Stephenie Meyer Midnight Sun

December 1, 2022 | Author: Anonymous | Category: N/A
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1. A prima vista

Questo era il momento del giorno in cui desideravo poter essere capace di dormire. La scuola superiore. O era purgatorio la definizione più corretta? Se c’era c’ era   un qualche modo di fare ammenda per i miei peccati, questo doveva pur contare qualcosa ai fini del punteggio finale. Il tedio non era semplicemente qualcosa cui dovevo abituarmi. Ogni giorno sembrava ancor più incredibilmente monotono del precedente. Immagino  fosse  fosse   così che dormissi  –   se per dormire s’intende lo stato d’inerzia esistente tra i periodi di attività. Fissavo le crepe che attraversavano l’intonaco nell’angolo opposto della mensa, riconoscendoci delle forme che non erano lì. Era un modo per far tacere le voci che come la corrente di un fiume gorgogliavano nella mia testa. Diverse centinaia di queste voci le ignoravo in preda alla noia. Le avevo già sentite e risentite da quando si erano fatte strada nella mente umana. Oggi, tutti i pensieri erano divorati dal futile futi le dramma di una nuova aggiunta all’esiguo corpo studentesco. Bastava così poco per farli eccitare tutti quanti. Avevo visto il viso della nuova venuta ripetuto pensiero dopo pensiero da ogni angolazione. Una semplice ragazza ragaz za umana. L’entusiasmo per il suo arrivo suo  arrivo era prevedibile in maniera irritante –  irritante  –  come   come mostrare un oggetto scintillante ad un bambino. La metà dei ragazzi, più simili a dei caproni, stava già fantasticando di avere una relazione amorosa con lei, solamente perché era qualcosa di nuovo cui guardare. guardare. M’impegnavo a fondo nel tentativo di farle tacere. t acere. C’erano solamente quattro voci che bloccavo più per cortesia che per disgusto: la mia famiglia, i miei due fratelli e le mie due sorelle, che erano talmente abituati alla mancanza di privacy di  privacy determinata  determinata dalla mia presenza che raramente si lasciavano sfuggire un pensiero. Gli lasciavo quanta più  privacy  privacy   mi fosse possibile. Mi sforzavo di non ascoltare se potevo. Mi sforzavo come potevo, però…Sapevo.  però…Sapevo.   Rosalie, come al solito, stava pensando a se stessa. Aveva colto il proprio profilo riflesso sul bicchiere di qualcuno, e stava rimuginando sulla propria perfezione. La mente di Rosalie era una pozzanghera poco profonda che non riservava molte sorprese. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Emmett stava friggendo per un incontro di lotta che durante la notte aveva perso contro Jasper. Gli ci sarebbe voluta tutta la sua limitata pazienza per riuscire ad arrivare fino alla fine delle lezioni ed orchestrare una rivincita. Non mi sono mai sentito davvero Emmet t, perché non pensa mai nulla che non direbbe indiscreto nell’ascoltare i pensieri di Emmett, indiscreto ad alta voce o che non metterebbe in pratica. Forse mi sentivo colpevole quando ascoltavo i pensieri degli altri solamente perché sapevo che c’erano delle cose che avreb bero  preferito non condividere con me. Se la mente di Rosalie era una pozzanghera poco  profonda, allora quella di Emmett era un lago senza ombre, trasparente come il vetro. E Jasper…Stava soffrendo. Trattenni un sospiro.  sospiro.   Edward . Alice aveva formulato il mio nome nella sua mente, catturando immediatamente la mia attenzione. Sarebbe stato esattamente lo stesso stess o se qualcuno mi avesse chiamato a gran voce. Ero contento che negli ultimi anni il mio nome di battesimo fosse passato di moda  –  sarebbe   sarebbe stata una seccatura: ogniqualvolta qualcuno avesse pensato ad un qualunque Edward la mia testa si sarebbe automaticamente voltata… voltata…   La mia testa adesso non si muoveva. Alice ed io eravamo bravi a conversare in  privato. Raramente qualcuno qualcuno ci scopriva. Tenevo gli occhi fissi sulle linee dell’intonaco.  dell’intonaco.   Come se la cava? Mi cava? Mi chiese. Mi accigliai, solo un impercettibile cambiamento nella piega delle labbra. Niente che potesse farci scoprire dagli altri. Potevo benissimo essermi accigliato per noia. La voce mentale di Alice ora era allarmata, e nei suoi pensieri potevo vederla mentre osservava Jasper di sottecchi.

C’è qualche pericolo?  pericolo?  Rovistava oltre,

nell’immediato futuro, scorrendo le visioni monotone per scoprire scop rire la causa del mio cipiglio. Girai lentamente la testa a sinistra, come per guardare i mattoni della parete, sospirai, e poi a destra, di nuovo sulle crepe nel soffitto. Solamente Alice sapeva che stavo scuotendo la testa. Si rilassò. Fammelo rilassò. Fammelo sapere se diventa insopportabile insopportabile.. Mossi solo gli occhi, in alto sul soffitto, e poi di nuovo giù. Grazie per quello che stai facendo. facendo . Ero contento di non poterle rispondere ad alta voce. Cosa avrei potuto dirle? “ E’ “ E’ un  piacere”?  piacere ”? Non lo era affatto. Non mi divertiva ascoltare i conflitti interiori di Jasper. Era ©2008 Stephenie Meyer

 

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davvero necessario metterlo alla prova fino a questo punto? Non sarebbe stato più sicuro ammettere semplicemente che forse non sarebbe mai stato capace di gestire la sete come il resto di noi riusciva a fare, e non spingerlo al limite? Perché scherzare col fuoco? Erano trascorse due settimane dalla nostra ultima battuta di caccia. Non era un arco di tempo così immensamente duro per il resto di noi. Un poco spiacevole di tanto in tanto  –  se   se un umano ci passava troppo vicino, se il vento soffiava nella direzione sbagliata. Ma gli umani raramente ci camminavano troppo vicini. I loro istinti gli suggerivano quel che le loro menti coscienti non avrebbero mai capito: eravamo pericolosi. Jasper al momento era davvero pericoloso. Proprio ora, una ragazza minuta si era fermata presso il bordo del tavolo più vicino al nostro, per parlare con un’amica. Aveva scrollato i corti capelli biondo rossicci ros sicci  pettinandoli con le dita. I radiatori avevano soffiato il suo profumo nella nostra direzione. Ero abituato a come mi faceva sentire il profumo  –  il   il dolore pungente alla gola, la brama cupa nello stomaco, la contrazione automatica dei muscoli, il flusso eccessivo di veleno nella bocca… bocca…   Era tutto piuttosto normale, generalmente facile da ignorare. Ora, però, era un pò  più difficile, per via delle percezioni amplificate, duplicate dal mio monitorare la reazione di Jasper. Una sete raddoppiata, invece della mia soltanto. Jasper stava lasciando correre la propria fantasia. Se lo stava immaginando  –   immaginando di alzarsi dal proprio posto accanto ad Alice e di andare a piazzarsi di fronte a quella ragazza minuta. Pensando di chinarsi su di lei, come per bisbigliarle qualcosa all’orecchio, e di lasciare che le sue labbra si posassero sull’arco della gola. Immag inando che sensazione gli avrebbe dato in bocca il sangue circolante al di sotto della pelle sottile… sotti le…   Tirai un calcio alla sua sedia. Per un attimo incrociò il mio sguardo, e poi abbassò gli occhi. Riuscivo a sentire il conflitto tra la vergogna e la ribellione che lo impegnava mentalmente. “Scusa” mormorò Jasper.  Jasper.  Scrollai le spalle. “Non avresti fatto niente”, gli mormorò Alice, cercando di alleviarne la mortificazione. mortifica zione. “Lo avrei visto”.  visto”.  Trattenni la smorfia che ne avrebbe scoperta la menzogna. Dovevamo sostenerci a ©2008 Stephenie Meyer

 

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vicenda, Alice ed io. Non era facile, ascoltare le voci o avere delle visioni sul futuro. Entrambi bizzarrie tra coloro che erano già dei mostri. Proteggevamo i nostri segreti reciprocamente. “Aiuta un poco se pensi a loro come a delle persone”, suggerì Alice, con la sua voce acuta e melodiosa troppo veloce per essere capita dalle orecchie umane, se anche qualcuno qual cuno si fosse trovato abbastanza vicino da poterla sentire. “Si chiama Whitney. Ha una sorella minore che adora. Sua madre ha invitato Esme a quella festa in giardino, ricor di?”  di?”  “So chi  chi  è”, aveva detto Jasper bruscamente. Si era voltato dall’altra parte per guardare fuori da una delle piccole finestre piazzate proprio sotto il i l cornicione tutt’intorno alla lunga stanza. Il suo tono aveva messo fine alla conversazione. Sarebbe dovuto andare a caccia stanotte. Era ridicolo correre dei rischi come questo, cercando di testarne la forza di volontà, per aumentarne la resistenza. Jasper doveva semplicemente accettare i propri limiti e lavorare entro quelli. Le sue precedenti abitudini non erano di alcun aiuto rispetto allo stile di vita che avevamo scelto; non avrebbe dovuto spingersi tanto in là. Alice sospirò silenziosamente e si alzò, portandosi via il vassoio del cibo  –   il suo corredo di scena, perché questo era  –   e lo lasciò solo. Sapeva quando ne aveva avuto abbastanza dei suoi incoraggiamenti. Sebbene Rosalie ed Emmett facessero maggiore sfoggio della loro relazione, erano Alice e Jasper che meglio conoscevano ogni singolo umore dell’altro come fosse il proprio. Come se potessero po tessero anche loro leggere nel pensiero  –  solo l’uno dell’altra.  dell’altra.   Edward Cullen. Cullen. Un riflesso condizionato. Mi voltai al suono del mio nome che veniva pronunciato, quantunque non fosse stato davvero pronunciato, ma solo pensato. I miei occhi s’incrociarono per non più di una frazione di secondo con un paio di grandi occhi umani, marroni come il cioccolato, incastonati in un viso pallido a forma di cuore. Conoscevo quel viso, nonostante non lo avessi visto da me prima di questo momento. Aveva avviluppato ogni mente umana oggi. La nuova studentessa, Isabella Swan. Figlia del capo della polizia, mandata a vivere qui in virtù di un nuovo accordo di affidamento. affidamen to. Bella. Aveva corretto chiunque aveva usato il suo nome per esteso… e steso…   Guardai altrove, annoiato. Mi ci volle un momento per capire che non era stata lei a ©2008 Stephenie Meyer

 

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 pensare il mio nome.  Naturalmente sta già prendendosi una cotta per i Cullen, Cullen, ascoltai il seguito del  primo pensiero. Avevo riconosciuto la “voce”, infine. Jessica Stanley –  Stanley –  non  non era passato molto tempo da quando mi aveva annoiato con il suo intimo blaterare. Era stato un vero sollievo quando aveva superato la sua infatuazione fuori luogo. Era stato quasi impossibile fuggire i suoi costanti, ridicoli sogni ad occhi aperti. Avevo desiderato, a quel tempo, di poterle spiegare esattamente   cosa sarebbe successo se le mie labbra, ed i denti dietro quelle, fossero esattamente arrivate da qualunque parte vicino a lei. Sarebbe bastato a zittire le sue fastidiose fantasie. Il pensiero della sua reazione quasi mi fece sorridere.  Dovrebbe mettere su un pò di ciccia, ciccia, continuò Jessica.  Non è neppure davvero carina. Non capi sco  sco perché Eric la guardi tanto…o Mike. Mike. Trasalì mentalmente a quell’ultimo nome. La sua  sua   nuova infatuazione, il genericamente popolare Mike Newton, completamente ignaro di lei. A quanto pareva, non era altrettanto indifferente nei confronti della ragazza nuova. Di nuovo, come un bambino con un oggetto scintillante. Questo aveva reso i pensieri di Jessica ancora più meschini, sebbene sebbe ne all’apparenza fosse amichevole con la nuova arrivata mentre le spiegava ciò che era risaputo da tutti riguardo alla mia famiglia. La nuova studentessa doveva aver chiesto di noi. Tutti stanno guardando anche me, oggi. oggi. Il pensiero di Jessica sorrideva compiaciuto in disparte.  E’ una vera fortuna che io e Bella abbiamo in comune due lezioni… Scommetto che Mike vuole chiedermi se è  è   –  –   Cercai di tenere fuori dalla mia testa quel vuoto chiacchiericcio prima che la grettezza e la banalità mi facessero diventare matto. “Jessica Stanley sta lavando i panni sporchi di casa Cullen con la ragazza nuova, la Swan” mormorai ad Emmett Emmet t per distrarmi. Ridacchiò sotto i baffi. Spero lo stia facendo bene, bene, pensò. “A dire il vero, senza un briciolo d’immaginazione. Appena un pizzico di scand alo.  Nemmeno un grammo di orrore. Sono un pò deluso”.  deluso”.   E la ragazza nuova? Anche lei è altrettanto delusa dai pettegolezzi? pettegolezzi?   Mi misi ad ascoltare per sentire cosa pensasse la nuova ragazza, Bella, della storia di Jessica. Cosa vedeva quando guardava verso quella strana famiglia dalla pelle bianca ©2008 Stephenie Meyer

 

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come il gesso che veniva evitata da tutti? Era una specie di responsabilità per me conoscere la sua reazione. In mancanza di un termine migliore, si sarebbe potuto dire che stavo di vedetta per la mia famiglia. Per  proteggerci. Se qualcuno avesse nutrito dei sospetti, avrei potuto metterci in guardia per tempo e garantirci una facile ritirata. Era capitato qualche volta –  volta  –  qualche   qualche umano con una vivace immaginazione aveva visto in noi i personaggi di un libro o di un film. Solitamente sbagliava la conclusione, ma per noi era meglio partire per qualche altro posto piuttosto che rischiare un esame più approfondito. Molto, molto raramente, qualcuno indovinava.  Non gli offrivamo l’occasione di verificare le proprie teorie. Semplicemente sparivamo,  per diventare non più di un ricordo spaventoso… spaventoso…    Non sentivo niente, sebbene ascoltassi proprio accanto a dove il frivolo monologo interno di Jessica continuava ad imperversare. Era come se non ci fosse nessuno seduto vicino a lei. Che cosa bizzarra, la ragazza si era spostata? Improbabile, poiché Jessica stava ancora parlottando con lei. Alzai lo sguardo per verificare, sentendomi come se avessi perso l’equilibrio. Controllare ciò che il mio extra “udito” avrebbe dovuto dirmi –   era qualcosa che non avevo mai dovuto fare. Di nuovo, il mio sguardo indugiò sugli stessi grandi occhi marroni. Era seduta esattamente esat tamente dov’era prima, e ci guardava, una cosa naturale da fare, suppo si, giacché Jessica la stava ancora deliziando con i pettegolezzi locali approposito dei Cullen. Pensare a noi sarebbe stato altrettanto naturale. Ma non riuscivo a sentire neppure un bisbiglio. Un rosso invitante e caldo aveva colorato le sue guance mentre abbassava lo sguardo, distogliendolo imbarazzata per la  gaffe  gaffe   di essere stata scoperta a fissare uno sconosciuto. Era un bene che Jasper stesse ancora guardando fuori dalla finestra. Non volevo neppure neppure immaginare l’effetto che avrebbe sortito sul suo autocontrollo quel semplice afflusso di sangue. Le emozioni sul suo viso erano leggibili come se le avesse scritte sulla fronte: la sorpresa, intanto che assimilava inconsapevolmente i segni della sottile differenza tra la sua specie e la mia; la curiosità, mentre ascoltava il resoconto di Jessica, e qualcos’altro…fascino? qual cos’altro…fascino? Non sarebbe stata la prima volta. Per le nostre vittime pr edestinate edestinate eravamo bellissimi. Poi, infine, l’imbarazzo, quando l’avevo scoperta a fissarmi. fi ssarmi. E tuttavia, sebbene i suoi pensieri fossero tanto intellegibili nei suoi strani occhi  –   ©2008 Stephenie Meyer

 

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strani per via della loro profondità; gli occhi marroni sembravano sempre inespressivi per via della loro cupezza –, cupezza  –, dal posto in cui sedeva potevo p otevo ascoltare null’altro che il silenzio. s ilenzio. Il niente più totale. Per un attimo mi sentii a disagio. Era qualcosa che non mi era mai capitato prima. C’era qualcosa qual cosa che non andava in me? Mi sentivo esattamente come sempre. Turbato, mi misi ad ascoltare con maggiore attenzione. Tutte le voci che avevo bloccato stavano improvvisamente urlando dentro la mia testa. …Chissà che musica ascolta…Magar i potrei parlarle di quel nuovo CD… CD… Stava  pensando Mike Newton, a due due tavoli da me, morbosamente fissato con Bella. Guarda come la squadra. Non gli basta che la metà delle ragazze della scuola abbiano una cotta per lui… lui… I pensieri di Eric Yorkie erano astiosi, anch’essi incentrati su Bella. …così disgustoso. Verrebbe da pensare che è una famosa o chissà che…Persino  Edward Cullen Cullen   la sta fissando… Lauren Mallory era talmente gelosa che la sua faccia, a rigore di tutte le logiche, sarebbe dovuta essere di una tonalità verde scura.  E Jessica, che va pavoneggiandosi di essere la sua nuova migliore amica. Che cosa ridicola…  I pensieri al vetriolo continuarono a vomitare dalla ragazza. …Scommetto che gliel’hanno chiesto già chiesto  già tutti. Però mi farebbe piacere parlare con lei. Penserò a qualcosa di più originale da chiederle… Meditava Ashley Dowling. …magari è nel mio corso di spagnolo… Sperava June Richardson. …una montagna di cose da fare per stasera! Trigonometria, ed i l test di inglese. Spero che mamma… Angela Weber, una ragazza posata i cui pensieri erano insolitamente gentili, era l’unica della tavolata a non essere ossessionata da Bella.  Bella.   Riuscivo a sentire ognuno di loro, a sentire ogni singola inezia che gli passava per la testa non appena la pensavano. Ma assolutamente niente da parte della nuova studentessa con quegli occhi comunicativi più di quanto non sembrassero. E, ovviamente, ero in grado di sentire cosa diceva la ragazza quando parlava con Jessica. Non avevo bisogno di leggere il pensiero per riuscire ad ascoltare la sua voce chiara e bassa bassa dall’altra parte della lunga stanza.  stanza.   “Qual è di loro quello con i capelli castano ramati?” la sentii chiedere, mentre con la ©2008 Stephenie Meyer

 

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coda dell’occhio dell’occhio   mi lanciava un’occhiata furtiva, spostando rapidamente lo sguardo altrove altro ve nell’accorgersi che la stavo ancora fissando.  fissando.  Se avevo avuto il tempo d’illudermi che ascoltarne il suono della voce mi avrebbe aiutato a localizzare il tono dei suoi pensieri, persi in qualche posto cui non potevo accedere, ero rimasto immediatamente deluso. Generalmente, i pensieri della gente assumono una parlantina simile a quella delle loro voci concrete. Ma questa voce timida e discreta mi rimaneva estranea, non come le centinaia di pensieri che rimbalzavano per la stanza, ne ero certo. Un fatto del tutto nuovo. Oh, buona fortuna, idiota!  idiota!  Aveva pensato Jessica ancora prima di rispondere alla domanda della ragazza. “Quello è Edward. E’ uno schianto, naturalmente, naturalmente, ma non sprecare il tuo tempo. Non esce con nessuna. A quanto pare nessuna delle ragazze di qui è abbastanza carina per lui”. Aveva storto il naso. Voltai la testa altrove per nascondere un sorriso. Jessica e le sue compagne di classe non avevano idea di quanto fossero fortunate per il fatto che non trovassi nessuna di loro  particolarmente attraente. Superato quel momento di fugace umorismo, sentii uno strano impulso, che non riuscii a comprendere esattamente. Aveva qualcosa a che fare con la malignità debordante dai pensieri di Jessica della quale la ragazza nuova era inconsapevole… incon sapevole… Provavo la stranissima voglia di mettermi tra di loro, per proteggere questa Bella Swan dalle più  bieche macchinazioni della mente di Jessica. Che cosa stramba da provare. Nel tentativo di snidare le motivazioni di un simile slancio, esaminai ancora una volta la ragazza nuova. Forse si trattava solamente di un istinto di protezione sopito da tempo  –  assistere   assistere gli indifesi. Questa ragazza pareva molto più fragile fra gile dei suoi nuovi compagni. La sua pelle era trasparente al punto che era difficile credere che potesse proteggerla davvero dalle aggressioni del mondo circostante. Riuscivo a vedere il sangue che circolava ritmicamente nelle vene sotto sotto la membrana chiara, pallida… Ma non dovevo soffermarmi su quel  particolare. Ero bravo a vivere la vita che avevo scelta, ma ero assetato quanto Jasper e non avevo ragione di stuzzicare la tentazione. C’era una lieve ruga tra le sue sopracciglia sopracciglia della quale non pareva rendersi conto. Era incredibilmente frustrante! Era evidente per me che faticava a restare seduta lì, a fare conversazione con degli sconosciuti, ad essere al centro dell’attenzione. Potevo ©2008 Stephenie Meyer

 

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indovinarne la timidezza dal modo in cui teneva le spalle che parevano tanto delicate, lievemente incurvate, come se si aspettasse di doversi scontrare con un secco rifiuto da un momento all’altro. E tuttavia potevo solamente intuire, solo vedere, soltanto immaginare. imm aginare. s ilenzio. Non Da quella ragazz ragazzaa così ordinariamente umana mi giungeva null’altro che il silenzio. riuscivo a sentire niente. Perché? “Possiamo andare?” mormorò Rosalie, interrompendo la mia concentrazione. conce ntrazione. Fu un sollievo distogliere lo sguardo dalla ragazza. Non volevo continuare a fallire così  –  era   era irritante. E non volevo sviluppare interesse alcuno per i suoi pensieri nascosti semplicemente perché mi erano estranei. Non avevo alcun dubbio che una volta che fossi riuscito a decifrarli  –   e avrei avrei   trovato il modo di riuscirci  –   sarebbero stati banali ed insignificanti come tutti gli altri pensieri umani. Non valevano lo sforzo che avrei dovuto fare per raggiungerli. “Allora, quella nuova ha già paura di noi?” chiese Emmett, Emmett, che stava ancora aspettando la risposta alla domanda precedente. Scrollai le spalle. Non era sufficientemente interessato per sollecitare ulteriori informazioni. Neppure io sarei dovuto esserlo. Ci alzammo da tavola e uscimmo dalla mensa. Emmett, Rosalie e Jasper J asper fingevano di essere degli studenti dell’ultimo anno; se ne andarono alle loro lezioni. Io interpretavo il ruolo di uno più giovane. M’incamminai verso la mia lezione di biologia da studente del terzo anno, preparandomi mentalmente alla noia. Era impr obabile obabile che il Signor Banner, un uomo di un’intelligenza che non superava la media, fosse in grado di cavare dalla sua lezione qualcosa che potesse sorprendere qualcuno che aveva due lauree in medicina. In classe, mi sistemai e lasciai che i miei libri  –   corredi di scena, di nuovo; non dicevano nulla che non sapessi già –  già  –   si sparpagliassero sul tavolo. Ero l’unico studente ad avere un tavolo tutto per sé. Gli esseri umani non erano abbastanza svegli da capire capire che  che avevano paura di me, ma i loro istinti di sopravvivenza lo erano abbastanza da tenerli lontani. L’aula si stava riempiendo lentamente intanto che gli studenti arrivavano alla spicciolata dalla pausa pranzo. Mi appoggiai allo schienale della sedia aspettando che il tempo passasse. Di nuovo, desiderai poter essere capace di dormire. Siccome stavo pensando a lei, quando Angela Weber accompagnò la ragazza nuova ©2008 Stephenie Meyer

 

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attraverso attraverso la porta, il suo nome s’impose alla mia attenzione.    Bella sembra essere timida almeno quanto me. Scommetto che oggi è davvero dura  per lei. Vorrei poterle dire qualcosa…ma probabilmente probabilmente suonerebbe molto st upido… upido…  Si!   Fu il pensiero di Mike Newton, mentre si girava sulla sedia per osservare Si! l’entrata delle ragazze.  ragazze.  Ancora una volta, dal posto in cui si trovava Bella Swan, il nulla. Lo spazio vuoto che i suoi pensieri avrebbero dovuto colmare m’irritava e mi sconcertava.  sconcertava.   Si era avvicinata, risalendo il corridoio dalla mia parte per raggiungere la cattedra dell’insegnante. Povera ragazza; il posto accanto al mio era l’unico disponibile. Automaticamente, sgombrai quello che sarebbe stato il suo lato del tavolo, impilando i miei libri. Dubitavo che si sarebbe sentita a proprio agio lì. Si profilava un lungo semestre  per lei –  lei  –  per   per lo meno in questa classe. Tuttavia, forse, sedendole accanto, sarei riuscito a carpirne i segreti…Non che avessi mai avuto bisogno della vicinanza prima di allora…non che avessi mai ascoltato qualcosa qualcosa che valesse la pena…  pena…  Bella Swan era entrata nel flusso di aria calda che soffiava attorno a me dalla ventola. Il suo profumo mi colpì come una sfera da demolizione, al pari di un ariete. Non c’era immagine abbastanza violenta che potesse sintetizzare la potenza di quello che mi stava succedendo in quel momento. In quell’istante, non sfioravo nemmeno l’ombra dell’uomo che ero stato capace di essere; non rimaneva neppure un briciolo di quell’umanità della quale ero riuscito ad ammantarmi. Ero un predatore. Lei era la mia preda. Al mondo non esisteva altra verità apparte questa.  Non c’era un’aula piena di testimoni –  nella   nella mia mente si erano già trasformati in danni collaterali. Il mistero dei suoi pensieri era dimenticato. I suoi pensieri non significavano nulla, perché non li avrebbe pensati ancora a lungo. Io ero un vampiro, e lei aveva il sangue più dolce che avessi mai odorato negli ultimi ottant’anni. ottant’anni.    Non avevo mai pensato che potesse potesse esistere un profumo del genere. Se avessi saputo che c’era, c’era, l’avrei cercato molto tempo prima. Avrei setacciato il pianeta per lei. Potevo immaginarne il sapore… sapore…   ©2008 Stephenie Meyer

 

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La sete bruciava la mia gola come un incendio. La mia bocca era secca ed arida. Il fresco flusso del veleno non poteva nulla per fugare quella sensazione. Il mio stomaco si contorceva per quella fame che era un’eco della sete. I miei muscoli erano contratti pronti a scattare.  Non era passato neppure un intero secondo. Stava ancora completando lo stesso  passo che l’aveva portata sottovento sottovento rispetto a me.  Non appena il suo piede toccò terra, i suoi occhi scivolarono verso di me, con un movimento che evidentemente avrebbe voluto che fosse furtivo. Il suo sguardo incrociò il mio, e mi vidi vidi riflesso nell’immenso specchio dei suoi suoi occhi. Lo shock  Lo  shock   provocatomi provocatomi dalla faccia che vidi lì le salvò la vita appena in tempo.  Non mi rese le cose più facili. Una volta elaborata l’espressione del mio viso, il sangue le aveva inondato nuovamente le guance, donando alla sua pelle la tonalità più deliziosa che avessi mai vista. Il suo profumo nella mia mente era una spessa nebbia. A malapena riuscivo a pensarci attraverso. I miei pensieri si scatenarono indomabili, incoerenti. Camminava più velocemente adesso, quasi fosse consapevole della necessità di do dover ver scappare. La fretta l’aveva resa maldestra –  era   era incespicata ed aveva inciampato in avanti, quasi cadendo addosso alla ragazza seduta di fronte a me. Vulnerabile, debole. Addirittura più del normale per un essere umano. Cercavo di concentrarmi sulla faccia che avevo vista riflessa nei suoi occhi, un volto che avevo riconosciuto disgustato. La faccia del mostro che era in me  –   il viso che ero riuscito a seppellire grazie a decenni di sforzi e di rigida disciplina. Con quanta facilità riaffiorava in superficie adesso! Il profumo fluttuò di nuovo attorno a me, mandando all’aria i miei pensieri e facendomi quasi saltare via dalla sedia.  No. Serrai la mano sotto al bordo del banco mentre cercavo di costringermi a restare seduto. Il legno non era abbastanza resistente per quel compito. La mia mano aveva frantumato la superficie e si era staccata con in pugno una poltiglia di schegge, lasciando l’impronta delle mie dita scolpita in quel qu el che rimaneva del legno. Distruggere le prove. Quella era una regola fondamentale. Polverizzai rapidamente i contorni delle impronte con la punta delle mie dita, lasciando null’altro che un buco ©2008 Stephenie Meyer

 

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frastagliato ed un mucchietto di segatura sul pavimento, che sparpagliai con il piede. Distruggere le prove. Danni collaterali…  collaterali…   Sapevo cosa stava per succedere. La ragazza si sarebbe seduta accanto a me, ed io l’avrei dovuta uccidere.  uccidere.  Gli spettatori innocenti che si trovavano nell’aula, n ell’aula, altri diciotto ragazzi ed un adulto, non avrebbero potuto lasciare questa stanza, avendo visto ciò che presto avrebbero visto. Rabbrividii al pensiero di ciò che dovevo fare. Neppure quando avevo dato veramente il peggio di me avevo commesso questo genere di atrocità. Non avevo mai ucciso degli innocenti, mai in ottant’anni. E ora programmavo di massacrarne venti tutti in una volta. Il viso riflesso del mostro si faceva beffe di me.  Nonostante una parte di me rabbrividisse rabbrividisse alla vista del mostro, un’altra parte stava elaborando un piano. Se uccidevo prima la ragazza, non avrei potuto dedicarle più di quindici o venti secondi prima che gli umani presenti in aula reagissero. Forse qualche secondo di più, se non avessero capito immediatamente cosa stavo facendo. Non avrebbe avuto il tempo di gridare o di sentire dolore; non l’avrei uccisa in modo crudele. Era il minimo che potessi p otessi fare per questa sconosciuta dal sangue terribilmente appetibile. Poi, però, avrei dovuto impedire agli altri di scappare. Non mi sarei dovuto  preoccupare delle finestre, perché erano troppo in alto e troppo piccole per offrire a chiunque una via di fuga. Solo della porta  –   se l’avessi bloccata, sarebbero stati in trappola. Sarebbe stato molto più lento e molto più difficile cercare di farli fuori tutti, una volta che fossero stati presi dal panico ed avessero cominciato ad agitarsi, muovendosi caoticamente. caoti camente. Non impossibile, ma molto più rumoroso. C’era tempo per un sacco sacc o di urla. Qualcuno avrebbe potuto sentire…E sarei stato costretto ad uccidere addirittura un numero maggiore di innocenti in questa triste ora. Ed il suo sangue sarebbe sfumato, mentre uccidevo gli altri. Il suo profumo mi puniva, serr andomi andomi la gola con un’aridità strug stru ggente… gente…   Perciò i testimoni prima. Rifinii mentalmente i dettagli del mio piano. Mi trovavo al centro dell’aula, nella fila posteriore più arretrata. Prima avrei dovuto occuparmi del lato destro. Calcolavo di ©2008 Stephenie Meyer

 

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 poter spezzare quattro o cinque dei loro colli al secondo. Non avrei fatto rumore. Il lato destro sarebbe stato il lato fortunato; non mi avrebbero visto arrivare. Muovendomi in fretta su e giù per il lato sinistro, non mi ci sarebbero voluti al massimo più di cinque secondi per finire tutte le vite presenti in aula. Abbastanza da permettere a Bella Swan di capire, per un breve momento, cosa stava  per succederle. Abbastanza da permetterle di sentire la paura. Abbastanza, forse, se lo  shock   non l’avesse immobilizzata sul posto, da farla gridare una sola volta. Un grido soffocato che non avrebbe fatto accorrere nessuno. Respirai a fondo, ed il suo profumo era un fuoco che correva lungo le mie vene riarse, avvampando dal mio petto fino ad annullare ogni miglior istinto di cui fossi capace. Stava voltandosi proprio in questo istante. Entro pochi secondi si sarebbe seduta a  pochi centimetri da me. Il mostro nella mia testa sorrideva nell’attesa.  nell’attesa.  Qualcuno alla mia sinistra aveva chiuso una cartellina sbattendola. Non alzai lo sguardo per vedere quale di quegli umani condannati fosse stato. Ma quel gesto soffiò sul mio viso una folata d’aria innocua, inodore. inodore. Per un breve secondo, fui in grado di pensare chiaramente. In quel secondo  prezioso, vidi vidi due volti nella mia mente, uno accanto all’altro.  all’altro.   Uno era il mio o, almeno, lo era stato: il mostro dagli occhi rossi che aveva ucciso così tante persone che avevo smesso di contarle. Omicidi razionalizzati, giustificati. Un assassino di assassini, un assassino di altri mostri meno dotati. Era stato un delirio di onni potenza,  potenza, l’avevo riconosciuto –   decidere chi meritasse la pena di morte. Un compromesso che avevo fatto con me stesso. Mi ero nutrito di sangue umano, ma solamente in senso lato. Le mie vittime erano state, nei loro differenti malefici trascorsi, a malapena più umane di quanto non fossi io stesso. L’altro viso era di Carlisle.  Carlisle.    Non c’era alcuna rassomiglianza r assomiglianza tra quei due volti. Come tra un giorno di sole e la  più scura delle notti.  Non c’era ragione per cui si dovessero rassomigliare. Carlisle non era mio padre secondo secondo l’accezione biologica del termine. Non condividevamo alcun lineamento. La somiglianza dei nostri coloriti era il prodotto di ciò che eravamo; tutti i vampiri avevano un’identica pelle bianca come il ghiaccio. La somiglianza nel colore degli occhi era ©2008 Stephenie Meyer

 

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un’altra faccenda –  il  il riflesso di una scelta condivisa. E tuttavia, benché non ci fossero i presupposti per una rassomiglianza, avevo immaginato che, in qualche misura, il mio viso avesse cominciato a riflettere il suo nel corso degli ultimi settanta bizzarri anni in cui avevo abbracciato la sua scelta e seguito i suoi passi. I miei lineamenti non erano cambiati, ma mi sembrava che un pò della sua saggezza avesse segnato la mia espressione, che un pizzico della sua compassione fosse rimasto scolpito nella piega della mia bocca, e che un accenno della sua pazienza fosse manifesto sulla mia fronte. Tutti quei piccoli miglioramenti andavano persi sulla faccia del mostro. Entro pochi attimi, in me non sarebbe rimasto nulla che potesse riflettere gli anni trascorsi con il mio creatore, il mio mentore, mio padre da ogni punto di vista che contasse qualcosa. I miei occhi si sarebbero accesi di rosso come quelli di un diavolo; qualunque somiglianza sarebbe stata smarrita per sempre.  Nella mia mente, gli occhi gentili di Carlisle non mi giudicavano. Sapevo che mi avrebbe perdonato lo scempio che stavo per commettere. Perché mi amava. Perché  pensava che fossi migliore di quel che ero. Ed avrebbe continuato ad amarmi, anche se adesso dimostravo che aveva torto. Bella Swan si era seduta sulla sedia accanto alla mia, i suo gesti erano rigidi ed imbarazzati  –   per la paura?  –   e la fragranza del suo sangue mi avvolgeva in una nube implacabile. Avrei dimostrato a mio padre che aveva torto su di me. La sofferenza di una simile  prospettiva mi feriva quasi quanto il fuoco che avevo in gola. gola. Aumentai la distanza che ci separava per il disgusto  –   la repulsione verso quel mostro che desiderava ardentemente di prenderla. Perché doveva venire qui? Perché doveva esistere? Perché doveva rovinare la pace di questa mia non-vita? non-vita? Perché mai quest’esacerbante essere umana era mai nata? Mi avrebbe rovinato. Distolsi lo sguardo da lei, attanagliato da un odio improvviso e feroce, ingiustificato. Chi era era questa  questa creatura? Perché a me, perché adesso? Perché dovevo perdere tutto solo perché aveva casualmente scelto di fare la sua comparsa in questa città inverosimile? Perché era venuta qui! ©2008 Stephenie Meyer

 

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 Non volevo essere il mostro! Non volevo uccidere un’intera aula di ragazzini indifesi! Non volevo volevo perdere tutto quanto mi ero guadagnato con un’intera esistenza di sacrifici e privazioni!  Non lo avrei fatto. Non gliel’avrei permesso.  permesso.  Il problema stava nel profumo, nel profumo terribilmente attraente del suo sangue. Se ci fosse stato s tato un modo per resistere…se solo un’altra folata di aria fresca avesse potuto schiarirmi la mente. Bella Swan scosse i suoi lunghi, folti capelli color mogano nella mia direzione. Era pazza? Era come se volesse incoraggiare il mostro! Provocarlo.  Non c’era brezza complice che allontanasse il profumo da me ora. Presto sarebbe stato tutto perduto.  No, non c’era alcuna brezza a supportarmi. Ma io non avevo avevo bisogno bisogno di  di respirare. Smisi di far affluire l’aria ai polmoni; ai  polmoni; il sollievo fu immediato, ma relativo. Avevo ancora il ricordo del profumo nella mente ed il suo gusto sulla lingua. Non sarei riuscito a resistere a lungo neppure a quelli. Ma forse potevo resistere per un’ora. Un’ora. Il tempo necessario per uscire uscire da quest’aula stipata di vittime, vittime che magari non dovevano diventare vittime. Se avessi potuto resistere per una brevissima ora. Mi sentivo a disagio a non respirare. Il mio corpo non aveva bisogno di ossigeno, ma andava contro i miei istinti.  Nei momenti di  stress  stress   mi affidavo all’olfatto molto più che agli altri miei sensi. M’indicava la strada quando cacciavo, era il primo ad avvertirmi se c’era un pericolo. Non mi era capitato capitato spesso d’imbattermi in qualcosa di pericoloso quanto me, ma l’isti nto di autoconservazione era tanto forte nella mia razza quanto lo era nella media degli umani. Scomodo, ma sopportabile. Molto più tollerabile dell’odorarla senza affondare i denti in quella pelle delicata e sottile, quasi trasparente, fino alla calda, umida, pulsante –  pulsante –   Un’ora! Soltan Soltanto un’ora. Non dovevo pensare al profumo, al gusto.  gusto.  La taciturna ragazza lasciò cadere i capelli tra di noi, piegandosi in avanti cosicché si riversassero sulla sua cartellina. Non riuscivo a vederne il viso, per cercare di leggerne le emozioni negli occhi schietti e profondi. Era per questo che aveva lasciato che i suoi capelli formassero una cortina tra di noi? Per sottrarmi quegli occhi? Per paura? Per timidezza? Per tenermi nascosti i suoi segreti? La mia iniziale irritazione per essere stato ostacolato dai suoi pensieri muti era debole e pallida in confronto alla necessità  –   ed all’odio –   che si erano appena ©2008 Stephenie Meyer

 

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impossessati di me. Perché odiavo questa fragile donna-bambina che mi stava accanto, la odiavo con tutto il fervore con cui mi aggrappavo alla mia essenza, alla mia famiglia, ai miei sogni di essere un qualcuno migliore di quel che ero… Odiarla, odiare il modo in cui pri ma avevo provato era debole, mi faceva sentire –  sentire  –   era un pò d’aiuto. Si, l’irritazione che prima ma anche quella poteva essere di una qualche utilità. Mi aggrappai a qualunque emozione capace di distrarmi dall’immaginarmi che sapore che sapore  avesse… avesse…   Odio ed irritazione. Impazienza. Quell’ora sarebbe mai finita?  finita?   E quando l’ora finiva… Allora sarebbe uscita dall’aula. E cos’avrei fatto?   Mi potevo presentare. presentare. Ciao, mi chiamo Edward Cullen. Posso accompagnarti alla  prossima lezione?  lezione?  Lei avrebbe risposto di si. Sarebbe stata la cosa più educata da fare. Sebbene avesse già paura di me, come sospettavo, avrebbe seguito le convenzioni e mi avrebbe camminato accanto. Sarebbe stato piuttosto facile spingerla nella direzione sbagliata. Uno sperone di foresta si allungava come un dito indice a toccare l’an golo in fondo allo spiazzo del  parcheggio. Potevo dirle che avevo dimenticato un libro in macchi macchina… na…   Qualcuno avrebbe notato che ero l’ultima persona con la quale era stata vista? Stava  piovendo, come al solito; due impermeabili scuri che s’incamminavano s’incamminavano nella direzione sbagliata non avrebbero destato molta attenzione, né mi avrebbero tradito. Tranne per il fatto che non ero l’unico studente che si era accorto di lei oggi –   –   quantunque nessuno si fosse accorto di lei ferocemente quanto me. Mike Newton, soprattutto, era cosciente di ogni singolo spostamento del suo peso mentre si agitava nervosamente sulla sedia  –   si sentiva a disagio a starmi così vicina, come chiunque avrebbe fatto, esattamente come mi ero aspettato prima che il suo profumo distruggesse tutta la mia caritatevole caritatevole sollecitudine. Mike Newton l’avrebbe notato se lei avesse lasciato l’aula con me.  me.  Se potevo resistere per un’ora, potevo farcela per due?  due?   Il dolore dell’arsura mi fece trasalire.  trasalire.   Sarebbee rientrata in una casa vuota. L’ispettore Swan lavorava tutto il giorno. Sarebb Conoscevo la sua casa, così come conoscevo ogni casa di quella piccola città. La sua casa si trovava proprio a ridosso della fitta boscaglia, isolata. Anche se avesse avuto il tempo di gridare, e non l’avrebbe avuto, non ci sarebbe stato nessuno che potesse sentirla. Quello sarebbe stato un modo responsabile di gestire la cosa. Avevo fatto a meno ©2008 Stephenie Meyer

 

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del sangue umano per settant’anni. Se trattenevo il respiro, potevo farcela per   altre due ore. E quando lei fosse rimasta da sola, non ci sarebbe stato alcun rischio di ferire qualcun altro. E altro.  E nessuna ragione per non godersi appieno l’esperienza, senza fretta, fretta , concordò il mostro nella mia testa. Era un sofisma pensare che salvando s alvando i diciannove umani di quest’aula, faticosamente e con pazienza, sarei stato un pò meno mostro quando avessi ucciso questa ragazza innocente. Malgrado la odiassi, sapevo che il mio odio era ingiustificato. Sapevo che ciò che odiavo veramente era me stesso. Ed avrei odiato entrambi molto di più una volta che fosse morta. Andai avanti così per l’intera ora –   immaginando quali fossero i modi migliori di ucciderla. Cercai di evitare di visualizzare l’atto nel concreto. Probabilmente sarebbe s arebbe stato troppo per me; avrei potuto perdere quella battaglia e finire per uccidere chiunque mi fosse capitato a tiro. Per ciò ciò pianificavo le strategie, e nient’altro. Mi aiutò a superare l’ora.  l’ora.  Una volta, proprio verso la fine, aveva sbirciato verso di me attraverso la parete dei suoi capelli morbidi. Avevo sentito l’odio ingiustificato bruciarmi dentro quando aveva incontrato il mio sguardo –  sguardo  –  ne  ne avevo visto il riflesso nei suoi occhi spaventati. Il sangue le aveva colorato le guance prima che potesse nascondersi di nuovo dietro i capelli, e mi aveva quasi rovinato. Ma la campanella aveva suonato. Salvato dalla campanella  –   che cliché cliché.. Eravamo entrambi salvi. Lei, salva dalla morte. Io, salvo solo per poco dall’essere la creatura da incubo che temevo e aborrivo.  Non riuscii a camminare lentamente come avrei dovuto mentre mi precipitavo fuori dalla stanza. Se qualcuno mi avesse visto, avrebbe potuto sospettare che ci fosse qualcosa di sbagliato nel modo in cui mi muovevo. Nessuno mi prestava attenzione. I pensieri umani ancora vorticavano tutti attorno a quella ragazza condannata a morire in poco più di un’ora.   un’ora. Mi nascosi in macchina.  Non mi piaceva pensare a me stesso costretto a nascondermi. Era una codardia. Ma stavolta era indubbiamente meglio così.  Non mi era rimasta disciplina a sufficienza per aggirarmi tra gli umani ora. Dovermi concentrare tanto nello sforzo di salvarne uno uno mi  mi aveva lasciato senza risorse per resistere ©2008 Stephenie Meyer

 

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agli altri. Che spreco. Se ero in procinto di arrendermi al mostro, tanto valeva che la sconfitta valesse il cedimento. Misi su il CD di una musica che normalmente mi calmava, ma non servì a molto.  No, ciò che più mi aiutava in quel momento era l’aria l’ar ia gelida, umida e  pulita che insieme alla pioggia leggera entrava dai finestrini aperti. Nonostante riuscissi a ricordare l’odore del sangue sangue di Bella Swan con estrema chiarezza, inalare l’aria fresca era come depurare il mio organismo dalla sua infezione. Ero di nuovo sano di mente. Riuscivo di nuovo a pensare. E potevo nuovamente combattere. Potevo combattere contro ciò che non volevo essere.  Non avevo bisogno di andare a casa sua. Non avevo bisogno di ucciderla. Ovviamente, ero una creatura senziente, ragionevole, ed avevo un’alternativa. C’era sempre un’alternativa.  un’alternativa.   Non mi ero sentito così in aula…ma adesso lei era lontana. Forse, se l’avessi evitava ev itava con molta, molta cautela, non ci sarebbe stato alcun bisogno di stravolgere la mia vita. Le cose sarebbero rimaste uguali a come mi piacevano. Perché avrei dovuto permettere ad un esasperante e delizioso nessuno di rovinare tutto?  Non dovevo dovevo deludere  deludere mio padre. Non dovevo essere per mia madre causa di  stress  stress,,  paura…dolore. Si, avrei ferito ferito anche mia madre adottiva. Ed Esme era così dolce, così tenera e gentile. Arrecare dolore a qualcuno come Esme era veramente imperdonabile. Che ironia che avessi desiderato di proteggere questa ragazza umana dalla minaccia inefficace, meschina dei pensieri maligni di Jessica Stanley. Ero l’ultima persona che avrebbe mai potuto fare le veci di un protettore per Isabella Swan. Non avrebbe mai avuto  bisogno di essere protetta più di quanto non non avesse bisogno di esserlo da me. Dov’era Alice, mi chiesi all’improvviso? Non mi aveva visto uccidere la giovane Swan in molteplici modi? Perché non era venuta ad aiutarmi  –  a   a fermarmi o ad aiutarmi a far sparire le prove, una qualunque delle due? Era così presa dall’osservare i problemi di Jasper che aveva mancato questa possibilità tanto più terribile? Ero più forte di quel che  pensavo? Davvero non avrei fatto nulla nulla alla ragazza?  No, sapevo che non era vero. Alice Alice doveva essere totalmente presa da Jasper. Frugai nella direzione in cui sapevo di trovarla, nel piccolo edificio destinato alle lezioni di inglese. Non mi ci volle molto per localizzare la sua “voce” familiare. Ed avevo ragione. Ogni suo singolo pensiero era rivolto a Jasper, osservandone le infinite possibilità ©2008 Stephenie Meyer

 

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esaminandole a fondo. Avrei voluto consigliarmi con lei, ma allo stesso tempo ero contento che non avesse scoperto di cosa ero capace. Che fosse ignara della carneficina che avevo contemplata nell’ultima ora.  ora.  Sentii montare un altro fuoco nel mio corpo –  corpo  –  il   il fuoco della vergogna. Volevo che nessuno di loro sapesse. Se avessi potuto evitare Isabella Swan, se fossi riuscito a non ucciderla  –  anche  anche solo  per averlo pensato, il mostro dentro di me si contorceva e digrignava i denti frustrato  – , allora nessuno avrebbe saputo. Se fossi riuscito a restare lontano dal suo profu mo… mo…    Non c’era motivo per cui non dovessi tentare, del resto. Fare la scelta giusta. Cercare di essere quel che Carlisle pensava che fossi. L’ultima ora di lezione era quasi finita. Decisi all’istante di mettere in pratica il mio  piano. Sempre meglio che restarmene seduto lì nel parcheggio dove avrebbe potuto  passarmi  pas sarmi accanto e vanificare il mio sforzo. Di nuovo, provai quell’odio ingiustif icato icato per la ragazza. Odiavo che avesse un tale inconsapevole potere su di me. Che potesse farmi diventare qualcosa che aborrivo. Camminai a passo svelto  –   un pò troppo svelto, ma non c’erano testimoni –   attraverso il piccolo campus campus  fino alla segreteria. Non c’era c’era ragione di far incrociare la mia strada e quella di Bella Bel la Swan. L’avrei evitata per quella pestilenza che era.  era.   In ufficio c’era solamente la segretaria, colei che avevo bisogno di vedere.    Non aveva notato la mia entrata silenziosa. “Signorina Cope?”  Cope?”  La donna con i capelli di un rosso innaturale alzò lo sguardo ed i suoi occhi si spalancarono. Gli impercettibili segni che non riuscivano a capire li coglievano sempre alla sprovvista, non importava quante volte ci avessero già visti prima. “Oh” rimase a bocca aperta, appena un pò frustrata. Si lisciò la maglietta. Sciocca Sciocca,,  pensò rivolta a se stessa.  E’ talmente giovane che potrebbe essere tuo figlio. Troppo  giovane  gio vane per pensare a lui a quel modo… “Ciao, Edward. Cosa posso fare per te?”. Da dietro le spesse lenti mi faceva gli occhi dolci. Imbarazzante. Ma sapevo come essere affascinante quando volevo. Era facile, considerato che potevo ca pire all’istante come veniva accolto ogni mio tono o gesto. gesto.   Mi sporsi in avanti, incrociando il suo sguardo come se stessi fissando intensamente ©2008 Stephenie Meyer

 

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le profondità dei suoi piccoli occhi marroni. I suoi pensieri erano già in subbuglio. Sarebbe stato facile. “Mi stavo chiedendo se poteva aiutarmi con il mio orario”, le dissi con la voce morbida che serbavo quando non volevo spaventare gli umani. Ascoltai il battito del suo cuore che accelerava. “Certo, Edward. Cosa posso fare per te?”. Troppo giovane, troppo giovane, giovane , cantilenava tra sé. Sbagliato, ovviamente. Ero più vecchio di suo nonno. Ma stando alla mia patente di guida, aveva ragione. “Mi stavo domandando se potevo spostarmi dal mio corso di biologia ad un corso  più avanzato di scienze? Fisica, magari?”  magari?”  “C’è qualche problema con il Signor Banner, Edward?”  Edward?”  “No di certo, è solo che ho già studiato la sua s ua materia…”  materia…”   “In quella scuola per ragazzi dotati che tutti voi avete frequentato in Alaska, giusto?”. giu sto?”. Le sue labbra sottili si contrassero in una smorfia una  smorfia mentre ci pensava. Dovrebbero pensava.  Dovrebbero  già frequentare tutti l’università. Ho sentito i professori lamentarsene. Degli studenti modello, mo dello, troppo perfetti, mai un’esitazione nel rispondere, mai una risposta sbagliata ad un test  –   come se avessero trovato il modo d’imbrogliare in tutte le materie. Il S ignor ignor Varner preferirebbe credere che imbroglino tutti piuttosto che ammettere che uno  studente è più intelligente di lui…Scommetto che la loro madre li istruisce  personalmente…   “Per la ver ità,  personalmente… ità, Edward, fisica è piuttosto affollata al momento. Il Signor Banner odia avere più di venticinque studenti per classe -”  “Non sarei di alcun disturbo”.  disturbo”.  Certo che no. Non un perfetto Cullen. Cullen . “Lo so Edward. Ma non ci sono abbastanza  posti a sedere…” sedere…”   “Posso abbandonare il corso, allora? Potrei usare quel tempo per studiare da solo”.   “Lasciare biologia?” spalancò la bocca. Questo è assurdo. Quanto può essere  faticoso arrivare alla fine di un corso di cui già si conosce la materia? Deve esserci qualche problema con il Signor Banner. Chissà se dovrei parlarne con Bob?  Bob?  “Non  potresti diplomar ti”.  ti”.  “Recupererò il prossimo anno”.  anno”.  “Forse dovresti parlarne con con i tuoi genitori”.  genitori”.  La porta alle mie spalle si era aperta, ma chiunque fosse non stava pensando a me, ©2008 Stephenie Meyer

 

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 perciò ignorai il nuovo arrivato e mi concentrai sulla Signorina Cope. Mi sporsi leggermente più vicino, e spalancai un pò di più gli occhi. Avrebbe funzionato meglio se fossero stati dorati invece che neri. La nerezza spaventava gli umani, così come doveva. “Per favore, Signorina Cope?”. Resi il tono della mia voce quanto più ammaliante ed irresistibile potesse essere  –   e poteva essere estremamente irresistibile. “Non c’è un altro corso in cui potrei spostarmi? Sono certo che da qualche parte deve esserci un posto libero. La sesta ora di biologia biolo gia non può essere l’unica alternativa…”.  alternativa…”.   Le sorrisi, stando attento a non mostrarle i denti così apertamente da farla spaventare, lasciando lasciando che l’espressione ammorbidisse ammorbidisse il mio viso. Il suo cuore tamburellò più velocemente. Troppo giovane, giovane, ricordò a sé stessa affannosamente. affan nosamente. “Beh, forse potrei parlare con Bob –  intendo  intendo dire il Signor Banner. Posso vedere se -” -”  Un secondo fu tutto quanto ci volle vo lle per trasformare ogni cosa: l’atmosfera nella stanza, la missione per cui ero lì, la ragione per cui mi ero allungato verso la donna dai ca pelli rossi… Quello che prima aveva aveva uno scopo adesso ne aveva un altro. Un secondo fu tutto quanto ci volle a Samantha Walls per aprire la porta e depositare una nota firmata in un contenitore vicino alla porta, e correre di nuovo fuori, nella fretta di allontanarsi dalla scuola. Un secondo fu tutto quanto ci volle per essere investito dall’improvvisa folata  folata  di vento che aveva attraversato la porta. Un secondo fu tutto quanto ci volle per rendermi conto del perché quella prima persona che aveva attraversato la porta non mi aveva interrotto con i suoi pensieri. Mi voltai, anche se non avevo bisogno di farlo per essere sicuro. Mi voltai lentamente, combattendo per tenere sotto controllo i muscoli che mi si ribellavano. Bella Swan era in piedi con le spalle poggiate al muro accanto alla porta, che stringeva tra le mani un pezzo di carta. I suoi occhi si spalancarono persino più del normale quando s’immersero nel mio sguardo feroce e disumano.  disumano.   L’odore del suo sangue impregnava ogni particella d’aria di quell’ufficio piccolo e caldo. La mia gola era in fiamme. Il mostro ancora una volta ricambiò il mio sguardo dallo specchio che erano i suoi occhi, una maschera malefica. La mia mano esitava nell’aria sopra il bancone. Non mi sarebbe servito di girarmi  per allungare il braccio e sbattere la testa della Signorina Cope sulla scrivania con una ©2008 Stephenie Meyer

 

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forza sufficiente ad ucciderla. Due vite, invece di venti. Un affare. Il mostro attendeva ansiosamente, famelicamente che lo facessi. Ma c’era sempre un’alternativa –  Doveva esserci.  Doveva esserci. Bloccai il movimento dei polmoni, e mi concentrai sul viso di Carlisle che avevo da davanti vanti agli occhi. Mi voltai di nuovo di fronte alla Signorina Cope ed ascoltai l’intima sorpresa indottale dal mio cambiamento di espressione. Si allontanò da me, ma la sua  paura non si trasformò in parole coerenti. Facendo uso di tutto il controllo che avevo imparato a dominare in decenni di abnegazione, adottai un tono di voce pacato e mellifluo. Avevo giusto abbastanza aria nei  polmoni per parlare una volta ancora, scandendo rapidamente le parole. “Non fa niente, allora. Capisco che non è possibile. Molte grazie lo stesso per il suo aiuto”.   aiuto”. Mi voltai in un baleno e mi precipitai fuori dalla stanza, cercando d’ignorare il calore del suo sangue caldo mentre passavo a pochi centimetri da lei.  Non mi fermai finché non arrivai alla macchina, muovendomi troppo in fretta lungo tutto il percorso fino a lì. La maggior parte degli esseri umani se n’erano già a ndati, perciò non c’erano molti testimoni. Uno studente del secondo anno, D.J. Garret, l’aveva notato, ma poi aveva sminuito la cosa… cosa…    Da dove arriva Cullen? Sembra essersi materializzato dal nulla…Ci risiamo, ancora anco ra la mia immaginazione. La mamma lo dice sempre…  sempre…  Quando m’infilai dentro la Volvo, Vol vo, gli altri erano già lì. Cercavo di controllare il mio respiro, ma stavo boccheggiando l’aria fresca come se fossi quasi so ffocato. “Edward?” domandò Alice, in tono apprensivo.  apprensivo.   Mi limitai a scuotere la testa. “Che diamine ti è successo?” chiese Emmett, Emmet t, momentaneamente distratto dal fatto che Jasper Jasper non fosse dell’umore giusto per una rivincita.  rivincita.   Invece di rispondere, innestai rapido la retromarcia. Dovevo andarmene da quel  parcheggio prima che Bella Swan potesse seguirmi anche lì. Il mio demone personale, che mi braccava… Girai bruscamente la macchina e accelerai. Avevo raggiunto i sessanta  prim’ancora di essere in strada. In strada, raggiunsi i centodieci prim’ancora di aver svoltato svol tato l’angolo.  l’angolo.  Senza bisogno di vederli, sapevo che Emmett, Rosalie e Jasper si erano tutti voltati ©2008 Stephenie Meyer

 

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a guardare Alice. Lei scrollò le spalle. Non riusciva a vedere il passato, ma solo ciò che stava per arrivare. Si era messa a rovistare nel futuro per me, ora. Entrambi elaborammo quello che vedeva nella sua mente, ed entrambi ne rimanemmo sorpresi. “Te ne vai?” mormorò.  mormorò.  Gli altri fissavano me adesso. “Davvero?” sibilai a denti stretti.  stretti.  Poi lo vide, nell’istante in cui la mia determinazione vacillava ed un’altra scelta spingeva il mio futuro in una più cupa direzione. “Oh”.   “Oh”. Bella Swan, morta. I miei occhi, di un rosso incandescente per il sangue appena consumato. L’inchiesta che ne sarebbe seguita. Il tempo che avremmo dovuto far passare  perché fosse sicuro per noi trasferirci e ricominciare ricominciare daccapo…  daccapo…  “Oh”, disse ancora. L’immagine si faceva sempre più dettagliata. Per la prima volta vidi l’interno della casa dell’ispettore Swan, vidi Bella in una piccola cucina  cucina   con gli armadietti arma dietti gialli, che mi dava le spalle mentre la spiavo dall’ombra… Lasciando che il  profumo mi spingesse spingesse verso di lei…  lei…  “Basta!” gemetti, incapace di sopportare altro.  altro.  “Mi dispiace”, bisbigliò, con gli occhi sgranati.  sgranati.   Il mostro esultava. Poi la visione nella sua mente cambiò di nuovo. Una strada deserta, di notte, gli alberi che la costeggiavano ricoperti di neve, baluginanti a quasi trecentoventi chilometri l’ora.   l’ora. “Mi mancherai”, disse. “Non importa per quanto poco tempo starai via”.  via”.   Emmett e Rosalie si scambiarono un’occhiata apprensiva.  apprensiva.   Eravamo in prossimità della svolta per il lungo viale che conduceva a casa nostra. “Lasciaci qui”, ordinò Alice. “Devi dirlo tu stesso a Carlisle”.  Carlisle”.  Annuii, e la macchina stridette per la brusca frenata. Emmett, Rosalie e Jasper uscirono in silenzio; si sarebbero fatti spiegare tutto da Alice quando me ne fossi andato. Alice toccò la mia spalla. “Farai la  la  cosa giusta”, mormorò. Non era una visione stavolta –  stavolta  –   ma un ordine. “Per Charlie Swan è tutta la sua famiglia. Uccideresti anche lui”.  lui”.  ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Si”, dissi, d’accordo soltanto sull’ultima parte.  parte.   Scivolò fuori per raggiungere gli altri, con le sopracciglia ansiosamente aggrottate. Si dissolsero nella foresta, scomparendo alla vista prim’ancora che potessi girare la macchina. Accelerai di nuovo in direzione della città, e sapevo che le visioni nella mente di Alice avrebbero lampeggiato dal buio alla luce come una lampada ad intermittenza. Mentre sfrecciavo a centoquaranta verso Forks, non ero sicuro di cos’avrei fatto. Avrei detto addio a mio padre? O avrei abbracciato il mostro che avevo dentro? La strada volava via sotto le ruote.

©2008 Stephenie Meyer

 

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2. Libro aperto

Me ne stavo appoggiato ad un soffice banco di neve, lasciando che la massa farinosa si modellasse attorno al mio peso. La mia pelle si era raffreddata per compensare l’aria intorno a me, ed i minuscoli frammenti di ghiaccio parevano come velluto a contatto con la mia pelle. Il cielo sovrastante era limpido, brillante di stelle, acceso di blu in alcuni punti, di giallo in altri. Le stelle creavano delle figure maestose e fluttuanti che contrastavano con l’oscurità dell’universo –   uno spettacolo meraviglioso. Straordinariamente bello. O almeno, sarebbe dovuto essere straordinario. Lo sarebbe stato, se fossi riuscito a vederlo davvero.  Non stava andando per niente meglio. Erano passati sei giorni, da sei giorni mi nascondevo qui nella landa desolata di Denali, ma non ero più vicino alla libertà di quanto non fossi la prima volta che avevo colto il suo profumo. Quando alzavo lo sguardo al cielo incastonato, era come se ci fosse un’ostruzione tra i miei occhi e la sua bellezza. be llezza. L’ostruzione era un viso, solo un comune viso umano, che però non riuscivo a bandire completamente dalla mia mente. Sentii l’approssimarsi dei pensieri prim’ancora di riuscire a sentire i passi che li accompagnavano. Il suono del movimento era solo un lieve fruscio contro la neve farinosa.  Non ero sorpreso che Tanya mi avesse seguito. Sapevo che in quegli ultimi giorni aveva rimuginato a lungo sulla conversazione in arrivo, rimandandola finché non era stata sicura di cosa volesse dirmi esattamente. Con un balzo apparve a circa sessanta metri da me, che si lanciava sulla cima di un affioramento di rocce nere bilanciandosi sugli avampiedi nudi. La pelle di Tanya era d’argento alla luce delle stelle, ed i lunghi r icci icci dei suoi capelli  biondi rilucevano pallidi, quasi rosa per via delle sfumature rosso fragola. I suoi occhi ambrati scintillavano mentre mi spiava, mezza sepolta nella neve, e le sue labbra carnose si distesero lentamente in un sorriso. Magnifica. Se Se fossi  fossi stato veramente in grado di vederla. Sospirai. Si rannicchiò sulla cima dell’affioramento, la punta delle dita a toccarne la roccia, il ©2008 Stephenie Meyer

 

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corpo involto.  Bomba,, pensò.  Bomba Si lanciò in aria, la sua sagoma divenne un’ombra un’ ombra scura e indefinibile mentre volteggiava tra me e le stelle. Si chiuse a palla proprio mentre centrava il banco di neve ammucchiato al mio fianco. Attorno a me montò una bufera di neve. Le stelle si oscurarono e mi ritrovai sommerso da leggeri cristalli di ghiaccio. Sospirai ancora, ma non feci nulla per riesumarmi. L’oscurità al di sotto della neve n eve né rovinava né migliorava la vista. Vedevo ancora lo stesso volto. “Edward?”   “Edward?” Poi la neve ricominciò ad agitarsi intanto che Tanya mi dissotterrava rapidamente. Tolse la neve farinosa dal mio viso inespressivo, senza quasi guardarmi negli occhi. “Scusa” mormorò. “Era uno scherzo”.  scherzo”.  “Lo so. Era divertente”.  divertente”.  La sua bocca s’imbronciò.  s’imbronciò.  “Irina e Kate mi hanno detto che avrei fatto meglio a lasciarti da solo. Pensano che ti stia dando il tormento”. tormen to”.   “Nient’affatto”, la rassicurai. “Al contrario, sono io quello che si comporta da maleducato –  maleducato  –  tremendamente  tremendamente maleducato. Mi dispiace dispi ace davvero”.  davvero”.  Torni a casa, non è vero?, vero?, pensò. “Non l’ho…completamente…deciso ancora”.  ancora”.   Ma non resterai qui. qui. I suoi pensieri si erano fatti malinconici, tristi. “No. Non sembra essere…di alcuna utilità”.  utilità”.   Fece Fece una smorfia. “E’ colpa mia, vero?”  vero?”  “Certo che no”, mentii senza alcuna difficoltà.  difficoltà.   Non fare il gentiluomo. gentiluomo. Sorrisi. Ti metto a disagio, disagio, accusò. “No”.   “No”. Alzò un sopracciglio, la sua espressione era talmente scettica che non potei fare a meno di ridere. Una breve risata, seguita da un altro sospiro. “D’accordo”, ammisi. “Appena un pò”.  pò”.   ©2008 Stephenie Meyer

 

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Sospirò anche lei ed appoggiò il mento tra le mani. I suoi pensieri erano delusi. “Seii mille volte più affascinante delle stelle, Tanya. Ovviamente, ne se già “Se  pienamente  piena mente cosciente. Non lasciare che la mia testardaggine scalzi la tua sicurezza”. Ridacchiai alla prospettiva di quanto quello quello fosse  fosse improbabile. “Non sono abituata ad essere rifiutata” borbottò, sporgendo il labbro inferiore così da mettere il broncio in maniera accattivante. “Certo che no”, le accordai, cercando con scarso successo di tenere fuori i suoi  pensieri mentre rovistava fugacemente tra i ricordi delle sue migliaia di conquiste riuscite. Tanya preferiva soprattutto gli uomini della specie umana  –   intanto perché erano molto  più numerosi, con in più il vantaggio di essere morbidi e caldi. E sempre compiacenti, senza alcun dubbio. “Succube”, la  la canzonai, sperando così d’interrompere le immagini che baluginavano balugin avano nella sua mente. Spalancò il sorriso, sfoggiando la dentatura. “La sola”. sola”.   Diversamente da Carlisle, Tanya e le sue sorelle avevano scoperto le proprie coscienze lentamente. Alla fine, era stata la loro inclinazione per i maschi della razza umana che le aveva fatte ribellare alla carneficina. Adesso gli uomini che amavano… sopravvivevano. “Quando ti sei presentato qui”, disse Tania lentamente. “Ho pensato che…”  che…”   Sapevo cos’aveva pensato. Ed avrei dovuto immaginare che si sarebbe sentita c osì. Ma non ero al meglio quanto a ragionamento analitico in quel momento. “Hai pensato che avessi cambiato idea”.  idea”.  “Si”. Si accigliò.  accigliò.  “Mi sento malissimo per aver giocato con le tue speranze, Tanya. Non intendevo  –   non stavo riflettendo. E’ solo che sono venuto via…piuttosto di corsa”.  corsa”.   “Immagino che non mi diresti perché…?”  perché…?”   Mi misi a sedere cingendomi le ginocchia con le braccia, raggomitolandomi sulla difensiva. difensiva. “Non mi va di parlarne”.  parlarne”.   Tanya, Irina e Kate erano davvero brave a vivere la vita cui si erano vincolate. Più  brave persino di Carlisle, Carlis le, per certi cer ti versi. ve rsi. A dispetto della follemente f ollemente stretta str etta vicinanza ch e si permettevano di avere con coloro che sarebbero dovuti essere  –  e   e una volta erano  –   le loro prede, non commettevano errori. Mi vergognavo troppo per ammettere la mia ©2008 Stephenie Meyer

 

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debolezza con Tanya. “Problemi di donne?” tirò a indovinare, ignorando la mia mia riluttanza. Risi sconfortato. “Non nel senso che credi tu”.  tu”.   Dopodiché si fece silenziosa. Ne ascoltai i pensieri intanto che si lasciava andare a diverse supposizioni, cercando di decifrare il senso delle mie parole. “Non ci  ci sei neanche vicina”, le dissi.  dissi.  “Un aiutino?” chiese.  chiese.  “Per favore lascia stare, Tanya”.  Tanya”.  Si fece nuovamente silenziosa, mentre elaborava altre ipotesi. La ignorai, cercando invano di godermi le stelle. Dopo un momento di silenzio si arrese, ed i suoi pensieri presero una direzione nuova.  Dove andrai, Edward, se te ne vai?  vai? Torni da Carlisle?  Carlisle?  “Non credo”, mormorai.  mormorai.  Dove sarei andato? Non riuscivo a pensare a nessun posto sull’intero pianeta capace c apace di suscitarmi un qualche interesse. Non c’era niente che volessi vedere o fare. Perché, ovunque mi fossi diretto, non sarei arrivato da nessuna parte  –   mi sarei limitato a  scappare..  scappare Era una cosa che odiavo. Quand’ero diventato un tale codar do? do? Tanya aveva allungato il braccio sottile attorno alle mie spalle. Mi ero irrigidito, ma senza sottrarmi al suo tocco. Lo aveva inteso come nulla più di un conforto amichevole. All’incirca.   All’incirca. “Credo che tornerai tornerai   indietro”, disse, con nella nella voce solamente una sfumatura del suo oramai svanito accento russo. “Non importa cosa…o chi…ti stia dando la caccia. Lo affronterai a testa alta. Sei fatto fat to così”.  così”.  I suoi pensieri erano sicuri come le sue parole. Cercai di abbracciare l’idea d i me che aveva nella mente. Di uno che affronta le cose a testa alta. Era piacevole pensare di nuovo a me stesso in quel modo. Non avevo mai dubitato del mio coraggio, della mia ca pacità di affrontare le avversità, prima di quell’orribile ora di poco tempo  tempo  prima trascorsa ad una lezione di biologia in una scuola superiore. La baciai sulla guancia, ritraendomi in fretta quando aveva voltato il viso verso di me, con le labbra già increspate. Sorrise mestamente per la mia prontezza. ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Grazie, Tanya. Avevo bisogno di sentirmelo dire”.  dire”.  I suoi pensieri si fecero petulanti. “Di niente, Edward, immagino. Vorrei che fossi  più ragionevole su certe cose, Edward”.  Edward”.  “Mi dispiace, Tanya. Sai di essere troppo buona per me. E’ solo…che ancora a ncora non ho trovato quello che cerco”.  cerco”.  “Bene, nel caso partissi prima che ti riveda…arrivederci, Edward”.   “Arrivederci, Tanya”. Mentre pronunciavo quelle parole, potevo vedermi. Potevo vedere me stesso partire. Forte abbastanza da tornare torn are nell’unico posto in cui desideravo stare.. “Grazie an stare ancora”. cora”.   Si era alzata con un solo agile movimento, e poi aveva cominciato a correre, scivolando sulla neve così velocemente che i suoi piedi non avevano avuto il tempo di affondarci dentro; non aveva lasciato impronte. Non si era voltata indietro. Il mio rifiuto l’aveva inf astidita astidita più di quanto non avesse dato a vedere, persino nei suoi pensieri. Non voleva rivedermi prima che partissi. Lo scontento distorse la piega delle mie labbra. Non mi faceva piacere ferire Tanya, sebbene i suoi sentimenti non fossero profondi, a malapena casti e, in ogni caso, non qualcosa che potessi contraccambiare. Ciononostante mi faceva sentire meno gentiluomo. Poggiai il mento sulle ginocchia e tornai a fissare le stelle, quantunque fossi im provvisamente ansioso d’intraprendere il mio viaggio. Sapevo che Alice mi avrebbe visto che tornavo a casa, che l’avrebbe detto agli altri. Questo li avrebbe resi felici –   –   Carlisle ed Esme soprattutto. Però rimasi a contemplare le stelle per un altro momento, cercando di guardare oltre il viso che avevo in mente. Tra me e le luci che risplendevano in cielo, un paio di sconcertati occhi marrone cioccolata ricambiavano il mio sguardo, apparentemente

domandando

cos’avrebbe cos’avrebbe

significato

per

lei  lei  quella

decisione.

