Storia Degli Strumenti Musicali Aerofoni Rinascimentali e Barocchi

October 10, 2017 | Author: claudio_perelli8331 | Category: Recorder (Musical Instrument), Clarinet, Clef, Bassoon, Woodwind Instruments
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Storia Della Musica...

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I CONSORT DEL SECOLO XVI Al posto del termine inglese consort si possono impiegare i termini italiani copia, concerto, coro, muta: si tratta di insiemi composti da strumenti della stessa famiglia e di taglie diverse; il termine inglese broken consort indica al contrario gruppi strumentali eterogenei. Concerti sopravvissuti si trovano in diverse collezioni e musei (particolarmente rinomati sono quelli nelle collezioni del Kunsthistorisches Museum di Vienna, del Musée du Conservatoire Royal di Bruxelles, della Biblioteca Capitolare di Verona). Fonti letterarie e iconografiche importantissime sono i trattati di Michael Agricola (1545), di Michael Praetorius (1619) e di Marin Mersenne (1636). Gli strumenti sopravvissuti mostrano un elevato livello tecnologico e artigianale nella fattura della cameratura, dei fori di diteggiatura e delle chiavi, che, ove compaiono, sono efficaci. Gli strumenti più piccoli sono generalmente in bosso e i più grandi in acero, quasi tutti fatti in un unico pezzo e rifiniti con molta semplicità all’esterno: la tornitura ornamentale, caratteristica degli strumenti del secolo XVIII, è strettamente connessa alla costruzione in più parti e si ritrova raramente nel secolo XVI, eccettuate le canne delle cornamuse. Gli strumenti che eccedono i 75 cm di lunghezza hanno una chiave aperta sul settimo foro (mignolo), che per la prima volta si trova nella bombarda rinascimentale. La terminazione a coda di rondine della chiave permette di scambiare le mani, poiché anticamente l’esecutore era libero di situare la mano sinistra sopra o sotto la destra. Gli strumenti bassi possono avere un’estensione maggiore verso il basso di tre note diatoniche, ottenute mediante fori addizionali da azionare mediante leve chiuse e collocati sotto al foro del mignolo: una è mossa dal mignolo della mano inferiore, e le altre due dal pollice della stessa mano (le note cromatiche non erano all’epoca indispensabili nel basso, si pensi all’ottava corta degli strumenti a tastiera). Poiché la musica eseguita dai concerti è la polifonia vocale, ogni specie di strumento sviluppa una propria famiglia composta dalle taglie classiche del soprano, il contralto/tenore e il basso, ognuna delle quali di Concerto di cornamuti torti provenienti dalla corte estensione tale da potere eseguire la corrispondente di Ferrara ma costruiti in Francia, fine del XVI parte vocale (la taglia del tenore esegue anche la parte secolo (Musée Instrumental, Bruxelles). del contralto). Spesso vengono anche costruite taglie più acute o più gravi. Durante le esecuzioni, i musicisti usavano cambiare strumento tra un brano e l’altro: gli strumenti di una stessa taglia avevano lo stesso diapaso, in modo che accordatura e diteggiatura fossero sempre le stesse. Gli strumenti dell’insieme erano acquistati in mute costruite dallo stesso costruttore (unico modo per essere sicuri della loro perfetta intonazione reciproca) ed erano sistemati in casse contenenti alle volte più di una muta di diversi strumenti a fiato. Nel Rinascimento Venezia è, come Norimberga per le trombe e i tromboni, il più rinomato e fiorente centro europeo di produzione dei legni. Tutti i fiati hanno una diteggiatura fondamentalmente analoga al flauto diritto, tranne per l’eventuale mancanza del foro del mignolo o del foro per il pollice. Per avere note cromatiche ben intonate, si fa largo ricorso alla diteggiatura a forchetta. Quando tutte e sei le dita (più il pollice) chiudono i fori, il soprano suona un La2, il tenore un Re2 alla quinta inferiore e il basso un Sol1. Nei flauti diritti e traversi il suono prodotto è in realtà all’ottava superiore, ma all’epoca ciò non costituisce una limitazione ed essi sono combinati ad altri strumenti a fiato come se suonassero nella stessa ottava. Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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L’insieme più antico di flauti (soprano, due contralti/tenori, basso) è adatto alla musica scritta nelle chiavi consuete, cioè le chiavi di Do di soprano, contralto e tenore, e la chiave di Fa di basso. Ogni parte deve potere essere scritta internamente al pentagramma, accettando tutt’al più un taglio addizionale, superiore o inferiore; di conseguenza, ogni parte ha un’estensione massima di circa un’ottava e mezza. Si include spesso anche un secondo soprano per parti eccezionalmente acute del contralto, così il concerto può eseguire musica a cinque parti. Nella musica scritta in chiavette (chiave di violino per il soprano, chiave di Do per il mezzosoprano e il contralto e chiave di Fa per il baritono), la parte del soprano spesso sale fino al Sol4, che è una nota difficile da suonare bene con gli strumenti soprano: il concerto include allora un soprano più acuto, alla quarta o quinta superiore. I requisiti tecnico-musicali nella prassi esecutiva dei fiati in epoca rinascimentale sono così riassunti da Martin Agricola (1545): primo, imparare la parte esattamente come è scritta; secondo, introdurre gli accidenti appropriati secondo la musica ficta, cioè gli accidenti non scritti ma richiesti dalla musica (cadenze, certi bemolli); terzo, fare trilli nelle cadenze; quarto, riempire qua e là la melodia con semplici abbellimenti o diminuzioni di poche note; quinto, inserire diminuzioni lunghe o passaggi. La diminuzione è la pratica di suddividere una nota di valore maggiore in più note di valore minore. Invece di un unico suono tenuto, si ha una variante melodica. Grosso modo si può suddividere la diminuzione in due modalità: l’abbellimento e il passaggio. L’abbellimento è caratterizzato dalla relativa brevità e dal fatto che tende ad assumere forme stereotipe, simili agli attuali abbellimenti (appoggiatura, mordente, trillo, ecc.), ma molto più numerose e varie. Il passaggio invece ha una lunghezza maggiore e grande libertà melodica. L’abbellimento è fortemente caratterizzato dal punto di vista espressivo: l’esecutore deve sapere applicare le ornamentazioni nel luogo e al momento appropriato. Il passaggio, pur avendo valenza espressiva, ha anche una forte impronta virtuosistica e consente all’esecutore di mettere in luce l’agilità e la flessibilità vocale o strumentale.

Schema cronologico dei legni europei. Ogni curva indica il periodo approssimato dell’utilizzo dello strumento nella musica di corte e professionale.

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FLAUTI Flauto diritto (flauto dolce)

Frontespizio di Tabulaturen etlicher lobgesang uff die orgeln und lauten di Arnold Schlick, 1512.

Frontespizio di La Fontegara di Silvestro Ganassi, 1535.

Sin dal primo Rinascimento il flauto raggiunge una configurazione stabile, che mantiene fino alla metà del XVII secolo. È provvisto di sei fori più uno doppio per il mignolo e di un portavoce; per questa ragione è denominato “flauto a nove fori”, anche se il doppio foro per il mignolo è dovuto alla prassi esecutiva dell’epoca, che permette l’uso scambievole delle mani destra e sinistra, come illustra la figura a destra, dal trattato di Virdung (1511). Lo strumento rinascimentale è costruito generalmente in un pezzo unico, la cameratura è molto ampia e con andamento pressoché cilindrico: questo produce una buona potenza sonora nel registro fondamentale ma causa una certa difficoltà di emissione nelle note più acute, di modo che non si arriva alle due ottave complete di estensione. I flauti raffigurati sul frontespizio del trattato La fontegara di Silvestro Ganassi (1535) sembrano avere andamento conico; in effetti Ganassi afferma che il suo strumento ha due ottave più una sesta di estensione. Non è sopravvissuto alcuno strumento del genere, ma prove pratiche hanno dimostrato che le posizioni di Ganassi funzionano soltanto su flauti a cameratura ampia, con leggero andamento conico fino al foro del mignolo, per poi allargarsi in una campana piuttosto accentuata. Si confrontino i flauti illustrati da Virdung (a sinistra) con i due frontespizi riprodotti sopra, del 1512 e del 1535. Verso la metà del ‘500 inizia oltr’alpe la costruzione di flauti a cameratura più stretta, con un’estensione di due ottave.

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I trattati più antichi descrivono tre sole taglie di flauti: soprano in Sol2, tenore in Do2 e basso in Fa1. Alcuni inventari antichi dopo il 1520 elencano flauti contrabbasso, probabilmente intonati in Sib0 o Do1. I flauti bassi danno luogo a una famiglia di flauti “grandi”, formata dal bassetto in Fa1, dal basso in Sib0 o Do1 e dal contrabbasso o grande basso in Fa0 o Sol0 (alcuni esemplari sono conservati al Museo dell’Accademia Filarmonica di Verona, altri al Kunsthistorisches Museum di Vienna). Rispetto all’estensione nell’acuto della famiglia dei flauti, la testimonianza più completa è quella di Praetorius (De Organografia, 1619): sopranino (Sol4) 21 cm tenore (Do3) 63 cm soprano (Re4) 29 cm bassetto (Fa2) 98 cm soprano (Do4) 32 cm basso (Sib1) 140 cm contralto (Sol3) 42 cm grande basso (Fa1) 196 cm Questi strumenti leggono all’ottava superiore rispetto allo spartito. Disponendo i flauti in concerti si possono formare almeno tre gruppi distanziati tra loro di un’ottava (era ancora in voga la prassi delle tre taglie contigue che eseguono musica polifonica a quattro voci): 8 piedi 4 piedi 2 piedi Soprano bassetto alto sopranino Alto e tenore basso tenore soprano Basso grande basso bassetto alto Mersenne (Harmonie Universelle, 1636) sembra conoscere solo i gruppi di flauti a 8 e 4 piedi, che chiama rispettivamente grand jeu e petit jeu, dichiarando che possono essere combinati insieme all’ottava, come nei ripieni dell’organo. Si veda, nell’illustrazione a sinistra, il grand jeu formato, da sinistra a destra e dall’alto in basso da bassetto, tenore, basso e contrabbasso (è illustrato anche un flauto traverso). I due strumenti più gravi hanno due chiavi aggiuntive per il mignolo. Premendo la prima si chiude soltanto il foro più alto, che è la fondamentale dello strumento; premendo la seconda chiave si chiudono entrambi i fori e, mediante l’apertura o la chiusura di due saracinesche comandabili col piede, si possono ottenere note un tono o due sotto la fondamentale.

Hendrick Terbrugghen, Fanciullo con flauto, 1621 (Staatliche Museen, Kassel).

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Traversa (flauto traverso) e fiffaro militare Entra nella storia europea nel secolo XII, ma la sua introduzione nella musica colta è comunque preceduta da quella dei flauti diritti. Virdung (1511) mostra un solo modello di flauto traverso, che chiama Zwerchpfeiff, dalla cameratura molto sottile, probabilmente un fiffaro militare suonato nelle fanfare svizzere e tedesche con accompagnamento di timpani e tamburi. Questo flauto ha un suono forte e squillante a causa della cameratura sottile e delle dimensioni ridotte. Da questo strumento, nei primi anni del XVI secolo, si è probabilmente evoluto il flauto a cameratura più larga, costruito in diverse taglie, dal suono dolce e contenuto, adatto alla musica da camera. Nel Rinascimento la traversa è in un unico pezzo, tranne la taglia più grave, il basso, che è in due pezzi; tutte le taglie sono sprovviste di chiavi. Il primo trattatista che parla diffusamente della traversa è Martin Agricola (1529, cfr. figura a sinistra), che la chiama Querpfeiff o Schweitzerpfeiff, senza specificare se si tratta del tipo militare o da camera (probabilmente la differenza non si era ancora stabilizzata), distinguendo tre taglie: soprano in La3, alto-tenore in Re3, basso in Sol2. Traverse militari del Trionfo di Massimiliano, 1526.

Successivamente i trattatisti distingueranno tra il fiffaro militare e il flauto traverso; Mersenne afferma nel 1636: «il fifre non differisce dal flauto tedesco se non perché suona più forte e il suo timbro è molto più vivo e squillante». Mersenne ci informa anche sui materiali di costruzione: legno di susino, ciliegio, ebano, vetro e cristallo; sappiamo che era molto usato anche il bosso. La traversa, come il fiffaro, è un semplicissimo tubo con sei fori di diteggiatura e cameratura cilindrica; la caratteristica fondamentale che lo distingue dal flauto diritto è la grande estensione: tre ottave, ottenute mediante la sovrinsufflazione. Nella traversa rinascimentale le note più acute sono assai aspre e forti, per cui l’estensione nella prassi è ridimensionata a poco più di due ottave. All’inizio del XVII secolo si va definendo come strumento principale della famiglia il tenore in Re. La traversa rinascimentale è uno strumento in 4’, cioè produce suoni un’ottava sopra alle note scritte: questo contribuisce all’affermazione del tenore in Re3, che diventa soprano degli strumenti a 8’ (a destra un esemplare illustrato da Mersenne). Un’altra importante qualità della traversa è l’ampia escursione dinamica, ottenuta senza eccessivi problemi di intonazione e governata dall’impostazione del suonatore e dalla forma e posizione del foro d’insufflazione – mentre l’insufflazione del flauto diritto è molto meno flessibile a causa della struttura rigida dell’imboccatura a becco. Nel flauto diritto, come nel traverso, l’intonazione cresce se l’emissione del fiato è più intensa e cala se l’emissione del fiato si

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indebolisce. Oltre che per mezzo dell’impostazione, l’intonazione può essere modificata dalla diteggiatura. D’altro canto, bisogna considerare che la traversa intona con difficoltà certi intervalli e molte note alterate sono difficili da correggere. Perciò i musicisti portano con sé diversi flauti con la fondamentale a uno o più toni di distanza, e scelgono quale adoperare caso per caso secondo la tonalità del brano (questo fatto spiegherebbe il grande numero di traverse registrato negli inventari dell’epoca). Un altro aspetto limitante della traversa è che viene costruita in sole tre taglie, perché le taglie più acute hanno un timbro stridulo, e quelle basse un’eccessiva distanza tra i fori di diteggiatura. Questa caratteristica fa sì che la traversa sia utilizzata preferibilmente in complessi strumentali eterogenei (broken consort). Anonimo fiammingo, Il figliol prodigo, XVI secolo, particolare.

Flagioletto Flagioletto è un termine ambiguo che è stato utilizzato lungo la storia per designare diversi tipi di aerofoni. Per esempio, i flagioletti semplici di questo periodo sono del tutto diversi rispetto ai flagioletti doppi del XIX secolo. A sinistra: regola per suonare il flagioletto, da Bartolomeo Bismantova, Compendio musicale, ms., Ferrara, 1677.

Miguel March (1633-1670), L’autunno, particolare raffigurante ragazzo con flagioletto.

Nei secoli XVI-XVII il flagioletto è semplicemente un flautino diritto, che alterna un foro per il pollice dietro a due fori anteriori per indice e medio per una mano o entrambe, questo perché altrimenti, in un flauto di dimensioni così piccole, i fori sarebbero troppo ravvicinati e le dita farebbero fatica ad affiancarsi. Mersenne lo ritiene «uno dei più gentili e agevoli strumenti tra tutti quelli che sono in uso», e, illustrando le posizioni, spiega che il dito medio della mano destra può chiudere l’estremità della campana per produrre note più basse (funzionamento a canna tappata).

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STRUMENTI AD ANCIA DOPPIA NON INCAPSULATA Gli strumenti a fiato ad ancia rinascimentali sono in generale ad ancia doppia, e si suddividono in due grandi categorie: ad ancia esterna e ad ancia incapsulata. In realtà, i confini tra le due categorie sono labili, dato che ogni strumento ad ancia esterna tende ad avere un suo equivalente ad ancia incapsulata e molti strumenti possono essere suonati con la capsula o senza. Piffaro (bombarda) Ricostruzione delle taglie principali di piffari: soprano, contralto-tenore e basso. Nell’illustrazione, soprano e contralto sono privi delle ance; quella del basso è spesso inserita su un cannello ritorto o “esse” in luogo del cannello diritto qui raffigurato.

