RM Principi

August 16, 2017 | Author: SanteGiuliano | Category: Nuclear Magnetic Resonance, Spin (Physics), Magnetic Field, Magnetization, Magnet
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RISONANZA MAGNETICA Principi elementari di fisica ________________________

TSRM Francesco Sciacca U.O. di Radiologia P.O. “E. Muscatello” di Augusta AUSL 8 di Siracusa

Come usare questo “testo” Questo “testo” rappresenta la sintesi della relazione omonima, presentata al corso d’aggiornamento in risonanza magnetica - per TSRM e medici radiologi - tenutosi a Messina nel mese di febbraio 2004. Per trarne i maggiori benefici, è consigliabile: 1) stampare il testo; 2) scaricare PowerPoint);

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in

3) visualizzare la presentazione ciascuna diapositiva sul testo.

formato seguendo

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(Microsoft

commento

a

[Parlare di “fisica della RM” è un’impresa veramente ardua. Soprattutto

se non si vuole perdere il lettore dopo poche battute. La strada è quindi una e soltanto una. Portarlo, con il linguaggio della vita quotidiana, verso quelle frontiere.]

(diapositiva 1)

[Per

capire appieno il fenomeno fisico della RM bisognerebbe ricorrere alla cosiddetta fisica quantistica (dimensione microscopica). Noi, nel tentativo di esemplificare i concetti, analizzeremo solamente la dimensione macroscopica; useremo – a tal fine – come strumento didattico, la fisica vettoriale.]

(diapositiva 2)

[E’

comunque necessario, anche se può sembrar noioso, richiamare alcuni concetti di fisica atomica. L’atomo, com’è ben noto, è costituito da un nucleo – formato da protoni e neutroni – attorno al quale “orbitano” uno o più elettroni. Ciò che è meno conosciuto è che il nucleo atomico ruota attorno al proprio asse come una trottolina; si dice, in fisica, che possiede uno spin (la parola spin deriva dal verbo inglese “to spin” che significa girare).

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Lo spin, a stretto rigore, rappresenta il momento angolare intrinseco del nucleo; è, come tale, una grandezza vettoriale e quantizzata. Lo spin, proprio perché quantizzato, assume solo determinati valori, multipli interi o semi-interi di h/2π (dove h è la costante di Planck). Il valore assunto dallo spin dipende dal numero di massa del nucleo. In particolare: se il numero di massa è pari, lo spin può essere nullo o intero (è nullo se protoni e neutroni sono pari, è intero se protoni e neutroni sono dispari); se il numero di massa è dispari, lo spin è semi-intero. N.B. Affinché abbia luogo il fenomeno fisico della RMN è necessario che lo spin sia diverso da zero.]

(diapositiva 3)

[Nella diagnostica RM sono importanti solo i nuclei con spin semi-intero. Tra tutti (1H, 31P, 19F, 13C, 23Na) il più importante è sicuramente il nucleo dell’idrogeno (l’acqua – la molecola più “abbondante” del nostro organismo – è formata da due soli elementi: idrogeno e ossigeno; tra i due solo l’idrogeno ha spin semi-intero); è ad esso che rivolgeremo la nostra attenzione.]

(diapositiva 4)

[Il

nucleo dell’idrogeno - costituito da un solo protone - avendo spin semi-intero (½ h/2π ) e carica elettrica positiva, ha un momento magnetico (µ ) (parallelo allo spin) diverso da zero. Il nucleo dell’idrogeno si comporta, in pratica, come un microscopico dipolo. Il momento magnetico nucleare, al pari dello spin, è una grandezza vettoriale e quantizzata:

µ =γ I dove µ è il momento magnetico, γ Larmor) e I lo spin.

la costante giromagnetica (di

Fu Pauli, nel 1924, a proporre l’esistenza del magnetismo nucleare.] (diapositiva 5)

[I

momenti magnetici dei protoni, in assenza di un campo magnetico esterno, sono orientati - nello spazio - casualmente; la loro somma vettoriale è nulla. Cosa succede quando poniamo il paziente nel magnete della RM? I protoni, essendo dei piccoli magneti, risentiranno dell’azione del campo magnetico (B0) e si orienteranno (come l’ago di una bussola nel campo magnetico terrestre), alcuni parallelamente e altri con verso opposto alle

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linee di forza di quest’ultimo. Il numero di orientamenti possibili dipende, secondo una semplice equazione, dallo spin:

N = 2I + 1. Per I = ½  N = 2. Dove N rappresenta il numero di orientamenti possibili e I lo spin. I due orientamenti sono su livelli energetici differenti; lo stato di allineamento preferito è, perché più stabile, quello al quale compete meno energia, ossia quello parallelo. La differenza numerica, che dipende da B0 e dalla temperatura, è, comunque, molto piccola. Per dare un’idea approssimativa: su circa 10.000.000 di protoni antiparalleli ce ne sono 10.000.007 paralleli.]

(diapositiva 6)

[Per

analogia: io posso allinearmi parallelamente al campo gravitazionale terrestre camminando sui miei piedi oppure allinearmi nella stessa direzione ma con verso opposto (anti-parallelo) camminando sulle mani. Indubbiamente, camminare sui piedi richiede minore fatica ed energia che camminare sulle mani.]

