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CAPITOLO 1 UNO SGUARDO SULLA VITA DOMANDA: ILLUSTRARE LE GENERALITA’ SULLE CARATTERISTICHE FONDAMENTALI DELLA MATERIA VIVENTE Gli esseri viventi che abitano il nostro pianeta condividono una serie di caratteristiche che li distinguono dalle cose non viventi. Queste caratteristiche comprendono l’organizzazione, crescita e sviluppo, metabolismo capace di autoregolarsi, movimento, capacità di rispondere agli stimoli, riproduzione e adattamenti ambientali. Organizzazione: possiamo identificare una gerarchia dell’organizzazione biologica. Tutti gli organismi viventi sono altamente organizzati, e sono costituiti da cellule. Alcune forme di vita più semplici come i batteri, sono unicellulari, costituite da una sola cellula, altre forme più complesse sono formate da miliardi di cellule. In questi organismi pluricellulari, i processi vitali dipendono dalle funzioni coordinate delle cellule che possono essere organizzate per formare tessuti, organi e apparati organici. Crescita e sviluppo: per crescita biologica si intende sia l’aumentare delle dimensione delle singole cellule sia del loro numero o entrambi. La crescita di un organismo può essere uniforme, oppure maggiore in alcune parti, cosicché le proporzioni del corpo cambiano. Uno degli aspetti significativi del processo di crescita è che ogni parte dell’organismo continua a funzionare mentre cresce. Gli organismi viventi con la crescita si sviluppano. Metabolismo capace di autoregolarsi: in tutti gli organismi viventi avvengono reazioni chimiche e trasformazioni energetiche essenziali per il nutrimento. Il metabolismo è l’insieme delle attività chimiche dell’organismo che devono essere accuratamente regolate per mantenere l’omeostasi, un stato di equilibrio interno. Esempio: quando la sostanza prodotta da alcune cellule è sufficiente, la sua produzione deve cessare o diminuire, al contrario quando è in carenza deve attivarsi per produrla. Questi meccanismi omeostatici sono sistemi di controllo che si autoregolano. Movimento: gli organismi si muovono interagendo con l’ambiente, allo stesso modo il materiale vivente che si trova all’interno della cellula è in continuo movimento. In alcuni animali come le spugne, coralli e ostriche detti sessili, hanno stadi larvali durante i quali possono nuotare liberamente, ma divenuti adulti perdono la capacità di muoversi da un luogo all’altro. Pur rimanendo attaccati ad una superficie, utilizzano estroflessioni della cellula chiamate ciglia e flagelli per muovere l’acqua avvicinandosi così il nutrimento necessario per il loro organismo. I vegetali non si muovono come gli animali, ma sono dotati ugualmente di movimento. Ad esempio orientano le foglie in direzione della luce. Capacità di rispondere agli stimoli: tutte le forme di vita rispondono agli stimoli cambiamenti fisici o chimici che avvengono nel loro ambiente interno o esterno. Esempio: l’occhio umano le cui cellule rispondono alla luce. Oppure nelle piante come la Venere acchiappamosche, capace di catturare gli insetti. Le foglie si piegano lungo l’asse mediano, emettono un profumo che attira gli insetti. La presenza dell’insetto sulla foglia, rivelata dalla peluria che la riveste, stimola la foglia a chiudersi. Non appena i bordi si toccano i peli si intrecciano e impediscono la fuga dell’insetto. Particolari enzimi lo uccidono e lo digeriscono.
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Questa pianta cresce di solito in terreni poveri di azoto, gli insetti che mangia, le permettono di assimilare parte dell’azoto necessario per la crescita. Riproduzione e adattamenti ambientali: asessuata (la prole è identica al genitore) senza la fusione dell’uovo e dello sperma per formare un uovo fecondato, esempio l’ameba, un organismo unicellulare, che raggiunta una certa dimensione, si riproduce dividendosi in due parti uguali che vanno a formare due amebe nuove. Prima di dividersi l’ameba fa una copia del suo materiale ereditario (geni) e lo divide equamente tra le due cellule. Ciascuna nuova ameba è identica alla precedente tranne le dimensioni. La Riproduzione Sessuata avviene nella maggior parte dei vegetali e animali con la produzione di cellule specializzate, uova e cellule spermatiche, si uniscono per formare l’uovo fecondato dal quale sì svilupperà il nuovo organismo. La prole prodotta è il prodotto dell’interazione tra i geni forniti dal padre e madre. Tali variazioni genetiche sono alla base dei processi vitali dell’evoluzione e dell’adattamento il quale migliora la capacità di un organismo di sopravvivere in un particolare ambiente, e può essere di tipo strutturale, fisiologico, comportamentale oppure una combinazione di questi. Esempio di adattamento: le zebre, assumono una particolare posizione che permette loro di individuare i leoni e altri predatori. Le strisce servono per mimetizzarsi o per proteggersi visivamente dai predatori quando sono puntate a distanza. Il loro stomaco si è adattato a cibarsi d’Erba, un adattamento che aiuta a sopravvivere in caso di cibo scarso. Un essere vivente per crescere, svilupparsi, muoversi, riprodursi, deve ricevere delle informazioni codificate sotto forma di sostanze chimiche o impulsi elettrici. Nel 1953 James Watson e Francis Crick scoprirono la struttura dell’acido desossiribonucleico (DNA). Questa sostanza chimica costituisce i geni, le unità di base dell’ereditarietà. Essi sono responsabile del controllo, dello sviluppo e del funzionamento di ciascun organo. Il DNA contiene la ricetta per creare tutte le proteine (grosse molecole) necessarie all’organismo per determinare la struttura e la funzione delle cellule e dei tessuti. Logicamente le cellule nervose sono diverse da quelle muscolari perché hanno proteine diverse. I meccanismi coinvolti nella segnalazione cellulare sono molto complessi, capire come le cellule comunicano tra di loro permette di scoprire nuovi metodi utilizzabili per liberare farmaci all’interno delle cellule per curare nuove patologie. Gli ormoni sono messaggeri chimici in grado di trasmettere informazioni da una parte all’altra di un organismo. Possono indurre una cellula a secernere o produrre una particolare proteina. Gli animali hanno un sistema nervoso in grado di trasmettere informazioni sia attraverso impulsi elettrici, sia con molecole chiamate neurotrasmettitori. Il nostro sistema nervoso trasmette i segnali dai recettori sensoriali come gli occhi, le orecchie, al cervello informando dei cambiamenti che avvengono nell’ambiente esterno. La teoria dell’evoluzione, ci spiega come le popolazioni di organismi sono cambiate nel tempo. Ciascun organismo è il prodotto di complesse interazioni tra geni dei suoi antenati e le condizioni ambientali. L’adattamento ambientale è il risultato di processi evolutivi che avvengono in lunghi periodi e coinvolgono molte generazioni. Charles Darwin e Alfred Wallace furono i primi a portare all’attenzione generale la teoria dell’evoluzione basata sulla selezione naturale. Darwin sintetizzò che le forme di vita sulla terra discendono attraverso varie modifiche, da
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forme preesistenti. Egli basò la sua teoria sulle seguenti osservazioni: Ogni membro di una specie (cioè un gruppo di organismi con struttura, funzioni e comportamenti simili, che in natura si accoppiano solo tra loro) è diverso dagli altri; Nascono molti più organismi di quelli che sono in grado di sopravvivere fino alla riproduzione; Gli individui competono per sopravvivere, coloro che hanno più caratteristiche vantaggiose potranno sopravvivere più facilmente rispetto agli altri; Gli organismi che sopravvivono si riproducono e trasmettono le caratteristiche vantaggiose alle loro proli e alle generazioni future. Mentre Darwin non conosceva l’esistenza del DNA, e non poteva comprendere il meccanismo dell’ereditarietà, noi sappiamo che le diversità tra gli organismi viventi, sono il risultato di geni differenti che codificano ciascuna caratteristica. Alla base di queste variazioni, ci sono mutazioni casuali, cioè cambiamenti di natura chimica nel DNA e possono essere ereditati. Un altro aspetto fondamentale è quello dell’organizzazione biologica. I biologi possono studiare la cellula partendo dall’atomo e dalla molecola questo studio si chiama riduzionismo. Ogni livello di organizzazione ha proprietà emergenti, cioè caratteristiche non presenti nei livelli inferiori. Esempio: le popolazioni hanno proprietà emergenti, come la densità, l’età media, i tassi di vita e di morte, mentre gli individui che formano una popolazione non possiedono queste caratteristiche. Il livello chimico è il più piccolo livello di organizzazione e comprende gli atomi e le molecole. Esempio: due atomi di idrogeno si combinano con un atomo di ossigeno per formare una molecola di acqua. Sebbene formata da due tipi di atomi che sono gas, l’acqua è un liquido, ecco un esempio di proprietà emergente. Diversi tipi di atomi possono associarsi tra loro per formare le cellule. Le sue proprietà emergenti la rendono la struttura di base e l’unità funzionale della vita. Ogni cellula è circondata da una membrana plasmatica che regola il passaggio dei materiali tra la cellula e l’ambiente circostante. Tutte le cellule hanno al loro interno molecole che contengono il materiale genetico e delle strutture chiamate organuli capaci di svolgere funzioni altamente specializzate. Conosciamo due differenti tipi di cellule: procariotiche come i batteri, tutti gli altri organismi sono formati da cellule eucariotiche che contengono una grande varietà di organuli rivestiti da una membrana incluso un nucleo che contiene il DNA. Durante l’evoluzione gli organismi pluricellulari, si sono associati per formare i tessuti, (negli animali c’è’ quello muscolare e nervoso, mentre nei vegetali c’è l’epidermide), i quali si associano e formano organi (come il cuore e lo stomaco negli animali, radici e foglie nelle piante), che coordinati tra loro formano i sistemi come il sistema circolatorio e digerente. Gli organismi interagiscono fra loro formando popolazioni, che interagendo a loro volta formano le comunità, le quali possono essere composte da centinaia di tipi diversi di forme viventi. Una comunità insieme all’ambiente nel quale si trova è detta ecosistema, che può essere piccolo come una stagno o grande. L’insieme di tutti gli ecosistemi esistenti sulla terra formano la biosfera.
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La biosfera comprende tutto ciò che è abitato dagli organismi viventi – l’atmosfera, l’idrosfera (l’acqua in ogni sua forma) e la litosfera (la crosta terrestre). Lo studio di come gli organismi di una comunità sono in relazione tra loro e con il loro l’ambiente è chiamato ecologia (dal greco oikos=casa). La tassonomia è la scienza che studia la nomenclatura, e la classificazione di tutti gli organismi viventi. I biologi si chiamano tassonomisti. Il sistema per classificare è stato inventato dal botanico svedese Carlo Linneo nel XVIII secolo. L’unità di base per la classificazione è la specie. Quelle più strettamente correlate fra loro vengono riunite in un livello superiore di classificazione il genere. Questo sistema ancora oggi valido se pur con qualche modifica, viene chiamato binomiale, perché a ciascuna specie assegna un nome doppio. La prima parte del nome indica il genere con la prima lettera maiuscola, la seconda parte il nome specifico con la prima lettera in minuscolo. Il nome specifico della nostra specie è Homo sapiens (uomo saggio). PROTISTI appartengono i protozoi le alghe e le muffe. Alcuni protisti si sono adattati a svolgere la fotosintesi, il processo nel quale l’energia luminosa è convertita in energia chimica di molecole di cibo. FUNGHI composta da lieviti muffe e funghi e non sono fotosintetici, essi traggono nutrienti mediante la secrezione di enzimi digestivi e l’assorbimento di cibo predigerito. VEGETALI sono organismi pluricellulari in grado di svolgere attività fotosintetica. Comprendono sia le piante non vascolarizzate cioè i muschi, che quelle vascolarizzate cioè felci, conifere, piante da fiori. Alcune caratteristiche dei vegetali sono: la cuticola, una copertura cerosa che ricopre le parti esposte all’aria, riducendo la perdita di acqua; gli stomi, piccole aperture presenti nel fusto e nella foglia che permettono lo scambio gassoso; i gametangi, organi che proteggono le cellule riproduttive in via di sviluppo. ANIMALI organismi pluricellulari che devono mangiare altri organismi per trarne nutrimento. Ogni organismo per crescere e rimanere in vita necessita di energia, quindi ogni organismo assume costantemente nutrimento. Parte di questo viene utilizzato come carburante per la respirazione cellulare processo durante il quale l’energia immagazzinata nelle molecole viene rilasciata per essere utilizzata dalle cellule. Così come per gli individui anche gli ecosistemi dipendono da un continuo apporto di energia. L’ecosistema autosufficiente è costituito da tre tipi di organismi: produttori o autotrofi, consumatori o eterotrofi, e decompositori, e da un ambiente appropriato per la loro sopravvivenza. Produttori o autotrofi sono piante, alghe e batteri che possono produrre il loro cibo da materiale grezzo, utilizzando la luce solare come fonte d’energia ed attuano la fotosintesi dove molecole complesse sono sintetizzate partendo da anidride carbonica e acqua. L’energia luminosa viene trasformata in energia chimica, e l’ossigeno è un sottoprodotto finale della fotosintesi. Anidride carbonica + Acqua + Energia Zuccheri (cibo) + Ossigeno. Consumatori o eterotrofi sono animali che dipendono dai produttori. Essi ricavano energia degradando le molecole di cibo prodotte durante la fotosintesi. Zuccheri (e altre molecole di combustibile) + Ossigeno Anidride carbonica + Acqua + Energia. I consumatori contribuiscono all’equilibrio dell’ecosistema, perché producono l’anidride
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carbonica necessaria ai produttori. Quindi sia produttori che consumatori contribuiscono a mantenere costante la miscela di gas atmosferici indispensabile per la vita. Decompositori sono funghi e batteri cioè organismi eterotrofi che ottengono il nutrimento dalla degradazione delle sostanze di rifiuto o degli organismi morti rendendoli riutilizzabili. Se non esistessero i decompositori, le sostanze nutritive rimarrebbero intrappolate negli organismi morti e gli elementi necessari ai sistemi viventi si esaurirebbero presto. Diciamo che il mondo scientifico utilizza per le sue ricerche alcuni sistemi tra cui: il metodo scientifico che comporta una serie di passaggi ordinati, riconoscere i problemi sviluppare ipotesi (affermazioni verificabili) elaborare esperimenti. il processo scientifico è investigativo, è influenzato da fattori culturali storici e personali dello scienziato stesso. ragionamenti sistematici di tipo deduttivo e induttivo. L’approccio ipotetico deduttivo inizia con delle informazioni chiamate premesse, utilizza il ragionamento deduttivo per verificare delle ipotesi. Al contrario il ragionamento ipotetico induttivo parte da osservazioni specifiche dalle quali si cerca di estrarre delle conclusioni. Esempio: se sappiamo che i passerotti hanno le ali, e sono uccelli, e sappiamo che i pettirossi e le aquile hanno le ali e sono uccelli, potremmo dedurre che tutti gli uccelli hanno le ali. Purtroppo questo sistema è un po’ debole, perché contiene più informazioni rispetto ai fatti sui quali queste si basano. Comunque qualsiasi ipotesi deve essere avvalorata da esperimenti controllati divisi in gruppi sperimentali e di controllo. Un gruppo sperimentale differisce da quello di controllo solo per la variabile che si sta studiando. Esempio: un esperimento condotto in modo controllato dimostra che il nucleo è essenziale per il corretto funzionamento della cellula. Quando il nucleo di un’ameba viene rimosso, l’ameba muore, l’ameba di controllo sottoposta ad una manipolazione simile (inserzione del microfago), ma senza rimozione del nucleo, vive. Un ipotesi diventa teoria quando è suffragata da molte osservazioni ed esperimenti. Una teoria ben fondata e verificata nel tempo diventa un principio. Il termine legge e’ talvolta usato per un principio ritenuto di importanza basilare, come la legge di gravità. CAPITOLO 2 ATOMI E MOLECOLE: BASE DELLA CHIMICA DELLA VITA DOMANDA: Saper descrivere la composizione chimica della materia vivente La materia chimica e i processi metabolici di tutti gli esseri viventi sono molto simili tra loro. Le leggi della fisica e della chimica valide per le cose non viventi sono valide anche per i sistemi viventi. Gli organismi sono costituiti da sostanze semplici e di piccole dimensioni detti composti inorganici come l’acqua, gli acidi, le basi ed i sali, e da composti organici generalmente più complessi e di grandi dimensione contenenti atomi di carbonio. Si definisce materia un qualche cosa che occupa uno spazio e ha una massa. Attraverso la chimica possiamo studiare la materia e gli elementi in essa contenuti. Gli elementi sono gli ingredienti necessari per formare la materia, sono sostanze che non possono essere scisse in
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sostanze più semplici mediante reazioni chimiche. Si classificano secondo un simbolo chimico, di solito la prima o le prime due lettere del suo nome inglese o latino. Ossigeno O, carbonio C. Circa 25 dei 92 elementi naturali sono essenziali per la vita, ma quattro di questi costituiscono il 96% della materia vivente: carbonio (C), ossigeno (O), idrogeno (H), azoto (N). Il rimanente 4% è costituito principalmente da fosforo (P), zolfo (S), calcio (Ca), potassio (K) e da altri elementi come iodio e rame sono detti elementi traccia in quanto presenti in quantità ridotta, ma altrettanto importanti per il buono stato di salute, esempio ne è lo iodio, che nei vertebrati è presente in un ormone prodotto dalla ghiandola della tiroide. Un apporto di 0.15 mg è sufficiente per una normale attività della tiroide, ma la carenza comporta una crescita abnorme della ghiandola producendo una deformità nota come gozzo. L’atomo è la più piccola unità dell’elemento che possiede le stesse caratteristiche chimicofisiche dell’elemento stesso. I fisici hanno suddiviso l’atomo in più di un centinaio di particelle, dette subatomiche, ma solo tre sono di vero interesse: protoni, neutroni ed elettroni. L’insieme di protoni e neutroni formano il nucleo al centro dell’atomo. Gli elettroni si muovono intorno al nucleo con una velocità vicina a quella della luce. Il protone è una particella che possiede carica positiva, il neutrone è neutro e l’elettrone possiede carica elettrica negativa. Nell’atomo neutro il numero di elettroni e protoni è uguale. Mentre per la presenza dei protoni il nucleo risulta essere di carica positiva ed è per questo che gli elettroni di carica opposta di sentono attratti. Il numero atomico è il numero dei protoni contenuti in un atomo ed è indicato con un numero posto in basso a sinistra del simbolo dell’elemento. L’abbreviazione 1H indica che in qualsiasi atomo dell’elemento idrogeno c’è un solo protone nel nucleo. Quando non è indicato il numero degli elettroni di un atomo è equivalente al numero dei protoni, quindi l’atomo è elettricamente neutro. La tavola periodica riporta alcuni atomi biologicamente importanti in ordine di numero atomico, rappresentato secondo il modello di Bohr. La massa è la quantità di materia contenuta nell’oggetto, il peso è la misura di quanta massa di quell’oggetto è soggetta alla forza di gravità, cioè, un’astronauta in un veicolo spaziale è senza peso, ma la sua massa è uguale a quella che avrebbe sulla terra. La massa di una particella subatomica è estremamente piccola per essere espressa in grammi o microgrammi, perciò le masse vengono espresse in uma (atomic mas unit) detta anche Dalton, in onore del suo inventore John Dalton nel 1800. In fatti un’uma è circa uguale alla massa di un neutrone che pesa 1.007 Dalton, o di un protone 1.009, mentre l’elettrone pesa 1/1800 rispetto agli altri due. La massa atomica di un elemento è un numero che indica quanto pesa quell’atomo. Si ricava sommando il n° dei protoni e neutroni presenti nel nucleo dell’atomo esprimendolo in Dalton. Il numero di massa atomica viene indicato in alto a sinistra del simbolo chimico. Esempio: scrivendo 1123 Na, si deduce che il sodio contiene 11 protoni, 12 neutroni e 11 elettroni. Scrivendo 816 O si deduce che l’ossigeno ha nel suo nucleo 8 protoni e 8 neutroni, ha numero atomico 8 e massa 16. L’atomo più semplice è quello dell’idrogeno 1H che possiede 1 protone, 1 elettrone e nessun neutrone. Il peso atomico è il peso totale dell’atomo. Il peso totale dell’ NA e’ 23 Dalton. La maggior parte degli elementi è costituita da atomi aventi diverso numero di neutroni, perciò massa diversa. Tali atomi si chiamano Isotipi. Gli isotopi di uno stesso elemento hanno lo stesso numero di protoni ed elettroni, mentre varia il numero di neutroni. Consideriamo: i tre
