Stanley Coren Capire Il Linguaggio Dei Cani

May 2, 2017 | Author: lianadp | Category: N/A
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Nature 7 Nella stessa collana 1 La danza della tigre di Bjorn Kurtén 2 Esser scimmia di Jean-Jacques Petter 3 Gli animali nella fiaba e nella leggenda a cura di E. Luisari 4 Il gatto di Baudelaire e altri gatti a cura di A. Paronuzzi 5 Il mondo dei dinosauri di Bjorn Kurtén 6 Dalla parte degli animali di Marc Bekoff

Stanley Coren

Capire il linguaggio dei cani Franco Muzzio Editore Collana Nature diretta da Enrico Alleva

Titolo originale How to Speak Dog. Mastering the Art of Dog-Human Communication Copyright 2000 by Stanley Coren Per le illustrazioni: Copyright 2000 by Laura Hartman Maestro Traduzione: Emanuela Luisari A cura di: Simona Petruzzi Editing e impaginazione: Valentina Pattavina Copyright 2003 Franco Muzzio Editore via Alberico 11, 33 - 00193 Roma www.muzzioeditore.it Finito di stampare aprile 2003 Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. Roma ISBN 88-7413-072-4 INDICE

Prefazione 9 1. Conversare con i cani 13 2. Evoluzione e linguaggio animale 27 3. Il cane sta ascoltando 37 4. Il cane sta veramente ascoltando? 55 5. Rumori animali o comunicazione animale? 65 6. Il cane parla 75 Abbai 79 Ringhi 83 Ululati, guaiti e latrati 85 Uggiolii, squittii, piagnucolii 88 Urlo 91 Altre vocalizzazioni 94 7. Imparare a parlare 99 8. Parlare con la faccia 109 La forma della bocca 112 Paura, ira o dominanza? 114 9. Parlare con le orecchie 125 Cani dalle orecchie a punta 125 Orecchie pendenti e orecchie mozzate 129 10. Parlare con gli occhi 137 Parlare con le pupille 138 Direzione dello sguardo 140 La forma degli occhi 144 Il pianto 147 11. Parlare con la coda 151 Posizioni della coda 156 Forme della coda 162 Movimenti della coda 164 Ingerenza umana e dialetto della coda 167 12. Parlare con il corpo 173 Linguaggio essenziale del corpo 175 Giocare 189 13. Il punto della questione 193 14. Parlare con il sesso 207 15. Indicare e battere a macchina 217 16. Parlare con l'odore 233 17. Cani che parlano ai gatti 251 18. Dialetti cagneschi 267

19. Questo è linguaggio? 277 20. Parlare il cagnesco e il canese Post scriptum. Un'ultima parola 307 Appendice 309 Glossario illustrato 311 Frasario cagnesco 315

Indice analitico 329

Prefazione L'uomo ha grande discorso, del quale la più parte è vano e falso; li animali l'hanno piccolo, ma è utile e vero; e meglio è la piccola certezza che la gran bugia. (Leonardo da Vinci, Considerazioni, moti, massime, 1500 circa)

Narra una leggenda che Re Salomone possedesse un anello d'argento in cui erano racchiusi il suo sigillo e il vero nome di Dio. E grazie all'anello aveva anche il magico potere di parlare con gli animali. Alla sua morte, l'anello fu nascosto in "una grande casa dalle molte porte". Da giovane, anch'io avrei voluto possedere un anello che mi permettesse di parlare ai miei cani. Mentre da piccolo pensavo che si trattasse solo di una storiella popolare, da grande ho cominciato a credere che il saggio Re Salomone fosse comunque in grado di parlare con gli animali, anche senza il magico anello di cui narra la leggenda. E in realtà anche voi e io possiamo imparare a farlo. La "magia" dell'anello di Salomone sta nel capire come comunicano gli animali, ed è nascosta nella scienza, che è la casa dalle molte porte. Le capacità necessarie sono simili a quelle che servono per esprimersi in qualsiasi lingua. Per parlare con un cane, come prima cosa dovete imparare il suo vocabolario, in modo particolare, quali sono le "parole" nella lingua canina. Poi la "grammatica", ovvero come mettere insieme le parole e come combinarle, in maniera da formare delle "frasi" per mandare e ricevere messaggi che abbiano un senso. In questo libro vi racconterò come comunicano i cani: come "parlano" fra loro, come fanno a comprendere i messaggi inviati dagli esseri umani, e come gli uomini possono tradurne i pensieri e le intenzioni. Se sappiamo come i cani comunicano possiamo capire ciò che provano, ciò che pensano, che obiettivi hanno. Saremo in grado di dir loro quello che vogliamo che facciano, e ne controlleremo il comportamento. Non significa che potremo fare discorsi profondi, scientifici, filosofici, o discutere sull'ultimo film in programmazione al cinema con questi animali. Devo dire però che spesso trovo le mie conversazioni con i cani più ricche e complesse di quelle con i miei nipotini di due o tre anni. Conoscerne il linguaggio permette inoltre di evitare malintesi fra esseri umani e specie canina. Durante le nostre "lezioni di lingua" ci troveremo davanti a diversi cani eccezionali, e apprenderemo quanto possono essere intelligenti certi cani comuni. Vedremo inoltre l'influenza che gli uomini hanno avuto sulle capacità di linguaggio dei cani nel corso del lungo periodo di addomesticamento del nostro primo compagno non umano. Alcuni miei colleghi scienziati potrebbero contestare l'uso che faccio della parola "linguaggio" quando parlo di comunicazione canina. Per molto tempo si è creduto che il linguaggio fosse una caratteristica propria degli esseri umani. Invece ci accorgeremo che i modelli di comunicazione degli uomini e dei cani hanno molte analogie. Come psicologo, sono molto soddisfatto di poter trarre conclusioni sull'intelligenza umana basandomi su dati ottenuti dai topi e dalle scimmie, e lo stesso dicasi per molti ricercatori. E quanto dico sarebbe del tutto folle se si credesse che la facoltà di apprendimento dell'uomo sia di natura radicalmente differente da quella di altri animali. Perciò mi sorprende che molti studiosi del comportamento affermino di non credere nelle capacità comunicative tra le specie, ritenendo invece che esista una profonda differenza tra il linguaggio umano e l'espressività animale. Il "vero" linguaggio è solo quello umano? È una domanda interessante, con alle spalle una lunga e affascinante storia, cui risponderemo durante i nostri tentativi di imparare a capire e parlare la lingua dei cani.Vorrei ringraziare mia moglie Joan, che nel corso della prima stesura del libro mi ha fornito preziosi consigli, e anche nostra figlia Karen, che mi ha aiutato con i suoi utili suggerimenti. Inoltre vorrei ringraziare i miei cani, Wiz, Odin e Dancer, per le loro delucidazioni su alcuni aspetti del linguaggio canino.

Questo libro è dedicato al mio amico e stimato collega Peter Suedfeld, a sua moglie, Phyllis Johnson, e al loro non-cane Bucksbot

1. Conversare con i cani Questo cane parlava molto a proposito. Il suo ragionamento poteva essere molto bello in bocca a un padrone ma venendo da un semplice cane, si trovò che non valeva proprio un ette. (Jean de la Fontaine, Il fattore, il cane e la volpe) Sono convinto che a ognuno di noi piacerebbe diventare come il dottor Dolittle o possedere l'anello di Re Salomone, per poter capire e parlare con gli animali. Per quanto mi riguarda, sono i cani gli animali con i quali più di tutti ho voluto dialogare. Mi ricordo che una domenica sera di tanti anni fa ero seduto sul pavimento del soggiorno, di fronte alla grande radio che avevamo in casa, insieme con Skippy, il mio beagle. Appoggiato a una poltrona, aspettavo che trasmettessero un programma radiofonico il cui protagonista era la mia star cinematografica preferita. Si udirono le prime note della colonna sonora - credo che fosse il motivo folk Green Sleeves - e pochi minuti dopo potei sentirne la voce. Abbaiava in lontananza e a ogni secondo la sua voce si avvicinava sempre di più... Molto prima che l'epoca moderna creasse star cinematografiche canine come Benji e Beethoven, o televisive come Eddi, Wishbone e Littlest Hobo, c'è stata Lassie. Era molto più di un cane; era un'amica e una compagna devota, una paladina dell'onestà, una coraggiosa protettrice e una combattente senza paura. Il cane che probabilmente più di ogni altro ha lasciato un'impronta profonda sul concetto popolare che abbiamo di questi animali e sulla loro intelligenza, era nato come protagonista di una breve novella scritta da Eric Knight nel 1938 e pubblicata sul "Saturday Evening Post". La novella riscosse un tale successo che l'autore, nel 1940, ne fece un libro che diventò in breve un best seller e, nel 1943, fu trasformato in un commovente film intitolato Torna a casa, Lassie!. Girato in Inghilterra, con pellicola a colori, raccontava la storia di una famiglia, in cui Lassie viveva, che era stata costretta, a causa di grossi problemi economici, a vendere il collie a un uomo ricco appassionato di cani (la cui figlia era impersonata da una giovanissima Elizabeth Taylor). Lassie però, portata in Scozia e messa in un canile, scappa dal suo severo guardiano, e cerca il modo per tornare in Inghilterra dal suo padroncino (ruolo ricoperto da Roddy McDowall). La notizia curiosa è che Lassie non fu interpretata da una graziosa cagna, ma da un maschio di nome Pal. Di fatto, la sua parte non è mai stata data a una femmina. Si è sempre preferito un maschio, perché i maschi sono più grandi e meno timorosi. Inoltre, ed è il motivo principale, quando una femmina va in calore (il che capita due volte all'anno), spesso perde gran parte della sua pelliccia. Per lo spettatore sarebbe stato veramente penoso, e un incubo per il regista, vedere il pelo di Lassie variare da una scena all'altra. Problemi generali a parte, Lassie ebbe un enorme impatto sul nostro concetto di come i cani pensano e agiscono. Questo anche grazie alla gran quantità di materiale messo a disposizione su di lei. Sono stati girati dieci film sulle sue imprese. In tutti, Lassie riuscì a mettere in secondo piano alcune fra le più grandi star di Hollywood, tra cui James Stewart, Helen Slater, Nigel Bruce, Elsa Lanchester, Frederic Forrest, Mickey Rooney e molti altri. Dal 1954 al 1991 fu prodotta anche una versione televisiva (con alcuni periodi di interruzione), in sei diverse edizioni e rotazioni di cast. A volte i componenti della famiglia di Lassie erano interpretati da attori molto conosciuti come Cloris Leachman e Lune Lockhart. Ancora oggi ne vengono trasmesse le repliche. In America fu creata perfino una serie di cartoni animati con Lassie (Lassie's Rescue Rangers), trasmessa la domenica mattina. Forse la versione meno conosciuta è stata quella radiofonica, che andò in onda dal 1947 fino al 1950, di cui uno dei giovani fan sono stato proprio io. Scommetto che, se il programma venisse trasmesso oggi, i produttori darebbero al cane una voce umana, in modo che l'ascoltatore possa capirne i pensieri e comprendere ciò che intende dire. Verrebbe scelta una soave voce di donna, di età indefinita, magari con un leggero accento scozzese per ricordarci le origini di Lassie. Al contrario, questi vecchi episodi radiofonici rispecchiavano la trasposizione dello schermo. Mai una voce umana ha sostituito quella del cane: Lassie, semplicemente, abbaiava. Nello show radiofonico era davvero Pal ad abbaiare, mentre erano attori umani a imitare i guaiti, i brontolii e il suo modo di ringhiare. Parte della magia dei film di Lassie era dovuta al fatto che il cane non parlava inglese, spagnolo, italiano, francese o un'altra lingua umana. Ma sia la sua famiglia sia chiunque altro la sentisse la capiva perfettamente. Per darvi un'idea, descrivo parte di un episodio. Lassie corre verso un prato abbaiando e guaendo freneticamente. Il suo padroncino le chiede: - Cosa c'è che non va, ragazza? - e Lassie abbaia. - La mamma ha qualche problema? - tenta di interpretare lui, e Lassie abbaia di nuovo e guaisce.

- Oh no, si è fatta male! Papà l'aveva avvisata di non usare quella macchina da sola. Corri immediatamente dal dottor Williams, che prima ho visto in piazza Johnson. Io intanto andrò a cercare qualcosa per medicarla. Il ragazzo si dirige subito verso casa. Lassie abbaia e si mette a correre per cercare aiuto. Il medico, ovviamente, capirà ogni suo guaito e abbaio e andrà a soccorrere la donna. In altri episodi Lassie abbaiando avvisa che sta avvicinandosi un malintenzionato, fa capire ai padroni che è stato nascosto o rubato qualcosa, avverte il suo giovane amico umano se una persona mente o dice la verità. Sembra proprio che parli una lingua universale. In un caso, addirittura, compare un ragazzo francese, appena arrivato in America per vivere con uno zio perché i suoi genitori sono morti in un tragico incidente. Non conosce l'inglese, ma per fortuna non ne ha bisogno: Lassie parla la lingua universale dei cani (che noi chiameremo "cagnesco"). Il ragazzo la comprende subito perché, a quanto pare, anche i cani francesi parlano la medesima lingua. Grazie a questo, Lassie è in grado di dirgli (modulando il modo di abbaiare, di guaire o di gemere e, di tanto in tanto, ringhiando debolmente) che è arrivato in un posto dove la gente è felice di diventare sua amica, ma dovrà fare attenzione, perché fra loro c'è anche un cattivo soggetto. Il cane lo conforta, fa in modo che il giovane si integri bene nella comunità, risolve alcuni equivoci nati fra il ragazzino e i bambini del luogo, ed è sempre Lassie a insegnargli le prime parole inglesi, che sono, ovviamente: "Lassie, tu sei un buon cane!". Ero gelosissimo della famiglia e degli amici di Lassie. Tutti loro erano in grado di capire il linguaggio dei cani, e riuscivano a far comprendere al collie il significato delle loro parole. Rimanevo ad accarezzare le lunghe e coriacee orecchie del mio Skippy, e intanto mi domandavo perché avessi così tante limitazioni di linguaggio. In realtà non è che non capissi mai ciò che Skippy voleva dirmi. Sapevo che quando muoveva la coda era felice. E che quando invece la teneva stretta fra le zampe non si sentiva bene. Se abbaiava capivo che stava arrivando qualcuno, o che aveva fame, oppure voleva giocare, o semplicemente era eccitato... Be', in effetti Skippy abbaiava parecchio. Se ululava (quel suono in falsetto che emettono i beagle), sapevo che stava allegramente inseguendo qualcosa. Le debolezze di linguaggio non erano di Skippy, bensì mie. A volte il cane mostrava un'incredibile fantasia per farmi capire quello che voleva. Un giorno spinse la ciotola dell'acqua in giro per tutta la cucina fino a farla sbattere contro le mie scarpe, per dirmi che aveva sete e che la sua vaschetta era vuota. Ma nella maggior parte dei casi io non riuscivo a comprendere ciò che Skippy voleva, e l'impossibilità di comunicare mi rattristava molto. Adesso, dopo tanti anni di ricerche e di studi, credo di aver cominciato a capire il linguaggio dei miei amici cani. E siccome sono uno psicologo, ho cominciato anche a intendere quanto la capacità di comunicare influisca sulle nostre relazioni con loro. Sembra che fra gli esseri umani il linguaggio sia l'elemento principale nel determinare il successo di una relazione sociale. Se si dà un'occhiata alle ricerche sulle relazioni fra i bambini disabili e i loro familiari, si può vedere che, quando il bambino è in grado di parlare a un buon livello e di capire quello che gli viene detto, I'amore e l'affetto possono essere incoraggiati e mantenuti anche se il piccolo soffre di disturbi gravi. Le famiglie con figli colpiti da handicap meno seri, ma con una capacità di linguaggio più debole, hanno invece problemi sociali più difficili da risolvere; sembra inoltre che fra loro e il bambino ci sia minor affetto e maggiori frustrazioni. Analogamente, molti studi hanno dimostrato che un fattore importante per determinare se un immigrato o un profugo sarà capace di integrarsi bene nella nuova società, è la capacità e la rapidità con cui questi è in grado di imparare la nuova lingua. E così, anche il livello di accettazione del cane da parte della famiglia può dipendere dalla capacità di noi esseri umani di comprenderne il linguaggio. Interpretare erroneamente uno stato emotivo dell'animale può risultare logorante per la famiglia e, a volte, fatale per il cane. Prendiamo il caso di Finnigan, un bel setter irlandese proveniente dall'allevamento di una signora di nome Melanie. Conoscevo Melanie come un'allevatrice attenta, la cui scrupolosità le aveva permesso di creare una stirpe di cani non solo psicologicamente a posto, ma anche dolci, allegri e tolleranti. Per cui si può immaginare la sua angoscia quando la famiglia che aveva comperato Finnigan le telefonò per lamentarsi dell'eccessiva aggressività del cane. Le dissero che ringhiava sempre e saltava addosso agli ospiti e anche ai suoi simili. Quando questi problemi si erano presentati, la famiglia aveva portato Finnigam da un addestratore, ma anche lui aveva avuto difficoltà a trattare con l'animale e non era riuscito a correggerne l'atteggiamento aggressivo. Alla fine, l'istruttore ne aveva consigliato la soppressione. Per fortuna non era loro intenzione farlo ammazzare, ma comunque, date le circostanze, sentivano di non poterlo più tenere. Melanie offrì loro di rimborsarli e di riprendersi Finnigan. Poi mi chiamò. - Non ho mai avuto a che fare con un cane aggressivo, - mi disse. - Mi domandavo se non volessi venire con me, quando vado a prenderlo, giusto nel caso sorga qualche problema che non sono in grado di affrontare. Non riuscivo a credere che uno dei suoi animali potesse essere aggressivo, ma la preoccupazione che percepii nella voce di Melanie era tale che accettai. Andai con lei a prendere Finnigan. Avevo portato con me tutto il necessario: un paio di guinzagli resistenti, un collare a strozzo, una

museruola, un laccio per bloccare la testa, e persino una grossa e pesante coperta per avvolgerlo, nel caso in cui il cane dovesse essere trattenuto per infilargli uno di quegli arnesi. Portai anche un paio di grossi guanti (che in alcuni casi mi sono serviti per salvarmi le mani dai morsi). Quando arrivò il furgone con Finnigan, mi abbassai per curiosare attraverso le sbarre della gabbia da trasporto. Nessun ringhio, nessun borbottio rabbioso, solo un eccitato guaito. Mi sembrò che la mossa migliore fosse agire con cautela, così aprimmo la gabbia molto lentamente. Balzò fuori un allegro cane rosso, che subito si guardò intorno, nel tentativo di capire dove si trovava. Poi, per ovvia mancanza di familiarità con ciò che lo circondava, aprì la sua grande bocca e mostrò i denti. Scoppiai a ridere; la mia reazione fu involontaria e ho paura di aver sconvolto Melanie. Mi misi a ridere perché capii subito che una persona che non comprende il linguaggio dei cani può interpretare facilmente come un atteggiamento aggressivo lo sfoggio di quarantadue lunghi denti bianchi. Tuttavia, ci sono diversi modi in cui un cane può mostrare i denti, e l'espressione di Finnigan in realtà era un ghigno di sottomissione e pacificazione. La sua espressione non significava "Stai indietro altrimenti ti mordo", ma piuttosto "Va tutto bene. Non sono una minaccia. Ho capito che qui il capo sei tu". Era l'esuberanza a spingere il giovane setter a saltare addosso alle persone e agli altri cani. Era il suo modo di salutarli. Voleva semplicemente arrivare a toccare il naso a quei cani alti a due zampe che noi chiamiamo uomini, e l'unica maniera per raggiungere il naso era saltare. Per essere certo che il suo atteggiamento non venisse scambiato per una minaccia, lo faceva con un ghigno di sottomissione. Più i suoi padroni e l'istruttore cercavano di correggere questa "aggressività", più il cane si sottometteva. E più si sottometteva, più "sorrideva", perché aveva capito che non comprendevano il suo segnale; e più "sorrideva", più denti metteva in mostra. La famiglia di Finnigan non aveva capito ciò che il cane cercava di dire loro; se avessero seguito il consiglio dell'istruttore, avrebbero messo prematuramente a morte questo bravo cane rosso. Adesso Finnigan vive in un'altra famiglia. Melanie mi ha riferito che continua a sorridere e saltare addosso alle persone, ma i suoi nuovi padroni sono stati avvisati del significato di quel comportamento. Hanno bene interpretato il messaggio e sanno che lui li ama. Purtroppo è molto facile tradurre male un segnale, e questo può portare a situazioni serie e negative. Una donna di nome Eleanor venne da me perché aveva un problema. Weedels, un'American cocker spaniel bionda, secondo la sua padrona: “Sta facendo diventare matto mio marito. Si rifiuta di imparare a fare la pipì fuori casa, e continua a farla dentro solo per dispetto. Stephen (il marito) dice che se non troviamo al più presto una soluzione, dovremo sbarazzarcene”. È spesso snervante insegnare a un cucciolo a fare i bisogni fuori casa. Tuttavia di solito in poche settimane si risolve tutto, se si è regolari nel dargli da mangiare e da bere e si fa attenzione ai segnali che l'animale manda quando ha bisogno di uscire. Ma nel caso in questione, Weedels aveva quasi sette mesi, un po' troppo grande per sporcare ancora in casa, per cui chiesi alla signora come avessero istruito il cane. “A Stephen piacciono l'ordine e la pulizia, per cui era importante per noi che Weedels imparasse presto a non sporcare in casa. Ho letto un libro su come allevare i cuccioli: ne ho seguito i consigli, e le ho insegnato a fare i bisogni fuori. Ma occasionalmente avvenivano lo stesso degli "incidenti bagnati". Stephen era convinto che io fossi troppo indulgente, e decise di risolvere il problema. Quando trovava una pozza sul pavimento, trascinava la cagna lì e le strofinava il naso dentro. Poi la sgridava e la metteva fuori casa dopo averle dato un ceffone sul didietro. Una volta, per lavoro, Stephen rimase via per un mese. Durante la sua assenza, Weedels si comportò bene. Ha fatto forse una o due volte la pipì in casa, ma non di più; io pulivo e mandavo la cagna in cortile, senza fare tutta la confusione che faceva mio marito. Nelle ultime due settimane non è successo alcun inconveniente. Poi Stephen è tornato, e tutto è andato a rotoli. Non si può immaginare cosa accadde. Nel momento in cui Stephen ha varcato la soglia, Weedels ha fatto la pipì sul pavimento proprio davanti a lui. Mio marito si è arrabbiato così tanto che ho temuto che le facesse davvero male. Sembrava che la cagna volesse solo fargli dispetto. Ieri abbiamo raggiunto il colmo. Stephen è arrivato nella stanza e Weedels si è messa a pancia all'aria, come per farsi grattare. Mio marito si è abbassato su di lei e il cane gli ha fatto la pipì in faccia! Ecco perché oggi sono qui”. Il mio cuore si rivolse subito alla povera Weedels. I cani per comunicare non usano gli stessi segnali degli esseri umani. In questo caso lei stava mandando un messaggio chiaro nell'unico linguaggio che conosceva. Sfortunatamente, non c'era nessuno intorno in grado di tradurlo, così la sua richiesta di comprensione è stata interpretata male e le ha creato un mucchio di guai. Il suo problema non aveva niente a che vedere con la pulizia. Dalla conversazione con Eleanor ho capito che Weedels aveva già imparato a fare i suoi bisogni fuori casa. Il problema era suo marito. Già da quando Weedels, cucciolo inesperto, faceva la pipì in casa, Stephen l'aveva punita severamente e la cagna lo temeva. Se un cane prova molta paura

sociale, cercherà di mostrarsi il più possibile piccino, insignificante e assolutamente non minaccioso. Appiattirsi sul pavimento o girarsi sul dorso fanno parte di questo schema. Quello che Eleanor pensava fosse un tentativo di urinare in faccia al marito per dispetto, era semplicemente il rilascio di urina di un cane impaurito che si rotola per terra in una posizione di totale sottomissione. L'urina serviva per ricordare al "cane dominante" il comportamento dei cuccioli. Questi, quando sono molto piccoli, hanno bisogno di essere puliti dall'urina e dalle feci, e per farlo le madri spesso li girano sul dorso. Weedels stava facendo del suo meglio per dire: "Tu mi terrorizzi, ma guarda, io non sono una minaccia. Non sono altro che un insignificante cucciolo indifeso". Una volta che questo messaggio fu tradotto a Eleanor, la situazione divenne più chiara. Adesso avrebbe dovuto insegnare a Weedels ad avere più fiducia. Cercare di convincere il marito a essere più gentile e meno minaccioso con il cane sarebbe forse stato un compito più arduo. Molti semplici messaggi canini vengono fraintesi. Una volta, una signora di nome Josephine mi chiese aiuto per un problema con il suo cane. “Bluto mi manifesta troppo affetto, e questo infastidisce me e disturba mio marito. Lui lo ha preso come cane da guardia e non vuole che abbia atteggiamenti di debolezza, neanche nei confronti dei componenti della famiglia” mi spiegò al telefono. Scoprii che Bluto era un grosso rottweiler dal pelo scuro. Lo avevano chiamato come quel grosso, cattivo e brutto personaggio dei fumetti che combatte sempre contro Braccio di Ferro. Il nome, scelto dal marito di Josephine, Vincent, mi diceva già molto su quell'uomo e su ciò che si aspettava dal cane. Vincent era un addestratore dal carattere forte, e spesso usava dei metodi abbastanza severi per imporre la sua volontà su Bluto. Il cane gli obbediva, anche se a volte con apparente riluttanza. Invece, mi raccontava Josephine, a lei non obbediva affatto, ma le mostrava eccessivi e persistenti segnali di affetto. Il giorno in cui andai a casa loro, Vincent era al lavoro e Josephine mi fece accomodare nel soggiorno. Mi sistemai su una sedia e cominciai a osservarla, seduta in un angolo del divano, con Bluto accucciato vicino, sul pavimento. Il cane era un ammasso di muscoli di circa sessanta chili, mentre Josephine aveva una figura esile, non superava i cinquanta chili e non sembrava particolarmente atletica. Mentre parlavamo, Bluto le appoggiò una zampa sulle ginocchia, e lei subito prese a grattargli la testa. Dopo un po' l'animale saltò sul divano e si mise vicino alla sua padrona, che si spostò leggermente per far spazio a quell'immensa mole. Lui rimase sdraiato lì, ogni tanto mi lanciava un'occhiata, ma per lo più fissava negli occhi Josephine, che in risposta gli accarezzava il muso. Passati pochi minuti, Bluto appoggiò tutto il peso del suo corpo contro l'esile donna, e lei si spostò per liberarsi di quella pesante pressione. La reazione dell'animale fu di cambiare posizione in modo da sdraiarsi di nuovo vicino alla padrona, appoggiandosi sempre di più a lei. Ancora una volta lei si spostò e ancora una volta il cane le andò addosso. La scena andò avanti per tutta la durata del nostro colloquio, fino a quando Josephine si trovò sull'orlo opposto del divano. A questo punto, visto che non aveva più dove spostarsi, si alzò e additò il cane. “Ecco cosa intendevo. Cerca sempre la mia attenzione mettendomi la zampa addosso. Mi fissa negli occhi e si appoggia a me per mostrarmi quanto mi ama. Quando Vincent non c'è, non posso nemmeno guardare la televisione senza che mi sbatta giù dal divano. Non voglio ferire i suoi sentimenti, ma dovrebbe capire che è un cane grosso. Queste continue manifestazioni di affetto da parte di un animale così grande mi infastidiscono e mio marito le trova negative. C'è un modo per insegnargli a essere meno dipendente, più sicuro di sè?” Ancora una volta un messaggio mandato da un cane è stato interpretato erroneamente dall'uomo cui era destinato. Bluto, con il suo comportamento, non diceva a Josephine: "Ti amo. Ho bisogno di te. Io dipendo completamente dal tuo affetto", come Josephine e suo marito avevano tradotto. Al contrario, Bluto voleva dire: "Il mio rango sociale è più alto del tuo. Quando il leader del branco Vincenti è via, sono io a prendere il suo posto, tu devi cedere davanti a me e soddisfare le mie necessità". Quei segnali erano facilmente leggibili. Un cane che mette la zampa sul ginocchio di una persona, molto spesso esprime dominanza; allo stesso modo, un lupo mette una zampa o il muso sulla spalla di un altro lupo per dimostrare un rango sociale più elevato. Lo sguardo fisso di Bluto negli occhi di Josephine è un classico atteggiamento di dominanza e di minaccia, atto a produrre una risposta pacifica da parte degli altri membri del branco. E Josephine, accarezzandogli il muso, aveva accetto la sua superiorità, così come il lupo non dominante lecca il muso al dominante. Il cane infine si appoggiava a Josephine proprio per farla spostare. I leader del branco possono occupare ogni parte del territorio a loro piacimento e possono sedersi o dormire ovunque vogliano. I membri di rango inferiore devono spostarsi, e con questo gesto accettano la loro dominanza. In

altre parole, quando "diceva" qualcosa, Bluto sottolineava: "Io sono il capo", mentre quello che "diceva" Josephine era: "Certo, io accetto umilmente la tua autorità". Compreso in pieno il messaggio, è facile trovare la soluzione al problema. Alla fine, Josephine dovette prendere lezioni per imparare a dare ordini al cane, mentre Bluto dovette imparare a obbedire ai comandi della padrona. Poiché la donna non era in grado di dominarlo fisicamente, dovette usare le ricompense per indurlo a obbedirle. Divenne anche responsabile dell'alimentazione dell'animale, e lo obbligò a rispondere a semplici comandi come "Seduto" o "Fermo" prima di permettergli di iniziare a mangiare. In natura, è il leader del branco a mangiare per primo e a gestire la caccia e la distribuzione del cibo. Controllando il cibo, decidendo cioè quando dargli da mangiare e le ricompense, e costringendo Bluto a obbedire ai suoi comandi, Josephine comunica con lui e gli dice che "questi due cani a due zampe sono di un rango più elevato del tuo, anche se io non sono così grande e forte come te". Se siamo in grado di interpretare il linguaggio dei cani e accettiamo di parlarlo, allora senza alcun dubbio noi umani possiamo comunicare con loro. Un caso interessante su ciò che ho appena affermato mi è stato descritto dal dottor Michael Fox, uno tra i migliori ricercatori nel campo del comportamento del cane domestico e dei canidi selvatici. A quel tempo era membro di facoltà al Dipartimento di Psicologia dell'Università di Washington, a St. Louis. Stava compiendo alcuni lavori straordinari comparando i modelli di comportamento di vari canidi selvatici, come la volpe, il lupo e il coyote, con quelli del cane domestico. È stato il suo lavoro che alla fine ha convinto gli scienziati dell'esistenza di un denominatore comune nel comportamento di tutti i canidi. Presa per vera questa affermazione, ci è dunque possibile imparare a conoscere il nostro cucciolo studiando il comportamento dei lupi in natura, così come possiamo conoscere i lupi studiando il piccolo spaniel accovacciato ai nostri piedi. Adesso è un concetto ormai accettato, ma a quel tempo era argomento controverso. Incontrai il dottor Fox al termine di una sua conferenza. Quando mi presentai, accennai al fatto di aver visto in televisione il documentario per il quale aveva lavorato, intitolato L'uomo lupo. Fu lusingato dalla mia affermazione, e portò la discussione in una direzione inaspettata. “Ah, sì. È stato grazie a quel progetto che ho capito come comunicare con i lupi quel tanto che basta per salvarmi da un eventuale pericolo, ma che non ne sapevo a sufficienza su ciò che i lupi dicono per evitare situazioni difficili”. La sua voce dal dolce accento inglese aveva un'intonazione vagamente divertita. “Devi sapere che durante quella ricerca abbiamo raggruppato lupi che non si conoscevano tra loro per vedere come socializzano, e speravamo di riuscire a filmarne il comportamento. Credevo che fosse un'opportunità per ottenere buoni filmati sui modelli di accoglienza reciproca e su come vengono risolte le questioni di dominanza. Il maschio più anziano e la sua femmina (entrambi di circa quattro anni) si mantenevano al limite dell'area di ricerca, staccati dal resto del gruppo. Ci accorgemmo che la femmina era in calore e continuava a richiamare l'attenzione del maschio con modi remissivi. C'erano lupi estranei che si aggiravano nel suo territorio, e la femmina era in calore; la situazione innervosiva molto il maschio dominante. Eravamo acquattati dietro alcuni cespugli, nel momento in cui la coppia si allontanò dagli altri lupi per venire verso il boschetto dove noi stavamo nascosti. Quando oltrepassarono il nostro nascondiglio, pensai di poter fare qualche bella ripresa, così corsi loro dietro. All'improvviso i due lupi invertirono la direzione e mi colsero nell'atto di fotografarli. Insomma, mi hanno beccato mentre li rincorrevo fissandoli direttamente negli occhi. Il più delle volte agire in questa maniera (correre verso l'animale e guardarlo fisso negli occhi) è un segnale di minaccia, per cui mi bloccai subito. Credevo che fosse sufficiente a evitare qualsiasi problema. Ma ho paura di aver continuato a fissarli, e il mio atteggiamento è stato interpretato come una sfida a occhi spalancati. Non ci furono ulteriori parole fra noi: il maschio, semplicemente, mi attaccò. Avevo la telecamera legata a entrambi i polsi, e in quelle condizioni non potevo fare molto, così alzai in alto le mani e mi misi a gridare per attirare l'attenzione dell'addestratore. (A posteriori, posso dire con certezza che quella fu la mossa più sbagliata, perché alzare le braccia poteva apparire un tentativo di dominanza. I lupi, infatti, hanno interpretato la mia azione come un modo per sembrare più grande. Anche le mie grida sono sicuramente state scambiate per un ringhio o un abbaio). Intanto che succedeva tutto questo, il maschio mi morsicava le mani, le braccia e la schiena; la femmina si unì alla lotta attaccandomi alle gambe. Fu a quel punto che ebbi la presenza di spirito di ricordarmi come fare per avvisarli che quell'attacco non era necessario. Mi bloccai, immobile, e mi accucciai per farmi piccolo, emettendo nel contempo dei piagnucolii e degli uggiolii, simili a quelli di un remissivo cucciolo di lupo. I due lupi in effetti interruppero subito l'attacco, ma il maschio mise il muso davanti al mio viso, fissandomi negli occhi e grugnendo. Io risposi distogliendo lo sguardo ed evitando ogni ulteriore contatto visivo, e intanto continuavo a piagnucolare. Quando mi sembrò che si fossero tranquillizzati, tentai di indietreggiare per allontanarmi di qualche passo, ma di nuovo il mio gesto li spronò ad attaccarmi. Questa volta, però, l'attacco era costituito solo da minacce, e non da veri e propri morsi;

significava che la parte più importante del mio messaggio era stata recepita. In quel momento arrivò l'addestratore, afferrò il maschio e lo trascinò via. La femmina invece restò ancora ferma a fissarmi, come aspettasse la mia prossima mossa. Rimasi lì, con gli occhi chiusi, guaendo in atto di sottomissione, fino a quando le venne infilato un collare e fu allontanata. Per fortuna indossavo un abbigliamento pesante, così sono riuscito in buona parte a proteggermi dai denti dei lupi. Tuttavia, la forte pressione della bocca sulla mia carne e gli strattoni che davano mentre mordevano, mi hanno procurato molte ferite e parecchio dolore, danneggiando anche alcuni muscoli e tendini”. Fox rise e sorseggiò il suo drink. “Uno dei presenti fotografò l'intero incidente. In una foto è possibile ammirare un perfetto esempio di smorfia di paura; il lato negativo è che non è un lupo impaurito ad avere quella smorfia, ma un uomo, uno psicologo.”In questo caso, un uomo saggio che conosce molto bene i lupi ha dato inavvertitamente una serie sbagliata di segnali a un canide, causando di conseguenza un attacco. Fortunatamente per lui, conosceva a sufficienza il linguaggio canino da riuscire a far capire agli animali che era tutto un equivoco, e che non era sua intenzione continuare a sfidarli o minacciarli. È facile supporre che questo lo abbia salvato da danni assai più gravi. Sotto molti aspetti, la nostra capacità di vivere bene e felicemente con un cane può dipendere dall'abilità nell'interpretare il suo linguaggio. Se una persona sa parlare il "cagnesco", può decifrare ciò che l'animale vuole dire e in più può inviargli segnali non ambigui, che il cane è in grado di tradurre. Contrariamente al linguaggio umano, che deve essere imparato, quello canino è per la gran parte codificato nei geni. Inoltre il cane è capace di capire molti aspetti del nostro linguaggio, e questo gli rende più facile la comunicazione con gli uomini. Tuttavia, prima di vedere come si parla con il nostro compagno canino, è utile imparare qualcosa sul linguaggio stesso.

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2. Evoluzione e linguaggio animale Prima di parlare di traduzione del linguaggio canino dovremmo innanzitutto rispondere a una basilare domanda critica: gli animali non umani hanno un loro linguaggio? Sebbene parecchi scienziati affermino che gli animali possono comunicare fra loro sembra che il problema si nasconda dietro la definizione che diamo della parola linguaggio. Molti ricercatori, in particolare i glottologi, sono concordi nell asserire che parte del sistema di comunicazione animale è costituita da suoni; tuttavia sostengono anche che essi non possiedono gli elementi di base del linguaggio ovvero le parole. Sulla scorta della loro analisi gli animali non possono dare un nome agli oggetti come palla o albero o esprimere nozioni astratte come amore o verità. Secondo la teoria di un famoso glottologo dell’Istituto Tecnologico del Massachusetts Noam Chomsky soltanto gli esseri umani sono in grado di apprendere i linguaggi perché solo loro hanno le strutture cerebrali necessarie. Gli umani sono capaci di imparare i vocaboli con impressionante velocità. Fra i due e i diciassette mesi il bambino medio accresce il suo vocabolario al ritmo di una parola ogni novanta minuti. Nello stesso tempo acquisisce la sintassi e anche una grammatica complessa. Quello che è più stupefacente è che incamera tutto ciò senza istruzione e scolarizzazione. Per Chomsky questo straordinario risultato può essere spiegato solo se si presume che nel cervello umano ci sia una struttura necessaria all’elaborazione del linguaggio; un organo speciale che non contiene una lingua specifica ma piuttosto il programma per impararle tutte. Al suo interno ha anche le strutture di base di quella che noi chiamiamo grammatica universale. Perciò i bambini riescono a imparare la lingua così rapidamente: in realtà sanno già come sono strutturate le lingue perché i loro geni hanno fornito l’informazione sulle costruzioni accettabili o inaccettabili del linguaggio. Le mie obiezioni alla teoria di Chomsky, e cioè che il linguaggio è un'abilità esclusivamente umana, nascono da considerazioni di tipo evolutivo. È evidente che per la sopravvivenza della specie il linguaggio è un vantaggio enorme. Attraverso la parola possiamo trasmettere o ricevere notizie vitali sullo stato del mondo e sulle condizioni ambientali locali. Possiamo passarci informazioni sugli eventi del passato e persino previsioni sul futuro. È molto più facile riuscire a sopravvivere se si ha la possibilità di scambiarsi indicazioni essenziali: dove trovare cibo e acqua, il luogo in cui è stato visto l'ultima volta un leone in agguato, oppure essere avvisati dell'approssimarsi di un incendio nella foresta. Il linguaggio serve anche per coordinare le interazioni sociali con i membri del gruppo - sapere se qualcuno sta organizzando una battuta di caccia, prendersi cura dei bambini, stabilire contatti sociali con potenziali compagni - o per risolvere questioni con altri individui o con un altro raggruppamento, in modo da evitare uno scontro. Le specie animali che possiedono un linguaggio hanno quindi a disposizione uno strumento potente che permette loro di essere vincitori in un mondo ostile. Ogniqualvolta in un animale si verifica un adattamento evolutivo o un cambiamento, questo è quasi sempre preceduto da una versione più elementare. Basti pensare a quel meraviglioso strumento meccanico che ha dato all'essere umano la capacità di creare il mondo tecnologico in cui viviamo: il pollice. Il nostro è un pollice opponibile, possiamo cioè toccarlo con la punta di ogni altro dito. Ci è così permesso di maneggiare con destrezza piccoli oggetti e di creare e usare arnesi. In principio nelle scimmie questo dito speciale era mozzo, non effettivamente opponibile alle altre dita. Tuttavia, quando molti primati si evolsero in scimmie antropomorfe, il pollice diventò più lungo e, in una certa misura, in alcuni altri primati può opporsi a una o anche due dita. Dunque il pollice umano è la prova di evoluzione da forme più elementari. Allo stesso modo, la spettacolare abilità di volare degli uccelli è stata preceduta da versioni meno complesse. In periodi antecedenti, esistevano animali (ad esempio i pterodattili) che potevano librarsi nel cielo. Ma il loro non era un vero volo, piuttosto una sorta di galleggiamento nell'aria, di cui avevano un controllo limitato. L'abilità di volare degli uccelli non è altro che una complessa e avanzata evoluzione della più elementare capacità di voltleggiare o planare. La rivoluzione è avvenuta quando sono riusciti a spiccare il volo da qualsiasi superficie e a spingersi, a piacimento, a differenti altitudini. Queste abilità, importanti e utili, dimostrano l'esistenza di una forma di cambiamento continuo attraverso le ere evolutive. Ciò che offrono Chomsky e tutti coloro che negano la capacità di linguaggio degli animali non umani, è la teoria che i biologi chiamano del mostro che promette bene. È un incidente straordinario nel quale una mutazione anomala, che avviene solo per caso, crea un animale molto meglio equipaggiato: l’”intervento divino" visto dai teorici evolutivi.

Ma è una spiegazione che non mi soddisfa. L'evoluzione è più simile a una grande autostrada percorsa dalle specie. I cambi di direzione sono molto graduali, poiché una curva stretta farebbe uscire di strada, portandoli all'estinzione, i veicoli (le specie in evoluzione) che la imboccano a velocità elevata. A livello biologico, il concetto di autostrada si concretizza in forma di continui e lenti cambiamenti, con molte affinità fra varie specie animali, soprattutto genetiche. Potrebbe apparire sorprendente, perfino inquietante per qualcuno, sapere che recenti scoperte della moderna biochimica rivelano che gli esseri umani non sono geneticamente unici come abbiamo creduto per molto tempo. Le analisi del DNA dimostrano che sul piano molecolare e genetico gli uomini e gli scimpanzé sono identici al 98%. La somiglianza è tale che alcuni scienziati hanno affermato che è possibile effettuare degli incroci e creare così una specie ibrida. L'etica e la morale impediranno esperimenti genetici di questo tipo, ma il fatto che siano comunque possibili dimostra le forti analogie fra esseri umani e primali. Anche animali apparentemente distanti dall'uomo, come i nostri cani, ci assomigliano abbastanza. Siamo entrambi mammiferi, e la sequenza del DNA è uguale per il 90%. Se geneticamente siamo così vicini agli animali non umani, sembra improbabile che l'evoluzione abbia compiuto, dal punto di vista qualitativo e quantitativo, un salto tanto repentino nelle capacità linguistiche. La conclusione più logica è che l'evoluzione si stava dirigendo verso lo sviluppo del linguaggio umano, e se osserviamo con attenzione, scopriremo una continua serie di stadi che hanno portato alla nostra forma di espressione. Questa primitiva capacità di linguaggio non apparirà completa, ma i primi segni dovrebbero comparire nei modelli di comunicazione di altri animali, come i cani. Per logica ci si aspetta che il linguaggio canino sia molto più elementare di quello umano, ma la stessa logica ci suggerisce che esso deve per forza esistere. Se è così, se è possibile che altri animali possiedano una forma di linguaggio, anche più elementare, allora perché ricercatori come Chomsky affermano che la specie umana è tanto speciale per quanto riguarda le capacità linguistiche? In realtà, essi tengono viva una lunga tradizione che ebbe inizio con i filosofi e i primi naturalisti i quali sostenevano che gli esseri umani sono unici e appartengono a una classe a sé stante. Un modo di ragionare che ha a che fare con il nostro ego. Ci sentiamo orgogliosi di aver ricevuto un così grande dono, di avere la natura ai nostri piedi, e forse crediamo addirittura di essere stati designati da Dio per qualcosa di speciale. È ovvio che gli esseri umani sono per molti aspetti diversi dalle altre specie. Per fare qualche esempio, sono gli unici animali ad avere mammelle larghe e pendule, a indossare vestiti, a farsi dei fori in determinate parti del corpo (come le orecchie) e a inserirvi ornamenti, o a cucinare i loro cibi. Ma non è di queste lievi differenze che andiamo orgogliosi; piuttosto, è nel regno della mente come nella capacità di ragionare, nell'etica o nel linguaggio, che ci piace asserire la nostra unicità e la nostra superiorità Riguardo a questo argomento, la versione più conosciuta è probabilmente quella di René Descartes, il quale affermò che solo gli esseri umani possiedono la coscienza, una vera intelligenza e qualsiasi altra forma di abilità superiore. Gli animali non umani sono semplicemente macchine pelose, molto ben costruite, che reagiscono agli stimoli del mondo pressoché nella stessa maniera in cui risponde un'apparecchiatura quando si preme il pulsante per metterla in funzione. La Chiesa appoggiò le conclusioni di Descartes poiché, se gli animali avessero avuto facoltà di pensiero, avrebbero dunque dovuto possedere anche un'anima. Se avessero posseduto un'anima, sarebbe sorto un problema etico sul loro trattamento che la Chiesa non voleva affrontare: sarebbe stato giusto ucciderli per mangiarli, negare loro la libertà o costringerli a servirci? Secondo Descartes, per accertare se un animale abbia capacità di pensiero o possieda una coscienza basta verificare la sua abilità linguistica, in particolare quella di produrre un linguaggio parlato come il nostro.

Tuttavia, l'idea che l'uomo fosse speciale non era universalmente accettata. Il filosofo greco Aristotele, il teologo Tommaso d'Aquino e il biologo evoluzionista Charles Darwin arrivarono alla conclusione che gli esseri umani differiscono dagli altri animali solo quantitativamente (nel grado in cui le loro capacità mentali si esprimono), e non qualitativamente (nella reale natura di tali processi mentali). Ciò permetterebbe, ad esempio, alle specie meno complesse di avere un linguaggio non così articolato quanto quello umano. Decidere se gli animali hanno o meno un linguaggio dipende da cosa si intende con questo concetto. Se intendiamo qualsiasi sistema di comunicazione o di segnali, allora a ogni animale che vive su questo pianeta verrebbe probabilmente attribuita la capacità di linguaggio. I grilli e le cavallette comunicano la loro posizione ai compagni con suoni prodotti sfregando insieme le estremità delle zampe posteriori; le lucciole inviano un messaggio simile emettendo lampi di luce. Dovremmo allora asserire che gli insetti hanno un linguaggio?

L'etologo Karl von Frisch la pensava così, e vinse il premio Nobel proprio per il suo lavoro sulla traduzione di quello che lui chiamava "il linguaggio delle api". Le api hanno sviluppato uno straordinario metodo di comunicazione che usano per la salvaguardia dell'alveare. Speciali

esploratrici vanno alla ricerca di cibo e, se trovano nettare o polline, ritornano all'alveare e avvisano le altre api attraverso una "danza" particolare. Volano in cerchio sul muro o sul pavimento dell'arnia formando un disegno a "8", agitando l'addome in una sorta di balletto. A seconda del tipo di movimento, della velocità con cui lo eseguono, dell'orientamento e della dimensione del disegno, informano le compagne sulla qualità del cibo e indicano la direzione da prendere per trovarlo. Inoltre, con il loro movimento segnalano anche la distanza tra l'alveare e la fonte di alimentazione, che può essere lontana parecchi chilometri. Nelle colonie di api esiste perfino la figura della "ricercatrice di case", che sembra non essere interessata alle informazioni sul cibo. Questa esploratrice pulisce l'area in cui sorgerà il nuovo alveare. Se in una colonia ci sono due regine, inevitabilmente una deve essere mandata via. La regina spodestata raduna una banda di fedeli seguaci, con cui fonda una nuova comunità nel posto indicato dall'esploratrice. Il linguaggio dell'esploratrice è talmente preciso e accurato che alcuni ricercatori intenti a osservare un'arnia sono stati in grado di decifrare il messaggio mandato dall'ape, riuscendo a trovare il luogo dove sarebbe sorta la nuova colonia prima che le stesse api vi arrivassero. Sebbene sia un comportamento sorprendente, e molti studiosi siano d'accordo nell'affermare che le api hanno una complessa tecnica di comunicazione, la maggior parte degli scienziati vi si riferisce come a un "sistema di segnalazioni" più che a un vero e proprio linguaggio. Sostengono che il comportamento è poco versatile nel contenuto e che il sistema ha una struttura troppo semplice perché si possa parlare di linguaggio. Sembra che le api non "dicano" altro che: "Dov'è il cibo?" e "Dove costruiamo la nuova casa?". Pare che nessuna abbia mai detto: "Oggi sono felice", "Mi piaci", "Questo lavoro lo trovo noioso", oppure: "Mi piacerebbe diventare regina, un giorno o l'altro". È difficile capire quale sia il requisito minimo perché si possa parlare veramente di linguaggio; più avanti ci occuperemo della questione. Tuttavia alcuni aspetti del linguaggio umano potrebbero non essere richiesti in tutti gli altri. Per esempio, molte persone tendono a confondere il linguaggio con la parola. Per noi uomini, ovviamente, parlare è il modo più comune per esprimere idee. In termini di evoluzione, le voci sono uno stadio di sviluppo più recente. Per produrre le parole è necessaria una cassa di risonanza, tecnicamente chiamata laringe. Se si appoggia un dito sulla gola e si parla o si emettono dei borbottii, è possibile sentire le vibrazioni generate quando l'aria passa attraverso la laringe dando origine ai suoni. La laringe si presenta negli animali terrestri più grandi - fra cui i mammiferi e alcuni rettili e anfibi - come parte della trachea, che serve per portare aria ai polmoni. E anche se una serata estiva in campagna può essere piena di rumori di insetti, nessun insetto ha la laringe, né alcun altro invertebrato (ogni animale, cioè, privo di colonna vertebrale). Neanche i pesci la possiedono, visto che respirano utilizzando le branchie, al posto dei polmoni, per ricavare ossigeno dall'acqua. Per riuscire a capire perché gli esseri umani hanno una capacità così speciale di parlare, dobbiamo spendere un paio di paragrafi su qualche cenno di fisiologia. La laringe ha alcuni segmenti di cartilagine solida ed elastica tenuti insieme da muscoli e legamenti; si colloca fra la gola (faringe) sopra, e la trachea sotto. Siccome la bocca può essere usata sia per mandare giù il cibo sia per respirare, è necessario uno speciale apparato per separare le due funzioni. Questo apparato è l'epiglottide, molto simile al coperchio di una scatola che oscilla sull'apertura fra la gola e la laringe. Quando un animale inghiotte la laringe si solleva e preme contro l'epiglottide e la radice della lingua, chiudendo la trachea, in modo che il cibo possa dirigersi verso lo stomaco senza causare un soffocamento andando invece nelle vie aeree. Il suono della voce viene prodotto quando l'aria interagisce con le corde vocali. Queste sono due sottili lamine, o pieghe, di membrana che attraversano la parte superiore della laringe, e si intersecano a forma di V. La tensione delle corde vocali viene controllata dai muscoli. Quando si respira normalmente, i muscoli vocali sono allentati,

permettendo all'aria di entrare e uscire in silenzio da un'ampia fenditura. Se i muscoli sono più tesi, le corde vocali cominciano a vibrare. Più i muscoli si tendono per contrarre le corde, più alto è il tono del suono prodotto. Tutto questo è simile a quanto accade a un pallone: se viene gonfiato e poi, dall'apertura, si libera la pressione, l'aria fuoriesce silenziosamente. Se invece si tende leggermente la gomma che chiude l'apertura, si crea una piccola fessura, e l'aria che da essa uscirà produrrà un suono che, variando la tensione della gomma, cambierà di tono. Nello stesso modo i movimenti della lingua e delle labbra modificheranno la natura dei suoni, li modelleranno, li renderanno morbidi o gravi. La ragione per cui è importante sapere come funziona la laringe è che uomini e cani sono strutturati in modo diverso. I cani hanno una capacità limitata di emettere suoni in confronto agli umani; in più, in essi vi è solo una sottile lamina nelle vie aeree superiori che, come accade in noi, va dalla bocca alla trachea. Negli uomini, che sono eretti, la lamina, attraversando a novanta gradi la laringe, forma con ulteriori accessori anatomici due casse di risonanza per modulare i suoni, mentre i cani ne possiedono una. Inoltre, gli uomini hanno lo spazio per una lingua più larga e tonda, mentre i cani l'hanno corta e piatta. Questi animali, molto semplicemente, non possiedono l'apparato vocale e il controllo per emettere volontariamente e selettivamente i molti diversi suoni necessari per parlare, come ad esempio la "a' "i" o la "u". Un'altra differenza fra i cani e l'uomo è che i primi hanno adattato le vie aeree per riuscire più facilmente a correre e ad annusare nello stesso momento, come il cane da caccia, che insegue le sue prede fiutandone l'odore. Per riuscirci bisogna che l'epiglottide sia in posizione di chiusura per la maggior parte del tempo. In questo modo, inoltre, i canidi sono in grado di abbaiare, guaire, o ululare mentre si muovono. Invece negli uomini la cartilagine a forma di coperchio rimane quasi sempre aperta mentre parlano. Non lasciate che il vostro cane sviluppi un complesso d'inferiorità solo perché ha una capacità limitata di emettere suoni. Secondo una scoperta evolutiva moderna, pare che difficoltà simili siano state provate da alcuni dei nostri recenti antenati, come l'uomo di Neandertal. Ci sono segni evidenti che indicano che con molta probabilità questi non poteva parlare, o aveva solo limitate facoltà di parola. Un tessuto soffice come quello della laringe non può conservarsi bene, per cui non ci sono apparati vocali fossilizzati di umanoidi primitivi. Tuttavia, lo psicologo Phillip Lieberman ha dimostrato che se si tenta di inserire un moderno apparato vocale nello scheletro di un neandertaliano, non ci si riesce1 (Lieberman, P. 1984; The biology and evolution of the language, Harvard University Press, Cambridge). La laringe attuale, se infilata nel torace delI'uomo di Neandertal, si colloca in una posizione strana, diversa da come si trova nel nostro; è ovvio che la collocazione è quindi impossibile. Per cui si è giunti alla conclusione che al neandertaliano probabilmente mancava l'apparato necessario per emettere quei suoni complessi che gli sarebbero serviti per parlare. Vi è un altro aspetto dell'evoluzione umana che ci dà un vantaggio sui cani in termini di produzione della parola. Noi camminiamo eretti, le nostre mani sono libere di maneggiare oggetti, per cui possiamo andare a caccia e proteggerci usando armi che teniamo in mano. Significa che per svolgere queste attività non abbiamo bisogno di avere una bocca forte e piena di denti. Possediamo nasi e bocche più piccole, e le nostre labbra hanno più elasticità per modellare i suoni. Anche il nostro viso, più duttile, ci fornisce il giusto apparato per generare una serie di emissioni vocali chiare che il cane non può produrre. Considerazioni evoluzionistiche come queste hanno portato a una teoria speculativa straordinaria: forse sono proprio i cani i responsabili dello sviluppo del linguaggio parlato umano. Per convalidare l'ipotesi, bisogna innanzitutto sapere che esistono delle moderne prove, basate sull analisi del DNA, che indicano che forse i cani sono stati addomesticati dall'uomo molto prima di quanto gli scienziati ritenessero in precedenza. È possibile che il cane sia stato addomesticato centomila anni fa.

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Lieberman, P. 1984. The Biology and Evolution of Language. Harvard University Press

Datare l'origine del cane domestico così indietro nel tempo ha dato vita a una nuova corrente di pensiero su come cane e uomini si sono coevoluti. È ormai provato che gli uomini primitivi che sopravvissero e divennero i nostri antenati, crearono un'associazione con il cane. Paragoniamo il nostro successo con quello dell'uomo di Neandertal, che non ha avuto legami con il cane, e alla fine si è estinto. Alcuni teorici evoluzionisti hanno affermato che la sopravvivenza dei nostri antenati è da mettere in relazione al fatto che il rapporto con i cani ci ha permesso di diventare più efficienti nella caccia di quanto non lo fossero i neandertaliani (Allman, J. M. 1999, Evolving brains, Freeman, New York). Con il sistema sensoriale del cane, più acuto del nostro, scovare la selvaggina era più facile. L'eccezionale odorato di questo animale, insieme con l'apparato respiratorio che gli permette di continuare a seguire la pista, anche correndo, lo rende un abile battitore. È ovvio che in una società basata sulla caccia, scovare la selvaggina è uno dei compiti più importanti. Ecco l'origine dell'ipotesi. I teorici sostengono che, siccome gli uomini primitivi usavano il cane come battitore, non ebbero più bisogno della struttura facciale adatta ad avvertire anche i minimi odori, e ciò permise quindi ai nostri antenati di sviluppare caratteristiche facciali più duttili, in grado di modellare suoni complessi. In altre parole, l'associazione preistorica con il cane, che fiutava gli odori al posto nostro, ci diede le capacità per creare le parole. Il rivale uomo di Neandertal, invece, non ha mai raggiunto un accordo con il cane. Perciò le sue caratteristiche facciali sono rimaste invariate, meno duttili, perché aveva la necessità di un olfatto migliore. Una minore duttilità facciale vuole anche dire un più limitato controllo della parte vocale, che ha reso la capacità di parlare più ardua. Una volta potenziate le facoltà di modellare i suoni, I'uomo primitivo è stato in grado di sviluppare anche il linguaggio parlato. Provate a pensarci: se questa teoria è corretta, allora è veramente possibile che la parola umana si sia evoluta proprio grazie al nostro rapporto con i cani. Sebbene i cani non possano parlare, non significa necessariamente che non abbiano un linguaggio. Sappiamo che i non udenti usano i segni invece dei suoni. Analogamente - anche se l'evoluzione ha negato al cane l'elasticità facciale, la laringe e la possibilità del controllo volontario necessario per creare i suoni della parola umana - è comunque possibile che i cani usino altri mezzi per comunicare. Forse queste diverse forme di comunicazione canina possono avere la ricchezza e la complessità necessarie per creare un linguaggio.

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3. Il cane sta ascoltando C'è una cosa che la gente tende a dimenticare quando si parla di linguaggio. La capacità linguistica implica due importanti componenti. La prima è la comprensione del linguaggio, ed è il requisito fondamentale. La seconda, più complessa, è la produzione del linguaggio. È infatti possibile comprendere una lingua ma non produrla. È il caso, per esempio, di persone che nascono mute o lo diventano in seguito a un incidente o a una malattia. Questi individui capiscono ciò che viene detto, ma non possono articolare i suoni che compongono la lingua. Tale caratteristica viene chiamata abilità ricettiva del linguaggio, mentre l'abilità produttiva ne implica anche l'elaborazione, necessaria per il dialogo con gli altri individui. I primi stadi del linguaggio umano si riferiscono allo sviluppo della sua ricezione. All'età di tredici mesi un bambino è in grado di comprendere all'incirca cento parole; tuttavia, la sua abilità produttiva è quasi inesistente. A tredici mesi, la maggior parte dei bambini emette solo uno o due suoni vocali che abbiano un reale significato, mentre i bimbi più dotati articolano cinque o sei "parole". È evidente che i piccoli sviluppano la capacità di comprendere una lingua prima ancora di parlarla. Il fatto che il linguaggio ricettivo si apprenda più facilmente di quello produttivo fu riconosciuto dalla NASA, l'agenzia spaziale americana, in occasione della prima missione spaziale internazionale. Il compito degli astronauti americani e russi era di lavorare insieme nello spazio, ciascuno parlando la lingua nativa. Gli americani quindi parlavano solo inglese mentre i sovietici solo il russo. Ogni astronauta doveva essere in grado di comprendere, ma non di produrre, l'altra lingua. Questo modo di agire rese la comunicazione più facile e precisa, perché l'abilità ricettiva del linguaggio può raggiungere alti livelli di efficienza in un tempo molto breve. Ho potuto verificare anch'io questo schema attraverso la mia esperienza con le lingue. Capisco l'inglese, il russo, il tedesco, lo spagnolo, il francese e l'italiano a un livello tale da poter vedere un film in queste lingue senza l'aiuto di sottotitoli, o da seguire una conversazione senza difficoltà. Al contrario, credo di parlare l'inglese fluentemente, lo spagnolo abbastanza bene, il tedesco a un livello inferiore, il francese in maniera appena comprensibile; se parlo russo o italiano, invece, sembro un bambino di due o tre anni quanto a scioltezza linguistica. Come succede a un bambino, il mio linguaggio ricettivo molte volte è migliore di quello produttivo. I cani hanno certamente la capacità di discriminazione dei suoni utile a sviluppare un linguaggio ricettivo. possono cogliere anche sottili sfumature nella pronuncia delle parole umane. Un esempio viene fornito dall'etologo Victor Sarris. Aveva una vera passione per il suono del suo stesso nome, per cui si divertì a chiamare i suoi cani con nomi che facessero rima con Sarris: Paris, Harris e Ariss. Si potrebbe pensare che una pronuncia così simile avrebbe creato confusione, invece no. Ogni cane rispondeva al proprio nome con esattezza, e nessuno dei tre sembrava portar rancore al padrone per la sua strana abitudine. Non si deve sottovalutare l'abilità del linguaggio ricettivo dei cani. Il fatto che non siano capaci di produrre suoni umani per comunicare con noi, non significa che non ci comprendano. Quando un cane reagisce in maniera appropriata alle parole pronunciate, dimostra la sua abilità nell'interpretarlo. Può obbedire a un comando verbale, oppure comportarsi di conseguenza in risposta a un nostro messaggio parlato. Ogni persona che abbia vissuto con un cane sa che esso impara velocemente a reagire a un certo numero di parole. Per farvi un esempio, vi fornisco un elenco di termini - una sorta di minidizionario - che uso con in miei cani, tali da dimostrare l'abilità ricettiva di questi animali. Molte delle parole e delle frasi che imparano fanno parte del mio linguaggio personale e riflettono il modo in cui interagisco con essi. Non tutti e tre i miei cani capiscono ogni parola; il grado di percezione dipende dall'età e dal livello di addestramento. In questa lista parziale sono inseriti solo termini che uso quando voglio ottenere una reazione, mentre non ve ne sono elencate altre che i cani magari comprendono ma che non richiedono una risposta. Insieme a ogni termine fornisco anche la descrizione del comportamento che ne dimostra la comprensione. Abbracciami: È un comando proprio stupido, ma mi piace molto. Lo uso perché i miei cani mi appoggino le zampe sulle cosce per permettermi di coccolarli senza piegarmi. Al piede: Il tradizionale comando che viene dato per far camminare il cane al passo sul lato sinistro. Andiamo: È la forma meno perentoria di "Al piede"; al cane richiedo solamente di starmi abbastanza vicino quando passeggiamo. Può rimanere a breve distanza, davanti o dietro, e non è necessario che si metta seduto quando mi fermo. Apri la bocca: Uso questa frase quando voglio pulire i denti al cane.

Aspetta: Un comando molto meno impegnativo di "Resta". L'animale deve temporaneamente interrompere ogni attività, rimanere in posizione e intanto continuare a guardarmi in attesa di ulteriori istruzioni. Bravo cane: Un elogio che di solito provoca un soddisfatto scodinzolio. Nella mia collezione di cani maschi, il complimento è intercambiabile con "Bravo ragazzo". Calma: Se siamo a passeggio e il cane comincia a dare strattoni al guinzaglio perché vuole andare più velocemente, quest'ordine lo costringe a rallentare. Cane cattivo: È un'espressione di disapprovazione. Il cane riconosce la rabbia implicita nella voce e reagisce accucciandosi in atto di sottomissione oppure, a volte, lasciando la stanza. Cerca: Questo comando fa parte del normale addestramento. Si mostra al cane un oggetto indossato precedentemente da qualcuno e che ne porta l'odore. L'animale deve seguire le tracce e trovare la persona. Chi vuole andare a fare una passeggiata?: I cani si mettono davanti alla porta d'ingresso e aspettano. Chi vuole fare un giro in auto?: Quando sono nel giardino di casa, a questa domanda i cani corrono vicino al furgone e aspettano di salirvi. Chi vuole qualcosa da mangiare?: Frase intercambiabile con "Chiamata per il cibo"; i cani corrono in cucina, si piazzano davanti alla ciotola e aspettano di mangiare Chi vuole un biscotto?: Tutti i cani che sono a portata d'orecchio, a questa domanda corrono immediatamente in cucina per ricevere un biscotto. Cuccia: In risposta, il cane va verso la sua cuccia. Da me: È un comando multiuso che utilizzo durante le varie attività quotidiane, quando voglio che il cane, che sta scorrazzando liberamente, torni vicino a me e si metta alla mia sinistra. Dammi: Uso questo comando quando voglio togliere qualcosa dalla bocca del cane. L'animale la apre leggermente, così posso levargli con più facilità l'oggetto che tiene fra i denti. Dammi la zampa: Il cane alza la zampa e la avvicina alla mia mano. Quest'ordine mi è comodo per tagliargli le unghie o pulirgli una zampa. Dammi un bacio: Il cane mi lecca la faccia. Davanti a me: La versione più complessa del meno impegnativo comando di richiamo "Vieni". Quando dico al cane: "Vieni", gli ordino semplicemente di venire da me. Se dico: "Davanti a me", invece, si presuppone che venga e si metta seduto dritto di fronte a me finché non gli dico cosa deve fare. Dentro: A questo comando, il cane entra in un cancello o attraversa una porta aperta, nella direzione indicata dalla mia mano. Dietro: Uso questa parola solo in auto. Il cane salta dal sedile anteriore a quello posteriore. Dov'è la palla?: Una della tante frasi che significano "Cerca l'oggetto". Se l'oggetto in questione è accessibile e abbastanza piccolo da essere preso, di solito il cane lo afferra e me lo porta; altrimenti gli si mette davanti e comincia ad abbaiare. È ora di lavarsi gli occhi: Il cane appoggia la testa sulla mia mano sinistra, in modo che possa pulirgli gli occhi. È ora dell'asciugamano: Quando sentono questa frase, i miei cani si mettono al centro della stanza (di solito la cucinai e aspettano di essere asciugati dopo essere stati a passeggio sotto la pioggia. Fermo: Questa parola ha diversi significati, dipende se l'animale cammina, è seduto oppure sdraiato. Se è in movimento, l'ordine lo obbliga a fermarsi immediatamente, mantenendo la direzione verso cui si muoveva. Se è seduto o sdraiato, si alza, fa uno o due passi, poi rimane fermo e tranquillo con lo sguardo rivolto nella direzione in cui si era incamminato. Fuori: Un comando con un uso limitato. Serve per far uscire l'animale dalla cuccia o da qualsiasi altro luogo come, ad esempio, l'auto. Gira: Il cane deve girare dietro di me e mettersi vicino alla gamba sinistra. Girati sul dorso: Tutti dovrebbero insegnare al cane alcuni "trucchi" per divertire i figli o i nipoti: il cane si gira sul dorso per farsi grattare la pancia. Giù: Il cane si sdraia immediatamente, e non deve cambiare posizione. Guardami: È un comando di allerta. Avvisa il cane di guardarmi perché da lì a poco gli darò un ordine. Immobile: Una variante e un rafforzativo di "Resta". Mi è utile soprattutto quando faccio la toeletta al cane. Deve rimanere fermo anche se si sente a disagio perché magari gli tiro i peli pettinandolo. Libero: Un comando di svago. Il cane sa di essere libero di inseguire l'oggetto che gli ho lanciato.

Mollalo: Quando sono ancora cuccioli, insegno ai cani questa utile espressione per la loro sicurezza, se capisco che hanno la tendenza a mettersi in bocca cose che possono essere pericolose. In risposta, sputano in terra quello che hanno tra i denti. No: Questo comando viene dato sempre a voce alta e chiara. l'intento è di bloccare l'animale in maniera che interrompa qualsiasi azione. Le prime volte che lo uso con un cucciolo, accompagno l'ordine con un suono forte e netto per farlo immobilizzare. Dà ottimi risultati battere una pentola contro un coperchio, dare una manata a un tavolo o a un muro, sbattere il piede sul pavimento; anche lanciare un libro in terra funziona bene. È un comando estremamente utile per

evitare guai al cane. Un "No" gridato può bloccare l'animale che si avvicina a un bambino impaurito o a una situazione pericolosa. Una volta che si è fermato, l'ordine "Da me" lo costringe ad avvicinarmisi, così posso trattenerlo e avere il controllo della situazione. Parla: Ancora un "comando-trucco". Il cane in risposta deve abbaiare una sola volta. Pausa: Una parola che indica liberazione da un impegno. Il cane capisce che l'esercizio, o qualsiasi altro ordine gli fosse stato impartito è terminato. Interrompe il suo compito e mi si avvicina per farsi fare i complimenti, oppure gira allegramente per la stanza, scodinzolando alle persone o agli altri cani presenti. In passato, usavo la parola "Ok" come segno di liberazione, perché la consideravo naturale. Sfortunatamente, però, è molto in voga, e la gente spesso la pronuncia con grande entusiasmo; così i miei cani pensavano che fosse sempre rivolta a loro per liberarli dalle incombenze. Una volta, a una mostra canina, qualcuno gridò: - Ok! - per la felicità, perché il suo cane aveva appena vinto il premio come miglior esemplare di quella razza. Purtroppo io ero nel recinto vicino, nel bel mezzo di un esercizio di obbedienza. Flint, il mio cairn terrier, doveva stare seduto e fermo per cinque minuti, mentre io ero fuori dalla sua vista. Il cane aspettava il suono del comando di liberazione, così quando lo udì si alzò di scatto e si diresse allegramente verso gli altri cani che stavano ancora facendo i loro esercizi, ligi al dovere. Il giorno dopo eliminai la parola "Ok" e la sostituii con "Pausa". Questa almeno viene usata con minor frequenza durante le conversazioni e difficilmente durante una competizione canina. Permesso: Una frase molto utile quando uno dei miei cani mi ostruisce il passaggio. L'animale si alza e si fa da parte per permettermi di passare. Prendilo: Il cane mi riporta un oggetto. Raccogli i tuoi giocattoli: Efficace per tenere la casa in ordine. Il cane va in cerca dei giocattoli e me li porta. Resta: A questo specifico ordine si suppone che il cane rimanga nel posto e nella posizione in cui si trova finché non riceve il comando di liberazione. Salta: Il cane salta un oggetto o un ostacolo che gli sto indicando. Scendi le scale: Quando sente questo comando, il cane scende le scale che ha di fronte. Seduto alto: Un altro ordine per far eseguire al cane un piccolo e stupido "trucco". L'animale si siede sulle zampe posteriori, tenendo alzate quelle anteriori nella posizione del questuante. Stai: Di solito questo comando è accompagnato da un gesto della mano per indicare un luogo. Il cane deve adagiarsi e rimanere quieto in quell'area. Non è obbligato a rimanere fermo, può muoversi, ma senza far niente di particolare e rimanendo comunque nel luogo indicato. Stai vicino: Uso questa frase quando vado a passeggio con il cane. Se è rimasto troppo indietro, mi raggiunge e mi si mette vicino. Stringimi: Lo insegno a tutti i miei cuccioli. I piccoli (che devono essere portati in braccio) appoggiano la testa sulla mia spalla e rimangono in quella posizione. Su: Questa parola è di norma accompagnata da un gesto. Il segnale dato con la mano (un colpetto a un oggetto, un dito puntato) indica la superficie sopra la quale il cane deve saltare. Su il collare: Il cane alza la testa e punta il muso in alto, per permettermi di infilargli il collare con poco sforzo.

Su il guinzaglio: Frase utile che facilita il rapporto con il cane. Al comando, l'animale alza la testa per farsi agganciare il guinzaglio al collare. Con "giù il guinzaglio" il cane reagisce nello stesso modo.

Tana: Uno dei molto comandi che vogliono dire "Vai-da-qualche parte". Quando sono a casa, con questa parola ordino al cane di andare nel mio studio ad aspettarmi. Tranquillo: Il cane smette di abbaiare, almeno per un momento. Trova il guanto: Un comando che fa parte dell'addestramento da concorso. Il cane deve cercare e recuperare un guanto precedentemente buttato all'interno del recinto. Trovalo: Un altro comando da competizione. Con questa parola ordino all'animale di cercare un oggetto impregnato del mio odore fra vari altri che hanno l'odore dell'assistente di gara. Vai indietro: Il comando viene impartito, oltre che a voce, anche con il gesto della mano, per indicare al cane la direzione da prendere. Deve dirigersi, in linea retta, verso il luogo indicato fino a quando non gli dico di fermarsi. Veloce: Lo utilizzo quando i cuccioli imparano a fare i bisogni nei luoghi giusti. Il cane inizia a cercare un posto che gli va a genio e per farmi piacere fa qualcosa comunque, anche se solo una goccia. Via: A questo comando il cane si allontana da ciò che sta annusando o di cui si sta occupando. Via il collare: Il cane abbassa la testa per permettere che il collare gli venga sfilato con più facilità. Vieni: Il comando basilare di richiamo. Vuoi giocare?: L'animale si mette a girare in tondo, abbaiare e muoversi allegramente perché capisce che presto inizierà un gioco o un esercizio. Questo elenco di frasi e di parole è incompleto. Ho indicato solo le voci che uso più comunemente, escludendo di proposito i termini che non utilizzo per l'addestramento. La parola "bagno", per esempio, se pronunciata durante una conversazione con mia moglie, può suscitare reazioni differenti. Il mio primo cairn terrier, Flint, cercava un posto dove nascondersi. Il mio cavalier king charles spaniel si dirige verso la porta del bagno e aspetta l'inevitabile, mentre il retriever a pelo liscio si mette in allarme, e osserva la situazione per capire se la parola può essere in relazione con lui. Nel tempo, mi sono reso conto che i cani rispondono a molti altri vocaboli anche se non li ho mai volutamente insegnati loro. Ho notato che se dico "lezione" cominciano a gironzolare eccitati vicino alla porta e a guardare l'armadio dove tengo l'equipaggiamento per l'addestramento. Ho visto di recente che la parola "ufficio" ha per essi un significato, ma la reazione che causa dipende da dove ci troviamo nel momento in cui la pronuncio, ed è differente a seconda del cane. Così, se siamo nella nostra fattoria e dico a mia moglie Joan: "Vado in ufficio a lavorare un po’” i cani vanno verso il mio studio, dove, quando scrivo, si sdraiano accanto a me. Se invece sono in città, questa stessa frase può significare che è mia intenzione andare a casa a scrivere, oppure che voglio recarmi nel mio ufficio all'università. Lo spaniel risponde come quando siamo alla fattoria, per cui lo si può trovare a riposare sul tappetino sotto la mia scrivania. Il retriever, Odin, cerca la mia borsa e vi si piazza vicino. Ha capito che di solito la prendo sia quando vado nello studio di casa sia se esco. Altre frasi abituali vengono da loro diversamente interpretate; ad esempio, quando dico: "Credo che adesso andrò a dormire", Odin sale le scale, si dirige verso la camera e si sdraia sul suo cuscino accanto al letto. Sono certo che ci sono altri messaggi del nostro linguaggio comune ai quali i cani rispondono con regolarità, ma non ho ancora isolato i comportamenti che indicano l'interpretazione corretta delle parole. Mi è stato riferito di cani particolarmente intelligenti, che hanno imparato il linguaggio ricettivo molto bene ma in maniera controproducente. Rita, la padrona di un barboncino bianco di nome Tony, aveva scoperto di non poter usare certe parole durante una normale conversazione se l'animale era presente, senza che questo reagisse. Se durante il discorso pronunciava la parola "passeggiata", Tony correva davanti alla porta d'ingresso, abbaiando, nella prospettiva di uscire. Allo stesso modo, se diceva "palla" cominciava a cercare freneticamente il suo gioco, mentre "mangiare" lo spingeva a gironzolare intorno al frigorifero. Sembra fossero circa sei le parole alle quali Tony reagiva così. A lungo andare il comportamento del cane aveva infastidito talmente Rita e suo marito, che cominciarono a compitare tutte le parole che il cane capiva. Per cui quando chiacchieravano, dicevano: "Hai voglia di portare il cane per una p-a-s-s-e-g-g-i-a-t-a?". Ma la capacità ricettiva di Tony era tale che imparò velocemente i nuovi suoni, e reagiva nello stesso modo. Quanti termini e quante frasi può imparare un cane? Su questo argomento il dibattito è ampio. Se ci limitiamo a parole e suoni, alcuni psicologi, come J. Paul Scott, affermano che non sarebbe inusuale per un cane medio distinguere almeno duecento parole, e ciò porrebbe l'abilità linguistica del cane a livello di quella di un bambino di due anni. Alcuni addestratori sostengono che i cani sono in grado di imparare un numero maggiore di parole, forse più di trecento. Ho ricevuto dalla Germania una lettera da parte di un addestratore, che sosteneva di aver insegnato a un pastore tedesco a rispondere a circa

trecentocinquanta termini. "Non è necessario che i comandi siano composti da una-due parole", scriveva, "ma possono essere all'interno di una frase. Il cane individua la parte importante e fa ciò che gli viene chiesto". Esistono prove che confermano che quanto dice questo signore è proprio vero.