Il termine bombarda è un termine moderno che non trova riscontro nelle fonti italiane antiche; esso corrisponde propriamente al piffaro o piffero, un aerofono ad ancia doppia, a canneggio stretto e conico, che sfocia in una campana molto pronunciata, dotato di 6 fori (3+3) più quello del mignolo doppio o, nelle misure grandi, di chiave a coda di rondine, protetta come nel flauti diritti dalla fontanella. Tra l’ultimo foro e la campana vi sono fori di sfogo, senza i quali lo strumento non potrebbe intonare le note gravi. L’estensione più comune è di un’ottava più una quinta; gli strumenti gravi, con l’aiuto di quattro chiavi, due per il mignolo e due per il pollice destro, raggiungono le due ottave. Le taglie vanno dal sopranino (Si3) al contrabbasso (Fa0). Nei piffari l’ancia non è montata direttamente sullo strumento, bensì attraversa la pirouette, un cilindretto di legno dal quale sporge solo parzialmente e che funziona da piano d’appoggio per le labbra del suonatore, contribuendo a mantenere una forte pressione del fiato per la produzione di suoni molto intensi (e che inoltre facilita la respirazione circolare). D’altra parte questa tecnica di emissione non permette di avere un grande controllo della dinamica, perché l’ancia, chiusa tra la pirouette e la bocca, non viene ben controllata dalle labbra e si comporta in modo simile all’ancia incapsulata. Il controllo delle labbra è comunque sufficiente per il cambiamento di registro. Quanto all’origine dello strumento, esistono due teorie, una che lo fa derivare dalla canna melodica della cornamusa, un’altra che lo ritiene derivato da esemplari congeneri orientali.

Da Harmonie Universelle di Marin Mersenne, 1636; da sinistra a destra: piffaro contralto e soprano; particolare della pirouette; particolare della chiave a coda di rondine; particolare dell’ancia. Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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La raffigurazione sottostante, nella quale cinque suonatori di piffari seguono cinque suonatori di Rauschpfeifen, è tratta dal Trionfo di Massimiliano I, 1526 (si veda il paragrafo sulle dolzaine).

Fagotto rinascimentale È uno strumento ad ancia doppia di grandi dimensioni, a cameratura conica, in un unico pezzo formato da due tubi ripiegati a U e scavati nello stesso blocco di legno (si veda a sinistra l’esemplare illustrato da Mersenne, nel quale la campana non è solidale al corpo). L’imboccatura si trova vicino alla campana, ma l’insufflazione avviene attraverso un cannello a S, su cui l’ancia è montata senza pirouette. Il ripiegamento del tubo, oltre a rendere lo strumento più maneggevole, avvicina fori di diteggiatura altrimenti molto distanti, rendendo possibile la produzione dei suoni gravi. I sei fori di diteggiatura principali e la chiave per il mignolo sono posizionati come di consueto nel tratto di tubo discendente. La chiave del pollice destro, posta nella parte posteriore dello strumento, chiude un foro sul tratto ascendente del tubo. Segue, rispetto alla discesa verso i suoni gravi, l’altro foro dello stesso pollice, senza chiave e collocato in modo da potere essere chiuso contemporaneamente alla chiave. Molto vicino alla campana si trova il foro del pollice sinistro. Mentre nel piffaro per ottenere le note gravi sono necessarie quattro chiavi (essendo le taglie basse derivate dall’adattamento di uno strumento nato per suonare nei registri acuti), qui ne bastano due; nelle taglie più acute addirittura non ne occorre alcuna. Il fagotto è uno strumento “nuovo” – nato verso la metà del ‘500 – e, a differenza del piffaro, è specializzato nel registro basso. Il fagotto partecipa sia della musica “alta” sia della musica “bassa”, perché la tecnica di emissione senza pirouette e con l’ancia stretta tra le labbra consente un controllo sul suono e un’ampia gamma dinamica. Il fagotto rinascimentale può inoltre essere suonato “coperto”, cioè senza campana, oppure chiudendo la campana mediante una grata intagliata (simile alle rosette dei cordofoni) che ha lo scopo di velare il suono – una specie di sordina. Anticamente le sordine dei legni si ottenevano anche introducendo della bambagia o un panno nella campana. Praetorius distingue sei taglie: fagotto piccolo o discanto (La2), fagotto contralto (Re2), fagotto tenore (Sol1), Corist Fagott (Do1), controfagotto (Quart Fagott Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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Sol0 o Quint Fagott Fa0). Questo è il concerto, ma in insiemi strumentali misti si utilizzava lo strumento principale, in questo caso il Corist-Fagott (cfr. le tavole di Praetorius a fine capitolo). Sordone È uno strumento a tubo ripiegato come il fagotto ma a cameratura cilindrica e relativamente stretta, che funziona come canna tappata (16 piedi); non può essere sovrinsufflato e termina senza campana in un foro laterale (alla base si trova un foro di condensa che è chiuso con un tappo e serve a fare fuoriuscire l’umidità). La scarsa estensione in parte è ovviata da un numero maggiore di fori di diteggiatura (in Praetorius, 8 + 4). Il suono molto velato soddisfa il gusto tipico dell’epoca per le sonorità relativamente smorzate, nasali e dolci al contempo. A destra è raffigurato un tipo di sordone, detto cortaux o Kortholt, illustrato da Mersenne, dotato di tetines o fori di diteggiatura sporgenti e comunicanti con la parte posteriore del tubo. Rackett o cortale Sviluppa all’estremo la tecnica del tubo ripiegato su se stesso, fino a formare uno strumento cilindrico corto con un tubo interno ripiegato nove volte che termina nel canale centrale, senza campana, e all’imboccatura ha un’ancia con pirouette. Ha 10-13 fori e una diteggiatura molto complicata, che gli consente di raggiungere una discreta estensione, pur non avendo, come il sordone, la possibilità di ottavizzare. La cameratura è cilindrica e il suono è sordo e velato. Rispetto agli altri strumenti ad ancia, è lo strumento più grave (16 piedi). Praetorius ne sconsiglia l’uso in concerto a causa del suono poco interessante, ma ne incoraggia l’impiego in insiemi d’archi per rafforzare il basso (cfr. le varie taglie nelle tavole di Praetorius e, a sinistra, lo strumento illustrato da Mersenne, detto cervelat). Nel XVIII secolo Johann Christian Denner ridisegna il rackett dandogli una cameratura conica che sfocia in una campana posta al centro dello strumento, razionalizzando la diteggiatura (ricorre alle tetines, che servono al suonatore per percepire i fori con le falangi e i polpastrelli) e montando l’ancia, senza pirouette, su un cannello di insufflazione (a destra, esemplare di W. Wyne, Nymwegen, circa 1700, conservato presso il Musikinstrumenten Museum di Berlino). Bassanello È descritto da Praetorius, ma non esistono esemplari sopravvissuti. Dovrebbe essere uno strumento ad ancia doppia imparentato alla bombarda e precedessore dell’oboe, a cameratura conica ma, diversamente dal piffaro, dotato di una falsa campana (cioè una campana esternamente conica ma che all’interno corrisponde a una cameratura cilindrica o, come nel caso del flauto dolce, rastremata). Il bassanello ha 6 fori (3+3) più una chiave, e un cannello in ottone per bloccare l’ancia. Le tre taglie rappresentate da Praetorius sono soprano, contralto e tenore (si vedano oltre le relative tavole). L’inventore, che oggi si sa essere stato Santo Bassano, parente di Giovanni Battista Bassani, era attivo alla corte di Enrico VIII nella prima metà del ‘500. Si tratta di uno dei casi più antichi nei quali uno strumento ha preso il nome del suo creatore. I bassanelli sono dotati di diversi anelli torniti, inusuali all’inizio del secolo XVII, ma che successivamente diventeranno molto comuni in corrispondenza alle giunzioni: per questa ragione, si pensa che essi fossero costruiti in più pezzi. Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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STRUMENTI AD ANCIA DOPPIA INCAPSULATA Salvo rare eccezioni, non possono cambiare registro, per cui la loro estensione si limita a nove note (numero dei fori più 1). Hanno una cameratura cilindrica e producono suoni all’ottava grave rispetto agli esemplari corrispondenti a cameratura conica, comportandosi come tubi chiusi. In seguito sono descritti il cornamuto torto e la dolzaina, ma esistono anche altre tipologie, come il doppione e i piffari incapsulati. A destra si osservi lo schema dell’ancia incapsulata: A è il tenone della capsula, a sua volta mortasa sul tubo B dello strumento; C è la capsula, con un foro d’insufflazione superiore; D è il cannello dell’ancia, di rame; E è l’ancia doppia. Cornamuto torto, storta o cromorno Cromorno è termine contemporaneo: anticamente si utilizzavano le varianti cornamuto torto, storta, corne mute o cornetta muta o anche semplicemente cornetta (la desinenza femminile segnalerebbe la differenza rispetto ai cornetti). La storta è lo strumento ad ancia più antico e più importante del Rinascimento. Solitamente in acero ma anche in bosso, il tubo è svuotato dall’interno e la sezione terminale curva è successivamente ottenuta sottoponendo il legno a piegatura a caldo al vapore, oppure, nel caso del bosso, il ramo viene piegato quando è ancora verde e tenuto in forma fino alla stagionatura. La piegatura non ha alcuna influenza sul timbro, e la forma curva potrebbe essere una sopravvivenza arcaica della forma del corno animale. Nelle taglie grandi, la curvatura rende lo strumento più corto e perciò più maneggevole. Inizialmente ha sei fori, ma già dal secondo decennio del XVI secolo i fori diventano otto (l’esemplare a sinistra, tratto da Mersenne, ne ha nove anteriori, di cui due di sfogo o d’intonazione, aventi la funzione di correggere l’intonazione delle note basse). La cameratura è sottile e cilindrica tranne nella parte terminale dove spesso si amplia in una campana, che ha probabilmente la stessa funzione dei fori di sfogo, cioè di regolazione generale dell’intonazione e incremento della potenza soprattutto delle note gravi. La capsula o bussola, che ha la funzione di proteggere l’ancia ed evitare l’eccessiva umidità, ha un’imboccatura superiore a becco (ad eccezione del basso che, come si vede nella relativa tavola di Praetorius, ha un breve bocchino laterale). Il cornamuto torto, oltre le taglie più antiche simili a quelle dei flauti, Sol2 Do2 e Fa1, è in seguito costruito in taglie più acute e più gravi. Ogni taglia ricopre l’ambito di una nona, che è l’estensione delle parti vocali nelle composizioni polifoniche del ‘500. La storta è uno strumento molto facile da suonare, ha la stessa diteggiatura del flauto diritto ma un timbro molto diverso, adatto ai luoghi chiusi. Suonatori di storte, incisione di Heinrich Aldegrever (1502-ca 1555).

Dolzaina Questo nome, molto usato nelle fonti cinquecentesche, non è ancora stato identificato con sicurezza. Premesso che il termine “dulciana” è anche sinonimo di fagotto, alcune fonti descrivono come dolzaina uno strumento ad ancia incapsulata ma senza la curvatura dei cromorni. Iconograficamente dolzaine e flauti diritti sarebbero assai simili. Praetorius usa il termine scriari o Schreierpfeifen per indicare un cornamuto torto diritto ma dal timbro più penetrante rispetto alla dolzaina (cameratura rastremata). Anche le Rauschpfeifen sarebbero strumenti simili, con fori di diteggiatura più larghi. Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

1 Concerto completo di flauti diritti; 2 Doltzflöit in Re e in Sol; 3 concerto completo di flauti traversi; 4 fiffaro; 5 flauti a tre fori soprano e basso (pipetabor); 6 tamburo da suonare con il flauto a tre fori.

1 Basso dei sordoni viste frontale e posteriore; 2, 3, 4, 5, 6 concerto di fagotti, rispettivamente: controfagotto, fagotto basso, fagotto corista (quello attuale), fagotto contralto, fagotto soprano, fagotto sopranino; 8, 9 concerto di rackett (6 taglie)

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Le tavole di Michael Praetorius1

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Le tavole, tratte dal De Organographia, 1619, sono in scala rispetto al piede di Brunswick (pari a circa 28,5 cm).

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1 Piffaro basso; 2 bassetto o tenore; 3 contralto; 4 soprano; 5 piffaro piccolo; 6, 7, 8, 9 concerto di cornamuse denominate, nell’ordine, Grosser Bock, Scharper Pfeiff, Hümmelchen, Duden.

1 Bassanello basso, viste frontale e posteriore; 2 bassanello tenore; 3 bassanello soprano; 4, 5, 6 Schryari basso, tenore/alto, soprano 7 Korthold o Kurz-pfeiff; 8 Concerto di sordoni.

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1 Bassetto Nicolo (specie di piffaro con capsula); 2 concerto di storte; 3 cornetti muti; 4 musette con mantice.

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Strumenti a fiato di St. Wenzel a Naumburg, XVII secolo; dall’alto al basso: cornamuto torto, cornetto, Rauschpfeife, piffaro, fagotto rinascimentale, flauto dolce (Musikinstrumenten Museum, Berlino).

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IL XVIII SECOLO E I LEGNI CLASSICI Nella seconda metà del XVII secolo i consort di strumenti vengono gradualmente sostituiti dalle orchestre d’archi. Lully, al suo arrivo in Francia (1645), osserva che il flauto diritto non è considerato uno strumento inferiore come in Italia; lo stesso accade per la cornamusa (musette) e la ghironda (vielle), strumenti molto di moda nelle classi sociali più elevate, presso le quali si diffonde il gusto per le danze di provincia, come la bourrée e la gavotta. Nella stessa banda reale esiste una combinazione di fiati dal carattere spiccatamente popolare chiamato Les hautbois et musettes de Poitou. Questa particolare situazione stimola l’invenzione e la sperimentazione nei legni: spiccano il rinnovamento del flauto diritto e di quello traverso, il nuovo fagotto che sostituisce l’antico rinascimentale e l’invenzione dell’oboe. A questo si aggiunge l’invenzione tedesca del clarinetto, derivato dall’antico chalumeau. All’epoca di Lully a Parigi è attivo un gruppo di costruttori di fiati, il più famoso dei quali è Jean Hotteterre,2 proveniente da un villaggio della Normandia specializzato nella tornitura del legno e nella fabbricazione di strumenti. Hotteterre, Michel Philidor e altri introducono nei legni antichi le seguenti modifiche: - costruzione in diversi pezzi in luogo dell’antico pezzo unico, ciò che rende possibile intonare lo strumento e consente una lavorazione più accurata – esterna e interna – dei singoli pezzi; - fattura caratteristica dal punto di vista decorativo, dovuta all’artistica applicazione delle fasce tornite che hanno lo scopo strutturale di rinforzare le giunzioni (mortasa e tenone). La cameratura degli strumenti di Hotteterre ha andamento discontinuo o spezzato (probabilmente derivato dalle canne della musette); in seguito la cameratura prenderà un andamento più continuo. Flauto diritto Nella seconda metà del XVII secolo, Jean Hotteterre conferisce al flauto diritto la forma barocca: in tre pezzi, con testa cilindrica e i pezzi successivi a cameratura conica rastremata. Il suono è pieno e l’estensione è di due ottave, la diteggiatura è lineare, e la sovrinsufflazione avviene chiudendo parzialmente col pollice sinistro il foro posteriore (si vedano alcuni esemplari nella pagina seguente). Suonatore di flauto diritto basso, dal Musikalisches Theatrum di Johann Christoph Weigel, circa 1740.

Dopo l’ultimo periodo di fulgore con Bach e Haendel, il flauto diritto diventa soprattutto uno strumento popolare. Nel 1919 Arnold Dolmetsch riprende a costruire flauti diritti e svolge un opera da pioniere per rimettere in uso questo strumento, soprattutto nelle esecuzioni della musica antica. Le prime ricostruzioni hanno preso come modello un flauto del XVIII secolo: per questa ragione oggi comunemente si associa il flauto dolce alla sua versione barocca. Ora i costruttori producono molti modelli, rinascimentali e barocchi. L’attuale famiglia di flauti dolci è composta dal sopranino (Fa4); il soprano (Do4); il contralto (Fa3); il tenore (Do3), il bassetto (Fa2) e basso (Do2). Il flauto classico è il contralto; quando Bach o Haendel scrivono “flauto” in partitura intendono il flauto diritto contralto.