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isotipi (dell’idrogeno comune 11 H), (deuterio 21 H), (trizio31 H), contengono rispettivamente 0, 1 e 2 neutroni. La sua massa viene espressa come media delle masse dei suoi isotopi. Ad esempio, la massa dell’idrogeno non corrisponde a 1,0 uma, ma a 1.0079 uma, perchè in natura sono presenti piccole quantità di deuterio e trizio. Oppure gli isotopi del carbonio con numero atomico 6, il più comune è il 126 C con 6 neutroni, il 146 C con 8 neutroni, il 136 C che possiede 7 neutroni, e il 146 C, che ne ha 8. Tutti gli isotopi di un dato elemento hanno le stesse caratteristiche chimiche tranne alcuni con un eccessivo numero di neutroni sono instabili e tendono a rompersi o decadere verso un isotopo più stabile divenendo solitamente un elemento diverso. Sia 12 C, sia il 13C sono isotopi stabili, quindi il loro nucleo non tende a perdere particelle, al contrario il 14C e’ instabile e il suo decadimento radioattivo produce la forma comune dell’azoto 714 N. Tali isotopi vengono definiti radioisotopi, in quanto decadendo emettono radiazioni (ciò comporta la decomposizione di un neutrone e la formazione di un protone e di un elettrone veloce emesso dall’atomo sotto forma di radiazione e noto come particella B). Il decadimento radioattivo può essere rilevato attraverso la auto radiografia, in cui la radiazione provoca la comparsa di granuli di argento di colore scuro in una particolare lastra per raggi X. Gli isotopi radioattivi hanno molteplici utilizzi; ad esempio gli scienziati lo utilizzano per datare i fossili, mentre nella medicina sono utilizzati sia per la diagnostica che per la terapia. Gli elettroni si muovono rapidamente in spazi tridimensionali detti orbitali ciascuno può ospitare max due elettroni. L’energia di un elettrone dipende dall’orbitale che esso occupa. Elettroni posti in orbitali con energie simili si dice che hanno lo stesso livello energetico e costituiscono un guscio elettronico. Elettroni che occupano gusci elettronici distanti dal nucleo hanno maggior energia di quelli che occupano i gusci vicino al nucleo, perché è necessaria energia per allontanare un elettrone carico negativamente dal nucleo che è carico positivamente. Gli elettroni più energetici noti come elettroni di valenza, occupano il guscio di valenza più esterno del modello di Bohr. Un elettrone se riceve energia si può spostare verso un orbitale più esterno, viceversa se cede energia può scendere a un livello energetico più basso, più vicino al nucleo. Nella fotosintesi, ad esempio l’energia luminosa assorbita dalle molecole di clorofilla sposta gli elettroni ad un livello più alto. Si parla quindi di livelli d’energia, e sono tre. Il primo livello energetico presenta un solo orbitale che possiede forma sferica e può accogliere due elettroni. Il secondo livello presenta quattro orbitali, uno sferico più grande del precedente, e tre orbitali a forma di otto e può ospitare al massimo otto elettroni, cioè due per ogni orbitale. Il terzo livello può contenere orbitali di forme più complesse. Quindi le proprietà chimiche dell’atomo dipendono dal numero di elettroni presenti nello strato più esterno. Quando il guscio di valenza non è completo cioè non ha 8 elettroni l’atomo tende a cedere, acquistare o condividere elettroni per completare il guscio esterno. Nella tavola periodica sono indicati i primi 18 elementi dall’idrogeno all’argon. Sono disposti in tre file orizzontali, o periodi disposti in modo sequenziale a seconda del loro numero atomico. Un atomo che possiede uno strato di valenza completo non è reattivo, quindi non reagirà con altri atomi con i quali verrà a contatto. L’elio, il neon e l’argon sono gli unici elementi dei 18 mostrati nella tavola che possiedono il guscio di valenza completo e sono detti inerti, poiché
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sono chimicamente stabili (non reattivi). Il cloro e il bromo che fanno parte degli alogeni sono molto reattivi, poiché i loro gusci di valenza possiedono 7 elettroni, e nelle reazioni chimiche tenderanno ad accettare un elettrone. Al contrario l’idrogeno, il sodio e il potassio hanno un unico elettrone di valenza che tenderanno a cedere, o a condividere con un altro atomo. Tutti gli altri atomi rappresentati nella tavola possiedono strati di valenza incompleti per cui sono chimicamente reattivi e attraverso il legame chimico formeranno molecole. Tutti gli elettroni hanno uguale massa e carica, ma si differenziano per la quantità di energia. L’energia è la capacità di compiere un lavoro. Quando si combinano due atomi di ossigeno si forma una molecola di ossigeno, mentre la combinazione di atomi diversi forma un composto chimico. Ad esempio l’acqua è un composto chimico fatto da molecole che si formano quando due atomi di idrogeno reagiscono con un atomo di ossigeno. Le proprietà di un composto chimico possono essere diverse rispetto alle proprietà dei vari elementi che lo compongono: l’acqua a temperatura ambiente è generalmente un liquido, mentre l’idrogeno ed ossigeno sono gas. La formula chimica è il modo più semplice per descrivere la composizione chimica di un composto: In una formula molecolare il numero a pedice specifica il numero reale di ogni atomo in una molecola. O2 indica che questa molecola è costituita da due atomi di ossigeno. Un altro tipo di formula è quella di struttura, che mostra in quale modo i due atomi di idrogeno si legano all’atomo dell’ossigeno H – O – H . La massa di un composto è la somma delle masse atomiche (somma dei protoni e neutroni) degli atomi che compongono ogni molecola; quindi la massa molecolare dell’acqua, H2O, corrisponde a (2x1 uma) + (16 uma) =18 uma. La massa molecolare del glucosio ( C6H12O6) corrisponde a (6x12 uma) + (12 x1 uma) + (6 x 16 uma) = 180 uma. La mole è la quantità di composto la cui massa in grammi è equivalente alla sua massa molecolare. Una mole di glucosio, ad esempio, ha una massa di 180 grammi. Il concetto di mole è utile perché ci permette di paragonare tra loro atomi e molecole di massa molto diversa. Questo perché una mole di ciascuna sostanza contiene sempre esattamente lo stesso numero di unità sia che si tratti di piccolo atomi che di grandi molecole. Il numero di unità in una mole, pari a 6,02 x 1023, è noto come numero di Avogadro, dal nome del fisico italiano Amedeo Avogadro. Così una mole (180 grammi) di glucosio contiene 6,02 x 1023 molecole esattamente come una mole ( 2 grammi) di idrogeno molecolare (H2). Il concetto di mole permette di paragonare tra loro le soluzioni. Una soluzione 1 molare, indicata come 1M, contiene 1 mole di una data sostanza sciolta in 1 litro di soluzione. Possiamo quindi confrontare un litro di una soluzione 1M di glucosio con 1 litro di una soluzione 1M di saccarosio (zucchero da tavola). Queste soluzioni differiscono per la massa dello zucchero disciolto (rispettivamente 180 e 340 grammi), ma entrambe contengono 6.02 x 1023 molecole di zucchero. Le equazioni chimiche descrivono le reazione chimiche, dove i reagenti (sostanze che partecipano alla reazione) vengono scritti a sinistra dell’equazione, mentre i prodotti ( sostanze che si formano nella reazione) vengono scritti a destra. La freccia significa “produce” ed indica la direzione nella quale la reazione tende a procedere. Ad esempio 1 mole di glucosio, quando viene bruciata o metabolizzata, reagisce con 6 moli di ossigeno per dare 6 moli di anidride carbonica e 6 moli di acqua. Esempio: C6H12O6 + 6O2 6CO2 + 6H2O + Energia. Le reazioni possono procedere anche in
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direzione inversa (verso sinistra). All’equilibrio le velocità di reazione nei due sensi sono uguali, quindi il sistema non può svolgere il lavoro, perché la differenza tra energia liberata tra i reagenti e i prodotti e zero. Le reazioni che possono andare in tutte e due i sensi sono indicate con una doppia freccia: CO2 + H2O H2CO3 anidride carbonica + acqua = acido carbonico. In questo esempio le frecce hanno lunghezze diverse perché all’equilibrio ci sono più reagenti (CO2 a H2O ) che prodotto (H2CO3). Gli atomi di una molecola sono tenuti insieme da legami chimici. Ciascun legame chimico rappresenta un certa quantità di energia chimica potenziale. che e’ la quantità di energia posseduta dalla materia in funzione della sua altezza. Esempio: l’energia potenziale contenuta in un bacino d’acqua può essere impiegata per alimentare un generatore posizionato a valle aprendo semplicemente i cancelli della diga in modo che l’acqua scorra a valle, ma l’acqua che si trova a valle possiede un contenuto energetico minore rispetto alla stessa in collina. Per ripristinare l’energia potenziale è necessario compiere un lavoro: riportare l’acqua nella diga contro la forza di gravità. L’energia di legame è l’energia necessaria per rompere quel legame. I due principali tipi di legame chimico sono quello covalente e quello ionico. LEGAMI COVALENTI Sono forti e stabili e si formano quando gli atomi condividono gli elettroni di valenza formando le molecole. Il legame covalente può essere semplice H - H, doppio O = O o triplo N º N apolare e polare. Semplice Esempio: l’idrogeno: ogni atomo ha un solo elettrone, ma per completare il suo guscio di valenza ne sono necessari due. Gli atomi d’idrogeno hanno la stessa capacità di attrarre elettroni, quindi nessuno dei due dona un elettrone all’altro, ma li condividono ruotano intorno ad entrambe i nuclei tenendo uniti i due atomi. Così si è prodotta una molecola di idrogeno formata da due atomi di idrogeno tenuti insieme da un legame covalente, rappresentata come H - H, dove la – rappresenta il legame covalente, cioè una coppia di elettroni in compartecipazione, ed è detta formula di struttura, cioè mostra la disposizione degli atomi. Si può abbreviare scrivendo H2 cioè una formula molecolare che indica che la molecola è formata da due atomi di idrogeno. Altro esempio è l’atomo di carbonio che ha 4 elettroni disponibili per legami covalenti, e li condivide con gli elettroni di 4 atomi di idrogeno, formando una molecola di metano CH4 H | H-C-H | H
formula di struttura
Oppure un atomo di azoto con 5 elettroni nel suo guscio esterno, quindi con valenza 3, condivide i suoi elettroni con tre atomi di idrogeno e forma l’ammoniaca NH3 H-N-H | H
formula di struttura
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Le funzioni di una molecola dipendono dalla sua forma geometrica. Questa fa si che all’interno di una molecola si abbia tra gli atomi la distanza ottimale per controbilanciare la repulsione dei doppietti elettronici. Quando 4 atomi di idrogeno si combinano con 1 atomo di carbonio per formare una molecola di metano CH4, gli orbitali del guscio di valenza del carbonio vengono riarrangiati dando origine ad una struttura geometrica a tetraedro con un atomo di idrogeno ad ognuno dei 4 angoli. Doppio: si ottiene quando due atomi mettono in partecipazione due coppie di elettroni di valenza. Esempio: l’ossigeno che possiede 6 elettroni nel suo secondo strato di valenza e necessita di 2 elettroni per completare lo strato di valenza, può formare una molecola mettendo in compartecipazione due coppie di elettroni di valenza con un legame doppio. Struttura di questamolecola O = O formula molecolare O2 Triplo: quando tre coppie di elettroni di valenza come nell’azoto 7N che possiede cinque elettroni di valenza, quindi due atomi di azoto si legheranno mettendo in compartecipazione tre coppie di elettroni di valenza formando una molecola di N2 con una struttura di N º N La capacità legante di un atomo è detta valenza dell’atomo. La valenza dell’idrogeno è 1, quella dell’ossigeno 8O è 2, quella dell’azoto 7N è 3. L’atomo di carbonio 6C possiede quattro elettroni di valenza, per cui la sua capacità di legame o valenza è 4.L’elettronegatività, è la misura dell’attrazione esercitata da un atomo sugli elettroni all’interno dei legami chimici. Quanto più è elettronegativo un atomo tanto più attira verso di sé gli elettroni di legame. APOLARE: si stabilisce tra due atomi dello stesso elemento dove gli elettroni di legame sono condivisi in modo simmetrico e hanno uguale valore di elettronegatività come la molecola dell’ossigeno O2 formata da due atomi uguali, entrambe i nuclei attraggono gli elettroni con la stessa intensità. Anche il legame covalente presente nell’idrogeno è apolare. Anche i legami del metano sono apolari sebbene le coppie di atomi legati sono diversi, carbonio e idrogeno non differiscono sostanzialmente per la loro elettronegatività. POLARE: si stabilisce tra atomi di elementi differenti, dove causa il loro differente valore di elettronegatività si ha un ineguale distribuzione di elettroni condivisi, quindi gli elettroni di legame sono più attratti dall’atomo più elettronegativo che presenterà polo negativo mentre l’atomo meno elettronegativo acquista carica positiva. Esempio: l’acqua, H2O dove gli elettroni condivisi, trascorrono molto più tempo vicino all’atomo dell’ossigeno perché molto più elettronegativo rispetto all’idrogeno e quindi l’atomo dell’ossigeno costituirà il polo negativo della molecola d’acqua, mentre i due nuclei di idrogeno formeranno il polo positivo. Legame ionico si forma tra gli atomi di due elementi differenti tra i quali e’ avvenuto uno scambio di elettroni. Esempio: di come si formano i legami ionici è l’attrazione degli ioni sodio e cloro: un atomo di sodio (11Na) possiede 11 elettroni con 1 elettrone di valenza; esso non può quindi completare il suo guscio più esterno acquistandone 7 perché avrebbe una carica negativa troppo sbilanciata. Quindi cede l’unico elettrone di valenza ad un atomo molto elettronegativo come il cloro (17 Cl) che agisce da accettatore di elettroni, che possiede 17 elettroni di cui 7 di valenza, che a sua volta non li può cedere in quanto risulterebbe troppo positivo. Quando si incontrano, l’elettrone solitario del sodio viene trasferito all’atomo del cloro in modo tale che entrambe gli
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atomi posseggono gli strati di valenza completi. L’elettrone che si è trasferito tra i due atomi trasporta carica negativa. Il sodio che ora si trova con 11 protoni e 10 elettroni, possiede carica netta positiva +1 NA+ L’atomo di cloro invece ha acquistato un elettrone e quindi ha 17 protoni e 18 elettroni ha una carica netta negativa –1 CL. Un atomo che possiede una carica viene detto ione. Se la carica è positiva si chiama catione, se negativa anione. Questi ioni si attraggono l’un l’altro grazie alle loro cariche opposte e sono tenuti insieme da questa attrazione elettrica propria dei legami ionici. Si uniscono formando un composto ionico, (come il cloruro di sodio, tipico composto binario cioè fatto da due elementi, dove quello più elettronegativo viene nominato per secondo con la desinenza uro), Gli ioni hanno proprietà diverse da quelle dell’atomo. Ad esempio pur essendo il cloro un veleno, gli ioni cloruro sono essenziali nella conduzione dell’impulso nervoso insieme agli ioni sodio, potassio; così come gli ioni calcio nella contrazione muscolare. I composti ionici vengono detti sali come il cloruro di sodio. Spesso si trovano in natura sotto forma di cristalli di varie forme e dimensioni. Un cristallo non è formato da molecole nello stesso senso di un composto covalente, quindi con dimensioni e atomi definiti, la formula di un composto ionico tipo NaCl indica il rapporto degli elementi in un cristallo. Non tutti i sali presentano un numero uguale di anioni e cationi, il composto ionico cloruro di magnesio (MgCl2 ) presenta due ioni di cloruro per ogni ione di magnesio. Il magnesio (12Mg) deve infatti perdere due elettroni esterni se vuole completare il suo strato di valenza. Un atomo di magnesio può così fornire due elettroni di valenza per due atomi di cloro. Dopo aver perduto i due elettroni, il magnesio diventa un catione che possiede una carica di +2 (Mg2+). In questo modo possiede 12 protoni e 10 elettroni diventa un catione che possiede una carica di +2 (Mg2+). Non esiste una netta differenza tra legami covalenti e ionici. Diciamo che un legame covalente apolare (elettroni in compartecipazione e = elettronegatività), e un legame ionico ( scambio di elettroni con cambio di polarità), sono i due opposti di un vasto arco di situazioni, in cui gli atomi condividono elettroni, e al centro di queste possibilità, possiamo collocare il legame covalente polare in cui gli elettroni sono condivisi non in modo uguale ( diverso valore di elettronegatività). Il composto ionico nella sua forma solida ha legame ionico molto forte. Tuttavia se posto in acqua si scioglie grazie all’elevato potere solvente dell’acqua e alla sua polarità. Quando NaCl viene messo in acqua, le cariche parziali negative della molecola di acqua (presenti nella porzione dell’ossigeno), sono attratte dallo ione positivo del sodio e tenderanno a strapparlo al legame con lo ione cloruro. Mentre le cariche positive parziali dell’acqua (presenti nella porzione dell’idrogeno), sono attratte dagli ioni negativi CL- e tenderanno a separarli dal sodio: Quando NaCl si sarà sciolto, ciascun Na+ e Cl- sarà circondato da molecole di acqua da esso elettricamente attratto. NaCl in H2O Na+ + CL Una sostanza disciolta è detta soluto. Questo processo è noto come idratazione. I legami a idrogeno si formano quando un atomo di idrogeno legato covalentemente ad un atomo molto elettronegativo viene attratto anche da un secondo atomo, anch’esso elettronegativo, come l’azoto o l’ossigeno.
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Abbiamo già analizzato come l’acqua (molecola polare) legata covalentemente con l’idrogeno, porti alla distribuzione di una parziale carica negativa sull’ossigeno, e di una parziale sull’idrogeno. Così succede nell’ammoniaca NH3 cioè l’atomo di azoto con parziale carica negativa per la presenza dell’idrogeno, si lega all’atomo dell’idrogeno dell’acqua che possiede carica parziale positiva. Il legame che si forma è a idrogeno, e si indica con una linea tratteggiata. Atomi elettronegativi. I legami a idrogeno sono di circa 20 volte più deboli rispetto a quelli covalenti, si rompono cioè più facilmente. I legami covalenti legano insieme atomi nelle cellule, ma è altrettanto importante il legame tra cellule dove possono aderire l’una all’altra temporaneamente attraverso legami deboli, compreso i legami a idrogeno. Cioè le molecole si associano rispondono e si separano. Esempio: una cellula nervosa del cervello stimola una cellula vicina liberando sostanze le cui molecole si legano a specifici recettori alla superficie della cellula ricevente. Se la molecola segnale si legasse con legami più forti tipo covalenti, la cellula ricevente continuerebbe a rispondere per molto tempo dopo che la cellula trasmettitrice ha cessato di inviare messaggi. Cioè il nostro cervello continuerebbe a percepire il suono del campanello per ore dopo la cessazione dell’informazione da parte delle cellule nervose sensoriali. La reazione redox o l’ossido- riduzione, si ottiene quando un elettrone e la sua energia, si trasferiscono da una sostanza all’altra. Fotosintesi e respirazione cellulare sono reazioni redox. Esempio classico di ossido-riduzione è la ruggine. Nell’ossidazione un atomo, ione, o molecola perde elettroni, nella riduzione li acquista. In una reazione redox l’agente ossidante accetta uno o più elettroni riducendosi, l’agente riducente, cede uno o più elettroni ossidandosi. Nelle cellule viventi l’ossidazione comporta la perdita di un atomo di idrogeno, il contrario avviene per la riduzione. L’ACQUA Nei tessuti umani la sua percentuale è 20% ossa, 85% tessuti celebrali. Le molecole d’acqua sono polari, hanno cioè cariche parziali positive e cariche parziali negative. Sono tenute insieme da legami a idrogeno. L’atomo di idrogeno di ogni singola molecola d’acqua con la sua carica parziale positiva, viene attratto dall’atomo di ossigeno con parziale carica negativa, della molecola vicina: si viene a formare così il legame a idrogeno. Ciascuna molecola d’acqua può legarsi a 4 molecole circostanti. Le sostanze che interagiscono con l’acqua sono dette idrofile, quelle che interagiscono con i grassi idrofobe. Le molecole d’acqua sono coesive, cioè hanno la tendenza ad attaccarsi le une con le altre. Ciò spiega come l’acqua possa bagnare le superfici. Ha azione capillare, cioè la tendenza a risalire all’interno di tubi molto stretti anche contro la forza di gravità. Tensione superficiale, grazie alla coesività delle molecole in superficie si stringono formando uno strato piuttosto resistente. La caloria è l’unità di misura dell’energia termica (corrispondente a 4.184 joule) ed è definita come la quantità di calore necessaria per innalzare di un grado Celsius la temperatura di un grammo di acqua. L’acqua ha un grado di evaporazione alto. Sono necessari 540 calorie per trasformare un grammo di acqua in un grammo di vapore d’acqua. Quando un campione di acqua viene riscaldato, alcune molecole si muovono più velocemente rispetto alle altre e
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tendono ad abbandonare la fase liquida per entrare in quella di vapore, portando con se anche la loro energia termica, abbassando così la temperatura del campione. Così facciamo noi quando con il sudore dissipiamo l’eccesso di calore tramite la pelle. L’acqua non si dissocia facilmente per dare ioni idrogeno (H+) e ioni idrossido (OH-). La concentrazione di ioni idrogeno e idrossido nell’acqua pura è uguale cioè 0,0000001 o 10-7 cioè neutra (ne acida, ne basica). Un acido è una sostanza che in una soluzione si dissocia cedendo ioni H+ ed un anione quindi è un donatore di protoni. Una base è una sostanza che in una soluzione si dissocia cedendo un ione OH- ed un catione. E’ un accettatore si protoni. Il grado di acidità di una soluzione viene espresso in pH definito come il logaritmo negativo (in base 10) della concentrazione degli ioni idrogeno (espressa in moli/litro) pH = -log 10 H + La parentesi quadra indica la concentrazione di ioni idrogeno espressa in moli/litro. Le soluzioni acide con eccesso di ioni idrogeno hanno valori di pH inferiori a 7. Tanto più è acida una soluzione tanto è più basso è il valore si pH. Le soluzioni basiche con eccesso di ioni idrossido hanno valori di pH maggiori di 7. Il pH del sangue umano è circa 7,4 e deve essere mantenuto tale. Un aumento di acidità causa una disfunzione respiratoria, porterebbe ad uno stato di coma o persino la morte, mentre una alcalinità eccessiva porterebbe ad una estrema eccitabilità del sistema nervoso e come conseguenza le convulsioni. Il tampone è una sostanza che ha il compito di opporsi alle variazioni di pH. E’ costituito da una base debole e dal suo sale o un acido debole e il suo sale. Un sale è un composto nel quale l’atomo di idrogeno dell’acido è stato rimpiazzato da un altro catione. Il cloruro di sodio, NaCl, è un composto nel quale lo ione idrogeno dell’HCl è stato sostituito dal catione Na+. Quando un sale, un acido, una base, vengono sciolti in acqua, le loro particelle cariche dissociate possono condurre corrente elettrica e si chiamano elettroliti. I principali cationi sono: sodio, potassio, calcio e magnesio, gli anioni sono: cloruro, carbonato, solfato e fosfato. CAPITOLO 3 LA CHIMICA DELLA VITA: I COMPOSTI ORGANICI DOMANDA: SAPER DESCRIVERE LE PROPRIETA’ CHIMICO-FISICHE E BIOLOGICHE DEI CARBOIDRATI, LIPIDI, PROTEINE E ACIDI NUCLEICI Carboidrati, lipidi, proteine e acidi nucleici (DNA RNA), fanno parte dei composti organici (costituiti da scheletri di atomi di carbonio) fondamentali per la vita degli organismi. Il carbonio è il componenti principale dei composti organici, poiché avendo 4 elettroni di valenza può completare il suo guscio formando 4 legami covalenti. I composti che hanno uguale formula molecolare, ma strutture e proprietà differenti si chiamano isomeri. Ci sono quelli strutturali che differiscono per la disposizione covalente dei loro atomi; quelli geometrici differiscono per la disposizione spaziale dei loro atomi; gli enantiometri che sono speculari.
