Schopenhauer
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Schopenhauer Arthur Schopenhauer nacque a Danzica nel 1788 e si pone come punto d’incontro di esperienze filosofiche eterogenee: Platone, Kant, il romanticismo, l’Idealismo e la spiritualità indiana. Di Platone lo attrae la teoria delle idee, da Kant deriva l’impostazione soggettivistica della gnoseologia. Dell’illuminismo lo interessano il filone materialistico, dal romanticismo trae l’irrazionalismo e il tema dell’infinito e del dolore. Decisiva importanza gioca pure l’idealismo, considerato non al servizio della verità, ma al servizio del successo e del potere. Un posto di rilievo occupa la sapienza dell’antico Oriente, e Schopenhauer fu il primo filosofo occidentale ad ammirare e a tentare il recupero della filosofia orientale. Tra le sue opere principali citiamo il Mondo come volontà e rappresentazione e la Volontà della natura. Il punto di partenza della sua filosofia è la distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno, ovvero tra la “cosa così come ci appare” e la “cosa in sé”. Ma, mentre per Kant il fenomeno è la realtà e il noumeno un concetto-limite, per Schopenhauer il fenomeno è invece illusione e sogno, ovvero ciò che nell’antica sapienza indiana era detto “velo di Maya”, mentre il noumeno è la realtà che si nasconde dietro il fenomeno e che il filosofo deve scoprire. Inoltre, mente per il criticismo il fenomeno è l’oggetto della rappresentazione ed esiste fuori dalla coscienza, il fenomeno di cui parla Schopenhauer è la rappresentazione stessa, ed esiste solo dentro la coscienza. La rappresentazione, ovvero il fenomeno come velo di Maya (apparenza illusoria) consta di soggetto rappresentante e oggetto rappresentato; di conseguenza non ci può essere soggetto senza oggetto. Da qui conduce una critica al materialismo, considerato falso perché nega il soggetto riconducendolo all’oggetto, e all’idealismo perché compie il tentativo opposto. Schopenhauer ammette tre forme a priori di spazio, tempo e causalità. Quest’ultima è l’unica categoria poiché tutte le altre sono riconducibili a essa. La causalità assume forme diverse a seconda degli ambiti in cui opera, manifestandosi come necessità fisica, logica, matematica e morale, ovvero come principio del divenire (che regola i rapporti tra gli oggetti naturali), del conoscere (che regola i rapporti tra premesse e conseguenze), dell’essere (che regola i rapporti spazio-temporali) e dell’agire (che regola i rapporti tra un’azione e i suoi motivi). Poiché Schopenhauer paragona le forme a priori a dei vetri sfaccettati attraverso cui la visione delle cose si deforma, egli considera la rappresentazione come un inganno. Tuttavia, al di là di essa, esiste la realtà vera, sulla quale l’uomo deve interrogarsi. Secondo Schopenhauer, se noi fossimo soltanto conoscenza e rappresentazione, non potremmo mai uscire dal mondo fenomenico. Ma poiché siamo anche corpo, non ci limitiamo a vederci dal di fuori, bensì ci viviamo anche dal di dentro. Ed è proprio quest’esperienza che permette all’uomo di squarciare il velo del fenomeno e afferrare la cosa in sé. Infatti, ripiegandoci su noi stessi, ci rendiamo conto che l’essenza profonda del nostro io è la volontà di vivere, un impulso che ci spinge ad esistere e ad agire. Quindi noi siamo vita e volontà di vivere, che è anche l’essenza segreta di tutte le cose. Per Schopenhauer l’io si qualifica come la coincidenza di coscienza, volontà e corpo: grazie a questa concezione, si ha la rivalutazione dell’individuo nella sua interezza. Andando al di la del fenomeno, la volontà di vivere si sottrae alle forme a priori; la volontà di vivere, essendo un impulso inconsapevole, è inconscia; esistendo al di fuori dello spazio e del tempo, e sottraendosi al principio di individuazione, la volontà risulta unica. Essa è inoltre eterna, indistruttibile, incausata e senza scopo, essendo al di là
delle categorie di tempo e causalità. Miliardi di esseri non vivono che per vivere e continuare a vivere. Gli uomini hanno cercato di mascherare la verità idealizzando la figura di un Dio al quale finalizzare la loro vita, e per trovare un senso nelle loro azioni. Schopenhauer ritiene che la volontà di vivere si manifesti nel mondo fenomenico attraverso due fasi: nella prima, la volontà si oggettiva in un sistema di forme immutabili, a-spaziali e a-temporali, che chiama “idee”; nella seconda la volontà si oggettiva nei vari individui del mondo naturale, che sono nient’altro che la moltiplicazione delle idee. Tra gli individui e le idee esiste un rapporto di copiamodello. Il mondo delle realtà naturali si struttura in una serie di gradi: il grado più basso è costituito dalle forze generali della natura, i gradi superiori delle piante e degli animali; questa piramide culmina nell’uomo, nel quale la volontà diviene completamente consapevole. Ma ciò che essa acquista in coscienza, perde in sicurezza: come guida della vita, infatti, la ragione è meno efficace dell’istinto. Affermare che l’essere è la manifestazione di una volontà infinita equivale a dire, per Schopenhauer, che la vita è dolore per essenza. Infatti, volere significa desiderare, e desiderare significa trovarsi in uno stato di tensione, per la mancanza di qualcosa che si vorrebbe avere. Il desiderio è dunque assenza, ossia dolore. E poiché l’uomo è più cosciente degli altri animali, proprio l’uomo risulta il più bisognoso tra loro. Per di più, il godimento fisico e la gioia non sono altro che la cessazione di dolore. Per far sì che ci sia piacere, bisogna che ci sia uno stato precedente di tensione o dolore. La stessa cosa