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Diversi musicisti e costruttori di strumenti a fiato appartengono alla famiglia Hotteterre: JEAN (La Couture-Boussey?1691 ca) , oboista, MARTIN (?-Parigi 1712), suonatore di musette, JACQUES-JEAN (?-1795 ca), suonatore di contrabbasso e musette e JACQUES, suonatore di fagotto e viola bassa facevano parte della Grand Écurie; LOUIS (?Parigi 1720) e il fratello NICOLAS (?-Parigi 1727) erano flautisti e oboisti nell’orchestra di Lully. Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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Flauto diritto del secolo XVIII e parti costitutive, secondo l’Encyclopédie des Sciences et Arts Libéraux, 1767.

Flauti diritti barocchi: flauto soprano di Giovanni Maria Anciuti, Milano 1725 (Museo Teatrale alla Scala, Milano); flauto contralto anonimo in avorio, Lipsia (Musée Instrumental, Bruxelles); flauti tenore e basso di Hotteterre, Parigi, Inizio del XVIII secolo (Musée de la Musique, Parigi).

Flauto traverso Nel secolo XVII, si crede principalmente per opera di Hotteterre, si abbandona la cameratura cilindrica, che resta solo nel fiffaro militare, a favore della cameratura rastremata del flauto in tre pezzi: il suono è più puro e perde il carattere squillante tipico del fiffaro; inoltre, dato che la cameratura conica ha l’effetto di abbassare l’altezza, i fori di diteggiatura possono essere ravvicinati, riducendo lo sforzo delle mani. È mantenuta l’estensione dell’antico flauto tenore (fondamentale Re3) con aggiunta di una chiave per il Mib, ottenendo così il flauto a una chiave, che è lo strumento standard per la maggior parte della musica settecentesca e per il quale Mozart ha scritto i suoi concerti. Questo strumento ha un suono molto bello e accattivante, ma e assai difficile da suonare bene e con buona intonazione. La tecnica in questi legni antichi praticamente senza chiavi dipende molto dalla buona intonazione delle note cromatiche, ottenute Da Jaques Hotteterre, Principes de mediante diteggiature a forchetta. Nel flauto, diversamente la flûte traversière ou flûte dall’oboe e dal fagotto, che riescono a essere discretamente intonati, d’Alemagne, 1707, incisione. bisogna ricorrere a correzioni continue dell’intonazione, apportate con il fiato e il labbro. In particolare, girando lo strumento verso l’esecutore, si abbassa l’intonazione di certe note spesso crescenti, come il Do4 (relativamente buono), Sib3 (cattivo), Sol# e Fa (entrambi cattivi nel registro basso); viceversa, i Fa# risultano calanti e possono essere rettificati ruotando il flauto verso l’esterno. Le tonalità preferite, dove i suddetti inconvenienti sono o del tutto assenti o poco evidenti, sono Do maggiore e Sol maggiore. Queste considerazioni spesso aiutano a capire se una parte è destinata al flauto traverso o al flauto diritto, perché le tonalità migliori per il flauto dolce sono Fa e Sib. Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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Nel flauto traverso dopo il 1720 il pezzo di mezzo è costruito in due pezzi. Il pezzo superiore, predisposto da 3 fino a 6 misure, si adatta ai diversi diapason in uso senza disturbare le delicate diteggiature a forchetta della mano sinistra. La dotazione consueta è di tre pezzi, numerati 1, 2 e 3 (quest’ultimo è il più corto), e tra quello più corto e quello più lungo vi è una differenza di altezza di mezzo tono. Più tardi si aggiungono altri pezzi, 4, 5 e 6. Quando un pezzo sostituisce un altro, occorre anche regolare la lunghezza complessiva dello strumento, spostando il tappo di sughero: nel 1726, Johann Joachim Quantz introduce lo zaffo mobile. Flauto in Do di legno e avorio in quattro pezzi più cinque pezzi intercambiabili del corpo superiore, a due chiavi in argento (Mib3 e Do#3), cameratura conica rastremata, dotato di zaffo mobile. È attribuito a Johann Joachim Quantz, è stato costruito a Berlino intorno al 1740-50 ed è appartenuto a Federico il Grande di Prussia (Collezione Dayton Miller, Library of Congress, Washington D.C., n° cat. 916).

Intorno al 1760 alcuni costruttori londinesi aggiungono altre tre chiavi chiuse: quella del Fa, la chiave del Sol# per il mignolo e la chiave del pollice per il Sib. Con l’antica chiave del Mib, si ha il flauto a quattro chiavi. Grazie alle chiavi, è possibile suonare un Fa5 ben intonato (si amplia quindi l’estensione). In seguito, per ottenere nel flauto un’estensione simile a quella dell’oboe, vengono aggiunte le chiavi di Do e Do#, ottenendo il flauto a sei chiavi (si vedano, nella pagina seguente, le illustrazioni di traverse a una, quattro e sei chiavi). Le accresciute possibilità musicali del nuovo flauto, cioè la libertà nella tonalità e nelle modulazioni, emergono nella Sonata per flauto di Haydn, che contrasta fortemente con il repertorio per flauto a una chiave.

François Hubert Drouais (1727-1775), Il Marchese de Souches e la sua famiglia (Musée Nationale, Parigi). Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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Flauto traverso, Gilles Lot, Parigi, circa 1760. Possiede un’unica chiave per il Mib3 e tre pezzi di ricambio per il corpo superiore (Musée de la Musique, Parigi)

Flauto traverso del secolo XVIII e parti costitutive, secondo l’Encyclopédie des Sciences et Arts Libéraux, 1767.

Flauto traverso anonimo in avorio a una chiave (Mib3) in argento, fine XVIII secolo. È in quattro parti; la testa e il corpo superiore a loro volta si smontano in tre parti e il corpo inferiore e il trombino in due parti. Testa cilindrica, corpo conico rastremato (Museo Teatrale alla Scala, Milano) Sotto: Flauto in Do a quattro chiavi in palissandro e avorio a quattro sezioni, cameratura conica rastremata, Charles G. Christman, New York, 1837-1854 – molto deformato. Il tardo ricorso alla meccanica a quattro chiavi dimostra che esemplari a meccanica semplice sono stati talvolta preferiti dai committenti per buona parte del XIX secolo (Collezione Dayton Miller, Library of Congress, Washington D.C., n° cat. 60).

Flauto traverso bastone in bosso a corpo unico e sei chiavi di bosso (Mib3, Fa3, Fa3 m.sin., Sol#3, Sib3 e Do4), Johann Ziegler, prima metà del XIX secolo. Pomello e puntale sono rispettivamente in avorio e corno; la parte terminale è piena. La costruzione di “strumenti da viandante” – non solo flauti, ma anche chitarre e violini – è relativamente diffusa nella prima parte del XIX secolo (Museo Teatrale alla Scala, Milano).

Flauto traverso di cristallo in quattro pezzi, giunti e sei chiavi in argento (Si2, Do3, Do#3, Mib3, Fa3, Fa3 m.sin.,, Sol#3, Sib3 e Do4), Claude Laurent, Parigi, 1835, a cameratura cilindrica nella testa e conica rastremata negli altri pezzi. I flauti in cristallo hanno una notevole stabilità rispetto alle variazioni termo-igrometriche, ma la fragilità e il maggior peso riducono le possibilità d’impiego (Museo Teatrale alla Scala, Milano). Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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Flauti piccoli e fiffari All’epoca di Haendel, il flauto piccolo solitamente è il flauto dolce soprano – così come flauto indica il flauto diritto contralto – ma da Gluck in poi significa l’ottavino da orchestra, del quale sopravvivono alcuni esemplari. Tuttavia, i flauti piccoli più diffusi nel secolo XVIII sono quelli delle bande militari, accordati in tonalità con bemolli per suonare la melodia all’ottava sopra il clarinetto in Sib nelle marce e nelle musiche militari in genere. Vi sono due tipi principali: 1) il flauto in Fa o “terzo flauto” (una terza sopra il flauto comune); 2) i piccoli flauti in Sib e Do; sino tutti in tre (o due) pezzi e a una chiave. Il flauto in Do, un tono sotto l’ottavino, è estinto, ma gli altri sopravvivono come flauti a sei chiavi nelle bande e nei complessi di fiati. Il fiffaro è uno strumento diverso, che mantiene caratteristiche seicentesche. Costruito in un unico pezzo con una ghiera di ottone a ogni estremità, ha cameratura cilindrica e non ha chiavi (cfr. Schweitzerpfeiffen). Il suonatore di fiffaro, in un contenitore metallico a forma di bastone assicurato alla cintola, porta solitamente due fiffari, uno in Sib, l’altro in Do. I vari e complessi segnali militari sono riportati nei trattati per fiffaro della prima metà dell’800. In Inghilterra, dopo il 1850, il fiffaro è sostituito dall’ottavino in Sib, ma sul continente è ancora impiegato, talvolta con l’aggiunta della chiave di Mib e un paio di fori da imbracatura all’estremità inferiore. Sopra, di Edouard Manet (1832-1883), Il pifferaio. A fianco, un ottavino a una chiave; sotto un fifre suisse; entrambi dalle illustrazioni dell’ l’Encyclopédie des Sciences et Arts Libéraux, 1767.

Seguono alcuni esempi di ottavini e fiffari che, anche se di epoca più tarda, permettono di osservare alcuni aspetti delle diverse tipologie.

Esemplari della collezione Dayton Miller, Library of Congress, Washington D.C., da sinistra a destra: ottavino in Reb anonimo in due pezzi, dell’inizio del XIX secolo, in bosso e osso, a una chiave, a cameratura conica, fortemente deformato; ottavino in Do in due pezzi a sette chiavi, Rampone, Milano, seconda metà del XIX secolo, cameratura conica rastremata; fiffaro in Sib in un pezzo, senza chiavi; Firth, Son & Co., New York, circa 1865; fiffaro metallico anonimo in Lab in un pezzo, senza chiavi, del XIX secolo.

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Il flauto traverso d’amore è tagliato in La2, una terza minore sotto il flauto comune e ha un timbro più dolce e sentimentale. A giudicare dai numerosi esemplari sopravvissuti, era molto diffuso, pur non avendo quasi un repertorio proprio. Esistono infatti poche partiture apposite ma, come altri legni d’amore e da caccia, era spesso impiegato in luogo dello strumento comune e gli esecutori trasponevano durante la lettura. Chalumeau All’inizio del XVIII secolo poteva accadere che i due oboisti delle orchestre sostituissero in certi passi i loro oboi con strumenti lunghi meno di 30 cm, dal suono simile alla tromba nel registro del soprano: gli chalumeau ovvero clarinetti di mezza taglia. A quest’epoca, in Francia il termine indica in generale una canna, o la canna melodica della cornamusa, che spesso era ad ancia battente e di fattura estremamente semplice. Il nome suggerisce, ma non prova, un’origine francese. La tipologia più semplice è una canna lunga intorno ai 20-25 cm, con 6 fori di diteggiatura più un foro per il pollice, con la linguetta di canna dell’ancia incastrata in una spaccatura tagliata sotto al nodo naturale e portata fino al nodo stesso. Lo chalumeau è descritto anche da Mersenne (Harmonie Universelle, 1636). L’Encyclopédie des Sciences et Arts Libéraux (cfr. l’illustrazione a destra) illustra un esemplare senza chiavi, a 7 fori anteriori di cui uno doppio e un portavoce posteriore, lavorato con accuratezza, con bocchino e ancia separati. Uno strumento analogo al clarinetto è descritto anche nel Gabinetto armonico di Bonanni (1722). Quest’autore afferma che i musicisti lo chiamano calandrone e ritengono abbia una voce «poco grata». L’estensione dello strumento è Fa3-Fa4 o Sol4, ma alcune parti per chalumeau previste in melodrammi di Haendel, Telemann o Vivaldi richiedono strumenti tagliati alla terza o alla quarta inferiore. Lo chalumeau possiede il registro grave (che, date le sue minori dimensioni, è all’ottava superiore rispetto al clarinetto), ma avendo solo 7 fori di diteggiatura non è in grado di congiungere questo registro con quello superiore, che inizia al terzo parziale, una dodicesima sopra la fondamentale, e successivamente continua verso l’acuto quasi senza interruzioni. Tuttavia, il modo con cui è applicata l’ancia rende molto difficoltosa la produzione dei registri superiori. Le ricerche per ottenere un’emissione più efficace, intraprese da Johann Christoph Denner e dal figlio a Norimberga tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, hanno portato a una radicale trasformazione dello strumento. L’esemplare raffigurato a sinistra presenta sette fori, di cui quello inferiore doppio, come quello dell’Encyclopédie, ai quali si aggiunge in alto un foro ulteriore coperto da una chiave chiusa; si tratta probabilmente di una variante che prelude le modificazioni più decisive introdotte da Denner. Clarinetto Denner è un famosissimo costruttore di strumenti a fiato della fine del XVII secolo, specializzato in flauti diritti. Il disegno originale del clarinetto primitivo assomiglia infatti molto al flauto dolce. Denner introduce un bocchino analogo a quello attuale, con ancia separata e assicurata col sistema del filo avvolto; l’apertura dell’ancia è rivolta verso il suonatore (al contrario dello chalumeau), ma l’ancia è rivolta verso il labbro superiore e la terminazione dell’imboccatura è a becco, ciò che consente di controllare le vibrazioni dell’ancia con minore sforzo delle labbra e di regolare con precisione lo scarto. Denner introduce inoltre un ottavo foro doppio per il mignolo e due chiavi: una al pollice sinistro per Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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facilitare la sovrinsufflazione e l’altra all’indice superiore per ottenere il La3. I fori ricoperti da queste due chiavi stanno uno di fronte all’altro, alla medesima altezza, e hanno lo stesso diametro. Tali modificazioni migliorano notevolmente le qualità melodiche dello strumento (raffigurato a destra nella pagina precedente) e la produzione del registro superiore. Questo proto-clarinetto è privo di campana, è lungo 50 cm e possiede un’estensione Fa2-Do5, con i suoni fondamentali tra Fa2 e Fa3 e gli armonici tra Do4 e Do5. Quando la chiave del pollice sinistro è chiusa si ottengono i suoni fondamentali e quando è aperta i parziali. Pochi anni dopo, Denner apporta ulteriori perfezionamenti, che consistono: - nell’avvicinamento dei fori all’imboccatura, con conseguente diminuzione di diametro del tubo, per ottenere una maggiore prontezza di suono e una più grande facilità e sicurezza nella produzione degli armonici; - nel situare il foro di risonanza del pollice sinistro in corrispondenza al nodo di divisione della colonna d’aria in tre parti uguali e nel rimpicciolirlo con l’applicazione di un piccolo tubo di metallo sporgente internamente fino quasi all’asse della camera. Questo accorgimento agisce localmente sul diametro della cameratura, evitando così di modificare le dimensioni del foro che, per funzionare da foro di risonanza, dovrebbe avere un diametro molto inferiore a un foro di diteggiatura. In tal modo non si compromette la sua funzione di foro di diteggiatura per l’emissione del Sib3 e dei suoi armonici; - nel sostituire una parte del corpo dello strumento con un barilotto; - nel praticare una leggera svasatura all’estremità inferiore del tubo e aggiungervi un pezzo nuovo a forma di campana, per mezzo del quale si ottiene una maggiore sonorità nelle Incisione di Johann Christoph Weigel, note del mignolo e dell’anulare destro. A destra si veda un Musikalisches Theatrum, ca. 1740, che clarinetto a due chiavi di Johann Scherer, Parigi, circa 1730 rappresenta un clarinettista. (Musée de la Musique, Parigi). Clarinetto del XVIII secolo e sue parti costitutive secondo l’Encyclopédie des Sciences et Arts Libéraux, 1767.

