell’umanità le sue scoperte è veramente esemplare ed esaltante allo stesso tempo. Egli è divenuto la più grande minaccia per le sedute plenarie di capitalisti col cuore verde come il Dollaro, quali Morgan, Warburg, Rothschild ed Harrimann, che controllano ancora le nostre economie mondiali. L’ingegno di Tesla poteva metter a repentaglio gli equilibri economici già consolidati del sistema finanziario di sfruttamento delle risorse, per il guadagno in favore di pochi usurai delle corporations dei carburanti fossili, dell’industria degli armamenti e delle multinazionali avrebbe rivoluzionato le fondamenta per una nuova Fisica. Note : 1. Pizzuti, Marco, “Scoperte scientifiche non autorizzate”, 2011 Vicenza, Edizioni Il Punto d’Incontro. 2. Ibidem pag. 29 3. Ibidem pag. 31 4.Con Royalty si indica il pagamento di un compenso al titolare di un brevetto o una proprietà intellettuale, con lo scopo di poter sfruttare quel bene per fini commerciali. (Wikipedia) 5.L'energia elettrica può essere propagata attraverso la Terra e anche attorno ad essa in una zona atmosferica chiamata cavità di Schumann. Essa si estende dalla superficie del pianeta fino alla ionosfera, all'altezza di circa 80 chilometri . Le onde elettromagnetiche di frequenza estremamente bassa, attorno agli 8 hertz (la risonanza di Schumann, ovvero la pulsazione del campo magnetico terrestre) viaggiano, praticamente senza perdite, verso ogni punto del pianeta. Di Vittorio Bccelli, “Nikola Tesla un genio volutamente dimenticato”, file in pdf pagg. 117118 http://www.nikolatesla.it/ 6. Pizzuti, Marco, “Scoperte scientifiche non autorizzate”, 2011 Vicenza, Edizioni Il Punto d’Incontro, pag.101 7 .Ibidem pag.134

La profezia Lakota Oliva Giacinta

S

Sfogliando un qualsiasi libro di storia, comunemente usato dagli studenti delle scuole superiori, andavo alla ricerca della storia dei nativi d’America. Essa è trattata in un breve, superficiale e alquanto ridicolo paragrafo, a sua volta inserito nel capitolo intitolato : “Le origini dell’egemonia Europea sul mondo”. Qui si descrivono i “pellerossa”, nominati così da diversi libri, come un popolo assai arretrato, che non conosceva l’uso dell’aratro e della ruota. Andando alla ricerca di un nome in particolare, Toro Seduto, ho notato che esso vi era nominato una sola volta, in un paragrafo lungo un rigo e qualche parola. La guida spirituale di molte esistenze maltrattata e così poco considerata. Proprio per questo tale articolo sarà dedicato ad uno dei più importanti “subalterni” della storia Tȟatȟaŋka Iyotȟaŋka. Tutti avranno sentito, almeno una volta nella vita, il suo nome più commerciale, Toro Seduto, che non è soltanto quell’indiano con le trecce e sul capo una penna d’aquila che troviamo nei poster dei supermercati. Egli fu uomo di grande spiritualità, un valoroso guerriero e un negoziatore intransigente, nonché compositore ed artista , capo e uomo sacro per i Hunkpapa Lakota, noti con il nome di Siuox. Nasce a Grand River nel 1831. Prese il nome del padre, Tȟatȟaŋka Iyotȟaŋka ( esattamente bufalo seduto), all’età di 14 anni, quando durante una battaglia contro la tribù degli Absaroke riuscì a battere un guerriero mentre cavalcava; quella occasione, in cui lui dimostrò il suo coraggio, gli

fece ricevere anche la prima penna d’aquila bianca. Della fase iniziale della sua vita si sa poco, egli divenne sciamano verso i vent’anni, conosceva i principi delle erbe medicinali, e aveva la capacità di predire gli avvenimenti. Venne a contatto con i “visi pallidi”(l’uomo bianco), che “lasciavano solo tracce di sangue dietro di loro”, quando nel 1874 si sparse la voce che nel territorio sacro dei Lakota, Paha Sapa (Black Hills), vi era “quel metallo giallo che fa impazzire i bianchi”, l’oro. Il governo americano, appresa tale notizia, mandò il tenente - colonnello Lunghi Capelli, ovvero il tenente - colonnello Custer, nel cuore delle sacre Black Hills. Così facendo Custer stava violando il trattato di Fort Laramie del 1868 che principalmente vedeva i Lakota come uomini liberi e che annullava la cessione delle Black Hills all’uomo bianco, ciò diede vita alla più grande guerra degli indiani d’America contro i bianchi. Toro Seduto aveva predetto questo avvenimento: egli durante una danza del sole (era una cerimonia di sofferenza e stoica sopportazione del dolore che si teneva una volta all’anno, e voleva sottolineare che l’unica cosa che l’uomo possedeva era il proprio corpo) si tagliò 100 pezzi di carne dalle braccia e danzò per oltre 24 ore; mentre danzava si manifestò a lui una visione di soldati che cadevano, fu la profezia esatta di ciò che sarebbe accaduto un mese più tardi. Il 25 giugno 1876 Custer condusse cinque compagnie di cavalleria direttamente verso l’accampamento dei Lakota,presso il fiume Erba che scivola, qui iniziò

la battaglia che durò all’incirca venti minuti e vide come vincitore il popolo Lakota. Purtroppo con l’andare degli anni l’uomo bianco, con la sua arrogante prepotenza , riuscì nel suo intento: desacralizzò le Black Hills e iniziò la pazza ricerca dell’oro. Toro Seduto condusse a quel punto il suo popolo in Canada dove voleva assicurare ad esso il tradizionale e libero stile di vita nomade, essi si muovevano insieme al sacro bufalo, che garantiva loro la sopravvivenza. Purtroppo dopo pochi anni il popolo Lakota e Toro Seduto dovettero riattraversare i confini per le condizioni di vita assai precarie e solo per il bene del suo popolo si arrese all’uomo bianco, andando a vivere nella riserva, i cui confini erano stati stabiliti dai visi pallidi. Confini, possedimenti, soprusi, desacralizzazione, l’uomo bianco stava distruggendo la vita dell’uomo nato libero. La loro libertà si può notare anche nei luoghi abitati dagli indiani d’America:le infinite pianure del nord, avvolte nella meravigliosa bellezza della natura, la loro madre. Abitare in una riserva significava per l’uomo Lakota essere soffocato fino alla morte. Toro Seduto portò in salvo il suo popolo nella riserva, e qui James Mc Laughlin il caparbio agente indiano, intendeva far diventare gli indiani simili ai bianchi , ma Toro Seduto, insofferente nei confronti dello strapotere militare, non riuscì ad andare contro la sua natura, egli era un indiano e sarebbe rimasto tale, infatti non rimase confinato nella riserva. Nel 1885 partecipò allo spettacolo” Wild West” di Buffalo Bill per 50 dollari alla settimana, guadagnando un dollaro in più per ogni foto autografata. Nel 1887 ebbe il presentimento che il governo era in procinto di portar via altra terra al popolo Lakota, tornò quindi nella sua famiglia nella riserva di Standing Rock e qui ebbe un’altra visione profetica: il suo stesso popolo l’avrebbe ucciso. Anche questa profezia risultò essere veritiera, infatti quando la danza del sole fu trasformata in danza degli spiriti (cerimonia che sosteneva che gli indumenti usati durante il rito avrebbero reso inviolabile il popolo Lakota dai colpi dei soldati, a tutti era consentito danzare fino allo sfinimento e questo rito stava facendo impazzire i praticanti), Mc Laughlin diede l’ordine di far cessare la danza, Toro Seduto si oppose e Mc Laughlin ne ordinò allora l’arresto. L ’incarico venne dato a dei

poliziotti reclutati tra gli indiani stessi; il 15 dicembre 1890, prima del sorgere dell’alba, i poliziotti si recarono da Toro Seduto per arrestarlo, ad un tratto un seguace del grande capo fece fuoco contro il drappello, che non esitò a rispondere al fuoco e così Toro Seduto venne colpito al petto e alla testa. Scoppiò il finimondo , quella fredda mattina 6 poliziotti indiani e 7 seguaci di Toro Seduto, compreso il figlio Zampa di Corvo, morirono insieme all’eroe indiano, un’altra profezia si era avverata. Toro seduto forse sarà descritto come colui che strappò il cuore al generale Custer, o come il pellerossa selvaggio, che si vede nei film, che invade il piccolo paese borghese per violentarne le donne e uccidere i bambini. Sicuramente abbiamo imparato una cosa: non dobbiamo credere sempre alla storia che ci viene raccontata, perché dipende da chi la racconta. Quella di Toro Seduto è una figura complessa e affascinante; nonché una figura che ancora oggi ispira coloro che vogliono combattere per la propria libertà e per i propri diritti, rifiutandosi, come il grande capo, di chinarsi all’arroganza del potere. La corsa all’oro non è ancora finita, anzi sta sempre di più aumentando, l’uomo diventa sempre più avido, il “viso pallido” sta distruggendo senza nessun rispetto ciò che la madre natura ha donato molto generosamente. Direi che anche una terza sua profezia non troppo lentamente, in questi tempi, si sta portando a compimento: “È strano, ma vogliono arare la terra, e sono malati di avidità. Hanno fatto molte leggi e queste leggi i ricchi possono infrangerle, ma i poveri no... Insudiciano nostra madre, la terra, con la loro spazzatura, è strano … L’uomo bianco morirà seppellito dalla montagna dei propri rifiuti”. In caso dovesse avverarsi tale profezia, noi uomini bianchi non possiamo lamentarci, perché lo stesso Toro Seduto ci aveva avvisato: “Quano l’ultima fiamma sarà spenta. L’ultimo fiume avvelentato, l’ultimo pesce catturato, solo allora capirete che non si più mangiare denaro” BIBLIOGRAFIA Conoscenza storica, di Alberto De Bernardi e Scipione Guarracino I cavalieri del West, di Bosco e Rizzi

FILMOGRAFIA Buffalo Bill and the Indians, di Robert Altman L’ultimo pellerossa, di Yves Simoneau SITOGRAFIA http://it.wikipedia.org http://www.indianiamericani.it

Flavio Claudio Giuliano: il miraggio pagano Sola Francesca

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iuliano nacque nel 331 a Costantinopoli; figlio di Giulio Costanzo, apparteneva alla dinastia di Costantino il Grande. Solo, assieme al fratellastro Gallo, sopravvisse, nel 337, alla tremenda purga fratricida che Costanzo II avviò per annientare tutte le potenziali minacce alla sua corona, intendendole incarnate negli elementi maschili della discendenza di Costanzo Cloro e Teodora. Giuliano, forse strappato di nascosto alla strage dai suoi precettori cristiani, forse risparmiato perché di soli sei anni, fu testimone della strage in cui perse in una sola, sanguinosa, notte, il padre, il fratellastro maggiore, lo zio, e sei cugini. Non troppo piccolo per non comprenderne l’orrore, non troppo piccolo per dimenticare e non covare dentro di sé, negli anni della crescita, un odio latente, un orrore cupo verso la religione di cui tanto lo zio era imbevuto, e che già come per il nonno Costantino il Grande, era sempre pronto e comodo rifugio, ai loro occhi, dopo azioni nefaste. Giuliano crebbe lontano dalla corte ed ebbe come precettore l’eunuco Mardonio, che così volle educarlo, a pane e Omero, forgiando la mente acuta del suo discepolo sui fasti perduti della classicità. Giuliano ricevette tuttavia educazione cristiana e crebbe in un periodo di trionfo ariano1 sotto lo zio Costanzo che fu imperatore cristiano di paranoica indole, facilmente indotto a considerarsi al centro di complotti contro la sua vita da parte dei numerosissimi adulatori d’attorno e incline per

natura agli eccidi2. Costanzo è però a capo d’un immenso impero disgregantesi, e deve cedere di fronte alla necessità di affiancarsi un cesare che lo aiuti a difendere i confini: costui sarà dapprima il nipote Gallo, fratellastro di Giuliano. Presto Gallo tornerà inviso all’imperatore e, sommariamente processato, sarà costretto a pagare il fio dei suoi successi militari con la morte per decapitazione. Stesso destino Giuliano teme per sé, quando lo zio lo invita a Milano lusinghevolmente, salvo poi ridurlo in prigionia. Costanzo è però facilmente influenzabile, e sua moglie Eusebia la bella, intercede per il nipote, che a questo punto è inviato in un nuovo esilio ad Atene, in un soggiorno coatto sotto stretta sorveglianza che fu per Giuliano il più bello dei doni. Il nostro giovane rampollo non ha infatti alcuna ambizione di gloria militare, ama soltanto lo studio e la pratica delle virtù filosofiche. Ad Atene sotto gli insegnamenti di Massimo di Efeso, è introdotto alla teurgia del neoplatonico Giamblico, che gli pare la disciplina più efficace non solo per avvicinarsi alla divinità, ma per somigliargli almeno un po’, intrecciando con essa un dialogo scambievole e continuo, attraverso la mistica interpretazione dei simboli e la pratica di rituali precisi. Dietro la parvenza della sua educazione cristiana3 , Giuliano celava la sua fede verso l’antico pantheon pagano e la più completa devozione nell’apprendere i misteri mitraici cui era stato introdotto e le regole della pratica teurgica; chissà

che Giuliano, nel non rivelarsi per il momento, inconsciamente non presentisse il suo destino di potere che davvero gli avrebbe concessa una possibilità, l’ultima opportunità della storia, di reindirizzare il cammino dell’umanità per un’altra via! Giuliano è appena ventenne nel ritratto grottesco che ne dà l’avverso Gregorio di Nazianzo che studia con lui in quegli stessi anni nelle scuole di Atene. Balbettante e euforico nell’accatastare domande e argomentazioni al pari di persona incolta, i suoi stessi caratteri fisici erano risibili; eppure già in questa impietosa caricatura, Gregorio non volendo sottolinea lo strano potere del suo sguardo, un tratto su cui nessun testimone contemporaneo poté tacere di Giuliano: un fulgore di sguardo penetrante e infondente coraggio, che i soldati di lì a poco dimostreranno tanto di amare, che pure le genti di tutto l’impero, ancora da lontano, ameranno in questo giovanissimo uomo soldato, precipitato alla guerra non dalla tenda di un accampamento, ma dai divanetti delle biblioteche d’Atene. Al rapido succedersi d’eventi che lo condurranno dopo pochi mesi, oltre ogni previsione, al cesariato d’Occidente, Giuliano non sa in che altro modo prepararsi alla guerra se non col leggere i Commentarii di Cesare e le Vite Parallele di Plutarco. Questo sarà il suo addestramento. Qui, tutta la sua disciplina militare. Eppure Giuliano fu giovane uomo carismatico più di mille altri campioni dell’antichità. La sua barbetta da filosofo e il suo agile corpo atto alla corsa, ma dalle spalle larghe e le gambe ben salde a dar sicurezza, lo condussero dopo soli quattro anni da cesare in Gallia - dopo una trionfante campagna che riassicurò all’impero tutti i confini occidentali all’acclamazione, da parte dei suoi soldati, alla corona imperiale e ad un atto di insubordinazione, di fronte a cui si trovò forse impreparato, ma che pure decise infine di assecondare, confermando che il topino di biblioteca deriso da molti, poteva ben essere Uomo dell’Occasione, o, meglio, consapevole strumento di un destino per lui prescritto dagli dei. Giuliano chiede allo zio di prendere atto della nuova situazione. Ci si appresta alla guerra civile, ma durante la risalita dai territori persiani verso Occidente alla guida del suo esercito, Costanzo s’ammala; tenta una coraggiosa ripresa della

marcia, ma muore. E’ il 3 novembre del 360. Giuliano è ora unico, incontestato, Augusto: può ora porre la sua mano decisa su di un sogno già da lungo tempo sfiorato. Ora è nelle possibilità di realizzarlo. «Egli ambiva a dare ai popoli la loro prospettiva perduta e soprattutto il culto degli dei. Ciò che più commuoveva il suo cuore erano i templi rovinati, le cerimonie proibite, gli altari rovesciati, i sacrifici soppressi, i sacerdoti esiliati, le ricchezza dei santuari distribuite a persone miserabili4». La rinascita pagana dell’impero, il ritorno all’antico culto e il rovesciamento della dominazione cristiana cominciano ufficialmente con l’editto promosso in favore della libertà di ogni culto sul suolo imperiale che permise la riapertura dei templi e la celebrazione dei sacrifici pagani, mentre fu concesso il rientro dall'esilio a quei vescovi cristiani che per le reciproche dispute tra ortodossia e arianesimo erano stati allontanati dalle loro città5 . Il 17 giugno 362, Giuliano emise un editto con il quale stabiliva l'incompatibilità tra la professione di fede cristiana e l'insegnamento nelle scuole pubbliche. Alla legge fece seguire una lettera circolare che spiegava che il motivo per cui era necessaria tale autorizzazione imperiale per l’insegnamento, è che soltanto maestri che credevano nel pantheon pagano potevano giustamente insegnare le opere dei sommi autori classici che da quelle stesse divinità del pantheon erano stati ispirati nella vita e nel pensiero. Spinto dall’illusione dell’Impero universale, novello Alessandro, s’ostinò nella campagna in Oriente contro i persiani; quivi troverà la morte, ripetutamente ignorando i responsi oracolari sfavorevoli che pure egli puntualmente richiede ai sacerdoti al suo seguito, e il triste presagio del Genio dell’Impero, che col volto mesto vedrà abbandonare la sua tenda, nella notte della vigilia fatale. Mentre le sue gesta lo stanno conducendo alla distruzione delle forze persiane; mentre già ha guadagnato la resa, da lui rifiutata, dal parte del Gran Re Sapore, Giuliano continua a scrivere i suoi discorsi. Giuliano divideva tutte le sue notti in tre momenti: al primo dedicato al riposo, seguiva quello dedicato alla preghiera; nel terzo, prima di prepararsi alla battaglia, Giuliano scriveva. Copiosa la sua produzione, costante nella sua breve vita; dai panegirici alla coppia imperiale, ai

discorsi di giustificazione dei propri atti alle varie province dell’impero, alle satire, agli scritti teologico-filosofici volti a diffondere la sua paideia così che la sua opera di restaurazione non mancasse di valide argomentazioni. Fu arguto polemista e di finissimo acume ma solo nell’ultimo secolo se ne considerò la produzione. Giuliano fu uno dei principali autori greci del IV secolo: tra i suoi lavori, l'opera "Contro i Galilei" gli conquistò l'odio e la demonizzazione del mondo cristiano. L'opera andò distrutta, ricostruibile solo per gli accenni del vescovo Cirillo di Alessandria che lo confutò 50 anni dopo la sua morte. Il 22 giugno del 363 Giuliano moriva nei pressi di Toummara, in Mesopotamia, ucciso da una lancia vagante, nel turbine del polverone sollevato dalla ressa combattente; inerme, protetto dal solo scudo: Giuliano era accorso imprudentemente senza neanche volersi approntare l’armatura; gli urgeva di portare manforte ai suoi soldati, colpiti di sorpresa nella retroguardia. Cade da cavallo, Giuliano, ma tenta di togliersi il legno che da dietro la spalla gli trapassa il torace sino al fianco, non riesce; si rialza e combatte finché le forze non lo abbandonano del tutto. Nella tenda si riprende e vuole tornare a combattere, ma è troppo debole. Morirà a breve, accettando stoicamente la propria morte, rimproverando chi già lo compiange; trascorrerà gli ultimi momenti della sua agonia discorrendo coi suoi amici sull’immortalità dell’anima, lo rasserena il pensiero d’aver mantenuto con tutte le sue forze, gloriosamente, immacolato, l’impero. Le stragi, le torture, i tranelli, le delazioni e le congiure, tutto quanto di più sanguinoso e ambiguo caratterizzava le corti imperiali cristiane come già quelle pagane, sin dall’epoca di Claudio, Tiberio, Nerone. Ma un nuovo elemento, ora, vi s'aggiunge: che neanche il Cristianesimo, il quale pure si proponeva al mondo come una fede dagli altissimi valori morali, riuscì a fermare questo indirizzo torbido dell’anima umana, ma anzi benissimo s’insinuò nel sistema, usufruendo ben presto di quegli stessi strumenti di tortura, di quelle stesse condanne e repressioni che fecero già nel IV secolo molte vittime, una prima caccia alle streghe, in nome di un nuovo principio, l‘Intolleranza. Ben presto, la religione cristiana, che pure aveva apportato inizialmente nuova linfa negli strati sociali più bassi coi suoi ideali d’uguaglianza, e di

carità s’impossessò delle arti classiche della retorica e di ogni strumento di propaganda e di controllo6 e finanche dell’iconografia classica, per avviare quel processo di diffusione del culto che condurrà alla società tardo-antica a maggioranza pressoché totale cristiana. E c'è anche che la formula ortodossa che risulterà vincitrice dalla guerra metafisica sarà così circonfusa di mistero e di irrazionale che necessariamente sarà posta come assoluto dogma, e ciò in maniera indiscutibile e per via definitiva da Agostino. E qui, proprio qui, il Cristianesimo fonda la sua caratteristica intolleranza, nel porre la propria teologia nel sovrarazionale e nel Mistero incomprensibile; nel mistero del Dogma la Chiesa ha fondato la sua indiscutibile sovranità, presentandosi come suprema autorità in possesso delle chiavi per la salvezza, unica dispensatrice dei rimedi dell'anima. Fino al Cristianesimo le metafisiche erano semplicemente delle opinioni, oggetto di una speculazione filosofica costantemente rivalutata e rimessa in discussione di maestro in allievo, di scuola in scuola. Il Cristianesimo ortodosso fece invece della metafisica un dogma "rivelato" e indiscutibile poiché elevato al di sopra delle capacità speculative razionali dell'uomo - ancora abbastanza razionale e "umanamente comprensibile", la teologia di Ario. Di qui l'intolleranza dottrinale tra i partiti, ognuno pretendente per sé della verità assoluta. Il Neoplatonismo, rispetto al Cristianesimo, si mantenne fedele alla libertà di culto, già dalle sue origini, anche quando sembra oltrepassare i limiti della speculazione filosofica per circonfondersi sempre più di religiosità: Porfirio, infatti, ammetteva le varie religioni nazionali in nome di manifestazioni epifaniche dell’Essere che permea l’intero Universo. Partendo dalle premesse di Plotino, egli spiegava le religioni come sforzo dell’anima umana a uscire dal finito e ricongiungersi con Dio. in questo modo riconosceva tutte le religioni nazionali, aborrendo di conseguenza la presunzione esclusivista del Cristianesimo e la sua agguerita intolleranza. Il culto pagano, tuttavia, durante il IV secolo non é che una flebile sopravvivenza, esaurita, dell'antica religione naturale. Le mitiche divinità del pantheon, la cui molteplice coesistenza consentì sempre suprema tolleranza nei confronti dei più

svariati culti, sopravvivevano in riti e celebrazioni vuotate del loro antico significato mistico: déi e dée mitologici, poco più che personaggi letterari al confronto della divinità e dei nuovi santi cristiani rispetto ai quali non erano né contemporanei né storicamente conoscibili -, non ne potevano affrontare la verde irruenza. Resta del paganesimo il folclore religioso nelle campagne, un'antica devozione laddove si é lontani dai centri propulsori del pensiero; ma altrove, là tra le accademie, tra i seggi senatori, nelle scuole di retorica, sopravviveva un sentimento più elevato, più speculativo: una consapevolezza razionale della grandezza della religione patria, del culto a divinità che protessero e resero grandi i popoli ellenici e la loro cultura. Lo spettacolo che si poneva agli occhi di questi liberi, tolleranti, pensatori, erano corti guaste da confessori cristiani, consiglieri infimi che di contro alle effusioni di santità dalla loro ingorda bocca pure non esitavano nel suggerire i più cruenti delitti, i tradimenti più subdoli; apparati burocratici invasi dagli esponenti della nuova fede, che già s'erano affibbiati i maggiori privilegi e già s'erano esonerati dalle comuni tassazioni; popolazioni cittadine che in preda a devoti furori facevano scempio delle vestigia dell'antica fede dei padri. Neoplatonismo e Cristianesimo hanno in comune la necessità di riavvicinare l’uomo alla divinità, sotto forma di espressione panteista nel primo caso, monoteista nel secondo; sono proiezione del fallimento delle religioni naturali e razionali che li precedettero; s’alimentarono vicendevolmente, snaturandosi l’un l’altro. Il Neolatonismo accentuerà il suo carattere mistico, ponendosi sempre più come religione; il cristianesimo, sovraccaricandosi di speculazioni teologiche, finirà con l’impoverire il proprio originario spiritualismo. In effetti nessuna delle due correnti bastò a soccorrere alle aspettative che portavano con sé e di cui l’uomo era da lungo periodo affannato. Al Neoplatonismo difettava di fondare il proprio sistema su divinità ormai fattesi vuoti simulacri; al Cristianesimo la perdità dei valori su cui aveva basato la propria predicazione. E qui giungiamo alla motivazione intima del tentativo di restaurazione pagana di Giuliano: il Neoplatonismo, ristretto nelle elitarie cerchie, spregiato dalle corti, appeso ai suoi Misteri e alle sue meditazioni, preservò quel minimo di idealità

che nel frattempo il cristianesimo aveva perso, per l’altra faccia della sua vittoria, diretta, infausta conseguenza della sua mondanizzazione. Così, dalla necessaria concessione di tolleranza alla fede cristiana, interpretabile inizialmente come intuizione politica, all'imperio intollerante della medesima fede non passano che pochi decenni. Secondo questa lettura, il tentatitivo di Giuliano non può comprendersi se non anche come una necessità di rifondazione morale. La reazione degli antiochesi al soggiorno dell’imperatore nella loro città, ne è certamente la controprova più interessante, così come la lettera di sdegno che gli indirizza in risposta il giovane Giuliano: nulla che accenni a contrasti di tipo religioso, solo un insormontabile abisso tra due stili di vita incompatibili, in cui il degenerato, guarda un po’, non fu certo l’Apostata. Una biografia tanto ricca, non può essere troppo riassunta. Fu leggenda, l’orfanello leopardiano tutto libri, che posto prepotentemente su di un cavallo a guidare l’impero, ne ricuciva i confini in brandelli. Demonizzato come folle visionario e autore di atroci sacrifici umani, fu piuttosto umanissimo, tollerante, un imperatore filosofo che pretendeva come primo criterio per i suoi sacerdoti la sola sensibilità morale, senza limiti di censo o provenienza, che creò ospedali e rifugi per malati, orfani, donne. Che insegnò la carità verso tutti, compresi i malvagi e i carcerati. Non avviò alcuna persecuzione anti-cristiana: i soli 8 martirii7 che vennero riconosciuti dalla tradizione ecclesiastica risalenti agli anni del suo regno, sono per molti motivi discutibili, come avvenuti per opera della folla inferocita su chi aveva profanato templi e cose sacre pagane e comunque non direttamente riconducibili alla volontà dell’imperatore. Sulla sua figura pesò la tradizione vincente della storiografia cristiana, specie plasmata sulle impietose due orazioni di Gregorio di Nazianzo, uno dei padri della chiesa che alla sua morte, così brindava: «Udite, popoli! [. . . ] fu estinto il tiranno [. . . ] il dragone, l'Apostata, il Grande Intelletto, l'Assiro, il comune nemico e abominio dell'universo, la furia che molto gavazzò e minacciò sulla terra, molto contro il Cielo operò con la lingua e con la mano»(Gregorio di Nazianzo, Orazione IV, 1).

Note:

1 . Arianesimo al quale qualche storico cristiano attribuisce la responsabilità del rifiuto netto del giovane principe nei confronti del cristianesimo 2. Tuttavia, secondo Eutropio,Costantio sinente potius quam iubente. La purga del 367 mirò all’epurazione di tutti le potenziali minacce al suo governo, ovvero tutti i membri maschi della dinastia costantiniana. Costanzo attribuirà la responsabilità dell’eccidio a una rivolta militare. 3. Nella sua prigionia dorata di Macellum (Cappadocia), da ragazzo, studiò con serietà, sotto il vescovo ariano Giorgio di Cappadocia, i testi biblici. 4. Libanio, Orazione XVIII, 20. 5. Eppure, nonostante la tolleranza religiosa fosse quasi sicuramente naturale propensione del suo spirito, potrebbe esser vero che nel rientro degli esponenti più caldi delle opposte tendenze cristiane Giuliano sperasse di favorire discordia e debolezza all’interno della Chiesa. Infatti, ‹‹l'esperienza gli aveva insegnato che non ci sono belve più pericolose per gli uomini di quanto non siano spesso i cristiani nei confronti dei loro correligionari››: Ammiano Marcellino, Storie, XXII, 5, 2; ma anche lo storico ecclesiastico Filostorgio, Storia Ecclesiastica, VII, 4. 6. Vedi R. Lizzi, Discordia in urbe: pagani e cristiani in rivolta, in Pagani e cristiani da Giuliano l’Apostata al sacco di Roma, Atti del Convegno Internazionale a cura di Franca Elia Consolino, op. cit. 7. Cfr. F. Scorza Barcellona, Martiri e confessori dell’età di Giuliano l’Apostata: dalla storia alla leggenda,in Pagani e cristiani da Giuliano l’Apostata al Sacco di Roma, op.cit. pag. 54-83

Le migliori tesine del Laboratorio di Italiano Scritto 2011 /201 2

Apologia della musica Agresta Francesco

S

ensazioni, pensieri, parole. Idee che si rincorrono l’un l’altra, come in un infinito gioco d'inseguimenti in cui poco importa il ruolo del vinto o del vincitore, quanto piuttosto il percorso da esse tracciato, segno indelebile del passaggio da una dimensione umana e “materiale” ad una più pura e spirituale, ma non per questo meno attinente al reale. E’ ciò che ci accade ogni volta che veniamo a contatto con quello strano turbinio di voci ed emozioni che comunemente racchiudiamo nella parola “musica”: uno scrigno, un involucro di sette note la cui combinazione (non ci si lasci ingannare dalla cifra) può rappresentare un punto di contatto diretto con tutto ciò che riguarda l’indagine prettamente umana e non solo. Si tratta di attimi fugaci o di lunghi ed intensi viaggi, in cui è facile ritrovarsi smarriti da un momento all'altro, naufragati ed immediatamente immersi in questa sorta di alienante “quarta dimensione”. A volte addirittura affogati in essa, al punto da non poter più trovare una facile via d'uscita. In casi del genere, la migliore bussola in grado di guidarci si costituisce di un precisa armonia tra cuore e mente, passione e ingegno: due perfetti elementi matrici del nostro orientamento, salvagenti a cui aggrapparsi per poter tornare a respirare aria di salvezza. Sempre che, arrivati a questo punto, si voglia ancora essere salvati. Ciò che la mia tesi si propone di mettere in atto, come suggerisce chiaramente il titolo, è una sorta

di apologia della musica, una sua esaltazione come disciplina ed arte totale e totalizzante sotto ogni punto di vista, nonostante il lento declino sociologico e culturale che la porta oggi ad essere ridotta al rango di mero intrattenimento nella considerazione di fin troppe persone. Posta in auge dalla sua natura stessa, che non la vede primeggiare in nessuna ipotetica classifica delle espressioni artistiche: ovviamente non perché non ne abbia merito, ma perché se ne astrae in maniera del tutto consequenziale, dando vita ad una propria dimensione speciale che ne esalta ogni singola e specifica peculiarità. Sin dall'alba dei tempi il suo fascino attrasse irrimediabilmente l'uomo: dapprima grazie ai suoni grezzi, selvatici, ma allo stesso tempo armonizzati in un ammaliante unicum da parte della natura; ed in seguito scoprendo di poter piegare l’armonia alla propria personalità, che fosse attraverso capacità innate (la voce, e dunque la sua equivalente nel canto) o attraverso nuove opportunità dettate dal suo ingegno industriale (e dunque gli strumenti musicali: sin dai più rudimentali, che potevano essere costituiti semplicemente da pietre e bastoni, per arrivare a quelli moderni, in cui il più delle volte l'elettronica la fa da padrona). E' importante sottolineare però come la materia musicale sia il solo ed unico soggetto che agisce in prima persona: potremmo immaginarla come un'entità, che si manifesta sulla terra utilizzando l'uomo come suo strumento (quasi a delineare una sottile

ironia), nonché come suo principale fruitore. Per dirla con le parole del celebre chitarrista statunitense (ma di origini italiane) John Frusciante: “Penso che la forza creatrice si esprima con la nostra esistenza. Non credo che un’idea musicale nasca nella mente, presumo abbia origine in un luogo che non ci appartiene, e da cui poi in un secondo momento attingiamo per creare. E tal processo riguarda ogni cosa che noi creiamo, è la Natura che si esprime assieme a noi. Al pari di un fiore o un albero che cresce sul terreno. […] La musica è così espressiva che le parole non sono sufficientemente in grado di dare l’effettiva spiegazione che possa farci comprendere la tematica . Noi possiamo entrare in connessione con “La forza creativa” dell’universo, sorgente o Dio o come tu voglia chiamarla. Possiamo entrare in contatto con questa intelligenza imparando un linguaggio musicale, imparando uno strumento musicale, riuscendo ad identificare un suono o un sentimento, o riuscendo ad esprimere in maniera graduale emozioni sempre mediante il tuo strumento1 .” Musica come “forza creativa” dunque. Difficile trovare una definizione che abbia un impatto più profondo e significativo, e che la esalti fino a dotarla quasi di una certa “responsabilità”. L'unico modo che ha l'uomo di farla propria è quella di abbandonarsi del tutto ad essa, lasciarvisi penetrare fino a perdere quasi la propria volontà, la precisa coordinazione di ogni sinapsi, il controllo del movimento delle proprie dita sulla liscia superficie di un pianoforte, sul ruvido nylon di una corda o sulle chiavi di un freddo ottone. Sin dagli albori, la parola “musica” possedeva già presso i Greci un significato ben più ampio e complesso di quello comune, essendo in origine una forma aggettivale derivata da Μοῦσα, nome con il quale si indicava, nella mitologia classica, ciascuna delle nove sorelle che presiedevano alle arti e alle scienze. Il rapporto etimologico ci mostra dunque come nella civiltà ellenistica essa fosse considerata elemento fondamentale nell'ambito delle attività che perseguivano la bellezza e la verità, e che ad essa ineriva di conseguenza una serie di implicazioni maggiore di quanto oggi si possa pensare. Quella musicale fu materia di studio e d'indagine per molti dei più celebri ed influenti pensatori d'età classica; e tra tutte, le teorie più

rilevanti furono senza dubbio quelle espresse da personalità del calibro di Pitagora e Platone. Il primo la connesse strettamente alla matematica2: come infatti la comprensione dei numeri era ritenuta la chiave per la comprensione dell'intero universo, spirituale e fisico, così il sistema dei suoni e dei ritmi, a sua volta regolato da rapporti numerici, era concepito come esemplificazione dell'armonia cosmica. Alla rotazione degli astri fino ai più profondi meandri dell'universo egli associò la nascita di una musica perfetta e divina, letteralmente celestiale, il cui suono è quasi impossibile da udire a causa dell'assuefazione, quel fenomeno psicologico che rende inavvertito alla coscienza percettiva un suono continuo. Scriveva a tale proposito il neoplatonico Giamblico:

[. . . ] valendosi di un divino potere, ineffabile e arduo a concepirsi, (Pitagora) sapeva tendere l'orecchio e fissare la mente alla sublime musica celeste. Ed era l'unico, come spiegava, in grado di udire e intendere l'armonia universale e la musica consonante delle sfere e degli astri che entro queste si muovevano. Questa armonia rende una musica più pura e più piena di quella umana, grazie al movimento dei corpi celesti, il quale è caratterizzato da suprema melodiosità ed eccezionale, multiforme bellezza. Queste ultime sono il prodotto dei suoni celesti, i quali traggono sì origine dalle ineguali e in vario modo tra loro differenti velocità, grandezza e posizione dei corpi, ma sono nondimeno collocati in reciproca relazione nel modo più armonico 3 .