Un esempio storico che dimostra la capacità dei cani di filtrare il linguaggio umano e captare qua e là parole che per loro hanno un senso, arriva dal tempo in cui molti di essi venivano selezionati per diventare fonte di energia a basso costo. È noto che erano usati al posto dei cavalli, dei muli o di altri animali per il trasporto di materiali, collocati loro in groppa in appositi zaini, e servivano anche per trainare pesi con slitte o piccoli carri. Quello che invece non tutti sanno è che i cani venivano utilizzati come fonte di energia per manovrare macchinari leggeri. Per secoli hanno occupato un posto speciale nelle cucine delle famiglie numerose. A quel tempo, la carne si arrostiva su uno spiedo orizzontale, che, per cuocerla in modo uniforme, doveva essere girato continuamente. Questo noioso lavoro era affidato a un cane, selezionato perché fosse di stazza pesante, avesse il corpo lungo e le zampe corte, e chiamato, appunto, "Girarrosto". Veniva collocato in una sorta di ruota chiusa, simile, anche se molto più grande, a quelle che si vedono dentro le gabbiette dei criceti o dei topolini. Il cane camminava, e la ruota girava. Così si generava il moto necessario a far girare lo spiedo metallico attaccato al mozzo centrale della ruota. Ogni famiglia aveva più girarrosti, e a ogni cane era richiesto di lavorare per un certo numero di ore. I girarrosti erano usati anche per fare il burro, macinare il grano, pompare l'acqua; esiste addirittura un brevetto dell'epoca per una macchina da cucire a energia canina. Questi cani non erano sempre confinati in cucina, spesso avevano altri più piacevoli compiti. Quando uno o più di loro non servivano come fonte di energia, i girarrosti accompagnavano la famiglia in chiesa, dove la loro mansione era quella di fare da scaldapiedi. Una domenica, il vescovo di Gloucester era in servizio nell'abbazia di Bath. Stava leggendo un testo preso dal decimo capitolo del libro di Ezechiele. Era un oratore focoso e parlava con grande enfasi. A un certo punto si girò verso la comunità e urlò: “E accadde che Ezechiele vide la ruota”. Fino a quel momento i cani erano rimasti fermi, tranquillamente sdraiati sui piedi dei loro padroni, ma evidentemente erano attenti al flusso delle parole, forse per cercare di estrarne informazioni di loro interesse. Infatti, quando il vescovo menzionò la parola "ruota", il terrorizzante luogo in cui lavoravano i girarrosti, la reazione fu immediata. Un testimone affermò che alcuni cani "corsero fuori dalla chiesa con la coda fra le gambe". Che i cani abbiano un posto importante nella nostra vita è dimostrato dal fatto che diamo loro un nome. Esso li dota di un'identità individuale e ne definisce anche il valore. Ciò che è più interessante è che i cani rispondono al suono dei loro nomi. In natura, sembra che gli animali che vivono in branco non abbiano bisogno di darsi dei nomi. Ciascuno conosce il suo posto all'interno del gruppo e interagisce con gli altri senza alcuna etichetta vocale di identificazione. È solo nel rapporto con l'uomo che hanno bisogno di imparare questo frammento di linguaggio ricettivo. Per gli esseri umani, i nomi sono cose davvero speciali. Secondo la Bibbia, uno dei primi compiti che Dio diede ad Abramo fu di assegnarne uno a ogni singola entità. Presso molte culture, il nome di una persona ne contiene l'essenza stessa, e il pronunciarlo può persino dare, magicamente, a un altro individuo il potere di controllare colui che viene nominato. In diverse civiltà, per esempio, ai bambini, alla nascita, viene assegnato un "nome vero", conosciuto solo dai piccoli stessi e dai loro familiari, che non viene mai pronunciato, per prevenire qualsiasi forma di controllo magico, mentre nella vita di tutti i giorni vengono chiamati in un altro modo. Nel caso degli animali, solo a creature veramente speciali viene dato un nome. Il contadino di norma non battezza le galline o le mucche. Nominare qualcosa o qualcuno vuol dire riconoscerlo come individuo, con un'identità e con sentimenti personali. Chi non riconosce i cani come individui, tende a usare etichette prive di personalità quando si riferisce a loro. Una persona che dice: "Il cane ha fame, dagli da mangiare", mostra la stessa mancanza di attenzione che avrebbe se parlasse di suo figlio dicendo: "Il bambino ha fame. Dagli da mangiare". Se, al contrario, si ha a cuore qualcuno, si usa il nome individuale. È quindi Lassie, o Sarah, oppure George ad avere fame, se per noi questi esseri sono importanti. Gli eschimesi sono un gradino più in alto. Credono che un cane non abbia un'anima finché non ha un nome. I nomi speciali che danno un'anima ai cani in realtà sono da uomini, e spesso appartengono ai parenti deceduti. Solo pochi cani hanno l'onore di avere un nome così prezioso. Questi fortunati esseri hanno il permesso di stare in casa e solitamente vengono nutriti e trattati più come animali d'affezione che come semplici cani da slitta. Ma gli eschimesi hanno anche la necessità di identificare ognuno dei cani da lavoro, per cui tutti ricevono una sorta di nome, scelto in base alle caratteristiche fisiche -

Grigio, Nero, Denti lunghi, Coda a macchie, Bruto - o per le loro capacità e il modo di comportarsi - Corridore, Sonnolento, Allegro, Coraggioso. Le etichette di identificazione, tuttavia, non sono veri e propri nomi e, secondo le credenze degli eschimesi, non trasmettono un'anima. Anche se non facciamo caso alle credenze religiose o mistiche, per i cani i nomi sono un aspetto fondamentale della vita. Un cane vive in mezzo a un mare di suoni umani, però il suo vocabolario è relativamente limitato, simile a quello di un bambino piccolo. Il suo primo compito quindi, nell'interpretare il nostro linguaggio, è cercare di capire quali delle parole di cui conosce il significato sono realmente rivolte a lui, e quali invece non lo sono. Così, un commento casuale che potreste fare a un membro di famiglia, come: "Perché non vieni a sederti sul divano? Guarda con me la televisione", potrebbe essere un problema serio. I miei cani capiscono molto bene tre delle parole usate in questa semplice affermazione - e sono comandi di obbedienza, "Vieni", "Siediti", così come la parola che li mette sull'avviso "Guarda". Supponete che un cane intelligente sia nella stanza con voi mentre rivolgete la frase in questione a una persona. Vi aspettate davvero che l'animale si metta immediatamente a eseguire la sequenza di comportamenti, venendo per prima cosa verso di voi, poi sedendosi, quindi sdraiandosi e guardandovi negli occhi? Se la vostra risposta è no, perché no? Come fa il cane a sapere quali, fra le molte parole che diciamo, sono dirette a lui, e quali invece non lo riguardano? Uno dei mezzi che il cane utilizza per capire se i suoni della voce umana sono rivolti a lui è il linguaggio del corpo. È ovvio che se lo guardo direttamente negli occhi e ho la sua completa attenzione, allora non c'è ambiguità nelle parole "Vieni", "Siediti," e "Guarda"; il cane sa che tali comandi sono impartiti chiaramente a lui, di conseguenza dovrebbe sapere che ci aspettiamo una sua reazione. Invece, in assenza di un esplicito gesto del corpo, il suo nome diventa la chiave di interpretazione, il segnale d'avviso che i prossimi suoni che usciranno dalla bocca del padrone avranno un impatto sulla sua vita. È come se, chiamandolo, volessimo dire: "Ascolta attentamente, le prossime parole sono per te". Perciò, quando parliamo al nostro cane dobbiamo essere molto precisi. Ogni volta che desideriamo che faccia qualcosa, dovremmo cominciare pronunciando il suo nome; "Rover, siediti", Rover, vieni" oppure "Rover, guarda" sono esempi del modo appropriato per parlare al cane; al contrario, "Siediti, Rover", "Vieni qui, Rover" sono esempi di pessima grammatica, perché le parole alle quali vogliamo che il cane risponda si sono volatilizzate prima che l'animale abbia potuto capire che i rumori che facevamo con la bocca erano indirizzati a lui. Quando diciamo: "Siediti, Rover", se nulla di significativo segue il suo nome, il cane al massimo può fissarci con il tipico sguardo che vuol dire: "Ok adesso che hai avuto la mia attenzione cosa vuoi che faccia?". Ci guarda perché abbiamo attirato la sua attenzione pronunciandone il nome, e aspetta di sapere cosa vogliamo da lui. Invece, vedendo il suo sguardo fisso su di noi, ripetiamo il comando in tono scocciato: "Ho detto siediti, stupido cane". Il cane si siederà, ma in realtà gli stupidi siamo noi. I cani con pedigree hanno di solito due o più nomi. Il primo è quello con cui sono stati registrati nell'allevamento da cui provengono. In genere sono nomi pomposi e senza senso, come "Remasia Vindebon di Torre", "Ombra sull'acqua selvaggia", "Romantica luna piena", ma il più importante è il "nome da richiamo". Non è proprio comodo, in effetti, urlare per la strada: “Remasia Vindebon di Torre, vieni!” Perciò molta gente sceglie un appellativo breve. Il nome da richiamo diventa così esclusivo, e anche l'unico che usiamo. Per i miei cani ho preferito nomi come Wiz, Flint, Odin; però negli anni ho capito che mi è più facile snocciolare con la lingua composti di due sillabe, ai quali i cani rispondono meglio. Così Wiz è diventato Wizzer, mentre Flint è stato contraffatto in Flintus. Mi piace che ci sia una connessione, per quanto sottile, fra il nome registrato e quello da richiamo. Così "Remasia Vindebon di Torre" è stata chiamata Torre, mentre "Ombra sull'acqua selvaggia" semplicemente Ombra. Alcuni utilizzano il nome del cane per dare una precisa impressione di sé. Ho notato che nel mondo dell'atletica i professionisti a volte cercano di crearsi un'immagine nerboruta e dominante. Di conseguenza scelgono cani di taglia grande e dall'aspetto duro, come rottweiler, bullmastiff, dobermann pinscher e danesi giganti, per sottolineare il fatto che loro stessi sono duri e potenti; per accentuare maggiormente questo aspetto, mettono ai loro cani collari grossi, di cuoio, con gli spuntoni. L'animale, ovviamente, deve anche chiamarsi in modo appropriato. Herschel Waiker, che fu campione di football nel 1995, aveva un rottweiler di nome Al Capone. Altri cani di atleti professionisti si chiamavano: Picchiatore, Roccia, Gufo, Fantasma, Cacciatore, Razzo. Sembra che Fifì, Miele o Fuffy non siano nomi adatti. Siete convinti che dare al cane un nome dal suono duro faccia sembrare il padrone più forte o più potente? In realtà non è così scontato. È invece evidente che un cane dal nome che incute timore influenza certamente sia l'opinione che una persona può avere sull'animale sia la reazione. L'ho verificato sottoponendo dei volontari a un esperimento in laboratorio. Ho consegnato loro un foglio su cui era scritto: "È nostro interesse capire se un individuo, solo osservando l'atteggiamento di un

cane, è in grado di determinarne la personalità e le intenzioni. Ti verrà mostrato il breve filmato di un cane di nome... (per ogni volontario il nome del cane era diverso) mentre interagisce con un essere umano. Osservalo attentamente perché in seguito ti saranno fatte delle domande sul suo comportamento". I volontari sono stati divisi in due gruppi. Per il primo, il cane aveva un nome duro, forte, come Sterminatore , Killer, Gangster, Macellaio; per il secondo erano stati scelti nomi più positivi, come Campione, Coraggioso, Allegro, Fortunato e così via. Il video era stato montato con stralci di una serie televisiva che aveva come protagonista un pastore tedesco. Il filmato iniziava con un uomo che cammina; improvvisamente spunta un cane che corre verso di lui. Si vede un primo piano del cane mentre abbaia all'uomo, segue una scena in cui l'animale si alza e gli appoggia una zampa sulla spalla. L'uomo spinge via il cane, che va fuori campo correndo e abbaiando. Duecentonovantuno persone guardarono il video dopo aver letto il foglio in cui si faceva cenno al nome del cane. Venne distribuita una lista di parole e fu chiesto di scegliere quelle che secondo loro erano le più appropriate per descrivere il cane. L'elenco comprendeva aggettivi che qualificano sia attributi positivi (amichevole, socievole, cordiale, scherzoso) sia negativi (aggressivo, minaccioso, ostile, pericoloso). Chi credeva che il cane si chiamasse Sterminatore, Killer o qualsiasi altro nome intimidatorio, era più propenso a ritenere il comportamento dell'animale ostile o minaccioso rispetto a chi sapeva che il cane aveva un nome più dolce, meno spaventoso. Uno degli aspetti più interessanti di questo studio è che, quando è stato chiesto ai volontari di riferire gli eventi che avevano appena visto in video, coloro per cui il cane aveva un nome truce erano più inclini a esporre i fatti così: "Il cane vide l'uomo e non gli piacque. Incominciò ad abbaiargli contro e cercò di saltargli addosso, ma l'uomo riuscì a respingerlo, facendolo scappare prima che l'animale lo mordesse". Al contrario, chi credeva che il cane avesse un nome dolce o comunque positivo, descriveva la scena in questo modo: "Il cane vide un uomo che camminava e gli corse incontro per fargli le feste. Il cane abbaiò e gli saltò addosso perché aveva voglia di giocare. Poi si incamminò con l'uomo verso casa". Attenzione, il filmato era lo stesso per tutti i volontari. L'unica differenza stava nel nome del cane! Dall'esperimento risulta evidente che le persone che vengono in contatto con un cane mettono in relazione l'animale con il suo nome. È ovvio che nel giudizio la taglia influisce molto. Dubito che un pechinese, un chihuahua o un maltese possano incutere paura, pure se si chiamassero Killer, Sterminatore o Bestia. In teoria molte parole sono adatte come nomi. Parole semplici, prese da un dizionario (Speranza, Spezie, Allodola o Corridore), vanno tutte bene. Anche gli atlanti possono essere una fonte di idee: Oxford, Congo o altro. Se il padrone è specializzato in un certo settore, i termini tecnici possono fare al caso. Conosco un avvocato il cui cane si chiama Indizio, quello di un geologo invece Granito, mentre un velista ha scelto Timone. I nomi sono abbastanza arbitrari. Una volta Frank Sinatra regalò a Marilyn Monroe un barboncino bianco di nome Maf. Il cantante le disse che "Maf" era l'abbreviativo di "mafia", che come tutti sappiamo è un'organizzazione criminale con cui Sinatra non aveva niente a che fare. La classifica americana e inglese dei nomi per cani non ha subito variazioni notevoli negli ultimi anni. I dieci più popolari sono:

Maschi : 1 Max 2 Rocky 3 Lucky 4 Duke 5 King 6 Rusty 7 Prince 8 Buddy 9 Buster 10 Blackie Femmine: 1 Princess 2 Lady

3 Sandy 4 Sheba 5 Ginger 6 Brandy 7 Samantha 8 Daisy 9 Missy 10 Misty Mi ha sorpreso molto il fatto di non aver trovato nella lista il nome Snoopy (il cane reso famoso da Charles Schuiz nella striscia animata "Peanuts"). L'ho invece trovato tra i nomi per gatti! Oltre al nome registrato e a quello da richiamo, i miei cani ne hanno anche un terzo. È un appellativo di gruppo: "Cucciolo". Così quando urlo: “Cucciolo, vieni” mi aspetto che tutti i cani che mi hanno sentito arrivino di corsa. Un mio amico che ha solo cani maschi usa la parola "Gentlemen", un altro (un ex ufficiale dell'Army Tank Corps) "Truppe". Dal punto di vista del cane, il nome di gruppo è un altro suono che significa: "Stai attento, il prossimo è rivolto a te". Anche se l'anagrafe canina permette, oltre a quello ufficiale, un solo altro nome, devo dire che i cani sono più flessibili. Così i cani provenienti dai rifugi per animali abbandonati o dai canili municipali, sono bravi a imparare velocemente il nuovo nome che viene loro dato. A volte, anche quando vive per tutta la vita in una stessa famiglia, al cane viene cambiato nome. Ciò accade quando gli si dà un nomignolo e per qualche ragione lo si usa per lungo tempo. La mia figliastra Karen, per esempio, aveva un cane che in origine si chiamava Contessa. In seguito il suo nome da richiamo divenne Tessa, ma imparò a rispondere anche a Tess, Orso Tess, OrsoT, e Orso. Tess affrontò tutti questi cambiamenti di nome con la stessa disinvoltura che mostreremmo noi se la persona amata, che ci ha sempre chiamato "Darling", decidesse di chiamarci "Dolcezza" oppure "Caro". Di certo Tessa, in confronto ad altri cani, non ha dovuto adattarsi a molti nomi. E il caso, ad esempio, dello skye terrier di Robert Louis Stevenson, il grande scrittore, autore, fra l'altro, di L'isola del tesoro e Lo strano caso del dottor ]ekyll e del signor Hyde. Il cagnolino in origine si chiamava Woggs, poi cambiato in Walter, modificato in Watty, di nuovo chiamato Woggs, e alla fine Bogue. Ogni suono che viene usato costantemente con un cane può finire col diventare il suo nome, almeno per un certo periodo. Ho avuto un'interessante esperienza con un siberian husky di nome Polar. Ero stato invitato come oratore a una conferenza scientifica tenuta in una località sciistica. Dividevo la stanza d'albergo con Paul, uno degli organizzatori. Paul viveva abbastanza vicino alla località in cui si svolgeva la conferenza e aveva portato con se Polar. Sapeva che a me piace avere sempre un cane che mi gira intorno, e pensava che l'husky potesse essermi d'aiuto per superare il dolore che provo quando mi allontano dai miei cuccioli. Era interessante seguire le interazioni fra Polar e Paul. Sebbene si vedesse chiaramente che Paul amava il suo husky, aveva qualche problema a tenere sotto controllo quella turbolenta ed esuberante palla di pelo. Quando arrivò, aprì la portiera dell'auto e immediatamente il cane si precipitò fuori. “No!” gridò Paul, e il cane ubbidientemente ritornò indietro e si mise vicino al padrone. Andai a fare le feste al cane e Polar mi saltò addosso, così Paul me lo levò di dosso con un secco: “No!” La stessa sera, mentre Paul e io eravamo seduti a chiacchierare bevendo un drink, Polar cominciò a strofinare il muso contro il suo padrone per avere uno dei salatini che si trovavano in un piatto vicino a noi. Ancora un immediato: “No!” e Polar, con un sospiro, si mise buono. Più tardi, durante la notte, sentii un trambusto provenire dal lato della stanza dove dormiva Paul. Polar aveva tentato di accucciarsi sul letto ma fu buttato giù con un altro sonoro: “No!” La mattina successiva, il primo suono che udii fu ancora Paul che diceva a Polar: “No, è troppo presto. Non ho ancora voglia di alzarmi”. Poi, dopo pochi minuti: “No, lasciami dormire. Ti porterò fuori fra un po'.” Quel giorno, dopo cena, Paul mi confidò che a volte aveva la sensazione di non avere il cane sotto controllo. - Ci sono momenti, per esempio, in cui credo che Polar non sappia nemmeno come si chiama. “Polar conosce il suo nome, - gli dissi, - ma forse tu no -. In risposta al suo sguardo perplesso, continuai: - Questa sera, quando torniamo in camera, facciamo un piccolo esperimento”. Più tardi, in albergo, dissi a Paul di andare nel cucinino attiguo, poi presi Polar e lo portai con me nel corridoio appena fuori della stanza. Cominciai a coccolarlo, e il cane pareva gradire quelle attenzioni, quando Paul (come d'accordo), dal cucinino,

urlò: “No!” Polar si alzò e ubbidientemente trotterellò verso il suo padrone. Sulla base della sua esperienza, il suono associato a fatti che lo riguardavano e che aveva udito più di frequente era "No". Nella testa di Polar, "No" era il suo nome. Abbiamo già parlato della facoltà ricettiva del linguaggio dei cani, e in particolare della loro abilità nel comprendere gli aspetti del linguaggio umano. Gli esempi da me riportati riguardano cani normali che vivono in situazioni familiari normali. Tuttavia ci sono molte storie e resoconti di cani che avrebbero capacità di comprensione veramente sbalorditive. Se credessi a questi racconti, dovrei pensare che i miei cani hanno a mala pena la licenza elementare, in confronto al livello universitario di quegli animali superdotati. È opportuno quindi dare un'occhiata al linguaggio ricettivo di alcuni di questi esseri supercolti, e scopriremo i tanti sorprendenti segreti che si nascondono dietro le loro imprese.

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4. Il cane sta veramente ascoltando? Negli anni Sessanta, non ricordo quando con precisione, ho avuto l'opportunità di assistere a una prova da parte di Charles Eisenmann e del suo cane. "Chuck" Eisenmann, come era conosciuto, fu giocatore professionista di baseball, poi, per una serie di imprevisti, divenne addestratore di cani. Sebbene i suoi animali siano apparsi in molti film hollywoodiani, Chuck è diventato famoso soprattutto per una serie televisiva, The Littlest Hobo, il cui protagonista era un suo pastore tedesco, London. London ha molti figli, fra cui Little London, Toro e Thorn, che ha fatto spesso la controfigura del padre. Era opinione comune che fossero tutti cani notevolmente abili. Eisenmann affermava che comprendevano alcune centinaia di parole, e che la loro abilità linguistica era pari a quella di un bambino di otto anni. La prova che aspettavo fu organizzata, o sponsorizzata, da una televisione locale; erano presenti numerose telecamere per filmare e registrare l'evento per poi mandarlo in onda. Eisenmann presentò i suoi quattro cani e spiegò che per lo più erano addestrati a svolgere semplici azioni di routine, come sdraiarsi al suono della parola "giù" oppure andare verso una persona al suono della parola "Vieni". In sostanza, gli animali associavano un suono a un'azione. Continuò spiegando che addestrava i cani usando il metodo intellettuale: consisteva, apparentemente, nel costringere i cani a pensare e imparare gli elementi base del linguaggio parlato. La tecnica di insegnamento sembrava simile a quella utilizzata per insegnare ai bambini a parlare. Invece di associare solo una parola a un'azione o a un concetto, cambiava le espressioni, usava frasi o termini differenti per esprimere lo stesso pensiero. Presentò il prodotto finale del suo addestramento dimostrando che London non si sdraiava solo alla parola "Giù", ma anche a frasi alternative come: "Per favore, adagiati sul pavimento" oppure "Assumi una posizione prona". Quei cani avevano certamente una buona capacità di comprensione del linguaggio. Anche quando Eisenmann parlava loro con un tono di conversazione normale, usando casuali espressioni comuni, essi mostravano di capire facendo ciò che era stato loro chiesto, sia che si trattasse di aprire o chiudere una porta sia accendere o spegnere una luce, e altre azioni simili. Ricordo che mi impressionò molto l'abilità di quegli animali nel riuscire a prendere, da un gruppo di oggetti, lo specifico articolo che il padrone nominava. Tuttavia il mio entusiasmo diminuì un poco quando Eisenmann affermò che i cani rispondevano ugualmente anche se parlava loro in francese o in tedesco. Ci trovavamo in California, e avevo previsto che dopo la sua affermazione qualcuno avrebbe inevitabilmente domandato: "E perché non in spagnolo?". Così fu. “Non so se i cani capiscono lo spagnolo, - rispose Eisenmann. - Perché non proviamo? Ditemi un comando in spagnolo”. Gli fu detto che “Cerra la puerta” in spagnolo significa "Chiudi la porta", allora lui si rivolse a London e disse: “London, cerra la puerta!” Il cane si alzò e, benché apparisse un po' più indolente ed esitante, andò verso la porta che era già stata più volte aperta e richiusa durante le precedenti dimostrazioni. London si girò a guardare il suo padrone, poi spinse la porta e la chiuse. La platea scoppiò in un applauso di approvazione. Io invece provai un enorme fastidio. Sono convinto che i cani possano essere addestrati a comprendere molte più parole di quanto si pensi. Anch'io credo che possano imparare comandi o termini in varie lingue, nello stesso modo in cui le impariamo noi. Ma so anche che ogni parola va prima imparata per essere compresa. Sapere che la parola dog in inglese, Hund in tedesco e chien in francese ha lo stesso significato, certamente non mi aiuta a capire che anche perro, in spagnolo, vuoi dire cane. Fino a quando non ricevo informazioni sulla traduzione, non posso pensare di capire il significato di un vocabolo. Come può allora il cane London comprendere un comando la prima volta che lo sente se, come sembrava, il suo addestratore non conosceva la lingua e non gliela aveva mai insegnata? L'abitudine di porsi delle domande fa parte della natura dello scienziato, e questo mi spinge ad accettare con una certa perplessità tutte le cose alla prima valutazione, anche se si tratta di qualcosa a cui voglio credere. Le bandierine della cautela in quel momento cominciarono a svolazzare nella mia testa, e giudicai l'esibizione con maggior scetticismo. Presto le mie preoccupazioni aumentarono. Eisenmann stava spiegando a un ospite che, anche se in molti sono convinti che i cani non distinguano i colori, lui poteva dimostrare il contrario. “London, indica una cosa rossa che vedi nella stanza” disse. Il cane si alzò, si mosse e puntò il muso verso una tazza rossa appoggiata su un tavolino vicino a un ospite. Quando gli chiese di indicare una cosa blu, lui indicò una sedia blu; infine, quando gli chiese di indicarne una gialla, London andò verso il muro e appoggiò il naso su una tenda gialla.

Il pubblico scoppiò nuovamente in un applauso, mentre io cominciai sul serio a irritarmi. Ancora una volta l'esecuzione di London era troppo perfetta per essere vera. Gli occhi dei cani sono diversi da quelli degli uomini, ed è proprio nel campo della visione a colori che mostrano il deficit maggiore. In realtà i cani non sono ciechi ai colori. Gli scienziati hanno dimostrato, usando speciali tecniche di addestramento, che probabilmente vedono il mondo in toni di grigio, verde e marrone-rossastro. Poterli addestrare a distinguere queste sfumature conferma che hanno una certa capacità di visione a colori. L'altra faccia della medaglia è che le procedure di addestramento sono molto laboriose ed estremamente difficili, il che significa che per i cani i colori sono poco importanti. Dal punto di vista biologico, la visione a colori è fondamentale solo per gli animali la cui attività si svolge soprattutto durante le ore di luce e che seguono una dieta varia. In questo caso distinguere i vari colori è di aiuto per trovare e identificare quello che può essere mangiato. I cani cacciano al tramonto e all'alba, per cui in essi questa abilità è meno sviluppata e sembra che non la usino spontaneamente. Comunque, supponiamo per un momento che Eisenmann fosse riuscito a rendere importanti i colori per London e che, a richiesta del suo istruttore, il cane usasse la sua qui limitata capacità di identificarli. Anche se fosse così, poiché i cani distinguono solo le sfumature del verde e del marrone-rossastro, il fatto che London riconoscesse il blu e il giallo, colori che i suoi occhi non sono in grado di percepire, era sorprendente e inverosimile. Cominciai allora a guardare la scena con molta attenzione. Eisenmann continuava la sua esibizione. La mossa successiva fu chiedere a London di "cercare qualcosa su cui erano stampate delle parole". Il cane osservò attentamente l'addestratore mentre parlava, poi si diresse verso un poster appoggiato su un tavolo e lo puntò. In seguito, quando Eisenmann gli chiese di "prendere qualcosa con la quale si può scrivere su un pezzo di carta", fece cadere una penna da un tavolino. L'uomo sbalordì il pubblico mostrando l'abilità del cane nel comprendere la compitazione. Quando gli chiese di portargli "un paio di o-c-c-h-i-a-l-i", London appoggiò le zampe su un ospite e mentre la folla ridacchiava, con molto tatto, gli tolse gli occhiali, se li mise in bocca e li portò al suo istruttore. La comprensione del linguaggio mostrata da questo cane andava semplicemente oltre la ragione. Se fosse vera la tesi di Eisenmann, secondo cui tutti i cani possono imparare a comprendere quanto un bambino di otto anni, allora perché al mondo ci sono così tanti cani che "non rendono"? Alla fine, il segreto delle prestazioni di London mi fu rivelato dal professor Carl John Warden, uno dei più rispettati psicologi comparativi ed evolutivi del ventesimo secolo. Nel periodo in cui Warden insegnava alla Columbia University di New York, ebbe l'opportunità di esaminare un pastore tedesco di nome Fellow, di proprietà del signor Jacob Herbert di Detroit, nel Michigan. Herbert era un allevatore di cani e, tra i tanti che aveva allevato, giudicava Fellow uno dei più intelligenti. Aveva deciso di insegnargli quante più parole potesse. Utilizzò per caso la medesima tecnica di Eisenmann, che consisteva nel parlare continuamente al cane, con lo stesso metodo che useremmo con un bambino piccolo. Herbert era convinto che il cane conoscesse circa quattrocento parole e che ne comprendesse il significato. Non attribuiva a Fellow la totale capacità linguistica, ma certamente credeva che il cane formasse delle connessioni tra alcune parole e certi oggetti o azioni. Non essendo un esperto di comportamento animale, era interessato a scoprire quali fossero le reali capacità linguistiche di Fellow Contattò quindi il professor Warden e si mise d'accordo per sottoporre il cane a un test di abilità. Quando andò a New York con Fellow, il primo test fu fatto nella camera d'albergo dove alloggiava. Warden e un suo associato, L. H. Warner, iniziarono il test con quello che egli stesso chiamava atteggiamento scettico cronico. Rimasero però fortemente impressionati dal fatto che il cane eseguiva molto bene, rispondendo a un'ampia varietà di comandi. Warden si sorprese (lnello stesso modo in cui io fui colpito dall'esibizione di London) perché l'addestratore di Fellow non usava sempre le medesime parole per chiedere al cane di svolgere una determinata azione. Inoltre, tutti i comandi venivano dati con voce normale, come se Herbert stesse semplicemente parlando con il cane. I due psicologi cercarono di determinare se fosse un altro elemento, e non le parole, a spiegare le eccellenti dimostrazioni. Prima tentarono di farlo rispondere a una lista di comandi parlati in un ordine differente da quello usato dall'allevatore. Ma in realtà i test di Herbert non erano mai routinari. Sembrava che Fellow rispondesse a parole specifiche, anche quando, nel parlargli, il suo padrone variava deliberatamente il tono della voce: alto, basso o monotono che fosse, la prestazione del cane non cambiava. Per essere sicuri che Herbert non mandasse qualche segnale segreto, gli fu chiesto di chiudersi in bagno, in modo che fosse fuori dalla vista del cane: Fellow eseguiva gli ordini in maniera non perfetta, ma correttamente. Fu stupefacente. Per il cane era una situazione del tutto nuova, e inoltre il suono delle parole, pronunciate attraverso una porta, era notevolmente attutito.

Invitarono allora Herbert e Fellow alla Columbia University, dove avrebbero potuto eseguire dei test più adeguati. Durante le prove, sia Herbert sia gli psicologi erano nascosti dietro un paravento, e osservavano il comportamento del cane attraverso una piccola fessura. Dopo che l'animale ebbe svolto bene alcuni esercizi di riporto, divenne chiaro che Fellow comprendeva il significato di molte parole comuni: chiave, spazzola, guanto, pacchetto, cuscino, acqua, latte, cappello, cappotto, bastone, palla, busta, soldi (di carta), dollari (monete), signora, signore, ragazzo, ragazza, cucciolo e così via. Altre prove misero in evidenza che conosceva i nomi di varie parti del corpo, come piede, testa, bocca, zampa e addome (di una persona). Poteva anche distinguere, fatto eccezionale, la dimensione degli oggetti, era in grado di capire la differenza fra un "ragazzo grande" e un "ragazzo piccolo". Durante le sessioni, gli psicologi verificarono che Fellow poteva rispondere con affidabilità a cinquantatrè differenti comandi e frasi, anche se il suo istruttore non era visibile. Si andava da semplici comandi di azione, come "Seduto", "Girati", "Gira la testa", "Dall'altra parte" (il cane girava la testa nella direzione opposta), a frasi più complesse, come "Vai a fare un giro intorno alla stanza", "Esci e aspettami" (Fellow usciva dalla stanza e aspettava fuori, vicino alla porta), "Non gli credo" (il cane allora abbaiava e minacciava un attacco), e molte altre. Inoltre, vi erano alcuni concetti abbastanza complessi ai quali l'animale obbediva correttamente, come "Accompagna il signore" (o "la signora"), mentre quando gli veniva detto "Fermo" "Lascialo", "Non importa" o "Calmo", il cane interrompeva qualsiasi attività. Al comando "Fallo ancora una volta", Fellow ripeteva l'azione appena svolta. Anche se le prestazioni di Fellow erano impressionanti, c'erano dei limiti alle sue capacità. Era in grado di portare a termine perfettamente alcuni comandi alla presenza del suo istruttore, ma sembrava non comprenderli se Herbert era nascosto dietro il paravento. Quando i comandi vennero analizzati, divenne chiaro che tutti avevano qualcosa in comune: due componenti, cioè un oggetto da identificare e un luogo verso il quale il cane doveva dirigersi. Fellow rispondeva esattamente al comando "Vai e cerca il professor Warden" quando il suo istruttore era presente, ma non lo eseguiva se Herbert era nascosto. C'erano altre frasi che gli creavano difficoltà quando Herbert era fuori dalla sua visuale, fra le quali "Vai e guarda fuori dalla finestra", "Adesso vai all'altra finestra" oppure "Vai e salta sulla sedia" (o sul tavolo o su un altro mobile). Visto che ognuno di questi comandi richiedeva che il cane si dirigesse in una direzione particolare e che compisse un'azione che includeva un oggetto, Warden pensò che dovesse per forza esserci qualche vago segnale visivo datogli dall'istruttore. Ma Herbert sembrava onesto ed era veramente interessato a determinare il livello di comprensione del linguaggio umano di Fellow, per cui si suppose che forse il segnale era solo un movimento naturale e inconscio. Il più ovvio tra i movimenti involontari è la rotazione della testa. Se una persona ci chiede: "Per favore, portami il telefono", viene quasi naturale buttare l'occhio in direzione dell'apparecchio. Questo tipo di movimento della testa, o di occhiata, viene automatico quando parliamo di un oggetto visibile dal luogo in cui in quel momento stiamo parlando. Per verificare l'ipotesi, il professor Warden e Herbert cercarono di ingannare Fellow. A Herbert fu detto di guardare il tavolo in mezzo alla stanza e di ordinare al cane: “Vai verso la porta”. Fellow ubbidì, ma andò nella direzione in cui il suo padrone guardava invece di seguirne le parole: si alzò e si spostò verso il tavolo. Poi Herbert fissò la finestra, e disse: “Bravo cane, salta sulla sedia” e Fellow andò dritto alla finestra, verso la quale il suo padrone aveva girato la testa. Ancora, al cane fu chiesto: “Appoggia la testa sulla sedia” Fellow, invece, saltò sul tavolo che Herbert guardava. Divenne così evidente che molti aspetti dell'eccellente comprensione del linguaggio che il cane dimostrava non erano in realtà dovuti solo alla comprensione linguistica. L'animale rispondeva in primo luogo al tono della voce di Herbert, che gli impartiva un comando. Poi localizzava l'oggetto con il quale doveva rapportarsi osservando la testa di Herbert, e così capiva la direzione da prendere. Quando lo trovava, in realtà erano poche le azioni che poteva fare: se era piccolo, lo prendeva in bocca e lo portava al suo padrone; se era grande, pesante, oppure fissato da qualche parte, non gli rimaneva che stare a guardarlo, oppure ci appoggiava sopra il naso per indicare che era quello l'oggetto in questione. In alcuni casi, quando si trattava di un mobile, o comunque qualcosa di solido di dimensione intermedia, vi saltava sopra oppure vi appoggiava la testa. Torniamo per un momento indietro, alle prove del pastore tedesco London, comandate da Charles Eisenmann. Molte di quelle azioni sono state filmate e alcune scene mostrate più tardi in televisione. Conoscendo il "segreto" delle formidabili prestazioni di Fellow, mi sono detto nel rivedere il filmato, quando Eisenmann darà il comando punterò gli occhi su di lui. Quasi certamente avrà dato un'occhiata in direzione della porta quando ha ordinato al cane: “Cerra la puerta!” Il filmato mostra anche il test sulla visione a colori che mi aveva tanto sconvolto. Così ho potuto notare che quando Eisenmann ha detto: "London, indica una cosa rossa che vedi nella stanza", aveva la testa girata in direzione della tazza rossa appoggiata sul tavolino. London ha seguito lo sguardo. Siccome quando ho visto per la prima volta questa scena non ero in

allerta, non avevo notato che in realtà il cane aveva semplicemente appoggiato il naso sul bordo del tavolino. Non sembrava in effetti che fissasse proprio la tazza. Il pubblico (me compreso), che può distinguere il colore rosso, ha immediatamente identificato la tazza e presunto che London indicasse proprio quella. È altresì probabile che il cane abbia deliberatamente premuto il naso contro il tavolo, visto che era l'oggetto più evidente che si trovava nella direzione verso la quale il suo istruttore stava guardando. Simili movimenti, appena accennati, precedettero l'identificazione da parte del cane sia dell'oggetto blu sia di quello giallo. Vi prego di non pensare che Eisenmann abbia ordito un imbroglio consapevole. Questa circostanza è del tutto simile a un'altra, in cui mi sono imbattuto tanti anni fa, quando un professore di matematica tedesco in pensione, Herr von Osten, impartiva al suo amato cavallo Hans lezioni di storia, matematica e compitazione. L'animale mostrava la sua abilità scolastica rispondendo a domande con scelte multiple. Poteva essergli chiesto, per esempio, quale di quattro parole fosse scritta correttamente, e gli veniva data una lista come la seguente: (1) atc; (2) Eta; (3) rat; (4) tca. Il cavallo, per rispondere, doveva battere uno zoccolo sul terreno il numero di volte corrispondente a quello che indicava la parola corretta (in questo caso, ovviamente sarebbero stati tre colpi). A von Osten non interessava far bella mostra di Hans per soldi, ma invitava piccoli e selezionati gruppi, fra i quali spesso si trovavano noti etologi, che andavano lì per osservare il cavallo mentre eseguiva i test. Dopo l'esibizione, tutti si convincevano che l'animale si fosse guadagnato il suo soprannome, "L'intelligente Hans", perché sembrava avesse veramente una buona conoscenza del linguaggio umano e anche di storia, matematica e geografia. Ma la vera natura del talento di Hans fu rivelata dallo psicologo sperimentalista Oskar Pfungst, il quale dimostrò che il cavallo riceveva l'imbeccata dagli impercettibili e inconsapevoli movimenti della testa e del corpo di quanti seguivano le sue esibizioni. Il segnale principale era dato dai movimenti creati dall'involontario rilassamento dei suoi osservatori quando le battute dello zoccolo raggiungevano il numero corretto. Questo è servito a spiegare la stranezza per cui la grande abilità di Hans a comprendere il linguaggio svaniva se la luce era fioca. L'animale nell'oscurità non riusciva più a vedere le indicazioni del pubblico sulla corretta risposta da dare. Nel caso di London e di altri cani c'era anche un altro chiaro indizio. Guardare verso un oggetto di cui si parla è un atto naturale e non voluto. Sfortunatamente, quando tentiamo, come in questo caso, di valutare il grado di abilità di un cane nell'interpretare il linguaggio umano parlato, queste occhiate sono una forma alternativa di comunicazione. Ciò di cui il cane ha bisogno è leggere la direzione indicata e il tono della voce che gli ordina di fare qualcosa con un oggetto che si trova in quella direzione. Credo che Eisenmann avesse capito che esisteva una connessione tra il suo sguardo verso il cane e la circostanza, perché tempo dopo scrisse: "Sebbene una volta ogni tanto dessi i comandi ai miei cani girato di schiena, disapprovo questo tipo di pratica". Quanto sono sottili gli indizi di orientamento che diamo al cane quando gli diciamo dove andare e cosa fare? È possibile che il cane risponda ai nostri movimenti della testa e del corpo, oppure potrebbe anche essere che in realtà vada dove sono rivolti i nostri occhi. Il professor Warden lo ha provato con Fellow, facendo mettere al suo istruttore una benda sugli occhi. Quando a Herbert venne detto di orientare il corpo nella direzione in cui il cane doveva andare al suo comando, Fellow superò il test in maniera eccellente, anche se non poteva vedere gli occhi dell'addestratore. Significa che il cane si serviva più dei movimenti del corpo e della testa che di quelli degli occhi. La conclusione più importante alla quale si arriva dopo queste considerazioni è che, a volte, quando sembra che i cani rispondano al nostro linguaggio parlato, in realtà fanno tutt'altro. È vero che possono comprendere molte parole e molti suoni, ma è la loro ingegnosa capacità di captare da noi indizi di orientamento a farli sembrare più abili. Un gruppo di parole dette a un cane comprendono suoni che lui capisce, come "Prendi", "Porta", "Cerca", "Salta" o "Vai". Tuttavia, altri aspetti dei nostri suoni parlati possono non avere alcun significato per loro. Se dico al mio cane: "Prendi l'oggetto rosso", è la parola "Prendi" a indicare l'azione, a convincerlo a muoversi e a portarmi l'oggetto, ma è il movimento della mia testa e del corpo a mostrarglielo. È una tendenza prettamente umana pensare che le parole parlate siano l'unica cosa importante. Il mio cane non ha la più pallida idea di cosa sia "l'oggetto rosso", ma mi riporterà qualsiasi cosa io stia fissando, che sia rossa, bianca o verde. Mentre pensiamo che il cane stia ascoltandoci per interpretare il nostro linguaggio, è probabile che invece stia prestando molta più attenzione a quello che fa il nostro corpo. I cani sono maestri nel leggere il linguaggio del corpo, anche quando noi non siamo consapevoli di comunicare in quella maniera. Più avanti vedremo che possono deliberatamente usare il loro stesso corpo per inviare anche complessi messaggi. Fino a questo punto abbiamo considerato soltanto quanto sono bravi i cani a interpretare il linguaggio umano. È ovvio che essi sono piuttosto abili a comprendere il significato di quello che vogliamo che sappiano, sia che questo avvenga attraverso

il linguaggio o altri indizi. Dopo aver dato un breve sguardo al linguaggio ricettivo dei cani, nel prossimo capitolo prenderemo in considerazione il loro linguaggio produttivo, per vedere quali sono le facoltà che hanno in comune con altri animali.

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5. Rumori animali o comunicazione animale? Per capire al meglio il linguaggio dei cani bisogna esaminare come essi parlano. Per gli esseri umani parlare è un modo così naturale di comunicare, che spesso la gente lo identifica con il linguaggio. Abbiamo già visto che i cani, a causa delle loro limitazioni fisiche, non saranno mai in grado di articolare quei complessi suoni che gli uomini sono capaci di produrre; tuttavia possono emetterne degli altri, di cui si servono per esprimersi. Il linguaggio sonoro ha alcuni vantaggi in rapporto ad altre forme di comunicazione. Proviamo a confrontare i suoni con i segnali visivi. Il linguaggio del corpo, quando è manifesto, è un importante mezzo di espressione per i cani e ha diverse fondamentali utilità. Un messaggio sotto forma di segnale visivo è silenzioso, eppure può essere colto anche a distanza; perfino l'ubicazione e la fonte sono facilmente identificabili. Il segnale può essere "acceso" o "spento" all'istante e può variare d'intensità, basta emetterlo con più forza, più velocemente o in maniera più ampia. Informazioni complesse possono essere racchiuse in un semplice atteggiamento, come dimenare la coda o muovere la testa, se il cane ha già imparato a tradurre tali gesti. Significa che il segnale visivo è piuttosto versatile e ha infinite possibilità. Allora, perché si sono sviluppati ugualmente i segnali sonori? Nel mondo animale i segnali visivi possono rivoltarsi contro chi li usa. Siccome devono essere visti per essere ricevuti, chi li manda può essere notato da un predatore, o da una potenziale preda. L'uso del linguaggio del corpo richiede una percezione ottica molto sviluppata, con una buona capacità di scomposizione per decifrare anche i minimi dettagli: è facile che questi si perdano, nonostante il destinatario possieda un'ottima vista, se vengono inviati da distanze eccessive. Nebbia, fumo, o altre condizioni di scarsa visibilità influiscono sulla comprensibilità del messaggio. In più, gli ostacoli fisici, alberi, rocce o muri, impediscono la comunicazione visiva, poiché non vi è modo di aggirarli. È inoltre necessario un ambiente sufficientemente luminoso perché il segnale sia visto. Sarebbe illogico che l'evoluzione avesse protetto un animale che può affidarsi solo a canali di comunicazione che si interrompono di notte per poi riprendere alle luci dell'alba. I segnali sonori superano molti inconvenienti legati alla vista. Sebbene richieda un apparato acustico sensibile, il suono può viaggiare a lunga distanza ed essere ancora interpretabile. Non viene fermato dalla nebbia o dal buio assoluto, può girare al di là di un angolo ed evitare molti ostacoli, come foreste, rocce e muri. Per questo è tanto difficile arrivare di soppiatto alle spalle di un animale selvatico, anche se dorme o è comunque distratto: il suono gli giungerà molto prima che noi ci rendiamo conto della sua presenza. Il segnale sonoro inoltre può essere mandato da un luogo occulto, permettendo a chi lo invia di rimanere nascosto; la fonte può essere localizzata perfettamente da due orecchie lini, ma è anche possibile ingannare chi lo sente (come dimostrano molti bravi ventriloqui). Intonazioni alte, suoni brevi, ad esempio uno squittio, sono difficili da individuare. Se però un altro animale sta ascoltando, e sa già dove si trova il mittente, può interpretare il messaggio e arrivare in un lampo. Gli animali emettono una vasta gamma di suoni, che non si sarebbero evoluti come forma di comunicazione se non avessero avuto una funzione specifica. Numerosi scienziati sono arrivati alla conclusione che molte di queste modulazioni sonore vengono utilizzate come "parole"; non solo, sembra che abbiano significati specifici che gli altri membri della specie comprendono. La prova più evidente arriva dalle scimmie (forse perché generalmente la gente si interessa di più a ciò che fanno le scimmie che non a ciò che fanno i quadrupedi). Una di queste è il cercopiteco verde, che vive in Africa. Bestiola esile, aggraziata, con lunghi arti e un muso piuttosto piatto, viene a volte chiamata anche scimmia della savana, perché passa la maggior parte del tempo nella savana o nei suoi dintorni. È un animale terricolo, si nutre di frutti, foglie e altri vegetali. Prende il nome dalla parola francese vert, che significa "verde", poiché il soffice e compatto pelo del dorso ha una sfumatura verdina, che contrasta con il giallo pallido - o il bianco - del petto e il nero del muso, delle mani e dei piedi. Ma la cosa più importante, per quanto ci riguarda, è che queste scimmie hanno un vocabolario particolare, tramite il quale avvisano gli altri membri del branco dell'avvicinarsi dei predatori. Non solo fanno risuonare l'allarme se ne avvistano uno, ma usano anche "parole" specifiche per dire ai compagni che tipo di predatore devono aspettarsi. Gli psicologi Dorothy Cheney e Robert Seyfarth, dell'Università della Pennsylvania, hanno condotto molte ricerche sul linguaggio dei cercopitechi verdi, e hanno scoperto che sono tre i maggiori predatori di queste piccole, belle scimmie: i leopardi, le aquile e i serpenti. Un cercopiteco che vede un leopardo emette un forte abbaio, una specie di rapido latrato. Se

avvista un'aquila, invece, emette una sorta di risata forzata. Se scorge un serpente produce uno stridulo schiamazzo. Per gli altri cercopitechi, questi diversi suoni fungono da parole precise o da segnali d'allarme, e ognuno di essi causa un comportamento differente. Quando sentono l'abbaio che significa "leopardo", tutte le scimmie interrompono quello che stanno facendo e cercano rifugio sugli alberi. Se un cercopiteco sente la risata soffocata che indica "aquila", immediatamente guarda in alto per scrutare il cielo prima di darsela a gambe e nascondersi in un cespuglio. Se una di queste scimmie inizia a schiamazzare in modo stridulo per avvertire della presenza di un serpente, le altre si alzano sulle zampe posteriori e sondano il terreno in cerca del loro strisciante, furtivo nemico. Per avere la certezza che tali suoni potessero essere considerati vere e proprie parole, i due ricercatori per prima cosa dovettero escludere alcune altre possibilità. La più importante era che i suoni e il conseguente comportamento difensivo fossero solo una reazione emotiva alla vista del predatore e non, quindi, un modo di comunicare. Per provarlo, Cheney e Seyfarth registrarono i vari gridi d'allarme, e li fecero risentire alle scimmie quando nessun predatore era nelle vicinanze: risposero tutte con i medesimi comportamenti. Questo dimostra che i cercopitechi ricavano l'informazione dai suoni, che dunque fungono da parole. Anche per un'altra ragione sembrava che le loro parole avessero delle similitudini con quelle umane. Quando un bambino impara a parlare, spesso definisce cose che si assomigliano con la stessa parola. I giovani cercopitechi commettevano lo stesso errore. Un cercopiteco adolescente a volte lanciava il grido d'allarme per un'aquila alla vista di una foglia che cadeva, per il leopardo se scorgeva nelle vicinanze un'antilope, oppure per il serpente alla vista di una pianta rampicante. A mano a mano che il cercopiteco cresce, sbaglia sempre meno; è quindi evidente che apprende e perfeziona le sue capacità di linguaggio. I giovani, quando sentono l'allarme per i predatori, osservano attentamente il comportamento della madre, come se apprendessero quello che deve essere fatto osservando le azioni dei più anziani, che hanno una maggior esperienza. Sembra anche che quando essi stessi emettono un segnale d'allarme, cerchino il consenso delle altre scimmie sulla scelta del suono. Col tempo le giovani scimmie migliorano il modo di "parlare il cercopitechese", grazie all'ascolto e all'osservazione dei loro simili. Se i suoni emessi dai cercopitechi sono una sorta di linguaggio primitivo, allora, come in tutti i linguaggi vivi, in presenza di nuove condizioni ambientali si devono creare parole che le definiscano. Al linguaggio umano moderno sono state aggiunti nuovi termini, per esempio "telefono", "computer" e "laser", quando tali oggetti sono apparsi sulla scena e sono diventati importanti. Allora, sarebbe giusto domandarci, se dovesse comparire un nuovo predatore dei cercopitechi, queste scimmie inventerebbero un suono d'allarme apposito? Marc Hauser, psicologo e antropologo dell'Università di Harvard, ha risposto alla domanda. Si trovava nello stesso habitat in cui Cheney e Seyfarth avevano studiato i cercopitechi verdi, quando sentì un coro di allarmi che lasciava intendere la presenza di un leopardo nelle vicinanze. Ascoltò con estrema attenzione e si accorse che il richiamo era molto debole. Raccontò che "più che un suono d'allarme forte, un latrato rapido, come lo è il tipico segnale dato alla vista di un leopardo, questo era più lento, come potrebbe essere percepito se fosse emesso da un registratore con le batterie scariche". Quando arrivò sul posto, scoprì che i cercopitechi si erano rifugiati sugli alberi; quello che aveva sentito era senza dubbio l'allarme per un leone. Al tempo in cui Cheney e Seyfarth studiavano i cercopitechi, non era mai capitato che un leone cacciasse queste scimmiette, e per un motivo ben preciso: essendo più lento del leopardo, ha dunque meno probabilità di successo. Per un leone, inoltre, il piccolo cercopiteco non è una buona preda; questo felino insegue vittime più grandi, che forniscano un adeguato nutrimento per il suo fisico e per il suo orgoglio. Nel caso specifico, sembra che, a causa della scarsità di cibo, il leone avesse dovuto ricorrere a una preda non usuale per lui. I cercopitechi risposero inserendolo nella categoria dei felini cacciatori e modificando il grido di allarme antileopardo. L'ambiente circostante si stava modificando, e il linguaggio vocale dei cercopitechi rispondeva includendo nel vocabolario le nuove condizioni, così come il linguaggio umano si espande per includere nuovi concetti. Il linguaggio dei cercopitechi appare così molto sofisticato, ma non bisogna pensare che un'abilità linguistica del genere sia una prerogativa delle specie con un cervello complesso, come le scimmie. Possiamo trovare parole specifiche simili, sotto forma di richiami di allarme, in parecchi altri animali. Lo scoiattolo terricolo di Belding, socievole creatura che scava tane, ne è un esempio. Poiché passa la maggior parte delle ore di luce all'aria aperta, sulle rocce e intorno ai tronchi d'albero, è un animaletto vulnerabile agli attacchi dei falchi, degli altri uccelli predatori e anche dei predatori terrestri, come linci e tassi. Questi animali hanno strategie di caccia molto differenti; mentre il falco fa affidamento sulla velocità, la lince conta sulla furtività. Come i cercopitechi, gli scoiattoli terricoli hanno suoni di allarme differenti per ogni tipo di predatore. Un fischio

acuto avvisa che "si sta avvicinando un falco", mentre uno schiamazzo aspro indica che "un mammifero sta cercando di arrivare di soppiatto". Anche questi scoiattoli, quando sentono l'allarme, rispondono in modo appropriato, a seconda di cosa è stato "detto". Se è stato segnalato un falco, se la danno a gambe levate, mentre se vengono avvisati dell'arrivo di un "mammifero furtivo" si dirigono alla loro tana e sorvegliano la situazione. Nella scala evolutiva, i cani sono collocati da qualche parte fra gli scoiattoli terricoli e i cercopitechi, per cui avrebbe senso aspettarsi di trovare in essi vocalizzazioni "che abbiano un significato". Il suono più comune attribuito ai cani domestici è l'abbaio; potrebbe essere interessante fare alcune ipotesi evoluzionistiche su come tale verso sia nato. Nel prossimo capitolo "interpreteremo" il significato dei vari abbai. Forse non avremo mai prove definitive a conferma di come e perché cani e uomini si sono associati, ma è molto più verosimile che non sia stato l'uomo a scegliere il cane, bensì il contrario. È possibile che i cani venissero attratti dagli insediamenti umani perché anche gli uomini erano cacciatori, e gettavano i resti degli animali uccisi - ossa, parti del pelo e altri scarti - oltre il perimetro dell'insediamento. Gli antenati dei cani moderni (che erano sempre in cerca di cibo} impararono che se rimanevano nelle vicinanze riuscivano a racimolare da mangiare, evitando lo sforzo della caccia. Anche se probabilmente gli uomini primitivi non si preoccupavano affatto della pulizia, della salute e dell'igiene, è vero che gli avanzi marciti di cibo puzzavano e attiravano molti insetti sgradevoli. È quindi facile supporre che i cani fossero tollerati perché smaltivano i rifiuti. La funzione di spazzini continuò per innumerevoli secoli e continua tuttora nelle regioni meno sviluppate del mondo. Gli antropologi che hanno studiato le tribù primitive nel Pacifico del Sud, hanno notato che nelle isole in cui c'erano cani, i villaggi e gli insediamenti erano più duraturi. Le popolazioni che non avevano cani, invece, dovevano "traslocare" quasi ogni anno, per fuggire dalla contaminazione ambientale causata dai loro rifiuti. Questo ci fa supporre che i cani siano stati un elemento vitale nella fondazione di città permanenti, molto prima che ci rendessimo conto dell'importanza dell'igiene pubblica. Quando i canidi selvatici, che alla fine sono diventati cani, si stabilirono nei dintorni degli stanziamenti umani, i nostri antenati si accorsero del beneficio tratto dalla loro presenza. Bisogna ricordare che gli uomini primitivi vivevano in tempi pericolosi. Esistevano molti animali grandi che li vedevano come potenziale fonte di cibo. Inoltre c'erano altre bande umane ostili, e siccome i canidi consideravano l'area degli insediamenti come proprio territorio, quando un uomo estraneo o una bestia selvatica si avvicinava al campo cominciavano ad abbaiare, avvisando così del pericolo la popolazione del luogo, che poteva organizzare una difesa. Finché c'erano i cani, gli uomini non avevano bisogno di fare la guardia, e ciò permetteva loro di riposare di più e di avere una migliore qualità di vita. Da difensori del villaggio a cani guardiani della casa, il passo fu breve. Adesso i nostri antenati sapevano che i cani, in caso di invasione, avrebbero dato l'allarme. Facciamo un passo avanti. Un cane che considera una casa come suo territorio, automaticamente difende anche la famiglia che ci vive dentro. Il suo scopo è quindi quello di avvisarla quando un visitatore si avvicina, una sorta di campanello canino! È evidente che questo fu uno dei motivi per cui gli uomini cominciarono ad allevare i cuccioli dei cani selvatici, tenendoli dentro casa, abituandoli a vivere con loro. Quando si dice che i canidi degli uomini primitivi abbaiavano, non si deve pensare al tipo di abbaio che oggi conosciamo. I suoni originari degli antenati canini erano probabilmente molto più simili a quelli emessi dai cani selvatici di adesso. Lupi, sciacalli, volpi e coyote raramente abbaiano, il verso che emettono è molto più impressionante. Ricordo la prima volta in cui ho sentito un branco di lupi abbaiare perché ci stavamo avvicinando alla loro tana; l'ho subito identificato come un abbaio, ma era sorprendente quanto fosse contenuto. Il cane domestico emette un'ininterrotta serie di abbai, simile alle raffiche di una mitragliatrice. Il verso del lupo invece è molto più debole, assomiglia a un "woof" fatto buttando fuori tutto il fiato. Non è mai una sequela, è un singolo, monosillabico abbaio, seguito da una pausa di due-cinque secondi, poi ne arriva un altro. In mezzo minuto ho contato quattro modesti abbai; un cane domestico ne avrebbe emessi non meno di una trentina, e anche più alti di tono in caso di allarme per la presenza di un estraneo. A un certo momento, i primi "padroni" devono aver notato che la vocalizzazione variava da cane a cane. È logico che, a scopo di difesa personale e comunitaria, l'animale più efficiente è quello che abbaia più forte e con più persistenza. Iniziò così una sorta di primitivo programma di selezione per creare uno specifico tipo di cane: se abbaiava veniva tenuto e allevato, se non abbaiava veniva eliminato perché inutile. Forse questa teoria ci aiuta a spiegare la divergenza vocale fra cani e canidi selvatici. A sostegno di una possibile teoria di evoluzione controllata, vi è la prova storica che i cani moderni sono stati selezionati per abbaiare. Mi riferisco alla razza terrier, specializzata nella caccia. La radice latina terra in "terrier" sta per "terreno" o

"suolo", e indica la speciale abilità di questo tipo di animale, che insegue la selvaggina fino nelle tane o nelle fenditure, e la scova o l'ammazza. I primi terrier abbaiavano, ma non più di qualsiasi altro cane addomesticato. Abbaiavano all'avvicinarsi di un uomo alla casa o al loro territorio, e per dare l'allarme generale. Tuttavia, come anche i loro parenti selvatici, non abbaiavano mentre cacciavano. Sarebbe stato controproducente. Un cane che abbaia avvisa la selvaggina della sua presenza e dell'esatta posizione del predatore, quindi la facilita nella fuga. La maggior parte dei cani, infatti, caccia e attacca in silenzio. La caccia silenziosa può essere positiva in natura, ma non lo è più quando, a beneficio degli uomini, si inseguono animali nelle tane o nei cunicoli. Il suono del cane che proviene da sottoterra avvisa il cacciatore dove scavare per arrivare alla volpe o al tasso, e serve anche per ritrovare il proprio cane. Ma a volte i terrier, mentre inseguivano o attaccavano la preda, non abbaiavano, per cui i cacciatori inventarono un collare particolare, su cui erano attaccati dei campanelli. Lo scampanellio indicava la direzione da seguire e il luogo dove scavare. Tale soluzione, però, si rivelò poco efficace; molti cani morivano strangolati se, quando erano sottoterra, il collare si impigliava in qualche ostacolo, oppure rimanevano uccisi perché il cacciatore non riusciva a sentire il suono dei campanelli quando l'animale arrivava allo scontro finale con la volpe. Un cane che abbaiava poteva essere udito, e quindi trovato, senza fargli correre rischi ulteriori. Questo portò a un allevamento sistematico di terrier che abbaiavano. Negli ultimi decenni del diciannovesimo secolo, tutti i terrier erano grandi abbaiatori. La taglia non era importante. Un esile yorkshire terrier di due chili che misura al garrese ventitré centimetri abbaia più vigorosamente, anche senza essere provocato, di un danese gigante di sessanta chili, che al garrese misura settantacinque centimetri. E non perché il piccolo terrier sia più cattivo o più pauroso, ma perché è stato selezionato per abbaiare. I dati scientifici sull'ereditarietà dell'abbaio ci sono stati forniti da due psicologi, John Paul Scott e John L. Fuller, che per circa quindici anni hanno studiato la genetica e il comportamento dei cani in un centro specializzato, il Jackson Memorial Laboratory a Bar Harbor, nel Maine. Una delle razze prese in esame fu il basenji. È un bel cane africano, con il muso appuntito, le orecchie dritte, e la coda posta in alto e arrotolata sul dorso. Di taglia media, pesa dieci-undici chili ed è alto quaranta-quarantatré centimetri al garrese. Una delle sue caratteristiche più singolari è che abbaia raramente. Più che abbaiare, produce un latrato lamentoso che ricorda i canti alpini, mentre altre volte emette un verso simile a una debole risata. Può abbaiare; solo che, a meno che non sia veramente eccitato, non accade spesso. Esistono delle teorie sul perché il basenji abbai così di rado. La tesi più plausibile è che nelle foreste africane abbaiare all'avvicinarsi di un estraneo, animale o uomo, potrebbe non essere funzionale, o perfino pericoloso. Alcuni naturalisti hanno scoperto che ai leopardi piace la carne di cane, e un cane che abbaia in quei territori può attirare l'attenzione su se stesso e di conseguenza fare una prematura fine. Scott e Fuller allestirono una serie di test sulla dominanza sociale per vedere come si comportavano le varie razze. Uno degli aspetti del comportamento che volevano monitorare era la quantità di abbai. Il test consisteva nel rinchiudere due cani in un recinto dove si trovava un appetitoso osso. Quando i cani si trovano in situazioni simili, spesso abbaiano per minacciare il rivale o per tenerlo lontano dall'oggetto ambito. Ebbene, solo il 20% dei basenji si mise ad abbaiare, cosa che invece fece il 68% dei cocker spaniel. Dei pochi basenji che abbaiarono, la maggior parte emise solo uno o due laconici, bassi "woof" simili al suono emesso dai lupi, mentre i più rumorosi emisero venti abbai. In confronto, l'82% dei cocker spaniel abbaiò più volte del più rumoroso basenji. Uno spaniel emise novecentosette abbai nei dieci minuti concessi, ovvero più di novanta al minuto. Si può dunque affermare che non solo i basenji abbaiano di meno, ma quando lo fanno articolano poco. Il passo successivo consisteva nell'incrociare di proposito il silenzioso basenji con il rumoroso cocker spaniel. Nacque una cucciolata che abbaiava quasi quanto i cocker spaniel (60% invece del 68%). Su queste basi si è dedotto che la tendenza ad abbaiare nei cani domestici non solo è genetica, ma è anche un gene dominante. Ciò significa che se si incrocia un cane che abbaia di frequente con uno che abbaia poco, il cucciolo che nascerà abbaierà molto, e questo spiega perché fu così facile per gli allevatori primitivi generare un cane che abbaiava. Una volta scoperta la caratteristica, è facile crearla mantenerla, poiché è dominante. La tendenza dominante ad abbaiare, tuttavia, è solo una parte dell'intera storia. Sebbene i cani nati dall'incrocio tra il basenji e il cocker spaniel tendano ad abbaiare quanto lo spaniel di pura razza, il numero degli abbai emessi in un determinato periodo di tempo è inferiore. Durante i test, infatti, l'82% dei cocker spaniel di pura razza ha abbaiato più di venti volte, mentre fra i nati dall'incrocio fra il basenji e lo spaniel si è comportato nello stesso modo solo il 42%; questo mette in evidenza che ci sono due tendenze ereditarie differenti. La prima è la probabilità che il cane abbaierà (o la quantità di stimolazioni necessarie perché abbai), mentre la seconda è l'effettiva quantità o tipo di abbaio che produrrà.

Abbiamo parlato di una teoria sull'evoluzione dell'abbaio nei cani attuali, ma non abbiamo ancora detto se i suoni prodotti possono avere significati diversi (come gli allarmi antipredatori emessi dai cercopitechi verdi e dagli scoiattoli terricoli). Per riuscirci, prima di tutto dobbiamo imparare ad ascoltare i versi emessi dai cani e a distinguere in cosa i vari abbai e le altre vocalizzazioni differiscono. Il vero problema è che la maggior parte delle persone non presta alcuna attenzione alle sottili differenze tra i vari modi di abbaiare. È questa la ragione per cui perdiamo una gran parte del messaggio che il cane cerca di mandarci. L'orecchio umano non è neanche in grado di accordarsi su quale sia il suono base. Per gli anglofoni il cane fa: bow- wow, woof- woof, oppure arf- arf. Per uno spagnolo jau-jau, per un danese waf- waf, per un francese woa- woa, per un russo gav- gav, per un israelita hav-hav, per un tedesco wau-wau, per un ceco haff- haff, per un coreano mung- mung, infine per un cinese wung-wung. Credete che i cani parlino diverse lingue? Ho idea che probabilmente siamo noi a non essere bravi ad ascoltare.

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6. Il cane parla Per gli esseri umani, i suoni del linguaggio sono abbastanza arbitrari. Non esiste un gruppo di parole che abbia un significato comune per tutti i membri della nostra specie. Suoni differenti in lingue differenti, possono voler dire la stessa cosa. Quelli emessi pronunciando le parole perro, chien, Hund, dog e cane hanno uguale senso, anche se di fatto non hanno alcun legame sonoro. Abbiamo provato a eliminare i problemi sorti dalle molte e diverse lingue che parliamo creando una "lingua universale". Il tentativo più famoso è stato l'esperanto, ma sfortunatamente i risultati non sono stati positivi. Invece i suoni che utilizzano gli animali per comunicare tra loro sono più uniformi. Ogni specie possiede i propri, ma sembra che (fatta eccezione per certi "dialetti" regionali degli uccelli) all'interno di ciascuna esista una sorta di linguaggio comune e universale. Il codice del linguaggio universale degli animali, che potremmo chiamare esperanto evolutivo, comprende un numero di suoni usati per la comunicazione. Questi non sono stati plasmati da studiosi o da glottologi, ma piuttosto dalla pressione evolutiva che opera sui suoni caratteristici che gli animali emettono. L'esperanto evolutivo permette non solo la comprensione, da parte dei cani, dei segnali vocali di ogni altro cane, ma anche che altre specie animali (compreso l'uomo) riescano a capire il significato di molti di questi segnali. Nell'esperanto degli animali, le regole principali si basano su tre caratteristiche: la tonalità del suono, la sua durata e la frequenza o la velocità della ripetizione. Prendiamo in considerazione la variazione di tonalità. Il ringhio, l'abbaio e altri versi, se emessi a bassa intonazione solitamente indicano minaccia, rabbia, e dunque la possibilità di un'aggressione. Fondamentalmente vogliono dire: "Stammi lontano". Al contrario, i suoni di elevata tonalità indicano l'opposto. Quello che comunicano è: "Ti puoi fidare a venirmi più vicino" oppure "Posso avvicinarmi?". Il naturalista Eugene Morton3 (Morton E. S., Pope, J. 1992; Animal talk; Random House, New York) in uno studio fatto insieme con J. Pope al National Zoological Park di Washington, ha analizzato i suoni di cinquantasei specie di uccelli e di mammiferi, e ha scoperto che la legge dell'intonazione era valida per ognuno di loro. Così come ringhiano i cani, ringhiano anche gli elefanti, i topi, gli opossum, i pellicani e le cince. In tutti i casi sembra che il ringhio voglia dire: "Non mi piace", "Mantieni le distanze", o anche "Attento". Nello stesso modo in cui i cani uggiolano o piagnucolano, lo fanno anche i rinoceronti, i porcellini d'India, l'anatra selvatica e persino i vombati (piccoli marsupiali simili a orsacchiotti, e questi piagnucolii hanno tutti lo stesso significato: "Non sono una minaccia", "Sono ferito" oppure "Ho bisogno". Gli psicologi hanno riscontrato le stesse caratteristiche nel modo di parlare degli esseri umani. Quando è presente la rabbia, o la minaccia, l'intonazione della voce umana tende ad abbassarsi. Al contrario, quando invita qualcuno ad avvicinarsi e a essere più amichevole, la voce umana tende ad alzarsi di tonalità. Allora, perché i cani, gli elefanti, i fagiani - e anche noi - dovrebbero usare e capire la legge dell'intonazione? Prima di tutto bisogna tenere in conto che le cose grandi emettono suoni bassi. Prendete due bicchieri vuoti, uno piccolo e uno grande, e provate a dare un colpetto con un cucchiaio prima all'uno poi all'altro. Il bicchiere grande emetterà un suono basso, simile a quello della canna lunga di un organo. La legge fisica della risonanza è applicabile agli animali come agli oggetti inanimati. Gli animali grandi emettono suoni con una intonazione più bassa di quanto facciano gli animali piccoli, e questo non per far sapere che nei dintorni c'è qualcuno di grossa stazza; la ragione ha a che fare con la fisica. Tuttavia, siccome l'evoluzione lavora a favore della sopravvivenza, gli animali che avevano imparato a evitare le cose il cui suono aveva un'intonazione bassa, furono quelli che con più facilità evitarono incontri fatali. Ma l'altra faccia della medaglia è che gli animali hanno più probabilità di sopravvivere se imparano a non scappare quando sentono pigolii e piagnucolii ad alta intonazione, visto che è maggiore la probabilità che siano emessi da creature piccole, non minacciose, perché se fuggissero in preda al panico potrebbero ferirsi o attirare l'attenzione di qualcosa di più grande e più pericoloso. Ecco dove l'evoluzione e lo sviluppo della comunicazione iniziano a infondere la loro magia. Supponete di essere un animale che sta mandando dei segnali agli animali nei paraggi. Sapendo che gli altri fanno attenzione alla tonalità dei tuoi segnali, puoi ora usarli intenzionalmente per comunicare. Se vuoi che un animale scappi, o che comunque stia lontano dal tuo territorio, puoi inviare un segnale a bassa intonazione, come un ruggito, facendo intendere che sei grande e pericoloso. Al contrario, puoi usare un segnale ad alta intonazione, come un piagnucolio, per indicare che sei piuttosto piccolo e che quindi

è abbastanza sicuro venirti vicino. Così, se sei di grandi dimensioni e vuoi segnalare a un altro animale che non hai intenzioni minacciose o offensive, puoi farlo piagnucolando e uggiolando come una piccola e innocua creatura. Questo tipo di comportamento è apertamente manipolatore. Non cambi certo la tua dimensione cambiando l'intonazione dei tuoi segnali sonori. Allora, perché chi riceve il segnale dovrebbe rispondere alle tue variazioni di tonalità, visto che non rappresentano la tua realtà fisica? La ragione è che è vantaggioso per la sopravvivenza dell'animale che riceve il segnale rispondere all'intonazione. Un animale che ruggisce a bassa tonalità è certamente da evitare. È molto meglio stare alla larga da chi manda questi segnali, sia che si tratti di un essere realmente grande, sia di un animaletto con un cattivo carattere e pronto all'attacco. Denti piccoli in una bocca arrabbiata possono causare molte ferite. Un animale che manda piagnucolii ad alta intonazione, invece, è tutta un'altra cosa. Non è necessario evitare la fonte di questi suoni alti, e non ha importanza se l'animale è veramente piccolo o se ha intenzioni amichevoli, perché comunque il segnale inviato è l'esatto contrario di una minaccia. Gli etologi affermano che i segnali legati alle intonazioni si sono ormai "ritualizzati". Le nostre risposte a questi segnali sono diventate indipendenti dalle proprietà fisiche che all'inizio li hanno resi adattativi. Adesso hanno una funzione di linguaggio estremamente utile, e possono anche servire per ridurre la violenza e l'aggressività di animali che vivono in gruppo. Se un lupo si avvicina al capobranco e questo lo accoglie con un profondo ringhio, può dedurre che il leader gli è ostile e che quindi è aggressivo. A questo punto può evitare ogni guaio standogli alla larga, senza provocare uno scontro in cui i due avversari potrebbero ferirsi; il lupo che si è avvicinato può anche emettere dei piagnucolii ad alta intonazione, lasciando così intendere che i suoi propositi non sono né minacciosi né di sfida. A queste condizioni, il leader magari smette di ringhiare e può anche decidere di farsi avvicinare. In entrambi i casi, non c'è spargimento di sangue, perché i due lupi conoscono il significato dei segnali ritualizzati. Tali significati si sono evoluti perché portano informazioni utili a mantenere un'armonia sociale. È importante notare che il ringhio funziona soltanto come segnale ritualizzato, che serve per far cambiare il comportamento di un altro individuo. Per la precisione, ringhiare significa avvisare qualcuno di stare lontano. Un cane che ha deciso di attaccare non ringhia, semplicemente attacca. Se ringhia e il destinatario dell'avvertimento non indietreggia, magari smette di ringhiare, ma non vuoi dire che le ostilità siano finite. Magari si rende conto che il suo monito non è stato preso in considerazione e che l'unica alternativa è la lotta. Adesso il cane rimane in silenzio, abbassa leggermente la testa, le labbra arricciate iniziano a tremare, e subito dopo farà un balzo improvviso e morsicherà. I cani che decidono di attaccare non emettono suoni. Se vi è capitato di assistere a una dimostrazione di come lavora un cane poliziotto, avrete visto che quando gli viene dato il segnale di attaccare il finto criminale in fuga, il cane si mette a correre in un silenzio spettrale, raggiunge l'individuo e gli serra il braccio imbottito tra i denti. Una volta iniziata la lotta, è possibile che il cane riprenda a ringhiare per avvisare l'avversario che può interrompere il combattimento e andarsene. Un cane impaurito che decide che il solo modo per salvarsi è fuggire, lo farà ugualmente in silenzio. Un cane che scappa, e che tenta di mettere più distanza possibile fra sè e qualcuno che per lui è una minaccia, spesso non fa alcun rumore. La situazione ha chiaramente oltrepassato il limite della comunicazione sociale. In entrambi i casi (paura o ira), se i suoni non sono utili come linguaggio, allora vengono interrotti. Perché continuare a emetterne se non influiscono più sul comportamento dell'animale cui sono diretti? La seconda importante caratteristica dell'esperanto evolutivo è la durata del suono, utile per modificarne i significati. Il modo in cui si combina con l'intonazione è un po' complesso. Fondamentalmente, i suoni brevi sono associati a paura, dolore o necessità molto intensa. Pensate, per fare un esempio, al guaito, un verso ad alta intonazione. Se la durata si riduce, può significare che il cane vive una situazione dolorosa, oppure che è terrorizzato e sta fuggendo. Se invece dura più a lungo, diventa un uggiolio, magari di piacere, oppure giocoso. Più il suono è lungo, più è probabile che il cane stia prendendo una decisione consapevole sulla natura del segnale e il comportamento che seguirà. Così, il ringhio del cane dominante che ha tutte le intenzioni di difendere il suo territorio e di non cedere, non sarà solo a bassa intonazione, ma anche lungo e intenso. Se è a scoppi brevi, e corto, indica che vi è un elemento di paura, e che il cane è preoccupato perché non sa se attaccando riuscirà a scamparla. La terza caratteristica dell'esperanto evolutivo canino è il ritmo ripetitivo. Suoni che si ripetono spesso, a un ritmo veloce, indicano un grado di eccitamento o di bisogno pressante. Suoni distanziati, non ripetitivi, di solito denotano un basso livello di eccitamento o una disposizione d'animo transitoria. Un cane che, davanti alla finestra, fa uno o due abbai occasionali, mostra poco interesse per ciò che vede. Uno che, mentre guarda fuori dalla finestra, abbaia a scoppi e li ripete più volte in un

minuto, mostra un livello di eccitamento molto più elevato. Sta segnalando che secondo lui la situazione è rilevante e forse annuncia perfino un potenziale pericolo. Possiamo capire come queste caratteristiche interagiscono se consideriamo che cosa i cani vogliono dire quando usano le varie vocalizzazioni, come l'abbaio, il ringhio, l'ululato, il piagnucolio e così via.

Abbai Mentre analizzava i suoni degli animali per arrivare a formulare la legge dell'intonazione, Eugene Morton ha appreso che molte specie abbaiano, così come possono piagnucolare e ringhiare. Uno scoiattolo, una scimmia e un rinoceronte possono abbaiare. Perfino i pigolii di alcuni uccelli seguono i modelli base dell'abbaio. Se registrate il suono emesso da questi uccelli e ascoltate la registrazione a una velocità inferiore, vi accorgerete che i suoni sono molto simili all'abbaio di un cane.

In origine probabilmente gli abbai erano semplici richiami di allarme utilizzati per avvisare dell'avvicinarsi di qualcuno, così come nel Medioevo si suonavano le trombe per annunciare l'approssimarsi di individui alle porte della fortezza. L'allarme non dice se chi sta arrivando ha intenzioni amichevoli o ostili; avvisa solamente, in modo che ci si possa preparare a ogni eventualità. È per questo che un cane può abbaiare forte sia quando vede il suo padrone salire le scale di casa, sia quando sente un ladro che cerca di entrare. L'abbaio ha anche una funzione intimidatoria, come quella di un sorvegliante. La frase: "Alt, chi va là?" detta dalla sentinella, annuncia una presenza e permette alla guardia di raccogliere informazioni. Una volta che il nuovo arrivato è stato identificato, il comportamento può cambiare. Se la persona che il cane identifica è un membro della famiglia, allora iniziano gli uggiolii e gli scodinzolii. Ma se percepisce possibili ostilità da parte del visitatore, può anche smettere di abbaiare e iniziare a ringhiare e a minacciare un attacco. Quando si analizzano gli abbai, si scopre che sono composti da intonazioni che variano, si alzano e si abbassano bruscamente. Combinano le tonalità aspre del ringhio con quelle del piagnucolio. Siccome l'abbaio, nella scala dell'intonazione, sta nel mezzo, per il cane è facile dare una tonalità leggermente più alta o più bassa, per produrre molte sfumature di significato. Diamo uno sguardo ai modelli base degli abbai e alle loro interpretazioni. Sequenze rapide di tre o quattro abbai intervallate da pause, intonazione media: È un segnale di attenzione non definito. Il cane avverte che c'è qualcosa, ma non ha ancora capito se può essere un problema, oppure non è abbastanza vicino da considerarlo realmente una minaccia. Più che altro avvisa gli altri membri del branco di iniziare a radunarsi perché potrebbe presentarsi un pericolo. Il significato è: "Ho il sospetto che possa esserci un problema o un intruso vicino al nostro territorio. È bene che il leader indaghi". Abbai rapidi, intonazione media: È l'allarme base: "Il branco a raccolta! Pronti per agire! Qualcuno sta entrando nel nostro territorio!". È una sequela alta di abbai, il che significa che il cane è eccitato e percepisce che il visitatore (o il problema) è più vicino. Abbai continui, però più lenti e con intonazione più bassa: Il calo dell'intonazione e la sequenza più lenta indicano che il cane sente che il pericolo è imminente. Il significato è: "L'intruso (o il problema) è molto vicino. Non penso che sia ben disposto. Pronti alla difesa!". L'abbaio va oltre la sua funzione originale di richiamo di allarme. Aggiungendo alcune sfumature, è divenuto un segnale ritualizzato che trasmette significati più sottili. Per esempio: Una prolungata sequela di abbai, con intervalli da moderati a lunghi fra ogni emissione: Suonano veramente così: "Wooff-pausa-woof-pausa-woof", il cui senso è: "C'è qualcuno? Sono solo e ho bisogno di compagnia". Di solito il cane reagisce in questo modo quando viene recluso, oppure se viene lasciato solo per un lungo periodo. I cani sono animali che vivono in gruppo e la separazione dal branco per loro può essere veramente stressante. Se il livello dello stress è alto, l'intonazione sarà superiore alla media usuale, e assomiglierà molto a una combinazione tra un guaito e un abbaio. In molti casi, l'accrescere del tono è un invito per gli altri ad avvicinarsi, per cui questo verso lamentoso può anche voler dire: "Sono ancora qui. Vi siete dimenticati di me? Per favore, rispondete".

Uno o due abbai netti e brevi, intonazione alta o media: È il tipico suono di saluto, che di solito sostituisce l'abbaio di allarme nel momento in cui il cane riconosce come amico il visitatore che si avvicina. È infatti il benvenuto dato alle persone conosciute quando varcano la soglia di casa. Il significato è: "Ciao a tutti!" e subito dopo l'animale inizia il rituale di saluto. Un singolo abbaio netto e breve, intonazione medio-bassa: È facile sentirlo fare a una madre quando impone la disciplina ai propri cuccioli. Il cane lo emette quando è infastidito, magari perché viene svegliato, perché gli tirano i peli durante la spazzolatura, o comunque per analoghi motivi. Un'intonazione leggermente più bassa è solitamente associata all'idea di minaccia o di seccatura, così questo modo di abbaiare può voler dire: "Smettila!" oppure "Vai indietro!". Notate come piccole sfumature e sottigliezze nella vocalizzazione possono cambiare il significato di un abbaio. È simile a ciò che accade nel linguaggio umano, dove mutazioni nell'inflessione o nel tono di voce possono modificare il senso di una frase. Possiamo infatti usare la stessa espressione composta da due parole: "È pronto", sia per asserire che "adesso è pronto" sia per chiedere: "È pronto, adesso?". Diventa una domanda, e di conseguenza cambia di significato, semplicemente alzando l'intonazione della voce alla fine della frase, mentre se è un'affermazione, il tono diminuisce leggermente. Le inflessioni possono cambiare del tutto il significato delle parole. Sappiamo benissimo che l'espressione "Sì. Certo" viene usata quando due persone concordano su qualcosa. Ma se alla voce viene data un'intonazione ironica, le stesse parole possono trasmettere un messaggio molto differente: "Non credo a una parola di quello che dici". Anche i cani usano analoghi cambiamenti di inflessione, alterando la durata e la tonalità, per variare il significato dell'abbaio o di altre vocalizzazioni. I cambiamenti si verificano soprattutto negli abbai singoli o nelle sequenze di abbai brevi. Vediamo come queste sfumature modificano la comunicazione. Singolo abbaio, netto e breve, intonazione medio-alta: Suono che esprime sorpresa. Ma viene emesso anche se il cane trasalisce per qualche motivo, e significa: "Cosa succede?" oppure semplicemente "Cosa?". Se questa intonazione netta, breve, media viene ripetuta due o tre volte con un intervallo fra una emissione e l'altra, il significato cambia e diventa un abbaio di allerta che avvisa gli individui vicini di un nuovo evento: "Vieni a vedere!". Il fatto che l'intonazione non sia né alta né bassa indica che nel cane c'è curiosità o interesse, senza la presenza di paura o ira difensiva, almeno sul momento. Se si modifica lo stesso tipo di abbaio in modo che non sia così breve e netto, ma più lento, se ne cambia il senso in: "Vieni qui!". Al contrario del precedente, è più un comando, e molti cani lo usano all'ora del pranzo, davanti alla ciotola, per sollecitare la loro razione di cibo. Portando l'intonazione a un ritmo più rilassato, giusto quanto basta perché l'abbaio sia sempre breve, ma senza la minima acutezza nel tono, il significato diventa "Eccezionale!" o esclamazioni simili, come "Oh, fantastico!". Tempo fa avevo un cairn terrier che adorava saltare, e ed emetteva questo singolo abbaio di gioia quando gli facevo fare il salto in alto. Purtroppo, durante le gare di obbedienza, dato che i cani devono lavorare in silenzio, ognuna di queste manifestazioni mi costava un punto. Ma non ho mai cercato di fare nulla contro gli abbai di felicità, poiché mi faceva piacere che il mio cane si divertisse. La sua felicità per me aveva più valore di uno o due punti in più nella valutazione complessiva. Certi cani lanciano lo stesso abbaio quando ricevono da mangiare o quando vedono che il padrone prende il guinzaglio per andare a fare una passeggiata. Alcuni suoni sono associati ad attività specifiche. Una delle differenze tra i cani domestici e i canidi selvatici è dovuta al fatto che, nei cani domestici adulti, noi abbiamo mantenuto un certo numero di caratteristiche del cucciolo che il cane selvatico da adulto perde. Un esempio delizioso di questi comportamenti da cuccioli è la voglia di giocare che hanno mantenuto tutti i cani, i quali hanno anche sviluppato un sistema di vocalizzazioni o abbai specifici per invitare gli altri a giocare, o per esprimere piacere quando giocano. Abbaio balbettante, intonazione media: Immaginate che la trascrizione del suono di un abbaio sia "Ruff".

Allora lo stesso abbaio, ma balbettante, sarà: "Arr-ruff", il cui significato è "giochiamo!", usato quando il cane inizia a giocare. Solitamente è accompagnato da una postura particolare, d'invito: il cane abbassa la parte anteriore del corpo in modo che le zampe siano appoggiate a terra fino al gomito, mentre la parte posteriore del

corpo è alzata e la coda si agita. A volte, subito dopo l'abbaio balbettante, il cane inizia una pazza corsa, poi ritorna di nuovo nella posizione di gioco e fa un altro abbaio balbettante. Abbaio crescente: Non è facile da descrivere, anche se una volta sentito ha un suono inconfondibile. Si tratta di una serie di abbai, ognuno dei quali inizia a media intonazione, poi cresce bruscamente in acutezza. È quasi un abbaio-guaito, ma non è così stridente né così alto. È un altro dei suoni associati al divertimento. Non è un invito, viene fatto durante il gioco, in particolare quello leggermente violento. Mette in evidenza eccitazione, e può essere tradotto con: "È divertentissimo!". Il cane emette una versione di questo abbaio quando si sente eccitato alla prospettiva che il padrone gli lancerà la palla o il frisbee.

