Senza Radici Non Si Vola

April 12, 2019 | Author: Tania Rocha | Category: Carmen, Homo Sapiens, Major Depressive Disorder, Marriage, Fear
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BERTOLD ULSAMER SENZA RADICI NON SI VOLA La terapia sistemica di Bert Hellinger

OHNE WURZELN KEINE FLUGEL Die systemische therapie von Bert Hellinger

INDICE

Prefazione 1. I Fondamenti della rappresentazione familiare Una presentazione generale Fatti della storia familiare La famiglia d'origine la famiglia attuale e la domanda 2. I figli condividono: scoprire i legami con la famiglia d'origine Il rapporto con la famiglia Morte precoce Trasmissione di sentimenti Crimini e colpe gravi Destini particolari I figli sono fedeli ai genitori Il movimento interrotto Fenomeni della relazione 3. Amore, rapporto di coppia e figli: assumersi la responsabilità della propria vita Amore e ordine - due concetti opposti? Uomo e donna nel rapporto di coppia Essere genitori Regole fra genitori e figli: chi ha la precedenza? Assenza di figli Il legame con i partner precedenti Aborto Il controllo è in contraddizione con la natura della relazione 4. Capire le rappresentazioni familiari Il "campo cosciente" Il ruolo dei rappresentanti L'uso del linguaggio Amore e presunzione 5. L'uso delle rappresentazioni familiari come strumento terapeutico L'effetto Il ruolo del terapeuta Terapia e/o sostegno? La rappresentazione deve avvenire una volta sola? Le rappresentazioni possono essere pericolose?

Come funziona la rappresentazione individuale? Rappresentazioni di sentimenti, parti della personalità ed oggetti Rappresentazioni come scuola di vita 6. Le molteplici possibilità di applicazione delle rappresentazioni familiari Le rappresentazioni in campo criminale Uomini e donne "Patria" e Terzo Reich come eredità tedesca Similarità e differenze nazionali Rappresentazioni familiari ed etica 7. Che validità ha il lavoro con le rappresentazioni familiari? Critiche ed obiezioni Esperienze 8. Che cosa posso fare da solo? Indagare sulla storia della famiglia Per finire Ringraziamenti Indirizzi

Dedicato a mio padre e a mia madre

Prefazione

Sembra che al giorno d'oggi agli esseri umani stiano crescendo le ali e che non ci siano più ostacoli all'avanzata della scienza e della tecnica. Allo stesso tempo però aumentano le guerre, le catastrofi ambientali e le paure dell'uomo. Le ali ci sono, mancano le radici. La famiglia è il terreno in cui ognuno di noi è radicato. Fino a quando non impareremo a riconoscere queste radici, le ali che ci stanno spuntando saranno sempre deboli. Le rappresentazioni familiari sono un mezzo per scoprire le nostre radici e per liberarle da tutto ciò che le indebolisce e le danneggia. Allora la forza potrà fluire dalle radici fino alle ali. Bert Hellinger, che ha sviluppato il sistema delle rappresentazioni familiari come qui di seguito viene descritto, sintetizza in questo modo la sua esperienza: "Quando i rapporti familiari vengono esplorati e compresi, è possibile staccarsi dalla propria famiglia e sentirne la forza alle spalle. Una volta che si è riconosciuto il legame esistente con la propria famiglia e se ne sono viste e condivise chiaramente le responsabilità, ci si sente alleggeriti e ci si può dedicare a se stessi, non più oppressi e prigionieri del passato."

1 I FONDAMENTI DELLA RAPPRESENTAZIONE FAMILIARE

Nelle rappresentazioni familiari emergono tutte le tensioni, i conflitti e i rapporti negativi che si celano all'interno di una famiglia. Il terapeuta che usa questo metodo può facilmente trovare le soluzioni ai problemi che gli vengono posti. Le rappresentazioni sono sorprendenti, sia per il contenuto che per il modo in cui si procede e per gli effetti che esse hanno. In questo capitolo vengono descritti i principi fondamentali alla base delle rappresentazioni familiari, in modo tale che quanto esposto sia comprensibile anche ai lettori che non hanno alcuna familiarità con esse. Bert Hellinger ha sviluppato questa tecnica in modo nuovo ed approfondito: usando rappresentanti di sesso maschile e femminile, l'interessato vede vivere la propria famiglia davanti a sé. Con un solo sguardo può cogliere relazioni di cui ignorava l'esistenza, comprese quelle relative alle generazioni passate. Una rappresentazione completa potrebbe essere definita un albero genealogico "vivente".

UNA PRESENTAZIONE GENERALE

Il modo migliore e più semplice per effettuare una rappresentazione è quello di partecipare ad un seminario terapeutico. Si possono effettuare delle rappresentazioni anche nel corso di una consulenza o di una terapia individuale, ma è preferibile utilizzare un gruppo perché, grazie ai vari rappresentanti che vi partecipano, il quadro che emerge è più preciso. Ai seminari molti partecipanti desiderano rappresentare la propria famiglia. Di solito i partecipanti intervengono da soli; per fare questo lavoro non c'è bisogno della presenza degli altri membri della famiglia. A volte possono partecipare anche fratelli o sorelle, o genitori con il proprio figlio o coppie. Questo tipo di lavoro è coinvolgente e costituisce un arricchimento interiore per tutte le persone presenti. Chi vuole effettuare una rappresentazione ha bisogno di formulare, come punto di partenza, una domanda riguardante una tematica o un problema

presente. Per esempio, se una donna ormai adulta prova sempre rabbia nei confronti di sua madre senza un motivo particolare, nella rappresentazione ne cercherà le cause. Il suo scopo sarà anche quello di vedere la propria rabbia modificarsi, diminuire o addirittura scomparire. La prima cosa che il terapeuta1 o conduttore (questi due concetti verranno in seguito impiegati con lo stesso significato) fa, è quella di porre al cliente domande sugli eventi fondamentali accaduti nella sua famiglia nel corso delle due ultime generazioni. Questo è sufficiente per iniziare. Il cliente dovrà poi scegliere tra i partecipanti al seminario un rappresentante o una rappresentante, non solo per ogni membro vivo, ma anche per ogni membro morto del suo nucleo familiare (genitori, fratelli) e uno anche per sé. Di regola si prendono gli uomini per i parenti di sesso maschile e le donne per quelli di sesso femminile. La rappresentazione avviene in uno spazio al centro della stanza o su di un piccolo palco. Il cliente assegnerà spontaneamente, uno dopo l'altro, un posto nella stanza ai vari rappresentanti, mostrando loro anche dove essi devono dirigere lo sguardo, senza parlare o dare spiegazioni. Prima colloca la madre, poi il padre, e così via, finché tutti i membri della famiglia non avranno ricevuto il loro posto. Questa collocazione avviene senza pensarci sopra troppo a lungo, nel modo che il cliente reputa giusto in quel momento. La sola cosa importante è che egli partecipi con tutta la sua attenzione. Quando il cliente avrà sistemato tutti i membri della famiglia, si siederà in modo da averne una visione d'insieme. D'ora in poi, fino alla fine della rappresentazione, sarà solo spettatore e lascerà che quanto diranno e faranno il terapeuta e i rappresentanti agisca su di lui. Quello che avviene in genere, in maniera sorprendente e persino un po' misteriosa, è che i rappresentanti, dal posto loro assegnato, hanno accesso ai sentimenti e alle relazioni dei membri della famiglia in questione. Ad esempio, il rappresentante di un figlio o un genitore che viene messo in una posizione marginale e deve distogliere lo sguardo dagli altri, vivrà questa situazione come opprimente e lo comunicherà agli altri. Questo si riesce a capire facilmente. Spesso però i rappresentanti percepiscono sentimenti e relazioni che sfuggono perfino ai diretti interessati. Sovente essi sperimentano anche cambiamenti fisici: tremito alle ginocchia, si sentono barcollare, sentono le spalle contrarsi, o sono presi da crampi allo stomaco. All'interno del loro ruolo, i rappresentanti sentono chi amano e chi 1

Per non ostacolare la lettura, in questo libro si utilizza la forma maschile facendo riferimento sia agli uomini che alle donne.

detestano, con chi sono arrabbiati o con chi vorrebbero avere più contatto. Ogni posto è dotato di un proprio potere, cosicché chi lo occupa reagisce in un determinato modo. A volte un rappresentante usa perfino le stesse frasi che quel membro della famiglia ha sempre usato. A questo punto, di solito, il terapeuta chiede ad ogni rappresentante come si senta al suo posto. Dopo aver esaminato i sentimenti e le relazioni che esistono tra genitori e figli, il terapeuta fa posizionare dal cliente anche i membri delle generazioni passate, o a volte li sistema lui stesso. Talvolta capita in maniera sorprendente che ricevano attenzione anche membri deceduti, da tempo dimenticati, che fino a quel momento erano rimasti sconosciuti o quasi. Ad esempio, può succedere che un nipote si senta attratto improvvisamente, come per magia, da uno zio caduto in guerra molti anni prima. Le rappresentazioni mostrano che chi ha un forte legame interiore con qualcuno, spesso nel corso della vita incontra un destino simile a quello del suo antenato. Questa è una delle più significative scoperte di Hellinger: i bambini possono provare gli stessi sentimenti o assumere comportamenti simili a quelli dei loro antenati. Spesso essi restano attaccati per tutta la vita a sentimenti e comportamenti che, di fatto, non sono i loro. Hellinger definisce questo fenomeno "irretimento". I bambini rimangono spesso "irretiti" fino all'età adulta nei rapporti con questi familiari. Si possono far risalire a ciò fenomeni quali la depressione, i sensi di colpa, vari disturbi psichici o anche la tendenza al suicidio, fenomeni alla base dei quali ci sono correlazioni nascoste con alcuni membri della famiglia. Fino a quando questi legami del passato non vengono scoperti, i propri sentimenti e il proprio comportamento restano incomprensibili. Questi legami possono influenzare in modo invisibile una persona e talvolta addirittura dominarla. Una possibile causa di irretimento può essere il fatto che una persona è stata volontariamente esclusa o dimenticata dalla famiglia. Il suo posto viene così occupato da un altro membro della famiglia, appartenente alla successiva generazione. Questo, per esempio, è quanto si è probabilmente verificato nella famiglia di un uomo la cui sorella maggiore era morta all'età di quattro anni a causa di un incidente stradale. Questa morte era stata così terribile per i genitori e per i fratelli, e li aveva scioccati così tanto, che in famiglia non si parlava quasi mai di questa sorella. Ella sembrava essere stata dimenticata quasi del tutto. Per scoprire se e quale influsso questa sorella morta esercita ancor oggi sui membri viventi della famiglia, basta scegliere una persona che la rappresenti e darle una collocazione. I rappresentanti dei morti percepiscono

e sentono allo stesso modo dei vivi. Nei ruoli non si riscontra nessuna differenza. Nel caso in cui il cliente risulti ancora legato alla morta, il suo rappresentante reagirà immediatamente, provando simpatia o paura, quando la sorella morta si unirà agli altri. Similmente, le persone che rappresentano gli altri membri della famiglia reagiranno in modi diversi all'arrivo della sorella morta. In tutta la famiglia emergono sensazioni e sentimenti di tutti i generi. Qualcuno potrà provare paura, o sentirsi alleggerito a seconda dei casi. Osservando queste reazioni, il cliente può vedere quali sono i membri defunti della famiglia a cui è ancora legato. In molte rappresentazioni, l'incontro con i parenti morti è un atto liberatorio. Questi, se vengono presi in considerazione, hanno un atteggiamento benevolo verso i vivi, che sentono cambiare la propria relazione con il defunto. Coloro che prima erano stati dimenticati e che nella famiglia erano vissuti come una presenza inquietante e minacciosa, diventano elementi di sostegno. Il terapeuta dirige gli incontri tra i vari rappresentanti durante la seduta. Una volta che la cliente ha sistemato tutti i rappresentanti, egli ne assume la direzione. Il suo ruolo è decisivo durante tutta la rappresentazione. Il terapeuta chiede ai rappresentanti come si sentono nel posto loro assegnato e che cosa percepiscono. Sovente propone semplici frasi e li invita a pronunciarle. Le frasi a volte servono a portare alla luce le tensioni o perfino a scioglierle; ad esempio, talvolta, può bastare un semplice: "Sono arrabbiato con te." Le parole possono essere usate per risanare o riconciliare rapporti disturbati. Spesso basta un semplice: "Ti rispetto." Una frase come questa ha un suo impatto risolutivo solo se risponde alla verità, ed i rappresentanti, grazie alla propria sensibilità, sono sempre in grado di riconoscere se questo è o meno il caso. Se, ad esempio, un rappresentante dice su proposta del terapeuta alla persona che gli sta di fronte: "Ti rispetto," può accorgersi che quella frase non risponde alla verità; allora, invece di inchinarsi rispettosamente, fa magari una smorfia o parla controvoglia. In un caso del genere, gli altri rappresentanti si accorgeranno che la frase non è stata detta in modo sincero e sentito e la respingeranno. Le frasi veritiere hanno un effetto positivo. Si tira un sospiro di sollievo, si sorride e ci si sente rinfrancati. L'effetto positivo è decisivo. Quanto più il terapeuta è esperto e capace di empatia, tanto più spesso formulerà fin dall'inizio le frasi giuste e tanto meno incontrerà opposizione da parte dei rappresentanti.

Anche il posto in cui si trovano durante la rappresentazione ha un forte effetto su come i partecipanti si sentono. Ci sono rappresentazioni caotiche, in cui i genitori e i figli di una famiglia sono sparsi disordinatamente e nessuno si trova bene al suo posto. In una situazione ordinata, invece, ogni membro della famiglia si sente a suo agio nel posto in cui si trova. Situazione ordinata, in genere, significa che i genitori si trovano di fronte ai figli in una posizione tale da potersi guardare fra loro e da poter vedere allo stesso tempo i loro figli. Questi stanno di fronte ai genitori, disposti a semicerchio; il figlio maggiore sta al primo posto, mentre gli altri seguono in senso orario in ordine di età. È importante ai fini terapeutici che anche i membri della famiglia fino ad allora dimenticati o esclusi abbiano il loro posto, dietro ai genitori o di fianco. Di regola tutti devono essere ben visibili nel gruppo. Alla fine della rappresentazione, il partecipante che ha rappresentato la sua famiglia prende il posto di colui che lo ha rappresentato. Nel caso della cliente arrabbiata con la madre, di cui abbiamo parlato all'inizio, essa darà il cambio alla sua rappresentante. Fino ad allora avrà osservato quanto avveniva nella sua famiglia dall'esterno e ad una certa distanza. Ripreso il suo posto, potrà percepire consapevolmente qual è la nuova immagine e il nuovo ordine che si è venuto a creare e in qualche modo accoglierlo in sé. Una rappresentazione può durare in genere dai 15 minuti a un'ora, ma possono esserci anche rappresentazioni più brevi o più lunghe. Lo scopo non è quello di portare alla luce l'infinita molteplicità di tutti i rapporti presenti in una famiglia, ma solo l'irretimento più forte in cui una persona si trova intrappolata. Nelle rappresentazioni questi irretimenti sono particolarmente evidenti. Una volta riconosciuti e risolti, è spesso possibile creare un nuovo ordine, in cui ognuno si trova bene al suo posto, e la rappresentazione si conclude naturalmente. A volte, se si viene a creare una situazione emotiva tanto esplosiva da rendere impossibile la continuazione del lavoro, capita che il terapeuta ponga termine alla rappresentazione. Altre volte può rendersi necessaria un'interruzione, se la rappresentazione si è arenata e l'energia e l'attenzione dei partecipanti si sono esaurite. Anche queste rappresentazioni hanno sul cliente un effetto positivo e possono essere importanti.

FATTI DELLA STORIA FAMILIARE

Le rappresentazioni si basano sui fatti. Il lavoro da fare in fase preliminare è quello di indagare sulla propria famiglia e chiedere ai genitori, agli zii o ad altri parenti il maggior numero possibile di informazioni su avvenimenti importanti. Questo perché gli avvenimenti nella famiglia hanno un forte effetto, visibile anche nelle generazioni successive. I fatti più importanti sono: • Qualcuno della famiglia è morto molto giovane? • In famiglia si sono verificati crimini o episodi di violenza? • Qualcuno dei genitori ha avuto relazioni precedenti con altri partner? • Ci sono esperienze di emarginazione, menomazioni, nascite fuori del matrimonio, ricoveri psichiatrici, carcerazioni, fenomeni di omosessualità, emigrazione? • Ci sono stati casi in cui i rapporti dei bambini con i loro genitori naturali sono stati seriamente danneggiati, per esempio casi di adozione? • Qualcuno della famiglia è stato cacciato dal suo paese d'origine? • Qualcuno della famiglia ha genitori di due diverse nazionalità? Forse vi è uno zio dimenticato perché ricoverato in un ospedale psichiatrico, o una zia, di cui nessuno parla più, perché ritardata mentale, morta in giovane età. Generalmente in famiglia ci sono uno o due figli per cui queste persone e le loro esperienze hanno una particolare importanza anche se non ne hanno sentito parlare spesso. Quanto più i fatti o le persone vengono vissuti come segreti di famiglia, tanto più essi avranno un effetto dannoso a livello profondo. Se una persona ha indagato a fondo sulla storia della sua famiglia, questi eventi possono essere rappresentati con molta precisione. In una famiglia fatti e avvenimenti si ripercuotono sia sui figli, che sui nipoti e i pronipoti. Talvolta i genitori hanno difficoltà a raccontare cose ritenute segrete ai loro figli; ma quando un figlio è pronto ad apprendere tali segreti, spesso riesce a trovare da solo le informazioni necessarie. Qualche volta una rappresentazione deve essere interrotta perché dalle reazioni del rappresentante è evidente che in quella famiglia si sono verificati fatti rimasti sconosciuti o segreti. Spesso un cliente scopre gli avvenimenti mancanti solo dopo che la rappresentazione è stata interrotta; con queste nuove conoscenze potrà giungere ad una soluzione più completa solo in un'altra rappresentazione.

LA FAMIGLIA D'ORIGINE, LA FAMIGLIA ATTUALE E LA DOMANDA

Con l'aiuto delle rappresentazioni familiari ci si può focalizzare in due direzioni diverse, verso il passato o verso il futuro. Chi desidera analizzare il proprio passato rappresenterà la sua famiglia d'origine, il sistema d'origine appunto. Questa è la rappresentazione della famiglia da cui si proviene. Di questa fanno parte fratelli e genitori, fratelli e genitori dei genitori (rispettivamente zii e nonni), i genitori dei nonni (bisnonni) e così via. Viene rappresentato anche chi ha lasciato il posto a uno di questi membri. Per esempio, se il nonno aveva una prima moglie morta in giovane età e successivamente ha sposato un'altra donna, che è appunto la nonna attuale, anche la prima moglie farà parte del sistema familiare, perché ha lasciato il suo posto e grazie a questo c'è stato un secondo matrimonio. Lo stesso vale nel caso che, ad esempio, una donna abbia divorziato dal primo marito e abbia sposato un altro uomo, che è padre del cliente. Anche il primo marito appartiene al sistema familiare e verrà rappresentato. Chi invece vuole prendere in considerazione la propria vita presente, rappresenta il sistema attuale. Di questo fanno parte la persona interessata, uomo o donna, il proprio partner e i figli comuni. Il sistema del presente comprende inoltre tutti i partner precedenti di entrambi e i figli nati da queste unioni e gli eventuali bambini abortiti. La domanda rappresenta il problema o il tema per cui una persona desidera fare una rappresentazione familiare. È la domanda che determina se verrà rappresentata la famiglia d'origine o quella attuale. Alcune domande hanno a che fare direttamente con la famiglia d'origine, come per esempio: "Ho sempre avuto difficoltà con mio padre," oppure: "Ho un rapporto molto teso con mia sorella." A volte qualcuno si trascina da una vita una sensazione angosciante di cui non riesce a individuare l'origine, come: " Mi sento spesso in colpa senza alcun motivo," "Sono spesso triste e depresso," "Nella mia vita mi sono sempre sentito solo." Oppure: "Non riesco a trovare il mio posto nella vita e neanche nella mia famiglia." Viene rappresentato il sistema del presente se le domande si riferiscono ad avvenimenti e relazioni della propria vita attuale. Saranno domande del tipo: "Il rapporto con il mio grande amore è finito e da allora tutte le mie relazioni vanno male." A volte si tratta di coppie con tematiche molto attuali: "Non sappiamo se separarci o continuare a stare insieme," "A scuola

nostro figlio continua ad attirare l'attenzione, perché è sempre nervoso e agitato." Alcune domande possono riguardare entrambi i sistemi. In genere la causa va ricercata nella propria famiglia d'origine, anche se nel frattempo si sono aggiunte anche cause riguardanti la vita attuale. Un esempio: "Ho una gran sfortuna nei miei rapporti con le donne. Non durano più di due o tre anni." Se qualcuno è sempre sfortunato con le donne, probabilmente i motivi sono da ricercare nel suo sistema d'origine. Bisogna tener conto che se l'uomo in questione ha già quarant’anni o più, deve avere alle spalle una serie di relazioni. Prima di poter instaurare una nuova relazione positiva, quest'uomo dovrà confrontarsi con il suo passato. Probabilmente ha degli "scheletri nell'armadio" che contribuiscono a far fallire le sue relazioni. Occorre osservare la propria storia e confrontarsi con essa. Chi non lo fa continua a trascinarsi dietro tutti i suoi conflitti non risolti, rendendo così sempre più remota la possibilità di instaurare una relazione appagante. Gli avvenimenti del presente sono quelli che ci riguardano maggiormente. Più un avvenimento è vicino nel tempo, più intenso è il suo effetto su di noi; più esso è lontano nel tempo, più blanda è la sua azione. La morte di un fratello ci riguarda e ci colpisce molto di più di quella di un fratello dei nostri genitori. Talvolta per noi è più facile e meno angosciante osservare gli avvenimenti passati, perché possiamo facilmente attribuirne la responsabilità agli altri, siano essi i genitori o i nostri antenati. Può essere invece sgradevole e imbarazzante affrontare gli avvenimenti della nostra vita presente, poiché in questo caso dobbiamo riconoscere ed assumerci quelle che sono le nostre responsabilità. Se c'è un problema che riguarda i bambini, è sensato iniziare a lavorare sul presente, perché i bambini condividono i problemi non risolti dei genitori. Quando durante una rappresentazione, i genitori se ne rendono conto, possono trovare la forza di riflettere sul passato e sui nodi irrisolti ereditati dalla loro famiglia d'origine. C'è anche la possibilità, durante una rappresentazione, di utilizzare sia il sistema d'origine che quello presente. A volte il sistema presente viene esteso collocando dietro il cliente suo padre o sua madre, oppure una persona che rappresenta il suo sistema d'origine; alla fine vengono inseriti nella rappresentazione anche i suoi figli. Quando si vuole avere un quadro più completo dei propri irretimenti, si rappresentano entrambi i sistemi. Generalmente è meglio lasciar passare un

po' di tempo tra le due rappresentazioni, in modo tale che ciò che si è appreso possa essere meglio integrato nella propria vita. A volte alcuni partecipanti, all'inizio del seminario, non sono in grado di formulare una domanda chiara o lo fanno usando molte parole e descrizioni generiche. In questo caso, è meglio aspettare prima di fare la rappresentazione di quel cliente. In una rappresentazione, infatti, le percezioni dei rappresentanti sono tanto più chiare quanto più chiara è la domanda posta e quanto più chiaro è il coinvolgimento personale. Se le formulazioni sono vaghe, saranno vaghe anche le percezioni. Chi fa una domanda precisa otterrà maggiori indicazioni dalla rappresentazione con cui si va a confrontare. Una domanda precisa si riconosce dal fatto che è semplice e concreta, e spesso può essere espressa con un'unica frase. Finora nel mio lavoro ho sperimentato che è difficile respingere un cliente che si è presentato più volte con una domanda formulata in maniera generale (per esempio: "Mi sento sempre bloccato e desidero liberare la mia creatività.") Le volte in cui non mi sono opposto, nonostante la domanda fosse poco chiara e ho lasciato mettere in scena la rappresentazione, questa è stata sempre deludente. Il risultato è spesso quello di ottenere una rappresentazione "innocua", priva di sfide, in cui genitori e figli raggiungono rapidamente una situazione di ordine. Le rappresentazioni di questo tipo sono frustranti per i clienti: "Nella mia famiglia c'erano molte più tensioni e problemi, questa rappresentazione non mi è servita a niente." Anche se all'inizio del seminario può esserci qualcuno in ansia, che vuole rappresentare la propria situazione il più presto possibile, anche senza aver chiara la propria domanda, è meglio aspettare. Non è necessario che all'inizio tutti sappiano esattamente che cosa vogliono. Ogni rappresentazione, all'interno di un seminario, chiarisce anche un po' la domanda degli altri, contribuendo così alla soluzione dei loro problemi. Sovente, durante la rappresentazione degli altri partecipanti, può succedere che si modifichi anche la propria domanda, in modo tale da permettere a qualcosa di nuovo di venire alla luce. Di solito, dopo due o tre giorni, si ha chiara la propria domanda e si è raggiunta anche la concentrazione necessaria per poterla formulare. Possono esservi anche partecipanti al seminario che non vogliono inscenare la loro rappresentazione. A volte qualcuno sente che non è il momento di rappresentare la propria famiglia, oppure sente di aver imparato così tanto prendendo parte alle rappresentazioni degli altri, che la sua domanda ha già trovato risposta.

2 I FIGLI CONDIVIDONO: SCOPRIRE I LEGAMI CON LA FAMIGLIA D'ORIGINE

Chi non conosce il paese da cui proviene, non troverà mai il paese che cerca. Proverbio cinese

In ogni famiglia esiste una forte affinità interiore, indipendentemente da come essa possa apparire dall'esterno e indipendentemente dal fatto che i propri membri lo sentano o lo sappiano. I figli condividono i limiti e le energie della loro famiglia. La famiglia è anche un sistema in cui esistono determinate norme e regole. In questo capitolo descriveremo quali sono le regole più importanti che governano la famiglia d'origine. Se da un lato tali regole possono essere causa di attriti, dall'altro se riconosciute e rispettate, possono essere fonte di forza e di pace interiore. Nelle rappresentazioni familiari è spesso possibile trovare delle soluzioni per porre fine a conflitti o attriti.

IL RAPPORTO CON LA FAMIGLIA

Ognuno di noi ha un profondo legame con la sua famiglia, con i genitori e i fratelli e a volte anche con gli antenati di molte generazioni addietro. Questa non è una cosa facile da riconoscere, perché talvolta in superficie è presente un'altra immagine. Per esempio, può esservi qualcuno che, pur essendosi allontanato dai propri genitori, continua a sentirsi legato a loro e a condividerne sentimenti, comportamenti ed esperienze. I legami, le somiglianze e le affinità con la propria famiglia vanno ben al di là di quanto si creda normalmente. Quando sette anni fa Carmen iniziò a lavorare, si sentì felice che il suo posto di lavoro distasse cinquecento chilometri da casa sua. Carmen infatti

non aveva un buon rapporto con la sua famiglia, specialmente con la madre. Di tanto in tanto telefonava a casa più per senso del dovere che altro, ma quelle conversazioni la irritavano profondamente. Niente era cambiato dai tempi della sua infanzia! Una volta Carmen aveva cercato di parlare con la madre, per dirle che cosa le era mancato da bambina. La madre non aveva voluto ascoltarla e si era solo offesa. Quando Carmen andava a casa per trascorrervi le feste di Natale, già il primo giorno di festa scoppiava una lite, e lei ripartiva piena di collera. Solo alla sorella telefonava di tanto in tanto volentieri. Ad una prima osservazione, Carmen sembrerebbe non confermare l'affermazione secondo cui i figli hanno in genere un forte legame con la famiglia. Non se ne è forse separata presto e non è ora libera e indipendente? Carmen ha la sensazione di aver messo una grande distanza tra sé e il guscio protettivo rappresentato dalla famiglia. Per di più si è ripromessa risolutamente di non diventare mai come sua madre. Al giorno d'oggi sono sempre di più i figli che, come Carmen, muovono i propri passi sulla via dell'emancipazione e dell'autonomia. Essi tagliano completamente il cordone ombelicale ed iniziano una vita nuova e diversa lontano da casa. Come è possibile che, sotto sotto, continuino ad essere legati alla loro famiglia? Il lavoro con le rappresentazioni familiari mostra che esiste un vincolo particolare, una specie di legame biologico, con tutti i membri della famiglia di origine. In genere crediamo che solo i parenti più stretti, quelli che abbiamo conosciuto personalmente, che ci sono piaciuti o che abbiamo forse rifiutato, siano importanti e abbiano lasciato la loro impronta su di noi. Questo è vero fino ad un certo punto. Al di là di questo, esistono legami invisibili e non percepibili con tutti i membri della nostra famiglia, anche con quelli che non conosciamo e di cui non abbiamo mai sentito parlare. Carmen è comunque legata ai suoi fratelli e ai suoi genitori, alle zie e agli zii, ai nonni, eccetera. Si può diventare consapevoli che tutte queste persone appartengono alla propria famiglia, grazie al lavoro svolto per anni da Bert Hellinger tramite le rappresentazioni familiari. Ogni rappresentazione è una nuova verifica ed una nuova riconferma di questo. Il lavoro con le rappresentazioni mostra che la famiglia è un sistema o campo energetico relazionale, governato da precise regole. Salvo rare eccezioni, queste norme si perpetuano nel tempo. Nel corso di più generazioni possiamo paragonare la famiglia ad un sistema dinamico. Ad una disarmonia avvenuta in un certo momento segue una reazione tesa a ristabilire l'equilibrio. I figli rappresentano i componenti del gioco destinati al ripristino dell'equilibrio. Essi fanno proprie le energie presenti nel

sistema, in modo che la famiglia, come sistema globale, possa trovare un nuovo ordine. Ed è per questo che tutto quello che i membri della famiglia reprimono non svanisce nell'aria, ma ritorna come uno spettro nel sistema. Così accade con i sentimenti non espressi, o con i componenti della famiglia esclusi ingiustamente, o con i sensi di colpa nascosti. I nuovi arrivati cioè i figli, percepiscono quel tipo di energia, la accolgono e la vivono. A questo punto rimangono come irretiti, ed assumono i comportamenti, i sentimenti ed anche il destino dei parenti. Non tutti i figli rimangono legati in ugual misura ai loro predecessori. Per esempio, un figlio potrà essere più legato ad una zia, un altro allo zio, e un terzo alla nonna. Di regola i bambini sono più legati ai parenti di sesso maschile e le bambine a quelli di sesso femminile. Particolarmente difficile è la posizione del figlio unico, specie se nella famiglia si sono verificati avvenimenti dolorosi. Può anche succedere che in una famiglia ci siano solo figli maschi e che una zia abbia avuto un destino sfortunato. In questo caso avremo un ragazzo coinvolto con una parente di sesso femminile. Potrebbe verificarsi allora che questo ragazzo abbia dei dubbi sulla propria identità sessuale, cosa che potrebbe verificarsi anche nel caso opposto, quello di una ragazza rimasta legata ad un antenato maschio. Queste energie rappresentano un marchio, a livello inconscio, per la propria evoluzione, il proprio comportamento e per i propri sentimenti. Per definire la parte inconscia che ci unisce ai nostri progenitori, Hellinger usa la parola "anima". L'anima fa in modo che i valori, i comportamenti e i destini dei predecessori continuino ad agire in un'altra persona, a vibrare con lei, spingendola a realizzare quel dato destino. Il lavoro con le rappresentazioni familiari ci aiuta a diventare consapevoli dell'influenza che la famiglia ha su di noi ed anche dei nostri legami con essa, in modo da poter fornire alla nostra "anima" gli strumenti necessari per liberarci e per guarirci. Vediamo come questo avviene osservando la rappresentazione familiare di Carmen. Nella rappresentazione Carmen2 si trova molto distante da sua madre, ma guarda nella sua direzione. Carmen prova un senso di distanza e di rifiuto nei suoi confronti. Anche lei ha un rapporto freddo e distaccato verso la figlia. 2

Nelle successive descrizioni delle rappresentazioni non si dirà più esplicitamente che si tratta sempre dei rappresentanti dei membri della famiglia citati.

Carmen non ha mai conosciuto la nonna materna, che è morta prima che lei nascesse. Quando anche la nonna viene messa in scena, i sentimenti cambiano. La nonna viene messa dietro la madre di Carmen. Tra Carmen e la nonna il contatto è subito buono, si sorridono e si piacciono. La madre di Carmen però si sente a disagio con la madre alle spalle; quando si volta la sente distante e prova antipatia per lei. Per chiarire il conflitto e risolverlo almeno in parte, il conduttore propone alla madre di dire a Carmen: "Ti senti con me come mi sono sentita io con mia madre." Carmen ascolta attentamente la madre mentre pronuncia queste parole e improvvisamente sorride, scoprendo le somiglianze esistenti tra il suo vissuto e quello della madre. Le tensioni tra di loro cominciano a sciogliersi. Questo avviene soprattutto quando anche la nonna dice alla figlia: "In tua figlia Carmen amo anche te." Carmen può dire così a sua madre: "Nell'amore per tua madre amo anche te." Le tre donne adesso si guardano amichevolmente e riconoscono il legame che c'è tra loro. Nella rappresentazione di Carmen è evidente che agisce una dinamica spesso presente nel rapporto tra genitori e figli. La madre di Carmen non ha un rapporto affettuoso con la figlia, proprio come sua madre non l'aveva avuto con lei (e possiamo immaginare le stesse difficoltà anche nelle generazioni precedenti). La madre di Carmen ha con la figlia lo stesso rapporto freddo e distaccato che sua madre aveva avuto con lei: ogni madre si comporta come la propria madre. La nonna riesce ad essere affettuosa con sua nipote Carmen, la figlia di sua figlia, cosa che non era mai riuscita a fare con la propria figlia. Spesso l'amore fluisce liberamente dai nonni ai nipoti, mentre la generazione intermedia dei genitori l'ha sentito poco (e talvolta osserva con un po' di invidia il rapporto tra nonni e nipoti). Nelle rappresentazioni vediamo che le tensioni si sciolgono soprattutto quando vengono affrontate le somiglianze e i legami esistenti: "Ti comporti con me come io mi sono comportata con mia madre." È sorprendente come nelle rappresentazioni queste semplici frasi abbiano un effetto intenso e diretto. Le somiglianze che vengono scoperte sciolgono la tensione e favoriscono la riconciliazione. È quanto accade a certe giovani madri che grazie al loro primo figlio diventano improvvisamente più concilianti nei confronti della propria madre, proprio perché iniziano ad accorgersi di quanto le somigliano. Anche la realtà espressa dall'altra persona ha un effetto riunificante: "In tua figlia amo anche te." La nonna che ama la nipote è legata anche a sua

figlia, la donna che l'ha messa al mondo. E la nipote che ama la nonna non può non amare la propria madre, trait d'union fra lei e la nonna. Ecco allora che Carmen può riscoprire una parte dell'amore che prova per sua madre e che non aveva mai sentito prima d'allora. Carmen, dunque, è sempre rimasta legata alla sua famiglia, anche quando ha cercato di allontanarsene. In questo è simile a sua madre.

MORTE PRECOCE

La morte di un membro della famiglia è sempre fonte di dolore e di tristezza per i familiari. A volte questi sentimenti sono così forti che sembra impossibile superarli. Quando un componente della famiglia muore in giovane età, questo avvenimento avrà un effetto permanente su tutto il sistema familiare. Da molti anni Monika soffre di depressione e sembra stanca di vivere. Ultimamente pensa spesso al suicidio. Sembra che sia stata contagiata anche la sua famiglia, perché anche sua figlia Karola, di dieci anni, presenta gli stessi sintomi. Quando prima della sua rappresentazione è stato chiesto a Monika se nella sua famiglia ci fossero state morti precoci, è emerso che quando lei aveva tre anni il fratellino di cinque, morì in un incidente. Quando qualcuno muore giovane, diciamo prima dei 25 anni, questa morte ha conseguenze profonde per quelli che rimangono. Questi effetti sono automatici e non dipendono da caratteristiche personali e individuali. Queste morti si ripercuotono direttamente su coloro che rimangono, i quali sviluppano un forte senso di colpa, perché sono ancora vivi mentre la persona cara è morta. Nel profondo, il fatto di continuare a vivere viene percepito come un'ingiustizia. A causa di ciò, chi è ancora vivo si sente in qualche misura attratto dalla morte, perché desidera ricongiungersi con il defunto: "Ti seguirò." Questa frase esprime un'attrazione verso la morte di cui non tutti sono consapevoli. Una morte precoce particolarmente carica di conseguenze è quella dei bambini nati morti. Anche questi bambini sono da considerarsi fratelli! Dopo il quinto mese di gravidanza, il bambino comincia a far parte della famiglia e la sua morte si ripercuote sugli altri. Un figlio nato successivamente, anche se non è direttamente a conoscenza dell'esistenza

del fratello morto, percepisce lo stesso questa morte e si sente in colpa per il solo fatto di vivere. Le rappresentazioni mostrano che se un figlio ha meno di 15 anni e perde uno dei genitori, proverà la stessa attrazione verso la morte. "Ti seguirò, cara mamma, o caro papà," è la frase che si forma da sola nell'intimo del figlio. Sensi di colpa analoghi possono svilupparsi anche in persone adulte. Questo specialmente se sono avvenute catastrofi in cui gli altri sono morti, e si è sopravvissuti per un caso fortuito, come può avvenire in una guerra o in una catastrofe naturale. A riprova di questo fatto ricordiamo le parole dell'attore Kirk Douglas, divenuto famoso grazie al film "Spartaco" del 1960, che il 13 febbraio 1991, all'età di 75 anni, ritrovò la fede. Racconta in un'intervista: Dovevo andare da Fillmore a Los Angeles, con il mio elicottero. Poco dopo il decollo, ci siamo scontrati con un aereo sportivo che stava atterrando. L'elicottero si è avvitato e siamo precipitati sulla pista da un'altezza di 15 metri. Due persone sono morte a causa del combustibile incendiato. Una di loro era un ragazzo di 18 anni. Da quel giorno mi sono sentito in colpa per essere ancora vivo. Sono stato da due psichiatri, che però non hanno saputo aiutarmi a dare un nuovo senso alla mia vita. All'improvviso ho sentito che non mi bastava più divertire la gente con i miei film. Volevo di più. Adesso so che Dio ha una missione per me e che la devo compiere. Dai sensi di colpa nasce l'attrazione per la morte, espressa dalla frase "Ti seguirò." Non sempre è facile riconoscere che alla base di un problema vi è questa tendenza. Spesso le malattie gravi che colpiscono le persone giovani hanno cause di questo tipo: la volontà di vivere è indebolita e il corpo sviluppa una malattia. Altri cercano la morte attraverso gli eccessi e la droga o tramite gli sport estremi. Così alcuni corridori automobilistici che trovano la morte sembrano essere stati trascinati da una forza del tipo "Ti seguirò". A volte questa dinamica è visibile anche dietro una disperata gioia di vivere o a enormi tensioni che spingono la persona in questione a raggiungere prestazioni da record, sia nello sport che nel lavoro. Spesso è il desiderio di morte che conduce una persona a rischiare la propria vita. Queste persone sembrano non sentire quella paura della morte, che ad altri impedisce invece di mettersi in situazioni troppo pericolose. Lo illustra chiaramente quanto dichiara Jacques Villeneuve, pilota di Formula 1. Quando era bambino, suo padre, anche lui pilota, morì a soli 32 anni tra le lamiere della sua Ferrari. Il figlio ha dichiarato in un'intervista:

Quando si corre per vincere una gara automobilistica capita ogni tanto di provare questa sensazione: Uuh, per un pelo! Come sono contento di avercela fatta. È una corsa sul filo del rasoio e sai che stavi per cadere. ... Non conosco la paura fisica. Ci sono momenti in cui il mio cuore si mette a battere proprio forte e sento male dentro. Non è paura, ma è una sensazione insolita. Conoscendo gli effetti provocati dalle morti precoci, alcuni avvenimenti riportati dalla stampa appaiono sotto un'altra luce. In un reportage fotografico comparso in occasione della morte di Elvis Presley, avvenuta all'età di 42 anni, in un periodo di forte depressione e mentre era arrivato a pesare circa 125 chili, si legge: "È morto uno degli artisti più famosi di tutti i tempi, in maniera straziante, per troppa droga, fama smisurata e overdose di solitudine." Una foto scattata nella casa natale, in cui si vedono due letti, è accompagnata dalla didascalia: "In ricordo del fratello gemello Jesse, morto durante il parto; a Memphis ci sono sempre stati due letti." Ogni morte precoce lascia profonde ferite emotive in una famiglia. L'attrazione per la morte si manifesta in Monika, la nostra cliente, tramite la depressione, la noia di vivere e i pensieri suicidi. Nel suo inconscio è presente la frase: "Ti seguirò." Questo effetto si è verificato anche se Monika aveva solo tre anni quando il suo fratellino di cinque è morto. Con le sue antenne sottili anche Karola, la figlia di Monika, ha percepito queste vibrazioni ed ha reagito ad esse, malgrado il fratello della madre fosse morto ancor prima che lei nascesse. Quando nella rappresentazione di Monika il fratellino morto a cinque anni ottiene il suo posto al suo fianco, in un primo momento Monika3 sente di avere paura di lui. Anche il fratellino morto non prova niente per la sorella presente al suo fianco. Un primo passo importante per Monika è quello di mettersi davanti al fratello, affrontare la propria paura e guardarlo. In seguito Monika si inchina davanti al fratello per esprimergli tutto il suo rispetto e gli dice: "Tu sei mio fratello maggiore, morto precocemente. Ho rispetto per te e per la tua morte. Per favore, guarda benevolmente la tua sorellina mentre vive." Dopo aver ascoltato questa frase il fratello maggiore guarda con benevolenza la sorellina. Adesso Monika non prova più paura e sente un forte affetto per suo fratello. L'inquietante forza, che finora l'aveva spinta verso la morte, si è trasformata in una forza buona e vitale.

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Attenzione: stiamo sempre parlando dei rappresentanti dei membri familiari.

L'avvenimento centrale durante la rappresentazione di Monika è l'incontro con il fratello morto. Quando Monika lo incontra e sente che ne rispetta la morte, i due possono staccarsi. Lei vede il fratello come una persona autonoma, con un proprio destino, che lei non è più tenuta a seguire inconsciamente. Questo si accentua ulteriormente quando lei gli chiede: "Per favore, guarda benevolmente la tua sorellina mentre vive." Non solo Monika è stata in pericolo, ma anche la figlioletta Karola. L'attrazione provata finora da Monika per la morte, si è trasmessa anche alla generazione successiva. I figli di chi porta dentro di sé la frase "Ti seguirò" (nella morte) provano anche loro la stessa fatale attrazione. Le rappresentazioni mostrano che i figli assorbono questo anelito di morte. Sembrano animati da una specie di convinzione per cui devono subire lo stesso destino doloroso scelto dai genitori. Nel loro subconscio sono attive queste parole: "Preferirei morire io al posto tuo." Il figlio preferirebbe morire piuttosto che vedere morti i propri genitori! Se la madre è malata, anche il figlio starà male. Nell'inconscio del figlio agisce di nascosto la convinzione: "Se anch'io mi ammalo, posso liberare la mamma dalla sua malattia. Se muoio io al suo posto, lei potrà vivere." Anche per Monika è così: sua figlia Karola mostra una depressione e una noia di vivere simili a quelle della madre. La frase: "Preferisco morire io al posto tuo" esprime chiaramente il suo desiderio di liberare la mamma dal dolore e dalla morte. Nella rappresentazione di Monika viene inserita anche sua figlia Karola, che si sente subito legata affettivamente al fratello morto della madre. Anche lei è attratta dal bambino morto. Come la madre, anche Karola si inchina rispettosamente davanti allo zio e pronuncia queste frasi: "Tu sei mio zio, morto precocemente. Io sono tua nipote. Ho rispetto per te e rispetto la tua morte. Per favore, guardami benevolmente mentre vivo." Zio e nipote si guardano con affetto. La piccola Karola non è presente durante la rappresentazione, anche se talvolta anche bambini piccoli, di quattro o cinque anni, vengono chiamati a prendere parte alla rappresentazione della propria famiglia. Comunque per Monika è di grande importanza terapeutica veder scomparire gli irretimenti psicologici della figlia. Nelle rappresentazioni parecchi particolari mostrano se una persona è attratta dalla morte. Spesso il rappresentante guarda lontano, verso la finestra o la porta, e sente di essere attratto in quella direzione. Se gli si propone di fare qualche passo in quella direzione, si sente ad ogni passo più leggero. Anche gli altri membri della famiglia si sentono più rilassati quando qualcuno si allontana in questo modo. A volte i figli si stringono

attorno al padre o alla madre, perché vogliono impedire al genitore di andarsene, cioè di morire. In una rappresentazione i genitori e i figli guardano nella stessa direzione. Sembra che dove si concentrano gli sguardi ci sia qualcuno. Dalle domande viene fuori che il primo figlio era nato morto e la sua morte era stata rapidamente rimossa, tanto da sembrare dimenticata. Quando il bambino viene rappresentato, occupa il posto in cui si incontravano tutti gli sguardi. La tensione si allenta: il vuoto è stato riempito, quello che era stato rimosso è diventato visibile. Hellinger descrive così l'elemento essenziale, quello che provoca il cambiamento: Uno dei momenti più importanti in questo lavoro è quando al cliente che desidera morire al posto di un altra persona o che vuole seguirla nella tomba, si fa guardare questa persona negli occhi, e mentre la guarda le si fa ripetere questa frase: "Preferisco morire io al posto tuo." Se la guarda veramente negli occhi, non riuscirà più a dire questa frase, perché di colpo si accorgerà che la cosa non va, perché anche l'altra persona è piena di amore per lui. Questo libera dall'attaccamento, mentre l'amore rimane.

