Scienza Delle Costruzioni

March 21, 2017 | Author: Matteo Frasson | Category: N/A
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UNIVERSITA’ Mediterranea di REGGIO CALABRIA Facoltà di Ingegneria Corso di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente ed il Territorio

Lezioni di

SCIENZA DELLE COSTRUZIONI 1^ versione non definitiva (bozza) ottobre 2009

Michele Buonsanti Dipartimento di Meccanica e Materiali Via Graziella loc. Feo di Vito, 89060, Reggio Calabria, Italy [email protected]

ATTENZIONE L’uso di questo materiale è riservato agli studenti del corso di Scienza delle Costruzioni (corso di laurea Ingegneria Amb. & Terr.) per l’anno accademico 2009-10. Usi impropri saranno perseguiti per via legale.

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Indice Capitolo 1 1.1 1.2 1.3 1.4

PRELIMINARI MATEMATICI Richiami di algebra lineare Elementi di calcolo differenziale Equazioni differenziali alle derivate parziali Elementi di meccanica del continuo

Capitolo 2 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 2.7 2.8 2.9 2.10

ANALISI DELLA DEFORMAZIONE Analisi della deformazione. Introduzione Caratterizzazione globale e locale Trasformazioni affini Relazione funzione spostamento-funzione deformazione Significato fisico delle componenti di  Direzioni e dilatazioni principali Stato di deformazione nel riferimento principale Decomposizione del tensore  Caratterizzazione piana del campo di deformazione Equazioni di compatibilità interna

Capitolo 3 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6

ANALISI DELLA TENSIONE Equilibrio delle forze e vettore tensione Teorema di Cauchy. Il tensore degli sforzi Equazioni di equilibrio di Cauchy Tensioni e direzioni principali Stati di tensione particolari Rappresentazione grafica degli stati di tensione

Capitolo 4 4.1 4.1.1 4.2 4.2.1 4.2.2 4.2.3 4.2.4 4.2.5 4.2.6 4.3. 4.3.1 4.3.2 4.3.3 4.3.4 4.4 4.5

LEGGI COSTITUTIVE Assiomi costitutivi in meccanica dei materiali Materiali semplici Legame costitutivo elastico lineare Costanti elastiche per il solido isotropo Relazione tra moduli elastici e costanti di Lamè Ortotropia- Anisotropia Teoremi di risposta Materiali con rango elastico Materiali con memoria evanescente Stati limiti di plasticità Relazione costitutive elasto-plastiche Problema dell’ equilibrio elasto-plastico Principi di estremo Collasso plastico e teoremi della analisi limite Viscoelasticità Termoelasticità

Capitolo 5 5.1 5.1.1 5.2 5.3 5.4 Capitolo 6 6.1 6.2 6.3 6.4

PROBLEMA DELL’EQUILIBRIO ELASTICO Formulazione generale del problema dell’equilibrio elastico Posizione del problema Equivalenza tra formulazione differenziale e formulazione integrale Proprietà generali della soluzione Soluzione dell’equilibrio elastico isotropo MODELLI MONODIMENSIONALI Soluzione del problema elastico. Modelli 1-D Formulazione integrale Equazioni costitutive per le travi Formulazione differenziale

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Capitolo 7 7.1 7.2 7.3

ENERGIA ELASTICA Aspetti energetici Principi variazionali Principi di estremo

Capitolo 8 8.1 8.2 8.3 8.4 8.5

STABILITA’ DELL’ EQUILIBRIO ELASTICO Generalità Sistemi ad elasticità concentrata Approccio energetico Sistemi ad elasticità diffusa Verifiche di sicurezza per la trave di Eulero

Capitolo 9 9.1 9.2 9.3 9.4 9.5 9.6

CRITERI DI RESISTENZA La superficie limite Criterio della max tensione normale Criterio della mx tensione tangenziale Criterio di Coulomb Criterio della max energia potenziale elastica Criterio della max energia distorcente

Capitolo 10 10.1 10.2 10.3 10.4 10.5 10.6 10.7

MODELLO DI ST. VENANT Il modello di Saint Venant Caratteristiche della sollecitazione e valori delle costanti Sollecitazione di sforzo assiale Sollecitazione di flessione e presso/tensoflessione Sollecitazione di torsione Sollecitazione di taglio Verifiche di resistenza

Capitolo 11 TEORIA ELASTICA NON LINEARE 11.0 Preliminari 11.1 Cinematica delle deformazioni finite 11.2 Bilancio delle forze ed equazione del moto 11.3 Aspetti costitutivi ed equilibrio 11.4 Materiale iper-elastico 11.5 Materiale isotropo iper-elastico 11.6 Vincoli interni 11.7 Funzione di Rivlin-Saunders 11.8 Materiale di Mooney-Rivlin 11.9 Materiale neo-Hookean 11.10 Plausibilità statica ed unicità della soluzione 11.11 Elasticità variazionale 11.12 Energie policonvesse 11.13 Proprietà dell’ energia non convessa: un esempio Capitolo 12 12.1 12.2 12.3

MODELLI BIDIMENSIONALI Problemi piani di sforzo e deformazione Stati piani simmetrici e radiali Elementi di teoria di lastre e piastre

Capitolo 13 13.1 13.2 13.3 13.4

MECCANICA DELLA FRATTURA Concentrazione di tensione Problema di Griffith Modello monodimensionale di Griffith Modello di Barenblatt

Appendice Referenze bibliografiche

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Capitolo 1 PRELIMINARI MATEMATICI 1.1

Richiami di algebra lineare Sia E uno spazio euclideo i cui elementi sono punti e sia V lo spazio vettoriale associato i cui elementi sono vettori: Def.1 : dati u, v vettori appartenenti allo spazio V si definiscano le seguenti relazioni: u ⋅ v prodotto scalare, u × v prodotto vettoriale 6 u 6 modulo del vettore u Scelta una base di riferimento ortonormale, si ha: Def.2 : Una applicazione lineare  : V → V di uno spazio vettoriale in se, tra punti e vettori: xi = (x – 0)ei , ui = u ⋅ ei costituisce un endomorfismo cioè, è tale che u =  v con u, v ∈V. L’insieme, di tutte le trasformazioni lineari è indicato con Lin e costituisce lo spazio dei tensori del secondo ordine. Lin è spazio vettoriale su  con le operazioni di somma e moltiplicazione. Sullo spazio Lin affermiamo che il tensore nullo 0 è tale che per ogni v ∈V, 0v = 0, ed il tensore identità I è tale che per ogni v ∈V , Iv = v. Def.3: Si definisce prodotto tensoriale o diade u≈v il tensore che assegna ad ogni vettore a∈V il seguente vettore (u≈v)a = (v⋅a)u. Def.4: Si definisce traccia della diade u≈v l’operatore lineare dello spazio Lin che soddisfa la seguente relazione: tr(u≈v) = u⋅ v con u, v ∈V. Dalle proprietà per le diadi si deriva la traccia, per un tensore , come lo scalare tr  = tr[( ei)≈ ei] =  ei⋅ei = ii Il valore numerico della traccia di un tensore del secondo ordine è invariante rispetto al riferimento prescelto e possiede le seguenti proprietà: i- tr (+) = tr + tr

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ii- tr(α) = αtr iii-tr() = tr() iv-tr T = tr  ∀,∈Lin. Def.5: Il prodotto interno ⋅ tra due tensori, o prodotto scalare, nello spazio Lin è definito nel seguente modo: ⋅ = tr ( T ). Def.6: Un tensore  è detto simmetrico se  = T , viceversa è detto emisimmetrico se T= -. L’insieme dei tensori simmetrici è indicato con Sym, mentre Skw indica l’insieme dei tensori emisimmetrici. Sym e Skw sono sottospazi di Lin e per loro vale il teorema della decomposizione additiva: Lin = Sym ⊕ Skw, si afferma così che ogni tensore può essere decomposto, in modo unico, nella somma di due tensori Sym = ½ ( +  T) , Skw = ½ ( − T). Def.7: Un tensore  è detto deviatorico, ∈Dev , se tr  =0 ed un tensore  è detto sferico, ∈Sph, se =αΙ. Un qualsiasi tensore ∈Lin può essere decomposto nella somma di due tensori  +  che, nel caso tridimensionale, si specializzano come  =  - ⅓tr ( )Ι ;  = ⅓(tr)Ι. Def.8: Un tensore ∈Lin è detto invertibile se esiste -1 tale che -1=Ι Def.9: Un tensore  è detto ortogonale, œ Orth, se conserva il prodotto interno cioè: T= -1 o equivalente T = T  = I. Orth definisce l’insieme dei tensori ortogonali. Il tensore  rappresenta una trasformazione che conserva inalterati gli angoli fra due vettori qualsiasi: uÿv = uÿTv = uÿv , cioè  mantiene inalterate le lunghezze dei vettori intese come il valore della loro norma. Una conseguenza delle proprietà del tensore  risulta det  = det I = 1, da cui è det  = ±1. L’insieme dei tensori ortogonali con det = 1 è detto insieme delle rotazioni ed è indicato con Orth+. Infine, richiamiamo l’altra proprietà dedotta dal teorema di decomposizione polare:

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Sia œLin con det > 0, allora esistono due tensori ,œSym+ ed un tensore œOrth+ tali che:  =  =  dette, rispettivamente, decomposizione polare destra e sinistra del tensore . Tali decomposizioni sono uniche e legate ad  dalle relazioni  =(  T )1/2 ;  =( T )1/2 1.2 Elementi di calcolo differenziale Si richiamano, di seguito, alcune definizioni fondamentalmente utili per caratterizzare i problemi di equilibrio entro un comune apparato matematico. Def.10: Dati due insiemi A, B si definisce funzione una relazione f tale che ∀x∈A associa y∈B ovvero, y = f(x). L’insieme degli y∈B definisce l’immagine di A in B. Gli insiemi che interessano la descrizione dei nostri problemi di equilibrio possono essere divisi in due categorie ovvero, insiemi di numeri (punti) e gli insiemi di funzioni. Esempi di insiemi numerici sono:  : l’insieme dei numeri reali [a,b], (a,b) : l’insieme dei numeri reali degli x→ a ≤ x ≤ b e a < x < b n: l’insieme delle n-uple ordinate dei numeri reali Esempi di insieme di funzioni sono: C(), C[a,b], C(a,b): l’insieme delle funzioni definite rispettivamente su , [a,b], (a,b). C(n), C[Ω], C(∂Ω) l’insieme delle funzioni continue definite su n, oppure sulla regione Ω∈n pensata aperto o chiusa Def.11: Si definiscono operatori le funzioni definite su insiemi di funzioni e con valori in insiemi di funzioni , esempio la derivazione, Cm[Ω]→Cm-1[Ω], oppure l’integrale indefinito. Viceversa i funzionali sono operatori definiti su insiemi di funzioni e valori n,come ad esempio l’integrale definito, il massimo o l’estremo superiore. In particolar modo per la caratterizzazione dei problemi di equilibrio in elasticità, si ricorre spesso alla formulazione energetica basata sulla teoria variazionale che di seguito si richiama come preliminare. Def.12: Sia dato l’insieme Ω∈n ove viene definita la funzione funzione, è noto, assume valore max (min) se ∀x∈Ω f(x°) ≤ f(x)

f(x)∈Ω. La

(f(x°)¥ f(x)

A tale proposito, si rammenta il teorema di Weierstrass ove, in un intervallo chiuso [a,b], qualsiasi funzione ammette un valore massimo ed un valore

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minimo (valori estremi). Si dimostra, altresì che, in un qualsiasi punto stremale ∂f(x°)/∂f(xj ) = 0. Estendendo gli stessi concetti all’operatore “funzionale J ”, si consideri un dominio C i cui elementi sono gli mf (x) che ∀f (x)∈C associa un valore reale x∈, in formula ∃J = J [f(x)]. Ad esempio sia C ≡ Ω[0,1] = {f(x) : [0,1]} segue 1

J [ f ( x )]= ∫ f ( x )dx

0 Giova osservare che su ogni funzionale J è possibile considerare opportune variazioni, così come avviene per le semplici funzioni di variabile reale, e analogamente la condizione di stazionarietà per J assume la condizione obbligata dJ = 0. Ancora le proprietà di continuità per un funzionale sono legate al concetto di distanza (norma) tra le funzioni considerate. La forma generale dei funzionali che considereremo sarà del tipo: b

J [x ,u ]= ∫ F ( x ,u ,u' )dx

a Equazioni differenziali alle derivate parziali (PDE) I processi fisici più disparati, nel cui novero rientrano fenomeni studiati in idrodinamica, elasticità, elettrodinamica, trasmissione del calore etc., sono essenzialmente questioni della fisica-matematica. Nella larga cerchia di questioni che la fisica matematica tratta, soffermeremo le nostre attenzioni sui problemi che conducono ad equazioni differenziali alle derivate parziali Una PDE stabilisce una relazione tra una funzione, incognita, di più variabili e le sue derivate parziali ovvero come nella forma:

1.3

u = u(x,y) F (x, y, u, ux uy, uxx, uyy) = 0

(1.1)

Distinguiamo l’ordine di una PDE in funzione del grado di derivazione cui la funzione si presenta: ux – kuy = 0 uxx – uy = 0

( 1° ordine) (2° ordine)

(1.2)

Ancora, affermiamo che una PDE è lineare se risulta di 1° grado rispetto all’esponente: ux = kuy ux = kuy2

(lineare) (non lineare)

(1.3)

Infine riguardo l’omogeneità: ux + uyy = 0 (omogenea) uxx – uy = F(x) (non omogena)

(1.4)

In generale è possibile avere infinite soluzioni per un problema retto da un sistema di PDE. In ordine ad individuare una singola funzione che

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rappresenta la soluzione del problema fisico in esame è necessario imporre alcune condizioni specifiche dedotte dalla fisica del problema. Queste condizioni (che consentono di definire il problema come “ben posto”) sono le condizioni al contorno e le condizioni iniziali. Riguardo le condizioni al bordo sono distinte tre classiche condizioni: -condizione di Dirichlet -condizione di Neumann -condizione mista

u =g un = h u + un = k

∀ x∈∂Ω ∀ x∈∂Ω ∀ x∈∂Ω

(1.5)

dove g, h, k, sono prescritte funzioni sulla frontiera del corpo. Nel caso delle condizioni iniziali, esse devono essere tali da soddisfare le equazione che descrivono il processo fisico, quando questi è iniziato. Ad esempio, introdotto l’operatore di Laplace ∇2 si consideri l’equazione della trasmissione del calore in un solido: ∇2 T = c T t

∀x∈Ω

(1.6)

Le condizioni al bordo che governano il problema possono essere poste nella forma: T (x,y,t) = T1* (x,y) Tn(x,y,t) = T2* x,y)

∀ x∈∂1Ω ∀ x∈∂2Ω

(1.7)

Mentre le condizioni iniziali che governano il problema possono essere poste nella forma: T (x,y,0) = To

∀x∈Ω

(1.8)

L’insieme delle condizioni a bordo e delle condizioni iniziali con i coefficienti delle funzioni, oltre qualsiasi termine disomogeneo della PDE, costituiscono i dati del problema da descrivere. Questi, è detto essere “ben posto” nel senso di Hadamard, se la soluzione dipende con continuità dai dati ovvero, in generale, se a piccole variazioni dei dati corrispondono piccole variazioni della soluzione. Il problema è definito “ben posto” se: -la soluzione esiste -la soluzione è unica -la soluzione dipende con continuità dai dati Viceversa il problema è detto essere “mal posto”. Riprendiamo nel considerare i precedenti sulla classificazione delle PDE, soffermando l’attenzione su quelle del 2° ordine al fine di individuare una caratterizzazione generale ed identificare un metodo di soluzione attribuendo a priori particolari proprietà della soluzione. Consideriamo la forma generale di una PDE del 2° ordine in due variabili indipendenti: A(x,y)uxx + 2B(x,y)uxy + C(x,y)uyy + D(x,y)ux + E(x,y)uy + F(x,y)u = G(x,y)

(1.9)

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La più conveniente forma di classificazione è nel restringere l’attenzione sui coefficienti A, B, C, dei termini al secondo ordine caratterizzando l’equazione in funzione del relativo valore di questi coefficienti. Posto A, B, C costanti e tali che: Auxx + 2Buxy + Cuyy + (termini ordine inferiore) = 0

(1.10)

La classificazione può essere posta dalla identificazione del discriminante (B2-4AC) ed in particolare del segno del discriminante: B - 4AC < 0 B - 4AC = 0 B - 4AC > 0

PDE del tipo ellittico PDE del tipo parabolico PDE del tipo iperbolico

(1.11)

Questa classificazione consente di poter individuare, per diversi fenomeni fisici, quella che è la natura della PDE ed, in particolare, poter ricorrere a particolari strategie di soluzioni. -Equazioni di tipo ellittico: nello studio dei processi stazionari di natura fisica più disparati le equazioni più comuni sono del tipo ellittico e la più frequente è l’equazione di Laplace ∇2u = 0. La funzione u si dice armonica nel dominio Ω se è continua nello stesso insieme alle sue derivate fino al secondo ordine e verifica l’equazione di Laplace. -Equazioni di tipo parabolico: sono la tipologia di equazioni che governa i processi di conduzione di calore e di diffusione. L’equazione elementare di tipo parabolico uxx – uy = 0 si chiama usualmente equazione della conduzione termica. -Equazioni di tipo iperbolico: sono le equazioni che descrivono i problemi fisici legati a fenomeni vibratori. L’equazione elementare di questa tipologia è la classica: uxx – uyy = 0 che prende il nome di equazione delle vibrazioni di una corda. Tutti i fenomeni fisici che si descrivono con onde sono caratterizzati da equazioni di tipo iperbolico. 1.4 Elementi di meccanica del continuo Di seguito sono riportati alcuni concetti elementari della meccanica del continuo espressi solo per una logica premessa agli argomenti successivamente trattati. Si rimanda ai classici testi della disciplina, allorquando si vogliano rivedere concetti più approfonditi. Sia ) un corpo continuo, definiamo punto materiale, o particella materiale, una porzione infinitesimale di volume del continuo. Un continuo è una distribuzione continua della materia; l’aspetto matematico di questa definizione significa sostanzialmente assumere campi con funzioni continue oppure quasi continue ( anche a tratti in entrambi i casi). Al fine di dare una definizione più precisa, consideriamo un corpo ) ed una classe di funzioni g : ) →n con le proprietà: - g è invertibile - g ()) è una regione regolare - ∀ g1, g2 ∈ g la funzione g1 ° g2 è di classe C1 ())

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Consideriamo ora una funzione T [g µ ) ] ön avente le proprietà: -T è positiva, T (g, )) ≥ 0 ∀g, x∈) -T dipende con continuità dal volume -T è additiva Possiamo quindi, affermare che: Def.13: un corpo continuo è una terna del tipo ( ), g, T, ) ove i componenti possiedono le proprietà sopraelencate. Il limite: ρ ( g, x ) = lim

g ()) → g (x)

T (g, )) / vol g () )

(1.12)

è definito come la densità di massa del corpo continuo. Una proprietà del continuo è costituita dalla distribuzione della massa. E’ assunto che una qualsiasi parte Ω° della configurazione Ω del corpo ) possieda una massa m(Ω°) che dipenda solo dalla parte presa in esame, mentre è indifferente sia dalla configurazione occupata, sia da un cambiamento di osservatore. ∀Ω°∈Ω resta associato lo scalare m(Ω) con la proprietà che se il volume → 0 allora la massa ö 0, ovvero la massa è assolutamente continua rispetto al volume. Esiste quindi una funzione ρ ( g, x ) detta densità di massa tale che T = Ûρ ( g, x ) dΩ

(1.13)

L’indipendenza della configurazione consente di formulare il principio di conservazione della massa, ovvero la massa è costante nel tempo. (dT / dt ) = d/dt Ûρ ( g, x ) dΩ

(1.14)

Enunciamo ora il principio della quantità di moto P (t) = Ûρ Vi dΩ

(1.15)

La velocità di variazione nel tempo della quantità di moto, di una porzione arbitraria della configurazione, è eguale alla risultante delle forze che agiscono sulla porzione considerata ÛTij,j + ρfi – ρvi dΩ = 0

(1.16)

Riferito al moto rispetto ad un punto, il principio del momento della quantità di moto afferma: Ûx ∧ ρv dΩ = ℘

(1.17)

La velocità di variazione nel tempo, del momento polare, relativo a qualsiasi posizione e rispetto a qualsiasi punto, è eguale al momento risultante delle forze agenti.

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Capitolo 2 ANALISI DELLA DEFORMAZIONE 2.1 Introduzione La prima idea di deformazione, intesa come variazione relativa, fu di Beeckman (1630) e di J. Bernoulli (1705) che introdussero la nozione di misura lineare della deformazione (intesa come rapporto tra la variazione della lunghezza ∆L e la lunghezza iniziale L ove, questa ultima quantità rappresenta la lunghezza del corpo prima di essere soggetto alla deformazione). Da tali idee si svilupparono, le teorie delle deformazioni infinitesime (Eulero, 1750) e delle deformazioni finite (Cauchy, 1823 ed i successivi contributi di Green, Cosserat..). Interessando, in questa parte, una teoria lineare per le deformazioni ricaviamo questa ultima partendo con un approccio sulla base di deformazioni finite. Sia ) un corpo continuo elastico, in uno spazio euclideo 3-D, e siano Ω°()), Ω()) rispettivamente, la configurazione di riferimento della posizione iniziale e finale del corpo soggetto ad una azione deformante. Ancora, siano p°, p∈) punti del corpo nelle distinte configurazioni. Def.2.1: Si definisce deformazione del corpo ) la legge che associa ∀p°∈Ω°()) il rispettivo p∈Ω()). Analizzare una deformazione significa studiarne le proprietà sia attraverso un approccio globale che secondo un approccio locale. Andranno apposte opportune restrizioni alla funzione deformazione con il fine di restringere la varietà tipologica delle deformazioni possibili (a volte anche irregolari). In particolare si richiede alla funzione deformazione di possedere le seguenti proprietà: i) ii)

biunivoca continua e differenziabile con inversa continua

In particolare la i) richiede che sia preservata l’impenetrabilità della materia, mentre la motivazione della ii) è legata alla richiesta che la deformazione non presenti bruschi salti (almeno in opportuni intorni). Qualora la funzione deformazione è descritta in forma vettoriale, ovvero (p ≡ xi , p° ≡ xi°) sarà xi = fi (xi°), quindi è possibile costruire la matrice  = [∂fi /∂xi°] ovvero lo jacobiano della trasformazione che prende il nome di gradiente della deformazione. Dovendo valere l’assioma di continuità, una restrizione su  che comporta il requisito fisico del principio di permanenza della materia sarà: det  > 0. Conseguentemente è impossibile il caso in cui  ≤ 0, infatti quando Ω°()) ≡ Ω()) si ha det  = 1. 2.2. Caratterizzazione globale e locale della deformazione Posto f (Ω°) ≡ Ω, come la configurazione variata del corpo ), sia i l’identità dello spazio ,n, allora la legge:

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u=f–i

(2.1)

è lo spostamento associato alla deformazione f. Quindi, u( p°) = f( p°) – p° definisce lo spostamento di p°(Ω°) alla posizione variata p (Ω). Rammentando, inoltre, la già definita formulazione del gradiente della deformazione =∇f, si ha che dato un campo di spostamento u, si definisce come gradiente dello spostamento la forma  =∇u. Detto I = ∇i , tensore identità, la (2.1) assume la forma: =  + I

(2.2)

La (2.2) rappresenta l’identità fondamentale nello studio dei problemi di deformazione. Il tensore ∈Lin, mentre la restrizione imposta sul gradiente della deformazione (det  > 0) comporta che, necessariamente, il tensore ∈Lin+ ove Lin+: {∈Lin | det > 0}. Anche alla funzione spostamento sono imposte le identiche restrizioni già poste alla funzione deformazione.In generale per  = cost. la deformazione è omogenea, mentre per  = I la deformazione corrisponde ad una traslazione. Vediamo, ora di classificare e formulare analiticamente, alcune gradienti di deformazioni elementari. -Deformazione identica. In questo caso è xi° = xi ed allora  = I, e conseguentemente il gradiente della deformazione identica ha la forma matriciale:

⎡1 0 0 ⎤  = ⎢0 1 0 ⎥ ⎢ ⎥ ⎢⎣0 0 1⎥⎦

(2.3)

-Estensione. Si consideri un corpo elastico a forma quadra all’interno di una base ortonormale ei, soggetto ad estensione nel verso dell’asse e1. La corrispondenza vettoriale della trasformazione è del tipo: x1 = x1°+ x1°c x2 = x2° x3 = x3°

(2.4)

ed il conseguente gradiente della deformazione diventa:

⎡1 + c 0 0⎤ ⎢ 0 = 1 0⎥⎥ ⎢ ⎢⎣ 0 0 1 ⎥⎦

(2.5)

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-Scorrimento. Si consideri, ancora lo stesso sistema del caso precedente salvo che, in questo caso il vettore della trasformazione ha la forma: x1 = x1°+c x2° x2 = x2°+c x1° x3 = x3°

(2.6)

in questo caso, il conseguente gradiente della deformazione assume la forma:

⎡1 c 0 ⎤  = ⎢ c 1 0⎥ ⎢ ⎥ ⎢⎣0 0 1⎥⎦

(2.7)

-Deformazione rigida. Una deformazione omogenea è detta rigida se il suo gradiente ∈Rot. L’insieme Rot è definito come Rot : = {∈Lin+| T = I =T}

(2.8)

I gradienti delle rotazioni compongono un sottogruppo massimale del gruppo ortogonale dello spazio Lin ovvero Orth : = {∈Lin | T = T=I}

(2.9)

cioè è l’insieme dei tensori del 2° ordine che preserva il prodotto interno tra vettori ∈Orth⇔ ab = ab ∀a,b∈V

(2.10)

Quindi, la distanza |p°−q°| tra due qualsiasi punti di Ω° e Ω è preservata in una deformazione rigida. A riguardo questo ultimo tipo di deformazione dimostriamo la seguente: Proposizione 2.1. Il gradiente di un campo di spostamento rigido è un tensore emisimmetrico, cioè ∈Skw. Dimostrazione. Si consideri la già nota forma (2.2) I +  =  e si rammenti che una deformazione rigida è caratterizzata da T= I. Si effettui nella (2.2) una moltiplicazione, di entrambi i membri, per i rispettivi trasposti, si ha (I + )T (I +  ) = T

(2.11)

(I + )T (I +  ) = I

(2.12)

cioè svolgendo il prodotto e semplificando I +TI + I + T = I

(2.13)

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T I + I + T  = 0

(2.14)

trascurando i termini superiori si può porre la condizione T +  = 0

(2.15)

0vvero la parte simmetrica del gradiente dello spostamento è nulla cioè ∉Sym e, conseguentemente sarà ∈Skew. 2.3. Trasformazioni affini. Da un punto di vista globale e nel rispetto dell’assioma di continuità, la deformazione trasforma regioni in regioni, superfici in superfici, punti in punti, ovvero si hanno delle trasformazione di tipo affine. Di seguito, vediamo come è possibile caratterizzare singolarmente queste trasformazioni. (per ulteriori dettagli si veda P. Podio-Guidugli, A Primer in Elasticity, Journal of Elasticity, 58, 1-104, 2000). Nella configurazione iniziale Ω° definiamo la coppia (p°,e) e nella configurazione finale Ω, l’immagine della fibra iniziale sarà espressa da f (p°+αe) o anche dalla coppia [f (p°), (p)e]. Questo è facilmente spiegabile se, in una caratterizzazione locale, si considera lo sviluppo in serie f (p°+αe) - f (p°) = (p°)[(p°+αe) - p°] + 0(α)

(2.16)

dalla definizione di derivata direzionale di f nella direzione e si ha da cui

∂e f (p°) : lim α→0 [f (p°+αe) – f (p°)] / α

(2.17)

∂e f (p°) = (p°)e ]

(2.18)

La 2.18 rappresenta lo strumento operativo per una analisi locale dei processi deformativi. -Variazioni di lunghezze. Il cambio di lunghezza δℓ(e) di una fibra (p,e) è la lunghezza della sua immagine quindi | e|-|e|/|e|, ed in una caratterizzazione locale δℓ(e) = | e| - 1. Si definisce “stretch” della fibra nella direzione e, la quantità λ(e) = | e|. -Variazioni di angolo. Per il punto p° della configurazione iniziale Ω° si considerino due versori uscenti e1, e2 formanti l’angolo ϑ° il cui valore iniziale e finale è espresso dalle relazioni: ϑ° = cos-1(e1  e2 ) δϑ° = cos-1(e1  e2 ) −cos-1 { (e1  e2 )/ | e1 || e2 | }

(2.19) (2.20)

-Variazioni di superficie. Si consideri, per i due versori e1, e2 uscenti da p° , la superficie unitaria caratterizzata dalla normale n° e definita dalla relazione:

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n° = e1 × e2 / |e1 × e2|

(2.21)

la configurazione variata sarà definita da una nuova superficie la cui normale è data dalla: n = e1 × e2 /| e1 × e2|

(2.22)

la variazione di superficie risulta: δA(n) = { | e1 × e2 | − | e1 × e2| } / |e1 × e2|

(2.23)

-Variazione di volume. Si consideri per p°∈Ω° la base ortonormale ei=1,3 e si identifichino tre fibre unitarie coincidenti con la direzione dei versori. La configurazione variata del parallelepipedo sarà così definita dagli operatori: f(p°), (p°)e1, (p°)e2 , (p°)e3. Ricordando la regola del prodotto misto tra vettori (che consente di definire il volume un parallelepipedo) se ne deriva che la variazione di volume del solido generato sarà: δv = e1  e2 × e3 − e1  e2 × e3 / e1  e2 × e3

(2.24)