Ovviamente, non potevo essere certo che fosse davvero quella la risposta che i suoi occhi curiosi cercavano. Perfino nelle mie fantasie non riuscivo ad ascoltarne i pensieri. Gli occhi di Bella Swan continuavano a fare domande, ed una visuale sgombra delle stelle continuava a sfuggirmi. Sospirando profondamente mi arresi, e mi alzai in piedi. Se correvo, potevo tornare alla macchina di Car lisle lisle in meno di un’ora…  un’ora…    Nella fretta di rivedere la mia famiglia –  famiglia  –  e  e desiderando con tutto me stesso di essere l’Edward che affronta le cose a testa alta –   mi precipitai attraverso il campo innevato illuminato dalle stelle, senza lasciare impronte. ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Andrà tutto bene”, sussurrò Alice. I suoi occhi erano distanti, e Jasper le poggiava delicatamente una mano sotto il gomito, guidandola mentre entravamo nella mensa malridotta stretti in gruppo. Rosalie ed Emmett facevano strada, Emmett con l’aria ridicola di una guardia del corpo al centro di un territorio ostile. Anc he Rosalie aveva l’aria guardinga, ma più irritata che protettiva. “Naturalmente” borbottai. Si comportavano in maniera assurda. Se non fossi stato certo di poter gestire questo momento, me ne sarei rimasto a casa. L’improvvisa trasformazione trasformazione di una mattinata normale, persino allegra  –   aveva nevicato durante la notte ed Emmett e Jasper non avevano esitato ad approfittare della mia distrazione per bombardarmi con le palle di neve; quando si erano stancati del fatto che non reagivo, si erano erano rivoltati l’uno contro l’altro –  in   in quella vigilanza esagerata sarebbe stato comico se non fossi stato tanto irritato. “Non è ancora arrivata, ma presto sarà qui…non si troverà sottovento se ci sedi amo al nostro nostro solito posto”.  posto”.  “ Naturalmente  Naturalmente occuperemo  occuperemo il nostro solito posto. Smettila, Alice. Mi stai dando sui nervi. Starò benissimo”.  benissimo”.  Sbatté le palpebre una volta mentre Jasper l’aiutava a prendere posto, ed i suoi occhi finalmente si focalizzarono sul mio viso. “Hmm”, disse, apparentemente stupita. “Penso che tu abbia ragione”.  ragione”.   “Ovviamente Ovviamente  ce l’ho” borbottai. Odiavo essere il centro delle loro attenzioni. Provai un’improvvisa compassione per Jasper, ripensando a tutte le volte che gli eravamo stati protettivamente addosso. Incrociò  brevemente il mio sguardo e spalancò il sorriso.  Irritante, non è vero? Gli feci una smorfia. Era passata solo una settimana da quando quello stanzone lungo e tetro mi era sembrato così terribilmente monotono? Che mi era parso che stare lì fosse quasi come dormire, come essere in coma? Oggi i miei nervi erano ben tesi  –  come   come le corde di un pianoforte, tese per suonare alla più leggera delle pressioni. I miei sensi erano in stato di piena allerta; scansionavo ©2008 Stephenie Meyer

 

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ogni suono, ogni sguardo, ogni movimento dell’aria che toccava la mia pelle, ogni  pensiero. Soprattutto i pensieri. C’era solamente un senso che tenevo sotto chiave, rifiutandomi di usarlo. L’olfatto, naturalmente. Non respir avo. avo. Stavo aspettando di ascoltare qualcosa di diverso sui Cullen nei pensieri che sondavo. Avevo aspettato tutto il giorno, in cerca di una qualunque nuova conoscenza con la quale Bella Swan avesse potuto decidere di confidarsi, tentando di capire la direzione che avrebbero preso i nuovi pettegolezzi. Ma non avevo trovato niente. Nessuno a mensa  pareva fare caso ai cinque vampiri, proprio come prima che la ragazza nuova arrivasse. Diversi degli esseri umani presenti stavano ancora pensando a quella ragazza, formulando ancora i medesimi pensieri della settimana passata. Invece di trovare la cosa incredibilmente noiosa, adesso ne ero affascinato.  Non aveva raccontato a nessuno di me?  Non era possibile che non si fosse accorta del mio sguardo truce ed assassino. Avevo Ave vo visto come aveva reagito. Sicuramente, l’avevo spaventata a morte. Ero convinto che ne avesse fatto parola con qualcuno, magari addirittura ingigantendo un poco la storia  per renderla più interessante. Rivolgendomi qualche epiteto. E poi, mi aveva anche sentito mentre cercavo di ritirarmi dal corso di biologia che frequentavamo assieme. Doveva essersi chiesta, dopo aver visto la mia espressione, se per caso non fosse a causa sua. Una ragazza normale avrebbe domandato in giro, confrontato la propria esperienza con quelle degli altri, in cerca di una ragione comune che spiegasse la mia condotta così da non sentirsi esclusa. Gli esseri umani disperavano costantemente di sentirsi normali, di ambientarsi. Di mescolarsi a tutti quelli che avevano intorno, esattamente come un gregge di pecore. Un bisogno particolarmente sentito durante l’instabile periodo dell’adolescenza. Questa ragazza non avrebbe fatto eccezione alla regola. Ma assolutamente nessuno faceva caso a noi seduti lì, al nostro solito tavolo. Bella doveva essere eccezionalmente timida, se non si era confidata con nessuno. Forse ne aveva par lato lato con il padre, magari era quello il legame più forte…senonché mi pareva  poco probabile, stante il poco tempo che aveva passato con lui nel corso della sua vita. Probabilmente era più attaccata a sua madre. Ciononostante, avrei fatto meglio a passare quanto prima dall’ispettore Swan per sentire cosa pensava.  pensava.   “Niente di nuovo?” chiese Jasper.  Jasper.   ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Niente. Non deve…averne fatto parola con nessuno”.  nessuno”.   Reagirono tutti alla notizia sollevando un sopracciglio. “Magari non sei spaventoso come credi”, disse Emmett Emmet t, ridacchiando. “Scommetto “Scommetto ”.   che sarei stato capace di metterle molta più paura di così così”. Alzai gli occhi al cielo. “Chissà perché…?”. Tornò a scervellarsi sulla mia rivelazione circa l’unicità del silenzio della ragazza. “Ci abbiamo già pensato e ripensato. Non lo so lo so”. ”.   “Sta entrando”, mormorò Alice a quel punto. Sentii il mio corpo che s’irrigidiva. “Cer  “Ce r ca ca di sembrare umano”.  umano”.  “Umano, hai detto?” chiese Emmett. Emmet t. Sollevò il pugno destro, aprendo le dita per mostrarci la palla di neve che aveva conservata nella mano. Ovviamente Ovviamente non si era sciolta. L’aveva compressa fino a farla diventare un bitorzoluto blocchetto di ghiaccio. Teneva gli occhi su Jasper, ma avevo visto verso chi erano rivolti i suoi pensieri. E naturalmente lo aveva fatto anche Alice. Quando improvvisamente le tirò addosso quel pezzo di ghiaccio, lei lo scansò con un gesto casuale delle dita. Il ghiaccio rimbalzò per tutta la lunghezza della mensa, troppo veloce per risultare visibile agli occhi umani, e si fracassò sulla parete di mattoni schiantandosi rumorosamente. Pure i mattoni scricchiolarono. Tutte le teste che si trovavano in quell’angolo della stanza si erano voltate a guardare il mucchietto di ghiaccio sul pavimento, e poi si erano girate a caccia del colpevole. Non avevano guardato più in là di pochi tavoli. Nessuno aveva guardato verso di noi. “Molto umano, Emmett Emmett”, disse Rosalie caustica. “Perché non ti lanci attraverso la  parete già che ci sei?”  sei?”  “Sarebbe molto più d’effetto se lo facessi tu, piccola”.  piccola”.   Cercai di prestargli attenzione, continuando a trattenere sul viso un ampio sorriso, come se stessi prendendo parte alla loro schermaglia. Non mi permettevo di guardare verso la fila dove sapevo che si trovava. Ma era er a lì che si concentrava tutto iill mio ascolto. Potevo sentire l’insofferenza di Jessica nei confronti della nuova arrivata, la quale sembrava anche lei distratta, immobile in mezzo alla fila che continuava a scorrere. Nei  pensieri di Jessica J essica vidi le l e guance di Bella Swan colorarsi ancor di più di un rosa acceso di ©2008 Stephenie Meyer

 

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sangue. Feci dei brevi respiri poco profondi, pronto a smettere di respirare semmai ci fosse stata traccia del suo profumo nell’aria intorno a me. Mike Newton era con le due ragazze. Potei sentirne entrambe le voci, quella mentale e quella verbale, quando chiese a Jessica cosa non andasse nella giovane Swan.  Non mi piaceva il modo in cui i suoi pensieri le si avvolgevano attorno, il fremito delle già consolidate fantasie che ottenebravano la sua mente mentre la guardava trasalire e riscuotersi dal suo fantasticare quasi avesse dimenticato dove si trovava. “Niente”, sentii dire a Bella con quella sua voce pacata e limpida. La quale parve suonare come un campanello al di sopra del brusio della mensa, ma sapevo che era solamente perché stavo aspettando con grande attenzione di poterla ascoltare. “Oggi prendo solamente una soda”, aggiunse avanzando nella fila.  fila.    Non riuscii ad impedirmi di lanciare un’occhiata nella sua direzione. Teneva lo sguardo basso sul pavimento ed il sangue stava lentamente svanendo dal suo viso. Mi voltai rapidamente verso Emmett, che proruppe in una risata per il sorriso apparentemente afflitto che avevo adesso in viso. Sembri malato, fratello. fratello. Ricomposi la mia espressione di modo che sembrasse disinvolta e naturale. Jessica, ad alta voce, stava chiedendo spiegazione della mancanza di appetito della ragazza. ragazza. “Non hai fame?”  fame?”   “A dire il vero, non mi sento molto bene”. La sua voce era e ra più debole, ma ancora molto chiara. Perché m’infastidiva la premurosa preoccupazione che d’improvviso emanava dai  pensieri di Mike Newton? Cosa importava se avevano una sfumatura di possessività? Non era affar mio se Mike Newton si sentiva inutilmente ansioso per lei. Forse era quello il modo in cui tutti le reagivano. Non avevo io stesso, istintivamente, desiderato di  proteggerla? Prima di aver desiderato desiderato di ucciderla, insomma…  insomma…  Ma la ragazza era era malata?  malata? Era difficile da stabilire –  stabilire  –   sembrava così delicata con quella pelle trasparente… Poi mi resi conto che anch’io mi stavo preoccupando per lei, proprio come quella testa vuota di ragazzo, e mi sforzai di non pensare alla sua salute. Oltretutto, non mi piaceva doverla tenere d’occhio attraverso i pensieri di Mike ©2008 Stephenie Meyer

 

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 Newton. Mi spostai su quelli di Jessica, voltandomi con cautela verso i tre mentre sceglievano il tavolo al quale sedersi. Fortunatamente, presero posto insieme ai compagni abituali di Jessica, in uno dei primi tavoli della mensa. Non sottovento, proprio come aveva promesso Alice. Alice mi diede una gomitata. Tra poco guarderà da questa parte, comportati da umano.. umano Sorrisi a denti stretti. “Rilassati, Edward”, disse Emmett Emmet t. “Onestamente. “Onestamente. Vabé, uccidi un solo umano.  Non è mica la fine fine del mondo”.  mondo”.  “Tu dovresti saperlo”, protestai.  protestai.   Emmett scoppiò a ridere. “Devi imparare a fregartene. Come faccio io. L’eternità è un tempo troppo lungo per crogiolarsi con i sensi di colpa”. c olpa”.   Proprio in quell’istante, Alice gettò una piccola manciata di ghiaccio che aveva tenuta nascosta sul viso di Emmett, che non aveva sospettato nulla. Lui sbatté le palpebre, sorpreso, e poi abbozzò una smorfia in previsione di quello che avrebbe fatto. “Te la sei voluta”, disse, mentre si allungava sul tavolo e le scuoteva addosso i capelli incrostati dal ghiaccio. La neve, sciogliendosi al calore della stanza, gli volò via dai capelli in una fitta doccia mezzo liquida, mezzo congelata. “Ehi!” reclamò Rosalie, intanto che lei ed Alice rifuggivano dal diluvio.  diluvio.   Alice si mise a ridere, e tutti noi ci unimmo. Potevo leggere nella mente di Alice come avesse orchestrato quel momento perfetto, e sapevo che la ragazza  –   dovevo smetterla di pensare pensare a lei in quella maniera, come se fosse l’unica ragazza esistente al mondo  –   che Bella ci avrebbe visti ridere e scherzare, con l’aria felice ed umana ed utopicamente idealizzata tipica di un dipinto di Norman Rockwell. Alice continuava a ridere, e sollevò il proprio vassoio per farsene scudo. La ragazza  –  Bella,  Bella, di sicuro, ci stava ancora guardando. …Sta di nuovo fissando i Cullen, Cullen , pensò qualcuno, catturando la mia attenzione. Automaticamente mi voltai a guardare la fonte di quel richiamo involontario, comprendendo non appena i miei occhi ebbero raggiunta la loro destinazione che conoscevo quella voce –  voce –  l’avevo ascoltata talmente a lungo oggi. Ma i miei occhi scivolarono subito alla destra di Jessica, ed andarono a convergere ©2008 Stephenie Meyer

 

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sullo sguardo penetrante della ragazza. Abbassò gli occhi rapidamente, nascondendosi come già aveva fatto dietro i folti capelli. Cosa stava pensando? La frustrazione, piuttosto che smorzarsi, pareva farsi sempre  più pungente con l’andare del tempo. Tentavo –   senza sapere bene cosa stessi facendo  perché mai prima ci avevo provato –  provato –  di  di sondare con la mente il silenzio che la circondava. L’extra udito era sempre stata una dote naturale che non avevo avuto bisogno di sollecitare; non avevo mai dovuto lavorarci sopra. Però mi concentrai, nel tentativo di aprirmi un varco attraverso qualunque barriera la circondasse.  Niente, apparte il silenzio. Cosa mai ci sarà in lei? Pensò lei? Pensò Jessica, facendo eco alla mia stessa frustrazione. “Edward Cullen ti sta fissando”, bisbigliò all’orecchio della giovane Swan, aggiungendo aggiun gendo una risatina. Non c’era traccia alcuna della sua gelosa irritazione nel tono della sua voce. Jessica sembrava essere fatta apposta per simulare l’amicizia. l’amicizia. Ascoltai, eccessivamente affascinato, la risposta della ragazza. “Non sembra arrabbiato, vero?” bisbigliò come risposta.  risposta.   Perciò aveva aveva   notato la mia reazione furiosa della scorsa settimana. Ovviamente l’aveva fatto.  fatto.  La domanda confuse Jessica. Vidi la mia faccia riflettersi nei suoi pensieri intanto che verificava la mia espressione, ma non incontrai il suo sguardo. Ero ancora focalizzato sulla ragazza, nel tentativo di sentire qualcosa qualcosa.. La mia concentrazione assorta non pareva sortire effetto alcuno. “No” le disse Jessica, e sapevo che desiderava di poterle dire di si –  il –  il mio sguardo fisso la offendeva profondamente –  profondamente –  anche se non sembrava dalla sua voce. “Dovre b be?”  be?”   “Non credo di piacergli”, bisbigliò di rimando la ragazza, posando la testa sul  braccio  brac cio come se si sentisse improvvisamente stanca. Cercai d’interpretare il gesto, ma  potevo solamente fare delle supposizioni. Forse era era stanca.  stanca. “Ai   Cullen non piace nessuno”, la rassicurò Jessica. “Beh, non che facciano “Ai abbastanza abba stanza caso agli altri perché possano piacergli”. Di piacergli”.  Di solito non lo fanno. fanno . I suoi pensieri  borbottavano protestando. protestando. “Però ti sta ancora fissando”.  fissando”.  “Smettila di guardarlo”, le aveva risposto ansiosa la ragazza, sollevando la testa dal  braccio per assicurarsi che Jessica obbedisse al suo ordine. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Jessica ridacchiava, ma fece come le era stato chiesto. La ragazza non distolse lo sguardo dal proprio tavolo  per tutto il resto dell’ora. Pensavo –  Pensavo  –  sebbene,  sebbene, naturalmente, non potessi esserne sicuro –  sicuro  –  che  che lo facesse di proposito. Sembrava che invece volesse guardarmi. Il suo corpo si muoveva leggermente verso di me, il mento cominciava a voltarsi, e poi si ricomponeva, respirava a fondo, ed inchiodava lo sguardo su chiunque stesse parlando. Per la maggior parte ignorai i pensieri che circondavano la ragazza, poiché, momentaneamente, non la riguardavano. Mike Newton stava pianificando una guerra a  palle di neve nello spiazzo del parcheggio dopo la scuola, apparentemente ignaro del fatto che la pioggia aveva già sostituito la neve. La morbida discesa dei fiocchi sul tetto si era trasformata nel più usuale picchiettare delle gocce di pioggia. Davvero non riusciva a sentire il cambiamento? A me suonava evidente. Quando finì la pausa pranzo, rimasi seduto al mio posto. Gli umani uscivano in fila indiana, e sorpresi me stesso a cercare di discernere il suono dei suoi passi da quello degli altri, come se avessero qualcosa d’importante o d’insolito. Che stupidaggine.  stupidaggine.  Anche la mia famiglia non accennava ad andarsene. Aspettavano di vedere cos’avrei fatto. Sarei andato in classe, mi sarei messo seduto accanto alla ragazza dove avrei potuto odorare il profumo spaventosamente potente del suo sangue e percepirne il calore della circolazione circola zione nell’aria che sfiorava la mia pelle? Ero forte abbastanza per farlo? O ne avevo avuto abbastanza per un solo giorno? “ Penso  Penso…che …che possa andare”, disse Alice, esitante. “La tua mente è ben focalizz ata.  Penso che  Penso  che riuscirai riuscirai a superare quest’ora”.  quest’ora”.  Ma Alice sapeva bene quanto in fretta una mente potesse rivoltarsi. “Perché sfidare la sorte, Edward?” chiese Jasper. Malgrado non volesse compiacersi volesse  compiacersi del fatto che fossi io quello debole adesso, potevo sentire che llo o faceva, appena un pò. “Va a casa. Prenditela comoda”. comoda”.   “Perché tutte queste storie?” si oppose Emmett. “O la ucciderà o non la ucciderà. In entrambi i casi, ne verrà a capo”. capo”.   “Non voglio ancora traslocare” si lamentò Rosalie. “Non voglio ricominciare da capo. Abbiamo quasi terminato le superiori, Emmett. Finalmente Emmett. Finalmente”. ”.   Quella decisione mi lacerava in parti uguali. Volevo, volevo davvero affrontare la ©2008 Stephenie Meyer

 

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cosa a testa alta piuttosto che scappare di nuovo. Ma non volevo per questo spingermi troppo oltre. La settimana passata Jasper aveva sbagliato a voler resistere tanto a lungo senza andare a caccia; non stavo commettendo un parimenti inutile errore?  Non volevo costringere la mia famiglia a trasferirsi. Nessuno di loro mi avrebbe ringraziato se lo avessi fatto. Però volevo andare a lezione di biologia. Mi resi conto che volevo rivedere il suo viso. Fu questo a decidere al mio posto. La curiosità. Ero arrabbiato con me stesso perché la provavo. Non mi ero forse ripromesso che non avrei lasciato che la mente silenziosa della ragazza me la rendesse eccessivamente interessante? E tuttavia, eccomi lì, decisamente troppo coinvolto. Volevo sapere cosa stava pensando. La sua mente era chiusa, ma i suoi occhi erano molto aperti. Potevo leggere quelli, semmai. “No, Rose, credo davvero che andrà tutto bene”, disse Alice. “Si sta…consolidando. Sono al novantatre per cento sicura che non succederà niente di brutto se andrà a lezione”. Mi guardò con aria inquisitoria, cercando d’indovinare cosa potesse essere cambiato nei miei pensieri al punto da rendere la sua visione più solida. La curiosità sarebbe bastata a salvare la vita di Bella Swan? Emmett aveva ragione, comunque  –   perché non venirne a capo in un modo o nell’altro? Avrei affrontato la tentazione a testa alta.  alta.   “Andate in classe”, ordinai, spingendomi via dal tavolo. Mi ero voltato e me n’ero n’ ero an andato dato a grandi passi senza guardarmi indietro. Potevo sentire l’inquietudine di Alice, il  biasimo di Jasper, Jasper, l’approvazione di Emmett e l’irritazione di Rosalie che mi seguivano.  seguivano.   Davanti alla porta dell’aula presi un’ultima lunga boccata d’aria, d’a ria, e poi la trattenni nei polmoni mentre entravo in quello spazio ristretto e caldo.  Non ero in ritardo. Il signor si gnor Banner stava ancora allestendo all estendo l’esercitazione l’ esercitazione di o ggi. La ragazza era seduta al mio  –  al  al nostro nostro tavolo,  tavolo, con la testa nuovamente chinata in basso, fissa sul quaderno sul quale stava facendo dei ghirigori. Esaminai lo schizzo mentre mi avvicinavo, interessato persino a quella futile creazione della sua mente, ma era senza senso. Solo uno scarabocchiare a caso di spirali su spirali. Forse non era concentrata sul disegno, magari stava stava pensando a qualcos’altro?  qualcos’altro?   Spinsi indietro la mia sedia con una brutalità eccessiva, lasciando che raschiasse il ©2008 Stephenie Meyer

 

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linoleum;; gli esseri umani si sentivano molto più a loro agio quando un rumore linoleum annunciava annuncia va l’approssimarsi di qualcuno. qualcuno. Sapevo che aveva sentito il rumore; non aveva alzato lo sguardo, ma la sua mano aveva saltato una spirale nello scarabocchio che stava disegnando, rendendolo disarmonico. Perché non aveva alzato lo sguardo? Probabilmente era spaventata. Dovevo assicurarmi assicu rarmi di farle un’impressione diversa stavolta. Indurla a pensare di essersi immaginata tutto prima. “Ciao”, le dissi con la voce pacata che usavo quando volevo che gli umani si sentissero più a loro agio, abbozzando un sorriso educato con le labbra attento a non mostrare alcun dente. A quel punto alzò lo sguardo, i suoi grandi occhi marroni erano allarmati  –   quasi sbigottiti –  sbigottiti  –  e   e pieni di silenziose domande. Era la stessa espressione che aveva ostruito la mia visuale per tutta la settimana passata.  Non appena guardai fisso in quegli occhi marroni stranamente profondi, compresi che l’odio –   l’odio che avevo immaginato che questa ragazza in qualche modo meritasse  per il solo fatto di esistere esiste re –   –  era   era evaporato. Senza respirare, senza assaporarne il profumo, era difficile credere che qualcuno di così vulnerabile potesse mai motivare l’odio.   Le sue guance cominciarono ad avvampare, e non disse niente. Tenevo i miei occhi nei suoi, focalizzando solamente le profondità dei loro misteri, e cercavo d’ignorare il colore appetitoso della sua pelle. Avevo fiato abbastanza per  parlar le le ancora senza inalare. “Mi chiamo Edward Cullen”, dissi, anche se sapevo che lo sapeva. Era un modo educato d’iniziare. “Non ho avuto occasione di presentarmi la settimana scorsa. Tu devi essere es sere Bella Swan”.  Swan”.  Sembrava confusa –  confusa  –   c’era di nuovo quella ruga sottile tra i suoi occhi. Le ci volle qualche secondo in più del normale per rispondere. “Come fai a sapere come mi chiamo?” chiese, e la sua voce tremava solo un poco.   Dovevo averla veramente terrorizzata. Il che mi fece sentire in colpa; era talmente indifesa. Risi gentilmente –  gentilmente  –   era era un suono che sapevo mettere gli umani più a loro agio. Di nuovo, badai a non mostrarle i denti. “Oh, credo che tutti conoscano il tuo nome”. Sicuramente doveva aver capito di essere essere diventata il centro dell’attenzione in quel posto monotono. “L’intera città stava ©2008 Stephenie Meyer

 

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arrivo”.  aspettando il tuo tuo arrivo”.  Si accigliò a quella notizia, come fosse spiacevole. Immaginai che timida come  pareva  pa reva essere, l’attirare l’attenzione fosse una brutta cosa per lei. La maggior parte degli esseri esseri umani provava l’opposto. Malgrado volessero uniformarsi al gregge, desideravano ugualmente che un riflettore puntasse sulla loro affatto originale individualità. “No”, disse. “Intendevo dire, perché mi hai chiamata Bella?” Bella? ”  “Preferisci Isabella?” le domandai, perplesso dal non riuscire a comp rendere dove sarebbe andata a parare quella domanda. Non capivo. Di sicuro, aveva più volte manifestato chiaramente la sua preferenza già dal primo giorno. Gli esseri umani erano tutti così incom prensibili senza l’ausilio di un contesto mentale?  mentale?  “No, mi piace Bella”, rispose, chinando leggermente il capo di lato. La sua espressione  –   se la stavo leggendo correttamente  –   era combattuta tra l’imbarazzo e la confusione. confusio ne. “Ma penso che Charlie –  voglio   voglio dire mio padre  –  mi   mi chiami Isabella quando non ci sono. sono. E’ così che tutti sembrano conoscermi qui”. La sua pelle aveva assunto una  più scura sfumatura di rosa. “Oh”, dissi laconicamente, e rapidamente distolsi lo sguardo dal suo viso. viso.   Avevo appena compreso il significato della sua domanda: avevo fatto una  gaffe  gaffe   –   commesso un errore. Se il primo giorno non avessi ascoltato tutti gli altri di nascosto, allora da principio mi sarei rivolto a lei con il suo nome per esteso, proprio come chiunque altro. Aveva notato la differenza. Avvertii una stretta d’inquietudine. Era stato piuttosto facile per lei accorgersi della mia svista. Davvero astuta, specialmente per qualcuno che si supponeva fosse terrorizzato dalla mia vicinanza. Ma avevo problemi assai maggiori di qualunque cosa potesse sospettare di me ben al sicuro nella sua mente. Avevo finito l’aria. Se intendevo parlarle ancora, dovevo inalare.  inalare.   Sarebbe stato difficile evitare la conversazione. Sfortunatamente per lei, la condivisione condivi sione del tavolo l’aveva l’aveva resa la mia  partner   di laboratorio, ed oggi avremmo dovuto lavorare insieme. Sarebbe stato strano  –   ed incomprensibilmente scortese  –   da  parte mia ignorarla ignorarla mentre ci esercitavamo. L’avrebbe resa ancor a ncor più sospettosa, più spaventata… spaventata …  Mi allontanai da lei quanto più potevo senza spostare la sedia, voltando la testa ©2008 Stephenie Meyer

 

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verso il corridoio. Mi preparai, serrando i muscoli sul posto, e poi aspirai una rapida  boccata a pieni polmoni, respirando solamente con la bocca. Ahh! Era genuinamente doloroso. Anche senza odorarla, potevo sentirne il gusto sulla lingua. La mia gola improvvisamente era nuovamente in fiamme, il desiderio ardeva intenso come in quel primo istante della settimana set timana passata che avevo colto il suo profumo. Serrai i denti ben stretti e cercai di ricompormi. “Cominciate”, ordinò il Signor Banner.  Banner.   Sembrò volerci ogni singolo granello di autocontrollo che avevo messo da parte in settant’anni di duro lavoro, per voltarmi di nuovo verso la ragazza,  che teneva lo sguardo fisso sul tavolo, e sorridere. “Prima le donne, collega?” le offrii.  offrii.   Alzò lo sguardo sulla mia espressione ed il suo viso sbiancò, con gli occhi sgranati. C’era qualcosa che non andava nella mia espressione? Era d i nuovo spaventata? Non  parlava. “O, posso cominciare io se preferisci”, dissi semplicemente.  semplicemente.   “No”, disse, e la sua faccia da bianca diventò di nuovo rossa. “Comincio io”.  io”.   Fissai lo sguardo sull’attrezzatura che era sul tavolo, tavolo , sul microscopio ammaccato, sulla scatola dei vetrini, piuttosto che concedermi di guardare il sangue che affiorava da sotto la pelle chiara. Aspirai un’altra boccata veloce, tra i denti, e sussultai quando il sapore mi ferì la gola. “Profase”, disse dopo una verifica sbrigativa. Aveva cominciato a rimuovere il ve vetrino, trino, malgrado l’avesse a malapena malapena esaminato. “Ti spiace se do un’occhiata?”. Istintivamente –  stupidamente,  stupidamente, come fossi uno della sua specie  –   allungai la mano sulla sua per impedirle di rimuovere il vetrino. Per un secondo, il calore della sua pelle incendiò sulla mia. Era come una scossa elettrica  –   certamente più calda di una temperatura di soli trentasei gradi e mezzo. Il calore si sparò attraverso la mia mano fino al braccio. Di scatto, tolse la mano da sotto la mia. “Scusa” biascicai a denti stretti. Avendo bisogno di guardare altrove, afferrai il microscopio microscopio e fissai brevemente l’interno dell’oculare. Aveva ragione.  ragione.   “Profase”, concordai.  concordai.  Ero ancora troppo turbato per guardarla. Respirando quanto più tranquillamente ©2008 Stephenie Meyer

 

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 potevo, serrando i denti e cercando d’ignorare la sete feroce, mi concentrai su quel  potevo, semplice compito, scrivendo la risposta sulla linea corrispondente del foglio di laboratorio, e poi sostituii il primo vetrino con il successivo. Cosa stava pensando adesso? Che impressione le aveva dato, quando avevo toccato la sua mano? La mia pelle doveva esserle sembrata fredda come il ghiaccio  –  ripugnante.   ripugnante.  Non c’era da stupirsi stupirsi che fosse tanto silenziosa. Osservai brevemente il vetrino. “Anafase”, dissi a me stesso ste sso intanto che lo scrivevo sulla seconda riga. riga.   “Posso?” chiese.  chiese.  La guardai, sorpreso di vedere che stava aspettando impaziente, con una mano mezzo allungata verso il microscopio. Non  sembrava  sembrava   intimorita. Pensava veramente che avessi dato la risposta sbagliata?  Non potei fare a meno di sorridere di quell’espressione speranzosa che aveva sul viso mentre facevo scivolare il microscopio verso di lei. Guardò nell’oculare con un entusiasmo che sbiadì in fretta. Gli angoli della bocca le s’imbronciarono.   s’imbronciarono. “Numero tre?” chiese, senza alzare lo sguardo dal microscopio, ma allungando la mano. Feci cadere il vetrino successivo sul suo palmo, senza permettere alla mia pelle di avvicinarsi in qualsivoglia modo alla sua stavolta. Sederle accanto era come stare seduti accanto ad una lampada bollente. La mia temperatura si s i stava leggermente alz alzando. ando.  Non guardò a lungo il vetrino. “Interfase”, disse con nonchalance nonchalance    –   magari cercando un pò troppo di far sembrare che fosse così  –   e spinse il microscopio verso di me. Non toccava il foglio, ma aspettava che fossi io a scrivere la risposta. Verificai  –   aveva di nuovo ragione. Terminammo così, scambiando a malapena qualche parola e senza mai incrociare gli occhi l’uno dell’altra. Eravamo gli unici ad aver già finito –   gli altri della classe stavano stava no incontrando maggiori difficoltà con l’esercitazione. Mike Newton appar entemente appar entemente faceva fatica a concentrarsi –  concentrarsi –  stava  stava cercando di guardare Bella e me.  Magari fosse rimasto in qualunque posto se n’era andato, andato, pensò Mike, lanciandomi uno sguardo infuocato. Hmm, interessante. Non mi ero accorto che il ragazzo scagliava ogni genere di accidente verso di me. Era uno sviluppo del tutto inaspettato, a quanto  pareva coincidente coincidente con l’arrivo della ragazza. E la cosa più interessante, scoprii –  con  con mia ©2008 Stephenie Meyer

 

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sorpresa –  era sorpresa –   era che il sentimento era reciproco. Guardai di nuovo la ragazza, stupefatto dalla vastità dello scompiglio e dell’agitazione che, a dispetto del suo apparire ordinaria ed affatto minacciosa, stava  portando nella mia vita.  Non che non potessi vedere ciò che Mike non riusciva a smettere di pensare. In verità veri tà era piuttosto bella…in maniera affatto comune. Meglio ancora dell’essere bello, il suo viso era interessante interessante.. Non perfettamente simmetrico –  simmetrico  –  il   il suo mento piccolino strideva con gli zigomi alti; agli estremi nel colore  –   per il contrasto tra la luminosità della sua  pelle e lo scuro dei suoi capelli; e poi c’erano gli occhi, tracimanti segreti silenzio silenziosi… si…   Occhi che d’improvviso stavano perforando i miei.  miei.  Ricambiai il suo sguardo, cercando d’indovinare almeno uno di quei segreti.  segreti.   “Porti le lenti a contatto?” chiese inaspettatamente.  inaspettatamente.   Che strana domanda. “No”. Quasi sorrisi dell’idea di apportare dei miglioramenti alla mia mia vista.  vista. “Oh”, biascicò. “Pensavo ci fosse qualcosa di diverso nei tuoi occhi”.  occhi”.  D’improvviso

sentivo

di nuovo

freddo,

mentre mi rendevo

conto

che,

apparentemente, oggi non ero il solo che cercava di carpire dei segreti. Scrollai le spalle, che s’irrigidirono, e guardai di diritto davanti a me dove l’insegnante stava girando tra i tavoli. Ovviamente i miei occhi avevano qualcosa di diverso rispetto all’ultima volta che li aveva guardati. Per prepararmi alla prova di oggi, all’odierna tentazione, avevo tr ascorso ascorso l’intero fine settimana a caccia, saziando la mia sete  sete   quanto più possibile, esagerando a dire il vero. Mi ero rimpinzato di sangue animale, non che facesse molta differenza di fronte al gusto oltraggioso che fluttuava nell’aria attorno a lei. Quando l’avevo guardata l’ultima volta, i miei occhi erano neri per per la sete. Adesso che il mio corpo traboccava di sangue, i miei occhi erano di una più calda tonalità dorata. Lievemente ambrati per via dello smodato tentativo di spegnere la sete. Un altro passo falso. Se avessi potuto prevedere il senso della sua domanda, avrei  potuto semplicemente risponderle di si. Da due anni, oramai, sedevo accanto agli umani in quella scuola, e lei era la prima che mi esaminava abbastanza da vicino da notare il cambiamento nel colore dei miei occhi. Gli altri, pur ammirando la bellezza della mia famiglia, tendevano ad abbassare ©2008 Stephenie Meyer

 

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rapidamente lo sguardo quando ricambiavamo le loro occhiate. Arretravano intimoriti, reprimendo repri mendo i dettagli del nostro aspetto nello sforzo istintivo d’impedirsi di capire. L’ignoranza era una una beatitudine per la mente umana. Perché proprio questa ragazza doveva essere quella che avrebbe visto troppo? Il Signor Banner si avvicinò al nostro tavolo. Aspirai con gratitudine il fiotto di aria fresca che portò con sé prima che potesse mischiarsi con il profumo di lei. “Allora, Edward”, disse, controllando le nostre risposte, “non hai pensato che Isabella dovesse avere avere anche lei l’opportunità di usare il microscopio?”  microscopio?”   “Bella”, lo corressi di riflesso. “A dire il i l vero, è stata lei ad identificarne tre su cinque”. cin que”.   I pensieri del Signor Banner erano scettici e si voltò a guardare la ragazza. “Avevi già fatto questa esercitazione?”  esercitazione?”  La guardai, affascinato, mentre sorrideva con aria lievemente imbarazzata. “Non con le radici di cipolla”.  cipolla”.   “Blastula di coregone?” indagò il Signor Banner.  Banner.   “Si”.   “Si”. Il che lo sorprese. L’esercitazione di oggi era un qualcosa che aveva preso da un corso molto più avanzato. Fece un cenno di approvazione verso la ragazza, con aria  pensierosa.  pen sierosa. “A Phoenix facevi parte di un programma avanzato?”  avanzato?”   “Si”.   “Si”. Quindi era più avanti, intelligente per un essere umano. Questo non mi sorprese. “Bene”, disse il Signor Banner, con una smorfia. “Suppongo sia un bene che voi due lavoriate insieme”. Si voltò e si allontanò borbottando,“Così gli altri ragazzi potranno avere ave re l’opportunità d’imparare qualcosa da sé”, a bassa voce. Dubitavo che la raga zza  potesse aver sentito. Ricominciò a scarabocchiare delle spirali sul proprio quaderno. Due passi falsi in meno di mezz’ora. Uno spettacolo davvero misero da parte mia. Quantunque non avessi alcuna idea su cosa la ragazza pensasse di me  –   quanta paura aveva, quanto sospettava?  –  sapevo   sapevo di dover mettere in pratica uno sforzo maggiore per lasciarla con una nuova impressione. Qualcosa capace di smorzare con più efficacia i ricordi che aveva del nostro ultimo feroce incontro. “E’ davvero un peccato per la neve, non è vero?” dissi, ripetendo la conversazione conversazione che avevo già sentito fare ad una dozzina di studenti. Un noioso, normalissimo argomento ©2008 Stephenie Meyer

 

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di conversazione. Il tempo –  tempo –  per  per niente pericoloso. Mi fissò con un’incertezza evidente nello sguardo –  una   una reazione anomala rispetto all’assoluta normalità delle mie parole. “Veramente no”, disse, sorprendendomi di nu ovo. Cercai di ricondurre la conversazione entro i sentieri della banalità. Veniva da un  posto più caldo e soleggiato  –   la sua pelle sembrava rispecchiarlo, in qualche modo, a dispetto del suo candore  –   ed il freddo doveva metterla a disagio. Il mio tocco gelido sicuramente sicu ramente l’aveva fatto…  fatto…  “Non ti piace il freddo”, azzardai.  azzardai.   “Né l’umidità” ammise.  ammise.  “Deve essere difficile per te vivere in un posto come Forks”.  Forse non saresti dovuta venire qui, qui, avrei voluto aggiungere. Magari aggiungere. Magari dovresti tornartene nel tuo ambiente. ambiente. Tuttavia, non ero sicuro di volere che lo facesse. Avrei sempre ricordato il profumo del suo sangue –  sangue –  c’era una qualche garanzia che alla fine non l’avrei seguita? Oltr etutto, etutto, se se ne andava, la sua mente sarebbe rimasta per sempre un mistero. Un enigma perpetuo ed assillante. “Non ne hai idea”, disse a bassa voce, incupendosi senza guardarmi veramente. Le sue risposte non erano mai quelle che mi aspettavo. Mi stuzzicavano altre domande. “Allora, perché sei venuta qui?” chiesi, comprendendo all’istante che il mio tono di voce era eccessivamente accusatorio, non abbastanza disinvolto rispetto a quella conversazione. La domanda suonava sgarbata, indiscreta. “E’…complicato”.   “E’…complicato”. Sbatté le palpebre dei suoi grandi occhi, senza aggiungere altro, ed ero quasi sul  punto d’implodere per la curiosità –   la curiosità bruciava al pari della sete che avevo in gola. Mi resi conto che respirare era addirittura leggermente più facile; il dolore stava diventando diven tando sempre più tollerabile con l’aumentare della confidenza.  confidenza.   “Penso di potercela fare” insistei. Magari la normale cortesia l’avrebbe indotta a continuare a rispondere alle mie domande fintanto che fossi riuscito ad essere abbastanza maleducato da formularle. Fissava silenziosamente le proprie mani, con lo sguardo abbassato. Il che mi rese impaziente; avrei voluto metterle una mano sotto il mento e sollevarle la testa così da  poterle leggere gli occhi. Ma sarebbe stato assurdo ass urdo –   –  pericoloso –    pericoloso  –  toccare   toccare di nuovo la sua ©2008 Stephenie Meyer

 

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 pelle. Di colpo sollevò lo sguardo. Fu un sollievo poterne leggere di nuovo le emozioni negli occhi. Parlò di corsa, affrettando le parole. “Mia madre si è risposata”.  risposata”.  Ah, questo era abbastanza umano, facile da capire. La tristezza attraversò i suoi occhi limpidi e tra quelli ricomparve la ruga sottile. “Non sembra tanto complicato”, dissi. Il tono della mia voce era stato gentile se nza che avessi fatto nulla per renderlo tale. La sua tristezza mi faceva sentire curiosamente impotente, inducendomi a desiderare che ci fosse qualcosa che potessi fare per tirarla su. Uno strano impulso. “Quand’è sta st ato?” to?”   “Lo scorso settembre”. Esalò profondamente –  non   non proprio un sospiro. Trattenni il fiato mentre il suo respiro caldo mi sfiorava il viso. “E lui non ti piace”, ipotizzai, in cerca di nuove informazioni. info rmazioni. “No, Phil è apposto”, disse, correggendo la mia supposizione. La debole traccia di un sorriso le sfiorava gli angoli delle labbra piene ora. “Troppo giovane, forse, ma  piuttosto carino”. carino”.   Questo non collimava con lo scenario che mi ero costruito costruit o nella mente. “Perché non sei rimasta con loro?” chiesi, la mia voce era un pò troppo curiosa. Dava Da va l’impressione che stessi ficcanasando. E lo stavo facendo, dovevo ammetterlo.  ammetterlo.   “Phil viaggia molto. Di mestiere fa il giocatore di baseball”. Il sorriso appena accennato si fece più pronunciato; la scelta di una simile professione la divertiva. Sorrisi anch’io, senza averlo premeditato. Non stavo cercando di metterla a suo agio. Il suo sorriso mi aveva semplicemente fatto venire voglia di sorriderle a mia volta  –   di essere messo a parte del suo segreto. “Ne ho sentito parlare?”. Mentalmente, feci un veloce riepilogo della lista dei giocatori gioca tori di baseball professionisti, cercando d’indovinare quale fosse i l Phil cui si riferiva… rife riva…   “Probabilmente no. Non è così bravo bravo”. ”. Un altro sorriso. “Gioca solo nella  Minor  League.. Si sposta di continuo”.   League continuo”.  Sostituii all’istante gli elenchi che avevo in mente, ed in meno di un secondo elaborai una serie di alternative sotto forma di tabella. Contemporaneamente, mi figurai un nuovo scenario. ©2008 Stephenie Meyer

 

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“E tua madre ti ha spedita qui in modo tale da poterlo seguire”, dissi. Apparentemente, Apparente mente, l’avanzare delle ipotesi mi faceva ottenere da lei molte più informazio ni di quante non ne fornissero le domande. Funzionò di nuovo. Sollevò il mento, e la sua espressione era improvvisamente ostinata. “No, non è stata lei a spedirmi qui”, disse, e nella sua voce c’era una punta di alterazione del tutto nuova. La mi miaa supposizione l’aveva infastidita, sebbene non riuscissi davvero dav vero a capire perché. “Mi ci sono spedita da so sola”. la”.    Non avevo la minima idea di cosa volesse dire, né del motivo del suo essere piccata. pi ccata. Ero completamente perso. Perciò mi arr esi. esi. Non c’era proprio verso di dare un senso alla ragazza. Non era come gli altri esseri umani. Forse il silenzio dei suoi pensieri e la fragranza del suo  profumo non erano le sole cose cose fuori dal comune che aveva. “Non riesco a capire”, ammisi, detestando il doverlo riconoscere. Lei sospirò, e fissò i miei occhi più a lungo di quanto la maggior parte dei comuni esseri umani fosse capace di sopportare. “All’inizio è rimasta con me, ma lui le mancava”, spiegò spieg ò lentamente, con un tono di voce sempre più triste ad ogni singola parola. “Era infelice…perciò ho deciso che era arrivato il momento di trascorrere trascorrere un pò di tempo con Charlie”.  Charlie”.   La ruga sottile che aveva tra gli occhi si fece più scavata. “Ma adesso sei tu quella infelice”, borbottai. A quanto pareva non ero capace di trattenermi dal formulare le mie ipotesi ad alta voce, sperando così di apprendere qualcosa dalle sue reazioni. reazioni. L’ultima, tuttavia, non sembrava lontana dalla verità.  verità.   “E?” disse, disse, come se questo fosse un aspetto che non meritasse nemmeno di essere  preso in considerazione. Continuavo a guardarla negli occhi, sentendo che finalmente ero riuscito per la  prima volta ad intravedere di sfuggita uno scorcio della sua anima. Quell’unica Que ll’unica parola era  bastata a farmi capire il posto che aveva assegnato a se stessa tra le sue priorità. A differenza della maggior parte degli esseri umani, i suoi bisogni personali si collocavano in fondo alla lista. Era un’altruista.  un’altruista.   Non appena lo capii, il mistero della persona che si nascondeva all’interno di quella mente silenziosa cominciò ad assottigliarsi un poco. ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Non sembra giusto”, dissi. Scrollai le spalle, cercando di sembrare indifferente, cercando di nascondere l’intensità della mia curiosità.  curiosità.  Lei rise, ma non c’era alcuna allegria in quel suono. “Non te l’hanno mai detto giusta”.    prima? La vita vita non è giusta”.  Volevo ridere delle sue parole, sebbene anch’io non ne fossi affatto divertito. Sapevo qualcosina qualcosina su quanto la vita fosse ingiusta. “Credo di averlo averlo   già sentito dire da qualche parte”.  parte”.  Ricambiò il mio sguardo, apparentemente di nuovo confusa. Distolse gli occhi, e poi li riportò su di me. “E questo è quanto”, mi disse.  disse.  Ma non ero disposto a lasciare che la nostra conversazione terminasse. La piccola “V” che aveva tra gli occhi, una vestigia del suo dispiacere, m’infastidiva. Avrei voluto  poterla spianare con la punta del dito. Ma, ovviamente, non potevo toccarla. Sarebbe stato  pericoloso in davvero molti modi. “Hai messo su un bello spettacolo”. Parlavo lentamente, vagliando ancora questa nuova ipotesi. “Ma sarei pronto a scommettere che soffri molto di più di quanto non dai a ve vedere”. dere”.   Fece una smorfia, socchiudendo gli occhi in due fessure, la sua bocca forzò un sorrisetto sorri setto imbronciato, e tornò a guardare l’aula di fronte a sé. Non era contenta quando indovinavo. Non era la solita martire –  martire –  non  non voleva testimoni per il suo dolore. “Mi sbaglio?”  sbaglio?”  Trasalì leggermente, ciononostante finse di non avermi sentito. Il che mi fece sorridere. “Non penso”.  penso”.   “Perché la cosa dovrebbe interessarti?” interessarti? ” chiese, sempre guardando altrove. altrove.   “Questa è davvero una buona domanda”, domanda” , ammisi, più con me stesso che in risposta a lei. Il suo discernimento era migliore del mio –  mio  –  andava  andava dritta al nocciolo delle questioni mentr’io mi dimenavo ai margini, setacciando alla cieca tra gli indizi. I dettagli della sua vita meramente umana non non   avrebbero dovuto interessarmi. Era sbagliato da parte mia curarmi di ciò che pensava. Salvo che per proteggere la mia famiglia dal sospetto, i  pensieri umani non erano importanti.  Non ero abituato ad essere il meno intuitivo di una qualsivoglia accoppiata. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Dipendevo troppo dal mio extra udito  –   chiaramente non ero così perspicace come credevo. La ragazza sospirò e lanciò degli sguardi cupi in direzione delle prime file. C’era a. L’intera situazione, l’intera qualcosa di umoristico nella sua espressione frustrat frustrata. conversazione erano comiche. Nessuno aveva mai corso pericolo maggiore di quella ragazzina –  ragazzina  –   in qualunque momento, distratto com’ero dal mio essere ridicolmente assorto nella nostra conversazione, avrei potuto inalare dal naso ed attaccarla prima di riuscire a fermarmi –  fermarmi  –   ee lei era irritata perché non avevo risposto alla sua domanda. “Ti do fastidio?” chiesi, sorridendo per l’assurdità dell’intera faccenda.  faccenda.  Mi lanciò rapidamente un’occhiata, e poi i suoi occhi occhi sembrarono rimanere intrappolati nella fissità dei miei. “Non esattamente”, mi disse. “Sono più infastidita da me stessa. La mia faccia è così facile da leggere –  leggere –  mia madre mi chiama da sempre il suo libro aperto”.  aperto”.   Assunse un’espressione un’espressione corrucciata, scontenta. La guardai stupito. La ragione per cui era infastidita era perché pensava che fossi stato capace di leggerle dentro troppo facilmente. facilmente. Davvero bizzarro. Non mi ero mai dovuto sforzare tanto per capire qualcuno in tutta la mia vita  –   o piuttosto esistenza,  poiché vita vita difficilmente  difficilmente era la definizione corretta. Io non avevo veramente una vita vita.. “Al contrario” dissentii, sentendomi stranamente…diffidente, come se lì ci fosse un qualche pericolo nascosto che non ero in grado di riconoscere. Mi sentii improvvisamente nervoso, quel presentimento mi rendeva ansioso. “Trovo che tu sia piuttosto difficile da leggere”. legge re”.   “Devi essere un bravo lettore allora”, ipotizzò, formulando una supposizione che, ancora una volta, centrò in pieno il bersaglio. “Di solito si”, ammisi.  ammisi.  A quel punto sfoderai un gran sorriso, lasciando che le mie labbra scoprissero le file di denti splendenti, affilati come rasoi che nascondevano. Era una cosa stupida da fare, ma improvvisamente, inaspettatamente ero disposto a tutto pur di riuscire a comunicare alla ragazza un qualche genere di avvertimento. Il suo corpo si era avvicinato di più al mio, spostandosi inconsapevolmente nel corso della nostra conversazione. Tutti i piccoli indizi ed i segni che erano sufficienti a far scappare il resto dell’umanità sembravano non funzionare con lei. Perché non si ritraeva di colpo ©2008 Stephenie Meyer

 

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terrorizzata? Sicuramente aveva visto abbastanza del mio lato più oscuro per rendersi conto del pericolo, intuitiva come sembrava essere.  Non ebbi l’occasione di vedere se il mio ammonimento aveva sortito l’effetto desiderato. Il Signor Banner richiamò l’attenzione della classe proprio in quel momento, e desiderato. lei si voltò subito dall’altra  dall’altra   parte. Pareva un poco sollevata da quell’interruzione, perciò magari inconsciamente aveva capito. Speravo che l’avesse fatto.  fatto.   Mi rendevo conto che l’attrazione stava crescendo dentro di me, malgrado tentassi di sradicarla. Non potevo permettermi di trovare Bella Swan interessante. O piuttosto, lei  lei  non poteva permetterselo. Ero già ansioso di poter avere l’opportunità di parlarle pa rlarle di nuovo. Volevo saperne di più di sua madre, della sua vita prima che venisse qui, del suo rapporto con il padre. Di ogni dettaglio più insignificante che potesse disvelarne meglio la  personalità. Ma ogni secondo che passavo con lei era un errore, un rischio che lei non avrebbe dovuto correre. Distrattamente, aveva scrollato i folti capelli proprio nel momento in cui mi  permettevo  permet tevo di prendere un’altra boccata d’aria. Un’ondata particolarmente intensa del suo  profumò investì il mio palato. Era come il primo giorno  –  come   come la palla da demolizione. Il dolore della bruciante aridità mi dava le vertigini. Fui di nuovo costretto ad aggrapparmi al tavolo per trattenermi al mio posto. Stavolta avevo un controllo lievemente superiore. Perlomeno, non facevo danni. Il mostro ringhiava dentro di me, ma senza compiacersi del mio dolore. Lo tenevo troppo strettamente sotto controllo. Per il momento. Smisi completamente di respirare, e mi allontanai quanto più potevo dalla ragazza.  No, non potevo permettermi di trovarla attraente. Quanto più la trovavo interessante, tanto più era probabile che che l’avrei uccisa. Avevo già fatto due piccoli passi falsi oggi. Ne avrei fatto un terzo, uno che non non era  era trascurabile?  Non appena suonò la campanella fuggii via dall’aula dall ’aula –  probabilmente   probabilmente distruggendo qualunque impressione di buona educazione che fossi più o meno riuscito a costruire nel corso di quell’ora. All’esterno, boccheggiai l’aria pulita ed umida come fosse un’essenza curativa. Mi misi a correre per mettere quanta più distanza fosse possibile tra me e la ragazza. Emmett mi stava aspettando fuori della porta della nostra classe di spagnolo. Studiò ©2008 Stephenie Meyer

 

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 per un momento la mia espressione delirante. Com’è andata? chiese andata? chiese prudentemente. “Non è morto nessuno” biascicai.  biascicai.   Immagino sia già qualcosa. Quando verso la fine ho visto Alice piantare tutto, ho  pen sato…  sato…   Intanto che entravamo in classe, vidi il suo ricordo di solo pochi attimi prima, catturato attraverso la porta aperta della lezione appena terminata: Alice che camminava svelta e sbiancata in viso per valide ragioni in direzione del polo di scienze. Sentivo l’urgenza che ricordava di aver provato di alzarsi e di raggiungerla, e poi la sua decisione di non muoversi. Se Alice avesse avuto bisogno di aiuto, aiuto, l’avrebbe chiesto…  chiesto…  Chiusi gli occhi per occhi per l’orrore ed il disgusto mentre crollavo sulla sedia. “Non mi sono reso conto di esserci andato tanto vicino. Non pensavo di essere sul punto di… Non mi ero accorto accorto che stava andando così male”, mormorai.  mormorai.    Non andava così male male,, mi rassicurò. Non rassicurò. Non è morto nessuno, giusto?  giusto?  “Giusto”, dissi a denti stretti. “Non questa volta”.  volta”.    Magari sarà sempre più facile. “Sicuro”.   “Sicuro”. O magari la ucciderai. ucciderai . Scrollò le spalle. Non spalle.  Non saresti il primo che fa casini. Nessuno Nes suno ti giudicherebbe giudicherebbe troppo severamente. E’ solo che qualche volta una persona ha un odore troppo buono. Sono impressionato dal fatto che tu abbia resistito r esistito tanto a lungo. lungo . “Non sei di aiuto, Emmett”.  Emmett”.  Ero disgustato dalla sua rassegnazione all’idea che che avrei potuto uccidere la ragazza, che fosse qualcosa d’inevitabile. Era colpa sua se aveva un profumo un  profumo così buono? So che quando è capitato a me…, me… , si lasciò andare ai ricordi, portandomi indietro con lui di mezzo secolo, su una stradina di campagna al tramonto, dove una donna di mezza età stava ritirando le lenzuola asciutte da un filo appeso tra due meli. Il profumo delle mele incombeva pesantemente nell’aria –  il  il periodo della raccolta era finito ed i frutti scartati erano sparpagliati sul terreno, le ammaccature sulla loro buccia spandevano la loro fragranza in nuvole dense. Un campo di fieno appena falciato faceva da contorno a quel  profumo, un’armonia. Lui risaliva la stradina, del tutto ignaro della donna, per andare a fare una commissione per Rosalie. Il cielo cie lo sovrastante era viola, arancione al di sopra degli alberi ad ovest. Avrebbe proseguito per il tortuoso sentiero carreggiabile e non ci sarebbe ©2008 Stephenie Meyer

 

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stata ragione alcuna di ricordare quella sera, se non fosse che un’improvvisa brezza notturna aveva gonfiato le lenzuola bianche come fossero vele e soffiato il profumo della donna sul viso di Emmett. “Ah” grugnii discretamente. Come se il ricordo della mia sete non fosse abb astanza.  Lo so. Non ho retto mezzo mezzo secondo. Non ho neppure p pensato ensato di resistere. resistere . Il suo ricordo diventò di gran lunga troppo esplicito per me per sopportarlo. Scattai in piedi, con i denti così serrati che avrebbero potuto tagliare l’acciaio.   “ Esta bien, Edward ?” ?” chiese la Signora Signora Goff, allarmata dal mio improvviso movimento. Potevo vedere il mio viso nella sua mente, e sapevo che sembrava che stessi tutt’altro che bene. bene. “ Me perdona”, perdona”, mormorai, e intanto mi precipiti verso la porta.  porta.   “ Emmett  Emmett –   –  por  por favor, puedas tu ayuada a tu hermano?”, hermano? ”, chiese, indicandomi a gesti con aria preoccupata mentre uscivo in fretta dalla porta. “Sicuro”, lo sentii dire. E poi fu proprio dietro di me.  me.   Mi seguì fin dall’altra parte dell’edificio, dove si mise in par i con me e posò una mano sulla mia spalla. Spinsi via la sua mano con una forza eccessiva. Avrebbe mandato in frantumi le ossa di una mano umana, e le ossa del braccio che le stava attaccato. “Mi dispiace, Edward”.  Edward”.  “Lo so”. Aspirai delle profonde boccate d’aria, cercando di disintossicare la mia mente ed i miei polmoni. “E’ altrettanto brutto?” chiese, sforzandosi di non pensare al profumo ed al gusto del suo ricordo mentre domandava, ma senza riuscirci del tutto. “Peggio, Emmett Emmett, peggio”.  peggio”.  Restò in silenzio per un momento.  Forse…    Forse… “No, non sarebbe meglio se la facessi finita. Torna in classe, Emmett. Voglio r estare estare da solo”. solo”.   Si voltò senza dire un’altra parola o pensiero e pensiero e se ne andò di corsa. Avrebbe detto all’insegnante di spagnolo che ero malato, o che saltavo la lezione, o che ero un vamp iro  pericolosamente fuori controllo. La sua scusa s cusa aveva davvero importanza? Forse non sarei tornato. Forse dovevo andarmene. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Tornai alla mia macchina, per aspettare la fine delle lezioni. Per nascondermi. Di nuovo. Avrei dovuto usare quel tempo per riflettere o per perorare la decisione già presa, ma, come un tossicomane, mi scoprii a rovistare tra il brusio dei pensieri provenienti dagli edifici della scuola. Le voci dei miei familiari spiccavano, ma non ero interessato ad ascoltare le visioni di Alice o le lamentele di Rosalie per il momento. Trovai Jessica facilmente, ma la ragazza non era con lei, perciò continuai a cercare. I pensieri di Mike  Newton catturarono la mia attenzione, ed alla fine riuscii a localiz localizzarla, zarla, in palestra con lui. Era scontento perché avevo parlato con lei durante la lezione di biologia. Ne stava riepilogando le reazioni quando sollevò sollevò l’argomento…  l’argomento…   In verità non l’ho mai visto scambiare con nessuno più di un paio di parole in croce. Ovviamente ha deciso di trovare Bella interessante. Non mi piace il modo in cui la  guarda. Ma lei non sembra essere troppo entusiasta di lui. Cos’ha detto? “Chissà che aveva lunedì scorso”. Qualcosa del genere. Non suona come se le importasse. Non deve essere stata granché come conversazione… conversazione…   Continuò a parlare a se stesso in questo modo per fugare il suo pessimismo, rallegrato rallegra to dall’idea che Bella Bella non mostrasse interesse per lo scambio che aveva avuto con me. Il che m’infastidì un pò più di quanto non fosse accettabile, perciò per ciò smisi di ascoltarlo. Misi nello stereo un CD di musica dura, e poi alzai il volume finché non coprì le altre voci. Dovetti concentrarmi fortemente sulla musica per impedirmi di tornare ad ascoltare ascol tare i pensieri di Mike Newton, per spiare l’ignara ragazza…  ragazza…  Imbrogliai un paio di volte, quando l’ora stava per finire. Non per spiare, cercavo cerca vo di convincermene. Mi stavo solo preparando. Volevo sapere esattamente quando avrebbe lasciato la palestra, quando si sarebbe trovata nello spiazzo del parcheggio. Non volevo che mi cogliesse di sorpresa. Come gli studenti cominciarono a sfilare fuori dalla porta della palestra, scesi dalla macchina, non ero sicuro del perché. La pioggia era leggera  –   la ignorai mentre impregnava lentamente i miei capelli. Volevo che mi vedesse lì? Speravo che venisse a parlarmi? Che stavo facendo?  Non mi mossi, benché cercassi di persuadermi a tornare in macchina, ssapendo apendo che il mio comportamento era esecrabile. Incrociai le braccia al petto e respirai in maniera molto superficiale quando la vidi camminare lentamente nella mia direzione, con gli angoli della ©2008 Stephenie Meyer

 

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 bocca imbronciati. i mbronciati. Non mi guardava. Lanciava qualche occhiata alle nuvole facendo una smorfia, come se l’avessero offesa.  offesa.  Rimasi deluso quando raggiunse la sua macchina prima di passarmi vicina. Avrebbe voluto parlarmi? Avrei voluto parlarle? Salì a bordo di un pick-up un pick-up  Chevy Chevy di  di un rosso sbiadito, un mastodonte arrugginito che era più vecchio di suo padre. La guardai mettere in moto il  pick-up  pick-up   –   il vecchio motore rombava più forte di qualunque altro veicolo nel parcheggio –  parcheggio  –  e   e poi tendere le mani verso le bocchette del riscaldamento. Il freddo la disturbava –  disturbava  –  non  non le piaceva. Si pettinava i folti capelli con le dita, passando le ciocche sul flusso d’aria calda come per cercare di asciugarle. asciu garle. Immaginai quanto dovesse profumare l’abitacolo di quel  quel  pick-up,  pick-up, e poi scacciai rapidamente il pensiero. Diede un’occhiata in giro mentre si preparava ad uscire in retromarcia, e finalmente fina lmente guardò nella mia direzione. Ricambiò il mio sguardo fissandomi per non più di mezzo secondo, e tutto ciò che potei vedere nei suoi occhi fu la sorpresa, prima che li staccasse da me e che facesse partire bruscamente il  pick-up  pick-up in  in retromarcia. E poi si arrestò facendo stridere i freni, la parte posteriore del  pick-up  pick-up   aveva mancato di scontrarsi con l’utilitaria di Erin Teague per pochi centimetri. Guardò nello specchietto retrovisore, spalancando la bocca per la mortificazione. Quando l’altra macchina l’ebbe superata, controllò due volte tutti gli specchietti e poi uscì dal posto auto con una circospezione tale da farmi spalancare il sorriso. Era come se  pensasse di essere pericolosa essere pericolosa con  con il suo decrepito pick-up decrepito pick-up.. Il pensiero che Bella Swan potesse costituire un pericolo per qualcuno, non importa cosa stesse guidando, mi fece ridere mentre la ragazza mi passava davanti, guardando dritta dinanzi a lei.

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3. Fenomeno

In verità non avevo sete, ma decisi di andare di nuovo a caccia quella notte. Una piccola dose di prudenza, che tuttavia sapevo essere inadeguata. Carlisle mi accompagnava; non avevamo avuto occasione di rimanere da soli da quando ero tornato da Denali. Intanto che correvamo attraverso la buia foresta, sentii che ripensava a quell’affrettato arrivederci arrivederci della settimana passata.  Nel suo ricordo, potevo vedere in che modo i miei lineamenti si erano era no distorti per la disperazione feroce. feroce. Sentivo la sorpresa e l’improvvisa inquietudine inquietudine che  che aveva provate. “ Edward?  Edward?””  “ Devo andarmene, Carlisle. Devo andarmene andarmene ora”. ora”.   “Cos’è successo?” successo?”  “ Niente. Ma succederà, se resto qui”. qui”.   Aveva cercato di prendermi un braccio. Potevo sentire quanto l’avevo ferito quando mi ero sottratto bruscamente alla sua mano. “ Non capisco” capisco”. “ Hai mai…c’è mai stato un momento… momento…””  Osservavo me stesso respirare profondamente, vedevo il bagliore delirante dei miei occhi attraverso il filtro della sua grave preoccupazione. “Una qualunque persona ha mai avuto per te un odore più buono del resto di loro? Molto più Molto  più buono?” buono?”   “Oh Oh”. ”.   Quando mi ero reso conto che aveva capito, il mio viso si era abbassato per la vergogna. Aveva cercato di toccarmi, ignorandomi quando avevo tentato di fuggire ancora, ed aveva appoggiato una mano sulla mia spalla. “ Fai quel che devi per resistere, figlio mio. Mi mancherai. Ecco, prendi la mia macchina. E’ più veloce veloce”. ”.   Si stava chiedendo, adesso, se avesse fatto la scelta giusta, allora, mandandomi via. Domandandosi se la sua mancanza di fiducia mi avesse ferito. “No”, mormorai mentre correvo. “Era ciò di cui avevo bisogno. Avrei tradito facilmente quella fiducia, se mi avessi consigliato di restare”.  restare”.  ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Mi spiace che tu stia soffrendo, Edward. Ma devi fare tutto quanto è in tuo pot ere affinché la piccola Swan resti in vita. Anche se questo significa che devi lasciarci di nuovo”. nuo vo”.   “Lo so, lo so”.  so”.  “Perché sei  tornato? Sai quant’io sia felice di averti qui, ma se è troppo diffic ile…” “Perché sei le…”   “Non mi piace sentirmi un codardo”, ammisi.  ammisi.   Avevamo rallentato  –   stavamo a malapena facendo una corsa leggera nell’oscurità adesso. “Meglio questo che metterla in pericolo. Tra un paio d’anni se ne andrà”.  andrà”.   “Hai ragione. Lo so”. Di contro, però, le sue parole mi rendevano solamente so lamente più ansioso di restare. restare. La ragazza se ne sarebbe andata fra un anno o due… due…   Carlisle smise di correre ed io smisi con lui; si voltò per studiare la mia espressione.  Ma non intendi scappare, scappare, non è vero? Chinai la testa.  E’ per orgoglio, Edward? Non c’è alcuna vergogna nel –   “No, non è l’orgoglio a tenermi qui. Non più”.  più”.   Non sai dove andare? Risi brevemente. “No. Questo non mi fermerebbe, se potessi convincermi a parti part ire” re”   “Verremo con te, naturalmente, se è ciò di cui hai bisogno. Devi solamente chiederlo. Hai traslocato senza mai lamentarti per il resto di loro. Non te lo faranno  pesare”.    pesare”. Sollevai un sopracciglio. Rise. “Si, Rosalie lo farebbe, ma te lo deve. lo  deve. In ogni caso, è molto meglio andarsene adesso, senza che alcun danno è stato sta to fatto, piuttosto che partire ttroppo roppo tardi, dopo che una vita è stata spezzata”. Tutto l’umorismo se n’era andato verso la fine.   Trasalii alle sue parole. “Si”, convenni. La mia voce suonava rauca.  rauca.   Ma non intendi partire? Sospirai. “Dovrei”.  “Dovrei”.  “Cosa ti trattiene qui, Edward? Non riesco a capire perché…”   “Non so se riesco a spiegarlo”. Perfino per me non aveva senso.  senso.   Studiò a lungo la mia espressione. ©2008 Stephenie Meyer

 

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 No, non riesco a capire. Ma rispetterò la tua privacy, privacy, se preferisci. “Grazie. E’ generoso da parte tua, considerando che non concedo  privacy  privacy   a nessuno”. nessu no”. Con una sola eccezione. E stavo facendo di facendo  di tutto per sottrargliela, non è vero?  Abbiamo tutti le nostre piccole manie. manie. Rise di nuovo. Possiamo nuovo. Possiamo andare?  andare?  Aveva appena colto l’odore di un piccolo branco di daini. Anche nelle migliori delle circostanze, sarebbe stato difficile manifestare granché entusiasmo per ciò che era un  profumo  pro fumo ben lungi dal far venire l’acquolina in bocca. In verità, proprio adesso, con ancora vivido nella mente il ricordo del sangue della ragazza, l’odore mi faceva rivoltare lo stomaco. Sospirai. “Andiamo”, accordai, benché sapessi che forzarmi a mandar giù dell’altro sangue mi avrebbe aiutato ben poco. Ci acquattammo entrambi per la caccia e lasciammo che il profumo poco appetitoso ci spingesse silenziosamente avanti.

Faceva più freddo quando rientrammo a casa. La neve sciolta si era ghiacciata; era come se un sottile foglio di vetro avesse ricoperto ogni cosa  –  ogni   ogni ago di pino, ogni fronda di felce, ogni filo d’erba era ricoperto di ghiaccio.  ghiaccio.   Mentre Carlisle andava a prepararsi per il turno in ospedale, mi fermai presso il fiume, aspettando il sorgere del sole. Mi sentivo quasi gonfio per la quantità di sangue che avevo ingerito, ma sapevo che l’attuale mancanza di sete avrebbe significato ben poco una volta che mi fossi seduto ancora accanto alla ragazza. Freddo ed immobile come la pietra sulla quale sedevo, fissavo le acque profonde che correvano lungo la sponda ghiacciata, guardandoci attraverso. Carlisle aveva ragione. Dovevo lasciare Forks. Potevano mettere in circolazione una qualche storia per spiegare la mia assenza. Un collegio in Europa. Una visita a dei lontani  parenti. Una fuga adolescenziale. La storia non contava. Nessuno avrebbe fatto troppe domande. Si trattava solamente di un anno o due, e poi la ragazza sarebbe sparita. Avrebbe continuato la sua vita  –   avrebbe avuto avuto   una vita da continuare. Avrebbe frequentato l’università da qualche parte, sarebbe cresciuta, avrebbe cominciato una carriera, magari si sarebbe sposata. Potevo immaginarmelo  –   riuscivo a vedere la ragazza vestita tutta di ©2008 Stephenie Meyer

 

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 bianco che camminava a passo misurato, sottobraccio al padre. Era strano il malessere che quell’immagine mi procurava. Non riuscivo a capirlo. Ero geloso perché lei avrebbe avuto un futuro che io non avrei mai potuto avere? Non aveva senso. Ognuno degli umani che avevo intorno aveva quella stessa prospettiva davanti a sé –  sé –  una  una vita –  vita –  e  e raramente mi fermavo ad invidiarli. Dovevo lasciarla al suo futuro. Smetterla di rischiare la sua vita. Era la cosa giusta da fare. Carlisle faceva sempre la scelta giusta. Dovevo ascoltarlo. Il sole sorse dietro le nuvole, e la debole luce scintillò su tutte le superfici ricoperte di ghiaccio. Un altro giorno, decisi. L’avrei vista  vista   un’altra volta solamente. Potevo farcela. Forse avrei dovuto menzionare la mia imminente partenza, montare la storia. Sarebbe stata dura; potevo sentirlo nell’estrema riluttanza che già m’induceva ad elaborare delle scuse per restare  –  per   per posticipare posticipare il termine di due giorni, tre, quattro… Ma avrei fatto la cosa giusta. Sapevo di potermi fidare del consiglio di Carlisle. E sapevo  pure di essere troppo combattuto per prendere prendere la decisione giusta da solo. Davvero troppo combattuto. Quanta della mia riluttanza dipendeva dalla mia morbosa curiosità, e quanta dal mio appetito insoddisfatto? Entrai in casa per indossare dei vestiti puliti per andare a scuola. Alice mi stava aspettando, seduta sul gradino più alto del terzo piano. Te ne vai di nuovo, nuovo, mi accusò. Sospirai e feci cenno di si con la testa.  Non riesco a vedere dove andrai questa questa volta. volta. “Non so ancora dove andrò”, mormorai.  mormorai.   Voglio che resti. resti. Scossi la testa.  Magari Jazz ed io possiamo venire con te? “Avranno ancor più bisogno di voi, se non sarò qui a tenere gli occhi aperti per loro. E pensa ad Esme. Esme. Le porteresti via metà della famiglia in un sol colpo?”  colpo?”  Stai per renderla davvero infelice. infelice . “Lo so. E’ per questo che tu devi restare”.  restare”.    Non è lo stesso che averti qui, e tu lo sai. sai. “Si. Ma devo fare quel che è giusto”.  giusto”.   ©2008 Stephenie Meyer

 

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Ci sono molti modi per fare la cosa giusta, e molti modi per fare la cosa sbagliata,  però, non è vero? Per un breve momento fu trascinata via da una delle sue strane visioni; guardavo con lei le immagini indistinte che baluginavano e turbinavano. Mi vidi confuso all’interno di strane ombre che non riuscivo a distinguere  –   forme sfocate, imprecise. E poi, improvvisamente, la mia pelle scintillò alla luce del sole brillante in una piccola radura all’aperto. Quel posto lo conoscevo. C’era una figura nella radura insieme a me, ma, di nuovo, era indistinta, non lì abbastanza lì abbastanza da poterla riconoscere. Le immagini tremolarono e scomparvero intanto che un milione di piccole scelte ricombinava ancora una volta il futuro. “Non sono riuscito a coglierne molto”, le dissi quando la visione fu svanita.  svanita.    Nemmeno io. Il I l tuo futuro continua a cambiare così tanto che non riesco ri esco a stare al  passo con nes suna. Penso, tuttavia…  tuttavia…  S’interruppe, e cominciò a scorrere una vasta collezione di altre visioni recenti a mio beneficio. Erano tutte uguali –  uguali –  confuse  confuse e vaghe. “Credo Credo   che qualcosa stia per cambiare, però”, disse ad alta voce. “La tua vita sembra essere essere ad una svolta”.  svolta”.  Risi amaramente. “Ti rendi conto che in questo momento suoni come una zingara fasulla del luna- park,  park, vero?”  vero?”  Mi fece la linguaccia. “Oggi,, però, andrà tutto bene, giusto?”, “Oggi giusto?”, le chiesi con un tono di voce d’improvviso apprensivo. “Non ti vedo uccidere nessuno oggi”, mi rassicurò.  rassicurò.   “Grazie, Alice”.  Alice”.  “Vai a vestirti. Non dirò nulla –   lascerò che sia tu a dirlo agli altri quando sarai  pronto”.    pronto”. Si alzò e si precipitò giù per le scale, con le spalle leggermente curve.  Mi mancherai. Tanto. Tanto. Si, anche lei mi sarebbe davvero mancata. Il tragitto fino alla scuola fu piuttosto silenzioso. Jasper era certo che Alice fosse turbata per qualcosa, ma sapeva che se lei avesse voluto parlarne l’avrebbe già fatto. Emmett e Rosalie erano del tutto assenti, immersi in un altro dei loro momenti, e si ©2008 Stephenie Meyer

 

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 –  era guardavano vicendevolmente negli occhi estasiati estasiati –    era piuttosto disgustoso a vederlo da fuori. Eravamo tutti ben informati di quanto fossero disperatamente innamorati. O magari ero così acido perché ero l’unico ad essere spaiato. Alcuni giorni era più difficile di altri vivere con tre coppie di innamorati perfettamente assortite. ass ortite. Questo era uno di quelli. Magari sarebbero stati tutti più felici senza avermi intorno, di malumore e  belligerante come il vecchio che a quel punto sarei dovuto essere. Ovviamente, la prima cosa che feci quando arrivammo a scuola fu cercare la ragazza. Solo per tenermi nuovamente pronto. Esattamente. Era imbarazzante come il mio mondo d’improvviso sembra sembrasse sse contenere null’altro che lei –  lei –  la  la mia intera esistenza era incentrata sulla ragazza, non più attorno a me stesso. Era facile da capire, tuttavia, davvero; dopo ottant’anni in cui ogni giorno ed ogni notte erano sempre stati uguali, un qualunque cambiamento ti assorbiva completamente.  Non era ancora arrivata, ma potevo sentire il fragoroso scoppiettio del motore del suo  pick-up  pick-up   in lontananza. Mi misi ad aspettare appoggiato alla fiancata della macchina. Alice rimase con me, mentre gli altri andarono diritti a lezione. Erano irritati dalla mia fissazione  –   era incomprensibile per loro come un qualunque essere umano potesse catturare il mio interesse così a lungo, non importa quanto delizioso fosse il suo profumo. La ragazza comparve lentamente alla vista, con gli occhi concentrati sulla strada e le mani strette sul volante. Sembrava ansiosa per qualcosa. Mi ci volle un attimo per capire cosa fosse quel qualcosa, per rendermi conto che tutti gli esseri umani oggi avevano la stessa espressione. Ah, la strada era scivolosa per il ghiaccio, e stavano tutti cercando di guidare con maggiore attenzione. Vedevo bene che stava prendendo seriamente quel rischio ulteriore. Il che sembrava combaciare con quel poco che avevo appreso del suo carattere. Aggiunsi questo alla mia breve lista: era una persona affidabile, una persona responsabile. Parcheggiò non troppo lontano da me, ma ancora non mi aveva notato qui in piedi, che la stavo fissando. Mi chiesi cos’avrebbe fatto una volta che l’avesse scoperto. Sarebbe arrossita e se ne sarebbe andata? Quella fu la mia prima supposizione. Ma forse avrebbe ricambiato il mio sguardo. Forse si sarebbe avvicinata per parlarmi. Respirai a fondo, riempiendomi i polmoni ottimista, a scanso di equivoci. Scese dal  pick-up  pick-up   con cautela, saggiando il terreno scivoloso prima di spostarci ©2008 Stephenie Meyer

 

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sopra il proprio peso. Non alzò lo sguardo, il che mi deluse. Forse potevo andare a  par larle…  larle…   No, sarebbe stato un errore. Invece di voltarsi verso la scuola, si fece strada fino al retro del  pick-up  pick-up,, aggrappandosi in modo buffo al fianco del pianale, non fidandosi troppo del proprio equilibrio. Mi fece sorridere, e sentii gli occhi di Alice sul mio viso. Non ascoltai qualunque cosa ne avesse pensato –  pensato  –  mi   mi stavo divertendo troppo a guardare la ragazza che controllava le sue catene catene da neve. In verità aveva l’aria di essere in procinto in  procinto di cadere, per come i suoi piedi scivolavano scivolavano sul terreno. Nessun’altro stava avendo dei problemi –  aveva  aveva  parcheggiato sul peggiore dei ghiacci? Si fermò lì, a guardare in basso con una strana espressione sul viso. Era…tenerezza? E ra…tenerezza? Come se ci fosse qualcosa lì che la facesse… facesse…commuovere commuovere?? Di nuovo la curiosità era una sofferenza pari alla sete. Era come se avessi bisogno bisogno di  di sapere cosa stava pensando –  pensando –  come se null’altro avesse importanza.  importanza.  Sarei andato a parlarle. In ogni caso, aveva l’aria di avere bisogno di una mano, quantomeno per superare il pavimento scivoloso. Ovviamente, non avrei potuto offrirgliela, o no? Esitavo, dilaniato. Considerata Considerata l’avversione che pareva dimostrare nei confronti della neve, difficilmente avrebbe gradito il tocco gelido della mia mano marmorea. Avrei dovuto indossare dei guanti –  guanti –   “NO!” disse Alice ansimando ad alta voce.  voce.   Istantaneamente, esplorai i suoi pensieri, inizialmente convinto che stessi per fare una scelta miserabile e che mi avesse visto commettere qualcosa d’imperdonabile. Ma non aveva niente a che fare con me. Tyler Crowley aveva deciso di svoltare per la curva d’entrata del de l parcheggio ad una velocità sconsiderata. Questa decisione l’avrebbe fatto scivolare su una piccola l astra di ghiacchio… ghiac chio…   La visione anticipava la realtà solamente di mezzo secondo. Il furgoncino di Tyler svoltò l’angolo mentre stavo ancora guardando guardando la conclusione che aveva spinto fuori dalle labbra di Alice quel rantolo pieno di orrore.  No, questa visione non aveva niente a che fare con me, e tuttavia tutta via aveva tutto tutto a  a che fare con me, perché il furgoncino di Tyler –  Tyler  –  i   i pneumatici stavano giusto urtando la lastra di ghiaccio alla peggiore delle angolazioni possibili  –   stava per vorticare attraverso il ©2008 Stephenie Meyer

 

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 parcheggio e per investire la ragazza che, mio malgrado, era diventata il punto focale del mio mondo. Anche senza la previsione di Alice sarebbe stato abbastanza facile intuire la traiettoria del veicolo sfuggito al controllo di Tyler. La ragazza, ferma esattamente nel posto sbagliato dietro al suo  pick-up  pick-up,, alzò lo sguardo, sconcertata dal suono stridente dei pneumatici. Guardò dritta nei miei occhi accesi dal ter rore, rore, e poi si voltò per vedere l’approssimarsi della morte.  morte.   Non lei!  lei!  Le parole gridavano nella mia testa come fossero appartenute a qualcun altro. Ancora bloccato nei pensieri di Alice, osservai la visione cambiare bruscamente, ma non avevo il tempo di restare restare a guardarne l’esito.  l’esito.   Mi lanciai attraverso il parcheggio, tuffandomi tra il furgoncino che sbandava e la ragazza impietrita. Mi spostavo così velocemente che ogni cosa era una macchia irregolare, eccezion fatta per l’obiettivo sul quale convergevo. Non mi vedeva –   nessun irregolare, occhio umano avrebbe potuto seguire il mio volo  –  ancora intenta sull’enorme sagoma del furgoncino che era in procinto di schiacciarla contro il telaio di metallo del suo  pick-up  pick-up.. L’afferrai cingendole la vita, muovendomi con troppa urgenza per riuscire ad e ssere tanto moderato quanto avrebbe avuto bisogno che fossi. Per un centesimo di secondo tra il momento in cui tirai via la sua esile figura dalla traiettoria della morte ed il momento in cui caddi a terra con lei tra le mie braccia, fui vividamente consapevole del suo corpo fragile e delicato. Quando udii la sua testa picchiare contro il ghiaccio, mi sentii come se mi fossi io stesso trasformato in un pezzo di ghiaccio. Ma non ebbi neppure un secondo di tempo per accertarmi delle sue condizioni. Sentii il furgoncino alle nostre spalle, cigolante e stridente mentre girava attorno al robusto telaio di ferro del pick-up del  pick-up della  della ragazza. Stava deviando la sua corsa, in un testacoda, per abbattersi di nuovo su di lei –  lei –  come  come se fosse una calamita che lo attirava verso di noi. Una parola che non avevo mai pronunciata prima in presenza di una signora mi scappò tra i denti. Avevo Avev o già fatto troppo. Quand’ero quasi volato attraverso l’aria per spingerla via, mi ero reso ben conto dell’errore che stavo commettendo. Sapere che era un errore non mi aveva fermato, ma non ero ignaro del rischio che stavo s tavo correndo correndo –   –  correndo  correndo non solamente ©2008 Stephenie Meyer

 

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 per me stesso, ma per tutta la mia famiglia. Esposizione. E questo questo   certo non sarebbe stato d’aiuto, ma non c’era verso che permettessi al furgoncino di mandare a segno il suo secondo tentativo di portarsi via la sua vita. La lasciai andare e gettai le mani avanti, afferrando il furgoncino prima che potesse toccare la ragazza. ragazza. L’impatto mi scagliò contro la macchina parcheggiata accanto al suo  pick-up,, e ne sentii la carrozzeria deformarsi dietro le mie spalle. Il furgoncino sobbalzò e  pick-up tremò contro la ferrea presa delle mie braccia, e poi beccheggiò, tenendosi in equilibrio  precario sulle ruote davanti. Se avessi spostato le mani, le ruote posteriori del furgoncino si sarebbero abbattute sulle sue gambe. Oh, per amore amore   di tutto tutto   quel che c’era di  sacro  sacro,, sarebbero mai finite le catastrofi? C’era qualcos’altro che potesse andare storto? Non potevo certo restarmene seduto lì, tenendo il furgoncino sollevato in aria, ad aspettare i soccorsi. Nemmeno potevo tirar via il furgoncino –  furgoncino  –  c’era da considerarne il guidatore, coi pensieri resi incoerenti dal panico. panico. Con un gemito interiore, spinsi il furgoncino cosicché rollasse lontano da noi per un momento. Quando stava per ripiegare su di me, lo afferrai da sotto il telaio con la mano destra mentre avvolgevo di nuovo il mio braccio sinistro attorno alla vita della ragazza e la trascinavo via da sotto il furgoncino, tenendola ben stretta contro il mio fianco. Il suo corpo si muoveva come fosse senza vita mentre la giravo bruscamente di modo che le sue gambe fossero salve  –   era cosciente? Quanto male le avevo fatto nel mio improvvisato tentativo di salvarla? Lasciai andare il furgoncino, adesso che non poteva più farle del male. Si abbatté sull’asf alto, alto, tutti i finestrini andarono contemporaneamente in frantumi. Sapevo di essere nel pieno di una crisi. Quanto aveva visto? Qualcun altro mi aveva notato materializzarmi al suo fianco e poi destreggiarmi con il furgoncino mentre cercavo di allontanarla da sotto le ruote? Quelle domande avrebbero avrebbero   dovuto costituire la mia  preoccupazione più grande. Ma ero troppo in ansia per curarmi davvero del rischio dell’essermi esposto qua nto invece avrei dovuto. Troppo preso dal panico per la possibilità di averla ferita io stesso nello sforzo di proteggerla. Troppo spaventato dall’averla così vicina, sapendo cos’avrei odorato se mi fossi permesso d’inalare. Troppo cosciente del calore del suo corpo ©2008 Stephenie Meyer

 

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morbido, premuto contro il mio  –   a dispetto del duplice ostacolo dei rispettivi giacconi,  potevo sentire quel calore… calore…   La prima paura era la paura più grande. Quando le grida dei presenti esplosero attorno a noi, mi piegai per esaminare il suo viso, per controllare che fosse cosciente  –   augurandomi ardentemente che non stesse sanguinando da nessuna parte. I suoi occhi erano sgranati, estatici per lo shock  lo  shock . “Bella?” chiesi con urgenza. “Stai bene?”  bene?”  “Sto bene”. Pronunciò le parole automaticamente con un tono inebetito.  inebetito.   Il sollievo, così intenso da rasentare il dolore, mi pervase al suono della sua voce. Presi fiato tra i denti, e non badai all’incendio in gola che lo accompagnò. Quasi lo a ccolsi con gratitudine. Tentò a fatica di mettersi a sedere, ma non ero ancora pronto aa   lasciarla andare. In qualche modo dava l’impressione di essere…più sicuro? Quantomeno, era meglio che la tenessi stretta al mio fianco. “Fa attenzione”, l’avvisai. “Penso tu abbia sbattuto la l a testa piuttosto forte”.  forte”.    Non c’era odore di sangue che stillava –  una   una benedizione, quella  –  ma   ma questo non escludeva delle possibili lesioni interne. Improvvisamente fui ansioso di portarla da Carlisle e di farla sottoporre ad un ciclo completo di accertamenti radiologici. “Ahi” disse, con un tono comicamente sbalordito nel rendersi conto che avevo ragione riguardo alla sua testa. “Proprio come pensavo”. Il sollievo mi rendeva faceto, quasi frivolo.  frivolo.   “Come dia…”. La sua voce si era affievolita a  a   poco a poco, e le sue ciglia sbattevano. “Come hai fatto ad ar  sbattevano. a r rivare rivare qui così in fretta?”  fretta?”   Il sollievo si guastò, l’umorismo svanì. Aveva svanì. Aveva visto  visto troppo. Ora che la ragazza pareva essere in condizioni discrete, la preoccupazione per la mia famiglia si faceva grave. “Ero in piedi proprio qui accanto a te, Bella”. Sapevo per esperienza che se mi dimostravo molto sicuro di me mentre mentivo, chiunque mi stesse ponendo le sue domande sarebbe stato meno certo di quale fosse la verità. Di nuovo cercò faticosamente di muoversi, e stavolta glielo permisi. Avevo bisogno di respirare per interpretare correttamente il mio ruolo. Avevo bisogno di staccarmi dal fuoco del suo sangue caldo perché non si mescolasse col suo profumo e riuscisse a ©2008 Stephenie Meyer

 

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sopraffarmi. Scivolai quanto più lontano mi fosse possibile nel minuscolo spazio tra i veicoli distrutti. Mi fissava dal basso, ed io la fissavo di rimando. Distogliere lo sguardo per primo era un errore che solamente un pessimo bugiardo avrebbe commesso, ed io non ero un  pessimo bugiardo. La mia espressione era serena, benevola… Il che parve confonderla. Quello era un bene. Il luogo dell’incidente era circondato adesso. Per lo più da studenti, ragazzini che si facevano largo e sbirciavano tra le fessure per vedere se ci fosse qualche corpo mutilato. Le grida schiamazzavano ed i pensieri sconvolti erano come un’onda. Passai i pe nsieri in rassegna una volta per assicurarmi che non ci fossero sospetti, e poi li chiusi fuori e mi concentrai solamente sulla ragazza. Era distratta dal pandemonio. Si guardava intorno, con l’espressione ancora sbalordita, e cercava di alzarsi in piedi. Le poggiai delicatamente la mano sulla spalla per trattenerla. “Resta qui  qui  e non muoverti per adesso”. Sembrava stesse bene bene,, ma era saggio che muovesse il collo? Di nuovo, desiderai che ci fosse Carlisle. I miei anni di studio teorico della medicina non potevano competere con i secoli che aveva passato a praticarla. “Ma fa freddo!” obiettò.  obiettò.   Era quasi morta schiacciata in due diverse occasioni ed azzoppata in un’altra ed era il freddo che la preoccupava. Prima che potessi ricordare che la situazione non era affatto divertente, una risatina soffocata mi scappò tra i denti. Bella batté le palpebre, e poi i suoi occhi si concentrarono sul mio viso. “Tu stavi laggiù”. lag giù”.   Il che mi rese nuovamente lucido. Gettò un’occhiata verso sud, sebbene non ci fosse più niente da vedere ora eccetto la fiancata accartocciata del furgoncino. “Stavi vicino alla tua macchina”.  macchina”.   “No, non è vero”.  vero”.   “Ti ho visto”, insisteva; la sua voce diventava infantile quando s’intestardiva. Il suo mento si sporse. “Bella, ero qui vicino a te, e  e  ti ho spinta via”.  via”.  La fissavo profondamente nei grandi occhi, cercando di forzarla ad accettare la mia versione –  versione  –  l’unica versione ragionevole possibile.  possibile.   ©2008 Stephenie Meyer

 

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Assunse una posa decisa. “No”.  “No”.  Cercavo di restare calmo, di non andare nel panico. Se solo avessi potuto farla stare tranquilla per qualche momento, per darmi l’opportunità di distruggere le prove…e per scalzare la sua storia con la rivelazione del suo trauma cranico.  Non avrebbe dovuto essere facile far stare tranquilla questa ragazza silenziosa, misteriosa? Se solo solo si fosse fidata di me, solamente per qualche momento…  momento…   “Per favore, Bella”, dissi, e la mia voce era troppo intensa, perché d’improvviso volevo   che si fidasse di me. Lo desideravo disperatamente, e non solamente per quanto volevo riguardava riguardava l’incidente. Uno sciocco desiderio. Che senso avrebbe avuto per lei fidarsi di me?? me “Perché?”, chiese, ancora sulla difensiva.  difensiva.  “Fidati di me”, supplicai.  supplicai.  “Mi prometti che più tardi mi spiegherai tutto?”  tutto?”  Mi faceva arrabbiare doverle mentire ancora, quando desideravo così tanto di poter meritare la sua fiducia in qualche modo. Perciò, quando risposi, le feci un torto. “D’accordo”.   “D’accordo”. “D’accordo” mi fece eco con il medesimo tono. Mentre attorno a noi cominciavano i tentativi di soccorso  –   l’arrivo degli adulti, la chiamata alle autorità e le sirene in lontananza  –   tentai d’ignorare la ragazza e di ricollocare le mie priorità nel giusto ordine. Rovistai in ogni singola mente del parcheggio, dei testimoni e dei ritardatari insieme, ma non trovai niente di pericoloso. Molti erano sorpresi di vedermi vicino a Bella, ma tutti conclusero  –   poiché poiché non c’era altra possibile conclusione  –   che non avevano fatto caso che mi trovavo accanto alla ragazza prima dell’incidente.   dell’incidente. Lei era l’unica a non accettare quella semplice spiegazione, ma l’avrebbero considerata la meno credibile dei testimoni. Doveva essere spaventata, traumatizzata, per non parlare della botta che aveva presa in testa. Probabilmente era in stato di  shock . Era  più che accettabile che la sua storia fosse confusa, no? Nessuno le avrebbe dato più credito che a così tanti testimoni… testimoni…   Sussultai quando colsi i pensieri di Rosalie, Jasper ed Emmett, che stavano giusto arrivando sul posto. Quella sera sarebbe scoppiato un casino per questo. Volevo spianare l’ammaccatura che le mie spalle avevano lasciato sulla macchina ©2008 Stephenie Meyer

 

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marroncina, ma la ragazza era troppo vicina. Dovevo aspettare finché non si distraeva. Era frustrante restare ad aspettare  –  così   così tanti occhi puntati su di me  – , mentre gli umani lottavano con il furgoncino, cercando di spingerlo lontano da noi. Avrei potuto aiutarli, giusto per accelerare la cosa, ma ero già abbastanza nei guai e la ragazza aveva la vista aguzza. Finalmente, riuscirono a spostarlo quanto bastava per permettere ai  paramedici di raggiungerci con le loro barelle. Un viso familiare, brizzolato, mi squadrò. “Hey, Edward”, disse Br ett ett Warner. Era anche un infermiere professionale, e l’avevo conosciuto bene in ospedale. Era un colpo di fortuna  –   l’unica fortuna oggi –  che   che fosse lui a raggiungerci per primo. Nei suoi pensieri, stava notando che avevo l’aria vigile e calma. “Stai bene, bene, ragazzo?” ragazzo?”   “Perfettamente, Brett. Neanche un graffio. Ma ho paura che Bella possa avere una commozione cerebrale. Ha preso una bella botta in testa quando l’ho tirata via dalla strada…”. stra da…”.   Brett rivolse la sua attenzione alla ragazza, che mi lanciò un’occhiata truce per averla tradita. Oh, giusto. Lei era la martire silenziosa –  silenziosa –  preferiva  preferiva soffrire in silenzio. Tuttavia, non aveva contraddetto subito la mia storia, e questo mi fece sentire più tranquillo. L’altro paramedico cercò d’insistere perché mi facessi visitare, ma non fu troppo difficile dissuaderlo. Promisi che mi sarei fatto visitare da mio padre, e lasciò perdere. Con la maggior parte degli esseri umani, parlare con sfacciata sicurezza era tutto ciò serviva. Con la maggior parte degli esseri umani, ma non con la ragazza, ovviamente. Rientrava in un qualunque qualunque canone  canone di normalità? Mentre le mettevano un collarino  –   e la sua faccia era diventata viola per l’imbarazzo –   approfittai approfittai del momento di distrazione per correggere con discrezione, con il tallone, l’impronta dell’ammaccatura sull’auto marroncina. Solo i miei fratelli e le mie sorelle si accorsero di quello che stavo facendo, e sentii Emmett promettere mentalmente di provvedere a qualunque cosa avessi tralasciato. Grato per il suo aiuto –  aiuto –  ed  ed ancor più grato che Emmett, almeno, aveva già perdonato la mia scelta pericolosa  –   mi sentivo già più rilassato quando salii sul sedile anteriore dell’ambulanza vicino a Brett.  Brett.   Il capo della polizia polizia arrivò prim’ancora che caricassero Bella sul retro ©2008 Stephenie Meyer

 

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dell’ambulanza.  dell’ambulanza.  Quantunque i pensieri del padre di Bella fossero avari di parole, il panico e la  preoccupazione  preoc cupazione che emanavano dalla mente di quell’uomo coprivano la voce di press oché ltro pensiero nelle vicinanze. L’ansia ed il senso di colpa inespressi, che ne ogni aaltro costituivano una larga parte, lo abbandonarono non appena vide la sua unica figlia sulla  barella. Lo abbandonarono per passare a me, amplificati e sempre più forti. Quando Alice mi aveva avvertito che uccidendo l’unica figlia di Charlie Swan avrei ucciso anche lui, non aveva esagerato. Quel senso di colpa mi fece chinare la testa mentre ascoltavo la sua voce terrorizzata. “Bella!” gridò.  gridò.  “S “Sto to benissimo, Char –  Char –  papà”.  papà”. Sospirò. “Non mi sono fatta niente”.  niente”.  Le sue rassicurazioni a malapena ne smorzarono la paura. Si voltò all’istante ve rso il  più vicino paramedico e gli chiese maggiori informazioni. Solamente quando lo sentii parlare, compitando delle frasi perfettamente coerenti a dispetto del panico che provava, mi resi conto che la sua ansia e la sua preoccupazione non erano non  erano inespresse. inespresse. Solo che…non potevo sentirne le parole esatte.  esatte.   Hmm. Charlie Swan non era silenzioso quanto sua figlia, ma capivo da chi lei avesse preso. Interessante.  Non avevo mai dedicato molto tempo al capo della polizia cittadina. L’avevo sempre considerato un uomo tardo di comprendonio  –  solo   solo ora mi rendevo conto che ero io io   quello tardo. I suoi pensieri erano parzialmente nascosti, non assenti. Potevo solo distinguerne il tenore, tenore, il timbro…  timbro…  Volevo ascoltare più a fondo, per vedere se potevo trovare in quel nuovo, più semplice rompicapo la chiave per accedere ai segreti della ragazza. Ma proprio allora Bella fu caricata sul retro, retro, e l’ambulanza si mise in marcia.  marcia.  Era difficile staccarmi dalla possibile soluzione del mistero che era diventata un’ossessione per me. Ma dovevo pensare –  esaminare   esaminare quel che era capitato oggi da ogni  punto di vista. Dovevo ascoltare, a scoltare, per assicurarmi di non averci aver ci messi tutti in un pericolo tanto grande da dover partire immediatamente. Dovevo concentrarmi.  Non c’era niente nei pensieri dei paramedici che mi potesse spaventare. Per quanto ©2008 Stephenie Meyer

 

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ne sapevano, la ragazza non aveva niente di serio. E Bella era rimasta fedele alla storia che avevo fornita, finora. La prima delle mie priorità, quando arrivammo in ospedale, fu quella di vedere Carlisle. Attraversai di corsa le porte automatiche, ma fui incapace di rinunciare completamente ad occuparmi di Bella; tenni un occhio su di lei attraverso i pensieri dei  paramedici. Fu facile trovare la mente familiare di mio padre. Era nel suo piccolo ufficio, da solo –  solo  –  il  il secondo colpo di fortuna in questa giornata sfortunata. “Carlisle”.   “Carlisle”. Mi aveva sentito arrivare, e si era allarmato non appena aveva visto il mio viso. Scattò in piedi, il suo viso impallidì bianco come un osso. Si allungò sulla scrivania di noce perfettamente organizzata.  Edward –   Edward  –  non  non hai –  hai –   “No, no, non è quello che pensi”.  pensi”.   Respirò a fondo. Ovviamente no. Mi spiace di averlo pensato. I tuoi occhi, naturalmente, naturalmen te, avrei dovuto saperlo… Osservò saperlo… Osservò i miei occhi ambrati con sollievo. “Lei è ferita, però, Carlisle, probabilmente non in modo serio, ma -”  “Cos’è successo?”  successo?”  “Uno stupido incidente di macchina. Era nel posto sbagliato al momento sbagliato. sbagli ato. Ma non potevo restarmene lì così –  così  –  lasciare  lasciare che fosse travolta -” - ”  Comincia dal principio, non riesco a capire. Come sei stato coinvolto? “Un furgoncino slittava sul ghiaccio”, mormorai. Fissavo la parete alle sue spalle mentre parlavo. Al posto di una schiera di diplomi incorniciati, lui teneva una semplice  pittura ad olio –  olio –  una delle sue favorite, un Hassam ancora sconosciuto. “Lei stava sulla sua traiettoria. Alice l’ha visto arrivare, ma non c’era tempo di fare altro se non correre correre   davvero attraverso il parcheggio e spingerla via. Nessuno Nessuno se n’è accorto…apparte lei. Ho anche dovuto fermare il furgoncino, ma di nuovo, nessuno ha visto…tranne lei. Mi spiace Carlisle. Carli sle. Non intendevo metterci in pericolo”.  pericolo”.   Girò attorno alla scrivania e mi poggiò una mano sulla spalla. spalla .  Hai fatto la cosa giusta. E non deve essere esser e stato facile per tte. e. Sono orgoglioso di te,  Edward.    Edward. A quel punto potevo guardarlo negli occhi. “Lei sa che c’è c’ è qualcosa…di sbagliato in ©2008 Stephenie Meyer

 

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me”.   me”. “Questo non conta. Se dovremo partire, partiremo. Cos’ha detto?”  detto?”   Scossi la testa, un poco frustrato. “Niente, ancora”.  ancora”.    Ancora? “Ha accettato di sostenere la mia versione degli eventi –   ma si aspetta una spiegazione”. spiega zione”.   Aggrottò le sopracciglia, mentre meditava sulla cosa. “Ha sbattuto la testa –   beh, sono stato io”, continuai rapidamente. “L’ho spinta a ter ra ra piuttosto violentemente. Sembra stia bene, ma… Non credo ci vorrebbe molto per screditare scre ditare il suo resoconto”.  resoconto”.  Mi sentivo un mascalzone solo per averlo detto. Carlisle percepiva il disgusto nella mia voce. voce . Magari non sarà necessario. Andiamo a vedere che succede, vuoi? Pare che abbia una paziente da visitare. visitare . “Per favore”, dissi. “Ho davvero paura di averle fatto del male”.   L’espressione di Carlisle s’illuminò. Si lisciò i capelli biondi –  appena  appena più chiari dei suoi occhi dorati –  dorati –  e  e si mise a ridere.  E’ stata una giornata interessante per te, non è vero?  vero?   Nella sua mente, potevo co cogliere gliere l’ironia, ed era divertente, divertente, almeno per lui. Un totale rovesciamento dei ruoli. Ad un certo punto durante quel breve secondo sconsiderato in cui mi ero precipitato attraverso il parcheggio congelato, mi ero trasformato da assassino a protettore. Risi con lui, ricordando di quanto fossi stato certo che Bella non avrebbe mai avuto  bisogno di essere protetta da niente più che da me. C’era una punta di alterazione nella mia risata perché, a dispetto del furgoncino, era ancora completamente vero.