(diapositiva 7)

[I

protoni non sono fissi ma oscillano attorno alle linee di forza del campo; questo particolare movimento prende il nome di precessione. Durante la precessione l’asse di rotazione del protone (µ ) ruota descrivendo un “cono” (questo movimento ricorda, per analogia, il moto di precessione dell’asse di una trottola attorno alle linee di forza del campo gravitazionale terrestre). Si indica con il termine frequenza il numero di “giri/rivoluzione” che il protone compie, intorno alle linee di forza del campo, in un secondo. Essa dipende dal tipo di atomo e dalla “forza” del campo magnetico applicato, secondo una semplice legge detta di Larmor:

ω

0

= γ B0/2π

dove ω 0 rappresenta la frequenza (MHz), γ la costante di Larmor (MHz/Tesla) e B0 l'intensità del campo magnetico (Tesla). La costante di Larmor per i nuclei di idrogeno è pari a 42 MHz/T. Ciò significa che in presenza di un campo magnetico da 1.0 Tesla gli atomi di idrogeno ruotano a 42 MHz (42 milioni di giri/rivoluzione al secondo). Le risonanze usate nella diagnostica, generalmente, hanno un campo magnetico compreso tra 0,2 e 1,5 Tesla.]

(diapositiva 8)

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[L’asse

di rotazione del nucleo di idrogeno non è, in realtà, perfettamente parallelo (o anti-parallelo) alle linee di forza del campo (B0), ma si accosta ad esse deviando di un certo angolo α . Il vettore µ , quindi, può essere scomposto, all’interno delle tre coordinate x, y e z, in due ulteriori vettori: uno è detto “componente” longitudinale; l’altro “componente” trasversale.]

(diapositiva 9)

[Introduciamo ora, per una maggiore chiarezza espositiva, le coordinate

del sistema (x, y, e z). L’asse z rappresenterà, per noi, la direzione e il verso di B0. Gli assi x e y delimiteranno, invece, il piano perpendicolare a z. D’ora in avanti non rappresenteremo più il protone come una sferetta ma solamente il suo momento magnetico (vettore). Gli assi cartesiani sono sistemi di riferimento a tre dimensioni spaziali; mancano della cosiddetta dimensione temporale. Non è possibile, in altri termini, conoscere istante per istante la posizione dei protoni (in precessione) in funzione del tempo. Immaginate, quindi, la figura di destra come un’istantanea (una foto scattata in un preciso istante). I due protoni allineati con verso anti-parallelo al campo (m’ e p’) annullano, nell’esempio in figura, gli effetti magnetici di altrettanti protoni allineati parallelamente a B0 (m e p). Vettori uguali diretti lungo la stessa direzione e verso opposto annullano i loro effetti (così come nulla è, per analogia, la risultante delle forze, uguali e contrarie, applicate ai capi di una fune). Ricorderete che la “popolazione” dei protoni allineati parallelamente a B 0 è più numerosa e che, quindi, gli effetti magnetici di alcuni di essi non saranno annullati da altri allineati anti-parallelamente (nel nostro esempio i due vettori colorati, rispettivamente, in rosso e bianco).] (diapositiva 10)

[Le componenti assiali dei momenti magnetici “superstiti” hanno tutte la

stessa direzione (ossia l’asse y) ma verso opposto, annullano – quindi – i loro effetti. Le componenti longitudinali (dirette lungo l’asse z) avendo, per contro, la stessa direzione e lo stesso verso, sommano i loro effetti dando origine ad un vettore magnetico risultante. Questo vettore somma (magnetizzazione macroscopica) - che ha la stessa direzione di B0 - è chiamato magnetizzazione longitudinale. Ora, a cosa porta questo ragionamento? Questo dimostra che B0 induce il paziente a comportarsi esattamente come una “calamita”.

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Fate sempre attenzione ai pazienti portatori di clips e schegge metalliche! Se fosse possibile misurare la magnetizzazione longitudinale, ciò sarebbe sufficiente per ricostruire le immagini. Purtroppo non è possibile misurare questo vettore. Perché? Perché è immobile (fisso, fermo); rappresenta, dunque, un campo magnetico costante. Ricorderete dalla “fisica del biennio” che soltanto i campi magnetici variabili (variazione di flusso Φ ) inducono, in una bobina, correnti elettriche.]

(diapositiva 11)

[E’

possibile, inviando impulsi di radiofrequenza (RF), interagire con il sistema in precessione (questo fenomeno è chiamato risonanza). Per questo scopo è, però, necessario inviare un impulso particolare: un impulso che abbia la stessa frequenza di Larmor

ν =ω

0

dove ν è la frequenza dell’impulso RF e ω 0 la frequenza di Larmor. L’impulso RF ha due effetti sui protoni: “promuove” qualche protone a +E (livello energetico superiore) e ne sincronizza la precessione. Il primo effetto provoca un decremento sequenziale (fino a 0) della magnetizzazione longitudinale; il secondo stabilisce una nuova magnetizzazione macroscopica – nel piano x-y – detta magnetizzazione trasversale (somma vettoriale delle componenti assiali dei momenti magnetici dei protoni).]

(diapositiva 12)

N.B. I protoni, prima dell’impulso RF, precedono fuori fase per due motivi: 1) perché risentono dei campi magnetici locali – più o meno intensi – prodotti dalle molecole vicine; 2) perché a B 0 sono aggiunti, per l’esatta localizzazione spaziale del segnale, tre gradienti di campo.

[Questo nuovo vettore somma ruota, con la stessa frequenza di Larmor, nel piano x-y; rappresenta, quindi, un campo magnetico variabile.