2.4. Relazione spostamento- deformazione Imponiamo una ulteriore restrizione al campo delle deformazioni / spostamenti, ovvero consideriamo gradienti il cui valore assoluto sia molto piccolo rispetto al tensore identità. Ne consegue che è motivata la terminologia “ spostamento rigido infinitesimo” per un campo vettoriale su Ω u(p) = u° + W°(p-p°) con W°∈Skw

(2.25)

Se considero il punto q° ed il vettore, da esso uscente, il cui punto terminale è p°, allora è possibile caratterizzare localmente lo spostamento sviluppando in un intorno opportuno. Si può porre: f (q°) ≅ f (p°)+ ∇f |(q°-p°)|p°

(2.26)

ricordando la decomposizione additiva delle trasformazioni lineari Lin = Sym ⊕ Skw, è possibile esplicare la 2.26 come: f (q°)= spostamento di q° f (p°)= spostamento di p°; cost. al variare di q° ≡ traslazione rigida ∇f W = rotazione rigida attorno a q° ∇f S = parte pura della deformazione Abbiamo così decomposto il gradiente dello spostamento in una parte simmetrica ed in una parte emisimmetrica. Nel caso di deformazioni linearizzato (   ), la parte simmetrica del gradiente dello spostamento è definita dal tensore  che così caratterizza una deformazione omogenea a gradiente positivo  = ½ (∇u + ∇uT)∈Sym

(2.27)

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2.5. Significato fisico delle componenti di  Per il tensore della deformazione pura, ottenuto in precedenza, si vuole restringere l’attenzione sul significato fisico espresso dalle componenti. In particolare, le componenti ii rappresentano delle estensioni nel verso i parallele alla normale i, uscente dal piano passante per il punto p. Le componenti ij rappresentano invece degli scorrimenti nel verso j, ortogonali alla normale i. Ad esempio sia dato il campo di spostamento così definito: u = (cx1, 0, 0). Allora, svolto il gradiente ∇u ed il relativo ∇uT si ottiene, per il tensore della deformazione la forma: ⎡ c 0 0⎤ ⎢ ⎥  = ⎢0 0 0 ⎥ ⎢⎣0 0 0⎥⎦

(2.28)

Viceversa se il campo u è del tipo u = (cx2, 0, 0) si trova: c / 2 0⎤ ⎡ 0 ⎢c / 2 0 0⎥⎥ = ⎢ ⎢⎣ 0 0 0⎥⎦

(2.29)

2.6. Direzioni e dilatazioni principali Nell’intorno del generico punto p° la deformazione viene ad essere completamente caratterizzata dal tensore ∈Sym. Sulla generica retta a della stella di centro p°, il vettore spostamento non avrà la direzione della retta cui appartiene almeno in generale. Si dimostra che esistono tre rette, tra loro ortogonali, della stella di centro p° tali che i punti sulla superficie sferica dell’intorno p° hanno il vettore spostamento avente la direzione delle rette. Questo significa che il tensore  e la normale n differiscono per una costante di proporzionalità ovvero: n =λn

(2.30)

Moltiplicando ambo i membri per il tensore identità e riordinando ( −λ)n = 0

(2.31)

e scrivendo per componenti si ha (11 −λ)n1+ 12n2 + 13n3 = 0 21n1 + (22 −λ)n2 + 23n3 = 0 31n1 + 32n2 + (33 −λ)n3 = 0

(2.32)

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Trascurando la soluzione banale ni = 0, il sistema 2.32 ammetterà soluzione eguagliando a zero il determinante dei coefficienti della 2.32.. Sviluppando si ottiene la nota equazione secolare. λ3−Iλ2 −IIλ−IIIλ= 0

(2.33)

dove I, II, III sono, rispettivamente l’invariante primo, secondo e terzo del tensore . Le tre radici della equazione 2.33 sono reali poiché coincidenti con gli autovalori di una matrice simmetrica reale. I tre autovettori, normalizzati, si ottengono sostituendo nella 2.32 una radice per volta insieme alla relazione fondamentale della somma dei quadrati sui coseni direttori (Σi ni2 = 1). Può accadere che le tre radici principali coincidano, allora in questo caso tutte le direzioni sono principali. La dilatazione è invariante con la direzione. 2.6.1. Stato di deformazione nel riferimento principale Scegliendo come sistema di riferimento quello avente per assi le direzioni principali di deformazione, la terna diviene una terna o riferimento principale. In questo caso, un solido si deforma unicamente attraverso dilatazioni e le componenti del tensore della deformazione diventano: ⎡ Eη ⎢ 0 = ⎢ ⎢0 ⎣

0 Eξ 0

0⎤ ⎥ 0⎥ E ζ ⎥⎦

(2.34)

Il solido riferito alla terna principale trasla e ruota però si conserva retto poiché i suoi spigoli si allungano o si accorciano. In tal caso vediamo di dare un significato fisico al primo invariante della deformazione. Se consideriamo un cubo elementare i cui lati sono associati a fibre elementari Li coincidenti con il sistema di riferimento, allora il volume, a priori la deformazione, può essere espresso come: dV = L1L2L3

(2.35)

e successivamente la deformazione come: dV’ = L1’L2’L3’ ove Li’ = Li + ηLi dV’ = L1L2L3 (1+η) (1+ξ) (1+ζ)

(2.36)

dove le η,ξ,ζ sono le dilatazioni principali. Definiamo coefficiente di dilatazione cubica Θ, la quantità: Θ = dV’ – dV / dV Θ = (1+η) (1+ξ) (1+ζ) − 1

(2.37)

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Nella ipotesi di gradienti di spostamento minori dell’unità i prodotti ad indici diversi sono trascurabili per cui in definitiva si pone Θ = η+ξ+ζ = I

(2.38)

Ovvero l’invariante lineare rappresenta la variazione specifica del volume nell’intorno del punto. 2.7. Decomposizione del tensore  Per ogni punto p° appartenente alla configurazione indeformata lo stato di deformazione è descritto dalla componenti del tensore della deformazione. In virtù delle proprietà di decomposizione, il tensore della deformazione può essere scisso in una parte pura (variazione di volume) ed in una variazione di forma. Definiamo come dilatazione media la quantità Em =Σi ii ⁄ 3 ed il tensore S come tensore sferico

S

=

⎡ Em ⎢ 0 ⎢ ⎢⎣ 0

0 Em 0

0 ⎤ 0 ⎥⎥ = Em  Em ⎥⎦

(2.38)

Inoltre è IS = Σi Emi = Σi ii = I ovvero la deformazione definita dal tensore sferico comporta la medesima variazione di volume associata alla deformazione del tensore . Qualora si volessero determinare le dilatazioni principali si trova λ1= λ2= λ3 =Em e tutte le rette per p° sono direzioni principali, la dilatazione è costante in ogni direzione, quindi una sfera si trasforma in una sfera, un cubo in un cubo etc.. . Svolgendo la differenza tra la parte sferica ed il tensore della deformazione si ottiene il tensore deviatorico D o deviatore della deformazione, caratterizzato dal fatto di avere invariante primo eguale a zero. Conseguentemente la variazione provocata è solo di forma:

=

⎡ E11 − E m ⎢ E 21 ⎢ ⎣⎢ E 31

E12 E 22 − E m E 32

⎤ E 23 ⎥⎥ E 33 − E m ⎥⎦ E13

(2.39)

2.8. Caratterizzazione piana del campo di deformazione Risulta di notevole importanza pratica il considerare alcune forme particolari del campo deformativo. Affermiamo che si verifica uno stato piano di deformazione (nell’intorno del punto p°∈Ω°) se il vettore spostamento, relativo alla deformazione pura, è sempre parallelo ad un piano Π riproducendosi invariato per tutti i punti della generica retta ortogonale a Π.

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Nel caso piano due componenti principali sono diverse tra loro e da zero mentre una è sempre eguale a zero. Questo significa che preso un tensore  relativo ad un generico riferimento, condizione necessaria e sufficiente affinché lo stato di deformazione sia piano è che il suo det sia nullo e, conseguentemente una radice principale sarà nulla. 2.9. Carattere di estremo per le deformazioni principali Tra tutte le componenti di deformazione, quelle principali hanno una proprietà di estremo che di seguito analizziamo. Nei fatti, la legge di trasformazione che genera le deformazioni principali ξη è funzione dei coseni direttori. Ci si chiede se per opportune direzioni di una terna ortogonale di coseni direttori questa funzione risulti stazionaria. Conseguentemente si può porre il problema attraverso la funzione f ( nξη, λ) = ij niξ niη + λ(δξη − δij niξ niη)

(2.40)

dove λ è un opportuno moltiplicatore di Lagrange. Se la f ( nξη, λ) è continua, allora per il teorema di Wierstrass ammetterà l’esistenza di un estremo che verrà ottenuto eguagliando a zero le derivate prime della funzione. In formula: ∂f (nξ η, λ ) ⁄ ∂niη = (ij − λδij) niξ = 0

(2.41)

∂f (nξ η, λ ) ⁄ ∂λ = δξη − δij niξ niη = 0

(2.42)

E’ possibile osservare la similitudine della 2.41 con la 2.31, per cui i tre valori λI, λII, λIII che rendono stazionaria la funzione coincidono con le tre deformazioni principali ξ , η , ζ. Queste tre ultime assumeranno un valore massimo, un valore minimo ed un valore semplicemente stazionario. ξ> η> ζ

(2.43)

2.10. Equazioni di compatibilità interna Le componenti del tensore  si possono esprimere in funzione delle componenti di spostamento ij = ½ (ui, j + uj, i)

(2.44)

La 2.44 costituisce un sistema di sei equazioni nelle nove funzioni incognite ui = ui(x1, x2, x3), ij = ij (x1, x2, x3)

(2.45)

Questo significa che assegnato un qualsiasi campo di spostamento, descritto da funzioni continue ed iniettive, è possibile risalire alle sei componenti del tensore della deformazione.

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Affinché la deformazione, con il cessare delle cause esterne, possa essere completamente recuperata è necessario ricostruire la continuità del corpo per come essa era prima del processo subito. In generale si dimostra che l’integrità del corpo può essere ristabilita solo le componenti del tensore della deformazione soddisfano, per ogni punto del corpo, delle relazioni differenziali dette condizioni di compatibilità interna o di congruenza interna. ii, jj + jj, ii = ij, ij 2 kk, ij = (ik, j + jk, i − ij, k),k

(2.46) (2.47)

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Capitolo 3 ANALISI DELLA TENSIONE 3.1. Equilibrio delle forze e vettore tensione Si consideri su un corpo elastico ), preso nella sua configurazione Ω()) con frontiera regolare ∂Ω, l’azione esterna di due tipi di forze ovvero: -forze di volume -forze sulla superficie Consideriamo un opportuno intorno 7Õ Ω dove 9(7) è la risultante delle forze applicate. Allora "p∈7 definiamo forze di volume il limite: lim

7Øp

9(7) /V (7) = f (p)

(3.1)

Analogamente definito :Õ∂Ω come un opportuno intorno della frontiera libera ed 9(:) la risultante delle forze applicate, definiamo forze di superficie il limite: lim

7Øp

9(:) /A(:) = s (p)

(3.2)

L’esistenza di tali limiti viene condizionata dalla regolarità della funzioni 9(7) ed 9(:); si assume che i limiti esistano "p∈Ω e ∂Ω. Le condizioni di equilibrio generale si scrivono come: 9(7)= 7 f (p)dV ; M(7)= 7 f (p)× x dV ;

9(:)=: s(p)dA M(:)=: s(p)× x dA

(3.3) (3.4)

Ovvero 9(Ω) + 9(∂Ω) = 0 (3.5) M(Ω) + M(∂Ω) = 0 Consideriamo ora una parte di Ω, ovvero un opportuno intorno 7 che divida Ω in due distinte parti ove una è 7 stesso, con la sua frontiera esterna ∂7e la sua frontiera interna ∂7i. La parte rimanente sarà quindi Ω-7 a sua volta distinta, sulla frontiera, come parte interna ∂(Ω-7)i e parte esterna ∂(Ω-7)e . Imponendo l’equilibrio si avrà: 9(7) + 9(∂7e) + 9(∂7i ) = 0 in 7 9(Ω-7)+ 9∂(Ω-7)i +9∂(Ω-7)e = 0 in Ω- 7

(3.6) (3.7)

Sommando membro a membro si ottiene: 9(Ω) + 9(∂Ω) + 9(∂7i ) + 9∂(Ω-7)i

(3.8)

dove sulla frontiera interna si possono distinguere: 9(∂7i ): sono le forze trasmesse dalla parte Ω-7.

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9∂(Ω-7)i: sono le forze trasmesse dalla parte 7. Per le rotazioni varrà, analogamente, su ogni punto della frontiera interna M(∂7i ) + M∂(Ω-7)i = 0

(3.9)

La definizione di queste forze superficiali interne, indicate con t, rappresentano il principio delle sezioni di Eulero. Allora è possibile la seguente: Definizione 3.1. "p∈Ω$t, vettore tensione relativo al punto p ed alla superficie : passante per p ovvero, t = t (p, :). Affinché le considerazioni cui sopra siano valide dovranno valere le seguenti assunzioni: Ass.1: i limiti che definiscono f ed s esistono e sono finiti. Ass.2: lim:Øp M(:)/A(:) = 0. viene scartata l’esistenza di coppie. Ass.3: t = t (p, n), cioè t dipende dalla normale alla superficie :. Una ulteriore importante proprietà del vettore tensione è la eguaglianza t (p, n) = -t (p, - n). Questa ultima si verifica dalla 3.8 posta nella forma: 9(∂7i ) + 9∂(Ω-7)i = 0 e cioè ∂7i t (p, n) + ∂7i t (p, - n) = 0

(3.10)

che dovrà valere per ogni superficie interna e quindi basterà che l’integrando sia nullo. Per questo, converrà dimostrare per assurdo e trovare che, il rispetto della ipotesi 3.10, obbliga l’eguaglianza a zero dell’integrando. 3.2. Teorema di Cauchy. Il tensore degli sforzi Teorema 3.1. (Cauchy). La dipendenza del vettore tensione t dal vettore normale n è lineare ovvero, esiste un operatore lineare, detto tensore degli sforzi , tale che t =n. Dimostrazione: Si consideri un tetraedro il cui vertice coincida con l’ origine di una base ortonormale e1, e2, e3, abbia tre facce perpendicolari ai piani coordinati ed un quarto lato (base) la cui normale uscente è n, inclinato di un opportuno angolo. Sulla base agirà un vettore tensione t, mentre sulle altre facce saranno agenti i vettori tensione ti i=1,3 . Sono, altresì, agenti forze di volume f per cui l’equilibrio globale, dette 9 le rispettive risultanti, sarà: 9v + 91+ 92+ 93+ 9° = 0

(3.11)

dove 9° è la risultante dei vettori tensione sulla base del tetraedro. Variando il diametro d dell’area di base A, facendolo tendere all’origine del riferimento coincidente con p si ha: limdØ0 9v /A = 0 e limdØ0 9° /A = t (n)

(3.12)

estendendo eguali ipotesi alla altre facce del tetraedro, nonché richiamando la relazione Ai = Ani si trova ad esempio per la faccia di normale e1:

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limdØ0 91 /A = t1 n1

(3.13)

in generale è possibile scrivere: t1(n1) + t2(n2) + t3(n3) + t(n) = 0

(3.14)

la 3.14 è una relazione lineare tra il vettore tensione e la normale alla superficie per il punto considerato. Per scriverla in notazione tensoriale, osservo che t e ti sono vettori tensione relativi al punto p ed alla giacitura di normale n, -ei, inoltre è t(p, - ei) = -t(p, ei). Sostituendo l’ultima relazione nella 3.14 e riordinando si ha: t(n) = t1 e1(n1) + t2 e2(n2) + t3 e3(n3)

(3.15)

scrivendo la 3.15 per componenti si trova : t1(n) = t1 e1(n1) + t1 e2(n2) + t1 e3(n3) t2(n) = t2 e1(n1) + t2 e2(n2) + t2 e3(n3) t3(n) = t3 e1(n1) + t3 e2(n2) + t3 e3(n3)

(3.16)

che si può porre nella forma indiciale: ti =Σj tiejnj . Ponendo la forma matriciale: t1e1

t1e 2

t1e3

tiej = ij = t 2 e1 t 3 e1

t 2 e2

t 2 e3

t 3 e2

t 3 e3

(3.17)

si trova l’operatore di trasformazione lineare , ovvero il definito tensore degli sforzi di Cauchy. In notazione assoluta si scrive: t =n

(3.18)

resta così dimostrato il 1° teorema di Cauchy. Le componenti del tensore degli sforzi in un riferimento ei sono date come ij = tiej ed hanno il seguente significato fisico. ij è la componente del vettore tensione che agisce sulla faccia di normale i nella direzione j. Il tensore degli sforzi è noto una volta che è conosciuto il vettore tensione t secondo tre giaciture ej tra loro ortogonali. Viceversa quando è noto (p), il vettore tensione t risulta noto rispetto qualsiasi giacitura. Se t agisce su una faccia di normale n, allora può essere decomposto secondo una componente normale σ ed in una componente tangenziale τ. In forma analitica: t =σ+τ σ = t ⋅ n = n ⋅ n τ = t −σ =(  − σI )n

(3.19)

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3.3. Equazioni di equilibrio di Cauchy 3.3.1 Equilibrio alla traslazione. Si consideri un corpo elastico Ω suddiviso in due parti, per come descritto precedentemente. Su Ω sono agenti le forze sul volume f, sulla superficie s, mentre sulla frontiera interna agiscono le tensioni t. Si consideri la parte 7⊂ Ω e si imponga l’equilibrio: 7 f dv +∂7e s dA +∂7i t ds = 0

(3.20)

Si consideri la componente i-esima del terzo termine della 3.20 e si applichi il 1° teorema di Cauchy. Si ottiene: ∂7 ti = ∂7 Σj ij nj

(3.21)

Applicando una trasformazione di Gauss-Green depurata dalla parte esterna si ottiene: ∂7 ti = ∂7 Σj ij nj = 7 Σj ij,j − ∂7e Σj ij nj

(3.22)

Raggruppando gli integrali di volume e superficie si ottiene: 7 fdv +7 Σjij,j +∂7esdA −∂7e Σjij nj

(3.23)

e ponendo in notazione assoluta 7 f +div +∂7e s −n =0

(3.24)

Estendendo a tutto Ω, affermiamo che l’equilibrio alla traslazione è verificato dalle seguenti equazioni: ∀p∈Ω f + div  = 0 s −n =0

in Ω in ∂Ω

(3.25) (3.26)

La validità delle 3.25 e 3.26 è subordinata dal porre pari a zero entrambe. Si può dimostrare,per assurdo, la veridicità delle stesse. 3.3.2 Equilibrio alla rotazione. Si consideri un generico braccio x e si ponga l’equilibrio alla rotazione nella forma: 7 f × x dv +∂7e s × x dA +∂7i t × x ds = 0

(3.27)

preso il terzo termine della 3.27 e proiettato sull’asse e3, si ha:

⎡0 0 1⎤ ⎢ ⎥ ∂7i ( t × x )⋅ e3 = x1 x2 x3 = x1t2 −x2t1 ⎢ ⎥ ⎢⎣ t1 t 2 3 ⎥⎦ rammentando che ti =ij nj le 3.28 assumono la forma: Σj ∂7i x12j nj −x21j nj

(3.28)

(3.29)

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applicando una trasformazione di Gauss-Green e sottratta la parte di frontiera esterna si ottiene: Σj 7i (x12j),j − (x21j),j − ∂7e x12j nj −x21j nj

(3.30)

Proiettando, analogamente sull’asse e3, le forze di volume e di superficie e raggruppando gli integrali si ha: 7 x1f2−x2f1+Σj 7 (x12j),j −(x21j),j + +∂7e x1s2 −x2s1 −∂7e x12j nj −x21j nj = 0

(3.31)

Richiamando la seconda equazione di equilibrio alla traslazione è possibile semplificare la 3.31 poiché gli integrali sulla superficie esterna si annullano ottenendo: 7 x1f2−x2f1+Σj 7 (x12j),j −(x21j),j = 0

(3.32)

sviluppando le derivate dei prodotti in parentesi si ha: Σj 7 (x12j),j = Σj x1,j2j + x12j,j Σj 7 (x21j),j = Σj x2,j1j + x11j,j

(3.33)

ed utilizzando le proprietà del kronecker delta si ottiene 21 +Σj x12j,j 12 +Σj x21j,j

(3.34)

Raggruppando sotto lo stesso segno dell’integrale di volume si ottiene: 7 x1f2−x2f1 +21 +Σj x12j,j −12 +Σj x21j,j = 0

(3.35)

Richiamando la prima equazione di equilibrio alla traslazione e semplificando si ottiene 7 21 − 12 = 0

(3.36)

e, in definitiva l’importante proprietà per il tensore degli sforzi 21 = 12 ovvero  = T

(3.37)

Ovvero  non è un qualsiasi tensore ma bensì appartiene al gruppo dei tensori simmetrici Sym. In definitiva l’equilibrio alla rotazione, per un continuo di Cauchy, si traduce nell’imporre ∈Sym. 3.4 Tensioni e direzioni principali Consideriamo un qualsiasi punto p∈Ω, chiedendoci se esiste il caso in cui t sia parallelo ad n. In questo caso la relazione n = σn sarà differente solo per una costante di proporzionalità σ.

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Presa allora la n = σn moltiplicando per I, evidenziando n si ha la forma: (−σI)n = 0

(3.38)

scritta per componenti offre la rappresentazione (11−σ)n1 +12n2 + 13n3 = 0 21n1 + (22−σ)n2 + 23n3 = 0 31n1 + 32n2 + (33−σ)n3 = 0

(3.39)

Il sistema 3.39 oltre alla soluzione banale n = 0 ne ammetterà altre se e solo se det (−σI) = 0. Sviluppando si ottiene la nota equazione secolare −σ3 +ITσ2 −IITσ +IIIT = 0

(3.40)

dove IT, IIT, IIIT sono rispettivamente, l’invariante primo, secondo e terzo del tensore degli sforzi. Se  è simmetrico allora l’equazione secolare ammette 3 soluzioni reali σ1, σ2, σ3. Sostituendo nella 3.39 a σ uno dei valori trovati otterremo un sistema con determinante nullo, ovvero ogni equazione è combinazione lineare delle altre due, quindi ∞1 soluzioni che si riducono ad una mettendo in conto la proprietà che la sommatoria dei quadrati dei coseni direttori vale 1. Trovasi, quindi per ogni autovalore σi il corrispondente auto-vettore normalizzato e conseguentemente 3 giaciture relative alle tre soluzioni. Teorema 3.2. Assegnato il tensore , se accade che n = σn, segue: 1-le tre soluzioni σ1, σ2, σ3 associano le relazioni: σ1→n1, σ2→n2, σ3→n3. 2-la terna n1, n2, n3, è ortogonale. Dimostrazione. Se n1 e n2 verificano rispettivamente le equazioni n1 = σ1n1 n2 = σ2n2

(3.41)

moltiplicando scalarmente per n2 , n1 n1  n2 = σ1n1  n2 n2  n1 = σ2n2  n1

(3.42)

sottraendo membro a membro 0 = (σ1−σ2)n2  n1

(3.43)

posto che σ1≠ σ2 , dovrà necessariamente risultare n2  n1. Le direzioni così definite assumono il nome di direzioni principali e le corrispondenti tensioni “principali”. Nel riferimento principale il tensore degli sforzi avrà la forma: ij =0 per i ≠j, ij ≠ 0 per i =j

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Vogliamo ora verificare l’invarianza della traccia di . IT =∑i ii

(3.44)

cambiando riferimento ∑h hh =∑ijh ij nih njh

(3.45)

essendo la matrice dei coseni ortogonale [n][n] = I si può porre T

∑h hh =∑ij ij δij

(3.46)

Nel caso dell’invariante terzo si ha: det [ *] = [ N ] [  ] [ N ]T

(3.47)

e con la proprietà delle matrici ortogonali si ottiene det [ *] = det [  ]

(3.48)

3.5 Stati di tensione particolari Si definisce stato di tensione piano, nell’intorno di un punto p, quando il vettore tensione, concernente qualsiasi giacitura della stella di centro p, appartiene sempre ad un piano π, detto piano delle tensioni. E’ facilmente intuibile, e dimostrabile, che lo stato di tensione è piano se e solo se uno delle tensioni principali in p è nulla. Analogamente si può affermare che si ha stato monoassiale di tensione quando una delle tensioni principali in punto p è nulla. Come visto per l’analisi della deformazione, anche nella analisi della tensione è possibile decomporre il tensore degli sforzi secondo la decomposizione Sph⊕Dev ottenendo:

S =

T11

0

0 0

T22 0

0 0 = T33

σ

0

0

0

σ

0

0

0

σ

= σI

(3.49)

ove S∈Sph prende il nome tensore sferico e caratterizza lo stato di tensione idrostatica tipico di un liquido perfetto in quiete, entro un recipiente in pressione (principio di Pascal). In particolare, si può affermare che su un qualsiasi elemento p, di un corpo elastico soggetto a pressione idrostatica, il vettore tensione è sempre, e in ogni modo, parallelo alla normale uscente dalla superficie passante per p . In altro modo, per ogni giacitura della stella di piani passante per p, il tensore relativo presenta tensioni tangenziali nulle, comportando così esclusivamente tensioni normali di modulo costante.

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In altre parole, l’intensità della tensione non dipende dalla giacitura, ovvero ciascuna giacitura della stella risulta essere piano principale, oppure, qualsiasi direzione per p è una direzione principale. Considerando ora la seconda parte della decomposizione tensoriale nei fatti si ottiene:

T11 − σ D

=

T12

T 21

T22 − σ

T31

T3 2

T13 T2 3

(3.50)

T33 − σ

Il tensore D∈Dev prende il nome di deviatore di tensione e presenta la proprietà di possedere invariante primo nullo. Esso è legato alle tensioni tangenziali presenti nello stato di tensione originario. La decomposizione del tensore degli sforzi in Sph⊕Dev , la seconda complementare della prima, si rivela utile soprattutto nei problemi di plasticità e nei problemi di verifica della sicurezza strutturale. 3.6 Rappresentazione grafica degli stati di tensione Si consideri uno stato di tensione piano rappresentato da un tensore degli sforzi del tipo: T12

0

 = T21 T22 0 0

0

T11

(3.51)

0

Operiamo un cambiamento del sistema di riferimento originale che lasci inalterato l’asse e3. Allora la matrice dei coseni direttori avrà la forma:

cos α N = − sen α 0

sen α cos α

0 0

0

0

(3.52)

Rammentando le relazioni che legano il cambio del riferimento, lo stato di tensione, dopo la rotazione, è dato dalla: * = N  NT

(3.53)

Sviluppando il prodotto 3.53, e ponendo in funzione di 2α si ha la posizione: σ − (11+22)/2 = [(1122)/2] cos2α+12sen2α τ = [(11−22) /2] sen2α+12cos2α

(3.54)

quadrando e sommando le 3.54 si ottiene:

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[σ − (11+22)/2]2 + τ2 = 122 + [(11-22) /2]2

(3.55)

la relazione 3.55 che non dipende da α rappresenta l’equazione di un cerchio nel piano σ-τ avente, rispettivamente, centro c e raggio r espressi dalle:

c = [(11+22)/2, 0] ; r =  [(11-22) /2]2 +122

(3.56)

La 3.56 rappresenta lo strumento per una rappresentazione grafica del variare dello stato di tensione relativo ad un punto p. Nel piano σ-τ le tensioni principali corrispondono all’intersezione del cerchio con l’asse delle tensioni normali σ. Posta eguale a zero la seconda delle 3.53 e divisa per cos2α si ha: 0 = [(11−22) /2] sen2α+12cos2α

(3.57)

tg2α = 212/(11−22) ⇒ α = arctg 212 /(11−22) si ottiene così, dalla seconda delle 3.57, il valore dell’angolo cui bisogna ruotare il riferimento iniziale finché esso diventi principale, cioè a componente tangenziale nulla.

