Rodari Gianni - Il Secondo Libro Delle Filastrocche

February 8, 2018 | Author: Elisabetta Rimini | Category: Cats, Nature
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Gianni Rodari Il secondo libro delle filastrocche

Indice

Presentazione Le parole Animali senza zoo 1) Passeri sul tetto 2) Possibile? 3) Autunno 4) La lenta morte dell'anno 5) Il gatto e il topo 6) Il fringuello 7) Le rondini 8) Il gatto e la gallina 9) Un bambino al guinzaglio 10) I gatti in gelateria 11) Gustavo 12) Il gatto volante 13) Matrimonio 14) Il gatto Carlomagno 15) Il gatto Agostino 16) Il nome del gatto 17) Ritratto del gatto 18) La rana e il bue 19) Il bue e la rana 20) Il maestro giusto 21) Tutti gli animali I bambini del mondo 1) Un lungo viaggio 2) Le parole del bambino 3) Il nome 4) Le rondini del Giappone 5) I vecchi pirati 6) L'astronave 7) Il libro dell'avvenire

Filastrocche 1) Filastrocca delle parole 2) Le parole di Manziana 3) La vendemmia 4) L'orologio 5) Il piccolo commerciante 6) Un geometra sfortunato 7) Princisbecco 8) Lo spaccatutto 9) Il portasfortuna 10) Vicolo del Pallonetto 11) I muratori 12) Conversazione 13) Un tale che sbagliava le storie 14) Il monumento di neve 15) L'uomo di pietra 16) Alberi di città e alberi di campagna 17) Il Vesuvio con la tosse 18) Il signor Zeta 19) I crucci del divano 20) Viaggio a Toronto 21) Fuggire a Singapore 22) L'America in sette giorni 23) Il mercante di stelle 24) Tanti saluti dai fiumi 25) Le case parlanti 26) Chi mi fa ridere 27) Che barba essere un tramvai Il juke-box 1) Quattro soldi 2) Scherzi di Carnevale 3) Parole nuove 4) L'altro Pinocchio 5) Il dromedario e il cammello 6) Chi è uomo? 7) Un pensatore 8) Se ci fosse... 9) Gli uomini di paglia 10) Il paese delle vacanze

11) Primavera 12) L'albero delle matite Tutti i giorni di tutto l'anno 1) E in arrivo un treno carico di... Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre 2) L'anno nuovo 3) Nella notte di Capodanno 4) Quant'è cara, quant'è buona 5) Filastrocca di primavera 6) Carnevale 7) Esami 8) Ferragosto 9) Promemoria 10) Caro signor ministro... 11) L'albero magico 12) L'ospite 13) La neve 14) I nidi

Presentazione. Questa seconda raccolta di filastrocche di Rodari è stata approntata dall'editore, compiendo una scelta tra il materiale che lo stesso Rodari aveva pubblicato in riviste e periodici e tra quanto è stato ritrovato nelle carte lasciate dallo scrittore. Preoccupazione della scelta, è di proporre testi che appaiono elaborati a un punto definitivo o che è dato supporre incontrassero l'approvazione dello stesso autore a quel livello di stesura. L'ordinamento in parti è dell'editore: la suddivisione è venuta spontanea sul filo delle tematiche e scelte di argomento e di stile che le poesie presentavano via via.

Le parole. Abbiamo parole per vendere, parole per comprare, parole per fare parole; ma ci servono parole per pensare. Abbiamo parole per uccidere, parole per dormire, parole per fare solletico; ma ci servono parole per amare. Abbiamo le macchine per scrivere le parole; dittafoni, magnetofoni, microfoni, telefoni. Abbiamo parole per fare rumore, parole per parlare non ne abbiamo più.

Animali senza zoo.

1) Passeri sul tetto. Ho udito, sul tetto, i passeri sussurrare, bisbigliare: - Buoni, buoni questi alberi per potercisi riposare... Un bel pensiero gli uomini hanno avuto, veramente, piantandoli sulle tegole, lontani dalla gente; sui terrazzi pacifici lontani dai bambini che ci tendono trappole e ci sparano a pallini. Ne hanno fatto un magnifico bosco, con tanti rametti: c'è posto per tanti passeri, non ci si sta mai stretti. Però - non se ne offendano la loro buona intenzione guardate come la sciupano, quelle care persone: alberi senza foglie... d'inverno e d'estate sempre uguali... come scheletri con le braccia spalancate. Avremmo dovuto dirglielo, che ci piacevano tanto anche quei vecchi platani del viale, qui accanto. E' vero, ci passavano ogni mattina i monelli e con la fionda tiravano a noi, poveri uccelli. Han creduto, abbattendoli, di farci cosa gradita. Ci han regalato, in cambio,

questa selva irrigidita... Si chiamano «antenne», dicono... Ma nel cambio noi ci si perde... E poi, almeno le avessero dipinte di verde!

2) Possibile? Una formica andava in bicicletta. Possibile? Ma sì. E pedalava in fretta? Non pedalava per niente: sedeva sul campanello, e anche di lì trovava che il mondo è per metà bello, e per l'altra metà divertente. Un pesce rosso volava su un aviogetto. Possibile? Ma sì. Se ne stava in un vasetto di vetro sulle ginocchia di un bambino. Il pesce guardava dal vetro, il bimbo dal finestrino e tutti e due parevano tanto felici di stare insieme e di essere amici.

3) Autunno. Il gatto rincorre le foglie secche sul marciapiede. Le contende (vive le crede) alla scopa che le raccoglie. Quelle che da rami alti, scendono rosse e gialle, sono certo farfalle che sfidano i suoi salti.

4) La lenta morte dell'anno. non è per lui che un bel gioco, e per gli uomini che ne fanno al tramonto un lieto fuoco.

5) Il gatto e il topo. Un topo di biblioteca trovò un gatto in figura, e subito gli strappa un baffo senza un briciolo di paura. - Tutto qui? - si vantò poi Questo è l'orco che ci minaccia? Non azzarda rivoltarsi, e sa solo di carta straccia. E senza esitazione, l'intrepido topolino, dalla coda alle orecchie divorò l'intero felino. Ma mentre faceva il chilo, un gatto lo acchiappò; era un gatto in carne e ossa, con gli artigli lunghi un bel po'. - Eccellenza, c'è un equivoco, uno scambio di persona... Sono un topo letterato, la mia carne non è buona. - Rispetto le belle lettere il gatto disse, - davvero. Ma perché non ha studiato un pochino anche dal vero?

6) Il fringuello. Nell'occhio del fringuello ch'è un puntolino nero, il mondo ci sta intero, col suo brutto e il suo bello:

la viva pupilla di luce ha tanta sete che tutta se la beve, fino all'ultima stilla... O fringuello pigliatutto! Al buio ci lascerà... Ma il mondo è sempre là, col suo bello e il suo brutto.