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Gli idrocarburi sono composti organici costituiti da carbonio e idrogeno e sono apolari e idrofobi. La loro caratteristica è quella di poter cambiare uno o più atomi di idrogeno legati allo scheletro carbonioso con altri gruppi detti gruppi funzionali. Conoscendo il gruppo presente nel composto si può prevedere il comportamento chimico. I gruppi sono: alcolico o ossidrilico – carbonilico – carbossilico – aminico – fosfato – solfidrilico – metilico (alcolico o ossidrilico R— OH ). Esempio di cambiamento è l’etano un idrocarburo che alla temperatura ambiente è allo stato gassoso, ma sostituendo un idrogeno con un gruppo alcolico ne risulta l’alcol etilico o etanolo che si trova nelle bevande alcoliche. carbonilico R—C=O costituito da un atomo di carbonio legato con doppio legame covalente all’ossigeno. Se il gruppo carbonilico è alla fine dello scheletro carbonioso si ha un aldeide, se è all’interno si forma un chetone. Sia l’ossidrilico che il carbonilico sono entrambe polari perchè l’ossigeno elettronegativo attrae gli elettroni covalentemente. carbossilico R—COOH costituito da un atomo di carbonio legato mediante un doppio legame covalente ad un atomo di ossigeno e da un legame covalente singolo ad un altro atomo di ossigeno che a sua volta lega un atomo di idrogeno. I due atomi di ossigeno così vicini stabiliscono una condizione di polarità tanto da strappare all’atomo dell’idrogeno un elettrone ed essere rilasciato come ione idrogeno (H+). Tale gruppo può esistere nei due stati idrofili (ionico o polare). Sono debolmente acidi in quanto solamente una parte della molecola si ionizza. Sono costituenti essenziali degli aminoacidi aminico R—NH2 costituito da un atomo di azoto legato covalentemente a due atomi di idrogeno. E ‘debolmente basico e diventa carico positivamente quando accetta un ione idrogeno (protone). Il gruppo amminico è presente negli aminoacidi e acidi nucleici fosfato R—PO4H2 è debolmente acido e può rilasciare uno o due ioni idrogeno. Sono presenti negli acidi nucleici e in alcuni lipidi. Solfidrilico R—SH è costituito da un atomo di zolfo legato covalentemente ad un atomo di idrogeno e lo si trova in molecole dette tioli. metilico R—CH3 è apolare I polimeri formati da composti organici di più monomeri, formano le macromolecole. I 20 aminoacidi più comuni, sono monomeri che si legano per formare polimeri noti come proteine. I polimeri possono essere degradati nei monomeri che li compongono mediante idrolisi. Il processo di sintesi mediante il quale questi monomeri vengono legati covalentemente si chiama condensazione. Questo perché durante il processo viene eliminata una molecola d’acqua e si usa il termine di sintesi per disidratazione. CARBOIDRATI Gli zuccheri, amidi e cellulosa sono carboidrati. I carboidrati contengono C, H ed O in un rapporto di un atomo di carbonio per due di idrogeno e uno di ossigeno, e sono idrofili.
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Gli zuccheri possono contenere: uno zucchero (monosaccaride), due zuccheri (disaccaride) o molti zuccheri (polisaccaridi). Monosaccaride contengono da tre a sette atomi di carbonio. A ciascun atomo di carbonio è legato un gruppo alcolico tranne uno il quale a sua volta è legato mediante doppio legame ad un atomo di ossigeno per formare un gruppo carbonilico. Il ribosio e il desossiribosio sono pentosi, contengono cioè 5 atomi di carbonio e sono i componenti degli acidi nucleici (DNA e RNA). Il glucosio, il fruttosio il galattosio contengono 6 atomi di carbonio sono detti esosi. Il glucosio C 6H 12 O6 è il monosaccaride più importante nei processi vitali. Durante la respirazione cellulare le cellule rompono i legami della molecola di glucosio, rilasciando l’energia immagazzinata che può essere usata per il lavoro cellulare. Disaccaride è costituito da due monosaccaridi legati l’uno all’altro mediante un legame glicosidico, che consiste di un ossigeno centrale legato covalentemente a due atomi di carbonio uno per anello. Il saccarosio lo zucchero usato per dolcificare i cibi, è costituito da una unità di glucosio ed una di fruttosio. Il disaccaride può essere idrolizzato cioè rotto in due unità monosaccaride per aggiunta di una molecola d’acqua. Polisaccaridi sono i carboidrati più abbondanti a cui appartengono: amidi, glicogeno, e la cellulosa. Amidi sono la riserva dei vegetali che si accumulano sotto forma di granuli entro organuli che si chiamano plastidi. Quando serve energia la pianta può idrolizzare l’amido rilasciando glucosio. Il glicogeno è la forma sotto la quale si accumula il glucosio negli animali, si trova nel fegato e nelle cellule muscolari. La cellulosa è il componente principale delle pareti cellulari dei vegetali. E’ un carboidrato strutturale. Il 50% del legno è costituito da cellulosa. Le pareti cellulari dei vegetali sono circondate da uno strato spesso di cellulosa. La cellulosa aiuta nella dieta l’intestino a funzionare adeguatamente. I carboidrati combinati con le proteine formano le glicoproteine (presenti sulla superficie di molte cellule), con i lipidi formano i glicolipidi che rivestono un ruolo importante nelle interazioni tra cellule. I LIPIDI I lipidi non sono definiti in base alla loro struttura, ma dal fatto che sono solubili nei solventi apolari (etere cloroformio) sono composti da C, H e O contengono meno ossigeno rispetto al carbonio e all’idrogeno e sono idrofobi (poco solubili in acqua). Sono importanti carburanti biologici e fungono da componenti strutturali delle membrane cellulari. I più importanti sono: i grassi neutri, i fosfolipidi, gli steroidi, i carotenoidi (pigmenti vegetali rossi e gialli), e le cere. Grassi neutri sono i più abbondanti negli essere viventi. Forniscono più del doppio di energia dei carboidrati. E’ costituito da glicerolo unito a 1,2 o 3 acidi grassi. Il glicerolo è un alcol a tre atomi di carbonio contenente tre gruppi ─OH. Un acido grasso è costituito da una lunga catena idrocarburica non ramificata alla cui estremità si trova un gruppo carbossilico (─COOH). Si dividono in saturi e insaturi. I saturi contengono il maggior numero possibile di atomi di idrogeno. Quelli insaturi possiedono una o più coppie di atomi di carbonio, quindi non sono completamente saturati con l’idrogeno. Quando una molecola di glicerolo si combina con un
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acido grasso si forma un monogliceride, se gli acidi sono due digliceride, se sono tre trigliceride. FOSFOLIPIDI Rappresentano una importante classe dei lipidi, quella dei lipidi anfipatici, le cui molecole sono caratterizzate dall’avere una estremità idrofila ed una idrofoba. E’ composto da una molecola di glicerolo attaccata da un lato a due acidi grassi e dall’altro a un gruppo fosfato legato ad un composto organico come la colina. La parte della molecola che contiene acido grasso (coda) è idrofoba e insolubile in acqua, la parte costituita dal glicerolo, fosfato e dalla base organica (testa della molecola), invece è idrosolubile. Queste proprietà rendono queste molecole adatte a formare quelle strutture note come membrane cellulari. STEROIDI Uno steroide è formato da atomi di carbonio disposti in 4 anelli uniti tra loro. Tre anelli sono a 6 atomi di carbonio e il quarto è a cinque. Tra i più importanti steroidi ricordiamo: il colesterolo componente strutturale delle membrane cellulari animali, i sali biliari emulsionano i grassi presenti nell’intestino in modo tale da favorirne l’idrolisi per via enzimatica, gli ormoni sessuali e gli ormoni secreti dalla corteccia surrenale esempio il progesterone ormone prodotto dalla corteccia surrenale è un ormone sessuale femminile. Carotenoidi (pigmenti vegetali rossi e gialli). I pigmenti vegetali rossi e gialli detti carotenoidi, vengono classificati tra i lipidi in quanto non solubili in acqua e si trovano nelle cellule di tutte le piante. PROTEINE Le proteine sono sequenze polimeriche formate dall’unione di aminoacidi uniti tra loro da legame peptidico legame covalente che si stabilisce tra una porzione amminica e quella carbossilica di un altro aminoacido liberando acqua. Quando si combinano due aminoacidi si forma un dipeptide, una catena di aminoacidi formano un polipeptide. Si definisce polipeptide una sequenza fino a 49 aminoacidi, oltre si definisce proteina. Possono essere assemblate fungendo così da componenti strutturali delle cellule e dei tessuti. Sono la struttura molecolare attraverso cui viene espresso il codice genetico sulla base della trasmissione del DNA. Molti enzimi (molecole che accelerano di migliaia di volte le reazioni chimiche che avvengono in un organismo) sono proteine. Una cellula muscolare differisce dalle altre cellule perché contiene più proteine contrattili come l’actina e la miosina responsabile della sua capacità di contrarsi. La proteina emoglobina, che si trova nei globuli rossi, è specializzata nel trasporto dell’ossigeno. Nelle proteine si trovano 20 tipi di aminoacidi. Quelli essenziali per l’uomo sono: arginina, fenilanina, istidina, leucina, lisina, metionina, treonina, triptofano, valina. Nella molecola proteica si distinguono 4 livelli di organizzazione: struttura primaria, secondaria, terziaria, quaternaria. Struttura primaria rappresenta la sequenza degli aminoacidi che costituiscono la catena. L’insulina è un ormone prodotto dal pancreas ed impiegato nella cura del diabete. E’ stata la prima proteina di cui si è stata identificata l’esatta sequenza amminoacidica, ed è composta da
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51 aminoacidi disposti su due catene ognuna con la sua struttura. Struttura secondaria può essere a α-elica come le proteine fibrose della pelle, unghie, capelli che sono elastiche grazie ai legami a idrogeno che possono rompersi e rifarsi, o β- planare a foglietto ripiegato flessibile piuttosto che elastico. Struttura terziaria è la forma complessiva assunta. E’ determinata da quattro fattori che implicano interazioni tra i gruppi: legami a idrogeno che si formano tra i gruppi, attrazioni ioniche, interazioni idrofobiche, legami covalenti noti come ponti disolfuro (─S─S─), che legano gli atomi di zolfo di due unità di cisteina. Struttura quaternaria deriva dalla disposizione tridimensionale delle catene polipeptidiche. L’emoglobina la proteina dei globuli rossi responsabile del trasporto dell’ossigeno, è un esempio di proteina con struttura quaternaria è costituita da 574 aminoacidi organizzati in 4 catene polipeptidiche, due catene a α-elica e due a β planare identiche. ACIDI NUCLEICI Gli acidi nucleici sono polimeri di nucleotidi costituiti da: uno zucchero a 5 atomi di carbonio (ribosio o desossiribosio), un gruppo fosfato e una base azotata. La base azotata può essere a doppio anello come le purine o ad anello semplice come le pirimidiniche. Gli acidi nucleici trasmettono l’informazione ereditaria e determinano quali proteine debbano essere sintetizzate dalla cellula. Ci sono due tipi di acidi nucleici: l’acido ribonucleico (RNA) e l’acido desossiribonucleico (DNA). Sono così denominati per il pentoso (Riboso Desossiriboso). Il DNA contiene le purine adenina e guanina (AG) e le pirimidiniche citosina e timina (C T), oltre allo zucchero desossiribosio ed al fosfato. L’RNA contiene le purine adenina e guanina e le pirimidiniche citosina e uracile (C U), oltre allo zucchero ribosio ed al fosfato. Le molecole degli acidi nucleici sono costituite da catene lineari di nucleotidi uniti tra loro da un legame fosfodiesterico costituito da un gruppo fosfato attaccato allo zucchero che si lega covalentemente allo zucchero del nucleotide adiacente. Mentre l’RNA è generalmente composto da una catena nucleotidica, il DNA è composto da due catene nucleotidiche unite da legami a idrogeno ed avvolte l’una sull’altra a formare una doppia elica. Alcuni nucleotidi svolgono un ruolo importante nei trasferimenti di energia. L’adenosina tri fosfato (ATP) costituita da adenina, ribosio e tre fosfati è la più importante molecola energetica della cellula. L’ATP può trasferire un gruppo fosfato ad un’altra molecola, cedendo parte della sua energia chimica. L’ATP può essere convertito in adenosina monofosfato ciclico (AMPc) grazie all’enzima adenilato ciclasi. La nicotinamide adenindinucleotide (NAD+) svolge un ruolo importante nelle ossidoriduzioni che avvengono all’interno delle cellule. Può esistere in forma ossidata (NAD+) che si trasforma nella forma ridotta in (NADH) quando accetta idrogeno. Ogni base azotata andrà ad accoppiarsi in modo specifico: ADENINA-TIMINA GUANINACITOSINA. Questo perché deve essere garantita l’informazione trasmessa dal DNA in modo corretto. La funzione duplice del DNA: trasmettere l’informazione genetica e farla recepire attraverso
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la sintesi delle proteine, trasmettere l’informazione genetica alle cellule figlie motivo per cui è costituito da un doppio filamento che srotolandosi da un lato viene copiato dal mRNA quando vuole fare le proteine, dall’altro viene trasmesso alle cellule figlie sulla scorta dell’accoppiamento delle basi azotate a garanzia che le cellule figlie conterranno le stesse caratteristiche genetiche della cellula madre. Le differenze tra DNA e RNA sono: molecolarmente nello zucchero: desossiribosio DNA, e ribosio RNA strutturalmente: 2 filamenti nel DNA 1 filamento nel RNA CAPITOLO 5 LE MEMBRANE BIOLOGICHE DOMANDA: Descrivere l’organizzazione delle cellule La parte della biologia che studia la cellula è la citologia. La cellula è l’unità strutturale e funzionale degli organismi viventi o in altri termini il più piccolo insieme di materia dotato di vita. La scoperta delle cellule risale al XVІІ secolo con l’osservazione di un filamento di sughero con all’interno delle celle vuote che sono state chiamate cellule. Dopo 200 anni si scoprì che tutte le piante e tutti gli animali si compongono di cellule. Da qui si formulò la teoria cellulare secondo cui: tutti gli organismi viventi sono costituiti da cellule; la cellula è l’unità strutturale e funzionale dei viventi; ogni cellula deriva da altre cellule. All’interno della cellula si verificano mutamenti continui come la concentrazione salina, il pH, e la temperatura. Attraverso l’omeostasi, (la tendenza a mantenere relativamente costante l’ambiente interno) e i suoi meccanismi omeostatici, cioè i processi che permettono di assolvere questo compito, deve lavorare continuamente per ripristinare le condizioni opportune. Esistono due tipi di cellule: procariotiche ed eucariotiche. Procariotiche (prima del nucleo) sono tipiche dei batteri, e il DNA non è racchiuso all’interno del nucleo, è localizzato in una zona detta area nucleare o nucleoide che non è circondata da membrana. Sono cellule più piccole delle eucariotiche, sono circondate da membrana plasmatica che delimita il contenuto della cellula, e non ha tutti gli organuli della cellula eucariotica. Il denso materiale interno contiene ribosomi piccoli complessi di RNA e proteine in grado di sintetizzare polipeptidi, e granuli di deposito contenenti glicogeno, lipidi. Eucariotiche (vero nucleo) contengono almeno tre componenti fondamentali: il nucleo che contiene il materiale genetico (acido desossiribonucleico DNA), il citoplasma, e il tutto racchiuso da una
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membrana plasmatica, un sottile involucro che la separa dall’esterno. Il nucleo è l’organulo più importante della cellula. Contiene il DNA le cui molecole costituiscono i geni che contengono in forma chimica le informazioni codificate per la produzione di tutte le proteine necessarie per la cellula. Ha forma sferica o ovoidale. E’ formato da tre componenti: la membrana nucleare, la cromatina, e uno o più nucleoli. La membrana nucleare separa il nucleo dal citoplasma ed è formata da una doppia membrana a doppio strato lipidico che ad intervalli di 20-40 nm (10-9 metri) si fonde formando i pori nucleari che permettono il passaggio di materiali dal citoplasma al nucleo e viceversa solo di molecole specifiche. La materia liquida interna al nucleo è il plasma nucleare composta da una soluzione acquosa contenente ioni, enzimi, ribosomi. La cromatina è una sostanza dall’aspetto granulare composta da lunghe molecole di DNA associate a proteine: Durante la divisione cellulare la cromatina si spiralizza e forma strutture a forma di bastoncelli i cromosomi. I nucleoli piccoli nuclei di forma tondeggiante. Qui avviene la sintesi dei diversi tipi di RNA che costituiscono i ribosomi. Le proteine necessarie per allestire i ribosomi sono sintetizzate nel citoplasma e sono poi importate nel nucleolo. Quindi l’RNA ribosomiale e le proteine vengono assemblate in subunità ribosomiali che escono dal nucleo attraverso i pori nucleari. Il citoplasma è una porzione della cellula contenuta entro la membrana plasmatica e che circonda il nucleo. E’ composto dal citosol e numerose strutture citoplasmatiche detti organuli, per mezzo dei quali la cellula respira, digerisce e sintetizza molecole ed esercita tutte le attività metaboliche in modo mirato. Gli organuli sono: apparato di golgi, ciglia e flagelli, citoscheletro, lisosomi, mitocondri, perossisomi, reticolo, endoplasmatico, ribosomi, centrioli, cloroplasti (fanno parte della cellula vegetale) vacuoli (fanno parte della cellula vegetale) APPARATO DI GOLGI è un organulo citoplasmatico e ha tre funzioni: prima funzione: contenimento ed evacuazione di vescicole proteiche garantendo alla cellula la massima efficacia nell’eliminazione di prodotti con il minimo sforzo, perché da una micro vescicola riesce ad espellere macrovescicole. E’ costituito da pile di sacche membranose appiattite. Ogni sacca ha uno spazio interno detto LUME. Ciascuna pila di vescicole possiede 3 aree denominate superfici CIS e TRANS tra i quali si trova la regione MEDIALE. La superficie CIS è collocata vicino al nucleo e ha funzione di ricevere i materiali contenuti nelle vescicole di trasporto provenienti dal RE. La TRANS è vicina alla membrana plasmatica, impacchetta le molecole in vescicole che sono trasportate al di fuori del Golgi seconda funzione: garantire la glicosilazione delle proteine ( cioè aggiungere zuccheri alle proteine), che significa costituire delle glicoproteine che hanno due funzioni: andare a fare parte della membrana costituendo i pori; rendere la cellula antigenica cioè quella glicoproteina caratterizza quella cellula e solo quella, quindi la rende riconoscibile e specifica nell’ambito dell’organismo.