Aspettavo da solo nell’ufficio nell’uffic io di Carlisle  –   una delle ore più lunghe che abbia mai trascorso –  trascorso  –  ascoltando  ascoltando il brulicare dei pensieri che riempivano l’ospedale.  l’ospedale.   Tyler Crowley, il conducente del furgoncino, sembrava fosse ferito assai più gravemente grave mente di Bella, e l’attenzione si s i spostò su di lui mentre lei aspettava il suo turno in sala raggi. Carlisle si teneva in disparte, confidando nella diagnosi del suo assistente secondo cui la ragazza era rimasta ferita solo lievemente. Il che mi rese ansioso, ma sapevo che aveva ragione. Una sola occhiata al viso di lui le avrebbe immediatamente ©2008 Stephenie Meyer

 

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dato di me, del fatto che c’era qualcosa di strano nella mia famiglia, e questo avrebbe ricor dato  potuto indurla a parlare. Certamente aveva un compagno piuttosto ben disposto con cui conversare. Tyler era consumato dal senso di colpa per via del fatto che l’aveva quasi uccisa, e sembrava fosse incapace di tacerlo. Potevo vedere l’espressione di lei attraverso i suoi occhi, ed era evidente che desiderava che lui la smettesse. Come faceva lui a non accorgersene? Ci fu un momento di tensione quando Tyler le chiese come fosse riuscita a scansarsi. Aspettavo, senza respirare, mentre lei esitava. “Um… Um…”” la sentì dire. Poi fece una pausa così lunga che Tyler si chiese se la sua domanda doman da l’aveva confusa. Alla fine, continuò. “ Edward mi ha spinta via”. via”.   Esalai. E poi il mio respiro accelerò. Non l’avevo mai sentita pronunciare il mio nome prima. Mi piaceva il suono che aveva  –  persino   persino ascoltandolo solamente attraverso i  pensieri di Tyler. Volevo sentirlo con le mie orecchie…  orecchie…  “ Edward Cullen”, Cullen”, disse, quando Tyler non capì a chi si riferisse. Mi ritrovai sulla  porta, con la mano sulla maniglia. Il desiderio di vederla si faceva sempre più intenso. Mi costrinsi a ricordare quanto fosse necessario essere prudente. “Stava proprio accanto a me”. me ”.   “Cullen? Cullen?””.  Huh. Questo è strano. strano. “ Non l’ho visto”. visto”.  Avrei giurato…  giurato…  “Whow, è  successo tutto così in fretta, immagino. Sta bene?” bene?”  “Credo di si. E’  qui da qualche parte, ma non l’hanno portato in barella”. barella”.   Vidi l’aria meditabonda che aveva in viso, il sospetto che le faceva stringere gli occhi riducendoli a due fessure, ma quei piccoli cambiamenti della sua espressione andarono persi in Tyler.  E’ bella, bella, stava pensando, quasi sorpreso. sorpreso . Perfino così in disordine. Non il mio solito ti po,  po, però… Dovrei invitarla ad uscire. Farmi perdonare perdonare per oggi… oggi…   A quel punto ero già nel corridoio, a metà strada dalla sala delle emergenze, senza  pensare nemmeno per un secondo a cosa stessi facendo. Fortunatamente, l’infermiera entrò nella stanza prima che potessi farlo io  –   era il turno di Bella in radiologia. Mi appoggiai appog giai contro la parete in un cantuccio buio proprio dietro l’angolo, e cerca i di controllarmi mentre la portavano via in barella.  Non importava che Tyler pensasse che fosse bella. Chiunque se ne sarebbe accorto. ©2008 Stephenie Meyer

 

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 Non avevo ragione di sentirmi…come mi sentivo mi  sentivo?? Irritato? O arrabbiato arrabbiato corrispondeva  corrispondeva di  più alla verità? Non aveva assolutamente senso. Restai dov’ero finché potei, ma l’impazienza ebbe la meglio su di me ed imboccai un corridoio secondario in direzione della sala raggi. L’avevano già riportata in emergenza, ma riuscii a dare da re un’occhiata alle sue lastre mentre l’infermiere mi dava le spalle. Mi sentii più calmo dopo averlo fatto. La sua testa stava bene. Non le avevo fatto male, non seriamente. Carlisle mi sorprese lì.  Hai un aspetto migliore, migliore, commentò. Mi limitai a guardare di fronte a me. Non eravamo soli, i corridoi erano affollati di inservienti e visitatori.  Ah, si. si. Appese le radiografie alla lavagna luminosa, ma non avevo bisogno di una seconda occhiata. Vedo. Sta benissimo. Ben fatto, Edward . Il suono dell’approvazione di mio padre mi procurava una reazione contrastata. Avrei voluto potermi compiacere, tranne che sapevo che non avrebbe approvato ciò che stavo per fare. Quantomeno, non avrebbe approvato se avesse saputo quali fossero le mie reali motivazioni… motivazioni…   “Penso che andrò a parlare con lei –   prima che ti veda”, mormorai con un filo di vo voce. ce. “Mi comporte comporterò normalmente, come se niente fosse successo. Minimizzerò”. Tutte ragioni accettabili. Carlisle annuì distrattamente, ancora ancora intento sulle radiografie. “Buona idea. Hmm”.  Hmm”.   Guardai per capire cosa avesse catturato il suo interesse. Guarda quante contusioni cicatrizzate! cicatrizzate! Quante volte l’ha lasciata cadere sua madre? Carlisle madre?  Carlisle rise della sua stessa battuta. “Sto cominciando a pensare che la ragazza abbia solo molta sfortuna. Sempre nel  posto sbagliato al momento sbagliato”.  sbagliato”.   Forks è certamente il posto sbagliato per lei, con te qui. qui. Trasalii. Vai avanti. Risolvi la faccenda. f accenda. Ti raggiungerò a momenti. momenti. Mi allontanai velocemente, sentendomi colpevole. Forse ero un bugiardo davvero troppo in gamba, se potevo ingannare Carlisle. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Quando entrai nel pronto soccorso, Tyler stava ancora biascicando sottovoce, per scusarsi. La ragazza stava cercando di scampare al suo rimorso fingendo di dormire. I suoi occhi erano chiusi, ma il suo respiro non era regolare, e di quando in quando contraeva le dita nervosamente. Fissai il suo viso per un lungo momento. Questa Que sta era l’ultima volta che la vedevo. Quella considerazione scatenò un dolore insopportabile nel mio petto. Era perché odiavo lasciare qualunque mistero irrisolto? Non pareva una spiegazione adeguata. Alla fine, respirai profondamente e mi resi visibile. Quando Tyler mi vide, cominciò a parlare, ma mi poggiai un dito sulle labbra. “Sta dormendo?” mormorai.  mormorai.  Gli occhi di Bella si aprirono di scatto e si focalizzarono sul mio viso. Si spalancarono per un solo attimo, e poi si strinsero per la collera o il sospetto. Mi ricordai di dover recitare una parte, perciò le sorrisi come se questa mattina non fosse successo niente d’insolito –  apparte  apparte un colpo alla sua testa ed un pizzico di fantasia galoppante. “Hey Edward”, disse Tyler. “Mi dispiace davvero tanto -”  Sollevai una mano per interrompere le sue scuse. “Niente sangue, nessuna inf amia” dissi sarcasticamente. Senza pensarci, spalancai il sorriso per quella mia burla personale. Era straordinariamente facile ignorare Tyler, sdraiato a non più di un metro da me, coperto di sangue. Non avevo mai capito come riuscisse Carlisle a farlo  –   ignorare il sangue dei suoi pazienti al fine di curarli. La tentazione costante non avrebbe dovuto impedirgli di concentrarsi, di non essere pericoloso..? Ma ora…potevo capire come, concentrandosi concen trandosi su qualcos’altro abbastanza intensamente intensamente,, la tentazione svaniva del tutto. Anche se caldo ed esposto, il sangue di Tyler non valeva niente in confronto a Bella. Mi tenni a distanza da lei, sedendomi ai piedi del letto di Tyler. “Allora, qual è il verdetto?” le chiesi.  chiesi.  Il suo labbro inferiore s’imbronciò appena. “Non ho assolutamente niente, ma non vogliono lasciarmi andare. Come mai tu non sei legato ad una barella come il resto di noi?”   noi?” La sua impazienza mi fece sorridere di nuovo. Potevo sentire Carlisle nel corridoio adesso. “Questione di conoscenze”, dissi con leggerezza. “Ma non temere, sono venuto a li berarti”.   berarti”.  ©2008 Stephenie Meyer

 

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Osservai la sua reazione molto attentamente quando mio padre entrò dalla porta. Sgranò gli occhi e la bocca le si spalancò per la sorpresa. Gemetti mentalmente. Si, aveva senza alcun dubbio notato la rassomiglianza. “Allora,  signorina Swan, come si sente?” chiese Carlisle. Aveva un modo di fare “Allora,  straordinariamente rassicurante che metteva la maggioranza dei pazienti a proprio agio in  pochi istanti. Non avrei saputo dire che effetto avesse su Bella. “Sto bene”, disse calma. Carlisle appese le sue radiografie alla lavagna luminosa vicina al letto. “Le tue lastre sono apposto. Ti fa male la testa? te sta? Edward dice che l’hai battuta piuttosto forte”.  forte”.  Sospirò, e disse “Sto bene”, di nuovo, ma stavolta stavolta la sua impazienza trapelava dalla sua voce. Poi mi lanciò uno sguardo truce. Carlisle le si avvicinò e fece scorrere gentilmente le dita sulla sua nuca finché non trovò il bernoccolo nascosto sotto i capelli. Fui colto alla sprovvista sprovvista dall’impeto dell’emozione che si abbatté su di me.  me.   Avevo visto Carlisle trattare con gli umani migliaia di volte. Anni prima, lo avevo  persino assistito ufficiosamente  –   quantunque solamente in situazioni che non coinvolgessero il sangue. Perciò non era una cosa nuova, per me, vederlo interagire con la ragazza come se fosse umano quanto lei. Avevo invidiato il suo autocontrollo molte volte, ma quest’emozione era differente. differente. Gli invidiavo molto più del suo autocontrollo. Soffrivo  per la diff erenza erenza che c’era tra Carlisle e me –   perché lui poteva toccare la ragazza tanto delicatamente, senza timore, sapendo che non le avrebbe a vrebbe mai fatto del male…  male…  Lei sussultò, ed io m’irrigidii. Dovetti concentrarmi un istante per ritrovare la mia  postura rilassata. “Male?” chiese Carlisle.  Carlisle.  Sollevò il mento leggermente. “No davvero” disse.  disse.  Un altro piccolo tassello del suo carattere andò a posto: era coraggiosa. Non le  piaceva mostrarsi debole. Probabilmente era la creatura più vulnerabile che avessi mai vista, e non voleva sembrare debole. Una risatina soffocata mi scappò tra le labbra. Mi lanciò un altro sguardo truce. “Bene”, disse Carlisle. “Tuo padre ti sta aspettando in sala d’attesa –  puoi –  puoi andartene subito a casa con lui. Ma torna immediatamente qui se ti senti girare la testa o se hai ©2008 Stephenie Meyer

 

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 problemi di vista”. vista”.   Suo padre era lì? Rovistai tra i pensieri dell’affollata sala d’attesa, ma non riuscii a distinguere la sua fievole voce mentale tra la massa prima che lei tornasse a parlare con in viso un’espressione ansiosa.  ansiosa.  “Non posso tornare a scuola?”  scuola?”  “Magari oggi dovresti prendertela comoda”, suggerì Carlisle.  Carlisle.   I suoi occhi guizzarono ancora su di me. “ Lui  Lui può  può tornare a scuola?”  scuola?”  Comportati normalmente, minimizza…ignora il modo in cui ti fa sentire quando ti guarda negli occhi… occhi…   “Qualcuno deve far circolare la buona notizia che siamo sopravvissuti”, dissi.   “A dire il vero”, corresse Carlisle, “la maggior parte della scuola sembra essersi trasferita trasfe rita in sala d’attesa”.  d’attesa”.  Anticipai la sua reazione stavolta  –   la sua avversione per le attenzioni. Non mi deluse. “Oh no”, gemette, e si coprì il viso con c on le mani.  mani.  Mi  piaceva l’essere finalmente riuscito a fare una supposizione corretta. Stavo cominciando a ca pirla…  pirla…   “Preferisci rimanere qui?” chiese Carlisle.  Carlisle.  “No, no” disse rapidamente, facendo penzolare le gambe oltre il bordo del materasso e scivolando finché i suoi piedi non ebbero toccato il pavimento. Incespicò in avanti, sbilanciata, sbilanciata, tra le braccia di Carlisle. L’aveva afferrata e stabilizzata.  stabilizzata.  Di nuovo, l’invidia mi travolse.  travolse.  “Sto bene” disse prima che lui potesse commentar e, e, con una sfumatura di rosa sulle guance. Ovviamente, la cosa non infastidì Carlisle. Si assicurò che fosse in equilibrio, e poi staccò le mani. “Prendi del Tylenol per il dolore” la istruì. “Non fa così male”.  male”.  Carlisle Carl isle sorrise e firmò la sua cartella. “Pare che tu sia stata davvero fortunata”. fortuna ta”.   Voltò la testa leggermente, per fissarmi con uno sguardo severo. “Fortunata che Edward si trovasse per puro caso vicino a me”.  me”.   “Oh, beh, si”, convenne in f retta retta Carlisle, percependo nella sua voce la stessa cosa ©2008 Stephenie Meyer

 

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che avevo sentito anch’io. Non aveva cancellato i suoi sospetti dalla sua immaginazi immaginazione. one.  Non ancora.  E’ tutta tua, tua, pensò Carlisle. Gestiscila come meglio credi. credi . “Grazie tante”, mo mormorai, rmorai, velocemente e silenziosamente. Nessuno dei due umani mi sentì. Gli angoli delle labbra di Carlisle si sollevarono appena un poco per il mio sarcasmo in intanto tanto che si voltava verso Tyler. “Temo che tu dovrai restare con noi un pò più a lungo”, disse mentre iniziava ad esaminare i tagli lasciati dal parabrezza andato in frantumi. Beh, io avevo fatto il casino, perciò era quantomeno giusto che fossi io ad occuparmene. Bella veniva verso di me con passo determinato, e non si fermò finché non si trovò spiacevolmente vicina. Ricordavo quanto avessi sperato, prima di quel caos caos,, che mi si av avvicinasse… vicinasse… Questa era la parodia di quel desiderio.  desiderio.  “Posso parlarti un minuto?” sibilò.  sibilò.  Il suo respiro caldo mi sfiorò il viso e fui costretto a barcollare un passo indietro. L’attrazione che esercitava non si era minimamente ridotta. Ogni volta che mi era vicina, vic ina, scatenava i miei istinti peggiori e più pressanti. Il veleno mi salì alla bocca ed il mio corpo desiderò ardentemente di aggredirla –  aggredirla –  di  di spingerla tra le mie braccia e di stringerne la gola con i denti. La mia mente era più forte del mio corpo, ma solo di poco. “Tuo padre ti sta aspettando”, le ricordai, serrando le mascelle ben strette.  strette.   Lanciò un’occhiata a Tyler e Carlisle. Tyler non ci prestava alcuna attenzione, ma Carlisle monitorava ogni mio singolo respiro.  Prudenza, Edward . “Vorrei parlarti da solo, se non ti dispiace”, insistette abbassando la voce.  voce.  Volevo dirle che mi dispiaceva parecchio, ma sapevo che prima o poi avrei dovuto affrontarla. Tanto valeva andare avanti. Ero preda di una miriade di emozioni contrastanti, intanto che uscivo dalla stanza impettito, ascoltandone i passi incerti alle mie spalle, mentre cercava di starmi dietro. Avevo uno spettacolo da mettere in scena. Sapevo quale parte mi sarebbe toccata  –   il personaggio ce l’avevo dentro: sarei stato il cattivo. Avrei mentito e ridicolizzato e sarei stato crudele. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Andava contro tutti i miei migliori istinti –  istinti  –  gli  gli istinti umani cui mi ero aggrappato in tutti questi anni. Mai come in questo momento avevo desiderato di essere degno della sua fiducia, proprio quando dovevo distruggerne ogni possibilità. Era anche peggio sapendo che quello sarebbe stato l’ultimo ricordo che lei avre avre bbe  bbe avuto avu to di me. Quella era la mia scena d’addio.  d’addio.   Mi voltai verso di lei. “Che vuoi?” chiesi freddamente.  freddamente.  Lei indietreggiò appena di fronte alla mia ostilità. I suoi occhi diventarono sconcer tati, tati, l’espressione che mi aveva braccato…  braccato…   “Mi devi una spiegazione” disse con voce fioca; il suo viso eburneo sbiancò.  sbiancò.   Era molto difficile mantenere un tono di voce aspro. “Ti ho salvato la vita vita –   –  Non   Non ti devo niente”.  niente”.  Lei trasalì –  trasalì –  bruciava  bruciava come l’acido vederla ferita dalle mie parole.  parole.   “Hai promesso” sussurrò.  sussurrò.  “Bella, hai battuto la testa, non sai cosa dici”.  dici”.   A quel punto sollevò il mento. “Non c’è niente che non va nella mia testa”.  testa”.  Era arrabbiata adesso, il che mi rendeva le cose più facili. Incrociai il suo sguardo, con un viso ancor più cattivo. “Che vuoi da me, Bella?”  Bella?”   “Voglio la verità. Voglio sapere perché sto mentendo  mentendo  per  per te”.  te”.  Quello che voleva era semplicemente giusto –  giusto  –  mi  mi frustrava doverglielo negare. “Cosa credi credi  che sia successo?” quasi le ringhiai.  ringhiai.  Le sue parole si riversarono come un torrente. “Tutto ciò che so è che tu non eri affatto vicino a me  –   neppure Tyler ti ha visto, perciò non dirmi che ho battuto la testa troppo forte. Quel furgoncino stava per schiacciarci entrambi  –   e non l’ha fatto, e le tue mani hanno lasciato un’ammaccatura sulla sua fiancata –   ed hai lasciato un’ammaccatura un’ammacc atura  pure sull’altra macchina, e non ti sei fatto assolutamente niente –  e   e il furgoncino avrebbe dovuto dovu to spaccarmi le gambe, ma tu l’hai sollevato…”. D’improvviso, serrò i denti ed i suoi occhi luccicarono trattenendo le lacrime. La fissai, con un’espressione un’espressione di scherno, sebbene ciò che sentissi davvero era soggezione; aveva visto tutto. “Pensi che abbia sollevato un furgoncino per te?” le chiesi sarcasticamente.   ©2008 Stephenie Meyer

 

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Rispose con un solo rigido cenno del capo. La mia voce diventò ancor più canzonatoria. “Nessuno ti crederà, lo sai”.  sai”.   Si sforzò di contenere la propria rabbia. Quando mi rispose, scandì ogni singola nessuno”.    parola in maniera deliberatamente lenta. “Non lo racconterò a nessuno”.  parola Era la verità  –   potevo leggerglielo negli occhi. Nonostante fosse furiosa e tradita, avrebbe mantenuto il mio segreto.  Perché? Lo shock  Lo  shock   guastò guastò la mia espressione attentamente calcolata per mezzo secondo, e poi mi ricomposi. “Allora che importanza ha?” chiesi, sforzandomi di mantenere un tono di voce aspro. “E’ importante per me”, disse con intensità. “Non mi piace mentire –   perciò è meglio me glio che ci sia una buona ragione al perché lo sto facendo”.  facendo”.   Mi stava chiedendo di fidarmi di lei. l ei. Proprio com’io volevo che lei si fidasse di me. Ma quello era un confine che non potevo oltrepassare. La mia voce si mantenne insensibile. “Non puoi limitarti a ringraziarmi ed a l asciar  perdere?”    perdere?” “Grazie”, disse, e poi fumò silenziosamente silenziosamente di rabbia, aspettando. “Non intendi lasciar perdere, vero?”  vero?”  “No”   “No” “In questo caso…”. Non avrei potuto dirle la verità neanche se avessi voluto…e non non   lo volevo. Preferivo che s’inventasse una storia tutta sua piuttosto che sapesse cos’ero,  perché niente poteva essere peggio della verità  –   ero un incubo vivente, strappato alle  pagine  pa gine di un romanzo dell’orrore. “Spero tu goda a rimanere delusa”.  delusa”.   Ci guardammo torvi a vicenda. Era strana la tenerezza che suscitava la sua rabbia. Come una gattina furibonda, morbida ed indifesa, e completamente ignara della propria vulnerabilità. Avvampò di rosa e di nuovo serrò i denti. “Perché prendersi tanto disturbo?”  disturbo?”   La sua non era una domanda che mi sarei aspettato o alla quale mi ero preparato a rispondere. Persi la presa sulla parte che stavo recitando. Sentii la maschera scivolarmi dal viso, e le dissi –  dissi –  almeno  almeno per una volta –  volta –  la  la verità. “Non lo so”.  so”.  ©2008 Stephenie Meyer

 

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Memorizzai il suo viso per l’ultima v volta olta  –   era ancora contratto per la rabbia, il sangue non era ancora sfumato dalle guance –  guance  –  poi  poi mi voltai e me ne andai via da lei.

©2008 Stephenie Meyer

 

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4. Visioni

Tornai a scuola. Era la cosa giusta da fare, la maniera migliore di comportarsi per passare inosservati. Per la fine della giornata, anche quasi tutti gli altri studenti erano tornati in classe. Solo Tyler e Bella e pochi altri  –   che probabilmente stavano usando l’incidente come scusa per saltare le lezioni –  lezioni  –  rimasero  rimasero assenti.  Non sarebbe dovuto essere tanto difficile per me fare la cosa giusta. Ma, per tutto il  pomeriggio, strinsi i denti per resistere allo slancio che mi faceva desiderare con impazienza impa zienza di assentarmi anch’io –  per  per raggiungere di nuovo la ragazza. Come un maniaco. Un maniaco ossessionato. Un maniaco ossessionato, e vampiro. La scuola oggi era  –   in qualche modo, incredibilmente  –   persino più noiosa di quanto non mi fosse sembrata giusto una settimana prima. Uno stato di coma. Era come se tutto il colore fosse colato via dai mattoni, dagli alberi, dal cielo, dalle facce attorno a me… Fissavo le crepe sulla parete. p arete. C’era un’altra cosa giusta che avrei dovuto fare…ma che non stavo facendo.  Naturalmente, era anche una cosa sbagliata. Dipendeva tutto da quale prospettiva la si considerava. Dalla prospettiva di un Cullen  –  non   non di un semplice vampiro, ma di un Cullen Cullen,, di qualcuno che apparteneva ad una famiglia, una condizione piuttosto rara nel nostro mondo  –  la  la cosa giusta da fare sarebbe suonata più o meno così: “Sono sorpreso di vederti a scuola, Edward. Ho sentito che sei rimasto coinvolto in quel terribile incidente di stamattina”.  stamattina”.  “Si, Signor Banner, ma io sono quello fortunato”. Un sorriso amichevole. “Non mi  sono fatto assolutamente assolutamente niente…Vorrei poter dire lo stesso di Tyler e di Bella”.  Bella”.   “Come stanno?”  stanno?”  “Penso che Tyler stia bene…giusto qualche taglio t aglio superficiale causato dal vetro del  parabrezza. Tuttavia, non sono sicuro per quel che riguarda Bella”. Un’espressione  preoccupata.  pre occupata. “Potrebbe avere una commozione cerebrale. Ho sentito che per un pò è  stata piuttosto incoerente  –   che aveva persino delle allucinazioni. So che i dottori sono  preoccupati…”  preoc cupati…”   ©2008 Stephenie Meyer

 

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E’ così che sarebbe dovuta andare. Era ciò che dovevo che  dovevo alla mia famiglia. “Sono sorpreso di vederti a scuola, Edward. Ho sentito che sei rimasto coinvolto in quel terribile incidente incidente di stamattina”.  stamattina”.  “Non mi sono fatto niente”. Nessun sorriso.  sorriso.  Il Signora Banner spostò il peso peso da un piede all’altro, a disagio.  disagio.   “Hai qualche idea su come stiano Tyler Crowley e Bella Swan? Ho sentito parlare di qualche ferita…”  ferita…”  Scrollai le spalle. “Non saprei”.  saprei”.  Il Signor Banner si schiarì la gola. “Ehm, bene…” disse, disse , la freddezza del mio sguardo faceva sembrare la sua voce un pò tesa. Tornò velocemente di fronte alla classe ed iniziò la lezione. Era stata la cosa sbagliata da fare. Salvo che non la si guardasse da un punto di vista  più oscuro. E’ solo che sembrava così…così  poco  poco   cavalleresco cavalleresco   calunniare la ragazza a tradimento, soprattutto perché si stava dimostrando maggiormente degna di fiducia di quanto non avessi potuto aspettarmi. Non aveva detto nulla che potesse scoprirmi, malgrado avesse avesse una buona ragione per farlo. L’avrei tradita quando non aveva fatto altro che mantenere il mio segreto? La conversazione con la Signora Goff fu pressoché identica  –   solo in spagnolo invece che in inglese –  inglese –  ed  ed Emmett mi lanciò una lunga occhiata. Spero tu abbia un’ottima spiegazione per quel che è successo oggi. Rose è sul  sentiero di guerra. guerra. Strabuzzai gli occhi senza guardarlo. In verità avevo escogitato una spiegazione che suonava assolutamente perfetta. Supponete solamente che non non avessi  avessi fatto niente per impedire al furgoncino di schiantarsi sulla ragazza…rifuggii ragazza…rifuggii quel pensiero disgustato. Ma se  fosse  fosse stata  stata investita, se fosse stata mutilata e sanguinante, il fluido rosso a spandersi, spandersi, a disperdersi sull’asfalto nero, il  profumo  profu mo del suo sangue caldo circolante nell’aria…  nell’aria…   Rabbrividii di nuovo, ma non solo per l’orrore. Una parte di me fremeva dal desiderio. No, non sarei stato capace di vederla sanguinare senza esporre tutti noi in maniera assai più flagrante e scioccante. Era una scusa che suonava perfettamente plausibile…ma non l’avrei usata. Sarebbe S arebbe ©2008 Stephenie Meyer

 

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stato troppo deplorevole. Ed io non ci avevo pensato se non molto dopo il fatto, a dispetto di tutto. Tieni d’occhio Jasper , continuò Emmett, ignaro delle mie elucubrazioni.  Non è al trettanto trettanto arrabbiato…ma è più risoluto. risoluto. Vidi cosa intendeva dire, e per un momento la stanza mi girò intorno. La mia rabbia era talmente divorante che una bruma rossa mi offuscò la vista. Pensavo che mi avrebbe soffocato.  ACCIDENTI, EDWARD! CONTROLLATI! CONTROLLATI! Mi  Mi urlò contro Emmett mentalmente. La sua mano si poggiò sulla mia spalla, trattenendomi sulla sedia prima che potessi scattare in  piedi. Raramente faceva pienamente uso della sua forza  –   raramente ce n’era bisogno,  perché era e ra molto più forte di tutti i vampiri che chiunque di noi avesse mai incontrato  – , ma ora la usava. Mi afferrò il braccio, piuttosto che spingermi giù. Se mi avesse spinto, la sedia sulla quale ero seduto avrebbe ceduto. CALMATI! Ordinò. CALMATI! Ordinò. Cercavo di calmarmi, ma era difficile. La rabbia m’incendiava la mente.  mente.   Jasper non farà nulla fintanto che non ne avremo parlato tutti assieme. Pensavo  soltanto che dovessi sapere che intenzioni ha. ha. Mi concentrai per rilassarmi, e sentii la mano di Emmett che allentava la presa. Cerca di non dare altro altro spettacolo.  spettacolo. Sei già abbastanza nei guai così. così. Respirai a fondo ed Emmett mi liberò. Sistematicamente cercai qua e là nella stanza, ma il nostro confronto era stato talmente breve e silenzioso che solo poche persone sedute dietro ad Emmett l’avevano notato. Nessuna di loro sapeva cosa pensarne, e perciò minimizzarono. I Cullen erano strani –  strani  –  lo  lo sapevano già tutti. Caspita, ragazzo, sei conciato proprio male, male , aggiunse Emmett, in tono solidale. “Mordimi”, bisbigliai a bassa voce, e lo sentii ridacchiare piano.   Emmett non serbava rancore, e probabilmente avrei dovuto essere assai più grato  per la sua natura rilassata e disinvolta. Ma potevo vedere che le intenzioni di Jasper J asper erano er ano sensate per Emmett, che stava valutando quale fosse il modo migliore di trattare la cosa. La rabbia covava, a malapena sotto controllo. Si, Emmett era più forte di me, ma non era ancora riuscito a battermi in un incontro di lotta. Sosteneva che fosse così perché  baravo, ma leggere il pensiero faceva solamente parte di me come la sua immensa forza ©2008 Stephenie Meyer

 

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faceva parte di lui. Eravamo quasi alla pari in uno scontro. Uno scontro? Era a questo che saremmo arrivati? Stavo per scontrarmi con la mia  famiglia  per  famiglia  per un’umana che conoscevo appena? appena?   Ci pensai sopra per un momento, pensai alla sensazione di fragilità del corpo della ragazza tra le mie braccia, contrapponendola a Jasper, Rosalie ed Emmett  –  forti   forti e veloci in modo soprannaturale, geneticamente programmati per uccidere…  uccidere…   Si, mi sarei battuto per lei. Contro la mia famiglia. Trasalii. Ma non era giusto giusto lasciarla indifesa quand’ero stato io metterla in pericolo. Tuttavia, non potevo vincere da solo, non contro loro tre, e mi chiedevo chi sarebbe stato mio alleato. Carlisle, certamente. Non si sarebbe mai scontrato con nessuno, ma sarebbe stato totalmente contrario ai propositi di Rose e di Jasper. Forse sarebbe bastato. bastato . Presto l’avrei scoperto…   scoperto… Esme, era un’incognita. Non si sarebbe schierata contro contro di  di me, ed avrebbe odiato il doversi opporre a Carlisle, ma sarebbe stata favorevole a qualunque piano che avesse mantenuto integra la sua famiglia. La sua immediata priorità sarei stato io, non l’essere giusta. Se Car lisle lisle era l’anima della nostra famiglia, allora Esme ne era il cuore. Lui era un capo che meritava di essere seguito; seguito; lei trasformava quel consenso in un atto d’amore. Ci amavamo tutti reciprocamente –  reciprocamente –  persino  persino così infuriato lo provavo nei confronti di Jasper e di Rose, proprio ora, malgrado stessi progettando di battermi con loro per salvare la ragazza, sapevo di amarli. Alice…non ne avevo idea. Probabilmente sarebbe dipeso da cos’avrebbe visto arrivare. Si sarebbe schierata con il vincitore, immaginai. Perciò, avrei dovuto farcela senza aiuto. Non avrei potuto tenergli testa da solo, ma non avrei permesso che fosse fatto del male alla ragazza per causa mia. Il che avrebbe  potuto significare significare un’azione evasiva…  evasiva…  La mia collera si smorzò un poco per un umorismo improvviso, macabro. Potevo immaginare come avrebbe reagito la ragazza se l’avessi l’avessi rapita. Certo, raramente riuscivo ad indovinarne correttamente le reazioni  –   ma quale altra reazione avrebbe potuto avere apparte il terrore? Però, non ero sicuro di come gestire la cosa –  cosa  –  il   il suo rapimento. Non sarei riuscito a rimanerle vicino vicino tanto a lungo. Forse l’avrei semplicemente rispedita dalla madre. Persino Pe rsino ©2008 Stephenie Meyer

 

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una cosa come quella era gravida di pericoli. Per lei. Ed anche per me, compresi immediatamente. Se per errore l’avessi uccisa… Non ero del tutto certo di quanto dolore mi avrebbe causato, ma sapevo che sarebbe stato multisfaccettato ed intenso. Il tempo passava velocemente mentre rimuginavo su tutte le complicazioni che mi aspettavano: la discussione che mi attendeva a casa, il conflitto con la mia famiglia, tutto ciò che in conseguenza potevo essere obbligato a fare…  fare…   Beh, non potevo più lamentarmi che la vita  fuori  fuori da  da questa scuola fosse monotona. La ragazza aveva cambiato tutto quanto. Emmett ed io c’incamminammo lentamente verso la macchina macchina   quando suonò la campanella. Era preoccupato per me, ed era preoccupato per Rosalie. Sapeva quale parte sarebbe stato costretto a scegliere nel disaccordo, e lo infastidiva. Gli altri ci stavano aspettando in macchina, anche loro in silenzio. Eravamo una compagnia molto tranquilla. Solo io potevo sentire le urla.  Idiota! Lunatico! Ritardato! Somaro! Folle egoista irresponsabile!  irresponsabile!   Rosalie continuava conti nuava senza posa ad urlare mentalmente a squarciagola un torrente d’insulti. Il che mi rendeva difficile difficile l’ascolto degli altri, altri, ma la ignoravo quanto meglio potevo. Emmett aveva ragione su Jasper. Era sicuro di quale sarebbe stata la sua linea d’azione.   d’azione. Alice era agitata, in apprensione per Jasper, perciò stava scorrendo le immagini del futuro. Non importava in quale modo Jasper decideva di dare l’assalto alla ragazza, Alice mi vedeva vedeva comunque lì, a contrastarlo. Interessante…né Rosalie né Emmett erano con lui in queste visioni. Quindi Jasper contava di agire da solo. Il che pareggiava le cose. Jasper era il migliore, sicuramente il combattente di maggiore esperienza tra di noi. Il mio unico vantaggio risiedeva nel fatto che potevo anticiparne le mosse prima che le mettesse in pratica.  Non avevo mai combattuto con Emmett o Jasper se non per scherzo –  scherzo  –  solo  solo giocando in maniera scatenata. Mi disgustava il pensiero di dover tentare di fare del male a Jasper  per davvero…  davvero…   No, quello no. L’avrei solamente bloccato. bloccato. Tutto lì.  lì.  Mi concentrai su Alice, memorizzando le differenti possibilità di attacco di Jasper. Mentre lo facevo, le sue visioni si trasformavano, allontanandosi sempre di più da ©2008 Stephenie Meyer

 

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prima…   casa casa Swan. L’avrei fermato molto prima…  Smettila, Edward! Non succederà. Non lo permetterò. permetterò.  Non le risposi, mi limitai a continuare a guardare. Cominciò a rovistare più lontano nel futuro, nel regno avvolto dalla foschia, instabile, delle possibilità più remote. Era tutto vago ed indistinto. Per l’intero tragitto fino a casa, il silenzio carico di tensione  tensione   non si alleggerì. Parcheggiai nella vasta rimessa accanto alla casa; la Mercedes di Carlisle era lì, vicina all’immane jeep jeep di Emmett, alla M3 di Rosalie ed alla mia Aston Martin Vanquish. Ero contento che Carlisle fosse già a casa  –   questo silenzio sarebbe terminato in maniera esplosiva, e volevo che fosse lì quando fosse capitato. Andammo diritti in sala da pranzo. La sala, ovviamente, non veniva mai usata per lo scopo cui era destinata. Ma era ammobiliata con un lungo tavolo ovale di mogano circondato da sedie  –   eravamo scrupolosi riguardo all’avere gli opportuni corredi di scena esattamente al loro posto. A scrupolosi Carlisle piaceva usarla come sala riunioni. In un gruppo caratterizzato da personalità tanto forti ed eterogenee, qualche volta era necessario discutere le cose con calma, restando seduti. Avevo la sensazione che la cosa non sarebbe tornata granché utile oggi. Carlisle sedeva al suo solito posto all’estremità orientale orientale della stanza. Esme era accanto a lui –  lui –  si  si tenevano le mani congiunte sopra il tavolo. Gli occhi di Esme indugiavano su di me, le loro profondità dorate erano colme di  preoccupazione.  Resta. Era il suo unico pensiero.  Resta. Avrei voluto poter sorridere a quella donna che era come una vera madre per me, ma non potevo offrirle alcuna rassicurazione adesso. Presi posto all’altro fianco di Carlisle. Esme lo aggirò per poggiare la mano che aveva libera sulla mia spalla. Non aveva idea di quello che stava per cominciare; era solamente in ansia per me. Carlisle aveva una percezione migliore di quello che stava per succedere. Le sue labbra erano premute strette e la sua fronte era corrugata. L’espressione pareva troppo matura per il suo giovane viso. Intanto che gli altri si sedevano, potei vedere gli schieramenti prendere forma. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Rosalie aveva preso posto proprio di fronte a Carlisle, all’opposto del lungo tav olo. Mi fissava truce, senza mai distogliere lo sguardo. Emmett sedeva accanto a lei, con il viso ed i pensieri parimenti disgustati. Jasper aveva esitato, e poi si era appoggiato alla parete alle spalle di Rosalie. Era de determinato, terminato, qualunque fosse l’esito di questa discussione. discussione . Serrai i denti. Alice era entrata per ultima, ed i suoi occhi erano focalizzati su un qualcosa di distante –  distante  –  il  il futuro, ancora troppo indistinto perché potesse tornarle utile. Apparentemente senza pensarci, si era seduta vicino ad Esme. Si massaggiava la fronte come se avesse mal di testa. Jasper s’irrigidì nervosamente e valutò la possibilità di raggiungerla, ma rimase dov’era.   dov’era. Respirai profondamente. Io avevo cominciato –  cominciato –  io  io dovevo parlare per primo. “Sono mortificato”, dissi, dissi, guardando dapprima Rosalie, e poi Jasper e poi Emmett. “Non intendevo mettere a rischio nessuno di voi. E’ stato sconsiderato, e mi assumo l’intera r esponsabilità del mio comportamento avventato”.  avventato”.   Rosalie mi guardò torva con aria minacciosa. “Che vuol dire “mi assumo l’intera responsabilità”? responsabilità”? Risolverai tu la faccenda?”  faccenda?”   “Non nel modo che intendi tu”, dissi, sforzandomi di mantenere una voce pacata e serena. sere na. “Sono pronto ad andarmene subito, se questo può servire ad appianare le cose”. cose” . Se mi convincerò che la ragazza sarà al sicuro, se mi convincerò che nessuno di voi le torcerà un capello, capello, rettificai mentalmente. “No”, mormorò Esme. “No, Edward”.  Edward”.  Le diedi un buffetto sulla mano. “Solo per pochi anni”.  anni”.  “Esme ha ragione, però”, disse Emmett. “Non puoi andartene da nessuna parte adesso. ades so. Faresti l’opposto l’opposto che  che renderti utile. Dobbiamo sapere cosa pensa la gente, ora più che mai”.  mai”.  “Alice riuscirà a prevedere qualunque cosa ci sia d’importante”, obiettai. obiettai. Carlisle scosse la testa. “Credo che Emmett abbia ragione, Edward. Ci sono maggiori maggio ri probabilità che la ragazza parli se sparisci. O partiamo tutti, o nessuno”.  nessuno”.  “Non dirà niente”, insistetti rapidamente. Rosalie era prossima ad esplodere, esplod ere, ed io volevo puntualizzare il fatto prima che lo facesse. “Non conosci la sua mente”, mi ricordò Carlisle.  Carlisle.   “Lo so bene. Alice, dammi una mano”.  mano”.  ©2008 Stephenie Meyer

 

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Alice mi fissò con aria stanca. “Non riesco a vedere cosa succederà se ci lim iteremo ad ignorare la cosa”. Lanciò un’occhiata verso Rose e Jasper.  Jasper.    No, non poteva vedere quel futuro  –   non quando Rosalie e Jasper erano così l’accaduto.   determinati a non ignorare l’accaduto.  determinati I palmi delle mani di Rosalie batterono sul tavolo t avolo producendo un rumore assordante. “Non possiamo concedere all’umana l’occasione di parlare. Carlisle, tu devi devi   capirlo. Anche se decidessimo di scomparire tutti, non è prudente per noi lasciarci delle storie alle spalle. Viviamo in maniera così diversa dagli altri della nostra specie  –  lo  lo sai che alcuni di loro sarebbero ben felici di avere una scusa per puntarci il dito contro. Dobbiamo essere  più cauti di chiunque altro!” altro!”   “Ci siamo già lasciati dei pettegolezzi alle spalle”, le ricordai.  ricordai.   “Solo chiacchiere e sospetti, Edward. Non testimoni oculari e prove!”  prove!”   “Prove!” sbuffai schernendola.  schernendola.  Ma Jasper stava annuendo, con occhi severi. “Rose -” cominciò Carlisle.  Carlisle.  “Lasciami finire, Carlisle. Non occorrerà una u na gran messa in scena. La ragazza ha  preso un colpo alla testa oggi. Perciò quel trauma forse potrebbe rivelarsi più serio di quanto sia sembrato”. sembrato”. Rosalie scrollò le spalle. “Ogni mortale va a dormire con la  possibilità di non risvegliarsi mai più. Gli altri si aspetteranno che sistemiamo la cosa da soli. Tecnicamente, questo dovrebbe essere compito di Edward, ma ovviamente va al di là delle sue capacità. Sai che so controllarmi. Non lascerei alcun alcun indizio dietro di me”.  me”.  “Si, Rosalie, sappiamo tutti che assassina professionista tua sia”, ringhiai. ri nghiai. Lei mi sibilò contro, furiosa. “Edward, per favore”, disse Carlisle. Poi si rivolse a Rosalie. “Rosalie, mi voltai dall’altra parte a Rochester perché sentivo che ti fosse dovuta giustizia. giu stizia. Gli uomini che hai ucciso ti avevano violata mostruosamente. Questa situazione è diversa. La piccola Swan è un’innocente”.   un’innocente”. “Non c’è niente di personale, Carlisle”, disse Rosalie tra i denti. “E’ per proteggere protegg ere noi tutti”.  tutti”.  Ci fu un breve momento di silenzio mentre Carlisle rifletteva sulla risposta da dare. Quando annuì con la testa, gli occhi di Rosalie s’illuminarono. Avrebbe dovuto cconoscerlo onoscerlo meglio. Quand’anche non fossi stato in grado di leggerne i pensieri, avrei potuto ©2008 Stephenie Meyer

 

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anticiparne le successive parole. Carlisle non scendeva mai a compromessi. “So che sei benintenzionata, Rosalie, ma…ci terrei davvero a che la nostra famiglia fam iglia valesse la pena  pena  di essere protetta. Un’accidentale…disgrazia o perdita di controllo isce una parte deplorevole di ciò che siamo”. Era proprio da lui includere sé ste sso costituisce costitu nel plurale, quantunque non avesse mai commesso una tale mancanza. “Assassinare una ragazzina innocente a sangue freddo è una cosa completamente differente. Credo che il rischio che lei rappresenta, sia che parli o meno dei suoi sospetti, sia niente messo a confronto di un rischio assai più grande. Se facciamo delle eccezioni per proteggere noi stessi, rischiamo qualcosa di molto più importante. Rischiamo Ri schiamo di perdere l’essenza l’essenza di chi siamo”.   siamo”. Controllai la mia posa attentamente. Non avrebbe dispiegato del tutto un enorme sorriso. Né avrebbe applaudito, come invece desideravo fare. Rosalie si accigliò. “Si tratta solo di comportarsi responsabilmente”.   “Si tratta di essere disumani”, la corresse gentilmente Carlisle. “Ogni singola vita è  preziosa”.  pre ziosa”.   Rosalie sospirò profondamente e mise il broncio. Emmett le diede una pacca leggera le ggera sulla spalla. “Andrà tutto bene, Rose” la incoraggiò a bassa voce. “La questione”, continuò Carlisle, “è se dobbiamo andarcene oppure no?”  no?”   “No”, si lagnò Rosalie. “Ci siamo appena sistemati. Non voglio ricominciare il secondo secondo anno delle superiori!”  superiori!”  “Potresti conservare la tua età attuale, naturalmente”, disse Carlisle.  Carlisle.   “E doversi trasferire di nuovo con un tale anticipo?” replicò.  replicò.   Carlisle scrollò le spalle. “Mi piace “Mi  piace  qui! C’è così poco sole, cominciavamo quasi ad essere normali normali”. ”.   “Beh, certamente non dobbiamo decidere adesso. Possiamo aspettare e vedere se diventa diven ta necessario. Edward sembra sicuro che la piccola Swan manterrà il silenzio”.  silenzio”.   Rosalie sbuffò. Ma non ero più preoccupato per Rose. Potevo vedere che avrebbe accettato la decisione di Carlisle, non importava quanto fosse in collera con me. La loro conversazione si era spostata su dettagli irrilevanti. Jasper restava immobile. Capivo perché. Prima che lui ed Alice s’incontrassero, aveva vissuto in una zona zo na di ©2008 Stephenie Meyer

 

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combattimento, un implacabile teatro di guerra. Sapeva quali fossero le conseguenze del farsi beffa delle regole  –   ne aveva visto la raccapricciante evoluzione con i suoi stessi occhi. La diceva lunga il fatto che non aveva cercato di calmare Rosalie con le sue facoltà supplementari, e che adesso non tentava neppure di farla innervosire. Stava tenendosi in disparte da questa discussione –  discussione –  al  al di sopra della stessa. “Jasper”, dissi.  dissi.  Incrociò il mio sguardo, il suo viso non esprimeva alcuna emozione. “Non pagherà per i miei errori. Non lo permetterò”.  permetterò”.   “Perciò ne trarrà vantaggio? Sarebbe dovuta morire oggi, Edward. Rimetterei semplicemente le cose cose a posto”.  posto”.  Mi ripetei, enfatizzando ogni parola. “Io non lo permetterò”.  permetterò”.   Sollevò bruscamente le sopracciglia. Non se l’aspettava –   non aveva immaginato che avrei fatto in modo di fermarlo. Scosse la testa una volta. “Non permetterò che Alice viva nel pericolo, foss’anche un pericolo minimo. Non provi per nessuno ciò che io sento per lei, Edward, e non hai  passato quello che ho passato io, che tu abbia visto o meno nei miei ricordi. Non puoi ca pire”.  pire”.   “Non lo sto mettendo in discussione, Jasper. Ma ti dico, ora, che non ti perme tterò di fare del male male ad Isabella Swan”.  Swan”.  Ci squadravamo a vicenda  –   non per guardarci, guardarci, ma per valutare l’avversario. Lo sentivo sen tivo saggiare l’umore che mi circondava, per testare la mia determinazione.  determinazione.  “Jazz”, disse Alice, interrompendoci. interrompendoci . Lui sostenne il mio sguardo per un altro momento, e poi si voltò verso di lei. “Non disturbarti a dirmi che sei in grado di proteggere te stessa, Alice. Lo so già. Devo ancora -”  “Non è quello che stavo per dire”, lo interruppe Alice.  Alice.   “Stavo per chiederti un favore”. favo re”.   Vidi quello che aveva in mente, e la mia bocca si spalancò rantolando rumorosamente. La fissai, sconvolto, solo vagamente consapevole che tutti tranne Alice e Jasper mi stavano squadrando diffidenti. “L “Lo o so che mi ami. Grazie. Ma apprezzerei davvero che non cercassi di uccidere Bella. Prima di tutto, perché Edward fa sul serio e non voglio che voi due litighiate. In ©2008 Stephenie Meyer

 

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secondo luogo, perché lei è una mia amica. Quantomeno, lo diventerà”. diventerà”.   Era trasparente come il vetro nella sua mente: Alice, sorridente, con il braccio marmoreo attorno alle calde, fragili spalle della ragazza. E Bella, anche lei sorridente, con un braccio attorno alla vita di Alice. La visione era solida come la roccia; solo la collocazione temporale era incerta. “Ma…Alice…” Jasper rimase senza fiato. Non riuscii riusci i a voltare la testa per vederne l’espressione. Ero incapace di distogliere lo sguardo dall’immagine nella mente di Al ice  per poterlo ascoltare. “Le vorrò bene un giorno, Jazz. Mi arrabbierò moltissimo con te se non la lascerai stare”. sta re”.   Ero ancora incatenato ai pensieri di Alice. Vidi il futuro brillare non appena la determinazione di Jasper vacillò di fronte alla sua inaspettata richiesta. “Ah”, sospirò –   l’indecisione di lui aveva palesato un nuovo futuro. “Vedi? Bella non dirà dirà niente. Non c’è nulla da temere”.  temere”.   Il modo in cui aveva pronunciato il nome della ragazza…come se fossero già in stretta confidenza…  confidenza…  “Alice”, m’imballai. “Cosa…questo…?”  “Cosa…questo…?”  “Te l’ho detto che era in arrivo un cambiamento. Non lo so, Edward”. Ma aveva ser rato rato le mascelle, e capii che c’era qualcosa di più. Stava cercando di non pensarci; d’improvviso si era concentrata duramente su Jasper, sebbene fosse troppo sbalordito per fare granché progressi nel prendere una decisione. Faceva così le volte che cercava di nascondermi qualcosa. “Che c’è, Alice? Cosa mi stai nascondendo?”  nascondendo?”   Sentivo Emmett borbottare. S’irritava S’irritava sempre quando Alice ed io avevamo questo genere di conversazione. Lei scuoteva la testa, cercando di tenermi fuori. “Riguarda la ragazza?” domandai. “Riguarda Bella?”  Bella?”  Stringeva i denti per la concentrazione, ma nel sentirmi pronunciare il nome di Bella commise un errore. La sua distrazione era durata soltanto la più piccola frazione di un secondo, ma era stata lunga abbastanza. “NO!” strillai. Ascoltai la mia sedia cadere sul pavimento, e solo dopo mi resi conto co nto di essermi alzato in piedi. ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Edward!”. Anche Carlisle era in piedi, con un braccio attorno alla mia spalla. Ne ero a malapena consapevole. “Si sta solidificando”, bisbigliò Alice. “Ogni minuto che passa sei sempre più l ei. L’una o l’altra, Edward”. Edward”.   determinato. Ci sono rimaste rimaste solamente due alternative per lei. Vedevo ciò che vedeva…ma non potevo accettarlo.  accettarlo.  “No”, ripetei; il mio rifiuto era uscito muto. Le gambe mi parvero svuotarsi, e dovetti aggrapparmi forte al tavolo. “Qualcuno per “Qualcuno  per favore può favore può metterci a parte di questo mistero?” reclamò Emmett. Emmett. “Devo andarmene” dissi ad Alice con un filo di voce, ignorandolo.  ignorandolo.   “Edward, ne abbiamo già discusso”, disse Emmett con veemenza. “E’ la maniera migliore d’indurre la ragazza a parlare. Oltretutto, se tagli la corda, non potremo sapere con cer tezza tezza se ha parlato o no. Devi restare ed affrontare la cosa”.  cosa”.   “Non ti vedo andare da nessuna parte, Edward” mi disse Alice. “Non so se  puoi  puoi   andartenee oramai”. Pensaci andarten oramai”. Pensaci,, aggiunse silenziosamente. Pensa silenziosamente. Pensa al fatto di partire. partire. Capivo cosa intendeva. Si, l’idea di non vedere mai più la ragazza era…dolorosa. Ma era anche necessaria. Non potevo sancire alcuno dei due futuri cui apparentemente l’avevo condannata. l’avevo  condannata.  Non sono del tutto sicura di Jasper, Edward , continuò Alice. Se te ne vai, se lui do dovesse vesse pensare che lei sia un pericolo per noi…  noi…   “Questo non lo sento”, la contraddissi, ancora consapevole solo a metà del nostro auditorio. Jasper era esitante. Non avrebbe fatto nulla che avrebbe ferito Alice.  Non in questo preciso momento. momento. Rischieresti la sua vita, lasciandola indifesa? “Perché mi stai facendo questo?” gemetti. La testa mi cadde tra le mani.  mani.   Non ero il protettore di Bella. Non potevo esserlo. Il futuro diviso di Alice non ne era una prova sufficiente?  Anch’io le voglio bene. O gliene vorrò. Non allo stesso modo, ma voglio che resti res ti in circolazione per questo. questo. “ Anche  Anche tu  tu le vuoi vuoi bene?”, mormorai, incredulo.  incredulo.   Lei sospirò. Sei così cieco, Edward. Non vedi dove sei diretto? Non vedi a che punto  sei già ar rivato? rivato? E’ inevitabile più del sole che sorge ad est. Guarda cosa vedo… vedo…   Scossi la testa, orripilato. “No”. Cer cai cai di respingere le visioni che mi rivelava. “Non devo seguire quel corso. Andrò via. Cambierò Cambierò  il futuro”.  futuro”.  ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Puoi provarci”, disse, la sua voce era scettica.  scettica.  “Oh, insomma insomma!” !” muggì Emmett.  Emmett.  “Fa attenzione”, gli sibilò Rosalie. “Alice lo vede innamorato di un’umana un’ umana!! Proprio nello stile di Edward!”. Emise un suono soffocato.  soffocato.  L’ascoltavo a stento.  stento.  “Cosa?” chiese Emmett, sbigottito. Poi la sua risata tonante echeggiò per la stanza. sta nza. “E’ questo che sta succedendo?”. Rise ancora. “Bella scalogna, Edward”.  Edward”.   Sentii la sua mano sulla spalla, e me ne liberai distrattamente. Non potevo prestargli attenzione. “ Innamorato  Innamorato   di un’umana?”. Ripeté Esme con un tono di voce sbalordito. “Della ragazza che ha salvato oggi? Innamorato oggi? Innamorato  di lei?”  lei?”  “Cosa vedi, Alice? Esattamente”, domandò Jasper.  Jasper.   Si era voltata verso di lui; io continuavo a fissarne il profilo con aria intontita. “Dipende tutto dalla sua forza. O la ucciderà lui stesso” –  si   si girò per incrociare di nuovo il mio sguardo, con aria truce  –   “il che m’irriterebbe moltissimo, Edward, per non  parlare di quello che farebbe a te” te” –  tornò a rivolgersi a Jasper, “oppure lei sarà una di noi un gior no”.  no”.  Qualcuno emise un rantolo; non guardai per vedere chi. “Non succederà!”. Urlavo di nuovo. “Nessuna delle due!”  due!”   Alice sembrava non ascoltarmi. “Dipende”, ripeté. “Potrebbe essere abbastanza forte da non ucciderla  –   ma ci andrà vicino. Gli ci vorrà un’eccezionale capacità c apacità di autocontrollo”, autocon trollo”, meditava. “Persino maggiore di quella di Carlisle. Potrebbe avere  giusto  giusto   abbastanza for zza… a… L’unica cosa per cui non è forte abbastanza è lo stare lontano da lei. Quella è una causa per sa”.  sa”.   Non riuscivo a trovare la mia voce. Nessun altro sembrava riuscirci, in ogni caso. La stanza era immobile. Io fissavo Alice, e tutti fissavano me. Potevo vedere la mia espressione d’orrore da cinque differenti punti di osservazione. Dopo un lungo momento, Carlisle sospirò. “Beh, questo…complica le cose”.  cose”.  “Direi”, convenne Emmett. La sua voce era ancora prossima all’ilarità. Ci si p oteva contare che Emmett sarebbe riuscito a trovare tr ovare del comico pure nella rovina della mia vit vita. a. ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Suppongo che i piani rimangano comunque invariati”, disse Carlisle con aria  pensierosa.  pensiero sa. “Resteremo, e vedremo. Ovviamente, nessuno farà…del male alla ragazza”.  ragazza”.   M’irrigidii.   M’irrigidii. “No”, disse Jasper con calma. “Posso accettarlo. Se Alice vede solamente due  possibilità -” -”  “No!”. La mia voce non era un grido o un ringhio o un guaito di disperazione, ma una combinazione combinazione dei tre. “No!”  “No!”  Dovevo andarmene, fuggire dal chiasso dei loro pensieri  –  il   il disgusto moralista di Rosalie, Ro salie, l’umorismo di Emmett, l’infinita pazienza di Carlisle…  Carlisle…  Peggio: l’assoluta sicurezza di Alice. La fiducia di Jasper in quella sicurezza.  sicurezza.   Peggiore di tutti: la… gioia  gioia di  di Esme. Uscii dalla stanza infuriato. Esme mi sfiorò il braccio mentre passavo, ma non risposi al gesto. Stavo correndo prim’ancora di essere fuori di casa. Superai il fiume con un solo salto, e mi precipitai nella foresta. Aveva ricominciato a piovere, così forte che dopo pochi attimi ero già inzuppato. La spessa par ete ete d’acqua mi piaceva –  innalzava  innalzava un muro tra me ed il resto del mondo. Mi rinchiudeva, permettendomi di restare da solo. Corsi direttamente ad est, al di sopra ed attraverso le montagne, senza mai spezzare la retta della mia direzione, finché non n on vidi le luci di Seattle dall’altra parte dello stretto. Mi fermai prima di toccare i confini della civiltà umana. Rinchiuso dalla pioggia, completamente solo, finalmente accettai di guardare cos’avevo fatto –  il  il modo in cui avevo mutilato il suo futuro. Prima, la visione di Alice e della ragazza con le braccia l’una attorno all’altra all’ altra  –   la fiducia e l’amicizia erano così ovvie che gridavano da quell’immagine. I grandi occhi color cioccolato di Bella non erano sconcertati in quella visione, ma ancora pieni di segreti  –  in   in quel momento, parevano essere dei bei segreti. Non si sottraeva al braccio gelido di Alice. Cosa significava? Quanto sapeva? In quel fermo immagine di vita preso dal futuro, cosa pensava di me me?? Poi l’altra l’altra immagine, così simile, eppure adesso tinteggiata d’orrore. Alice e Bella, Bella, con ancora le braccia l’una attorno all’altra all’altra in confidente amicizia. Ma ora non c’era più differenza tra quelle braccia  –   entrambe erano bianche, lisce come il marmo, forti come ©2008 Stephenie Meyer

 

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l’acciaio. I grandi occhi di Bella non erano più color cioccolato. Le iridi erano di uno scioccante, vivido rosso porpora. I segreti nascosti in quelli erano insondabili  –   accettazione o desolazione? Era impossibile dirlo. Il suo viso era freddo ed immortale. Rabbrividii. Non potei trattenere le domande, simili, ma differenti: cosa significava  –  com’era successo? successo? E cosa pensava di me adesso? Potevo rispondere a quell’ultima. Se l’avessi relegata a quella vuota semi -vita per la mia debolezza ed il mio egoismo, sicuramente mi avrebbe odiato. Ma c’era un’altra immagine spaventosa –   peggiore di ogni altra immagine che avessi mai avuto in mente. I miei occhi, resi di un rosso cupo dal sangue umano, gli occhi del mostro. Il corpo straziato di Bella tra le mie braccia, di un pallore cinereo, prosciugato, senza vita. Era così concreta, così nitida.  Non riuscivo a sopportare di guardarla. Non potevo accettarla. accet tarla. Cercavo di bandirla dalla mia mente, cercavo di guardare guarda re qualcos’altro, qualunque altra cosa. Cercavo di vedere vede re ancora l’espressione vitale del suo viso che mi aveva ostruito la vista in quel   recente capitolo della mia esistenza. Era tutto inutile. La cupa visione di Alice riempiva la mia mente, e mi contorcevo intimamente per l’agonia che mi procurava. Contemporaneamente, il mostro dentro di me traboccava di gioia, giubilante per la verosimile probabilità del suo successo. Mi dava la nausea.  Non era accettabile. Doveva esserci un modo per avere la meglio sul futuro. Le visioni di Alice non mi avrebbero influenzato. Potevo scegliere un percorso differente. C’era sempre un’alternativa.  un’alternativa.  Doveva esserci.

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5. Inviti

La scuola superiore. Non era più un purgatorio, adesso era semplicemente un inferno. Tormento e fuoco…si, li avevo entrambi. Stavo facendo tutto correttamente ora. Ogni “i” con il puntino ed ogni “t” con il trattino. Nessuno poteva lagnarsi che mi stessi sottraendo alle mie responsabilità. Per accontentare Esme e proteggere gli altri ero rimasto a Forks. Ero tornato alle vecchie abitudini. Cacciavo non più del resto di loro. Ogni giorno, frequentavo la scuola superiore e mi fingevo umano. Ogni giorno, restavo attentamente in ascolto di qualunque cosa potesse esserci di nuova sui Cullen –  Cullen  –   non c’era mai niente di nuovo. La ragazza raga zza non aveva fatto parola dei suoi sospetti. Si era limitata a ripetere la stessa storia ancora ed ancora –  ancora  –   io stavo vicino a lei e poi l’avevo tirata via –  via  –  finché   finché il suo impaziente uditorio non si era annoiato e non aveva smesso di andare in cerca di ulteriori dettagli. Non c’era  pericolo. La mia condotta avventata non aveva danneggiato nessuno.  Nessuno tranne me. Ero determinato a cambiare il futuro. Non mi ero assegnato il compito più facile, ma non c’era altra alternativa con la quale potessi convivere.  convivere.   Alice diceva che non ero abbastanza forte da riuscire a stare lontano dalla ragazza. Le avrei provato che si sbagliava. Mi ero convinto che il giorno più difficile sarebbe stato il primo. Verso la fine, ne avevo avuta la certezza certezza.. Ma mi sbagliavo. Mi aveva messo in difficoltà, sapendo che avrei urtato i sentimenti della ragazza. Avevo confortato me stesso considerando che il suo male sarebbe stato niente più di una  puntura di spillo  –   solamente una microscopica fitta per essersi sentita rifiutata  –   in confronto con fronto al mio. Bella era umana, e sapeva che io ero qualcos’altro, qualcosa di sbagliato, qualcosa di spaventoso. Probabilmente si era sentita sollevata piuttosto che offesa quando avevo voltato il viso dall’altra parte e finto che non esiste sse. “Ciao, Edward”, mi aveva salutato, quel primo giorno di ritorno a biologia. La sua voce era stata affabile, amichevole, miglia e miglia mig lia distante da quella dell’ultima volta che le avevo parlato. Perché? Cosa voleva dire quel cambiamento? Aveva lasciato perdere? Aveva deciso ©2008 Stephenie Meyer

 

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di essersi immaginata l’intero episodio? Era forse possibile che mi avesse perdon ato per non aver mantenuto la mia promessa? Le domande bruciavano come la sete che mi attaccava ogni volta che respiravo. Un solo momento per guardarla negli occhi. Solo per vedere se potevo leggere lì le risposte… risposte…    No. Non potevo concedermi nemmeno quello. Non se intendev intendevo o cambiare il futuro. Avevo spostato di un pelo il mento nella sua direzione senza distogliere lo sguardo dall’aula che avevo di fronte. Avevo annuito una volta, e poi avevo voltato il viso d iritto davanti a me. Lei non mi aveva più parlato. Quel pomeriggio, non appena le lezioni furono terminate, una volta finito d’interpretare il mio ruolo, ero corso verso Seattle come già avevo fatto il giorno prima. Sembrava che potessi gestire il dolore struggente leggermente meglio quando volavo sopra il terreno, trasformando tutto quello che mi circondava in una macchia indistinta di verde. Questa corsa era diventata una mia abitudine quotidiana. L’amavo? Non lo credevo. Non ancora. Tuttavia, non no n riuscivo a sbarazzarmi degli scorci di Alice su quel futuro, e capivo quanto sarebbe stato facile cadere preda dell’ dell’innainnamoramento per Bella. Sarebbe stato esattamente come cadere: naturale. Il non permettere a me stesso di amarla era l’opposto che cadere  cadere  –   era come arrampicarmi su una parete di roccia, una mano dopo l’altra, un compito così estenuante che pareva avessi non più che la forza di un mortale. Era trascorso più di un mese, ed ogni giorno diventava più dura. Non aveva alcun senso per me –  me –  continuavo  continuavo ad aspettare che mi passasse, che diventasse più facile. Doveva essere questo che intendeva Alice quando aveva predetto che non sarei stato capace di stare lontano dalla ragazza. Aveva visto il dolore crescere ed intensificarsi. Ma potevo gestire il dolore.  Non avrei distrutto il futuro di Bella. Se ero destinato ad amarla, allora non era evitarla il minimo che potessi fare? Evitarla era pressoché il massimo che potessi sopportare, tuttavia. Potevo fingere d’ignorarla, e mai guardare dalla sua parte. Potevo fingere che non m’interessasse affa tto. Ma quello era il mio limite, solo una finzione e non la realtà. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Ancora pendevo da ogni respiro che faceva, da ogni parola che diceva. Avevo raggruppato i miei tormenti in quattro categorie. Le prime due erano familiari. Il suo profumo ed il suo silenzio. O, piuttosto  –   dovendomi assumere le mie responsabilità –  responsabilità –  la  la mia sete e la mia curiosità. La sete era il più risalente dei miei tormenti. Era semplicemente mia abitudine, oramai, ora mai, non respirare affatto a biologia. Naturalmente, c’erano sempre le eccezioni –   quando dovevo rispondere a una domanda o qualcosa del genere, ed avevo bisogno di fiato per parlare. Ogni volta che assaporavo il gusto dell ’aria che circondava la ragazza, succedeva proprio come la prima volta –  volta  –  il fuoco e l’urgenza e la brutale violenza disposti disposti a tutto pur di evadere. In quei momenti, era difficile aggrapparmi anche solo leggermente alla ragione o controllarmi. E, proprio come la prima volta, il mostro dentro di me ruggiva, vicinissimo alla super ficie…  ficie…  La curiosità era il più costante dei miei tormenti. La domanda non usciva mai dalla mia testa: a cosa sta pensando  pensando  adesso? Quando la sentivo sospirare silenziosamente. Quando si attorcigliava distrattamente una ciocca di capelli attorno al dito. Quando si  precipitava in classe in ritardo. Quando tamburellava nervosamente il piede sul pavimento. Ogni movimento che di sottecchi riuscivo a cogliere era un mistero esasperante. Quando  parlava con gli altri studenti umani, analizzavo ogni sua parola ed inflessione. Diceva quello che pensava, o pensava a cosa avrebbe dovuto dire? A me pareva sempre che cercasse di dire ciò che chi gli altri si aspettavano, e questo mi faceva pensare alla mia famiglia fami glia ed alla nostra quotidianità fatta d’illusioni –   eravamo più bravi in questo di quanto non fosse lei. Sempreché non mi stessi stes si sbagliando, immaginandomi semplicemente delle cose. Perché avrebbe dovuto interpretare un ruolo? Lei era una di loro  –   un’adolescente umana.  umana.  Mike Newton era il più sorprendente dei miei tormenti. Chi avrebbe mai immaginato che quell’insignificante, noioso mortale potesse essere così esasperante? Volendo essere giusti, avrei dovuto provare un pò di gratitudine nei confronti di quel ragazzo irritante; più degli altri, riusciva a far parlare la ragazza. Imparavo così tanto di lei grazie alle loro conversazioni –  conversazioni  –  stavo  stavo ancora compilando la mia lista –  lista  – , ma, al contrario, il contributo di Mike a questo progetto mi faceva solamente adirare di più. Non volevo che fosse Mike a svelarne i segreti. Volevo farlo io. Era d’aiuto il fatto che non si rendeva mai conto delle sue piccole rivelazioni, dei ©2008 Stephenie Meyer

 

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suoi microscopici errori di distrazione. Non sapeva niente di lei. Si era creato mentalmente un’immagine di Bella che non esisteva –  solo  solo una ragazza insignificante quanto lui. Non si era accorto dell’altruismo e del coraggio che la mettevano al di sopra degli altri esseri umani, non si era reso conto della singolare maturità dei pensieri che esprimeva. Non aveva percepito che quando parlava di sua madre, suonava come un genitore che parla di un bambino invece del contrario  –   affettuosa, indulgente, lievemente divertita, e ferocemente protettiva. Non sentiva la pazienza nel tono della sua voce quando simulava interesse per le sue storie incoerenti, e non indovinava la gentilezza che quella pazienza nascondeva. Grazie alle sue conversazioni con Mike, avevo potuto aggiungere la più importante delle qualità alla mia lista, la più eloquente di tutte, tanto semplice quanto rara. Bella era buona.. Tutte le altre cose si sommavano a quell’intero –  la gentilezza e l’auto privazione e buona l’altruismo e l’amorevolezza ed il coraggio –  era  era incommensurabilmente buona. Queste utili scoperte, comunque, non mi avevano reso più tenero nei confronti del ragazzo. La maniera possessiva in cui guardava Bella  –   come fosse un qualcosa da acquisire  –   mi provocava quasi più delle sue volgari fantasie su di lei. Inoltre, stava diventando più ottimista nei suoi riguardi, con il tempo, perché sembrava preferirlo a tutti quelli che considerava rivali –  rivali  –  Tyler   Tyler Crowley, Eric Yorkie e, addirittura, sporadicamente, anche me. Sistematicamente si sedeva sul suo lato del nostro tavolo prima che cominciasse la lezione di biologia, per chiacchierare con lei, incoraggiato dai suoi sorrisi. Solo sorrisi di cortesia, mi dicevo. Ciononostante, spesso mi deliziavo immaginando di fargli attraversare l’aula con un manrovescio tale da schiantarlo schiantarl o contro la parete più lontana…Probabilmente sarebbe sarebbe rimasto ferito fatalmente… fatalmente…   Mike non pensava spesso a me come a un rivale. Dopo l’incidente, aveva temuto che Bella ed io avremmo legato per via dell’esperienza condivisa, ma ovviamente era risultato risu ltato il contrario. All’epoca, era ancora irritato perché avevo scelto di dedicare a Bella  più attenzione che alle sue compagne. Ma ora che la ignoravo completamente così come facevo con gli altri, non si curava più di me. Cosa stava pensando adesso? Le sue attenzioni le erano gradite? E, infine, l’ultimo dei miei tormenti, il più doloroso: l’indifferenza di Bella. Così com’io la ignoravo, lei ignorava me. Non aveva più cercato di parlarmi. Per quanto ne sapevo, neanche mi pensava mai. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Il che avrebbe potuto portarmi all’esasperazione –   o addirittura spezzare la mia determinazione a cambiare il futuro –  futuro  – , senonché qualche volta mi fissava come già prima.  Non lo vedevo da me stesso, stess o, perché non permettevo permet tevo a me stesso di guardarla, ma Alice ci avvertiva sempre quando era in procinto di guardarci; gli altri diffidavano ancora di quel suo problematico essere a conoscenza. Alleviava un poco il dolore che di tanto in tanto t anto mi fissasse da lontano. Ovviamente Ovviamente,, solamente per domandarsi che genere di mostro fossi. “Bella fisserà Edward a momenti. Fate in modo di sembrare normali”, disse Alice un martedì di marzo, e gli altri fecero attenzione ad agitare e spostare il peso del proprio corpo come gli umani; l’assoluta immobilità immobil ità era una caratteristica della nostra specie. Avevo fatto caso a quanto spesso guardasse nella mia direzione. Ero contento, sebbene non avrei dovuto, che la frequenza non diminuiva con il passare del tempo. Non sapevo cosa significasse, però mi faceva stare meglio. Alice sospirò. Vorrei… Vorrei…   “Stanne fuori, Alice”, dissi a bassa voce. “Non succederà”.   Mise il broncio. Alice era ansiosa di allacciare la prevista amicizia con Bella. Stranamente, le mancava quella ragazza che non conosceva.  Lo ammetto, sei più bravo di quanto pensassi. A causa tua il futuro è di nuovo completamente ingarbugliato e privo di senso. Spero tu sia soddisfatto. soddisfatto. “Ha parecchio senso per me”.  me”.   Grugnì delicatamente. Cercai di tagliarla fuori, ero troppo impaziente per fare conversazione. Non ero granché di buonumore  –   più teso di quanto non dessi loro a vedere. Solo Jasper era consapevole di quanto profondamente mi sentissi lacerato, potendo avvertire lo  stress  stress che  che  propagava da me con la sua eccezionale abilità di percepire ed insieme influenzare l’umore degli altri. Non capiva le ragioni alla base degli umori, tuttavia, e –   poiché ero costantemente di cattivo umore in quei giorni –  giorni –  non  non se ne curò. Oggi sarebbe stato un giorno duro. Più difficile del giorno precedente, per come si stava mettendo. Mike Newton, l’odioso ragazzo che non potevo permettermi di considerare un rivale, intendeva chiedere a Bella un appuntamento. Un ballo in cui erano le ragazze che facevano gli inviti era alle porte, e lui aveva ©2008 Stephenie Meyer

 

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sperato davvero che Bella lo invitasse. Cosa che non aveva fatto, facendone così vacillare la sicurezza di sé. In quel momento si trovava in una posizione imbarazzante –  imbarazzante  –  godevo  godevo del suo malessere più di quanto non avrei dovuto  –   perché Jessica Stanley lo aveva appena invitato al ballo. Lui non voleva dirle di si, sperando ancora che Bella avrebbe scelto lui (dimostrando ai suoi rivali quanto li superasse), ma non voleva neppure dire di no e finire col perdersi completamente il ballo. Jessica, ferita dalla sua esitazione ed immaginandone la ragione, stava pensando le cose peggiori su Bella. Di nuovo, mi venne l’istinto di  piazzarmi  piaz zarmi tra i pensieri minacciosi di Jessica e Bella. Capivo quell’ istinto molto meglio adesso, il che serviva solo a renderlo più frustrante frustrant e poiché non potevo assecondarlo. Pensare di essere arrivato a quel punto! Ero totalmente assorbito dagli insignificanti drammi della scuola superiore che un tempo avevo tanto disprezzato. Mike stava cercando di mantenere i nervi saldi intanto che accompagnava Bella a  biologia. Ascoltavo il suo conflitto interiore mentre ne attendevo l’arrivo. Il ragazzo era un mediocre. Aveva aspettato questo ballo di proposito, per il timore di rivelare la sua infatuazione prima che lei desse dimostrazione di una marcata preferenza nei suoi riguardi. Non voleva esporre sé stesso ad un rifiuto, preferendo che fosse lei a fare il primo  passo. Codardo. Era nuovamente seduto al nostro tavolo, a suo agio per la lunga familiarità del gesto, ed immaginai il suono che avrebbe fatto il suo corpo se fosse andato a cozzare contro la  parete opposta con una forza sufficiente a rompergli la maggior parte parte delle ossa. “Sai”, disse alla ragazza, con gli occhi rivolti al pavimento. “Jessica mi ha invitato invit ato al ballo di primavera”. primavera”.   “E’ grandioso”, aveva risposto immediatamente Bella e con entusiasmo. Era difficile non sorridere mentre il tono della sua voce faceva presa sulla coscienza di Mike. Aveva sperato che sarebbe stato coster nato. nato. “Ti divertirai tantissimo con Jessica”.  Jessica”.   Si dibatteva nel cercare la risposta giusta da dare. “Beh…” esitò, e quasi si tirò vigliaccamente vigliac camente indietro. Poi si riprese. “Le ho detto dett o che dovevo pensarci”. pensarci”.   “Perché l’hai fatto?” chiese. Il suo tono era di disapprovazione, ma conteneva pure p ure una minuscola traccia di sollievo. Cosa voleva dire quello quello?? Una furia inaspettata, intensa mi fece stringere i pugni. Mike non aveva percepito il sollievo. Il suo viso era avvampato di sangue  –  feroce   feroce ©2008 Stephenie Meyer

 

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quanto d’improvviso mi sentivo, questo sembrava un invito –   ed era tornato a fissare il  pavimento mentre parlava. “Mi stavo chiedendo se…beh, se magari non avessi pensato d’invitarmi”.  d’invitarmi”.   Bella esitò. In quel suo momento di esitazione, potei vedere il futuro assai più chiaramente di quanto non avesse mai fatto Alice. La ragazza avrebbe potuto rispondere di si all’invito implicito di Mike Mi ke adesso, oppure avrebbe potuto non farlo, ma in ogni caso, presto o tardi avrebbe detto di si a qualcuno. Era intrigante e deliziosa, ed i maschi della razza umana non ne erano inconsapevoli. Sia che si fosse accontentata di qualcuno di quella scialba compagine, sia che avesse aspettato di essere libera da Forks, sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe avrebbe   detto si. Immaginai la sua vita come già avevo fatto prima  –   università, carriera…amore, matrimonio. La vidi di nuovo sottobraccio al padre, vestita di un bianco trasparente, con il viso raggiante di felicità mentre avanzava al suono della marcia di Wagner. Il dolore era superiore a qualunque cosa avessi mai provato prima. Un essere umano si sarebbe trovato in punto di morte a provare questo dolore  –   un essere umano non gli sarebbe sopravvissuto. E non solo dolore, ma rabbia rabbia vera  vera e propria, assoluta. La furia agognava un qualche sfogo tangibile. Quantunque quell’insignificante, immeritevole ragazzo potesse non essere quello cui Bella avrebbe detto si, bramavo di frantumarne il cranio stringendolo nella mano, per lasciarlo farsi rappresentante di chiunque fosse.  Non comprendevo quell’emozione –   era una tale groviglio di dolore e rabbia e desiderio e disperazione. Non mi ero mai sentito così prima di allora; non avrei saputo darle un nome. “Mike, penso che dovresti dirle di si”, Bella aveva risposto con voce gentile.   Le speranze di Mike precipitarono. Me ne sarei compiaciuto in altre circostanze, ma ero perso nella ricaduta del dolore  –   e del rimorso per ciò che il dolore e la rabbia mi avevano fatto. Alice aveva ragione. Non ragione. Non ero  ero forte abbastanza. Proprio adesso, Alice stava probabilmente guardando il futuro che vorticava e si ©2008 Stephenie Meyer

 