Un campo magnetico variabile induce, sempre, in un circuito (bobina) una corrente elettrica; quest’ultima costituisce il “nostro” segnale di RM (indicato con terminologia inglese free induction decay “FID”). L’impulso RF, capace di ruotare di 90° il vettore somma (magnetizzazione longitudinale vs magnetizzazione trasversale), è detto impulso RF a 90°.]

(diapositiva 13)

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[Interrotto

l’impulso di RF si verificano due fenomeni (che noi considereremo, per semplicità, indipendenti): il rilassamento trasversale e il rilassamento longitudinale. Rilassamento trasversale (o T2). I protoni, interrotto l’impulso di RF, perdono la loro coerenza di fase (ciò è dovuto alle interazioni spin-spin). Osservando i protoni dall’alto (componenti assiali), è evidente che essi si disperdono (figg. “A”, “B” e “C”). La dispersione porta ad una riduzione, in funzione del tempo, della magnetizzazione trasversale (e di conseguenza anche del segnale RM). Il rilassamento trasversale segue le leggi del decadimento esponenziale; l’equazione matematica che mette in relazione la magnetizzazione trasversale in funzione del tempo è:

Mt = M0 (e

–t/T2

)

dove Mt è la magnetizzazione (trasversale) residua al tempo t, M0 la magnetizzazione iniziale (al termine dell’impulso), e la base dei logaritmi naturali e T2 la costante di tempo che regola il fenomeno. Qual è il “significato” di T2? T2 è una grandezza dipendente esclusivamente dalle caratteristiche chimico-fisiche dei tessuti (il suo valore è determinato, in pratica, dalla libertà di movimento delle molecole contenenti i nuclei di idrogeno). E’ possibile, grazie alla sua misura (detta “pesatura” delle immagini), riconoscere (cioè contrastare) i diversi tessuti in esame. Da un punto di vista matematico, infine, T 2 corrisponde al tempo necessario a ridurre la magnetizzazione trasversale al 37% circa (1/e) del suo valore iniziale.]

(diapositiva 14)

[La

rappresentazione grafica della variazione della magnetizzazione trasversale (ordinate) rispetto al tempo (ascisse), dopo l’interruzione dell’impulso RF, da luogo ad una curva definita “curva T2” (notate in figura le curve T2 rispettivamente del liquor, della sostanza grigia e della sostanza bianca). I tessuti caratterizzati da una costante T2 “lunga” (ad esempio i liquidi) perdono la magnetizzazione trasversale molto lentamente (ciò è dovuto all’elevata libertà di movimento delle molecole e di conseguenza alla “scarsa” disomogeneità del campo magnetico locale); daranno, di conseguenza, segnali elevati.

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I tessuti caratterizzati, per contro, da una costante di tempo T2 “breve” (ad esempio i grassi) perdono la magnetizzazione trasversale più velocemente (basso segnale).]

(diapositiva 15)

[Rilassamento

longitudinale (o T1). I protoni, rimosso l’impulso RF, tornano al loro livello energetico originario (verso parallelo a B0). Non tutti i protoni fanno questo contemporaneamente, bensì uno dopo l’altro. Questo porta ad un incremento sequenziale, sino ai valori originari, della magnetizzazione longitudinale. Il ripristino della magnetizzazione longitudinale dell’incremento esponenziale, secondo l’equazione:

Ml = M0 (1 – e

segue

le

leggi

–t/T1

)

dove Ml è la magnetizzazione (longitudinale) presente al tempo t, M0 la magnetizzazione iniziale (al termine dell’impulso), e la base dei logaritmi naturali e T1 la costante di tempo che regola il rilassamento longitudinale. La costante di tempo T1 dipende dalle modalità di interazione fra i nuclei di idrogeno e l’ambiente circostante (detto reticolo). Durante il fenomeno del rilassamento, infatti, i protoni cedono l’energia – precedentemente attinta dall’impulso RF – al reticolo. T1, in particolare, è tanto più breve quanto più facile e rapida è la suddetta cessione di energia. Da un punto di vista matematico, infine, T 1 corrisponde al tempo impiegato a riportare la magnetizzazione longitudinale al 63% circa (1 1/e) del suo valore originario.]

(diapositiva 16)

[I

liquidi hanno, a causa della scarsa interazione fra le molecole, un lungo T1(basso segnale). I tessuti, per contro, le cui molecole sono provviste di moti molecolari con frequenza uguale a quella di precessione (cessione energetica “protone/reticolo” facilitata) – come ad esempio il grasso – sono caratterizzati da un T1 breve (alto segnale). Sono rappresentate in figura le curve T1 rispettivamente del liquor, della sostanza grigia e della sostanza bianca.]

[T

(diapositiva 17)

e T2 assumono, per uno stesso tessuto, il medesimo valore numerico? Certamente no! T1 è sempre più lungo di T2. Come ricordare questo concetto? 1

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L’unione delle curve T1 e T2 ricorda una montagna. Ci vuole più tempo per scalare una montagna che per scendere giù sciando; ciò aiuta a ricordare che il T1 è sempre più lungo del T2 .]