TRASMISSIONE DEI SENTIMENTI

In un sistema familiare i figli possono assumere anche i sentimenti di altri membri della famiglia. Ad esempio, sentimenti che sono stati repressi da un antenato possono essere poi vissuti da un discendente. È come se la forte appartenenza interiore e alla famiglia richiedesse che ogni sentimento intenso trovi la sua espressione. Robert è spesso oppresso da sensi di colpa, che può provare nelle occasioni più insignificanti della sua vita quotidiana. Non riesce a difendersene, ne viene assalito sempre senza preavviso. Malgrado ci abbia ragionato sopra a lungo, non riesce a trovarne la causa. Quando una persona è tormentata da sentimenti che non riesce a spiegarsi analizzando la propria vita, ha senso che chieda a se stessa: "Quale membro della mia famiglia avrebbe potuto nutrire questo sentimento? È accaduto qualcosa che avrebbe potuto provocare questi sentimenti in un antenato?" Robert indaga nella storia della sua famiglia e scopre che suo padre ha abbandonato la prima moglie durante la guerra e che costei è successivamente morta in modo tragico. In seguito il padre ha sposato

un'altra donna, la madre di Robert. Apparentemente il padre ha totalmente dimenticato la prima moglie. Se nella famiglia di Robert c'è qualcuno che dovrebbe avere sensi di colpa, quello è il padre. Ciò viene confermato anche dalla rappresentazione. Robert4 sta di fronte al padre e alla madre e si sente molto legato al padre. Viene rappresentata anche la prima moglie, che è stata abbandonata dal marito. Improvvisamente a Robert iniziano a tremare le ginocchia, mentre il padre osserva la donna in maniera impassibile. Robert si accorge di sentirsi colpevole nei confronti della donna. Si pone di fronte al padre e gli dice: "Mi sono sentito in colpa per tanto tempo al posto tuo. Per favore, riprenditi i tuoi sensi di colpa. Mi sono appropriato di qualcosa che non mi spetta, e me ne sono fatto carico al posto tuo." Il terapeuta propone al padre questa frase: "Mi assumo la mia responsabilità e la mia colpa, e me ne faccio carico. Tu sei solo mio figlio." Il padre, dopo aver pronunciato questa frase, comincia a sentirsi in colpa per quello che ha fatto, ma nello stesso tempo si sente più leggero ed è in grado di assumersi le proprie responsabilità. Robert si sente anche lui più libero e si accorge di come il senso di colpa ritorni a colui al quale appartiene, e cioè al padre. Il rappresentante di Robert dice al rappresentante del padre: "È del tuo senso di colpa che mi sono fatto carico per così tanto tempo." In questi momenti i rappresentanti sono perfettamente in grado di capire se una frase è veritiera o no. A volte avvertono un senso di liberazione. Il rappresentante di Robert sente anche se la frase detta dal padre: "Mi assumo la mia responsabilità e la mia colpa e me ne faccio carico" è sincera. Il rappresentante del figlio può liberarsi in maniera completa del senso di colpa, solo se il padre se ne assume la responsabilità. Nelle rappresentazioni i sentimenti rifluiscono al loro legittimo proprietario. (Ricordate che si tratta sempre del quadro interiore del cliente!) Quando in una rappresentazione un figlio condivide un grosso fardello con i genitori, può essere utile dargli in mano qualcosa di pesante, e invitarlo poi a deporre questo peso lentamente e con molta attenzione ai piedi del suo proprietario. Nell'azione concreta si vede chiaramente com'è difficile liberarsi di tale fardello. A volte i figli hanno bisogno di tempo prima di essere veramente pronti a farlo.

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Attenzione: stiamo sempre parlando dei rappresentanti dei membri familiari.

Ognuno nella propria vita deve assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Se lo fa, ne riceve in cambio energia e dignità, e ne può sopportare le conseguenze. Riconoscere le proprie colpe libera e solleva il padre di Robert. La sua frase: "Tu sei solo mio figlio" non svaluta Robert, ma lo alleggerisce di un peso. Il padre si riprende il suo carico, il figlio ne è liberato. Ancora un esempio: quello di una cliente che prova spesso un dolore e una tristezza enormi. Analizzando la propria vita non riesce a trovarne le cause. Quando inizia a chiedersi chi potrebbe provare questi sentimenti nella sua famiglia, le viene in mente che il primo figlio dei suoi genitori è nato morto. Di questo fratello non si è mai parlato e sembra che sia stato completamente dimenticato. Ma durante la rappresentazione viene fuori che quando il primo figlio venne partorito morto, i genitori provarono un dolore e uno sgomento insopportabili. Essi non erano riusciti ad elaborarne la morte, e avevano tenuto dentro il proprio dolore. La figlia aveva avvertito il dolore inespresso e lo aveva assorbito dentro di sé. In questo modo gli avvenimenti dolorosi continuano a perpetuarsi all'interno della famiglia e le conseguenze ricadono sui figli, che continuano a pagare per le colpe dei genitori, provando sentimenti dolorosi ed angosciosi.

CRIMINI E COLPE GRAVI

Anche nel caso di torti o crimini gravi, la tendenza all'ordine e all'equilibrio esistente in un sistema familiare fa sì che questi debbano venire riparati. Se, per esempio, un membro della famiglia si è macchiato di un grave abuso o di un assassinio, questo generalmente ha un effetto negativo su tutta la famiglia, che dura sovente per molte generazioni. Talvolta tale effetto non si fa sentire in una generazione, ma ricompare in quella successiva. Le conseguenze sono più gravi di quanto abbiamo appena descritto a proposito di Robert. Che cosa si intende per "colpa"? Personalmente questo concetto non mi era chiaro prima che iniziassi il mio lavoro con le rappresentazioni familiari. La parola "colpa" faceva riecheggiare nelle mie orecchie qualcosa di simile a precetti religiosi tradizionali e superati - confessione e peccato, inferno e purgatorio. Ma chi può entrare nella testa e nel cuore di un'altra persona? Chi può ergersi a giudice degli errori altrui? Persino nella Bibbia si legge:

"Chi è senza peccato scagli la prima pietra..." Così nel mio lavoro terapeutico partivo dal presupposto che ogni persona fa il meglio che può e che, in caso di errore, bastassero delle "scuse". In effetti, consideravo del tutto superfluo il concetto di "colpa". Tuttavia, attraverso il lavoro con le rappresentazioni, concetti come "torto" e "colpa" mi si sono presentati sotto una nuova luce. Le rappresentazioni mostrano che tutti abbiamo dentro di noi una coscienza che ci spinge ad agire indipendentemente dalle motivazioni e dalle giustificazioni che può trovare la mente. Quando sentiamo che il nostro comportamento è ingiusto, facciamo in modo da "pagare" per questo. I rappresentanti delle persone che si sentono in colpa sentono un'esigenza di punizione e vogliono compensare il danno arrecato. Chi, per esempio, ha ucciso un'altra persona non per difesa, nel profondo sa di avere commesso un torto e di essere un assassino. Chi invece, come viene fuori nelle rappresentazioni, durante la guerra ha ucciso altri soldati non si sente colpevole. La sua coscienza interiore non lo reputa un assassino. Chi, al contrario, da soldato ha fatto del male alla popolazione civile, si considera un assassino. I sensi di colpa possono essere così forti che la persona può decidere di suicidarsi. Sembra che agisca il detto biblico "Occhio per occhio, dente per dente." Succede però spesso che i colpevoli continuino a vivere indisturbati. Se chi è colpevole rifiuta di assumersi le proprie responsabilità, il senso di colpa per il delitto commesso continuerà a perpetuarsi all'interno della famiglia, e i discendenti se ne faranno carico. Questo può avvenire in due modi: o si diventa carnefici, o ci si identifica con le vittime e ci si sente talmente attratti dalla morte che il suicidio diventa l'unico modo possibile di espiare. Jürgen è diventato alcolizzato da giovane. Beve smodatamente e scatena risse. Neanche il carcere riesce a fermarlo. Non ha mai conosciuto suo padre, perché questi dopo la guerra non è più tornato a casa. Quasi per caso scopre che suo padre faceva parte delle S.S. e che ha ucciso molti suoi concittadini ebrei, pur non essendo stato condannato per questo crimine a guerra finita. Nei seminari che si tengono in Germania spesso si parla del periodo del Terzo Reich. Le conseguenze di tale periodo sono visibili durante le rappresentazioni, in quanto sia i colpevoli che le vittime hanno discendenti che ne perpetuano il vissuto. In quasi tutti i seminari c'è almeno un partecipante come Jürgen, i cui parenti sono stati coinvolti in un crimine. Le rappresentazioni dimostrano che in queste famiglie si è ancora lontani dall'aver raggiunto la pace.

Nella rappresentazione di Jürgen il padre è in disparte, lontano dalla famiglia. Viene fatto avvicinare, guarda la moglie e il figlio e pronuncia la frase propostagli: "Ero nelle S.S. ed ho ucciso degli ebrei. Mi assumo la mia responsabilità e riconosco le mie colpe." Il padre di Jürgen confida di trovare giusta la prima frase, ma di non condividere quella con cui afferma di assumersi la sua responsabilità, e di averla solo ripetuta senza averla fatta sua. La madre, Jürgen e gli altri fratelli si sentono oppressi e bloccati in presenza del padre. A questo punto il terapeuta manda il padre di Jürgen fuori dalla porta. La famiglia rimasta all'interno prova un forte senso di sollievo. Il padre viene fatto rientrare e riferisce che anche lui si è sentito meglio fuori e che ha trovato giusto lasciare la famiglia. Per giungere alla soluzione, Jürgen si rivolge nuovamente al padre, si inchina e gli dice: "Tu sei mio padre, tu mi hai dato la vita. Questo è il dono più grande e te ne sono grato." Poi continua: "Lascio che tu ti assuma le tue responsabilità e le tue colpe, e ti lascio andare." Il padre esce di nuovo dalla porta e a Jürgen sembra di essersi liberato di un gran peso. Il padre viene richiamato dentro ancora un momento e comunica agli altri, prima di andare via, di aver sentito giusta questa soluzione. Il punto centrale è la naturale differenza di livello che esiste tra genitori e figli. La vita fluisce ai figli tramite i genitori - questa è la cosa più importante, "il dono più grande", nel linguaggio usato nelle rappresentazioni. Jürgen deve ringraziare suo padre per avergli donato la vita, indipendentemente dal fatto che il padre sia o meno un assassino. Il primo passo è che Jürgen senta ed esprima il grazie a suo padre. Ecco perché è importante che lui affermi: "Tu sei mio padre, e mi hai dato la vita. Questo è il dono più grande e te ne sono grato." Sentire l'amore, o perlomeno il rispetto, è il presupposto affinché Jürgen si liberi dal padre. Solo tramite il rispetto si possono restituire la responsabilità e la colpa al legittimo proprietario. Il ringraziamento e il rispetto sono necessari affinché un figlio possa staccarsi dai genitori. Se un figlio vuole recidere con rabbia il legame con i propri genitori, quello che ottiene è solo di nasconderlo, mentre continua a persistere un forte vincolo invisibile. Anche se chi vorrebbe spezzare il vincolo non ne è più cosciente, i suoi figli lo prenderanno su di sé al suo posto. Un altro principio d'importanza fondamentale nelle rappresentazioni familiari è questo: ognuno è responsabile in prima persona del proprio

destino, nessuno può prendere il posto di un altro. È fondamentale che ognuno sia responsabile in prima persona delle proprie azioni. Il padre di Jürgen è diventato un assassino. Nessuno può assumersi la responsabilità di quello che ha fatto, solo lui deve subirne le conseguenze. I figli non possono entrare in questo, né ergendosi a giudici né assumendo su di sé colpe non proprie. Tutto questo non è loro compito e non migliora il loro rapporto con il trasgressore. Il male può essere tramandato. Vi chiederete perché i partecipanti si sono sentiti sollevati quando il padre di Jürgen è uscito dalla porta. Come Bert Hellinger ha scoperto attraverso le rappresentazioni, tra il colpevole e la vittima si instaura un nuovo legame che è più forte di quello esistente con la famiglia. È per questo che il colpevole deve lasciare la sua famiglia. Quindi Jürgen deve lasciar andare suo padre. Questo avviene quando gli dice: "Ti lascio la tua responsabilità e la tua colpa, e ti lascio andare." Anche il padre sente che è giusto così, perché fuori sta meglio. In questa sensazione traspare ancora l'amore del colpevole per la sua famiglia. Sa che se resterà con loro, le sue colpe ricadranno su Jürgen e sugli altri discendenti. Anche per lui è liberatorio lasciare la propria famiglia. La stessa cosa vale se ci sono casi di sevizie o abusi gravi. Quando i genitori si macchiano di gravi colpe nei confronti dei figli, perdono i loro diritti di genitori. Si devono allontanare dai propri figli, e questi devono lasciarli andare. La relazione esistente tra vittima e assassino è evidente quando vengono messe in scena anche le vittime. Spesso queste mostrano ancora terrore e paura, e il colpevole ha difficoltà a guardarle negli occhi. Nella rappresentazione c'è un passo che mostra la forza del nuovo legame che si è creato: le vittime si sdraiano sul pavimento come se fossero morte, e il colpevole si stende al loro fianco, come se anche lui stesse morendo. Dapprima regnano inquietudine e tensione. La calma subentra quando rimangono sdraiati per parecchio tempo e le tensioni si sciolgono. È come se con la morte scomparissero le differenze fra colpevole e vittima e tutti diventassero uguali. Spesso i figli o i nipoti del colpevole si sentono legati alle vittime. Desiderano mettersi a fianco delle vittime e condividerne il destino. Questa non è la soluzione appropriata. Ce lo mostra in modo evidente la rappresentazione descritta da Bert Hellinger nel libro Der Abschied: La cliente ha la continua sensazione di dover morire. Qualcosa che non riesce a comprendere aleggia sopra di lei. Nella rappresentazione emerge che suo padre si è suicidato e che il nonno era nelle S.S. e ha ucciso donne e bambini ebrei.

Hellinger aggiunge dieci rappresentanti per i bambini uccisi. Alla fine, dopo una lunga rappresentazione molto toccante, il nonno deve lasciare la stanza. La cliente continua a sentirsi attratta dai bambini, così Hellinger alla fine la lascia andare da loro. Hellinger (alla cliente): Come va? Cliente: È quello che mi merito, così mi sento alleggerita. Hellinger (ai bambini ebrei morti): Come va? Primo bambino ebreo: Vivo l'essere morto come qualcosa di impersonale, come se non avesse niente a che fare con l'assassino e tanto meno con sua nipote. Non trovo adeguato che lei venga qui, deve andare dalla sua famiglia. Non mi interessa la sua espiazione. È qualcosa che non le compete. Secondo bambino ebreo: Quando è arrivata, hanno iniziato a tremarmi le ginocchia. Ho subito pensato che non è una di noi... Terzo bambino ebreo: È semplicemente troppo. Quarto bambino ebreo: Non voglio il suo sacrificio, non le compete. Quinto bambino ebreo: Per me lei ha un compito nei confronti dei suoi figli, deve porre fine al dolore. Anche gli altri cinque bambini rappresentati si esprimono in modo analogo. La soluzione arriva quando la cliente guarda i bambini a lungo negli occhi e dice loro: "Ho deciso di rimanere (in vita)." Guardandoli negli occhi la cliente comincia a liberarsi del senso di identificazione che ha con loro. Li percepisce separati da sé, ne capisce il destino e nello stesso tempo riconosce che non è giusto che lei viva come se fosse una di loro. Nelle rappresentazioni familiari vediamo a volte che il padre o la madre, o entrambi, si sono macchiati di colpe così gravi da doversene andare. Questo cosa significa? Quali effetti ha nella vita reale una rappresentazione come quella fatta da Jürgen? Dovrà mettere alla porta il suo vecchio padre, come ha fatto nella rappresentazione? Non lo ripeterò mai abbastanza: le rappresentazioni familiari agiscono soprattutto a livello del mondo interiore. Mondo interiore e realtà sono separate. Le rappresentazioni non intendono dare alcuna indicazione su quale debba essere il comportamento esterno da adottare, esse agiscono su un piano più profondo. Una delle partecipanti ad un mio seminario aveva lasciato andare la madre durante la sua rappresentazione. La madre l'aveva abbandonata da piccola e, per questo, come era emerso nella sua rappresentazione, aveva perso i suoi diritti di madre. Una volta adulta, la figlia aveva incontrato nuovamente la madre, ed erano adesso regolarmente in contatto. In un

seminario successivo, la partecipante mi disse che ora riusciva ad essere spontanea e naturale con la propria madre quando la incontrava. Quello che aveva dovuto lasciar andare, erano solo le sue emozioni infantili. Per concludere questo paragrafo, ecco un estratto dalla lettera scritta a Hellinger da una partecipante, dopo una rappresentazione di questo tipo (dal libro Der Abschied): Dopo aver partecipato all'ultimo seminario, provo un sentimento totalmente nuovo per mio nonno. Questi era stato in carcere per attività filonaziste. In una precedente rappresentazione era uscito dalla porta. Da quando l'ho visto sdraiato accanto alle vittime riesco a rispettarlo molto di più e provo una sensazione di grande pace. Adesso è davvero tutto passato. Quando è uscito dalla porta, a me è rimasto un leggero senso di colpa. Il nuovo quadro agisce in modo completamente diverso, forse perché ho partecipato ad una rappresentazione simile come rappresentante. Inchinarmi contemporaneamente davanti alle vittime e ai colpevoli mi ha fatto molto bene.

DESTINI PARTICOLARI

È importante per l'unità familiare che ogni membro vi appartenga nella stessa misura. Ad ogni membro della famiglia è dovuto rispetto. Se a qualcuno viene tolto questo rispetto e viene escluso dalla famiglia, si verificheranno spiacevoli conseguenze nelle generazioni successive. Ingrid non ha mai provato la sensazione di appartenere veramente alla sua famiglia, ne è sempre stata ai margini. A 18 anni se n'è andata di casa e di lì a poco si è sposata. Il matrimonio non è durato molto, e anche la relazione successiva è andata a rotoli rapidamente. Adesso vive sola da dieci anni e ha pochi amici o conoscenti. Trova sgradevoli gli sporadici contatti che ha con i genitori e i fratelli. Quando ha cominciato a indagare sulla sua famiglia, ha scoperto che sua nonna aveva una sorella ritardata mentale. Questo fatto era vissuto come una vergogna dalla famiglia e questa sorella fu mandata in un orfanotrofio, dove morì dopo tre anni. Nella sua famiglia non se ne parlò mai più. Il destino delle persone escluse dalla famiglia è destinato a ripetersi. Nessun membro di una famiglia può essere semplicemente dimenticato, questo non è possibile a causa dell'istanza interiore della famiglia, che potremmo anche definire coscienza di famiglia. Chi, come la prozia di

Ingrid, è escluso dalla famiglia, in genere viene sostituito da un membro nato successivamente, che prende su di sé un destino simile. È come se la persona esclusa e il suo destino venissero riportati in luce dalla coscienza della famiglia. Nella rappresentazione, in un primo tempo Ingrid occupa una posizione marginale, lontana dagli altri familiari. Si sente estranea come se non facesse parte della famiglia. Quando nella rappresentazione viene aggiunta la prozia, Ingrid si trasforma. La guarda con affetto e desidera starle vicino. Quando lo fa si sente soddisfatta e felice. In una fase successiva si mette di fronte alla prozia. Questa le dice: "Sono nata disabile e sono stata messa in un orfanotrofio, dove sono morta giovane. È stato il mio destino, e me ne faccio carico." Ingrid si inchina lungamente e profondamente davanti a lei, poi le dice: "Ho rispetto per te e per il tuo destino. Ti appartengo. Per favore, guardami benevolmente mentre rimango legata alla mia famiglia." La prozia la guarda amorevolmente e le dice: "Puoi restarmi legata anche se rimani nella tua famiglia." Ingrid si sente sollevata e liberata. Ingrid è legata alla prozia e ne ha seguito il destino; ed è per questo che vive come lei. Ovviamente Ingrid non è ritardata mentale e non vive in un orfanotrofio, ma dall'esterno sembra che ne segua in qualche misura il destino. Si esclude dalla famiglia e rimane Interiormente isolata e separata. Tutto questo avviene in maniera spontanea, quasi come se Ingrid non ne fosse consapevole. Prima d'ora non era neppure a conoscenza dell'esistenza della prozia, ma questo non ha nessuna importanza. Le energie che agiscono nelle famiglie sono potenti e in questo caso hanno influenzato anche il destino di Ingrid. È così che si perpetua il destino di persone la cui esistenza è stata dimenticata o rimossa dal resto della famiglia. Può essere il caso, ad esempio, di una persona che ha passato parecchio tempo in un ospedale psichiatrico o in carcere, o di una persona che è emigrata, dopo essere stata allontanata dalla famiglia. Anche chi entra in convento, un monaco o una suora, o si fa prete, si esclude in un certo modo dalla propria famiglia. Queste persone sono votate al celibato, quindi non procreando, interrompono il flusso della vita che si perpetua attraverso i figli. Chi decide di seguire la propria fede sceglie un destino diverso da quello scelto dalle altre persone. Spesso le rappresentazioni familiari mostrano che tutto questo può essere fatto per espiare una colpa o per imitare una persona esclusa, il cui destino ancora una volta viene ricreato da chi nasce successivamente. Costoro lasceranno la propria famiglia, e finiranno per assomigliare a quelli che imitano. In

questo modo i destini vengono tramandati e portati avanti, e spesso non è più possibile scoprire chi è la persona da cui tutto ciò ha avuto origine.

I FIGLI SONO FEDELI AI GENITORI

I figli sono fedeli ai propri genitori ripetendone il destino o le disavventure in maniera qualche volta analoga. Ed è per questo che raramente, o quasi mai, essi oseranno condurre una vita complessivamente più piena e felice della loro. Se un figlio avesse una vita più felice di quella del padre o della madre, gli sembrerebbe di tradirli. Thomas e Maria si sono conosciuti da adolescenti. È il grande amore. Sono molto simili e si capiscono quasi senza bisogno di parole. Tutti e due provengono da famiglie in cui i rapporti sono disastrosi. "Proprio per questo vogliamo e possiamo fare di meglio", dicono entrambi, e si sposano presto. Dopo i primi mesi la grande delusione. Si feriscono e si rendono infelici a vicenda. Vivono insieme per un paio d'anni e hanno due figli, ma alla fine, stremati dalle continue liti si separano. "In che cosa abbiamo sbagliato?" Questa è la domanda che entrambi si pongono. Perché sono incapaci di essere felici insieme? Se analizziamo a fondo le radici del rapporto fra genitori e figli, vediamo chiaramente che esiste un amore profondo e naturale dei figli verso i genitori. I figli amano i genitori di un amore incondizionato. Sono persino disposti a sacrificare la loro vita per loro. Sono profondamente legati ai propri genitori e questo coinvolge tutta la loro vita. Questo vincolo è indipendente dall'effettivo contatto (le persone con cui il figlio cresce) o dai sentimenti esistenti ("Voglio bene a mio padre, ma non a mia madre"). Questo amore inconscio è arcaico e si manifesta tramite la convinzione che è possibile prendere su di sé il destino di un'altra persona ("Preferisco morire io al posto tuo") o condividerlo. Quest'amore è infantilmente ingenuo e in un certo senso cieco. Si realizza pienamente quando un figlio segue lo stesso destino del padre o della madre. I genitori di Thomas e Maria erano persone infelici, amareggiate e frustrate dalla loro vita matrimoniale. Se Thomas e Maria avessero avuto un matrimonio felice, avrebbero in parte reciso il legame che li univa ai loro genitori, rendendoli diversi da loro. Sarebbe stato una sorta di tradimento nei loro confronti; tutto questo si è opposto alla loro felicità.

In questo modo, dolore e infelicità vengono trasmessi di generazione in generazione. I membri della famiglia, che sono profondamente legati l'un l'altro, continuano a portarseli appresso. Chi si vuole liberare dalla famiglia e dal proprio destino usando la rabbia o la collera, si libererà solo a livello superficiale. Nel profondo continuerà a rimanere legato e a svolgere il ruolo stabilito. Thomas rappresenta la propria famiglia e, mentre lo fa, si vede che condivide i sentimenti d'infelicità del padre. Mentre lo guarda gli dice: "Agisco esattamente come te." Dopo una breve pausa aggiunge : "Lo faccio per amore". Quando dice questa frase, diviene all'improvviso consapevole di quanto sia legato al padre e si mette a piangere. Poi gli si inchina davanti e gli dice: "Rispetto te e il tuo destino, e te lo lascio. Io sono solo tuo figlio." Poi segue la frase: "Per favore, guardami con benevolenza mentre ho una relazione positiva." Il padre guarda affettuosamente Thomas e gli dice: "Sono felice se hai una relazione appagante." I figli che vedono che i propri genitori sono infelici si dicono spesso nel proprio intimo: "Farò diversamente e meglio di voi!" Frasi di questo tipo esprimono una leggera forma di disprezzo per i genitori, in quanto i figli si credono migliori e più capaci di loro. Più tardi, spesso verso i cinquant'anni, si accorgeranno di quanto sono simili ai genitori e che non sono riusciti a fare di meglio. Quando Thomas dice a suo padre: "Agisco come te per amore", tocca lo strato più profondo del loro legame d'affetto e lo avverte per la prima volta. Questo è molto toccante. Da questo momento in poi, egli può cominciare a rispettare il proprio padre e la sua vita. Con la frase "Per favore, guardami con benevolenza mentre ho una relazione positiva," è come se Thomas chiedesse al padre la benedizione per il proprio rapporto. Al giorno d'oggi una preghiera di questo tipo ci è estranea, ma nel corso della rappresentazione sentiamo che Thomas fa bene ad esprimerla. Il padre sente quanta considerazione il figlio abbia per lui, ed è felice se il suo matrimonio funziona. Le frasi risolutive nella rappresentazione di Thomas sembrano semplici, ma a livello interiore egli ha dovuto fare uno sforzo per accettarne il contenuto e il significato. Quando Thomas dice a suo padre che lo rispetta e che accetta che lui segua il suo destino, l'amore infantile cieco si trasforma in amore maturo: genitori e figli rimangono uniti nell'amore, ma ognuno di loro porterà unicamente il proprio destino. Una paziente malata di cancro viene portata in carrozzella sul palco dove lavora Bert Hellinger, che la interroga sulla sua malattia e lei risponde: "Ho

il cancro." Hellinger le dice: "Sembri felice. Sorridi mentre lo dici." Poi rivolgendosi al pubblico Hellinger spiega: "Sorridere mentre si parla delle proprie disgrazie è segno di irretimento sistemico. Si è felici quando il proprio destino si compie." Dal legame con la famiglia può scaturire una profonda soddisfazione interiore. Questa silenziosa felicità viene mostrata dal lieve sorriso con cui molte persone raccontano le proprie disgrazie. C'è chi si lamenta delle proprie sfortune economiche, altri del proprio matrimonio infelice - e mentre ne parlano un leggero sorriso compare agli angoli della bocca. Se si presta attenzione, spesso si scopre che questo sorriso compare anche quando amici e conoscenti descrivono le proprie sventure. Questo spiega perché i buoni consigli e le offerte di aiuto non hanno effetto: essi disturbano questa felicità nascosta. Ecco un altro esempio di legame nascosto con la famiglia, di cui mi sono accorto durante il mio lavoro. Ci confrontiamo con le difficoltà di una dottoressa che erano comparse del tutto inaspettatamente. In seguito ad una lunga terapia aveva potuto realizzare i suoi antichi progetti: abbandonare la convenzione mutualistica, affittare un nuovo ambulatorio e dedicarsi totalmente ai suoi amati metodi terapeutici naturali. Quando tutto sembrava pronto, ecco sopraggiungere una profonda depressione, per cui lei perde tutto il suo entusiasmo e tutta la sua fiducia in se stessa. Quando le chiedo di parlarmi dei successi o degli insuccessi professionali della propria famiglia, le viene subito in mente un nonno molto amato. Subito dopo la guerra il nonno aveva avuto un tracollo finanziario, non si era più ristabilito professionalmente e aveva finito per dover fare il rappresentante, cosa che la famiglia considerava umiliante. Se la cliente avesse avuto successo professionalmente, in un certo senso avrebbe tradito il nonno. Rappresento il nonno; le propongo di inchinarglisi davanti, di dirgli che ne rispetta il destino e di chiedergli la sua benedizione per il proprio successo professionale. Lei lo fa con grande serietà. Alcune settimane dopo mi riferisce che l'impiegabile blocco professionale è scomparso. Così, quando si dà uno sguardo alla famiglia, appaiono sotto una nuova luce anche le inclinazioni, le capacità e i blocchi professionali, nonché il rapporto con il denaro. Anche in questo campo i figli adempiono al proprio dovere familiare. Se hanno il compito di avere successo, questo soprattutto in ambito professionale, ce la metteranno tutta per farlo, come servizio compiuto a favore della famiglia. Per fedeltà alla famiglia può anche

succedere però che essi diventino dei falliti. Si faranno lo sgambetto da soli, e saboteranno il proprio successo professionale. La fedeltà che giace nel profondo di ogni individuo è immensa. Quello che appare dall'esterno può anche essere un comportamento ostile dei figli nei confronti dei genitori, ma nel profondo essi si sentono al servizio della famiglia e adempiono compiti tramandati di generazione in generazione. Ognuno assume il ruolo che è necessario a quel sistema familiare. La fedeltà dei figli nei riguardi dei genitori non è stata mai studiata abbastanza, né nella teoria né nella pratica. Psicologi e terapeuti partono dal presupposto che i figli sono dipendenti e hanno bisogno dell'amore dei genitori e che farebbero di tutto per essere amati. Le rappresentazioni familiari mostrano che i figli hanno un'enorme quantità d'amore da dare ai genitori e amano con la stessa intensità con cui sono a loro volta amati. Il passo che porta il figlio verso una forma adulta d'amore è anche quello che porta ad una maggiore solitudine, quindi per il figlio non è facile da compiere. Egli deve liberarsi dallo stretto legame precedente, apparentemente inscindibile, che — malgrado tutta l'infelicità gli ha dato sicurezza e protezione e deve rendersi responsabile della propria vita. Allo stesso tempo, egli sente che così facendo deve abbandonare i propri genitori, e si sente in colpa per questo. La forza di fare questo passo si sviluppa nel figlio quando questi guarda i propri genitori negli occhi. La relazione con i genitori è all'inizio simbiotica, il figlio non percepisce i genitori come distinti da lui. Quando li guarda negli occhi, scopre che essi sono persone distinte da lui. I genitori desiderano il meglio per i propri figli. Non desiderano certo che un figlio li segua nella sventura o che prenda su di sé un destino infelice.

IL MOVIMENTO INTERROTTO

Non tutte le difficoltà che si incontrano nella vita derivano dal sistema familiare originario. Bert Hellinger ha esaminato a fondo, in maniera unica, una causa importante che può influenzare la vita di ciascuno: il "movimento interrotto". Ogni figlio è naturalmente attratto dalla propria madre e dal proprio padre; con loro prova amore, senso di protezione e sicurezza. Se un bambino viene separato precocemente da loro, o se subisce un forte rifiuto o

viene ferito, la spinta ad amare viene bloccata in modo improvviso e violento. Prendiamo ad esempio un bambino di un anno e mezzo che viene ricoverato in un ospedale lontano, dove i genitori possono andarlo a trovare solo di rado. A causa di questa separazione, il bambino subisce uno shock e in futuro non oserà più assecondare il suo impulso spontaneo verso la madre o il padre. Il movimento naturale viene interrotto. È vero che avrà ancora una forte nostalgia di loro, ma questo sentimento si manifesterà come tristezza, dolore, rabbia e frustrazione. Chi ha avuto questa esperienza da bambino, da adulto non avrà il coraggio di abbandonarsi in maniera completa all'amore per il proprio partner. Oscillerà sempre fra il desiderio di abbandonarsi e la paura, causata dalle esperienze negative ad esso collegate. Spesso, con il suo comportamento, causerà inconsapevolmente il rifiuto che segretamente si aspettava e di nuovo affioreranno in lui sentimenti di tristezza, dolore, rabbia e frustrazione. Si crea un circolo vizioso senza fine. Nel corso delle proprie sedute terapeutiche, ad esempio, potrà per anni scaricare la propria rabbia picchiando sui cuscini, senza che essa diminuisca. La rabbia è solo un surrogato: il vero sentimento è il bisogno di contatto con gli altri. Soddisfare il proprio bisogno infantile porta alla guarigione. In una costellazione di questo tipo, Hellinger siede di fronte al cliente e lo fa ritornare interiormente al tempo in cui si verificò lo shock della separazione. Poi lo invita a tendere le mani e a dire: "Prego." È toccante vedere quanto questo sia difficile per la persona interessata: dolore e delusione sono profondamente radicati. Solo quando questa preghiera viene effettivamente espressa, il terapeuta, che rappresenta la mamma o il padre, può abbracciare il cliente. Il movimento, interrotto da tanto tempo, può concludersi e i vecchi sentimenti negativi possono dissolversi.

FENOMENI DELLA RELAZIONE

Abbiamo descritto finora alcuni dei modi in cui le relazioni familiari si sviluppano nel corso delle generazioni, così come Bert Hellinger li ha osservati nel suo lavoro. Al momento attuale cominciano a scoprirsi nuove connessioni, come se il velo che in passato le aveva coperte si stesse sollevando. Si tratta di relazioni che si ancorano ancora di più nel profondo,

anche se non si sa bene come agiscano. Di fatto abbiamo appena cominciato a scoprirle. In Francia, Anne Ancelin Schùtzenberger, una psicologa dell'Università di Nizza ora in pensione, ha approfondito lo studio degli effetti che gli eventi traumatici possono provocare in una famiglia nel corso di diverse generazioni. Il suo lavoro è descritto in parte in un articolo di Albrecht Mahr. Il lavoro da lei svolto prende il nome di "psicogenealogia" e l'autrice ha pubblicato un libro divenuto poi un best seller in Francia, che ha già avuto undici ristampe. La mia cliente, Barbara, è entrata in terapia perché soffre di attacchi di panico e di incubi in cui compaiono soldati con l'elmetto. Indagando sulle generazioni passate della sua famiglia, trova un legame con la guerra del 1870, durante la quale a Sedan ci fu una terribile carneficina, in cui morirono 25.000 soldati. Il suo bisnonno, Jules, da piccolo aveva assistito a questa battaglia, nascosto dietro un albero, pieno di paura, tenuto per mano dal padre, che era il trisnonno di Barbara. Dopo aver analizzato e discusso, nel corso della terapia, questi vecchi ricordi di famiglia, gli incubi svaniscono, anche se Barbara sente ancora un certo dolore e continua ad indagare. I suoi attacchi di panico sono comparsi per la prima volta un 4 di agosto. Scopre che il 4 agosto 1870 c'è stata la battaglia di Wissembourg, in cui morirono molti membri della sua famiglia e dove venne ferito un fratello del bisnonno. Un punto chiave del lavoro di Anne Ancelin Schùtzenberger è basato sull'evidente significato dell'epoca o della data in cui incidenti e disgrazie si verificano in una famiglia. Ad esempio, un'altra cliente, a causa degli attentati mortali effettuati con i gas tossici a Verdun e Ypres durante la prima guerra mondiale, soffriva di ricorrenti attacchi d'asma. Una cliente ha una bambina di quattro anni che soffre dalla nascita di asma e attacchi di panico. Si sveglia ogni mattina tossendo e urlando. Questa bambina è nata il 26 aprile. La signora Schùtzenberg associa questi episodi alla prima guerra mondiale, in cui il 22 aprile i tedeschi usarono per la prima volta gas tossici. "Avevi dei parenti a Ypres o a Verdun?" chiede alla cliente, ma lei non ricorda. In una seduta successiva la cliente riferisce sorridendo che è come se fosse avvenuto un miracolo. Dall'ultima seduta sua figlia non ha più avuto nessun attacco, non si è più svegliata di notte e non ha più tossito. La volta successiva la dottoressa Schùtzenberger le chiede di portarle un disegno fatto dalla bambina, che quest'ultima aveva descritto come una maschera subacquea con la proboscide. "È il mostro che mi tormenta ogni notte." Il disegno assomiglia ad una maschera antigas della guerra 1914-18.

Quando la cliente fa delle ricerche scopre in archivio che il fratello del nonno aveva partecipato, rimanendo ferito, all'attacco del 26 aprile, in cui erano stati impiegati gas tossici. Dopo aver subito un intervento di rimozione di un carcinoma laringeo, anche se l'intervento era riuscito, la cliente continuava a soffrire di insufficienza respiratoria accompagnata da un senso di soffocamento. Ella soffriva molto anche per il fratello minore Francois, che a sei mesi aveva corso il rischio di soffocare a causa di un episodio di difterite e che da allora era rimasto handicappato. Si scopre che suo nonno aveva preso parte, in qualità di soldato, agli attacchi fatti con i gas tossici a Verdun. Dopo aver fatto questa scoperta, le condizioni e la respirazione della paziente migliorano. Rimangono però ancora dei fenomeni strani. La cliente si porta spesso le mani alla gola, porta sempre una corta collana rossa al collo e ha spesso brividi di freddo, particolari questi che alla dottoressa Schùtzenberger fanno pensare alla rivoluzione francese. La cliente fa delle ricerche e scopre, casualmente, una lunga storia familiare. Per lei è uno shock venire a sapere che cinque suoi antenati morirono ghigliottinati nel 1793. Uno di nome Francois morì il 9 gennaio 1793 - suo fratello Francois è nato il 9 gennaio 1963. Dopo aver scoperto questi avvenimenti, il senso di soffocamento sparisce. Se ci guardiamo intorno attentamente, notiamo che in molte situazioni esistono delle curiose coincidenze. Se si trattasse di un solo avvenimento, lo si potrebbe liquidare come tale. Quando invece ci si trova davanti ad un grande numero di eventi, si può essere certi che non si tratta di un caso. Bert Hellinger menziona il caso di una famiglia in cui negli ultimi cent'anni tre uomini, appartenenti a generazioni diverse, si sono suicidati a 27 anni, il 31 dicembre. Dalle ricerche è emerso che il primo marito della bisnonna morì a 27 anni il 31 dicembre, probabilmente avvelenato dalla bisnonna e da quello che sarebbe diventato il suo secondo marito. I seguenti sono altri casi riportati dalla dottoressa Schùtzenberger: Un uomo di 29 anni, in agosto, ha un incidente in deltaplano, e rimane paraplegico. Suo padre, destinato ai lavori forzati in una fonderia durante la guerra, era diventato paraplegico in seguito ad un incidente avvenuto nel mese di agosto, all'età di 29 anni. Nel 1993 l'attore Brandon Lee morì durante le riprese del film "Il corvo", perché da una pistola che doveva essere caricata a salve era partita per sbaglio una pallottola. Esattamente vent'anni prima, suo padre Bruce Lee era morto proprio nello stesso modo durante le riprese del film "Game of Death".

Il presidente John F. Kennedy fu assassinato a Dallas il 22 novembre 1963, mentre passava tra la folla su di un'auto scoperta, nonostante gli fosse stato seriamente sconsigliato. Anche il nonno Patrick era morto a 35 anni, un 22 novembre. Vale pertanto la pena di eseguire delle ricerche mirate sul passato della propria famiglia. La dottoressa Anne Ancelin Schùtzenberger afferma che esistono "periodi di cagionevolezza", nei quali siamo in pericolo perché seguiamo il bisogno inconscio di assumere su di noi le sventure dei nostri antenati. Spesso accade che dei pazienti provino una grande paura o un forte panico prima di un'operazione. Nelle cliniche universitarie chirurgiche di Brest e Sherbroke in Canada si è osservato che spesso i pazienti scelgono di essere operati nei giorni che coincidono con anniversari importanti, come la data di morte di un parente prossimo. È stato dimostrato che se scelgono un'altra data, non collegata a tali avvenimenti, l'uso di anestetici e le complicanze post operatorie diminuiscono del 50 percento. Cominciamo ad intravedere come funzionano i misteriosi collegamenti all'interno delle famiglie e sembra proprio che ci sia ancora molto da scoprire.

3 AMORE, RAPPORTO DI COPPIA E FIGLI: ASSUMERSI LA RESPONSABILITÀ DELLA PROPRIA VITA

L'amore è una nebbia formata dal vapore dei sospiri: purificato, diventa un fuoco sfavillante negli occhi degli amanti; agitato, un mare nutrito dalle loro lacrime. Che altro è? Una follia più docile, un'amarezza soffocante e una dolcezza che allevia. Shakespeare, Romeo e Giulietta

In questo capitolo parleremo della nostra vita come uomini e donne impegnati in un rapporto di coppia e anche come padri o madri. Tutte le persone che fanno parte della nostra vita attuale, formano un nuovo sistema, il sistema del presente. Anche in questo sistema ci sono regole da osservare e rispettare. Se non vengono rispettate, ne pagheremo le conseguenze noi stessi, i nostri figli o i loro discendenti.

AMORE E ORDINE - DUE CONCETTI OPPOSTI?

Per tutti è evidente che l'elemento fondamentale per la felicità e per la piena soddisfazione nelle relazioni e nei rapporti di coppia è l'Amore. Perché spesso c'è amore all'inizio e poi svanisce? Perché va male così tante volte? Nella vita di coppia spesso nascono dissidi, lotte di potere, offese e delusioni. Prima o poi il rapporto finisce. Si dice: "Abbiamo preso due strade diverse..." "Quello non era il partner giusto. Forse andrà meglio col prossimo." L'amore da solo quindi non basta. Naturalmente, per salvaguardare un rapporto c'è bisogno anche di impegno reciproco. Gli esperti in rapporti di coppia consigliano sui libri: Devi essere aperto e sincero! Fai in modo che

ci sia sempre dialogo! Non reprimere i conflitti! E molti altri suggerimenti di questo genere... C'è qualcosa che va al di là di tutto questo? Che cosa bisogna pensare quando qualcuno come Bert Hellinger, parlando dell'amore, pronuncia la parola "ordine"? L'ordine sembra trovarsi al polo opposto rispetto all'amore, sembra più un fattore di disturbo che altro. Non è forse con l'ordine che si cerca di incasellare i sentimenti e di costruire dighe per bloccarne la piena? Bisogna forse usarlo per erigere barriere contro il fiume della vita? Le rappresentazioni familiari ci forniscono un modo nuovo per conciliare questi due opposti: amore-ordine. Essi sono opposti che possono e devono integrarsi a vicenda. La vita infatti è costituita da contrari, e la verità non è mai da una parte sola. Pensare agli opposti in termini di "giusto" e "sbagliato" non porta a nessuna soluzione. Chi si lascia coinvolgere in maniera totale dall'innamoramento e dall'amore, ignorando tutto il resto, sarà tanto infelice quanto il "fanatico dell'ordine", che si aggrappa alla propria relazione, la considera indissolubile e si dimentica dell'amore. Nella vita occorre tener conto di entrambi i poli e mantenere viva la tensione fra di essi. Se l'ordine è il contrario dell'amore, di quale ordine stiamo mai parlando? Sicuramente non dell'ordine sociale, che ha costretto i nostri avi a rimanere sposati tutta la vita senza amore o a farsi guerra in continuazione. Quel vecchio ordine sociale è ormai obsoleto. Basta osservare le relazioni di quanti ci circondano. C'è un grande caos; le relazioni stabili sono sempre più rare. Noi stessi ci sentiamo insicuri, a volte feriamo gli altri o ne siamo feriti, e coraggiosamente continuiamo a provare. C'è qualcosa di sensato in un concetto di ordine che sembra ormai superato? Ci sono ordini che si sono formati rispettando le basilari realtà della vita. Se li osserviamo obiettivamente, vediamo che essi possono rispondere alle nostre esigenze. La realtà è che l'uomo e la donna sono esseri sessuati. La sessualità ha anche lo scopo riproduttivo. La conservazione della specie e l'istinto di sopravvivenza sono gli istinti più forti presenti tanto negli esseri umani quanto negli animali. Con l'aiuto delle rappresentazioni familiari, è possibile arrivare ad uno strato profondo dove esistono questi ordini e renderli visibili. Le rappresentazioni illuminano le dinamiche e la forma dei rapporti. In esse i temi fondamentali si presentano sempre in maniera simile. Un presupposto fondamentale per avere un buon rapporto di coppia è che ci sia equilibrio fra il dare ed il ricevere. Se è solo uno dei due a dare, si crea uno squilibrio e l'equilibrio deve in qualche maniera essere ristabilito. Se anche l'altro dà, la tensione si scioglie. Se si dà più di quanto si riceve,

toccherà poi di nuovo all'altro dare. In questo modo la relazione manterrà una valenza positiva. Le parole di Bert Hellinger a questo proposito sono chiarificatrici: La felicità in una relazione dipende dal libero scambio tra il dare ed il ricevere. Uno scambio limitato produce un misero guadagno. Più lo scambio è vasto, più profonda è la felicità. Questo però ha un grosso svantaggio: lega ancora di più. Chi vuole la libertà deve dare e prendere solo in piccole quantità, e lasciarsi andare solo in maniera limitata. Peraltro: Si può dare solo quanto l'altro è disposto a ricevere, e per quanto si è in grado di dare. Se si dà più di quanto l'altro sia pronto a ricevere, il partner si sentirà oppresso, sarà ancor meno disposto a dare e lo squilibrio risultante aumenterà sempre di più. Le relazioni in cui uno solo dà e l'altro vuole solamente ricevere, sono destinate a fallire. Prima o poi uno dei due non reggerà più lo squilibrio e se ne andrà, in quanto uno squilibrio e uno stato di tensione pretendono una soluzione. Quello che se ne va, può essere proprio quello che, avendo ricevuto di più, pone termine al rapporto perché non riesce più a sopportarne la tensione. Ci si può stupire di quanto affermato da Hellinger, e cioè che ciò che vale in positivo per l'equilibrio, vale anche in negativo. Il bisogno di compensazione esiste anche se una persona fa del male all'altra o la ferisce. Il colpevole dovrebbe dare una soddisfazione che compensi in qualche modo il male inflitto. Questo riequilibrerebbe il rapporto. È utile nella compensazione in negativo richiedere qualcosa in meno rispetto al torto subito? Chi si sente troppo buono per richiedere una compensazione, per esempio rinunciandovi magnanimamente, danneggia il rapporto a livello profondo. In questo modo, infatti, non soddisfa l'esigenza reale di quel momento e non concede al colpevole alcuna possibilità di riscattarsi. Così aumenta ulteriormente lo squilibrio. È vero che è la vittima, ma si pone al di sopra del colpevole perdonandolo e sembrando il migliore fra i due, ma non è detto che lo sia veramente.

UOMO E DONNA NEL RAPPORTO DI COPPIA

Tanto nell'uomo quanto nella donna sono presenti sia energie maschili che femminili. L'energia maschile viene trasmessa all'uomo dal padre e dagli altri antenati di sesso maschile. La donna riceve l'energia femminile dalla madre e dalle altre antenate di sesso femminile. Se il rapporto fra padre e figlio o fra madre e figlia è disturbato, anche la capacità di avere delle relazioni e dei legami sarà disturbata. Marita è sfortunata in amore. All'inizio ha sempre un certo successo con gli uomini, ma non riesce a mantenere in vita i suoi rapporti nel tempo. Dopo un po' rimane di nuovo sola. Invidia le compagne di scuola che da tempo hanno un compagno o che hanno messo su famiglia. L'uomo dei sogni arriverà anche per lei? Chi incontra delle difficoltà nelle proprie relazioni sentimentali, deve esaminare i suoi rapporti con il genitore del proprio sesso. Se questo rapporto è disturbato e compromesso, frequentemente è proprio questa la causa dei problemi che insorgono nella coppia. Un certo tipo di psicologia spicciola vuole invece che andiamo a guardare nella direzione opposta. Secondo questa psicologia, le persone che lasciano un'impronta decisiva sul ragazzo e sulla ragazza sono rispettivamente la madre ed il padre. "È ancora così attaccato a sua madre. Non c'è da stupirsi se ha delle difficoltà con le altre donne," dicono i vicini parlando dell'eterno scapolone. Ma per l'uomo il passo decisivo non è la separazione dalla madre, bensì il rapporto con il padre. È da suo padre che l'uomo riceve la forza per realizzare il suo sé maschile all'interno della coppia. Marita attrae gli uomini, ma non possiede l'energia femminile matura che è necessaria per un rapporto duraturo. Nonostante il suo indiscutibile successo con l'altro sesso, tutte le sue relazioni prima o poi finiscono male. Che tipo di rapporto ha avuto Marita con sua madre? I motivi della compromissione del rapporto con il padre o la madre derivano generalmente dal sistema originario. Una causa sistemica importante e frequente dei disturbi nel rapporto fra genitori e figli è costituita, per quanto possa sembrare stupefacente ad un primo sguardo, dai partner precedenti dei genitori. Di loro non si è parlato nel capitolo sulla famiglia d'origine, perché sono importanti nel sistema del presente. Marita non è mai andata d'accordo con sua madre, mentre fin dall'inizio è stata la prediletta del papà. Marita scopre che, prima di sposarsi con la madre, il padre era stato fidanzato con un'altra donna che aveva lasciato in seguito ad un violento litigio. Successivamente aveva sposato la madre di Marita. In famiglia nessuno parlava mai della precedente fidanzata perché l'argomento era scabroso.