Ringhi Sebbene la nostra idea di ringhio sia associata a grandi e pericolosi predatori, come la tigre, il leone e l'orso, in realtà molti altri animali ringhiano. Animali mansueti, come il fagiano comune, l'opossum, e persino certi conigli. Lo scopo è tener lontani gli altri animali. I ringhi possono indicare "parole" singole, oppure essere utilizzati per modificare i suoni creati con l'abbaio, per aggiungere una nota di minaccia. Ringhio sommesso, intonazione bassa, che sembra venir fuori dal torace: Il classico ringhio emesso da un animale sicuro di sè, dominante, che significa: "Stai attento!" oppure "Stai indietro!". È usato deliberatamente per minacciare. Chi sente questo suono di solito si allontana per lasciare più spazio al cane. Non rispondere alla minaccia può provocare un attacco. Se un cane che emette questo tipo di ringhio si interrompe all'improvviso, senza però cambiare la sua postura con una più rilassata, bisogna stare in guardia. Può significare che l'animale ha deciso che "parlare" non è servito, e che l'unica azione utile sia la violenza fisica. Ricordatevi, la maggior parte delle volte il cane attacca in silenzio. Ringhio sommesso, ma non a bassa intonazione, che si sente più nettamente uscire dalla bocca: Molte persone, dopo averlo udito, lo descrivono più come un ghigno che come un ringhio e, difatti, quando lo emette, il cane arriccia di più le labbra. Ha un significato simile al ringhio precedente, perché vuoi dire: "Stammi alla larga!" oppure "Mantieni le distanze!". L'intonazione vagamente alta mostra che questo suono è dato da un animale non troppo sicuro di sè, che in realtà non vorrebbe iniziare una lotta ma che, se sfidato, non si tirerà indietro. Ringhio-abbaio a bassa intonazione: Un ringhio che a mano a mano si trasforma in abbaio. Un suono sommesso che si può trascrivere così: "Grrrrrr-ruff". L'abbaio aggiunge una componente che ha un'intonazione più alta. Ricordatevi che facilmente un'intonazione alta è associata a un comportamento meno aggressivo e meno dominante. Abbaiando e ringhiando contemporaneamente, il cane chiede rinforzi. Il suo senso è: "Sono arrabbiato e pronto a combattere, ma chiedo aiuto". Rimane comunque un segnale con il quale avverte di stargli lontano. Sicuramente preferirebbe essere appoggiato dagli altri componenti del branco, ma se si sente incalzato, attaccherà anche da solo.

Ringhio-abbaio con intonazione medio-alta: L'intonazione crescente unita al ringhio-abbaio è segno che il cane è considerevolmente meno sicuro di sè. Sta dicendo: "Sono preoccupato o spaventato, ma sono pronto a difendermi". Anche se non si sente molto sicuro, la sua minaccia è reale, per cui, se viene incalzato, reagirà. Ringhio ondulato: Intonazione che va da medio-bassa a medio-alta. Si può rompere in frasi, brevi ringhi con tonalità variabile, e occasionalmente diventa un semiabbaio quando l'intonazione cresce. Il suono significa: "Sono terrorizzato. Se ti avvicini, o combatto o scappo". È il suono impaurito-aggressivo di un cane estremamente insicuro. Il dubbio se rimanere e combattere oppure scappare per salvarsi la vita si manifesta nelle variazioni di intonazione e nelle occasionali pause fra i ringhi. Ringhio rumoroso, intonazione da media ad alta, a denti coperti: Se non conoscete bene il cane, questo verso non è facile da interpretare. Suona come un ringhio, ma senza la componente brontolio. Molto spesso il miglior modo per capire un suono è fare attenzione anche agli altri tipi. In questo caso, il ringhio è percepibile, ma i denti non si vedono e le labbra non sono arricciate in un ghigno. In realtà vuole dire: "Che bel gioco!" oppure "Mi sto divertendo moltissimo!". Di solito viene emesso durante il gioco ed è inserito in mezzo a una serie di abbai

balbettanti. Indica normalmente una forte concentrazione, come capita nel tiro alla fune, quando il cane tenta di prendere un bastone dalla bocca di un altro cane, o durante una finta aggressione. Se si ha una certa familiarità con un cane, questo ringhio è facile da distinguere, allora potete dirvi: "Come ringhio vero non mi convince. Non è minaccioso".

Ululati, guaiti e latrati I cani domestici abbaiano molto più dei lupi e degli altri loro cugini selvatici, in compenso ululano meno. Per il lupo l'ululato ha svariate funzioni. Una di queste è chiamare a raccolta il branco per la caccia. Siccome i lupi cacciano la mattina presto e nel tardo pomeriggio, non è sorprendente sentirli ululare durante questi momenti della giornata. È il richiamo per radunare il gruppo, che magari è sparpagliato nel sottobosco, di notte per dormire, durante il giorno per rimanere nascosto. Ma i nostri cani domestici hanno già chi fornisce loro il cibo, non hanno quindi la necessità di radunare il branco per iniziare la caccia.

Altro scopo dell'ululato è rinforzare l'identità del gruppo. Dopo averlo udito, i componenti si riuniscono e insieme cantano la canzone del branco. Per questo spesso i cani ululano quando sono rinchiusi oppure se vengono isolati dalla famiglia o dal branco. L'ululato di solitudine ha la medesima funzione di quello di gruppo: è un tentativo per attirare gli altri. Ma non tutti gli ululati sono uguali, ovviamente. Uggiolio-ululato: È un lungo uggiolio con un ululato finale prolungato. Di solito vuoi dire: "Sono solo", "Mi sento abbandonato!", "C'è qualcuno da queste parti?". È il verso che emette più di frequente un cane che è stato allontanato dalla sua famiglia, magari perché rinchiuso per la notte in uno scantinato o in un garage. Ululato: L'ululato tradizionale, che comincia senza nessuna fanfara e produce un suono continuo, prolungato. Di tanto in tanto può iniziare con un'intonazione vanamente alta, per poi crescere di tono e a volte abbassarsi un po' prima di terminare. Per le orecchie umane è più sonoro dell'uggiolio-ululato, e spesso viene definito come un suono "triste". Questa vocalizzazione dice: "Sono qui!" oppure "Questo è il mio territorio!". Un animale sicuro spesso ulula semplicemente per annunciare la sua presenza. Può essere anche mandato in risposta a un uggiolio-ululato inviato da un altro cane, con il significato di: "Ti ascolto!". Altri animali possono unirsi al coro. Una volta cominciato, l'ululato spesso diventa una manifestazione gioiosa: i cani, o i lupi, annunciano felicemente la loro presenza e il loro cameratismo ad altri della loro specie, in quella che potremmo definire una spontanea esecuzione musicale canina. L'esibizione può essere di lunga durata, e coinvolge tutti gli animali che si trovano nei paraggi. È durante questo concerto sfrenato che i canidi mostrano la loro finezza musicale. Registrazioni dei "concerti" hanno mostrato che un lupo che ulula, nel momento in cui altri si inseriscono nel coro, cambia l'intonazione. Ho spesso pensato che un padrone che non risponde all'ululato del suo cane unendosi al coro è come se trascurasse i doveri di membro del branco. Mia moglie però non la pensa così, soprattutto se c'è la possibilità che un vicino di casa mi senta ululare e tragga le conclusioni sbagliate. A volte capita che i cani si mettano a ululare durante un'esecuzione musicale. Soprattutto se nell'orchestra ci sono strumenti a fiato, in particolare quelli muniti di ancia, come il clarinetto o il sassofono. A volte vengono indotti a ululare da una nota prolungata di violino e persino da un uomo che cantando tiene la nota lunga. Probabilmente, per il cane che ascolta, è un perfetto ululato, al quale sente il bisogno di rispondere. Abbaio-ululato: È il suono più malinconico che un cane possa produrre. Inizia con due o tre abbai e finisce con un ululato, la sequenza può ripetersi parecchie volte. Di solito un animale emette questo verso quando si sente relativamente isolato, ad esempio se rimane rinchiuso tutto il giorno in un cortile senza accesso ad altri (uomini o animali), e viene provocato da un estraneo o da un cane che si avvicina. L'ululato indica il desiderio di avere vicino a sè i membri del branco, giusto nel caso nascessero problemi, anche se il tipo di suono suggerisce che il cane non si aspetta alcuna risposta. In effetti vuole dire: "Sono preoccupato e sono solo. Perché nessuno viene ad aiutarmi?".

Dato che l'ululato serve per radunare il branco ed evitare la solitudine, si spiega la superstizione, dura a morire, che vuole che l'ululato di un cane preannunci una morte in famiglia, o comunque qualcosa di estremamente negativo. La superstizione è legata alla credenza popolare che i cani abbiano un certo potere mistico che permette loro di prevedere il futuro. Molto spesso abbiamo l'impressione che le cose che crediamo connesse a eventi negativi siano esse stesse funeste, tuttavia la nostra fiducia nei cani ci ha spinto a interpretare gli ululati che precedono una morte come un tentativo da parte del nostro fedele amico di avvisare la sua famiglia umana dell'imminenza di un pericolo.

Se lasciamo perdere le spiegazioni soprannaturali, rimane un'unica possibile alternativa per spiegare questa associazione. Supponete che in casa ci sia un malato. Siccome è necessario curarlo, un cane, che normalmente vive in casa, in quella particolare circostanza potrebbe diventare un elemento di nervosismo in più, perché si ha paura che possa disturbare il paziente. Allora viene lasciato fuori, in giardino, o rinchiuso da qualche parte per un periodo. Così, abituato a vivere con la sua famiglia, e magari a dormire proprio nella camera dove adesso c'è il malato, si ritrova all'improvviso da solo. Ed è facile che questa solitudine lo spinga a ululare. Purtroppo, a volte, il malato muore, e le persone collegano i due fatti: “Il cane del nonno prima non aveva mai ululato, ma la notte in cui il nonno morì, ululava, e il suo era un ululato tristissimo, perché sapeva che la fine del suo padrone era vicina” La verità, invece, è che prima non ululava perché non era mai stato rinchiuso o lasciato solo dalla sua famiglia. È presumibile che la notte in questione, visto che le condizioni del nonno peggioravano, la famiglia abbia ritenuto opportuno rinchiudere il cane. Le leggende possono nascere da associazioni come queste. Se invece ci serve una nuova trama per un altro episodio di X-Files possiamo fantasticare su spiegazioni mistiche. Latrato: L'ululato è molto differente dal latrato, il verso che i cani da caccia fanno quando seguono una traccia. Sentendo questi due suoni per la prima volta si può percepire una certa somiglianza, ma il latrato è più melodico. Contiene molte variazioni di tono e non ne ha uno unico che dura a lungo. Secondo me, assomiglia a una combinazione fra l'ululato e lo Jodel. Di certo è un suono molto più eccitato e spesso carico di un allegro entusiasmo. I cani da caccia latrano per avvisare di aver sentito l'odore della loro preda. Come per l'ululato, anche questo serve per la "chiamata a raccolta", solo che il motivo della chiamata non è la solitudine, piuttosto la ricerca di cooperazione per cacciare. Siccome in un branco soltanto pochi cani sentono l'odore della preda nello stesso momento, il latrato serve per avvisare gli altri membri del gruppo: "Seguitemi! Ho trovato la traccia". Quando l'odore diventa più forte, rivelando che la preda è vicina, il latrato è leggermente meno melodioso, poiché le frasi individuali divengono più brevi, ma più frequenti, per cui il messaggio cambia di significato: "Prendiamolo!" oppure "Adesso, tutti insieme!".

Uggiolii, squittii, piagnucolii Il suono canino ad alta intonazione viene definito dall'uomo uggiolio o piagnucolio. Il suo scopo è far avvicinare chi lo sente a chi piagnucola, e indica paura o sottomissione da parte del piagnucolante. È anche il verso che emettono i cuccioli, e questo forse è il motivo per cui viene usato anche come suono di pacificazione e di richiesta. Rivela sia la totale assenza di minaccia, sia dipendenza e necessità. Alcuni etologi hanno scoperto che questi versi brevi, ad alta intonazione, in qualche maniera, sono molti speciali. I giovani di molti vertebrati terrestri, come lupi, orsi, gatti, alligatori, polli e anatre, emettono all'incirca questi stessi suoni, perché hanno due importanti qualità. Prima di tutto, si avvertono facilmente e sono nettamente distinguibili da tutti gli altri che si possono sentire in un ambiente. E in secondo luogo è difficile localizzarne la provenienza. Entrambe le qualità sono di estrema importanza nella comunicazione fra la madre e i suoi piccoli: è fondamentale che la madre sia in grado di sentire qualsiasi loro eventuale richiamo di angoscia e che i richiami non rivelino il nascondiglio dei cuccioli a nessun predatore. Il fatto che il suono non riveli la locazione per la madre non ha importanza, perché lei sa dove ha lasciato i propri piccoli.

Nei cuccioli, il codice linguistico è veramente molto semplice. Più è forte e più è frequente l'uggiolio o il piagnucolio, più intensa è 1'emozione che trasmette. Per i piccoli, l'uggiolio è il tentativo di comunicare un desiderio. Può essere quello del cibo, la voglia di compagnia, il desiderio di giocare. Anche una sensazione corporea, come la vescica piena, può scatenarlo. Se l'uggiolio viene ignorato, diventa più intenso e più frequente, prima che il cucciolo alla fine accetti che nessuno ha intenzione di rispondere alle sue richieste. L'uggiolio angosciato o lamentoso che dice: "Voglio" oppure "Ho bisogno", sale di tonalità verso la fine. Può raggiungere frequenze talmente alte da assomigliare allo stridio del gessetto sulla lavagna, e può creare le stesse fastidiose sensazioni fisiche e psicologiche. Al suo massimo livello denota una estrema esigenza e assomiglia a una combinazione fra il piagnucolio, l'abbaio e il guaito, tutti in un'unica complicata articolazione. È un suono talmente fastidioso che non è facile ignorarlo e certamente è impossibile dormire quando viene prodotto, il che lo rende particolarmente utile per attirare l'attenzione. Se lo confrontiamo con l'uggiolio di eccitazione menzionato prima, vediamo che, mentre l'eccitazione ha uno schema di suoni distanziati di soli pochi secondi fra uno e l'altro, l'uggiolio cala di tono alla fine, oppure si smorza senza cambiare tonalità, non creando così la fastidiosa sensazione in chi lo ascolta che crea l'uggiolio d'angoscia. È inoltre accompagnato da un particolare atteggiamento corporeo; se si aspetta di andare a fare una passeggiata, il cane prima guarda il padrone, poi si mette a gironzolare in una sorta di piccola danza, e intanto guarda alternativamente il padrone e la porta; oppure, se si aspetta di mangiare, guarda la faccia e la ciotola. Il mio retriever Odin, quando ha voglia di giocare con il frisbee, spesso emette questi versi mentre mi fissa direttamente negli occhi, poi volta lo sguardo verso la mensola dove c'è il suo frisbee e torna di nuovo a guardarmi. Il significato è chiaro, è come se mi dicesse: "Dài, prendi il frisbee e andiamo fuori a giocare". Anche i cani adulti in particolari circostanze usano tali suoni. In realtà, usano le "parole da cuccioli" quando, in presenza di un animale dominante o minaccioso, vogliono apparire più piccoli. Questo modo infantile di "parlare" significa: "Sono piccino e debole, non sono una minaccia". Serve anche come richiesta di aiuto nei momenti di necessità. Piagnucolio sommesso: È uno dei suoni più strazianti. Significa: "Mi fa male!" oppure "Ho paura". È facile sentirlo dal veterinario, quando il cane soffre, oppure quando un cane remissivo si trova in un luogo sconosciuto, che percepisce come pericoloso. Spesso l'animale distoglie anche lo sguardo, per evitare qualsiasi contatto visivo con chi ha intorno, sottolineando remissività. È sorprendente quanto questo suono, prodotto da un cane adulto, sia simile ai lamentosi stridii emessi dai cuccioli quando hanno freddo, fame o sono infastiditi. Il fatto che l'adulto di una specie predatrice emani gli stessi suoni di un cucciolo angosciato, è una chiara indicazione della tremenda prova fisica e psichica che subisce. Gemiti o gemiti in falsetto: Il suono fa: "Yowel-wowel-owel-wowel". La tonalità è certamente più bassa che nei piagnucolii e negli uggiolii, ma nella gamma delle intonazioni è ancora medio-alta. È un suono di attesa, che può

risultare da un piacere spontaneo o da eccitazione. Il significato è: "Sono eccitato!" oppure "Andiamo!" e di solito viene emesso quando sta per accadere qualcosa di veramente gradevole. Per molti cani, ha lo stesso significato generico dell'uggiolio eccitato di cui abbiamo appena parlato. Per ragioni non chiare, alcuni di essi usano un suono alternato per indicare esattamente la stessa emozione. Io lo definisco un "ululato-sbadiglio", dal che si può dedurre che è una sorta di ululato (con un'intonazione appena più alta dell'ululato tipico) misto a un suono simile a quando prendiamo fiato per sbadigliare: "Hooooooo-ah-hoooo". Non ho proprio idea del motivo per cui certi cani preferiscano i gemiti in falsetto e altri invece l'ululato-sbadiglio, o persino l'uggiolio eccitato, per esprimere l'aspettativa di qualcosa di bello. I guaiti sono differenti dagli abbai in quanto hanno un'intonazione più alta e contengono alcuni elementi di un uggiolio misto a un abbaio. Molti trovano che i guaiti siano piuttosto fastidiosi e angoscianti, probabilmente perché siamo in grado di cogliere la componente insita di paura o di dolore.

Guaito singolo o molto corto, abbaio con intonazione alta: È l'equivalente del nostro grido "Ahia!" (o di qualche breve imprecazione) come reazione a un dolore improvviso e inaspettato. Capita spesso che una madre

punisca i suoi cuccioli quando fanno guaire gli altri. Un guaito causato da un morso troppo energico dato da un cucciolo durante il gioco, di solito pone fine al divertimento; è uno dei modi in cui i cuccioli imparano ad allentare la presa o a non mordere del tutto nel corso del gioco o altre interazioni con i fratellini o i membri del branco. Serie di guaiti: Il segnale, il cui significato è: "Mi sono ferito!" oppure "Ho veramente paura", è la reazione a una paura intensa e a un dolore forte. Il cane può emettere una serie di guaiti, a ripetizione rapida, mentre scappa dopo una lotta, perché ha subito una grave minaccia, o perché ha avuto un incontro che lo ha terrorizzato. In queste circostanze, gli altri cani coinvolti nell'incidente di solito non seguono e non rincorrono chi l'ha emesso. A quanto pare, in situazioni del genere un guaito viene preso come un segnale di resa. Solitamente blocca qualsiasi ulteriore azione aggressiva, poiché se la resa viene accettata, non è necessaria nessun'altra aggressione per cantare vittoria.

Urlo È la combinazione fra un suono simile a quello di un bambino quando prova un dolore acuto o viene preso dal panico, e un guaito prolungato. Le esplosioni di suono durano parecchi secondi, e sono ripetute. Sono emesse da un cane che prova un dolore o una paura assoluta e teme per la sua vita. L'angoscia che crea questo verso è inconfondibile, sebbene non sia facile identificare la specie animale che lo produce. Non l'ho sentito spesso, ma la prima volta che l'ho udito, I'ho scambiato per l'urlo di un bambino che si trovava in una situazione critica e che cercava aiuto. Un rumore talmente angosciante che sarei molto felice di non udire più. In un branco molto unito, o in una situazione familiare dove ci sono più cani, fra loro affiatati, la reazione dei cani

che lo sentono è raccogliersi nel luogo dove si trova il compagno ferito o impaurito. Tuttavia non gli corrono vicino con la spavalderia che manifestano quando sentono un abbaio di allarme. Al contrario, si avvicinano con cautela, nel caso in cui la causa dell'urlo sia un predatore che si trova nelle vicinanze, e che potrebbe mettere in pericolo anche gli altri. Sebbene queste urla siano interpretate dal branco come un pianto d'aiuto, emetterli se nelle vicinanze ci sono cani estranei può rivelarsi un errore fatale. Visto che è anche il pianto di un animale ferito a morte, può scatenare una reazione predatoria e un vero e proprio attacco da parte di un cane estraneo che non conosce quello che urla. Ma questo non avviene per cattiveria. Ricordatevi che i cani sono cacciatori. Per un predatore carnivoro come il cane, l'urlo è il suono di un animale ferito. In natura, sapere che la vittima è ferita e dunque vulnerabile può causare un rapido e vigoroso attacco che significa un pasto quasi certo. Il fatto che questi urli non permettano di riconoscere immediatamente che sia stato un altro cane a emetterli, probabilmente contribuisce a provocare l'attacco. Una volta ho assistito a un incidente di questo tipo, fuori da una mostra canina. Un uomo stava facendo passeggiare al guinzaglio un malinoi (un cane da pastore belga a pelo corto, abbastanza simile a un pastore tedesco) intorno al palazzo che ospitava la mostra. Un furgone si era fermato vicino all'area di parcheggio e il conducente aveva aperto il portellone posteriore. Prima che potesse fare qualcosa, un samojedo bianco saltò dentro il furgone. Sfortunatamente, il cane atterrò proprio sopra alcune bottiglie rotte. Come toccò terra con le zampe, venne ferito dalle schegge di vetro, e cominciò a urlare. Il malinoi, che stava gironzolando tranquillamente, senza aver mostrato alcun segno di aggressività verso gli altri cani che passavano, improvvisamente si lanciò verso il furgone, strappando il guinzaglio dalle mani del suo padrone. Quando finalmente si riuscì a dividere i cani, il samojedo non sanguinava solo per le ferite dovute alle schegge di vetro, ma anche in varie altre parti del corpo per i morsi dell'altro cane. L'urlo di un animale sconosciuto aveva semplicemente attivato il codice genetico che spinge un predatore ad attaccare.

Dovremmo stare attenti a questi urli, perché sono segnali importanti quando due cani stanno litigando. Avviso sempre la gente di non interferire quando i cani combattono. Ci sono "regole" e "rituali" che gl animali usano per sistemare questioni di dominanza sociale, di territorio, di proprietà. Le lotte di solito seguono queste "regole", ed è raro che si verifichi uno spargimento di sangue, al di fuori di qualche morso sulle orecchie o qualche lieve ferita. Se i cani scoprono i denti ed emettono il tipico ruggito di lotta (un rumoroso e continuo ringhio, occasionalmente punteggiato da qualcosa che suona come un "Ehi!" gridato da una persona), vuoi dire che è una normale disputa fra cani. Generalmente, se vengono lasciati soli a sistemare le cose, il conflitto finisce in fretta, senza alcuna violenza. Di norma lo scontro termina quando uno dei due cani indietreggia e mostra sottomissione. A quel punto, l'incidente è chiuso. Solo di rado succede che un cane rifiuti l'atto di sottomissione dell'altro e non voglia onorare questo segnale che pone fine al conflitto, ma continui la lotta; a questo punto l'avversario inizia a urlare. Se si verifica una circostanza del genere, qualcuno deve bloccare gli animali, oppure lo sconfitto subirà danni gravi se non addirittura la morte. Non è facile fermare un combattimento tra cani. Non si può intervenire e cercare di separarli, perché si rischia di essere morsicati da tutti e due i rivali. La regina Elisabetta II lo imparò a sue spese, una volta che tentò di separare due dei suoi corgi che lottavano fra loro. Alla fine dovettero darle diversi punti a una mano. L'addestratore di cani della casa reale spiegò poi alla regina come si sarebbe dovuta comportare. Avrebbe dovuto afferrare uno dei vassoi d'argento che erano sul tavolo vicino a lei e gettarlo a terra. Un tale rumore spesso interrompe la lotta il tempo necessario per riprendere il controllo dei cani. È utile allo scopo anche versare addosso ai cani un secchio d'acqua o innaffiarli con una pompa. Ho potuto verificare che anche una coperta o un cappotto gettati addosso a ognuno dei combattenti (Attenzione a non metterli tutti e due sotto un'unica coperta!), o a volte lanciare qualcosa contro l'aggressore, fa cessare la lotta e riduce le probabilità di essere feriti, anche se magari il cappotto o la coperta si rovinano. Gridare e strillare non aiuta, perché i cani penseranno che state abbaiando o ringhiando, e che è vostra intenzione unirvi alla lotta, prendendo le difese dell'uno o dell'altro. Altre vocalizzazioni I cani emettono altri suoni. Alcuni non servono specificatamente per "parlare". Ciononostante, spesso è possibile leggere questi segnali involontari e farsi un'idea di ciò che il cane pensa. Il più ovvio è l'ansimo. Ansimo: Questo suono caratteristico, emesso a bocca aperta e lingua in fuori, è la reazione a una necessità psicologica. È il risultato del tentativo di controllare la temperatura corporea. L'evaporazione dell'umidità sulla lingua e nella bocca raffredda il cane. Negli esseri umani accade la stessa cosa con il sudore. L'umidità che evapora dalla nostra pelle ci raffredda. I cani, tuttavia, non sudano attraverso la pelle come facciamo noi, o come fanno i cavalli. L'unica parte del corpo che suda sono i cuscinetti delle zampe, ed è questo il motivo per cui un cane troppo eccitato o sottoposto a un eccessivo sforzo, a volte può lasciare impronte bagnate sul pavimento. Lo stress, l'ansia o l'eccitazione negli esseri umani possono alzare la temperatura corporea. Ecco perché le persone quando sono sotto pressione cominciano a sudare. Lo stesso succede ai cani. Se un cane che non è in movimento e non è esposto a fonti di calore comincia ugualmente ad ansimare, significa che ha un'eccitazione dovuta a tensione (che può essere data da fattori positivi come negativi). Anche se questa sua condizione non viene usata per comunicare qualcosa, possiamo ugualmente capire che il suo significato è: "Sono pronto!", "Andiamo!" oppure (soprattutto se sul pavimento ci sono impronte bagnate) "Sono leggermente agitato e teso". Sospiri: È un'espressione di emozione, che possiamo interpretare stando attenti a ciò che succede. I sospiri di solito sono accompagnati da una tipica postura del cane: sdraiato il muso fra le zampe. Questo comportamento ha due interpretazioni che dipendono dalla situazione e dalle espressioni facciali. Se il cane ha gli occhi semichiusi, è un segno di piacere, il cui significato è: "Sono contento e ho intenzione di mettermi comodo proprio qui". Un atteggiamento che potete facilmente vedere in un cane che ha appena finito di mangiare, o quando torna a casa il suo padrone, e il cane si sdraia sul pavimento vicino a lui.

Come nel caso di altre vocalizzazioni, il significato cambia in concomitanza con certe espressioni facciali o specifici comportamenti. Quando il cane è fermo in una posizione, sospira e tiene gli occhi spalancati, il senso è completamente diverso da quello appena indicato. Adesso il sospiro è un segno di disappunto, perché qualcosa che il cane si aspettava non è avvenuto, e si può tradurre con: "Ci rinuncio". Potete osservare questo atteggiamento in un cane che gironzola intorno al tavolo mentre qualcuno mangia, nella speranza di raccattare qualche boccone. Se il pranzo finisce e quindi non c'è più disponibilità di cibo, ecco che si verificherà il modello di comportamento appena accennato: sospiro e occhi spalancati. Se il mio Odin piagnucola perché vuole che io prenda dallo scaffale il frisbee ed esca con lui per giocare, ma dopo un po' percepisce che non lo accontenterò, perché mi sono seduto alla scrivania per lavorare, spesso reagisce con questo caratteristico sospiro di disappunto. Il cane di mia figlia, Bishop, produce una versione più enfatica dello stesso comportamento. Se con gli viene chiesto di sdraiarsi, o di muoversi, o di fare comunque qualcosa che lui trova un po' fastidioso, emette quello che potrebbe essere chiamato un sospiro-sbuffo. Noi abbiamo interpretato questa sua variante personale come un "E va bene! ".

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7. Imparare a parlare Ogni specie è dotata di una abilità "prefissata", o predisposizione, a comprendere e produrre il linguaggio o il comportamento atto alla comunicazione tra i propri membri. Il linguaggio umano (per quanto ne sappiamo) è forse il più sofisticato ed elaborato, per cui noi presumibilmente godiamo della forma più complessa di questa predisposizione genetica. In un bambino, lo sviluppo del linguaggio avviene per la magica combinazione fra questa abilità prefissata e il frasario usato nell'ambiente in cui è immerso. Un diplomato alle scuole superiori conosce all'incirca ottantamila vocaboli, e siccome si presuppone che iniziamo a circa un anno a imparare le parole, vuoi dire che ne impariamo in media cinquemila l'anno, cioè tredici al giorno. L'aspetto più sorprendente dell'apprendimento del linguaggio non è la velocità con cui si verifica, ma il fatto che per la maggior parte esso non viene insegnato. E il motivo per cui i bambini che crescono in luoghi dove non ci sono scuole sono ugualmente in grado di apprendere la loro lingua nativa: si limitano a imitare i comportamenti vocali delle persone con cui vivono. All'età di dieci mesi, quando ancora balbettano, i piccoli emettono già dei suoni dai quali un glottologo può riconoscere la lingua parlata nel loro ambiente familiare. In altre parole, i bambini che risiedono nei Paesi anglofoni balbettano in inglese, quelli che stanno in Paesi dove la lingua madre è il cinese, balbettano in cinese. Un esempio affascinante di come i bimbi assorbono la lingua o i comportamenti comunicativi del loro ambiente, arriva da una vicenda che ebbe inizio nell'ottobre del 1920, quando un missionario cristiano, il reverendo J. A. L. Singh, era in viaggio nel Bengala, una regione dell'India, durante una delle sue tante missioni per salvare le anime. Aveva raggruppato dai villaggi vicini alcuni volontari pagani, cui piaceva ascoltare le sue prediche, a patto che fosse loro concesso di andare a caccia fra un sermone e l'altro. Nel villaggio di Godamuri, gli fu raccontata una strana storia su un manushbhaga, un uomo-fantasma, avvistato varie volte negli ultimi anni. Era solito comparire in compagnia di lupi che entravano e uscivano da un gigantesco termitaio abbandonato, usato in apparenza come tana. Il reverendo Singh aveva un casotto da caccia proprio vicino a quel luogo, e anch'egli aveva notato, appena buio, un lupo che usciva dal termitaio. Singh lo chiamò lupo, ma nel suo diario 4 (Singh J.L., Zingg, R.M. 1966; Wolf-children and fereal man, Archon books, Hamden) annotò che probabilmente era un tipo di sciacallo, comune in quella regione, più che un vero e proprio lupo. In ogni caso, furono talmente tante e diverse le descrizioni di questo strano animale che alla fine, nella fantasia di quelle popolazioni, diventò un essere dall'aspetto grottesco. Si raccontava che avesse il corpo di un uomo, ma camminava a quattro zampe, con i palmi delle mani appoggiati a terra. La testa sembrava "una grossa palla che copriva le spalle e la parte superiore del torace". Sotto la palla era ben visibile una faccia che ricordava quella umana. (Descrizione su descrizione, la palla divenne un ammasso di capelli ingarbugliati). A forza di figurazioni fantasiose, alla fine divenne un animale lievemente diverso, simile a a quello appena descritto, ma di dimensioni inferiori. Quando Singh propose di scavare il termitaio, gli indigeni si rifiutarono. Avevano paura che disturbare il "fantasma" potesse portare qualche sorta di castigo o maledizione su loro e sul villaggio. Il reverendo allora si spostò in un altro villaggio, dove non conoscevano il racconto, e trovò dei collaboratori più volonterosi. La mattina del 17 ottobre scavarono il termitaio. Appena il lavoro iniziò, due lupi saltarono fuori e scapparono nella giungla. Un terzo, una femmina, cercò di difendere la tana, ma fu ucciso. Dentro trovarono due cuccioli di lupo e, strette vicino a loro, le strane creature, che si rivelarono essere due bambine. La maggiore aveva più o meno otto anni, e fu chiamata Kamala, mentre l'altra ne aveva circa due, e la chiamarono Amala. Amala morì di lì a poco; Kamala visse fino all'età di diciotto anni. Più tardi, il reverendo Singh raccontò che gli dispiacque aver ucciso la lupa, perché il

suo tentativo di difendere la tana sembrava un atto divino per permettere a quelle strane creature di vivere, benché fosse probabile che in origine avesse portato i bambini nel rifugio come cibo per i suoi cuccioli.

L'aspetto più interessante di questo caso è il comportamento delle bambine. Oltre a camminare a quattro zampe, avevano anche altri atteggiamenti da lupo. Annusavano tutto ciò che veniva loro dato, mangiavano e bevevano, come fanno i cani, da un piatto messo a terra. Preferivano la carne cruda e ringhiavano, grugnivano o azzannavano chiunque si avvicinasse troppo mentre mangiavano. Se avevano paura, si allontanavano indietreggiando, ringhiando e mostrando i denti. Quando Kamala incominciò a sentirsi più tranquilla nel nuovo ambiente, a volte afferrava con la bocca un oggetto e scappava, come fanno i cani quando giocano. Sembrava che tentasse di incitare a una finta caccia, in perfetto stile canino. Il reverendo Singh annotò che in principio le bambine erano mute, nel senso che non parlavano un linguaggio umano. Emanavano dei suoni, come il ringhio cui ho appena accennato. Producevano anche una sorta di piagnucolio ad alta intonazione, che assomigliava a quello dei cuccioli impauriti o sofferenti per la solitudine. Occasionalmente, se eccitate, emettevano degli uggiolii, come i cuccioli che vogliono giocare. Ma forse il suono più impressionante era l'ululato. Iniziava con una voce roca e bassa, poi gradualmente si trasformava in un lungo, forte lamento, molto simile agli ululati notturni dei lupi, degli sciacalli e dei cani. I primi giorni dopo la liberazione, le bambine vagavano di notte in cerca di prede, fermandosi per ululare in momenti ben precisi, di solito verso le dieci di sera, l'una di notte e le tre del mattino. Il loro comportamento vocale era esattamente quello che ci si può aspettare da un bambino che ha conosciuto solo i suoni dei lupi. Sembrava che, nello stesso modo in cui i bimbi, allevati secondo i normali canoni, imitano il suono del linguaggio parlato nella loro unità familiare, Kamala e Amala avessero imparato a riprodurre il linguaggio della loro unità familiare canina. Mentre gli esseri umani apprendono istintivamente il linguaggio duplicando i suoni del loro ambiente, la maggior parte degli animali non ha la predisposizione a imitare le vocalizzazioni. Anche se hanno le capacità fisiche per creare le parole umane, sono privi dell'istinto per copiarle. Ciò rende improbabile che imparino il nostro linguaggio nella stessa maniera in cui noi riusciamo a farlo. Eppure alcuni animali sono stati trattati esattamente come dei bambini. È, ad esempio, il caso di Gua, uno scimpanzé femmina, che nella primavera del 1931, all'età di sette mesi e mezzo, fu separata dalla madre e data "in adozione" al professor Winthrop Kellogg e alla moglie Louise. I Kellogg volevano condurre un esperimento per vedere se uno scimpanzé, allevato come un bambino e inserito in una normale famiglia, avrebbe sviluppato le capacità umane, linguaggio compreso (Kellogg, W. N. 1967. The Ape and the Child: A Study of Envirormental Influence upon Early Bebavior. Hafner, New York). Non è una possibilità poi così bizzarra, visto che la differenza fra il nostro DNA e quello dello scimpanzé è inferiore al 2%. Data la somiglianza genetica, è ragionevole supporre che uno scimpanzé allevato in un ambiente umano e trattato come un bambino, possa avere molte probabilità di elaborare qualità e abilità tipiche dell'uomo, comprese quelle linguistiche. Gua fu accolta come fosse stata la sorella minore di Donald, il figlio dei Kellogg, che aveva nove mesi e mezzo. Come facevano con il bambino, i due "genitori" le cambiavano i pannolini, le facevano il bagnetto, le mettevano la crema. Per mangiare, la sedevano su un seggiolino e le davano da mangiare con il cucchiaio. Le parlavano nello stesso modo in cui parlavano a Donald. Insomma, per i nove mesi in cui visse con loro, i Kellogg trattarono Gua alla stregua di un bambino. Rispetto a Donald, Gua sviluppò molto più in fretta le abilità motorie. Imparava prima e meglio a maneggiare le cose, e apprese più velocemente anche a camminare e correre. Il campo in cui invece restò indietro fu quello linguistico. Non furono fatti tentativi particolari per insegnarle a parlare. Ci si aspettava che, se fosse stata in grado di imparare la lingua umana, ci sarebbe riuscita pressappoco nello stesso modo in cui lo fanno i bambini, imitando cioè il linguaggio dell'ambiente nel quale vivono.

Gua invece imparò a comunicare attraverso gesti e movimenti del corpo. Ad esempio, se vedeva sul tavolo un bicchiere di succo d'arancia, si accostava al ripiano schioccando le labbra o imitando un bacio, per far vedere che lo voleva. Se desiderava qualcosa, la indicava, oppure attirava l'attenzione delle persone verso ciò che la interessava. Emetteva dei suoni. Tuttavia, non erano parole, bensì i tipici rumori vocali emessi dagli scimpanzé selvatici. Il numero dei suoni non cambiò durante il periodo in cui visse con i Kellogg. Nella maggior parte dei casi il loro significato era piuttosto chiaro: il pianto di dolore se si feriva, il pianto da panico, brontolii di rabbia, urli di eccitazione e mugolii di contentezza. La caratteristica più interessante è che due di questi suoni ampliarono il loro significato. Il primo è l'abbaio per il cibo, che gli scimpanzé producono per avvisare gli altri membri del branco di aver trovato qualcosa di commestibile. Il secondo suona come un "oo-oo", che normalmente indica preoccupazione o un livello moderato di paura o angoscia. Per Gua, l'abbaio per il cibo diventò l'equivalente di "Sì" e lo emetteva quando le si facevano domande del tipo: "Vuoi una mela?" oppure "Hai voglia di uscire?". Il significato del verso "Oo-oo" divenne "No", e lo usava per rispondere a varie domande, come: "Vuoi fare il bagno?" oppure "Vuoi andare a fare bye-bye?" (andare a fare un sonnellino). Gua non imparò il linguaggio umano, adattò semplicemente i suoni del linguaggio degli scimpanzé per rispondere e comunicare con gli uomini che la circondavano. Comunque, anche se non parlava l'inglese, Gua a nove mesi lo comprendeva chiaramente, e capiva e reagiva correttamente a oltre settanta parole e frasi. Sembrava che, più che all'intera domanda, rispondesse alle parole chiave in essa contenute. Per esempio, produceva lo stesso abbaio del cibo sia alla domanda "Vuoi un'arancia?" sia alla

semplice parola "arancia". L'intonazione - cioè la variazione di tono della voce - è ciò che ci permette di distinguere un termine da una domanda. Per Gua, l'intonazione non aveva importanza: la parola "arancia" detta con tono monotono oppure con un cambio di tonalità alla fine, a indicare una domanda, generavano la stessa risposta. A volte capitava che Gua avesse problemi di comprensione, specialmente quando si univano le parole per creare una combinazione che lei non aveva mai udito. Per esempio, dopo averle insegnato il significato di "Bacia la mamma", le dissero: "Bacia Donald". Donald capì immediatamente, poiché porse subito la guancia per farsela baciare. Gua, invece, a questa nuova frase reagì in modo confuso. L'esperienza dei Kellogg con Gua ha dimostrato che gli animali non imparano spontaneamente a imitare i suoni del linguaggio umano. Esiste, però, una divertente dimostrazione del fatto che gli uomini imitano spontaneamente i suoni intorno a loro. Gua non parlava l'inglese, mentre Donald imparò velocemente l'intero repertorio dei pianti, dei ringhi e degli urli di Gua. Per di più, sembrava che li usasse in modo corretto, almeno secondo i comportamenti di Gua. Dunque, gli esseri umani possono imparare spontaneamente a ululare come i lupi o ad abbaiare come gli scimpanzé, invece sembra che questi animali non rispondano imitando i suoni dell'uomo. Abbiamo discusso della limitata capacità di imitazione linguistica fra una specie e un'altra da parte di animali non umani. Tuttavia esistono rari esempi di come gli animali imparino a imitare le nostre intonazioni, tanto da riuscire a eseguire una sorta di "eco". L'abilità di "parlare" dei pappagalli è uno di questi esempi. L'unico caso di imitazione verbale da parte di un cane che ho potuto personalmente osservare è quello di Brandy, un barboncino di proprietà della psicologa Janet Werker, dell'Università della British Columbia. Durante il giorno Brandy stava in casa. Tutte le sere, quando i vari membri della famiglia rientravano, avevano l'abitudine di salutare il cane con la parola "Nello", saluto che veniva sempre dato con un tono di voce gioioso e cantilenante. Con l'andare del tempo, Brandy imparò a imitare quel cantilenante bisillabo con una sua personale versione, sempre di due sillabe: "Arl-row". E cominciò a usare quel suono per salutare i suoi padroni quando tornavano a casa. Questa vocalizzazione, tuttavia, veniva riservata solo ai membri della famiglia e il cane non la usò mai con gli estranei. Così, l'impressione è che Brandy abbia aggiunto il suono di una parola inglese al vocabolario cagnesco. Anche se generalmente i cani non possono imitare il linguaggio umano, o comunque non lo fanno, molti canidi sono in grado di imparare i suoni degli altri canidi. Un caso interessante di un canide selvatico che ha copiato i versi di un cane domestico è capitato nei primi anni Settanta nel territorio dello Yukon, in Canada. In quella regione era in atto uno studio sul comportamento e la biologia del lupo. Bisognava sottoporre un certo numero di lupi a esami e inoltre

applicare loro delle etichette di riconoscimento. Un branco - un gruppo di quattro adulti e due giovani - fu isolato e narcotizzato per etichettare i suoi componenti per una futura identificazione, e anche perché fossero esaminati da un veterinario per verificarne lo stato di salute. Quando li visitò, il veterinario scoprì che tre lupi adulti mostravano segni di disturbi respiratori e questo fatto lo allarmò. La sua preoccupazione derivava dal sospetto che la malattia fosse contagiosa, e rimetterli in libertà poteva

voler dire infettare tutti i lupi che vivevano in quell'area, e forse persino altre specie. La malattia era potenzialmente debilitante; se alla fine i tre lupi fossero morti a causa di complicazioni, egli dubitava che il resto del branco sarebbe sopravvissuto, anche se non fosse stato contagiato. La cura, d'altra parte, era semplice. Se si poteva confinare i lupi per qualche settimana, una terapia antibiotico avrebbe risolto il caso. Così, i sei inconsapevoli animali furono trasportati nell'insediamento vicino, e sistemati in un'area recintata confinante con un canile dove venivano tenuti i cani da slitta. Come abbiamo già visto, normalmente i lupi non abbaiano, a eccezione di quando sono cuccioli e molto eccitati. I cani che erano già nel canile, alla vista dei lupi, reagirono emettendo abbai di allarme e di saluto. Il branco di lupi, quindi, si trovò a vivere in un ambiente colmo di suoni di cani domestici. Dopo circa un mese, il loro comportamento cominciò a cambiare. Nell'ultima settimana di permanenza, i ricercatori notarono che quando una persona si avvicinava al recinto, i due lupi giovani e uno degli adulti le andavano incontro e cominciavano ad abbaiare. Il suono era leggermente più roco di quello canino, ma il tipo di abbaio seguiva l'abituale schema di allarme dei cani domestici: esplosione di tre abbai, un breve silenzio, poi un'altra esplosione di abbai. Ai presenti è sembrato proprio che i lupi imitassero le vocalizzazioni dei cani. I cani domestici sono svantaggiati nello sviluppo delle capacità di comunicazione. Se vivono con la madre e con il resto della cucciolata almeno per le prime otto settimane, dovrebbero imparare il significato dei segnali basilari, sia vocali che corporei. Sembra chiaro che buona parte della comunicazione canina è prefissata geneticamente, ma pare anche che, per sviluppare un'intera gamma di segnali, ci sia bisogno di modelli di comunicazione di altri cani. Quando un cane viene tolto dall'ambiente dove interagiva con i suoi simili, e viene inserito in un altro dove ci sono solo umani, deve cercare di imparare le nuove vie di comunicazione "per conto suo". Ovviamente non imiterà il linguaggio umano; ma se entrerà in contatto con altri cani, avrà l'opportunità di imparare a riprodurre tutte le vocalizzazioni che sente. In varie situazioni ho visto cani imitare i modi di abbaiare di altri. Karen e Joseph Moss, per fare un esempio, avevano un setter gordon. È una razza non particolarmente rumorosa, e infatti Sheila era un modello di tranquillità. Un

giorno, la figlia più grande dei Moss, che viveva già da qualche tempo da sola, ebbe l'opportunità di frequentare un corso di formazione in un'altra città. Siccome per un anno avrebbe dovuto vivere in una casa per studenti, non poteva portare con se Argus, il suo airedale terrier. Karen e Joseph allora accettarono di "adottare" temporaneamente il cane, fino al ritorno della figlia. Argus era un tipico terrier: abbaiava quando qualcuno entrava in casa, abbaiava quando qualcuno usciva, e abbaiava anche solo per la gioia di sentirsi abbaiare. Con il passare delle settimane, il comportamento di Sheila cambiò. Adesso, quando Argus abbaiava davanti alla porta di casa, abbaiava anche lei, e a volte, se Argus correva intorno abbaiando ai fantasmi giusto per giocare, Sheila si univa con il suo sonoro abbaio. Per un lungo periodo, anche dopo che Argus era tornato con la sua padrona, Sheila mantenne il comportamento imparato dal suo amico terrier. Il mio cane Odin ha un "abbaio di richiesta", che usa se vuole rientrare in casa dopo che si è stancato di stare in giardino. È un abbaio singolo, seguito da una lunga pausa che va dai trenta secondi ai due minuti, prima che venga ripetuto. Da quando aveva sei o sette mesi, ho subito risposto al suo abbaio aprendo la porta e facendolo entrare. Odin ha imparato questo verso unicamente per tale scopo, ed è anche un suono diverso da tutti gli altri abbai, in qualche modo più artificiale o forzato, perché finisce con una sorta di suono stridulo. Quando presi Dancer, un cucciolo di otto settimane, lo abituai a uscire con Odin ogni volta che quest'ultimo doveva evacuare,

perché iniziasse a imparare anch'esso a sporcare nei luoghi giusti. In meno di una settimana anche Dancer apprese quel tipo di abbaio. I tempi erano gli stessi, ma la sua intonazione, visto che era un cucciolo, era più alta. Comunque, anche se il tono era differente, l'abbaio suonava artificiale come quello di Odin, con il medesimo stridulo finale. Adesso Dancer abbaia così anche quando è fuori da solo. Ha imparato a imitare Odin, e ha anche capito qual è il valore della comunicazione di questo suono. Il cane adulto aveva insegnato al cucciolo una parola o una frase nel suo dialetto canino. A volte capita che cani che vivono nella stessa famiglia si imitino l'un l'altro, tanto da creare una sorta di dialetto cagnesco. Un esempio è dato dai rumori di eccitazione. Ricordatevi che ci sono tre differenti suoni che caratterizzano l'eccitazione nei cani: l'uggiolio, il gemito in falsetto ("vowel-wowel-owel-wowel"), e l'ululato-sbadiglio ("hooooooo-ah-hooooo"). Tutti questi suoni vengono emessi mentre il cane vi guarda direttamente negli occhi e vi gironzola intorno, mostrandovi la sua allegra euforia. Ogni cane decide autonomamente quale suono scegliere, e sembra che la scelta non dipenda dalla razza. Dicevamo che i cani che vivono insieme si imitano a vicenda, tanto da usare tutti lo stesso suono. I quattro retriever a pelo corto di un mio conoscente, per esempio, fanno l'ululato-sbadiglio. Conosco un'altra persona che ha tre cani - un pechinese, uno springer spaniel inglese e un retriever a pelo corto - e tutti usano il gemito in falsetto. Ho condotto un'indagine informale su un campione di sedici persone, ognuna delle quali ha più di un cane allevato fin da cucciolo nella stessa famiglia. Dodici di esse mi hanno raccontato che i loro cani usano il medesimo suono di eccitazione, indipendentemente dalla razza. Questo mi fa pensare che i cani si copino a vicenda. Il fatto che i cani, a quanto pare, imitino solo i versi emessi dai loro simili, rende difficile per noi umani insegnare loro un suono. Molte persone, per divertimento, usano educare i cani a "parlare", che non vuoi dire altro che abbaiare a comando. Ma questi abbai intenzionali differiscono qualitativamente dagli abbai spontanei. In qualche modo sembrano privi di emotività, e a volte non vengono emessi a piena voce. Lo stesso vale per gli abbai che i cani della polizia o quelli addestrati per la difesa imparano a emettere per avvisare dove si nasconde qualcuno. Un addestratore di cani poliziotto mi ha raccontato che il suo cane, quando scopre qualcuno o qualcosa, fa degli abbai che a lui suonano "falsati": - Non è un vero abbaio, in cui si sente la passione; ma la gente che non è abituata ad ascoltare i cani, non nota la differenza. Certi cani possono imparare a emettere versi specifici in circostanze particolari. Vanno dal semplice abbaio, gemito, ringhio giocoso, a suoni più complessi, in falsetto, o tentativi di parlata. Addestrare un animale a emetterli non

vuoi dire ovviamente che l'addestratore deve farli e il cane ripeterli. Significa invece che quando il cane emette il suono che si vuoi tenere sotto controllo, è allora che gli si dà il comando e lo si ricompensa. Il problema principale è che l'animale deve produrre spontaneamente il suono che ci interessa. Prendiamo il caso di Ann, una donna che abitava da sola, in città, e voleva insegnare al suo amato labrador retriever, Caesar, ad abbaiare a comando. Il cane, infatti, faceva sempre allegre feste a tutti quelli che si avvicinavano, e non abbaiava mai agli estranei. Quando andava in giro, Ann si sentiva insicura e indifesa. Sapeva che se Caesar avesse imparato ad abbaiare a comando, avrebbe potuto usare quel verso per tenere lontani gli sconosciuti che la abbordavano per strada o si avvicinavano alla casa. Era convinta che un cane "protettivo", che abbaia al momento opportuno, l'avrebbe fatta sentire più tutelata. Quando Ann venne da me, per prima cosa dovemmo decidere quale fosse il comando migliore da insegnare a Caesar. Bisognava trovare un termine che potesse impressionare. Alla fine abbiamo scelto la parola "Difendimi!". Pensavamo che se una persona potenzialmente pericolosa si fosse avvicinata e il cane avesse abbaiato a quel comando, sarebbe stato più facile far credere che Caesar fosse addestrato per attaccare. Perché smettesse di abbaiare, invece, abbiamo scelto il comando "Stai in guardia!". Pure quest'ordine era stato studiato perché si pensasse che il cane fosse addestrato a rimanere in allerta anche in silenzio. Per Caesar, "Difendimi" non significava altro che "Parla", e "Stai in guardia" nient'altro che "Stai buono".

Poi scoprimmo che scegliere le parole adatte era stato molto più facile che far "parlare" Caesar. Il primo passo per indurre un cane ad abbaiare a comando è metterlo in una situazione che lo spinga a farlo spontaneamente. Una volta che comincia ad abbaiare, gli si può dare l'ordine e ricompensarlo. Un metodo abbastanza semplice è legare il cane al guinzaglio e chiedere a qualcuno di bussare alla porta o di suonare il campanello. Al verificarsi di una delle due eventualità, il padrone deve gridare: "Difendimi!". Se il cane abbaia, riceve il premio. Ma, indipendentemente da chi fosse alla porta, Caesar non abbaiava. Per convincerlo rendemmo più evidente la minaccia implicita nell'azione. Ripetemmo la scena della persona alla porta d'ingresso, ma questa volta dissi ad Ann di mostrarsi spaventata. Al suono del campanello, Ann si mise a camminare nervosamente su e giù con fare agitato, muovendo le braccia e gridando: “Caesar, difendimi!” Se avesse abbaiato sarebbe stato premiato con una carezza. Ma anche questa volta Caesar non abbaiò. Allora adottammo una strategia che occasionalmente funziona. Anche se i cani non imitano il parlare umano, come abbiamo visto imitano i suoni degli altri cani. A volte capita di riuscire a indurre un cane ad abbaiare simulando un abbaio. Secondo la mia esperienza, il miglior modo è emettere degli ansimi o dei borbottii, seguiti da un "woof", un verso che mima un abbaio smorzato. I cani non cercano di ripetere questo modo "umano" di abbaiare, ma spesso tali rumori li eccitano e li portano a dare la loro versione personale dell'abbaio di allarme per la "chiamata al branco". Così, appena la persona si avvicinò all'ingresso, Ann cominciò: “Caesar, difendimi! Huff, huff, huff, woof, woof, woof!” Caesar pareva leggermente eccitato davanti a tutto questo, ma ancora non abbaiò. Alla fine, utilizzammo dei sistemi ancora più provocatori, in forma di gioco. Mettemmo su una vera e propria scena: mentre Ann era in giardino con Caesar al guinzaglio, io mi avvicinai al cane con in mano un grosso straccio, saltando, urlando e sventolandoglielo in faccia, mentre Ann gridava: Caesar, difendimi!” La messinscena ebbe come risultato il primo abbaio della giornata, ma era chiaramente un abbaio di paura, poiché Caesar cominciò a tirare il guinzaglio e a indietreggiare. Comunque, dopo l'abbaio, Ann gli fece immediatamente i complimenti: “Bravo cane, mi hai difeso!” Nello stesso momento io mi tirai indietro, per dare a Caesar la fiducia per rispondere un'altra volta. Dopo una breve pausa, lo avvicinai di nuovo, sventolandogli in faccia lo straccio mentre Ann gli dava le istruzioni per "difenderla". Ancora una volta il cane cercò di ritrarsi e diede due veloci abbai. E di nuovo Ann lo elogiò, mentre io mi facevo indietro. Dopo due ulteriori tentativi, sembrò che Caesar avesse capito che i suoi abbai allontanavano "quella cosa". Allora decise che voleva "prenderla" e, quando indietreggiavo, veniva verso di me, tirava il guinzaglio e abbaiava allo straccio. I labrador sono cani intelligenti. Adesso che emetteva degli abbai sonori e veniva premiato per questo, cominciava a realizzare che era quella vocalizzazione a far indietreggiare la cosa e a rendere felice la sua padrona. Quando imparò a rispondere in maniera attendibile alla parola "Difendimi", iniziammo la nuova fase. Dopo aver dato a Caesar la possibilità di emettere una serie di abbai eccitati al momento giusto, Ann mise la mano sul muso del cane e disse con molta calma: - Stai in guardia! - Se Caesar smetteva di abbaiare, veniva ricompensato. Uno o due giorni dopo, ripetemmo la sessione, solo che adesso a Caesar, invece dello straccio, agitavo in faccia un ombrello. Quando lo aprivo nella sua direzione, Ann diceva: “Difendimi!” Nel momento in cui Caesar iniziava ad abbaiare io chiudevo immediatamente l'ombrello e indietreggiavo per infondergli sicurezza. Quando ero a una certa distanza, Ann gli diceva: “Stai in guardia” e, se si calmava, riceveva un complimento. In un secondo tempo, facemmo avvicinare il cane da una persona con un cappotto sulla testa. Ormai aveva appreso che "Difendimi" significava "Abbaia". Imparato questo, fu semplice farlo abbaiare anche se un individuo si avvicinava senza stracci, ombrelli o cappotti svolazzanti. Entro la fine della settimana, Caesar abbaiava a comando quando qualcuno si presentava all'ingresso di casa di Ann. Con gli estranei abbaiava e tirava il guinzaglio nella loro direzione in maniera piuttosto convincente. Spesso la città è un luogo pericoloso per una donna sola, e l'abbaiare di Caesar diede ad Ann una certa sicurezza di cui sentiva il bisogno. Per fortuna, se un malintenzionato si fosse trovato davanti Caesar, non avrebbe

potuto capire che il suo frenetico abbaiare era tutta una scena, e che un sorriso o un complimento tipo: "Oh, ma che bravo che sei a difendere. Che begli abbai", avrebbero trasformato il suo fare minaccioso in un gioioso approccio con scodinzolio. Anche se i cani non hanno la capacità o la predisposizione istintiva a imitare i suoni umani, abbiamo visto che posseggono un vocabolario utile e significativo di emissioni vocali, alcune delle quali possono essere apprese da altri cani. Tuttavia, non sono i soli strumenti che i cani usano per "parlare". Ci sono molti altri modi per mandare messaggi, che non implicano suoni, ma che sono importanti canali della comunicazione canina.

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8. Parlare con la faccia Una buona parte della comunicazione umana avviene per mezzo del viso. Con esso infatti si esprime un'ampia gamma di emozioni e si possono leggere anche intenzioni sottili. Il linguaggio del viso fornisce talmente tante informazioni che alcune persone - giocatori di carte, negoziatori, giornalisti e certi uomini d'affari - spesso seguono specifici corsi per imparare a non rivelare troppo attraverso le espressioni. Gli uomini possono mentire con il viso. È vero che ci sono dei professionisti capaci di scoprire chi mente tramite l'espressività facciale (per esempio gli agenti segreti, i poliziotti di reparti specializzati e gli psicologi, ma la gente comune può essere facilmente ingannata e portata a fidarsi di arie che in realtà sono manipolate. Di fatto noi abbiamo "due facce". Abbiamo, cioè, due differenti sistemi neurali che manovrano i nostri muscoli facciali. Un sistema neurale è controllato volontariamente, mentre l'altro è involontario. Sono riportati casi di persone il cui sistema neurale volontario è danneggiato. Questi individui hanno ancora delle espressioni facciali, ma sono incapaci di produrne di ingannevoli.. Le emozioni rivelate dai loro volti sono reali, poiché hanno perso il controllo necessario per elaborare atteggiamenti falsi. Ci sono anche casi clinici opposti, in cui è danneggiato il sistema neurale involontario, quindi le uniche emozioni palesate sono quelle volontarie. La ragione per cui si riesce a farla franca mentendo, e dunque ingannando il prossimo, è che il sistema neurale involontario controlla meglio la parte superiore del viso, quello volontario invece la parte inferiore. Probabilmente perché attività come mangiare e parlare sono volontarie e richiedono il controllo consapevole della regione orale. Tutto ciò è di notevole importanza, poiché pare che gli esseri umani, quando cercano di interpretare i sentimenti di un'altra persona, prestino più attenzione ai segnali mandati dallaparte inferiore del viso. Chi è addestrato a scovare in esso gli inganni, e chi ha un talento naturale nel farlo, legge l'intera faccia, occhi compresi. È possibile riconoscere un sorriso falso (esibito per ingannare intenzionalmente, oppure per mancanza di emozione) dal fatto che in questo caso vengono usati solo i muscoli della parte inferiore del volto, che servono per variare la forma della bocca. Un sorriso vero coinvolge anche i muscoli superiori, che "muovono le guance" gonfiandole leggermente e restringendo gli occhi. In un sorriso fasullo si alzano solo gli angoli degli occhi. Alcuni muscoli involontari che circondano la bocca producono espressioni difficili da alterare. Per esempio, nel dolore e nella tristezza gli angoli delle labbra si piegano in giù, senza che i muscoli del mento si muovano. Da studi scientifici è emerso che meno del 10% delle persone è in grado di dare volontariamente questa forma alla bocca. Un altro segno involontario, caratteristico della rabbia è quello di stringere le labbra. Queste non vengono tirate o strette in modo molto evidente, ma appaiono più sottili, come se la parte carnosa venisse arrotolata all'interno della bocca, che assume così, in modo involontario, una forma lievemente arcigna. Per camuffare paura, ira o colpa, un esperto mentitore, cosciente di non poter nascondere i movimenti automatici della bocca, tenta di coprire questi segnali con un'altra emozione forte. Un trucco è la risata forzata; un altro la smorfia di indignazione. Gli inquirenti israeliani che interrogarono il criminale nazista Adolf Eichmann, raccontarono che egli usò proprio questa tecnica. Durante gli interrogatori, gridò più volte, con una smorfia d'indignazione: “Mai! Mai, signor Hauptmann!” oppure: “Giammai! Giammai!” Consapevole di mentire, cercava di nascondere ogni atteggiamento del volto che potesse tradirlo 6 (Eckman, P. 1992. Telling Lies. Norton, New York). Le espressioni facciali dei cani, in particolare quelle che coinvolgono i muscoli inferiori del muso e della regione intorno alla bocca, in un certo modo sono simili alle nostre, ma la loro gamma è più limitata. I cani non hanno, o non usano, il sistema neurale volontario per modellare i cenni della bocca. Non vuoi dire che non sono capaci di mentire, ma solo che non utilizzano la bocca e il muso per farlo. E proprio il muso costituisce per essi un'altra limitazione; diverso dalla bocca umana, è disegnato per una più modesta serie di usi, che riduce il numero di espressioni possibili.

A eccezione dell'uomo, pressoché tutti i vertebrati - leoni, orsi, uccelli, alligatori e cani - hanno una bocca sporgente, a formare il muso. Questo tipo di bocca fa parte dell'equipaggiamento base di sopravvivenza. Permette di catturare, mordere o azzannare, e per la maggior parte degli animali serve anche per afferrare energicamente il cibo. La mucca mastica l'erba, mentre la tigre morde e dilania la sua preda. Gli esseri umani non hanno bisogno di un muso per questi scopi, perché, come molti primati, usano le mani per portare il cibo direttamente alla bocca. Il muso è un'arma potente. In uno lungo vi è spazio per molti denti, che sono, ovviamente, gli strumenti basilari usati dai carnivori; e i cani sono carnivori. In esso i denti sono posizionati in fuori. Questo permette alla bocca di chiudersi come una trappola. Potenti muscoli sono attaccati all'articolazione posteriore ed esercitano una grande forza quando l'animale morsica. Un cane normale esercita una potenza di morso che supera i sessanta chili per centimetro quadrato. Anche i cani di piccola taglia sviluppano una potenza di cinquanta chili per centimetro quadrato, mentre il labrador, che è in grado di portare in bocca al suo addestratore un uccellino con una delicatezza tale da non arruffare neppure una piuma o scalfirne la pelle, può mordere con una pressione di oltre settanta chili per centimetro quadrato. Molti cani di taglia grande, a cranio largo, come i mastiff o i rottweller, hanno una capacità di presa misurata in centoquaranta chili per centimetro quadrato, che li rende formidabili avversari, quando attaccano. Anche se è importante possedere muscoli adatti per mordere con forza, la muscolatura delle labbra non lo è altrettanto, poiché esse non giocano un ruolo fondamentale nell'uccidere, nell'azzannare o nel cibarsi. I canidi bevono usando la lingua, quindi non hanno bisogno di controllare le labbra per succhiare o per dare alla bocca una forma a contenitore, come fanno gli uomini. Solo da cuccioli (fino a circa sei settimane dalla nascita) hanno bisogno di ciucciare; tuttavia il muso di un cucciolo è più piccolo e corto, e ciò gli consente di aprire la bocca quel tanto che serve per creare il vuoto

e poppare. Il limitato controllo delle labbra permette ai cani di produrre solo un numero ridotto di espressioni facciali con la bocca, ma questa ha comunque la flessibilità sufficiente per esprimere una gamma di segnali di comunicazione. La bocca del cane, infatti, è probabilmente il più importante mezzo di espressione, e non mi riferisco soltanto all'emissione dei suoni.

Forme della bocca Il linguaggio della bocca nei cani segue lo schema generale degli altri sistemi di comunicazione basati sulla gestualità, in cui i segnali sono riservati per alcune importanti questioni. La bocca fornisce informazioni su rabbia, dominanza, aggressività, paura, attenzione, interesse o rilassatezza. Bocca rilassata e leggermente aperta; lingua appena visibile o appoggiata sui denti inferiori: È segno che il cane è contento e rilassato È l'equivalente del nostro sorriso, da secoli riconosciuto dagli uomini. Nell'antico Egitto, i giocattoli tradizionali erano a forma di facce di animali, e la più comune era "I'animale sorridente". Era disegnato con la lingua distesa, che sporgeva dalla bocca parzialmente aperta, mimando il sorriso. La traduzione di questa espressione è: "Sono contento e rilassato", "Va tutto bene", oppure "Non vedo nulla di minaccioso o di problematico intorno a me". Bocca chiusa, denti e lingua non visibili: Il semplice gesto di chiudere la bocca cambia il significato dell'espressione. Il cane, di solito, fa così quando guarda in una direzione particolare, e le orecchie e la testa possono essere inclinate in avanti. È un segno di interesse o di attenzione. Il sorriso non c'è più, perché l'animale sta valutando la situazione, cercando di stabilire il significato di ciò che osserva, e magari quale azione intraprendere. Il cane non è passivo, ma neanche preoccupato o infastidito. Un atteggiamento che assume il significato di: "Questa cosa è interessante" oppure "Mi domando cosa stia succedendo là". Quando invece la bocca del cane esprime uno stato di allarme, arriccia le labbra o le tira in su, per esibire i denti e a volte anche le gengive. La regola delle espressioni facciali dei cani è semplice: più mostrano i denti e le gengive, più comunicano aggressività. È un segnale estremamente funzionale, ed è per questo che si è evoluto, perché mostra le armi del cane (i denti) permettendo all'osservatore di capire che, se l'avvertimento non viene preso seriamente, le conseguenze saranno negative. Così il destinatario di questa espressione ha la possibilità di tirarsi indietro e andarsene o di fare un gesto di pacificazione. Sono segnali molto importanti perché consentono di scongiurare

una lotta, per cui la probabilità di sopravvivere è maggiore, non solo per l'individuo in questione, ma anche per l'intero branco e per la specie. Una lotta fisica causa ferite, e un animale ferito può morire, indebolendo il gruppo e lasciando i cuccioli incustoditi. E anche se sopravvive, fino a quando la guarigione non è completata, l'animale non può cacciare, difendere il branco o provvedere ai più giovani. Labbra arricciate per esibire alcuni denti, bocca ancora quasi completamente chiusa: Il primo segno di irritazione o di minaccia in un cane. L'animale non si sente preoccupato, e magari rimane in silenzio mentre osserva ciò che lo disturba, oppure emette un basso, rumoroso ringhio. È il segnale che il cane manda a un altro cane per avvisarlo che si sta avvicinando troppo, che è meglio mantenere le distanze e non tentare azioni socievoli. Non è una semplice richiesta, ma un chiaro primo segno di minaccia o di pericolo. Nel linguaggio umano si direbbe: "Va' via! Mi stai infastidendo!" oppure "Sta' indietro! Mi irriti!". Labbra arricciate per mostrare i denti più grandi, qualche piega nella zona sopra il naso, bocca parzialmente aperta: Il significato di questo atteggiamento è: "Se fai un solo gesto che considero minaccioso, ti mordo". Notate che l'espressione mostra solo le intenzioni del cane e quello sta provando. Non dice niente riguardo alle cause che hanno scatenato il segnale di minaccia. L'intimidazione potrebbe essere espressione di dominanza sociale prodotta da un cane sicuro di se e di rango più elevato ma, come vedremo dopo, può anche indicare timore. In entrambi i casi, provocarlo andandogli più vicino potrebbe scatenare un attacco. È molto più sensato sospendere l'approccio, stare fermi, o indietreggiare. Labbra arricciate per esibire non solo tutti i denti ma anche le gengive superiori, con visibili pieghe nella zona sopra il naso: È l'ultimo avviso. A questo punto un attacco fisico non solo è probabile, ma potrebbe avvenire a breve: "Togliti di mezzo, altrimenti...". L'esibizione di minaccia totale indica che il cane è pronto e deciso a scatenare un violento attacco. Se vi trovate in una situazione di questo tipo, anche se siete impauriti, non dovete comunque girarvi e correre. I cani sono geneticamente programmati per inseguire e a volte mordere d'istinto tutto quello che scappa da loro. In questo caso, pure se la minaccia di aggressione viene da un cane impaurito e non da uno dominante e sicuro, il livello di eccitamento è tale che correre o persino muoversi può provocare l'inseguimento e l'attacco. Più avanti vi insegnerò come avvisare un cane che manda questo drastico avvertimento che non siete una minaccia.

Paura, ira o dominanza? Per quanto riguarda queste espressioni, mi sono concentrato unicamente sul grado di minaccia che un cane comunica. Lo stimolo, o la ragione, di questi segnali di avvertimento sono un'altra questione. La minaccia può essere innescata

dal tentativo di rivendicare una dominanza sociale, dall'ira oppure dal fastidio; come anche dalla paura. E importante conoscere la natura dell'emozione che il cane segnala, perché preannuncia il futuro comportamento dell'animale. I cani impauriti agiscono diversamente da quelli dominanti, che sentono di avere la situazione sotto controllo. In risposta a una sfida, un cane arrabbiato o infastidito che è sicuro del suo rango sociale continua a minacciare fino a quando l'individuo che lo disturba si allontana. Raggiunto lo scopo, si tranquillizza e ritorna socievole. Un cane impaurito, invece, rimane alterato per un tempo maggiore. L'incidente turba la sua sicurezza, tanto che è possibile che reagisca aggressivamente a qualsiasi imprevisto. Può anche capitare che, preso dal panico, scappi via nel momento in cui lo scontro è finito. Pertanto è importante capire la motivazione nascosta dietro il messaggio aggressivo. Mentre il livello di aggressività viene indicato dal grado di visibilità dei denti e delle gengive, sono l'arricciamento delle labbra e la forma della bocca a indicare se è stata l'ira, la dominanza o la paura a scatenare questo atteggiamento. Osserviamo l'illustrazione 8-1. Nel primo disegno in alto il muso del cane segnala aggressività, ma l'animale è ancora intento a capire la situazione e aspetta i prossimi eventi. Se osserviamo la colonna di sinistra, possiamo vedere raffigurate espressioni di aggressività motivate da dominanza e ira, mentre nella colonna di destra quelle scatenate da paura. La sequenza delle immagini, dall'alto verso il basso, evidenzia l'accrescere dell'intensità delle emozioni (ira o paura) e dunque anche la probabilità di un'aggressione.

Se analizziamo attentamente il disegno delle bocche, possiamo notare che quelle associate all'ira e alla dominanza sono alquanto differenti da quelle che indicano paura. L'ira tratteggia una bocca aperta con i contorni a forma di C, e i denti più in vista sono i canini anteriori. In un cane arrabbiato i denti posteriori sono appena visibili. Il muso di un cane impaurito, invece, è allungato, come se l'angolo interno fosse spinto indietro, per tendere la bocca che di conseguenza si apre. I denti posteriori sono così più visibili. In questa illustrazione le espressioni della bocca sono potenziate dai segnali delle orecchie e degli occhi, di cui però parleremo più avanti. Per il momento, osserviamo solo che le orecchie del cane dominante sono poste in avanti e leggermente piegate ai lati, mentre quelle di un cane impaurito o remissivo sono scivolate indietro e appiattite contro la testa. Gli occhi di un cane dominante sono molto aperti, lo sguardo è più intenso, mentre quelli di un cane impaurito e remissivo sono più allungati e meno spalancati. Dunque, le facce raffigurate nella colonna di sinistra mostrano un'aggressività dovuta a rabbia. Stanno dicendo (con crescente intensità): "Se continui a infastidirmi o a sfidarmi, ti farò del male". Nella colonna di destra, invece, ci sono facce più impaurite, che dicono: "Mi fai paura, ma se mi costringi combatterò". Bisogna però stare attenti, perché gli animali che manifestano aggressività dovuta a paura hanno la stessa probabilità di morsicare. Un cane impaurito si difenderà forse anche con maggior intensità di uno dominante, poiché ha timore per la sua stessa incolumità e sopravvivenza. Indipendentemente dal fatto che l'aggressività sia stimolata dalla paura o dall'ira, più l'emozione è forte (vedi i disegni in basso nelle due colonne), più il cane terrà fede alla minaccia. Illustrazione 8-1 La faccia in alto rappresenta un segnale di aggressività guardinga. La colonna di sinistra raffigura la sequenza {dall'alto verso il basso) dei segnali di aggressività crescente dovuta a dominanza, mentre la colonna di destra illustra la sequenza dei segnali di aggressività crescente causata da paura. Posizioni della testa: C'è un altro aspetto dei segnali prodotti con la bocca. Bisogna osservare verso chi o che cosa questa è rivolta. L'unica effettiva arma dei canidi sono i denti. Un animale con la bocca rivolta verso un altro individuo, in realtà gli punta addosso la sua arma. E l'effetto di questo atto è uguale a quello causato da un uomo che punta una pistola contro qualcuno, aumenta cioè il timore e l'atteggiamento difensivo di chi lo subisce. Un animale dominante o aggressivo punta il muso contro chi vuole minacciare. Al contrario, se vuole far diminuire la paura in un animale remissivo gira leggermente la testa di lato, così la bocca è diretta altrove, per mostrare che non è sua intenzione attaccare. Quando un animale non dominante si avvicina a uno di rango più elevato, deve farlo tenendo la testa piegata verso il basso e puntando solo occasionalmente il muso nella direzione di quell'altro. E se l'individuo dominante lo guarda fisso negli occhi, deve reagire volgendo la testa da un lato, allontanandola dall'altro cane. Il significato di questo atto è: "Ho messo via la pistola e non la punto verso di te. Puoi rilassarti, non combatteremo". Sbadigli del cane: È uno dei segnali che gli uomini fraintendono più facilmente. Quando la gran parte della gente vede sbadigliare un cane, pensa che sia stanco o annoiato e lo considera un evento minore o privo di importanza. Ma non è così. Dal punto di vista fisiologico, lo sbadiglio canino ha le stesse funzioni di quello umano. Serve per portare una maggior quantità di ossigeno al cervello, lo aiuta, al risveglio, a divenire vigile più in fretta o a rimanere presente quando è stanco. Per questo motivo non è sorprendente che i cani, come le persone, sbadiglino se sono affaticati. Tuttavia, per quanto li riguarda, lo sbadiglio ha vari altri significati. Ad esempio, è tipico di un cane sotto stress. Ho visto spesso cani sbadigliare durante le lezioni di obbedienza; in particolare immediatamente dopo essere stati rimproverati dall'addestratore o aver subito una punizione molto severa. Quando addestrano un cane a sedersi, a rimanere fermo o a sdraiarsi a comando, alcuni istruttori poco esperti hanno il timore che l'animale non rimanga in posizione, e che "rompa le righe" per correre verso di loro lo verso altri cani nel momento in cui si allontanano; allora spesso usano toni molti duri, intimidatori, per istruirlo: "Feeeerrrmo!" dicono con tono apocalittico, che lascia implicitamente intendere che se il cane si muove verrà

ucciso. Durante le prime lezioni, è facile vedere cani seduti, fermi, che sbadigliano, mentre l'addestratore è in piedi davanti a loro. Per fortuna al padrone viene raccomandato di usare toni più dolci, e così di solito l'animale, liberatosi dello stress, non ha più bisogno di sbadigliare. Lo sbadiglio può perciò essere interpretato come: "In questo momento sono nervoso, ansioso, irritabile". Un uso interessante è l'invio di un messaggio di pacificazione. La radice latina della parola "pacificare" ci dà un'ottima indicazione della sua etimologia: deriva da pax, che vuoi dire "pace", e facere, che significa "fare". Lo sbadiglio non contiene elementi di paura, dominanza o aggressività. È l'esatto opposto di una minaccia. Se un cane si mostra aggressivo verso un altro cane, l'obiettivo delle intimidazioni può semplicemente rispondere con uno sbadiglio. È facile che l'uomo lo interpreti come un segno di indifferenza o di noia, invece l'animale sta mandando un messaggio di pacificazione. Non è però un segnale di sottomissione. Il cane minaccioso e aggressivo spesso si acquieta immediatamente dopo aver visto il suo bersaglio sbadigliare. Può rimanere per un momento incerto sul da farsi, poi dare inizio a esitanti atteggiamenti di saluto e di approccio. C'è un'altra circostanza in cui è il cane dominante a sbadigliare in segno di pacificazione. Per esempio se si vuole avvicinare amichevolmente a un cane remissivo che cerca, intimorito, di difendere qualcosa, che può essere del cibo o un oggetto. In questa circostanza, il dominante si mette a sbadigliare, forse per dare un segno di benigna noncuranza. Sembra che tale comportamento abbia un effetto calmante sull'animale impaurito. Anche i cani sono capaci di leggere i segnali dello sbadiglio negli uomini. Una volta sono stato invitato a un programma televisivo; l'argomento della serata verteva sulla personalità di chi sceglie una particolare razza.

Alcuni ospiti dovevano portare i loro cani e intervenire nella discussione descrivendo il rapporto con l'animale e il motivo per cui avevano scelto proprio quella razza. Quando entrai in studio, erano già tutti seduti. Come è tipico in queste situazioni, i cani erano un po' inquieti per la confusione, le luci, e per le strane persone che vedevano intorno. Io mi accomodai sulla sedia a destra del conduttore del programma. Alla mia sinistra era seduta una donna con un grosso rottweiler. Non appena mi sedetti, il rottweiler produsse un basso ringhio gutturale, arricciò le labbra, mostrò i denti e mi guardò fisso. Le cose erano andate così: il cane era già infastidito, la situazione lo faceva sentire a disagio e, per di più, un estraneo si era seduto troppo vicino a lui. Con il suo comportamento mi diceva di indietreggiare e di lasciargli più spazio. Sfortunatamente, non potevo accontentarlo. E, tanto per peggiorare le cose, mancavano solo un minuto o due prima della messa in onda del programma; non c'era quindi il tempo per mettere in atto i rituali di saluto come di solito faccio con i cani che non conosco. Visto che non c'erano alternative, allontanai lo sguardo dal rottweiler, e feci un grande, esagerato sbadiglio. Il cane mi guardò e cominciò a battere le palpebre. Io gli risposi battendole a mia volta, e a quel punto si sdraiò tranquillo sul pavimento con la testa appoggiata sulle mie scarpe. Il pericolo era scampato. Dopo quell'esperienza, ho usato lo sbadiglio in situazioni di potenziale aggressività da parte di un cane e ho suggerito questo comportamento anche ad altri. Uno sbadiglio, seguito da atteggiamenti di accoglienza non minacciosi, fa sì che il cane al quale è indirizzato cessi le ostilità o che comunque smorzi i toni feroci. Sbadigliare in pubblico, per noi umani, è considerato un gesto senza significato (e di maleducazione); ma se è diretto a un cane è un segnale di conversazione e conciliazione. Leccare: La gente fraintende questo atteggiamento persino più dello sbadiglio. Provate a chiedere a chiunque vi capiti quale sia il senso della leccata di una mano da parte di un cane. È facile sentire una mamma dire al suo bambino: "Guarda, caro, Lassie ti sta dando un bacio". In realtà spesso non è vero. Leccare è un comportamento dai molti significati. Non può essere interpretato semplicemente come un gesto d'affetto, ma va giudicato in base alle circostanze. Le leccate sono molto differenti dai baci. G1i esseri umani e i primati, come gli scimpanzé, quando baciano si toccano l'un l'altro le labbra, mentre i cani leccano. In un comune approccio sociale il bacio di solito viene dato

sul viso o, a volte, sulle mani. I cani leccano il viso se ne hanno la possibilità, ma anche le mani, i piedi, le ginocchia e qualsiasi altra parte del corpo sia abbastanza vicina da poterci appoggiare sopra la lingua. Negli uomini solitamente il bacio fa parte di un rituale di saluto. Si bacia una zia o una cognata non per esprimere amore romantico, e neanche per un palese segno di affetto, ma perché è un gesto ritualizzato. In certe situazioni, il bacio non è più significativo di una stretta di mano. Lo stesso vale per gli scimpanzé. Anche i cani che hanno confidenza fra loro si leccano il muso per salutarsi. Tuttavia, spesso vanno ben oltre il muso. Quando si salutano, iniziano ad annusarsi tutte le membrane umide, dove gli odori sono più forti, di solito intorno alla bocca, al naso, nella regione anale e in quella urogenitale. Può succedere che queste annusate di saluto e di identificazione si trasformino in leccate. Gli uomini usano i baci anche durante l'attività sessuale: baciano avidamente altre parti del corpo che non siano viso o mani. Sembra che pure i costumi sessuali degli scimpanzé prevedano il bacio: bocca-viso, bocca-bocca, bocca-mani, bocca-genitali. Anche per i cani leccare è parte del rito sessuale. Spesso si esplorano a vicenda prima dell'accoppiamento, forse anche più vigorosamente di quando lo fanno per salutarsi, leccando ogni parte interessante del corpo del partner. Mentre, per quanto concerne questi aspetti della comunicazione, sembra che ci sia un parallelismo tra il baciare degli esseri umani e il leccare dei cani, per i canidi la leccata ha molti altri significati sociali. Può trasmettere informazioni sulla dominanza, sulle intenzioni e sullo stato d'animo, ed è soprattutto un atto di pacificazione, come lo sbadiglio. Ogni atteggiamento di pacificazione contiene elementi del comportamento infantile, che è l'equivalente canino della "bandiera bianca". Molti adulti sono portati a educare i giovani della propria specie, e sembra che una leccata da parte dei piccoli li inibisca dall'essere troppo aggressivi con loro. Per questo gli adulti non dominanti e quelli impauriti o deboli adottano atteggiamenti e modi di agire infantili per evitare di essere aggrediti. Così facendo, infatti, spesso mitigano l'umore dell'animale ostile e allontanano la probabilità di un attacco fisico. Molti aspetti del comportamento di pacificazione implicano la leccata. È utile allora dare un'occhiata ai primi momenti di vita dei cani per capire che cosa trasmettono questi segnali nelle fasi iniziali. I cani fanno conoscenza con le leccate della madre immediatamente dopo essere nati. Appena escono dall'utero, la cagna lecca i neonati per pulirli, ma anche per stimolare la respirazione. Nei giorni seguenti, continua a leccare i piccoli per lavarli e lisciarli, soprattutto nella regione anogenitale, per stimolare la fuoriuscita dell'urina e delle feci. Non ci sono dubbi sui suoi sentimenti, ma la cagna lecca i cuccioli per pulizia e non per affetto. Una mamma umana ama il suo bambino, lo lava e gli cambia i pannolini. Eppure nessuno pensa che cambiare un pannolino equivalga a baciare. I cani tengono puliti i cuccioli e rimuovono l'urina e le feci con la lingua, semplicemente perché non hanno la destrezza per farlo con le zampe, e certo non hanno la capacità di mettere un pannolino o di far loro il bagno. A mano a mano che crescono, i piccoli cominciano a leccare e a pulire se stessi e i compagni di cucciolata. Queste leccate e atti di pulizia reciproci hanno funzioni sociali; servono sì all’igiene, ma anche a rafforzare i legami. Il meccanismo che costruisce l'affetto è la mutua soddisfazione. Ci sono zone del corpo difficili da raggiungere con la lingua, come la parte posteriore delle orecchie o il dorso, e i cuccioli si aiutano a vicenda leccandosele l'un l'altro. Poiché amici e familiari si puliscono tra loro come gesto premuroso, l'atto di leccare un altro cane diventa un importante mezzo di comunicazione, ed è talmente utile e pratico da trasformarsi in un gesto ritualizzato. Un gesto che nella vita di un cucciolo significa amicizia e accettazione, con il quale dice: "Guarda come sono amichevole". Anche quando diventano grandi, il messaggio mandato con una leccata continua a essere benigno, ma il suo significato si estende, e vuoi dire: "Non sono una minaccia", e probabilmente è anche una dichiarazione di umiltà: "Ti prego, accettami e sii gentile". La leccata assume un ulteriore significato quando il cucciolo è più grande, di solito non appena diventa meno dipendente dal latte della madre. In natura, quando mamma lupa torna dalla caccia, ha già mangiato la sua preda. Entra nella tana, e i cuccioli le si raccolgono intorno leccandole il muso. A un romantico, può apparire un gesto

amorevole dei piccoli, felici che la madre sia tornata dopo un'assenza di molte ore. Può sembrare che la bacino per la gioia e il sollievo. Invece il vero motivo è molto più pratico. I canidi selvatici hanno il riflesso di rigurgito assai sviluppato, e i cuccioli leccano il muso e le labbra della madre perché vomiti parte del cibo. Per la lupa è più conveniente trasportarlo direttamente nello stomaco, piuttosto che trascinarlo con la bocca fino alla tana. Inoltre, il cibo parzialmente digerito è un pasto ideale per i piccoli. È interessante notare che i nostri cani domestici hanno il riflesso di rigurgito molto ridotto in confronto ai lupi e agli sciacalli. Non si vede spesso, fra i cani, un cucciolo stimolare il rigurgito in un altro animale della sua specie, a meno che il piccolo sia poco nutrito. Le rare volte che succede, è più probabile che accada nelle razze a muso lungo più simili ai canidi selvatici, come ad esempio il lupo. Capire perché si sviluppa la leccata aiuta a spiegare questo gesto se viene fatto in altro punto del corpo. I cani adulti leccano la faccia in segno di rispetto o deferenza verso un cane più dominante. Il cane che lecca di solito abbassa il corpo per sembrare più piccolo, e guarda in su, assumendo un atteggiamento infantile. Il cane che riceve le leccate esibisce la sua dominanza rimanendo dritto e accettando il gesto, ma in risposta non lecca a sua volta l'altro.