Questa teoria era ovviamente rafforzata dal fatto che all'epoca si ritenesse che il sole, la luna ed i pianeti girassero attorno alla Terra4 all'interno delle proprie sfere, le quali rispettavano rapporti tra intervalli musicali a numeri interi, creando in questo modo delle vere e proprie armonie. Platone la riprese e rielaborò nel celeberrimo “Mito di Er”, contenuto nel X ed ultimo libro della Repubblica, in base al quale ciascuno dei sette pianeti (cinque più il Sole e la Luna) emette contemporaneamente un suono insieme alle stelle fisse. La loro armonia complessiva di otto note genera un immenso e perfetto accordo, simbolo ed espressione dell’Armonia cosmica, nel quale trovano consonanza, equilibrio e giusta rispondenza col tutto gli elementi costitutivi della materia, potenzialmente disparati e in conflitto fra loro. Inoltre, l’idea della musica come intimamente

connessa con la parola ha privilegiato nel mondo greco un altro fondamentale aspetto di quest’arte, cioè il suo effetto sugli altri e quindi il suo potere di azione sul carattere, la volontà e la condotta degli esseri umani. Le qualità etiche della musica trovano a loro volta spiegazione nella teoria pitagorica dell’anima, la quale viene messa in movimento dai suoni: il mutato “equilibrio” dell’anima darebbe dunque origine a differenti caratteri e “passioni”, facendo così in modo che la melodia possa convincere o commuovere, placare un intero popolo in rivolta, combattere l’influenza eccitante del vino, spingere alle armi o addirittura guarire. Platone elabora ed espone, in proposito, la teoria dell’Ethos, cioè delle qualità morali e degli effetti della musica, in seguito ripresa anche da Aristotele nella Poetica e nella Politica. La musica infatti, lungi dall’essere un’immagine inerte dell’ordine universale, imita direttamente e “rappresenta” i più diversi stati d’animo; di conseguenza, ascoltando una musica che imiti rabbia o ira, si finirà con l’essere coinvolti in passioni ignobili che plasmeranno negativamente il nostro carattere, mentre ascoltando musica che imiti gentilezza, coraggio o temperanza, si tenderà a sviluppare una personalità corretta ed armoniosa, che Platone definisce “giusta”. È questo dunque il criterio secondo il quale Platone, nel VII libro delle Leggi, distingue la musica “buona” dalla “cattiva”, la cui differenza non può e non deve essere distinta in base al godimento che se ne trae, ma piuttosto in base agli effetti morali che ne derivano. Infine, quasi a chiusura del cerchio, nel XII capitolo del Simposio il filosofo sostiene per bocca di Erissimaco che la musica è la manifestazione più perfetta dell'Eros regolare, cioè di quell'Eros stupendo, sublime, celeste, che prescindendo da ogni aspetto profano e volgare si annida nel cuore dell'incompletezza umana e si fa ponte tra l'umano ed il soprannaturale, “volando” alla ricerca della Verità. Spostando le nostre analisi su un punto di vista scientifico ed osservando le reazioni che l'intenso rapporto musica-individuo è in grado di realizzare, correremmo quasi il rischio di rimanere sorpresi di fronte all'evidente concretizzazione dei suoi “magici” poteri. D'altronde sempre più spesso gli studi intrecciati di neurologia e musicologia ci vengono incontro dimostrando quanto sia importante nella vita di un uomo abbracciare la

musica e renderla un elemento cardine della propria quotidianità: non sarà un caso, infatti, se in base a determinati studi risulti che molti degli studenti delle università americane che si impegnano a tempo pieno nella pratica di uno strumento musicale risultino poi quelli con i migliori profitti a livello didattico. Le ricerche coordinate da Michael Gazzaniga, uno dei più importanti neuroscienziati al mondo (docente di psicologia all'Università di Santa Barbara), forniscono diverse certezze riguardo la correlazione tra musica e intelligenza: ad esempio si è visto come nei bambini più piccoli la pratica musicale stimoli l'attitudine alla geometria, migliorando notevolmente le capacità di riconoscere le figure geometriche. La costante pratica di uno strumento, soprattutto nel momento in cui si arriva alla memorizzazione ed esecuzione di pezzi musicali complessi, è in grado di stimolare nell'individuo lo sviluppo di una serie di strategie sofisticate per la gestione di linguaggi anche non musicali, con evidenti vantaggi a livello cognitivo anche al di fuori delle arti. Inoltre fare musica stimola l'apertura mentale e la curiosità nei confronti di tutte le materie: senza alcun limite d'età, essa è in grado di aprire nuovi orizzonti, con ovvie ripercussioni sull'intelligenza, ed è triste in quest'ottica segnalare come l'Italia (quella che un tempo era conosciuta come la patria della Musica, quella con la “m” maiuscola, ed in particolar modo della lirica e dell'opera) si ritrovi sprofondata agli ultimi posti nella graduatoria dell'insegnamento musicale in età scolastica, non solo in Europa ma anche nel resto del mondo. Focalizzandosi su degli aspetti prettamente più fisiologici riguardanti gli effetti dello stimolo musicale sull'essere umano, i risultati possono sembrare ancora più stupefacenti. Secondo gli studi effettuati dal neurologo canadese Robert Zatorre, della Mc Gill University di Montreal, le reazioni della musica sul corpo sono ben definibili ed identificabili, in quanto alterano in modo percettibile il battito cardiaco ed il tono muscolare. A livello cerebrale, si assiste all'attivazione di alcuni centri del piacere, una reazione che avviene anche durante le cosiddette “attività gratificanti”, come l'assunzione di cibo, droghe, o l'attività sessuale. Ciò che la differenzia da queste però (e che ne aumenta dunque il carattere in un certo senso miracoloso) è il fatto che si tratti palesemente di un'attività “astratta”, e

dunque priva di qualsiasi valore biologico. Per spiegare questa reazione ci vengono incontro motivazioni molto più antropologiche che scientifiche, in quanto nonostante oggi la musica si trovi relegata nel vago recinto dell’intrattenimento, nelle società primitive la sua pratica era legata alle esigenze primarie quali sesso e cibo, poiché era utilizzata in tutti i rituali come quelli di caccia e di iniziazione. Per molto tempo si è sostenuto che il linguaggio attivasse l'emisfero cerebrale sinistro e la musica quello destro; ma non è corretto considerare quest'ultima, all'interno della sua ampia polivalenza, una effettiva forma di linguaggio? Lo è, certo che lo è. E di conseguenza i diversi elementi che la compongono (tono, ritmo, melodia, armonia, ecc..) si distribuiscono su entrambi gli emisferi cerebrali. Il cervello è però in grado di "riconoscere" la musica e la reazione è diversa da altri stimoli uditivi, come voci o rumori. Non risultano invece differenze fra le reazioni cerebrali stimolate da una sinfonia di Beethoven, una canzonetta o una musica proveniente da una cultura completamente diversa da quella dell'ascoltatore. Un altro studioso infatti, Steven Demorest dell'Università di Seattle, usando la risonanza magnetica dimostrò che un'antica melodia cinese produce nel cervello degli ascoltatori la stessa risposta provocata da un brano di tipologia classica. Il pentagramma si conferma così territorio proprio di un linguaggio ed un'esperienza universale accessibile a tutti, anche dal punto di vista fisiologico. E' purtroppo vero però che, in tempi come quelli che oggi stiamo attraversando, questo quadro idilliaco tracciato da brillanti personalità del pensiero e della scienza umana sta perdendo sempre più la sua aderenza con la realtà del quotidiano. Nell'epoca del profondo materialismo di cui siamo impregnati fino al midollo, anche la musica è finita per diventare un autentico business: un prodotto da lavorare, modellare e confezionare secondo precise e severe regole di mercato. La materia prima, ovvero il brano musicale, sembra quasi essere relegato ad un piano d'importanza secondario, letteralmente sommerso dalla vorticosa giostra della promozione e della propaganda, sulle quali le case discografiche scelgono ormai di puntare con decisione in modo da far quadrare i bilanci, a maggior ragione dopo l'avvento di internet (ed in particolare del file sharing) ed il

conseguente crollo della vendita al dettaglio dei dischi. Già, l'economia: una materia con la quale la musica, in base ai discorsi fatti precedentemente, dovrebbe avere veramente poco a che fare, e che invece ha finito per coinvolgere in maniera netta anche il mondo delle sette note, portandolo in breve tempo ad un'immagine di declino. La perdita di sincerità è ciò che più di tutto mi spaventa all'interno di questa sorta di percorso di negligenza: nel momento in cui un artista non compone più per esprimersi, per soddisfare in lui quel bisogno innato che lo rende tutt'uno in via trascendentale con la propria “quarta dimensione”, e finisce per piegare la sua arte alle esigenze del pubblico, ecco che la musica smarrisce la specialità della sua natura; bistrattata, umiliata e calpestata proprio da coloro che più dovrebbero curarla. Ovviamente non è mia intenzione generalizzare e far così di tutta l'erba un fascio: il presente (per fortuna) è ancora colmo di musicisti per così dire “onesti” e degni di tale nome che, godendo di una maggiore o minore visibilità, operano indistintamente guidati dall'ardente fiamma della propria passione, che li conduca al buio di una piccola camera o sotto l'accecante luce dei riflettori di un palco. Il tutto sta, ovviamente, nel saperli riconoscere in modo da poter attribuire ad ognuno i suoi giusti meriti. Come già accennato in precedenza, rimarcando il carattere universale delle sette note non ci si può non soffermare sul valore comunicativo che impreziosisce ulteriormente la loro natura, rendendo la musica un vero e proprio linguaggio con le carte in regola. Così come le lingue degli uomini, essa si avvale di una parte fonica e di un particolare tipo di grafia, che però salvo casi eccezionali (come ad esempio la genialità di Beethoven, che anche privato dell’udito riuscì a scrivere ciò per cui oggi viene ricordato come probabilmente il miglior compositore di tutti i tempi) incarna solo una funzione di supporto nei confronti della prima, verso cui risulta quasi del tutto dipendente. Il linguaggio parlato è indirizzato alla frazione più consapevole del nostro cervello, quella appunto che si esprime con la parola, che funge da interprete tra noi e gli altri, e tra la parte implicita e quella esplicita del nostro essere. La musica è invece il mezzo creato per dettare dei sentimenti nell’ascoltatore, utilizzando a questo fine la frazione inconsapevole del cervello. Possiamo affermare che non esiste una maniera

precisa per elaborare una musica altamente espressiva: la ricetta non scritta, creata “sul campo”, la trova il compositore nella parte inconsapevole di se, e riesce poi a riversarla nel codice scritto ed esplicito dello spartito. Se accettiamo però di conferire alle sette note l’onore/ onere di definirsi “linguaggio”, avremo bisogno dunque anche di una serie di parametri validi che ci aiutino a classificarlo in questo senso, come ad esempio quelli istituiti dal semiotico Charles W. Morris, il quale sostiene che un sistema di segni può definirsi linguaggio solo se rispetta le regole di tre fondamentali discipline linguistiche: la sintassi, la semantica e la pragmatica. Applicando i loro principi al linguaggio musicale, troviamo che la sintassi in primo luogo dovrà occuparsi delle norme che consentono di legare tra loro i diversi segni, ordinandoli secondo una determinata “grammatica” (intesa come successione di regole) che può variare a seconda dei contesti e che si espliciterà grazie alla manifestazione della stessa materia musicale. La semantica invece riguarda le relazioni che intercorrono tra i segni e gli oggetti a cui essi si riferiscono, e in ambito musicale si caratterizza in base ad una doppia interpretazione: secondo la prima, il linguaggio musicale sarebbe generalmente privo di denotazione, ed il suo contenuto semantico apparirebbe per così dire “contestuale”, ovvero racchiuso in se stesso e dunque non affidato alla relazione suono – realtà extrasonora; in seconda istanza, una semantica musicale è considerata possibile, ma solo in maniera arbitraria attraverso delle convenzioni ed in alcuni precisi patti validi all’interno di particolari gruppi sociali ed in contesti storico – culturali determinati. Infine la pragmatica riguarda lo studio delle relazioni che si stabiliscono tra i segni e le persone che li utilizzano, e possiamo avere a che fare con la sua manifestazione in ambito musicale ogni qualvolta un gruppo di persone si riunisce interagendo tra di loro attraverso le sette note. Nel messaggio musicale inoltre il ritmo, la melodia ed il timbro costituiscono tre elementi dal ruolo essenziale: il ritmo è di per se una componente ripetitiva connessa coi ritmi biologici (come quello cardiaco e respiratorio), e costituisce l’intelaiatura sulla quale si estende la “storia” raccontata dalla melodia, in cui giocano gli accordi tra le note e l’ampiezza dei suoni. Il timbro si identifica invece con la matrice stessa del suono, la voce dello

specifico strumento che l’ha prodotta, sia esso artificiale o naturale (la voce del vento, lo scroscio dell’acqua o il canto degli uccelli), e possiede una sua componente espressiva che produce inevitabilmente un sentimento. Lo stato d’animo prodotto finale di un ascolto musicale può dunque differenziarsi secondo una doppia chiave interpretativa: una più individuale, strettamente connessa alla sfera intima e personale della persona, ed un’altra collettiva, o addirittura universale, di condivisione ed empatia. Questo fenomeno può avere aspetti ed espressioni, anche corporali e motorie, assai diverse a seconda della partecipazione ad una musica per così dire “apollinea” (ovvero vicina al genere classico) oppure a una musica “dionisiaca” (un rock, o addirittura gli antichi canti di guerra). La mia convinzione dunque, alla luce delle prove qui fornite alla causa (probabilmente in numero parziale, ma di sostanza significativa) si rinforza nell’idea che la musica dovrebbe recuperare all’interno della società odierna quella componente di dignità ed autorevolezza che si è andata lentamente ad assottigliare, schiacciata sotto il grosso peso di una delle peggiori attitudini che possano influenzare l’uomo: la superficialità. Essere superficiali ci impedisce di vedere la bellezza in ciò che ci circonda, nella semplicità del quotidiano, corrompendo l’anima in favore di quel bieco materialismo “a tutti i costi” in cui la musica, quella vera e pura, non può che trovare uno spazio minuscolo. Mi riesce davvero difficile immaginare che una persona possa vivere senza musica, qualunque sia il posto che egli voglia dedicarle all’interno del proprio percorso, dalla semplice colonna sonora al protagonismo assoluto. Per questo motivo penso sarebbe giusto che essa recuperi quella dimensione di spessore che le si addice per sua stessa natura, ritrovando quel ruolo fondamentale di cui è degna anche all’interno di una società talmente controversa come quella con cui oggi ci troviamo a fare i conti. D’altronde, richiamando un celebre aforisma di Friedrich Nietzsche, “senza musica la vita sarebbe un errore”, e di errori la storia dell’uomo è già fin troppo colma.

Note: 1. Tratto dal film-documentario “The heart is a drum machine” (2009), diretto da Cristopher

Pomerenke. 2. Come d'altronde era quasi inevitabile, avendo egli riposto nel concetto di numero il proprio archè, ovvero la natura intima del tutto, fondamento e causa di ogni cosa. 3. Cit: Giamblico, La vita Pitagorica, ed BUR, pag 195 4. Il famoso sistema geocentrico (o anche detto “aristotelico – tolemaico”), soppiantato nel ‘500 dal modello eliocentrico formulato per la prima volta dall’astronomo polacco Niccolò Copernico Bibliografia Nicola Abbagnano, Giovanni Fornero, “Protagonisti e testi della filosofia”, Edizioni Bruno Mondadori, Paravia, II edizione, 2000 Giamblico, “La vita pitagorica”, Rizzoli ed. Bur Classici Greci e Latini, 1991 Nicola Ubaldo, “Antologia illustrata di filosofia”, Giunti editore SPA, 2006 Sitografia -“La musica è un linguaggio?”, di Angela Longo, Giosuè Panio: http://digilander.libero.it/initlabor/musicalinguaggio/musica-e-linguaggio1.html “La musica: i suoi effetti comunicativi e neurofisiologici, e la musicoterapia”, di Franco Panizon : http://www.fimed.net/images/IMGNewsletterPunto Tecnico/File/Musica.pdf “Musica e mente”: http://www.andreaconti.it/mente.html Robert Zatorre’s homepage : http://www.zlab.mcgill.ca/home.html

Il finanziamento Pubblico ai Partiti è espressione di democrazia o un grave spreco di soldi pubblici? Astorino Mariangela

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ome tutti ben sappiamo stiamo attraversando tempi di "crisi" dove ai cittadini è chiesto "rigore", fiducia nelle istituzioni, mentre ogni giorno si susseguono, paradossalmente, notizie di milionari furti dalle casse dei partiti e di ignorabili lussi di cui si circondano i nostri politici a spese dei partiti a cui legati. Il finanziamento pubblico ai partiti (che viene perpetuato illegalmente attraverso i cosiddetti "rimborsi elettorali") è una scomoda realtà, malgrado il referendum del 1993 che aveva abrogato la Legge Piccoli, con la netta maggioranza del 90,03%. La volontà popolare in questi ultimi 21 anni, come troppo spesso succede in Italia, non é stata solo ignorata, ma anche clamorosamente scavalcata e si stima che dal 1993 a oggi oltre 2.735.581.964€ di soldi pubblici siano finiti nelle casse dei partiti italiani come "rimborsi elettorali”, senza che avvenisse un controllo chiaro sulle reali esigenze economiche dei partiti. Mentre le pensioni scendono, le tasse salgono e la gente mette fine alla propria vita perché non riesce a tirare avanti c'è un'elite che intasca non pochi soldi per un servizio inesistente: la politica. É mia opinione che il non rispetto del referendum del 1993 e la creazione di una "scappatoia" per arginarlo e continuare ad usufruire del denaro pubblico sia stato ed è tuttora un grave crimine, un furto perpetuato dai partiti ai danni di tutti i cittadini. "Fare politica" dovrebbe essere fare il bene della polis tutta e non impiegare le proprie energie e le risorse di un partito eletto "democraticamente" solo a favore del proprio interesse personale. I cittadini potranno ancora tollerare il mantra "i

soldi sono finiti" e tirare la cinghia quando i fatti dimostrano che di soldi ce ne sono ancora per ingrossare conti in banca, comprare lauree all'estero e pagare le escort (magari perchè stiano zitte)? Il rimborso elettorale é antidemocratico per la sua nascita, avvenuta con il preciso scopo di ignorare il referendum e costa all'Italia milioni che ogni anno aggravano una situazione già sull'orlo del precipizio quando, invece, potrebbero essere usati per ridurre i tagli e le tasse. Nel 1974, successivamente gli scandali Trabucchi e Petroli, Flaminio Piccoli istituì un piccolo rimborso spese pubblico da concedere ai partiti perché essi potessero continuare il proprio lavoro di rappresentanti democratici e fosse possibile a tutti dedicarsi alla vita politica, indipendentemente dai costi di questa attività. La legge, però, non riuscì a fermare la malapolitica e, dopo l'era Tangentopoli, la abrogò un referendum popolare. Ma rinunciarvi era già diventato troppo difficile per i partiti, bisognosi di sempre più soldi per il proprio sostentamento, e subito dopo il referendum nacque un nuovo tipo occulto di aiuto, il " rimorso elettorale". Un classico esempio di politica all'italiana. Nel 1993 venne adottato il simpatico termine di "rimborso" per andare, di fatto, a sostituire quello di "finanziamento pubblico" contro cui gli italiani si erano espressi. Fu calcolato come la moltiplicazione di 1.600 lire per il numero degli aventi diritto di voto (non dei votanti effettivi) e ai partiti le casse di stato elargirono in lire quelli che oggi sarebbero 47 milioni di euro. Ironicamente questa donazione non attese neanche la fine dell'anno del referendum per mettersi a rimpolpare

le tesorerie di partito. La cifra, poi, ha continuato a lievitare con il passare degli anni e delle legislature. Nel 1999 passò a 4.000 lire privando lo Stato di qualcosa come 171,5milioni di euro. E con l'arrivo della moneta unica i conti cambiarono ancora. Le "modeste" 4.000 lire divennero 4 euro, il doppio. Man mano che i rimborsi continuavano a prelevare ingenti somme dalle casse pubbliche una legge del 2006 decretò addirittura che, qualora una legislatura dovesse cadere, si continui a pagare i rimborsi ai partiti che la componevano come se fosse ancora in carica. Cosi alla caduta del governo Prodi nel 2008 ai costi della nuova legislatura si aggiunsero quelli della vecchia. Si stima che nel 2008 siano stati versati rimborsi per 271,5 milioni, una cifra da capogiro se si pensa all'attuale processo di intransigente risparmio nella pubblica amministrazione che sta portando alla fine dello Stato Sociale. Tra il 2010 e il 2011, con la crescita di un certo malcontento pubblico per tali spese, si è decretato che i rimborsi non sarebbero più stati versati per i partiti non più attivi e una riduzione degli stessi del 10%. Ugualmente,143 milioni sono volati via inghiottiti dal ventre senza fondo della macchina politica. Con lo scoppio dello scandalo Lusi il tema del finanziamento pubblico alle attività politiche è oggi tornato in auge. Ad un fronte sempre più compatto di cittadini che chiedono spiegazioni per questo "furto" i politici promettono, come solo loro sanno fare, tagli e magari anche un referendum abrogativo, giusto per dare un po' l'illusione di aver fatto qualcosa di concreto per fermare questa emorragia. Ma ovviamente i tempi d'azione di queste promesse sono molti lunghi, un po' per burocrazia un po' perché, forse, si spera che gli italiani riprendano a dedicare ad altro la propria attenzione. Cosa dura, perché è difficile ignorare questa ingente spesa pubblica quando vengono stanziati solo 50 milioni per aiutare la ricostruzione di un bel pezzo d’Italia sbriciolato da un grave terremoto proprio in questi giorni. I recenti scandali di Berlusconi, della famiglia Bossi e della Margherita stanno dimostrando, ogni giorno di più, che l'Italia non è guidata da una classe politica forte ma da una oligarchia, che sperpera le risorse pubbliche per sè ed é incapace di gestire la delicata situazione attuale.

I privilegi goduti dalla classe politica sono ormai così all'ordine del giorno che quasi non ci si stupisce a scoprire che al Trota (il "delfino" della Lega) era concessa una "paghetta" di 5mila euro al mese o che alla sfarzosa festa di compleanno di Renata Polverini (presidentessa della regione Lazio) la maggioranza degli invitati è arrivata con l'auto blu e l'autista (pagati dai contribuenti). Non ci si aspetta più neanche che i cittadini si indignino di pagare una tassa anche sull'aria che respirano per permettere a questi personaggi di potere di mantenere il proprio status quo. I politici non pagano la crisi nè si impegnano a risolverla e il loro parassitismo sociale è chiaro ed evidente da come anche la piccola elezione comunale diventa teatro di zuffe da condominio per assicurarsi la lucrosa poltrona. Mentre in Islanda una rivoluzione popolare taciuta dai media italiani (per carità, non è colpa loro, ci sono le bizzarrie del tempo, le partite, la nuova relazione di Belen di cui parlare e altro spazio non si trova) ha mandato a casa il governo e si propone di fermare le banche, vere detentrici del potere, in Italia si accetta passivamente l'idea che la classe politica sia una Casta. La si definisce con questo termine sui giornali e nei discorsi al bar come fosse un normale sinonimo di ciò che essa dovrebbe essere e dovrebbe rappresentare mentre non è altro che espressione del decadimento di un intero sistema politico e sociale. L'idea originaria di finanziamento pubblico ai partiti aveva un importante senso d'essere in quanto si riprometteva di impedire che i partiti, finanziati nelle campagne elettorali da privati con scopi precisi, sostenessero gli interessi di pochi "generosi" e non di tutti i cittadini. L'articolo 49 della Costituzione italiana dichiara: "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale". In Germania il finanziamento pubblico ai partiti esiste dal 1959 e attualmente è previsto in tutti e 27 Paesi dell'Unione. È, infatti, democraticamente corretto che a tutti i cittadini sia data la stessa possibilità di partecipare attivamente alla res publica facendo opera di propaganda delle proprie idee e organizzando la vita e le attività del proprio partito. Questo diritto non giustifica, però, il già citato "furto" di risorse pubbliche attuato dai partiti per la propria sopravvivenza. L'aver modificato la legge

reintroducendo il finanziamento pubblico e nascondendolo con il nome di rimborso resta un sopruso della classe (o Casta, per meglio dire) governante ai danni della sovranità popolare sulla quale questo paese dovrebbe basarsi. Inoltre il finanziamento pubblico e il suo successore non hanno mai impedito che i partiti ottenessero finanziamenti privati illeciti. Anzi, con una legge del 2004 Tremonti ha reso le donazioni private ai partiti inferiori alle 50mila euro totalmente non rintracciabili. Così molti privati cittadini (per quanto possano essere considerati dei privati dirigenti di grandi industrie e presidenti bancari) finanziano a proprie spese i propri "partiti del cuore" senza dover rendere noto il proprio nome. Ed è facile intuire che se si investe non lo è solo per la gioia del sentirsi dire dal segretario del partito di turno. Altro punto a sfavore del finanziamento pubblico ai partiti é la grande riduzione dei costi del fare politica nell' era digitale. Se negli anni '70 poteva essere abbastanza dispendioso pubblicare articoli, parlare con la gente, informarsi e informare, fare propaganda, viaggiare per l'Italia ecc. oggi bastano una connessione a internet e un Pc per fare della sana politica, dando agli elettori la possibilità di conoscere i politici e ascoltarne le idee e anche viceversa. Basti pensare a quanti mezzi la rete offre, partendo da un semplice blog, passando dai forum fino ai siti ufficiali. Senza dimenticare youtube e i social network. E per far questo non servono i milioni ma coerenza, onestà, voglia di fare e pochi euro al mese per una connessione a internet. Ma in Italia, tra i pochi Paesi senza banda larga, la politica piace all'antica: scendere in piazza a salutare festosamente il politicante di turno neanche fosse un profeta in terra, ascoltarne i discorsi demagogici tagliuzzati e imboniti sulle tv pubbliche e private, limitarsi a scegliere per chi votare dai depliant che arrivano puntuali di casa in casa in periodo elettorale o dare il voto al parente di questo o l'amico di quello. Eppure qualcosa sembra cambiare. Delusa sempre più dalla malapolitica e dalla sua incompetenza una generazione di giovani sta cercando di cambiare le cose, proprio grazie alla rete. Essendo possibile scrivervi liberamente senza incorrere nella censura di televisioni e giornali la rete è diventata il miglior mezzo per veicolare le informazioni ritenute "scomode". Molti giornali, in

questi anni, hanno taciuto alla popolazione l'esistenza dei rimborsi elettorali, forse per non essere costretti a dare spiegazione anche dei fondi pubblici che si spendono a vagonate ogni anno per testate che sono effettivamente giornali di partito. Con tutti questi rimborsi i partiti non dovrebbero pagarsi da soli le proprie stampe? Non si può fermare il flusso delle informazioni sulla rete e i cittadini possono più facilmente essere informati su quello che politici non vorrebbero far sapere. Le ultime elezioni amministrative hanno visto l'avanzata del "Movimento 5 stelle", guidato dal comico Beppe Grillo, che si propone come opposto alle logiche politiche vigenti e che promuove una rivoluzione di pensiero che parte dalla rete, dai giovani, dai cittadini stanchi di essere rappresentati da ladri, corrotti, ex soubrette, incompetenti e pedine delle banche. Condividendo o meno il programma del "Movimento 5 stelle" si riconosce che sta dimostrando come la politica può essere fatta anche senza prendere i soldi dei contribuenti, senza sprechi e senza privilegi. Le attività sono finanziate dagli attivisti militanti con libere raccolte fondi e la maggior parte di esse si svolge on-line, per una migliore condivisione di opinioni e pensieri e un maggior risparmio economico. Se ci riescono loro con i loro notebook e la loro inesperienza perché non possono farlo anche i grandi partiti che dovrebbero avere militanti con un'esperienza politica che ha ricordo di campagne di volantinaggio, congressi, manifestazioni, attività in mezzo alla gente? Forse, nei grandi palazzi dai nomi altisonanti hanno un po' perso i contatti con la realtà della popolazione e non ricordano più per cosa e per chi stanno seduti sulle loro poltrone. O forse ancora, non é più per i cittadini che si scende in campo oggi, forse è proprio per la prospettiva di guadagni facili, senza troppo sforzo, apparentemente infiniti. Questa è la grave conseguenza dell'aver lasciato per tanto tempo che la politica divenisse un business milionario perché a farne le spese è il cittadino medio che non riesce a tirare avanti fino alla fine del mese. Sarebbe giusto attuare al più presto una riforma (cosa non facile, considerando che dovrebbero essere gli stessi partiti a metterla in pratica) che elimini le grandi speculazioni economiche dalla politica. Fintanto che i partiti e i politici potranno gestire i soldi dei cittadini come fossero propri e

vivere di questo è impossibile provare fiducia verso essi e crederli davvero interessati al bene comune e allo Stato. È sì giusto che sia concesso un piccolo aiuto pubblico a chi intende mandare avanti l'attività di un partito senza dover ricorrere a compromettenti finanziamenti privati ma questo aiuto dovrebbe essere esiguo, immodificabile nel tempo, trasparente e soprattutto sfruttato al meglio, con ogni spesa giustificata e dichiarata al pubblico. Perché non é più accettabile sentir parlare di spread, tagli e debito pubblico e permettere che i partiti, che non hanno fatto una piega neanche per la riduzione della pensione minima, intaschino milioni sotto banco, mandando i propri tecnici a piangere lacrime di coccodrillo. Inoltre, considerando che i "rimborsi elettorali" sono in forma rateale da qualche anno, lo Stato si ritrova ad avere dei debiti con gli stessi partiti ed è arrivato il momento di annullarli completamente, per non rischiare di avvicinarci ad un default causato dai costi di quella stessa classe politica che dovrebbe lavorare instancabilmente per impedirlo. Far tornare la politica un servizio dei cittadini per i cittadini dovrebbe essere la priorità in questo momento e per farlo bisogna far crollare il mito dei politici deificati e della Casta governante. Il popolo dovrebbe pretendere di riavere indietro la propria sovranità, ennesimo furto fatto ai suoi danni. Sitografia: - www.reset.it - www.corriere.it - www.ilfattoquotidiano.it - www.repubblica.it - www.intoccabili.wordpress.com - www.leggooggi.it - www.beppegrillo.it - www.wikipedia.org

Crescita e Sviluppo: Il Movimento Cooperativo Aurelio Mariangela

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ohn Stuart Mill ha scritto:

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Ciò accadeva nel 1848, periodo in cui venivano gettate le basi per la nascita di una nuova importante forza economica che, allo stesso tempo, potremmo definire sociale: il movimento cooperativo. Questa nuova forma di associazionismo rappresenta uno dei fenomeni sociali più significativi, non soltanto grazie al contesto storico in cui sviluppa, ma anche e soprattutto grazie ai principi da cui trae il proprio fondamento; lo spirito cooperativo, infatti, nasce sulla base di principi democratici, dell'eguaglianza, dell'equità e della solidarietà. Secondo le tradizioni dei propri padri fondatori, i soci delle cooperative credono nei valori etici dell'onestà, della trasparenza, della responsabilità sociale e dell'attenzione verso gli altri. A questi vanno aggiunti altri valori fondamentali quali

limitata remunerazione del capitale, educazione, formazione dei cooperatori; tutto ciò rende il concetto di cooperazione estremamente complesso poiché rappresenta un fatto sociale, che si evolve sulla base di principi solidi e vincolanti. Una caratteristica importante e certamente fondamentale di questo modello economico e societario è, senza dubbio, la sua “base capitaria”, ossia la parità e l’uguaglianza tra i soci, il cui ruolo non è definito dal capitale investito ma bensì è una condizione imprescindibile. Ne consegue, quindi, un ideale di membro societario completamente estraneo dall’idea diffusa di impresa capitalistica, e che ha inoltre un uguale potere decisionale condividendo diritti e doveri con l'intera base sociale. È possibile aggiungere a tutto ciò un ulteriore criterio di classificazione che distingue la figura del socio all’interno di una società cooperativa, quello del profitto legato inevitabilmente alle finalità dell’impresa; il reddito, e quindi gli utili ricavati dalle attività proprie dell’oggetto sociale, non vengono distribuiti tra gli azionisti, come avviene nelle società capitaliste, ma vengono reinvestiti per la crescita e lo sviluppo della cooperativa stessa. L'attuale scenario economico, tra l'altro, lascia largo spazio a strutture societarie in cui il profitto è semplicemente un'eventualità, e tale sviluppo è riscontrabile anche nella realtà internazionale e nazionale, all’interno delle quali le difficoltà e di

gestione delle imprese sono al centro del dibattito economico e sociale. È proprio nella crisi, che la formula cooperativa può dimostrare ancora di più il suo valore. Non perché sia immune alle difficoltà, che soffre come tutte le realtà imprenditoriali, ma perché nel cambio del sistema, nell’azione di possibile “antidoto” alla crisi, nella posizione culturale di antitesi alle ragioni della crisi, la cooperazione può mostrare di “esserci”. Di essere presente e di essere efficace. La mia tesi è che il modello cooperativo può essere da esempio per lo sviluppo dell’impresa, che non si basa più semplicemente sull’investimento e sul profitto ma si nutre anche e soprattutto di principi e del valore delle persone che ne fanno parte. Della serie , come citava un noto spot di qualche tempo fa, e probabilmente l’espressione può non essere un semplice richiamo al perbenismo o alla visione romantica e benevola del legame tra i cooperatori, immagine che, si sa, non sempre ha spazio in campo economico e imprenditoriale, anzi, a volte può risultare totalmente fuori luogo, ma in realtà è un elemento da non sottovalutare quando si parla di cooperative, in particolare di cooperative sociali, atte cioè all’inserimento nel mercato del lavoro di persone svantaggiate. Una sfida al futuro quindi, al mercato, al business fatto di numeri su numeri il cui accrescimento si basa sul puro desiderio di vederli aumentare in maniera esponenziale, una sfida al sistema e alle relazioni economiche. La cooperazione può rappresentare, e lo pone tra gli obiettivi primari, un mercato più competitivo, più umano, grazie alla figura del socio-lavoratore, alla messa in evidenza del ruolo della persona, che deve avere una funzione centrale nel modello di impresa. In questo senso, la cooperazione diviene una risorsa importante per l’economia, attraverso la predisposizione al confronto, all’unione e alla capacità di porsi obiettivi con un orizzonte più ampio di quello limitato dagli interessi di parte. Cooperare significa confrontarsi, ascoltarsi reciprocamente per arrivare ad un obiettivo, ad uno scopo deciso insieme, significa collaborare e fare rete, anche e soprattutto nei momenti di crisi, perché è proprio in questi momenti che la cooperativa dimostra il proprio valore. La crisi può essere un’opportunità per riorganizzare il “modello” sociale ed economico proprio perché

questi momenti richiedono uno sforzo di “sistema” per uscirne. Uno sforzo di testa e di cuore. . Nel panorama letterario italiano,ad esempio, una figura emblematica ed estremamente trasgressiva fu Gabriele D’Annunzio. Egli incarna le tendenze estetizzanti del decadentismo e il suo estetismo. Pone l’arte, a differenza degli altri poeti, in cima alla gerarchia dei valori, che lo porta a fare della sua stessa vita un’opera d’arte. L’apoteosi di questo culto del bello,che fa di D’annunzio un trasgressore creativo, è raggiunta con il protagonista de ”Il piacere” : Andrea Sperelli, eccezionale, eccentrico, trasgressivo, fruitore dell’arte e dedito alla bellezza e al superfluo, propone tutto ciò che poi D’Annunzio ha concretamente cercato di realizzare nella sua vita. Un personaggio , come ha scritto lo stesso autore, che è il modello del nuovo “giovin signore” italiano, legittimo e campione di una stirpe di gentiluomini e di artisti eleganti, ultimo discendente di una razza intellettuale in cui il culto del bello è innalzatore di una vera e propria religione. > . Tale affermazione di D’Annunzio stesso rivela il carattere complesso e la personalità poliedrica di tale personaggio e si presta bene a riassumere la tempra di una vita intera e dell’opera completa. Continuando ancora nella letteratura, non soltanto italiana, troviamo altri poeti “trasgressori”, tra cui il “poeta maledetto“ francese Charles Baudelaire. Egli ha alimentato il mito del “bohemien”, lo studente povero o presunto tale, ribelle ed amante dei piaceri notturni, dell'assenzio e delle novità in fatto di costumi e di arte . Generazioni di studenti e di poeti si sono ispirati e ancora oggi si ispirano al poeta parigino. Interpreta quella visione di gioventù romantica dedita all'eccesso,alla poesia e alla trasgressione. Era sempre in lotta contro il mondo circostante, contro i sogni di progresso cari alla società borghese del suo tempo, contro la mediocrità banale della vita quotidiana. Viveva una vita piuttosto sregolata, tra alcool e prostitute, che associata all’esasperata originalità , erano per lui un alternativa alla noia di un mondo troppo ordinario. Lui, e il movimento letterario a cui apparteneva,vedevano l’arte come un ‘attività umana totalmente indipendente dalla morale e non più come portatrice di un messaggio relativo al comportamento. Anche in questo poeta, il suo modo di vivere la vita nella trasgressività ha alimentato la sua creatività, infatti, nelle sue opere Baudelaire esprimeva la poesia in una nuova forma, attraverso simboli che riflettevano le sensazioni del mondo inconscio, utilizzando temi come il vizio, la perversione, il desiderio,la paura della morte, la fuga dalla vita monotona e normale, la ricerca spasmodica dell’ideale, la consapevolezza delle contraddizioni dell’uomo. Ad esempio nella poesia “sinistra e fredda” , si nota tanto come la trasgressione della sua vita abbia influito nell’opera, in quanto il poeta paragona se stesso ad un angelo caduto, affascinato contemporaneamente sia dal cielo sia dall’abisso, che si aggira per le strade della metropoli attratto dai paradisi artificiali degli stupefacenti, dal vizio, perseguitato dalla maledizione mentre cerca la

redenzione. Spostandoci poi, in ambito filosofico, troviamo il concetto di trasgressione, diversità, come punto di partenza del pensiero nietzschiano esplicato con la figura del “superuomo”. Il superuomo è infatti colui che sa accettare e vivere coraggiosamente e intensamente la vita, al di là del bene e del male ; che è capace di rifiutare la morale ascetica tradizionale e operare la trasvalutazione dei valori; in grado di liberarsi della fede in Dio e "reggere" l'angoscia derivata proprio dalla morte di Dio, guardando in faccia il reale al di là delle illusioni metafisiche. Il “superuomo” è un uomo che supera i limiti mentali che la società gli impone, è un “oltre uomo”. > In questo celebre passo dello Zarathustra, Nietzsche ci presenta la figura del superuomo dove egli lo definisce “il vero senso della terra”, il “nuovo Dioniso”. Il superuomo va al di là delle “barriere” e quindi è al di sopra di tutto. Un fondamentale riferimento, che non può di certo mancare, è nel campo dell’arte, dove la trasgressione è ancor di più sinonimo di creatività e l’artista è visto come un “individuo eccezionale” . Basti pensare a Van Gogh, Modigliani, Caravaggio e soprattutto a Egon Schiele. Quest’ultimo era uno straordinario artista, trasgressivo austriaco. Differisce dagli altri artisti perché ha un modo

differente di dipingere, nei suoi quadri si vede l’ intensità espressiva, l’introspezione psicologica e la comunicazione del disagio interiore. I suoi quadri rappresentavano corpi asciutti,posture contorte e drammatiche. Si distacca così dal ricco decorativismo secessionista asburgico per creare un universo tragico e trasgressivo. Sullo sfondo di una Vienna colta e austera, i rigidi canoni artistici imposti dall’Accademia delle Belle Arti si rivelano presto opprimenti e così lasciò gli studi in aula per frequentare i locali viennesi, che erano la sua forma d’ispirazione. Ovviamente ,inutile negarlo, la trasgressione oltre a “stimolare” la creatività e ad avere i suoi lati positivi, ha anche i lati negativi e, l’eccessivo trasgredire, quindi, condurrà a delle conseguenze che non erano previste. Un esempio di trasgressione “negativa” lo possiamo avere pensando ad Eva,che trasgredendo alle regole, cede alle tentazioni del serpente assaggiando il frutto proibito. Quindi è da tener presente che ogni azione ha una conseguenza e pertanto, come Eva viene cacciata dall'Eden e privata della vita eterna, ognuno di noi deve accettare le conseguenze ed essere pronto ad assumersi le proprie responsabilità. Quindi si può facilmente dedurre che, come ogni medaglia ha il suo rovescio, allo stesso modo anche la trasgressione ha le sue negatività. Tuttavia,con il passare del tempo, la trasgressione è andata sempre di più ad affermarsi e a modificarsi, questo è dato dal fatto che la società, crescendo, ha “allargato” i limiti ,cosi da creare nuove “regole da trasgredire”. Ciò sta a significare che quello che una volta era “fuori” dalla normalità, oggi è diventato normale e cosi facendo si è anche incrementata maggiormente la creatività dell’uomo, in quanto queste “novità, lo mettono di fronte ad un confronto dove l’ingegno gioca un ruolo importante. In conclusione, la mia idea è che la trasgressione è stata importante nel corso della vita umana e continuerà ad esserlo perché è la libertà di “essere” di ogni singolo individuo. Senza la trasgressione non si avrebbe la creatività e senza questa la vita sarebbe un “modello standard” da rispettare. Pertanto, credo necessario che si sperimentino nuove idee e che non si rimanga incatenati nelle regole del “sistema” che ci circonda, perché così

facendo si ucciderebbe la creatività. NOTE: 1 Guido Capovilla, D'Annunzio e la poesia "Barbara" , Ed. Enrico Mucchi,Modena,2006 2 F. Nietzsche, Cosí parlò Zarathustra, Longanesi, Milano, 1979, pagg. 37-41 BIBLIOGRAFIA • Silvia Mantovani , Tra ordine e caos. Regole del gioco per una urbanistica paesaggista . Ed Alinea ,Città di Castello (Perugia) , 2009 • F. Nietzsche, Cosí parlò Zarathustra, Longanesi, Milano, 1979 • Guido Capovilla, D'Annunzio e la poesia "Barbara" , Ed. Enrico Mucchi, Modena, 2006 • Scalamandrè Raffaele , Storia e poesia di Baudelaire , Edizioni Scientifiche Italiane SITOGRAFIA • http://www.ilgiornale.it/cultura/oscena_e_paura_se sso_firmato_egon_schiele/23-02-2010/articoloid=424288-page=0-comments=1 • http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale • http://www.storiadellarte.com