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Capitolo 4 RELAZIONI COSTITUTIVE 4.1 Assiomi costitutivi in meccanica dei materiali Le equazioni costitutive tengono in conto che i corpi continui possono essere costituiti da materiali diversi. Come nella geometria, dove una volta formulate le leggi generali si può porre l’attenzione allo studio di particolari classi di figure, così in meccanica dei continui si può portare attenzione allo studio di materiali ideali, contraddistinguendo ogni classe da particolari assunti costitutivi. Da un certo punto di vista, la precisazione della classe delle configurazioni possibili, insita nella definizione di corpo continuo, può riguardarsi come ipotesi costitutiva. Essa suddivide i corpi continui nelle classi dei corpi rigidi, deformabili, incomprimibili, inestensibili, ecc.. Formalmente una suddivisione dei corpi continui in sottoclassi avviene introducendo un’ulteriore struttura sul corpo continuo ), pervenendo alla nozione di corpo costituito da un certo materiale o corpo materiale. Si consideri ora, una coppia ( y*, T*) dove y* è un moto di ) e T*œSym è un campo di tensioni di classe C1 definito sulla traiettoria di y*. Per ogni punto (y,t) della traiettoria di ), T* associa il tensore degli sforzi: T = T*(y,t)

(4.1)

La coppia così definita prende il nome di processo dinamico per il corpo ). Specificare la natura del materiale costituente il corpo significa specificare l’insieme dei processi dinamici ammissibili. A qualunque classe di processi dinamici ammissibili viene richiesto osservare i seguenti principi generali: ∏ principio di determinismo dello stress. Si afferma che il valore attuale della tensione è determinato dalla storia passata del moto. Analiticamente significa postulare l’esistenza di una funzione tale che: T* (⋅, t) = - (yt)

(4.2)

∏ principio di azione locale. In ogni punto xo∈) la tensione è determinata dalla restrizione della storia passata del moto all’intorno di xo. In formule: -x(yt) = T*(y*(x,t), t)

(4.3)

Ove - è il funzionale di risposta del materiale, ∀x). La relazione 4.3. prende anche il nome di equazione costitutiva del materiale. ∏ assioma di indifferenza delle equazioni costitutive. In altre parole per ogni insieme di tensori ortogonali (t) deve essere: (t) -x(y* t) T (t) = -x ( ( y*)t )

(4.4)

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4.1.1 Materiali semplici Si definisce materiale semplice un materiale per il quale la tensione nel punto x∈) è determinata dalla storia del gradiente di deformazione. (t) = - (t )

(4.5)

La classe dei materiali semplici è abbastanza vasta da contenere, in pratica, tutti i materiali studiati. L’espressione 4.5 obbedisce automaticamente ai principi di determinismo ed azione locale, mentre il principio di indifferenza materiale comporta le seguenti relazioni: (t) - (t) T (t) = - ( t t )

(4.6)

Applicando il teorema della decomposizione polare t = tt, posto t = ( T)t si ottiene: - (t)

= (t) -(t) T(t)

(4.7)

L’equazione (t) = (t) -(t) T(t)

(4.8)

è la forma ridotta della equazione costitutiva dei materiali semplici. Essa tiene conto automaticamente delle restrizioni imposte dal principio di indifferenza materiale. Inoltre, essa mostra che nella determinazione del campo tensionale, non interviene la storia passata dell’intero gradiente della deformazione , ma solo quella di , mentre la rotazione interviene solo con il suo valore attuale. In altre parole il materiale semplice non ha memoria delle rotazioni passate. Una delle maggiori difficoltà incontrate nello sviluppo della teoria dei materiali semplici è quella della formulazione di una coerente teoria della plasticità. Le ricerche condotte in questa direzione hanno portato alla definizione di una classe di materiali semplici, i materiali con rango elastico, le cui proprietà sono atte a descrivere quello che comunemente si intende per comportamento elasto-plastico dei materiali. 4.2 Legame costitutivo elastico lineare Si consideri una molla monodimensionale costituita da materiale elastico le cui proprietà siano espresse dalla costante k. Nella ipotesi 1-D, sia P l’intensità della forza applicata all’estremo libero della molla che, invece, sull’estremo opposto risulta incastrata. Sia u lo spostamento generato dalla forza nella direzione assiale. Considerando un opportuno intervallo geometrico, attraverso semplici considerazioni di equilibrio, si deduce che l’equazione di equilibrio della molla assume la forma: N = k∇u

(4.9)

La 4.9 assume la definizione di equazione costitutiva della molla elastica e lineare.

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Estendendo la 4.9 al caso tridimensionale, restando ferme le ipotesi di linearizzazione viste in precedenza, si ottiene la funzione di risposta per un materiale elastico lineare:  = ∇-∇u

(4.10)

la 4.10 rappresenta, altresì, la legge costitutiva per un materiale elastico lineare. Fatta la posizione che definisce il tensore elastico  ∇- = 

(4.11)

si ottiene la seguente relazione sforzo-deformazione  = ∇u

(4.12)

Dalla, già nota, decomposizione del gradiente dello spostamento è dimostrabile una proprietà della 4.12 ovvero, detto K∈Skw si ha: (K ) = 0 ∀K∈Skw

(4.13)

La 4.13 afferma che una qualsiasi deformazione rigida non altera lo stato di tensione. Conseguentemente, la 4.12 assume dipendenza solo dalla parte simmetrica del gradiente dello spostamento quindi, nel caso elastico lineare, diventa:  = 

(4.14)

Dalla 4.12 segue che la funzione di risposta per materiale elastico è caratterizzata dalla seguente trasformazione: -: Lin+ × ) →Sym mentre nel caso lineare si ha la formulazione: ∀p∈) ∃: ) → Sym ⇒ =  La relazione 4.12 non è che la più generale relazione lineare tra ij ed ij. Il tensore del 4° ordine , è definito anche come la matrice delle costanti elastiche che caratterizza il materiale. Se il corpo è fatto dello stesso materiale, allora le ijrs sono indipendenti da x (corpo omogeneo), altrimenti esiste una dipendenza (corpo non omogeneo). In conseguenza del fatto, già dimostrato, che la coppia di tensori (, )∈Sym, il tensore  sarà anch’esso un tensore simmetrico quindi, apparterrà anch’esso allo spazio Sym . Il tensore elastico presenta particolari proprietà di simmetria, distinte come: -simmetrie minori: ijrs = jirs, ijrs= ijsr -simmetrie maggiori  = T , in componenti ijrs = srij -simmetrie elastiche

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Riguardiamo con attenzione queste ultime proprietà del tensore  dimostrando inizialmente le proprietà della simmetria maggiore. In questo caso, la simmetria maggiore impone  = T ovvero in componenti ijrs = rsij. Il significato fisico, per tale proprietà, è descritto ipotizzando di operare nello spazio descritto dal tensore della deformazione , stabilendo una curva la cui equazione è funzione del parametro temporale t:  = (t) con t0 0; k > 0; ν>0

(4.60)

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4.2.5 Materiali con rango elastico Si definisce materiale con rango elastico un materiale semplice per il quale ad ogni storia della deformazione t è possibile associare in insieme  (t ) con le seguenti proprietà: ∏  (t ) è una regione regolare dello spazio dei tensori del secondo ordine ∈ Lin+ (determinante positivo) ∏ ∀ t $ t> 0 tale che i valori di t compresi in ( 0, t )Õ * (t ) ∏ La regione associata alle continuazioni di t contenute in * (t ) è  (t ) ∏ Per le continuazioni q di t ∈ * (t ), la tensione  dipende solo dal valore attuale Fq (0) della storia continuata.  (t ) è la regione elastica associata a t, le continuazioni contenute in * (t ) sono le continuazioni elastiche di t, mentre quelle in cui i valori relativi agli instanti successivi a t sono esterni a (t ) e rappresentano le continuazioni anelastiche. L’ultima proprietà afferma che ad ogni storia t si associa una funzione gFt, definita su * ( t ) a valori tensoriali tale che:  = gt ()

(4.60.1)

Definita la funzione di risposta del materiale in (t ). Considerando variazioni della storia della deformazione si può porre: °(t) = “ gFt ( (t)) °(t) + δgFt (°(t))

(4.60.2)

Dove si mostra che, ° (t) è dato dalla somma di una parte lineare in °(t) e di una parte dipendente dalla variazione della funzione di risposta. Si può quindi porre δgt (°(t)) = 0 δgt (°(t)) ≠ 0

per continuazioni elastiche per continuazioni anelastiche

Detti (t) e (t) i gradienti di gFt e di δgFt in (t) la tensione prende la forma  (t) = (t) °(t)  (t) = (t) °(t)

per continuazioni elastiche per continuazioni anelastiche

(4.60.3)

Di questo tipo sono le equazioni fenomenologiche della plasticità, in pratica quelle dei materiali elasto-plastici incrementali. 4.2.6. Materiali con memoria evanescente Nella definizione di materiale semplice si è assunto che la tensione è determinata dalla storia passata del gradiente di deformazione. Tuttavia, risulta abbastanza difficile ammettere, anche in sola linea di principio, che sia possibile conoscere l’intera storia passata di . Per porre rimedio a questa difficoltà s’ introduce il principio della memoria evanescente il quale afferma, in sostanza, che agli effetti della determinazione di , le deformazioni subite nel passato sono di tanto minore importanza quanto più sono lontane nel tempo. Per definire meglio

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questo concetto, data una storia di deformazione  si definisce storia costante e relativa perturbazione associata a , le storie ° e *t così definite: °(s) = t(0); *t(s) = t(s) – t(0);

s∈[0, ¶)

(4.60.4)

e diciamo, tensione residua associate a ° la tensione ° ° (t) = ℑ (°)

(4.60.5)

Ovvero, la (4.60.5) è tensione che si manifesta nel materiale assoggettato alla storia costante °. In altri termini ° è la tensione che si manifesta nel materiale che non si deforma da un tempo infinito. Ovviamente cessa la dipendenza dal tempo e quindi °(t) = ° = cost. .Ritornando ad una generica storia F t poniamo la tensione nella forma:  (t) = +(°) + /(*t)

(4.60.6)

Ponendo che /(0) = 0 per *t = 0 si ha: +(F°) = ℑ(°) = °

(4.60.7)

quindi, la tensione si può scrivere come:  (t) = ° + /(*t)

(4.60.8)

Una conseguenza del principio della memoria evanescente è che, se si esegue una singola perturbazione nell’intorno di un istante t, assegnato man mano che essa si allontana nel passato, la sua misura tende a zero e quindi la tensione  tende alla tensione residua °. Questo effetto è detto rilassamento della tensione, o comunemente scarico di tensione (es. tipico nei problemi di precompressione nelle strutture in c.a.). 4.3 Stati limiti di plasticità Per la trattazione del fenomeno, per semplicità, omettiamo alcuni fenomeni quali lo scorrimento viscoso, effetti termici, fenomeni a scala microscopica, isteresi, effetto Bauschinger. Sotto tali ipotesi ammettiamo che il superamento del limite elastico (snervamento) per il materiale dipenda solo dallo stato di tensione e dallo stato di deformazione plastica. Si definisce così una funzione detta funzione di snervamento  (ij , ijP) configurata come l’equivalente della prova monoassiale. Per ogni combinazione dello stato di tensione si ha nella transizione elastica-plastica la funzione:  (ij , ijP) = 0

(4.61)

detta anche condizione di plasticità o criterio di snervamento. Il legame (4.61) è difficile da caratterizzare in quanto dipendente dalla storia del materiale e dalla storia del carico. Per semplificare la relazione ammettiamo che la (4.61) abbia dipendenza dalla deformazione plastica attraverso un solo parametro:

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 (ij ) =  ( ijP)

(4.62)

La (4.62) ha un preciso significato geometrico nello spazio delle tensioni principali ove le stesse possono essere riguardate come coordinate di un punto tensione  ≡(σI , σII , σIII ), cui la condizione di plasticità impone di trovarsi sulla superficie  (ij ) =  che assume il nome di superficie di snervamento . Riguardo il parametro  questi è assunto funzione del lavoro di deformazione plastica: con

 (ij ) =  (W P)

(4.63)

W P = ∫ ij dijP

(4.64)

con l’integrale esteso all’effettivo percorso. Qualora il comportamento del materiale (come nel caso metallico), si assuma perfettamente plastico, la condizione di plasticità si scrive:  (ij ) = 0

(4.65)

Nel caso isotropo la funzione ha dipendenza dallo stato di tensione attraverso gli invarianti: ( I1, I2, I3) = 0

(4.66)

e ricordando, che la parte idrostatica non comporta deformazioni plastiche apprezzabili, si può porre la 4.66 in termini di parte deviatorica:  (I2, I3) = 0

(4.67)

4.3.1 Problema dell’equilibrio elastico-plastico Si consideri il corpo ) nella sua configurazione Ω, in fase elasto-plastica e siano assegnate le forze di volume f , le forze di superficie s, oltre al campo di spostamenti sulla frontiera vincolata ∂1Ω. Per ogni variazione temporale dt, gli incrementi differenziali delle componenti di deformazione dij e delle componenti di spostamenti du dovranno verificare le equazioni di congruenza e di vincolo. Parimenti anche gli incrementi differenziali delle forze esterne e delle componenti di tensione dovranno verificare le equazioni di equilibrio, in termini delle corrispondenti velocità. Riferendoci alle derivate rispetto al tempo, sono da verificare le seguenti espressioni espresse in termini di velocità di variazione: dij = ½( dui,j +d uj,i ) dui = dui * div d + df = 0 ds = d n

(Ω) (∂1Ω) (Ω) (∂2Ω)

(4.68)

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La formulazione completa dell’equilibrio elastoplastico necessita della presa in considerazione delle (4.68) , della condizione di plasticità e dei legami costitutivi tipo elastico ed elasto-plastico (relazioni di Melan) dij = (ijhk + a ÿ (∂ /∂ij ) (∂ /∂hk )dhk

(4.69)

ove a = 0 nella fase elastica e a = 1 nella fase plastica; ÿ è una funzione legata alla storia della deformazione. 4.3.2 Principi di estremo Analogamente al caso elastico è possibile formulare il problema di equilibrio per un solido in regime elasto-plastico secondo una metodologia variazionale. Formalmente il problema è analogo salvo a differenziare tensioni e deformazioni assegnando loro carattere di velocità di tensione e di deformazione. Quindi, sarà possibile la seguente: Definizione 4.8: una distribuzione d delle velocità di deformazione è definita cinematicamente ammissibile se dedotta da velocità di spostamento du tali che: dij = ½( dui,j +duj,i ) (Ω) dui = dui* (∂1Ω)

(4.70)

a tale distribuzione corrisponderanno delle velocità di tensione dij non necessariamente equilibrate. Conseguentemente l’espressione del teorema degli spostamenti virtuali (in termini di velocità), scritta per variazioni congruenti, può essere posta come l’equazione variazionale per la stazionarietà del funzionale: J (dEi , dui ) = ½ ∫ ij dij - ∫ dfi dvi dΩ - ∫ dsi dvi d∂Ω

(4.71)

Analogamente una distribuzione delle velocità di tensione è detta staticamente ammissibile se soddisfa: div (∇u) + f = 0 s = (∇u) n

(Ω) (∂2Ω)

(4.72)

e, nel caso di plasticità perfetta:  (ij ) ≤ 0

(4.73)

Applicando il teorema delle velocità delle forze virtuali, per le variazioni del campo di velocità delle tensioni, si trova la condizione di stazionarietà per il funzionale: K ( dTij , dsi ) = - ½ ∫ dTij dEij + ∫ dsi dvi d∂2Ω

(4.74)

Come nel caso elastico, fatta la differenza tra i due funzionali si trova:

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minJ = max K

(4.75)

con J = K solo per la soluzione effettiva 4.3.3. Collasso plastico. Teoremi dell’analisi limite Nello stato perfettamente plastico non esistono stati di tensione rappresentabili all’esterno della superficie di snervamento. Nel caso in cui è  (ij ) = 0 la deformazione plastica procede indefinita, senza necessità di incrementi di tensione e, conseguentemente, parleremo di collasso plastico affermando che la particolare distribuzione del carico costituisce un sistema limite di carico mentre, la corrispondente velocità di deformazione rappresenta un meccanismo di collasso. Siano fi e si un sistema di forze agenti sulla configurazione Ω e procediamo ad un aumento graduale delle stesse attraverso un parametro “ m “ detto coefficiente di sicurezza, quando mfi ed msi sono un sistema limite di carico, mentre la corrispondente distribuzione delle velocità di deformazione è un meccanismo di collasso d = dP. Le corrispondenti tensioni saranno in equilibrio con m*fi , m*si attraverso il coefficiente m* “moltiplicatore cinematicamente ammissibile” associato alle dij. Analogamente °ij è staticamente ammissibile per il collasso qualora il suo punto rappresentativo è interno o appartiene alla superficie  (ij ) = 0 . Le d°ij non verificheranno le equazioni di congruenza mentre le d°ij saranno equilibrate con m°fi , m°si dove m° è il “moltiplicatore staticamente ammissibile” associato alle d°ij . Lo stato finale non lascia prevedere una distribuzione unica delle tensioni, quindi prese due distribuzioni di tensione d1, d2 associate allo stesso meccanismo di collasso dP , la loro differenza deve risultare auto-equilibrata e l’equazione dei lavori virtuali diventa: ∫ (d1 - d2 ) dP dΩ = 0

(4.76)

Se S′ e S″ sono i punti rappresentativi di stati tensionali sulla superficie di snervamento, essendo quest’ ultima convessa, l’angolo S′ S″∧ n sarà minore di 90° per cui il prodotto scalare: ∫ ( d1 - d2 ) dP > 0

(4.77)

Ma questo contrasta l’equazione dei lavori virtuali poiché, assunto che P ≠ 0; seguirà necessariamente l’ eguaglianza d1 = d2 ovvero, l’unicità della soluzione nel meccanismo di collasso effettivo. Vediamo ora di determinare le limitazioni inferiori e superiori per il coefficiente di sicurezza m. Assunto, un sistema cinematicamente ammissibile dui , dij e un sistema equilibrato rappresentato dalle differenze: (m°fi - m*fi ) , (m°si - m°si) , ( °ij – *ij )

(4.78)

scrivendo l’equazione dei lavori virtuali: (m° - m*) (∫ dfi d vi dΩ + ∫ dsi dvi d∂Ω = ∫( °ij – *ij )dij

(4.79)

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con dij coincidente con dP. Essendo coincidenti le due velocità deformazione plastica, il punto * dovrà trovarsi sulla superficie  (ij) = 0 , mentre il punto ° sarà interno o al più sulla frontiera.

Superficie di snervamento e collasso plastico.

Il piano tangente al punto * lascia ° da una parte, per questo l’angolo °*∧ n(E pij ) § 90° quindi: (°ij – *ij ) dij ¥ 0

(4.80)

conseguentemente: ( m° - m* ) ¥ 0

(4.81)

Ovvero, la differenza tra i moltiplicatori è sempre positiva salvo per m° = m*, cioè quando si è in corrispondenza dell’unica soluzione contemporaneamente cinematicamente e staticamente ammissibile (soluzione effettiva), ritrovando così il noto risultato della teoria variazionale: min m° = max m*

(4.82)

Dalle (4.81 e 4.82), nel caso di solido perfettamente plastico, segue la validità dei seguenti due teoremi: Teorema 4.5: la totalità dei moltiplicatori cinematicamente ammissibili m* ha come inf. il coefficiente di sicurezza m del sistema di forze applicate. Teorema 4.6: la totalità dei moltiplicatori staticamente ammissibili m° ha come sup. il coefficiente di sicurezza m del sistema di forze applicate. La disuguaglianza (4.81) sussiste purché la quantità, velocità del lavoro virtuale, che le forze effettive compierebbero in corrispondenza delle velocità virtuali dvi del meccanismo sia positiva: d 3° = ∫ si dvi d∂Ω + ∫ fi d vi dΩ > 0

(4.83)

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I due teoremi del collasso plastico costituiscono i fondamenti dell’ analisi limite, anche se, presentando la limitazione di non fornire alcun criterio riguardo la deformazione plastica locale, comportano un serio inconveniente poiché la deformazione del solido potrebbe raggiungere valori inaccettabili allo approssimarsi del limite di collasso. 4.4 Viscoelasticità Questi stati sono tipici di alcuni materiali che posseggono caratteristiche sia dei solidi elastici sia dei fluidi viscosi. Due classiche esperienze sono alla base della descrizione dei fenomeni viscoelastici, in particolare il fenomeno del creep, ove dietro l’applicazione di una forza, in un tempo unitario, la deformazione cresce nel tempo fermo restando costante il valore della forza. Duale esperienza è quella del rilassamento dove, applicata una deformazione istantanea si riscontra un andamento della forza decrescente gradualmente tendendo ad un limite finito quando il tempo tende ad infinito. Il legame costitutivo per un materiale visco-elastico può porsi nella forma:  = ℑ{(t)}

(4.84)

Ove la ℑ è una funzione tensoriale di tutta la storia della deformazione. Il principio di indifferenza consente di scrivere: (t) (t) T(t) = ℑ{(t) (t)}

∀(τ)

(4.85)

Introducendo la funzione tensoriale ¡ {C (τ) } data da: ¿ {C(τ) } = U-1 ℑ{U (τ ) } U-1 (t)

(4.86)

essendo C ed U degli opportuni tensori di deformazione da cui, si ha la completa caratterizzazione costitutiva del materiale viscoelastico lineare:  (t) =  (t ) ¿ {C(τ)} T(t )

(4.87)

Il comportamento fisico di un materiale visco-elastico è modellizzato facendo ricorso ai due stati ideali, solido e liquido, nel rapporto tensione-deformazione. Nel caso isotropo elastico si ha: ij = 2µ ij+ λ δij Σ r rr

(4.88)

Nel caso viscoso lineare subentra la velocità di deformazione e si ottiene: ij = 2η dij + υ λ δij Σ r drr

(4.89)

Dove η è il coefficiente di viscosità e υ la viscosità di volume. Le espressioni (4.88 e 4.89) sono note anche come relazioni di Newton. Formuliamo ora una trattazione analitica dei casi classici:

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-caso dell’elasticità ritardata Se lo stato di deformazione, nella interazione elastico viscosa, è determinato dalla prima è possibile sovrapporre la risposta in termini di tensione ij = eij + vij

(4.90)

Sostituendo le (4.88,4.89) nella (4.90) si ha la relazione di risposta visco-elastica: ij = 2µ ij + 2η d + δij ( λ Σ r rr + υ Σ r drr)

(4.91)

ricorrendo alla decomposizione tensoriale:  = S + D con S∈Sph, e D∈Dev

(4.92)

È possibile decomporre la risposta visco- elastica nella parte sferica (ove  e  sono rispettivamente modulo di bulk e la viscosità di volume) ed in quella deviatorico: Sij = 3 Σ rrr + 3Σ rdrr

(4.93)

Dij = 2µ ij + 2ηdij

(4.94)

- caso dello scorrimento viscoso Se nella interazione tra la fase elastica e la fase viscosa lo stato di tensione è determinato dalla fase elastica è possibile porre: dij = deij + dvij

(4.95)

e scrivere, nel caso di tensione costante: ij (t) = (°ijt/2η)+°ij

(4.96)

Introduciamo, per una trattazione più compatta, degli operatori che mettono in relazione le componenti deviatoriche dello sforzo e della deformazione: 7ij = 2µ8ij

(4.97)

dove 7, 8 sono operatori differenziali lineari del tipo: 7 = ao +a1 d/dt + a2 d 2/dt2 +…..am d m/dtm 8 = bo +b1 d/dt + b2 d 2/dt2 +…..bm d m/dtm

(4.98)

con am , bm combinazioni delle costanti elastiche. Sommando alla (4.97) la parte isotropa, si ottiene la relazione generale per un materiale nello stato viscoelastico lineare comprimibile: 7ij = 2µ8ij + δ(7 − 2/3µ8) IE

(4.99)

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posto il termine in parentesi uguale a Λ, si ha la forma definitiva per la relazione costitutiva : 7Tij = 2µ8Eij + δΛ IE

(4.100)

integrando, attraverso l’utilizzo della trasformata di Laplace si trova: ij = 2µ∫t 4(t−τ) ij(τ) dτ + δij ∫t 5 (t −τ)IE(τ) dτ

(4.101)

la (4.101) rappresenta l’equazione di Boltzmann per lo stato viscoelastico con 4, 5 funzioni di memoria per la tensione. Lo stato tensionale, funzione del tempo t, all’istante t è espresso dagli integrali, estesi a tutto l’intervallo di tempo [0, t), nei quali compaiono i valori istantanei applicati all’intervallo (τ, τ+dτ). Le funzioni 4, 5 possono essere introdotte come postulati nella definizione di materiali con memoria. Il problema di equilibrio per il caso viscoelastico, si basa formalmente come l’ analogo elastico. Bisogna determinare un campo di tensione ed un campo di deformazione relativi ad un corpo ) con la sua configurazione W) e frontiera ∑W), composta da una parte libera e da una parte vincolata. Le forze agenti sono di volume fi e superficie si. Nel caso quasi statico, trascurando le forze di inerzia, si hanno le identiche espressioni del problema elastico cui andrà aggiunta la relazione: 7ij = 2µ8ij + δΛ IE

(4.102)

Nel caso elastico la soluzione dipende dalla configurazione istantanea e dai valori assegnati sul bordo, mentre nel caso viscoelastico è influenzata dalla intera storia del processo. Il procedimento più rapido per calcolare la soluzione è fondato sull’utilizzo delle trasformate di Laplace che trasformano il problema iniziale in un problema elastico delle variabili trasformate. 4.5 Termoelasticità La termoelasticità è un notevole esempio di stato anelastico rappresentato dalla presenza di una energia termica che interagisce con il mezzo continuo attraverso la deformazione del corpo. Supponiamo che la deformazione del solido dipenda dalla tensione e dalla temperatura; si osserva, nel caso isotropo, che una variazione di temperatura ;, a partire da un valore iniziale ;°, comporta una variazione delle sole componenti di deformazione: ij = δij α;

(4.103)

dove α è il coefficiente di dilatazione termica, mente l’apice  nelle ij rappresenta la dipendenza esclusiva dalla temperatura. Richiamiamo la forma inversa della equazione di Lamè ij = 1/2µ[ ij − δij (λΣiii / 3λ+2µ)]

(4.104)

Lo stato di deformazione effettivo è dato dalla composizione additiva:

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ij = ij+ Eij = δij α;+1/2µ[ ij − δij (λΣiii / 3λ+2µ)]

(4.105)

Le componenti di tensione assumono la forma: ij = 2µij + δij (λIE − α ;)

(4.106)

dove α = (2µ+3λ)α. Le (4.105 e 4.106) sono determinate dalla decomposizione della deformazione, in una parte elastica ed in una parte termica. Altre relazioni si hanno, considerando il rilassamento delle fluttuazioni di temperatura nel solido, dovute alla influenza della deformazione sulla temperatura stessa. Definiamo 0, ∀∈Sym+. Allora la soluzione esiste ed è unica a meno di spostamenti rigidi. Dimostrazione.: supposto esistano due soluzioni, u’ e u” relative agli stessi dati. Scrivendo l’ELV con spostamenti di vincolo nulli si ha: ∫ ∇u’ÿ ∇v dΩ =

∫ s ÿ v d∂2Ω + ∫ f ÿ v dΩ

(5.24)

analogamente per la seconda soluzione ∫ ∇u”ÿ ∇v dΩ = ∫sÿ v d∂2Ω + ∫ f ÿ v dΩ

(5.25)

sottraendo membro a membro si trova: ∫ ∇(u’- u” )ÿ ∇v dΩ = 0

(5.26)

il campo di spostamenti differenza (u’- u” ) è un campo che si annulla sul vincolo, quindi u’ = u” = u°, la loro differenza è nulla. ∫ ∇(u’- u” )ÿ ∇ (u’- u” ) = 0

(5.27)

ma per la seconda simmetria minore di  è possibile scrivere ∫ (E’- E” )ÿ (E’- E” ) = 0

(5.28)

ma, dalla definizione di positività per , deve essere ( ÿ > 0) per cui è u’ = u” a meno di spostamenti rigidi. Teorema 5.3 (Clapeyron). Sia u soluzione per i dati , Ω, , u, f, s, e sia  = T, u° = 0. Allora il lavoro virtuale, svolto delle forze esterne per gli spostamenti, vale il doppio dell’energia potenziale elastica. Dimostrazione: basta scrivere l’ELV con u al posto di v ∫ ∇u ÿ ∇v = ∫sÿ u d∂2Ω + ∫ f ÿ u dΩ

(5.29)

ma, per definizione di energia potenziale elastica

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W(E) = ∫ ½ Eÿ E = ∫ ½ ∇u ÿ∇v

(5.30)

e quindi in definitiva ∫sÿ u d∂2Ω + ∫ fÿ u dΩ = 2W ( )

(5.31)

giova, altresì, osservare che l’ipotesi di simmetria di  serve solo a dare a W(E) il significato di energia di deformazione. Teorema 5.4:( di reciprocità , Betti) Siano dati, il corpo elastico Ω, il materiale cui è costituito, ovvero il tensore elastico , l’equazione di vincolo u = u*(x ) in ∂1Ω supposto perfetto u* =0. Sotto queste condizioni si considerino due distinti stati elastici dove u’, u’’ sono soluzioni per i carichi f ’, s’ ed f ’’, s’’. Allora, il lavoro che le forze relative alla prima soluzione svolgono per lo spostamento relativo alla seconda soluzione, eguaglia il lavoro che le forze relative alla seconda soluzione svolgono per gli spostamenti relativi alla prima soluzione cioè: f ’ u’’ +s’ u’’ = f ’’ u’ +s’’ u’

(5.32)

Dimostrazione: Scriviamo le equazioni dei lavori virtuali con le relative soluzioni: ∫ ∇ u’ ÿ ∇v =

∫ f ’ u’’ dΩ + ∫ s’ u’’ d∂2Ω

(5.29)

∫ ∇ u’’ ÿ ∇v = ∫ f ’’ u’ dΩ + ∫ s’’ u’ d∂2Ω Sottraendo membro a membro le 5.29 e richiamando le proprietà di simmetria del tensore elastico (ΑΒ) = ΑΒ = ΒΑ si ottiene: 0 = ∫ f ’ u’’ dΩ + ∫ s’ u’’ d∂2Ω−∫ f ’’ u’ dΩ + ∫ s’ u’’ d∂2Ω

(5.30)

resta, in tal modo, dimostrato l’enunciato. Questo importante teorema di reciprocità, dopo la dimostrazione, può assumere l’enunciato più completo nella forma: Il lavoro che un sistema equilibrato di forza compie, se al solido elastico sono attribuiti gli spostamenti dovuti ad un secondo sistema di forze anch’esso equilibrato, è eguale al lavoro che le forze del secondo sistema compiono quando al solido vengono attribuiti gli spostamenti dovuti al primo sistema di forze. Teorema 5.5.(principio di sovrapposizione degli effetti) Siano assegnati la configurazione del corpo elastico Ω, il tensore elastico =(x ) e l’equazione di vincolo u = u*(x) su ∂1Ω. Supposto agenti due distinti stati elastici relativi a due sistemi di forze equilibrate [ f ’,s’ ] e [f ’’,s’’ ] cui corrisponderanno le distinti soluzioni u’, u’’. Allora la soluzione per la somma dei due sistemi sarà: u’+ u’’.