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avviluppava, nuovamente indistinto. Le avrebbe fatto piacere? “L’hai già chiesto a qualcuno?” chiese Mike astioso. Mi lanciò un’occhiata, sospettoso per la prima volta dopo tante settimane. Mi resi conto di aver tradito il mio interesse; la mia testa era inclinata in direzione di Bella. L’invidia che si era scatenata nei suoi pensieri –  invidia  invidia per chiunque questa ragazza gli preferisse –  preferisse –  d’improvviso aveva dato un nome alla mia emozione ancora senza nome. n ome. Ero geloso. “No” disse la ragazza con una traccia d’umorismo nella voce. “Non intendo pr oprio oprio venire al ballo”. ballo”.   Al di là del rimorso e della rabbia, mi sentii rinfrancato dalle sue parole. Inaspettatamente, cominciai a valutare i miei miei rivali.  rivali. “Perché no?” chiese Mike, con un tono quasi rude. Mi offendeva che usasse un simile tono con lei. Mi trattenni dal ringhiare. “Quel sabato me ne vado a Seattle”, rispose.  rispose.   La curiosità non era tanto morbosa quanto lo sarebbe stata prima  –  ora   ora che ero del tutto intenzionato a scoprire le risposte ad ogni cosa. Avrei saputo i come ed i perché di quella nuova rivelazione molto presto. Il tono della voce di Mike diventò sgradevolmente adulatorio. “Non puoi andarci un altro fine settimana?” settimana?”   “No, mi dispiace”. Bella era più scostante ora. “Perciò non dovresti far aspettare Jessica più a lungo –  lungo –  è scortese”.  scortese”.  La sua preoccupazione per i sentimenti di Jessica ravvivò le fiamme della mia gelosia. Questo viaggio a Seattle era chiaramente una scusa per dire di no  –  aveva  aveva rifiutato esclusivamente per lealtà nei confronti della sua amica? Era più che abbastanza altruista  per una cosa del genere. In realtà avrebbe voluto poter dire di si? O entrambe quelle supposizioni erano sbagliate? Era interessata a qualcun altro? “Si, hai ragione”, borbottò Mike, talmente demoralizzato che quasi mi fece pena. Quasi. Distolse gli occhi dalla ragazza, privandomi della vista del viso di lei attraverso i suoi pensieri.  Non intendevo tollerarlo. Mi voltai io stesso a leggere il suo viso, per la prima volta dopo più di un mese. Era ©2008 Stephenie Meyer

 

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un immenso sollievo permettermelo, come una boccata d’aria nei polmoni di un umano rimasti troppo a lungo in apnea. I suoi occhi erano chiusi, e le mani premevano contro i lati del viso. Le spalle erano incurvate in avanti, sulla difensiva. Scuoteva la testa impercettibilmente, come se stesse cercando di cacciar via un qualche pensiero dalla propria mente. Frustrante. Affascinante. La voce del Signor Banner la strappò alle sue fantasticherie, ed i suoi occhi si aprirono lentamente. Si voltò immediatamente a guardarmi, forse percependo che la stavo fissando. Guardò dentro ai miei occhi con la stessa espressione sbigottita che mi aveva  perseguitato tanto a lungo.  Non sentivo il rimorso o il senso di colpa o la rabbia. Sapevo che sarebbero tornati, torn ati, e presto, ma in quest’unico momento cavalcavo un’ignota, tumultuosa eccitazione. Come se avessi trionfato, invece che perso.  Non spostò altrove lo sguardo, benché la stessi stes si fissando fissa ndo con un fervore f ervore fuori luogo, cercando invano di leggere i suoi pensieri attraverso il castano fondente dei suoi occhi. Erano pieni di domande, invece che di risposte. Riuscivo a scorgere il riflesso dei miei stessi occhi, e vedevo che erano neri per la sete. Erano trascorse quasi due settimane dalla mia ultima battuta di caccia; oggi non era il giorno migliore per far crollare la mia volontà. Ma la nerezza non pareva spaventarla. Ancora non spostava altrove lo sguardo, ed un rosa tenue, attraente in maniera devastante aveva cominciato a colorarle la pelle. Cosa stava pensando adesso? Quasi pronunciai la domanda ad alta voce, ma in quel momento il Signor Banner chiamò il mio nome. Afferrai la risposta corretta nella sua mente mentre gettavo laconicamente uno sguardo nella sua direzione. Aspirai velocemente un pò di fiato. “Il Ciclo di Krebs”.  Krebs”.   La sete bruciava graffiante nella mia gola  –   contraendo i miei muscoli e riempiendomi la bocca di veleno  –   e chiusi gli occhi, cercando di concentrarmi sul desiderio del suo sangue che infuriava dentro di me. Il mostro era più forte di prima. Il mostro stava godendo. Abbracciava il duplice futuro che gli rendeva giustizia, con il cinquanta per cento delle possibilità rispetto a quel che bramava tanto brutalmente. Il terzo, traballante futuro che avevo cercato di costruire ©2008 Stephenie Meyer

 

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con la mia sola forza di volontà era andato in pezzi  –  distrutto   distrutto dalla comune gelosia, tra tutte le cose –  cose –  e  e lui era molto più vicino a raggiungere il suo obiettivo. Il rimorso ed il senso di colpa bruciavano insieme alla sete e, se avessi avuto la capacità di produrre le lacrime, avrebbero riempito i miei occhi ora. Cos’avevo fatto?  fatto?  Sapendo di aver già perso la battaglia, non sembrava ci fossero più ragioni di resistere a ciò che volevo; mi voltai di nuovo a guardare la ragazza. Si era nascosta dietro i capelli, ma potevo vedere attraverso una breccia tra la chioma che le sue guance adesso erano di un intenso color porpora. Al mostro la cosa piaceva.  Non incrociò più il mio sguardo, ma si rigirò nervosamente una ciocca di capelli scuri tra le dita. Le sue dita sottili, il suo polso delicato  –   erano così fragili, che pareva  proprio che un mio solo respiro potesse spezzarli.  No, no, no. Non potevo farlo. Lei era e ra troppo tr oppo fragile, troppo buona, troppo preziosa prezi osa  per meritare un simile destino. Non potevo permettere a me stesso di entrare in collisione coll isione con lei, di distruggerla. Ma non potevo nemmeno starle lontano. Alice aveva ragione su questo. Il mostro dentro di me sibilava per la frustrazione mentre oscillavo indeciso,  propendendo  propen dendo prima da una parte, e poi dall’altra.  dall’altra.   La mia breve ora insieme a lei era trascorsa fin troppo velocemente, mentre restavo in bilico tra l’incudine e il martello. La campanella suonò, e lei iniziò a raccogliere le sue cose senza guardarmi. Il che mi deluse, ma difficilmente mi sarei potuto aspettare altrimenti. altri menti. Il modo in cui l’avevo trattata dal gior  gior no no dell’incidente era imperdonabile.  imperdonabile.   “Bella?” dissi, incapace di fermarmi. La mia forza di volontà era già ridotta a  brandelli. Lei esitò prima di guardarmi; quando si voltò, la sua espressione era guardinga, diffidente. Ricordai a me stesso che aveva ogni diritto di non fidarsi di me. Che non avrebbe dovuto farlo. Aspettava che continuassi, ma io mi limitavo a guardarla, leggendo il suo viso. Aspiravo delle superficiali boccate d’aria ad intervalli regolari, combattendo la sete.  sete.   “Cosa?” disse alla fine. “Hai deciso di parlarmi di nuovo?”. C’era una punta di ©2008 Stephenie Meyer

 

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risentimento nel tono della sua voce che, al pari della sua rabbia, suscitava tenerezza. Mi faceva venire voglia di sorridere.  Non ero sicuro di come rispondere alla sua domanda.  Avevo  Avevo   deciso di parlarle di nuovo, nel senso che intendeva lei?  No. Non se potevo impedirlo. impedirlo. Avrei cercato d’impedirlo.  d’impedirlo.  “No, non esattamente”, le dissi.  dissi.   Lei chiuse gli occhi, il che era frustrante per me. Mi tagliava fuori dalla via migliore di cui disponevo per accedere ai suoi sentimenti. Fece un lungo, lento respiro senza aprire gli occhi. Le sue mascelle erano serrate. Continuando a tenere gli occhi chiusi, parlò. Sicuramente non era una maniera di conversare usuale per un umano. Perché lo faceva? “Allora cosa vuoi, Edward?”  Edward?”  Il suono del mio nome sulle sue labbra faceva delle strane cose al mio corpo. Se avessi avuto un battito cardiaco, avrebbe accelerato. Ma come risponderle? Con la verità, decisi. Sarei stato quanto più onesto possibile con lei da questo momento in poi. Non volevo meritare la sua sfiducia, sebbene guadagnarmi la sua fiducia fosse impossibile. “Mi dispiace”, le dissi. Era più vero di quanto non avrebbe mai saputo. Sfortunatamente, in tutta sincerità  potevo solamente scusarmi per la mia villania. “Sono stato davvero davvero maleducato, lo so. Ma è meglio così, veramente”.  veramente”.   Sarebbe stato meglio per lei se avessi mantenuto il punto, continuando ad essere maleducato. Potevo farlo? I suoi occhi si spalancarono, la sua espressione era ancora diffidente. “Non capisco che vuoi dire”.  dire”.  Tentai di metterla sull’avviso quanto più mi fosse consentito. “E’ meglio se non diventiamo diventiamo amici”. Sicuramente, questo poteva capirlo bene. Era una ragazza brillante. “F “Fiidati di me”.  me”.  I suoi occhi diventarono due fessure, e ricordai di averle già detto quelle parole  prima di allora –  allora  –   proprio proprio prima d’infrangere una promessa. Sussultai Sussulta i quando serrò i de denti nti  –  chiaramente  chiaramente se n’era ricordata anche lei.  lei.   “E’ un vero peccato che tu non l’abbia  l’abbia   capito prima”, disse collerica. “Avresti ©2008 Stephenie Meyer

 

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rammarico”.    potuto risparmiare risparmiare a te stesso tutto questo rammarico”.  La fissai stupito. Che ne sapeva lei del mio rammarico? “Rammarico? Rammarico per cosa?” domandai.  domandai.   “Per non aver semplicemente lasciato lasciato che quello stupido furgoncino mi riducesse in  poltiglia” schioccò.  schioccò.  Raggelai, stordito. Come poteva pensar llo? o? Salvarle la vita era l’unica cosa accettabile che avessi ave ssi fatto da quando l’avevo incontrata. La sola cosa di cui non mi  mi   vergognassi. La sola ed unica cosa che in assoluto mi rendeva felice di esistere. Stavo lottando per tenerla in vita da quel  primo momento che ne avevo afferrato il profumo. Come poteva pensare questo di me? Come osava mettere in dubbio la bontà della mia azione rivoltandola in questo modo? “Pensi che mi rammarichi di averti salvato la vita?”  vita?”  “Io so “Io  so  che lo fai”, replicò.  replicò.  L’opinione che si era fatta delle mie intenzioni mi fece bollire di rabbia. “Tu non sai niente”.   niente”. Quanto confusi ed incomprensibili erano i meccanismi della sua mente! Il modo di lavorare del suo pensiero doveva essere del tutto differente da quello degli altri esseri umani. Doveva essere quella la spiegazione alla base del silenzio della sua mente. Era del tutto fuori della norma. Allontanò di scatto il suo viso, stringendo nuovamente i denti. Le sue guance erano avvampate, ma per la collera stavolta. Fece sbattere i libri mentre li impilava, con uno strattone li prese tra le braccia e marciò verso la porta senza incrociare il mio sguardo. Perfino irritato com’ero, era impossibile non trovare la sua rabbia un filo dive rtente. Camminava impettita, senza guardare dove andava, ed il suo piede incappò nello stipite della porta. Inciampò, e le sue cose caddero tutte a terra. Invece di piegarsi per raccoglierle, se ne restava dritta come un fuso, senza neppure guardare giù, come se non fosse sicura che i libri valessero la pena di essere recuperati. Riuscii a non scoppiare a ridere.  Non c’era nessuno lì l ì che potesse vedermi; volai al suo fianco, e prima che potesse abbassare lo sguardo avevo già riordinato i suoi libri. Si piegò a metà, mi vide, e poi si bloccò. Le resi i libri, assicurandomi che la mia  pelle ghiacciata non toccasse la sua. ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Grazie”, disse con voce gelida, dura.  dura.   Il suo tono mi fece rimontare la rabbia. “Non c’è di che”, le dissi altrettanto gelidamente.  gelidamente.  Si tirò su e si avviò con passo pesante verso la lezione successiva. Rimasi a guardare finché non potei più distinguerne la sagoma infuriata. La lezione di spagnolo passò sfocata. La Signora Goff non reclamava mai per la mia distrazione –  distrazione  –   sapeva sapeva che il mio spagnolo era superiore al suo, e mi concedeva ampi spazi di manovra –  manovra –  lasciandomi  lasciandomi libero di pensare. Perciò, non potevo ignorare la ragazza. Quello era piuttosto ovvio. Ma questo voleva dire per forza che non avevo altra alternativa se non quella di distruggerla? Quello non    poteva essere il solo futuro disponibile. Doveva esserci un’altra alternativa, un non qualche fragile equilibrio. Cercavo di pensare a un mo m odo… do…    Non prestai particolare attenzione ad Emmett finché l’ora non fu quasi terminata. Era curioso  –   Emmett non era eccessivamente intuitivo per quel che concerneva le sfumature sfuma ture degli umori degli altri, ma poteva vedere l’evidente cambiamento che avevo su bito. Si chiedeva cosa fosse successo per far scomparire dal mio viso l’implacabile espressione truce. Si sforzava di trovare una definizione per quel cambiamento, e alla fine decise che sembravo ottimista ottimista.. Ottimista? Era così che sembravo visto dall’esterno?  dall’esterno?  Meditavo su quell’impressione di ottimismo mentre camminavamo verso la Volvo, Vo lvo, domandandomi per  domandandomi  per  cosa  cosa esattamente sarei dovuto essere ottimista. Ma non potei meditare a lungo. Sensibile com’ero ai pensieri che riguardavano la ragazza, il suono del nome di Bella nelle menti dei…dei miei rivali, suppongo che d ovessi riconoscerlo, catturò la mia attenzione. Eric e Tyler, avendo appreso  –   con grande soddisfazione –  soddisfazione  –  del  del fallimento di Mike, stavano preparandosi a fare le loro mosse. Eric era già in posizione, poggiato contro il  pick-up  pick-up   di modo che lei non avrebbe  potuto evitar llo. o. La classe di Tyler si era protratta oltre l’orario per l’assegnazione di un compito, e lui andava disperatamente di fretta per raggiungerla prima che gli sfuggisse. Questo lo dovevo vedere. “Resta qui ad aspettare gli altri, d’accordo?” mormorai ad Emmett.  Emmett.  Lui mi guardò con sospetto, ma poi scrollò le spalle ed annuì.  Il ragazzo ha perso la testa, testa, pensò, divertito dalla mia strana richiesta. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Vidi Bella che usciva dalla palestra, ed aspettai che mi superasse dove sapevo che non mi avrebbe notato. Come fu più vicina all’imboscata di Eric, avanzai di buon passo, misurando la falcata in modo da trovarmi a passare al momento giusto.  Notai che il corpo le s’irrigidì quando si accorse del ragazzo che la l a stava aspettando. Per un momento rimase immobile, poi si rilassò e proseguì. “Ciao, Eric”, la sentii salutarlo in tono amichevole. Ero improvvisamente ed inaspettatamente ansioso. E se quel ragazzino allampanato dall’aria malaticcia le le fosse in qualche modo risultato gradevole? Eric deglutì rumorosamente, il suo pomo d’Adamo andava su e giù. “Ciao, Bel Bella”. la”.   Lei sembrava non accorgersi del suo nervosismo. “Che succede?” chiese, aprendo il  pick-up  pick-up   con la chiave senza guardarne l’espressione impaurita.  impaurita.  “Uh, mi stavo solo chiedendo se…verresti al ballo di primavera insieme a me?”. Balbettava. Finalmente alzò lo sguardo. Si sentiva colta alla sprovvista, o compiaciuta? Eric non aveva il coraggio coraggio d’incrociarne lo sguardo, perciò non potevo vederne il viso nei suoi  pensieri. “Pensavo che spettasse alle ragazze fare gli inviti”, disse, apparentemente agitata.  agitata.   “Beh, si” ammise con aria infelice.  infelice.  Questo miserando ragazzo ragazzo non m’irritava quanto Mike Newton, ma non riuscii a trovare in me stesso alcuna traccia di compassione per le sue pene finché Bella non gli rispose con voce gentile. “Grazie per avermelo chiesto, ma intendo andare a Seattle quel giorno”.  giorno”.   L’aveva già sentito dire; ciononostante, fu una delusione per lui.  lui.   “Oh”, borbottò, quasi osando alzare gli occhi al livello del naso di lei. “Magari la  prossima  pros sima volta”.  volta”.  “Sicuro”, convenne. Poi si morse il labbro inferiore, come pentita pent ita di avergli lasciato aperto uno spiraglio. Il che mi piaceva. Eric ciondolò in avanti e s’incamminò, puntando nella direzione sbagliata rispetto alla sua macchina, pensando solo a scappare. In quel momento le passai di fronte, e sentii il suo sospiro di sollievo. Mi misi a ridere. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Si voltò bruscamente a quel suono, ma io guardavo diritto davanti a me, cercando d’impedire alle d’impedire  alle mie labbra di dispiegarsi per il divertimento. Tyler era dietro di me, quasi di corsa per la fretta di raggiungerla prima che se ne andasse via. Era più audace e sicuro di sé rispetto agli altri due; aveva aspettato così tanto ad approcciare Bella solo perché rispettava la priorità delle pretese di Mike. Volevo che la raggiungesse per due ragioni. Se  –  come   come cominciavo a sospettare  –   tutte quelle attenzioni erano seccanti per Bella, volevo godermi la sua reazione. Ma, se non lo erano  –   se l’invito di Tyler era quello nel quale aveva sperato –   allora volevo comunque saperlo. Valutai Tyler Crowley come rivale, sapendo che era sbagliato farlo. A me sembrava noiosamente mediocre ed ordinario, ma che ne sapevo di cosa preferiva Bella? Magari le  piacevano i ragazzi ragazzi ordinari…  ordinari…  Rabbrividii al pensiero. Non sarei mai potuto essere ess ere un ragazzo ordinario. Quant’era assurdo considerare me stesso come un possibile rivale per i suoi affetti. Come avrebbe mai potuto avere a cuore qualcuno che, da qualunque prospettiva lo si considerasse, era un mostro? Lei era troppo buona per un mostro. Avrei dovuto lasciarla scappare, ma la mia imperdonabile curiosità mi tratteneva dal fare ciò che era giusto. Di nuovo. Ma se Tyler mancava la sua occasione adesso, solo per contattarla più tardi quando non avrei avuto modo di conoscere la risposta? Feci uscire la Volvo sulla stretta corsia, bloccandole bloccandole l’uscita.  l’uscita.  Emmett e gli altri si avvicinavano, ma lui gli aveva descritto il mio strano comportamento, e camminavano lentamente, cercando di decifrare cosa stessi facendo. Osservavo la ragazza dallo specchietto retrovisore. Guardava con aria truce il  posteriore  poste riore della mia macchina senza incrociare il mio sguardo, con l’aria di desiderare di essere alla guida di un carro armato piuttosto che c he di un vecchio pick-up vecchio pick-up  Chevy Chevy arrugginito.  arrugginito. Tyler corse alla sua macchina e si mise in fila dietro di lei, grato per la mia condotta incomprensibile. La salutò, cercando di attirarne l’attenzione, ma lei non lo notò. Lui aspettò un momento, e poi scese dalla macchina, avvicinandosi con passo noncurante al suo finestrino dal lato del guidatore. Picchiettò sul vetro. Lei fece un balzo, e poi lo guardò confusa. Dopo un secondo, abbassò il finestrino girando la manovella, apparentemente con qualche difficoltà. ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Mi spiace, Tyler”, disse, la sua voce era irritata. “Sono bloccata dietro a Cullen”.  Cullen”.  Disse il mio cognome con voce aspra –  aspra –  era  era ancora arrabbiata con me. “Oh, lo so”, disse Tyler, senza lasciarsi scoraggiare dal suo umore. “Volevo soltanto so ltanto qui”.  chiederti qualcosa qualcosa mentre siamo intrappolati qui”.  Il suo sorriso spalancato era arrogante. Ero gratificato dal modo in cui lei era impallidita i mpallidita di fronte alle sue ovvie intenzioni. “M’inviterai al ballo di primavera?” chiese, chiese, senza pensare di poter essere rifiutato. “Non sarò in città, Tyler”, gli disse, l’irritazione era ancora palese nella voce.  voce.  “Si, Mike me l’ha detto”.  detto”.   “Allora perché -?” lo fissò per chiederglielo.  chiederglielo.  Lui scrollò le s palle. “Avevo sperato che stessi solamente scaricandolo con gentilezza”. gentilez za”.   I suoi occhi lampeggiarono, poi si calmò. “Mi spiace, Tyler”, disse, non sembra ndo affatto dispiaciuta. dispiaciuta. “Sarò veramente fuori città”.  città”.  Lui accettò quella scusa, la sua autostima era illesa. “Che ficata. Ci rimane il ballo di fine fine anno”. Tornò impettito alla sua macchina. Avevo avuto ragione a voler aspettare per questo. L’espressione inorridita che aveva sul viso era inestimabile. Mi di ceva ciò che non avrei dovuto così disperatamente avere bisogno di sapere  –   che non nutriva alcun sentimento per nessuno di questi maschi umani che desideravano farle la corte. Inoltre, la sua espressione era probabilmente la cosa più buffa che avessi mai vista. La mia famiglia mi raggiunse allora, confusa dal fatto che, per cambiare, stavo sbellicandomi dalle risate invece che fissando con aria assassina tutto ciò che avevo a tiro. Che c’è di tanto divertente? Emmett divertente? Emmett voleva sapere. Mi limitai a scuotere la testa torcendomi di nuove risate mentre Bella mandava rab biosamente su di giri il suo rumoroso motore. Aveva nuovamente l’aria di desiderare un carro armato. “Andiamo!” sibilò Rosalie impazientemente. “Smettila di fare l’idiota. Se ne sei capace”. capace ”.   Le sue parole non mi disturbavano disturbavano –   –  ero  ero troppo divertito. Ma feci come chiese.  Nessuno mi parlò mentre tornavamo a casa. Continuavo a ridacchiare sotto i baffi di ©2008 Stephenie Meyer

 

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Bella.  quando in quando, pensando all’espressione al l’espressione di Bella.  Quando voltai per il viale di casa –  casa  –   accelerando adesso che non c’erano testimoni –   Alice guastò il mio umore. “Perciò posso parlare con Bella adesso?” chiese all’improvviso, senza prima riflettere sulle parole, perciò senza darmi alcun preavviso. “No”, schioccai.  schioccai.  “Non è giusto! Cosa sto aspettando?”  aspettando?”   “Non ho ancora deciso niente, Alice”  Alice”   “Come vuoi, Edward”  Edward”   Nella sua mente, i due destini di Bella erano di nuovo nitidi. “A che scopo conoscerla?” borbottai, adombrandomi improvvisamente, “Se tanto finirò per uccider la?”  la?”  Alice esitò per un secondo. “Un punto per te”, ammise.  ammise.   Imboccai l’ultimo tornante a centoquaranta chilometri l’ora, e poi frenai facendo stridere le gomme ad un palmo dalla parete di fondo del garage. “Goditi la corsa”, disse Rosalie con aria di sufficienza mentre mi precipitavo fuori dalla macchina. Ma non stavo andando a correre oggi. Stavo andando a caccia, invece. Gli altri avevano programmato di andare a caccia domani, ma non potevo  permettermi di avere sete set e adesso. Esagerai, bevendo più del necessario, necess ario, rimpinzandomi di nuovo  –   un piccolo gruppo di alci ed un orso bruno in cui avevo avuto la fortuna d’incappare in anticipo sulla stagione quest’anno. Ero talmente pieno che mi sentivo a disagio. Perché non poteva essere abbastanza? Perché il suo profumo doveva essere tanto  più forte di qualunque altra cosa? Avevo cacciato per prepararmi al giorno seguente, ma, quando non potei più cacciare ed il sole era ancora ad ore ed ore dal sorgere, sapevo che domani non era sufficientemente vicino. Il tumulto dell’eccitazione m’investì di nuovo quando mi resi conto che stavo per andare a trovare la ragazza. Per tutto il tragitto fino a Forks discussi con me stesso, ma il mio lato meno nobile  prevalse in quella disputa, e proseguii con il mio piano indifendibile. Il mostro era agitato, ma tenuto saldamente in catene. Sapevo che mi sarei mantenuto a distanza di sicurezza da ©2008 Stephenie Meyer

 

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lei. Volevo solamente sapere dove fosse. Volevo solamente vedere il suo viso. Era passata mezzanotte, e la casa di Bella era buia e silenziosa. Il suo  pick-up  pick-up   era  parcheggiato a ridosso del marciapiede, marciapiede , la radiomobile del padre sul vialetto. Non c’erano  pensieri coscienti da nessuna parte nel vicinato. Per un attimo mi fermai ad osservare la casa dall’oscurità della foresta che la costeggiava ad est. La porta principale  probabilmente era inchiavata –  inchiavata  –  nessun   nessun problema, eccetto che non volevo lasciarmi dietro una porta scardinata come prova. Decisi di tentare prima con le finestre del piano superiore. Poche persone si sarebbero disturbate ad installare delle serrature lì. Attraversai il giardino esterno e scalai la facciata della casa in mezzo secondo. Dondolando appeso al cornicione sopra la finestra con una mano, guardai attraverso il vetro, e mi si fermò il respiro. Era la sua camera. Potevo vederla nel suo piccolo letto singolo, con le coperte sul  pavimento e le lenzuola attorcigliate alle gambe. Mentre la osservavo, si contrasse irrequieta e scaraventò un braccio al di sopra della testa. Non dormiva sonni tranquilli, almeno non questa notte. Riusciva a percepire il pericolo che le era vicino? Ero disgustato di me stesso mentre la guardavo rigirarsi ancora. Come potevo essere migliore di un qualunque schifoso guardone?  Non  Non ero  ero affatto migliore. Ero molto, molto  peggio. Allentai la presa dalla punta delle dita, pronto a lasciarmi cadere. Ma prima mi concessi d’ d’indugiare una volta soltanto con lo sguardo sul suo viso.  Non era pacifico. C’era quella piccola ruga tra i suoi occhi, e gli angoli delle labbra erano imbronciati. Le sue labbra tremarono, e poi si socchiusero. “D’accordo, mamma”, borbottò.  borbottò.  Bella parlava nel sonno. La curiosità si scatenò, sopraffacendo il disprezzo che provavo per me stesso. Il richiamo di quei pensieri indifesi, inconsapevolmente formulati ad alta voce era incredibilmente allettante. Provai con la finestra, e non era bloccata, sebbene inceppata perché non veniva aperta da lungo tempo. La feci scorrere lentamente di lato, sussultando ad ogni lieve cigolio del telaio di metallo. Mi sarei dovuto procurare pro curare dell’olio per la prossima volta…  volta…  La prossima volta? Scossi la testa, nuovamente disgustato. Mi lasciai scivolare silenziosamente attraverso la finestra semi aperta. ©2008 Stephenie Meyer

 

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La sua camera era piccola –  piccola  –  disordinata  disordinata ma non sporca. C’erano dei libri impilati sul  pavimento accanto al letto, con le costole rivoltate dall’altra parte, e dei CD sparpagliati sparpagliati vicino al suo lettore di poco prezzo  –   quello quello in cima era solo una custodia trasparente. Un mucchio di carte circondavano un computer che sembrava appartenere ad un museo dedicato alla tecnologia obsoleta. Le scarpe erano er ano sparse qua e là sul pavimento di llegno. egno. Desideravo moltissimo poter leggere i titoli dei suoi libri e dei suoi CD, ma avevo  promesso a me stesso che mi sarei tenuto a distanza; invece, mi misi a sedere sulla vecchia sedia a dondolo nell’angolo più lontano della stanza.  stanza.  Davvero un tempo avevo creduto che avesse un aspetto ordinario? Ripensai a quel  primo giorno, ed al mio disprezzo per quei ragazzi che ne erano rimasti istantaneamente affascinati. Ma a ricordarne ora il viso che avevano in mente, non riuscivo a capire perché non l’avessi l’avessi trovata splendida all’istante. Sembrava una cosa talmente ovvia. o vvia. Proprio ora –  ora –   con con i capelli scuri scompigliati ed arruffati attorno al volto pallido, con indosso una maglietta consumata e piena di buchi ed un paio di malandati pantaloni della tuta, con i lineamenti rilassati in stato d’incoscienza, e con le labbra leggermente socchiuse  –   mi toglieva il respiro. O lo farebbe, pensai sarcasticamente, se stessi respirando.  Non parlava. Forse il suo sogno era terminato. Fissavo il suo viso e cercavo di pensare ad un qualche modo di rendere il futuro accettabile. Farle del male non era era un’opzione accettabile. Significava che l’unica alternativa rimastami era il tentare ancora una volta di andarmene? Gli altri non potevano più dissuadermi adesso. La mia assenza non avrebbe messo in pericolo nessuno. Non ci sarebbero stati sospetti, nessun possibile collegamento tra i  pensieri di chicchessia e l’incidente occorso.  occorso.  Vacillavo come già questo pomeriggio, e niente sembrava possibile.  Non potevo sperare di rivaleggiare con i ragazzi umani, a prescindere che fosse o meno attratta da questi ragazzi in particolare. Io ero un mostro. Come avrebbe potuto ve vedermi dermi diversamente? Se avesse saputa la verità su di me, l’avrebbe spaventata e disgustata. Come la vittima vit tima designata di un film dell’orrore, sarebbe corsa via, gridando gridando terrorizzata. Ricordavo il primo giorno a biologia…e sapevo che questa era propriamente la ©2008 Stephenie Meyer

 

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reazione giusta che doveva avere. Era pura follia immaginare che se fossi stato io ad invitarla a quello stupido ballo, avrebbe cancellato i piani che così frettolosamente aveva organizzato per acconsentire ad andarci con me.  Non ero io quello cui era destinata a dire di si. Era qualcun altro, qualcuno di umano e di caldo. E non potevo nemmeno concedermi  –   un giorno, quando quel si fosse stato detto –  detto  –  di   di dargli la caccia ed ucciderlo, perché era colui che lei meritava, chiunque fosse. Lei meritava felicità ed amore con chiunque avesse scelto. Avevo il dovere di fare la cosa giusta per lei adesso; non potevo fingere più a lungo che ero solo in pericolo  pericolo d’innamorarmi di questa ragazza.  ragazza.  In fin dei conti, non aveva veramente importanza se me ne andavo, perché Bella non avrebbe mai potuto guardarmi nel modo in cui desideravo che facesse. Non mi avrebbe mai visto come qualcuno degno di essere amato. Mai. Può un cuore morto, congelato spezzarsi? Sembrava che il mio potesse. “Edward”, disse Bella.  Bella.  Mi paralizzai, fissando i suoi occhi ancora chiusi. Si era svegliata sorprendendomi qui?  Pareva  Pareva   addormentata, ma la sua voce era suonata così così limpida…  limpida…  Sospirò appena un lamento, e poi si mosse nuovamente irrequieta, rotolandosi sul fianco –  fianco  –  ancora  ancora profondamente addormentata e sognante. “Edward”, biascicò in modo sommesso. sommesso. Stava sognando di me. Può un cuore morto, congelato battere di nuovo? Sembrava che il mio fosse sul  punto di farlo. “Resta”, sospirò. “Non andare. Ti prego…non andare”. andare”.   Stava sognando di me, e non era neppure un incubo. Voleva che rimanessi con le lei, i, lì nel suo sogno. Mi sforzavo di trovare le parole per dare un nome ai sentimenti che mi travolgevano, travolgeva no, ma non c’erano parole forti abbastanza da poterli contenere. Per un lungo momento mi ci lasciai annegare. Quando riemersi, non ero più lo stesso uomo che ero stato. ©2008 Stephenie Meyer

 

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La mia vita era un’interminabile, immutabile mezzanotte. Doveva, per necessità, essere essere sempre mezzanotte per me. Perciò com’era possibile che il sole stesse sorgendo ora, nel bel mezzo della mia mezzanotte?  Nel momento in cui ero diventato un vampiro, barattando, nel dolore lancinante della del la trasformazione, la mia anima e la mia mortalità con l’immortalità, ero stato letteralmente congelato. Il mio corpo si era trasformato in qualcosa di più simile alla roccia che alla carne, duraturo ed inalterabile. Lo stesso mio io io   si era congelato così com’era –  la   la mia personalità, le mie simpatie ed antipatie, i miei umori ed i miei desideri; tutti erano rimasti bloccati lì. Era lo stesso per ognuno di noi. Eravamo tutti congelati. Delle rocce viventi. Quando sopraggiungeva il cambiamento, era una cosa rara e permanente. L’avevo visto succedere con Carlisle, e poi un decennio più tardi con Rosalie. L’amore li   aveva cambiati in modo imperituro, in una maniera che non si affievoliva mai. Erano passati più di ottant’anni da quando Carlisle aveva trovato Esme, e ciononostante cionon ostante ancora la guardava con l’espressione incredula del primo amore. Sarebbe stato per sempre così per loro. Sarebbe stato per sempre così anche per me. Avrei amato per sempre questa fragile ragazza umana, per tutto il resto della mia sconfinata esistenza. Contemplavo il suo viso incosciente, sentendo quest’amore per lei fissarsi fissars i ad ogni frammento del mio corpo roccioso. Dormiva più serenamente adesso, con un leggero sorriso sulle labbra. Senza mai staccare gli occhi da lei, cominciai a tramare. L’amavo, e perciò avrei cercato di essere forte abbasta nza da lasciarla. Sapevo di non essere così forte ora. Avrei dovuto lavorarci sopra. Ma forse ero forte abbastanza da  poter avere la meglio sul futuro in un altro modo. modo. Alice aveva visto solo due possibili futuri per Bella, ed ora li capivo entrambi. Amarla non mi avrebbe impedito di ucciderla, se mi fossi concesso di commettere degli errori. Eppure non riuscivo a sentire il mostro ora, non riuscivo a trovarlo da nessuna parte. Magari l’amore l’aveva messo a tacere per sempre. Se adesso l’avessi uccisa, non l’avrei fatto intenzionalmente, intenzionalmente, ma solo per un’orribile disgrazia.  disgrazia.  Sarei dovuto essere estremamente accorto. Non avrei mai, mai potuto abbassare la guardia. Avrei dovuto controllare ogni mio singolo respiro. Avrei sempre dovuto ©2008 Stephenie Meyer

 

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mantenere una distanza di sicurezza.  Non avrei commesso errori. Avevo finalmente capito quel secondo futuro. Ero rimasto sconcertato da quella visione  –   cos’era mai potuto accadere da rendere Bella prigioniera di questa sem i vita? Ora –  Ora  –  devastato  devastato dal desiderio per la ragazza –  ragazza  –  potevo  potevo capire come, in preda ad un egoismo imperdonabile, avessi potuto chiedere quel favore a mio padre. Chiedergli di privarla della sua vita e della sua anima così che potessi averla per sempre. Lei meritava di meglio. Ma vedevo un altro futuro, un filo sottile sul quale avrei forse potuto camminare, se fossi riuscito a mantenere l’equilibrio.  l’equilibrio.  Potevo farlo? Stare con lei e lasciarla umana? Deliberatamente, respirai a fondo, e poi ancora, lasciando che il suo profumo divampasse dentro di me come un fuoco greco. La stanza era intrisa del suo profumo; la sua fragranza era stratificata su ogni superficie. Mi girava la testa, ma combattevo le vertigini. Mi ci dovevo abituare, se volevo tentare di avere un qualunque genere di relazione con lei. Presi un altro respiro, profondo, bruciante. La guardai dormire, tramando e respirando, finché non spuntò il sole dietro le nuvole ad est.

Arrivai a casa subito dopo che gli altri erano già usciti per andare a scuola. Mi cambiai in fretta, evitando gli occhi inquisitori di Esme. Aveva scorto la luce febbrile sul mio viso, e si sentiva insieme spaventata e sollevata. La mia lunga malinconia l’aveva addolorata, addol orata, ed era contenta che sembrasse essere finita. Corsi a scuola, arrivando pochi secondi dopo i miei fratelli e le mie sorelle. Non si voltarono, nonostante Alice, quantomeno, sapesse che stavo lì in piedi nel fitto della foresta che costeggiava il selciato. Aspettai che nessuno potesse vedermi, e poi uscii da in mezzo agli alberi camminando disinvolto nello spiazzo pieno di macchine parcheggiate. Ascoltai il pick-up il  pick-up   di Bella che svoltava l’angolo rimbombando, e mi fermai di etro una Suburban, da dove potevo guardare senza essere visto. Entrò nello spiazzo, lanciando un lungo sguardo truce alla mia Volvo prima di  parcheggiare  parcheg giare in uno degli spazi più lontani, con in viso un’aria minacciosa.  minacciosa.  

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Era strano ricordare che probabilmente era ancora arrabbiata con me, e per delle  buone ragioni. Volevo ridere di me stesso  –   o prendermi a calci. Tutto quel mio tramare e  pianificare era completamente inutile se non ricambiava il mio interesse, o no? Il suo sogno poteva essere stato su una qualunque cosa del tutto casuale. Ero un tale stupido arrogante. Beh, era davvero molto meglio per lei se non s’interessava a me. Il che non mi avrebbe impedito di non darle tregua, ma nel perseguitarla l’avrei messa lealmente sull’avviso. Glielo Glielo dovevo. Avanzai silenziosamente, domandandomi quale fosse il modo migliore di abbordarla. Mi semplificò le cose. Mentre scendeva, la chiave del  pick-up  pick-up le  le era scivolata tra le dita, ed era caduta in una profonda pozzanghera. Si era chinata, ma l’anticipai, recuperandola prima che fosse costretta a mettere le dita nell’acqua gelida.  gelida.  Mi appoggiai con le spalle al pick-up al  pick-up mentre  mentre mi fissava e poi si raddrizzava. “Come riesci a farlo a farlo?” ?” domandò.  domandò.  Si, era ancora arrabbiata. Le offrii la chiave. “Fare cosa?”  cosa?”  Lei allungò la mano, e lasciai cadere la chiave nel suo palmo. Respirai a fondo, ingoiando il suo profumo. “Apparire dal nulla”, specificò.  specificò.   “Bella, non è colpa mia se sei eccezionalmente distratta”. Le parole erano iron iche, quasi uno scherzo. Esisteva qualcosa che potesse sfuggirle? Riusciva a sentire la mia voce avvilupparsi attorno al suo nome come una carezza? Mi fissò, fissò, con l’aria di non a pprezzare il mio umorismo. Il battito del suo s uo cuore era accelerato –  accelerato  –  per  per rabbia? Per paura? Un attimo dopo, abbassò lo sguardo. “Perché l’ingorgo ieri sera?” chiese senza incrociare i miei occhi. “Pensavo avessi deciso di fingere che non esisto, non d’irritarmi a morte”.  morte”.   Ancora molto arrabbiata. Sistemare le cose con lei mi sarebbe costato qualche sforzo. Mi ricordai di aver deciso di essere onesto… onesto…   “Per il bene di Tyler, non per il mio. Dovevo dargli la sua occasione”. E poi

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scoppiai a ridere. Non riuscii a trattenermi, ripensando alla sua espressione di ieri. “Tu –” rantolò, per poi interrompersi, all’apparenza troppo furiosa per riuscire a concludere. Eccola là  –   la stessa espressione. Soffocai un’altra risata. Era già sufficientemente in collera. “E non sto fingendo che non esisti” terminai. La cosa più giusta da fare era mantenere un tono disinvolto, canzonatorio. Non avrebbe capito se le avessi fatto vedere come mi sentivo davvero. L’avrei spaventata. Dovevo Dovevo tenere i miei sentimenti sotto scacco, andarci piano… piano…   “Perciò  stai  stai   cercando d’irritarmi a morte? Siccome il furgoncino di Tyler non c’è riuscito?” riu scito?”   Mi colse un improvviso accesso di rabbia. Poteva onestamente pensare una cosa del genere?  Non avevo ragione di sentirmi tanto insultato  –   non sapeva della trasformazione intervenuta durante la notte. Ma ero ugualmente arrabbiato. “Bella, sei completamente assurda”, schioccai.  schioccai.   Il suo viso avvampò, e mi voltò le spalle. Cominciò ad allontanarsi. Rimorso. Non avevo alcun diritto di arrabbiarmi. “Aspetta” la implorai.  implorai.  Lei non si fermò, perciò le andai dietro. “Scusa, sono stato sgarbato. Non dico che non sia vero” –   era era assurdo  assurdo immaginare che volessi che si facesse male in qualche modo  –  “ma in ogni caso è stato maleducato maleduc ato da  parte mia dir telo”.  telo”.  “Perché non mi lasci in pace?”  pace?”   Credimi,, volevo dire. Ci ho provato. Credimi provato. Oh, e anche, sono terribilmente innamorato di te. te. Vacci piano. piano. “Volevo chiederti una cosa, ma mi hai distratto”. Mi era appena venuta in mente una linea di condotta, e mi misi a ridere. “Soffri di un disturbo da personalità multipla?” chiese. chiese.   Doveva sembrare così. Il mio umore era mutevole, tante erano le nuove emozioni che mi si rincorrevano dentro. “Lo stai facendo di nuovo”, puntualizzai.  puntualizzai. 

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Lei sospirò. “Va bene allora. Cosa volevi chiedermi?”  chiedermi?”   “Mi stavo domandando se, tra una settimana a partire da sabato…” osservai lo  shock   attraversarle il viso, e soffocai un’altra risata. “Sai, il giorno del ballo di primavera primavera –”  –”   Mi aveva interrotto, restituendo finalmente i suoi occhi ai miei. “Stai cercando di fare lo spir itoso?”  itoso?”  Si. “Mi faresti finire?”  finire?”  Aspettava in silenzio, con i denti premuti sul morbido labbro inferiore. Per un attimo quella vista mi fece distrarre. Delle reazioni strane e sconosciute si aggiungevano mescolandosi al profondo nucleo della mia umanità dimenticata. Cercai di scrollarmele di dosso, così da poter interpretare il mio ruolo. “Ti ho sentita dire che intendi andare a Seattle quel giorno, e mi stavo domando se vorresti un passaggio?” offrii. Mi ero reso conto con to che avrei potuto fare di meglio che limitarmi a domandarle dei suoi piani, avrei potuto condividerli condividerli.. Mi fissava perplessa. “Cosa?”  “Cosa?”   “Lo vuoi un passaggio per Seattle?”. Da solo in macchina con lei –   la mia gola avvampò al pensiero. Respirai a fondo. Facci fondo. Facci l’abitudine. l’abitudine. “Da chi?” chiese, con gli occhi sgranati e di nuovo sconcertati. sconcertati.   “Da me, ovviamente”, dissi lentamente.  lentamente.   “Perché?”   “Perché?” Era davvero così scioccante che potessi desiderare la sua compagnia? Doveva aver attribuito il peggior significato possibile al mio comportamento passato. “Beh”, dissi, con quanta più indifferenza potevo, “stavo programmando di andare a Seattle nelle prossime settimane e, ad essere onesti, non credo che il tuo  pick-up  pick-up   possa far cela”. cela”. Par eva eva più prudente canzonarla piuttosto che permettermi di essere serio. “Il mio  pick-up  pick-up   va alla grande, grazie molte per l’interessamento”, disse con voce  parimenti sorpresa. Aveva ricominciato a camminare. Io mantenevo il suo passo.  Non aveva detto veramente di no, no, perciò sfruttai quel vantaggio. Avrebbe detto no? E se lo avesse fatto? “Ma il tuo pick-up tuo pick-up   può può farcela con un solo pieno?”  pieno?”  “Non vedo come la cosa possa riguardarti”, borbottò. bo rbottò.  Neanche quello era un no. Ed il suo cuore stava battendo di nuovo più velocemente, ed il suo respiro stava accelerando.

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“Lo spreco delle risorse non rinnovabili è una questione che riguarda tutti”.  tutti”.   “Francamente, Edward, Edward, non riesco a seguirti. Pensavo che non volessi essere mio amico”. ami co”.   Un brivido mi aveva attraversato quando aveva detto il mio nome. Come potevo andarci piano ed essere onesto allo stesso tempo? Beh, era molto più importante essere onesto. Specialmente su questo punto. “Ho detto che sarebbe stato meglio se non fossimo diventati amici, non che non vo volevo levo che lo fossimo”.  fossimo”.  “Oh, grazie, ora è tutto tutto  più  più chiaro”, disse sarcasticamente.  sarcasticamente.  Si era fermata sotto la tettoia sporgente della mensa, ed aveva incrociato il mio sguardo. I suoi battiti erano tachicardici. Era spaventata? Scelsi le parole con cura. No, non potevo lasciarla, ma forse lei sarebbe stata abbastanza intelligente da starmi lontana, prima che fosse troppo tardi. “Sarebbe più… prudente  prudente   per per te non essermi amica”. Fissando le limpide profondità profondità cioccolato dei suoi occhi, dimenticai che dovevo andarci piano. “Ma sono stanco di cercare cerca re di starti lontano, Bella”. Le parole bruciavano con mo molto, lto, troppo fervore. Le si era bloccato il respiro ed il secondo che impiegò a ripartire mi fece  preoccupare.  preoccupa re. Quanto l’avevo spaventata? Beh, l’avrei scoperto.  scoperto.   “Verrai a Seattle con me?” domandai, a bruciapelo.  bruciapelo.   Lei annuì, con il cuore che le batteva all’impazzata.  all’impazzata.   Si. Si. Aveva detto di si a me me.. E poi la coscienza mi castigò. Quanto le sarebbe costato? “Dovresti veramente starmi lontana”, l’avvisai. Mi aveva sentito? Avrebbe fuggito fugg ito il futuro con cui la l a stavo minacciando? C’era niente che potessi fare per salvarla da me me?? Vacci piano, piano, urlai a me stesso. “Ci vediamo in classe”.  classe”.  Dovevo concentrarmi per impedirmi di correre mentre mi dileguavo.

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6. Gruppo sanguigno

La seguii tutto il giorno attraverso gli occhi degli altri, a malapena consapevole di quel che circondava me.  Non con gli occhi di Mike Newton, perché non potevo più tollerarne le ripugnanti fantasie, né con quelli di Jessica Stanley, perché il suo risentimento nei confronti di Bella mi faceva arrabbiare in maniera affatto sana per quella ragazza meschina. Angela Weber era un’ottima scelta quando i suoi occhi erano disponibili; era gentile –  la  la sua mente era un  posto tranquillo in cui stare. E poi qualche volta erano gli insegnanti che mi fornivano la visuale migliore. Mi sorprese, vedendola incespicare tutto il giorno  –  inciampava   inciampava sulle fenditure del marciapiede, sui libri lasciati in giro e, più spesso, nei suoi stessi piedi  –  che   che la gente che spiavo pensasse che Bella fosse maldestra maldestra.. Considerai la cosa. Era vero che aveva spesso dei problemi a restare diritta. Ricordai che era inciampata nel tavolo il primo giorno, che era scivolata sul ghiaccio prima dell’incidente, che era incespicata sul bordo bordo inferiore dell’intelaiatura della porta ieri…Che ieri…Che strano, avevano ragione. Era ragione. Era maldestra.  maldestra.  Non sapevo perché trovassi la cosa tanto divertente, ma scoppiai in una fragorosa risata mentre andavo dalla lezione di storia americana a quella d’inglese , e diverse persone mi lanciarono delle occhiate diffidenti. Come avevo fatto a non accorgermene prima? For ssee perché c’era qualcosa di molto grazioso nella sua immobilità, il modo in cui teneva la testa, testa, l’arco del suo collo…  collo…   Non c’era niente di grazioso in lei ora. Il Signor Varner la osservava mentre la punta dello stivale le s’impigliava nel tappeto e caracollava letteralmente letteralmente sulla sedia. Scoppiai nuovamente a ridere. Il tempo scorreva incredibilmente lento mentre aspettavo di avere l’occasione di vederla con i miei occhi. Finalmente, la campanella suonò. Mi avviai a grandi passi verso la mensa, per assicurarmi un posto. Giunsi lì tra i primi. Scelsi un tavolo che normalmente rimaneva vuoto, ed era certo che sarebbe rimasto tale con me seduto qui. Quando i miei familiari entrarono e mi videro seduto da solo in un posto nuovo, non si sorpresero. Alice doveva averli avvertiti.

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Rosalie mi superò camminando impettita senza nemmeno guardarmi.  Idiota..  Idiota Rosalie ed io non avevamo mai avuto un rapporto facile  –   l’avevo offesa la prima volta che mi aveva veramente sentito parlare, e da allora era stata tutta una salita  –  ma   ma in questi ultimi giorni pareva addirittura ancor più irritabile del solito. Sospirai. Rosalie faceva si che tutto girasse intorno a lei. Jasper mi fece un mezzo sorriso mentre mi passava accanto.  Buona fortuna, fortuna, pensò con aria scettica. Emmett roteò gli occhi e scosse la testa.  Ha perso la ragione, povero ragazzo. ragazzo. Alice era raggiante, i suoi denti splendevano troppo vividi.  Posso parlare con Bella adesso?? “Stanne fuori”, le dissi a bassa voce.  voce.    Bene. Tieni duro. E’ solo una una questione di tempo. tempo. Sospirai ancora.  Non dimenticarti dell’esercitazione odierna di biologia, biologia, mi ricordò. Feci cenno di si col capo. No, non l’avevo dimenticato.  dimenticato.   Mentre aspettavo l’arrivo di Bella, la seguivo con gli occhi di una matricola che stava giungendo a mensa alle spalle di Jessica. Jessica blaterava del ballo imminente, ma Bella non rispondeva alcunché. Non che Jessica gliene desse granché granché l’occasione.  l’occasione.   Nel momento in cui Bella attraversò la porta, i suoi occhi guizzarono in direzione del tavolo al quale erano seduti i miei fratelli e le mie sorelle. Rimase a guardare per un momento, e poi la sua fronte si aggrottò ed i suoi occhi si abbassarono sul pavimento. Non mi aveva notato qui. Sembrava così…triste così…triste.. Fui preso dalla smania di alzarmi e di mettermi al suo fianco, per confortarla in qualche modo, solo che non sapevo cos’ cos ’avrebbe trovato consolante. consolan te. Non avevo idea del perché avesse quell’espressione. Jessica continuava a cianciare del ballo. Bella era infelice perché se lo sarebbe perso? Non sembrava verosimile… verosimi le…   Ma si poteva rimediare, se lo desiderava. Si comprò una bibita per pranzo e null’altro. Era una cosa giusta? Non aveva  bisogno di nutrirsi più di così? Non avevo mai fatto f atto molto caso al regime alimentare a limentare di un

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umano prima di allora. Gli umani erano così esasperatamente fragili! C’erano milioni di cose di cui  preoccuparsi…  preoc cuparsi…   “Edward Cullen ti sta fissando di nuovo”, sentii dire a Jessica. “Chissà perché o ggi se ne sta seduto da da solo?”  solo?”  Ero grato a Jessica  –   sebbene adesso fosse anche più risentita  –   perché la testa di Bella si era sollevata di scatto ed i suoi occhi cercarono finché non incontrarono i miei.  Non c’era più alcuna alc una traccia t raccia di tristezza sul suo vi viso so adesso. Mi permisi di sperare che si fosse rattristata pensando che fossi uscito prima da scuola, e quella speranza mi fece sorridere. Con il dito le feci cenno di raggiungermi. Ne sembrava talmente sorpresa che avevo voglia di canzonarla ancora. Perciò le strizzai l’occhio, e le si spalancò la bocca.  bocca.   “Ce l’ha con te?” te?” chiese Jessica in modo sgarbato.  sgarbato.  “Forse ha bisogno di aiuto per il compito di biologia”, disse a voce bassa ed incerta. ince rta. “Umm, meglio che vada a sentire cosa vuole”.  vuole”.   Questo era un altro si. Incespicò un paio di volte nel raggiungermi al tavolo, malgrado sul cammino non ci fosse null’altro che il linoleum linoleum   perfettamente liscio. Seriamente, come avevo avevo   fatto a non accorgermene prima? Avevo dedicato maggiore attenzione ai suoi pensieri silenziosi, sup posi… Che altro mi ero perso?  perso?  Comportati bene, vacci piano, piano, cantilenavo tra me. Si era fermata alle spalle della sedia di fronte a me, esitante. Inspirai a fondo, dal naso questa volta invece che dalla bocca. Senti come brucia, brucia, pensai sarcasticamente. “Perché non ti siedi con me oggi?” le chiesi.  chiesi.   Scostò la sedia e si mise seduta, fissandomi per tutto il tempo. Sembrava nervosa, ma quel consenso materiale era ancora un altro alt ro si. Aspettavo che parlasse. Le ci volle qualche momento, ma alla fine disse “Così è diverso”. diverso”.   “Beh…” esitavo. “Ho deciso che poiché me ne andrò comunque all’inferno, tanto vale che mi goda il viaggio”. viaggio”.  

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Perché avevo detto una cosa del genere? Quantomeno, era onesta. E forse avrebbe ascoltato l’avvertimento affatto sottile implicito nelle mie parole. Forse si sarebbe resa conto che avrebbe fatto meglio ad alzarsi ed andarsene andars ene quanto più in fretta possibile… possibi le…    Non si alzò. Mi fissava con aria interrogativa, attendente, come se avessi lasciato la frase in sospeso. “Sai che non ho la benché minima idea di cosa intendi”, disse quando non continuai. continuai. Era un sollievo. Sorrisi. “Lo so”.  so”.  Era difficile ignorare i pensieri che mi urlavano contro da dietro le sue spalle  –   e comunque volevo cambiare discorso. “Mi sa che i tuoi amici ce l’hanno con me perché ti ho rapita”.   Questo non sembrò preoccuparla. sembrò preoccuparla. “Sopravvivranno”.  “Sopravvivranno”.  “Potrei non avere voglia di lasciarti andare, però”. Non sapevo nemmeno se stavo cercando di essere sincero, adesso, o se stavo solamente tentando di canzonarla ancora. Starle vicino rendeva difficile dare un senso ai miei stessi pensieri. Bella deglutì rumorosamente. Risi della sua espressione. “Sembri preoccupata”.  Non avrebbe dovuto  dovuto  essere veramente divertente. Avrebbe dovuto preoccuparla. “No”. Era una pessima bugiarda; il  picco nella sua voce non migliorava le cose. “Sorpresa, a dire il vero… Che ti è preso?”  preso?”  “Te l’ho detto”, le ricordai. “Mi sono stancato di cercare di starti lontano. Quindi ci rinuncio”. Mi dovevo sforzare non poco per continuare a sorridere. Non sta va funzionando  per niente –  niente –  tentare  tentare di essere onesto e disinvolto allo stesso tempo. “Rinunci?” ripeté, confusa.  confusa.  “Si –  rinuncio a cercare di fare il bravo”. E, apparentemente, stavo pure rinunciando rinunciando a tentare di fare il disinvolto. “D’ora “D’o ra in poi intendo fare solo quello che mi va, e lasciare il resto al caso”. Questo era abbastanza onesto. Lasciarle vedere il mio egoismo. Lasciare che la mettesse in guardia, anche. “Di nuovo non ti seguo”.  seguo”.   Ero egoista quanto bastava per per rallegrarmi che fosse così. “Mi lascio sempre sfuggire troppe cose quando parlo con te –  te –  questo è uno dei problemi”.  problemi”.  Un problema piuttosto insignificante, paragonato al resto.

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“Non temere”, mi rassicurò. “Non ne capisco nessuna”.  nessuna”.   Bene. Allora sarebbe rimasta. “Ci conto”.  conto”.   “Quindi, per dirla in maniera comprensibile, adesso siamo amici?”  amici?”  Ci pensai sopra un istante. “Amici…” ripetei. Non mi piaceva come suonava. Non era abbastanza. “O no?”, biascicò, biascicò, apparentemente imbarazzata. Pensava di non piacermi fino a quel punto? Sorrisi. “Beh, possiamo provarci, suppongo. Ma ti avverto sin d’ora che non sono  buono per esserti amico”.  amico”.  Aspettavo la sua risposta, lacerato in due  –   desiderando che finalmente mi ascoltasse ascoltas se e capisse, pensando che sarei potuto morire se l’avesse fatto. Quant’ero melodrammatico. Mi stavo trasformando in un tale essere umano. Il suo cuore batteva più veloce. “Continui a ripeterlo”.  ripeterlo”.   “Si, perché non mi stai a sentire”, dissi, di nuovo con un fervore eccessivo. “Sto an ancora cora aspettando che tu te ne convinca. Se sei se i furba, mi girerai a largo”. largo”.   Ah, ma gliel’avrei permesso, se ci avesse provato?  provato?  I suoi occhi erano diventati due fessure. “Penso tu abbia chiarito la tua opinione an anche che riguardo alla mia intelligenza”.  intelligenza”.   Non ero del tutto sicuro di cosa intendesse, ma per scusarmi scus armi le sorrisi, immaginando immagi nando di averla offesa senza volerlo. “Perciò”, disse lentamente, “Fintanto che non…mi faccio furba, proveremo ad essere esse re amici?”.  amici?”.  “Si direbbe che siamo d’accordo”.  d’accordo”.   Abbassò lo sguardo, fissando assorta la bottiglia di limonata che aveva tra le mani. La solita curiosità mi tormentò. “A cosa stai pensando?” le chiesi –   era un sollievo pronunciare le parole ad alta voce finalmente. Incrociò il mio sguardo, ed il suo respiro accelerò e le sue guance si colorarono leggermente leg germente di rosa. Inalai, assaporandone il gusto nell’aria.  nell’aria.   “Sto cercando di capire cosa sei”.  sei”.  Serrai i lineamenti del viso trattenendo il sorriso, mentre il panico mi attanagliava il corpo.

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Ovviamente se lo stava chiedendo. Non era stupida. Non potevo sperare che potesse essere tanto miope di fronte a qualcosa di così evidente. “E stai facendo progressi?” le chiesi con quanta più leggerezza potevo.   “Non molti”, ammise.  ammise.  Ridacchiai per il sollievo improvviso. “Quali sono le tue teorie?”  teorie?”    Non potevano essere peggiori della verità, qualunque qualunque cosa avesse escogitato. Le sue guance diventarono di un rosso brillante, e non disse niente. Nell’aria riuscivo a percepire il calore del suo rossore. Tentai con il mio tono persuasivo. Funzionava bene con gli umani normali. “Non me lo diresti?” sorrisi incoraggiante.  incoraggiante.   Scosse il capo. “Troppo imbarazzante”.  imbarazzante”.  Ugh. Non sapere era peggio di qualunque altra cosa. Perché le sue ipotesi avrebbero dovuto imbarazzare lei? lei? Non sopportavo di non sapere. “E’ davvero davvero  frustrante, lo sai”.  sai”.  Il mio reclamo aveva scatenato qualcosa dentro di lei. I suoi occhi lampeggiarono e le sue parole fluirono più in fretta del solito. “No, proprio non immagino immagino   perché dovrebbe essere frustrante  –   solo perché qualcuno si rifiuta di dirti a cosa sta pensando, nonostante tutto il tempo gli vengano fatte sottili osservazioni criptiche appositamente studiate per tenerlo sveglio a domandarsi cosa  possano eventualmente significare…vediamo, significare…vediamo, perché dovrebbe essere frustrante?”  frustrante?”  La guardai corrucciato, turbato nel rendermi conto che aveva ragione. Non mi stavo comportando lealmente. Lei continuò. “O meglio, diciamo che una certa persona abbia anche fatto una vasta v asta gamma di cose bizzarre –  bizzarre –   dal dal salvarti la vita in circostanze impossibili un giorno al trattarti come un paria il giorno dopo, e che non ne abbia mai spiegata nessuna, malgrado avesse  promesso. Anche questo sarebbe davvero davvero non non-frustrante”. frustrante”.   Era il discorso più lungo che le avessi mai sentito fare, e mi fornì una nuova qualità da aggiungere alla mia lista. “Sei piuttosto in collera, non è vero?”  vero?”   “Non mi piace che si usino due pesi e due misure”.  misure”.   Ovviamente, la sua irritazione era completamente giustificata. Fissavo Bella, chiedendomi come avrei mai potuto fare qualcosa di giusto accanto a

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lei, quando il grido silenzioso nella testa di Mike Newton mi fece distrarre. Era talmente adirato che mi fece ridere. “Che c’è?” domandò.  domandò.  “Il tuo amichetto sembra pensare che mi stia comportando male con te –   è combattuto combattu to tra il venire o meno ad interrompere la nostra lite”. Mi sarebbe piaciuto tantissimo vederlo provarci. Risi di nuovo. “Non so a chi ti riferisci”, disse con voce gelida. “Ma sono comunque sicura che ti sbagli”.   sbagli”. Apprezzai moltissimo il modo in cui l’aveva liquidato con quella frase sbrigativa. sbrigat iva. “Non mi sbaglio. Te l’ho detto, per lo più le persone sono son o facili da leggere”. leggere”.   “Non io, ovviamente”  ovviamente”  “No. Tu no”. Doveva fare eccezione a tutto? Non sarebbe stato più giusto –   considerando tutto quanto mi dovevo già occupare  –   se avessi potuto sentire almeno qualcosa di qualcosa  di ciò che aveva in mente? Era chiedere troppo? “Chissà perché è così?”  così?”   Guardai fisso nei suoi occhi, riprovandoci…  riprovandoci…  Distolse lo sguardo. Aprì la sua limonata e bevve un rapido sorso, tenendo gli occhi sul tavolo. “Non hai fame?” le chiesi.  chiesi.  “No”. Osservò il tavolo vuoto che ci separava. “Tu?”  “Tu?”   “No, non ho fame”, dissi. Senza alcun dubbio non ne avevo. avevo.   Fissò il tavolo sporgendo le labbra. Aspettai. “Potresti farmi un favore?” chiese, tornando d’improvviso ad incrociare incrocia re il mio sguardo. Cos’avrebbe voluto da me? Mi avrebbe chiesta la verità che non potevo dirle –   la verità che non avrei mai, mai voluto che sapesse? “Dipende da quello che vuoi”.  vuoi”.  “Non molto”, promise.  promise.  Aspettavo, nuovamente incuriosito. “Mi stavo solo chiedendo…” parlava lentamente, fissando la bottiglia di limonata, tracciandone il bordo con il mignolino. “Se potessi “Se  potessi avvisarmi in anticipo la prossima volta che deciderai deciderai d’ignorarmi per il mio bene?  bene?  Tanto per essere preparata”.  preparata”.  Voleva un preavviso? Allora essere ignorata da me doveva essere una brutta cosa

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 per lei… Sorrisi.  Sorrisi.  “Mi pare giusto”, concordai.  concordai.  “Grazie”, disse, alzando lo sguardo. La sua espressione era talmente sollevata che volevo ridere sollevato io stesso. “Allora posso averne uno in cambio?” chiesi ottimista.  ottimista.   “Uno” concesse.  concesse.  “Dimmi una una  tua teoria”.  teoria”.  Era avvampata. “Quello no”.  no”.  “Non hai specificato, hai solo promesso una risposta” le feci notare.   “E tu stesso hai infranto una promessa”, mi fece notare lei di rimando. rimando.   Mi aveva colto in fallo. “Solo una teoria –  non riderò”.  riderò”.  “Si, lo farai”. Pareva esserne molto sicura, sebbene sebbene non riuscissi ad immaginare cos’avrei potuto trovarci di divertente.  divertente.   Tentai di persuaderla in un altro modo. La fissai profondamente negli occhi  –  una   una cosa facile da fare, con degli occhi tanto profondi –  profondi  –  e sussurrai, “Per favore?”  favore?”  Aveva battuto le palpebre ed il suo viso era sbiancato. Beh, non era esattamente la reazione che avevo cercato di ottenere. “Ehm, cosa?” chiese. Sembrava stordita. Cosa c’era che non andava in lei?   Ma non mi ero ancora arreso. “Per favore, dimmi soltanto una piccola teoria”, la pregavo con la mia voce morbida, non terrificante, tenendo i suoi occhi nei miei. Con mia sorpresa e soddisfazione, alla fine funzionò. “Uhm, allora, ti ha morso un ragno radioattivo?”  radioattivo?”   Fumetti? Non c’era da stupirsi se aveva pensato pensat o che mi sarei messo a ridere.  ridere.  “Non è molto creativo”, la rimproverai, cercando di nascondere il mio ennesimo sollievo. “Spiacente, è tutto quello che sono riuscita ad escogitare”, disse, offesa.  offesa.  Il che mi rese ancor più sollevato. Ero di nuovo in grado di canzonarla. “Non ci sei neanche vicina”.  vicina”.   “Niente ragni?”  ragni?”  “Naaa”.   “Naaa”.

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“E nessuna radioattività?”  radioattività?”  “Nessuna”.   “Nessuna”. “Accidenti”, sospirò.  sospirò.  “E neppure la Kryptonite mi fa niente”, dissi in fretta –  prima  prima che potesse chiedermi di qualche altro morso morso   –  –   ee poi non potei non ridere, perché pensava che fossi foss i un supereroe. “Non ti è permesso ridere, ricordi?”  ricordi?”  Strinsi le labbra. “Un giorno o l’altro riuscirò a capirlo”, promise.  promise.   E quando ci fosse riuscita, sarebbe scappata. “Vorrei che non tentassi” dissi, tutto lo scherno se n’era andato.   “Perché…?”   “Perché…?” Le dovevo onestà. Tuttavia, cercai di sorridere, per far sembrare le mie parole meno minacciose. “E se non fossi un supereroe? E se fossi il cattivo?”   Spalancò gli occhi di una frazione e socchiuse appena le labbra. “Oh”, disse. E poi, dopo un altro secondo, “Capi “Capisco”. sco”.   Finalmente mi aveva ascoltato. “Davvero?” chiesi, faticando a nascondere la mia agonia.  agonia.   “Sei pericoloso?” indovinò. La sua respirazione accelerò, ed il suo cuore comi nciò a  battere forte.  Non potevo risponderle. Era questo il mio ultimo momento con lei? Sarebbe scappata scappa ta via adesso? Potevo concedermi di dirle che l’amavo prima che se ne anda sse? O questo l’avrebbe spaventata ancora di più?  più?   “Ma non cattivo”, sussurrò, scuotendo la testa, te sta, senza alcuna paura negli occhi lim pidi. “No, non credo che tu sia cattivo”.  cattivo”.  “Ti sbagli”, esalai.  esalai.  Certo che ero cattivo. Non stavo gioendo, adesso, perché aveva di me un’opinione migliore di quella che meritassi? Se fossi stato una persona buona, le sarei girato al largo. Allungai la mano sul tavolo, cercando di raggiungere il tappo della sua limonata come pretesto. Non rifuggì l’improvvisa vicinanza della mia mano. Davvero non aveva  paura di me. Non ancora. Invece di guardarla, osservavo il tappo che facevo girare come una trottola. I miei  pensieri erano finiti in un ingorgo.

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Scappa, Bella, scappa. scappa. Non potevo indurmi a dire quelle parole ad alta voce. Scattò in piedi. “Faremo tardi”, disse, pro prio pro prio mentre cominciavo a temere che in qualche modo avesse ascoltato il mio avvertimento muto. “Non vengo a lezione”.  lezione”.   “Perché no?”  no?”   Perché non voglio ucciderti. ucciderti. “Fa bene alla salute saltare le lezioni ogni tan ta nto”. to”.   Ad essere precisi, faceva più bene agli esseri umani se i vampiri saltavano le lezioni i giorni in cui il loro sangue veniva spillato. Il Signor Banner oggi aveva in programma la lezione sui gruppi sanguigni. Alice aveva già saltato la sua lezione quella mattina. “Beh, io vado”, disse. Non mi sorprese. Era responsabile –   faceva sempre la cosa giusta. Era il mio opposto. “Ci vediamo più tardi, allora”, dissi, cercando ancora di apparire disinvolto, fissando ostinato il tappo che girava.  E, a proposito, ti adoro…in modi spaventosi e  pericolosi..  pericolosi Lei esitò, e malgrado tutto per un momento sperai che sarebbe rimasta con me. Ma la campanella suonò e lei era corsa via. Aspettai finché non se ne fu andata, e poi m’infilai m’infil ai il tappo nella tasca –  tasca –  un souvenir   un souvenir   di questa conversazione molto significativa  –   e camminai nella pioggia fino alla mia macchina. Misi su il mio CD rilassante preferito  –   lo stesso che avevo ascoltato quel primo giorno –  giorno  –  ma   ma non sentii le note di Debussy a lungo. Altre note mi attraversarono la mente, il frammento frammento di una melodia che mi piaceva e m’intrigava. Abbassai il v olume dello stereo ed ascoltai la musica nella mia testa, giocando con quel frammento finché non evolse in una melodia melodia più compiuta. Istintivamente, le mie dita si mossero nell’aria sopra la tasti era immaginaria di un pianoforte. La nuova composizione stava davvero facendo progressi quando la mia attenzione fu catturata da un’ondata di tormento mentale.  mentale.   Mi rivolsi verso quell’angoscia.  quell’angoscia.  Sta per perdere i sensi? Che devo fare? Mike fare?  Mike era nel panico. A una novantina di metri di distanza, Mike Newton stava poggiando l’inerme corpo di Bella sul marciapiede. Lei era crollata senza alcuna reazione sul calcestruzzo bagnato,

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con gli occhi chiusi e la pelle di un gessoso bianco cadaverico. Quasi sfondai la portiera della macchina. “Bella?” strillai.  strillai.   Niente cambiò sul suo viso esanime quando gridai gridai il suo nome. Il mio intero corpo diventò più freddo del ghiaccio. Mi resi conto dello stupore irritato di Mike mentre rovistavo furiosamente nei suoi  pensieri. Pensava soltanto alla collera che provava per me, perciò non sapevo cosa non andasse in Bella. Se in qualche modo le aveva fatto del male, mal e, l’avrei annie annientato. ntato. “Che c’è che non va –   è ferita?” domandai perentorio, cercando di mettere a fuoco fu oco i suoi pensieri. Era esasperante dover tenere un’andatura umana. Non dovevo richiamare l’attenzione l’atte nzione sul modo in cui mi avvicinavo. Poi riuscii a sentire il battito del suo cuore ed il suo respiro regolare. Mentre la guardavo, strinse ancora più forte gli occhi già chiusi. Il che attenuò in parte il mio panico. p anico. Intravidi un baluginio baluginio di ricordi nella mente di Mike, uno spruzzo d’immagini dell’aula di biologia. La testa di Bella china sul nostro tavolo, la sua pelle diafana che diventava ver dognola. dognola. Gocce di rosso sui cartoncini bianchi…  bianchi…   Analisi del gruppo sanguigno. Mi fermai dov’ero, trattenendo il respiro. Il suo profumo era una cosa, il suo sa ngue che fluiva era una cosa completamente diversa. “Credo che sia svenuta”, disse Mike, ansioso e risentito allo stesso tempo. “Non so cosa sia successo, non si è nemmeno punta il dito”.  dito”.  Il sollievo m’invase, e ricominciai a respirare, saggiando l’aria. Ah, potevo odor are are la minuscola perdita della puntura di Mike Newton. Un tempo, avrebbe potuto tentarmi. M’inginocchiai accanto a lei mentr e Mike mi si parava vicino, furioso per la mia intromissione. “Bella. Puoi sentirmi?”  sentirmi?”  “No”, si lagnò. “Vai via”.  via”.   Il sollievo fu così intenso che mi misi a ridere. Stava bene. “La stavo portando in infermeria”, disse Mike. “Ma non ha voluto proseguire ol o ltre”. tre”.   “Ce la porto io. Tu puoi tornartene in classe”, dissi in tono sbrigativo.  sbrigativo.   I denti di Mike si serrarono. “No. Ci si aspetta aspet ta che sia io a farl farlo”. o”.    Non intendevo restare a discutere con quel miserabile.

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Emozionato e terrorizzato, per metà grato e per metà afflitto da quella situazione difficile che rendeva il toccarla una necessità, sollevai delicatamente Bella dal marciapiede e la tenni tra le mie braccia, toccandone solo i vestiti, e mettendo quanta più distanza mi fosse possibile tra i nostri corpi. Contestualmente, stavo già camminando speditamente, nella fretta di saperla salva –  salva –  lontana  lontana da me, in altre parole. I suoi occhi si spalancarono di colpo, meravigliati. “Mettimi giù”, mi ordinò con voce fioca –  nuovamente  nuovamente imbarazzata, indovinai dalla sua espressione. Non le piaceva mostrarsi debole. A malapena riuscivo a sentire le urla di protesta di Mike alle nostre spalle. “Hai un aspetto tremendo”, le dissi, spalancando il sorriso perché non c’era niente che non andasse in lei salvo una mente sconclusionata ed uno stomaco debole. “Rimettimi sul marciapiede”, disse. Le sue labbra erano bianche.  bianche.   “E così svieni alla vista del sangue?”. Poteva essere più ironico?   Lei chiuse gli occhi e serrò le labbra. “E nemmeno del tuo sangue”, aggiunsi, aprendo di più il sorriso.  sorriso.   Eravamo davanti alla segreteria. La porta era appena accostata, e le diedi un calcio  per aprirla. La Signorina Cope fece un salto, allarmata. “Oh, mio”, ansimò mentre esaminava la ragazza cinerea tra le mie braccia. “Si è sentita mancare a biologia”, spiegai, prima che la sua immaginazione pote sse sfuggirle un pò troppo di mano. La Signorina Cope corse ad aprire la porta dell’infermeria. Gli occhi di Bella er ano ano di nuovo aperti, e la osservavano. Ascoltai lo stupore interiore dell’anziana infermiera mentre adagiavo delicatamente Bella sull’unico lettino malconcio. mal concio. Non appena fu libera dalle mie braccia, misi l’intera larghezza della stanza a separarci. Il mio corpo era troppo eccitato, troppo affamato, i miei muscoli si erano tesi ed il veleno scorreva. Lei era così calda e profumata. “E’ solo un pò debole”, rassicurai la Signora Hammond. “Stanno facendo lezione sui gruppi sanguigni a biologia”.  biologia”.   Lei annuì, benevola adesso. “Ce n’è sempre uno”.  uno”.  Soffocai una risata. Potevo contarci che quell’uno sarebbe stata Bella.   “Resta sdraiata soltanto un minuto, cara”, disse la Signora Hammond. “Passe “Pass erà”. rà”.  

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“Lo so”, disse Bella.  Bella.  “Ti succede spesso?” chiese l’infermiera.  l’infermiera.   “Qualche volta”, ammise Bella.  Bella.   Cercai di camuffare la mia risata tossendo. Il che mi riportò all’attenzione dell’infermiera. “Puoi tornare in classe ora”, di sse. La guardai diritta negli occhi e mentii con impeccabile sicurezza. “Ci si aspetta che rimanga con lei”.  lei”.   Mmh. Mi domando…oh domando…oh insomma insomma.. La Signora Hammond annuì. Funzionava proprio bene con lei. Perché Bella doveva essere tanto complicata? “Vado a prendere del ghiaccio da metterti sulla fronte, cara”, disse l’infermiera, lievemente a disagio guardandomi negli occhi  –   così come un umano avrebbe dovuto  dovuto  sentirsi –  sentirsi  –  ed  ed uscì dalla stanza. “Avevi ragione”, biascicò Bella, chiudendo gli occhi.  occhi.  Cosa intendeva? Saltai alla conclusione peggiore: aveva accolto i miei avvertimenti. “Come al solito”, dissi, cercando di mantenere l’ilarità nella mia voce; suonava aspra ora. “Ma a proposito di cosa stavolta?”  stavolta?”  “Saltare le lezioni fa bene alla salute”, sospirò.  sospirò.  Ah, di nuovo il sollievo. Poi rimase in silenzio. Si limitava ad inspirare ed espirare lentamente. Le sue labbra stavano cominciando a diventare rosa. La sua bocca era lievemente sproporzionata, il labbro inferiore un pò troppo carnoso rispetto a quello superiore. Fissarne la bocca mi faceva sentire strano. Mi faceva venire voglia di andarle più vicino, che non era una buona idea. “Per un momento mi hai fatto paura là fuori”, dissi –  per  per rianimare la conversazione così che potessi sentire di nuovo la sua voce. “Ho pensato che Mike Newton stesse trascinando fuori il tuo corpo senza vita per seppellirlo nel bosco”.  bosco”.  “Ha, ha”, disse.  disse.  “Onestamente –   ho visto dei cadaveri con un colorito migliore”. Era del tutto vero. vero. “Ero preoccupato di dover vendicare la tua morte”. E l’avrei fatto.  fatto.   “Povero Mike”, sospirò. “Scommetto che è arrabbiatissimo”.  arrabbiatissimo”.   La furia mi pervase, ma riuscii a contenerla rapidamente. La sua preoccupazione era sicuramente dettata dalla compassione. compassione. Era gentile. Nient’altro.  Nient’altro. 

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“Mi detesta nella maniera più assoluta”, le dissi, rallegrato da quell’idea.  quell’idea.   “Questo non puoi saperlo”.  saperlo”.  “Ho visto la sua faccia –   si capiva”. Probabilmente era vero che leggerne il viso avrebbe potuto fornirmi abbastanza informazioni per fare quella particolare deduzione. Tutta questa questa pratica con Bella stava affinando la mia abilità d’interpretare le espressioni umane. “Come hai fatto a vedermi? Pensavo stessi saltando le lezioni”. Il suo viso aveva un aspetto migliore –  migliore –  il  il verde smorzato era svanito dalla sua pelle trasparente. “Ero in macchina, che ascoltavo un CD”.  CD”.   La sua espressione si era contratta, come se la mia risposta del tutto normale l’avesse in qualche qualche modo sorpresa. Aprì di nuovo gli occhi quando la Signora Hammond tornò con un impacco di ghiaccio. “Ecco qui, cara”, le disse l’infermiera poggiandolo sulla fronte di Bella. “Hai un aspetto migliore”.  migliore”.  “Penso di stare bene”, disse Bella, e si mise seduta mentre si toglieva l’impacco. Ovviamente. Non le piaceva che ci si prendesse cura di lei. Le mani rugose della Signora Hammond annasparono verso di lei, come per farla sdraiare di nuovo, ma proprio allora la Signorina Cope aprì la porta della segreteria e si sporse all’interno. Con la sua comparsa giunse  giunse   l’odore di sangue che stillava, solo una zaffata. Invisibile nell’ufficio alle sue spalle, Mike Newton era ancora molto arrabbiato, desiderando che il corpo pesante del ragazzo che trascinava ora fosse quello della ragazza che era qui dentro con me. “Ce n’è un altro”, disse la Signorina Cope.  Cope.   Bella saltò in fretta giù dal lettino, ansiosa di sottrarsi ai riflettori. “Ecco”, disse, restituendo l’impacco alla Signora Ha Hammond. “A me questo non ser ve”.  ve”.  Mike grugnì intanto che quasi spingeva Lee Stevens attraverso la porta. Il sangue stava ancora gocciolando dalla mano che Lee si teneva sul viso, colandogli sul polso. “Oh no”. Questo era segno che dovevo andarmene –   ed anche Bella, apparentemente. apparentemen te. “Scappa in segreteria, Bella”.  Bella”. 

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Lei mi guardava con occhi sconcertati. “Fidati di me –  vai”. vai”.   Era scattata ed aveva imboccato la porta prima che si richiudesse, schizzando in segreteria. Io le ero dietro di pochi centimetri. I suoi capelli fluttuanti mi sfioravano la mano… ma no…   Si voltò a guardarmi, con gli occhi ancora sgranati. “Mi hai dato subito retta”. Era la prima volta.  volta.   Il suo nasino si era arricciato. “Ho sentito l’odore del sangue”.   La guardai guardai sbalordito. “Le persone non riescono a sentire l’odore del sangue”.  sangue”.  “Beh, io si –  è questo che mi fa star male. mal e. Odora di ruggine…e di sale”. sale”.   La mia faccia s’immobilizzò, ancora fissa su di lei.  lei.  Era davvero veramente umana? Sembrava Sembrava   umana. Era morbida come un’umana. Profumava come un’umana –   beh, meglio per la verità. Agiva come un’umana…più o meno. Ma non pensava come un’umana, né rispondeva come se lo fosse.  fosse.   Quale altra soluzione c’era, però?  però?   “Che c’è?” chiese. “Niente”.   “Niente”. Mike Newton a quel punto c’interruppe, entrando nella stanza coi pensieri risentiti risent iti e violenti. “Stai Stai  meglio”, le disse sgarbatamente.  sgarbatamente.  La mia mano si era contratta, desiderando insegnargli un pò di buone maniere. Dovevo tenermi sotto controllo, o avrei finito per uccidere uc cidere quest’odioso ragazzo.  ragazzo.  “Basta che tieni la mano in tasca”, disse lei. Per un assurdo momento, pensai che stesse parlando con me. “Non sanguina più”, rispose astiosamente. “Intendi rientrare in i n clas classe?” se?”   “Stai scher  scher zando? zando? Dovrei subito voltarmi e tornare qui”.  qui”.   Benissimo. Avevo pensato che mi sarei dovuto perdere quest’intera ora insieme a lei, ed invece, adesso, avevo del tempo in più. Mi sentivo ingordo, un avaro avidamente attaccato ad ogni singolo minuto. “Già, immagino…” borbottò Mike. “Allora ci sarai questo fine settimana? Alla spiaggia?”   spiaggia?” Ah, avevano dei progetti. La rabbia mi paralizzò sul posto. Era una gita di gruppo,

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 però. Ne avevo visto qualcosa nella mente degli altri studenti. Non sarebbero stati loro l oro due soli. Ero ancora furioso. Mi appoggiai inespressivo al bancone, cercando di controllarmi. “Sicuro, ho detto che sarei venuta” gli promise.  promise.   Perciò aveva detto di si anche a lui. La gelosia bruciava, più dolorosa della sete.  No, si tratta soltanto di un’uscita di gruppo, cercai cerca i di convincermi. Avrebbe solamente trascorso la giornata con gli amici. Niente Nie nte di più. “Ci vediamo davanti al negozio di mio padre, alle dieci”. E dieci”.  E Cullen NON E’ invit ato. ato. “Ci sarò”, disse.  disse.  “Ci vediamo in palestra, allora”.  allora”.   “A dopo”, rispose.  rispose.  Tornò in classe trascinando i piedi, con i pensieri traboccanti d’ira. Cosa ci trova in quel mostro? Certo, è ricco, immagino. Le pollastre pensano che sia uno schianto, ma a me non sembra. Troppo…troppo perfetto. Scommetto che suo padre ha fatto degli esperimenti di chirurgia plastica su tutti loro. Ecco perché sono tutti così pallidi e carini.  Non è normale. E in un certo modo è…terrificante. Qualche volta, quando mi guarda, guarda,  giurerei che sta pensando a come uccidermi… uccidermi… Mostruoso…  Mostruoso…  Mike non era completamente stupido. “Ginnastica”, Bella ripeté debolmente. Un gemito. gemito . La guardavo, e capivo che era di nuovo triste per qualcosa. Non ero certo del  perché, ma era chiaro che non voleva andare alla prossima lezione con Mike, ed io ero com pletamente d’accordo con quel piano.  piano.  Mi misi al suo fianco e mi chinai accostandomi al suo viso, sentendo il calore della sua pelle che s’irradiava fino alle all e mie labbra. Non osavo respirare. respirare.   “Di questo posso occuparmi io”, mormorai. “Vai a sederti ed impallidisci”.  impallidisci”.   Lei fece come le avevo chiesto, sedendosi su una delle sedie imbottite ed appoggiando la testa contro la parete, mentre, dietro di me, la Signorina Cope usciva dalla stanza sul retro ed andava alla sua scrivania. Con gli occhi chiusi, Bella sembrava essere svenuta di nuovo. Non aveva ancora ripreso del tutto colore. Mi voltai verso la segretaria. Con un pò di fortuna, Bella avrebbe prestato attenzione, pensai sardonicamente. Quello era il modo in cui un umano si  supponeva  supponeva   dovesse reagire. “Signorina Cope?” chiesi, usando di nuovo di  nuovo la mia voce persuasiva.