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Esempio: l’organismo riconosce ciò che è SELF (proprio) da ciò che è NON SELF che va distrutto, come un battere o un organo trapiantato. Questo viene fatto sulla scorta del riconoscimento glicoproteico. In base alla struttura molecolare che si palesa al di fuori della cellula indipendentemente dalla membrana plasmatica la glicoproteina conferisce una specificità di struttura a quella cellula. terza funzione: ha il compito di allestire i lisosomi. CITOSCHELETRO è un organulo citoplasmatico costituito da tre tipi di fibre: microtubuli, microfilamenti, filamenti intermedi. Fornisce il supporto strutturale e serve per il trasporto di materiali all’interno della cellula e nella divisione cellulare. I microtubuli sono i filamenti più spessi del citoscheletro, hanno un Ø di circa 25 nm. Sono coinvolti nel movimento dei cromosomi durante la divisione cellulare. Sono costituiti da due proteine la ά β tubulina. Queste si combinano tra loro formando un dimero (si forma in seguito all’associazione di due unità simili detti monomeri). Il microtubulo si allunga per addizione di dimeri di tubulina. Possiede una polarità e l’estremità si chiamano più e meno. L’estremità più si allunga più rapidamente. Per espletare la funzione strutturale si devono ancorare ad altre parti della cellula. Nelle cellule che NON si stanno dividendo i microtubuli appaiano stendersi dalla regione detta (MTOC), centro di organizzazione dei microtubuli, di cui il principale è il centrosoma, contenente due strutture dette centrioli costituiti da 9 triplette di microtubuli disposte a formare un cilindro cavo. Sono state individuate diverse proteine associate ai microtubuli (MAP), e raggruppate in due gruppi: le MAP fibrose legano i microtubuli in modo da formare dei fasci che aiutano a conferire forma alla cellula, le proteine motore utilizzano l’energia contenuta nell’ATP per generare movimento. La proteina CHINESINA muove gli organuli verso l’estremità positiva dei microtubuli, la DENEINA trasporta gli organuli nella direzione opposta. Questo è detto trasporto retrogrado. I microtubuli costituiscono i principali componenti strutturali delle ciglia e flagelli (strutture specializzate ed utilizzate per i movimenti cellulari). Se la cellula possiede poche appendici e lunghe, vengono chiamate flagelli, se ne ha molte e corte, vengono chiamate ciglia. Esempio: negli animali, i flagelli sono presenti come code negli spermatozoi, e si muovono come una frusta esercitando una forza perpendicolare alla superficie della cellula. Le ciglia sono presenti sulla superficie delle cellule che rivestono i dotti interni dell’organismo (vie aeree), e si muovono come remi alternando il movimento ed esercitando una forza parallela alla superficie della cellula. Esempio ne sono le ciglia presenti nelle pareti delle tuba uterina che con il loro movimento asincrono trasportano l’ovulo in utero. Infatti la sindrome delle ciglia immobili si correla ad una infertilità. Sia ciglia che flagelli hanno strutture simili, sono costituiti da steli di forma cilindrica coperti da membrana plasmatica. La parte interna dello stelo è costituita da un gruppo di 9 paia di microtubuli disposti lungo la circonferenza e due microtubuli non appaiati al centro. Questa disposizione 9+2 è tipica di tutte le ciglia e flagelli degli eucarioti. Inoltre ciascun ciglia e
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flagelli sono ancorati alla cellula mediante un corpo basale che ha 9 serie di 3 microtubuli disposte in centro. I microfilamenti chiamati anche filamenti di actina sono fibre flessibili e solide del Ø di 7 nm. Ciascun microfilamento è costituito da due molecole intrecciate di actina simile a perle. Queste molecole si legano l’una all’altra ed a altre proteine per formare fasci di fibre che conferiscono il supporto meccanico a diverse strutture cellulari. Nelle cellule muscolari l’actina si associa alla miosina per formare fibre in grado di permettere la contrazione. La contrazione di un anello di actina associata con miosina causa la costrizione della cellula per dare origine a due cellule figlie. I filamenti intermedi hanno un Ø di 8/10 nm. Sono costituiti da fibre polipeptidiche. Si pensa che rendono più forte il citoscheletro stabilizzando così la forma della cellula. LISOSOMI sono organuli citoplasmatici composti da piccole sacche piene di enzimi (molecole che accelerano le reazioni chimiche) digestivi disperse nel citoplasma. Gli enzimi degradano le molecole complesse e possono essere proteolitici, lipolitici o glicolitici. All’interni dei lisosomi sono stati identificati più di 40 enzimi diversi, la maggior parte è attiva in condizioni di pH 5. I lisosomi PRIMARI si formano per gemmazione dal complesso di Golgi. I loro enzimi sono sintetizzati nel RER, quando attraversano il LUME del RE, gli zuccheri si attaccano alle molecole identificandole. I lisosomi degradano i batteri o frammenti ingeriti dalle cellule spazzino. Il materiale è racchiuso in una vescicola che si genera dalla membrana plasmatica. Uno o più lisosomi primari si fondono con queste vescicole contenenti il materiale estraneo formando una vescicola più grande detta lisosoma SECONDARIO. Infine potenti enzimi intervengono degradando le molecole estranee. L’apoptosi cioè la morte programmata della cellula, costituisce una parte normale dello sviluppo e del mantenimento della cellula. In alcune malattie genetiche umane, note come accumulo lisosomiale, mancano alcuni enzimi idrolitici che degradano i lipidi provocando ad esempio nelle cellule cerebrali il ritardo mentale e la morte. Quando il lisosoma deve digerire una vecchia proteina, una aggressione esterna, intervengono i MACROFAGI strutture piene di granuli lisosomiali che incontra l’agente estraneo si apre e libera questi granuli di lisosomi, che si attivano quando vengono liberati che contengono enzimi forniti dall’ergastoplasma sulla base del DNA. Quindi i lisosomi sono pronti per spandere questo contenuto enzimatico atto ad aggredire e distruggere. I lisosomi sono quindi organuli che contengono enzimi litici che se sono all’interno della cellula sono inattivati, la cui attivazione non risiede nel loro interno altrimenti si autodistruggerebbero, ma è una conseguenza al rilascio degli enzimi stessi che richiede un pH acido. MITOCONDRI Sono organuli citoplasmatici nei quali avviene la respirazione cellulare, che consiste in una serie di reazioni che trasformano l’energia chimica presente nel cibo in ATP. E’ necessario l’ossigeno e ha come prodotti finali anidride carbonica e acqua. (E’ la centrale elettrica della
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cellula). I mitocondri sono più numerosi nelle cellule molto attive che richiedono grandi quantità di energia. Nella cellula epatica se ne possono trovare più di 1000. Cambiano forma molto rapidamente e si replicano per divisione. Sono circondati da una doppia membrana (Il Mitocondrio deriva da una cellula procariote che è entrato nella cellula eucariote). La membrana esterna è liscia e permette il passaggio di molecole di piccole dimensioni. La membrana interna è selettivamente permeabile, è ripiegata a formare estroflessioni chiamate creste che si ripiegano aumentando l’area superficiale dove avvengono le reazioni chimiche che trasformano l’energia chimica in ATP. La membrana contiene gli enzimi e le proteine necessarie per queste reazioni. PEROSSISOMI Sono organuli rivestiti da membrana. Contengono enzimi in grado di catalizzare le reazioni chimiche (cioè influenzano la reazione chimica senza essere consumati dalla reazione stessa) dove l’idrogeno è trasferito verso l’ossigeno formando un prodotto secondario il PEROSSIDO D’IDROGENO H2 O 2 che è tossico per la cellula. I perossisomi contengono l’enzima catalasi che è in grado di degradare il perossido d’idrogeno rendendolo innocuo. I perossisomi si trovano in tutte le cellule che immagazzinano o degradano lipidi. Nelle cellule renali ed epatiche detossificano l’etanolo che è l’alcol contenuto nelle bevande alcoliche. RETICOLO ENDOPLASMATICO Organulo citoplasmatico costituito da un insieme di cavità tubulari o vescicolari riccamente ramificate nel citoplasma e delimitata da membrana. Lo spazio interno che si viene a creare è chiamato LUME e nella maggioranza delle cellule da origine ad un unico compartimento interno. Il RE è in relazione in superficie con la membrana plasmatica, in profondità con quelle nucleari. Perché dal nucleo uscirà mRNA andrà sul ribosoma che determinerà la catena aminoacidica e formata la proteina uscirà fuori o resterà dentro. E’ distinto in RE RUVIDO detto ergastoplasma (plasma elaboratore) e LISCIO. Il RER appare tale per la presenza dei ribosomi sulla sua superficie. Il RER ha il compito di elaborare proteine che gli arrivano dai ribosomi adesi alle sue membrane e indirizzare il loro destino. Potrebbe essere una proteina che deve uscire dalla cellula in modo esocrino, oppure andare a rimpiazzare proteine vecchie o denaturate della membrana plasmatica, oppure proteine che debbono rimanere nel citoplasma. Nello specifico rimanendo all’interno della cellula vanno all’interno dei lisosomi quindi saranno enzimi. Una struttura ricca di ergastoplasma è l’acino pancreatico; struttura base della ghiandola pancreatica. Il pancreas è una ghiandola che ha bisogno di secernere gli ormoni che regolano l’assunzione o la liberazione di glucosio (insulina e glucagone) e poi non poco determinare la produzione di elettroliti che riescono a tamponare l’acidità gastrica. Un’altra zona dove si trova l’ergastoplasma sono le plasma cellule che elaboreranno gli anticorpi che avranno bisogno di un organulo che lavori a ritmo incessante perché in caso di infezione in atto un aggressione esterna deve essere pronto a buttare fuori quanto più possibile risposte anticorpali. Il REL liscio è privo di ribosomi, ha due funzioni: sintetizzare ormoni steroidei (come il testosterone e lo troveremo nel testicolo), e la detossificazione cioè l’eliminazione di tossine. Lo troviamo nella cellula epatica si riempie di REL e non di RER perché non ha bisogno di
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produrre proteine, ma bensì operare una detossificazione perché attraverso il fegato passano una serie di fasi del metabolismo e una serie di farmaci che vengono captati e metabolizzati dal fegato. Gli enzimi del REL delle ghiandole epatiche sono in grado di degradare sostanze chimiche tossiche come quelli cancerogene che vengono trasformati in composti idrosolubili che possono essere così escreti. RIBOSOMI Sono piccoli granuli costituiti da RNA e proteine alcuni attaccati alle membrane del RE altri liberi nel citoplasma. Contengono gli enzimi necessari per formare il legame peptidico, sono strutture per l’assemblaggio delle proteine. Possiamo avere ribosomi adesi al RE deputati a produrre proteine che costituiscono la membrana stessa oppure dare proteine che arriveranno alla membrana plasmatica oppure dare proteine che andranno fuori dalla cellula. Quelli liberi hanno una funzione più strutturale perché sono liberi di produrre proteine e quindi fare differenziare la cellula. Esempio di una cellula ricca di ribosomi liberi è l’eritroblasto cioè la cellula giovane del globulo rosso. Blasto si usa per indicare la giovinezza della cellula, clasto vecchio. Quindi il ribosoma libero nell’eritroblasto ha la funzione di produrre proteina che rimanga all’interno della cellula. L’eritroblasto sarà ricchissimo di ribosomi liberi e non di ergastoplasma, perché non ha bisogno l’eritroblasto che deve maturare di fare proteine per la sua membrana o di buttarle fuori (questo giustificherebbe la presenza dell’ergastoplasma), ha bisogno invece di ribosomi che producono proteine che rimangano all’interno della cellula nella fattispecie di emoglobina il cui incremento di concentrazione equivale ad un incremento maturativo. L’eritroblasto prende la proteina si accumula si differenzia e diventa globulo rosso. La cellula vegetale possiede alcune strutture esclusive tra cui una parete cellulare e organuli quali i vacuoli e i plastidi. La maggior parte delle cellule vegetali è priva di centrioli. LA PARETE CELLULARE è una struttura esterna alla membrana plasmatica ed è costituita da polisaccaridi soprattutto cellulosa. Conferisce sostegno e forma alla cellula. IL VACUOLO è una cavità presente nelle piante e nei funghi nel quale si accumulano acqua, prodotti di rifiuto e sostanze nutritive. Sono paragonabili ai lisosomi della cellula animale. La membrana del vacuolo è detta TONOPLASTO. Il vacuolo svolge un ruolo importante nella crescita e nello sviluppo delle piante. La cellula vegetale cresce di dimensione soprattutto attraverso l’aggiunta d’acqua al vacuolo centrale formatosi dalla fusione di altri vacuoli. Nei protozoi (dal latino primi animali, organismi non pluricellulari simili agli animali, perché utilizzano come modalità di alimentazione l’ingestione del cibo), ci sono: vacuoli nutritivi ripieni di cibo che si fondono con i lisosomi, per digerirlo; vacuoli contrattili che permettono alla cellula di eliminare l’acqua in eccesso. I PLASTIDI Sono organuli avvolti da una doppia membrana, si sono formati partendo dai PROPLASTIDI,
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organuli precursori che si trovano nelle cellule vegetali. I plastidi sono distinti in: CLOROPLASTI – CROMOPLASTI – LEUCOPLASTI in base al loro colore. I CLOROPLASTI trasformano l’energia luminosa in energia chimica mediante il processo fotosintetico, operato da un pigmento verde, la clorofilla a e b che si trova nelle membrane tilacoidali. Sono strutture a forma di disco e come i mitocondri hanno un sistema di membrane ripiegate. Il liquido interno si chiama STROMA, che contiene gli enzimi necessari per la produzione di carboidrati da anidride carbonica e acqua, utilizzando l’energia solare. La membrana interna si può ripiegare all’interno per formare un insieme di membrane (sacche appiattite a forma di disco) dette TILACOIDI che si dispongono in pile dette GRANA. Come i mitocondri anche i cloroplasti contengono ribosomi e un proprio DNA. Contengono anche i CAROTENOIDI pigmenti giallo ed arancio in grado di assorbire la luce. I CROMOPLASTI contengono i pigmenti rosso-arancione che conferiscono a frutta e fiori i loro colori, attrattiva per gli animali impollinatori o dispersori di semi. I LEUCOPLASTI sono privi di pigmento e quindi sono bianchi. Possiamo citare gli AMILOPLASTI che immagazzinano amido nelle cellule esempio le patate. La membrana plasmatica è un involucro che separa fisicamente l’interno di una cellula dall’ambiente esterno, regola l’entrata e l’uscita di materiali. E’ una barriera dimensionale perché non fa passare molecole dal peso molecolare superiore ai 60.000 dalton e ionica perché all’interno e all’esterno della barriera si stabiliscono delle cariche negative. E ‘garanzia di tenuta cellulare di forma non deve riempirsi di schifezze, è una sorta di isolamento. I principali costituenti sono: lipidi e proteine. I lipidi sono di tre tipi: fosfolipdi, colesterolo e glicolipidi. Un fosfolipide consiste in una molecola di glicerolo attaccata da un lato a due acidi grassi (coda idrofoba), e dall’altro lato un gruppo fosfato legato a un composto organico come la colina (testa idrofila). Le molecole con regioni idrofobe e idrofile distinte si chiamano molecole anfipatiche. Poiché una delle estremità di ciascun fosfolipide si combina liberamente con l’acqua, mentre quella opposta non lo fa, l’orientamento più favorevole assunto da queste molecole in acqua risulta essere una struttura a doppio strato. La parte idrofila di ogni molecola di fosfolipidi (la testa) si rivolge verso il citoplasma, e la parte idrofoba (la coda) si dispone verso l’interno del doppio strato. Gli acidi grassi costituiscono le code dei fosfolipidi e rendono la membrana fluida. Secondo il modello a mosaico fluido le membrane sono costituite da un doppio strato fosfolipidico fluido, nel quale sono incastrate varie proteine. Non è un modello statico perché le proteine cambiano continuamente posizione. Affinché possa funzionare adeguatamente è necessario che i suoi lipidi siano in uno stato di fluidità ottimale. Se i lipidi sono troppo fluidi la membrana ne risulta indebolita. Se lo strato lipidico è troppo rigido risultano inibite alcune funzioni di membrana. A temperature normali le membrane cellulari sono fluide, mentre a basse temperature i movimenti delle catene di acidi grassi sono rallentati. Il colesterolo ha la capacità di stabilizzare la fluidità della membrana. E ‘immerso nella membrana e conferisce al doppio strato stabilità e resistenza. I glicolipidi si trovano immersi nello strato esterno della membrana e regolano le comunicazioni
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tra le cellule. Le proteine (proteine di membrana) sono: o immerse nel doppio strato o sono attaccate alla sua superficie (alcune sono legate ai carboidrati e prendono il nome di glicoproteine. Ci sono le proteine estrinseche (o periferiche) inserite solo in uno dei due strati, e quelle intrinseche (o integrali) che sono completamente immerse nel doppio strato, le regioni idrofile si estendono fuori dalla cellula o nel citoplasma, mentre le regioni idrofobe interagiscono con le code dei fosfolipidi di membrana. Le proteine di membrana sono suddivise in base alle funzioni svolte: formare giunzioni tra cellule adiacenti; attaccarsi agli elementi del citoscheletro (le interine sono in grado di legarsi ai microfilamenti che si trovano all’interno della cellula; formare canali che permettono il passaggio selettivo di ioni o molecole; formare pompe che richiede l’ATP per trasportare attivamente i soluti; alcune proteine sono enzimi in grado di catalizzare reazioni che avvengono in prossimità della superficie cellulare; recettori che agiscono nel riconoscimento cellulare. Nella traduzione del segnale i recettori trasformano un segnale extracellualare in intracellulare. La molecola segnale si lega a un recettore sulla membrana plasmatici, questo complesso segnale-recettore attiva la proteina G che attiva a sua volta un enzima che catalizza la produzione di un secondo messaggero il AMP ciclico che attiva uno o più enzimi come le proteina-chinasi. Gli enzimi possono fosforilare le proteine che alterano le attività della cellula. Le membrane cellulari sono selettivamente permeabili, cioè permettono il passaggio solo di alcune sostanze. Il suo doppio strato lipidico costituisce una barriera invalicabile per le molecole grosse, polari e idrosolubili e degli ioni. Per le sue caratteristiche selettive riguardo il passaggio di materiali, la membrana plasmatica viene detta semipermeabile. Il passaggio attraverso la membrana può avvenire attraverso il meccanismo della DIFFUSIONE, che può essere: PASSIVA O FACILITATA. PASSIVA è il movimento di sostanze in soluzione attraverso la membrana che non richiede dispendio d’energia per la cellula, sulla base del gradiente di concentrazione. Cioè il flusso che si determina da un compartimento all’altro intra e extra cellula, sulla base della concentrazione di quel composto da un compartimento all’altro. Il composto senza carica può diffondere da un compartimento ad alta concentrazione verso il compartimento a bassa concentrazione sfruttando l’energia potenziale dovuta alla presenza del gradiente di concentrazione. Mentre per le molecole cariche elettricamente si osserva anche il gradiente elettrochimico, cioè la distribuzione delle cariche. FACILITATA, perché esistono dei carriers (proteine vettrici), che prendono la molecola la portano sulla membrana, interagiscono con dei recettori che si aprono e la fanno entrare. Logicamente avendo una proteina vettrice per quella molecola è indice di specificità d’ingresso. Entra solo quella molecola. Un altro modo di diffusione facilitata è il canale: Il bilayer viene interrotto e passano le molecole ed è meno specifico. L’osmosi è la diffusione dell’acqua attraverso la membrana. Il passaggio è consentito per la presenza di pori formati dall’assemblaggio di un certo numero di proteine intrinseche. L’osmosi
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termina quando viene raggiunto l’equilibrio osmotico, cioè quando il flusso d’acqua è uguale e non vi è più un passaggio netto di molecole da un lato all’altro. Esempio di un tubo ad U diviso in due parti da una membrana attraverso la quale possono passare le molecole di solvente, ma non quelle di soluto. Nel lato sinistro viene posta una soluzione di acqua/soluto, e a destra acqua distillata. A causa della differenza reale di concentrazione di acqua si verifica un movimento netto di molecole di acqua pura verso quella contenente acqua/soluto. Ne risulta che il livello del fluido dalla parte dell’acqua cala e cresce quello dell’acqua/soluto. La pressione osmotica di una soluzione è la tendenza dell’acqua pura a muoversi verso la soluzione per osmosi. E’ possibile misurarla inserendo un pistone nel lato contenente acqua/soluto, e misurando quanta pressione si deve applicare per arrestare la risalita del liquido. Una soluzione con un’alta concentrazione di soluto ha una bassa concentrazione di acqua e un’alta pressione osmotica, al contrario, una bassa concentrazione di soluto ha un’alta concentrazione di acqua e una bassa pressione osmotica. Se una cellula viene immersa in un fluido avente la stessa pressione osmotica non c’è nessun movimento di molecole d’acqua in nessuna direzione; la cellula non si raggrinzisce ne si gonfia. Si dice che il fluido è isotonico. Ipertonici, quando la concentrazione di soluto è maggiore nei liquidi circostanti rispetto alla concentrazione cellulare, e hanno una pressione osmotica più alta rispetto alle cellule. Ipotonici, quando la concentrazione di soluto è minore nei liquidi circostanti rispetto alla concentrazione cellulare e hanno una pressione osmotica più bassa rispetto alle cellule. TRASPORTO ATTIVO Contro gradiente di concentrazione. Alla cellula serve quello che sta fuori, che non passa attraverso i pori, non ho la proteina vettrice, la vado a prendere spendendo energia. L’energia è data dalla molecola di ATP. La rottura del legame fosforico è pari a 7.3/kcal. Rompo l’ATP e produco ADP + P libero fosfato e faccio energia. Il trasporto attivo è regolato da proteine di membrana chiamate pompe ATPasiche, (pompa sodio potassio presente in tutte le cellule animali), che utilizzano l’idrolisi (scissione) dell’ATP per scambiare ioni sodio endocellulari con ioni potassio extracellulari. Lo scambio è sbilanciato: due ioni potassio entrano, e tre ioni sodio escono. Le pompe servono a mantenere una separazione di carica attraverso la membrana. Ecco come funziona la pompa: 1) Tre ioni sodio si legano alla proteina di trasporto; 2) Un gruppo fosfato si trasferisce dall’ATP alla proteina di trasporto; 3) La proteina di trasporto subisce un cambiamento conformazionale e rilascia tre ioni sodio all’esterno della cellula. 4) Due ioni potassio si legano alla proteina di trasporto; 5) Il fosfato viene rilasciato; 6) La proteina di trasporto assume la sua forma originaria e i due ioni potassio vengono rilasciati all’interno della cellula. Un’altra funzione delle pompe ioniche è quella di equilibrare la pressione osmotica del citoplasma a seconda dell’ambiente esterno. Se una cellula non è in grado di controllare la propria pressione osmotica interna, il suo contenuto diventerà ipertonico (concentrazione di
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soluto maggiore rispetto all’esterno), e quindi entrerà acqua per osmosi causandone il rigonfiamento ed una possibile lisi. Quindi controllando la distribuzione ionica attraverso la membrana, la cellula può indirettamente controllare il movimento d’acqua, perché quando gli ioni vengono pompati fuori dalla cellula si perde acqua per osmosi. Altre forme di trasporto utilizzate dalla cellula per introdurre o eliminare sostanze come interi batteri o macromolecole sono: l’endocitosi e l’esocitosi. L’endocitosi è il trasporto di materiali all’interno della cellula per mezzo di vescicole. Possiamo avere diversi processi tra cui: la fagocitosi, pinocitosi e endocitosi mediata da recettori. Nella fagocitosi le cellule ingeriscono grandi particelle come i batteri o cibo. La membrana plasmatica circonda la particella che deve essere ingerita, formando intorno ad essa un piccolo vacuolo, che verrà strozzato e inglobato all’interno della cellula. I globuli bianchi del sangue usano questo sistema. Nella pinocitosi la cellula introduce materiale liquido, che viene intrappolato da vescicole o pieghe della membrana plasmatica che si strozzano si staccano e si riversano nel citoplasma. Il liquido viene trasferito lentamente al citosol e le vescicole diventano sempre più piccole fino a scomparire. Nell’endocitosi mediata da recettori molecole specifiche si combinano con le proteine recettoriali inglobate nella membrana plasmatica della cellula. Questa molecola che si lega in modo specifico al recettore si chiama ligando. I recettori sono concentrati in fossette sulla membrana plasmatica. Queste fossette sono ricoperte da proteine le “clatrine” che si trovano appena sotto la membrana plasmatica. Dopo che il ligando si è legato al recettore la fossetta dà origine per endocitosi ad una vescicola ricoperta. Pochi secondi dopo il rivestimento si stacca lasciando libere nel citoplasma delle vescicole non ricoperte dette endosomi, che generalmente forma due vescicole, una contenente i recettori che vengono riportati sulla membrana per essere riciclati, e l’altra si fonde con il lisosoma e il loro contenuto una volta digerito viene rilasciato nel citosol. Ne è esempio il colesterolo. L’esocitosi è il trasporto di materiali all’esterno della cellula. In pratica è l’opposto dell’endocitosi. Le sostanze che devono essere rimosse vengono racchiuse in una vescicola che si sposta fino alla periferia della cellula in modo da fondersi con la membrana plasmatica e rilasciare il proprio contenuto all’esterno. Le cellule che sono a stretto contatto tra loro possono avere legami molto forti e sono di tre tipi: Desmosomi, giunzioni serrate, giunzioni comunicanti. Desmosomi: legame presente nelle cellule epiteliali come la pelle. Essi tengono insieme le cellule in un solo tratto come un punto di saldatura. Sono ancorati sulla parte interna della cellula ad un sistema di filamenti intermedi. Hanno funzione anti stress prettamente meccanica e le sostanze possono passare liberamente attraverso gli spazi tra le membrane plasmatiche. Giunzioni serrate: sono aree di connessione tra le membrane di cellule adiacenti. Può essere impedito il passaggio di alcune sostanze. Le cellule sono tenute insieme da connessioni proteiche.