Lo strumento così modificato non è considerato un perfezionamento del chalumeau, al quale non è nemmeno più esteticamente affine, ma una nuova invenzione. Il clarinetto originale è accordato in Do: quelli in altre tonalità sono derivazioni di questa prima tipologia. L’estensione, discontinua per la mancanza di alcuni semitoni, è formata da due scale di timbro molto diverso, collegate fra loro da tre suoni intermedi: Fa2-Sol3 Sol#3-La3-Sib3 Do4-Do5 a 1 scala 2a scala fondamentali intermedi parziali La prima scala o dei suoni fondamentali prende il nome di chalumeau per la somiglianza timbrica con l’antico strumento, e la seconda quello di clarino per il timbro simile al clarino rinascimentale (registro superiore della tromba); per questo motivo il nuovo strumento è chiamato clarinetto, cioè

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piccolo clarino. All’epoca desta molto interesse il suo timbro brillante, vicino a quello degli ottoni, molto diverso dal tipico suono degli strumenti ad ancia, al confronto acerbo, nasale e opaco. Il clarinetto inventato da Denner è incompleto per la mancanza del Sol#2, del Re#4 e del Si3: molti esperimenti sono stati fatti per colmare queste lacune. Nel 1760 Denner figlio allunga il tubo e apre un altro foro, che, ricoperto di una piattina attaccata a una lunga asta a leva azionata dal pollice destro, produce il Mi2 e il suo armonico Si3 (clarinetto a tre chiavi). In tal modo si aumenta di un semitono l’estensione dei suoni intermedi e si agevola il passaggio al registro superiore, migliorando la sonorità, che diventa più dolce e pastosa in tutta la gamma. A sinistra, un clarinetto a tre chiavi di Johann Gottfried Geist, Parigi, circa 1760 (Musée de la Musique, Parigi). Successivamente il clarinettista Joseph Beer aggiunge una seconda chiave lunga, parallela alla prima, per il Fa#2 e Do#4 e un’altra chiave, detta “a paletta”, per il Sol#2 e Re#4, ottenendo il clarinetto a cinque chiavi con la scala cromatica completa. Questo strumento è stato costruito in molte varianti a seconda delle diteggiature adottate dai diversi costruttori e dalle diverse scuole; resta comunque uno strumento d’intonazione precaria su molte note della scala (sotto è illustrato un esemplare). Una sesta chiave viene introdotta nel 1791 per correggere l’intonazione del Sol#4 e del Do#3, che si diceva fosse a malapena distinguibile dal Re3 naturale (l’esemplare anonimo a destra, in bosso con ghiere di corno, oggi al Museo del Conservatorio “L. Cherubini” di Firenze, ha otto fori e sei chiavi). Intorno a questa chiave nasce una polemica: molti la rifiutano perché il Do#3 e il Sol#4 si possono ottenere anche con un doppio foro dell’anulare sinistro. Con l’applicazione della sesta chiave, i fori praticati sul tubo diventano 14, dei quali 6 coperti da chiavi. Lo strumento, di norma, era in legno di bosso. Clarinetto di bosso di Carobi di Clusone, Bergamo, costruito intorno al 1800, a cinque chiavi e in Sib; si notino i rilievi nella campana e nel pezzo inferiore, che rappresentano scene bibliche: Noè addormentato sotto la vite, i suoi tre figli e l’arca (Museo Teatrale alla Scala, Milano).

Nel 1812 Ivan Müller presenta un clarinetto che risolve radicalmente i problemi fino ad allora dibattuti, dalla voce sufficientemente sonora, un’intonazione più precisa, alcune doppie posizioni e una maggiore agilità. Il clarinetto Müller, con 13 chiavi e 20 fori, è diffusamente adottato e rimane per decenni lo strumento preferito dai più grandi concertisti del secolo XIX. Clarinetto in Mib di Johann Ziegler, modello Müller a tredici chiavi (Museo Teatrale alla Scala, Milano).

Il clarinetto d’amore compare intorno al 1770, poco prima della caduta in disuso dell’oboe d’amore. È tagliato in Sol o Lab, talvolta anche in Fa. Alcuni strumenti sono diritti e possiedono un’esse ricurva; altri sono angolati. La campana è a bulbo, o simile a quella del clarinetto ma piriforme all’interno. Lo strumento in Sol è lungo circa 75 cm escluso il bocchino (si veda l’esemplare raffigurato sotto, uno strumento in Sol, fabbricato da Castlas, Torino, all’inizo del XIX secolo, in acero tinto e anelli in avorio e dotato di sei chiavi, Museo Teatrale alla Scala, Milano).

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Il corno di bassetto è uno strumento tenore in Fa, una quinta sotto al clarinetto, inventato intorno al 1760 in Baviera. Il tubo, lungo intorno ai 90 cm, è incurvato o piegato. I modelli più antichi hanno il tubo curvo, come gli oboi da caccia. Questi strumenti, di legno, venivano costruiti forando un tubo diritto, ritagliando successivamente diversi cunei e piegando e incollando il tubo per chiudere gli interstizi. Mediante intarsi e un ricoprimento in cuoio si nascondono i difetti, ma il timbro risente del sistema A sinistra: corno di costruttivo e il suono appare ‘distante’. bassetto di Friedrich G.A. Molti corni di bassetto hanno un’estensione Kirst, Potsdam, fine del diatonica. Per ridurre la lunghezza totale, il XVIII secolo (Musée de la Musique, Parigi). pezzo tra la chiave del Sib e la campana A destra: riproduzione di metallica gira due volte su se stesso dentro un corno di bassetto del a un tassello di legno a forma rettangolare. XVIII secolo. La forma angolata, di costruzione più semplice e migliore sonorità, appare a Vienna nel 1782. Nei primi decenni del secolo XIX le bande militari tedesche includono di norma una coppia di corni di bassetto per le parti di mezzo, ma quando entrano in uso i corni a valvola, i corni di bassetto vengono abbandonati. Lo strumento sopravvive tuttavia, grazie a poche parti “classiche” appositamente dedicate (Mozart, Mendelssohn), fino al suo revival alla fine del secolo (Strauss). Oboe Deriva dal piffaro o bombarda; hautbois significa originariamente “legno fragoroso” (letteralmente “legno alto”); oboè e la trascrizione italiana della parola francese secondo la pronuncia settecentesca. Il prototipo più antico dell’oboe moderno è creato dai musicisti della Grande Écurie di Luigi XIV, poco prima del 1660, ed è utilizzato per la prima volta nel balletto di Lully L’Amour malade (1657). Il proto-oboe è in di tre elementi; ogni pezzo ha cameratura variabile. Rispetto al piffaro ha: - una cameratura più stretta (timbro più bello nel registro acuto); - un diametro ridotto dei fori di diteggiatura (facilità nella diteggiatura); - un’ancia più stretta (escursione dinamica più ampia); - è privo di pirouette (ancia controllabile dalle labbra e migliore articolazione).

Sopra: oboe secondo Filippo Bonanni, Gabinetto armonico, 1722. A destra : l’oboe del XVIII secolo e sue parti costitutive, secondo l’Encyclopédie des Sciences et Arts Libéraux, 1767. Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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Oboe a due chiavi: si introduce la chiave per il Do3 e, poco dopo, quella per il Mib3 (nota altrimenti molto difficile da ottenere con la semiocclusione del foro finale; fino al 1760 questa chiave era duplicata per i mancini: oboe a tre chiavi). Da sinistra a destra: oboe a tre chiavi di Rouge, inizio del XVIII secolo; oboe a due chiavi di Giovanni M. Anciuti, Milano, inizio del XVIII secolo; oboe di Jacob Friedrich Grundmann, Dresda, 1784. Strumenti conservati al Musée de la Musique, Parigi.

Spesso i fori III e IV sono doppi per agevolare la produzione del Fa# e Sol#; alla fine del XVIII secolo verranno introdotte le relative chiavi (si veda a sinistra un oboe a quattro chiavi e otto fori di cui uno doppio, costruito da F.G.A. Kirst nella seconda metà del XVIII secolo; conservato al Museo del Conservatorio “L. Cherubini” di Firenze). L’oboe incontra un grande e immediato favore a causa della qualità espressiva del timbro. Alle trombe erano dedicate le arie brillanti e gioiose, ai flauti quelle di carattere ‘languido e melancolico’, ma il nuovo oboe, come la voce e il violino, può rappresentare qualsiasi passione. La grande flessibilità dinamica gli consente infatti di suonare forte come una tromba o piano come un flauto dolce. Il timbro è anche morbido ed empatico; un difetto di scarso rilievo può essere il carattere leggermente rauco che verso la fine del secolo XVIII è stato eliminato soprattutto attraverso un lieve assottigliamento della cameratura, ciò che incrementa la brillantezza del suono. L’oboe sostituisce il piffaro anche all’aperto: i Douze Grand Hautbois du Roi diventano la forma tipica di orchestra militare (per più di un secolo), con due fagotti e tre parti per oboe. Talvolta la terza parte è scritta per la taille des hautbois, o semplicemente taille (tenore), uno strumento tagliato in Fa2 e di estensione una quinta sotto all’oboe comune. Possiede una campana a bulbo (derivata dalla cornamusa, in particolare dalla zampogna italiana), oppure esternamente conica ma internamente a bulbo, anticipando la tipica campana del corno inglese. Durante il XVIII secolo la campana a bulbo è sostituita da una campana molto semplice e stretta (si veda un esemplare nella pagina seguente). Nel XVIII secolo i complessi di oboi sono usati nei melodrammi e nella musica orchestrale; non necessariamente il suono è intenso perché possono ricorrere alla sordina. La sordina di legno è stata introdotta durante il XVI secolo nelle trombe per i segnali militari prodotti in prossimità del nemico, per esempio durante gli assedi. L’uso della sordina nei funerali è successivo, così come il suo impiego nei complessi di oboi. Forma parte della Passione secondo Luca attribuita a J.S. Bach un corale scritto per un quartetto di oboi con l’indicazione «piano, gli oboi eventualmente con sordina di carta». Diversi compositori del primo ‘700 richiedono all’occasione la sordina, anche nei fagotti. Oltre la carta, si usava la lana, spinta dentro la campana ma non abbastanza da chiudere i fori. Sono anche sopravvissute alcune sordine di legno per oboi a forma di pera. L’oboe d’amore è probabilmente nato in Germania intorno al 1720 ed è stato molto impiegato dai compositori (Bach, Telemann, ecc.). Ha circa 60 cm di lunghezza e possiede una piccola esse d’ottone, spesso ha una campana a bulbo (si veda un esemplare nella pagina seguente). Cade in disuso dopo la metà del ‘700, ma nel 1874 Charles Mahillon ricostruisce un modello moderno per le esecuzioni delle cantate e passioni di Bach. Successivamente è riproposto da Strauss e da diversi compositori francesi. Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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Il corno inglese È uno strumento tenore in Fa, tagliato una quinta sotto all’oboe. Nasce in Germania intorno al 1720. Alcuni compositori, tra i quali J.S. Bach, preferiscono utilizzare l’oboe da caccia, strumento timbricamente suggestivo, dal tubo curvo con ampia campana a padiglione, che scompare intorno al 1760 (si veda l’illustrazione sottostante).

Dal’alto verso il basso: corno inglese di Grassi, Milano, della fine del XVIII secolo; oboe tenore di Hendrik Richters, Amsterdam, dell’inizio del XVIII secolo; oboe d’amore di Johann Heinrich Eichentopf, Lipsia, XVIII secolo. Strumenti conservati al Musée de la Musique, Parigi.

I primi corni inglesi, di forma curva e campane a bulbo, si diffondono a Vienna e in Italia. Di fatto, l’oboe da caccia e il corno inglese sono praticamente lo stesso strumento e differiscono semmai solo per la forma della campana. Il nome “corno inglese” è di origine misteriosa, poiché lo strumento non appare connesso all’Inghilterra. Forse è stato associato al corno segnale delle truppe inglesi, oppure il nome può essere nato dall’equivoco omofonico anglé-anglais.

Fagotto

A destra: oboe da caccia con tubo curvo e campana a padiglione; corno inglese boemo angolato con campana a bulbo, inizio del XIX secolo (Museo Nazionale, Praga).

Durante l’epoca di Hotteterre compare un tipo di oboe basso, diritto, lungo circa 105 cm, con un cannello simile a quello del fagotto antico. È costruito in tre elementi, decorato mediante tornitura e i fori I, III, IV e VI sono coperti da chiavi per ridurre lo sforzo delle mani. È stato ideato per eseguire le parti del basso negli insiemi pastorali di musette, flauti dolci, cornamuti torti, ecc. Non sono sopravvissuti esemplari, ma si tratta di strumenti simili ad altri che i musei solitamente etichettano come basse de musette, dai corpi relativamente più robusti e campane più ampie. La cerchia di Hotteterre modifica l’antico fagotto costruendolo in più pezzi e questo strumento, che è il vero e proprio fagotto, raggiunge Londra con la denominazione French bassoon. È citato per la prima volta in uno spartito di Lully del 1674. Musicista con fagotto, dal Gabinetto Armonico di Filippo Bonanni, 1722.

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Il fagotto del XVIII secolo ha quattro chiavi (Lab1, Fa1, Re1 e Sib0); probabilmente il concerto di Mozart del 1774 è stato inizialmente eseguito con questo strumento. Poco dopo sono state aggiunte la chiave del Mib e quella del Fa#, ottenendo il noto fagotto a sei chiavi della fine del XVIII secolo. Intorno al 1800, in Inghilterra vengono montate ancora due chiavi per il pollice sull’aletta, dando luogo al fagotto a otto chiavi. A sinistra: fagotto di Johann Christian Denner, costruito all’inizio del XVIII secolo (Musée instrumental, Bruxelles). Sotto: fagotto del XVIII secolo a quattro chiavi, illustrato dall’Encyclopédie, 1767.

Un numero sorprendente di piccoli fagotti sopravvive dal XVIII secolo: quelli all’ottava o fagottini sono lunghi circa 50 cm; altri sono fagotti tenori spesso tagliati in Sol1 (anche in Fa1) e lunghi circa 80 cm; questi bassonetti raramente appaiono nelle partiture e servono soprattutto come strumenti da studio per fanciulli. Si osservi a sinistra un pregiato fagottino in acero tinto e avorio di Andrea Fornari, modello inventato nel 1792, tagliato un’ottava sopra il fagotto comune e dotato di dieci chiavi in avorio. Questo strumento testimonia la forte spinta alla ricerca che, alla fine del XVIII secolo, coinvolge tutti gli strumenti a fiato. Bach ha scritto nella cantata n° 31 una parte per un fagotto maggiore in Sol0 (1715), ma potrebbe essere stato un fagotto rinascimentale. È citato anche un semi-controfagotto in Fa0, alcuni esemplari del quale sopravvivono. Il primo vero controfagotto nasce nel 1714 a Lipsia per mano di Eichentopf e raggiunge il Sib-1. Il primo esemplare morfologicamente simile a quello attuale è un modello austriaco che ha una culatta a ogni Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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estremità e scende fino al Do0. Questo è lo strumento viennese classico, molto utilizzato anche in bande e complessi austriaci ed italiani.

Dall’alto verso il basso, legni del Musikinstrumenten Museum, Berlino: flauto traverso di Naust, Parigi, circa 1700; flauto ottavino di Jean-Hyacinth Joseph Rottenburgh, Bruxelles, prima metà del XVIII secolo; flauto traverso di Jean (?) Hotteterre, Parigi, fine del XVII secolo; clarinetto di Jacob Denner, Norimberga, inizio del XVIII secolo; oboe di Dupuis, Parigi, fine del XVII secolo.