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Sbatté le ciglia, ed il suo cuore accelerò. Troppo giovane, controllati!  controllati!  “Si?”   “Si?” Interessante. Quando le pulsazioni di Shelly Cope aumentavano, era perché mi trovava fisicamente attraente, non perché era spaventata. Mi ci ero abituato con le femmine della specie umana…non avevo ancora preso in considerazione quella spiegazione per il cuore accelerato di Bella. Mi piaceva alquanto. Troppo, effettivamente. Sorrisi, ed il respiro della Signorina Cope si fece ansimante. “Bella ha ginnastica la prossima ora, e non credo che si senta abbastanza bene. A dire il vero, stavo pensando che dovrei portarla a casa adesso. Pensa che potrebbe dispensar la la dalla lezione?”. Fissai i suoi occhi per niente profondi, godendomi lo scompiglio che ciò causava ai suoi processi mentali. Era possibile che Bella...? La Signorina Cope dovette deglutire rumorosamente prima di rispondere. “Hai  bi  bisogno sogno di una giustificazione anche tu, Edward?”  Edward?”  “No, io ho la Signora Goff, non ci baderà”.  baderà”.   Non le prestavo molta attenzione ora. Stavo esplorando esplorando questa nuova possibilità. Hmm. Mi sarebbe piaciuto credere che Bella mi trovasse attraente come le altre umane, ma quando mai Bella aveva le stesse reazioni degli altri esseri umani? Non avrei dovuto illudere le mie speranze. “Okay, è tutto sistemato. Ti senti meglio, Bella?”  Bella?”  Bella annuì debolmente - esagerando un pò. “Puoi camminare, o vuoi che ti riporti in braccio?” chiesi, divertito dalla sua  pessima recitazione. Sapevo che avrebbe preferito camminare  –   non voleva sembrare debole. “Cammino”, disse.  disse.  Di nuovo esatto. Stavo facendo progressi. Si era alzata, esitando un momento come per valutare il suo equilibrio. Le tenni la  porta aperta, e c’incamminammo fuori sotto la pioggia.  pioggia.  La guardai sollevare il viso verso la pioggia leggera con gli occhi chiusi, con un sorriso appena accennato sulle labbra.  A cosa stava pensando? Qualcosa pensando? Qualcosa in questo gesto mi pareva stonato, e compresi immediatamente perché la posa mi fosse sembrata insolita. Le normali ragazze umane non avrebbero sollevato i loro visi verso la pioggerella; le

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normali ragazze umane di solito erano truccate, perfino in un posto umido come questo. Bella non si truccava mai, non che ne avesse bisogno. Le industrie cosmetiche incassavano miliardi ogni anno dalle donne che cercavano di ottenere una pelle come la sua. “Grazie”, disse, rivolgendo il sorriso a me, adesso. “Val la pena stare male per saltare salta re ginnastica”.  ginnastica”.  Guardavo fisso oltre il campus campus,, pensando a come prolungare il mio tempo con lei. “Quando vuoi”, dissi.  dissi.  “Allora vieni? Questo sabato, intendo?”. Sembrava speranzosa. speranzosa.   Ah, la sua speranza era tonificante. Era me che voleva con lei, non Mike Newton. E volevo dirle di si. Ma c’erano parecchie cose da considerare. Per cominciare, ci sarebbe s arebbe stato il sole questo sabato…  sabato…   “Dove andate, esattamente?”. Cercai Cerca i di mantenere un tono di voce noncurante, come se non avesse molta importanza. Mike aveva detto  spiaggia  spiaggia,, però. Non c’erano molte possibilità di evitare la luce del sole lì. “Giù a La Push, a First Beach”.  Beach”.    Maledizione.. Beh, era impossibile, allora.  Maledizione In ogni caso, Emmett si sarebbe seccato se avessi cancellato i nostri progetti. Le lanciai un’occhiata, sorridendo sarcasticamente. “Davvero non penso di essere stato invitato”. invitato”.   Lei sospirò, già rassegnata. “Ti ho appena invitato io”.  io”.   “Evitiamo, tu ed io, di spingere oltre il povero Mike per questa settimana. Non vo vogliamo gliamo che vada in pezzi”. Pensai di mandare in pezzi il  povero  povero   Mike io stesso, e mi gustai quell’immagine mentale immensamente.  immensamente.   “Mike--smaccato”, disse, di nuovo sbrigativa. Spalancai il sorriso.  “Mike sorriso.   E poi cominciò ad allontanarsi da me. Senza pensare a quel che facevo, allungai la mano e l’afferrai da dietro il giubbo tto impermeabile. Si arrestò sobbalzando. “Dove pensi di andare?”. Ero quasi arrabbiato perché mi stava lasciando. Il tempo  passato con lei non era stato abbastanza. Non poteva andarsene, non non ancora. “Me ne vado a casa”, disse, confusa dal perché questo avrebbe dovuto inquietarmi. inquieta rmi. “Non mi hai sentito promettere che ti avrei accompagnata a casa sana e salva? Pensi

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che ti lascerò guidare nelle tue condizioni?”. Sapevo che quello quello non  non le sarebbe piaciuto –  piaciuto  –   la mia allusione ad una sua qualche debolezza. Ma avevo bisogno di far pratica per la gita a Seattle, comunque. Vedere se potevo gestire l’averla così vicina in uno spazio ristretto. Questo era un tragitto assai più breve. “Che condizioni?” domandò. “E che mi dici del mio pick-up mio pick-up?” ?”   “Chiederò ad Alice di riportartelo dopo la scuola”. La tiravo verso la mia macch ina facendola facendola camminare all’indietro, con molta prudenza, perché ora sapevo che per lei era già abbastanza impegnativo camminare in avanti. avanti. “Lasciami andare!” disse, scartando di lato e quasi inciampando. inciamp ando. Allungai la mano  per prenderla, ma si rimise diritta da sola prima che fosse necessario. Non avrei dovuto cercare delle scuse per poterla toccare. Il che mi fece pensare alla reazione della Signorina Cope nei miei riguardi, ma archiviai la questione  per dopo. C’era molto da valutare su quel fronte. La lasciai andare accanto alla macchina, ed inciampò sbattendo contro la portiera. Sarei dovuto essere perfino più accorto, tenendo conto del suo scarso equilibrio…  equilibrio…   “Sei così aggressivo aggressivo!!”  “E’ aperta”.  aperta”.  Salii al mio posto e misi in moto la macchina. Lei se ne restava impettita, fuori,  benché la pioggia battesse più forte e sapevo che non le piacevano il freddo e l’umidità. L’acqua stava inzuppandole i folti capelli, scur endoli endoli fino a farli sembrare quasi neri. “Sono perfettamente in grado di riportarmi a casa da sola!”  sola!”   Ovviamente lo era –  era –  ero  ero solo io che non ero in grado di lasciarla andare. Abbassai il finestrino dalla sua parte e mi sporsi verso di lei. “Sali, Bella”.  Bella”.  I suoi occhi diventarono due fessure, ed indovinai che stava considerando se tentare o meno di scappare. “Ti ritrascinerò indietro”, promisi, divertito dal disappunto sul suo viso quando aveva ave va capito che l’avrei l’avrei fatto davvero. Con il mento affettatamente sollevato in aria, aveva aperto la portiera ed era salita. I suoi capelli gocciolavano sui sedili di pelle ed i suoi stivali sciabordavano l’uno contro l’altro.   l’altro. “Questo non è assolutamente  assolutamente   necessario”, disse freddamente. Pensai che sembr asse asse  più imbarazzata che indispettita.

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Mi limitai ad alzare il riscaldamento così che non si sentisse a disagio, e regolai il volume della musica ad un piacevole livello di sottofondo. Guidai verso l’uscita, guardandola guardan dola con la coda dell’occhio. Il suo labbro inferiore sporgeva ostinatamente. Lo segret aria… ria…   fissavo, valutando come mi facesse sentire…ripensando alla reazione della segreta D’improvviso guardò lo stereo e sorrise, spalancando gli occhi. “Clair “ Clair de lune?”, lune?”, chiese. Una patita dei classici? “Conosci Debussy?”  Debussy?”   “Non bene”, disse. “Mia madre ascolta un sacco di musica classica a casa –  conosco  conosco solo solo le mie preferite”.  preferite”.  “E’ anche una delle mie preferite”. Fissai la  pioggia, riflettendoci sopra. Avevo addirittura qualcosa in comune con la ragazza. Avevo cominciato a pensare che fossimo opposti in tutto. Sembrava più rilassata ora, mentre fissava la pioggia come me, con gli occhi persi nel vuoto. Approfittai della sua momentanea distrazione per esercitarmi con la respirazione. Presi aria dal naso con circospezione. Potente. Strinsi il volante ancor più saldamente. La pioggia migliorava il suo profumo. Non avrei mai pensato che fosse fos se possibile. Stupidamente, d’improvviso stavo immaginando che sapore avesse. Cercai di reprimere il fuoco che avevo in gola, di pensare a qualcos’altro. qualcos’altro.   “Com’è tua madre?” chiesi per distrarmi.  distrarmi.  Bella sorrise. “Mi assomiglia parecchio, ma è molto più bella”.  bella”.   Ne dubitavo. “Ho preso un pò troppo da Charlie”, continuò. “E’ molto più estroversa di me, e più co coraggiosa”. raggiosa”.   Dubitavo anche di questo. “E’ irresponsabile e vagamente eccentrica, ed è  è  una cuoca davvero imprevedibile. E’ la mia migliore amica”. La sua voce si era fatta malinconica; la fronte le si era corrugata. Di nuovo, dava l’impressione di essere più un genitore che una figlia.  figlia.   Mi fermai davanti a casa sua, domandandomi troppo tardi se si poteva supporre che

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sapessi dove abitava. No, questo non sarebbe parso sospetto in una città tanto piccola, con il padre padre che era un personaggio pubblico…  pubblico…  “Quanti anni hai, Bella?”. Doveva essere più vecchia dei suoi com pagni. com pagni. Forse er a stata bocciata…non sembrava credibile, però. però.   aveva cominciato tardi la scuola, o era aveva “Diciassette” rispose.  rispose.  “Non sembri una diciassettenne”.  diciassettenne”.  Si mise a ridere. “Che c’è?”  c’è?”  “Mia madre dice sempre che sono nata che avevo trentacinque anni e che ogni gior n no o che passa mi avvicino di più alla mezza età”. Rise di nuovo, e poi sospirò. “Beh, qualcuno deve pur fare fare l’adulto”.  l’adulto”.  Questo chiariva le cose. Adesso potevo capirlo…una madre immatura aiut ava a spiegare la maturità di Bella. Aveva dovuto crescere in fretta, per diventare una balia. Per questo non le piaceva che gli altri si prendessero cura di lei  –   sentiva che quello era compito suo. “Neanche tu assomigli poi tanto ad uno studente del terzo anno delle superiori”, disse, strappandomi alle mie elucubrazioni. Feci una smorfia. Per ogni cosa che riuscivo ad intuire di lei, lei di rimando riusciva ad intuirne troppe. Cambiai argomento. “E così, come mai tua madre ha  ha  sposato Phil?”  Phil?”  Esitò un momento prima di rispondere. “Mia madre…è molto giovanile per la sua età. Credo che Phil la faccia sentire ancora più giovane. Ad ogni modo, è pazza di lui”. Scosse la testa con indulgenza. “Tu approvi?” domandai. domandai. “Ha importanza?” chiese. “Voglio che sia felice…e lui è ciò che vuole”.   L’altruismo insito nel suo commento mi avrebbe sbalordito, senonché si accordava fin troppo bene con tutto quanto avevo imparato del suo carattere. “Davvero generoso…Chissà”  generoso…Chissà”  “Cosa?”   “Cosa?” “Pensi che ti ricambierebbe con la stessa generosità? Non importa su chi cadesse la tua scelta?”  scelta?”  Era una domanda assurda, e non riuscii a conservare un tono disinvolto mentre la

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 ponevo. Che idiozia anche solo considerare che qualcuno potesse dare la sua approvazione a me me per  per la propria figlia. Che idiozia anche solo pensare a Bella che sceglieva me. “Io –   io penso di si”, era sconvolta, per una qualche reazione al mio sguardo attrazione?   penetrante. Paura…o attrazione?  “Ma è lei il genitore, dopo tutto. E’ un tantino differente”, concluse.  concluse.   Sorrisi sarcasticamente. “Nessuno di troppo spaventoso quindi”.  quindi”.   Spalancò il sorriso. “Cosa intendi per spaventoso?  Piercing  facciali   facciali multipli ed una gran quantità di tatuaggi?”  tatuaggi?”  “Questa potrebbe essere una definizione, suppongo”. Una definizione affatto minacciosa, dal mio punto di vista. “Qual è la tua definizione?”  definizione?”  Faceva sempre la domanda sbagliata. O esattamente la domanda giusta, forse. L’unica cui non volevo rispondere, in ogni caso.  caso.   “Pensi che io io  potrei  potrei essere spaventoso?” le chiesi, cercando di sorridere un pò.  pò.  Ci rifletté a fondo prima di rispondermi con voce seria. seria. “Hmm…penso che  che  potresti  potresti  esserlo, esserlo, se volessi”.  volessi”.  Anch’io ero serio. “Hai paura di me adesso?”  adesso?”   Rispose all’istante, senza nemmeno pensarci. “No”.  “No”.   Sorrisi con maggiore disinvoltura. Non credevo che mi stesse dicendo tutta la verità, ma neanche stava davvero mentendo. Perlomeno, non era spaventata abbastanza da volersene andare. Mi chiesi come si sarebbe sentita se le avessi detto che stava avendo quella conversazione con un vampiro. Raccapricciai mentalmente all’immagine della sua reazione. “Allora, intendi parlarmi della tua famiglia adesso? Deve essere una storia assai più in interessante teressante della mia”.  mia”.  Più spaventosa, quantomeno. “Cosa vuoi sapere?” le chiesi circospetto.  circospetto.  “I Cullen ti hanno adottato?”  adottato?”  “Si”.   “Si”. Esitò, poi parlò a bassa voce. “Cos’è successo ai tuoi genitori?” genitori?”   Questa non era così difficile; non dovevo neppure mentirle. “Sono morti pare cchio tempo fa”.  fa”. 

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“Mi dispiace”, biascicò, chiaramente preoccupata di avermi f erito. erito.  Lei era  Lei  era preoccupata per me me.. “In verità non me li ricordo tanto bene”, la rassicurai. “Carlisle ed Esme sono i miei genitori da tanto tempo oramai”.  oramai”.  “E gli vuoi bene”, dedusse.  dedusse.  Sorrisi. “Si. Non potrei immaginare due persone migliori”.  migliori”.   “Sei molto fortunato”.  fortunato”.  “So di esserlo”. In quell’unica circostanza, sulla questione dei genitori, la mia fortuna era innegabile. “E i tuoi fratelli e le tue sorelle?”  sorelle?”   Se la lasciavo farmi pressione per troppi dettagli, avrei dovuto mentirle. Gettai uno sguardo all’orologio, demoralizzato perché il mio tempo con lei era scaduto. sc aduto. “I miei fratelli e le mie sorelle, e Jasper e Rosalie quanto a ciò, saranno parecchio irritati se dovranno restare ad aspettarmi sotto la pioggia”.  pioggia”.   “Oh, scusa, immagino tu debba andare”.  andare”.   Non si muoveva. Neanche lei voleva che il nostro tempo scadesse. Il che mi piaceva davvero, davvero tanto. “E probabilmente vorrai riavere indietro indietro il tuo  pick-up  pick-up   prima che l’ispettore Swan torni a casa, così da non dovergli raccontare dell’incidente occorso a biologia”. Spalancai Spala ncai il sorriso al pensiero del suo imbarazzo mentre la tenevo tra le mie braccia. “Sono certa che l’ha già saputo. Non ci sono segreti a Forks”. Aveva pronunciato il nome della città con palese avversione. Risi delle sue parole. Nessun segreto, davvero. “Divertiti alla spiaggia”. Lanciai un’occhiata alla pioggia battente, sapendo che non sarebbe durata, e d esiderando più for temente temente del normale che lo facesse. “Un tempo eccellente per i bagni di sole”. Beh, sarebbe stato sabato. Si sarebbe divertita. “Non ci vediamo domani?”  domani?”  L’inquietudine nel tono della sua voce mi rallegrò.  rallegrò.   “No. Emmett ed io cominciamo il fine settimana in anticipo”. Ero arrabbiato con me stesso ora per aver fatto quei progetti. Avrei potuto disfarli…ma a questo punto non c’era niente di simile all’andare troppo a caccia, e la mia famiglia era già abbastanza  preoccupata dalla mia condotta, senza bisogno di fargli capire quanto stessi diventando

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ossessivo. “Cosa farete?” chiese, all’apparenza per niente felice della mia rivelazione.  rivelazione.   Bene. “Escursionismo alla Riserva Naturale di Goat Rocks, proprio a sud di Rainier”. Emmett era impaziente di aprire la stagione della caccia all’orso.  all’orso.   “Oh, beh, divertitevi”, disse senza troppo entusiasmo. La sua mancanza di entusiasmo mi rallegrò nuovamente. Mentre la guardavo, cominciai a sentirmi quasi agonizzante al pensiero di salutarla seppure solo provvisoriamente. Era talmente tenera e vulnerabile. Pareva sconsiderato lasciarla uscire dal mio campo visivo, dove niente sarebbe potuto succederle. E tuttavia, la cosa peggiore che poteva capitarle sarebbe risultata lo stare con me. “Faresti una cosa per me questo fine settimana?” chiesi gravemente.  gravemente.  Fece cenno di si con la testa, con gli occhi sgranati e sbigottiti per il mio fervore. Vacci piano. piano. “Non ti offendere, ma sembri una di quelle persone che attirano i guai come una calamita. calamita. Perciò…cerca di non cadere nell’oceano o di finire investita o qualunque altra a ltra cosa del genere, genere, d’accordo?”  d’accordo?”  Le sorrisi mestamente, sperando che non riuscisse a vedere la tristezza che avevo negli occhi. Quanto avrei voluto che non fosse tanto più al sicuro lontana da me, qualunque cosa potesse succederle in mia assenza. Scappa, Bella, scappa. Ti amo troppo, per fare il tuo bene o il mio. mio. La mia canzonatura l’aveva offesa. Mi guardava torva. “Vedrò cosa posso fare”, schioccò, uscendo sotto la pioggia e sbattendo la portiera quanto più forte poté dietro di sé. Proprio come una gattina infuriata che si crede una tigre. ti gre. Strinsi la mano attorno alla chiave che le avevo appena sottratto dalla tasca della giacca, e sorrisi mentre me ne andavo.

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7. Melodia

Una volta tornato a scuola, fui costretto ad aspettare. Il che era un bene, perché avevo molto a cui pensare ed avevo bisogno di stare da solo. In macchina persisteva il suo profumo. Tenevo i finestrini chiusi, lasciando che mi aggredisse, cercando di abituarmi alla sensazione di quel fuoco deliberatamente acceso nella mia gola. Attrazione. Era una questione spinosa sulla quale riflettere. Così tanti aspetti da valutare, così tanti significati e profondità tra loro differenti. Diversa dall’amore, ma in questo ricompresa indissolubilmente.  Non avevo idea se Bella fosse attratta da me (il suo silenzio mentale, in qualche modo, avrebbe continuato a crescere sempre più frustrante finché non fossi diventato  pazzo?  paz zo? O c’era un limite che alla fine avrei raggiunto?).  raggiunto?).  Cercavo di comparare le sue reazioni fisiche con quelle delle altre, come la segretaria e Jessica Stanley, ma il paragone era inconcludente. Gli stessi sintomi  –   il cambiamento del ritmo cardiaco e del modo di respirare –  respirare  –  potevano   potevano facilmente attribuirsi tanto alla paura o allo  shock   o all’ansia quanto all’interesse. Sembrava Sembrava inverosimile che Bella potesse nutrire il medesimo genere di pensieri cui Jessica Stanley era avvezza. In fin dei conti, Bella sapeva molto bene che c’era qualcosa di sbagliato in me, anche se non sapeva esattamente cosa fosse. Aveva toccato la mia pelle di ghiaccio, e poi aveva ritirato  bruscamente la mano sottraendola al freddo. E ciononostante…se ricordavo quelle fantasie che erano solite disgustarmi, ma le ricordavo ricordavo con Bella al posto di Jessica…  Jessica…   Stavo respirando più velocemente, il fuoco era un artiglio su e giù per la mia gola. E se fosse stata  Bella  Bella   ad immaginarmi con le braccia strette attorno al suo fragile corpo? A sentirmi mentre l’attiravo saldamente sal damente al mio petto e poi con la mano le sollevavo soll evavo il mento? Togliendole con delicatezza la folta coltre di capelli dal viso arrossato? Tracciando il contorno delle sue labbra piene con la punta delle mie dita? Inclinando il mio viso più vicino al suo, dove potevo sentire il calore del suo respiro sulla mia bocca? Avvicinandomii di più, ancora…  Avvicinandom ancora… 

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Ma poi indietreggiai di colpo da quel sogno ad occhi aperti, sapendo, così come avevo saputo quando Jessica aveva immaginato queste cose, cosa sarebbe successo se le fossi andato tanto vicino. L’attrazione era un rompi rompicapo capo irrisolvibile, perché ero già troppo attratto da Bella nella maniera peggiore. Volevo che Bella fosse attratta da me, come una donna da un uomo? Quella era la domanda sbagliata. La domanda giusta era “ Dovrei “ Dovrei   volere che Bella fosse attratta da me in quel modo?”. E la risposta era no. Perché io non ero un maschio umano, e quello non era giusto per lei. Con ogni fibra del mio io desideravo ardentemente essere un uomo normale, cosicché avrei potuto tenerla tra le mie braccia senza rischiarne la vita. Cosicché avrei  potuto essere libero di prolungare le mie stesse fantasie, fantasie che non si sarebbero concluse con il suo sangue sulle mie mani, il suo sangue incandescente nei miei occhi. Il mio non darle tregua era imperdonabile. Che tipo di relazione avrei potuto offrirle, quando non potevo rischiare di toccarla? Mi presi la testa tra le mani. Tutto era ancora più spiazzante perché non mi ero mai sentito così umano in tutta la mia vita –  vita  –  nemmeno   nemmeno quando ero ero   umano, per quanto riuscissi a ricordare. Quand’ero stato umano, i miei pensieri erano stati tutti rivolti alla gloria di una carriera militare. La Grande Guerra aveva infuriato per quasi tutta la mia adolescenza, e mancavano solamente nove mesi al mio diciottesimo compleanno quand’era scoppiata l’epidemia d’influenza… Avevo solamente delle vaghe impressioni su quegli anni da umano, dei ricordi indistinti che scolorivano di più ad ogni decennio che passava. Ricordavo mia madre più chiaramente, e sentivo un anelito antico quando pensavo al suo viso. Ricordavo a malapena quanto aveva odiato il futuro verso il quale smaniavo di precipitarmi, pregando ogni sera quando rendeva rendeva grazie per la cena che l’“orrida guerra” finisse… Non avevo ricordi di un altro genere di desiderio. Apparte l’amore di mia madre, non c’era altro amore che mi avesse fatto desiderare desiderare di restare…  restare…  Tutto questo era completamente nuovo per me. Non avevo paralleli da tracciare, né  paragoni da fare. L’amore che sentivo  sentivo  per Bella era nato incontaminato, ma adesso le acque erano torbide. Volevo davvero essere in grado di poterla toccare. Lei provava la stessa s tessa cosa?

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 Non importa, cercai di convincermi. Fissavo le mie mani bianche, odiando la loro durezza, la loro freddezza, la loro for za za disumana…  disumana…  Sussultai quando la porta del passeggero si aprì.  Ah. Colto alla sprovvista. E’ una prima assoluta, assoluta, pensò Emmett scivolando sul sedile. sedi le. “Sono pronto a scommettere che la Signora Goff crede ch e fai uso di droghe, sei così strambo ultimamente. ultimamente. Dov’eri oggi?”  oggi?”  “Stavo…facendo delle buone azioni”.  azioni”.  Uh? Ridacchiai. “Prendendomi cura degli ammalati, quel genere di cose”.  cose”.   Il che lo confuse ancora di più, ma poi aveva inalato e colto il profumo nella macchina. “Oh. Ancora la ragazza?”  ragazza?”  Feci una smorfia. Sta diventando strano. strano. “Dimmi che ne pensi”, borbottai.  borbottai.  Inalò di nuovo. “Mmm, ha di certo una fragranza considerevole, non è vero?”  vero?”   Il ringhio si aprì un varco tra le mie labbra addirittura prima che le sue parole giungessero a destinazione, un riflesso condizionato. “Calma, ragazzo, si faceva per dire”.  dire”.  A quel punto arrivarono gli altri. R osalie osalie notò il profumo all’istante e mi lanciò uno sguardo truce, ancora nel pieno della sua irritazione. Mi domandavo che problema avesse, ma tutto ciò che riuscivo a sentire da lei erano insulti.  Neanche la reazione di Jasper mi piacque. Come Emmett, aveva notato il richiamo di Bella. Non che il profumo esercitasse, su alcuno dei due, un millesimo dell’attrazione che esercitava su di me. Ero comunque infastidito dal fatto che il suo sangue gli risultasse dolce. Jasper aveva uno scarso autocontrollo… autocontrollo…   Alice salterellò fino al mio lato della macchina e tese la mano in attesa delle chiavi del pick-up del  pick-up di  di Bella. “Ho solo visto che l’avrei fatto”, disse –  misteriosamente, com’era sua abitudine. “Il “Il  perché me lo devi dire tu”.  tu”.  “Questo non significa -” 

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“Lo so, lo so. Aspetterò. Non ci vorrà molto”.  molto”.  Sospirai e le diedi le chiavi. La seguii fino a casa di Bella. La pioggia batteva rumorosamente come un milione di piccolissimi martelli, così forte che forse le orecchie umane di Bella non avrebbero sentito il rombo del motore del  pick-up  pick-up.. Guardai la sua finestra, ma lei non si affacciò. Forse non era lì. Non c’erano pensieri da ascoltare.  ascoltare.   Mi rattristò non essere in grado di ascoltare neppure quel tanto necessario per controllarla –  controllarla  –   per per assicurarmi che fosse felice, o incolume, almeno. Alice salì dietro e sfrecciammo a casa. Le strade erano vuote, e così ci vollero solamente pochi minuti. Ci dirigemmo in gruppo dentro casa, e poi ci dedicammo ai nostri diversi passatempi. Emmett e Jasper erano nel mezzo di un’elaborata partita di scacchi, giocata con otto scacchiere riunite –  riunite  –  distribuite   distribuite lungo la scura parete a vetrata –  vetrata  –  ed   ed una complicata serie di regole tutte loro. Non mi avrebbero lasciato giocare; solo Alice giocava ancora con me. Alice si era messa al computer proprio dietro l’angolo rispetto a loro e potevo sentire i suoi monitor che prendevano vita ronzando. Alice stava lavorando al progetto per dei modelli per il guardaroba di Rosalie, ma Rosalie non l’aveva raggiunta oggi, mettendosi dietro di lei a decidere il taglio ed il colore intanto che la mano di Alice disegnava sopra gli schermi sensibili al tocco (Carlisle ed io avevamo dovuto modificare un poco quel sistema, poiché la maggior parte di quel genere di schermi reagiva alla temperatura del corpo). Invece, oggi Rosalie era crollata astiosamente sul divano ed aveva cominciato a scorrere venti canali al secondo sullo schermo piatto, senza mai fermarsi. L’ascoltai L’asc oltai cercare di decidere se andare o meno in garage a mettere ancora a punto la sua BMW. Esme era al piano di sopra, e canticchiava impegnata da una nuova serie di cianografie. Alice poco dopo fece capolino dalla parete e cominciò a scandire muta con il solo labiale la mossa successiva di Emmett  –  che   che sedeva sul pavimento dandole le spalle  –   a  beneficio di Jasper, che mantenne la sua espressione molto pacata mentre abbatteva il cavallo preferito di Emmett. Ed io, per la prima volta dopo così tanto tempo che me ne vergognavo, presi posto allo squisito pianoforte a coda sistemato proprio accanto alla porta d’ingresso.  d’ingresso.  

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Feci correre delicatamente la mano sulle scale armoniche, testandone la tonalità. L’accordatura era ancora ancora perfetta. Al piano di sopra, Esme aveva interrotto ciò che stava facendo ed aveva reclinato il capo di lato. Attaccai con il primo rigo della melodia che mi si era proposta in macchina oggi, compiaciuto che suonasse persino migliore di quanto avessi immaginato.  Edward sta suonando di nuovo, nuovo, pensò Esme giubilante, con un sorriso che le attraversava viso. Si alzò dalla scrivania e corse silenziosamente in cima alle scale. Aggiunsi un nuovo accordo, lasciando che la melodia principale vi si avviluppasse. Esme sospirò appagata, sedendosi sul gradino più alto, ed appoggiò il capo contro la  balaustra. Un nuovo brano. E’ passato così tanto tempo. Che splendida melod iia. a. Lasciai che la melodia guidasse verso una nuova direzione, seguendola con un giro di bassi.  Edward sta componendo di nuovo? Pensò nuovo? Pensò Rosalie, ed i suoi denti si serrarono stretti  per la veemenza del suo risentimento. In quell’istante, commise un errore di distrazione, e potei potei leggerne tutta la profonda indignazione. Riuscii a vedere perché era tanto in collera con me. Perché l’idea di uccidere Isabella Swan non aveva minimamente scosso la sua coscienza. coscie nza. Con Rosalie, era sempre una questione di vanità. La musica s’interruppe bruscamente, e scoppiai a ridere prima di riuscire ad impedirmelo, un debordante latrato divertito che esplose rapidamente mentre mi portavo la mano davanti alla bocca. Rosalie si voltò a guardarmi, con gli occhi lampeggianti una mortificazione mortific azione furiosa. Anche Emmett e Jasper si voltarono a fissarmi, e riuscii a sentire la confusione di Esme. Esme scese al piano di sotto in un baleno, fermandosi tra Rosalie e me e lanciandoci delle occhiate inquisitorie. “Non smettere, Edward”, m’incoraggiò Esme dopo un momento di tensione. tensione.   Ricominciai a suonare, voltando le spalle a Rosalie mentre cercavo con ogni sforzo di controllare il sorriso spalancato che mi attraversava il viso. Lei si alzò in piedi ed uscì altezzosamente dalla stanza, più arrabbiata che imbarazzata. Ma sicuramente piuttosto imbarazzata. Se lo dici a qualcuno ti darò la caccia come a un cane.

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Soffocai un’altra risata.  risata.  “Che c’è che non va, Rose?” la richiamò richi amò Emmett. Rosalie non si voltò. Proseguì fino al garage con la schiena dritta come un fuso, e poi guizzò sotto la sua macchina come se potesse seppellircisi. “Di che si tratta?” mi chiese Emmett.  Emmett.   “Non ne ho la minima idea”, mentii.  mentii.   Emmett brontolò, frustrato. “Continua a suonare”, sollecitò Esme. Le mie mani si erano fermate di nuovo.  nuovo.  Feci come aveva chiesto, e lei si mise in piedi dietro di me, poggiandomi le mani sulle spalle. Il motivo era irresistibile, ma incompiuto. Giocai con uno stacco, ma in qualche modo non sembrò appropriato. “E’ adorabile. Ha un titolo?” chiese Esme.  Esme.   “Non ancora”.  ancora”.  “C’è una storia dietro?” chiese, con un sorriso nella voce. Questo le dava u n immenso piacere, e mi sentivo colpevole per aver trascurato la mia musica per tanto tempo. Ero stato egoista. “E’…una ninna nanna, suppongo”. Inserii lo stacco in quel punto. Si portò con disinvoltura al movimento successivo, prendendo vita da solo. “Una ninna nanna”, ripeté tra sé.  sé.   C’ C’era era   una storia dietro questa melodia, ed una volta vistala, le note andarono a  posto senza senz a alcuna fatica. La storia era quella di una ragazza ra gazza addormentata in i n un piccolo letto, con i capelli scur i folti ed arruffati e sparpagliati sul cuscino come alghe marine…  marine…  Alice abbandonò Jasper a sé stesso e venne a sedersi vicino a me sul panchetto. Con la sua voce cristallina, simile a dei campanellini, intonò un discanto privo di parole due ottave sopra la melodia. “Mi piace”, mormorai. “Ma che ne dici di questo?”  questo?”  Aggiunsi il suo rigo all’armonia –   le mie mani stavano volando sui tasti ora, per ricomporre insieme tutti i pezzi  –   modificandolo appena, portandolo in una nuova direzione… direzio ne…   Lei ne colse l’atmosfera, e lo seguì cantando.  cantando.   “Si. Perfetto”, dissi.  dissi. 

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Esme strinse la mia spalla. Ma ora potevo vederne la conclusione, con la voce di Alice che cresceva sopra la melodia e la dirigeva altrove. Potevo vedere come il brano doveva finire, perché la ragazza addormentata era perfetta proprio così com’era, ed un qualunque cambiamento sarebbe stato un errore, una tristezza. Il brano deviò verso quella consapevolezza, più lento e più  basso adesso. Anche la voce di Alice si abbassò, e divenne solenne, un timbro che apparteneva alla volta delle arcate sonore di una cattedrale illuminata dalle candele. Suonai l’ultima nota, e poi chinai la testa sulla tastiera.   Esme mi accarezzò i capelli.  Andrà bene, Edward. Si risolverà per il meglio. Tu meriti la meriti  la felicità, figlio mio. Il fato te la deve.  deve.   “Grazie”, dissi a bassa voce, sperando di poterci credere.  credere.   L’amore non sempre arriva nella forma più più conveniente. conveniente. Risi divertito. Tu, meglio di chiunque altro su questo pianeta, sei forse il più preparato per trattare con una questione così difficile. Sei il migliore e il più intelligente tra tutti noi . Sospirai. Ogni madre pensa lo stesso del proprio figlio. Esme era ancora al colmo della gioia perché il mio cuore era stato finalmente toccato dopo tutto questo tempo, il potenziale tragico non contava. Aveva pensato che sarei rimasto rimasto da solo per sempre…  sempre…    Lei non potrà non ricambiare il tuo amore, amore , pensò improvvisamente, cogliendomi di sorpresa per la direzione dei suoi pensieri. Se è una ragazza brillante. brillante. Sorrise.  Ma non riesco ad immaginare che possa esserci qualcuno di così ottuso da non riuscire a vedere quale conquista tu conquista tu sia  sia.. “Basta, Mamma, mi stai facendo arrossire”, la presi in giro. Le sue parole, quantunque inverosimili, mi avevano rallegrato. Alice rise e strimpellò l’attacco di “Heart and Soul”. Spalancai il sorriso e co mpletai l’elementare melodia insieme a lei. Poi le concessi un’esecuzione di “Cho p “Cho psticks”. sticks”.   Emise un risolino, poi sospirò. “E così speravo che mi dicessi perché stavi ride ndo di Rosalie”, disse Alice. “Ma vedo che non lo farai”.  farai”.   “No”.   “No”. Mi schioccò un colpetto sull’orecchio sull’orecchio con il dito.  dito.  “Fa la brava, Alice”, la rimproverò Esme. “Edward è un gentiluo gentilu omo”. mo”.  

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“Ma io voglio sapere voglio sapere”. ”.   Risi del tono piagnucoloso che aveva assunto. Poi dissi, “Ecco, Esme”, e cominciai comi nciai a suonare il suo brano pref erito, erito, un tributo senza nome all’amore che avevo visto tra lei e Carlisle per così tanti anni. “Grazie, caro”. Strinse forte la mia spalla di nuovo.  nuovo.    Non dovevo concentrarmi per suonare quel pezzo pezz o familiare. Invece pensai a Rosalie che, metaforicamente parlando, era ancora in garage a torcersi per la mortificazione, e sorrisi tra me. Avendo appena scoperto io stesso il potere della gelosia, sentivo appena un pò di  pena per lei. Era un qualcosa di miserabile da provare. Ovviamente, la sua gelosia era migliaia di volte più meschina della mia. Proprio come nello scenario della volpe alla mangiatoia1. Mi chiedevo se la personalità e la vita di Rosalie sarebbero state diverse se lei non fosse sempre stata la più bella. Sarebbe stata una persona più felice se la bellezza non fosse stata per tutto il tempo il suo maggior punto di forza? Meno egocentrica? Più compassionevole? Beh, immaginavo che fosse inutile chiederselo, perché i giochi erano fatti, e lei era era sempre  sempre stata la più più bella. Anche quand’era un’umana, aveva sempre vissuto sotto la luce dei riflettori della sua stessa grazia. Non che se ne preoccupasse. Al contrario  –   amava amava essere ammirata al di sopra d’ogni altra cosa. Il che non era cambiato con la  perdita della mortalità.  Non ero sorpreso, quindi, partendo da questo dato, che si fosse offesa quando, sin dal principio, non avevo venerato la sua bellezza nel modo in si aspettava di essere venerata da tutti gli uomini. Non che volesse me me,, comunque  –   tutt’altro. tutt’altro.   Ma l’aveva esasperata che io non la volessi. Era abituata ad essere desiderata. Era diverso con Jasper e Carlisle  –   erano entrambi già innamorati. Io non avevo nessuno, e ciononostante rimanevo ostinatamente impassibile. Pensavo che l’antico risentimento fosse sepolto. Che l’avesse superato da tempo.  tempo.   E l’aveva fatto…fino al giorno in cui finalmente avevo trovato qualcuno la cui  bellezza mi aveva toccato nel modo in cui la sua non era riuscita. riuscita. Rosalie si era adagiata sulla convinzione che se non trovavo la sua bellezza degna di venerazione, allora certamente non c’era bellezza sulla terra che avrebbe potuto colpirmi. co lpirmi. 1

 Riferimento a “La volpe alla mangiatoia” (“The (“ The fox in the manger ”), ”), di Pamela Lyndon Travers; n.d.t.  n.d.t. 

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Era stata furiosa sin dal momento in cui avevo salvato la vita di Bella, immaginando, con il suo affilato affilato istinto femminile, l’interesse del quale io stesso era ancora del tutto inconsapevole. Rosalie era mortalmente offesa perché trovavo una qualunque insulsa ragazza umana più attraente di lei. Trattenni l’impulso di scoppiare a ridere di ridere  di nuovo. Tuttavia, m’infastidiva un pò il modo in cui vedeva Bella. Rosalie pensava veramente che fosse bruttina bruttina.. Come poteva crederlo? Mi era del tutto incomprensibile. Un parto della gelosia, senza dubbio. “Oh!” disse Alice d’improvviso. “Jasper, indovina?”  indovina?”   Vidi cos’aveva appena visto, e le mie mani s’immobilizzarono sui tasti.   “Cosa, Alice?” chiese Jasper.  Jasper.   “Peter e Charlotte verranno a trovarci la prossima settimana! Si troveranno a passare pa ssare nei dintor ni, ni, non è carino?”  carino?”  “Cosa c’è che non va, Edward?” chiese Esme, percependo la tensione nelle mie spalle. “Peter e Charlotte verranno a Forks a  Forks?” ?” sibilai ad Alice.  Alice.   Lei roteò gli occhi. “Calmati, Edward. Non è la loro prima visita”. visita” . I miei denti si serrarono. Era la loro prima visita da quando era arrivata Bella, ed il suo sangue dolce non era attraente per me soltanto. Alice aggrottò le sopracciglia di fronte alla mia espressione. “Non vanno mai a caccia qui. Lo sai”. sai”.   Ma quella specie di fratello di Jasper e la piccola vampira che lui amava non erano come noi; loro cacciavano alla maniera tradizionale. Non ci si poteva fidare di averli attorno a Bella. “Quando?” domandai.  domandai.  Mise il broncio scontenta, però mi disse ciò che avevo bisogno di sapere.  Lunedì mattina. Nessuno farà del male a Bella. Bella. “No”, convenni, e poi mi voltai altrove. “Sei pronto, Emmett?”  Emmett?”   “Pensavo partissimo in mattinata”  mattinata”  “Faremo ritorno ver so so la mezzanotte di domenica. Immagino che spetti a te decidere quando vuoi partire”.  partire”. 

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“D’accordo, va bene così. Lasciami salutare Rosalie prima”.  prima”.  “Sicuro”. Considerando l’umore di Rosalie, sarebbe stato un saluto piuttosto br eve. eve. Stavolta hai passato il segno, Edward , pensò mentre dirigeva verso la porta sul retro. “Immagino di si”.  si”.  “Suona il nuovo brano per me, una volta ancora”, chiese Esme.  Esme.   “Se proprio ci tieni”, acconsentii, sebbene fossi un poco poco riluttante a seguire la melodia fino alla sua inevitabile conclusione –  conclusione  –  la   la conclusione che mi aveva addolorato in modi del tutto sconosciuti. Mi fermai a pensare per un momento, e poi presi il tappo della  bottiglia  botti glia dalla tasca della mia giacca e l’appoggiai l’appog giai sopra il leggio vuoto. Il che mi aiutò un  poco –   poco  –  il  il mio piccolo memento del suo si suo  si.. Annuii tra me, e cominciai a suonare. Esme ed Alice si scambiarono un’occhiata, ma nessuna delle due fece domande. domande.  

“Non ti ha mai detto nessuno che non si gioca con il cibo?” ci bo?” gridai ad Emmett.  Emmett.  “Oh, hey Edward!” mi gridò di rimando, sorridendomi e salutandomi con la mano. m ano. L’orso approfittò della sua distrazione per affondare la zampa pesante lungo il torace di Emmett. Gli artigli affilati stracciarono la sua maglia, e stridettero contro la sua pelle. L’orso emise un ruglio acuto.  acuto.    Miseriaccia, questa maglia me l’aveva regalata Rose!  Rose!  Emmett ruggì di rimando alla bestia infuriata. Sospirai e mi misi seduto su un pratico masso. Avrebbe potuto volerci del tempo. Ma Emmett aveva quasi finito. Lasciò che l’orso provasse a staccargli la testa con un’altra zampata, ridendo quando mancò il colpo e l’orso barcollò all’indietro.  all’indietro.   L’orso bramì ed  ed  Emmett rise di nuovo fragorosamente. Poi si lanciò sull’animale, che stava in piedi sulle zampe posteriori più alto di lui di una spanna, ed i loro corpi caddero cad dero a terra aggrovigliati, portandosi dietro un pino adulto. I grugniti dell’orso si zittirono con un gorgoglio. Pochi minuti dopo, Emmett trotterellò dove lo stavo aspettando. La sua maglia era distrutta, lacera e macchiata di sangue, appiccicosa di linfa e ricoperta di pelo. Aveva un enorme sorriso sulla faccia.

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“Era uno forte quello. Riuscivo quasi a sentirlo quando mi artigliava”.  artigliava”.   “Sei un tale bambino, Emmett”.  Emmett”.  Squadrò la mia polo intatta ed immacolata. “Non sei riuscito a scovare quel leone di montagna, dunque?”  dunque?”  “Naturale che ci sono riuscito. E’ solo che non mi nutro come un selvaggio”.  selvaggio”.   Emmett scoppiò nella sua fragorosa risata. “Vorrei che fossero più forti. Sarebbe più divertente”. divertente”.   “Non è detto che ci si debba azzuffare con il proprio cibo”.  cibo”.   “Già, ma con chi altri potrei po trei azzuffarmi? Tu ed Alice barate, Rose non vuole mai che le si spettinino i capelli, ed Esme diventa furiosa se Jasper ed io c ’impegniamo  sul  serio””   serio “La vita è piuttosto dura, non è vero?”  vero?”   Emmett aveva spalancato il sorriso, spostando leggermente il peso così da trovarsi improvvisamente pronto a dare la carica. “Coraggio Edward. Disattivalo soltanto per un minuto e combatti alla pari”.  pari”.   “Non si disattiva”, gli ricordai.  ricordai.   “Chissà come fa quella ragazza umana  umana  a tenerti fuori?” rifletté Emmett. “Forse  potrebbe  po trebbe darmi qualche dritta”.  dritta”.  Il mio buon umore svanì. “Stai lontano da lei”, ringhiai tra i denti.  denti.   “Siamo un pò suscettibili”  suscettibili”  Sospirai. Emmett prese posto accanto a me sulla roccia. “Scusa. So che stai attraversando un momento difficile. Ci provo davvero a non essere troppo troppo   un tale bestione insensibile, ma, dal momento che è una sorta di dote naturale natu rale per me…”  me…”  Aspettò che ridessi della sua battuta e poi mi fece una boccaccia. Così serio tutto il tempo. Cos’è che ti rode adesso?  adesso?  “Sto pensando a lei. Beh, mi sto preoccupando, in realtà”.  realtà”.   “Che c’è da preoccuparsi? Tu Tu sei  sei qui qui”. ”. Rise fragorosamente.  fragorosamente.  Ignorai di nuovo la sua battuta, battut a, ma risposi alla sua domanda. “Hai mai pensato a quanto fragili siano tutti loro? A quante cose brutte ci sono che possono capitare ad un mortale?”   mortale?” “Veramente no. Credo di capire cosa intendi, però. Non potevo davvero compet ere

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vero?”  con un orso a quell’epoca, quell’epoca, vero?”  “Orsi”, borbottai, aggiungendo una nuova preoccupazione alla lista. “Ci sarebbe da aspettarselo con la sua fortuna, no? Un orso vagante per la città. Ovviamente punterebbe diritto a Bella”. Bella”.   Emmett ridacchiò. “Pare di sentir parlare un matto, lo sai vero?”  vero?”  “Immagina solamente per un minuto che Rosalie sia umana, Emmett. E che possa incappare in un orso…o essere investita da una macchina…o colpita da un fulmine…o fulmine …o cadere cadere per le scale…o ammalarsi –  prendersi  prendersi un accidente accidente!”. !”. Le parole mi esplodevano da dentro come una tempesta. Era un sollievo lasciarle uscire  –  era   era tutto il fine settimana che mi stavano logorando nel profondo. “Incendi e terremoti e tornadi! Ugh! Quand’è stata l’ultima volta che hai guardato il telegiornale? Furti con scasso e omicidi…”. I miei denti si serrarono, ed ero d’improvviso talmente furioso all’idea che un altro umano umano   potesse farle del male che non riuscivo a respirare. “Ferma, ferma! Basta così, ragazzo. Lei vive a Forks, ricordi? ricordi? Perciò può solo  pioverle addosso”. addosso”. Scrollò le spalle.  spalle.  “Penso che abbia una certa iella, Emmett, lo penso davvero. Non puoi ignorare l’evidenza. Di tutti i posti al mondo in cui sarebbe potuta andare, è finita in una città in cui i vampiri vampiri costituisco  costituiscono no una fetta considerevole della popolazione”.  popolazione”.   “Si, ma noi siamo vegetariani. Questa non è una fortuna, invece che una sfortu sfortuna?” na?”   “Considerando come profuma? Decisamente una sfortuna. E poi, altra sfortuna, il modo in cui profuma per me me”. ”. Guardai torvo le mie mani, odiandole di nuovo.  nuovo.  “Tranne che hai più autocontrollo di chiunque, fatta eccezione per Carlisle. Un’altra fortuna”.   fortuna”. “Il furgoncino?”  furgoncino?”  “Quello è stato solo un incidente”.  incidente”.   “Avresti dovuto dovuto vederlo venire per lei, Em, ancora ed ancora. Giuro, era come se avesse una qualche forza di attrazione magnetica”.  magnetica”.   “Ma tu eri là. Quella è stata una fortuna”.  fortuna”.   “Davvero? Non è forse questa la peggiore sfortuna che una qualunque umana um ana possa avere - avere un vampiro innamorato  innamorato di lei?”  lei?”  Emmett ci meditò silenziosamente sopra per un momento. Si fece un ritratto mentale menta le della ragazza e trovò l’immagine priva d’interesse. Onestamente, non riesco

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davvero a capir ne ne l’attrattiva. l’attrattiva. “Beh, nemmeno io riesco a capire che fascino possa avere Rosalie”, dissi sgarbatamente. sgarbatamen te. “Onestamente Onestamente,, mi pare che richieda uno sforzo maggiore di quanto una meriti”.  qualunque bella faccia meriti”.  qualunque Emmett ridacchiò. “Suppongo che non mi diresti…”.  diresti…”.  “Non so qual è il suo problema, Emmett”, mentii, sfoderando di colpo un largo sorriso. Avevo previsto i suoi propositi in tempo per puntellarmi. Cercò di spingermi giù dalla roccia, e si udì un forte schianto s chianto mentre una crepa si apriva nella pietra tra di noi. “Baro”, borbottò.  borbottò.  Aspettavo che ci riprovasse, ma i suoi pensieri presero una direzione diversa. Stava nuovamente tratteggiando il viso di Bella, ma immaginandolo più pallido, dipingendola con gli occhi di un rosso brillante…  brillante…  “No”, dissi, con voce strozzata.  strozzata.   “Risolverebbe le tue preoccupazioni sulla sua mortalità, o no? E poi neanche vorresti vorre sti più ucciderla. Non è la soluzione migliore?”  migliore?”  “Per me? O per lei?”  lei?”  “Per te”, ris pose semplicemente. Il suo tono sottintendeva un ovviamente ovviamente.. Risi senza allegria. “Risposta sbagliata”.  sbagliata”.   “A me non è dispiaciuto così tanto”, mi ricordò.  ricordò.   “A Rosalie si”.  si”.  Sospirò. Sapevamo entrambi che Rosalie avrebbe fatto qualunque cosa, sacrificato qualunque cosa, persino Emmett, se questo significava poter essere di nuovo umana. “Si, a Rosalie si”, accondiscese a bassa voce.  voce.  “Non posso… Non dovrei… Non dovrei…  Non rovinerò  rovinerò la vita di Bella. Non proveresti lo stesso, se si trattasse di Rosalie?”  Rosalie?”   Emmett ci pensò su per un attimo. Tu…la ami davvero?  davvero?  “Non riesco neppure a spiegarlo, Emmett. D’improvviso, questa ragazza è tutto il mio mondo. Non capisco che senso che senso abbia  abbia il resto del mondo senza di lei”.  lei”.   Ma non la trasformerai? Non Non durerà per sempre, Edward . “Questo lo so” gemetti.  gemetti.    E, come tu stesso hai puntualizzato, è piuttosto piuttosto fragile.

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“Credimi –  so anche questo”.  questo”.  Emmett non era una persona di tatto, e le discussioni delicate non erano il suo forte. Era in difficoltà adesso, volendo davvero non risultare offensivo.  Non puoi neanche toccarla? Voglio dire, se ne sei innamorato innamorato…non …non vorresti, ecco, ecco, toccarla…? toccarla …?   Emmett e Rosalie condividevano condividevano un’intensa passione fisica. Per lui era piuttosto difficile capire come qualcuno potesse qualcuno potesse  amare, senza quell’aspetto.  quell’aspetto.  Sospirai. “Non posso nemmeno pensarci, Emmett”.  Emmett”.  Wow. Allora quali sono le tue alternative? “Non lo so”, dissi con voce fioca. “Sto cercando di trovare un modo per…per lasciarla. Non riesco neppure a capire come fare a convincermi a starle lontano…” lontano…”   Con un senso di profonda soddisfazione, d’un tratto mi resi conto che era  giusto  giusto per  per me rimanere –  rimanere  –  almeno   almeno per ora, con Peter e Charlotte in arrivo. Era più al sicuro con me vicino, provvisoriamente, di quanto non sarebbe stata se me ne fossi andato. Per il momento, potevo essere il suo improbabile protettore. Il pensiero mi rese impaziente; smaniavo di tornare indietro così da poter immergermi in quel ruolo quanto più a lungo potevo. Emmett notò il cambiamento della mia espressione. A espressione.  A che stai pensando?  pensando?  “Proprio ora”, ammisi con aria imbarazzata, “Sto morendo dalla voglia di voglia di tornare di corsa a Forks e di darle una controllata. Non so se resisterò fino a domenica notte”.  notte”.   “Uh-uh! “Uh -uh! Non  Non tornerai  tornerai a casa in anticipo. Lascia a Rosalie il tempo di sbollire un pò. Per favore! favore! Per il mio bene”  bene”  “Cercherò di restare”, dissi incerto.  incerto.   Emmett diede un colpetto al cellulare nella mia tasca. “Alice avrebbe chiamato se ci fossero delle ragioni fondate per il tuo attacco di panico. E’ strana quanto te nei co nfronti di questa ragazza”.  ragazza”.  Feci una smorfia per per questo. “D’accordo. Ma non resterò più in là di domenica”.  domenica”.   “Non c’è alcun motivo di affrettare il rientro –  ci   ci sarà il sole, comunque. Alice ha detto che saremo liberi di non tornare a scuola fino a mercoledì”. mercoledì”.   Scossi rigidamente la testa. “Peter e Charlotte sanno come devono comportarsi”.  comportarsi”.   “Non m’interessa granché, Emmett. Con la fortuna di Bella, se ne andrà a fare una

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 passeggiata nel bosco esattamente al momento sbagliato e -” trasalii. “Peter non è famoso  per il suo autocontrollo. autocontrollo. Rientrerò domenica”.  domenica”.  Emmett sospirò. Proprio sospirò. Proprio come un matto. matto.

Bella stava dormendo pacificamente quando mi arrampicai fino alla finestra della sua stanza da letto lunedì mattina presto. Mi ero ricordato l’olio stavolta, e la fi nestra ora scivolava silenziosamente sgombrandomi il passo. Potevo dire, dal modo in cui i suoi capelli giacevano ordinati sul cuscino, che aveva trascorso una notte meno agitata di quella dell’ultima volta che ero stato qui. Teneva le mani ripiegate sotto la guancia proprio come una bambina piccola, e la sua bocca era leggermente socchiusa. Potevo sentire il suo respiro entrare ed uscire lentamente tra le sue labbra. Era un sollievo straordinario essere qui, poterla rivedere. Mi rendevo conto che non mi sentivo del tutto a mio agio a meno che non fosse così. Niente aveva senso quando stavo lontano da lei.  Non che tutto avesse un senso quand’ero con lei, l ei, tuttavia. Sospirai, lasciando che il fuoco della sete mi graffiasse la gola. Ero stato lontano troppo a lungo. Il tempo speso senza il dolore e la tentazione rendevano tutto ancora più intenso adesso. Era forte abbastanza abba stanza da farmi temere d’inginocchiarmi accanto al suo letto in modo da poter leggere i titoli dei suoi libri. Volevo sapere quali storie avesse in mente, ma ero preoccupato di molto più che la mia sete, temendo che se avessi permesso a me stesso di avvicinarmi troppo, le sarei sarei voluto andare ancora più vicino…  vicino…  Le sue labbra avevano l’aria di essere molto morbi de e calde. Potevo immaginarmi di toccarle con la punta delle dita. Sfiorandole appena…  appena…   Quello era esattamente il genere di errore che dovevo evitare. I miei occhi correvano sul suo viso ancora ed ancora, per verificarne i cambiamenti. I mortali cambiavano tutto il tempo  –  il   il pensiero di potermi perdere una qualunque cosa mi rattristava…  rattristava…  Pensai che sembrasse…stanca. Come se non avesse dormito abbastanza quel fine settimana. Era uscita? Risi silenziosamente e sarcasticamente sarcastic amente per come la cosa m’infastidiva. E se l’aveva

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fatto? Non la possedevo. Non era mia.  No, non era mia –  mia –  e  e mi rattristai di nuovo. Una delle sue mani si era mossa di scatto, e notai che c’erano delle sbucciature superficiali, appena rimarginate che le attraversavano il palmo. Si era fatta male? Quantunque non fosse con ogni evidenza una ferita grave, mi disturbava ugualmente. Considerai la posizione, e decisi che doveva essere inciampata. Pareva una spiegazione ragionevole, tutto considerato. Era confortante pensare che non mi sarei dovuto scervellare per sempre su alcuno di quei piccoli misteri. Eravamo amici amici adesso  adesso –   –  o,  o, almeno, stavamo cercando di essere amici. Avrei potuto chiederle del suo fine settimana –  settimana  –  della  della spiaggia, e di qualunque altra attività che l’avesse tenuta impegnata fino a tarda notte facendola apparire così aff aticata. aticata. Avrei  potuto chiederle cos’era capitato alle sue mani. Ed avrei potuto ridere un pò quando quando avesse confermata la mia teoria. Sorrisi dolcemente mentre mi domandavo se  fosse  fosse   caduta o meno nell’oceano. Mi chiedevo se avesse trovata quell’uscita piacevole. Mi chiedevo se avesse pensato per niente a me. Se le fossi mancato anche solo una minima parte di quanto lei era mancata a me. Cercai d’immaginarmela nel sole della spiaggia. L’immagine era incompleta, però, p erò,  perché non ero mai stato a First Beach. L’avevo vista solamente in fotografia…  fotografia…  Provai un lieve attacco di nausea pensando al motivo per cui non ero mai stato nemmeno una volta in quella spiaggia amena che si trovava solamente a pochi minuti di corsa da casa mia. Bella aveva trascorso la giornata a La Push  –  un   un posto nel quale, per trattato, mi era vietato andare. Un posto dove alcuni anziani ancora ricordavano le storie sui Cullen, le ricordavano e ci credevano. Un posto dove il nostro segreto era conosciuto… conosciuto …  Scrollai la testa. Non avevo nulla di cui preoccuparmi. I Quileutes erano anche loro vincolati dal trattato. Quand’anche Bella fosse incappata in un o di quei vecchi saggi, non avrebbe potuto rivelarle nulla. E perché mai l’argomento avrebbe dovuto essere affrontato? Perché Bella avrebbe dovuto dar voce alla propria curiosità proprio lì? No  –  i  i Quileutes Quileu tes erano forse l’unica l’unica cosa  cosa della quale non dovevo preoccuparmi. Mi arrabbiai con il sole quando cominciò a sorgere. Mi ricordava che nei prossimi giorni non avrei potuto soddisfare la mia curiosità. Perché aveva deciso di splendere

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 proprio ora? Con un sospiro, uscii dalla sua finestra prima che ci fosse abbastanza luce da  permettere a chicchessia di vedermi qui. Intendevo fermarmi nel fitto fit to bosco accanto a casa sua per vederla uscire per andare a scuola, ma quando giunsi tra gli alberi, fui sorpreso di trovare la traccia del suo profumo persistente lungo il sentiero. La seguii velocemente, curioso, diventando sempre più preoccupato intanto che s’inoltrava più profondamente nell’oscurità. Cosa ci faceva Bella qui qui fuori?  fuori? La traccia si era interrotta bruscamente, nel bel mezzo di niente in particolare. Si era diretta di soli pochi passi fuori dal sentiero, tra le felci, dove aveva toccato il tronco di un albero caduto. caduto. Forse si era seduta lì…  lì…  Mi misi a sedere dove aveva fatto lei, e mi guardai intorno. Tutto ciò che poteva aver visto erano le felci ed il bosco. Probabilmente stava piovendo  –  il   il profumo era stato lavato lavato via, dato che non era mai penetrato a fondo nell’albero.  nell’albero.   Perché Bella avrebbe dovuto sedersi qui da sola  –   ed era sola, non c’era dubbio  dubbio  –   nel bel mezzo del bosco umido e fosco?  Non aveva senso e, a differenza degli altri motivi della mia curiosità, difficilmente avrei potuto sollevare la questione durante una chiacchierata qualunque. Sai, Bella, stavo seguendo il tuo profumo attraverso il bosco dopo aver lasciato la tua camera dove ero rimasto a guardarti dormire… Si, sarebbe stato davvero un bel modo di rompere il ghiaccio.  Non avrei mai saputo cosa stava pensando o facendo qui, e questo mi fece digrignare i denti per la frustrazione. Peggio ancora, questo assomigliava fin troppo allo scenario che avevo immaginato per Emmett  –   Bella che passeggiava da sola nel bosco, dove il suo profumo avrebbe richiamato chiunque avesse i sensi sviluppati da seguirne la traccia… trac cia…   Gemetti. Non solo aveva sfortuna, ma la corteggiava. Beh, per il momento aveva un protettore. Avrei badato io a lei, l’avrei tenuta al sicuro, fintanto che potevo giustificarlo. Improvvisamente mi ritrovai a desiderare che Peter e Charlotte prolungassero la loro visita.

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8. Fantasma

 Non vidi molto gli ospiti di Jasper in quei due giorni di sole che passarono a Forks. Tornavo a casa solamente il minimo indispensabile per non far preoccupare Esme. Per il resto, la mia esistenza sembrava più quella di un fantasma che di un vampiro. Mi aggiravo, invisibile invi sibile tra le ombre, dove potevo seguire l’oggetto del mio amore e della mia ossessione ossess ione  –   dove potevo vederla e sentirla nella mente di quei fortunati umani che potevano camminarle accanto nel sole, qualche volta sfiorandole incidentalmente il dorso della mano con la propria. Non reagiva mai a quel contatto; le loro mani erano calde e morbide  proprio come le sue. L’assenza forzata da scuola non era mai stata un tale tormento prima d’ora. Ma il sole pareva renderla felice, perciò non potevo esserne troppo risentito. Qualunque cosa le facesse piacere era nelle mie buone grazie. Lunedì mattina origliai una conversazione che aveva il potenziale di distruggere la mia fiducia e rendere il tempo trascorso lontano da lei una tortura. Ciononostante, quando terminò, mi rese piuttosto felice. Dovevo riconoscere un pò di rispetto a Mike Newton; non si era semplicemente ar reso reso e non se l’era svignata per andare andare a leccarsi le ferite. Aveva più coraggio di quanto non gli avessi dato credito. Stava per riprovarci. Bella era arrivata a scuola abbastanza in anticipo e, apparentemente determinata a godersi il sole finché fosse durato, si era seduta su una delle panche da pic-nic usate di rado mentre aspettava che suonasse la campanella della prima ora. I suoi capelli catturavano la luce del sole in modi inaspettati, sprigionando un riflesso rossiccio che non avevo previsto. Mike l’aveva trovata lì, lì, che faceva nuovamente dei ghirigori, ed era elettrizzato per la sua buona sorte. Era straziante poter solo restare a guardare, impotente, confinato tra le ombre della foresta dalla luce del sole splendente. Lei lo salutò con un entusiasmo entus iasmo sufficiente a rendere lui estatico, e me l’opposto. l’opposto.   Vedi, le piaccio. Non mi sorriderebbe a quel modo se non fosse così. Scommetto che voleva venire al ballo con me. Mi domando cosa ci sia di così importante a Seat tle…  tle… 

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 Notò il cam biamento nei suoi capelli. “Non me n’ero mai accorto prima –   c’è del rosso ros so tra i tuoi capelli”.  capelli”.  Accidentalmente, sradicai il giovane pino sul quale poggiava la mia mano quando  prese una ciocca dei suoi capelli tra le sue dita. “Solo alla luce del sole”, disse. Con mia profonda soddisfazione, indietreggiò  brusca  bru sca appena un pò quando lui le rimise a posto la ciocca dietro l’orecchio.   A Mike serviva qualche momento per racimolare il suo coraggio, perciò perse tempo in chiacchiere. Lei gli ricordò del saggio che tutti dovevamo consegnare mercoledì. Data la sua espressione lievemente compiaciuta, il suo doveva averlo già fatto. Lui se n’era completamente dimenticato, il che riduceva grandemente il tempo libero che aveva disponibile.  Maledizione –   Maledizione  –  stupido  stupido saggio. saggio. Alla fine arrivò al dunque  –   i miei denti erano serrati così stretti che avrebbero  potuto polverizzare il granito –  granito –  ed  ed anche allora, non riuscì a formulare la domanda come si deve. “Stavo  pensando “Stavo  pensando di chiederti se ti andava di uscire”.  uscire”.  “Oh”, disse lei.  lei.  Seguì un breve silenzio. Oh? Che significa? Dirà di si? Aspetta  –   non mi pare di averglielo chiesto veramente. Deglutì a fatica. “Beh, per una cena o qualcosa del genere…e potrei la l avorare al saggio più tardi”.  tardi”.   Stupido –  Stupido  –  neanche  neanche questa era una domanda. “Mike…”   “Mike…” L’angoscia e la furia della mia gelosia erano in tutto e per tutto potenti come lo erano state la settimana precedente. Abbattei un altro albero cercando di trattenermi dov’ero. Volevo con tutto me stesso precipitarmi attraverso il campus campus,, troppo rapido per gli occhi umani, ed afferrarla velocemente  –  per   per sottrarla a quel ragazzo che odiavo così tanto in questo momento che avrei potuto ucciderlo e godere nel farlo. Gli avrebbe detto si? “Non credo che sarebbe una grande idea”.  idea”.  

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Ricominciai a respirare. Il mio corpo rigido si rilassò. Seattle era solamente una scusa, dopo tutto. Non avrei dovuto chiederglielo. A che  pensavo? Scommetto che è per via di di quel mostro, Cullen…  Cullen…  “Perché?” chiese astiosamente.  astiosamente.  “Penso…” esitò. “E se mai ripeterai quello che sto per dir ti ti proprio ora godrò nel torturarti a morte -” - ”  Scoppiai a ridere fragorosamente al suono di quella minaccia di morte pronunciata dalle sue labbra. Una ghiandaia gracchiò stridula, allarmata, e si lanciò lontana da me. “Ma penso che la cosa ferirebbe i sentimenti di Jessica”.  Jessica”.   “Jessica?” Che cosa? Ma… Oh. D’accordo. Immagino… Perciò… Huh.  Huh.   I suoi pensieri non rimasero coerenti più a lungo. “Sul serio Mike, sei cieco cieco?” ?”   Feci eco ai suoi sentimenti. Non poteva aspettarsi che fossero tutti perspicaci quanto lei, ma questo caso andava al di là dell’ovvio. Con tutta la fatica che a Mike era costata l’essere pronto a chiedere a Bella di uscire, davvero immaginava che per Jessica non era stato altrettanto difficile? Doveva essere l’egoismo a renderlo cieco ciec o nei confronti degli altri. E Bella era così altruista, notava ogni cosa.  Jessica. Huh. Wow. Huh. Huh. “Oh”, riuscì a dire.  dire.   Bella approfittò della sua confusione per darsi alla fuga. “E’ ora di andare in classe, e non posso arrivare di nuovo in ritardo”. ritardo”.   Da quel momento in poi Mike diventò un punto di osservazione inaffidabile. Sc Scoprì, oprì, mentre faceva girare l’idea di Jessica ancora ed ancora nella sua mente, che gli piaceva non poco il pensiero che lei lo considerasse attraente. Era una seconda scelta, non buona come Bella se fosse stata altrettanto ben disposta.  E’ carina, però, suppongo. suppongo. Un corpo niente male. Meglio Meglio un uovo oggi…  oggi…  A quel punto era partito, con nuove fantasie che erano volgari esattamente come quelle che riguardavano Bella, ma che ora m’irritavano e basta piuttosto che farmi infuriare. Quanto poco meritava entrambe le ragazze; erano quasi intercambiabili per lui. Dopo di quello mi tenni lontano dalla sua mente. Quando svanì dalla mia vista, mi raggomitolai contro il freddo tronco di un enorme corbezzolo e volteggiai di mente in mente, tenendola d’occhio, sempre contento quando Angela Weber era disponibile per guardarci attraverso. Desideravo ci fosse un qualche

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modo per ringraziare la giovane Weber per essere semplicemente una persona gentile. Mi faceva sentire meglio pensare che Bella avesse un’amica che valeva la pena di avere.  avere.  Osservavo il viso di Bella da qualunque angolazione mi venisse offerta, e potevo vedere che era di nuovo triste. Rimasi stupito  –  pensavo  pensavo che il sole sarebbe bastato a farla sorridere. A pranzo, la vidi più volte gettare un’occhiata al tavolo vuoto dei Cullen, il che mi elettrizzò. elettrizzò. Mi diede speranza. Forse anch’io le mancavo.  mancavo.   Aveva dei  progetti per un’uscita con le altre ragazze –   automaticamente avevo  pianificato la mia sorveglianza  –   ma quei piani furono posticipati quando Mike invitò Jessica ad uscire per l’appuntamento che aveva pensato per Bella.   Perciò andai diritto a casa sua, facendo una veloce ricognizione per il bosco per assicurarmi che nessuno di pericoloso si fosse avvicinato troppo. Sapevo che Jasper aveva avvisato il suo fratello di un tempo di tenersi lontano dalla città  –   citando la mia alienazione mentale sia come spiegazione sia come ammonimento  –   ma non volevo correre alcun rischio. Peter e Charlotte non avevano intenzione alcuna di creare delle tensioni con la mia famiglia, ma le intenzioni in tenzioni erano cose mutevoli…  mutevoli…  D’accordo, stavo esagerando. Ne ero consapevole. consapevole. Come se sapesse che la stavo guardando, come se avesse pietà del tormento che sentivo quando non potevo vederla, Bella uscì in giardino dopo una lunga ora in casa. Aveva un libro nella mano ed una coperta sotto il braccio. In silenzio, salii sui rami più alti dell’albero che si affacciava sul giardino più da vicino. Stese la coperta sull’erba umida e si sdraiò sullo stomaco e cominciò a sfogli are le  pagine del libro consunto, come cercando cercando di ritrovare il segno. Lessi da sopra la sua spalla. Ah –  Ah  –  altri classici. Era un’appassionata di Jane Austen.  Austen.  Leggeva velocemente, incrociando e reincrociando le caviglie in aria. Stavo guardando la luce del sole ed il vento giocare tra i suoi capelli quando il suo corpo s’irrigidì improvvisamente, e la sua mano si bloccò sulla pagina. Tutto ciò che vedevo era che aveva raggiunto il terzo capitolo quando bruscamente strinse una spessa sezione di  pagine e la saltò passando oltre. Colsi lo scorcio di un frontespizio,  Mansfield Park . Stava cominciando una nuova storia –  storia  –  il   il libro era una raccolta di romanzi. Mi chiesi perché avesse cambiato storia così all’improvviso.   all’improvviso.

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Dopo solo pochi attimi, chiuse il libro arrabbiata sbattendolo. Con un cipiglio furente sul viso, spinse il libro di lato e si voltò sulla schiena. Respirò a fondo, come per calmarsi, si arrotolò le maniche e chiuse gli occhi. Ricordavo il romanzo, ma non riuscivo a pensare a nulla di offensivo che potesse averla turbata. Un altro mistero. Sospirai. Restò distesa pressoché immobile, salvo muoversi una volta soltanto per togliersi nervosamente i capelli dal viso. I quali si sparpagliarono a ventaglio sopra la sua testa, in un fiume di castano. E poi tornò immobile. Il suo respiro rallentò. Dopo diversi lunghi minuti le sue labbra cominciarono a tremare. Borbottava nel sonno. Impossibile resistere. Ascoltai quanto più lontano potei, raccogliendo le voci delle case nelle vicinanze.  Due cucchiai d i farina…una tazza di latte…  latte…   Andiamo! Mandala a canestro! Oh, andiamo!  Rosso, o blu…o forse dovrei dovrei mettere qualcosa di più casual… casual…    Non c’era nessuno nei paraggi. Saltai a terra, atterrando silenziosamente sulle punte dei piedi. Era davvero sbagliato, estremamente rischioso. Con quanta condiscendenza una volta avevo giudicato Emmett per i suoi modi avventati e Jasper per la sua mancanza di disciplina  –   ed ora stavo consapevolmente facendomi beffa di tutte le regole con un abbandono così sfrenato da rendere le loro mancanze delle inezie. Di solito ero io quello responsabile. Sospirai, ma a dispetto di tutto, scivolai furtivo in pieno sole. Evitai di guardarmi sotto il bagliore del sole. Era già abbastanza brutto che la mia  pelle fosse pietrificata e disumana all’ombra; non volevo vedermi vicino a Bella alla l uce del sole. La differenza tra di noi era già insormontabile, sufficientemente dolorosa anche senza quest’immagine quest’immagine nella mia mente. Ma non potei ignorare lo scintillio arcobaleno riflesso sulla sua pelle quando le andai più vicino. Le mie mascelle si serrarono vedendolo. Potevo essere qualcosa di diverso da un mostro? Immaginai il suo terrore se avesse aperto gli occhi ora… o ra…   Cominciai ad indietreggiare, ma borbottò di nuovo, trattenendomi lì. “Mmm…Mmm”   “Mmm…Mmm”  Niente d’intellegibile. Beh, avrei aspettato un poco.  poco. 

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Le portai via il libro facendo molta attenzione, allungando il braccio e trattenendo il respiro mentre ero vicino, che non si sa mai. Ricominciai a respirare quando mi fui allontanato allon tanato di pochi metri, assaporando il modo in cui il sole e l’aria aperta influivano sul suo profumo. Il caldo sembrava addolcirne la fragranza. La mia gola avvampò di desiderio, il fuoco era nuovamente vivo e feroce per via della prolungata lontananza. Impiegai un momento a gestirlo, e poi –  poi  –  obbligandomi  obbligandomi a respirare dal naso  –  lasciai   lasciai che il suo libro si aprisse nelle mie mani. Aveva cominciato con il primo romanzo… Sfogliai rapidamente le pagine fino al terzo capitolo di  Ragione e Sentimento, Sentimento, cercando qualcosa di potenzialmente offensivo nella prosa fin troppo garbata della Austen. Quando i miei occhi si fermarono istintivamente sul mio nome  –  il   il personaggio di Edward Ferrars veniva introdotto per la prima volta –  volta  –  Bella  Bella parlò di nuovo. “Mmm. Edward”. Sospirò.  Sospirò.  Stavolta non ebbi timore che si fosse svegliata. La sua voce era solamente un fioco mormorio malinconico. Non il grido di paura che sarebbe stato se mi avesse visto ora. La gioia contrastò l’odio per me stesso. Stava ancora sognando di me, almeno.  almeno.   “Edmund. Ahh. Troppo…vicino…”  Troppo…vicino…”  Edmund? Ah! Non stava affatto sognando s ognando di me, compresi cupamente. L’od L’odio io verso me stesso si rinvigorì. Stava sognando dei personaggi di fantasia. Alla faccia della mia vanità. Rimisi apposto il suo libro, e furtivamente tornai a rifugiarmi all’interno delle ombre –  ombre  –  nel  nel posto al quale appartenevo. Il pomeriggio passava ed io guardavo, sentendomi di nuovo impotente, mentre il sole lentamente tramontava nel cielo e le ombre avanzavano strisciando lungo il prato verso di lei. Volevo spingerle via, ma l’oscurità era inevitabile; le ombre l’avvolsero. Quando la luce fu svanita, la sua pelle parve troppo pallida –  pallida  –  spettrale.  spettrale. I suoi capelli erano di nuovo scuri, quasi neri a contrasto con il viso. Era una cosa spaventosa da vedere  –  come   come assistere alla realizzazione delle visioni di Alice. Il battito forte forte e regolare del cuore di Bella era l’unica rassicurazione, il suono che impediva a questo momento di sembrare un incubo. Fui sollevato quando suo padre rincasò. Riuscii a sentirne poco intanto che da in fondo alla strada guidava verso casa. Un

qualche vago disappunto…passato, qualcosa successa al lavoro. Aspettativa e fame ©2008 Stephenie Meyer

 

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 –  immaginai mescolate –  mescolate   immaginai che attendesse impaziente di cenare. Ma i suoi pensieri erano così discreti e contenuti che non ero sicuro di avere ragione; potevo coglierne soltanto l’essenza.   l’essenza.  –  che Mi domandai come fosse sua madre madre –    che tipo di combinazione genetica le avesse dato forma così eccezionalmente. Bella cominciò a svegliarsi, scattando in posizione seduta quando i pneumatici della macchina del padre raggiunsero raggiunsero i mattoni del vialetto d’accesso. Si guardò intorno, apparentemente appa rentemente confusa dall’inattesa oscurità. Per un breve momento, i suoi occhi toccarono le ombre in cui mi nascondevo, ma guizzarono via velocemente. “Charlie?” chiamò a bassa voce, voc e, scrutando ancora tra gli alberi che circondavano il  piccolo giardino. La portiera della radiomobile sbatté chiudendosi, e si voltò verso quel ssuono. uono. Si alzò rapidamente in piedi e raccolse le sue cose, gettando un’altra occhiata alle sue spalle spall e in direzione del bosco. Mi spostai dietro un albero in prossimità della finestra sul retro vicina alla piccola cucina, e ne ascoltai il corso della serata. Era interessante confrontare le parole di Charlie con i suoi pensieri smorzati. L’amore e la preoccupazione per la sua unica figlia erano quasi dominanti, e tuttavia le sue parole erano sempre concise ed occasionali. Per la maggior parte del tempo restavano seduti in tacita intesa. La sentii discutere i suoi progetti per la sera successiva a Port Angeles, e perfezionai i miei piani mentre ascoltavo. Jasper non aveva avvisato Peter e Charlotte di stare lontani da Port Angeles. Sebbene sapessi che si erano nutriti di recente e che non avevano intenzione di cacciare da nessuna parte nei dintorni di casa nostra, l’avrei tenuta d’occhio, a scanso di equivoci. Dopo tutto, c’erano sempre altri della mia specie là fu ori. E poi, tutti quei pericoli umani che non avevo mai preso granché in considerazione prima d’ora.  d’ora.   L’ascoltai dare voce voce alla sua preoccupazione riguardo al lasciare che il padre si  preparasse la cena da solo, e sorrisi a questa dimostrazione della mia teoria  –  si,   si, era una  balia. E poi me ne andai, sapendo che sarei tornato quando si fosse addormentata.  Non avrei violato la sua  privacy  privacy   come un qualunque guardone. Io ero lì per  proteggerla,  proteg gerla, non per spiarla maliziosamente così come non c’era dubbio che avrebbe fatto

Mike Newton, se fosse stato abbastanza agile da potersi muovere tra le cime degli alberi ©2008 Stephenie Meyer

 

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come me. Non l’avrei trattata in modo tanto grossolano.  grossolano.   Casa mia era vuota quando rientrai, il che era un bene per me. Non sentivo la mancanza dei pensieri confusi o sprezzanti, che indagavano sulla mia sanità mentale. Emmett mi aveva lasciato un messaggio appeso al montante della scala.  Football al campo Rainier Rainier –   –  raggiungici!  raggiungici! Per favore? Trovai una penna e scarabocchiai la parola  spiacente  spiacente sotto  sotto la sua richiesta. In ogni caso, le squadre erano al completo anche senza di me. Feci la più breve delle battute di caccia, accontentandomi delle creature più piccole e più miti che non avevano un sapore buono come quello dei predatori, e poi indossai dei vestiti puliti e tornai di corsa a Forks. Bella non dormiva granché bene stanotte. Si agitava tra le coperte, con il viso talvolta talvol ta ansioso, talvolta triste. Mi chiesi che tipo di incubo la perseguitasse…e poi mi resi conto che forse non volevo saperlo veramente. Quando parlava, per lo più borbottava con voce cupa delle cose sprezzanti su Forks. Solo una volta, quando aveva sospirato la parola “Torna” e la sua mano si era aperta di scatto –  scatto  –  una  una supplica muta –  muta –  ebbi l’occasione di sperare che sognasse sognasse di me. Il giorno dopo a scuola, l’ultimo l’ ultimo giorno  giorno in cui il sole mi avrebbe tenuto prigioniero, fu pressoché identico a quello precedente. Bella sembrava addirittura più malinconica di ieri, e mi chiesi se sarebbe s arebbe venuta meno ai suoi progetti –  progetti –  non sembrava dell’umore giusto.  giusto.   Ma, trattandosi di Bella, probabilmente metteva il divertimento delle proprie amiche al di sopra del proprio. Indossava una camicetta blu scura oggi, ed il colore metteva in risalto la sua pelle alla perfezione, facendola sembrare panna fresca. La scuola terminò, e Jessica acconsentì a passare a prendere le altre ragazze  –  anche  anche Angela sarebbe andata, del che fui grato. Andai a casa per prendere la macchina. Quando scoprii che Peter e Charlotte erano lì, decisi che potevo permettermi di concedere alle ragazze all’incirca un’ora di vantaggio. va ntaggio.  Non avrei mai sopportato di seguirle a distanza, guidando entro i limiti di velocità  –   un  pensiero terrificante. Entrai dalla cucina, facendo un vago cenno d’assenso ad Emmett ed Esme che mi salutarono mentre nel salone passavo davanti a tutti ed andavo diritto al piano.

Ugh, è tornato. Rosalie, tornato. Rosalie, naturalmente. ©2008 Stephenie Meyer

 

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 Ah, Edward. Odio vederlo soffrire in questo modo. La modo. La preoccupazione cominciava a guastare la gioia di Esme. Avrebbe  Avrebbe   dovuto  dovuto  es essere sere preoccupata. La storia d’amore che aveva immaginato per me stava naufragando in tragedia ogni istante in modo più evidente.  Divertiti a Port Angeles stasera, stasera, pensò Alice allegramente. allegramente . Fammi sapere quando ho il permesso di parlare con Bella. Bella. Sei patetico. Non posso credere che hai mancato la partita l’altra notte solo per vedere qualcuno dormire, dormire, brontolò Emmett. Jasper non mi prestò alcun pensiero, neanche quando il brano che suonavo diventò un pò più burrascoso di quanto non avessi inteso. Era un vecchio brano, con un tema familiare: fami liare: l’impazienza. Jasper stava salutando i suoi amici, che mi squadravano incuriositi. Che strana creatura, creatura, stava pensando Charlotte, la biondina coi capelli quasi bianchi della taglia di Alice. Ed Alice. Ed era così normale ed affabile l’ultima volta che ci siamo incontrati ncontrati.. I pensieri di Peter erano in sincronia con quelli di lei, com’era sempre stato.  stato.    Devono essere esse re gli animali. La carenza di sangue umano li conduce alla follia alla  fine,, stava concludendo. I suoi capelli erano chiari come quelli di lei, e quasi altrettanto  fine lunghi. Erano molto simili –  simili  –  eccetto  eccetto per la taglia, poiché lui era alto quasi quanto Jasper  –   sia nel modo di apparire che di pensare. Una coppia ben assortita, avevo sempre pensato. Tutti tranne Esme smisero di pensare a me poco dopo, e suonai in toni più contenuti co così sì da non attirare l’attenzione.  l’attenzione.   Non feci loro molto caso per un lungo momento, lasciando che fosse solamente la musica a distrarmi dal mio malessere. Era difficile non avere più la ragazza a portata di vista vista o di mente. Riportai l’attenzione sulla loro conversazione solo quando i saluti si fecero più definitivi. “Se vedi di nuovo Maria”, stava dicendo Jasper, con una certa prudenza, “dille che le auguro ogni bene”.  bene”.  Maria era la vampira che aveva creato sia Jasper sia Peter  –   Jasper nella seconda metà del diciannovesimo secolo, Peter più recentemente, nel millenovecentoquaranta. Aveva cercato Jasper una volta quando stavamo a Calgary. Era stata una visita piuttosto movimentata - eravamo dovuti partire immediatamente. Jasper le aveva chiesto cortesemente di mantenere le distanze in futuro.

Non credo che succederà presto , disse Peter con una risata

  Maria era

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innegabilmente pericolosa e lei e Peter non si potevano vedere. Peter, dopo tutto, aveva contribuito alla defezione di Jasper. Jasper era sempre stato il favorito di Maria; lei considerava un dettaglio minore che una volta aveva pianificato di ucciderlo. “Ma se tamente”.  dovesse capitare, lo farò cer tamente”.  Al che stavano stringendosi la mano, preparandosi a partire. Lasciai che il brano che stavo suonando sfumasse in una fine deludente, e mi alzai frettolosamente in piedi. “Charlotte, Peter” dissi annuendo.  annuendo.  “E’ stato un piacere rivederti, Edward” disse Charlotte incerta. Peter si limitò ad annuire di rimando.  Pazzo,, inveì Emmett.  Pazzo  Idiota,, pensò Rosalie contemporaneamente.  Idiota  Povero ragazzo. ragazzo. Esme. Ed Alice, con un tono di rimprovero. Andranno rimprovero.  Andranno diritti ad est, verso Seattle. Neanche lontanamente vicino a Port Angeles. Angeles . Mi mostrò la prova nelle sue visioni. Finsi di non aver sentito. Il mio alibi era già abbastanza inconsistente. Una volta in macchina, mi sentii più rilassato; il ronzio energico del motore che Rosalie aveva truccato per me –  me  –   l’anno prima, quand’era meglio disposta –  era   era calmante. Era un sollievo essere in movimento, sapere che stavo per avvicinarmi sempre di più a Bella ad ogni chilometro che volava via sotto i miei pneumatici.

