Solmisazione Parte I
November 12, 2018 | Author: Pablo Ronchi | Category: N/A
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Didattica storica
A cosa servono i duo? duo?
La solmisazione (Parte I)
di Andrea Bornstein
Introduzione
cano molte condizioni: saper leggere sopra tutte le chiavi e in partico-
Da anni mi dedico allo studio della musica didattica rinascimenlare quelle che sono appropriate alla di lui voce, se gli ricerca sapere fondatamente fondatam ente tutte le mutazioni mutazi oni superiori super iori e inferi ori, così ascendenti ascend enti tale e barocca, in particolare al duo, anche detto bicinium, sebbene come discendenti, e per ultimo portar giusta la voce nelle note semplici , tale termine fosse utilizzato solo fuori dall’Italia. Ho cominciato a apuntate di grado e salto. E mentre avrà tutti questi reali fondamenti, interessarmi a questo soggetto molto tempo fa, quando studiavo potrà dar principio princ ipio al cantare le parole, parole , che in breve riusc irà sicuro sicur o auto dolce al Conservatorio di Bologna sotto la guida di Giorgio cantore […] Pacchioni, Pacchioni, che per primo mi fece comprendere l’importanza di suonare, cantare e in genere studiare i duo come parte integrante di un completo curriculum formativo. A partire dall’inizio del Cinquecento e almeno no alla prima Fa fa fa sol sol la fa metà del Settecento le composizioni a due voci rappresentarono infatti uno dei principali strumenti didattici usati dai docenti. Il duo Il bian bian - co_e co_e dol - ce ci gno veniva impiegato per insegnare ogni aspetto della musica sia al dilettante sia al futuro professionista. Le sue funzioni didattiche possono Banchieri fu un prolico compositore di duo, che sono sparsi in essere così riassunte: tutte le sue opere teoriche e anche in una raccolta autonoma, Il • Insegnare le basi teoriche (quali le chiavi, il pentagramma, i principiante fanciullo a due voci (Venezia 1625). L’enorme imporvalori) e la solmisazione. tanza del duo didattico è dimostrata dalla copiosa produzione di • Fornire materiale per le esercitazioni vocali e strumentali (su questo genere di composizioni: le raccolte esclusivamente dedicate qualsiasi strumento). al duo didattico giunte no a noi sono più di sessanta (senza contare • Insegnare la teoria modale e la composizione. le ristampe) e se prendiamo l’opera di Lupacchino e Tasso, la più L’allievo, dopo aver imparato a leggere la musica e la Mano Gui- famosa, possiamo vedere che è stato il libro di musica più pubblicato doniana, cominciava a cantare – generalmente la voce superiore di in assoluto nella sua veste originale, perno più di Palestrina e di un duo – così il maestro, cantando la voce inferiore, poteva guidare i Arcadelt, vedendo vedendo la luce nel 1550 circa (la prime edizioni sono perprogressi tecnici e artistici del giovane. Nell’esecuzione Nell’esecuzione erano impie- dute) e poi ininterrottamente stampato no almeno al 1701. gati i cosiddetti «tre modi di cantare»: Noi, studiosi e praticanti moderni di musica antica, dovremmo avere 1. Semplice solmisazione, ovvero cantare Ut, Re, Mi, Fa, Sol, La. le stesse motivazioni a eseguire e studiare il duo, soprattutto se vogliamo realmente comprendere i meccanismi teorici e pratici della musica dei 2. Vocalizzazione, Vocalizzazione, ovvero cantare utilizzando sillabe casuali. 3. Cantare le parole, sia quelle eventualmente previste dall’autore secoli scorsi, dei quali affronteremo in primo luogo la solmisazione. Correderemo le nostre spiegazioni con la proposta di alcuni esercizi del duo sia altre scelte volta per volta. L’esecuzione strumentale era identicata con il secondo modo di da risolvere – occorrerà assegnare secondo le regole a ciascuna nota il cantare. Uno dei maggiori didatti del Seicento, Adriano Banchieri, relativo nome e confrontare i risultati con le soluzioni a p. 42 – che nella sua Cartella musicale (Venezia (Venezia 1614) così descrive questo per- ci aiuteranno a familiarizzare rapidamente con la solmisazione e ad acquisire così un indispensabile strumento di comprensione della teoria corso didattico: e della pratica musicale rinascimentale e barocca, senza la cui padroMODO DI CANTARE LE PAROLE SOTTO LE NOTE nanza, occorre dire, le nostre ricerche musicologiche e le nostre esecu Avanti che il pri ncipiante ncipia nte cantore canto re entri entr i nelle parole, parole , prima prim a se gli gl i ricerric erzioni musicali risulterebbero risulterebbero incerte, arbitrarie e addirittura fuorvianti.