Adesso dovreste esservi fatti un'idea migliore del perché il vostro cane a volte cerchi di leccarvi il viso. Magari ha fame e vi sta chiedendo uno spuntino. A quel segnale, ovviamente, non potete rispondere rigurgitando del cibo, ma dandogli una piccola ricompensa, magari un biscotto. Può comunicarvi sottomissione e pacificazione la versione adulta della cordialità nei piccoli. Di base, comunque, il cane vuole dire: "Guardami, sono come un cucciolo che dipende da un adulto, come sei tu. Ho bisogno di essere accettato e aiutato". Oppure, può mostrarvi rispetto e deferenza come farebbe con un cane dominante se vivesse in branco. Spesso questo comportamento viene attuato da un cane stressato e impaurito, ed è oramai talmente ritualizzato che un cane ansioso può mettersi a leccare anche in assenza di un altro cane o di una persona. Magari si lambisce le labbra, come facciamo noi umani quando siamo sotto tensione. Può capitare che tiri semplicemente fuori la lingua come se volesse leccare l'aria. A volte si butta per terra e inizia a leccarsi nervosamente le zampe o il corpo. Il primo giorno di lezione di obbedienza, capita spesso di vedere i cani lambire l'aria o leccarsi le labbra. Sono in una situazione che li innervosisce (forse perché gli addestratori sono leggermente tesi), si trovano in un luogo sconosciuto e intorno ci sono cani che non conoscono. A mano a mano che prendono confidenza, smettono di leccare. Alcuni veterinari mi hanno raccontato che spesso hanno osservato il medesimo comportamento nei loro ambulatori. Il cane lecca l'aria e le proprie labbra, perché è agitato per l'ambiente nuovo in cui si trova, pieno di estranei, e perché non riesce a capire cosa accadrà. La leccata dunque è un segnale complesso, ed è chiaro che non sempre è l'equivalente canino del bacio. Serve a inviare importanti messaggisaggi sociali, che possiamo capire interpretando il contesto. Comunque, siccome nessuno di questi messaggi è in alcun modo ostile, non ho alcuno scrupolo a dire ai miei nipoti, quando uno del miei cani li lecca, che li sta baciando. Probabilmente non è la verità, ma è una bugia innocua come quella di Babbo Natale o del Coniglio di Pasqua, e riempie di felicità chi è stato “baciato”. lllustrazione 8-2 Leccare non significa “baciare”, ma può essere un segnale di pacificazione e di sottomissione, un gesto di rispetto, o semplicemente una una richiesta di cibo.

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9. Parlare con le orecchie Sebbene il livello di comunicazione dei cani sia ridotto perché la loro bocca manca di flessibilità e di controllo, la capacità canina di comunicare con altre parti del corpo è tale da superare quella umana. Negli uomini, per esempio, le orecchie non sono molto espressive. Anche se, quando ero giovane, avevo un amico che su richiesta era capace di muoverle icosa che ci divertiva da matti), la maggior parte di noi non ha alcun controllo volontario sui loro movimenti. Le nostre orecchie, infatti, sono stabili in una posizione ben precisa e hanno anche una forma fissa, attributi che le rendono inservibili per inviare messaggi. Quelle dei cani, invece, sono particolarmente adatte a questo scopo. Cani dalle orecchie a punta Le orecchie dei cani hanno varie forme. Alcune sono notevolmente più adatte di altre a scopi comunicativi. Prendiamo in considerazione le più espressive del regno canino. Tutti i canidi selvatici, e molti cani domestici, hanno le orecchie a punta. Stanno ritte e sono visibili anche a una certa distanza. Sono predisposte in modo da avere un certo grado di mobilità che ne permette la rotazione per carpire meglio i suoni. Il movimento dell'orecchio è molto meno marcato di quello dell'intera testa, per cui è più difficile che riveli la posizione di un animale nascosto. L'evoluzione, che è opportunista, ha approfittato della mobilità e della visibilità delle orecchie per creare dei canali di comunicazione. Anche se la posizione delle orecchie dei cani dà segnali estremamente importanti, in realtà questi dovrebbero essere letti nel contesto totale della situazione. Usati insieme con altri segni, rendono molto più chiaro il messaggio e permettono di aggiungere particolari sfumature di significato. Se vi trovate davanti un cane che mostra i denti, ha il naso arricciato e ringhia, è di fondamentale importanza guardare la posizione delle orecchie se si vuole capire la natura del suo atteggiamento. Di solito la gente concentra l’attenzione sulla bocca e sui denti, se sono in vista oppure no. Quando sale l'adrenalina perché ci si trova faccia a faccia con un cane ringhioso, ci si dimentica di osservare i sottili segnali espressivi del muso, cioè l'arricciatura delle labbra e la forma della bocca. Tuttavia, è facile notare il cambiamento di posizione delle orecchie, e questo può modificare l'interpretazione dell'apparente minaccia. Cominciamo osservando le orecchie nelle posizioni che non indicano aggressività. Orecchie dritte o leggermente in avanti: Il cane sta studiando la situazione, oppure è in allerta per un rumore nuovo o per la vista di qualcosa. Si domanda: "Cos'è?". Il messaggio inviato da orecchie ritte cambia se è accompagnato dalla testa leggermente piegata e dalla bocca un po' aperta, e significa: "Questo è veramente interessante". Spesso il cane invia tale segnale quando sta osservando un evento nuovo o imprevisto. Se chiude la bocca e apre di più gli occhi, il messaggio cambia nuovamente, e vuoi dire: "Non capisco" oppure "Cosa significa?". In questo caso può esserci anche un leggero movimento della coda, che rimane comunque bassa. Invece, quando lo stesso segnale è accompagnato da denti scoperti e naso arricciato, diventa una minaccia offensiva da parte di un cane sicuro di sé. Il suo messaggio è: "Sono pronto a combattere, per cui valuta molto attentamente la tua prossima mossa". Orecchie schiacciate indietro contro la testa: Se contemporaneamente i denti sono scoperti, è un segnale mandato da un cane angosciato, che dice: "Ho paura, ma mi difenderò se ti considererò una minaccia". Lo stesso atteggiamento si può vedere in un cane meno dominante, intimorito per una sfida.

Se le orecchie sono tenute piatte, la bocca è tirata indietro, i denti non sono visibili e la fronte è liscia, priva di rughe, allora siamo di fronte a un segnale di pacificazione e remissività: "Mi piaci, perché sei forte e buono con me". Se in associazione la parte posteriore del corpo è tenuta bassa e il cane scodinzola ampiamente, è un gesto davvero arrendevole: "Non sono una minaccia e non voglio che mi sia fatto del male". Quando le orecchie sono appiattite, la bocca è rilassata, l'animale sbatte le palpebre e la coda è tenuta abbastanza in alto, è un segno di amicizia. Significa: "Ehilà, possiamo giocare insieme". Questa serie di gestualità di solito è seguita dai comportamenti che invitano al gioco: l'abbaio balbettante oppure l'inchino, posizione tipica del cane che vuole giocare. Orecchie leggermente schiacciate indietro che danno l'impressione di essere divaricate o aperte verso l'esterno: Per me la testa di un cane con le orecchie a punta ha la forma a V. La parte superiore della V sono le orecchie, mentre quella inferiore è il muso. Il segnale che adesso prenderemo in considerazione ha l'effetto di allargare e aprire verso l'esterno la V. Alcuni animali possono appiattire le orecchie e buttarle lateralmente in fuori: assumono una forma che ricorda vanamente le ali di un aereo, ma non sono così piatte. È un segno veramente ambivalente. Di base il significato è: "Questa cosa non mi piace" e "Sono pronto a combattere o a scappare". Le orecchie così posizionate indicano che l'animale potrebbe cambiare atteggiamento all'improvviso; un cane inizialmente irrequieto perché sospettoso, può diventare aggressivo, oppure impaurirsi e scappare. Orecchie che si muovono a scatti, prima posizionate in avanti, e un attimo dopo buttate leggermente indietro o tirate verso il basso: Un altro segnale di indecisione, ma con una componente di maggior remissività e paura. Può essere letto come: "Sto esaminando attentamente la situazione, per cui, per favore, non avertela a male". In questo senso, ha un maggior contenuto di pacificazione. Una volta, durante una lezione di obbedienza, io e un’addestratrice stavamo osservando lo schema di cambiamento dei segnali delle orecchie in un siberian husky di nome Eddie. Il cane le muoveva a scatti, un po' in avanti, poi indietro e occasionalmente di lato; l'addestratrice si mise a ridere e mi disse: “Quando Eddie comincia a muovere le orecchie così, ho sempre l'impressione che stia cercando tra le diverse emozioni quale si adatta alla situazione del momento.” RILASSATO / ATTENTO DOMINANTE / AGGRESSIVO IMPAURITO / AGGRESSIVO IMPAURITO / REMISSIVO

Illustrazione 9-1 Posizioni base delle orecchie nei cani con orecchie a punta.

Orecchie pendenti e orecchie mozzate Gli adulti delle specie canine selvatiche - lupo, coyote, sciacallo, dingo, volpe o cane selvatico - hanno tutti le orecchie dritte; ma i loro cuccioli le hanno cadenti, penzolano come lembi di stoffa attaccati alla testa. Solo in alcune razze domestiche rimangono pendenti anche nel cane adulto. E ciò ci porta a domandarci perché in alcuni casi rimanga questo "giovanilismo" nelle orecchie. Siccome i segnali di cui abbiamo appena parlato sembrano studiati per le orecchie dritte, dobbiamo anche chiederci se la comunicazione nei cani adulti dalle orecchie pendenti sia in qualche modo pregiudicata. È bene ricordarsi che le razze canine attuali sono state create da una primitiva sorta di genetica comportamentale applicata. Sembra che gli esseri umani abbiano aspirato a mantenere alcune caratteristiche in tutte le razze, e pare proprio che queste siano state selezionate volutamente nel corso del processo di addomesticamento. In particolare, si volevano cani relativamente docili e che accettassero di buon grado di essere controllati e comandati da quelli che loro vedevano come leader. Le manipolazioni genetiche non sono mai semplici. Quando si seleziona intenzionalmente una caratteristica, spesso si scopre che questa è legata a un'altra, che può essere voluta o non voluta. Per esempio, lo stesso gruppo di geni che nei cani determina il colore bianco della pelliccia,

porta anche a una predisposizione alla sordità. Selezionare la docilità (che è un comportamento tipico dei cuccioli selvatici) crea cani che assomigliano fisicamente ai cuccioli, per cui hanno un muso più corto, denti meno sviluppati, occhi più grandi, teste più piccole e rotonde e, più importante per quanto ci riguarda, le orecchie pendenti che troviamo in alcune razze. In origine, la forma delle orecchie non era una peculiarità canina importante. Non influiva sull'abilità di cacciare e inseguire la selvaggina, sul riporto, sulla capacità di radunare le greggi. Per questa ragione, gli allevatori che selezionavano per funzionalità e per specifici scopi, non prestarono attenzione alle orecchie pendenti. La loro forma però influisce sull'aspetto dell'animale. A molte persone piacciono i cani dalle lunghe orecchie pendenti, forse perché ricordano i capelli che incorniciano il viso umano, oppure semplicemente perché il cane così conserva qualcosa del cucciolo. Da quando le "mostre canine" sono divenute uno sport, in cui i cani vengono giudicati solamente in base al fisico, la forma delle orecchie è diventata importante. Faccio un esempio: il norwich terrier è stato creato intorno al 1880 da Frank Jones, il quale stava lavorando all'incrocio del border terrier con il cairn terrier e il terrier irlandese. Alla fine, il risultato fu un piccolo, bel terrier abile a lavorare da solo o in branco per uccidere le volpi e i roditori. I cani di questa nuova razza nascevano indifferentemente con le orecchie pendenti oppure dritte. Tutto ciò per i primi allevatori non ebbe sul momento alcuna conseguenza, ma diventò importante più avanti, quando le mostre canine divennero popolari. Alla fine si capì che le orecchie dritte si potevano selezionare: bastava accoppiare due cani dalle orecchie dritte perché nascessero cuccioli dalle orecchie dritte. Così, nel 1979, l'associazione cinofila americana separò le razze, lasciando la denominazione norwich ai terrier con le orecchie dritte, mentre la varietà con le orecchie pendenti fu chiamata norfolk terrier. Per quanto riguarda la comunicazione, le orecchie pendenti non sono una questione irrilevante. Quelle a punta mostrano segnali molto più visibili. In secondo luogo i cambiamenti di forma sono più facili da vedere anche a distanza, rendendo così la comunicazione più esplicita e meno ambigua. Questo non vuoi dire che un cane con le orecchie pendenti non invia segni riconoscibili, solo che le indicazioni date da questo tipo di orecchie sono più deboli, sia per un osservatore animale sia per un osservatore umano. L'illustrazione 9-2 mostra esempi delle varie posizioni delle orecchie pendenti. Il disegno in alto a sinistra rappresenta la posizione delle orecchie in un cane rilassato e attento. Nel disegno in alto a destra, invece, è raffigurato l'equivalente delle orecchie tenute alte e in avanti di un cane con le orecchie dritte. Questa particolare espressione, in presenza anche di un appropriato linguaggio facciale e del corpo, può indicare una dominanza crescente e la possibilità di un'aggressione. È un’espressione che mi ricorda un elefante visto di fronte, con le orecchie tenute in fuori ai lati.. La figura in basso mostra una posizione delle orecchie più remissiva, ed è l’equivalente di quelle dritte quando sono schiacciate indietro lungo la testa. È come se fossero state tirate verso il basso e i suoi i lembi incollati ai lati del capo. È comunque importante notare che, sebbene i segnali siano meno pronunciati, il cane con le orecchie pendenti può variarne la posizione tanto da riuscire a comunicare le sue sensazioni e le sue intenzioni RILASSATO DOMINANTE/MODERATAMENTE AGGRESSIVO SOTTOMESSO illustrazione 9-2 Segnali di base dati con la posizione delle orecchie in un cane con orecchie pendenti.

La storia delle orecchie dei cani ha anche degli aspetti tristi e un po' bizzarri. Come abbiamo visto, gli allevatori avevano creato geneticamente razze con le orecchie pendenti, con conseguente diminuzione della visibilità di importanti segnali. Ma gli uomini, mai contenti di ciò che hanno, sono intervenuti di nuovo. Dopo essere stati loro a volerlo, gli allevatori hanno deciso di alterare chirurgicamente questo aspetto tagliando via la parte

pendente. Significava mozzare la maggior parte dell’orecchio esterno. Di solito questa operazione veniva riservata ai cani con orecchie veramente molto flosce, tanto da compromettere la capacità di comunicare. Sono state esposte molte ragioni sul perché a certe razze, come boxer, rottweiler, dobermann pinscher e danesi giganti , venivano tagliate le orecchie. Queste razze in origine erano state selezionate per la guardia. In tutti i cani, le orecchie e la zona intorno all'attaccatura sono estremamente sensibili, per cui una ferita o un trauma sono dolorosissimi. Per un cane da guardia le orecchie pendenti sono un rischio. Possono fornire a un eventuale intruso due appigli ai quali aggrapparsi per bloccare la testa e dunque tenere lontani i denti. Non solo l'intruso, aggrappandosi alle orecchie del cane, ne controlla i movimenti del capo, ma nello stesso tempo infligge un dolore indicibile all'animale. Entrambi questi problemi possono essere eliminati in un sol colpo tagliando le orecchie; si lascia solo una piccola parte, difficile da afferrare e da trattenere. Il taglio delle orecchie è stato recentemente al centro di una controversia internazionale. Alcuni Paesi lo hanno già

proibito, mentre altri stanno valutando se proibirlo. I sostenitori dell'amputazione, invece hanno esposto altri motivi in difesa della pratica. Una di queste è che certe "razze da udito" (nel senso che l'udito per loro è importante per il buon adempimento delle loro funzioni) richiedono la massima sensibilità acustica. Le orecchie larghe, penzolanti coprono il canale uditivo, riducendo la quantità di suoni che il cane riceve. A quanto affermano, la rimozione della parte esterna dell'orecchio permette l'accesso del suono direttamente nel canale uditivo, rendendo l'animale più sensibile ai rumori. Un altro motivo è quello igienico. Il taglio servirebbe a mantenere le orecchie più pulite e quindi a evitare le infezioni cui questi cani sono soggetti, perché i lembi trattengono l'umidità che facilita lo sviluppo di malattie e di altri problemi. Queste argomentazioni, però, a un'attenta valutazione non reggono molto bene. Molte razze, come i segugi, gli spaniel e i retriever, hanno orecchie più lunghe e più grandi di quelle delle razze manipolate cui di solito vengono tagliate. E nonostante ciò, non mi pare che qualcuno si sia sognato mai di dire che è necessario amputarle, anche se fra queste ci sono diverse razze da caccia e da riporto classificate fra quelle "da udito", perché lavorano su comandi dati con fischietti. Anche per quanto riguarda l'igiene il discorso non regge, visto che gli spaniel o i retriever lavorano molto di più nell'acqua di quanto non facciano i boxer e i rottweiler, e quindi sono esposti a possibili infezioni delle orecchie. Ma non sembra che gli allevatori di queste razze sportive abbiano ritenuto necessario tagliarle per migliorarne l'udito o per ragioni igieniche. A parte il dolore che un'operazione chirurgica infligge ai cani, il taglio influisce anche sulle capacità di comunicazione. In teoria, bisognerebbe trovare un metodo per tagliarle in modo che la parte rimanente diventi molto simile all'orecchio dritto; se la muscolatura è appropriata, potrebbe veramente servire per migliorare la comunicazione. Qualcosa di simile all'elaborato "taglio da mostra" usato per i dobermann pinscher. Tuttavia il taglio da mostra è difficile e costoso, e non è adatto ai cani da guardia, perché le orecchie rimangono ancora sufficientemente lunghe da poter essere afferrate. L'operazione che normalmente viene eseguita sulle razze da guardia e da utilità lascia solo una piccolissima parte di orecchio esterno, insufficiente per creare cambiamenti visibili della posizione dell'orecchio in risposta ai movimenti muscolari. È possibile dunque che le razze la cui capacità di comunicazione è già ridotta a causa delle alterazioni genetiche che hanno creato orecchie pendenti, subiscano un'ancora più drastica riduzione dell'abilità di segnalare per le alterazioni chirurgiche. Fatta eccezione per i cani da guardia, ho l'impressione che al giorno d'oggi il taglio delle orecchie sia soprattutto una questione estetica , una ricerca di un particolare "stile" e aspetto. Sfortunatamente, la mia opinione sull'argomento è soltanto un’opinione. Non esistono ricerche scientifiche che mettano a confronto le capacità di comunicazione dei cani con le orecchie mozzate e di quelli con le orecchie integre. Ma posso offrire le mie osservazioni personali a sostegno dell'inutilità di questa pratica. Un mio conoscente ha due bei boxer maschi, castrati, Zero e Naught. Nel periodo in cui li studiavo avevano entrambi tre

anni ed erano socievoli e amichevoli come lo sono spesso i boxer. La differenza maggiore fra i due era che uno aveva le orecchie mozzate e l'altro no. Era interessante osservarli quando erano in giro a vagabondare e a interagire con gli altri cani. Era facile che Zero, quello con le orecchie tagliate, venisse avvicinato con più sospetto, come se i cani che non lo conoscevano considerassero quei suoi tronconi ritti un segnale di sfida inviato da un animale dominante, e spesso nell'avvicinarlo si irrigidivano ed erano molto cauti nei comportamenti di saluto. Invece Naught al quale le orecchie non erano state toccate, veniva avvicinato senza esitazione . Ci sono molte possibili spiegazioni per giustificare la diversità di reazione, che potrebbero anche non aver niente a che fare con le orecchie mozzate. Tuttavia sembra che le più ovvie in questo caso non possano essere applicate. È più facile che siano i cani grandi a essere visti come dominanti e potenzialmente minacciosi e non i cani di piccola taglia. Però Zero, per essere un maschio di boxer, era piccolo, la sua altezza al garrese era circa cinquantotto centimetri mentre Naught era più alto e pesava almeno cinque chili in più. Allora, sulla base della taglia e dell'aspetto, Naught avrebbe dovuto apparire più minaccioso, e ci si sarebbe dovuti aspettare che fosse lui a essere avvicinato con maggior cautela ed esitazione dagli altri cani. Inoltre Zero fra i due era il più remissivo e passivo, per cui il comportamento dei cani nei suoi confronti appariva ancora più strano. Sebbene io non abbia alcuna prova scientifica per arrivare a delle conclusioni, ho la sensazione che in qualche modo la fredda reazione degli altri cani verso Zero fosse dovuta al fatto che i messaggi che il boxer inviava con le orecchie erano difficili da leggere e la forma mozzata veniva facilmente scambiata per un segnale di dominanza e minaccia inviati da orecchie dritte e in avanti. In più, i movimenti e i cambi di posizione delle orecchie di Zero erano faticosi da capire, e impedivano ai cani che gli andavano vicino di vedere i suoi cenni di amicizia, ritenuti un segnale di avvertimento per una possibile aggressione. Io comunque rimango dell'idea che i cani con le orecchie pendenti dovrebbero essere lasciati in pace. La loro capacità di segnalazione è già abbastanza ostacolata dal tipo di orecchie, per cui è bene che usino le abilità rimaste al meglio delle loro possibilità. Non c'è nessuna ragione reale legata ai suoni che giustifichi un intervento chirurgico. Parlare dell'uso delle orecchie mi ha fatto ripensare alle mie precedenti affermazioni, quando ho detto che gli esseri umani non le utilizzano per comunicare. la gente invece fa attenzione alle orecchie degli altri, ed è il motivo per cui le abbelliamo con orecchini, anelli, ornamenti in genere. È in questo aspetto del comportamento umano che la comunicazione è possibile, ma è un modo più intenzionale e relativamente statico. Vi racconto un aneddoto: avevo una fidanzata che possedeva due paia di orecchini d'oro. Erano due anellini con attaccata una catenella in fondo alla quale c'era una parola. In un paio c'era scritto "Sì", nell'altro "No". Mi diceva sempre: “Se vuoi sapere quali sono le mie intenzioni nei tuoi riguardi, leggimi le orecchie”. Una sera ero andato a prenderla per portarla fuori a cena. Diventai raggiante appena notai il "Sì" appeso al suo orecchio. Preso dall’euforia, cominciai a chiacchierare allegramente e la aiutai a indossare il cappotto. Fu in quella circostanza che notai il "No" appeso all’altro orecchio. I messaggi che la maggior parte dei cani inviano con le orecchie, e mi riferisco anche a quelli con le orecchie pendenti o mozze, sono più equilibrati e certamente meno ambigui di quello che mi inviò lei.

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10. Parlare con gli occhi Le facce degli animali che vivono sulla terraferma hanno tutte la stessa matrice, che siano serpenti, rospi, leoni, umani o cani. In origine, le facce erano designate alla gestione della ricerca del cibo; siccome non è detto che tutto quello che un animale può mettere in bocca sia commestibile o sicuro, i tre sensi di controllo più importanti - il gusto, l'olfatto e la vista - sono raggruppati vicino alla bocca. La collocazione è sempre uguale: il gusto si trova in bocca, il naso appena sopra, e gli occhi ancora un po’ più in su. La posizione dei tre sensi in questo ordine permette agli animali terrestri di nutrirsi col cibo che si trova a terra, nello stesso momento annusane l'odore e vedere cosa stanno mangiando. Lo schema facciale è lo stesso per la maggior parte delle specie, mentre per quanto riguarda gli occhi ci sono alcune differenze. Le prede, la cui unica difesa è la fuga, hanno bisogno di un sistema d'allarme in grado di avvisarli in tempo utile. Per questa ragione, i conigli e le antilopi hanno gli occhi collocati ai lati della testa, che permettono loro di avere un'ampia visuale panoramica, a volte addirittura a trecentosessanta gradi. È perciò molto difficile che qualcuno riesca ad arrivare di soppiatto alle loro spalle. Nei predatori, ad esempio nelle tigri e nei lupi, gli occhi sono collocati in mezzo al viso, come fari. Questo permette loro una visione binoculare, che rende più acuta la capacità di leggere la distanza delle cose. È ovvio che saper misurare la distanza di una cosa per poterle piombare addosso con precisione, rende l'animale un cacciatore molto più abile. I cani sono predatori, quindi anche loro hanno gli occhi in mezzo al muso. Gli occhi, tuttavia, non hanno solo una funzione visiva. Per noi umani la parte più espressiva del nostro corpo è la faccia, e la parte più espressiva di essa sono gli occhi. Gli attori e i registi sanno benissimo quanto siano importanti come mezzo di comunicazione, e infatti li utilizzano di frequente a questo scopo. Alfred Hitchcock, il grande regista cinematografico, diceva: "Il dialogo dovrebbe semplicemente essere un suono in mezzo ad altri suoni, giusto qualcosa che esce dalla bocca delle persone, mentre i loro occhi raccontano la storia". Per dare un senso di intimidazione o di paura, utilizzava spesso i primi piani, in cui di fatto erano visibili solo gli occhi. Anche Henry Fonda sapeva che i messaggi importanti vengono inviati con lo sguardo e insisteva sempre per avere un riflesso di luce negli occhi per i suoi primi piani. Nel cinema questo effetto si crea con l'inky-dink, una piccolissima lampada che viene messa vicino al viso. Quando un attore guarda direttamente nella lampada, i suoi occhi brillano, dandogli una profonda intensità emotiva. Nei cani ci sono molti aspetti strutturali degli occhi che possono fornire una comunicazione interpretabile. La parte colorata si chiama iride, la macchia scura al centro è la pupilla. La zona bianca è chiamata sclera. Infine, la forma dell'occhio è determinata dal modo in cui le palpebre si aprono e si chiudono. Parlare con le pupille Per quanto riguarda la vista, l'unico scopo dell'iride è quello di contrarsi o dilatarsi per modificare la dimensione della pupilla e di conseguenza controllare la quantità di luce che penetra nell'occhio. Se la luce è debole, la pupilla si dilata per raccoglierne quanta più è possibile dall'esterno, mentre se è intensa, si contrae per evitare che un’eccessiva quantità di luce offuschi i dettagli di ciò che si guarda. La pupilla, tuttavia, comunica. La grandezza, e i suoi cambiamenti dinamici di forma, possono essere causati da stati emotivi.

L'eccitazione, l'interesse o altre emozioni intense dilatano la pupilla. Sono stati fatti molti studi per capire cosa ne causi la dilatazione negli umani. Una ragione è sicuramente l'interesse per un altro essere. Anche se spesso non siamo consapevoli della dimensione delle pupille di una persona, riusciamo ugualmente a cogliere qualcosa nei suoi occhi che sembra suggerire un interesse o un piacere. Siccome tendiamo a giudicare favorevolmente le

persone che hanno un interesse per noi, siamo più attratti da chi ci guarda con pupille grandi e dilatate. Dal Rinascimento fino al diciannovesimo secolo le donne, per apparire più attraenti, dilatavano le loro pupille con l'estratto velenoso di belladonna (una pianta erbacea usata in farmacologia). Al giorno d'oggi possiamo ottenere lo stesso scopo con una cena a lume di candela. La luce debole dilata le pupille (per permettere che entri più luce), così sembriamo più attraenti e interessanti, senza dover usare una sostanza tossica. Siamo talmente attratti dalle pupille larghe, che abbiamo addirittura selezionato alcuni cani di piccola taglia per i loro occhi grandi. Per la maggior parte sono cani da compagnia. Le grandi pupille del cavalier king charles spaniel o del pechinese, per esempio, sembrano che emanino affetto all'umano che li osserva. Proprio come accade nelle persone, anche nei cani la dimensione delle pupille riflette lo stato emotivo. Solo che a volte in un cane non è facile vederne la dimensione, poiché alcune razze hanno l'iride molto scura e la pupilla può confondersi in essa, rendendone difficile la lettura. Più l'iride è chiara, più è facile vedere i cambiamenti di grandezza della pupilla. Comunque, anche se un cane ha gli occhi scuri, vale la pena osservarli con attenzione, perché rivelano molto sui suoi sentimenti.

Mentre pupille grandi indicano un’emozione intensa, più piccole spesso indicano noia, sonnolenza e rilassatezza. È importante però ricordare che i cambiamenti di dimensione della pupilla in un cane riflettono soltanto il grado di intensità di un'emozione, ma non rivelano necessariamente se quell'emozione è negativa o positiva. Pupille spalancate possono mostrare una grande gioia o un'intensa eccitazione, ma anche una paura profonda o una forte rabbia. Tuttavia, se vi capita di osservare gli occhi di un cane nel momento cruciale in cui è in atto il processo di contrazione o dilatazione delle pupille (invece che quando sono già più aperte o più chiuse), potrete ricavare informazioni aggiuntive. Una situazione che sta a mano a mano diventando più piacevole o più allegra, provoca un semplice allargamento delle pupille. Quando un animale invece diventa aggressivo o si arrabbia, le sue pupille iniziano a cambiare dimensione, prima contraendosi, poi espandendosi fino a raggiungere la grandezza massima. Direzione dello sguardo Occupiamoci ora della sclera. Può sembrare sorprendente, ma anch’essa serve per comunicare. Perché l'evoluzione ha creato una parte bianca nell'occhio? Perché non estendere semplicemente il colore dell’iride, così da farlo diventare completamente marrone o blu? La ragione è che il contrasto tra il bianco della sclera e le tonalità dell’iride aiuta a scorgere più facilmente in quale direzione è rivolto lo sguardo, e per noi esseri umani è un fatto di estrema importanza. Lo sguardo è un mezzo di comunicazione, ecco perché in noi la parte bianca è più estesa che negli altri animali. Anche nei cani la sclera è bianca, ma a volte è necessario osservarla attentamente per cogliere un indizio. I cani, infatti, spesso muovono la testa nella stessa direzione in cui girano gli occhi. Fra le persone, l'abilità di scoprire la direzione in cui gli altri stanno guardando ha un’importanza sociale. Ci dice, ad esempio, a chi è rivolta l'attenzione di chi ascolta nel corso di una conversazione. Segnala le intenzioni, poiché l’uomo tende a guardare verso il luogo in cui pensa di spostarsi. I commercianti affermano che lo sguardo rivela da quali articoli un cliente è più allettato; se un potenziale acquirente lancia occhiate verso la porta d'ingresso, capiscono che ha perso interesse, oppure è annoiato o magari si sente a disagio e pensa di andarsene. Con lo sguardo possiamo comunicare molte cose, e a volte addirittura provocare negli altri un determinato comportamento. Ricordo di aver letto un articolo su uno scontro tra due tifoserie rivali inglesi durante una partita di calcio. Ci fu una vera e propria battaglia, con molti feriti, nel corso della quale i due gruppi riuscirono a danneggiare parte dello stadio prima che la polizia arrivasse e mettesse fine alla mischia. La cosa strana è che tutto era iniziato perché il componente di una banda aveva puntato il dito verso un membro della banda rivale urlando: - Mi ha guardato! Avete visto? Mi ha guardato! – Il giornalista che scrisse l'articolo si domandava quanto dovessero essere squilibrati gli appartenenti a gruppi del genere, per fare scoppiare una rissa solamente perché qualcuno li aveva guardati. La realtà, invece, è che guardare una persona non è un atto innocuo. Lo sguardo fisso è sicuramente visto come una minaccia. A questo proposito sono stati condotti alcuni esperimenti interessanti che provano quanto affermo7

(7= Bendelow, G., Williams, S. J 1998; Emotions in social life: critical themes and Contemporary Issues. Routledge, New York.). I ricercatori (degli psicologi) per prima cosa si sono piazzati all'angolo di una strada, fissando assiduamente molti automobilisti fermi al semaforo. Ben presto notarono che la maggior parte di essi impiegava pochi secondi ad accorgersi delle loro occhiate, e quando il semaforo diventava verde, ripartiva molto più velocemente di quelli che non erano stati osservati. In un altro esperimento, l'attenzione cadde sui pedoni. In reazione, questi allungavano il passo, per cercare di allontanarsi da quegli occhi indagatori. Per un terzo test, gli studiosi scelsero una biblioteca universitaria, dove presero di mira gli studenti, i quali, avvertendo quello sguardo fisso, afferrarono in fretta e furia le loro cose e scapparono via. Ogni animale giudica lo sguardo fisso un'intimidazione. Tutti, fino ad arrivare in fondo alla scala evolutiva, ai rettili. Il serpente muso di porcello (Heterodon nasicus nasicus), se sente avvicinarsi un potenziale predatore si finge morto. Se il predatore lo fissa, simula per un tempo maggiore. Semplicemente fissandoli, si può provocare una reazione difensiva in alcuni uccelli oppure immobilizzare una lucertola. Le scimmie di rado ignorano uno sguardo fisso, e a questo comportamento rispondono con un atto di sottomissione oppure un'aggressione. Anche i cani lo usano come gesto controllato. Allora dedichiamoci a questo e ad altri segnali dell'occhio. Sguardo diretto negli occhi: Spesso uno sguardo fisso, diretto, a occhi spalancati è un segnale di minaccia, un’espressione di dominanza, o l'avvertimento che a breve verrà sferrato un attacco. È frequente che un cane dominante, o un lupo, si avvicini a un animale meno dominante guardandolo fisso. Questo di solito distoglie lo sguardo, si gira e se ne va, o si sdraia in segno di sottomissione. Se invece non reagisce in alcun modo, può esserci un aumento progressivo del livello dello scontro. L'espressione può essere tradotta con: "Qui io sono il capo, quindi fatti da parte" oppure "Mi stai scocciando. Smettila, altrimenti rimpiangerai il tuo atteggiamento". È interessante il modo in cui i cani usano lo sguardo diretto per controllare il comportamento umano. È facile da vedere quando si è seduti a tavola a pranzare, o comunque quando si mangia qualcosa. Il cane arriva e comincia a fissare prima la persona, poi il boccone che questa si porta alla bocca. È un tentativo, peraltro molto evidente, per cercare di ottenere qualche pezzo di cibo, e che ha maggiori probabilità di riuscita se l'animale è piccolo. In questo caso infatti, è raro che lo sguardo diretto sia interpretato come una minaccia dall'umano che lo riceve. Anzi, è facile che lo giudichi come "afflitto", "speranzoso" o "implorante", e risponda dando al cane qualcosa da mangiare. Dal punto di vista del cane, tuttavia, è un segnale di dominanza. Se si risponde accontentandolo, lo interpreta come un gesto di sottomissione, e lo considera l'accettazione del suo rango più elevato all'interno del branco. Se si ha a che fare con un cane di grossa taglia, esaudire la sua richiesta può costituire un precedente pericoloso; ma anche gli animali di piccola taglia possono potenzialmente creare problemi. Se obbedirete alle loro invocazioni, sarà più difficile tenerli sotto controllo, visto che voi dovreste essere i leader, o perlomeno più in alto nella scala della dominanza. È il tipico caso in cui dovreste valutare bene cosa il cane dice prima di dare qualsiasi risposta. Se invece avete a che fare con un cane che non conoscete, dovete fare molta attenzione prima di fissarlo direttamente negli occhi. Un animale dominante potrebbe considerare il vostro sguardo come un'aggressione, mentre in uno spaventato la paura può aumentare e scatenare un attacco di panico Con il proprio cane invece lo sguardo fisso può essere usato con grande successo, per averne il controllo. Fissarlo spesso serve per fargli interrompere un determinato comportamento, anzi, molti cani reagiscono con un gesto di sottomissione e di pacificazione per cercare di riconquistare la benevolenza del padrone.

Occhi sfuggenti per evitare il contatto diretto: Se lo sguardo fisso è una minaccia, allora pare logico che staccarlo sia visto come segno di sottomissione e forse anche di paura. È certamente vero per i cani. Un cane che si trova davanti a un altro, dominante, distoglie lo sguardo. Abbassa gli occhi e li volge altrove, il tipico movimento che equivale a dire: "Accetto che sia tu il leader" e "Non voglio avere problemi". Lo stesso capita agli esseri umani. Sono certo che vi sarà capitato di sentire una madre dire al figlio: "È maleducazione fissare una persona". Durante una conversazione, normalmente evitiamo di guardare negli occhi il nostro interlocutore. Di solito osserviamo il suo viso in generale, poi magari gettiamo un’occhiata da un’altra parte, ci riavviciniamo con lo sguardo e puntiamo la tazza di caffè che abbiamo in mano; in realtà lo guardiamo direttamente solo quando i suoi occhi sono rivolti altrove.

Anche evitare il contatto visivo diretto con un’autorità è un rituale. Una persona normale non guarderebbe mai negli occhi il Papa o un re. Vi ricordate il detto "Solo un gatto può guardare negli occhi il re"? E così fanno i cani. Quando il leader del branco ritorna, gli altri membri gli si raggruppano intorno e lo guardano in viso, ma mai direttamente negli occhi. Nei cani, distogliere lo sguardo può avere anche altri significati. In determinate situazioni, può indicare noia. A volte si può scorgere questo gesto in un corso di obbedienza, durante le lunghe pause tra un esercizio e un altro. I cani, che prima fissavano il loro addestratore, cominciano a guardarsi in giro flemmaticamente. A mano a mano che l'attenzione si allenta, lo sguardo inizia a vagare senza meta. Sbattere le palpebre: Molti animali sbattono le palpebre. E lo facciamo anche noi. A causa di questo movimento, infatti, perdiamo almeno venti-trenta minuti al giorno (che si traducono in quattordicimila piccole interruzioni della vista) di informazioni assimilabili con gli occhi. Tuttavia, sbattere le palpebre è necessario. Gli occhi devono essere umidi e puliti, e le cellule della cornea (la sporgenza trasparente della sezione anteriore dell'occhio) vanno tenute vive. Ogni battito libera un fluido dalle ghiandole lacrimali e lo immette nel bulbo oculare. Le lacrime non sono solo acqua, ma parte del sistema circolatorio. Siccome la cornea deve essere trasparente, al suo interno non ci sono vasi sanguigni, per cui uno dei compiti delle lacrime è quello di portare ossigeno e nutrimento per tenere vive le cellule corneali. Inoltre, contengono una varietà di sostanze chimiche che servono per uccidere i batteri, intrappolare la polvere e i residui. Il battito delle ciglia fa scorrere il fluido lacrimale sull'intero occhio. Alla fine, circa tre quarti delle lacrime escono dall'occhio e si incanalano nel condotto nasale. Questo serve per mantenere il naso umido e libero dai batteri. Ecco perché quando piangiamo ci cola il naso. Il ritmo del battito delle ciglia e le situazioni in cui le battiamo (o non le battiamo) possono essere una fonte di informazioni sul nostro stato emotivo. Se le battiamo spesso vuoi dire che siamo annoiati; se invece prestiamo attenzione a qualcosa o a qualcuno, il battito è meno frequente. Quando un automobilista è al volante da molto tempo, il ritmo del battito aumenta. Se però all'improvviso sulla strada appare qualcosa che colpisce il suo interesse, allora diminuisce considerevolmente. Il battito delle ciglia serve anche come segnale di sottomissione. Al contrario, non sbatterle è dimostrazione di sicurezza, tanto che di una persona inflessibile e sicura di sè diciamo che sa prendere le decisioni difficili e portarle avanti "senza batter ciglio". Nel linguaggio canino, il battito delle ciglia pone fine allo sguardo dominante e indica una maggior remissività. Ma anche se rappresenta una rinuncia alla dominanza, nella scala delle avversioni comunicate attraverso gli occhi non è comunque un gesto di sottomissione. Il suo significato si avvicina di più a: "Noi siamo uguali ma accetto lo stesso che sia tu il leader", piuttosto che a: "Per favore, non farmi del male e io eseguirò i tuoi ordini". Battere le ciglia è anche un segno di amicizia e persino di attrazione. Tutti noi conosciamo lo stereotipo della fanciulla civettuola che sbatacchia gli occhi quando un uomo la guarda con fare invitante Per i cani e i lupi, il battito può realmente far parte del rituale di saluto. Quando un cane remissivo avvicina il leader del branco o un cane dominante, abbassa leggermente il corpo e magari lecca l'aria o il muso dell'altro. Se l'approccio viene accettato, spesso il dominante batte le ciglia due o tre volte in rapide successioni. Significa che la coppia si è accettata in termini di amicizia.

La forma degli occhi Nel cane la forma dell'occhio si evince con facilità perché la maggior parte delle razze ha sul bordo dell'occhio colori contrastanti. Nei cani a pelo chiaro, sembra che sia disegnata una linea scura. In quelli dal mantello cupo, invece, spesso il pelo, le membrane o la regione circostante sono leggermente più tenui. Lo scopo è permettere che la forma dell'occhio possa essere visibile anche a distanza. Il linguaggio è piuttosto semplice: più l'occhio è grande e rotondo, più arrabbiato e minaccioso è il cane. L'occhio spalancato fa parte dello schema dello sguardo fisso di dominanza. Infatti, i muscoli sotto gli occhi si contraggono (gesto compreso tra i movimenti facciali che causano le rughe del naso e della fronte), e comprimono il bulbo oculare forzandolo leggermente in avanti nell'orbita. Il risultato è che, prima di tutto, la gran parte dell'occhio è esposta, e questo lo fa sembrare più largo; in secondo luogo, la sua superficie visibile aumenta, quindi ha più facilità a catturare la luce. Di conseguenza, il cane vede meglio e più distintamente.

L'azione contraria dei muscoli rende invece gli occhi più piccoli, meno visibili, e più stretti. Questi cambiamenti sono associati a paura, sottomissione e pacificazione. Un cane che cerca veramente di scoraggiare una minaccia e vuole mostrare un livello massimo di sottomissione, può persino chiudere gli occhi. Esiste una situazione in cui il linguaggio della forma dell'occhio può non funzionare. Succede quando un animale è in uno stato di paura e nello stesso tempo di aggressività; ad esempio quando un cane di basso rango sociale viene forzato in una situazione dalla quale non può scappare e percepisce che dovrà combattere. In queste circostanze, l'occhio può assumere una forma triangolare o a lacrima, leggermente più aperta all'interno, verso il naso, e notevolmente più ristretta all'esterno, verso le tempie, come se l'occhio volesse esprimere due emozioni. Ini zia vicino al naso con uno sguardo ampio che gradualmente si assottiglia, tanto che nella parte esterna la palpebra copre l'occhio e lo fa sembrare più piccolo. Il conflitto interiore in cui si trova il cane è indicato chiaramente dal messaggio contraddittorio dei suoi occhi. Negli esseri umani molti messaggi vengono inviati con gli occhi attraverso i movimenti delle sopracciglia. Siccome il colore dei nostri occhi contrasta molto con il colore della pelle, la loro leggibilità a distanza è buona. Mentre i piccoli scatti muscolari intorno agli occhi e alla fronte, che altrimenti sarebbe difficile vedere, sono accentuati dalla presenza di sopracciglia visibili. Le sopracciglia inviano messaggi chiari, che noi leggiamo automaticamente e con precisione. Da vari studi scientifici è emerso che nascondendo la parte inferiore del viso e lasciando scoperta solo quella superiore che comprende le sopracciglia e la fronte, una persona è in grado di identificare molte delle emozioni umane fondamentali. Alcune espressioni coinvolgono addirittura unicamente le sopracciglia, come la cosiddetta reazione del "lampo sopraccigliare" tipica di quando salutiamo un amico da una certa distanza. In un sesto di secondo alziamo e abbassiamo velocemente le sopracciglia. È un atto che manifesta amicizia e piacere, e non avviene se incontriamo persone che non ci piacciono. Anche se la gente sembra non esserne consapevole, questo segnale è universale, riscontrato negli europei negli americani, negli abitanti delle isole Samoa, nei boscimani dell’Africa e anche in alcune tribù isolate del Perù. Per gli umani le sopracciglia sono necessarie, perché bloccano il sudore che, scendendo dalla fronte, altrimenti andrebbe negli occhi. I cani invece non ne hanno bisogno, poiché sudano attraverso i cuscinetti delle zampe. Tuttavia anche questi animali hanno tracce evolutive delle nostre sopracciglia sotto forma di macchie colorate del pelo che accentuano i movimenti dei muscoli intorno agli occhi. Inoltre sono di aiuto per la comunicazione. In alcuni casi le macchie sono differenti dal colore del pelo. Secondo la tradizione popolare i "cani a quattro occhi", cioè quelli a pelo chiaro che però hanno una macchia scura sopra ogni occhio, oppure a pelo scuro con una macchia chiara sopra ogni occhio, hanno capacità medianiche maggiori. Si crede infatti che siano in grado di vedere diavoli, demoni o fantasmi. Non posso certo giudicare il loro talento mistico, ma è probabile che tale reputazione sia dovuta al fatto che è più facile leggere le espressioni in loro che non nei cani che non hanno questa differenza di colore. Le macchie che contrastano con il pelo del corpo rendono più visibili i movimenti dei muscoli che si trovano sopra gli occhi. In alcune razze, prive di queste macchie, la pigmentazione che circonda l'occhio si estende oltre il contorno e disegna una regione sopraccigliare. In altre, in particolare quelle la cui pelliccia è uniforme e scura, il pelo intorno alla parte superiore degli occhi cambia per produrne uno di sfumature caratteristiche che ha la stessa funzione delle macchie dei cani a quattro occhi. Queste differenze di colore del pelo servono semplicemente per permetterci di leggere l'espressione dei cani "come se" avessero le sopracciglia. Il linguaggio delle sopracciglia (o del colore del pelo degli occhi) del cane è simile al nostro. Quando un cane si arrabbia, lo spazio fra le due arcate (macchie) si contrae e gli angoli delle sopracciglia vanno verso il basso. Anche il pelo intorno agli occhi si alza per dare un’impressione più dura, e la stessa cosa accade negli uomini. Se un cane è impaurito, o sottomesso, invece, la parte centrale delle sopracciglia si tira in su mentre quella esterna

viene tirata verso il basso e in fuori, in direzione delle tempie. È un movimento meno percettibile, perché il pelo intorno agli occhi rimane liscio, per cui la regione sopraccigliare è meno accentuata. Anche i cani usano le sopracciglia per mostrare perplessità e concentrazione, e di solito lo fanno quando sono preoccupati o cercano di interpretare qualcosa. Le sopracciglia si abbassano contemporaneamente, senza l'inclinazione angolare che troviamo nell'espressione di rabbia. È il medesimo movimento che fanno gli esseri umani quando pensano intensamente a qualcosa. Perciò Charles Darwin ha definito il corrugatore (il muscolo che controlla questo movimento) "muscolo della difficoltà". I cani sono in grado di manifestare con le sopracciglia anche emozioni abbastanza sottili. Sorpresa o perfino una lieve meraviglia sono segnalate da un movimento verso l'alto e verso l'esterno. Ho conosciuto un airedale di nome Brandon che aveva un’espressione maliziosa. Mi guardava, poi alzava un sopracciglio. Sempre, dopo questo gesto, afferrava qualcosa e, facendo una sorta di danza, scappava via con l'oggetto in bocca, come per dire: "Prendimi, se ci riesci". Il pianto Tutti i mammiferi posseggono le ghiandole per produrre le lacrime, ma le usano unicamente per tenere puliti gli occhi e umidificarli. È frequente sentir dire che solo gli esseri umani piangono come espressione emotiva. Di solito sono emozioni negative a scatenare le lacrime, un lutto o un dolore, ma se un’'emozione positiva è sufficientemente forte, possiamo "piangere dalla gioia". Di recente, alcuni ricercatori hanno affermato che molti mammiferi piangono, ma solo in condizioni di estremo turbamento. Qualche anno fa, nel corso di una conferenza tenuta dall'Associazione di Medicina Veterinaria del Canada, durante il pranzo ho provocato una discussione sul tema del pianto canino. Al mio tavolo sedeva una dozzina di persone, fra cui otto veterinari. Quando ho posto la questione, i veterinari si sono divisi in due fazioni: quattro affermavano che i cani piangono come noi, e quattro asserivano che le loro lacrime sono solamente un riflesso naturale, dovuto alla tensione muscolare del muso e degli occhi, causata da paura o panico. Entrambe le fazioni erano piuttosto eccitate (e leggermente rumorose) nel sostenere le loro ragioni. Una evidente dimostrazione del fatto che l'argomento è controverso. Per ciò che mi riguarda, una volta ho visto piangere un cane, e di un altro caso ho prove indirette. Qualche tempo dopo la conferenza, stavo attraversando il campus universitario dove lavoro e mi trovavo vicino a un edificio in costruzione. Improvvisamente, ho udito un urlo terribile, pietoso, somigliante a quello di un bambino che soffre atrocemente. Sono subito corso in direzione dell'urlo e ho trovato una giovane boxer (ho saputo dopo che si chiamava Evita) che si dibatteva, avvolta dal filo spinato. Era rimasta intrappolata e, nel tentativo di liberarsi, si era girata e rigirata più volte. Muovendosi non aveva fatto altro che peggiorare la situazione: il filo le si era attorcigliato intorno al corpo e le aveva causato delle ferite sui fianchi, sul dorso e sul ventre. Allora mi sono tolto il cappotto e glielo ho buttato addosso per cercare di tenerla ferma senza che il filo ferisse anche me. In quello stesso istante, un operaio che si trovava lì vicino vide la scena e corse a prendere le cesoie. Mentre io tenevo Evita, lui tagliava il filo spinato che la avvolgeva. Per tutta la durata dell'operazione, le ho parlato dolcemente e la guardavo in faccia; dai suoi occhi scuri ho visto scendere le lacrime e cascarle sulle guance. Per me, questo aveva un senso. Soffriva molto, e piangeva come può farlo un bambino ferito e impaurito. Nel secondo caso, sono arrivato troppo tardi per vedere veramente piangere un cane e per aiutarlo. Una sera il mio vecchio cairn terrier, Flint, si era sentito male e, nonostante la mattina stesse meglio, decisi di portarlo ugualmente dal veterinario. Quando arrivai all'ambulatorio, aprii lo sportello del furgone solo per scoprire che Flint era morto durante il tragitto. Mentre guidavo l'avevo sentito piagnucolare mestamente e avevo cercato di consolarlo dicendogli che presto avrebbe ricevuto le cure necessarie. Guardai il suo vecchio muso ingrigito e notai tracce di lacrime che gli solcavano il muso. Non ho alcun dubbio che piangesse. E anche il mio viso era rigato da tracce di lacrime.

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11. Parlare con la coda Chi non capisce il linguaggio dei cani, spesso crea problemi a se stesso e agli altri. Un giorno, ho ricevuto una telefonata da Steve, un professore che avevo incontrato molte volte all'università. Mi sembrava molto turbato. - Ho bisogno del tuo aiuto, - mi disse. - Il mio cane si è improvvisamente trasformato, è diventato sociopatico. Attacca senza preavviso, e addirittura l'altra notte ha morsicato mio nipote. Mia figlia non mi porterà più il bambino fino a quando non avrò risolto il problema. Dice che il cane dovrebbe essere eliminato, che tutti i cani che morsicano i bambini dovrebbero essere eliminati. Ma lui non è cattivo. Puoi fare qualcosa? Quella stessa sera andai a casa di Steve, che mi aspettava davanti alla porta. In piedi, dietro di lui, c'era un beagle; dopo aver valutato la situazione, il cane abbaiò in segno di saluto, e si sedette accanto al suo padrone con aria amichevole. Quando mi chinai per grattargli il petto, Steve mi disse: - Questo è Bagel. Normalmente è così, amichevole e allegro. Ma di recente è diventato imprevedibile. Ha morso me, mia moglie, e adesso anche mio nipote Denny. Proprio non so cosa fare. Noi lo amiamo, ma non possiamo vivere con un cane pericoloso e psicotico. Se dobbiamo... - La voce di Steve si affievolì e guardò tristemente il cane. Ero molto sorpreso da tutto ciò. I beagle hanno alcuni problemi, come la forte tendenza ad andare in giro con il naso incollato a terra, ignorando le forsennate urla del padrone. Possono essere un po’ testardi e indipendenti, almeno quando devono imparare a obbedire a comandi come "Seduto", "Vieni" o "Giù". Si fanno anche distrarre facilmente dalle cose che li circondano. Molte persone si lamentano per la loro tendenza a "cantare" o abbaiare a tono alto quando sono eccitati. Tuttavia, sono molto popolari come cani da compagnia perché sono affettuosi e poco aggressivi. In una casa piena di bambini urlanti, si adattano perfettamente unendosi ai loro giochi, mentre se vivono con persone anziane sono felici di accettare il ruolo di ornamento. Inoltre sono noti per essere tranquilli e tolleranti. Bagel, a prima vista, non sembrava diverso dagli altri della sua razza, per cui ero piuttosto perplesso. Mentre ero inginocchiato ad accarezzare Bagel, Steve continuava a fornirmi dettagli su di lui: - Gli abbiamo dato una quantità di giochi. Sai, quelli di gomma che rimbalzano, peluche che suonano, e dozzine di oggettini di cuoio da masticare. Era proprio questo che stava facendo quando ho portato mio nipote perché lo accarezzasse. È veramente strano: il cane si è alzato, e pareva felice di vedere Denny, ma quando il bambino ha allungato la mano, Bagel si è messo a ringhiare e lo ha morsicato senza alcun preavviso. Adesso ero un po' meno perplesso. - Steve, in che circostanze ha morsicato tua moglie? - Nulla di speciale. In realtà era una circostanza simile. Bagel era sul divano con un giocattolo, e quando mia moglie si è avvicinata, si è alzato allegramente per salutarla, poi ha ringhiato e l'ha morsa. Pensavo di aver capito cosa era successo. - Steve, sono sicuro che hai sentito dire che alcuni cani si ritengono gravemente minacciati quando masticano o mangiano qualcosa e una persona si avvicina troppo. Se si allunga una mano per accarezzarli, è possibile che l'animale fraintenda il gesto e lo consideri un tentativo di sottrargli l'oggetto. E un cane può diventare aggressivo se si prova a portargli via qualsiasi cosa abbia in bocca. Steve mi guardò e, con il tipico tono del professore che cerca di spiegare un concetto difficile a uno studente un po' ottuso, disse: - Certo che lo so. Tanto per iniziare, dovresti sapere che Bagel non è quel tipo di cane. Ed è il motivo per cui ti ho chiesto di venire per capire cosa c'è che non va. Secondo, penso di essere in grado di leggere un cane come so leggere una persona. Se mi sembra che si senta minacciato, se ringhia o piagnucola, di sicuro non cerco di toccarlo, e non lo farei certo avvicinare da mio nipote di quattro anni. Ma non è questo che è successo. Il cane si è alzato. Lo ha guardato, direttamente negli occhi! E tutto mentre scodinzolava. Poi quando Denny si è avvicinato per accarezzarlo, ha ringhiato e lo ha morso! - Ok. Ma come ha mosso la coda? la voce di

Steve adesso aveva il tono di un professore infastidito perché si trova di fronte uno studente che disturba il resto della classe con domande stupide e insensate. - Mi pare evidente. Nel modo in cui un cane muove la coda, da una parte all'altra, per manifestare felicità -. E intanto agitava il braccio avanti e indietro, davanti alla mia faccia, per dare allo stupido studente una dimostrazione visiva del concetto. - Steve, ancora un minuto. La coda era bassa, orizzontale, compiva ampie oscillazioni avanti e indietro, tanto che si muovevano pure le anche? Adesso era Steve a essere perplesso. Socchiuse leggermente gli occhi come se cercasse di rivedere nella mente l'incidente. No, non si muoveva così. - La teneva alta? - Steve accennò di si. Allora continuai: - Era quasi verticale e i movimenti erano corti, e più che sventolarla, la faceva vibrare? - Ripetei il movimento con le mani, e di nuovo Steve accenno di sì con la testa. Il resto del mio compito fu abbastanza facile. Ho semplicemente dovuto spiegare a Steve che non tutti gli scodinzolii hanno lo stesso significato. È vero che molte volte sono associati alla felicità. Tuttavia hanno anche una varietà di differenti valori, che vanno dalla paura e dall'insicurezza fino alla sfida da dominanza, e sono tutti un chiaro avvertimento che se si continua ad avvicinarsi, si e soggetti a essere morsicati. Nel caso di Bagel, sicuramente lui voleva proteggere i suoi giocattoli. Non ha agitato la coda per salutare la persona che si avvicinava; al contrario, quando gli si è accostata, si è alzato, I'ha fissata direttamente negli occhi con sguardo intimidatorio, e ha alzato la coda in un atteggiamento minaccioso e dominante. La sua coda diceva: "Stai indietro! io proteggerò ciò che è mio!". Visto che il nipote di Steve ha ignorato l'avvertimento, Bagel si è sentito autorizzato a mettere in atto la sua minaccia nell'unico modo che conosceva: morsicando. Capire quello che la coda di Bagel comunicava era il primo passo per risolvere il problema. In un certo senso, lo scodinzolio ha le stesse funzioni del nostro sorriso, del saluto di cortesia, del cenno di riconoscimento. I sorrisi sono gesti sociali, e pare che gli esseri umani ne serbino molti per quando si trovano in compagnia e vogliono farsi notare. A volte situazioni sociali indirette, come guardare la televisione, oppure pensare a qualcosa o a qualcuno in particolare, possono provocare un sorriso. Nei cani sembra che la coda abbia le stesse caratteristiche. Un cane scodinzola a una persona o a un suo simile. Può farlo con un gatto, un cavallo, un topo e forse persino con una farfalla. Ma quando è solo, non scodinzola alle cose inanimate. Se posate a terra la ciotola piena di cibo, il cane scodinzola in segno di gratitudine Se invece entra in cucina e si accorge che la sua ciotola è piena, si avvicina e comincia a mangiare allegramente, ma non muove la coda a parte, forse, qualche leggero tremolio di eccitazione. Scodinzolare, dunque, serve per comunicare. Nello stesso modo in cui noi non parliamo a un muro, i cani non scodinzolano a cose che apparentemente non sono vive e che non possono rispondere. La coda del cane dà un’infinità di informazioni sullo stato mentale la posizione sociale e le intenzioni. Come sia diventata un mezzo di comunicazione è una storia interessante. In origine serviva per l'equilibrio. Quando un cane corre e deve improvvisamente girare, si butta con la parte anteriore del corpo nella direzione che vuole prendere. La parte posteriore si curva, ma la velocità in avanti è tale che tende ad andare nella direzione originaria. Se non lo si controllasse, questo movimento causerebbe un’eccessiva rotazione della parte posteriore, che rallenterebbe il movimento o potrebbe perfino far cadere il cane quando, mentre corre, cerca di girarsi. La coda aiuta a evitare tutto ciò. Lanciarla nella stessa direzione nella quale il corpo si sta voltando fa da contrappeso, riducendo la possibilità che l'animale vada fuori rotta. È utile anche quando l'animale deve camminare su superfici strette. Ruotandola intenzionalmente da una parte o dall'altra, nel verso opposto a ogni inclinazione del corpo, il cane si aiuta a mantenere l'equilibrio nello stesso modo in cui l'asta aiuta l'acrobata sulla fune. La coda come pare ovvio, viene quindi utilizzata per movimenti specifici. Ma quando l'animale è in piedi o cammina a un’andatura normale su superfici lisce, essa non è necessaria per l'equilibrio, in questi casi è disponibile per usi differenti. L'evoluzione, ancora una volta, ha colto un'opportunità e ha adattato la coda alla comunicazione. Molto spesso la gente si meraviglia nell'apprendere che i cuccioli quando sono molto piccoli, non dimenano la coda. Il cane più giovani cui ho visto muoverla aveva diciotto giorni, e secondo l'opinione dell'allevatore e la mia è stato un comportamento alquanto inusuale. Sebbene esistano differenze tra le varie razze, i dati scientifici

dicono che, in media, la metà dei cuccioli inizia a muovere la coda dal trentesimo giorno di vita, atteggiamento che si consolida definitivamente intorno al quarantanovesimo giorno. Perché un cucciolo comincia ad agitare la coda così tardi? La risposta è che inizia quando diventa necessario alla comunicazione sociale. Fino all'età di tre settimane, i piccoli passano la maggior parte del tempo mangiando e dormendo. Non interagiscono in maniera significativa con i fratelli, se non per rannicchiarsi uno accanto all'altro e stare al calduccio mentre dormono, o quando si ammassano tutti insieme per poppare. A quest'età sono già in grado di agitare la coda, ma non lo fanno. A sei o sette settimane (quando cominciamo a vederli scodinzolare regolarmente) i cuccioli interagiscono fra loro. Molte interazioni sociali consistono in quelli che gli psicologi definiscono "i comportamenti di gioco". È proprio attraverso il gioco che il piccolo apprende le sue capacità, come rapportarsi con l'ambiente circostante e, cosa più importante, come cavarsela con gli altri individui. Impara che se morde un fratellino, è facile che venga a sua volta morso, e che il compagno di gioco si arrabbia tanto da porre fine al divertimento. È a questo punto che il cucciolo inizia ad apprendere il linguaggio canino. Non è chiaro a che livello queste emergenti comunicazioni sociali siano prefissate, ma è evidente che per i cuccioli è necessario l'apprendimento per poter migliorare l'uso e l'interpretazione di quei gesti. I piccoli imparano ad associare i loro segnali, quelli della madre e dei fratelli con i comportamenti conseguenti. Capiscono inoltre che possono usarli per indicare le intenzioni ed eludere gli scontri. È adesso che cominciano a muovere la coda. Il periodo dell'allattamento è quello in cui con più probabilità si verificano dei conflitti. Quando un cucciolo vuole poppare, deve infilarsi in mezzo agli altri per cercare il capezzolo della madre e quindi si trova a stretto contatto con i fratelli, che sono gli stessi individui che magari fino a pochi minuti prima lo hanno mordicchiato, preso a spintoni o rincorso. Inizia allora a muovere la coda per iIndicare che il suo è un atteggiamento pacifico, per evitare un’eventuale reazione di paura o aggressività da parte degli altri, che stanno a loro volta spintonando per arrivare al capezzolo. Usa la coda con i fratelli come fosse una bandiera di armistizio. Quando diventa più grande se ne serve invece per chiedere cibo agli adulti del branco o ai membri della famiglia in cui vive. Si avvicina all'adulto per leccargli la faccia, e intanto scodinzola per segnalare le sue intenzioni amichevoli. Da ciò si deduce chiaramente che il motivo per cui i cani da piccolissimi non agitano la coda è che in realtà non hanno bisogno di inviare messaggi di pacificazione. Quando la comunicazione con gli altri diventa necessaria, apprendono velocemente i corretti segnali della coda. Questo tipo di linguaggio usufruisce di tre diversi canali di informazione: la posizione, la forma e il movimento. E proprio il movimento è l’aspetto più importante del segnale, visto che gli occhi dei cani sono molto più sensibili a esso che non ai dettagli o ai colori. Agitare la coda è un atto che gli altri cani possono vedere con maggior chiarezza. Per renderla ancora più visibile, l'evoluzione ha usato alcuni stratagemmi. I canidi selvatici, ad esempio i lupi, hanno spesso code molto folte, così è più facile vederle a distanza. Inoltre, in alcuni casi, esse sono colorate in maniera particolare, perché si possano riconoscere senza difficoltà i segnali che forniscono. La parte inferiore è di frequente più chiara, per distinguere meglio la differenza tra i cenni inviati con la coda alta e quelli con la coda bassa. Molti canidi, perchè sia più visibile, hanno la punta della coda di un colore diverso. Di solito in questa zona il pelo è più chiaro, oppure finisce con una maccchia bianca. Al contrario, in altri canidi l'estremità è molto scura. In entrambi i casi, i toni contrastanti servono per rendere più visibile la punta della coda, e quindi più riconoscibili i suoi movimenti. Posizioni della coda È bene ricordare che ogni segnale inviato con la coda si avvale di tre componenti differenti. È la combinazione dei vari elementi a renderli più ricchi e facili da leggere. Dobbiamo inoltre considerare un altro importante fattore: la posizione della coda varia in altezza a seconda delle razze canine. Torneremo sull'argomento più avanti. Coda orizzontale, puntata indietro, ma non rigida: È un segnale di attenzione. Si può tradurre approssimativamente con: "Forse qui sta per succedere qualcosa di interessante". Di solito il cane mette la coda

così quando accade qualcosa nelle vicinanze, oppure se si avvicina una persona. A volte per un odore stimolante portato da vento. In questo gesto non c'è minaccia, ma se la coda comincia a irrigidirsi, significa che l'animale percepisce un cambiamento della situazione. Coda orizzontale dritta in fuori, rigida, puntata all'indietro: la coda rigida di regola possiede un elemento di aggressività: è la posizione iniziale di sfida se si incontra un estraneo o un intruso Può essere tradotta con: "Vediamo di stabilire chi è il capo, qui". È però anche l'atteggiamento con cui un cane inizia i rituali di saluto con un altro che non conosce molto bene. Viene portata così anche quando nasce una competizione fra due cani, magari per un pezzo di cibo o per un giocattolo. Siccome è il leader del branco, o il cane più dominante, a scegliere per primo il boccone migliore o l'oggetto più interessante, è importante l'esito della sfida. Ma è comunque raro che una tale competizione sfoci in un'aggressione fisica, poiché di solito uno dei rivali valuta i rischi (magari per precedenti esperienze) e si fa da parte, risolvendo così il conflitto. Coda alzata, in posizione intermedia (né alta né bassa): È i1 segnale di dominanza. La rigidezza della coda indica la ferma intenzione dell'animale di rivendicare la sua superiorità su chiunque sia nelle vicinanze. Non si sente sfidato, ma anticipa la possibilità che questo accada. Può essere tradotto con: "Qui il capo sono io, e lo proverò a chiunque ne dubiti". Se la coda non è rigida, ma è comunque alta e con la punta che si muove lievemente in avanti, allora il cane sta manifestando un atteggiamento di totale sicurezza di sé. Coda alta, leggermente incurvata verso il dorso: Significa: "Qui io sono il più importante, e tutti lo sanno". È l'espressione di un cane sicuro di sè e dominante, che sente di avere il controllo della situazione e non ha dubbi riguardo a ciò. Un animale che non si aspetta alcuna sfida; tutto avverrà secondo i sui desideri e i suoi piani. Mi sono chiesto spesso come si siano evolute le posizioni alte della coda, che indicano la dominanza di un cane specifico. Un giorno mi è stato fornito un indizio che mi ha fatto pensare come talvolta le leggende popolari possano avere un fondo di verità. È successo quando il Dalai Lama è stato in visita a Vancouver per tenere una serie di conferenze e allacciare contatti politici. È il capo spirituale del più grande ordine di buddhisti tibetani e, fino al 1959, ha anche governato politicamente il Tibet. L'università gli aveva riservato un’accoglienza speciale ed era stato organizzato un incontro pubblico in suo onore. Fui invitato a intervenire. Il Lama era circondato da molti uomini del servizio di sicurezza, e la sala era talmente affollata di autorità che non sono riuscito a incontrarlo. Per fortuna erano presenti anche molti monaci del suo entourage, e ho avuto l'opportunità di chiacchierare per un po' con uno di loro. Il mio interesse non aveva niente a che fare con la politica o la religione ma, come sempre, con i cani. In questo caso con il Lhasa Apso la razza più antica e popolare fra le quattro che si reputano native del Tibet: è un cane di piccola taglia, la sua altezza al garrese è di circa ventisei centimetri, e pesa più o meno sette chili. Ha la pelliccia lunga, setosa, orecchie pendenti, coda piccola tenuta alta e il muso tozzo. Si supponeva assomigliasse al Leone Celeste. La storia di questo cane risale a milletrecento anni fa, e ha un lungo legame con i monasteri buddhisti, dove veniva tenuto non solo come animale da compagnia ma anche come cane da guardia. Era tradizione, quando il sommo sacerdote moriva, lasciarlo nella camera mortuaria, perché i monaci credevano che il cane servisse come temporanea dimora per l'anima del santo, fino a quando si reincarnava nel corpo di un altro uomo. Per questa ragione, il Lhasa apso era anche venerato. Per molti anni, i vari Dalai Lama che si sono succeduti hanno offerto in dono a numerosi imperatori cinesi il Lhasa apso. Speravo di poter apprendere qualcosa di nuovo su questi piccoli animali parlando con qualcuno originario della sua patria. Incontrai un attendente del Dalai Lama che parlava un inglese fluente, ed ebbi l'impressione che gli facesse piacere chiacchierare con me. Quando gli chiesi notizie del cane si mise a ridere, probabilmente perché gli altri ospiti avevano in mente solo questioni politiche o comunque di peso ben diverso. Ciononostante, cominciò a raccontarmi la storia di quell'animale. - I Lhasa anso sono diventati molto famosi nel diciassettesimo secolo. È accaduto durante il regno del quinto Dalai Lama, che noi chiamiamo "il Grande Quinto" (Ngag-dbang-rgya-mtsho. Era un capo militare e politico, e decise di costituire un'alleanza con i mongoli

(il mio interlocutore era il responsabile politico dell'ordine buddhista tibetano). Il Grande Quinto conosceva molto bene le tradizioni popolari e le leggende, e spesso, per diletto, ne raccontava alcune. Una di queste aveva come soggetto la coda del Lhasa apso. I cinesi e i mongoli utilizzavano spesso i cani nelle loro campagne di guerra. Secondo il Lama, gli dei avevano dato loro le code perché avessero la stessa funzione delle bandiere portate dai leader militari. La bandiera alta, in posizione verticale serviva alle truppe combattenti per localizzare con facilità il loro comando; sapevano così in quale direzione guardare quando avevano bisogno di istruzioni, oppure dove dirigersi in caso di necessità. Il Grande Quinto sosteneva che per questa ragione il cane leader tiene la coda alta. È la sua bandiera. Il Lama era solito ridere quando affermava di aver sempre pensato che solo i cani da combattimento si meritavano veramente la loro coda, e a volte riteneva che i Lhasa apso avrebbero dovuto nascere senza coda. Anni dopo però, un fatto accaduto dopo la costruzione del Potala, in Lhasa (il luogo che più avanti diede il nome al cane. Potala è il bel palazzo d'inverno usato dal Dalai Lama), gli fece cambiare opinione. Il Grande Quinto aveva molti nemici politici che lo volevano morto. Si racconta che una notte, mentre il Dalai Lama dormiva, alcuni assassini entrarono furtivamente nei suoi alloggi a palazzo, e in assoluto silenzio ammazzarono il gruppo di guardie del perimetro esterno, poi riuscirono ad avvicinarsi agli uomini a guardia della stanza del Lama. All'improvviso il piccolo Lhasa apso, che era in camera con lui, si mise ad abbaiare rumorosamente, tanto da allarmare le guardie personali del Lama e quelle che si trovavano nelle vicinanze. L'attacco fu sventato, e dopo che furono eseguite le indagini sul caso si capì che, se il cane non avesse abbaiato, senza alcun dubbio gli assassini sarebbero riusciti nel loro intento. È in questa veste da guerriero che il cane salvò la vita del Dalai Lama. Tempo dopo, il Grande Quinto fu sorpreso mentre diceva al suo cane: "Adesso so che ti sei realmente meritato la coda, piccolo cane. Porta alta la tua bandiera di battaglia, e con grande onore". Ho sempre pensato che questa fosse solo una deliziosa storiella e a volte, quando vedo un cane con la coda eretta, mi ritorna in mente. Ma un giorno, mentre guardavo una serie di filmati sui rituali di saluto che i lupi eseguono dopo una battuta di caccia, o quando sono in procinto di cacciare, ho capito che c'è un fondo di verità nel concetto che la coda dritta sia una bandiera di battaglia. Il numeroso gruppo di lupi si affollava intorno al leader, e in quella moltitudi ne di animali a volte era difficile localizzare ogni singolo individuo, a eccezione del capo. Teneva la coda molto alta, e lo si poteva localizzare in ogni momento. L'idea che la coda possa essere usata come una bandiera per raggruppare il branco diventa ancora più evidente se si considera l'effetto di una coda alta nelle differenti situazioni. Ho notato, per esempio, che quando il capobranco gironzola va tenendo la coda rilassata, gli altri individui del gruppo facevano poca attenzione ai suoi movimenti e continuavano tranquillamente le loro attività. Tuttavia, se il capo si muoveva per la radura con la coda dritta, gli altri lupi lo notavano con più facilità e, soprattutto si dirigevano verso di lui. Sembra che il lupo Alfa usasse selettivamente i segnali dati con la coda. La alzava se voleva raggruppare i compagni per dal inizio alla caccia o quando si avvicinava un animale sconosciuto, oppure se si verificava una situazione ambigua o pericolosa. Sollevare la coda era il segnale per riunire la truppa vicino a lui, come per il leader mongolo alzare la bandiera era il segnale per i suoi soldati di andargli intorno. Se la coda si abbassa, il contenuto del messaggio cambia. Coda tenuta più bassa della linea orizzontale, ma ancora distante dalle zampe, con occasionali oscillazioni in avanti e all'indietro: È il segnale inviato da un cane tranquillo, senza particolari preoccupazioni. Significa "Sono rilassato" oppure "Va tutto bene". Coda bassa, vicina alle zampe posteriori: Questa posizione ha più significati, che cambiano a seconda dei movimenti del corpo. Se le zampe sono ancora dritte, e il cane agita leggermente la coda in avanti e all'indietro, possiamo interpretare il messaggio come: "Non mi sento tanto bene". È il segno abituale di un cane ammalato o che manifesta un certo grado di panico. Può indicare anche uno stato mentale, e in questo caso può essere tradotto con: "Sono un po' depresso". Se la posizione del corpo cambia, cambia anche il significato del segnale.