I cellulari provocano gravi danni alla salute De Masi Martina

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redo che al giorno d’oggi concepire la quotidianità senza i cellulari sarebbe un tentativo senza successo, che darebbe forma a una vita astrusa e inconsueta. Quel dispositivo tascabile, che permettere di contattare chiunque, funzionante in qualsiasi luogo e momento, è diventato in tempi estremamente brevi compagno inseparabile delle nostre giornate. La sua introduzione suscitò immediatamente sentimenti di entusiasmo generale, per cui il cellulare divenne ben presto l’oggetto più anelato, il regalo più gradito. Trascuro i vari antenati del telefono cellulare per giungere direttamente al 1983, l’anno in cui l’invenzione di Martin Cooper venne resa nota al mondo: il cellulare è per la prima volta disponibile sul mercato. Da quella data in poi l’apparecchio ha subìto innumerevoli perfezionamenti e sviluppi che hanno condotto all’apparizione di modelli di volta in volta più tecnologici, così che alle prime funzioni di base (possibilità di telefonare e inoltrare messaggi di testo) se aggiunsero di altre (opportunità di ascoltare brani musicali, scattare fotografie, realizzare video e registrazioni, navigare su internet). Il marchingegno dalle mille funzioni è nel XXI secolo parte integrante della vita di tutti i giorni. I dati parlano chiaro: l’81,4% degli italiani possiede almeno un cellulare, solo il 35,4% ne ha uno, mentre il 27,5% ne possiede 2, l’11,5% è proprietario di 3 telefonini, il resto di 4 o più. Non

si tratta esclusivamente di adulti, in queste percentuali sono certamente compresi bambini di età inferiore ai dodici anni. Non si può proprio fare a meno di comunicare. Se se ne ha la facoltà, non si resiste alla tentazione di informare in tempo reale i propri cari riguardo a tutto ciò che si sta vivendo; se si pensa poi che un telefono cellulare svolge anche tutte le funzioni di una fotocamera e di un iPod, si comprende perché, per un motivo o per un altro, non lo si abbandona mai. Ritengo, a questo punto, necessario un ulteriore resoconto di dati per l’efficacia della quale essi sono portatori: due terzi degli Inglesi usano il cellulare sulla tazza del bagno, il 41% dei Giapponesi se ne serve persino nella vasca. Nel 2009 gli Italiani hanno parlato al cellulare per 113,8 miliardi di minuti. Le schede sim acquistate dalla popolazione mondiale, che ha raggiunto le soglie di 7 miliardi di abitanti, sono attualmente 5,2 miliardi. Ancora più interessante il fatto che in Italia il 56% dei bambini di scuola elementare possiede un telefonino. Sembra proprio che esso sia fondamentale insostituibile passatempo e salvavita, ma adesso è tempo che si riconosca che sa essere letale. La tesi che sostengo fa riferimento non solo all’effettiva nocività del dispositivo, ma anche all’atteggiamento biasimevole delle aziende e dei centri studio in merito alla questione. Tutti i cellulari emettono radiazioni o microonde

radio, queste a partire dal dispositivo sono soggette a un’espansione in senso orizzontale che investe ogni corpo vicino, a una maggiore vicinanza corrisponde una maggiore intensità delle onde. Si tratta di radiazioni ad alta frequenza, le quali hanno le capacità di provocare l’innalzamento della temperatura corporea, tale fenomeno comporta la possibilità di danni ai tessuti. Per ciò che concerne tale fenomeno è possibile per la persona stessa che utilizza l’apparecchio notare, dopo lunghe telefonate, il riscaldamento dell’orecchio a contatto e il corrispondente lato del cranio. Nel caso di una lunga conversazione al cellulare l’apparecchio è costretto per lungo tempo direttamente a contatto con la testa e le microonde sono capaci di neutralizzare la barriera ematoencefalica e rilasciare delle tossine in direzione del cervello. Le altre due parti dell’organismo umano più esposte ai rischi sono gli occhi, a causa delle possibilità dello sviluppo del melanoma uveale ed il nervo acustico che, per tempi lunghi, viene sollecitato. Il telefonino costituisce un problema anche se non effettivamente utilizzato, ma lasciato nella tasca sinistra dei pantaloni: a contatto con il corpo in quella determinata area potrebbe interferire con il ritmo cardiaco. È altamente sconsigliato l’uso del cellulare durante la guida, al contrario di ciò che si potrebbe pensare non si tratta solo di una questione di responsabilità o di prudenza stradale, ma è possibile che le radiazioni emesse dal cellulare interferiscano con la strumentazione digitale dell’automobile per cui l’airbag potrebbe aprirsi inaspettatamente e il sistema ABS potrebbe azionarsi senza preavviso. Le ragioni sopra citate costituiscono motivi più che validi per ridurre categoricamente a momenti di stretta necessità l’utilizzo dell’apparecchio. Eppure soltanto un numero esiguo di persone è a conoscenza di tali informazioni e mette in atto le precauzioni adeguate. Questo accade perché esiste gente che ama arricchirsi in maniera vergognosa alle spalle dell’ignoranza della povera gente. L’uso eccessivo e improprio del cellulare rappresenta un grosso rischio per la salute, ma noi non lo sappiamo o meglio non dobbiamo saperlo e, le industrie produttrici di cellulari e le compagnie telefoniche non sono da considerarsi del tutto estranee a riguardo. Le ultime non fanno altro che proporre spot pubblicitari che informano su offerte

sempre nuove e convenienti. Più della metà della pubblicità che viene proposta in televisione, sul web, alla radio contiene messaggi relativi a tariffe vantaggiose e modelli di volta in volta più avanzati di telefonini. Siamo tempestati di informazioni riguardo ai cellulari, ma conosciamo solo una faccia della medaglia e, come viene facile intuire quella in cui tutto appare sicuro e luminoso, l’altra faccia quella oscura e allarmante, della cui esistenza in numerosi non sono al corrente, resta celata. Come di consueto, il lato premurosamente nascosto costituisce ciò che è più importante sapere. Si tratta di informazioni conosciute da una piccola élite, s’intende studiosi, scienziati, appassionati di tecnologia e quei pochi che essendo tormentati dal dubbio hanno ritenuto opportuno documentarsi in maniera soddisfacente. Tutti gli altri abbagliati dall’utilità e dai profitti, bisogna dirlo, innegabili, che il dispositivo offre, hanno lasciato correre. Ebbene la disinformazione in merito a questo tema non è un fenomeno puramente casuale, ma rigorosamente intenzionale. È a dir poco sconcertante leggere che la maggior parte degli studi di ricerca, che si occupano di capire se i cellulari effettivamente nuocciono alla salute dell’uomo o meno, sono finanziati dagli stessi produttori di telefonini. È semplice, se non d’obbligo, intuire che i risultati possono essere facilmente falsati, la gravità degli effetti sminuita. L’argomentazione più forte a sostegno della mia tesi prende quindi forma proprio dall’ignobile comportamento dei produttori, che segretamente finanziano le aziende perché al termine delle ricerche possano comunicare solo ciò che è conveniente e omettere o camuffare eventuali verità scomode. Generalmente i libretti di istruzione per l’uso recitano: «si consiglia di tenere il cellulare a una distanza compresa tra 1,5 cm e 2,5 cm dalla testa». Sul libretto di istruzioni dell’iPhone, invece si legge un’ulteriore precauzione: «Quando usate l’iPhone vicino al vostro corpo tenetelo ad almeno 15 millimetri di distanza dal corpo e usate soltanto custodie, clip da cintura o fondine che non abbiano parti metalliche e mantengano almeno 15 millimetri di separazione dal corpo». A questo punto è spontaneo chiedersi perché nei manuali di istruzione si trovino suggerimenti del genere,

mentre le compagnie sostengono l’assenza di prove conclusive e tendono a eliminare totalmente il dubbio dalle menti della gente. Come per la domanda anche la risposta è immediata: il rischio è presente ed è anche grave. Le compagnie telefoniche, premurose di salvaguardare i propri affari, non possono ammettere di conoscere gli effetti devastanti che un uso prolungato dell’apparecchio provoca, tuttavia ci tengono a tutelarsi per poter dire che loro ci avevano avvisato. Sarebbe un tragico errore trascurare il fatto che il motivo delle raccomandazioni è taciuto. È proprio questo elemento che deve avviare la riflessione: significa inequivocabilmente che le aziende sono in malafede. A questo proposito il programma televisivo Report, in onda su rai 3 la domenica sera, che si occupa di inchieste giornalistiche, condotto da Milena Gabanelli, in una puntata intitolata L’Onda lunga ha spiegato come Motorola ha cercato di ridimensionare i dati, risultato di una ricerca finanziata dalla stessa azienda. E come potrebbe, d’altronde, essere definito corretto l’atteggiamento delle compagnie se esistono disposizioni sanitarie in vari paesi che sostengono l’importanza di evitare che i bambini ne facciano uso e asseriscono che è pericoloso lasciarlo sotto il cuscino di notte; inoltre il Consiglio Superiore di Sanità ha consigliato di adottare le precauzioni del caso. Non è tutto qui, anche alla legge questa condotta non piace troppo, esemplare il caso di un ex manager lombardo, a favore del quale si è espressa la sentenza del Tribunale di Brescia, l’Inail dovrà far fronte a un risarcimento da versare nei confronti dell’uomo, che soffre di un tumore alla testa causato dall’uso eccessivo del telefonino. Questo tema così delicato ha certamente interessato l’OMS (l’organizzazione mondiale della sanità) che, in collaborazione con l’IARC (associazione internazionale per la ricerca sul cancro) ha condotto degli studi. Il responso dà ancora maggior credito alla mia posizione ed è stato il frutto del lavoro di trentaquattro scienziati provenienti da quattordici paesi diversi che si sono riuniti dal 24 al 31 maggio dello scorso anno. Sono stati effettuati studi epidemiologici su esseri umani e test su animali. I cellulari sono nocivi per la salute umana in quanto comportano potenziali effetti tumorali. Il rischio che si registra riguarda il glioma,tumore che investe le cellule gliali

responsabili della protezione e addette al sostentamento dei neuroni, e il neurinoma acustico, il tumore del nervo uditivo; non è stato attestato ma non si esclude che il cellulare possa causare altri generi di tumore. Le microonde radio emesse dai cellulari sono diverse dai raggi x o dai raggi ultravioletti, sono meno potenti, nonostante ciò le ricerche del dottor di del 1993 non sono affatto rassicuranti: le onde elettromagnetiche dei cellulari a cui topi da laboratorio sono stati esposti hanno causato l’interruzione del DNA di questi ultimi. Essendo stato appurato il fatto che l’utilizzo intenso di un cellulare, vale a dire almeno trenta minuti al giorno per un arco di tempo lungo dieci anni, aumenta del 40% la possibilità di insorgenza di un tumore nell’individuo, il telefonino è stato aggiunto alla lista degli agenti cancerogeni ed è stato classificato al livello 2b di pericolosità. Sono ugualmente pericolosi rispetto al telefonino tutti quegli apparecchi che hanno attiva la funzionalità wireless, per cui sono inclusi i cordless e il computer per ciò che riguarda la possibilità di navigare su internet. Per quanto concerne questo argomento la parola d’ordine suggerita dall’OMS è quindi estrema cautela. Adoperare il cellulare all’insegna della prudenza e della responsabilità verso se stessi significa ridurre l’utilizzo a casi in cui è strettamente necessario e, se risulta impossibile evitare, è bene utilizzare gli auricolari o i messaggi di testo, così che la testa e l’apparecchio restino sempre a debita distanza. È altamente sconsigliato tentare ostinatamente di telefonare in luoghi in cui il segnale è scarso o nullo, in questi casi infatti è necessaria maggiore potenza in uscita per cui le radiazioni emesse dal telefonino sono nettamente superiori. Queste sono le precauzioni che l’OMS ci raccomanda di adottare, e se l’OMS e l’IARC ci mettono in guardia sembra proprio il caso di allarmarsi. Certo sarebbe del tutto sbagliato nonché da ipocriti suggerire smettere definitivamente di usare il cellulare, visto e considerato che è un pericolo, anche perché tanto non serve a nulla. Riconosco che la sua utilità è evidente in quanto, mentre ci sono casi in cui è utilizzato per gioco o per leggerezza anche in momenti in cui si potrebbe farne a meno, si verificano eventualità in cui rappresenta la nostra unica salvezza. Se ci si perde in posti isolati è il solo

contatto che si mantiene con il mondo, se ci si trova in situazioni di pericolo rintracciare la posizione del cellulare significa sapere il luogo esatto in cui si trova la persona. Alla luce di ciò è opportuno consigliare l’uso dell’apparecchio all’insegna di astuzia e intelligenza, lo si può fare seguendo pochi preziosi consigli che ci sono comunicati da Riccardo Staglianò nel suo libro: tutelare prima di tutto i bambini, utilizzare gli auricolari col filo o il vivavoce, preferire i messaggi di testo alle chiamate, evitare il contatto con il corpo, scegliere il modello con minore SAR (Specific Absortion Rate = tasso di assorbimento specifico, che segnala in percentuale il valore di radiazioni che un corpo umano esposto a un campo elettromagnetico a radio frequenza assorbe), non usarlo in auto o in treno: in movimento il cellulare fa più fatica a connettersi con la linea ed emette maggiori radiazioni In conclusione intendo ribadire i concetti, l’importanza e le conseguenze legate alla mia posizione. Il cellulare non è un oggetto magico, al contrario potrebbe rivelarsi letale, pertanto deve essere usato con giudizio. Inoltre bisogna dire che le precauzioni consigliate potrebbero non essere sufficienti: mentre le ricerche continuano in attesa di responsi più sicuri, c’è chi sostiene che tutelarsi come indicato sopra possa non servire a granché. È il caso di Francesco Marinelli, ricercatore del CNR, che afferma: «le onde elettromagnetiche stanno nel range che interferisce con il comportamento biologico». Ciò significa che ci colpirebbero comunque, evitare il contatto fisico col telefono non potrà salvarci. Lo stesso ricercatore sostiene che anche la scelta del modello con minore SAR non sia determinante. I test relativi a questo parametro sono stati pensati dalle aziende produttrici e vengono effettuati utilizzando un gel proteico amorfo, la cui struttura è diversa dalle cellule che compongono il tessuto cerebrale. È fondamentale far propri questi concetti e comprenderne la portata, perché il cellulare non è nostro amico, le agevolazioni che in un primo momento ci offre potrebbero non valere quanto il sacrificio. Bibliografia Staglianò, Riccardo, Toglietevelo dalla testa -

Cellulari, tumori e tutto quello che le lobby non dicono, Milano, Chiarelettere, 2012 Staglianò, Riccardo “Rischio cellulari. Non telefonate più senza l’auricolare (oppure usate gli sms)” in Il Venerdì di Repubblica, XXV, n° 1245, gennaio 2012, pp. 67-67 Sitografia http://it.emcelettronica.com/storia-del-telefonocellulare http://newebmarketing.blogspot.it/2012/02/maquanti-cellulari-hanno-gli-italiani.html http://benessere.paginemediche.it/it/238/casa-esicurezza/detail_1491_cellulari-eradiazioni.aspx?c1=98&c2=392 http://www.vanityfair.it/news/societ%C3%A0/2012 /01/28/cellulari-tumore-stagliano'4444 http://www.italiasalute.it/6801/pag2/I-cellularifanno-male-dice-l'Oms.html http://www.repubblica.it/salute/ricerca/2011/05/31/ news/oms_i_cellulari_possono_causare_il_cancro17035258/

Il business spietato delle case farmaceutiche Imparato Alexandra

U

n figlio nasce… i suoi genitori lo affidano amorevolmente alle cure del pediatra, fiduciosi del fatto che il suo ruolo sia quello di prevenire e curare eventuali malattie, ma non è sempre così: in una società ormai caratterizzata dalla globalizzazione, nella quale il valore fondamentale sembra essere il vile profitto, viene da chiederci se la popolazione mondiale non sia “ostaggio” dei colossali interessi delle multinazionali farmaceutiche. L’egemonia della politica sanitaria impone i suoi dogmi, riducendo l’uomo ad un potenziale consumatore di farmaci, i quali non sempre curano le vere cause di una determinata patologia, ma creano bensì ulteriori danni alla salute. Questo predominio del farmaco si compie fin dalla nascita: con le vaccinazioni dette obbligatorie, le quali generano spesso nei genitori forti dubbi. Basti pensare che il vaccino esavalente consigliato alle giovani madri (e ritenuto erroneamente gratuito poiché si paga con le tasse) contiene ben 6 vaccini in 1: antipolio, antitetanica, antidifterica, antiepatite B, antimorbillo e antipertosse. Una vera “bomba” chimica, tranquillamente indicata dal medico di fiducia. La mia tesi è che la nostra salute è succube di una scellerata alleanza fra la potente industria del farmaco e un ottuso sistema sanitario. Il cartello Big Pharma (che include tutte le maggiori case produttrici di farmaci del mondo, da

GlaxoSmithKline a Baxter, Novartis e altre) detiene il monopolio delle cure ed è capeggiato da individui che agiscono come dittatori “invisibili”. In verità i veri padroni del nostro destino sono un pugno di uomini appartenenti alle famiglie più possenti del mondo (i Rothschild, i Rockefeller ed altri personaggi illuminati) o meglio di grandi banche di investimento e di multinazionali. Lo illustra bene Hans Ruesch1 quando scrive: « L’industria farmaceutica è grande e potente come l’industria delle armi. Con la differenza che la guerra finisce. La malattia, no, finché c’è qualcuno che la tiene in vita ». Lo stesso discorso fa Michel Chossudovsky2, in un suo articoloinchiesta pubblicato su numerose riviste internazionali e siti Internet. In effetti, la medicina di stato ritiene molto più proficuo scatenare paure a suon di numeri, modificando la realtà attraverso campagne terroristiche con la complicità di un giornalismo servo del potere politico. Le grosse multinazionali spendono in pubblicità e in marketing il doppio di quello che spendono in ricerca. Si pensi al caso di qualche anno fa quando l’influenza H1N1, detta anche suina (una malattia degli animali che esiste da quando vi sono gli allevamenti sporchi o intensivi) apparve in tutto il mondo, creando una psicosi generale, ben sfruttata dai big del farmaco, per lucrare sulla salute della popolazione. Un fenomeno in seguito sbugiardato: l’ennesima “bufala” creata a tavolino. Una banale influenza

anche meno aggressiva di quella stagionale. Difatti le ASL italiane spesero 184 milioni di euro per acquistare vaccini (ovvero 24 milioni di dosi) che, in gran parte, non vennero utilizzati. Ragion per cui il Consiglio d’Europa denunciò lo scandalo sanitario dichiarando senza mezzi termini che la vera influenza era «quella esercitata dalle lobbie farmaceutiche sull’ Organizzazione Mondiale della sanità (OMS) affinché dichiarasse la pandemia». Recentemente si è verificato lo stesso fenomeno: nel settembre del 2011, la televisione svizzera divulga un’inchiesta esaustiva (dalla parte delle bambine) che spiega della campagna pro-vaccino anti-virus HVP (il Papilloma virus, accusato di provocare il cancro al collo dell’utero). Il documentario denuncia il fatto che le commissioni parlamentari abbiano ricevuto materiale informatico solo da parte dei fabbricanti dei vaccini e mostra come la stessa classe medica sia perplessa a riguardo, per non dire contraria (non conoscendo la reale efficacia del farmaco utilizzato). Il movimento Comilva spiega il perché dell’inutilità di questo allarmismo in quanto il vaccino protegge solo da 2 ceppi del virus, mentre sono almeno 15 quelli che provocano il cancro. Considerato che una donna, anche dopo aver fatto il vaccino, debba periodicamente controllarsi eseguendo un pap test, (un test in grado di individuare le cellule malate sul nascere e che permette di guarire al 100%) perché pubblicizzare una vaccinazione “a tappeto” quando è provato che non è necessaria? A questo punto credo sia legittimo chiederci cosa fanno le autorità competenti per tutelarci. Ebbene sappiamo che l’industria del farmaco deve vendere! Cosicché si affida a degli informatori scientifici, i quali illustrano i vantaggi dei loro prodotti rispetto a quelli della concorrenza. Poiché sono pagati sulla base dell’aumento delle vendite, è assai improbabile che si soffermino ad elencare gli effetti tossici delle medicine che pubblicizzano. Dell’argomento si è occupata la trasmissione Report, mandata in onda nel novembre del 2011 (Il Marketing del farmaco). L’inchiesta di Paolo Barnard rivela la verità scomoda sul ruolo di questi rappresentanti e la loro influenza sui medici. In aggiunta mette in luce i metodi sleali usati per corrompere i professionisti del settore: “coccole” sotto forma di cene, regali, donazioni agli ospedali, congressi-viaggi, mazzette…e così via. Ovviamente solo una parte di questi dottori viene

corrotta, ma ciò basta a falsare tutto il mercato. Peraltro questo meccanismo di indottrinamento nasce alla base del sistema e viene illustrato in un documento di marketing di una nota azienda farmaceutica, nel quale si legge: «costruire un gruppo di opinioni leader, e cioè i baroni universitari e ospedalieri, fidelizzati alla casa farmaceutica » (nelle Università lo studente è lasciato a se stesso. I docenti nemmeno si pongono il problema del discorso deontologico). Inquietano le dichiarazioni fatte al giornalista della Rai nelle quali l’informatore, in forma anonima, allude anche a minacce fisiche. Ma nello spietato mondo delle lobbie, questi metodi non sono poi così lontani dagli scenari fantascientifici dei romanzi gialli. Eppure cosa fanno le autorità? la Commissione Unica del Farmaco (un importante organismo con compiti vincolanti di controllo sul settore farmaceutico – CUF) deve prevenire eventuali abusi prima di permettere la prescrizione di un determinato farmaco sul territorio. Un compito lodevole… peccato però che non sia sempre così. Prendiamo ad esempio il caso del medicinale Ritalin della casa Novartis, un anfetaminico indicato nel trattamento della sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) che ha effetti sul cervello più potenti di quelli della cocaina. Questo stupefacente circolava liberamente prima che lo autorizzassero nel nostro paese, complici i medici autoreferenziali e le dogane colabrodo (il farmaco proveniva dalla Svizzera). Ma nel 2007 ecco che l’Italia adotta la pasticca “miracolosa”. A tal proposito l’associazione “Giù le mani dai bambini” (il comitato italiano che monitora i disagi dell’infanzia e raggruppa Università, ordini dei medici, associazioni genitoriali e socio-sanitarie) sostiene che «le precauzioni assunte dal Ministero per evitare abusi furono del tutto insufficienti». Ma gli speculatori si rifiutano di ammettere l’esistenza di un legame fra la potenziale nocività dei vaccini e la comparsa di ulteriori malattie (autismo, patologie del sistema immunitario, allergie varie di cui nessuno conosce la vera causa) come nel caso della sindrome di morte improvvisa del lattante (SIDS). Sui foglietti illustrativi dei vaccini si legge che le case farmaceutiche escludono, guarda caso, qualsiasi legame fra la SIDS e i vaccini. Intanto è del recente aprile 2012 una sentenza del Tribunale di Rimini che riconosce

il nesso di causalità tra la vaccinazione e l’autismo (i vaccini contengono sostanze altamente tossiche come il mercurio, il formaldeide e l’alluminio). Tuttavia, sembra scontato pensare che i medicinali ci aiutino e potremmo dire che è grazie ai vaccini se alcune malattie infettive e pericolose sono state debellate, ma non è così ovvio! Ce lo spiega il dottore Serravalle3 nel suo libro: Bambini super vaccinati. Egli nutre forti dubbi sulla sicurezza e l’efficacia dei vaccini. Inoltre dimostra che alcune malattie infettive come il vaiolo, ad esempio, non sono scomparse per merito dei vaccini, ma per via di prassi igieniche e di quarantene (lo sostiene la stessa OMS). Del resto, l’eminente neonatologo afferma anche di non aver trovato studi clinici di ampio numero (condotti da ricercatori indipendenti) che attestino che i bambini vaccinati siano più sani di quelli non vaccinati. Ciò nonostante è evidente che non potremmo fare a meno dei dottori o dei farmaci e lo scopo di questa tesi non è quello di demonizzare l’intera categoria del sistema, anzi, esiste un discreto numero di medici "indignati" e a caccia dei “trucchi” dell’industria del farmaco. Ne è un esempio il convegno di Roma del novembre 2011: un workshop organizzato dagli studenti del Segretariato Italiano Studenti di Medicina (SISM) sul tema «Case farmaceutiche e conflitti d'interesse nella pratica medica», un convegno organizzato in modo spartano e ben lontano dalle location abituali: Resort a 5 stelle, sauna, beauty farm e ristoranti di lusso... Comunque nel panorama attuale qualcosa sta cambiando e le vaccinazioni non sono più obbligatorie fin dal 2008 (anche se le autorità si guardano bene dal renderlo noto). Nessuno può forzare un genitore a vaccinare il proprio figlio. Oggigiorno sono sempre più frequenti i casi di denunce che vedono coinvolta anche la politica e gli scandali del mondo del farmaco balzano, ormai, alla ribalta delle cronache. Parliamo della Francia e dei suoi politici “amici” di case farmaceutiche. Sul banco degli imputati c’è la casa Servier (proprietà di Jacques Servier, grande amico di Sarkozy, nonché premiato dal medesimo con la legione d’onore!) produttrice di un farmaco antidiabetico trasformatosi in medicinale taglia-fame estremamente nocivo e commercializzato nel 1996. Un caso costellato di misteri, di morti (500 morti e 3500 ricoveri in ospedale) e di denunce soffocate (del resto Servier è intoccabile con i suoi 3.7

miliardi di fatturato) fino al 2009, anno in cui il farmaco viene ritirato dal mercato. Ma non è da meno la denuncia che la giornalista austriaca Jane Burgermeister (dell’autorevole gruppo di ricerca indipendente Global research) ha presentato nel 2009: una serie di esposti contro la Baxter (multinazionale attiva nell’industria farmaceutica e le biotecnologie), l’OMS e l’ONU per attività illegali e criminali nella preparazione della massiccia campagna di informazione deviata sulla presunta pandemia del virus H1N1. Nel documento intitolato “Prove per il bioterrorismo” deposto all’FBI, la Burgermeister aggiunge:«Ci sono prove che organizzazioni come OMS e ONU e le compagnie farmaceutiche che producono i vaccini … facciano parte di un unico sistema sotto il controllo di un gruppo criminale di base». Un altro esempio di contestazione ci rimanda al 2004, anno in cui il procuratore generale di New York Eliot Spiltzer decide di citare in giudizio la multinazionale GlaxoSmithKline per «frode ripetuta e persistente». L’accusa si basa sul fatto che la Glaxo, al fine di vendere un pericolosissimo antidepressivo (il Paxil) a migliaia di bambini, avrebbe deliberatamente tentato di insabbiare i risultati di alcuni studi scientifici secondo i quali il medicinale incriminato non solo sarebbe inefficace, ma spingerebbe al suicidio.(Glaxo ha respinto le accuse, ma ha accettato una nuova linea di condotta, in base alla quale saranno resi pubblici tutti i risultati delle loro ricerche). Purtroppo questo intervento significativo solleva un problema molto più profondo e inquietante I potenti di questo mondo tentano di controllare la popolazione anche attraverso le emozioni umane: più di 40 anni fa le autorità della psichiatria si riunirono in segreto con il risultato che oggi, nel mondo, 100 milioni di persone assumono psicofarmaci, convinti da medici scorretti di essere malati in ogni fase della loro vita: l’infanzia, l’adolescenza, la gioventù e l’anzianità. Invece manifestazioni come l’ansia, l’insicurezza e lo stress sono normali disagi dovuti ai ritmi frenetici che questo mondo “globalizzato” ci impone. Un mondo nel quale le emozioni vengono etichettate come malattie di cui, peraltro, non si conoscono le cause ma che, ovviamente, incrementano un “grasso” giro d’affari. Più delle volte non si tratta di scienza ma di forti interessi fra multinazionali e venditori di farmaci che,

attraverso un marketing efficace, distorcono la realtà, convincono i medici di base a prescrivere pillole per qualsiasi problema emotivo, riducendolo ad una vera patologia. Senza accurate visite e senza nemmeno conoscere il 50% degli effetti collaterali. Non è difficile capire il perché di questi meccanismi: l’industria psichiatrica raccoglie in un anno 330 miliardi di dollari! Ma parliamo ancora di numeri: questa prolifica macchina causa più di 3000 morti ogni mese, senza contare gli innumerevoli danni collaterali causati da queste pericolose pasticche. Lo testimoniano i famigliari delle tante vittime: genitori ignari che raccontano del suicidio del figlio o della personalità “disintegrata” della figlia. Ma a raccogliere queste nuove malattie ci pensa la “ bibbia” degli psichiatri: il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM – Manuale Diagnostico e Scientifico dei Disturbi Mentali), un “fertile” tomo che contiene malattie create arbitrariamente (le diagnosi contenute nel manuale non sono fondate su criteri scientifici) dagli stessi dottori che concordano, a suon di voti, nell’ingigantire semplici e normali “disturbi” (come fare la pipì a letto o litigare con la propria madre, dipendere dalle sigarette, essere esuberanti oppure timidi…) riconosciuti in seguito, da loro stessi, per legittimare il finanziamento di nuovi prodotti da parte delle multinazionali. A questo punto è facile riconoscersi nel tipico soggetto affetto da bipolarismo, una patologia “generosamente” elargita dagli psichiatri di tutto il mondo, poiché ci capita spesso di alternare, nel corso della giornata, sbalzi d’umore e ciò per svariati e futili motivi. Il reale disturbo bipolare è, ahimè, tutt’altra cosa! Mentre i guru italiani della medicina allopatica (detta anche ufficiale) si oppongono drasticamente alle tante cure alternative, i nostri cugini (Francia, Gran Bretagna, Germania) accolgono, invece, altri tipi di terapie complementari: per esempio, nel caso della medicina omeopatica, che viene riconosciuta e rimborsata dal sistema sanitario francese, mentre da noi i prodotti omeopatici non possono, per legge, contenere indicazioni terapeutiche perché non considerati medicinali. E che dire del modo in cui l’Italia ha ostacolato il metodo messo a punto da Paolo Zamboni dell’Università di Ferrara. Secondo il suo criterio esisterebbe una correlazione significativa tra i sintomi della Sclerosi Multipla e la CCSVI, (insufficienza venosa cerebro-spinale

cronica), una malformazione dei vasi sanguigni che fa sì che il passaggio del flusso sanguigno sia ostacolato. Questa teoria (più volte pubblicata su autorevoli riviste scientifiche internazionali) è stata ignorata dal l’Aism (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), colpevole, secondo molti, di non essere in grado di rappresentare i pazienti, i quali pretendono che siano disponibili le nuove cure offerte dalla ricerca, nel sacrosanto nome del diritto alla salute. In ogni modo la notizia del febbraio 2012 che l’Emilia-Romagna finanzierà la cura Zamboni è la prova che il fenomeno irrompe inevitabilmente, come, altrettanto, sta succedendo con il metodo Di Bella. I media se ne stanno occupando e molti malati di cancro non hanno mai smesso di credere in questa terapia alimentata dal passaparola. Lo dimostrano i 250 ricorsi vinti in tribunale dall’avvocato Marisa Cataldo di Bari, la quale asserisce che: «Il diritto alla salute non può essere pregiudicato da un “tetto di spesa”, il bilancio dello Stato non può comprimere il diritto che una persona ha di curarsi. Questa è una garanzia costituzionale». La cura del dottor Di Bella4 (una terapia alternativa per la cura dei tumori) fu discreditata dal Ministero della Sanità che stabilì, nel 1998, l’inefficacia del metodo. (Ma molti farmaci furono somministrati scaduti e la terapia così “alterata” fu testata su un gruppo di pazienti gravemente malati, alcuni terminali, altri all’ultimo stadio). Occorre sapere che nei trattamenti oncologici, le case farmaceutiche giocano un ruolo fondamentale, perché i protocolli sono i trattamenti più costosi nell’ambito medico (i prezzi dei chemioterapici sono quasi in toto pagati dal Sistema nazionale sanitario, e quindi dai cittadini con le tasse: circa 50.000 a 200.000 euro al mese per ogni singolo paziente!) La mia convinzione, dunque, è che in un mondo in cui i poteri economici condizionano le nostre scelte di vita, le poche “armi” di cui disponiamo per difenderci da una speculazione efferata ai danni della nostra salute rimangono l’informazione e una consapevolezza della realtà che ci circonda. A dimostrarlo è l’esempio di presa di coscienza da parte di semplici cittadini i quali sono stati in grado di tediare i saldi equilibri delle lobbie multimiliardari: un gruppo di pensionati londinesi, dopo aver scoperto che parte dei loro risparmi erano stati investiti in alcune multinazionali come la Glaxo, ha minacciato di spostare i propri

risparmi, nel nome di un investimento più etico. Ribadisco, dunque, che si possa e si debba attingere dal proprio buon senso. Del resto, se consideriamo che una “genuina” rivista come Acqua&Sapone (un mensile che viene offerto in tutt’Italia da una nota catena di supermercati e che, guarda caso, è indipendente da qualsiasi partito politico) approfondisce argomenti così gravi, richiamando l’attenzione di numerosi clienti e riscuotendo un notevole consenso, significa, forse, che la gente comune è stanca di subire i soprusi delle lobbie farmaceutiche. NOTE: 1 Hans Ruesch, scrittore, sceneggiatore e editore svizzero. È stato autore di romanzi, nonché saggi contro la sperimentazione animale. Sull’argomento Scrisse Imperatrice nuda, libro che destò scalpore in Italia nel 1976, anno in cui fu pubblicato da Rizzoli, e che fu poi boicottato e soffocato dall'industria farmaceutica in accordo con le maggiori case editrici.) 2 Michel Chossudovsky è un premiato autore, professore di economia presso l’università di Ottawa e direttore del centro per la ricerca sulla globalizzazione (CRG), Montreal. Egli è l’autore di La globalizzazione della povertà e il nuovo ordine mondiale (2003) e Guerra al terrorismo dell’America (2005). 3 Il dottor Eugenio Serravalle,, neonatologo e pediatra, specialista in patologia neonatale, pediatria preventiva e puericultura 4 Luigi Di Bella era un fisiologo nato in provincia di Catania nel 1912 e deceduto a Modena nel 2003. SITOGRAFIA www.mednat.org www.guide.supereva.it www.notizie.tiscali.it/regioni/Emilia.../Zamboniscle rosi.html www.ilgiornale.it/tumori/io_avvocato www.vaccineunsencored.org www.vaccinationcouncil.org www.disinformazione.it http://www.acquaesapone.it/ BIBLIOGRAFIA •

Shelton, Herbert, Danni causati da vaccini e

sieri, Gildone, Igiene naturale Srl, 1985. • Pignatta, Valerio, Asma e vaccinazioni, Cesena, Macro Edizioni, 2002. • Chaitow, leon, I pericoli della vaccinazione e le possibili alternative, Palermo, Ipsa Editore. • Serravalle, Eugenio, Bambini super vaccinati, Torino, Il Leone Verde, 2009. • Moynihan, Ray e Cassels, Allan, Selling Sickness, Londra, 2005 (trad. it. Di Minnicucci S. Farmaci che ammalano, Nuovi Mondi Ed, 2005)