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Giunzioni comunicanti: assomigliano al desmosoma perché non è continua, ma è più stretta. Queste giunzioni mettono in comunicazione il citoplasma di due cellule adiacenti attraverso delle proteine che formano dei pori dove si crea un passaggio. Le cellule del pancreas sono tenute insieme mediante giunzioni comunicanti in modo tale che se un gruppo di cellule viene stimolato a secernere l’insulina il segnale passa attraverso le giunzioni assicurando così una risposta coordinata. Così come le cellule muscolari cardiache, in modo tale da garantire l’accoppiamento del segnale elettrico con la contrazione sincronizzata delle cellule. Nella cellula vegetale invece, ci sono i plasmodesmi ,canali che attraversano le pareti di cellule adiacenti connettendone il citoplasma. L’osservazione al microscopio (lettura) Il microscopio ha due proprietà, l’ingrandimento e il potere risolutivo. L’ingrandimento corrisponde al rapporto tra la dimensione dell’immagine vista al microscopio e le dimensioni effettive dell’oggetto. Il potere risolutivo è la capacità di distinguere i più piccoli dettagli di una immagine. E’ definita come la distanza minima tra due punti alla quale questi possono essere distinti l’uno dall’altro. Il potere risolutivo dipende dalla qualità delle lenti e dalla lunghezza d’onda. Quando la lunghezza d’onda diminuisce la risoluzione aumenta. Il microscopio può essere ottico o elettronico Nell’ottico, la luce passa sia attraverso il campione che deve essere osservato, sia attraverso le lenti; così la luce rifratta dalle lenti ingrandisce l’immagine 1000 volte. Il potere risolutivo è 500 volte. La lunghezza d’onda va da 400 nm a 700 nm. Questo limita la risoluzione del microscopio ottico a dettagli non più piccoli di un Ø di una cellula batterica 1nm. Il microscopio elettronico ME ha consentito di studiare l’ultra struttura cellulare. L’immagine si ingrandisce 250000 volte. Ha potere risolutivo di 10.000 volte, perché utilizza radiazioni con lunghezze d’onda di 0.1 0.2nm prodotte da un fascio di elettroni focalizzati da un elettromagnete. Nel MET (microscopio elettronico a trasmissione) si devono preparare sezioni ultrasottili da 50 100 nm tagliando con una lama di vetro o di diamante le cellule. Il preparato viene posto su una piccola griglia metallica ed il fascio di elettroni dopo aver attraversato il campione, cade sulla lastra fotografica o sullo schermo fluorescente. Nel MES (microscopio elettronico a scansione) il fascio di elettroni non passa attraverso il campione perché rivestito da un sottile strato d’oro. Quando il fascio elettronico collide su vari punti del campione, vengono emessi elettroni secondari che forniscono un immagine tridimensionale del campione trasmessa su uno schermo televisivo. Diciamo che le lenti dei ME sono dei magneti che piegano il fascio elettronico. I metodi usati per preparare la cellula alla microscopia elettronica, possono alterare la loro struttura. Per poter conoscere la funzione effettiva degli organuli, è necessario purificare le diverse parti di cui è composta la cellula procedendo con il frazionamento cellulare. Così facendo le cellule vengono rotte, e la miscela detta estratto cellulare viene sottoposta alla forza centrifuga utilizzando un apparecchio chiamato centrifuga. La forza centrifuga separa l’estratto in due frazioni: il pellet ed il supernatante.
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Il pellet contiene il materiale più pesante come il nucleo, il supernatante invece, che si stratifica sopra il pellet contiene le particelle più leggere. Il supernatante può essere ancora centrifugato a velocità più alte per ottenere un pellet che contiene i componenti più pesanti come i mitocondri e così via. I componenti cellulari presenti nei pellet se risospesi possono essere ulteriormente purificati per centrifugazione su gradiente di densità. In questa procedura il pellet risospeso è caricato su una soluzione di saccarosio e acqua. La concentrazione del saccarosio è più alta sul fondo della provetta e diminuisce gradualmente così da essere più bassa nella parte alta della provetta. Quindi a causa della diversa densità degli organuli, durante la centrifuga, ciascuno di essi migrerà e formerà una banda in una posizione del gradiente, dove la propria densità corrisponde a quella della soluzione di saccarosio. Gli organuli purificati vengono esaminati per determinare quali molecole possano contenere. CAPITOLO 6 ENERGIA E METABOLISMO DOMANDA: SAPER ILLUSTRARE I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA APPLICATA AI SISTEMI BIOLOGICI, DESCRIVENDO LE GENERALITA’ SULLA STRUTTURA E LE FUNZIONI DEGLI ENZIMI La termodinamica è la scienza che stabilisce i concetti fondamentali per lo studio dei trasferimenti energetici tra sistemi chimici o fisici sotto forma di scambio di calore o lavoro. Il sistema è un termine che fa riferimento all’oggetto studiato. Il sistema chiuso non scambia ne energia ne materia con l’ambiente esterno; quello aperto scambia sia energia che materia con l’esterno. Il primo principio della termodinamica afferma che l’energia non può essere né creata né distrutta, ma può essere trasferita o trasformata. Il secondo principio della termodinamica afferma che quando l’energia viene convertita da una forma all’altra un po’ d’energia utilizzabile per compiere un lavoro viene degradata in una forma meno utilizzabile cioè il calore che si disperde nell’ambiente. Quindi la quantità d’energia dell’universo non diminuisce nel tempo, ma viene degradata in una forma meno utilizzabile. Questa energia meno utilizzabile è maggiormente diffusa e disorganizzata. La misura di questo disordine viene detto entropia (S). Le nostre cellule utilizzano il 40% dell’energia, il 60% viene ceduto all’ambiente come calore. L’entalpia (H), è invece l’energia potenziale totale del sistema. O meglio: nel corso delle reazioni chimiche, alcuni legami si rompono e se ne formano di nuovi. Ciascun legame ha una quantità di energia di legame, definita come la quantità d’energia necessaria per romperlo. La somma di tutte le energie di legame di un sistema è equivalente alla sua energia potenziale nota come entalpia. Entropia ed entalpia sono connesse tra loro da una terza forma di energia detta energia libera di GIBS (G) che rappresenta la quantità di energia di un sistema disponibile a compiere un lavoro. Anche se l’energia totale di un sistema (G) non può essere misurata, tutti i cambiamenti sono indicati con l’equazione G = H – TS, in cui H è l’entalpia, T la temperatura assoluta in gradi
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Kelvin (K = 0C + 273) e S l’entropia. Occorre ricordare che se la temperatura sale si ha un aumento del movimento casuale delle molecole e ciò contribuisce al disordine moltiplicando l’effetto dell’entropia. E’ utilizzata per prevedere se una reazione chimica rilascerà o assorbirà energia. L’equazione diventa: DG = DH – TDS (D lettera greca = delta). L’entropia e l’energia libera sono inversamente correlate tra loro: quando l’entropia aumenta, l’energia libera diminuisce. Le reazioni chimiche che permettono ad un organismo di svolgere le sue attività come: crescita, movimento, riproduzione, costituiscono tutte insieme il suo metabolismo. Distinguiamo: l’anabolismo e il catabolismo. Nell’anabolismo vengono sintetizzate molecole complesse partendo da sostanze più semplici esempio le proteine a partire dagli aminoacidi. Nel catabolismo molecole grandi vengono scisse in molecole più piccole esempio la degradazione dell’amido per formare il monosaccaride. Le reazioni chimiche sono rappresentate da equazioni. A sx i reagenti, a dx i prodotti. Qualsiasi reazione chimica comporta una variazione di energia. L’energia è definita la capacità di un corpo o di un sistema di compiere un lavoro, cioè produrre una variazione di stato o di moto della materia (tutto ciò che ha una massa ed occupa uno spazio). L’energia può essere: energia cinetica associata al movimento, o energia potenziale cioè accumulata nei corpi in virtù della loro posizione in un campo di forze. Si può esprimere l’energia in unità di lavoro (chilojoule kJ), oppure in unità calorica (chilocaloria (kcal). Una chilocaloria corrisponde a 4.184 chilojoule. Possiamo distinguere le reazioni in esoergoniche e endoergoniche. Nelle esoergoniche l’energia libera diminuisce (- DG) Avvengono spontaneamente. I reagenti possiedono più energia dei prodotti, quindi le reazioni avvengono spontaneamente e l’energia in eccesso viene liberata come calore. Nelle endoergoniche l’energia libera aumenta (+ DG) I prodotti possiedono più energia dei reagenti, per cui le reazioni avvengono solo se si fornisce energia dall’esterno. Le cellule spingono le reazioni endoergoniche accoppiandole a reazioni esoergoniche formando le reazioni accoppiate. Queste reazioni possono avvenire in siti diversi, quindi occorrono molecole specializzate nel trasporto di energia da una reazione esoergonica a una endoergonica. La cellula compie 3 tipi di lavoro: meccanico (contrazione muscolare), trasporto (spinte di sostanze attraverso la membrana contro la normale direzione), chimico (spinta di reazioni endoergoniche che spontaneamente non potrebbero avvenire come la sintesi di polimeri partendo da monomeri). Ciò è affidato all’ATP l’adenosina tri fosfato, che viene immagazzinato all’interno delle cellule. L’ATP è un nucleotide formato da tre parti: una base azotata (adenina), uno zucchero a cinque atomi di carbonio (ribosio), e tre gruppi fosfati, che possono essere attaccati e staccati dando origine a molecole diverse. Il gruppo fosfato può essere rotto per idrolisi (cioè rottura mediante acqua). E’ una reazione esoergonica e causa la liberazione di 7,3 Kcal di energia per mole di ATP idrolizzato. ATP +H2O → ADP +P ΔG= -7,3 Kcal
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L’ATP può essere rigenerato partendo da ADP + P → ATP ΔG= +7,3 Kcal processo endoergonico. Ai gruppi fosfati è associata una quantità di energia elevata che viene liberata quando questi vengono scissi. Se perde due gruppi si trasforma in (AMP) adenosina monofosfato, se ne perde uno diventa (ADP) adenosina di fosfato e cede energia. Le molecole di ADP e AMP possono essere trasformate in ATP ricevendo l’energia necessaria tramite la respirazione cellulare (cioè la combustione degli alimenti) e la fotosintesi (cioè la conversione di energia solare in energia chimica). Il trasporto dell’energia da parte dell’ATP alle molecole che devono reagire mediante il trasferimento di un residuo fosforico dell’ATP si dice fosforilazione. L’energia può essere trasferita anche mediante la cessione di elettroni attraverso l’ossidoriduzione. L’ossidazione è la perdita di uno o più elettroni e quindi energia. La riduzione è l’acquisto di uno o più elettroni ed energia. Anche se il termine inganna, si riduce perché con l’aggiunta di elettroni con carica negativa riduce la carica positiva. L’ossidazione e la riduzione avvengono simultaneamente e sono dette Redox. Uno degli accettatori di elettroni più frequente è il NAD+ una molecola con carica netta + 1. Quando si riduce acquista elettroni e diventa NADH + H+ Il NADP+ (nicotinammide adenina dinucleotide fosfato) è un accettatore di idrogeno ma con un gruppo fosfato in più. Quando il NADH cede elettroni, a qualche altra molecola cede anche l’energia. GLI ENZIMI Gli enzimi sono proteine funzionali (sono catalizzatori), che l’organismo utilizza per accelerare una reazione, senza essere consumati dalla reazione stessa. Una molecola può subire 20 o 30 trasformazioni prima di raggiungere la sua forma finale. La temperatura ottimale di lavoro è di circa 35-40o C. A basse temperature le reazioni sono lente, alle alte temperature le molecole aumentano la collisione, perché la conformazione viene alterata a causa della rottura dei legami a idrogeno responsabili della stabilità. Questo tipo di inattivazione è generalmente irreversibile, anche se l’enzima viene riportato a basse temperature. Il pH ottimale va da 6 a 8. Tutte le reazioni necessitano di una energia di attivazione (EA ), che serve ad innescare la reazione, ed è la quantità di energia necessaria per rompere i legami chimici e dare il via alla reazione. L’enzima abbassa l’energia di attivazione necessaria per avviare una reazione chimica, quindi un numero maggiore di molecole reagirà nell’unità di tempo e la reazione procederà più velocemente. L’enzima è specifico, ha sistemi allosterici, cioè ha caratteristiche conformazionali che gli permettono di interagire con quel sito e solo quello detto substrato. Cioè il substrato si inserirà nel sito di legame dell’enzima chiamato sito attivo in modo identico a quello della chiave nella serratura ed è una garanzia per quella reazione. I cofattori detti coenzimi, facilitano l’attività enzimatica. Il lavoro dell’enzima deve poter essere inibito. L’inibizione può essere: irreversibile o reversibile. L’inibizione reversibile può essere competitiva o non competitiva.
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Nella competitiva, l’inibitore compete con il substrato per il legame con il sito attivo dell’enzima. Ha struttura simile a quella del substrato, si incastra bene e può interagire e non danneggia. Nella non competitiva l’inibitore si lega all’enzima in un sito diverso da quello attivo, alterando la forma impedendo al sito attivo di legarsi al substrato. Nell’inibizione irreversibile l’inibitore inattiva in modo permanente un enzima. Molti veleni e metalli sono irreversibili. Alcuni tipi di gas nervino ad esempio inattivano l’enzima Acetilcolinesterasi che è fondamentale per il funzionamento di nervi e muscoli. CAPITOLO 7 VIE METABOLICHE DI RILASCIO DELL’ENERGIA E SINTESI DELL’ATP DOMANDA: DESCRIVERE LE BASI ENERGETICHE DELLA CONSERVAZIONE DELL’ORGANIZZAZIONE CELLULARE ED IN PARTICOLARE MODO IL RUOLO E I MECCANISMI DI SINTESI DELL’ATP IN CONDIZIONI DI AEROBIOSI ED ANAEROBIOSI. Attraverso il metabolismo (tutte le reazioni chimiche che permettono ad un organismo di svolgere le sue attività come: crescita, movimento, riproduzione), la cellula ricava le sue basi energetiche. La fonte primaria di energia per la cellula è quella accumulata come energia chimica nei legami del glucosio, che attraverso la respirazione cellulare sarà utilizzata dalla cellula. La respirazione cellulare è un processo redox, (di ossido riduzione) nel quale gli elettroni del glucosio (zucchero) che viene ossidato sono trasferiti all’ossigeno che viene ridotto e ha come prodotti di scarto anidride carbonica e acqua. Per ogni molecola di glucosio ne sono prodotte 36/38 di ATP. Questa modalità di sintesi dell’ATP viene chiamata fosforilazione ossidativa perché alimentata da trasferimento esorgonici di elettroni dalle sostanze nutritive all’ossigeno. La respirazione può essere aerobica, o anaerobica. AEROBIOSI In questa forma di respirazione si utilizza ossigeno. Avviene in 4 fasi partendo da una molecola di glucosio si arriva all’accettatore finale che è l’ossigeno. SISTEMA DI TRASPORTO DEGLI ELETTRONI E CHEMIOSMOSI La Glicolisi avviene nel citoplasma, il resto all’interno dei mitocondri. GLICOLISI: rottura dello zucchero. Avviene nel citoplasma in assenza di ossigeno. Una molecola di glucosio a 6 atomi di carbonio è trasformata in due molecole di piruvato a 3 atomi di carbonio con formazione di due molecole di ATP e due molecole di NADH. Il glucosio è una molecola relativamente stabile, quindi non facile da rompere. Si può suddividere la glicolisi in due step: Nella prima fase c’è la fosforilazione di 2 gruppi fosfato che sono trasferiti dall’ATP allo zucchero che essendo ora meno stabile può essere scisso in due molecole di gliceraldeide-3fosfato quindi c’è un investimento.
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GLUCOSIO + 2 ATP → 2 G3P + 2 ADP Nella seconda fase il G3P viene trasformato in piruvato. Il G3P viene ossidato per rimozione di 2 elettroni catturati dalla molecola trasportatrice NAD+ che si riduce e accetta gli elettroni e diventa NADH + H+ Visto che le molecole di gliceraldeide sono due avremo 2 NADH + H+ NAD+ + 2 H → NADH + H+ In due reazione che portano alla formazione di Piruvato si formano due molecole di ATP tramite fosforilazione a livello del substrato, con produzione di 4 ATP totali 2 G3P + 2 NAD+ + 4ADP → 2 piruvato + 2NADH + 4 ATP Nella prima fase se si consumano 2 molecole di ATP (per rendere il glucosio meno stabile), nella seconda fase ne vengono prodotte 4. Quindi si ha un profitto energetico netto di 2 molecole di ATP per ogni molecola di glucosio e 2 NADH. FORMAZIONE DELL’ACETIL COENZIMA-A Ciascuna molecole di piruvato nel mitocondrio si ossida e da luogo a una molecola di acetato che reagisce con il coenzima A per formare l’Acetil coenzima-A. Per ciascuna molecola di piruvato convertita in acetil CoA si produce una molecola di NADH. Visto che le molecole di piruvato sono due avremo 2NADH. CICLO DELL’ACIDO CITRICO O (CICLO DI CREBS) Due gruppi di acetil CoA entrano nel ciclo per ogni molecola di glucosio. Ciascun gruppo si combina con l’ossalacetato composto a 4 atomi di carbonio, per formare il citrato molecola a sei atomi di carbonio. Due molecole di anidride carbonica (CO2) sono rimosse dal citrato per rigenerare l’ossalacetato e permettere al ciclo di ricominciare. In questo processo l’energia è catturata in forma di 1 ATP, 3 NADH ed 1 FADH per ciascun gruppo. Quindi 2ATP, 6 NADH, 2 FADH per ogni molecola di glucosio. SISTEMA DI TRASPORTI DEGLI ELETTRONI E CHEMIOSMOSI Tutti gli elettroni rimossi dalla molecola di glucosio durante la fase della glicolisi, dalla formazione dell’acetil CoA e dal ciclo dell’acido citrico, sono stati trasferiti (come parte di atomi di idrogeno) agli accettori primari NAD e FAD con formazione di NADH e FADH ridotti. Questi composti ridotti entrano ora nella catena di trasporto degli elettroni dove gli elettroni e i loro atomi di idrogeno vengono trasferiti da un accettore all’altro, con una serie di reazioni redox esoergoniche. La catena di trasporto consiste in quattro gruppi di accettori il flavin mononucleotide, l’ubichinone e i citocromi di cui l’ultimo l’a3 passa 2 elettroni all’ossigeno che è l’accettatore finale riceve due elettroni riducendosi, e si combina con i protoni (ioni idrogeno) per formare acqua. L’ossigeno molecolare è quindi l’accettatore finale della catena di trasporti degli elettroni e ciò spiega come mai un organismo che respira aerobicamente ha bisogno di ossigeno.