(diapositiva 18)

[Nella

pratica clinica difficilmente inviamo un solo impulso di RF ma, bensì, più impulsi in successione rapida (sequenza di impulsi). Esistono numerose tipologie di sequenze, tuttavia, queste possono essere distinte in due gruppi: spin-echo (SE) e gradient-echo (GE). Le prime rifasano i nuclei (protoni) utilizzando impulsi di RF a 180°, le GE, invece, utilizzando impulsi di gradiente. I due gruppi – SE e GE – possono essere ulteriormente distinti, in funzione dei tempi di acquisizione (TA), in tre sottogruppi: regular (classiche), fast (veloci) e ultrafast (ultra-veloci). E’ possibile, naturalmente, per ogni singola combinazione acquisire i dati relativi ad un piano (2D) o ad un volume (3D).]

(diapositiva 19)

[Con la sequenza spin-echo non misuriamo il FID ma un segnale “simile”

chiamato echo; tutto ciò si ottiene inviando due impulsi di RF: il primo a 90°, il secondo a 180°. Il primo impulso di RF a 90° ha lo scopo di “ruotare” la magnetizzazione macroscopica longitudinale sul piano trasversale x-y. Inizia così, da quest’istante, la perdita della coerenza di fase (con decadimento della magnetizzazione trasversale) dei momenti magnetici. Dopo l’intervallo t (pari a TE/2), dell’ordine di alcuni millisecondi dall’impulso di RF a 90°, inviamo un secondo impulso di RF (a 180°) che “ribalta”, sullo stesso piano, i momenti magnetici. L’inversione del “senso di marcia” dei momenti magnetici determina, al TE (tempo di eco = 2 TE/2), il ripristino, con conseguente emissione del segnale (eco), della coerenza di fase. In pratica: i momenti magnetici che precedono a velocità maggiore e che si trovano, quindi, in una fase successiva rispetto ai più lenti, dopo l’inversione del “senso di marcia” si troveranno dietro a questi ultimi. Attenzione! Sono però sempre i più veloci (perché sottoposti a campi magnetici locali più intensi). Trascorso lo stesso intervallo (TE/2) dall’impulso di RF a 180° raggiungeranno i più lenti, ristabilendo la coerenza di fase. In questo momento (TE) la magnetizzazione trasversale è ristabilita e questo coincide con l’emissione del segnale (eco). Questa successione di eventi può essere meglio compresa grazie ad un semplice paragone. Immaginiamo una gara tra una lepre e una tartaruga; la prima rappresenterà, per noi, lo spin più veloce, la tartaruga, per contro, lo spin più lento. Allo start (impulso RF a 90°) la lepre e la tartaruga iniziano, con velocità diverse, la loro corsa. Si viene così a creare dopo un po’ un netto divario

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tra i due: la tartaruga, più lenta, sarà in ritardo rispetto alla lepre. Se in questo preciso istante (TE/2) “ordiniamo” loro di tornare indietro (impulso a 180°) il divario tra i due si ridurrà progressivamente e, dopo un tempo pari al doppio dell’intervallo fra lo start e il “dietro front” (TE), lepre e tartaruga giungeranno insieme alla linea di partenza (eco). La sequenza SE è caratterizzata da due parametri (operatore-dipendenti) fondamentali: TR e TE. La scelta oculata dei due parametri determina le caratteristiche (ossia il contrasto) delle immagini finali. Il TR (o tempo di ripetizione) è l’intervallo che separa due impulsi RF a 90° (o due sequenze successive); il TE (o tempo di eco) è, invece, l’intervallo che separa il primo impulso a 90° dalla “raccolta” dell’eco.]

(diapositiva 20)

N.B. Perché misuriamo l’eco e non il FID? Gli impulsi di RF sono prodotti, nella pratica clinica, inviando “particolari” correnti alternate nella bobina che circonda la parte anatomica da studiare (bobina trasmittente). La stessa bobina, non appena cessa l’impulso RF, è commutata in “antenna” ricevente per rilevare il segnale emesso dalla struttura in esame. Il passaggio dalla “fase trasmittente” alla “fase ricevente” necessita, naturalmente, di alcuni millisecondi, tempo durante il quale perderemmo – per la sua vicinanza temporale con l’impulso di eccitazione – parte del segnale FID (il segnale FID, infatti, massimo subito dopo l’impulso RF a 90° decade, con legge esponenziale, in funzione del tempo).

[La SE consente – con opportune modifiche del TR e del TE – di ottenere

immagini pesate, rispettivamente, in T1, T2 e DP (parametri intrinseci tissutali). Più precisamente:

• le immagini con TR e TE brevi (300 < TR < 600 ms; 10 < TE < 30 ms) sono T1 pesate;

• quelle con TR e TE lunghi (TR > 1800 ms; TE > 80 ms) sono dipendenti dal T2;

• quelle con TR lungo (TR > 1800 ms) e TE breve (10 < TE < 30 ms) dipendono dalla densità protonica (DP). Nelle immagini SE-T1p i tessuti dotati di un breve tempo di rilassamento T1 sono iper-intensi. L’esempio più tipico è dato dal grasso (notate il grasso sottocutaneo nonché quello delle cavità orbitarie).

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I tessuti dotati, per contro, di un lungo tempo di rilassamento T 1 sono ipointensi. Il liquor (o l’acqua) ne è un esempio tipico (notate i ventricoli e gli spazi liquorali peri-encefalici). Il parenchima cerebrale ha una intensità di segnale intermedia, con una buona distinzione tra la sostanza bianca (relativamente iper-intensa per lo scarso contenuto in acqua; notate, ad esempio, la capsula interna) e quella grigia (relativamente ipo-intensa per il maggior contenuto in acqua; notate, ad esempio, la testa del nucleo caudato).]