Cuore d'inchiostro: l'importanza della lettura Korchak Cuda Mariya

«N

el mondo contemporaneo, che privilegia l'azione e l'estroversione, leggere è considerata un'occupazione passiva, poco attraente, adatta, non a caso, al genere più oppresso, quello 1 femminile ». Infatti,con l'avvento dell'era multimediale e tecnologica ,la lettura pian piano si sta affievolendo,indebolendo e sempre meno le giovani generazioni leggono di buon gusto un libro,ma sempre di più passano il loro tempo davanti al computer, videogames e televisione ,bombardati da migliaia di immagini,suoni e parole che scorrono a fiumi e spesso e volentieri li rendono passivi ed acriticamente accondiscenti . Molti dicono: « la lettura è noiosa,ci fa perdere tempo,non serve a nulla leggere libri classici in un'epoca che va sempre più velocemente avanti,verso nuovi orizzonti».Ma la mia opinione si contrappone a questi pareri , e dunque la mia tesi è che la lettura è un'attività peculiare,unica e difficilmente sostituibile,essa è molto importante per l'individuo e la sua formazione. La lettura è importante,innanzitutto,come acquisizione strumentale. Infatti ,in Italia ,come in altri Paesi avanzati,ha avuto molta rilevanza la scolarizzazione di massa,tanto è vero che era uno tra gli obiettivi prioritari della politica scolastica negli anni '50 e '60 dei governi di Centro e CentroSinistra ai fini di combattere gli alti tassi di analfabetismo nella penisola italiana. Invero,la lettura come abilità decifratoria ,per cui si

riconoscono delle lettere e le si trasforma in significato, è indispensabile ai fini della piena integrazione dell'individuo in una società alfabetizzata. Insegnare a leggere,scrive A. Ascenzi, «significava e significa sia introdurre l'individuo nel mondo della conoscenza,fornirgli gli strumenti per avviarsi sulla strada del sapere »,ma anche rendeva e rende possibile «la partecipazione,sia pure in termini minimali,alla comunicazione scritta e alla vita sociale»2. Dunque,sotto questo aspetto la lettura ha un uso sociale rilevante ,essa è una necessità «alla quale sfuggono soltanto coloro che non sanno leggere»,è quasi un'imposizione nell'impiego,consumo del testo che « invade tutti gli istanti dell'esistenza attraverso i giornali,volantini,istruzioni 3 d'uso,manifesti» . Nella società moderna è indispensabile informarsi,tenersi continuamente aggiornato per non ''rimanere indietro",per sapere cosa succede attorno a noi,nel mondo nel quale siamo immersi ,e per alcuni questa è addirittura «un'attività dettata dall'istinto di sopravvivenza4» . E quindi ,come facciamo a rimanere sulla ''cresta dell'onda'' del sociale se non possediamo un ben solido possesso strumentale del saper leggere? Un vecchio detto italiano dice: « voler imparare senza libro ,è come voler attingere acqua senza secchio», ed è proprio così - attraverso la lettura noi acquisiamo conoscenza. Essa consente l'accesso al sapere e alle più importanti fonti della

tradizione culturale. Nei secoli passati ,sebbene esistessero altre forme di comunicazione,quella scritta ( e quindi affidata al libro e alla sua successiva lettura) ha raccolto,conservato e tramandato ai posteri il sapere dei saggi e dei dotti e « se essi non ci fossero noi saremmo tutti rozzi e ignoranti, senza alcun ricordo del passato, senza alcun esempio5 ». Il libro,molto più in passato che ora,devo dire, schiudeva le porte alla conoscenza ; ma anche oggi esso vive,palpita ,ragiona ,parla con noi,ci insegna; il libro ci aspetta sempre lì,sullo scaffale ,pronto ad essere aperto e a dialogare con noi,ed anche se quelli scolastici ci sembrano dei mattoni,dobbiamo ricordarci che i mattoni edificano. Spesso ce lo dimentichiamo, ma, leggendo buoni libri noi abbiamo una grande possibilità che a volte ,purtroppo, ci è stata negata ( roghi ,censure ,occultamenti,omissioni ) ,e cioè conversare « con le persone più oneste dei secoli passati che ne sono stati gli autori6» . Infine,vorrei inserire una citazione di R. De Bury che mi ha colpito molto per la sua veridicità ,a mio avviso, e perché mi ci sono rivista e ritrovata : « Riflettiamo infine su come nei libri il sapere sia a portata di mano, quanto sia semplice e misterioso insieme; con quanta tranquillità, senza falsi pudori ci spogliamo davanti a loro della nostra ignoranza. I libri sono maestri che ci educano senza bacchetta né verga, senza strepiti né rabbia e non voglion favori né soldi! Se ti avvicini loro, non dormono e non sfuggono se li interroghi per sapere! Non ti riprendono se sbagli e non ti ridono in faccia per la tua ignoranza7!» . Collegata alla lettura come acquisizione di conoscenza e sapere,vi è la cosiddetta lettura funzionale. Essa sta proliferando negli ultimi tempi,infatti ci sono manuali per addestrare professionisti ,tecnici , manager, studenti,ecc. ,con la tecnica della lettura rapita,produttiva e funzionale appunto. Inoltre vi sono tanti libri di argomenti e campi professionali specifici,di base ,di livello avanzato (lingue straniere,economia,ecc.). La lettura ,in questo caso,è importante ai fini professionali e di studio e viene eseguita da determinati lettori per "obbligo". Dunque ,anche se questo va un po' a svantaggio della lettura letteraria,con finalità di maturazione etica ed estetica dell'individuo,d'altro lato dimostra come una società con tecnologie moderne e raffinate,non fa e non possa fare a meno del

libro,della parola scritta e letta,dell'attività del leggere,sia essa informativa ,funzionale o produttiva. Del resto,se ci pensiamo,ci sono manuali d'istruzione e d'uso per usare televisori,personal computer,lavatrici,i-phone,ecc. « Se fossi un detenuto, vorrei un libro per volar via, oltre le mura del carcere8 ». Leggere ci porta in terre lontane,alla scoperta di nuovi orizzonti ,modi di vivere,di pensare;ci fa conoscere realtà diverse dalla nostra e dunque ci rende meno soggetti a condizionamenti o a pregiudizi,ci da una certa elasticità mentale. La letteratura che comunica esperienza ha la funzione sia di arricchimento intellettuale ed esistenziale, sia di svago e d'intrattenimento. Da un lato,infatti, vi sono i libri che raccontano una miriade di esperienze reali di terre lontane come la Cina,l'India,l'Iran ,ecc. ; dall'altro gli adolescenti e non solo possono immergersi nel genere fantasy e visitare luoghi come La Terra Di Mezzo, La scuola di magia di Hogwarts ,andare con Verne sotto i mari,visitare i Lillipuziani con Swift. Abbiamo la grande opportunità di sdraiarci sul salotto di casa e volare via,con la fantasia e la meraviglia che ne deriva ,oppure col pensiero e il dischiudersi di migliaia di realtà e testimonianze diverse che ci sono nel mondo. Possiamo muoverci nel tempo e nello spazio,ascoltare quello che molte persone hanno da dirci,vedere oltre la nostra soglia di casa ,e tutto questo grazie al libro - vascello che fa viaggiare anche al più povero senza il tormento del pedaggio9. Secondo l'interpretazione psicoanalitica,sostenuta da studiosi come B.Bettelheim, N.Holland, J.Held,la lettura ,in particolare di un'opera narrativa, è un'occasione per un contatto con se stessi ,in quanto riesce a toccare le sfere più intime e riposte dell'io. Quando noi entriamo in rapporto con pensieri ,sentimenti,modi d'essere,comportamenti di uno o più personaggi,questi suscitano in noi il confronto con noi stessi ,e dunque la repulsione o l'adesione ; e ,in tutti i casi ,questo confronto implica la necessità di verificare ciò che siamo,la messa a nudo della propria personalità e quindi un 'arricchimento della coscienza dell'individuo. Gli studiosi sopra citati dicono che noi diamo al testo un significato in base alla nostra esperienza psichica personale vissuta ,in quanto leggendo « trasfiguriamo i dati per

riconoscervi simboli psichici10» ; lo notò anche M.Proust ,che disse che « ogni lettore,quando legge,legge se stesso11 ». Quest' interpretazione è importante per quanto riguarda l'infanzia poiché ,secondo questi studiosi le fiabe o le letterature fantastiche fanno sciogliere i conflitti intrapsichici ,in quanto si adeguano agli schemi mentali infantili e parlano direttamente all'inconscio; da un lato le fiabe propongono nelle vesti accettabili di personaggi animaleschi o fantastici i fantasmi,le paure del bambino ,che vengono riconosciuti nel suo inconscio e quindi superati ed elaborati positivamente12. Dall' altro la dimensione fantastica è adeguata all'animismo infantile e i bisogni dei bambini possono essere studiati in tal modo,in quanto sono espressi dai desideri (di invisibilità,leggerezza,ecc.) 13 . D'altro lato si potrebbe benissimo dire che « da un libro vuoto non si raccoglie saviezza » ,che oggi,con l'affermazione dell'industria culturale,il mercato editoriale obbedisce a logiche di mero consumo; infatti ci sono tante pubblicazioni prive di un autentico spessore culturale ,ci sono effimere rincorse alle mode e la ripetizione delle formule di successo come dimostra ,per esempio , la rapida proliferazione dei libri sui vampiri dopo il successo della saga diTwilight. Inoltre,ci sono prodotti cinematografici o televisivi (per es. documentari scientifici) di grande valore culturale e che influiscono talvolta con maggiore determinazione sul pubblico di massa. Io non voglio difendere l'importanza della lettura e dunque del libro a priori; queste realtà esistono e cioè - come ci sono libri scadenti,grossolani, così ci sono prodotti dei mass media di valore. Il fatto è che si dovrebbe distinguere,come dice A.Ascenzi ,tra le potenzialità comunicative del mezzo e l'uso che ne viene fatto14 . Alcuni aprioristicamente difendono il libro e criticano le altre forme di comunicazione,soprattutto quelle non tradizionali; ma questo non è l'atteggiamento giusto , bisogna parlare e discutere con la medesima consapevolezza critica dell'uno e dell'altro e distinguere lavori che vale la pena valorizzare o che conviene ignorare15 . E dunque,dovremmo ascoltare e seguire ciò che dice una citazione tradizionale : « i libri,come gli amici,devono essere pochi e ben scelti». Bisogna dire che ,per quanto faccia concorrenza la comunicazione per immagini alla lettura,non può

svolgere la funzione di potenziamento del pensiero astratto come può fare il libro. Sì,la conoscenza è garantita anche da molti nuovi mezzi,i racconti fantastici diventano più reali nei film,ma il leggere plasma ed esercita il pensiero logico. Da una parte,quando leggiamo (con attenzione,con interesse,con passione),si potenziano e si dilatano le nostre attività cognitive generali come, per esempio, quelle relative al riconoscimento delle informazioni,ai collegamenti logici tra queste; dall'altra ,si sviluppa (ovviamente va esercitata) la capacità critica grazie al processo di comprensione del testo e dei suoi contenuti ,e anche una loro interpretazione. Inoltre la nostra forma del pensiero e la conoscenza astratta,devono molto alla lingua scritta,tant'è vero che ,quando noi vogliamo scrivere sul foglio un discorso orale o una cosa che abbiamo letto,il nostro atto di scrivere « trasforma al tempo stesso discorso e pensiero16». Per di più , è opinione di molti studiosi eminenti che,chi legge buoni libri,ha una struttura mentis più ricca,flessibile , raffinata,analitica e sequenziale di qualsiasi persona che non legga17. Per ultimo,ma non per importanza,vorrei parlare di lettura come fonte di piacere,che stimola i nostri sensi. Disse Jules Renard : « Quando penso a tutti i libri che mi restano da leggere,ho la certezza di essere ancora felice18 ». La lettura non è noiosa se scelta con cura e a proprio piacimento ,non è passiva,essa ci porta con sé, ci rende felici,liberi ,leggeri,lontani dalle nostre preoccupazioni,ci può consolare. Questo godimento estetico dell'opera,di cui parlava B.Croce ,quest'autentico piacere per il testo,è quello che affascina ed avvicina l'individuo e, sul lungo periodo,produce una solida affezione,un gusto per la lettura e forma soggetti capaci di apprezzare il libro e maturare con esso. Infine vorrei esortare in primo luogo le famiglie e soprattutto i genitori a far conoscere la lettura ai propri bambini,coinvolgerli e spronarli ad entrare in questo universo,in quanto la consuetudine ad essa è più forte quando si è più piccoli . In secondo luogo ,penso che anche la scuola ,attraverso gli insegnanti ,e la città ,attraverso il servizio bibliotecario e librario ,renda più facile e spontaneo l'avvicinamento del possibile lettore. Perché un libro è un vasto universo comunicativo,è una sorgente dalla quale possiamo attingere conoscenza , dialogo con i massimi geni dell'umanità, avere esperienze immaginarie e realistiche;la lettura ci

nutre l'anima ,lo spirito e anche il cervello,in quanto è depositaria di abilità intellettuali e processi cognitivi difficilmente surrogabili. Nella lettura ci possiamo ritrovare ,ci possiamo nascondere,trovare una consolazione,possiamo volare in terre lontane ,sviluppare la nostra immaginazione ed ampliare i nostri orizzonti. Per quanto riguarda i mass media,la televisione , i computer,gli educatori dovrebbero sorvegliare l'esposizione mediale dei giovani e dotargli di adeguati strumenti conoscitivi e critici per un approccio non ingenuo o passivo nei confronti di questi. Ma, nonostante le nuove e sofisticate tecnologie ,che diverranno sempre più raffinate e presenti nella nostra quotidianità,credo che la lettura di un buon libro sia e sarà sempre un alimento ,una nutrizione per il nostro spirito ed il libro sia il nostro cuore d'inchiostro.

comune secondo cui leggere è un 'attività passiva ,in quanto invece è impegnativa, « faticosa,richiede attenzione,partecipazione e attività di riflessione» ,come scrive Valentino Sosella. 16) Ivi 2) 17) cfr. Valentino Sosella, www.interruzioni.com 18) cit. Jules Renard

Bibliografia Ascenzi,Anna , La letteratura per l'infanzia oggi, Milano ,Vita e pensiero, 2002. R.Bartes - a.Compagnon,Lettura , in Enciclopedia, VIII,Einaudi ,Torino, 1979,p.180. Cristoforo Moro Renee Descartès Richard De Bury Peppe Lanzetta Emily Dickinson Marcel Proust NOTE: B.Bettelheim, The uses of enchantment:the 1)Valentino,Sosella ,www.interruzioni.com meaning and importance of fairy tales, New York 2) Ascenzi,Anna , La letteratura per l'infanzia oggi, 1976(Feltrinelli,Milano 1977) Milano ,Vita e pensiero, 2002. J.Held, L'immaginaire au pouvoir:les enfans et la 3) R.Bartes - a.Compagnon,Lettura , in litterature fantastique, PUF Paris,1976. Enciclopedia, VIII,Einaudi ,Torino, 1979,p.180. A.Ascenzi,La Letteratura Per L'infanzia Oggi, 4) Ivi 1) Milano,Vita e Pensiero,2002,p. 14. 5) Cit. Cristoforo Moro Jules Renard 6) Cit. Renee Descartès 7) Cit. Richard De Bury 8) Cit. Peppe Lanzetta Sitografia 9) Cit. Emily Dickinson www.iterruzioni.com ,articolo di Valentino Sosella 10) Ivi 2) 11) Cit. Marcel Proust 12) cfr. B.Bettelheim, The uses of enchantment:the meaning and importance of fairy tales, New York 1976(Feltrinelli,Milano 1977) 13) cfr. J.Held, L'immaginaire au pouvoir:les enfans et la litterature fantastique, PUF Paris,1976. 14) cfr. A.Ascenzi,La Letteratura Per L'infanzia Oggi, Milano,Vita e Pensiero,2002,p. 14. 15) Se vogliamo fare un confronto tra la lettura e altri mezzi di comunicazione,la prima ha alcuni caratteri specifici: sottintende tempi più lunghi,richiede una concentrazione maggiore e un impegno più grande per rielaborare le informazioni,e procede solo grazie a chi legge,altrimenti si arresta;invece la fruizione di altri mezzi può andare avanti senza un' attenzione o concentrazione vigile del soggetto. E' nel secondo caso che si è più passivi, e quindi crolla la teoria

Rinnovabile: una risorsa per l'Italia Mambrino Viviana

M

artedì 18 Aprile 2012 scoppia di fronte a Montecitorio una protesta contro i tagli agli incentivi previsti dai decreti del Ministero dello Sviluppo Economico: tali decreti comporterebbero una serie di impedimenti burocratici ed economici che bloccherebbero l’avanzare dei successi realizzati fino ad oggi sul fronte del rinnovabile. Con questi decreti vengono introdotti limiti alle nuove installazioni (registrazioni obbligatorie e senza rimborsi) e tagli degli incentivi per gli impianti fotovoltaici, sia per quanto riguarda grandi progetti sia per piccoli impianti domestici. Fino a poco tempo fa, la sostituzione dei tetti in amianto con pannelli fotovoltaici era incentivata da particolari bonus che, grazie a questi decreti, vengono eliminati. Se prima l’Italia, imitando il modello tedesco di incoraggiamento al rinnovabile, sosteneva le iniziative di imprese e privati, adesso abbandona tale atteggiamento per passare ad un’infinita burocrazia che limita investimenti e proposte per tutte le fonti d’energia rinnovabile e gli impianti di grande, media e piccola taglia. A mio parere l’Italia dovrebbe puntare sull’energia rinnovabile più di altri paesi europei. Infatti, ci troviamo di fronte ad una carenza di informazione del pubblico su quelli che sono i non pochi vantaggi del rinnovabile, che non viene considerato ad oggi un’ equa alternativa a fonti energetiche quali, ad esempio, il nucleare. Lo

stesso Jeremy Rifkin, economista statunitense che ha già collaborato nel nostro paese sul fronte dell’energia alternativa, afferma:

« L'Italia dovrebbe essere l'Arabia Saudita dell'energia rinnovabile. Nessun Paese europeo ha le vostre risorse: il sole, la forza del mare, il vento, le montagne per le centrali idroelettriche. Eppure molti altri Stati, dalla Germania ai paesi scandinavi, sono più avanti. 1 »

Le energie rinnovabili, sono definite da Rifkin «Terza rivoluzione industriale», in cui ognuno produce la propria energia e la scambia con gli altri: ci si scambierà energia tramite una “rete” così come oggi ci si scambiano informazioni tramite internet. Rispetto agli altri paesi europei, l’Italia è morfologicamente più avvantaggiata per la produzione di energia rinnovabile. Nel nostro paese abbiamo, oltre all’energia solare, svariate alternative. Impianti geotermici sono già presenti in Toscana, dove vi sono giacimenti naturali di vapore. Per quel che riguarda l’energia eolica, essa copre già il 20% della produzione di energia alternativa in Italia, la quale può contare su venti di buona intensità, soprattutto nelle zone mediterranee e nelle isole. Proprio in queste zone, specialmente lungo il crinale appenninico e nelle zone costiere delle regioni centromeridionali(Campania, Puglia, Molise, Basilicata, Sardegna), sono sorte le cosiddette Wind Farm, fattorie del vento. La presenza di numerosi fiumi e

di catene montuose lungo tutto lo stivale facilita la nascita di impianti per la produzione di energia idroelettrica, la principale risorsa alternativa alle fonti fossili usata in Italia: essa garantisce oggi circa il 15% del fabbisogno energetico. Ma oltre alle tradizionali fonti rinnovabili, esistono nuove tecnologie in fase di sperimentazione capaci di sfruttare l’energia delle maree o delle correnti marine, e perfino delle onde o della variazione di temperatura alle differenti profondità: in una penisola come l’Italia, circondata dai mari, tutto ciò non causerebbe altro che benefici. Secondo gli studi di Jakobson e Delucchi l’energia rinnovabile potrebbe coprire il fabbisogno energetico del pianeta in soli 50 anni2. Le energie wws (wind, water, solar ovvero vento, acqua e sole) potrebbero accompagnare i combustibili tradizionali e sostituirli interamente nel 2050. Questo risultato viene esplicato nel saggio “Providing all global Energy with wind, water and solar power” di Mark Jakobson e Mark Delucchi. I due studiosi statunitensi stimano che la richiesta mondiale di energia nel 2030 sarà di 11.500 gigawatt. Con le wws in circa vent’anni, si otterrebbero circa 100.000 gigawatt, e quindi oltre il fabbisogno. Circa l’84% dell’energia sarà fornita dalle turbine eoliche. Secondo i due studiosi, inoltre, ciò che non permetterebbe uno sviluppo dell’energia rinnovabile sarebbero soprattutto questioni politiche: i governi, afferma Jakobson, avrebbero interessi nel proseguire gli studi sul nucleare, non tanto per questioni energetiche, quanto per la produzione di armi sempre più potenti. Per di più esistono modelli energetici “elitari” ed altri “democratici”(così vengono definiti da Rifkin): il nucleare è centralizzato, servono grandi capitali per avviarlo e mantenerlo. L’energia rinnovabile al contrario è democratica, un sistema distribuito, dal basso verso l’alto in cui ognuno produce e scambia autonomamente. Solo perché l’energia rinnovabile non segue gli interessi dei grandi capitalisti non significa che essa non sia sufficiente a coprire il fabbisogno energetico mondiale, e ciò lo dimostra appunto lo studio di Jakobson e Delucchi. Ovviamente se si dovessero guardare le necessità energetiche in tempistiche minori, il nucleare sarebbe la soluzione migliore. Infatti, esso produce una quantità di energia notevole in poco tempo e per quel che riguarda la questione ambientale si

potrebbe anche aggiungere che non produce CO2 (ovvero anidride carbonica) ed ossidi di azoto e zolfo, i quali sono principali cause del buco nell’ozono. Tuttavia le 439 centrali nucleari oggi in funzione nel mondo non producono che il 5% dell’energia totale. Ma, sempre come sostiene l’economista Rifkin, il nucleare avrebbe un senso se coprisse almeno il 20% del fabbisogno energetico mondiale, solo in questo caso i costi sostenuti per le centrali e il controllo sarebbero giustificati. Certo, perché oltre al costo per la creazione di una centrale nucleare, entrano in gioco il costo per il suo mantenimento e lo spreco di acqua per il raffreddamento dei reattori. Inoltre resta il problema fondamentale dell’eliminazione delle scorie. Gli Stati Uniti hanno costruito un sistema di stoccaggio nello Yucca Mountain spendendo miliardi di dollari per un progetto fallito nel 2010. Come può l’Italia, che ha già problemi sul fronte dello smaltimento dell’umido, affrontare tale problema? E su quale organizzazione ricadrebbero la gestione e i costi di tale smaltimento? Dove andranno a finire tali scorie? Come se in nostri mari non fossero già abbastanza radioattivi! Le energie rinnovabili sono infinite e in continua evoluzione. Non solo, essendo rinnovabili, sono inesauribili ma le tecnologie e le nuove invenzioni migliorano con il passare del tempo. Se prima, trarre energia dal sole sembrava impensabile adesso forse è la cosa più naturale e si cercano nuove tecnologie e nuovi materiali per potenziare il fotovoltaico. Se prima il vento creava disagi e seccature adesso può essere un elemento a nostra disposizione. E andando oltre, ci sono migliaia e migliaia di studi che si concentrano su altre forme di rinnovabile e che sono ancora in fase di sperimentazione. Se vi sono evoluzioni negli studi sul nucleare, esse sussistono non tanto sul fronte della produzione energetica quanto su approfondimenti per la produzione di armi atomiche. Rinnovabile significa nuove scoperte, nuovi materiali e nuove invenzioni per un miglioramento della funzionalità e della qualità degli impianti di produzione di energia che verrebbe prodotta in quantità maggiori a costi inferiori. L’energia rinnovabile crea nuovi posti di lavoro. Secondo uno studio dell’Ires ( istituto delle

ricerche economiche e sociali) i Green Jobs diventeranno 250 mila nel mercato del lavoro verde. Con il rinnovabile nascono nuove figure professionali (54 in totale quelle proposte dallo studio Ires3 ): ingegneri e designer nel campo del fotovoltaico, dell’eolico o delle biomasse, tecnici, agronomi, fisici, agricoltori per la produzione delle biomasse e così via. L’espandersi di questi settori provoca un aumento di occupazioni legate ai settori stessi. Per questo è necessario anche investire nell’energia rinnovabile in un momento in cui si parla tanto di crisi del lavoro. L’Italia potrebbe essere un punto di svolta, perché è all’avanguardia nel campo del fotovoltaico, delle biomasse e dell’energia eolica. Io credo che l’Italia dovrebbe considerare le energie rinnovabili non solo come un’opportunità di occupazione, ma anche come uno slancio, una strategia che faccia da propulsore per la crescita economica e tecnologica. Parliamo tanto di Natura distruttiva, di “forza della Natura”, quando invece potremmo usare questa forza e trarne benefici vicendevolmente: noi da una parte ricavando energia, e la natura dall’altra non più vittima di gas di scarico nocivi e scorie radioattive nascoste nel sottosuolo. L’energia rinnovabile potrebbe rappresentare un punto di partenza verso il cambiamento, e l’Italia, utopicamente, come mai accaduto prima, potrebbe fare da traino e condurre l’intera Europa verso un futuro rinnovabile, dove l’energia non è più di un’élite, bensì è un’energia collaborativa, cooperativa e democratica. Note: 1. J. Rifkin, dal discorso alla cerimonia d'inaugurazione dell'anno accademico dell'Università di Torino, 3 dicembre 2007 2. Mark Z. Jacobson and Mark A. Delucchi (30 December 2010). "Providing all global energy with wind, water, and solar power, Part I: Technologies, energy resources, quantities and areas of infrastructure, and materials". Energy Policy. Elsevier Ltd. 3. L’Istituto di Ricerche Economiche e Sociali (IRES) è un’associazione no profit, fondata dalla Cgil nel 1979. BIBLIO-SITOGRAFIA:

“I GREEN JOBS NEL SETTORE DELLE ENERGIE RINNOVABILI”;Serena Rugiero Coordinatrice Osservatorio Energia e Innovazione Ires;Presentazione N. 10/2010 TERMMINATION:YUCCA MOUNTAIN REPOSITORY PROGRAM; Department of Energy http://www.reid.senate.gov/issues/upload/Terminati on-Language-for-the-Website.pdf Mark Z. Jacobson and Mark A. Delucchi (30 December 2010). "Providing all global energy with wind, water, and solar power, Part I: Technologies, energy resources, quantities and areas of infrastructure, and materials". Energy Policy. Elsevier Ltd. "Rapporto Statistico 2010" . Statistiche sulle fonti rinnovabili. Gestore Servizi Energetici (GSE).

Multinazionali: avidità di pochi, povertà di molti Pullano Luigi

I

n campo economico la globalizzazione indica la graduale abolizione delle barriere commerciali, ovvero l'aumento degli scambi commerciali tra le nazioni. Con lo stesso termine si indica anche l'affermazione del fenomeno delle imprese multinazionali nello scenario dell'economia mondiale: in questo ambito si fa riferimento sia alla delocalizzazione di una o più fasi produttive che alla tendenza delle stesse a conquistare più mercati. Multinazionale può essere considerato un termine relativamente recente, legato da un lato al controllo di materie prime da parte di un numero sempre più ristretto di soggetti, dall’altro all'espansione del commercio nel mondo e alla recente esplosione di nuovi settori quali il terziario e il terziario avanzato. Una realtà in continuo divenire, frutto dei processi economici e sociali iniziati nell'Ottocento con la rivoluzione industriale e il capitalismo, evolutisi con l’allargamento dei mercati dopo il secondo conflitto mondiale. La mia tesi è che la globalizzazione causerebbe un impoverimento maggiore dei paesi poveri, attribuendo sempre più potere alle multinazionali. Quest’ultime favoriscono lo spostamento della produzione dai paesi più industrializzati a quelli in via di sviluppo, zone franche in cui tutti i diritti umani non sono garantiti e dove i salari sono più bassi. Il tutto senza dare reali benefici alla popolazione del posto, anzi distruggendone buona

parte dell'economia locale . Anche gli attivisti del movimento new-global precisano però che non sono contro la globalizzazione ma per un diverso modello di essa, più solidale, che tenga più conto delle diversità culturali e non cerchi di omologare tutto il pianeta sul modello occidentale. È molto criticato il fatto che sia stata attuata in modo selvaggio senza assumere, dentro i criteri del commercio internazionale, un limite allo sfruttamento delle risorse umane e ambientali, il cosiddetto sviluppo sostenibile, anche perché spesso le aziende delocalizzano solo per un breve periodo e poi delocalizzano di nuovo dove costa ancora meno, quindi non hanno interesse alla tutela dell'ambiente in loco né all'armonia tra le parti sociali, alle quali guardano da una prospettiva simile a quella dei colonialisti dell'età preindustriale. L’Africa, a dispetto dei soliti luoghi comuni, è un continente ricchissimo, fortemente legato al ruolo di produttore di materie prime di cui però non controlla, in alcun modo, i mercati. Stiamo parlando di petrolio, diamanti, oro, cobalto (indispensabile per la fabbricazione dei nostri amati cellulari), uranio, platino e molto altro. Eppure, come scrive il giornalista Carrisi, oltre a non portare ricchezza agli abitanti autoctoni, queste risorse sembrano davvero maledette per l’Africa perché causa di guerre sanguinose manipolate da interessi stranieri: vedi il caso della Sierra Leone dove, per la conquista dei giacimenti

diamantiferi, i gruppi rivoltosi hanno massacrato migliaia di “fratelli” compiendo le efferatezze più inimmaginabili. Negli ultimi anni, il rinvenimento di grandi giacimenti petroliferi in Africa, ha persuaso gli Stati Uniti e le multinazionali ad intensificare la loro presenza in quel continente, anche a causa della forte instabilità del Medio Oriente. Sono sotto gli occhi di tutti i disastri e le violenze procurate soprattutto in Nigeria, spesso a marchio Shell. Ovviamente col petrolio ci guadagnano le compagnie internazionali e le elites locali, non certo il resto della popolazione. Oltre a depauperare le risorse autoctone, nella maggior parte dei casi le multinazionali sottraggono lavoro. Con l'agricoltura industrializzata gli operai sono rari e poi spesso i prodotti sono esportati e lavorati in Europa. L'Africa diventa il mercato dove le multinazionali cercano di vendere i prodotti, più che il luogo di lavorazione. Inoltre i salari sono estremamente bassi, le condizioni di lavoro sono generalmente spaventose e con l’irrorazione di pesticidi aumenta la mortalità infantile e le malattie alle vie respiratorie, dato che la maggior parte della gente cammina scalza e beve acqua raccolta all'aperto. Le grandi compagnie minerarie non sono da meno in quanto a sfruttamento indebito di risorse. Espropriano gli abitanti locali delle loro terre con risarcimenti ridicoli, sono dedite alla deforestazione, sfruttano i lavoratori, e con i loro macchinari, con i prodotti e gli agenti chimici che utilizzano per gli scavi, inquinano spesso le falde acquifere. Gli estrattori di diamanti, pur di perpetuare indisturbati il loro lucroso business, sono stati capaci di accordarsi e sovvenzionare gli eserciti irregolari più sanguinari che controllavano il territorio in cui operavano o volevano insediarsi le multinazionali. Non si comportano bene nemmeno le multinazionali farmaceutiche quando forniscono agli africani i così detti medicinali salva-vita a costi superiori rispetto a quelli sul libero mercato. Può succedere, infatti, che alcune industrie, in ragione della disastrosa situazione africana, offrano copie di medicinali importanti per la sopravvivenza, tipo quelli anti-HIV, a costi decine di volte inferiori a quelli delle case farmaceutiche che ne possiedono il brevetto. Il problema è che l’organizzazione che tutela i brevetti internazionali dei vari prodotti

messi in commercio (WTO) , fra i quali quelli medici, sanziona i paesi da cui provengono prodotti “copiati” da quelli ufficialmente registrati e brevettati. Viene, quindi, preservato il monopolio delle multinazionali farmaceutiche da un’organizzazione che dovrebbe, per statuto, difendere il libero commercio internazionale. Cosi come per le politiche agricole, il protezionismo dei paesi ricchi condanna i poveri alla fame ed alle malattie, mentre il libero commercio potrebbe permettere ai loro prodotti agricoli di far concorrenza ai nostri ed ai loro ammalati di curarsi con medicine di basso costo da acquistare in India o in Brasile, ad esempio. Senza parlare poi delle multinazionali delle armi, che riforniscono e mantengono fiorenti le attuali guerre. Allo stesso modo quelle dei rifiuti industriali e chimici che avvelenano l'Africa coi rifiuti che l'Europa non riesce a smaltire, o quelle del legname che stanno dilapidando e distruggendo le una volta famose foreste vergini dell'Africa, dalla cui esistenza tutti dipendiamo per la rigenerazione dell'ossigeno e l'assorbimento della crescente anidride carbonica. In numerosi casi la globalizzazione "ferisce" le tradizioni popolari diffondendo ad esempio alcune feste che appartengono a quelle di un popolo. Lampante il caso di Halloween, festa di origine celtica nata presso i popoli anglo-sassoni, che con la globalizzazione è divenuta propria anche dei paesi sviluppati. Ciò non accade solo per le feste, ma anche per il modo di vestire, soprattutto quello giovanile, il modo di parlare, o per i cibi consumati. Emblematico l’esempio dei numerosi centri commerciali o dei ‘fast food’ sparsi ormai in tutto il mondo. Nei McDonalds i panini hanno dimensioni e peso uguali in tutto il mondo così come le modalità di consumo da parte nostra. Questo è anche un esempio usato da Ritzer nel suo saggio ‘Il mondo alla McDonald’ e ricavato dal sistema-mercato per spiegare ‘l’uniformizzazione e l’omologazione dei costumi sociali’. La globalizzazione ha prodotto in molti paesi suicidi di massa tra i contadini, strozzati dai debiti per l'aumento dei costi di produzione e la caduta dei prezzi. Come afferma l’economista Vandana Shiva, in India l'ingresso nel paese delle grande multinazionali come la Monsanto sta causando la rovina per i piccoli agricoltori, obbligati ad acquistare da loro le sementi industriali a costo

sempre più elevato, biologicamente modificate e utilizzabili solo per un raccolto. La stessa è autrice del saggio “Povertà e globalizzazione” in cui correla la povertà del terzo mondo agli effetti della globalizzazione. La nostra sopravvivenza sarà possibile «solo se viviamo in accordo alle leggi della biosfera». Ciò sarebbe realizzabile se l’economia globale rispettasse i limiti imposti «dalla sostenibilità e dalla giustizia»: come suggeriva Gandhi « la Terra ha abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per l’avidità di pochi». Con globalizzazione, ci si riferisce oltre che allo sviluppo di mercati globali, anche alla diffusione dell'informazione e dei mezzi di comunicazione come internet, che oltrepassano le vecchie frontiere nazionali. Nello stesso campo il termine indica la crescente attenzione dei notiziari locali su temi internazionali. Di pari passo alla diffusione di notizie su scala mondiale ed alla progressiva presa di coscienza delle problematiche globali, cominciano a svolgersi grandi manifestazioni con la partecipazione contemporanea in numerose località di decine di milioni di persone. In ogni caso, nella coscienza dei popoli il fenomeno si sta consolidando insieme alla assunzione di un punto di vista globale e all’impegno concreto per un mondo migliore al di là dei propri interessi personali e dei confini nazionali . Si parla sempre più spesso di "globalizzazione dei diritti" e perciò di rispetto dell'ambiente, di eliminazione povertà, di abolizione della pena di morte ed emancipazione femminile in tutti i paesi del mondo. Ritengo che siamo davanti ad un nuovo colonialismo, meno evidente di quello precedente, ma non meno rapace, dal momento che di tutte queste risorse fanno razzia gli “invasori stranieri” con la complicità di governatori e potenti locali. Per evitare la fine di paesi come quelli Africani sono numerosi gli appelli di mobilitazione alla società civile che finalmente si sta organizzando e che, spesso, in molti settori, è più competente ed organizzata delle istituzioni locali. Un piccolo ma importante esempio è rappresentato dalla Grameen Bank (in bengalese banca del villaggio), una banca che concede microprestiti alle popolazioni povere locali senza chiedere garanzie ma fondata sulla fiducia e sulla convinzione che anche i poveri abbiano capacità imprenditoriali sottoutilizzate. Essa gestisce tra l’altro varie attività economiche

finalizzate allo sviluppo anche del settore energetico, e curiosamente non è in perdita considerato che il 98 per cento dei prestiti viene restituito. Un altro appello è lanciato alla comunità internazionale, specialmente all’Europa, meno “integralista” culturalmente degli U.S.A., affinché allacci con l’Africa ed il Terzo mondo rapporti più umani, perché, alla fine dei giochi, a nessuno conviene che queste popolazioni scompaiano per sempre.

Il linguaggio dei media evolve tra vecchi e nuovi poteri Sisca Cosmo

I

l XX secolo segna l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, meglio noti come mass media. Le informazioni diventano disponibili per tutti e sempre più in tempo reale, a partire dall’introduzione nelle case di strumenti quali la radio, diffusasi negli anni ’20, successivamente la televisione (1954) e, alla fine del secolo, con l’irruzione di internet. La TV resta tutt’ora il principale strumento d’informazione in molti paesi, mentre internet è in costante crescita: dalle poche centinaia di “host”, indirizzi IP stabilmente attivi, presenti agli albori della rete, nel 2011 se ne sono calcolati oltre 888 milioni1 . La mia tesi è che oggi, ancora più che in passato, esista un’assuefazione popolare al modello di comunicazione e di linguaggio mediatico tale da esserne irreversibilmente ingabbiati.Lo si intende dalla rapidità con cui ci si abitua a nuovi termini proposti, da un giorno all’altro, dai media: “spread” nell’economia, “infotainment” in ambito radio-televisivo, “top player” nello sport. Molte di queste espressioni rientrano fin da subito nel vocabolario della lingua in cui vengono adoperate, pur essendo di chiara matrice straniera2. Se a questi si aggiungono gli slogan e le frasi fatte che vengono inculcate nella mente di chi legge e ascolta, come il “rigore” imposto da Mario Monti, appare evidente come la facoltà di pensiero umana sia esposta a delle continue manipolazioni. Già in origine, le meccaniche del pensiero umano

sarebbero indotte, se non create, dal codice linguistico verbale. In “Pensiero e linguaggio”,Vygotskij analizza gli stadi relativi alla nascita del linguaggio nell’uomo: «è proprio mediante la parola che il bambino dirige la sua attenzione su alcuni tratti, li sintetizza, simbolizza il concetto astratto e li utilizza come un segno superiore tra tutti quelli che ha creato il pensiero umano»3 .La lingua risulta avere una funzione strutturante sul pensiero. Da una parte essa riflette le categorie cognitive umane, dall’altra contribuisce a formarle. Quando anche non si vogliano accettare teorie psicologiche o filosofiche, poiché intangibili e non costituenti una prova certa, intervengono dei dati molto eloquenti: tutti i più grandi regimi totalitari del secolo scorso sono stati puntualmente accompagnati da un’adeguata campagna di propaganda mediatica atta a predisporre, nelle coscienze dei cittadini, il concetto di “normalità” per la forma di potere in procinto di governarli. Tra i gesti più importanti di Benito Mussolini durante il ventennio fascista si annovera proprio la fondazione un Ministero della Cultura Popolare e l’acquisizione, nel 1924, dell’istituto L.U.C.E. (L’Unione Cinematografica Educativa) 4, ai fini della gestione della propaganda.Il regime nazista fu consolidato da una serie di strumenti, tra cui proprio «l’azione di propaganda affidata a Joseph Goebbels (1879-1945), condotta massicciamente attraverso la stampa, l’editoria e i nuovi mezzi di

comunicazione di massa, come la radio e il cinema»5 . Questa modalità di autoaffermazione non è ristretta ai soli regimi, ma risulta identificabile, pur con qualche differenza, in qualsiasi sistema politico, anche attuale. In Italia, è innegabile il parallelismo tra l’ascesa politica di Silvio Berlusconi e l’espansione del suo impero mediatico, a partire dagli anni ’80. I dati dell’organizzazione americana Freedom House evidenziano come la stampa italiana sia passata dallo status di “libera” a quello di “parzialmente libera” (unica in Europa occidentale) in coincidenza con il ritorno al governo di Berlusconi, succeduto al governo Prodi6 . In alcuni casi si è addirittura assistito a noti personaggi televisivi e dal mondo del cinema intraprendere con successo una carriera politica. Fanno specie Arnold Schwarzenegger, eletto governatore della California nell’ottobre del 2003, o, caso ancora più celebre, Ronald Reagan, ex attore di Hollywood, che venne eletto Presidente degli Stati Uniti d’America il 20 gennaio 1981 (sebbene in quest’ultimo caso si sospetti di un’implicazione delle banche dietro la sua candidatura, ciò non farebbe che confermare quanto la visibilità mediatica sia considerata dal “Potere” una carta vincente). È pur vero che, specialmente nell’era contemporanea, gli organi di comunicazione costituiscono una moltitudine, varia ed eterogenea, di idee ed opinioni.Questo comporta che, certamente più che in passato, si possa dare grande risalto anche a qualsiasi opposizione ad un potere.Ciò è dovuto soprattutto all’introduzione di Internet e all’incremento dei “competitors”, in ogni settore mediatico, a caccia di maggiore audience. Inoltre, sempre secondoFreedom House,la libertà nel mondo è aumentata sensibilmente: tra il 1975 e il 2008, gli stati “liberi” sono aumentati di oltre 20%, quelli classificati come “non liberi” sono diminuiti del 25% circa, mentre la restante parte è ancora costituita dagli stati “parzialmente liberi”7. Tuttavia, se è vero che fino a qualche decennio fa il potere dominante poteva essere considerato quello politico, l’era contemporanea vede una diversa istituzione esercitare una mastodontica influenza sull’economia globale: la multinazionale. Essa si insedia stabilmente nel nostro modo di pensare, attraverso il linguaggio mediatico proprio della pubblicità. Quanto più un prodotto è pubblicizzato,

tante più volte al giorno appare ai nostri occhi, in TV, sui giornali, su Internet, su cartelloni per strada e anche in radio, e questo rende “normale”, per noi, il gesto di acquistarlo regolarmente. Le stesse “corporazioni” possiedono tratti in comune con talune forme di governo di regime. La “forma corporativa” fu propria dell’ordinamento dello stato fascista, il quale «contrapponeva all’individualismo liberale e democratico, fonte di divisione e di disgregazione del tessuto sociale, l’esigenza di una solidarietà collettiva» secondo cui i diritti dell’individuo dovevano basarsi sulla «subordinazione agli interessi della comunità nazionale»8 . La pubblicità, inoltre, è definita da alcuni dizionari come «propaganda per far conoscere la qualità di una merce»9. Pur con le debite differenze, sia la pubblicità sia la propaganda hanno «una matrice comune, molto antica. È la comunicazione persuasiva, fondata su tecniche di convincimento che fanno capo alla retorica10» . La mia certezza, dunque, è che così come cambiano le istituzioni che ci sovrastano (certo, oggi le multinazionali possono essere considerate «l’istituzione dominante del nostro tempo11 »), allo stesso modo si evolvono le modalità con cui esse si impongono, o si fanno accettare. Per quanto un quotidiano, un’emittente televisiva o radiofonica, perfino un sito internet, possano vantare la propria libertà d’espressione, la logica capitalistica della globalizzazione imperante, e la conseguente necessità di profitto, obbliga ogni mass medium ad accettare, quando non ricercare, il più vantaggioso contratto pubblicitario possibile offerto da una multinazionale. E più l’emittente è diffusa, maggiori saranno i guadagni. Non stupisca dunque se per l’intervallo dell’edizione 2012 del Super Bowl, negli USA, 30 minuti di spazio pubblicitario abbiano fruttato all’emittente 3,5 milioni di dollari12 , per permettere agli americani di ascoltare un mirato discorso patriottico di Clint Eastwood che pubblicizza un’automobile. Come afferma il magnate Charles Foster Kane, alla domanda «cosa penserà la gente?», il capitalista risponderà sempre: «quello che dico io13 ». L’unica differenza col passato è che oggi la persuasione è molto più sottile e indolore. Note: 1. http://gandalf.it/dati/dati1.htm

2.http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/I/inf otainment.shtml 3. L.S. Vygotskij,Pensiero e linguaggio, Bari, Laterza, 1990 (titolo originale: Myšlenie i reč, 1934) 4. http://www.treccani.it/enciclopedia/istitutonazionale-l-u-c-e_(Enciclopedia-del-Cinema)/ 5. A. Brancati, Dialogo con la storia, vol.3, Milano, La Nuova Italia, 2004, p. 224 6.http://guerrecontro.altervista.org/blog/2010/05/12 /freedom-housela-liberta-di-stampa-nel-2009/ 7.http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/ 2/25/Freedom_In_World.jpg 8. A. Brancati, Dialogo con la storia, vol.3, Milano, La Nuova Italia, 2004, p. 188 9. F. Palazzi, Dizionario della lingua italiana, Milano, Ceschina, 1973, p. 1096 10.http://www.slideshare.net/nuovoeutile/pubblicite-propaganda-somiglianze-differenze-aree-grigie 11. M. Achbar, J. Abbot, The Corporation, Canada, 2003 12. http://www.pubblicitaitalia.it/news/Fatti-ePersone/Dal-mondo/le-auto-protagoniste-del-superbowl-2012_07020223.aspx 13. O. Welles, Quarto potere, Usa, 1941

Gruppo Bilderberg: governo di pochi Spadafora Maria Pia

D

a millenni l’uomo crea infinità di gerarchie allo scopo di mostrare il suo dominio, il suo potere sulle cose, sugli animali e soprattutto sull’uomo stesso. Anche la storia ci dimostra come, nel corso dei secoli, l’uomo abbia creato questi sistemi tassonomici di tipo teologico, sociale , familiare ecc. servendosene allo scopo di regolare e dominare il tutto. Questo concetto è anche presente nelle religioni come scrive Bacone:

>.