non vale per il dolore, che può essere continuo nel tempo. Il piacere è allora solo una funzione derivata dal dolore. Accanto al dolore e al piacere, Schopenhauer pone la noia, che subentra quando vien meno l’aculeo del desiderio. La vita umana è come un pendolo, che oscilla costantemente tra dolore e noia, passando per l’intervallo fugace e illusorio del piacere. Poiché la volontà di vivere si manifesta in tutte le cose, il dolore non riguarda solo l’uomo, ma investe ogni creatura. E se l’uomo soffre di più rispetto alle altre creature, è perché egli, avendo maggior consapevolezza, sente di più la spinta della volontà e l’insoddisfazione del desiderio. Per questa ragione il genio, avendo maggior sensibilità, è votato a una sofferenza più intensa; Schopenhauer arriva dunque a un pessimismo di tipo cosmico, che comprende tutti gli esseri viventi e il principio stesso del mondo. Il fatto che alla natura interessi solo la sopravvivenza della specie (Leopardi) trova una sua manifestazione nell’amore, che è uno degli stimoli più forti dell’esistenza. Il fine dell’amore è solo l’accoppiamento. Se l’amore è un puro strumento per tramandare la vita della specie, allora non c’è amore senza sessualità; ed è per questo motivo che l’amore procreativo viene inconsapevolmente avvertito come peccato e vergogna. Esso è responsabile del maggiore dei delitti, cioè la procreazione di altre creature destinate a soffrire. Per Schopenhauer la vita è sostanzialmente dolore, e l’esistenza, a causa del dolore che la costituisce, risulta una cosa tale che si impara poco per volta a non volerla. Si potrebbe pensare allora che il sistema di Schopenhauer metta capo a una filosofia del suicidio universale. Invece egli rifiuta e condanna il suicidio per due motivi di fondo. Il suicidio è un atto di forte affermazione della volontà stessa, in quanto il suicida vuole la vita ed è solo malcontento delle condizioni che gli sono toccate, per cui anziché negare la volontà, nega la vita; il suicidio sopprime soltanto una manifestazione fenomenica della volontà di vivere, e lascia intatta la cosa in sé, la quale, pur morendo in un individuo, rinasce in mille altri. Di conseguenza, la vera risposta al dolore non è il suicidio ma la liberazione dalla stessa volontà di vivere. Schopenhauer articola l’iter
salvifico dell’uomo in tre momenti: l’arte, la morale e l’ascesi. Mentre la conoscenza scientifica è imbrigliata nelle forme dello spazio e del tempo, l’arte è conoscenza libera e disinteressata, che si rivolge alle idee. L’arte sottrae l’individuo alla catena infinita dei bisogni e dei desideri quotidiani; di conseguenza, essa è catartica per essenza, perché l’uomo, grazie ad essa, più che vivere, contempla la vita, elevandosi al di sopra della volontà, del dolore e del tempo. Le varie arti si possono ordinare in modo gerarchico: esse vanno dall’architettura, che è il grado più basso, fino alla scultura, alla pittura e alla poesia, che hanno per oggetto le idee del mondo naturale e umano. Tra le arti spicca la tragedia, che costituisce la rappresentazione del dramma della vita; un posto a parte occupa la musica, che si configura come l’arte più profonda e universale, capace di metterci in contatto con le radici della vita e dell’essere. Tuttavia la funzione liberatrice dell’arte è pur sempre temporanea ed ha i caratteri di un breve incantesimo. Essa non è una via per uscire dalla vita ma solo un conforto della vita stessa. A differenza della contemplazione estetica, l’etica implica un impegno nel mondo a favore del prossimo. Contro Kant, Schopenhauer sostiene che l’etica non sorga da un imperativo categorico dettato dalla ragione, ma da un sentimento di pietà o compassione attraverso cui avvertiamo come nostre le sofferenze degli altri. Non è la conoscenza a produrre la moralità, ma è la moralità a produrre la conoscenza, in quanto attraverso la compassione conosciamo, sperimentiamo quell’unità metafisica di tutti gli esseri. La morale si concretizza in due virtù cardinali: la giustizia e la carità. La prima è un freno all’egoismo, ha un carattere negativo, perché consiste nel non fare del male. La carità s’identifica invece con la volontà positiva e attiva di fare del bene al prossimo. Ai suoi massimi livelli, la pietà consiste nel far propria la sofferenza di tutti gli esseri passati e presenti, e nell’assumere su di sé il dolore cosmico. Nonostante tutto, la morale rimane pur sempre all’interno della vita e presuppone un attaccamento a essa. La vera liberazione si raggiunge con l’ascesi. L’ascesi è l’esperienza per la quale l’individuo, cessando di volere la vita e il volere stesso, si propone di estirpare il proprio desiderio di esistere, godere e volere. Il primo gradino dell’ascesi è costituito dalla castità perfetta, seguita dalla rinuncia ai piaceri, dall’umiltà, dal digiuno, dalla povertà, dal sacrificio, e dall’auto macerazione. La soppressione della volontà di vivere, di cui l’ascesi rappresenta la tecnica, è l’unico vero atto di libertà che sia possibile all’uomo. Mentre nei mistici del Cristianesimo l’ascesi si conclude con l’unione con Dio, nel misticismo ateo di Schopenhauer il cammino verso la salvezza mette capo al nirvana buddista, che è l’esperienza del nulla. Tale nulla non è il niente, bensì un nulla relativo al mondo, cioè una negazione del mondo stesso. In altre parole, se il mondo, con le sue illusioni, è un nulla, il nirvana, per l’asceta schopenhaueriano è un tutto, cioè un oceano di pace o uno spazio luminoso di serenità, in cui le nozioni di “io” e “soggetto” si dissolvono.
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