7) Le rondini. Rondini fortunate, ha due sole stagioni il vostro calendario: primavera ed estate. Coi primi freddi, via, di là dal mare in cerca di un'altra primavera... l'inverno non sapete che sia. Figlie privilegiate della natura, ve ne state tutto l'anno in villeggiatura.

8) Il gatto e la gallina. Si dice che il gatto parlare non sa. Errore. Sa benissimo. Soltanto, non gli va. Non gli va di raccontare al primo venuto, se la carne era fresca, se il latte gli è piaciuto. Non è vanitoso come la gallina, che, se fa l'uovo, canta tutta quanta la mattina. Per un uovo piccolo così, si vanta, l'esagerata, come se avesse fatta un'intera frittata.

9) Un bambino al guinzaglio. Ho visto un bambino al guinzaglio, come un piccolo cane. Un gatto lo guardava meravigliato, agitando la coda come una bandiera di libertà.

10) I gatti in gelateria. I gatti al bar gelateria ci vanno le sere d'agosto, sempre facendo finta di essere in un altro posto, così i camerieri non possono cacciarli via, perché direbbero: «Ma guarda, credevamo fosse la cartoleria, dobbiamo comprare un temperino per rifare la punta agli artigli». Con prudenza si aggirano fra i piedi dei tavolini. Non dànno noia ai bambini. Non rompono le calze alle signore, perché d'estate le signore non portano calze. Stanno lì con pazienza e con gli occhi semichiusi, ma se da un cono troppo pieno casca un poco di panna montata o da una coppa tenuta di traverso sgocciola fragola, crema, cioccolato, allora li vedete balzare come un sol gatto a leccare il selciato. Ma non potete sentire che fanno le fusa, perché passa una motocicletta rombando a tutto gas.

11) Gustavo. Gustavo, gatto artista, è un doppio pianista: difatti suona il piano a quattro zampe, mentre perfino Chopin lo suonava soltanto con due mani. Per un bel piano a coda niente di più adatto che un pianista con la coda naturale - che sta molto meglio di quella del frack. Gustavo danza con eleganza sui tasti neri, sui tasti bianchi, sullo spartito e sui candelieri. Che anima sensibile! La sera Gustavo si suona la ninna-nanna e si addormenta sulla tastiera.

12) Il gatto volante. Arturo, gatto volante, va in un'ora da Roma a Torino (sul reattore, dentro un cestino...) Gli piace guardare dal finestrino, mangiare un panino, suonare il violino, parlare di topi con il vicino. Da grande farà il pilota, guidando con la coda.

13) Matrimonio. Il ragionier Pasquizio ha sposato una gallina. La cerimonia è avvenuta alle dieci ieri mattina. C'è stato un solo istante

d'imbarazzo allorché, lo sposo ha detto sì, e la sposa coccodè, ma che entusiasmo, poi, quando, a mezzo il rinfresco, la sposina s'è appartata e ha fatto un uovo fresco.

14) Il gatto Carlomagno. Avevamo un gatto di nome Carlomagno. Suonava il flauto, sputava le tagliatelle. Viaggiava moltissimo in punta di piedi, tenendosi a distanza dalla vasca da bagno. Bella bestia dal capo alla coda, fin dove la coda finiva, non rivolgeva la parola agli estranei; liberamente andava e veniva, liberamente se ne andò del tutto, senza dare le dimissioni. Scomparve, lasciandoci soltanto il suo nome da chiamare, da chiamare, non ci fece sapere perché non voleva tornare. Ogni tanto arrivava una cartolina, ma non era lui che ci scriveva, suonava il telefono, ma non era Carlomagno. Era uno che aveva sbagliato numero e non diceva nemmeno scusa, quel maleducato.

15) Il gatto Agostino. Agostino, gatto inesperto, mise una zampa nella nafta e subito per pulirla cominciò a leccarla. Infezione. Paralisi. Il veterinario lo portò via per darlo allo spazzino.

Morì per amore di pulizia. Agostino, Agostino, anima nobile come nessuna. Se avremo un altro gatto, gli daremo il tuo nome.

16) Il nome del gatto. Una bambina ha un gatto, gli cambia il nome tutti i giorni; il gatto, confuso, si volta a tutti i nomi; poi a tutte le parole, anche alla parola Mascalzone, che gli resta (il solo mascalzone simpatico del mondo).

17) Ritratto del gatto. Il gatto non è amico di nessuno, entra, mangia, si stira e torna via, crede che la casa sia un'osteria. Non fa festa al padrone, non lo accompagna a spasso, non ti riporta il sasso che tu getti lontano, non ti viene a leccare la mano come fa il cane con quegli occhi buoni. E quando miagola, pare che stia raccontando una bugia.

18) La rana e il bue. Una rana voleva diventare grossa come il bue: e tanto si gonfiò, che alla fine scoppiò. Piangeva il bue, commosso: Non ci ho colpa, se sono cosi grosso...

19) Il bue e la rana. Una rana voleva diventare grossa come il bue. Si comincia a gonfiare, a gonfiare... Il bue si spaventa, ha paura che scoppi, E allora diventa lui, piccolo piccolo, per farla contenta.

20) Il maestro giusto. C'era una volta un cane, che non sapeva abbaiare. Andò da un lupo a farselo insegnare, ma il lupo gli rispose con un tale ululato, che lo fece scappare spaventato. Andò da un gatto, andò dal cavallo, andò per disperazione, perfino da un pappagallo. Imparò dalle rane a gracidare, dal bove a muggire, dall'asino a ragliare, dal topo a squittire, dalle pecore a fare «bè bè», dalle galline a fare «coccodè». Imparò tante cose, però non era affatto soddisfatto e sempre si domandava, (magari con un «qua qua»...): - che cos'è che non va? Qualcuno gli risponda, se lo sa. Forse era matto? O forse non sapeva scegliere il maestro adatto?

21) Tutti gli animali. Mi piacerebbe un giorno poter parlare con tutti gli animali. Che ve ne pare? Chissà che discorsi geniali

sanno fare i cavalli, che storie divertenti conoscono i pappagalli, i coccodrilli, i serpenti. Una semplice gallina che fa l'uovo ogni mattina, chissà cosa ci vuol dire con il suo coccodè. E l'elefante, così grande e grosso, la deve saper lunga più della sua proboscide: ma chi lo capisce quando barrisce? Nemmeno il gatto può dirci niente. Domandagli come sta: non ti risponde affatto. O - al massimo - fa «miào», che forse vuol dire «ciao».

I bambini del mondo.