(diapositiva 21)

[Le

immagini SE-T1p, dotate di un alto rapporto segnale/rumore, consentono – comunemente – un’accurata analisi morfologica delle strutture in esame (immagini “anatomiche”). Le SE-T1p rappresentano, in genere, la prima fase per una caratterizzazione tissutale : la maggior parte delle patologie sono iso/ipointense.]

(diapositiva 22)

[Esistono,

tuttavia, delle eccezioni come, ad esempio, le emorragie in

fase sub-acuta e i lipomi (iperintensi nelle immagini SE-T1p).]

(diapositiva

23)

[I mezzi di contrasto impiegati in RM sono composti di coordinazione del gadolinio (Gd3+-DTPA).

Il catione gadolinio (Gd3+) è un elemento paramagnetico. Sono detti paramagnetici alcuni atomi caratterizzati da un numero “elevato” di elettroni di valenza non appaiati, dotati quindi di uno spin elettronico e di un momento magnetico diverso da zero. La configurazione elettronica del gadolinio (atomo neutro) è la seguente:

[Xe] 4f7 5d1 6s2 Lo ione gadolinio (che ha perso i tre elettroni di valenza più esterni) possiede, per il principio di Hund (detto volgarmente della massima comodità), sette elettroni non appaiati nei sette orbitali iso-energetici 4f. Allo scopo di assicurarne il tropismo biologico e di eliminarne la tossicità, il gadolinio è somministrato in forma chelata (all’interno di grandi molecole organiche) al DTPA (acido dietilen-triamino pentacetico). I mezzi di contrasto paramagnetici, a differenza dei mdc iodati, non possiedono un segnale proprio; modificano, bensì, il segnale dei tessuti in cui si localizzano. Per la precisione: “giocano” il ruolo di accettori

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energetici e di disomogeneizzanti del campo magnetico (accorciano T1 e T2). Il “comportamento biologico” dei mezzi di contrasto paramagnetici è, tuttavia, simile a quello dei mdc iodati a somministrazione endovenosa: enhancement tumorale, visualizzazione delle lesioni vascolarizzate e della barriera emato-encefalica lesa, differenziazione lesione/edema perilesionale etc… I mdc paramagnetici trovano impiego, pressoché esclusivo, nelle sequenze “pesate” in T1, nelle quali le formazioni “captanti” il contrasto assumono un segnale iperintenso.]

(diapositiva 24)

[Confrontate

le immagini (SE-T1p) della stessa sezione assiale dell’encefalo acquisite prima e dopo iniezione endovenosa di Gd-DTPA. La lesione è identificabile in ambedue le immagini; essa, tuttavia, è molto più evidente, per l’elevata intensità di segnale, nell’immagine dopo contrasto.]

(diapositiva 25)

[Riconoscere un’immagine SE-T p è difficile? No! 2

Come regola orientativa: se vedete “bianco” il liquor (notate i ventricoli e gli spazi liquorali peri-encefalici) avete a che fare proprio con un’immagine SE-T2p. I tessuti, infatti, dotati di lunghi tempi di rilassamento T2 sono iperintensi. I tessuti, invece, dotati di brevi T2 sono ipointensi (grasso). La distinzione tra la sostanza bianca (relativamente ipointensa) e grigia (relativamente iperintensa) è meno netta che in T 1 (vedi tabella 1).] (diapositiva 26)

Tabella 1. Tempi di rilassamento longitudinale (T1) e trasversale (T2) ottenuti con apparecchio impiegante un magnete da 0.5 Tesla. La differenza tra sostanza bianca e grigia è molto più spiccata in T1.

Tessuti

T1

T2

Sostanza bianca

687 107

Sostanza grigia

825 110

[Le SE-T p hanno un’elevata sensibilità alle patologie; rappresentano, in 2

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genere, la seconda fase per una caratterizzazione tissutale : la maggior parte delle patologie sono iperintense. L’unico inconveniente dell’uso clinico delle SE-T2p è dato dai lunghi tempi di acquisizione.]

(diapositiva 27)

[Le

SE pesate in densità protonica (DP) ricordano, per l’ipointensità del liquor, le T1; si differenziano, tuttavia, da queste, sia per il minore contrasto sia per l’inversione del rapporto (di segnale) fra sostanza grigia e bianca. Le SE pesate in densità protonica, anche se caratterizzate da uno “scarso” contrasto tissutale, mostrano un’elevata sensibilità nello studio delle patologie della sostanza bianca (caratterizzate da un segnale più elevato).]