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Dimostrazione: Scriviamo l’espressione dei lavori virtuali relativa alle due soluzioni: ∫ ∇ u’  ∇v =∫ f ’ v dΩ + ∫ s’ v* d∂2Ω +∫ (∇ u’ )nv d∂1Ω (5.31) ∫ ∇ u’’  ∇v =∫f ’’ v dΩ + ∫s’’v* d∂2Ω +∫ (∇u’’ )nv d∂1Ω sommando membro a membro si ottiene ∫ ∇(u’ +u’’ )∇v =∫(f ’+ f ’’ )v dΩ + ∫(s’ + s’’ )v* d∂2Ω + +∫(∇(u’ + u’’ )n v d∂1Ω

(5.32)

La 5.32 è di immediata applicazione in tutte le procedure di calcolo tipiche dell’elasticità lineare. 5.4 Soluzione dell’equilibrio elastico isotropo Cercheremo ora di formulare in modo completo il problema dello equilibrio per un solido elastico omogeneo ed isotropo, ovvero di determinare lo stato tensione deformazione quando siano assegnate forze sul volume e forze sulla superficie libera. Il problema è fondato sulle equazione di congruenza e di vincolo, sulle equazioni di equilibrio e sulle relazioni costitutive. E’ già noto che la caratterizzazione generale lineare è di tipo misto ovvero, sia nelle forze che negli spostamenti come dati sul bordo. In casi particolari, può accadere che i dati assegnati siano omogenei, riducendosi solamente ad una tipologia, ovvero le forze oppure gli spostamenti. In tal modo ci si riduce a considerare due distinti problemi, potendo così, esprimere le equazioni tutte in termini omogenei. -Soluzione del problema in termini di spostamenti Si consideri l’equazione di Lamè e si sostituisca ij con la relazione del gradiente ottenendo in notazione indiciale: ij =µ(ui,j +uj,i ) +λΣk uk,k δij

(5.33)

Sostituendo la 5.33 nella prima equazione di equilibrio di Cauchy µ(ui,ji +uj,ii ) +λΣk uk,ki δij + fj = 0

(5.34)

Tenendo in conto il delta Kronecker ed introducendo l’operatore di Laplace ∇uj = uj,ii si ottiene µ∇uj + (λ+µ )ui,ij + fj = 0

(5.35)

L’equazione sul bordo assume, invece, la forma iniziale: [µ(ui,j +uj,i ) +λΣkuk,k δij]ni = sj µ(ui,j +uj,i )ni +λΣkuk,k ni = sj

(5.36)

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Le 5.36 rappresentano la formulazione completa del problema elastico isotropo in termini . di spostamento. La prima stesura delle stesse fu dovuto Navier che le pubblicò nel 1827. Presa ora la forma 5.35 si derivino, rispetto alla variabile xj , le tre parti che compongono l’equazione: µ∇uj,j + (λ+µ )ui,ijj + fj,j = 0 (5.37) Sommando rispetto all’indice j (λ+2µ)∇ui,i + fj,j = 0

(5.38)

Nella ipotesi di forze sul volume costanti, il secondo membro della 5.38 si annulla facendo discendere la importante proprietà che la derivata della funzione spostamento risulti una funzione armonica, cioè verifichi l’equazione di Laplace: ∇ui,i = 0

(5.39)

Sul volume, mentre sul bordo risulta continua con le sue derivate prime e seconde. Il rispetto di queste ultime assunzioni sono tali da consentire la soluzione del problema elastico isotropo così formulato. Parimenti alla formulazione fin ora svolta, risulta possibile formulare una duale formulazione in termini di tensione, secondo i termini dei due autori che per primi svilupparono la trattazione, ricavandone la nota equazione di Beltrami & Mitchell. (1892-1900).

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Capitolo 6 MODELLI MONODIMENSIONALI 6.1 Soluzione del problema elastico: modelli 1-D La ricerca della soluzione per il problema elastico si presenta, in generale, difficile poiché è legata sia alla forma del corpo che alle condizioni del bordo. Nella maggior parte dei casi non riuscendo a determinare la soluzione esatta, si fa uso di soluzioni approssimate per via numerica attraverso opportune tecniche di discretizzazione del problema analitico che consentono di passare da un numero infinito d’incognite ad un numero finito. Parimenti il problema del solido elastico, nella sua forma chiusa, può essere ricondotto a differenti formulazioni, la formulazione integrale, la formulazione differenziale e la formulazione variazionale. Di seguito saranno trattate, nel dettaglio, le prime due, rinviando ai corsi specialistici l’importante formulazione variazionale. 6.2 Formulazione integrale Definiamo trave un solido in cui una dimensione prevale rispetto alle altre due. La stessa può considerarsi costituita dalla sua linea d’asse e dalle sezioni trasversali. Descrivere la deformazione della trave significa descrivere le deformazioni del corpo tridimensionale, imponendo le seguenti ipotesi esemplificative: - l’asse della trave è rettilineo - la sezione trasversale della trave subisce unicamente spostamenti del tipo rigido Consideriamo una trave nel piano e2-e3 sottoposta ad un campo di deformazione e scriviamo il vettore spostamento nella forma: u = a + ω ∧ ( x – xo )

(6.1)

fatta la posizione: xo = x3 e3, è possibile porre il prodotto vettoriale nella forma:

⎡ e1 e2 ⎢ ω ∧ ( x – xo ) = ω1 ω 2 ⎢ ⎢⎣ x1 x 2

e3 ⎤ ω 3 ⎥⎥ 0 ⎥⎦

(6.2)

e quindi scrivere per componenti: u1 = a1 - ω3 x 2 u2 = a2 + ω3 x1 u3 = a3 + (ω1x2 – ω2x1 )

(6.3)

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le funzioni ai , ωi sono definite caratteristiche di spostamento, in particolare le prime rappresentano traslazioni rigide in direzione dell’asse i, mentre le seconde rotazioni rigide attorno all’asse i. Avendo in tal modo determinato lo spostamento tipo per il solido trave possiamo scrivere l’ELV per la stessa. ∫Ω T ∇u = ∫Ω f⋅ u + ∫∂Ω s⋅ u

(6.4)

il gradiente dello spostamento ∇u assume la forma: ⎡ 0 ∇u = ⎢⎢ ω3 ⎢⎣− ω 2

− ω3 0 ω1

a'1 − x 2 ω' 3

⎤ a' 2 + x1ω' 3 ⎥⎥ a' 3 + x 2 ω'1 − x1 ω' 2 ⎥⎦

(6.5)

Ammesso uno stato tensionale piano del tipo: ⎡0  = ⎢⎢ 0 ⎢⎣T13

0 0 T23

T13 ⎤ T23 ⎥⎥ T33 ⎥⎦

(6.6)

moltiplicando scalarmente si ottiene il lavoro interno come: ∫ΩT13(a1’–x2ω3’-ω2)+T23(a2’+x1ω3’+ω1)+T33(a3’+x2ω1’-ω2’x1)

(6.7)

compattando ed integrando la 6.7 si ottiene: ∫0-l(a1’ – ω2 )∫ΓT13+(a2’+ ω1)∫ΓT23+a3’∫ΓT33+ω3’∫Γ-T13x2+T23 x1+ + ω1’∫ΓT33 x2-ω2’∫Γ T33x1 = Lav.est.

(6.8)

per semplificare la 6.8 è opportuno effettuare alcune posizioni: γ1 = (a1’ – ω2 ) γ2 = (a2’ – ω1 ) γ3 = a3’

(6.9)

conseguentemente è possibile scrivere in forma compatta il lavoro delle forze interne come: L (6.10) T γ + M i ω 'i i i i 0

∫∑

Le γi e le ωi’ sono definite le caratteristiche della deformazione ed hanno il seguente significato: • γ1 , γ2 rappresentano la proiezione sui piani (1,3) (2,3) dell’angolo formato dalla sezione trasversale con il piano perpendicolare all’asse della curva dopo la deformazione. • γ3 misura l’allungamento relativo all’asse 3.

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• •

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Le ωi’ sono le rotazioni relative di due sezioni, a distanza unitaria, rispetto all’asse i. Le Ti , Mi sono le note caratteristiche della sollecitazione.

Riguardo il lavoro svolto dai carichi esterni sono definite le diverse componenti nella forma: q=∫f +∫s ; m = ∫ (x- xo) ∧ f + ∫ s ∧( x- xo)

(6.11)

rispettivamente come carichi e coppie ripartite, mentre le Pα ; Cα

(6.12)

come carichi e coppie concentrate. Conseguentemente diventa possibile scrivere la forma completa dell’equazione dei lavori per il solido trave: L L q⋅a +m ⋅ω’ + (Pα ⋅ a α + Cα ⋅ ωα ) (6.13) T γ + M i ω 'i = α i i i 0 0

∫∑





6.3 Equazioni costitutive per il solido trave Vogliamo ora ricavare l’equazione costitutiva per la trave nel caso di materiale elastico omogeneo ed isotropo. Abbiamo già visto che il gradiente dello spostamento per la trave vale: ⎡ 0 ∇u = ⎢⎢ ω3 ⎢⎣− ω 2

− ω3 0

ω1

a'1 − x 2 ω' 3

⎤ ⎥ ⎥ a' 3 + x 2 ω'1 − x1 ω' 2 ⎥⎦ a' 2 + x1ω' 3

(6.14)

svolgendo il trasposto si ha:

∇uT

0 ⎡ ⎢ = ⎢ − ω3 ⎢⎣a'1 −ω' 3 x 2

ω3 0 a' 2 −ω' 3 x1

− ω' 2

⎤ ⎥ − ω'1 ⎥ a' 3 + x 2 ω'1 − x1ω' 2 ⎥⎦

(6.15)

è quindi possibile determinare il tensore della deformazione: ⎡ ⎢0 ⎢  = ⎢0 ⎢ ⎢S ⎢⎣

0 0 S

1 ⎤ ( a'1 − x 2 ω' 3 −ω 2 ⎥ 2 ⎥ 1 ( a' 2 − x1ω' 3 +ω1 ⎥ 2 ⎥ a' 3 + x 2 ω'1 − x1ω' 2 ⎥ ⎥⎦

(6.16)

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richiamando le posizioni precedentemente definite in 6.9: γ

1

= a’1 - ω2 ; γ2 = a’2 + ω1 ; γ3 = a’3

(6.17)

diventa possibile scrivere, per componenti, l’equazione di Lamè con G (modulo di elasticità tangenziale) al posto di µ T13 = G ( γ1 - ω3’x2 ) T23 = G ( γ2 - ω3’x1 ) T33 = 2µ+λ( γ3 - ω2’x1 + ω1’x2 )

(6.18)

L’equazione è puntuale quindi per ottenere le caratteristiche sulla superficie integriamo sulla sezione trasversale Γ: T1 = ∫ΓT13 = G∫ γ1-ω3’x2 = GAΓ γ1-Gω3’∫Γ x2 = GAΓ γ1 T2 = ∫ΓT23 = G∫ γ2-ω3’x1 = GAΓ γ2-Gω3’∫Γ x1 = GAΓ γ2 T3 = ∫ΓT33 = 2µ+λ ∫Γ γ3-ω2’x1+ ω1’x2 = EAγ3

(6.19)

Le relazioni 6.19 rappresentano le equazioni costitutive per la trave legando le caratteristiche della deformazione con le caratteristiche della sollecitazione T1, T2,( taglio secondo l’asse 1 e l’asse 2), T3 = N sforzo assiale. Analogamente, riguardo alla determinazione dei momenti flettenti M1 e M2 e del momento torcente M3 si ha: M1 = ∫ΓT33 x2 = 2µ+λ∫Γ γ3x2-ω2’x1x2 + ω1’x22 = EJ1 ω1’ M2 = ∫ΓT33 x1 = 2µ+λ∫Γ γ3x1-ω2’x12+ ω1’x1x2 = EJ2 ω2’ (6.20) M3 = ∫ΓT23x2 -T13x1 = G∫Γ γ1x2 -ω3’x22-γ2 x1-ω3’x12 = GJoω3’ Giova, altresì, osservare che le relazioni 6.19 e 6.20 sono state dedotte dall’ipotesi di spostamenti rigidi. Conseguentemente è opportuno aggiungere opportuni coefficienti correttivi che tengono conto di tale restrizione. In particolare si hanno, riguardo i coefficienti, le seguenti definizioni:

χ = fattore di taglio,

q =fattore di torsione

Altresì, per i termini geometrici-costitutivi che appaiono nelle 6.19 e 6.20 si hanno le seguenti definizioni: GA = rigidezza tagliante EJ = rigidezza flessionale EA = rigidezza estensionale GJo= rigidezza torsionale Vediamo, infine, come può essere utilizzata l’equazione dei lavori virtuali scrivendola solo in termini di sollecitazioni. Richiamando la 6.13, l’ELV per la trave ha la forma:

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L

∫ ∑ i Ti γ i + M i ω 'i

= lav. est.

(6.21)

0

Se poniamo che T*, M*, N* sono caratteristiche della sollecitazione corrispondenti alla soluzione per γ e ω, dalle equazioni costitutive si ricava la seguente espressione per l’ELV.: L (TT*/GA)χ+MM*/EJ+NN*/EA+(MtMt*/GJo)q = l.e. (6.22)



0

Ove le Ti e le Mi sono caratteristiche delle sollecitazione equilibrate con le forze esterne, mentre Ti* e Mi* sono caratteristiche della sollecitazione dedotte da spostamenti congruenti. L’ equazione dei lavori virtuali, così formulata, può essere utilizzata per la determinazione di spostamenti, caratteristiche della sollecitazione in strutture isostatiche e/o iperstatiche, deformabili elasticamente. 6.4 Formulazione differenziale Sono dati del problema: la geometria della trave, i parametri costitutivi, i carichi esterni ed i vincoli. Restano da determinare le caratteristiche di spostamento, di deformazione e di sollecitazione. Vediamo, inizialmente, il caso di una trave a mensola soggetta ad un carico assiale uniformemente ripartito. Siamo in possesso delle seguenti equazioni: i-equilibrio ii-costitutiva iii-spost.-deformazione

N’ = - q N = EAγ3 γ3 = a3’ o anche u’

sostituendo opportunamente e combinando si ottiene l’equazione differenziale per la trave soggetta a sforzo assiale EAu ” = - q

(6.23)

l’integrale generale della equazione 6.23 risulta u = -(qz 2/2EA) + α z + β

(6.24)

ove α, β sono costanti da determinare secondo le condizioni al contorno nell’intervallo [0< z < L] u (0) = 0 u’(L=0 → EAu’(L) = 0

→ β= 0 → α = q L / EA

(6.25)

trovando in definitiva la funzione spostamento nella forma u (z) =- (qz 2/2EA) +(q L/EA)

(6.26)

per cui è possibile tracciare i relativi diagrammi.

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Analogo approccio svolgiamo, considerando una mensola soggetta a momento torcente e rammentando le relazioni: equilibrio: Mt ’ = - m 3 costitutiva: M3 = (GJo ω3’) 1/q spostamento-deformazione ( ω3 )’ = ω3’ sostituendo si trova: (GJo ω3’’ ) 1/q = - m3

(6.27)

che risulta essere l’equazione della linea elastica per la trave soggetta a momento torcente. Posto K=(GJo)1/q, pongo le condizioni al contorno del tipo K1 ω1” = 0 in (0, a) K2 ω2” = 0 in (0, 2a)

(6.28)

I due integrali generali hanno la forma: ω1 = α1z + β1 ω2 = α2z + β2

(6.29)

con le condizioni al contorno ω1 (0) = 0 →β1 = 0 ω1 (a) = ω2 (a) → α1 a +β1 = α2 a +β ω2’ (2a) =C /K2 → α = C/ K2 K1ω1’(a) =K2ω2’(a) →K1α1 =K2α2

(6.30)

si trova quindi α1 + C /K1 β2 =C a (1/K1 – 1/K2 ) ω1 =C z / K1 ω2 =( C z / K2 ) + C a (1/K1 – 1/K2 )

(6.31)

Vediamo infine l’equazione della linea elastica nel caso di taglio e flessione agenti. In questo caso si hanno le seguenti equazioni: equilibrio: T’ = -q ; M’= T costitutive: T = (GAγ) 1 / χ ; M =EJω’ spostamento-deformazione: γ = a2’ + ω’ ; ω’ =(ω)’ sostituendo si ottiene (GA / χ ) u ” = - q EJ u lV = -q

(6.32)

ricavando le seguenti relazioni tra gli ordini di derivazione della funzione spostamento: u = spostamento u’ = rotazione u ” = curvatura u ”’= taglio

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applichiamo,ad esempio, queste posizioni alla struttura di seguito riportata: L’equazione che governa la linea elastica, a meno del fattore EJ, è del tipo u

lV

=0

(6.33)

il cui integrale generale è u = αz3 + βz2 +Cz + D

(6.34)

da cui è già D = 0. Derivando fino al terzo ordine si trova: u ’ = 3αz2 + 2βz + C u ” = 6αz + 2β u ”’ = 6α

(6.35)

condizioni al bordo: z = 0 : u =0 , u ” = 0 z = L : u ’ = 0 → 3αL2 + C ; EJu”’ = P

α = PL/6EJ

(6.36)

sostituendo nell’integrale generale u =- Pz3 / 6EJ + PL2z /6EJ M =- EJu” =EJ6αz = pz

(6.37)

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Capitolo 7 ENERGIA ELASTICA 7.1 Aspetti energetici Lo stato di deformazione e lo stato di tensione si fondano sulle ipotesi di continuità del corpo e sulle conseguenze implicite. Nessuna ipotesi è fatta sulle qualità fisiche del corpo, ovvero sulle correlazioni esistenti tra le particelle materiali. La necessità di un legame tra le componenti di deformazione e di tensione, è marcatamente evidente constata la necessità di scrivere delle relazioni capaci di descrivere la fisica rispetto a cui l’elemento materiale si deforma per effetto delle tensioni applicate. Consideriamo la risposta di uno stato elastico ideale per il quale si prevede l’esistenza di uno stato naturale prefissato a partire dal quale il solido possa deformarsi sotto l’azione delle forze, ritornando allo stato originario quando cessa l’azione delle forze. L’energia spesa nella deformazione viene così integralmente restituita poiché il comportamento è tipico delle trasformazioni reversibili. Si ammette l’esistenza di una funzione di stato dipendente solo dagli estremi della trasformazione, e non dal percorso seguito, in modo che le proprietà meccaniche, dello stato elastico, possono essere caratterizzate da un singolo scalare W, detto densità di energia potenziale elastica, funzione soltanto delle grandezze determinanti la configurazione prescelta, allo stato naturale, nonché dalle grandezze determinate dalla deformazione. Si dimostra che il lavoro virtuale delle forze esterne, applicate per un generico spostamento corrisponde al lavoro virtuale interno, cioè nell’intorno di un punto generico soggetto ad una deformazione virtuale δ ij , le componenti di tensione compiono il lavoro elementare ij δij . Assumendo, quindi, come componenti virtuali della deformazione proprio le variazione infinitesime dij dello stato di deformazione effettivo, il conseguente incremento di lavoro per unità di volume sarà espresso dal prodotto ij δij . L’ammessa esistenza della funzione potenziale permette di affermare che l’incremento del lavoro compiuto deve rappresentare il differenziale totale dW = ij dij

(7.1)

Dalla quale, per indipendenza dei differenziali parziali, si trovano le relazioni tra tensioni e deformazioni ij = dW / dij

(7.2)

L’inversione della ultima espressione si ottiene dalla d( ij ij) = ij dij + ij dij

(7.3)

anche il termine ij dij differenza di due differenziali deve risultare il differenziale di una funzione Wc(ij) che è definita come energia potenziale elastica complementare. dWc = ij dij

(7.4)

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e conseguentemente ij = dWc / dij

(7.5)

Le energie restano sempre definite a meno di una costante arbitraria, ovvero è definita sempre una differenza (W – W*). La W* è l’energia o latente ovvero il valore della energia potenziale elastica allo stato naturale. Nel caso elastico isotropo la W è indipendente dalla rotazione del riferimento ( gode del principio di indifferenza materiale) e quindi varia adeguandosi alla variazione delle ij . Definizione 7.1. Un materiale si definisce iper-elastico se esiste una funzione energia di deformazione W (ij) che ammettendo un potenziale della deformazione caratterizza il legame nella forma più stretta. La ricerca di un minimo, per questa funzione è stata operata da Love, Hadamard, Colonnetti e, recentemente, una veste innovativa è stata formulata da Gurtin e da Stenberg. Sia data una terna di funzioni ( v, ,  ) tali che sono soddisfatte le seguenti espressioni: ij = ½ (ui,j + uj,i ) ij = ijrs rs u = u*

(7.6)

definito il funzionale , (v, ,  ) = W (ij ) - ∫ fi vi + ∫ si vi

(7.7)

come somma dell’energia di deformazione del campo e dei lavori esterni cambiati di segno. Se il tensore elastico  gode della simmetria maggiore, ed è inoltre definito positivo, il principio di minimo afferma che se la terna di funzioni ( v°, °, ° ) è soluzione del problema allora è: ,( v°, °, ° ) ≤ , ( v, ,  )

(7.8)

La 7.8 è valida per ogni stato ( v, ,  ) definito nella classe degli spostamenti cinematicamente ammissibili. In altri termini il principio della minima energia potenziale stabilisce che la differenza tra l’energia di deformazione e il lavoro delle forze esterne assume, in corrispondenza della soluzione, il valore più piccolo. 7.2 Principi variazionali L’esistenza della funzione densità di “potenziale elastico” W (ij) permette di definire l’energia potenziale per l’intero solido. U = ∫ W (ij)

(7.9)

detto anche lavoro di deformazione compiuto dalle tensioni per le deformazioni.

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Questo lavoro si produce a spese di un lavoro esterno fatto dalle forze di volume f e dalle forze di superficie s L = ∫ fi vi + ∫ si vi

(7.10)

se le forze esterne sono considerate conservative, ovvero derivabili da funzioni potenziali tali che fi = - δF / δui

si = δS / δui

(7.11)

allora, è possibile introdurre Π come potenziale dell’intero sistema di forze e definire , potenziale totale, come differenza tra il lavoro immagazzinato nel solido, sotto forma di energia elastica U, ed il lavoro esterno, cambiato di segno, L= -Π speso nella deformazione stessa. ,= Π +U

(7.12a)

, = ∫ W (ij) - ∫ fi vi - ∫ si vi

(7.13b)

Assegnate le forze esterne, il potenziale totale , dipende dal campo di deformazione e dal campo di spostamento, a loro volta funzioni delle coordinate xk, rappresentando un funzionale definito nella classe delle funzioni ij(xk ), ui(xk). Delimitiamo la classe delle funzioni ove si voglia esaminare il comportamento del funzionale ,, così da restringere la valutazione solo sulle funzioni *ij, u*i che verificano le equazioni di congruenza e le equazioni di vincolo. *ij = ½( u*i,j + u*j,i ) u*i = u*i

(Ω)

(7.14) (∂Ω)

Le relazioni cui sopra, costituiscono il dominio di definizione del funzionale che risulta, in questo caso, definito nell’insieme delle funzioni cinematicamente ammissibili. Poniamo il problema di ricercare la stazionarietà del funzionale , nel dominio così definito, ovvero nulla la sua variazione prima in dipendenza di certe particolari variazioni geometricamente ammissibili δE*ij, , δu*i δ*ij = ½(δ u*i,j + δ u*j,i ) δu*i = 0

(Ω) (∂1Ω)

(7.15)

Senza sostanziali alterazioni, possiamo introdurre un nuovo funzionale ottenuto sottraendo la parte di lavoro esterno che le forze di superficie si compiono sulla parte vincolata. J (*ij, u*i ) = ∫ W ( E*ij ) - ∫ fi vi dΩ - ∫ si vi d∂2Ω

(7.16)

svolgendo la variazione prima δJ = ∫ * δE*ij - ∫ fi δui dΩ - ∫ si δui d∂2Ω = 0

(7.17)

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Questa equazione (per particolari validità del campo di spostamenti) può essere vista come una particolare forma del teorema degli spostamenti virtuali, purché le componenti del tensore ij verifichino le equazioni di Cauchy. Si può, quindi, enunciare che: “nella classe delle funzioni cinematicamente ammissibili il funzionale J (E*ij, u*i ) risulta stazionario in corrispondenza di una soluzione equilibrata”. Se ripetiamo le stesse considerazioni partendo dal concetto di energia potenziale complementare allora sarà possibile definire un nuovo funzionale K ( ij , si ) il cui dominio è la classe delle funzioni staticamente ammissibili. Imponendo la variazione prima si dimostra, analogamente come prima che: “ nella classe delle funzioni staticamente ammissibili il funzionale K (ij , si ) è stazionario in presenza di una soluzione cinematicamente ammissibile”. 7.3. Principi di estremo Nel caso in cui il legame tensione deformazione sia derivabile da una funzione potenziale elastica è possibile ottenere una condizione sufficiente per l’esistenza di un estremo effettivo del funzionale considerato (questo è un classico problema nel calcolo delle variazioni). Scriviamo il funzionale J nella forma: J (*ij, u*i ) = ½ ∫ *ij *ij - ∫ fi vi dΩ - ∫ si vi d∂2Ω

(7.18)

e parimenti il funzionale K nella forma: K ( ij , si ) = - ½ ∫ ij ij + ∫ si vi d∂1Ω

(7.19)

svolgendo la differenza tra i due funzionali J – K =½ ∫(*ij *ij +ij ij )-∫fi vi dΩ-∫si vi d∂2Ω-∫si v*i d∂1Ω (7.20) Posto che le ij e le fi sono equilibrate nel senso di Cauchy, il lavoro esterno degli ultimi tre integrali risulta: L = - ∫ ij,j vi dΩ - ∫ ij nj vi d∂2Ω - ∫ ij nj v*i d∂1Ω

(7.21)

Applicando una trasformazione di Gauss si ottiene: L = - ∫ ij,j vi – ( ij vi ),j

(7.22)

semplificando L = ∫ - ij *ij

(7.23)

tornando alla relazione generale e sostituendo si ha: J – K = ½ ∫ ( *ij *ij + ij ij - 2 ij ij )

(7.24)

che in virtù delle relazioni di reciprocità si può porre nella forma

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J – K = ½ ∫ ( *ij - ij ) ( *ij - ij )

(7.25)

ma l’integrando è una forma quadratica definita positiva, quindi J (*ij, u*i ) - K ( ij , si ) ≥ 0

(7.26)

salvo l’eguaglianza dei termini, per cui si può porre min J = max K

(7.27)

Il funzionale J assume un minimo effettivo in presenza di una soluzione equilibrata, viceversa il funzionale K assume minimo effettivo in corrispondenza di una soluzione congruente. Questi due principi di estremo sono abbastanza diversi dagli ordinari problemi di min-max ed implicano delicate questioni dipendenti dalla scelta della classe delle funzioni ammissibili. Accertata l’esistenza di un estremo effettivo, per un dato funzionale es. K ( f(xi)), il problema variazionale viene trasformato in un problema di estremo ordinario esprimendo la classe delle funzioni ammissibili f(xi) mediante una serie di successioni parziali fn (xi) = ∑m cm ψ (xi)

(7.28)

dove le funzioni argomento devono verificare la condizione di ammissibilità imposte alle funzioni della classe nella quale si cerca l’estremo del funzionale, mentre i coefficienti cm risultano non determinati. Con questa posizione, al funzionale del problema originario viene sostituito un ordinario problema di estremo nella forma: Km (cm) poiché le funzioni argomento risultano specificate. La condizione di derivabilità ∂Km /∂cm permetterà di individuare i coefficienti e successivamente la successione parziale fn (xi). Il principio di minimo per l’energia potenziale ha importanza poiché dà luogo a notevoli applicazioni di base per le tecniche di ricerca delle soluzioni approssimate. Ad esempio consideriamo la successione v = α1v1 + α2v2 +……. ∑ i αi vi

(7.29)

con v campi di spostamento ammissibili su Ω e αi∈ tali da minimizzare il funzionale energia. Con questa posizione la nota espressione dell’energia diventa W() = ∫½  · = ½ ∫[∑ k αi αk ( )k] = ½∑ ik ik αi αk

(7.30)

Nella ipotesi di un problema nelle forze il resto dell’equazione dei lavori virtuali diventa ∫ f (∑ i αi vi) + ∫s( ∑ i αi vi ) = -∑i bi αi

(7.31)

Quindi la scelta approssimata trasforma il funzionale di partenza nella funzione

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g (α1…..αn) = ½ ∑ ik ik αi αk - bi αi

(7.32)

Se ik è la matrice di rigidezza ed il tensore elastico  è simmetrico altrochè definito positivo, dall’ultima espressione consegue che g attinge valore minimo nel vettore di componenti αi se e solo se tale vettore è soluzione dell’equazione matriciale [] [α] = [b]

(7.33)

Il problema viene dunque ricondotto alla risoluzione di una equazione matriciale la cui soluzione consente di precisare il campo di spostamento che meglio approssima in senso energetico la soluzione. La matrice  viene comunemente definita matrice di rigidezza. E’ abbastanza chiaro che, per i metodi di approssimazione è decisiva la scelta dei campi di spostamento vi. (esempio funzioni test nel metodo degli elementi finiti). In conclusione a questo approccio variazionale, è possibile affermare che la ricerca della soluzione nel problema elastico è in genere estremamente difficile in quanto legata sia alla forma del corpo sia dalle condizioni al bordo. Nella maggior parte dei casi, non riuscendo a determinare la soluzione in forma chiusa si ricorre a metodi approssimati per via numerica attraverso appropriate ed opportune tecniche di discretizzazione del problema originario che consentono di passare da un numero infinito di incognite ad un numero finito.

