Richard P. Feynman.Sei pezzi meno facili.2004, 6ª ediz., pp. 223.isbn(9788845918704).pdf

July 10, 2017 | Author: Mario Franceschino | Category: Euclidean Vector, Kinetic Energy, Cartesian Coordinate System, Pendulum, Space
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, DELLO STESSO AUTORE:

Il piacere

di scoprire Il senso delle cose QED Sei pezzi facili

RICHARD P. FEYNMAN·.

Sei pezzi

meno

facili

Relatività einsteiniana, simmetria, spazio-tempo TRADUZIONE DI GIANNI RIGAMONTI

~ ADELPHI EDIZIONI

.IJI;

l

INDICE

TITOLO ORIGINALE:

Six Not-So-Easy Pieces

Prefazione

l. Vettori

2. La simmetria nelle. leggi fisiche

3. La teoria della relatività ristretta

C ALIFORNIA INSTITUTE

OF TECHNOLOGY

© 2004

ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO

WWW.ADELPHI.IT

ISBN

88-459-1870-X

17 47 83

4. Energia e quantità di moto relativistiche

115

6. Lo spazio curvo

169

Indice analitico

215

5. Lo spazio�tempo

© 1 963, 1 989, 1 997

11

143



,

PREFAZIONE

I capitoli di questo libro sono stati originariamente pubbli­

cati nell' opera in tre volumi Richard B. Feynman, Lectures on Physics, Addison-Wesby, Reading, Mass. , 1963-1965 [trad. it. La fisica di Feynman, 3 voli. , Zanichelli, Bologna, 2001]: vol. l, capp. 11, 52, 15, 16, 17; vol. Il, cap. 42.

Queste sono le lezioni di fisica che ho tenuto nel 1 961 e 1 962 agli studenti del primo e secondo anno del Caltech (California Institute of Tech­ nology) . Naturalmente non sono riportate paro­ la per parola: sono state rivedute, a volte in mo­ do sostanziale, a volte no. Le lezioni formano sol­ tanto una parte del corso completo. L'intero gruppo di centottanta studenti si riuniva in una grande aula due volte la settimana per ascoltare queste lezioni, e poi si divideva in piccoli gruppi di quindici o venti studenti per le esercitazioni sotto la guida di un assistente; inoltre vi era una sessione di laboratorio una volta la settimana. L' obiettivo principale che ci eravamo prefissi era conservare l'interesse degli studenti che, pieni di entusiasmo e piuttosto intelligenti, arrivano al Caltech dalle scuole superiori. Hanno sentito parlare molto di quanto siano appassionanti e in­ teressanti certi campi della fisica: ad esempio la teoria della relatività, la meccanica quantistica, e altre idee moderne. Capitava invece che al termi­ ne del corso molti di loro fossero scoraggiati, perché avevano visto ben poche idee veramente grandi, nuove e moderne. Avevano dovuto stu­ diare piani inclinati, elettrostatica e così via, e dopo due anni erano proprio avviliti. Si trattava quindi di costruire un corso in cui i più bravi e motivati non perdessero l'entusiasmo. 11

'

Queste lezioni non intendono essere in alcun modo una semplice rassegna; sono una cosa se­ ria. Pensai di prendere come punto di riferi­ mento i migliori della classe, e di far sì che nem­ meno loro riuscissero a comprendere del tutto il contenuto delle lezioni, per esempio suggeren­ do applicazioni delle idee e dei concetti in varie direzioni, al di fuori della linea principale di ra­ gionamento. Proprio per questo ho cercato di formulare ogni asserzione nel modo più accura­ to possibile, di sottolineare ogni volta come le equazioni e le idee si integrino nel corpo di co­ noscenze della fisica, e quali modifiche sarebbe­ ro intervenute una volta che si fosse imparato di più. Sentivo anche che per gli studenti è impor­ tante aver chiaro che cosa dovrebbero essere in grado di dedurre da quanto detto in precedenza (se sono abbastanza svegli) , e cosa invece viene presentato come nuovo. Quando venivano in­ trodotte nuove idee, io cercavo o di dedurle , se erano deducibili, o di spiegare che si trattava di un concetto nuovo, che non aveva alcuna base nelle cose che già avevano imparato: non era di­ mostrabile , bisognava proprio aggiungerlo . Nell'iniziare le lezioni presupponevo alcune co­ noscenze di base da parte degli studenti, cose co­ me l' ottica geometrica, semplici nozioni di chi­ mica, e così via, che si insegnano alle superiori. Inoltre non vedevo ragione di presentare il ma­ teriale in un ordine preciso, evitando di parlare di una cosa finché non avessi potuto descriverla in ogni particolare. Al contrario, c' erano conti­ nue anticipazioni di argomenti non ancora trat­ tati: una completa discussione sarebbe venuta a suo tempo, con una preparazione adeguata. L'in-· 12

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duttanza e i livelli di energia, per esempio, ven­ gono dapprima presentati a livello qualitativo, e solo in seguito diventano oggetto di uno studio approfondito. Mentre mi rivolgevo agli studenti più attivi, non volevo trascurare il povero studente per il quale i fuochi d'artificio e le applicazioni collaterali sono semplicemente inquietanti, e dal quale sarebbe vano aspettarsi che impari molto del contenuto delle lezioni. A questi studenti volevo presentare almeno un nucleo centrale o spina dorsale della materia che fossero in grado di comprendere . Magari non avrebbero capito tutto, ma potevo sperare che non si innervosissero troppo. Non mi aspettavo che capissero tutto, ma solo le caratteri­ stiche centrali e più dirette. Ci vuole, natural­ mente, una certa perspicacia da parte dello stu­ dente per capire quali sono i teoremi e le idee più importanti, e quali invece gli argomenti che si potranno comprendere solo negli anni seguenti. Nel fare lezione c ' era poi una seria difficoltà: per come era strutturato il corso, chi era in cat­ tedra non aveva modo di capire come stessero andando le cose, dal momento che gli mancava qualsiasi riscontro da parte degli studenti. Io stesso quindi non � o idea di quanto siano buo­ ne queste lezioni. E stato essenzialmente un e­ sperimento; se dovessi rifarlo ( e spero di non do­ �erlo rifare ! ) non lo rifarei allo stesso modo. Co­ munque penso, per quanto riguarda la fisica, che le cose abbiano funzionato abbastanza bene per il primo anno. Nel secondo anno non fui altrettanto soddisfatto. In particolare, nel trattare di elettricità e magne­ tismo, non sono riuscito a trovare un modo vera13

,.

,

mente unico o diverso di presentare la materia, un modo che fosse particolarmente più avvincen­ te di quello usuale. Quindi non credo di aver fat­ to un granché in questa parte. Alla fine del se­ condo anno avevo intenzione di aggiungere in coda all'elettromagnetismo un paio di lezioni, per dire qualcosa sulle proprietà dei materiali, e soprattutto per introdurre i modi fondamentali, le soluzioni dell'equazione di diffusione, i sistemi vibranti, le funzioni ortogonali, ecc ., per fare in­ somma i primi passi nei cosiddetti metodi mate­ matici della fisica. Se dovessi, oggi, rifare il corso penso che tornerei all'idea originaria; ma allora, dato che non era previsto un nuovo ciclo di lezio­ ni, sembrò una buona idea cercare di dare piut­ tosto un 'introduzione alla meccanica quantistica (che si trova nel terzo volume delle Lectures). Certo, chi si laurea in fisica può aspettare fino al terzo anno per imparare la meccanica quantisti­ ca, ma molti studenti del nostro corso - si disse sceglievano fisica solo come materia propedeuti­ ca per altre discipline ; e il modo standard di pre­ sentare la meccanica quantistica la rendeva quasi inaccessibile ai più, perché ci vuole tanto tempo per impararla. Eppure, nelle sue applicazioni rea­ li ( specialmente in quelle più complesse, per e­ sempio di ingegneria elettrica e di chimica) non viene effettivamente usato tutto il macchinario delle equazioni differenziali. Così .ho cercato di darne un 'illustrazione generale che non richie­ desse la conoscenza delle equazioni differenziali alle derivate parziali. Anche per un fisico penso sia interessante sforzarsi di presentare la mecca­ nica quantistica in ordine inverso, per ragioni che risulteranno chiare dalle lezioni stesse . Ho 14

però l' impressione che l' esperimento non sia del tutto riuscito, soprattutto per mancanza di tem­ po (avrei avuto bisogno di tre o quattro lezioni in più, per trattare con maggiore completezza argo­ menti quali le bande di energia e la dipendenza spaziale delle ampiezze) . Inoltre, essendo la pri­ ma volta, la mancanza di riscontro da parte degli studenti fu particolarmente grave. Oggi penso che la meccanica quantistica andrebbe presenta­ ta in un secondo momento ; forse avrò l' occasio­ ne di farlo di nuovo, un giorno, e allora lo farò nel modo giusto. Non ci sono, nel corso, lezioni su come risolvere i problemi, perché per questo c'erano le ore di esercitazioni. In realtà avevo svolto tre lezioni al primo anno sull'argomento, ma non sono incluse in questa raccolta. C'era anche una lezione sulla guida inerziale, certamente appropriata dopo la lezione sui sistemi rotanti, ma sfortunatamente è stata omessa. La quinta e la sesta lezione sono state tenute da Matthew Sands, poiché ero fuori città. La domanda, ovvia, è fino a che punto l'esperi­ mento sia riuscito. La mia impressione - peraltro non condivisa da quasi nessuno che abbia lavora­ to con gli studenti - è negativa. Non penso di aver fatto un buon lavoro, dal punto di vista degli stu­ denti. Se guardo come la maggioranza di loro ha affrontato le prove d'esame, devo conclude­ re che il sistema è fallito. Naturalmente qualche èollega mi fa notare che una o due decine di stu­ denti - sorprendentemente - avevano capito tut­ to in ogni lezione, avevano lavorato seriamente� affrontato le cose con entusiasmo e interesse. E presumibile che queste persone abbiano una pre­ parazione di base di prim' ordine in fisica; dopo15

·

l

..

. .

_

tutto sono proprio quelli che cercavo di raggiun­ gere. Ma ciò significa, allora, che « di rado l'inse­ gnamento è veramente efficace, tranne in quei casi felici in cui è quasi superfluo » ( Gibbons) . Eppure, non. volevo lasciare indietro del tutto nessuno, come invece, forse, è successo. Penso che per dare una mano agli studenti bisognereb­ be mettere più impegno nell'inventare problemi che chiariscano i concetti presentati a lezione. Esercizi e problemi forniscono una buona oppor­ tunità di completare l'argomento e rendere più reali, più complete, più salde nella mente le idee. A mio avviso, comunque, non c'è soluzione al problema dell'istruzione, oltre a rendersi conto che l'insegnamento migliore è quello che si rea­ lizza nel rapporto diretto tra lo studente e un buon insegnante: la situazione in cui lo studente discute le idee, riflette sulle cose, e ne parla. Non si impara molto stando seduti in un ' aula, e neppure facendo i compiti assegnati, ma di questi tempi dobbiamo istruire una tal massa di gente che è necessario trovare un'alternativa all' ideale. Forse queste lezioni daranno un contributo in tal senso; forse in qualche oasi felice, dove c'è anco­ ra un rapporto individuale tra studenti e inse­ gnanti, qualcuno ne potrà trarre ispirazione, o qualche buona idea. Forse si divertiranno a pen­ sarci su, o a proseguire nello sviluppo di qualche concetto. Giugno 1 96 3 *

*

La presente Prefazione si riferisce al complesso delle Lec­ tures on Physics.

16

l

VEITORI



l

..

'

La simmetria in fisica In questo capitolo introduciamo un argomentP che in fisica è noto, tecnicamente, come simm1 tria delle leggi fisiche. Il termine simmetria » ha qui un significato particolare, e necessita quind·· di una definizione. Quand'è che una cosa è sim metrica? Come possiamo definire questo fatto? In una figura simmetrica, un lato è, in certo qua modo, l'immagine dell' altro. Il professor Her­ mann Weyl ha dato così la seguente definizione · una cosa è simmetrica se possiamo sottoporla una certa operazione ed essa ci appare esatta­ mente come prima. Ad esempio, se osserviam1 un vaso che presenti una simmetria destra-sin. stra e lo ruotiamo di 1 80° intorno all' asse vertica­ le, esso ci sembrerà uguale a prima. In quanto st gue adotteremo la definizione più generale 01 Weyl e quando parleremo di simmetria delle ler-� gi fisiche l'intenderemo in questo senso. Supponiamo di costruire in un certo posto una macchina molto complessa, con un mucchio c'� interazioni complicate e sfere che rimbalzano L� qua e di là e forze che agiscono fra queste sfere, e così via. E supponiamo ora di costruire d qualche altra parte un'apparecchiatura dello stesso tipo, pezzo per pezzo, con le stesse d:i� mensioni e la stessa disposizione - tutto tal quale, solo traslato di una certa distanza. Poi av­ viamo le due macchine, poste inizialmente neH «

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stesse condizioni, in esatta corrispondenza. La domanda è:« Una macchina si comporterà esat­ tamente come l'altra? Compirà tutti i movimen­ ti in perfetto parallelismo?». Naturalmente la ri­ sposta può essere no, perché scegliendo il luogo sbagliato per la nostra macchina essa potrebbe, ad esempio, trovarsi dentro un muro, e in tal ca­ so l'interferenza della muratura non la farebbe funzionare . Le idee fisiche non sono concetti esclusivamente matematici o astratti, e nella loro applicazione ri­ chiedono una certa dose di buon senso. E così, quando diciamo che spostando l'intera apparec­ chiatura in una nuova posizione i fenomeni re­ stano gli stessi, bisogna intendersi: il' senso è che spostiamo tutto ciò che giudichiamo attinente al suo funzionamento; se il fenomeno cambia, ipo­ tizziamo che qualcosa di importante non sia sta­ to spostato, e cerchiamo di capire che cos'è. Se non lo troveremo, dichiareremo che le leggi del­ la fisica non hanno quella tal simmetria; e però potremmo anche trovarlo - anzi ci aspettiamo di trovarlo - se quella simmetria ce l'hanno: guar­ dandoci intorno potremmo scoprire, ad esem­ pio, che la parete preme sull' apparato. Allora la domanda fondamentale è: se definiamo accura­ tamente ogni cosa, se tutte le forze essenziali so­ no incluse nell'apparato e tutte le parti attinenti vengono spostate in un altro luogo, le leggi sa­ ranno le stesse? Il meccanismo funzionerà allo stesso modo? È chiaro che vogliamo spostare l'intero equipag­ giamento e tutte le influenze essenziali, ma non ogni cosa nell'universo - stelle, pianeti e tutto il resto - perché in tal caso ci ritroveremmo con lo 20

stesso fenomeno per la semplicissima ragione che saremmo tornati al punto di partenza. Non possiamo spostare tutto. Ma in pratica accade che, con un po' di discernimento riguardo alle cose da spostare, l'apparato funzionerà. In altre parole, se non andiamo a finire dentro un muro e se conosciamo l'origine delle forze esterne e facciamo in modo di spostare anche queste, l'ap­ parecchio si comporta allo stesso modo.

Traslazioni Limiteremo la nostra analisi alla sola meccanica, che ormai conosciamo a sufficienza. Nei capitoli precedentP abbiamo visto che le sue leggi posso­ no essere condensate in un insieme di tre equa­ zioni per ogni particella:

m (d2xjdt 2 ) = Fx m (d 2 yjdt 2 ) = Fy m (d 2 z/dt 2 ) = Fz.

(1.1)

Ciò significa che è possibile misurare x, y e z su tre assi ortogonali, e le forze lungo tali direzioni, in modo che queste leggi siano corrette. Le misure vanno effettuate a partire da una origine , ma do­ ve poniamo l 'origine? Newton, a tutta prima, direb­ be semplicemente che esiste un punto, magari il centro dell'universo, da cui possiamo prendere le nostre misure in modo da rendere vere queste leggi; ma possiamo dimostrare immediatamente l. Il riferimento è al capitolo 9 delle Lectures

[N.d.T.].

on

Physics, vol. I

21

'

,

che un simile centro non si troverà mai, perché se usassimo un'altra origine sarebbe la stessa co­ sa. Supponiamo, in altre parole, che vi siano due persone: Joe, il cui sistema di coordinate ha l' ori­ gine in un dato punto, e Moe, che ha un sistema parallelo a quello di Joe ma con un ' origine da un ' altra parte (fig. 1 ) . Ora, quando joe misura la posizione di un punto nello spazio la trova in x, y e z (ma, di norma, z verrà lasciata da parte, per non creare confusione nella figura); invece Moe, per lo stesso punto, otterrà una x diversa (per di­ stinguerla la chiameremo x' ) , e in linea di massi­ ma una diversa y, benché nel nostro esempio y e ' y siano numericamente uguali. Abbiamo così

x' = x - a, .

y'

= y, z' = z.

Fx'

=

Fx,

Fy' = Fy,

Fz' = Fz.

(1.3)

Queste sarebbero le relazioni tra le grandezze os­ servate da Moe e dajoe . Supponiamo che Joe conosca le leggi di New­ ton . La domanda è: se Moe cercasse di scrivere queste leggi, esse sarebbero giuste anche per lui? Fa differenza da quale origine si misurano le coordinate dei punti? In altre parole, suppo22

!Y'

Joe

IMoe

x .

1.. Fig. l

x

.j

'

x

Due sistemi di coordinate paralleli.

n

endo che valgano le equazioni ( 1 . 1 ) e chè le equazioni ( 1 . 2 ) e ( 1 . 3 ) diano la relazione tra le misure , è vero o no che

(a) m (d2 x' /dt 2 ) = Fx' (b) m (d 2 y' jdt 2 ) = Fy' (c) m(d 2 z' jdt2 ) = Fz'?

( 1 .2)

A questo punto, per completare la nostra analisi dobbiamo sapere quali valori otterrebbe Moe per le forze. Si suppone che una forza agisca lungo una certa linea; per forza nella direzione x inten­ diamo quella parte della forza totale che ha quel­ la direzione, ossia l'intensità della forza perii co­ seno dell'angolo che essa forma con l'asse x. Ve­ diamo ora che Moe e Joe utilizzerebbero en­ trambi la stessa proiezione; avremo quindi l' in­ sieme di equazioni

y

( 1 .4)

Per rispondere a tale domanda dobbiamo deriva­ re due volte rispetto al tempo le relazioni ( 1 . 2). Si ha innanzitutto

dx da dx' d - =-(x - a) = - - - . dt dt dt dt

Supponiamo adesso che l'origine di Moe sia im­ mobile nel riferimento di Joe; dunque a è co­ stante e da/dt = O, e quindi

dx' jdt = dxjdt

e

di conseguenza

d 2 x' jdt 2 = d2 xjdt 2 ; e l'equazione ( 1.4a) diventa

m (d2 xjdt2 )

= Fx'.

23

J

(Si suppone che anche le masse misurate dajoe e da Moe siano uguali) . Il prodotto della massa per l' accelerazione è dunque lo stesso in entram­ bi i sistemi. Abbiamo pure ricavato l' espressione diFx', perché sostituendo dalla ( 1 . 1 ) si ha Fx' = Fx.

Viste da Moe, le leggi sono dunque le stesse; egli può scrivere le leggi di N ewton in un diverso si­ stema di coordinate, ed esse risulteranno ancora corrette. Ciò significa che non c ' è un unico mo­ do · di definire l' origine dell'universo , perché le leggi appariranno le stesse, da qualunque posizio'" J?e vengano osservate. E vera anche un ' altra cosa: se in un dato luogo vi è un ' apparecchiatura con congegni di un cer­ to tipo, la stessa apparecchiatura si comporterà allo stesso modo anche da un ' altra parte . Come mai? Perché la prima macchina, quando è esa­ minata da Moe, ha esattamente le stesse equa­ zioni di quell' altra, analizzata dajoe; e poiché le equazioni sono le stesse, appaiono uguali anche i fenomeni. Dunque dimostrare che un ' apparec­ chiatura, in una nuova posizione , si comporta come prima equivale a dimostrare che in una traslazione di assi le equazioni rimangono le stesse . Diremo quindi che le leggi della fisica sono simmetriche rispetto alle traslazioni - nel senso che non variano in seguito a traslazioni del sistema di coordinate. Intuitivamen te sembra una cosa owia, ma sarà interessante e divertente esamina­ re la matematica che c'è sotto.

24

Rotazioni Quella che abbiamo appena visto è la prima di una serie di proposizioni, sempre più complica­ te, riguardo alla simmetria delle leggi fisiche . La seconda richiede che le leggi siano indipenden­ ti dalla direzione degli assi. In altre parole, se in un certo luogo costruiamo un macchinario e ne osserviamo il funzionamento, e lì vicino ne co­ struiamo uno identico ma lo disponiamo ad an­ golo col primo, funzionerà allo stesso modo? Se si tratta di un orologio a pendolo, no di sicuro ! Se è in posizione verticale un orologio a pendo"'" lo funziona regolarmente , ma se viene inclinato il pendolo cade sul lato della cassa e tutto finisce lì . Per l' orologio a pendolo, quindi, il teorema è falso, a meno di tener conto anche della Terra e della sua attrazione. Pertanto, se crediamo che le leggi fisiche siano invarianti per rotazione, possiamo prevedere che nel funzionamento de­ gli orologi a pendolo entri in gioco qualche al­ tra cosa oltre al meccanismo interno, qualcosa di esterno, che dobbiamo trovare. Possiamo an­ che prevedere che due orologi a pendolo non funzioneranno allo stesso modo quando, relati­ vamente a questa misteriosa fonte di asimmetria (la Terra? ) , si trovano in posizioni diverse . Sap­ piamo ad esempio che su un satellite artificiale , in assenza di gravità, un pendolo non potrebbe oscillare e su Marte avrebbe un ritmo diverso . Gli orologi a pendolo, quindi, implicano che vi sia qualcosa in più oltre al meccanismo interno, qualcosa che sta fuori; e una volta individuato questo fattore, scopriamo che occorre ruotare la Terra i nsieme a tutto l' apparato. Niente paura, è 25

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molto semplice: basta aspettare un po ' finché la Terra sia ruotata, e il pendolo, nella nuova posi­ zione, ricomincerà a ticchettare come prima. Mentre noi ruotiamo nello spazio , i nostri ango­ li, in un riferimento assoluto , cambiano conti­ nuamente , ma la cosa non ci preoccupa molto, perché nella nuova posizione ci sembra di essere nelle condizioni di prima. Tutto- ciò rischia di creare confusione, perché è vero che nella nuo­ va posizione ruotata le leggi sono ancora quelle di prima, ma non è vero che durante una rota­ zione valgono le stesse leggi. Con esperimenti abbastanza raffinati è possibile stabilire che la Terra sta ruotando, ma non che è ruotata ; in altre parole, non possiamo individuare la sua posizio­ ne angolare, però possiamo dire che essa sta cambiando . E adesso possiamo discutere gli effetti dell' orien­ tamento angolare sulle leggi fisiche . Cerchere­ mo di capire se il nostro gioco con Joe e Moe funziona ancora, ma questa volta, per evitare complicazioni inutili, supporremo che i due usi­ no la stessa origine (abbiamo già mostrato che è possibile spostare gli assi in un altro punto con una traslazione) . Supponiamo che gli assi di Moe siano ruotati di un angolo e rispetto a quelli di Joe; i due s�stemi di coordinate sono rappresen­ tati nella figura 2, limitatamente a due dimensio­ ni. Consideriamo un punto P avente coordinate ( x, y) nel sistema di Joe e coordinate ( x' , y ' ) in quello di Moe; come nel caso precedente, co­ minciamo con l ' esprimere le coordinate x ' e y' per mezzo di x e y. A tale scopo, abbassiamo dap­ prima da P le perpendicolari a tutti e quattro gli assi e tracciamo AB, perpendicolare a PQ. Dalla 26

( Moe)

o

(Joe) x

....