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N° 2 APRILE-GIUGNO 2000 HORTUS MUSICUS 37
Didattica storica
Che cos’è la solmisazione
La solmisazione non è solo una tecnica per leggere le note e per imparare a intonarle: è anche un linguaggio musicale che può essere letto e utilizzato a differenti livelli di complessità. Ignorarlo rende alcuni importanti cardini della teoria, che risultavano chiari a musicisti nati e cresciuti nella prassi rinascimentale della musica, oscuri a noi moderni. Per esempio, senza conoscere la solmisazione è veramente difcile oggi… • Comprendere e gestire con sicurezza l’applicazione di tutti gli accidenti sottintesi. • Comprendere i giochi lessico/compositivi come «La Sol Fa Re Mi» e tecniche compositive importanti come l’imitazione d’inganno. • Comprendere e gestire la teoria dei trasporti sia di chiave sia di modo o tono. E poi, detto tra noi, solmisare è veramente divertente. Gli esacordi e i nomi delle note
I sei nomi delle note – Ut, Re, Mi, Fa, Sol, La – furono introdotti nella teoria musicale nel Medioevo. La tradizione attribuisce la sua invenzione al monaco benedettino Guido d’Arezzo. Il teorico Lorenzo Penna (1672) così descrive l’invenzione di Guido: Questi [Guido] preso nelle mani l’inno di San Giovanni Battista composto da Paolo Diacono della prima strofa che dice Ut queant laxis / Resonare bris Mira gestorum / Fa muli tuorum, Solve polluti / La bii reatum, Sancte Ioannes. ne cavò sei sillabe, con le quali formò le note della scala musicale.
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La prima di queste tre scale fu chiamata esacordo «naturale», perché non necessitava della nota B (il moderno Si), che era un po’ il tallone d’Achille della teoria musicale, visto che è l’unica nota a non avere una quinta perfetta naturale. La seconda scala è l’esacordo «durum» perché include il B durum (il Si naturale o «bequadro»). La terza scala è l’esacordo «molle», costruito impiegando il B molle, che ancora oggi chiamiamo così. Cantando uno dei qualsiasi esacordi, si collegano mentalmente e indissolubilmente i nomi Mi Fa all’intervallo di semitono, rendendo l’intonazione di ogni melodia più facile. Ovviamente le note avevano anche nomi assoluti, che erano necessari per denirne la posizione sul pentagramma e sulla tastiera:
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Se colleghiamo i nomi assoluti delle note con i tre esacordi, otteniamo la Mano Guidoniana.
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HORTUS MUSICUS N°
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L’altezza assoluta dei suoni non ha importanza; occorre solo che l’ordine degli intervalli sia rispettato:
Infatti, guardando alla musica dell’inno, che fu in uso nella Chiesa cattolica no alla recente abolizione della messa in latino, si può vedere che realmente in corrispondenza delle sillabe Ut, Re, Mi, Fa, Sol, La la musica sale di un grado.
I sei nomi vennero applicati a un particolare tipo di scala – l’esacordo – che ha solo un semitono giusto nel mezzo, ed è quindi costruita simmetricamente sulla successione tono, tono, semitono, tono, tono:
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Didattica storica
1 GiuseppeGiamberti, Giamberti,«Ballo Ballo di Mantua», Mantua, Duo Giuseppe (Roma1657) 1657) Duo (Roma [voce inferiore]
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Pietro Longhi, Lezione di canto (sec. XVIII). Roma, Gabinetto Nazionale delle Stampe
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Entrambi questi schemi erano chiamati «Mano Guidoniana» o «Mano musicale»: il primo è più tecnico e mostra come ogni nota può utilizzare diversi nomi (per esempio G sol re ut) secondo quale esacordo stiamo utilizzando. La vera mano era indirizzata soprattutto ai giovani principianti e serviva per memorizzare i nomi delle note: bisogna toccare in successione le giunzioni interne delle falangi nel palmo della mano sinistra. Si parte toccando con la punta dell’indice il pollice in tre punti, poi il pollice diventa il puntatore e disegna una spirale che conclude sull’unghia del medio. È subito evidente che in teoria non è possibile né scendere sotto la ‘Gamma’ (il Sol sulla prima linea del rigo musicale in chiave di Basso) né ascendere sopra E la (il Mi sul quarto spazio in chiave di Violino), ma in pratica si può andare extra manum in entrambe le direzioni. Questo gap tra teoria e pratica non fu mai colmato, anche se alcuni teorici, come Banchieri, proposero di aggiungere un’altra nota al grave, impiegando a questo scopo la giunzione esterna del pollice.