La variante più comune è corpo abbassato, zampe leggermente piegate verso l'interno. Una posizione che dà al cane una lieve incurvatura verso il basso, ed esprime un certo grado di apprensione e timidezza. Fondamentalmente vuoi dire: "Mi sento un po' insicuro". Si può osservare con facilità in un cane che si trova in un ambiente sconosciuto, oppure che vede andare via da casa un membro della famiglia e prevede un periodo di separazione dal suo compagno. Coda infilata tra le zampe: Più la coda si abbassa, più l'animale passa dall'apprensione o dal disagio mentale alla paura. Si può tradurre con: "Sono impaurito!" oppure "Non farmi del male!". Anche se questa posizione della coda indica che la paura è l'elemento di maggiore peso, col tempo è diventata anche un segnale di pacificazione che serve a evitare aggressioni da parte di un altro cane. La circostanza più comune in cui si manifesta è in presenza di un cane dominante o di una persona che l'animale avverte come tale. In questo caso il suo significato è: "Accetto il mio ruolo di inferiorità all'interno del branco e non cerco di sfidarti" oppure "Sono talmente sopraffatto da te che non dubito della tua posizione di autorità". C'è un'altra ragione interessante per cui la coda alta si è evoluta come segnale di dominanza, e quella bassa come segnale di sottomissione e insicurezza. E non ha niente a che fare con i cenni visivi che essa fornisce. La cosa importante non è la coda in se stessa, ma piuttosto quello che ci sta sotto. Le ghiandole anali di un cane trasportano molte informazioni olfattive, utili a identificare l'animale; inoltre danno alcune indicazioni sul suo stato emotivo e sulla ricettività sessuale. Sono un resoconto scritto virtuale della personalità. Un cane che alza la coda mette a disposizione del mondo le informazioni su di sè. Reclamizza l'identità e mette l'odore a disposizione di chiunque si trovi nelle vicinanze. È un po’ come evidenziare il proprio nome oppure pubblicare un’autobiografia. Fra gli esseri umani, sono le persone famose, ricche, potenti, o comunque importanti, e quindi veramente sicure di sè, che di solito rendono di pubblico dominio i fatti personali. Lo stesso vale per i cani. I dominanti vanno orgogliosi della loro identità e si compiacciono di dire a chiunque: "Il tuo leader è arrivato. Dài un’'annusata, così saprai chi sono". Una coda ben alzata, dunque, serve a esporre le ghiandole anali e a rilasciare gli odori, tenuta bassa a ridurre la quantità di odore emanato. Saldamente infilata in mezzo alle zampe, copre la regione anale, e ha quindi la stessa funzione del tappo di una bottiglia di profumo: evita che fuoriesca anche il minimo effluvio. In sostanza, il cane cerca di non far notare la sua presenza, impedendo il rilascio degli odori che lo identificherebbero come individuo. Alcuni studiosi affermano che l'azione coda-in-mezzo-alle-zampe sia l'equivalente canino del nascondersi il viso di un essere umano insicuro - in particolare lo fanno bambini - in presenza di una persona dominante o potenzialmente pericolosa. Allora anche i segnali olfattivi sono un’'importante componente del linguaggio della coda. Nell’illustrazione 11-1 sono raffigurate le posizioni della coda. Osservate come si alza con l'aumentare dell'aggressività e della dominanza, e come si abbassa con l'accrescere della paura e della sottomissione. Forme della coda Come ho sottolineato in precedenza, le informazioni date con la coda sono regolate da vari fattori. Uno di questi è la forma. Pelo rizzato nella parte inferiore: Per un cane il modo più facile per cambiare forma alla propria coda è far rizzare il pelo, che in situazioni normali rimane invece liscio e piatto. I centri del cervello che inducono il sollevamento del pelo del collo fanno rizzare anche quello della coda. Come il pelo alzato sulle spalle è un segno di aggressività, lo è anche il pelo alzato sulla coda, che tuttavia rimane un segnale indipendente, e può essere usato per modificare ogni posizione della coda aggiungendo un elemento di vaga minaccia. Quando però la coda è dritta, il significato cambia; se prima era: "Stabiliamo chi è il boss, qui", adesso diventa: "Dobbiamo decidere chi è il boss e io sono pronto a combattere, se pensi che sia necessario regolare la questione". Se a una coda alta o tenuta sopra il dorso si aggiunge il pelo rizzato, il senso è: "Qui il leader sono io. Non mi fai paura e qualsiasi

sfida da parte tua finirà in una lotta". Se invece il cane tiene la coda più bassa e con il pelo alzato, vuoi dire: "Mi stai facendo innervosire e inquietare; se mi provochi mi costringerai a combattere". Illustrazione 11-1: Posizioni base della coda: la figura in alto mostra un cane rilassato, vigile. Nella colonna di sinistra, dall’alto verso il basso, si può osservare come la coda si alzi con l’aumentare della minaccia di dominanza o di aggressività. La colonna di destra mostra che, con l’aumentare della paura o della sottomissione, la coda si abbassa. Pelo rizzato solo sulla punta: Mentre se l'intera coda ha il pelo rizzato il suo messaggio è sempre di aggressività, se lo è solamente sulla punta, e questa è alzata, si aggiunge una componente di paura, ansietà o sconforto. La coda bassa (ma non infilata in mezzo alle zampe) con il pelo irto sulla punta leggermente incurvata in alto, indica: "Oggi mi sento un po’giù". La miglior cura è dedicare all'animale un’attenzione maggiore. Con i miei cani mi comporto sempre così, ma se mi accorgo che questo rimedio non produce risultati, allora vado in cerca di una ragione fisica, perché magari è quella a renderlo infelice. Uno spasmo o una brusca incurvatura della coda quando è tenuta alta: Esiste un’'interessante modificazione di forma, visibile molto distintamente nei cani simili ai lupi. Nel pastore tedesco, nel pastore belga e in alcune razze nordiche è molto pronunciata. È un segnale che assomiglia a uno spasmo o a una brusca incurvatura della coda Talvolta si ha l'impressione che sia rotta o piegata, oppure prende la forma di una S che ondeggia e si muove come un serpente. È un segno ben preciso: il cane contempla la possibilità di un’aggressione. Se vi trovate di fronte a questo atteggiamento, e contemporaneamente sono visibili altri cenni di dominanza, è il caso che vi allontaniate. Significa: "Indietro! Se non te ne vai, ti attacco!". Uno spasmo in prossimità della punta: Aggiunge una moderata minaccia a qualsiasi altro segnale. Vuol dire: "Tirati indietro! Non mi provocare, altrimenti ti attacco". Gli spasmi della coda vanno cercati. Spesso sono molto lievi, ma non bisogna sottovalutarli, perché di frequente indicano che il cane è abbastanza aggressivo da mordere veramente. Movimenti della coda I movimenti possono aggiungere ulteriori sfumature e significati ai messaggi inviati attraverso i suoni e il corpo, oppure da altri aspetti della coda stessa. Scodinzolio veloce: Può essere un segno di eccitazione o di tensione. È importante prestare attenzione alla velocità dello scodinzolio, dello sventolio o della vibrazione, indipendentemente dall’ampiezza del movimento. Questa dipende dalle caratteristiche della razza, per cui dovete osservarla bene. Un cane da caccia con una coda fluente la muove molto più ampiamente di un terrier, che ne ha una a forma di carota (il suo, in realtà, assomiglia più a un tremolio che a uno scodinzolio). Comunque, in entrambi i casi, la rapidità dei movimenti mostra semplicemente che il cane è eccitato, e la loro estensione indica non tanto il livello di eccitazione, quanto lo stato emotivo dell'animale. Scodinzolio leggero, ogni oscillazione ha un'ampiezza modesta: tipico dei rituali di saluto. Può essere diretto a estranei, al padrone, oppure a un altro importante membro della famiglia, al loro arrivo a casa. La maggior parte delle volte il cane lo usa prima che la persona si sia accorta della sua presenza. Si traduce con un titubante: "Ehilà, ciao" o con un fiducioso "Sono qui". Lo stesso atteggiamento viene adoperato quando il padrone entra in una stanza o interrompe un’azione e posa lo sguardo sul cane. Può essere interpretato come: "Vedo che mi guardi. Mi vuoi, vero?". È una reazione a un'attenzione sociale: l'animale riconosce la dominanza del padrone e cerca in lui conforto e supporto amorevole. Scodinzolio ampio: È un segnale amichevole: "Non ho intenzione di sfidarti né di minacciarti". Può anche significare: "Mi piaci". È facile scorgerlo durante il gioco, quando un cane finge di attaccarne un altro, saltandogli addosso, ringhiando e abbaiando. Intanto che emette questi versi e si comporta con apparente

aggressività, scodinzola ampiamente. Così facendo rassicura l'altro cane (o la persona) che si tratta di uno scherzo - come succede fra due bambini che giocano a guardie e ladri, in cui uno finge di sparare all'altro e intanto gli urla rabbiosamente: "Questa volta ti prendo! Adesso ti ammazzo!" ma accompagna i gesti con un sorriso radioso. In molte situazioni lo scodinzolio ampio ha anche il significato di "Sono contento" ed è quello più vicino al concetto popolare di felicità. Scodinzolio ampio, con oscillazioni tanto estese da arrivare a toccare i fianchi dell'animale da una parte all'altra: È un gesto di saluto, fatto soprattutto dopo una lunga assenza della "persona speciale" - quella cui ubbidisce maggiormente e presta più ascolto - oppure se questa entra in casa o in una stanza dove si trova il cane. L'animale muove la coda così velocemente anche quando impara un nuovo comando. Sembra lo scodinzolio di felicità, ma in realtà è un segnale complesso che indica il rango della persona in rapporto al cane. Ha un significato molto affettuoso e umile, qualcosa come: "Oh mio Grande Leader, sono qui per te. Farò tutto ciò che mi chiederai e tu contraccambierai prendendoti cura di me e non mi farai del male ". Quando un cane invia messaggi compiacenti del tipo: "Oh, mio Grande Leader" e "Ti seguirò ovunque", abbassa la parte posteriore del corpo tanto che la coda, con le sue oscillazioni, pare stia scopando il pavimento. Nello stesso tempo, alza leggermente la parte anteriore del corpo assumendo una posizione implorante e, se riesce, si mette a leccare la persona cui è destinato il messaggio, o lecca semplicemente l'aria. Alla vista di un gesto così affettuoso e deferente la persona capisce che il cane è sincero, allora lo coccola, lo saluta e si sente protettiva nei suoi confronti. È il comportamento che un cane gerarchicamente inferiore ha nei confronti del leader del branco quando questi gli si avvicina, oppure quando torna nel suo territorio. Un messaggio di rispetto, remissività e pacificazione, che evita potenziali aggressioni. Scodinzolio lento con coda a mezz'asta: È un segnale meno sociale di molti altri inviati sempre con la coda. Se un cane lo fa durante l'addestramento, lo interpreto come: "Sto cercando di comprenderti. Voglio capire cosa vuoi, ma non ne ho la più pallida idea". Quando finalmente l'animale comincia a capire, la velocità e l'ampiezza dello scodinzolio di solito aumentano notevolmente, talvolta al punto da diventare il largo movimento del "Grande Leader, ti ascolto e ubbidisco". Gli scodinzolii lenti, se la coda non è né in posizione dominante (alta) né in posizione servile (bassa), sono segnali di insicurezza e perplessità sul da farsi. A volte si possono osservare in un cane che vede avvicinarsi qualcuno alla sua casa o al suo territorio. Fa un passo o due verso l'estraneo, dà una lenta scodinzolata, si gira a guardare verso la famiglia o il branco, di nuovo scodinzola fiaccamente, ritorna a guardare l'estraneo, e così via. L’indecisione è riflessa nella sua coda. Se l'animale decide che la situazione è pericolosa, minacciosa oppure positiva, o nel momento in cui stabilisce il da farsi, allora alza o abbassa la coda dipende dal contesto - e lo "scodinzolio di indecisione" viene rimpiazzato da un altro segnale, più eloquente. Ingerenza umana e dialetto della coda L'effettiva connotazione dei segnali inviati con la coda dipende dalla forma e dalla posizione che questa assume in ogni razza. L’intervento umano e le regole prestabilite per la partecipazione alle mostre canine hanno imposto dei modelli specifici: certe razze hanno l’obbligo di avere la coda bassa, altre devono averla alta, altre ancora devono tenerla a mezza altezza. I cani che l'hanno troppo alta o troppo bassa in rapporto alla normativa stabilita per quella razza, sono penalizzati nelle competizioni. Alcune razze devono avere la coda dritta o incurvata sopra il dorso, oppure infilata in mezzo alle zampe. Per certune c'è l’'obbligo di averla guarnita di molte "piume", per altre invece è proibito. In alcuni casi deve avere una specifica lunghezza, mentre in altri la coda non deve proprio esserci. Molti, ma non tutti, questi requisiti servono solamente per le mostre, per ottenere una particolare "immagine". Tuttavia ogni razza è stata selezionata per assolvere a particolari compiti, e talora la coda è parte essenziale nell’adempimento di una specifica funzione. Questo è particolarmente vero per i cani da caccia. I setter sono stati

concepiti per muoversi sul terreno molto più velocemente dei loro predecessori, i pointer, e perché il cacciatore possa capire dal movimento della coda quanto i suoi cani siano vicini alla selvaggina, visto che più essi si avvicinano alla preda, più aumenta la velocità dello scodinzolio. La coda deve essere molto piumata per risultare visibile. Una volta che il setter localizza la preda, la coda si ferma, perché il cane si mette a "puntare". L'interruzione del movimento caudale avverte il cacciatore che l'animale è davvero molto vicino al bersaglio. E così sa che deve avvicinarsi con cautela per non spaventare la vittima o per non farla uscire dal nascondiglio prima che lui sia pronto a sparare. I cani da slitta hanno la coda alta e, ancora una volta, c'è una ragione funzionale: serve per rendere visibili i segnali al musher, il loro conduttore, anche quando sono imbrigliati. Ogni mutamento di posizione è distinguibile pure se sono in movimento. Se tutti i cani tengono alta la coda, significa che la muta è attenta e pronta a mettersi in cammino. Siccome anche il minimo abbassamento è visibile, il musher può vedere se il cane che la tiene abbassata ha un particolare problema. Se invece nota un improvviso raddrizzamento o uno spasmo visibile di una coda, sa che all'interno della muta potrebbe nascere uno scontro. Nel caso in cui l'altezza delle code fosse intermedia, sarebbe molto più difficoltoso vedere i segnali, poiché le code dei cani che comandano la muta verrebbero nascoste dai corpi di quelli legati dietro di loro. Il musher, quindi, non potrebbe ricavare informazioni di vitale importanza. I cani da pastore generalmente tengono la coda bassa. Di solito è ferma, puntata all'indietro, e segue la stessa direzione del corpo del cane. Questo perché i cani da pastore danno leggeri spintoni ai membri della mandria, li fissano e simulano degli attacchi per farli muovere nel giusto verso. La direzione che la mandria deve prendere, normalmente viene specificata dalla postura del cane. Le pecore, per esempio, si allontanano in linea retta da un cane che le fissa o che le carica. Sembra che gli animali, nella mandria, considerino l'allineamento della testa e del corpo del cane una sorta di freccia, che punta nel luogo in cui devono dirigersi. Pensate se un cane da pastore avesse una coda alta, scodinzolante, simile a quella dei cani da slitta. Un tale segnale potrebbe facilmente distrarre la mandria, che non presterebbe più attenzione allo sguardo e all'allineamento del cane oscurando così il messaggio che questo cerca di inviare. La forma e le posizioni della coda "richieste dalla razza" a volte possono offuscare i segnali mandati agli uomini o ad altri cani, e questo è un problema. Ad esempio, si è portati a leggere i rapidi battiti della coda di un setter irlandese come l’indicazione che il cane è entusiasta, in certi casi anche troppo esuberante. È raro sentir dire di un cane di questa razza che ha un temperamento tranquillo e molto riservato; è invece molto più facile sentirlo dire di un border collie, la cui coda rimane bassa e non si muove con troppo entusiasmo. Eppure io ho conosciuto collie socievoli quanto la maggior parte dei setter. Bisogna riuscire a leggere i segnali facendo attenzione alle caratteristiche di ogni specifica razza. È ovvio che se, per un periodo sufficientemente lungo, si vive in compagnia di un particolare cane, diventa più facile la lettura dei relativi cambiamenti di posizione della coda, e la comunicazione dovrebbe quindi diventare meno ambigua. Forse l'intervento umano che più ha alterato i segnali di comunicazione canina è stato il taglio della coda; ad alcune razze, già alla nascita, viene amputata l'intera coda o parte di essa. È logico che un cane così non è più in grado di inviare i messaggi che normalmente manderebbe. Ci sono molte vivaci controversie riguardo all'amputazione della coda; io sulla questione ho sentimenti confusi. Le argomentazioni contrarie (basate sulla crudeltà, il dolore e la mutilazione) hanno convinto molti Paesi a bandire tale pratica. Però è fondamentale capire le motivazioni originarie che hanno spinto gli allevatori ad applicarla. Il taglio della coda non è nato semplicemente per una questione di bellezza, per riuscire a raggiungere un aspetto particolare da esibire alle mostre. Molte razze di spaniel che abitualmente subiscono l'amputazione, in origine hanno code piuttosto eleganti e ben piumate, da rendere realmente l'animale più bello, almeno ai miei occhi. Come in molti altri casi di manipolazione dell'aspetto del cane, anche il taglio della coda si eseguiva per

ragioni pratiche. Una di queste è la stessa per cui venivano mozzate le orecchie ai cani da guardia; per un delinquente o comunque per un malintenzionato, la coda può diventare un appiglio per trattenere il cane, controllarne i movimenti e le azioni e non arrivare così a contatto con i suoi denti. Allora gran parte della coda viene mozzata perché non possa essere utilizzata contro il cane stesso. Numerosi cani ai quali si amputa la coda non sono da guardia. In realtà più di cinquanta razze canine subiscono il taglio parziale o totale. Per molti cani da caccia era una misura preventiva, per evitare che la coda subisse lesioni: è molto facile per le razze che hanno il compito di inseguire la selvaggina nella vegetazione fitta, tra i rovi o sui terreni rocciosi, procurarsi ferite, anche gravi. I rapidi movimenti della coda, che l'animale sferza da una parte all'altra, possono lacerarla, spezzarla e farla sanguinare; tutte cause di dolore, spesso difficili da curare e che a volte richiedono l'amputazione, operazione più rischiosa in un cane adulto. Tagliandola prima, si elimina il rischio di lesioni. Recentemente si è avuta la conferma della correttezza di questa procedura grazie a uno studio condotto dallo Swedish German Shorthaired Pointer Breed Council. Dopo che nel 1989 la Svezia ne bandì il taglio, ci fu un notevole aumento delle ferite alla coda da parte di questa razza. Nel 1991, l'organizzazione esaminò centonovantuno pointer cui non era stata mozzata che, nel periodo in cui era in corso lo studio, avevano un’età che andava dai ventiquattro ai trenta mesi. Sorprendentemente, il 51% di essi aveva subito lesioni che avevano richiesto vari tipi di cure mediche. Sembra che la probabilità di una ferita e la sua gravità siano legate ad alcuni fattori tangibili. Fra questi i ricercatori hanno indicato la vivacità del cane, i movimenti della coda e, come previsto, sono risultati importanti anche il modo in cui il cane era abituato a cacciare e il tipo di terreno sul quale cacciava. I cani che lavoravano su terreni cespugliosi, boscosi o rocciosi avevano più probabilità di contrarre ferite di quelli che si muovevano In zone acquitrinose o erbose. I cani dalla coda muscolosa e grossa, come i labrador retriever, non hanno bisogno di subire amputazioni e sembra che patiscano meno lesioni. In altre razze, ad esempio nei vizsla, la parte inferiore della coda è forte, e spesso la sezione più vicina alla punta è girata in su (è così più facile che non si impigli in un ostacolo). Inoltre è grassa e muscolosa, per cui è protetta da eventuali danni che un cespuglio o una roccia potrebbero creare. Per questa ragione alla razza viene tagliato solo il terzo superiore. Se ci atteniamo a queste motivazioni, l'amputazione è giustificabile, ma la mia preoccupazione è che un taglio significativo limiti l'uso dei segnali inviati con essa e quindi riduca l'efficacia di uno dei principali canali di comunicazione del cane. Vi espongo qualche dato e un aneddoto a difesa della mia opinione. Nel corso di uno studio, abbiamo osservato il comportamento di molti cani che interagivano fra loro all'interno di un’'area in cui era permesso agli animali gironzolare senza guinzaglio. Abbiamo registrato quattrocentotrentuno incontri. In molti di questi (trecentottantadue, ovvero 1'88%) gli animali erano impegnati nei tipici comportamenti di saluto, che spesso erano seguiti da quelli giocosi, compresi i classici inseguimenti. Nei rimanenti quarantanove incontri, abbiamo notato elementi di aggressività che coinvolgevano uno o più cani. Questi comportamenti aggressivi potevano essere di lieve entità come un leggero ringhio o un morsetto, oppure di grave entità, come un assalto fisico con conseguenti ferite da parte degli animali coinvolti. I cani osservati sono stati classificati solo in base alla coda: quelli senza (molto probabilmente amputata) e quelli con la coda (non amputata o solo parzialmente tagliata). Per essere catalogati come cani senza coda, dovevano averla di una lunghezza massima di 15,24 centimetri (da quelli presi in esame abbiamo eliminato i cani di piccola taglia). Comunque, fra la popolazione studiata, il numero dei cani con la coda era molto superiore - il 76% - al numero di quelli che ne erano privi - il 24%. Tuttavia, fra gli incontri in cui si verificavano episodi di aggressività, ventisei di questi (il 53%) coinvolgevano cani senza coda. Visto che gli animali con la coda erano molto più numerosi, ci saremmo aspettati solo dodici episodi di aggressività (il 24%) da parte dei senza coda. Dunque i nostri risultati hanno dimostrato che i cani con la coda corta o senza, hanno il doppio delle probabilità di avere incontri bellicosi rispetto a quelli con la coda più lunga e ben visibile. Allora sarebbe bene domandarsi se l’alto numero degli episodi aggressivi possa essere messo in relazione con l’'ambiguità o l’assenza degli opportuni segnali fatti con la coda che, in condizioni normali,

avrebbero potuto indicare un gesto di pacificazione e dunque evitare un confronto. L'aneddoto sull'amputazione della coda che vi voglio raccontare ha come protagonista un labrador retriever di nome Transit. Era proprio un tipico labrador, dall'atteggiamento amichevole verso la vita. Era amorevole con la gente, e interagiva bene con gli altri cani. Il suo padrone, Mark, lo portava spesso in un parco vicino a casa, dove c’era un’area recintata in cui gli animali potevano stare liberi. Mark mi ha raccontato che Transit non aveva mai avuto alcun problema con i cani che frequentavano quel posto. Poi, un giorno, quell'allegro cane nero è stato coinvolto in un grottesco incidente, causato dal dispositivo automatico della porta di un garage, che gli maciullò la coda. Il veterinario, da cui fu immediatamente portato, si rese subito conto che l'unica soluzione era l'amputazione totale; dopo l'operazione, infatti, Transit si ritrovò con soli tre centimetri di coda. Per fortuna guarì completamente, e la sua personalità non cambiò, almeno agli occhi umani. Ma Mark mi ha riferito che gli altri cani adesso rispondono a Transit in maniera più ambigua. Quando ne incontra uno nuovo, sembra che impieghi più tempo nei rituali di saluto, e già tre volte, da quando Transit si è sentito abbastanza bene da tornare nel suo solito parco, si sono verificati episodi di morsicature e azzuffate. In tutti e tre i casi l’'attacco è iniziato da parte dell'altro cane. Potrebbe essere che Transit abbia perso la capacità di comunicare? Potrebbe essere che da quando ha perduto questa abilità non è più in grado di inviare i segnali di pacificazione e di amicizia che era abituato a inviare? I risultati dello studio e l'aneddoto di Transit potrebbero non avere niente a che fare con il taglio della coda, ma mi hanno fatto pensare. Anche se sono propenso ad accettare il taglio per ragioni di "sicurezza preventiva", ho paura che l'insufficienza nella comunicazione, che sembra esserne una conseguenza, sia troppo significativa. Forse è giunto il momento di cercare un compromesso in questa controversia. Forse è ora di prendere in considerazione un’amputazione parziale - la rimozione solo di quella porzione di coda (di solito la punta) che con più probabilità subisce delle ferite, ma lasciarne abbastanza per permettere al cane di comunicare. Purtroppo però, dubito che la mia idea sarà accettata. Chi è contrario alla pratica continuerà a sostenere che rimuovere anche solo una parte di coda significa mutilare l’animale, mentre i sostenitori affermeranno che un taglio così parziale non può garantire sicurezza ai cani da lavoro. In verità un’altra soluzione ci sarebbe, ma comporterebbe molto tempo e troppa creatività. Perché non selezionare cani da caccia con code più robuste e cani da guardia con code più corte? Si potrebbe fare. Siamo riusciti a selezionare cani per tutti i tipi di necessità. L’'alternativa richiederebbe che alcuni standard nelle razze fossero più flessibili per dare la possibilità di incrociare i cani fino ad arrivare al risultato desiderato, ma ne varrebbe la pena. Ho paura però che le mostre canine non permetteranno una tale "alterazione", e ciò significa che la probabilità che questa soluzione venga accettata è minima. Questo mi rattrista; ho l'impressione che se io avessi una coda lunga, non mozzata dalle pressioni evolutive, adesso il mio stato emotivo sulla questione sarebbe molto evidente: la terrei piuttosto bassa, attaccata alle zampe, e si muoverebbe poco, davvero molto poco.

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12. Parlare con il corpo Mi trovai a partecipare a una riunione comunale con all'ordine del giorno la proposta di modifica di una norma del regolamento dei parchi pubblici, secondo cui nei parchi non era più possibile tenere i cani sciolti, senza guinzaglio. Un certo numero di cittadini aveva chiesto di designare al loro interno alcune zone recintate dove lasciar liberi i cani (sotto la supervisione dei rispettivi padroni). I presenti esponevano la propria opinione pro e contro la richiesta; a un certo punto la discussione si fece molto animata, forse un po’ troppo. Mentre parlava una signora, che si opponeva calorosamente alla costituzione di aree per i cani, a suo parere animali "sporchi e pericolosi, l’uomo accanto a me, un professore universitario che insegnava alla Facoltà di Commercio mi lanciò un'occhiata e disse: - Il nuovo regolamento vincerà per tre, forse quattro voti. Avremo le nostre aree, dove i cani potranno girare liberi. - Come fa a saperlo? - gli chiesi. - Me lo hanno detto, - fu la risposta, e indicò con un gesto dellamano i membri del consiglio comunale seduti intorno a un grande tavolo dall'altra parte della stanza. - Cosa intende? Ha parlato con loro prima che iniziasse la riunione.- No, lo stanno dicendo adesso a tutti. Osservi il ragazzo sulla destra. Guardi il modo in cui si piega in avanti per ascoltare. È della stessa opinione di chi sta parlando, e lo stesso vale per la donna seduta due posti più in là, che si sta lisciando il mento. Adesso osservi gli altri Nessuno di loro è favorevole alle argomentazioni della signora. Due di essi hanno il corpo inclinato all'indietro, come se cercassero di aumentare la distanza da lei, e l'altro fissa il soffitto. L'uomo seduto vicino a questo tiene le braccia incrociate sul petto, la donna accanto ha le mani chiuse a pugno e stringe i denti. Pure l’altra donna, quella che si tiene il viso tra le dita, è contro l'opinione della signora. L’unico voto di cui non sono certo è quello del ragazzo con la barba. Il modo in cui appoggia la testa tra le mani indica noia, potrebbe schierarsi con una corrente o con l’altra, anche se dall’angolatura del corpo ritengo che pensi che ciò che dice la signora sia alquanto stupido. Il professore aveva letto il linguaggio del corpo di quella gente in maniera veramente accurata. La proposta di creare un’area destinata ai cani per un periodo di prova passò per quattro voti. Quei pubblici ufficiali non avevano anticipato la loro opinione, ma i corpi ne avevano segnalato l’idea e le intenzioni. I negoziatori per professione, gli psicologi, alcuni agenti delle forze dell'ordine e molti uomini d’affari sono addestrati a leggere i segnali non verbali trasmessi attraverso il corpo. E anche molte persone "normali" sono diventate piuttosto abili nel farlo, pur senza un addestramento specifico. Date uno sguardo all’'illustrazione 12-1, che mostra alcune figure stilizzate, e leggete la lista di frasi che segue. Cercate di determinare a quale figura si riferisce ogni singola frase, poi scrivete accanto la lettera corrispondente. Di seguito troverete indicate le risposte corrette. Sono sicuro che molti di voi avranno avuto poca difficoltà a leggere correttamente il linguaggio del corpo, anche se non avete seguito corsi per imparare a farlo. Notate come queste brevi "istantanee" in realtà diano informazioni su complesse questioni, come il saluto, la dominanza sociale, la rabbia o il fastidio, l’eccitazione, l’'ingenuità e così via. Tutte queste informazioni vengono comunicate dalla postura, dalla posizione delle mani, dal modo in cui si sostiene la testa e dai movimenti. La stessa cosa vale anche per i cani. Usano la posizione del corpo, la disposizione delle zampe e il modo di muoversi come parte vitale del linguaggio. Inoltre, come accade per le persone, attraverso il linguaggio del corpo mandano messaggi sul loro stato emotivo e sulle questioni sociali.

Linguaggio essenziale del corpo C'è una regola generale nel linguaggio del corpo che si accompagna all'espressione di dominanza sociale, all'aggressività, alla paura, e alla sottomissione. Più il cane è dominante e aggressivo, più farà in modo di

apparire grande e grosso. Più l’animale è remissivo o impaurito più cercherà di sembrare piccolo. Non è una scoperta nuova; Charles Darwin, già nel 1872, aveva notato tali comportamenti e li aveva descritti nel libro “L’espressione delle emozioni negli animali e nell’uomo”. Vediamo allora come si combina questo principio generale con gli altri movimenti del corpo utilizzati dal cane per inviare specifici messaggi. Zampe rigide, postura eretta o lento mov mento in avanti a zampe rigide: L’atteggiamento tipico di un cane dominante che cerca di dire: “Qui, sono io il capo”. Una postura che indica implicitamente la possibilità di un’aggressione fisica, se la reputerà necessaria per asserire la sua autorità. Un secondo significato potrebbe essere: “Ti sfido”. Questa postura è raffigurata nel disegno originale di Darwin, nell’illustrazione 12-2. Illustrazione 12-2: Un cane che dimostra dominanza, come lo ha raffigurato Charles Darwin, nel 1872, nel libro L'espressione dello emozioni negli animali e nel’uomo Per molto tempo si è creduto che questa postura indicasse la determinazione del cane a combattere e che l'aggressione fosse inevitabile. Non è così. È raro che i cani dominanti intraprendano una lotta vera, perché non ne hanno bisogno. L'ordine gerarchico in un branco di canidi selvatici, ad esempio fra i lupi, di norma viene stabilito senza spargimento di sangue. La minaccia di aggressione è veramente un caso di comportamento ritualizzato, dove sono i segni e i segnai a essere importanti, e non l'azione effettiva che sembrano preparare. La parola "rituale" deriva dal latino ritualis, che significa "usanza" o "cerimonia". Sono schemi di comportamento che hanno perduto la loro originaria funzione, che era quella di preparare un’azione, e hanno invece assunto un compito di comunicazione. Anche se la minaccia difficilmente sarà seguita da un vero attacco, l'effetto che produce negli altri animali del branco di solito è sufficiente per stabilire l'ordine gerarchico.Come mai questo atteggiamento è diventato un segnale invece di rimanere semplicemente il primo stadio di un attacco reale? La risposta è legata all'evoluzione e alla sopravvivenza. Ogni giorno si verificano incontri di poca rilevanza, ma che in realtà potrebbero sfociare in un conflitto. Dispute su chi ha il diritto di andare a dormire in un preciso posto, su chi si deve spostare, chi deve mangiare per primo, chi ha il diritto a iniziare un gioco o l'attività sessuale, e così via. Se ognuna di queste situazioni quotidiane portasse a uno scontro fisico, alla fine i canidi esaurirebbero le loro energie, e spenderebbero troppo tempo per curarsi le ferite e per guarire. Senza ombra di dubbio, tutto ciò ridurrebbe le probabilità di sopravvivenza, sia per il singolo individuo sia per l'intero branco, visto che un animale ferito e spossato non è in grado né di cacciare in maniera efficiente né di difendere se stesso. È qui che l'evoluzione gioca il suo ruolo. I cani che hanno imparato ad accettare il segnale di dominanza saranno privilegiati in termini di salute e di energia. E lo saranno anche quelli che sanno dimostrare dominanza e aspettare l'atto di sottomissione senza far seguire il gesto da uno scontro reale. Così tutti i membri di un branco avranno più possibilità di vivere e di riprodursi. Ciò significa che in realtà l'evoluzione, all'interno di un gruppo di animali sociali, favorisce gli individui che non aggrediscono fisicamente; nello stesso tempo ha permesso che le intimidazioni rimanessero come parte del sistema di comunicazione canino. Se due cani si incontrano ed entrambi assumono la postura eretta, e se riconoscono di avere approssimativamente lo stesso livello di dominanza senza sentirsi una minaccia l'uno per l’altro, allora iniziano una piccola danza di saluto. Distolgono per un momento lo sguardo, oppure battono le palpebre, poi lentamente si fiancheggiano, evitando ulteriori contatti visivi. Quando si trovano vicini, si placano, tenendo la coda alta, e cominciano ad annusarsi la regione anale. Due sono gli scopi di questa azione: capire l'identità dell'altro e a quale sesso appartiene, e segnalare che ognuno di essi è sufficientemente sicuro di sè da esporsi senza il timore di essere attaccato. Al termine di questo primo contatto, per un po’ gli animali si muovono in cerchio, infine o si mettono a correre e a giocare insieme, oppure se ne vanno ognuno per la sua strada. Ciò non vuol dire che questa piena dimostrazione di dominanza non è mai seguita da un attacco reale. Una volta che uno dei due ha inviato il segnale, la suc cessiva azione dipende dalla risposta dell'altro.

Corpo lievemente inclinato in avanti, zampe unite: È il segnale che con più probabilità accompagna un attacco. Se assume questa postura, il cane ha capito, senza accettarlo, che l'altro sta dichiarando la sua dominanza. Dice: "Sfido la tua dominanza e sono pronto a combattere!". A questo punto, può succedere qualsiasi cosa. Se lo sfidante indietreggia subito, o almeno smette di tentare di dimostrare la sua superiorità (considerando così l'altro cane perlomeno un suo pari), l'incontro si può risolvere pacificamente. Se invece non indietreggia, entrambi continuano l'avvicinamento e potrebbe iniziare lo scontro vero e proprio. Alcuni piccoli cambiamenti possono indicare le mosse successive. Bisogna osservare il pelo del dorso. Pelo rizzato sulle spalle e sul dorso: È il segnale di una possibile aggressione, anche se la postura non è rigida. La cresta di pelo dritto sul dorso significa: "Non provocarmi!" oppure "Mi sto arrabbiando!". In altre circostanze può rivelare anche paura e incertezza. È importante osservare attentamente il modo in cui il pelo si alza. In molte razze, la punta di ogni singolo pelo è più scura, perché così quando il cane rizza la pelliccia del dorso (spalle e colonna vertebrale), le punte più scure rendono più pronunciato e quindi più visibile il movimento. Il pelo alto inoltre fa apparire il cane più grande e più grosso, rafforzando in tal modo la sua espressione di dominanza In alcuni lupi, e in alcune razze canine, lungo il dorso e occasionalmente anche sulle spalle, si nota una linea evidente o una macchia di pelo nero. Queste alterazioni di colore probabilmente servono per attirare l'attenzione su quei segnali. Il pelo può alzarsi in due modi. Nel primo caso viene interessata solamente la regione del collo e delle spalle. Un cane dominante, che è ancora sicuro di sè ed è solo moderatamente preoccupato dalla situazione in cui si trova, probabilmente alza solo i peli della regione superiore del dorso. Nel secondo caso è coinvolta l'intera regione dorsale (e a volte anche la coda). Questa "dimostrazione completa" di pelo ritto significa: "Ce l'ho con te", ed è ilsegnale di un attacco imminente. In altre circostanze, invece, può rivelare che il cane si trova in un contesto che lo preoccupa e lo rende insicuro, perciò si prepara a usare i denti nel disperato tentativo di difendersi o di salvaguardare la sua posizione all'interno del branco. In ogni caso, che l'animale alzi il pelo per paura o per rabbia, questo atteggiamento spesso indica che non vede alternative a un vero e proprio attacco, a meno che il rivale non indietreggi o se ne vada. Cane accucciato o con il corpo abbassato, sguardo rivolto verso l'alto: Un evidente gesto di sottomissione, visto che l'animale si abbassa per sembrare più piccolo; l'opposto dell'espressione di dominanza, in cui fa in modo di apparire più grande. Fondamentalmente, il cane dice: "Non discutiamo" oppure "Accetto la tua leadership e il tuo rango più elevato". È possibile osservare questa tipica postura nel disegno di Darwin riprodotto nell'illustrazione 12-3. C'è chi afferma che questa sia l'espressione emotiva di un cane impaurito da chi, animale o uomo, ha di fronte, ed è la ragione per la quale si abbassa. la paura, tuttavia, si manifesta in molte forme. La più ovvia si potrebbe definire "paura esistenziale", in cui la vita e la sicurezza del cane sono minacciate. In questo caso il cane ha solo due possibilità di azione. Può scappare dal pericolo, oppure può lottare con l'individuo che lo intimorisce. Gli animali più sensibili scappano, se sono abbastanza spaventati. Scappare è la soluzione migliore, poiché diminuiscono le possibilità di venire feriti. Molti cani hanno le anche strette (in particolare alcune razze da caccia, come il greyhound e il whippet), che permettono loro di corree velocemente, e pare che sia sempre una buona alternativa quando si è minacciati. Tuttavia, se scappare è inattuabile, come nel caso in cui il cane sia messo alle corde da un predatore di grandi dimensioni, un orso o un leone di montagna, l'unica possibilità per salvarsi e lottare, almeno finché non trova una via di fuga. Provate ad immaginarvi un cane che si imbatte in un orso grizzly di ottanta chili e che non può svignarsela. Pensate veramente che possa mere la postura raffigurata nell'illustrazione 12-3? È impossibile ovviamente. Non risolverebbe il problema, anzi sarebbe più facile per l’orso ferirlo.

C’è una seconda forma di paura, che potremmo definire "sociale". Nasce quando animali sociali, come lo sono i cani, arrivano a scontrarsi con membri della stessa specie. Anche stavolta l’animale ha due alternative: scappare o lottare, ma quest’ultima si rivela la meno probabile. Ricordatevi che l’evoluzione sembra avere in avversione l’aggressività fra i membri di uno stesso gruppo, a meno che non sia l’unica via perseguibile. Scappare è sempre una possibilità. Fuggire da un animale gerarchicamente superiore di certo riduce l'angoscia, tuttavia allo stesso tempo restringe i contatti sociali con quell'individuo. In un branco di lupi, è fondamentale per la sopravvivenza che tutti i membri operino insieme, e ciò richiede che venga stabilita una sorta di vincolo. Un cane che scappa affossa ogni possibilità di contatto sociale. Allora, come deve comportarsi un lupo che è impaurito da un altro, più dominante? La risposta sta nella comunicazione. Riconoscendo con l'atteggiamento la superiorità o il rango più elevato dell'altro individuo, si elimina la probabilità di un conflitto. Un cane che manda un segnale di sottomissione, ammette la dominanza dell'altro. Se il dominante accetta "il dialogo", gli si avvicina, e magari invia qualche cenno di saluto; non solo così si evita lo scontro, ma c'è la possibilità che si crei un legame. È anche possibile osservare una versione ridotta della danza di saluto fra due cani di uguale rango. La danza è limitata perché il cane remissivo rimane fermo. Il dominante "balla" girandogli intorno, e alla fine gli annusa la parte posteriore. I cani dominanti annusano, mentre i non dominanti stanno fermi e aspettano. Grazie a questo rituale, nell'animale sottomesso nasce un sentimento di fiducia verso il cane dominante, perché vede riconosciuta la sua posizione. Ha imparato che se ammette la sua inferiorità, può rimanere nel branco ed essere al sicuro dagli attacchi. Un segnale ritualizzato come l'abbassamento del corpo non è un segno di paura fisica, piuttosto un espediente per evitare situazioni pericolose. Un contadino si inginocchia davanti al re per mostrare rispetto e far vedere che è conscio del suo rango. Egli sa che seguendo questo rituale evita i pericoli e, anzi, può ricavarne dei benefici, come ad esempio la protezione. Lo stesso vale per i cani; la postura è l'equivalente dell'inchino davanti a una persona di rango superiore. Preso da solo, questo atteggiamento è un atto di pacificazione, ma spesso è soltanto uno dei tanti comportamenti di sottomissione. Un cane può anche leccare contemporaneamente l'aria o dare altri segnali di conciliazione.

Colpetto con il muso: La postura bassa del corpo si accompagna di frequente a un comportamento infantile che possiamo definire "colpetto con il muso". Si verifica quando un cane remissivo ne avvicina uno più dominante e delicatamente gli dà un colpetto al muso con il naso. L’animale inferiore usa questo segnale e nello stesso tempo abbassa i corpo per dimostrare al cane dominante di aver accettato la sua supe riorità. È probabilmente un'evoluzione dei segnali che madre e cuccioli usano per interagire, di cui abbiamo parlato in precedenza. I piccoli danno lievi colpi per richiedere cibo. Appena nati, li danno ai capezzoli per provocare l’uscita del latte. Quando sono più grandicelli, urtano e leccano il muso della madre o quello di un altro adulto dominante, perché rigurgitino parte del cibo. Un comportamento infantile che ormai si è ritualizzato come segnale e il cui significato è: "So che non vuoi farmi del male e che ti prendi cura di me". Sappiamo che questi leggeri colpetti servono solo per comunicare, visto che i cani remissivi spesso li danno senza in realtà toccare fisicamente il loro simile. Colpiscono l’aria in direzione dell'altro animale come noi mandiamo simbolicamente un bacio con le dita mentre guardiamo in direzione della persona amata. I cani spesso si servono di questo colpetto quando interagiscono con gli esseri umani. È frequente vederli battere la mano o la gamba del padrone in segno di richiesta, se hanno voglia di mangiare oppure di fare una passeggiata. Se in famiglia le gerarchie sono ben stabilite, allora lo fanno solo per attirare l'attenzione, magari perché vogliono essere accarezzati o coccolati.

Il cane, quando viene avvicinato da un altro, si siede e si lascia annusare: Anche se la postura bassa è un segno di sottomissione non è l'unico modo per manifestare una differenza di rango. Prendiamo il caso di due cani che si incontrano: entrambi sono piuttosto sicuri di sè e dominanti, ma si rendono conto che uno dei due è più forte. Quello che si sente leggermente inferiore, ma che di solito è un dominante, ha difficoltà ad abbassare completamente il corpo, poiché una tale mossa di sottomissione esprimerebbe una differenza di rango maggiore di quanto non sia in realtà. Così l’animale che si sente, se pur di poco, inferiore, semplicemente si siede. Questo gesto esclude tutti i segnali associati alla minaccia e alla sfida, visto che il cane può manifestarli solo stando in piedi e muovendosi. Facendosi annusare e avvicinare dall'altro ne accetta la dominanza, ma segnala anche che la loro non è una relazione del tipo "re e contadino", in cui il divario sociale è notevole. È l'equivalente, fra gli esseri umani, del rapporto tra un principe e un re. Il primo, infatti, incontrando un re abbassa solo per un

momento il capo e lo sguardo, perché riconosce la superiorità dell'altro, ma non fa un inchino completo, come ci si aspetta dagli altri membri del regno. Quando andate a passeggio con il cane al guinzaglio, essere consapevoli del significato di questo segnale può evitare confronti. Se il vostro cane viene avvicinato da un altro che mostra intenzioni ostili, dovete solo ordinargli di sedersi. Se ubbidisce, con tutta probailità si evita un possibile conflitto. Dal punto di vista del cane che si è avvicinato, il vostro ha riconosciuto la sua dominanza sociale; allo stesso tempo, ubbidirà al comando senza esitazione, visto che non gli è stato chiesto di dimostrare alcuna debolezza di fronte a un estraneo.

Il cane si rotola su un fianco oppure esibisce la pancia e interrompe completamente il contatto visivo: Se il corpo abbassato del tutto equivale al nostro inchino, questa posizione corrisponde alla nostra prostrazione. È la forma massima di sottomissione e pacificazione che un cane possa attuare, poiché così facendo rinuncia a qualsiasi possibilità di aggressione. È il segnale di una paura sociale reale e della consapevolezza che la differenza di rango è considerevole. Se dovessi abbinargli un suono, mi affiderei al piagnucolio, che il cane prostrato userebbe per dire al dominante: "Sono un essere umile che accetta la tua totale autorità". In questa posizione di assoluta debolezza continuerebbe: "Per dimostrarti che non sono una minaccia, puoi fare di me quello che vuoi". Se il cane vuole veramente enfatizzare il suo grado di paura sociale e dimostrare di essere consapevole dell'enorme differenza di rango, rilascia anche alcune gocce di urina. La combinazione dei due atteggiamenti - sdraiarsi a terra per apparire più piccolo e rilascio di urina - rammenta al cane dominante i comportamenti dei cuccioli. Quando sono molto piccoli, infatti, hanno bisogno di essere puliti dall'urina e dalle feci, e per farlo la madre li fa girare sulla pancia. Un cane prostrato vuole perciò dire: "Io per te non sono una minaccia più di quanto potrebbe esserlo un cucciolo indifeso". Di solito un cane dominante alla vista di questo segnale comincia ad annusare la parte posteriore del sottomesso. Solo quando il dominante si allontana o sposta lo sguardo questo comincia a muoversi e magari ad assumere la posizione remissiva già vista nell'illustrazione 12-3, per tentare di stabilire una forma di interazione sociale. Se il cane si trova in una situazione dove la carica emotiva è minore, esegue solo parte di questa esibizione: non rilascia urina e non interrompe completamente il contatto visivo. Molti cani adottano la stessa postura, ma in maniera più rilassata e contenuta, quando si aggirano intorno al leader del branco che, di conseguenza, in segno di accettazione, strofina talvolta il muso sulla gola, sulla pancia e sui genitali del cane remissivo, oppure gli lecca il muso. Di tanto in tanto, si comportano così anche con gli uomini. Se il vostro cane si gira sulla pancia, è facile pensare che voglia farsela grattare, ma in realtà agisce in questo modo perché vi ha accettato come capo incontrastato del branco (comunque, se gli date una grattatina sulla pancia, per lui è gratificante). Ci sono altre combinazioni tra la posizione del corpo e il contatto fisico che i cani usano per dimostrare dominanza. La più semplice è mettersi sopra un altro cane che è sdraiato. È un modo vistoso di dire: "Sono più grosso, più alto, e comando io". Gli adulti spesso si sdraiano direttamente sopra i cuccioli, perché questi capiscano che sono loro a controllare i rapporti interpersonali. I cani dominanti i capibranco e quelli che aspirano a diventarlo, utilizzano vari modi per dire: "Voglio che tu sappia che qui il boss sono io". Molti sono basati sulle dimensioni, poiché più il cane è grosso, più è facile che sia il dominante. L'atteggiamento più comune è quello del cane che appoggia la testa sulle spalle di un altro; c'è la variante cane dominante che appoggia le zampe sul dorso di quello meno dominante Entrambe le azioni implicano l’appoggio di una parte del corpo sopra il corpo dell'altro cane. Se un cane è veramente grande è ovvio che può toccarne così un altro, poiché il più piccolo è per forza di cose più basso. Tuttavia questo gesto è ormai ritualizzato e indica che il cane dominante considera quello meno dominante fisicamente più piccolo (anche se magari non è così) e lo tratta di conseguenza. Se un lupo o un altro cane selvatico viene riconosciuto come leader del branco. gli altri membri, al suo avvicinarsi, si fanno da parte. Se vuole andare in un posto particolare, si dirige verso la meta e

gli animali che sono sul suo cammino si devono spostare. Un cane che sente di essere dominante agisce in modo analogo, e a volte impone che al suo cammino si faccia largo. Per farlo, usa il colpo con la spalla. È facile vedere questo comportamento quando un cane, affiancandone un altro, prende lo slancio e all'improvviso gli dà un violento colpo con la spalla. Di solito, se il cane che intraprende l’azione è più grande o ha un buon scatto, spinge letteralmente l’altro da una parte, e così questo gli fa davvero strada. In una situazione simile, il primo cane ha affermato con grande efficacia: "Io ti sono superiore e quando mi avvicino a te devi farmi largo". Non aspetta la risposta, ma impone la sottomissione, e allo stesso tempo asserisce la sua dominanza. C'è una variante particolarmente sottile a questo tipo di comportamento, che spesso noi non notiamo: l'appoggio. Non è altro che la versione più passiva e moderata dello spintone sulla spalla. Un cane che vuole esprimere la sua dominanza va verso l'altro e si appoggia di peso contro di esso. Se questi accetta il gesto e si sposta leggermente, allora vuoi dire che ammette la superiorità del cane che si è appoggiato. Bisogna sempre ricordare che siamo di fronte a una forma di comunicazione, non a uno scontro, e i messaggi inviati e ricevuti sono solo simbolici. Nello stesso modo in cui una persona china leggermente la testa alla presenza di un’autorità, un reale o un prelato, quel sottile movimento stabilisce il rango degli individui coinvolti. Non sono necessarie né urla né mosse esagerate. Basta semplicemente saper leggere il linguaggio del corpo. Quando interagiamo con i cani, dobbiamo essere consapevoli di questi segnali. Quello dato con l'appoggio, di cui abbiamo appena parlato, è un comune, impalpabile modo che essi usano per tentare di stabilire dominanza sulle persone (ricordatevi la storia di Bluto che ho raccontato nel primo capitolo). Lo si può facilmente osservare se un cane si appoggia alla gamba del padrone o se gli è permesso dormire sul letto con lui; se la persona si sposta per lasciargli più spazio, agli occhi dell'animale perde il suo potere ed è più probabile che il cane continui a farla spostare. Se non si rimedia, c'è il rischio che il cane tenti altri modi per confermare il suo dominio, magari solo disubbidendo al padrone, e a volte anche aggressivamente. Un cane grosso che tenta di appoggiare la zampa sulla spalla di una persona, cerca di esprimere lo stesso tipo di dominanza di quando lo fa con un cane di rango inferiore. Il segnale a noi molto familiare del cane che appoggia la zampa sul ginocchio del padrone può avere lo stesso significato di superiorità. È un gesto, tuttavia, che deve essere osservato attentamente. Se fa parte di uno schema in cui il cane dà zampate per aria davanti al padrone e cerca di strusciare la testa sotto la sua mano, probabilmente è un tentativo di attirare l'attenzione. Il significato è: "guardami, sono qui" oppure "Dammi retta", ma non vuol dire: "Credo di poter comandare meglio di te". I cani che non vogliono confrontarsi, e che non vogliono nemmeno mostrare eccessiva sottomissione, hanno a disposizione un gruppo di segnali ritualizzati per far capire che accettano la situazione del momento, ma che non intendono considerarsi inferiori all'interno del branco. Molti di questi segnali si basano sul cambio di comportamento, sull'indifferenza e sulla distrazione. Per un cane, la maniera più semplice di manifestare intenzioni pacifiche è voltare il fianco verso l’altro animale. È il cane gerarchicamente inferiore a compiere di solito questa mossa, con calma, senza nessun evidente segno di paura o fastidio, e ciò indica che accetta l'autorità dell'altro, ma che è comunque sicuro e ha il controllo di sé. La postura che assumono entrambi viene detta "a T", raffigurata nell'illustrazione 12-4. Di fatto un tale incontro non finisce mai in un'aggressione. Una variante è il cane che gira il suo posteriore verso un altro. Di norma è un comportamento di saluto che, in confronto al precedente, indica una minor sicurezza di se, e viene messo in atto fra due individui il cui divario sociale è maggiore.Se un cane, nel momento in cui un altro gli si avvicina, gli porge il fianco e si gira per presentargli il muso, significa che è un dominante. Come per molti altri aspetti del linguaggio canino, sia che questo atteggiamento venga assunto per gioco o in uno scontro reale, la risposta è determinata dalla reazione del nuovo arrivato al gesto che sottolinea il rango elevato.

Alcuni linguaggi canini del corpo utilizzati per sdrammatizzare una situazione implicano il fingere totale indifferenza per cio che accade. Ho assistito di frequente ad episodi in cui un cane si avvcina con atteggiamento minaccioso ad un altro solo per vedergli fare la parte del cane minacciato che annusa il terreno. Ovunque nel mondo, un cane che annusa per terra sembra essere cieco e sordo all’approccio di un cane minaccioso. Si poò essere certi che non c’è niente di interessante nella macchia che sta annusando, e che l'azione serve solo per spostare l’attenzione. L’aspetto comunicativo di questo comportamento è chiaro: un cane assorto ad annusare di sicuro non sta preparando alcuna azione di aggressione o di sfida. Allora il belligerante non ha più nessuna scusa per continuare la minaccia, visto che non esiste motivo per una disputa. Ci sono altre varianti a questo segnale di distrazione e indifferenza. Per esempio, il cane sfidato si mette a fissare l’orizzonte di proposito, apparentemente indifferente all’avvicinarsi dell'altro cane non è altro che la versione visiva del’annusare il terreno. Se per caso il cane ostile non coglie la mossa, allora il minacciato abbaia una o due volte nella direzione verso cui è rivolto. Questo gesto invariabilmente devia l'attenzione del cane minaccioso e quasi sempre l'intimidazione smette.

Ma la forma più comune d’indifferenza ostentata come reazione a una minaccia si ha quando un cane reagisce alla provocazione di un altro cane dandosi una grattata. È spesso la reazione di un cane piuttosto dominante a una sfida. Una volta l'ho osservata in un parco dove un giovane e robusto akita aveva deciso di confrontarsi con un altro, più vecchio, ma più grosso. Il giovane gli si avvicinò a gambe rigide, occhi sgranati e sguardo fisso. In risposta, l'akita più anziano si mise semplicemente seduto e cominciò a grattarsi un orecchio con fare annoiato e indifferente. Il primo rimase completamente sconcertato, allora anche lui si sedette, poco lontano dall'altro. Il vecchio akita grattandosi aveva manifestato la sua intenzione di non arrivare a uno scontro, ma anche che non aveva alcun timore del più giovane. Dopo che si furono seduti {un segnale di moderata remissività), fu facile per entrambi iniziare un rituale di saluto non minaccioso, incluso l'usuale schema di danza e annusate varie. Il cane si siede e tiene la zampa anteriore leggermente sollevata: È un segno di tensione. Una combinazione tra paura sociale e una buona dose di insicurezza. Significa: "Sono ansioso, a disagio e preoccupato". Durante le gare di obbedienza per principianti, nelle quali il cane deve rimanere seduto per un minuto mentre il padrone è distante, dall'altro lato del ring, è frequente vedere animali relativamente inesperti e nervosi fare questo gesto, ed è probabile che si sdraino o corrano dal padrone prima che sia scaduto il tempo confermando così la loro angosciosa insicurezza. È un comportamento che si può osservare anche nei cuccioli, ma qui non sta a indicare solo vaga tensione; può essere anche una richiesta che si può tradurre con: "Ho bisogno che tu faccia qualcosa per me". Pare che sia parte del segnale di sottomissione in cui il cane si rotola sul dorso. Se osservate attentamente un cane mentre assume questa posizione, vedrete che prima solleva una zampa, poi si gira su un fianco. È dunque un frammento di quell'azione, e suggerisce che il sentimento provato dall’animale è la paura, ma non sufficientemente intensa da far scatenare la completa sottomissione. Il linguaggio del corpo non esprime solo condizione sociale, dominanza, sottomissione e insicurezza. Ci molte altre cose che un cane può dire con esso. Il cane si rotola sul dorso e strofina le spalle sul terreno: Un movimento che a volte è preceduto dallo "strofinamento del naso", in cui l'animale spinge il muso, e se possibile anche il torace, contro il terreno, strusciandoli. Talvolta invece è associato a un eccessivo strofinamento del muso, fatto con la zampa anteriore, con un movimento che va dall'occhio verso il naso. A me piace credere che questo gruppo di segnali siano parte di un cerimoniale di contentezza. È infatti possibile osservare di frequente tale piccolo rituale dopo che il cane ha vissuto qualcosa di piacevole, per esempio dopo aver mangiato. Sebbene sia più raro, si verifica anche quando l'animale intuisce che sta per accadere qualcosa di allettante, se il padrone gli prepara il pasto, per dirne una. Un rituale, quindi, che segue, o anticipa, un’attività gradita. Tessa, il cane di mia figlia, si rotola e si strofina di contentezza subito dopo essersi chiassosamente buttata in un torrente, mai prima. Mentre se si trova nella nostra fattoria, Tessa spesso manda questo messaggio di allegria perché finalmente, dopo essere stata per lungo tempo confinata in casa, viene

lasciata libera nel prato; e comunque lo fa solo dopo aver corso all'impazzata per sfogare l'energia in eccesso. Terminata questa "danza della libertà", si rotola per la gioia, e infine si accomoda sulla sua aiuola preferita per fare un sonnellino. Giocare In molti animali la giocosità sparisce con l'età adulta. Tuttavia, gli esseri umani hanno selezionato i cani perché mantenessero molte caratteristiche dei cuccioli, e fra queste il desiderio di giocare, che rimane per tutta la vita. È un fatto molto importante per gli uomini, perché anche noi manteniamo la curiosità infantile e la voglia di divertirci per sempre. Come grandi scimmie eternamente giovani abbiamo creato un lupo eternamente giovane che sia il nostro compagno di giochi.

Per i cuccioli molto piccoli, il divertimento è un affare serio, non un comportamento caotico casuale. Giocando, assimilano molte cose. Prima di tutto quali sono le loro capacità fisiche, visto che con il gioco si esibiscono in una serie di evoluzioni e contorsioni. Il gioco implica molte sequenze di comportamento relative alla fuga dal pericolo, all'autodifesa, alla caccia, e anche all'accoppiamento. E soprattutto, con esso i cuccioli imparano a interagire con gli altri cani e seguono le loro prime lezioni di cagnesco. Lottando per gioco entrano in contatto con la dominanza, e riconoscono la posizione sociale. Apprendono inoltre cosa devono fare per influenzare gli altri, come ottenere ciò che vogliono e come evitare ciò che non vogliono. Il gioco insegna ai piccoli che le aggressioni fisiche esplicite non sono mai ben accette all'interno del branco. Quando un cucciolo morsica per gioco un fratellino, impara velocemente che se non morde in maniera lieve o se non ne fa a meno, succederanno cose spiacevoli. Se, per esempio, stringe i suoi minuti e affilati dentini sull’orecchio di un compagno di nidiata, sentirà un urlo, la vittima interromperà il gioco e lui verrà castigato dalla madre. Giocando e avendo interazioni sociali, i piccoli capiscono che l'aggressione reale non funziona. Siccome giocare implica rincorrere, morsicare, saltare, spingere combattere, ringhiare e simulare i combattimenti, è estremamente importante indicare che tutte queste azioni vengono fatte per scherzo e non devono essere prese seriamente. Perciò i cani hanno elaborato una serie di segnali di gioco.

Il cane si accuccia stendendo le zampe anteriori, tiene alta la coda e la parte posteriore del corpo e guarda direttamente in faccia il suo compagno: È il classico inchino da gioco, e il segnale più comune che significa: "Dài, giochiamo!". È l'invito a un divertimento chiassoso, e di solito è seguito da una improvvisa corsa pazza, oppure da un assalto al compagno. Inseguimento e lotta costituiscono la maggior parte dello spasso. In realtà è una sorta di punteggiatura usata mentre il gioco è in corso per rammentare a ogni partecipante che tutto ciò che succede è solo uno scherzo. Così un cane, prima di sferrare un finto attacco a un altro cane, si esibisce in questo tipo di inchino. Se un animale urta accidentalmente l'altro con troppa energia, o lo butta per terra, di solito si mette subito nella posizione dell'inchino per rassicurare la vittima che stava giocando e non aveva intenzioni aggressive A volte l'inchino è solo parte dell'invito. Certi cani, quando vengono lasciati liberi all'aperto, si mettono a correre pazzamente. Fanno capriole, balzi, salti, zigzagano, infilano la coda tra le zampe e corrono sfrenatamente in circolo, intervallando di tanto in tanto questi movimenti esagerati con un rapido inchino, che viene immediatamente abbandonato appena anche il compagno si mette a correre, a fare capriole e a girare in tondo. Un buffo comportamento che deriva dalla strategia di caccia adottata dai lupi e dalle volpi. Questi, infatti, "danzando" in maniera imprevedibile, catturano l'attenzione di animali che potrebbero essere possibili prede. Appena le incaute creature si accostano per cercare di scoprire il significato di quell'apparente follia, il canide piomba loro addosso In Nordamerica, negli ultimi cento anni, questa strategia è stata utilizzata dai cacciatori per attrarre le anatre. I cani (in origine erano barboncini) venivano incitati a saltellare in maniera folle e giocosa, tanto che le anatre selvatiche che volavano nei dintorni, incuriosite da tale sfrenata attività, si avvicinavano per guardare Ma la loro curiosità si rivelava fatale, perché arrivavano a giusta distanza per essere colpite. Questo tipo di caccia alle anatre viene chiamato tolling ("suonare a rintocchi", N.d.T.)", dal francese tollen che significa "attirare". Noi suoniamo le campane della chiesa a rintocchi per richiamare la gente alla messa o, in tempi incerti, per radunare la

comunità. Successivamente i canadesi hanno creato un cane specifico per questo tipo di caccia: il nova scotia duck tolling retriever (dagli allevatori chiamato toller), che non solo corre pazzamente per attirare le anatre, ma nuota in maniera stravagante con lo stesso scopo. Una volta che l'anatra è stata abbattuta, lavora come un regolare retriever. Talvolta l'inchino non è sufficiente per convincere i giovani cani timidi a giocare con un adulto. Sembra che i più anziani considerino la cosa piuttosto frustrante, così si esibiscono in un sonoro abbaio di preoccupazione per attirare i cuccioli. Questo talvolta è accompagnato da un segnale che ha un altro significato, una sorta di "segnale di rassicurazione". Il comportamento più comune è quello del cane dominante che si avvicina al più giovane e si rotola sul dorso, come se volesse dare una dimostrazione di passiva sottomissioone. Sembra che voglia dire: "Se giochi con me ti faccio fare il leader". Il giovane, quindi, si avvicina, forse perché un cane più anziano e più grande che si comporta in modo remissivo nei suoi confronti lo fa sentire importante. Il più vecchio allora fa l’inchino da gioco, e il divertimento può iniziare. I cani non hanno una gran varietà di giochi, ma i pochi che hanno li vivono con grande entusiasmo. Forse il più popolare è "Stai lontano" il cane deve raccogliere un oggetto e scappare via, nella speranza di essere rincorso. Poi si ferma a poca distanza dal suo compagno e lascia cadere l'oggetto dalla bocca, giusto perché l'altro sia invogliato a prenderlo. Ma nel momento in cui questi si avvicina, lo afferra di nuovo e l'inseguimento ricomincia. Talvolta non c'è alcun oggetto allora il gioco diventa "Acchiappami": un cane insegue l'altro, e i ruoli si scambiano in continuazione, così l’inseguito diventa inseguitore; e quando uno dei due viene catturato dall'altro, il gioco si trasforma In "combattimento", il divertimento preferito da questi animali, nel quale il fracasso e i ringhi sono tanti e tali che una persona che li sente e non sa molto sui cani pensa che qualcuno stia per essere ammazzato. Un altro gioco è "Carica!": un cane corre dritto verso l'altro, e cambia direzione solo a pochi passi dal suo bersaglio. All'apparenza sembra un gioco molto minaccioso, ma quando funziona si trasforma rapidamente in "Acchiappami", e quello che era prima preda diventa cacciatore. Provare piacere nel guardare i cani correre per gioco vuol dire apprezzare la grazia e la gioia. Ed è anche una chiave per capire qualcosa sulla loro psicologia: la corsa è per i cani quello che il ballo è per gli uomini: è il loro modo per entrare nel ritmo dell'universo.

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13. Il punto della questione Nel quarto capitolo, analizzando alcuni resoconti su cani che si supponeva avessero ottime capacità di comunicazione e un vocabolario ricettivo molto ampio, un oggetto o dirigere lo sguardo in una determinata direzione equivale a comunicare, è possibile rivedere le nostre conclusioni alla luce di ciò che adesso sappiamo. È un dato di fatto che i cani sono bravi a leggere il linguaggio del corpo, per cui forse dovremmo reinterpretare i loro segnali corporei come parte del linguaggio canino. I cani non solo riescono a capire cosa viene loro indicato, ma indicano essi stessi, con l’evidente intento di comunicare. In altre parole, puntare un oggetto o puntare in una direzione è parte ricettiva e produttiva del loro linguaggio. Quando parlo dell'aspetto specialistico del linguaggio corporeo che abbiamo scoperto che, in certi casi, quegli animali non rispondevano alle richieste verbali di una persona, ma piuttosto al linguaggio del suo corpo. Il cane leggeva ciò che la persona desiderava che lui facesse, o la direzione in cui voleva che andasse, da una lieve rotazione del corpo o dello sguardo. La prima volta che abbiamo incontrato questo fenomeno, l’abbiamo giudicato una sorta di sostanza contaminante, capace di distorcere la nostra abilità nel determinare il numero delle parole che un cane è in grado di comprendere. Tuttavia, siccome abbiamo visto che puntare noi chiamiamo puntante, non intendo il classico gesto di alcuni cani da caccia, ad esempio i pointer o i setter, che orientano la testa e il corpo in direzione della selvaggina e si bloccano, rimanendo immobili. L’atteggiamento cui mi riferisco assomiglia più al modo di indicare che usano le persone quando parlano. Per capire meglio, è bene forse fare qualche cenno sull’equivalente comportamento negli esseri umani. La persona comune non considera l’indicare una forma di linguaggio, ma gli scienziati che studiano lo sviluppo dell'espressione umana affermano che ha molte analogie con esso. Alcuni psicologi asseriscono che la prima parola espressa da un bambino non è propriamente un vocabolo, né un suono. È un gesto: punta il dito. Quando puntate qualcosa con il dito, non dite niente riguardo al dito, ma indicate un preciso oggetto in un preciso punto nello spazio. Così, se puntate un gioiello luccicante su un tavolo, in realtà forse dite: "Guarda quel gioiello sul tavolo" oppure potreste intendere "Voglio quel gioiello sul tavolo" o magari: "Mi piace quel gioiello sul tavolo" o ancora: "Quel gioiello sul tavolo mi interessa". Ma certamente quello che non intendete dire è: "Guarda il mio dito". I bambini non nascono con la capacità di indicare per esprimere qualcosa. Se mostrate a un bimbo di nove mesi un gioco per lui stimolante o un dolce che non ha a portata di mano, prima allunga il braccio con le dita ben stese verso l’oggetto e nello stesso tempo lo guarda, e quando si accorge che non è in grado di prenderlo, si comporta in maniera frustrata: dà colpi alla sedia o al tavolo, urla e così via. Intorno ai dieci-undici mesi nelle femmine, o dai tredici ai quindici mesi nei maschi, c'è un improvviso cambiamento. Adesso il bambino non gesticola più con le dita distese, ma inizia a indicare. Che serva per comunicare è dimostrato dal fatto che se nella stanza col piccolo non c'è nessuno, lui non indica. Per di più tende a guardare il genitore o l'adulto presente prima di indicare, e spesso lo fa anche mentre punta. Nello stesso tempo, cerca di creare un suono che imiti una parola. Emette dei versi per tentare di dare un nome all’oggetto, oppure per attirare l'attenzione dell'adulto che si trova vicino a lui perché lo guardi e veda il suo gesto. Fate attenzione a cosa succede dopo. Il bambino indica qualcosa in un luogo specifico e cerca di comunicare: "Voglio quella cosa là". Invece di nominare l'oggetto punta il dito. Così, se indica un dolce e noi glielo diamo, il suo gesto ha avuto lo stesso effetto che se avesse pronunciato la parola "dolce". Allora possiamo considerare l'indicare come la prima parola o una sorta di "protoparola".

Tempo fa ho avuto una conversazione con una psicologa che studia lo sviluppo dell'espressione nei bambini, e mi diceva che è stato proprio quell'atteggiamento a convincerla che i cani non potranno mai maturare nulla di simile al linguaggio umano. Quando punto un dito per mostrare al mio cane dove si trova un oggetto, anche se è qualcosa che desidera veramente, come per esempio un biscotto, cosa ottengo? La cagna mi guarda la mano. Se continuo a tenere il dito puntato, salta verso la mano e tocca il dito con il naso Posso puntare l'oggetto dozzine di volte. L’unico risultato è che lei diventa sempre più frustrata, ma continua a venire verso la mano. L’idea che il mio dito indichi "il biscotto che è là" non le passa neanche per la testa. L'analisi ha due punti che non reggono. Il primo è che noi presumiamo sempre che i cani e gli altri animali debbano agire e usare i medesimi strumenti che utilizziamo noi umani per arrivare a risultati analoghi. Questa presunzione è un errore. I cani non usano le zampe nello stesso modo in cui noi usiamo le mani. Non sono molto bravi a maneggiare le cose, e certamente non gesticolano. Quando un cane punta, non lo fa con la zampa, ma con la testa e con il corpo. Se il mio Odin vuole uscire, mi guarda e orienta la testa e il corpo verso la porta. È l'equivalente del nostro puntare il dito. Se io non reagisco, mi guarda, fa un titubante abbaio, e di nuovo guarda la porta e orienta il corpo in quella direzione.

Se un cane impara a rispondere a una mano che punta il dito, per istinto naturale fa attenzione alla rotazione della testa e del corpo. Per mia soddisfazione personale l'ho dimostrato a conferma di quanto dico, usando Odin. Nelle gare di obbedienza c'è un esercizio chiamato "salto guidato". Per concorrere al titolo di Cane da Utilità, su comando, all'interno del ring, si richiede al cane di allontanarsi; quando arriva a una distanza di circa cento metri dall'addestratore, gli si ordina di girarsi, sedersi e rimanere voltato verso di lui. Ai lati del ring vengono collocati due ostacoli: l'addestratore indica se il cane deve saltare quello di sinistra o quello di destra, per poi ritornare al punto di partenza. L’indicazione di solito viene data facendo un ampio movimento che punta nella direzione dell'ostacolo scelto mentre, nello stesso momento, l’addestratore dà il comando verbale: "Salta". Proprio nel periodo in cui addestravo Odin a questo comando, ho deciso di iniziare il mio piccolo esperimento. Nel ring non avevo mai collocato più di un ostacolo, ma per poter fare il test ho messo prima due ostacoli identici in mezzo, a circa tre metri di distanza l'uno dall’altro. Ho fatto andare Odin a un'estremità del recinto, mentre io stavo in quella opposta, ho girato il corpo e la testa in modo da essere orientato verso l'ostacolo sulla destra, e contemporaneamente ho gridato: - Odin, salta! - Senza alcuna esitazione, il mio grande cane nero ha attraversato a tutto fiato il ring, ha saltato l'ostacolo verso il quale ero orientato e si è piazzato di fronte a me. Quando mi sono girato verso l'ostacolo di sinistra, Odin ha eseguito l'esercizio altrettanto correttamente. È evidente che l'orientamento del corpo e della testa dice al cane dove noi vogliamo che si diriga. Il secondo passo è stato rimettere il cane in posizione, dall'altra parte del recinto, e dargli di nuovo l'ordine di saltare, solo che questa volta ho tenuto la testa e il corpo dritti, e nella direzione dell’ostacolo scelto ho girato solo gli occhi. Odin si è alzato piuttosto lentamente, ha guardato prima un ostacolo e poi l'altro, quindi me, cercando evidentemente un indizio che non riusciva a scorgere dal mio sguardo. Mi è venuto incontro, camminando nello spazio fra i due ostacoli, e sembrava perplesso e turbato. Ho preferito porre subito fine all'esperimento chiamandolo a me, piuttosto che lasciarlo in preda alla confusione. Successivamente, gli ho di nuovo dato una rapida indicazione con la testa e il corpo verso l'ostacolo che doveva saltare, e Odin mi ha dimostrato ancora una volta di aver prestato attenzione ai miei gesti saltando l'ostacolo verso il quale mi ero girato. Era chiaro che poteva cogliere indicazioni dal movimento del mio corpo, ma non da quello dei miei occhi senza un adeguato addestramento. Per vedere a cos'altro era in grado di rispondere, sono passato al livello intermedio. Ho mantenuto il corpo dritto e ho girato solamente la testa verso l'ostacolo che volevo saltasse. Odin si è alzato ancora con una certa esitazione, guardandomi per avere ragguagli. Io tenevo il capo orientato in direzione dell'ostacolo e il cane, a mano a mano che mi si avvicinava, mostrava maggior sicurezza; alla fine, infatti, ha virato dalla parte giusta. Nella posizione della mia testa Odin aveva letto ciò che gli chiedevo, ma il segnale non era stato chiaro come quando la usavo insieme al corpo. Anche i lupi a quanto pare seguono la direzione segnalata dalla rotazione della testa del capobranco, e riescono a vederla perfino da molto lontano. Ho visto e analizzato filmati che lo testimoniavano. Perché, allora, la mia rotazione era un segnale così mediocre? Alla fine ho capito: i lupi hanno un muso lungo e affusolato e non ci sono quindi ambiguità sulla direzione verso cui puntano. Noi esseri umani abbiamo un naso relativamente piccolo, e anche se un cane può vedere bene la rotazione del capo a distanza ravvicinata e scorgere il punto in cui dirigiamo il naso, con un distacco di cento metri il segnale risulta molto

meno chiaro. Ma se io avessi un muso grande, ben visibile anche da lontano, il mio cane sarebbe in grado di determinare la direzione corretta verso cui andare. Sapendo che nessuno nella mia famiglia avrebbe messo in dubbio la mia sanità mentale, sono andato a casa e ho costruito un muso di cane. In realtà era un cono di carta bianca, lungo una trentina di centimetri, al quale ho legato due elastici per tenerlo appiccicato al naso. Con un pennarello ho colorato la punta di scuro, per renderlo il più possibile simile a un muso canino con un bel naso nero. Quando me lo sono attaccato sulla faccia, per la verità sembravo più un uccello surreale che un lupo, ma ho pensato che fosse importante il principio, non l’estetica.

Così bardato ho ricominciato da capo; ho fatto sedere Odin sul lato del ring più lontano da me, poi, voltando di proposito la mia grande testa "a muso", gli ho comandato: - Odin, salta! - Senza alcuna esitazione, il cagnone si è messo a trottare verso l'ostacolo che avevo guardato e lo ha saltato. Per assicurarmi che non lo avesse fatto casualmente ho ripetuto l'esperimento chiedendogli di saltare l'altro ostacolo, e fui ha eseguito l'ordine alla perfezione; ho avuto così la conferma che non si trattava di un caso, che Odin poteva leggere facilmente la posizione della mia testa, e infatti lo fece. Dopo il terzo salto, ho interrotto il test. Per la verità è stato Odin a interromperlo. Mentre mi chinavo per congratularmi con lui l'ho quasi colpito in un occhio con il mio becco di carta. Per difendersi ha agguantato il muso finto con i denti e ha cominciato a tirarlo, ma non riusciva a levarmelo perché era attaccato con gli elastici. Alquanto infastidito, ho gridato: - Odin, mollalo! - I miei cani ubbidiscono a questo comando sputando quello che hanno in bocca, per cui Odin, ubbidiente, ha lasciato andare il naso finto che, per effetto degli elastici, è ripiombato con forza sulla mia faccia. Il bruciore al viso e il mal di testa che mi vennero di conseguenza mi convinsero a interrompere l'esperimento. Sulla base del mio piccolo studio, ho spiegato alla collega che, se invece di puntare il dito verso l'oggetto, avesse orientato il corpo inclinandosi leggermente in avanti, e avesse fissato lo sguardo in quella direzione, avrebbe avuto sul cane lo stesso effetto che ha il puntare un dito per gli esseri umani. Lei però era ancora scettica ma voleva comunque fare una prova, così mi ha invitato a casa sua per assistere al test. Sally, la sua springer spaniel, reagì al dito puntato proprio come mi aveva descritto la collega, guardando la mano invece del biscotto che io avevo furtivamente fatto cadere in mezzo alla stanza. Però, quando la psicologa "puntò il corpo e la testa", Sally si girò per allinearsi sulla stessa linea visiva della padrona. E subito dimostrò di aver capito, guardando il biscotto e trangugiandolo in un batter d'occhio. La seconda ragione per cui la sua analisi non è adattabile ai cani è che con molta probabilità alcuni aspetti di questo comportamento sono acquisiti. Per quanto riguarda la nostra specie, genitori e figli interagiscono molto "puntando". Il genitore indica il gatto vicino al bambino e dice: "Vedi, questo è un gatto", oppure punta il dito verso l'ospite e dice: "Guarda, c'è zia Silvia". Quando gli dà da mangiare, e il bimbo può scegliere fra due pietanze, il genitore indica il primo piatto e chiede al piccolo: "Vuoi le carote?". Poi, spostando il dito verso l'altro piatto, continua: "Oppure preferisci i piselli?". Numerose interazioni come queste insegnano al bambino il significato che ha puntare un dito. La prova che l'atto di indicare è un gesto che si apprende, viene dai "bambini nascosti", come è chiamato questo grave problema infantile. Un'etichetta che definisce, piuttosto duramente, un fenomeno crescente assai

diffuso nella società occidentale e che coinvolge soprattutto i bambini in età prescolastica. Gli assistenti sociali spesso eufemisticamente, chiamano i bimbi che vengono lasciati soli dai loro genitori senza alcuna sorveglianza né possibilità di contatti sociali, "abbandonati in casa", perché molto di frequente vengono chiusi in una piccola stanza o addirittura in un ripostiglio e lasciati lì. I genitori a volte si giustificano dicendo che lo fanno "per proteggerli mentre sono al lavoro" oppure "perché non si mettano in situazioni pericolose o facciano disordine mentre loro sono fuori". Questi bambini non possono far altro che aspettare, in una forma di privazione sociale e sensoriale, per l'intera giornata, mentre i genitori sono altrove. A parte il grave danno sociale ed emotivo che crea far crescere un bambino così crudelmente, lo priva anche delle condizioni necessarie perché possa sviluppare il linguaggio. Per imparare a esprimersi, è necessario che qualcuno parli per fare da modello e che risponda alle domande nel suo idioma. Non è infatti sorprendente che, quando i "bambini nascosti" vengono trovati, spesso mostrino di non avere alcuna capacità di espressione. In molti casi non sanno nemmeno indicare con

precisione le cose, anche se hanno già quattro o cinque anni; sono rimasti al primo stadio: emettono rauchi gridolini, allungano la mano e protendono le dita verso l'oggetto desiderato. Questo fa pensare che, negli esseri umani, puntare il dito e altri comportamenti della comunicazione devono essere appresi. Lo prova il fatto che uno dei segnali attestanti che il bambino può ancora imparare a esprimersi (una volta "fuori dal ripostiglio") è proprio lo sviluppo della capacità di puntare. Se è un comportamento che dobbiamo apprendere, allora perché pretendiamo che invece i cani rispondano, senza alcun addestramento, al nostro puntare? Il mio esperimento con Odin e la scelta degli ostacoli dimostrano che si può insegnare loro a rispondere alle nostre indicazioni. Una volta addestrato, basta semplicemente puntare un braccio nella direzione dell'ostacolo desiderato perché il cane sappia quale deve saltare. Anzi, in verità durante una competizione non è permesso girare la testa e il corpo verso l'ostacolo, pena la squalifica.

Ci sono casi in cui questo tipo di linguaggio è più vantaggioso di quello parlato, perché è un modo clandestino di comunicare. I suoni possono essere colti da chiunque sia vicino a chi parla e, per un animale cacciatore, come lo è il cugino selvatico del cane, significa che possono essere captati non solo dai membri del branco, ma anche dalla potenziale preda, che li può quindi usare a suo vantaggio. Puntare, invece, è un gesto silenzioso che evita l'amplificazione del messaggio. Solo gli individui sulla stessa linea visiva di chi lo fa lo riceveranno; inoltre, se chi punta accenna appena il gesto, riduce le probabilità che sia colto da qualcuno cui non è destinato. Faccio un esempio della comodità di questo mezzo di comunicazione. Mia moglie non ama molto le feste e i cocktail, cui invece io devo intervenire perché fanno parte dei miei doveri di professore universitario e scrittore. La maggior parte delle volte lei non viene, ma di tanto in tanto, quando si tratta di un evento locale o importante, mi accompagna. Mentre sono seduto al tavolo della conferenza, basta che io alzi gli occhi per vederla comunicare con me attraverso una serie di gesti celati: indica con il dito se stessa, poi una sedia o un gruppo di persone, per farmi capire dove posso trovarla se la cerco. Molto spesso punta il dito sul suo orologio, poi verso la porta, a significare che è tempo di andare. L’intera conversazione, e il coordinamento di complesse attività, si svolgono indicando. Mi ritorna in mente un'esercitazione alla quale ho partecipato durante il servizio di leva. Simulavamo un combattimento: un gruppo di soldati giocava il ruolo di difensori, mentre l'altro doveva preparare un assalto contro i primi. Il compito del mio plotone era conquistare una piccola collina fortificata, presidiata da alcune postazioni armate mimetizzate. Si presupponeva che la mia squadra, composta da otto uomini (incluso un arbitro il cui compito era decidere chi veniva colpito e ucciso), eliminasse ogni difesa sul versante orientale della collina, la zona più coperta (nel senso che quella parte era piena di cespugli, alberi, una vecchia recinzione di pietra danneggiata e canali di scolo per la pioggia). Seguivamo silenziosamente il nostro sergente, un temprato soldato di carriera di nome Tyner, nascondendoci dove potevamo, fino a quando raggiungemmo la base della collina. Il sergente si fermò e puntò il dito in alto a indicare il versante. Seguendo con lo sguardo il suo dito vedemmo quella che assomigliava a una piazzola, circondata da sacchi di sabbia, dove c'erano una mitragliatrice e quattro uomini. Il nemico era dunque vicino, a non più di una trentina di metri. Qualsiasi rumore avrebbe potuto rivelare la nostra posizione ed esporci al fuoco (che avrebbe velocemente posto termine all'esercitazione). Il sergente Tyner indicò tre di noi, che gli andarono vicino. Poi la recinzione. Il suo braccio tracciò una linea retta, quindi puntò il dito verso l'alto e di lato, indicando chiaramente che quei tre dovevano penetrare all'interno della recinzione, poi girare l'angolo cambiare direzione e cominciare a salire sulla collina. Fatto questo il sergente indicò il suo orologio. Prima mise il dito sulla lancetta dei minuti, poi lo spostò sul quadrante, in modo da segnalare il passaggio di dieci minuti. Infine puntò il loro fucile e la piazzola nemica. e dopo ancora l'orologio. Il messaggio - ovvero che i tre uomini dovevano oltrepassare la recinzione, girare l'angolo e, trascorsi in tutto dieci minuti, sparare al nemico - non poteva essere più chiaro. Indicò di nuovo la recinzione, e i tre soldati iniziarono a muoversi in silenzio verso la loro postazione. Successivamente Tyner additò i due uomini equipaggiati con i fucili a granata. Indicò prima i fucili, poi in terra. Entrambi si inginocchiarono e cominciarono a caricarli. Il sergente puntò ancora i due uomini, poi i suoi occhi, dopo il bunker nemico, accennando: "State qui. Aspettate il mio segnale prima di far fuoco".