Fig. 2 Due sistemi di coordinate ruotati l'uno rispetto all'altro.

figura si vede che x ' può essere scritta come som­ ma di due lunghezze lungo l ' asse x ' , e y ' come differenza di due lunghezze lungo AB. Tutte que­ ste lunghezze sono espresse per mezzo di x, y e e nelle equazioni seguenti (ove si è aggiunta un' e­ quazione per la terza dimensione) : ' x = x cose + y sinO ' y = y co s e - x sin e l z = z.

(1 .5)

Il passo successivo consiste nell' analizzare l a rela­ zione tra le forze osservate da J oe e da Moe usan­ do lo stesso metodo generale di prima. Suppo­ niamo che una forza F, che ha componenti (dal punto di vista dijoe) Fx e Fy , agisca su una parti­ cella di massa m, posta nel punto P della figura 2; spostiamo per semplicità i due sistemi di assi in modo che entrambi abbiano origine in P, come nella figura 3 . Moe vede le componenti di F lun­ go i propri assi come Fx' e Fy' · Fx ha componenti tanto lungo l' asse x ' quanto lungo l' asse y ' , e lo stesso si può dire di Fy . Per esprimere Fx' me27



,�'-.,_

0'�,

Fig.

3

m (d2x ' jdt 2 )

x

Fx

Componenti di una forza nei due sistemi.

dian te Fx e Fy sommiamo le componenti di Fx e Fy lungo l' asse x ' ; in modo analogo possiamo espri.,. mere Fy' in termini di Fx e Fy. Il risultato è Fx' = Fxcose + Fy sin e Fy' Fz'

=

=

Fy

cose

Fz.

- Fx i n

s e

( 1 .6)

È interessante osservare come, casualmente, ci siamo imbattuti in un risultato di estrema impor­ tanza: le formule ( 1 . 5 ) e ( 1 .6) , che danno rispet­ tivamente le coordinate di P e le componenti di F, hanno la stessa forma. Come prima, supporremo che le leggi di New­ ton siano vere nel sistema dijoe e siano espresse dalle ( 1 . 1 ); la domanda, di nuovo, è se per Moe sia lecito applicarle: nel suo sistema di assi ruo­ tati, i risultati saranno corretti? In altri termini, supponendo che la relazione tra le misure sia data dalle ( 1 . 5 ) e ( 1 .6) , è vero o no che ·

m(d 2 x ' jdt 2 ) = Fx' m (d2 y' jdt 2 ) Fy' m (d 2z' jdt 2 ) = Fz?' =

28

Per verificare se le ( 1 .7) siano corrette, calcolia­ mo separatamente il primo e il secondo membro e confrontiamo i risultati. Per calcolare i primi membri, moltiplichiamo le ( 1 .5 ) per m e derivia­ mo due volte rispetto al tempo, supponendo e costante. Otteniamo così

( 1 . 7)

=

m (d 2 x jdt 2 ) cose + + m (d 2 y jdt 2 ) sine m(d2 y' jdt 2 ) = m(d 2 y jdt 2 ) cose -m (d 2 xjdt 2 ) sine m (d2 z' jdt 2) = m (d2zjdt 2 ) .

(1 .8)

Calcoliamo ora i secondi membri delle equazioni ( 1 . 7 ) , sostituendo nelle ( 1 . 6 ) le espressioni ( 1 . 1 ); otteniamo Fx' m (d 2 xjdt 2 ) cose+ m (d 2 yjdt 2 ) sine Fy' = m (d 2 y jdt 2 ) cose - m (d 2 xjdt 2 ) sine Fz' = m (d 2z jdt 2 ) . =

( 1 .9)

Mirate ! I secondi membri delle equazioni ( 1 . 8 ) e ( 1 .g) sono identici, e quindi se ne conclude che, se le leggi di Newton sono corrette per un certo sistema di assi, allora valgono pure per ogni altro sistema. Questo risultato, ormai stabilito tanto per la traslazione quanto per la rotazione degli assi, ha talune implicazioni: primo, nessuno può affermare che i suoi particolari assi siano unici anche se, naturalmente, essi potranno essere più convenienti per determinati problemi (per esem.,. pio è comodo che un asse abbia la stessa direzio­ ne della gravità). Secondo, comunque venga ruotata, un ' apparecchiatura che sia completa­ mente autosufficiente - nel senso che ogni fonte 29

,.

.

di energia è al suo interno - funzionerà allo stes­ so modo.

Vettori Oggi sappia mo che non soltanto le leggi di New­ ton, ma anche le altre leggi della fisica godon o delle propri età di invarianza (o simme tria) per la traslaz ione e per la rotazio ne degli assi. Queste propri età sono talmen te importanti che è stata inventata una tecnica matem atica per poterle sfruttare adeguatame nte nella formulazione e nell' applicazione delle leggi medesime. L' analisi preced ente ha richiesto calcoli alquanto tediosi . Esiste tuttavia un meccanismo matem ati­ co molto potente, detto analisi vettoriale, che con­ sente di trattare simili questioni riduce ndo al mi­ nimo i dettagli. Con i metod i visti finora saremmo sicuram ente in grado di compi ere tutti i passi del­ le varie dimostrazioni, ma in pratica vorremmo procedere più facilm ente e speditamente ; e quin­ di usiamo i vettori . Abbiam o notato all'iniz io alcune caratte ristich e di due classi di grande zze che sono impor tanti in fisica. ( In realtà ce ne sono di più, ma partire mo da queste ) . Da un lato vi sono le grande zze - si pensi al · numero di patate in un sacco - denom i­ nate scalari, ovvero grande zze ordinarie, prive di direzio ne. Un esemp io è la tempe ratura. Dall'al­ tro le grande zze, anch 'esse molto importanti, che hanno invece una direzio ne; ad esemp io la veloci tà: dobbi amo sapere da che parte un corpo si muove , non solo quanto è rapido . La quantità 30

di moto (o momento ) e la forza hanno anch'es­ se una direzione, e così pure lo spostamento quando qualcuno si sposta da un luogo a un al­ tro, per sapere dove è andato dobbiamo specifi­ care direzione e verso, non soltanto la distanza percorsa. Chiamiamo vettori tutte le grandezze che - come uno spostamento nello spazio - hanno una dire­ ziOne. Un vettore consiste in una terna di numeri. Per rappresentare uno spostamento nello spazio diciamo dall' origine a un punto P in posizione (x, y, z) - abbiamo bisogno in effetti di tre nume­ ri, ma a questo punto inventiamo un unico sim­ bolo matematico, r, diverso da quelli usati fino­ ra; 1 non è un singolo numero, ma rappresenta tre numeri: x, y e z. Anzi, non rappresenta solo quei tre, perché in un diverso sistema di coordinate x, ' ' y e z si muterebbero in x ' , y e z . Noi però voglia­ mo una matematica semplice, e pertanto scrive­ remo semplicemente r, convenendo che il sim­ bolo indichi ( x, y, z) se utilizziamo un certo siste­ ' ma di assi, ( x' , y , z' ) se ne utilizziamo un altro, e così via. Il vantaggio è che, cambiando il sistema di coordinate, non dobbiamo cambiare le lettere nelle equazioni. Altrimenti, se scrivessimo un ' e­ quazione in x, y, z, e poi passassimo a un altro si­ stema di coordinate, dovremmo usare lettere di­ verse. I tre numeri che descrivono lo spostamen­ to dall' origine in un dato sistema di coordinate sono le componenti del vettore nelle direzioni de­ gli assi di quel sistema. Usiamo cioè lo stesso siml. Nella forma manoscritta i vettori vengono abitualmente indicati con una freccia: r.

31

,

bolo per le tre lettere, a ciascuna delle quali cor­ risponde lo stesso oggetto visto da un ' angolazio­ ne diversa. Il fatto stesso di poter dire « lo stes­ so oggetto» implica un 'intuizione fisica circa la realtà di uno spostamento nello spazio, che è in­ dipendente dalle componenti per mezzo delle quali lo misuriamo. Dunque il simbolo r rappre­ senterà sempre la stessa cosa, comunque ruotia­ mo gli assi. Supponiamo ora che vi sia un ' altra grandezza fisica dotata di direzione, ad esempio la forza, al­ la quale pure siano associati tre numeri, e che questi numeri, in un mutamento di assi, si tra­ sformino secondo una certa regola matematica in altri tre. La regola dev' essere la stessa che mu­ ' ta ( x, y, z) in ( x', y , z ' ) . In altre parole, qualsiasi grandezza fisica associata a tre numeri che si tra­ sformano come le componenti di uno sposta­ mento nello spazio è un vettore. Pertanto, se un ' equazione come F=r

è vera in un sistema di coordinate, lo sarà in qua­ lunque altro. Naturalmente F = r sta per le tre

equazioni scalari Fx =

x

,

Fy = y,

o, in alternativa, per Fx' =

x

'

,

Fy'

=

' y ,

F=

l

kr,

dove k è una costante, è perfettamente legittima. Così possiamo sempre rappresentare le forze mediante segmenti rettilinei, il che è molto co­ modo, perché una volta tracciato il segmento non abbiamo più bisogno degli assi. Natural­ mente, possiamo calcolare rapidamente le tre componenti, quando cambiano al ruotare degli assi: è solo un problema di geometria.

Fz = z , Fz'

=

' z .

Il fatto che una relazione fisica si possa esprime­ re come equazione vettoriale ci garantisce che una semplice rotazione del sistema di coordinate lascerà invariata quella relazione. Ecco perché i vettori sono così utili in fisica. 32

Ora esamineremo alcune loro proprietà. Com:e esempi di vettori possiamo citare la velocità, la quantità di moto, la forza e l'accelerazione; spes­ so conviene rappresentare una grandezza vetto­ riale per mezzo di una freccia che indica la dire­ zione in cui agisce. Perché possiamo rappresenta­ re con una freccia una forza, ad esempio? Perché è soggetta alle stesse trasformazioni matemati­ che di uno « spostamento nello spazio». Possiamo quindi rappresentarla in un diagramma come uno spostamento, usando una scala in cui un 'u­ nità di forza, vale a dire un newton, corrisponda a una certa lunghezza. Una volta fatto questo, tutte le forze potranno essere rappresentate come lun­ ghezze, dato che un ' equazione del tipo

Algebra vettoriale Dobbiamo ora descrivere le leggi, owero le rego­ le, per combinare i vettori in varie maniere . La prima di queste combinazioni è la somma di due vettori: supponiamo che a sia un vettore e in qualche particolare sistema di coordinate abbia 33

.,..

,

le componenti (ax, a,, az), e che b sia un altro vettore e in quello stesso sistema abbia le compo­ nenti (bx, by , hz). Introduciamo tre nuovi numeri: (ax + bx, ay + by , az + hz). Formano un vettore? Qualcuno dirà: « Be ' , sono tre numeri e ogni ter­ na di numeri è un vettore». E invece no, non tut­ te le terne ! Per avere un vettore, non solo devono esservi tre numeri, ma la tema deve essere asso­ ciata a un sistema di coordinate in modo tale che, in una rotazione di assi, i numeri si trasfor­ mino gli uni negli altri, si « mescolino » tra loro secondo quelle leggi precise che abbiamo de­ scritto. Perciò la domanda è: se ruotiamo il siste­ ma di coordinate, così che (ax, ay , az) si mutino in (ax•, ay ' ' az' ), e (bx, by , hz) in (bx' ' by ' ' hz'), come si trasformano (ax + bx, ay + by , az + hz)? Diventa­ no (ax' + bx' ' ay ' + by •, az' + hz' ) oppure no? La ri­ sposta naturalmente è sì, perché le trasformazio­ ni-prototipo, quelle delle equazioni ( 1 . 5), costi­ tuiscono quella che va sotto il nome di trasfor­ mazione li1{teare: se le applichiamo ad ax e bx rica­ vandone ax' + bx' ' vediamo che realmente la tra­ sformata della somma ax + bx è uguale alla som­ ma delle trasformate a x' + bx' . Quando i vettori a e b vengono così « sommati», formano un nuovo vettore che chiameremo c. Esprimiamo questo fatto scrivendo

c= a + b. Ma c, come si vede immediatamente dalle sue componenti, ha l'interessante proprietà che

c_;_b + a. Inoltre vale anche

a + (b + c)= (a + b) + c, 34

y

"é"':

.,x

l

Fig. 4

Somma di vettori.

per cui possiamo sommare i vettori. in qualsiasi ordine . Ma qual è il signifi cato geome trico di a + b? Im­ maginando che a e b siano rappre sentati da linee tracciate su un foglio di carta, che aspetto avrà c? Ce lo mostra la figura 4, dove si vede che la ma­ niera più conven iente di sommare le componenti di b a quelle di a consiste nel collocare il rettan­ golo che rappresenta le prime di seguito a quello che rappre senta le seconde nel modo indicato. Poiché b « entra» esattamente nel proprio rettan­ golo, come fa a con il suo, ciò equivale a sovrap­ porre là « coda» di b alla « punta» di a, e a quel punto la freccia che va dalla « coda» di a alla « punta» di b sarà il vettore c. Ovviamente, se sommassimo a ab nell'ordine opposto metterem- m o la « coda» di a sulla « punta» di b e per c ot­ terremmo, grazie alle propri età geometriche dei parallelogrammi, lo stesso risultato. Si noti che in tal modo possiamo sommare i vettòri senza mai ti­ rare in ballo gli assi di un sistema di coordinate . Suppo niamo ora di moltip licare un vettore a per un numero (uno scalare) a.: che cosa signifi ca dò? Per definizione, conven iamo che sia un nuovo ·

··

35

l

ilr

Fig. 5

...

36

r2- r1

o

Differenza di vettori.

vettore, di componenti aax, aay e aaz. La dimo­ strazione che si tratta effettivamente di un vetto­ re è lasciata al lettore come esercizio. Passiamo ora alla sottrazione di vettori: la possia­ mo definire allo stesso modo della somma, solo che ora, invece di sommare le componenti, le sottraiamo. Ma potremmo anche definire la sot­ trazione introducendo un vettore.negativo -h = -' lb e sommando le componenti: il risultato è lo stesso, ed è quello che vediamo nella figura 5 , la quale mostra appunto che d = a- h = a+ (- b) . · Notiamo fra l' altro che la differenza a- h si rica­ va facilmente da a e h usando la relazione e qui­ valente a = h+ d. E ancora più facile da trovare della somma, perché per attenerla basta traccia­ re il vettore da h ad a ! E parliamo finalmente della velocità. Perché è un vettore? E se la posizione è data dalle tre coor­ dinate ( x, y, z) , la velocità che cos'è? Sappiamo che è data da dx/dt, dy/dt e dz/dt, ma questa terna è dawero un vettore? Possiamo scoprirlo deri­ vando le espressioni delle equazioni ( 1 . 5 ) per stabilire se dx' /dt si trasforma in modo appropria­ to. Trovi amo che le componenti dx/dt e dy/dt si trasformano effettivam ente secondo le stesse leg­ gi che valgono per x e y, e dunque la derivata ri-

=

Fig. 6 Spostamento di una particella in un piccolo inter­ vallo temporale !1t t2 - t1• =

l

spetto al tempo è un vettore. La velocità, quindi, è un vettore. Possiamo esprimerla in una forma interessan te come

v = drjdt . È anche possibile spiegare che cos'è la velocità, e

(l '

perché è un vettore, in forma più pittorica. Di quanto si sposta una particella in un tempuscolo 11.t? Risposta: se in un certo istante è « qui» e in un altro « là», la differenza tra i vettori di posizione 11.r = r 2 - r1, che è nella direzione del moto, come mostra la figura 6 , divisa per l'intervallo tempora­ le 11.t = t - tl' sarà il vettore « velocità media». 2 In altre parole, per vettore velocità intendiamo il limite, per 11.t tendente a O, della differenza tra i raggi vettori al tempo t + 11.t e al tempo t divisa per 11.t:

v=

l

li m

Llt--+ 0

(�r/ �t) = drjdt .

( 1 . 1 0)

Essendo la differenza di due vettori la velocità è quindi un vettore; e la definizione ( 1 . 1 o) è cor­ retta perché le sue componenti sono dx/dt, dy/dt 37

J

·•

e dz/dt. Questa discussione mostra in effe tt� che derivando un qualsiasi vettore rispetto al tempo si ottiene un nuovo vettore. Vi sono così diversi modi di produrre vettori da vettori: l) moltipli­ cazione per una costante, 2) derivazione rispetto al tempo, 3) somma o differenza di vettori.

Le leggi di Newton in notazione vettoriale Per scrivere le leggi di Newton in forma vettoria­ le ci resta da fare un solo passo: definire il vetto­ re accelerazione, cioè la derivata rispetto al tem­ po del vettore velocità. Si dimostra facilmente che le sue componenti sono le derivate seconde di x, y e z rispetto a t :

( d ) ( dr ) d 2 r = dt dt = dt2 ' dvx d 2 x x - dt - dt 2 dvy d 2 y dt - dt 2 d2 z -dt - -dt2• =

a a

a

a

dv dt

-

-

-

--

Y-

-

z-

dv2

( 1.11 )

(1. 1 2 )

-

Con questa definizione, le leggi di Newton pos­ sono essere scritte così:

ma = F oppure 38

m(d 2rjdt 2 )

( 1. 1 3 )

=F

.

( 1 . 1 4)

/l.V

Fig. 7

Traiettoria curvilinea.

Ora, il problema di dimo strare l'invarianza di ques te leggi rispe tto alla rotazione consiste nel dimo strare che a è un vettore - e l' abbiamo ap­ pena fatto - e che F è un vetto re, e noi per ipote­ si supponiamo che lo sia. Se la forza è un vettore , poic hé sappiamo che anche l 'acce lerazione lo è , la ( 1 . 1 3 ) avrà l a stess a forma i n ogni sistem a di coordinate. Il fatto di non contener e espli cita­ mente tutte le x, y e z ci dà il vantaggio di non do­ ver più scrivere , d' ora in poi, tre formule ogni vol­ ta che citiam o le equazioni di Newton o altre leg­ gi fisich e. Quel la che scriviamo sembra una sola legge , ma in realtà si tratta di tre leggi per ogni particolare sistema di assi, perché un' equazione vettoriale implica che l 'uguaglianza vale per cia­ scun a delle compone nti. Il fatto che l'acc elerazion e sia la rapid ità di varia­ zion e del vettore veloc ità ci aiuta a calco larla an­ che in condizion i alquanto intric ate. Supp onia­ mo ad esem pio che una parti cella si muova lun­ go una traie ttoria (fig. 7) e che, a un dato istan te t1 , abbi a una certa veloc ità vl' ma in un istante t 2 di poco posteriore abbia una velocità diversa v2 . Che cos ' è l' accel erazi one? Rispo sta: l'acc elera39

'

di tempo .dt, l' angolo tra vi e v2 varierà di un pic­ colo angolo .de. Detto v il modulo della velocità, avremo naturalmente

D.v..l = vD.e Fig. 8

Diagramma per il calcolo dell'accelerazione.

zione è la differenza tra le due velocità divisa per questo piccolo intervallo di tempo ; ma come tro­ varla? Per sottrarre i due vettori tracciamo il vet­ tore che unisce le estremità di vi e v2; quindi la differenza delle velocità è .dv , giusto? Niente affat­ to! La cosa funziona solo quando i vettori hanno origine nello stesso punto. Non ha senso spostar­ ne uno e poi tracciare la congiungente tra le due estremità. Quindi occhio ! Per sottrarre i vettori dobbiamo disegnare un diagramma come quello della figura 8, dove vi e v2 sono entrambi uguali e paralleli (equipollenti) ai corrispondenti vetto­ ri della figura 7 ; a questo punto possiamo discu­ tere l' accelerazio�e, la quale, ovviamente, altro non è che .dvl .d t. E interessante notare che la dif­ ferenza di velocità si può pensare come compo­ sta di due parti; possiamo pensare che l' accelera­ zione abbia due componenti, .dv11, diretto tangen­ zialmente alla traiettoria, e .dv1., perpendicolare ad essa, come indicato nella figura 8. Ovviamen­ te l'accelerazione tangenziale è solo la variazione della lunghezza del vettore, ossia la variazione del modulo v della velocità: a11

= dvldt .

a

..l = v (D.elD.t) .

A questo punto ci serve conoscere .de /.dt , e pos­ siamo trovarlo così : in un tempo .dt, la distanza s percorsa sulla curva è, ovviamente, v.dt; se all'i­ stante dato la curva coincide approssimativamen­ te con una circonferenza di raggio R, allora

. D. = v (D.t l R),

ossia

D. elD.t = vl R .

Otteniamo perciò, come abbiamo già visto,

a= v 2 1 R .

( 1 . 1 6)

Prodotto scalare di vettori Approfondiamo un poco le proprietà dei vettori. È facile vedere che la lunghezza di uno sposta­ mento nello spazio sarebbe la stessa in tutti i si­ stemi di coordinate; vale a dire, se un determina­ to spostamento r è rappresentato da x, y, z in un ' sistema e da x' , y , z' in un altro, la distanza r = lrl sarà sicuramente la stessa in entrambi. Ora,

( 1 . 1 5)

L'altra componente dell 'accelerazione, quella perpendicolare alla curva, è facilmente calcola­ bile mediante le figure 7 e 8. Nel breve intervallo 40

e l' accelerazione sarà

=

Jx 2 + y2 + z 2

=

Jx'2 + y'2 + z' 2 .

r

e

' r

41

..