Anche i partner precedenti dei nostri genitori fanno parte del sistema d'origine, poiché hanno lasciato il posto al partner successivo, nostro padre o nostra madre. Se non se ne fossero andati, noi non saremmo al mondo. Se nostro padre o nostra madre, dunque, hanno avuto un legame serio prima del matrimonio, un grande amore, un fidanzamento o un altro matrimonio, questo primo partner appartiene anche lui al sistema. Per molte famiglie i partner precedenti costituiscono un argomento sgradevole e scabroso, che si preferisce evitare. Se non si parla mai del partner precedente o se ne prova disprezzo, generalmente nella famiglia ci sarà un figlio che ne assumerà il ruolo. Nella rappresentazione Marita è vicina al padre. Entrambi sono molto legati e si guardano con affetto. Tra i due c'è una lieve tensione erotica. Marita si sente distante rispetto alla madre. Dopo aver introdotto anche la precedente fidanzata del padre, Marita prova subito simpatia per lei e si sorridono reciprocamente. Per verificare se Marita ha assunto il ruolo della fidanzata del padre, il terapeuta fa scambiare di posto le due donne. La fidanzata ora è accanto al padre. È subito chiaro che i sentimenti del padre sono rivolti a lei, perché i due non riescono più a smettere di guardarsi. Dunque Marita ha assunto il ruolo della fidanzata del padre, senza che fino ad allora nessuno se ne fosse accorto. Non c'è da meravigliarsi che stia così vicina al padre e che non si senta una figlia. Si capisce anche il cattivo rapporto con la madre, che in lei percepisce inconsciamente una rivale. Per sciogliere le tensioni, è importante che nella rappresentazione la fidanzata ottenga il posto che le spetta all'interno del sistema. Il padre si inchina leggermente davanti a lei e le dice: "Tu sei stata la mia prima donna. Nel mio cuore occupi il posto di prima donna." Poi le presenta la moglie e i figli: "Questa è la donna che mi sono preso dopo di te, e questi sono i nostri figli. Per favore, guardaci con benevolenza." A questo punto la fidanzata si sente considerata e riconosciuta, e guarda benevolmente il suo vecchio fidanzato e la sua famiglia. Poi il padre dice a Marita: "Ora la mia fidanzata ha ottenuto il suo posto presso di noi, e tu puoi prendere il tuo posto di figlia. Tu sei solo mia figlia, e lei è tua madre." Pronuncia queste parole indicando la madre. Marita prova un senso di liberazione e per la prima volta percepisce coscientemente sua madre. Le fa un inchino lungo e profondo e le dice: "Ho rispetto per te, che sei mia madre. Io sono solo la figlia." Adesso la madre ha lo sguardo amichevole. Marita si sente molto attratta da lei; con cautela muove qualche passo verso di lei, che la prende amorevolmente fra le braccia.

Spesso i figli assumono il ruolo dei partner precedenti. Marita, che ha assunto il ruolo della partner precedente del padre, occupa un posto speciale per lui. Dentro di sé si sente superiore alla madre. La madre percepisce l'arroganza nascosta della figlia e si allontana da lei. Marita può abbandonare il ruolo particolare che ha assunto, solo quando la fidanzata riottiene il suo posto nel sistema. Per questo è importante che il padre le restituisca il rispetto dicendole: "Tu sei la mia prima donna. Nel mio cuore occupi il posto della prima donna." Per sanare il rapporto fra Marita e sua madre, è importante che Marita riottenga il proprio posto come figlia. "Ho rispetto di te, che sei mia madre. Io sono solo la figlia." Inchinandosi le esprime il proprio rispetto e nello stesso tempo le chiede perdono per essersi comportata in modo arrogante. A volte il rapporto tra un figlio e il proprio genitore è compromesso a tal punto che nella rappresentazione il figlio arriva ad inginocchiarsi piegando la testa a terra, e prega di essere riaccettato come figlio. In questo modo è possibile risanare un rapporto profondamente disturbato. Questa dinamica è valida anche in altre situazioni. Se, per esempio, prima del matrimonio la madre ha avuto con un uomo una relazione finita male, (anche in questo caso non ha importanza che si tratti di un amore giovanile, di un fidanzato o del primo marito), il figlio può assumere il ruolo del partner precedente. Nella rappresentazione si vede che il figlio occupa un posto speciale per la madre, quello del marito. Il risultato è che da un lato tra madre e figlio si instaura un'insolita relazione intima e, dall'altro, esiste un rapporto disturbato fra il padre e il figlio, che viene vissuto come un rivale. Solo dopo che anche il primo uomo è stato introdotto e ha ottenuto il suo posto nella famiglia, il figlio viene liberato dal carico che è costretto a portare e dal suo ruolo particolare. L'assunzione del ruolo di un vecchio partner è frequentemente la causa dei conflitti che si verificano nei rapporti fra genitori e figli. Il rapporto può essere anche compromesso a causa di altri irretimenti, alcuni dei quali sono già stati descritti nel capitolo sulla famiglia d'origine. Come si fa a risanare il rapporto fra genitori e figli? Esiste una forma speciale di rappresentazione, che è di supporto ai figli, e aiuta a lasciar fluire le energie femminili e maschili. Il presupposto è che gli altri elementi di disturbo siano già stati eliminati. Fatto questo, la madre si mette dietro la figlia e dietro di lei si mettono sua madre, la nonna e la bisnonna. Oppure, dietro al figlio ci sarà il padre e dietro di lui il nonno e il bisnonno. Quelli che stanno dietro sostengono quelli che stanno davanti, di modo che questi si possano appoggiare a loro.

L'effetto è ancora più intenso se tutti gli antenati dello stesso sesso stanno dietro al figlio o alla figlia. Quindi, dietro al figlio c'è prima il padre, e dietro di questi i due nonni e i quattro bisnonni; dietro alla figlia ci sarà la madre, poi le due nonne e infine le quattro bisnonne. Il figlio o la figlia, stando davanti, chiuderà gli occhi e accoglierà dentro di sé l'energia maschile o femminile, che gli giunge attraverso così tante generazioni.

ESSERE GENITORI

Il legame tra uomo e donna non è fine a se stesso: è anche ricerca del terzo. L'istinto biologico, quando è libero, tende alla procreazione come realizzazione naturale. Marianne ha cresciuto da sola il figlio Florian di sette anni. Dopo aver vissuto due anni con il padre del bambino, Andreas, se n'è poi separata in malo modo. "In effetti non è mai stato l'uomo giusto," dice alle amiche Marianne. Il primo anno dopo la separazione, Andreas ha continuato ad occuparsi del bambino, ma poi ha smesso di vederlo. Marianne deve chiedergli ripetutamente anche i soldi per il mantenimento del figlio: "Tipico comportamento maschile," è il suo unico commento. "Ma il mio Florian è diverso. Non diventerà mai come suo padre." Ciononostante, da quando Florian ha iniziato la scuola, Marianne ha sempre più difficoltà con lui. Il bambino è irrequieto, non riesce a concentrarsi e si fa notare dagli insegnanti, perché è aggressivo e picchia gli altri bambini. Nei miei seminari mi capita spesso di incontrare madri che crescono da sole i propri figli. A quanto pare, ci sono sempre più padri che dopo la separazione si sottraggono ai loro doveri. L'unica speranza di un cambiamento per il futuro sembra risiedere nelle madri, che anche se non possono cambiare gli uomini, possono forse crescere i loro figli in maniera diversa. Nella rappresentazione di Marianne emerge questa dinamica: Florian5 è vicino alla madre, mentre Andreas, il padre, è in disparte, il viso rivolto dalla parte opposta. Marianne è adirata nei confronti di Andreas e non lo rispetta. Egli si sente messo da parte ed è anche lui arrabbiato. Florian sente che è troppo vicino alla madre, ed è arrabbiato. 5

Ricordatevi che nelle rappresentazioni si parla sempre dei rappresentanti dei membri della famiglia.

Il terapeuta chiede a Marianne, che osserva dall'esterno, se ci sono motivi concreti che giustifichino tutta questa rabbia. Questi motivi in genere sono da ascriversi ad avvenimenti gravi o a ferite profonde. Marianne dice di no, che non si sono verificati fatti particolarmente gravi. Di solito in casi come questo, una rabbia così forte è una rabbia introiettata. Per poter districare e sciogliere questi conflitti, Marianne si mette davanti ad Andreas, si inchina leggermente e con rispetto, e gli dice lentamente: "Ti ringrazio per quello che ho ricevuto da te. Puoi tenerti quello che ti ho dato. Mi assumo la mia parte di responsabilità per il fallimento della nostra unione, e ti lascio la tua parte di responsabilità. Hai un posto nel mio cuore, in qualità di mio ex marito, e restiamo legati grazie a nostro figlio." Allora anche Andreas si inchina davanti a Marianne e dice alla sua ex moglie le stesse frasi. Parte della tensione si scioglie, anche se Andreas si sente ancora un po' offeso ed in collera. Marianne lo guarda apertamente e gli dice: "Mi dispiace." La collera e il dolore di Andreas svaniscono. Possono rimanere vicini in pace e guardare il figlio. In un rapporto di coppia, anche se questo finisce, è importante che i due partner si rispettino. Questo rispetto è indispensabile dopo la separazione, specie se si hanno figli, altrimenti essi diventano vittime delle tensioni fra i genitori. Come si fa a separarsi "bene"? Ogni separazione è dolorosa. Bisogna accettare il dolore e il fatto che ci si possa separare. Come lo si può fare con rispetto? Una rappresentazione ne esprime l'essenza con queste frasi: "Ti ringrazio per quello che ho ricevuto da te. Puoi tenerti quello che hai ricevuto da me." In questo modo si guarda in maniera positiva al passato trascorso insieme. In una relazione durata a lungo le cose condivise, gioie e dolori, sono state tante. Malgrado il male che si è fatto, si è dato e ricevuto anche tanto amore. All'inizio si sono condivisi sogni, speranze e desideri, anche se poi delusi. Il ringraziamento è quindi appropriato. "Mi assumo la mia parte di responsabilità per il fallimento della nostra unione, e ti lascio la tua parte di responsabilità per questo fallimento." Questa è la frase che più di tutte aiuta le tensioni a sciogliersi e che pone in rilievo una semplice realtà: sono sempre due le persone che contribuiscono alla rottura di una relazione, non c'è mai un solo responsabile, e nessuno è solo la vittima. Quasi tutti dimenticano questo nella tempesta emotiva che accompagna e segue una separazione. Ci torturiamo per cercare di capire come si è potuti giungere a tanto. Pieni di rabbia, contiamo gli errori del partner per dimostrare che la colpa è tutta sua. Dopo poco il nostro stato d'animo cambia completamente e cominciamo a rimproverarci perché siamo noi ad aver sbagliato tutto. Con la frase di prima ci assumiamo la nostra

parte di responsabilità. Questo fa bene alla controparte, che può a sua volta assumersi la sua. Si pone termine alle accuse reciproche, ed entrambe le persone si sentono alleggerite. "Ti do un posto nel mio cuore, in qualità di mio ex marito." Un partner precedente appartiene al nostro sistema, non possiamo escluderlo arbitrariamente. Trattarlo con rispetto e amore, e dargli un posto "nel nostro cuore", farà bene a lui e a noi. In questo modo, il partner non avrà bisogno di essere sostituito dai figli, perché ha già il posto e il rispetto che gli sono dovuti. D'ora in poi potrà, nel corso del tempo, allontanarsi e osservare da lontano con benevolenza il suo ex partner e la sua vita. Questo progressivo allontanamento non è possibile quando ci sono uno o più figli in comune. I figli infatti costituiscono un legame indissolubile fra padre e madre. Questa verità è espressa da Marianne quando pronuncia la frase: "Restiamo legati grazie a nostro figlio." Quanto c'è di non risolto fra i genitori pesa sul figlio, che spesso si sente dilaniato dal rapporto fra i genitori. È particolarmente distruttivo quando il padre o la madre cercano di farsene un alleato nella battaglia contro l'altro. Chi vuole tirare il figlio dalla propria parte, fa una violenza al bambino per scopi propri e lo danneggia. Per chiarirlo, la rappresentazione di Marianne, Andreas e Florian va avanti ancora un po'. Marianne sta accanto ad Andreas, Florian sta di fronte ai genitori. Marianne dice a Florian: "Quello che c'è fra me e tuo padre riguarda solo noi adulti." Florian tira un sospiro di sollievo. Poi Marianne aggiunge: "Tu sei solo nostro figlio e puoi avere me come madre e lui come padre. Non devi scegliere." Florian è contento e guarda entrambi i genitori. Poi dice loro: "Vi prendo tutti e due come miei genitori. Quello che c'è stato e c'è tra voi non mi riguarda. Io sono solo vostro figlio." Quando un figlio deve scegliere tra un genitore e l'altro, si trova di fronte ad un dilemma insolubile. Chi da bambino è stato costretto a farlo, da adulto troverà difficile prendere qualunque decisione. Anche le piccole decisioni quotidiane gli rievocheranno l'antica situazione di disagio. Un figlio segue i propri genitori. A volte sembra preferirne uno, ma nel profondo rimane legato ad entrambi. Per questo, dopo una separazione, è importante che il bambino possa continuare a vederli entrambi, senza dover essere necessariamente coinvolto nel conflitto della separazione. Il rapporto di coppia, i problemi e le liti non debbono coinvolgere i figli. Essi riguardano unicamente i genitori. Se Marianne non rispetta il padre di Florian e vuole che il figlio stia dalla sua parte, il bambino si sentirà lacerato interiormente e non ci sarà da stupirsi se a scuola si farà notare per il proprio comportamento aggressivo!

Con la frase: "Tu sei solo nostro figlio e puoi avere me come madre e lui come padre. Non devi scegliere." Marianne solleva Florian da un immenso peso. Florian non dovrà più prendere le parti di nessuno, ma potrà avere entrambi i genitori. La cosa veramente importante per lui è questa. I figli costituiscono un legame duraturo nel tempo. Il figlio rappresenta il frutto dell'amore reciproco di un tempo. Il figlio incarna questo amore. L'uomo che non rispetta la sua donna o le donne in generale, non potrà rispettare il principio femminile neanche in sua figlia. Chi disprezza il proprio uomo o più in generale gli uomini, una volta madre disprezzerà anche il principio maschile nel proprio figlio. Questo ci fa comprendere perché è così importante provare rispetto per il proprio partner.

REGOLE FRA GENITORI E FIGLI: CHI HA LA PRECEDENZA?

Un figlio è responsabilità comune sia del padre che della madre. Se un uomo, dopo aver messo incinta una donna, la lascia da sola a crescere il figlio, si sottrae alle sue responsabilità e le fa un torto. La sua coscienza interiore troverà il proprio equilibrio solo quando lui avrà pagato il prezzo per questo comportamento. Un figlio fa sì che si costituisca un legame particolarmente forte, indipendentemente dalle altre condizioni. Il legame che si crea attraverso i figli, specie quello nei confronti dei più piccoli, è il più forte e ha la precedenza su tutti gli altri. Prendiamo il caso di una coppia che ha vissuto per anni un rapporto di stretta intimità senza che da questo rapporto siano però nati dei figli. Se il marito, in seguito ad un'avventura aspetta un figlio da un'altra donna, è giusto che lasci la moglie e segua il bambino e la nuova compagna. Anche se decide di rimanere con la propria moglie, la vecchia relazione, così com'era, non esiste più e deve essere completamente rinnovata. Ogni rapporto sessuale - anche senza amore - comporta sempre il rischio di un legame, perché implica la possibilità di concepire un bambino. Forse questo fa capire meglio come mai a volte la gelosia per una "piccola", apparentemente insignificante scappatella, sia così forte. Ogni scappatella porta con sé il rischio di una gravidanza e rappresenta una forte minaccia per il rapporto. Con la propria infedeltà si mette in gioco ogni volta il

proprio rapporto di coppia. Da quest'ottica, la gelosia, questo cocktail di paura, rabbia e altri sentimenti, non stupisce più. Nelle rappresentazioni familiari si vede chiaramente quanto sia forte il legame esistente tra genitori e figli. Il figlio sente questo legame in forma strettamente biologica. Per questo motivo, anche se un uomo ha avuto solo un breve incontro con una donna e ne è nato un figlio, questo si sentirà comunque legato a suo padre. Questo legame sarà ugualmente intenso per entrambi i genitori, anche se a livello superficiale può esservi un'attrazione maggiore per il genitore dello stesso sesso. I maschi infatti si sentono più legati al padre, le femmine alla madre, ma a un livello più profondo e nascosto ci si sente legati in egual misura anche all'altro genitore. La cosa migliore per un bambino è quella di crescere con entrambi i genitori. Se questo non è possibile, è meglio che il bambino resti con il genitore che rispetta di più e da cui è rispettato. I bambini possono essere accuditi bene anche se restano con il padre. Se i genitori non si possono occupare del proprio figlio, la soluzione migliore è affidarli ai nonni o a parenti dei genitori, quali gli zii. L'adozione, che rappresenta una rottura radicale del legame fra i genitori naturali e il proprio figlio, è consigliabile solo in casi estremi. Un'altra soluzione può essere quella dell'affido, in cui viene maggiormente rispettato il legame esistente. L'amore fra i genitori è il terreno comune che alimenta l'amore per i figli. In un rapporto di coppia il partner è al primo posto, dopo viene il figlio. Talvolta entrambi i partner mettono il figlio al primo posto; questo non è sano né per il partner, né per il figlio. Preferire il proprio figlio al partner, nuoce sia al rapporto con il partner sia a quello con il figlio. Abbiamo assistito ad una rappresentazione in cui il padre, dopo la guerra, era tornato a casa dalla prigionia gravemente malato. Nello stesso periodo il figlio era stato ricoverato in un ospedale lontano. La madre, per quanto desiderasse stare con il figlio, era rimasta accanto al marito gravemente malato. Quando il figlio morì, la madre non riuscì a perdonare a se stessa e al marito il fatto di non essere stata con lui al momento della sua morte. Nella rappresentazione si verificò un cambiamento positivo quando la madre riuscì a dire al proprio figlio: "Tu eri malato, e anche tuo padre era malato. Sono rimasta con lui, perché per me lui è al primo posto." Per il bambino andava bene così. La donna disse lo stesso anche al marito, il suo senso di colpa svanì all'improvviso e il loro rapporto ridivenne buono. Questo esempio è quello di una situazione estrema. Normalmente madre e padre si sacrificano volentieri per il bene dei figli. Se un genitore vuole mantenere una posizione di privilegio senza un vero motivo, la rabbia dell'altro è giustificata.

Dopo una separazione, la gerarchia dei valori si modifica nel caso compaia un nuovo partner. In tal caso, l'amore per il proprio figlio ha la precedenza sull'amore per il nuovo partner. Spesso avviene che i nuovi partner non rispettino la precedenza che spetta ai figli e vorrebbero il primo posto. Ciò non è possibile. Questo avverrà solo se essi avranno un figlio. Se non si segue quest'ordine si andrà incontro ad un'insanabile discordia. Se il nuovo partner ha a sua volta già un figlio, la cosa può diventare complicata. Solo se l'ordine viene rispettato, le persone coinvolte potranno vivere armoniosamente. Ecco l'esempio di un mio partecipante ai seminari. La sua nuova fidanzata aveva un bambino di quattro anni. Per l'uomo era chiaro che il suo ruolo era subordinato a quello del figlio della sua ragazza e, in linea di massima, era disposto ad accettarlo. Fin dall'inizio del loro rapporto il bambino non era mai stato geloso di lui. Se lui qualche notte si fermava a dormire a casa della donna, e il bambino era costretto a cedergli il suo posto, lo faceva senza che la cosa gli pesasse troppo. Grazie all'atteggiamento interiore dell'uomo, il bambino si comportava in maniera rilassata e gentile, anche se a volte doveva fare qualche concessione. Non c'erano conflitti di fondo, provavano simpatia l'uno per l'altro. È importante che in un rapporto di coppia il figlio non diventi più importante del partner. Il bambino non deve entrare nel rapporto speciale che si crea tra un uomo ed una donna quando essi formano una coppia. Bisogna citare anche un altro fattore gerarchico importante per la riuscita di un rapporto di coppia. Hellinger dice: Perché un rapporto funzioni bene, entrambi i partner devono lasciare andare la propria famiglia. Ognuno di noi deve essere cioè capace di lasciare andare le regole che esistevano all'interno della sua famiglia d'origine, e concordarne di nuove che soddisfino tutti e due i membri della nuova famiglia. La nuova coppia potrà in questo modo avere una relazione intima soddisfacente. Alcuni dicono di essere soddisfatti della famiglia da cui provengono, ma di non andare d'accordo con quella del partner. Questo può avvelenare un rapporto di coppia. Quando ci si sposa con una persona, si entra a far parte anche della famiglia acquisita. Ciò significa amore e rispetto anche per i familiari del partner, oltre che per il partner stesso. Solo così l'amore sarà destinato a durare.

ASSENZA DI FIGLI

Per una coppia, il fatto di non riuscire ad avere figli può essere duro da accettare. Se uno solo dei due partner decide di non volere figli, il legame non può durare. Il partner che non vuole figli o non può averne non può trattenere l'altro, se questi li vuole. Deve lasciarlo andare. Hellinger dice: Se decidiamo che vogliamo qualcosa, dobbiamo in genere rinunciare a qualcos'altro. Se disprezziamo quello a cui abbiamo dovuto rinunciare, questo sottrarrà qualcosa a ciò che abbiamo scelto. Lo ridurrà. Se invece apprezziamo ciò che non abbiamo potuto avere, anche se involontariamente, aggiungiamo qualcosa a ciò che abbiamo ottenuto. Le donne che rinunciano consapevolmente ad avere figli e sanno accettare questa loro scelta, manterranno la loro femminilità, trasferendola in quanto di nuovo intraprendono. Quello a cui hanno rinunciato acquisterà allora una nuova qualità. La rinuncia consapevole permette loro di acquisire qualcos'altro. La rinuncia non è una perdita, ma una conquista. Chi nella vita sceglie un'alternativa (ad esempio di avere o meno dei figli), dovrebbe comunque rispettare anche l'altra alternativa. La donna che sceglie di non avere figli, quindi, non per questo dovrà disprezzare chi diventa madre. Coloro che si aggrappano all'alternativa prescelta, rifiutando di vedere che questa ha comportato una rinuncia, si contraggono. Chi invece accetta il dolore per ciò che non è stato, per esempio la maternità, si espande.

IL LEGAME CON I PARTNER PRECEDENTI

Può capitare che l'amore finisca, che due partner si separino e che si incontri un nuovo compagno. Sarà possibile gestire in maniera civile i rapporti con il vecchio partner? Approfondiamo adesso quanto emerso prima. Renate si è separata da Johannes e vive ora con Roland. Questi è geloso di Johannes e parla male di lui. Renate, a sua volta si unisce alle critiche che Roland fa a Johannes. La relazione fra loro, all'inizio molto felice, è diventata nel tempo insoddisfacente. Nessuno dei due riesce a capire come questo sia successo. Quando ci si separa, lo si dovrebbe fare nel rispetto del partner. Johannes era il compagno di Renate. Chi denigra il proprio ex, rovina anche la nuova relazione. Quando Renate parla male di Johannes, compromette il suo rapporto con Roland, anche solo condividendone le critiche. Infatti, se il

vecchio compagno viene disprezzato, il nuovo partner penserà che un domani questo trattamento verrà riservato anche a lui e, allora, sarà di lui che si parlerà male. Renate si trascina questa tensione nel nuovo rapporto con Roland. Roland si sente in parte segretamente solidale con l'ex compagno della sua partner perché sa di non essere molto diverso da lui. Quando lui sparla delle sue vecchie fiamme, Renate si rende conto di come lui giudichi le donne, una volta passato l'entusiasmo iniziale. Spesso la solidarietà che si prova nei confronti del proprio sesso è talmente grande da impedire alla persona di fidarsi del proprio partner, specialmente se questi ha lasciato in maniera ingiusta il partner precedente. Anche per Roland è importante rispettare l'ex compagno di Renate. Disapprovando il proprio predecessore, in qualche maniera si sente superiore a lui e rimprovera a Renate di aver fatto una cattiva scelta. Nella rappresentazione Johannes siede accanto a Renate, con la faccia voltata dall'altra parte. Roland è dall'altro lato, molto vicino a Renate. A tutti e due sembra di essere troppo vicini. Per sciogliere la tensione, Renate si allontana da Roland e guarda Johannes. Si inchina leggermente davanti a lui e dice: "Ti rispetto come mio ex-partner." Johannes è contento, e anche Renate si sente più rilassata nei suoi confronti. Indicando Roland, come se volesse presentarlo a Johannes dice: "Questo è il mio nuovo compagno. Per favore, guardaci con benevolenza." Johannes può guardare serenamente Renate, ma non ancora Roland. Roland è geloso. Si avvicina a Johannes, fa un leggero inchino e dice: "Tu sei venuto prima di me. Io vengo dopo di te. Ho rispetto per te e per il tuo posto." La sua gelosia diminuisce e Johannes lo guarda benevolmente. Se Renate rispetta veramente Johannes come suo partner precedente può fare la pace con lui, e anche con se stessa. L'ex compagno può accettare con benevolenza la nuova relazione ed augurare buona fortuna alla sua ex. Anche per Roland è importante che pronunci quelle parole e che si inchini davanti a Johannes. Il primo partner occupa il primo posto, gli altri seguono in ordine di tempo. Le persone e i loro posti devono essere rispettati. Non si tratta di essere "migliori" o "peggiori", non c'è nessuna valutazione. Chi vuole farsi largo e si crede migliore, provoca solo tensioni e danneggia il rapporto. Spesso chi è secondo in un rapporto avrebbe preferito essere stato il primo. Ma non può. Questo fa parte della sua vita, ed è importante per lui accettarlo e rendersene conto. Chi non rispetta colui che lo ha preceduto, mina le basi del nuovo rapporto. Se i due partner fingono con se stessi e fra

di loro che l'altro non è mai esistito, disturbano il loro rapporto di coppia e si raccontano una menzogna. Tutti i partner precedenti fanno parte del sistema. Nelle rappresentazioni si possono sciogliere le tensioni che ancora esistono. Se questo avviene e si trova il posto giusto agli ex partner, essi possono diventare fonte di sostegno e di energia. Questo significa che anche loro in quanto ex-partner devono essere considerati, rispettati e riconosciuti. Quali partner precedenti sono importanti per la rappresentazione? Tutti coloro con cui c'è stato un legame. Se due persone fanno l'amore con trasporto, si crea un legame. Coniugi, fidanzati e altre relazioni importanti sono da considerarsi sempre in una rappresentazione, ed anche l'uomo o la donna con cui si è concepito un bambino, anche se questo è stato il risultato di un incontro fugace. Per questo nelle rappresentazioni, quando si parla di un legame serio, è appropriato dire "il tuo uomo" e "la tua donna". A proposito di quanto sia importante la sessualità, Hellinger ha da dire quanto segue: Alcuni pensano che la sessualità sia qualcosa di brutto, mentre essa è un istinto potente al quale non si può resistere. Malgrado tutti gli ostacoli, la vita si esprime tramite la sessualità. In questo senso, la sessualità è più forte dell'amore. Naturalmente, se unita all'amore, diventa grandiosa. Nelle rappresentazioni vediamo che ci sono anche profondi legami senza che ci sia sessualità. Questo avviene soprattutto da giovani. Spesso due ragazzi adolescenti non hanno rapporti sessuali, anche se tra di loro vi è un forte legame ed una forte tensione erotica. In questo caso - nel linguaggio delle rappresentazioni - il proprio cuore rimane legato a questo primo partner, e chi lo segue ha poche possibilità. È importante inserire nella rappresentazione anche questo amore platonico. Su quest'argomento Bert Hellinger si è sempre mostrato scettico. Per lui un legame nasce solo se c'è un rapporto sessuale. Spesso accade che l'amore platonico vada avanti solo perché l'uomo o la donna non vogliono veramente coinvolgersi nella relazione. Per Hellinger si tratta quindi di un rifiuto; questo durante la rappresentazione può venire alla luce. Spesso nelle rappresentazioni, quando si mettono in scena i partner precedenti, specie se si tratta del primo grande amore, si assiste ad uno spettacolo affascinante. Può trattarsi di una relazione avvenuta anche dieci, venti o trent'anni prima. Eppure i rappresentanti si guardano con tenerezza e si sentono ancora attratti l'uno all'altra. Il legame è sorprendentemente visibile, anche se la persona che lo rappresenta non ne è consapevole. Il primo legame è quello che ha l’intensità maggiore. Ogni volta che ci si separa e si incontra un nuovo partner l'intensità non è più la stessa. Chi si

separa spesso, perde la capacità originaria di sentirsi legato al proprio partner. Bisogna distinguere tra amore e legame. Ecco che cosa dice Hellinger: In genere ogni relazione è meno intensa della precedente. Non può essere altrettanto intensa e non c'è bisogno che lo sia. Questo però non significa che sarà meno felice e meno amorevole. Può addirittura succedere che nella seconda relazione l'amore sia più grande e più profondo. A queste due persone sarà solo negato il senso di entusiasmante novità, caratteristico del primo amore. Nelle rappresentazioni si vede anche che una dipendenza eccessiva non è segno di un legame maturo. Questa dipendenza è tipica del legame fra genitori e figli, non fra adulti. Chi dichiara che il suo partner è l'unico che potrà mai esistere ("Se mi lasci non potrò sopravvivere"), compromette la relazione. Non esiste "un unico vero partner". Hellinger dice: "È quasi impossibile trovare l'uomo giusto o la donna giusta. Trovare un uomo o una donna con cui si sta bene di solito è più che sufficiente." Spesso i due partner sono fortemente interconnessi. Si aggrappano l'uno all'altro come bambini ai genitori, e si sentono persi quando sono soli. In una rappresentazione marito e moglie si trovano uno di fronte all'altra. Dietro al marito viene sistemata la madre, e dietro la moglie il padre. Il marito si volta e per un po' sposta lo sguardo dalla madre alla moglie, per imparare a distinguerle. Poi dice alla madre: "Tu sei mia madre." E, rivolgendosi alla moglie: "Tu sei mia moglie." Poi dice alla moglie: "Tuo padre è dietro di te. Io sono solo tuo marito." Poi la moglie dice le stesse parole al marito e al padre. In un rapporto di coppia è necessario avere chiara questa differenza. Queste frasi alleggeriscono entrambi i partner e sono di chiarimento. Poco adatto ad un rapporto maturo è anche il sentirsi troppo responsabili per il proprio partner e volergli togliere i pesi ereditati dalla famiglia d'origine. Se ambedue i partner portano un peso particolarmente gravoso è utile, ad esempio, che il marito inchinandosi dica alla moglie: "Rispetto te e il peso che porti, e te lo lascio. Io sono solo tuo marito." La donna si inchinerà davanti al marito e gli dirà la stessa frase. In un rapporto di coppia stabile si può desiderare di ufficializzare il legame tramite il rito del matrimonio. Se un partner desidera sposarsi e l'altro no, il rapporto può incrinarsi. Hellinger pone spesso a persone che stanno insieme da molti anni senza essersi sposate, durante il lavoro con le rappresentazioni, questa domanda: "Perché non vi siete sposati?"

Anche gli irretimenti e i sentimenti che una persona ha assunto su di sé possono rappresentare cause sistemiche che influenzano la scelta del partner. Questo influsso è molto potente: in generale si trovano partner i cui influssi familiari si incastrano. Nei casi fortunati, i due si proteggono e si stabilizzano, in quelli sfortunati non riescono a rimanere insieme e distruggono il rapporto. Hellinger, quando ci si separa, mette in guardia rispetto a come le colpe vengono distribuite: Il più delle volte ci si lascia senza che nessuno ne abbia colpa. Un rapporto finisce per cause naturali, o perché l'altro ha preso un'altra strada. Se però si riesce a trovare una causa, nasce l'illusione che si potrebbe fare qualcosa per salvare il rapporto o che ci si sarebbe potuti comportare diversamente. Non si riesce a rimanere obbiettivi e a riconoscere la gravità della situazione, ma ci si concentra sulla ricerca delle colpe e sui rimproveri reciproci. La soluzione è che entrambi sentano la tristezza ed il profondo dolore causato dalla rottura del rapporto. Quando ci si separa, quasi sempre si prova un profondo dolore. Oltre alla ricerca delle colpe, c'è anche un altro meccanismo che impedisce di sentire questo dolore ed è la rabbia, che generalmente è un sentimento più facile da sentire rispetto al dolore. Fino a quando sono arrabbiato non sento il dolore e la perdita. Solo quando lascio andare la rabbia e smetto di incolpare me stesso o l'altro, posso affrontare il dolore e la perdita.

ABORTO

Il tema dell'aborto è particolarmente controverso. Le posizioni vanno da "L'utero è mio e me lo gestisco io" fino a "L'aborto è un omicidio". Con le rappresentazioni ci allontaniamo dal mondo delle idee e delle ideologie. Rappresentare un bambino abortito ci fa vedere tutto in una nuova prospettiva. Le conseguenze dovute ad un aborto sono visibili in base alle reazioni dei rappresentanti, con l'aiuto dei quali si procede anche a ricercare la giusta soluzione. I bambini abortiti fanno parte del sistema del presente. È, quindi, lì che vanno collocati. Essi non appartengono al sistema originario. Se mia madre ha avuto degli aborti, i bambini non nati non vanno messi fra i miei fratelli. È una questione che riguarda solo i genitori e non gli altri figli.

Raimund e Irene hanno già tre figli e non ne vogliono altri. Quando Irene suo malgrado rimane incinta un'altra volta, entrambi pensano che la soluzione migliore sia quella di abortire. Dopo l'aborto Irene sta male, ma poi ritrova il suo equilibrio. "Ho fatto la cosa migliore per tutti noi," dice, e riprende la sua vita quotidiana. Ma il suo rapporto con Raimund diventa difficile. Non vanno più tanto d'accordo e si allontanano l'uno dall'altra. Tramite le rappresentazioni, vediamo che di solito l'aborto viene vissuto come un torto e una colpa. È quanto percepisce la nostra coscienza interiore, che non si lascia influenzare da argomenti e giustificazioni, ma resta indipendente da questi. Generalmente noi tendiamo a rimuovere quello che l'anima percepisce come un torto. Ma l'istanza presente nella nostra interiorità cerca una compensazione. A volte dopo l'aborto la relazione viene interrotta, oppure nascono problemi nella sfera sessuale. Quando si rifiuta la nascita di un figlio, talvolta si esprime anche il proprio rifiuto nei confronti della relazione. Nella rappresentazione di Irene il bambino abortito viene sistemato dietro Irene e Raimund. È separato dai genitori e sente molto freddo. Il terapeuta mette il bimbo in primo piano, di modo che lo si veda. Raimund guardando il bambino negli occhi si sente triste, mentre Irene distoglie lo sguardo. Il bambino sta meglio, si siede per terra e si appoggia con la schiena ai genitori. Irene si sente distaccata e lontana rispetto al bambino. C'è ancora da chiarire qualcosa. Alla domanda del terapeuta, Irene ammette di rimproverare ancora a Raimund il fatto di non averle impedito di abortire. Infatti gli dice: "Ti rimprovero di non esserti opposto all'aborto." Sembra che Irene non voglia assumersi le proprie responsabilità. Raimund le dice: "Mi assumo la mia responsabilità per quanto concerne l'aborto e ti lascio la tua." Poi lei dice lo stesso a lui. Dopodiché si avvicinano e si sentono più rilassati. Irene guarda il bambino e dice: "Tu sei il bambino che non abbiamo fatto nascere. Tu mi hai dato la cosa più grande che si possa dare a qualcuno: la tua vita. Accetto che tu abbia lasciato il tuo posto, e mi assumo la mia colpa e la mia responsabilità." Con queste frasi il dolore di Irene diventa ancora più grande. Poi dice: "Ora ti do un posto nel mio cuore." Lei e Raimund guardano il bambino e sentono tutta la loro tristezza. Raimund prende la mano di Irene e le dice: "Portiamolo con noi." Adesso il bambino si sente accettato e protetto. Dopo un aborto, per sentirsi di nuovo a posto con la propria coscienza, è necessario che il bambino abortito riottenga il proprio posto nel sistema. La cosa più importante è che egli venga considerato un essere autonomo.

Quando lo si guarda negli occhi è giusto sentirsi addolorati per la sua perdita. Affrontare il proprio dolore porta alla guarigione. Accettando colpe e responsabilità il dolore potrà andarsene poco a poco. Se l'aborto è stato voluto e imposto da uno dei due partner, ne viene attribuita a lui la colpa e non lo si perdona. È bene che ognuno si assuma la sua parte di responsabilità. Una frase utile alla riconciliazione, una volta che entrambi i partner hanno sentito la tristezza, è: "Assumiamoci ciascuno le nostre responsabilità." Nei miei seminari vedo che la reazione più comune è quella di tentare di eludere il problema. C'è chi dice: "Ho risolto la questione dell'aborto, non è un argomento che mi riguarda," oppure c'è chi nega la realtà e con una certa tendenza al misticismo afferma: "Due anni dopo l'aborto ho avuto un altro bambino e ho sentito con sicurezza che l'anima del bambino abortito, si è reincarnata in quest'altro." Sono tentativi per cercare di non vedere il bambino e per non accettare il dolore e la responsabilità per il proprio comportamento. Quando il bambino abortito viene messo in scena, sono possibili passi importanti verso la guarigione e la soluzione del conflitto. Ecco che cosa ha detto una volta Hellinger ai genitori, dopo una rappresentazione di questo tipo: "Dovete aspettare che arrivi il dolore. Per un po' di tempo potete offrire un posto nella vita al bambino. Per esempio, potete mostrargli i suoi fratelli, interiormente, e fargli vedere per un anno le cose belle del mondo. Ma poi questo deve finire. Dopo un certo periodo i sensi di colpa devono esaurirsi. E non bisogna parlarne più. Il bambino avrà pace, e voi potrete guardare avanti." Durante la pausa, in un seminario un partecipante parlava della propria relazione che si era conclusa: "Abbiamo sempre litigato per via del cane che ci eravamo da poco comprati." Scherzando ho detto che in questo caso forse era importante mettere in scena anche il cane. Il suo posto era evidente: ai piedi dei due. Durante la rappresentazione, emerse un tema importante: l'aborto che era avvenuto un anno prima della separazione. Il bambino abortito era seduto ai piedi della coppia, proprio come il cane acquistato poco tempo dopo, che aveva portato alla luce il conflitto fra i due partner. A volte durante una rappresentazione riusciamo a capire perché una coppia non giunge ad una rappacificazione. Solo quando si chiarisce che c'è stato un aborto e i partner lo riconoscono, è possibile la riconciliazione.

IL CONTROLLO E' IN CONTRADDIZIONE CON LA NATURA DELLA RELAZIONE

Per concludere questo capitolo e chiarire ulteriormente l'argomento delle relazioni, pubblico parte di un'intervista che ho fatto a Bert Hellinger nel 1995. Domanda: Per iniziare ecco una domanda fondamentale quando si parla di relazioni. Sempre più spesso i rapporti di coppia falliscono e le famiglie si separano. Nelle rappresentazioni vediamo sempre che c'è un gran numero di ex partner. La confusione può essere grande. Quali pensi siano le cause di questo fenomeno? Ritieni che ci siano prospettive riguardo a questo? Risposta: In un simile contesto mi chiedo se non sia un bene che i rapporti di coppia falliscano. Non ho opinioni preconcette su quanto accade. Parto dal presupposto che tutto questo abbia un senso. Presumo che nessuno possa opporsi a quanto accade. Chi pensa di dover cambiare le cose, spesso vi si oppone molto di più di chi accetta semplicemente l'evoluzione, così com'è. Domanda: Sembra che il tuo lavoro consista nell'approfondimento dei legami, sviscerando e facendo emergere tutti quelli esistenti all'interno di una famiglia. Risposta: Col mio lavoro io dimostro che i legami esistono e sono importanti. Ma il mio scopo non è quello di incoraggiarli. Non è questo il mio compito. Io mi limito a mostrare quali sono le dinamiche in gioco. Se questo può essere di aiuto alle persone nel loro percorso, non lo so e non è nemmeno importante, perché io mi limito a constatare quello che vedo, e poi lascio che siano i singoli a lavorarci sopra. Secondo me la fragilità delle relazioni ha un senso nell'evoluzione globale, proprio come deve avere un senso l'allontanamento dalla natura; un senso che non conosco e che neanche voglio conoscere. Io navigo seguendo l'evoluzione, così com'è, quindi non desidero usare alcun metodo per impedire i cambiamenti che oggi stanno avvenendo. Domanda: Tu dici di seguire la corrente. Vedi in che direzione sta andando il fiume? Risposta: No, perché chi segue la corrente non ne decide la direzione. Si limita a seguirla. Domanda: Qual è il nesso fra amore, sessualità e rapporti di coppia? Quando si inizia una relazione, che cosa si deve tener presente perché questa abbia successo?

Risposta: Quello che dici presupporrebbe che si abbia la possibilità di scegliere. Se starò attento a certe cose otterrò certi risultati. Ma questa è già una specie di controllo che è in contraddizione con il concetto di relazione.

4 CAPIRE LE RAPPRESENTAZIONI FAMILIARI

Chi assiste per la prima volta ad una rappresentazione familiare, si accorge con stupore di sentirsi coinvolto emotivamente; che lo voglia o no è toccato da quanto avviene nella rappresentazione. Ci sono comunque altre cose da comprendere che riguardano il fondamento teorico delle rappresentazioni.

IL "CAMPO COSCIENTE"

Le rappresentazioni familiari si basano su un elemento completamente nuovo, su cui nessuna corrente terapeutica si è soffermata finora. Si tratta del fenomeno del "campo cosciente", un concetto introdotto da Albrecht Mahr. Senza approfondirlo, non possiamo capire né condividere il lavoro con le rappresentazioni familiari. Si intende per "campo cosciente" il campo attraverso cui i rappresentanti possono accedere alla coscienza delle persone che rappresentano, percependone sentimenti e relazioni ed entrando in contatto, ad un livello molto profondo, con un sistema di relazioni che non è il loro. Questo fenomeno è difficilmente spiegabile. La persona che mette in scena la rappresentazione ascolta sempre con la massima attenzione tutto quello che i rappresentanti dicono. Pochissime volte mi è capitato di constatare che le informazioni fornite fossero inesatte. Al contrario ci si stupisce di quanto queste affermazioni risultino vere, anche se dall'esterno la situazione sembra differente. Nelle rappresentazioni familiari, persone che non si conoscono diventano canali che esprimono la verità del soggetto in questione, anche se questo può sembrare incredibile. Immaginate di trovarvi in un gruppo per fare una rappresentazione familiare. Un partecipante che non avete mai visto prima comincia a mettere in scena il suo sistema e vi sceglie come suo rappresentante, assegnandovi un posto nella stanza.

Quando anche gli altri membri della famiglia sono stati sistemati e voi vi immedesimate nel vostro posto e nel vostro ruolo, cominciano a tremarvi le gambe. Potete provare simpatia per la sorella che vi sta di fronte, e antipatia per il fratello al vostro fianco. Se davanti a voi viene messa una zia dimenticata ed esclusa dalla famiglia, all'improvviso sentite le lacrime agli occhi e provate un grande amore per questa sconosciuta. Sembra pazzesco, e questo fatto è così straordinario che uno scetticismo iniziale è comprensibile. Il buon senso si oppone e i vostri dubbi sembrano appropriati. Anche chi è scettico avverte che i rappresentanti hanno delle reazioni e provano sensazioni. Questo dipende forse dal terapeuta? Una volta mi è capitato, dopo aver dato una dimostrazione di questo lavoro, di venire accusato di "manipolazione". È possibile che sia tutto frutto dell'autosuggestione e che i rappresentanti proiettino i propri sentimenti nella rappresentazione o che si immaginino tutto? Spesso però le reazioni che emergono non hanno niente a che vedere con la propria storia personale. Nella rappresentazione di una partecipante, con la quale non avevo nessun legame emotivo, ero stato scelto come rappresentante del suo attuale marito. Mentre metteva in scena il suo ex marito e stava quindi prendendo per mano uno dei partecipanti per trovargli un posto, sentii crescere in me una rabbia enorme. Quando questi fu dietro di me ed io mi girai a guardarlo, riprovai la stessa sensazione. Quando lo dissi, la reazione della donna fu: "Mio marito è davvero terribilmente geloso del suo predecessore." Le esperienze passate vengono sempre usate come punti di riferimento per comprendere il mondo. Per la maggior parte delle persone, le rappresentazioni mettono in discussione la visione del mondo che esse hanno avuto fino a quel momento. È interessante notare che spesso è più facile per un profano, che non per uno psicologo, accettare quanto emerge nelle rappresentazioni. Il know-how professionale dello psicologo gli è di ostacolo nell'osservare e nel valutare senza preconcetti i nuovi fatti che osserva. Per analogia volgiamo il nostro sguardo alla fisica, con un esempio che può chiarire molte cose ad un profano. Quando due particelle elementari (possiamo visualizzarle come due palle da biliardo) si scontrano e poi se ne vanno in direzioni diverse, può accadere che rimangano correlate a lungo in modo inspiegabile. Qualunque cosa accada d'ora in avanti ad una particella, sembra influenzare direttamente anche l'altra, per un fenomeno quasi telepatico. I fisici dell'Università di Innsbruck sono riusciti a far scomparire una particella di luce in un

trasmettitore, e a farla riapparire nello stesso istante in un ricevitore situato a pochi metri di distanza. La cosa apparentemente assurda è che la distanza fra trasmettitore e ricevitore non ha nessuna importanza. Il misterioso trasporto della particella avrebbe luogo anche se il trasmettitore si trovasse sulla Terra e il ricevitore all'altro capo della Via Lattea. (Der Spiegel, 1/98) Di fronte a questi fatti così misteriosi, le rappresentazioni sembrano molto più semplici e comprensibili. Anche se questo ci disorienta, dobbiamo abituarci al fatto che nel nostro mondo appaiono fenomeni che non siamo (ancora?) in grado di spiegare. Il "campo cosciente" fa parte appunto di tali fenomeni. Per chi — come si può ben capire - ha delle riserve, sarebbe opportuno osservare una volta il lavoro delle rappresentazioni o, meglio ancora, prendervi parte. L'esperienza è la prova migliore. Mentre il primo ruolo da rappresentante sembra difficile, ogni volta che si assume un nuovo ruolo ci si abitua alla presenza del campo cosciente, finché si finisce per familiarizzarsi con esso. Questa manifestazione non si verifica solo durante le rappresentazioni di Hellinger, ma anche in altre situazioni. Ecco un esempio tratto da un gruppo teatrale di cui ho fatto parte. Ad un partecipante, che aveva problemi con il padre, fu consigliato di prendere parte ad una rappresentazione teatrale. Scelse un altro partecipante come padre, e questi andò subito sul palco. Improvvisamente al primo partecipante venne in mente che suo padre aveva perso una gamba in guerra. Esitò un momento e disse: "Ma non so più quale." L'attore gridò dal palco: "Credo che sia la destra." Con le rappresentazioni familiari mi sono abituato al latto che i rappresentanti hanno una percezione corporea delle persone che devono rappresentare, anche se nei corsi di recitazione non se ne tiene in genere conto. Questa osservazione mi ha portato alla conclusione che lo stesso "campo cosciente" deve essere presente anche in altre forme di terapia. La psicologa Grete Leutz osserva questo fenomeno anche nello psicodramma: "La rappresentazione psicodrammatica totalmente spontanea nel ruolo di un'altra persona che non si conosce si svolge spesso per lunghi periodi in modo così fedele alle reali condizioni di vita, agli stati d'animo e alle reazioni di quest'altra persona, che spesso, nell'ignoranza oggettiva delle situazioni, l'azione risultante di chi recita lo psicodramma è quasi incomprensibile." Così il "campo cosciente" compare anche in altri contesti, solo che non gli è stata ancora attribuita l'attenzione dovuta.