Alla fine, indicò i rimanenti due di noi, segnalò rapidamente la direzione da prendere e iniziammo a seguirlo in silenzio. L'arbitro decise di aggregarsi al nostro gruppo per controllare l'operazione. Siccome il sergente doveva coordinare le azioni di tutti noi, si teneva sempre in vista degli uomini con le granate. Finalmente raggiungemmo un luogo sicuro e ci fermammo ad aspettare. Passarono alcuni minuti, esattamente come aveva programmato, prima che i tre uomini vicini al versante della collina iniziassero a sparare. I nemici appostati nella piazzola girarono immediatamente la mitragliatrice, voltandoci così le spalle, e aprirono il fuoco verso il punto da cui supponevano che partisse l'attacco. Dopo un minuto di scambio di colpi tra i fucilieri e la mitragliatrice, il sergente Tyner indicò lontano, in direzione dei soldati con i fucili a granata, e quasi contemporaneamente dalla loro postazione si avvertirono dei rumori assordanti; prima che potessimo sentir cadere le granate, il sergente puntò verso di noi e verso la piazzola, allora ci mettemmo a correre disperatamente per i pochi metri che ci separavano dalla meta. Arrivammo prima che terminasse la confusione creata dalle mitragliatrici. L'arbitro dichiarò la piazzola conquistata e tutti i suoi occupanti prigionieri. Il fatto significativo è che l'intera sequenza dell'azione era stata organizzata e coordinata solamente usando l'indicare. Non ricordo che il sergente abbia pronunciato una sola parola dal momento in cui aveva scoperto la postazione nemica. Pressappoco trentacinque anni dopo questo avvenimento, ho avuto l'opportunità di assistere a una scena simile, ma stavolta gli attori erano canidi. In Nordamerica sono in corso numerosi progetti di ricerca per studiare il comportamento dei lupi. Molte biblioteche hanno raccolto il materiale ricavato da questi studi, che consta di pellicole e videocassette, e lo hanno messo a disposizione del pubblico che può consultarlo. Io li ho guardati tutti, e in un filmato ho trovato una sequenza che mostrava una battuta di caccia. La similarità fra questo evento e la mia esercitazione militare era notevole. La specie studiata era il lupo grigio (canis lupus), ritenuto il canide selvatico geneticamente più simile al nostro cane domestico. Anche se si chiama grigio non significa che i lupi di questa specie siano necessariamente di quel colore; infatti il branco del filmato, costituito da sei esemplari, variava nella tonalità del pelo, che andava da un crema-biancastro a un grigio-giallo sabbia. Era estate piena, il fogliame era fitto, e i lupi si stavano pacificamente riposando vicino a una piccola macchia di alberi. C'erano quattro adulti (due maschi e due femmine) e due giovani. Il capobranco (di solito chiamato "maschio Alfa") era un animale assai robusto, pesava all'incirca ottanta chili ed era alto al garrese una novantina di centimetri; il maschio di rango inferiore pesava grosso modo dodici chili di meno. I due lupi giovani erano figli del maschio Alfa e della femmina Alfa. Anche quest'ultima era grande, almeno per un lupo grigio, pesava circa sessanta chili; sembrava che fosse lei la prima ad aver sentito l'odore di un cervo nelle vicinanze. Infatti si alzò annusando l'aria. Fece un passo, strofinandosi lievemente contro il maschio dominante. Lo guardò negli occhi e subito dopo diresse lo sguardo nella direzione da cui proveniva l'odore, nel classico atteggiamento di punta canina. Il capobranco iniziò a coordinare le operazioni. Si alzò velocemente e guardò lungo la linea visiva della compagna. Si posizionò alla sua destra, ma un passo più avanti. Guardò l'altro maschio, poi puntò la testa verso il cervo. Allora il maschio inferiore si mosse per prendere posto alla destra del leader. Nel frattempo, l'altra femmina e i due lupi giovani, che osservavano i loro spostamenti, si mossero per mettersi alla sinistra della femmina dominante. Erano tutti sottovento, in direzione del cervo; la femmina non dominante e i due giovani controllavano il punto verso cui guardava il capo e cercavano di orientarsi di conseguenza. L'intero branco sembrava ammassato, tanto che a prima vista pareva che si toccassero i nasi, gesto tipico nelle cerimonie canine di saluto. Tuttavia, a uno sguardo più attento, si vedeva che in realtà il loro scopo era stare il più vicino possibile al leader, per orientare le teste e i corpi esattamente lungo la linea che esso indicava con il capo. La funzione era la stessa del dito puntato dal sergente Tyner: indicare al gruppo la posizione della preda. Subito dopo, i lupi si mossero in silenzio lungo la linea visiva del loro leader. Quando furono vicini alla radura, mi accorsi che puntavano due cervi intenti a brucare in una zona aperta. Si trattava di una femmina e di un piccolo di circa un anno. Il leader guardò l'altro maschio, poi in terra, all'altezza della sua spalla destra. Il maschio inferiore andò

subito nel punto indicato dal lupo Alfa; si sistemò con tale precisione che sembrava che Alfa avesse fatto un segno con il gesso sul terreno. Dopo aver posizionato il maschio, la mossa successiva del leader fu guardare negli occhi la femmina dominante, poi spostò lo sguardo in un luogo distante, al lato opposto della radura, inclinando in avanti il corpo. La femmina Alfa a sua volta guardò i lupi giovani e l'altra femmina, e si avviò con loro verso la direzione indicata dal leader. I quattro lupi si mossero con calma, lungo il margine della radura, nascosti dai cespugli frondosi. Ogni tanto la femmina dominante si fermava e guardava indietro, verso il capobranco. Questo teneva accuratamente d'occhio il cervo che pascolava, ma quando notava lo sguardo della femmina, girava subito la testa e guardava fisso in un punto vicino alla estremità lontana della radura; lei in risposta seguiva i suoi occhi e si muoveva in quella direzione. Nella mia mente, vedevo i tre uomini armati della nostra squadra eseguire l'ordine indicato dal sergente Tyner, per prendere posizione lungo il muro di sassi. Quando la femmina Alfa e il suo gruppo ebbero raggiunto il punto designato, di nuovo tornò a fissare il leader. Lui in risposta prima guardò la lupa, poi in basso, verso il terreno di fronte a lei. La femmina abbassò lo sguardo nel luogo indicato dal maschio, e con gli altri tre animali del suo gruppo si appiattì in silenzio per acquattarsi in posizione d'imboscata. Il leader guardò dritto il lupo alla sua destra poi, bruscamente, dietro, verso il cervo. Entrambi i maschi balzarono all'istante, come palle di cannone. A tutta velocità corsero verso la coppia di cervi che brucava. Appena questi videro i due lupi, si girarono e fuggirono verso l'estremità della radura; nello stesso momento la femmina Alfa fece scattare la trappola intervenendo insieme ai tre compagni. I cervi non riuscirono a reagire abbastanza rapidamente, e la femmina dominante azzannò alla schiena il piccolo. Fu raggiunta subito dall'altra femmina, che cominciò a morderlo nella parte posteriore. L'azione delle due lupe rallentò la corsa dell'animale ormai ferito, che deviò dalla strada più breve verso la salvezza, e un momento dopo i due maschi conversero su di lui e lo uccisero; i due lupi giovani cominciarono allora a inseguire il cervo sopravvissuto, ma quando si accorsero che il resto del branco non si univa alla caccia, tornarono velocemente a prendere la loro parte del bottino giornaliero. L'analogia fra questo evento e la mia esperienza militare era straordinaria. L’intera strategia - l'attacco iniziale per attirare l'attenzione della preda, seguito dalla manovra sul fianco - era quasi identica. Ancora più sorprendente era il fatto che l'intera azione era stata trasmessa e coordinata senza alcun segnale sonoro. In entrambi i casi ogni messaggio era costituito da un gesto, fatto con un dito o con un braccio per quanto riguarda l'attacco umano, o con un movimento del corpo e della testa nell'attacco dei lupi. Quasi tutti quei gesti erano sotto forma di indicazioni. Sia per gli uomini sia per i lupi, avevano un significato preciso, e servivano senza ombra di dubbio per comunicare e coordinare un'azione collettiva. Ambedue i gruppi avevano usato il puntare per dire: "Guarda, quello là è il tuo obiettivo", "Va' nel luogo che ti ho indicato" e "Prendi posizione" (inginocchiandosi, sdraiandosi, o assumendo comunque una posizione specifica), "Aspetta là" e "Attacca adesso". Nella conversazione dei lupi, ovviamente, non si faceva riferimento ad alcun equipaggiamento (visto che non possiedono né fucili né lanciagranate) e neppure un messaggio parlava di tempo (visto che non hanno orologi, e certamente nessuna idea di cosa significhino "dieci minuti"). A parte i fattori tecnologici, la "conversazione" era straordinariamente simile. Dovrebbe essere chiaro dunque che, sebbene l'indicare negli esseri umani giovani sia una forma primitiva di comunicazione, può evolversi in una forma complessa di linguaggio gestuale. I cani e i loro cugini selvatici hanno questa abilità di linguaggio, e i comportamenti si sono evoluti in una forma estremamente complessa di espressione Se puntare il dito è la prova che i bambini indicando un oggetto tentano di comunicare, e quindi in qualche modo con il loro gesto etichettano momentaneamente quella precisa cosa, allora dobbiamo in ugual modo concludere che anche i cani sono capaci di indicare degli oggetti. Possono accennare con la testa e con il corpo, e interpretare l'indicazione di un altro animale. Sembra che per essi sia naturale rispondere a un’indicazione data con la testa o con il corpo mentre per imparare a interpretare un dito puntato da un uomo è necessario un addestramento.

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14. Parlare con il sesso Adele aveva all'incirca quarantacinque anni e sembrava alquanto turbata quando venne nel mio studio. - Visto che lei è uno psicologo, spero che possa darmi alcuni consigli. Sul momento avevo immaginato che fosse lei o un membro della sua famiglia umana ad avere qualche problema. Molte persone accennano al fatto che sono uno psicologo solo quando devono affrontare una preoccupazione. Per il resto del tempo, sono solo l’ “uomo-cane”È per via del mio Samuel. Ho paura che sia omosessuale, e spero che lei possa dirmi come devo comportarmi. Non era la prima volta che m'imbattevo in un caso di omosessualità, per cui stavo già preparandomi mentalmente a lanciarmi nei miei commenti standard su come i giovani talvolta abbiano esperienze con entrambi i sessi prima di adattarsi a un comportamento eterosessuale. E comunque, anche se suo figlio aveva deciso per una vita omosessuale, la società contemporanea ormai accettava questo comportamento, e molti omosessuali praticanti conducevano una vita felice e produttiva... Non potei continuare a lungo, perché mi fu subito chiaro che Adele non aveva un figlio, e il nome del marito era Roger. Però aveva un boxer che lei di solito chiamava Sammy. Allora le chiesi con cautela: - Esattamente, cosa fa Sammy? - Un paio di giorni fa, mentre eravamo al parco lui ha tentato... sa cosa intendo -. Fece un sospiro e ricominciò: - Ha tentato di fare quella cosa con Benji, il golden retriever della mia amica Nancy. Eravamo tutte e due così imbarazzate, allora io l'ho tirato giù di peso dal didietro di Benji e tutto è ritornato tranquillo. Ma ieri, quando eravamo al parco, Sammy si è aggrappato al sedere di un labrador che non aveva mai visto prima e di nuovo ha cercato di... lei sa, ha cercato di fare sesso con lui. Io pensavo che fosse un gesto di frustrazione per essersi preso una cotta per qualche cagnetta che non aveva intenzione di cooperare e che l'aveva rifiutato. La padrona del labrador si è immediatamente avventata contro i due cani, ma in realtà era a me che gridava: "Il mio Walter è un cane normale. Allontana la tua lurida bestia omosessuale da lui! Qualcuno mi aiuti!". Urlava, poi ha iniziato a colpire Sammy con il guinzaglio. La gente si è fermata per vedere cosa stava succedendo ci guardava sbalordita! Io ero veramente imbarazzata. Separai i cani e portai via Sammy. Oggi non l'ho portato al parco, e se continua a comportarsi così non so proprio se ci potrò tornare. Il motivo per cui Sammy montava gli altri cani è stato completamente frainteso da Adele e dalla padrona del labrador. Entrambe, come molte altre persone, non hanno fatto altro che attribuire i comportamenti sessuali umani ai cani. Ma non è così che bisogna fare, un cane monta un altro cane per ragioni che non hanno nulla a che vedere con il sesso. Ci sono delle verità che ognuno dovrebbe conoscere sulla sessualità fra cani. Prima di tutto bisogna sapere che c'è una netta differenza fra maschi e femmine. Negli esseri umani e in alcune scimmie, sia il maschio sia la femmina sono sessualmente attivi in tutti i periodi dell’anno. Invece, nella vasta maggioranza degli altri animali, maschi e femmine hanno una "stagione", un breve lasso di tempo in cui sono pronti per un'attività sessuale intensa. Per quanto riguarda i cani tuttavia, i maschi seguono il primo schema, sono cioè sessualmente attivi per tutto l'anno, mentre le femmine hanno solo due periodi relativamente brevi, quando vanno in "calore", in cui sono interessate e pronte all'attività sessuale. Data questa grande differenza, si potrebbe pensare che i cani maschi passino la maggior parte dell'anno in uno stato di frustrazione sessuale, circondati da femmine che li rifiutano. Ma non è così. Anche se possono essere interessati al sesso in ogni momento, si eccitano veramente solo in presenza di una femmina in calore, o almeno in presenza dell'odore che questa emana. È durante il periodo del calore (tecnicamente chiamato periodo di estro} che le ovaie della femmina iniziano a produrre i vari ormoni sessuali necessari a renderla fertile e il particolare odore che la rende attraente al maschio. Il termine latino estrus significa "frenesia", poiché quegli stessi ormoni la fanno diventare più attiva e, a volte, più dominante e maggiormente aggressiva.

L’estro dura in media ventuno giorni, ed è diviso in tre stadi. Il primo il pro-estrus, dura circa nove giorni, durante i quali la femmina inizia a mostrarsi molto inquieta; tende a girovagare più del solito, beve più del solito e quando gironzola urina abbondantemente. È la fragranza della sua urina ad attirare i maschi. La annusano, poi alzano la testa e rimangono fermi, a fissare il vuoto in lontananza, come se meditassero su qualche mistero filosofico. I maschi possono captare l'odore della femmina da una notevole distanza, e non è raro vedere una cagna in calore inseguita avidamente da un numeroso gruppo di corteggiatori che si radunano speranzosi intorno alla sua casa. Quando il pro-estrus sta per finire, le secrezioni vaginali diventano scure e sanguinolente. È a questo punto che la gente erroneamente dice che la cagna è mestruata. Le mestruazioni nelle femmine della specie umana avvengono dopo l'ovulazione; segnano la fine di ogni periodo di fertilità e rappresentano la rottura dei tessuti non necessari a sostenere il feto quando la donna non è incinta. Nelle cagne, il sanguinamento avviene prima dell'ovulazione e rappresenta la trasformazione della parete vaginale per prepararla all'ovulazione. Durante questo periodo, almeno dal punto di vista dei maschi fiduciosi che sono attratti da lei, la femmina si merita davvero l'accezione da strada del suo nome tecnico, "cagna", perché tramite l'urina spruzza il profumo invitante e lo diffonde nell'aria assieme alle secrezioni vaginali, attirando così tutti i cani che si trovano nelle vicinanze. Ciononostante, rifiuta ogni avance amorosa. Anzi, talvolta ringhia all'innamorato, lo minaccia, lo insegue, arrivando anche ad aggredirlo o a morderlo. Una femmina meno aggressiva invece si limita a scappare, o si sposta se il maschio cerca di montarla; l’ansante Romeo, invece di un invitante didietro, si ritrova faccia a faccia con un muso minaccioso. In alcuni casi la cagna adotta una strategia meno complicata: si siede semplicemente, e così impedisce ogni accesso al suo posteriore. Non è una sorta di giochetto stuzzicante che la femmina mette in atto. Non ha ancora ovulato, e non lo farà fino al secondo giorno dell'estro vero e proprio, quando le secrezioni diventano più chiare e acquose, a indicare che la vagina è pronta per l'accoppiamento. Una volta che le uova sono state rilasciate, hanno bisogno di circa settantadue ore prima che possano essere fertilizzate dallo sperma del maschio. Il periodo fertile della femmina dura solo pochi giorni, per cui è di vitale importanza che riesca ad attirare intorno a sè abbastanza maschi da poter scegliere il suo compagno in tempo utile. I comportamenti e i segnali del corteggiamento hanno molte caratteristiche simili a quelli del gioco, con specifiche gestualità atte all'invito. È la femmina ad avere il totale controllo, ed è logico che sia così, visto che è lei a investire le energie maggiori: nel concepimento, nella gravidanza, nel parto, e in tutte le cure che dovrà dare ai cuccioli. In natura, questo significa che avviene un processo selettivo: alcuni candidati alla paternità sono respinti con accanimento, mentre altri vengono cercati con forza. L'evoluzione ha prodotto un certo grado di programmazione, che incoraggia la cagna a scegliere un cane dominante, forte, in grado di trasmettere geni sani e adatti. A questo punto è importante sapere che i comportamenti sessuali dei cani domestici differiscono da quelli dei canidi selvatici. Durante il processo di addomesticamento, abbiamo modificato profondamente la natura riproduttiva del cane. Per essere precisi, abbiamo creato un animale molto più fertile. A eccezione del basanti, i cani domestici vanno "in stagione" due volte all'anno, mentre i canidi selvatici solamente una. Il nostro cane domestico è anche molto più promiscuo del suo cugino selvatico. È stata una scelta consapevole deliberata e necessaria, visto che il nostro desiderio è creare cani con caratteristiche specifiche. Ogni razza deriva da una procreazione selettiva. Significa che dobbiamo essere capaci di prendere un cane con certe caratteristiche (per esempio un particolare colore del pelo, o una certa forma del corpo oppure alcune specifiche capacità comportamentali, come quella del riporto o di riunire i greggi) e accoppiarlo con un altro cane che ha caratteristiche analoghe o altre specifiche che desideriamo. È ovvio che se un cane va "in stagione" con maggior frequenza, abbiamo più opportunità per tentare di incrociare i geni di varie razze per ottenere esattamente l'animale che vogliamo. È altrettanto ovvio che, perché una procreazione programmata abbia successo, i genitori degli eventuali e desiderati cuccioli devono essere consenzienti e accettarsi l'un l'altra come partner sessuali. Se i cani domestici fossero estremamente selettivi nella scelta del partner e rifiutassero di accoppiarsi con il cane

designato da noi, non potremmo creare nuove razze né mantenere quelle già esistenti. Queste sono le ragioni per cui la promiscuità nei cani è una caratteristica indotta. In natura le cose non sono così. Fra i canidi selvatici, una procreazione indiscriminata sarebbe disastrosa, poiché metterebbe eccessivamente sotto pressione le fonti locali di cibo. Un branco di lupi ha di norma una cucciolata, composta, in media, da quattro-sei cuccioli e di solito è il risultato dell'accoppiamento fra il maschio Alfa e la femmina Alfa. Ma se i tempi non sono favorevoli e le risorse scarse, anche quest'unica cucciolata può saltare. Il corteggiamento fra canidi selvatici, e meno frequentemente fra quelli domestici, si protrae per ore. In natura talvolta viene temporaneamente sospeso per poi riprendere il giorno successivo. Di solito la femmina inizia la danza di corteggiamento andando veloce verso il maschio, poi si allontana di corsa, di nuovo si precipita verso di lui, e nuovamente si ritira con rapidità. Per il maschio questo comportamento è irresistibile, ma nel caso alquanto improbabile che abbia difficoltà a eccitarsi, la femmina inizia a saltellargli intorno, talvolta colpendolo con le zampe. Se anche questa tattica non funziona, può capitare che cerchi lei di montarlo, come se volesse ricordargli qual è lo scopo dell'intero gioco. Alla fine, i due canidi si inseguono per lungo tempo, schivandosi, correndo di qua e di là. Spesso intervallano le corse a inchini giocosi, si mettono muso contro muso, ritti sulle zampe posteriori, talvolta appoggiando quelle anteriori sul petto o sulle spalle dell'altro, e si spingono, in una sorta di finta lotta. Dopo questo intermezzo di corse folli, la coppia potenziale si ricongiunge e inizia l'esplorazione dei corpi. Si danno qualche fiutata naso contro naso, poi si leccano un po' le orecchie, e alla fine spostano il loro interesse verso le parti sessuali, cominciando ad annusarsi il posteriore. Adesso è la femmina a comandare. Se è interessata, segnala al maschio che è pronta presentandogli il didietro e scostando la coda di lato. A questo gesto, il maschio generalmente fa un'ulteriore verifica delle sue intenzioni mettendosi di fianco a lei e appoggiandole il mento sul dorso. È il momento cruciale. Se lei sta in piedi ferma, rigida, senza dar segno di volersi spostare, allora il maschio si gira e la monta. Si appoggia sul suo dorso, afferra la parte posteriore del corpo della femmina con le zampe anteriori e comincia a spingere. È la posizione che i cani assumono quando stanno veramente copulando. In natura, se le femmine del branco sono "in stagione", le attività di corteggiamento sono frenetiche; ma siccome i canidi selvatici sono maggiormente selettivi, gli accoppiamenti sono molto più rari. Un ricercatore ha osservato i rituali di accoppiamento nei lupi in un singolo branco durante l'estro primaverile e, in un mese, ha contato milleduecentonovantasei corteggiamenti; solo trentadue però si sono trasformati in accoppiamenti completi, il che significa che soltanto il 2,4% dei corteggiamenti si è concluso con un rapporto sessuale. Sembra che l'addomesticamento dei cani da parte degli umani non abbia cambiato molto la sequenza dei rituali di corteggiamento, poiché cani, lupi, coyote, sciacalli, dingo, cani selvatici e perfino volpi usano la stessa tecnica. Nei cani domestici, tuttavia, la durata si è alquanto ridotta e, cosa ancora più importante, sono considerevol mente aumentate le probabilità che ogni corteggiamento finisca in un accoppiamento completo. Solo di rado, nell'accoppiamento fra due cani con pedigree, si verificano dei rifiuti, ma sono casi talmente singolari che quando capitano creano fastidiosi battibecchi fra gli allevatori interessati. Nei comportamenti sessuali, la vera a propria monta si compie alla fine della danza di accoppiamento, e solo se la femmina ha accettato il suo corteggiatore. Mettiamo a confronto l'atteggiamento che porta alla monta con quello tra due cani maschi. Di solito quest'ultimo è preceduto da un'annusata accurata, poi i cani cominciano a muoversi tenendo le zampe rigide e la coda e le orecchie quasi totalmente erette. Non è proprio l'atteggiamento giocoso che dà inizio alla sequenza dell'accoppiamento. Allora è ovvio che quando un maschio ne monta un altro, le implicazioni e il messaggio hanno poco da spartire col sesso. Il fatto che la monta sia relativamente indipendente da intenzioni sessuali si può vedere nei cuccioli. Molto prima di raggiungere la pubertà (che ha inizio al sesto-ottavo mese), i piccoli mostrano già questo tipo di attività. Appare subito dopo aver cominciato a camminare e quando iniziano a giocare fra loro diventa un atto comune, che però ha un significato sociale, non sessuale. Per i cuccioli, è una delle prime opportunità di imparare qualcosa sulle loro capacità fisiche e sul loro potenziale. Rappresenta soprattutto

un'espressione di dominanza. Il piccolo più forte e più autoritario monta le sorelle e i fratelli più remissivi solamente come dimostrazione di leadership e dominanza. E il comportamento continua nell'età adulta, con un significato di potere e di controllo, non di sesso. Viene usato come segno di dominanza, e siccome non è in relazione con la riproduzione, il suo senso sociale è applicabile alle femmine come ai maschi. Un maschio che monta un altro maschio non mostra tendenza omosessuale, ma dice: "Qui il boss sono io". Anche le femmine possono usare lo stesso gesto per affermare il loro rango. Alcune sono dominanti su altre femmine e persino su maschi, e lo manifestano assumendo la posizione della monta. Non è un problema di confusione sessuale, poiché la struttura dinamica della società canina non è solo una questione di sesso. Il rango, nel loro mondo, dipende più dalle capacità fisiche e dalle dimensioni, combinate con certe caratteristiche legate al temperamento, agli stimoli, e all'impulso.

Nella struttura sociale dei cani ci sono tre differenti gerarchie. In un branco esistono tutti i gradi sociali; si parte dal leader, che sta in cima a tutti, fino ad arrivare all'ultimo derelitto. C'è il capo, o maschio Alfa, e una femmina Alfa, e uno dei due è il leader dell'intero branco. Anche gli altri maschi hanno un rango, e un altro lo hanno le femmine. La monta può servire per affermare ognuno di questi ranghi. Allora è possibile vedere un maschio montarne un altro, una femmina montare un'altra femmina, un maschio montare una femmina o viceversa. Nessuno di questi comportamenti rappresenta una forma di approccio sessuale o di invito. Devono invece essere visti come un chiaro segno di ambizione sociale da parte del cane che monta. Certe espressioni di dominanza di cui abbiamo parlato in precedenza, compreso il cane che appoggia la testa o la zampa sul collo o sulla spalla di un altro, possono essere semplicemente sottili componenti dell'attività legata alla monta. Il dominante o "cane al vertice" è letteralmente il cane che sta sopra. Visto che la monta molto spesso è il tentativo di affermare un rango sociale più elevato, è chiaro che non è certo castrandolo che toglierete completamente al vostro cane la tendenza a montarne un altro. La castrazione senza dubbio elimina alcuni ormoni sessuali, fra cui il testosterone, e la riduzione degli ormoni maschili smorza le tendenze aggressive e quindi riduce anche altri comportamenti dominanti e di conseguenza, quello di montare. Tuttavia, la castrazione non cambia il carattere e la personalità di base del cane, il che significa che se I’animale è dominante, tendente alla leadership, questo atteggiamento non scompare. La conseguenza certa della riduzione di ormoni sessuali è la diminuzione dell'intensità con cui il cane perseguirà le sue ambizioni sociali. Tuttavia, più il cane è vecchio quando viene castrato, meno si riducono i tratti dominanti. Un cane castrato può ancora avere un'erezione, ma non c'è più produzione di sperma, per cui l'animale magari è ancora attratto da una femmina in calore, però ogni tentativo di accoppiamento sarà "senza frutti". Sebbene le persone non gradiscano molto che il proprio cane ne monti un altro, è bene comunque rendersi conto che è un comportamento abbastanza controllato e innocuo, se messo a confronto con altri, In cui il cane mostra con facilità i denti, oppure attacca. Di recente alcuni scienziati hanno ipotizzato che nell'uomo ci sia un legame fra comportamento sessuale maschile e dominanza, così come avviene nei cani. Ipotesi originate anche dalle molte notizie, ampiamente riportate dai media, sulle varie relazioni extraconiugali di importanti uomini politici. I ricercatori hanno notato che questi soggetti sono sicuramente individui socialmente dominanti, per cui reputano possibile che le caratteristiche di dominanza determinino una tendenza biologica a una sessualità crescente. Più l'individuo è dominante, con più probabilità è promiscuo, indipendentemente dal fatto che questo comportamento sia socialmente accettato (come nel caso di culture dove l'uomo può avere più di una moglie) o che non lo sia. In fondo, secondo quanto è scritto nella Bibbia, il re Salomone non aveva più di mille mogli? Gli studiosi hanno affermato, nel loro asettico linguaggio scientifico, che sarebbe possibile separare la sessualità dalla dominanza somministrando droghe potenti e specifiche, in grado di annullare l'effetto di certi ormoni. In questo modo si potrebbero creare politici fortemente dominanti, ma privi di interesse per ragazze, stagiste della Casa Bianca o ballerine di night-club Sarebbe pertanto possibile creare anche persone del genere opposto, socialmente irresponsabili e promiscue, qualcosa di simile all'idea popolare di stelle del rock o hippy degli inizi degli anni Settanta. Sfortunatamente,

come ha fatto notare uno dei ricercatori, per sperimentare la "cura" sarebbe necessario che alcuni politici di successo si offrissero come volontari. Per quanto ne so, nessun politico, almeno per il momento, ha accettato di sottoporsi all'esperimento. Sono moltissimi i casi di cani che hanno tentato di montare esseri umani. Ma adesso sappiamo che è soprattutto un'affermazione di dominanza, e dunque dovrebbe essere chiaro che un cane che vi afferra il ginocchio e si mette allegramente a spingere non vuole dire: "Ti amo" né cerca di apparire "sensuale". Quando i cani montano un essere umano lo fanno quasi sempre per esprimere dominanza, perche in realtà vogliono diventare loro i leader del branco. Per questo motivo non dovete permettere al vostro cane di farlo, perché nella scala della dominanza dovete essere sempre più in alto di lui. Come si fa a togliere a un cane il vizio di montare un essere umano? Visto che è un segno di dominanza, è importante che sottolineiate che siete voi i leader oppure dovete privare di valore sociale il suo atto. Il modo più facile per esercitare dominanza è l'addestramento base di obbedienza. Quasi sempre la gente rimane stupefatta da come questo atteggiamento diminuisca semplicemente seguendo il corso di obbedienza per principianti. Insegnare al cane a rispondere ai vostri comandi fa parte dell'addestramento, e obbligandolo a obbedire esprimete dominanza, e i cani non montano gli individui che sentono dominanti. Se occasionalmente questo comportamento si ripresenta, si deve dire con enfasi al cane "No" e quindi spostare subito il suo interesse, dargli un ordine: "Siediti" oppure "Giù" o anche "Stai", e lasciarlo in posizione per uno o due minuti. Se imponete il comando, riuscirete a ristabilire il vostro potere con dolcezza, e il comportamento dovrebbe scomparire. Talvolta, specialmente se i padroni sono teneri e mansueti e hanno a che fare con cani grossi e dominanti, l'atteggiamento della monta potrebbe essere abbastanza persistente. Ho trovato che in questi casi il miglior modo per ovviare al problema è prendere di mira la componente "sociale" della dominanza: quando il cane manifesta questo comportamento, bisogna evitare ogni contatto con lui. Il contatto fisico e l'attenzione sono ricompense molto forti per un cane. Ogni volta che l'animale vuole montare voi, vostro figlio o magari un ospite, mettetegli il guinzaglio e portatelo in una stanza, chiudete la porta e isolatelo fisicamente da ogni contatto per tre minuti. Dopo questa "sospensione", riaprite la porta, senza dire una parola e senza fare gran confusione, in modo che possa tornare fra la gente. Mi ricordo che ho suggerito questo metodo, che anch'io uso, alla padrona di un fox terrier di nome Tracker. Sebbene il cane si controllasse in presenza del marito (forse perché era un omone di ottantadue chili), quando questi usciva di casa Tracker cercava di montarla, e lo faceva più volte con ostinazione. Il primo giorno in cui la signora mise in atto la strategia dell'isolamento, ricevetti una sua telefonata: - Questo metodo non funziona. Oggi l'ho tenuto isolato per venticinque minuti”. “Tenga duro, - le dissi. - Per più di un anno Tracker ha espresso dominanza con successo in questa maniera, e non può pensare di risolvere il problema in una notte”. Qualche giorno dopo, mi telefonò ancora. “Adesso Tracker lo fa un po' meno, forse una mezza dozzina di volte al giorno. Sfortunatamente però è sorto un problema nuovo. Monta il cuscino del divano!” “Non si preoccupi, è quello che chiamiamo comportamento di sostituzione” la rassicurai. “Visto che con lei ha meno successo, cerca qualcosa da dominare, anche se si tratta solo di un cuscino Tolga tutto ciò che il cane prova a montare, e ogni volta che lo vede farlo lo tratti come se lo stesse facendo con lei, lo isoli per un periodo di tre minuti”. Così, giorno dopo giorno, il numero dei tentativi e i conseguenti periodi di isolamento diminuirono, fino a quando, dopo circa tre settimane, non si verificarono più. Ricordatevi, il cane monta per comunicare dominanza sociale. Se ogni volta che cerca di montare viene allontanato immediatamente dai membri del suo branco, allora il comportamento diventa inutile per comunicare, perché non ha più nessuno da dominare. Nel cane la comunicazione serve per ottenere risultati efficaci, voluti dall'animale; se i segnali producono effetti indesiderati, tendono a scomparire.

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15. Indicare e battere a macchina All'inizio del libro, abbiamo affrontato il tema del linguaggio canino partendo dalle convinzioni dei primi ricercatori. Quando questi ne studiavano la sfera produttiva, ritornavano sempre sulla questione della parola. L'argomentazione principale era ogni volta la stessa: se un animale non può parlare, nel senso che non è in grado di produrre suoni sensati simili a quelli umani, vuoi dire che non ha un vero e proprio linguaggio. Invece noi abbiamo visto che i cani comunicano, solo che lo fanno soprattutto tramite cenni e segnali, e non attraverso suoni che modellano le parole. Forse, se accettassimo la possibilità che i1 linguaggio produttivo dei cani o di altri animali può esistere sotto forma di espressione corporea o gestuale, potremmo dimostrare che essi hanno abilità linguistiche molto maggiori di quanto non abbiano affermato i ricercatori - e magari il livello di complessità sarebbe tale che i glottologi potrebbero riconoscerlo come "linguaggio reale . La prima cosa da chiarire è che questo in realtà non è un concetto rivoluzionario. Il linguaggio, infatti, può esistere anche senza la parola. Prendiamo il caso dei sistemi di comunicazione dei sordi. Un non udente non è ovviamente in grado di ascoltare se qualcuno parla, visto che non può percepire i suoni associati a una conversazione, ma è comunque capace di comunicare attraverso la gestualità. Negli Stati Uniti i non udenti imparano il Linguaggio Americano dei Segni (conosciuto sotto la sigla ASL). È possibile definire linguaggio questo complesso sistema gestuale? Anche se non è la semplice, diretta traduzione di alcun idioma conosciuto, ha sicuramente tutte le componenti richieste in una parlata, grammatica compresa. Oltretutto, con l'ASL non si comunica solo indicando le cose; si possono esprimere concetti e descrrvere eventi successi nel passato o che potrebbero accadere in futuro. Può anche essere usato per tratteggiare oggetti che non sono fisicamente presenti nel momento in cui si "parla". Si possono pure raccontare storie complesse, come lo si fa in tutte le lingue parlate. L'ASL può essere imparato nello stesso modo casuale con cui i bambini apprendono ad articolare parole. I figli di genitori non udenti che parlano l'ASL lo imparano a loro volta. Anche se il bimbo non è sordo lo apprenderà più facilmente osservando la gestualità dei genitori che non per mezzo di un insegnamento esplicito, così come i bambini udenti che crescono in un ambiente in cui si parla, imparano il linguaggio dalla famiglia. I figli di non udenti passeranno anche attraverso tutti gli stadi di sviluppo del linguaggio normale, compreso il balbettio, solo che questo non sarà vocale: balbetteranno con i gesti Adesso è chiaro che il linguaggio non ha l'obbligo di fuoriuscire dalla bocca; può avere origine dalle mani o da altre parti del corpo.

Una volta che ci siamo sbarazzati dell'idea che gli animali debbano parlare ed "emettere suoni simili a quelli umani", se possiamo attribuire loro ogni tipo di espressività, allora possiamo osservarne il linguaggio in maniera più innovativa. Abbiamo visto che anche gli animali usano la comunicazione corporea e che sono capaci di gestualità. Molte di essi non sono in grado di fare gesti complessi come quelli necessari per parlare l'ASL, altri invece sì. Liberatici dai vincoli della parola parlata, potremmo fornire un aiuto agli animali che non hanno un buon controllo muscolare, provvedendo a soluzioni tecnologiche per ovviare alle loro limitate capacità gestuali. Quando un nuovo gruppo di scienziati ha iniziato a studiare il linguaggio animale, i primi a essere osservati non sono stati i cani. I ricercatori, seguendo le tracce dei loro predecessori, hanno scelto esseri più simili all'uomo, le scimmie in particolare, nella speranza di ottenere un successo maggiore. Abbiamo già visto che gli scimpanzé anche se sono allevati come bambini in un ambiente familiare umano e vengono loro fornite istruzioni sul linguaggio, non imparano a pronunciare parole sensate. Tuttavia, nel 1925, lo psicologo Robert Yerkes studioso del comportamento dei primati, ipotizzò che le scimmie potrebbero avere molte cose da dire, solo che non hanno modo per farlo. Yerks sosteneva la possibilità di insegnai loro una sorta di linguaggio dei segni, ma il suo consiglio non fu seguito fino al 1966 quando entrarono in scena Allen e Beatrice Gardner dell'università del Nevada. I due studiosi partirono dal fatto che le scimmie hanno una grande flessibilità nelle mani, con le quali sono in grado di modellare molti gesti. I Gardner presero una femmina di scimpanzé di circa un anno, di nome Washoe, catturata dopo essere stata allevata per i primi mesi di vita dalla madre. Washoe fu alloggiata nel giardino della casa dei Gardner, dove

aveva a disposizione uno spazio di cinquecento metri quadrati. Viveva in una roulotte completamente autonoma, che provvedeva a tutte le sue necessità quotidiane. Durante i quattro anni in cui visse nel loro giardino, i ricercatori hanno comunicato con lei solamente tramite l'ASL, nella speranza che Washoe imparasse gran parte del linguaggio dei segni semplicemente osservando gli altri usarlo. La scimmia seguiva anche delle lezioni, una sorta di scuola di apprendimento dell'ASL per primati. Durante il giorno, con lei stava sempre un membro del gruppo di ricercatori. E tutti le parlavano unicamente attraverso i segni. Washoe spesso veniva portata fuori, frequentava la comunità locale e riceveva molte visite. Inoltre nel giardino dei Gardner giocava con gli strumenti che aveva a disposizione e poteva arrampicarsi sugli alberi. Alternava queste attività a sessioni di ASL, in cui le insegnavano a imitare i cenni dei suoi insegnanti. Talvolta, però, era necessario sagomarle la mano nel gesto desiderato. Come incoraggiamento, Washoe riceveva una ricompensa ogni volta che per indicare un oggetto o una situazione faceva il gesto corretto. Washoe iniziò ad apprendere l'ASL e arrivo perfino ai primi stadi di apprendimento del linguaggio che si possono osservare negli esseri umani, come il balbettamento gestuale. Alla conclusione della sua esperienza aveva imparato centotrentadue segni. (Gardner, R.A., Gardner, B.T., Cantfort, T.E. 1989, Teaching Sign Language to Chimpazees; Suny Press, Albany). Roger Fouts, uno dei ricercatori che avevano lavorato con i Gardner, portò tempo dopo Washoe al Centro Primati della Central Washington University, e continuò lo studio sul linguaggio delle scimmie (Fouts, R., Milis, S. T., Goodall, J. 1999. La scuola delle scimmie. Mondadori, Milano). Secondo Fouts, la prova più interessante del fatto che Washoe usava Il linguaggio allo stesso modo dei bambini, era "la spontanea chiacchiera della mano", come lo scienziato la definiva: la scimpanzé si sedeva sul letto, prendeva la sua bambola preferita e cominciava a gesticolare, come fanno i bimbi quando parlano ai giocattoli. Una volta, Fouts

la vide persino infilarsi furtivamente in una stanza a lei preclusa facendo a se stessa il segnale di "silenzio". Era affascinante osservare Washoe quando veniva sottoposta ai test sulla conoscenza del linguaggio. Se commetteva errori, per esempio erano gli stessi che fanno i bambini. I suoi sbagli erano dovuti alla confusione sul significato, non tanto a quella sul segno che indicava una parola. Se le veniva mostrata l'immagine di un gatto faceva il segno di "cane", oppure segnava "spazzola" quando vedeva un pettine, o ancora "cibo" se le facevano vedere della carne. Imparò persino a correggere il suo stesso uso delle parole. Una volta che le mostrarono la fotografia di una bevanda in una rivista, Washoe fece il segno di "cibo", ma subito dopo si guardò la mano con espressione sdegnata e cambiò il segno con "bevanda". Anche i bambini quando sbagliano si correggono in modo simile dicendo: "No! Non volevo dire quello! Volevo dire...".

Oltre a imparare i gesti ASL che indicano una singola parola, Washoe imparò a mettere insieme i segni per formare frasi di due o anche tre parole. Poteva quindi chiedere: "Dammi una mela" oppure "Ancora banana", e poteva anche descrivere gli oggetti "Mela rossa" o magari "Palla grande". Poteva inoltre fare delle richieste per esempio segnava: "Fammi il solletico", ed era in grado di descrivere delle Intenzioni precise, come "Vado fuori" quando voleva uscire da una stanza, o "Giù a letto" se si preparava per andare a dormire. Era in grado di interpretare relazioni complesse, quali la proprietà; ad esempio, rispondeva alla domanda: "Di chi è questo cappello?" con: "Il cappello di Roger" oppure alla richiesta: "Di chi è questa palla?" con: "La palla di Washoe". Dopo l'esperimento di Wasboe, è stato insegnato l'ASL a molti altri scimpanzé. L'analogia fra l'uso e la struttura del loro linguaggio e quello che si può osservare in un bambino di due anni e mezzo o tre è notevole. Sono capaci di inventare nomi nuovi usando segni esistenti, come, ad esempio, chiamare l'anguria "Frutto che si beve" o un cigno "Uccello d'acqua". Ci fu un caso in cui uno scimpanzé diede un morso a un ravanello e lo sputò segnando: "Cibo che fa piangere dal male". Se non esiste un segno appropriato per definire un oggetto sono In grado di crearne uno nuovo. C'è un episodio che fornisce una prova rilevante; fu quando Washoe inventò un gesto per definire il bavaglino'che consisteva nel tracciare con il dito il contorno del bavaglino sul suo petto. I Gardner le avevano chiesto di usare la parola “Tovagliolo", visto che molto spesso ne usava uno come bavaglino. Dopo poco più di un mese, alcuni bambini sordi della Scuola per non udenti della California guardarono il filmato di Washoe. Quando videro lo scimpanzé fare il segno di "tovagliolo" per indicare "bavaglino", si precipitarono ad avvisare i ricercatori che il segno era sbagliato e mostrarono quello corretto: con il dito tracciarono il contorno del bavaglino sul petto, praticamente lo stesso gesto che Washoe aveva inventato da sola! A quanto pare, gli scimpanzé possono perfino creare e usare parole irriverenti. Questo fatto è stato osservato quando Washoe fu trasferita nell'Istituto per gli Studi sui Primati a Norman, nell'Okiaoma. La viveva in un grande recinto insieme con altri

scimpanzé e alcune scimmie antropomorfe. Nell'osservare il suo comportamento, si è visto che non solo continuava a usare il linguaggio dei segni ma lo insegnava perfino ai suoi simili, come fanno gli adulti della nostra specie quando interagiscono con i bambini piccoli, o con individui che non si esprimono nella loro stessa lingua, per cercare di insegnare loro a parlare. Fino ad allora Washoe aveva usato il segno per definire la parola "sporco" quando si riferiva alle feci o a oggetti sudici. Ma dopo che ebbe uno scontro con un macaco reso, lo etichettò come "scimmia sporca". Da quel momento, usò regolarmente il segno "sporco" per tutte le persone che si rifiutavano di accontentare le sue richieste. Proprio come noi, aveva imparato a insultare. Fouts successivamente inserì Washoe in una famiglia di scimpanzé con molti piccoli. Poi, insieme alla moglie Debbi, registrò circa quarantacinque ore di casuali conversazioni fra scimpanzé. In quell'occasione scoprirono che, analogamente a quanto succede in una famiglia umana, le scimmie, durante le varie attività quotidiane, chiacchierano. Si facevano segni l'uno con l'altra mentre giocavano, se facevano colazione, e quando si preparavano per andare a dormire. Ricorrevano al linguaggio dei segni perfino per risolvere le difficoltà. Se i due giovani scimpanzé Loulis e Dar litigavano, Loulis incolpava Dar. Puntava il dito contro di lei e faceva il segno di "Io sono buono". Allora Washoe andava da loro e castigava Dar. Alla fine però Dar cominciò a capire, e quando vedeva avvicinarsi Washoe, correva verso di lei e segnava freneticamente "Abbracciami". Allora Washoe si placava, sgridava Loulis, dicendole di lasciare la stanza con un "Vai là" mentre puntava l’uscita. Gli scimpanzé non sono i soli non-umani che possono imparare l’ASL Un orango ha appreso più di cinquanta gesti, e la psicologa Francine Patterson ha insegnato a un gorilla di pianura di nome Koko più di trecento segni. Anche Koko ha capito come usare parole irriverenti, in più, occasionalmente, usava il linguaggio dei segni per dire bugie, se reputava che queste servissero a guadagnare un premio. Alcuni scettici mettono in dubbio che questo sia un vero linguaggio. La loro obiezione è che gran parte dell'espressività delle scimmie è solo una forma di richiesta: il loro potrebbe essere solamente l'apprendimento meccanico di un particolare gesto per ottenere una ricompensa. Basandosi su queste convinzioni, affermano che anche nei cani è stata dimostrata la capacità di associare una parola a un'azione (ad esempio, quando ubbidiscono a un comando e in cambio ottengono una gratificazione), ma non la comprensione del significato della parola. In maniera analoga, secondo loro uno scimpanzé può anche rispondere alla domanda gestuale: "Cosa vuoi adesso?" segnando "Dammi una mela", senza alcuna nozione concettuale del significato della frase o della parola, ma sapendo solamente che quella particolare sequenza di movimenti della mano produce una ricompensa. Sono molti i punti che rendono poco convincente tale argomentazione. Il primo è che gran parte del linguaggio umano, anche se non esprime esplicitamente un'istanza, viene usato per ottenere qualcosa, dipende dal contesto. Prendiamo la semplice frase "Mi fanno male i piedi" Sembra la descrizione di una condizione esistente, e non appare una richiesta, come lo è l'espressione "Dammi una mela". Tuttavia, in molte situazioni la frase "Mi fanno male i piedi" viene correttamente interpretata come una richiesta dalla persona cui è diretta. In un ambulatorio, la frase serve per domandare una cura e un sollievo per il dolore. Se si sta facendo un'escursione a piedi in compagnia, può essere intesa come la preghiera di una pausa per riposarsi. Quando si sta uscendo dal lavoro un collega può percepirla come la richiesta di un passaggio in macchina. E quando si entra a casa propria, può essere semplicemente detta per attirare l'attenzione su di sè, per cercare una parola dolce e un abbraccio dalla persona amata.

Ci sono ulteriori prove che il linguaggio animale non è un semplice rendimento meccanico, ma ha le caratteristiche di quello umano. Noi possiamo esprimere lo stesso concetto usando frasi differenti: "Il ragazzo ha colpito la palla", "La palla è stata colpita dal ragazzo" e così via. Anche Washoe è stata capace di farlo. Per esempio, la volta cui si è trovata davanti a una porta chiusa, ha usato frasi differenti: "Dammi la chiave", "Apri con la chiave", "Introduci la chiave", "Per favore, apri", "Apri di più", "Aiutami ad aprire" e "Aiutami ad aprire in fretta" sono fra le tredici diverse espressioni usate da Washoe in quella situazione. Se ci trovassimo davanti alla semplice memorizzazione meccanica di una frase imparata per arrivare a un risultato, allora quella specifica frase, una volta ricompensata, verrebbe sempre riutilizzata, e mai variata. Anche le analisi fatte sulle conversazioni registrate degli scimpanzé durante la vita quotidiana fanno pensare a qualcosa di più delle semplici richieste imparate meccanicamente. A volte gli scimpanzé si sedevano e si mettevano a chiacchierare degli avvenimenti della giornata e di ciò che all'apparenza sembrava avessero in mente. Quando parlavano degli alimenti preferiti, non lo facevano per ottenere del cibo, visto che nei dintorni non c'erano esseri umani che potevano darglielo. Sembrava che facessero semplicemente dei commenti sul mangiare. Magari uno diceva:

"Mela buona", e l'altro ribatteva con le sue preferenze: "Banana buona". Capitava che poi continuassero la discussione elencando gli alimenti che non gradivano, anche se non c'era alcun tipo di cibo in vista. Poteva succedere che uno scimpanzé notasse una persona camminare accanto alla finestra con una tazza di caffè in mano, allora commentavano: "Caffè", e un altro (che trovava il caffè troppo amaro) replicava: "Caffè cattivo". Il vocabolario è molto modesto, le frasi troppo brevi, ma sembra comunque un reale tentativo di usare i segni nello stesso modo dei bambini non udenti. Dal punto di vista di uno scienziato, sebbene questi risultati appaiano impressionanti, l'uso dell'ASL come prova di linguaggio delle scimmie ha fatto sorgere dei dubbi. C'è la possibilità che l'osservatore, mentre conversa con lo scimpanzé, possa sovrastimare e leggere un eccessivo significato nella reazione dell'animale. Chi ascolta potrebbe perfino, sempre e comunque inconsciamente, controllare o guidare il comportamento per dare l'impressione che le abilità di linguaggio dell'animale siano maggiori di quanto non lo stano in realtà. Per questa ragione, alcuni studiosi hanno usato una tecnica differente, allo scopo di insegnare alle scimmie a leggere e scrivere. La prima persona a tentare di far imparare un linguaggio grafico alle scimmie è stata David Premack, che cominciò il suo lavoro all'Università della California e più tardi in Pennsylvania (Premack, D. 1976. Intelligence in Ape and Man. Erlebaum, Hilisdale,NJ) La sua prima studentessa è stata una scimpanzé di sei anni, allevata in laboratorio, di nome Sarah. Invece di parole scritte, Premack usava pezzi di plastica di colori e sagome diversi, la cui parte posteriore era metallica, in modo che potessero essere attaccati a una lavagna magnetica. Le forme erano abbastanza arbitrarie e non avevano alcuna relazione con l'oggetto che rappresentavano. Inoltre, molte parole erano astratte, come "No", "Non" o perfino "Se...allora". Sarah imparò a "leggere" queste forme come fossero parole. Attraverso la semplice procedura dell'apprendimento, le fu insegnato a scrivere la sua risposta selezionando gli oggetti e assemblandoli in modo da rispondere alle domande o per domandare varie cose. La scimpanzé ha imparato centotrenta termini, che corrispondono all'incirca allo stesso numero di segni appresi da Washoe con il metodo ASL Sarah inoltre poteva unire questi simboli per "scrivere" frasi piuttosto complesse, che comprendevano situazioni di scambio o ipotetiche. Per esemplo, poteva scrivere: "Sarah dà una mela a Mary se/allora Mary dà a Sarah un pezzo di cioccolata". Il lavoro si ampliò e fu messo sotto un controllo sperimentale magggiore da Duane Rumbaugh e Sue SavageRumbaugh, che lavoravano nel Laboratori di Biologia dei Primati di Yerkes, appena fuori Atlanta, in Georgia (Savage-Rumbaugh, S. 1986; Ape language: from conditioned response to symbol; Columbia Univeristy Press, NewYork). I due ricercatori usarono per caso una varietà di scimpanzé che in seguito risultarono essere maghi del linguaggio in confronto ad altri animali: una specie rara e in pericolo d'estinzione, la pan paniscus, talvolta conosciuta come scimpanzé pigmeo - etichetta peraltro ingannevole, visto che sono grandi almeno quanto gli scimpanzé comuni. A volte vengono chiamati anche bonobo. Il sistema di apprendimento del linguaggio era pressappoco simile a quello usato da Premack, solo che era completamente computerizzato. È stata usata una tastiera contenente da settantacinque a novanta tasti. Su ogni tasto era raffigurato un simbolo arbitrario. Quando si premeva, il tasto si accendeva e il carattere corrispondente compariva in sequenza sullo schermo, così gli scimpanzé potevano tenerne traccia mentre "scrivevano le frasi". Le prestazioni dei bonobo sono state molto impressionanti. A volte usavano i simboli non per menzionare o descrivere oggetti da richiedere ma semplicemente perché li vedevano nel momento in cui li nominavano. Usavano anche i simboli della tastiera per descrivere avvenimenti accaduti in passato, come quando un bonobo motivò la cicatrice che aveva sulla mano con la descrizione del morso della madre. Talora avevano delle richieste assai fantasiose, come chiedere a qualcuno di fare qualcosa a qualcun altro; un bonobo, per esempio, ha chiesto a un ricercatore di inseguire un suo collega, solo per guardarli mentre lo facevano. I bonobo non vivevano in un ambiente in cui si "parlava" I'ASL; i ricercatori si esprimevano in inglese, e quando si rivolgevano agli animali per insegnar loro simboli nuovi

usavano le parole. Così un suono specifico veniva associato a un segno specifico; parlavano normalmente ai bonobo anche per tutto il resto. Come i bambini crescono circondati da un particolare linguaggio parlato, questi scimpanzé svilupparono le capacità del linguaggio ricettivo e raggiunsero un'ottima comprensione dell'inglese. Le loro abilità linguistiche erano sufficienti a rispondere a comandi composti da più parole che prima non avevano mai sentito usare insieme. Per esempio, poteva essere chiesto a uno di loro di "prendere la chiave e introdurla nello sportello del frigorifero". Sebbene le scimmie capissero ogni singolo vocabolo, la frase rappresentava un concetto nuovo, nel quale non si erano mai imbattuti. Ciononostante erano in grado di reagire correttamente. L'analogia fra il modo in cui sembrava che i bonobo avessero imparato il linguaggio e quello in cui lo imparano i bambini è considerevole. Nella maggior parte dei casi, l'apprendimento avveniva semplicemente osservando parlare gli uomini e attraverso le ordinarie interazioni sociali. Un bonobo, Kanzi, da piccolo imparò come si scrive al computer una frase guardando la madre mentre le insegnavano a farlo. L'insegnamento a lei fu poi interrotto, perché era lenta nell apprendere e non sembrava particolarmente intelligente, tuttavia, una volta che la madre lasciò il laboratorio, Kanzi mostrò di avere sviluppato buone capacità, non solo nel linguaggio ricettivo ma anche in quello produttivo. Diede prova di saper usare correttamente la tastiera per ottenere il cibo, e fu chiaro anche che aveva imparato a richiedere dei servizi: guardare la televisione, giocare, far visita agi amici e così via. Il fatto forse più sorprendente è che Kanzi usava la tastiera anche per annunciare le sue intenzioni, come: "Kanzi mangia una mela dopo... poi va a dormire". Alcuni ricercatori sostenevano che Il suo livello fosse lo stesso di un bambino di tre anni. Anche se gli studi sulle capacità di linguaggio delle scimmie sono promettenti, la loro applicazione alla sfera canina è in qualche modo limitata. La ricerca ci dice che alcune forme di espressività corporea (e indicare fa parte del linguaggio del corpoi) possono essere apprese dagli animali più facilmente del linguaggio parlato. La ragione ovvia per cui l'ASL non è la strada giusta per i cani, è che non solo questi hanno un controllo vocale ridotto, ma hanno anche minori capacità di articolare i gesti. Non hanno la destrezza delle scimmie e non possono modellare un segno. Le loro zampe sono agili ma non hanno le dita, necessarie per creare le forme usate nell'ASL o in un qualsiasi altro complesso linguaggio gestuale. I cani possono imparare a dare dei colpetti alle cose, e forse ad avvicinarle o a tenerle usando le zampe, ma gli unici mezzi per maneggiare che hanno a disposizione sono la bocca e le mandibole. Tuttavia gli strumenti tecnologici a tastiera di cui oggi si fa uso nelle ricerche danno qualche speranza. Un cane può essere addestrato a premere un tasto con il naso, o persino ad appoggiare una zampa su uno specifico tasto. Se in qualche modo queste azioni fossero associate a dei simboli, forse ci sarebbe la possibilità di insegnare ai cani alcuni aspetti del linguaggio umano. A tale proposito vi voglio raccontare l'esperimento di Elisabeth Mann Borgese e Arli. Il fatto è accaduto prima degli esperimenti di Premack e Rumbaugh, e persino prima che i Gardner iniziassero a insegnare a Washoe il linguaggio dei segni. Elisabeth era la figlia più giovane di Thomas Mann, lo scrittore tedesco che nel 1929 vinse il premio Nobel per la letteratura Sua figlia era una scrittrice, un'ecologista e anche un'appassionata studiosa del comportamento animale. Nell'ottobre del 1962 diede inizio a un esperimento, durato tre anni, nel tentativo di insegnare al suo cane Arli a leggere e scrivere. La sua prova non si basava su un sistema di comunicazione arbitrario, ma sul linguaggio umano. Aveva scelto Arli perché lo considerava il più intelligente fra i suoi quattro setter inglesi, quello quindi con più facilità di apprendimento. Alla fine del test, Arli avrebbe dovuto essere in grado di scrivere sotto dettatura e battere a macchina. Il metodo di insegnamento iniziale era molto semplice. Elisabeth usava tazze di plastica, coperte da piattini anch'essi di plastica. Su ogni piattino era impresso un simbolo. Il compito del cane era decidere quale fosse il simbolo giusto, e quindi far cadere il piatto dalla tazzina. Se agiva correttamente, nella tazza scoperchiata trovava un bocconcino, la sua ricompensa. Elisabeth iniziò segnando sui piattini uno o due punti colorati di nero. Se diceva la parola "Uno", il cane doveva scegliere il piattino con un punto, mentre la frase "Uno-due" era il segnale verbale che indicava il piattino con i due punti. Il primo passo nell'insegnamento del linguaggio impiegò quattro settimane di addestramento. Per fare in modo che il cane prestasse più attenzione, la padroncina procedette insegnandogli a distinguere fra diversi simboli: il segno più da un cerchio, o un triangolo da un quadrato. Dopo avergli insegnato a discernere fra coppie di segni, passò alle scelte multiple. Adesso il cane si trovava davanti tre tazze segnate con uno, due o tre punti. La scelta "tre-punti" doveva essere effettuata quando lei pronunciava la frase "Uno-due-tre". L'ordine nel quale gli schemi venivano mostrati al cane erano sempre stravolti, in modo che l'animale dovesse veramente osservarli e

contare i punti per trovare la tazza giusta. Arli non era un genio naturale in matematica, ma dopo tre mesi di addestramento giornaliero imparò a contare fino a tre. In realtà la sua capacità di apprendimento aumentò dopo una breve interruzione dei doveri "scolastici", così impiegò solo un mese in più per imparare a contare fino a quattro, e anche a distinguere la differenza fra due parole: "Dog" e "Cat"' (Si è volutamente evitato di tradurre le parole imparate da Arli per mantenere invariato il numero di lettere di cui sono composte, e di conseguenza il numero di lettere che il cane fu effettivamente in grado di apprendere. (N.d.T.). La spiegazione di Elisabeth fu: - Questa è la maniera in cui gli animali "leggono": dici Dog e lui fa cadere il piattino con scritto "Dog"; dici "Cat" e lui fa cadere il piattino con segnato "Cat". Passata qualche altra settimana, Arli imparò a contare fino a sei e leggere le parole Dog, Cat, Arli, Bird, Ball e Bone. Aveva anche appreso a trovare il più alto fra due numeri che gli venivano mostrati, sebbene Elisabeth ammise che questo impiegò "molti giorni e settimane e ci furono centinaia di errori, frustrazioni e ricadute".

Il successivo compito assegnato ad Arli fu imparare a compitare. Elisabeth adesso usò l'immagine di una parola familiare, Dog, gli metteva davanti tre piattini, ognuno con una singola lettera D, O, e G Arli doveva far cadere i piattini nell'ordine corretto, anche se erano ordinati in sequenze diverse come, per esempio, Odg oppure Gdo Malgrado ciò, doveva scegliere prima la D, poi la O e infine la G In ultimo Elisabeth preparò un gruppo di lettere mischiate, come Dcoagt, e Arli, su comando, doveva formare le parole Dog o Cat L'addestramento non proseguiva sempre senza difficoltà. Quando Arli era stanco o trovava un compito particolarmente ostico, a volte rimaneva fermo, con un'espressione sconcertata, e aspettava di essere aiutato. Talvolta buttava giù i piattini a caso, come fa uno studente impreparato durante una prova d'esame: calcola che una risposta casuale può accidentalmente essere quella giusta, e che di certo non rispondere annulla ogni probabilità. Quando Arli diventò discretamente bravo nello scegliere le lettere segnate sui piattini, Elisabeth passò alla macchina per scrivere elettrica, con una tastiera di ventuno lettere e una barra per le spaziature. Tutto quello che il cane doveva fare era premere il naso contro il tasto giusto. La macchina non aveva un monitor, i computer non esistevano, per cui l'unica maniera che Arli aveva di controllare la sequenza delle battute era guardare le lettere quando apparivano sul foglio. Per aiutarlo, Elisabeth, molto premurosamente, mise un vetro ingrandente di fronte al carrello dei tasti, per permettere al setter di vedere meglio le lettere e le parole che componeva. Ma tutto questo risultò superfluo. Sembrava che non ci fosse modo per concentrare l'attenzione di Arli sul foglio scritto, né per fargli associare l'idea dello scrivere a macchina con la scrittura. Per quanto lo riguardava, quando aveva battuto una parola, o forse sarebbe meglio dire "mimato” una sequenza di lettere, il suo compito era terminato. La pagina manoscritta o dattiloscritta era per lui solo qualcosa di buono da masticare. Arli imparò molto velocemente a scrivere alcune parole, fra le quali: Arli, Pluto (un altro cane di Elisabeth), Dog, Cat, Bird, Car, Dome, Meat, Bone, Egg, Ball, Good, Bad, Poor, Go, Come, Eat, And, No. Gli venivano dettate foneticamente, scandendo piano ogni lettera, come Aaaa-rrr-lll-iii. Sfortunatamente, sembrava che Arli non desse alcun significato alle parole. Pareva che "scrivesse sotto dettatura" più che imparare a leggere. Dopo un certo periodo aveva appreso diciassette lettere, circa sessanta parole, poteva battere intere frasi, come ad esempio good Arli go car and sec a bad dog, senza fare errori. Elisabeth per quell'anno si sentì sufficientemente orgogliosa del suo esperimento; era talmente sicura delle capacità del cane che gli permise di battere a macchina i suoi biglietti per gli auguri di Natale. Ma Arli riusciva veramente a capire il senso di tutto quello che scriveva? Elisabeth non ne era completamente certa; ci fu però un episodio che le diede qualche speranza. Mentre era in viaggio con Arli, il cane ebbe dei problemi gastrici, che lo resero svogliato nel suo compito. Un giorno Elisabeth lo chiamò ugualmente alla macchina per scrivere. Il cane era alquanto indolente, e non pareva molto interessato quando gli fu chiesto di scrivere: "G-o-o-d d-o-g g-e-t b-o-n-e". Sembrava che non gli importasse niente, ma mentre lei lo aspettava, Arli andò verso la macchina per scrivere e premette con il naso il tasto "a". Anche se lei non aveva dettato la lettera "a", lo lasciò fare. Arli continuò a scrivere, senza alcun suggerimento e facendo gli spazi giusti: a bad a bad

doog. A questo punto Elisabeth si riempì di speranza; finalmente era stato fatto un balzo in avanti nell'apprendimento e forse era sul punto di poter comunicare con il suo cane. Non appena Arli si ristabilì, Elisabeth decise di tentare un nuovo esperimento. Lasciarlo comporre senza dettatura. Lo avrebbe lasciato scrivere tutto ciò che gli veniva in mente {o al naso). Dopo aver controllato il risultato, decise che il suo cane scriveva poesia, non prosa. Arli aveva scritto tutto su un'unica riga, ma Elisabeth, mantenendo le spaziature fatte dal cane fra le varie unità, divise le lunghe righe, per enfatizzare la qualità ritmica del testo. Inoltre completò ogni componimento poetico con un titolo. A conti fatti, l'uso da parte di Arli di parole riconoscibili nella sua opera poetica è un po' scarso. La mia poesia preferita è: Bed a ccat cad a baf bdd al dff abd ad arrli bed a ccat art ad. Elisabeth sottopose alcuni esempi del lavoro di Arli a un famoso critico di poesia moderna, senza dirgli chi in realtà fosse l'autore. Il critico rispose: - Le poesie sono incantevoli. Penso che abbia un'affinità con i gruppi brasiliani, scozzesi e tedeschi dei "concretisti". È in contatto con loro? - Continuò suggerendo che, se il lavoro fosse stato appoggiato e alimentato, alla fine Arli avrebbe potuto raggiungere la statura del poeta statunitense E. E. Cumming, - che al momento sta scrivendo poesie di questo tipo. Elisabeth avrebbe potuto alimentare il lavoro del cane, ma decise di non farlo. Come più tardi scrisse: "Ricompensando solo le parole corrette, lasciando ad Arli il compito di scegliere liberamente dal suo oramai piuttosto ampio vocabolario di parole e combinazioni di parole, avrei potuto addestrarlo a preferire termini reali invece che sequenze casuali di lettere. Dopo un po'le poesie sarebbero apparse più umane e meno concretiste. Ma mi astenni. Per il sistema nervoso di Arli la battitura spontanea è troppo faticosa. Lo agita. Ha iniziato a battere i tasti con le zampe. Ha piagnucolato e gridato. Sembra che voglia dire: 'Come faccio io a sapere cosa fare? Detta per amor del cielo detta!''' Purtroppo non sembra che le parole scritte siano il miglior mezzo per esprimere le idee da parte di un cane. Arli mi ricorda una segretaria che tempo fa stava trascrivendo alcuni miei vecchi resoconti. Un giorno, lavorava a quel testo da parecchio tempo, andai alla sua scrivania e le domandai se trovava interessante il materiale. “Non saprei dire – mi rispose – Lo sto solo battendo a macchina, non sto leggendlo e neanche cercando di capirlo”. Sembrava la stessa cosa con Arli, il setter inglese di segreteria.

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16. Parlare con l'odore Esiste un importante canale dell'espressione canina che rimarrà sempre un mistero per la maggior parte degli umani: il linguaggio degli odori. L’uomo ha nel naso all'incirca cinque milioni di recettori, e questo basso numero ci colloca, fra i mammiferi, al terzultimo posto nella scala della sensibilità olfattiva. Il cane in media ne possiede all'incirca duecentoventi milioni, per cui il suo olfatto è quarantaquattro volte più sviluppato del nostro. Inoltre, l'evoluzione ha progettato il naso del cane perché possa utilizzare al massimo la sua vasta quantità di recettori. Ha narici mobili, che lo aiutano a determinare la provenienza dell'odore. Anche i suoi schemi di fiuto sono differenti da quelli degli esseri umani. Il cane non ha bisogno di riempire i polmoni, e porta con continuità l'odore al naso con espansioni che vanno da tre a sette annusate. Il suo naso ha una struttura ossea interna che noi non possediamo. L'aria fiutata passa attraverso questo scaffale osseo, e molte molecole odorose vi si attaccano. L'area superiore non viene "lavata" quando il cane esala, e ciò permette alle particelle odorose di rimanere in loco e di accumularsi. Se un cane respira normalmente, l'aria passa attraverso il naso e va nei polmoni. Tuttavia, quando annusa, l'aria rimane nella camera nasale, così l'odore può aumentare di intensità. Significa che l'animale riesce a distinguere anche il più lieve effluvio. Quanto sia sensibile il naso dei cani lo hanno dimostrato le Forze Armate degli Stati Uniti, che si servono di essi per individuare le mine antiuomo. Negli ultimi anni il problema dello sminamento si è fatto più serio, poiché adesso molti di questi ordigni sono costruiti in plastica (a eccezione dei contatti dell'innesco), materiale che rende difficoltoso localizzarle con i metal detector. Un rapporto del 1985 del Centro Ricerche e Sviluppo delle Forze Armate affermava che per individuare mine, ordigni esplosivi ed esplosivi non esisteva alcun dispositivo meccanico o elettronico efficace quanto un cane. Oltretutto pare che la loro abilità sia rara perfino fra gli animali, visto che l'esercito americano provò a usare anche tassi, coyote, cervi, furetti, volpi rosse vari tipi di maiali (compresa una varietà di cinghiale selvatico chiamata javelina), procioni {e il loro cugino sudamericano coati), moffette, opossum e un incrocio fra il beagle e il coyote. Nessuno di essi è risultato bravo quanto il cane. Durante i test, i ricercatori dell'esercito assegnarono ai cani dei compiti incredibilmente difficili: sotterravano le mine e le lasciavano sepolte per settimane o anche mesi prima di fargliele cercare. Versavano sul terreno olio, poi gli davano fuoco per coprire l'odore, cospargevano il fondo con munizioni esplose e inesplose per confonderli. Niente sembrava in grado di sconfiggere il naso di questi animali. Alla nascita, i cani per sopravvivere si servono quasi esclusivamente dell'odorato e del contatto. È il calore della madre ad attrarli prima di tutto, e i cuccioli appena nati, ancora ciechi, usano l'olfatto per trovare i capezzoli da succhiare. Dopo pochi giorni di vita sono in grado di distinguere l'odore della madre da quello degli altri cani. Se i cuccioli sono confinati in una stanza e isolati dalla madre per un certo periodo, solo la sua presenza riesce a tranquillizzarli, anche se la cagna viene fatta entrare nella stanza in assoluto silenzio ed essi non possono vederla. Il suo profumo è l'odore della salvezza e del conforto. I cani hanno un olfatto talmente sensibile che ancora oggi riescono a sorprenderci. Tempo fa parlavo con Richard Simmons, che all'epoca era un ricercatore associato e stava lavorando a un progetto patrocinato in parte dall'Istituto Nazionale di Sanità degli Stati Uniti. Simmons mi ha raccontato la storia di una signora di New York, Marilyn Zuckerman, e del suo pastore scozzese Tricia. Tricia aveva sviluppato la fastidiosa abitudine di annusare e strofinarsi contro la parte bassa della schiena della padrona ogni volta che questa si sedeva. Il marito di Marilyn aveva notato che lì c'era un neo scuro al quale Tricia sembrava molto interessata. Era alquanto strano che un cane si appassionasse a un neo, ma siccome a Marilyn non dava alcun fastidio, lo ignorava. Poi, un giorno di primavera, mentre la donna, in costume da bagno, era sdraiata a pancia in giù sulla terrazza a prendere il sole, all'improvviso sentì i denti del cane sulla schiena. A

quanto pare Tricia aveva deciso che il neo non doveva rimanere là e cercava di toglierlo. Lo morsicò con tale forza che Marilyn lanciò un urlo di dolore e saltò in piedi. Il marito pensò che forse c'era veramente qualcosa di strano in quel neo, se infastidiva così tanto il cane. Giorni dopo Marilyn ando dal medico per una diversa ragione e, più che altro per soddisfare la curiosità del marito, si fece controllare il neo. Fu subito ricoverata al Cornell Medical Center, dove le fu diagnosticato un melanoma - una forma di tumore maligna e pericolosa, che può essere fatale se non presa in tempo. Il tempestivo avvertimento di Tricia aveva salvato la vita a Marilyn. Finito il racconto, Simmons mi disse: - È grazie a storie come questa che abbiamo iniziato a testare l'abilità diagnostica dei cani. I nostri dati preliminari indicano che essi possono individuare i melanomi e molti altri tipi di cancro molto prima che si sviluppino altri indizi della malattia. Siamo convinti che il tumore emani un odore che loro sono in grado di cogliere. A volte questi animali, se entrano in una stanza dove c'è un malato di tumore, si agitano. Potrebbe benissimo capitare che, in futuro, l'esame da parte di un cane diventi una procedura abituale nello screening per i tumori. Ora, anche se i cani hanno un odorato molto potente, non si puo dire che abbiano tutti la medesima abilità olfattiva. Pare che i maschi siano più capaci delle femmine, forse perché sono più competitivi e sensibili alle marcature odorose degli altri cani. Ci sono anche differenze dovute alla razza. I cani con il muso schiacciato, come carlini e pechinesi, non hanno l'olfatto acuto, probabilmente perché la forma del loro muso spesso crea problemi respiratori che possono influire sull'afflusso d'aria. I nasi migliori li hanno certi cani da caccia, e fra questi il bloodhound è in assoluto il campione. È stato scientificamente dimostrato che non perderebbe la traccia della selvaggina anche se la sua preda, come strategia di fuga, calzasse stivali di gomma o scappasse via in bicicletta. L'abilità olfattiva nelle varie razze è stata In parte testata nel laboratorio di John P. Scott e John L. Fuller in Bar Harbor, nel Maine (Scott, J.P., Fuller J.L. 1965. Genetics and the social behavior of the dog. University of Chicago Press, Chicago). La prova consisteva nel mettere un topo in un campo della grandezza di un acro e liberare un gruppo di cani, ogni volta di una razza diversa. Per primi furono sciolti dei beagle; cani dall'olfatto sensibile, bastò loro un minuto per trovare il piccolo roditore. Poi fu la volta dei fox terrier, che impiegarono quasi quindici minuti. Un gruppo di scottish terrier, invece, non riuscì a localizzarlo. A dire la verità, si accorsero della sua presenza, perché uno dei cani sentì il grido del topo quando casualmente lo calpestò. Credo proprio che sia questo il motivo per cui non vengono mai usati gli scottish terrier per seguire le tracce di un evaso o di un bambino che si è perso. Penso che sia corretto affermare che i cani percepiscono il mondo in modo differente dalle persone. Per loro, leggere gli odori è l'equivalente del nostro leggere un giornale. I particolari odori che i cani e altri animali emettono a scopo di comunicazione sono chiamati ferormoni, dal greco ferein, che significa "portare", e horman, che significa "eccitare". In origine si credeva che gli odori semplicemente avvisassero i maschi quando le femmine erano in calore, e che servissero per eccitarli a tal punto da seguirne le tracce e accoppiarsi. Oggi sappiamo che queste personali sostanze chimiche trasmettono molte informazioni. Vengono secreti differenti ormoni, a seconda se un animale è arrabbiato, impaurito o sicuro di sè. Alcune marcature chimiche identificano il sesso di un individuo, mentre altre danno notizie sull'età. Inviano anche ragguagli sessuali: se la femmina è nel ciclo dell'estro, se è gravida o ha una falsa gravidanza, e persino se ha partorito di recente. Se per i cani la lettura degli odori equivale a quella di un messaggio scritto, allora il corrispettivo canino dell'inchiostro è l'urina. Molti feromoni si trovano dissolti in essa. Significa che l'urina contiene una gran quantità di informazioni sul cane. Annusare un albero o un palo è un mezzo per tenersi aggiornati sugli avvenimenti L'albero diventa una grande rivista, che riporta le ultime notizie sul mondo canino Magari non si potranno leggere racconti a puntate, ma certamente si troverà la cronaca rosa e la sezione degli annunci personali. Quando i miei cani annusano indaffarati una macchia o un albero in una strada cittadina frequentata da altri loro simili, a volte mi ritrovo a fantasticare di poterli sentir leggere le notizie a voce alta. Magari l'edizione di oggi riporta: "Gigi, una giovane

femmina di barboncino nano, è appena arrivata nel quartiere e cerca compagnia. Non sono richiesti maschi castrati", oppure: "Rosco, un robusto pastore tedesco di mezza età, annuncia di essere il leader, e sta marcando l'intera città come proprio territorio. Avvisa che chiunque desideri sfidare questo proclama farà meglio ad assicurarsi che la sua polizza infortuni sia valida". La differenza più grande fra la lettura canina e quella umana è che a noi è permesso finire l'articolo, mentre molti cani riescono solamente a "leggere i titoli" prima di essere tirati via dallo strattone del guinzaglio. Molti possessori di cani, infatti, pensano che annusare dove gli altri cani hanno lasciato i loro marchi di urina sia solo un atto disgustoso e sporco. Ci sono padroni ignoranti che addirittura puniscono i loro animali quando tentano di informarsi sulle ultime novità canine. Il motivo per cui i pali e gli alberi sono posti molto popolari per urinare è perché i cani maschi preferiscono "marcare" superfici verticali. Se l'odore è al di sopra del terreno, l'aria può portarlo più lontano. Forse la ragione più importante dell'uso di superfici verticali ed elevate è che l'altezza della marcatura informa i frequentatori del quartiere sulla taglia di chi ha lasciato il marchio. Ricordatevi sempre che fra i cani le dimensioni sono un fattore rilevante nel determinare la superiorità. Poiché sembra che per i maschi la dominanza sia molto importante, questi hanno sviluppato l'abitudine di alzare la zampa quando urinano, per poter lanciare il liquido in alto. Più in alto è il marchio, più è difficile per gli altri cani marcare al di sopra di questo, e dunque oscurare il suo messaggio. Alcuni cani tentano così ostinatamente di lasciare la marcatura di urina il più in alto possibile che a volte rischiano di cadere. Ho assistito a un bizzarro quanto raro episodio. Il protagonista dell'impresa era un basenji, il piccolo cane da caccia che ancora oggi ha comportamenti molto simili a quelli dei cani selvatici africani. Il nostro basenji, un robusto maschio non castrato di nome Zeh, aveva adottato il sistema di orinazione che a volte usano i cani selvatici: prendeva di mira un albero e cominciava a correre. Quando lo raggiungeva, faceva un salto per arrampicarsi sul tronco anche con le zampe posteriori. Lo slancio era tale che riusciva a risalirlo per un metro. Poi si girava di scatto, in modo da atterrare avendo eseguito una curva perfetta. Il vero scopo del suo gesto si capiva dal fatto che realizzava il suo salto acrobatico rilasciando in continuazione urina. La scia di profumo rimaneva così molto al di sopra di quelle lasciate dagli altri cani del quartiere. Mi sono spesso domandato che cosa pensassero i suoi vicini canidi quando leggevano gli annunci di Zeh: "Hmmm, ho idea che qui intorno si aggiri un cane delle dimensioni di King Kong". Sebbene siano i maschi ad alzare la zampa per urinare, non è insolito che lo facciano anche le femmine. Sembra che abbiano questo comportamento le cagne molto sicure di sé. È più facile, infatti, che siano le femmine dominanti a urinare con la zampa alzata, mentre è meno probabile vederlo fare a quelle più insicure. Anche la condizione sessuale gioca la sua parte. Difficilmente le femmine castrate urinano con la zampa alzata, mentre quelle dominanti, perfino quando sono ormai sterili, a volte la sollevano. Pure l'ambiente ha il suo ruolo. Se nei dintorni ci sono molte femmine sessualmente attive, è più probabile che ciascuna di esse urini con la zampa alzata. In Danimarca, dove le poche femmine che vivono in città non vengono sterilizzate, è più frequente vedere una cagna alzare la zampa che non negli Stati Uniti o in Canada, dove invece la maggior parte dei cani di città è castrata. Cani e lupi spesso si servono dell'urina per marcare il territorio. Roger Peters; psicologo e studioso di lupi, ha fatto delle ricerche sulle marcature e ha scoperto che i lupi usano l'urina per delimitare il perimetro del loro territorio; in pratica, vivono all'interno di una zona recintata con l'urina. Si servono di essa anche per contrassegnare particolari sentieri. Così facendo disegnano una sorta di mappa della loro zona, che serve a due scopi: fornire ai visitatori informazioni su chi ci vive e rassicurare gli abitanti che si erano allontanati di essere tornati nel loro territorio. Sia i lupi sia i cani quando escono dalla loro giurisdizione marcano il suolo con più frequenza; c'è chi afferma che questo gesto abbia lo stesso scopo del nostro segnare gli alberi per riconoscere i sentieri: giova a ritrovare la strada di casa. Lupi e cani non usano solo l'urina, ma anche le feci per marcare il territorio e le zone importanti al suo interno. Le ghiandole anali dei canidi appongono una particolare firma sugli ammassi fecali. Identificano l'individuo che

ha lasciato gli escrementi e nello stesso tempo marcano il posto in cui sono stati depositati. I cani prestano un'attenzione particolare nel contrassegnare il terreno. Questo dà un senso a ciò che a noi umani sembra un rituale complesso e privo di significato. Cominciano con un'attenta annusata del luogo, forse per delineare una linea perfetta o un confine fra il loro territorio e quello di qualcun altro. Vanno in cerca di qualche piccola altura, come una roccia, un ramo caduto, o i rami bassi di un cespuglio, su cui lasciare le feci. Ancora una volta, sfruttano l'altezza perché l'odore abbia il massimo raggio d'azione. Per i lupi e per i cani è talmente importante marcare con depositi d'urina e di feci che spesso lasciano delle indicazioni visive e olfattive per assicurarsi che chi visita la zona si accorga della loro presenza. Molti cani maschi, e un buon numero di femmine, dopo aver tracciato i loro segni odorosi, raschiano la terra con le zampe posteriori, poiché così facendo la terra viene buttata all'indietro ricadendo proprio dove sono state depositate le feci o l'urina, alcune persone arrivano a concludere che questo gesto serve per coprire l'odore e nascondere le feci. Sono i gatti a grattare esattamente con quell'intenzione, ma non i cani. Si ipotizzò anche che si trattasse di un tentativo di disseminare il materiale fecale in giro. Se fosse così, allora generazioni e generazioni di cani avrebbero sviluppato una pessima mira, visto che solo di rado la terra smossa colpisce e copre gli escrementi. Di recente siamo arrivati a capire che raschiare la terra è un segnale visivo, che dà rilievo alla marcatura. Se nella zona ci sono altri cani, possono vedere dal suo entusiasta raschiare che uno di loro ha lasciato il marchio. Allora si avvicinano e danno un'annusata. Cosi leggono le ultime notizie e si attengono agli appropriati protocolli territoriali. Un importante fattore nelle marcature è la freschezza dell'odore. Il tempo e le condizioni atmosferiche cancellano gli effluvi, per cui bisogna che siano rinnovati di continuo. Un odore fresco informerà i visitatori sull'attuale situazione di quel pezzo di terra, e sulla frequenza con cui l'abitante lo usa. Zone in discussione, o utilizzate da più animali in momenti diversi, possono finire in uno scontro di marcature, dove ogni odore lasciato nell'area contestata viene coperto dalla nuova marcatura di ogni rivale che si imbatte nella zona. È il comportamento che possiamo osservare in alcuni quartieri di New York e di Los Angeles, dove bande di ragazzi lottano per il possesso di un determinato settore; un gruppo ne dichiara il dominio disegnando con lo spray graffiti sui muri, ma il giorno successivo le loro "marcature" vengono coperte da quelle della banda rivale in segno di sfida. Noi uomini siamo relativamente ignari dei contenuti dei messaggi lasciati dai cani tramite l'urina. Tuttavia ci sono stati casi in cui esseri umani hanno tentato di comunicare qualcosa ai cani servendosi anch'essi dell'urina. Il naturalista e autore canadese Farley Mowat, nel periodo in cui osservava i lupi in natura, voleva assicurare l'incolumità e la privacy al suo campo base. Decise così di urinare diligentemente su tutte le rocce intorno al campo per delimitare il perimetro della sua area. Quando i lupi lo scoprirono marcarono a loro volta le stesse rocce, ma sul lato opposto. Così ogni pietra da un lato segnava il territorio di Mowat e dall'altro il limite del lupi. Lo studioso riferì che, sebbene i lupi perlustrassero spesso quel confini puzzolenti, avevano chiaramente capito il messaggio, e rispettarono il suo spazio. Mi è stato riferito anche di un altro ricercatore che ha tentato di ripetere l'esperimento di Mowat ad Isle Royale, in Michigan, ma nel suo caso i lupi hanno completamente ignorato le sue marcature. Non conosco i dettagli di questo tentativo, e mi sono spesso domandato se il fallimento non fosse dovuto al fatto che magari la sua urina non aveva niente di interessante da dire, o forse il suo modo di marcare rendeva poco chiara la comunicazione. È noto che certe persone sono capaci di raccontare una barzelletta e scatenare uno scoppio di fisa, mentre altre, anche se raccontano la stessa barzelletta, nello stesso modo usando le stesse parole, non provocano nemmeno un lieve sorriso.