J

l

Si tratta quindi di yerificare se queste due quan­ tità siano uguali. E molto più comodo non do­ versi preoccupare di estrarre la radice quadrata; consideriamo quindi il quadrato della distanza, e verifichiamo se

x 2 + Y2 + z2 = x'2 + y'2 + z'2 .

(ax + hx ) 2 + (ay + by ) 2 + (a z + hz ) 2 = ( 1 .20) (ax ' + hx ' ) 2 + ( ay' + by' ) 2 + (az' + hz' ) 2 .

( 1 . 1 7)

C'è da sperare che sia vero - e facendo le sostitu­ zioni ( 1 .5) scopriamo che in effetti è così. Vedia­ mo quindi che vi sono altri tipi uguaglianze che sono vere per qualunque coppia di sistemi di coordin ate. Qui entra in gioco qualcosa di nuovo. Siamo in grado di ricavare una nuova grandezz a, una funzione in x, y e z detta funzione scalare, che non ha direzion e ma è la stessa in entrambi i si­ stemi. Da un vettore possiamo ottenere uno scala­ re: dobbiamo trovare per questo una regola ge­ nerale. In questo caso è chiaro quale sia la regola: sommare i quadrati delle compon enti. Introdu­ ciamo ora una nuova cosa che indichiamo con a·a. Non si tratta di un vettore, ma di uno scalare, un numero definito come somma dei quadrati delle tre compon enti del vettore considerato: a· a

=

a; + a; + a; .

a· b

= ax hx + ayby + azhz ,

(L l g)

scopriamo che anche questa quantità, sia che la calcoliamo nel sistema accentato che in quel-

42

Sviluppando ambo i membri dell' equazion e tro­ viamo prodotti misti del tipo di quelli della ( 1 . 1 g), oltre alle somme dei quadrati delle com­ ponenti di a e h; e l'invarian za dei termini del ti­ po ( 1 . 1 8) fa sì che siano invarian ti anche i pro­ dotti incrociati (i . 1 g) . L' espressione a· h è detta prodotto scalare dei vet­ tori a e h e ha varie proprietà interessanti. Si di­ mostra facilmente, ad esempio, che a· (b + c)

( 1 . 1 8)

Ora direte: « Con quali assi?». Ebbene, la risposta è che tale numero non dipende dal sistema di as­ si. Abbiamo dunque una quantità di nuovo tipo, un invariante scalare, prodotto da un vettore « al quadrato». Se ora definiamo, per ogni coppia di vettori a e h,

lo non accentato , resta la stessa. Per dimostrar­ lo osserviamo che ciò vale per a· a, h ·h e c· c, do­ ve c = a + b. Pertanto la somma di quadrati ( ax + hx)2 + (ay+ by )2 +(az+ bz)2 sarà invari ante ,

'!,

l

!

= a · b +a· c .

( 1 .2 1 )

Vi è inoltre una semplice regola geometric a per calcolare a·h senza passare per il calcolo delle compone nti: a· h è uguale al modulo di a per il modulo di h per il coseno dell' angolo fra essi com­ preso. E perché? Supponiamo di scegliere uno speciale sistema di coordinate in cui a giaccia lun­ go l' asse delle x: in tal caso l'unica componen te ef­ fettiva di a sarà ax, che è ovviamente l'intera lun­ ghezza di a. In questo caso, quindi, l' equazione ( 1. 1 9) si ridurrà a a·h = axhx, cioè ad a per la com­ ponente di h nella direzione di a, che è b cose: a· b =

ab cose.

Abbiamo così dimostrato che per questo speciale sistema di coordinate a·h è la lunghezza di a per la lunghezza di h per cos e. Ma se questo è vero in un sistema di coordinate è vero in tutti, perché a·h è 43

,

indipendente dal sistema di coordinate; fine del­ la dimostrazione. Qual è l'utilità del prodotto scalare? Vi sono casi in fisica in cui è necessario? Certo, ve n ' è una continua necessità. Abbiamo detto, ad esempio, 1 che l' energia cinetica è l/2 mv 2 , ma se un corpo si muove nello spazio il quadrato della velocità do­ vrebbe essere la somma dei quadrati delle velo­ cità nelle direzioni x, y e z ; quindi la formula del­ l'energia cinetica diventa, in base all ' analisi vet­ toriale, l l 2 2 2 E . C . = m (v · v) = m (vx + v y + vz ) . ( 1 . 22 ) 2 2 L' energia non ha direzione; ce l'ha invece la quantità di moto, un vettore uguale alla massa per il vettore velocità. Un altro esempio di prodotto scalare è il lavoro compiuto da una forza quando un oggetto viene spostato da un punto a un altro. Ancora non ab­ biamo definito il lavoro; ma esso equivale alla va­ riazione di energia - si pensi al sollevamento di un peso - che ha luogo quando una forza F agi­ sce per una certa distanza: Lavoro = F · s .

( 1 . 23)

Talvolta è molto conveniente parlare della com­ ponente di un vettore in una certa direzione (ad . esempio nella direzione verticale, che è quella della gravità). Per questi scopi è utile introdurre un vettore unitario, o versare, nella direzione che vogliamo studiare. Per vettore unitario intendia­ mo un vettore che moltiplicato scalarmente per l. Il riferimento è al capitolo 4 delle Lectures on Physics, vol. l.

44

se stesso è uguale a uno. Se i è un tale vettore, si ha i · i = l . Se a questo punto facciamo il prodotto scalare a · i, otteniamo a cos e, che è proprio la componen te di a nella direZione di i. E un mo:.. do interessan te per ricavare la componen te, anzi ci permette di attenerle tutte e di scrivere una formula abbastanza divertente . Dato un sistema di coordinate cartesiane x, y, z, introducia mo ora . i vettori unitari i, j , k corrispond enti alle direzio­ ni x, y, z. Naturalme nte i · i = l , e lo stesso vale per j e k; ma che cos'è, ad esempio, i · k? Nel caso di due vettori perpendi colari il prodotto scalare è zero, e quindi o

o

1·1= l i ·j = O i·k=O

j ·j = l j·k=O

( 1 .24) k·k= l

Con queste definizion i qualsiasi vettore può esse­ re scritto nella forma a = ax i + a yj + a z k .

( 1 .25)

In tal modo possiamo passare dalle compone nti di un vettore al vettore stesso . Questa discussion e sui vettori è tutt' altro che completa . Prima però di tentare di colmare le nostre lacune, imparere mo ad applicare alcune delle idee esaminate finora a problemi fisici con­ creti. Quando saremo sufficientemente padroni delle nozioni di base ci sarà più facile approfon ­ dire l' argomento senza fare troppa confusion e; in seguito scoprirem o che è utile definire anche un altro tipo di prodotto tra vettori, chiamato prodotto esterno o vettoriale, scritto come a x b. Ma di questo si parlerà in un capitolo successivo . 45

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Operazioni di simmetria L' oggetto di questo capitolo è ciò che potremmo chiamare simmetria nelle leggi fisiche. Ne abbiamo già esaminate alcune proprietà con riferimento all' analisi vettoriale ( cap. l ) , alla teoria della re­ latività ( si veda oltre, cap. 4) e alla rotazione ( cap. 20 delle Lectures on Physics, vol. I ) . Perché dovremmo interessarci alla simmetria? Innanzitutto perché la mente umana la trova af­ fascinante: a tutti piacciono gli oggetti e i motivi che in qualche modo sono simmetrici. Ed è inte­ ressante che la natura dispieghi certi tipi di sim­ metria negli oggetti del mondo intorno a noi. L'oggetto più simmetrico che si possa immagina­ re è forse la sfera, e la natura è piena di sfere - le stelle, i pianeti, le goccioline d ' ac qua delle nubi. I cristalli rinvenuti nelle rocce presentano molti tipi di simmetria, il cui studio ci rivela aspetti im­ portanti della struttura dei solidi. Perfino il re­ gno animale e quello vegetale presentano un certo grado di simmetria, benché la simmetria di un fiore, o di un ' ape, non sia altrettanto perfetta o fondamentale quanto quella di un cristallo. Ma la cosa che qui più ci interessa non è tanto il fatto che spesso gli oggetti naturali siano simmetri­ ci; noi desideriamo piuttosto esaminare alcune simmetrie, ancora più notevoli, dell'universo stes­ so - simmetrie presenti nelle leggi fondamentali che governano il funzionamento del mondo fisico. 49

).-

J

Tab. l

Operazioni di simmetria.

Traslazione spaziale Traslazione temporale Rotaz ione di un ango lo prestabilit o Moto rettili neo uniforme ( trasformaz ione di Loren tz) Inver sione temp orale Rifles sione spazi ale Scam bio di atom i identici o partic elle identiche Fase della mecc anica quan tistica

Mate ria-an timat eria ( coniugazio ne di' carica )

Innanzitutto, che cos' è la simmetria? E in che sen­ so può essere « simmetrica » una legge fisica? Il pro­ blema è interessante. Abbiamo già osservato come Weyl avesse dato una buona definizione; in sostan­ za, diceva, una cosa è simmetrica se, dopo che l' abbiamo sottoposta a una certa operazione, resta uguale a prima. Un vaso, ad esempio, è simmetri­ co quando è fatto in modo che se lo guardiamo al­ lo specchio, oppure lo giriamo, ci appare uguale a prima. La questione di cui vogliamo parlare è: quali operazioni possiamo compiere riguardo a fenomeni fisici, o a una situazione sperimentale, senza variare il risultato? Nella tabella l sono elen­ cate le operazioni conosciute rispetto alle quali va­ ri fenomeni fisici restano immutati.

Simmetria nlfJllo spazio e nel tempo Per cominciare, potremmo cercare di « traslare » il fenomeno nello spazio. Se facciamo un esperi50

mento in un certo luogo e poi costruiamo una se­ conda apparecchiatura in un altro posto (oppure vi trasferiamo l' originale) , allora, qualunque cosa sia accaduta nella prima apparecchiatura si ripe­ terà identicamente, nel medesimo ordine tempo­ rale, nella seconda se avremo ricreato le stesse condizioni, con la dovuta attenzione alle restrizio­ ni a cui abbiamo accennato: che vengano rimossi tutti quei fattori ambientali che impediscono un uguale funzionamento. Come stabilire di quali cose si dovrà tener conto? Ne abbiamo già parla­ to, e non torneremo più su questi particolari. Oggi si pensa, analogamente , che neppure uno spostamento temporale influisca sulle · leggi fisiche . ( Ciò vale almeno per quanto ne sappiamo oggi - tut­ te queste considerazioni necessitano di tale pre­ messa) . In altre parole , se costruiamo un certo apparecchio e lo mettiamo in funzione in un cer­ to istante - mettiamo, alle l 0:00 di giovedì - e poi ne costruiamo uno uguale e lo mettiamo in funzione tre giorni dopo , nelle identiche condi­ zioni, i due apparecchi compiranno gli stessi mo­ vimenti allo stesso modo in funzione del tempo , indipendentemente dall' istante d' inizio - sem­ pre che i fattori ambientali vengano modificati anch' essi in modo appropriato. Che cosa si­ gnifica questa simmetria? Significa - ovviamen­ te - che l ' aver acquistato azioni della Generai Motors tre mesi fa o acquistarle oggi non fa alcu­ na differenza! Dobbiamo fare attenzione anche alle differenze geografiche, perché le caratteristiche della su­ perficie terrestre possono ·variare. Così , ad esem­ pio, se misuriamo il campo magnetico in una certa regione e poi spostiamo la nostra apparec51

'

chiatura in qualche altra regione, non è detto che dia lo stesso risultato, perché magari il cam­ po è diverso - ed è diverso in quanto è associato alla Terra. Possiamo immaginare che, spostando solidalmente la Terra con l' apparecchiatura, il ri­ sultato resterebbe invariato. Un altro aspetto da noi discusso in maniera particolarme nte ap­ profondita è quello delle rotazioni nello spazio: se lo ruotiamo di un certo angolo, un macchina­ rio funzionerà altrettanto bene, a patto di ruota­ re contemporan eamente ogni oggetto connesso al suo funzionamen to . In effetti, nel primo capi­ tolo la simmetria di rotazione è stata esaminata alquanto in dettaglio, e per trattarla nel modo più limpido possibile abbiamo introdotto un me­ todo noto come analisi vettoriale. A un livello più avanzato avevamo visto un altro tipo di simmetria, quella rispetto al moto rettili­ neo uniforme. Questo significa - ed è una cosa dawero notevole - che se un' apparecchiatura funziona in un certo modo e noi la mettiamo su un ' auto, dove sono state riprodotte tutte le con­ dizioni ambientali che potrebbero influire sul funzionamen to dell' apparecchiatura, e l'auto si muove in linea retta a velocità costante, all' inter­ no dell' auto non c ' è alcuna differenza per quan­ to riguarda i fenomeni: tutte le leggi fisiche con­ servano la stessa forma. Potremmo anche espri­ merci in modo più tecnico dicendo che le equa­ zioni della fisica sono invarianti rispetto alle tra­ sformazioni di Lorentz. Infatti, fu proprio lo studio del problema della relatività a focalizzare l'atten­ zione degli scienziati sulla simmetria delle leggi. Finora abbiamo parlato esclusivamen te di sim­ metrie di tipo geometrico (tempo e spazio sono 52

\

più o meno la stessa cosa) , ma vi sono anchè sim­ metrie di genere diverso. Ce n ' è una, ad esem­ pio , che esprime il fatto che un atomo può esse­ re sostituito da un altro dello stesso tipo. Ciò si­ gnifica, fra l� altre cose, che esistono atomi dello stesso tipo. E possibile, cioè·, trovare . gruppi di atomi tali che non fa differenza se due qualun­ que di essi si scambiano tra loro - quegli atomi sono identici. E così, qualunque cosa faccia un atomo di ossigeno di un certo tipo, la farà pure un altro atomo dello stesso tipo. Si può dire : « Ma è ridicolo, questa è la definizione di atomi dello stesso tipo ! » . Sarà pure una definizione , ma an­ cora non ci dice se esistano « atomi dello stesso ti­ po » ; di fatto ce ne sono molti, anzi moltissimi, e dunque asserire che è la stessa cosa se a un ato­ mo ne sostituiamo uno uguale non è un ' afferma­ zione vuota. Le cosiddette particelle elementari di cui sono costituiti gli atomi sono anch' esse identiche nel senso citato: tutti gli elettroni sono uguali, tutti i protoni sono uguali, tutti i pioni positivi sono uguali, e così via. Affinché non si pensi, dopo questa lunga serie di esempi, che si possa fare praticamente qualun­ que cosa senza che i fenomeni cambino, diamo qualche esempio del contrario, tanto per mostra­ re dov' è la differenza. Poniamo che la domanda sia: « Le leggi fisiche sono invarianti rispetto a un cambiamento di scala? » e supponiamo di costrui­ re una certa apparecchiatura e poi di costruirne un ' altra che sia, in ogni sua parte , cinque volte più grande: funzionerann o esattamente allo stes­ so modo? In questo caso la risposta è no! Per esempio, la lunghezza d' onda della luce emessa da un gas di sodio chiuso in un certo contenitore 53

.Jjç

'

non è cinque volte minore di quella della luce emessa da un volume di gas di sodio cinque volte maggiore: è esattamente uguale. Di conseguenza il rapporto fra la lunghezza d' onda e le dimen­ sioni dell'emittente cambia. Altro esempio: ogni tanto su un giornale vedia­ mo la foto di una grande cattedrale fatta di pic­ coli fiammiferi - straordinaria opera d' arte di un tale in pensione che pass � il tempo a incollare fiammiferi uno sull' altro. E molto più elaborata e bella di una vera cattedrale. Ma proviamo a im­ maginare che questa cattedrale di legno venga invece costruita a dimensioni reali; in tal caso ve­ dremmo dov'è il difetto: la costruzione avrebbe una vita effimera, crollerebbe su se stessa, perché i fiammiferi, a quella scala, non sarebbero abba­ stanza resistenti. Si potrebbe dire: « D' accordo, ma sappiamo pure che quando c ' è un ' influenza esterna, anch' essa deve variare in proporzione » . Dato che si sta parlando della capacità di un og­ getto di resistere alla forza di gravità, dovremmo innanzitutto considerare il modellino, quello fat­ to con fiammiferi veri, e la Terra reale : quel mo­ dellino è stabile. Passando alla cattedrale più grande, dovremmo prendere, insieme con essa, una Terra più grande; ma sarebbe anche peggio, perché la gravità sarebbe ancora più forte ! Oggi naturalmente attribuiamo questa dipen­ denza dei fenomeni dalla scala alla natura atomi­ ca della materia: certo, se costruissimo un appa­ rato tanto piccolo da contenere cinque atomi ap­ pena, non potremmo ingrandirlo e rimpicciolir­ lo a piacere. La scala di un singolo atomo non è affatto arbitraria: è ben definita. Il primo ad accorgersi che le leggi fisiche non re54

y

stano invariate nei cambiamenti di scala fu Gali­ lei, il quale vide che la resisten za dei materiali non era in proporzione alle loro dimens ioni e il­ lustrò questa proprietà - che stavamo appunto discute ndo a proposito della cattedrale di fiam­ miferi - disegnando due ossi: l' osso di un cane, nelle giuste proporzioni per sostene re il suo pe­ so, e l' osso immaginario (grosso , massic cio , con propor zioni molto diverse ) di un « superca ne dieci o cento volte più grande . Non sappiamo se Galilei fosse . mai · giunto alla conclu sione che le leggi di natura debbo no avere una scala ben definita , ma egli fu talmen te colpito da questa scoperta da attribuirle la stessa importanza di quella delle leggi del moto; e infatti le pubbli cò insiem e nello stesso libro, dedicato a « due nuove scienze » . 1 Un altro caso di asimmetria delle leggi fisiche è quello , ben noto, di un sistema in moto rotatorio uniform e , ove non valgon o le stesse leggi di un sistema non soggetto a rotazio ne . Se facciamo un certo esperim ento sulla Terra e mettia mo poi tut­ ta l' appare cchiatura su un satellite e lo lanciam o nello spazio, e facciamo in modo che il satellite ruoti nel vuoto, tutto solo, a velocità angolare co­ stante, l' appare cchiatura non funzionerà allo stes­ so modo perché , come sappiamo, i suoi compo­ nenti interni verran no spinti all' esterno dalle forze centrifughe, o di Coriol is, e via dicendo . Con il cosidd etto pendo lo di Foucault, riuscia mo »

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l . G. Galilei, Discorsi e Dimostrazioni Matematiche intorno à due nuove Scienze attenenti alla Mecanica & i Movimenti Locali, Lei­ da, 1 638. Cfr. ediz. a cura di E. Giusti, Einaudi, Torino, 1 990, p. 1 41 [N. d. T.] .

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a stabilire che la Terra gira senza nemmeno guar­ dare fuori » . E ora parliamo di una simmetria molto interes­ sante che è ovviamente falsa, la reversibilità tempo­ rale. Apparentemente le leggi fisiche non posso­ no essere reversibili nel tempo perché, come sap­ piamo, a scala macroscopica tutti i fenomeni or­ dinari sono irreversibili: I l dito scorrendo scrive, e avendo scritto va oltre » . 1 Per quanto possiamo dire, questa irreversibilità è dovuta al grandissimo · numero di particelle coinvolte; se potessimo ve­ dere le singole molecole non riusciremmo a capi­ re in quale direzione si muove il meccanismo nel suo complesso. Detto in modo più preciso: co­ struiamo un apparato molto piccolo, nel quale sappiamo che cosa fanno i singoli atomi, che pos­ siamo osservare nei loro moti a zigzag. Costruia­ mo poi un apparato uguale, che inizi il suo moto partendo dalla condizione finale del primo, con tutte le velocità esattamente invertite: farà la stessa serie di movimenti, ma nell 'ordine opposto. Detto in al­ tro modo ancora: se giriamo un film. sufficiente­ mente dettagliato di tutti i meccanismi interni di un pezzo di materia e poi lo proiettiamo all' hl­ contrario, nessun fisico sarà in grado di dire: E contro le leggi della fisica, c'è qualcosa di sbaglia­ to ! » . Naturalmente, se non distinguiamo tutti i dettagli la situazione sarà p erfettamente chiara: vediamo l'uovo che casca sul marciapiede, il gu­ scio che si spacca, e così via, e di sicuro diremo: E un evento irreversibile, perché se proiettassi­ mo il film all'indietro l'uovo si rimetterebbe in«

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l . Ornar Khayyàm, Rubàiyàt, a cura di E. Fitzgerald, prima ediz . , London, 1 859, quartina LI [N. d. T. ] .

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sieme e il guscio tornerebbe intero - un'idea ridi­ cola, ovviamente ! » . Ma se guardiamo i singoli atomi, le leggi ci appaiono del tutto reversibili. Certo, arrivare a questa scoperta è stato molto più difficile, ma, a quanto pare, a livello microscopi­ co e fondamentale le leggi della fisica sono com­ pletamente reversibili nel tempo.

Simmetria e leggi di conservazione Le simmetrie delle leggi fisiche sono già molto interessanti a questo livello, ma scopriremo che lo sono ancor di più nell ' ambito della meccani­ ca quantistica. Un fatto che molti fisici trovano ancora oggi sconcertante, una cosa stupenda e molto profonda, è che in meccanica quantistica - per una ragione che al livello della presente di­ scussione non possiamo spiegare - a ogni regola di simmetria corrisponde una legge di conservazione. Tra leggi di conservazione e simmetrie delle leggi fisiche esiste cioè un legame preciso. Ma per il momento questo possiamo solo dirlo, e non cer­ cheremo nemmeno di spiegarlo. In meccanica quantistica, ad esempio, la simme­ tria rispetto alle traslazioni nello spazio implica la conservazione della quantità di moto ; la simmetria rispetto alle traslazioni temporali, la conservazione dell'energia ; e l'invarianza rispetto alla rotazione,

la conservazione del momento della quantità di moto o momento angolare. Tutte queste connessioni sono molto belle e interessanti - sono tra le cose più profonde e affascinanti di tutta la fisica. Fra l' altro nella meccanica quantistica vi sono 57

...