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Capitolo 8 STABILITA’ DELL’EQUILIBRIO ELASTICO 8.1 Generalità La stabilità dell’equilibrio trae origine dal fatto che sotto l’azione di un carico crescente la deformazione può presentare un radicale cambiamento dovuto al fatto che la configurazione iniziale, sopra un certo valore del carico, cessa di essere stabile per divenire instabile. La struttura lascia la sua posizione di equilibrio per cercarne un’altra. Il carico sotto il quale si manifesta siffatto comportamento è detto ” critico “ e se il materiale resta in campo elastico si parla di “ instabilità elastica.” Le configurazioni equilibrate che si determinano al crescere del carico vengono studiate in relazione all’indagine che si intende condurre circa la natura dell’equilibrio raggiunto ed a tal fini bisogna istituire condizioni di equilibrio sul sistema deformato. 8.2 Sistemi ad elasticità concentrata Consideriamo inizialmente la instabilità di strutture ad 1 grado di libertà ed a tal fine studiamo un sistema composto da un asta, vincolata ad una estremità con incastro cedevole e soggetta ad azione assiale. Supposto di inclinare l’asta dell’angolo ϕ imponiamo l’equilibrio ottenendo: P ℓ sen ϕ = k ϕ

(8.1)

Per vedere eventuali altre soluzioni scriviamo la relazioni cui sopra nella forma P = kϕ / ℓ sen ϕ = ℑ(ϕ)

(8.2)

e studiamo la funzione ℑ(ϕ) che esiste ∀ϕ - {nπ }. Per la condizione ϕ = 0 la funzione è indefinita, per cui passando al limite: k/ ℓ lim

ϕ→0

ϕ / sen ϕ = k / ℓ

(8.3)

ovvero la funzione incontra l’asse P nel punto Pc, il cui valore è pari a k / ℓ. In corrispondenza di tale punto, il carico assumerà il nominativo di carico critico. La curva è simmetrica rispetto all’asse ϕ e presenta due asintoti verticali -π, π. Il luogo delle posizioni di equilibrio è individuabile nella retta ϕ = 0 e nella curva P = ℑ(ϕ). Per valori di P ≤ Pc esiste la configurazione fondamentale di equilibrio, mentre per P = Pc si perde la dipendenza continua. Per P > Pc si perde l’unicità della soluzione. Questa ultima condizione è nota come biforcazione dell’equilibrio e sembra contraddire apparentemente il teorema di Kirchoff, mentre non esiste la contraddizione in quanto è violata l’ipotesi delle piccole deformazioni. Infatti la deformazione non è linearizzata e l’equilibrio è riferito alla configurazione deformata: Da tutto questo ne consegue che la soluzione del problema di stabilità è da ricercarsi fuori dalla teoria lineare. Vediamo ora, nel caso P > Pc , quali saranno le posizioni di equilibrio ricercate tra le individuabili : -ϕA , 0, ϕA .

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Presa la posizione ϕA imponiamo una ulteriore piccola rotazione α che comporterà l’assunzione della nuova configurazione ϕA + α, non più in equilibrio. Se il moto tende a ridurre l’angolo α, allora esisterà una posizione di equilibrio stabile, viceversa risulterà instabile. Posto l’equilibrio alla rotazione si ha: Me = P ℓ sen (ϕA + α) Mi = k (ϕA + α )

(8.4)

Sviluppando la prima e ponendo α ≅ 0 Me = P ℓ sen (ϕ + α) = P ℓ ( senϕ cosα + cosϕ senα ) ≅ P ℓ ( αcosϕ + senϕ )

(8.5)

e ricordando che ϕ è una posizione di equilibrio (PL sen ϕ = k ϕ) svolgiamo la differenza tra i due momenti trovando Me – Mi = P ℓ α (cosϕ - senϕ / ϕ )

(8.6)

Per ϕ compreso tra gli angolo 0 e π, cosϕ Pc. La trave potrà assumere tutte e tre le posizioni ma, la ϕ = 0 è instabile per cui basta una minima perturbazione per avviare un moto tendente ad una nuova posizione di equilibrio. 8.3 Approccio energetico In questo caso, maggiori informazioni sulla stabilità si ottengono utilizzando un approccio energetico. L’energia potenziale del sistema può porsi nella forma W = ½ kϕ−P ℓ (1−cosϕ)

(8.9)

È un sistema ad 1 g.l., quindi l’energia è solo funzione dell’angolo ϕ. La condizione di equilibrio è quindi dedotta imponendo l’annullarsi della derivata di W rispetto a ϕ dW/dϕ = kϕ - Pℓsenϕ = 0

(8.10)

la stabilità impone, inoltre, la condizione sulla derivata seconda:

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e per ϕ =0

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d2W/dϕ2 = k - P ℓ cosϕ

(8.11)

(d2W/dϕ2)ϕ=0 = k – P ℓ < 0 oppure >0

(8.12)

a seconda se P < k/ ℓ oppure P > k/ ℓ. Nel primo caso l’equilibrio è stabile, mentre nel secondo è instabile. 8.4 Sistemi ad elasticità diffusa Si voglia determinare il carico critico per semplicemente appoggiata, soggetta alla sola nel senso assiale. Questo modello prende il nome di trave di uniformemente ripartiti, oltre alla rigidezza costante, l’equazione che regge il sistema ponendo a2 = N/EJ uæv + a2u≥ = 0

un trave, ad elasticità diffusa e condizione di carico concentrato P Eulero. Posta l’assenza di carichi EJ costante e sforzo normale N può essere scritta nella forma, (8.13)

l’integrale generale vale u = A1 + A2z + A3senaz + A4cosaz

(8.14)

fatta la derivata seconda u≥= −aA3senaz - aA4cosaz

(8.15)

si hanno le seguenti condizioni al contorno: z = 0: u = 0 ; u≥= 0 z = ℓ: u = 0 ; u≥= 0 sostituendo trovasi: A1+A4 = 0 A4 = 0 A1+A2ℓ+A3senaℓ+ A4cosaℓ = 0 A3senaℓ + A4cosaℓ = 0

(8.16)

ovvero, si ottiene un sistema di equazioni lineari omogeneo che, oltre la soluzione banale (configurazione fondamentale), ammetterà altre soluzioni se: ⎡1 ⎢1 det ⎢ ⎢0 ⎢ ⎣0

0 0 1 ⎤ 1 senαl cos αl ⎥⎥ = 0 0 0 1 ⎥ ⎥ 0 senαl cos αl ⎦

(8.17)

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Sviluppando il determinante si ottiene l’equazione trascendente ℓsenαℓ , che ammetterà soluzioni αℓ = nπ

n = 0…2…

(8.18)

per cui i valori critici saranno α = nπ/ℓ; posto A1, A2, A4 = 0 si ha: u = A3 sen (nπ/ℓ)z

(8.19)

Accanto alla soluzione fondamentale u = 0 esiste una soluzione costituita da una sinusoide di passo ℓ/n ed ampiezza A3. Per n=1 si trova il carico critico della trave di Eulero Pc = EJπ2 /ℓ2

(8.20)

8.5 Verifiche di sicurezza per la trave di Eulero Riguardo il valore della tensione critica per la trave di Eulero, questa si può ottenere come σc = Pc/A = EJπ2/ℓ2°

(8.21)

Posto il momento di inerzia minimo della sezione J = Aρ2 , si ha la seguente: Definizione 8.1 E’ definita snellezza della trave λ, il rapporto ℓ/ρ dove ℓ è la lunghezza libera di inflessione, (ovvero il passo della sinusoide che rappresenta la configurazione di equilibrio variata) e ρ rappresenta il raggio di inerzia minimo della sezione trasversale. La tensione critica assumerà la forma: σc = (EA ρ2 /ℓ2A) π2 = Eπ2 /λ2

(8.22)

Se tracciamo la curva nel piano σ-λ, si ottiene la rappresentazione di una iperbole detta iperbole di Eulero. Si può osservare che la tensione critica σc è tanto minore quanto più è snella la trave. Per travi tozze la tensione critica può risultare al di sopra del limite elastico, manifestando così prima della instabilità la plasticizzazione. Le travi la cui instabilità si manifesta in campo elastico sono definite travi snelle, quelle in cui l’instabilità si manifesta in campo plastico sono definite travi tozze. La verifica di resistenza è data dalla disuguaglianza σ § σc mentre la verifica di sicurezza dalla σ § σa con σa = σc / k, k coefficiente di sicurezza. Nel caso dei problemi di stabilità si pone σa =(1/ωλ )σR ove ω, funzione della snellezza λ, è un numero reale, tabellato nei manuali di verifica di stabilità.

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Capitolo 9 CRITERI DI RESISTENZA 9.1 La superficie limite La sperimentazione sul comportamento dei materiali è riferita sempre a prove monoassiali di trazione o compressione. Nel caso di stato tensionale monoassiale. definite σc , σc* i valori limiti in trazione e compressione, cioè i limiti di snervamento o di rottura, la condizione: σi ≤ σc ;

| σii | ≤ σc*

(9.1)

garantisce che le tensioni di esercizio σi e σii non superano le soglie limiti. Nel caso di tensioni pluriassiali, la situazione limite non dipende da una sola della tensioni principali ma chiaramente è condizionata dalle altre due. Il confronto, in questo caso, non può farsi che ricorrendo a prove di tipo triassiale, secondo 3 direzioni ortogonali, facendo variare una tensione per volta, fino a pervenire alla costruzione di una superficie limite (σi), nello spazio delle tensioni principali. Tuttavia, questa laboriosa procedura si snellisce introducendo i criteri di resistenza che trasformano lo stato pluriassiale generico, in uno equivalente stato monoassiale dotato di maggiore (o eguale) pericolosità dell’effettivo. Questo consente di determinare per ogni punto del corpo i valori σid σid* tali che: σid ≤ σr ;

σid* ≤ σr*

(9.2)

Individuando un stato tensionale in un generico punto del corpo elastico, per via delle tre tensioni principali σ1, σ2 , σ3 un criterio di resistenza può essere definito assegnando una superficie convessa di equazione. (σi)i=1,2,3 = 0

(9.3)

luogo dei punti limite nel caso pluriassiale. Per un materiale duttile la superficie viene fatta coincidere con la superficie di snervamento mentre, per un materiale fragile coincide con l’analoga di rottura. La ipotesi di isotropia rende la 9.3 invariante rispetto al riferimento e ciò può interpretarsi pensando la 9.3 dipendente dalle tensioni principali attraverso gli invarianti (I1, I2, I3) = 0

(9.4)

La 9.4 deve essere invariante per rotazioni di 120° attorno alla trisettrice dell’ottante positivo del sistema di riferimento. Questo potrà rappresentarsi per mezzo delle curve di intersezione con piani ortogonali alla trisettrice, equidistanti tra loro, ove egli assi σi’ sono le proiezioni degli assi σi del riferimento principale sul piano rispetto a cui è praticata la sezione. Ogni curva risulterà simmetrica all’asse σi’.

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In particolare, la 9.4 può porsi, opportunamente, in funzione degli invarianti del deviatore di tensione: ( I2D, I3D) = 0

(9.5)

In questo caso la superficie è rappresentata dal luogo dei punti a forma di una superficie cilindrica avente l’asse coincidente con la trisettrice, normale al piano per l’origine. L’isotropia impone che la curva sia simmetrica rispetto agli assi σi’. 9.2 Criterio della max tensione normale (Galileo) Uno stato tensionale triassiale raggiunge la rottura (plasticizzazione) quando la max tensione normale raggiunge il limite di rottura (elastico). La rappresentazione grafica di Mohr è individuata da due cerchi con i relativi limiti. Uno stato di tensione è verificato quando il cerchio inviluppo è minore o coincide con il cerchio inviluppo limite. La condizione è posta nella forma: max{σi } ≤ σr ; min{ σi*} ≤ σr*

(9.6)

La superficie limite è rappresentata, nello spazio delle tensioni principali, da un cubo delimitato da 6 piani paralleli ai piani coordinati di equazioni: σ1 = σ2 = σ3 = σr ; σ1 = σ2 = σ3 = −σr

(9.7)

Il lato del cubo risulta pari a (σr + σr*), ed il baricentro è posto nell’origine degli assi solo quando la tensione di rottura a compressione è eguale alla tensione di rottura a trazione. Questo criterio non trova molto riscontro applicativo poiché difficilmente verificabile ed oltretutto poco attendibile nel caso della pressione idrostatica. 9.3 Criterio della max tensione tangenziale (Tresca) La situazione limite si verifica quando la massima tensione tangenziale reale eguaglia la max tensione tangenziale dello stato limite del caso monoassiale: τ = ½ max{σi − σj )

(9.8)

Nel caso monoassiale e nel caso di materiale dotato di eguale resistenza si pone: σ1 = σr ; σ3 = σ2 = 0

(9.9)

e quindi τ = ½ σr

(9.10)

σi = max{σi −σj} = σr

(9.11)

da cui

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La 9.11 definisce la condizione di plasticità di Tresca e definisce il luogo limitato dalle tre coppie di piani paralleli

{σi −σj} = ± σr

(9.12)

individuanti un prisma a sezione esagonale regolare e le cui faccie sono parallele alla trisettrice dell’ottante positivo:

{(σi −σj)2− σr} = 0

(9.13)

9.4 Criterio di Coulomb Rappresenta l’ estensione del criterio di Tresca quando i materiali hanno diverso limite a rottura. Per i due cerchi di Mohr rappresentanti gli stati di rottura a trazione ed a compressione della prova monoassiale, andrà tracciata la tangente comune ai due cerchi. Uno stato triassiale si considera verificato quanto il punto rappresentativo, comunque dipendente dalle tensioni principali, è interno a tali tangenti. Nel piano delle tensioni si ha la relazione limite: |τ| = (c − σ) tgϕ

(9.14)

Dove c e ϕ rappresentano due costanti fisiche del materiale note, rispettivamente come coesione ed angolo di attrito interno. 9.5 Criterio della max energia potenziale elastica (Beltrami) Secondo questo criterio si raggiunge la rottura quando, in un generico punto, la densità di energia potenziale elastica eguaglia quella corrispondente alla rottura della prova monoassiale. In formula: W() = ½  = ½  

(9.15)

Considerando l’inversa della equazione di Lamè  = 1/E[(1+ν) − νI I ]

(9.16)

si ottiene: W() = 1/2 [(1+ν) − νI2 ]

(9.17)

che nel riferimento principale diventa: W() = 1/2 [(1+ν)12 + 22 +32 − ν( 1 + 2 +3 )2]

(9.18)

e posto 1 = 2 = 0 e 3 =σr trovasi: W() = 1/2 = σr

(9.19)

La verifica di resistenza assumerà la forma:

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[(1+ν)(12 + 22 +32 ) − ν( 1 + 2 +3 )2 ]½ ≤ σr

(9.20)

La rappresentazione grafica, nello spazio delle tensioni principali viene ad individuare una superficie descritta dal termine sottoradice presente nella 9.20 che rappresenta un ellissoide rotondo il cui asse coincide con la retta 1 =2 =3 cioè con la trisettrice dell’ottante positivo, mentre l’intersezione con il piano, che risulta ortogonale alla trisettrice, è un cerchio. Questo piano è detto piano deviatorico ed è il luogo dei punti per cui è I =0. Un punto che sta sugli assi coordinati è rappresentativo di stati monoassiali, mentre un punto che sta sulla trisettrice rappresenta uno stato di tensione idrostatica. 9.6 Criterio della max energia distorcente (Von Mises) Applicando la decomposizione del tensore degli sforzi in una parte idrostatica ed in una parte deviatorica risulta possibile scindere l’equazione di Lamè in due parti. Per ottenere la parte idrostatica si moltiplica scalarmente per I: I=2µ+λII→ I = (2µ+3λ)I

(9.21)

mentre la parte deviatorica si ottiene togliendo la parte idrostatica: d = 2µ (−⅓II )+λII − λII

(9.22)

semplificando: d = 2µ d

(9.23)

Per ogni campo di deformazione , si definisce densità di energia distorcente, la densità di energia potenziale elastica associata alla parte deviatorica. Wd = ½ ( d d)

(9.24)

Wd = ½ d  d/2µ

(9.25)

cioè:

Sviluppando si trova: Wd = 1/4µ ( −⅓I I)  (−⅓I I) = 1/4µ( −⅓I2)

(9.26)

Applicando al riferimento principale Wd =1/4µ[12+22+32 − ⅓(1+2+3)2 ]=1/12µ (1− 2)2( 2−3 )2(1−3)2

(9.27)

Nella prova monoassiale a trazione l’unica tensione presente è la 1 = σr, per cui l’energia alla rottura risulta: Wr = (1/12µ)2σr2

(9.28)

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La verifica viene posta nella forma: {[1/2 (1− 2)2( 2 −3 )2 (1− 3)2]}½ < σr

(9.29)

e, nello spazio delle tensioni principali la zona verificata alla rottura è quella delimitata dalla superficie (1− 2)2 + ( 2 −3)2 + (1− 3)2 = 2σ

(9.30)

Che rappresenta un cilindro il cui asse coincide con la trisettrice e la cui sezione è un cerchio di raggio r = (2/3σr2)½. Sezionando il cilindro con un piano contenente l’asse e, ricordando che gli stati di tensione idrostatica sono rappresentati dai punti della trisettrice, si osserva che diventano ammissibili stati idrostatici di qualsiasi entità. Questo ultima affermazione evidenzia un limite del criterio a cui è sommabile un ulteriore limite circa l’applicazione sui materiali aventi eguale tensione di rottura a compressione e trazione. Si osserva infatti che le intersezioni del cilindro con gli assi coordinati danno valori di rottura a trazione e compressione eguali tra di loro.

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Capitolo 10 SOLUZIONE DEL PROBLEMA ELASTICO PER SOLIDI 1-D 10.1 Il modello di Saint Venant Una particolare soluzione del problema dell’equilibrio elastico fu dovuta a Barrè di Saint Venant il quale, per primo, riuscì a formulare una soluzione rigorosa tale da offrire così un fondamentale sviluppo alla teoria dell’elasticità. Nei fatti egli formulò il seguente principio: Sistemi di forze staticamente equivalenti agenti sulle basi di un solido trave, producono gli stessi effetti su tutta la lunghezza della trave, ad eccezione di zone di estensione limitata in prossimità delle basi. Questo, che nei fatti è un principio di indifferenza, consente di valutare lo stato tensionale su un solido trave avendo come dati le sole caratteristiche statiche dei sistemi di forze agenti sulle basi. 10.1.1. Caratterizzazione fisico-matematica. Sia W un dominio, connesso e limitato, posto in un piano Γ di normale e3 , con ℓ uno scalare definito positivo. Nello spazio euclideo tridimensionale si consideri il corpo elastico omogeneo ed isotropo ) definito geometricamente come: ): {(x1, x2)∈W* | 0< z < ℓ }, con W* = W ∪ ∂W assumendo W come la sezione retta del cilindro testè definito si ha: W(x1, x2)∈W*, x3 ≡ z Si consideri ora una funzione u = u ( x1….xn ) continua in W , ed appartenente all’insieme C2(W). Definiamo che u è armonica se soddisfa l’equazione di Laplace — 2u = 0

(10.1)

o anche, l’equivalente non omogenea equazione di Poisson — 2 u = f (x,y)

(10.2)

I problemi delle equazioni ellittiche, definite sul dominio W, sono problemi di frontiera in “grande”: si assegna il dato su W, ed in esso la soluzione deve esistere. Una tipologia di classici problemi della fisica matematica sono individuabili nel problema di Dirichlet e nel problema di Neumann, in particolare: u (x, y )|∂W = u° (x, y) u (x, y )n |∂W = u° (x, y)

(10.3)

La ricerca della soluzione và effettuata in opportuni spazi funzionali e la coppia {u, f }costituisce un problema ben posto,nel senso di Hadamard. In particolare, l’aspetto generale del problema viene ristretto (modello di S.Venant) ad un solido elastico, omogeneo ed isotropo, di forma cilindrica le cui basi sono definite da Γ0, Γℓ. Il sistema di riferimento è costituito da una terna di

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coordinate materiali 01,2,3, ove gli assi x1 e x2 sono assunti come principali di inerzia e l’asse x3 ≡ z coincide con l’asse longitudinale del cilindro. A riguardo le condizioni di carico si assume che siano nulle le forze di volume insieme alle forze sulla superficie laterale. Si contempla la esistenza di forze non nulle esclusivamente sulle basi Γ0, Γℓ. Ulteriore, ed importante, ipotesi è relativa allo stato tensionale, che si suppone piano, ( T11 = T 22 = T12 = 0 ) e ciò diviene equivalente al fatto che tra le fibre del cilindro si esercitano azioni mutue unicamente nel senso delle fibre. Questo problema fu oggetto di numerose ricerche a partire dalle classiche memorie di Barrè di Saint Venant (1855) e della relativa trattazione di Clebsch (1862) ove la soluzione è cercata assumendo come incognite le componenti dello spostamento. Il problema nella sua trattazione generale è ricondotto alla determinazione di una funzione ϕ (x1, x2), armonica in un dominio piano Γ, la cui derivata rispetto alla normale al bordo assuma un valore prescritto sul bordo stesso (problema di Neumann). Nello specifico, restano da trovare le uniche tre componenti, non nulle, dello stato tensionale utilizzando le classiche equazioni di equilibrio e costitutive dell’elasticità lineare. Nel caso di stato di tensione piano le equazioni di equilibrio sul volume impongono: τ13,3 = 0,

τ23,3 = 0,

τ13,1+τ23,2+σ33,3 = 0

(10.4)

Riguardo la congruenza della deformazione e l’aspetto costitutivo, questi vengono introdotti attraverso le equazioni di Beltrami che, nel caso piano, assumono la forma: σ33,11 = 0, σ33,22 = 0, σ33,12 = 0, σ33,33 = 0 (1+ν)(τ31,11 + τ31,22) + σ33,13 = 0 (1+ν)(τ32,11 + τ32,22) + σ33,23 = 0

(10.5)

Le equazioni di equilibrio al bordo sono prese in considerazione esclusivamente sulla superficie laterale. Scelta una qualsiasi normale esterna, le cui componenti assumono la forma (n1,n2, 0), l’equilibrio alla traslazione consente di scrivere: τ31 n1 + τ32n2 = 0

(10.6)

Ovvero, individuando nella 10.6 il prodotto scalare di τ (vettore della tensione tangenziale risultante delle componenti τ31 , τ32) per la normale n, individuiamo la condizione di ortogonalità delle tensioni tangenziali, rispetto la normale alla superficie esterna. Un’altra proprietà circa la tensione tangenziale è dedotta proiettando l’equilibrio delle forze di volume sugli assi 1 e 2. Si ottiene: div Ω e1 = τ31,3 = 0 div Ω e2 = τ32,3 = 0

(10.7)

Ricavando così la condizione che la tensione tangenziale, nelle sue componenti, si mantiene costante in ogni sezione del solido.

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Infine a riguardo l’essenza del principio, circa gli effetti dei carichi sulle basi si deve a Toupin l’importante dimostrazione: Teorema 10.1: Sia ) (0, ℓ) un solido elastico omogeneo ed isotropo di forma cilindrica e lunghezza ℓ, e siano Γo Γℓ rispettivamente la sezione di origine e la sezione finale del cilindro. Sia inoltre, ∈Sym e ∈Pos e si consideri lo stato elastico [u, ,  ] associato a forze nulle sul volume e sulla superficie laterale. Valgano inoltre le posizioni: ∫Γo s dΓo = 0 ; ∫Γo s-x dΓo = 0 ; limℓ→∞ ∫Γℓ u⋅n = 0 Definita l’energia di deformazione elastica nel tratto di ascissa z dello intervallo [0−ℓ]: W()ℓ)=½ ∫)ℓ ⋅ 

(10.8)

Segue che, se la base Γo è scarica, vale la seguente relazione: W()ℓ) =W( Γo) exp (−[(ℓ−z ) / γ(z)] )

(10.9)

Dove γ(z) è una costante che dipende dalla geometria della trave oltrechè dalla natura costitutiva il materiale. In particolare: γ(z) =2µ+3λ / sqr 2µλ(z) Il teorema di Toupin dimostra che l’energia elastica decade in modo esponenziale quando ci si allontana dalla base caricata. 10.1.2 Integrazioni delle equazioni del problema Con riferimento alle equazioni (10.5) si può dedurre che la componente della tensione normale σ33 dovrà essere necessariamente una funzione lineare delle x1 x2 e x3 e non dipendere dal prodotto x2 x1. σ33 = a + a1x1 + a2x2 – x3(b+ b1x1+ b2x2)

(10.10)

Dove ai e bi sono opportune costanti di integrazione. Al fine di determinare le tensioni tangenziali τ31 e τ32, funzione delle sole variabili x2 , x1, si procederà alla integrazione nel dominio piano Ω definito dalla generica sezione trasversale Γ appartenente al cilindro ). Si otterrà il seguente sistema: τ31,1 + τ32,2 = b+ b1x1+ b2x2 τ31,11+ τ31,22= (1−ν)−1 b1 τ32,11+ τ32,22= (1−ν)−1 b2

(10.11)

a cui andrà associata la condizione al bordo (10.6). Svolgiamo una trasformazione del sistema, derivando la prima delle (10.11) una volta rispetto x1 , ed una volta rispetto ad x2

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τ31,11 + τ32,21 = b1 τ31,12 + τ32,22 = b2

(10.12)

Sottraendo le (10.12) rispettivamente alla seconda ed alla terza delle (10.11) si ottiene: τ31,11+ τ31,22 − (τ31,11 + τ32,21) = (1−ν)−1 b1 − b1 τ32,11+ τ32,22 − (τ31,12 + τ32,22) = (1−ν)−1 b2 − b2

(10.13)

Semplificando può porsi la forma compatta: (τ32,1 −τ31,2),2 = (1−ν)−1 b1ν (τ32,1 − τ31,2),1 = − νb2 (1−ν)−1

(10.14)

I primi due membri della (10.14) rappresentano le derivate parziali della stessa funzione, il cui differenziale totale sarà: (posto ν* = ν(1+ν)−1 ) d(τ32,1 −τ31,2 ) = −ν*b2dx1 + ν*b1dx2

(10.15)

Integrando la (10.15) (τ32,1 −τ31,2 ) = ν*(−b2x1 + b1x2 )+ c

(10.16)

Riconducendoci, in tal modo, alla soluzione del sistema costituito dalle due equazioni differenziali che seguono: (τ32,1 −τ31,2 ) = ν*(−b2x1 + b1x2 )+ c

(10.17)

τ31,1 + τ32,2 = b+ b1x1+ b2x2 Osserviamo che il sistema (10.17) è lineare quindi, possiamo porre la soluzione sotto forma di una somma del tipo: τ31 = τ°31 + τ*31 τ32 = τ°32 + τ*32

(10.18)

Dove le τ°ij concernono la soluzione omogenea delle (10.18) ovvero: τ°32,1 − τ°31,2 = 0 τ°31,1 + τ°32,2 = 0

(10.18.1)

Allora, se la sezione è semplicemente connessa la prima delle (10.18.1) esprime la c.n.s. per l’esistenza di una funzione ϕ(x1, x2) tale che: τ°31 = ϕ,1 τ°32 = ϕ,2

(10.19)

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mentre, la seconda delle (10.18) afferma che la definita funzione deve soddisfare l’equazione di Laplace: ∇2ϕ( x1, x2 ) ≡ ϕ,11+ϕ,22 = 0

(10.20)

ovvero, risultare una funzione armonica. A seguito di quanto determinato, la condizione al bordo può essere esplicitata come segue: τ°31n1 + τ°32n2 = −(τ*31n1+ τ*32n2)

(10.21)

considerando la posizione (10.19) si ha: ϕ,1 n1 + ϕ,2 n2 = −(τ*31n1+ τ*32n2)

(10.22)

per cui, introducendo la derivata della funzione ϕ( x1, x2 ) rispetto la normale al bordo: ϕ,n = −(τ*31n1+ τ*32n2)

(10.23)

Da quanto fin quì dimostrato ne consegue che, nella sua trattazione più generale, il problema di Saint-Venant può essere ricondotto alla determinazione di una funzione ϕ( x1, x2 ), armonica in un dominio piano e la cui derivata, rispetto alla normale al bordo, assuma un prescritto valore. Posto in questi termini il problema assume la classica forma di Dini-Neumann. Assegnata la forma della sezione, la condizione sulla derivata normale, consente di trovare la soluzione ϕ( x1, x2 ), del particolare problema concernente la sezione e quindi la distribuzione delle tensioni tangenziali. Considerazioni conclusive, su questo paragrafo, consentono d’affermare che il problema di Saint Venant è trasformato nella soluzione di un problema noto. Dalla condizione di armonicità della funzione ϕ( x1, x2 ) si ha: Γ ϕ,11 + ϕ,22 dΓ = 0

(10.24)

e, con una trasformazione di Gauss estesa al contorno di Γ ℓΓ ϕ,1n1+ ϕ,2n2)dℓΓ = ℓΓ (dϕ/dn )dℓΓ = 0

(10.25)

Questo risultato resta conforme alla proprietà che l’esistenza della soluzione per il problema di Dini-Neumann rimane subordinata ad un’opportuna condizione sulla derivata normale come nella (10.25). Infine, per una completezza nella trattazione generale del problema, osserviamo che la seconda delle (10.18.1) rappresenta la c.n.s. affinché esista la funzione ψ(x, y) tale che: τ°31 = ψ,2 τ°31 = −ψ,1

(10.26)

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mentre la prima delle (10.18.1) impone che detta funzione deve soddisfare alla equazione di Laplace ∇2ψ(x,y) ≡ ψ,11 + ψ,22

(10.27)

la condizione al bordo assume la forma: ψ,2 n1+ ψ,1n2 = −(τ*31n1+ τ*32n2)

(10.28)

Omettendo alcuni sviluppi per semplicità di trattazione, si ricava la dipendenza della funzione ψ ad assumere un preciso valore sulla frontiera esterna. In definitiva la soluzione alternativa può essere posta come: ∇2ψ(x,y) ≡ ψ,11 + ψ,22 in Ω ψ(ℓ )= ψ*(ℓ) in ℓΓ

