Solmisazione Parte II

November 13, 2018 | Author: Pablo Ronchi | Category: Clef, Notation, Musical Compositions, Musical Notation, Elements Of Music
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Didattica storica

 A cosa servono i duo? 

La solmisazione (Parte II) di Andrea B orns  orns t  tein e   in

Le eccezioni

Se la melodia ascende solo una nota oltre l’esacordo, quella nota sarà cantata Fa e non ci sarà alcuna mutazione, a meno che il compositore (o chi per lui) non abbia apposto un bequadro (o un diesis in funzione di bequadro) su quella nota. Bononcini (1673) spiega la faccenda molto chiaramente:

Qui è d’avvertire che alla nota dell’ultima posizione, o corda, di queste deduzioni, vi s’intende s’intende naturalmente naturalmente il bemolle per raddolcir raddolciree l’asprezza del tritono, come in molte cantilene di buoni autori si può vedere:

V b w w w w w w A w Do

Re

Mi

Fa

Sol

La

& b w w w w w w w

Fa

Do

Re

Mi

Fa

Sol

La

Fa

e quando per avventura vi si trova collocato appresso il bequadro, si deve fare la mutazione nel La, dicendo Re Mi invece di La Fa:

V b w w w w w œ n w Do

Re

Mi

Fa

Sol

Re

& b w w w w w œ n w Do

Mi

Re

Mi

Fa

Sol

Re

Mi

Q uesta vesse uesta regola è chiamata del «Fa supra La » e i teorici hanno sempre discusso se la regola a v  e  sse influenzato la pratica (ovv ero ero il rifuggire il tritono v esse melodico e le seste maggiori) oppure se l’orecchio – il gusto musicale – a v  esse imposto la regola. Bononcini sembra sposare la prima ipotesi. Bernardino Lupacchino,

primo Duo III , Cant o, o, miss. 57-60, I l l  prim

libr o a  a d  d u  e    v oci  (V ene ue v  enez ia ia 1559)

sesta maggiore → minore

& œ œ œ œ b˙ .

˙

tritono evitato

Re

Ma la regola del

Fa

Sol

Fa

La

La

«Fa supra La » dev e essere applicata con cognizione, perché possono esserci eccezioni. Scri v e  A ndreas ndreas Ornitoparch rnitoparchus us (1517):

Questa re  g ola ola non vale quando la melodia ascende subito dopo al F fa ut, come possimo vedere nell’inno  A v  ve  maris stella .

V w w Nw w w w w w w w w Re

( La

Fa

Sol)

Re

Mi

Do

Re

Mi

Fa

Sol

Fa

Mi

Re

Un’altra eccezione coin v olge ve, olge il Fa: in una musica senza bemolle in chia v  e  , ogni bemolle dev e essere chiamato Fa senza per questo coinv olgere olgere altre note nella mutazione:

Bernardino Lupacchino,



Fa

œ ˙

Mi

So Sol

Duo V  II , Tenore, miss. 37-39

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Fa

So Sol

Re

Fa

 

F Fa a

Do

 N° 3 LUGLIO-SETTEMBRE 2000 HORTUS MUSICUS

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Didattica storica

5

V  œ œ œ œ œ œ œ œ œ

4

Giuseppe Giamberti, «Ballo di Mantua», Duo (Rome, (Roma, 1657) 1657)

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Adriano Banchieri, «Primo duo in contrapunto sopra Ut Re Mi Fa Sol La» Cartella musicale (Venice, (Venezia,1614) 1614) [voce superiore] Discepolo [upper line]

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FINE



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DA CAPO

35

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 All’opposto, cantare note alterate con diesis non coinvolge nessuna mutazione: dobbiamo solo alzare l’intonazione della nota senza cambiare il suo nome. Scrive Orazio Scaletta (1626):

Il diesis è un segno di virgole incrociate, come qui si vede, del quale a’ principianti si dirà sol questo: che quelle note che seguiranno dietro al diesis saranno di sostentazione, cioè se li darà la voce più delicata. Cerone ci f ornisce un buon esempio delle regole che coinvolgono le alterazioni e il zione sono mie aggiunte, utili per comprendere le mutazioni implicite:

«Fa supra La ». Nell’esempio le note nere e la loro relativa solmisa -

Domenico Pietro Cerone,  El Melopeo y Maestro (Napoli 1613), p. 495

& c w œ w w b w œ w w w w w w w b w & w w w bw w œ w bw w w w w #w ›  Re

Re

 La

Sol

Fa

Fa

Sol

La

Re

Re

Mi

Fa

La

Fa

 Re

La

Fa

Sol

Fa

• R isol v ere l’eserciz io su Ba nc hieri, U  t R e

Re

Sol

Fa

La

Fa

Sol

La

Sol

La

M i  F a S ol La 

• R isol v ere l’eserciz io su Gia mberti, B allo d i   Ma nt ua    

Dagli esempi che finora abbiamo visto, dovrebbe risultare c hiaro che la solmisazione è una tecnica dinamica: le note cambiano il loro nome in rapporto alle seguenti. Provare a solmisare solo piccoli f rammenti di melodia non ha senso, perché occorre sempre prevedere lo sviluppo della melodia,