Persino alle origini, l’uomo, secondo tutte le religioni cristiane e non solo, aveva il dominio sulle cose e solo in seguito al peccato originale ha perso questa “facoltà”, ma da allora ha sempre cercato di recuperarla “mediante le tecniche e le scienze”. È come se questo bisogno di egemonia sull’altro (animale,cosa o lo stesso uomo) fosse già insito nell’istinto umano. Dal mio punto di vista non viviamo in un mondo libero e non esistono: la democrazia, il liberalismo e le forme di governo più avanguardistiche (che inneggiano tutte le espressioni di libertà), ma una “oligarchia” mondiale, i quali “oligarchi”, si sono arrogati il diritto di pilotare a loro piacimento gli eventi mondiali e di conseguenza la vita, la morte

di miliardi di persone. Il gruppo Bilderberg ,o Conferenza Bilderberg o ancora club Bilderberg, è in sostanza un organismo decisionale a carattere sovranazionale. Ogni anno, dal 1954, un centinaio delle personalità più eminenti del mondo si incontra, a porte chiuse e sotto un’altissima protezione, per trattare una grande varietà di temi globali, economici, militari e politici. Questi partecipanti, che decidono delle nostre sorti, non sono stati scelti da noi, come dovrebbe essere e come viene decantato da molti politici italiani (e non solo) per quanto riguarda i doveri e i diritti di voto del buon cittadino e la retorica della “stampa libera”; ma hanno deciso di per sé, da “veri” oligarchi, di autonominarsi. Data la segretezza,dimostrata ancor di più dal fatto che le discussione non vengono mai registrate e né quantomeno riportate all’esterno, tali incontri sono stati motivo di critiche di varie teorie di complotto. Come osserva Daniel Estulin, scrittore russo contemporaneo, scrivendo:

. Proprio a causa

dell’estrema riservatezza, nel corso degli anni, il gruppo Bilderberg è stato accusato di ordire oscure cospirazioni da parte di attivisti e organizzazioni politiche, che paragonano spesso gli incontri dei partecipanti a quelli della

massoneria intenta a creare un “nuovo ordine mondiale”, per quanto non ci sia alcuna prova che durante i convegni si siano mai fatte discussioni o prese decisioni di questo genere. Molti giornalisti e scrittori scrivono da anni su questo gruppo, dando vita a diverse teorie che vengono, spesso, o ridicolizzate o trascurate, magari dalle stesse persone che hanno fatto, o fanno parte della stretta cerchia che partecipa a questi incontri “segreti”. Le opinioni sul tipo di cospirazioni cambiano molto a seconda dei detrattori e così anche le ipotesi sui risultati raggiunti da oltre mezzo secolo. Gli organizzatori degli incontri difendono la scelta di svolgere tutto senza far trapelare informazioni: i partecipanti ai convegni si sentono così liberi di dire davvero che cosa pensano senza temere la diffusione delle loro dichiarazioni da parte della stampa. A questo punto c’è da chiedersi: perché, nonostante queste riunioni siano segretissime, da qualche tempo non si preoccupa più di tenere nascosto il fatto stesso della sua esistenza? Il fatto che questo gruppo stia emergendo pubblicamente è perché siamo giunti al “finale partita”: quando non è più necessaria una segretezza estrema perché non vi è alcun inganno dei pezzi chiave in posizione strategica. Fino a poco tempo fa, anche su internet era sconosciuta ai più realtà come il gruppo Bilderberg, mentre ora se ne parla anche in Italia senza problemi. Le motivazioni principali potrebbero essere due. La prima perché il loro potere ormai è così consolidato che non temono alcun rovesciamento. La seconda perché, in un certo senso, si sta spingendo alla “normalizzazione”di questo gruppo di potere sovranazionale, cioè si vuole assuefare la gente all’idea che queste dinamiche siano del tutto normali e addirittura che sia una cosa giusta che un manipolo ristretto di “menti illuminate”, nemmeno conosciute dalla gente, guidi gli eventi mondiali. In un certo senso è difficile dar fede a queste invettive contro il gruppo Bilderberg, soprattutto per gli scettici devoti alla loro dottrina “ se non vedo non credo ”. Non vi sono documenti ufficiali che diano veridicità a queste affermazioni ma d’altra parte centinaia sono gli elaborati,le testimonianze di alcuni scrittori, come Thierry Meyssan che ha avuto accesso ad alcuni documenti e ad una testimonianza di uno degli ex-ospiti del gruppo Bilderberg, che avvalorano e accrescono la

convinzione dell’attività mondiale di complotto di questo gruppo. Nessuno di noi ha dato mandato a costoro di decidere le nostre sorti,anzi fino a poco tempo fa nessuno o ben pochi conoscevano l’esistenza e il potere di questi gruppi sovranazionali. Non capisco perché mai queste “menti illuminate” si siano appropriati del diritto di decidere di tutto e di tutti. E allo stesso tempo, con grande ipocrisia, gli stessi partecipanti ( la quale lista è nota anche nel sito ufficiale del gruppo) 3 sono promotori di liberalismo in tutte le sue forme e di potere decisionale del popolo. Proprio loro che si sono presi il diritto di gestire il mondo, ognuno con le proprie competenze e nei propri ambiti, autonominandosi, all’insaputa di circa 7 miliardi di persone. Un evento ancora più eclatante è ciò che è accaduto proprio nel nostro paese. Dopo le dimissioni del presidente Berlusconi in poche ore è subentrato nello scenario politico italiano la figura di Mario Monti per la gestione di un “teorico” governo tecnico; all’improvviso (la cosa potrebbe risultare molto strana) tutti gli schieramenti politici italiani (ad eccezione di IDV e Lega Nord) esprimono pareri positivi alla nomina. A incaricare Monti è stato il nostro presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che di certo ha legami con la massoneria e che non dimentica in situazioni ufficiali di ricordare l’esistenza di un “nuovo ordine mondiale”. E a questo punto viene da chiedersi perché Mario Monti? Perché è un uomo importante per le grandi banche mondiali come Goldman Sachs per la quale Mario Monti ha lavorato per anni; le stesse banche che muovendo i capitali a proprio piacimento fanno salire o scendere le borse ogni giorno. Inoltre è presidente europeo dal 2010 della Commissione trilaterale e per finire è ufficialmente membro del Direttivo del gruppo Bilderberg. Non è difficile capire con semplicità e logica che Mario Monti è l'uomo prescelto dal Nuovo Ordine Mondiale: ordine gestito dai grandi poteri mondiali tramite organizzazioni come il gruppo Bilderberg. L'Ordine Mondiale ha così deciso di spostare i suoi burattini politici (che solitamente utilizza per intrattenere la popolazione con i teatrini televisivi in cui gli schieramenti fingono di essere contrapposti tra di loro) ed ha portato in Italia il suo uomo, immediatamente seguito dai numerosi

seguaci massonici "infiltrati" nei vari partiti che prontamente hanno espresso commenti positivi alla nomina di Mario Monti. L'Italia, come tutto il mondo, è così governata dal Nuovo Ordine Mondiale che potrà portare avanti il suo progetto di dominio e potere nelle mani di un élite. La mia convinzione è che siamo guidati da una stretta cerchia di persone che ci manipola e governa alle nostre spalle come burattini, o peggio come schiavi; facendoci illudere di vivere in un mondo libero e democratico. Del resto, l’uomo non è mai stato fino in fondo libero ed è difficile pensare ad un mondo ugualmente libero, se l’uomo è marchiato dal suo istinto di potere e dominio sull’altro, da spingerlo a costruirsi sempre una “montagna” sociale. Non è un caso che il gruppo si chiami proprio Bilderberg, anche se (com’è noto) il suo nome deriva dall’hotel nel quale è avvenuto il primo incontro; traducendo in tedesco bilder che significa effigi e berg che significa montagna, avremo “effigi della montagna”. E cosa può meglio rappresentare il gruppo se non il vertice di questa montagna. La nostra libertà, ancora oggi, è fortemente limitata e minacciata da pochi uomini che fanno della moderazione la loro bandiera e che ci inducono a credere di essere liberi. Come nostra guida ad un probabile futuro, può essere esplicativo questo pensiero di Friedrich August Hayek, economista e filosofo sociale :

“La probabilità di trovare persone al potere come individui che dovrebbero provare avversione per il possesso e per l’esercizio del potere è al pari livello con la probabilità che una persona estremamente tenera di cuore potrebbe impiegarsi come maestro fustigatore in una piantagione di schiavi4. ”

Note: 1. F. Bacone, La grande instaurazione, parte seconda:Nuovo organo (1620), libro II, in Scritti filosofici,cit., p.795 2. D. Estulin, Club Bilderberg. La storia segreta dei padroni del mondo (2009),introduzione, p. 12 3. http://www.bilderbergmeetings.org/governance.htm l 4. F. A. Hayek, La via della schiavitù, Milano (1995), cap. 13, p. 243. Bibliografia Bacon,Francis, Novum Organum,Londra 1620 (

trad. it. Di Michele Marchetto La grande instaurazione, parte seconda:Nuovo organo,Milano, Pombiani, 2002). Estulin, Daniel, La Verdadera Historia Del Club Bilderberg,Spagna 2005 (trad. it. Di Manuel Zanarini Club Bilderberg. La storia segreta dei padroni del mondo, Arianna editrice, 2009). Hayek, Friedrich, The Road to Serfdom, Routledge Press(U.K.), 1944 (trad. it. Di Antonio Martino La via della schiavitù,Milano , Rusconi,1995). Sitografia http://www.bilderbergmeetings.org/governance.htm l

Fantomatica Onnipotenza La Neve Alessandra

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Il principale degli attributi che sin dalle prime lezioni di catechismo viene associato solo ed unicamente a Dio è quello di “onnipotente”. Eppure, essendo quella di onnipotenza un’ accezione tanto complessa quanto spaventosa, è sempre sfuggente il significato che le si attribuisce; probabilmente per la sbrigatività con cui si scandisce il Credo, oppure per la poca disponibilità a mettere in discussione i punti fermi della propria fede. Il catechismo della Chiesa cattolica insegna che: >1 , Dio è il padrone della storia, muove i cuori e guida gli avvenimenti secondo il suo beneplacito2 . Non a caso, il primo articolo della professione di fede cristiana recita: . Tale professione di fede nasce dal Concilio di Nicea e deriva dal “simbolo degli apostoli”; è un Credo che vuole categoricamente opporsi alle eresie nate nel corso dei secoli a seguire la venuta di Cristo. Porta con sé il mistero di un’ effettiva onnipotenza, di un pieno controllo su quanto avviene ed avverrà nell’ al di qua. I cristiani parlano a proposito di un’apparente impotenza di Dio che si manifesterebbe ogni qual volta si dovesse fare esperienza di male o di sofferenza. La risposta che propongono a tale dilemma: 5. Una risposta che non ammette diverse soluzioni, si finirebbe per scadere nell’eresia. Quella che si desidera è una soluzione preconfezionata ai drammi esistenziali, un calmante per le ansie che ci affliggono. Si rischia ,però, di rinunciare all’ influenza di potere su quella che è la nostra esistenza. Parlo di una fantomatica onnipotenza in quanto la mia tesi è che Dio non possa essere onnipotente. Si badi bene, non nego sic et simpliciter tutti i poteri che il Cristianesimo accosta alla Trinità, tutt’altro: riconoscendo che una notevole potenza stia nelle mani di Dio, mi rifiuto tuttavia di predicarne l’illimitata onnipotenza. L’input di tale rifiuto deriva da un ragionamento personale, da un’interrogazione interiore su dove finissero le mie libertà e sull’esistenza –o meno- di un destino già scritto, come mi hanno spinta a credere gli

insegnamenti cattolici ricevuti. La negazione dell’onnipotenza divina può essere da parte mia un bisogno di potere decisionale sulla mia vita. Occorre a questo punto un’ulteriore premessa: perché parlare di Dio? Potrebbe essere una conseguenza al fatto che è Egli a non parlare più, oppure al fatto che non ha mai mostrato il suo volto. Voler sentire la voce di Dio o volerne vedere il volto è l’equivalente di voler parlare di Lui; oggigiorno il bisogno è quello di trovare qualcuno che sappia dire cosa Dio è e cosa non è: > 6 Dio non può essere onnipotente ed i primi ad affermarlo furono alcuni componenti del suo “popolo prediletto”, mi riferisco ovviamente agli Ebrei. È dalla voce ebraica che si erge il grido contro il Signore della storia, quindi contro il Signore di Auschwitz. La tradizione tramandata cade in crisi, rimette in questione il concetto di Dio dopo l’esperienza dell’ Olocausto – e non poteva essere altrimenti- . Un’esperienza tanto devastante ha portato molti alla radicale conclusione che Dio non può esistere, tra questi Primo Levi, che dichiara in un’intervista: > 7 Diversa ancora è la risposta di Elie Wiesel: ne “La notte” rievoca l’esperienza di Auschwitz ed il suo pensiero a proposito di Dio pare raccogliersi nel noto episodio dell’impiccagione di tre prigionieri tra cui un bambino: > 8 Wiesel ripensa dunque il proprio concetto di Dio: il bambino che tace e che tarda a cedere alla morte diventa simbolo dell’impotenza di Dio, ovvero di assoluta impotenza sulla storia. Affine alla visione di Wiesel è quella di Hans Jonas. Anch’egli vittima dell’Olocausto, s’interroga sul Dio che la tradizione ha tramandato, dal momento che dopo Auschwitz non può Egli essere pensato e compreso con le categorie teologiche tradizionali. L’ebreo vede nella vita quotidiana e nell’al di qua il luogo della salvezza divina; perciò, sorge spontaneamente la domanda: >. È da questo punto di domanda che parte Jonas e risponde con un’obiezione all’illimitata potenza divina di carattere teologico; gli Ebrei attribuiscono a Dio tre qualità: bontà, comprensibilità ed onnipotenza. Dopo la Shoa, i tre attributi in questione sono – secondo Jonas – in rapporto tale che ogni relazione tra due di loro escluda il terzo. Bisogna quindi fare una scelta su quali siano i concetti veramente irrinunciabili. La bontà è inseparabile dal concetto divino e scaccia via ogni limitazione. La comprensibilità è un attributo certamente limitato, ma non può essere negata: il Dio nascosto è estraneo all’ebraismo, in quanto la Torah parte dal presupposto che noi possiamo – anche se in modo limitato – conoscere Dio. Jonas decide dunque di rinunciare all’ onnipotenza di Dio: >9 Nel XVI secolo è stato elaborato da Yitzchàq Luria, rabbino e mistico ebreo, il concetto di “tzimtzum”10. Questi ripensa all’origine dell’universo e stabilendo che Dio, prima della creazione, occupasse con la propria luce l’intero spazio; in seguito, con l’atto dello tzimtzum, Dio sembra autolimitarsi,contrarsi al fine di lasciare agli uomini la possibilità di realizzare la propria libertà. Tale autolimitazione viene ripresa da pensatori contemporanei, in primo luogo da Hans Jonas, che si sofferma su contesti quali l’assenza e l’esilio di Dio. Jonas riscrive il mito dello tzimtzum: >11. Nella visione di Jonas l’infinito, contraendosi, si aliena nel finito: tale atto di autonegazione da parte di Dio concede al mondo di essere e di divenire. Sempre dello tzimtzum s’è occupato Sergio Quinzio che palesa, ne “La sconfitta di Dio” la debolezza e la non piena onnipotenza del Dio che si mostra assente nel mondo. La rinuncia all’onnipotenza da parte di Dio e la conseguente libertà acquisita dagli uomini suggeriscono l’idea di un Dio che non è più ovunque, ma che si è rifugiato in alcuni angoli della Terra; tale visione giustificherebbe il mancato intervento ad Auschwitz e attribuirebbe l’intera colpa dell’esistenza del male all’uomo. Il Dio che si tiene lontano da zone dove vige o dove si fa esperienza di dolore ha portato all’elaborazione –da parte di credenti- di un’altra sfaccettatura della divinità, che tenta di giustificare l’impotenza di Dio. Si tratta del Deus absconditus; altro non è che una teoria che dà man forte al mito dello tzimtzum.

Ne riprende infatti il discorso, partendo dal presupposto che Dio si sia ritirato, nascosto e che stia continuando ad occultare la Sua potenza. L’argomento è tuttora discusso tra gli ecclesiastici che hanno trovato l’input in un enigmatico versetto del profeta Isaia: 12 Tale espressione viene anche tradotta come “Tu sei un Dio misterioso” oppure “Tu sei un Dio che ti nascondi”. Giovanni Odasso, esegeta, vede qui espresso . Se precedentemente Dio si era presentato all’opera nella storia, ora pare piuttosto nascondersi dietro i suoi avvenimenti. Ignazio di Lodola invita a meditare su questo tema: >. D’accordo con l’idea che Dio debba soccombere dinnanzi al corso degli eventi (guidati dalle decisioni dell’uomo) è Etty Hillesum, che nel suo diario –scrivendo dell’opposizione da mantenere nei confronti di qualsiasi violenza- ripete più volte: 13 La condizione di un Dio che si ritira in sé e che lascia scorrere gli eventi lascia trasparire una certa infermità, ma è quella infermità che ci consente di prendere in mano gli eventi, divenendo così fautori e creatori del proprio destino. Se non altro, non è proprio qui che trova conferma quello che c’è stato “concesso” come libero arbitrio? Il primo dei paradossi che mi sovvenne ragionando sull’onnipotenza di Dio, fu a riguardo del libero arbitrio. È definito libero arbitrio quel concetto teologico secondo il quale ogni persona è libera di prendere le proprie scelte, dunque la divinità –per quanto potente possa essere- non può condizionare le decisioni individuali. Il principio del libero arbitrio si legge in Genesi,1: . Immagine e somiglianza sono rispettivamente la traduzione dall’ebraico “tselem” e “demut”: la prima accezione di tselem è statua,in questo caso statua del padrone, il che induce a pensare che l’uomo sia esattamente come Dio, ovvero non può che esercitarne la stessa libertà, ponendo un limite al potere di Dio sui singoli individui. È già in Genesi,3 che la disubbidienza di Adamo ed Eva esplica la possibilità di “evadere” al volere ed al potere di Dio: >. Altri esempi sono forniti dalla lettura dei libri di Samuele: 14. E ancora: >15. Proseguendo con l’indagine sul testo biblico emergono ben altri suggerimenti dello stato di nononnipotenza di Dio: nel Nuovo testamento, in particolare nella Lettera agli Ebrei, più volte si ripetono i termini “perfezionato” e “reso perfetto” in relazione al Figlio di Dio. È già di per sé una conferma alla tesi che Dio, di cui cerchiamo di svelare il volto, non gode ancora di piena onnipotenza, bensì di un potere sì notevole, ma non totale. Occorre chiarire quello che potrebbe essere preso come un punto debole della trattazione, ovvero quello della trascrizione biblica di “reso perfetto”: quello utilizzato in Italia non è (ovviamente) il testo originale della parola di Dio; deriva infatti dalla traduzione della Bibbia dei LXX, testo greco a sua volta traslitterato dalla versione in lingua originale, dunque l’ebraico. In ebraico il termine utilizzato è “El Shaddai”16, tradotto poi nella LXX come “Pantocrator”17. Proprio qui sta l’incomprensione: pantocrator

significa onnipotente e così verrà tramandato alla tradizione cristiana; ma el Shaddai indica semplicemente il Potente, senza alcuna allusione a totalità di potere. Il Potente viene infatti accostato alle schiere di angeli, intese come eserciti: è una potenza che sfocia nella forza, nell’energia, ma che non ha il pieno controllo sul corso degli eventi e sulla volontà dei singoli individui. Nel Nuovo Testamento emerge un’accezione di onnipotenza divina, che molto si allontana dal pieno controllo esercitabile sul volere e sulla vita degli uomini; il modo di Dio di essere sapiente ed onnipotente si attua nella dedizione incondizionata, nell’agape che non viene mai meno e che gli consente di perdonare tutti gli offensori. Dio è pensabile come l’ Onnipotente in termini di misericordia e di perdono, doni gratuitamente offerti all’uomo. È infatti nella figura di Gesù Cristo che vediamo l’amore che si consegna fino alla morte in croce: è un’offerta che fa risplendere la misericordia del Padre. Ma Dio non può che essere un NO all’onnipotenza dispotica, alla limitazione dell’uomo e del suo cammino. Con l’ausilio della logica si riesce a dimostrare che l’illimitata onnipotenza non è affatto plausibile: è il concetto di potenza in sé a rendere contraddittorio quello di onnipotenza. Se si parla di Potenza assoluta, allora bisogna supporre che non ci sia alcuna limitazione, ovvero che non esista nulla di diverso o estraneo alla potenza in questione. A questo punto, se tale Potenza assoluta non ha alcun oggetto ad essa estraneo su cui poter esercitare la propria influenza, allora nega se stessa, facendo equivalere il Tutto a zero. Serve dunque l’esistenza di un altro da sé, di un oggetto che limiti l’attività della Potenza, consentendole comunque di esercitare una forza straordinaria ed efficace. L’esistenza dell’altro, che consente di dimostrare la propria potenza, annulla al tempo stesso l’onnipotenza. In conclusione, se manca una relazione tra oggetti tra loro estranei, allora è la potenza stessa a mancare: serve quell’ altro da sé che opponga resistenza alla Potenza coesistente, in modo da creare contrasto e dimostrare che la potenza iniziale è stata spartita. Dunque, non è possibile che tutta la potenza si trovi dalla sola parte del soggetto agente. Mi vorrei ora spostare sul versante filosofico, dove trovo alcune affinità con quelle che sono mie idee.

Partirei con Feuerbach: ne “L’essenza del Cristianesimo” esplica che il divino altro non è che una proiezione di quelle qualità umane che paiono essere perfette, ragione, volontà e cuore. Allora il divino è l’umano proiettato nell’aldilà ed adorato. 18 Nella trasposizione dell’uomo nella sfera del divino dovrà anche rientrare il desiderio di potenza che, assumendo connotati illimitati, non potrà che sfociare nella piena onnipotenza; tale è il desiderio dell’uomo: avere in pugno il potere e volgerlo a favore delle proprie intenzioni. Pascal porta avanti la dottrina del Deus absconditus, secondo cui Dio si manifesta e si nasconde al tempo stesso. La problematicità con cui Dio si mostra al mondo rende difficile anche solo l’affermazione che effettivamente esista, al punto che chi non crede potrà interpretare la natura razionalmente, senza il dovuto intervento di Dio, mentre chi crede vi vedrà con evidenza l’opera divina. Dice infatti: 19. È in effetti proprio questa una delle posizioni che più spesso mi capita di riscontrare in dialoghi a proposito dell’essenza di Dio: o ci credi, o non ci credi. Bisogna dunque affermare che se non si vede la mano di Dio sugli eventi allora Egli non c’è? Ma allora sarà più importante capire se –per ognuno di noi- avere fede sia un merito o un demerito. I pochi “eletti” avranno il coraggio di ammettere che Dio si nasconde anche dietro effetti catastrofici (che riconoscono come parte del progetto divino) e che questi siano un modo di metterci alla prova, di testare il dono della fede. La strada che ho invece intrapreso non prevede alcun test, ma una rivalutazione di Dio, che se non si manifesta più o se ci rende difficili da capire alcuni avvenimenti, allora vuole dimostrarci che sta mettendosi da parte, nascondendosi per lasciarci fare. Il Deus absconditus va a ritrarsi, abbiamo detto “si contrae”; è proprio nella contractio che Cusano riesce a vedere la presenza di Dio nel mondo, quasi fosse una ripresa dello tzimtzum. Cusano ritiene che Dio sia nel mondo, o meglio ancora: Dio si

sarebbe individualizzato in una molteplicità di cose che fanno parte del nostro mondo; tale differenziazione di Dio porta Cusano a vedere tra Creatore e creato un rapporto di possibilità, ovvero una relazione tale che consenta a Dio di divenire e di poter essere. In questa lettura di Dio sparso nel mondo trova conferma l’idea che Dio partecipi all’esistenza, ma senza alcuna limitazione al corso che gli eventi potrebbero prendere, senza alcun limite alle strade che ciascuno vorrà percorrere. La visione rinascimentale rivendica il diritto dell’uomo a forgiare se medesimo ed il proprio destino nel mondo: Pico della Mirandola presenta l’uomo come libero e sovrano artefice di sé. È questa una netta frattura con l’ordine cosmico medievale, ora l’uomo deve necessariamente conquistare la propria dignità, diventare l’ homo faber che conquista il proprio posto nel mondo grazie alle sue virtù. Da secoli l’uomo si interroga sul perché dell’esistenza del male: in senso cristiano, il primo a cimentarsi sistematicamente su tale problema fu S. Agostino. Si Deus est, unde malum? Con la conversione al Cristianesimo la risposta al perché dei mali si rende ancora più urgente e drammatica, data l’inconciliabilità di piena bontà divina e realtà del male. S. Agostino risolve l’interrogativo col suo noto ottimismo teologico: il male –in ultima analisi- non esiste. Il male non può esistere perché se globalmente considerato entra a far parte di una totalità che di per sé è bene. Difficile prendere per buona una soluzione del genere dopo secoli scanditi da guerre e persecuzioni (S. Agostino non poteva prevedere i mali che si sarebbero susseguiti in 1600 anni dalla stesura delle sue Confessioni). Trovo molto più accettabile la posizione di S. Agostino che precede la negazione del male, in cui ragiona sull’incorruttibilità di Dio. Se si accetta l’esistenza del bene così come l’esistenza del male, allora Dio non può essere incorruttibile, in quanto potrebbe subire l’offesa del male. In tal senso, la corruttibilità di Dio è da intendere come sensibilità a mali che non può reprimere. S. Tommaso attribuisce l’esistenza di tali mali capaci di nuocere a Dio al libero arbitrio dell’uomo, che ci porta potere decisionale, oltre che piena responsabilità delle nostre azioni. Ho deciso di concludere la mia trattazione rifacendomi all’icona di Rublev, la Trinità.

Sull’icona è stata avanzata un’ipotesi che ben si sposa con la mia tesi che Dio non è onnipotente e che sta all’uomo prendere in mano il proprio destino. Vi sono rappresentati tre angeli –che i padri della Chiesa interpretano come la Trinità-, seduti attorno ad un tavolo, al cui centro si trova un calice contenente un agnello. I tre si guardano a vicenda, formano tra di loro un triangolo, ma se si torna a considerare il tavolo, allora c’è un posto vacante. Il posto rimasto vuoto deve essere occupato da chi osserva l’icona, quindi l’uomo, i singoli individui. Il sedersi attorno al tavolo unendosi alla Trinità significa diventarne parte, elevarsi allo stato divino e collaborare al progetto di vita, progetto che –orasiamo noi a redigere e a portare avanti. Se la Bibbia propone la piena potenza di Dio, la mia idea è che questa non ci sia, oppure – come Jonas- che Dio vi abbia rinunciato per consentire al mondo di essere e di divenire secondo quelli che sono i nostri piani. NOTE:

1 Sal 115,3 2 Est 4,17c; Prv 21,1; Tb 13,2 3 1 Cor 1,25 4 Ef 1,19-22 5 http://www.vatican.va/archive/catechism_it/p1s2c1p3_it.htm . 6 P. De Benedetti, Quale Dio? Una domanda dalla storia, Brescia 1997, p. 9-10. 7 Ferdinando Camon è uno scrittore di matrice cattolica che tenta in “Conversazione con Primo Levi” di rivisitare le “colpe” della storia cristiana e trova in Primo Levi una delle risposte più drastiche agli interrogativi sorti a proposito di Dio. Il suicidio di Levi, da molti interpretato come una risposta ritardata alla detenzione nazista, rappresenta il culmine dello smarrimento, giunto in concomitanza alla negazione dell’esistenza di un Dio. 8 Elie Wiesel, La notte, Firenze 1980, p. 66-67 9 H. Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz, una voce ebraica, Genova 2004, p. 35 10 Tzimtzùm significa ripiegamento, autolimitazione e fa parte del misticismo della Qabbalà. Nella concezione di Luria, il termine è da tradursi come ritiro o ritorno. Brevemente, l’esistenza dell’universo, sarebbe resa possibile da un processo di contrazione in Dio: Dio rende vacanti delle zone da cui si ritrae e qui è consentito agli uomini di essere. 11 H. Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz una vove ebraica, Genova 2004, p. 39-40

12 Is 45, 15 13 E. Hillesum, Diario, Milano 2011, p. 169 14 I libri di Samuele abbracciano un arco di tempo che va dal XII secolo a.C. al 1010 a.C. e trattano dell’abbandono dell’ordinamento giuridico, seguendolo sino all’adozione della monarchia. Samuele regna col titolo di Giudice sulla confederazione delle 12 tribù di Israele, funge da mediatore tra il popolo e Dio, così come prevede l’ordinamento teocratico. Nel passo citato si illustra il rigetto da parte del popolo degli ordini di Dio, ricevuti per bocca di Samuele. L’insurrezione è dovuta al desiderio da parte delle tribù di adottare un regime monarchico, in modo da uniformarsi ai regni confinanti. È un palese rifiuto di seguire la volontà del Signore. 15 Nel primo libro di Samuele Saul viene ritratto in continue disubbidienze rispetto agli ordini divini. Il passo citato si rifà al momento in cui Saul è in procinto di attaccare battaglia agli Amaleciti e riceve l’ordine da Dio di distruggere completamente la popolazione e di giustiziare il loro re Agag. Saul procede invece sacrificando una cospicua parte del bottino al Signore –azione di per sé non criticabile agli occhi del popolo- e palesando la sua disubbidienza. Tale decisione portò Samuele a dimettersi da consigliere di Saul e a rimuovere l’unzione di re da Saul al fine di eleggere segretamente a nuovo sovrano Davide. 16 17 18 N. Abbagnano, G. Fornero, Il nuovo protagonisti e testi della filosofia, Varese 2007, p. 81 L’individuo tende –secondo Feuerbach- a costruire sull’immagine di Dio la realizzazione di tutte le proprie aspirazioni, tra queste il potere. Nell’immaginare e nel volere l’uomo è libero ed onnipotente, mentre nella realtà si ritrova limitato. È in quest’ottica che l’onnipotenza diventa caratteristica voluta dall’uomo, non appartenente al divino. 19 B. Pascal, Pensieri, Milano 2009, p.194.

BIBLIOGRAFIA Abbagnano, Nicola, Fornero, Giovanni, Il nuovo protagonisti e testi della filosofia, Varese, 2007 Camon, Ferdinando, Conversazione con Primo Levi, Milano, 2006 De Benedetti, Paolo, Quale Dio? Una domanda dalla storia, Brescia, 1997 Hillesum, Etty, Diario, Milano, 2001

Jonas, Hans, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, Genova, 2004 Le Paoline, La Bibbia, Cimisello Balsamo, 1987 Pascal, Blaise, Pensieri, Milano, 2009 Wiesel, Elie, La notte, Firenze, 1980 SITOGRAFIA http://www.diocesi.milano.it/vescovo/laparola/2000 _10/sindone.htm http://www.vatican.va/archive/catechismit7p1s2cp3 it.htm

Oratori di ieri, persuasori di oggi Ciccaglioni Floriana

L

a politica trova le sue radici nella retorica dell’antica Roma, ma i politici sono ben lontani da quelle grandi personalità che erano gli oratori. La politica si è svuotata del significato che era proprio della retorica:> La retorica era caratterizzata da uno stile semplice e conciso, con frasi taglienti per affrontare questioni sociali come: il ruolo degli equites, la questione del lusso, politica interna ed estera. Oggi non siamo più nell’ambito della giustizia sociale ma in quello della persuasione occulta! La politica si basa sulla propaganda, sul controllo dell’opinione pubblica in modo forzato. La politica italiana non esiste! Siamo un popolo in mano a detentori del potere che meglio giostrano la situazione a loro favore. Sono persuasori che inducono a credere, dire e agire al di là di ogni convincimento razionale. Politica e politico nel dizionario della lingua italiana hanno anche un significato figurativo: politica è un ; politico è . Sono proprio queste le accezioni che meglio si adattano alla politica contemporanea. Già nel libro IX dell’Iliade si sottolinea

l’importanza di coltivare le discipline che rendono un giovane nobile sia uomo d’azione, sia un capace oratore. I capi dell’esercito acheo decidono di inviare un’ambasciata ad Achille per convincerlo a partecipare ai combattimenti. L’abilità del parlare pubblicamente assume nell’antica Grecia un ruolo di primo piano. La nascita della retorica come arte della parola avrebbe origini siciliote nei primi decenni del V sec a.C. . (Bruto 46,1 ss; Cicerone, trad. di E. Narducci). Nel V sec. a.C. la retorica trae insegnamenti dai discorsi di Pitagora, dal filosofo Empedocle di Agrigento. Ad Atene nel V sec.> . Passando per Lisia, Demostene, Aristotele, Zenone, Ermagora, l’oratoria arriva a Roma: Nel periodo sillano Cicerone fu un

maestro dell’oratoria, incarnò la figura di perfectus orator: dotato di capacità oratorie, una vasta cultura e un’alta formazione etica. Grandi personalità che ancora oggi si pongono come maestri per l’attualità dei loro scritti, sicuramente non paragonabili ai politici di oggi data la loro cultura e, soprattutto, la loro formazione etica. Cicerone attribuisce alla parola il potere aggregante della civiltà, la parola è il principale fattore della civiltà umana e sottolinea l’importanza di un’ampia cultura generale: (De oratore. I 17) I discorsi dei politici se osservati rivelano tutti lo stesso codice e persino gli stessi gesti in base al messaggio che si vuole mandare. George Lakoff4 nel suo “Seven reasons why Obama’s speches are so powerfull” del 24 febbraio 2009 ha esaminato il discorso di Barack Obama al congresso in seduta congiunta, cercando di descrivere il codice che lo caratterizza: - i valori al di sopra dei programmi, -protezione e responsabilizzazione, -moralità ed economia si corrispondono, -concetti contestati e linguaggio patriottico. Il risultato è applicabile a tutti i discorsi dei politici italiani. Nel discorso del 17 novembre del presidente Monti al senato emergono dei termini ricorrenti: oltre a “Italia”, che sollecita l’ideale patriottico, ricorre innanzitutto il termine “Europa” per sottolineare l’impegno assunto dal nostro Paese verso l’U.E.; è evidente poi l’importanza data ai verbi “dovere” e “fare” che sono nettamente segno di protezione e responsabilizzazione .Tra le altre parole-chiave del discorso di Monti spicca poi “crescita”, “lavoro”, “Crisi”, “finanza”, “fisco” pronunciate con grande enfasi e partecipazione: appunto, moralità ed economia si corrispondono. Il programma del governo è appena sufficiente per affrontare il pesante stato di crisi in cui versa il Paese. Un’ulteriore esempio è la tradizionale conferenza stampa di fine anno che Mario Monti ha tenuto a Palazzo Chigi; il discorso è durato circa quarantacinque minuti spaziando nei campi più diversi, ma Monti si è sempre mantenuto su toni estremamente cauti e diplomatici senza affrontare le questioni più urgenti in modo analitico. E ancora il 13 novembre 2011 nel giro di pochi minuti sono stati trasmessi in televisione i discorsi del Presidente del Consiglio uscente Silvio Berlusconi e di quello entrante Mario Monti. Berlusconi dice

di aver «raggiunto molti degli obiettivi che ci eravamo prefissi fin dal 1994». Dice di voler «modernizzare l’Italia, riformando la sua architettura istituzionale, il suo sistema giudiziario, il suo regime fiscale», e di voler «liberare il nostro paese dagli egoismi e dalle incrostazioni ideologiche e corporative che gli impediscono di sviluppare tutte le sue meravigliose qualità e potenzialità». Queste parole risuonano astratte perché non sono mai state realizzate e il Paese riversa ora nello stato di profonda crisi. Il professor Monti nel suo discorso ringrazia per la nomina che il Presidente della Repubblica gli ha dato, parla di «grande senso di responsabilità», di «sfida del riscatto», di «sforzi», di «dignità e speranza», ma parla soprattutto di doveri «il paese deve vincere […] deve essere sempre di più elemento di forza […] lo dobbiamo ai nostri figli». Per tutto il discorso Monti esprime solo calma e autodisciplina, facendo molte pause fra una parola e l’altra, anche quando parla del «momento di difficoltà», del «quadro europeo e mondiale turbati», addirittura di «emergenza» e «urgenza». Cicerone loda l’oratoria perché chi la pratica svolge un operato che va a favore della comunità > (De officis 2, 66-67). L’oratoria a Roma non era finalizzata esclusivamente a un abbellimento del discorso ai fini estetici - artistici, ma fin dalle origini ebbe preminentemente valenza politica. È un modo fondamentalmente diverso di intendere la politica: nel caso dei discorsi politici, infatti, si utilizza un codice che colpisce l’inconscio attraverso l’uso di un formulario per suscitare i sentimenti, distraendo l’uditore da quello che in realtà è il contenuto del discorso; per Cicerone, invece, diviene fondamentale la potenza della parola per fare l’interesse dei cittadini. È Shopenhauer che già nel 1830 nel saggio “L’arte di ottenere ragione” spiega questa tendenza dell’uomo a persuadere chi lo ascolta per avvalorare la sua tesi: 5 Sembra che i politici abbiano assunto questo saggio come loro manuale comportamentale eseguendo ogni stratagemma proposto dal filosofo. Per esempio, i politici nei talk televisivi iniziano a esporre il proprio pensiero che è privo di consistenza, parlano per non dire nulla : . Quando due avversari politici iniziano un dibattito non si capisce più qual è il fine della discussione: Nelle stesse discussioni si assiste a liti furibonde, offensive, violente: Ma, in assoluto, uno stratagemma su tutti mi sembra calzante alla situazione politica attuale più di qualsiasi altro. E’ come se Schopenhauer avesse assistito alla nascita del governo tecnico guidato dal professor Monti e al clamore popolare con cui questi eruditi, salvatori della patria, sono stati accolti: > La politica italiana si è fermata al fascismo. Dal 1922 l’Italia è suddita del modo di fare politica mussoliniano. La storia si evolve, cambiano i nomi, cambiano i tempi, cambiano i costumi, ma la politica è quella di novanta anni fa. Basta mettere a confronto l’operato del partito fascista con i partiti odierni per trovare innumerevoli punti di contatto. Il fascismo diffuse molti slogan utilizzando i mezzi di comunicazione di massa come radio e cinema o scrivendoli sui muri lungo le strade: “Mussolini ha sempre ragione”, “credere obbedire combattere”, “vincere e vinceremo”. Si sente l’eco di “menomale che Silvio c’è” ma anche “si può fare” o, per dirlo all’americana, “yes we can”. Il partito fascista stilò un proprio programma: La parola “programma” è usata sia dai politici di destra sia da quelli di sinistra. Sarebbe meglio che fosse bandita dal vocabolario dei partiti, Nei discorsi dei politici ricorre costantemente anche la parola “riforma”:

Assistiamo oggi a un’informazione che viene sempre più falsata da interessi politici, il diritto all’informazione ci viene negato, tutto è manipolato per renderci burattini nelle mani dei potenti; le notizie politiche, nazionali e internazionali, scottanti vengono occultate per dare rilevanza a frivolezze che molto poco hanno a che fare con la realtà. L’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi è proprietario delle reti Mediaset e, da capo dei Ministri, controllava anche le reti Rai statali. C’è un monopolio nell’informazione. A poco serve che Striscia la notizia faccia satira sui tacchi o sui capelli trapiantati del cavaliere quando lo scempio italiano cui ha contribuito viene taciuto. Nel ventennio fascista . Radio e cinema furono sfruttati ai fini propagandistici. La propaganda oggi è il mezzo fondamentale che utilizzano i politici in periodo di elezioni e non. Sono diventati le soubrette del nuovo millennio, appaiono sempre in televisione, sui manifesti. La propaganda è figlia del fascismo. Il partito fascista istituì il ministero della Cultura Popolare, orientando e controllando tutti gli aspetti della cultura; istituì L’Unione Cinematografica Educativa(LUCE) che produsse documentari e cinegiornali di attualità per mostrare la grandezza e il valore del duce, il valore delle sue imprese, la crescita del prestigio internazionale. . E’ il caso di fare notare le parole di Berlusconi quando, presidente di turno per sei mesi al Parlamento Europeo, a Strasburgo pronunciò un discorso da lasciare tutti senza parole. Shultz, tedesco, portavoce del gruppo socialista, gli pose delle domande molto precise cui Berlusconi rispose con questo discorso: C’è da concludere che non c’è “conclusione” al peggio. Il popolo italiano dovrebbe pensare a reagire contro tutto ciò che, “dall’alto”, gli viene imposto. Protestano i trasportatori in Sicilia con blocchi stradali, creando disagi al trasferimento delle merci; ma la protesta sta diventando di più ampio respiro, coinvolgendo tutta l’Italia e, forse, tutta l’Europa (proteste in Romania contro le misure economiche volute dal governo; in Spagna va in atto la protesta contro i tagli all’istruzione; in Francia 300 mila persone sono scese in piazza a manifestare contro il piano di austerità proposto dal governo). Fino a che punto siamo disposti a subire queste dinamiche politiche-economiche globali? ( Le nove sventure, Foglio.it, 23 luglio 2011 Gibran Kahlil)

NOTE

1. F. Piazzi, A. Giordano Rampioni, Multa Per Aequora, Bologna, Cappelli Editore, 2004, p.522 2. Ivi, p.531 3. Ivi 4. George Lakoff è un linguista statunitense, professore di linguistica cognitiva all'Università di California Berkeley. Lakoff ha espresso pubblicamente sia le sue idee a proposito delle strutture concettuali che ritiene centrali per la comprensione del processo politico, sia alcune delle sue particolari opinioni politiche. 5. Shopenhauer, Arthur, Eristische Dialektik – Die Kunst, Recht zu Behalten, Berlino 1830-1831 (trad. It. Di Nicola Curcio e Franco Volpi, Adelphi Edizioni S.P.A. , 2006), p.15 6. Ibidem, p.49 7. Ibidem , p.30 8. Ivi, p.64 9 . Ivi, p.52 10. G. Gentile, L. Ronga, Storia & Geostoria, Milano, editrice La Scuola, 2005, p.244 11. Ivi, p.256 12. Ritanna Armeni, Ma come parli, compagno?, Il Foglio.it, 23 luglio 2011 13. Ibidem 14. G. Gentile, L. Ronga, Storia & Geostoria, Milano, editrice La Scuola, 2005, p.246 15. Ibidem, p.247 16. F. Bianchi, I nuovi termini, i nuovi argomenti, Napoli, edizioni Manna SRL, 2001

Bibliografia A. Shopenhauer, Eristische Dialektik - Die Kunst, Recht zu Behalten , Berlino 1830-1831 (trad. it. Di Nicola Curcio e Franco Volpi L’arte di ottenere ragione, Adelphi Edizioni S.P.A., 2006) F. Bianchi, I nuovi termini, i nuovi argomenti, Napoli, edizioni Manna SRL, 2001 F. Piazzi, A. Giordano Rampioni, Multa Per Aequora, Bologna, Cappelli Editore, 2004 G. Gentile, L. Ronga, Storia & Geostoria, Milano, editrice La Scuola, 2005

Leggere non è una perdita di tempo Magnelli Claudia

L

eggere è una consuetudine che dovrebbe far parte della nostra cultura. Quando è nata la scrittura, nel lontano 3000 a.C., l’uomo si è ritrovato a leggere per lo più per necessità, in quanto i primi pittogrammi erano nati esclusivamente per le esigenze amministrative e commerciali delle antiche civiltà che popolavano il nostro mondo. È quando la scrittura incominciò ad evolversi e ad essere utilizzata per fare arte che la situazione cambiò: gli uomini iniziarono a leggere per diletto o anche solo per istruirsi, ma la lettura non era un obbligo e sempre più spesso si tramutava in un’attività elitaria. Inoltre l’analfabetismo dilagava e affliggeva quella parte della popolazione mondiale che non aveva la possibilità di accedere all’educazione e che quindi non era capace di leggere e scrivere. Oggi, nel XXI secolo, si pensa che questo sia un problema ormai superato e pleonastico, in quanto quasi tutti hanno accesso all’istruzione. Eppure sempre più spesso in Italia assistiamo al cosiddetto “analfabetismo di ritorno”: secondo Tullio De Mauro, uno dei massimi linguisti italiani, il 71% della popolazione del nostro Paese «si trova al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura di un testo di media difficoltà1» . Detto altrimenti, la maggioranza degli italiani non legge. Eppure, in un certo qual modo, tutti leggiamo, tutti ci ritroviamo fra le mani la lista della spesa o le istruzioni per assemblare un mobile. Non basta,

però, “saper leggere” per essere lettori. È assodato che ciò che ci differenzia è l’approccio che abbiamo nei confronti della lettura e nei confronti del testo che ci ritroviamo fra le mani. C’è chi legge molto, quei cosiddetti “lettori forti” che fanno sopravvivere il mercato editoriale, altrimenti destinato alla rovina; e c’è chi legge poco o chi non legge del tutto, ovvero coloro che vivono questa pratica come una noiosa imposizione. Il dibattito tra quest’ultimi e i primi, che invece sostengono l’utilità e la bellezza della lettura, è ancora acceso e sembra non scemare. La mia tesi è che leggere dà esclusivamente benefici e che quindi sia un’attività indispensabile per la nostra persona. Romanzi e poesie rappresentano forse l’unica vera ancora di salvezza per quelle giovani generazioni che si ritrovano a vivere in un mondo ormai senza valori, come il nostro. La bellezza insita nello sfogliare i vecchi classici che hanno fatto la nostra storia o i nuovi romanzi dalle copertine sgargianti che catturano la nostra attenzione sugli scaffali delle librerie, va ben oltre l’utilità che leggere ha per le nostre vite; un’utilità che per alcuni forse appare ovvia, ma che per altri non è poi così innegabile. Ma la poesia, l’armonia che si viene a creare tra il lettore e la storia narrata o tra il lettore e i personaggi che prendono vita sotto i suoi occhi, non ha eguali. I vantaggi della lettura sono quindi molteplici: ci arricchisce come persone, alimenta la nostra cultura, dà forma e contenuto

alle nostre vite. Leggere fa bene alla salute; è un’attività che può essere considerata come una sorta di “ginnastica mentale”. Ovviamente, come per l’esercizio fisico, per far si che i risultati si vedano, bisogna essere costanti, così da tenere il proprio cervello sempre attivo e in allenamento. La lettura è un ottimo rimedio per lo stress: anche poche pagine, al ritorno da una pesante giornata lavorativa, aiutano a migliorare il proprio umore e a scaricare la tensione precedentemente accumulata. Diversi studi, inoltre, hanno confermato che la lettura previene il rischio di sviluppo di malattie degenerative del sistema nervoso, come l’Alzheimer2 . Leggere, infatti, migliora la propria capacità di concentrazione, la propria memoria: di fronte ad un romanzo siamo costretti a seguire i fili della trama che si vanno sempre più intrecciando, tenendo sempre a mente i dettagli che costruiscono la storia e i personaggi che si muovono al suo interno. Altri studi, invece, insistono sugli effetti positivi del leggere libri ai bambini fin dai primi mesi di vita. La lettura a voce alta, specialmente, abitua i bambini a prestare attenzione e questo incide positivamente sulla nascita e sulla sopravvivenza di nuovi neuroni. Impiantare il seme della lettura nei più piccoli è inoltre una sorta di assicurazione sul futuro: quegli stessi bambini saranno un giorno forti lettori, ma avranno anche pagelle più brillanti e non rischieranno di adottare comportamenti aggressivi e antisociali, a cui vanno invece incontro gli adolescenti con un basso livello di “literacy”34 . Esistono, poi, delle organizzazioni che utilizzano la lettura come mezzo per aiutare persone che stanno ritornando alla vita dopo un periodo di depressione, ragazzi con alle spalle situazioni familiari estremamente difficili, anziani lasciati soli in balia di loro stessi. Tra queste vi è The Reader Organisation, che opera per lo più in Gran Bretagna e che ha tenuto a maggio una conferenza dal titolo emblematico Leggere per vivere bene5 . Leggere insegna a vivere, a crescere; ci mostra il mondo e ci rivela il nostro posto al suo interno. Non importa che tipo di lettura stiamo affrontando: in ogni romanzo, racconto o poesia sono insiti innumerevoli valori da adottare e da mettere in pratica nella vita di tutti i giorni, ma anche insegnamenti indispensabili da fare nostri e da seguire. Se ci limitassimo a vivere solo nel nostro piccolo, non riusciremmo mai ad apprezzare

appieno ciò che ci circonda. Leggere ci permette così di vivere in mille e ancora più posti diversi, ci può offrire la visione del mondo nella sua interezza o appena solo un assaggio di realtà estremamente diverse dalla nostra. Si dice che la vita sia solo una, ma un lettore, in realtà, vive molteplici volte: si immedesima nei protagonisti delle storie lette, cresce e vive con loro, affronta i nemici più insidiosi e le avventure più pericolose insieme a quelle persone di inchiostro e carta che prendono forma mano a mano che si avanza verso il finale e che, girata l’ultima pagina, sono diventate un po’ di famiglia. Ogni libro, a suo modo, ci fa diventare una persona migliore: non dobbiamo quindi permettere che il mondo sempre più frenetico in cui viviamo ci faccia dimenticare il piacere della lettura. Leggere, poi, è anche uno svago, fa divertire, allontana i pensieri. La scusa del non avere tempo per leggere non sussiste: si tratta sempre di mancanza di voglia6 . Ed è proprio per sopperire a questa carenza che bisogna sempre essere capaci di ritagliarsi un piccolo spazio per sé, da dedicare a quest’attività piena di vantaggi e soddisfazioni. È anche vero che non sempre ci troviamo fra le mani libri realmente “educativi”, soprattutto quando al giorno d’oggi l’editoria sembra essere solo diventata un’altra grande industria sforna prodotti, votata al profitto. Capita di trovare in libreria volumi scritti male e dalla trama scarna, avvolti in copertine appariscenti e presentati in modo da farci pensare di trovarci di fronte al nuovo caso editoriale del secolo, salvo poi renderci conto, una volta terminata la lettura, di aver solo sprecato tempo dietro ad un mucchio di parole vuote. È il caso di molti best seller odierni, che, osannati dalla stampa e dalla critica, hanno avuto un immeritato successo; o anche il caso di molte saghe per adolescenti, che sono un continuo ripetersi dello stesso schema narrativo e degli stessi personaggi. Trova riscontro ancora oggi, quindi, il pensiero espresso da Arthur Schopenhauer in un capitolo dedicato ai libri e alla lettura del suo saggio Parerga e paralipomena: «Nove decimi della nostra attuale letteratura non ha altro scopo che spillare qualche tallero dalle tasche: autore, editore e recensore hanno per questo fermamente complottato78» . Non sempre, però, è il libro a non essere istruttivo: può capitare che esso non abbia un effetto

educativo sul lettore e quindi entra in gioco l’io stesso della persona. Soggetti più “deboli” possono smarrirsi nel mondo fittizio dei romanzi, crearsi false aspettative sulla vita, perdere di vista la realtà. Ovviamente si tratta di casi patologici e rari, ma sembrano tutti ricadere in quella strana malattia del pensiero che Jules de Gaultier chiamò bovarysme, termine derivato da Madame Bovary, protagonista dell’omonimo romanzo di Gustave Flaubert. Ad ogni modo, la lettura è importante anche da un punto di vista più tecnico: quello linguistico. Leggere può farci fare grandi passi nella nostra lingua madre, ma è un considerevole supporto anche per quanto riguarda le lingue straniere. Un libro in inglese, o in una qualsiasi altra lingua che vorremmo imparare, innanzitutto ci avvicina maggiormente alla cultura di cui quella lingua è emblema, quindi è una finestra su un mondo a noi sconosciuto, ma poi ci dà un assaggio della struttura grammaticale e lessicale propria di quella lingua, con un conseguente miglioramento della nostra padronanza della stessa. Anche leggere nella propria lingua madre è utile, in quanto ci si ritrova di fronte a parole magari sconosciute, ma che poi, una volta compresone il significato, desunto dal contesto o cercato sul dizionario, entrano nel nostro vocabolario. Inoltre con la lettura possiamo imprimere maggiormente nella nostra mente quelle strutture sintattiche e grammaticali della nostra lingua che stanno sempre più rischiando di scomparire a causa dei nuovi linguaggi che fioriscono su Internet. Bisognerebbe quindi allontanare le giovani generazioni da chat e social network, di cui fanno un utilizzo smodato e che minano l’integrità della nostra lingua, ormai scalzata da abbreviazioni e linguaggi sms, in modo da non farla svanire del tutto. Come conoscere il nostro passato, la nostra storia e come informarsi sul presente, sulla realtà che stiamo vivendo se non leggendo? Non esistono solo romanzi dalle trame totalmente inventate, ci sono anche quelli storici, che ci offrono la visione di un preciso evento del passato, ma la letteratura è anche fatta di saggi e ricerche preziose che costituiscono per noi un’inestimabile fonte di conoscenza. Leggere, quindi, informa. E l’informazione non avviene solo tramite testi di narrativa e di saggistica, ma anche attraverso la lettura di giornali, che sono strumenti indispensabili per conoscere il mondo che ci circonda ed essere

sempre al passo con gli eventi. Leggere mette in discussione le nostre convinzioni, apre la mente. Anche un libro solo può mostrare la verità, fomentare le masse e incitare alla ribellione. Basti pensare che nel XVI e nel XVII secolo l’Inquisizione cattolica iscriveva nell’Indice dei libri proibiti tutti i volumi considerati pericolosi e rivoluzionari e li bruciava pubblicamente nelle piazze, in quanto uniche fonti di informazione capaci di smascherare le bugie del potere. Bisogna quindi leggere, tenersi informati: solo così si può combattere contro coloro che ci incitano all’ignoranza e ci condannano alla cecità. Ritengo, dunque, che leggere sia un’attività indispensabile per la nostra crescita e per la nostra cultura. È cibo per la nostra mente, la mantiene viva e dinamica. Solo con la lettura siamo capaci di sviluppare la nostra creatività e la nostra immaginazione, qualità che si possono rivelare utili per la vita lavorativa e non. Inoltre, se usata sapientemente, ci forma e ci migliora come persone. Valentino Bompiani, fondatore della casa editrice che porta il suo nome, disse: «Un uomo che legge ne vale due». Ed è vero se si pensa al ricco bagaglio culturale, sempre in crescita, che un lettore porta con sé lungo il corso della propria vita. Un bagaglio unico e prezioso, difficilmente sostituibile con gli effimeri passatempi del nostro tempo.

NOTE: 1 Di Stefano, Paolo “Se sette italiani su dieci non capiscono la lingua”, in Corriere della Sera, novembre 2011. 2 Leone, Valeria “Allenare il cervello per prevenire l'Alzheimer”, su www.sanihelp.it, marzo 2012. 3 Benedetti, Luciano “Leggere (o sentir leggere) fa benissimo ai bambini”, in Corriere della Sera, maggio 2011. 4 Nemeth, Marina “Con i libri i bambini crescono meglio”, in La Repubblica, giugno 2009. 5 Dogliani, Sergio “Leggere fa bene alla salute”, in Il Sole 24 Ore, maggio 2012. 6 Pennac, Daniel, Come un romanzo, Feltrinelli, 2000. 7 Schopenhauer, Arthur, Parerga und Paralipomena: kleine philosophische Schriften, Berlino, 1851 (trad. it. Parerga e paralipomena, Adelphi, 1981).

8 Mascheroni, Luigi “Leggere non solo è inutile, ma fa anche male”, in Il Giornale, ottobre 2008.

BIBLIOGRAFIA • Pennac, Daniel, Come un romanzo, Feltrinelli, 2000. • Schopenhauer, Arthur, Parerga und Paralipomena: kleine philosophische Schriften, Berlino, 1851 (trad. it. Parerga e paralipomena, Adelphi, 1981). SITOGRAFIA • http://www.corriere.it • http://www.repubblica.it • http://faberblog.ilsole24ore.com • http://www.ilgiornale.it • http://it.wikipedia.org • http://www.sanihelp.it

“TI LOVVO!!!” La lingua italiana tra evoluzione e ignoranza Giordano Valeria

I

niziare un discorso sul modo di fare, di essere, ma soprattutto di esprimersi dei giovani, riporta inevitabilmente a parlare di un gruppo di soggetti che si stacca dalla dimensione culturale guidata dagli adulti, per aderire ad un altro tipo di cultura che si distingue da quella delle generazioni precedenti. Si rischia, pertanto, di impoverire e allo stesso modo arricchire, con nuovi ideologismi, il lessico cosicché gli adulti si ritrovino in uno stato di difficoltà oggettiva sulla comprensione di una nuova lingua parlata e scritta dai giovani. Questo stesso linguaggio fa perdere il senso delle parole e l’uso corretto di esse nella costruzione di frasi di senso compiuto. Seguire una specifica cultura, farne parte integrante, permette ai giovani di ottenere visibilità, e di conseguenza uno spazio ed un tempo, tracciando i confini di un luogo impenetrabile per gli adulti. I ragazzi con il loro modo di pensare, di agire, con la loro moda ed ancor di più con il loro linguaggio, pongono importanti punti di rottura tra la cultura dominante adulta e la loro cultura, comprensibile solo a chi ne fa parte. Se da una parte però, le teorie sociali sintetizzano la dimensione giovanile come un grande bacino di cambiamento e dinamismo, dall’altra questa stessa estensione viene a connotarsi come contenitore di errori ed ignoranza lessicale. La maggior parte dei giovani di oggi non conosce la lingua italiana, non costruisce frasi di senso sulle regole della sintassi

e, spesso, si esprime utilizzando termini stranieri resi “italianeggianti” nel parlato. La mia tesi è che oggi, a causa dell’uso estremo di mezzi di comunicazione di massa, soprattutto internet e tv, la lingua italiana rischia di essere utilizzata sempre più in modo scorretto. Il linguaggio dei giovani, ma anche dei meno giovani, è strettamente connesso al linguaggio informatico per la forma rapida delle parole, le abbreviazioni e i troncamenti. Termini dell’italiano scritto delle e-mail, delle chat o degli sms, trovano spesso collocazione anche nell’italiano parlato e viceversa; accade così che, inconsciamente o appositamente, invece di dire ad un amico “ti voglio bene” gli si dice “Ti Vi Bi” oppure, prendendo spunto dai comici in tv alcuni termini entrano a far parte dell’uso comune cosicché ad un appassionato “ti amo” si preferisce un maccheronico “ti lovvo” . La lingua italiana, che ha una lunga storia culturale, dispone di un lessico molto ampio che, nel corso dei secoli è cresciuto progressivamente. È naturale che nessun italiano,data la vastità di lessemi, usa o conosce l’intero lessico; il vocabolario di ciascuno varia in base all’età, alla cultura, alla professione, ai rapporti sociali, ecc., ma il problema oggi è che non soltanto non si riscontra tra la maggior parte dei giovani parlanti una padronanza linguistica adeguata ma si tende all’utilizzo di un lessico carente, ma nello stesso tempo, ricco di termini moderni (o neologismi) di

difficile comprensione. È veramente allarmante quanto scrive Antonio Calabrò nel suo blog in merito ad un dibattito sul Corriere della sera : ‹‹ i ragazzi, soprattutto, non sanno usare l’italiano, lo scrivono a fatica, non conoscono il significato di vocaboli come obsoleto, laido, dirimere, congruo, fatuo, non si raccapezzano con la sintassi, aboliscono il congiuntivo, fanno strame (strame? Che vuol dire?) della punteggiatura e, quel che è peggio, non sanno articolare un ragionamento scritto: tesi, svolgimento, conclusione. I dati emergono dalle ultime rilevazioni Invalsi. E indicano un fenomeno preoccupante: la lingua diventa più schematica, il ragionamento si impoverisce, l’argomentazione razionale ne soffre1 ›› Affermazioni del genere non possono lasciarci indifferenti. É giusto precisare che non tutti i ragazzi si ritrovano in questa stroncante descrizione, però è vero anche che Calabrò si è attenuto a rilevazioni Invalsi ( Istituto Nazionale per la Valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione) e ciò vuol dire che il problema dell’uso della lingua italiana oggi riguarda un numero notevole di giovani e non si può sottovalutare. Lo stesso Calabrò nelle battute finali dell’articolo scrive : ‹‹ Ecco una grande questione di fondo, civile e politica che dovrebbe stare al centro di ogni ragionamento sulla qualità della scuola e, dunque, della nostra vita collettiva2›› . Indubbiamente la qualità della scuola, il luogo in cui si vive, le persone che si frequentano influenzano il nostro modo di parlare. Secondo il mio punto di vista, oggi, si tende sempre più verso un linguaggio “omologato”, un linguaggio, cioè, carente dal punto di vista lessicale e comune a quanti preferiscono la comunicazione virtuale a quella verbale. Termini come “taggare”, “detaggarsi”, “postare”, “pokare” ecc. (vocaboli comuni dei social network) si inseriscono con facilità nel nostro lessico e vengono utilizzati i modo frequente, a volte anche senza conoscerne il significato. Il linguaggio dei giovani è un linguaggio emblematico. I neologismi di oggi difficilmente trovano riscontro nei dizionari, nessuno più scrive

diari o poesie. É inoltre diminuita la disponibilità a leggere, pertanto si scrive meno correttamente. Il linguaggio preferito oggi è quello della televisione e dei social network; anche la pubblicità, che si rivolge ai ragazzi, molto spesso attinge parte della terminologia giovanile per raggiungere i suoi scopi. Accade così che nuovi termini, formalmente scorretti, si inseriscono nella nostra lingua e vengono utilizzati in modo indisturbato facendo cadere la “vecchia” distinzione tra italiano formale e italiano informale. Ecco alcuni esempi: • Attoparsi: vestirsi in modo elegante; • Azzeccare: dire/fare la cosa giusta; • Andare a palla: andare fortissimo; • Gasato: felice; • Scialla: per invitare a darsi una calmata; • Nick: nome; • Mega: grande; Queste sono solo alcune delle espressioni più comunemente usate. ‹‹ La componente principale del linguaggio giovanile è stata individuata nell’italiano informale, su questa si innestano: o Uno strato dialettale; o Uno strato gergale, che attinge termini ai gerghi tradizionali o ne conia di nuovi per usarli all’interno del gruppo (particolarmente produttivo quello della droga: si pensi solo a farsi ‘drogarsi’); o Uno strato proveniente dalla lingua della pubblicità e dei mass media, ricco anche di parole straniere, soprattutto anglicismi (okay, oops!); o Termini propri dei linguaggi settoriali, spesso usati con valori traslati, metaforici3 ›› . Anche la corretta punteggiatura è indispensabile per dare senso ad una frase, ma a quanto pare la maggior parte della gente che scrive ne sottovaluta l’importanza. Il problema non è dato soltanto da un cattivo insegnamento ma, ahimè, anche dall’uso smodato dei mezzi di comunicazione attuali: chat, e-mail, sms ecc. In particolare la comunicazione nelle chats presenta una dialogicità più spiccata, come nel caso di una conversazione faccia a faccia e tende a simulare tratti di parlato. L’uso corretto della

punteggiatura, in questo tipo di comunicazione, è del tutto assente (o quasi). I punti interrogativi ed esclamativi sono tra i più utilizzati. Infatti, nel tipo di comunicazione telematica, questi segni paragrafematici, impiegati con frequenza e ripetutamente combinati tra loro, consentono di dar una sorta di dinamismo al testo scritto. Per rafforzare la vivacità delle parole scritte nella chat, sintetizzando così stati d’animo ben precisi. Si arriva ad accostare il codice alfanumerico a quello interpuntivo, ottenendo i cosiddetti smileys o emiticons, altrimenti conosciuti come faccine. Un esempio di questo nuovo linguaggio è il sorriso ( ☺ ) prodotto dall’accostamento di : - ) . La punteggiatura perde così la sua funzione originale di scansione logica del discorso. Tra le diverse abilità linguistiche, lo scrivere è sicuramente la più complessa. Nello scrivere, ci sono delle regole che devono essere rispettate, diversamente si possono commettere degli errori. Un uso scorretto dei segni di interpunzione crea antipatiche stonature nel ritmo della frase. In una conversazione in chat o tramite sms si possono anche tollerare certe inesattezze, per via della velocità di trasmissione dei messaggi, ma il problema è quando si adotta lo stesso stile di scrittura nei temi. Mi è capitato di leggere alcuni elaborati scritti di ragazzi che frequentavano il secondo anno di un Liceo Scientifico. Ho avuto modo di appurare che, nella maggior parte dei casi, la punteggiatura impiegata era inesatta. Gli errori più frequenti non riguardavano solo la scorretta scansione logica delle frasi, ma anche l’impiego di segni di interpunzione al posto sbagliato e in modo sbagliato. Ad esempio, il punto esclamativo, che va posto sempre in fondo all’intero periodo, spesso è utilizzato più volte in una stessa frase e, come se non ne bastasse uno, si preferisce inserirne due o tre di seguito, proprio come accade in chat o negli sms: “che bella giornata!!!” oppure “chiamami!!!”. È giusto sottolineare che un solo punto esclamativo ha una capacità espressiva più che sufficiente (e ciò vale anche per il punto interrogativo), pertanto è preferibile, inoltre, avvalorare la distinzione tra italiano formale e italiano informale che oggi, purtroppo, si avverte poco (o per niente).

mezzi di comunicazione che permettono di mettere in contatto persone che vivono in continenti diversi, c’è il rischio di non saper comunicare. Più aumentano i mezzi e i luoghi virtuali più si possono perdere di vista molteplici aspetti importanti della comunicazione: stato d’animo, tono della voce, linguaggio. Comunicare vuol dire sostanzialmente ascoltare, parlare e vedere. ‹‹ La competenza comunicativa riguarda la capacità che i parlanti hanno di utilizzare la lingua nei modi che sono appropriati alle varie situazioni ›› 4. Pessimisticamente ritengo che nella società in cui vivo la capacità di ascolto sia inesistente. Non si parla più di tanto e soprattutto quando si comunica (se comunicazione si può chiamare) lo si fa per “intercessione” di un computer o di un telefonino. La comunicazione virtuale è il mezzo “migliore” per crearsi molteplici maschere, per dire “ti amo” senza troppe complicazioni, per litigare con un amico dicendogli le cose peggiori che non gli avresti mai detto guardandolo negli occhi, per dire “ti voglio bene” (ops! Scusate: “T.V.B.”) a tutti, anche a chi conosci da poche ore. Insomma, una comunicazione “viscerale” (macché); adesso è possibile anche baciarsi via web, non è uno scherzo. Questa nuovissima tecnologia è stata da poco messa a punto dall’università di Kajimoto (Elettro Comunicazioni), tramite la realizzazione di uno strumento munito di una cannuccia di plastica che risponde agli stimoli trasmettendoli a un’altra cannuccia-ricevitore (che cosa romantica!). Non ho intenzione di dilungarmi su questi aspetti veramente poco piacevoli della comunicazione odierna. A parte la carenza di diversi aspetti fondamentali nelle relazioni interpersonali, una comunicazione del genere impoverisce anche il repertorio linguistico di un individuo. Il tipo di scrittura utilizzato, se da un lato serve per essere più veloci e per occupare meno spazio possibile, dall’altro storpia la lingua italiana. I testi sono semplificati e strutturati in parti brevi. Sigle e abbreviazioni risultano particolarmente abbondanti: si va da abbreviazioni ottenute con le prime consonanti della parola (cmq per comunque, qnd e qnt per quando e quanto, msg sta per messaggio) a sigle formate con le iniziali delle parole della frase come tvttb ( ti voglio tanto tanto bene), cvd (ci Comunicare oggi è sempre più difficile. Nonostante vediamo domani); peggio ancora i risultati delle il progresso tecnologico e lo svariato numero di combinazioni di lettere, numeri e segni matematici:

c6 (ci sei?), r8 (rotto), 4U (for you), t + t (torno più tardi), XXX (baci baci baci). Questo tipo di linguaggio oltre ad essere sgrammaticato, non prevede altre regole se non la velocità nello scrivere. Abbreviazioni, acronimi, omissioni del discorso, queste sono le caratteristiche del linguaggio odierno che possono andare anche bene per agevolare l’invio di informazioni tramite messaggi sui telefonini dove, per ragioni di tempo e spazio è necessario usare il minor numero di caratteri possibili, anche per questioni di comodità e praticità. Il problema subentra quando se ne fa uso in contesti assolutamente inappropriati, dove questo tipo di linguaggio non ha ragione d’esistere.

indistintamente dall’età, tra gli individui che non sono più in grado di comunicare. Nell’era del progresso tecnologico, soprattutto per quanto riguarda i mezzi di comunicazione, se da un lato i dati dimostrano che ogni giorno vengono inviati milioni di sms e le chat-lines a volte si intasano per il numero eccessivo di utenti, dall’altro si evince che la comunicazione verbale, reale, “faccia a faccia”, tende sempre più a scemare. Tralasciando, non perché meno importante, la componente emotiva della comunicazione, resta la lingua. La lingua italiana viene utilizzata in modo scorretto. Nonostante la comodità dell’uso di abbreviazioni, acronimi e faccine, il rischio è quello di abituarsi a questo tipo di scrittura e sottovalutare caratteristiche fondamentali dell’italiano della tradizione letteraria. È vero che molti elementi lessicali propri del linguaggio giovanile hanno una vita effimera ma altri, al contrario, hanno una durata più lunga e possono passare alla lingua comune e come posso sopportare chi dice: ‹‹Ti Lovvo›› piuttosto che “Ti amo”? E come si fa a considerare sincero chi scrive: ‹‹tv1kdbxs›› (ti voglio un “casino” di bene per sempre)? Indubbiamente anch’io sono interamente immersa in questo contesto e spesso mi servo di questo tipo di scrittura e di linguaggio. A volte mi rendo conto di commettere errori, altre volte no. È difficile in questi casi pensare di poter insegnare un domani, come è impensabile, secondo me, conseguire una laurea in Lettere moderne con un piano di studi che prevede solo due prove scritte nell’arco di tre anni. Ci ritroviamo nell’era del progresso, dell’innovazione, della globalizzazione ma, più che evoluzione, emergono involuzione e superficialità anche e soprattutto nelle piccole cose che stanno alla base del vivere civile. Ritornando alla lingua italiana, l’articolo di Calabrò, sopracitato, esplica al meglio lo stato attuale delle cose:

Tuttavia si sa che il mutamento linguistico rientra nel normale divenire storico. Ogni lingua, nel corso dei secoli, subisce delle trasformazioni dovute in parte ai contatti con i dialetti e le varietà regionali, in parte ai contatti con le lingue straniere ma soprattutto alle nuove esigenze poste dalle molteplici nuove forme di comunicazione. Questa nuova forma di comunicazione è, senza dubbio, veloce e “spensierata”. Quando si chatta con amici non ci si preoccupa delle maiuscole, della terminologia esatta, della punteggiatura ecc. Il linguaggio, come i vestiti, i tatuaggi e i piercing, può essere un espressione della propria identità, ma anche un modo per rafforzare l’appartenenza ad un gruppo e strumento per differenziarsi dal mondo degli adulti. In un’epoca come la nostra, non bisogna biasimare i giovani. Ciò che sono, ciò che pensano e come agiscono nella società, sono solo il frutto di ciò che la società stessa offre loro. I giovani di oggi, occupano un posto scomodo. Non sono adulti, non sono infanti. Sono solo giovani, e posseggono questa caratteristica per distinguersi dal resto e per portare avanti un proprio modo di vivere, di pensare e di agire, cha da una parte li tenga ben protetti dal mondo adulto, ma che ‹‹Chiunque sa che la lingua è strumento vivo, si dall’altra li renda visibili e riconosciuti. evolve, si modifica (Manzoni, Calvino, Moravia, Vittorini sono stati dei grandi innovatori, così come Non voglio entrare in merito al dibattito che vede i lo sono i giovani scrittori Nori e Lagioia). Ma, tra giovani contrapposti alla società ed al mondo evoluzione e ignoranza c’è un abisso. Una lingua adulto. povera di vocabolario e sintassi è una lingua La mia convinzione è che lo stile di vita frenetico, schematica […] Diventa uno strumento di oggi, porta sempre più ad un distacco, affermazioni secche (apodittiche?) e dunque

violente, di contrapposizioni, non di confronti. Ma proprio la complessità dell’argomentare sta alla base della convivenza civile, del dibattito pubblico, in sostanza della democrazia››. NOTE: 1. Calabrò, Antonio, “Troppi errori dei giovani nell’italiano scritto. Più ignoranti e più poveri”, in Taccuino, www.acalabro.com, 21 settembre 2010. 2. Ivi. 3. D’Achille, Paolo, L’italiano contemporaneo, Bologna 2003, p.185. 4. Graffi G., Scalise S., Le lingue e il linguaggio. Introduzione alla linguistica, Bologna 2003, p.229.

Cultura e Società

Si prega la clientela di spegnere la tv e di indignarsi Cerminara Francesco

"S

e i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano con i lavoratori e gli oppressi, non c’è scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e sull’ingiustizia”. Chissà cosa direbbe e penserebbe oggi il leader del più grande partito comunista d’Occidente, Enrico Berlinguer. Sarebbe bello poterlo rivedere e riascoltare in mezzo agli studenti in rivolta o agli operai in sciopero, invece di doversi sorbire le false promesse della banda dei tecnici e le barzellette oscene del “Buffon” di Arcore. Il leader del più grande partito comunista d’ Occidente, mantenendo fede agli ideali che ne hanno segnato l’ esperienza politica, dovrebbe difendersi dagli attacchi di D’ Alema, Veltroni, Fassino e darebbe ragione a quello che diceva Pier Paolo Pasolini sul nuovo potere fascista. Sarebbe spaventato dagli effetti che i mezzi di distrazione di massa hanno procurato alle nuove generazioni, costretto non più a sentire discorsi sulla lotta di classe, il capitalismo cannibale e la giustizia sociale, ma commenti sulle gambe, sui seni, sui comportamenti dei personaggi dei reality o delle scuole di Maria De Filippi. Questo siamo diventati e Pasolini faceva bene ad

aver paura. Non più popolo pensante ma pubblico dormiente, infarcito di banalità, volgarità e indifferenza. Eppure, una minoranza combattiva esiste e non può essere abbandonata a se stessa. Eppure, il potere ha cambiato faccia e va combattuto. Dal regime fascista a quello mediatico e bancario. Subiamo un torto, ci fanno un torto e non ne avvertiamo la pericolosità. Tanto, tornando nelle nostre comode case ed accendendo il televisore, qualche cialtrone ci ricorda che il mondo è un bel posto, che vendere la propria dignità ( di uomo e di donna ) è accettabile, che chiedere ad un genitore di un figlio appena morto “Cosa si prova ?” non è un comportamento degno di censura (come dice spesso Bergonzoni, siamo affetti dal morbo della cronaca e i giornalisti che pongono quel tipo di domande dovrebbero camminare con un cartello con su scritto “nuoce gravemente alla salute”). Per fortuna non ci sono solo spettatori. Dalla parte opposta vivono e crescono i militanti, gli operai che reclamano il diritto alla sicurezza e gli studenti che vogliono sovvertire lo stato delle cose (molto diversi da chi gioca a fare il rivoluzionario, vestendosi da comunista e fingendo di voler proteggere gli “ultimi”). Meritano uno sguardo attento, i movimenti di rivolta all’ euro e all’ economia disastrosa (segno dell’ illusione di un’ Europa equa e solidale) nei paesi della Ex- Jugoslavia, che difficilmente

occupano spazio nelle testate giornalistiche e nelle televisioni. In Bosnia Erzegovina, molti analisti sostengono che “ negli anni novanta, tutti i partiti che hanno portato alla guerra si dicevano democratici; ormai gli stessi partiti, che continuano a monopolizzare il potere e a bloccare ogni evoluzione del paese, si dicono tutti pro-europei”. In Kosovo il Presidente Mkorad Dodik ha manifestato una voglia di aderire all’ Unione Europea; Arber Zaimi (leader della sinistra radicale albanese) riflette: “ sono dieci anni che il Kosovo fa da terreno di sperimentazioni per le politiche europee. Con quali risultati? Un’ economia distrutta”; il serbo ed estremista di destra Vojidlav Seselj prima si contrappose all’ europeizzazione e poi, sotto la guida di Tomislav Nicolic, si mostrò favorevole. In Croazia, paese che il 1 Luglio 2013 entrerà nell’ Unione Europea, c’è stato un referendum nel Gennaio 2012 con un’ affluenza bassa, il 43%. Di questo campione il 67% ha votato favorevolmente. Mentre si votata, la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’ Università di Zagabria, faceva sventolare lo striscione “Il sapere non è una merce” e comunicava che: “ Noi rivendichiamo la gratuità dell’ insegnamento superiore. Il governo voleva instaurare tasse d’ iscrizione. Grazie alla mobilitazione, siamo riusciti a bloccarne l’ espansione. Gli studenti devono pagare tasse solo per il terzo e il quarto anno. Il primo, il secondo e il quinto restano gratuiti. Questo compromesso curioso è direttamente minacciato dalla prevista integrazione europea perché contravviene al protocollo di Bologna che impone l’ armonizzazione dell’ insegnamento superiore in tutti i paesi dell’ Unione. Per noi, l’ adozione delle regole europee non rappresenta un processo, bensì una messa in questione di un diritto fondamentale” Una sinistra croata unita e determinata dunque? Proprio no, perché ci sono dissidi, in pieno stile sinistra italiana, fomentati da Miljenko Terniski. C’è bisogno di realizzare il sogno accarezzato da Monicelli pure nei giorni che hanno preceduto la sua scomparsa. Una rivoluzione culturale, seppur dolorosa, è l’ alternativa. Riempiere le piazze e le strade di cervelli capaci di pensare a modi per migliorare l’ economia (lotta all’ evasione, alla

corruzione e agli sperperi, adozione di politiche ambientaliste ), di convincere gli stakanovisti della poltrona e del telecomando che lamentarsi da seduti è vigliaccheria, che “esempi di onestà, coerenza ed altruismo” ci sono stati e sempre ci saranno. Ricordiamoci che i fascisti che si vantavano del braccio teso e del manganello, a Duce impiccato, festeggiarono con i liberatori. Tutto non è uguale a tutto, qualcuno è morto da latitante in Tunisia dopo aver creato un esorbitante debito pubblico ( e a distanza di anni è stato preso come modello di modernità) e un signore sardo, timido e passionale è morto su un palco mentre incitava la gente a proseguire il proprio dignitoso lavoro.