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LABIOFONI Cornetto Noto dal Medioevo, a partire dalla fine del secolo XV è sempre più utilizzato fino ad assumere, nella seconda metà del secolo XVI, un ruolo protagonista nella parte del soprano e un carattere esecutivo spiccatamente virtuosistico. Generalmente in legno di susino, ciliegio o pero, è di forma curva, ha fori di diteggiatura e un piccolo bocchino. Il cornetto soprano è lungo circa 60 cm. É costruito segando longitudinalmente a metà un lungo pezzo di legno e scavando all’interno una cameratura che si espande da 6 mm circa a 24-29 mm. Le due parti vengono incollate, esternamente foggiate a ottagono, e ricoperte con cuoio nero sottile. L’estremità più stretta è rinforzata da un collarino di ottone ricoperto di argento. Vi si inserisce la penna – abbastanza lunga da consentire una lieve rettifica dell’intonazione – del piccolo bocchino di osso, corno, o avorio, a forma di mezza ghianda. Ha sei fori anteriori e uno posteriore piuttosto spaziati, anche se la curvatura aiuta le dita a raggiungere i fori. La nota più bassa, La2, può essere abbassata a Sol2 con le labbra, e questa è considerata nella prassi la nota più bassa dell’estensione. La scala, Sopra: cornetto in La, Germania, 1570-80 (Metropolitan Museum of Art, come riportata da Daniel Speer (Grundrichtiger Unterricht der New York). Materiali: avorio, ottone o musikalischen Kunst, 1697) parte da La2 in Sol maggiore e rame dorato. utilizza la diteggiatura a forchetta in modo assai simile al flauto Sotto: Domenichino, Madonna, dolce. Al La3 tutti i fori sono aperti, per Sib3 tutti chiusi tranne il bambino, santi e angeli musicanti, pollice, per Si3, tutti chiusi tranne l’ultimo, per il Do4, la nota più 1620, particolare (Galleria Nazionale d’Arte Antica, Roma). alta dell’estensione, sono chiusi il pollice e le prime due dita. La difficoltà di suonare il cornetto risiede nel fatto che la diteggiatura non basta ad assicurare la stabilità e l’intonazione del suono: per ogni nota la posizione delle labbra e l’emissione del fiato devono essere accuratamente calibrate. Le fonti iconografiche illustrano un particolare modo di tenere lo strumento, secondo il quale pare verosimile l’ipotesi che venisse suonato con l’angolo delle labbra, tecnica sviluppatasi probabilmente a causa della piccolezza del bocchino. Una volta padroneggiata la tecnica, lo strumento diventa molto agile e in grado di eseguire passaggi e diminuzioni estremamente virtuosistici. Questa qualità, assieme al timbro affascinante, caldo e simile alla voce umana, e alla notevole escursione dinamica, sono stati probabilmente gli elementi che hanno procurato allo strumento un così grande favore. Cornetti, soprano, alto, tenore e basso, Italia, XVI e XVII secolo (Musée de la Musique, Parigi). Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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La taglia più piccola è il cornettino, una quarta o una quinta sopra il soprano, usato soprattutto in corali tedeschi del secolo XVII. Il tenore è intonato una quinta sotto il soprano e ha una sagoma a doppia curvatura, è lungo 85-105 cm, spesso una chiave del mignolo garantisce un buon suono per la nota più bassa, il Do2. L’illustrazione alla pagina precedente mostra anche un cornetto basso dalla forma singolare. Un altro esemplare tenore di fattura italiana, del XVI secolo e dal padiglione zoomorfico, è illustrato a destra (Musée de la Musique, Parigi). Cornetto muto È in legno e a forma diritta, senza rivestimento in cuoio, con un bocchino conico scavato nella parte terminale più sottile dello strumento. Il suono è meno brillante rispetto al tipo curvo ma più dolce e morbido, un poco simile al corno. È stato usato soprattutto per la musica da camera. A sinistra: cornetto muto in acero fiammato di costruzione italiana, XVI secolo (Kunsthistorisches Museum, Vienna). A destra: Gerrit van Honthorst, Anziano cantante con cornetto, 1623, particolare (Staatliche Museum, Schwerin).

Serpentone Sin dalla fine del secolo XVI il serpentone, senza chiavi, è stato utilizzato nelle chiese francesi e nella cappella reale come sostegno al canto piano. Fonti del secolo XIX affermano che alcuni suonatori improvvisavano un basso al canto o inserti cadenzali. In Italia lo si suonava a S. Petronio assieme ai tromboni nel 1700; in Inghilterra, una parte per serpentone è stata prevista da Haendel in Fireworks Music. É costituito da un tubo di legno conico dalla forma ondulata, coperto di cuoio nero, con sei fori per le dita e una ritorta in ottone con bocchino emisferico dai bordi sottili (di corno o avorio). Il legno preferito è il noce, e lo strumento è costruito in due metà longitudinali come il cornetto e talvolta in sezioni sovrapposte, incollate e legate con canovaccio sotto al rivestimento di cuoio. Si estende dal Do1 (note più basse sono raggiungibili mediante l’impostazione) per due ottave e mezzo verso l’acuto. É uno strumento assai difficile da intonare A sinistra: Le serpent du village, cartolina dipinta (Musée National des Arts et Traditions Populaires, Parigi). A destra: serpentone secondo Athanasius Kircher, Musurgia universalis, Roma 1650. Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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correttamente, perché i fori di diteggiatura sono posizionati in modo comodo per le dita ma lontani dalla posizione acusticamente corretta; è anche difficile ottenere una qualità timbrica omogenea. La sonorità è una via di mezzo tra quella della tuba e quella del fagotto. Verso la fine del XVIII secolo il serpentone entra nelle bande militari, per rinforzare le parti basse del fagotto, perciò questo strumento si trova assai frequentemente nelle collezioni inglesi. La struttura si restringe aumentando le curvature. I fori sono rivestiti di avorio e lo strumento non viene più tenuto con le due mani e suonato a palmo in giù, come quello antico, ma con la mano destra sotto a palmo in su, che è un modo più sicuro di reggerlo. In tal modo il dito indice della mano destra copre l’ultimo foro (contrariamente alla comune pratica dei fiati). Vengono aggiunte delle chiavi; la più importante è quella dell’indice della mano sinistra, che produce il Si bequadro, perché la nota a foro aperto è Sib. Solitamente vi sono altre tre chiavi, una per il Fa# al dito IV e due chiavi per il pollice destro che servono a intonare meglio diverse note dell’estensione. La diteggiatura era piuttosto empirica. Fino al 1850 sono stati costruiti serpentoni con 13 chiavi. Johann Zoffany, La famiglia Sharp, 1779-81 (National Portrait Gallery, London); particolare.

Serpentone diritto o serpentone-fagotto o fagotto russo: Dal 1790 al 1830 si costruiscono strumenti a forma di fagotto con la campana tipicamente rappresentante una testa di drago. I sei fori di diteggiatura forniscono una scala alla quinta inferiore rispetto al fagotto, scendendo al Do1; rispetto a esso il timbro è più profondo e pieno, perciò gli si attribuiva l’effetto di un contrabbasso. Esistono molte varietà che differiscono notevolmente l’una dall’altra. Questo strumento sarà sostituito dall’oficleide circa a partire dal 1820.

Fagotto russo di Jean-Baptiste Tabard, Lione, inizio del XIX secolo (Musée de la Musique, Parigi).

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Tromba naturale Uno strumento di ottone semplice o “naturale” dispone di una serie limitata di suoni o armonici, ed è privo delle note intermedie. Quanto più lungo è il tubo, tanto maggiore è il numero delle note che possono essere prodotte variando la tensione delle labbra. Storicamente, il cornetto e il trombone sono i primi che risolvono il problema delle note intermedie mancanti; il cornetto adottando fori di diteggiatura; il trombone mediante la coulisse (che allunga, anziché accorciare, il tubo ovvero la colonna d’aria vibrante). Si osservi che la coulisse può essere applicata esclusivamente a uno strumento a cameratura cilindrica, dunque anche alla tromba. All’inizio del XV secolo il tubo della tromba viene ripiegato a formare una S lunga e appiattita (come nell’illustrazione a fianco). Queste trombe spesso sono munite di un segmento iniziale telescopico e sono dette trombe a tiro o trombette à coulisse, oppure tromba bastarda. Con la mano sinistra, il suonatore preme il bocchino contro le labbra, con la mano destra fa scorrere l’intero corpo dello strumento lungo il segmento iniziale di tubo, per una lunghezza di circa 40 cm, riuscendo a eseguire parti lente di tenor o contratenor. In seguito la tromba a tiro si ripiega ulteriormente lungo il suo asse e assume la forma indicata dallo schema a destra. Le trombe a tiro appaiono a più riprese ma non si sviluppano, per ragioni sia storico-sociali sia musicali. Da un lato, il cornetto era più soddisfacente all’epoca come strumento melodico, dall’altro, i trombettisti, organizzati in corporazioni molto potenti, sviluppano uno stile strumentale lontano dal modello vocale e che sfrutta a fondo le caratteristiche naturali della tromba. La “tecnica del clarino”, assai famosa soprattutto in Germania, riesce a ottenere fino al 16°-18° armonico, rendendo possibile l’esecuzione di fanfare3 diatoniche e melodie appositamente scritte per tromba (due o più parti armonizzate per tromba, più un timpanista con basso di tonica e dominante). Sopra a destra: incisione dell’Historia Alexandri Magni di Johann Hartlieb, 1450 ca. (BSB, München). A destra: incisione anonima in Florio und Bianceffora, fine del XV secolo; si osservino i piffari, i timpani e la tromba. A sinistra: suonatrice di tromba a coulisse, detta anche tromba bastarda. Incisione tedesca del XVI secolo. 3

Il termine fanfara indica sia un complesso formato solamente di strumenti di ottone, sia un breve motivo musicale con funzione di segnale, sia un brano suonato dagli ottoni, stilisticamente affine alle musiche da caccia o militari. Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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Mentre le sentinelle municipali usavano i corni per suonare l’allarme in caso di incendio o d’attacco alla città e il corno da caccia per trasmettere segnali a una certa distanza, la tromba godeva di uno status sociale più elevato e veniva usata sia durante le cerimonie di Stato e in presenza di personaggi di alto rango, sia per scopi bellici. L’addestramento dei trombettieri era rigorosamente regolato dalle leggi delle corporazioni. La tromba era associata alla Fama, la divinità divulgatrice di buone e cattive novelle. Durante il 1500 la tromba assume la sua forma tipica: due metri di tubo ripiegato su se stesso in una voluta allungata, intonata in Do secondo l’antico diapason crescente che equivale al Re del XVIII secolo. Lo strumento poteva essere abbassato di uno o più toni mediante i ritorti, che sono pezzi supplementari di tubo, avvolti su se stessi e di diversa lunghezza, innestati in corni e trombe fra il bocchino e il corpo dello strumento per modificare la lunghezza del tubo sonoro (ritorti per trombe e tromboni si possono osservare nella tavola VIII di Praetorius, cfr. p. 38). La tromba barocca tipica di Norimberga è decorata con guarnizioni all’altezza delle giunzioni del tubo o ghiere, con il nodo sul segmento recante il padiglione e con la fascia attorno all’orlo o estremità del padiglione. Il diametro interno è di 10 mm, inferiore ai 11,5 mm dello strumento moderno, costante fino a 30 cm circa dal padiglione, il quale ha un diametro di circa 10 cm contro gli attuali 11-13 cm. Il bocchino ha il bacino emisferico e solitamente gola abbastanza piccola tagliata a spigolo vivo per costituire un comodo suggello a tenuta d’aria per le labbra. Dalla semplicità del padiglione primitivo si passa durante il XVI secolo a un padiglione svasato che si espande con curva esponenziale, il tipo di curva essendo caratteristica del singolo costruttore. Sopra: tromba di Anton Schnitzer, Norimberga, 1599 (Musée de la Musique, Parigi). Sotto: tromba di forma peculiare, Anton Schnitzer, Norimberga, 1598 (Kunsthistorisches Museum, Vienna).

L’intonazione “naturale” conferisce alla musica per tromba un carattere particolare. Per esempio, l’undicesimo armonico si trova a metà strada tra il Fa e il Fa# e la rettifica viene fatta con le labbra. Nel registro di clarino, la tromba naturale ha un suono molto diverso dal suono degli strumenti attuali, che vibrano e sono difficili da controllare, forse perché offrono minore resistenza. Invece la tromba antica ha un suono pieno e dolce; tuttavia non emergere chiaramente in gruppi strumentali o vocali numerosi: se suonata troppo forte, prende un timbro rauco nel registro grave e stridente in quello acuto. Il suo timbro proprio invece è chiaro, simile al Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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flauto, ed essa si amalgama perfettamente con un piccolo insieme vocale o strumentale senza sopraffare una voce solista di media robustezza. Suona facilmente piano negli acuti senza perdere sicurezza e pienezza, cosa piuttosto ardua sugli strumenti moderni. Due tra i primi trattati sulla tromba, che riferiscono sia degli usi cerimoniali sia di quelli militari e musicali, sono di autori italiani: Cesare Bendinelli (Tutta l’arte della tromba, 1614) e Girolamo Fantini (Modo per imparare a sonare di tromba, 1638), dal quale è tratta la marcia riportata a fianco. Sotto si hanno due esempi di tecnica del clarino tratti dalle sonate di Pavel Josef Vejvanovsky (1666).

Considerata l’importanza della scuola dei trombettieri di San Petronio a Bologna nello sviluppo della letteratura per tromba, è strano che non siano sopravvissuti strumenti. È stato un fatto di eccezionale importanza dunque la scoperta della tromba di Lissandro Milanese, costruita a Genova nel 1589, recuperata dai resti di un naufragio nello Zuidersee, finora unica testimonianza della specifica arte italiana. Corista e taglie delle trombe Nel ‘500 le trombe venivano intonate su un diapason piuttosto alto. Praetorius riporta l’illustrazione di una tromba in Re il cui canneggio risulta essere 7 piedi di Brunswick, quindi press’a poco 2 m, corrispondente all’attuale Mib (che ancor oggi è il corista della maggior parte delle trombe di cavalleria). Bendinelli, pur scrivendo per tromba in Do secondo la consuetudine, ha suonato spesso su trombe fabbricate da Schnitzer; quella del 1581 ha un tubo lungo 166 cm, corrispondente circa al Fa1 odierno. Lo stesso Praetorius avverte tuttavia che in alcune corti tedesche le trombe erano state allungate o munite di ritorte per poterle suonare in Do insieme agli altri strumenti e alle voci. La tromba così allungata doveva avere un canneggio di circa 225 cm, corrispondenti ai «circa 7 piedi» di Mersenne (pressappoco 227 cm secondo il piede un poco più lungo adottato in Francia). Testimonianze inglesi confermano l’adozione di ritorte per adattare le trombe al corista da concerto, di circa ¾ di tono più basso di quello odierno. Nel tardo Seicento questo diapason grave si stabilizza in Germania come conseguenza dell’introduzione dei nuovi legni di origine francese ed è adottato col nome di Cammerton (“corista da camera” o “francese” o “da concerto”). Così l’antica tromba in Do diventa in Re e, con una ritorta, poteva essere nuovamente abbassata al Do del Cammerton. Nella prima metà del XVIII secolo questo diapason si innalza un poco per raggiungere la distanza di un

Tromba barocca (Marin Mersenne, Harmonie Universelle, 1636

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tono intero rispetto all’ancor prevalente Chorton (“corista di cappella”) degli organi tedeschi. Un’altezza verosimile per tale corista dal camera “alto” sembra essere La3 = 422 Hz e corrisponde a quella dei diapason a rebbi impiegati da Händel e Mozart (il diapason corrispondente da cappella risulta La = 474 Hz, oltre un semitono al disopra del diapason moderno). Le trombe in Re destinate alla musica barocca e suonate dai trombettisti di corte non erano tuttavia le uniche in circolazione. Strumenti diversi erano richiesti per la cavalleria, in Germania preferibilmente di taglia più alta (Re# o Mib). Dopo la guerra dei Sette anni (1754-1763) i complessi militari adottano uno strumento ancora più acuto (Mi o Fa). Sopra si può osservare una tabella di confronto tra lunghezza del canneggio e intonazione delle trombe barocche tedesche. A sinistra si ha la lunghezza della tromba raffrontata con le taglie moderne (tromba in Re = 212 cm). I triangoli a destra rappresentano un tentativo di classificazione delle taglie tedesche che tiene conto delle oscillazioni del corista (quelli del corista da cappella sono un po’ più appuntiti in modo da comprendere anche l’intonazione piuttosto approssimativa del cosiddetto “corista da cornetto”). Nella colonna intermedia ogni tratto orizzontale rappresenta una tromba tedesca dell’epoca, per lo più fabbricata a Norimberga. Nella zona più bassa si trovano pochi strumenti da camera tagliati in Do di J.W. Haas e della famiglia Ehe. Timpani da cavalleria, VII secolo; trombe di Johann Wilhelm Haas, Norimberga, 1671 (Musée de la Musique, Parigi)

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La zona compresa tra 230 e 220 cm riguarda gli strumenti in Re da camera, alto e basso, mentre l’alta densità attorno al Mib si può forse spiegare con la destinazione militare di numerosi strumenti. Man mano che si sale gli esemplari si fanno più rari. Anche il loro impiego musicale è meno diffuso, con l’illustre eccezione del Secondo concerto Brandenburghese di Bach (1721), che impiega una tromba in Fa. In Inghilterra, verso la fine dell’epoca barocca, si diffonde la tromba in Fa con ritorte, propria delle bande di fanteria. Le ritorte arrivano di norma al Do basso. Attorno agli ultimi decenni del ‘700, in Francia e in Germania si hanno trombe in tutte le tonalità o provviste di ritorte fino al Sib basso. Trombe da caccia e da postiglione Durante il secolo XVIII vengono costruiti modelli di tromba con diversi avvolgimenti del tubo, come ad esempio la “tromba elicoidale”. Altri modelli a spire avvolte e nell’aspetto simili ai corni (ma con canneggio cilindrico), sono alcuni esemplari da caccia. A sinistra: tromba elicoidale rappresentata in mano a Gottfried Reiche, incisione di G. Hausmann, ca 1727. A destra: tromba da caccia di Johann Leonard Ehe, Norimberga, inizio del XVIII secolo (Musée de la Musique, Parigi).