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9. Port Angeles

Quando arrivai a Port Angeles, c’era troppa luce perché potessi guidare all’interno della città; il sole era ancora troppo alto nel cielo e, sebbene i miei finestrini fossero oscurati, non c’era ragione di correre dei rischi inutili. inutili . Ulteriori Ulteriori rischi  rischi inutili, avrei dovuto dire. Ero certo che sarei riuscito a trovare i pensieri di Jessica a distanza  –  i   i pensieri di Jessica avevano un volume superiore a quelli di Angela, ma una volta trovata l’una, sarei s arei stato in grado di ascoltare l’altra. Poi, quando le ombre si fossero allungate, mi sarei  potuto avvicinare. Per ora, mi levai dalla strada fermandomi appena fuori città, su un  passo carraio ricoperto dalle ortiche che sembrava essere usato di rado. In generale sapevo in quale direzione cercare  –   c’era invero solamente un posto a Port Angeles in cui si potevano acquistare dei vestiti. Non mi ci era voluto molto per trovare Jessica, che stava rigirandosi davanti ad uno specchio a tre ante, e potevo vedere Bella di sottecchi, che faceva degli apprezzamenti sul lungo vestito nero che indossava.  Bella sembra ancora incavolata. Ha ha. Angela aveva ragione –  ragione  –  Tyler   Tyler si sbagliava di grosso. Non posso credere che sia ancora seccata per questo, però. Quantomeno ha una riserva pronta in panchina per il ballo di fine anno. Che succede se Mike non si diver te te al ballo, e non m’invita più ad uscire?E se chiede a Bella di accompagnarlo al ballo di fine anno?Lei lo avrebbe invitato al ballo se non avessi detto niente? Non è che lui pensi che lei sia più bella di me? Non è che magari è lei a lei a pensare di essere più bella di me? “Credo di preferire quello blu. Fa davvero risaltare i tuoi occhi”. occhi ”.   Jessica sorrideva a Bella con finto trasporto, mentre la squadrava diffidente.  Lo pensa veramente? O vuole soltanto soltanto che sabato sembri una mucca? Ero già stanco di ascoltare Jessica. Cercai Angela lì vicino  –  ah,   ah, ma Angela stava cambiandosi d’abito, e me la filai in fretta dalla sua mente per concederle un pò di  privacy  privacy.. Beh, non c’erano molti guai in cui Bella potesse cacciarsi all’interno di un grande gra nde magazzino. Le avrei lasciate alle loro compere e poi le avrei recuperate quando avessero finito. Non mancava molto a che facesse buio –  buio  –  le  le nuvole stavano cominciando a ritornare, accumulandosi da est. Potevo solamente intravederne degli scorci attraverso il fitto degli

alberi, ma capivo che avrebbero anticipato il tramonto. Diedi loro il benvenuto, ©2008 Stephenie Meyer

 

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avvertendone un bisogno disperato maggiore di quanto mai prima ne avessi agognate le ombre. Domani mi sarei potuto sedere di nuovo vicino a Bella a scuola, monopolizzandone monopolizzan done ancora l’attenzione durante la pausa pranzo. Avrei potuto farle tut te le domande che avevo messo da parte…  parte…  E così era furiosa per la presunzione di Tyler. L’avevo visto nella sua mente –  che –  che aveva inteso dire letteralmente quando aveva parlato del ballo di fine anno, che stava accampando dei diritti. La immaginai immagina i con l’espressione di quel pomeriggio –   l’incredulità sdegnata –  sdegnata  –   ee scoppiai a ridere. Mi chiedevo cosa gli avrebbe detto riguardo a questo. Non avrei voluto perdermi la sua reazione. Il tempo scorreva lento intanto che aspettavo che le ombre si allungassero. Di tanto in tanto controllavo Jessica; la sua voce mentale era la più facile da trovare, ma non mi  piaceva soffermarmici a lungo. Vidi il posto in cui stavano progettando di cenare. Sarebbe stato buio per l’ora di cena…magari avrei potuto scegliere sce gliere per pura coincidenza lo stesso ristorante. Sfiorai il cellulare nella mia tasca, pensando d’invitare Alice a man ma ngiare fuori…  Ne sarebbe stata entusiasta, entusias ta, ma avrebbe anche voluto parlare con Bella. Non ero sicuro di essere pronto a coinvolgere Bella ancora di  più  più nel  nel mio mondo. Un solo vampiro non era un problema sufficiente? Feci un altro controllo di routine routine   su Jessica. Stava pensando alla sua bigiotteria, chiedendo il parere di Angela. “ Forse avrei fatto meglio a prendere il girocollo nero. Ne ho uno a casa che  potrebbe  po trebbe andare, ed ho speso più di quanto avessi previsto… previsto…”. ”.  Mamma andrà fuori di testa. A cosa stavo pensando?  pensando?  “ Non mi dispiace tornare al negozio. Tuttavia, pensi che Bella ci starà cercando? cercando?””  Questo cosa voleva dire? Bella non era con loro? Prima guardai fisso attraverso gli occhi di Jessica, poi passai a quelli di Angela. Erano sul marciapiede di fronte ad una fila di negozi, pronte a tornare sui propri passi. Bella non si vedeva da nessuna parte. Oh, a chi importa di Bella?  Bella?  Pensò Jessica insofferente, prima di rispondere alla do domanda manda di Angela. “ Lei starà bene. Arriveremo in tempo al ristorante, anche se torniamo indietro. In ogni caso, credo che voglia restare da sola”. sola ”. Catturai un breve scorcio della libreria in cui Jessica pensava fosse andata Bella. “Sbrighiamoci, allora”, allora”, disse Angela. Spero che Bella non pensi che l’abbiamo

 scaricata.  sca ricata. E stata così carina con me in macchina prima… E davvero una persona ©2008 Stephenie Meyer

 

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 gentile. Ma è sembrata come depressa tutto il giorno. Chissà se è per via di Edward Cullen? Scommetto che è per questo che mi ha chiesto della sua famiglia…  famiglia…   Avrei dovuto prestare maggiore attenzione. Quanto mi ero perso? Bella stava girando da sola, e prima stava chiedendo di me? Angela dava retta a Jessica adesso  –   Jessica stava ciar lando lando di quell’idiota di Mike –  e non avrei ottenuto nient’altro da lei.  lei.   Misurai le ombre. Il sole presto sarebbe stato nascosto dalle nuvole. Se mi fossi tenuto sul lato est della strada, dove gli edifici facevano ombra alla luce che stava svanendo… svanen do…   Cominciai a sentirmi in ansia mentre guidavo nel poco traffico del centro città. Questo era qualcosa che non avevo considerato –  considerato  –  Bella  Bella che se la svignava da sola  –  e  e non avevo idea di come trovarla. Avrei dovuto dovuto considerarlo.  considerarlo. Conoscevo bene Port Angeles; andai diritto alla libreria nella mente di Jessica, sperando che la mia ricerca fosse breve, ma dubitando che sarebbe stata così semplice. Quando Quan do mai Bella l’aveva fatta l’aveva fatta facile? Infatti, il piccolo negozio era vuoto, fatta eccezione per la donna dietro al bancone vestita in modo anacronistico. Non sembrava il genere di posto che potesse attirare Bella troppo new age per age per una persona pragmatica. Chissà se si era presa il disturbo di entrare? C’era una chiazza d’ombra in cui potevo parcheggiare… Creava un sentiero scuro che sporgeva diritto proprio fin sopra il negozio. Davvero non avrei dovuto. Girovagare nelle ore di sole non era sicuro. Che sarebbe successo se, proprio al momento sbagliato, una macchina di passaggio avesse proiettato il riflesso ri flesso del sole all’interno dell’ombra?  dell’ombra?  Ma non sapevo in che altro modo cercare Bella! Parcheggiai e scesi, mantenendomi sul lato più scuro dell’ombra. A grandi passi veloci camminai fin dentro il negozio, registrando la debole traccia del profumo di Bella nell’aria. Era stata qui, sul marciapiede, ma non c’era alcun accenno del suo profumo all’interno della libreria.  libreria.  “Benvenuto! Posso Posso -” -” cominciò a dire la commessa, ma ero già fuori della po porta. rta. Seguii il profumo di Bella fintanto che l’ombra me lo permise, fermandomi al limitare della luce del sole. Quanto mi faceva sentire impotente  –  imprigionato   imprigionato nella linea tra il buio e la luce che si allungava sul marciapiede di fronte a me. Così limitato.

Potevo solo supporre che avesse continuato lungo la strada, dirigendo a sud. Non ©2008 Stephenie Meyer

 

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c’era davvero granché in quella direzione. Si era persa? Beh, quella possibilità non suonava del tutto estranea al suo carattere. Tornai in macchina e guidai lentamente lungo le strade, str ade, cercandola. Scesi all’interno di qualche altra chiazza ombrosa, ma potei solo cogliere il suo profumo ancora una volta, e la direzione mi confuse. Dove stava cercando cer cando di andare? Guidai su e giù tra la libreria li breria ed il ristorante un pò di volte, sperando di vederla dove sarebbe dovuta essere. Jessica ed Angela erano già lì, cercando di decidere se ordinare, o aspettare Bella. Jessica stava facendo pressioni per ordinare immediatamente. Cominciai a saltare nelle menti degli sconosciuti, guardando attraverso i loro occhi. Sicuramente, qualcuno doveva averla vista da qualche parte. Diventavo sempre più ansioso quanto più a lungo rimaneva dispersa. Finora non avevo considerato quanto potesse dimostrarsi difficile trovarla una volta che, come adesso, fosse uscita dal mio campo visivo e dai suoi percorsi abitudinari. Non mi piaceva. Le nuvole si stavano ammassando all’orizzonte e, entro pochi minuti, sarei stato libero di seguirne la traccia a piedi. Non mi ci sarebbe voluto molto a quel punto. Era solo il sole a rendermi così impotente adesso. Ancora pochi minuti solamente, e poi il vantaggio sarebbe stato di nuovo mio e sarebbe stato il mondo degli umani ad essere impotente. Un’altra mente, e un’altra. Così tanti pensieri irrilevanti.  irrilevanti.  …penso che il pupo abbia un’altra infezione alle orecchie…  orecchie…    Era seicentoquaranta o seicentoquattro…?  seicentoquattro…?   Di nuovo in ritardo. Dovrei dirglielo…  dirglielo…   Ecco che viene! Aha!  Aha!  Finalmente ero arrivato al suo viso. Finalmente, qualcuno l’aveva notata! not ata! Il sollievo durò solamente una frazione di secondo, perché scrutai più a fondo nei  pensieri dell’uomo che tra le ombre stava gongolando intento sul suo viso.  viso.  La sua mente mi era estranea, e tuttavia, non completamente sconosciuta. Un tempo avevo dato la caccia esattamente a questo genere di mente. “NO!” ruggii, ed una raffica una raffica di urla rabbiose proruppe dalla mia gola. Il mio piede spinse l’acceleratore a tavoletta, ma dove stavo andando?  andando?   A grandi linee conoscevo il luogo che aveva nei pensieri, ma non abbastanza nel

dettaglio. Qualcosa, doveva esserci qualcosa –  qualcosa  –  un   un cartello stradale, una vetrina, qualcosa ©2008 Stephenie Meyer

 

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nella sua visuale che mi rivelasse la sua posizione. Ma Bella era immersa nell’ombra, e gli occhi di lui focalizzavano solamente la sua espressione spaventata  –  godendo   godendo della paura che c’era lì.  lì.   Nella sua mente il suo viso si confondeva con il ricordo di altri visi. Bella non era la sua prima vittima. Il suono dei miei ruggiti scuoteva il telaio della macchina, ma non mi distraeva.  Non c’erano finestre sulla parete alle sue spalle. Era spalle. Era una qualche zona industriale, lontana dal quartiere più affollato dei negozi. La mia macchina sgommò girando un angolo, superando un altro veicolo, puntando verso quella che speravo fosse la direzione giusta. Per quando l’altro guidatore riuscì a suonare suon are il clacson clacson,, il suono era già lontano alle mie spalle. Guarda come trema!  trema! L’uomo ridacchiava pregustando il momento. La paura era ciò che l’attraeva –  la  la parte che lo divertiva. “Stai lontano da me”. me”. La sua voce era bassa e calma, no non n un grido. “ Non fare così, dolcezza”. dolcezza”.   La vide trasalire al suono di una fragorosa risata proveniente da un’altra direzione. direzi one. Era seccato dal rumore  –   Chiudi il becco, Jeff!  Jeff!  pensò  –   ma gli piaceva il modo in cui aveva sussultato. Lo eccitava. Cominciò ad immaginare le sue suppliche, il modo in cui avrebbe pregato…  pregato…   Non mi ero reso conto che ce n’erano degli altri con lui finché non avevo sentito quella risata chiassosa. Gli rovistai intorno, disperando di trovare qualcosa che potesse tornarmi utile. Stava facendo il primo passo verso di lei, flettendo le mani. Le menti che lo circondavano non erano un pozzo nero come la sua. Erano tutti lievemente lievemente ubriachi, nessuno di loro capiva quanto lontano intendeva spingersi l’uomo che l’uomo che chiamavano Lonnie. Stavano seguendo le indicazioni di Lonnie alla cieca. Lui gli aveva  promesso un pò di divertimento…  divertimento…  Uno di loro lanciò un’occhiata in fondo alla strada, nervoso –   non voleva essere scoperto a molestare la ragazza –  ragazza –  e  e mi fornì fornì ciò di cui avevo bisogno. Riconobbi l’incrocio stradale verso il quale guardava. Passai con il rosso sfrecciando, infilandomi in uno spazio appena sufficiente tra due macchine nel traffico in movimento. I clacson clacson strombazzarono  strombazzarono alle mie spalle.

Il cellulare che avevo in tasca vibrava. Lo ignorai. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Lonnie si avvicinava lentamente alla ragazza, prolungando la tensione –  tensione  –  il  il momento di terrore che lo eccitava. Aspettava che strillasse, pregustandoselo. Ma Bella serrò le mascelle e si mise in guardia. Era sorpreso  –  si   si era aspettato che cercasse di scappare. Sorpreso e lievemente contrariato. Gli piaceva inseguire la sua preda, l’adrenalina della caccia.  caccia.  Coraggiosa questa. Anche meglio, immagino… combattiva. combattiva . Ero ad un isolato di distanza. Il mostro poteva sentire il rombo del mio motore adesso, ma non ci badava, troppo preso dalla sua vittima. Avrei visto quanto avrebbe apprezzato la caccia una volta diventato la preda. Avrei visto cosa ne pensava del mio mio modo  modo di cacciare. In un altro compartimento della mia mente, stavo già passando in rassegna la varietà di torture di cui mi ero reso testimone nei miei giorni da vigilante, cercando la più dolorosa tra quelle. Avrebbe sofferto per questo. Si sarebbe contorto agonizzante. Gli altri sarebbero semplicemente morti per avervi partecipato, ma il mostro di nome Lonnie avrebbe pregato a lungo di morire prima che gli facessi quel regalo. Stava attraversando la strada per raggiungerla. Svoltai l’angolo di netto, i miei fanali inondarono la scena di fronte ed immobilizzarono il resto di loro sul posto. Avrei potuto travolgere il capo, che saltò via dalla strada, ma sarebbe stata st ata una morte troppo veloce per lui. Lasciai che la macchina facesse testacoda, girando completamente su se stessa cosicché mi ritrovai rivolto verso la strada da cui ero venuto e con la portiera del  passeggero quanto più vicina a Bella. La spalancai, e lei stava già correndo verso la macchina. “Sali”, ringhiai.  ringhiai.  Che diavolo? Sapevo che era una cattiva idea! Non è sola.  Dovrei scappare?  scappare?   Penso che sto per vomitare…  vomitare…  Bella saltò attraverso lo sportello aperto senza esitare, sbattendolo mentre se lo chiudeva alle spalle. E poi mi guardò con l’espressione più fiduciosa che avessi mai vista su un volto

umano, e tutti i miei propositi violenti andarono in pezzi. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Mi ci volle meno, molto meno di un secondo per capire che non avrei potuto lasciarla in macchina per occuparmi dei quattro uomini in strada. Cosa le avrei detto, di non guardare? Ah! Quando mai faceva quello che le chiedevo? Quando mai faceva la cosa  più sicura? Li avrei trascinati via, dove non poteva vedermi, e l’avrei lasciata qui da sola? Era una scommessa che un altro pericoloso essere umano si stesse aggirando per le strade di Port Angeles stasera, ma era pure una scommessa che ci fosse addirittura quel primo! Come una calamita, lei attirava tutto ciò che c’era di pericoloso. Non potevo permettermi permettermi di perderla di vista. Avrebbe avuta la sensazione di una continuità dell’azione mentre acceleravo, allontanandola dai suoi persecutori così velocemente che quelli spalancavano le bocche con l’espressione l’espressione di chi è lento a capire. Non si sarebbe resa conto di quel mio attimo di esitazione. esita zione. Avrebbe dato per scontato che fin dall’inizio il piano fosse quello di scapp are.  Non potevo nemmeno nemmeno travolgerlo con la macchina. Si sarebbe spaventata. Volevo la sua morte così selvaggiamente che la necessità rimbombava nelle mie orecchie e mi annebbiava la vista ed indugiava saporita sulla mia lingua. I miei muscoli erano avviluppati dal desiderio, dalla brama, dal bisogno di farlo.  Dovevo  Dovevo   ucciderlo. L’avrei scorticato lentamente, pezzo dopo pezzo, pelle dal muscolo, muscolo dall’osso…  dall’osso…   Tranne che la ragazza  –   l’unica ragazza al mondo –  si   si stava aggrappando al sedile con entrambe le mani, guardandomi fisso, con gli occhi ancora spalancati e totalmente colmi di fiducia. La vendetta avrebbe dovuto aspettare. “Mettiti la cintura”, ordinai. La mia voce era roca per l’odio e la sete di sangue. Non la solita sete di sangue. Non mi sarei sporcato bevendo anche solo una goccia del sangue di quell’uomo. quell’uomo.   Lei allacciò la cintura, sobbalzando leggermente al suono che produsse. Quel  piccolo  picco lo scatto l’aveva fatta trasalire, tuttavia non batté ciglio mentre sfrecciavo attraverso la città, ignorando tutte le regole sulla circolazione stradale. Mi sentivo addosso i suoi occhi. Sembrava stranamente rilassata. Non aveva senso per me  –   non con quello che aveva appena passato. “Stai bene?” chiese, con la voce roca per la paura e lo lo stress  stress..  Lei voleva  Lei  voleva sapere se io io stavo  stavo bene?

Pensai alla sua domanda per una frazione di secondo. Non abbastanza per lei perché ©2008 Stephenie Meyer

 

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 potesse notare l’incertezza. Stavo  potesse Stavo bene?  bene? “No”, realizzai, ed il mio tono ribolliva di rabbia.  rabbia.   La portai sulla stessa strada dismessa in cui avevo passato il pomeriggio impegnato nella più scadente sorveglianza mai messa in atto. Era buio ora sotto gli alberi. Ero così furioso che il mio corpo era pietrificato lì sul posto, completamente immobile. Le mie mani gelide chiuse a pugno anelavano di schiantare il suo aggressore, di triturarlo tritu rarlo in pezzi così maciullati che il suo corpo non sarebbe mai stato identificato…   Ma questo avrebbe implicato il lasciarla da sola, indifesa nell’oscurità della notte.  notte.   “Bella?” chiesi tra i denti. de nti. “Si?” rispose rauca. Si schiarì la gola.  gola.   “Tu stai bene?”. Quella era la cosa davvero più importante, la prima di tutte le  priorità. Il castigo casti go era secondario. Lo Lo sapevo  sapevo,, ma il mio corpo era così pieno di rabbia che mi era difficile ragionare. “Si”. La sua voce era ancora roca –  per  per la paura, senza alcun dubbio. E perciò non potevo lasciarla. Anche se non fosse stata costantemente a rischio per una qualche esasperante ragione  –   un qualche scherzo che l’universo l’universo mi stava giocando  – , anche se fossi potuto essere certo certo che  che sarebbe stata perfettamente al sicuro in mia assenza, non potevo lasciarla da sola nel buio. Doveva essere talmente spaventata. Tuttavia non ero in condizioni di poterla confortare  –   quand’anche avessi saputo esattamente come andava fatto, cosa che non era. Di sicuro poteva sentire la brutalità che irraggiavo, di sicuro almeno quella era palese. L’avrei spaventata ancora di più se non fossi riuscito a placare la smania di fare una carneficina che mi stava ribollendo dentro. Dovevo pensare a qualcos’altro.  qualcos’altro.  “Fammi svagare, per favore” la pregai.  pregai.   “Come scusa?”  scusa?”  A malapena avevo controllo a sufficienza per spiegarle ciò di cui avevo bisogno. “Chiacchiera di qualcosa senza alcuna importanza finché non mi calmo”, le spiegai, spi egai, con le mascelle ancora serrate. Solo la consapevolezza che aveva bisogno di me mi tratteneva tratte neva in macchina. Potevo sentire i pensieri dell’uomo, il suo disappunto e la rabbia…

Sa pevo dove trovarlo… Chiusi gli occhi, desiderando di essere incapace di vedere ©2008 Stephenie Meyer

 

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ugualmente…   ugualmente… “Um”. Esitava –   cercando di dare un senso alla mia richiesta, immaginai. “Domani “Dom ani  prima di entrare a scuola intendo passare sopra s opra a Tyler Crowley con la macchina?”. Disse come se fosse una domanda. Si  –   questo era ciò che mi serviva. Ovviamente Bella se ne sarebbe uscita con qualcosa qual cosa d’inaspettato. Come già era stato prima, una minaccia di violenza proferita da lle sue labbra era esilarante –  esilarante –  l’inconciliabilità era davvero comica.  comica.   “Perché?” latrai, per forzarla a parlare ancora.  ancora.   “Va dicendo a tutti che mi porterà al ballo di fine anno”, disse, con la voce colma del suo sdegno da gattina che si crede una tigre. “O è demente o sta ancora cercando di farsi perdonare per avermi quasi uccisa l’ultima…beh

te ne ricordi”,

infilò

sarcasticamente, sarcasticamen te, “e pensa che il ballo di fine anno non anno non si sa come sia la maniera migliore di farlo. Perciò immagino che se metto a repentaglio la sua vita, allora saremo pari, e la smetterà di cercare di fare ammenda. Non ho bisogno di nemici e forse Lauren farebbe marcia indietro se lui mi lasciasse stare. Potrei dover demolire la sua Sentra, però”, continuò, meditabonda ora. “Se non ha una macch ma cchina ina non può portare nessuno al ballo…”.  ballo…”.  Era incoraggiante scoprire che qualche volta anche lei fraintendeva le cose. La  per severanza severanza di Tyler non aveva niente a che fare con l’incidente. Non pareva rendersi conto del fascino che esercitava sui ragazzi umani della scuola superiore. Non riusciva a capire nep pure l’attrazione che esercitava su di me?  me?   Ah, stava funzionando. I meccanismi confusi della sua mente erano sempre avvincenti. Stavo cominciando a riprendere il controllo di me stesso, a vedere qualcosa al di là della vendetta vendetta e della tortura…  tortura…  “L’ho sentito dire”, le dissi. Aveva smesso di parlare ed avevo bisogno che continuasse. “Anche tu tu?” ?” chiese incredula. E poi la sua voce diventò più furiosa di prima. “Ne ppure paralizzato paralizzato dal collo in giù potrà andare al ballo”.  ballo”.  Volevo che ci fosse un modo per chiederle di continuare con le sue minacce di morte e di lesioni fisiche senza sembrare folle. Non avrebbe potuto scegliere un modo migliore per calmarmi. E le sue parole  –  solo   solo sarcasmo nel suo caso, iperboli  –  erano   erano un tonico del quale sentivo grandemente la necessità in questo momento.

Sospirai, ed aprii gli occhi. ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Meglio?” chiese timidamente.  timidamente.  “Veramente no”.  no”.   No, ero più calmo, ma non mi sentivo senti vo meglio. Perché avevo appena capito che non  potevo uccidere il mostro di nome Lonnie, e volevo ancora farlo quasi più di ogni altra cosa al mondo. Quasi. L’unica cosa che in questo momento volevo di più del commettere un omicidio ampiamente giustificabile, era la ragazza. E, sebbene non potessi averla, bastava l’illusione   di poterla avere a rendermi impossibile l’andare a fare un massacro stasera –   l’illusione non importa quanto potesse essere giustificabile. Bella meritava di meglio che un assassino. Avevo speso settant’anni cercando di essere qualcosa di più di quello –  qualunque   qualunque cosa purché non un assassino. Tutti quegli anni di fatica non mi avrebbero mai reso degno della ragazza che stava seduta accanto a me. E ciononostante, sentivo che se fossi tornato a quella vita –  vita –  la  la vita di un assassino –  assassino  –   anche anche solo per una notte, sicuramente sarebbe stata fuori dalla mia portata per sempre. Anche se non avevo pensato di berne il sangue  –  anche  anche se non ne avessi mostrata l’evidenza l ’evidenza sfavillante rossa nei miei occhi –  lei  lei avrebbe notata la differenza? Stavo cercando di essere abbastanza buono per lei. Era un obiettivo impossibile. Avrei continuato a provare. “Che c’è che non va?” mormorò. mormorò. Il suo respiro mi riempì il naso, e mi ricordò perché non potevo essere degno di lei. Dopo tutto questo, a dispetto di tutto l’amore che provavo per lei…ancora mi faceva venire veni re l’acquolina in bocca.  bocca.   Sarei stato quanto più possibile sincero con lei. Glielo dovevo. “Qualche volta ho dei problemi a controllarmi, Bella”. Guardai fuori nella notte  buia, desiderando insieme che percepisse e non percepisse l’orrore insito nelle mie par ole. ole. In misura maggiore che non lo percepisse. Scappa, Bella, scappa. Resta, Bella, resta. resta. “Ma non sarebbe non  sarebbe  utile per me voltare la macchina e braccare quei…”. Il solo pensarlo quasi mi spinse fuori dalla macchina. Respirai a fondo, lasciando che il suo profumo mi bruciasse la gola. “Almeno, è ciò di cui sto tentando di convincermi”.  convincermi”.   “Oh”.   “Oh”.

 Non disse altro. Quanto aveva capito dalle mie parole? Le lanciai un’occhiata ©2008 Stephenie Meyer

 

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furtiva, ma il suo viso era indecifrabile. Bianco per lo  shock , forse. Beh, non stava gridando. Non ancora. Per un momento fu il silenzio. silenzio. Lottai con me stesso, cercando di essere cos’avrei dovuto essere. Cosa non avrei potuto essere. “Jessica ed Angela saranno preoccupate”, disse calma. La sua voce era molto serena, e non ero sicuro di come fosse possibile.  Era  Era   in stato di  shock ? Forse gli avvenimenti avveni menti di stasera non avevano ancora fatto breccia in lei. “Avrei dovuto raggiungerle”.   raggiungerle”. Voleva allontanarsi da me? O era solo preoccupata per la preoccupazione delle sue amiche?  Non le risposi, ma misi in moto la macchina e la riportai indietro. Ogni centimetro in più che mi avvicinavo alla città, diventava più difficile mantenere il mio proposito. Ero così vicino vicino  a lui…  lui…  Se era impossibile  –   se mai avrei potuto avere o meritare la ragazza  –   allora che senso sen so aveva lasciare andare quell’uomo impunito? Certamente potevo concedermi almeno quello…   quello…  No, non mi sarei arreso. Non ancora. La La volevo troppo per arrendermi. Eravamo arrivati al ristorante dove si presumeva che avrebbe incontrato le sue amiche ami che prim’ancora che cominciassi a dare un senso ai miei pensieri. Jessica ed Angela avevano finito di mangiare, ed entrambe ora erano e rano davvero preoccupate per Bella. Stavano  per andarla a cercare, incamminandosi lungo la strada buia.  Non era la serata giusta per andarsene in giro –  giro –   “Come facevi a sapere dove..?”. dove..?”. La domanda incompiuta di Bella mi aveva interrotto, interrot to, e mi resi conto di aver fatto un’altra  gaffe  gaffe.. Ero stato troppo distratto per chiederle dove avrebbe dovuto incontrare le sue amiche. Ma, invece di completare la domanda e di tenere il punto, Bella si limitò a scrollare il capo ed a fare un mezzo sorriso. Cosa voleva dire quello quello?? Beh, non avevo tempo di scervellarmi sulla sua strana accettazione del mio ancora  più strano essere al corrente. Aprii la portiera. “Che stai facendo?” chiese, apparentemente sbigottita.  sbigottita. 

Ti sto impedendo di scomparire dalla mia vista. Mi sto impedendo di rimanere da ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Ti porto cena”.   solo  so lo stasera. In quest’ordine. quest’ordine. “Ti   porto a cena”.  Beh, questo dovrebbe essere interessante. Pareva essere una serata completamente differente rispetto a quando avevo immaginato di portare Alice con me e di simulare di aver scelto per caso lo stesso ristorante di Bella e delle sue amiche. Ed ora, eccomi qui, come se in pratica avessi un appuntamento appuntamento con la ragazza. Solo che non poteva poteva contare come tale, perché non le stavo dando la possibilità di dirmi di no. Aveva già aperto per metà la propria portiera prima che riuscissi a fare il giro della macchina –  macchina  –  di   di solito non era così frustrante doversi muovere ad una velocità che passasse inosservata  –   invece di aspettare che lo facessi per lei. Era perché non era abituata ad essere trattata come una signora, s ignora, o perché non mi riteneva un gentiluomo? Aspettai che mi raggiungesse, diventando sempre più ansioso man mano che le sue amiche continuavano a camminare verso l’angolo buio.  buio.  “Vai a fermare Jessica ed Angela prima che debba mettermi a cercare anche lo l oro”, ordinai in fretta. “Non penso che potrei trattenermi se incontrassi di nuovo gli altri tuoi amichetti”. No, non sarei stato abbastanza forte per quello.  quello.   Lei rabbrividì, e poi si ricompose immediatamente. Fece un mezzo passo nella loro direzione, chiamandole ad alta voce, “Jess! Angela!”. Si voltarono, e lei le salutò agitando agitando il braccio al di sopra della testa per richiamarne l’attenzione.  l’attenzione.    Bella! Oh, sta bene! Pensò bene! Pensò Angela sollevata.  Non è un pò tardi?  tardi?  Si lamentò Jessica tra sé, ma anche lei era contenta che Bella non fosse smarrita o ferita. Il che me la rese solo poco più simpati simpatica. ca. Corsero indietro, e poi si bloccarono, sbalordite, quando mi videro accanto a lei. Uh-uh! Pensò Uh-uh!  Pensò Jessica, stupefatta. Non stupefatta. Non è stramaledettamente possibile!  Edward Cullen? Se n’è andata via da sola per incontrarlo?Ma perché avrebbe chiesto del loro essere fuori città se sapeva che lui era qui…  qui…  Colsi un breve  flash  flash   dell’espressione mortificata di Bella quando aveva chiesto ad a d Angela se la mia famiglia si assentava spesso da scuola. No, scuola. No, non avrebbe potuto potuto saperlo, saperlo, decise Angela. I pensieri di Jessica stavano passando dalla sorpresa al sospetto. Bella sospetto.  Bella me lo stava tenendo nascosto. nascosto. “Dove sei stata?” chiese perentoria, perentoria, fissando Bella, ma sbirciandomi con la coda dell’occhio.   dell’occhio.

“Mi sono persa. E poi mi sono imbattuta in Edward”, disse Bella, indicandomi con ©2008 Stephenie Meyer

 

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la mano. Il suo tono di voce era, strano a dirsi, normale. Come se quello fosse veramente tutto quel che era successo. Doveva essere sotto shock  sotto shock . Era l’unica spiegazione possibile per la sua calma.   “Andrebbe bene se mi unissi a voi?” chiesi –   per essere educato; sapevo che avevano già mangiato. Santa   miseria ma è uno schianto!  Santa schianto!   Pensò Jessica, con la mente d’improvviso leggermente incoerente. Angela non era molto più composta. Vorrei che non avessimo già mangiato. Wow. Solo. Wow.  Wow.  Perché non potevo avere quell’effetto su Bella?  Bella?   “Ehm…certo”, acconsentì acconsentì Jessica. Angela si accigliò. “Umh, veramente, Bella, nell’attesa abbiamo già mangiato”, ammise. “Mi dispiace”.  dispiace”.  Cosa? Chiudi il becco! Jessica becco!  Jessica reclamò interiormente. Bella scrollò le spalle indifferente. Così rilassata. Decisamente in stato di shock  di  shock . “Fa niente –  niente  –  non sono affamata”.  affamata”.  “Penso che dovresti mangiare qualcosa”, obiettai. Aveva bisogno di mettere degli zuccheri nel sangue –  sangue  –   sebbene il suo profumo sia già abbastanza dolce così com’è, pensai pe nsai sarcasticamente. sarcasticament e. L’orrore l’avrebbe fatta crollare a momenti, ed uno stomaco vuoto non sarebbe stato d’aiuto. Era una che sveniva facilmente, come sapevo per esp erienza. Queste ragazze non sarebbero state in pericolo se andavano diritte a casa. Il pericolo non seguiva ogni loro loro passo.  passo. E preferivo rimanere da solo con Bella –  Bella  –  ammesso   ammesso che lei fosse disposta a rimanere da sola con me. “Vi spiace se stasera riaccompagno io Bella a casa?” dissi a Jessica prima che Bella  potesse rispondere. “In qu questo esto modo non sarete costrette ad aspettare che finisca di mangiare”. man giare”.   “Uh, nessun problema, immagino…”. Jessica fissava Bella di proposito, cercando una qualche conferma che questo fosse ciò che voleva. Vorrei restare…ma probabilmente l ei ei lo vuole tutto per sé. sé . Chi non lo vorrebbe?  vorrebbe?  Pensò Jess. Contemporaneamente, vide Bella farle l’occhiolino.  l’occhiolino.  

Bella aveva fatto  fatto l’occhiolino l’occhiolino?? ©2008 Stephenie Meyer

 

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“D’accordo”, disse Angela rapidamente, avendo fretta di levarsi di torno se qu questo esto era ciò che Bella voleva. E pareva che lo volesse. “Ci vediamo domani, Bel Bella… la…   Edward”. Faticò a dire il mio nome con tono disinvolto. Poi afferrò la mano di Jessica e cominciò a rimorchiarla. Avrei dovuto trovare un modo per ringraziare Angela di questo. La macchina di Jessica era vicina ed all’interno di un cerchio di luce proiettato da un lampione. Bella le osservò attentamente, con una lieve ruga di preoccupazione tra gli occhi, finché non furono salite in macchine, perciò doveva essere pienamente cosciente del pericolo che aveva corso. Jessica salutò con la mano intanto che se ne andava, e Bella la risalutò. Solo quando la macchina sparì fece un respiro profondo e si voltò a guardarmi. “Onestamente, non ho fame”, disse.  disse.  Perché aveva aspettato che se ne fossero andate prima di parlare? Davvero voleva restare da sola con me –  me –   anche anche ora, dopo essere stata testimone della mia furia omicida? Che quello fosse o meno il caso, avrebbe mangiato qualcosa. “Fammi contento”, dissi.  dissi.  Le tenni aperta la porta del ristorante ed aspettai. Lei sospirò, e l’attraversò.  l’attraversò.   Camminai al suo fianco fino al banco della hostess hostess di  di sala. Bella sembrava ancora completamente padrona di sé. Volevo toccarle la mano, la fronte, per controllarne la temperatura. Ma la mia mano gelida le avrebbe fatto ribrezzo, come già era successo. Oh mio, mio, la voce mentale piuttosto acuta della hostess hostess di  di sala fece breccia nella mia coscienza. Mio, coscienza.  Mio, oh mio.  mio.  Pareva che non potessi fare a meno di provocare capogiri stasera. O lo stavo semplicemente notando perché desideravo così tanto che Bella mi vedesse in quel modo? Eravamo sempre molto attraenti per le nostre prede. Non ci avevo mai pensato granché  prima. Di solito –  solito –  salvo  salvo che, come nel caso di soggetti quali Shelly Cope e Jessica Stanley, non ci fosse una ripetizione costante ad ottundere l’orrore –   la paura scalciava l’iniziale attrazione attrazio ne piuttosto in fretta…  fretta…   “Un tavolo per due?” sollecitai, sollecitai , poiché la hostess hostess di  di sala non parlava. “Oh, ehm, si. Benvenuti a La a La Bella Italia”. Italia”. Mmm!  Mmm! Che voce!  voce! “Se volete seguir  seguir mi”. mi”. I suoi pensieri giravano al massimo –  massimo  –  calcolatori… calcolatori…  

 Forse è sua cugina. Non può essere sua sorella, non si somigliano affatto. affatto . Ma sono ©2008 Stephenie Meyer

 

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 parenti, decisamente. Uno come lui non lui non può stare con una come lei. Gli occhi umani erano miopi; non vedevano niente con chiarezza. Come poteva questa donna meschina farsi abbindolare così dalla mia prestanza –  prestanza  –  un’esca per le pr ede –  ede – , e tuttavia non riuscire a vedere la dolce perfezione della ragazza al mio fianco?  Beh, non c’è bisogno di darle una mano, non si sa mai, mai, pensò la hostess hostess   di sala mentre ci guidava verso un tavolo formato famiglia nel bel mezzo della parte più affollata del ristorante. Come faccio a dargli il mio numero con lei qui...? meditò. qui...?  meditò. Presi una banconota dalla tasca posteriore. Le persone erano tutte invariabilmente disposte a collaborare quando si mettevano di mezzo i soldi. Bella stava già quasi sedendosi nel posto indicatole dalla hostess hostess di  di sala senza fare obiezioni. Le feci cenno di no e lei esitò, piegando la testa di lato incuriosita. Si, sarebbe stata molto curiosa stasera. Un luogo affollato non era il posto ideale per questo genere di conversazione. “Magari qualcosa di più riservato?” chiesi alla hostess hostess   di sala, allungandole la  banconota. I suoi s uoi occhi si spalancarono per la so sorpresa, rpresa, e poi si chiusero a fessura mentre me ntre la mano s’avviluppava attorno attorno alla mancia. “Certo”.   “Certo”. Lanciò un’occhiata furtiva al biglietto mentre ci guidava oltre una parete divisoria. divisoria. Cinquanta dollari per un tavolo migliore? E’ ricco, anche. Tutto torna –  scommetto  scommetto che la sua giacca vale più della mia ultima busta paga. Dannazione. Perché vuole appartarsi con lei? lei?  C’indicò un  separé  separé   in un angolo tranquillo del ristorante dove nessuno avrebbe  potuto vederci –  vederci –  vedere  vedere le reazioni di Bella a qualunque cosa le avessi detto. Non avevo la minima idea di cosa avrebbe potuto volere da me stasera. sta sera. O di cosa avrei potuto darle. Quanto aveva intuito? Che spiegazione si era data degli eventi di questa sera? “Questo va bene?” chiese la hostess hostess di  di sala. “Perfetto”, le dissi e, sentendomi lievemente seccato dal suo atteggiamento risentito nei confronti di Bella, le sorrisi apertamente, mostrando i denti. Facendoglieli vedere chiaramente. Whoa.. “Uhm…la cameriera sarà subito da voi”.  Non può essere reale.  Whoa reale.  Devo Devo essere esser e addormentata. Forse lei sparirà…magari sparirà…magari scriverò il mio numero sul suo piatto con il

k etchup… etchup… Si allontanò, sbandando leggermente di lato. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Strano. Ancora non era spaventata. Mi ricordai improvvisamente di Emmett che mi  prendeva in giro a mensa, parecchie settimane prima. Scommetto che sarei stato capace di metterle molta più paura di così. così. Stavo perdendo il mio tocco? “Davvero non dovresti fare così con le persone”, Bella interruppe inter ruppe i miei pensieri con un tono di disapprovazione. “Non è per niente corretto”.  corretto”.  Fissai la sua espressione grave. Che voleva dire? Non avevo per nulla spaventato la hostess  di sala, a dispetto delle mie intenzioni. “Fare cosa?”  hostess cosa?”  “Abbacinarle a quel modo –   probabilmente proprio adesso sta iperventilando in cucina”. cucina ”. Hmm. Bella aveva quasi perfettamente ragione. La hostess hostess di  di sala parlava in modo  per metà sconnesso al momento, fornendo un’errata valutazione di me alla sua amica nel retrocucina. “Oh, andiamo”, mi rimproverò Bella quando non le risposi immediatamente. “ Devi “ Devi   essere essere ben cosciente dell’effetto che hai sulle persone”.  persone”.   “Abbacino le persone?”. Era un modo interessante per descriverlo. Abbastanza accurato accurato per stasera. Mi chiedevo il perché di quella differenza…   “Non l’hai notato?” chiese, ancora critica. “Credi che tutti riescano a fare a modo lo loro ro tanto facilmente?”  facilmente?”  “Riesco ad abbacinare anche te?” te?” diedi voce alla mia curiosità impulsivamente e, e, una volta uscite le parole, era troppo tardi per ricacciarle indietro. Ma prim’ancora che avessi il tempo di pentirmi profondamente di aver parlato ad alta alta voce, lei rispose. “Spesso”. E le sue s ue guance diventarono di un rosa acceso. acceso.   L’abbacinavo. Il mio cuore silenzioso si gonfiò di una speranza più intensa di quanto ricordassi di aver mai provata prima. “Salve”, disse qualcuno, la cameriera, presentandosi. I suoi pensieri erano rumorosi, rum orosi, e più espliciti di quelli della hostess hostess   di sala, ma non l’ascoltai. Scrutavo il viso di Bella invece di ascoltare, osservando il sangue spandersi sotto la sua pelle, facendo caso non a quanto m’incendiasse la gola, ma piuttosto a come le illuminava il viso chiaro, a come faceva risaltare il candore della sua pelle…  pelle…  La cameriera aspettava qualcosa da me. Ah, aveva chiesto cosa volevamo bere.

Continuai a fissare Bella, e la cameriera seppure riluttante si rivolse a lei. ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Prenderò una coca?” disse Bella, come cercando approvazione.  approvazione.   “Due coche”, emendai. La sete –  la  la banale sete umana –  umana  –  era  era un sintomo dello shock  dello  shock . Mi sarei assicurato che immettesse un supplemento di zuccheri nell’organismo con la soda. Sembrava in salute, tuttavia. Più che in salute. Sembrava radiosa. “Che c’è?” chiese –   incerta sul perché la stavo fissando, supposi. Ero a malapena cosciente del fatto che la cameriera si era allontanata. “Come ti senti?” chiesi.  chiesi.  Sbatté le palpebre, sorpresa dalla domanda. “Sto bene”.  bene”.   “Non hai vertigini, nausea, freddo?”  freddo?”  Era anche anche più confusa adesso. “Dovrei?”  “Dovrei?”   “Beh, in verità sto aspettando che tu cada in stato di  shock ”. ”. Feci un mezzo sorr iso, iso, sicuro della sua smentita. Non voleva che ci si prendesse cura di lei. Le ci volle un minuto per rispondermi. I suoi occhi erano leggermente sfocati. Aveva Ave va quell’aria qualche volta, quando le sorridevo. Era…abbacinata?  Era…abbacinata?   Mi sarebbe davvero piaciuto poterci credere. “Non credo che succederà. Sono sempre stata molto brava a reprimere le cose spiacevoli”, spia cevoli”, rispose,  rispose, un pò a corto di fiato. Sicché, era molto pratica di cose spiacevoli? La sua vita era sempre tanto rischiosa? “Fa lo stesso”, le dissi. “Mi sentirò meglio quando avrai mandato giù un pò di zuccheri zuc cheri e qualcosa da mangiare”.  mangiare”.   La cameriera tornò con le coche ed un cestino di pane. Li mise di fronte a me, e mi chiese cosa volessi ordinare, cercando di catturare i miei occhi nel farlo. Le feci segno che avrebbe dovuto occuparsi di Bella, e poi tornai ad ignorarla. Aveva una mente volgare. “Uhm…”. Bella diede una rapida occhiata al menù. “Prenderò i ravioli ai funghi”. funghi”.   La cameriera si voltò di nuovo verso di me alacremente. “E tu?”  tu?”   “Niente per me”.  me”.  Bella fece una leggera smorfia. Hmm. Doveva aver notato che non mangiavo mai.  Notava ogni cosa. Ed io dimenticavo dimenticavo sempre di fare attenzione quando c’era lei. lei.   Aspettai che fossimo nuovamente soli. “Bevi”, insistei.  insistei. 

Fui sorpreso quando accondiscese immediatamente e senza fare obiezioni. Bevve ©2008 Stephenie Meyer

 

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finché il bicchiere non fu completamente vuoto, perciò spinsi il secondo bicchiere di fronte a lei, aggrottando appena la fronte. Sete, o shock  o  shock ? Bevve un altro poco, e poi rabbrividì. “Hai freddo?”  freddo?”  “E’ solo la coca”, disse, ma rabbrividì di nuovo, con le labbra che tremavano leggermente come se i suoi denti stessero quasi per battere. La graziosa camicetta che indossava aveva l’aria di essere troppo leggera per poterla p oterla  proteggere adeguatamente; le aderiva come una seconda pelle, delicata quasi quanto la  prima. Era così fragile, così mortale. “Non hai una giacca?”  giacca?”  “Si”. Si guardò intorno, leggermente perplessa. “Oh –   l’ho lasciata nella macchina di Jessica”.  Jessica”.  Mi sfilai la giacca, augurandomi che il gesto non venisse rovinato dalla mia temperatura corporea. Sarebbe stato bello poterle offrire un giaccone caldo. Mi fissò, le guance le s’imporporarono di nuovo. Cosa stava pensando adesso? adesso?   Le passai la giacca da sopra il tavolo, e la indossò all’istante, e poi rabbrividì di nuovo. Si, sarebbe stato bello poter essere caldo. “Grazie”, disse. Respirò a fondo, e poi tirò su le maniche troppo lunghe per liberare lib erare le mani. Respirò di nuovo a fondo. La serata si stava finalmente stabilizzando? Il suo colorito era ancora ottimo; la sua  pelle era come panna e rose a contrasto con il blu della camicetta. “Quella tonalità di blu si sposa perfettamente con la tua carnagione”, mi complimentai. Ero solo sincero. Lei arrossì, esaltandone l’effetto.  l’effetto.  Sembrava stesse bene, ma non c’era motivo di rischiare. Spinsi il cestello del pane p ane di fronte a lei. “Seriamente”, obiettò, intuendo le mie ragioni. “Non cadrò in stato di shock  di  shock ””.  .  “Dovresti –   una persona normale normale   lo farebbe. Non sembri nemmeno scossa”. La fissavo, con aria di disapprovazione, domandandomi perché non poteva essere normale e  poi chiedendomi se davvero avrei avrei voluto che lo fosse. “Mi sento molto al sicuro con te”, disse, con gli occhi nuovamente colmi di fiducia. fid ucia.

Una fiducia che non meritavo. ©2008 Stephenie Meyer

 

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I suoi istinti erano tutti sbagliati  –  alla   alla rovescia. Doveva essere quello il problema.  Non riconosceva il pericolo nel modo in cui un essere umano um ano avrebbe dovuto fare. Aveva la reazione opposta. Invece di scappare, indugiava, attratta da ciò che avrebbe dovuto spaventarla…   spaventarla… Come potevo proteggerla da me stesso quando nessuno di noi due voleva farlo? “E’ più complicato di quanto  quanto avessi previsto”, mormorai.  mormorai.  Potevo vederla riflettere a fondo sulle mie parole, e mi chiesi cosa ne avrebbe fatto. Prese un grissino e cominciò a mangiare apparentemente senza accorgersene. Masticò a lungo, e poi chinò il capo di lato con aria pensierosa. “Di solito sei di umore migliore quando i tuoi occhi sono così chiari”, disse con noncuranza. La sua osservazione, così tanto aderente alla realtà, mi fece vacillare. “Co “C osa?” sa?”   “Sei sempre più scontroso quando i tuoi  tuoi   occhi sono neri  –   almeno credo. Ho una teoria su questo”, aggiunse con leggerezza.  leggerezza.   Perciò aveva escogitato una spiegazione tutta sua. Ovviamente l’aveva fatto. Pr ovai ovai un profondo senso di terrore domandandomi quanto si fosse avvicinata alla verità. “Altre teorie?”  teorie?”  “Mm--hm”. Masticò un altro boccone, del tutto noncurante. Come se non stesse “Mm discutendo delle particolarità di un mostro con il mostro in sé. “Spero tu sia stata più creativa, stavolta…”. Mentii quando non p roseguì. Ciò che speravo davvero era che si sbagliasse  –   che fosse miglia e miglia distante dal centrare l’obiettivo. “O stai an a ncora prendendo spunto dai fumetti?”  fumetti?”  “Beh, no, non mi sono ispirata ad un fumetto”, disse, lievemente imbarazzata. “Ma non è neppure tutta farina del mio sacco”.  sacco”.   “E?” chiesi tra i denti.  denti.  Sicuramente non avrebbe conversato così serenamente se fosse stata sul punto di urlare. Mentre esitava, mordicchiandosi il labbro, la cameriera ricomparve con il mangiare  per Bella. Non le prestai molta attenzione intanto che poggiava il i l piatto di fronte a Bella e  poi mi chiedeva se desiderassi qualcosa. Rifiutai, ma chiesi un’altra coca. La cameriera non aveva notato i bicchieri vuoti. Li

 prese e andò via. ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Stavi dicendo?” proruppi ansiosamente non appena fummo di nuovo soli.  soli.  “Te lo dirò in macchina”, disse a bassa voce. Ah, doveva essere grave. Non era disposta a par lare lare delle sue congetture in pubblico. “Se…” aggiunse d’improvviso. d’improvvis o. “Ci sono delle condizioni?”. Ero così teso che quasi ringhiai le parole.  parole.   “Ho giusto qualche domanda, ovviamente”.  ovviamente”.   “Ovviamente”, presi atto, la mia voce era aspra.  aspra.   Le sue domande probabilmente sarebbero bastate a farmi capire in che direzione erano indirizzati i suoi pensieri. Ma come avrei risposto? Mentendo responsabilmente? O l’avrei allontanata dalla verità? O non avrei detto niente, incapace di decid ere? “Beh, vai vanti”, dissi, con le mascelle contratte, contra tte, quando cominciò. “Come mai sei a Port Angeles?”  Angeles?”  Quella era una domanda troppo semplice –  semplice –  per  per lei. Non rivelava nulla, mentre la mia risposta, se onesta, avrebbe svelato davvero troppo di più. Che fosse lei a rivelare qualcosa  prima. “La prossima”, dissi.  dissi.  “Ma questa era la più facile!”  facile!”   “La prossima”, ripetei.  ripetei.  Era frustrata dal mio rifiuto. Distolse lo sguardo, abbassandolo sul cibo. Lentamente, riflettendoci parecchio, prese un boccone e cominciò a masticare con cura. Lo annaffiò con dell’altra coca, e poi finalmente rialzò lo sguardo su di me. I suoi occhi erano due fessure sospettose. “E sia, allora”, disse. “Diciamo, solo per ipotesi, naturalmente, che… qualc uno… sia in grado di sapere cosa pensa la gente, di leggere la mente, hai presente  –   con solamente solamen te poche eccezioni”.  eccezioni”.  Poteva essere peggio. Questo spiegava quel mezzo sorriso in macchina. Era svelta  –   nessun altro l’aveva mai immaginato di me. Eccetto Carlisle, ed era stato piuttosto ovvio allora, all’inizio, quando rispondevo a tutti i suoi pensieri come se me li avesse detti. Se n’era accorto prima di me…  me…  Questa domanda non era così brutta. Quantunque fosse evidente che sapeva che c’era qualcosa che non andava in me, non era così grave come sarebbe potuta essere. La

lettura del pensiero dopo tutto non rientrava nei canoni tradizionali di un vampiro. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Concordai con la sua ipotesi. “Una Una  sola eccezione”, corressi. “Solo per ipotesi”.  ipotesi”.  Trattenne un sorriso  –   la mia velata sincerità la compiaceva. “D’accordo, con un’eccezione, dunque. Come funziona? Quali sono i limiti? Come potrebbe…quel qualcuno…trovare qualcu no…trovare qualcun altro esattamente al momento giusto? Come potrebbe p otrebbe sapere che lei è nei guai?” guai? ”  “Ipoteticamente?”   “Ipoteticamente?” “Naturale”. Contrasse le labbra, ed i suoi limpidi occhi marrone cioccolato diventarono impazienti. “Beh”, esitai. “Se…quel qualcuno…”  qualcuno…”  “Chiamiamolo Joe”, suggerì.  suggerì.   Non potei fare a meno di sorridere del suo entusiasmo. Davvero pensava che la verità potesse essere una cosa piacevole? Se i miei segreti erano piacevoli, perché glieli avrei tenuti nascosti? “Joe, allora”, accordai. “Se Joe avesse fatto attenzione, la tempistica non a vrebbe avuto bisogno di essere così millimetrica”. Scossi la testa e soffocai un brivido al pe nsiero di quanto fossi stato vicino ad arrivare troppo tardi oggi. “Solo tu potevi finire nei guai in una città tanto piccola. Avresti sconvolto le loro statistiche sul tasso di criminalità degli ultimi dieci anni, lo sai”.  sai”.  Le sue labbra si piegarono all’ingiù agli angoli della bocca, e s’imbronciarono.  s’imbronciarono.   “Stavamo par  par lando lando di un caso ipotetico”.  ipotetico”.   Risi della sua irritazione. Le sue labbra, la sua pelle… Sembravano così morbidi. Volevo toccarli. Volevo  premere la punta delle mie dita contro gli angoli delle sopracciglia aggrottate e risollevarli. risolle varli. Im possibile. La mia pelle l’avrebbe disgustata.  disgustata.  “Si, è vero” dissi, tornando  tornando  a concentrarmi sulla conversazione prima che potessi deprimermi troppo profondamente. “Possiamo chiamarti Jane chiamarti  Jane?” ?”   Si allungò sul tavolo verso me, tutto l’umorismo e l’irritazione erano scomparsi dai suoi grandi occhi. “Come facevi a saperlo?” chiese, con un tono di voce grave ed intenso.  intenso.   Dovevo dirle la verità? E, se si, fino a che punto?

Volevo dirgliela. Volevo meritare la fiducia che ancora potevo leggerle in viso. ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Puoi fidarti di me, lo sai”, mormorò, eed d allungò una mano come per toccare le mie che poggiavano sul tavolo vuoto di fronte a me. Le tirai indietro  –   odiando il pensiero della sua reazione alla mia pelle gelida e marmorea –  e marmorea –   e lei lasciò cadere la mano. Sapevo di poter confidare nel fatto che avrebbe mantenuto i miei segreti; era totalmente degna di fiducia, buona fino al midollo. Ma non potevo confidare nel fatto che non l’avrebbero sconvolta. Sarebbe Sarebbe dovuta dovuta essere  essere terrorizzata. La verità era era un  un orrore. “Non credo di avere più scelta oramai”, mormorai. Ricordavo di averla presa in giro una volta definendola “eccezionalmente distratta”. Offendendola, se avevo giudicato la sua espressione correttamente. Beh, potevo correggere quell’ingiustizia, quanto quant omeno. “Mi sbagliavo  –   sei un’osservatrice assai migliore di quanto non ti avessi dato credito”. E, quand’anche non se ne fosse ancora resa conto, le avevo già dato un sacco di credito. Non le sfuggiva nulla. “Pensavo che avessi sempre ragione”, disse, sorridendo mentre m entre mi canzonava. “Una volta era così”. Una volta ero solito sapere cosa fare. Ero solito sapere sempre se mpre con certezza che direzione prendere. E adesso tutto era caos caos ed  ed agitazione. Tuttavia non li avrei scambiati con niente. Non volevo una vita che avesse un senso.  Non se il caos caos significava  significava che potevo stare con Bella. “Avevo altrettanto torto su un’altra cosa che ti riguarda”, continuai, portando il discorso discorso in un’altra direzione. “Non sei una calamita per i guai  –   questa non è una definizione abbastanza ampia. Tu sei una calamita per i disastri disastri.. Se c’è qualcosa di  pericoloso nel raggio di cento chilometri, invariabilmente troverà te”. Perché lei? Cos’aveva fatto per meritare una cosa del genere? genere? L’espressione di Bella tornò seria. “E tu consideri te stesso parte della cate categoria?” goria?”   L’onestà era fondamentale relativamente a questa domanda più che ad ogni altra. altra.   “Inequivocabilmente”.   “Inequivocabilmente”. I suoi occhi si socchiusero leggermente  –   non sospettosi ora, ma stranamente  preoccupati. Allungò di nuovo la mano attraverso il tavolo, lentamente e deliberatamente. Scostai appena le mie mani, ma lei non ci badò, determinata a toccarmi. Trattenni il respiro  –   non per via del suo profumo adesso, ma per via della tensione improvvisa e tra travolgente. volgente. Paura. La mia pelle l’avrebbe disgustata. Sarebbe scappata s cappata via.  via.  

Sfiorò delicatamente con la punta delle dita il dorso della mia mano. Il calore del ©2008 Stephenie Meyer

 

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suo tocco gentile, spontaneo non somigliava a niente che avessi mai sentito prima. Era un  piacere quasi assoluto. Lo sarebbe stato, tranne che per la mia paura. Osservai il suo viso mentre toccava la gelida solidità della mia pelle, ancora incapace di respirare. Un mezzo sorriso le incurvò gli angoli della bocca. “Grazie”, disse, incrociando il mio sguardo estatico contemplandomi a sua volta. “E con questa sono due”.  due”.   Le sue dita morbide indugiavano sulla mia mano come se trovassero piacevole l’essere lì.  lì.  Le risposi, per per quanto mi fosse possibile, disinvolto. “Cerchiamo di evitare la terza, te rza, che ne dici?” dici?”   Fece una smorfia, ma annuì. Tolsi la mia mano da sotto la sua. Per quanto splendido fosse il suo tocco, non avrei aspettato che la sua miracolosa resistenza svanisse, trasformandosi in repulsione. Nascosi le mani sotto il tavolo. Potevo leggere i suoi occhi; nonostante la sua mente fosse silenziosa, riuscivo a  percepire sia la fiducia sia la meraviglia che albergavano in quelli. In quel momento mi resi conto che volevo volevo rispondere  rispondere alle sue domande. Non perché glielo dovessi. Non perché volevo che potesse fidarsi di me. Volevo che mi conoscesse conoscesse.. “Ti ho seguita a Port Angeles”, le dissi, le parole si riversarono riversa rono troppo in fretta  perché potessi censurarle. Sapevo quanto fosse pericolosa la verità, il rischio che stavo cor rendo. rendo. In qualunque momento, la sua calma innaturale poteva frantumare nell’isteria. Tuttavia, il saperlo mi spinse solamente a parlare a  parlare più velocemente. “Non ho mai ho mai cercato di mantenere in vita una persona in particolare prima ed è molto più complicato di quanto credessi. Ma probabilmente questo è solamente dovuto al fatto che si tratta di te. Le  persone comuni paiono riuscire ad arrivare alla fine della giornata senza tutte queste catastrofi”. catastrofi”.   La guardai, in attesa. Lei sorrideva. Le sue labbra si erano incurvate agli angoli, ed i suoi occhi color cioccolato si erano accalorati.

Avevo appena ammesso di spiarla ossessivamente, e lei sorrideva. ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Hai mai pensato che forse il mio numero era già stato sorteggiato quella prima volta, vol ta, con il furgoncino, e che stavi solamente interferendo con il destino?” chiese.   “Quella non era la prima volta”, dissi, abbassando lo sguardo sguardo sulla tovaglia marrone scuro del tavolo, con le spalle incurvate per la vergogna. Le mie barriere erano cadute, la verità veri tà stava ancora riversandosi libera in maniera sconsiderata. “Il tuo numero è uscito la  prima  pri ma volta che ti ho incontrata”.  incontrata”.   Era vero, e mi rendeva furioso. Ero stato posto al di sopra della sua vita come la lama di una ghigliottina. Era come se fosse stata condannata a morire da una fato ingiusto, crudele e –  e  –  poiché  poiché mi ero rivelato uno strumento riluttante  –  quello  quello stesso fato continuava ad attentare alla sua vita. Immaginai la personificazione di quel fato  –   un’orribile strega gelosa, gelo sa, un’arpia vendicativa.  vendicativa.  Volevo che qualcosa, qualcuno ne fosse responsabile –  responsabile  –  così   così avrei avuto qualcosa di concreto contro il quale battermi. Qualcosa, una qualunque cosa da poter distruggere, cosicché Bella potesse essere salva. Bella restava in silenzio; il suo respiro era accelerato. Alzai lo sguardo su di lei, sapendo che alla fine avrei visto la paura che stavo ancora aspettando. Non avevo appena ammesso quanto ero stato vicino ad ucciderla? Più vicino del furgoncino che era arrivato a pochi centimetri dall’investirla? E ciononostante, ciononostante, il suo viso era ancora sereno, i suoi occhi erano ancora avvinti a vvinti dalla preoccupazione. “Te ne ricordi?”. Doveva ricordarlo.  ricordarlo.   “Si”, disse, con voce ferma e grave. I suoi occhi profondi erano colmi di consapevolezza. Lei sapeva. Sapeva che avevo desiderato di ucciderla. Dov’erano le grida?  grida?  “E ciononostante eccoti seduta qui”, dissi, sottolineando l’evidente contraddizione. contraddizi one. “Si, eccomi seduta qui…grazie a te”. La sua espressione si trasformò, tornando cu curiosa, riosa, intanto che affatto sottilmente cambiava argomento. “Perché in qualche modo oggi sapevi come trovarmi..?” trovarmi..?” Disperatamente, tentai di nuovo di scostare la barriera che proteggeva i suoi  pensieri, disposto a tutto pur di capire. Non aveva alcuna logica per me. Come poteva anche solo importarle del resto, con sul tavolo quella verità lampante? Aspettava, solamente curiosa. La sua pelle era pallida, il che era naturale per lei, ma

ancora mi preoccupava. La sua cena era pressoché intatta di fronte a lei. Se avessi ©2008 Stephenie Meyer

 

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continuato a rivelarle troppo, avrebbe avuto bisogno di essere rianimata una volta che lo  shock  fosse  fosse passato. Dettai le mie condizioni. “Tu mangi, io parlo”.  parlo”.   Ci pensò su per un momento, e poi prese un boccone ad una velocità che tradì la sua calma. Era più impaziente della mia risposta di quanto i suoi occhi non lasciassero trapelare. “E’ più difficile di quanto dovrebbe –   non perderti di vista”, le dissi. “Di solito riesco a trovare qualcuno piuttosto facilmente, una volta che ne ho ascoltata prima la mente”.   mente”. Osservavo con attenzione il suo viso mentre parlavo. Indovinare il giusto era una cosa, averne la conferma un’altra.  un’altra.   Restava immobile, con gli occhi sgranati. Sentii i miei denti serrarsi nell’attesa che andasse nel panico. Ma si limitò a battere le ciglia una volta sola, deglutendo rumorosamente, e poi si mise di corsa un altro boccone in bocca. Voleva che continuassi. “Stavo tenendo d’occhio Jessica”, proseguii, studiando l’effetto di ogni parola mentre men tre faceva presa su di lei. “Distrattamente  “Distrattamente   –  –  come   come ho detto, solo tu potevi metterti nei guai a Port Angeles –”. Angeles  –”. Non potei fare a meno di aggiungerlo. Si era resa conto che le vite degli altri esseri umani non erano altrettanto tormentate dallo sperimentare la morte così da vicino, o pensava che fosse normale? Lei era la cosa più lontana dalla normalità che avessi mai incontrata. “E all’inizio non mi sono accorto che te n’eri andata per conto tuo. Poi, quando ho capito che non eri più con loro, sono andato a cercarti alla libreria che avevo vista nella nella sua mente. Ero certo che non fossi entrata, e che ti eri diretta a sud…e sapevo che saresti dovuta tornare indietro. Perciò mi sono limitato ad aspettarti, rovistando a caso tra i pensieri dei passanti –  passanti  –  per   per vedere se qualcuno ti aveva notata così da scoprire dove fossi. Non avevo motivo di essere preoccupato…ma mi sentivo stranamente ansioso…”. Il mio respiro accelerò al ricordo di quel senso di panico. Il suo prof umo umo divampò nella mia gola e ne fui felice. Era un dolore che significava che lei era viva. Fintantoché che continuavo a bruciare, lei era salva. “Ho cominciato a girare in tondo, restando…in ascolto”. Speravo che la definizione defin izione

avesse un senso per lei. Doveva essere disorientante. “Il sole stava finalmente calando, c alando, ed ero prossimo a poter lasciare la macchina, per seguirti a piedi. E poi  –”  –”   ©2008 Stephenie Meyer

 

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Quando il ricordo mi assalì –  assalì  –  perfettamente  perfettamente limpido e vivido come se fosse di nuovo quel momento –  momento –  sentii  sentii la medesima furia omicida invadermi il corpo, imprigionandolo nel ghiaccio. Lo volevo morto. Avevo bisogno che morisse. Le mie mascelle si serrarono strette mentre mi concentravo per costringermi a rimanere al tavolo. Bella aveva ancora bisogno di me. Solo questo contava. “Poi cosa?” mormorò, con gli occhi scuri sgranati. sg ranati. “Ho sentito cosa stava pensando”, dissi tra i denti, incapace d’impedire alle parole p arole di uscire come un ringhio rabbioso. “Ho visto il tuo viso nella sua mente”.  mente”.   A malapena riuscivo a resistere al desiderio di uccidere. Sapevo ancora esattamente dove trovarlo. I suoi pensieri malvagi risucchiavano il cielo notturno, trascinandomi verso di loro… loro…   Mi coprii il viso, sapendo che la mia espressione era quella di un mostro, di un  predatore, di un assassino. Per mantenere il controllo, ad occhi chiusi mi concentrai sul suo viso, focalizzando solamente quello. La struttura delicata delle sue ossa, il velo sottile della sua pelle chiara –  chiara  –  come   come seta distesa sopra un vetro, incredibilmente morbida e facile da rompere. Era troppo vulnerabile per questo mondo. Aveva bisogno bisogno di  di un protettore. E,  per qualche strano scherzo del destino, io ero la cosa più simile disponibile. Cercai di spiegarle la mia reazione violenta cosicché potesse comprendere. “E’ stato molto…diff icile icile per me  –   non puoi immaginare quanto difficile  –   limitar mi mi a portarti via, e lasciarli…vivere”, dissi con un filo di voce. “Potevo farti andare via con Jessica ed Angela, ma temevo che se mi avessi lasciato solo, sarei andato a cer carli”.  carli”.  Per la seconda volta stasera, confessavo un intento omicida. Perlomeno stavolta era giustificabile. Lei mantenne il silenzio mentre sforzavo di controllarmi. Ascoltai il battito del suo cuore. Il ritmo era irregolare, ma rallentò per il tempo che mi ci volle per ritrovare la calma. Anche il suo respiro era basso e regolare. Ero troppo vicino al limite. Dovevo riaccompagnarla a casa prima di…  di…   L’avrei ucciso, dunque? Mi sarei nuovamente trasformato in un assassino malgrado ma lgrado

lei si fidasse fidasse di me? C’era una qualche maniera per impedirmelo?  impedirmelo?   Aveva promesso di raccontarmi la sua ultima teoria quando fossimo rimasti soli. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Volevo ascoltarla? Ne ero impaziente, ma la ricompensa per la mia curiosità sarebbe stata  peggiore del non sapere? Ad ogni modo, doveva averne avuta abbastanza di verità per una sola sera. La guardai di nuovo, ed il suo viso era più pallido di prima, ma composto. “Sei pronta per andare a casa?” chiesi.  chiesi.  “Sono pronta ad andarmene da qui”, disse, scegliendo con cura le parole, come se un semplice “si” non bastasse a spiegare del tutto cosa volesse  volesse dire. Frustrante. La cameriera ricomparve. Aveva ascoltata l’ultima affermazione di Bella mentre tergiversava tergive rsava dall’altra parte della parete divisoria, immaginando cos’altro avrebbe potuto offrirmi. Volevo strabuzzare gli occhi per qualcuna delle offerte offert e che aveva in mente. “Come andiamo?” mi chiese.  chiese.  “Siamo pronti per il conto, grazie”, le dissi, le  dissi, tenendo gli occhi su Bella. Alla cameriera mancò il respiro e per un istante –  istante  –  per  per usare la definizione di Bella –  Bella  –   fu abbacinata dalla mia voce. Con un’intuizione improvvisa, considerando come la mia voce risuonava in questa qu esta incoerente mente umana, compresi perché sembravo attrarre così tanta ammirazione stasera –  stasera  –  avulsa  avulsa dalla consueta paura. Era per via di Bella. Nel difficile tentativo di farla sentire al sicuro, di non terrorizzarla, di essere umano umano,, davvero avevo perso il mio tocco. Gli altri esseri umani vedevano solo la bellezza adesso, perché tenevo attentamente a bada la mia innata capacità capacit à di risultare spaventoso. “Certo”, balbettò. “Voilà! “Voilà!””  Mi allungò una cartellina con dentro il conto, pensando al cartoncino che aveva fatto scivolare dietro la ricevuta. Un biglietto con il suo s uo nome ed il numero di telefono. Si, era piuttosto divertente. Avevo già preparato i soldi. Le restituii la cartellina all’istante, senza aprirla, cosicché non avrebbe perso tempo ad aspettare una chiamata che non sarebbe mai arrivata. “Niente resto”, le dissi, augurandomi che l’importo della mancia potesse mitigare la sua delusione.

Mi alzai, e Bella seguì prontamente il mio esempio. Volevo offrirle la mia mano, ma  pensavo che significasse spingere pò troppo oltre la mia fortuna per una sola sera. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Ringraziai la cameriera, senza mai distogliere gli occhi dal viso di Bella. Anche Bella sembrò trovarci qualcosa di divertente. Ci avviammo verso l’uscita; camminavo al suo fianco quanto più vicino osassi f are. are. Così vicino che il calore che irradiava dal suo corpo pareva carezzare per davvero il lato sinistro del mio. Mentre le tenevo aperta la porta, sospirò silenziosamente, e mi chiesi quale rammarico la rattristasse. La fissai negli occhi, pronto a domandarglielo, quando d’improvviso abbassò lo sguardo, apparentemente imbarazzata. Il che mi rese ancora a ncora più curioso, quantunque anche più riluttante a fare domande. Il silenzio tra di noi andò avanti finché non le aprii la portiera e poi la feci salire in macchina. Alzai il riscaldamento  –   la temperatura più mite era inaspettatamente crollata; il freddo abitacolo doveva metterla a disagio. Si rannicchiò nella mia giacca, con un leggero sorriso sulle labbra. Aspettai, posticipando la conversazione finché le luci del marciapiede non svanirono. Il che mi fece sentire ancor più in i n intimità con lei. Era giusto? Ora che ero completamente assorbito soltanto da lei, la macchina sembrava davvero piccola. Il suo profumo fluttuava spinto dal flusso del riscaldamento, acutizzandosi acu tizzandosi ed acquistando vigore. Si nutriva della sua stessa forza, come un’altra entità all’interno della macchina. Una presenza che chiedeva di essere es sere riconosciuta. Fu accontentata; bruciavo. Le fiamme erano sopportabili, tuttavia. Mi pareva così stranamente appropriato. Avevo rivelato così tanto stasera  –   più di quanto non mi sarei aspettato. E ciononostante lei era ancora qui, ancora generosamente al mio fianco. Le dovevo qualcosa in cambio per questo. Un sacrificio. Un olocausto. Se solo avessi potuto fermarmi lì; al fuoco soltanto, e nient’altro. Ma il veleno impastava la mia bocca, ed i miei muscoli erano tesi nella trepidazione, come se stessi cacciando… cac ciando…   Dovevo tenere quel genere di pensieri fuori dalla mia mente. E sapevo cosa mi avrebbe distratto. “Adesso”, le dissi, la paura per la sua risposta placava le fiamme. “Tocca a te”.  te”.  

©2008 Stephenie Meyer

 

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9. Teoria

“Posso farti solo un’altra domanda?” quasi supplicò invece di rispondere alla mia esortazione. Ero al limite, preoccupato per il peggio. E tuttavia, com’era allettante poter  prolungare questo momento. Avere Bella con me, di sua volontà, per pochi secondi ancora. Sospirai Sospirai di fronte a quel dilemma interiore, e poi dissi “Una”.   “Beh…”, esitò per un momento, come se stesse decidendo a quale domanda dare voce. “Hai detto che sapevi che non ero entrata nella libreria, e che mi ero diretta a sud. Mi stavo solo solo chiedendo come facevi a saperlo”.  saperlo”.  Lanciai uno sguardo cupo oltre il parabrezza. Ecco un altro interrogativo che nulla rivelava di lei, e troppo svelava di me. “Pensavo che avessimo smesso di essere evasivi”, disse, con un tono criti co e contrariato. Che ironia. Lei era implacabilmente evasiva, senza nemmeno tentare di esserlo. Beh, voleva che fossi diretto. E questa conversazione, a dispetto di tutto, non avrebbe portato a niente di buono. “E sia, dunque”, dissi. “Seguivo il tuo profumo”.  profumo”.  Volevo guardarle il viso, ma avevo paura di quello che avrei potuto scoprirci. Invece, ascoltai il suo respiro accelerare e poi stabilizzarsi. Poco dopo ricominciò a  parlare, la sua voce era più ferma di quanto non mi sarei aspettato. “E poi non hai risposto alla prima delle mie domande…”, disse.  disse.   Abbassai lo sguardo su di lei, aggrottando le sopracciglia. Anche lei stava temporeggiando. “A quale ti riferisci?”  riferisci?”  “Come funziona funziona  –   la faccenda della lettura del pensiero?” chiese, reiterando la do domanda manda posta al ristorante. “Puoi leggere la mente di chiunque, ovunque? Come riesci a farlo? Anche il resto resto della tua famiglia..?” smise a poco a poco di parlare, arrossendo di nuovo.

“Queste erano più di una”, dissi.  dissi.   Si limitò a guardarmi, aspettando che rispondessi. ©2008 Stephenie Meyer

 

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E perché non dirglielo? Il più l’aveva già indovinato, e l’argomento era ben più semplice di quello che incombeva minaccioso. “No, solo solo io riesco a farlo. E non posso ascoltare la mente di chiunque ed ovunque. Devo trovarmi ragionevolmente vicino. Quanto più la…voce la… voce   mi è familiare, tanto più lontano lon tano riesco ad individuarla. Però, non oltre pochi chilometri”. Cercavo di pensare ad un modo per modo  per descriverlo, cosicché cosi cché potesse capire. capir e. Un’analogia a cui potesse attinge attingere. “E’ un  pò come trovarsi in una grande sala gremita di persone, che parlano tutte in insieme. sieme. E’ solo un brusio –  brusio  –  un   un ronzio di voci di sottofondo. Finché non mi concentro su una sola voce, e allora quello che sta pensando mi diventa chiaro. Per la maggior parte del tempo ignoro il tutto –  tutto  –  può  può disorientare davvero. E poi è più facile sembrare normale normale”” –  feci  feci una smorfia –  smorfia  –   “quando per errore non si risponde ai pensieri di qualcuno piut piu ttosto che alle sue parole”.  parole”.  “Secondo te perché non riesci a sentirmi?” domandò stupita.  stupita.   Le fornii un’altra verità ed un’altra analogia.  analogia.   “Non lo so”, ammisi. “L’unica supposizione che posso fare è che forse la tua mente non lavora allo stesso modo del resto di loro. Come se i tuoi pensieri fossero sintonizzati in AM ed io potessi ricevere solamente in FM”.  FM”.   Mi resi conto che quest’analogia non le sarebbe piaciuta. La previsione della sua reazione mi fece sorridere. Non mi deluse. “La mia mente non funziona come dovrebbe?” chiese, la mortificazione aveva r eso r eso  più acuta la sua voce. “Sono un mostro?” mostro?”   Ah, che ironia, di nuovo. “Io sento le voci nella mia testa e ti preoccupi di essere tu tu il  il mostro?”. mostro?”. Scoppiai a ridere. Capiva ogni più piccolo dettaglio, e ciononostante tralasciava le cose più evidenti. I suoi istinti istinti erano sempre sbagliati…  sbagliati…  Bella si stava mordicchiando il labbro, e la ruga tra i suoi occhi era scavata  profondamente. “Non temere”, la rassicurai. “E’ solo una teoria…”. E c’era una teoria più importante di cui discutere. Ero ansioso di arrivare al dunque e farla finita. Ogni secondo che passava stava cominciando a sembrare sempre sempr e più come tempo preso a prestito. “Il che ci riporta a te”, te ”, dissi, diviso a metà, tanto ansioso quanto riluttante. riluttante.  

Lei sospirò, mordicchiandosi ancora il labbro –  labbro  –  temevo   temevo che si sarebbe fatta male da sola. sola. Mi fissava negli occhi, con un’espressione tormentata.  tormentata.   ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Non avevamo smesso di essere evasivi oramai?” chiesi in modo calmo. calmo.   Lei abbassò lo sguardo, combattendo con un qualche conflitto interiore. Improvvisamente Improvvi samente s’irrigidì e sgranò gli occhi. Per la prima volta, la paura le attanagliò attanagli ò il viso.

“Miseriaccia boia!” era quasi senza fiato.  fiato.   Andai nel panico. Cos’aveva visto? Cos’avevo fatto per spaventarla?  spaventarla?   Poi urlò “Rallenta!”.  “Rallenta!”.  “Che c’è che non va?” non capivo da dove venisse il suo terrore.  terrore.   “Stai andando  andando a centosessanta!” mi urlò addosso. Gettò una rapida occhiata fuori dal

finestrino, e fece un salto indietro alla vista degli alberi scuri che ci sfrecciavano accanto. Questa piccola cosa, solo un pò di velocità, l’aveva fatta fatt a gridare di paura?  paura?   Alzai gli occhi al cielo. “Rilassati, Bella”.  Bella”.   “Stai cercando di ucciderci?” domandò, la sua voce era acuta e tesa. tesa.   “Non andremo a sbattere”, le promisi.  promisi.   Aspirò una vistosa boccata d’aria, e poi parlò con una voce lievemente liev emente più modulata. modula ta. “Perché vai tanto di fretta?”  fretta?”  “Guido sempre così”.  così”.  Incontrai il suo sguardo inchiodato al mio, divertito dalla sua espressione scioccata. “Tieni gli occhi sulla strada!” gridò.  gridò.   “Non ho mai fatto un incidente, Bella. Non ho neppure mai preso una multa”. Le spalancai il sorriso e m’indicai la tempia. Rendeva il tutto addirittura più comico –   l’assurdità di poter scherzare con lei su qualcosa di così segreto e bizzarro. “Incorpora un’antenna r adar”. dar”.   “Molto divertente”, disse sarcasticamente, con una voce più allarmata che arrabbiata. arrabbia ta. “Charlie è un poliziotto, ricordi? Sono stata cresciuta nel rispetto del Codice della Strada. Oltretutto, se ci trasformi tr asformi in un ammasso di Volvo abbarbicato al tronco di un albero, tu potresti con ogni probabilità semplicemente allontanartene sulle tue gambe”.  gambe”.   “Con ogni probabilità”, ripetei, e poi scoppiai a ridere affatto divertito. Si, saremmo s aremmo usciti in maniera del tutto diversa da un incidente di macchina. Aveva ragione ad aver  paura,  pau ra, a dispetto della mia abilità al volante…“Ma tu non potresti”.  potresti”. 

Con un sospiro, lasciai che la macchina rallentasse. “Contenta?”  “Contenta?”  Squadrò con diffidenza il contachilometri. “Quasi”.  “Quasi”.   ©2008 Stephenie Meyer

 

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Era ancora troppo veloce per lei? “Odio andare piano”, borbottai, ma lasciai che l’indicatore scendesse di un’altra tacca.  tacca.   “Questo è piano?”  piano?”  “Basta commenti sulla mia guida”, dissi impaziente. Quante volte aveva eluso la mia domanda finora? Tre volte? Quattro? Le sue speculazioni erano terrificanti fino a quel  punto? Dovevo saperlo –  saperlo  –   immediatamente. “Sto ancora aspettando di sentire la tua ultima teoria”. teo ria”.   Si mordicchiò il labbro nuovamente, e la sua espressione si fece turbata, quasi afflitta. Domai la mia impazienza ed ammorbidii la voce. Non volevo che si tormentasse. “Non riderò”, promisi, augurandomi che fosse solo l’imbarazzo a renderla rilu ttante a parlare. “Temo di più che ti arrabbierai con me”, disse con disse  con un filo di voce. Mi sforzai di mantenere una voce calma. “E’ così brutta?”  brutta?”  “Si, parecchio”.  parecchio”.  Abbassò lo sguardo, rifiutandosi d’incrociare i miei occhi. I secondi passavano. pass avano.   “Vai avanti”, la incoraggiai.  incoraggiai.   La sua voce era fievole. “Non so da dove cominciare”.  cominciare”.   “Perché non cominci dall’inizio?”. Ricordai le sue parole di prima a cena. “Hai detto det to che non è tutta farina del tuo sacco”.  sacco”.   “No”, ammise, e poi tornò nuovamente silenziosa.  silenziosa.  Pensai alle cose che potevano averla ispirata. “Da dove hai preso spunto –  un  un libro? Un film?”  film?”  Avrei dovuto dare un’occhiata alla sua collezione quand’era fuori casa. Non av evo idea se Braam Stoker o Ann Rice fossero lì nel mucchio dei suoi tascabili consumati… consumati…   “No”, disse ancora. “E’ stato sabato, alla all a spiaggia”.  spiaggia”.   Non me l’aspettavo. I pettegolezzi locali su di noi non si erano mai spinti verso direzioni troppo bizzarre –  bizzarre  –  o  o troppo accurate. Circolava una nuova voce che mi ero perso? Bella mi diede una sbirciata distogliendo lo sguardo dalle sue mani e vide la sorpresa sul mio viso.

“Per caso mi sono imbattuta in un vecchio amico di famiglia –   Jacob Black”, continuò. conti nuò. “Suo padre e Charlie sono amici sin da quando ero  ero in fasce”.  fasce”.  ©2008 Stephenie Meyer

 

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Jacob Black  –   il nome non mi era familiare, eppure mi ricordava qualcosa…un qualche tempo tempo,, remoto nel passato… Guardavo fisso fuori del parabrezza, frugando tra i miei ricordi in cerca di una connessione. “Suo padre è uno degli degli anziani dei Quileutes”, Quileutes ”, disse.  disse.  Jacob Black. Ephraim Black. Ephraim Black . Un discendente, senza dubbio.  Non poteva essere più brutta. Lei conosceva la verità. La mia mente stava vagliando le possibili implicazioni, mentre la macchina volava attorno alle curve della strada immerse nell’oscurità, il mio corpo era impietrito per l’angoscia –   immobile immobile salvi i piccoli gesti automatici necessari per guidare la macchina. Lei conosceva la verità. Ma…se aveva appresa la verità sabato…allora doveva averla saputa per tutta la sera…eppure… sera…eppure…   “Siamo andati a fare una passeggiata”, proseguì. “E mi stava raccontando alcune vecchie leggende –  leggende –  cercando di spaventarmi, suppongo. Me ne ha raccontata una...”  una...”  Si era interrotta lì, ma non aveva bisogno di farsi degli scrupoli oramai, sapevo cosa stava per dire. L’unico mistero rimasto era perché per ché era qui con me ade adesso. sso. “Continua”, dissi.  dissi.  “Sui vampiri” sussurrò, le parole erano meno di un bisbiglio. bisbigli o. In qualche modo, sentirle dire quella parola ad alta voce era addirittura peggio del sapere che sapeva. Trasalii a quel suono, e poi ripresi il controllo di me ste stesso. sso. “Ed hai immediatamente pensato a me?” chiesi.  chiesi.  “No. Lui…ha menzionato la tua famiglia”.  famiglia”.  Che ironia che fosse proprio la progenie di Ephraim a violare il trattato che aveva  promesso solennemente di far rispettare. Un nipote, o un pronipote forse. Quanti anni erano passati? Settanta? Avrei dovuto capirlo che non sarebbero stati gli anziani che credevano credevano   nelle leggende a costituire un pericolo. Ovviamente, la generazione più giovane  –   quella di coloro che sarebbero stati ammoniti, ma avrebbero considerato le antiche superstizioni ridicole –  ridicole  –  ovviamente  ovviamente era lì che il pericolo di essere esposti si sarebbe annidato.