1) Un lungo viaggio. Un lungo viaggio voglio fare, i bimbi del mondo andrò a trovare. Ad uno ad uno li voglio vedere, per sapere come stanno, che fanno, se vanno a scuola o non ci vanno, se una mamma ce l'hanno, se hanno un papà che va a lavorare e almeno una sorellina per giocare. Voglio sapere chi rimbocca le coperte dei loro lettini, chi li sgrida se i ditini si mettono in bocca, se c'è chi pettina i loro capelli con il pettine bagnato e se è stato rattoppato lo strappo nei calzoncini belli. Voglio essere sicuro che nessuno abbia paura quand'è scuro, che abbiano tutti vicino al cuscino un bel sogno da sognare, e una nonna che li tiene per mano e l'Uomo Nero fa stare lontano. E dirò loro: Buongiorno, bambini, bianchi, gialli, morettini, bimbi di Roma e di Santa Fé, colore di latte o del caffè, bimbi ridenti di Mosca e Pechino, o poveri fiori falciati nel Paese del Fresco Mattino; bimbi dal ciuffo nero o biondo, buongiorno a tutti i bambini del mondo.

2) Le parole del bambino. Signori presidenti di tutti i parlamenti, chiudete per una volta il libro dei regolamenti e date la parola al mio bambino. Dovrete fare uno sforzo per capire quello che vi vuol dire nella sua strana lingua internazionale: babà, bobò, bibì... Ma un giorno anche voi parlavate così. La cosa è naturale: è il suo primo discorso da quando è arrivato su questa terra. Non sarà così elegante come quello d'un deputato, ma è molto importante. Attenti, ha cominciato: TA TA ... TI ... TI ... TU ... TU ... Chiarissimo, vi pare? Significa: «Di guerre non se ne devono fare mai più!» (Applausi in tutti i settori). Bo... Bo... BI... BR... «Signori, - questo vuol dire - cercate di credere un pochino alle fiabe delle fate. Basta volere e diventano vere. Quelle povere vecchiette avevano appena le loro vecchie bacchette, ma voi avete ben altra virtù. Toccate i deserti e diventeranno giardini, dite le parole magiche

e spunteranno le città, si apriranno le porte della felicità... » (Applausi fragorosi. Qualche protesta qua e là: i più danarosi, hanno creduto forse che parlasse di un aumento di tasse...) MA ... MA ... MA ... MA ... No, non chiama la mamma, dice nel suo linguaggio: «Viva la libertà! Viva la primavera, che viaggia liberamente, di frontiera in frontiera, senza passaporto, con un seguito di primule, mughetti e ciclamini, che attraversando i confini, cambiano nome come passeggeri clandestini». Tutti i fiori del mondo son fratelli. (Applauso molto vivo). (Una vocetta stride, ma questi sono discorsi ribelli). Il discorso è finito, perché il bambino adesso vuol giocare, col suo cavallo di pelo giallo. Lasciatelo giocare in pace! Fate che le sue parole diventino legge, in ogni terra dove giunge il sole.

3) Il nome. E adesso che sai fare il tuo nome in bella scrittura, non avere premura di metterlo dappertutto, non graffiarlo col carbone, col mattone sui muri delle scale, sugli alberi del viale, sui chiusini, sui busti dei letterati e patrioti, che fanno la guardia ai giardini,

con le barbe di marmo e gli occhi vuoti. Soldati e scolari in libera uscita, si firmano sulla spada di Garibaldi, sul cavallo di Anita. Tu non lo fare. Il nome, è una moneta preziosa: per le cose da poco non la spendere, per oro e per argento non la vendere, tienila sempre da conto, ma per le cose grandi a gettarla sii pronto.

4) Le rondini del Giappone. I bambini hanno visto un film alla televisione: altri bambini, in Giappone, si radunavano per salutare le rondini in partenza per il Sud. Ora vorrebbero rifare il gioco di quel saluto, ma non è settembre, non partono le rondini, non è marzo, le rondini non sono qui. Escono sul balcone, guardano il cielo invernale. Da quanti giorni non guardavano il cielo? Il televisore li ha spinti per una volta lontani da sé, per una volta è stato un bravo maestro.

5) I vecchi pirati. I vecchi pirati, dagli occhi bendati, con la mano a uncino, non fanno più paura: dormono nelle pagine

dei libri d'avventura, appoggiati alla gamba di legno che ormai sarà tarlata come una vecchia scopa. Ma si destano e vanno all'arrembaggio, con tutto l'equipaggio, appena lo vuoi tu. Sono pronti ai tuoi ordini, i pirati del tempo che fu, allineati sullo scaffale, come sul vecchio ponte di una nave: apri il libro alla pagina giusta, aspettano un tuo segnale, gli eroi della Filibusta!

6) L'astronave. - O voi dell'astronave, dove andate? chi siete? - Noi viaggiamo da millenni, fra le stelle e le comete. Siamo miliardi, a bordo: uomini, donne, bambini, e anche i nostri morti ci stanno sempre vicini. La strada è lunga. Ma noi siamo un solo equipaggio: se ci diamo la mano, faremo un buon viaggio.

7) Il libro dell'avvenire. Mi rendo conto benissimo che vi sembrerà incredibile, eppure eccovi pronto il libro commestibile. È il libro dell'avvenire, strabiliante invenzione: ci si mangiano i problemi

con tutta la soluzione. Un capitolo a pranzo, un capitolo a cena, e la Storia è digerita, con tutti i retroscena. Una pagina al giorno, con un po' d'acqua minerale, al cervello via esofago, va l'analisi grammaticale. Che bellezza, con gli amici far merenda in compagnia, sbocconcellando un trattato di mineralogia... Chi ha lo stomaco buono può diventar dottore, - studiando a due ganasce - in meno di ventiquattr'ore. Ma in attesa che l'invenzione ottenga il brevetto di Stato, ti conviene studiare come s'è sempre studiato.

Filastrocche.

1) Filastrocca delle parole. Filastrocche delle parole: si faccia avanti chi ne vuole. Di parole ho la testa piena, con dentro «la luna» e «la balena». C'è qualche parola un poco bisbetica: «peronospera», «aritmetica»... Ma le più belle le ho nel cuore, le sento battere: «mamma», «amore». Ci sono parole per gli amici: «Buon giorno, buon anno, siate felici», parole belle e parole buone per ogni sorta di persone. La più cattiva di tutta la terra, è una parola che odio: «la guerra». Per cancellarla senza pietà, gomma abbastanza si troverà.