Nuove tipologie di trombe alla fine del XVIII secolo Alla fine del secolo XVIII si ha il declino del clarino, dovuto a ragioni storicosociali: la scomparsa delle numerose corti, la chiusura delle corporazioni che per secoli avevano tramandato una tradizione esecutiva di altissimo livello e ostacolato la divulgazione dello strumento tra le classi popolari. La tecnica sopravvive in ambiente militare, ma sicuramente non allo stesso livello dei secoli precedenti. La dilatazione dell’organico orchestrale richiede un suono potente che non riesce bene allo strumento naturale; ai tempi di Beethoven la tromba viene impiegata soprattutto a fini coloristici particolari o a fini espressivi particolari. La scomparsa delle corporazioni favorisce la libera sperimentazione intorno allo strumento; prima dell’invenzione dei pistoni si ricorre alla tromba a mano, alla tromba a chiavi, e a una nuova tipologia di tromba a coulisse. Tromba a chiavi: è la tromba prevista da Haydn nel concerto del 1795, simile a quelle della cavalleria ma dotata di quattro a sei chiavi di ottone, posizionate sullo strumento con montanti o leve che consentono di azionarle con una mano. Sono essenziali quattro chiavi, che vengono aperte una dopo l’altra per riempire cromaticamente l’intervallo tra il 3° e 4° armonico: ragionando sullo strumento tagliato in Do, si ottiene, aprendo in successione le chiavi, a partire dal Sol2, il Sol#, il La, il Sib e il Si naturale al quale segue l’armonico Do3. Con sei chiavi è possibile riempire cromaticamente anche l’intervallo tra il 2° e 3° armonico. La tromba a chiavi è stata usata nelle bande fino al 1820. Tromba a chiavi, metà del XIX secolo (Kunsthistorisches Museum, Vienna). Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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Le critiche rivolte alla tromba a chiavi hanno riguardato la qualità del suono e, soprattutto, il fatto che l’inserimento di ritorte rendeva imprecisa l’intonazione. Altre chiavi furono introdotte e si ricorse anche a diteggiature empiriche; tuttavia, nel corso dei primi decenni dell’Ottocento, questo strumento viene abbandonato a favore delle tipologie concorrenziali, soprattutto della tromba a pistoni (in Italia la costruzione delle trombe a chiavi è documentata fino al 1840 circa). Tromba a mano: alla metà del secolo XVIII si sperimenta una “tecnica della mano”, cioè un metodo per ottenere i suoni compresi negli intervalli tra alcuni armonici, che consiste nell’inserire nel padiglione alcune dita di una mano, strette assieme. Tale tecnica distingue tre gradi: chiusura a metà, di tre quarti e intera. Di fatto si possono ottenere molte note. La conseguenza principale sullo strumento riguarda l’orientamento del padiglione, che viene rivolto verso il basso per potervi comodamente introdurre la mano. Tromba a mano, Sautermeister & Müller, 1820 ca., Lione.

Tromba a coulisse: la coulisse è costituita dal gomito posteriore che si estrae all’indietro accanto all’orecchio sinistro dell’esecutore; per consentire ciò il bocchino deflette lateralmente. Nella slide trumpet inglese (modello ottocentesco a coulisse) una molla riconduce la coulisse alla posizione di riposo. In Inghilterra è utilizzata fino a circa il 1890. Alcuni esperti affermano che la tromba a coulisse salvaguarda le migliori qualità della tromba naturale e che può essere considerata l’ultimo esponente degli strumenti antichi. Tromba a coulisse e sue ritorte, Antoine Courtois, Parigi, 1846 (Musée de la Musique, Parigi). Sotto a sinistra: il trombone secondo l’incisione di Sebastian Virdung, 1511. Sotto a destra: Tromboni dal Trionfo di Massimiliano I, 1512.

Trombone Il trombone compare poco dopo e possiede un tratto di tubo ripiegato a U scorrevole: ne consegue che richiede metà del “tiro” rispetto alla tromba a tiro. È documentato con sicurezza dalla metà del

‘400. Il gomito ad U posteriore poggia sulla spalla dell’esecutore per controbilanciare il peso della coulisse. La mano che tiene il bocchino, mediante il supporto trasversale, contribuisce alla stabilità della campana. Le altre traverse sono in pratica accessorie posto che, almeno inizialmente, la coulisse veniva mossa impugnando solo uno dei suoi rami.

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I tromboni antichi, come quelli odierni, sono formati da due pezzi: coulisse e padiglione. La cameratura leggermente più ampia della coulisse attua una compensazione automatica tra diametro e lunghezza totale grazie alla quale la sonorità risulta più uniforme di quella degli strumenti moderni a macchina che usano le combinazioni di valvole. Quasi tutti i tromboni antichi sopravvissuti provengono da Norimberga e sono di diverse taglie. Le campane dei tromboni contralto corrispondono a quelle delle trombe coeve, mentre quelle dei tenori hanno diametri più grandi di circa 3/4, e nei bassi ancora maggiori di 3/4 rispetto ai tenori (esempi delle diverse taglie si possono osservare nella tavola di Praetorius Georg Eberlein, Pfeifferstuhl, Norimberga, 1500 ca. nella pagina seguente). I bocchini hanno larghe tazze con orifizio a spigolo e orli molto piatti. È molto frequente l’uso di ritorte da inserire tra coulisse e braccio della campana; due di queste ritorte unite in serie hanno la lunghezza di 1/8 di tubo e abbassano il diapason di 1 tono. Trombone di Georg Ehe, Norimberga, 1619 (Musée de la Musique, Parigi).

Il trombone attuale differisce poco da quello antico. Possiede un’estensione piena a partire dal Mi1, raggiunto per semitoni discendenti a partire dal secondo parziale Sib1. I fondamentali o pedali, raramente usati sotto il Sol0, partono dalla nota sulla quale è tagliato lo strumento, il Sib0, raggiungibile con un salto intermedio per cui non si dispone delle note tra Mi1 e Sib0. Nell’acuto è frequentemente richiesto il Sib2, raramente il Do3 e solo in passi solistici si può raggiungere il Fa3. Armonico 1a 2a 3a 4a 5a 6a 7a Ogni semitono (verso il basso) 6 Fa3 Mi3 Mib3 Re3 Reb3 Do3 Si2 richiede un allungamento 5 Re3 Do#3 Do3 Si2 Sib2 La2 Sol#2 maggiore, così, se occorre uno 4 Sib2 La2 Lab2 Sol2 Solb2 Fa2 Mi2 spostamento di circa 8,4 cm tra le 3 Fa2 Mi2 Mib2 Re2 Reb2 Do2 Si1 posizioni 1a e 2a, tra la 6a e la 7a 2 Sib1 La1 Lab1 Sol1 Solb1 Fa1 Mi1 esso raggiunge gli 11,3 cm. 1 Sib0 La0 Lab0 Sol0 Solb0 (Fa0 Mi0) L’intonazione richiede perciò grande perizia. Le posizioni alternative vengono usate per evitare i cambiamenti di posizione scomodi, specialmente nel legato. Un effetto congeniale allo strumento è il glissando. Schema del funzionamento della coulisse Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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Trombone di forma decorativa detto buccin dal costruttore, JeanBaptiste Tabard, Lione, 1820 ca. (Museo Civico Medievale di Bologna).

Gli strumenti a bocchino secondo Michael Praetorius (1619) 1.2. Trombone basso alla quarta [in La1]. 3. Trombone comune [in Mi2, attuale tenore]. 4. Trombone contralto [in Si2]. 5. Cornetto tenore. 6. Cornetto. 7. Cornetto piccolo / alla quinta superiore. 8. Cornetto diritto con bocchino. 9. Cornetto muto. 10. Tromba. 11. Tromba da caccia. 12. Tromba di legno. 13. Ritorta di un tono. Un’altra tavola riporta il trombone basso all’ottava (Mi1).

Sordina

Sopra è illustrata una sordina della prima metà del XVII secolo (Mersenne, 1636). La sua parte superiore si introduce Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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nel padiglione della tromba e ha l’effetto di modificare lo spettro sonoro, riducendo l’intensità dei parziali inferiori, talvolta accentuando le frequenze alte. Le sordine antiche sono generalmente di legno. L’antica sordina alzava il diapason di un tono: quando le trombe partecipavano in gruppi orchestrali, gli esecutori dovevano compensare la differenza di altezza mediante una ritorta (viceversa, Monteverdi, nella toccata di apertura dell’Orfeo, impone agli altri strumenti di suonare un tono sopra quando le trombe suonano in sordina). Impostazione Prima del secolo XVII ci si può basare solo su testimonianze iconografiche. Dall’antica Roma all’inizio del secolo XVI i suonatori presentano le gote rigonfie; le labbra sono fortemente premute al bocchino, di conseguenza si genera un suono assordante di grande portata, adatto a scopi militareschi e bellici. Tuttavia, poiché esiste una tecnica jazz attuale di emissione a gote rigonfie e forte stiramento delle labbra, è possibile che una tecnica simile possa essere stata impiegata anche a scopi musicali. Si veda in proposito l’illustrazione a destra, l’incisione in rame I musici della città di Heinrich Aldegrever (1538), che raffigura due suonatori di tromba bastarda e, in primo piano, un suonatore di trombone, tutti a gote gonfie. Dall’inizio del secolo XVII disponiamo di fonti scritte. Bendinelli descrive una tecnica basata sull’uso dei buccinator (muscoli del trombettiere) o muscoli laterali che tirano indietro gli angoli della bocca e impediscono alle gote di gonfiarsi. Il rigonfiamento delle gote viene oggi considerato un errore grave sia per motivi estetici, sia per la qualità del risultato sonoro, sia perché stanca rapidamente l’esecutore. Durante il XVIII secolo si sviluppa la tecnica classica: «chiudi saldamente i denti e le labbra, lasciando solo una piccola apertura» (Johann E. Altenburg, Versuch einer Anleitung zur heroisch-musikalischen Trompeter- und Pauker-Kunst, Halle 1795, facs. Leipzig 1972); «stendi le labbra fermamente sui denti, allargando la bocca e lasciando tra gli stessi uno spazio che consenta il colpo di lingua» (Tully, Tutor for the French Horn, 1840 ca). All’inizio del secolo XIX, fonti tedesche e la serie di Méthodes pubblicati dal Conservatorio di Parigi segnalano una tecnica detta oggi simple pression, che comporta la pressione del bocchino sulle labbra che si stringono e si rilassano rispettivamente per le note acute e gravi. All’interno della bocca, i movimenti della lingua hanno lo scopo di articolare i suoni: si veda a p. 33 l’esempio di Fantini, che annota le sillabe da pronunciare. Il termine «falsetto», impiegato da Praetorius, è una sorta di intonazione forzata che produce suoni artificiali non contemplati nella serie armonica. Mediante il “gioco delle labbra” nel registro grave è possibile abbassare l’armonico 2° di una quarta o più. Più difficile è correggere l’intonazione nel registro acuto. L’indagine acustica del fenomeno è ancora incompleta.

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Corni da caccia e da postiglione Segnali di caccia costituiti da suoni lunghi o brevi ad altezza fissa, eseguiti con conchiglie o piccoli corni, sono comuni in ogni parte del mondo. In Europa esiste una vasta letteratura che inizia nel secolo XIV con il Livre du Roy Modus et de la Reine Ratio di H. de Ferrières, signore di Gisors, che praticava la caccia al cervo nella foresta di Breteuil, tra Rouen e Parigi. Il cacciatore, incisione tedesca anonima, XVI secolo.

George Turberville nel 1575 (The Noble Art of Venerie) trascrive con semiminime e crome i segnali del corno da caccia (volpe e cervo), mentre nel 1394 (Trésor de venerie) Hardouin, signore di Fontaines-Guerin, aveva usato allo stesso scopo quadrati bianchi e neri. Non sono indicate variazioni di altezza, ma il suono del corno da caccia può essere reso più espressivo grazie a particolari tecniche di emissione, con una specie di tremolo oppure attaccando la nota sotto la sua altezza naturale per poi portarlo con un energico portamento di quarta o quinta ascendente all’altezza giusta. Questa tecnica si riscontra anche nello shofar, mentre le “pronunce sillabiche” come ton tavern annotate in versioni inglesi del XVII e XVIII secolo sono indicazioni per un effetto analogo. A sinistra: corni da caccia, da Hans Friedrich von Fleming, Der vollkommene Teutsche Jäger, 1719.

I corni a voluta compaiono per la prima volta in un’illustrazione francese della metà del Quattrocento. Successivamente sono molto diffusi (ne parla anche Mersenne, dalla cui Harmonie Universelle, 1636, è tratta l’illustrazione in basso), ma non sopravvivono esemplari. Questi corni spiroidali si evolvono fino produrre nel tardo ‘500 il 5° armonico, la terza maggiore, con notevole aumento delle capacità melodiche. Le interazioni tra il corno da caccia e la

musica d’arte sono numerosissime. Valgano come esempio le cacce italiane trecentesche con motivi per quarte. Questi suoni corrispondono agli armonici 3° e 4° di uno strumento di circa 75 cm, la lunghezza della moderna cornetta da postiglione. La prima fanfara notata appare solo nel 1639, nella prima opera di Cavalli Le nozze di Teti e Peleo, scritta in Do maggiore (esempio a). L’andamento è di tipo militare: Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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sembra infatti che i trombettieri di corte e i cacciatori di corte siano stati in stretto contatto. Alcuni esempi successivi di uso di fanfare in melodrammi seicenteschi si hanno in Dido and Aeneas di Henry Purcell, 1689, e in diverse opere di Lully, tra cui l’Isis, 1677 (esempio b).

Essendo il corno troppo lungo e ingombrante per l’azione della caccia, viene introdotta una voluta nel canneggio che ne riduce le dimensioni (esemplare a destra del 1720, Horniman Museum, Londra). In Inghilterra dal 1670 è adottato un corno da caccia diritto, con il bocchino fisso, in rame o ottone, che emette segnali acuti ed è piuttosto corto (ca 25 cm), come l’attuale corno di rame in uso per la caccia alla volpe (c). Il corno da postiglione inglese è simile ma di taglia superiore (a). Il corno da caccia tedesco è invece circolare, come il relativo corno da postiglione (b).

A sinistra: Willem van Aelst, Natura morta con selvaggina e armi, 1660 (Staatliche Museen, Berlino), particolare. Sotto: Gustave Courbet, The Quarry, 1857 (Museum of Fine Arts, Boston), particolare.