L'energia del "campo cosciente" si esprime in due direzioni. Da un lato le rappresentazioni sono una specie di inventario delle energie inconsce presenti in una famiglia. Questo dipende sia dal posto in cui ci si trova durante la rappresentazione, sia dalla distanza che ci separa dagli altri membri della famiglia, sia dalla direzione in cui si guarda. I rappresentanti sentono queste energie e le comunicano. Nello stesso tempo il "campo cosciente" contiene un'energia che tende alla guarigione. I rappresentanti sentono di essere attratti in una direzione, a volte più intensamente, altre meno. Questa attrazione è sempre presente, e conduce alla soluzione. Il conduttore può quindi avere molta più fiducia nei rappresentanti di quanto non avesse supposto all'inizio. Questo è evidente in una nuova forma di rappresentazione, che viene usata spesso da Bert Hellinger quando si affronta un problema fra due persone. Una figlia ha grandi difficoltà con sua madre. Mette in scena se stessa e la madre collocando quest'ultima a grande distanza. Entrambe guardano in direzioni opposte. L'invito alle rappresentanti è il seguente: "Lasciatevi andare e seguite il vostro impulso a muovervi, senza dire una parola." Madre e figlia stanno ferme per quasi due minuti, prima che venga fatto con cautela il primo movimento. Poi la madre si volta lentamente e guarda la figlia. Passa ancora un minuto, prima che anche la figlia, con estrema cautela, si volti. Molto lentamente e con esitazione la figlia muove qualche passo verso la madre. Anche questa ora fa un passo verso la figlia. Alla fine sono l'una di fronte all'altra e si guardano come se fosse la prima volta. Timidamente, la figlia fa ancora un passo verso la madre. Questa apre le braccia e vi accoglie la figlia. A volte un processo di questo tipo si blocca, ed allora il terapeuta suggerisce dei movimenti o delle espressioni verbali come quelle che abbiamo visto nella precedente forma di rappresentazione. Lavorando con le rappresentazioni, il terapeuta impara a fidarsi sempre più del "campo cosciente" e a lasciarsene guidare. Talvolta avvengono esperienze stupefacenti. Si viene a creare un campo energetico autonomo, che si stacca da chi l'ha messo in scena. Ecco un esempio tratto da un seminario che ho condotto insieme ad una collega. Una partecipante indica come sua problematica il rapporto disturbato con la figlia tredicenne. La madre ha un segreto: non sa con sicurezza chi sia il padre della ragazza, però alla figlia ha detto il nome di un uomo con cui ha avuto una relazione. Quando le si chiede quanti uomini potrebbero essere presi in considerazione, risponde: "Dieci." Era stata in Asia, dove per un

breve periodo si era goduta la vita e, malgrado le precauzioni, era rimasta incinta. Vengono messi in scena la donna, sua figlia e il presunto padre. Fra padre e figlia c'è una simpatia leggermente distaccata. Decidiamo di rappresentare anche gli altri nove uomini. Dall'esterno la madre dice che secondo lei devono essere presi in considerazione anche altri due. Sono accanto alla rappresentante della figlia e rimango estremamente sorpreso quando questa, mentre viene messo in scena il secondo uomo, mi sussurra spontaneamente: "È questo!" Quando tutti sono stati sistemati, si dirige senza esitazione verso quest'uomo e lo saluta cordialmente. È come se i due si fossero ritrovati. C'è la tentazione di usare le rappresentazioni per appurare i fatti avvenuti in una famiglia. In questo modo però il terapeuta e il suo cliente si muovono su un terreno pericoloso. Una rappresentazione non può mai - diversamente da quanto lascia supporre l'ultimo esempio - costituire una prova affidabile di paternità. Le rappresentazioni non sono affatto (o quasi per niente) adatte a cercare di penetrare i fatti e la realtà. Questo viene chiarito da quanto riferisce una delle mie partecipanti: Nella sua prima rappresentazione, la donna aveva avuto la netta sensazione che l'uomo fino a quel momento considerato suo padre non lo fosse realmente. Era stata invece fortemente attratta da un altro uomo che era stato rappresentato insieme alla madre. La donna non volle fermarsi al risultato della rappresentazione. Sua madre era morta, ma il padre era ancora vivo e lei lo pregò di sottoporsi ad un esame del sangue per accertare la sua paternità. Era veramente suo padre. Questi però le raccontò che la madre aveva avuto svariati amanti prima della gravidanza e che lui stesso aveva avuto dubbi sulla sua paternità. Le rappresentazioni mostrano solo le energie presenti nel sistema familiare. Non è così importante distinguere i fatti dalle energie della rappresentazione. Ecco un ulteriore esempio, riferitomi dalla mia collega Sneh Victoria Schnabel: Nella rappresentazione di una partecipante, la rappresentante aveva la chiara sensazione di essere stata violentata dal padre. Questo venne confermato anche dal rappresentante del padre. La partecipante stessa però disse dopo la rappresentazione di non essere mai stata molestata sessualmente. Due settimane più tardi la mia collega ricevette una telefonata dalla partecipante. Era andata a trovare la sorella e le aveva parlato della rappresentazione. Improvvisamente la sorella era scoppiata a piangere e le aveva confessato di essere stata violentata dal padre.

Da questo si trae la conclusione che nella famiglia era presente l'energia della molestia sessuale. La rappresentante però ha percepito la persona sbagliata, la sorella, che non aveva subito abusi. Questi esempi mostrano quanto è importante essere prudenti ed evitare di fare affermazioni sulla realtà basandosi sulle rappresentazioni. Tali affermazioni sono pericolose e possono confondere e nuocere ai clienti. Mi ricordo della telefonata di una cliente fattami una settimana dopo un seminario. Mi disse di essere turbata, perché i "fatti" della rappresentazione erano molto diversi dalle sue conoscenze degli avvenimenti familiari. Il mio consiglio fu: se c'è una discrepanza fra realtà e rappresentazione, bisogna credere sempre alla realtà. Dobbiamo imparare a distinguere fra i fatti e i quadri energetici. Ogni volta che ci capita di essere confusi per una discrepanza fra i due, la prima cosa da fare è verificare la realtà. Se non si riesce a chiarire la contraddizione, è importante attenersi alla realtà dei fatti. Per il terapeuta talvolta si tratta di camminare sul filo tra l'assecondare l'energia della rappresentazione e l'abbandonarsi a speculazioni sconsiderate. Ad esempio: un figlio sta molto vicino alla madre, e fra i due esiste una tensione erotica. La supposizione, convalidata da molte rappresentazioni, è che il figlio rappresenti il primo amore della madre. Il figlio stesso però non sa niente di quest'uomo. Che cosa farà il terapeuta? Fa mettere in scena, per confermare il "sospetto" una persona che rappresenti quest'uomo? O ci rinuncia, perché mancano i dati di fatto? È possibile che anche se facesse rappresentare l'altro uomo, i membri della famiglia rappresentata non percepirebbero alcuna differenza dopo la sua venuta e che, quindi, la persona verrebbe rimandata a sedere al suo posto. Un'altra rappresentazione, tratta da uno dei miei seminari, mostra chiaramente la differenza fra realtà e quadro della rappresentazione: Le persone che mettono in scena la rappresentazione sono una coppia di fidanzati che si sposeranno fra tre mesi. Ciascuno dei due mette in scena anche i partner precedenti, chiarendo quanto andava ancora chiarito e lasciando loro un posto nel proprio cuore. Alla fine i due fidanzati terminano la rappresentazione guardandosi l'un l'altro con amore. Sembra una fiaba. Sarebbe magnifico se tutte le coppie potessero prepararsi così bene ad affrontare la propria vita insieme! Due mesi dopo ricevo una telefonata: il fidanzamento è stato rotto, l'ex fidanzata è incinta di un altro. Lo spettatore esperto di scienze naturali, cerca delle spiegazioni al fenomeno del "campo cosciente". Può essere dovuto al fatto che il cliente tocca il rappresentante per condurlo al suo posto? Non necessariamente, perché a volte quando il nucleo familiare è già stato sistemato, posso

aggiungere nella veste di terapeuta altri membri in qualsiasi momento. Basta che scelga qualcuno come rappresentante, gli assegni un posto e gli dica: "Tu sei il fratello della madre, morto precocemente. Per favore, immedesimati in questo ruolo." Improvvisamente costui può accedere ai sentimenti della persona rappresentata. Anche la madre e gli altri membri della famiglia reagiscono immediatamente al nuovo arrivato. Durante una rappresentazione condotta da Bert Hellinger, alla quale prendevo parte anch'io in qualità di rappresentante, un cliente inesperto aveva sistemato i 13 figli della famiglia e i genitori semplicemente in cerchio. Hellinger ci chiese di cercarci un posto seguendo le nostre sensazioni. Sentii chiaramente l'energia che mi spingeva un po' verso l'esterno del cerchio, finché trovai il posto adatto a me. Ma la cosa può essere anche più misteriosa: i terapeuti possono rappresentare in una seduta di supervisione la famiglia del cliente, senza che questi sia presente. Nei miei seminari di aggiornamento vedo con sorpresa che questo non fa nessuna differenza: la stanza si riempie con la stessa intensità che c'è durante una rappresentazione normale fatta alla presenza del cliente. Il famoso fisico e scrittore Rupert Sheldrake, che conosce anche il lavoro di Bert Hellinger, ha introdotto il concetto di "campo morfogenetico" al posto di "campo cosciente". Il concetto è stato introdotto da biologi studiosi dell'evoluzione per spiegare perché gambe e braccia hanno una forma diversa, pur contenendo gli stessi geni e le stesse proteine. Il campo morfogenetico rappresenta una specie di progetto di costruzione invisibile, in base al quale l'organismo in via di sviluppo assume la sua forma. Anche questo concetto non spiega il fenomeno delle percezioni dei rappresentanti durante le rappresentazioni. Suona solo meglio, sembra "scientifico". Lo stesso Sheldrake scrive: "La difficoltà sta solo nel fatto che nessuno sa che cosa siano e come agiscano i campi morfogenetici."

IL RUOLO DEI RAPPRESENTANTI

I rappresentanti sono fondamentali per il lavoro con le rappresentazioni. Ma perché sono necessari? Sono solo un ripiego, perché la famiglia vera non vuole essere presente? Non sarebbe meglio se nella rappresentazione fossero presenti le persone reali?

La pratica ci dice di no, perché i rappresentanti hanno un grande vantaggio: non sono prevenuti. Per questo il cliente, pur essendo presente, sceglie un rappresentante anche per sé. Il cliente infatti porta con sé il carico dei ricordi familiari, che ha elaborato da bambino, da ragazzo e da adulto. Ne derivano atteggiamenti e comportamenti consolidati. Così forse la mancata comprensione da parte dei genitori fa male come allora, i vecchi rimproveri sono ancora attuali. Il cliente è attaccato - come tutti noi - alle sue vecchie idee e le difende da ogni cambiamento. I cambiamenti che si verificano nelle rappresentazioni tramite le frasi risolutrici, sono probabilmente troppo rapidi per lui, in quanto diretto interessato. All'inizio le vecchie idee possono essere più forti delle nuove prospettive. Naturalmente i rappresentanti non hanno dei sentimenti così forti nei confronti dei membri della famiglia. Per questo hanno più facilmente accesso al "campo cosciente". Al contrario delle persone interessate, sono maggiormente in grado di sentire le energie presenti in quell'istante. Sono flessibili e assecondano i cambiamenti momento per momento. Per il terapeuta è più facile lavorare con i rappresentanti che con le persone coinvolte. A volte il cliente non riesce ancora a sentire il cambiamento già avvenuto, che il rappresentante ha invece percepito. All'inizio della rappresentazione ha vissuto ancora una volta tutte le tensioni presenti nella sua famiglia. Dieci minuti dopo nasce improvvisamente un grande amore fra genitori e figli. I dieci minuti sono troppo pochi per lui, che ha bisogno di più tempo per accogliere il nuovo sentimento. A volte capita anche questo: dopo un'ora di rappresentazione, la pace finalmente compare nella famiglia. Sono stati superati molti ostacoli, il terapeuta e gli altri partecipanti al seminario si sentono sollevati. Allora il cliente va al suo posto. Esplodono rabbia e tensioni, sentimenti che nella rappresentazione non erano emersi con questa intensità. Allora spesso si prolunga per un po' la rappresentazione, con il cliente nel proprio ruolo. I rappresentanti conoscono soltanto i fatti essenziali della famiglia. Il cliente parla il meno possibile delle cose che vanno al di là di questi fatti. Così i rappresentanti non sanno nulla dei sentimenti dei componenti della famiglia, e neppure delle eventuali tensioni, predilezioni o antipatie presenti fra loro. Il cliente può solo indicare il posto e la direzione dello sguardo, non gli è permesso aggiungere altro. Non può imporre al rappresentante né posizioni ("Devi stare con la testa bassa"), né sentimenti ("Ti senti triste"), né movimenti ("Vai avanti e indietro fra i due genitori"). Questo limitarsi a seguire delle istruzioni minime permette ai rappresentanti di aprirsi senza prevenzione all'ignoto che sperimenteranno

stando ai loro posti. Sono come dei vasi attraverso i quali scorrono le energie delle persone che rappresentano. Il loro compito è percepire queste energie e comunicarle al terapeuta. Si trovano sempre a vivere sensazioni intense, ma senza agirle. È sufficiente comunicare i sentimenti — senza alterarli - alla persona di fronte o eventualmente al terapeuta. Per questo durante le rappresentazioni i rappresentanti assumono un ruolo che si può definire di servizio. In tal modo si crea per tutti gli interessati una distanza da quanto sta accadendo. Le rappresentazioni si avvicinano quindi sempre alla forma di un rituale. Nelle antiche tragedie greche gli attori indossavano una maschera, attraverso cui parlavano. Forse a quei tempi le tragedie avevano sugli spettatori un effetto simile a quello che hanno oggi le rappresentazioni familiari. Oltre al suo ruolo di servizio, il rappresentante ha anche una funzione di guida. È la persona più vicina agli avvenimenti interiori e sperimenta sulla propria pelle se un intervento è efficace o no. Nel dubbio, il rappresentante ha (quasi) sempre ragione, indipendentemente da quello che pensa il terapeuta. Spesso chi assiste per la prima volta ad una rappresentazione familiare si chiede se sarebbe in grado di fare il rappresentante. L'esperienza mostra che in linea di massima tutti sono in grado di farlo. Non occorrono doti particolari di sensibilità, fantasia o addirittura "medianità". I posti sono dotati di forza propria, cosicché chiunque li occupi ha percezioni simili. Talvolta le reazioni hanno una certa colorazione personale, cosicché alcuni vivono le cose drammaticamente, altri invece in modo più attenuato. Ma chi cerca un rappresentante per una persona conosce questo fatto e sceglie in base alla caratteristica necessaria. Il timore di introdurre il proprio vissuto nella rappresentazione non trova quasi mai conferma - neppure quando i rappresentanti vengono scelti in base alla loro storia. Ecco allora per esempio il partecipante che viene sempre messo in scena a fare il padre, o la partecipante che ricopre sempre il ruolo della sorella minore. All'inizio c'è sempre il dubbio che i sentimenti che emergono in un certo posto, per esempio quello della sorella minore, e che sono noti perché presenti nella propria famiglia, non appartengano alla famiglia rappresentata. Chi partecipa frequentemente alle rappresentazioni impara a fidarsi sempre più delle proprie sensazioni. I sentimenti che emergono appartengono (quasi) sempre a quel posto e alla famiglia altrui. E se qualcuno viene davvero - cosa rarissima secondo la mia esperienza sommerso dai propri ricordi, il terapeuta e gli altri rappresentanti se ne accorgono. Il terapeuta bada che nessuno venga messo a ricoprire troppo spesso lo stesso ruolo, che nessuno diventi un cosiddetto "abbonato".

I rappresentanti si lasciano manipolare? Il terapeuta ha la possibilità di influenzare i rappresentanti con le sue idee? Questo è difficile. Infatti, anche chi si trova per la prima volta in un ruolo sente esattamente se per mezzo di frasi o di cambiamenti di posto sta meglio o peggio. Fino a quando il terapeuta si limita a questi feed-back, è improbabile che possa influenzare i rappresentanti. Quando il terapeuta pretende informazioni mirate dal rappresentante, si inoltra su un terreno minato. Una mia conoscente mi ha appunto raccontato che in un seminario stava di fronte al padre come rappresentante della figlia. Provava una sensazione strana nei confronti di quest'uomo, e la espresse. Nello stesso tempo era sicura che fosse suo padre. Allora la terapeuta le chiese: "Ma è poi proprio tuo padre?" Questa domanda la allontanò dalla sua sensazione e la disorientò parecchio. In quel momento avrebbe potuto farsi influenzare dalla terapeuta e negare che si trattasse di suo padre. Sebbene i rappresentanti siano sempre strumenti del "campo cosciente", diversi sono i livelli di profondità e la precisione che ciascuno di essi può raggiungere. L'assunzione frequente del ruolo di un altro forma e affina la propria percezione dell'energia altrui. Rappresentanti esperti sono in grado di scandagliare a fondo i sentimenti e le energie degli altri e di riferirli in modo estremamente preciso.

L'USO DEL LINGUAGGIO

Chi inizia ad occuparsi del pensiero di Bert Hellinger e delle rappresentazioni familiari, inciampa in parole e frasi che gli risultano estranee e gli sembrano strane, come: "Caro papà, ti onoro." Sembra una lingua da medioevo, che a tratti sa un po' di religione. Non c'è da meravigliarsi che la prima impressione sia quella di essere introdotti in un mondo antiquato, tradizionalista e conservatore. Colleghi che adesso lavorano con le rappresentazioni familiari mi hanno riferito che, quando hanno letto per la prima volta i libri di Hellinger, li hanno scagliati contro il muro dalla rabbia. Solo chi prende spesso parte alle rappresentazioni o penetra più profondamente in questo argomento comprende perché vengono utilizzate tali parole. Non esistono parole migliori per esprimere quello che si vuole. È un linguaggio semplice, quasi arcaico: "Cara zia, ti prego, benedicimi di modo che possa vivere in pace." "Ho rispetto per la tua morte e per il tuo

destino." Le parole antiche hanno una forza diretta, che sembra improvvisamente perfetta nell'ambito di una rappresentazione. Ci permettono di accedere ad un livello arcaico della nostra anima, ancora vivo in quasi tutti noi. Queste frasi rafforzano, risolvono e riconciliano. I rappresentanti si risollevano, tirano un sospiro di sollievo, o guardano amichevolmente chi gli sta davanti. Le frasi mirano a questo effetto, e solo in base a questo possono essere giudicate. Ciò che conta qui è l'effetto, che è visibile. Bert Hellinger ha scoperto tutte le frasi allo stesso modo: osservandone l'effetto. Ogni osservatore che vuole giudicare il lavoro deve guardare e mettere da parte per un momento le sue idee preconcette. Chi osserva con attenzione può comprendere quali frasi sono efficaci ed in grado di portare pace e riconciliazione ad una famiglia. Non decide in base ad un'ideologia quali sono le frasi che si addicono alla sua concezione del mondo, o quali frasi gli piacerebbe che facessero effetto. Molte di queste frasi sono essenziali, ed è quasi impossibile modificarle, levigarle o renderle più gradevoli. Talvolta agiscono quasi come un rituale. Ogni rituale si appiattisce, se viene usato meccanicamente e automaticamente. Anche le frasi scoperte da Bert Hellinger vengono private della loro efficacia se usate come una specie di formula magica. Queste frasi sviluppano pienamente la loro efficacia solo se sono autentiche, cioè se sono in sintonia con l'atmosfera e la situazione del momento. Oltre a questo, il terapeuta deve sapersi muovere nello spazio particolare delle rappresentazioni e mettersi in collegamento con il "campo cosciente"; altrimenti è solo una sorta di pappagallo, che invece di usare farmaci "sciorina" le "frasi di Hellinger" prese dai manuali. I rappresentanti hanno una funzione correttiva, perché sono quelli che sentono meglio se la frase proposta è giusta e adeguata alla situazione. Come accade per ogni nuovo metodo, anche qui dopo un po' si è formato una specie di "gergo degli iniziati". Si comunica con la "lingua di Hellinger" utilizzando frequentemente concetti presenti nei suoi libri e nelle rappresentazioni. Alcuni clienti arrivano già con la diagnosi: "Ho un irretimento con mia madre e voglio restituirle tutto." Il mio consiglio è di andar cauti con la nuova lingua, utilizzarla all'interno delle rappresentazioni, non svuotarla di significato usandola inappropriatamente. Oltre alla forma appena descritta delle frasi "classiche" o rituali, le rappresentazioni fanno uso di altri tipi di frasi. Si tratta di frasi rivelatrici, che fanno emergere le tensioni dominanti in una famiglia, come percepite dai rappresentanti.

Il marito viene collocato di fronte alla moglie. Corruga la fronte e serra i pugni. Il terapeuta gli propone la frase: "Sono arrabbiato con te." L'uomo la ripete e subito trae un profondo respiro di sollievo. Sì, questa frase è vera, dice. Prova un senso di liberazione per averla pronunciata. Anche la moglie si sente più leggera. "Finalmente l'ha detta," dice al terapeuta. Ora il terapeuta propone al marito la frase: "Mi sento molto ferito da te." L'uomo la ripete e la trova giusta. Gli fa bene dirla. Con ognuna di queste frasi ci si rivolge ad un nuovo livello emotivo. Prima è necessario affrontare la rabbia, poi emerge la sensazione di essere feriti. La cosa importante è che anche le emozioni forti non siano vissute catarticamente, ma vengano espresse dai rappresentanti con parole semplici. Quando qualcosa è stato svelato, spesso le frasi risolutive emergono da sole. Allora sono vive e adatte alla situazione. Ancora una volta: è sempre l'effetto delle frasi sui rappresentanti che decide se il nuovo passo è proficuo. Inoltre ci sono frasi semplici, che si limitano ad esprimere la realtà. A volte in una rappresentazione i membri di una famiglia sembrano molto confusi. Nessuno sa esattamente chi appartiene alle diverse generazioni, quali siano i genitori e quali i figli. Anche se i rappresentanti si trovano nell'ordine familiare, succede che non si riconoscano nei loro ruoli. In situazioni di questo genere talvolta basta semplicemente esprimere la realtà. "Io sono tuo padre, tu sei mio figlio." "Io sono tua moglie, tu sei mio marito, questi sono i nostri figli." Queste frasi sono potenti perché chiariscono. Pronunciarle mette ordine nel caos, i partecipanti si rilassano nel loro ruolo. In altri casi non regna la confusione, ma la realtà è sgradevole e inquietante. Proprio in questi casi è importante come prima cosa far emergere i dati di fatto. Anche la cosa più orribile perde una parte del suo orrore quando viene chiamata per nome. È compito del terapeuta dare un nome all'orrore. Ecco un esempio tratto da un seminario in cui la madre di una partecipante prima aveva ucciso una figlia handicappata e poi si era tolta la vita. Proposi alla madre di dire alla figlia handicappata: "Io sono tua madre, prima ti ho tagliato la gola e poi mi sono uccisa." Talvolta la resistenza a parlare della realtà è inizialmente molto forte, come in questo caso. Nelle situazioni difficili, ho ottenuto dei buoni risultati facendo esprimere la nuda realtà. C'è la figlia che sta di fronte alla madre e si rifiuta di dirle: "Tu sei mia madre." La madre le dice: "Sei venuta al mondo uscendo dal mio grembo." Improvvisamente il rifiuto della figlia di riconoscere la realtà viene meno.

Il terapeuta che propone frasi non giuste viene sempre corretto dai rappresentanti. Lo spettatore si rende conto che i rappresentanti non si lasciano manipolare. Quando il terapeuta trova le frasi giuste al primo tentativo, i rappresentanti le accettano e le ripetono senza fare obiezioni. Quello della manipolazione è, quindi, un sospetto infondato. Il paradosso è che più il terapeuta è in gamba, più viene sospettato di manipolazione dagli spettatori diffidenti, per i quali questo tipo di lavoro è nuovo.

AMORE E PRESUNZIONE

C'è una frase di Bert Hellinger che coglie l'essenza del lavoro con le rappresentazioni familiari: "Ciò che accade per amore e che grazie all'amore viene conservato, può essere annullato solo nell'amore." In una famiglia, i figli portano su di sé energie e irretimenti - per amore. Ad un livello superficiale sembra diverso. La mia immagine per questo è un deserto, secco e caldissimo, in cui non cresce quasi niente, a parte qualche cactus e qualche cardo spinoso. Con l'aiuto delle rappresentazioni familiari, scaviamo in profondità alla ricerca dell'acqua. Prima o poi la troviamo, a volte già dopo pochi centimetri, altre volte dopo aver scavato faticosamente per alcuni metri. Quando troviamo l'acqua, questa viene in superficie zampillando e rinfrescandoci. Anche se la zona circostante sembrava brulla e desolata, ora si vede che c'erano già dei semi che iniziano a germogliare. In ogni famiglia, per quanto possa sembrare terribile vista dall'esterno, scavando troviamo quest'acqua. Perché, per quanto una persona possa essersi incattivita nel corso della sua vita, questo è sempre dovuto al legame con i suoi antenati. Qui troviamo l'amore, qui c'è la condivisione della persona interessata. Gli irretimenti si lasciano sciogliere solo sul terreno dei legami affettuosi, non sulla base di rabbia e disprezzo. Ciò che voglio mettere alla porta con la rabbia, mi ritorna dalla finestra: la rabbia è come un elastico. Con molto spreco di energia posso tenere alla larga per un po' di tempo un sentimento o un modo di comportarmi, ma non appena allento l'attenzione o mi rilasso, questo mi ritorna indietro come un boomerang. L'amore che lega un bambino alla sua famiglia è immenso. Un bambino è pronto a sacrificare la propria vita senza esitazione, se ciò è necessario per la sua famiglia. Vuole appartenere ad essa con tutte le fibre del suo essere;

pertanto, condivide il destino e il dolore degli altri membri della famiglia. Allo stesso tempo, il bambino non vede l'altro come persona autonoma. Lo sente solamente, vuole fondersi con lui e assomigliargli. Le rappresentazioni in cui una madre è morta di parto mostrano in modo particolarmente chiaro questo amore filiale. Una morte di questo genere graverà per generazioni su una famiglia. Questo carico interessa maggiormente e in modo quasi insopportabile il figlio sopravvissuto, perché lui è stato la "causa" della morte della madre. Le donne delle generazioni successive hanno spesso paura di avere figli. Gli uomini hanno spesso sensi di colpa, perché sentono di aver contribuito con la loro sessualità alla morte della donna. Il figlio sta ad una certa distanza dalla madre e non osa guardarla. Quando il terapeuta lo porta davanti alla madre, non riesce quasi a guardarla negli occhi perché si sente in colpa. La madre invece guarda il figlio affettuosamente. Il cambiamento e la guarigione subentrano quando il figlio va davanti alla madre, si inchina profondamente e dice: "Tu sei morta quando sono nato. Ti ringrazio per la vita e la accetto anche a questo prezzo." Allora la madre dice al figlio: "È il rischio che corro come madre, e me lo assumo. Fa' della tua vita qualcosa di buono, affinché la mia morte non sia stata vana." Improvvisamente il figlio può alzare lo sguardo e sentire ed accogliere l'amore della madre. La madre ha dato la sua vita durante il parto. Se il figlio non vuole vivere, il suo sacrificio è stato vano. Pertanto desidera che suo figlio conduca una vita buona e piena. Se il figlio rispetta la madre ed il suo destino, scopre l'amore della madre. Accetta con gratitudine il sacrificio della madre e in sua memoria vive al meglio la sua vita. L'amore infantile cieco si trasforma ora in una forma adulta e più consapevole di amore. L'amore adulto ci fa vedere l'altro e il suo destino, e ce li fa rispettare entrambi. L'inchino rispettoso è l'espressione completa di questo rispetto. Grazie all'inchino si crea una distanza e nello stesso tempo un legame a livello adulto. Sotto un certo aspetto, l'amore adulto ci rende soli: degli individui con una propria vita e un proprio destino. È per questo che è più facile sopportare un'unione cieca, simile al cordone ombelicale, mentre è difficile recidere quest'ultimo. Questo è un passo che comporta sempre un senso di colpa, poiché ci si separa in parte dall'altro e lo si lascia solo. L'amore adulto è qualcosa che può maturare solo lentamente. Spesso in una rappresentazione è già adeguato riuscire a sentire l'amore infantile e profondo; perché chi si è sentito per tutta la vita abbandonato dai genitori o ha nutrito per loro dei sentimenti ostili, trova nella scoperta del proprio

amore per loro, nutrimento e guarigione. È la prima spinta, i passi successivi verso lo sviluppo seguiranno con il loro ritmo. L'amore infantile è come una delle facce della medaglia, ce n'è anche un'altra. Se si gira la medaglia si trova qualcos'altro. Rainer conduce una vita estremamente faticosa, in cui si fa carico di molti doveri e responsabilità. Quando viene messa in scena la famiglia d'origine, Rainer si trova dietro al padre. Questi si sente debole e Rainer ha la sensazione di doverlo sorreggere. Un avvenimento rilevante nella famiglia è stata la morte del nonno paterno, quando il padre aveva sette anni. Ora il nonno viene collocato dietro e Rainer davanti al padre. Il padre si sente molto attratto da suo padre, si volta e comincia a piangere. Poi prende suo padre fra le braccia e lo tiene a lungo stretto a sé. Successivamente il padre di Rainer si gira di nuovo verso suo figlio. A Rainer viene proposto di dire al padre: "Adesso mi riprendo il mio posto di figlio. Io sono solo il figlio, nient'altro." Rainer si rifiuta di dire queste parole. Alla fine gli viene proposta un'altra frase: "Pretendo di condividere il tuo fardello, anche se sono solo tuo figlio." Rainer approva questa frase, la dice al padre e così termina la rappresentazione. Nonostante fosse il figlio, Rainer ha assunto il ruolo del nonno. Succede sempre che quando qualcuno ha perduto un genitore in tenera età, uno dei suoi figli scivoli parzialmente nel ruolo del defunto. Il figlio deve farsi carico di responsabilità eccessive, ma per amore le accetta. Successivamente, una volta diventato adulto, continuerà ad accollarsi pesi esagerati e a pretendere molto da se stesso. La presunzione è l'altra faccia dell'amore. Condividere il destino dei grandi inorgoglisce il bambino, che si sente importante grazie al peso che porta; se non lo portasse si sentirebbe sminuito. Pertanto non è facile per Rainer lasciar andare semplicemente il suo carico. Gli occorre tempo, per lasciarlo andare davvero a livello profondo e sentirsi più piccolo. Quando in una rappresentazione emerge chiaramente il voler restare attaccati a qualcosa, e non si delinea nessun cambiamento, è bene interromperla. L'impulso dato è sufficiente. Anche nell'esempio seguente entra in gioco la presunzione. Dopo una lite violenta fra i genitori, il bambino piccolo va da uno dei due per consolarlo. Dentro di sé però pensa: "Io sarei un partner migliore per te, sarei più adatto a te di quanto non lo sia il papà o la mamma." In questo modo ci si sente grandi e importanti, anche se le liti sono pesanti da sopportare. Anche quando un figlio condivide il destino sconosciuto di un antenato, si appropria indebitamente di qualcosa. Infatti assume su di sé qualcosa che in

realtà non gli compete. Ognuno deve portare da solo il proprio destino. Nessun altro ha il diritto di immischiarsi. Eppure tutti interferiamo con la vita altrui, senza renderci conto di quanto questo atteggiamento sia arrogante. Forse sono proprio qui le radici di quello che in ambiente spirituale viene chiamato "Ego". Ci si sente speciali. Più si riesce a lasciar andare quanto di estraneo si è condiviso per tutta una vita, più è possibile ritrovare e far vivere dentro di sé il bambino semplice e innocente.

5 L'USO DELLE RAPPRESENTAZIONI FAMILIARI COME STRUMENTO TERAPEUTICO

In questo capitolo approfondiremo ulteriormente il lavoro delle rappresentazioni familiari. I suoi effetti e il modo di gestirlo possono essere molteplici, presentando notevoli differenze anche rispetto ad altri orientamenti e metodi terapeutici. Chi si avvicina per la prima volta a questo lavoro può non averne all'inizio un quadro chiaro e ritrovarsi quindi confuso.

L'EFFETTO

Le rappresentazioni familiari spesso sono di forte impatto sui clienti. Questa è stata la risposta datami da una cliente, che tre mesi prima aveva rappresentato la sua famiglia, quando le ho chiesto se c'erano stati cambiamenti significativi nella sua vita: Prendo le mie decisioni in modo più consapevole, e sono più disposta ad accettarne le conseguenze. Do maggiore importanza al rispetto della mia dignità nel rapporto. Alla critica postadolescenziale nei confronti di tutto ciò che è vecchio è subentrata una critica più costruttiva. Più spesso di prima, quando ero solita muovermi con rabbiosa risolutezza, percepisco i miei compiti di madre con una naturale amorevolezza. Da cosa dipende questo effetto? Cosa succede in realtà quando si fa una rappresentazione? Noi tutti portiamo impressa dentro di noi una certa immagine della nostra famiglia d'origine. Solo così possiamo comprendere e spiegarci come mai chiunque può essere in grado di rappresentare la propria famiglia in maniera significativa. Fino al momento della rappresentazione l'immagine rimane nascosta nell'inconscio. È un'immagine, non un diagramma strutturato logicamente. Le immagini non devono essere capite, né motivate. In una rappresentazione, l'immagine precedentemente sconosciuta della famiglia viene fatta emergere e risvegliata attraverso i rappresentanti. Ora è

sul palcoscenico, e il cliente diventa spettatore. Le tensioni ed i sentimenti, finora nascosti nell'immagine, vengono alla superficie. Durante una rappresentazione un cliente dice di essersi sempre sentito confuso durante la sua vita, perché tormentato da sentimenti inspiegabili. Spesso si è domandato se non fosse pazzo. Nella rappresentazione vede che anche il suo rappresentante prova la stessa confusione e lo stesso tormento. In questo modo capisce che questi sentimenti non sono un elemento inseparabile della sua personalità, ma che provengono dai rapporti che lui ha con la sua famiglia. Dipendono dal posto da lui assunto in seno ad essa, perché chiunque altro (anche il suo rappresentante) si trovi in quel posto avverte la sua stessa confusione. È vero che questa scoperta non può far cambiare all'improvviso i suoi sentimenti, ma lo solleva da un pesante carico aggiuntivo permettendogli di staccarsi dal proprio vissuto interiore; anche solo questo ha un effetto liberatorio. Come ho già detto prima, le tensioni tra i membri di una famiglia possono cambiare se vengono espresse. Si può andare avanti e può nascere qualcosa di nuovo. Spesso nelle rappresentazioni la rabbia, la colpa e gli irretimenti vengono portati alla ribalta, entrano in scena, si mostrano, si sciolgono e si trasformano. L'amore, fino a quel momento nascosto, può tornare alla luce. In questo modo, la rappresentazione e l'immagine che essa trasmette si fa più rilassata e pacifica. Il cliente scopre quanto è profondo il legame affettivo con la propria famiglia. Egli porterà dentro di sé quest'immagine ed in futuro potrà essere più tranquillo e conciliante. Spesso alla fine della rappresentazione il cliente stesso prende il posto fino ad allora occupato dal suo rappresentante. Da semplice spettatore diventa parte attiva nella rappresentazione. Fino a quel momento aveva osservato a distanza avvenimenti e persone, ora osserva come si sente quando occupa il proprio posto. Non può fare a meno di sentirsi emotivamente coinvolto, perché entra a far parte della famiglia e percepisce i rappresentanti come se fossero i suoi reali parenti. Per rafforzare questa esperienza, può essere appropriato far dire al cliente frasi per lui importanti ("Cara mamma, sono tuo figlio e ti ringrazio per avermi dato la vita"). È qui che il terapeuta deve trovare il giusto equilibrio. Per alcuni clienti è sufficiente l'introspezione ottenuta attraverso l'osservazione, per altri è importante partecipare direttamente. Come accennato sopra, il lavoro con i rappresentanti è più facile se questi accettano senza pregiudizi le frasi e il posto che vengono loro assegnati. Il terapeuta deve anche stabilire quando è appropriato intervenire e quando è giusto invece che sia il cliente a compiere questo passo.

Il lavoro svolto lascia nel paziente una nuova immagine, che ha un suo effetto terapeutico anche se non viene compresa o analizzata. Come la vecchia immagine ha influenzato e guidato il cliente senza che questi ne fosse consapevole, così la nuova immagine avrà lo stesso effetto. Questo è piuttosto insolito per noi, perché siamo abituati ad analizzare quello che ci accade tramite la nostra mente, che si inserisce automaticamente, e non si lascia controllare. La mente vuole capire e agire, il prima possibile. La testa si affolla di domande: cosa vuole dire la mia rappresentazione e come devo servirmene? Devo forse chiamare mia madre già stasera, o è meglio che prima scriva una lettera a mio padre? Questi pensieri possono suscitare una tempesta così forte, da coprire l'immagine. Ce lo mostra l'esempio seguente, tratto da uno dei miei seminari. La cliente aveva un fratello, morto da giovane. Nella rappresentazione lo incontra e comincia a provare un grande amore per lui, quando questi gli dice: "È la mia morte, e devo essere io a sopportarla. Tu mi rispetti solo se me la lasci. Sei solo mia sorella." Dopo un po', commentando la rappresentazione, la cliente nota casualmente: "Sapevo di essere un'incapace." Quando le chiedo: "Ma cosa vuoi dire?" lei risponde: "Me l'ha detto poco fa mio fratello nella rappresentazione." La cliente è fermamente convinta di essere un'incapace. Questa convinzione agisce in lei come un filtro, che impedisce il passaggio di tutte le informazioni incompatibili. In questo caso l'affermazione del fratello è stata rigirata fino ad adattarsi alla convinzione della donna. Il fatto che nella rappresentazione il fratello si sia preso carico della propria morte, per la donna significa solo: "Tu sei un'incapace." Il vero contenuto dell'affermazione e l'amore del fratello non la possono raggiungere, perché il filtro interiore è troppo forte. Esperienze di questo tipo lasciano scossi, perché il terapeuta che utilizza le rappresentazioni familiari basa la propria fiducia nella forza della rappresentazione. Ma se i filtri sono troppo forti, la verità non può emergere. Forse è ora di prestare più attenzione a ciò che altre correnti terapeutiche definiscono "resistenza". Fra i terapeuti che utilizzano le rappresentazioni familiari non si è finora quasi discusso del fatto che alcune barriere interiori sono troppo forti, e forse, a primo acchito, insormontabili. Lasciare agire l'immagine richiede che si possegga una certa disciplina mentale, a cui non si accede senza esercizio. Per me la forza delle rappresentazioni sta nel fatto che, malgrado gli ostacoli interiori, esse abbiano comunque un forte effetto.

Affinché il cliente possa lasciare agire dentro di sé l'immagine della propria rappresentazione, si evita che egli partecipi subito dopo come rappresentante ad un'altra rappresentazione familiare. Non deve inoltre essere importunato con domande da altri partecipanti, così da avere il tempo necessario per assimilare la sua rappresentazione. Questo processo psicologico ha bisogno di tempo e di spazio. Per questo non vengono effettuate discussioni o interpretazioni delle immagini della rappresentazione subito dopo la rappresentazione stessa. Tutto ciò rimetterebbe in gioco la mente analitica e investigatrice, impedendo all'immagine di produrre i suoi effetti. A scanso di equivoci, voglio chiarire che l'emergere dell'immagine nella rappresentazione non implica assolutamente che si agisca sulla spinta di questa. Chi lo fa probabilmente non ha capito bene qual è il meccanismo d'azione di un'immagine. A volte occorrono mesi prima che la trasformazione interiore possa manifestarsi all'esterno. Spesso, in seguito alla rappresentazione, con il passare dei giorni, possono emergere confusione e dubbi. Quando sviluppiamo una certa immagine della nostra famiglia la portiamo con noi per tutta la vita. Le tensioni accumulate e le ferite ricevute vengono rivissute durante la rappresentazione. Alcune sensazioni sono soggettive, ma basate su fatti concreti. La nuova immagine che si creerà in seguito alla rappresentazione sarà invece un'immagine ideale in cui sperimenteremo, ad esempio, l'amore che esiste fra genitori e figli. Se questo il cliente non l'ha in realtà mai, o solo raramente, vissuto ci sarà una parte di lui che si opporrà alla nuova immagine, e vorrà restare aggrappata a quella vecchia. È importante sapere che quando questi elementi di confusione appaiono, è bene non reprimerli. Il miglior atteggiamento interiore è quello di Fidarsi della nuova immagine e della sua forza. A volte per un cliente che tende in particolar modo all'analisi e alla speculazione, può essere appropriato il consiglio di dimenticarsi semplicemente dell'immagine. Le rappresentazioni familiari servono a "dare un impulso all'anima". Poiché si tratta di un processo di crescita, esse non possono essere controllate. Quanto minore sarà il controllo esercitato dal terapeuta, tanto più il cliente avrà nelle mani la sua crescita. In questo modo le sue energie si rafforzeranno e la sua responsabilità personale verrà stimolata. Talvolta Hellinger parla di questo processo in termini di "minimalismo", cioè il terapeuta deve fare il minimo indispensabile. Una volta che il terapeuta ha individuato il principale blocco energetico nel sistema, il suo compito è concluso. L'impulso dato è sufficiente, e

l'energia ritorna a disposizione del paziente che la userà per la propria crescita interiore. Ecco un esempio: un cliente si sente molto solo e non ha rapporti con i suoi genitori. Nella rappresentazione si riconcilia con la madre e lei lo abbraccia a lungo. Un incontro di questo tipo ha bisogno di tempo per svilupparsi. L'energia a disposizione per questo diminuirebbe se subito dopo si iniziasse a lavorare anche sul rapporto problematico del cliente con il padre. Questo non sarebbe appropriato, anche se permetterebbe forse di giungere, anche in questo caso, ad una riconciliazione. Sarà necessario quindi di volta in volta valutare la situazione senza attenersi a decisioni precostituite.