2) Le parole di Manziana. Con le parole di Manziana voglio fare un A B C; le metto in fila indiana e comincio così: A... è l'Acqua Precilia, è l'Acqua Acetosa, è l'Acqua della Callara, che ribolle senza posa. B... Boccalupo... e per fare i tuffi senza trampolino, il Bottagone del pecoraro, il Bottagone di Tommasino. C... il Camillo, tra i cerri, dove la macchia è più bella

e d'inverno dietro il cinghiale la canizza, la cacciarella. D... è il ponte del Diavolo, il quale però è innocente: l'hanno fatto gli antichi Romani, il Diavolo non sa far niente. E... l'Eremo, la montagna che copre le spalle al paese con un sipario di pini sempre verde, ad ogni mese. F... sta nella Fontana del Vignola, ma ancora ce n'è una, tutta fiorita, nei boschi della Fiora. G... le Grazie, le Grottacce dove abita un vecchio gufo; le «grotte», dove il vino matura nel fresco tufo. H... ne ha una Ughetto e mi hanno raccontato che la mette nel pistacchio, quando ci fa il gelato. La I... sta fuori mano, all'Imposto, agli Imbastar dove una volta usava mettere il basso ai somari. L... nuota nella Lenta, M... naviga nel Mignone, ma di casa sta al Mattiolo, con altre brave persone. N... sento un profumo che incanta i ragazzetti: sono le «nocchie» croccanti nel dolce dei tozzetti. O... la strada di Oriolo, P... il Poggio, la Piscina, Q... i Quarti, i Quadroni, dove l'aria è più fina. R... è forse il «rimissino», dove quando sono stracche

e sazie di pasture, si chiudono le vaccine. S... sono le Scalette, ma anche gli Scaloni, Solfatara e Solfataricchia e là, gli Scopetoni. T... l'ho vista al Travertino... ma ne ha tre, con tre trattini, il busto di Tittoni, tra le aiuole ai giardini. U... è l'Università Agraria, istituto dei più rari, dove anche i contadini sono universitari. V... è certo il Vicinato dove a scuola si va a imparare che l'alfabeto comincia con la A. La Zeta è l'ultima lettera della nostra canzone: sta proprio dentro Manziana e ci si trova benone. Siamo così arrivati in fondo al nostro A B C, ma chi sa altre parole, potrà aggiungerle qui...

3) La vendemmia. Alla vendemmia la brigata è bella: chiamate anche Pulcinella. Ha sempre tanta fame che un glare gli basterà sì e no per cominciare: «Un grappolo a me, un grappolo a te! O cesto, dico a te! Vedete? Non risponde, non ne vuole. Il cesto non sa che l'uva è sole, mangiare sole è un dolce mangiare. Un raggio a me, un raggio ancora a me,

un terzo che fanno tre. Il sole ne ha tanti, che neppure li conta: più ne regala, più è ricco, c'è un raggio prigioniero in ogni chicco nero ». Alla vendemmia, bella è la canzone: ma non chiamate Pantalone... Sul tralcio il vecchio avaro, non lascerebbe un acino, uno solo, per il passero, per l'usignuolo che canta gratis. Pantalone sui grappoli metterebbe dei cartelli: «Vietato l'ingresso agli uccelli». Alla vendemmia il sole diventa vino: chiamate Arlecchino e dategli da bere un po' di sole in un bicchiere.

4) L'orologio. O vecchio orologiaio, che ascolti come un dottore, il tic-tac dei vecchi orologi, un po' deboli di cuore, che ti dice, segretamente, l'orologio del tuo cliente? «Mi racconta la storia del tempo che ha contato, del minuto felice e di quello sciupato. Cosa strana, mi dice, non ha segnato mai un giorno senza guai. Ci dev'essere un guasto... Io lo riparerò: e nella molla nuova ore nuove ci metterò: le più belle del mondo, dal primo, fino all'ultimo secondo».

5) Il piccolo commerciante. C'era una volta un piccolo commerciante: non commerciava né in zucchero né in caffè, non vendeva né sapone né prugne cotte, vendeva soltanto il numero trentatré. Onore al merito, bisogna riconoscere, che la sua merce era la più genuina; lui non era di quelli che rubano sul peso: dicono trentatré ed è appena una trentina; il suo trentatré era garantito; di marca dispari, al cento per cento; tre decine, tre unità e sull'ultima sillaba l'accento; con tutto ciò faceva affari magrini: di trentatré c'è uno smercio limitato; solo quelli che vanno dal dottore, ne comprano uno nuovo oppure usato; ma lui non si lamenta: sta nel suo negozietto, come un bravo ragnetto, in attesa del moschino e quando entra un cliente, lo saluta per primo; gli fa un bel pacchetto, gli fa un bell'inchino; potete mandare un bambino, volendo anche un gatto, sicuri che lui imbrogli non ne farà; è un onesto esercente e nel suo piccolo anche lui è una colonna della società.

6) Un geometra sfortunato. Un giovane geometra di Susa, ballava il valzer sull'ipotenusa. Purtroppo due criceti, rosicchiarono i cateti, una capra andalusa, rosicchiò anche l'ipotenusa, perciò, deluso e molto malcontento, si ritirò in convento, quello sfortunato geometra di Susa.

7) Princisbecco. Un tale di Frosinone, in viaggio per Lecco, sotto la luna piena, restò di princisbecco. Stupore degli astanti... i quali, il significato del detto «princisbecco», non avevano ancora imparato. L'evento, agli occhi loro, si dimostrava ermetico come un poema baskiro in un salotto elvetico. «Princisbecco, princisbecco»... ripetevano esterrefatti, «mai vista una cosa simile né mai passata agli atti». «Su dunque soccorriamolo», un pietoso protesta. Ma da che parte prenderlo? Dai piedi? Dalla testa? Rivoltargli lo stomaco come un vecchio cappotto? E il ponte di Varolio, passarci sopra o sotto? Tal fu la partecipazione di quei buoni, verso Lecco, che in poco d'ora essi pure restarono di princisbecco. Fu così che nella penisola aumentò tanto in fretta, la produzione della materia che princisbecco è detta.

8) Lo spaccatutto.

Un orologio spaccava il minuto, lo spaccava in quattro come un capello, lo spaccava in quaranta senza martello, col suo tic-tac regolare ed arguto; spaccava il minuto, spaccava il secondo, spaccava le pietre della meridiana; spaccò un campanile, una badia fiesolana, un paracarro sulla strada di Monterotondo; era uno spaccatutto di tutto rispetto, nel pieno senso della parola; un distruttore con un'idea sola, un pensiero dominante, un unico progetto; così fa il tempo, così fa la storia, così le formiche trasporteranno il Gran Sasso, così i figli senza il minimo chiasso, si nutrono dei padri e della loro boria.

9) Il portasfortuna. C'era un ferro di cavallo, che non portava fortuna. C'era una volta un ferro di cavallo, che portava disgrazia. La gente non lo sapeva, dunque credeva che portasse fortuna e se lo litigava: l'ho visto prima io, no, prima io, facciamo così, lo teniamo un po' per uno. Il ferro di cavallo sghignazzava tra sé, molto tra sé, così nessuno se ne accorgeva. In pochissimi anni causò dodici incidenti, venti crolli di tetti, lo scoppio di una bombola del gas e di diciotto rubinetti.