(diapositiva 28)

[Durante

l’esame RM, l’intero soggetto “entra” nel magnete. Questo comporta una risposta da parte di tutti gli spin del corpo e non permette, quindi, alcuna localizzazione spaziale. Se si vogliono avere informazioni unicamente da una sezione è necessario che solo gli spin di quella sezione abbiano quella frequenza. La selezione del piano avviene sovrapponendo a B0 un gradiente di campo (G); siccome i gradienti possono essere sovrapposti in ogni direzione, possiamo selezionare – senza muovere il paziente – tutti i possibili piani (assiale, sagittale e coronale). Si intende per “gradiente” la variazione lineare, lungo una data direzione e con un dato verso, dell’intensità del campo magnetico (bobine di gradiente). Immaginiamo, ad esempio, di sovrapporre a B0 un gradiente di campo, lungo l’asse z, crescente in senso caudo-craniale. Immaginiamo, in particolare, che l’intensità del campo magnetico risultante (B0 + Gz) abbia un range di variabilità con estremi 1.4 e 1.6 Tesla (piedi/cranio). Conseguentemente i nuclei di idrogeno, presenti in ciascuna sezione, avranno – lungo l’asse z – differenti frequenze di precessione (range di variabilità con estremi 60-68 MHz). Variando allora la frequenza dell’impulso di RF è possibile interagire solo con i nuclei di idrogeno di una determinata sezione. Inviando, ad esempio, impulsi RF con frequenza pari a 68 MHz si ottiene l’immagine esclusivamente della sezione più rostrale del cranio.]

[Lo

(diapositiva 29)

spessore del piano selezionato dipende da due fattori: dalla

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pendenza del gradiente – cioè dalla variazione del campo magnetico (G) per unità di lunghezza – e dall’ampiezza di banda, in altri termini dalla variazione dello spettro delle frequenze contenute nell’impulso RF di eccitazione. In particolare: lo spessore del piano selezionato è direttamente proporzionale all’ampiezza di banda e inversamente proporzionale alla pendenza del gradiente.]

(diapositiva 30)

[Definito lo strato da esaminare e il suo spessore, resta da stabilire come

individuare la posizione esatta da cui origina il segnale. Altri due gradienti permettono di determinare esattamente le coordinate spaziali del segnale: il gradiente di codifica della lettura (o di frequenza) e il gradiente di codifica della fase. Il gradiente di codifica della frequenza è applicato, lungo l’asse y, durante la raccolta degli echi: esso determina una diversa frequenza dei segnali emessi dai nuclei lungo questo asse (per esempio 65, 64 e 63 MHz).]

(diapositiva 31)

[In

fase di eccitazione, lungo l’altro asse, è applicato un gradiente temporaneo (gradiente di codifica della fase), che determina uno sfasamento nella precessione dei nuclei lungo questo asse (medesima frequenza ma diversa fase dei segnali emessi). La combinazione delle due diverse codifiche, per frequenza e per fase, identifica in maniera univoca il segnale proveniente da ciascun punto della sezione.]

(diapositiva 32)

N.B. Il gradiente di codifica di fase deve essere applicato tante volte quante sono le righe che compongono la matrice dell’immagine.

[Il segnale RM “raccolto” dalle bobine (riceventi) è, in realtà, una miscela

di differenti segnali (differenti per frequenza e fase) provenienti dai diversi “punti” costituenti il volume corporeo in esame. E’ possibile, per mezzo di un procedimento matematico detto trasformata di Fourier, analizzare l’intensità del segnale rispettivamente in funzione della frequenza e della fase. Conoscere frequenza e fase vuol dire, in altri termini, conoscere le coordinate spaziali del “punto” da cui proviene il segnale. Per ricostruire la nostra immagine è necessario, infine, assegnare a ciascun “punto” un valore ben preciso di luminosità (scala di grigi); il valore di quest’ultima è proporzionale, ovviamente, all’intensità del segnale.]

[Il

(diapositiva 33)

tempo di acquisizione complessivo di una sequenza (TA) è dato dal

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TR, dalle dimensioni della matrice (N) e dal numero di acquisizioni (Nex). Dal valore del TR dipende, come sappiamo, la “pesatura” delle immagini, dalle dimensioni della matrice la risoluzione spaziale, dal Nex – infine – il rapporto segnale/rumore. Le sequenze classiche spin-echo necessitano, mediamente, di almeno dieci minuti. Il tempo di acquisizione, nel caso ad esempio, di una classica sequenza spin-echo T2 pesata con un TR di 2 secondi, matrice standard di 256 x 256 e una singola acquisizione, è 8 minuti e 53 secondi. Spesso è molto difficile per il paziente stare sdraiato per lungo tempo. E’ evidente, quindi, la necessità di utilizzare – per migliorare il comfort del paziente – sequenze caratterizzate da brevi tempi di acquisizione (fast imaging).]

(diapositiva 34)

[Ci

sono fondamentalmente tre strategie per ridurre i tempi di acquisizione: rilevare durante lo stesso TR più sezioni (imaging multislice); ridurre il TR (sequenze GE) e adottare un algoritmo più efficiente per acquisire la matrice dei dati (sequenze TSE).]

(diapositiva

35)

[Durante gran parte dell'esame – giacché il TR è molto più lungo del TE –

nell'attesa che la magnetizzazione macroscopica recuperi la sua componente longitudinale, non si farebbe nulla. E’ allora possibile durante questo tempo “morto” – senza allungare il tempo in esame – misurare altre sezioni. Questa tecnica è chiamata multislice ed è utilizzata nella routine clinica.]

(diapositiva 36)

[Le

sequenze turbo spin-echo (TSE) o fast spin-echo (FSE) si differenziano dalle spin-echo tradizionali per il diverso modo di acquisire la matrice dei dati (indicata con il termine di spazio k). Nelle TSE è applicato un impulso RF di eccitazione a 90° seguito da un “treno” di impulsi RF di rifasamento a 180°; i numerosi echi, generati durante lo stesso TR, sono utilizzati, naturalmente, per riempire righe differenti dello spazio k. Il vantaggio di queste sequenze è, come abbiamo detto, la riduzione dei tempi di acquisizione. Perché? Acquisire una matrice di 256 x 256 significa aspettare, nel caso di una sequenza SE classica, ben 256 TR (un echo per ogni TR). Con una sequenza TSE con “fattore turbo 8” (otto echi per ogni TR) la stessa matrice è acquisita in appena 32 TR (8 linee dello spazio k ogni TR). Il tempo di acquisizione, infatti, per le TSE è dato dalla formula:

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TA = TR x N x Nex /“fattore turbo” dove il termine “fattore turbo” indica il numero di echi generati per ogni TR.]