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come prescrive Orazio Scaletta nei suoi «Avvertimenti per cominciar a leggere»:

  cc hi o in c he  r ig a s ia   pos ta  la c hi av  e, c he  sor te di  c hi av  e  s ia   , s e  s i   ca nt a pe r bemoll e  lo scolaro […] v ol end o d ar pr inc ipi o al l egge re  , deve  pr ima d ar de ll ’o   cc hi o s empr e ina nti  pe r a ntivede re    s e  occorr es  s e f  ar la mut az  i one  o no. P osc ia  c he que st a   pra ti ca conosc e rà   pront am o pe r bequa dr  o, scorr end o con l ’o   ente  e  con f  ac il   ità  g ra nde  o gni not a ,  pe r di st   an  te  c he  s ia  l ’una d all ’a  l t ra . La pratica colta della solmisazione Q uando solmisiamo può capitare di usare la stessa successione di silla be per passaggi a ff atto diversi. I compositori si sono sempre sentiti liberi di giocare con queste successioni di silla be, per esempio creando melodie in cui le note assumono un significato letterale oppure costringendosi a impiegare la stessa serie di poche silla be per l’intero pezzo. Un noto ‘gioco’ musicale rinascimentale, proba bilmente utilizzato per la prima volta da  Josquin, era «La Sol Fa R e Mi», ovvero «Lassa f are a mi», come pare amasse dire il cardinale milanese Ascanio Sf orza , promettendo ciò che poi difficilmente avrebbe mantenuto. Il compositore fiammingo potrebbe aver desunto il tema dalla barzelletta «Lassa f are a mi, non ti curare», attribuita a Sera fino A quilano, grande amico di  Josquin e come lui al servizio del cardinale attorno agli anni ’80 del Q uattrocento.

Orlando di Lasso compose un ottimo esempio di duo didattico impiegando quest’obbligo. • Risolvere l’esercizio 6 su Lasso, La Sol Fa Re Mi 

I canoni sono già  un tipo di obbligo e Berardi (1693)  ce ne mostra alcuni nei quali il testo è generato dalle silla be della solmisazione:  Ang elo Berard i, «De ca noni sopra le vocali», I l  pe rché mus i ca   le (Bologna 1693), pp. 114-15  La

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La

Sol

 Re

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w

so

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 La

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-

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 Mi

la

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Fa

 La

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 Mi

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(Re)

w

lan

-

gui

-

-

-

˙

re

.

Un altro trucco è f ar cantare alle voci le stesse silla be, ma non sulle stesse note. Q uesto era un obbligo molto praticato e d era chiamato «imitazione con inganno». Scrive Artusi (1603):

  c he una  par te incominc ia  n  d o   no s i  f   a o gni v ol ta L’ing an

un so ggett o, i l cons eguente  la s eguit a non pe r  g l i   s te ss i  g ra di, ma s ebbene  pe r  g li    s te ss i nomi 

di  s il  la be  o di  s uoni. Uno stupendo esempio d’inganno è in un duo di Grammatio Metallo:    X   • Risolvere l’esercizio 7 su Met allo, D uo I limiti

della solmisazione sono due grossi limiti nella solmisazione: il primo è la difficoltà  di solmisare musiche con diesis o più di un bemolle in chiave; il secondo è l’impossibilità  di solmisare passaggi cromatici. Inf atti non possiamo cantare due note consecutive distanti tra loro un semitono assegnando a esse lo stesso nome. Non a caso la musica didattica a due voci ha sempre e sistematicamente evitato questo genere di passaggi. Il primo problema , però, può essere risolto cambiando la chiave del pezzo: se per esempio dobbiamo cantare un brano con due diesis scritto in c hiave di V iolino, possiamo semplicemente leggerlo in chiave di Tenore senza alcun accidente: Ci

& # # B n n  c œ œ œ œ œ œ Re

B  œ œ ˙ Fa

B  ˙ Fa

B  ˙ Sol

Sol

Mi

Fa

Sol

La

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Fa

Mi

La

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La

Sol

Œ œ œ ˙ Mi

Fa

Sol

Fa

Mi

Re

Œ œ œ ˙ Fa

Mi

Œ œ œ œ œ œ œ Fa

Mi

Re

Do

Fa

Mi

Re

Re

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Fa

Mi

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Re

Re

Do

La

Re

Sol

Fa

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Re

La

Œ œ La

Se la musica non modula possiamo sempre trovare la giusta chiave e tonalità  per solmisarla f acilmente, ma dobbiamo saper leggere in tutte le chiavi: quest’a bilità  era considerata assolutamente prioritaria nella didattica antica e ritengo che anche oggi sia da raccomandare caldamente. Q uando nel corso del Seicento la musica cominciò a essere pubblicata in tonalità   complesse, cominciarono a d apparire nei trattati e nelle raccolte didattiche tavole di conversione che permettevano di trovare il più semplice accoppiamento possibile di c hiave/armatura di chiave. Q ueste tavole erano tutte più o meno come quella che qui ho trascritto, stampata nel trattato P ri mi e l ementi di mus ic  a pra tti ca pe r g l i   s tudenti  pr inc ipi an  ti di t al pro fe ss io  ne , pubblicato a V enezia nel 1707 dall’editore Antonio Bortoli:

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