10) Vicolo del Pallonetto. Filastrocca del Pallonetto, vicolo storto vicolo stretto, senza cielo senza mare, senza canzoni da cantare. Chi farà musica e parole, per te Napoli senza sole? A Marechiaro spunta la luna, ma il Pallonetto non ha fortuna; a Santa Lucia la luna splende, al Pallonetto però non scende; chi farà musica.

11) I muratori. I muratori del sabato sera, hanno cantato una bella canzone: «Com'è leggero il mattone, la calce com'è leggera, la casa viene su lesta, mette le ali e la cresta, perché domani è festa». Poi se ne vanno bruni, nella bianca canottiera, i muratori del sabato sera.

12) Conversazione. Pronto. Pronto. - Chi parla? - Non so, sono un po' sordo. E lei chi è? - Chi sono? Proprio non lo ricordo. - Che tempo fa? - Mi scusi, non ho letto il giornale. Che ore sono? Aspetti, lo chiedo a un caporale. Il peggior sordo, lasciamelo dire,

è quello che fa finta di sentire.

13) Un tale che sbagliava le storie. C'era una volta un tale di San Donà del Piave, che voleva raccontare la storia di... Biancanave. Accortosi dell'errore, andò fino a Terontola e cominciò a narrare la storia di... Cenerontola. Di là scappò in Sardegna, si fermò a Portigàli e cominciò la fiaba del... Matto con gli stivali. Fu cacciato dall'isola, corse a Bagnacavallo ed attaccò la storia di... Cappuccetto giallo. Girò tutta l'Italia, la Francia e l'Ungheria, sempre a sbagliare storie ed a farsi cacciar via. E gira ancora, e spera, ancora d'incontrare, qualcuno che abbia voglia di starlo ad ascoltare, qualcuno che capisca, che talvolta, per prova, sbagliando una storia vecchia si può fare una storia nuova.

14) Il monumento di neve. Una volta - non ditemi matto! - mi sono fatto un monumento di neve. Com'era bello, tutto bianco tranne il cappello ch'era nero come un gatto nero. Ma il sole uscì ad un tratto, mi leccò via il naso, mi fece cascare le dita: per il mio monumento era finita. Io però mi scaldavo a quel bel sole: e non è meglio un po' di sole in cielo, che un monumento di neve e di gelo?

15) L'uomo di pietra.

Un uomo di pietra, con un manto di pietra, sulle spalle di pietra, regge una tavola di pietra, su cui sono scavate lettere di pietra; uomini di pietra, reggono libri di pietra; l'uomo che porta sulle spalle il leone, curvo non parla.

16) Alberi di città e alberi di campagna. A Torino, anche gli alberi vanno in automobile. Vanno in campagna a respirare. Gli alberi campagnoli invece vengono in città, a fare le compere per le feste. In automobile? Certamente.

17) Il Vesuvio con la tosse. A Napoli c'è il Vesuvio. Una volta fumava. Gli veniva la tosse. Il dottore gli ha detto: la smette di fumare? Sì, sì, dottore, la smetto.

18) Il signor Zeta. Finalmente solo, disse il signor Zeta chiudendo il mondo intero fuori della porta. Mise pure il catenaccio. Accese la luce, accese la televisione,

si mise in poltrona, e dal televisore, il mondo si rovesciò sul pavimento, empì la stanza, i mobili, i cassetti. Ma il signor Zeta dormiva e non vide niente.

19) I crucci del divano. Il canapè è un divano con l'accento. Anche il sofà l'accento ce l'ha. Perciò il divano, vocabolo piano, si rode d'invidia: Perché non hanno dato un accento anche a me?

20) Viaggio a Toronto. Onesto e Tonto andavano a Toronto. Onesto va più presto, un Tonto è più pronto. Insieme essi arrivarono alla meta, ma fu uno solo che arrivò a Toronto. Di nome Onesto, di cognome Tonto.

21) Fuggire a Singapore. E' facile, è facilissimo fuggire a Singapore, con un casco sul capo e la morte nel cuore, un casco coloniale, una morte presunta, un jet della Swissair, una borsa bisunta, è facile fuggire, a Tampico, a Tampoco, a San Benedetto del Tronto, nella Terra del Fuoco? Più difficile restare dove comanda il dovere. Salire sulla colonna e mettersi a sedere. Restare immobili un anno, un secolo se e necessario. Fare a meno delle parole, dell'orario ferroviario.

22) L'America in sette giorni. Un i, un elle, con tre caravelle, un'enne, un'o, Colombo se ne andò; si mise a navigare, andò di là dal mare; il lunedì trovò un'isoletta, il giovedì ci fece la sua casetta, e la domenica trovò l'America.

23) Il mercante di stelle. Ho conosciuto un tale, si chiamava Carmelo, e girava per i mercati a vendere stelle del cielo. Vendeva l'Orsa Maggiore, il Cane, lo Scorpione, Arturo per mille lire e per duemila il Leone. I pianeti li dava con lo sconto, perché prendono la luce dal sole, non la sanno fare da sé.

«Portatevi a casa una stella, mi pagherete a rate», gridava Carmelo alla fiera di Cortona o di Gallarate. La gente lo stava a sentire, gli batteva le mani, perfino, ma non tirava mai fuori né il portafoglio né il borsellino. «Compratevi una cometa per quando non è Natale, costa meno e fa più luce della corrente industriale». Magri affari, faceva questo povero Carmelo; difatti, le stelle sono ancora tutte su in cielo. Lui, poi, per campare, tra un mercato e una fiera, lavorava in una fabbrica di buchi per il groviera.

24) Tanti saluti dai fiumi. Tutti i fiumi al mare vanno. Incontrandosi che diranno? «Vengo da Londra, mi chiamo Tamigi». «Piacere: la Senna di Parigi». «Dov'è il Tevere?» - «Sto qua!» «Attenti che arriva il Paranà...» Il Reno e il Nilo, l'Indo e il Giordano si fanno l'inchino e il baciamano. Il fiume Giallo e il fiume Azzurro salutano il Gange con un sussurro. Il mare adesso rimescola l'onde, il Colorado col Volga confonde, cancella i nomi, ne fa solo un mare... dove i delfini vanno a giocare.

25) Le case parlanti. Le case possono parlare, se qualcuno ha tempo e voglia

di starle ad ascoltare. Naturalmente, bisogna fare la domanda giusta. Allora aprono il rubinetto. Si lamentano perché stanno troppo allo stretto. Aria, aria, qua si soffoca. Una è troppo alta, le gira la testa: tiratemi giù, vorrei avere la testa sottoterra. C'è una casa impazzita all'angolo della piazza. Voleva bene a un gatto, è morto sotto un'auto. Di notte si lamenta da tutte le finestre chiuse: Case nuove, vispe, ottimiste: hanno deciso che faranno un grande viaggio. Poverette, se sapessero che non andranno nemmeno in campagna la domenica... La gente non porta più a spasso la sua casa. Una volta lo faceva? Boh! Una casa non morde, non c'è nemmeno bisogno della museruola e del guinzaglio. Portarla a prendere aria, sui laghi.