IL RUOLO DEL TERAPEUTA

Chi si trova ad osservare per la prima volta le rappresentazioni familiari e conosce già altri tipi di terapie, si stupisce dell'autorità di cui si serve il terapeuta in questo lavoro. Così ad esempio il terapeuta potrà respingere momentaneamente un cliente, "perché la domanda non è ancora maturata." Può concedere o togliere la parola ai rappresentanti a sua discrezione o ordinare quali frasi dire; assegnare arbitrariamente, si fa per dire, nuovi posti e fare entrare come antenati persone scelte da lui. Tutto questo è piuttosto insolito ed è diverso da come agiscono i terapeuti di altre scuole. Le rappresentazioni sono allora una forma di terapia scelta da clienti bisognosi di figure autoritarie pronte a prendere decisioni al loro posto? Colui che conduce una rappresentazione ha bisogno di porsi in maniera autoritaria? Il terapeuta dirige le rappresentazioni familiari utilizzando tutta la propria autorevolezza. Esiste in effetti il pericolo che imitatori zelanti adottino una formula autoritaria senza aver percepito l'essenza del lavoro. Non sono la scelta delle parole, il tono severo con cui vengono pronunciate o un comportamento brusco ad essere determinanti. Il presupposto fondamentale per questo lavoro è la capacità da parte del terapeuta di entrare in contatto con il "campo cosciente" e di utilizzare la propria intuizione. Io stesso, prima di occuparmi delle rappresentazioni familiari, ho lavorato per anni con la PNL, un metodo in cui l'attenzione e l'ascolto nei confronti del cliente hanno un ruolo centrale. Nel rapporto con i clienti l'autorità non viene usata apertamente, e neppure espressa o rappresentata. Mi sento

piuttosto a disagio in una posizione autoritaria e non desidero un ruolo simile. Condurre le rappresentazioni mi ha in qualche modo sorpreso. In alcune situazioni e in momenti particolari ho sentito crescere la mia autorità; ero così sicuro delle mie percezioni in quel momento che potevo anche rischiare di affermarla apertamente. Questo era nuovo per me, una cosa che non mi era mai capitata prima in questa forma. Più prendevo confidenza con il lavoro, più era naturale che mi sentissi tanto sicuro di me. Questa sicurezza non era per me un'accompagnatrice abituale, ma piuttosto un'ospite che veniva volentieri a trovarmi e lo faceva sempre più spesso. Suppongo quindi che sia la forza del "campo cosciente " a provocare e a favorire il fenomeno dell'autorità. Chi entra apertamente nel campo viene trasformato. Ne consegue una maggiore sicurezza e una maggiore capacità di introspezione. Per me è così che si spiega il "boom" che stanno vivendo in Germania le rappresentazioni familiari, non solo per quello che riguarda i clienti, ma anche i terapeuti. L'autorità non è fine a se stessa, è solo un lato della medaglia. Dall'altro, c'è il terapeuta che segue l'energia del campo che fluisce attraverso i rappresentanti. Le rappresentazioni familiari possono svilupparsi solo grazie al contatto con i rappresentanti e alla fiducia che si ha nelle loro reazioni. Il ruolo del terapeuta è complesso. Questo lavoro presuppone che si trovi un equilibrio che tenga conto di tre piani diversi. Questi piani sono: le energie dei rappresentanti, l'ordine all'interno del sistema familiare e la realtà. Il terapeuta lavora di volta in volta su uno di questi piani, ma è sempre consapevole dell'esistenza degli altri due sullo sfondo. A seconda delle necessità mette in gioco un nuovo piano, tenendo conto delle energie e degli impulsi dei rappresentanti. Con l'esperienza la sua percezione diventa sempre più raffinata. Ecco per esempio il figlio che si inchina davanti al padre, che aggrotta per un attimo la fronte. Oppure viene messa in scena la zia morta precocemente, e la nipote fa un profondo sospiro. Il terapeuta lo registra e reagisce immediatamente, o con una domanda o modificando le sue proposte. Più il terapeuta vede, meno deve domandare, poiché riconosce qual è la direzione in cui va l'energia dei rappresentanti. Questi nel loro ruolo sentono al meglio che cosa è giusto per la famiglia di turno. Il terapeuta deve prestare attenzione alle loro reazioni, fidandosi di loro. Lasciandosi guidare dal comportamento dei rappresentanti, può sapere se è sulla strada giusta. La qualità del suo lavoro dipende, quindi, dalla misura in cui segue i rappresentanti. È nelle già citate rappresentazioni a due senza parole che è

particolarmente evidente quanto essi sono affidabili. Qui i rappresentanti, seguendo unicamente i loro impulsi interiori, mostrano la vita interiore di una costellazione e spesso trovano la soluzione. Un altro piano, quasi il polo opposto a questo, è costituito dalla struttura del sistema familiare. Le rappresentazioni confermano sempre che ogni configurazione familiare possiede un suo ordine implicito. Nello stesso tempo, però l'esperienza indica anche che le eccezioni sono frequenti. Per questo non si può mai dire con sicurezza quale sia l'ordine interno di una certa rappresentazione. Il terapeuta utilizza tutte le sue conoscenze delle eccezioni e delle regole per arrivare ad una disposizione ottimale, in cui ognuno si trovi bene al suo posto. I suoi interventi si basano sempre sulle regole vigenti nelle famiglie. Inoltre, è importante coinvolgere anche il piano della realtà. Talvolta il terapeuta deve farla entrare in gioco durante la rappresentazione. Per esempio, una cliente riferisce che suo padre ha abusato sessualmente di lei. Questo in un primo momento non è espresso nella rappresentazione. La rappresentante della cliente guarda affettuosamente il padre, che le sta di fronte tranquillamente. Perché venga rappresentata la situazione reale, il terapeuta propone alla rappresentante di dire al padre: "Tu hai abusato di me." In questo modo si inserisce nella rappresentazione un elemento importante di realtà, i sentimenti mutano, e il terapeuta può continuare a lavorare con la nuova situazione. Infine, occorre stabilire quale parte dell'intero panorama familiare debba essere osservata. Naturalmente, è sempre il cliente che deve essere in primo piano: è per lui che viene effettuata la rappresentazione, è per lui che si cerca la soluzione. Tutti gli altri conflitti, tensioni e irretimenti che non influiscono direttamente su di lui devono essere ignorati, dal momento che possono essere fuorvianti. Se il cliente ha una domanda speciale e importante, allora ci si può concentrare su di essa. Proprio i due punti di vista dell'"energia" e dell'"ordine" rendono comprensibili i vari stili dei diversi terapeuti. C'è quello che parte decisamente dalla disposizione dei rappresentanti e la mette sempre in primo piano. Nelle rappresentazioni colloca rapidamente i rappresentanti nei posti che corrispondono all'ordine adeguato. Le frasi che propone si basano sulla struttura familiare e la mettono in evidenza. Il pericolo per il terapeuta che si focalizza troppo sull'ordine è che non guardi con attenzione e si lasci guidare troppo poco dai rappresentanti. Corre, così, il rischio di non vedere le specifiche dinamiche familiari e di essere poco flessibile. Quando si presenta un'eccezione che non ha mai incontrato prima, può

sentirsi confuso ed essere tentato di forzare la situazione, imponendo al sistema l'ordine che lui già conosce. Esiste poi l'altro tipo di terapeuta, che in linea di massima si lascia guidare dalle energie dei rappresentanti. Si fida del fatto che l'ordine che ne deriverà sarà quello giusto, e si allinea totalmente ai rappresentanti. In questo caso, il rischio che il terapeuta focalizzato sull'energia corre è che la situazione gli sfugga di mano. Può capitare che ad un certo punto non possa più procedere, perché i rappresentanti sono prigionieri dei loro ruoli. Le indicazioni date dai piani della realtà e dell'ordine sono indispensabili perché senza di esse è impossibile fare chiarezza. Chi invece si basa soltanto sulla realtà, sfrutta troppo poco le speciali possibilità delle rappresentazioni familiari. Sia la struttura che le reazioni dei rappresentanti possono fornirgli importanti indicazioni per proseguire nel lavoro. Infatti ogni terapeuta può svolgere un buon lavoro solo se, in caso di necessità, si ricorda di fare ricorso anche ai poli trascurati fino a quel momento. Nei miei corsi di perfezionamento, il modello del triangolo energiaordine-realtà si è rivelato molto utile, nell'ambito dei gruppi di studio, per analizzare gli errori nel lavoro con le rappresentazioni. Quando una rappresentazione evidenzia grosse carenze, è di grande aiuto scoprire quale dei tre poli (energia, ordine, realtà) è stato trascurato. Secondo il mio parere, l'approccio migliore è quello di seguire l'energia di una rappresentazione, in quanto essa permette di entrare in contatto con il 'campo cosciente'. Naturalmente, bisogna tenere nel dovuto conto anche i piani della realtà e dell'ordine. Ma questi sono limitati e circoscritti; è l'energia a fornire le informazioni più importanti sulle caratteristiche peculiari di una certa rappresentazione. Quanto più il terapeuta saprà fidarsene, tanto più profondamente potrà penetrare nell'ignoto. Bert Hellinger sottolinea quanto è importante che il terapeuta "non abbia obbiettivi", cioè che non si aspetti di guarire e di modificare un destino. Che cosa si intende con questo? Nel mio lavoro distinguo tra due tipi di obbiettivi. Da un lato, naturalmente, con l'uso delle rappresentazioni desidero aiutare i miei clienti a guarire. Vivo questo desiderio come un fiume naturale che scorre attraverso la rappresentazione. Quando si presentano, come inevitabilmente succede, problemi e difficoltà, cerco di superarli, e talvolta ci riesco. Altre volte, però, non riesco a proseguire, la corrente naturale si è esaurita. Se a questo punto continuo a lavorare per testardaggine, per paura o per il bisogno di curare a tutti i costi, ciò significa che sto perseguendo il secondo

tipo di obbiettivo, e questo è pericoloso. In tal caso, la cosa migliore è desistere.

TERAPIA E/O SOSTEGNO?

Le rappresentazioni familiari non si sono ancora consolidate e non sono ancora state codificate come metodo terapeutico indipendente. Ma le rappresentazioni sono poi una forma di terapia? Cosa significa sano, e cosa malato? Questa è la domanda che ci dovremmo porre. I confini sono fluidi: prendiamo per esempio una sensazione di leggero malumore e tristezza che a poco a poco diventa più forte fino ad assorbire sempre più i propri pensieri. Alla fine l'energia svanisce e si diffonde un senso di paralisi interiore. Essere efficienti sul posto di lavoro diventa sempre più difficile, poi quasi impossibile. Si tende a rimanere ripiegati su se stessi. La tappa finale di questo processo può essere il letto, in cui ci si rifugia come in letargo, in modo da dipendere dalle cure esterne. In quale momento si passa dalla salute alla malattia? Ci sono, naturalmente, i criteri soggettivi interiori per cui uno si sente malato e debole. Oltre a questi, ci sono sintomi prevalentemente esterni, a causa dei quali l'individuo non riesce più a gestire la sua vita, ed in base ai quali il medico fa la sua diagnosi di malattia. Oggi troviamo molti criteri codificati, in quanto chi è ammalato acquisisce dei diritti. Affinché non si verifichino abusi occorrono definizioni precise e chiare. Il concetto di malattia ci porta inoltre nell'ambito della deontologia professionale. Qui la questione è soprattutto quella della responsabilità, dobbiamo, cioè, chiederci che tipo di preparazione professionale debba avere chi si occupa di casi clinici difficili, chi abbia il diritto di trattarli e chi no. La domanda se le rappresentazioni familiari siano o meno una terapia, è in realtà alquanto priva di senso, se viene considerata dal punto di vista dei fondamenti di questo lavoro. Dalla nostra prospettiva, è indifferente che un disturbo sia leggero o grave, che si tratti di sbalzi d'umore o di una grave depressione con pensieri suicidi. Lo sguardo è sempre diretto alle cause sistemiche, che per lo più vanno ricercate nell'irretimento con la famiglia d'origine e talvolta anche nei rapporti con la famiglia attuale.

Dal 1995 Bert Hellinger tiene dei seminari in cui presenta il suo lavoro davanti a centinaia di terapeuti e medici. Sovente i clienti che mettono in scena la loro famiglia soffrono di gravi malattie — da ogni forma di cancro ad altre malattie organiche, fino alle psicosi e alla schizofrenia. In questi seminari appare chiaro che il trattamento di questi pazienti gravi non differisce da quello delle persone che soffrono solo di disturbi che rientrano nella norma, come la maggior parte di noi. Il modo di procedere ed i passi risolutivi non dipendono in alcun modo dalla gravità del disturbo. Quanto detto finora risponde alla nostra domanda iniziale: la rappresentazione familiare può essere considerata una forma di terapia se viene usata per trattare persone malate. Essa può influire in profondità sulla malattia e contribuire in modo fondamentale alla guarigione. Chi lavora con i malati ha comunque bisogno di disporre di maggiori conoscenze e capacità per poter gestire anche le situazioni più difficili e delicate. Quindi, solo chi è in possesso di una qualifica medica o di psicoterapeuta può applicare questo tipo di terapia ai malati. La rappresentazione familiare, invece, non può essere considerata una terapia se il cliente non è un malato. Questo vale per la maggior parte delle persone che oggi prendono parte ai nostri seminari. I loro sono i problemi e le difficoltà delle persone normali. Le rappresentazioni li aiutano a risolvere i loro problemi e favoriscono la riconciliazione della famiglia. Rapporti sconosciuti vengono alla luce, dinamiche fondamentali diventano comprensibili. Per questo, molti terapeuti propongono a soggetti sani il lavoro delle rappresentazioni familiari. Al giorno d'oggi, le rappresentazioni familiari raggiungono un largo strato della popolazione, come non era mai riuscito a nessuna corrente terapeutica prima d'ora. È vero che di solito sono le donne le prime ad entrare in contatto con questo lavoro, mentre gli uomini le seguono a distanza arrancando. Ma è evidente che la maggioranza dei partecipanti ai seminari non fa parte del gruppo dei "fanatici della terapia" che corrono dietro a tutte le ultime mode terapeutiche o esoteriche. Sono madri di famiglia, madri o padri che allevano da soli i propri figli, single, persone appartenenti alla popolazione media, a sentirsi attratti dai seminari sulle rappresentazioni familiari. Ecco un esempio tipico proveniente dal mio giro di conoscenze: una donna sui 35 anni si fece prestare da me il video di una rappresentazione e lo guardò insieme a sua madre in occasione di una visita di fine settimana. La madre ne fu così colpita che offrì un seminario alle sue tre figlie adulte e al fidanzato di una di loro. Lei riteneva di essere troppo vecchia per partecipare. Tre mesi dopo, la madre stessa si iscrisse ad uno dei miei seminari insieme ad un'amica della sua età ed al figlio di questa.

LA RAPPRESENTAZIONE DEVE AVVENIRE UNA VOLTA SOLA?

Quante rappresentazioni si possono o si devono fare per esaminare a fondo la propria famiglia? Nei primi anni di pratica, Bert Hellinger sosteneva in modo molto preciso e categorico che sia il sistema originale che quello presente andavano rappresentati una sola volta. Se le si accorda fiducia - questa era la sua opinione — quest'unica rappresentazione è sufficiente ed è in grado di sviluppare la propria azione. Chi vuole effettuare una seconda rappresentazione mostra di non avere abbastanza fiducia nella propria anima e non fa niente di costruttivo per sé. L'unico motivo legittimo per farla è la comparsa di fatti nuovi, di cui fino a quel momento non si sapeva nulla. Solo questi giustificano una nuova rappresentazione. Nel frattempo le opinioni sono cambiate. Nel 1997 a Wiesloch, durante il primo congresso dei terapeuti che adottano il metodo delle rappresentazioni familiari, Bert Hellinger ha tenuto un discorso in cui ha affermato che, anche se è vero che con una rappresentazione si può raggiungere lo strato più esterno della personalità, gli strati più profondi possono essere toccati solo attraverso una serie di rappresentazioni. Forse un paragone calzante è quello con il fuoco: quando gli uomini primitivi scoprirono il fuoco, avevano nei suoi confronti un timore reverenziale. Con il tempo hanno poi imparato a dominarlo un po' di più. Pian piano, hanno acquisito confidenza e hanno cominciato ad utilizzarlo in modo mirato con tutta la prudenza necessaria. Ancor oggi si insegna ai bambini ad essere prudenti, perché un piccolo fiammifero può provocare un grande incendio. Con le rappresentazioni mi sembra che sia accaduto qualcosa di simile. Quando il "campo cosciente" e la sua energia sono stati scoperti nelle rappresentazioni, nei loro confronti si è sviluppato un timore reverenziale. Adesso li conosciamo meglio ed abbiamo con essi maggiore familiarità. Possiamo cominciare - con tutta la prudenza necessaria - ad avvicinarci ancora di più e a studiarli ulteriormente. Nel frattempo, considero la partecipazione ripetuta alle rappresentazioni nel corso di un lungo periodo di tempo come un prezioso strumento per favorire la crescita personale. Chi dopo un seminario pensa: "Adesso ho rappresentato la mia famiglia, e con questo ho finito," non riconosce le

potenzialità insite nel lavoro delle rappresentazioni. Osservando i partecipanti che ritornano ripetutamente ai seminari, si comprende che il loro processo di crescita è in continua evoluzione. Per questo sembra utile, anche se non si effettua la propria rappresentazione, partecipare ai seminari anche in qualità di semplici osservatori o rappresentanti. La mia esperienza personale è l'argomento per me più convincente. Dopo la rappresentazione della mia famiglia d'origine, i cambiamenti sono arrivati rapidamente e spontaneamente, ed io li ho vissuti in modo impressionante e chiaro. Naturalmente, come c'era da aspettarsi, mi sono trovato ad affrontare anche aree oscure e resistenze. A queste ultime mi sono avvicinato poco alla volta con le rappresentazioni, e concedendomi tutto il tempo di cui avevo bisogno. Ho scoperto che il tema originario era ancora nascosto in molte sfaccettature della mia vita e che le rappresentazioni erano molto utili per ampliare la mia comprensione. (Talvolta ho il sospetto di essermi dedicato con tanto entusiasmo a questo lavoro, perché esso mi da la possibilità di rimanere in contatto con il mio processo personale.) Nei seminari che conduco, osservo in genere che con ogni nuova rappresentazione il sistema di credenze dell'individuo si modifica. Di solito l'ultimo giorno del seminario c'è ancora spazio per qualche "ritocco", vale a dire, per osservare in maniera più precisa e profonda un determinato aspetto. Ciò avviene spesso con l'aiuto di rappresentazioni molto brevi, che non durano più di dieci minuti. Così, in occasione di un recente seminario, un padre voleva comprendere i motivi delle difficoltà che stava avendo con il suo figlio minore, di 19 anni. Il primo giorno ha rappresentato la sua famiglia attuale, composta dalla moglie e dai figli. Sono emersi parecchi irretimenti, che interessavano specialmente il figlio maggiore. Il figlio minore è rimasto piuttosto inosservato e, nell'ambito della rappresentazione, sembrava non presentare problemi. L'ultimo giorno il padre ha chiesto di poter fare un lavoro di rifinitura. Questa volta ha rappresentato solo se stesso e il figlio minore. A quel punto, fra padre e figlio si è evidenziata subito un'enorme tensione. Il figlio aveva paura del padre, poiché sentiva in lui la presenza di una collera inespressa. È emerso che il figlio aveva introiettato questa collera paterna. Solo dopo che il padre si è mostrato più disposto ad affrontare i suoi sentimenti, la pace si è potuta stabilire fra i due. Questa breve rappresentazione è andata molto più in profondità di quella del primo giorno ed è stata molto illuminante. Le immagini interiori di una rappresentazione hanno bisogno di tempo per sviluppare il loro effetto. Pertanto, quando qualcuno vuole fare un'altra rappresentazione per me è importante considerare l'elemento decisivo: il

cliente vuole farla perché desidera pervenire ad una comprensione più profonda? Allora ha senso ripetere la rappresentazione. Oppure vuole ripeterla perché c'è qualcosa che non vuole accettare e cerca di difendersi da quello che è emerso durante la prima rappresentazione? "Trovo così inaccettabile quello che è emerso nella mia rappresentazione familiare, che desidero fare un secondo tentativo." Questa affermazione mostra chiaramente che il cliente interessato desidera svalutare la prima rappresentazione, perché non gli è piaciuta. In questo caso, un'ulteriore rappresentazione sarebbe insensata e fuori luogo. L'elemento decisivo è se la prima rappresentazione ha mostrato qualcosa di vero, indipendentemente da quanto sgradevole o inquietante possa esserne stato il risultato. È necessario confrontarsi interiormente con l'immagine emersa ed elaborarla. Questo non è sempre facile e piacevole, talora è doloroso, persino straziante. Può occorrere molto tempo, a volte anni, per elaborare nel profondo un'immagine. Trovo bello che adesso ci sia un'offerta sempre maggiore di corsi di specializzazione sulle rappresentazioni familiari. Anche per questa terapia occorrono degli strumenti, ed è conveniente potersi esercitare con gli strumenti peculiari di quest'arte in un ambiente protetto. L'addestramento offre inoltre l'opportunità di dedicarsi per un lungo periodo al processo di crescita attraverso le rappresentazioni familiari. Nei tirocini che conduco personalmente ho il piacere di vedere come i partecipanti diventino sempre più sensibili grazie al loro lavoro, e come i temi delle loro rappresentazioni divengano sempre più essenziali. Ciò che all'inizio era oscuro e nascosto, dopo un po' di tempo si mostra sempre più chiaramente e crudamente.

LE RAPPRESENTAZIONI POSSONO ESSERE PERICOLOSE?

Chi conduce le rappresentazioni familiari dovrebbe essere cosciente dei possibili pericoli. A questo proposito mi viene in mente l'esempio di una terapeuta che prese parte ad uno dei miei seminari. La domanda della terapeuta riguardava le difficoltà che incontrava nel suo rapporto con gli uomini. Riferì di essere stata violentata dal padre quando era bambina, ma di aver già superato questo trauma grazie a dieci anni di terapia. Il primo giorno mise in scena la sua famiglia. Il tema della violenza sessuale era presente, ma sembrava in gran parte superato.

Il giorno seguente il tema delle molestie sessuali si presentò nuovamente nella rappresentazione di un'altra partecipante. La violenza era stata così grave che ai genitori era stata tolta la patria potestà e la bambina allontanata da loro. Nella tarda serata di quello stesso giorno incrociai casualmente la terapeuta. Era in lacrime e in stato confusionale, non era quasi in grado di comunicare. Balbettando mi disse che la rappresentazione della violenza subita dall'altra donna le aveva fatto rivivere ancora una volta le ferite e l'orrore della sua infanzia. Le ci volle un po' di tempo per recuperare l'autocontrollo. Il giorno dopo rappresentammo di nuovo la sua famiglia e questa volta la violenza apparve molto più grave rispetto al giorno prima. Anche per lei la soluzione adeguata fu che i genitori si voltassero e che lei si allontanasse da loro. A volte le rappresentazioni liberano energie potenti: sentimenti celati in profondità si manifestano di colpo in superficie. Questo, come si è visto nell'esempio precedente, non è sempre prevedibile. Il conduttore che, armato solo delle sue buone intenzioni, impiega ingenuamente lo strumento della rappresentazione, corre il rischio di trovarsi come l'apprendista stregone, evocando delle forze che poi non è più in grado di dominare. Durante le rappresentazioni, dunque, è importante prevedere uno spazio protetto per le eventuali complicazioni. Accade spesso che le rappresentazioni vengano effettuate all'interno di un seminario. Si sta insieme per un periodo compreso fra i due e i sei giorni, si fa la propria rappresentazione, si fa il rappresentante nelle rappresentazioni altrui, e poi ognuno se ne va per la sua strada. Nella maggior parte dei casi, il cliente che partecipa al seminario come unico membro della sua famiglia si ritrova solo con le sue esperienze da elaborare. Dopo le rappresentazioni compaiono sempre sensazioni forti. Che caratteristiche dovrebbe avere l'eventuale rete di sicurezza? Le cose sono relativamente semplici quando il cliente è già impegnato in un suo lavoro terapeutico, ed effettua le rappresentazioni presso il suo terapeuta o presso un altro conduttore. In questo modo ha un interlocutore nel suo terapeuta, che lo può sostenere nell'elaborazione delle dinamiche emerse. Mi capita sempre più spesso che i terapeuti che conoscono il mio lavoro mandino i loro clienti ai miei seminari. Questi clienti sono poi in buone mani. Tuttavia, possono sorgere complicazioni quando il terapeuta che assiste il cliente non conosce il lavoro delle rappresentazioni familiari. In questo

caso, gli manca la comprensione degli irretimenti e degli effetti delle rappresentazioni. Questo comporta un'ulteriore difficoltà per il cliente. Il mio consiglio ai pazienti che si trovano ad affrontare difficoltà gravi è di procurarsi anche l'appoggio di un terapeuta che conosca bene il nostro lavoro, perché le rappresentazioni interessano strati profondi della personalità, e il cliente ha bisogno di essere seguito nella sua elaborazione interiore. Un'altra domanda è se l'immergersi profondamente nel ruolo di un estraneo non sia pericoloso per i rappresentanti. Può un semplice partecipante reggere le tensioni provocate da un tale ruolo? Ad esempio, talvolta i rappresentanti continuano ad impersonare per un po' il loro ruolo anche dopo che la rappresentazione è finita. Questo succede quando nel corso della rappresentazione si sono sviluppate tensioni troppo forti, che il rappresentante non è riuscito a smaltire. In questi casi il terapeuta deve aiutare il rappresentante ad uscire consapevolmente dal suo ruolo e ad abbandonarlo. Ho constatato personalmente che un buon metodo è quello d'incaricare colui che ha messo in scena la propria famiglia di liberare espressamente i rappresentanti dai loro ruoli. Li guarda e dice loro: "Vi ho assegnato il ruolo di membri della mia famiglia. Grazie per averlo impersonato. Ora me lo riprendo." Ma oltre a questo, nell'ambito delle rappresentazioni familiari capitano a volte cose che spingono i terapeuti ad essere prudenti e cauti. Mi ricordo di una rappresentazione in cui la cliente era irretita nella morte e nei destini dolorosi di vari membri della sua famiglia. Mi ero appena rivolto ad uno zio, quando sentii un gran tonfo alle mie spalle: la rappresentante della cliente (si noti bene: una rappresentante esperta) aveva perso i sensi improvvisamente ed era caduta a terra. Per fortuna, non si fece male, rinvenne subito e poté rimettersi in piedi. Da quella volta faccio spesso in modo di stare direttamente dietro alla persona che sta sostenendo un ruolo difficile, così da poterla sorreggere in caso di bisogno. I rappresentanti esperti diventano poco a poco sempre più permeabili alle energie altrui, ma i principianti devono prima imparare. Così, un ruolo difficile - come per esempio quello di un bambino handicappato ucciso all'interno del programma di eutanasia del Terzo Reich — può rappresentare un compito eccessivo per una persona labile. In casi del genere, il terapeuta deve fare particolarmente attenzione. Un altro episodio mi ha mostrato quali pericoli le rappresentazioni possano nascondere. In uno dei miei seminari di specializzazione, condotto da me e da mia moglie, una terapeuta rappresentò il caso di una cliente, attribuendone il ruolo a mia moglie. Emerse che la cliente era

irresistibilmente attratta dalla morte. Nessuno dei miei tentativi riuscì a modificare questa situazione. Alla fine fui costretto ad accettare i miei limiti di terapeuta, dopo di che fu molto difficile per mia moglie abbandonare il suo ruolo. Tentando di uscirne, incontrò un freddo e un vuoto spaventosi, ai quali non poteva opporsi. Le ci volle quasi mezz'ora di movimento e una lunga passeggiata per ritornare pienamente alla vita. Non ero riuscito a dimenticare completamente il caso di questa cliente, e mentre leggevo un libro di Bert Hellinger, mi venne l'idea di tentare un nuovo intervento. All'incontro successivo del gruppo di specializzazione volli fare un tentativo. Chiesi ai rappresentanti di riassumere brevemente i loro ruoli e sperimentai la mia idea, che però non produsse alcun effetto. L'attrazione per la morte permase. Dopo cinque minuti decisi di interrompere la rappresentazione. La sensazione di freddo e vuoto spaventosi che aveva provato mia moglie si era però intensificata, divenendo quasi autonoma. L'energia di una persona estranea aveva prodotto un'esperienza opprimente. Queste sensazioni sparirono molto lentamente, ma si ripresentarono durante la notte. Cessarono definitivamente solo dopo un'ora di lavoro terapeutico. Questo destino sconosciuto aveva assunto una forza tale, che ricoprire questo ruolo una terza volta sarebbe stato avventato ed irresponsabile. Esempi come questi mostrano quanto sia importante essere cauti e prudenti. Procedere in questo lavoro in modo troppo risoluto può produrre conseguenze incontrollabili.

COME FUNZIONA LA RAPPRESENTAZIONE INDIVIDUALE?

Il lavoro con le rappresentazioni è in continuo sviluppo. Inizialmente le rappresentazioni familiari venivano effettuate solo con l'aiuto dei rappresentanti, ma ben presto si vide che non sempre questi sono necessari. Oggi, in molte terapie individuali, vengono effettuate rappresentazioni in forma diversa. Per molti clienti è già un atto di coraggio cercare un terapeuta e parlare con lui delle proprie difficoltà. A costoro fa paura rivelare i propri problemi all'interno di un gruppo di sconosciuti. All'inizio, perciò, un seminario di più giorni non è adatto per questo tipo di clienti. Per questo motivo, molti terapeuti hanno modificato la tecnica delle rappresentazioni, in modo che - per lo meno nei loro aspetti essenziali queste possano essere effettuate anche nella situazione terapeutica a due. A

tale scopo, si devono variare due importanti elementi del lavoro: la rappresentazione spaziale e l'impiego dei rappresentanti. Le somiglianze con i metodi della terapia Gestalt e con lo psicodramma sono più evidenti nel lavoro individuale che in quello di gruppo. Dato che nella seduta terapeutica sono presenti solo il terapeuta e il cliente, per la rappresentazione vengono usati per lo più degli oggetti. La variante più semplice è costituita da un tavolo e da alcuni birilli. Si mette sul tavolo un birillo per ogni membro importante della famiglia, e si stabilisce in quale direzione va il suo sguardo. Dopo un po' sul tavolo c'è una riproduzione spaziale della famiglia. Per quanto possa sembrare sbalorditivo, anche in questo modo viene a crearsi un "campo cosciente", a cui prendono parte le due persone presenti. Ciò significa che, attraverso i birilli, si può improvvisamente accedere alla conoscenza di quello che si svolge nella famiglia. Il passo successivo è quello in cui il terapeuta ed il cliente si identificano con le persone rappresentate. Per esempio, guardando il birillo relativo si chiede al cliente: "Come si sente il padre in questo posto?" La differenza con la rappresentazione di gruppo, in cui il cliente ha solamente il compito di osservatore e solo alla fine assume lui stesso il proprio ruolo, è notevole. Qui anche il terapeuta si immedesima nei vari ruoli e comunica le sue percezioni. In questo modo, vengono osservati i sentimenti di tutte le persone rappresentate. Le introspezioni sono possibili come nelle normali rappresentazioni. Tuttavia il tavolo possiede solo una piccola superficie, che richiede una grande capacità di astrazione da parte del terapeuta e del cliente. Per questo è stata sviluppata una serie di varianti in cui lo spazio a disposizione è maggiore. Al posto dei rappresentanti vengono usati cuscini, scarpe, libri o grandi fogli su cui sono scritti i nomi dei parenti. Per trovare il posto ad ogni persona, la cosa migliore è che il terapeuta la rappresenti per un attimo e si faccia dire dal cliente in quale posizione desideri collocarla. Là deporrà un oggetto (per esempio le scarpe) e tornerà poi indietro per rappresentare la persona seguente. Se il terapeuta ed il cliente vogliono immedesimarsi in una persona, possono farlo mettendosi al posto designato, per esempio sul foglio con il suo nome. Per passare rapidamente da un ruolo all'altro, occorrono ovviamente molta flessibilità, capacità di immedesimazione ed esperienza. Per questo motivo, spesso è più utile che sia solo il terapeuta ad impersonare i vari ruoli e che il cliente si limiti ad osservare e a sentire le proprie reazioni. Nella stanza il cliente impersona se stesso nella famiglia. Il terapeuta va al posto della madre ed entra nel suo ruolo. Esamina a fondo i propri

sentimenti e li comunica al cliente, continuando a ricoprire il ruolo della madre: "Non provo amore per te." Il cliente sente che cosa gli suscita questa frase. Il terapeuta abbandona il posto della madre e propone al cliente una frase da dirle: "Anche se non provi amore per me, sei mia madre e io sono tuo figlio." Il terapeuta ritorna al posto della madre, ascolta la frase e analizza quali sentimenti questa gli suscita. Il processo continua in questo modo. Questo metodo di eseguire le rappresentazioni ha come vantaggio che il cliente sta di fronte ad una persona e non ad un posto vuoto. Un'ulteriore variante è il trasferimento totale della rappresentazione nel mondo interiore. Ursula Franke descrive esattamente il procedimento nell'esempio di una cliente, in cui ha precedentemente evocato uno stato di rilassamento. "Immagini di trovarsi di fronte a sua madre. Come vi guardate?" "Qui sto bene. Sono un po' triste, ma mia madre mi fa sentire bene." "In che modo la guarda sua madre?" "Amorevolmente, teneramente, eppure in qualche modo è inquieta." "Che cosa succede, se mette suo padre vicino a sua madre?" (La cliente comincia a piangere.) "Voglio andar via. Non reggo questa situazione." "Come la guarda suo padre?" "Non mi guarda affatto. Non riesco a vederlo." "Dov'è suo padre?" "Non lo so." "Che cosa succede se lo mette molto lontano?" "Sì, così va un po' meglio." "Lui come sta laggiù?" "È triste e confuso. Non è il posto giusto per lui. Non guarda neanche verso di noi." "Lei come si sente quando lo vede?" "Fa tanto male qui. (Indica il petto.) È così difficile." "Che cosa accade se lei va un po' indietro?" "Così va meglio. (Tira un sospiro di sollievo.) Adesso riesco anche a vedere mia madre." Questo è solo l'inizio della seduta, successivamente vengono messi in gioco anche gli altri membri della famiglia. I cambiamenti di posto possono così mostrare il loro effetto; possono essere impiegate anche delle frasi che il cliente dice o ascolta. La forma del seminario ha dei vantaggi: l'energia del "campo cosciente" è generalmente più forte. L'intensità è maggiore, i sentimenti sono più marcati

e chiari. Quando il sistema familiare è complesso, le comunicazioni dei rappresentanti sono utili per cogliere l'intreccio delle relazioni. Inoltre, il quadro della famiglia è completo, in quanto è possibile vedere contemporaneamente tutti i componenti della famiglia stessa. Quando invece per il cliente è particolarmente importante una specifica persona, per esempio una sorella morta in giovane età, può bastare una rappresentazione a due. Spesso questa rappresentazione è solo un primo passo. In seguito, molti clienti sono pronti e interessati a fare una rappresentazione di gruppo. Questa garantisce certamente un processo più profondo, chiarificatore e risanatore.

RAPPRESENTAZIONI DI SENTIMENTI, PARTI DELLA PERSONALITÀ ED OGGETTI

All'inizio di questa sezione occorre citare un fatto sorprendente: anche le organizzazioni possono essere rappresentate come le famiglie. Come per queste ultime, anche per le organizzazioni funziona il principio della rappresentanza. Singoli membri dell'organizzazione o addirittura interi reparti vengono rappresentati da rappresentanti che ne percepiscono i sentimenti. Oltre a questo, vi sono ordini impliciti da rispettare, che corrispondono negli aspetti fondamentali a quelli presenti nelle famiglie. Alcuni terapeuti integrano le rappresentazioni familiari con quelle di sentimenti e parti della personalità. Anche queste ultime si lasciano rappresentare dai rappresentanti, che nei loro ruoli hanno percezioni ben precise. Le tensioni diventano visibili, e possono essere individuate soluzioni inaspettate. Ines Sparrer e Matthias Varga von Kidéb hanno messo a punto una loro forma di questo lavoro, che hanno chiamato rappresentazione strutturale. Quando una domanda viene definita in termini di un sentimento, può aver senso - spesso anche come introduzione e preparazione ad una rappresentazione familiare - rappresentare tale sentimento. Il cliente continua ad avere attacchi di panico in pubblico. Gli capitano così di frequente, che evita di andare tra la gente. Nella rappresentazione la paura sta dietro al cliente, che guarda nella direzione opposta. Per il momento non osa voltarsi. Incoraggiato dal terapeuta, si gira lentamente e con circospezione. La paura si sente neutrale nei suoi confronti. Il cliente vorrebbe una distanza maggiore. Facendo un

paio di passi indietro, si sente più rilassato. Poi si inchina davanti alla paura e le dice: "Ti rispetto. Anche tu sei parte di me." La paura si sente accettata e diventa più gentile. Adesso il cliente può guardarla negli occhi e cessa di difendersi da essa. In queste rappresentazioni sono importanti alcuni princìpi di terapia familiare: quando una persona non viene vista, è bene stabilire un contatto visivo. Per farlo occorre la distanza giusta. Se la persona è troppo vicina, viene vissuta come opprimente e non può essere vista nel modo corretto. Ma anche chi è troppo lontano non può essere visto. Una volta stabilito il contatto visivo, il passo seguente - la dichiarazione di rispetto — è facile. L'inchino ne è l'espressione più adeguata. Infine, segue il riconoscimento dell'appartenenza. Come ogni membro della famiglia appartiene a questa, così ogni sentimento appartiene alla personalità, Chi continua a respingere e a reprimere un sentimento, crea una sgradevole tensione interiore. Chi, come il cliente precedente, non vuole avere paura finisce in un circolo vizioso. Si trova ad aver paura della paura e resta definitivamente prigioniero di questo sentimento. Nella rappresentazione il cliente guarda la sua paura, la rispetta e la accetta. In questo modo, si rilassa e può cominciare a permetterle di esistere. Grazie a ciò, la paura diminuisce. Adesso il cliente può iniziare a ricercarne le radici, che spesso si trovano nella famiglia di origine. Anche gli oggetti del nostro ambiente, per esempio il denaro, possono essere messi in scena dai rappresentanti. Sovente i rappresentanti provano emozioni intense. Ora il buon senso ci dice che monete e banconote probabilmente non creano una vita emotiva molto ricca. Allora, da dove vengono le reazioni dei rappresentanti? I sentimenti sono quelli del cliente che ha messo in scena l'oggetto. Quelli che il rappresentante percepisce sono, perciò, i sentimenti del cliente. Con l'aiuto delle rappresentazioni, scopriamo come rivestiamo il nostro ambiente con i nostri sentimenti, e quali sentimenti conferiamo ad un oggetto. Per certe persone, i problemi di ogni giorno diventano ostacoli insormontabili. Spesso la causa è costituita da una carica emotiva mutuata dalla famiglia d'origine. Eccone un esempio: un cliente diventava tanto nervoso durante le conferenze da lui tenute, che quasi non riusciva a stabilire un contatto con il suo pubblico. Nella rappresentazione il cliente introdusse se stesso e il pubblico. Lui era rivolto verso la porta, e aveva voglia di uscire. Dietro di lui stava il pubblico, che lo voleva trattenere. Come prima cosa il cliente si voltò e guardò per la prima volta il pubblico negli occhi. Il pubblico era gentile, e il cliente si rilassò. Quando ci accorgemmo che mancava qualcosa, il cliente

propose d'introdurre un nuovo elemento: il "tema". Infatti, nella sua conferenza voleva comunicare qualcosa al pubblico. Il tema fu messo in scena di fronte al cliente ed era benevolo. A questo punto ci chiedemmo quale fosse la disposizione, in cui tutti e tre, cliente, pubblico e tema, potessero trovarsi bene. Dapprima il pubblico era a fianco del cliente, mentre il tema si trovava di fronte a entrambi. Il cliente e il pubblico erano soddisfatti di questa disposizione, non così però il tema! Si spostava a destra e a sinistra, ma questo non sortiva alcun effetto positivo. Alla fine giunse l'idea risolutrice: pubblico e tema si scambiarono di posto. Ora il tema era accanto al cliente, e il pubblico di fronte ai due. All'improvviso si sentirono tutti e tre a loro agio. Il cliente, che doveva tenere una conferenza il giorno dopo, mi riferì successivamente che, mentre saliva le scale che portavano alla sala, vide mentalmente il tema al suo fianco. Quando la conferenza iniziò, provò solo un leggero senso d'inquietudine. L'oppressione che lo aveva tormentato fino a quel momento era scomparsa. Che tipo di carica energetica questo cliente aveva assorbito dalla sua famiglia d'origine? Dalla biografia e dalla rappresentazione familiare del cliente sapevo che questi si sentiva attratto dalla morte. Aveva già incontrato quest'attrazione per la morte nella rappresentazione della sua famiglia e aveva trovato un'immagine risolutrice. Come mostra la rappresentazione prima riportata, tuttavia, le tracce della problematica originaria si erano conservate in alcuni ambiti della sua vita. Il pubblico - o, in altre parole, il lavoro — teneva in vita il cliente. Non c'è da stupirsi, data questa situazione, che egli avesse poca energia per stabilire un buon contatto con il pubblico! Ma anche altre rappresentazioni mostrano il legame originario fra la famiglia e il problema presente: La cliente ha già messo in scena una famiglia d'origine molto compromessa. Alla fine del seminario parla della paura di scivolare nella droga, dato che anche il padre di sua figlia è un eroinomane. A questo punto, mettiamo in scena lei e la droga, che viene rappresentata da una donna. Lei guarda avanti, la droga è dietro di lei. Il mio invito è di ascoltare attentamente gli impulsi interiori e seguirli senza parlare. Entrambe rimangono immobili per un minuto. Poi la donna si gira lentamente, la droga la guarda amorevolmente, apre le braccia, e la donna chiude gli occhi, si lascia prendere tra le braccia e tenere a lungo. In questo modo, potemmo guardare in profondità, nello strato che si trova al di sotto della paura della droga. Nella droga la cliente trovava sicurezza, calore e consolazione. Quale persona nella sua famiglia le poteva dare tutto

questo? La madre, a quanto pare. Era lei che la donna cercava, la droga era solo un surrogato imperfetto e fatale. Ho avuto una discussione con Bert Hellinger sul tema delle rappresentazioni di sentimenti, parti della personalità e oggetti. Egli ha manifestato dei dubbi nei confronti di questo tipo di rappresentazione, perché impiegandolo si può perdere di vista la famiglia. Infatti, secondo il suo parere, dietro molti dei sentimenti rappresentati si celano le persone della famiglia. Bisogna riconoscere questo fatto e tenerne conto. Hellinger teme che vi sia il rischio che durante questo tipo di rappresentazione possano emergere elementi che interferiscono con il "campo cosciente". Una lettera che ho ricevuto il giorno dopo questa conversazione ha fatto riemergere in me questi dubbi. Un conoscente voleva prendere parte ad uno dei miei seminari e mi chiedeva: "Nelle tue rappresentazioni lavori anche con il bambino interiore e il Sé superiore - per lo meno con chi lo desidera?" La cosa nuova e speciale delle rappresentazioni familiari è che ci portano alle nostre radici mentre ci fanno vedere come siamo legati ai nostri genitori e antenati. È un processo lungo e complicato, non sempre facile, che ci fa confrontare con la nostra famiglia. Dopo si sta al mondo su tutte e due le gambe. Quando, invece di rappresentare padre, madre e soggetto, nelle rappresentazioni si preferisce mettere in scena "il bambino interiore" e il "Sé superiore", questo confronto viene evitato. Dobbiamo anche chiederci quale sia la natura del "campo cosciente". È un'energia naturale per il momento sconosciuta, che un giorno potrà essere individuata anche dalla scienza? Se il "campo cosciente" fosse simile, per esempio, al campo energetico associato alle piramidi — ed anche di questo conosciamo solo l'esistenza e non la natura - ciò significherebbe che esso è un'entità autonoma, di natura fisica, sempre a nostra disposizione, indipendentemente dai temi e dal nostro atteggiamento interiore. Oppure il "campo cosciente" è basato su delle energie del tutto nuove, forse associate alla nostra "anima"? Questo potrebbe voler dire che non solo non potremo mai "afferrare" questo campo, ma anche che il solo tentativo di farlo, non solo ci impedirebbe di contattarlo, ma potrebbe persino essere pericoloso. Per esempio, nella PNL esiste il cosiddetto "processo di trasformazione del nucleo" (Andreas) che, attraverso una serie di passi prestabiliti, conduce ad uno stato interiore di felicità e pienezza. Tuttavia, i partecipanti che hanno usato regolarmente questo metodo mi hanno riferito che col tempo i suoi effetti sono diventati sempre più deboli, e alla fine si sono esauriti. La nostra "anima" non si lascia strumentalizzare. Se cerchiamo di farlo perdiamo la strada. Numerose domande, dunque, rimangono aperte, e solo l'esperienza potrà indicarci le risposte.

RAPPRESENTAZIONI COME SCUOLA DI VITA

Le rappresentazioni ci mettono in contatto con una nuova realtà. Tuttavia, alcuni princìpi possono essere trasferiti anche nella vita quotidiana. Per questo definisco la partecipazione a questo lavoro una "scuola di vita" che, a quanto pare, insegna a sviluppare le attitudini necessarie per vivere in modo soddisfacente. "Nessun uomo è un'isola"- la prima grande esperienza che si fa nelle rappresentazioni familiari è quella dell'unione. Quella che prima era un'idea astratta diventa un'esperienza vissuta, che ci trasforma profondamente. Nella rappresentazione, nonostante il cliente stia di fronte a suo padre e a sua madre, prova una sensazione d'isolamento e di mancanza di contatto. Quando guarda negli occhi suo padre, che è cresciuto senza padre, scopre che questi porta dentro di sé la stessa sensazione di separazione e solitudine. Ora viene rappresentato anche il nonno, che si era tolto la vita in età non troppo avanzata. Anche lui si sente separato e solo. Il cliente scopre improvvisamente che è proprio la sensazione di solitudine ed isolamento che gli permette di sentirsi, almeno in una certa misura, vicino a suo padre e a suo nonno. L'esperienza dell'unione nutre e rilassa profondamente. Accade qualcosa di strano a chi si occupa a lungo delle rappresentazioni familiari: a casa fa in modo di trovare un angolo in cui mettere le foto di famiglia. All'improvviso sente nascere dentro un interesse per vecchie immagini e fotografie che fino a quel momento giacevano dimenticate in un cassetto. Che cosa succede interiormente? Chi ha un ritratto dei bisnonni e dei nonni alla parete riconosce di appartenere alla famiglia, di esserne un componente. Scopre di essere una parte di un grande tutto. Nasce, cresce, forse ha a sua volta dei figli, e un giorno diventa vecchio, e prima o poi morirà. Così è successo a tutti quelli della sua famiglia, così continuerà a succedere anche dopo di lui. Si vive in questa continuità. Molto viene allora relativizzato, per esempio, l'importanza della bellezza, dell'essere attraenti e della giovinezza. Nelle foto si vede che tutto viene e va. Da questo senso di unione risultano tranquillità e fiducia in ciò che fluisce attraverso le generazioni — la vita. Il senso di unione produce l'accettazione di ciò che è. Si ha la sensazione di essere presi per mano dalla vita, anche se

non la si comprende pienamente. La vita infatti è molto più grande delle nostre idee, di ciò che vogliamo e di ciò che siamo. Dalla scoperta dell'unità deriva un rispetto fondamentale per gli altri. Cresce la comprensione che essi sono legati alla loro famiglia come noi lo siamo alla nostra. Nei seminari con le rappresentazioni, le critiche e i giudizi sugli altri partecipanti scompaiono in modo sbalorditivo. Quando un partecipante - per quanto possa essere ancora invadente e sgradevole rappresenta la sua famiglia, si vede chiaramente che cosa porta dentro di sé e come il suo modo di agire derivi dalla sua famiglia nel suo insieme. Nasce una profonda comprensione, e i propri giudizi precedenti appaiono arroganti e superficiali. Si impara a consentire agli altri di essere ciò che sono. Nelle rappresentazioni, l'inchino è il gesto che esprime più chiaramente il rispetto. Le esperienze fatte dai partecipanti quando si inchinano gli uni davanti agli altri, anche solo per esercizio, sono molteplici. La cosa importante è che l'inchino sia autentico e non recitato. La persona che sta di fronte lo riconosce subito. Per alcuni è sorprendente scoprire che inchinarsi davanti ad un altro non significa sentirsi più piccoli o sminuiti. Tanti si sentono addirittura meglio (diversamente da quanto provato da bambini quando venivano costretti a fare l'inchino). Ma anche la persona di fronte non si sente superiore, bensì piena di rispetto per chi si inchina. Marianne Franke-Griksch, insegnante di scuola elementare e media, riferisce le discussioni avute con i suoi alunni, di età compresa fra gli undici e i tredici anni, a proposito dell'importanza dei gesti. Argomento di discussione erano anche l'inchino e il semplice ringraziamento espresso con un leggero inchino a mani giunte, gesto che i bambini indiani e turchi conoscono già. Ogni mattina, all'inizio della lezione, un paio di bambini, in rappresentanza dell'intera classe, avevano il compito di salutare gli altri con un leggero inchino. Questo era un modo per sviluppare la consapevolezza del rispetto reciproco. Anche l'esempio che racconta riguardo al tema della collettività e dell'appartenenza è molto interessante: Una volta avevo in classe uno scolaro che era solito disturbare durante le lezioni di tedesco e di etica. Prendeva gli altri bambini a calci, faceva raramente dei compiti ordinati e rendeva poco malgrado fosse intelligente. Ben presto tutti cominciarono ad averne abbastanza di lui. I rappresentanti di classe volevano discutere il suo caso; intendevano metterlo sul banco degli imputati ed elencargli tutto quello che aveva fatto per irritarli e offenderli. Io rifiutai e chiesi ancora un giorno di pazienza. Il giorno dopo chiamai questo scolaro e gli chiesi di mettersi in piedi davanti alla classe. Gli dissi che tutti noi dovevamo comunicargli una cosa, tutti la stessa. Cominciai dicendogli: "Rainer, tu sei uno di noi." Ventidue

bambini ripeterono questa stessa frase. Sulla classe calò un gran silenzio. Conoscevamo già questo silenzio, che è quello che subentra quando si entra in contatto con qualcosa di reale. Rainer pianse e andò a sedersi tranquillamente al suo posto. Non ne parlammo più. Il ragazzo colse l'occasione e nelle settimane seguenti si comportò meglio. Un altro elemento importante per imparare a vivere pienamente è riconoscere sempre di più le proprie responsabilità. Questo passo è tutt'altro che facile. A livello profondo, in caso di conflitti e contrasti, ci riteniamo spesso innocenti, preferiamo riconoscerci nel ruolo della vittima piuttosto che in quello del colpevole. Sentendoci innocenti, proviamo allora una rabbia violenta nei confronti di chi, secondo noi, ci ha fatto del male. La cliente e il suo ragazzo avevano convissuto per tre anni, poi lei era rimasta incinta. Sapeva che il suo ragazzo non voleva assolutamente bambini. Per paura di perderlo, decise di abortire. Insistette però che il ragazzo stesse con lei durante l'intervento. Un mese più tardi questi si innamorò perdutamente di un'altra donna e la lasciò. Nella rappresentazione la cliente sentì un odio intenso, oscuro e profondo per l'uomo. Gli rimproverava di non aver voluto il bambino. Nulla sembrava poter placare questo suo odio. Le proposi questa frase: "Mi assumo la mia responsabilità riguardo all'aborto e ti lascio la tua." Improvvisamente sembrò sciogliersi. L'odio gelido si trasformò in rabbia, e da lì emerse il suo dolore. La cliente aveva attribuito al suo ragazzo tutta la responsabilità, addossandogli l'intera colpa di quello che era successo, e si rifiutava di vedere il ruolo da lei svolto. Quando ne prese coscienza, il suo atteggiamento e il suo comportamento si modificarono sostanzialmente. Le rappresentazioni familiari ci fanno rendere conto della nostra parte di responsabilità, ci affinano la vista, permettendoci di vedere la pagliuzza e la trave sia quando si trovano nell'occhio dell'altro, sia quando si trovano nel nostro. Inoltre, nelle rappresentazioni impariamo a conoscere in modo nuovo la forza della realtà. Spesso la nostra vita è dominata dalla convinzione che i nostri pensieri e le nostre intenzioni sono ciò che veramente conta. Finiamo con il considerarli più importanti del nostro comportamento. Chi ha delle buone intenzioni e adotta controvoglia un comportamento negativo, si sente innocente. Questo produce gli pseudo combattenti del nazismo, che sotto un regime malvagio prendono parte a tutte le infamie, ma si sentono innocenti perché dentro di sé non le condividono.