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Evoluzione del corno a mano Il corno a cerchio compare intorno al 1670. Inizialmente il canneggio effettua un solo giro, che termina con il padiglione rivolto all’indietro, che viene tenuto rivolto verso il basso. Uno dei più antichi esemplari sopravvissuti è stato costruito a Norimberga nel 1667, ha una voluta del diametro di 33 cm, una campana di 10 cm (come la tromba), una lunghezza del tubo di 176 cm e una cameratura che si restringe fino a 9 mm. La presenza di anelli per la tracolla dimostra che il padiglione era rivolto verso il basso. Il corno è tagliato in Fa, suona all’ottava superiore rispetto al moderno corno in Fa, ed è in grado di salire agevolmente fino all’armonico 12°. In questo periodo iniziale vengono sperimentate molte varianti sia nella lunghezza del canneggio sia nel numero dei giri. Al contempo, i musicisti della corte francese, all’epoca del trasferimento della corte a Versailles, creano il peculiare idioma dello strumento. Esso è caratterizzato da frasi ben ritmate che salgono dal Sol (armonico 6°) a Do, Re, Mi e assomigliano assai a melodie popolari coeve. Questi spunti melodici si innestano sui consueti arpeggi a note ribattute, le lunghe reiterazioni di singoli suoni e il vibrato ottenuto con il mento, più l’introduzione del tayauté, un caratteristico tipo di mordente (si vedano nell’esempio successivo notazione e realizzazione del tayauté).

Corno di Johann Leonard Ehe, Norimberga, inizio del XVIII secolo (Musée Instrumental, Bruxelles). Lunghezza 290 cm; diametro della voluta 97 cm.

Negli ultimi anni del secolo XVII molti paesi si indirizzano alla fabbricazione del corno in Fa da 12 piedi, che può essere derivato dalla semplice idea di aggiungere al corno in Do un secondo giro di canneggio. La maggior parte di questi strumenti presentano una canna d’imboccatura rastremata, mentre la conicità del canneggio rimanente è ottenuta saldando parti cilindriche di sezione progressivamente crescente. Presso il Musée de la Musique a Parigi è conservato un esemplare enorme, tagliato in Do di 16 piedi, con un solo giro di 91 cm di diametro. L’evoluzione del corno in Germania è parallela. I primi modelli di corno in Fa sono perfettamente rappresentati dagli strumenti costruiti a Vienna dai fratelli Leichamschneider. Durante la prima metà del ‘700 resta in ogni modo in uso anche il corno in Do. Le ritorte sembrano essere state introdotte per la prima volta da Michael Leichamschneider nel 1703. Non si sa quale forma avessero questi primi storti, sicuramente più problematici Corno naturale di D. Jahn, Parigi, 1830 ca (Museo Civico Medievale, Bologna); dettaglio del padiglione. Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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rispetto a quelli per tromba a causa del canneggio conico. La più antica serie di ritorte pervenuta sino a noi è della metà del XVIII secolo. Le ritorte sono pezzi di tubo solitamente avvolti inseriti tra bocchino e strumento o talvolta nel tubo principale, che servono ad abbassare il diapason. Hanno avuto grande importanza e diffusione prima dell’invenzione dei pistoni. Un suonatore Corno naturale e sue ritorte, D. Jahn, Parigi, 1830 ca (Museo Civico Medievale, Bologna) di corno aveva spesso dieci ritorte sempre pronte, dal Sib1 al Do1. L’introduzione delle valvole porta a una graduale scomparsa degli storti, e contemporaneamente all’adozione stabile della scrittura per strumenti traspositori, dove la fondamentale, qualsiasi sia, viene scritta come Do. Il corno a mano riceve il suo nome da una tecnica esecutiva attraverso la quale si possono ottenere note diverse da quelle della serie degli armonici naturali. Tre diverse posizioni della mano consentono: l’abbassamento di un semitono con la chiusura parziale della campana, l’innalzamento di un semitono con la chiusura abbastanza spinta quasi da sordina, e l’intonazione dell’armonico 7° di per sé calante con un’apertura spinta. Con questi accorgimenti è possibile eseguire una scala cromatica nella zona principale dell’estensione. I bravi esecutori riuscivano inoltre a evitare eccessive differenze timbriche – le differenze timbriche minori di fatto aggiungono fascino al suono di questo strumento. Anche dopo l’introduzione delle valvole, molti autori, come Brahms, scrivono e pensano le parti più per il corno a mano che per quello a valvole. Suonatore di corno a mano, litografia di C. Tellier, 1835 ca.

Il corno “francese”, all’inizio del secolo XVIII, aveva effettivamente una sezione conica lungo tutto il canneggio, ma dopo la metà dello stesso secolo, l’uso degli storti e, successivamente, delle valvole porta a introdurre, dopo un breve canneggio conico iniziale, un tratto cilindrico. Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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Corno segnale Risale alla Guerra dei Sette Anni (1756-1763) quando compagnie di cacciatori di Hannover usano a scopo militare uno strumento a mezzaluna con una tracolla di cuoio, che è stato il primo a essere chiamato Flügelhorn (Halbmond nell’esercito). Gli inglesi lo adottarono nella fanteria leggera, tagliato normalmente in Re1, una terza sopra l’attuale corno segnale. Intorno al 1700 prende la forma a spirale mantenuta anche nel corno segnale a chiavi. Alcuni dei segnali risalgono all’epoca del corno a mezzaluna. Il corno segnale è fatto di rame, ottone o ottone ricoperto d’argento. A destra: corno segnale a chiavi, Courtois frères, Parigi, 1818ca. (Musée de la Musique, Parigi). A sinistra : illustrazione del corno segnale a chiavi per il brevetto di Halliday del 1810.

Il corno segnale a chiavi è costruito nella forma dell’antico corno segnale, ha sei o più chiavi di ottone rivestite di pelle per coprire i fori, con perni saldati al tubo. É stato brevettato nel 1810 da Joseph Halliday e molto usato fino al 1850 nelle bande inglesi e americane – anche fino a un certo punto in Francia e Germania, dove era costruito in ottone anziché in rame. La chiave più vicina alla campana è aperta, lo strumento parte dal Do3 centrale (a meno che non si tratti dello strumento tagliato in Sib, spesso ottenuto dallo strumento in Do con un ritorto). Chiudendo la chiave aperta si ottiene il Si2 bequadro. Mediante l’uso appropriato di questa e le altre chiavi si ottiene tutta la scala cromatica. La tecnica era estremamente virtuosistica (a livello di quella della cornetta), e il suono ha un carattere particolarmente espressivo. Alcuni corni segnale a chiavi hanno ulteriori chiavi nel ramo basso del tubo che servono a fare trilli, per esempio per produrre un Fa3 per il trillo sul Mib3, altrimenti difficilmente realizzabile.

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ORGANO Breve storia dell’organo dal XV al XVIII secolo.4 Il somiere a vento, di più complessa costruzione, è impiegato dai maestri fiamminghi fino alla metà del XVII secolo e da varie scuole italiane fino alle soglie del XX secolo; altrove si pratica esclusivamente il tipo a tiro. Se con l’introduzione dei registri gli organari italiani separano in registri singoli tutte le file di canne, i transalpini preferiscono conservare in conglomerati inscindibili gruppi di file che producono i parziali di ottava e di quinta (misture). Gli italiani, inoltre, limitano a un unico registro il ruolo di registro di base (il Principale che produce il suono fondamentale), accordando gli altri registri (sia quelli della famiglia del Principale, costituenti nel loro insieme il Ripieno, sia quelli della famiglia dei Flauti) secondo le componenti armoniche di ottava e di quinta, in modo da ottenere, dalla loro diversa combinazione sulla base del Principale, svariati timbri sintetici. Oltralpe invece, sino dal XVI secolo, si affiancano al Principale registri di altre famiglie accordati secondo il suono fondamentale. Salvo rare eccezioni sino al XVIII secolo i costruttori italiani restano fedeli al tipo di organo in un sol corpo, comandato da un unico manuale e da una pedaliera di limitata estensione, spesso semplicemente accoppiata alla parte grave del manuale. Altrove, invece, già dal XV secolo l’organo di considerevoli dimensioni si articola in due o più corpi, a ognuno dei quali corrisponde, ma non sempre, una diversa tastiera. Una tappa fondamentale nello sviluppo dell’organo nordico è l’aggiunta al corpo principale (Grand-orgue, Hauptwerk) del “positivo tergale”, la cui origine risale all’abitudine di collocare vicino all’organo principale un piccolo positivo che successivamente è incorporato stabilmente alla balaustra della tribuna, dietro le spalle dell’organista e collegato alla consolle dell’organo principale. Il positivo tergale diviene parte integrante di ogni grande organo nei paesi germanici, in Francia e in Spagna. Quale terzo, piccolo gruppo d’organo in Germania e nei Paesi Bassi si sviluppa il Brustwerk, collocato in una specie di armadietto dotato di portelle, incorporato tra lo Hauptwerk e le tastiere; ve ne sono esempi anche in Italia nei secoli XVII e XVIII, se pur limitati a un solo registro (di solito un regale) e senza tastiera autonoma. Quale quarto corpo d’organo, grandi strumenti nordici hanno un Oberwerk o Kronwerk, collocato sopra lo Grande organo illustrato da Michael Praetorius (1619), senza e con il positivo tergale. 4

Per approfondimenti si rimanda a CORRADO MORETTI, L’organo italiano, Milano, Eco, 1973, 1987/3 ampliata e a LUIGI FERDINANDO TAGLIAVINI, “Organo”, DEUMM, Torino, UTET, 1983-1984. Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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Hauptwerk. Il pedale riceve uno sviluppo particolare specialmente nella Germania settentrionale e viene trattato come corpo sonoro autonomo, con canne raggruppate generalmente in due “torri” laterali (Pedaltürme). I vari corpi erano logicamente coordinati in un imponente complesso architettonico e disposti in ordine gerarchico (per esempio, pedale basato su un Principale di 16’ e racchiuso in cassa di tale altezza, Hauptwerk su Principale di 8’, Rückpositiv su Principale di 4’, Brustwerk su Principale di 2’). L’organaria francese, che conosce la massima fioritura dalla metà del secolo XVII alla metà del XVIII, anziché aggiungere ulteriori corpi completi preferisce arricchire lo strumento di singoli registri solistici comandati da tastiere indipendenti: ai manuali del Grand-orgue e del Positif si aggiungono un terzo manuale, limitato alla tessitura acuta corrispondente a un cornetto (Cornet séparé o Cornet du Récit) e un quarto manuale, anch’esso limitato al dessus e corrispondente a un altro cornetto posto in posizione analoga al Brustwerk germanico, ma completamente nascosto onde produrre un effetto d’eco (Cornet d’Écho); in grandi strumenti del XVIII secolo Récit ed Écho vengono talora sviluppati in veri e propri corpi d’organo dotati di vari registri. In Italia nel XVIII secolo l’organo articolato in due corpi cessa di costituire un’eccezione. Al Primo Organo si affianca un Secondo (Organo di Risposta o Organo Eco) che verso la metà del secolo fissa la sua ubicazione nel basamento della cassa del corpo principale, a sinistra dell’organista, e negli ultimi decenni del secolo viene dotato di “gelosie” atte a modificare l’intensità del suono.

Sopra: organo di Gottfried Silbermann, Cattedrale di Freiberg, 1714. A destra: Denijs Calvaert, Santa Cecilia, 1580 ca (Staatliche Kunstsammlungen, Dresda); una copia di Santa Cecilia e santi di Raffaello (ora alla Pinacoteca di Bologna).