(diapositiva 37)

[Il contrasto delle immagini ottenute con questa sequenza (FSE o TSE) è

molto simile a quello delle SE classiche. Esistono, tuttavia, differenze semeiologiche (a causa del differente schema di acquisizione) – specie in T2 – che debbono, per evitare problemi interpretativi, essere conosciute. Il grasso, ad esempio, è – a causa dell’effetto j-coupling – iperintenso nelle FSE-T2p (notate, in figura, il tessuto adiposo sottocutaneo). L’iperintensità di segnale è, sicuramente, un aspetto negativo: può, infatti, sia mascherare alcune patologie sia determinare artefatti. Nello studio dell’encefalo, ad esempio, possono aversi dei dubbi nella differenziazione tra un lipoma (o altre patologie a contenuto adiposo) e focolai emorragici sub-acuti. Il grasso e la meta-emoglobina extracellulare, infatti, sono iperintensi nelle immagini FSE T1 e T2p (mentre nelle SE classiche T2p il grasso, a differenza del sangue, ha un basso segnale). Nello studio del rachide (senile), l’iperintensità di segnale, nelle immagini FSE-T2p, del midollo osseo giallo (ad elevato contenuto adiposo) può mascherare (per la carente differenza di contrasto) tutte quelle lesioni caratterizzate da un “edema pattern”, quali le metastasi, le flogosi e i traumi. Diventa doveroso, in queste condizioni, associare, alle FSE-T2p, sequenze in grado di sopprimere il segnale del grasso quali le FSE-STIR o le FastCHESS. Un altro elemento da tenere presente è la minore sensibilità delle FSE, rispetto alle SE classiche, agli artefatti da suscettibilità magnetica. La parte del cervello (esempio in figura) ad alto contenuto di ferro (nuclei della base) è marcatamente più “scura” nella SE rispetto alla FSE. ] (diapositiva 38)

[La

sequenza Inversion Recovery (IR) è costituita da un impulso di inversione a 180° seguito, dopo un tempo TI (tempo di inversione), da un impulso di lettura a 90° (che genera un segnale FID). Nella pratica clinica il segnale letto è un eco suscitato da un ulteriore impulso a 180° (l’impulso di inversione è seguito da una normale sequenza SE o TSE).] (diapositiva 39)

[Il

tempo di inversione è il principale fattore determinante il contrasto

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delle immagini. E’ possibile, in base al TI selezionato, sopprimere il segnale proveniente da un determinato tessuto. Selezionando, ad esempio, il valore del TI coincidente con il null point del grasso (100-200 ms) si annullerà il segnale emesso da tale tessuto (nessuna magnetizzazione longitudinale da ribaltare sul piano trasversale). In rapporto al TI utilizzato e quindi al tessuto il cui segnale si vuole annullare, possiamo distinguere “diverse” sequenze IR. Le più diffuse sono le STIR (short TI IR), per la soppressione del grasso, e le FLAIR (fluid attenuated IR) per la soppressione dell’acqua.]

[La

(diapositiva 40)

STIR è, impiegata, di norma, nello studio dei distretti a contenuto

adiposo, quali le orbite

(diapositiva 41)

e la colonna vertebrale dell’adulto

(ricca di midollo giallo).]

[La FLAIR è utilizzata, solitamente, per ottenere una migliore definizione

delle lesioni localizzate in prossimità degli spazi liquorali (es. sclerosi multipla). Confrontate, ad esempio, le due immagini: TSE-T2p (a sinistra) vs FastFLAIR (a destra).]

(diapositiva 42)

N.B. La Fast-FLAIR, per motivi non conosciuti, è poco “affidabile” nello studio della fossa cranica posteriore.

[La

caratteristica fondamentale delle sequenze GE è l’assenza dell’impulso RF di rifocalizzazione (180°); è possibile, infatti, generare un’eco semplicemente inserendo due opportuni gradienti, con segno opposto, nell’asse della codifica della lettura. L’assenza dell’impulso RF a 180° permette di utilizzare, rispetto alle sequenze SE classiche, TR più brevi (20-30 ms). Poiché il tempo di acquisizione dipende anche dal TR (vedi diapositiva 34), è ovvio che le GE, rispetto alle SE classiche, consentono di ridurre drasticamente i tempi d’esame (fast imaging). L’aspetto più rilevante, dal punto di vista tecnico, è costituito dal fatto che l’iniziale impulso di eccitazione è sempre minore di 90° (angolo di deflessione o flip-angle < 90°). Con tali sequenze è possibile “pesare” le immagini – variando opportunamente i valori del TR, del TE e del flip-angle – in T 1, T2* (leggi T2 star) e DP. In particolare: •

grandi angoli di deflessione producono una maggiore “pesatura”

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in T1; •

lunghi TE una maggiore pesatura in T2*.