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Che cosa succede quando alle cellule aerobiche viene privato l’ossigeno? Se non c’è ossigeno che accetta gli elettroni, l’ultimo citocromo resta bloccato con i suoi elettroni. Il blocco è trasferito in forma retrograda per tutto il sistema fino al NADH. Poiché la fosforilazione è accoppiata al trasporto degli elettroni, non viene più prodotto l’ATP attraverso questa via. Anche alcuni veleni tra cui il cianuro inibiscono la normale attività dei citocromi. Secondo il modello chemiosmotico parte dell’energia rilasciata quando gli elettroni attraversano la catena di trasporto è infatti utilizzata per pompare i protoni (H+) dalla matrice mitocondriale interna (matrice) alla camera mitocondriale esterna (lo spazio compreso tra le due membrane mitocondriali) utilizzando 3 pompe protoniche localizzate in tre dei 4 complessi di trasporto. L’accumulo di protoni determina un gradiente di concentrazione che diffonderà all’interno della matrice grazie a un canale ATP SINTASI una proteina transmembrana. Il flusso di protoni attraverso i complessi dell’ATP sintasi determina la fosforilazione dell’ADP con produzione di ATP. Il rendimento energetico complessivo della respirazione cellulare a partire da 1 molecola di glucosio è di 38 molecole di ATP e precisamente: 2 ATP sono prodotti dalla glicolisi + 2 NADH 2 piruvirati producono 2 NADH nel ciclo di Crebs 2 molecole di Acetil producono 6 NADH + 2FADH + 2ATP Quindi: 1 NADH (nicotinamide adenina dinucleotide) = 3 ATP 1 FADH (flavina adenina dinucleotide) = 2 ATP L’efficienza complessiva della respirazione aerobica può essere calcolata rapportando l’energia libera sotto forma di ATP all’energia libera della molecola di glucosio. Una mole di glucosio bruciata rilascia calore pari a 686 Kcal (2879,2 kJ). L’energia dell’ATP è ÷ 7,6 Kcal (31,8 kJ) e poiché si formano 36/38 molecole di ATP nella respirazione aerobica,7,6 x 36=274 Kcal (1146,4 kJ). Quindi 274/686 = 40%. L’energia rimanente del glucosio è rilasciata come calore. ANAEROBIOSI Come nella respirazione aerobica gli elettroni sono trasferiti dal glucosio al NADH e da qui passano lungo la catena di trasporto degli elettroni che è accoppiata con la sintesi di ATP. L’accettatore finale non è l’ossigeno molecolare, ma il NITRATO o il SOLFATO. Alcuni batteri e funghi usano la fermentazione, un processo anaerobico che non comprende una catena di trasporto degli elettroni e perciò permette di produrre ATP solamente mediante fosforilazione a livello del substrato durante la glicolisi. Le cellule di lievito sono anaerobi facoltativi, cioè svolgono la respirazione aerobica quando è disponibile l’ossigeno e passano alla fermentazione alcolica quando non c’è. Il NADH prodotto durante la glicolisi trasferisce gli atomi di idrogeno all’aceteldeide riducendola ad alcol etilico. Alcuni funghi e animali svolgono la fermentazione lattica nella quale gli atomi di idrogeno del NADH legandosi al piruvato danno origine come prodotto finale al lattato. L’80% del lattato è trasportato dalle cellule muscolari al fegato ed è utilizzato per sintetizzare glucosio che può
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tornare alle cellule muscolari. Il restante 20% è metabolizzato dalle stesse cellule quando l’ossigeno sarà presente. Ed è per questo che dopo uno sforzo il respiro continua ad essere affannoso, perché l’ossigeno serve per ossidare il lattato. Sia nella fermentazione alcolica che lattica si ha una resa di solo due molecole di ATP. CAPITOLO 9 DOMANDA: DESCRIVERE I PROCESSI DELLA MITOSI DELLA MEIOSI, DELLA DURATA DELLE FASI E DELLA REGOLAZIONE DEL CICLO CELLULARE MITOSI La mitosi è un processo complesso che interessa il nucleo e assicura che ogni nuovo nucleo riceva lo stesso numero e gli stessi tipi di cromosomi che erano presenti nel nucleo di origine. Perché nell’ambito del DNA risiede la capacità di trasmettere l’informazione genetica. Laddove ci saranno delle interruzioni su questa linea ci saranno delle anomalie. I portatori dell’informazione genetica negli eucarioti sono i cromosomi contenuti nel nucleo cellulare. Sono costituiti da cromatina, di cui circa il 60% sono proteine e il 35% acido desossiribonucleico (DNA). Quando una cellula non è in divisione, la cromatina si trova sotto forma di lunghi e sottili filamenti parzialmente srotolati che aggregandosi le conferiscono un aspetto granulare. Al momento della divisione cellulare le fibre di cromatina si condensano e si rendono visibili come strutture distinte. Ogni cromosoma può contenere centinaia o anche migliaia di geni (unità di base del materiale genetico). Si pensa che nell’uomo ci siano 70.000/100.000 geni. Nell’uomo la maggior parte delle cellule ha 46 cromosomi e non è il numero di cromosomi che rende ogni specie unica, ma piuttosto l’informazione specificata dai singoli geni nei cromosomi. Se una cellula dovesse ricevere un numero di cromosomi inferiore o superiore, a causa di errori nel processo di divisione cellulare, è possibile che la cellula figlia presenti marcate anomalie e sia incapace di sopravvivere. Quando le cellule raggiungono una certa dimensione cioè si crea una sproporzione tra superficie e volume, devono arrestare l’accrescimento o dividersi. Queste fasi possono essere descritte in termini di ciclo vitale della cellula o ciclo cellulare che è il periodo che va dall’inizio di una divisione all’inizio di quella successiva. Il tempo necessario per completare un ciclo cellulare è il tempo di generazione compreso fra le 8 e le 20 ore. Il ciclo cellulare si caratterizza da 4 fasi di cui una rappresenta la finalità della divisione che è la fase M e per fare questo ci sono tre fasi di preparazione: G1 G2 S La sequenza degli eventi nell’interfase è: fase G1 fase S fase G2. Le cellule che non si dividono, si arrestano prima dell’inizio della fase S in uno stadio chiamato G0 che non fa parte del ciclo cellulare. Nella fase G1 il compito della cellula è quella di duplicare i componenti citoplasmatici e il raddoppiamento del volume citoplasmatico. Non c’è produzione di DNA. FASE S di sintesi, abbiamo la duplicazione del DNA nucleare e altre proteine della cromatina. (Da una molecola di DNA si ottengono due molecole di DNA seguendo un modello semi conservativo cioè non del tutto conservativo perché una conserva quella della madre l’altra deriva dall’accoppiamento delle basi azotate e viene copiato) Dando a ogni filamento il termine x avremo xx nella duplicazione xx xx e nelle divisione xx xx quindi da un corredo diploide si ritorna a un corredo diploide.
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Questa è la divisione mitotica. Nella fase G2 vengono prodotte le strutture come il centriolo, il nucleo scheletro, il centrosoma che serviranno a fungere da corda per richiamare ai poli della cellula il corredo cromosomico. FASE G1 G2 sono intervalli. La G1 è posta tra la (M S) G2 è posta tra la S e la M. Sono caratterizzate dalla presenza del nucleo. Perché dovendosi formare la cellula se io rompo il nucleo in fase di duplicazione del citoplasma non si è ancora formata la struttura tubulare, i cromosomi non si sono ancora attaccati al fuso mitotico i miei cromosomi se ne vanno in giro, e la cellula non è ancora pronta per dare origine a due cellule figlie. Una volta avvenuto il raddoppiamento del citoplasma, degli organuli del DNA delle proteine, siamo in fase fine G2, la cellula è pronta a fare la fase M, quindi rompe il nucleo, si disgrega questa struttura, il fuso mitotico tiene ancorati i cromosomi, e a questo punto si romperà il nucleo perché solo a questo punto avremmo la garanzia che dalla rottura del nucleo usciranno fuori le informazioni genetica duplicata in forma corretta e le due cellule otterranno lo stesso corredo. Nella FASE M c’è la dissoluzione del nucleo. Le quattro fasi della mitosi (PRO ME AN TE) PROFASE: si rompono i nucleoli e la cromatina si spiralizza dando origine ai cromosomi costituiti da filamenti paralleli i cromatidi uniti dal centromero, che a sua volta contiene una struttura chiamata cinetocore alla quale possono legarsi i microtubuli. Nel citoplasma si forma il fuso mitotico. I due centrioli si allontanano. PROMETAFASE: l’involucro nucleare si frammenta. METAFASE: i cromosomi sono allineati lungo il piano equatoriale della cellula. Le fibre del fuso mitotico si attaccano ai cinetocori dei cromosomi. In questa fase i cromosomi vengono fotografati e studiati perché sono ben ispessiti. ANAFASE: i cromatidi si separano in corrispondenza del centromero e ciascuno migra al rispettivo polo. La divisione del citoplasma non è ancora avvenuta. TELOFASE: c’è lo strozzamento della cellula e quindi la divisione. Si ricostituiscono i nuclei e la Citodieresi o citocinesi completa la divisione cellulare producendo due cellule figlie identiche a quelle parentali eccetto per le dimensioni. I cromosomi si decondensano srotolandosi. I microtubuli del fuso scompaiono e vengono visibili i nucleoli. La citocinesi o citodieresi che inizia prima che la mitosi sia completata, consiste nella divisione del citoplasma della cellula per formare due cellule figlie. MEIOSI Processo in cui si realizzano la ricombinazione genetica e la divisione riduzionale di una cellula germinale immatura diploide a formare quattro gameti immaturi aploidi. Quindi avremmo un processo riduzionale dove da una cellula diploide con 46 cromosomi si formeranno 2 cellule aploidi con 23 cromosomi, e una seconda fase equazionale, dove da due cellule aploidi si formeranno 4 cellule aploidi La meiosi si realizza nei testicoli e nelle ovaie. Mentre la mitosi mantiene invariato il numero dei cromosomi, la meiosi lo riduce alla metà. Come risultato gli spermatozoi e le uova umane hanno serie aploidi di 23 cromosomi. La fecondazione ricostituisce la condizione diploide. La formazione di gameti e detta gametogenesi. Quella maschile (spermatogenesi) porta alla formazione di 4 spermi aploidi per ciascuna
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cellula che va incontro a meiosi, quella femminile (ovogenesi) forma una singola cellula uovo per ogni cellula che entra in meiosi. Questo è determinato da un processo che indirizza tutto il citoplasma a solo uno dei 2 nuclei in ciascuna divisione meiotica. Alla fine della prima divisione meiotica un nucleo viene mantenuto, mentre l’altro detto il primo globulo polare è espulso dalla cellula che poi degenera. Alla fine della seconda divisione un nucleo diventa il secondo globulo polare mentre l’altro sopravvive. In sintesi la meiosi La meiosi comporta due divisioni nucleari e citoplasmatiche con produzione di quattro cellule. Nonostante le due divisioni il DNA e gli altri componenti dei cromosomi subiscono una sola Duplicazione. Ognuna delle quattro cellule apolidi prodotte contiene 23 cromosomi cioè un esemplare per ogni coppia di omologhi. L’informazione genetica viene mescolata e ogni cellula apolide contiene una combinazione di geni potenzialmente unica. Le due divisioni sono: I II Ognuna include: PROFASE METAFASE ANAFASE TELOFASE Nella meiosi I i membri di ogni coppia di cromosomi omologhi prima si uniscono e poi si separano in due nuclei distinti. Nella meiosi II i cromatidi di ciascun cromosoma omologo si separano e vengono distribuiti ai nuclei delle cellule figlie. La Meiosi si conclude con la formazione di quattro cellule apolidi geneticamente differenti. PROFASE 1: i cromosomi omologhi formano le tetradi, delle giunzioni dove il materiale genetico può essere scambiato (crossing-over) mediante enzimi specifici che permettono la rottura e la ricongiunzione, producendo nuove combinazioni genetiche. Processo noto come ricombinazione genetica. L’involucro nucleare si frammenta. METAFASE 1: le tetradi si allineano sul piano equatoriale e rimangono uniti nei chiasmi (siti dove è avvenuto il crossing-over) ANAFASE 1: i cromosomi omologhi migrano ai poli opposti che ricevono sia quelli materni che paterni. I cromatidi fratelli rimangono uniti tramite il loro centromero. TELOFASE 1: un solo cromosoma per ciascun paio di omologhi raggiunge ciascun polo. Durante lo stadio simile all’interfase chiamato intercinesi (cioè quella che segue la telofase I), non c’è una fase S perché non c’è una ulteriore duplicazione cromosomica. PROFASE II: è simile alla mitotica non c’è accoppiamento di cromosomi omologhi e nessun crossing-over. METAFASE II: i cromosomi si allineano sul piano equatoriale in gruppi di due. ANAFASE II: i cromatidi attaccati alle fibre del fuso mitotico tramite il loro cinetocore si separano e migrano ai poli opposti. TELOFASE II: c’è un componente di ciascuna coppia di omologhi ad ogni polo e ogni omologo è un cromosoma monocromatico. L’involucro nucleare si ricostituisce. La mitosi è una singola divisione durante la quale i cromatidi fratelli si separano l’uno dall’altro dando luogo alla fine a due cellule figlie diploidi identiche tra loro e alla cellula madre. La meiosi consiste di due divisioni Meiosi I riduzionale da una cellula diploide a due cellule aploide e Meiosi II: equazionale da due cellule aploide a 4 cellule aploide. Durante la Meiosi I si distinguono i cromosomi omologhi, mentre nella Meiosi II si distinguono i cromatidi
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fratelli. CAPITOLO 11 DNA: IL DEPOSITARIO DELL’INFORMAZIONE GENICA DOMANDA: NELL’AMBITO DELLA STRUTTURA DEGLI ACIDI NUCLEICI ILLUSTRARE LE CARATTERISTICHE GENERALI DEL DNA. DESCRIVERE IL FLUSSO DELL’INFORMAZIONE GENETICA DA UNA GENERAZIONE CELLULARE ALL’ALTRA E DESCRIVERE LA DUPLICAZIONE DEL DNA. DESCRIVERE I VARI LIVELLI DI ORGANIZZAZIONE DEL DNA NELLA CELLULA. Il DNA è un acido nucleico composto da nucleotidi formati da: uno zucchero a 5 atomi di carbonio (desossiribosio), un gruppo fosfato e una base azotata. La base azotata può essere a doppio anello come le purine adenina e guanina (AG) o ad anello semplice come le pirimidiniche citosina e timina (C T). Il DNA è composto da due catene nucleotidiche unite da legami a idrogeno ed avvolte l’una sull’altra a formare una doppia elica paragonabile ad una scala, dove l’impalcatura esterna è data dall’alternanza dello zucchero e del gruppo fosfato legati da legame fosfodiesterico e i gradini interni dalle coppie di basi azotate unite da legami a idrogeno. La struttura elicoidale presenta tre misure fondamentali: 0.34 nm è la distanza tra le coppie di basi, 3.4 nm è un giro dell’elica e comprende dieci basi, e 2 nm è la larghezza dell’elica. Poiché le due emieliche hanno andamento opposto, vengono definite antiparallele. A ciascuna estremità della molecola di DNA una emielica presenta un carbonio 5’ libero e l’altra presenta un carbonio 3’ libero. Ogni base azotata andrà ad accoppiarsi in modo specifico: ADENINA-TIMINA formano due legami a idrogeno, la GUANINA-CITOSINA formano tre legami a idrogeno. L’accoppiamento è specifico perché deve essere garantita l’informazione trasmessa dal DNA in modo corretto. La funzione duplice del DNA: trasmettere l’informazione genetica e farla recepire attraverso la sintesi delle proteine, trasmettere l’informazione genetica alle cellule figlie motivo per cui è costituito da un doppio filamento che srotolandosi viene copiato dal mRNA quando vuole fare le proteine, oppure il filamento si duplica sulla scorta dell’accoppiamento delle basi azotate a garanzia che le cellule figlie conterranno le stesse caratteristiche genetiche della cellula madre seguendo un modello semi conservativo cioè costituite da un filamento parentale e uno completamente di nuova sintesi. L’organizzazione del DNA è fondamentale per garantire che i filamenti non si danneggino o si aggroviglino. Il DNA contenuto in una cellula aploide è pari a circa 3 x 109 paia di basi e se venisse disteso completamente raggiungerebbe la lunghezza di circa 1 metro. E’ organizzato in strutture chiamate nucleosomi che fanno parte della cromatina e formato da proteine istoniche che sono basiche e cariche positivamente. Ogni nucleosoma contiene otto molecole di istoni attorno al quale si avvolgono 146 coppie di basi di nucleotidi. Un altro segmento di DNA di circa 60 paia di nucleotidi (DNA linker o di connessione) unisce i grani nucleosomici.
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Queste fibre di 30 nm sono tenute insieme da un impalcatura di proteine non istoniche chiamata scaffold proteico. LA REPLICAZIONE o DUPLICAZIONE E’ un processo con cui le informazioni contenute nel DNA vengono fedelmente copiate. Lo svolgimento avviene grazie a enzimi chiamati DNA elicasi che camminando lungo l’elica separano i filamenti. Le proteine destabilizzatrici dell’elica si legano al DNA di ogni singolo filamento finché non è avvenuta la copiatura per evitare che si ricostituisca la doppia elica. Gli enzimi che catalizzano il legame fra i vari nucleotidi sono chiamati DNA polimerasi, e sono in grado di aggiungere nucleotidi solamente al terminale 3’ dove è presente un gruppo ossidrilico. Vengono utilizzati nucleotidi o meglio nucleosidi trifosfato che sono simili all’ATP. Quando i nucleotidi vengono legati insieme due gruppi fosfato vengono eliminati. Dopo che i filamenti sono separati viene sintetizzato un piccolo tratto di RNA chiamato RNA primer da un aggregato di proteine (primosoma) che include un enzima in grado di iniziare un nuovo filamento di RNA davanti ad un filamento di DNA. Abbiamo detto che la sintesi del DNA può procedere solamente in direzione 5’ 3’ il filamento che viene copiato deve procedere in direzione 3’ 5’. La duplicazione inizia in punto preciso della molecola del DNA chiamato origine della replicazione ed entrambe i filamenti vengono replicati contemporaneamente all’interno di una figura a Y chiamata forca di replicazione. L’estremità 3’ di uno dei nuovi filamenti si allunga sempre verso la forca di replicazione e la sua sintesi procede in maniera continua e senza interruzioni per cui viene chiamato filamento guida (leading strand). Il terminale 3’ dell’altro filamento di nuova sintesi che viene chiamato filamento in ritardo ( lagging strand) si allunga sempre nella direzione opposta all’avanzamento della forca di replicazione per cui deve necessariamente essere sintetizzato sotto forma di corti frammenti di DNA (circa 100 – 1000 nucleotidi) chiamati frammenti di Okazaki preceduto da RNA primer. Iniziato l’allungamento l’RNA primer viene degradato, i vuoti vengono riempiti con nuovo DNA ed i frammenti vengono assemblati dalla DNA ligasi. Quando le due emieliche del DNA si separano, si formano due strutture a forcella per cui la molecola dal punto di origine viene replicata in entrambe le direzioni.