Gli organari italiani sino al XIX secolo Dal XIV secolo sono tramandati nomi di organari italiani quali i Maestri Zucchetto e Jacobello che rinnovarono gli organi di S. Marco a Venezia rispettivamente nel 1316 e nel 1364, Lorenzo «ab Organis» attivo a Padova nel 1361 e a Treviso nel 1363-64, Fra’ Domenico che nel 1379, sotto la direzione di Francesco Landino e Fra’ Andrea dei Servi, costruì l’organo della SS. Annunziata di Firenze, strumento dotato di una pedaliera di 12 tasti (prima attestazione del pedale in Italia). Nel XV secolo di grande importanza è la scuola toscana, con centro a Prato; tra gli organari detti appunto «da Prato» emergono particolarmente Matteo e, nella seconda metà del secolo, Giacomo, autore dell’organo in cornu epistolae della basilica di S. Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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Petronio di Bologna (1470-75) tuttora conservato. Di rilievo è anche l’opera in Italia di un folto gruppo di organari transalpini, tra cui spiccano i vari maestri detti «d’Alemagna», come Niccolò e Bernardo residenti a Venezia rispettivamente all’inizio e alla metà del XV secolo, Giorgio attivo nel Veneto (1436-43), Rodolfo a Mantova (1435), Leonardo nell’Italia centrale (1479-80), a Padova (1493) e in Lombardia (1508-11). Nel secolo XVI, mentre in Italia centrale operavano Onofrio Zeffirini da Cortona, Giovanni di Antonio Piffero da Siena e quindi Luca Blasi da Perugia, l’organaria lombarda ebbe un particolare sviluppo; centro principale fu Brescia, patria di Giovanni Battista Facchetti e della celebre famiglia Antegnati. Capostipite di questa famiglia fu Bartolomeo, la cui attività è testimoniata a cominciare dal 1481; dei suoi 5 figli che si dedicarono all’arte organaria il più celebre fu Gian Giacomo, autore dell’organo del Duomo Vecchio di Brescia (1536) tuttora parzialmente conservato; trasferitosi a Milano, ebbe a continuatore il figlio Benedetto. Da Giovanni Battista, altro figlio di Gian Giacomo, nacque Graziadio, uno dei più geniali artefici italiani dell’epoca, autore dell’organo di S. Giuseppe di Brescia (1581) tuttora conservato; figlio di Graziadio fu Costanzo, organista e compositore oltre che organaro, autore del prezioso trattato L’Arte Organaria (Brescia, 1608). Nello stesso secolo XVI in Emilia, con centri a Bologna e a Ferrara, operarono Baldassarre Malamini e la famiglia Cipri, e a Venezia, dove nel secolo precedente aveva brillato Tommaso Ingegneri, fu attivo Vincenzo Colombi. In quell’epoca si precisa lo schema fonico che continuò a costituire il nucleo dell’organo italiano fino agli ultimi decenni del XIX secolo. Esso è imperniato sul Ripieno suddiviso nelle singole file (dal Principale alla Trigesimasesta), sui flauti in VIII, in XV e sulla Voce Umana o Fiffaro, registro accordato lievemente crescente, sì da produrre , in unione col Principale, una lieve ondulazione di suono (si tratta del più antico dei registri “battenti” di cui abbonda l’organo tardo-romantico). Sopra a sinistra: organo positivo di Nicolaus Manderscheidt, Norimberga, circa 1610 (Musikinstrumenten-Museum der Universität, Lipsia. Sopra a destra: organo positivo attribuito ad Adam Ernst Reichard, Norimberga, 1710 (Musikinstrumentensammlung Händel-Haus-Halle). Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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Per l’evoluzione e l’arricchimento timbrico dell’organo italiano ebbe particolare importanza l’attività di organari stranieri nella penisola; tali il tedesco Caspar Zimmermann, costruttore di un organo a due manuali, con positivo tergale, nella basilica di S. Maria Maggiore di Trento (1532-36) e il fiammingo Vincenzo Fulgenzi, autore di due grandiosi strumenti, ricchi di timbri sconosciuti alla tradizione italiana, a S. Pietro di Gubbio (1578-98) e nel duomo d’Orvieto (1591-1600); sull’esempio di organari transalpini nel 1585 Domenico Benvenuti e Francesco Palmieri costruirono un organo a due manuali, con positivo tergale, a S. Maria in Ara Coeli a Roma. Che tali esempi rimanessero eccezionali, che in Italia non si sentisse l’esigenza di uno strumento variopinto e articolato in parecchi corpi, quale veniva praticato in altri Paesi, va ascritto a un ben preciso ideale sonoro ed esecutivo; infatti, pur con l’avvento dello stile concertato, maturatosi e sviluppatosi proprio su suolo italiano, l’ideale dell’organaro e dell’organista restava saldamente legato all’antica prassi della polifonia severa e le forme coltivate rimanevano, fino alla Organo positivo di Lorenzo Testa, 1703 (Poggio a Caiano, Firenze). seconda metà del XVII secolo, quelle classiche della toccata, del ricercare, della canzone, del versetto liturgico. Nella seconda metà del XVI secolo cominciò a essere introdotta nell’organaria italiana la prassi dei registri “spezzati” in bassi e soprani «per far dialoghi», risorse a cui, tuttavia, l’organista-compositore quasi mai ritenne opportuno attingere, lasciandone l’esclusiva all’improvvisatore. Anche nel XVII secolo ebbe importanza l’attività in Italia di organari stranieri, soprattutto del gesuita fiammingo Guglielmo Hermans e del tedesco Eugenio Casparini. Il primo, nato a Thorn nel 1601, lavorò in Italia, dalla Lombardia alla Sicilia, dal 1648 alla morte (1683); degli strumenti più imponenti da lui costruiti vanno particolarmente ricordati quello a due manuali del duomo di Como (1650) e quello a 3 manuali di S. Maria di Carignano a Genova (1657-60). Casparini (egli stesso così italianizzò l’originario cognome Caspar), nato a Sorau nel 1623, operò in Italia, nel Veneto e in Alto Adige, nel periodo 1656-95. Merita soprattutto menzione il rifacimento da lui operato nel 1686-87 del celebre organo di S. Maria Maggiore in Trento. A un ulteriore restauro di tale strumento provvide nel 1701 Giuseppe Bonatti di Desenzano, che ne trasse ispirazione per introdurre nei suoi strumenti ritrovati tecnici e timbri sino allora ignoti all’organaria tradizionale della Penisola. L’organo costruito da Bonatti nel 1716 nella chiesa di S. Tommaso Cantuariense a Verona e ancor oggi quasi integralmente conservato, rivela nettamente l’influsso dell’organo trentino; grazie a Bonatti la tavolozza sonora dell’organo italiano si arricchì accogliendo stabilmente nuovi timbri, primi tra tutti i Cornetti. Perfetti, classici esempi di fusione degli elementi tradizionali con nuovi apporti timbrici (il Flauto in XVII sotto il nome di Cornetta; un registro di taglia stretta chiamato Violetta, mordente e dalla pronuncia spiccatissima; particolari tipi di regali chiamati Tromboncini e Violoncello) sono offerti dalla scuola veneta settecentesca, fondata dal Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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dalmata Pietro Nacchini; questi, uscito dall’officina del veneziano Giovanni Battista Piaggia, aveva poi approfondito scientificamente gli studi organari, accogliendo anche vari insegnamenti dagli strumenti di Casparini. Tra i suoi allievi primeggiò Gaetano Callido che, eletto nel 1760 organaro di S. Marco, divenne uno dei più celebri organari italiani del tempo. Dalla scuola di Nacchini uscì pure Franz Xaver Chrismann, nativo di Rifembergo (Venezia Giulia) e attivo soprattutto in Austria, dove introdusse parecchi elementi dell’organaria italiana (Sankt Florian, 1774). Mentre l’organaria veneziana continuò ad attenersi sino ai primi decenni del XIX secolo al tipo classico di organo che ignorava le mutazioni composte, che manteneva al Principale l’esclusiva di registro base, che rimaneva fedele alle antiche ance a tuba raccorciata, la vicina organaria lombarda arricchì sempre più il quadro dei registri “da concerto” e rese più massiccio il ripieno con l’aggiunta di ulteriori file acute. L’aspirazione verso uno strumento multicolore e di grandi dimensioni portò, nel XVIII secolo, ad alcune apparizioni del tutto eccezionali: tali l’organo costruito nel 1733-38 dalla collaborazione di diversi artefici (Filippo Basile, i napoletani Felice e Fabrizio Cimmino, i romani Lorenzo Nelli e Filippo Testa, i lucchesi fratelli Ravani e Domenico Cacioli e, quali apprendisti, Organo illustrato da Filippo Bonanni, Gabinetto i pistoiesi Filippo e Antonio Tronci) sotto la direzione armonico, 1722. di Azzolino Bernardino della Ciaja per la chiesa dei Cavalieri di S. Stefano in Pisa e quello edificato nel 1755-67 dal napoletano Donato del Piano per la chiesa di S. Nicola l’Arena di Catania; il primo constava di ben 5 manuali, il secondo, tuttora conservato se pur in precarie condizioni, è articolato in 4 corpi comandati da 3 consolle, una centrale di 3 manuali e 2 laterali provviste di un solo manuale. Dalla seconda metà del XVIII secolo acquistò sempre maggior rilievo l’opera della famiglia Serassi di Bergamo, che dominò la scena dell’organaria lombarda sino alla metà del secolo successivo; la tipica fisionomia dell’organo italiano ottocentesco, ricco di ance sgargianti e di flauti squillanti, deve in molta parte la sua precisazione ai Serassi. Accanto ai Serassi operarono i Bossi a Bergamo, i Tonoli a Brescia, i Carrera a Legnano, gli Amati a Pavia, i Montesanti a Mantova, i Prestinari a Magenta. Gli organari dell’Italia centrale, tra cui spiccano i pistoiesi Tronci, seguirono un’evoluzione parallela mentre nell’Italia meridionale il singolare esempio offerto da Donato del Piano fu seguito dal siciliano Francesco La Grassa che nel 1836-46 costruì per la chiesa di S. Pietro di Trapani un organo dotato di 7 manuali, distribuiti su 3 consolle. Nel XIX secolo il modello offerto dai Serassi fece sentire la sua influenza in tutta la Penisola; nella seconda metà del secolo tale indirizzo fu continuato dai Locatelli di Bergamo, dai Lingiardi di Pavia, da Guglielmo Bianchi di Novi Ligure. Ovunque, nonostante lo sviluppo dei nuovi registri “da concerto” e nonostante il gusto degli organisti, fortemente influenzato dallo stile operistico, la fedeltà al Ripieno, la conservazione dei tradizionali metodi costruttivi e il rispetto per gli antichi sistemi di “armonizzazione” hanno impedito sino agli ultimi decenni del secolo che l’organo italiano perdesse di vista il suo proprio tradizionale ideale sonoro.

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Le parti dell’organo Le principali parti costitutive dell’organo sono: la manticeria, i somieri, la consolle, le trasmissioni e le canne; elemento non essenziale ma relativamente importante è la cassa. La manticeria provvede a immagazzinare e fornire allo strumento aria a una pressione data e costante. Storicamente sono stati impiegati dapprima mantici rudimentali analoghi a quelli dei fabbri, mantici “a cuneo” o “a libro”, mantici a “lanterna”. L’organaria classica ha fatto sempre impiego di basse pressioni (in Italia da 40 a 55 mm d’acqua). Si vedano il mantice a lanterna dell’organo illustrato da Mersenne a destra e quelli a libro illustrati da Praetorius in basso a sinistra.

Schema del mantice, con pompa a mano e con elettroventilatore.

A sinistra: 1. organo positivo; 2. regale; entrambi con mantici a libro (Michael Praetorius, Sintagma musicum, vol, II, 1619). A destra in alto: organo illustrato da Marin Mersenne (Harmonie Universelle, III vol., 1636). A destra in basso: i mantici del grande organo di Halberstadt, illustrati da Michael Praetorius, 1619.

Dai mantici l’aria giunge alle canne tramite i somieri. Il somiere ha la funzione di indirizzare l’aria alle singole canne in conformità ai comandi provenienti dalla consolle, per mezzo delle trasmissioni. Da un lato il somiere è provvisto di congegni atti a innestare e disinnestare i singoli registri, dall’altro di valvole (ventilabri) azionate dalla tastiera; il termine “registro” viene usato per designare sia ogni serie di canne, sia il meccanismo di inserimento di ognuna di esse. Ogni canna riceve aria alla condizione che il rispettivo tasto sia abbassato e il relativo registro Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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innestato. I somieri degli organi antichi si suddividono principalmente in quelli a tiro, detti anche a stecche, dove i registri sono azionati per mezzo di stecche forate scorrenti sotto le singole file di canne e l’innesto del registro avviene quando i fori della stecca coincidono con la base delle canne, e quelli a vento, dove, oltre ai ventilabri principali comandati dai tasti, ogni canna è dotata di un singolo ventilabro e l’innesto del registro è ottenuto con l’apertura di tutti i ventilabri delle canne del registro stesso.

A sinistra: schema del sistema a tiro, chiuso e aperto. Sotto: schema del sistema a vento.

La consolle riunisce tutti i comandi che devono essere azionati dall’organista; può essere incorporata allo strumento (consolle “a finestra”) o separata da esso. Le tastiere per le mani sono dette manuali, quella per i piedi pedaliera. Si possono avere da 1 a 5 manuali. Ogni tastiera corrisponde, di regola, a un particolare corpo sonoro, dotato di apposito somiere e racchiuso in una propria cassa. A sinistra e a destra, rispettivamente, si possono osservare la tastiera più antica dell’organo di Halberstadt e la tastiera dell’organo di Sant’Egidio a Braunschweig, illustrate da Michael Praetorius (1619); sotto a destra, la pedaliera dell’antico organo di Halberstadt.

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Il collegamento tra i tasti della consolle e i ventilabri del somiere e tra i comandi dei registri e i registri stessi avviene per mezzo di un sistema meccanico di trasmissione, cioè di un insieme di tiranti, leve, squadre, assi rotanti, detto catenacciatura. Trasmissione meccanica dal tasto al somiere, a riposo e in movimento.

Le canne costituiscono il vero e proprio corpo sonoro dello strumento. Esse possono essere classificate in due gruppi: 1) canne ad anima (labiali): il suono è prodotto dalla vibrazione della colonna d’aria in essa contenuta; l’aria entra nel piede della canna, passa attraverso la stretta fessura posta tra l’anima (diaframma collocato tra il piede e la canna vera e propria) e il labbro inferiore ed urta contro il bordo del labbro superiore, eccitando così la vibrazione dell’intera colonna d’aria; 2) canne ad ancia: la vibrazione è prodotta da una sottile lingua metallica, racchiusa in apposito piede o scarpa (che può far parte della canna stessa o essere incorporato nel somiere), incastrata a un’estremità, che appoggia sopra una gola (o canaletto) contro i bordi della quale batte ad ogni vibrazione (ancia battente); è assai più raro l’impiego di ance libere (vibranti liberamente entro la gola). A destra: schema del funzionamento acustico delle canne: a) canna aperta; b) canna tappata; c) canna ad ancia. A sinistra: sezione del blocco dell’ancia con canaletto, linguetta (ancia), gruccia (per l’intonazione).

Salvo casi eccezionali le canne sono costruite in metallo (stagno, piombo, leghe di stagno e piombo, talora rame, in epoca recente anche zinco e alluminio) o in legno (rovere, noce, abete, cipresso, pero, ecc.); per l’ancia e la gola viene generalmente impiegato l’ottone. Dalla lunghezza della canna dipende principalmente l’altezza del suono, dalla larghezza e dalla forma il timbro. Canne ad anima tappate ed estremità superiore di canne aperte con dispositivi per l’accordatura. Da sinistra a destra: a tampone, a coperchio, a caminetto, con finestra e tavoletta, con finestra e riccio (viste di fronte e profilo). Giuliana Montanari – Storia e Tecnologia degli Strumenti Musicali 2008 – Istituto Musicale “A. Peri” Reggio Emilia

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Le canne ad anima possono essere aperte o tappate all’estremità superiore. I registri del Principale e della sua famiglia sono costituiti di canne aperte cilindriche (se di legno, rettangolari) di media larghezza; i registri della famiglia dei flauti sono costituiti di canne aperte di misura larga, i registri della famiglia delle viole di canne aperte di misura stretta. Registri di canne coperte sono il Bordone (misura larga) e la Quintadena (misura stretta). Le canne possono anche essere coniche, restringendosi verso la cima (Flauto a cuspide, Corno di camoscio, Viola da gamba a cuspide), a imbuto (Flauto conico, Corno dolce), a camino (Flauto a camino, registro parzialmente tappato, con un piccolo tubo applicato sulla copertura). Vi sono pure registro “ottavianti” (Flauto armonico, Viola armonica) formati da canne che emettono il secondo parziale (ottava). Sopra: canne ad anima illustrate da Michel Praetorius (1619): 1. Principale 8 piedi. 2. Ottava 4 piedi. 3. Quinta 3 piedi. 4. Ottava piccola 2 piedi. 5. Corno notturno 4 piedi aperto. 6. Quintadena 16 piedi. 7. Quintadena 8 piedi. 8. Corno notturno 4 piedi. 9. Großgedactliebliech 8 piedi. 10. Gemshorn 8 piedi. 11. Spillfloit 4 piedi. 12. Flauto dolce 2 piedi. 13. Traversa aperta 4 piedi. 14. Gedactductfloit 4 piedi. 15. Monocordo. Profili di canne ad anima, da sinistra a destra: Contrabbasso, Principale, Ottava, Flauto cilindrico, Bordone di metallo, Bordone di legno, Flauto armonico, Flauto a fuso, Viola, Salicionale.

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I registri ad ancia possono essere classificati in registri a tuba conica (ad imbuto) o, se di legno, a tuba piramidale (Tromba, Bombarda, Oboe), in registri a tuba cilindrica (Cromorno, Dolciano, Clarinetto) e registri a tuba raccorciata o Regali (Tromboncini, Vox humana, Rankett).

Canne ad anima e ad ancia illustrate da Michel Praetorius (1619): 1. Dolcan 4 piedi. 2. Coppelfloit 4 piedi. 3. Flachfloit 4 piedi. 4. Piccolo Barduen 8 piedi. 5. Offenfloit 4 piedi. 6.Gedact 8 piedi. 7. Rohrfloit o Holfloit 8 piedi. 8. Tromba. 9. Cornamuto 8 piedi. 10. Ciaramella 8, 4 piedi. 11. Sordoni 16 piedi. 12. Cornetto: cornetto soprano. 13. Rackett: 8, 16 piedi. 14. Regale di ottone 8 piedi. 15. Regale in sordina. 16. 17. 18. Cornamuto. 19. 20. 21. 22. 23. Baer Pfeiffen di svariate forme. 24. Traversa..

Profili di canne ad ancia da sinistra a destra: Bombarda, Tromba, Clarinetto, Oboe, Corno inglese, Voce umana, Regale, Cromorno.

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I registri dell’organo possono essere accordati secondo il suono fondamentale, a 1 o 2 ottave inferiori o secondo i suoni armonici. Per tradizione l’altezza di suono di un registro viene indicata mediante il numero esprimente la lunghezza misurata in “piedi” della canna corrispondente al tasto Do1. Di 8 piedi (8’) sono detti i registri producenti il suono fondamentale, di 16’ quelli accordati all’ottava inferiore; i suoni armonici sono espressi dai numeri 4’ (Ottava), 2’ (Decimaquinta), 1 3/5’ (Decimasettima), 1 1/3’ (Decimanona), ecc. Nell’organaria italiana classica il nome stesso dei registri (Ottava, Quintadecima, Flauto in Duodecima, ecc.) esprimono la distanza dal suono fondamentale, sicché non è necessario indicare l’altezza in piedi. I registri che producono il suono fondamentale e la sua ottava inferiore sono detti “di fondo”, quelli che producono suoni parziali, “di mutazione”. Vi sono registri che emettono per ogni tasto non uno ma più suoni della serie degli armonici, detti registri “di mutazione composta”; i più importanti sono il Ripieno, costituito da canne della famiglia del Principale, che producono le varie ottave e quinte del suono fondamentale, e il Cornetto, nella sua forma più completa composto da 5 file di canne della famiglia dei flauti che producono i primi 5 suoni della serie degli armonici naturali (8’, 4’, 2 2/3’, 2’, 1 3/5’). Le funzioni della cassa sono essenzialmente due: quella pratica di protezione almeno parziale delle canne dalla polvere e dagli agenti atmosferici e quella decorativa, per armonizzare col resto del arredo di una chiesa. Può essere posta a media altezza dal suolo (organo di sbalzo), sospesa a nido di rondine, oppure, ma raramente, appoggiata al suolo. Fanno parte della cassa le cosiddette torri, che racchiudono le canne più lunghe della pedaliera o del principale manuale di 32’; possono essere a base esagonale o semicircolare. La storia dell’architettura della cassa è complessa e gli stili costruttivi mutano considerevolmente di epoca in epoca e di paese in paese. Per un’introduzione alle diverse forme delle casse soprattutto dei grandi organi dell’Europa settentrionale, si consultino i siti Web segnalati nella bibliografia. Parti dell’organo secondo Athanasius Kircher, Musurgia Universalis, 1650.

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