Supposi che questo significava che adesso ero libero di massacrare la piccola, indifesa tribù sulla costa, se ne avessi avuto voglia. Ephraim ed il suo branco di guardiani ©2008 Stephenie Meyer

 

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tempo…  erano morti da tempo…  “Pensava soltanto che fosse una stupida superstizione”, disse Bella d’improvviso, nella sua voce c’era una nuova punta di ansietà. “Non si aspettava che ci ricamassi so pra”.  pra”.   Con la coda dell’occhio la vidi torcersi le mani m ani a disagio. “E’ stata colpa mia”, disse dopo una breve pausa, e poi chinò il capo come se si ver gognasse. gognasse. “L’ho forzato a dirmelo”.  dirmelo”.  “Perché?”. Non era più tanto difficile mantenere un tono compassato ora. Il pe ggio era già passato. Quanto più a lungo parlavamo dei dettagli di quella rivelazione, tanto meno avremmo dovuto soffermarci sulle sue conseguenze. “Lauren ha detto qualcosa su di te –   stava cercando di provocarmi”. Fece una  piccola smorfia al ricordo. Fui lievemente distratto, chiedendomi come Bella avrebbe  potuto essere essere provocata da qualcuno che parlava di me… “Ed un ragazzo più grande della tribù ha detto che la tua famiglia non andava alla riserva, solo che sembrava volesse significare qualcos’altro. Perciò ho preso  preso   Jacob da una parte e gliel’ho estorto con l’inganno”.   l’inganno”. Chinò il capo addirittura più in basso mentre lo ammetteva, e la sua espressione sembrò…colpevole.   sembrò…colpevole. Distolsi lo sguardo da lei e scoppiai a ridere fragorosamente.  Lei  Lei   si sentiva colpevole? Cosa mai poteva aver fatto per meritare una censura di qualunque genere? “Che tipo d’inganno?” chiesi.  chiesi.  “Ho tentato di flirtare con lui –   ha funzionato meglio di quanto avessi pensato avrebbe fatto”, fatto”, spiegò, e la sua voce diventò incredula al ricordo di quel successo. Potevo solo immaginarlo  –   considerando l’attrazione che sembrava esercitare su tutti i tipi di maschio, totalmente involontaria da parte sua  –   quanto poteva diventare implacabile quando tentava tentava   di essere attraente. attraente. D’improvviso fui pieno di pietà per quell’ignaro r agazzo agazzo sul quale aveva scatenato una simile potenza. “Mi sarebbe piaciuto vederlo”, dissi, e poi risi di nuovo per il mio bieco umor ismo. ismo. Mi sarebbe piaciuto aver potuto ascoltare la reazione del ragazzo, assistere personalmente alla devastazione. “E tu accusi me di abbacinare a bbacinare le persone –  povero  povero Jacob Black”.  Black”.   Non ero più tanto arrabbiato con la fonte del mio smascheramento come avrei

immaginato di sentirmi. Non avrebbe potuto fare diversamente. E come potevo aspettarmi che qualcuno potesse negare a questa ragazza ciò che voleva? No, provavo solamente ©2008 Stephenie Meyer

 

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compassione per la rovina che aveva potuto causare alla sua pace mentale. Sentivo il suo rossore scaldare l’aria tra di noi. Le lanciai un’occhiata, e stava guardando fuori dal finestrino. Non parlava più. “Cos’hai fatto dopo?” la sollecitai. Era tempo di tornare ai racconti del terrore.   “Ho fatto qualche ricerca su internet”.  internet”.  Sempre pragmatica. “E ti sei convinta?”  convinta?”  “No”, disse. “Niente sembrava quadrare. Per la maggior parte erano un mucchio di sciocchezze. E poi -” - ”  Si era interrotta di nuovo, e sentivo che serrava i denti. “Cosa?” domandai. Cos’aveva scoperto? Cos’aveva dato un senso a quell’incubo  per lei? Ci fu una breve pausa, e poi mormorò “Ho deciso che non m’importa”.  m’importa”.   Lo  shock   congelò i miei pensieri per mezzo secondo, e poi tutti i pezzi andarono apposto. Perché aveva mandato via le sue amiche stasera piuttosto che scappare con loro. Perché era salita di nuovo in macchina con me invece di fuggire, chiamando a gran voce la  polizia…  polizi a…   Le sue reazioni erano sempre sbagliate  –  sempre   sempre completamente sbagliate. Attirava il pericolo verso di sé. Lo invitava. “Non t’importa t’importa?” ?” dissi tra i denti, andando in collera. Come avrei potuto prote ggere qualcuno così…così…così determinato a non voler essere protetto?  protetto?   “No”, disse con una voce timida ed inspiegabilmente tenera. “Non m’importa m’importa cosa sei”.   sei”. Era una creatura impossibile. “Non t’importa se sono un mostro? Se non sono umano umano?” ?”   “No”.   “No”. Cominciai a domandarmi se fosse completamente sana di mente. Supposi che avrei potuto fare in modo che ricevesse le migliori cure disponibi li… Carlisle aveva le conoscenze giuste per trovarle i dottori più qualificati, i terapisti di maggior talento. Forse poteva farsi qualcosa per curare qualunque cosa fosse che non andava in lei, qualunque cosa la rendesse contenta di sedere accanto ad un vampiro con il

cuore che le batteva calmo e regolare. Avrei sorvegliato la clinica, naturalmente, e le avrei fatto visita visita quanto più spesso mi fosse consentito…  consentito…   ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Sei arrabbiato”, sospirò. “Non avrei dovuto dirti niente”.  niente”.   Come se nascondere le sue tendenze deviate avrebbe potuto essere d’aiuto ad alcuno a lcuno di noi due. “No. Preferisco comunque sapere a cosa stai pensando –   anche se ciò che stai  pensando  pen sando è folle”.  folle”.  “Perciò mi sto sbagliando di nuovo?” chiese, un poco più belligerante ora.  ora.   “Non è a questo che mi stavo riferendo!”. I miei denti si serrarono di nuovo. “Non m’importa!” ripetei in tono caustico.  caustico.   Restò a bocca aperta. “Ho ragione?”  ragione?”   “Ha importanza importanza?” ?” replicai.  replicai.  Respirò a fondo. Aspettavo incollerito la sua risposta. “Veramente no”, disse, la sua voce era di nuovo composta. “Ma sono “Ma  sono  curiosa”. curiosa”.   Veramente no. Non aveva davvero importanza. Non se ne curava. Sapeva che non ero umano, che ero un mostro, e questo non aveva alcuna importanza per lei. A prescindere dalle mie preoccupazioni per la sua sanità mentale, cominciai a  provare una speranza debordante. Cercai di reprimerla. “Di cosa sei curiosa?” le chiesi. Non c’erano più segreti, solo dettagli secondari.  secondari.  “Quanti anni hai?” chiese.  chiese.   La mia risposta era automatica e radicata. “Diciassette”. “Diciassette”.   “E da quant’è che hai diciassette anni?”  anni?”  Cercai di non sorridere del suo tono condiscendente. “Da un pò”, ammisi.  ammisi.  “Va bene”, disse, inaspettatamente entusiasta. Mi sorrise. Quando la fissai con aria inquisitoria, di nuovo ansioso per la sua sanità mentale, allargò il sorriso. Feci una smorfia. “Non ridere”, mi ammonì. “Ma come fai ad uscire durante il giorno?” giorno?”   Risi a dispetto del suo avvertimento. La sua ricerca non l’aveva condotta a niente di in insolito, solito, a quanto pareva. “Leggende”, le dissi.  dissi.   “L’andare in cenere alla luce del sole?”  sole?”   “Leggende”   “Leggende” “Il dormire nelle bare?”  bare?” 

“Leggende”  “Leggende”  Il dormire non aveva fatto parte della mia vita per tanto tempo  –   almeno fino a ©2008 Stephenie Meyer

 

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sognare…   queste ultime poche notti, in cui avevo guardato Bella sognare…  queste “Io non posso dormire”, borbottai, b orbottai, rispondendo più esaurientemente alla sua domanda. Restò in silenzio per un momento. “Per niente?” chiese.  chiese.  “Mai”, dissi con un filo di voce.  voce.   La guardai negli occhi, sgranati sotto la spessa frangia di ciglia, e desiderai ardentemente arden temente di poter dormire. Non per raggiungere l’oblio, com’era stato prima, non per sfuggire alla noia, ma perché volevo sognare volevo sognare.. Forse, se avessi potuto essere incosciente, se avessi potuto sognare, avrei potuto vivere per una manciata di ore in un mondo dove lei ed io saremmo potuti stare insieme. Lei sognava me. Io volevo sognare lei. Lei ricambiò il mio sguardo, la sua espressione era piena di meraviglia. Fui costretto a guardare altrove. Io non potevo sognarla. Lei non avrebbe dovuto sognarmi. “Non mi hai ancora posto la domanda più importante”, dissi, il mio petto silenzi oso era più freddo e più pesante che mai. Dovevo obbligarla a capire. Ad un certo punto, si sarebbe resa conto di ciò che stava facendo adesso. Doveva essere persuasa a comprendere che tutto questo aveva aveva importanza  importanza –   –   più più di ogni altra considerazione. Considerazioni quali il fatto che l’amavo.  l’amavo.   “Quale sarebbe?” chiese, sorpresa ed inconsapevole.  inconsapevole.  Questo rese solamente la mia voce più dura. “Non sei preoccupata della mia die di eta?” ta?”   “Oh. Quello”. Parlò con un tono tranquillo che non potevo interpretare. interpretare.   “Si, quello. Non vuoi sapere se mi nutro di sangue?”  sangue?”   Indietreggiò a quella domanda. Finalmente. Stava cominciando a capire. “Beh, Jacob mi ha detto qualcosa in proposito”, disse.  disse.   “Cos’ha detto Jacob?”  Jacob?”  “Ha detto che non date…la caccia alle persone. Ha detto che si presume non siete  pericolosi perché cacciate solo gli animali”. animali”.   “Ha detto che non siamo pericolosi?” ripetei cinicamente.  cinicamente.  “Non esattamente”, specificò. “Ha detto che si presume si presume che  che non siete pericolosi. Ma

i Quileutes ancora non vi vogliono sulla loro terra, a scanso di equivoci”. equivoci”.   Fissavo la strada, i miei pensieri erano un groviglio senza speranza, la mia gola era ©2008 Stephenie Meyer

 

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dolente per il fuoco familiare della sete. “Allora, aveva ragione?” chiese, con un’aria così serena che sembrava stesse cercando conferma ad un bollettino del tem po. “Sul fatto che non date la caccia alle  persone?”  perso ne?”   “I Quileutes hanno una buona memoria”.  memoria”.   Annuì tra sé, riflettendoci sopra. “Non esserne compiaciuta, però”, dissi in fretta. “Hanno ragione a mantenere le distanze da noi. Siamo Siamo ancora pericolosi”.  pericolosi”.  “Non capisco”.  capisco”.   No che non capiva. Come farglielo farglielo capire? “Ci proviamo”, le dissi. “Di solito siamo molto bravi in quello che facciamo. Qualche volta commettiamo degli errori. Io, peresempio, permettendomi di restare solo con te”.  te”.  Il suo profumo era ancora una forza d’urto all’interno della macchina. Stavo abituandomici sempre di più, potevo quasi ignorarlo, ma non potevo negare che il mio corpo ancora l’agognava per la ragione sbagliata. La mia bocca mia  bocca traboccava di veleno. “Questo è un errore?” chiese, e nella sua voce c’era un che di straziante. Il suono mi disarmò. Voleva stare con me –  me –  a  a dispetto di tutto, voleva stare con me. La speranza debordò nuovamente, e la ricacciai indietro. “Uno molto pericoloso”, le dissi senza mentire, desiderando che la verità potesse veramente smettere di avere importanza in qualche modo. Per un momento non rispose. Ne ascoltai la respirazione cambiare –  cambiare  –  singhiozzava  singhiozzava in modi strani che non somigliavano alla paura. “Dimmi di più”, disse improvvisamente, con la voce alterata dal tormento.  tormento.   La osservai con attenzione. Stava soffrendo. Come avevo potuto permettere questo questo?? “Cos’altro vuoi sapere?”, chiesi, cercando di pensare ad un modo per impedirle di soffrire. Non avrebbe dovuto soffrire. Non potevo lasciare che soffrisse. soffris se. “Dimmi perché cacciate gli animali invece delle persone”, disse, ancora tormentata. torment ata.  Non era ovvio? O forse nemmeno questo aveva importanza per lei.

“Non voglio voglio  essere un mostro”, borbottai.  borbottai.  “Ma gli animali non sono abbastanza?”  abbastanza?”   ©2008 Stephenie Meyer

 

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Cercai un un’’altra analogia, analogia, un modo per farle capire. “Non posso esserne sicuro, naturalmente, ma credo si possa paragonare al vivere di tofu e latte di soia; definiamo noi stessi vegetariani, una piccola burla tutta nostra. Non placa completamente la fame  –   o  piuttosto la sete. Ma ci dà forza a sufficienza per resistere. Per la maggior parte del tempo”.   La mia voce si affievolì; mi vergognavo del pericolo cui le avevo permesso di tempo”. esporsi. Un pericolo pericolo che continuavo a pemettere… “Qualche volta è più difficile di al a ltre”. tre”.   “E’ molto difficile per te adesso?”  adesso?”  Sospirai. Ovviamente avrebbe posto posto la domanda cui non volevo rispondere. “Si”, ammisi. Riuscii a prevedere esattamente la sua reazione fisica stavolta: la sua respirazione rimase costante, il cuore seguì il suo corso regolare. L’avevo prevista, ma non riuscivo a capirla. Come poteva non essere spaventata? “Ma non hai fame adesso”, dichiarò, perfettamente sicura di sé.  sé.  “Cosa te lo fa pensare?”  pensare?”  “I tuoi occhi”, disse, con tono noncurante. “Te l’ho detto che avevo una teoria. Ho notato che le persone –  persone –  soprattutto  soprattutto gli uomini –  uomini –  sono  sono più scontrose quando sono affamate”. affamate”.   Ridacchiai

della

sua

definizione:  scontroso  scontroso..

Un

eufemismo.

Ma

aveva

maledettamente maledetta mente ragione, come al solito. “Sei un’osservatrice, un’osservatric e, non è vero?” risi di nuovo. nuovo.   Sorrise appena, la ruga tra i suoi occhi ricomparve, come se si stesse concentrando su qualcosa. “Sei andato a caccia questo fine settimana, con Emmett?” chiese dopo che la mia risata fu svanita. La maniera disinvolta in cui parlava era tanto affascinante quanto frustrante. Poteva veramente accettare tutto quanto senza fare una piega? Ero più prossimo io allo shock  allo shock  di  di quanto non sembrasse lei. “Si”, le dissi, e poi, quand’ero sul punto d’interrompermi lì, avvertii la medesima urgenza che avevo avevo sentita nel ristorante: volevo che lei mi conoscesse. “Non volevo  partire”,  parti re”, continuai lentamente, “ma era necessario. E’ un pò più facile restare nei paraggi quando non ho sete”. sete”.   “Perché non volevi partire?”  partire?”  Respirai a fondo, e poi mi voltai ad incrociarne lo sguardo. Questo genere di

sincerità era difficile in maniera del tutto diversa. “Mi rende…ansioso”, immaginai che quella definizione potesse bastare, ancorché ©2008 Stephenie Meyer

 

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non abbastanza incisiva, “stare lontano da te. Non stavo sscherzando cherzando quando ti ho chiesto di cercare di non cadere nell’oceano o di non farti investire lo scorso giovedì. Per tutto il fine settimana sono stato distratto dalla mia preoccupazione per te. E dopo quello che è successo stasera, mi sorprende che tu sia riuscita a superare l’intero fine settimana illesa”. Poi mi ricordai delle abrasioni sui suoi palmi. “Beh, non completamente illesa”, mi corressi. “Che cosa?”  cosa?”  “Le tue mani”, le ricordai.  ricordai.   Sospirò e fece una smorfia. “Sono caduta”.  caduta”.   Avevo indovinato. “E’ quello che pensavo”, dissi, incapace di contenere un sorr iso. iso. “Suppongo che, trattandosi di te, sarebbe potuta andare molto peggio –  e  e questa possibilità mi ha tormentato per tutto il tempo che sono stato via. Sono stati tre giorni molto lunghi. Ho veramente fatto saltare i nervi ad Emmett”. Onestamente, la cosa non apparteneva al  passato. Con ogni probabilità stavo ancora facendo innervosire i nnervosire Emmett, ed anche an che tutto tutt o il il resto della famiglia. Fatta eccezione per Alice… Alice…   “Tre giorni?” chiese, con la voce improvvisamente acuta. “Non sei rientrato solamente sola mente oggi?”  oggi?”   Non capivo l’acuto nella sua voce. “No, siamo tornati domenica”. domenica”.   “Allora perché nessuno di voi era a scuola?”, domandò. La sua irritazio ne mi confuse. Parve non accorgersi che questa sua domanda aveva di nuovo a che fare con le leggende. “Beh, mi hai chiesto se il sole mi fa male, e non lo fa”, dissi. “Ma non posso uscire alla alla luce del sole, almeno, non dove chiunque può vedermi”. vedermi”. Il che la deviò dal suo misterioso disappunto. “Perché?” chiese, piegando la t esta di lato. Dubitavo di poter trovare un’adeguata analogia per spiegarglielo. Perciò le dissi soltanto sol tanto “Te lo mostrerò un giorno o l’altro”. E poi mi chiesi chie si se questa era una promessa che avrei finito per infrangere. L’avrei rivista ancora, dopo stasera? L’amavo abbastanza da essere capace di sopportare di lasciarla? “Avresti dovuto chiamarmi”, disse.  disse.  

Che strana conclusione. “Ma io sapevo che stavi bene”.  bene”.   “Ma io io   non sapevo dove fossi tu tu.. Io -” -” si era interrotta bruscamente, e stava ©2008 Stephenie Meyer

 

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fissandosi le mani. “Cosa?”   “Cosa?” “Non mi è piaciuto”, disse timidamente, la pelle che le ricopriva le guance era calda. “Non vederti. Rende ansiosa anche me”.  me”.   Sei felice Sei  felice adesso adesso?? Chiesi a me stesso. Beh, ecco la mia ricompensa per aver sperato. Ero confuso, esaltato, terrorizzato  –   soprattutto terrorizzato  –   dal rendermi conto che tutte le mie più sfrenate fantasie non erano poi così lontane dal realizzarsi. Questo era il motivo per cui non le importava che fossi un mostro. Era esattamente la medesima ragione per cui le regole avevano smesso di avere importanza per me. Perché il giusto e lo sbagliato non erano più dei dogmi inconfutabili. Perché le mie priorità erano scese tutte un gradino più in basso per fare posto a questa ragazza proprio in cima. Anche Bella mi voleva bene. Sapevo che non poteva essere niente a confronto di quanto io l’amavo. Ma  Ma   era abbastanza da farle rischiare la vita per stare seduta qui con me. Per farlo così di buon grado. Abbastanza per ferirla se avessi deciso di fare la cosa giusta e di lasciarla. C’era qualcos’altro che potessi fare ora che non non   l’avre bbe ferita? Una qualunque cosa? Sarei dovuto restare lontano. Non sarei mai dovuto tornare a Forks. Non potevo causarle altro che dolore. Questo mi avrebbe impedito di restare ora? Di fare di peggio? Il modo in cui mi sentivo proprio adesso, con il suo calore contro la mia pelle… pelle…    No. Niente mi avrebbe fermato. “Ah”, ringhiai rivolto a me stesso. “Questo non va bene”.  bene”.   “Cos’ho detto?”, chiese, pronta ad assumersi la colpa.  colpa.   “Non capisci, Bella? Bella? Una cosa è che io mi renda miserabile, ma il fatto che tu sia tanto coinvolta è una cosa completamente diversa. Non voglio più sentirti dire che provi certe cose”. Era la verità, era una bugia. La parte più egoista di me era in estasi per la consapevolezza consapevol ezza che lei voleva me quanto io volevo lei. “E’ sbagliato. sb agliato. Non è prudente. Io sono pericoloso, Bella –  Bella –  per  per favore, sforzati di comprender  c omprender lo”.  lo”. 

“No”. Le sue labbra s’imbronciarono con aria petulante.  petulante.   “Sono serio”. Stavo combattendo con me me stesso così fortemente  –   per metà ©2008 Stephenie Meyer

 

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disperato perché lo accettasse, per metà disperato perché volevo far tacere gli avvertimenti  –  che  che le parole mi uscivano tra i denti come un ringhio. “Anch’io”, insistette. “Te l’ho detto, non m’importa cosa sei. E’ troppo tardi”.   Troppo tardi? Per un secondo infinito il mondo fu di un tetro bianco e nero, intanto che con la memoria tornavo ad osservare le ombre strisciare lungo il prato soleggiato fino alla sagoma dormiente di Bella. Inevitabili, inesorabili. Avevano rubato il colore dalla sua  pelle, e l’avevano im immersa nell’oscurità.  nell’oscurità.  Troppo tardi? La visione di Alice mi vorticava nella mente, gli occhi rosso sangue di Bella ricambiavano il mio sguardo imperturbabili. Privi di espressione  –   ma non c’era alcuna possibilità che non non potesse  potesse odiarmi per quel futuro. Odiarmi per averle portato via tutto. Per averle sottratto la sua vita e la sua anima.  Non poteva essere troppo tardi. “Non dirlo mai”, sibilai.  sibilai.   Guardava fissa fuori dal finestrino, mordicchiandosi nuovamente il labbro. Teneva le mani strette a pugno sul grembo. Il suo respiro procedeva a scatti s catti e si spezzava. spezz ava. “A cosa stai pensando?”. Dovevo saperlo.  saperlo.  Scosse la testa senza guardarmi. Vidi qualcosa brillare, simile ad un cristallo, sulla sua guancia. Agonia. “Stai piangendo?”. L’avevo fatta piangere fatta  piangere.. L’avevo ferita così tanto. tanto. Si asciugò le lacrime sfregandosi con il dorso della mano. “No”, mentì, con voce strozzata. strozzata. Un qualche istinto sepolto da tempo mi stava spingendo ad allungare la mano verso di lei –  lei –  in quell’istante unico mi sentii più umano di quanto non mi fossi mai sentito. sent ito. E poi mi ricordai ricordai che…non lo ero. Ed abbassai la mano.  mano.   “Mi dispiace”, dissi, serrando le mascelle. Come avrei mai potuto farle capire quanto fossi dispiaciuto? Dispiaciuto per tutti gli stupidi errori che avevo commesso. Dispiaciuto per il mio sconfinato egoismo. Dispiaciuto che fosse stata così sfortunata da ispirare quel mio primo, tragico amore. Dispiaciuto pure per tutte le cose che andavano al di là del mio controllo –  controllo –  per  per essere stato sin dall’inizio dall’i nizio il mostro designato a porre f ine ine alla sua vita.

Respirai profondamente  –   ignorando la mia disgraziata reazione al profumo nella macchina –  macchina  –  e  e cercai di ricompormi. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Volevo cambiare argomento, pensare a qualcos’altro. Fortunatamente per me, la l a mia curiosità su tutto quanto riguardava la ragazza era insaziabile. Avevo sempre una domanda da farle. “Dimmi una cosa”, dissi.  dissi.  “Si?” chiese con voce roca, ancora rotta dal pianto.  pianto.  “A cosa stavi pensando stasera, appena prima che svoltassi l’angolo? Non riusc ivo a capire la tua espressione  –   non sembravi tanto spaventata, pareva che ti stessi concentrando concentran do molto intensamente su qualcosa”. Ripensai al suo viso –   sforzandomi di dimenticare di chi fossero gli occhi attraverso i quali la stavo guardando  –   all’espressione determinata che aveva. “Stavo cercando di ricordare come si rende inoffensivo un aggressore”, disse, con una voce più composta. “Tecniche di autodifesa, insomma. Stavo per spaccargli il naso fino a cacciar glielo glielo nel cervello”.  cervello”.  La sua compostezza non durò fino alla fine della spiegazione. Il tono della sua voce si era trasformato fino ad essere preda dell’odio. Questa non era un’iperbole, e la sua furia da gattina non era per niente divertente adesso. Potevo vedere la sua sagoma fragile  –   semplicemente seta sopra un vetro –  vetro  –  sulla   sulla quale dominava quella più massiccia, micidiale del mostro umano che le avrebbe fatto del male. La furia ribolliva sulla mia nuca. “Intendevi batterti con loro?” volevo gemere. I suoi istinti erano letali –   per sé stessa. stes sa. “Non hai pensato a scappare?”  scappare?”  “Tendo ad inciampare parecchio quando corro”, disse con aria imbarazzata.  imbarazzata.   “E non hai pensato di gridare per chiedere aiuto?”  aiuto?”   “Ci stavo arrivando”.  arrivando”.  Scossi la testa incredulo. Com’era riuscita a sopravvivere prima di venire a Forks? Forks?   “Avevi ragione”, le dissi, con una punta di acredine nella voce. “Sto decisamente combattendo contro il destino cercando di tenerti in vita”.  vita”.   Sospirò, e lanciò un’occhiata fuori dal finestrino. Poi tornò a guardarmi.  guardarmi.   “Ti vedrò  vedrò domani?” domandò all’improvviso.  all’improvviso.  Dal momento che me ne sarei andato comunque all’inferno –   tanto valeva che mi godessi il viaggio.

“Si –   Anch’io devo consegnare un compito”. Le sorrisi, ed il farlo mi fece sentire  bene. “Ti terrò il posto a mensa”.  mensa”.  ©2008 Stephenie Meyer

 

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Il suo cuore palpitava; il mio cuore senza vita d’improvviso sembrava più caldo.  caldo.   Fermai la macchina davanti a casa di suo padre. Non fece segno di volersene andare. “ Prometti  Prometti  che ci sarai domani?” insistette.  insistette.   “Prometto”.  “Prometto”.  Com’era possibile che fare la cosa sbagliata mi rendesse così felice? Sicuramente c’era qualcosa qualcosa che non andava in quello. Annuì tra sé, soddisfatta, e cominciò a sfilarsi la mia giacca. “Puoi tenerla”, le assicurai a ssicurai rapidamente. Preferivo lasciarla con qualcosa di mio. Un  pegno simbolico, come il tappo della bottiglia che era nella mia tasca adesso… “Domattina “Domatt ina sarai senza giacca”. giacca”.   Lei me la restituì, sorridendo mestamente. “Non voglio doverlo spiega re a Char lie”, lie”, mi disse. Immaginavo di no. no. Le sorrisi. “Oh, d’accordo”.  d’accordo”.   Poggiò la mano sulla maniglia della portiera, e poi si fermò. Riluttante ad andarsene, andarse ne, proprio com’io ero riluttante a lasciarla andare.  andare.   A lasciarla indif esa, esa, anche se solo per poco tempo…  tempo…   Peter e Charlotte dovevano essere piuttosto avanti nel loro viaggio oramai, senza dubbio avevano superato Seattle già da tempo. Ma c’erano sempre gli altri. Questo mondo non era un posto sicuro per nessun umano, e per lei sembrava essere più pericoloso di quanto non fosse per gli altri. “Bella?” chiesi, sorpreso dal piacere che mi dava il semplice pronunciare il suo nome. “Si?”   “Si?” “Mi faresti una promessa?”  promessa?”  “Si”, acconsentì facilmente, facilmente, e poi i suoi occhi si trasformarono in due fessure come se avesse pensato ad una ragione per obiettare. “Non andare nel bosco da sola”, l’avvisai, domandandomi se quella richiesta avreb be innescato l’obiezione che aveva negli occhi.  occhi.  Sbatté le ciglia, sbigottita. “Perché?”  “Perché?”  Lanciai uno sguardo cupo verso l’oscurità inaffidabile. L’assenza di luce non era un

 problema per i miei miei   occhi, ma non avrebbe neppure causato problemi ad un altro  predatore. Accecava solamente gli esseri umani. ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Non sono sempre io la cosa più pericolosa là fuori”, le dissi. “Restiamo d’accordo co così”. sì”.   Lei rabbrividì, ma si ricompose immediatamente e stava persino sorridendo quando mi disse “Come vuoi tu”.  tu”.  Il suo respiro mi sfiorò il viso, così dolce e profumato. Sarei potuto rimanere così tutta la notte, ma lei aveva bisogno di dormire. I due desideri parevano eguagliarsi per intensità mentre si combattevano senza tregua dentro di me: il mio desiderarla contro il mio desiderare che fosse al sicuro. Sospirai di fronte a quell’inconciliabilità. “Ci vediamo domani”, dissi, sapendo che l’avrei vista molto prima di così. Tuttavia, lei non avrebbe visto me me prima  prima di domani. “A domani, allora”, concordò concordò mentre apriva la portiera. Un’altra agonia, il vederla andare.  andare.   Mi sporsi verso di lei, volendo trattenerla qui. “Bella?”  “Bella?”   Si voltò, e poi s’impietrì, sorpresa di trovare i nostri visi così vicini l’uno all’altro.   Anch’io An ch’io ero sopraffatto dalla vicinanza. Diffondeva calore sotto forma di onde, carezzandomi carezzandomi il viso. Potevo tutto tranne sentire la seta della sua pelle…   Il suo cuore era tachicardico e la bocca le si spalancò per la meraviglia. “Dormi bene”, sussurrai, e scivolai lontano, prima che l’urgenza del mio corpo –   che fosse la sete familiare o la smania del tutto nuova ed ignota che d’improvviso sent ivo  –  potesse  potesse farmi fare una qualunque cosa che potesse nuocerle. Restò seduta immobile per un momento, con gli occhi sbarrati ed intontita. Abbacinata, immaginai. Come lo ero io. Si ricompose –  ricompose  –   sebbene sebbene il suo viso fosse ancora lievemente confuso confuso –   –  e  e quasi cadde dalla macchina, inciampando nei suoi stessi piedi ed afferr andosi andosi al telaio dell’auto per tenersi dritta. Ridacchiai –  Ridacchiai  –  sperando  sperando che il volume fosse troppo basso perché potesse sentirmi. La guardai avanzare con passo malfermo fino al cerchio di luce che circondava la  porta d’ingresso. Salva per il momento. E sarei tornato presto indietro per assicurarmene. Potevo sentire i suoi occhi che mi seguivano mentre mi avviavo per la strada buia.

Una sensazione del tutto differente da quella cui ero abituato. Di solito, potevo semplicemente osservare osservare me  me stesso attraverso gli occhi di qualcuno che mi seguivano, se ©2008 Stephenie Meyer

 

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avevo intenzione di farlo. Questa era sorprendentemente eccitante  –   questa intangibile  percezione di altri occhi che mi stavano guardando. Sapevo che era così perché erano i  suoi occhi.  suoi  occhi. Un milione di pensieri si rincorrevano tra loro attraverso la mia mente intanto che guidavo senza meta nella notte. Per un pò girai in tondo per le strade, diretto in nessun posto in particolare,  pensando  pensan do a Bella ed all’incredibile sollievo dell’essere la verità svelata. Non dovevo più temere che scoprisse cos’ero. Lo sapeva. Non le importava. Nonostante fosse ovviamente una cosa brutta per lei, era straordinariamente liberatoria per me. Oltre a quello, pensavo a Bella ed all’amore all’a more corrisposto. Non poteva amarmi nel modo in cui io amavo lei –  lei  –  un  un amore così prepotente, divorante, devastante probabilmente avrebbe spezzato il suo corpo fragile. Ma ci credeva abbastanza. Abbastanza da domare l’istintiva paura. Abbastanza da voler essere es sere con me. E stare con lei era la felicità più grande che avessi mai conosciuta. Per un momento  –  siccome   siccome ero completamente solo e non facevo male a nessuno,  per cambiare  –   mi permisi di provare quella felicità senza soffermarmi sulla tragedia. Semplicemente felice che mi volesse bene. Solamente esultante nel trionfo di averne conquistato con quistato l’affetto. Soltanto immaginandomi giorno dopo giorno di sederle vicino, di ascoltarne la voce e di guadagnarne i sorrisi. Ricambiavo quei sorrisi nella mia mente, osservandone gli angoli delle labbra piene rivolti all’insù, l’accenno di una fossetta che le invadeva la punta del mento, il modo in cui i suoi occhi si scaldavano e s’intenerivano… Le sue dita sulla mia mano, stasera, mi erano  parse così calde e morbide. Immaginai come sarebbe stato sfiorarne la pelle delicata tesa sulle guance  –   carezzevole, calda…così fragile. Seta sopra il vetro…spaventosamente fragile.  Non capii dove volessero guidarmi i miei pensieri finché non fu troppo tardi. Mentre riflettevo su quella sconvolgente vulnerabilità, nuove immagini del suo viso s’intromisero nelle mie fantasie.  fantasie.   Smarrito tra le ombre, pallido per la paura  –  malgrado   malgrado ciò con le mascelle contratte e determinate, gli occhi feroci, profondamente concentrati, il suo corpo esile pronto a

colpire le enormi enormi sagome che le si avvicinavano, incubi dal buio…  buio…   “Ah”, gemetti, mentre l’odio latente che avevo tutto fuorché dimenticato nella gioia ©2008 Stephenie Meyer

 

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di amarla esplodeva di nuovo in un inferno di rabbia. Ero solo. Bella era, confidavo, al sicuro a casa sua; per un momento fui terribilmente contento che Charlie Swan  –  capo   capo della polizia locale, addestrato ed armato  –  fosse  fosse suo padre. Questo doveva significare qualcosa, fornirle una sorta di scudo. Lei era al sicuro. Non mi ci sarebbe voluto molto per vendicare l’offesa… l ’offesa…    No. Lei meritava di meglio. Non potevo permettere che volesse bene ad un assassino. Ma…e che dire delle altre?  altre?  Bella era al sicuro, si. Anche Jessica ed Angela erano, indubbiamente, al sicuro nei loro letti. Tuttavia un mostro si aggirava libero per le strade di Port Angeles. Un mostro umano –  umano  –  questo lo faceva diventare un problema degli umani? Commettere l’omicidio che desideravo fortemente commettere era sbagliato. Lo sapevo. Ma neppure lasciarlo libero di aggredire ancora poteva essere giusto. La bionda hostess hostess   di sala del ristorante. La cameriera che non avevo veramente guardato. Entrambe mi avevano seccato in maniera sciocca, ma questo non significava che meritassero di essere in pericolo. L’una o l’altra di loro sarebbe potuta essere al posto di Bella.   Quella presa di coscienza mi fece decidere. Voltai la macchina verso nord, accelerando adesso che avevo una meta. Ogni volta che avevo un problema che era al di sopra delle mie possibilità  –   qualcosa di concreto come questo –  questo –  sapevo  sapevo dove potevo trovare aiuto. Alice era seduta nel portico, che mi aspettava. Mi fermai di fronte a casa invece di aggirarla per raggiungere il garage. “Carlisle è nel suo studio”, mi disse diss e Alice prima che glielo potessi chiedere. chiedere.   “Grazie”, dissi, scompigliandole i capelli mentre passavo.  passavo.   Grazie a te per te per avermi richiamata, richiamata, pensò sarcasticamente. “Oh”. Mi fermai sulla porta, tirando fuori il cellulare ed aprendolo. “Scusami. Non ho nemmeno controllato per vedere chi era. Ero…occupato”.  Ero…occupato”.  “Si, lo so. Scusami anche tu. Per quando ho visto cosa stava per succedere, succede re, ti eri già

mosso”.  mosso”.  “C’è mancato poco”, mormorai.  mormorai.  ©2008 Stephenie Meyer

 

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Scusami,, ripeté, vergognandosi di se stessa. Scusami Era facile essere generosi, sapendo che Bella stava bene. “Non biasimarti. So che non puoi stare dietro a tutto. Nessuno si aspetta aspe tta che tu sia onnisciente, Alice”.  Alice”.  “Grazie”.  “Grazie”.  “Stavo quasi per chiederti di uscire a cena con me stasera –   non l’hai visto prima che cambiassi idea?”  idea?”  Spalancò il sorriso. “No, mi sono persa anche quello. Avrei voluto saperlo. Sarei venuta”.   venuta”. “Su cosa ti stavi concentrando, che ti sei persa così tanto?”  tanto?”   Jasper sta pensando al nostro anniversario. anniversario. Scoppiò a ridere. Sta tentando di non  prendere una decisione su cosa regalarmi, ma penso di averne un’idea piuttost o preci sa…   sa…  “Sei senza pudore”.  pudore”.  “Si”.  “Si”.  Mise il broncio, e mi fissò, accusandomi velatamente con la sua espressione.  Più tardi farò maggiore attenzione. Glielo dirai che lei sa?  sa?   Sospirai. “Si. Più tardi”.  tardi”.   Non dirò nulla. Fammi un favore e dillo a Rosalie quando non sono in giro, d’accordo?   d’accordo? Trasalii. “Certo”.  “Certo”.   Bella l’ha presa piuttosto bene. bene. “Anche troppo”.  troppo”.  Alice mi fece una smorfia. Non smorfia. Non sottovalutare Bella. Bella. Cercai Cerc ai di bloccare l’immagine che non volevo vedere –  Bella   Bella ed Alice, le migliori delle amiche. Impaziente ora, sospirai profondamente. Volevo passare alla fase successiva della serata; volevo chiuderla. chiuderla. Ma avevo ancora paura di lasciare lascia re Forks…  Forks…  “Alice…” cominciai. Vide cos’avevo in mente di chiederle.  chiederle.   Starà bene stanotte. La tengo d’occhio più attentamente adesso. Pare che abbia bisogno di essere sorvegliata ventiquattro ore su ventiquattro, non è così?  così?   “Come minimo”.  minimo”. 

“In ogni caso, sarai di nuovo con lei tra pochissimo”.  pochissimo”.   Respirai a fondo. Quelle parole erano meravigliose per me. ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Vai –  fai quel che devi così da poter essere dove desideri essere”, mi disse.  disse.  Annuii, e corsi nello studio di Carlisle. Mi stava aspettando, i suoi occhi erano sulla porta piuttosto che sullo spesso libro sulla scrivania. “Ho sentito Alice che ti diceva dove potevi trovarmi”, disse, e sorrise.   Era un sollievo essere con lui, vedere vedere l’empatia e la profonda intelligenza dei suoi occhi. Carlisle avrebbe saputo cosa fare. “Ho bisogno di aiuto”.  aiuto”.  “Qualunque cosa, Edward”, promise.  promise.   “Alice ti ha detto cos’è successo a Bella stasera?”  stasera?”   Quasi successo, successo, corresse. “Si, quasi. Mi trovo in un dilemma, Carlisle. Vedi, vorrei…davvero… ucciderlo”. Le parole cominciarono a fluire veloci ed appassionate. “Proprio tanto. Ma so che sarebbe s arebbe sbagliato, perché sarebbe vendetta, non giustizia. Solo collera, nessuna imparzialità. Tuttavia, non può essere giusto permettere ad uno stupratore ed assassino seriale di aggirarsi per Port Angeles! Non conosco le persone di lì, ma non posso lasciare che qualcun’altra qual cun’altra diventi vittima al posto di Bella. Quelle Quell e altre donne  –   qualcuno potrebbe sentire per loro quello che io sento per Bella. Potrebbe soffrire quello che io avrei sofferto se le avessero fatto del male. Non è giusto -” - ”  Il suo sorriso spalancato, imprevisto arginò all’istante l’impeto delle delle mie parole.  Ha un effetto decisamente positivo su di te, non è vero? Così tanta compassione, così tanto controllo. Sono impressionato. impressionato. “Non sono in cerca di complimenti, Carlisle”.  Carlisle”.   “Certo che no. Ma non posso fare a meno di pensarlo, o no?”. Sorrise di nuovo. “Me ne occu però io. Puoi stare tranquillo. A nessun’altra verrà fatto del male al posto di Bella”.  Bella”.  Vidi il piano che aveva in mente. Non era esattamente ciò che volevo, non placava la mia smania di brutalità, ma capivo che era la cosa giusta da fare. “Ti mostrerò dove trovarlo”, dissi.  dissi.  “Andiamo”.   “Andiamo”. Afferrò la sua borsa nera mentre ci muovevamo. Avrei preferito un tipo di sedativo

 più aggressivo –  aggressivo –  come  come un cranio fracassato –  fracassato –  ma  ma avrei lasciato che Carlisle facesse a modo suo. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Prendemmo la mia macchina. Alice era ancora sui gradini. Spalancò il sorriso e ci salutò con la mano mentre ci allontanavamo. Vidi che aveva sbirciato nel futuro per me; non avremmo incontrato difficoltà. Il tragitto sulla strada buia, vuota fu molto breve. Non accesi i fari per non attirare l’attenzione. Mi fece sorridere il pensiero di come Bella avrebbe reagito a questa questa velocità.  velocità. Stavo già andando molto più lentamente di quanto non facessi di solito –  solito  –  per  per prolungare il mio tempo con lei –  lei –  quando  quando aveva protestato. Anche Carlisle stava pensando a Bella.  Non avevo previsto che fosse così adatta a lui. E’ del tutto inaspettato. Forse in qualche modo era destino che fosse così. Forse risponde ad uno scopo superiore. Solo che…   che… Si figurò Bella con la pelle bianca e fredda come la neve e gli occhi rossi come il sangue, e poi rifuggì rifuggì quell’immagine.  quell’immagine.  Si. Solo che. che. Davvero. Perché cosa poteva esserci di buono nel distruggere qualcosa di così splendido e puro? Guardai torvo nel buio, tutta la gioia della serata distrutta dai suoi pensieri.  Edward merita di essere esser e felice. fel ice. Gli è dovuto. L’intensità dei pensieri di Carlisle mi sorprese. Deve sorprese.  Deve esserci un modo. modo. Desideravo poterci credere –  credere  –  a tutto. Ma non c’era uno scopo superiore dietro quello che stava capitando a Bella. Solo un’arpia malvagia, un fato ignobile, crudele che non  poteva tollerare che Bella avesse la vita che meritava.  Non mi attardai a Port Angeles. Accompagnai Carlisle fino alla bettola in cui l’essere di nome Lonnie stava annegando il dispiacere con i suoi amici –   due dei quali avevano già perso i sensi. Carlisle capiva quanto fosse duro per me trovarmi così vicino  –   ascoltare i pensieri del mostro e vedere i suoi ricordi, il ricordo di Bella mescolato a quello delle altre ragazze meno fortunate che nessuno poteva più salvare oramai. Mi si accelerò il respiro. Mi aggrappai al volante. Vai, Edward , mi disse gentilmente.  Farò in modo che non possano più nuocere a nessuno. Torna da Bella. Bella. Era esattamente la cosa giusta da dire. Il suo nome era l’unica distrazione che

 potesse avere un qualche senso per me ora. Lo lasciai in macchina, e tornai a Forks correndo in linea retta attraverso la foresta ©2008 Stephenie Meyer

 

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addormentata. Impiegai meno tempo che all’andata con la macchina. Solo pochi m inuti dopo stavo scalando la facciata di casa sua e facevo scivolare la sua finestra per sgombrarmi il passo. Sospirai di sollievo silenziosamente. Ogni cosa era proprio come doveva essere. Bella era al sicuro nel suo letto, sognante, con i capelli umidi intrecciati come alche marine sul cuscino. Ma, diversamente dalla maggior parte delle notti, era raggomitolata in una piccola  palla con le l e coperte tirate strette attorno alle spalle. Freddo, immaginai. imma ginai. Prima che potessi pot essi sedermi al mio solito posto, rabbrividì nel sonno, e le sue labbra tremarono. Pensai per un breve istante, e poi scivolai delicatamente in corridoio, esplorando un’altra parte della casa per la prima volta.  volta.  Il russare di Charlie era forte e regolare. Potevo quasi afferrare i contorni del suo sogno. Qualcosa riguardo lo scorrere dell’acqua e l’aspettare pazienti…pes ca, forse? Là, in cima alle scale, c’era un armadio che pareva promettente. Lo aprii ottim ista, e trovai quello che stavo cercando. Scelsi la coperta più pesante tra l’esigua biancheria dell’armadio, e la portai in camera di Bella. L’avrei rimessa rimess a a posto prima che si svegliasse, e nessuno se ne sarebbe accorto. Trattenendo il respiro, con cautela, le distesi sopra la coperta; non reagì al peso aggiuntivo. Tornai alla sedia a dondolo. Mentre aspettavo ansiosamente che si scaldasse, pensavo a Carlisle, domandandomi dove fosse ora. Sapevo che il suo piano sarebbe filato liscio –  liscio  –  Alice l’aveva visto.  visto.  Pensare a mio padre mi fece sospirare  –  Carlisle   Carlisle mi attribuiva troppo merito. Avrei voluto essere la persona che pensava che fossi. Quella persona, quella che meritava di essere felice, che avrebbe potuto sperare di essere degna di questa ragazza addormentata. Quanto sarebbero sarebbero state diverse le cose se avessi potuto essere quell’Edward.  quell’Edward.   Intanto che ci riflettevo, la mia mente fu invasa, senza che l’avessi invitata, da un’immagine bizzarra.  bizzarra.  Per un istante, il fato con il viso maligno che avevo immaginato, quello che chiedeva la distruzione di Bella, fu rimpiazzato dal più folle e sconsiderato degli angeli. Un angelo custode  –  qualcosa   qualcosa che secondo la prospettiva che Carlisle aveva di me avrei

 potuto avere. Con un sorriso noncurante sulle labbra, con gli occhi azzurro cielo pieni di malizia, mali zia, l’angelo aveva modellato Bella in maniera tale che non mi fosse in alcun alc un modo ©2008 Stephenie Meyer

 

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 possibile non vederla. Un profumo assurdamente potente per richiamare ri chiamare la mia attenzione, una mente silenziosa per infiammare la mia curiosità, una bellezza dissimulata per catturare i miei occhi, un’anima disinteressata per guadagnare la mia soggezione. Lasciando fuori l’innato istinto di conservazione - cosicché Bella potesse tollerare di starmi vicina –  vicina –  e, alla fine, aggiungendo un’ampia dose di spaventosa sfortuna. sfo rtuna. Con una risata spensierata, l’angelo irresponsabile aveva spinto la sua fragile creazione direttamente sulla mia strada, confidando inopportuno nella mia fallace moralità  per tenere Bella in vita. In questa visione, non ero la condanna di Bella; lei era la mia ricompensa. Scossi la testa dinanzi alla fantasticheria fantas ticheria di quell’angelo sconsiderato. Non era per niente migliore dell’arpia. Non potevo pensare bene di un potere superiore che si comportava in una maniera tanto pericolosa e stupida. Almeno un fato ignobile avrei  potuto combatterlo. Ed io non avevo angeli. Quelli erano riservati ai buoni  –  alle   alle persone come Bella. Ma dov’era il suo angelo in tutto questo? Chi la stava sorvegliando?  sorvegliando?   Risi silenziosamente, sbigottito, perché mi resi conto che, proprio ora, stavo ricoprendo quel ruolo. Un vampiro custode –  custode –  una  una bella impresa. Dopo circa mezz’ora, Bella si rilassò smettendo di stare raggomitolata in una stretta  palla. Il suo respiro si fece fe ce più profondo e cominciò a borbottare. Sorrisi, soddisfatto. Era una piccola cosa, ma almeno stava dormendo più serenamente stanotte perché pe rché ero qui. “Edward” sospirò, e poi sorrise, anche.  anche.   Spinsi da parte la tragedia per un momento, e mi concessi di essere di nuovo felice.

©2008 Stephenie Meyer

 

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11. Interrogatori

La CNN fu la prima a raccontare l'accaduto. l 'accaduto. Ero contento che desse la notizia prima che dovessi uscire per andare a scuola, ansioso di sentire che tipo di resoconto avrebbero fornito, e quanta attenzione avrebbe raccolto. Fortunatamente, era una giornata ricca di notizie. notiz ie. C’erano stati un terremoto in Sudamerica ed un sequestro di persona di matrice politica in Medio Oriente. Sicché, finì  per guadagnarsi solo pochi secondi, poche poche frasi, ed una fotografia sgranata. “Alonzo Calderas Wallace, sospetto maniaco stu pratore ed omicida, ricercato in Texas ed in Oklahoma, è stato arrestato a Portland, in Oregon, la scorsa notte, grazie ad un informatore rimasto anonimo. Wallace è stato trovato in stato d’incoscienza in un v icolo questa mattina presto, a soli pochi metri da una stazione di polizia. Le autorità non sono ancora in grado di dire se sarà estradato a Houston o ad Oklahoma City per essere  processato”.  proces sato”.   L’immagine non era nitida, una foto segnaletica, ed aveva una folta barba al tempo te mpo in cui era stata scattata. s cattata. Anche se Bella l’avesse vista, probabilmente non l’avrebbe riconosciuto. Speravo non lo facesse; si sarebbe spaventata inutilmente. “La diffusione qui in città sarà minima. E’ troppo lontano per essere considerato d’interesse locale”, mi  mi   disse Alice. “E’ stata un’ottima idea quella di Carlisle di portarlo fuori dai confini dello dello stato”.  stato”.  Annuii. Bella non guardava molto la televisione in ogni caso, e non avevo mai visto suo padre guardare altro al di fuori dei canali sportivi. Avevo fatto quanto potevo. Questo mostro non avrebbe più cacciato, ed io non ero un assassino. Non in tempi recenti, comunque. Avevo fatto bene a fidarmi di Carlisle, per quanto ancora desiderassi che il mostro non se la cavasse tanto a buon mercato. Mi sorpresi a sperare che fosse estradato in Texas, dove la pena di morte era così po polare…  polare…    No. Questo non contava. Me lo sarei lasciato alle spalle, e mi sarei concentrato su quello che c’era di più importante.  importante.   Avevo lasciato la camera camera di Bella da meno di un’ora. Stavo già desiderando

ardentemente di rivederla. “Alice, ti dispiace -”  ©2008 Stephenie Meyer

 

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Mi aveva interrotto. “Guiderà Rosalie. Farà l’incavolata, ma sai bene quanto ap prezzerà l’avere una scusa per sfoggiare la sua macchina”. Alice trillò una risata. Spalancai il sorriso. “Ci vediamo a scuola”.  scuola”.   Alice sospirò, ed il mio sorriso si trasformò in una smorfia.  Lo so, lo so so,, pensò.  Non ancora. Aspetterò finché non sarai pronto a farmi conoscere Bella. Dovresti sapere, però, che qui non si tratta soltanto del mio essere egoista. Anch’io piacerò a Bella.  Bella.    Non le risposi mentre correvo fuori della porta. Quello era un punto di vista diverso d iverso sulla faccenda. Bella avrebbe voluto voluto conoscere  conoscere Alice? Avere una vampira come migliore amica? Conoscendo Bella…l’idea probabilmente non l’avrebbe disturbata neanche un pò.  pò.   Mi accigliai. Ciò che Bella voleva e ciò che era meglio per Bella erano due cose davvero molto distinte. Cominciai a sentirmi a disagio mentre parcheggiavo la macchina nel vialetto di Bella. Una massima umana diceva che la notte porta consiglio –  consiglio  –  che   che le cose cambiano se ci si dorme sopra. Sarei sembrato diverso a Bella nella tiepida luce di un giorno di nebbia? Più sinistro o meno sinistro di quanto non fossi nell’oscurità della sera? La verità aveva fatto presa su di lei mentre dormiva? Avrebbe avuto finalmente paura? I suoi sogni erano stati pacifici, però, ieri notte. Quando aveva pronunciato il mio nome, ancora ed ancora, aveva sorriso. Più di una volta aveva mormorato implorandomi di restare. Non avrebbe significato più niente oggi? Aspettavo nervosamente, ascoltando i suoni provenienti dall’interno di casa sua –   i  passi rapidi, incespicanti sulle scale, lo strappo netto di un foglio di stagnola, i contenitori del surgelatore che sbattevano l’uno contro l’altro quando lo sportello era stato chiuso con forza. Sembrava che andasse di fretta. Ansiosa di arrivare a scuola? Il pensiero mi fece sorridere, di nuovo ottimista. Guardai l’orologio. Indovinai che –   tenendo conto che la velocità del suo  pick-up  pick-up   de decrepito crepito l’avrebbe limitata –  era era in  in ritardo. Bella si precipitò fuori di casa, con la sacca dei libri che le scivolava dalla spalla, i suoi capelli erano raccolti in una treccia disordinata che in parte stava già sciogliendosi

alla base della nuca. Il pesante maglione verde che indossava non bastò ad impedire alle sue spalle magre di curvarsi contro la nebbia fredda. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Il lungo maglione, troppo grande per lei, non le rendeva giustizia. Nascondeva la sua figura slanciata, trasformando tutte le sue curve delicate ed i morbidi contorni in una massa informe. Apprezzai questo quasi quanto avevo desiderato che indossasse qualcosa di più simile alla leggera camicetta blu che portava ieri sera…il tessuto le aveva ad erito al corpo in una maniera davvero attraente, scollato abbastanza da rivelare il modo incantevole incantevo le in cui la sua clavicola curvava dall’incavo al di sotto della sua s ua gola. Il blu era ricaduto morbidamente, morbidamente, come acqua, lungo la sagoma delicata del suo corpo…  corpo…   Era meglio –  meglio –  essenziale –    essenziale –  che  che tenessi i miei pensieri lontani, lontani da quelle forme,  perciò ero grato che indossasse quel maglione che non le donava. donava . Non potevo permettermi di commettere degli errori, e sarebbe stato un errore madornale soffermarsi sui desideri per me del tutto nuovi che i pensieri sulle sue labbra… sulla sua pelle… sul suo corpo… agitavano scatenati dentro di me. Desideri che mi avevano schivato per cento anni. Ma non potevo concedermi di pensare di toccarla, perché quello era impossibile. L’avrei mandata in pezzi.  pezzi.  Bella aveva voltato le spalle alla porta, talmente di fretta che quasi passò diritta correndo accanto alla mia macchina senza neppure notarla. Poi si fermò slittando, con le ginocchia piegate in dentro come quelle di un puledro confuso che muove i primi passi. La sua sacca scivolò ancora più giù sul suo braccio, ed i suoi occhi si spalancarono quando misero a fuoco la mia macchina. Scesi, senza badare a muovermi a velocità umana, ed aprii la portiera del passeggero  per lei. Non avrei più cercato d’ingannarla –  quando  quando eravamo soli, quantomeno, sarei stato me stesso. Alzò lo sguardo su di me, di nuovo confusa come se apparentemente mi fossi materializzato mate rializzato dalla nebbia. E poi la sorpresa nei suoi occhi si trasformò in qualcos’altro, e smisi di avere paura  –   o di sperare  –   che i suoi sentimenti per me fossero cambiati nel corso della notte. Calore, meraviglia, fascino, fluttuavano tutti nel morbido cioccolato dei suoi occhi. “Ti va di venire con me oggi?” chiesi. Diversamente dalla cena della sera prima, le avrei permesso di scegliere. D’ora in poi, doveva essere sempre una un a sua scelta. “Si, grazie”, mormorò, salendo in macchina senza esitazione.  esitazione.  

Avrebbe mai smesso di elettrizzarmi, il fatto che fossi io quello a cui diceva di si?  Ne dubitavo. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Saettai attorno alla macchina, impaziente di raggiungerla. Non mostrò alcun segno di essere rimasta scioccata dalla mia subitanea riapparizione. La gioia che provavo quando sedeva accanto a me in questo modo non aveva  precedenti. Nonostante apprezzassi l’amore e la compagnia della mia famiglia, a dispetto  precedenti. dei vari intrattenimenti e delle distrazioni che il mondo aveva da offrire, non ero mai stato così felice. Pur sapendo che era sbagliato, che non c’era alcuna possibilità che p otesse finire bene, non potei trattenere a lungo il sorriso sorris o lontano dal mio viso. La mia giacca stava ripiegata sul poggiatesta del suo sedile. La vidi squadrarla. “Ho portato la giacca per te”, le dissi. Era la mia scusa, se me ne fossi dovuta  procurare una, per essermi presentato senza invito questa mattina. Faceva freddo. Non aveva una giacca. Sicuramente questa era un’accettabile forma di cavalleria. “Non volevo che ti ammalassi o qualcosa del genere”.  genere”.   “Non sono delicata fino a questo punto”, disse, fissando il mio torace piuttosto che il mio viso, come se fosse riluttante ad incontrare i miei occhi. Ma indossò la giacca prima che dovessi fare ricorso all’autorità o alla coercizione.  coercizione.  “Non lo sei?” borbottai tra me.  me.   Guardava fissa la strada mentre acceleravo in direzione della scuola. Riuscii a sopportare il silenzio per pochi secondi solamente. Dovevo sapere quali erano i suoi  pensieri stamattina. Era cambiato così tanto tra di noi dall’ultima volta che il sole era alto. alto. “Allora, niente domande a raffica oggi?” chiesi, chie si, andandoci di nuovo piano. Lei sorrise, sembrando contenta che avessi toccato l’argomento. “Le mie doma nde t’infastidiscono?”  t’infastidiscono?”  “Non quanto le tue reazioni”, le dissi onestamente, sorridendo in risposta al suo sorriso. La sua bocca sua bocca si era imbronciata. “Reagisco male?”  male?”   “No, è questo il problema. Prendi tutto con troppa calma –   non è naturale”. Finora nessuno strillo. Come poteva essere? “M’induce a chiedermi a cosa pensi veramente”. Ovviamente, qualunque cosa facesse o non facesse m’induceva a domandarmelo.  domandarmelo.   “Ti dico sempre quello che penso veramente”.  veramente”.   “Lo censuri”.  censuri”. 

I suoi denti premevano di nuovo sul suo labbro. Pareva non accorgersi di quando lo faceva –  faceva  –  una  una reazione inconscia alla tensione. tensione. “Non molto”.  molto”.  ©2008 Stephenie Meyer

 

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Solo quelle parole erano sufficienti a scatenare la mia curiosità. Cosa mi nascondeva di proposito? “Abbastanza da farmi perdere la testa”, dissi.  dissi.   Esitò, e poi mormorò “Tu non vuoi sentirlo”.  sentirlo”.  Fui costretto a pensare per un momento, ripercorrendo la nostra intera conversazione della sera prima, parola dopo parola, prima di riuscire a trovare la connessione. Forse ci voleva così tanta concentrazione perché non riuscivo ad immaginare nulla che non volessi che mi dicesse. E poi –  poi  –  giacché   giacché il tono della sua voce era identico a quello della sera precedente, nuovamente ed improvvisamente tormentato –  tormentato  –  ricordai.   ricordai. Una sola volta le avevo chiesto di non parlarmi dei suoi pensieri.  Non dirlo mai, mai, le avevo  praticamente  praticamen te ringhiato contro. L’avevo fatta piangere…  piangere…   Era questo che mi nascondeva? La profondità dei suoi sentimenti per me? Che il mio essere un mostro non aveva importanza per lei, e che pensava che fosse troppo tardi  per cambiare idea? Ero incapace di parlare, perché la gioia ed il dolore erano troppo forti per le parole, il conflitto tra di loro troppo delirante per dare adito ad una risposta coerente. C’era silenzio in macchina tranne che per il ritmo regolare del suo cuore e dei suoi polmoni. “Dov’è il resto della tua famiglia?” chiese d’improvviso.  d’improvviso.  Respirai profondamente  –   prendendo nota del profumo nella macchina con un dolore crudo per la prima volta; mi ci stavo abituando, mi resi conto con soddisfazione  –   ee mi sforzai di fare di nuovo disinvolto. “Hanno preso la macchina di Rosalie”. Parcheggiai in un posteggio libero accanto alla macchina in questione. Nascosi il mio sorriso quando la vidi sgranare gli occhi. “Appariscente, non è vero?”  vero?”  “Um, whow. whow. Se lei ha quella quella,, perché si fa accompagnare da te?”  te?”  Rosalie avrebbe apprezzato la reazione di Bella…se fosse stata obiettiva su Bella, il che probabilmente non sarebbe successo. “Come ho detto, è appariscente. Cerchiamo Cerchiamo di  di passare inosservati”. inosservati”.   “Non ci riuscite”, mi disse, e poi scoppiò in una risata liberatoria.   Il suono allegro, completamente spensierato della sua risata riscaldò il mio petto

vuoto pur annegando la mia mente nell’incertezza.  nell’incertezza.  “Allora perché Rosalie oggi ha preso la macchina se si fa notare tanto di più?” ©2008 Stephenie Meyer

 

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chiese. “Non te ne sei accorta? Sto infrangendo tutte tutte  le regole ormai”.  ormai”.  La mia risposta avrebbe dovuto essere moderatamente allarmante  –   perciò, ovviamente, Bella sorrise.  Non aspettò che le aprissi la portiera, proprio come la sera precedente. Dovevo fingere di essere normale a scuola –  scuola  –   sicché sicché non potevo muovermi abbastanza in fretta per  prevenirla  –   ma avrebbe dovuto abituarsi ad essere trattata con maggior cortesia, e ci si sarebbe abituata presto. Le camminavo vicino quanto più osavo fare, osservandola attentamente in cerca di un qualunque segno che la mia prossimità potesse disturbarla. Un paio di volte le sue mani si erano mosse nervosamente verso di me, e poi le aveva ritirate bruscamente. Sembrava Sembrava   che volesse toccarmi…Il mio respiro accelerò.  accelerò.  “Perché avete macchine come quella allora? Se cercate di restare anonimi?” chi ese intanto che camminavamo. “Una debolezza”, ammisi. “A noi tutti piace andare veloci”.  veloci”.   “Figurarsi”, borbottò, con un tono aspro.  aspro.    Non aveva alzato lo sguardo per vedermi replicare spalancando il sorriso.  Noo-o! Non ci credo credo!! Come diamine c’è riuscita Bella? Non lo capisco! Perché? Perché ?  La mente sbalordita di Jessica aveva interrotto i miei pensieri. Stava aspettando Bella, al riparo dalla pioggia sotto la tettoia sporgente della mensa, con la giacca invernale di Bella poggiata sul braccio. I suoi occhi erano sgranati per l’in credulità. Anche Bella la notò, un momento dopo. Un rosa appena visibile sfiorò le guance di Bella quando prese atto dell’espressione di Jessica. I pensieri nella mente di Jessica erano erano   abbastanza intellegibili sul suo viso. “Hey, Jessica. Grazie per essertene ricordata” la salutò Bella. Allungò la mano per  prendere la giacca e Jessica gliela passò senza dire una parola. Dovevo essere educato con gli amici di Bella, sia che fossero buoni amici oppure no. “Buongiorno, Jessica”.  Jessica”.  Whoa…   Whoa… Gli occhi di Jessica si spalancarono addirittura di più. Era bizzarro e divertente…e, divertente…e,

onestamente, un tantino imbarazzante…rendermi conto di quanto lo stare vicino a Bella mi avesse ammorbidito. Se Emmett lo avesse scoperto, avrebbe riso per il secolo a venire. ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Ehm…ciao”, biascicò Jessica, ed i suoi occhi guizzarono sul viso di Bella, pieni di sottintesi. “Immagino che ti vedrò a trigonometria”.  trigonometria”.   Così vuoterai il sacco. Non accetterò un no come risposta. Dettagli. Devo conoscere i dettagli! Edward da sballo CULLEN!! La vita è così ingiusta. La bocca di Bella s’irrigidì. “Si, ci vediamo dopo allora”  allora”   I pensieri di Jessica correvano scatenati mentre si dirigeva in fretta alla sua prima lezione, sbirciando verso di noi di tanto in tanto.  L’intera storia. Non accetterò niente di meno. Si erano messi d’accordo per incontrarsi ieri sera? Si frequentano? Da quanto? Come ha fatto a tenerlo segreto?  Perché l’avrebbe fatto? Non può essere un qualcosa qualcosa di occasionale  –   deve essere  seriamente interessata interessata a lui. C’è una qualche altra possibilità? La scoprirò. Non sopporto di non sapere. Chissà se se la fa con lui? Oh, da svenire…  svenire…   I pensieri di Jessica erano diventati improvvisamente sconnessi, e lasciò che delle mute fantasie le vorticassero nella mente. Trasalii per le sue speculazioni, e non solo perché aveva sostituito sé stessa a Bella in quelle sue immagini mentali.  Non potevo essere così. E tuttavia io…io lo desideravo. desideravo.  Mi rifiutavo di confessarlo, perfino a me stesso. In quanti altri modi sbagliati avrei voluto coinvolgere Bella? Quale di questi avrebbe finito per ucciderla? Scossi la testa, e cercai di tirarmi su. “Cosa le dirai?” chiesi a Bella.  Bella.  “Hey!”, bisbigliò ferocemente. “Pensavo che non potessi leggermi nella mente!”  mente!”   “Non posso”. La fissai, sorpreso, cercando di dare un senso alle sue parole. Ah –   dovevamo aver pensato la medesima cosa nello stesso momento. Hmm…mi piaceva alquanto. alquant o. “Ad ogni modo”, le dissi, “posso leggere la sua –  aspetta  aspetta di tenderti un agguato a lezione”. lezione”.   Bella gemette, e poi lasciò scivolare la giacca dalle sue spalle. All’inizio non mi ero reso conto che me la stava restituendo –  restituendo  –   non non le avrei chiesto di farlo; avrei preferito che la tenesse…un tenesse…un pegno simbolico –  perciò  perciò fui troppo lento per offrirle il mio aiuto. Mi restituì la giacca, ed infilò le braccia nella propria, senza alzare lo sguardo per accorgersi che le mie mani si erano allungate per prestarle assistenza. Aggrottai le sopracciglia per quello, e

 poi ricomposi la mia espressione prima che se ne potesse accorgere. “Dunque, cosa le dirai?” insistetti.  insistetti.  ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Un aiutino? Cosa vuole sapere?”  sapere?”   Sorrisi, e scossi la testa. Volevo sentire cosa stava pensando senza alcuna imbeccata. imbecca ta. “Non è leale”.  leale”.  I suoi occhi si socchiusero. “No, tu che non condividi ciò che sai –   questo non è leale”. lea le”.   Giusto –  Giusto  –  a  a lei non piaceva il due pesi e due misure. Arrivammo di fronte alla porta della sua classe  –   dove avrei dovuto lasciarla; mi domandai inutilmente se la Signorina Cope sarebbe stata più accomodante rispetto ad una modifica nel mio orario per il corso d’inglese… Mi costrinsi a concentrarmi. Potevo ess ere leale. “Vuole sapere se ci frequentiamo di nascosto”, dissi lentamente. “E vuole sapere co cosa sa provi per me”.  me”.   I suoi occhi erano sgranati  –  non   non sbigottiti, ma ingegnosi adesso. Erano spalancati su di me, intellegibili. Stava facendo la parte dell’ingenua. dell ’ingenua.   “Ahiahi”, mormorò. “Cosa dovrei rispondere?”  rispondere?”  “Hmmm”. Cercava sempre di farmi rivelare più di quanto non svelasse. Valutai come rispondere. Una ciocca ribelle dei suoi capelli, lievemente umida a causa della nebbia, cadeva morbida sulla sua spalla e formava un ricciolo nel punto in cui la sua clavicola era nascosta nasco sta da quel suo ridicolo maglione. Catturò i miei occhi…trascinandoli lungo gli altri contorni che restavano nascosti… nascosti…   Allungai la mano con attenzione, senza toccare la sua pelle  –  la   la mattina era fredda abbastanza anche senza il mio tocco –  tocco  –  e   e la attorcigliai rimettendola a posto nella crocchia scomposta cosicché non potesse distrarmi di nuovo. Mi ricordai di quando Mike Newton aveva toccato i suoi capelli, e la mia mascella si contrasse al pensiero. Lei si era  bruscamente tirata indietro allora. La sua reazione ora non era affatto identica; invece, i suoi occhi si erano lievemente spalancati, il sangue era affluito sotto la sua pelle, ed il  battito del suo suo cuore era d’improvviso forte ed irregolare.  irregolare.   Tentai di nascondere un sorriso mentre rispondevo alla sua domanda. “Immagino che potresti rispondere di si alla prima…se non ti dispiace -”, una sua

scelta, sem pre una sua scelta, ““- è più semplice di qualunque altra spiegazione”.  spiegazione”.   “Non mi dispiace”, disse con un filo di voce. Il suo cuore non aveva ancora ripr  r ipr eso eso a ©2008 Stephenie Meyer

 

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 battere regolarmente. “E quanto all’altra domanda…”. Non potei nascondere il sorriso stavolta. “Beh, resterò reste rò io stesso in ascolto per scoprire la risposta”.  risposta”.   Dalle il tempo di riflettere su questo. questo. Trattenni una risata quando lo  shock   le attraversò il viso. Mi voltai in fretta, prima che potesse farmi altre domande. Avevo delle difficoltà a negarle qualunque cosa chiedesse. E volevo sentire i suoi i  suoi pensieri,  pensieri, non i miei. “Ci vediamo a pranzo”, la richiamai da sopra la spalla, una scusa per controllare se mi stava ancora fissando, con gli occhi sgranati. La sua bocca era spalancata. Mi voltai di nuovo, e scoppiai a ridere. Mentre mi allontanavo, ero vagamente consapevole dei pensieri scioccati e speculativi che mi turbinavano intorno  –  degli   degli occhi che rimbalzavano avanti ed indietro tra il viso di Bella e la mia sagoma in ritirata. Prestai loro scarsa attenzione. Non riuscivo a concentrarmi. Era già abbastanza difficile costringere i miei piedi a mantenere una velocità accettabile mentre attraversavo il prato fradicio per andare a lezione. Avevo voglia di correre –  correre –   correre correre sul serio, così veloce che sarei scomparso, così veloce che avrei avuto l’impressione di volare. Una parte di me stava già volando.  volando.   M’infilai la giacca quando arrivai in classe, lasciando che la sua fragranza flu ttuasse densa attorno a me. Preferivo avvampare ora  –   lasciare che il profumo mi desensibilizzasse  –   perché poi sarebbe stato più facile ignorarlo più tardi, quando fossi stato a mensa insieme insieme a lei…  lei…  Era una buona cosa che i professori da tempo non si disturbassero più ad interpellarmi. Oggi sarebbe stato il giorno in cui mi avrebbero colto in fallo, impreparato ed incapace di rispondere. La mia mente era in così tanti posti questa mattina; solo il mio corpo era in aula. Ovviamente stavo osservando Bella. Stava diventando naturale –  naturale  –  automatico  automatico quanto il respirare. Ascoltai la sua conversazione con un Mike Newton demoralizzato. Lei l’aveva rapidamente deviata su Jessica, e spalancai il sorriso tanto che Rob Sawyer, che sedeva al  banco alla mia destra, trasalì visibilmente e scivolò più a fondo sulla sedia, lontano da me. Ugh. Da rizzare i capelli. capelli .

Beh, non lo avevo perso del tutto. Stavo anche tenendo d’occhio Jessica distrattamente, osservandola perfezionare le ©2008 Stephenie Meyer

 

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domande per Bella. Riuscivo a malapena ad aspettare che arrivasse la quarta ora, dieci volte più impaziente impaziente ed ansioso di quell’umana curiosa a caccia di nuovi pettegolezzi.   E stavo anche ascoltando Angela Weber.  Non avevo dimenticato la gratitudine che provavo per lei  –  intanto,   intanto, perché nutriva null’altro che pensieri gentili nei riguardi di Bella, e poi per l’aiuto prestatomi la sera  prima. Perciò aspettai tutta la mattina, in cerca di qualcosa che potesse volere. Ritenevo che sarebbe stato facile; come qualunque altro essere umano, doveva esserci un qualche gingillo o giocattolo che desiderasse in modo particolare. Diversi, probabilmente. Le avrei fatto recapitare qualcosa in forma anonima e saremmo stati pari. Ma Angela, con i suoi pensieri, si era dimostrata accomodante quasi quanto Bella. Era stranamente contenta per essere un’adolescente. Felice. Forse era questa la ragione della sua inusuale benevolenza  –   era una di quelle rare persone che hanno ciò che desiderano e desiderano ciò che hanno. Quando non prestava attenzione ai professori o agli appunti, pensava ai fratellini, due gemelli, che avrebbe portato alla spiaggia questo fine settimana  –   anticipandone l’eccitazione con una soddisfazione quasi materna. Si occupava spesso di loro, ma non era risentita per questo… Era una cosa molto dolce.  dolce.   Ma davvero poco utile per me. Doveva esserci qualcosa che voleva. Avrei solamente dovuto continuare a tenerla d’occhio. Ma più tardi. Per Bella era giunta l’ora della lezione di trigonometria con Jessica.  Non badavo a dove andavo intanto che mi recavo alla lezione lez ione d’inglese. Jessica Jess ica era già al suo posto, con entrambi i piedi che martellavano impazienti il pavimento mentre aspettava aspet tava l’arrivo di Bella.  Bella.  Invece, io, una volta sedutomi al posto assegnatomi in aula, mi trasformai in una statua. Dovevo ricordare a me stesso di muovermi di quando in quando. Per continuare la farsa. Era difficile, i miei pensieri erano talmente focalizzati su quelli di Jessica. Speravo che avrebbe prestato attenzione, cercando veramente di leggere il viso di Bella per me. Il martellamento di Jessica s’intensificò quando Bella entrò in classe.   Sembra…cupa. Perché? Forse non c’è niente in ballo con Edward Cullen. Sarebbe Sare bbe una delusione. Tranne che…lui sarebbe disponibile…Se improvvisamente fosse

interessato ad uscire con le ragazze, non mi dispiacerebbe dargli una mano… interessato Il viso di Bella non appariva cupo, sembrava riluttante. Era preoccupata  –   sapeva ©2008 Stephenie Meyer

 

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che avrei ascoltato tutto. Sorrisi tra me. “ Raccontami tutto!” tutto!” domandò perentoria Jessica intanto che Bella si stava ancora sfilando la giacca per appenderla allo schienale della sedia. Si muoveva con cautela, controvoglia. Ugh, è così lenta. Forza coi particolari piccanti! “Cosa vuoi sapere?” sapere?” Bella temporeggiava mentre prendeva posto.  posto.   “Cos’è successo ieri sera?” sera?”  “ Mi ha offerto la cena, e poi mi ha ha riaccompagnata a casa casa””   E poi? Andiamo, deve esserci più di questo! Sta mentendo comunque, lo so. La obbligherò a dirmelo. “Come avete fatto a tornare così presto?” presto? ”  Vidi Bella strabuzzare gli occhi alla diffidente Jessica. “Guida come un pazzo. E’ stato terrificante” terrificante”  Abbozzò un sorriso, e scoppiai a ridere fragorosamente, interrompendo l’annuncio del Signor Mason. Cercai di far passare la risata per un accesso di tosse, ma nessuno ci cascò. cascò. Il Signor Mason mi schioccò un’occhiata irritata, ma non mi presi neppure il disturbo di ascoltare i pensieri che che c’erano dietro. Stavo ascoltando Jessica.  Jessica.   Huh. Pare che stia dicendo la verità. Perché mi sta costringendo a tirargliela tirargliel a fuori a questo modo, parola per parola? Me ne vanterei gridandolo ai quattro venti se fossi in lei. lei. “ Era come un appuntamento appuntamento –   –  eravate d’accordo d’incontrarvi lì?” lì?”  Jessica osservò la sorpresa attraversare il viso di Bella, e fu delusa da quanto sembrasse genuina. “ No  No –   –  sono  sono rimasta molto molto sorpresa  sorpresa di trovarlo lì”, lì ”, le disse Bella.  Bella.  Che sta succedendo??  succedendo?? “ Ma è passato a prenderti per portarti a scuola oggi? oggi?”. ”. Deve  Deve esserci ben altro in questa storia. storia . “Si –  Si  –  anche   anche questa è stata una sorpresa. Aveva notato che non avevo la giacca ieri  sera”.  sera ”.    Non c’è granché da divertirsi, divertirsi, pensò Jessica, nuovamente delusa. Ero stanco della sua serie di domande mirate  –   volevo sentire qualcosa che non

sapessi già. Speravo non fosse così insoddisfatta da saltare le domande che stavo aspettando. ©2008 Stephenie Meyer

 

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“ E quindi, uscirete di nuovo?” domandò Jessica. nuovo?” domandò “Si è offerto di accompagnarmi a Seattle sabato perché non crede che il mio pickup possa farcela –  farcela –  questo  questo conta?” conta?”   Hmm. Certamente lui ha abbandonato abbandonato le vecchie abitudini per…beh, prendersi cura di lei, più o meno. Da parte sua deve esserci qualcosa, se non da parte di lei. Come  potrebbe MAI essere? Bella è pazza. pazza. “Si”, Si”, Jessica aveva risposto alla domanda di Bella.  Bella.   “ Beh, allora”, allora”, concluse Bella, “Si “Si”. ”.   “Whow…Edward Cullen”, Cullen”, Che le piaccia o no, è il massimo. massimo . “ Lo so”, so”, sospirò Bella.  Bella.  Il tono della sua voce incoraggiò Jessica.  Finalmente  –   sembra esserci arrivata!  Deve  De ve rendersi conto…  conto…  “ Aspetta!  Aspetta!”” disse Jessica, ricordandosi improvvisamente di quella che per lei era la maggiore delle questioni di vitale importanza. “Ti “ Ti ha baciata?”. baciata?”. Ti prego dì di si. E poi descrivi ogni secondo!  secondo!  “ No  No”, ”, borbottò Bella, e poi si guardò le mani, chinando il viso. “ Non è quel genere gener e di cosa”. cosa”.    Maledizione. Vorrei che…Ah. Sembra Sembra che anche lei lo vorrebbe. vorrebbe. Aggrottai le sopracciglia. Sembrava che Bella fosse inquieta per qualcosa, ma non  poteva essere delusione come supposto da Jessica. Non poteva volere quello. Non sapendo quel che sapeva. Non poteva volere di trovarsi così vicina ai miei denti denti.. Per quanto ne sapeva, avevo le zanne. Rabbrividii. “ Pensi che Sabato..?” Sabato..?” Jessica la punzecchiò.  punzecchiò.  Bella sembrò persino più frustrata quando disse “ Ne dubito fortemente” fortemente”  Si, eccome se lo vorrebbe. Se ne muore dalla voglia. voglia . Era perché stavo guardando tutto questo attraverso il filtro delle percezioni di Jessica che sembrava che Jessica avesse ragione? Per mezzo secondo fui distratto da quell’idea, dall’impossibilità, o da qualunque cosa cui somigliasse il cercare di baciarla. Le mie labbra sulle sue labbra, fredda pietra su

seta seta calda, morbida…  morbida…  E poi lei muore. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Scossi la testa, raccapricciato, e mi costrinsi a prestare attenzione. “ Di cosa avete parlato?”. parlato? ”. Gli hai parlato, o l’hai costretto a strapparti ogni singolo singolo  grammo d’informazione d’informazione in questo modo? Sorrisi mestamente. Jessica non si era sbagliata di molto. “ Non lo so, Jess, di un sacco di cose. Per un pò abbiamo parlato del saggio d’inglese”. d’inglese ”.   Per molto poco. Allargai il sorriso. Oh, ANDIAMO. ANDIAMO. ““Ti Ti prego, Bella! Dammi qualche dettaglio”  dettaglio”   Bella rifletté per un momento. “ Beh…d’accordo. Avresti dovuto vedere la cameriera come flirtava con lui  –   in maniera plateale. plateale. Ma lui non l’ha guardata neanche”. neanche”.   Che strano dettaglio da condividere. Ero sorpreso che Bella l’avesse persino not ato. Sembrava una cosa davvero irrilevante.  Interessante…  “ E’ un buon segno. Era carina?  Interessante… carina?””  Hmm. Jessica teneva questo particolare in maggiore considerazione di me. Doveva essere una cosa da donne. “ Molto  Molto”, ”, le disse Bella. “ E probabilmente aveva diciannove o venti anni”. anni”.   Jessica fu momentaneamente distratta dal ricordo di Mike al loro appuntamento di lunedì sera  –   Mike era stato eccessivamente amichevole con una cameriera che Jessica non riteneva per niente carina. Scacciò quel pensiero e ritornò, soffocando l’irritazione, alla sua ricerca di dettagli. “ Anche meglio. Devi piacergli”. piacergli”.   “Penso   di si”, “Penso si”, disse Bella lentamente, e stavo sul bordo della sedia, con il corpo rigidamente rigidamente immobile. “ Ma è difficile da dire. E’ sempre così criptico”. criptico”.    Non dovevo essere stato così tanto esplicito e fuori controllo come pensavo. Tuttavia…osservatrice Tutta via…osservatrice com’era…Come non aveva potuto rendersi conto che ero innamorato di lei? Passai in rassegna la nostra conversazione, quasi sorpreso che non avessi detto le parole parole ad alta voce. L’impressione era che quella consapevolezza consapevo lezza fosse stata il sottotesto di ogni singola parola detta tra di noi. Whow. Come fai a startene seduta di fronte ad un modello ed a fare conversazione?  

“ Non so dove trovi il coraggio di restare da sola con con lui”, lui”, disse Jessica.  Jessica.  Lo shock  Lo  shock  balenò  balenò sul viso di Bella. “ Perché?  Perché?””  ©2008 Stephenie Meyer

 

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…” Come si Che strana reazione. Cosa pensava che volessi dire?  dire?   “ Mette  Mette   così così…”  potrebbe dire?  dire?  “ In soggezione. Non saprei cosa dirgli”. dirgli”.  Non sono riuscita nemmeno a  parlargli in una lingua comprensibile oggi, e tutto ciò che ha detto è buongiorno. Devo essere sembrata una tale scema. scema. Bella sorrise. “ Anch’io ho qualche  problema a rimanere lucida quando sono con lui”. lui”.   Di certo stava solamente tentando di far sentire meglio Jessica. Era padrona di sé in maniera quasi innaturale quando eravamo insieme. “Oh beh”, beh”, Jessica sospirò. “ E’ incredibilmente bello” bello”  Il viso di Bella si era indurito all’improvviso. I suoi occhi lampeggiavano come quando non riusciva a sopportare qualche ingiustizia. Jessica non elaborò quel cambiamento della sua espressione. “C’è ben altro in lui che solamente questo”, questo ”, schioccò Bella.  Bella.  Oooh. Adesso si che facciamo progressi. progressi. “ Davvero? Come cosa?” cosa?”  Bella si mordicchiò il lab bro per un momento. “ Non so s o spiegarlo bene”, bene”, disse alla fine. fine. “ Ma dietro quella faccia è ancora più incredibile”. incredibile ”.   Distolse lo sguardo da Jessica, con gli occhi lievemente fuori fuoco come se stesse fissando qualcosa di molto lontano. Ciò che provavo ora era vagamente simile a come mi sentivo quando Carlisle o Esme mi lodavano al di là di quanto meritassi. Simile, ma più intenso, più divorante.  Raccontalo a qualcun altro  –   non c’è niente di meglio di quella faccia! Salvo il suo corpo. Da svenire. svenire. “ E’ possibile?” possibile?” Jessica fece un risolino.  risolino.   Bella non si voltò. Continuava a fissare il vuoto, ignorando Jessica. Una persona normale starebbe gongolando. Magari se formulo le domande in maniera più elementare. Ah ha. C ome ome se stessi parlando ad un bambino dell’asilo. dell’asilo. “ Perciò ti piace, dunque?” dunque?”   Ero di nuovo rigido. Bella non guardava Jessica. “Si “ Si”. ”.   “Voglio dire, ti piace davvero?” davvero?” 