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CAPITOLO 12 RNA E SINTESI PROTEICA: L’ESPRESSIONE DELL’INFORMAZIONE GENICA DOMANDA: ILLUSTRARE LE CARATTERISTICHE GENERALI DELL’RNA SAPENDO DESCRIVERE IL FLUSSO DELL’INFORMAZIONE ALL’INTERNO DELLA CELLULA, DIMOSTRANDO DI AVER COMPRESO I MECCANISMI DELLA TRASCRIZIONE DEL CODICE GENETICO, DELLA SINTESI PROTEICA E DELLA REGOLAZIONE DELL’ESPRESSIONE GENETICA. L’RNA è un acido nucleico che funge da intermediario nel flusso dell’informazione genetica tra il DNA e le proteine. E’ composto da un singolo filamento, lo zucchero è il ribosio che è simile al desossiribosio, ma con un gruppo idrossilico in più. La base uracile sostituisce la timina. L’uracile come la timina è una pirimidina e può formare due legami a idrogeno con l’adenina, quindi uracile e adenina sono una coppia di basi complementari. Una sequenza di tre basi consecutive chiamata codone specifica per un aminoacido ed è chiamato codice a triplette. La sintesi delle proteine è composta da due step: TRASCRIZIONE E TRADUZIONE TRASCRIZIONE Quando un gene si esprime e codifica una proteina, l’informazione contenuta nel DNA viene copiata in un mRNA (messaggero) che trascrive la sequenza dei codoni. I tipi più importanti di RNA che vengono trascritti dal DNA sono tre: l’RNA ribosomiale (rRNA), l’RNA di trasferimento (tRNA), e l’RNA messaggero (mRNA). La maggior parte degli RNA è sintetizzata da RNA polimerasi DNA-dipendenti, enzimi presenti in quasi tutte le cellule. L’RNA polimerasi inizia la trascrizione dopo essersi legata ad una sequenza di DNA detta promotore. La terminazione della trascrizione come il suo inizio è controllata da una sequenza di basi specifiche. Queste sequenze agiscono come segnali di stop per la RNA polimerasi. L'RNA messaggero possiede alla sua estremità 5’ una sequenza leader non codificante che contiene segnali di riconoscimento per il legame con il ribosoma. La sequenza leader è seguita da sequenze codificanti che contengono gli effettivi messaggi per le proteine. Alla fine di ogni sequenza codificante vi è uno speciale codone di stop o di terminazione. I codoni di stop UAA, UGA, e UAG, non codificano per aminoacidi ma indicano invece la fine della proteina. Gli mRNA eucariotici vanno incontro ad una specifica modificazione post-trascrizionale cioè a un processo di maturazione prima che acquisisca la possibilità di essere trasportato fuori dal nucleo e di essere tradotto. Innanzitutto enzimi specifici aggiungono un cappuccio (cap) all’estremità 5’ della catena di mRNA. Si ritiene che l’aggiunta del cap protegga l’mRNA dalla degradazione da parte di alcuni enzimi. Una seconda modifica al messaggero si verifica all’estremità 3’ della molecola dove vicino all’estremità tre del RNA messaggero completo si trova una sequenza di basi che serve da segnale per l’aggiunta di una coda di molte adenine, nota col termine di coda poliadenilata o poli-A. Entro un minuto dalla sintesi del trascritto, enzimi specifici nel nucleo riconoscono questo
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segnale per la poliadenilazione e tagliano la molecola di mRNA nel sito corrispondente. La maggior parte dei geni eucariotici ha sequenze non continue. Dai geni vengono trascritte sequenze non codificanti (introni) e sequenze codificanti (esoni). Cioè troviamo lunghe sequenze di basi all’interno delle regioni codificanti del gene che non codificano per aminoacidi della proteina finale. Quando un gene contenente introni è trascritto, l’intero gene viene copiato in una lunga molecola di mRNA precursore o pre-mRNA che contiene sia esoni che introni. Per diventare un mRNA funzionale, è necessario che venga munito di cappuccio e coda poli-A, ma anche che siano rimossi gli introni e che siano uniti insieme gli esoni, per formare un messaggio continuo che codifica la proteina. Esempio di codone sull’mRNA per l’aminoacido metionina è 5’ – AUG – 3’ esso è trascritto dalla sequenza di basi del DNA 3’ –TAC – 5’ e l’anticodone corrispondente sul tRNA è 3’ – UAC –5’ TRADUZIONE La traduzione rappresenta il processo di trasferimento dell’informazione genetica perché comporta la conversione di un codice a quattro basi azotate dell’acido nucleico ad un alfabeto a 20 aminoacidi delle proteine. Questo compito è affidato agli RNA di trasferimento o tRNA che deve possedere: Una regione che funga da sito di attacco per l’aminoacido; Legarsi con l’aminoacido specifico tramite l’enzima aminoacil-tRNA sintetasi; Legarsi al codone dell’mRNA con il proprio anticodone con il meccanismo della complementarietà delle basi deve essere riconosciuto dai ribosomi. La traduzione richiede l’intervento dei ribosomi costituiti da due subunità contenenti proteine e RNA Ribosomiale, rRNA, che mettono in contatto tra loro tutti i componenti dell’apparato di traduzione. I ribosomi si attaccano ad una estremità dell’mRNA e scorrendo lungo il messaggero permettono ai tRNA di decifrare il messaggio. Uno dei ruoli del ribosoma è di mantenere nel corretto orientamento l’mRNA in modo che il codice genetico possa essere letto e possa formarsi il legame peptidico. All’interno del ribosoma si trovano due siti di legame: A e P per le molecole di tRNA. Il sito A è quello di legame per l’aminoacil-tRNA, mentre il tRNA che porta la catena polipeptidica occupa il sito P. La traduzione comporta una fase d’inizio, di allungamento e di terminazione. FASE D’INIZIO Il processo d’inizio richiede l’intervento di numerose proteine chiamate fattori d’inizio, e comincia con il posizionamento del primo complesso aminoacil-tRNA sul sito P della subunità inferiore del ribosoma. L’energia per il legame tra codone mRNA e anticodone del tRNA è fornita dal GTP (guanosin trifosfato un donatore di energia simile all’ATP). Il codone per l’inizio della sintesi proteica è AUG che codifica l’aminoacido metionina (anticodone UAC). La subunità maggiore si unisce poi al complesso e si viene a costituire il ribosoma completo. Il sito A può essere occupato dall’aminoacil-tRNA corrispondente al codone successivo. ALLUNGAMENTO L’aggiunta di altri aminoacidi alla catena polipeptidica in formazione si chiama fase di allungamento. L’aminoacido sul sito P viene rilasciato dal suo tRNA e viene legato all’aminoacil-tRNA posto sul
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sito A. Questa reazione è spontanea. Richiede però un enzima chiamato peptidil transferasi. Questo catalizzatore è detto ribozima. Dopo che si è formato il legame peptidico la molecola di tRNA lascia il sito P. La catena polipeptidica sul sito A, viene traslocata sul sito P, lasciando il sito A libero per il prossimo complesso aminoacil-tRNA. Questo processo di traslocazione richiede energia che di nuovo è fornita dal GTP. TERMINAZIONE La sintesi termina quando fattori di rilascio riconoscono codoni di terminazione o di stop alla fine della sequenza codificante, che causa la dissociazione del ribosoma in due subunità. Una proteina di lunghezza media di circa 360 aminoacidi è sintetizzata in 18 secondi. IL DESTINO DELLE PROTEINE Legato ai ribosomi. Le proteine di secrezione hanno nella catena crescente una sequenza segnale che consente al ribosoma di attaccarsi a un sito recettoriale sulla membrana del RE. Quando il polipeptide crescente si inserisce attraverso la membrana del RE la sequenza segnale viene rimossa enzimaticamente. Al contrario se la molecola di mRNA non ha la sequenza segnale il ribosoma traduce una proteina che rimarrà nel citosol. IL CODICE GENETICO Il codice genetico è un sistema di corrispondenza tra le sequenze di nucleotidi del DNA e le sequenze di aminoacidi nelle proteine. Ciascuna combinazione di 3 nucleotidi del DNA e mRNA costituiscono un Codone o tripletta e codifica per un determinato aminoacido. Essendo il DNA e l’mRNA costituiti da 4 differenti nucleotidi sono possibili 43 64 codoni diversi. 61 codoni specificano aminoacidi, e tre codoni servono come segnali di stop. Uno stesso aminoacido può essere perciò codificato da triplette diverse (degenerazione del codice o ridondanza. Il segnale d’inizio per la sintesi di tutte le proteine è il codone AUG che specifica l’aminoacido metionina. Il codice genetico viene riferito alla molecola di mRNA. La caratteristica più sorprendente del codice genetico è praticamente l’universalità. Cioè sia nella rosa che nell’uomo è uguale. Ciò suggerisce che tutti gli organismi discendano da un comune progenitore ancestrale. Le uniche eccezioni al codice standard sono variazioni minime. Un gene può essere definito come una sequenza di nucleotidi che porta l’informazione necessaria per produrre una specifica proteina od RNA, comprende sia sequenze codificanti che non possono andare incontro a cambiamenti dette mutazioni, che possono portare alla completa distruzione della struttura di un cromosoma, o al cambiamento di una singola coppia di basi. Possono essere: mutazioni puntiforme come le mutazione missenso che determineranno una proteina con una lunghezza normale, ma con la sostituzione di un aminoacido, oppure mutazione non senso, che determina la conversione di un codone che codifica per un aminoacido in un codone di termine, e si ha una proteina tronca che di solito non è funzionale. Mutazioni frameshift, dove l’inserzione o la delezione cioè l’aggiunta o la perdita di una o due coppie di basi inserite all’interno della molecola di DNA causa un’alterazione della cornice di lettura ed invariabilmente distrugge la funzione della proteina codificata da quel gene poiché cambia tutta la sequenza dei codoni a valle della mutazione. Le mutazioni possono essere causate da errori nella replicazione del DNA, da agenti fisici, quali
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i raggi x o gli ultravioletti oppure da mutageni chimici. Oppure causa elementi genetici mobili (Trasposoni) chiamati anche geni saltellanti che si spostano da una parte all’altra del cromosoma che non solo alterano le funzioni di alcuni geni, ma in alcune condizioni possono anche attivare geni normalmente inattivi. Alcuni danni possono essere riparati da speciali sistemi enzimatici. Le mutazioni che avvengono nelle cellule somatiche non vengono trasmesse ai discendenti. Molti mutageni sono anche carcinogeni cioè agenti responsabili dell’insorgenza del cancro. CAPITOLO 13 REGOLAZIONE GENICA: IL CONTROLLO DELL’ESPRESSIONE DEI GENI DOMANDA: REGOLAZIONE DELL’ESPRESSIONE GENETICA Un gene può essere definito come una sequenza di nucleotidi che porta l’informazione necessaria per produrre una specifica proteina od RNA. Esso è completamente espresso solo quando è trascritto in mRNA , l’mRNA è tradotto in una proteina e la proteina catalizza una specifica reazione. Il controllo dell’espressione genica è un processo essenziale di ogni organismo che permette alla cellula di conservare energia producendo proteine solo quando e dove richieste. Nella cellula batterica questo meccanismo è affidato agli operoni. L’operone è costituito da: geni strutturali, un promotore, un operatore, e un gene regolatore. I geni strutturali codificano gli enzimi batterici. Il promotore è il sito in cui la RNA-polimerasi si lega al DNA prima di iniziare la trascrizione. L’operatore è situato tra il promotore e il primo gene strutturale e serve da sito di legame per una proteina regolatrice detta repressore. Il gene regolatore che sta al di fuori dell’operone codifica la proteina costituente il repressore e determina se i geni strutturali vengono espressi o no. Troviamo gli operoni inducibili come l’operone lattosio e reprimibili come l’operone triptofano. OPERONE LATTOSIO ( Operone LAC ) INDUCIBILE Il metabolismo del lattosio necessita di due enzimi: la β-galattosidasi che scinde il disaccaride lattosio in glucosio e galattosio, e la permeasi che interviene nel trasporto del lattosio all’interno della cellula batterica. La β-galattosidasi e la permeasi sono codificati da due geni strutturali contigui, Z e Y. Un terzo gene strutturale denominato A codifica per l’enzima transacetilasi che però non è richiesto per il metabolismo del lattosio. I tre geni strutturali (Z,Y,A) sono trascritti in un’unica molecola di mRNA policistronico, quindi attraverso la regolazione della produzione di questo mRNA può essere coordinata la sintesi di tutti e tre gli enzimi dell’operone. La chiave per l’espressione dell’operone sta nel repressore codificato dal gene I. In assenza di lattosio i geni dell’operatore LAC sono inattivati dalla proteina repressore che legandosi all’operatore impedisce la trascrizione dei geni strutturali. In presenza di lattosio la
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proteina repressore interagendo con esso cambia conformazione risultando non più in grado di legarsi all’operatore. La RNA polimerasi non incontra ostacoli e i geni LAC possono essere espressi. Diciamo che i meccanismi di regolazione negativi reprimono la trascrizione quelli positivi la attivano. L’operone LAC ha un ulteriore livello di controllo che agisce in modo che l’operone rimanga inattivo anche in presenza di lattosio, se è contemporaneamente presente il glucosio. Ha come protagonisti l’AMPc e una proteina denominata (CAP) attivatrice del catabolita. Quando è il glucosio è presente ad elevata concentrazione, il livello di AMPc è basso; man mano che la concentrazione del glucosio diminuisce si innalza quella di AMPc. L’AMPc forma un complesso con la proteina CAP che va a legarsi al promotore attivando i geni strutturali. L’unione tra il complesso AMPc – CAP e il promotore fa in modo che quest’ultimo assuma una conformazione più favorevole all’interazione con la RNA polimerasi con una conseguente trascrizione più efficiente. La proteina CAP differisce dai repressori lattosio e triptofano, in quanto può controllare la trascrizione di operoni i cui prodotti sono enzimi coinvolti in diverse via metaboliche. Un gruppo di operoni controllati da un solo gene regolatore di questo tipo viene considerato un regulone. REPRIMIBILE In un operone reprimibile normalmente attivo il repressore è incapace di legarsi all’operatore e i geni strutturali che codificano gli enzimi sono attivi. Nel caso dell’operone del triptofano le cellule sono capaci di produrre questo aminoacido quando non è disponibile nell’ambiente. Quando c’è abbondante triptofano le molecole di triptofano agiscono come un corepressore legandosi con il repressore inattivo e variandone la forma in modo che possa attaccarsi all’operatore, impedendo la trascrizione dei geni strutturali. Perciò quando la concentrazione del triptofano è alta l’operone è represso impedendo la sovrapproduzione di triptofano. Quando la concentrazione è bassa la maggior parte del repressore rimane non-legata dal corepressore e perciò non riesce ad attaccarsi all’operatore. La trascrizione procede i geni vengono trascritti gli enzimi vengono sintetizzati e il prodotto finale necessario (triptofano) viene fabbricato. Mentre la biosintesi procede, il triptofano si accumula raggiungendo una concentrazione alta quanto basta per reprimere di nuovo l’operone. La regolazione dell’espressione dei geni negli eucarioti non è regolata in sistemi come gli operoni. Per il controllo della trascrizione sono importanti alcuni segmenti posti sul DNA fra cui: gli elementi posti a monte del promotore (UPE) e sembra che l’efficienza del promotore dipenda dal numero e tipo di UPE. gli intensificatori (enhancer) che aumentano la velocità di sintesi. Velocità influenzata da proteine regolatrici note come fattori di trascrizione e dal modo in cui il DNA è organizzato nei cromosomi. I SITI D’INIZIO DELLA TRASCRIZIONE Le cellule eucarioti contengono molto più DNA rispetto alle cellule procarioti e molto di questo DNA non si esprime mai. La maggior parte del DNA inespresso risiede tra i geni, ma parte di esso (sotto forma di introni) risiede all’interno delle regioni codificanti dei geni. Gli introni creano difficoltà durante il processing (maturazione) dei geni perché devono essere
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rimossi, mentre i segmenti restanti cioè gli esoni vengono giuntati insieme processo noto come splicing=giuntura. Si ritiene che la presenza degli introni abbia aumentato la velocità di evoluzione facilitando la formazione di nuovi geni per mescolamento degli esoni. L’espressione dei geni eucariotici è regolata principalmente a tre livelli: A livello della trascrizione si determina se un gene verrà trascritto o no e con che frequenza; Le proteine regolatrici dei geni, come il complesso recettore-testosterone, sono capaci di legarsi a siti specifici del DNA e di regolare la velocità di trascrizione di geni vicini. Come fa un eritrocito in sviluppo a sapere di dover trascrivere i geni per la formazione dell’emoglobina e altre cellule ignorano questi geni? Dipende dalla presenza di specifiche proteine regolatrici di quei geni. Ogni cellula ha le proprie combinazioni esclusive di proteine regolatrici che permette a quella cellula di trascrivere un insieme esclusivo di geni. Le cellule che rispondono al testosterone contengono una proteina detta recettore per il testosterone. Normalmente il recettore risiede nel citoplasma di cellule bersaglio specifiche comprendenti le cellule dell’apparato riproduttore maschile. Quando la concentrazione ematica di testosterone aumenta molecole di ormoni diffondono penetrando nelle cellule, ma soltanto le cellule sensibili al testosterone contengono il recettore appropriato, e quindi soltanto queste cellule sono capaci di rispondere. Come il lattosio varia la forma del repressore LAC quando si lega alla proteina, una molecola di testosterone varia la forma del recettore per il testosterone quando si lega ad esso. Non più un recettore semplice, il complesso recettore-testosterone diventa un regolatore genico e si trasferisce dal citoplasma al nucleo dove si lega a siti specifici sul DNA attivando l’espressione dei geni vicini. 2 A livello della maturazione dell’RNA. Quando un gene viene trascritto il trascritto di RNA si associa a particelle contenenti sia RNA che proteina. Queste particelle hanno il compito di rimuovere le sequenze di introni e giuntare le sequenze di esoni “splicing nel senso di riunione di estremità tagliate“ per formare un mRNA maturo (maturazione o processing dell’RNA). Per le proprietà catalitiche di questi RNA sono detti Ribozimi. 3 A livello della traduzione. Si determina se un mRNA viene tradotto o no e per quanto tempo l’mRNA sopravvivrà. In alcune situazioni gli mRNA vengono mascherati temporaneamente da proteine che impediscono la traduzione. Le cellule regolano anche la durata della vita degli mRNA proteggendoli dalla degradazione enzimatica, e quindi aumentando il numero di volte che può essere copiato. La prolattina stabilizza gli mRNA che portano il messaggio per le proteine del latte, aumentando così la loro traduzione. La sospensione della produzione di prolattina fa diminuire la stabilità dell’mRNA che si deteriora rapidamente arrestando la produzione di proteine del latte.
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CAPITOLO 17 INTRODUZIONE AL CONCETTO DARWINIANO DI EVOLUZIONE DOMANDA: DESCRIVERE LE GENERALITA’ DEI MECCANISMI DELL’EVOLUZIONE E LE PROVE CHE LA SOSTENGONO. L’evoluzione può essere definita come l’accumulo nel corso del tempo di cambiamenti ereditabili all’interno di popolazioni. I tratti ereditabili sono quelli che possono essere trasmessi alla prole, e la popolazione è un gruppo di individui di una stessa specie che vive nella stessa area geografica nello stesso tempo. Darwin 1809-1882 aveva elaborato un formidabile meccanismo dell’evoluzione, quello della selezione naturale che consiste in 4 osservazioni sulla natura: Sovrapproduzione, variabilità, limiti alla crescita della popolazione o lotta per l’esistenza, Successo riproduttivo differenziale. Sosteneva che gli individui trasmettevano i propri caratteri alla generazione successiva, ma non fu in grado di spiegare come. Durante gli anni 30/40 i biologi unirono i principi della genetica con la sua teoria così da sviluppare la teoria sintetica dell’evoluzione, cioè le mutazioni o cambiamenti nel DNA forniscono la variabilità genetica su cui la selezione naturale nel corso del tempo agisce. Prove di evidenza scientifica a supporto dell’evoluzione sono i reperti fossili, che testimoniano l’esistenza di organismi passati. Possono essere datati attraverso gli isotopi radioattivi detti radioisotopi presenti in una roccia. Prove molecolari a favore dell’evoluzione includono l’universalità del codice genetico, la conservazione di sequenze di aminoacidi nelle proteine, la sequenza di nucleotidi nel DNA. Il codice genetico specifica una tripletta di tre nucleotidi per un particolare codone che codifica per un aminoacido in una catena polipeptidica. L’universalità del codice genetico è una prova convincente che gli organismi sono derivati da un comune ancestrale. Quindi diciamo che l’essere vivente filogeneticamente più prossimo agli esseri umani è lo scimpanzé poiché il suo DNA ha la più bassa percentuale di divergenza nella sequenza esaminata. CAPITOLO 19 SPECIAZIONE E MACROEVOLUZIONE DOMANDA: ILLUSTRARE LA SPECIAZIONE E I CONCETTI DI MICRO E MACROEVOLUZIONE Una specie consiste di un gruppo di popolazioni i cui membri sono, in natura in grado di produrre prole fertile. La speciazione è un fenomeno che si verifica quando una popolazione diventa riproduttivamente isolata dagli altri membri della stessa specie. Si può verificare in due modi:
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attraverso la speciazione allopatrica o simpatrica. ALLOPATRICA: si verifica quando una popolazione diventa geograficamente separata dal resto della specie. SIMPATRICA: quando una nuova specie può svilupparsi occupando la stessa regione geografica della specie progenitrice. La microevoluzione si occupa di cambiamenti che avvengono in tempi brevi nell’ambito di una specie. La macroevoluzione si occupa di cambiamenti drammatici che avvengono in tempi lunghi nel corso dell’evoluzione. Questi cambiamenti fenotipici sono di così grande portata che le nuove specie che li presentano vengono assegnate a generi differenti o a categorie tassonomiche superiori, come la differenziazione dei vertebrati dagli invertebrati o mammiferi dai rettili. L’estinzione cioè la fine di una linea evolutiva, si verifica quando muore l’ultimo rappresentante di una specie ed è permanente. L’estinzione di massa più recente, verificatasi 65 milioni di anni fa, ha comportato la scomparsa dei Dinosauri. CAPITOLO 23 VIRUS E BATTERI DOMANDA: Conoscere le principali generalità su virus e batteri VIRUS Un virus è un’agente infettivo, che determina al suo ingresso nell’organismo un’azione patogena. Cioè disequilibra la normale omeostasi (equilibrio dinamico) dell’organismo. Il virione identifica l’entità virale matura, la forma attiva del virus. Le caratteristiche che lo accomunano agli organismi viventi sono: replicazione e materiale genetico. La differenza sta nell’incapacità di vita autonoma, infatti si parla di parassitismo intracellulare obbligato. Non avendo struttura cellulare, non hanno i meccanismi enzimatici ed energetici e quindi sono costretti ad albergare all’interno di una cellula ospite. Sono composti dal genoma (il DNA totale di una cellula) a DNA o RNA quindi un acido nucleico (che ha il compito di determinare i caratteri morfologici e funzionali della cellula che viene ospitato) ed è rivestito dal capside, un rivestimento proteico. L’insieme del genoma e del capside determina il nucleo capside. A volte si può trovare anche l’envelope (pericapside), una membrana che viene acquisita dal virus. Questa membrana sarà quella responsabile delle interazioni tra cellula virale e le membrane cellulari dell’ospite. I fagi sono i virus che infettano i batteri e si chiamano batteriofagi. I viroidi sono agenti infettivi ancora più piccoli dei virus. Sono formati da un filamento molto corto di RNA ( 250-400 nucleotidi) senza copertura protettiva. Il prione sembra essere costituito solo da una proteina e non hanno acidi nucleici. Viene
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associato ad un gruppo di malattie degenerative del cervello ad esito letale. Sono dette encefalopatie spongiformi trasmissibili (TSE). Sembra che il cervello produca zone vuote simili a spugne. La dimensione dei virus variano da 10 a 400 nm (10-9) e si osservano al microscopio elettronico dove il potere risolutivo è nell’ambito dei nanometri. CLASSIFICAZIONE I virus vengono classificati sulla base del corredo genomico e possono contenere o DNA o RNA, mai entrambi. In quelli a DNA, la sintesi del DNA e delle proteine virali è simile a quella che la cellula ospite normalmente attua per il suo proprio DNA e la propria sintesi proteica. In alcuni virus a RNA, chiamati retrovirus, la trascrizione avviene con l’aiuto di una DNA polimerasi RNA-dipendente. Questi virus a RNA, utilizzano un enzima chiamato trascrittasi inversa per trascrivere il genoma a RNA su un DNA complementare. Questo DNA viene integrato nel DNA dell’ospite da un enzima fornito dal virus. Le copie dell’RNA virale vengono sintetizzate quando il tratto di DNA virale incorporato viene trascritto. Il virus umano dell’immunodeficienza (HIV), causa dell’AIDS, è un retrovirus. Dopo che i geni virali sono stati trascritti, vengono sintetizzate le proteine strutturali virali. I virus possono infettare le cellule vegetali attraverso insetti come afidi e cavallette che si nutrono dei loro tessuti. Oppure possono essere trasmessi anche da semi infetti. Il virus può diffondersi passando attraverso i plasmodesmi (connessioni citoplasmatiche). I sintomi di un infezione virale includono la comparsa di punteggiature sulle foglie, sui fiori e sui frutti. Per molte di queste malattie non si conoscono rimedi per cui è prassi bruciarle. Il ciclo riproduttivo virale può essere litico o temperato. Nel ciclo litico il virus lisa la cellula ospite. I virus caratterizzati da un ciclo litico sono detti virulenti (letali). Le fasi della replicazione sono cinque: Aggancio: Il virus aderisce ai recettori posti sulla parete cellulare ospite; Penetrazione: L’acido nucleico del virus viene introdotto attraverso la membrana plasmatica nel citoplasma della cellula ospite; Replicazione: Il genoma virale contiene tutte le informazioni necessarie per produrre nuovi virus. Il virus induce la cellula a sintetizzare gli elementi necessari alla sua replicazione; Assemblaggio: I componenti virali neosintetizzati vengono assemblati per formare nuovi virus; Rilascio: I virus assemblati vengono liberati all’esterno. Generalmente gli enzimi litici degradano la cellula ospite. Il tempo richiesto per la replicazione virale dalla adesione alla liberazione è di 30-35 minuti. I virus temperati non sempre distruggono il loro ospite. In un ciclo lisogenico il genoma virale si integra e viene replicato con il DNA stesso dell’ospite. Nel caso di alcuni virus batterici il DNA fagico viene integrato nel DNA del batterio ospite. In questo caso il virus viene definito profago. Quando il DNA batterico si replica, anche il profago si replica. Le cellule batteriche che contengono profagi vengono definite cellule lisogeniche. Le cellule batteriche contenenti alcuni tipi di virus temperati possono manifestare nuove proprietà.