Sono a conoscenza di un caso in cui marcature di un essere umano sono state usate per comunicare con successo con i cani domestici. Un mio amico e collega universitario aveva un problema: la moglie aveva deciso di creare delle aiuole fiorite nel giardino di casa. Aveva così iniziato a zappare la terra e circondato le aiuole con sassi decorativi Purtroppo però il terreno appena dissodato e il profumo delle nuove piante aveva attirato un po' di cani del vicinato, i quali, appena la signora piantava i fiori, scavavano la terra e li strappavano. Il mio amico aveva letto il bellissimo libro di Mowat Never Cry Wolf, e pensò che forse poteva marcare con l'urina i sassi che circondavano le aiuole - una sorta di piccolo territorio botanico; magari i cani avrebbero desistito dal loro

intento. Una notte, strusciò furtivamente fuori di casa e urinò sui sassi di una aiuola. Ne marcò solo una perché, da scienziato, voleva fare una prova per poi confrontare i risultati. Come aveva previsto, nelle successive quarantotto ore l'aiuola non marcata fu parzialmente dissodata e calpestata dai cani, quella marcata rimase intatta. Dopo aver bevuto un intero bricco di tè, questa volta si dedicò alla marcatura di entrambe le aiuole. Siccome sapeva che gli effetti si cancellano presto, ogni due giorni rinnovò le marcature; pareva proprio che i cani del vicinato rispondessero come aveva sperato. Talvolta tornavano e urinavano sui sassi che facevano da confine, ma non entravano nelle aiuole né le scavavano. Non sempre il successo si raggiunge con facilità. Il programma di marcatura del territorio era iniziato da poche settimane, quando i1 mio amico si presentò nel mio ufficio alla ricerca di un'altra soluzione. - Con i cani funziona, ma crea altri problemi. Per essere discreto urino sulle aiuole di notte, ma questa mattina, mentre andavo In ufficio, un vicino mi ha fermato. "So cosa significa avere la casa piena di figlie che si impossessano del bagno a ogni ora del giorno e della notte", mi ha detto, "mi pare che lei abbia questo problema, ma potrebbe bussare alla mia porta, invece di... Ha capito, vero?". E quel che è peggio è che mia moglie, quando ha scoperto cosa stavo facendo, è rimasta disgustata dall'intera faccenda. "Non ti aspetterai che mi metta a sistemare le aiuole dopo che tu le hai scambiate per un gabinetto?". Allora dimmi, cosa mi consigli di fare? Gli ho suggerito di prendere un detersivo particolarmente profumato e miscelarlo con l'ammoniaca, uno degli odori caratteristici dell'urina. Il detersivo in realtà serviva solo per diversificare l'odore (e per convincere sua moglie che le aiuole erano state pulite), mentre l'ammoniaca avrebbe dato al prodotto un odore simile a un'insolita urina Gli dissi di mettere il liquido in un nebulizzatore e di spruzzarlo sul bordi delle aiuole. Lo fece, e i fiori non furono più rovinati, anche se mi chiedo spesso a che tipo di animale appartenga quell'odore secondo i cani del vicinato. Sembra che i cani manipolino e giochino consciamente con gli odori Molte volte mi sono sentito domandare dalle persone perché il loro cane, apparentemente sano di mente, si rotoli nell'immondizia e nel letame oppure in cose che comunque per noi hanno un odore disgustoso. Sono state avanzate molte ipotesi per spiegare questo comportamento. Una delle più stupide è certamente quella secondo cui sarebbe un espediente per combattere i parassiti. Gli insetti, come i pidocchi o le pulci, non si aggirerebbero mai intorno a qualcosa che ha un cattivo odore. A quanto ne so, non mi pare che questi animaletti si facciano scoraggiare dalla puzza che può emanare un cane se hanno deciso di morsicarlo. Una seconda teoria afferma che sia un mezzo per "scrivere messaggi" ai membri del branco. Un cane o un lupo si rotola in qualcosa che ha un cattivo odore ma è ancora commestibile. Poi ritorna al branco, gli altri colgono immediatamente l'odore e sanno che nei dintorni c'è qualcosa di mangiabile. Una terza teoria sostiene che il cane non cerchi di assorbire gli olezzi dalla sporcizia puzzolente, ma che in realtà tenti di coprirli con il suo. È certamente vero che cani e lupi a volte si rotolano su particolari oggetti, un bastone o una nuova cuccia, per esempio, come se cercassero di porvi sopra il loro odore. Alcuni psicologi affermano che spesso i cani si sfregano addosso alle persone per lasciare una traccia di sè e per marcare l'individuo come membro del branco, pressappoco come fanno i gatti. La spiegazione più logica dal punto di vista evoluzionistico è che si tratti di un tentativo di travestimento da parte del cane. Si ipotizza che sta un retaggio dei tempi in cui i nostri cani domestici erano ancora selvatici e dovevano cacciare per vivere. Se un'antilope avesse sentito l'odore di un cane selvatico, di uno sciacallo o di un lupo nelle vicinanze, con tutta probabilità sarebbe scappata per salvarsi. I canidi selvatici impararono così a rotolarsi negli escrementi delle antilopi, che essendo abituate all'olezzo delle proprie feci non si sarebbero insospettite né impaurite per una cosa pelosa ricoperta del loro odore. Ciò permetteva al cacciatore selvatico di arrivare vicino alla sua preda. Io ho un'altra teoria, che non ha alcun valore scientifico. I cani, come le persone, provano piacere nelle stimolazioni sensoriali e magari sono inclini a cercarle a un livello eccessivo. Penso che la vera ragione per cui si rotolano in

prodotti organici puzzolenti sia semplicemente un'espressione dello stesso bizzarro senso dell'estetica che fa indossare a noi le appariscenti e colorate camicie hawaiane. Sebbene io abbia affermato che i cani siano abilissimi nell'estrarre dagli odori una gran quantità di informazioni sociali e che gli esseri umani non sappiano fare altrettanto, ciò è molto lontano dall'essere vero. Anche gli uomini, come gli altri animali, producono feromoni, e sarebbe insolito che l'evoluzione avesse conservato questa capacità se non venisse usata in alcun modo. Sembra molto probabile che anche noi utilizziamo le informazioni date dai feromoni delle altre persone, ma spesso non abbiamo la consapevolezza che stiamo cogliendo dei segnali olfattivi. Di recente gli scienziati hanno dimostrato che gli odori giocano un importante ruolo nel comportamento sociale della gente. Molti studi sull'abilità umana di riconoscere gli odori si basano sulla tecnica della "maglietta odorosa", che funziona così: i volontari che si sottopongono all'esperimento per alcuni giorni non devono usare saponi, profumi, lozioni dopobarba o altre fragranze; si devono lavare solo con acqua corrente e in fretta, in modo che il loro odore non venga contaminato. Poi viene data loro una maglietta sterilizzata, che devono indossare per un determinato numero di ore. Dopodiché questa viene messa in un contenitore ermetico, perché l'odore si concentri, e successivamente viene consegnata ad altre persone che devono annusarla con fiutate controllate e regolari. I risultati sono alquanto interessanti. Prima di tutto noi siamo capaci di distinguere il nostro odore corporeo da quello degli altri individui; siamo inoltre in grado di identificare il sesso di un anonimo donatore di effluvi. Se chiediamo a un individuo di descrivere cosa richiama il profumo di una donna e cosa quello di un uomo, la risposta più comune è che l'uomo sa "di muschio", e la donna "di dolce". Inoltre l'odore dell'uomo viene spesso descritto come forte e magari leggermente sgradevole, mentre quello della donna è piacevole e meno intenso. Le femmine della specie umana sono più brave in questo compito. Non solo riescono a identificare il sesso di un individuo unicamente dall'odore, ma sono anche capaci di dire se è un neonato, un bambino, un adolescente o un adulto. I maschi invece non hanno l'abilità di determinare l'età, anche se alcuni sono in grado di individuare l'odore di un neonato. Persino i bambini molto piccoli sanno riconoscere l'odore del seno della madre, e quando sono appena più grandi anche quello dell'alito e del corpo materno. I genitori distinguono il profumo dei figli, e fratello e sorella riconoscono l'odore l'uno dell'altra.

Molti studi sembrano dimostrare che le persone reagiscono a certi effluvi a livello inconscio. Forse il comportamento dal quale gli esseri umani più di frequente ricavano informazioni olfattive inconsce è quello sessuale. Intorno alla zona genitale in particolare ci sono ampi grappoli di feromoni. Quando sono sessualmente eccitati, uomini e donne spesso emettono odori forti in quella regione e anche altrove. Ci sono prove evidenti che questa reazione è una componente importante del rituale sessuale umano e dell'attrazione interpersonale. Quasi il 50% delle persone che perdono il senso dell'olfatto (una condizione chiamata anosmia) nota una ragguardevole diminuzione dell’interesse sessuale, e quasi un quarto di loro riferisce difficoltà nelle prestazioni sessuali e una grande riduzione del piacere. In altre parole, gli odori legati al sesso, che generalmente noi non avvertiamo, potrebbero essere parte essenziale dei comportamenti sessuali umani. Se le cose stanno così, allora non dovrebbe sorprenderci sapere che le case produttrici di profumi sono alla ricerca di feromoni da aggiungere ai loro prodotti per renderli "più erotici". In realtà tale ricerca non è affatto una novità. Per secoli, per creare i profumi si sono estratte da vari animali le ghiandole sessuali. Il muschio è la fragranza sessuale estratta da uno specifico cervo asiatico, mentre lo zibetto deriva dalla zona genitale del gatto selvatico, e il castoreo è l'aroma che serve all'eccitazione sessuale del castoro. Questi odori vengono miscelati ai profumi perché si crede che siano eccitanti; non solo stimolerebbero la persona presa a bersaglio, ma anche chi li ha addosso, provocando il rilascio di parte dei suoi feromoni sessuali e aumentandone così l'effetto. Qui ci sono due elementi importanti da sottolineare. Non solo noi siamo molto più sensibili agli odori di quanto pensiamo, ma lo siamo anche ai feromoni di altri mammiferi. Ecco perché le industrie di profumi adesso usano anche l'alfa androstenolo, il feromone dell’attrazione sessuale dei maiali, presente anche nel nostro sudore ascellare. Questi odori giocano davvero un ruolo nell'attrazione sessuale umana? I risultati di esperimenti scientifici sono interessanti. Eccone alcuni esempi. In una stanza in cui si trovavano solo maschi è stata spruzzata una certa quantità di alfa androstenolo, normalmente non avvertito a livello conscio. Mentre la sostanza aleggiava nell'aria, ai volontari è stata mostrata

la fotografia di una donna, giudicata subito molto più attraente di un'altra, in realtà molto simile a questa, di cui avevano visto la foto quando non era ancota stato diffuso l'alfa androstenolo. Lo stesso esperimento è stato fatto con donne; quelle esposte al feromone, durate la serata avevano più voglia di socializzare con uomini (ma non con donne). Un altro studio ha persino riscontrato che un po' di questo feromone spruzzato su una domanda d'impiego influisce sulla valutazione dei candidati all'occupazione. Bisogna però stare attenti, poiché pare che le conseguenze siano diverse, a seconda se a valutare la domanda sia un uomo o una donna. Gli effetti dei feromoni sono palpabili, anche se la stimolazione olfattiva non si percepisce consapevolmente. Se le persone rispondono ai feromoni animali perfino a livello inconscio, non dovrebbe sorprenderci che i cani rispondano a quelli umani. Essi annusano spesso la zona genitale e anale degli altri cani per ricavare informazioni, come le ricavano fiutando l'urina, le feci e anche altri odori, più sessuali. Perciò a volte il cane comincia ad annusare freneticamente, e con nostro grande imbarazzo, un ospite o un amico che incontriamo per strada. Talora annusano il cavallo dei pantaloni di una persona che ha avuto un rapporto sessuale da poco. Sembrano altresì attratti dalle donne nel periodo ovulatorio o che hanno appena partorito (specialmente se stanno ancora allattando). Pare che alcune medicine modifichino l'odore umano, e che lo stesso facciano certi cibi. Se il vostro cane comincia a dare colpetti alla gonna di zia Matilde, è perché cerca di ricavare maggiori informazioni su di lei dagli interessanti feromoni che produce. Non sa che la gente lo considera un gesto di maleducazione. Gli esseri umani spesso reagiscono in modo eccessivo quando un cane comincia a esaminare il loro corpo per carpire messaggi attraverso l'odore. Vi racconto il caso di Barbara Monsky, un'attivista politica che vive a Waterbury, nel Connecticut. La signora ha fatto causa al giudice Hoxard Moraghan e al suo golden retriever Kodak per molestie sessuali. Moraghan era solito portare il suo cane alla Corte Superiore di Danbury, dove la Monsky lavorava. La signora sosteneva che il cane del giudice "aveva annusato, si era strofinato e aveva curiosato" sotto la sua gonna almeno per tre volte. Secondo lei il giudice era complice delle molestie, perché non aveva fatto niente per dissuadere il suo cane. Questa è stata la motivazione della denuncia. La causa alla fine arrivò al giudice distrettuale degli Stati Uniti Gerard Goettle, che chiuse il caso; in un'intervista rilasciata tempo dopo spiegò che "una maleducazione da parte di un cane non costituisce molestia sessuale da parte del suo padrone". L'offesa e incollerita Monsky rispose definendo la decisione del giudice "insolente quanto un cane che annusa sotto le gonne". Tuttavia, per un cane questo tipo di comportamento non è più insolente che premere il bottone di una segreteria telefonica per ascoltare se e stato lasciato qualche messaggio interessante. Il fatto che uno dei più importanti centri dei messaggi olfattivi umani sia fra le gambe, per il cane è un inconveniente da poco. Anche se, a differenza dei cani, noi non siamo capaci di ricavare una grande quantità di informazioni dagli odori, rispondiamo piuttosto bene a un messaggio olfattivo inviato da loro, possiamo distinguere con una certa precisione l'odore di un cucciolo di meno di nove settimane da tutti gli altri odori canini. Lo facciamo quasi automaticamente, e anche i bambini hanno la stessa abilità. Quando ho preso Dancer, il mio nova scotia duck tolling retriever, i figli del mio vicino sono venuti a vederlo. Tutti e tre avevano un'età compresa fra i dieci e i dodici anni. Una delle bambine lo ha sollevato, lo ha stretto fra le braccia e ha detto: - Profuma come un bambino! Gli umani non sanno cosa un cane annusi o apprenda dagli odori che lo circondano, e talvolta i cani possono descrivere ciò che fiutano Certe razze da caccia sono particolarmente brave nel farlo. La prima volta che ho incontrato cani da caccia che "raccontavano" cosa stavano fiutando, è stato quando, durante il servizio militare, sono andato a Fort Knox, nel Kentucky. La popolazione della campagna lì intorno aveva un vero amore per i cani, così, appena ho potuto, sono andato a conoscere alcuni di loro. Pareva che i cani più popolari in quella zona fossero quelli da caccia. La star del posto era un redbone di nome Hamilton, divenuto famoso per la sua straordinaria abilità nel scovare i gatti selvatici arboricoli. Mi erano già giunte notizie riguardo ai bluetick, una razza da fiuto, che mi sembravano interessanti: si suppone che entrambe le razze fossero state selezionate per "avere la musica", che significa che dovrebbero abbaiare in maniera diversa a seconda del tipo di selvaggina che fiutano. Io non ci credevo, volevo sentirlo con le

mie orecchie. Correva voce che in quel luogo fosse un pastore battista ad avere "i migliori bluetick del mondo". Egli era conosciuto come "reverendo John" o anche "fratello John". Un tardo sabato pomeriggio mi incamminai verso casa sua. Quando fui vicino all'abitazione vidi due di quei cani. Erano alti, col muso scuro, e le orecchie contornate di nero. La pelliccia era quasi completamente bianca, con una sottile fila di segni neri sul dorso, che quando vengono illuminati dal sole diretto assumono un colore viola-blu, da cui deriva il loro nome. Uno dei cani, un maschio anziano, abbaiò, poi saltellò verso di me per salutarmi; l'altro, una giovane femmina deliziosa, più riservata, rimase sotto il portico Fratello John, sentendo l'abbaio, si affacciò alla porta di casa e mi fece cenno di avvicinarmi. “Così lei vuole vedere i miei cani?” “Sì. Ho sentito che lei ha i più bei bluetick del paese. Mi hanno riferito che le parlano e le dicono cosa stanno cacciando.” Ci sedemmo sotto il portico e fratello John tirò fuori due tazze smaltate e una bottiglia che conteneva un liquido color ambra. Riempì le tazze abbondantemente, sollevò la sua e brindò "all'amore di Dio". Mentre mi raccontava dei suoi cani, rimanemmo seduti a sorseggiare quel bourbon locale. “Allevo bluetick da quasi trent'anni, perché hanno un buon naso, sono piuttosto intelligenti e amano la caccia. Ma li allevo anche perché mi sanno dire gli odori che sentono. Se un cane non canta giusto, io non lo riproduco” -. Puntò il dito verso il maschio anziano e continuò. “Quello è Zeke, il migliore del mio allevamento. Quando è sulle tracce di un coniglio, emette un suono che assomiglia ad un uggiolio-yodel. Se è sulle tracce di uno scoiattolo è più un uggiolio, se fiuta un procione allora diventa più uno Jodel. Quando sente l'odore di un orso, emette una sorta di ringhio-abbaio, ma non molto alto. Mentre se annusa la presenza di un gatto diventa un abbaio acuto, quasi uno stridulo. Quella là invece è Becky, - disse indicando la cagna che adesso era tranquillamente sdraiata al sole - Se sente l'odore di un orso, rimane ferma, ringhia ma non ne segue le tracce. Per altre creature invece uggiola, o fa lo yodel insomma, svolge il suo compito come gli altri. Se fiuta un gatto selvatico, però, abbaia in modo diverso da Zeke. C'è solamente un piccolo, lieve aumento di tono alla fine di ogni abbaio, non un vero e proprio stridulo, come fa la maggior parte dei maschi. Ma la vera musica la suonano quando fiutano un cervo. Intendo dire che in quel caso il loro suono è uguale a quello degli altri cani da caccia, come i bloodhound quando ritrovano un disperso o un criminale evaso. Ma se avvertono l'odore di un cervo non gli si avvicinano furtivamente. Cani da caccia diversi e strategie di allevamento differenti possono avere distinte parole da caccia. I redbone, per esempio, "parlano" diversamente dai bluetick, ma sembra che gli uni riconoscano le parole degli altri. Una volta ero nei dintorni di Brownsville, e Stephan stava inseguendo un grande gatto insieme con Hamilton, il suo redbone. Il suono di Hamilton quando caccia un gatto assomiglia al verso che emettono i miei cani quando inseguono un cervo, solamente più eccitato e spezzato. Zeke sentì Hamilton e corse nella direzione da cui ne arrivava il suono, producendo quell'abbaio stridulo che vuoi dire "gatto". Forse i cani usano un dialetto, o forse nella loro testa sono capaci di interpretare gli altri cani”. Mi guardò e sorrise, poi proseguì: “Potrebbe anche essere un trucco per confondere noi umani.” Fratello John non era un precursore nell'allevamento di quella razza Per secoli i cani da fiuto sono stati sistematicamente selezionati non solo per la loro abilità nel fiutare e per il loro piacere nel seguire le tracce, ma anche per i versi che emettono quando cacciano. Il suono dei latrati quando fiutano qualcosa funziona come un faro, e permette al cacciatore di sapere in ogni istante dove si trova la muta. Il numero dei cani e l'intensità del latrato informano il cacciatore umano su quanto sia forte e fresco l'odore della selvaggina. Egli utilizza le loro segnalazioni per calcolare la distanza della preda. E può esercitare un certo controllo sui movimenti della muta servendosi del corno da caccia, il cui suono ai cani sembra un particolare abbaio. Il latrato è importante anche per i cani che fanno parte della muta di caccia, come lo è per il loro padrone. C'è una limitazione sostanziale nell'abilità olfattiva dei cani, conosciuta come adattamento olfattivo. Vi trovate in una stanza, e magari sentite un debole effluvio: una scia di profumo, l'odore dei fiori, la fragranza del caffè appena fatto. Dopo pochi istanti, però, non siete più consapevoli di quell'odore, non lo recepite più. Questo fenomeno è il risultato dell'affaticamento delle cellule olfattive, che si crea quando un particolare odore è presente nel naso per un certo periodo di tempo. La stessa cosa succede ai cani da caccia.

Quando uno di essi fiuta una traccia, inizia a latrare, un suono che per gli altri cani della muta significa: "Seguitemi. Ho localizzato una preda". Se l'odore fiutato è intenso, l'adattamento olfattivo arriva dopo solo due o tre minuti, e il cane che segue le tracce perde la capacità di fiutarlo. Allora si fa silenzioso e alza la testa per respirare aria fresca, priva della traccia, per permettere ai recettori nasali di tornare di nuovo in funzione - un processo che impiega almeno dieci secondi, ma puo arrivare a un minuto, dipende dall'intensità dell'odore. Ecco perché alcuni cani da caccia corrono in gruppo. Nello stesso momento in cui fiutano e danno il segnale vocale, gli altri corrono in silenzio aspettando che il loro naso si rimetta in sesto. Svariati membri della muta seguono a turno la traccia, in modo che non ci sia neanche un attimo in cui il branco debba far riposare il naso nello stesso momento. I cani che hanno temporaneamente il naso chiuso sanno quali dei loro compagni devono seguire: quelli che latrano. Questi segnali sonori permettono alla muta di continuare a muoversi in modo coordinato, con ogni cane sempre sulla scia della preda. Così come l'abbaio o il silenzio di un cane sono sotto controllo genetico, lo stesso si può fare con il latrato. Il genetista L. F. Whitney aveva notato che mentre la maggior parte dei bloodhound latrano quando sono sulle tracce di un odore, alcuni, anche se sono casi rari, non lo fanno. Whitney è stato in grado di dimostrare che riproducendo selettivamente i cani che non latrano, poteva creare una stirpe di bloodhound che seguono le tracce in silenzio. Sebbene una schiatta di cani del genere potrebbe essere utile per arrivare furtivamente alle spalle di un evaso, in molte circostanze un cane da caccia silente è privo di utilità. Se è silenzioso il cacciatore non può sapere dov’è. Vuol dire che dovrebbe tenerlo al guinzaglio anche mentre insegue una preda. Inoltre, non latrando, non si capisce se ha fiutato l’odore e lo sta seguendo, o se sta semplicemente andandosene a zonzo per i boschi, dilettandosi ad annusare i vari profumi della natura. Il suono del latrato di un cane è un importante mezzo per comunicare ciò che sta fiutando al suo padrone umano “dal naso discutibile”.

PAGINA 251 17 Cani che parlano ai gatti. C'è una leggenda, che mi ha raccontato mia nonna Lena, sul perché i cani odiano i gatti. Probabilmente la terra d'origine di questa storia, come di molte altre, è la Lituania o la Lettonia. Adamo ed Eva erano già stati cacciati dal Giardino dell'Eden. Era un periodo magico, in cui gli animali sapevano ancora parlare. Dio aveva dato loro il dono della parola, in modo che ognuno potesse sussurrare il proprio nome ad Adamo, e questi nomi vennero a far parte del linguaggio umano. Nel tempo, tuttavia, gli animali dimenticarono come si parla. Adamo aveva grosse difficoltà, perché il mondo al di fuori del Giardino era ostile e pericoloso. Passava intere giornate a cacciare e a coltivare per poter mangiare. Non riusciva a riposare neanche la notte. Le bestie uscivano dalla foresta per cercare di sottrargli le sue misere scorte di cibo, catturare il suo bestiame, e persino minacciare lui e la sua famiglia. Dormiva pochissimo, e la sua salute e il suo spirito erano sempre più deboli. A quel tempo i cani abitavano nella foresta come animali selvatici, per vivere erano costretti a rovistare nei rifiuti e a cacciare. Quando Cane vide cosa stava succedendo ad Adamo, pensò che poteva esserci un’opportunità per entrambi. Decise dunque di andare dall’uomo per proporgli un accordo. - Io di notte farò la guardia alla tua casa, e tu potrai dormire. Ti aiuterò a cacciare e a badare al bestiame, così potrai prosperare. In cambio ti chiedo solo di lasciarmi riposare in casa tua, vicino al calore del fuoco, darmi da mangiare e prenderti cura di me anche quando diventerò talmente vecchio da non essere più in grado di lavorare tutto il giorno. Adamo guardò il cane, che scodinzolava. Sapeva che se un cane scodinzola dice la verità ed è sincero, così accettò la proposta e strinsero un patto. Il cambiamento fu molto positivo. Adesso Adamo di notte poteva dormire. Cane faceva la guardia e dava l'allarme se le bestie si avvicinavano, così insieme riuscivano ad allontanarle. Anche la caccia richiedeva meno tempo, perché Cane fiutava la selvaggina e la inseguiva, e badare alle greggi era più facile, dato che Cane svolgeva il lavoro maggiore. Come d'accordo, Adamo gli dava da mangiare, lo curava e gli aveva riservato un posto vicino al fuoco. In quel periodo, anche Gatto viveva nella foresta. Era infelice, perché in realtà era una creatura pigra; avrebbe preferito dormire tutto il giorno, ma era costretto a cacciare i topi nel fitto sottobosco, oppure a stare in agguato per ore per acchiappare gli uccelli. Gatto aveva visto la casa di Adamo e pensava che per lui fosse perfetta. I topi venivano attratti dal cibo di cui l'uomo faceva provviste, era sufficiente che uno si appostasse vicino al deposito, magari addirittura nella sua deliziosa e calda casetta, per acchiapparli. Ma la cosa che lo allettava di più era che Eva soleva buttare chicchi di grano nel cortile per attirare gli uccelli canori che amava ascoltare. Un’ottima opportunità per avere gli uccelli a portata di zampa senza dover aspettare per ore nell'erba fredda e umida. Così Gatto andò da Adamo per stipulare con lui un accordo. - Uomo, - disse Gatto, - io catturerò i topi che mangiano la gran parte del tuo cibo e sciupano quello che rimane. In cambio ti chiedo solo di darmi il calore del tuo fuoco, protezione e un po' di latte di tanto in tanto. Adamo non si fidava di Gatto, in parte perché aveva gli occhi chiusi a fessura per via dell'intensa luce del sole, e gli occhi a fessura gli ricordavano quelli del serpente, il cui malvagio comportamento aveva causato la sua cacciata dall'Eden. - E come la mettiamo con gli uccellini di Eva? - gli chiese Adamo. - Ho visto che nella foresta tu li cacci, li uccidi e li mangi - Gatto, mentendo, lo rassicurò. - Io desidero solo cacciare i topi, gli uccelli li lascerò in pace -. Mentre lo diceva l'abile e subdolo gatto muoveva la coda come aveva visto fare tante volte al cane. Non era capace di imitare alla perfezione lo scodinzolio di quell'animale per cui quando faceva oscillare la coda, il suo ondeggiamento assomigliava al movimento del serpente, ma lui sapeva che un cane quando scodinzola dice la verità e che le sue intenzioni sono sincere. Il gesto ingannò Adamo, che accettò l'accordo. Gatto aveva mentito. Non cacciava i topi ma, quando Adamo ed Eva non lo vedevano, si appostava nel cortile dove Eva buttava i chicchi ai suoi uccellini,

li catturava e li uccideva. Eva non se ne accorgeva, perché Gatto portava gli uccelli uccisi nella foresta e lì li mangiava. Un giorno di primavera Eva era in casa, Cane dormiva nel cortile e Adamo tosava le pecore in un recinto vicino alla dimora. Gatto vide un uccello canoro vicino al mucchietto di chicchi di grano e lo uccise. Ma, mentre correva a nascondersi con la preda in bocca, senti avvicinarsi Eva. Allora lasciò cadere il corpo ancora caldo dell'uccellino vicino al cane addormentato, si allontanò di qualche metro e finse di dormire anche lui. Eva vide il corpo sanguinante, e andò su tutte le furie. - Gatto, hai fatto tu questo? - No, è stato Cane, - disse. Poi mosse sinuosamente la coda, come è tipico dei gatti, così riuscì a ingannare Eva, che lo credette sincero. Eva afferrò la scopa e cominciò a picchiare Cane e a insultarlo. Gli disse che per quella sera non avrebbe avuto la sua razione di cibo e l'avrebbe legato fuori, al freddo, per punizione. Adamo senti quella gran confusione e tornò di corsa per vedere cosa fosse successo. Quando Eva gli raccontò l'accaduto, si girò verso Cane e gli chiese se era vero. - Stavo dormendo e mi sono svegliato quando Eva ha cominciato a picchiarmi. Non ho ucciso l'uccellino, ma spesso ho visto Gatto appostato dove gli uccelli mangiano. Cane scodinzolò. Il suo era uno scodinzolio basso ed esitante, ma Adamo era convinto che dicesse la verità. Tuttavia, quando fece la stessa domanda al gatto, questi ripeté le sue bugie muovendo la coda. - Sembrate sinceri entrambi, almeno per quanto posso vedere dalle vostre code, ma uno di voi due deve per forza aver mentito. - Le bugie del gatto si vedono perfino nella sua coda, - disse Cane. - Osserva lo scodinzolio di un cane. Noi teniamo la coda dritta, come la strada fra la verità e il Paradiso. La nostra coda ondeggia come l'erba e le canne quando vengono spinte dal vento di Dio. Invece quando Gatto la muove, la sua coda si incurva e dondola rispecchiando l'immagine del serpente che gli ha insegnato a mentire. Adamo guardò e capì. - Ho frainteso quello che ho visto. Quando un cane scodinzola, vuoi dire che è sincero e leale, ma quando un gatto muove la coda, significa che ha intenzioni cattive e che vuole ingannare. Cane, ogniqualvolta vedrai un gatto muovere la coda, saprai che sta progettando qualcosa di malvagio, per cui hai il mio permesso di punirlo. Gatto protestò, mentendo ancora una volta. - Io ho detto la verità, ma da allora è diventata un'abitudine per lui muovere la coda quando mente. E ogni volta che la sua coda si muoveva, immediatamente il cane correva verso il gatto e lo inseguiva fino sugli alberi. Ecco perché i cani inseguono sempre i gatti. Osservano se la coda oscilla e allora sanno che il gatto non sta facendo nulla di buono. Questa leggenda mi affascina perché ha un fondo di verità importante - non su Adamo ed Eva, ma sui cani e sui gatti. I cani parlano il cagnesco, i gatti parlano il gattesco, e molto frequentemente lo stesso segnale può significare esattamente l'opposto nei due linguaggi. Adesso che ho cominciato a saperne di più sul linguaggio degli animali, ho la sensazione che forse gran parte dell'ostilità e delle diffidenze tra cani e gatti è dovuta all'errata interpretazione del linguaggio di ognuno di loro. La natura dei felini selvatici e dei canidi dovrebbe prevedere linguaggi differenti per le due specie. I canidi vivono all'interno del branco e come abbiamo imparato, si servono della comunicazione per definire i ranghi sociali, per trasmettere informazioni, coordinare attività e minimizzare i conflitti fra i vari membri. Al contrario, a eccezione del leone, i felini in natura sono di base cacciatori solitari. Le interazioni con altri membri della loro specie avvengono per conflitti territoriali, al momento dell'accoppiamento e della crescita dei cuccioli. Cani e gatti domestici spesso sono costretti a una stretta vicinanza, a volte devono condividere la stessa casa, e certamente devono ripartirsi un medesimo quartiere. Hanno allora una forma comune di linguaggio? Cercano di comunicare tra di loro? Che problemi sorgono se un cane prova a interpretare il gattesco e il gatto il cagnesco? Prima di confrontare i segnali dei gatti e dei cani, è bene apprendere qualcosa sul comportamento di questi felini. Come abbiamo visto in precedenza, per molti aspetti il branco canino assomiglia all'organizzazione della società umana, con un sistema abbastanza lineare. diviso in gerarchie verticali, dal più alto al più basso. Ciò mantiene intatta la struttura del branco; quando il cane Alfa è assente, il numero due interviene prendendo il suo posto, e viene accettato come leader dagli altri membri del gruppo. Se i gatti sono costretti a vivere insieme, anche loro hanno una struttura di gruppo con una gerarchia di dominanza. Tuttavia interagiscono molto meno di quanto facciano i cani. Non si può dire che siano sociali o antisociali, ma

non hanno sviluppato un ampio concetto di organizzazione. Il gatto dominante agisce come fosse su un piedistallo. Questo "re" felino di solito viene lasciato abbastanza solo, e gli unici poteri che ha sono di scegliere il luogo dove dormire e di mangiare per primo.Se un gatto vuole sfidare il maschio Alfa, il loro scontro non si risolve alla svelta e lascia degli strascichi, e il rapporto fra i due di solito rimane teso. I gatti subordinati creano un sistema gerarchico libero, non lineare. Cosi, Tabby, in rapporto a Felix, può essere dominante, e Felix può essere dominante su Misty, e Misty su Tabby. Sembra che ogni gatto abbia bisogno di sfidare ognuno degli altri per guadagnarsi un posto in graduatoria. Quelli di rango inferiore non agiscono come i cani di rango inferiore. Al contrario, sembra che provino ostilità, stiano sulla difensiva e vogliano perfino fuggire davanti al dominante. Invece di mostrare sottomissione o fare gesti di pacificazione, il gatto inferiore spesso ignora l'esistenza dell'animale di grado più elevato come se all'improvviso fosse diventato cieco e sordo verso il mondo esterno. Per i cani, il territorio appartiene al branco. Sebbene ogni cane possa avere preferenza per un determinato luogo, un membro dello stesso gruppo o famiglia può occuparlo senza che nasca un conflitto. Per quanto riguarda i gatti, ogni individuo esprime il proprio rango dall'ampiezza del territorio che possiede personalmente e che intende difendere. Poiché possono anche usare spazi verticali, capita di frequente che il gatto al vertice non solo conquisti un vasto pezzo di territorio, ma riesca anche a impossessarsi del più alto, e migliore, posto d’osservazione, magari il ripiano del frigorifero o lo scaffale di una libreria. Lo spazio in verticale spesso finisce per essere la chiave per la pace, quando cani e gatti sono costretti a dividerselo. Visto che i cani non possono arrampicarsi, i gatti che risiedono nella stessa casa possono occupare le zone sopraelevate e sentire che la loro dominanza territoriale è abbastanza indiscussa. Quando tentano di comunicare, i gatti usano i suoni, le espressioni facciali, la postura e i movimenti del corpo e della coda, proprio come i cani. Alcuni segnali sono simili a quelli canini, ma molti differiscono. I gatti fanno le fusa, miagolano, sibilano, soffiano, ringhiano, urlano, stridono, vibrano e cinguettano. E i cani sono in grado di capire solo alcuni di questi suoni. La quintessenza del verso del gatto è costituita dalle fusa. Il ronzio che definiamo così ha un evidente scopo comunicativo, visto che i gatti le fanno solamente in presenza di cose animate, propri simili persone e altri animali da compagnia. Fanno tutti le fusa con la stessa frequenza, che è di venticinque cicli al secondo, indipendentemente dal sesso, dall'età o dalla razza. L'intensità e la costanza del suono possono variare a seconda della situazione. Come faccia questo felino a fare le fusa è ancora un mistero. Una teoria popolare dice che la vibrazione è provocata da un gruppo di "corde vocali false", che si trovano vicino a quelle vere. Altre teorie affermano che sono provocate da contrazioni dei muscoli della laringe e del diaframma. C'è perfino una tesi secondo cui nel flusso sanguigno inizia una turbolenza che stimola la vibrazione della colonna d’aria nella trachea, e finisce con vibrazioni sonore nelle cavità nasali. In conclusione, la verità è che non abbiamo la minima idea di cosa le produca. Sappiamo però che i gatti iniziano a fare le fusa molto presto. I micini le fanno mentre vengono allattati. Si dice che madre e micini le utilizzino come segnale di mutua rassicurazione. Le mamme gatte spesso le fanno al loro ritorno alla tana, per informare la nidiata che è tornata e che tutto va bene. I gattini, invece, quando cercano di invogliare i fratellini a giocare. Sembra che le fusa siano un segnale generale di salute e di contentezza. Tuttavia i gatti possono farle anche se sono terrorizzati o soffrono per un forte dolore: infatti sono un segnale talmente positivo che sentirne il suono li rassicura, come fa un bambino pauroso il quale, se deve attraversare un cimitero in una notte senza luna, lo fa fischiettando. L'allegro rumore familiare che emette lo incoraggia e lo rassicura che ogni cosa andrà per il meglio. Sebbene gli altri gatti possano rispondere alle fusa, e gli esseri umani amino questo suono di contentezza, sembra che i cani le ignorino completamente. Lo posso testimoniare, perché ho voluto fare un esperimento "casalingo": in una stanza dove si trovavano quattro cani ho messo in funzione un registratore con una cassetta in cui erano incise le fusa di un gatto. Quando cominciarono a diffondersi nella stanza, i cani riposavano, ma non dormivano. Uno di essi voltò per un momento le orecchie, mentre un altro si mosse leggermente e girò appena la testa in direzione del suono ma, a parte ciò, non ci furono altre reazioni. Gli animali non lo trovavano abbastanza

interessante, o importante, da giustificare la fatica di alzarsi e andare a investigare o perfino quella di cambiare posizione. Un altro suono esclusivo del gatto è il miagolio, emesso con la bocca aperta che si chiude sull'ultima lettera: "ooo". Produce un rumore che agli esseri umani sembra una parola distinta. Ci sono parecchie variazioni nel tono, nell'intensità e nella durata del miagolio. Esiste perfino quello silenzioso: il gatto fa con la bocca i movimenti a esso legati, ma non si percepisce niente. Per la verità, l'analisi della registrazione di un miagolio silente ha dimostrato che il suono c'è. Ma solo la grande finezza uditiva del gatto è in grado di sentirlo, ha un tono troppo alto perché l'orecchio umano possa avvertirlo. Pare che il miagolio sia una richiesta. Il gatto lo usa quando ha fame e vuole che gli si dia da mangiare, quando è convinto di trovarsi dal lato sbagliato della porta, e vuole che gli venga aperta, oppure quando desidera un po' di attenzione. La cosa interessante è che sembra sia riservato esclusivamente a noi. I micini molto piccoli occasionalmente miagolano alla madre, ma appena diventano più grandi, non rivolgono questo caratteristico suono ai loro simili, ai cani o ad altri animali. I cani capiscono che quel verso non è rivolto a loro, ed è raro che si sentano stimolati ad andare verso un gatto miagolante. Gli unici suoni che cani e gatti hanno in comune sono il ringhio e il grugnito. Entrambi sono rimbombanti, ma in più nel grugnito le labbra si arricciano per mostrare i denti. Ambedue le specie lo utilizzano per aumentare la distanza con l'individuo al quale è indirizzato. È un segnale aggressivo, con una lieve sfumatura di paura (il ringhio fra i due è quello che incute più timore). Di solito un cane che si avvicina a un gatto risponde al suo grugnito bloccandosi, e i gatti reagiscono a un grugnito canino scappando via, se possono. Infatti, nella stanza piena di cani che al suono delle fusa non hanno reagito, quando ho fatto ascoltare la registrazione di un gatto che ringhia la reazione c'è stata. Tutti e quattro i cani si sono alzati, e due di essi hanno cominciato a girare intorno, emettendo ringhi a bassa tonalità. L'espressione facciale dei gatti è simile a quella dei cani. Per entrambi, fissare a occhi spalancati è una minaccia; battere le palpebre è un segnale rassicurante che interrompe lo sguardo fisso minaccioso. In un cane gli occhi con le palpebre semichiuse significano contentezza e rilassatezza, in un gatto fiducia e rilassatezza. Dunque, i significati dei segnali degli occhi sono abbastanza simili; in questo caso allora sono poche le probabilità che si verifichino incomprensioni fra le due specie. Pure i segnali inviati con le orecchie sono in qualche modo simili sia nei cani sia nei gatti, come si può osservare nell'illustrazione 17-1. Anche un gatto felice e rilassato ha le orecchie alte posizionate in avanti. Invece un gatto calmo, attento, le tiene alte, ma leggermente piegate in fuori in direzione della circostanza che ha suscitato il suo interesse. Sempre come il cane, un gatto impaurito tende ad appiattire le orecchie verso il basso e contro la testa, sebbene a volte le appiattisca in fuori, tanto da ricordare le ali di un aereo. Per quanto riguarda l'aggressività, i messaggi inviati con le orecchie sono diversi nelle due specie. Come abbiamo visto in precedenza, un cane dominante aggressivo tiene le orecchie erette e in avanti. Appena prima di attaccare, può inclinarle lievemente in fuori, di lato, facendo allargare la V di cui le orecchie dritte hanno la forma. Nei gatti questo movimento è più pronunciato: le orecchie si girano, tanto che la superficie interna viene spinta lateralmente in basso e, se si guarda l'animale di fronte, è visibile la parte posteriore delle orecchie. In alcuni fra i grandi felini selvatici il dorso delle loro scure orecchie è marcato con zone di pelo chiaro, in modo che il segnale di aggressività dato dalla rotazione sia più evidente. Altri gatti selvatici, invece, in cima alle orecchie hanno ciuffi di pelo, così il movimento è distinguibile anche a distanza. Quando si arriva alla coda, proprio come nella leggenda che mi nar rava mia nonna, le probabilità di incomprensione fra gatti e cani diventano molto maggiori. Sebbene entrambi la muovano, il significato del suo movimento è opposto. Nei cani, lo scodinzolio ampio si potrebbe definire il segnale che invita a ridurre le distanze, con il quale l'animale esorta amichevolmente un individuo ad avvicinarsi. Nei gatti, invece, spinge ad aumentare la distanza, avvisa l'osservatore di andarsene e indica tensione e conflitto emotivo. I gatti spesso cominciano a muovere a scatti la punta della coda avanti e indietro, prima di piombare addosso al bersaglio o graffiarlo. L'esteso moto oscillatorio - che quando aumenta di velocità e la coda si inarca può arrivare a dar colpi al pavimento - in un gatto è un chiaro segno di aggressività. Se non sono visibili altri cenni ostili, un

cane può equivocare e avvicinarsi al gatto "scodinzolante" in maniera pacifica, ma si troverà davanti solamente artigli e denti. Allora non deve sorprenderci che il cane consideri il gatto un bugiardo, e che, quando lo incontrerà un'altra volta, non lo riterrà degno di fiducia. Anche le posizioni più statiche possono ingannare. Cani e gatti riescono a piegare la coda in modo da tenerla molto vicina al corpo e abbassarsi tanto da sembrare più piccoli per segnalare intensa paura e sottomissione. Per altre posizioni della coda i significati in gattesco e in cagnesco cominciano a divergere. I cani che mostrano un discreto livello di sottomissione e accettazione dell'inferiorità di rango, fanno cadere la coda in giù, dritta, appoggiata al sedere, quasi immobile. Anche i gatti assumono un atteggiamento analogo, nel quale la coda sta in giù e forma una sorta di L invertita, come possiamo osservare nell’illustrazione 17-2. Nei gatti la coda che pende in verticale non è un gesto di sottomissione, ma piuttosto un segnale inviato da un animale che assume il ruolo di aggressore. L'ostilità di questo gesto diventa anche maggiore se accompagnata da un leggero inarcamento del dorso. Così, un cane che vede un gatto con la coda che pende in giù, che in cagnesco indica totale assenza di minaccia, sarà certamente impreparato a un assalto da parte del felino. Al contrario, il gatto può interpretare male lo stesso segnale in un cane e pensare che sia l’inizio di un attacco. Nei cani la coda tenuta dritta in su, o curvata sulla schiena, è un segno di dominanza e un'asserzione di autorità. Nei gatti è uno dei segnali più amichevoli che la specie può offrire. La coda alta, con forse una lieve incurvatura sul dorso, permette a un altro gatto di indagare la ben esposta area al di sotto della coda. I gatti, proprio come i cani, intorno alla regione anale hanno le ghiandole che producono feromoni, utili per essere riconosciuti da chiunque sia in grado di catturare quell'odore familiare. Per loro alzare la coda è come per noi mostrare il passaporto o la patente perché si possa verificare la nostra identità. Un cane che vede un gatto con la coda curvata verso l'alto può facilmente travisare questo segnale gattesco di amicizia e prenderlo per un tentativo di esprimere dominanza. Nello stesso tempo il gatto si sente tradito quando la sua offerta pacifica viene accolta con sospetto e minaccia. Nei gatti la posizione verticale della coda ha anche un altro significato. L'animale impaurito rizza il pelo, inarca la schiena, gonfia la coda e la tiene eretta e verticale, a indicare timore della situazione in cui si trova. Nei cani, la piloerezione (termine tecnico con cui si definisce il rizzarsi e il rigonfiarsi del pelo) serve per farlo sembrare più grande e denota un alto livello di aggressività. Come abbiamo già visto, quando un cane avvisa che potrebbe attaccare, solitamente alza il pelo sulle spalle, e magari la cresta arriva fino a metà dorso. Anche la coda si solleva in verticale assumendo la posizione di dominanza. Se un gatto vede questo atteggiamento, può equivocare, perché nel linguaggio gattesco la stessa postura indica terrore. Allora, siccome il cane non indietreggia, il gatto può veramente dare il via a un attacco. Pure il cane può fraintendere. Se legge quel segnale nel linguaggio cagnesco, il pelo rizzato e la coda alta mostrano che il gatto non ha intenzione di indietreggiare e che vuole uno scontro. Perfino l'espressione corporea è diversa. Prendiamo ad esempio il linguaggio di sottomissione del cane. Un gatto impaurito, come un cane impaurito, si abbassa per apparire più piccolo e segnalare di non essere una minaccia. Un cane terrorizzato va oltre: si gira sul dorso per esporre la pancia non protetta. È l'estremo segnale di sottomissione. Un gatto, invece, quando fa lo stesso non è per sottomissione o paura, ma piuttosto per difendersi, oppure perché sta tentando di ammazzare una preda. Una posizione che diventa di attacco se il felino mette in evidenza tutte le unghie. Un gatto che caccia un animale di grandi o medie dimensioni, come un uccello o un topo, di solito gli piomba addosso, poi si gira rapidamente sul dorso. Dopodiché lotta con la preda stringendola con le zampe anteriori e morsicandola. Nel frattempo, infila le zampe posteriori nella pancia dell'animale e con le unghie sfoderate gli dà forti calci. Questo movimento può squarciare o comunque danneggiare seriamente gli organi vitali della vittima o dell'aggressore. Le possibilità di fraintendimento fra cani e gatti sono evidenti. Un gatto arrabbiato si gira sul dorso, ma nel linguaggio cagnesco questo indica che il micio vuole interrompere la lotta e cerca la pace. Allora il cane gli si avvicina per dargli l'annusata di rito, che per lui significa accettare la sua offerta di armistizio, ma in realtà si ritroverà il muso graffiato da quattro serie di unghie scintillanti. Ci sono

anche segnali più sottili che possono essere equivocati. Vi rammento che i cani alzano una zampa quando sono sotto pressione, hanno una paura moderata, o quando cercano di attirare l'attenzione di qualcuno che considerano dominante. Ricordatevi che questi segnali sono ritualizzati, visto che si tratta del primo movimento necessario se l'animale sta per girarsi sul dorso in segno di sottomissione. Anche nel gatto lo stesso atteggiamento precede il rotolamento sul dorso, ma in questo caso l'animale si sta preparando a un'aggressione. Se non si sente particolarmente minacciato, alza una zampa e gesticola piano in direzione della minaccia o del fastidio. Se un cane interpreta male questo gesto, si avvicina provocando una reazione violenta, ed è facile che venga graffiato. In un ultimo caso, cani e gatti hanno grandi probabilità di fraintendersi, e questo ha a che fare con il contatto diretto del corpo. Abbiamo già visto che spesso i cani urtano un loro simile o una persona, gli si piazzano davanti o vi si appoggiano con tutto il loro peso, in segno di dominanza. Invece per un gatto strofinarsi contro qualcosa o qualcuno con la spalla, il petto o la testa, o appoggiarsi pesantemente con le anche, è un mezzo per lasciare il proprio odore sull'oggetto o sull’individuo. Il miscuglio di fragranze aiuta a distinguere un familiare da uno sconosciuto, un amico da un estraneo; quindi nel gatto fa parte del rituale dell'accoglienza amichevole. Se si comporta così con un cane, è facile che quest'ultimo fraintenda il saluto gattesco e consideri il contatto un tentativo di mostrare dominanza. È evidente che le probabilità che cani e gatti travisino i reciproci segnali sono davvero molte. Si è indotti a supporre che la maggior parte delle avversioni fra le due specie sia dovuta semplicemente al fatto che nel linguaggio gattesco e in quello cagnesco gli stessi segnali hanno significati opposti. Un animale che viene ferito, spaventato, o che comunque si è sentito in imbarazzo perché ha male interpretato un messaggio inviato da un'altra razza, probabilmente non affronterà con fiducia il successivo ritrovo con un altro esemplare di quella specie. Impostare un incontro con un senso di ostilità può risolversi in uno di quei classici scontri fra cani e gatti cui tutti abbiamo assistito. È però possibile per entrambi diventare "bilingue". Nello stesso modo in cui i cani, e i gatti a un livello più limitato, possono imparare alcuni aspetti del linguaggio umano, se vivono sotto lo stesso tetto possono apprendere a leggere i reciproci segnali. Sembra che un cagnolino e un micino cresciuti insieme abbiano meno problemi, perché le loro incomprensioni sono state risolte quando erano entrambi cuccioli. Come abbiamo visto in precedenza, un cagnolino che ficca il muso nel ventre di un gattino girato a pancia in su impara quali sono le conseguenze. Tuttavia, a quell'età, unghie e denti ancora piccoli creano solo lievi danni, ma molte opportunità per imparare. Se invece il cane e il gatto sono già adulti, la convivenza è più difficile, soprattutto se il cane ha già vissuto insieme a suoi simili, e il felino ha socializzato molto con altri gatti; animali che hanno avuto esperienze di questo tipo, hanno sviluppato forti aspettative riguardo ai comportamenti verso cui i loro segnali cagneschi o gatteschi dovrebbero portare. Probabilmente la cosa migliore è lasciare che risolvano tra loro le incomprensioni. Quando si pagano le conseguenze di un fraintendimento, di solito si impara più velocemente, anche se nei primi tempi di una convivenza bisogna tenere gli animali sotto controllo. Se le cose sfuggono di mano, e il livello di aggressività cresce a un punto tale che uno dei due subisce danni fisici, allora è meglio intervenire. Se il cane e il gatto si stanno azzuffando, non tentiamo di fare da interpreti o da arbitri. Tutto quello che guadagneremmo sarebbero dei bei graffi da parte del gatto e dei simpatici morsi da parte del cane. La cosa migliore da fare è distrarre i due combattenti. Facciamolo tenendoci a grande distanza da loro, spruzzandogli addosso delI'acqua, magari con un nebulizzatore, o svuotandogli addosso un bicchiere. Un'altra strategia è lanciare sopra i duellanti un grande asciugamano o un cappotto. Appena interrompono la lotta, prendiamo uno dei due animali (preferibilmente quello che sembra il perdente). Quando si sono calmati entrambi, e possono impiegare anche più di un'ora, lasciamo che tornino a condividere lo stesso spazio. Le lezioni di linguaggio potrebbero continuare per qualche tempo, ma dovrebbero raggiungere una certa armonia abbastanza in fretta. I segnali che fanno capire che gli animali si stanno abituando alla reciproca presenza sono legati alla scelta del luogo per dormire. Finché non avranno familiarizzato, cercheranno luoghi separati, stanze diverse dove poter nascondersi l'uno dall'altro. Quando comincia a nascere una mutua fiducia,

iniziano a dormire nella stessa stanza. Il segnale di massima confidenza, e un buon indizio che hanno raggiunto un accordo permanente, si avrà quando dormiranno vicini, schiena contro schiena. Nessuno gira le spalle a qualcuno di cui non si fida. I cani e i gatti che si accettano come parte di uno stesso branco o gruppo familiare, alla fine arrivano a una forma ordinaria di comunicazione affettuosa: si puliscono vicendevolmente. A casa mia, la mattina, molto spesso, quando suona la sveglia, il gatto rosso Loki salta giù dalla poltrona su cui dorme, vicino alla finestra. Se nella stanza entra un raggio di sole si sdraia accanto alla porta che dà sul giardino, al calduccio. Nello stesso momento, il retriever a pelo corto, Odin, si alza dal suo cuscino di fianco al nostro letto. Il mio grande cane nero si stira, sbadiglia, poi va dal gatto e comincia a leccargli il muso e il corpo, pulendolo come una madre farebbe con i suoi cuccioli. Finito il suo compito, si sdraia vicino a Loki, il quale, coscienziosamente, gli lava le orecchie e il muso con la lingua. Odin e Coke vivono insieme da quando il cane aveva nove settimane e il gatto otto. Essendo cresciuti assieme, hanno risolto le loro incomprensioni di linguaggio, per cui Odin sa un po' di gattesco e Loki conosce quel tanto di cagnesco che serve a cavarsela. Se la leggenda di mia nonna ha un fondo di verità, sono certo che il mio cane di tanto in tanto controlla ancora la coda del gatto per vedere se mente.

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18. Dialetti cagneschi Molti aspetti del linguaggio sono universali in tutti gli animali, o quantomeno nei mammiferi. Tuttavia, quello che abbiamo imparato sulle differenze nella comunicazione tra gatti e cani dovrebbe averci chiarito che non tutti gli animali usano gli stessi segnali con il medesimo significato. Se limitiamo le nostre riflessioni al linguaggio dei cani, troveremo differenze sistematiche tra gruppi di essi, che si potrebbero definire "dialetti". Il cane domestico moderno differisce dai conidi selvatici, come i lupi, per molti aspetti. Il più importante fra questi implica la neotenia, termine tecnico con cui si indica che determinate caratteristiche e certi comportamenti giovanili si mantengono nell'animale adulto. Vuol dire che un cane adulto domestico somiglia più a un cucciolo di lupo che non a un lupo adulto: ha il muso più corto, la testa più larga e rotonda, i denti alquanto piccoli, e magari le orecchie pendenti. Anche dal punto di vista comportamentale i cani, con il loro desiderio di giocare che dura tutta la vita, assomigliano più ai cuccioli dei canidi selvatici. Abbaiare non è un comportamento dei lupi adulti, ma una caratteristica del lupo cucciolo e, ovviamente, dei cani domestici. In realtà i nostri animali sono i Peter Pan del mondo canino. Sembra che l'addomesticamento e la neotenia procedano mano nella mano. Agli albori del contatto tra uomo e cane, prima che gli umani tentassero attivamente di allevare i cani come animali da compagnia e da lavoro, pare che questi avessero iniziato ad addomesticare se stessi. Il principio evolutivo della "sopravvivenza del più idoneo" funziona indipendentemente dall'ambiente in cui viene applicato. I cani "più idonei", nel caso di quei primi spazzini opportunisti, erano i più affettuosi e i meno minacciosi, visto che avevano il permesso di avvicinarsi agli insediamenti umani e quindi di arrivare alle fonti di cibo, come rifiuti e resti. Questa "pressione evolutiva" dell'essere amichevoli divenne maggiore quando gli uomini cercarono di addomesticare i cani controllandone la riproduzione. Un canide cattivo con le persone o che si impauriva con facilità, non era ovviamente adatto a vivere nei villaggi. Le creature asociali venivano allontanate o semplicemente uccise. Quelle con un buon carattere verso le persone erano più facili da addestrare e dunque più utili Erano i canidi che venivano presi e nutriti, e destinati a diventare i genitori delle successive generazioni. Tuttavia questo sistema aveva alcuni effetti collaterali imprevisti.

Alla fine degli anni Cinquanta, il genetista russo Dmitry K. Belyaev intraprese un progetto che si è sviluppato in circa quarant'anni'(Trut, L.N., Early canid domestication: the farm-fox experiment, in “American Scientist”, 87, pp. 16o-169). Lo scienziato teorizzava che quasi tutte le differenze fisiche e comportamentali fra cani domestici e canidi selvatici non erano volute ma sono capitate selezionando gli animali per l'affettuosità verso gli umani o per la docilità. Gli studi sperimentali sul processo evolutivo sono difficili da preparare e da condurre. Belyaev, però, che lavorava al Dipartimento Siberiano dell'Accademia Russa di Scienze a Novosibirsk, decise di tentare di portare indietro le lancette del tempo al momento in cui gli uomini iniziarono ad addomesticare i cani. Lo scienziato quindi voleva "ripetere il processo" e studiare attentamente cosa era accaduto durante la creazione del cane. Quando arrivò al punto di scegliere quale canide selvatico utilizzare come suo "protocane", decise di non usare i lupi. La sua è stata una risoluzione scientifica molto ponderata, poiché i ceppi di lupi selvatici non sono più "puri". È risaputo che i cani domestici si sono spesso accoppiati con i lupi selvatici, e usarli avrebbe reso più difficoltosa ogni interpretazione. Al loro posto preferì una specie di canide molto vicina ai cani, ma che spontaneamente non si riproduce con loro, e che non era mai stata addomesticata: la volpe argentata russa (vulpes vulpes). L'esperimento era molto semplice, ma implicava una gran quantità di lavoro e di pazienza. Cominciando con centotrenta volpi selvatiche Belyaev stabilì un programma sistematico di allevamento. Ogni nuova cucciolata di volpi veniva saggiata per l'indole amichevole verso l'uomo. Le prime generazioni, per essere selezionate per i successivi accoppiamenti dovevano mostrare il desiderio di farsi nutrire direttemente dalla mano dell'uomo e di essere accarezzate da lui. Questo dato fu riscontrato solo nel 5% circa dei primi esemplari. Andando avanti nel programma, Belyaev e i suoi collaboratori divennero molto più esigenti. Per essere scelte come procreatrici della sesta generazione le volpi dovevano anche cercare il contatto umano, avvicinarsi scodinzolando, e attirare l'attenzione umana uggiolando. In ogni successivo ceppo, venivano scelte solo quelle più affettuose e docili. Di conseguenza le nuove generazioni diventavano sempre più simili ai cani domestici. Gli

animali selezionati per affettuosità si accostavano alle persone, le leccavano e le annusavano per tentare di ottenere una reazione affettuosa ed essere coccolate.

Ormai erano arrivati alla trentacinquesima generazione, e nei quaranta anni in cui si era svolto l'esperimento erano nate quarantacinquemila volpi. A quel punto gli scienziati si resero conto che c'era un esubero di "volpi addomesticate". Nello stesso tempo, al loro programma furono tagliati i fondi, a causa dei gravi problemi economici della Russia. La soluzione a entrambi i problemi fu vendere le volpi in eccesso come animali da compagnia e usare gli introiti per andare avanti nel progetto. Gli studiosi seguirono i progressi di alcune di esse per vedere come agivano nelle loro nuove case, scoprirono che quelle che erano state adottate dalla tipica famiglia, si comportavano bene. I proprietari le descrivevano come animali da compagnia "di buon temperamento" e piacevoli. Si affezionavano alle persone, anche se si mostravano più indipendenti e simili ai gatti della maggior parte dei cani di qualsiasi razza. Uno dei risultati importanti della ricerca è che, sebbene fossero state selezionate sulla base di una sola caratteristica comportamentale, vale a dire l'affettuosità, le volpi iniziarono a cambiare fisicamente. Comparvero orecchie pendenti, code arricciate o meno lunghe, pellicce dal colore più chiaro o anche multicolore; inoltre il muso era più corto, la testa leggermente arrotondata e più larga, e i denti alquanto piccoli. Queste trasformazioni sono simili ai cambiamenti che diversificano i cani domestici dai canidi selvatici. L'intero processo di sviluppo, dal cucciolo all'adulto, è stato alterato nel corso della selezione. Nelle volpi, come in tutti i canidi, c'è una sequenza sistematica e un tempo relativamente fissato per l'apparizione e la scomparsa di certi atteggiamenti da cucciolo. Quando questi due fattori sono misurati, diventa evidente che il tempismo e il ritmo di sviluppo si protraggono a causa del processo di addomesticamento. Nelle volpi addomesticate i comportamenti da cucciolo compaiono prima e si trascinano più a lungo che in quelle selvatiche. In altre parole, non solo adesso abbiamo volpi addomesticate, ma anche volpi che, come i cani, mantengono da adulte molte caratteristiche e molti comportamenti dell'animale giovane. Così, il lavoro di Belyaev ci mostra chiaramente cosa è accaduto durante il processo di addomesticamento dei cani: selezionare per docilità e affettuosità ha dato come risultato animali mentalmente e fisicamente più simili a cuccioli di lupo che a lupi adulti. Anche se Belyaev aveva selezionato le volpi sulla base della sola affettuosità, è probabile che i nostri progenitori abbiano dato peso pure all"'aspetto" da cucciolo. È un dato di fatto che sia gli animali sia gli uomini istintivamente provano una particolare tenerezza per i giovani della propria specie. Naturalisti come il premio Nobel Konrad Lorenz, affermano che questo sentimento può essere provocato da specifiche caratteristiche presenti nell'animale giovane. In sostanza sembrano "graziosi" perché sono piccoli e hanno occhi grandi e rotondi, musi piatti, espressioni facciali attraenti, ed emettono suoni ad alta intonazione. Dunque questa "graziosità" è veramente un fattore di sopravvivenza, perché rende l'adulto più protettivo e premuroso verso i giovani del suo gruppo. Gli psicologi moderni hanno dimostrato che la graziosità attraversa anche i confini delle specie. Tendiamo a sentirci più affettuosi verso i mirini che verso i gatti adulti, i pulcini ci sembrano più carini delle galline. Lo stesso vale per i cuccioli se comparati ai cani adulti. Quando per strada incontriamo un cucciolo, è difficile non sentire il desiderio di portarselo a casa. I nostri antenati, e forse a un livello maggiore le nostre antenate, probabilmente devono aver pensato che, fra i loro nuovi cani domestici, erano più carini quelli che assomigliavano ai piccoli, proprio come succede a noi. Forse i più graziosi avevano le cure migliori. Forse venivano nutriti per primi, quindi prendevano l'osso con più carne. Forse erano scelti per condividere il rifugio con gli umani erano perciò protetti dalle condizioni ambientali inclementi, e avevano maggiori opportunità di riprodursi. L'addomesticamento non ha influito solo sull'aspetto e sui comportamenti generici dei cani; ha anche alterato il contenuto del vocabolario canino in rapporto a quello dei loro cugini selvatici. Si potrebbe anche dire che nei cani domestici il comportamento sociale ancestrale e gli schemi di comunicazione del lupo sono frammentati e incompleti. Gli atteggiamenti dei cani formano una sorta di mosaico che contiene alcuni segnali di

comunicazione del lupo adulto, ma anche molti segnali giovanili. Se osserviamo lo sviluppo del linguaggio nei lupi e nei cani affini a essi, possiamo notare una progressione nella comparsa di certi segnali di comunicazione. I cuccioli appena nati sono indifesi e dipendenti, perciò molti dei loro segni servono a richiedere cure agli adulti, a mostrare sottomissione, a essere arrendevoli e a manifestare atti di pacificazione. Così, è più facile che il cucciolo si accucci, lecchi il muso di un adulto o allontani lo sguardo da questo. Quando il cane diventa più grande, nel suo vocabolario cominciano ad apparire altri segnali, di dominanza sociale. È più probabile che sia un cane adulto ad avere lo sguardo fisso minaccioso, che ringhi, o che si appoggi addosso a un altro cane. Si potrebbe disegnare un tracciato dei momenti in cui questi segnali compaiono nel corso della vita del cane. Gli atteggiamenti di sottomissione più semplici compaiono presto, mentre quelli dominanti e di sottomissione socialmente complessi si verificano più tardi, quando l'animale diventa adulto. Per semplificare, definiamo il linguaggio adulto "lupesco" e quello giovanile "cucciolesco". È chiaro che chi parla il lupesco è anche in grado di capire il cucciolesco, perché lo ha parlato da giovane. Ma un individuo che parla solo il cucciolesco è svantaggiato, perché non ha ancora imparato tutti i termini del lupesco. E forse il problema che i cani domestici hanno in rapporto ai lupi. I cani parlano il cucciolesco. Magari hanno qualche conoscenza del linguaggio ricettivo lupesco, ma il loro vocabolario produttivo è limitato, poiché la neotenia li ha bloccati prima che potessero approfondire l'espressività dell'adulto. Si valuta che sia questo il motivo che ha reso difficile la comunicazione fra cani domestici e lupi. Nel corso di una ricerca, alcuni malamute sono stati allevati insieme a dei lupi, e si è visto che spesso hanno sbagliato a leggere i segnali sociali dei canidi selvatici. Adesso complico un po'le cose. Non tutti i cani domestici mostrano lo stesso grado di neotenia. Il miglior modo per verificare se una razza ne ha molta o poca è vedere quanto gli individui sono simili nell'aspetto ai lupi adulti. I cani che assomigliano molto ai lupi come il pastore tedesco e il siberian husky, non solo hanno maggiori caratteristiche fisiche dell'adulto, ma nei loro comportamenti mostrano meno neotenia. Al contrario, i cani che sembrano più dei cuccioli, come il cavalier king charles spaniel o il bulldog francese non solo hanno più caratteristiche fisiche dei giovani, ma assomigliano di più ai giovani anche nei comportamenti, a causa della maggior neotenia. Da queste osservazioni è facile evincere che differenti razze di cani possono sviluppare diversi dialetti o versioni del cagnesco. Ci sono buone probabilità che i più affini ai lupi usino molti elementi del lupesco nel loro linguaggio, mentre quelli con un elevato grado di neotenia sono pressoché analfabeti in lupesco e parlano solo la versione cucciolesca della lingua canina. Deborah Goodwin, John Bradshaw e Stephen Wickens (Goodwin, D., Bradshaw, J.W.S., Wickens, S.M., 1997, Paedomorphosis affects agonistic visual signals of domestic dogs; in: Animal Behaviour, 53, pp. 397-3o4), ricercatori dell'Istituto di Antrozoologia all'università di Southampton, in Gran Bretagna hanno studiato dieci diverse razze canine, e le hanno classificate a seconda della loro somiglianza con il lupo. Partendo da quelle più simili ai cuccioli per arrivare a quelle più somiglianti al lupo, ecco la loro classifica:

1. Cavalier Ring charles spaniel 2. Norfolk terrier 3. Bulldog francese 4. Pastore scozzese 5. Cocker spaniel 6. Munsterlander 7. Labrador retriever 8. Pastore tedesco 9. Golden retriever 1o. Siberian husky I ricercatori hanno successivamente esaminato quindici diversi segnali di dominanza e sottomissione. Quello che scoprirono era assolutamente coerente con il concetto di neotenia, non solo per quanto riguardava il corpo, ma anche per il linguaggio. Il cane più lontano dal lupo nell'aspetto, il cavalier Ring charles spaniel, aveva il vocabolario sociale più limitato e, coerentemente, mostrava solo due dei quindici segnali presi in esame, che

sono anche i primi a comparire nel normale sviluppo di un lupo. La loro comparsa avviene infatti nei cuccioli di tre o quattro settimane. L'impressione è che il vocabolario di tale razza si arresti a questo livello. Il siberian husky, invece, mostra tutti i segnali di comunicazione sociale testati, e il suo vocabolario è simile a quello del lupo adulto. Per le razze che si trovano tra i due estremi, più sono affini al lupo, più numerosi saranno i segnali che useranno. La ricerca analizza la comunicazione del cane, non la personalità; vuol dire che un siberian husky, un golden retriever o un pastore tedesco non sono necessariamente più aggressivi di altri cani. I risultati mettono in evidenza che le razze in cui la neotenia è minore hanno un vocabolario di segnali e di gesti più ampio. Ricordiamo che parte dello scopo della comunicazione canina è consolidare buone relazioni sociali all'interno del branco ed evitare confronti fisici, in cui entrambe le parti potrebbero ferirsi; e i cani affini al lupo hanno una gamma di risposte più vasta, e forse una maggior abilità nel tenere una fine "conversazione" sul rango sociale. In parole povere, sono più abili a evitare conflitti diretti. Le razze che parlano il cucciolesco hanno un vocabolario più limitato, e di solito la rosa dei gesti di sottomissione è più estesa di quella dei gesti di aggressività. Inoltre hanno anche una minor consapevolezza dei segnali inviati da altri cani che indicano ambizioni sociali, rivendicazioni di rango, o perfino di sottomissione a un cane più dominante. Un ovvio effetto della diversità di linguaggio è la possibilità che fra cani che parlano dialetti diversi nascano degli equivoci. L'animale più simile al cucciolo, il cui dialetto non è profondamente concentrato sulla dominanza sociale, può non riconoscere segnali importanti, ha una minore capacità espressiva e potrebbe involontariamente provocare un attacco fisico; oppure un conflitto già in atto potrebbe continuare anche dopo la resa, perché il cane che parla il lupesco cerca il segnale specifico di sottomissione ma, non trovandolo, aumenta l'aggressività. Prendiamo in esame un caso particolare, descritto dal premio Nobel John Steinbeck, autore, fra gli altri, di romanzi come Furore, La valle dell'Eden e Uomini e topi. Steinbeck amava i cani e in uno dei suoi libri, In viaggio con Charley, racconta di un viaggio, durato quasi un anno, con il suo barboncino nero Charley come unico compagno. Il caso particolare che vi voglio raccontare, tuttavia, riguarda un cane che lo scrittore ha avuto in precedenza, un airedale. Se ci basiamo sull'aspetto, gli airedale non assomigliano molto ai lupi. Steinbeck descrive una disputa, nata per motivi territoriali, in corso fra il suo cane e un altro. Il secondo aveva più le sembianze di un lupo, e l'autore lo descrive come un "incrocio fra un pastore, un setter e un coyote". Tutte le volte che il suo cane entrava nel territorio dell'altro, scoppiava una lite. Steinbeck riporta: "Ogni settimana il mio cane si batteva con questa creatura enorme e ogni settimana veniva battuto". La battaglia impari andò avanti per parecchio tempo. Poi, un giorno, l'airedale di Steinbeck ebbe fortuna. Colse di soprpresa quel tenace incrocio dalle sembianze lupesche e gliele diede di santa ragione. Subito dopo successe qualcosa di veramente sgradevole Il cane bastonato "si ritirò nel suo angolo del ring". Ovvero, nel tipico atteggiamento di passività e remissività, si girò sul dorso esponendo il suo lato vulnerabile. In quel momento, secondo la testimonianza di Steinbeck, l'airedale "abbandonò ogni cavalleria". Con grande sgomento dell'autore, il suo cane non si accontentò di aver vinto la battaglia; e mentre il perdente era sdraiato a pancia all'aria, segnalando sottomissione e la fine del conflitto alla maniera dei lupi, d'improvviso il cane dello scrittore tornò indietro e si avventò selvaggiamente sui genitali. La scena fu orribile. In pochi minuti l'aggressore inflisse ferite talmente gravi che la vittima "non avrebbe più potuto essere padre". L'autore finì il suo resoconto dicendo: "Ci sono cani senza onore, proprio come succede fra noi". Steinbeck magari aveva ragione a dire che quel particolare airedale era cattivo e impazzito, e che voleva deliberatamente infliggere dolore al suo ex tormentatore, nonostante questo si fosse arreso. Tuttavia, c'è un'altra possibilità: siccome il suo cane era di una razza lontana dal prototipo affine al lupo, non ha capito il significato del gesto dell'altro cane. Per un cane che parla il lupesco, quello è un segnale di sottomissione durevole. Dal punto di vista sociale è un segno fondamentale, e rappresenta un messaggio critico. Per un cane che parla un dialetto poco lupesco, può non essere tanto facile da leggere, oppure venir interpretato come se avesse solo una importanza momentanea, senza percepire la sfumatura di sottomissione a lungo termine di cui l'airedale aveva bisogno per sentirsi sicuro.

L'incapacità di riconoscere il messaggio e il suo completo significato potrebbe spiegare perché l'airedale non pose fine all'attacco quando vide l'ammissione di sconfitta da parte dell'altro cane. Se le cose sono andate così, allora è stata l'ignoranza, non un intento demoniaco, la causa della violazione del codice d'onore canino. Non è ovviamente vero che tutti i cani reagiscono in maniera adeguata e prevedibile a una comunicazione, così come non è vero che tutti gli esseri umani facciano altrettanto. Nelle parlate ci sono variazioni che dipendono dalla razza, e nelle reazioni esistono anche differenze individuali fra cani. Considerazioni che mi tormentavano il giorno il cui, mentre assistevo a una lezione di ubbidienza, sono stato testimone di un momento di estrema tensione. Era la prima lezione di una nuova sessione; una signora era lì con il più grande pastore tedesco che avessi mai visto. Il cane si chiamava Shredder ("che fa a brandelli", N.d.T.); un nome che sembrava appropriato, visto che a tutti i cani che gli si avvicinavano mostrava la serie completa di segnali di minaccia. E anche ogni umano che gli andava vicino veniva intimidito nella stessa maniera. Gli altri studenti novelli stavano distanti, pigiati contro il muro più lontano, stringendo i loro cani per proteggerli. L'istruttore, Ralph, si accorse che quel pastore tedesco aveva un problema. - È sempre così? - chiese. - Solo quando si sente nervoso, - rispose la signora con voce tremolante. Bene, allora lo dovrò avvisare, nel linguaggio canino, che non deve sentirsi minacciato, - disse Ralph. Ralph frugò nella tasca per prendere una piccola ricompensa, e io pensai di sapere come avrebbe trattato la questione. Invece, con mia grande sorpresa, si sedette con le gambe allargate in direzione di Shredder. - Questo è l'equivalente umano della postura canina di sottomissione, - spiegò l'istruttore. - Dal suo punto di vista, esponendo la pancia e i genitali, gli comunico che per lui non sono una minaccia. Nessun cane ne ha mai attaccato un altro in questa posizione. Quando Shredder, ancora ringhiante, si avvicinò a Ralph, ho trattenuto il fiato. L'istruttore mise la mano fra le gambe spalancate (a me è parsa una mossa vanamente difensiva) e aprì la mano per far vedere la ricompensa. Shredder con molta prudenza continuò ad avanzare poi lentamente la afferrò. Annusò il cavallo dei pantaloni di Ralph, poi voltò il fianco verso l'uomo seduto. Quando Shredder si tirò indietro e si sedette, guardandolo, Ralph si alzò con molta cautela. - Ok, adesso metti una sedia là, e io mi occuperò di lui separatamente, - mi disse. - Non ti sembra una decisione un po' da pazzi? - gli chiesi. No, è assolutamente sicuro, se conosci il linguaggio canino. Mi tornò in mente l'airedale di Steinbeck. Quando la vittima gli ha parlato in cagnesco, certamente l'airedale non reagì come ci si sarebbe aspettati. È possibile che non conoscesse quel particolare segnale in quel dialetto cagnesco. Oppure aveva capito, ma ha semplicemente ignorato il messaggio. Saper comunicare non ci dà la garanzia che il cane avrà voglia di sentire e di rispondere a quello che gli stiamo dicendo. Dipende dalla razza, dal singolo cane, e dalla situazione. Ralph con il suo stratagemma la fece franca: il cane lesse il suo segnale e rispose in modo appropriato. Il pastore tedesco è molto simile ai lupi della foresta, e non mostra un'eccessiva neotenia, per cui può essere molto sensibile al tipo di messaggio. Ma la prossima volta Ralph potrebbe decidere di tentare lo stesso trucco con il cane sbagliato, forse uno che parla il lupesco meno correntemente ed è poco sensibile ai segnali di dominanza e sottomissione. Rabbrividisco al solo pensiero.