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simmetrie che non hanno un analogo classico , anzi non sono nemmeno descrivibili classica­ mente. Ecco un esempio: se \jl è la funzione d' onda di un certo processo, sappiamo che il quadrato del modulo di \jl dà la probabilità che esso si verifichi. Ora, se qualcun altro facesse i suoi calcoli non con questa \jf, ma con una 'l' ' che ne differisse solo per un cambiamento di fa­ se (basta prendere una qualsiasi costante L1 e moltiplicare la vecchia \jl per eill) , troverebbe che il quadrato del modulo di \jl ' , ossia la probabilità dell' evento, ha lo stesso valore: i L\ ' (2. 1 ) 'l' = \jle ; 1'1' ' 1 2 = 1'1' 1 2 .

Dunque le leggi fisiche non cambiano se la fase della funzione d' onda è variata di una costante arbitraria. È una nuova simmetria: le leggi devo­ no essere tali che una variazione della fase non faccia differenza.· Abbiamo appena ricordato che in meccanica quantistica per ogni simmetria c ' è una legge d i conservazione: e l a conservazione connessa alla fase della meccanica quantistica sembra essere quella della carica elettrica - una faccenda dawero interessante !

Riflessioni speculari La prossima questione, che ci terrà occupati per quasi tutto il resto del capitolo, è la simmetria ri­ spetto alle riflessioni nello spazio. Le leggi fisiche sono invarianti rispetto alla riflessione? Mettiamo­ la così: immaginiamo di costruire un congegno per esempio un orologio - con un sacco di ingra58

naggi, quadranti e lancette; fa tic-tac, funziona, e ha dentro delle molle . Ora guardiamolo allo spec­ chio; quale aspetto abbia non importa - non è que­ sto il punto. Supponiamo di costruire un altro orologio, che riproduca esattam_e nte l'immagine riflessa del primo - dove uno ha una vite con filet­ tatura destra, metteremo nell' altro una vite con filettatura sinistra; dove c'è un 2 sul quadrante scriviamo � ; ogni molla si awolgerà in un senso in un orologio e nel senso opposto nell'altro. Alla fine avremo due veri orologi che stanno l'uno al­ l'altro come un oggetto alla sua immagine specu­ lare, pur essendo - sottolineiamo - entrambi rea­ li, materiali. E adesso la domanda: se i due orolo­ gi vengono fatti partire nelle stesse condizioni, con identica tensione delle molle, da quell'istante in poi continueranno a compiere movimenti esat­ tamente speculari? Questo è un problema di fisi­ ca, non di filosofia; e la nostra conoscenza intuiti­ va delle leggi della fisica ci suggerisce di sz� Dunque siamo inclini a pensare, almeno nel caso degli orologi, che l'invarianza per riflessione spa­ ziale sia una delle simmetrie delle leggi fisiche, che scambiando ovunque « destra» e « sinistra» ma per il resto lasciando tutto com' è - non riu­ sciremmo a discernere la differenza. Supponia­ mo per un momento che le cose stiano dawero così: in tal caso, sarebbe impossibile, basandoci su qualche fenomeno fisico, distinguere fra « d e­ stra» e « sinistra">> , così come non vi è alcun feno­ meno fisico che ci consenta di definire una de­ terminata velocità assoluta. Per la simmetria del­ le leggi fisiche, sarebbe quindi impossibile defi­ nire in senso assoluto che cosa si intende con « destra » come opposto di « sinistra». 59

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Naturalmente non è che il mondo debba essere simmetrico; per esempio, ricorrendo alla « geo­ grafia » , siamo sicuramente in grado di definire la « destra » . Se siamo a New Orleans e guardia­ mo verso Chicago, la Florida è alla nostra destra (se stiamo con i piedi per terra! ) . Con la geo­ grafia possiamo quindi definire « destra » e « sini­ stra » . Ovviamente, non è detto che un sistema abbia la simmetria di cui stiamo parlando; la que­ stione è se siano simmetriche le leggi, se sia con­ tro le leggi fisiche l' ipotesi di una sfera come la Terra, ma con tutto, in superficie, rovesciato a si­ nistra, una sfera dove uno potrebbe ancora guar­ dare verso una città come Chicago da un luogo come New Orleans, ma tutto fosse messo all'in­ contrario, per esempio con la Florida a sinistra. Chiaramente, l'idea di uno scambio destra-sini­ stra di tutte le c o se non appare impossibile non sembra essere contro le leggi fisiche. La nostra definizione di « destra » , inoltre, non dovrebbe dipendere dalla storia. C ' è un modo molto semplice di distinguere la destra dalla sini­ stra: andare in un n �gozio di ferramenta e sceglie­ re una vite a caso. E molto probabile che abbia una filettatura destra - non necessariamente, ma è molto più facile che sia destra che sinistra. Però dipende dalla storia, dalle convenzioni, o da co­ me vanno le cose, e ancora una volta non sono in giuoco leggi fondamentali. Com ' è facile capire, poteva anche accadere che tutti si mettessero a fare vi ti con filettatura si nistra! Così d obbiamo cercare di scoprire fenomeni in cui il carattere « destrorso » sia presente a livello fondamentale. L a prima possibilità è offerta dal­ la luce polarizzata, il cui piano di polarizzazione 60

l Fig. 9

L- alanina ( a sinistra)

e

D - alanina ( a destra) .

ruota quando la luce attravers a, ad esempio , del­ l' acqua zucchera ta. Come abbiamo visto nel ca­ pitolo 33 (delle Lectures on Physics, vol. l) in una certa soluzion e zuccheri na il piano ruota verso destra; questo è .un modo di definire la « destra » , in quanto possiam o scioglier e nell' acqua un po' di zucchero - ed ecco che la polarizzazione va verso destra. Ma quello zuccher o proveniva da organism i, e se cerchiamo di produrlo artificial­ mente scopriam o che non fa ruotare affatto il piano di polarizzazione ! Se però in questo stesso zuccher o artificial e mettiam o dei batteri ( che se ne mangiano una parte) e poi li eliminia mo con una filtratura , scopriam o che resta ancora un po' di zuccher o (quasi metà di quello iniziale) che ora fa ruotare il piano di polarizzazione, ma nel senso opposto ! Sembra una gran confusio ne, ma è faci le da spiegare . Conside riamo un altro esempio : fra le sostanze presenti in tutti gli esseri viventi e fondame ntali per la vita abbiamo le proteine , che sono catene di aminoaci di. Nella figura 9 vediamo un model61

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lo di un aminoacido proveniente da una protei­ na; l' aminoacido è l' alanina e la sua struttura molecolare, se la proteina è prodotta da un esse­ re vivente,. è come nella parte ( a ) della figura. Ma se cerchiamo di sintetizzare l' alanina a parti­ re da anidride carbonica, etano e ammoniaca (e lo sappiamo fare; non è una cosa complicata) , sco­ priamo che nel procèsso vengono prodotte u­ guali quantità di questa molecola e dell' altra che si vede nella parte ( b) . La prima molecola si chia­ ma L-alanina ed è una molecola « sinistrorsa » (le­ vogira) ; l' altra, chimicamente uguale in quanto ha atomi dello stesso tipo e legati allo stesso mo­ do, si chiama D-alanina ed è una molecola « de­ strorsa » (destrogira) . La cosa interessante è che quando sintetizziamo l ' alanina in laboratorio ot­ teniamo un miscuglio delle due varianti in parti uguali, mentre la vita utilizza solo il primo tipo. (Be ' , non proprio . Ogni tanto in certi organismi si scopre un qualche uso speciale della D-alani­ na, ma è una cosa rarissima; e le proteine utiliz­ zano solo la L-alanina) . Ora, se le produciamo tutte e due e poi diamo il miscuglio a un animale che ama « mangiare » - consumare - l'alanina, l' animale, non potendo usare la D-alanina, userà solo la forma levogira, sinistrorsa. Così è stato per lo zucchero: dopo che i batteri hanno divo­ rato quello che va bene per loro, è rimasto solo il tipo « sbagliato » . (Lo zucchero levogiro è dolce, ma non ha lo stesso gusto di quello destrogiro) . Sembrerebbe dunque che i fenomeni della vita ci permettano di distinguere la « destra » dalla « sinistra » , o che ce lo permetta la chimica, dato che le due molecole, chimicamente, sono diver­ se. E invece no! Fin quando riusciamo a effettua52

re misure fisiche - dell'energia, della velocità delle reazioni chimiche, e via dicendo - le due molecole , a meno di una riflessione speculare , funzionano esattamente nello stesso modo. Una farà ruotare la luce verso destra, e l'altra la farà ruotare in misura uguale verso sinistra, e attra­ verso la stessa quantità di liquido . Da un punto di vista fisico una equivale all' altra e, per quanto ne sappiamo, le basi dell'equazione di Schrodinger richiedono che le due molecole si comportino in maniera esattamente simmetrica, di modo che la destra sia per l'una ciò che la sinistra è per l' al­ tra. Eppure nella vita tutto è a senso unico ! Si presume che la ragione sia questa. Si suppone che la vita, a un certo momento della sua evolu­ zione, si sia trovata, in qualche modo, in una cer­ ta condizione in cui le proteine di alcuni organi­ smi erano formate solo da aminoacidi levogiri e tutti gli enzimi erano asimmetrici - nel vivente, ogni sostanza è sbilanciata, asimmetrica. Così, quando gli enzimi digestivi cercavano di trasfor­ mare certi costituenti chimici degli alimenti, una determinata sostanza si « incastrava » nell' enzima e un ' altra no (come il piede di Cenerentola nel­ la scarpetta, salvo che quello che mettiamo alla prova è un « piede sinistro » ) . Per quanto ne sap­ piamo, nulla vieterebbe in linea di principio di creare, ad esempio, una rana nella quale ogni molecola sia ribaltata e tutto sia tale e quale l'im­ magine speculare , « sinistrorsa » , di una rana rea­ le - una rana sinistrorsa. Per un po ' questo ani­ male funzionerebbe benissimo, ma non trove­ rebbe di che nutrirsi perché se pure inghiottisse una mosca, i suoi enzimi non sarebbero fatti per digerirla. La mosca (a meno di passargliene una 63

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sinistrorsa) ha gli aminoacidi « sbagliati». Ma per quello che ne sappiamo, se ogni cosa venisse ri­ baltata i processi chimici e vitali continuerebbe­ ro esattamente allo stesso modo. Se la vita è in tutto e per tutto un fenomeno fisico­ chimico, l'unico modo per spiegare come mai le proteine si avvitino tutte nello stesso senso è ipo­ tizzare che in un tempo primordiale, per caso, delle molecole viventi si siano messe in moto, e che alcune si siano affermate. Da qualche parte, dovette comparire una molecola organica con un'asimmetria particolare, da cui ha avuto inizio l' evoluzione del carattere « destrorso» nella no­ stra particolare geografia. Quel particolare acci­ dente storico fu unilaterale, e da allora la parzia­ lità della natura si è propagata. Allo stadio a cui siamo, è probabile che le cose andranno avanti così per sempre: tutti gli enzimi digeriscono e fab­ bricano le cose giuste e quando l' anidride carbo­ nica, il vapore acqueo e tutto il resto raggiungono le foglie delle piante, gli enzimi che costruiscono gli zuccheri producono molecole asimmetriche perché sono asimmetrici essi stessi. Un nuovo ti­ po di virus, o un nuovo organismo, potrebbe so­ pravvivere solo se fosse in grado di « mangiare » la materia vivente che già esiste - e quindi dovrebbe essere anche lui dello stesso tipo. Non c ' è conservazione del numero delle mole­ cole destrorse; una volta che se ne sia formata qualcuna, possono diventare sempre più nume­ rose. Si può presumere quindi che, nel caso del, la vita, i fenomeni mostrino non già una man­ canza di simmetria delle leggi fisiche, ma, caso mai, che tutte le creature esistenti sulla Terra 64

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hanno, nel senso appena spiegato, un ' identica natura e ultimativamente un' origine comune.

Vettori polari e vettori assiali Andiamo avanti. In fisica vi sono molte altre si­ tuazioni nelle quali abbiamo regole della mano « destra» e della mano « sinistra». Quando si in­ troduce l' analisi vettoriale si imparano, in effetti, le regole della mano destra che servono per ca­ ratterizzare correttamente il momento angolare, il momento della forza, il campo magnetico, e via dicendo. Ad esempio, la forza che agisce su una carica in moto attraverso un campo magne­ tico è F = q v x B. Ma in una situazione data, in cui F, v e B siano note , questa equazione basta a definire il carattere destrorso? In realtà, se fac­ ciamo un passo indietro e ci interroghiamo sul­ l' origine dei vettori, ci accorgiamo che la regola della mano destra non era niente più di una con­ venzione, un trucco . Le grandezze originarie momenti angolari, velocità angolari e simili - in realtà non erano affatto vettori ! In un modo o nell' altro, erano associate a un certo piano, e noi possiamo associarle a una direzione perpendico­ lare a quel piano solo perché lo spazio ha tre di­ mensioni. Delle due possibili direzioni scegliamo quella « destrorsa». Così, se le leggi della fisica sono simmetriche, do­ vremmo concludere che se un diavoletto si in­ trufolasse in tutti i laboratori di fisica e sostituisse ovunque « destra» con « sinistra» in tutti i libri che contengono regole. « della mano destra», e 65

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Uno spostamento nello spazio e la sua immagine Fig. 1 0 speculare.

noi di conseguenza usassimo solo le regole « del­ la mano sinistra » , nelle leggi fisiche non cambie­ rebbe nulla. Facciamo un esempio. Vi sono due generi di vet­ tori. Uno è rappresentato dai vettori « onesti » , come può essere uno spostamento 8 r nello spa­ zio. Mettiamo che nel nostro apparato vi sia un pezzo qui e qualcos' altro là: allora in un appara­ to speculare vi saranno l ' immagine del pezzo e l' immagine del qualcosa d' altro, e i rispettivi vet­ tori dal « pezzo » al « qualcosa d' altro » saranno l'uno l' immagine speculare dell' altro (fig. 1 0) . La freccia del vettore cambia direzione, esatta­ mente come l' intero spazio si rovescia. Chiamia­ mo polari i vettori di questo tipo. Il secondo tipo di vettore, che ha a che fare con le rotazioni, è di natura diversa. Supponiamo ad esempio che un oggetto, nello spazio tridimen­ sionale, ruoti intorno al proprio asse come mo­ strato nella figura 1 1 : se lo guardiamo in uno specchio lo vedremo compiere un movimento esattamente speculare alla rotazione originaria. Si conviene di rappresentare la rotazione nello specchio mediante un vettore definito con la stessa regola ( della mano destra) impiegata per la rotazione reale: questo « vettore » non si rove­ scia per riflessione speculare, come accade nei 66

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Un disco rotante e la sua immagine speculare. Da Fig. 1 1 notare che il « Vettore ,, velocità angolare non viene invertito.

vettori polari, ma risulta capovolto rispetto a que­ sti ultimi e alla geometria dello spazio. Chiamia­ mo assiali i vettori di questo tipo. Ora, se vale in fisica la simmetria per riflessione, le equazioni debbono essere scritte in modo che cambiando di segno ogni vettore assiale e ogni prodotto esterno di vettori (il che corrisponde a una riflessione speculare) non accadrà nulla. Co­ sì, per esempio, l'equazione del momento ango­ lare L = r x p resta la stessa: infatti, passando a un , sistema di coordinate sinistrorso, L cambia di se­ gno, mentre r e p non cambiano, ma cambia il segno del prodotto vettoriale, dato che siamo passati dalla regola della mano destra a quella della mano sinistra. Altro esempio: sappiamo che su una carica in moto in un campo magneti­ co agisce la forza F = q v x B, ma se da un sistema destrorso passiamo a un sistema sinistrorso, dato che F e v sono vettori polari, il cambiamento di segno del prodotto dev'essere annullato da un cambiamento di segno di B, e questo significa che B dev'essere un vettore assiale. In altre paro­ le, la riflessione trasforma B in - B . Così, se pas­ siamo d al sistema destrorso al sistema sinistrorso, dobbiamo scambiare i poli magnetici nord e sud. Vediamo, in un esempio, come funziona la fac­ cenda. Supponiamo di avere due magneti, come 67

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·+ +·· B

Fig. 1 2

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U n magnete e l a sua immagine speculare.

nella figura 1 2. Uno ha un awolgin1ento dispo­ sto in un certo modo, con la corrente che va in una certa direzio ne; l' altro si presen ta come l' im­ magine speculare del primo - il filo è awolto al­ l' incontrario, vanno all' incontrario tutti i proces­ si che hanno luogo nell ' awolgi mento, e la cor­ rente fluisce come si vede in figura. Ora, le leggi di generazione dei campi magne tici - che uf­ ficialm ente non conosc ete ancora ma con ogni probabilità avete imparato nella scuola superio re - ci dicono che il campo magne tico è come si ve­ de nella figura. In un caso abbiam o un polo ma­ gnetico sud, nell' altro la corrente va nel senso opposto e il campo magne tico è rovesci ato, cioè abbiam o un polo magne tico nord. Come si vede, quando facciam o un 'inversi one da sinistra a de­ stra dobbia mo cambiare il sud in nord! Ma non diamo troppa importanza a nord e sud ­ in fondo, sono anch' essi semplic i conven zioni. Parliamo piuttos to dei fenomeni. Immag iniamo ora di avere un elettron e in un campo magneti­ co, che si muova verso la pagina. Se usiamo la formula della forza q v x B (ricordi amo che la ca­ rica è negativa ) , troviamo che l' elettron e devierà 68

nella direzione indicata, conformemente alla legge fisica. Il fenomeno reale, quindi, è che c'è una bobina con una corrente che va in un senso ben determinato e l' elettrone devia in un certo modo. La fisica è questa, indipendentemente dal­ le etichette. Ora rifacciamo l'esperimento allo specchio: se mandiamo l' elettrone nella direzione corrispon­ dente, la forza - sempre che la calcoliamo con la stessa regola - si rovescia. E va benissimo così, perché i moti corrispondenti sono immagini spe­ culari di quelli iniziali!

Qual è la mano destra ? Il dato da considerare, dunque, è che nello stu­ dio di un qualsiasi fenomeno vi sono sempre due regole della mano destra (o comunque un nu­ mero pari) , per cui alla fine il fenomeno appare invariabilmente simmetrico. Di conseguenza non possiamo - per farla breve - distinguere la destra dalla sinistra se non siamo anche capaci di distin­ guere il nord dal sud. In verità, a noi sembra di sapere quale sia il polo nord di un magnete. Il po­ lo nord dell' ago di una bussola, ad esempio , punta verso nord. Ma anche questa, naturalmen­ te, è una proprietà locale, legata alla geografia della Terra; è come chiedersi da che parte si tro­ vi Chicago - è irrilevante . Se avete osservato l ' a­ go di una bussola, avrete notato che il polo che punta verso nord ha un colore sull' azzurro: ma solo perché qualcuno l'ha verniciato così . Sono tutti criteri locali e convenzionali. 69

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E però, se un magnete fosse fatto in modo che a

guardarlo abbastanza da vicino gli si vedrebbero crescere dei peluzzi sul polo nord ma non sul po­ lo sud, se vi fosse questa regola generale, o co­ munque un qualsiasi modo di distinguere il nord di un magnete dal sud, saremmo in grado di dire quale dei due avevamo in realtà, e per la legge del­ la simmetria rispetto alle riflessioni sarebbe la fine. Per illustrare il problema in modo ancora più chiaro immaginerò di parlare per telefono con un marziano, o comunque con qualcuno che stia molto lontano. Non posso spedirgli, e quindi far­ gli esaminare, niente di fisicamente reale; men­ tre se gli potessi inviare per esempio un fascio di luce gliela manderei polarizzata circolarmente a destra e gli direi: « Questa è luce destrorsa, basta guardare da che parte gira » . Ma p on gli posso dare niente ; posso solo parlargli. E lontano, op­ pure sta in un posto strano, e non può vedere nulla di ciò che vediamo noi; per esempio non posso dirgli: « Guarda l' Orsa Maggiore e osserva come sono disposte quelle stelle. Per "destra" in­ tendo . . . » . Gli posso solo parlare per telefono. E adesso provo a parlargli di noi. Ovviamente per prima cosa definisco i numeri, « Tic tic, due; tic tic tic, tre » , così a poco a poco arriverà a capi­ re un po' di parole, e poi andremo avanti. E do­ po un po' magari diventeremo molto amici e lui chiederà: « Ma voi come siete fatti? » , e io comin­ cerò a descrivere gli umani e dirò: « Siamo alti un metro e ottanta » , e lui dirà: « Un momento, quant' è un metro e ottanta? » . È possibile spie­ gargli quanto è un metro e ottanta? Ma sicuro ! Gli dico: « Hai presente il diametro dell' atomo di idrogeno? Noi siamo alti 1 7 000 000 000 atomi di 70

idrogeno ! » . Si può fare perché le leggi fisiche so­ no invarianti rispetto ai cambiam enti di scala, per cui una lunghezza assoluta riusciamo a defi­ nirla. Così definisco le dimension i del corpo, e gli spiego qual è la sua forma generale - che ha diramazio ni con cinque sporgenze alle estre­ mità, e così via - e lui mi segue, e alla fine descri­ vo il nostro aspetto esteriore , presumibilmente senza incontrare grandi difficoltà. Man mano che vado avanti lui si fa addirittura un modelli­ no, mi dice: « Di sicuro siete bei tipi, ma dentro che cosa c ' è? » . E io comincio a descrivere gli or­ gani interni finché arrivo al cuore, gli spiego be­ ne che forma ha e gli dico: « Mettilo a sinistra » . E lui fa: Mmm . . . a sinistra? » . Ora il problema è spiegargli da che parte sta il cuore senza che lui veda niente di quello che vedo io; e nessuno po­ trà mai spedirgli un campione di quello che noi in tendiamo per « destra » , un oggetto destrorso standard. Posso farlo? «

La parità non si conserva! Si scopre che le leggi della gravitazio ne , dell' e­ lettricità e del magnetism o , come pure le forze nucleari, soddisfan o tutte il principio di simme­ tria rispetto alla riflessione ; dunque non possia­ mo usarle, né loro né le loro consegue nze . Ma associato alle numerose particelle presenti in natura c ' è un fenomeno chiamato decadimento beta, o decadimento debole. Tra i vari casi di decadi­ mento debole, ce n' era uno, legato a una parti­ cella scoperta nel 1 9 5 4 o giù di lì , che costituiva 71

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Fig. 1 3 Schema del decadimento di un particella --r+ e di una particella e+.