26) Chi mi fa ridere. Datemi una zanzara in bicicletta, un dromedario con in testa la bombetta, un canguro che suona la cornetta, un coniglio che mangia la sua erbetta, con coltello e forchetta, un ragno con gli occhiali a stanghetta, una lumaca che fuma la sigaretta. Oppure non datemi niente e invece ditemi qualcosa: «Ho litigato con una rosa. Ho mangiato una sedia e l'ho trovata troppo salata. Al mio cappotto piace il risotto. Al mio tavolino è spuntato un dente canino». Oppure non ditemi niente:

mostratemi invece uno sciocco che si crede intelligente.

27) Che barba essere un tramvai. Voi non ci pensate, nessuno ci pensa mai: che barba essere un tramvai... Da un capolinea all'altro capolinea, fare sempre la stessa linea... Sei nato Ventuno? Campassi cent'anni, non diventerai mai un Ventidue. Sei nato Circolare? Circola, amico, sempre in tondo, da piazza Moustafà a piazza della Libertà. Ma quale libertà? Faccio sempre la stessa strada senza consumarla. Sono io che mi consumo: tristemente, scioccamente, scampanellando, portando sempre la stessa gente allo stesso posto... E loro lo sanno che mi potevo stufare, scappare nei Mari del Sud... ... a sud di tutti i mari... perciò mi hanno fatto i binari.

Il juke-box.

1) Quattro soldi. C'era una volta un bravo omino che aveva tre soldi, tre soldi e un soldino e faceva i suoi conti così: «Due di pane, due di vino. .. E la cicoria? E il fagiolino? Su, proviamo a contare così: due di pane e d'insalata, due di vino... E la frittata? Su, proviamo a contare così: due per mangiare, due per bere... E i bambini staranno a vedere? Su, proviamo a contare così: due per me, due per i figli... E l'affitto, dove lo piglio? Su, proviamo a contare così: due per l'affitto, e bastano appena, uno per il pranzo, uno per la cena... E per le tasse? Proviamo così: tre per loro, uno per noi... Per oggi pazienza. E domani, poi? Non va bene nemmeno così...» Conta e riconta il bravo omino, i suoi tre soldi e il suo soldino, li conta di qui, li conta di lì, li volta in su, li volta in giù, son sempre quattro, non uno di più... E la benzina? E la Tv?

2) Scherzi di Carnevale. Carnevale, ogni scherzo vale. Mi metterò una maschera da Pulcinella e dirò che ho inventato la mozzarella.

Mi metterò una maschera da Pantalone, dirò che ogni mio sternuto vale un milione. Mi metterò una maschera da pagliaccio, per far credere a tutti che il sole è di ghiaccio. Mi metterò una maschera da imperatore, avrò un impero per un paio d'ore: per voler mio dovranno levarsi la maschera, quelli che la portano ogni giorno dell'anno... E sarà il carnevale più divertente, veder la faccia vera di tanta gente.

3) Parole nuove. Io conosco un signore che inventa parole nuove. Per esempio ha inventato lo «spennello», che serve per disfare un quadro se non è bello. Ha inventato l'«anticappello», (per le persone che non sentono freddo alla testa); lo «stemporale» che fa tornare il sole dopo la tempesta, e molte altre parole di grande utilità, in campagna ed in città. Ora ha in mente di inventare il verbo «slitigare», per dividere i tipi letichini e trasformare i nemici in buoni vicini. Finora quel verbo gli è venuto maluccio, non funziona. Ma lui non si sgomenta: ogni giorno ritenta; e prima o poi di certo troverà la parola per mettere d'accordo tutta l'umanità.

4) L'altro Pinocchio. Io conosco un Pinocchio parente di quell'altro, ma ben più bugiardo e molto più scaltro. Di bugie ne racconta ogni giorno un milione, il naso gli si allunga... cosa fa quel furbone? Si arma di sega, di martello e d'accetta,

via via che il naso cresce, lo taglia in fretta in fretta, ammucchia il legname in un bel magazzino, lo vende all'ingrosso e guadagna benino. Insomma, capitemi: commercia in bugie, più grosse delle vostre, e forse anche delle mie. Ogni sera fa i conti e mai non si contenta: «Ci vogliono più bugie, la produzione rallenta!» La domenica soltanto dice la verità, per far riposare il naso dopo tanta attività.

5) Il dromedario e il cammello. Una volta un dromedario, incontrando un cammello, gli disse: - Ti compiango, carissimo fratello; saresti un dromedario magnifico anche tu, se solo non avessi quella brutta gobba in più. Il cammello gli rispose: - Mi hai rubato la parola. E' una sfortuna per te avere una gobba sola. Ti manca poco ad essere un cammello perfetto: con te la natura ha sbagliato per difetto. La bizzarra querela, durò tutto un mattino. In un canto ad ascoltare stava un vecchio beduino, e tra sé intanto pensava: - Poveretti tutti e due, ognuno trova belle soltanto le gobbe sue. Così spesso ragiona al mondo tanta gente, che trova sbagliato ciò che è solo differente.

6) Chi è uomo? Con un gran frullo d'ali dal campo, spaventati, i passerotti in frotta al nido son rivolati. Raccontano ora al nonno la terribile avventura: - C'era un uomo! Ci ha fatto una bella paura. Peccato per quei chicchi sepolti appena ieri. Ma con quell'uomo... Ah, nonno, scappavi anche tu, se c'eri. Grande grande, grosso grosso, un cappellaccio in testa,

stava lì certamente per farci la festa... - E che faceva? - Niente. Che mai doveva fare? Con quelle braccia larghe, era brutto da guardare. - Non lavorava? - O via, te l'abbiamo già detto. Stava ritto tra i solchi con aria di dispetto... - Uno spaventapasseri, ecco cos'era, allora! Non sapevate che non è un uomo chi non lavora?

7) Un pensatore. Un gatto casalingo, un giorno, meditabondo, tra sé e sé filosofava sulle cose di questo mondo: - Il mondo? Che porcheria. Per vederlo, non vale la pena di scomodarsi: tutto grigio, tutto uguale. Dicono: i fiori, il mare, i monti, il cielo blu... Ma se è tutto un grigiore! L'ho visto alla Tv. Mi parlano dei tramonti come di un gran prodigio. Ne ho visti, sul teleschermo: grigio più grigio, grigio. Le farfalle sarebbero variopinte... Io non trovo. Sono grige anche loro. Insomma, io non mi muovo. Scomodarsi a viaggiare: a che fine? A che pro? In casa sarà una noia, ma almeno riposerò. Proprio così ragionava quel gatto pensatore, che giudicava il mondo dal suo televisore.