PAGINA 277 19. Questo è linguaggio? All'inizio del libro, ho detto che avrei usato le parole "linguaggio" e "comunicazione" in modo intercambiabile, senza preoccuparmi eccessivamente della controversia scientifica sulla differenza fra i due concetti, se non più avanti. Adesso che ne sappiamo di più sul cagnesco, possiamo affrontare il quesito. Esaminare la questione è una necessità, perché il dibattito è reale e io, per professione, sono uno scienziato. Cerchiamo perciò di capire se i cani hanno davvero un linguaggio nel senso che diamo noi umani a questa parola, oppure se la loro comunicazione è solo una raccolta di segni e segnali. In molti campi della scienza, si usa la parola "linguaggio" per definire un metodo di comunicazione che utilizza espressioni, segni, simboli o gesti per trasmettere un significato. Tuttavia, all'interno di questa più ampia definizione, sono previsti anche alcuni specifici requisiti. Fino a poco tempo fa la loro lista era lunga, ed era stata stilata in maniera così specifica da dover concludere che solo gli esseri umani hanno un linguaggio. Oggi la lista è molto più breve, forse perché adesso ci troviamo a nostro agio come parte della natura, e non ci consideriamo più una creazione esclusiva e speciale appoggiata su un piedistallo evolutivo. Molti psicologi e glottologi probabilmente sarebbero d'accordo sulla necessità di quattro o cinque requisiti base perché un linguaggio sia definito tale. La caratteristica più importante di un linguaggio è la significatività (a volte definita semanticità). E questo è ovvio, poiché il suo unico scopo è comunicare significati agli altri. Le parole devono riferirsi a cose, idee, azioni o sensazioni. Mentre i singoli vocaboli hanno un senso, specifiche combinazioni di termini possono anche modificare o chiarire il significato. I cani non abbaiano, ringhiano, alzano le code o vi guardano fissi casualmente, senza uno scopo. Perciò ho completato il libro con un "frasario", una sorta di dizionario dei significati dei segnali e dei simboli cagneschi; possiamo quindi presumere che la comunicazione canina ha il suo primo requisito. Il secondo è il dislocamento, che si riferisce al fatto che il linguaggio permette di parlare di oggetti ed eventi che sono "dislocati" nello spazio o nel tempo. Significa che è possibile usare il linguaggio per riferirsi a un oggetto non presente o visibile in quel dato momentoo a eventi che sono successi in passato o che possono accadere nel futuro Anche se, a livello produttivo, i cani di solito non discutono di oggetti assenti, la loro abilità di comprendere costruzioni linguistiche riferite a oggetti o altre cose non presenti e che non vedono è evidente. Capita di frequente che i padroni usino frasi che significano "trova l'oggetto" con i loro cani. I miei, per esempio, rispondono a "Dov'è la palla?" correndo a cercare la palla per poi portarmela. Se la palla si trova in un posto inaccessibile, ci si piazzano davanti e abbaiano. "Dov'è il tuo bastone?" mette in atto la ricerca dell'ultimo bastone con il quale hanno giocato. "Dov'è Joannie?" è per me un'utilissima maniera per localizzare mia moglie. Quando sente questa frase, il cane va nella stanza dove lei si trova. Se è al piano di sopra o nello scantinato, il cane si avvicina a una delle due scale e aspetta. Se è andata fuori, va davanti alla porta dalla quale è solita uscire. Se non sa dov'è, inizia a cercarla. In tutti questi casi, il cane si comporta in modo appropriato rispetto a un soggetto che non è presente al momento, e questo soddisfa il requisito di dislocamento. Per quanto riguarda il dislocamento produttivo ci sono meno prove ma bisogna ricordarsi che i cani emettono un particolare abbaio di allarme per la "raccolta del branco", anche se gli altri membri del gruppo non sono in vista in quel preciso momento. Quando si arriva alla questione se i cani hanno un "linguaggio vero" nel senso di una forma espressiva come la nostra, uno dei punti deboli è sempre stata la grammatica. Questa consiste in un insieme di regole con le quali strutturiamo un linguaggio; una delle sezioni più importanti è la sintassi, cioè l'ordine nel quale le parole e le frasi vengono combinate. In italiano, per esempio, gli articoli "il" e "la" vanno davanti alle parole cui si riferiscono: la frase "Il ragazzo butta la palla" ha

senso, mentre la frase "Ragazzo il butta palla la", in cui "il" e "la" sono spostati, non ha senso. Le regole specifiche di combinazione possono essere differenti nei diversi linguaggi. In italiano, l'aggettivo qualificativo di solito va dopo l'oggetto: noi diciamo "casa bianca". In altre lingue, come per esempio l'inglese, va prima: "white house". Le regole che determinano l'ordine di combinazione stabiliscono anche quali parole possono stare insieme e avere senso. Frasi come "Quei gatto" oppure "Un palla" in italiano non hanno significato. Possiamo chiamare questo aspetto della grammatica regole di combinazione. L'ordine specifico delle parole fissa anche il concetto dell'espressione. Per esempio, la frase "Uomo mangiasquali" è molto diversa da "Squalo mangiauomini". Analogamente, "Il ragazzo picchia la ragazza" ha un significato estremamente differente da "La ragazza picchia il ragazzo". E questo aspetto può essere definito regole di sequenza di parole. I cani hanno una grammatica basata su questi due ultimi aspetti, cioè su regole di combinazione e regole di sequenza di parole? Fino a poco tempo fa, gran parte degli scienziati pensava che la risposta fosse negativa. Si sono però fatte interessanti ipotesi, fondate su recenti osservazioni, sulla possibilità che i cani posseggano una grammatica. Prendiamo in esame le regole di combinazione, che permettono l'incastro di alcuni elementi nel linguaggio, e ne escludono altri. Se analizziamo i suoni emessi dai cani e dai lupi, possiamo vedere che alcune combinazioni non si presentano mai congiuntamente. L'ululato e il piagnucolio, per esempio, sono una combinazione impossibile. Non sentirete mai insieme neanche ululati e ringhi. L'ululato invece si associa benissimo all'uggiolio, e occasionalmente ad alcuni tipi di abbaio. Gli abbai possono combinarsi con altri abbai, con i ringhi e con i piagnucolii, ma ringhi e piagnucolii non si accostano mai. Siccome il linguaggio canino si poggia principalmente sulla postura e i segnali del corpo, è altresì interessante vedere che certi suoni non si combinano con determinate pose. Non si vedrà mai la postura a zampe rigide di un cane dominante associata al piagnucolio o all'uggiolio. Di solito si combina con i ringhi e, meno frequentemente, con un abbaio di allarme. La posizione in cui il cane è girato sul dorso per esporre la pancia in segno di sottomissione non è mai congiunta a ringhi o abbai, semmai a piagnucolii e uggiolii. L'atteggiamento incerto della zampa alzata non è mai combinato a ringhi o abbai; di solito è un gesto che viene fatto in assoluto silenzio. Possiamo vedere anche gesti della coda che seguono regole di combinazione con i suoni. La coda alta arricciata del cane sicuro di sèì non si è mai vista associata a uggiolii, piagnucolii o ringhi. Prima che un cane autoritario cominci a ringhiare, srotola la coda, in modo che sia dritta e all'insù, ad angolo, e che punti all'indietro. Quando viene esibito questo segnale, che dice: "Vediamo chi è il boss, qui", non si sentono mai uggiolii, piagnucolii o ululati. In realtà, molte espressioni del corpo, della coda, delle orecchie e della bocca hanno spesso precisi accompagnamenti vocali, ma pare che non siano mai combinati con certi altri suoni. Dunque, tutto ciò sembra indicare che nei cani alcuni elementi della grammatica sono associati alle regole di combinazione. Le osservazioni recenti più emozionanti sono forse quelle che suggeriscono la possibilità che i cani abbiano anche una forma grammaticale che segue le regole di sequenza di parole. Prendiamo in esame due suoni canini: il primo è il ringhio a labbra arricciate, che suona più o meno come un "harrrr". Preso da solo, il ringhio avvisa un altro cane, o una persona, di stare lontano. Lo si può sentire in situazioni in cui l'animale ha conquistato un oggetto, un bell'osso o una scodella di cibo, dove viene usato per dire: "Stai indietro, questo è mio!". Il secondo suono è l'abbaio, che inizia piano, aumenta di tono e finisce con un rumore che suona come un "fff". Può essere grossolanamente descritto come un "rrrufff". È il comune abbaio di allarme che il cane produce per richiamare l'attenzione degli altri membri del branco: "Dovreste venire a dare un'occhiata". Di solito i compagni rispondono muovendosi in direzione dell'animale che ha abbaiato e gli si mettono vicino. Se però questi suoni vengono combinati, il senso cambia, e lo specifico significato dipende dall'ordine in cui i suoni sono emessi. La combinazione "harrr-rrrufff" è un invito al divertimento, e normalmente è accompagnata dal tipico inchino da gioco. Se invertiamo i versi, "rrrufff-harrr", il messaggio diventa alquanto differente. È una minaccia lanciata da un cane insicuro, che cerca di proteggere un oggetto, un osso forse, ma a volte è usata solo per tenere lontano un cane che sembra dominante e minaccioso. In tal caso significa: "Mi stai

innervosendo, e se ti avvicini di più, mi costringi a lottare". Il fatto che segnali una minaccia basata sull'insicurezza è ciò che lo differenzia dal semplice "harrr" emesso da un cane sicuro e dominante. Come esseri umani, tendiamo a vedere le cose secondo il nostro linguaggio, per cui siamo propensi a esporre le combinazioni grammaticali e le sequenze di parole sotto forma di suoni. Se invece ci mettessimo al posto di un cane, per il quale un segnale corporeo è importante quanto un suono, sarebbe possibile scoprire altre prove che testimoniano l'uso delle regole di sequenza di parole. Quando un cane guarda fisso in faccia un altro, lo fa per dimostrare dominanza o minacciare, e di norma vuoi dire: "lo penso di essere il capo, qui. Mi vuoi sfidare?". Un cane che interrompe il contatto visivo e gira lo sguardo mostra invece di non essere minaccioso, e dice: "Accetto il fatto che qui tu sei il capo. Fissa tu le regole e io farò quello che vuoi". Combinando i due segnali iguardare fisso in faccia, poi distogliere per un attimo lo sguardo e di nuovo tornare a fissare), cambia il significato: siamo davanti a un incontro pacifico tra due cani dominanti, che può essere interpretato come: "Sei sicuramente un duro, e può darsi che tu sia il boss. Anch'io comunque sono abbastanza duro, ma non scontriamoci". Adesso prendiamo questi due segnali e combiniamoli con un suono. Possiamo modificare completamente la natura della comunicazione. Se un cane ne guarda fisso un altro, e allo stesso tempo emette il ringhio a labbra arricciate: "Harrr", le probabilità di uno scontro fisico sono alte. È l'equivalente canino della tradizionale resa dei conti in un film western, in cui il fuorilegge con il cappello nero dichiara: "Questa città non è abbastanza grande per tutti e due. Metti giù la pistola". Se invece un cane ne fissa un altro, poi distoglie lo sguardo e lancia il ringhio "harrr", la reazione è molto differente. Il cane cui era rivolto lo sguardo adesso si gira nella direzione in cui guarda il cane che ringhia. Può anche adottare una postura difensiva nei confronti dell'altro animale, intanto che guarda verso lo stesso punto. Il significato cambia in: "Credo che là stia succedendo qualcosa. Dài, mettiamoci insieme e se è necessario prendiamo provvedimenti". La cosa importante è che un particolare elemento, che sia un suono ("harrr" o "rrruff") o un gesto del corpo (fissare in piena faccia o distogliere lo sguardo e spostare la testai, cambia significato a seconda del contesto di suoni e gesti in cui è collocato. Sembra senza dubbio suggerire che i cani usano regole grammaticali di sequenza di parole. Prese insieme, osservazioni come queste indicano che il linguaggio canino è più complesso di quanto avessimo in precedenza pensato. Si può così provare che esso ha quantomeno una rudimentale grammatica e una sintassi, e che anche per i cani esistono regole di combinazione e regole di sequenza di parole. L'ultimo requisito fondamentale per il linguaggio è la produttività. Un linguaggio reale deve permettere l'espressione e la comprensione di un infinito numero di nuove frasi, tutte create lì per lì. Per essere più espliciti, la nozione è basata sul presupposto che il linguaggio sia un sistema creativo di comunicazione, al contrario del sistema ripetitivo che funziona basandosi sul riciclare un limitato gruppo di frasi o espressioni. Alcuni ricercatori potrebbero dire che questo requisito non si trova nel linguaggio canino. Purtroppo, inteso in senso stretto, non si trova in nessun linguaggio che ha un vocabolario piccolo e regole grammaticali limitate con cui si possono costruire solamente frasi brevi. Un bambino di due o tre anni, con un vocabolario di un centinaio di termini e frasi della lunghezza massima di due parole, ha un numero fisso di possibili espressioni, per cui le "ricicla" quando ha bisogno di comunicare con chi gli sta intorno. Eppure noi gli attribuiamo un linguaggio, anche se non supera il test della produttività. Io sono incline ad accettare il cagnesco come linguaggio semplice, al quale sono applicabili le stesse regole e gli stessi criteri che usiamo per attribuire un linguaggio a un bambino piccolo. Quando si esamina lo sviluppo dell'espressività nelle persone, oltre ai suoni gli psicologi accettano i gesti come componenti del linguaggio. Prendiamo in considerazione un test, il MacArthur Communicative Development Inventory, formulato per misurare lo sviluppo del linguaggio nei bambini di due anni. Il test ha un'intera sezione sulla "gestualità comunicativa", che viene considerata linguaggio. Comprende varie azioni: puntare verso oggetti o situazioni, salutare con la mano quando una persona se ne va, allungare le braccia in alto per manifestare il desiderio di essere tirati su, e persino schioccare le labbra per dimostrare che qualcosa ha un buon sapore. Senza

dubbio le gestualità comunicative dei cani sono analoghe a queste per complessità. Nel descrivere le analogie tra l'abilità di comunicazione canina e la parlata dei bambini piccoli, non dobbiamo esagerare. Ci sono tuttavia paragoni inevitabili. Sia negli animali sia nei bambini, il vocabolario ricettivo è più ampio e più attendibile di quello produttivo. È più facile che gli elementi del linguaggio contengano informazioni su azioni che chi parla vorrebbe che il bambino eseguisse. Diciamo "Dammi la mano" a un bambino e gli riconosciamo una certa abilità di linguaggio quando lo fa. Allora, è ovvio che quando un cane a cui è stato chiesto "Dammi la zampa" dà la zampa, dimostra un'equivalente capacità. Il linguaggio espresso da bambini e cani è pressoché sociale, è il tentativo di suscitare una risposta da altri individui. Nel cani, il linguaggio espresso in realtà è lievemente più complesso che nei bambini, poiché enfatizza dominanza, rapporti di gerarchia, stati emozionali e desideri. Sebbene un bimbo di due anni possa manipolare altri individui manifestando umori collerici, i piccoli umani non si sforzano di comunicare o esprimere un'effettiva dominanza sociale fino a quando non sono un po' più grandi. Alcuni sostengono che, poiché il cagnesco riguarda soprattutto questioni sociali ed emozionali, non può essere classificato come linguaggio reale. Secondo me, però, queste persone non si rendono conto di come gli esseri umani usino realmente la loro espressività. Quando parliamo, ci scambiamo quasi sempre informazioni sociali e personali. Non discutiamo di filosofia, della teoria della relatività e non facciamo riflessioni sullo stato dell'universo. Sembriamo molto più interessati agli aspetti della vita sociale di tutti i giorni. Due psicologi inglesi hanno saggiato le conversazioni normali fra persone per vedere di cosa parlano di solito. Robin Dunbar lo ha fatto in giro per l'Inghilterra, mentre Nicholas Emler ha ascoltato le chiacchiere della gente in Scozia (Dunhar, R. 1. M. 1998. Dalla nascita del linguaggio alla Babele delle lingue. Longanesi, Milano). Entrambi hanno scoperto che più di due terzi delle nostre conversazioni si basano su questioni sociali ed emozionali. Gli argomenti tipici riguardano chi sta facendo cosa e con chi, e commenti sul bello o il cattivo tempo. Altri temi concernono chi nel mondo è all'apice della notorietà e del successo e chi sta declinando e perché. Tante fra le parecchie conversazioni emozionali trattavano di come affrontare situazioni sociali difficili, complesse relazioni interpersonali, rapporti con i bambini, i colleghi d'ufficio, i vicini di casa, i parenti, e così via. Non sono mancate ovviamente articolate discussioni tecniche nate per problemi sul lavoro, oppure commenti su un libro letto di recente. Anche quando ho testato io più di un centinaio di conversazioni fra i miei colleghi all'università, non ho mai assistito a una discussione che sia durata più di sette minuti senza che si scivolasse, almeno per un momento, su un tema sociale. Di fatto complessivamente, nel mio esperimento solo un quarto del tempo veniva speso per questioni tecniche. Se osserviamo il linguaggio stampato, avremo un quadro simile. I libri più venduti nel mondo sono di narrativa. Molti (almeno quelli di avventura e i romanzi gialli) parlano dei rapporti interpersonali dei personaggi, dei loro coinvolgimenti familiari, delle ambizioni sociali, degli inganni di cui si sono serviti o di cui sono stati vittime e, naturalmente, delle questioni sessuali. Nelle vendite seguono i cosiddetti romanzi d'amore. La sola categoria di opere non narrative che vanta un posto significativo nel mercato librario sono le biografie (e le autobiografie). Sembra che ogni attore, politico, atleta, giornalista e scrittore abbia scritto la sua storia, e che ci sia un pubblico avido di leggerla. Ma perché compriamo questo genere di libri? Non leggiamo la biografia di un politico per imparare come redigere o varare le leggi, né quella di un calciatore per apprendere a colpire meglio la palla, e nemmeno di un attore per sapere come si memorizza un copione. La ragione per cui leggiamo questi libri è perché vogliamo conoscere i particolari sociali: chi amano e chi odiano, come reagiscono a difficoltà e situazioni emozionali, chi li ha aiutati a raggiungere la fama, e così via. Lo stesso schema si sviluppa con i giornali. I due terzi circa dei servizi si occupano di storie di interesse umano o di dettagli sociali che descrivono le vite intime di varie celebrità o persone che comunque fanno notizia. Sono molto più numerosi gli articoli di cronaca rosa o di costume di quante siano le informazioni su ciò che accade nel mondo. Il fatto che la gente spenda la maggior parte dei suoi sforzi linguistici occupandosi di argomenti sociali ed emozionali non mette in dubbio la sua proprietà di linguaggio. Visto che fino a qui il cagnesco sembra aver soddisfatto i requisiti richiesti,

non penso sia il caso di negare che la comunicazione canina è un linguaggio semplicemente perché non si occupa di argomenti che non siano le interazioni sociali e gli stati emotivi. Quando i miei figli erano adolescenti, ho attribuito loro un linguaggio anche se la mia sensazione era che le loro conversazioni trattassero quasi esclusivamente dei loro sentimenti e dei loro rapporti interpersonali. Il linguaggio del cane, in struttura e complessità, è pressoché equivalente a quello di un bambino di due anni. Il contenuto, però, è più vicino alle discussioni di due terzi degli adulti: riguarda le questioni sociali di tutti i giorni, la struttura della società, e il mondo emozionale nel quale vivono.

PAGINA 287 20. Parlare il cagnesco e il canese Gran parte della nostra discussione è stata incentrata su come possiamo capire ciò che un cane vuole dirci usando il suo linguaggio. A eccezione di un breve cenno al linguaggio ricettivo, non abbiamo preso in esame come può accadere l'inverso. Molti di noi già "parlano" al proprio cane, ma non nel modo in cui lo facciamo per dargli comandi come "Siedi" o "Vieni". Voglio dire che gli parliamo come fosse un uomo o un bambino. Uno studio ha scoperto che il 96% delle persone si comporta così. Quasi tutti ammettono di salutare abitualmente l'animale quando tornano a casa e quando escono. Un'altra forma comune di "conversazione" è fargli i complimenti dicendogli che è bello o intelligente. Molti affermano che spesso rivelano al cane ciò che pensano di lui: gli dicono cioè se un certo comportamento è stato stupido, cattivo, corretto o divertente. Talvolta fanno dei commenti: "È stato un bene che io mi sia accorto del disordine che hai fatto prima che sia tornata la mamma, lei si sarebbe arrabbiata tanto con te". Alcuni ammettono di rivolgere all'animale domande del tipo: "Vuoi andare a fare una passeggiata?" oppure "Vuoi fare uno spuntino?". Un aspetto interessante della comunicazione uomo-cane è che la maggior parte dei padroni confessa di porre occasionalmente domande alle quali non ci si può aspettare che l'animale risponda: "Pensi che pioverà?" o "Credi che Sally mi perdonerà per quello che le ho detto?". Sono in realtà monologhi, è solo l'essere umano a parlare, mentre il cane offre un'affettuosa presenza. Una forma di conversazione in qualche modo più complessa è il dialogo; c'è una certa reciprocità, anche se a parlare è solo uno. Dialogando con lui, di solito guardiamo il cane di tanto in tanto, facciamo delle pause in cui ci si potrebbe aspettare un commento dall'animale, poi continuiamo, come se il suo silenzio avesse un significato. Una conversazione che assomiglia a una chiacchierata telefonica in cui si sente parlare solo uno dei due colloquianti. Un frammento potrebbe essere: "Cosa pensi possa regalare a zia Silvia per il suo compleanno?". (Pausa di qualche secondo) "No. I fiori glieli ho già regalati l'anno scorso. Che ne pensi di un dolce?". (Un'altra breve pausal "Sì, certo, cioccolatini". (Pausa) "Ho capito cosa intendi. Cioccolato fondente alle nocciole in confezione elegante. È davvero un buon consiglio, Lassie". C'è un altro tipo di interazione molto familiare ai proprietari di cani, ma che a un osservatore esterno può apparire un po' bizzarra; non solo la persona parla all'animale, ma ribatte o risponde come fosse il cane a farlo: "Bene, Lassie, vuoi una ricompensa?". E quando il cane va verso di lei, continua (spesso camuffando la voce): "Certo che la voglio, stupido individuo!". È lo stesso tipo di "conversazione" che a volte si ha fra un genitore e un bebè; nella versione più estesa, tende a riprodurre un dialogo cinematografico, all'interno di una scena in cui un personaggio schizofrenico porta avanti un discorso con le sue molteplici personalità, ognuna con una voce distinta e un carattere specifico. Queste forme di "conversazione" in realtà non servono per comunicare con il cane, ma a dare a chi parla un’illusione di interazione sociale, che potrebbe servire a risolvere un problema, completare un pensiero o analizzare un'emozione. Molti elementi indicano l'importanza delle interazioni per la salute psicologica. Generalmente usiamo altre persone per questi scopi, ma chi vive da solo - gli anziani o chiunque di noi quando la famiglia e gli amici non ci sono e si ritrova abbandonato in una casa vuota - può ricavare il medesimo beneficio parlando con un cane. Alcuni ricercatori, monitorando la pressione sanguigna, hanno dimostrato che è meno stressante esporre i nostri problemi a un cane che al coniuge. Altre analisi svelano che gli anziani che vivono da soli, se possiedono un cane e "conversano" con lui hanno meno probabilità di cadere in depressione o di aver bisogno di appoggio psicologico. La storia che adesso esporrò mi è stata raccontata a Dallas, durante un convegno, nel corso del quale

uno psicologo argentino mi riferì che certe persone parlano al loro cane e conversano fra loro attraverso di lui. In Sudamerica c'è la tribù degli Achuar. All'interno di essa, è esclusivamente la donna a prendersi cura dei cani, i quali, in cambio, fanno la guardia alla casa. Alcuni altri aiutano nei lavori domestici, trasportando le varie cose in zaini legati sul dorso. Le donne danno ai cani un nome e parlano con loro come bambini. Ma il compito principale di questi animali è aiutare nella caccia, competenza esclusiva degli uomini, per cui i cani spendono molte ore, a volte giorni interi, in loro compagnia. Gli uomini li chiamano coi nomi assegnati dalle donne, li addestrano a stanare le prede e a rispondere ai comandi necessari a cacciare. A volte si dedicano a oziose conversazioni con i loro cani, soprattutto quando devono affrontare una lunga, solitaria camminata. Aggiunse lo psicologo: - I cani degli Achuar hanno finito per occupare un posto in cui il mondo femminile e quello maschile si toccano ma non si uniscono, e questo perché uomini e donne dividono con essi conversazioni e vita privata. Il cane gioca un importante ruolo nel sistema familiare degli Achuar: ogniqualvolta si prospetta la possibilità di un litigio tra marito e moglie, l'animale preferito viene chiamato in casa e gli viene chiesto di fare da intermediario. Funziona così: supponiamo che io sia un uomo e che il mio cane favorito si chiami Chuka. Lo porto dentro, mi siedo e aspetto che mia moglie ritorni. Siccome non voglio farla arrabbiare dicendole che non ha svolto uno dei suoi compiti e che quindi non è una perfetta padrona di casa, guardo negli occhi il cane e dico: "Chuka, forse potresti parlare a mia moglie, che ti ama tanto. Fra precisione. circa un mese ci sarà una grande festa, io devo ballare ma il mio mantello da danza è vecchio e consumato. E difficile danzare bene se sai che gli altri, guardandoti, penseranno che sei un poveretto perché il tuo vestito da cerimonia è logoro". Mia moglie non mi guarderà direttamente, ma si rivolgerà al cane e risponderà: "Chuka, siccome sai che ti amo, forse puoi chiedere a mio marito se abbiamo abbastanza denaro per andare al mercato a comperare qualche bottone luccicante o qualche piuma. Digli che se io avessi quelle cose, potrei fargli un colletto nuovo per il suo mantello, così alla festa del prossimo mese si potrà sentire orgoglioso e ricco". Poiché entrambi parlano al cane, o attraverso di lui, non devono guardarsi in faccia. Così non si ritroveranno davanti a espressioni facciali che potrebbero segnalare rabbia o offesa, o che potrebbero "appesantire" l'atmosfera. Pare che al cane non dispiaccia e che i messaggi siano trasmessi con una certa precisione. In molte culture, sembra si adoperi una particolare forma di espressione quando si comunica con un cane. Sappiamo che il nostro linguaggio cambia a seconda delle circostanze. C'è quello formale, che usiamo per parlare con persone importanti o davanti a un pubblico, più riservato e convenzionale del linguaggio usato per rivolgersi a un amico o a un membro della famiglia. Quando scriviamo, le frasi che componiamo contengono più informazioni, e utilizziamo una grammatica e un vocabolario più complessi rispetto a quando conversiamo. Si spiega così perché, se uno legge un suo scritto a voce alta, a volte suona artificiale, contorto, pomposo, per niente simile alla forma espressiva che usiamo per dialogare. Gli psicologi hanno scoperto che quando parliamo ai bambini usiamo un particolare tipo di linguaggio: più semplice, cantilenante, ripetitivo. Talvolta ci serviamo di un tono di voce più alto. I ricercatori lo hanno definito madrese (motherese), perché è quello che di solito usano le madri quando parlano ai figli. In realtà non è limitato alle sole madri; tutti gli adulti, maschi o femmine, genitori o no, tendono a usarlo se si rivolgono a un bambino piccolo. Le psicologhe Kathy Hirsh-Pasek e Rebecca Treiman hanno dimostrato che il linguaggio che utilizziamo per parlare con i cani è molto simile al madrese (Hirsh-Pasek, K., Treiman, R.; 1982 Doggerel: motherese in a new context in: Journal of Child Language, 9, pp. 229-237) e lo hanno chiamato canese. Per discorrere con gli umani adulti usiamo espressioni che contengono in media fra le dieci e le dodici parole, mentre per parlare ai cani usiamo frasi che ne contengono circa quattro. Sono più che altro locuzioni imperative o comandi, come: "Lassie, sta' giù" oppure "Scendi dal divano". Nel canese le domande sono addirittura il doppio rispetto a quelle che porremmo a una persona, anche se come abbiamo visto prima, non ci aspettiamo una risposta. Per la maggior parte sono scambi sociali superficiali, più che il tentativo di ottenere informazioni, per esempio: "Come ti senti oggi, Lassie?”. Molti

quesiti in realtà sono affermazioni che trasformiamo in domanda alla fine della frase, come: "Hai fame, non è vero?". Il canese si parla soprattutto al presente; parliamo al nostro cane di quello che succede oggi e non di quello che è successo ieri o che succederà in futuro. Varie analisi di conversazioni registrate dimostrano che il 90% del canese è parlato al tempo presente, mentre in una normale conversazione umana useremmo il presente solo per metà. Le probabilità di essere ripetitivi sono il 20% in più; le ripetizioni possono essere identiche o parziali. Oppure riformulazioni: "Lassie tu sei un buon cane. Che cane buono che sei!". Queste caratteristiche del canese si riscontrano anche nel madrese. La differenza tra i due linguaggi è molto evidente quando si arriva alla deissi, nome tecnico per definire il ricorso a particolari elementi linguistici, come i pronomi personali o gli aggettivi dimostrativi, al fine di dare rilievo a specifiche informazione: "Questa è una palla" o "Quella tazza è rossa". Frasi simili servono a istruire altri individui, per cui sono spesso presenti nel madrese. Il canese invece ha la metà di queste espressioni, visto che la nostra conversazione con i cani ha solamente una funzione sociale: se imparano qualcosa dal nostro atteggiamento, poco importa. Altra peculiarità evidente del canese è la tendenza a imitare i versi prodotti dall'animale. Una sera ero a casa di un'amica. A un certo punto è arrivata la sua barboncina; le si è seduta di fronte e ha emesso un singolo abbaio risentito, che suonava suppergiù come un "woof". - Woof dopo, signorina. Ti dò da mangiare quando il mio amico va via, - le ha detto la padrona. Il suo "woof" di risposta era una discreta quanto voluta imitazione dell'abbaio del cane. È raro invece che le madri imitino i casuali suoni che emettono i figli; se si parla tra adulti, al contrario, imitare le parole o il tono di voce di una persona risulta offensivo perché sembra una presa in giro. Per qualche strana ragione, riprodurre i suoni canini è un altro trucco che usiamo per tenere viva la conversazione con il nostro amico a quattro zampe. Nel canese, oltre a usare un tono di voce più alto, enfatizziamo l'intonazione. Usiamo un numero maggiore di diminutivi: "passeggiatina" per passeggiata, "bagnetto" al posto di bagno. Parole e frasi vengono modificate per renderle meno formali. Se sentite una voce di donna domandare cantilenando: "Che ne dici di una merendina?" potete dedurre con una certa sicurezza che sta parlando con il suo cane, anche se c'è una vaga probabilità che si stia rivolgendo a un bambino molto piccolo. Di certo non ha a che fare con un adulto. Sebbene non ci siano prove che comunicare in canese aiuti il cane a comprenderci, è dimostrato invece che parlargli in modo normale finalizzato e significativo migliora le sue capacità ricettive. La forma istruttiva di conversazione implica parlare con il cane usando frasi semplici che anticipano attività rilevanti per la sua vita "Andiamo a fare una passeggiata" oppure "Vuoi andare a fare una passeggiata?". Se vogliamo che vada al piano superiore o inferiore della casa, dobbiamo dire: "Su per le scale" o "Giù per le scale". Se desideriamo che ci segua in una stanza, diciamo: "Andiamo in cucina", e così via. Lo scopo di questo modo di parlare è accrescere il vocabolario ricettivo dell'animale aumentando il numero di parole e di segnali, per cui bisognerebbe essere coerenti e usare sempre gli stessi termini e le stesse frasi. Ad esempio, prima di dargli la sua razione di cibo, dovremmo dirgli: "Ora di cena", "La cena è servita" "Ora del cibo", "Chiamata a tavola" oppure "Il pranzo sarà servito nella sala". Non ha importanza quale frase usiamo, basta che ne scegliamo una - o anche una parola - e la usiamo coerentemente. Una volta che il cane ha incamerato il concetto base, è possibile inserire dei sinonimi, ma la coerenza accrescerà il vocabolario più in fretta. Si deve fare in modo che capisca che quei suoni umani preannunciano specifici eventi. È ovviamente molto più produttivo se tutti i membri della famiglia usano le stesse parole per parlare all'animale.

Il cane comincerà a dimostrare che ha aggiunto i nuovi termini al suo vocabolario ricettivo reagendo in modo appropriato. Alla domanda "Vuoi andare a fare una passeggiata?" il cane va verso la porta di casa, in attesa; "Prendi il frisbee", e corre a prenderlo nella cesta dei suoi giocattoli. Ogni frase provoca in lui un'azione che ne dimostra l'apprendimento. Alcuni semplici stratagemmi possono aiutare il cane a comprendere più velocemente. Ogni volta che gli parlate, ricordatevi di usare il suo nome. Sentirsi chiamare lo avvisa che il prossimo suono sarà rivolto a lui. Inoltre è importante che ogni parola abbia solo un significato. Se decidete di usare il termine "fuori" quando volete che ilcane esca, allora non dovete usare la stessa parola quando volete che sputi l'oggetto che ha in bocca. La tecnica d'insegnamento più efficace, soprattutto con i cani giovani, è forse quella che io chiamo autoallenamento, che aiuta l’animale a imparare alcuni comandi di base senza grandi sforzi. Supponiamo di avere

a che fare con un cucciolo che si chiama Lassie. Perché si autoalleni, dovete osservare attentamente cosa fa quando interagite con lui. Se lo vedete avvicinarsi verso di voi, dite: "Lassie, vieni"; quando sta per sedersi, dite: "Lassie, siedi". Dopo ognuna di queste azioni, premiatelo, come se avesse risposto correttamente a un vostro comando. In questo modo etichettate un'attività che il cane sta già svolgendo. Gli psicologi si riferiscono a ciò come all'apprendimento cognitivo. Con molti cani è necessario ripetere la parola solo poche volte perché imparino a collegarla all'azione. In seguito basterà un piccolo sforzo in più perché reagiscano in maniera corretta ai comandi. L'autoallenamento può facilitare l'apprendimento di parole che implicano azioni semplici; è particolarmente utile quando vogliamo insegnare al cane il significato di vocaboli che descrivono attività difficili da controllare. Io mi servo di questa tecnica per educare i miei cani a evacuare. Ogni giorno, li porto a passeggiare facendo sempre lo stesso percorso. Appena l'animale si accovaccia per defecare, dico: "Lassie, fa' veloce" e ripeto la stessa frase una o due volte mentre sta facendo i suoi bisogni. Dopodiché lo premio come se avesse eseguito diligentemente un ordine. Entro una o due setti ane, la frase "Fa' veloce" comincia ad assumere un senso preciso; quando il cane la sente, inizia ad annusare intorno alla ricerca di un posto in cui evacuare. Nello stesso modo gli si può insegnare il significato di "Stai", che sottintende che deve stare buono, senza muoversi troppo, in un determinato luogo della casa. Per far imparare all'animale questa parola, aspettate finché è accucciato in qualche posto tranquillo, poi dite: "Lassie, stai"; dopo andategli vicino e accarezzatelo ripetendogli: "Stai". Basteranno poche ripetizioni, e il cane dimostrerà di aver compreso. E quando sentirà la parola "Stai" comincerà a cercare un posto comodo dove sedersi o sdraiarsi, ma rimanendo sempre vigile. Se il vostro cane a volte si impaurisce davanti agli estranei, potete usare l'autoallenamento perché impari a sentirsi più sicuro. È necessaria la collaborazione di qualche amico e molti bocconcini come ricompensa. Fate avvicinare l'animale da una persona che non conosce, alla quale avete dato la leccornia da offrirgli. Appena prima che la persona allunghi la mano per dargliela, dite: "Lassie dì ciao", poi ripetete la frase mentre il cane prende la sua ricompensa. Dopo poche ripetizioni, nella testa dell'animale la frase "Dì' ciao" indicherà che la persona che sta per incontrare ha un bocconcino per lui, provocando una sua risposta emozionale positiva. Con il passare del tempo la frase svilupperà un senso più generico: la persona che sta per incontrare è amichevole e non minacciosa (anche se non dà ricompense). Tutto quello che è stato finora esposto è servito per aiutare i cani a capire il linguaggio umano. Ma, se vogliamo avere una comunicazione significativa ed efficace con il nostro animale, dobbiamo imparare a parlare in cagnesco. E anche a evitare di inviare inavvertitamente messaggi cagneschi che possono mettere a rischio il nostro rapporto. L'importanza di usare i segnali giusti è stata sottolineata dallo psichiatra francese Boris Cyrulnik. Lo scienziato studiava la comunicazione tra bambini e animali analizzando attentamente filmati delle loro interazioni. Uno dei fatti che lo ha sorpreso maggiormente è stato che i due gruppi di animali che aveva esaminato (cani e cervi) reagivano più negativamente e con più timore quando si rapportavano con bambini normali piuttosto che con bambibi affetti da problemi psicologici gravi, come la sindrome di Down o l'autismo. Alla fine arrivo alla conclusione che il problema erano i segnali che i due gruppi di bambini mandavano agli animali. Cyrulnik si accorse che quando si avvicinavano a un cane, i bimbi normali lo guardavano fisso; noi sappiamo che nel cagnesco fissare è una minaccia, quindi l'incontro iniziava con un messaggio ostile. I piccoli poi sorridevano all'animale, e il loro sorriso non si limitava a un lieve sollevamento delle labbra, ma era ampio, pieno e a bocca aperta. Dal punto di vista canino, il bambino mostrava i denti, un segnale che indica chiaramente una minaccia di aggressione. In più, buttavano le braccia in avanti, in direzione dell'animale, che equivale al tentativo di un cane di sollevarsi per apparire più grande e dominante. In molti casi, i bambini tenevano le dita tese, come se volessero raggiungere l'animale. Fate questa prova: tendete la mano e allungate le dita, poi giratela da un lato e guardatela. Assomiglia a una bocca con i denti. Portatevi poi la mano verso il viso e osservatela. Dal punto di vista del cane, la bocca potrebbe non solo essere aperta, ma anche avere denti lunghi, impressionanti, puntati direttamente verso di lui. Nel loro linguaggio, è la minaccia decisiva. Alla fine, dopo aver prodotto tutti questi segnali intimidatori, i bambini normali per manifestare affetto ed entusiasmo si mettevano a correre verso l'animale. Per la maggior parte dei cani è il segno che l'attacco è iniziato. Analizzati i comportamenti dei bambini verso gli animali e conoscendo i segnali canini, non dovrebbe più sorprenderci il fatto che molti bimbi vengono morsicati da cani descritti dai proprietari come amichevoli e non aggressivi. Forse la vera sorpresa, visti i messaggi di ostilità che questi ragazzini inviano in cagnesco, è che la gran parte di loro non viene morsicata.

Cyrulnik ha scoperto che i bambini con capacità mentali limitate agiscono in maniera molto diversa. Evitano di fissare negli occhi l'animale, così non c'è minaccia iniziale. Si muovono con maggior lentezza e spesso si avvicinano di lato, non di fronte. Talvolta strascicano i piedi pigramente, di traverso. Quando si allungano per toccare il cane, tendono a tenere le braccia basse, e le dita di solito sono piegate in dentro. La natura della loro malattia li rende non minacciosi agli occhi degli animali. In un caso osservato da Cyrulnik, una coppia di cani stava mangiando da una ciotola quando sono stati avvicinati da una ragazza normale e da una con un handicap mentale. La prima ragazza si è protesa verso i cani, e in risposta ha ricevuto un ringhio di minaccia che l'ha fatta indietreggiare. La seconda, invece, non ha fissato direttamente i cani. Si è messa a camminare carponi, li ha avvicinati e fatti spostare appoggiandosi con la testa alle zampe posteriori, come fanno i cuccioli per bloccare l'aggressività nei cani adulti. È riuscita così ad andar loro molto vicino, si è sdraiata e ha portato via adagio la ciotola. Gli animali hanno tollerato il suo comportamento perché non erano presenti né segnali di minaccia né rivendicazione di dominanza sociale adulta. Abbiamo dimostrato che i cani interpretano in cagnesco il linguaggio corporeo degli umani, allora noi possiamo usare i segnali cagneschi per comunicare con loro. Supponete di incontrare un cane nervoso e timoroso con il quale volete fare amicizia. Se vi accorgete che la vostra presenza lo agita, voltate subito la testa e gli occhi e guardate altrove. Poi, lentamente, angolate il corpo in modo che il cane abbia di fronte il vostro fianco. Fate tutti i movimenti piano e in modo casuale. Non camminate verso il cane, ma in direzione obliqua, come se voleste andare oltre, e ricordate di tenere sempre il fianco rivolto a lui. Quando gli siete vicini, ma non tanto da accrescere il suo livello di angoscia, inginocchiatevi. Sembrerete interessati a qualcosa che è in terra, anzi, toccate il suolo con la mano. Continuate a non fissare il cane, guardate l'orizzonte oppure di lato. Poi, lentamente, tirate fuori dalla tasca una piccola ricompensa e allungate leggermente la mano verso il cane, ma di lato. Date un'occhiata all'illustrazione 20-1, dovreste avvicinare l'animale nel modo raffigurato nel disegno in alto. Adesso parlategli con voce pacata, emettendo suoni confortevoli a una tonalità più alta del normale. Se conoscete il nome dell'animale usatelo. Pare che abbia un effetto calmante. Di solito, dopo qualche momento, il cane si avvicina. Anche se sentite un naso freddo contro la mano, non girate ancora la testa. Aspettate fino a quando il cane ha preso la ricompensa, poi voltatela lentamente. Potete offrirgli una seconda ricompensa, ma mentre lo fate guardate la vostra mano, non il cane. Non precipitate le cose, e non cercate di accarezzarlo fino a quando avrà accettato la vostra vicinanza. Ci vorranno solo un minuto o due per riuscire nell'impresa. Se un cane non manifesta alcun timore al vostro avvicinarvi e non lo conoscete, è sempre meglio iniziare i rituali di saluto girandosi per presentargli il fianco. Non guardatelo direttamente in faccia ma voltate lo sguardo verso l'orizzonte. Se gli offrite una ricompensa o la mano per una breve annusata, fatelo tenendo la mano a distanza dal corpo, e assicuratevi di avere le dita piegate in dentro, unite. Questa tipica posizione di saluto è raffigurata nell'illustrazione 20-1, nel disegno in basso. Come nel caso di un cane timoroso, aiutatevi inoltre parlandogli con voce pacata e usando il suo nome. Anche la carezza nel cagnesco ha un significato preciso. Se allungate una mano verso il cane tenendola più in alto della sua testa, il gesto potrebbe apparire una potenziale minaccia; equivale a mettere la zampa sopra un altro cane oppure a sollevarsi per apparire più grandi. Quando volete fare una carezza a un cane, cominciate tenendo la mano bassa, lisciategli prima il petto, poi andate verso il capo in modo da evitare qualsiasi segnale di dominanza o di sfida. Supponete di essere veramente minacciati da un cane. Se l'animale mostra lo schema completo di intimidazione - bocca aperta, denti scoperti, gengive esposte, pelo alzato sul collo - dovete trovare un modo per fargli capire che non siete un pericolo. Non importa che la sua reazione sia dovuta al fatto che è dominante e si sente sfidato, oppure a paura o insicurezza. Perfino se la coda e le orecchie indicano timore non dovete allentare l'attenzione; la probabilità di essere morsicati da cani insicuri e impauriti è molto alta.

La prima cosa da ricordare è di non girarvi e correre via perché spingereste l'animale a inseguirvi. Dovete invece abbassare lentamente lo sguardo e, voltando gli occhi di lato, battere le palpebre una o due volte: e una reazione di sottomissione e pacificazione. Aprite appena la bocca, indicazione di una lieve controminaccia, facendogli così capire che risponderete all'aggressione in caso di attacco. Dopo fate lentamente qualche passo indietro, senza mai guardare il cane direttamente negli occhi. Se riuscite a tenere abbastanza sotto controllo la respirazione, ruotate la testa leggermente di lato e provate a fare uno sbadiglio, o a dire qualcosa di rasserenaste in un tono alto di voce Quando sarete abbastanza distanti, giratevi e presentategli il fianco Se l'animale si muove verso di voi, riassumete la posizione frontale e sbattete ancora le palpebre in maniera esagerata, guardate di lato e verso il basso, e continuate a indietreggiare lentamente. Se nel cane non ci sono tracce di crescente eccitazione né

atteggiamenti minacciosi, tornate a girarvi di lato e andate via adagio. Cercate di non incrociare lo sguardo dell'animale e di muovervi più tranquillamente che potete. Alcuni affermano che la maniera più efficace per prevenire l'aggressività e assicurarsi l'obbedienza del proprio cane è utilizzare certi aspetti del suo comportamento, per essere certi che l'animale capisca che siete voi il capobranco. Una volta si usavano dominanza e punizioni affinché il cane non tentasse mai di sfidare l'autorità del padrone. Nei primi tempi, forse fino agli anni Venti, l'addestramento all'ubbidienza era conosciuto come "doma del cane". Fra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, era ancora possibile procurarsi "fruste per cani" e guinzagli con il manico a forma di frusta. Più avanti, quando la gente cominciò a ribellarsi alle crudeltà inflitte agli animali, la frusta fu sostituita dal collare a strozzo e dal guinzaglio correttivo a strappo. Poi si è cominciato a saperne di più sui comportamenti canini, e gli addestratori suggerirono di usare gli stessi atteggiamenti dei canidi selvatici dominanti per punire ogni sfida alla supremazia delI'uomo, ma la maggior parte delle volte i tentativi di usare i segnali canini andavano a vuoto. Veniva osservata la reazione dei cani adulti durante un litigio. Per risolvere il conflitto, un animale mordeva l'altro sul naso o sull'orecchio. Si supponeva così che, per asserire dominanza, l'addestratore dovesse morsicare l'animale allo stesso modo. Ma cercare di mordere un cane di media o grande taglia è semplice follia: la sua bocca è molto meglio provvista di quella umana per fare del male. E io non offrirei mai il mio viso come facile bersaglio a un cane grande e arrabbiato per tentare di morsicarlo sul naso. E lo stesso vale per le orecchie, perché l'animale può facilmente voltare la testa e rispondere al morso con denti grandi e affilati. Possono esserci conseguenze legali; si sono verificati casi di persone che hanno morso il proprio cane denunciate per crudeltà verso gli animali. In più, è una strategia che non funziona. Se due cani arrivano a mordersi, vuoi dire che la comunicazione è fallita. Il morso è l'ultima risorsa se i segnali cagneschi non sono riusciti a risolvere il conflitto, non un mezzo per comunicare. Il famoso etologo Konrad Lorenz ha consigliato di punire i cuccioli afferrandoli per la collottola e scrollandoli. Il suggerimento si basa sulle sue osservazioni, poiché talvolta le madri si comportano così con i piccoli indisciplinati. Gli addestratori moderni sono andati oltre e propongono di farlo anche con i cani adulti, perché capiscano che non saranno accettate sfide alla nostra dominanza. Se l'animale è piuttosto grande, il padrone dovrebbe afferrargli la pelle ai lati del collo, fissarlo in faccia e scrollarlo violentemente. Una manovra che pone fine alla furia, non perché è un segnale cagnesco ma perché il grado di violenza è maggiore e permette di "vincere la battaglia". Però non è comunicazione, è imposizione.

Più di recente, alcuni addestratori hanno consigliato di usare il "rotolamento alfa". Hanno osservato, correttamente, che un cane remissivo spesso segnala il suo rango inferiore e la sua volontà di sottomettersi a un cane dominante girandosi sul dorso ed esponendo il ventre; allora hanno pensato di usare questo segnale cagnesco per asserire di essere i leader del branco. Secondo loro bisognerebbe costringere il cane a rotolare sul dorso, e se tentasse di muoversi, si dovrebbe tenerlo giù e ringhiargli. L'interpretazione del gesto è corretta, ma la strategia non lo è. Quando i cani interagiscono fra loro non si vede mai il dominante forzare il sottomesso a girarsi sul dorso L'animale remissivo lo fa per scelta, dopo aver riconosciuto la supremazia dell'altro. Forzare un cane a sdraiarsi sul dorso equivale a picchiare un figlio per costringerlo a fargli dire: "Ti voglio bene". Si riesce di sicuro a tirargli fuori le parole di bocca, ma non si può manipolare il reale sentimento del bambino, che magari dice quelle parole, ma nello stesso tempo odia il genitore. Imporre a un cane di assumere una posizione di sottomissione è uguale. Anzi, è peggio perché può innervosirsi al punto di attaccare. Forzarlo al "rotolamento alfa", oppure scrollarlo, è una vera e propria aggressione fisica, non comunicazione. Il totale controllo del cane si ottiene dalla combinazione di due fattori: l'accettazione che voi siete il cane Alfa e la voglia di compiacervi. Perché succeda, i messaggi devono essere equilibrati. Dovete comunicargli che siete voi il capo, ma anche assicurarvi che lui lo accetti e sia felice di vivere una vita pacifica come membro del "vostro branco". Sebbene questo non sia il luogo adatto per discutere di dominanza canina, ci sono alcune semplici regole per far sì che il cane capisca chi è il leader. È il cane Alfa a controllare le risorse e a gestire le attività. Non dovreste mai gratificarlo "gratuitamente". Se chiedete al cane di fare qualcosa, anche solo di sedersi o di sdraiarsi, poi gli date una ricompensa o una carezza sulla testa, comunicate dominanza senza segnalare minaccia o aggressività. L'animale impara che deve obbedire a un ordine, e voi, come capi, lo premierete con una cosa che gli piace. Se sentite che è necessario "gridare" in cagnesco che il comando è vostro, fatelo mettere davanti a voi,

in piedi o seduto, e appoggiategli la mano o il braccio sulla spalla, come fa un cane che vuole asserire la sua dominanza su un altro. Se si oppone a questo segnale, significa che non crede veramente che siate voi il leader. Finora ci siamo totalmente concentrati su come parlare al cane e farlo rispondere. E se invece vogliamo che smetta di parlare? Tempo fa stavo osservando una lezione di obbedienza per principianti, quando un collie di nome Richard cominciò ad abbaiare agli altri cani seduti in fila dalla parte opposta del campo. Di solito non mi preoccupo granchè se un cane occasionalmente abbaia. Ciononostante, il suo abbaio eccitato cresceva sempre di più e cominciava a dare fastidio. Il padrone di Richard gridava: - No! Fermati! - Ma sbagliava. Il padrone del cane non conosceva il cagnesco basilare. A un cane, parole brevi, urlate, come "No!", "Taci!", "Smetti!" suonano come un abbaio. Provate a immedesimarvi: il cane abbaia per segnalare un potenziale problema. Arrivate voi (che si suppone siate il leader del branco) e vi unite all'abbaio. Per l'animale è il segno che anche voi siete d'accordo e che è il momento giusto per suonare l'allarme. Richard aveva letto così la situazione, e adesso abbaiava in maniera forsennata. Il fracasso era insopportabile e tutti si guardavano intorno sperando che qualcuno intervenisse per porre fine al frastuono. L'addestratore {supponiamo che si chiamasse George) rispose a questo desiderio, ma era chiaro che ne sapeva poco di comunicazione canina, e decise di usare una minaccia di dominanza per fermare la confusione: fissò il cane negli occhi in modo accusatorio. Richard piegò indietro le orecchie in atto di sottomissione e abbassò il corpo per mostrare che aveva riconosciuto l'intimidazione. Smise di abbaiare. Purtroppo però la calma non durò a lungo. In realtà durò il tempo dell'occhiata di George, infatti, appena questi spostò lo sguardo, Richard ricominciò ad abbaiare. George allora passò a maniere più dure. Non considerò l'abbaio comunicazione, ma solo una condizione che necessitava addestramento e correzione immediata. Il nuovo tentativo fu di prendere il cane e farlo sedere vicino alla sua gamba sinistra. Quando Richard abbaiava, la mano destra di George cadeva sotto il muso del cane e gli dava un brusco schiaffo – così l’animale era costretto a chiudere la bocca per un momento – poi la mano ritornava sul fianco. La scena si ripeté un paio di volte – abbaio - schiaffo - silenzio, abbaio - schiaffo- silenzio. Appena Richard si tranquillizzava, George tornava a fare lezione. E il collie ricominciava ad abbaiare.

Si sono tentate diverse tecniche per far smettere un cane di abbaiare. Ho visto usare pistole ad acqua, nebulizzatori, museruole, nastro adesivo, riviste arrotolate, barattoli con sonagli e collari elettrici. A volte questi marchingegni funzionano, ma il più delle volte no, e anche quando funzionano, è un modo sgradevole per imporre la volontà, e possono rovinare il rapporto fra cane e padrone. Il cane abbaia per comunicare qualcosa che ritiene rilevante per il branco. Magari percepisce un pericolo e cerca di avvisare i suoi compagni, oppure ha la sensazione che ci sia un intruso all'interno del territorio e sente di dover difenderlo. Qualunque sia la ragione, il cane reagisce per il bene del suo gruppo. Immaginatevi cosa gli passa per la testa quando il suo atto di devozione viene ripagato con la violenza. È ome se una persona che avverte odore di fumo in un edificio, andasse ad avvisare i suoi amici di evacuare il palazzo solo per essere preso a schiaffi e per sentirsi dire di chiudere la bocca. Azioni così aggressive sono destinate a danneggiare le relazioni future. Inoltre, le "correzioni" violente offrono una soluzione a breve termine a un problema che è facilmente risolvibile se si conoscono i codici di comunicazione canina. Sappiamo già che sebbene da adulti i canidi selvatici abbaino di rado, da cuccioli lo fanno. Nella sicurezza della tana, un tale fracasso non nuoce a nessuno; ma quando i piccoli crescono e accompagnano gli adulti a caccia, l'abbaio diventa controproducente. Un lupo cucciolo o adolescente che abbaia al momento sbagliato può mettere in allerta la preda alla quale il gruppo è vicino. L'abbaio inoltre può attirare l'attenzione di altri predatori, più grossi di lui, ai quali magari la carne di lupo non dispiace. Per far smettere i giovani di abbaiare, l'evoluzione ha previsto un codice molto semplice. Non implica alcun segnale sonoro forte, visto che lo scopo è far cessare il rumore. Un lupo non fermerà mai l'abbaio di un altro abbaiando di rimando. Il segnale a cui ricorre non prevede nemmeno un'aggressione diretta contro l'individuo che fa chiasso. Pizzicare o morsicare non è l'ideale, perché la vittima può mettersi a guaire per il dolore, può ringhiare, scappare per evitare i denti o rispondere alla violenza corporale. Rumore e agitazione farebbero allarmare altri animali quanto l'abbaio. Da ciò si educe che il metodo per esigere quiete deve essere relativamente silenzioso e non deve costituire un'aggressione fisica. a procedura usata dai canidi selvatici è veramente molto semplice. È il leader del branco, la madre del cucciolo o un membro più in alto nella scala gerarchica a dare il segnale per fare silenzio. Per placare

l'abbaio, l'animale dominante appoggia la bocca sopra il muso del trasgressore, senza morsicarlo, poi emette un breve, basso ringhio aspirato. Tale ringhio non si sente a distanza ed è di poca durata. La bocca così appoggiata non crea dolore, e il cucciolo non guaisce né tenta di scappare. Di solito il silenzio si ottiene immediatamente. Il gesto di cui vi parlo è raffigurato nell'illustrazione 20-2. Gli uomini possono imitare questo comportamento per dire a un cane di smettere di abbaiare. Fate sedere l'animale alla vostra sinistra, poi fate scivolare le dita sul collare e tiratelo; con la destra prendete il muso e stringetelo, e nello stesso momento dite, con voce calma, priva di emotività: "Tranquillo". Ripetete questa silenziosa manovra ogni volta che servirà. A seconda della razza, saranno necessarie da due a trenta ripetizioni perché il cane associ il pacato comando con la fine dell'abbaio. Non avete fatto altro che copiare efficacemente il modo in cui il leader del branco mette sotto silenzio un cucciolo o un altro compagno chiassoso. La mano sinistra che tira il collare serve per immobilizzare la testa. La mano destra ha lo stesso scopo, e funziona come la bocca del leader appoggiata sul muso dell'animale rumoroso. La parola detta con voce sommessa imita il ringhio breve, basso e aspirato. Ritornando alla lezione di obbedienza e al collie che abbaiava, con un gesto ho avvisato George che avrei fatto cessare il frastuono di Richard. Il cane stava ancora abbaiando forsennatamente quando mi sono avvicinato. Ho usato il segnale appena descritto per imporre il silenzio e con voce bassa gli ho detto: - Tranquillo -. Ho dovuto ripetere l'azione solamente tre volte per raggiungere lo scopo. Ho poi saputo dall'addestratore che in una settimana Richard ha imparato a smettere di abbaiare alla sola parola "Tranquillo" detta in tono basso e pacato. Attenzione, però: usate questa tecnica solamente quando non è il caso che il cane abbai. È bene ricordarsi che i cani sono stati selezionati perché lo facciano, per cui se il vostro abbaia quando si avvicina un estraneo, oppure se vede un gatto dalla finestra, non correggetelo; fatelo solo se abbaia senza apparente causa. Probabilmente è meglio per noi lasciare ai cani il compito di abbaiare, ed evitare di imitarne il suono, anche per non incorrere in spiacevoli imprevisti. Linda Cawley, un avvocato, mi ha raccontato che una volta ha seguito una causa per molestie da abbaio. A essere incriminato non era stato un cane, ma un essere umano. È capitato a Lakewood, in Colorado. La persona citata in giudizio si trovava nel suo cortile quando il cane del vicino cominciò ad abbaiargli. L'uomo, che evidentemente non conosceva il principio secondo cui "abbaio produce un maggior abbaio", pensava di ottenere il silenzio abbaiando in risposta. Il cane abbaiava, lui faceva altrettanto, Il cane insisteva più energicamente, l'uomo continuava a voce più alta. Andò avanti così per alcuni giorni, fino a quando i padroni del cane si scocciarono e, invece di fare qualcosa per tranquillizzare l'animale, denunciarono l'uomo. Sembra incredibile, ma questi è stato veramente accusato di crudeltà verso gli animali per aver tormentato il cane. Nessuno però voleva arrendersi. Il cane continuava do abbaiare, l'uomo pure, e così la macchina della giustizia si mise in moto. Il caso arrivò in tribunale. L'avvocato Cawley, specializzata in questioni animali, fu chiamata a difendere l'uomo. - Ho basato la mia difesa sulla libertà di parola, - mi disse l'avvocato. Quel signore aveva il diritto di esprimere la sua opinione, e secondo lei il linguaggio usato per farlo, nella privacy del suo cortile, non era rilevante. Il giudice fu d'accordo e l'uomo assolto; in questo modo è stato confermato il diritto delle persone ad abbaiare come mezzo di espressione personale.

PAGINA 307 Post scriptum - Un'ultima parola Esiste un suono che non ho incluso nel mio trattato sulle vocalizzazioni in cagnesco. Non l'ho fatto perché è un suono automatico, probabilmente destinato a non evolversi, e che non serve a comunicare. Per me ha però un senso. È il suono del respiro del cane. Di notte, il mio vecchio Wiz dorme sul letto accanto a me, mentre Odin riposa in terra, sul cuscino, vicino alla mia testa. Il cucciolo Dancer, che non è ancora completamente addestrato, dorme invece in un piccolo recinto dall'altro lato della camera. Nella quiete e nell'oscurità, i suoni si amplificano. Posso sentire il basso, lento respiro del grande cane nero, quello breve del cucciolo arancione, e il vecchio cane bianco che occasionalmente tira su col naso e russa. Questi suoni delicati mi riportano con la mente all'uomo primitivo, sdraiato nelle caverne o in rudimentali rifugi, mentre si riposa su giacigli fatti con le pelli degli animali o con la paglia. Era un mondo ostile e pieno di pericoli. Le armi erano rudimentali, le risorse scarse, e di notte si aggiravano forze minacciose. Il nostro antenato aveva spesso i cani sdraiati accanto mentre tentava di dormire. Respirando, essi emettevano gli stessi suoni che sento io, e questi suoni avevano un significato. Non erano soltanto parte del linguaggio della natura, ma un segno di sicurezza e di conforto, la narrazione dell'eterno patto del cane con l'uomo. - Io sono qui, con te, - diceva il respiro del cane. - Affronteremo la vita insieme. Non c'è bestia o intruso che possa assalirti senza essere scoperto perché io ci sono, e rappresento i tuoi occhi e le tue orecchie. Non ti verrà fatto alcun male finché ti sarò sempre al fianco per metterti in guardia e, se sarà necessario, per difenderti. Domani andremo a cacciare insieme. Cureremo le greggi insieme. Ci sdraieremo al sole insieme. Esploreremo il mondo insieme. Rideremo insieme. Giocheremo insieme, anche se non siamo più bambini. Se la fortuna ti volterà le spalle, e soffrirai, io ti conforterò. Non starai mai più da solo. Te lo prometto. Sono il tuo cane, e ti canterò questa promessa, te la sussurrerò di notte, ogni notte, con il mio respiro. Parole che posso sentire nel respiro delicato dei miei cani e, come i miei antenati, le capisco e mi sento confortato. Nel mio cuore so che se anche il linguaggio canino fosse così limitato da poter inviare quest'unico messaggio, sarebbe comunque sufficiente.

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Appendice Nel libro ho cercato di raccogliere una varietà di segni e segnali utili a interpretare ciò che dice il vostro cane. l'appendice, divisa in due sezioni, raggruppa i contenuti e i significati principali della comunicazione canina. La prima sezione è un glossario illustrato di alcune tipiche posture ed espressioni facciali, in modo che, osservando l'animale, potrete avere una panoramica istantanea di ciò che vi comunica. La seconda è un frasario cagnesco, l'elenco dei segnali più importanti - sonori e facciali, degli occhi e delle orecchie, posizione della coda ed espressività corporea - cui ho affiancato la traduzione nel linguaggio umano. Inoltre, sotto il titolo Situazioni e/o emozioni ho elencato i motivi psicologici, le circostanze e gli eventi a monte di questi segnali. Spero così di aiutarvi a comprendere meglio ciò che il vostro cane cerca di dire ai suoi simili e alle persone.

PAGINA 311 Glossario illustrato RILASSATO Serie di segnali che mostra un cane rilassato, discretamente soddisfatto, sereno, che non si sente minacciato da ciò che gli accade intorno: Coda bassa e rilassata, Orecchie alte (non in avanti), Testa alta, Bocca leggermente aperta, lingua in fuori, Posizione sciolta, peso uniformemente distribuito sulle zampe

VIGILE E IN ALLERTA Quando il cane si imbatte in qualcosa di interessante o vede arrivare qualcuno, con questi segnali comunica che è attento a ciò che succede e che è in stato di allerta: Coda orizzontale (non rigida né con pelo alzato), Coda con eventuale movimento da lato a lato, Orecchie in avanti (con movimento a scatti, come per cogliere un suono), Occhi spalancati, naso e fronte lisci, bocca chiusa

DOMINANZA E AGGRESSIVITÀ (minaccia offensiva) Segnali inviati da un cane molto dominante e sicuro di sè che comunica superiorità sociale e la possibilità di un'aggressione se sfidato: Coda rigida, ma può fremere o vibrare da parte a parte, coda alzata con pelo rizzato, cresta di pelo rizzato sul dorso, Orecchie in avanti (talora poco aperte verso i lati, a formare un’ampia V), Fronte che può formare rughe verticali, naso corrugato, labbra arricciate, denti (e spesso gengive) visibili, bocca aperta a C, con angolo in avanti; zampe rigide, corpo leggermente inclinato in avanti. DOMINANZA E AGGRESSIVITÀ (minaccia difensiva) Serie di segnali che mostra un cane impaurito ma non remissivo, e che se incalzato, può attaccare. Gli avvertimenti sono rivolti direttamente all'individuo che lo minaccia: Coda infilata tra le zampe (ferma o appena in movimento}, cresta di pelo rizzato sul dorso, Orecchie indietro, pupille dilatate, naso corrugato, labbra poco arricciate (denti visibili), angolo della bocca tirato indietro, corpo abbassato. TENSIONE E ANSIETÀ Serie di segnali che mostra un cane teso. La fonte della tensione può essere sociale o ambientale. I segnali non sono rivolti a un particolare individuo: Coda bassa, Corpo abbassato, orecchie indietro, Pupille dilatate, Ansimi rapidi con angolo della bocca all'indietro, Cuscinetti sudati PAURA E SOTTOMISSIONE (SOTTOMISSIONE ATTIVA) Serie di segnali che mostra un cane piuttosto impaurito che presenta gesti di sottomissione. Molti di questi segnali servono a calmare l'individuo di rango superiore, per evitare future minacce o sfide: coda bassa (possibile lieve scodinzolio), corpo abbassato, orecchie indietro, fronte liscia, contatti visivi brevi e indiretti, leccate al muso del cane dominante o all'aria, angolo della bocca all’indietro, zampa anteriore alzata, possibili impronte di sudore PAURA ESTREMA (SOTTOMISSIONE TOTALE)

Atteggiamento che indica resa e sottomissione totale. Il cane manifesta la sua inferiorità e si prostra davanti all’animale di rango più elevato per calmarlo ed evitare il confronto: coda tra le zampe, rotolamento sul dorso per esporre ventre e gola, orecchie appiattite e all’indietro, testa girata per evitare il contatto visivo diretto, occhi parzialmente chiusi, naso e fronte lisci, angolo della bocca all’indietro, possibile rilascio di qualche goccia di urina. GIOCOSITÀ È l’invito base al gioco. Può essere accompagnato da un abbaio eccitato, o da festosi attacchi e immediate ritirate, viene usato per puntualizzare che l’atteggiamento violento è solo un gioco e non una minaccia reale: coda alzata, scodinzolio ampio, orecchie alzate, pupille dilatate, bocca aperta e lingua in fuori, zampe anteriori e parte anteriore del corpo abbassate. Il cane di solito mantiene questa posizione solo per un attimo, poi si lancia in una folle corsa.

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Frasario cagnesco È una raccolta dei principali segnali di comunicazione canina; non è però esaustiva, perché le sfumature di significato sono moltissime. È ripartita in segnali sonori (suddivisi in abbai, ringhi, uggiolii e piagnucolii) e segnali visivi (suddivisi in cenni degli occhi, della faccia, della coda, linguaggio del corpo e sbadigli). In molti casi un segnale deve essere letto insieme ad altri per afferrarne il senso senza equivoci. Ho tradotto il tutto nel linguaggio umano per rendere più chiara la comprensione. La sezione Situazioni e/o emozioni serve per comprendere il sentimento o l'evento che ha fatto scattare la comunicazione. All'interno di ogni sezione, inoltre, ho inserito alcune Regole generali. Il cane può modificare tutti i segnali se vuole aggiungere elementi di aggressività, di pacificazione e calma, o se dietro il messaggio è celata maggior agitazione ed eccitazione. Le frasi arrivano dal linguaggio produttivo dell'animale che noi uomini possiamo interpretare. Gli aspetti del linguaggio umano che un cane è in grado di capire dipendono dalle esperienze individuali con le nostre parole e il linguaggio del corpo, quindi ovviamente non possono essere qui elencati. Mi auguro comunque che il frasario possa aiutare voi e il vostro cane a raggiungere una reciproca comprensione.

ABBAI Segnali Rapida serie di 3 o 4 abbai inframmezzati da pause (intonazione media) Abbai rapidi (intonazione media)

Abbai continui (lievemente più lenti, intonazione più bassa) Lunga serie di abbai solitari inframmezzati da pause Uno o due abbai brevi e acuti (intonazione alta o media) emessi con tranquillità Abbaio singolo, forte, acuto e breve (intonazione medio-bassa)

Significato nel linguaggio umano "Raggruppiamoci. Ho il sospetto che bisognerebbe indagare su ciò che sta accadendo "Branco a raccolta!" "Qualcuno sta entrando nel nostro territorio". "Dobbiamo fare qualcosa subito". "Un intruso (o un pericolo) è molto vicino. Prepariamoci a difenderci!" "Mi sento solo e ho bisogno di compagnia. C'è nessuno nei dintorni?" "Ciao a tutti! A fra poco".

"Smettila. Vai indietro!"

Abbaio singolo, moderatamente "Che cos'è?" "Ehe?" forte, breve e acuto (intonazione più alta) Abbaio singolo, più prudente "Vieni qua!" (intonazione da media a medio-alta), che può suonare leggermente forzato o artificiale Abbaio balbettante ("Arr-ruff!") "Dài, giochiamo!"

Abbaio crescente

"Questo sì è divertente!" "Dài, andiamo!"

Situazioni e/o emozioni Richiamo di attenzione. Si intuisce più interesse che allarme Abbaio base di allarme. Il cane è eccitato ma non ansioso. Si avvicina un estraneo o accade qualcosa di inatteso. Più insistente del precedente abbaio spezzato Versione più preoccupata dell'abbaio di allarme, percepisce una minaccia Scatenato da isolamento sociale o da reclusione Tipico segnale di saluto o riconoscimento, provocato dall'arrivo o dalla vista di una persona familiare Abbaio di fastidio: viene disturbato mentre dorme, gli si tirano i peli o situazioni simili Segno di sorpresa o sbigottimento Tipo di comunicazione con cui cerca di ottenere una reazione da un umano, come farsi aprire una porta, ricevere il pasto eccetera Solitamente accompagnato dalle zampe anteriori poggiate a terra e la parte posteriore del corpo tenuta alta: è un invito al gioco Abbaio d'eccitazione emesso durante il gioco o in previsione del gioco, per esempio se il padrone sta lanciando una palla

Regole generali degli abbai: - Intonazioni basse indicano dominanza o minaccia, intonazioni alte indicano insicurezza o paura. - Più rapido è il ritmo, più eccitato e agitato è il cane.

RINGHI Segnali Sommesso, a bassa intonazione (sembra che venga dal torace) Ringhio-abbaio (bassa intonazione: "Grrrr-ruff")

Significato nel linguaggio umano "Sta' indietro!" "Attento!"

Ringhio-abbaio (intonazione medio-alta)

"Sono arrabbiato e se mi costringi combatterò! Compagni di branco, tutti intorno a me per difendermi!" "Mi fai paura, ma se sarà necessario mi difenderò!"

Ringhio ondulato (l’intonazione cresce e si abbassa)

" Sono terrorizzato! Se ti avvicini, posso combattere,oppure scappo".

Situazioni e/o emozioni Emesso da un cane dominante infastidito o che esige l'allontanamento di altri Cane infastidito ma meno dominante, con celata richiesta di aiuto da parte degli altri membri del branco Una minaccia dovuta a preoccupazione da parte di un cane insicuro ma che aggredirà, se incalzato Il suono impaurito-aggressivo di un cane profondamente insicuro

Regole generali dei ringhi: - Intonazioni basse indicano dominanza o minaccia, intonazioni alte significano insicurezza o paura. - Più tonalità e regolarità del ringhio variano o si modificano, più il cane è insicuro. ULULATI E LATRATI Segnali Uggiolio-ululato (un uggiolio che finisce con un ululato prolungato) Ululato (di solito sonoro e prolungato)

Abbaio-ululato ("Ruff -ruff -howl) Latrato

Significato nel linguaggio umano "Sono solo. Non c’è nessuno nei dintorni?" "Sono qui!" "È il mio territorio!" "Ascolto il tuo ululato".

Situazioni e/o emozioni Scatenato da isolamento dalla famiglia e da altri cani I cani lo usano per annunciare la loro presenza, per socializzare a distanza, e per dichiarare il possesso di un territorio. A noi umani sembra un suono triste, ma il cane è piuttosto felice. "Sono preoccupato e solo. Perché Il triste suono di un cane solo e nessuno viene da me?" isolato, timoroso che nessuno risponderà alla sua chiamata "Seguitemi!" "Adesso tutti insieme!" Il richiamo di chi ha fiutato le tracce "Ho fiutato l'odore, statemi vicini!" della selvaggina e si vuole assicurare che i membri del branco gli stiano vicino per cooperare

UGGIOLII, PIAGNUCOLII, GEMITI E PIANTI Segnali Significato nel linguaggio umano Uggiolio che cresce di tonalità alla "Voglio..." "Ho bisogno" fine (come fosse mischiato a un leggero piagnucolio) Uggiolio che cala di tono alla fine o "Dài, andiamo!" che semplicemente si affievolisce senza mutare intonazione Gemito in falsetto ("Yowel“Sono eccitato” “dài facciamolo!” wowel-owel-wowel") o “Grandioso!” ululato-sbadiglio (un "Hoooooooah-hoooo" buttando fuori tutto il fiato) Piagnucolio sommesso "Sono ferito"."Sono terrorizzato". Guaito singolo (può suonare come un abbaio molto breve e ad alta intonazione Serie di guaiti

"Ahia!" (o una qualche breve imprecazione) "Ho paura!" "Mi sono fatto male!" "Voglio entrare!" "Mi arrendo!"

Urlo (simile a quello emesso da un "Aiuto! Aiuto!" bambino che soffre intensamente, "Penso di star morendo!" combinato con un guaito prolungato) Ansimi “Sono pronto” "Quando cominciamo?" "Incredibile!" "Questa cosa mi agita!" "Va tutto bene?" Sospiri "Sono felice e ho intenzione di accomodarmi qui per un po’” “Adesso ci rinuncio e sono avvilito”

SEGNALI DELLE ORECCHIE (da associare ad altri segnali)

Situazioni e/o emozioni Una richiesta o una supplica: se è più forte e frequente, dietro la richiesta c'è un'intensa emozione Indica eccitazione, ad esempio quando aspetta che gli si dia da mangiare o che gli si lanci la palla Segnali di divertimento ed eccitazione, sta per succedere qualcosa di piacevole; i cani ne emettono uno a scelta Un suono passivo/sottomesso dovuto a paura, riscontrato nei cani adulti come nei cuccioli Una reazione a un improvviso e inaspettato dolore Una reazione attiva a paura o dolore, di solito quando il cane scappa per evitare uno scontro o un incontro che lo impaurisce Un segno di dolore e di panico di un cane che teme per la propria vita Suono di eccitazione, tensione o ansia, l’animale può lasciare impronte di sudore sul pavimento Un altro segnale emotivo semplice che conclude l'azione. Se l’azione è stata premiata, indica contentezza; altrimenti sottolinea la fine di uno sforzo

Segnali Orecchie dritte o leggermente in avanti Orecchie completamente in avanti (associate a denti scoperti e naso corrugato) Orecchie tirate indietro, appiattite contro la testa (associate a denti scoperti e fronte corrugata) Orecchie tirate indietro contro la testa (denti non visibili, fronte liscia, corpo abbassato)

Significato nel linguaggio umano "Cos'è quello?"

Situazioni e/o emozioni Segno di attenzione

"Valuta molto attentamente la tua prossima azione. Sono pronto a combattere!" "Ho paura ma sono pronto a difendermi se avrò l'impressione che tu voglia farmi del male". "Ti accetto come mio potente leader". "So che non mi vuoi fare del male perché io non sono una minaccia". "Ehi. Possiamo divertirci insieme".

L'effettiva sfida aggressiva di un cane dominante e sicuro di sè

Orecchie tirate indietro contro la testa (coda alta, palpebre che battono, bocca aperta e rilassata) Orecchie tirate leggermente indietro, "Quello che accade mi insospettisce" tanto che si ha l’impressione che "Questo non mi piace, potrei lottare siano divaricate o aperte verso i lati o scappare” Orecchie che si muovono a scatti, prima leggermente in avanti, poi indietro o buttate verso il basso

"Sto controllando la situazione, non avertela a male"

Un segnale di aggressività causata da paura, in un cane non dominante che si sente minacciato Un segnale efficace di pacificazione e sottomissione Un gesto amichevole, spesso seguito da una reciproca annusata o un invito al gioco Segno di tensione o ansia per come la situazione si evolve; potrebbe trasformarsi in aggressività o in paura, dipende da quello che succederà Un segnale di pacificazione e sottomissione da parte di un cane indeciso e forse vagamente apprensivo

SEGNALI DEGLI OCCHI Segnali Sguardo diretto occhi-negli-occhi Occhi voltati altrove per evitare il contatto visivo Sbattere le palpebre

Significato nel linguaggio umano "Ti sfido!" "Smettila!" "Sono io il capo qui, vattene!" "Non voglio guai!" "Accetto che sia tu il capo". "Ok, vediamo se riusciamo a evitare una sfida"."Non voglio minacciarti".

Situazioni e/o emozioni Segnale dominante/aggressivo di un cane sicuro di sè che ha uno scontro sociale con un suo simile Segnale di sottomissione con un vago sottofondo di paura. Gesto di pacificazione che interrompe lo sguardo e abbassa il livello dello scontro, senza rinunciare al rango

Regole generali dei segnali degli occhi: - Più la pupilla è grande, più il cane e eccitato e agitato - Più la forma degli occhi è grande e tonda, più il segnale è di dominanza e minaccia. - Più gli occhi sembrano piccoli (e tenuti semichiusi), più il segnale è di pacificazione e sottomissione I segnali emotivi dati dai movimenti della regione frontale che corrisponde alle nostre sopracciglia, sono pressoché uguali ai segnali che noi inviamo con le sopracciglia

SEGNALI FACCIALI (da associare ad altri segnali) Segnali Significato nel linguaggio umano Bocca rilassata, leggermen te aperta "Sono felice e rilassato". (la lingua può essere visibile o appena appoggiata sui denti inferiori) Bocca chiusa (non sono visibili né "Interessante". "Mi chiedo cosa stia lingua né denti, il cane guarda in una succedendo là". direzione particolare, postura lievemente in avanti) Labbra arricciate per mostrare alcuni "Vattene! Mi dài fastidio!" denti (bocca quasi del tutto chiusa) Labbra arricciate per mostrare gran parte dei denti; alcune rughe sulla parte superiore del naso, bocca parzialmente aperta Labbra arricciate per esporre non solo tutti i denti ma anche le gengive superiori; rughe visibili sopra il naso Sbadigli

“Se mi incalzi, o se fai qualcosa che secondo me è una minaccia, comincerà lo scontro!" "Vai indietro, subito, altrimenti…”

Situazioni e/o emozioni Il gesto che più si avvicina al sorriso umano Un segnale di attenzione o di interesse Il primo segnale di fastidio o di minaccia; può essere accompagnato da un ringhio basso brontolante Reazione aggressiva, che può essere motivata da una sfida alla dominanza sociale o dalla paura

Alto livello di aggressività e alta probabilità di attacco se al cane non viene lasciato maggiore spazio "In questo momento sono un po’ Segno di tensione e angoscia; può teso". essere usato anche per allontanare una minaccia Leccare la faccia di una persona o di "Sono il tuo servitore e amico, e Un gesto di pacificazione e un cane riconosco la tua autorità " "Ho fame. remissività, consapevole della Si può avere uno spuntino?" dominanza dell'altro cane. Può anche essere una richiesta di cibo, comportamento che perdura dall’età giovanile. Leccare l’aria "Mi inchino di fronte alla tua L'estremo segnale di sottomissione autorità e spero che tu non mi faccia che mostra remissività dovuta a del male". terrore Regole generali dei segnali facciali che implicano la bocca: - Più denti e gengive sono in mostra, più forte è il segnale di minaccia - Se la bocca è spalancata e a forma di C, la minaccia è basata su dominanza - Se la bocca è aperta ma l'angolo sembra tirato indietro, la minaccia è basata su paura

SEGNALI DELLA CODA Segnali Coda orizzontale, lontana dal corpo ma non rigida Coda orizzontale, dritta in fuori, lontana dal corpo Coda in su e leggermente incurvata sul dorso

Significato nel linguaggio umano "Qui potrebbe accadere qualcosa di interessante" "Vediamo di stabilire chi è il capo qui" "Io sono il capo in questi dintorni, e tutti lo sanno"

Situazioni e/o emozioni Segno di attenzione rilassata

Coda più bassa della linea orizzontale ma ancora distante dalle zampe, a volte oscilla avanti e indietro Coda bassa, vicina alle zampe posteriori, possibile scodinzolio lento e non ampio, zampe dritte e corpo tenuto ad altezza normale Coda bassa, vicina alle zampe posteriori, corpo abbassato perché le zampe sono piegate Coda infilata fra le zampe

"Va tutto bene." "Sono rilassato”

Posizione normale di un cane tranquillo, senza particolari preoccupazioni

"Non mi sento tanto bene" "Sono un po' depresso"

Segnale di disagio o angoscia mentale e fisica

"Mi sento leggermente insicuro”

Segnale di angoscia sociale e sottomissione moderata

Pelo alzato solo sulla punta

"Oggi mi sento un po’ giù”

Spasmo o brusca incurvatura della coda

"Se sarà necessario ti dimostrerò chi è il boss, qui!"

Lieve scodinzolio, oscillazioni di modesta ampiezza

"Ti piaccio, vero?" "Sono qui"

Scodinzolio ampio ma non tale da arrivare a toccare le anche, postura non bassa

"Mi piaci!” "Dài, diventiamo amici".

"Sono spaventato" "Non farmi male!" Pelo alzato nella parte inferiore della "Ti sfido!" coda

Scodinzolio ampio, con oscillazioni "Tu sei il leader del mio branco e ti talmente estese che la coda tocca le seguirò ovunque!" anche da una parte all'altra. Possibile abbassamento della parte anteriore

Rituale di saluto prudente e moderata sfida iniziale alla vista di un estraneo Segnale che indica sicurezza in un cane dominante

Gesto di sottomissione dovuto a paura e apprensione Aggiunge un elemento di minaccia e aggressività a qualsiasi altro segnale o posizione della coda Aggiunge un elemento di paura o angoscia a qualsiasi altro segnale o posizione della coda Il segnale aggiunge sia dominanza sia una minaccia imminente a qualsiasi altro segnale o posizione della coda Indica un tentativo di sottomissione che può accompagnare molte posizioni della coda Un gesto amichevole casuale che non implica alcuna dominanza sociale; si può vedere durante il gioco Un segnale di rispetto e di remissività moderata verso la persona o il cane cui è diretto. Il cane non si sente minacciato ma è

del corpo Scodinzolio lento con la coda in una posizione abbastanza bassa

"Questo proprio non lo capisco". "Sto cercando di capire il messaggio”

consapevole della sua inferiorità di rango e spera di essere accettato Non è un segnale sociale vero e proprio, piuttosto un segno di indecisione o perplessità per ciò che accade o per ciò che il cane si aspetta

Regole generali dei segnali della coda: - Più la coda è alta, più il segnale è di dominanza; più è bassa, più indica sottomissione - La velocità del movimento indica il grado di eccitazione e agitazione. La coda tremolante (che più che uno scodinzolio sembra una vibrazione) non deve essere interpretata come uno scodinzolio, è un semplice segnale di emotività - I segnali della coda devono essere letti in rapporto alla posizione normale, rilassata della coda del cane (nel greyhound, ad esempio, è bassa, mentre nel malamute è alta). LINGUAGGIO DEL CORPO Segnali Zampe rigide, postura eretta, o lento movimento in avanti a zampe rigide

Significato nel linguaggio umano "Nel circondario sono io il capo". "Mi vuoi sfidare?"

Corpo lievemente inclinato in avanti, "Accetto la sfida e sono pronto a zampe unite combattere!" Pelo alzato sulle spalle e sul dorso

"Ce l'ho con te! Scegli: o la smetti subito, o lotti, oppure indietreggi!"

Pelo alzato solo sulle spalle

"Mi stai innervosendo. Non costringermi a lottare". "Questo non mi piace" "Dài, non litighiamo". "Accetto che tu mi sia gerarchicamente superiore". "Sei il mio leader. Ti prego, accettami". "Voglio..."

Il cane abbassa il corpo o si accuccia, e intanto guarda verso l'alto Colpetto con il muso

Situazioni e/o emozioni Segnale aggressivo di un cane dominante che intende asserire la sua leadership Reazione a una minaccia o perché il cane minacciato non si tira indietro; segno che l'aggressione vera è imminente Aggressività crescente in un cane dominante e sicuro di sè; l'attacco può partire in qualsiasi momento Un segno di aggressività dovuta a paura in un cane minacciato che sente che sarà costretto a combattere Un gesto di sottomissione per pacificare un cane più dominante

Stesso significato della leccata, ma non per sottomissione; è un gesto usato come richiesta Il cane si siede quando viene "Il nostro rango sociale è simile, Un piccolo gesto di pacificazione da avvicinato da un suo equivalente e si allora comportiamoci in modo parte di un cane solitamente lascia annusare pacifico e civile" dominante, che è solo di poco inferiore a un altro Il cane si rotola sul fianco o espone "Sono solo una povera bestiolina che Sottomissione passiva, l’equivalente la pancia, interrompendo il contatto accetta la tua autorità, non sono una canino della prostrazione visivo minaccia".

Il cane si mette sopra un altro che “Sono più grosso, più gran de e magari è sdraiato. Testa appoggiata perciò il leader indiscusso” sul dorso o sulle spalle di un altro cane. Zampa davanti o sopra un altro cane Colpo con la spalla "Io sono dominante su di te, per cui quando passo mi devi lasciare la strada”

Rivendicazione di dominanza e rango sociale

Rivendicazione più intensa di dominanza sociale; una versione moderata dello stesso segnale è l'appoggio Il cane gira il fianco a un altro cane "Accetto il fatto che tu sia più Ammissione di inferiorità di un cane dominante, ma anch'io me la cavo" sicuro di sé. Se il divario sociale è maggiore, il cane può girare la parte posteriore verso il dominante Quando è minacciato da un altro "Non mi interessano le tue minacce e Segnali di pacificazione e cane: annusa il terreno o scava, non ho intenzione di reagire, per cui acquietamento basati sulla punta lo sguardo verso l'orizzonte , si calmati". distrazione; indicano assenza di gratta ostilità ma non sottomissione Il cane si siede e alza leggermente la "Sono un po' angosciato, infelice e Un segno di insicurezza e vaga zampa anteriore preoccupato". tensione Il cane si gira sul dorso e sfrega le "Sono felice, va tutto bene". Un rituale che di solito si verifica spalle sul terreno; a volte strofina dopo qualcosa di piacevole, per cui anche il naso viene definito "rotolamento di contentezza " Il cane si accuccia con le zampe "Dài, giochiamo!" Il comune invito al gioco. Può essere anteriori distese, parte posteriore del "Oops! Non era mia intenzione usato anche per rassicurare un altro corpo e coda alzate spaventarti. Stavo solo giocando" cane che il comportamento chiassoso e minaccioso non deve essere preso sul serio Regole generali del linguaggio del corpo: - Tentativi atti a far sembrare il cane più alto o più grosso sono segnali di dominanza - Tentativi atti a far sembrare il cane più piccolo sono segnali di sottomissione e pacificazione - Puntare il corpo, la testa e gli occhi verso un altro cane indica dominanza e forse minaccia - Voltare il corpo, la testa o gli occhi altrove è un segnale di pacificazione e un invito alla calma

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