Potere e controllo mentale Mollo Alessia

L'

industria musicale è costituita da una rete di case di produzione discografiche, riviste musicali e tutto ciò che contribuisce a creare musica destinata alla commercializzazione o divulgazione. La musica è un mezzo che permette di assorbire concetti e nozioni racchiusi nei testi delle canzoni, permettendoci di assimilare concetti non nostri con modi talvolta estremamente piacevoli: come cantare testi di canzoni che più apprezziamo o guardarne i relativi video musicali. L'industria musicale, come tanti altri settori, sembra oggi sotto il controllo di una serie di lobby e a oscuri gruppi di potere che la utilizzano per fini poco limpidi e per manipolare le masse. Uno degli elementi che ci inducono a ritenere plausibile questo scenario è il fatto che molto spesso ci imbattiamo in numerosi messaggi subliminali nascosti all'interno delle clip musicali trasmesse ripetutamente in tv. Infatti, a quanto pare, in molte immagini vengono criptati simboli esoterico-satanici, che vengono assorbiti dal nostro inconscio e vi permangono come fantasmi erranti. Una di queste sette, secondo alcuni, sarebbe quella cosiddetta degli “Illuminati”, una sorta di società segreta a carattere religiosoesoterico, fondata da Adam Weishaupt nel 1776, in Germania, in alternativa alla massoneria di cui però ha assunto molte caratteristiche e parte della

simbologia. Infatti, come la massoneria, il suo simbolo riproduce una piramide con all'interno l'occhio che tutto vede, oppure una G posta sotto un compasso divaricato in modo da riprodurre i tratti di una piramide. Ciò rispecchia la struttura gerarchica della setta, nella quale l'adepto conosce solo quelli della sua stessa classe o quelli della classe inferiore, e, a meno che non abbia ricevuto ordini particolari, tutti gli altri adepti di grado superiore saranno detti per lui gli “invisibili”. Secondo alcuni teorici, molti personaggi dello show business avrebbero avuto fama e ricchezza aderendo a questa setta e per dimostrare la loro totale adesione si esibirebbero ostentando gesti tipici degli Illuminati, che ne riproducono il simbolo: o fanno un triangolo con le mani, oppure si coprono un occhio con la mano, come si può vedere in molti videoclip o concerti. Per questo, celebrità di fama mondiale dello spettacolo come cantanti e attori hanno una cosa fondamentale in comune con politici, banchieri, finanzieri mondiali e proprietari di grandi aziende: avrebbero “venduto l'anima al diavolo” e finirebbero per cooperare ai piani di una struttura occulta di potere costituita da alcune tra le più ricche famiglie del mondo. Il loro potere segue da millenni una blood-line (linea di sangue) che si tramanda da generazioni. Il loro obbiettivo non sembra essere più nemmeno il denaro, piuttosto il raggiungimento di uno stato totalitarista ed accentratore in cui l'essere umano viene trattato

come uno schiavo. Questo sistema prende il nome lei in veste di sacerdotessa egiziana ha intrattenuto di Nuovo Ordine Mondiale – New World Order . con simbolismi e immagini le menti di migliaia di giovani che ripetevano cantando le sue stesse Sempre secondo alcuni, per gli adepti delle loro parole, inconsapevoli di fare parte di un vero e sette, stringere un patto con il diavolo o con chi ne proprio rito satanico. Il concerto si è concluso fa le veci, assicurerebbe potere e denaro: per proprio con Like a prayer che riascoltata al questo, molti cantanti e attori che sognano la contrario non è, come dice il titolo “come una notorietà in svariati ambiti dello spettacolo prima o preghiera”, ma anzi sembrerebbe essere un diretto poi si accorderebbero con le grandi aziende in inno a Satana e all'occhio onniveggente. mano agli Illuminati. Un ulteriore “strumento” degli illuminati è Cominciano così nello spettacolo a creare un l'emergente cantante Rihanna, costantemente in mondo fatto di simboli, gesti e rituali in cui cercano vetta alle classifiche musicali ormai da qualche di plasmare le masse fin dalla più giovane età, anno. La cantante ha esordito dopo il suo incontro creando falsi idoli in cui i ragazzi possano con il cantante rap Jay-Z, il quale, da parte sua, ha identificarsi. Questo processo agisce distogliendo le affermato di aver venduto l'anima a Satana e di masse dai reali problemi della vita quotidiana e aver avuto il compito di iniziare alcuni adepti; nei realizzando miti irraggiungibili. Questi “burattini” suoi video si riscontrano molti gesti e messaggi del sistema sarebbero talmente asserviti ai loro satanici o riguardanti la setta degli Illuminati. La manipolatori al punto da esprimere tale adesione stampa dice, a riguardo del loro incontro, che il con gesti e tracce audio. Sulla base di questi presidente dell'etichetta, Jay-Z, convocò Rihanna meccanismi mentali sarebbe per loro possibile per un provino e le propose di firmare un contratto condurre molte persone in condizione di disordine per sei album. Inizialmente titubante, la ragazza della personalità multipla o disordine della accennò un rifiuto, ma Jay-Z la persuase dicendole personalità dissociata. Il cervello delle loro vittime che non sarebbe mai uscita dalla stanza se non verrebbe modellato e adeguato ai modelli di dalla finestra (erano al 5° piano di un palazzo), e a comportamento che il sistema esige. Questo quel punto lei firmò il contratto. Questa versione progetto di controllo mentale è noto come ufficiale in verità è da più parti smentita: sembra, “Progetto Monarch”. infatti, che Rihanna dapprima rifiutò perché le fu Un esempio lampante del progetto del controllo proposto di dover sottomettersi al potere degli mentale nell'industria musicale è quello Illuminati e di dover venerare Satana. Però, una dell'indiscussa regina del pop Madonna, icona per volta dato il suo consenso, e firmato il contratto, le milioni di persone. Infatti, fin dai suoi esordi ha cose cambiarono: pubblicò numerosi album e dopo giocato con la trasgressione utilizzando talvolta i primi due, serviti a renderla famosa in tutto il simboli cristiani. L'ambiguità, i riferimenti sessuali mondo, ne pubblicò uno dal titolo Good girl gone e la blasfemia sono elementi che l'hanno sempre bad ovvero “le brave ragazze diventano cattive”, in contraddistinta (e non in positivo). Anch'essa si cui già la copertina è indicativa: Rihanna infatti relaziona al resto dell'industria musicale utilizzando mostra un solo occhio. simboli esoterico-satanici. Nel suo primo singolo “Umbrella” canta con Jay-Z In uno dei suoi primi singoli, lanciato sul mercato in persona dicendo in inglese “L'uomo della per renderla celebre, Like a prayer del 1989, pioggia (rain man) è tornato con la piccola Madonna appare sullo schermo tra numerose croci Sunshine Rihanna...”. Ma cosa vuol dire? “Rain infuocate, una rappresentazione del tutto anti- man” sembrerebbe un intercalare molto ricorrente cristiana. Il video allora fece scalpore poiché parla in svariate canzoni, in realtà non è altro che uno di Gesù Cristo come di un essere umano con dei tanti nomi attribuiti a Satana. Pertanto Jay-Z, desideri sessuali. nella canzone, dice che Satana è tornato portando Madonna, essendo ormai un colosso musicale di con se una nuova schiava “little sunshine” (riferito fama mondiale, diventa un favorevole punto su cui alla luce di Lucifero) e nel resto della melodia fare leva per il controllo mentale di milioni di Rihanna dichiara la sua unione con il demonio. Il giovani. Il suo concerto al Super Bowl americano videoclip, come il testo, chiaramente è colmo di del 2012 non è stato altro che un grande rito, dove messaggi Satanici. In un frame si può notare la

giovane adepta inginocchiata all'interno di una piramide come simbolo di totale sottomissione agli Illuminati. Alcune persone potranno chiedersi se queste sono solo delle coincidenze oppure che io veda del negativo ovunque nei media. Queste persone forse, non sono al corrente di alcune verità fondamentali, non basate su credenze particolari, ma su fatti reali. Le case discografiche che posseggono l'immagine di tutte queste star importanti sono a sua volta in mano a gruppi economici che li trasformano iniziandoli a società segrete occulte. Certo, bisogna però evidenziare come non tutti gli artisti svendono le loro capacità come fossero un prodotto da lanciare sul mercato ed anzi assumono un vero e proprio atteggiamento da anti-Illuminati. Molti musicisti e cantanti, pur ricevendo inviti allettanti da parte di società segrete, si sono astenuti dall'aderire al loro sporco scopo, rinunciando quindi alla possibilità di possedere esorbitanti ricchezze e fama indiscussa. Dopo svariate ricerche svolte personalmente ho potuto infatti constatare come alcuni generi musicali ad esempio quello “raggae” pare non essere d'interesse all'industria, quindi non soggetto al programma di controllo mentale, perché trattasi di musica poco commerciale. Lo stesso Bob Marley lanciò un messaggio alle masse, ovvero, chi ci governa vuole assemblarci come tanti tasselli di un mosaico globale uniforme, schiavizzandoci a tutto ciò che è materiale, facendoci perdere la libertà di governare noi stessi per lasciarci guidare dalle leggi dettate dai potenti, come fossimo delle pedine da scacchi: “Voi siete liberi non dovete dipendere da nessuno, non interessa ciò che diranno su di voi... I take a revolution I make a solution...”. Altra cantante che grazie a questa sorta di fratellanza ha raggiunto la fama mondiale è Beyoncè. Lei, come Rihanna, ha ragginto il successo cantando anch'essa con Jay-Z, nel suo primo singolo “Crazy in love”. Il relativo video parla di “Sasha Fiere”, mostrandoci i passi della sua trasformazione nelle mani degli Illuminati. Nella scena finale, infatti, Jay-Z dà fuoco ad un'auto in cui Beyoncè è rinchiusa sul sedile posteriore. La macchina esplode e la ragazza muore. Un attimo dopo la vediamo rinascere splendente come una diva, sexy e seducente nei panni di Sasha Fierce. Quindi anch'essa rinasce

(come Rihanna) dopo l'incontro con Jay-z ed esprime la sua unione con Satana, ridandosi un nome, lo fa appunto pubblicando il disco “I'm Sasha Fierce”. Secondo molti osservatori, la lista delle celebrità di ieri e di oggi aderenti alla setta potrebbe continuare all'infinito: Marilyn Monroe, Led Zeppelin, The Beatles, Bob Dylan, Lady Gaga, Jessie J, Pink, Cristina Aguilera ecc. Pure artisti come Michael Jackson ed Eminem ne avrebbero fatto parte all’inizio della loro carriera. Questi ultimi, nel momento in cui recedettero la loro appartenenza alla setta, subirono un notevole calo di produzione causato da gossip diffamatori da fonti sconosciute. I membri italiani sarebbero Vasco Rossi, Tiziano Ferro, Marco Carta, Laura Pausini, e tantissimi altri ancora tra i quali i “gioielli” made in Mediaset soprattutto: i loro videoclips e le loro canzoni pullulano di tutti questi messaggi, inducendo i giovani ad assumere gli stessi gesti dei loro idoli inconsapevoli del loro reale significato. Anche se i loro testi professano messaggi apparentemente benevoli, d'amore e d'amicizia, bisogna rammentare che i singoli sono calcolati per ottenere i massimi ascolti e il massimo della vendita quindi studiati in modo tale da catturare le nostre attenzioni. Oggi difficilmente troviamo artisti che non si siano svenduti al Potere che ormai gestisce la politica, l'economia e il mercato del pianeta intero. Quindi all'artista conviene arrendersi al suo dominio e diventare merce da lanciare sul mercato musicale o cinematografico, in cambio di ricchezza e fama. Il massimo dello squallore lo si trova tra i cartoon e le melodie Walt Disney, dove messaggi Satanici degli Illuminati sono praticamente ovunque, alcuni sfiorano addirittura la pornografia e la blasfemia. Alcune star infatti le abbiamo viste apparire sugli schermi con le orecchie del simpatico cartone animato Topolino. In verità, indossare le orecchie di Mickey Mouse è simbolo associato alla programmazione per il controllo mentale. Quelli che abbiamo esaminato finora sono le “marionette” usate dagli Illuminati. In definitiva, secondo la “teoria del complotto”, queste persone cercano di “resettarci” e di riprogrammarci secondo il loro progetto : governare il Mondo e imporre il cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale: (New Word Order), mettendoci in una condizione di assoluta sudditanza rispetto al Potere.

Ovviamente è facile per loro illudere e far agire secondo la propria volontà la massa ignorante. Per questa ragione, sostengo che il loro potere debba essere disoccultato impedendo l’imposizione di modelli di vita che non ci appartengono e che non ci rispecchiano assolutamente. L'uomo, in quanto essere pensante, dovrebbe difendere il diritto alla ricerca della verità. Più di ogni altra cosa, dovrebbe rendersi conto dei vili mezzi di cui il sistema si avvale: OPEN YOUR EYES !!! APRITE GLI OCCHI !!!

Sitografia - Da you tube, Illuminati – The Music Industry (full length) - Da you tube, Illuminati nella musiva italiana e straniera - Da you tube , Songs of Satan (Backmasking)

Inflazione: cause, implicazioni e conseguenze Romano Italo

Q

uando si parla di Sovranità Monetaria e signoraggio bancario si è soggetti il più delle volte ad attacchi bipartisan. Spesso e volentieri l’arma più utilizzata dai detrattori, più o meno consapevoli, è quella dell’inflazione. Sappiamo realmente cosa sia l’inflazione, e quali siano le dinamiche da cui essa scaturisce? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza. L’inflazione può avere origini differenti e si può dividere, in base alle condizione che innescano la situazione inflattiva, in tre categorie: 1)inflazione reattiva; 2)inflazione guidata; 3)inflazione creditizia. La prima categoria di inflazione nasce a causa di condizioni elementari e il suo meccanismo è di facile comprensione: quando aumentano i costi di produzione (del processo produttivo, dei salari o delle materie prime) aumenta il prezzo del prodotto finale. Quindi se lievita il prezzo della farina, farà altrettanto il prezzo del pane venduto al dettaglio. Può anche accadere che una azienda riuscendo a imporsi sulle altre, creando condizione di monopolio od oligopolio, può decidere di aumentare i prezzi senza giustificazione alcuna, per massimizzare il profitto. Ma, come è già capitato, anche in un settore in cui vige ufficialmente la concorrenza, le imprese possono accodarsi per stabilire un prezzo di riferimento più alto. Le norme antitrust vietano assolutamente questa tipologia di condotta di mercato, ma come sappiamo in questo caos globalizzato, spesso, le

leggi sono eluse o aggirate con escamotage creati ad hoc. Per cui, questa tipologia di inflazione è frutto di movimenti interni al mercato ed è innescata dalle iniziative dei soggetti che in esso operano. Ovvio che un governo del popolo e per il popolo, attento e lungimirante, possa intervenire per correggere un trend inflattivo, modificando le norme, oppure, l’imposizione tributaria. L’inflazione guidata, detta anche inflazione monetaria, è il più classico dei casi, è quella maggiormente citata quando si inizia a parlare di sovranità monetaria, moneta credito, signoraggio statale etc. In pratica quando vi è troppo denaro in circolazione aumenta l’inflazione. E’ giusto porsi un paio di domande. Ma troppo rispetto a cosa? Rispetto ai servizi reali: capacità produttiva, occupazione, tecnologia, reperibilità di materie prime etc. Chi immette il denaro in circolazione? Formalmente, è lo Stato che ordina questa operazione, in realtà il denaro è creato dalla Banca Centrale. Per comprendere meglio il rapporto che intercorre fra i due enti, nel particolare in merito all’emissione monetaria, è necessario aver ben chiaro il concetto di signoraggio: la proprietà dei valori monetari, pari alla differenza tra costo tipografico (o di conio) e il valore nominale. Tornando alla nostra inflazione monetaria, è necessario fare un esempio pratico per spiegare al meglio il concetto. Prendiamo l’esempio di un paese appena uscito da un periodo di guerra, quindi a terra dal punto di vista economico, e quindi politico e sociale. Il Governo di questo Stato inizia a stampare moneta per rilanciare

l’economia del paese. Però a questa massiccia emissione monetaria potrebbe corrispondere una povertà diffusa, quindi mancanza di acquirenti, quindi mancanza di servizi. Insomma l’economia non solo non si mette in moto, ma rischia di impantanarsi. Gran parte delle risorse verrebbero assorbite dalla ricostruzione, ma niente di più. Così questo denaro inutilizzato fa impennare l’inflazione alle stelle. La storia è piena di esempi simili, su tutti, il più citato è quello della Repubblica di Weimar. La Germania, uscita sconfitta della Prima guerra mondiale e messa al muro dal Trattato di Varsailles, tentò di ricostruirsi dandosi un ordinamento repubblicano per tentare di risollevare l’economia tedesca. Non bastò. Il collasso era prossimo a venire, difatti, nel 1923 le banche tedesche, private e appartenenti al cartello mondiale, iniziarono a stampare denaro senza sosta. Nello stesso periodo la Francia invase la Ruhr, zona ad altissima industrializzazione, e ciò provocò pesanti ripercussioni sulla produzione. In seguito a questi avvenimenti La Società delle Nazioni (antenato dell’Onu) aprì le porte alla Repubblica di Weimar in cambio di ingenti prestiti. Con il debito pubblico alle stelle, si innescò una iperinflazione: i tedeschi andavano a comprare le sigarette con la carriola e un chilo di pane, che prima della crisi costava 250 marchi, in dodici mesi era arrivato a costare la bellezza di 399 miliardi di marchi! Il crollo definitivo si ebbe con la crisi del 1929, il famoso venerdì nero della borse di New York dichiarò chiusa l’avventura repubblicana tedesca. Imparata la lezione, i tedeschi non replicarono l’errore. Hitler nazionalizzò le banche e ciò permise quella spaventosa crescita, che poi degenerò nella follia causa della Seconda Guerra Mondiale. Ma anche dopo la sconfitta, il debito tedesco era praticamente nullo e l’inflazione allo 0,5% annuo. Infine abbiamo l’inflazione creditizia. Questa inflazione ha conosciuto la più ampia diffusione dal 1971, anno in cui Nixon, allora Presidente degli Stati Uniti, con il benestare del G10, decretò la fine della gold standard, ovvero della convertibilità del dollaro in oro (il valore del dollaro era legato alla consistenza delle riserve auree statunitensi), come deciso nel 1944, con gli accordi di Breton Woods. Questa decisione ha aperto la porta del mondo alla moneta virtuale. Questa terza categoria di inflazione è generata dall’eccesso di operazioni di

sconto e concessioni di credito da parte delle banche. Inoltre non dobbiamo dimenticare che le banche ricavano mostruosi guadagni grazie agli interessi che applicano. Per cui più credito concedono, più interessi incassano, tanto cosa gli importa, parliamo di una moneta che in pratica non esiste, è solo una convenzione. I guadagni delle banche crescono di pari passo con la deriva economica. E’ questa la causa che ha innescato la crisi del 2008. Legame tra inflazione monetaria e inflazione creditizia Tutti coloro i quali prendono in prestito denaro dalla banche diventano debitori, dovendo restituire non solo la somma ottenuta, ma anche gli interessi che gravano su di essa. Quando tale meccanismo si amplia, ovvero interessa milioni di persone, si crea una condizione di rarefazione monetaria. Per ovviare a questa situazione, lo Stato ordina l’emissione del denaro necessario ai debitori per restituire alle banche gli interessi sui prestiti ricevuti. Questo processo provoca inizialmente deflazione, dovuta alla rarefazione della moneta, e dopo inflazione. Inoltre è giusto ricordare come la rarefazione monetaria sia uno dei pilastri portanti del meccanismo di finanziamento del debito pubblico. Lo Stato crea Buoni del Tesoro (Bot, Btp e Cct) e la contropartita di questi buoni viene messa sul piatto della banca centrale ed è costituita da denaro fresco di emissione. Denaro che alle banche non costa nulla, fatte esclusione per le normali spese tipografiche, ma giunto in circolazione viene caricato del suo valore nominale (5 euro, 10 euro etc.). Questa prassi illegale è oramai consolidata negli anni, e il denaro assume automaticamente il valore facciale, senza nessuna operazione finanziare alle spalle o copertura patrimoniale da parte della banca. Con questo denaro si acquistano i Buoni del Tesoro, che per contro, garantiscono una resa reale e tangibile la cui entità dipende dal tasso di interesse (stabilito dalla BCE). Ovvio che se qualcuno incassa queste rendite, ci sarà qualcun altro che dovrà subire un esborso. Questo fatidico “qualcun altro” è lo Stato, il quale raggranella il soldi necessari per pagare gli interessi che spettano ai possessori di Buoni del Tesoro attraverso la tassazione o con un ulteriore indebitamento.

Buona parte del denaro presente in questi flussi passa virtualmente dai cittadini alle banche, e lo fa attraverso lo Stato, che prima incassa sottoforma di imposte dai cittadini e poi lo passa alla banche, storicamente grandi finanziatrici del debito pubblico nazionale. E’ proprio questo processo che da vita alla rarefazione monetaria, che spesso causa l’inflazione. L’aumento di denaro in circolazione non comporta automaticamente inflazione. Difatti la variazione dei prezzi avviene in funzione: A) della disponibilità del cliente a pagarli; B) del denaro a disposizione degli imprenditori; C) del denaro a disposizione degli acquirenti; D) di tasse, accise, costo del denaro, tassi d’interesse etc. Fatta eccezione per il caso A (e non sempre), un aumento del denaro circolante sortisce l’abbassamento dei prezzi. Anzi nel caso D si deduce che è l’aumento dei costi, compreso quello del denaro, a creare inflazione. Quindi la politica della BCE, volta ad aumentare il costo del denaro e i tassi di interessi, e diminuire la moneta circolante, per abbassare l’inflazione, ottiene l’effetto opposto. L’economia moderna, basata sui principi keynesiani e smithiani, è fallita. Secondo tali teorie, maggiore è la quantità di denaro sottratto al mercato, maggiore sarà la conseguente diminuzione dei prezzi. Per cui, secondo questi concetti, il mercato resterebbe in piedi anche con un solo euro in circolazione, con la differenza che tutto costerebbe infinitamente meno. Ovvio che ciò sia impossibile, perché dinanzi una situazione del genere collasserebbe il sistema economico, e con lui tutte queste teorie arcaiche. Tutto ciò non è il frutto dell’incompetenza da parte degli organi monetari ed economici, ma il risultato di una premeditazione, volta al controllo delle nazioni attraverso il denaro, e l’usura, che rendono schiavi del sistema miliardi di persone. Henry Ford disse: "E' un bene che il popolo non comprenda il funzionamento del nostro sistema bancario e monetario, perché se accadesse credo che scoppierebbe una rivoluzione prima di domani mattina." Mentre secondo l’economista canadese J. K.

Galbraith, lo studio del sistema monetario è alla portata di qualsiasi persona curiosa e mediamente intelligente. La scienza economica si servirebbe dell’apparente complessità della materia per allontanare le persone dalla verità; una verità che potrebbe compromettere il perpetrarsi dell’attuale status quo. Esiste una economia libera senza il ricatto dell’inflazione. Ecco come avviene la creazione del denaro: le banconote sono emesse dalla BCE, ente privato, e sono utilizzate per acquistare Titoli di Stato, che però sono gravati da interessi ; ovvio che per pagare questi interessi è emesso altro denaro. E’ un cane che si morde la coda. L’unico modo per uscire da questa spirale, sarebbe quello di generare nel bilancio pubblico avanzi primari talmente consistenti da superare la spesa per gli interessi. L’avanzo primario è il risultato della differenza tra il totale delle entrate, tributarie ed extra tributarie, ed il totale delle spese di uno Stato, risultato ottenuto prima di pagare gli interessi passivi sul debito pubblico, cioè sui buoni del tesoro e certificati di credito emessi. In particolare, se il totale delle entrate dello Stato eccede il totale delle sue spese, avremo l’avanzo primario, contrariamente avremo il disavanzo primario1 . Per far fronte al livello attuale del debito pubblico, bisognerebbe chiudere il bilancio con avanzi nettamente fuori dalla portata degli attuali governi. Inoltre una politica del genere comporterebbe un sacrificio lacrime e sangue da parte dei cittadini, con taglio dei servizi e inasprimento della pressione tributaria. Una assurda ingiustizia, che nei fatti andrebbe ad imporre politiche pubblica per ripianare un debito contratto dai privati. Il debito pubblico non è ripianabile, è in continuo e costante crescita. Difatti si parla sempre non di estinzione del debito, ma di rifinanziamento. Un finanziamento che passa sempre attraverso l’acquisto di nuovi Titoli di Stato, totalmente indipendenti dalle manovre finanziare attuate dai vari governi appartenenti a diversi schieramenti politici, sempre e comunque asservite ai cartelli bancari internazionali. Esiste una soluzione? Certo. Lo Stato per prima cosa dovrebbe riappropriarsi di Bankitalia, creando

il proprio denaro e prestando attenzione a mantenere l’economia nella condizione di equilibrio. Ad un tot di soldi in circolazione, con prezzi mantenuti costanti, devono corrispondere beni e servizi reali. Si dovranno abolire i Titoli di Stato, dopo aver provveduto a liquidare i possessori di quelli precedentemente creati, non più necessari per l’acquisizione del denaro. Sovranità monetaria, moneta del popolo, come da Costituzione. La moneta così creata non sarà più addebitata ai cittadini, ma accreditata, elargendo un reddito di cittadinanza. Questo non a titolo di elemosina, ma a titolo di legittima pretesa giuridica. E’ il cittadino stesso a creare il valore della moneta, che la accetta come convenzione, in quanto oggi la moneta non è più legata alle riserve aurifere, quindi ha come unico valore il suo costo di stampa. La moneta è la misura del valore e il valore della misura, come il metro è la misura della lunghezza. Dirò di più, le banche dovrebbero essere tutte statali e senza fine di lucro. In caso contrario, quelle private non dovrebbero avere la possibilità di creare denaro creditizio, e potrebbero prestare solo il denaro realmente detenuto. Insomma, nessun guadagno privato, se non quello necessario alle spese vive. In sintesi:

indotta ci sono. Ma se aspettiamo che gli stessi creatori della crisi ci diano la soluzione ad essa, stiamo freschi. Le crisi economiche sono golpe sociali preparati a tavolini, atti a schiavizzare le masse, e ad imporre il dominio totalitario.

1) Lo Stato crea denaro in modo tale da mantenere i prezzi costanti, facendo corrispondere ad essi beni e servizi reali che giustifichino l’emissione monetaria; 2) Il denaro creato è affidato alle banche statali; 3) Le banche statali lo concedono in uso a costo zero ai cittadini che ne hanno bisogno;

Per quanto riguarda l’Italia, faccio rilevare che l’esistenza del suo rilevante e crescente debito pubblico impone ai governanti di pervenire ad un avanzo primario cospicuo . La consistenza dell’avanzo primario deve essere almeno sufficiente per pagare gli interessi passivi sul medesimo debito. Lascio ad altra e separata analisi il gravoso problema della diminuzione dello stesso debito pubblico, anche detto debito sovrano, rappresentato dai titoli o fondi pubblici in circolazione e di futura scadenza. Infatti, quest’ultimo debito costituisce, di per sé, complesso e arduo problema da affrontare ed, ai nostri giorni, è divenuto assillante ed oggetto di dibattito per discutere le varie ipotesi riguardanti la sua riduzione. Il crescente indebitamento dello Stato italiano, ulteriormente ampliato dall’innalzamento dei tassi d’interesse sui titoli pubblici, sta spingendo il Governo, per voracità di entrate, a reperire ulteriore

Vi sarebbe subito un netto miglioramento delle condizioni socio-economiche, grazie alla possibilità di garantire beni e servizi e al lavoro, a cui danno origine, fonte di ricchezza reale per l’economia di un paese. Il debito pubblico tenderebbe a zero. I prezzi costanti ridarebbero uno slancio ad una economia più sobria, più umana, e con solide basi. E il vecchio debito “pubblico”? Con la Banca d’Italia ritornata in mani pubbliche, si potrebbero stampare i quasi duemila miliardi necessari per liberarsi dal fardello del debito. Le soluzioni per uscire da questa crisi sistemica

La nostra economia è ferma non per assenza di opportunità o pigrizia, ma per mancanza di denaro. Mancando questo vengono meno i beni e i servizi necessari per i cittadini, lo stato sociale viene smantellato, e con esso il futuro di intere generazioni, che cresceranno all’ombra dell’incertezza, e sotto il giogo asfissiante della dittatura del capitale. Occorre ripristinare l’ordine democratico. Informatevi e informate. Le basi della resistenza sono queste. Un altro sistema economico è possibile. Un altro mondo è possibile.

NOTE: [1] L’Unione Europea è interessata all’esistenza e consistenza degli avanzi primari degli Stati membri, in quanto, “per restare in Europa”, si è stabilito che gli stessi Stati debbano avere un rapporto, tra avanzo primario e prodotto interno lordo (PIL), non superiore al 3%.

denaro con l’aumento dell’imposizione, già elevatissima e insopportabile per i percettori di reddito fisso, oppressiva per le imprese e deleteria per l’economia. Bibliografia “Il paese dell’utopia” di Giacinto Auriti “Euflazione” di Antionio Miclavez “Alta finanza e miseria” di Savino Frigiola “Euroschiavi” di Marco della Luna e Antonio Miclavez “O la banca o la vita” di Marco Saba “La Repubblica delle Banche” di Elio Lannutti “Bankenstein” di Marco Saba “Schiavi delle banche” di Maurizio Blondet “La banca, la moneta e l’usura” di Bruno Tarquini

Intervista a Paolo Rossi Barnard Cerminara Francesco

R

ecentemente lo Stato d’ Israele ha fatto parlare di sé per un comportamento non irreprensibile, ma le altre Potenze mondiali non hanno provveduto a bacchettarne la condotta. Israele è tutt’ ora considerato uno Stato amico e non lo è per ragioni di gratuita simpatia. Vengono celati all’ opinione pubblica altri ed alti tipi di interesse?

R: Prima cosa, non condivido che si parli di “condotta non irreprensibile” in merito a un crimine commesso in violazione di ogni legge internazionale. L’attacco alla Mavi Marmara è stato la logica conseguenza di una politica sionista prima, e israeliana poi, che è consolidata da oltre un secolo, cioè attaccare i civili per fini strategici. Per capire approfonditamente di cosa parlo, rimando i vostri lettori a questo mio articolo http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_ go.php?id=184 Israele è un intoccabile eccellente dagli anni ’50 del secolo scorso, quando i presidenti americani Truman e Eisenhower capirono che lo Stato ebraico doveva diventare la più grande base militare americana del mondo, posizionata all’incrocio delle più ricche risorse energetiche del pianeta, da destinarsi ovviamente agli USA, e posizionata anche come ‘torre di controllo’ sugli Stati arabi più problematici e sull’Iran. Tutto qui. L’interesse è ovvio, e vi partecipiamo anche noi europei in parte. A Israele sono perdonati crimini

inauditi da oltre 60 anni solo per questo. Ho documentato tali crimini nel mio libro Perché ci Odiano (Rizzoli BUR 2006). Spesso penso ai massacri subiti dai Nativi d’ America, dagli Armeni e potrei citare altri popoli e mi chiedo: perché tanto disinteresse giornalistico per la soppressione di culture diverse dalla nostra? L’ Occidente non riesce ad avvicinarsi al multiculturalismo?

R: Perché se la verità su cosa abbiamo fatto per accaparrarci le risorse del nostro benessere fosse rivelata dai media di massa, il nostro mondo occidentale sarebbe sommerso da un’ondata di disgusto e vergogna intollerabili e forse troppo destabilizzanti. Il multiculturalismo non esiste, se non nella mente di poche persone per bene, di fatto esiste solo l’allaccio delle nostre società ad altre più povere per pura convenienza o necessità, più spesso per bieco sfruttamento. Lei non condivide l’ operato di Grillo, Travaglio, Santoro. Sostiene che annullino l’ Io dei loro ascoltatori. Non ritiene valida l’ idea che la gente si avvicini loro sentendosi parte di un comune progetto di miglioramento sociale ? E’ incapace di vedere il lato positivo nei discorsi di Grillo e Travaglio ( Fatto Quotidiano che campa senza finanziamenti pubblico ma con l’ aiuto dei lettori ) o nei

programmi di Santoro ( specialmente Rai per una notte)? In un’ intervista disse di aver visto cose strane negli studi di Samarcanda, programma per il quale ha lavorato. A cosa si riferiva?

R: Quale progetto comune di miglioramento sociale? Ce n’è uno? In metafora: combattere in massa la cataratta e la gastrite può curare i tumori e gli infarti? A parte i motivi per cui questi ‘paladini’ dell’Antisistema sono dannosi ai cittadini, coloro che ne sposano il “progetto” non si rendono conto che le tragedie dell’Italia sono ben altre e ben più incurabili del lodo Alfano, legittimo impedimento, Papi, D’Addario, rapporti con la mafia e psiconano. Siamo un Paese che soffre e soffrirà pene spaventose perché siamo prigionieri di mafie finanziarie che stanno spolpando il futuro di milioni di noi e dei nostri figli e dei figli dei figli (i tumori e gli infarti), e però il 99% dell’energia civica degli attivisti deve essere buttata ossessivamente contro i processi del premier o le sue amanti, le mafie regionali dal potere ridicolo confronto a quelle finanziarie, e contro un nugolo di leggi facilmente abrogabili (la cateratta e la gastrite). Assurdo e scandaloso, e questo solo per garantire potere politico ad Antonio Di Pietro, successo e vendite editoriali a Marco Travaglio e vero potere internazionale a De Benedetti, che bada bene che gli italiani non si accorgano che i suoi complici di Wall Street e Londra li stanno divorando vivi . Ma ha senso? Travaglio non ha mai speso una parola sui grandi giochi del vero Potere, se ne guarda bene, né sulle porcherie che fanno i suoi compagni di clan (giudici di centrosinistra inclusi + Di Pietro), che sono state molto ben segnalate dal coraggioso giudice Clementina Forleo. Di Pietro allinea la sua IDV in Europa a tutte le peggiori politiche della destra finanziaria per la rapina del bene pubblico, mentre in Italia fa i banchetti ‘cosmetici’ contro la privatizzazione dell’acqua. Santoro? Possibile che un uomo libero stia nella RAI “di regime” per oltre 20 anni a stipendi milionari? Ma sveglia gente, sveglia. Attaccare i “ finti” paladini della libera informazione è utile. Non lo è altrettanto criticare gli “stupratori mediatici” come Vespa, Fede, Belpietro, Feltri e Minzolini ? Al Gore, che tra l’ altro è fondatore della prima televisione

indipendente, ha espresso il proprio apprezzamento per la Gabanelli, per Santoro e per Biagi.

R: Un bastardo che veste la pelle del bastardo è molto meno rivoltante di un bastardo che veste la pelle del tuo ‘paladino’. Su chi è Al Gore ho scritto questo, andate a leggere http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_g o.php?id=180 Sulla Gabanelli questo, se ne avete lo stomaco http://www.paolobarnard.info/censura.php

Stampa e televisione sono diventati strumenti di manipolazione intellettuale. Il conflitto di interessi italiano è dominante. Internet potrebbe rivelarsi un’ arma di resistenza. Non crede però che possa solo raggiungere una piccola fetta della società civile ? Gli anziani si informano principalmente guardando i telegiornali.

R: Non c’è bisogno della libera informazione né di internet perché la gente sappia cosa c’è di drammaticamente sbagliato nei capitoli fondamentali della loro vita. Sanno tutto, lo sanno da decenni; i tuoi genitori e forse i tuoi nonni hanno vissuto l’Italia della mutua, degli scandali, della mafia nella DC, del terrorismo, delle stragi, della Tv del regime Vaticano-Socialisti-Comunisti, di Tangentopoli, e molto altro. Peggio di così? Occorre forse internet per raccontare agli anziani cosa non va? Lo sanno da sempre.

Il Governo italiano sta compiendo una massiccia azione per indebolire i luoghi per la formazione delle coscienze critiche: Università, scuole, teatri, sale cinematografiche. Il genocidio culturale di cui parlava Pasolini si sta compiendo. I gerarchi sono stati sostituiti con personaggi meno plateali e più incisivi. Non è detestabile vivere in un paese del genere?

R: No. Il governo fa quello che un governo di destra deve fare. Il lupo mangia l’agnello, è quello che fanno i lupi. Lo schifo di questo Paese, il vero genocidio culturale, è stato causato da ben altro, da decisioni prese 35 anni fa in altri luoghi della Terra (http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_ go.php?id=151) e che ci hanno scodellato l’Esistenza Commerciale e la Cultura della Visibilità come trappole mortali per la democrazia partecipativa. Cioè: l’addormentamento finale dei cittadini attivi.

E allora se c’è qualcosa di detestabile in Italia non è Berlusconi, ma il fatto che gli italiani non sanno più combattere per nulla, e ancora peggio, che quelli che combattono lo fanno al seguito di falsari come Travaglio o Santoro o Grillo e ci credono pure.