Si   Guarda com’è arrossita!  arrossita!  Stavo guardando. ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Quanto ti piace?” Jessica.  piace?” domandò Jessica.  L’aula di inglese sarebbe potuta andare a fuoco e non me ne sarei s arei accorto.  accorto.   Il viso di Bella era di un rosso acceso adesso  –   potevo quasi sentire il calore attraverso attra verso quell’immagine quell’immagine mentale. “Troppo Troppo”, ”, disse con un filo di voce. “ Più di quanto io i o piaccia a lui. Ma non vedo cosa posso farci” farci”   Accidenti! Cos’ha appena chiesto il Signor Varner? “Um  –   che numero Signor Varner?””  Varner? Era un bene che Jessica non potesse più fare domande a Bella. Avevo bisogno di un minuto. A che diamine stava pensando la ragazza ora ora??  Più di quanto io piaccia a lui? lui? Da dove l’aveva tirata fuori quella quella??  Ma non vedo cosa posso farci? farci? Cos’avrebbe voluto significare? Non riuscivo a trovare una spiegazione razionale che si accordasse con quelle  parole. Erano praticamente senza senso. Pareva che non potessi dare niente per scontato. Le cose ovvie, le cose che avevano  perfettamente senso, in qualche modo venivano travis travisate ate e rigirate ri girate al contrario cont rario in quel suo cervello bizzarro. Più bizzarro.  Più di quanto io piaccia a lui? lui? Forse non avrei dovuto scartare tanto in fretta l’idea dell’ospedale psichiatrico.  psichiatrico.   Lanciai uno sguardo torvo all’orologio, stringendo i denti. Come potevano potevan o dei sem plici minuti sembrare così incredibilmente lunghi ad un immortale? Dov’era la mia  prospettiva? La mia mascella rimase serrata per tutta la lezione di trigonometria del Signor Varner. Ascoltai più quella che la lezione nella mia classe. Bella e Jessica non parlarono ancora, ma Jessica guardò di sottecchi Bella diverse volte, ed in una di quelle il suo viso era di un brillante scarlatto senza apparente ragione. La pausa pranzo non sarebbe mai arrivata abbastanza in fretta. frett a.  Non ero certo se Jessica Jessi ca sarebbe riuscita r iuscita ad ottenere qualcun’altra delle risposte che stavo aspettando per quando la lezione fosse finita, ma Bella fu più svelta di lei.  Non appena suonò la campanella, campanella, Bella si voltò verso Jessica.

 Ad inglese, Mike mi ha chiesto se mi avessi detto niente di lunedì sera , disse Bella, con il sorriso tirato fino agli angoli delle labbra. Lo presi per quello che era  –   l’offesa è la miglior miglior difesa. ©2008 Stephenie Meyer

 

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 Mike ha chiesto di me?  me?  La gioia improvvisamente rese la mente di Jessica meno ag aggressiva, gressiva, più tenera, priva dell’usuale cipiglio di malignità. “ Stai scherzando! Cosa gli hai detto?” detto?”  “Gli ho detto che mi hai detto di esserti essert i divertita un sacco sacco –   –  e  e sembrava contento” contento”  “ Dimmi esattamente esattamente cos’ha detto, e la tua risposta parola per parola!” parola! ”  Chiaramente, oggi non avrei ottenuto altro da Jessica. Bella stava sorridendo come se stesse pensando la stessa cosa. Come se avesse vinto quel round . Beh, a pranzo sarebbe stata un’altra un’altra storia. Sarei riuscito a ricavare maggiori risposte da lei che non da Jessica, avrei fatto in modo che fosse così. In palestra, con Alice, mi muovevo apaticamente, ossia nel modo in cui mi muovevo muove vo sempre quando ero coinvolto in un’attività un’attivit à fisica con degli umani. Lei era la mia compagna di squadra, naturalmente. Era la prima lezione sul badminton badminton.. Sospiravo per la noia, oscillando la racchetta a rallentatore per colpire il volano e rimandarlo dall’altra  parte della rete. Lauren Mallory era nella squadra avversaria; aveva perso. Alice stava roteando la racchetta come un manganello, fissando il soffitto. Odiavamo tutti ginnastica, soprattutto Emmett. Colpire per gioco lo considerava un affronto alla sua filosofia personale. Ginnastica oggi pareva peggio del solito  –  mi  mi sentivo irritato proprio come era sempre Emmett. Prima che la mia mente potesse esplodere per l’insofferenza, il Coach Coach Clapp  Clapp fischiò la fine delle partite e ci mandò via in anticipo. Ero ridicolmente grato che avesse saltata la colazione –  colazione  –  un  un nuovo tentativo di mettersi a dieta –  dieta  –  e  e per la smania che gliene era derivata di lasciare in fretta il campus campus   per trovare un pranzo bello unto da qualche parte. Si era ri promesso  promesso di ricominciare domani…  domani…  Il che mi mi dava tempo sufficiente per raggiungere l’edificio di matematica prima che la lezione di Bella finisse.  Divertiti,, pensò Alice mentre si allontanava per incontrare Jasper.  Ancora qualche  Divertiti  giorno di pazienza. Suppongo Suppongo che non saluteresti saluteresti Bella da parte mia, vero?  vero?  Scossi la testa, esasperato. Tutte le persone dotate di capacità paranormali erano così compiaciute? 2

 PTI  ,  , ci sarà il sole da ambo i lati dello stretto questo fine settimana. setti mana. Potresti voler v oler modificare i tuoi piani. piani. 2

 “Per Tua Informazione”; n.d.t.  n.d.t. 

©2008 Stephenie Meyer

 

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Sospirai intanto che mi allontanavo nella direzione opposta. Compiaciuta, ma decisamente utile. Mi appoggiai alla parete accanto alla porta, in attesa. Ero abbastanza vicino da poter sentire la voce di Jessica attraverso i mattoni tanto chiaramente quanto i suoi pensieri. “ Non ti siederai con noi oggi, vero?” vero?”  Pare come…sprizzare gioia da tutti i pori. Scommetto che c’è una valanga di cose cose che non mi ha detto. detto. “Non penso “Non  penso”, ”, rispose Bella, stranamente insicura.  insicura.   Non le avevo promesso di pranzare pranzare con lei? A cosa stava stava pensando  pensando?? Uscirono dall’aula insieme, e gli occhi di entrambe le ragazze si spalancarono nel vedermi. Ma potevo sentire soltanto Jessica.  Bello. Whow. Oh, si, qui sta succedendo molto più di quanto non mi abbia detto.  Magari la chiamo stasera…O forse non dovrei incoraggiarla. Huh. Spero che se ne  stanchi in fretta. Mike è carino ma...whow.  ma...whow.  “Ci vediamo più tardi, Bella”  Bella”   Bella camminò verso di me, fermandosi ad un passo di distanza, ancora incerta. La  pelle sulle sue guance era rosa. La conoscevo oramai abbastanza da sapere che non era la paura a farla esitare. Apparentemente, riguardava una qualche voragine che immaginava esistesse tra i suoi sentimenti ed i miei. Più miei. Più di quanto io piaccia piaccia a lui. lui. Assurdo! “Ciao”, dissi, con una voce un tantino brusca.  brusca.  Il viso le era avvampato ancora di più. “Ciao”.  “Ciao”.    Non sembrava incline a dire altro, perciò feci strada fino alla mensa e lei mi camminò accanto in silenzio. La giacca aveva funzionato  –   il suo profumo non era più la solita batosta. Era solamente sola mente un’intensificazione del dolore che già provavo. Potevo ignorarlo più facilmente di quanto una volta avrei creduto possibile. Bella era irrequieta mentre aspettavamo in fila, giocava distrattamente con la cerniera cernie ra della giacca e spostava nervosamente il peso da un piede all’altro. Mi lanciava spesso un’occhiata, ma ogniqualvolta incrociava il mio sguardo, guardava in basso come com e

fosse imbarazzata. Era perché così tante persone ci stavano fissando? Forse riusciva a sentire i rumorosi mormorii –  mormorii –  il  il pettegolezzo era tanto verbale quanto mentale oggi. O forse aveva compreso, dalla mia espressione, che era nei guai. ©2008 Stephenie Meyer

 

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 Non disse diss e nulla finché non cominciai a mettere insieme il suo pranzo. Non sapevo s apevo cosa le piacesse –  piacesse –  non  non ancora –  ancora –  perciò  perciò arraffavo uno di tutto. “Cosa stai facendo?” sibilò a bassa voce. “Non starai prendendo tutta quella roba  per me?”  me?”  Scossi la testa, e feci scivolare il vassoio fino alla cassa. “Metà è per me, naturalmente”. natural mente”.   Sollevò scettica un sopracciglio, ma non disse più niente mentre pagavo la roba da mangiare e la scortavo fino al tavolo in cui c’eravamo seduti la set timana precedente,  prima  pri ma della sua disastrosa esperienza con l’esercitazione sui gruppi sanguigni. Sembrava essere passato assai di più che solo pochi giorni. Era tutto diverso adesso. Si sedette di nuovo di fronte a me. Spinsi il vassoio verso di lei. “Prendi quello che vuoi”, la incoraggiai.  incoraggiai.  Lei prese una mela e se la rigirò tra le mani, con un’espressione speculatoria in v iso. “Sono curiosa”  curiosa”  Che sorpresa. “Cosa faresti se qualcuno ti sfidasse a mangiare del cibo?” continuò a voce bassa così da non farsi ascoltare dalle orecchie umane. Le orecchie immortali erano un’altra faccenda, se quelle orecchie stavano prestando attenzione. Probabilmente avrei dovuto antici pare  pare loro qualcosa…  qualcosa…  “Sei sempre curiosa”, reclamai. Oh beh. Non era come se non avessi mai mangi ato  prima. Era una parte della sciarada. Una parte spiacevole. Allungai la mano verso la cosa più vicina, e sostenni il suo sguardo mentre staccavo un piccolo morso da qualunque cosa fosse. Senza guardare, non potevo dirlo. Era viscido e grumoso e disgustoso come ogni altro cibo umano. Masticai in fretta e deglutii, cercando di allontanare la smorfia dal mio viso. La massa di cibo si muoveva lentamente e scomodamente giù per la mia gola. Sospirai al pensiero di come avrei dovuto tirarla fuori  più tardi. Disgustoso. L’espressione di Bella era scioccata. Impressionata.  Impressionata.   Volevo strabuzzare gli occhi. Ovviamente avevamo fatto pratica con quel genere di

finzione. “Se qualcuno ti sfidasse a mangiare del fango potresti farlo, non è vero?”  vero?”   Arricciò il naso e sorrise. “L’ho fatto una volta…per scommessa. Non era così ©2008 Stephenie Meyer

 

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male”.   male”. Scoppiai a ridere. “Ammetto di non esserne sorpreso”.  sorpreso”.   Sembrano intimi, non è vero? Un buon linguaggio del corpo. Più tardi dirò a Bella delle mie impressioni. Lui è piegato verso di lei proprio come dovrebbe, se fosse interes sato. Ha l’aria in interessata. Ha l’aria...perfetta. l’aria...perfetta. Jessica sospirò. Gnam sospirò. Gnam gnam. gnam. Incrociai gli occhi curiosi di Jessica, e lei guardò altrove nervosamente, facendo un risolino alla ragazza che aveva accanto.  Hmmm. Probabilmente è meglio che che mi concentri su Mike. Realtà, non fantasia… fantasia…   “Jessica sta analizzando tutto quello che faccio”, informai Bella. “Più tardi non mancherà di ragguagliarti su ogni più piccolo dettaglio”.  dettaglio”.   Spinsi indietro il piatto con il mangiare verso di lei –  lei  –  pizza,  pizza, mi resi conto –  conto –  cercando  cercando di capire quale fosse il modo migliore per intro durre l’argomento. La mia precedente frustrazione si riacutizzò al ripetersi delle parole nella mia mente. Più mente.  Più di quanto io piaccia a lui. Ma non vedo cosa posso farci. farci. Diede un morso allo stesso spicchio di pizza. Era sbalorditivo quanta fiducia avesse in me. Ovviamente, non sapeva che ero velenoso  –   non che condividere il cibo l’avrebbe uccisa. Ciononostante, mi aspettavo che mi trattasse in maniera differente. Come qualcosa di diverso. Non lo faceva mai –  mai –  almeno, non in modo negativo…  negativo…  Avrei esordito gentilmente. “E così la cameriera era carina?”  carina?”  Alzò nuovamente il sopracciglio. “Davvero non te ne sei accorto?”  accorto?”   Come se qualunque donna potesse sperare di distogliere la mia attenzione da Bella. Assurdo, di nuovo. nuovo. “No, non ci badavo. Avevo un sacco di cose per la mente”. Non ultima delle quali la morbida aderenza della sua camicetta quasi trasparente…  trasparente…   Era davvero un bene che oggi indossasse quel brutto maglione. “Povera ragazza”, disse Bella, Bella, sorridendo. Apprezzava che non mi fossi affatto interessato alla cameriera. Potevo capirlo. Quante volte avevo immaginato di polverizzare Mike Newton nell’aula di biologia?  biologia?    Non poteva credere veramente che i suoi sentimenti umani, frutto di soli diciassette

anni da mortale, potessero essere più forti delle passioni immortali che avevo accumulato  per un secolo. “Qualcosa che hai detto a Jessica…” non riuscivo a mantenere un tono di voce ©2008 Stephenie Meyer

 

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infastidito”.  disinvolto. disinvolto. “Beh, mi ha infastidito”.  Si mise immediatamente sulla difensiva. “Non mi stupisce che tu abbia sentito qualcosa qual cosa che non ti è piaciuto. Sai quello che si dice di chi origlia”   Chi origlia dalla porta, sente la sua vergogna, questo era il detto. “Ti avevo avvertita che sarei rimasto in ascolto” le ricordai.  ricordai.  “Ed io ti avevo avvertito che non avresti voluto conoscere tutto ciò che penso”  penso”   Ah, stava pensando a quando l’avevo fatta piangere. Il rimorso rese la mia voce più roca. “L’hai fatto. Tuttavia, fatto. Tuttavia, non hai del tutto ragione. Io voglio sapere cosa pensi  –  ogni   ogni co cosa. sa. Solo vorrei…che non pensassi certe cose”.  cose”.   Altre mezze verità. Sapevo che non avrei dovuto desiderare dovuto desiderare che mi amasse. Ma lo desideravo. Eccome se lo desideravo. “C’è una bella differenza”, borbottò, guardandomi torva. torva.   “Ma non è questo il punto al momento”  momento”  “Allora qual è?”  è?”  Si protese verso di me, con la mano avvolta delicatamente a coppa attorno alla gola. Attirò la mia attenzione –  attenzione –  distraendomi.  distraendomi. Quanto doveva essere morbida quella pelle… pel le…   Concentrati,, comandai a me stesso. Concentrati “Credi veramente di tenere a me più di quanto io tenga a te?” chiesi. La domanda mi  parve ridicola, come se le parole fossero ingarbugliate. I suoi occhi si spalancarono, il respiro le si fermò. Distolse lo sguardo, sbattendo rapidamente le ciglia. Poi riprese a respirare ansimando piano. “Lo stai facendo di nuovo”, mormorò.  mormorò.  “Cosa?”   “Cosa?” “Abbacinarmi”, ammise, incrociando incrociando accorta i miei occhi. “Oh”. Hmm. Non ero del tutto sicuro di cosa potessi farci. Non ero nemmeno s icuro di non non   volerla abbacinare. Ero ancora entusiasta del fatto che  potevo  potevo   farlo. Ma non era d’aiuto al pr ogredire ogredire della nostra conversazione. “Non è colpa tua”. Sospirò. “Non puoi farci niente”. niente”.   “Intendi rispondere alla mia domanda?” chiesi risoluto.  risoluto.  

Fissava il tavolo. Si .  .  Fu tutto quello che disse. “Si, intendi rispondere, o si, lo credi  credi  veramente?” chiesi impaziente.  impaziente.  ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Si, lo credo veramente” disse senza alzare lo sguardo. C’era un lieve accenno di tristezza nella sua voce. Arrossì di nuovo, ed i suoi denti tormentavano inconsapevolmente il suo labbro. D’improvviso, mi resi conto che era molto difficile per lei ammetterlo, perché ci D’improvviso, credeva davvero. Ed io non ero per niente migliore di quel codardo di Mike, per averle chiesto conferma dei suoi sentimenti prima di averle palesato i miei. Non aveva importanza che ritenessi di aver abbondantemente chiarito la mia posizione. Non ero riuscito a fargliela capire, e perciò non avevo scuse. “Ti sbagli”, promisi. Doveva percepire la tenerezza della mia voce.   Bella mi guardò, con occhi inespressivi, che non tradivano tra divano alcunché. “Non puoi sa perlo…”, disse con un filo di voce.  voce.  Pensava che stessi sottovalutando i suoi sentimenti perché non potevo leggere i suoi  pensieri. Ma, per la verità, il problema era che lei stava sottovalutando i miei i miei.. “Cosa te lo fa pensare?” chiesi.  chiesi.  Era tornata a fissarmi, con la ruga tra le sopracciglia, mordicchiandosi il labbro. Per la milionesima volta, desiderai disperatamente di essere semplicemente in grado di ascoltarla.. ascoltarla Stavo quasi per implorarla di dirmi con quale pensiero si stava confrontando, ma sollevò un dito per trattenermi dal parlare. “Lasciami pensare”, chiese.  chiese.  Fintanto che riordinava semplicemente i suoi pensieri, potevo essere paziente. O potevo fingere di esserlo. Congiunse le mani, intrecciando e sciogliendo le dita affusolate. Si guardava le mani come se appartenessero a qualcun altro quando parlò. “Beh, evidenza apparte”, mormorò. “Qualche volta…Non posso esserne certa –  non  non sono capace di leggere nel pensiero  –   ma qualche volta, quando parli di tutt’altro, pare in invece vece che tu stia cercando un modo per allontanarti da me”. Non alzò lo sguardo.  sguardo.   Se n’era accorta, dunque? Aveva capito che erano solamente la debolezza e l’egoismo l’egois mo a trattenermi lì? Mi stimava di meno per questo?

Perspicace , dissi quasi senza fiato, e poi osservai con orrore il dolore distorcere la sua espressione. Mi affrettai a contraddire la sua supposizione. “Questo è esattamente il motivo per cui ti sbagli, però -” - ” cominciai, e poi mi fermai, ricordando le prime parole ©2008 Stephenie Meyer

 

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della sua spiegazione. M’irritavano, benché non fossi certo di averle comprese veramente. della “Che intendi per “evidenza apparte””?  apparte””?   “Beh, guardami”, disse.  disse.  Stavo guardando. Stavo  guardando. Non facevo altro che guardarla. Cosa voleva dire? “Sono assolutamente insignificante”, spiegò. “Beh, tralasciando le cose negative come tutte le volte che sono quasi morta e l’essere talmente imbranata da rasentare la disabilità. E guardati”. guardati”. M’indicò con un ampio gesto sollevando in aria la mano, come se stesse puntualizzando un qualcosa di talmente palese che non valeva neppure la pena di spiegarlo. Pensava di essere insignificante? Pensava che fossi in qualche modo preferibile a lei? In base a quale metro di giudizio? Quello delle sciocche mentalità ristrette, cieche ed umane, di persone come Jessica e la Signorina Cope? Come poteva non rendersi conto di essere esse re la più splendida…la più mirabile…Quelle parole non bastavano nemmeno. nemmeno . E lei non ne aveva idea. “Non hai una visione molto chiara di te stessa, lo sai”, le dissi. “Ammetto che hai  perfettamente ragione riguardo alle cose negative…” risi senza gusto. Non trovavo comico com ico il destino maligno che la perseguitava. Il suo essere maldestra, tuttavia, era piuttosto divertente. Tenero. Mi avrebbe creduto se le avessi detto che era splendida, dentro e fuori? For ssee avrebbe trovato una conferma più persuasiva. “Ma tu non hai sentito cos’ha pensato di te ogni singolo maschio ma schio umano il primo giorno”.  giorno”.  Ah, la speranza, il fremito, la brama di quei pensieri. La velocità in cui si erano trasformati in fantasie irrealizzabili. Irrealizzabili, perché lei non voleva nessuno di loro. Ero io quello cui aveva detto si. Il mio sorriso doveva essere compiaciuto. Il suo viso era pallido per la sorpresa. “Non ci credo”, borbottò. borbottò.   “Credimi almeno questa volta –  sei tutt’altro che insignificante”  insignificante”   La sua sola esistenza era un pretesto prete sto sufficiente a giustificare la creazione dell’intero mondo.  Non era abituata ai complimenti, lo capivo. Un’altra cosa cui avrebbe dovuto dovuto  

abituarsi. Arrossì, Arrossì, e cambiò argomento. “Ma io non cerco di allontanarmi all ontanarmi da te”. te”.   “Non capisci? Questa Questa è la prova che ho ragione. Io ci tengo di più, perché se potessi farlo…” Sarei mai stato così poco egoista da riuscire a fare la cosa giusta? Scossi la testa ©2008 Stephenie Meyer

 

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 per la disperazione. Avrei dovuto trovare la forza. Meritava una vita. Non ciò che Alice aveva ave va visto che le sarebbe toccato. “Se andarmene fosse la cosa giusta da fare…”. E doveva dove va essere la cosa giusta, o no? Non c’era alcun angelo sconsiderato. Il posto p osto di Bella non era con me. “Allora farei del male a me stesso per impedirmi di farne a te, per tenerti al sicuro”. sicuro”.   Mentre dicevo quelle parole, desiderai fortemente che fossero vere. Mi lanciò uno sguardo truce. In qualche modo, le mie parole l’avevano fatta arrab biare. “E non credi che farei lo stesso?” domandò furiosa.  furiosa.  Così furiosa  –   così tenera e fragile. Come avrebbe mai potuto fare del male a qualcuno? qual cuno? “Non sarai mai costretta a fare questa scelta”, le dissi, di nuovo abbattuto per l’enorme dif  dif ferenza ferenza che c’era tra di noi.  noi.   Lei mi fissava, la preoccupazione stava rimpiazzando la rabbia nei suoi occhi e tra quelli stava facendo riemergere la piccola ruga. C’era qualcosa di veramente sbagliato nell’ordine dell’universo se una persona tanto  buona e tanto fragile non meritava un angelo angelo custode che la tenesse fuori dai guai.  Beh,, pensai con bieco umorismo, perlomeno  Beh umorismo, perlomeno ha un vampiro custode custode.. Sorrisi. Quanto amavo avere quella scusa per restare. “Ovviamente, tenerti al s icuro sta cominciando a sembrare un’occupazione a tempo pieno che richiede richiede la mia costante  presenza”.  pre senza”.   Sorrise anche lei. “Nessuno ha cercato di farmi fuori oggi”, disse con leggerezza, e  poi il suo viso si fece speculativo per mezzo mezz o secondo ed i suoi occhi diventarono di nuovo opachi. “Non ancora”, aggiunsi aggiunsi ironicamente. “Non ancora” ammise sorprendendomi. Mi ero aspettato che avrebbe negato qualunque necessità di essere protetta. Come può farlo? Quel somaro egoista! Come può fare questo a noi?  noi?   L’acuto gr ido ido mentale di Rosalie si era aperto un varco nella mia concentrazione. “Calmati, Rose”, sentii Emmett bisbigliare dall’altra parte della mensa. Il suo  braccio le cingeva le spalle, tenendola stretta al suo fianco –  fianco –  trattenendola.  trattenendola.

 Mi dispiace, Edward , pensò Alice sentendosi colpevole. Dalla colpevole. Dalla vostra conversazione ha capito che Bella sapeva troppo…e, beh, sarebbe stato peggio se non le avessi detto la verità verità all’istante. Credimi. Credimi. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Trasalii all’immagine mentale che seguì, a cosa sarebbe successo se avessi detto a Rosalie che Bella sapeva che ero un vampiro una volta a casa, dove Rosalie non avrebbe avuto una facciata da mantenere. Avrei dovuto nascondere la mia Aston Martin da qualche  parte fuori dello stato se non si fosse calmata per quando la scuola fosse finita. La vista della mia macchina preferita, massacrata ed in fiamme, era sconvolgente –  sconvolgente  –  benché  benché sapessi di essermi guadagnato il castigo. Jasper non era molto più felice. Avrei affrontato gli altri più tardi. Il tempo concessomi per stare con Bella stava per scadere, e non intendevo sprecarlo. E sentire la voce di Alice mi aveva ricordato che c’era una questione importante di cui dovevo occuparmi. “Ho un’altra domanda per te”, dissi, ignorando la crisi isterica di Rosalie.   “Spara”, disse Bella, sorridente.  sorridente.  “Hai davvero bisogno di andare a Seattle questo sabato, o era solamente una scusa  per evitare di dover dire di no a tutti i tuoi ammiratori?”  ammiratori?”  Mi fece una smorfia. “Sai, non ti ho ancora perdonato per la faccenda di Tyler. E’ colpa tua se s’illude credendo che andrò al ballo di fine anno con lui”.  lui”.  “Oh, avrebbe trovato il sistema di chiedertelo anche senza che intervenissi –  è   è solo che volevo davvero vedere che faccia avresti fatto”.  fatto”.   Ridevo ora, ricordando la sua espressione spaventata. Niente di quello che le avevo detto approposito della mia storia macabra l’aveva mai fatta apparire così inorridita. La verità non la spaventava. Voleva stare con me. Sbalorditivo. “Se te l’avessi l’avessi chiesto, avresti rifiutato anche me me?” ?”   “Probabilmente no”, disse. “Ma avrei disdetto più avanti –  simulando  simulando un malanno o una distorsione alla caviglia”.  caviglia”.   Che strano. “Perché l’avresti fatto?”  fatto?”   Scosse la testa, come se fosse foss e delusa che non l’avessi capito subito. “Non mi hai mai vista a ginnastica, suppongo, ma ero convinta che l’avresti capito”  capito”   Ah. “Ti riferisci al fatto che non puoi attraversare una superficie piana e stabile senza trovare qualcosa su cui inciampare?” inciamp are?”  

“Ovviamente”.   “Ovviamente”. “Non sarebbe un problema. Dipende tutto da chi guida”.  guida”.  Per una breve frazione di secondo, fui sopraffatto dall’idea di tenerla tra le mie ©2008 Stephenie Meyer

 

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 braccia ad un ballo ball o  –  dove   dove avrebbe sicuramente indossato qualcosa di grazioso e leggero  piuttosto che quest’orrendo quest’orrendo maglione.  maglione.  Ricordavo con assoluta lucidità come mi aveva aveva fatto sentire l’avere il suo corpo sotto sot to al mio dopo che l’avevo sottratta alla corsa del furgoncino in avvicinamento. Più forte del panico o della disperazione o della sofferenza, potevo ricordare quella sensazione. Era stata così calda e morbida, nel corrispondere senza alcuna difficoltà alla mia forma dura dura come la pietra…  pietra…  Mi trascinai a forza via da quel ricordo. “Ma non mi hai ancora detto -” - ” aggiunsi in fretta, prevenendo la sua chiara intenzione inten zione di voler discutere con me del suo essere maldestra. “Sei decisa ad andare a Seattle, o ti dispiace se facciamo qualcosa di diver so?”  so?”  Ambiguo  –   darle l’opportunità di scegliere s cegliere senza offrirle la possibilità di allontanarsi da me quel giorno. Molto poco leale da parte mia. Ma le avevo fatto una  promessa ieri sera…e mi piaceva l’idea di mantenerla –   quasi quanto quell’idea mi terrorizzava. Ci sarebbe stato il sole sabato. Le avrei potuto mostrare il mio vero io, se fossi stato abbastanza coraggioso da sopportare il suo orrore ed il suo disgusto. Conoscevo giusto un  posto  po sto dove potevo correre quel rischio…  rischio…   “Accetto altre proposte”, disse Bella. “Ma devo chiederti un favore”.   Un si condizionato. Cos’avrebbe voluto da me?  me?   “Quale?”   “Quale?” “Possiamo andare con il mio pick-up mio pick-up?” ?”   Era questa la sua idea di umorismo? “Perché?”  “Perché?”  “Beh, essenzialmente perché quando ho detto a Charlie C harlie che sarei andata a Seattle, mi ha chiesto espressamente se sarei andata da sola, e in quel momento era così. Se me lo chiedesse di nuovo, probabilmente non mentirei, ma non credo che me lo chiederà ancora, e lasciare il mio  pick-up  pick-up   a casa significherebbe solamente sollevare la questione inutilmente. inutilmen te. Inoltre, perché la tua guida mi fa paura”.  paura”.   Strabuzzai gli occhi. “Di tutte le cose di me che potrebbero spaventarti, hai paura pa ura di

come guido”. Sul serio, il suo cervello lavorava al contrario. Scossi S cossi la testa, disgustato.  Edward , Alice mi aveva chiamato allarmata. All’improvviso mi ritrovai a fissare un brillante cerchio di luce solare, preso da una ©2008 Stephenie Meyer

 

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delle visioni di Alice. Era un posto che conoscevo bene, il posto dove avevo appena pensato di portare Bella  –   una piccola radura dove non andava nessuno tranne me. Un posto silenzioso e ameno dove potevo contare di rimanere solo –  solo  –  lontano  lontano abbastanza da qualunque sentiero o abitazione umana, in cui persino la mia mente poteva trovare pace e tranquillità. Anche Alice l’aveva riconosciuto, perché mi aveva visto lì parecchio tempo prima in un’altra visione –   una di quelle visioni tremolanti ed indistinte che Alice mi aveva mostrato la mattina in cui avevo salvato Bella dal furgoncino. In quella visione sfarfallante non ero da solo. E adesso era chiaro  –  Bella   Bella era lì con me. Perciò ero abbastanza coraggioso. Lei mi fissava, con gli arcobaleni che danzavano sul suo viso e gli occhi imperscrutabili.  E ’ lo stesso posto, posto, pensò Alice, la sua mente traboccava un orrore incompatibile con la visione. Tensione, forse, ma orrore? Cosa intendeva per “lo stesso po p osto”? sto”?   E poi lo vidi.  Edward! Alice  Edward!  Alice protestava stridulamente. Le stridulamente. Le voglio bene, Edward!  Edward!  La zittii brutalmente. Lei non amava Bella nel modo in cui l’amavo io. La sua visione era irrealizzabile. Sbagliata. In qualche modo era accecata, poiché vedeva l’impossibile.  l’impossibile.    Non era passato neppure mezzo secondo. Bella stava guardando il mio viso con curiosità, aspettando che accettassi la sua richiesta. Aveva notato il lampo di terrore, o era stato troppo veloce? Mi concentrai su di lei, sulla conversazione rimasta in sospeso, spingendo Alice e le sue fallaci, bugiarde visioni lontano dai miei pensieri. Non meritavano la mia attenzione.  Non ero in grado di mantenere mantenere il tono giocoso del nostro punzecchiamento, tuttavia. “Non vuoi dire a tuo padre che passerai la giornata con me?” chiesi, le  le   tenebre trapelavano dalla mia voce. Diedi un altro spintone alle visioni, cercando di allontanarle ancora di più, di impedirgli di baluginare nella mia mente. “Con Charlie meno si dice meglio è”, disse Bella, certa di questo fatto. “Do ve

an andiamo, diamo, comunque?”  comunque?”  Alice si sbagliava. Si sbagliava di grosso. Non c’era alcuna possibilità che potesse accadere. Ed era solamente una vecchia visione, superata oramai. Le cose erano cambiate. ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Farà bel tempo”, le dissi lentamente, combattendo con il panico e l’indecisione. l’indecisione.   Alice si sbagliava. Sarei andato avanti come se non avesse sentito o visto niente. “Perciò dovrò starmene alla larga dagli sguardi indiscreti…e tu puoi stare con me, se ti fa  piacere”.  piace re”.   Bella af ferrò ferrò al volo il significato; i suoi occhi erano accesi ed entusiasti. “E mi farai ve vedere dere cosa intendevi, riguardo al sole?”  sole?”   Forse, come tante volte prima, la sua reazione sarebbe stata l’opposto di quella che mi aspettavo. Sorrisi a quella possibilità, sforzandomi di ritornare alla leggerezza del momento. mo mento. “Si. Ma…”. Non aveva detto di si. “Se non vuoi restare…sola con me,  preferirei comunque che non te ne andassi a Seattle. Rabbrividisco al pensiero dei guai in cui potresti cacciarti in una città tanto grande”.  grande”.  Le sue labbra si serrarono; era offesa. “Phoenix è tre volte più grande di Seattle –   solo per numero di abitanti. Quanto all’estensione territoriale -”  “Ma apparentemente il tuo numero non era ancora stato sorteggiato a Phoenix”, dissi, dis si, interrompendo le sue giustificazioni. “Perciò preferirei che restassi con me”.  me”.   Poteva restare per sempre e non sarebbe stato abbastanza.  Non avrei dovuto pensare una cosa del genere. Non avevamo l’eternità. I  secondi che passavano contavano più di quanto non avevano mai fatto prima; ogni secondo la cambiava cambia va mentr’io rimanevo identico.  identico.   “Come sempre, non mi dispiace restare da sola con te”, disse.    No –   No  –  perché  perché i suoi istinti erano rovesciati. “Lo so”. Sospirai. “Dovresti dirlo a Charlie, però”.  però”.   “Perché diamine dovrei farlo?” chiese, apparentemente inorridita.  inorridita.  La guardai cupo, le visioni che non riuscivo più a reprimere turbinavano nauseanti nella mia mente. “Per offrirmi un qualche piccolo incentivo a riportarti indietro”, sibilai. Doveva concedermi almeno quello –  quello –  un  un testimone che mi obbligasse ad essere cauto. Perché Alice mi aveva costretto a questa consapevolezza proprio ora?

Bella deglutì rumorosamente, e mi fissò per un lungo momento. Cosa vedeva? “Penso che correrò i miei rischi”, disse.  disse.  Ugh! Traeva una qualche emozione dal rischiare la propria vita? Una qualche ©2008 Stephenie Meyer

 

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scarica di adrenalina della quale aveva un disperato bisogno? Guardai severo Alice, che ricambiò il mio sguardo con un’occhiata monitoria. Accanto a lei, Rosalie, furiosamente, mi lanciava degli sguardi minacciosi, ma non avrebbe potuto importarmene di meno. Che distruggesse la mia macchina. Era solo un giocattolo. “Parliamo di qualcos’altro”, suggerì Bella inaspettatamente.  inaspettatamente.  Tornai a guardarla, chiedendomi come potesse essere così incosciente di fronte alle cose veramente importanti. Perché non mi vedeva per il mostro che ero? “Di cosa vuoi parlare?”  parlare?”  I suoi occhi saettarono a sinistra e poi a destra, come per assicurarsi che nessuno stesse origliando. Doveva avere in progetto di affrontare un’altra questione qu estione correlata alle leggende. I suoi occhi occhi s’immobilizzarono per un secondo ed il suo corpo s’irrigidì, e poi tornò a guardarmi. “Perché sei andato a Goat Rocks lo scorso fine settimana…a caccia? Charlie dice d ice che non è un buon posto per fare escursionismo, per via degli orsi”.  orsi”.   Così incosciente. La fissai, sollevando un sopracciglio. “Orsi?” rimase senza fiato.  fiato.  Sorrisi sarcasticamente, osservandola recepire la cosa. Questo l’avrebbe indotta a  prendermi sul serio? C’era una qualunque cosa che potesse farlo?  farlo?  Ricompose la propria espressione. “Sai, non è ancora la stagione della caccia agli or si”, si”, disse severamente, riducendo gli occhi a due fessure.  fessure.  “Se guardi attentamente, le leggi disciplinano solamente la caccia con le armi da fuoco”.   fuoco”. Perse di nuovo il controllo del suo viso per un istante. Le labbra le si spalancarono. “Orsi?” ripeté, una domanda timida stavolta, piuttosto che un rantolo dovuto allo  shock . “I grizzly sono i preferiti di Emmett”.  Emmett”.   La guardai negli occhi, osservando la cosa prendervi posto. “Hmm”, mormorò. Aveva dato un morso alla pizza, guardando in basso con aria

 pensierosa, e poi aveva bevuto. “E così”, disse, rialzando finalmente lo sguardo. “Qual è il tuo preferito?”  preferito?”  Immaginai che mi sarei dovuto aspettare qualcosa del genere, ma non l’avevo fa tto. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Bella era sempre interessante, come minimo. “Il puma”, risposi bruscamente.  bruscamente.   “Ah”, disse in tono neutro. Il suo battito si manteneva cos tante e regolare, come se stessimo discutendo del ristorante preferito. E va bene, allora. Se voleva pretendere che non ci fosse niente nie nte d’insolito…  d’insolito…  “Naturalmente, dobbiamo tenere conto dell’impatto ambientale e perciò non  possiamo cacciare cacciare in maniera sconsiderata”, le dissi, con voce fredda e distaccata. “Cerchiaamo di concentrarci sulle zone in cui c’è una sovrabbondanza di predatori –   “Cerchi –   a  prescindere da quanto siano lontane. Ci sono sempre un mucchio di cervi ed alci qui, e  basterebbero anche, ma dov’è il divertimen divertime nto?” to?”   Ascoltava con un’espressione educatamente interessata, come se fossi un professore profe ssore che stava facendo lezione. Non potei fare a meno di sorridere. “Già, dov’è?” mormorò serenamente, dando un altro morso alla pizza. “L’inizio della primavera è la stagione in cui Emmett preferisce dare la caccia agli orsi”, dissi, continuando la lezione. “Sono appena usciti dal letargo, perciò sono più irrita bili”.  bili”.   Erano passati settant’anni, e ancora non si era fatto una ragione dell’aver perso quel  primo incontro. “Niente è più divertente di un grizzly irritato”, approvò Bella, annuendo solennemente.  Non riuscii a trattenermi dal ridacchiare mentre scuotevo la testa per quella sua calma cal ma irrazionale. Doveva essere una messa in scena. “Dimmi cosa stai pensando veramente, per favore”. favore”.   “Sto cercando di figurarmelo –   ma non ci riesco”, disse, la ruga tra i suoi occhi ricomparve. ricomparve. “Come fate a cacciare un orso senza armi?”  armi?”  “Oh, ma noi abbiamo delle armi”, le dissi, e poi le sfoggiai il sorriso spalancand olo. Mi aspettavo che indietreggiasse, ma rimase perfettamente immobile, osservandomi. “Certo “Ce rto non il genere che prendono in considerazione quando redigono le leggi sulla caccia. caccia. Se hai mai visto l’attacco di un orso in televisione, dovresti essere in grado di

visualizzare Emmett mentre caccia”.  caccia”.   Lanciò un’occhiata verso il tavolo dove sedevano gli altri, e rabbrividì.  rabbrividì.   Finalmente. E poi risi di me stesso, perché sapevo che una parte di me stava ©2008 Stephenie Meyer

 

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desiderando che rimanesse incosciente. I suoi occhi scuri ora mi fissavano spalancati e profondi. “Anche tu sei simile ad un orso?” chiese quasi bisbigliando.  bisbigliando.  “Più ad un puma, o così mi hanno detto”, le dissi, sforzandomi di sembrare nuovamente nuova mente distaccato. “Forse i nostri gusti sono sintomatici”.  sintomatici”.  Le sue labbra si sollevarono appena agli angoli. “Forse”, ripeté. E poi chinò la t esta di lato, e la curiosità improvvisamente divenne evidente nei nei suoi occhi. “E’ qualcosa che  potrò mai vedere?” vedere?”    Non avevo bisogno delle visioni di Alice per dipingermi quest’orrore –   la mia immaginazione era più che sufficiente. “Assolutamente no”, le dissi in tono rabbioso.  rabbioso.   Si era allontanata di scatto, con gli occhi sbalorditi e spaventati. Anch’io mi tirai indietro, volendo aumentare la distanza tra di noi. Non avrebbe mai  preso coscienza, coscienz a, vero? Non mi avrebbe mai dato neanche un piccolo aiuto per aiutarmi ai utarmi a tenerla in vita. “Troppo spaventoso per me?”, chiese, la sua voce era calma. Il suo cuore, tuttav ia, marciava ancora a passo di corsa. “Se così fosse, ti porterei fuori stanotte stessa”, replicai tra i denti. “Hai bisogno bisogno   di una salutare dose di paura. Niente paura. Niente potrebbe giovarti di più”.  più”.  “Allora perché?” chiese, per niente scoraggiata.  scoraggiata.   La guardai truce e minaccioso, aspettando che si spaventasse.  Io  Io   ero spaventato. Po Potevo tevo immaginare fin troppo chiaramente cos’avrebbe significato avere Bella vicino mentre cacciavo…  cacciavo…  I suoi occhi rimanevano curiosi, impazienti, niente di più. Aspettava la sua risposta, senza cedimenti. Ma la nostra ora era terminata. “Più tardi”, schioccai, e mi alzai alz ai in piedi. “Arriveremo in ritardo”. ritardo”.   Si guardò intorno, disorientata, come se avesse dimenticato che eravamo a pranzo. Come se avesse addirittura dimenticato che ci trovassimo a scuola  –   sorpresa che non

fossimo da soli in un qualche luogo appartato. Comprendevo esattamente quel sentimento. Era difficile ricordare il resto resto del mondo quand’ero con lei.  lei.  Si alzò rapidamente, inciampando una volta, e si lanciò la borsa sopra la spalla. ©2008 Stephenie Meyer

 

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“Più tardi, allora”, disse, e potei riconoscere la determinazione nella p iega della sua  bocca; non mi avrebbe dato scampo.

©2008 Stephenie Meyer

 

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12. Complicazioni

Bella ed io camminavamo silenziosamente diretti a biologia. Stavo cercando di concentrarmi sul momento, sulla ragazza al mio fianco, su ciò che era reale e concreto, su qualunque cosa potesse tenere le visioni di Alice, ingannevoli e senza senso, fuori dalla mia testa. Superammo Angela Weber, che stava attardandosi in corridoio, discutendo di un compito con un ragazzo del suo corso di trigonometria. Scrutai i suoi pensieri in modo su perficiale, aspettandomi un’altra delusione, per sorprendermi, invece, del loro tono malinconico. Ah, allora c’era c’era qualcosa  qualcosa che Angela desiderava. Sfortunatamente, non era qualcosa che si poteva incartare con facilità. Mi sentii stranamente confortato per un momento, ascoltando il desiderio rassegnato di Angela. Un sentimento di affinità del quale Angela non avrebbe mai saputo mi pervase, ed ero, in quell’istante, all’unisono con la gentile ragazza ragazz a umana.  umana.  Era curiosamente consolante sapere che non ero il solo che stava affrontando una tra tragica gica storia d’amore. Ovunque c’erano cuori infranti.  infranti.    Nell’istante successivo, mi sentii inaspettatamente e profondamente irritato. ir ritato. Pe Perché rché la storia di Angela non doveva doveva   essere tragica. Lei era umana e lui era umano e la differenza che pareva così insormontabile nella sua mente era ridicola, veramente ridicola  paragonata alla mia situazione situa zione personale. Non aveva motivo motivo di  di affliggersi per amore. Che inutile spreco di tristezza, quando non aveva una ragione valida per non stare con la  persona che desiderava. Perché non avrebbe dovuto avere ciò che voleva? Perché la sua storia non avrebbe dovuto avere un lieto fine? Volevo farle un regalo… Beh, le avrei regalato ciò che desiderava. desiderava. Sapendo quel che sapevo io della natura umana, probabilmente non sarebbe stato neppure tanto difficile. Rovistai nei pensieri del ragazzo che le stava vicino, l’oggetto dei suoi strugg imenti, e lui non pareva affatto disinteressato, era solamente in stallo per la medesima difficoltà in cui

si trovava lei. Senza speranza e rassegnato, proprio come lei. Tutto ciò che avrei dovuto fare era dargli un’imbeccata…  un’imbeccata…   Il piano prese forma facilmente, il copione si era scritto da solo senza alcuno sforzo ©2008 Stephenie Meyer

 

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da parte mia. Avrei avuto bisogno dell’aiuto di Emmett –   indurlo ad accettarlo era l’unica vera difficoltà. La natura umana era assai più facile da manipolare della natura vampiresca. Ero soddisfatto della mia soluzione, del mio regalo per Angela. Era una simpatica distrazione dai miei problemi personali. Magari i miei si fossero potuti risolvere altrettanto facilmente. Il mio umore era leggermente migliorato quando Bella ed io sedemmo ai nostri  posti. Forse dovevo essere più ottimista. Magari per noi c’era una qualche soluzione a  portata di mano che però mi sfuggiva, allo stesso modo in cui ad Angela rimaneva invisibile la sua ovvia soluzione. Improbabile… Ma perché perdere tempo a disperarsi?  Non avevo tempo da da perdere quando si trattava di Bella. Ogni secondo era importante. Il Signor Banner entrò spingendo un vecchio televisore ed un videoregistratore. Intendeva occuparsi sbrigativamente di un argomento al quale non era particolarmente interessato –  interessato  –  i   i disordini genetici –  genetici  –  proiettando   proiettando un film per i successivi tre giorni. L’olio giorni.  L’olio di  Lorenzo   non era una pellicola molto allegra, ma quello non bastò a fermare l’eccitazione  Lorenzo in aula. Niente appunti, né esercitazioni pratiche. Tre giorni liberi. Gli umani esultavano.  Non aveva comunque importanza per me. Avevo in programma di prestare attenzione attenzio ne a null’altro che a Bella.  Bella.    Non allontanai la mia sedia dalla sua oggi, per darmi modo di respirare. Invece, sedetti vicino al suo fianco come avrebbe fatto un qualunque umano. Più vicino di quanto non sedessimo in macchina, abbastanza vicino che il lato sinistro del mio corpo si sentiva sommergere dal calore della sua pelle. Era un’esperienza bizzarra, tanto piacevole quanto snervante, ma preferivo questo qu esto al sederle dall’altro capo del tavolo. Era più di quanto non fossi abituato, e ciononostante ciononosta nte mi resi rapidamente conto che non era ancora abbastanza. Non ero soddisfatto. Trovarmela tanto vicino mi faceva solamente desiderare di avvicinarmi ancora di più. p iù. L’impulso era tanto più forte quanto più mi avvicinavo. L’avevo accusata di essere una calamita per il pericolo. Proprio ora, sentivo che quella era propriamente la verità. Io ero ero   un pericolo e, ad ogni centimetro che mi

consentivo di andarle più andarle più vicino, la sua attrazione cresceva d’intensità.  d’intensità.  E poi il Signor Banner spense le luci. Era strano quanta differenza facesse, considerando che la mancanza di luce ©2008 Stephenie Meyer

 

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significava ben poco per i miei occhi. Ero ancora in grado di vedere perfettamente come  prima. Ogni dettaglio dell’aula mi era chiaro.  chiaro.  E allora perché quell’improvvisa scossa di elettricità nell’aria, nell’oscurità che non era affatto buia per me? Era perché sapevo di essere l’unico capace di vedere distintamente? Che Bella ed io eravamo entrambi invisibili agli altri? Come se fossimo soli, solamente noi due, nascosti nell’aula scura, seduti così vicini l’uno all’altr a all’altr a…  La mia mano si protese verso di lei senza il mio permesso. Solo per toccare la sua mano, man o, per tenergliela nell’oscurità. Sarebbe stato un errore così terribile? Se la mia pelle la infastidiva, infa stidiva, doveva solamente spingerla via…  via…   Ritirai la mano con uno strattone, strinsi forte le braccia attorno al petto e chiusi i  pugni serrandoli bene. Niente errori. Avevo promesso a me stesso che non avrei commesso errori, non importava quanto minimi potessero sembrare. Se le avessi preso la mano, avrei solamente desiderato di più –  più  –  di   di sfiorarla ancora in maniera insignificante, di avvicinarmi di più a lei. Potevo sentirlo. Un nuovo genere di desiderio stava crescendo dentro di me, lavorando per surclassare il mio autocontrollo.  Niente errori. Bella stringeva saldamente le braccia attorno al petto, e le sue mani erano chiuse a  pugno proprio proprio come le mie. Cosa stai pensando? Morivo pensando? Morivo dalla voglia di bisbigliarle quelle parole, ma l’aula era troppo silenziosa per dare inizio ad una conversazione anche solo sussurrata. Il film cominciò, illuminando il buio soltanto di  poco. Bella gettò un’occhiata verso di me. Notò la rigidità in cui trattenevo il mio corpo –  corpo  –  proprio  proprio come lei –  lei  –  e  e sorrise. Le sue labbra si socchiusero leggermente, ed i suoi occhi sembrarono colmi di inviti appassionati. O forse stavo vedendo quel che volevo vedere. Le sorrisi di rimando; la sua respirazione fu colta da un profondo affanno e si voltò rapidamente altrove. Il che peggiorò le cose. Non conoscevo i suoi pensieri, ma d’improvviso ero certo di aver avuto ragione prima, e che lei voleva voleva   che la toccassi. Avvertiva la pericolosità di questo desiderio proprio come me.

L’elettricità tra il suo corpo ed il mio fremeva.  fremeva.    Non si mosse per l’intera ora, mantenendo una postura rigida e controllata così com’i com ’io o mantenevo la mia. Di tanto in tanto mi lanciava di nuovo un’occhiata furtiva, ©2008 Stephenie Meyer

 

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sicché la fervente elettricità mi attraversava scuotendomi come una scossa improvvisa. L’ora passava –   lentamente, e tuttavia non abbastanza lentamente. Era una cosa talmente nuova per me, che sarei potuto rimanere seduto così con lei per giorni, soltanto  per sperimentare a fondo questa sensazione. Argomentai con me stesso una dozzina di volte intanto che i minuti scorrevano, la razionalità si scontrava con il desiderio mentre cercavo di giustificare il toccarla. Finalmente, il Signor Banner riaccese le luci.  Nella vivacità della luce fluorescente l’atmosfera in aula tornò alla normalità. Bella sospirava e si stiracchiava, flettendo le dita di fronte a lei. Doveva essere stato scomodo  per lei le i mantenere quella posizione tanto a lungo. Per me era più facile  –   l’immobilità mi veniva naturale. Ridacchiai dell’espressione sollevata de dell suo viso. “Beh, è stato interessante”.  interessante”.   “Umm”, mormorò, comprendendo chiaramente a cosa mi riferivo, ma senza fare commenti. Cosa non avrei dato per sentire cosa stava pensando proprio pensando  proprio ora. ora. Sospirai. Non c’era desiderio che avrebbe potuto esser mi mi d’aiuto in quel caso.  caso.  “Possiamo andare?” andare?” chiesi, alzandomi.  alzandomi.  Fece una smorfia e si alzò in piedi traballante, allargando le mani come temendo di cadere. Avrei potuto offrirle la mia mano. O avrei potuto poggiargliela sotto il gomito –  gomito  –  con  con delicatezza –  delicatezza  –  ed  ed aiutarla a mantenere mantenere l’equilibrio. Di certo non poteva essere un’infrazione tanto terribile…  terribile…   Niente errori. Era molto silenziosa mentre camminavamo verso la palestra. La ruga tra i suoi occhi era marcata, segno che stava riflettendo profondamente. Anch’io A nch’io stavo riflettendo  profondamente. Toccarla una volta non le avrebbe fatto male, sosteneva s osteneva il mio lato egoista. Potevo moderare con facilità la pressione esercitata dalla mia mano. Non era per niente difficile, finché mantenevo fermamente il controllo di me stesso. Il mio senso del tatto era più evoluto di quello di un umano; potevo destreggiarmi con una dozzina di calici

di cristallo senza romperne nessuno; potevo accarezzare una bolla di sapone senza scoppiarla. Finché mantenevo f ermamente ermamente il controllo di me stesso…  stesso…  Bella era come una bolla di sapone –  sapone  –  fragile  fragile ed effimera. Passeggera effimera. Passeggera.. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Quanto a lungo avrei potuto giustificare la mia presenza nella sua vita? Quanto tem po avevo? Avrei avuto un’altra occasione come questa occasione, come questo istante, come questo secondo? secondo? Non sarebbe stata per sempre a portata della mia mano…   Davanti alla porta della palestra Bella si voltò verso di me, spalancando gli occhi  per l’espressione l’espressione che avevo in viso. Non disse nulla. Mi vidi riflesso nei suoi occhi e riconobbi il conflitto che stava infuriando nei miei. Osservai il cambiamento sul mio viso quando il mio lato migliore perse lo scontro. La mia mano si sollevò senza che le avessi scientemente ordinato di farlo. Delicatamente, come fosse fatta del più sottile dei vetri, come se fosse fragile come una  bolla di sapone, le mie dita accarezzarono la pelle calda che le ricopriva la guancia. Bruciava al mio tocco, e potevo sentire la circolazione sanguigna accelerare al di sotto della sua pelle trasparente.  Basta,, comandai, nonostante la mia mano desiderasse ardentemente modellarsi sul  Basta lato del suo viso. Basta viso. Basta.. Era difficile ritirare la mano, impedirmi di andarle più vicino di quanto già non fossi. Un migliaio di opzioni differenti mi attraversarono la mente in un istante  –   un migliaio di modi differenti di toccarla. La punta del mio dito che tracciava la piega delle sue labbra. Il mio palmo che le teneva il mento. Togliere il fermaglio dai suoi capelli e lasciare che si sparpagliassero sulla mia mano. Le mie braccia che le cingevano la vita, facendola aderire al mio corpo.  Basta..  Basta Mi sforzai di voltarmi, di separarmi da lei. Il mio corpo si muoveva rigido controvoglia. Lasciai la mia mente indugiare alle mie spalle per vederla mentre mi allontanavo di fretta, quasi scappando dalla tentazione. Colsi i pensieri di Mike Newton  –   erano i più rumorosi –  rumorosi  –   mentre guardava Bella superarlo in stato d’incoscienza, con gli occhi occh i assenti e le guance in fiamme. S’incupì e d’improvviso il mio nome si mescolò alle maledizioni nella sua mente; non potei fare a meno di rispondere allargando lievemente il sorriso. La mia mano formicolava. Aprii e chiusi il pugno, ma continuò a pizzicare senza

dolore.  No, non le avevo fatto del male –  male –  ma  ma toccarla era stato comunque un errore. Avevo la sensazione di andare a fuoco  –  come   come se la sete che mi bruciava la gola si ©2008 Stephenie Meyer

 

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fosse diffusa in tutto il mio corpo. La prossima volta che le fossi stato così vicino, sarei stato capace d’impedirmi d ’impedirmi di  di  toccarla di nuovo? E se l’avevo toccata una volta, mi sarei potuto pot uto fermare lì?  Niente più errori. Punto e basta. Goditi il ricordo, Edward , dissi amaramente a me stesso, e tieni le mani apposto. apposto. O così, o mi sarei dovuto costringere ad andarmene…in qualche modo. Perché non potevo permettermi di starle vicino se insistevo nel commettere degli errori. Respirai profondamente e cercai di calmare i miei pensieri. Emmett mi raggiunse fuori dell’edificio di inglese.  inglese.   “Hey, Edward”. Ha Edward”. Ha un aspetto migliore. Strambo, ma migliore. Felice. Felice. “Hey, Em”. Sembravo felice? Immaginai che, a dispetto della confusione nella mia mente, mi sentissi così. Trova il modo di tapparti la bocca, ragazzo. Rosalie vuole strapparti la lingua. lingua. Sospirai. “Mi spiace averti lasciato ad occupartene da occupartene da solo. solo. Sei arrabbiato con me?”  me?”  “Naaa. “Naa a. Rose se la farà passare. Tanto doveva succedere prim a o poi”. poi”. Considerato quello che ha previsto Alice… Alice…    Non volevo pensare alle visioni di Alice adesso. Guardai fisso davanti a me, serrando stretti i denti. Mentre cercavo qualcosa per riuscire a distrarmi, avvistai Ben Cheney che ci  precedeva entrando nell’aula nell’aula di spagnolo. Ah –  Ah  –  ecco   ecco la mia occasione per dare ad Angela il suo regalo. Smisi di camminare e presi Emmett per un braccio. “Aspetta un attimo”. attimo”.   Che succede? “So di non meritarlo, ma mi faresti comunque un favore?”  favore?”   “Di che si tratta?” chiese, incuriosito.  incuriosito.   Sottovoce  –   e ad una velocità che avrebbe reso le parole incomprensibili per un umano a prescindere da quanto forte le avessi dette –  dette  –  gli  gli spiegai cosa volevo. Mi fissò in modo assente quando terminai, con i pensieri inespressivi quanto il suo viso.

“Allora?” lo sollecitai. “Mi aiuterai a farlo?”  farlo?”   Gli ci volle un minuto per rispondere. “Ma, perché “Ma,  perché?” ?”   “E dai, Emmett. Perché no no?” ?”   ©2008 Stephenie Meyer

 

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Chi sei tu e cosa ne hai fatto di mio fratello?  fratello?   “Non sei tu che ti lamenti perché la scuola è sempre uguale? Questo è qualcosa di un pò diverso, o no? Consideralo un esperimento e sperimento –   –  un esperimento sulla natura umana”.  umana”.   Mi fissò per un altro momento  prima di cedere. “Beh, è  differente, te lo concedo…D’accordo, conce do…D’accordo, va bene”. Emmett grugnì e scrollò le spalle. “Ti aiuterò”. a iuterò”.   Gli sorrisi apertamente, sentendomi più entusiasta del mio piano ora che era decollato. Rosalie era uno strazio, ma le sarei sempre stato debitore per aver scelto Emmett; nessuno aveva un fratello migliore del mio. Emmett non aveva bisogno di fare pratica. Gli suggerii le battute a bassa voce mentre entravamo in aula. Ben aveva già preso posto nel banco dietro al mio, e stava riordinando i compiti che doveva consegnare. Emmett ed io ci sedemmo entrambi e facemmo la stessa cosa. In aula non era ancora sceso il silenzio; il mormorio delle conversazioni a bassa voce sarebbe continuato finché la Signora Goff non ci avesse richiamati all’ordine. Non aveva fretta, stava correggendo i questionari della lezione precedente. “E così”, disse Emmett, con un tono di voce più alto del necessario –  come –  come se stesse veramente parlando con me. “Hai già chiesto ad Angela Weber W eber di uscire?”  uscire?”   Il suono delle carte fruscianti alle mie spalle s’interruppe bruscamente quando Ben s’immobilizzò, la sua attenzione d’improvviso d’improvviso inchiodata alla nostra conversazione. conversazi one.  Angela? Stanno parlando parlando di Angela? Bene. Avevo catturato il suo interesse. “No”, dissi, scrollando lentamente la testa per sembrare contrito.  contrito.  “Perché no?” Emmett improvvisava. “Sei un fifone?”  fifone?”   Gli feci una smorfia. “No. Ho sentito che è interessata a qualcun  altro  altro”. ”.    Edward Cullen vuole chiedere ad Angela di uscire? Ma… No. Ma… No. Non mi piace. Non voglio che si avvicini a lei. Lui…non va bene per lei. Non è…affidabile. è…affidabile .  Non mi ero aspettato la cavalleria, l’istinto di protezione. Stavo dandomi da fare per p er ingelosirlo. Ma andava bene qualunque cosa purché funzionasse. “E lascerai che questo ti fermi fermi?”, ?”, chiese Emmett in modo sprezzante, di nuovo

im provvisando. “Non reggi reggi la competizione?” competizione?”   Lo guardai truce, ma feci uso di quel che mi aveva ave va dato. “Ascolta, secondo me le  piace davvero questo tizio di nome Ben. Non intendo cercare di convincerla che non è ©2008 Stephenie Meyer

 

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ro. Ci sono altre ragazze”.  ragazze”.  ve vero.  Nella sedia alle mie spalle ci fu una reazione elettrizzata. elettrizzata . “Chi?” chiese Emmett, tornando torna ndo al copione. “La mia compagna di laboratorio dice che è un qualche ragazzo che fa di cognome Cheney. Non sono certo di sapere chi sia”.  sia”.   Mi trattenni dal sorridere. Solo gli altezzosi Cullen potevano farla franca fingendo di non conoscere ogni studente di questa minuscola scuola. La mente di Ben stava mulinando sbalordita. Io? sbalordita.  Io? Al di sopra di Edward Cullen? Ma  perché dovrei piacerle io io? ? “Edward” Emmett borbottò ad un volume più basso, roteando gli occhi per indicare il ragazzo. “E’ proprio dietro di te”, scandì muto con il labiale, in maniera talmente ovvia che l’umano poteva poteva facilmente leggere le parole. “Oh”, borbottai di rimando.  rimando.  Mi voltai sulla sedia e diedi un’unica occhiata al ragazzo dietr o di me. Per un secondo, gli occhi neri dietro gli occhiali furono spaventati, ma poi indurì e raddrizzò le spalle strette, insultato dalla mia valutazione palesemente denigratoria. Sollevò il mento ed un impeto di rabbia avvampò sulla sua pelle bronzea. “Pfui”, dissi in maniera arrogante rigirandomi verso Emmett.  Emmett.    Pensa di essere migliore di me. Ma Angela non non lo pensa. Gliela farò vedere… vedere…   Perfetto. “Ma non hai detto che si sarebbe fatta accompagnare al ballo da Yorkie?” Yorkie? ” chiese Emmett, sbuffando mentre diceva il nome del ragazzo che in molti prendevano in giro per quanto era fastidioso. “A quanto pare è stata una decisione di gruppo”. Volevo essere certo che Ben avesse aves se ben chiara la cosa. “Angela è timida. Se B  –  beh,  beh, se un ragazzo non ha il fegato di chiederle di uscire, uscire, neppure lei lo farà mai”.  mai”.  “A te piacciono le ragazze timide”, disse Emmett, tornando ad improvvisare.  Le ra gazze silenziose. Le ragazze come…hmm, non lo so. Forse Bella Swan?  Swan?  Gli spalancai il sorriso. sorriso. “Esattamente”. Poi tornai a recitare. “Forse Angela si

stancherà di aspettare. Magari Magari la inviterò al ballo di fine anno”.  anno”.    No, non lo farai, farai, pensò Ben, raddrizzandosi sulla sedia. sedia . E che importa se è tanto più alta di me? me? Se a lei non interessa, allora nemmeno a me. E’ la più dolce, la più ©2008 Stephenie Meyer

 

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intelligente, intelligen te, la più bella ragazza di tutta la scuola…e vuole me. Mi piaceva questo Ben. Sembrava brillante e ben intenzionato. Forse persino degno di una ragazza come Angela. Sotto il banco feci segno ad Emmett che era andato tutto bene mentre la Signora Goff si alzava e salutava la classe. Okay, devo ammetterlo –  ammetterlo –  è  è stato abbastanza divertente, divertente, pensò Emmett. Sorrisi tra me, soddisfatto di essere stato capace di dar forma al lieto fine di almeno una storia d’amore. Ero certo che Ben si sarebbe mosso, ed Angela avrebbe ricevuto ri cevuto il mio regalo anonimo. Il mio debito era saldato. Quant’erano sciocchi gli umani, a lasciare che una differenza di d i quindici centimetri di altezza mandasse a monte la loro felicità. Il mio successo mi mise di buon umore. Sorridevo di nuovo mentre mi sistemavo sulla sedia e mi preparavo ad essere intrattenuto. Dopo tutto, come Bella aveva  puntualizzato a pranzo, pranzo, non l’avevo mai vista in azione a ginnastica prima.  prima.   I pensieri di Mike erano i più facili da localizzare nel brusio delle voci che sciamavano in palestra. La sua mente era diventata fin troppo familiare nelle ultime poche settimane. Con un sospiro, mi rassegnai ad ascoltare attraverso di lui. Almeno potevo essere sicuro che avrebbe prestato attenzione a Bella. Ero giusto in tempo per sentirlo offrirsi come suo compagno a badminton badminton;; mentre formulava quel suggerimento, altre forme di accoppiamento gli passarono per la mente. Il mio sorriso svanì, i miei denti si serrarono stretti, e dovetti ricordare a me stesso che l’assassinio di Mike Newton non era un’opzione accettabile.  accettabile.   “Grazie, Mike –  Mike –  non  non sei costretto, lo sai” sai ”  “ Non preoccuparti, non ti starò tra i piedi” piedi”  Si sorrisero a vicenda, e gli sprazzi di numerosi incidenti –  incidenti  –  sempre  sempre in qualche modo connessi a Bella –  Bella –  balenarono  balenarono nella mente di Mike. Mike all’inizio all’inizio giocò da solo, mentre Bella esitava sul fondo della metà campo, tenendo la racchetta con cautela, come se fosse un qualche tipo di arma. Poi il Coach Coach   Clapp si avvicinò camminando pigramente ed ordinò a Mike di lasciare che Bella

giocasse. Oh oh, oh, pensò Mike mentre Bella avanzava con c on un sospiro, reggendo la racchetta con un’angolazione poco opportuna.  opportuna.  ©2008 Stephenie Meyer

 

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Jennifer Ford servì il volano direttamente di fronte a Bella, convinta compiaciuta che fosse un tiro ad effetto. Mike vide Bella barcollare in avanti, sventolando la racchetta a parecchi metri dal suo obiettivo, e si precipitò nel tentativo di salvare la volée volée.. Osservai la traiettoria della racchetta di Bella con apprensione. Infatti, colpì tesa la rete di netto e le rimbalzò addosso, picchiandola in fronte prima di urtare contro il braccio di Mike con un fragoroso ciaf .  Ahi. Ahi. Ugh. Mi resterà il livido. livido. Bella si stava massaggiando la fronte. Era difficile trattenermi sulla sedia, sapendo che si era fatta male. Ma cosa avrei potuto fare, se fossi stato lì? E non sembrava una cosa grave…Esitai, restando a guardare. Se aveva intenzione di continuare a cercare di giocare, mi sarei dovuto inventare una scusa per portarla fuori dalla palestra. Il coach coach   rideva. “Scusa, “Scusa, Newton”. Newton”. Quella ragazza è la peggior iattura che abbia mai vi sta.  sta. Non dovrei infliggerla agli altri…  altri…  Voltò deliberatamente le spalle e se ne andò a guardare un’altra partita, cosicché Bella potesse tornare al suo precedente ruolo di spettatrice.  Ahi,, pensò di nuovo Mike, massaggiandosi il braccio.  Ahi b raccio. Si voltò verso Bella. “Stai “ Stai bene?””  bene? “Si, e tu?” tu?” chiese con aria imbarazzata, arrossendo.  arrossendo.   “ Penso che ce la farò”. farò”. Non  Non voglio sembrare un piagnucolone. piagnucolone. Ma ragazzi, fa male! male!   Mike fece ruotare il braccio, sobbalzando. “ Mi limiterò a restarmene qui in fondo”, fondo”, disse Bella, con in viso più imbarazzo e mortificazione che dolore. Forse Mike aveva avuto la peggio. Di sicuro mi auguravo auguravo che  che fosse così. Almeno lei non stava più giocando. Teneva la racchetta con estrema prudenza dietro la schiena, con gli occhi spalancati dal rimorso…Dovetti camuffare la mia risata con un accesso di tosse. Che c’è di divertente? Voleva divertente? Voleva sapere Emmett. “Te lo dico dopo”, mormorai.  mormorai.   Bella non si azzardò più a giocare. Il coach coach la  la ignorò e lasciò che Mike giocasse da solo.

Risposi con facilità al questionario alla fine dell’ora, e la Signora Goff mi lasciò andare via in anticipo. Stavo ascoltando attentamente Mike mentre attraversavo il campus campus.. Aveva deciso di confrontarsi con Bella riguardo a me. ©2008 Stephenie Meyer

 

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 Jessica giura che si frequentano. Perché? Perché doveva scegliere lei?  Non vedeva la cosa veramente straordinaria –  straordinaria –  che  che lei aveva scelto me me.. “ E così”. così”.   “ E così cosa?” cosa?” chiese.  chiese.  “Tu e Cullen, uh?” uh?” Tu e il mostro. Chissà, magari è il fatto che è ricco ad importar ti…  ti…  Digrignai i denti per la sua supposizione degradante. “ Non sono affari tuoi, Mike” Mike”  Si è messa sulla difensiva. Perciò è vero. Che schifo.  schifo. “ Non mi piace”. piace”.   “ Non deve”, deve”, schioccò.  schioccò.  Come fa a non accorgersi di che razza di fenomeno da baraccone sia? Tutti loro lo  sono. Il modo in cui la guarda. Mi fa gelare il sangue.  sangue. “Ti guarda come…come se fossi se fossi un qualcosa da mangiare” mangiare”  Raccapricciai, aspettando la sua risposta. Il viso le si era acceso di un rosso brillante, e le sue labbra erano premute insieme come se stesse trattenendo il respiro. Poi, inaspettatamente, una risatina le proruppe tra i denti.  Adesso sta ridendo di me. Grande. Grande.   Mike si voltò, i suoi pensieri erano astiosi, e sparì a cambiarsi. Come aveva potuto ridere dell’accusa dell’accusa   di Mike  –   così perfettamente a segno che cominciavo a temere che Forks stesse diventando troppo consapevole consapevole… … Perché Pe rché aveva riso dell’allusione al fatto che avrei potuto ucciderla, quando sapeva che era esattamente la ve verità? rità? Cosa c’era di tanto divertente? Cosa c’era che non andava in andava in lei? Aveva un macabro senso dell’umorismo? Non si addiceva all’idea che mi ero fatto fa tto del suo carattere, ma come potevo esserne certo? O forse il mio sogno ad occhi aperti sull’angelo sconsiderato era vero da quest’unico punto di vista, riguardo al fatto che fosse incapace di provare la paura. Coraggiosa –  Coraggiosa  –  si   si poteva vederla così. Altri avrebbero potuto dire stupida, ma io sapevo quanto fosse intelligente. Ciononostante, qualunque ne fosse la

ragione, l’incapacità l’incapacità di provare la paura ed  ed   il contorto senso dell’umorismo non le facevano affatto bene. Era questa bizzarra incapacità a metterla costantemente in pericolo? Forse avrebbe avuto bisogno di me per sempre… sempre…  ©2008 Stephenie Meyer

 

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All’improvviso, il mio umore stava salendo alle stelle.  stelle.   Se fossi stato capace di autodisciplinarmi, di non essere un pericolo, allora forse sarebbe stato un bene che restassi con lei. Quando attraversò le porte della palestra, teneva le spalle rigide e si mordicchiava di nuovo il labbro inferiore –  inferiore  –  un  un sintomo di ansietà. Ma non appena i suoi occhi incontrarono i miei, le sue spalle contratte si rilassarono e sul viso le si spalancò il sorriso. Era un’espressione stranamente serena. Senza esitare camminò diretta al mio fianco, fermandosi solo quando fu così vicina che il calore del suo corpo s’infranse addosso a me come una marea. “Ciao”, disse a bassa voce. La felicità che sentivo in questo momento era, ancora una volta, senza senz a precedenti. “Ciao”, dissi, e poi –   giacché il mio umore era d’improvviso così sollevato sollevat o che non  potevo trattenermi dal canzonarla –  canzonarla –  aggiunsi “Com’è andata in palestra?”  palestra?”   Il suo sorriso vacillò. “Bene”.  “Bene”.  Era una pessima bugiarda. “Davvero?” chiesi, per premere sull’argomento  sull’argomento  –  –  ero   ero ancora preoccupato per la sua testa; le faceva male?  –   ma poi i pensieri di Mike Newton riuscirono a spezzare la mia concentrazione tanto erano forti.  Lo odio odio.. Vorrei che crepasse. Spero precipiti giù da un precipizio con quella sua macchina tirata a lucido. Non poteva limitarsi a lasciarla in pace? A restare inchiodato a quelli della sua razza –  razza –  ai  ai mostri? “Che c’è?” chiese Bella.  Bella.  I miei occhi tornarono a focalizzarsi sul suo viso. Guardò Mike che, di spalle, se la  batteva in ritirata, e poi di nuovo me. “Newton mi sta dando sui nervi”, ammisi.  ammisi.   Spalancò la bocca, ed il suo sorriso scomparve. In quell’ultima ora doveva aver dimenticato dimenticato che avevo il potere di tenere d’occhio i suoi disastri, o sperava che non l’avessi utilizzato. utilizzato. “Non ti sarai mica rimesso ad ascoltare?”  ascoltare?”  

“Come va la testa?”  testa?”  “Sei incredibile!” disse tra i denti, e poi si voltò dall’altra parte ed impettita si diresse furiosamente verso il parcheggio. La sua pelle era avvampata di un rosso scarlatto ©2008 Stephenie Meyer

 

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 –  era  era imbarazzata. Tenevo il suo passo, sperando che la sua collera svanisse presto. Di solito mi  perdonava in fretta. “Sei stata tu ad accennare al fatto che non ti avevo mai vista a ginnastica”, spiegai. “Mi sono incuriosito”.  incuriosito”.   Non rispose; aggrottò le sopracciglia.  Nel parcheggio si fermò bruscamente, quando quando si rese conto che l’accesso alla mia macchina era bloccato da un capannello di studenti maschi.  Mi domando quanto quanto siano andati veloci con questa questa cosa… cosa…  Guarda il cambio automatico coi comandi al volante. Non l’ avevo avevo mai visto se non  su una rivista…  rivista…   Belle rifiniture… rifiniture…  Vorrei proprio avere sessantamila dollari da parte…  parte…   Il che era esattamente il motivo per cui era meglio che Rosalie usasse la propria macchina solamente fuori città. Mi districai tra la folla dei ragazzi curiosi fino alla mia macchina; dopo un secondo di esitazione Bella seguì il mio esempio. “Appariscente”, borbottai mentre salivo.  salivo.   “Che tipo di macchina è?” chiese.  chiese.   “Una M3”.  M3”.  Mi guardò male. “Non leggo leggo Macchine  Macchine e Motori” Motori”  “E’ una BMW”. Alzai gli occhi al cielo e poi mi concentrai sull’uscire in retromarcia senza investire nessuno. Dovetti fissare insistentemente negli occhi alcuni ragazzi che non sembravano propensi a sgombrarmi il passo. Incrociare il mio sguardo fisso per mezzo secondo parve sufficiente a convincerli. “Sei ancora arrabbiata?” le chiesi. Il suo cipiglio si era rilassato. rilassato . “Decisamente”, rispose seccamente.  seccamente.  Sospirai. Forse non avrei dovuto sollevare il discorso. Oh beh. Potevo cercare di fare fare ammenda, supposi. “Mi perdoni se ti chiedo scusa?”  scusa?”  

Ci pensò sopra per un momento. “Forse…se sei sincero”, sincero”, decise. “ E  se   se prometti di non farlo più”.  più”.   Non intendevo mentirle, e non c’era verso che potessi acconsentire a quello quello.. Forse, ©2008 Stephenie Meyer

 

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se le avessi proposto uno scambio differente. “E se sono sincero e in più accetto più accetto di lasciarti guidare sabato?” sabato?” rabbrividii tra me a quel pensiero. Di colpo comparve quella ruga tra i suoi occhi mentre valutava il nuovo accordo. “Aggiudicato”, disse dopo una breve riflessione.  riflessione.  Ora riguardo alle alle mie scuse…  scuse…  Non avevo mai tentato tentato   di abbacinare Bella di  proposito prima, ma adesso sembrava il momento giusto per farlo. farlo . La fissai intensamente negli occhi intanto che guidavo allontanandomi dalla scuola, chiedendomi se lo stessi facendo correttamente. Usai il tono più persuasivo di cui disponevo. “In tal caso sono molto dispiaciuto di averti fatto arrabbiare”   Il cuore le batteva più forte di prima, ed il ritmo era vertiginosamente staccato. I suoi occhi erano sgranati, all’apparenza lievemente sconvolti.  sconvolti.   Feci un mezzo sor riso. riso. Pareva che l’avessi fatto proprio bene. Ovviamente, anch’io stavo incontrando delle difficoltà a staccarmi dai suoi occhi. Parimenti abbacinato. Era un  bene che avessi memorizzato questa strada. “E sarò davanti alla tua porta sabato mattina  mattina  di buon’ora”, aggiunsi, concludendo l’accordo.   l’accordo. Sbatté in fretta le ciglia, scuotendo la testa come per schiarirsela. “Um”, disse, “non è utile alla situazione con Charlie se una misteriosa Volvo viene la sciata sul vialetto”.  vialetto”.  Ah, quanto poco quanto poco sapeva ancora di me. “Non ho detto che che sarei venuto in macchina” macchina”   “Come -” cominciò a chiedere.  chiedere.   L’avevo interrotta. Sarebbe stato difficile spiegarlo senza una dimostrazione, ed ora e ce n’era a malapena il tempo. “Non preoccupartene. Sarò lì, niente macchina”.   Chinò la testa di lato, e per un momento parve volesse insistere, ma poi sembrò cambiare idea. “Più tardi è arrivato?” chiese, ricordandomi della conversazione rimasta in sospeso a mensa; aveva rinunciato ad una domanda difficile solamente per richiamarne un’altra che era ancora più scomoda. “Suppongo che sia arrivato”, acconsentii di malavoglia.  malavoglia.  

Parcheggiai di fronte a casa sua, agitandomi mentre cercavo di pensare a come spiegarmi…senz spie garmi…senzaa mettere troppo in evidenza la mia natura mostruosa, senza spaventarla ancora. O era sbagliato? Minimizzare la tenebra che mi avvolgeva? ©2008 Stephenie Meyer

 

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Lei aspettava con la medesima maschera di educato interesse che aveva indossata a  pranzo. Se fossi stato meno teso, la sua calma irragionevole mi avrebbe fatto ridere. “E tu vuoi ancora sapere perché non puoi vedermi cacciare?” chiesi.  chiesi.   “Beh, soprattutto mi stavo domandando il perché della tua reazione”, disse.  disse.   “Ti ho spaventata?” chiesi, certo che l’avrebbe negato.  negato.   “No”.   “No”. Cercai di non sorridere, ma fallii. “Ti chiedo scusa per averti fatto paura”. E poi il mio sorriso svanì insieme all’umorismo passeggero. “Era dovuta soltanto all’averti immaginata imma ginata veramente lì…mentre cacciamo”.  cacciamo”.  “Sarebbe un male?”  male?”  Quell’immagine mentale era insostenibile –   Bella, così vulnerabile nella vuota oscurità; oscu rità;

me

stesso,

fuori

controllo…

Cercai

di

bandirla

dalla

mia

mente.

“Assolutamente”.   “Assolutamente”. “Perché..?”   “Perché..?” Respirai profondamente, concentrandomi per un momento sulla sete bruciante. Assaporandola, domandola, dimostrando la mia capacità di dominarla. Non mi avrebbe controllato ancora –  ancora –  volevo  volevo con tutto me stesso che fosse vero. Sarebbe Sarebbe stata  stata al sicuro con me. Fissavo le nuvole benvenute senza vederle, desiderando di poter credere che la mia determinazione avrebbe fatto una qualche differenza se avessi incrociato il suo profumo mentre stavo cacciando. “Quando cacciamo…le nostre menti non ci dominano quasi più”, le dissi, soppesando soppesan do a fondo ogni singola parola prima di pronunciarla. “Ci abbandoniamo ai nostri sensi. Specialmente Specialmente al senso dell’olfatto. Se tu fossi da qualche parte vicina a me quando  perdo il controllo a quel modo…”  modo…”  Scossi la testa agonizzante al pensiero di ciò che sarebbe  –  non  non che avrebbe potuto, ma che sarebbe che sarebbe   –  –  sicuramente  sicuramente successo a quel punto. Ascoltai il picco nel suo battito cardiaco, e poi mi voltai, irrequieto, per leggere nei suoi occhi. Il viso di Bella era composto, i suoi occhi erano gravi. La sua bocca era lievemente

imbronciata per ciò che supponevo fosse preoccupazione. Ma preoccupazione per cosa? Per la sua sicurezza? O per il mio tormento? Continuai a fissarla, tentando di tradurre la sua espressione ambigua in un dato certo. ©2008 Stephenie Meyer

 

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Lei ricambiò il mio sguardo. Dopo un istante i suoi occhi si spalancarono, e le  pupille le si dilatarono, sebbene la luce non fosse cambiata. Mi si accelerò il respiro, ed improvvisamente il silenzio che c he c’era in macchina sembrò fremere, fremere, proprio come nel buio dell’aula di biologia questo pomeriggio. La La corrente pulsante era tornata a scorrere tra di noi, ed il mio desiderio di toccarla fu, solo  per poco, persino più forte delle pretese accampate dalla mia sete. L’elettricità vibrante mi faceva sentire come se avessi di nuovo un battito cardiaco. Il mio corpo vibrava con lei. Come se fossi umano. Più di ogni altra cosa al mondo, volevo sentire il calore delle sue labbra sulle mie. Per un solo secondo, lottai disperatamente per trovare la forza, il controllo, per essere capace di poggiare la mia bocca così vicina vicina alla sua pelle…  pelle…  Inspirò affannosamente, e solo allora compresi che quando avevo cominciato a respirare più velocemente, lei aveva smesso di respirare completamente. Chiusi gli occhi, cercando di spezzare la nostra connessione.  Niente più errori. L’esistenza di Bella era collegata ad un migliaio di processi chimici delicatamente  bilanciati, tutti troppo facili da sconvolgere. La dilatazione regolare dei suoi polmoni, il flusso d’ossigeno, per lei significavano vivere o morire. La cadenza palpitante del suo cuore fragile fragile poteva essere interrotta da così tanti stupidi incidenti o malattie o…da me.   Ero certo che nessuno dei miei familiari avrebbe esitato se gli o le fosse stata offerta l’opportunità di tornare indietro –  se lui o lei avesse potuto barattare l’immortalità con una ritrovata mortalità. Chiunque di noi avrebbe attraversato il i l fuoco per quello. Bruciando per quanti giorni o secoli fosse necessario. La maggior parte di quelli della nostra specie stimavano l’immortalità al di sopra di ogni altra cosa. C’erano addirittura degli umani che la bramavano, che cercavano nell’oscurità  coloro che potessero fargli il più funesto dei regali…  nell’oscurità regali…    Non noi. Non la mia famiglia. famiglia. Avremmo dato qualunque cosa per essere umani. Ma nessuno di noi aveva mai disperato così tanto di poter tornare indietro come me ora.

Fissavo le microscopiche intaccature ed imperfezioni del parabrezza, come se ci fosse una qualche soluzione nascosta nel vetro. L’elettricità non si era smorzata, e dovevo concentrarmi per trattenere le mani sul volante. ©2008 Stephenie Meyer

 

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La mia mano destra cominciò a pizzicarmi di nuovo senza dolore, come quando  prima l’avevo toccata.  toccata.  “Bella, penso che dovresti rientrare ora”  ora”  Lei obbedì all’istante, senza fare commenti, scendendo dalla macchina e sbattendo la portiera dietro di sé. Aveva percepito la potenzialità del disastro tanto chiaramente quanto me? L’andarsene l’aveva ferita, come a me feriva il lasciarla andare? L’unico conforto era che l’avrei vista presto. Molto prima di quanto lei avrebbe visto me. Sorrisi per quello,  poi abbassai il finestrino e mi allungai per parlarle una volta ancora  –   era più sicuro adesso, con il calore del suo corpo fuori dalla macchina. Si voltò per vedere cosa volessi, curiosa. Ancora curiosa, sebbene mi avesse fatto così tante domande oggi. La mia curiosità era del tutto insoddisfatta; rispondere alle sue domande oggi era servito soltanto a rivelare i miei segreti –  segreti  –   avevo avevo ottenuto ben poco da lei se non le mie stesse congetture. Non era giusto. “Oh, Bella?”  Bella?”  “Si?”   “Si?” “Domani sarà il mio turno”  turno”   Aggrottò la fronte. “Il tuo turno per cosa?”  cosa?”   “Per le domande”. Domani, quando saremmo stati in un luogo più sicuro, circondati da testimoni, avrei ottenuto le mie risposte. Spalancai il sorriso a quel pensiero, e poi mi voltai perché non faceva alcun cenno di volersene andare. Nonostante fosse fuori dalla macchina,

l’eco

dell’elettricità

crepitava

nell’aria.

Volevo

scendere

anch’io,

accompagnar la la fino alla porta come scusa per rimanerle accanto…  accanto…    Niente più errori. Accelerai, e poi sospirai mentre scompariva dietro di me. Sembrava come se stessi sempre correndo verso Bella o correndo lontano da lei, senza mai fermarmi. Avrei dovuto trovare un modo per tenere duro se mai avessimo voluto un pò di  pace.

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