uno strano rompicapo. C' era una certa particel­ la dotata di carica elettrica che decadeva in tre mesoni 1t, come mostra schematicamente la figura 1 3 ; per un po ' questa particella fu chia­ mata mesone 't . Ma nella figura 1 3 vediamo an­ che un ' altra t>articella, il mesone e, che decade in due mesoni 1t uno dei quali, per la conserva­ zione della carica, deve essere neutro. Ricapito­ lando, abbiamo una particella 't che decade in tre mesoni 1t e una particella e che decade inve­ ce in due mesoni 1t. Ma ben presto si scoprì che la 't e la e hanno massa quasi uguale; anzi, ugua­ le e basta, nei limiti dell ' errore sperimentale. Poi si trovò che impiegavano quasi esattamente lo stesso tempo per decadere , l'una in tre piani e l' altra in due : la loro vita media era la stessa. Inoltre, ogni volta che si formavano, le propor­ zioni erano sempre le stesse , circa un 1 4% di particelle 't e un 86% di particelle e . Basta un minimo di lucidità mentale per capire che si tratta della stessa particella, che noi pro­ duciamo uno stesso oggetto che può disintegrar­ si in due modi, e non due particelle diverse . Questo oggetto capace di decadere in due ma­ niere distinte ha la stessa vita media, e la pro­ porzione tra le due varianti è costante - corri­ sponde semplicemente al rapporto tra la proba72

bilità di decadere , rispettivamente, nel primo e nel secondo modo. Partendo dal principio della simmetria per ri­ flessione della meccanica quantistica, si riuscì però a dimostrare (ma qui non posso assoluta­ mente spiegare come) che una stessa particella non poteva disintegrarsi tanto in un modo quanto nell' altro. La legge di conservazione corrispon­ dente al principio della simmetria per riflessione non ha un analogo classico, e così questo tipo di conservazione ha preso il nome di conservazione della parità. Era quindi per via della conservazio­ ne della parità, o meglio della simmetria per ri­ flessione delle equazioni della meccanica quan­ tistica dei decadimenti deboli, che una stessa particella non poteva decadere in entrambi i modi. Ci doveva essere allora una qualche coin­ cidenza di massa, vita media, eccetera. Ma più si studiava la cosa più questa coincidenza appariva improbabile, e a poco a poco si fece strada il so­ spetto che la legge, così profonda, della simme­ tria della natura rispetto alle riflessioni potesse essere falsa. Come risultato di questo apparente fallimento i fisici T.D . Lee e C.N. Yang proposero nuovi espe­ rimenti di decadimento per controllare se in al­ tri casi la legge fosse corretta. Il primo di tali esperimenti venne compiuto da Miss Chien­ Shiung Wu della Columbia, e fu fatto come se­ gue . Utilizzando un potente magnete a tempera­ tura molto bassa, si scopre che un certo isotopo del cobalto, che decade emettendo un elettrone, è magnetico, e se la temperatura è abbastanza bassa perché le oscillazioni termiche non li fac­ ciano agitare troppo, i magneti atomici si allinea73

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no nel campo magnetico. Così tutti gli atomi di cobalto si allineano nella direzione di questo for­ te campo magnetico; dopodiché decadono e­ mettendo un elettrone. Miss Wu scoprì che quando il vettore B era diretto verso l'alto, la maggior parte degli elettroni venivano emessi verso il basso . A un profano una simile osservazione non dice granché, ma chi sa valutare l'importanza dei pro­ blemi e le cose dawero interessanti del mondo vede subito che questa è una scoperta sensazio­ nale. Quando poniamo atomi di cobalto in un campo magnetico estremamente intenso, vi sono ­ più elettroni prodotti nel decadimento che van­ no in giù che elettroni che vanno in su. Se ripro­ ducessimo tutto questo in un esperimento specu­ lare, con gli atomi di �obalto tutti schierati nella direzione opposta, questi sputerebbero i loro elettroni verso l' alto, non verso il basso : l ' azione è asimmetrica. Al magnete sono spuntati i peli! Il polo sud di un magnete è tale che gli elettroni in un decadimento p tendono ad allontanarsene, e ciò distingue fisicamente il polo nord dal polo sud. Dopo questo esperimento ne vennero fatti molti altri: il decadimento del piane (n:) in un muone (Jl) e un neutrino (v) ; il decadimento del muo­ ne in un elettrone e due neutrini e (ultimamen­ te) della particella A in �n protone e un pio ne; il decadimento della particella I.; e molti altri an­ cora. In effetti, in quasi tutti i casi in cui ci si po­ teva aspettare una violazione della simmetria ri­ spetto alla riflessione, questa aveva effettivamen­ te luogo. Fondamentalmente, a questo livello della fisica la legge della simmetria rispetto alla riflessione è falsa. 74

In breve, possiamo spiegare a un marziano da che parte sta il cuore. Basta dirgli: « Senti, fa' un magnete, metti l'awolgime nto, attacca la corren­ t�, poi prendi un po' di cobalto e abbassa la tem--peratura. Se prepari l'esperimen to in modo che gli elettroni vadano dai piedi alla testa, allora la corrente entra nell ' awolgimento a destra ed esce a sinistra » . E così, ormai è possibile, con un esperimento di questo tipo, definire destra e si­ nistra. Ma possiamo prevedere anche tantissime altre cose. Prima della disintegrazio ne, per esempio, lo spin - il momento angolare intrinseco - di un nucleo di cobalto è 5, mentre dopo è 4; l' elettro­ ne se ne porta via un 'unità, e c ' è di mezzo anche un neutrino. Si vede facilmente che il momento angolare di spin dell' elettrone dev' essere allinea­ to con la direzione del moto , e lo stesso vale per il neutrino - ma allora lo spin degli elettroni do­ vrebbe essere orientato più spesso a sinistra che a destra, ed è veramente così ; la cosa è stata accer­ tata da Boehm e Wapstra proprio qui al Caltech (ci sono anche stati alcuni esperimenti che han­ no dato il risultato opposto, ma erano sbagliati) . E a quel punto, naturalmen te , si doveva trovare una legge per questa non-conservazione della parità. Qual è la regola eh � specifica quanto gra­ ve sarà questa violazione? E la seguente: la viola­ zione ha luogo solo in reazioni molto lente, i co­ siddetti decadimenti deboli; e ·quando si presen­ ta, le particelle dotate di spin - elettrone, neutri­ no, e via di� endo - ruoteranno prevalentem ente a sinistra. E una regola asimmetrica : associa un vettore polare velocità a un vettore assiale mo­ mento angolare e afferma che il momento ango75

J

lare ha più probabilità di essere opposto alla ve­ locità che concorde. La regola dunque è questa; ma per il momento noi non conoscia mo affatto i suoi perché e per­ come . Come mai è la regola giusta, e quale ne è la ragione fondame ntale? In che relazione sta con tutto il resto? L' esistenza di questa asimme­ tria ci ha talmente sconvolti che non siamo an­ cora riusciti a riprender ei quanto basta per capi­ re quale significato abbia in rapporto alle altre leggi. Tuttavia l'argome no è interessante, mo­ derno, e non ancora risolto, e dunque sembra giusto discutere qualcuno dei problemi che si porta dietro.

L 'antimateria Quando una simmetria va perduta, la prima cosa da fare è scorrere subito l' elenco di tutte le sim­ metrie note o postulate e chiederci se ne sia stata violata qualcun ' altra. Ora, non abbiamo menzio­ nato una voce del nostro elenco sulla quale dob­ biamo per forza interrogar ci, cioè la relazione fra materia e antimater ia. Dirac aveva predet­ to che oltre all' elettrone doveva esserci anche un ' altra particella , il cosiddetto positrone (poi scoperto da Anderson al Caltech) , che è necessa­ riamente in relazione con esso. Tutte le pro­ prietà delle due particelle ubbidiscon o a certe regole di corrispon denza: energia e massa sono uguali; le cariche sono opposte; e, cosa più im­ portante di tutte, elettrone e positrone, quando si incontrano , possono annichilirsi a vicenda e li76

berare tutta la propria massa sotto forma di ener­ gia, per esempio raggi gamma. Il positrone è l' antiparticella dell' elettrone, dove particella e an­ tiparticella hanno appunto queste caratteristi� che. Dalle argomentazioni di Dirac era chiaro che a ogni altra particella dovesse corrispondere, analogamente, un' antiparticella. Il protone (p) ad esempio doveva avere il suo antiprotone, indi­ è ato col simbolo p , con la stessa massa e carica negativa, e così via. Ma ancora una volta la cosa più importante era che protone e antiprotone, incontrandosi, si annichilissero a vicenda. Il mo­ tivo per cui insistiamo tanto su queste cose è che quando diciamo che esistono pure un neutrone e un antineutrone la gente non capisce: « Un neutrone è neutro, come può avere carica oppo­ sta?» . Ma la regola dell ' « an ti » non prevede solo che sia opposta la carica: c ' è tutto un insieme di proprietà che si oppongono l ' una all' altra. L' an­ tineutrone per esempio si distingue dal neutro­ ne perché se avviciniamo due neutroni resteran­ no due neutroni e basta, mentre se avviciniamo un neutrone e un antineutrone essi si annichila­ no reciprocamente, con una grande esplosione di energia e produzione di mesoni 1t, raggi gam­ ma e quant' altro. Ora, se abbiamo antielettroni, antiprotoni e anti­ neutroni possiamo, in linea di principio, costrui­ re antiatomi - non ne sono ancora stati fatti, ma in teoria è possibile. Un atomo di idrogeno, per esempio, ha al centro un protone e un elettrone che gira intorno all' esterno. Ma immaginiamo di essere riusciti a fabbricare, da qualche parte, un antiprotone e un positrone: questo gli gira intor­ no dawero? Vediamo: innanzitutto l'uno è elet77

·•

,

tricamente negativo e l'altro elettricamente posi­ tivo, e quindi i due si attraggono a vicenda come le corrispondenti particelle; le masse e tutto il re­ sto sono uguali. Le equazioni sembrano implica­ re un principio di simmetria in base al quale se , per esempio, un orologio fosse fatto di materia ordinaria e poi lo rifacessimo uguale, ma di anti­ materia, questo secondo orologio funzionerebbe come il primo. (Naturalmente, se li mettessimo a contatto si annichilirebbero a vicenda, ma questo è un altro discorso) . . Qui nasce subito un problema. Con la materia ordinaria possiamo costruire due orologi, uno « des·trorso » e uno « sinistrorso » . Anziché andare sul semplice potremmo farli con dei magneti, del cobalto, dei rivelatori che intercettano gli elettroni prodotti dal decadimento � e li conta­ no - e ogni volta che questo succede la lancetta dei secondi scatta in avanti. Ma uno dei due oro­ logi speculari riceverà meno elettroni, quindi an­ drà più lento; evidentemente è possibile costrui­ re due orologi tali che quello sinistrorso non va d' accordo con quello destrorso. Bene; supponia­ mo allora di costruire, con la materia ordinaria, un orologio eh� chiameremo orologio « stan­ dard » o « destrorso » . Dopodiché costruiamo, sem­ pre con la materia, un orologio che chiamiamo « sinistrorso » . Abbiamo appena scoperto che, in generale, non andranno con lo stesso ritmo, mentre prima di quella famosa scoperta fisica si pensava di sì ! E si pensava pure che materia e an­ timateria fossero equivalenti; ossia che se avessi­ mo costruito un orologio identico destrorso, ma di antimateria, avrebbe funzionato come l'orolo­ gio destrorso di materia ordinaria e che lo stesso 78

sarebbe accaduto con l 'orologio di antimateria sinistrorso. In altre parole, inizialmente si crede­ va che tutti e quattro questi orologi fossero uguali; ora naturalmente sappiamo che la materia de­ strorsa e quella sinistrorsa non sono uguali - e dunque è presumibile che neppure l' antimateria destrorsa e sinistrorsa lo siano. La domanda più ovvia, a questo punto, è: come si abbinano, se pure si abbinano? La materia de­ strorsa si comporta come l' antimateria destrorsa, o come l 'antimateria sinistrorsa? Gli esperimenti sul decadimento � ' in cui si usano i positroni in­ vece degli elettroni, indicano che l' abbinamento giusto è il secondo: la materia « destrorsa » fun­ ziona esattamente come l' antimateria « sinistror­ sa » . E allora è vero, alla fin fine, che la simmetria fra destra e sinistra si conserva! Se costruissimo un orologio sinistrorso ma di antimateria, non di materia ordinaria, funzionerebbe come quello destrorso di materia ordinaria. Si dà il caso che nel nostro sistema di simmetrie vi siano due re­ gole che non sono indipendenti, ma confluisco­ no in una nuova regola la quale dice che la ma­ teria destrorsa è simmetrica rispetto all' antimate­ ria sinistrorsa. Perciò se il nostro marziano è fatto di antimate­ ria e gli spieghiamo che deve costruire un mo­ dello « destrorso » come il nostro, lo costruirà al­ l'incontrario. Ma che cosa accadrà quando, dopo interminabili dialoghi, ci saremo insegnati a vi­ cenda come costruire astronavi e ci incontrere­ mo a metà strada nello spazio? Di certo saremo informati sulle rispettive abitudini, e così via, e 79

J

dunque ci affretteremo a stringerei la mano. Ma se lui porge la sinistra . . . attenzione !

Rotture di simmetria E che dire di quelle leggi che sono quasi simme­ triche? La cosa meravigliosa in tutto questo è che a una così ampia gamma di fenomeni importanti e di grande intensità - forze nucleari, fenomeni elettrici e persino forze deboli come la gravità -, su una estensione enorme della fisica, si appli­ chino, a quanto pare, solo leggi simmetriche . D ' altra parte, c ' è questa piccola postilla che dice: « No, le leggi non sono simmetriche » . Come mai la natura può essere quasi simmetrica, ma non perfettamente simmetrica? Come la mettiamo? E tanto per cominciare, conosciamo altri esempi? La risposta è sì, ve ne sono alcuni altri. Per esem­ pio la parte nucleare della forza tra protone e protone, neutrone e neutrone o protone e neu­ trone è esattamente la stessa; esiste dunque una nuova simmetria nelle forze nucleari che rende interscambiabili neutrone e protone, ma è chia­ ro che non è una simmetria generale, perché la repulsione elettrica a distanza fra due protoni non esiste per i neutroni. L' affermazione che possiamo sempre scambiare un protone con un neutrone vale dunque solo con una buona ap­ prossimazione. Perché mai buona? Perché le for­ ze nucleari sono molto più forti delle forze elet­ triche. Anche questa, quindi, è una « quasi » sim­ metria. Esistono dunque esempi di altre cose . La nostra mente tende a considerare la simmetria 80

una forma di perfezione. È come l'antica idea dei greci che il cerchio fosse perfetto, per cui credere che le orbite dei pianeti non fossero circolari, ma solo approssimativamente circolari, era abbastan­ za orribile. La differenza tra circolare e quasi cir­ colare non è affatto piccola; concettualmente è un salto fondamentale. In un cerchio c'è un se­ gno di perfezione ,e simmetria che subito sparisce alla prima, minima deformazione - e allora è la fine del cerchio, che non è più simmetrico. Allo­ ra la domanda è perché sia solo approssimativa­ mente un cerchio - una domanda molto più diffi­ cile. Le orbite dei pianeti, in generale, dovrebbe­ ro essere ellittiche, ma col tempo varie forze (ma­ reali e d' altro genere) le hanno rese pressoché circolari. La questione è se qui vi sia sotto un pro­ blema di questo tipo. Il fatto è che se i cerchi fos­ sero perfetti non vi sarebbe niente da spiegare, il che è chiaramente semplice. Ma dato che le orbi­ te planetarie lo sono solo approssimativamente, c'è da spiegare moltissimo, e infatti si è visto che dietro c'è un complicatissimo problema di dina­ mica - e adesso ci tocca spiegare come mai le or­ bite planetarie sono quasi circolari invocando le forze mareali e altre cose. E così dobbiamo spiegare di dove viene la sim­ metria. Perché la natura è solo approssimativa­ mente simmetrica? Nessuno lo sa. Potremmo sol­ tanto suggerire un aneddoto. A Nikko, in Giap­ pone, vi è una porta famosissima che viene citata dalle guide come la più bella del paese . Risale al­ l' epoca in cui era forte l' influenza dell' arte cine­ se, ed è una costruzione estremamente elabora­ ta, con timpani e bellissime sculture e una profu­ sione di colonne e teste di drago e figure di prin81

·F

)

Cipl intagliate nei pilastri, e così via. Ma se si guarda più da vicino, si vede che nella decorazio­ ne di un pilastro c ' è un piccolo elemento scolpi­ to sottosopra. A parte questo particolare, il resto è completamente simmetrico. Ma se ne chiedete il motivo vi spiegano che fu fatto in quel modo affinché gli dèi non fossero gelosi della perfezio­ ne umana. Sicché a bella posta fu inserito un er­ rore, in modo che gli dèi non si adirassero con gli esseri umani. Forse potremmo capovolgere il concetto e pen­ sare che la vera spiegazione della imperfetta sim­ metria della natura sia un' altra: Dio fece le sue leggi approssimativamente simmetriche affinché noi non fossimo gelosi della Sua perfezione !

82

3 LA TEORIA DELLA RELATIVITÀ RISTRETTA

J

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Il principio di relatività Per oltre duecento anni si era creduto che le equazioni del moto enunciate da Newton fossero la descrizione corretta della natura, finché non si scoprì che quelle leggi contenevano un errore. Autore della scoperta fu, nel 1 90 5 , Einstein che però, insieme all'errore, trovò anche il modo di correggerlo. La seconda legge di N ewton, che abbiamo e­ spresso mediante l'equazione F

·

d(m v)fdt ,

era accompagnata dal tacito presupposto che m fosse costante; oggi sappiamo che non è così e che la massa di un corpo aumenta con la velocità. Nella formula corretta di Einstein m ha il valore (3 . 1 )

dove la « massa a riposo » m 0 è la massa di un cor­ po immobile, e c è la velocità della luce, pari a cir­ ca 3 x 1 05 km · s-1 ( 3 00 000 chilometri al secondo) . Per chi desidera impararne solo quel tanto che basta a risolvere i problemi applicativi, nella teo­ ria della relatività non c ' è altro: ci si limita a cam­ biare le leggi di Newton introducendo un fattore di correzione per la massa. Dalla formula stessa si vede facilmente che in condizioni ordinarie l'incremento di massa è piccolissimo. Prendiamo 85

...



pure la velocità di un satellite, che gira intorno alla Terra a circa 8 km/ s: in questo caso vlc = 8/ 3 00 000 , un valore per il quale la formula dà una correzione di l su due-tre miliardi, presso­ ché impossibile da osservare. In realtà la validità della formula stessa è stata am­ piamente confermata dall'osservazione di molti tipi di particelle, con velocità che arrivavano in pratica fino alla velocità della luce; ma è degno di nota che l'effetto, così piccolo in condizioni ordi­ narie, sia stato scoperto prima teoricamente che in un esperimento. Empiricamente, se la velocità è abbastanza alta questo effetto è rp olto vistoso, ma non è così che è stato scoperto. E interessante quindi esaminare in che modo una combinazio­ ne di esperimenti e ragionamenti di fisica abbia messo in luce una legge che (all'epoca in cui ven­ ne scoperta) comportava una modifica tanto deli­ cata. Furono in molti a contribuire alla scoperta, e il risultato finale fu la teoria di Einstein. Propriamente, le teorie einsteiniane sulla relati­ vità sono due. Qui ci occuperemo di quella ri­ stretta, che risale al 1 905. Nel 1 9 1 5 Einstein pub­ blicò un'ulteriore teoria, che chiamò « teoria ge­ nerale della relatività » , che estendeva la relati­ vità ristretta alla legge di gravitazione. Ma qui non la discuteremo. Il principio di relatività fu enunciato per la prima volta da Newton come co­ rollario alle sue leggi del moto: « I moti relativi dei corpi inclusi in un dato spazio sono identici sia che quello spazio giaccia in quiete, sia che il medesimo si muova in linea retta senza moto cir­ colare » . 1 Ciò significa, ad esempio, che se un'al.

Isaac Newton, Philosophiae Naturalis Principia Mathematica,

86

y

Joe t:oe

.-ut-+1

u

•P ..

x

or

(x' , y ' , z ' ) (x, y, z)

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x,

Fig. 1 4 Due sistemi di coordinate in moto relativo unifor­ me lungo l' asse delle x.

stronave viaggia a velocità uniforme, per chi è a bordo dell'astronave tutti gli esperimenti e tutti i fenomeni che hanno luogo al suo interno avran­ no esattamente la stessa forma che avrebbero se l' astronave fosse ferma (a patto, naturalmente, di non guardare fuori) . Il significato del princi­ pio di relatività è questo - un'idea abbastanza semplice. Resta da vedere se è vero che in tutti gli esperimenti condotti in un sistema in moto le leggi avranno la stessa forma che in un sistema in quiete. Esaminiamo dapprima se le leggi di New­ ton appaiono le stesse in un riferimento in moto. Supponiamo che Moe si muova nella direzione x con velocità uniforme u e misuri la posizione di un certo punto (fig. 1 4) ; egli indicherà la « coordinata-x» del punto nel suo sistema di coordinate come x ' . Joe invece sta fermo, ed effettua la .. misura della posizione dello stesso punto indi­ cando la sua « coordinata-x » come x. La relazio­ ne tra le coordinate dei due sistemi è chiara dal diagramma. Dopo un tempo t l'origine di Moe si è spostata della distanza ut, e se inizialmente i due sistemi coincidevano si ha Londini, 1 687 (trad. it. Principi matematici della filosofia natu­ rale, a cura di A. Pala, UTET, Torino, 1 977, p. 1 25 ) [N. d. T.] .

87

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J

x' = x - ut y' = y z

'

=z 't = t .

(3.2 )

Se nelle leggi di Newton sostituiamo le espressio­ ni di questa trasformazione di coordinate (più ' precisamente le x, y, z, t in funzione di x' , y , z ' , t' ) , scopriamo che tali leggi restano uguali nel si­ stema accentato; in altre parole, le leggi di New­ ton hanno la stessa forma in un sistema in moto e in un sistema in quiete, per cui è impossibile di­ stinguere, mediante esperimenti di meccanica, se un sistema è o non è in movimento. Il principio di relatività è stato usato in meccani­ ca per lungo tempo; Fu impiegato ad esempio, in particolare da Huygens, per trovare le leggi dell'urto elastico tra palle da biliardo (si veda la nostra discussione sulla conservazione della quantità di moto) . 1 Nel diciannovesimo secolo, le nuove indagini sui fenomeni elettrici, magne­ tici e luminosi aumentarono l'interesse per tali questioni. Una lunga serie di accurate ricerche , cui parteciparono molti studiosi, culminò nella scoperta, da parte di Maxwell, delle equazioni del campo elettromagnetico, che descrivevano tutti e tre i fenomeni in modo coerente e unita­ rio. Quelle equazioni avevano però un grosso in­ conveniente, non sembravano ubbidire al princi­ pio di relatività stabilito per la meccanica. In al­ tre parole, se le equazioni di Maxwell venivano trasformate mediante le ( 3 . 2 ) , non avevano più l.