N.B. Il parametro T2* tiene conto sia delle disomogeneità del campo magnetico locale (interazione spin-spin) sia delle disomogeneità del campo magnetico statico.]

(diapositiva 43)

[Le

sequenze GE sono particolarmente sensibili alle disomogeneità del campo magnetico. Questa caratteristica può essere utilmente sfruttata per rilevare microquantità di sostanze paramagnetiche come, ad esempio, depositi tessutali di emosiderina, calcio e ferro (emorragie, angiomi, tumori…).]

(diapositive 44 e 45)

[L’elevata

sensibilità alle disomogeneità di campo può, in alcuni casi, costituire – per la formazione di artefatti (da suscettibilità magnetica) – un aspetto negativo (es. presenza di materiale metallico dopo intervento chirurgico).]

(diapositiva 46)

[Il

contrasto delle immagini RM dipende, come avrete sicuramente capito, da più parametri (intrinseci ed estrinseci). La possibilità di sfruttare più parametri rende la RM una metodica di imaging superiore, almeno potenzialmente, alle altre già esistenti (radiologia, ecografia, TC). E’ di competenza del T.S.R.M. variare la “tecnica” d’esame (ovvero il tipo di sequenza e/o i parametri delle sequenze) in funzione dei differenti quesiti clinici posti (parametri operatore-dipendenti).]

(diapositiva 47)

[Spiegare in modo accessibile la “fisica della RM” è un compito arduo e affascinante. Per renderlo possibile ho eliminato concetti, a mio avviso, “inutili”…l’importante, infatti, è non rendere difficile il facile attraverso l’inutile (F. Rochefocauld).]

(diapositiva 48)

Messina lì, 07 e 14 febbraio 2004 Bibliografia



“La risonanza magnetica semplice” – Traduzione italiana del volume “MRI made easy”. Autore: Prof. Dr. Hans H. Schild Lt. Oberarzt im Institut fur Klinische Strahlenkunde des Klinikums der JohannGutenberg-Universitat, Mainz. Schering AG Berlin/Bergkamen – 1990.

• “Pulse Sequences”. Autore: Alberto Saurini – Clinical Application Specialist GE Medical System. Atti del Corso: “La diagnostica per immagini in RM” – 2,3,4 maggio 2002 – Rieti. • “Quando, dove e perché si usano le sequenze in neuroradiologia”. Autori: Zarrelli N., Miscio G., Sala M., Scarabino T. Servizio di Neuroradiologia I.R.C.C.S. “Casa Sollievo della Sofferenza” San Giovanni Rotondo (FG). Atti del Corso: “La diagnostica per immagini in RM” – 2,3,4 maggio 2002 – Rieti.

18 • “RM encefalo”. Autori: Miscio G., Cisternino G., Mazza A. e Zarrelli N. Servizio di Neuroradiologia I.R.C.C.S. “Casa Sollievo della Sofferenza” San Giovanni Rotondo (FG). Atti del Corso: “La diagnostica per immagini in RM” – 2,3,4 maggio 2002 – Rieti.



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• “La tomografia a risonanza magnetica” – 349/371. In: Radiologia Elementi di tecnologia. A cura di Roberto Passariello – Idelson Gnocchi (terza edizione) – giugno 2000. • “Principi fisici della risonanza magnetica e sequenze di acquisizione” – 457/470. In: Manuale di neuroradiologia diagnostica e terapeutica. A cura di G. Scotti, S. Pieralli, C. Righi e F. Triulzi. Masson, 1998 Milano. • “Nuove tecniche di acquisizione in risonanza magnetica” – 589/592. In: Manuale di neuroradiologia diagnostica e terapeutica. A cura di G. Scotti, S. Pieralli, C. Righi e F. Triulzi. Masson, 1998 Milano. • “Il PEI della risonanza magnetica” – 141/169. Autori: T. Tartaglione, A. Carriero, R. Manfredi, A. Meduri e P. Marano. In: Diagnostica per Immagini – volume 1° A cura di P. Marano. Casa Editrice Ambrosiana, 1992 Milano. • “Anatomia per immagini integrate del neurocranio e dell’encefalo” – 171/198. Autori: C. Colosimo, C. Delli Pizzi, A. Fileni, M. Moschini e P. Marano. In: Diagnostica per Immagini – volume 1° A cura di P. Marano. Casa Editrice Ambrosiana, 1992 Milano. • “Risonanza nucleare magnetica (RNM) Principi tecnici e metodologici. Formazione e caratteri dell’immagine” – 1679/1750. Autore: P. R. Biondetti. In: Anatomia radiologica tecnica e metodologia propedeutiche alla diagnostica mediante immagini. – volume 2° A cura di F. Mazzucato. Piccin, 1997 Padova. • “La risonanza magnetica” – 170/252. Autore: Renato Nessi. In: Le basi della diagnostica per immagini. Schering SpA, 1998.



“Compendio di RM – cranio e rachide”. A cura di: G. Dal Pozzo e G. Pellicanò. Unione TipograficoEditrice Torinese, 2001 Torino. CD-ROM



“MRI of the brain and spine on CD-ROM”. Scott W. Atlas

Bibliografia Elettronica



http://www.med.harvard.edu/AANLIB/home.html - “The whole brain Atlas”. Autori: Keith A. Johnson, J. Alex Becker.



http://www.cis.rit.edu/htbooks/mri/inside.html - “Basics of MRI”. Autore: J.P.Hornak.

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