Nelle rappresentazioni ci assumiamo la responsabilità per le nostre azioni e per il loro risultato, indipendentemente dalle giustificazioni che superficialmente possiamo addurre. Anche chi, per esempio, uccide in stato di ubriachezza, ed è perciò considerato giuridicamente incapace d'intendere e di volere, deve assumersi la responsabilità della morte dell'altro. Le rappresentazioni ci fanno comprendere che rimaniamo sempre responsabili delle nostre azioni, indipendentemente da quali possano essere le circostanze interiori ed esterne. La visione della realtà non viene più distorta dalle nostre idee e dai nostri pensieri. Essa ci sta di fronte, chiara e semplice. Vale anche il contrario: nella vita quotidiana chi ha delle cattive intenzioni si sente colpevole, anche se non le realizza. La cliente rappresenta la sua famiglia. La madre non la desiderava e aveva pensato a lungo di abortire, ma poi aveva lasciato perdere. Si sente molto in colpa nei confronti della figlia, e solo a fatica riesce a guardarla negli occhi. Poi la madre le dice: "Volevo abortire, ma non l'ho fatto, anzi ti ho messa al mondo." Questa semplice frase scioglie i suoi sensi di colpa e le permette di guardare la figlia con affetto. La realtà ha una sua particolare forza propria. Guardare sempre più spesso la realtà in faccia rende la vita più chiara e noi più forti. Nel contempo si scopre un'altra forza, quando si impara ad esprimere le cose semplici con poche parole. I rappresentanti non si crogiolano nelle emozioni, ma esprimono l'essenziale in una sola frase: "Sono arrabbiato con te. Ti rimprovero perché hai mentito." Sorprendentemente, anche nella quotidianità, questo ottiene spesso un effetto maggiore di uno scoppio emotivo. Ecco altri esempi tratti dalla scuola di Marianne Franke-Griksch: Dire "Mi dispiace," unito ad un piccolo inchino aveva un effetto particolarmente profondo nella soluzione dei conflitti. I bambini stessi riconoscevano che la parola "scusa" serve a poco: essa viene usata dal colpevole solo per discolparsi. Uno scolaro una volta disse ad un compagno: "Chiedendogli scusa, hai sbagliato una seconda volta." Il fatto che si possano utilizzare queste azioni simboliche nella vita di ogni giorno colpì i bambini. Avevano scoperto che utilizzare il corpo, un atteggiamento e una frase concisa poteva essere molto benefico, soprattutto se il processo si concludeva con un "Desidero porvi riparo," detto sul serio. Invece con genitori, insegnanti e amici erano abituati a dare lunghe giustificazioni e spiegazioni. Così cominciarono ad esercitarsi. E quante cose riferirono! Erano orgogliosi quando riuscivano a ristabilire l'equilibrio adottando questo

comportamento tranquillo e attento e dicendo una breve frase. Avevano notato che alla base doveva esserci un'intenzione autentica, altrimenti la cosa non funzionava. I bambini si divertivano sempre più a provare. Anche quando arrivavano in ritardo, usavano un metodo formale che era diventato loro familiare: venivano alla cattedra, si inchinavano leggermente e dicevano: "Mi dispiace." Spesso ci veniva da ridere perché non era vero. Ma così, almeno, il ghiaccio era rotto e potevano cercare la frase giusta, per esempio: "Oggi per me non era importante arrivare in tempo," oppure "Adesso è meglio che inventi una scusa, perché non provo ancora dispiacere." Le rappresentazioni consentono, inoltre, di avere nuove esperienze. Chi, come rappresentante, assume il ruolo di una persona estranea viene sempre a contatto con esperienze che non aveva mai fatto prima nella sua vita. Quando una giovane rappresentante sperimenta cosa significa essere bisnonna e guardare con orgoglio i propri figli, nipoti e bisnipoti, vive queste sensazioni sessant'anni prima del tempo debito. Quando lo scapolo incallito si trova nel ruolo del padre di famiglia e osserva con orgoglio i suoi figli, prova qualcosa di nuovo e importante. Oltre a questi, ci sono i ruoli estremi e negativi, per esempio quello di ufficiale delle S.S. o di ebreo nel Terzo Reich. A questa stessa categoria appartiene, per esempio, il ruolo che una ragazza dovette impersonare a causa della mancanza di partecipanti maschi. La rappresentazione riguardava l'episodio di molestia sessuale che la cliente aveva vissuto da giovane, e la partecipante dovette fare la parte dello zio violentatore. Successivamente, la partecipante riferì l'esperienza per lei totalmente nuova di essersi sentita colta da un improvviso attacco di libidine. Ruoli di questo genere permettono di penetrare negli abissi e nelle profondità dell'animo umano. Lo sguardo dei rappresentanti può aprirsi su viste che altrimenti rimarrebbero loro per sempre precluse. I ruoli consentono sia di accedere alla parte più profonda del proprio essere, sia di pervenire ad una comprensione esistenziale del destino dei propri simili.

6 LE MOLTEPLICI POSSIBILITÀ DI APPLICAZIONE DELLE RAPPRESENTAZIONI FAMILIARI

Nei capitoli precedenti ho mostrato come agiscono le rappresentazioni familiari e su quali princìpi sono basate. In questo capitolo ci occuperemo di altri aspetti di questo lavoro. Le possibilità di applicazione delle rappresentazioni si estendono ben al di là di quanto finora descritto, il loro potenziale di applicazione è molto maggiore. Sotto certi aspetti questo lavoro è solo agli inizi, e non siamo, perciò, ancora in grado di valutarne i possibili sviluppi.

LE RAPPRESENTAZIONI IN CAMPO CRIMINALE

La criminalità ed i delitti ad essa collegati sono sempre più al centro dell'attenzione nella nostra società. Le statistiche mostrano che la violenza è in aumento in molti strati della popolazione, particolarmente quella riguardante i bambini e gli adolescenti. Sorgono problemi, che vengono riportati dalla stampa e ripresi dalla letteratura specializzata. Quali sono le cause di questo diffondersi della criminalità? Sembrano molteplici, e gli sforzi compiuti dalla società non riescono ad arginarle. Nella ricerca delle cause bisogna tener conto di due fattori fondamentali: perché una persona apparentemente priva di motivazioni esteriori, per esempio una persona appartenente ad una normale famiglia borghese, diventa un delinquente? Perché certi delinquenti diventano dei recidivi? La discussione sui crimini di origine sessuale mostra quanto sia difficile dare una risposta a queste domande. Crimini inspiegabili e spietati scioccano l'opinione pubblica. A volte gli autori di questi crimini hanno avuto un'infanzia infelice e tendono a riperpetuare i torti subiti. Ma non per tutti è così. Allora, come si arriva a compiere azioni del genere? Anche le spiegazioni date da psichiatri e terapeuti in una recente intervista sono incomplete. Per esempio, quando è stato chiesto loro cosa rendesse attraente per un criminale la morte di un bambino seviziato ed ucciso, una

delle risposte è stata: "Può darsi che al colpevole andasse di sperimentare qualcosa di nuovo, qualcosa di mai provato, qualcosa come calpestare della neve fresca." Anche l'interpretazione, fornita nella stessa intervista, secondo cui "la ricerca del piacere, nel caso del criminale, è un impulso irresistibile," solleva più domande di quelle a cui risponde. Infatti, perché in certe persone si sviluppa un desiderio così perverso? L'idea che siano implicate cause genetiche sembra spiegare solo in parte queste perversioni in mancanza di altre spiegazioni convincenti. La tesi di Bert Hellinger ci fornisce nuove risposte. Sarebbe possibile utilizzare questo lavoro anche con i detenuti, ma le esperienze fatte in questo campo sono per il momento ancora molto poche. Anche quando si lavora con i delinquenti, valgono le regole e i princìpi fin qui applicati. Il delinquente è figlio dei suoi genitori e membro della sua famiglia. Molte delle cause di un atto criminale vanno ricercate nella famiglia d'origine di chi lo ha commesso. Nel legame con la famiglia si trova anche il motivo per cui a volte casi di recidività sono fatalmente inevitabili. Lo si vede in modo esemplare nel background familiare di una detenuta, condannata per droga. Per molti tossicodipendenti è possibile trovare un legame con i familiari defunti. Sono attratti dai morti e dalla morte, la droga è solo il mezzo per arrivarci. Per questo il richiamo della droga è spesso più forte della volontà di smettere. La cliente stessa risultava apatica a causa delle molte medicine di cui aveva bisogno. Ciononostante fu in grado di rappresentare la sua famiglia. La madre della detenuta era la minore di sette sorelle. Nel Terzo Reich i genitori e le sei sorelle furono internati in un campo di concentramento, in quanto zingari, e là furono gassati. Durante la deportazione lei, che era la più piccola, fu abbandonata lungo la strada dalla sorella maggiore e poté quindi sopravvivere. Nella rappresentazione appare l'amore profondo della madre per la sua famiglia, amore che l'ha quasi costantemente spinta verso la morte. Anche la figlia ha provato la stessa attrazione. Alla fine, la detenuta si trovò piena di dolore davanti ai numerosi morti della sua famiglia, si inchinò a lungo e profondamente e disse: "Ho rispetto per la vostra morte e per il vostro destino. Per favore, guardatemi con benevolenza mentre vivo." Poi si sentì più calma e tranquilla. Qui si vede come, a causa del legame con i familiari defunti, ci si possa sentire in colpa per essere sopravvissuti. La forza e la volontà di vivere vengono quasi del tutto meno. Nelle rappresentazioni scopriamo spesso la spiegazione di un crimine. Persino gli atti di violenza, apparentemente privi di senso, compiuti dagli

adolescenti, derivano dalla violenza di altri membri della famiglia. Talvolta, la violenza è apertamente espressa, altre volte è espressa in modo più sottile, per esempio, attraverso un'educazione troppo rigida e severa. La cosa particolare in un sentimento mutuato da un'altra persona, come la rabbia, è che chi la prova sente di aver ragione. La realtà è alquanto occultata, la consapevolezza delle proprie azioni e delle loro conseguenze è bloccata. Chi diventa delinquente a causa dell'irretimento familiare, si sente innocente. L'irretimento rende difficile, o blocca totalmente, la possibilità di prendere coscienza dei propri sensi di colpa. Pertanto il pentimento è impossibile. Le rappresentazioni fanno capire come è stretto e forte il legame al quale si è talora costretti ad obbedire. In tal modo si vede e si sente perché l'impulso ad imitare ciecamente può essere più forte della volontà di non commettere più reati. Finché questo legame fatale non viene reciso, molti delinquenti non sono in grado di rispettare la legge. Per questo motivo la ripetizione del crimine è già programmata. Il lavoro con i delinquenti mostra gli stessi meccanismi che agiscono in ogni famiglia, e chiarisce come questi possano avere effetti particolarmente negativi. Chi è in prigione ha generalmente un background familiare molto più compromesso di una "persona normale". Nel lavoro con i delinquenti sono necessari tre passi. I primi due sono gli stessi che occorrono per sciogliere ogni irretimento: nel primo passo, grazie alla rappresentazione della propria famiglia d'origine, il delinquente riconosce il legame fra il suo modo di agire e la sua famiglia. Anche qui, come in tutte le altre rappresentazioni familiari, occorre che il delinquente contatti la base di amore che lo lega alla sua famiglia. Infatti chi come figlio è disposto a sacrificare la sua vita, diventa anche volentieri delinquente se ciò è al servizio della famiglia. Il secondo passo deriva dal primo. Bisogna sciogliere e trasformare i legami con la famiglia che si sono rivelati negativi. Di questo passo fa parte il rispetto per il destino di coloro ai quali si è legati. Poi il delinquente lascia ai suoi antenati la responsabilità della loro vita e delle loro azioni. Il terzo passo è costituito dall'assunzione della responsabilità per le proprie azioni. Nel caso di un reato occorre prendere coscienza della propria colpevolezza. Perché possa percepirla, è necessario che il colpevole si confronti con il reato o, più precisamente, con la vittima. Dal dibattito attuale sulla tendenza alla recidività da parte dei criminali sessuali, emerge chiaramente che, malgrado cure terapeutiche di anni, l'atto di violenza commesso rimane sovente in secondo piano. Finché il colpevole non guarda negli occhi la sua vittima, non può comprendere la gravità di quanto ha

commesso. Solo grazie a questo incontro effettivo con la vittima, il criminale può comprendere e pentirsi. Le ammissioni di colpa normalmente richieste dal tribunale sono prive di validità e rappresentano spesso solamente una resa di fronte alla punizione incombente. In genere, l'incontro del criminale con la sua vittima sortisce un effetto positivo. Questo è anche il fondamento della pattuizione del risarcimento fra vittima e colpevole, introdotta nel nuovo codice penale. Funziona così: l'incriminato discute il suo reato con la vittima in sede extragiudiziale, al fine di accordarsi sull'entità di un eventuale risarcimento. Il colpevole ha, così, la possibilità di affrontare le conseguenze della sua condotta, di rendersi conto del torto commesso e, per quanto possibile, di contribuire a mettervi riparo. Una rappresentazione in cui vittima e colpevole vengono sostituiti dai rappresentanti ha lo stesso effetto dell'incontro reale fra i protagonisti. L'effetto può persino essere più intenso e di maggiore durata. Come ci capita di vedere in molte rappresentazioni, tramite i rappresentanti i sentimenti vengono espressi in modo impetuoso e concentrato. L'effettivo colpevole, che assiste alla rappresentazione dall'esterno, non deve esibire nessun turbamento a favore degli spettatori. In un primo momento è solo un osservatore e dispone così di uno spazio interiore protetto per porsi davanti all'accaduto ed elaborarlo. In questo modo, la rappresentazione confronta l'interessato direttamente, impedendo che questo lo minimizzi, con l'atto criminale e le sue conseguenze. Ciò che il reo ha fatto alla vittima diventa visibile e percepibile. Difficilmente può sottrarsi alla responsabilità di ciò che ha fatto, perché lo ha davanti agli occhi. In tal modo si può raggiungere un obiettivo importante della comminazione della pena: il riconoscimento del reato. Le rappresentazioni che ho condotto in carcere illustrano quanto detto finora. Il legame profondo del delinquente con la sua famiglia diventa visibile. Ecco l'esempio di una detenuta che era stata condannata per truffa continuata. Dapprima furono rappresentate la detenuta, la sua famiglia e, posta ad una certa distanza, una delle vittime delle sue truffe. La colpevole era indifferente nei confronti della vittima. La madre aveva la sensazione di stare istigando la figlia alla truffa. (In seguito quest'ultima, che osservava dall'esterno, raccontò che sua madre l'aveva addestrata da bambina a truffare i negozianti). La figlia si sentiva molto legata alla madre, ma la loro sensazione di indifferenza nei confronti della vittima non cambiò minimamente.

Il cambiamento si verificò solo quando fu messa in scena anche la madre della madre. La nipote si sentiva particolarmente legata alla nonna, che percepiva come molto falsa e disonesta. Ad un certo punto, la madre si mise fra loro affermando: "Sono io la mela marcia, mi riconosco colpevole e mi assumo la mia responsabilità. Tu sei solo la figlia." Poi aggiunse: "Affinché tutto questo finisca una buona volta! " A questo punto la truffatrice si sentì un po' più libera, poté guardare la vittima e dirle: "Mi dispiace." Qui vediamo manifestarsi la forza negativa che può avere un certo comportamento in una famiglia. Il legame negativo con la nonna e la spinta interiore ad ingannare sono usciti allo scoperto e sono stati in parte annullati. Solo successivamente la detenuta ha potuto dolersi del suo reato ed esprimere questo suo sentimento alla vittima (rappresentata). Qual è l'effetto interiore del riconoscere la propria colpa? Questa e altre domande vengono sempre poste proprio nel caso di gravi reati come l'omicidio. Che cosa significa per il colpevole abbandonare la famiglia allontanandosi da casa, o addirittura distendersi accanto a coloro che ha ucciso? Deve forse suicidarsi? Non c'è altra soluzione se non quella di abbandonare tutto? Una risposta a queste domande ci viene fornita da una rappresentazione condotta da Bert Hellinger alla fine del 1998 in una prigione vicino a Londra. La persona di cui si faceva la rappresentazione aveva ucciso un uomo durante una rissa all'osteria, e per questo crimine aveva già scontato 12 anni di carcere. Vennero messi inscena solo il colpevole e la vittima. Io ero il rappresentante della vittima. In un primo tempo non riuscivamo a guardarci negli occhi. Dentro di me cresceva una furia omicida insieme alla sensazione che anch'io avrei potuto uccidere l'altro e diventare un assassino. Il colpevole cominciò a singhiozzare e ad un certo punto si piegò a terra piangendo. Provai compassione e gli misi una mano sulla spalla per consolarlo. Dopo un po' ci guardammo negli occhi e infine ci abbracciammo. Passò ancora un po' di tempo, poi ebbi la sensazione che bastasse così. Mi alzai e ritornai al mio posto. Questa rappresentazione mostra le condizioni che devono verificarsi perché un criminale possa riconoscere le proprie colpe. Guardando la vittima negli occhi, il colpevole può vederla e rendersi conto di ciò che ha fatto. Può così assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Poi - a volte anche prima - sopraggiunge un dolore intenso che viene accettato completamente. Dopo un po' il dolore passa, e a questo punto subentrano il desiderio e la capacità di comportarsi bene. Questo cammino non prevede scorciatoie né salti.

Il rappresentante del criminale di cui sopra, l'esperto terapeuta Gunthard Weber, dopo la rappresentazione disse di non aver mai provato un dolore simile prima d'allora. Il criminale, che aveva osservato la rappresentazione, era visibilmente toccato e disse spontaneamente: "Quel dolore l'ho portato dentro di me per tutti questi anni!" Un'altra rappresentazione chiarificatrice delle dinamiche che si svolgono in un carcere è stata fatta con i reclusi di un riformatorio. Il problema di partenza erano gli episodi di violenza che spesso si verificavano fra un gruppo di ragazzi curdi e uno di ragazzi tedeschi. Si scelse un rappresentante per il gruppo dei ragazzi tedeschi e uno per quello dei curdi e, per avere un quadro più completo, anche un rappresentante per il gruppo degli operatori penitenziari e uno per quello dei servizi sociali, il cui compito è favorire il riadattamento e il reinserimento sociale. Nella rappresentazione i due gruppi di ragazzi stavano l'uno di fronte all'altro e si tenevano ad una certa distanza; anche gli operatori penitenziari e quelli dei servizi sociali stavano gli uni di fronte agli altri, in mezzo ai due gruppi di ragazzi. I ragazzi si guardavano con astio, il gruppo dei tedeschi si sentiva superiore e guardava gli stranieri dall'alto in basso. Gli operatori penitenziari percepivano un'atmosfera di violenza repressa, per il resto si sentivano come gli operatori dei servizi sociali: più deboli che forti. Cercai una sistemazione che ristabilisse ordine, adatta alla situazione del riformatorio. Dapprima sistemai i ragazzi tedeschi e quelli curdi gli uni accanto agli altri. Subito la tensione fra loro si allentò un poco. Poi sistemai al primo posto davanti a loro gli operatori penitenziari, e al loro fianco il rappresentante dei servizi sociali. Questo perché nelle rappresentazioni delle famiglie e delle organizzazioni è utile che le persone preposte alla sicurezza occupino il primo posto. In quella posizione il rappresentante degli operatori penitenziari si rilassò, ed ebbe l'impressione di poter eseguire un buon lavoro con i servizi sociali al suo fianco. Anche i ragazzi si sentivano a loro agio in questa disposizione. Quelli che invece si sentivano estremamente a disagio al loro posto erano i servizi sociali. La rappresentante si rifiutò di rimanere accanto agli operatori penitenziari. Voleva stare fra i ragazzi. Quando provò ad assumere tale posizione, la tensione si diffuse nuovamente fra tutti i partecipanti. A quel punto dovetti interrompere la rappresentazione, poiché risultava impossibile trovare una soluzione accettabile. Chi osserva senza pregiudizi la struttura carceraria, vede da una parte i detenuti e dall'altra, di fronte a loro, i dipendenti dello stato. Il loro compito

è implementare la pena, i cui contenuti e obiettivi sono stabiliti dalla legislazione statale. Anche i servizi sociali debbono partecipare a tale implementazione. La rappresentazione mostra in modo esemplare il conflitto interiore che nasce negli operatori dei servizi sociali, quando devono assumere il loro ruolo di rappresentanti dello stato. Essi si sentono più solidali nei confronti dei detenuti a loro affidati, che in quelli della legge. Ma in questo modo la realtà, vale a dire il fatto che l'operatore sociale alla sera può andare a casa, mentre gli assistiti rimangono dietro le sbarre, viene in parte sfumata. Gli interessati si rendono conto di questa contraddizione e spesso non prendono sul serio l'impegno idealistico di coloro che li assistono; al contrario, non li rispettano e cercano di manipolarli. In questa manipolazione c'è anche una provocazione, perché prima o poi gli operatori sociali giungono al limite della loro pazienza e rifiutano di farsi manipolare ulteriormente. Quando riescono a dire no, i fronti sono chiari e la realtà diventa evidente. Questi conflitti interiori ed esterni, dovuti alla difficoltà a stabilire dei giusti confini, rendono il lavoro degli assistenti sociali così faticoso, che molti di essi riferiscono che dopo alcuni anni si sentono "completamente esauriti." A che cosa serve una rappresentazione di questo tipo? Spiega i retroscena dei conflitti strutturali e le loro conseguenze. È importante chiarire i propri irretimenti inconsci, perché una collaborazione ottimale dei vari gruppi di operatori è un presupposto necessario per poter lavorare in modo efficace nelle strutture carcerarie.

UOMINI E DONNE

La tematica "uomo-donna" è sempre presente nelle rappresentazioni familiari. Che cosa accade fra uomini e donne? Qual è il fondamento degli ordini che incontriamo nelle rappresentazioni? Emergono molte possibili varianti, e nello stesso tempo i temi si ripetono. Vedo le rappresentazioni familiari come un percorso autonomo per esplorare la realtà. La nostra realtà quotidiana cela in sé livelli di realtà più profondi, di cui generalmente non siamo consapevoli. Le rappresentazioni conducono a questi piani e ci mostrano verità che ci appaiono evidenti non appena le incontriamo.

La rappresentazione seguente ha avuto luogo nell'ultima ora di un corso di specializzazione della durata di una settimana. Una partecipante disse che negli ultimi giorni aveva preso coscienza di avere paura degli uomini. Dato che il tempo era poco, feci con lei una breve rappresentazione simbolica. La partecipante mise in scena dapprima se stessa, poi collocò la paura dietro di sé, un rappresentante "per gli uomini" di fronte e, accanto a questo, una rappresentante "per le donne". Per prima cosa si girò verso la sua paura. Su mia proposta si inchinò davanti a lei e le espresse il suo rispetto, notando però che questo non corrispondeva al suo sentire. Le procurò sollievo dire alla paura: "Non ti rispetto e voglio liberarmi di te." Dopo di che, guardò la rappresentante delle donne e si sentì legata ad essa. Quando le si mise davanti, si sentì bene e piena di energia. Poi la rappresentante le disse: "La paura ci appartiene. A volte anch'io ho paura degli uomini." A questo punto, il rappresentante degli uomini e la rappresentante delle donne si guardarono negli occhi. Alla domanda su come si sentisse, la seconda rispose: "Affascinata, anche se ho un po' di paura." Le feci dire questa frase direttamente all'uomo: "Sono affascinata da te, ma ho un po' di paura." Dopo proposi al rappresentante degli uomini di dire la stessa frase alla donna: "Sono affascinato da te, ma ho un po' di paura." Anche lui la pronunciò e si disse d'accordo con essa. Uomo e donna sono diversi e pertanto non arriveranno mai a conoscersi completamente. Questo li affascina, ma li spaventa anche un po'. Chi ha paura può facilmente diventare aggressivo per difendersi. "La miglior difesa è l'attacco", dice il proverbio. Le esperienze negative con l'altro sesso rappresentano un'ulteriore difficoltà, così come i sentimenti che vengono tramandati di generazione in generazione. Il nostro vissuto di uomini e donne è determinato da antiche impronte. Una donna svizzera di circa sessant’anni fa la sua rappresentazione. Non riferisce nessun avvenimento particolare nella sua famiglia. Quasi per caso dice che sua madre prima del matrimonio si fece togliere tutti i denti su richiesta del marito e dei suoceri. Il motivo: per risparmiare più tardi. Rimango scioccato e faccio dire al marito: "Ho voluto che ti facessi strappare tutti i denti e me ne assumo la responsabilità," ma lui non riesce a dirlo. Metto in scena anche il suocero. Questi afferma: "Bisogna strappare i denti alle donne. Ho anche molti uomini dietro di me e riteniamo che si debbano cavare i denti alle donne, altrimenti possono essere troppo pericolose." Sua moglie rimane sorprendentemente calma e dietro mia proposta dice semplicemente: "Potrei essere pericolosa, ma non voglio." Nella discussione che segue emerge che in alcune zone della Svizzera ancora fino a quarant'anni fa era normale cavare i denti alle spose prima del

matrimonio. (Anche alla persona che fa la rappresentazione, all'età di 18 anni, furono strappati senza motivo otto denti, solo perché i genitori volevano così.) Spesso nei rapporti di coppia avviene che se un partner è aggressivo, l'altro è comprensivo e paziente. Talvolta, sullo sfondo appare la realtà emotiva più profonda, vale a dire, il fatto che la persona più arrabbiata è quella apparentemente più tranquilla. Forse qui entra in gioco un sano meccanismo che fa sì che l'aggressività si manifesti esteriormente in un solo partner. Perché quale sarebbe l'alternativa? Una rappresentazione mi ha fatto vedere cosa succede se entrambi i partner sono apertamente ostili. Il padre della cliente aveva ferito gravemente la madre con un coltello durante una lite. Nella rappresentazione stanno l'uno di fronte all'altra pieni di odio. Ognuno vuole essere il più forte. Emerge che la moglie ha provocato consapevolmente il marito. La soluzione giunge soltanto quando la figlia riconosce che gli unici responsabili dell'episodio sono il padre e la madre e li elimina dal proprio cuore. Entrambi voltano le spalle alla famiglia. In quel momento tutti i partecipanti si sentono sollevati. Quando fra il marito e la moglie si scatena un duello all'ultimo sangue, resta solo una scelta: quale dei due ucciderà l'altro? Coltello o veleno? Il film "La guerra dei Roses" è una rappresentazione brillante di questa guerra di sterminio familiare. Entrambi i sessi conoscono l'aggressività omicida. Essa fa parte della nostra eredità collettiva e della nostra inclinazione individuale. Possiamo vedere la carica aggressiva degli uomini nelle guerre e nei conflitti armati intorno a noi, sia in Africa che in Palestina o nella ex Jugoslavia. È qualcosa che appartiene alla nostra quotidianità. Uomini uccidono altri uomini, e spesso anche donne e bambini. Negli stupri di massa, come quelli accaduti nella ex Jugoslavia, sembra inoltre che si scateni un odio comune degli uomini contro le donne. Solo grazie alle rappresentazioni familiari ho visto con chiarezza che le donne odiano altrettanto ferocemente degli uomini, e che la rabbia che portano dentro e a cui talvolta danno sfogo non è minimamente inferiore a quella maschile. In molte donne c'è una rabbia latente nei confronti degli uomini, della quale sono il più delle volte quasi inconsapevoli. In superficie si vede solo che hanno poco rispetto per gli uomini e che spesso li guardano dall'alto in basso. La rabbia che emerge all'inizio di un seminario è ancora contenuta. Solo dopo uno o più giorni può mostrarsi in tutta la sua violenza. Una partecipante desidera chiarire le difficoltà che incontra nei rapporti con gli uomini. Si sente incompetente e sospetta che questo abbia a che fare con il suo legame con il padre. Mette in scena sette uomini con cui ha avuto

relazioni durate dai sei mesi ai tre anni, e poi l'ottavo uomo con cui sta attualmente. Dai primi tre uomini si congeda con rispetto. Quando si rivolge agli altri si rende conto che da questo momento in poi non li percepisce più personalmente. Potrebbero essercene lì anche degli altri. Il quarto uomo esprime rabbia e desidera andarsene. Improvvisamente si avverte tensione nell'aria. Le viene da dire la frase: "Se qui c'è qualcuno che se ne va, quella sono io!" Mentre prima si era sentita vittima della sua incapacità di portare avanti un rapporto, ora viene a galla la rabbia che prova verso gli uomini. Allora le propongo di dire all'ottavo uomo, il compagno attuale: "Tu sarai il prossimo." Lei mi conferma che la frase le suona giusta. Le metto accanto la madre, a cui si sente molto legata. Le propongo di indicare i molti uomini che le stanno davanti e di dire alla madre: "Guarda, li ho fatti fuori tutti per te." Lo dice e sente che è vero. Quella che appare qui è una rabbia antica, una rabbia tramandata per molte generazioni. Le sue cause non possono essere trovate nella vita della cliente; già la madre nutriva questa rabbia, e prima ancora di lei sua madre. Viene dai tempi in cui le donne vivevano in uno stato di sottomissione e subivano gravi maltrattamenti. Il dolore e la violenza vissuti durante la guerra hanno contribuito a rendere questa rabbia ancora più forte. Così, nelle rappresentazioni familiari, continuano a comparire donne inasprite da antiche sofferenze, che hanno represso così tanto dolore da essere diventate "cattive". La presenza di questa cattiveria è reale e la si può percepire fisicamente. La donna manifesta la sua rabbia principalmente in seno alla famiglia, spesso non ne ha coscienza e ha l'impressione che si tratti semplicemente di una reazione. Basta un niente perché la tiri fuori, addossandone all'altro la colpa. Non tutte le aggressioni nell'ambito della coppia hanno come obiettivo l'annientamento o l'umiliazione dell'avversario, cioè del partner. Spesso il loro scopo è totalmente diverso. Lo vediamo nel caso di una cliente, messo in scena dalla sua terapeuta durante una seduta di supervisione. La donna soffre da 15 anni di una grave malattia. Oltre che con le medicine che le passa la mutua, si cura con farmaci alternativi pagati dal marito. Ora c'è una nuova cura alternativa molto costosa, ma il marito si rifiuta di contribuire al suo pagamento e decide di utilizzare ciò che gli resta di una vecchia eredità per fare un viaggio in Cina. Nella rappresentazione suo marito le sta di fronte, molto lontano, e tiene la mano chiusa a pugno. Da lui viene la frase: "Se non tengo fermo questo braccio ti uccido." Ha una furia omicida nei confronti della moglie. In un

primo momento questa dichiarazione lascia la moglie indifferente. Le frasi che questa accetta come vere sono: "Sono superiore a te e alla tua rabbia." "Non ti rispetto e per questo provo rabbia." "Per 15 anni ho solo preteso da te." La soluzione giunge quando il marito le dice: "Adesso basta." La moglie gli sorride e dice: "Finalmente!" Il marito riconosce il suo contributo a questa escalation: "Non mi sono comportato in modo da poter essere rispettato." Lei risponde: "Ti provoco perché voglio che fra noi ci sia rispetto." Adesso possono riavvicinarsi, si sorridono, e lui dice ancora espressamente: "In Cina ci vado comunque!" Questa rappresentazione mostra in modo esemplare un modello frequente nei rapporti di coppia. Le donne provocano l'uomo per far venir fuori la sua rabbia. Molti uomini hanno difficoltà a mostrare la loro rabbia in modo adeguato nel rapporto di coppia, e così la tengono a freno. Quando un uomo non si arrabbia mai, nasconde alla propria compagna una parte essenziale della sua forza. Le donne si arrabbiano se l'uomo non mostra loro la sua rabbia. Per la donna il bisogno di vedere questa rabbia è enorme — non come violenza, bensì come forza. Il rischio per la donna sta nella possibilità che l'uomo non riesca a controllare la sua furia. Se l'uomo esprime la sua rabbia senza violenza, la donna in molti casi si sente sollevata e rilassata. "Finalmente", dice con gioia la moglie nella rappresentazione sopra descritta, perché suo marito non si lascia più maltrattare, ma traccia un confine chiaro - in modo controllato. (Lei non avrebbe detto "finalmente" se la rabbia del marito si fosse tramutata in violenza nei suoi confronti.) Come scrive Goleman, gli uomini tendono più spesso delle donne ad essere "sopraffatti " da un sentimento intenso come la rabbia. Chi è sopraffatto perde il controllo, non riesce più a organizzare i suoi pensieri e ricorre a reazioni primitive. Questo si vede a livello fisico quando il ritmo cardiaco aumenta rapidamente di dieci, venti o persino di trenta battiti al minuto. Nei rapporti di coppia, gli uomini tendono a lasciarsi sopraffare più facilmente dalla rabbia di quanto non facciano le donne. Studi scientifici rivelano che durante le liti matrimoniali il ritmo cardiaco del marito aumenta molto di più di quello della moglie. Le liti, dunque, hanno un impatto più forte sul primo che sulla seconda. Solo se l'uomo mette in atto i suoi meccanismi di difesa, chiudendosi, il ritmo del suo cuore rallenta. Questi meccanismi fanno sì che la rabbia non si manifesti in modo incontrollato, innanzitutto nell'uomo, ma anche nella donna.

Il dilemma tuttavia rimane, perché nello stesso momento in cui l'uomo si tranquillizza, il cuore della donna comincia a battere improvvisamente più forte - adesso è lei ad essere più colpita, dato che è lei ora ad essere sopraffatta dalla rabbia. L'aggressività tra uomini e quella tra uomini e donne hanno spesso una direzione e un obiettivo diversi. (Finora l'aggressività fra donne non ha avuto un ruolo di primo piano nelle mie rappresentazioni, per cui la tralascio). L'aggressività fra uomini è più che altro unidimensionale. Una ragazza mette in scena la sua famiglia. Il padre le ha rivelato di aver ucciso un uomo in Africa. Lei è l'unica a saperlo, e questa confidenza le pesa molto. Rappresentiamo i due uomini e la figlia. Il padre ha paura dell'altro, mentre questi cerca lo scontro e si sente superiore. La sua frase è: "Sono più forte di te." Propongo al padre questa frase: "Ma io ti ho ucciso ed ero più forte." Il padre aggiunge: "...ed ero più veloce." L'avversario non riesce ad accettare il fatto della sua morte, continua a sentirsi più forte. La tensione permane. La soluzione arriva quando li faccio inchinare contemporaneamente l'uno all'altro. Questo porta finalmente distensione e rispetto fra i due uomini. (Per la figlia è anche importante che suo padre riconosca che non è stato giusto confidare solo a lei il suo segreto quando era bambina). L'aggressività tra uomini è una forma rituale che serve a stabilire chi è il più forte. Nei combattimenti fra uomini esiste pertanto una solidarietà sotterranea. Il conflitto viene inteso più in senso sportivo che personale. L'inchino fatto contemporaneamente, come si usa nelle arti marziali asiatiche prima del combattimento, è il modo migliore per esprimere questa comunanza. Un inchino di questo tipo scioglie le tensioni anche nelle rappresentazioni. Nelle competizioni sportive anche la conclusione segue un suo rituale. Lo sconfitto in una gara di lotta, mentre viene tenuto a terra, batte tre volte la mano sul tappeto, e la gara si conclude. Ma quando è chiaro che la lotta è all'ultimo sangue, allora la morte viene messa nel conto e viene accettata senza rancore. Nelle rappresentazioni, mi è capitato più volte di constatare che fra soldati nemici non c'erano risentimenti, malgrado si fossero ammazzati fra di loro. Un inchino sarebbe giusto e adeguato prima di una contesa fra un uomo ed una donna? Quando, dopo una rappresentazione come quella di cui sopra, mia moglie ed io ci poniamo questa domanda, ci diamo sempre la stessa risposta: "No". E quale sarebbe una conclusione adeguata? Battere per terra tre volte con la mano? La conclusione "adeguata" in una contesa "autentica", nel caso

vinca l'uomo, è che i due facciano l'amore. Qui il presupposto è che entrambi, uomo e donna, siano d'accordo a misurare le proprie forze. A scanso di equivoci, non voglio dire che l'uomo debba imporsi alla donna. Non sto dicendo che la deve violentare! Se invece è la donna a risultare vincitrice, la conclusione, in genere, è che manda via l'uomo con disprezzo. Mia moglie mi racconta che, ogni qual volta in una contesa - emotiva o intellettuale - è riuscita a battere un uomo, dopo l'iniziale sensazione di trionfo, ha sempre sentito nascere in sé un leggero senso di disprezzo per lo sconfitto: l'uomo per lei non era più veramente uomo. Queste immagini arcaiche sono evidenti nel ciclo nibelungico. L'invincibile Brunilde viene vinta da Sigfrido, che resta in incognito. Re Gunther si fa passare per il suo vincitore e la sposa. Durante la prima notte di nozze lei lo impicca al telaio della finestra. Brunilde può concedersi a Sigfrido, che è più forte di lei, ma non a Gunther, che è più debole. Per lui c'è solo disprezzo. A livello arcaico, a che cosa serve che uomo e donna misurino le proprie forze? La cosa ha senso in quanto parte della fase di corteggiamento. L'uomo può essere accettato come partner solo se mostra di essere più forte, in quanto deve dar prova di poter offrire sicurezza e protezione. Solo allora la donna gli si può concedere. Il rispetto deriva da un confronto che richiede fatica. In questo l'uomo non differisce dalla donna: anche a lui piace essere sfidato. Se la donna gli rende le cose troppo facili, lui non ha la possibilità di guadagnarsi il rispetto, e fra loro non nasce alcun legame. L'uomo vuole che la donna lo sfidi, perché solo vincendo la sua sfida può conquistarla. Per questo motivo, nel confronto fra uomo e donna i concetti di vittoria e sconfitta sono inadeguati. Infatti se in palio è la loro unione, non ci sono né vincitori né vinti, neppure in ambito sessuale: chi è il vincitore e chi il perdente? L'uomo? La donna? Vittoria e sconfitta non sono adatti per descrivere quanto avviene. Che cosa succede dopo la fase del corteggiamento, una volta che i due hanno deciso di unirsi? Bert Hellinger lo descrive così: "La donna segue l'uomo, e l'uomo si mette al suo servizio." Che cosa significa? Che cosa c'è dietro questa affermazione? Nelle rappresentazioni si vede che il primo posto compete a chi si occupa della sicurezza. Nella cultura da cui proveniamo era l'uomo che provvedeva alla sicurezza. In passato, dunque, la situazione era questa: l'uomo si occupava della sopravvivenza, cioè era suo compito proteggere la moglie e i figli (la "nidiata", in senso biologico). Da un lato lo faceva come

combattente, respingendo le minacce. Per questo è così importante che l'uomo sia dotato della forza e del vigore necessari. Ancor oggi gli uomini sentono di dover svolgere questo ruolo, pur non essendone consapevoli nella vita di ogni giorno. Un mio amico che lavora in un centro antiviolenza mi ha raccontato l'episodio di una rapina, durante la quale una coppia, mentre si trovava in macchina, venne minacciata da un delinquente armato di coltello. Il trauma maggiore per il marito fu di non aver potuto adempiere alle sue funzioni protettive. Va in questa stessa direzione ciò che riferiscono i sopravvissuti ai campi di concentramento: la cosa più degradante per gli uomini ebrei è stata di essere umiliati davanti alle loro mogli e ai loro figli e di non aver potuto svolgere il proprio ruolo di protettori. Oltre che alla rimozione delle minacce, l'uomo provvede al sostentamento della famiglia. Tocca a lui rendere il "nido" il più confortevole possibile, lui rappresenta il collegamento con il mondo esterno. Grazie a questa funzione, fa da guida nel mondo esterno e per questo la donna lo segue. Per il periodo della gravidanza e quello dei primi anni di vita dei bambini, il compito di nutrire e sostenere tocca alla donna. L'uomo costruisce il nido in cui possano crescere i figli. La donna mette al mondo i figli, li allatta e provvede a loro. Questo è infatti il principio femminile a cui l'uomo presta il suo servizio. Nella gerarchia fra uomo e donna, quindi, lo sguardo è sempre rivolto al terzo, cioè al figlio. Uomo e donna servono questo terzo nel miglior modo possibile. La gerarchia corrisponde alla funzione e non contiene nessuna valutazione. Gli esempi tratti da due rappresentazioni ci chiariscono questo concetto: La nonna è morta di parto. Le nipoti hanno paura di avere figli. La sua morte è stata un evento tragico per la famiglia, con effetti che si sono estesi alle generazioni future. Il nonno, suo marito, si sente colpevole per la sua morte, poiché l'ha messa incinta. Nella rappresentazione, sua moglie gli sta di fronte e gli dice: "In quanto donna, so che partorire è un rischio, e tocca a me correrlo. Tu sei solo il marito." Ora l'uomo può rilassarsi. Il suo senso di colpa si dissolve. Al momento del parto le donne rischiano la loro vita. Prima che la medicina avesse compiuto i progressi attuali, più di un terzo delle partorienti morivano durante il parto. Esiste per l'uomo un rischio paragonabile almeno in parte a questo? Il padre della cliente era morto in un campo di concentramento in Belgio, dopo aver combattuto in guerra. Nella rappresentazione sua moglie, la

madre della cliente, era piena di sensi di colpa per non aver combattuto al suo fianco. Furono le seguenti frasi del marito a portare la soluzione: "Tu sei una donna e io sono un uomo. Voi donne rischiate al momento del parto e noi uomini in guerra." La donna si rilassò e i suoi sensi di colpa svanirono. In origine entrambi i sessi avevano i propri compiti e correvano i propri rischi. Le rappresentazioni riflettono sempre i princìpi arcaici che, nonostante le trasformazioni sociali, sono ancor oggi vivi dentro di noi. Negarli o ignorarli non significa sottrarsi alla loro influenza, ma solo lasciare che questa si manifesti in modo sotterraneo. Chi invece li riconosce e li rispetta, diventa un po' più consapevole, e la consapevolezza lo rende più libero. Questo mostra cosa significhi occupare il primo posto in una rappresentazione familiare. All'inizio di una rappresentazione la donna occupa talvolta il primo posto, l'uomo il secondo. Chi sta al primo posto è incaricato della sicurezza. Talvolta questo è l'ordine giusto per una famiglia e, se questo è il caso, sia il partner che i figli si sentono a loro agio. Spesso però è di grande sollievo per la donna e per i figli che sia l'uomo ad occupare il primo posto. A quel punto, egli si sente più forte e più responsabile per la famiglia. Donna e figli si rilassano e si sentono più sicuri. Oggi gli ordini arcaici, così come si riflettono nelle rappresentazioni, sembrano superati e superflui. Il numero medio di figli nel mondo occidentale continua a calare. Non ci sono più dieci o quindici figli da allevare, al massimo uno o due. Con la pillola ogni donna, in linea di principio, può disporre, per la prima volta nella storia dell'umanità, di una prevenzione sicura. La quantità enorme di energia richiesta un tempo per crescere dieci figli adesso è libera — per l'uomo in qualità di sostegno della famiglia, ma ancor più per la donna in qualità di partoriente. La cultura moderna ha sviluppato tante di quelle possibilità e alternative, che talvolta finiamo con l'illuderci che non ci siano limiti alla nostra libertà. Eppure gli antichi meccanismi di sopravvivenza si nascondono ancora nelle profondità del nostro essere. Sono loro la causa di certe situazioni d'insoddisfazione, per le quali spesso non riusciamo a trovare una spiegazione. Quando la situazione lo richiede, questi meccanismi d'improvviso si riattivano. Quando una donna resta incinta, questi meccanismi emergono in modo talvolta sorprendente per la stessa interessata. Molte cose che sembravano prima semplici e chiare, improvvisamente non lo sono più. Emerge un lato della donna, di cui lei stessa non era consapevole fino a quel momento.

L'arrivo di un bambino ha la forza di sconvolgere i progetti di vita e la carriera sia dell'uomo che della donna. Basta dare un'occhiata alle notizie serali per rendersi conto di come il "gioco" a cui si dedica la nostra società possa farsi improvvisamente "serio". In molte parti del mondo ci sono guerre, sia civili che tra nazioni. Sono intorno a noi, e potrebbero colpire la nostra società nel giro di poche settimane o mesi. Così è accaduto in questo secolo con la prima e la seconda guerra mondiale, quando milioni di uomini entrarono in guerra. Inoltre, la tecnica moderna rende in parte insensati anche i meccanismi arcaici di sopravvivenza. Infatti, in molte parti del mondo (ma non in tutte!), in caso di guerra, l'uomo non deve più partire per andare a combattere al fronte. L'ordine "antico" è stato ormai superato. Non c'è più alcun "fronte", la guerra è dappertutto. La popolazione civile viene coinvolta in spietati combattimenti (cosa che forse accadeva anche durante la Guerra dei Trent'anni). E mentre prima la ricerca di un'arma migliore da parte degli uomini rientrava nella loro preoccupazione per accrescere le capacità difensive, oggi questa ricerca è diventata assurda. L'accumulo di armi nuove e sempre più micidiali accresce solo il pericolo e il senso d'insicurezza. Così oggi il vecchio ed il nuovo ordine sono in conflitto fra loro. Il vecchio funziona ancora, ma limitatamente, il nuovo non si è ancora del tutto affermato. Le rappresentazioni ci aiutano a riconoscere cosa ancora sopravvive in noi del vecchio ordine.

"PATRIA" E TERZO REICH COME EREDITA' TEDESCA

Il senso di appartenenza ha a che fare anche con la propria nazionalità e con il proprio paese d'origine. A questo proposito sorgono molte domande: esiste qualcosa di simile ad un'appartenenza collettiva? In che cosa noi tedeschi siamo simili agli altri popoli, e in che cosa ci differenziamo da loro? Quando nelle rappresentazioni cerchiamo le radici che ci collegano alla nostra famiglia, ci imbattiamo in un'altra parola: "patria". Qual è il significato di questo termine per un tedesco? È forse solo un concetto romantico ormai privo di attualità? La parola "patria" ci fa inoltre venire in mente il sangue e il suolo, l'ideologia di destra e valori conservatori che riteniamo superati.