Il riferimento è al capitolo 10 delle Lectures on Physics, vol.

I [ N. d. T.] .

88

la stessa forma. Di conseguenza, in un sistema in moto i fenomeni ottici ed elettrici sarebbero sta­ ti diversi da quelli in un sistema in quiete � avreb­ bero quindi potuto venire impiegati per determi­ nare la velocità dei sistema; in particolare, attra­ verso opportune misurazioni ottiche o elettri­ che, la sua velocità assoluta. Una delle conse­ guenze delle equazioni di Maxwell è che se, in se­ guito a una perturbazione, si generano onde lu­ minose, esse si propagano in tutte le direzioni al­ la stessa velocità che, nel vuoto, è c, 3 00 000 km/s. Una seconda conseguenza è che, se la sor­ gente luminosa è in moto, la luce si pro p,aga an­ cora nello spazio con la stessa velocità. E come per il suono: anche in quel caso la velocità di propagazione delle onde è indipendente dal mo­ to della sorgente . Nel caso della luce, tutto ciò solleva u n problema interessante: supponiamo di stare su un ' auto che viaggia a velocità u e che la luce, venendo da die­ tro, ci superi alla velocità c. Derivando la prima delle ( 3 . 2 ) si ha

dx ' fdt = dxfdt - u , il che significa, stando alle trasformazioni gali­ leiane, che la velocità della luce che ci sorpassa, per noi ,çhe la misuriamo dalla macchina, do­ vrebbe essere uguale non a c ma a c u. Per esempio, se la macchina va a 1 60 000 km/ s, la lu­ ce, che di suo va a 3 00 000 km/s, dovrebbe supe­ rarci, apparentemente, alla velocità di 1 40 000 km/ s. In ogni caso, misurando dalla maçchina la velocità della luce dovremmo essere in grado, se la trasformazione di Galilei vale anche per la lu-

89

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ce, di determinare la velocità della nostra auto. Basandosi su questo principio generale, si è fatta una quantità di esperimenti per determinare la velocità della Terra; nessuno ha avuto successo: la velocità risultava invariabilmente nulla. Ora ne vedremo uno in dettaglio per spiegare esatta­ mente che cosa è stato fatto e qual era il guaio ­ perché naturalmente un guaio, un errore nelle equazioni della fisica, c 'era. Ma quale?

La trasformazione di Lorentz Quando fu chiaro che in quel caso le equazioni della fisica non funzionavano più, la prima cosa che venne in mente agli scienziati fu che nelle equazioni di Maxwell dell' elettrodinamica - che all' e p oca avevano solo vent' anni - vi fosse qual­ cosa di sbagliato. Pareva ovvio che lì stesse l' erro­ re; bisognava dunque modificare le equazioni in modo tale che, sottoposte a una trasformazione di coordinate galileiana, soddisfacessero al prin­ cipio di relatività. Senonché, i nuovi termini che andavano inseriti nelle equazioni portavano a ipotizzare fenomeni elettrici che - quando si an­ dava a verificarli sperimentalmente - risultavano del tutto inesistenti, e il tentativo fu così abban­ donato. Un po ' alla volta divenne chiaro che le leggi elettrodinamiche di Maxwell erano corret­ te, e che l'errore andava cercato in un' altra dire­ zione. Nel frattempo Hendrik Antoon Lorentz si era ac­ corto di una cosa molto interessante e curiosa: 90

quando nelle equazioni di Maxwell si eseguivano queste sostituzioni

x' = y'

x - ut .jl - u 2 j c2

= y z =z t - uxjc 2 t, = ' .jl - u 2 jc2 '

(3·3)

le equazioni trasformate avevano la stessa forma! Le ( 3 . 3 ) sono note come trasformazione di Lorentz. Einstein, seguendo un suggerimento avanzato in origine da Poincaré, propose allora che tutte le leggi fisiche dovessero essere tali da restare invariate sotto una trasformazione di Lorentz. In altri termini, a dover essere cambiate erano le leggi della mec­ canica, non quelle dell'elettrodinamica. Come modificheremo le leggi di N ewton in maniera che esse pure restino invariate sotto una trasformazione di Lorentz? Se è questo il nostro obietti­ vo, dobbiamo riscrivere le equazioni newtoniane in modo che soddisfino le condizioni loro impo­ ste. Si è visto che per questo basta sostituire la massa m con l ' espressione ( 3 . 1 ) . Un a volta ap­ portata questa modifica, le leggi di Newton con­ cordano con quelle dell' elettrodinamica. Se dunque usiamo la trasformazione di Lorenz, confrontando le misure di joe e di Moe non riu­ sciremo mai a scoprire se l'uno o l' altro sia in moto, perché tutte le equazioni avranno la stessa forma in entrambi i sistemi di coordinate. Tuttavia, mentre la trasformazione di coordinate di Galilei sembra essere evidente, quella di Lo91

·

,

r rentz appare alquanto singolare. Che , cosa si­ gnifica rimpiazzare l'una con l'altra? E logica­ mente e sperimentalmente p ossibile che sia cor­ retta la nuova trasformazione e non la vecchia? Per scoprirlo non basta studiare le leggi della meccanica. Per capire la trasformazione di Lo­ rentz, anche noi, come Einstein, dovremo riesa­ minare le nostre idee di spazio e tempo. La di­ scussione di questi concetti e delle loro implica­ zioni nella meccanic a prenderà un po' di tempo, ma premetto che non sarà fatica inutile, dato che i risultati si accordano con l'esperienza.

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Come ho ricordato, furono fatti vari tentativi per determinare la velocità assoluta della Terra attra­ verso l'ipotetico « etere » che si supponeva perva­ desse tutto lo spazio. Il più famoso di questi e­ sperimenti venne effettuato da Michelson e Mor­ ley nel 1 887. Occorsero diciotto anni prima che l'esito negativo dell' esperimento fosse spiegato, finalmente, da Einstein. L' esperimento . di Michelson-Morley fu eseguito con un apparecchio simile a quello schematizza­ to nella figura 1 5 : sostanzialmente comprende una sorgente luminosa A, una lastra di vetro par­ zialmente argentata B e due specchi C ed E, il tut­ to montato su una base rigida; gli specchi erano posti alla stessa distanza L da B. La lastra B divide il raggio di luce incidente in due raggi perpendi­ colari che proseguono il loro cammino fino agli specchi, dove vengono riflessi all'indietro verso 92

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L 'esperimento di Michelson -Morley

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Schema dell' esperimento di Michelson-Morley.

B. Tornando in B si ricompongono come due fa­ sci sovrapposti D e F. Se il tempo impiegato dalla luce per andare da B a E e ritorno è uguale al tempo per andare da B a C e ritorno, i raggi D e F, emergendo da B, saranno in fase e si rinforze­ ranno a vicenda; se invece i due tempi sono lie­ vemente diversi� le onde saranno leggermente sfasate, e si avrà un 'interferenza. Se l' apparec­ chio fosse « a riposo >> rispetto all'etere, i tempi dovrebbero essere esattamente uguali, ma se si muovesse verso destra a velocità u, nei tempi do­ vrebbe esservi una differenza. Vediamo perché. Calcoliamo innanzitutto il tempo che impiega la luce per andare da B a E e ritorno; chiameremo · t1 il tempo del viaggio di andata e � il tempo del viaggio di ritorno. Ora, mentre la luce va da B a E, l' apparecchio si sposta di un tratto ut1 , per cui 93

""

J

la luce percorrerà una distanza pari a L + ut1 • Possiamo anche esprimere questa distanza come ct1 , e quindi

ct1 = L + ut1 , owero t1 = Lj(c - u) . (Questo risultato è owio anche assumendo che la velocità della luce relativa all' apparato sia e - u, perché allora il tempo sarà la lunghezza L divisa per c - u) . Il tempo t 2 può essere calcolato in mo­ do analogo. Durante questo tempo la lastra B avanza di un tratto ut 2 ; al ritorno, la luce attra­ verserà una distanza L - ut 2 , e quindi

ct2 = L - ut2 , owero t2 = L/ (c + u) .

Quindi il tempo totale è ·

t1

+

t2 = 2Lcj(c 2 - u 2 )

che, in vista di futuri confronti tra tempi, risulta più comodo scrivere così:

2Ljc tl + (2 = . l - u 2 jc2

( 3 -4)

Calcoliamo adesso il tempo t3 che la luce impiega per andare da B allo specchio C. Come prima, nel tempo t3 C si sposta a destra di una distanza ut3, fino alla posizione C ' , e contemporan eamente la luce copre la distanza ct3 lungo l'ipotenusa BC' di un triangolo rettangolo, per il quale si ha

(ct3) 2 = L 2 + (ut3 ) 2

owero

L2

=

c2 tf - u 2 tf

da cui otteniamo 94

=

( c2 - u 2 )tf ,

t3

=

Ll/c2 - u 2•

Nel viaggio di ritorno da C ' l a distanza è la stessa, come si vede dalla simmetria della figura; di con­ se gu enz a anche il tempo è uguale e il tempo to­ tale sarà 2 t3. Rimaneggiando un poco la forma possiamo scrivere ,

2t3

==

2L

v'c2 - u 2

=

2Lj c .jl - u 2 j c2 .

.

(3·5)

Finalmente siamo in grado di confrontare i tem­ pi impie gati dai due raggi. Nelle espressioni (3.4) e ( 3 . 5 ) il numeratore è lo stesso e rappre­ senta il tempo che verrebbe impiegato se l'app a­ recchio fosse in quiete; i denominatori, nei quali il termine u 2 j c2 è molto piccolo, a meno che u non sia dell' ordine di grandezza di c, rappresen­ tano invece le variazioni di questo tempo causate dal moto dell' apparecchio - e tali variazioni non sono uguali ! Il tempo di andata e rito rn o da B a C è un po' meno del tempo di andata e ritorno da B a E, e ci resta solo da misurare la differenza con precisione . Qui sorge un piccolo problema tecnico: e se le due lunghezze L non fossero esattamente ugua­ li? In effetti, è impossibile renderle perfettamen­ te uguali; ma ci basta girare l ' ap p are cch io di 90° , in modo che BC sia parallelo alla direzione del moto e BE perp e n di c o l are . A que l punto le pie- . cole differenze di lunghezza diventeranno irrile­ vanti; quel che cerchiamo è uno spostamento delle fran g e di interferenza quan d o ruotiamo ·

l' apparecchio. Nel loro esperimento, Michelson e M o rl ey orien­ tarono l'apparecchio in modo che la direzione 95

···

,

BE fosse pressoché parallela ( a determinate ore del giorno e della notte ) al moto orbita! e della · �

Terra, che ha una velocità di circa 3 0 chilometri al secondo ; dunque in determinate ore del gior­ no o della notte , e in determinate stagioni , la « velocità di trascinamento » dell 'etere dovrebbe

avere come minimo questo valore . L' apparec­ chio aveva una sénsibilità più che sufficiente a ri­

levare un simile effetto , ma non venne osservata alcuna differenza nei tempi - il moto della Terra rispetto all ' etere non poté essere rilevato . L' espe·

rimento ebbe esito nullo .

Era una conclusione incomprensibile e alquanto

·-

allarmante . Lorentz , per primo, suggerì una via per uscire dal vicolo cieco , ipotizzando che i cor­

pi materiali in moto si contraggano, e che tale ac­ corciamento awenga · solo nella direzione · del moto . Se un corpo in quiete ha lunghezza quando si muove con velocità

u

Lo ,

parallelamente

.t l.

. l .

l

Il confronto con la ( 3 . 5 ) mostra che t1 + t = 2 t3• 2 S e l ' apparecchiatura s i contraesse n e l modo in­ dicato avremmo quindi una spiegazione della mancanza di effetti dell 'esperimento di Michel­ son-Morley. L' obiezione che veniva rivolta all ' i­ potesi della contrazione era di essere artificiosa, · introdotta a bella posta per aggirare il problema. D' altra parte , vari altri esperimenti volti a rivela­ re un vento d ' etere andarono incontro a diffi­ coltà analoghe; era come se la natura « congiu­ rasse » contro tutti gli sforzi umani, e per ogni fe­ nomeno che avrebbe dovuto permettere una mi­ surazione di u ne introducesse un altro di nuovo tipo che lo vanificava. Ma una congiura universale, faceva notare Poin­ caré, sarebbe anch 'essa una legge di natura. Lo stesso Poincaré avanzò l ' ipotesi che vi sia realmente una legge di natura di quel tipo e che nessun esperimento consenta di scoprire un vento d ' ete­ re o di determinare una velocità assoluta.

alla lunghezza, ha una luQghezza, indicata con L n , data da

L1

=

L0-/l - u2jc2 •

( 3 .6)

Quando s i applica questa modifica all ' interfero­ metro di Michelson-Morley, la distanza

L da B a

C

non cambia, mentre quella da B a E si accorcia di un fattore

(3 .5)

.

L..j l - u2 lc2 •

tiene

- - 96

Perciò l ' equazione

resta invariata, ma nella

dificata in accordo con la

f t + t2

·

=

( 3 .6) .

(2Ljc)..ji - u2 jc2 1 - u2 jc2 .

( 3 .4)

la

L va

mo­

In tal modo si ot­

2Lfc

.

(3.7)

Trasformazioni del tempo Quando andiamo a verificare se l ' idea di contra­ zione è in armonia con i dati di altri esperimen­ ti, vediamo che tutto va bene purché si mo­ difichino anche le durate, nel modo descritto dal­ la quarta delle ( 3 . 3 ) . Questo perché il tempo t3 del viaggio da B a C e ritorno non è lo stesso per chi esegue l' esperimento su una navicella spazia­ le in moto e per un osservatore in quiete che guarda la navicella da fuori : per il primo ts è semplicemente 2L/c, mentre per il secondo è

97

,

)

(2L/c) //1 - u2jc2

(eq. 3 . 5 ) . In altri termini, quando l' astronauta si accende un sigaro, l' osser­ vatore esterno vede tutti i suoi gesti più lenti del normale, mentre per chi sta nella navicella spa­ ziale ogni cosa si muove alla solita velocità. Così, non solo devono accorciarsi le lunghezze, ma an­ che gli strumenti di misura del tempo, gli « oro­ logi » , devono apparentemente rallentare: quan­ do l 'uomo nella navicella vede che il suo orolo­ gio segna un secondo , per l' osservatore esterno sono passati 1 //1 - u2 jc2 secondi. Questo rallentamento degli orologi in un siste­ ma in movimento è un fenomeno ben strano e merita una spiegazione. Per capire come stanno le cose dobbiamo osservare il meccanismo del­ l'orologio e vedere che cosa succede quando lo muoviamo; e poiché questo non è facile, prende­ remo un tipo di orologio molto semplice - e nep­ pure particolarmente intelligente - ma che in li­ nea di principio può funzionare: un' asta gradua­ ta (un metro) con uno specchio ad ogni estre­ mità. Quando tra gli specchi facciamo partire un segnale luminoso, la luce rimbalza su e giù, fa­ cendo un clic ogni volta che giunge, diciamo, nello specchio in basso - proprio come un nor­ male orologio. Di questi congegni l)e costruiamo due, esattamente della stessa lunghezza, li sincro­ nizziamo facendoli partire insieme e da quel mo­ mento resteranno sempre sincroni perché han­ no la stessa lunghezza e la luce si propaga sem­ pre con velocità c. Poi ne diamo uno all' astro­ nauta perché se lo porti sulla navicella, ed egli monta l 'asta perpendicolarmente alla direzione del moto, ossia nella direzione y, cosicché la sua lunghezza non cambi. Ma come facciamo a sape-

98

' i

re che- le lunghezze perpendicolari al moto non cambiano? I due partecipanti all' esperimento possono accordarsi perché quando sono affian· cati ciascuno faccia un segno sull' asta graduata dell' altro (entrambe nella direzione y) . Per sim­ metria i due segni dovranno avere coordinate y t: ' y uguali - altrimenti quando si ritroveranno per confrontare i risultati uno dei segni sarebbe so­ pra o _ sotto l' altro, e quindi potremmo stabilin chi dei due si è mosso in realtà. Vediamo ora che cosa succede all' orologio ir movimento. Prima di portarselo a bordo l' astro nauta ha visto che era un buon orologio, ben ta­ rato, e mentre viaggia non ci trova niente di stra no. Se notasse qualche anomalia saprebbe di es­ sere in moto - se in seguito al moto cambiasse" qualcosa, non importa quale, egli capirebbe d non essere fermo. Ma il principio di relatività di­ ce che in un sistema in moto uniforme questo t impossibile, quindi nulla è cambiato. E però l'm servatore esterno, quando guarda l ' orologio nel­ la navicella vede che la luce, nel suo rimbalzar, da specchio a specchio, percorre « in realtà » u1.a: cammino a zigzag, perché l' asta per tutto il tem:­ po si muove trasversalmente . Abbiamo già anali:i zato un moto simile a proposito dell' esperimen­ to di Michelson-Morley: mentre l' asta si spost"' orizzontalmente di un tratto proporzionale a (fig. 16c), la luce percorre diagonalmente una di­ stanza proporzionale a c e il tratto verticale sar , quindi proporzionale a Jc2 - u2 In altre parole, per viaggiare da un estremo al­ l'altro la luce impiega più tempo nell'orologio i movimento che in quello stazionario. Di conse­ guenza, il tempo apparente tra due clic succes�=•

S .:�

J

Specchio

�l

��s J \ D �'"'� (a)

Riflessione dell'impulso

� : : : : : :.

t�

iste�a



Impulso emesso

�" u -

'-----'

1

D

r:���-�:�.-1 ( b)

·

Ricezione

u

( c)

( a ) Un « orologio a luce » in quiete nel sistema S ' . Fig. 1 6 ( b) Lo stesso orologio, i n moto nel sistema S. ( c ) Illustrazio­ ne della traiettoria diagonale del raggio luminoso in un « orologio a luce » in moto.

vi è più lungo, secondo l a stessa proporzione che c ' è fra l ' ipotenusa e il cateto nella figura (questa è l ' origine delle radici quadrate nelle nostre equazioni ) . Dalla figura .è anche chiaro che più grande è u più lento appare l ' orologio in movi­ mento . Ma se la teoria della relatività è corretta, . la cosa non riguarda solo ques�o particolare tipo di orologio: ogni orologio, su qualunque princi­ pio si basi, sembrerebbe rallentare nella stessa misura. Non c ' è bisogno di uno studio ulteriore per dirlo . Come mai è così? Per rispondere a questa domanda supponiamo di avere altri due orologi fatti esattamente allo stesso modo - con ruote e ingranaggi, o magari basati sul decadimento radioattivo o su qualco­ s' altro - e di sincronizzarli esattamente con i pri­ mi due . Quando in un orologio a luce un raggio va avanti e indietro segnalando il suo arrivo con un clic, anche i nuovi modelli completano una . qualche forma di ciclo, che annunciano simulta-

1 00



��· Jc2-u2

l:t�l��

neamente con lampi, suoni, o altri segnali. Uno dei nuovi orologi va nella navicella spaziale insie­ me a quello del primo tipo . Chissà� magari questo orologio, anziché rallentare , continuerà a tenere lo stesso ritmo del suo gemello a terra, in disac­ cordo con l ' altro modello nella navicella . . . Eh no ! Se così fosse l ' astronauta potrebbe usare lo sfasamento dei suoi due orologi per determinare la velocità della navicella, ma noi abbiamo sup­ posto che ciò sia impossibile . Non è necessario sape-

re nulla sul meccanismo del nuovo orologio che potrebbe indurre il rallentamento - sappiamo già che, qua-

le che ne sia la ragione, rallenterà come il primo . Ma se tutti gli orologi in movimento vanno più piano, se in ogni tipo di misura del tempo non si ottiene altro che un ritmo più lento , dovremo ammettere che, in un certo senso , è il tempo stesso a rallentare in una navicella spaziale . Lì dentro , tutti i fenomeni - le pulsazioni dell ' astronauta, i suoi processi mentali, il tempo che ci mette ad accendere un sigaro , il tempo per crescere e in­ vecchiare - devono rallentare in proporzione, perché l ' uomo non può dire se è in movimento o meno . A volte i biologi e i medici dicono di non essere poi tanto sicuri che su una nave spa­ ziale un cancro ci metterà più tempo a svilupparsi , ma dal punto di vista di un fisico moderno la cosa è pressoché sicura; in caso contrario :R_o­ tremmo usare il ritmo a cui il cancro si svilupp'à.../ per stabilire la velocità della navicella! I mesoni fl o muoni ci forniscono un esempio molto interessante di rallentamento del tempo dovuto al moto . Queste particelle , che decadono spontaneamente dopo una vita media di 2,2 x l Q-6 secondi, sono presenti nei raggi cosmici, ma pos-

101

....

.)