Il Governo mondiale privato e il paradosso del Capitalismo Potente Giovanni

Una versione ridotta del presente articolo è stata pubblicata dal Quotidiano della Calabria

C

osa accomuna capolavori universali della letteratura quali la Divina Commedia e l’Antigone, il Mahabarata e l’Hamlet, i Cantos e il Perceval, Der Prozess e l’Edipo re, The Waste Land, Heart of Darkness e 1984? Trattano tutti, in un modo o nell’altro, il tema inesausto del Potere. E del Potere scavano le contraddizioni, svelano il degrado, denunciano l’illegittimità, mettono sotto accusa i crimini e le ingiustizie. Così, se la grande letteratura ci insegna qualcosa, è proprio a “sospettare” e poi a scorgere dietro la forme del Potere la menzogna, l’inganno e la presenza del male. Accogliendo tale somma lezione, possiamo chiederci cosa si celi oggi dietro la solenne “messa in scena” quotidiana, amplificata da un sistema mediatico acritico e prono, delle Istituzioni del Potere (gli Stati, i Governi, i Mercati e quegli organismi sovranazionali come l’Unione Europea tanto ammantate di aurea sacralità che siamo disposti a tutto solo perché “lo chiede l’Europa”). Alcuni vi scorgono la regia occulta dei cosiddetti “poteri forti”, senza, però, meglio identificarli. In verità, sono ormai disponibili sufficienti studi, fonti e informazioni (persino documentari di History Channel !) che consentono di ricavare un più preciso identikit di questi “poteri”, ricostruendo il quadro delle loro strutture organizzative. Ne emerge una trama internazionale ed interrelata -quasi una “catena di comando”- di

lobby, gruppi esclusivi, club privati e circoli occulti le cui finalità non sono mai pubblicamente dichiarate, ma che rappresentano centri decisionali di portata planetaria. Più che mai nel contesto della globalizzazione, è da questi nuclei di Potere che dipendono le nostre esistenze. Pertanto è vitale saperne di più. Tento qui una loro breve rassegna, per poi ricavare alcune conclusioni. Per esigenze di spazio non riporto l’apparato delle mie fonti. Del resto, il presente articolo non pretende di esaurire l’argomento. Piuttosto, vuole fornire ai lettori la base di partenza per ulteriori approfondimenti. 1. Royal Institute of International Affairs Fondato nel 1920 e patrocinato dalla famiglia Reale, è un circolo privato che riunisce i maggiori rappresentanti dell’aristocrazia e dell’economia britannica. Finanziato da banche (Warburg, Morgan, Barclays, Lazard e Bank of England), e aziende (British Petroleum, Shell ecc.), è de facto il vero “ministero degli esteri” inglese da quando ancora esisteva l’Impero Britannico. Ancora oggi, dopo la fine del colonialismo, l’Istituto preside e coordina l’azione congiunta del Governo, dei servizi segreti, degli istituti finanziari e delle multinazionali britanniche per il controllo e lo sfruttamento delle risorse del Terzo Mondo. Queste forme di “neo-colonialismo” non sono meno invasive e spietate del “tradizionale” colonialismo praticato ai tempi dell’Impero. Del resto, è fin troppo evidente a vantaggio di chi

l’Istituto guida gli affari internazionali britannici: le città traboccano di disoccupati, ma banche e compagnie petrolifere continuano a fare affari d’oro. 2. Council on Foreign Relations È l’omologo d’oltre oceano dell’Istituto britannico. Istituito nel 1921 negli USA dall’oligarchia finanziaria del Paese (Rockefeller, Mellon, Shiff, Carnagie, Warburg ecc.), racchiude la crema economicopolitica statunitense. Lo finanziano le maggiori corporation (Coca Cola, General Electric, Cargill, Mobil, Carlyle, Enron ecc.) e banche. Determina la politica estera USA, garantendo direttamente gli interessi dei suoi sponsor. A differenza dell’Istituto inglese, questo rende noti i nomi dei suoi membri (www.cfr.org): così sappiamo che ne hanno fatto parte tutti i Presidenti dagli anni ’40 in poi (tranne Reagan) e tutti i Segretari di Stato. 3. Bohemian Club Pittoresco quanto quietante. Riservato a soli uomini, è costituito da vari esponenti dell’élite: i Bush, Cheney, Blair, Rumsfeld, Gore, David Rockfeller, Kissinger ecc. Ed inoltre generali, banchieri, rettori di università, leader di multinazionali e proprietari di TV. Si ritrovano ogni estate per alcuni giorni in un bosco privato e sorvegliato della California, dove (tra le altre cose) praticano un rituale paganeggiante presso una statua di pietra alta 13 metri a forma di gufo. Incredibile? Sì, ma vero. 4. Skull and Bones Una setta, più che un’organizzazione universitaria. Persino Hollywood, che vi dedicò un film, la ritrasse come uno spauracchio. Creata a Yale nel 1832 da William H. Russell (della famiglia allora monopolista mondiali del traffico d’oppio) e da Alphonso Taft (padre del William futuro Presidente), ha avuto come adepti esponenti dei casati storici americani, compresi gli immancabili Rockefeller. Tuttora ne sono membri molti esponenti dell’establishment, che le giurano eterna fedeltà e vi consumano oscure cerimonie rituali. Nelle elezione presidenziali del 2004 entrambi i competitori (il repubblicano G.W. Bush e il democratico Kerry) risultavano suoi membri. Il “conflitto di interessi”, anche in questo caso, è palese: un Presidente degli Stati Uniti membro della Skull and Bones fa gli interessi dell’intera Nazione, o persegue gli oscuri fini della setta cui ha giurato fedeltà? 5. Bilderberg Group (o Bilderberg Club). È uno dei circoli più importanti per le dimensioni, la

portata internazionale e l’influenza planetaria in grado di esercitare,. Fu fondato nel 1954 su iniziativa del Principe Bernhard d’Olanda. Prende il nome dall’ hotel olandese in cui si tenne il primo incontro. Suoi membri storici sono stati Edmund Rothschild, Nelson Rockefeller e Gianni Agnelli. Esprime il gotha economico internazionale, quindi i rappresentanti delle maggiori banche (Rothschild, Barclays, Chase Manhattan Bank, Goldman Sachs ecc.) e delle più importanti multinazionali. Ne fanno inoltre parte politici, docenti universitari (soprattutto economisti), editori e giornalisti. Le riunioni del Club si tengono una volta all’anno. La sede dell’incontro, di solito un lussuoso albergo, varia ogni volta ed comunicata ai membri pochi giorni prima dell’evento (per ragioni di sicurezza). Naturalmente gli incontri sono preclusi al pubblico e blindatissimi da parte delle forze di polizia dei Paesi ospitanti, servizi segreti e vigilantes privati. Le autentiche finalità del Club sono riservatissime. Oggi ne risultano membri, tra gli altri David Rockefeller, la regina d’Olanda (figlia del fondatore del Club e maggiore azionista della Royal Duch Shell), J.C. Trichet (ex presidente della BCE) Mario Draghi (ex presidente della Banca d’Italia, attuale presidente della BCE), Henry Kissinger, K. Alexander (direttore della NSA), T. Geithner (segretario al tesoro USA), Paul Volker (ex presidente della FED e consulente di Obama), Lucas Papademos (ex Primo Ministro greco). Numerosi gli italiani, tra cui, Luca di Montezemolo, John Elkann, Alessandro Profumo, Paolo Scaroni, Romano Prodi, Enrico Letta e Mario Monti, advisor della banca d’affari Goldman Sachs ed attuale Presidente del Consiglio. 6. Trilateral Commission È una sorta di “costola” del Bilderberg. Fu istituita nel 1973 da David Rockefeller per allargare le tradizionali relazioni affaristiche e politiche tra Stati Uniti ed Europa anche al Giappone (appunto in senso “trilaterale”). Suoi esponenti storici sono Henry Kissinger e Bill Clinton. Ne fa parte Mario Monti, che è stato pure Presidente della Sezione Europea. In questa fase, è probabilmente il circolo più in grado di condizionare direttamente le sorti del nostro Paese, anche a causa del ruolo articolato, e delicatissimo, ricoperto attualmente da Mario Monti, che è simultaneamente garante degli interessi della grande finanza anglo-americana (in particolare della Goldman Sachs), il tutore delle strategie 27

europee della Trilateral e il Capo del Governo italiano. Lo stesso Presidente del Consiglio, in una intervista reperibile su youtube (basta digitare “Intervento shock di Monti”), rivela la strategia di fondo del Trilateral: ultimare lo storico processo di erosione delle sovranità nazionali, ormai in corso da decenni, e ridurre gli Stati europei (quel che ne resta) sotto il controllo diretto e centralizzato di Istituzioni sovranazionali quali la Comunità Europea e la Banca Centrale Europea. Monti aggiunge pure che per attuare questa strategia occorre una serie progressiva di «crisi» economiche e politiche, in modo che poi la gente, pur di trovare una soluzione ai problemi, sia indotta ad accettare qualunque soluzione: a cominciare dalla fine certificata delle sovranità nazionali. Quel che Monti, invece, non spiega, è che le “Istituzioni sovranazionali” cui stiamo cedendo ogni nostra autonomia, identità e libertà si riducono ad un consorzio di banche private (come è la Banca Centrale Europea), e che le «crisi» di cui parla non sono l’esito inesorabile e teleologico del percorso storico del capitalismo finanziario, ma il risultato di strategie pianificate ed attuate con puntuale lucidità dalla finanza internazionale, anche grazie all’azione di coordinamento di circoli quali il Bilderberg e la Trilateral. Tanto è vero che, al momento in cui scrivo, lo spread è tornato ai livelli dell’autunno del 2011, quando venne utilizzato per esautorare il Governo Berlusconi ed imporre, con un vero e proprio “golpe bianco”, proprio il Governo dei banchieri presieduto Monti. Insomma, se l’algido professore bocconiano era stato messo alla guida del Governo anche per salvare l’Italia dagli “attacchi degli speculatori” (per usare una trita formula giornalistica) e per “ridurre lo spread”, ha in tutta evidenza mancato il suo compito. Allora perché nessuno fa presente che Monti ha fallito? Evidentemente perché il sistema mediatico controllato dal Potere (a cominciare da la Repubblica e il Corriere della Sera) e la politica asservita alla grande finanza internazionale devono continuare a sostenere il suo Governo per il semplice fatto che il “piano” prevede e pretende che la “crisi” continui e si aggravi, in modo poi da poterci chiedere di pagare un prezzo altissimo: la fine, di fatto, dell’Italia come Paese sovrano. Solo allora, vedrete, finiranno gli “attacchi degli speculatori”, il calo della nostra Borsa, la folle corsa dello spread e la nostra “crisi”.

Fin qui la rassegna. Ho escluso da essa la Massoneria, nonostante vi aderiscano molti membri dell’élite, perché non si tratta di un club profano di recente costituzione, ma una espressione della Tradizione iniziatica Occidentale. Naturalmente è stata coinvolta nel degrado morale complessivo della società. La cronaca mostra come oggi sia infiltrata da approfittatori e faccendieri e come molte “obbedienze“ e logge sono ridotte a “comitati di affari” di livello locale o a centri di coordinamento dell’affarismo internazionale. Tra questa Massoneria e quella di un Benjamin Franklin, che lottò per liberare gli Americani dall’usura delle banche inglesi, v’è un abisso. Ma la Massoneria odierna resta troppo variegata e complessa per assimilarla in toto ad un Bilderberg. E nei suoi contenuti iniziatici non sarà mai intaccata neppure dai tanti, troppi sciagurati usurpatori che ne stanno abusando. Ciò precisato, dalla rassegna di cui sopra traggo le seguenti conclusioni. La rete dei circoli citati costituisce il “governo mondiale privato” dell’élite internazionale (finanzieri, industriali e aristocratici di consolidato censo) che vi elabora e coordina strategie planetarie a tutela dei suoi interessi e nella logica del “profitto ad ogni costo”. Tali strategie sono attuate grazie a specifici supporti operativi. Il sistema mediatico manipola l’opinione pubblica. Politici e tecnocrati garantiscono che le Istituzioni sovranazionali (ONU, UE, Banca Mondiale, FMI ecc.) e nazionali (Stati, governi) traducano le direttive dell’élite in trattati internazionali, leggi e orientamenti politico-economici. B) I Governi, dunque, sono l’ultimo anello della catena di comando dell’élite. I “politici di professione” forniscono manovalanza e “immagine” mediatica al vero Potere, e sono ripagati per i loro servigi in variegate modalità, cha vanno dalle sponsorizzazioni elettorali alle dorate pensioni (come per l’ex premier britannico, il laburista Blair, e per l’ex Cancelliere tedesco, il socialdemocratico Schroeder, oggi entrambi remunerati consulenti delle banche dei Rothschild). A)

Del resto, tende ormai a cadere ogni distinzione 28

effettiva tra “pubblico” e “privato”, e il “conflitto di interessi” tra ruoli privati e cariche Istituzionali è diventato strutturale. Questo perché il “governo mondiale privato” e l’élite finanziaria hanno direttamente e sistematicamente occupato le Istituzioni “pubbliche” dei Paesi occidentali, soprattutto negli Stati Uniti, ma ormai anche in Italia, inserendovi in pianta stabile dirigenti delle multinazionali e delle banche d’investimento private. La stragrande maggioranza dei membri delle Amministrazioni americane dagli anni ‘80’ in poi è stata prima, durante e dopo la propria esperienza politica rappresentante di qualche grande multinazionale (soprattutto del settore petrolifero e delle forniture militari) o delle grandi banche d’investimento. Già uno dei loro fantocci più affidabili dell’élite, Ronald Reagan, nominò Ministro del Tesoro il suo quasi omonimo Regan, uomo della Merryl Linch. Da allora in tutte i Governi successivi sono stati piazzati uomini delle banche: come Rubin, Greenspan, Bernake e Poulson, il dirigente della Goldman Sachs che era Ministro del Tesoro durante la fase acuta della crisi dei subprime, nel 2008. E come Tim Geithner, nominato da Obama. Queste persone immorali hanno tratto profitti colossali praticando crimini finanziari come la vendita di “derivati” e titolispazzatura, ingannando persino i clienti delle loro stesse banche. Al tempo stesso hanno gestito l’economia “statale” americana, negando fino all’ultimo l’arrivo della crisi dei mutui, ma assicurando infine alle loro banche 600 miliardi di dollari “pubblici”. A dimostrare come l’élite sia rigorosamente “bipartisan” e domini anche la sinistra “liberal” americana, c’è il fatto che proprio al “democratico” Clinton (anche se in quel momento il Congresso era maggioranza repubblicana) si deve la promulgazione di quel.Gramm-Leach-Bliley Act del 12 novembre del 1999 che abrogò le disposizioni del Glass-Steagall Act del 1933, la legge che aveva introdotto la netta separazione tra attività bancaria commerciale tradizionale e attività bancaria di investimento. Questa era una legge fondamentale, perché impediva che le due attività non potevano essere esercitate dallo stesso intermediario, in modo da evitare che il fallimento dell'intermediario comportasse altresì il fallimento della banca tradizionale, tutelando quindi l'economia reale da eventi negativi prettamente

finanziari. Abrogare quella legge fu un crimine. Il Gramm-Leach-Bliley Act ha permesso la costituzione di gruppi bancari che al loro interno permettono, seppur con alcune limitazioni, di esercitare sia l'attività bancaria tradizionale sia l'attività di investment banking e assicurativa. Si tratta di mostruosi colossi finanziari dal potere illimitato (come, per esempio, quella tra il gruppo bancario Citicorp e il gruppo assicurativo Travelers). La stessa crisi attuale che investe il nostro Paese, e prese il via da quella dei mutui subprime del 2008, è una diretta conseguenza della legge promulgata da Clinton. In questo percorso di occupazione diretta delle Istituzioni, dunque, le grandi banche statunitensi hanno tracciato la strada che poi l’Europa e l’Italia hanno seguito: per questo abbiamo come Capo del Governo un tecnocrate della Goldman Sachs, membro del Bilderberg e della Trilateral. C) Del resto, tali dinamiche sono state possibili perché, di fatto, gli Stati-nazione hanno iniziato a declinare irreversibilmente da tempo. Ossia da quando le famiglie storiche del gotha finanziario Occidentale (nuclei originari dell’attuale “governo mondiale”) imposero la creazione delle varie Banche Centrali, cartelli di banche private che sottrassero agli Stati il diritto di emettere moneta, usurparono la principale sovranità. La prima fu la Bank of England, alla fine del ‘700. Man mano, furono poi fondate le altre Banche Centrali. Come la Federal Reserve, risultato del patto sottoscritto da pochi banchieri, fra cui Warburg, J.P. Morgan e Rockefeller, che già nel 1913 segnò di fatto l’inizio della fine degli Stati Uniti come Stato sovrano. E come la nostra Banca d’Italia (il cui elenco di soci, al 95% istituti finanziari privati, è stato pubblicato soltanto nel 2004 da un giornale notoriamente eversivo e comunista: Famiglia Cristiana). D) A partire dalla creazione delle Banche Centrali, e tramite le sue strutture occulte, la politica che le è asservita e il controllo del sistema mediatico, l’élite può portare avanti da decenni ai danni di milioni di cittadini inconsapevoli (ma colpevoli di passiva ignoranza) la più grande truffa di tutti i tempi: quella del “debito pubblico”. Usurpando il diritto sovrano di emettere moneta, le Banche Centrali sono diventate le depositarie monopoliste del denaro. Gli Stati (ciò che ne resta) sono costretti a farselo prestare da esse, accumulando debiti su debiti. E per ripagare gli interessi sul debito, non

possono fare altro che farsi prestare nuovo denaro, indebitandosi ulteriormente. Si tratta di un circolo vizioso irrisolvibile. Il meccanismo è perverso, perché crea il “debito pubblico” a monte, cioè a prescindere: a prescindere da come uno Stato si gestisce (e da sprechi e errori che, come nel caso italiano, sono sotto gli occhi di tutti) esso è indebitato per il fatto stesso di esistere. Appunto perché le Banche Centrali hanno il monopolio del denaro. Beffa delle beffe, poi, è il fatto che le Banche emettono denaro dal nulla, soldi virtuali con un clic sul tasto di un computer: quando gli Stati però risultano insolventi, pretendono la privatizzazione di beni e servizi tutt’altro che virtuali, ma corposamente materiali. Proprio come quando portano via ai cittadini case, automobili e aziende. Insomma: un meccanismo infernale, alimentato dai media che fanno convergere la nostra attenzione sull’epifenomeno (la cattiva gestione dello “Stato”, gli sperperi, l’evasione fiscale ecc.) ma occultano il fenomeno macroscopico essenziale: la perdita della sovranità monetaria delle nazioni, premessa per la loro perdita di sovranità complessiva. E) Nel complesso, dunque, da quanto trapela dalla sua strategia e da quanto si può inferire interconnettendo fenomeni apparentemente sparsi, l’élite vuole: e.1: completare l’erosione della coscienza civile collettiva, manipolare e condizionare le masse tramite il sistema mediatico che essa controlla quasi in toto (tv commerciali, programmi spazzatura, una informazione fuorviante, tendenziosa e menzognera, una cinematografia ridotta a Capitan America o Manuale d’amore -finiti in America i tempi di Quinto Potere e in Italia quelli di Enrico Mattei-). e.2: fomentare conflitti “a bassa intensità” e guerre locali, funzionali all’apparato industrial-militare dell’Occidente (e al traffico d’oppio, come in Afghanistan); e.3: accelerare i processi della globalizzazione, soprattutto la prassi della delocalizzazione delle imprese e degli impianti industriali occidentali, per sfruttare la mano d’opera (ridotta pressoché in schiavitù) e le risorse del Terzo Mondo; e.4: attaccare ovunque e in ogni modo i diritti dei lavoratori (nei Paesi “in via di sviluppo” sono stati assassinati 90 sindacalisti, e 2500 sono stati arrestati, nel solo 2010, mentre in Italia il Governo

Monti ha modificato l’articolo 18); e.5: imporre il neo-liberismo più estremo (smantellamento del welfare, privatizzazioni selvagge ecc); e.6: perpetuare la truffa del “debito pubblico” e l’abominio del signoraggio bancario. F) Il piano sta comportando inevitabilmente la rigorosa gerarchizzazione della stessa società Occidentale in una sorta di “piramide” in cui il potere sovrano degli Stati (cioè della collettività) sarà infine sostituito da forme di autorità private (grandi corporations in grado di controllare immensi territori, colossi bancari ecc.). Questa “piramide” già adesso è costituita (ed ancora di più lo sarà in futuro) da una cerchia ristretta di ricchissimi privilegiati, da una fascia intermedia di sostegno e supporto tecnico all’élite (tecnocrati, forze dell’ordine e commercianti) e da una massa costituita da forza-lavoro a basso costo (operai, precari, disoccupati, ) e dai resti dell’attuale ceto medio (impiegati, insegnanti) impoveriti e resi inoffensivi. Con tanti saluti alla “mitologia” moderna e illuminista (Democrazia, Progresso ecc.), si tratta di un mondo riportato, per quanto concerne i rapporti sociali, ad uno stadio premoderno, barbarico e medioevale. G). Tutto questo ribalta clamorosamente i “valori” dello stesso Capitalismo (iniziativa, impresa, meritocrazia). Al posto di una società “calda” (per dirla con Lévy-Strauss), dinamica e aperta, allo scopo di difendere e conservare le proprie posizioni di ricchezza, potere e privilegio, l’élite sta imponendo una società “fredda”, irrigidita in caste bloccate e chiuse. Ecco quindi l’estremo paradosso: l’élite capitalista, dopo aver di fatto determinato l’estinzione degli Stati, sta smantellando lo stesso sistema capitalista. Cioè sta facendo esattamente ciò che non riuscì al Comunismo! H). Prevedo che alcuni (ingenui o in mala fede) replicheranno che il “popolo” non sa autogovernarsi, quindi è giusto che il Potere sia di una ristretta élite. Ma il problema è che i membri della casta oggi dominante NON sono gli “illuminati” governanti vagheggiati dall’Utopia occidentale (i filosofi della Repubblica di Platone, i sacerdoti della Città del Sole di Campanella, i saggi della Nuova Atlantide di Bacone). Piuttosto ne sono la parodia tragica e distorta: sono un pugno di malati di sete di possesso, che venderebbero la sorella “per qualche dollaro in più”.

Per concludere: già solo essere consapevoli di queste dinamiche è fondamentale. Non cambieremo la direzione imposta agli eventi dagli indegni usurpatori che detengono il Potere. Ma almeno cadremo ad occhi aperti: “come soldati, e non come dei rinnegati persi e stracciaculo”, direbbe il Colonnello Kurtz di Apocalypse Now. Cadremo da uomini, non come burattini senza dignità.

Il condizionamento religioso Corigliano Francesco

L

a società occidentale presenta caratteri davvero curiosi. Basata su un razionalismo totalizzante, interamente tesa al raggiungimento di un utile, di un profitto da quantificare e analizzare, è riuscita a applicare questo atteggiamento sistematico anche alla spiritualità e a tutte quelle materie strettamente legate all’interiorità e alla sensibilità del singolo. Basti pensare all’arte, solitamente accettata con accondiscendenza, quasi tollerata come uno svago di poco conto, per non dire inutile; ma anche alle scienze umanistiche, che mai potrebbero reggere il confronto con le scienze esatte e con la loro intrinseca (e spesso presunta) utilità. Anche alla religione, che in quanto realizzazione del rapporto col divino dovrebbe rappresentare in sé un aspetto fondamentale della vita (cioè rapporto con ciò che garantisce e causa l’esistenza stessa), è stato deputato un ruolo quasi “marginale”, funzionale, con un’impostazione perlopiù legalistica basata su scadenze e doveri che ogni pia persona deve rispettare ed onorare. Questa concezione precettistica del culto, tipica delle grandi fedi monoteiste, ha effetti diretti sulla società introducendo ricorrenze da rispettare, periodi di preparazione e momenti di comunanza sociale che coinvolgono tutta la comunità. La vita dell’uomo comune è influenzata da momenti di passaggio correlati al culto; i rapporti con la famiglia, i funerali, il matrimonio, la nascita

dei figli, eccetera. Ma in particolar modo nell’Occidente l’azione condizionante della religione è più intensa, più determinante, principalmente grazie alla diffusione della fede cattolica e alla distribuzione dell’organizzazione ecclesiastica, presente in quasi tutto il mondo. Le basi dottrinali della Chiesa sono conosciute ovunque , insegnate nelle scuole e continuamente citate o presenti all’interno dei media. E che piaccia o meno, in Italia questa presenza è ancora più accentuata a causa della vicinanza col Vaticano. Nel nostro Paese il cattolicesimo costituisce una della maggiori basi culturali: iniziando dall’educazione elementare, passando per tutti i momenti “formativi” nella vita dell’italiano medio ogni individuo deve prima o poi relazionarsi con alcuni usi e precetti di matrice religiosa, e regolare le proprie scelte in base a quanta influenza esse hanno sulla sua comunità. Ma questo discorso non è ristretto solo all’Italia; è uso comune nei Paesi prevalentemente cattolici battezzare i bambini appena nati, il ché implica di per sé una sottintesa accettazione (e imposizione) del ruolo della religione nella vita di ognuno. Il cristianesimo è vivo e radicato in tanti altri paesi da molti secoli, e su di essi ha influito con minore o maggiore intensità - non solo a livello sociale, ma anche e soprattutto politico. Un esempio chiaro e valido della diffusione che un credo religioso può raggiungere.

Sulla base di quello che accade in Europa e in generale nell’Occidente, sostengo quindi che la religione possa essere e sia utilizzata come mezzo di condizionamento delle masse, e che agisca direttamente sulla coscienza e sulla psicologia degli individui attraverso procedimenti che coinvolgono il senso morale ed etico di ognuno. Nel corso dei secoli la componente spirituale è stata strumentalizzata ed è diventata uno dei mezzi più adatti per l’esercizio del potere, su piccola e larga scala, attraverso metodologie fini e penetranti come l’insinuazione del senso di colpa e del sospetto. Nella coscienza di ognuno è ben radicato il senso del peccato e del male, anche verso elementi assolutamente naturali (come, banalmente, il sesso), che l’imposizione di precetti di base religiosa ha distorto e alterato. Come questo sia stato possibile, lo si capisce osservando la struttura delle organizzazioni clericali. Da sempre l’istituzione religiosa è una fattore caratterizzante delle comunità e società umane; sin dai tempi più antichi sono esistite caste sacerdotali legate alla cura del culto e della spiritualità, dai druidi delle comunità celtiche, ai rabbini ebrei, passando per i pontefici dell’antica Roma e per gli sciamani pellerossa. Questa differenziazione o “elezione” di alcuni individui rispetto agli altri è probabilmente dovuta alla stessa natura umana, che si realizza nella diversificazione dell’individuo e che inevitabilmente porta alla maggiore sensibilità di taluni alla materia spirituale. Esistono certo religioni che non prevedono gerarchizzazioni rigide o reali distinzioni di “valore” all’interno della comunità; il cristianesimo stesso nasce come fede comunitaria, basata sull’uguaglianza di ogni membro e sul rapporto personale – o quasi – con la divinità . Ma è un dato di fatto che nella maggior parte delle società umane esiste o è esistita una casta di personaggi incaricati (o incaricatisi) di gestire la spiritualità, e di indirizzare la comunità nell’ambiente religioso; e questo accade in particolare all’interno del contesto occidentale. Alle origini del cristianesimo, le figure ecclesiastiche quali preti, vescovi e papi non esistevano, né esistono all’interno delle scritture dei

riferimenti alla necessità di simili personaggi. Nella prima metà del II secolo, Ignazio di Antiochia iniziò ad affermare la necessità di figure superiori alle altre – inizialmente con funzioni di organizzazione e coesione, a causa del perenne stato di pericolo (di disgregazione o di persecuzione) in cui vivevano le prime comunità . Fu il primo a parlare esplicitamente di vescovi. Prima di lui se ne era occupato Paolo di Tarso, senza utilizzare termini tecnici, ma riferendosi semplicemente a personaggi di rilievo all’interno dei vari gruppi; questi individui andavano controllati e bisognava impedire che il loro carisma creasse divisioni nei gruppi stessi . Le figure carismatiche sono sempre state l’ideale per mantenere unito un insieme di persone, specie se queste non sono propriamente colte. E i titoli cattolici sembrano essere nati per esigenze di controllo, e non per motivi di dottrina o di liturgia. Tutto ciò è stato estremizzato ed esasperato dalla Chiesa; per molto tempo i preti ed i vescovi hanno esercitato un vero e proprio potere sulle comunità, spesso soppiantando le figure istituzionali “ufficiali”. Ancora oggi l’opinione del prete della parrocchia è tenuta in altissima considerazione, più a causa della sua influenza sul resto dei fedeli che per una autentica saggezza o cognizione di causa. E sono innumerevoli i casi di emarginazione sociale e di discriminazione dovuti ai malumori delle figure religiose . Insomma l’organizzazione ecclesiastica è andata deliberatamente ad affiancare, se non a sostituire, le gestione sociale e anche politica delle comunità. I limiti entro i quali deve giustamente operare il culto, cioè come fattore accomunante e mezzo di accrescimento per la persona, nel caso del cattolicesimo, sono stati ampiamente superati da ben prima della famosa donazione del castello di Sutri del 728. Il Vaticano è a tutt’oggi un vero e proprio Stato, con tanto di sistema fiscale interno, fondi bancari e possedimenti registrati. Sovrano nel proprio territorio, un tempo molto più esteso e influente, lo Stato della Chiesa è in aperta contraddizione con i precetti e gli insegnamenti che predica in giro per il globo , preoccupandosi principalmente di mantenere l’influenza della sua autorità e di perpetrare l’esercizio del potere attraverso le diocesi (a conti fatti, “filiali” di una gestione centrale).

La storia della Chiesa cattolica è un esempio lampante di deviazione in senso “temporale” si una istituzione religiosa ; ma sempre restando nell’ambito occidentale e mediorientale, bisogna ricordare anche l’influenza dell’islam (le rivoluzioni del XIX secolo in Turchia e Persia, ad esempio, furono basate sul ruolo della religione nella legittimazione del governo ) e dell’ebraismo (tutte le vicissitudini dello stato d’Israele e della Palestina, in cui ebbero la loro parte le autorità americane; ma anche la Shoah e l’accusa di deicidio generalmente mossa al popolo semitico); nonché, ancora, il protestantesimo – fondamentale nelle grandi emigrazioni del XVII e XVIII secolo – e alcune sette minori tendenzialmente a sfondo monoteistico, come evangelisti e testimoni di Geova, ma anche Scientology e altri.

Antico e Nuovo Testamento sono raccolte di testi eterogenei, e che l’interpretazione che la Chiesa ne ha dato nel corso dei secoli è stata funzionale ai proprio fini e non imparziale – con tanto di omissioni dei passi più “scottanti”. Se un contadino di bassa condizione sociale legge di Gesù che rovesciò i tavoli dei mercanti nel tempio, cosa penserà riguardo lo sfarzo e la ricchezza presenti nelle chiese? L’unico modo per evitare “fraintendimenti” è affermare che la Bibbia va interpretata e studiata correttamente. Ovviamente l’esegesi tendenziosa riguarda anche altri culti; pochi sanno che il Corano predica una sostanziale unità religiosa tra musulmani, ebrei e cristiani , così come pochi sono a conoscenza degli studi filologici operati su varie scritture sacre. Si sono dimostrati diversi casi di pseudo - epigrafia (famosa è la “questione giovannea”, sul’esistenza di due o più san Giovanni evangelista), così come si sono anche datate con precisione diverse scritture sacra (ad esempio i Vangeli canonici, scritti verso la fine del primo secolo d.C.) . Ma l’imposizione dell’ermeneutica non è l’unico mezzo per mantenere distacco tra dottrina e fedeli; va ricordato che, in Italia, le messe non sono più in latino solo dal 1965 e che solo di recente si sta diffondendo una certa consapevolezza sul messaggio presente nelle scritture e sulla condotta del Vaticano. Senza parlare, sempre riguardo al cattolicesimo, della costruzione teologica operata da letterati cristiani del III-IV secolo (e non certo basata sulle scritture) . Probabilmente i tempi stanno cambiando: è interessante ricordare l’azione legale intrapresa nel Febbraio 2011 da due avvocati tedeschi, che hanno accusato il Papa di crimini contro l’umanità e la Chiesa cattolica di «acquistare i suoi membri attraverso un atto obbligatorio, cioè attraverso il battesimo dei bambini che ancora non hanno una volontà propria» . Che sia stata o meno una semplice provocazione, credo che il gesto sia significativo perché atto a riscuotere attenzione mediatica su aspetti controversi dell’istituzione ecclesiastica. Aspetti che solo ora iniziano ad essere discussi, ora che il velo dell’ignoranza mantenuto saldamente sugli occhi delle popolazioni inizia a scostarsi e a perdere consistenza.

La contraddizione tra questa gestione statale e gli insegnamenti predicati dalle Chiese, spesso è risolta mantenendo relativamente basso il livello di conoscenze dei credenti. Restando nell’ambito cattolico, è difficile trovare un credente che abbia letto almeno una volta la Bibbia, ed è ancora più difficile trovarne uno che l’abbia letta con uno spirito critico. È opinione comune che il testo sacro non possa essere fruito come un normale libro, ma che vada interpretato attraverso l’aiuto di uno studioso competente. Ma questa è una soluzione comoda e immediata al problema della diffusione “popolare” della Bibbia stessa. Le edizioni in volgare esistono almeno dal XIII secolo, ma è solo da qualche decennio che la gente comune può avere accesso reale al testo, grazie al processo di alfabetizzazione delle masse. Nel momento in cui la maggior parte delle persone può leggere i capitoli più “controversi” delle scritture (dalle tremende maledizioni del Levitico alle citazioni sui fratelli di Gesù nei Vangeli ), è chiaro che possono nascere pericolose destabilizzazioni e che un fedele qualunque può iniziare a nutrire dubbi su ciò che crede o che gli viene detto sia giusto credere. Per questo il Vaticano ha sempre promosso una lettura “assistita” della Bibbia; non si può pretendere di leggere ogni cosa letteralmente, né pensare che quando Dio afferma «Il tuo occhio non si muova a compassione: vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede.» stia parlando sul serio. La realtà è che Va ovviamente riconosciuto che la religione ha una

sua influenza caratterizzante e socialmente utile. Resta sempre un fattore cardine all’interno delle comunità, e generalmente si è fatta tramite di valori etici e morali in teoria positivi e adeguati al progresso. Punto di riferimento nei villaggi, nelle città o nelle province, la classe sacerdotale ha sempre rivestito un ruolo importante nella politica e nella direzione della cosa pubblica. Gli esempi sono tanti, e non solo di matrice cristiana: basti pensare al ruolo dei druidi nella “resistenza” anti-romana, condotta nel periodo delle conquiste galliche di Cesare; oppure all’autorità rivestita dagli imam, nelle recenti lotte politiche e sociali nei paesi arabi; ma anche alle capacità di influenza dei sacerdoti cattolici, a favore o contro il potere, ora nelle guerre di religione, ora nel confronto con altre culture, ora nella resistenza contro i regimi totalitari. Per intuire il livello capillare di diffusione e di presenza della religione, basta guardarsi attorno. Il culto diventa quindi un altro dei limiti che l’umanità utilizza per determinare sé stessa e il mondo che la circonda, attraverso l’edificazione di confini, di mura entro le quali muoversi e che si oppongono alla pluralità e mobilità della realtà esterna, categorizzando e regolamentando. La religione ha assunto, all’interno delle popolazioni di tutto il pianeta, connotati principalmente sociali ed è diventata a certi livelli una semplice imposizione precettistica. In questo senso, la differenziazione tra i vari culti religiosi spesso ha senso solo a livello teologico e tecnico-pratico; nel principio essi rimangono espressione di quella tensione ordinatrice che sorge spontaneamente nelle comunità umane. L’antropologo scozzese William Robertson Smith fu tra i primi a studiare la religione come fatto sociale; in Conferenze sulla religione dei semiti insistette sulla funzione accomunante del rito, individuando le basi della ricerca spirituale delle comunità umane in una “semplice” funzione socializzante. Addirittura Émile Durkheim, in Le forme elementari della vita religiosa, arrivò a sostenere che il culto è il modo che la società ha di venerare sé stessa (pur non teorizzando una forma di “sociolatria”, ma piuttosto una predominanza della dimensione sociale sull’individuo). Il punto centrale nel discorso non è quale teoria o dottrina si propugna, bensì l’utilizzo che l’uomo fa

della materia spirituale. Quando non è il cristianesimo, può essere l’islam, o magari l’ebraismo, ma è chiaro che tendenzialmente la cultura umana porta la religione a essere principalmente fatto sociale e identificante. Ora, in quanto base dei rapporti comunitari, è chiaro che la religione può essere utilizzata per incanalare e condizionare le scelte delle grandi masse di credenti. Non è banale ricordare l’influenza che il Vaticano ha da decine di secoli sull’Europa (e non solo), né è banale accennare alla mole immensa di distruzione e morte che le guerre di religione hanno portato in tutto il pianeta. Se è vero che l’esigenza di rapporto col divino è propria di ogni uomo, chi più chi meno; se è vero che l’ignoranza - non solo delle dottrine garantisce ampie possibilità di manipolazione; e se è vero che il culto ha un ruolo sociale (e perciò amministrativo) importante: allora è chiaro che, unendo l’utile al dilettevole, le grandi autorità religiose della storia hanno potuto indirizzare per fini prettamente economici e politici il proprio ruolo di intermediazione con la divinità, per garantirsi ulteriore potere e capacità di controllo. È assodato che molti aspetti del nostro approccio psicologico e umano al mondo sono influenzati da ciò che la cultura ecclesiastica ha propugnato per secoli. Come già detto sopra, un esempio è il concetto tutto religioso di “peccato” ; comportamenti scorretti da un punto di vista sociale e civile vengono deplorati non in quanto tali, appunto, ma perché peccato ed espressione di disubbidienza al divino. È giusto insegnare ad un bambino che non deve picchiare i compagni di scuola, non perché deve essere gentile e rispettoso con tutti, ma perché sennò poi Gesù è triste? È giusto fare l’elemosina ad associazioni assistenziali dalla onestà non verificata, solo per sentirsi in pace con sé stessi e con gli insegnamenti dati dal prete? Il senso di colpa è uno strumento fine ed efficace, che una volta inserito nei meccanismi mentali degli individui li può condizionare in maniera determinante. Utilizzato come mezzo di controllo, può arginare la libertà dei singoli semplicemente facendoli sentire male da sé per ciò che stanno facendo, anche se l’azione in sé non ha nulla di oggettivamente deprecabile. Per tornare all’esempio precedente, una persona

cresciuta in ambiente fortemente cattolico e che si trova a leggere un passo della Bibbia trovandolo “strano”, o in disaccordo con quanto predicato dal prete, automaticamente si sentirà in colpa per avere pensato male o per essersi sopravvalutato, e probabilmente eviterà di ripetere il “peccato” più per timore di star male di nuovo che per reale convincimento. Questo atteggiamento, estremizzato, non solo limita le scelte dell’individuo ma può anche portare al fanatismo che ha reso tanto famosi gli estremisti musulmani del Medio – oriente, ma che non è poi tanto diverso da quello che muoveva la maggior parte dei crociati nei primi secoli del secondo millennio. Imporre la determinazione di ciò che è giusto o sbagliato, senza indurre insieme la riflessione, ha più effetti controproducenti che positivi. Un altro campo di applicazione è quello della repressione degli istinti, meccanismo che se bene attuato favorisce di per sé il mantenimento del controllo; nel momento in cui l’autorità “concede” il soddisfacimento degli istinti stessi, essa non solo non sarà malvista ma addirittura verrà considerata benevola e buona. Alcune festività religiose come il Carnevale, derivato da tradizioni pagane opportunamente stravolte , un tempo servivano proprio come valvola di sfogo per le popolazioni oppresse materialmente e psicologicamente. Un esempio di questo tipo di “tecniche” è il trattamento riservato al sesso dal cattolicesimo; demonizzato per secoli, presentato come attività sì necessaria per l’umanità ma anche troppo vicina alla tentazione e alla perdizione. Ma anche le limitazioni alimentari, dettate dalle codificazioni ebraiche o musulmane (e nate millenni fa per esigenze soprattutto igieniche), hanno il loro buon potenziale d’influenza. Questo tipo di meccaniche vanno via via disgregandosi col passare del tempo: la società moderna, tesa al cambiamento continuo, al consumismo e all’imposizione arrogante, sprona l’individuo medio a soddisfare principalmente i suoi presunti bisogni (spesso indotti dalla società stessa) e l’influenza che la collettività può avere sulla singola persona è ormai più forte di quella che può esercitare il prete o l’organizzazione ecclesiastica. Ma questi elementi hanno ancora una presa forte specie nelle comunità più piccole, magari tagliate

fuori dalle correnti culturali e mediatiche di maggiore rilievo. La religione è determinante nell’attuale modello di società umana, ma probabilmente non lo è nella giusta maniera. L’influenza che dovrebbe avere sul singolo e sul suo sviluppo si è troppo spesso tradotta in limitazione e condizionamento. Certo non è una realtà identica ovunque: viene anche da chiedersi se l’interpretazione prettamente sociale della religione sia un problema del cristianesimo, o umano; praticare un culto solo come fenomeno d’identificazione, senza coltivare l’individualità e il rapporto personale col divino crea inevitabilmente divari e contraddizioni. Non si può certo dire che tutta l’umanità sia stata influenzata dal cattolicesimo o dalla Chiesa cattolica. Né si può affermare che essa non abbia rivestito un ruolo importante nella formazione identitaria di molte società. Ma è chiaro che un’estremizzazione di tutto questo c’è stata, e che il cattolicesimo come anche altre religioni hanno fatto leva sulle debolezze umane e sul senso di colpa. Sarebbe positivo, per l’intera società umana, tendere ad un approccio alla spiritualità più autentico, spontaneo e diretto, con meno intermediari e meno strutture organizzative. Un metodo che coinvolga maggiormente il singolo e le sue propensioni naturali, spingendolo all’accordo accomunante con i suoi simili. La storia insegna che, per quanto riguarda le grandi masse, questo metodo non è stato adottato. Esistono ovviamente realtà diverse e che contemplano un maggiore coinvolgimento dell’individuo. C’è insomma da augurarsi che una religione diversa, intesa come sistema di culti e riti che favorisca il contatto con la dimensione spirituale, non sia né una contraddizione in termini, né un’utopia. BIBLIOGRAFIA M. Simonetti, E.Prinzivalli, Letteratura cristiana antica, Piemme, 2003. U. Fabietti, Storia dell’antropologia, 2° edizione, Zanichelli, 2001. P. Viola, Il Novecento, Einaudi, 2003. La Sacra Bibbia, Edizioni Paoline, Roma, 1964.

SITOGRAFIA http://www.adherents.com/Religions_By_Adherent s.html#Christianity, dati di Adherents sulla diffusione del cristianesimo nel mondo. http://qn.quotidiano.net/2007/05/10/11019chiesa_possiede.shtml, per i dati sui possedimenti del Vaticano nel 2007. http://www.bicudi.net/materiali/traduzioni/traduzio ni_moderne.htm, per l’edizione della Bibbia del Mallermi. http://it.wikipedia.org/wiki/Portale:Cristianesimo, per alcuni dati sulla dottrina cristiana.

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