Un gran numero di tedeschi sogna di emigrare e vivere in altri paesi. Il nuovo ideale è quello del cosmopolita, che attraversa paesi e città e in ogni posto si sente a casa. La patria diventa sempre più insignificante. Un piccolo episodio che ho vissuto a Buenos Aires ci fa però capire quanto può essere forte il legame con la propria terra natale. Un'argentina di 60 anni di origine tedesca, i cui genitori erano emigrati in Argentina ancor prima che lei nascesse, mi raccontò quanto segue: stava guardando con degli amici argentini la partita dei mondiali di calcio Germania-Argentina. Quando la Germania segnò il primo goal, non poté trattenere un urlo di entusiasmo, provocando il divertito stupore dei suoi amici. Le rappresentazioni familiari ci forniscono una nuova comprensione del significato di patria. Nelle rappresentazioni, il tema della patria assume un'importanza centrale per quei clienti che si sono dovuti allontanare dalla loro terra. Nei casi di espulsione o di emigrazione, ma anche in quelli di genitori di nazionalità diverse, si può nominare un rappresentante per il paese in questione, per esempio per la Prussia orientale, la Jugoslavia o il Brasile. La persona che rappresenta la patria ha in genere percezioni e sentimenti molto chiari. Chi rappresenta un paese prova per lo più una tranquillità e una forza spiccate. La persona di cui viene rappresentata la patria mostra sempre di essere fortemente legata ad essa. Il più delle volte, la rappresentazione della patria è fonte di grande sollievo; questo succede, per esempio, quando vengono rappresentati i tedeschi che dopo la seconda guerra mondiale dovettero fuggire dalla Slesia e dalla Prussia orientale. Il legame intenso con la propria terra d'origine, che non si scioglie semplicemente con l'allontanamento, diventa visibile. L'effetto di questa perdita è simile a quello della perdita di un componente importante della famiglia. Se la perdita viene rimossa, nella propria interiorità resta aperta una ferita che rende deboli. Questa ferita può essere guarita solo se ci si consente di sentire fino in fondo il dolore da essa provocato. Allora, nella rappresentazione, la patria trova un posto in cui viene rispettata e apprezzata. Il cliente si sente spesso debole. Suo padre ha dovuto fuggire dalla Prussia orientale, dove la famiglia risiedeva già da molte generazioni. Viene scelto un rappresentante anche per la Prussia orientale, che viene messo sullo sfondo. Il padre si sente attratto dalla patria, si volta e prova un grande dolore per la sua perdita. Le forze gli ritornano quando si inchina davanti alla patria e dice: "Tu sei il mio paese, ed occupi un grande posto nel mio cuore." Il figlio preferirebbe guardare da un'altra parte, ma su proposta del terapeuta va davanti alla Prussia orientale. Si inchina e dice:

"Ti rispetto in quanto patria di mio padre, e ti do un posto nel mio cuore." A questo punto si sente sollevato e si calma. Ci sono figli e nipoti che rifiutano la patria dei loro avi, se ne vogliono allontanare e preferiscono rivolgersi alla loro nuova patria. Così però perdono una parte importante delle loro radici e della loro forza. Una frase che ha sortito un buon effetto nelle rappresentazioni è: "Ti rispetto in quanto patria dei miei genitori e ti do un posto nel mio cuore." In tal modo il figlio riconosce le proprie radici e ne ricava forza. Un'ulteriore prospettiva sul tema dell'espulsione e della fuga ci viene fornita da una rappresentazione condotta con un ebreo tedesco da Bert Hellinger a Francoforte nel febbraio del 1998. All'inizio del Terzo Reich i genitori avevano fatto in tempo a fuggire nella Palestina di allora, dove il figlio nacque e visse fino all'undicesimo anno d'età. Nel frattempo era tornato a vivere in Germania e si sentiva ormai tedesco. Nella rappresentazione si scelsero e si misero in scena i rappresentanti della Germania e di Israele. Israele non si sentiva preso in considerazione, né rispettato. Per genitori e figlio un passo importante verso la soluzione fu che Israele venisse in primo piano e fosse rispettato. Tuttavia, il figlio ebreo si sentiva a disagio accanto ai genitori. Sembrava che mancasse ancora qualcosa. Continuava a sentirsi senza patria. Hellinger scelse spontaneamente una famiglia presente come rappresentante dei palestinesi scacciati da Israele, e la sistemò di fronte ad Israele. Il cliente si sentiva attratto dai profughi. Quando andò a mettersi accanto a loro si rilassò. Il suo posto era lì, accanto a loro. L'espulsione è sempre un'ingiustizia ai danni di chi viene cacciato. I nuovi arrivati, che prendono possesso del paese, traggono vantaggio da questa ingiustizia. Nei loro figli e nipoti nasce il bisogno di compensazione e riconciliazione. In questa rappresentazione, il bisogno di compensazione si è espresso nel fatto che il figlio ebreo non ha potuto accettare Israele come sua patria, bensì ha assunto su di sé il sentimento delle vittime, rimaste senza patria. Che cosa lega noi tedeschi al nostro passato, e in particolare al Terzo Reich? In occasione del 10° Congresso Mondiale di Terapia Familiare, svoltosi a Düsseldorf nel 1998, Israel Charney, il precedente presidente ebreo della federazione terapeutica mondiale, iniziò il suo primo intervento dicendo: "Non perdonerò mai l'olocausto." Il pubblico subì uno shock. Da un orizzonte lontano il Terzo Reich e l'olocausto erano giunti fra le file dei partecipanti. Le rappresentazioni con i tedeschi mostrano che il Terzo Reich e la seconda guerra mondiale sono ancora fortemente presenti nel loro mondo

interiore. Questa eredità ci differenzia dalle altre nazioni. Continuamente incontriamo colpa e ingiustizia, vittime e colpevoli, e i numerosi padri e fratelli caduti in guerra. La generazione dei figli e dei nipoti è legata ad essi. Una rappresentazione, condotta insieme ad una collega qualche anno fa, ha ampliato notevolmente i miei orizzonti. Fino a quel momento trovavo che il continuo interessamento dei mass media per il Terzo Reich fosse eccessivo e fastidioso. Ero dell'idea che si dovesse smettere una buona volta di occuparsi di questo argomento e guardare piuttosto al futuro. Io stesso non ho eredità naziste tramite la mia famiglia, perché i miei genitori avevano sviluppato, grazie alla loro religione cattolica, un'avversione per l'ideologia nazista. Mio padre era stato in guerra come medico ed era riuscito a stento a sopravvivere. Un quarantenne con problemi relazionali, che esternamente sembrava più che altro un ragazzone, rappresentò la sua famiglia. Uno dei suoi nonni era stato un nazista convinto. Il nonno stava nella stanza pieno di energia, sembrava un idealista entusiasta dell'ideologia nazista. D'altro canto il nipote era affascinato dal nonno, dalla sua forza e dai suoi ideali. Per portare in primo piano la realtà delittuosa degli eventi, vennero aggiunti quattro rappresentanti per i colpevoli e le vittime. Senza aver ricevuto altre istruzioni, due dei rappresentanti sentirono di essere i colpevoli e due le vittime. Nonno e nipote li guardarono e accettarono questa realtà con riluttanza. Sembravano ancora abbagliati dalle idee e dagli ideali. In questa rappresentazione percepimmo chiaramente il fascino esercitato originariamente dall'ideologia nazista. Quest'attrazione agiva nel profondo, attraverso il nonno, anche sul nipote. Questi non riuscì ad affrontare la sua tematica in quella rappresentazione. Solo un anno dopo, in un'altra rappresentazione simile, riuscì a farlo e a superare la sua attrazione. Dopo questa rappresentazione, ebbi all'improvviso la sensazione di stare anch'io, in quanto tedesco, nella stessa barca e di dovermi confrontare con questo passato. Ora, il fatto che la stampa continui ad occuparsi di questo argomento non mi meraviglia più. Come collettività siamo ancora così fortemente legati al Terzo Reich, che questo continua a riproporsi come tema. Per me è come se nel decennio prima del 1945, attraverso l'annientamento spietato degli ebrei e di altri gruppi, un intero popolo si fosse reso colpevole. Chi più chi meno, ma quasi tutti con il loro comportamento o semplicemente con la loro presenza in quel periodo, hanno condiviso una parte di colpa e hanno contribuito in qualche modo alla tragedia dell'olocausto.

Come dimostra Bajohr in una tesi di laurea recentemente pubblicata, solo ad Amburgo tutti i beni di almeno 30.000 famiglie ebree espulse o assassinate sono stati messi all'asta. Bajohr calcola che ci siano stati almeno 100.000 acquirenti e ritiene che in tutto il paese ce ne debbano essere stati milioni. Questo significa che milioni di tedeschi hanno guadagnato direttamente dall'espulsione e dall'uccisione degli ebrei. Mi sembra che i figli e i nipoti di questa generazione stiano reagendo in tre modi diversi: Accettano i genitori e i loro sensi di colpa, sorti dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale e il crollo del Terzo Reich. Si sentono colpevoli come i genitori e continuano a fare propri i loro sensi di colpa. Per esempio, si sentono a disagio all'estero, e sono contenti di essere scambiati per francesi o americani. Questo si vede in modo assolutamente chiaro quando un tedesco incontra un ebreo. Il primo prova un lieve imbarazzo e una certa insicurezza, continua a provare gli stessi sensi di colpa e di vergogna dei genitori. Oppure figli e nipoti non vogliono accettare i genitori colpevoli e gli rimproverano le loro colpe. In tal modo, però, restano in parte privi di forza e di radici; infatti chi rifiuta i propri genitori e si trasforma in loro giudice, si chiude all'energia che i genitori trasmettono al figlio. La terza possibilità è che indossino stivali da cavallerizzo, si taglino i capelli a zero e calpestino gli immigrati e le altre minoranze. In questo modo accettano i padri com'erano prima della caduta del Terzo Reich; diventano uguali a loro nelle azioni e nelle loro colpe, ma anche nella forza. In un articolo di fondo sullo Zeit, Robert Leicht propone la prima alternativa a questo dilemma: Ma come si può pensare che in Germania possa verificarsi l'integrazione fra passato e presente, anche in base al principio della responsabilità, se tutti i testimoni dell'olocausto, vittime e colpevoli, e persino i loro figli, non vogliono condividere il loro passato comune? Il paragone con il diritto di successione ci aiuta a comprendere. Si può entrare in possesso dell'eredità dei propri padri solo "in toto", cioè solo accettandone sia i cespiti in attivo che quelli in passivo. Chi non vuole rispondere delle colpe dei propri padri, deve rinunciare alla loro eredità. Ma chi lascia un'eredità senza padrone, agisce in modo irresponsabile. Voler essere privi di storia significa voler essere privi di responsabilità. Ma allora anche i nipoti sono eredi di quelle colpe, al punto che un giovane nato nel 1970 debba vergognarsi di fronte ad un giovane ebreo della sua età?

Qui Leicht ha fatto confusione fra il concetto di "colpa" e quello di "debito". Fra questi concetti si fa distinzione anche nel diritto di successione: chi riceve un'eredità deve rilevare anche i debiti - ma non le colpe. Queste rimangono personali. Infatti il figlio non va in prigione, in quanto erede del padre condannato prima di morire ma, se accetta l'eredità, risponde del danno patrimoniale cagionato da questi. Questo significa: noi tedeschi, come discendenti, rispondiamo dei danni provocati dai nostri padri e dai nostri nonni. In caso contrario, continueremmo a trarre vantaggio dalle ingiustizie perpetrate nel Terzo Reich. Per esempio, se durante il Terzo Reich il nonno fece un "buon affare", acquistando l'azienda del suo vicino ebreo per un quarto del suo valore, come erede dell'azienda, il nipote resta legato al torto perpetrato dal nonno. Una rappresentazione di Bert Hellinger (vedi Der Abschied) ci fa vedere quali effetti intensi un'ingiustizia possa avere: Il padre della cliente era stato un nazista convinto e, durante la guerra, si era appropriato del negozio di un ebreo a Praga. La donna soffriva di grandi paure, un fratello era diventato schizofrenico e si era tolto la vita. Nella rappresentazione Hellinger mise in scena anche il negoziante ebreo. Negoziante ebreo: "Riesco a guardare solo in un punto. Nella testa continua a martellarmi: 'Oddìo, oddìo, oddìo!' Mi vengono i brividi, e non so cosa fare. Dentro di me c'è il panico e sto fermo come una statua di sale. Provo un po' di sollievo quando il padre parla alla donna." Hellinger (al padre della donna): "Provo a metterti di fronte a lui." Hellinger (al negoziante ebreo): "Come va adesso?" Negoziante ebreo: "Ho semplicemente paura. Qualcosa mi opprime alle spalle e mi manca la voce. Mi sento minacciato." Hellinger (al padre della donna): "E per te?" Padre: "Sono abbastanza tranquillo, non ho antipatie o attrazioni particolari." Hellinger (al negoziante ebreo): "Che cosa c'è?" Negoziante ebreo: "Mi sento completamente bloccato. Lo vedo molto più grande di quanto sia in realtà." Solo quando il padre segue il negoziante ebreo, che ha accettato il fatto di essere morto, la tensione si allenta. Che cosa producono le rappresentazioni? Si entra in un nuovo livello di rapporto, in cui genitori e figli possono rimanere legati senza che gli ultimi prendano su di sé le colpe dei primi. Le rappresentazioni consentono al soggetto di raggiungere questo livello. Il figlio rispetta il padre o la madre che gli hanno dato la vita e lascia a loro la responsabilità per l'infamia

commessa. Così il figlio resta legato alle sue radici, senza finire irretito in una colpa non sua. A questo proposito ecco la domanda rivolta da una partecipante a Bert Hellinger: "Capisco che è importante ritornare alle proprie radici. Ma cosa succede quando ci si vergogna delle proprie radici e dei propri antenati? I miei nonni erano nazisti, e io mi vergogno quando penso a loro. Pertanto evito di andare fino alle mie radici." Hellinger risponde: "Chi si vergogna in questo modo cerca di sfuggire al destino comune. Ma così non va. Questo senso di vergogna proviene da un atteggiamento presuntuoso, che non è diverso da quello che avevano i nazisti quando si sentivano superiori agli ebrei e agli altri popoli. La vergogna però crea un legame con i colpevoli invece che con le vittime. Alle vittime ci legano il dolore e il rispetto, che sono il contrario della vergogna, e rappresentano sentimenti adeguati nei loro confronti.. . Non possiamo semplicemente metterci al di sopra dei colpevoli e pensare di essere migliori di loro. Ad un livello profondo, dobbiamo riconoscere che siamo legati ad essi e che, quando moriremo, fra noi non ci sarà nessuna differenza. L'immagine che continua a comparirmi quando penso ai giovani tedeschi e ai giovani ebrei di oggi è la seguente: in famiglia c'è stato un terribile omicidio — un figlio ha ucciso suo fratello. I figli dell'assassino e quelli della vittima si incontrano. Come possono rapportarsi fra loro? Quali sono le loro radici comuni? Nelle rappresentazioni ci confrontiamo con gli avvenimenti del Terzo Reich su un piano personale. Infatti le persone che vi prendono parte sono i diretti interessati, discendenti di colpevoli e vittime. Nella rappresentazione si ha a che fare con il dolore e le colpe personali. Allo stesso tempo, il Terzo Reich ha un aspetto collettivo estremamente importante. A me sembra che il nazismo e le sue idee siano stati come un'immensa onda collettiva, apparsa imprevedibilmente, e di grandezza e intensità tali da trascinare con sé molti individui, proprio come a volte delle ondate gigantesche vengono scatenate da maremoti invisibili e di punto in bianco infuriano sul mare con forza distruttrice. Se siamo onesti, dobbiamo ammettere di non capirne la causa. Non possiamo capirla, perché è al di là dei nostri orizzonti. Adesso l'onda è passata, e abbiamo, a quanto pare, un terreno migliore e più stabile sotto i piedi. Ma nel profondo rimane la spaventosa domanda: che cosa accadrebbe, se ritornasse un'onda come quella? Combattiamo il nostro senso di insicurezza analizzando, "individualizzando" e agendo. In fin dei conti siamo impotenti, restiamo attoniti davanti all'orrore di quel periodo.

Talvolta nelle rappresentazioni mi è capitato di mettere in scena "la vita". L'unico modo adatto per incontrare la vita è un profondo inchino pieno di rispetto, perché la vita è più grande di noi. Anche questi eventi sono più grandi di noi - e sono parte della vita.

SIMILARITÀ E DIFFERENZE NAZIONALI

Il lavoro con le rappresentazioni familiari ha avuto origine venti anni fa nei paesi di lingua tedesca. Una delle prime domande che ci si pose fu questa: Bert Hellinger ha scoperto delle dinamiche tipicamente tedesche, oppure dinamiche valide anche per le altre culture? A questa domanda hanno risposto nel frattempo i terapeuti che hanno portato le rappresentazioni familiari in tutto il mondo. Io stesso ho fatto con esse diverse esperienze in vari paesi — in Svizzera, Spagna, Italia, Argentina, India — e ho condotto gruppi con partecipanti provenienti dal Giappone e da Taiwan. Attualmente Bert Hellinger, dopo aver posto le basi del lavoro in Germania, sta portando le rappresentazioni familiari in tutto il mondo. Allora, quali sono le differenze e i punti in comune? Per rispondere posso solo fare riferimento a dei dati sperimentali, che non hanno nessuna pretesa di valore statistico, ma sono comunque indicativi poiché gettano una nuova luce su famiglia e nazione. C'è molto in comune fra i paesi le cui ultime due generazioni hanno fatto la guerra. Il risultato della guerra è la morte di molti giovani soldati. I genitori perdono i loro figli, le sorelle i fratelli, vengono al mondo bambini che non conosceranno mai i loro padri, perché al momento della nascita questi erano già morti. Così nelle rappresentazioni tedesche si vede quanto è stata dolorosa per le sorelle la perdita dei fratelli. Spesso nasce in loro un'indignazione verso la morte. I loro figli la sentono, l'assorbono e sviluppano a loro volta la stessa tendenza. Ma lo stesso dolore ha colpito e continua a colpire anche altre nazioni. La morte però ha effetti di diversa intensità. Esistono tipi di morte che vengono vissuti collettivamente in modo particolarmente traumatico. La conseguenza è che la società tende a rimuovere il più possibile questi morti — e pertanto essi, a livello profondo, assumono in seno alla famiglia un ruolo ancora più importante. Di solito i seminari sulle rappresentazioni suscitano un leggero brivido quando fanno riferimento a questi tipi di morte.

In Germania si tratta delle persone morte nei lager. In Giappone di quelle uccise dalla bomba atomica a Hiroshima e Nagasaki. Una perdita è particolarmente grave quando la morte non è certa. È per esempio il caso dei mariti e dei fratelli rapiti e scomparsi in Argentina, i cosiddetti desaparecidos. Ancora oggi, dopo tanti anni, i loro parenti si riuniscono e manifestano regolarmente a Buenos Aires. La seguente rappresentazione tedesca ha contribuito a farmi capire com'è difficile il rapporto con gli scomparsi. Il cliente soffre di grandi sensi di colpa. Suo padre ha un fratello disperso in guerra. Alla fine degli anni '50, a quindici anni dalla sua scomparsa, il padre lo ha fatto dichiarare morto, affinché potesse essere sistemata l'eredità familiare. Nella rappresentazione appare che il padre si sente segretamente colpevole, quasi come se fosse stato lui, con la richiesta del certificato di morte, ad uccidere il fratello caduto in guerra. Se osservo le altre nazioni europee, vedo che i loro legami, anche quelli familiari, sono più forti che in Germania. Le radici sembrano più integre. L'unico paese, i cui abitanti sembrano aver ancor meno radici dei tedeschi, sono gli Stati Uniti. Il segno distintivo degli americani è il cambiamento costante - professionale, privato e di residenza. Lo scrittore americano Norman Mailer ritiene che si tratti di un fenomeno che "in America si manifesta in modo particolarmente estremo: lo sradicamento individuale. Sono pochissimi gli americani in grado di ritrovare la casa in cui sono nati. Per questo in America la paura è più grande che altrove - anche se naturalmente non lo si può dimostrare. Penso che l'americano medio abbia più paura del francese, del tedesco o dell'inglese medio, nonostante anche questi paesi abbiano grossi problemi e abbiano sicuramente sofferto più degli Stati Uniti." Da dove deriva questo? Quando questa terra fu conquistata, gli abitanti originari, gli Indiani uomini essi stessi senza radici in quanto nomadi - furono quasi totalmente annientati e cacciati. Innumerevoli negri sono stati usati come schiavi per coltivare la terra e acquisire ricchezza. Così si insinua il sospetto che qui agisca un meccanismo simile a quello della Germania: le colpe degli antenati ancora gravano sui discendenti. La rappresentazione seguente, condotta da Bert Hellinger nel 1998 negli Stati Uniti, mette in luce le dimensioni inaspettate del legame con le azioni degli avi. Il cliente è un americano di 44 anni, che si sente privo di energia, non trova pace e non si sente a casa da nessuna parte. Suo padre si era tolto la vita 15 anni prima.

Nella rappresentazione lui e i suoi cinque fratelli si sentono isolati e privi di legami. Dalle risposte alle domande di Hellinger risulta che nella metà del secolo scorso un trisavolo del cliente aveva costruito la linea ferroviaria da Toronto a Boston, guadagnando molto denaro. Il cliente riferisce un incubo ricorrente, in cui viaggia su un vagone ferroviario fino alla vetta di una montagna. Poi i binari finiscono, e il vagone precipita verso il basso dall'altro versante della montagna. A tal punto Hellinger mette in scena quattro rappresentanti per gli uomini morti durante la costruzione della ferrovia; uno di questi si lascia cadere a terra e si sente completamente esaurito e privo di energia. Il cliente si sente molto legato a quest'uomo, piange, lo abbraccia e poi resta in ginocchio davanti a lui. La vittima si sente rispettata e riconciliata. Questa rappresentazione mostra i danni provocati da chi si arricchisce macchiandosi di qualche colpa. Questa colpa si riversa anche su figli, nipoti e pronipoti, che sono costretti ad espiarla. Se si pensa a quanta ricchezza è stata ottenuta negli Stati Uniti sfruttando gli altri, e a quanta gli stati europei ne hanno spremuta dalle colonie, si comprende quale enorme peso gravi sui discendenti! Le conseguenze di quelli che chiamiamo "imperialismo" e "capitalismo" possono spiegare una gran parte dell'altrimenti inspiegabile violenza che caratterizza il nostro tempo. Osservando i conflitti bellici che attualmente si stanno svolgendo in tutto il mondo, con i loro innumerevoli morti, possiamo solo intuire la dimensione delle tragedie che colpiranno le generazioni future. La mia collega Sneh Victoria Schnabel è stata invitata negli Stati Uniti per condurre per la prima volta delle rappresentazioni familiari con gli Indiani. Mi ha descritto crudamente il clima di tragedia e di sventura, che ancora si percepiva nelle famiglie indiane di quinta o sesta generazione. L'atmosfera era paragonabile a quella delle rappresentazioni imperniate sullo sterminio degli ebrei durante il Terzo Reich. Le rappresentazioni erano accompagnate da commozione e dolore profondi. Solo dopo che venivano rappresentate le generazioni precedenti all'incontro fatale con i bianchi, le famiglie potevano recuperare in parte le loro forze. Alla fine del seminario di due giorni, un partecipante indiano andò da lei, per riferirle della ricerca da lui effettuata su ogni possibile tipo di terapia occidentale, e della sua delusione alla constatazione che nessuna di queste sembrava funzionare per il suo popolo. Ora, per la prima volta, aveva la sensazione di aver trovato qualcosa di adeguato e proficuo. Esistono delle isole in questo mare d'irretimento? Che cosa mostrano le rappresentazioni fatte nei paesi risparmiati dalla guerra e che non hanno

condotto campagne di sterminio? Desidero raccontare le impressioni ricavate da un seminario di sei giorni con partecipanti svizzeri. I primi due giorni sono trascorsi piuttosto tranquillamente - mentre nelle rappresentazioni tedesche di solito questo non succede. Lì appaiono i morti della seconda guerra mondiale, i padri, i fratelli e i figli caduti in guerra. Sembrava che le condizioni felici delle famiglie svizzere fossero state preservate da quelle tragedie. Nel seminario, la carica emotiva era piuttosto bassa. Solo il terzo giorno è esploso tutto ciò che era stato rimosso all'interno delle famiglie borghesi. In una rappresentazione, per esempio, è stato messo in scena l'adulterio commesso da un pastore con quella che sarebbe diventata la suocera del figlio, e lo scambio di un bambino avvenuto nella sua famiglia. In diverse famiglie sono emersi episodi di molestia sessuale. Molte avevano almeno una "pecora nera" che aveva preso su di sé il carico negativo della famiglia. Nei partecipanti il controllo delle emozioni era relativamente alto e veniva mantenuto con un grande dispendio di energie, ma quando veniva meno, il materiale represso emergeva in modo drammatico e incontrollato: Le rappresentazioni con le culture a noi estranee costituiscono un'attrattiva speciale per chi ama la ricerca. Per esempio, quali sono le differenze o le similarità fra le rappresentazioni eseguite con i Giapponesi o i Cinesi di Taiwan e le nostre? Quelle rappresentazioni si sono rivelate per lo più molto simili fra loro, più di quanto non succeda con quelle tedesche. Padre e madre stavano ogni volta a grande distanza e si davano le spalle. Quando si voltavano e si guardavano si sentivano degli estranei. Nessuno sembrava aver scelto il proprio partner per amore, spesso i matrimoni erano stati organizzati. Risultato: delusione e frustrazione di entrambi, da cui nel migliore dei casi risultava una specie di cameratismo nell'infelicità. Una frase che dava sollievo (!) era: "Tu mi rendi infelice, io ti rendo infelice, siamo nella stessa barca." Le donne soprattutto non erano in grado in un primo momento di assumersi la responsabilità del loro matrimonio. Si sentivano vittime. Solo con la madre alle spalle, che potevano sempre accettare senza problemi (al contrario delle figlie nelle rappresentazioni tedesche), arrivava la forza necessaria per diventare adulte. Allo stesso tempo, c'era sempre qualcuno che svolgeva il ruolo d'amante surrogato per i genitori frustrati. Quasi sempre erano visibili le tendenze erotiche della madre nei confronti di un figlio prediletto o quelle del padre nei confronti di una figlia prediletta. Nelle rappresentazioni tedesche avviene che a volte un figlio assuma il ruolo dell'altro genitore, cosa che

favorisce il rischio d'incesto. Nel caso di forti sentimenti erotici tra un genitore e un figlio risulta spesso che il figlio rappresenta un partner precedente, un primo grande amore o un fidanzato. Una ragazza giapponese fa la rappresentazione della sua famiglia. Alla fine della rappresentazione sembra essersi raggiunto un buon ordine. I genitori, dopo aver chiarito i loro conflitti, stanno l'uno accanto all'altra di fronte ai figli. Tuttavia persiste la tensione erotica tra il padre e la figlia minore. Nessuna delle frasi che di solito sono di aiuto in situazioni di questo tipo ("Io sono solo tuo padre, niente di più." "Io sono solo tua figlia, niente di più,") si rivela utile. Avrei potuto giurare che si trattava di un primo amore del padre, ma alle mie domande la figlia risponde che quella è stata la prima relazione sia per il padre che per la madre. Alla fine decido di rischiare e metto in scena una rappresentante di questo possibile primo amore. L'uomo resta sorpreso quando vede la donna, poi la guarda teneramente. Si ascolta con attenzione e poi dice: "È mia madre." L'intenso legame erotico di questi figli con i loro genitori impedisce loro di realizzare un rapporto di coppia soddisfacente. Così ne cercano un surrogato in uno dei loro figli e questo modello viene tramandato di generazione in generazione. Ma anche gli altri figli di una famiglia di questo tipo - per fedeltà all'infelicità dei genitori -difficilmente riescono a costruire un rapporto soddisfacente. Ho trovato affascinante una rappresentazione con una cinese di Taiwan, in cui è emerso il suo rapporto con una sorella morta precocemente. Questa continuava a far parte della famiglia sotto ogni rispetto. Persino la tavola veniva sempre apparecchiata anche per lei. Ciononostante, all'inizio della rappresentazione, la cliente la percepì come pericolosa e minacciosa, ne aveva paura - molto più di quanto non avvenga in rappresentazioni tedesche paragonabili a questa. Chi sa, per averlo osservato nelle rappresentazioni delle famiglie tedesche, con quanta intensità agisce una morte precoce, potrebbe essere portato a pensare che nelle culture dedite al culto dei morti le cose vadano diversamente. Questa rappresentazione prova il contrario. Anche nelle culture che hanno un rispetto maggiore del nostro per la morte, questa sembra esercitare una profonda attrazione su coloro che rimangono. Il fatto di essere sopravvissuti genera un profondo senso di colpa, che non viene eliminato neppure dai rituali, anzi anche l'idealizzazione del morto è un modo di non considerare il problema e di rifiutarlo. Per la nostra cultura le rappresentazioni sono qualcosa di nuovo, ma la conoscenza del "campo cosciente" esiste anche presso altri popoli. Ecco un

esempio dal Mozambico: lo psicologo Boia Efraime Junior, che ha studiato in Germania, tenta da anni di liberare dai loro incubi gli adolescenti del suo paese che sono stati costretti a diventare bambini soldato. Racconta di Mauro, che a dodici anni ha dovuto assistere all'uccisione di suo padre senza poterlo aiutare e negli anni seguenti, come bambino soldato, è stato costretto a uccidere. Dato che niente sembrava poterlo aiutare, i vicini lo hanno portato, con l'approvazione dello psicologo, da una curandeira, una guaritrice tradizionale, che ha celebrato un rituale Kufemba. Una volta in trance, la curandeira è entrata in contatto con le anime delle vittime e dei parenti del ragazzo. Dapprima Mauro ha parlato con suo padre, ha rivissuto con lui la sua morte e il dolore di non averlo potuto aiutare. Il padre ha dichiarato che Mauro non aveva nessuna colpa, dato che i soldati erano armati e più forti di lui. Ha incaricato Mauro di piantare una latifoglia nel luogo in cui avevano vissuto insieme e di usare quest'albero come altare. Là avrebbe sempre potuto parlare con lui. Poi sono apparse le anime delle vittime uccise da Mauro, alle quali questi ha chiesto perdono e ha spiegato che è stato costretto a uccidere per poter sopravvivere. Così Mauro incontra suo padre e può stabilire un contatto con la sua immagine interiore. Appaiono anche altri defunti. Le somiglianze con le rappresentazioni familiari sono stupefacenti. Quali possibilità di utilizzo hanno le rappresentazioni nel nostro mondo lacerato, in cui ogni giorno scoppiano nuovi conflitti etnici? A quanto pare, la pacificazione ha luogo solo ad un livello superficiale, i crateri individuali e nazionali continuano ad eruttare ostilità, odio e omicidi. Le rappresentazioni permettono di comprendere più profondamente i conflitti nazionali. Grazie alla rappresentazione di un conflitto politico, i fatti storici diventano visibili e sperimentabili. Ecco un esempio di Scheucher e Szyszkowitz, che hanno condotto un seminario sul conflitto bosniaco. Circa cinquanta persone, di diversa estrazione sociale, hanno preso parte a questo seminario di due ore. Due storici esperti dell'Europa sudorientale dell'università di Graz avevano preparato lo sfondo storico per la rappresentazione. Dato che il conflitto in cui era coinvolta l'ex Jugoslavia sembrava troppo complesso, l'indagine è stata limitata alla Bosnia con la domanda: quali sono le condizioni perché la pace venga ristabilita? Sono state rappresentate le seguenti parti schierate nel conflitto: serbi, croati, iugoslavi, serbi bosniaci, croati bosniaci, musulmani bosniaci, "non dichiarati" (che non si identificano in nessun gruppo etnico) e, inoltre, l'osservatore austriaco.

Il rappresentante dei serbi bosniaci si sentiva molto solo e non appoggiato. La Serbia gli stava di fronte come per metterlo alla prova, e non era disposta a sostenerlo. Nel bel mezzo della rappresentazione, è stata messa in gioco anche "la pace", per verificare quale effetto essa avrebbe sortito. La pace era molto debole ed instabile, e sembrava portare sollievo solo ai bosniaci. Per tutti gli altri essa era giunta troppo presto, perché i conflitti in atto non erano stati ancora affrontati e superati. La rappresentante della pace diventava sempre più pallida e debole. Ella sembrava distogliere l'attenzione dai contendenti e dai conflitti, e alla fine le fu chiesto di uscire di scena. Un importante passo avanti è stato fatto quando l'Austria ha dichiarato rispetto alla Serbia. Successivamente da parte serba è sorta la necessità di ottenere rispetto e stima dalla Croazia. Per tutti i presenti è stato molto commovente vedere la Croazia inchinarsi davanti alla Serbia e dire con la voce rotta dal pianto che anch'essa desiderava essere riconosciuta come rappresentante della cultura occidentale e che, a questa condizione, sarebbe stata volentieri disposta ad apprezzare la Serbia come rappresentante di una grande cultura. L'osservatore austriaco ha potuto ritirarsi soddisfatto. I non dichiarati, che prima avevano cercato il loro posto in un angolo lontano della stanza, adesso erano disposti ad avvicinarsi agli altri. L'antica Jugoslavia veniva rappresentata da un uomo su una sedia a rotelle, che verso la fine del workshop ha dovuto ritirarsi prima che la rappresentazione terminasse. Il suo allontanamento ha prodotto un notevole sollievo. Tutti hanno avuto la sensazione che - dopo un degno congedo della vecchia Jugoslavia multiculturale e multinazionale — la pacificazione appena iniziata potesse essere portata avanti. Le rappresentazioni sono un modo nuovo e insolito per capire come mai certi conflitti fra nazioni e culture sono così difficili da superare, e che cosa occorrerebbe per la loro soluzione. Proviamo ad immaginare cosa succederebbe se i politici pervenissero, con l'aiuto di una rappresentazione condotta prima delle trattative, ad una visione originale e a un'idea totalmente nuova delle cose! E cosa succederebbe se un gruppo impegnato girasse un video di una rappresentazione di questo tipo e lo trasmettesse in televisione, di modo che i cittadini direttamente interessati nel conflitto potessero vederlo? Rimango sempre sorpreso dal forte effetto emotivo che i video sulle rappresentazioni familiari condotte da Bert Hellinger hanno sugli spettatori. Per quale motivo questo effetto dovrebbe essere diverso se venissero rappresentati dei conflitti politici, in cui sono coinvolti tanti sentimenti?

A questo proposito sono significative anche le scoperte di Anne Ancelin Schützenberger, la studiosa francese che abbiamo già citato. Questa ricercatrice studia il modo in cui gli avvenimenti storici continuano ad influenzare la nostra società. Le otto crociate cristiane condotte fra il 1096 e il 1270, per esempio, sono ancora presenti nella memoria di una parte del mondo arabo che preme per un regolamento dei conti. Così, nel 1981 il musulmano Ali Agca scrisse, come motivazione al suo attentato a papa Giovanni Paolo II: "Ho deciso di uccidere papa Giovanni Paolo II - il supremo condottiero dei crociati" (Mahr). Anche noi, quindi, ci trasciniamo dietro avvenimenti storici di molto tempo fa. Ma anche a livello individuale le rappresentazioni contribuiscono alla pacificazione più profondamente di quanto non facciano tutte le altre terapie che conosco. Una terapeuta giapponese, che conduce rappresentazioni familiari con i suoi connazionali, mi ha detto che questo lavoro è una specie di scuola dei sentimenti per gli uomini giapponesi, che reprimono completamente le proprie emozioni, ma che in veste di rappresentanti trovano relativamente facile sentirle ed esprimerle. Rappresentanti di altre culture possono provare dall'interno come ci si sente ad appartenere ad una cultura straniera. In una rappresentazione da me condotta per partecipanti giapponesi, una tedesca impersonò il ruolo di una moglie giapponese. Descrisse la sua prima percezione come un gran calore che cresceva lentamente in lei. Le ci volle un bel po' di tempo per dire cautamente: "Credo che ciò che provo è rabbia." Successivamente mi raccontò anche che questo tipo di vissuto era totalmente diverso da quello da lei sperimentato nei ruoli tedeschi. Là, nella maggior parte dei casi, la rabbia si sente chiaramente dall'inizio. Nelle famiglie giapponesi invece la rabbia è un sentimento proibito, e così lo percepisce anche il rappresentante europeo. Al contrario, una rappresentante giapponese, dopo aver ricoperto il ruolo di una donna tedesca, mi ha raccontato di aver percepito la rabbia subito e in modo sorprendentemente violento. Nella rappresentazione di una famiglia indiana ho osservato che il divieto di sentire ed esprimere la rabbia all'interno della famiglia era ancora più forte, come se si trattasse di un potente tabù. D'altro canto, in un'altra rappresentazione, il rappresentante indiano ha potuto ricoprire il ruolo di un marito italiano senza problemi, e percepirne ed esprimerne chiaramente i sentimenti. Impersonare ruoli di altre culture come rappresentanti sembra un sistema per raggiungere a livello più profondo la comprensione delle caratteristiche peculiari di un popolo. Quanto più spesso si assume un ruolo di questo

genere, tanto più profondamente si giunge a conoscere la struttura emotiva di una cultura.

RAPPRESENTAZIONI FAMILIARI ED ETICA

Viviamo nell'epoca delle possibilità. A quanto pare, se una cosa è fattibile viene realizzata il giorno stesso o, al più tardi, quello successivo. Le possibilità si accavallano. Così nello Spiegel, sotto il titolo "Non ci sono più freni," si trova la seguente notizia: "Ricercatori americani, dopo aver inserito una cellula umana nella cellula uovo di una mucca, hanno estratto cellule staminali immortali dall'embrione. Gli scienziati si aspettano che da questo esperimento emerga una nuova era della medicina. Il fronte difensivo degli scettici si sgretola." I comitati etici si arrovellano, ma le conclusioni a cui pervengono hanno vita breve. Il mercato della fecondazione artificiale sta vivendo un boom. Negli Stati Uniti sono possibili costellazioni con cinque genitori: fanno parte della famiglia allargata del bambino i donatori del seme e della cellula uovo, la madre che ha dato l'utero in affitto e i genitori sociali che allevano il bambino. Esistono ancora dei confini? Se sì, quali, e chi ha l'autorità di stabilirli? Queste domande sono ancora aperte ed attendono di ricevere una risposta, alla cui individuazione le rappresentazioni familiari possono dare un importante contributo. Bert Hellinger ha condotto insieme a Hunter Beaumont una rappresentazione su questo argomento negli Stati Uniti (vedi Wie Liebe gelingt). La secondogenita del cliente era nata grazie alla fecondazione artificiale con il seme di un donatore ignoto, di cui si sa solo che era ebreo. Il matrimonio era fallito poco tempo dopo. Ecco un estratto da questa rappresentazione: Marito: "Mi sento molto triste e isolato. Sono confuso..." Moglie. "Provo ostilità per mio marito: non sento nessun legame con mia figlia..." Figlia: "Non ho sentimenti. Sento di vacillare. Quando ho saputo che il mio padre biologico è ebreo, ho sentito come una coltellata nella schiena..." Hellinger: "Devi rinunciare a tuo padre. Non puoi avere un padre. Tua madre ti ha ingannata su di lui." (La rappresentante della madre annuisce.)

Hellinger (alla madre): "Guardala." (La madre va a mettersi di fronte alla figlia.) Hellinger: "Dille: 'Ti ho ingannata riguardo a tuo padre.'" Moglie: "Ti ho ingannata riguardo a tuo padre." (Entrambe si guardano a lungo.) Hellinger (alla figlia): "Come ti senti?" Figlia: "Sono triste." Hellinger: "Dille: 'Mi riprendo la mia vita in questo modo.'" Figlia: "Mi riprendo la mia vita in questo modo. - Sì, così è giusto." (Madre e figlia si guardano e si fanno dei cenni col capo.) Hellinger (al cliente): "Esiste una gerarchia tra i sistemi. Il nuovo sistema ha la precedenza su quello vecchio. Non appena nasce un figlio da un'altra relazione, la relazione precedente finisce. È così che è avvenuto in questo caso. Quando tu e tua moglie vi siete decisi per la fecondazione artificiale tramite un altro uomo, il vostro matrimonio è finito. Era una conseguenza inevitabile." Le rappresentazioni ci mettono in contatto con le nostre istanze interiori, che non si lasciano influenzare dagli argomenti e dalle giustificazioni. Il matrimonio fallisce. Tuttavia, per la figlia è importante accettare la vita, anche a costo di essere senza padre. Anche altri temi, che sono già entrati a far parte della realtà quotidiana, possono essere osservati sotto una luce diversa grazie alle rappresentazioni. Come esempio riportiamo il caso di un trapianto di rene (da Wo Demut heilt und Ohnmacht Frieden stiftet). Ecco alcuni stralci della rappresentazione: Rosemene: "Dall'età di tre anni sono nefropatica cronica. A21 anni i miei reni erano totalmente distrutti. Mio padre allora mi ha donato un rene, però dopo quattro anni si è logorato anch'esso. Da sei anni sono in dialisi." (La cliente rappresenta se stessa e il padre. Sta direttamente dietro al padre.) (Il padre trema. Dopo un po' avanza e si sdraia a pancia in giù sul pavimento. Rosemarie barcolla, sembra che stia per cadere. Su istruzione di Bert Hellinger si sdraia a pancia in giù accanto al padre e gli dice): Rosemarie: "Quello che ho preteso era troppo..." Padre: "Ho la sensazione di non essere ancora morto abbastanza. Devo andare lontano..." (Dopo un po' di tempo) Padre: "Te l'ho dato volentieri, ma per me era troppo." Dopo la rappresentazione Hellinger dice: "Desidero dire qualcosa a proposito dei trapianti: l'anima non li sopporta. Donare un organo non è un favore."

Rosemarie: "Anch'io l'ho vissuto in questo modo. Ero contenta che si fosse rovinato pure questo..." La cosa speciale in questa rappresentazione è che sia stato il padre a donare il rene alla figlia. Per la figlia è troppo ricevere un rene dal proprio padre. Hellinger parla anche dei trapianti in generale: "Per poter andar bene, tra donatore e ricevente dovrebbero esistere una comunione, un amore e un rispetto profondi. Colui che riceve l'organo dovrebbe ottenere la benedizione del donatore. Allora forse la cosa potrebbe funzionare. Ma io non lo farei comunque. Non donerei un organo e non sarei disposto a riceverne. Questo va al di là dei limiti umani." Le sue parole si adattano bene a concludere questo capitolo sulle rappresentazioni familiari e l'etica: "Quello che ho affermato è provocatorio, e non voglio sostenere che rappresenti la verità definitiva che, comunque, non è mio compito trovare. Varrebbe la pena, tuttavia, riflettere su queste mie parole."

7 CHE VALIDITÀ HA IL LAVORO CON LE RAPPRESENTAZIONI FAMILIARI?

"Solo i cavalli da tiro assaggiano la frusta." Proverbio russo

Con il suo lavoro e le sue scoperte Bert Hellinger ha colto il segno dei tempi. Negli ultimi anni l'interesse per le rappresentazioni è cresciuto immensamente, sia da parte dei profani che degli specialisti. L'affluenza ai seminari sulle rappresentazioni familiari è enorme. Al momento sembra l'unico settore in crescita nel mercato delle psicotecniche, i terapeuti che utilizzano le rappresentazioni familiari spuntano come i funghi. Ma il lavoro con le rappresentazioni familiari costituirà un arricchimento durevole? O è solo una di quelle mode che montano in un attimo come un'onda gigantesca, ma poi, una volta raggiunta la spiaggia, si riducono a un po' di schiuma e a qualche bolla? Malgrado l'entusiasmo, sorgono domande sugli effetti concreti delle rappresentazioni, e sul valore nel tempo di questo lavoro. Oltre a ciò, non mancano certo le voci critiche. Che cosa c'è di vero in queste critiche a volte violente?