-

sono anche essere prodotte artificialmente in labòratorio; tra i mesoni di origine cosmica, alcuni decadono nell' atmosfera, mentre altri lo fanno solo dopo ave re incontrato un pezzo di materia che li arresta. E chiaro che nell a sua effimera vita un muone, anche viaggiando alla velocità della luce, non può percorrere molto più di 600 metri. Eppure, benché i muoni vengano creati negli strati alti dell 'atmosfera, a una quota di circa 1 0 chilometri, e ssi vengono trovati nei raggi cosmici che raggiungono i nostri laboratori a terra. Com'è possibile? La risposta è che queste particelle si muovono a velocità molto diverse, che qualche volta sfiorano quella della luce; e così, mentre dal loro punto di vista vivono solo 2 microsecon­ di, dal nostro punto di vista vivono ben più a lun­ go - quanto basta a raggiungere il suolo. Sappia­ mo già che il fattore di cui il tempo si allunga è

La contrazione di Lorentz

l l J l - u2 l c2 ; la vita media dei mesoni di diverse

velocità è stata misurata molto accuratamente, e i valori ottenuti corrispondono strettamente alla formula. Non sappiamo perché il mesone fl decada o qua­ le meccanismo sia dietro a questo processo; sap.. piamo però che il suo comportamento soddisfa il principio di relatività. L'utilità del principio è - proprio questa: ci permette di fare previsioni, an­ che su cose delle quali, altrimenti, non sappiamo granché. Così, prima di avere la minima idea del­ la causa del decadimento del mesone possiamo prevedere che quando viaggia a 9 l l O della velo­ cità della luce la durata apparente della sua vita media sarà (2, 2 x l o-6) l J l - 92 l l 02 secondi, e la cosa bella di questa previsione è che funziona. 1 02

Torniamo adesso alla trasformazione di Lorentz ( 3 . 3 ) e proviamo a capire un po ' meglio le rela­ ' ' zioni tra i sistemi di coordinate ( x, y, z, t) e ( x , y , ' z , t' ) , che chiameremo rispettivamente sistema S e S' , o di Joe e di Moe. Abbiamo già osservato che la prima equazione della trasformazione si basa sull' ipotesi dello stesso Lorentz che tutte le cose si contraggano nella direzione x: ma come possiamo dimostrare che questa contrazione ha effettivamente luogo? Nell'esperimento di Mi­ chelson-Morley, dobbiamo tener conto del fatto che il braccio trasversale BC non può, per il prin­ cipio di relatività, cambiare di lunghezza; ma il risultato nullo dell' esperimento richiede che i tempi siano uguali, e dunque per salvaguardare questo risultato nullo il braccio longitudinale BE dovrà accorciarsi di .J l - u2 l c2 Che cosa si­ gnifica questo accorciamento per quanto riguar­ da le misurazioni di Joe e di Moe? Supponiamo che Moe, il quale viaggia in direzione x insieme al sistema S ' , stia misurando la coordinata x' di ' un punto con un metro: egli riporta il regolo x ' volte, e pensa che la lunghezza sia x metri. Ma dal punto di vista di Joe, che sta nel sistema S, Moe sta usando un regolo più corto e in realtà ha ' misurato una distanza di x .J l - u2 l c2 metri. Perciò, se l' origine del sistema S ' si è spostata di una distanza ut, l ' osservatore in S dirà che il me­ desimo punto, misurato nelle sue coordinate, si ' trova alla distanza x )l - u2 lc2+ ut , e quindi •

·

x

1

=

x-

ut

)l - u21c2

' 1 03

)

che è la prima equazione della trasformazione di Lorentz.

Simultaneità

A causa della differenza fra le scale temporali, compare analogamente il radicale al denomina­ tore anche nella quarta delle equazioni di Lo­ rentz. Qui però il termine più interessante è 2 quell' uxjc al numeratore, del tutto nuovo e im­ previsto. Ma che significato ha? Un esame atten­ to della situazione mostra che eventi che Joe, nel sistema S, vede aècadere contemporaneamente in luoghi diversi non sono simultanei per Moe in S ' . Si scopre che se, nel sistema S, un evento ac­ cade nel punto x 1 all'istante to e un altro evento accade all'istante to (lo stesso tempo) nel punto x2 , i due istanti corrispondenti t '1 e t '2 nel sistema S ' differiscono della quantità

t

1

2

=

t

1

l

=

u (x1 - x2 )/c2 Jl u2jc2

-;::==:;::=� '--

Questa circostanza prende il nome di « difetto di simultaneità a distanza » ; ma per chiarirci un po' le idee consideriamo il seguente esperimento. Supponiamo che un uomo in una navicella spa­ ziale (il sistema S ' in moto) abbia messo un oro­ logio ad ogni estremità pella navicella e voglia as­ sicurarsi che i due orologi siano sincroni. Come farà a sincronizzarli? Vi sono vari modi. Una so­ luzione, che comporta un calcolo elementare, sa­ rebbe quella di determinare innanzitutto il pun1 04

l

to di mezzo tra i due orologi; da questa base vie­ ne lanciato un segnale luminoso che viaggerà al­ la stessa velocità in direzioni opposte, e arriverà a entrambi gli orologi, chiaramente, nello stesso istante. Per sincronizzare gli orologi possiamo quindi utilizzare l'arrivo simultaneo dei segnali, e supporremo senz' altro che l'uomo in S' segua questo metodo. Vediamo se un osservatore nel sistema S sarebbe d' accordo con l' affermazione che i due orologi sono sincroni. L'uomo in S' ha ragione di crede­ re che lo siano perché non sa di essere- in movi­ mento, tpa l'uomo in S fa il seguente ragiona­ mento: dato che la nave si sposta in avanti, l' oro­ logio a prua si è allontanato dal segnale lumino­ so e la luce ha dovuto fare più di metà del cam­ mino per raggiungerlo; quello a poppa invece andava incontro al segnale e quindi la luce ha percorso un cammino più breve. Perciò la luce ha raggiunto prima l' orologio a poppa, nono­ stante all' uomo di S' l' arrivo dei due segnali ap­ parisse simultaneo. Conclusione: quando un a­ stronauta ritiene contemporanei due eventi che accadono in due posizioni diverse, uguali valori di t ' nel suo sistema di coordinate devono corri­ sponderè a valori diversi di t nell' altro sistema!

Quadrivettori

Vediamo cos'altro riusciap1 o a scoprire nella tra­ sformazione di Lorentz . E interessante osservare che la relazione fra le x e le t è formalmente ana­ loga alla trasformazione fra le x e le y studiata nel 1 05

"

J

r

primo capitolo a proposito delle rotazioni delle coordinate. Avevamo trovato che x ' = x cos e + sin e,

(3 .8)

y ' y = y cos e - x sin e, '

ove le espressioni di x' di y sono mescolanze del­ le vecchie coordinate x e y ; analogamente, nella trasformazione di Lorentz troviamo una nuova x' che è una mescolanza di x e t e una nuova t ' che è una mescolanza delle stesse variabili. Pertanto la trasformazione di Lorentz è analoga a una rota­ zione, solo che è una « rotazione » nello spazio e nel tempo - uno strano concetto. Possiamo verificare questa analogia con la rotazione calcolando la grandezza

x '2 + y '2 + z '2

_

c 2 t '2 = x 2 + Y 2 + z 2

_

c212 . ( 3 . 9 )

In questa relazione, i primi t,re termini di ambo i membri rappresentano, nella geometria a tre di­ mensioni, il quadrato della distanza di un punto dall' origine (la superficie di una sfera) , quadrato che resta immutato ( è invariante) rispetto alle rotazioni degli assi delle coordinate. Analoga­ mente , la (3 .9 ) mostra che vi è una certa combi­ nazione, che include il tempo, che è invariante rispetto a una trasformazione di Lorentz. L' ana­ logia con una rotazione è così completa, ed è di un genere tale che i vettori - cioè grandezze che implicano « componenti » che si trasformano allo stesso modo delle coordinate spaziali e del tem­ po - sono utili anche a proposito della relatività. Consideriamo quindi un ampliamento della ca­ tegoria dei vettori, finora dotati solo di compo­ nenti spaziali, per includere una componente temporale. In altre parole, è probabile che vi sa1 06

., r

.

ranno vettori con quattro componenti; tre di queste saranno come le componenti di un vetto­ re ordinario, ma ad esse se ne accompagnerà una quarta, che sarà l'analogo di una compo­ nente temporale. Questo concetto verrà approfondito nei prossimi capitoli, dove vedremo che se si applicano le idee appena esposte alla quantità di moto, la tra­ sformazione fornisce tre parti spaziali analoghe alle componenti ordinarie della quantità di mo­ to, più una quarta componente, la parte tempo­ rale, che è l' energia.

Dinamica relativistica Siamo ora pronti per indagare, più in generale, quale forma assumono le leggi della meccanica per effetto della trasformazione di Lorentz. [Fin qui abbiamo spiegato come cambiano la lun­ ghezza e il tempo, ma non come si ottiene la nuova formula per m (eq. 3. 1 ) . Lo faremo nel prossimo capitolo] . Per illustrare le conseguenze della modifica di m per la _meccanica newtonia­ na, partiamo dalla legge che dice che la forza è uguale alla rapidità di variazione della quantità di moto, owero

F = d(mv)fdt . La quantità di moto è ancora data da mv,· ma con la nuova m diventa

p=

mv =

m0v .jl v 2 j c2 _

(3 . 1 0)

1 07

.,

È questa l a modifica di Einstein alle leggi di New­ ton. Con questa modifica, se azione e reazione restano uguali (e possono non esserlo in detta­ glio, ma lo sono ancora nel lungo periodo) , la quantità di moto si conserverà come prima, ma a conservarsi non sarà più la vecchia mv con la sua massa costante, ma la quantità ( 3 . 1 o) , con la sua massa modificata. Con questo cambiamento il principio di conservazione della quantità di mo­ to funziona ancora. Ora vediamo come varia la quantità di moto con la velocità. Nella meccanica newtoniana essa è proporzionale alla velocità e, secondo la ( 3 . 1 0) , in un ampio intervallo di velocità, purch é picco­ le rispetto a c, le cose vanno quasi allo stesso mo­ do anche nella meccanica relativistica: in tal ca­ so, infatti, l'espressione sotto radice differisce di pochissimo da l . Quando invece v è quasi uguale a c, il denominatore tende a zero, e la quantità di moto tende all' infinito. Che cosa accade se un corpo è soggetto all' azio­ ne di una forza costante per molto tempo? Nella meccanica newtoniana continua ad acquistare ve­ locità, finché diventa più veloce della luce. Nella meccanica relativistica questo è impossibile. In re­ latività il corpo acquista non velocità, ma quantità di moto, e questa può aumentare illimitatamente perché la massa aumenta. Dopo un certo tempo non vi è praticamente più accelerazione nel senso di una variazione della velocità, ma la quantità di moto continua ad aumentare. Ovviamente, tutte le volte che la forza fa cambiare molto poco la ve­ locità, diciamo che l'inerzia del corpo è molto grande, ed è precisamente quello che dice l'e­ spressione relativistica della massa (3. 1 0) ; che 1 08

quando v è quasi uguale a c l'inerzia è grandissi­ ma. Ma ecco un esempio di questo effetto: per de­ flettere gli elettroni ad alta velocità nel sincrotro­ ne del Caltech, abbiamo bisogno di un campo ma­ gnetico 2000 volte più intenso di quello che ci sa­ remmo aspettati in base alle leggi di Newton. In altre parole, nel sincrotrone la massa degli elettro­ ni è 2000 volte più grande di quella normale - pa­ ri a quella di un protone ! Ma se m è 2000 volte più grande di m 0 , allora l - v 2 j c2 dev'essere uguale a l / 4 000 000, il che significa che v 2 j c2 differisce da l di una parte su 4 000 000, o anche che v differi­ sce da c di una parte su 2000, per cui gli elettroni sono molto vicini alla velocità della luce. ·Se gli elettroni partissero insieme alla luce dal sincrotro­ ne. diretti verso il Bridge Laboratory (distante cir­ ca 200 metri) , chi arriverebbe prima? Ovviamente la luce, perché niente è veloce quanto la luce.1 Ma quanto prima? Questa è una domanda troppo difficile, ma possiamo dire di quanto la luce sareb­ be in testa: circa un quarantesimo di millimetro, cioè un quarto dello spessore di un foglio di carta! E quando un elettrone va così veloce la sua massa è enorme, ma la sua velocità non può comunque · superare quella della luce. Vediamo ora qualche altra conseguenza ,d ella va­ riazione relativistica della massa. Consideriamo il moto delle molecole in un piccolo serbatoio di gas: quando il gas viene riscaldato la velocità del­ le molecole cresce, e dunque aumenta anche la loro massa - il gas è più pesante. Nel caso di piel . In realtà contro la luce visibile gli elettroni vincerebbero, per via dell'indice di rifrazione dell'aria. I raggi gamma se la caverebbero meglio.

1 09

...

l

cole velocità è possibile ricavare una formula ap­ prossimata per esprimere l 'aumento di massa svi­ luppando in serie di potenze mo/Jl - v2jc2 = m0 ( 1 - v 2 jc2 ) 112 per mezzo del teorema del bi­ nomio. Otténiamo

l m o ( l - v 2 / c 2)- l /2 = m o ( l + - v 2 jc2 + 2 . 3 + g v 4 fc 4 + . . . ) ,

()

mc 2 = moc2

l + 2 mov 2 + . . .

(3. 1 2 )

A

dalla quale si vede chiaramente che quando è piccola la serie converge molto rapidamente e i termini dopo i primi due o tre hanno valori tra­ scurabili. Perciò possiamo scrivere

l 1 m = m o + 2 m ov 2 c2

to che la massa è uguale al contenuto totale di energia diviso per c2 - possa essere espressa da qualche formula più semplice della ( 3 . 1 ) . Se mol­ tiplichiamo l'equazione (3. 1 1 ) per c2 otteniamo

(3. 1 1 )

in cui il secondo termine al secondo membro esprime l'aumento di massa dovuto alla velocità molecolare. Quando la temperatura sale, anche v2 aumenta proporzionalmente, cosicché possia­ mo dire che l' aumento della massa è proporzio­ nale all' aumento della temperatura; ma poiché l /2 mo v2 altro non è che l'energia cinetica nel vecchio senso newtoniano, possiamo anche dire che l ' aumento di massa dell'intero volume di gas è uguale all' incremento di energia cinetica divi­ so per c 2 : �m = � (E.C. ) / c 2 .

sinistra abbiamo l ' energia totale del corpo, e riconosciamo nell'ultimo termine a destra la sua energia cinetica ordinaria; Einstein interpretò la grande costante moc 2 come una parte dell' ener­ gia totale del corpo, più esattamente come una componente intrinseca, la cosiddetta « energia a nposo » . Vediamo le conseguenze dell'aver supposto, con Einstein, che l'energia di un corpo sia sempre ugu ale a mc 2 . Un primo risultato interessante è che ne ricaviamo la formula ( 3 . 1 ) per la variazione della massa con la velocità, che finora avevamo soltan­ to postulato. Partiamo con il corpo in quiete, che ha l'energia moc 2 , e gli applichiamo una forza che lo mette in moto e gli dà energia cinetica; es­ sendo cresciuta l'energia è cresciuta allora anche la massa - questo è implicito nell'ipotesi iniziale, e finché la forza è presente continueranno a cre­ scere tutte e due. Nel capitolo 1 3 (delle Lectures on Physics, vol. l) abbiamo già visto che la rapidità di variazione dell'energia nel tempo è uguale al­ la forza per la velocità,

--

Equivalenza di massa ed energia

dE - F · v. dt

L'osservazione precedente portò Einstein a sup­ porre che la massa di un corpo - una volta stabili-

e sappiamo anche (eq. (g. 1 ) , cap. 9 delle Lectures on Physi cs, vol. l) che F = d(mv)fdt . Se mettiamo

I lO

(3. 1 3)

111

...,...: _;:· · . . · ;

,.

- ·-

insieme queste due relazioni e la definizione di E, l 'equazione ( 3 . 1 3 ) diventa

d (m v) d (mc2 ) --- = V · -dt dt

'

( 3· 1 4)

Ora vogliamo risolvere questa equazione per m. Per questo usiamo innanzitutto un artificio mate­ matico, moltiplicando entrambi i membri per 2 m. La ( 3 . 1 4) diventa così

dm d(mv) = 2mv c2 (2m ) dt J





(3. 1 5)

Dobbiamo eliminare le derivate, e possiamo riu­ scirei integrando ambo i membri. Si riconosce subito che (2m) dmfdt è la derivata temporale di m2 , e (2mv) d(mv)jdt è la derivata temporale di ( mv) 2 ; perciò la ( 3 . 1 5 ) e la ·

2 2 2 2 d(m ) = d(m v ) c dt dt

(3 . 1 6)

sono la stessa equazione. Se le derivate di due grandezze sono uguali, que­ ste differiscono al più per una costante, e possia":" mo scrivere quindi

m 2 c 2 = m 2 v2 + C .

(3. 1 7)

Abbiamo però bisogno di definire la costante C in modo più esplicito . Poiché la ( 3. 1 7 ) deve es­ sere vera per ogni v, possiamo scegliere il caso particolare di v = O, e dire che in tal caso la mas­ sa è rno; sostituendo questi valori nella ( 3 . 1 7 ) ot­ teniamo

m�c2 = 0 + C . Con questo valore di C, la ( 3. 1 7) diventa

1 12

m 2 c2 = m 2 v 2 + m�c2 •

(3. 1 8)

Dividendo per c2 e riordinando i termini arrivia­ mo a

m 2 ( 1 - v 2 /c2 ) = m� , da cui

m = mo/ J l - v 2 / c2



( 3· 1 9 )

Questa è la formula ( 3 . 1 ) , ed è esattamente quel che occorre per la concordanza fra massa ed energia nell' equazione ( 3 . 1 2 ) . Normalmente queste variazioni di energia corri­ spondono a variazioni di massa piccolissime, per­ ché di solito non siamo in grado di gene rare molta energia a partire da una data quantità di materia; ma si può dimostrare che - per esempio - in una bomba atomica con un' energia esplosi­ va equivalente a 20 kiloton di TNT il residuo del­ l'esplosione, proprio a causa dell ' energia libera­ ta, pesa l grammo meno della massa iniziale del materiale attivo; il che vuoi dire che l' energia li­ berata, in base alla relazione � E = � ( mc2 ) , aveva la massa di un grammo. Questa teoria dell' equi­ valenza tra massa ed energia ha avuto bellissime conferme in esperimenti di annichilazione della materia (in cui cioè la materia viene totalmente convertita in energia) . Ut;J. elettrone e un positro­ ne, entrambi con una massa a riposo rno, vengo­ no fatti incontrare con velocità nulla. Quando si incontrano si disintegrano e partono due raggi gamma, ciascuno con un' energia, misurata, rnoc 2 . Questo esperimento ci consente di determinare direttamente l' energia associata alla massa a ri­ poso di una particella.

1 13

- _ ___ . __

t

La relatività e i filosofi

,•

·l

l

•i

In questo capitolo continueremo a discutere il principio di relatività di Einstein e Poincaré:, · nonché la sua influenza sulle idee della fisica e in altri campi del pensiero. Poincaré enunciò il principio così: « Secondo il principio di relatività, le leggi dei fenomeni fisici devono essere le stesse per un osservatore fisso e per uno che abbia un moto di traslazione unifor­ me rispetto al primo, cosicché non abbiamo, né potremmo avere, alcun mezzo per distinguere se anche noi siamo trasportati da un simile moto » . 1 Quando discese nel mondo dei comuni mortali questa idea mise in grande agitazione i · filosofi e soprattutto quelli « da salotto » , quelli che dico­ no: « Ma è molto . semplice: la teoria di Einstein dice che tutto è relativo ! » , E davvero c ' è un nu­ mero incredibile di filosofi, non solo individui salottieri (ma per non mettere in imbarazzo la categoria continuerò a riferirmi ai «filosofi da sa­ lotto » ) , i quali dicono: « Che tutto è relativo è conseguenza della teoria di Einstein, e influisce profondame p. te sulle nostre idee » . E magari ag­ giungono: « E stato dimostrato, in fisica, che i fe­ nomeni dipendono dal nostro sistema di riferil. H. Poincaré, L 'état actuel et l 'avenir de la Physique mathémati­ que, in « Bulletin des Sciences Mathémati ques », 28, 1904, pp. 302-24 [N. d. T. ] .

117

--·

.....

J

m€nto » . Questi discorsi li abbiamo uditi innu­ merevoli volte, ma non è ben chiaro che cosa si­ gnifichino; è probabile che per sistema di riferi­ mento si intendessero in origine i sistemi di coordinate che usiamo nell 'analisi della teoria della relatività. A quanto pare, dunque, l'idea che « le cose dipendono dal nostro sistema di ri­ ferimento » avrebbe avuto effetti molto profondi sul pensiero moderno. Ci si può chiedere per­ ché, visto che, dopotutto, si tratta di un concetto talmente semplice che per scoprirlo non c ' era dawero bisogno di imbarcarsi nelle astruserie della teoria della relatività della fisica. Che ciò che uno vede dipenda dal suo sistema di riferi­ mento è sicuramente noto a chiunque vada a far­ si una passeggiata, perché, incrociando un altro pedone, prima lo vede di fronte e poi di spalle; e gran parte di quella filosofia che dice di richia­ marsi alla teoria della relatività non dice cose più profonde di: « Un a persona ha un aspetto diver­ so a seconda che venga vista di fronte o di spal­ le » . Anche la vecchia storia dell' elefante che di­ versi ciechi descrivono in modi diversi potrebbe essere un buon esempio di teoria della relatività dal punto di vista del filosofo. . Sicuramente nella teoria della relatività vi sono cos� più profonde della semplice osservazione che « una persona ha un aspetto dive�so a secon­ da che sia vista davanti o di dietro » . E ovvio che nella relatività c ' è ben altro, perché con essa pos­ siamo fare previsioni ben definite - sarebbe alquanto singolare, se riuscissimo a predire il comporta­ mento della natura basandoci unicamente su un' osservazione così semplice. Ma c ' è anche un ' altra scuola di filosofi per i qua1 18



li la relatività - in quanto dichiara l'impossibilità di determinare la nostra velocità assoluta senza osservare qualcosa di esterno - è motivo di pro­ fondo disagio. « Certo che uno non può misura­ re la propria velocità senza guardare all ' esterno ! Parlare di velocità di una cosa senza riferimenti esterni non ha alcun senso; e i fisici sono piutto­ sto stupidi ad aver pensato diversamente, ma a­ desso gli viene il dubbio che è proprio così. Se noi filosofi ci fossimo resi conto di quali erano i problemi dei fisici avremmo potuto stabilire im­ mediatamente, con il puro ragionamento, che è impossibile sapere a quale velocità ci si muove senza osservare l'esterno, e avremmo dato un contributo straordinario alla fisica » . Questi filo­ sofi non desistono mai, e dalla loro posizione mar­ ginale pretendono di spiegarci . questo o quello, ma non arrivano mai a capire dawero gli aspetti più sottili e profondi dei problemi. La nostra incapacità di rivelare il moto assoluto è il risultato di esperimenti, non il frutto di una semplice riflessione , come possiamo facilmente 4imostrare. In primo luogo Newton credeva che uno che si muovesse in linea retta a velocità uniforme non poteva sapere a che velocità stava andan do. In effetti, Newton fu il primo a enun­ ciare il principio di relatività, e tra le sue propo­ sizioni vi è la frase citata all'inizio del precedente capitolo. Come mai, allora, i filosofi non fecero questo gran chiasso sul fatto che « tutto è relati­ vo »? Il motivo è che finché non venne elaborata la teoria di Maxwell non c'erano leggi fisiche che facessero pensare che si potesse misurare la pro­ pria velocità senza guardar fuori; ben presto si scoprì sperimentalmente che non era possibile .