(10.29)

Quindi il problema di Saint Venant, nella sua formulazione generale, viene ricondotto alla determinazione di una funzione armonica in un dominio piano Ω, la quale assume un preciso valore sul bordo del dominio stesso. Le (10.29) rappresentano la trasformazione del problema di Saint Venant in un classico problema di Dirichlet. 10.2 Caratteristiche della sollecitazione e valori delle costanti L’aver introdotto la funzione ϕ(x,y) ha permesso di istituire una relazione tra le diverse constati b, b1, b2, già individuando il valore della prima b = 0, attraverso una opportuna scelta del sistema di riferimento. Riguardo alle altre costanti, a, a1, a2, b1, b2, c, per la loro determinazione si richiede, ora, di specificare la distribuzione delle forze di superficie in corrispondenza delle basi. Seguono quindi le relazioni, già note dall’ELV per le travi, tra le componenti di tensione, in termini di integrale sulla sezione trasversale, e le corrispondenti forze di superficie: ∫τ31 = ±T1 ∫τ32 = ±T2 ∫σ33= ±Ν ≡ T3 ∫σ33 x2 = M1 ∫σ33 x1 = M2 ∫τ32 x1 − τ31 x2 = M3

(10.30)

dove il segno positivo vale per la base Γℓ(n3 =1) mentre, il verso negativo è relativo alla base Γ°(n3 = −1). Lo stato della sollecitazione esterna può essere caratterizzato da una forza e da un momento ottenuti come risultante e momento risultante, del sistema di forze superficiali applicate, applicate al baricentro della sezione. R ≡(T1, T2, N), M ≡(M1, M2, M3)

(10.31)

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Il principio di equivalenza elastica assicura che la distribuzione delle forze sulle basi diversa da quella posta nelle (10.30), con valori locali diversi da quelli dati dal sistema (10.30) non comporta variazioni dello stato di tensione-deformazione nei punti situati a sufficiente distanza dalle basi purché il sistema ammetta come valori risultanti le (10.31).Infine, riguardo la determinazione delle costanti si dimostra opportuna la scelta di un riferimento, dove gli assi ortogonali x1, x2 sono coniugati rispetto all’ellisse centrale di inerzia, relativa all’area della sezione ovvero, coincidente con gli assi principali di inerzia xI, xII. Di seguito, sarà svolta l’applicazione delle ipotesi, cui il modello è fondato, considerando le singole caratteristiche della sollecitazione ed utilizzando, da un punto di vista analitico, il c.d. metodo seminverso. In questo ultimo è possibile considerare come incognite parte di spostamenti, deformazioni, tensioni e parte dei dati sulle forze e sui cedimenti vincolari. L’obbiettivo resta determinare le incognite ed i dati non fissati in modo da soddisfare le equazioni del problema elastico. 10.3 Sollecitazione di Sforzo Assiale Consideriamo il solido di Saint Venant soggetto ad un carico assiale concentrato agente sul baricentro delle basi. L’ equazione costitutiva consente di stabilire la relazione tra lo sforzo normale e l’ estensione semplice secondo l’asse z ≡ 3 nella forma: N = EAγ3

(10.32)

Formulando un approccio in termini di spostamenti, ipotizziamo che il solido sia soggetto ad allungamento costante secondo l’asse z ≡ 3 ⎡ 0 ⎤ ⎢ ⎥ u= ⎢ 0 ⎥ ⎢⎣ γ 3 z ⎥⎦

(10.33)

Determiniamo il tensore della deformazione che, in questo caso, coincide con il gradiente dello spostamento. ⎡0 0 0 ⎤ ⎢ ⎥  = ⎢0 0 0 ⎥ ⎢⎣0 0 γ 3 ⎥⎦

(10.34)

Attraverso l’equazione di Lamè viene possibile determinare le componenti della tensione che, nel caso in esame, risultano non nulle esclusivamente le: T33 = (2µ+λ) γ3 T11 = λγ3 T22 = λγ3

(10.35)

L’equilibrio con le forze esterne determina le forze che agiscono sul volume di ): - f = div  = 0

(10.36)

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Per l’equilibrio delle forze sulla superficie laterale e sulle basi, dove la normale è caratterizzata da un vettore di componenti, rispettivamente, n = ( cosα, senα, 0 ) e n = ( 0, 0, ± 1 ), trovasi: s = [λγ3 cos α , λγ3 senα, 0 ] s = [ 0, 0, ± (2µ+λ) γ3 ]

(10.37)

Il risultato delle (10.37) afferma che, all’applicazione di un’estensione semplice corrispondono delle trazioni sulla superficie laterale, che violano l’ipotesi di base del modello di Saint Venant. Andrà quindi, modificata l’ipotesi sugli spostamenti introducendo una nuova ipotesi deformativa ovvero, una contrazione della sezione nel proprio piano. Conseguentemente, il vettore spostamento assume la forma: ⎡ − νγ 3 x ⎤ ⎢ ⎥ u = ⎢ − νγ 3 y ⎥ ⎢⎣ γ 3 z ⎥⎦

(10.38)

Sviluppando la (10.38) si ricavano i corrispondenti tensori della deformazione  e degli sforzi : ∇u =

⎡− νγ 3 ⎢ 0 ⎢ ⎢⎣ 0

0 − νγ 3 0

 = ½(∇u +∇uT ) =

0⎤ 0 ⎥⎥ γ 3 ⎥⎦ ⎡− νγ 3 ⎢ 0 ⎢ ⎢⎣ 0

∇uT

0 − νγ 3 0

⎡− νγ 3 ⎢ = ⎢ 0 ⎢⎣ 0

0 − νγ 3 0

0⎤ 0 ⎥⎥ γ 3 ⎥⎦

0⎤ 0 ⎥⎥ γ 3 ⎥⎦

(10.39)

Attraverso l’equazione di Lamè sono determinate le componenti del tensore degli sforzi: 11 = 22 = 33 = 13 =

2µ 11 + λ( 11 + 22 + 33 )1 = − 2µνγ3 + λγ3 (1−2ν) 2µ 22 + λ( 11 + 22 + 33 )1 = − 2µνγ3 + λγ3 (1−2ν) 2µ 33 + λ( 11 + 22 + 33 )1 = 2µγ3 + λγ3 (1−2ν) 23 = 0

(10.40)

Sviluppiamo le (10.40) richiamando le posizioni: ν = λ/ 2(µ+λ) ; E = µ(2µ+3λ) / µ+λ 11 = 22 = γ3(−µλ+λ+λ2/µ+λ) = 0 33 = γ3[2µ+λ−(λ2/µ+λ)] =(2µ2+2µλ+µλ+λ2−λ2)/µ+λ] = µ(2µ+3λ) /µ+λ= Eγ3

(10.40.1)

Conseguentemente lo stato di tensione assume la forma: 0 ⎤ ⎡0 0 ⎢0 0 0 ⎥⎥ ⎢ ⎢⎣0 0 Eγ 3 ⎥⎦

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=

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(10.41)

Svolgendo l’equilibrio per le forze sul volume e sulla superficie laterale si ha: -f = div  = [0,0,0] s = n = [0,0,0]

(10.42)

mentre sulle basi si ottiene: s =[0, 0, Eγ3 ]

(10.43)

Richiamando l’equazione costitutiva per le travi N = ∫ T33 , sostituendo si trova N = EAγ3

(10.44)

Fatta la posizione per la tensione normale σz = T33 = Eγ3 ed eguagliando con la (10.44) si ha la cercata relazione tra la caratteristica della sollecitazione e la tensione normale relativa: σ = N/A

(10.45)

La (10.45) rappresenta una distribuzione costante delle tensioni, sulla intera sezione, dovute alla applicazione di una azione assiale sulle basi. Giova altresì osservare, circa l’enunciato principio di equivalenza elastica, che il considerare sezioni trasversali prossime alle basi comporta la perdita del valore costante della distribuzione delle tensioni, sostituita da andamenti fortemente non lineari. 10.4 Sollecitazione di Flessione e Presso/Tensoflessione Consideriamo il solido cilindrico di Saint Venant soggetto ad azione flettente, affrontando il problema secondo un approccio agli spostamenti. Si pongono plausibili delle ipotesi deformative che impongono, nella direzione dell’asse 2≡y, uno spostamento verticale associato ad una rotazione tale da mantenere l’ortogonalità con l’asse longitudinale dopo la deformazione. Il piano ove avviene la deformazione è definito piano di flessione e, l’intersezione di tale piano con la sezione è detto asse di flessione. Sotto queste ipotesi un possibile campo di spostamento assume la forma: ⎡ 0 ⎤ ⎢ ⎥ u = ⎢ u( z ) ⎥ ⎢⎣− u' ( z ) y ⎥⎦

(10.46)

Si faccia la posizione k = - u’’ (z) e sostituendo nella (10.46) si ricava il tensore  come parte simmetrica del gradiente dello spostamento:

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⎡ 0 ⎤ ⎢ ⎥ u = ⎢− kz 2 / 2⎥ ⎢⎣ kzy ⎥⎦ da cui:

 = 1/2 ( ∇u+∇uT ) =

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0 ⎤ ⎡0 0 ⎢0 0 − kz ⎥ ∇u = ⎢ ⎥ ⎢⎣0 kz ky ⎥⎦

∇uT

=

0 0⎤ ⎡0 ⎢0 kz ⎥⎥ 0 ⎢ ⎢⎣0 − kz ky ⎥⎦

⎡0 0 0 ⎤ ⎢0 0 0 ⎥ ⎢ ⎥ ⎢⎣0 0 ky ⎥⎦

(10.47)

(10.47.1)

Applicando, per componenti, le equazioni di Lamè, si costruisce il tensore degli sforzi : 11 =λky 22 =λky 33 =(2µ+λ)ky

(10.48)

Lo stato di tensione finale è espresso dalle componenti ricavate nelle (10.48) 0 ⎡λky 0 ⎤ ⎢ 0 λky ⎥ 0 = ⎢ ⎥ ⎢⎣ 0 0 ( 2µ + λ )ky ⎥⎦

(10.49)

Svolgendo l’equilibrio sul volume e sulle superfici si trova -

−f = div  = [ 0, λk, 0 ]

s = n = [ λkycosα, λkysenα, 0] s = n = [0, 0, (2µ + λ) ky ]

su Ω su ∂Ω su Γ0,ℓ

(10.50)

quindi, il modello di spostamento ipotizzato comporta la nascita di forze di volume e di forze sulla superficie laterale non compatibili con le ipotesi generali del modello di S. Venant. Occorre quindi eliminare tali forze modificando l’ipotesi degli spostamenti, introducendo una deformazione della sezione nel proprio piano. In particolare và considerata una contrazione trasversale delle fibre tese e una dilatazione trasversale delle fibre compresse. L’ipotesi modifica il vettore spostamento nella forma: −νk x y ⎡ ⎤ ⎢ k 2 2 2 u = ⎢− [ z + ν ( y − x )⎥⎥ ⎢ 2 ⎥ kzy ⎢⎣ ⎥⎦

(10.51)

ove ν rappresenta il coefficiente di Poisson e, l’aggiunta dei nuovi termini, rispetto alla prima posizione, rappresenta una contrazione trasversale delle fibre tese ed una dilatazione trasversale delle fibre compresse. La determinazione del

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tensore della deformazione segue seconda la classica composizione del gradiente dello spostamento: ⎡− ν ky ⎢ ∇u = ⎢ νkx ⎢⎣ 0

 =

− νkx − νky

kz

0 ⎤ − kz ⎥⎥ ky ⎦⎥

∇uT =

⎡− ν k y ⎢ − νkx ⎢ ⎢⎣ 0

νkx

0⎤ − ν k y kz ⎥⎥ k y ⎦⎥ − kz

(10.52)

0 0⎤ ⎡− ν k y ⎢ 0 − ν k y 0 ⎥⎥ ⎢ ⎢⎣ 0 0 k y ⎥⎦

Richiamando le relazioni tra le costanti di Lamè e le costanti elastiche (ν, E ), si determinano, attraverso l’equazione di Lamè, le componenti del tensore : 11 = 22 = 2µ(−νky)+λky(1−2ν) = ky(−2µν+λ−2νλ) = ky [(−µλ+λ2+µλ−λ2)µ+λ] = 0 33 = 2µky+λky(1−2ν) = ky[2µ+λ−(2λ2/ 2(µ+λ)] = ky [( 2µ2+2µλ+µλ+λ2−λ2)/µ+λ] = = ky [µ(2µ+3λ)/µ+λ] = Eky Lo stato di tensione assume la forma: =

0 ⎡0 0 ⎢0 0 0 ⎢ ⎢⎣0 0 E k

⎤ ⎥ ⎥ y ⎥⎦

(10.53)

Sviluppando le equazioni di equilibrio si ottiene f = -div =[0,0,0] s =  n[ 0,0,0 ] s =  n[ 0,0, ± Eky ]

su Ω su ∂Ω su Γ0,ℓ

(10.54)

Verifichiamo ora, che lo stato tensionale così ricavato corrisponde, in effetti, ad una sollecitazione di flessione pura. Non sono presenti tensioni tangenziali quindi risulta possibile escludere valori dei tagli T1 e T2 diversi da zero e, conseguentemente, anche del momento torcente M3. Se rammentiamo le relazioni tra sollecitazioni esterne e tensioni troviamo che lo sforzo normale N è legato alla T33 attraverso l’integrazione sulla sezione. Se il riferimento è baricentrico segue che il momento statico derivante si annulla e quindi N = 0. Si ha quindi, richiamando la posizione k = u’’(z), in definitiva: N = E k ∫A y = E k S x = 0 M1 = E k ∫A y2 = E k Jx = E Jxu’’ M12 = E k ∫A −y x = −E k Jyx = 0

(10.55)

La posizione k = u’’(z) definisce la curvatura della linea elastica che descrive la deformazione dell’asse longitudinale del solido. La stessa è una relazione, come

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precedentemente definito nella caratterizzazione differenziale del problema elastico per solidi monodimensionali, legata alla funzione spostamento secondo le seguenti espressioni: u(z) = u(z) u’(z) = w(z) u’’(z) = k(z)

spostamento rotazione curvatura

(10.56)

Se il riferimento è principale di inerzia, allora si avrà M12 = 0 ovvero, il piano di sollecitazione coincide con il piano di flessione (flessione retta). Determiniamo ora l’espressione della tensione ed il suo andamento; posto σz = T33 sostituendo si ha σz = Ek y ed essendo M1/ J1 = E k si trova, rispettivamente per i piani 2-3 (y-z) e 1-3 (x-z) σz = ( M1 / J1 ) y

σz = ( M2 / J2 ) x

(10.57)

Le relazioni (10.57) consentono di affermare che la distribuzioni delle tensioni normali, dovute alla flessione, assume un andamento lineare, annullandosi in corrispondenza dell’asse neutro e presentando valori massimi (positivi e negativi) in corrispondenza del bordo estremo della sezione. Giova osservare che l’asse neutro (luogo dei punti rispetto a cui le fibre del solido non sono né tese né compresse) è coniugato rispetto all’asse di sollecitazione relativo all’ellisse centrale di inerzia. Ancora, l’asse neutro è ortogonale all’asse di flessione mentre l’asse di sollecitazione è ortogonale al vettore momento. Se il riferimento non è principale, quindi il momento centrifugo è diverso da zero, parimenti sarà M12 ≠0 ovvero saremo in presenza di flessione deviata. Consideriamo ora il caso in cui l’asse di flessione non coincida con uno degli assi principali di inerzia ovvero, in presenza di flessione deviata. In questo caso è possibile decomporre lo spostamento flessionale in due componenti, secondo gli assi baricentrici e ricavare la flessione totale come somma di due flessioni rette, componendo così di fatto la flessione deviata. Il diagramma delle tensioni può quindi raffigurarsi come somma dei due diagrammi parziali. Il luogo di annullamento delle tensioni (asse neutro) è definito dalla retta, di coefficiente angolare tgα = x / y, ( M1 / J1 ) y - ( M2 / J2 ) x = 0

(10.58)

Se nella sezione del solido sono presenti contemporaneamente sforzo normale e flessione si parla di sollecitazione di presso-tenso flessione a seconda del segno dello sforzo normale. La corrispondente tensione normale varrà in questo caso: σz = (N / A) + ( M1 / J1 ) y - (M2 / J2 ) x

(10.59)

A causa del termine N/A l’asse neutro non passerà per il baricentro, anche se la sua inclinazione sarà sempre tgα = x / y , ovvero si sposterà parallelo all’asse neutro della flessione pura.

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Il punto di applicazione dello sforzo normale è definito centro di pressione c e per questo ultimo, in rapporto con l’asse neutro, sarà possibile instaurare una corrispondenza di polare ed antipolare tra punti e rette. Allora c ≡ G (baricentro) può identificarsi come il polo della retta all’infinito (asse neutro) e la sezione, in questo caso risulta totalmente compressa. Quando c trasla, allontanandosi da G, la retta tende all’asse baricentrico e quando c è all’infinito, l’asse neutro coincide con l’asse baricentrico (la sezione è simmetricamente inflessa). Più precisamente per sforzo normale agente entro il nocciolo centrale di inerzia della sezione (luogo degli antipoli delle rette che inviluppano la figura senza tagliarla) la stessa è completamente reagente omogeneamente. Allorquando il centro di pressione è esterno al nocciolo l’asse neutro taglia la sezione che risulterà parzializzata. In particolare, questo aspetto diventa estremamente importante quando la sezione del solido è costituita da materiale non reagente a trazione (vedi lapidei, muratura, calcestruzzo etc..). In tal caso diventa estremamente importante conoscere l’effettiva consistenza della sezione reagente in quanto la verifica di resistenza obbliga ad una precisa definizione della geometria reagente. Infine, volendo ricavare il campo di deformazione che resta associato alla tensione normale, prodotta dallo sforzo assiale e dalla flessione, dietro semplici osservazioni si ottengo le seguenti: 33 =1/E [N/A + ( M1/J1)y −(M2/J2)x] 11 = 22 = −(ν/ E )33

(10.59.1)

Specificando il regime deformativo è possibile definire la variazione di lunghezza del solido nella forma: ∆ℓ=∫ℓ33 |x=0,y=0 = Nℓ/EA

(10.59.2)

Parimenti la variazione di superficie, cui viene soggetta una porzione elementare della sezione trasversale è: ∆Ω(x1,x2) = ∆12 = 11 + 22 = −2ν33

(10.59.3)

Complessivamente, l’intera sezione trasversale rappresenterà una variazione di superficie data da: ∆Γ = ∫Γ ∆12 = −2ν/E [N/A + (M1/J1)y + (M2/J2)x] = −2ν N/E

(10.59.4)

Riguardo, infine, la variazione cubica si ottiene: ∆V = 11 + 22 +33 = (1−2ν)/ΕΑ) Nℓ

(10.59.5)

Le combinate azioni di sforzo assiale e momento flettente consentono di poter scrivere l’energia di deformazione nella forma: W = ½ ∫  = ½ ∫ [N/A + (M1/J1)y + (M2/J2)x ](γ + κ1y + κ2x)

(10.59.6)

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Integrando sulla sezione trasversale e ricordando l’aver scelto un riferimento baricentrico e principale si ha: W = ½ [N γ + M1 κ1 + M2 κ2]

(10.59.7)

La (10.59.7) può essere formulata tutta in termini di deformazione: W = ½ [EAγ2 + EJ1κ1 2 +EJ2 κ22 ]

(10.59.8)

oppure in termini di caratteristiche della sollecitazione: W = ½ [N2/EA + (M12/EJ1) + (M22/EJ2)

(10.59.9)

L’energia per l’intero solido assumerà la forma: W = ½ ∫ℓ [N2/EA+(M12/EJ1)+(M22/EJ2) = = ½ ℓ[N2/EA + (M12/EJ1) + (M22/EJ2)

(10.59.10)

10.5 Sollecitazione di torsione Si consideri un solido elastico omogeneo ed isotropo a forma cilindrica, soggetto a pura sollecitazione di torsione applicati sulle basi. Si vuole valutare l’effetto di coppie torcenti mediante un classico approccio agli spostamenti. Considerando rotazioni torsionali attorno all’asse 3, il vettore spostamento può essere espresso come u = ωe3 ∧ (x – xo )

(10.60)

Volendo scrivere, il campo di spostamenti per componenti, posto ω3 funzione della coordinata z e sviluppando in un intorno locale si ottiene: ⎡e1 ⎢ u = ⎢0 ⎣⎢ x

e2 0

y

e3 ⎤ zω' 3 ⎥⎥ 0 ⎦⎥

=

⎡ − zω'3 y ⎤ ⎥ ⎢ ' ⎢ zω 3 x ⎥ ⎢ 0 ⎥ ⎦⎥ ⎣⎢

(10.61)

determinato il gradiente dello spostamento ed il suo trasposto: ⎡ 0 ∇u = ⎢⎢ zω' 3 ⎢ 0 ⎢⎣

− zω'3 0 0

− ω'3 y ⎤ ⎥ ω'3 x ⎥ 0 ⎥⎥ ⎦

∇uT

=

⎡ 0 zω'3 0⎤ ⎥ ⎢ ' 0 0⎥ ⎢ − zω 3 ⎢ − ω' y ω' x 0⎥ 3 ⎥⎦ ⎢⎣ 3

(10.62)

I tensori della deformazione e della tensione ,  assumeranno la forma:

⎡ ⎢ 0 ⎢ = ⎢ 0 ⎢ ⎢− 1 ω' y ⎢⎣ 2 3

0 0 1 ' ω3 x 2

1 ' ⎤ ω3 y ⎥ 2 1 ' ⎥ ω3 x ⎥ 2 ⎥ 0 ⎥⎥ ⎦



=

⎡ 0 0 ⎢ 0 ⎢ 0 ⎢ − Gω' y Gω' x 3 3 ⎣⎢

− Gω'3 y ⎤ ⎥ Gω'3 x ⎥ 0 ⎥⎥ ⎦

(10.63)

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Svolto l’equilibrio sulle forze di volume si trova -f = div  = [ 0, 0, 0]

(10.64)

mentre sulla superficie laterale dove n = ( nx , ny ) s = [ 0, 0, -Gω3’ynx + Gω3’xny ]

(10.65)

ovvero

ω3’G( xny – ynx) ≡ ω3’G( x ∧ n ) = 0

(10.66)

la (10.66) vale zero solo per x parallelo ad n e ciò avviene solo in sezioni circolari per cui, l’ipotesi dello spostamento vale solo quando la sezione è circolare piena o comunque circolare cava. In questo caso la teoria delle travi offre la relazione costitutiva, nel caso di sollecitazione torsionale M3 = G Jo ω’3

(10.67)

Conseguentemente lo stato di tensione assumerà la forma:

T τ = ⎡⎢ 13 ⎤⎥ ⎣T23 ⎦

=

⎡− Gω' y ⎤ ⎢ Gω' x ⎥ ⎣ ⎦

(10.68)

Con le tensioni tangenziali dirette normalmente alle x, quindi ad n secondo la

τ⋅n=0

(10.69)

Il modulo della tensione vale

|τ| = Gω’ (x2 + y2 )1/2

(10.70)

dalla relazione costitutiva si trova l’andamento ed il valore della tensione agente

τ = ( M3 / J o ) r

(10.71)

ovvero, la tensione tangenziale vale zero all’origine e varia con il raggio della sezione. Qualora la sezione non ha forma circolare bisogna supporre che il solido, oltre a subire una deformazione del tipo precedente, possa deformare la propria sezione trasversale, nel proprio piano, ingobbendosi secondo una funzione ψ(x,y) proporzionale ad ω’. Il vettore spostamento assumerà la forma:

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⎡ − ω ' zx ⎤ u = ⎢ ω ' zy ⎥ ⎢ω 'ψ ( x, y )⎥ ⎣ ⎦

(10.72)

fatto il gradiente dello spostamento ed il suo trasposto, è possibile determinare il tensore della deformazione ed, attraverso l’equazione di Lamè, il tensore degli sforzi:

∇u =

⎡ 0 −ω' z ⎢ ω'z 0 ⎢ω ' /ψ , ω 'ψ , x y ⎣ ⎡ 0

∇uT = ⎢− ω ' z

⎢ ⎣ ω' y

− ω ' y⎤ ω' x ⎥ 0 ⎥⎦

ω ' z ω ' /ψ , x ⎤ 0 ω ' /ψ , y ⎥ ⎥ ω'x 0 ⎦

⎡ 0 0 ω' / 2( − y + ψ ,x )⎤ ⎢ ⎥ 0 0 ω' / 2( x + ψ , y ) ⎥ = ⎢ ⎢ω' / 2( − y + ψ , ) ω' / 2( x + ψ , ) ⎥ 0 x y ⎣ ⎦ ⎡ 0 0 ω' G( − y + ψ ,x )⎤ ⎢ ⎥ 0 0 ω' G( x + ψ , y ) ⎥ = ⎢ ⎢ω' G( − y + ψ , ) ω' G( x + ψ , ) ⎥ 0 x y ⎣ ⎦

(10.73)

posto l’equilibrio sulle forze di volume si trova: -f = div T = [ 0, 0, ω’G (ψ,xx + ψ,yy)]

(10.74)

Quindi, perché le forze di volume siano nulle, dovrà essere ∇2ψ = 0. Sulla superficie laterale varrà la condizione: s = [ 0, 0, Gω’[(-y + ψ,x) nx + (x + ψ,y) ny ]

(10.75)

detta ψ,n la derivata direzionale della funzione ingobbamento ψ (x, y)

ψ,n = ψx nx + ψy ny

(10.76)

ho la condizione affinché le forze s sulla superficie laterale siano nulle:

∂ψ / ∂n = y nx – x ny

(10.77)

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Le due condizioni così ricavate, ∇2ψ = 0 e ∂ψ / ∂n = y nx – x ny , costituiscono un noto problema al contorno detto problema di Neumann che, per come precedentemente dimostrato, è una delle soluzioni del problema elastico. Infatti si dimostra che la soluzione esiste, è unica e dipende con continuità dai dati. La stessa fornisce la funzione ingobbamento quando siano assenti le forze di volume e le forze sulla superficie laterale. Nel caso di sezioni circolari il secondo termine della derivata direzionale è nullo, quindi ψ = 0 ovvero le sezioni circolari non si ingobbano. Vediamo ora lo stato di tensione corrispondente ad una sollecitazione di torsione. Sostituendo quanto prima dedotto si ha: M3 = ∫- T13 y + T23 x = G ω’ ∫-y (-y + ψ,x ) + x ( x + ψ,y ) = = G ω’ ( Jo + ∫ -y ψ,x + x ψ,y )

(10.78)

Nel caso del cerchio è ψ = 0 quindi M3 = G Jo ω’. Per le sezioni di forma qualsiasi è comodo usare la stessa formula corretta mediante un fattore q, detto fattore di torsione, dipendente dalla forma della sezione attraverso la funzione ingobbamento. In ogni modo è sempre q ≥ 1. 10.5.1 Teoria approssimata Così per come dimostrato, la teoria esatta della torsione presenta notevoli complicazioni analitiche, specie per sezioni di forma qualsiasi. Parimenti è possibile proporre una forma semplificata del problema, ricorrendo ad una trattazione approssimata. Nel caso della torsione il tensore degli sforzi è del tipo:

⎡0  = ⎢⎢ 0 ⎢τ ⎣ x

0 0 τy

τx ⎤ ⎥ τy ⎥ 0 ⎥⎦

(10.79)

Ove τx τy sono le componenti della tensione tangenziale τ. La soluzione cercata è solo equilibrata, senza però chiedere il rispetto della congruenza. Applicando l’equilibrio di Cauchy si trova: div = τx, x + τy, y = div τ = 0 s = τ x nx + τ y ny = τ ⋅ n

(Ω) (∂Ω)

(10.80)

applichiamo Gauss-Green alla prima delle relazioni (10.80) 0 = ∫ div τ = ∫ τx,x + τy,y = ∫ τx nx + τy ny = ∫ τ ⋅ n

(10.81)

la prima delle (10.81) è sostanzialmente confermante una analogia idrodinamica, ovvero il flusso è nullo lungo una linea chiusa. La seconda afferma, invece, che le tensioni tangenziali si mantengono ortogonali alla normale uscente dal bordo. In conclusione volendo determinare il fattore di torsione, nel caso approssimato, basterà eguagliare l’energia del caso mono-dimensionale con l’energia del solido. Mo ω’ = 1/G ∫ τ2

(10.82)

ovvero in ogni sezione si ha la coincidenza delle due energie, quindi

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q = Jo / M32 ∫ τ2

(10.83)

10.5.2 Determinazione del regime tensionale in sezioni cave di spessore sottile Si consideri un solido elastico la cui geometria risulta così definita: L = linea media della sezione; Ao = area racchiusa dal contorno medio; t = ascissa curvilinea; t = versore della tangente alla curva; s = s(t) spessore della sezione. Inoltre, imponiamo le seguenti approssimazioni: τ í t ; τ = τ(t) t = costante ; τ (t) = s (t) = costante Imponendo l’equilibrio, rispetto ad un momento torcente agente Mo, è possibile scrivere: Mo = ∫ τ s ∧ x

(10.84)

posto R = τ s(t) = τ s(t) t nonchè ricordando che τs = costante, si può scrivere: Mo = ∫ x ∧ R = τ s ∫ t ∧ x = 2 Ao s τ

(10.85)

Dalla (10.85) è possibile ricavare la relazione cercata ove la tensione è inversamente proporzionale allo spessore

τ = Mo / 2 Ao s

(10.86)

10.5.3 Determinazione del regime tensionale in sezioni piene di forma allungata Consideriamo una sezione piena di forma allungata e definiamo la geometria nella maniera seguente: g = linea media della sezione s = spessore tra la linea media ed il contorno l = linea che dista 2/3 s dalla linea media Ao = area racchiusa dal contorno medio t = ascissa curvilinea su l t = versore della tangente ad l Ipotizzando una distribuzione lineare delle tensioni sarà possibile scrivere:

τ = τmax t (r/s)

(10.87)

La risultante delle tensioni può porsi nella forma: R (τ) = ½ τmax s t

(10.88)

Ricordando la legge della costanza del flusso nonchè svolgendo l’equilibrio alla rotazione: Mo = " x ∧ R = ½ τmax s " x ∧ t = τmax s Ao

(10.89)

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da cui si ricava l’espressione finale:

τmax = Mo / s Ao

(10.90)

Dalla sezione di forma allungata è facile passare alla sezione rettangolare, come specializzazione della prima, in quanto basterà porre: s = h/2 ; y = r ; A ≅ b (2/3 h ) ottenendo:

τmax = (6 M o / b h3 ) y

(10.91)

10.6 Sollecitazione di taglio Consideriamo il solido cilindrico di S. Venant soggetto ad una azione di taglio, cui è associato un momento flettente Nel caso della sollecitazione di taglio è preferibile ricercare una soluzione in forma approssimata, giacché la soluzione esatta comporta notevoli complicazioni analitiche. Conseguentemente si ricerca una soluzione equilibrata, trascurando la congruenza. Nel caso del taglio il tensore degli sforzi è del tipo:

⎡ 0 ⎢ = ⎢ 0 ⎢τ ⎣ zx

0 0 τ zy

τ xz ⎤ ⎥ τ yz ⎥ σ ⎥⎦

(10.92)

Imposto l’equilibrio si ha: -f = div  = [ 0, 0, τx,x + τy,y + σ,z ]

(10.93)

preso un taglio diretto secondo y è possibile porre:

σ = ( Mx / Jx ) y = ( Ty z / Jx ) y

(10.94)

e quindi

σ,z = ( T / J ) y

(10.95)

e la condizione di equilibrio si traduce in: div τ = - (T/J) y

(10.96)

sulla superficie laterale si ha: s = [ 0, 0, τx nx + τy ny ] = [ τ ⋅ n ] = 0

(10.97)

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che esprime l’ortogonalità tra le tensioni tangenziali e la normale uscente dal bordo della sezione. Integrando la condizione di equilibrio sulla frontiera ed applicando Gauss-Green si trova

∫ div τ = - ∫ (T/J)y

e ∫ τ ⋅ n = - (T/J) Sx

(10.98)

A questo punto resta da fare una ulteriore approssimazione circa la distribuzione delle tensioni tangenziali. Affermiamo che le τ sono tangenti al bordo ed il flusso è relativo solo alla parte rettilinea, quindi posso assumere che la normale è costante su tutto il tratto. Riscrivendo l’ultima relazione alla luce della considerazione fatta, estendendo l’integrale a tutta la corda b e verso opposto alla normale

∫ τ = (T/J)Sx Infine posto τ

(10.99) -nb-n

= ∫b τ -n si trova valore ed andamento delle τ

τ = (T/J) Sx b

(10.100)

Dalla (10.100) si osserva che la distribuzione delle tensioni è influenzata da un fattore che permane costante (il rapporto T/J) e dipende dalla geometria della sezione. La parte variabile è relativa al momento statico che si evolve parimenti allo sviluppo dello corda b. Vediamo ora, dalla teoria approssimata, di ricavare l’espressione del fattore di taglio, precedentemente introdotto nelle equazioni costitutive, quale elemento correttivo all’ipotesi di spostamento rigido. Per ottenere questo risultato confrontiamo l’energia elastica monodimensionale con la rispettiva tridimensionale. Tγ + Mω’ = 1/G∫τ2 +1/E∫σ2

(10.101)

Sostituendo il valore della tensione tangenziale, come prima dedotto, e potendo omettere il contributo della flessione, si può porre: Tγ = 1/G (T2/J2)∫ (Sx/b)2

(10.102)

Rammentando l’equazione costitutiva del taglio T = GAγ/χ, si può porre:

γ =Tχ / GA

(10.103)

Sostituendo nella (10.101) e semplificando trovasi l’espressione approssimata del fattore di taglio:

χ= A/J2 ∫ (Sx/b)2

(10.104)

10.7 Applicazione dei criteri di resistenza al solido trave

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Nel caso delle travi vengono introdotte delle semplificazioni dovute alla natura del tensore degli forzi

⎡ 0 0 τ xz ⎤ ⎢ ⎥ 0 τ yz ⎥ = ⎢ 0 (10.105) ⎢τ ⎥ τ σ zy ⎣ zx ⎦ ove la tensione normale è prodotta dall’azione dello sforzo normale e/o dal momento flettente, mentre la tensione tangenziale deriva da taglio e torsione. Determiniamo le tensioni principali per la (10.105) λ3− ΙTλ2 + ΙΙTλ − ΙΙΙT = 0

(10.106)

sostituendo si trova

ΙT = σ ; ΙΙT = −τ2x −τ2y = −τ2 ; ΙΙΙT=0

(10.107)

per cui l’equazione caratteristica offre le radici

λ1= σ −

σ 2 + 4τ2 2

λ2 = 0

λ3 = σ +

σ 2 + 4τ2 2

(10.108)

quindi λ1 ≤ 0 , λ2 = 0 , λ3 ≥ 0 ovvero stato piano di tensione 10.7.1 Criterio della max tensione normale Andranno compiute sia verifiche a trazione che a compressione.

σ+

σ 2 + 4τ2 2

≤ σRT

e

σ−

σ 2 + 4τ2 2

≥ σRC

(10.109)

10.7.2 Criterio della massima tensione tangenziale In questo caso la verifica è unica, perciò il criterio si applica a materiali con eguale resistenza sia in trazione che in compressione

τmax = λ3 − λ1 /2 =

σ 2 + 4τ2 2

(10.110)

nella prova mono-assiale èτmax = σR/2 quindi la conseguente verifica è data da:

σ 2 + 4τ 2 ≤ σR

(10.111)

10.7.3 Criterio della max energia potenziale elastica W=

σ 2 + 2( 1 + ν )τ 2 ≤ σR

(10.112)

10.7.4 Criterio della max energia distorcente

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Nel caso tridimensionale è W = ¼ µ[⋅−I1/3] mentre in termini di sforzo piano si ha W = 1/3µ (σ2 + 3τ2 ). Dalla prova mono-assiale è W =1/3µ σ2R e conseguentemente per la verifica si ha:

σ 2 + 3τ 2 ≤ σR

(10.113) Capitolo 11 TEORIA ELASTICA NON LINEARE

11.0 Preliminari Ai fini di una maggiore chiarezza espositiva si richiamano alcune definizioni, in parte già note, utili alla sintesi analitica dei concetti fondamentali della teoria. Si consideri un operatore matriciale ∈Mnxm, dove n >1; si definisce operatore complementare o matrice cofattore della matrice  la matrice ottenuta dalla forma: (cof )ij : = (−1)i+j det ij* dove ij* è la matrice associata della matrice , ottenuta eliminando la i-esima riga con la j-esima colonna. Richiamando i due teoremi di Laplace, sul calcolo matriciale si ha l’importante posizione: (cof )T = det  I se la matrice  è invertibile si dimostra che: (cof ) = (det ) −T Richiamando l’espressione che regola la trasformazione di un elemento d’area soggetto a una deformazione, detto p°∈Ω° il punto considerato, siano e1, e2 due vettori linearmente indipendenti applicati su p° tali da definire l’area A° = |e1×e2|. Detto  il gradiente della deformazione, la trasformazione dell’elemento di area sarà: A = |e1×e2|, e quindi la variazione della superficie è fornita dal rapporto: A /A° = |e1×e2| / |e1×e2| Richiamando, ora, la nota relazione che regola la trasformazione di un elemento di volume nelle forme: det  = |e1×e2 ⋅e3| /|e1×e2 ⋅e3| ∀e1,e2 ,e3 (det )| e1×e2 ⋅e3| = | e1×e2 ⋅e3| = T( e1×e2)⋅e3 dall’arbitrarietà di e3 segue:

(det ) e1×e2 = T | e1×e2 | vista l’invertibile di  si ottiene:

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|e1×e2 = (det )−T e1×e2 richiamando la definizione di cofattore l’ultima relazione può essere posta come:

|e1×e2 =(cof ) e1×e2 Riprendendo l’espressione della variazione di superficie, sostituendo si ottiene: A / A° = (cof ) Si osservi allora, che il cofattore del gradiente della deformazione rappresenta proprio la variazione di superficie cui è soggetto l’ intorno del punto considerato. Parimenti per la variazione delle normali alla superficie si porrà: n = (cof  /| | )n° 11.1 Cinematica delle deformazioni finite Si consideri un corpo continuo ) nella sua configurazione iniziale di riferimento W), attraverso un’origine 0 ed una base di vettori ortonormale ei. Al tempo t la configurazione corrente è il dominio Wt e la relazione del moto è posta nella forma: x = χ(X, t)

(11.1)

ove la χ è una mappa one-to-one regolare, che ∀X∈W) Ø Wt . Se la mappa rappresenta la funzione deformazione, allora è possibile definire il gradiente della stessa nella forma:  = ∂χi / ∂xj

(11.2)

Una deformazione pura è una deformazione omogenea il cui gradiente è positivo. Conseguentemente, ∈Lin+ , e sarà quindi possibile l’applicazione del già noto: Teorema di decomposizione polare. Fatta la posizione ≡ ove ∈Orth segue che: ∀∈Lin+ ∃∈OrthØ =  =  con ,∈Lin+ Nella particolare ricerca di un’opportuna grandezza che compendi i caratteri della deformazione appare chiaro che, il gradiente della deformazione  e le opportune funzioni collegate, ne posseggano i requisiti. Definiamo il tensore delle deformazioni finite la forma:  = ½ (T – )

(11.3)

dove  rappresenta il tensore della deformazione identica. Ricordando la decomposizione di  come somma di  +, quest’ultimo gradiente dello spostamento, sostituendo nella (11.3) si ottiene:

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 = ½ [ + T + T]

(11.4)

rammentando la definizione del tensore  come la parte pura del gradiente dello spostamento, S = ½ (+T) si trova:  = + ½ T (11.5) Una successiva specificazione, riguardo una buona misura della deformazione, si ha richiamando il teorema della decomposizione polare  =  = 

(11.6)

Sviluppando il prodotto T , sia a destra che a sinistra, si ottiene: T = T T   =   T =  T T = 

(11.7)

I tensori  e  prendono, rispettivamente, il nome di tensore destro e sinistro di Cauchy-Green e definiscono un’opportuna misura della deformazione. I tensori ,  rappresentano la parte pura della deformazione, ovvero lo “stretch”. Le componenti di  assumono significato fisico in un riferimento di base , dove le componenti ii rappresentano i quadrati dei rapporti di allungamento nelle direzioni degli assi coordinati mentre, i termini ad indici diversi sono in relazione, sia con i gradienti di allungamento che con le variazioni di angolo. Nella realtà è abbastanza complicato determinare direttamente i tensori  e , quindi si ricorre alla seguente posizione: 2 =  ; 2 = 

(11.8)

 e  hanno gli stessi autovalori ma non identici autovettori ovvero, le direzioni principali di  e  differiscono solo per una rotazione rigida. Richiamiamo, ora, la relazione che lega la trasformazione di un volume V° e di un’area A° del corpo materiale rispetto alla configurazione iniziale: V = JV° ; A = JFA°

(11.9)

dove J ≡ det , rappresenta il rateo della configurazione deformata rispetto alla configurazione iniziale. Se J =1 allora, la deformazione è definita isocora e, per ragioni fisiche, il det  appartiene all’intervallo dei valori ( 0, ∞ ). Il rateo di variazione, rispetto al tempo, della deformazione è descritto dal tensore gradiente di velocità: = ’ -1

(11.10)

La parte simmetrica  e antisimmetrica  di  sono note, rispettivamente, come tensore di stretching e tensore di spin. 11.2

Bilancio delle forze ed equazioni del moto.

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Con il principio delle sezioni, dovuto ad Eulero, è definito il vettore tensione t, ed attraverso il 1° teorema di Cauchy, la dipendenza dalla normale n uscente dal bordo. Le equazioni di bilancio che governano il problema elastico seguono: div  + f = ρ  = T

(= accelerazione)

(11.11)

Lo sforzo di Cauchy caratterizza la distribuzione delle forze di contatto, per unità d’area, in Wt ma, questo è spesso un inconveniente in meccanica dei solidi poiché la configurazione deformata, generalmente non risulta nota a priori. A maggior ragione, mentre nel caso dell’elasticità lineare era possibile, per l’equilibrio, approssimare la configurazione deformata con quella indeformata (ipotesi  ε0

(11.42)

112

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Estendo al caso tridimensionale si ottiene:  (t ) = - p (t )+.(t)

(11.43)

con la condizione aggiuntiva p (t ) = 0 det  > κ p (t ) ≥ 0 det  = κ

(11.44)

11.7 Funzione di Rivlin & Saunders Gomme naturali, elastomeri e tessuti biologici sono importanti esempi di materiali reali che possono essere modellati come incompressibili isotropi ed iperelastici. Sono molte le ipotesi costitutive supportate da esperimenti proposti in letteratura riguardo i materiali precedentemente citati ma, in particolare, il primo esperimento dovuto a Rivlin & Saunders, nonchè i conseguenti sviluppi sono state le basi per numerose e successive modellazioni in elasticità finita. La generale equazione costitutiva è stata usata al fine di caratterizzare risposte materiali sotto azioni di tensione, compressione e taglio. Gli esperimenti condotti applicano risultati teorici a prove sperimentali, con il fine di determinare la funzione di risposta per le gomme naturali. Riprendendo la caratterizzazione costitutiva generale ed omettendo, per semplicità, alcuni passaggi si può scrivere l’equazione come: W (I1 , I2) = α/2 ( I1 − 3) + g (I2 − 3)

(11.45)

dove g(0) è una funzione incognita solo di I2 ed il cui valore iniziale è g(0) = 0. L’ espressione così definita rappresenta la funzione energia di deformazione ottenuta per le gomme naturali la cui peculiarità è rappresentata dal fatto che la risposta di un materiale isotropo ed iperelastico può dipender solo da I2 La (11.45), con le opportune aggiunte, viene a rappresentare la base per ottenere le funzioni di risposta, in termini di energia, per una varia classe di materiali. 11.8 Materiale di Mooney Rivlin Estendo i risultati dell’esperienza di Rivlin & Saunders al materiale di MooneyRivlin, con l’aggiunta di alcune posizioni si ha: W (I1 , I2) = α/2 ( I1 − 3) + β/2 (I2 − 3)

(11.46)

Da cui la conseguente equazione costitutiva utilizzata in materiali tipo gomma quando soggetti a grandi deformazioni:  = - p I + µ0 f  −µ0 (1−f ) -1

(11.47)

Dove p è uno scalare, µ0 è il modulo di shear ed f una opportuna costante. 11.9 Materiale neo-Hookean Analogamente, per il caso del materiale neo-Hookean (f =1) si trova la seguente equazione costitutiva utilizzata per gomme a media deformazione:

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 = - p I + µ0 

(11.48)

Introducendo la costante γ, l’ultima espressione può essere configurata per la equazione costitutiva dei tessuti biologici:  = - p I + µ0 f eγ(I -3)

(11.49)

11.10 Materiale di Blatz-Ko Svolgendo le seguenti posizioni sugli invarianti della deformazione: J1 = I1 ; J2 = I2/I3 ; J3 = I31/2

(11.50)

La funzione energia di deformazione assume la dipendenza: W = W(J1, J2, J3)

(11.51)

La specifica equazione costitutiva assume la forma:  = W3(J3)  + (°f /J3) −[ (1−f )/J3]

(11.52)

che rappresenta la risposta, per un materiale isotropo ed iperelastico, la cui funzione dipende solo dall’invariante J3. La (11.52) rappresenta l’equazione per il materiale di Blatz-Ko, legge costitutiva adattata per schiume elastomeriche poliuretaniche:  = °[ 1− J3

-1

-1]

(11.53)

Oppure per solidi gomme a natura poliuretanica nella forma:  = W3(J3)  + ( °/ J3 ) -1]

(11.54)

11.10 Plausibilità statica ed unicità della soluzione Commentiamo alcuni esempi atti a dimostrare che, nel contesto della elasticità finita, la cosiddetta “unicità della soluzione“ non risulta assolutamente la regola, come parimenti la continuità dell’applicazione dato Ø soluzione. Andrà quindi tralasciata l’idea di trovare una soluzione tipo Hadamard con il fine di costruire una nozione più inclusiva. Vale sempre la riflessione su quanto affermato da: Walter Noll (1971) ”What is a well posed problem in finite elasticity ? “. Introduciamo il problema con una serie di considerazioni fisiche: immaginiamo un corpo, soggetto ad una condizione di carico morto al bordo e trascuriamo le forze di volume (quindi div  = 0 ). Si osserva, e si dimostra, che in entrambi i possibili casi (trazione o compressione) è facile la individuazione di soluzioni non omogenee. Ancora, su un’esperienza di Armani & Noll, consideriamo l’eversione

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di una calotta emisferica. Si osserva che, in funzione di una perturbazione anche piccola, tutte le possibili forme possono essere stabili. Una congettura possibile, al fine di dare una spiegazione plausibile può essere: - calotta non convessa; ) convesso Ø unicità - calotta sottile; (rapporto tra spessore/ raggio, grande)Ø unicità Infine, una compressione su un cilindro cavo genera fenomeni di “barrelling”, viceversa se la sezione del cilindro è piena, sono presenti fenomeni di buckling. Sotto un punto di vista costitutivo, in accordo con quanto espresso da PodioGuidugli si consideri il funzionale: , () = ∫ W ((u) + U (x, (x)) (11.55) ove la W non è necessariamente quadratica nella misura di deformazione, come nel caso linearizzato mentre U (⋅,⋅) è il lavoro delle forze esterne. Il classico problema variazionale consiste nel descrivere l’insieme: { u ∈V| , () = min + b.c.}

(11.56)

L’utilizzo dei metodi variazionali impone alcune ipotesi minime sulle applicazioni costitutive W e U oltre che su V. Nel caso mono-dimensionale si prenda una u∈C1(0,1) e si assuma W di Carathèodory in [0,1] × ]0, +∞[ , ovvero misurabile e continua. Considerata una perturbazione εØW(u + εv) ove v∈C10 (0,1) funzione test, allora condizioni necessarie e sufficienti per l’esistenza di soluzioni u∈ sono: W(u + εv)ε |ε = 0 = 0 W(u + εv)ε ε |ε = 0 ≥ 0

(11.57)

Per dare una risposta corretta al problema vanno poste due questioni: - in quale spazio  si cerca la soluzione - quali restrizioni su W derivanti dalla presunzione che esistano i minimi Per rispondere alla seconda questione esploriamo le implicazioni costitutive sulla eventuale regolarità dei minimi. Si consideri l’equazione di Eulero-Lagrange per il funzionale della energia totale:

∀v test , ∫ [∂2 WE(x, ) + ∂2 U(x, u)] v = 0

(11.58)

Con la dovuta attenzione si può osservare che nella (11.58) appaiono tre grandezze che sono presenti nella formulazione del problema di equilibrio in via variazionale cioè, la densità di energia elastica, lo stress ed il tensore elastico. Nella ipotesi che la regolarità richiesta esista è dimostrabile che le ipotesi di comportamento su ciascuna di esse si riflettono in corrispondenti ipotesi sulle altre due secondo lo schema: convessità di W ≡ monotonia di  ≡ positività di  I metodi diretti del calcolo delle variazioni, a tal punto, pongono due questioni: -esistono minimi del funzionale considerato? -se esistono, soddisfano l’equazione di E.L. ? e, in aggiunta per i nostri scopi:

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-quali sono gli aspetti costitutivi che hanno rilievo per dare una risposta alle precedenti ? Una prima risposta, dietro semplici considerazioni, consente di affermare il rapporto regolarità dei minimi ⇒ stretta monotonia dello sforzo, mentre una ulteriore semplice considerazione comporta regolarità dei minimi ⇒ non negatività di . Segue allora la seguente: Proposizione: Sia W∈C1, sia nullo il potenziale dei carichi esterni e sia, nello intervallo (0,1), u(1) = u0. Allora: 1- se le soluzioni dell’equazione di E.L. sono di classe C1 allora W è convessa nel senso stretto. 2- se W∈C2 e se esistono minimi di classe C1 ∀u0 , segue W convessa. La convessità, come ipotesi qualitativa su W, è dunque dettata da esigenze analitiche anche se si può considerare, per certi aspetti, una ipotesi costitutiva. Questo ultimo concetto necessità un confronto con ragioni di plausibilità fisica onde avere conferma delle ipotesi quantitative su W . 11.11 Elasticità variazionale In elasticità tridimensionale il formato variazionale, oltre ad essere suggerito da ragioni termodinamiche di principio, fornisce un notevole supporto di procedure e metodi. Il nostro scopo è quello di formulare una classe di problemi di equilibrio elastico come problemi di minimo per un funzionale energia, ponendo l’attenzione su enunciati a priori di natura costitutiva, caratterizzanti il modello, che hanno rilievo ai fini della buona posizione del problema. Per semplicità, inoltre, è supposto nullo il potenziale dei carichi esterni. In elasticità non lineare la ricerca di configurazioni di equilibrio stabili per un corpo continuo, omogeneo ed iperelastici soggetto a b.c. corrisponde alla ricerca dei minimi per il funzionale , (u) = ∫Ω W ()

(11.59)

dove Ω ⊂ 3 è la regione di ) occupata nella sua configurazione di riferimento. Sia u: ΩØ3 la generica deformazione, allora il problema di minimo si ambienta in un opportuno spazio vettoriale:  = {u∈/ (Ω, 3) + u rispetta le b.c. }

(11.60)

pertanto la funzione W () può assumere la forma di mappa 4+3x3Ø3 dove 4+3x3 è l’insieme dei tensori su 3 il cui determinante è positivo. L’ipotesi di convessità per W, assieme ad opportune condizioni di crescita, garantiscono la esistenza di soluzioni del problema di minimo. Purtroppo, in elasticità non lineare la ipotesi di convessità per la W è fisicamente inaccettabile e quanto segue ne rappresenta la dimostrazione per tale enunciato. Teorema (Ciarlet): Si assuma che la funzione densità di energia di deformazione sia differenziabile sul suo dominio, soddisfi la proprietà di indifferenza materiale e sia convessa, allora:

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-la proprietà di indifferenza materiale è incompatibile con la proprietà limdetFØ0 W(F) = ∞

(11.61)

-per ogni deformazione di gradiente , gli autovalori τi del tensore di Cauchy () soddisfano le disuguaglianze:

τ1 + τ2 ≥ 0 , τ2 + τ3 ≥ 0 , τ1 + τ3 ≥ 0

(11.61)

il teorema stabilisce due conseguenze fisicamente non accettabili della proprietà di convessità: la prima è in contrasto con la natura fisica che, per annullare un volume occorre spendere un’energia infinita. La seconda esclude stati di tensione che non soddisfano le disuguaglianze come, ad esempio, la compressione idrostatica. Infatti, presa una compressione uniforme di gradiente  =k, k∈(0,1), questa dovrebbe essere accompagnata da sforzi di trazione (k,) = π(k) , dove π(k) > 0. Conseguentemente l’ ipotesi di convessità và scartata o meglio qualificata, per usare l’affermazione di Podio-Guidugli. La soluzione al problema così formulato perviene attraverso un’ intuizione dovuta a J. Ball (1977), il quale introdusse la energia di deformazione tipo policonvessa. Più specificatamente egli propose che una funzione W :  Ø 3, definita su un arbitrario sottoinsieme M ⊂ 4+3x3 è detta poli-convessa allorquando esiste una funzione convessa W*(x, ÿ) tale che: W(F) = W*( , cof , det ) ∀∈M

(11.62)

dove cof =(det )-T. Per i nostri scopi, la definizione cui sopra si specializza nella seguente forma: una funzione energia di deformazione W: Ω ä4+3x3Ø è policonvessa se ∀x∈Ω esiste una funzione convessa tale che:

W*(x, ÿ) : 43 ä43 ä ]0, + ∞[ Ø 

(11.63)

W(F) = W*( x, , cof , det ) ∀∈43

(11.64)

11.12 Energie poli-convesse Sia ∈43 e siano λi (i = 1, 2, 3) ≥ 0 gli autovalori del tensore T, simmetrico e definito positivo. Gli scalari:

υi = λi

½

(i = 1, 2, 3)

(11.65)

sono definiti valori singolari o deformazioni principali. Un materiale iperelastico omogeneo è definito isotropo se la sua densità di energia di deformazione gode della proprietà ∀∈Orth , ∈4+3x3 W () = W()

(11.66)

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Un noto teorema di rappresentazione, dovuto a Ciarlet, afferma che W soddisfa la proprietà di obbiettività e di isotropia solo se esiste una funzione w: (+)3Ø+ tale che W() = w (υ1 , υ2 , υ3)

(11.67)

Applicare la formulazione (11.67) ai materiali isotropi significa derivare forme, analiticamente agevoli, della densità di energia di deformazione per le varie classi di materiali precedentemente definiti: 11.12.1 Materiale neo-hookeano Derivata dalla teoria cinetica delle gomme, Treolar determinò per gli elastomeri incomprimibili, la seguente forma per W: W () = a (7  72 – 3)

(11.68)

dove a > 0 è un parametro che dipende dalla catena molecolare dell’elastomero. Nel caso comprimibile la forma diventa: W () = a (7  72 – 3) + Γ(det )

(11.69)

11.12.2 Materiale di Mooney-Rivlin Nel 1940 Mooney propose per l’energia di deformazione di gomme incomprimibili la forma: W () = a(7  72 – 3) + b( 7cof  72 – 3)

(11.70)

con a, b > 0. Nel caso comprimibile si ha: W () = a( 7  72 – 3) + b( 7cof  72 – 3) + Γ(det )

(11.71)

Entrambe le forme di energia sono poli-convesse ma non convesse a causa dei termini che dipendono da cof  e da det . 11.12.3 Materiale di Ogden Una parziale e raffinata modifica ai modelli precedenti fu, successivamente, dovuta a Ogden nella forma: W() = Σi ai (Σi υiγi ) + Σj bj( Σi (υiυj)δj + Γ det ()

(11.72)

Con ai > 0, γi > 1, 1 ≤ i ≤ M, bj ≥ 0, 1≤ j ≤ N, δ ≥ 1, Γ:( 0, + ∞ )Ø convessa. Il modello a sei parametri è in buon accordo con i risultati sperimentali fino a deformazione del 600%. La forma di Ogden definisce una energia poli-convessa. 11.12.4 Materiale di St. Venant – Kirchhoff Per tali materiali la densità di energia ha la forma:

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W() = α(tr )2 + βtr 2 ;  = ½ (T – I)

(11.73)

dove α, β sono costanti. 11.12.5 Materiale di Blatz-Ko Riprendendo la forma espressa nella (11.71) per il materiale di Mooney-Rivlin, nel caso comprimibile, e ponendo il coefficiente b = 0 si ha: W () = a( 7  72 – 3) + Γ(det )

(11.74)

11.13 Proprietà della energia di deformazione non convessa: un esempio Si consideri una barra la cui lunghezza iniziale sia l e si supponga di imprimere, attraverso una prova, un allungamento tale che la lunghezza finale sia l + β l. Si ponga u come lo spostamento che consente di passare dalla configurazione iniziale a quella deformata e sia u’ la derivata dello spostamento coincidente con la deformazione. L’energia elastica della trasformazione, quadratica, vale: W (u ) = ½ κ 2l

(11.75)

dove κ rappresenta il modulo elastico del materiale. La deformazione  è omogenea, cioè costante in tutta la trave, e le condizioni al bordo possono essere messe nella forma: u (l ) – u (0) = ∫l βl

(11.76)

che corrisponde ad avere assegnata la lunghezza finale. L’ultima può essere iscritta nella forma u (l ) – u (0) = ∫l (x) = βl

(11.77)

ottenendo la relazione  = β. Rispetto al caso classico, si vuole considerare una densità di energia di deformazione non convessa per come rappresentato nella w

σ

(a)

(b)

σm

a

b

c

d

u'

a

b

c

d

u'

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figura (a). Il problema che si pone è: dato β si determini una funzione u’(x)=  che renda minima l’energia di deformazione , () = ∫l W (u’(x))dx

(11.78)

Posta una densità di energia non convessa, andrà considerata una deformazione (x) variabile da punto a punto, e la condizione da rispettare sul bordo diventa

∫l (x)= βl

(11.79)

Il problema diventa il seguente: minimizzare , () nel rispetto delle condizioni al bordo. A tal fine non è necessario esprimere la densità di energia analiticamente, ma basterà definirla per mezzo di proprietà generali. Dalla figura precedente (a) si possono dedurre alcune importanti proprietà della curva rappresentativa della densità di energia. i- esiste una sola retta tangente alla curva in due punti (a , d) ii- la curva ha due punti di flesso individuati in b , c Essendo la derivata della densità di energia pari alla tensione σ = Wu , la curva stress-strain presenta un massimo ed un minimo in corrispondenza dei punti di flesso nella curva dell’energia W(). Ancora, sulla curva della tensione σ() è possibile individuare univocamente due punti a , d in corrispondenza dei quali il valore della tensione rende le aree eguali per come riportato in figura precedente (b). Detta σm la pendenza della retta tangente in a-d , il rispetto della regola di Maxwell impone la verifica della seguente eguaglianza

σm (d – a) = W (d) – W (a) = ∫WE ()d (11.80) . cioè l’area sottesa dalla curva σ (), nell’intervallo [a , d ], deve essere eguale alla area del rettangolo delimitato da a , b e σm. Stabilite così le proprietà generali che caratterizzano la densità di energia non convessa si ricavano, adesso, le condizioni sulla deformazione affinché l’energia sia minima. Si considera un opportuno intorno di  e si consideri una soluzione del tipo  + η tale che , (+ η ) − , ( ) ≥ 0

(11.81)

questa espressione può essere messa in forma integrale !l [W((x) + η(x)) −W((x)]dx ≥ 0

(11.82)

sviluppando l’integrando in serie di Taylor, nonchè rammentando che la η(x) deve soddisfare le seguenti condizioni: i- !l η(x) = 0 ; ii- 6η(x) 6 < ε ∀x

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La prima relazione deriva dalla circostanza che la funzione perturbata ( + η) deve soddisfare la condizione al bordo, mentre la seconda consente di trascurare i termini di ordine superiore. La condizione si può scrivere: !l WE ((x) η(x)) dx ≥ 0

(11.83)

che deve essere sempre soddisfatta, anche quando cambia il segno di η, e pertanto vale solo con il segno di eguaglianza. Affinché la nuova condizione sia soddisfatta ∀η ad integrale nullo dovrà essere WE ( (x)) = cost.