CRITICHE ED OBIEZIONI

"Su Hellinger gli animi si dividono," mi ha detto di recente uno psicologo, mentre parlavamo delle rappresentazioni familiari. Restare neutrali di fronte alla persona di Bert Hellinger sembra difficile, se non quasi impossibile. Egli ha infatti la capacità di polarizzare specialisti e profani, creando da una parte sostenitori entusiasti e dall'altra acerrimi avversari. Esistono molte ragioni per cui gli animi si dividono su Hellinger e sul suo lavoro. Cercherò di esporne qualcuna e di rifletterci sopra. È sorprendente (o forse no) che finora le obiezioni siano divampate più nei confronti della persona di

Hellinger che in quelli del metodo delle rappresentazioni, che in tutto ciò è stato quasi ignorato. Bert Hellinger, nato nel 1925, ha vissuto una vita piena e movimentata. Come missionario cristiano, lavorò in Sudafrica con gli zulù. Poi, dopo aver lasciato l'ordine, nel 1969 tornò in Germania. In Sudafrica entrò in contatto con le dinamiche di gruppo, a Vienna prese parte ad una formazione psicoanalitica, e poi si recò per nove mesi negli Stati Uniti da Janov per imparare la Primal Therapy. Avendo tenuto una conferenza su questo tipo di terapia presso l'istituto psicanalitico, fu costretto ad abbandonare la scuola poco prima che il suo corso di studi si concludesse. Si è occupato di analisi transazionale e ha scoperto, lavorando come terapeuta, che i modelli e i copioni secondo cui si vive la propria vita non sono autocreati, ma provengono dalla famiglia. Dalla combinazione di analisi transazionale, primal therapy e terapia familiare ha sviluppato il metodo delle rappresentazioni familiari. Il filo conduttore della sua vita sembra essere la ricerca della conoscenza, per raggiungere la quale si è sempre basato sulla propria facoltà di giudizio e sulla propria esperienza. Oggi si dedica ai suoi libri e ai suoi video divulgativi, diventati dei best seller grazie al passaparola. Inoltre, alcune volte all'anno, dà ancora delle dimostrazioni del suo lavoro, soprattutto con malati gravi, davanti a centinaia di spettatori. Nel frattempo questo lavoro si sta diffondendo nei paesi di lingua tedesca e Hellinger lo sta insegnando anche all'estero. Ma allora perché gli animi si dividono su di lui? Il contenuto e la forma di molte sue affermazioni e cognizioni non ammettono compromessi, sono rigorosi e talvolta estremamente aspri. Alcuni sono così scioccati da queste affermazioni, che si concentrano esclusivamente su di esse, perdendo divista il contesto in cui sono state fatte. Vediamo un esempio tratto da un'intervista con Norbert Linz: Linz: "Qual è il tuo modo di procedere nelle rappresentazioni familiari? Come lo descriveresti in essenza?" Hellinger: "Nelle rappresentazioni familiari non lascio mai che sia il cliente a condurre del tutto autonomamente il processo. Per esempio, non permetto che si cerchi da solo il posto in cui si sente a suo agio. Gli lascio fare solo cose di minore importanza. Quando una persona mette in scena la sua famiglia, la mia sensibilità e la mia esperienza mi consentono sia di vedere un'immagine della configurazione familiare, sia di comprendere come questa è stata disturbata e come potrebbe essere valorizzata. È quest'immagine che seguo quando mi metto alla ricerca di una soluzione. Quindi sono io stesso a mettere in scena le configurazioni provvisorie e poi

quella definitiva, anche se con la collaborazione del cliente. Poi verifico la configurazione in base all'effetto che produce, vedo se viene rafforzata e se occorrono ulteriori passi." Linz: "Dunque, sottoponi a verifica la tua immagine della configurazione?" Hellinger: "Faccio sempre in modo di verificarla. Non è necessario che uno creda a ciò che faccio o dico, ma non gli lascio l'iniziativa. Da solo non riuscirebbe a trovare la soluzione. Se potesse farlo non avrebbe bisogno di me. Una volta trovata la configurazione risolutiva, vi faccio entrare il cliente e gli faccio prendere la posizione tenuta dal suo rappresentante. Così prova direttamente se la soluzione è giusta per lui." Affermazioni così esplicite sul ruolo dominante del terapeuta sono in un primo momento scioccanti, in quanto sono molto insolite in ambito terapeutico. Nella maggior parte delle scuole psicoterapeutiche, l'iniziativa viene in genere lasciata al cliente, perché si ritiene che questo sia il modo migliore per coinvolgerlo. Il fatto che Hellinger testi e verifichi sempre la configurazione da lui individuata può anche passare inosservato. Ma c'è di "peggio": Linz: "Nei tuoi gruppi di terapia ci sono partecipanti che restano scioccati dal modo diretto in cui li confronti." Hellinger: "Metto i partecipanti a confronto solo con delle verità che si possono vedere." Linz: "Con le verità che vedi tu!" Hellinger: "E che lo stesso partecipante potrebbe vedere, se solo volesse. La verità è scioccante solo per chi non desidera vedere la realtà." Ecco uno che dice di sapere e di vedere! Il critico interiore presente nel lettore potrebbe mettersi a urlare: da dove gli arriva una tale sicurezza? Non si tratta semplicemente di presunzione e arroganza? Siamo abituati a relativizzare. Il fatto che qualcuno si fidi totalmente delle proprie percezioni e che lo ammetta è insolito, strano. Infatti, generalmente, siamo scettici nei confronti delle nostre percezioni, ma lo siamo ancora di più nei confronti di quelle degli altri. Ursula Nuber descrive questo fenomeno in Psychologie heute. "Da molto tempo nessuno aveva più osato presentarsi così privo di dubbi, così sicuro del proprio giudizio e indifferente alle critiche, soprattutto nell'ambiente terapeutico." Oltre a questo, c'è un ulteriore elemento che, a seconda del carattere, irrita o confonde: da un lato Hellinger sta radicalmente dalla parte della propria verità, dall'altro però non resta mai ostinatamente attaccato ad essa. Racconta nel suo libro Zweierlei Glück:

Ad uno dei miei seminari una volta partecipò una giovane donna in fiore era veramente una persona deliziosa, che provava l'impulso di dover aiutare a tutti i costi gli uomini. Era andata a vivere con un uomo che era già stato sposato e che aveva due figli. Lei aveva 23 o 24 anni, e l'uomo ne aveva circa dodici di più. Le dissi subito che doveva lasciarlo. Un paio di mesi fa ho ricevuto una sua lettera con la quale mi ha informato di essere felicemente sposata con quell'uomo. Scrive: "Avevi ragione, non era l'uomo giusto. Lo lasciai, ma dopo averlo lasciato mi resi conto di amarlo veramente. Allora sono tornata da lui e adesso sono felice." Anche se le mie affermazioni sono giuste ed i miei suggerimenti terapeutici sono validi, una volta calati nella realtà, possono avere un effetto diverso da quello aspettato. Più sconcertante di così non si può! Che cosa bisogna pensare dei consigli di un terapeuta, se per agire nel modo giusto bisogna evitare di seguirli? Noi vogliamo consigli che ci guidino, e cerchiamo verità stabili. Nessuno ama l'incertezza ed il dubbio. Nella parte successiva dell'intervista, Hellinger sembra contraddire se stesso, ma anche in questa contraddizione vi è metodo. Hellinger: "Ho imparato da molte persone, ma la maggior parte delle cose le vedo al momento. Quindi, quando mi trovo davanti ad una sfida e devo prendere posizione, mi do totalmente alla situazione e alle persone in essa coinvolte. Quando le ho tutte sott'occhio ed offro loro amore e rispetto, la soluzione mi arriva di colpo, e allora la dico. Dopo un po' riconosco anche certi modelli ricorrenti." Linz: "È una questione d'esperienza." Hellinger: "Sì, grazie all'esperienza, riconosco i modelli ricorrenti, come per esempio il fatto che i partner precedenti dei genitori vengono sempre rappresentati nella famiglia da uno dei figli." (Poco dopo) Hellinger: "Per me la 'verità' è quella che vedo nella situazione presente, e che chiunque altro può vedere, se vive nel presente. È questa verità che mi indica qual è il passo successivo da fare. Quando percepisco la verità in questo modo, l'affermo con sicurezza totale e poi ne verifico l'effetto. Se la stessa situazione si verifica nuovamente in un altro momento, non mi rifaccio alla comprensione precedente -infatti non annuncio mai verità immutabili - ma mi concentro nuovamente sul momento presente ed osservo ciò che vedo. Se vedo una cosa diversa da quella che avevo visto prima, o perfino in contrasto con essa, per me questa è la nuova verità, e come tale l'affermo, ancora una volta, con totale convinzione." Linz: "Quindi non segui una regola?"

Hellinger: "Assolutamente no. Perciò, se qualcuno mi dice: 'Ma l'altro ieri hai detto un'altra cosa,' mi sento incompreso, perché quella persona non capisce che io cerco di rimanere fedele al momento. Io guardo sempre come se fosse la prima volta, perché la verità di un dato momento viene sostituita da quella del momento successivo. È per questo che quello che dico è valido solo per quel momento. A proposito, quando chiamo il mio modo di procedere "psicoterapia fenomenologica" mi riferisco proprio a questo allineamento con la verità del momento." Linz: "Ma questo non contraddice quanto hai detto poco fa sui modelli ricorrenti?" Hellinger: "Proprio così. Affronto la contraddizione quando mi si presenta, e metto a confronto le due verità." Ma che verità è quella che è valida solo in un dato momento? Che la verità sia paradossale e piena di contraddizioni ci viene detto anche dai saggi, ma la cosa non ci piace quando la incontriamo nella nostra realtà quotidiana. "Questo o quello," è il principio su cui ci basiamo, non "Sia questo, che quello." Contraddirsi è proibito e considerato segno di debolezza di carattere. Che poi qualcuno sia pronto a contraddire ciò che sosteneva fino ad un momento prima, senza darne una spiegazione, è cosa più unica che rara. Ecco perché gli animi si dividono su Hellinger: ciò che a uno sembra contenere una profonda saggezza, irrita l'altro che lo considera di un'insolenza inaudita. La persona di Hellinger contiene un altro motivo di controversia: egli è da una parte totalmente fedele alla sua visione del momento, alla sua verità personale, e dall'altra non si aspetta che anche gli altri credano nella sua stessa verità. Leggiamo in un'intervista rilasciata alla rivista Psychologie heute. Domanda: "Quando La si osserva lavorare, si nota che spesso presenta alle persone delle verità piuttosto crude. Ma quando emergono obiezioni e critiche lei le stronca sul nascere dicendo per esempio: 'Allora mi sono sbagliato.'" Hellinger: "In questo modo cerco di evitare un'inutile discussione. Non ho niente in contrario se una persona non vuole vedere una cosa così com'è. Non ho bisogno di difendere il mio punto di vista, né di imporre le mie idee agli altri. La cosa importante è che io resti fedele alla mia verità e gli altri alla loro." Bert Hellinger ha realizzato veramente molto nella sua vita. Ha sviluppato il metodo delle rappresentazioni familiari, sostenuto dalle conoscenze di chi è venuto prima di lui. In questo modo, ha aperto una stanza che fino ad

allora era rimasta chiusa, trascurata e ignorata dalla maggior parte degli orientamenti terapeutici. Per me è come un pioniere avventuratosi in un nuovo continente allo scopo di conquistarlo. Per questo occorrono determinate caratteristiche. I pionieri non possono avere un carattere morbido e duttile, in un certo senso devono essere duri e non avere troppi riguardi, sia verso se stessi che verso gli altri. Chi è solo simpatico, gentile e adattabile non si allontana mai troppo dai territori che già conosce. Soprattutto, occorrono capacità di imporsi e resistenza, persino una certa testardaggine e ostinazione, se si vuole sopravvivere all'interminabile traversata verso una nuova terra, della cui esistenza neanche si è sicuri. Chi si avventura alla conquista di un nuovo territorio incontra inevitabilmente infiniti ostacoli. Anche se sa combattere, riporterà comunque molte ferite - e sarà a sua volta costretto a ferire. Quando ci si trova a percorrere un tale cammino (e questo è probabilmente vero per qualunque cammino), è impossibile accontentare tutti. Negli anni passati una certa rudezza, che a volte feriva, sembrava un tratto caratteristico di Hellinger. Spesso sia lui sia le sue affermazioni apparivano severi. Dava l'impressione di essere duro e intransigente, talvolta addirittura spietato. Questa durezza - che a volte appare superflua - non è però una parte essenziale del lavoro con le rappresentazioni. Lo stesso Hellinger negli ultimi anni l'ha quasi persa completamente. Al suo posto è comparsa una grande dolcezza - e tuttavia, nei momenti decisivi, se è necessario, egli ha ancora la forza interiore di essere spietato. L'amore che si trova in lui e nel suo lavoro sta diventando sempre più evidente. A volte abbiamo un'immagine molto limitata di ciò che è amorevole, simile a quella di un'infermiera che cura, consola e medica il malato. Ma se la ferita è infetta e purulenta, questa forma di amore non basta, ci vuole un chirurgo che incida col bisturi. Bert Hellinger è come un chirurgo estremamente lucido, e dispone del raro coraggio di tagliare - cosa che in un primo momento può spaventare il suo pubblico. Ma ciò che spaventa attrae anche. Le speranze e le aspettative che molte persone ripongono in Hellinger sono enormi - e pertanto non realistiche. L'affluenza ai suoi corsi è imponente. È stata un'esperienza straordinaria organizzare il corso di tre giorni, che si è tenuto a Friburgo nel 1998, in cui Hellinger ha dato una dimostrazione del suo lavoro con i malati gravi a degli specialisti. Già sette mesi prima del corso tutti i 650 posti erano esauriti. Da allora all'inizio del corso, ho dovuto

respingere le richieste di partecipazione di altrettante persone interessate. Molto tempo prima del seminario avevo già ricevuto le prime richieste di clienti che stavano vivendo delle gravi crisi in quel momento e speravano di poter partecipare ad una rappresentazione con Hellinger. Benché il seminario fosse al completo, alcuni arrivarono da lontano senza prenotazione, con la speranza di riuscire comunque a entrare. Persino fra i terapeuti di professione esplose una sorta di rabbia criminale nel momento in cui ci si accorse che qualcuno aveva tentato di barare, falsificando il biglietto d'ingresso. Il fatto che un'ora prima dell'inizio della manifestazione si fosse verificata una corsa scatenata verso i primi posti, illumina solo marginalmente questo fenomeno. Così alcuni incontrano Hellinger con una smodata aspettativa di guarigione. Quanto più Hellinger parla della verità del momento, tanto più certe persone si aggrappano alle sue affermazioni come se fossero delle verità assolute. La sua sicurezza fa bene e tranquillizza, nascono i seguaci. La parola di Hellinger sostituisce l'osservazione e l'esperienza personale. Nelle molte critiche che vengono fatte ad Hellinger, talvolta alcuni termini sono usati in senso derogatorio. Uno di questi è il termine "guru". Ursula Nuber fa questa distinzione in un numero del 1995 di Psychologie heute: Hellinger dice di non essere un "guru". E sicuramente non ha mai avuto l'intenzione di diventarlo, al contrario di altri personaggi della psicologia che affollano il mondo della terapia e soprattutto quello dell'esoterismo. Non può però impedire che i suoi fan e i suoi seguaci, che hanno evidentemente un gran bisogno di autorità e di essere guidati, lo trasformino in un guru. È questa la cosa effettivamente inquietante nel fenomeno Bert Hellinger. Quattro anni dopo, la stessa rivista ha dato l'incarico di scrivere un articolo su Hellinger a un membro dell'Agenzia Centrale Evangelica di Berlino, che ha descritto Hellinger come il capo di una setta. Da qui al titolo sconcertante di una trasmissione generalmente seria della radio tedesca: "Terapia con le rappresentazioni familiari: arma prodigiosa nei conflitti familiari o ciarlataneria di moda?" il passo è breve. Trovo che questa lettera, indirizzata da un lettore a Psychologie heute nel 1995, sia una descrizione ancora valida della situazione: La mia opinione sul "fenomeno Hellinger": Come risulta dalla sua biografia, dopo aver aperto una nuova strada nella giungla terapeutica, Hellinger non si è fossilizzato seguendo una sola direzione, ma ha portato avanti senza sosta la sua ricerca di strumenti terapeutici più efficaci. Mi sembra che egli sia fra i pochi che hanno saputo conservare l'indipendenza

interiore e che si fidano della propria capacità di giudizio e di quello che vedono. Grazie a ciò, Hellinger ha sviluppato una forza e un'autenticità personali, che molti percepiscono ed apprezzano (e che molti altri invece trovano inquietanti). Si può affrontare questa realtà in modi diversi: elevare quest'uomo a guru, considerare le sue affermazioni, fatte in un particolare contesto, come una Bibbia universalmente valida, e trasformare lui in pastore e i suoi pazienti in pecore. Oppure: percependo una tendenza di questo tipo in alcune persone, cominciare a combattere contro questo "guru" (come fa Psychologie heute). Ma vi è anche un' altra possibilità: considerare quest'uomo con rispetto, verificare le sue affermazioni ed usare il proprio giudizio per farsi un'opinione personale. A conclusione della discussione sulle critiche alla persona di Hellinger, ecco un breve diverbio tratto da uno dei suoi seminari: Hellinger: "Un maestro non è mai stato allievo, e un allievo non sarà mai un maestro. Sai perché? Il maestro guarda, per questo non ha bisogno di studiare. L'allievo studia, per questo non guarda." Partecipante: "È una barzelletta." Hellinger: "Questo lo dice lo stolto." Partecipante: "Quello che hai detto è in contraddizione con molte scuole spirituali." Hellinger: "Non me ne importa molto." Partecipante: "Non ho detto che te ne deve importare, ma che è in contraddizione con molte scuole." Hellinger: "Lo so. Ma se osservi gli allievi vedi che molti sono la vergogna del maestro." Quali sono le obiezioni al "metodo" delle rappresentazioni familiari? Finora molto poche - ma al momento il mondo terapeutico tradizionale e quello delle rappresentazioni familiari stanno l'uno di fronte all'altro come due schieramenti nemici. "Bert Hellinger e la psicoterapia sistemica: due mondi," è il titolo di una delle poche prese di posizione sul tema delle rappresentazioni familiari, di cui sono autori Simon e Retzer. Fino ad oggi, non si è discusso molto sul metodo delle rappresentazioni familiari, né la sua originalità è stata particolarmente notata. La teoria e la pratica psicoterapeutiche hanno bisogno del loro tempo per iniziare ad occuparsi dei nuovi approcci, e non hanno una fretta particolare di farlo. Per questo motivo, in molti ambienti le conoscenze sulle rappresentazioni familiari sono ancora piuttosto scarse. Molti entrano in contatto per la prima volta con questo lavoro quando, nei congressi sulla terapia familiare, viene

offerto qualche seminario su di esso. In questi casi la reazione è spesso quella di una disapprovazione diffusa. Uno dei grandi timori della terapia familiare sistemica attualmente praticata, che parte da presupposti molto diversi da quelli di Bert Hellinger, è proprio quello di essere messa nello stesso calderone insieme a lui. Dato che l'afflusso ai seminari di Bert Hellinger è così notevole, esiste effettivamente il rischio che un numero sempre maggiore di profani pensi a lui e alle sue rappresentazioni familiari, quando sente la parola "sistemica". Questo, secondo l'articolo precedentemente citato, procura forti mal di capo ai "sistemici", che non vogliono essere associati a Bert Hellinger. È in questo contesto che va visto il tentativo di alcuni di rivendicare il diritto di monopolio sulla parola "sistemica", impedendone l'uso a Bert Hellinger. Voler avere l'esclusiva su di una parola come "sistemica", mi sembra una pretesa alquanto esagerata, anche se non mancano in questo momento coloro che l'avanzano. Quali sono i dubbi che le rappresentazioni familiari fanno sorgere, e per quali motivi? Un'obiezione che viene comunemente rivolta è quella diretta agli ordini all'interno della famiglia e della coppia, come formulati da Bert Hellinger e descritti in questo libro. Questi ordini non saranno un'idea cervellotica e il prodotto di una concezione conservatrice del mondo? Non è possibile che Hellinger abbia trasformato la sua ideologia in una dottrina e l'abbia imposta, grazie al suo carisma personale, a clienti facilmente influenzabili? O forse egli fornisce "ordini biblici e strutture patriarcali" a contemporanei stressati da una vita troppo convulsa, che così possono regredire, come ritiene Heiko Ernst? Quello che mi sconcerta in questa critica è il fatto che chi la formula non riesca a mettere a fuoco ciò che c'è di fondamentalmente nuovo nel metodo di Bert Hellinger, vale a dire la scoperta del "campo cosciente" e del rapporto che si crea fra questo ed i rappresentanti. Hellinger - così come ogni altro terapeuta che usa le rappresentazioni familiari - si lascia guidare nel suo lavoro dalle reazioni dei rappresentanti. Le rappresentazioni familiari possono essere viste anche come una specie di strumento di ricerca. I rappresentanti reagiscono spontaneamente, esprimendo le emozioni, spesso molto chiare ed evidenti, che la collocazione in seno alla rappresentazione suscita in loro. Nella pratica, ogni rappresentazione viene sviluppata individualmente con i rappresentanti, e l'unico criterio seguito è che i rappresentanti recepiscano come giuste le istruzioni ricevute. Gli ordini non sono altro che delle linee guida. Le eccezioni e le differenze sono molteplici e vengono sempre tenute in considerazione. Solo quando viene raggiunto l'equilibrio dell'intero sistema, solo quando tutti gli interessati si

sentono accettati e al sicuro nell'intreccio delle relazioni, solo allora si può dire che l'ordine raggiunto è quello buono. Le rappresentazioni familiari prendono sul serio l'unicità di ogni famiglia. Mi sembra che nella visione dei critici ci sia un punto cieco che impedisce loro di percepire il "campo cosciente" da cui i rappresentanti sono guidati. Questo fatto li spinge a pensare che la rappresentazione sia completamente condotta e controllata da Hellinger. Si legge infatti in Simon e Retzer: "È la sua rappresentazione della famiglia — la sua verità soggettiva - che diventa fondamento dell'intervento terapeutico. Ciò significa che un membro del gruppo rappresenta la famiglia come la vede o la vive Bert Hellinger." Una frase del genere può essere stata scritta soltanto da chi non ha mai vissuto una rappresentazione familiare e non si rende conto della misura in cui i rappresentanti sono guidati dalle loro stesse intuizioni, o da chi filtra così fortemente le sue percezioni, che ogni elemento di novità finisce con lo sfuggirgli. Non ci si può occupare di rappresentazioni familiari in questo modo, perché si perde di vista la loro caratteristica essenziale. I critici vedono, inoltre, dietro al lavoro di Hellinger un'ideologia conservatrice che gli rimproverano. Il termine "conservatore" viene usato nelle dispute ideologiche come una specie di arma da combattimento. Si tratta qui di concetti come famiglia, legame e colpa. Sicuramente anche il linguaggio di Hellinger, che talora sembra arcaico, contribuisce a ricordare le sue origini professionali di sacerdote e missionario. Da un certo punto di vista, i critici hanno ragione quando affermano che gli ordini trovati nelle rappresentazioni sono in contrasto con le idee e le ideologie "progressiste". Chi sogna libertà e progresso senza limiti viene disturbato da concetti come legame e responsabilità. La questione decisiva comunque non è se gli ordini filtrati da Hellinger siano "conservatori" o "progressisti". È molto più importante chiedersi: questi ordini sono efficaci o no? Se sì, ciò significa che essi ci influenzano molto di più di quanto immaginiamo - indipendentemente dalla nostra posizione ideologica. Hellinger non ha sviluppato le sue conoscenze sugli ordini in modo astratto, chiudendosi in una torre d'avorio. Al contrario, esse sono nate dal lavoro terapeutico pratico con le rappresentazioni familiari. Gli ordini non sono stati stabiliti, bensì scoperti. Ognuno li può riscoprire nelle rappresentazioni. Da questo punto di vista, gli ordini sono verificabili, in quanto vengono utilizzati nel lavoro concreto con i clienti anche da altri terapeuti e, in situazioni simili, devono condurre a soluzioni simili. Hellinger inoltre non mette la famiglia al di sopra di tutto: In base alle mie osservazioni, la famiglia "normale" è la peggiore perché, attraverso il moralismo che vi regna, la vita e tutto ciò che è vivo vengono

distrutti. Persino nella cosiddetta sacra famiglia si verificò il fenomeno dell'esclusione della pecora nera. Non vi è modo peggiore di offendere la vita che sentirsi al di sopra degli altri e pretendere di avere maggiori diritti rispetto a loro. Nelle famiglie dei "peccatori" è molto più difficile che questo succeda. Il legame con la famiglia d'origine blocca lo sviluppo ed è da esso che bisogna partire. Per reciderlo, occorre scoprire l'ordine familiare implicito che lo tiene in vita; una volta che lo si è scoperto e che il legame è stato reciso, si diventa liberi. Solo allora si può fare il passo successivo, grazie al quale ci si collega a qualcosa di più grande. Ma i critici non hanno torto in tutto. Un punto che si presta ad una critica fondata mi sembra quello relativo all'aspettativa ingenua che le rappresentazioni familiari possano avere un effetto miracoloso. Se un problema con cui il cliente si era confrontato per vent'anni, seguendo tutte le possibili terapie, viene improvvisamente risolto tramite una rappresentazione familiare, l'entusiasmo trabocca, ed in alcuni si forma la convinzione che questo metodo sia prodigioso. Fino ad oggi, fra i terapeuti che utilizzano le rappresentazioni familiari si è discusso poco degli insuccessi e delle ricadute, anche perché questo tipo di terapia è molto recente. Non c'è da stupirsi se gli osservatori esterni reagiscono spesso con scetticismo. Adesso che sono passati un po' di anni da quando questa terapia è stata introdotta, è ora di prendere in considerazione anche questi temi. Nel frattempo, infatti, si cominciano a leggere articoli come: "Mistificazione della rappresentazione familiare? Facciamo attenzione alle promesse esagerate." (Glòckner) Manca ancora una valutazione equilibrata delle potenzialità terapeutiche di questo lavoro - e, naturalmente, anche dei suoi limiti. D'altra parte, le rappresentazioni aprono in brevissimo tempo nuove porte d'accesso al mondo interiore dei pazienti. Questa è una cosa che può spaventare e indurre al rifiuto. Infatti, chi per esempio crede che non si possa veramente conoscere se stessi senza una terapia psicoanalitica pluriennale, deve necessariamente considerare con scetticismo i risultati ottenuti con una rappresentazione che dura un weekend. Il moltiplicarsi di terapeuti delle rappresentazioni familiari può effettivamente spaventare i colleghi: l'afflusso alle rappresentazioni familiari è enorme, e i terapeuti delle altre scuole se ne accorgono. Inoltre le rappresentazioni familiari integrano le altre forme di terapia, rendendole più brevi. Forse in alcuni critici è presente anche una certa invidia umanamente comprensibile.

Che peso bisogna dare agli avvertimenti riguardo al pericolo che le rappresentazioni siano tenute da terapeuti non sufficientemente preparati? Coloro che lavorano con le rappresentazioni richiamandosi a Hellinger provengono dai più svariati retroterra professionali. Da un lato troviamo lo psicoterapeuta specializzato, lo psichiatra esperto e quello che fa lo psicanalista da anni, ma lo spettro comprende anche il consulente con poca esperienza terapeutica e lo psicologo dilettante. Ad esempio, mi è stato riferito della moglie di un pastore che, armata di buone intenzioni ed entusiasmo, dopo un seminario di un weekend con Bert Hellinger, già il lunedì successivo aveva cominciato a condurre le prime rappresentazioni nella parrocchia del marito. I terapeuti che utilizzano le rappresentazioni familiari stanno indubbiamente aumentando in modo selvaggio: molti rimangono affascinati dal lavoro e convincono se stessi di essere in grado di condurlo. In linea di principio, ognuno può sostenere di fare le rappresentazioni familiari alla maniera di Bert Hellinger. Nessuno bada ai diritti d'autore. Pertanto una certa paura e una normale prudenza nei confronti di persone prive di preparazione e di esperienza sembrano giustificate. Quando nasce un nuovo metodo, è normale che dopo una breve fase di sviluppo e di crescita emerga la preoccupazione di costituire e difendere una situazione di monopolio. Come prima cosa viene protetto il nome del metodo, poi vengono fondati degli istituti (meglio se uno solo). Vengono ideati e proposti corsi di formazione per insegnare il metodo, che all'inizio sono in genere relativamente brevi, ma che dopo un certo periodo tendono a diventare più lunghi. Ci si candida alla formazione, si segue il corso di studi proposto, ed infine, superati gli esami, si ottiene un certificato che autorizza ad esercitare. Bert Hellinger ha un altro punto di vista: non si considera l'inventore delle rappresentazioni familiari, sulle quali non accampa, dunque, alcun diritto. Egli ritiene solo di aver scoperto qualcosa che chiunque altro può vedere. Mi sembra assurdo volersi impossessare di una realtà che sta sotto gli occhi di tutti. Mi fa male che qualcuno mi chieda se può utilizzare qualcosa che ho detto o fatto, come se avessi il diritto di disporre della realtà o della conoscenza. Mi sono state donate e sono lì per tutti! Se qualcuno le fa proprie e le porta avanti va benissimo - io non accampo alcun diritto. Ho ricevuto uno stimolo, porto avanti queste iniziative e sono felice se altri le trasmettono a modo loro. Bert Hellinger mostra una fiducia insolitamente grande nel lavoro con le rappresentazioni e in chi le vuole fare:

I terapeuti che vogliono intraprendere questo cammino cominciano dal basso, come sempre. Bisogna essere prima un vitello, se si vuole diventare una mucca. Non occorre essere perfetti, ma incamminarsi su una strada lungo la quale si abbia la possibilità di essere guidati. Successivamente, si possono esplorare campi sempre più vasti e, talvolta, pericolosi. Lungo questo cammino è particolarmente importante, sottolinea poco più avanti, che il terapeuta sia sempre consapevole dei suoi limiti. A chi ci si può rivolgere, allora, se si vuole prendere parte ad una rappresentazione familiare? Esiste in questa giungla un qualche "certificato di garanzia"? Attualmente esiste solo sotto forma di indicazioni. Gunthard Weber ha fondato il gruppo di lavoro "Soluzioni sistemiche secondo Bert Hellinger". Scopo di questo gruppo è fare in modo che il lavoro delle rappresentazioni familiari continui a svilupparsi in un clima di massima libertà, nel rispetto, però, di criteri che garantiscano la massima sicurezza a coloro che si avvicinano ad esso. Nel primo numero della sua rivista Praxis der Systemaufstellung, questo gruppo di lavoro scrive che si è posto come obiettivo "di promuovere in modo rispettoso la diffusione e l'evoluzione della procedura fenomenologico-sistemica, legata soprattutto alla pratica delle rappresentazioni familiari, e di contribuire allo sviluppo e al successo di questa corrente con l'informazione e l'integrazione." Questo gruppo raccomanda che prima di iniziare a lavorare con le rappresentazioni familiari si sia completata una formazione di base come psicoterapeuta e consulente, e si sia accumulata un'esperienza di alcuni anni nel lavoro con i clienti. Non considera l'approccio di Bert Hellinger un metodo psicoterapeutico autonomo, e giudica che il modo migliore per impararlo sia quello attraverso l'esperienza personale e diretta. Per questo ritiene importante che chiunque voglia utilizzare questo approccio in un gruppo a) abbia messo in scena la propria famiglia d'origine e quella attuale in un gruppo condotto da un consulente o da un terapeuta esperto (che abbia appreso la tecnica nei seminari di Bert Hellinger), b) abbia acquisito una certa esperienza come rappresentante e come osservatore dall'esterno, in parecchi seminari di più giorni sotto la guida di colleghe e colleghi esperti e, c) nella fase iniziale del proprio lavoro professionale con le rappresentazioni familiari, si avvalga regolarmente dell'aiuto di un gruppo di supervisione. La responsabilità della scelta del terapeuta resta, in ultima analisi, del cliente. Questi naturalmente, farà bene a prendere informazioni sul

conduttore e sul suo curriculum professionale, in modo da poter fare una scelta oculata sulla base di notizie certe.

ESPERIENZE

Gli studi scientifici sulle rappresentazioni familiari sono solo agli inizi. Per questo motivo non è possibile presentare dati e statistiche sull'efficacia di questo metodo. Ho davanti a me due interessanti tesi di laurea, contenenti le risposte di clienti ai quali era stato chiesto quali effetti le rappresentazioni familiari avessero avuto su di loro. Io stesso nel 1997 ho inviato un questionario a 90 persone che avevano partecipato ad una rappresentazione. Quasi la metà ha risposto, i risultati sono simili a quelli delle tesi. Dorothea Rieger mi ha messo a disposizione i risultati provvisori della sua tesi in psicologia, da lei scritta a Friburgo insieme a Inge Stückmann. Nella tesi vengono riportate le interviste a 39 partecipanti a seminari sulle rappresentazioni familiari, condotti da quattro terapeuti diversi. Il suo risultato positivo più convincente è che alla domanda se i partecipanti avrebbero consigliato o meno il seminario ai loro amici, 27 hanno risposto di sì e 2 di no. Vediamo alcuni dei motivi indicati da chi ha risposto affermativamente: "Per me la cosa più importante è che questo metodo si basa sull'amore e sul rispetto, che ci collega in modo positivo alla nostra famiglia, ridestando anche in noi l'amore e la capacità di farlo fluire." "Porta chiarezza nella storia familiare." "Anche se non ho potuto fare la mia rappresentazione, ho imparato molto da quelle degli altri e o trovato molto interessanti le dinamiche che hanno avuto luogo." "Ottimo metodo per avvicinarsi in poco tempo alle cose nascoste." Le altre risposte si differenziano molto di più. Nonostante consiglino le rappresentazioni, lo fanno con diverse motivazioni. Delle 39 persone, 31 si sono dette soddisfatte del seminario, 6 soddisfatte solo in parte, 1 insoddisfatta. Questo risultato mostra che spesso le rappresentazioni non soddisfano tutte le aspettative nutrite dai partecipanti. Aspettative che sono particolarmente forti proprio nella rappresentazione della propria famiglia.

Generalmente, ciò che è mancato nella propria rappresentazione viene recuperato in quelle degli altri partecipanti. I partecipanti erano arrivati al seminario con un mucchio di domande (alcuni ne avevano addirittura due o tre). Le domande andavano da temi molto generali fino a difficoltà concrete di rapporto. Eccone alcuni esempi: "Paura di non essere considerato." "Trovare la verità sulla mia famiglia." "Stabilire un rapporto d'intimità." "Trovare più calma e più fiducia." "Capire perché voglio continuamente scappare dai miei rapporti." "Spiegare l'insoddisfazione della figlia maggiore." "Migliorare i rapporti con il figlio maggiore." Tre mesi dopo seguì un'ulteriore intervista sui cambiamenti intervenuti dopo il seminario. Sette persone dichiararono di essere pienamente soddisfatte, trentasei di aver notato un notevole miglioramento, ognuna in grado diverso, quindici di non aver notato alcun cambiamento ed una di aver notato un peggioramento. Da questi dati si evince che nel complesso i risultati delle rappresentazioni familiari sono sì positivi, ma non "soddisfano tutti i desideri" (cosa che tra l'altro sarebbe illusoria!). Questi risultati coincidono con la mia esperienza, posso quindi presumere che anche altre indagini più approfondite li confermeranno. Nella tesi di laurea di Guido Junge, di Amburgo, sono stati intervistati soltanto sette clienti, in modo aperto e semistrutturato, a proposito del loro vissuto nella rappresentazione familiare a cui avevano preso parte da sei mesi a tre anni prima. L'immagine risolutiva trovata nella rappresentazione familiare è stata accettata e ritenuta esatta da tutti. Per tutti i clienti si sono modificati l'immagine interiore della famiglia e la propria posizione all'interno del sistema familiare. Anche i loro atteggiamenti nei confronti dei componenti della famiglia sono mutati. La rappresentazione è stata vissuta prevalentemente come liberatoria. Alcuni clienti avevano esperienze pluriennali di terapie e hanno vissuto questo metodo come un completamento prezioso delle terapie precedenti. "Ho notato molto chiaramente che il rapporto con mia madre è davvero cambiato... Adesso riesco ad accettarla così com'è e non mi importa più tanto come si comporta nei miei confronti. Non ho neanche più la sensazione di dover fare qualcosa... Per trentatré, trentaquattro anni ho avuto la sensazione angosciante di non stare andando da nessuna parte. E adesso non mi succede più. È okay." (Figlia)

"Non sto più così spesso con la mia famiglia. Ci andavo relativamente spesso... L'estate scorsa è stata la prima volta che non ho avuto voglia di fermarmi per più di due giorni... Loro vivono la loro vita, e io la mia. In un certo senso, me ne sono data il permesso. E più mi permetto di vivere la mia vita, più mi riesce facile avvicinarmi agli altri." (Figlia) "Fondamentalmente qualcosa è cambiato (nel rapporto con la madre). Riesco a fare tutt'e due le cose, amarla e nello stesso tempo respingerne i desideri, se non corrispondono ai miei. Anche per lei adesso va bene così." (Figlio) "I miei sentimenti per i miei fratelli sono diventati molto, molto più forti già subito dopo la prima rappresentazione. Loro sono molto importanti per me. Esternamente la frequenza dei contatti è la stessa, ma mi accorgo di quanto sono importanti, di quanto mi stanno a cuore, e che è bene che ci siano." (Sorella) "Fra me e mio figlio le cose hanno cominciato a muoversi. Lui ha detto che sono diventata più severa. Non è così, ma credo di non essere mai stata così chiara con lui prima. Ho raggiunto molta più chiarezza nei suoi confronti, e in questo mi ha aiutata anche un po' mia figlia." (Madre) "Ho fatto la pace con mio marito, dopo. Sono andata a casa e ho pensato che adesso andava bene. Non ne ho parlato con lui, ma la cosa gli è arrivata e adesso le cose vanno meglio. Rimango comunque dell'idea di voler divorziare, ma non devo più essere così arrabbiata con lui." (Moglie) "Il periodo immediatamente successivo alla rappresentazione è stato tutt'altro che privo di problemi familiari. È stato un periodo molto movimentato. Dentro di me avevo l'immagine risolutiva davanti agli occhi e sapevo anche come applicarla. Ma esternamente mi sentivo spesso nel ruolo dell'osservatore, e precisamente dell'osservatore di me stesso rispetto alla mia famiglia. C'è voluto un bel po' di tempo prima che avessi la sensazione di essere soddisfatto della mia posizione all'interno della mia famiglia. Lungo questa strada ci sono state molte liti e molte crisi, che però hanno contribuito alla soluzione." (Il laureando Junge)

8 CHE COSA POSSO FARE DA SOLO? INDAGARE SULLA STORIA DELLA FAMIGLIA

Non tutti i lettori vorranno fare subito la loro rappresentazione familiare dopo la lettura di questo libro. Spesso già la lettura di storie e rappresentazioni chiarisce e risolve. I numerosi video delle rappresentazioni di Bert Hellinger sono ancora più emozionanti, perché si riesce a percepirne l'atmosfera carica e pregnante. Sapere che nelle famiglie esistono degli ordini impliciti e dei collegamenti risveglia la curiosità di molte persone. Improvvisamente la storia della propria famiglia non è più quel vecchio ciarpame che cercano di rifilarci le nonne e le zie. Le vecchie foto di famiglia, che fino quel momento erano state a prender polvere in soffitta, si animano e vengono guardate con altri occhi. Uno dei miei clienti mi ha detto all'inizio di un seminario: "Rispondere alle domande che mi hai inviato prima del seminario valeva già i soldi che ho pagato. Per la prima volta ho parlato tranquillamente con i miei genitori del passato della nostra famiglia. Ho appreso così tante cose nuove, cose di cui prima non avevamo mai parlato." Chi indaga sulla storia della propria famiglia può giungere a scoperte sorprendenti. Per fare questo è utile rispondere alle seguenti domande: Il punto di partenza è la famiglia d'origine: • Come si sono conosciuti i miei genitori? • Quanti anni aveva allora mia madre? Quanti anni aveva mio padre? • Quanti anni avevano quando si sono sposati? • Se non si sono sposati o se in seguito si sono separati, qual è stato il motivo? • Mia madre ha avuto amori precedenti importanti, fidanzati, mariti? • Mio padre ha avuto amori precedenti importanti, fidanzate, mogli? • Quanti fratelli ho? (anche fratellastri) • Quanti fratelli ha mia madre? • Quanti fratelli ha mio padre? Una morte precoce in famiglia è spesso una delle principali cause di irretimento: • Qualcuno dei miei fratelli è morto precocemente? (Prima dei 30 anni indicare anche i nati morti.)

• Uno dei miei genitori è morto quando avevo meno di 15 anni? • Qualcuno dei miei fratelli ha avuto un destino particolare? (Più sotto sono riportati esempi di destini particolari.) • Ci sono state morti precoci tra i fratelli di mia madre? • Ci sono state morti precoci tra i fratelli di mio padre? • Ci sono state morti precoci tra i fratelli dei miei nonni materni? • Ci sono state morti precoci tra i fratelli dei miei nonni paterni? • Sono morti madri o padri con figli minori di 15 anni? • Una donna della famiglia è morta di parto, per le conseguenze del parto, o ne ha subito gravi danni? Crimini, gravi torti e gravi colpe continuano ad avere effetto nella famiglia per molte generazioni: • Un membro della famiglia ha commesso crimini come un assassinio o un omicidio colposo? • Qualche membro della famiglia ha commesso violenze sessuali? • Qualcuno della famiglia è stato coinvolto nel nazismo? In che forma? • C'è qualcuno della famiglia che ha lasciato un'eredità o ha ereditato illegalmente? I destini particolari nella famiglia ruotano spesso intorno ad episodi di emarginazione, a esperienze particolarmente negative o alla perdita dei genitori o della patria. • In famiglia qualcuno si è suicidato? • Qualcuno è stato vittima di un crimine? • C'è stato qualcuno con un handicap fisico o psichico? • Ci sono stati soggiorni in ospedali psichiatrici? • Qualcuno è stato in prigione? • C'è stato qualcuno che ha fatto bancarotta? • Qualcuno era omosessuale? • Qualcuno è stato escluso in qualche altro modo dalla famiglia? • Qualcuno è emigrato? • Ci sono state delle nascite al di fuori del matrimonio? • Ci sono stati bambini affidati in tenera età a genitori adottivi o a parenti? • Ci sono state delle adozioni? • Qualcuno è stato espulso dalla sua patria o ne è fuggito? • C'è qualcuno con genitori di due diverse nazionalità? • C'è stata qualche forma di destino tragico? • Ci sono stati destini di questo tipo nelle famiglie di mio padre e di mia madre? • Ci sono stati destini di questo tipo nelle famiglie dei miei nonni?

• Ci sono stati destini di questo tipo nelle famiglie dei miei bisnonni? Da ultimo vale anche la pena di indagare ulteriormente su quello che in famiglia si preferisce tacere. Si tratta per lo più di crimini o di qualcosa di imbarazzante che ha a che fare con la sessualità. Esistono segreti di famiglia? Il disegno dell'albero genealogico o genogramma fornisce una buona visione d'insieme della famiglia. Le informazioni già trovate possono essere inserite accanto ad ogni persona. Per finire ci sono molte possibilità di occuparsi della propria famiglia. In tutte le proposte seguenti è importante fare attenzione alle proprie reazioni e prenderle sul serio. Che cosa mi succede? Qualcosa mi lascia indifferente? Qualcosa mi irrita e suscita la mia opposizione? O c'è qualcosa che mi fa bene? Può essere d'aiuto chiudere gli occhi ad ogni immagine e prendersi il tempo necessario per lasciare che ogni persona si presenti alla nostra immaginazione. Le frasi devono essere pronunciate interiormente, con tranquillità e senza emozioni. • Visualizzi Sua madre e/o Suo padre e dica: "Mi metto accanto a te." • Visualizzi Sua madre e/o Suo padre, si inchini rispettosamente e dica: "Provo rispetto per te e per il tuo destino." • Visualizzi Sua madre e/o Suo padre e dica: "Ti assomiglio," e/ o "Faccio come te." • Visualizzi Sua madre e/o Suo padre e dica: "Ti seguo per amore." • Visualizzi Sua madre e Suo padre vicini e dica: "Quello che c'è tra di voi non mi riguarda. Ve lo lascio. Io sono solo vostro figlio/vostra figlia e non devo scegliere." • Visualizzi Sua madre e/o Suo padre dietro di Lei e si senta sorretto. • Visualizzi Sua madre e/o Suo padre e dica: "Prendo ciò che mi avete donato e vi ringrazio per questo... È molto ed è abbastanza... Il resto lo faccio da me." • Che effetto le fa il pensiero di essere legato fortemente e profondamente alla Sua famiglia, specialmente a Suo padre e a Sua madre? • Visualizzi un membro della famiglia che è stato escluso e dica: "Ti appartengo." • Visualizzi un Suo partner precedente e dica: "Ti ringrazio per ciò che ho ricevuto da te, puoi tenerti ciò che hai ricevuto da me... Mi assumo la mia parte di responsabilità per il fallimento del nostro rapporto e ti lascio la tua parte di responsabilità per questo fallimento... Ti do un posto nel mio cuore come mio ex marito/ex moglie. (E restiamo legati attraverso i nostri figli.)"

• Visualizzi un posto nell'aldilà in cui giacciono tutti i morti della famiglia. Lei ci va e si distende accanto ai morti. Resti lì per un po'. Quando basta, si rialzi e ritorni alla luce.

PER FINIRE

Figlio Mi avete dato un nome Mi avete dato un viso, Ma quello di cui più avevo bisogno Non me lo avete dato. Mi avete insegnato a camminare Mi avete vestito, Ma che esiste qualcosa come l'anima Non me l'avete detto. Mi avete dato da mangiare Non mi sono mai trovato nel bisogno, Ma di quelli che si chiamano sentimenti Non me ne avete mai parlato. Se ero ammalato mi curavate E poi guarivo anche, Ma la gentilezza fuggiva Da questa necessità. Ora devo continuamente lottare Le ombre sono così potenti, Ma prima o poi verranno vinte La sensazione è meravigliosa. È come se la mia vita Fosse qui solo Per donarmi questo ancora una volta. Solo allora arriva il sì. Ai miei genitori Il più grande lavoro sulla Terra È diventare genitori Ed è giunto il momento

Di ringraziarvi di cuore per essere i miei. Non è solo la vita Che mi avete dato, Ma anche le molte preoccupazioni Sull'oggi e sul domani E se sono felice È anche grazie a voi. C'è stato anche un tempo In cui provavate solo un grande dolore, In cui non riuscivate a capirmi Ed io ho dovuto andare per la mia strada. Anche questo fa parte dell'essere genitori E a volte fa soffrire. Ma come sempre, al di sopra di tutto C'è il vostro grande amore. Credo che non ci potrebbe essere nulla di peggiore Della sua scomparsa. Per questo cerco di fare qualcosa di buono della mia vita, Anche per onorarvi. Mi avete dato quello che basta L'amore, che durerà per sempre.

Ringrazio la signora Ingrid Dykstra per avermi concesso di pubblicare queste due poesie, che sono state scritte a distanza di tre anni l'una dall'altra. Fra la prima e la seconda, la signora Dykstra prese parte ad una rappresentazione familiare con Bert Hellinger. Riguardo alla seconda poesia, "Ai miei genitori", scrisse a Bert Hellinger: Di recente ho messo questo testo in una semplice cornice che ho regalato ai miei genitori. Eravamo seduti in cucina e, quando i miei genitori hanno letto la poesia, abbiamo pianto insieme. Per un attimo le nostre anime sono state così visibili e preziose per ciascuno di noi, che abbiamo provato una specie di liberazione, in un'atmosfera di vicinanza profonda. Adesso la poesia è appesa nella camera da letto dei miei genitori. Ricordo che a quel posto c'era sempre stata appesa la foto della mia nonna materna, morta in giovane età, quando mia madre era ancora bambina. Nella stanza non c'era nessun'altra fotografia. Adesso là c'è la mia poesia, e la foto della nonna è stata appesa insieme alle altre foto della mia famiglia, in un'altra stanza. Un bell'atto simbolico. Ogni volta che penso a quel momento in cucina provo

una gran calma interiore e penso che molte cose perdono importanza in confronto ad esso.

RINGRAZIAMENTI

In primo luogo desidero ringraziare mia moglie per le discussioni preziose e stimolanti, il suo aiuto e la sua pazienza - specialmente durante gli ultimi giorni stressanti prima della consegna del manoscritto. Per molte pregevoli idee, esempi e suggerimenti ringrazio la mia collega Sneh Victoria Schnabel, con cui ho condotto i primi seminari sulle rappresentazioni. Questa è stata per me la miglior forma di apprendimento. Victoria mi ha anche permesso di usare per questo libro il titolo di un suo seminario, "Senza radici, non si vola." Ringrazio anche Bettina Bremser per i suggerimenti e la revisione del libro. I miei ringraziamenti vanno a Bert Hellinger, che ha sviluppato le rappresentazioni familiari nella forma descritta in questo libro. Le rappresentazioni hanno cambiato la mia vita e l'hanno arricchita in un modo che non mi sarei mai aspettato. Lo ringrazio inoltre per il tempo dedicatomi personalmente per la stesura di questo libro e per gli ulteriori contributi che mi ha fornito.

CONSIGLI E INDIRIZZI

Informazioni su congressi e gruppi di lavoro in lingua tedesca: Dr. Bertold Ulsamer Runzstr. 48 D-79102 Freiburg Tel: 0761-706418 Fax: 0761-706456 E-mail: [email protected] Informazioni su seminari con le rappresentazioni nei paesi di lingua non tedesca: Istituto Internazionale Costellazioni Familiari Via C. Tartufari, 161 00128 Roma Tel. / Fax ++39 06 5071261 email [email protected] Istituto Internazionale Costellazioni Familiari 5020 Salzburg, Nico Dostal Str., 9 Tel./ Fax ++43 662 826954

Quarta Ristampa Marzo 2004 Edizioni Crisalide Via Campodivivo, 43 04020 Spigno Saturnia (LT) Collana di Psicologia Senza radici non si vola La terapia sistemica di Bert Hellinger Oggi sembra che agli esseri umani stiano crescendo le ali. Sembra che non ci siano più ostacoli ai progressi della scienza e della tecnica. Allo stesso tempo, però, aumentano le guerre, le catastrofi ambientali e le paure dell'uomo. Le ali ci sono, mancano le radici.

La famiglia è il terreno in cui siamo radicati. Fino a quando non (ri) conosceremo queste radici, le ali che ci stanno spuntando resteranno deboli. Le rappresentazioni familiari sono un mezzo per scoprire queste radici e per liberarle di tutto ciò che le indebolisce e le danneggia. Allora la forza potrà fluire dalle radici alle ali. In questo libro, l'innovativa e straordinariamente efficace terapia delle "Costellazioni familiari", sviluppata da Bert Hellinger, viene presentata in modo chiaro ed approfondito. BERTOLD ULSAMER Bertold Ulsamer è laureato in Psicologia ed in Giurisprudenza. Oltre a lavorare come psicoterapeuta, si occupa di consulenza aziendale. Segue da molti anni il lavoro di Bert Hellinger che ha introdotto nella sua pratica professionale. È autore di diversi libri sulla Comunicazione e sul Management. ISBN 88-7183-1109788871831107 Edizioni Crisalide

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