8) Se ci fosse... Se ci fosse una Roma di gelato: il Campidoglio al pistacchio, il Pantheon al limone,

il Colosseo al cioccolato... Se ci fosse una Roma per giocare: il Cupolone per andarci in giostra, gli obelischi per farci l'altalena, per fare a guardie e ladri piazza Navona e piazza di Siena. Se ci fosse un mondo per vivere in pace, per essere amici, con una scuola per imparare a leggere, scrivere e parlare la lingua della felicità.

9) Gli uomini di paglia. Giovannino Perdigiorno, viaggiatore di vaglia, capitò nel Paese degli Uomini di Paglia. Per accenderli era troppo un cerino o anche metà, bastava una paroletta appena gettata là: subito divampavano, sprizzavano faville, un solo «paglierino» era focoso per mille. E tra il fuoco e le fiamme, quei vulcani in eruzione: «Dov'è il mondo?», gridavano, «ne faremo un tizzone»! Ma tutto quel falò durava pochi momenti. Ben presto i poveretti accasciavano spenti. Che restava di loro? Di cenere un pugnetto, nell'aria un po' di fumo (ma meno di un fumetto). Eh, cari miei, la paglia brucia in fretta e scalda poco: per far camminare il mondo ci vuol ben altro fuoco.

10) Il paese delle vacanze. Il paese delle vacanze sulle carte non è segnato, ma di tutti i paesi è certo il più beato. Ci vanno, dopo gli esami, scolari e studenti e ci trovano da svolgere temi facili e divertenti: «nuotare a rana e a farfalla», «fare un tuffo dal trampolino», «piantare la tenda all'ombra di un pino». Nel paese delle vacanze, mettendo da parte i pensieri,

ci va gente d'ogni specie: operai, ragionieri, signori e signorine dell'alta società, (qualcuno, a dire il vero, tutto l'anno ci sta...) Però conosco molti che non ci sono mai stati. Eppure, Vi assicuro, non si tratta di bocciati. Laggiù non contano i voti, contano solo i quattrini: costa caro il mare azzurro e costa anche l'aria dei pini.

11) Primavera. Conosco una città dove la Primavera, arriva e se ne va, senza trovare un albero da rinverdire, un ramo da far fiorire di rosa o di lillà. Per quelle strade murate come prigioni, la poveretta s'aggira con le migliori intenzioni: appende un po' di verde ai fili del tram, ai lampioni, sparge dei fiori davanti ai portoni (e dopo un momentino se li prende il netturbino...) Altro da fare non le rimane, per settimane e settimane, che dirigere il traffico delle rondini, in alto, dove la gente non le vede e non le sente. Di verde in quella città (dirvi il suo nome non posso), ci sono soltanto i semafori quando non segnano rosso.

12) L'albero delle matite. C'è l'albero del pane, l'albero delle banane, c'è la pianta del caffè e quella della gomma, c'è quasi tutto, insomma, ma non c'è: - udite! udite! l'albero delle matite. Sarebbe stato bello

adesso che vien primavera vederlo mettere i fiori, su ogni rametto un pastello di differenti colori. Ognuno avrebbe potuto, seminando un mozzicone, allevarsi l'alberello in un vaso sul balcone. L'albero cartolaio: che festa per il salvadanaio... E poi, giacché c'era, la natura poteva fare anche la pianta delle penne a sfera. Invece ha fatto quella del tabacco, che fa spendere un sacco di quattrini, fa tossire e fa tanti altri danni da non dire.

Tutti i giorni di tutto l'anno.

1) E in arrivo un treno carico di... Nella notte di Capodanno, quando tutti a nanna vanno, è in arrivo sul primo binario un direttissimo straordinario, composto di dodici vagoni tutti carichi di doni...

Gennaio. Sul primo vagone, sola soletta, c'è una simpatica vecchietta. Deve amar molto la pulizia perché una scopa le fa compagnia... Dalla sua gerla spunta il piedino di una bambola o d'un burattino. - Ho tanti nipoti, - borbotta, - ma tanti! E se volete sapere quanti, contate tutte le calze di lana che aspettano il dono della Befana.

Febbraio. Secondo vagone, che confusione! Carnevale fa il pazzerellone: c'è Arlecchino, c'è Colombina, c'è Pierrot con la sua damina, e accanto alle maschere d'una volta galoppano indiani a briglia sciolta, sceriffi sparano caramelle, astronauti lanciano stelle filanti, e sognano a fumetti come gli eroi dei loro giornaletti.

Marzo. Sul terzo vagone viaggia la Primavera, col vento marzolino. Gocce ridono e piangono sui vetri del finestrino. Una rondine svola, profuma una viola... Tutta roba per la campagna. In città, fra il cemento, profumano soltanto i tubi di scappamento.

Aprile. Il quarto vagone è riservato a un pasticcere rinomato che prepara, per la Pasqua, le uova di cioccolato. Al posto del pulcino c'è la sorpresa. Campane di zucchero suoneranno a distesa.

Maggio. Un carico giocondo riempie il quinto vagone: tutti i fiori del mondo, tutti i canti di Maggio... Buon viaggio! Buon viaggio!

Giugno. Giugno, la falce in pugno! Ma sul sesto vagone io non vedo soltanto le messi ricche e buone... Vedo anche le pagelle:

un po' brutte, un po' belle, un po' gulp, un po' squash! Ah, che brutta invenzione, amici miei, quei cinque numeri prima del sei.

Luglio. Il settimo vagone è tutto sole e mare: affrettatevi a montare! Non ci sono sedili, ma ombrelloni. Ci si tuffa dai finestrini meglio che dai trampolini. C'è tutto l'Adriatico, c'è tutto il Tirreno: non ci sono tutti i bambini... ecco perché il vagone non è pieno.

Agosto. Sull'ottavo vagone ci sono le città: saranno regalate a chi resta in città tutta l'estate. Avrà le strade a sua disposizione: correrà, svolterà, parcheggerà da padrone. A destra e a sinistra sorpasserà se stesso... Ma di sera sarà triste lo stesso.

Settembre. Osservate sul nono vagone gli esami di riparazione. Severi, solenni come becchini... e se la pigliano con i bambini! Perché qualche volta, per cambiare, non sono i grandi a riparare?

Ottobre. Sul decimo vagone ci sono tanti banchi, c'è una lavagna nera e dei gessetti bianchi. Dai vetri spalancati il mondo intero può entrare: è un ottimo maestro per chi lo sa ascoltare.

Novembre. Sull'undicesimo vagone c'è un buon odore di castagne, paesi grigi, grige campagne già rassegnate al primo nebbione, e buoni libri da leggere a sera dopo aver spento la televisione.

Dicembre. Ed ecco l'ultimo vagone, è fatto tutto di panettone, ha i cuscini di cedro candito e le porte di torrone. Appena in stazione sarà mangiato di buon umore e di buon appetito. Mangeremo anche la panca su cui siede a sonnecchiare Babbo Natale con la barba bianca.