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DA CAPO
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Le mutazioni
Se dobbiamo cantare una semplice melodia che si mantiene nell’ambito di un esacordo, semplicemente canteremo le sei sillabe: Giuseppe Giamberti, Ballo di Mantua , incipit della voce grave, Duo (Roma 1657)
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Ma se la melodia eccede i limiti dell’esacordo, dobbiamo introdurre una mutazione. Ovvero cambiare il nome di una nota con un altro preso da un altro esacordo. Per esempio, se vogliamo cantare una scala di Do, dobbiamo cantare Mi Fa sull’ultimo semitono. Dovremo allora passare dall’esacordo naturale a quello duro sulla nota A la mi re, impiegando a questo scopo il nome ‘Re’:
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esacordo naturale Ut
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esacordo duro Ut
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Ora invece vediamo una mutazione dall’esacordo duro a quello naturale:
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esacordo duro Ut
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GiuseppeGiamberti, Giamberti,«Scherzi , Duo (Roma 1657) Scherzi sopra la Girometta Giuseppe Giamberti, sopra (Rome, 1657) Duo Giuseppe sopra la la Girometta», Girometta», (Roma 1657) Duo
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In questo caso cambieremo esacordo sulla nota G sol re ut ancora impiegando il nome ‘Re’. La terza mutazione ascendente è:
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esacordo molle Ut
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esacordo naturale Ut
Re
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mutando dall’esacordo molle a quello naturale sulla nota D la sol re. Avrete probabilmente notato che tutte le mutazioni ascendenti coinvolgono la sillaba Re: due volte da La a Re, una volta da Sol a Re. Possiamo così dire che Re è il fulcro della mutazione ascendente. Mutazioni discendenti
Se vogliamo discendere oltre il limite inferiore dell’esacordo, dobbiamo utilizzare un altro tipo di mutazione. Mutando dall’esacordo naturale a quello duro impiegheremo la nota ‘E la mi’:
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Un asino può andare a studiare anche a Parigi, ma non per questo lì diventa un cavallo. Incisione del sec. XVI ricavata da un disegno di Bruegel il Vecchio
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Mutando da quello duro a quello naturale, ‘A la mi re’:
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esacordo duro La
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esacordo naturale
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Dal molle al naturale, ancora ‘A la mi re’:
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esacordo molle La
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esacordo naturale
Mi
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Mi
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Dunque in generale, le mutazioni discendenti impiegano il La: due volte da Mi a La, una da Re a La.
3
œ œ œ œ œ œ œ œ œ V b œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ Orlande de Lassus, No. 13 1577) Novae… ad duas voces cantiones suavissimae (Munich, (Munich 1577) [voce inferiore] Lower line
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Scaletta ci fornisce un’ottima tavola riepilogativa di tutte le mutazioni:
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Esempio per bemolle ascendendo
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Esempio descendendo
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Esempio per bequadro ascendendo
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Esempio descendendo
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Mutazione per salti
Orazio Scaletta, Scala di musica (Venezia 1626), p. 9
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Risolvere l’esercizio 1 su Giamberti, Mantua , p. 39
Orazio Scaletta, Scala di musica (Venezia 1626), p. 9
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Sol
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Quando la melodia prevede un salto, dobbiamo controllare se questo contiene una mutazione o no. Nel caso affermativo, la nota d’arrivo cambierà il suo nome in rapporto alla mutazione implicata:
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w H & œ w œ œ œ w œ senza mutazione
La
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(Mi
→
La)
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mutazione
È importante sottolineare, che ‘Ut’ fu ben presto sostituito da ‘Do’ nella pratica rinascimentale, per ovvi motivi di pronuncia. Tuttavia, Ut continuò a essere il nome ufciale nella teoria.
Risolvere gli esercizi 2 e 3 su Giamberti, Girometta (p. 40) e Lasso, Duo n. 13 (p. 41). [segue sul prossimo numero] N° 2 APRILE-GIUGNO 2000 HORTUS MUSICUS 41
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