1 19

Ora, è proprio necessario - assolutamente, defini­ tivamente, filosoficamente - che non si sia in gra­ do di dire a che velocità ci muoviamo senza guar­ dare fuori? Una delle conseguenze della relati­ vità fu la nascita di una filosofia che diceva: « Si può definire solo quello che si può misurare ! Da­ to che evidentemente non possiamo misurare una velocità senza vedere relativamente a che co­ sa la misuriamo, è chiaro che il concetto di velo­ cità assoluta è privo di significato. È strano che i fisici non se ne siano accorti » . Ma è proprio questo il problema: chiedersi se si possa o no definire la ve­ locità assoluta è lo stesso che chiedersi se si possa o no scoprire sperimentalmente, senza guardar fuori, se ci stiamo movendo. Detto in altro mo­ do: se qualcosa sia o non sia misurabile è que­ stione che non va decisa a priori col solo ragiona­ mento. Solo l'esperimento può dirimerla. La ve­ locità della luce è di 3 00 000 km/ s, ma pochissi­ mi filosofi accetterebbero in tutta tranquillità, come cosa per sé evidente, che se la luce percor­ re 3 00 000 km/s dentro una macchina che viag­ gia a 1 60 000 km/ s, la luce va a 300 000 km/ s an­ che rispetto a un osservatore al suolo. Lo trove­ rebbero �concertante; sono proprio quelli che dicono « E ovvio ! » a non trovare per nulla ovvio un fatto specifico, quando glielo sottoponiamo. Per finire, c'è anche una filosofia secondo la qua­ le non potremmo scoprire nessun moto se non guardando �ori, ma in fi sica questo è semplice­ mente falso. E vero che non possiamo percepire un moto rettilineo uniforme, ma se quest'aula ruo­ tasse ce ne accorgeremmo di sicuro perché tutti verrebbero scagliati contro le pareti, anzi ci sareb­ bero effetti « centrifughi » di tutti i generi. E che

1 20

la Terra ruota intorno al proprio asse possiamo stabilirlo · anche senza osservare le stelle, per esempio col cosiddetto pendolo di Foucault. Dunque non è vero che « tutto è relativo » : solo una velocità uniforme non può essere scoperta sen­ za osservare l'esterno; nel caso di una rotazione uniforme intorno a un asse fisso, invece, la cosa è possibile . Quando lo raccontate a un filosofo, ri­ mane sconvolto per il fatto di non riuscire real­ mente a capire come stanno le cose perché a lui sembra impossibile che si possa rivelare la rota­ zione attorno a un asse senza guardare fuori. Co­ munque, se è abbastanza in gamba, dopo un po' potrebbe tornare e dire: « Ho capito. In realtà la rotazione assoluta non esiste, noi stiamo ruotan­ do solo rispetto alle stelle. A causare la forza cen­ trifuga, quindi, deve essere qualche influsso stel­ lare » . E per quanto n e sappiamo, l e cose stanno così. Oggi come oggi non abbiamo modo di stabilire se vi sarebbe una forza centrifuga se non vi fosse­ ro intorno stelle e nebulose . Non siamo stati in grado di fare l' esperimento di togliere di mezzo tutte le nebulose prima di misurare la nostra ro­ tazione - dunque non l o sappiamo, punto e ba­ sta. E dobbiamo riconoscere che forse quel filo­ sofo ha ragione. Così lui torna alla carica gongo­ lante! « È assolutamente necessario che l'univer. so, in ultima analisi, sia come dico io; parlare di rotazione assoluta non significa niente, la rotazio­ ne è soltanto relativa alle nebulose » . A quel pun­ to noi gli ribattiamo: « Senti, amico,· non è forse ovvio che un moto rettilineo uniforme relativa­ mente alle nebulose non dovrebbe avere alcun ef­ fetto dentro un' automobile? » . Ora che il moto

121

non è più assoluto, ma è relativo alle nebulose, que­ sta diventa una domanda misteriosa, alla quale solo l 'esperimento può rispondere . Quali · sono, allora, le ricadute filosofiche della teoria della relatività? Se ci limitiamo a conside­ rare le nuove idee e congetture che ne sono derivate per i fisici, possiamo descriverne alcune come se­ gue . La prima scoperta è stata, in sostanza, che persino idee accettate per lungo tempo e verifi­ cate con gran cura potrebbero non essere corret­ te. Ovviamente, scoprire dopo centinaia di anni che le idee di Newton erano errate fu sconvol­ gente . Beninteso, non che fossero sbagliati gli esperimenti, ma l'intervallo di velocità era tal­ mente piccolo che gli effetti relativistici non po­ tevano risultare evidenti. Oggi, comunque, ab­ biamo una visione molto più umile delle nostre leggi fisiche - possono essere sbagliate, sempre ! In secondo luogo, se abbiamo un insieme di idee « strane » - come quella che, movendosi, il tempo scorre più lentamente, e così via - non ha impor­ tanza che ci piacciano o meno. L'unica cosa che dobbiamo chiederci è se siano o no compatibili con i dati sperimentali. In altre parole, alle idee « strane » si chiede solo di concordare con gli esperimenti, e il solo motivo per cui discutiamo il comportamento di orologi e altre cose di questo tipo è che vogliamo dimostrare che la nozione di dilatazione del tempo, per quanto strana, è coe­ rente col nostro modo di misurare il tempo. E per finire vi è un terzo suggerimento, che è un po' più tecnico ma si è rivelato straordinaria­ mente utile nello studio di altre leggi fisiche: con­ siderare la simmetria delle leggi o, più specificamen­ te, ricercare in quali modi possano venir trasfor1 22

mate senza mutare di forma. Discuten do la teo­ ria dei vettori abbiamo osservato che le leggi fon­ damentali del moto non cambian o quando ruo­ tiamo il sistema di coordin ate, e adesso stiamo imparan do che non cambian o nemmen o quan­ do cambiamo le variabili spaziali e quella tempo­ rale in un modo particolare, dato dalla trasfor­ mazione di Lorentz . Dunque l'idea di studiare le operazio ni o le configur azioni che lasciano inva­ riate le leggi fondame ntali si è dimostrata molto utile.

Il paradosso dei gemelli Per continuare la nostra discussio ne della tra­ sformazi one di Lorentz e degli effetti relativistici, esaminiamo il famosiss imo « parados so » di Pietro e Paolo, che si suppongono gemelli, nati con­ temporaneamente. Quando sono abbastanza cre­ sciuti per pilotare un ' astronave, Paolo parte per un viaggio nello spazio, volando velocissimo. A Pietro, che è rimasto a terra, sembra che tutti gli orologi di Paolo, il suo battito cardiaco, le sue reazioni e tutto ciò che lo riguarda siano più lenti. Naturalmente Paolo non nota niente di insolito, solo che se resta in viaggio per un po' di tempo e poi torna indietro sarà più giovane di Pie­ tro. In effetti è così: è consegu enza della teoria della relatività ed è un fatto chiaramente dimo­ strato. I mesoni Jl in moto vivono più a lungo, e ( . così anche per Paolo la durata della vita si allunga. Tutto questo è un « parado sso » solo per chi crede che il princip io di relatività valga per qual-

J

1 23

siasi moto . Queste persone dicono: « Eh no! Dal punto di vista di Paolo, potremmo dire che era Pietro a muoversi; non dovr� bbe essere lui, allora, a invecchiare più lentamente? Per simmetria, il solo risultato possibile è che quando si incontra­ no abbiano entrambi la stessa età » . Ma perché si ritrovino e facciano il confronto, Paolo dovrà fer­ marsi al termine del viaggio e fare un confronto di orologi, o , più semplicemente, dovrà tornare indietro; e saprà di esser stato proprio lui a muo-. versi perché ha dovuto invertire la rotta, e quan­ do ha invertito la rotta nell' astronave sono suc­ " cesse un mucchio di cose �nsolite - rombo di mo­ tori, oggetti che andavano a sbattere contro una parete, e così via -, mentre Pietro non ha avverti­ to nulla di s trano � La regola pertanto può venire enunciata così: sarà più giovane l 'uomo che ha sperimentato le accele­ razioni, che ha visto, gli oggetti andare a finire contro una parete. E questa la differenza ·« asso­ luta » tra i due, ed è sicuramente corretta. Quan­ do abbiamo spiegato che i mesoni J.l in movimen­ to vivono più a lungo, abbiamo fatto l' esempio del loro moto in linea retta attraverso l' atmosfe­ ra. Ma possiamo anche produrre mesoni J.l in la­ boratorio e costringerli in una traiettoria curva per mezzo di un magnete , e anche così vivranno più a lungo, ed esattamente quanto vivrebbero movendosi in linea retta. Anche se nessuno ha mai organizzato un esperimento col fine dichia­ rato di eliminare il paradosso potremmo mettere a confronto un mesone in quiete con uno che ha fatto un giro completo, e sicuramente troverem­ mo che il secondo è durato più a lungo. Un espe­ rimento simile , in realtà, non è mai stato esegui1 24

to; ma nemmeno .è necessario, perché le tessere del mosaico collimano alla perfezione. Chi vuole a tutti i costi che di ogni singolo evento si dia una dimostrazione diretta sarà insoddisfatto, ma noi possiamo prevedere con buona sicurezza il risul­ tato di un esperimento in cui sia Paolo a percor­ rere un' intera circonferenza.

Trasformazione delle velocità La principale differenza fra la relatività di Ein­ stein e quella di Newton sta nelle leggi di trasfor­ mazione che legano le coordinate spaziali e i tempi di due sistemi in moto relativo. La trasfor­ mazione corretta è quella di Lorentz, cioè x - ut l .

x = --;:.=== Jl --: u 2 j c2 y =y z =z t - uxj c2 t = -r====== • Jl - u 2 j c2 l

l

(4 . 1 )

1

Queste equazioni c ò rrispondono al caso, relati­ vamente semplice, in cui il moto relativo dei due osservatori è lungo il loro comune asse x. Ovvia­ mente sono possibili altre dir�zioni del moto� ma la trasformazione di Lorentz più generale è piut­ tosto complicata perché mescola l'una all' altra tutte e quattro le grandezze. Dato comunque che questa forma, più semplice, racchiude tutti gli aspetti essenziali della relatività, continueremo a usarla. 1 25

Esaminiamo ora qualche altra conseguenza di questa trasformazione. Innanzitutto è interessan­ te risolvere le equazioni al contrario. Che cosa vuol dire? Abbiamo un sistema di quattro equa­ zioni lineari in quattro variabili incognite ed esse possono essere risolte inversamente per x, y, z, t in funzione di x' , y ' , z ' e t ' . Il risultato è molto in­ teressante perché ci dice come appare un siste­ ma di coordinate « in quiete » visto da uno « in moto » . Naturalmente, trattandosi di un moto re­ lativo uniforme, l'osservatore « in moto » potrà dire, se lo desidera, che in realtà è l' altro a muo­ versi mentre lui è fermo. E dato che egli si muo­ ve nel verso opposto, dovrebbe ottenere la stessa trasformazione ma con velocità cambiate di se­ gno . È appunto questo che troviamo quando la­ voriamo sulle equazioni; nessuna contraddizione dunque, mentre se il risultato fosse diverso do­ vremmo veramente preoccuparci!

x

=

x ' + ut ' jl - u 2 j c2

--;.===::==::::

y= y . ' z = z

t

=

'

t ' + ux ' j c2 jl - u 2 j c2

X

(4. 2 )

Ora

--= -;= ==:=: := :::

Esaminiamo ora un altro problema interessante, quello della somma relativistica delle velocità. Si ricorderà che uno dei nostri primi rompicapi è stato che la luce viaggia a 300 000 km/s in tutti i sistemi, anche in moto l'uno rispetto all'altro, ma questo è un caso particolare di un problema più generale, che possiamo esemplificare così. 1 26

Supponiamo che un oggetto si muova a 1 60 000 km/s dentro una nave spaziale e che questa viag­ gi a sua volta a 1 60 000 km/ s: a quale velocità si muove l' oggetto dal punto di vista di un osserva­ tore esterno? Verrebbe da dire 320 000 km/ s, ma questo è un valore che supera la velocità della lu­ ce - e la cosa è molto disturbante, perché stiamo supponendo che nessun oggetto sia più veloce della luce ! Ma adesso riformuliamo il problema in modo più generale. Supponiamo che l' oggetto nella navicella si muo­ va con velocità v dal punto di vista dell' astronau­ ta e che la navicella abbia a sua volta velocità u ri­ spetto alla Terra: vogliamo sapere qual è la velo­ cità Vx dell' oggetto rispetto all' osservatore al suo­ lo. Naturalmente siamo ancora nel caso partico­ lare in cui il moto è nella direzione x. Vi sarà una trasformazione anche per le velocità in direzione y, o in qualsiasi direzione; all' occorrenza queste possono venir calcolate. Dentro la nave la velo­ cità è Vx, il che significa che lo spostamento x ' è



'

=

Vx ' t ' .

,

!

l· '

!

-

(5. 1 2 )

�:

l

m0 ( l - uv) · v - u .Jl - v2.Jl - u2 ( l - u v) mov - mou v'l - v2v'l - u2

Quindi

x - uE px = P v'l ....;. u2 p / = Py P z = Pz E - U Px . E = v'l - u2 l

Ora dobbiamo trovare la nuova quantità di moto P'x ; essa non è che l' energia E per v' , e può esse- ­ re esp ressa semplicemente a partire da E e p :

, , , Px = Ev =

Dunque le equazioni di trasformazione dell' e­ nergia e della quantità di moto sono le stesse che danno x' e t' in funzione di x e di t: basta sosti­ tuire ovunque nelle ( 5 -4) t con E e x con Px per ottenere, rispettivamente, la ( 5 . 1 o) e la ( 5 . 1 1 ) . Ciò implicherebbe, se le nostre ipotesi sono cor­ rette, le due regole aggiuntive P'y = Py e P'z = Pz ; ma per dimostrarlo dovremmo tornare a esami­ nare il moto in direzione verticale. Nel capitolo 4 abbiamo studiato per l'appunto un moto di que­ sto tipo nel caso di un urto piuttosto complicato, osservando che la componente trasversale della quantità di moto non cambia quando è vista da un sistema in movimento; dunque abbiamo già verificato che p'y = Py e P'z = Pz· La trasformazione completa sarà

(5. 1 1 )

In queste equazioni abbiamo scoperto quattro grandezze che si trasformano come x, y, z e t : es­ se costituiscono il quadrivettore quantità di moto (o quadrimpulso) . Essendo un quadrivettore, questa grandezza può essere rappresentata, nel diagramma spaziotemporale di una particella in moto, con una « freccia » tangente alla traietto­ ria, come nella figura 24. La freccia ha una componente temporale pari all' e_!lergia della particella, mentre le componenti spaziali rap­ presentano la quantità di moto tridimensiona- 1 61

- � ·.:i -. ;�· �

�'::·.

l,�

1} ��;-

;1 Yi '. -7 -.

t

PjJ



Fig. 24

x

Il quadrivettore quantità di moto di una particella.

le. Per certi versi la freccia è più « reale » sia del­ l' energia sia della quantità di moto, poiché que­ ste, separatamente , dipendono dal modo in cui guardiamo il diagramma.

L 'algebra dei quadrivettori La notazione quadrivettoriale è diversa da quel­ la dei vettori in tre dimension i. Nel secondo ca­ so, per indicare l ' ordinaria quantità di moto scriviamo il simbolo p. Volendo essere più spe­ cifici diciamo che la quantità di moto ha tre componen ti, che sono, per gli assi in questione , Px , Py e Pz ; oppure, semplicem ente, ci riferiamo alla generica componen te pi, precisando che l 'indice i può essere x , y o z e che le tre compo­ nenti sono esattamen te quelle citate. La nota­ zione che usiamo per i quadrivettori è analoga: indichiam o il quadrivettore quantità di moto con p11, dove Jl sta per le quattro direzioni possi­ bili x, y, z e t. Naturalmen te possiamo usare la notazione che più ci garba; non ridete delle notazioni, inven­ tatene , esse sono potenti . Gran parte della ma1 62

tematica, a ben vedere, è invenzione di buone notazioni. L'intero concetto di quadrivettore è un progresso della notazione , che permette di ricordare più facilmente certe trasformazioni. Af.t è così un generico quadrivettore, ma nel ca­ so particolare della quantità di moto , Pt si i­ dentifica con l' energia, Px è la quantità di moto nella direzione x, Py quella nella direzione y e Pz quella nella direzione z. I quadrivettori si som­ mano addizionando le componenti corrispon­ denti. Se vi è un ' equazione quadrivettoriale, essa varrà per ogni componente. Ad esempio , se nell 'urto fra particelle deve valere il principio di conserva­ zione del vettore quantità di moto in tre dimen­ sioni - se cioè la somma dei vettori quantità di moto di un grande numero di particelle che in­ teragiscono o collidono dev' essere costante -, questo implica che le somme di tutte le quantità di moto in direzione x, in direzione y e in dire­ zione z, per tutte le particelle, saranno altret­ tante costanti. Nella relatività non possiamo prendere questa legge da sola perché essa è in­ completa. Sarebbe come parlare di due sole com­ ponenti di un vettore nello spazio a tre dimen­ sioni: in una rotazione di assi tutte le compo­ nenti si mischiano, per cui vanno incluse tutte e tre nella legge . In relatività dobbiamo quindi e­ stendere il principio di conservazione della quantità di moto così da comprendere la com­ ponente temporale, che è assolutamente necessario associare alle altre, se vogliamo che vi sia inva­ rianza relativistica. La conservazione dell 'energia è data dalla quarta equazione, che va aggiunta al­ la conservazione del momento per formare una 1 63

relazione quadrivettoriale valida nella geome­ tria dello spazio e del tempo. Il principio di conservazione della q uantità di moto e dell' e­ nergia, scritto nella notazione quadridimensio­ nale, è quindi

L

Jl = P particelle entranti

L pJl,

no segno negativo. Questa grandezza sarà la stessa in tutti i sistemi di riferimento; possiamo chiamarla quadrato della « lunghezza » del qua­ drivettore. Qual è per esempio il quadrato del­ la lunghezza della quantità di moto quadrivet­ toriale di una singola particella? Sarà uguale a a E 2 - p 2 ' dato che P t ' coPt2 - p 2 - py2 - pZ2 ' owero · me sappiamo, è uguale a E. Ma che cos'è E 2 - p 2 ? Dovrà essere qualcosa di uguale in tutti i sistemi di riferimento, compresi, in particolare, quelli che si spostano insieme alla particella e nei quali dunque questa risulta immobile. Ma se una parti­ cella è immobile, non ha quantità di moto. In un tale riferimento, quella espressione è solo la sua energia, che è identica alla massa a riposo. Per­ tanto E 2 - p 2 = m 6 . Vediamo così che il quadra­ to della lunghezza di questo vettore (il quadrim­ pulso) è uguale a m 6 . A partire dal quadrato di un vettore possiamo an­ dare avanti e definire il prodotto « interno » , o prodotto « scalare » , il cui risultato è uno scalare: se a Jl e bJl sono due quadrivettori, il loro prodot­ to scalare è

(5. 1 3)

particelle uscenti

X

o, con una notazione leggermente diversa,

L Pi Jl L PiJl ' =

j

( 5 . 1 4)

dove i = l , 2, . . . si riferisce alle particelle che en­ trano nell'urto, j = l , 2, . . . a quelle che ne escono e f..l . = x, y, z o t. Lungo quali assi? Non fa differen­ za. La legge vale per ogni singola componen te e per qualsiasi sistema di assi. Trattando dell' analisi vettoriale, abbiamo parla­ to fra l' altro del prodotto interno o scalare di due vettori, indicato con un puntino; conside­ riamo ora il corrispettivo nello spazio-tem po. Abbiamo visto che nelle rotazioni ordinarie c ' è una grandezza invariante , x2 + y2 + z2; sappiamo che in quattro dimension i le corrispond e t2 - x2 - y 2 - z 2 ( eq. ·5 . 3 ) . Come indicare questa cosa? Si potrebbe , ad esempio, scrivere qualcosa co­ me AJl 0 � ' mettendo un puntino dentro un quadrato; ma in pratica si utilizza la seguente notazione

L' AJl Jl

B Jl = A; - A; - A; - A; .

(5 . 1 5 )

L' apice su I: indica che il primo termine, quello « temporale » , è positivo mentre gli altri tre han1 64

L' aJlbJl = arbt = ax hx - ayby - azhz , ( 5 . 1 6)

l

f

l

identico in tutti i sistemi di riferimento. Accenniamo infine ad alcuni oggetti la cui mas­ sa a riposo è nulla, per esempio i fotoni. Un fo­ tone è simile a una particella nel senso che ha energia e quantità di moto ; la sua energia è una certa costante, la cosiddetta costante di Planck, moltiplicata per la sua frequenza: E = h v . La quantità di moto del fotone ( come, per la ve­ rità, quella di qualsiasi altra particella) è invece 1 65

\

Ì·

. Supponiamo di moltiplicare tutta l ' e­ spressione per una costante mc 2 , dove m è la massa dell' oggetto: questa costante non cam­ bierà le condizioni di massimalità, ma il segno meno trasformerà il massimo in un minimo, e a quel punto l' equazione (6. 1 6) dirà che l' oggetto si muove in modo tale che

. Benché il principio sia valido per tutte le velo­ ità, consideriamo un esempio in cui queste so­ no sempre molto inferiori a c. In un caso del ge­ tere possiamo scrivere l'equazione così, ro

( 6 . 1 6)

Il tempo totale in eccesso su tutta la traiettoria è l'integrale rispetto al tempo del termine additi­ vo, OSSia

Dobbiamo anche ricordare, però, che esiste una orrezione di segno opposto per la velocità. Sap­ -piamo che a causa di questo effetto ro

[1 + ( gHc2 - �)] . 2c2

ro

Questo cambiamento di frequenza del nostro orologio in movimento implica che se misuria­ mo un intervallo temporale dt con un orologio fisso, per quello in movimento il tempo trascorso sarà

e, le stesse condizioni di partenza e di arrivo. Il tempo segnato da un orologio in movimento vie­ te chiamato molto spesso « tempo proprio » , e la �raiettoria di caduta libera massimizza il tempo oroprio di un oggetto. -fa adesso vediamo come funziona la cosa. Par-tiamo dall' equazione (6. 5 ) , in base alla quale eccesso di frequenza » dell' orologio in movi­ _nento è

00o gH

(6. 1 5)

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