2) L'anno nuovo. Indovinami, indovino, tu che leggi nel destino:

l'anno nuovo come sarà? Bello, brutto o metà e metà? «Trovo stampato nei miei libroni che avrà di certo quattro stagioni, dodici mesi, ciascuno al suo posto, un carnevale e un ferragosto, e il giorno dopo del lunedì, sarà sempre un martedì. Di più per ora scritto non trovo nel destino dell'anno nuovo: per il resto anche quest'anno sarà come gli uomini lo faranno».

3) Nella notte di Capodanno. Nella notte di Capodanno, i buoni romani sapete che fanno? Dalla finestra gettano via cenci, cocci e compagnia. Piovono allegri sul selciato il vecchio catino, il secchio sfondato, pentole, chiacchiere, piatti e padelle, sedie zoppe ed ex ombrelle. Tu, ripàrati sotto un portone, fin che dura l'operazione, ma non maledire la vecchia usanza: chi getta i cocci, si tien la speranza. Queste cose brutte e amare si dovrebbero buttare: le baracche ed i tuguri, dove i giorni son tutti scuri, la fame, la guerra, la cattiveria, tutti gli stracci della miseria... Ingombrerebbero troppo la via? Poi penseremo a far pulizia.

4) Quant'è cara, quant'è buona.

Quant'è cara, quant'è buona, la Befana di Piazza Navona. Sono piene di cose belle le sue mille bancarelle, gonfi di dolci e di biscotti i suoi diecimila calzerotti. Se allunghi la mano puoi toccare tutti i giocattoli che ti pare, quelli vecchi del tempo che fu e quelli nuovi che piaccion di più: l'orso di pezza bonaccione e l'aereoplano a reazione, il treno elettrico e la trombetta, il pellirossa e la bamboletta. La Befana, siamo giusti, sa stare alla moda e cambia i gusti. Per fare i conti, difatti, si dice, ha comperato la calcolatrice.

5) Filastrocca di primavera. Filastrocca di primavera: più lungo è il giorno, più dolce la sera. Domani forse tra l'erbetta, spunterà la prima violetta. O prima viola fresca e nuova, beato il primo che ti trova, il tuo profumo gli dirà, la primavera è giunta, è qua. Gli altri signori non lo sanno e ancora in inverno si crederanno: magari persone di riguardo, ma il loro calendario va in ritardo.

6) Carnevale. Viva i coriandoli di Carnevale, bombe di carta che non fanno male!

Van per le strade in gaia compagnia i guerrieri dell'allegria: Si sparano in faccia risate scacciapensieri, si fanno prigionieri con le stelle filanti colorate. Non servono infermieri perché i feriti guariscono con una caramella. Guida l'assalto, a passo di tarantella, il generale in capo Pulcinella. Cessata la battaglia tutti a nanna. Sul guanciale spicca come una medaglia un coriandolo di Carnevale.

7) Esami. Anche i grandi a scuola vanno, tutti i giorni di tutto l'anno. E che problemi, quei poveretti, a risolvere sono costretti: «Nello stipendio fateci stare vitto, alloggio e vacanze al mare...» Studiano storia? Ma sicuro: han da studiare perfino il futuro, per arrivare con le spese, almeno al penultimo giorno del mese. E fanno gli esami? Certo, o gente: come i ragazzi, ma più di frequente. Ogni volta che scoppia una tassa, debbono rifare l'esame di cassa.

8) Ferragosto. Quest'anno a Ferragosto voglio girare il mondo sopra un cavallo a dondolo, dondolare, ciondolare su un bel cavallo a ciondolo, bighellonare così lasciandomi sorpassare anche dalle lumache.

Ho tanti giorni per correre: voglio un giorno per pensare. Un giorno tutto intero, per pensare un bel pensiero. Col mio cavallo di cartapesta, farò un viaggio intorno alla mia testa.

9) Promemoria. Ci sono cose da fare ogni giorno: lavarsi, studiare, giocare, preparare la tavola a mezzogiorno. Ci sono cose da fare di notte: chiudere gli occhi, dormire, avere sogni da sognare, orecchie per non sentire. Ci sono cose da non fare mai, né di giorno né di notte, né per mare né per terra: per esempio, la guerra.

10) Caro signor ministro... della pubblica istruzione le scrivo di domenica e non senza emozione. Che oggi sia domenica lo dice il calendario: oggi lavora solo chi fa lo straordinario. Il fornaio non fa il pane, il droghiere va alla partita, l'impiegato non fa nemmeno la punta alla matita. Il ragioniere va a caccia, il dottore va al cine, riposano sull'aia, contadini e contadine.

I ferrovieri a turno viaggiano su e giù: uno fa andare il treno, l'altro guarda la Tivù. Per me c'è solamente il turno delle lezioni: una domenica i verbi, e l'altra le frazioni... L'idraulico e il notaio, possono riposare, ma il povero Carletto ha i compiti da fare. Insomma, del suo tempo più non abuserò: la legge è uguale per tutti; ma la domenica no.

11) L'albero magico. Non cercarlo nel libro di scienza naturale: l'albero di Natale è l'albero della magia. Vi crescono in compagnia arance, mandarini, caramelle, cioccolatini, torroni, lumini... Ma i frutti più buoni, sono i frutti a sorpresa, che maturano a mezzanotte nei loro pacchetti, mentre tu aspetti a letto, fingendo di dormire, che ti vengano a chiamare per farteli scoprire.

12) L'ospite. Sul ramo più alto, vicino alla stella, c'è un passero vero che cinguetta e saltella. Ha visto dal davanzale quest'albero fatato: la finestra era aperta,

con un frullo è volato sul ramo più alto, proprio accanto alla stella, il passero vivo, che cinguetta e saltella. Fuori fa tanto freddo, non lo cacciate via: è l'ospite di Natale, vi metterà allegria. Di tutta la vostra festa una briciola gli basterà, sulla tovaglia rossa un poco passeggerà, poi tornerà sul ramo, vicino alla sua stella, il passero vero, che cinguetta e saltella.

13) La neve. Che bella neve, che invenzione la neve di lana e di cotone... Non bagna i guanti, né le mani senza guanti, né i piedi senza scarpe, né i nasi senza sciarpe, né le teste senza cappello, né i cappelli senza ombrello, né le stufe senza carbone, questa bellissima invenzione, la neve di lana e di cotone.

14) I nidi. Chi abita sull'abete, tra i doni e le comete? C'è un Babbo Natale, alto quanto un ditale.

Ci sono i sette nani, gli indiani, i Marziani. Ci ha fatto il suo nido perfino Mignolino. C'è posto per tutti, per tutti c'è un lumino e tanta pace per chi la vuole, per chi sa che la pace, scalda anche più del sole.

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