(11.84)

Ovvero, la tensione deve essere costante in ogni punto della barra. Se allo sviluppo in serie precedente si aggiunge il termine del secondo ordine, si ottiene la relazione di stabilità WEE ((x)) ≥ 0

(11.85)

Le ultime due relazioni, rispettivamente, individuano tutte le configurazioni di equilibrio e quelle di equilibrio stabile. Con il rispetto delle condizioni di stabilità appare evidente l’esclusione di tutte le  presenti nel ramo discendente. Riassumendo, ad ogni β assegnato corrisponde una soluzione monofase infatti, corrisponde il rispetto della condizione di equilibrio ma non necessariamente di stabilità poiché possono esistere punti a derivata negativa. Occorre a questo punto considerare la possibilità di una soluzione bifase. Per esempio, se il livello della tensione è pari alla tensione di Maxwell σm , si può assumere che nella barra esista un intervallo (0, λl ) in cui la deformazione sarà  = a, ed una parte nell’intervallo (λl , l ), in cui la deformazione sia  = d. Il coefficiente λ (0, l) è determinato dalla condizione al bordo da cui

!l ((x)dx = βl = λl a + (1−λ) l d

λ = ( d −β) / (d −a)

(11.86) (11.87)

noti a, d, che sono caratteristici del materiale, e dato β si può ricavare λ mirando quindi a una soluzione bifase tale da coprire tutti i punti dell’intervallo [a, d ]. Il problema diviene più complicato poiché si possono avere soluzioni bifasi anche dove si avevano soluzioni monofase. Occorre dunque studiare la stabilità della soluzione bifase e valutare se, fuori dell’intervallo [b, c], la soluzione bifase conviene o meno, in termini energetici, rispetto a quella monofase. Si prenda un valore di tensione diverso dalla tensione di Maxwell, rispetto al quale corrispondono due valori di deformazione 1 , 2 , in tal modo esisterà sempre una soluzione bifase cui corrisponderà un altro valore di λ. Si potranno avere n soluzioni bifase, una per ogni livello di tensione, e fra queste sarà considerata la più conveniente, per poi confrontarla con la soluzione monofase. Se preso il diagramma della tensione consideriamo un intervallo compreso tra il valore max ed il valore minimo, è possibile associare, entro l’intervallo, una soluzione bifase mentre al di fuori dell’intervallo esistono solo soluzioni monofase. Omettendo alcuni passaggi si può porre l’energia bifase in una forma

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che è funzione della tensione essendo le deformazioni 2 , 1 corrispondenti al livello di tensione considerato. Minimizzando si ottiene la soluzione bifase nella forma:

σ =[ W(2) − W(1)] / 2 − 1

(11.88)

che coincide con la espressione della tensione di Maxwell, quindi sono possibili soluzioni monofase solo nel tratto 0-a per come indicato nella figura sottostante, mentre la totalità della curva rappresenta il luogo dei minimi globali.

σ

σm

a

d

β

Tutte le soluzioni bifasi con tensione diversa da quella di Maxwell, nonché le soluzioni monofase rimaste fuori corrispondono a minimi locali. Al crescere di β, (vedi figura successiva), si percorre il ramo iniziale OP. Arrivati in P la curva presenta una biforcazione, da una parte la retta di Maxwell della soluzione bifase, dall’altra il tratto PQ della soluzione monofase. Supposto che la soluzione monofase sia un minimo locale, appare naturale chiedersi la via che il materiale sceglie oltre il punto P, ovvero se quella del minimo locale o quella della soluzione bifase. Nei fatti questa è una domanda quasi senza risposta ed un esempio concreto, forse, ne chiarirà la difficoltà. Si consideri il legame tensione deformazione di un acciaio in corrispondenza dello snervamento, come nella figura seguente. Una spiegazione del picco di tensione che in genere precede lo snervamento potrebbe essere che il materiale inizialmente vada verso il percorso dei minimi locali ma, poi, ad un determinato punto, ricade in quella dei minimi globali.

Figura 7. Curva tensione deformazione per un acciaio

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Il semplice modello monodimensionale fin qui descritto è noto in letteratura come il modello della barra di J.L. Ericksen (1975) che ha consentito l’apertura di nuovi canali di ricerca poiché ha permesso di modellare, nel contesto della elasticità finita, fenomeni tipicamente non elastici quali la plasticità, la frattura l’isteresi. Osservando la curva, di cui alla figura sottostante, i rami ascendenti possono essere considerati come fasi diverse coesistenti all’interno dello stesso materiale. Questa presenza implica che sottoponendo il materiale ad un ciclo di carico e scarico il diagramma presenta un ciclo di isteresi.

Il modello fin qui descritto risulta avere notevoli implicazioni pratiche infatti, è individuabile nei materiali a memoria di forma un comportamento eguale, noto come superelasticità. Inoltre anche nelle funzioni di riposta di molti materiali a natura elastomerica è individuabile andamento similare per come riportato nella figura sottostante.

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Capitolo 12 MODELLI BIDIMENSIONALI 12.1 Problemi piani di sforzo e deformazione Il carattere dei problemi piani è rappresentato dal fatto che gli stati di tensione o deformazione sono esprimibili mediante tre sole delle componenti di tensione o di deformazione. Le applicazioni reali sono frequenti, basti pensare ad un solido cilindrico molto allungato (galleria) soggetto a forze perpendicolari al proprio asse longitudinale, per dedurre che lo stato di deformazione è piano in quanto gli spostamenti dei suoi punti appartengono a piani perpendicolari all’asse 3. La formulazione del problema piano dipende dalla formulazione generale ovvero, premesse le considerazioni fondamentali sulla congruenza e sull’equilibrio, andranno formulate le equazioni significative sulla base di un legame costitutivo tipo elastico lineare isotropo. -Equilibrio in termini di tensione Si consideri dalla caratterizzazione integrale, in termini di tensione, e si restringa la classe delle tensioni ammissibili. Si assumano come campi ammissibili i campi di tensione del tipo:

⎡ σ1 (x , y ) τ12 (x , y ) 0⎤ ⎢ ⎥ σ(1,2,3)= τ 21 (x , y ) σ 2 (x , y ,) 0 ⎢ ⎥ ⎢⎣ 0 0 0⎥⎦

(12.1)

dove σ,τ∈C1(Ω*) con Ω* piano medio del solido. Supposto sia noto un campo di tensioni σe, equilibrato con forze esterne, poniamo il seguente problema: per ogni campo σ°, equilibrato con forze nulle, determinare quel campo σ* tale da soddisfare l’equazione dei lavori virtuali. L’equilibrio con forze nulle si pone nella forma:

σ11,1 + τ12,2 = 0 σ11n1 + τ12n2 = 0

τ21,1 + σ22,2 = 0 τ211 + σ22 n2 = 0

in Ω in ∂Ω

(12.2)

Introduciamo l’insieme delle funzioni:

Φ = {ϕ: Ω*→  , ϕ∈C3(Ω*)}

(12.3)

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Ove la ϕ∈Φ è definita “ funzione degli sforzi o di Airy ” e dico, stato piano di tensione associato a ϕ lo stato così definito:

σ11 = ϕ,22 ; σ22 = ϕ,11 ; τ12 = −ϕ,12

(12.4)

Le equazioni al contorno si riducono alla forma:

ϕ,22 n1− ϕ,12n2 = 0 −ϕ,12 n1+ ϕ,11n2 =0

(12.5)

Nel caso di forze sul volume e sulla superficie, non nulle, le relazioni tra le componenti di  ed  assumono la forma:

σ11 = 2µE11+λIE σ22 = 2µE22+λIE 0 = 2µE33+λIE

σ12 = 2µE12 0 = 2µE13 0 = 2µE23

(12.6)

dalla terza delle (12.6) si ottiene: E33 = −(λ / 2µ+λ) (E11+E22)

(12.7)

che può essere scritta attraverso l’inversa di Lamè nella forma: E33 = −ν/ε(σ11+σ22)

(12.8)

le altre componenti del tensore della deformazione assumono la forma: E11 = 1/ε(σ11−νσ22) E22 = 1/ε(σ22 −νσ11) E12 = 1/G τ12

(12.9)

-Tensioni principali e linee isostatiche Determinata la funzione degli sforzi ϕ( x1, x2) e risolte le condizioni al bordo, sono note immediatamente le componenti di tensione in ogni punto del piano e, conseguentemente risulta possibile determinare i valori principali delle tensioni σI , σII. (ricordando che tag2α=2τ12/σ11−σ22) Le direzioni principali delle tensioni sono tangenti a due famiglie di curve definite “ linee isostatiche “, ove il materiale è semplicemente teso o compresso. -Soluzioni in coordinate cartesiane Caso della distribuzione uniforme di forze perpendicolari ai bordi: τ12 = 0 σ11= −ƒ1 per x1 = [0 – a1] , n1 = ±1 , n2 = 0 σ22 = −ƒ2 per x2 = [0 – a2] , n2 = ±1 , n1 = 0

(12.10)

allora, scelta una funzione degli sforzi del tipo:

ϕ( x1, x2 ) = 1/ 2 (ƒ1x12 + ƒ2x22 )

(12.11)

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si ottiene:

σ11 ≡ ϕ22 = − ƒ2

σ22 ≡ ϕ11 = −ƒ1

τ12 ≡ ϕ12 = 0

(12.12)

lo stato di tensione, così determinato, è uniforme; il valore assunto da tg2α = 0, le linee isostatiche si riducono a due famiglie di rette parallele agli assi 1 e 2. Lungo tali assi si hanno tensioni principali di compressione tali che σI = −ƒ1 e σII = −ƒ2. 12.2 Stati piani simmetrici e radiali E’ una classe di problemi la cui trattazione non è molto complessa poiché l’unica componente di tensione diversa da zero è quella radiale σr. Posto un semispazio elastico soggetto ad una distribuzione costante di forze, applicate lungo una retta parallela all’asse z ≡ 3, il problema risulta piano nella deformazione con le condizioni al bordo del tipo:

σθ = 0

τrθ = 0

per θ = ± π/2

(12.13)

posta una funzione di tensione del tipo:

ψ(r,θ) = rϕ(θ)

(12.14)

ove la ϕ(θ), è una funzione incognita della sola θ. Le componenti di tensione assumono la forma:

σr = ψ22 = 1/r ψr +1/r2 ψθθ = 1/r [ϕ(θ)+ϕ(θ)θθ]

; σr = τrθ = 0

(12.15)

l’equazione di congruenza, opportunamente compattata diventa: 1/r2 (ϕθθθθ + 2ϕθθ + ϕ(θ)) = 0

(12.16)

∀r l’equazione differenziale (12.16), ha come integrale generale: ϕ(θ) = C1θsenθ + C2θcosθ + C3senθ + C4cosθ

(12.17)

la (12.17) consente di determinare l’unica componente di tensione nella forma:

σr = 2/r (C1cosθ- C2senθ)

(12.18)

la simmetria rispetto alla asse x1, consente di imporre che σr = cost. per θ = −θ e quindi C2 = 0; la costante C1 resta determinata dalla condizione che la risultante delle forze agenti su una superficie cilindrica, generica di raggio r, deve equilibrare la forza esterna F. Quindi, integrando le componenti verticali su ogni elemento rdθ si ha:

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π/ 2

2 ∫ σrrcosθdθ = − F

(12.19)

0

sostituendo nella (12.18):

σr = −(2F/rπ)cosθ

(12.20)

Ovvero, ogni elemento a distanza r dal punto di applicazione della F è soggetto a semplice compressione secondo la direzione radiale. La tensione σr è costante in tutti i punti di un cerchio, avente il centro in x1 e tangente l‘asse x2 nel punto di applicazione del carico, ove la tensione stessa diventa infinita (r = 0 nella 12.20). 12.3 Elementi di teoria delle lastre e piastre Si consideri un corpo continuo Ω, ove la superficie è piana, lo spessore h ` dim Ω e il sistema di riferimento presenta l’asse z normale alla superficie media. La superficie laterale Sc è cilindrica con generatrici parallele a z; la curva direttrice è l’intersezione di Ω con Sc , n, t sono la normale e la tangente esterna di Sc. Si ricerca una soluzione del problema di equilibrio approssimando le seguenti ipotesi: -le tensioni normali parallele all’asse z sono nulle (σz = 0). -si assume (ipotesi di Kirchhoff) che elementi lineari, inizialmente ortogonali al piano medio, rimangano rettilinei e ortogonali al piano medio senza subire dilatazioni. La prima assunzione può essere giustificata dal fatto che il valore del carico sulla superficie è molto inferiore al valore delle tensioni che si generano in giaciture ortogonali al piano. E’ possibile dimostrare che, in funzione delle condizioni di carico e di risposta, il problema può essere disaccoppiato nella forma membranale e nella forma flessionale, e quindi essere trattato in forma disgiunta con agevolazioni analitiche non indifferenti. Problema membranale: Si consideri un solido piano, con le relative condizioni di vincolo. Su Ω agiscono azioni esterne (px, py) a natura membranale, ovvero sul piano medio del solido, mentre sul bordo ∂Ω sono assegnate delle trazioni pure tx, ty. Sul vincolo ∂Ω1 sono assegnati gli spostamenti membranali ux, uy. Considerando delle variazioni puramente membranali, espresse in termini di spostamenti, il lavoro virtuale interno si può porre nella forma Li = !Ω Nx δEx + Ny δEy + NxyδExy

(12.21)

Mentre il lavoro esterno è del tipo Le = !Ω px δux + py δuy +!∂Ω txδux + tyδuy

(12.22)

Le equazioni di equilibrio per lo stato membranale si possono porre nella seguente forma: Nx,x + Nxy,y + px = 0 Nxy,y + N y,y + py = 0

in Ω (12.23)

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Nxαx + Nxyαy = tx Nxyαx + Nyαy = ty

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in ∂Ω

Nella tecnica questi modelli prendono anche il nome di lastre. Problema flessionale. Parimenti al caso precedente, è considerato ora un solido piano in regime flessionale. Nella tecnica questi modelli prendono il nome di piastre.Per brevità, ed anche per semplicità, non viene determinato il bilancio del lavoro interno ed esterno (la procedura è analoga al caso membranale) quindi per ogni variazione virtuale le equazioni di bilancio assumono la forma: -Mx,x – Mxy,y + Tx + mx = 0 -Mxy,x –My,y + Ty + my = 0 Tx,x + Ty,y + p = 0

in Ω

(12.24)

Tn = Tx αx + Tyαy Mn = Mxα2x + 2 Mxyαxαy + Myα2y Msn = (Mx – Mx) αxαy + Mxy (α2x – α2y)

in ∂Ω

(12.25)

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Capitolo 13 MECCANICA DELLA FRATTURA 13.1 Concentrazione di tensione L’elasticità piana consente di fornire soluzioni approssimate a reali problemi tridimensionali, consentendo la comprensione di importanti fenomeni fisici utili ai fini della progettazione esecutiva e realizzazione. Nel caso meccanico la regolarità geometrica del solido è profondamente influenzata dalla presenza di componenti che hanno, di solito forma complessa, mentre risultano soggetti a condizioni di carico semplice.

(a) Condizioni di simmetria. (b) Andamento dello stress.

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Si consideri una lastra rettangolare simmetricamente caricata, con una pressione uniforme σo , avente una foratura centrale, come riportato nella figura cui sopra. Considerata la simmetria strutturale, di carico e geometrica, è possibile considerarne esattamente la metà, soprastante, ed imporre l’equilibrio (secondo l’asse x):

σo(2l)(2h)= 2Ûh ÛR-l σx (y, z) dydz

(13.1)

Dove: 2l = larghezza della lastra; 2h = spessore; R = raggio del foro. Nella ipotesi di stato piano ( h á l ) si ha:

σo(2l)(2h) = 2hä2 ÛR-l σx (y) dy

(13.2)

Quindi:

σol = ÛR-l σx (y) dy

(13.3)

Introdotta la tensione media σ − = 1/ (l – R) ÛR-l σx (y) dy si ha:

σ − = 1/ 1-(R/l ) σo

(13.4)

La (13.4) evidenzia come al crescere di R cresce la σo , infatti vi è sempre meno materiale che contribuisce a sopportare gli sforzi dovuti al carico; al limite per R→0 , σ − = σo , ovvero la tensione media coincide con il valore puntuale, cioè σx= σo= σ −. Si potrebbe pensare che il valore di σ − risulti sufficiente accurato per le verifiche di resistenza ma, viceversa, risolvendo il problema in forma chiusa (Kirsc) si trova che la σx ha, in prossimità del foro una brusca impennata, mentre è pressoché costante sul bordo, per come in figura precedente. Questo significa che il solido reagisce all’asportazione di materia chiamando a collaborare principalmente le parti in prossimità del foro lasciando scariche, o quasi, le parti lontane dal difetto. Questo fenomeno è indicato come concentrazione della tensione e la sua importanza è direttamente legata alla presenza, in zone ristrette, soggette a valori elevati di tensione e/o deformazione. 13.2 Problema di Griffith L’approfondimento delle problematiche legate al fenomeno della concentrazione dI tensioni ha consentito lo sviluppo di una particolare branca della resistenza dei materiali detta meccanica della frattura. Consideriamo il problema di figura sottostante:

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Modello meccanico per il problema di Griffith

Si consideri il modello di lastra, con foro, per come riportato nella figura cui sopra. Riguardo la geometria, la lastra di forma rettangolare, ha spessore unitario (molto inferiore rispetto le altre dimensioni) e contiene un foro di forma ellittica, simmetrico, con i semiassi a,b paralleli ai lati del rettangolo. Si supponga a à b , ma molto inferiore alla dimensione del rettangolo parallela al semiasse. Si fissi un riferimento cartesiano x,y con riferimento dell’origine coincidente con il centro della ellisse, e si supponga che valga il concetto di lastra a dimensione infinita (trascuratezza delle condizioni al bordo). Riguardo le azioni esterne si ipotizzi, agente sui lati paralleli all’asse x una tensione uniforme di trazione σo diretta lungo y in grado di deformare la lastra di una quantità prefissata. Il materiale è supposto elastico lineare omogeneo ed isotropo in ogni suo punto. Osservando la figura, precedente riportata, possiamo affermare che nel punto A, si ha un valore della tensione σy molto superiore rispetto alla media della sezione B-B’. Consideriamo ora una lastra del tutto identica ma, nella quale il semiasse maggiore della ellisse risulta variato di δa e confrontiamo le due lastre alle quali è imposto lo stesso allungamento alle estremità. Possiamo affermare che: -la seconda lastra è più cedevole della prima quindi sarà sufficiente una tensione inferiore per ottenere lo stesso allungamento. -poiché l’allungamento delle due lastre è lo stesso, ma la pressione applicata è superiore. Se ne deduce che la prima lastra contiene più energia elastica. Griffith ipotizzò che la presenza di tensioni elevate all’apice dell’ellisse fosse in grado di rompere il materiale allungando, in tal modo, il semiasse da a → a+δa. Consideriamo allora una lastra rettangolare di spessore unitario soggetta a trazione monoassiale σo e dopo bloccata agli estremi. L’energia elastica, in assenza di foro, risulta

Φ1 = ( σ02 / 2E ) A

(13.5)

ove A è l’area del rettangolo della lastra. Griffith valutò il rilascio di energia associato alla creazione di un difetto ellittico schiacciato con semiasse maggiore pari ad a in ragione di: ( σ02 / E ) π a2

(13.6)

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e quindi, la lastra contenente il difetto ha immagazzinato l’energia:

Φ = ( σ02 / 2E ) (A− 2πa2)

(13.7)

Quindi, alla variazione di ampiezza, del semiasse a, si accompagna una variazione di energia elastica:

δΦ = (dΦ / da)δa = − 2πa ( σ02 / E ) δa

(13.8)

Griffith ipotizzo il segno meno presumendo che l’energia fosse liberata dalla lastra, ed ancora che alle nuove superfici dell’ellisse fosse connessa una energia superficiale  come quella dei liquidi, valutata come:  = 4γ a

(13.9)

essendo γ l’energia superficiale specifica, relativa alla superficie unitaria del difetto. Allo accrescimento del difetto si accompagna un assorbimento δ pari 4γδa. Se il sistema è chiuso, non vi sono scambi di energia con l’esterno, dovrà essere δ + δΦ = 0 e quindi con semplici passaggi si ha

σ02 = .IC E / π a

(13.10)

dove il termine .IC = 2γ è definito critical energy release rate . La (13.10) con le relative considerazioni sul termine .IC consente di rispondere ai seguenti quesiti: -data la semiampiezza a del difetto, determinare la tensione critica σcr. -data la tensione σo agente, determinare il max del semiasse dell’ellisse. le risultanze offrono le seguenti relazioni:

σcr = (2γ E /π a) 1/2

;

acr = 2γE / σo2

I punti più salienti di questa teoria sono sostanzialmente valutazione che:

(13.11) individuabili nella

(i) la presenza nel corpo di una quantità di energia elastica disponibile per sopperire gli effetti dissipativi che si accompagnano alla lacerazione del materiale. (ii) la presenza di concentrazione delle tensioni che possono innescare la propagazione. In un corpo integro, ideale, anche un elevato contenuto energetico non si rivela pericoloso poiché non esistono difetti, nei pressi dei quali si ha concentrazione di tensione. Il criterio dominante in meccanica della frattura è quello di stabilire un modo semplice che consenta di stabilire le potenzialità di propagazione della fessura. L’idea di Irwin, legata alla tensione, si affianca alla valutazione del coefficiente KI, che caratterizza completamente il campo tensionale all’apice della fessura e

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per il quale la propagazione si innesca quando è posta la eguaglianza KI = KIC. Conseguentemente varranno le seguenti condizioni: KI < KIC equilibrio stabile KI = KIC equilibrio indifferente KI > KIC equilibrio instabile

(13.12)

Dalle (13.12) è possibile rivedere alcune definizioni precedentemente discusse, quali la determinazione della tensione critica in funzione della semiampiezza del difetto a. In particolare si ha:

σcr = ΚIC / √πa

(13.13)

ma è anche:

σcr = √E.IC /πa

(13.14)

quindi, in conclusione: .IC = ΚIC / E

(13.15)

che lega lo stress intensity factor KIC al rilascio dell’energia critica .IC. Il valore di KIC resta determinato in funzione della geometria del foro e delle condizioni di carico. La figura che segue ne contiene alcuni esempi:

Fattori di intensificazione degli sforzi

Modello monodimensionale di Griffith Si consideri una barra sottoposta a trazione e si indichi con β l’allungamento della barra come indicato nella figura. Lo stesso allungamento della barra può, però, essere ottenuto separando fisicamente la barra per lo stesso valore β, per come in figura:

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(a)

(b)

Barra in trazione (a). Barra con frattura e separazione (b)

Da un punto di vista energetico, caso quadratico avremo, rispettivamente, nel caso (a) una energia pari W = ½ kβ2 , e nel caso (b) pari a W = 0. Ciò significa che la configurazione di equilibrio è quella con il corpo rotto.

(a)

(b) Energia (a) e tensione (b) per una barra soggetta a frattura

Secondo la teoria di Griffith, l’energia di deformazione segue un andamento quadratico e la energia necessaria per fratturare la barra ha un valore costante pari a γ. Nella figura, questo valore è in corrispondenza dell’allungamento critico βc. Per β < βc il minimo della energia corrisponde alla barra deformata, mentre per β > βc il minimo coincide con la barra fratturata. Al manifestarsi della frattura la tensione vale

σc = kβc

(13.16)

esprimendo in funzione di γ

γ = 1/2kβc2

(13.17)

si trova

βc = √2γ/k

(13.18)

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ovvero

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σc =√2γk

(13.19)

La (13.19), per come osservato dallo stesso Griffith, rappresenta una stima per difetto della tensione di frattura. Questo semplice modello consente di comprendere perché non è possibile confrontare le configurazioni di cui alla figura precedente, poiché per la frattura è necessaria una certa quantità di energia. 13.1 Modello di Barenblatt Un ulteriore affinamento al modello di Griffith avvenne per opera di Barenblatt (1959), il quale invece di considerare una energia di frattura costante ipotizzò una gradualità della frattura, quindi una diminuzione della tensione al crescere dell’apertura per come si vede nella figura successiva.

Modello della frattura coesiva (a). Andamento delle forze di richiamo (b)

Conseguentemente si possono derivare gli aspetti costitutivi di cui alla figura seguente:

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Duplicità della legge costitutiva

Naturalmente, ad una tensione di frattura decrescente corrisponde una energia di frattura concava come nella figura che segue:

Energia di frattura e tensione secondo il modello di Barenblatt

Secondo la teoria di Barenblatt, l’energia viene spesa in maniera graduale e la tensione si annulla quando la curva diventa parallela all’asse a. Mettendo in conto la possibilità di formazione di una frattura, il modello della barra si modifica introducendo una discontinuità nello spostamento u, oltre che sulla deformazione u ’=  . Assumendo una densità di energia quadratica: W( ) = ½ k 

2

(13.20)

La curva σ, β è lineare e l’energia totale risulta ,(u) = Ûl ½ k ( 2 dx + ((a))

(13.21)

dove il termine (a) è rappresentativo dell’energia che si accumula nella frattura, funzione della apertura della fessura a, in altre parole la discontinuità del campo di spostamento u. La condizione sull’allungamento totale si può scrivere come: Ûl  dx + a = βl

(13.22)

Poiché, in questo caso, la curva σ, β è lineare, quindi monotona, non esiste la possibilità di fasi diverse e ciò vuol dire  = cost.. Le (13.21) e (13.22) si modificano di conseguenza nella forma: ,(u) = l ½ k  2 dx + θ(a)

(13.23)

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lE + a = βl

(13.24)

Le configurazioni di equilibrio si hanno minimizzando la (13.23) con il vincolo (13.24). Sostituendo nella (13.23) la (13.24) in termini di , si ottiene l’espressione dell’energia da minimizzare: ,(u) = ½ kl (β − a/l )2 + θ(a)

(13.37)

funzione dell’unica variabile scalare a. Ponendo a zero la derivata prima:

−k(β − a/l ) + θ’(a) = 0

(13.38)

dove il termine −k(β − a/l ) è la tensione nella barra, mentre θ’(a) è la tensione nella frattura. La condizione di equilibrio impone, quindi, l’eguaglianza tra la tensione nella barra e quella della frattura. La condizione sulla derivata seconda impone k / l + θ’’(a) ≥ 0

(13.39)

legando una quantità positiva, cioè il rapporto k / l , ad una quantità negativa θ’’(a), perché la curva θ è concava. Al crescere della lunghezza l , il rapporto k / l diminuisce, ovvero diminuisce la stabilità per cui l rappresenta un fattore di scala. Questi fattori sono estremamente importanti in meccanica della frattura poiché dimostrano che a parità di forma un corpo più grande è molto più fragile di un corpo più piccolo come si vede nella figura che segue:

Transizione duttile fragile ed effetto di scala

Resta da precisare che equilibrio e stabilità dei modelli, fin ora trattati, sono riferiti al caso con una sola frattura n = 1. Per n = 0 si ha u’ = β e a = 0, quindi

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la soluzione senza frattura. Vogliamo ora trattare il confronto tra la soluzione con frattura e la soluzione senza frattura. Si consideri il grafico nella figura che segue, ove l’allungamento β è dato in funzione della deformazione  . Nel caso di barra integra è n = 0 e la retta è inclinata di 45°.

Curva β- E per barra con / senza frattura

Dimostriamo, per prima cosa, che se  > θ’(a) / k le soluzioni n = 0 e n = 1 sono instabili. Per questo fine consideriamo, oltre la prima configurazione, una seconda frattura di ampiezza ε e confrontiamo l’energia delle due configurazioni. Affinché la configurazione di frattura sia stabile, la sua energia deve essere minore della configurazione con due fratture, cioè: ½lkE

2

+ θ(a) ≤

½ kl (E − ε/l )2 + θ(a) + θ(ε)

(13.40)

Semplificando: l k E (ε/l) ≤ ½ kl (ε2/l2 ) + θ(ε)

(13.41)

se ε è molto piccolo, rispetto l, il primo termine del secondo membro si può trascurare e sviluppando θ(ε)= θ(0) +εθ’(0) = εθ’(0) si può porre (u’ = ), ku ’ ≤ θ(0) e trovare la condizione u’≤ (θ(0) / k

(13.42)

Superare questo limite significa che la soluzione per n = 1 non conviene più in termini energetici e, quindi, si aprono nuove fratture. Nello stesso caso n = 1 la condizione di equilibrio impone l’eguaglianza tra la tensione della barra e quella nella frattura. Sviluppando con semplici posizioni si ottiene la condizione

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β =  +( θ’-1 (k  ))/ l

(13.43)

dove si può osservare che, per n = 1, la β è data dalla somma di due termini, ove il primo coincide con la retta di figura, mentre il secondo dipende da l e dall’inverso della derivata di θ.

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