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Evento definito: conversione lisogenica. Esempio: il batterio che provoca la difterite. Esistono due ceppi di questa specie, uno che produce la tossina che provoca la difterite, l’altro non la produce. Il batterio che produce la tossina contiene uno specifico fago temperato. Il tipo di proteine d’aggancio presenti sulla superficie di un virus determina quale tipo di cellula il virus può infettare. Gli adenovirus (sono circa 40 e provocano il mal di gola), hanno fibre che fuoriescono dal capside, si pensa per aiutare il virus ad aderire ai siti recettoriali complementari sulla superficie della cellula ospite. Altri virus, come quelli che causano l’herpes, l’influenza e la rabbia, sono circondati da un involucro lipoproteico con delle spine glicoproteiche proiettate all’esterno, che facilitano l’aggancio alla cellula ospite. Il virus del morbillo e i poxvirus possono infettare molti tipi di tessuti poiché le loro proteine d’attacco si combinano con i siti recettoriali di numerosi tipi cellulari. Al contrario, i poliovirus possono aderire solo a certi tipi di cellule, per esempio quelle dell’apparato digerente. BATTERI I batteri sono tipici delle cellule procariote. Hanno vita autonoma perché hanno DNA, RNA nelle forme m e t, Enzimi e Ribosomi. Non hanno ne organi citoplasmatici circondati da membrana, ne nucleo. Hanno invece la parete cellulare esterna alla membrana plasmatica detta peptidoglicano, che fornisce una struttura rigida che sostiene la cellula, ne mantiene la forma, previene la sua esplosione per pressione osmotica, ed ha in sede dei determinanti antigenici. La membrana plasmatica ha tre funzioni: da delimitazione cellulare al batterio garantendone gli scambi, produce energia attraverso i mesosomi addetti alla respirazione, e regola il processo di divisione cellulare. Il materiale genetico del batterio si trova nel citoplasma e non è circondato da un involucro nucleare. E’ costituito da una singola molecola di DNA circolare. In aggiunta al DNA possiamo trovare i Plasmidi, piccole molecole circolari di DNA a doppia elica con il compito di dare maggior adesività al battere. I batteri si riproducono asessualmente, in genere per scissione binaria, (un processo mediante il quale una cellula si divide in due cellule figlie simili) oppure per gemmazione o per frammentazione. Gemmazione: la cellula produce una protuberanza detta gemma che cresce matura e si separa dalla cellula madre. Frammentazione: le pareti cellulari si accrescono all’interno della cellula, che viene scissa in numerose cellule di nuova costituzione. Lo scambio di materiali genetici avviene con tre meccanismi: trasformazione – trasduzione – coniugazione. Trasformazione: i frammenti di DNA rilasciati da una cellula sono assunti da un’altra cellula. Trasduzione: i geni sono trasportati da una cellula batterica ad un’altra tramite un Batteriofago. Coniugazione: due cellule con polarità di accoppiamento diversa si uniscono e il materiale genetico si trasferisce da una all’altra. Alcuni batteri hanno una capsula (che circonda la parete proteggendola ulteriormente contro la fagocitosi), che presenta il glicocalice, un rivestimento glicoproteico a cui si devono le caratteristiche di adesività e quindi di maggior potere patogeno. Alcuni batteri posseggono centinaia di appendici pilifere note come pili, che aiutano i batteri ad aderire tra loro o alle cellule che infettano. La maggior parte dei batteri si muove grazie alla presenza di flagelli rotanti. Il loro numero e la
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loro posizione rappresentano un dato importante per la classificazione di alcune specie batteriche. Il flagello batterico non è costituito da microtubuli, ed è formato da tre parti: il corpo basale, l’uncino e un filamento singolo. Il corpo basale ancora il flagello alla parete cellulare tramite dei dischi appiattiti. L’uncino unisce il corpo basale al lungo filamento. Il corpo basale è il motore. Il batterio utilizza ATP per pompare protoni fuori dalla cellula. La diffusioni di questi protoni nella cellula dà energia al motore sostenendo il movimento rotatorio propulsivo del flagello. Così il flagello produce un movimento rotatorio che spinge la cellula come un’elica spinge una barca sull’acqua. Quando l’ambiente di un batterio diventa sfavorevole, esempio secco, molte specie diventano dormienti, e formano cellule dormienti, estremamente durevoli chiamate endospore. Esse possono sopravvivere in ambienti molto secchi, caldi o ghiacciati o quando c’è scarsità di cibo. Possono sopravvivere un’ora o più alla bollitura o secoli al congelamento. Quando le condizioni ambientali saranno nuovamente adatte per la crescita, l’endospora germina diventando una cellula batterica attiva. Il numero dei batteri presenti nel corpo umano è 700.000 miliardi, mentre il numero di cellule umane è 70.000 miliardi Alcuni batteri producono esotossine, potenti veleni secreti dalla cellula quando viene distrutta. La tossina e non il battere è la responsabile della malattia. Le endotossine non sono secrete dai patogeni, ma sono componenti della parete cellulare dei batteri gram-negativi. Colpiscono l’ospite solo quando vengono liberati, si legano ai macrofagi e li stimolano a liberare sostanze che causano la febbre. Le case farmaceutiche ottengono la maggior parte degli antibiotici da tre gruppi di microrganismi: gli attinomiceti, i gram-positivi e le muffe. Il loro asse maggiore è compreso tra 0.5 e 20 micrometri (10-6), e si osservano al microscopio ottico dove il potere risolutivo è nell’ambito dei micrometri. Sulla base delle caratteristiche di permeabilità della parete cellulare si possono fare delle colorazioni differenziali per lo studio dei batteri. Tale colorazione è detta Gram. A seconda della loro colorazione i batteri si classificano in gram-positivi e gram-negativi. Come si fa la colorazione di Gram? Attraverso l’impiego di una soluzione colorante solubile in acqua che è la cristal-violetto con aggiunta di soluzione di Lugol che colora di violetto il citoplasma di tutti i batteri e si pone dell’alcol che solubilizza (scioglie) il colorante. Se riesce ad entrare il batterio sarà Gramnegativo, se non riesce a passare il citoplasma rimane violetto e il batterio è detto Grampositivo. Successivamente si aggiunge una contro colorazione di fucsina che viene assunta solo dai Gram-negativi. I batteri che assorbono e mantengono la colorazione al violetto di genziana sono gram-positivi, quelli che la perdono sono detti gram-negativi. La differenza tra i gram-positivi e negativi sta nel trattamento di alcune malattie. CLASSIFICAZIONE Secondo la forma sono tre: sferica, bastoncellare e spiralata. Sferica: conosciuti come cocchi le cui cellule possono essere raggruppate a: coppie= diplococchi in lunghe catena =streptococchi a grappoli d’uva = stafilococchi.
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Bastoncelli: conosciuti come bacilli. Spirale: sono i vibrioni, batteri corti a elica, gli spirilli più lunghi e rigidi e le spirochete più lunghe ma flessibili. Secondo la classe: Archeobatteri ed Eubatteri. Gli archeobatteri Comprendono un gruppo di procarioti che produce gas metano a partire da semplici forme carboniose, non c’è peptidoglicano nella parete cellulare (una polimero complesso formato da due zuccheri (aminozuccheri)) legati a corti polipeptidi. Si dividono in: Metanogeni, che vivono in ambiente privo di ossigeno, negli acquitrini e sono presenti nel tubo digerente dell’uomo; Alofili estremi, vivono in soluzioni sature di sali come le saline; Termofili estremi, che crescono in ambienti caldi. Gli eubatteri, anche detti batteri, comprendono tutti gli altri procarioti. La parete cellulare degli eubatteri è costituita da peptidoglicano. I batteri sono autotrofi o eterotrofi. Gli autotrofi sono sia fotosintetici che chemiosintetici, e sono capaci di produrre le proprie molecole organiche. Quelli fotosintetici traggono il loro nutrimento dalla luce, quelli chemio sintetici dall’ossidazione di composti inorganici. Gli eterotrofi devono procurarsi i composti organici da altri organismi. La maggior parte degli eterotrofi sono saprofita, cioè traggono il nutrimento dalla materia prima morta. Altri traggono il nutrimento da organismi viventi danneggiandoli causando malattie. La maggior parte dei batteri sia eterotrofi che autotrofi è aerobica, richiede ossigeno per la respirazione cellulare. Alcuni batteri sono anaerobi facoltativi, cioè possono usare l’ossigeno per la respirazione cellulare se disponibile, ma conducono il metabolismo anaerobicamente. Altri sono anaerobi obbligati e possono sostenere il metabolismo solo anaerobicamente. EUBATTERI CON PARETI GRAM- NEGATIVO Il gruppo degli Enterobatteri include i decompositori, che vivono sui detriti vegetali, e molte specie nell’uomo come l’Escherichia coli che vive nel tratto digerente. I vibrioni sono generalmente marini. Gli azotobatteri vivono nel terreno. Le Clamidie dipendono completamente dal loro ospite per l’ATP. Il tracoma, la principale causa della cecità nel mondo è causato da un ceppo di Clamidia. Le Clamidie trasmesse per via sessuale sono la causa dell’infiammazione pelvica nelle donne. I Cianobatteri vivono negli stagni nelle piscine. EUBATTERI CON PARETI GRAM- POSITIVO Gli Attinomiceti numerosi antibiotici, derivano da loro. Gli streptococchi si trovano nella bocca e nel tratto intestinale dell’uomo. Provocano il mal di gola, la carie dentale e una forma di polmonite. Gli stafilococchi vivono normalmente nel naso e sulla pelle. Essi sono opportunisti, cioè
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causano malattie solo se il sistema immunitario è depresso. I Clostridi sono anaerobi. Provocano il botulismo, una forma di avvelenamento alimentare spesso letale, causata da cibi in scatola mal sterilizzati. Le endospore resistenti al calore crescono e producono la tossina tra le più potenti conosciute.
CAPITOLO 39 CONTROLLO NERVOSO: I NEURONI DOMANDA: DESCRIVERE LA STRUTTURA DELLE CELLULE DEL TESSUTO NERVOSO E LE MODALITA’ DEL TRASPORTO DELL’INFORMAZIONE TRAMITE GLI IMPULSI ELETTRICI Un tessuto consiste in un gruppo di cellule con caratteristiche simili che si associano per assolvere una o più funzioni. I tessuti sono classificati in: epiteliale, connettivo, muscolare e nervoso che è composto da neuroni e cellule gliali. I neuroni sono cellule specializzate nella conduzione elettrochimica dell’impulso nervoso o potenziale d’azione. Le cellule gliali sono di tre tipi: microgliali, astrociti, ed oligodendrociti, che nutrono i neuroni e lo isolano per aumentare la velocità di trasmissione. Le cellule microgliali sono fagocitarie rimuovono i detriti cellulari. Gli astrociti sono a forma di stella, alcune sono fagocitarie altre partecipano alla regolazione della concentrazione degli ioni potassio nei fluidi extracellulari dei tessuti nervosi. Gli oligodendrociti circondano i neuroni del SNC formando una guaina isolante intorno ad essi, costituita da mielina una sostanza lipidica e biancastra molto isolante elettricamente che permette una maggior velocità di trasmissione degli impulsi nervosi. Nella sclerosi multipla, la mielina si deteriora ad intervalli irregolari lungo gli assoni ed è rimpiazzata da tessuto cicatriziale. Tale deterioramento influisce sulla conduzione dell’impulso nervoso, e chi ne è vittima accusa perdita di coordinazione, tremori ed una paralisi completa o parziale di alcune parti del corpo. Il neurone è l’unità funzionale del sistema nervoso. E’ composto da un corpo cellulare, i dendriti ed un assone. Dal corpo cellulare o pirenoforo contenente il nucleo originano due prolungamenti citoplasmatici i dendriti da un lato e un singolo assone dal lato opposto. I dendriti sono corti e specializzati nella ricezione di stimoli e nell’invio di messaggi al corpo cellulare sotto forma di segnali elettrici. L’assone può essere più lungo di un metro. Si può ramificare in diramazioni chiamati assoni collaterali. La sua funzione è quella di condurre l’impulso nervoso verso un altro neurone o a organi effettori come ghiandole o muscoli, attraverso giunzioni specializzate dette sinapsi. Alla sua terminazione distale l’assone si divide in un certo numero di rami terminali ciascuno dei quali si conclude con una terminazione sinaptica dalle quali vengono rilasciati i
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neurotrasmettitori, molecole che trasmettono il segnale, sono messaggeri chimici. In genere l’assone è rivestito da mielina, prodotta dalle cellule di Schwann (un tipo di cellula gliali). Queste cellule avvolgono l’assone in più strati formando una guaina mielinica che non è continua, ma regolarmente interrotta da punti scoperti i nodi di Ranvier. Migliaia di assoni tenuti insieme da tessuto connettivo formano il nervo. All’interno del SNC gli assoni vengono definiti tratti o vie al di fuori del SNC i corpi cellulari dei neuroni sono raggruppati in ammassi chiamati gangli. Agli stimoli, cioè i cambiamenti interni/esterni percepiti dall’organismo i neuroni forniscono le risposte strutturate in quattro fasi: ricezione, trasmissione, integrazione ed azione. La ricezione, è il processo di rilevamento di uno stimolo svolto dai neuroni e dagli organi di senso specializzati come occhi e orecchie. La trasmissione è il processo d’invio del messaggio all’interno di un neurone, trasmesso da un recettore al sistema nervoso centrale (SNC) che è costituito dall’encefalo e dal midollo spinale. I neuroni che trasmettono l’informazione sono chiamati afferenti. L’integrazione comprende lo smistamento e l’interpretazione delle informazioni sensoriali che arrivano e la determinazione delle risposte appropriate. I messaggi nervosi sono trasmessi dal (SNC) attraverso i neuroni efferenti agli effettori (muscoli o ghiandole). I recettori sensoriali, i neuroni afferenti ed efferenti sono parte del sistema nervoso periferico (SNP). I neuroni trasmettono informazioni utilizzando segnali elettrici. La maggior parte delle cellule animali ha un differente potenziale elettrico ai due lati della membrana plasmatica. Si dice che la membrana plasmatica è polarizzata elettricamente intendendo che un lato o polo, ha una carica differente rispetto all’altro. Questa differenza di carica elettrica ai due lati della membrana è chiamato potenziale di membrana o potenziale a riposo, che si misura in millivolt (mV). 1mV equivale a un millesimo di volt. Il voltaggio è quella forza che permette il movimento di particelle cariche tra due punti. I neuroni hanno un potenziale a riposo di circa 70 mV che viene espresso come –70 mV, dato che la superficie interna della membrana plasmatica è elettronegativa rispetto ai fluidi interstiziali. Qual è la genesi del potenziale di membrana? In un neurone a riposo c’è un leggero eccesso di ioni positivi all’esterno e un eccesso di ioni negativi all’interno. La concentrazione degli ioni K+ dentro è circa dieci volte maggiore rispetto a quella al di fuori della cellula. Quella degli ioni Na+ è circa dieci volte maggiore fuori piuttosto che all’interno della cellula. Questa distribuzione degli ioni ai due lati della membrana è possibile grazie: all’azione di pompe ioniche, sodio-potassio che ad ogni ciclo trasportano 3 ioni sodio all’esterno e 2 ioni potassio all’interno contro il loro gradiente di concentrazione. Quindi spendendo energia alla diffusione passiva attraverso proteine di membrana che formano canali ionici selettivi cioè permettono il passaggio solo di un tipo di ione. Le proteine costituenti il canale possono avere alcune regioni caricate elettricamente che funzionano come porte. Quando sono aperte il canale è attivo, quando sono chiuse , gli ioni non possono attraversare la membrana.
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I neuroni hanno tre tipi di canali ionici: canali ionici passivi, voltaggio-dipendenti, chemio-dipendenti. I Canali ionici passivi permettono il passaggio di un tipo specifico di ione come il Na+ K+ Cl. In genere questi canali sono sempre aperti fluiscono seguendo il loro gradiente di concentrazione. I Voltaggio-dipendenti sono mantenuti chiusi da una porta che si apre in risposta ad un cambiamento di voltaggio. I Chemio-dipendenti si trovano principalmente sui dendriti e corpi cellulari. Il canale ionico passivo più diffuso nelle membrane plasmatiche è quello per il potassio, ed i neuroni sono più permeabili al potassio che agli altri ioni. Gli ioni sodio sono trasportati attivamente fuori dal neurone, ma non possono rientrare facilmente; gli ioni potassio trasportati all’interno diffondono più facilmente all’esterno. La pompa sodio-potassio mantiene una concentrazione di ioni potassio maggiore all’interno della cellula rispetto all’esterno. Gli ioni potassio diffondono all’esterno attraverso i canali passivi seguendo il loro gradiente di concentrazione. Grazie a questo efflusso di cariche positive verso l’esterno, la cellula diviene relativamente elettronegativa. Il potenziale di equilibrio si ottiene quando la concentrazione degli ioni potassio K+ che entrano nella cellula eguaglia quelli che da essa escono. A questo punto si è formato un potenziale a riposo di circa –70mV tra i due lati della membrana. Se uno stimolo elettrico, chimico o meccanico è forte, può alterare il potenziale a riposo aumentando la permeabilità al sodio dando vita al potenziale d’azione che viaggia in modo molto rapido lungo l’assone verso il terminale sinaptico. Quando il voltaggio raggiunge il livello di soglia a –55mV e lo supera le porte dei canali voltaggio-dipendenti del sodio si aprono e gli ioni sodio diffondono all’interno della cellula muovendosi da un distretto ad alta concentrazione ad uno a bassa concentrazione. Quando il potenziale d’azione viene innescato la membrana del neurone rapidamente raggiunge il valore di zero e lo supera fino a +35mV o più raggiungendo il picco. La depolarizzazione di membrana in un area induce l’apertura di canali ionici voltaggio-dipendenti adiacenti determinando un’onda di depolarizzazione che viaggia lungo tutta la lunghezza dell’assone. Quando il potenziale d’azione si è spostato di alcuni mm lungo l’assone, il punto della membrana sopra il quale è appena passato si ri-polarizza. Successivamente le porte del sodio si chiudono e la membrana ridiventa impermeabile al sodio. Nei canali del potassio si apre la porta che permette agli ioni potassio di uscire dal neurone. Questa riduzione di ioni potassio riporta il lato interno della membrana al suo valore relativamente negativo, per cui la membrana risulta ri-polarizzata. Il meccanismo di depolarizzazione e ri-polarizzazione può avvenire in meno di un millisecondo. La ridistribuzione del sodio e del potassio verso i livelli normali di concentrazione richiede tempi più lunghi. Le condizioni di riposo vengono ripristinate solo quando la pompa sodio-potassio ha attivamente trasportato all’esterno della cellula l’eccesso di sodio. Durante il periodo di depolarizzazione la membrana è in uno stato di refrattarietà assoluta non può trasmettere nessun altro potenziale d’azione dovuto al fatto che i canali del sodio voltaggio-dipendenti sono inattivati. Quando un numero sufficiente di canali del sodio sono stati riportati allo stato iniziale, il neurone entra in uno stato di refrattarietà relativa. Durante questo periodo l’assone può trasmettere impulsi. La velocità varia a seconda del tipo di conduzione. Nella conduzione continua che avviene nei neuroni non mielinizzati, la velocita’ è proporzionale al loro Ø, più è grosso maggiore sarà la velocità perché presentano una
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resistenza minore al flusso di ioni che li attraversa. Nella conduzione saltatoria, la mielina isola elettricamente l’assone in maniera totale in tutti i suoi punti tranne nei nodi di Ranvier, che infatti non sono mielinizzati. I canali ionici voltaggiodipendenti per il sodio e potassio, sono concentrati in questi punti. Il movimento degli ioni da e per la cellula avviene solo in corrispondenza dei nodi. Il potenziale d’azione salta da un nodo all’altro. La sua velocità aumenta di 50 volte rispetto all’assone non mielinizzato, in più richiede meno energia perché la corrente fluisce solo a livello dei nodi e quindi minor spostamento degli ioni sodio-potassio, ciò significa che la pompa deve consumare meno ATP per ristabilire le condizioni di riposo dopo che l’impulso è passato. I neuroni seguono la legge del tutto o nulla, perché o trasmettono un potenziale d’azione oppure non lo fanno. Le differenze nel livello di intensità delle sensazioni percepite, dipende dal numero di neuroni stimolati e dalla loro frequenza di scarica. Nel caso di una bruciatura, maggiore è il numero di recettori dolorifici stimolati, maggiore sarà il numero di neuroni che vengono depolarizzati. L’aumento o la diminuzione di eccitabilità dei neuroni è influenzata da alcune sostanze che rendono la membrana più o meno permeabile al sodio. Esempio: gli ioni calcio si legano alle proteine di membrana che costituiscono i canali del sodio e grazie alla loro carica positiva influenzano il funzionamento dei canali aumentando il voltaggio necessario per l’apertura delle porte. Quando nella cellula c’è un eccesso di ioni calcio, i neuroni diventano meno eccitabili e più difficilmente generano potenziali d’azione, quando c’è una carenza le porte dei canali ionici per il sodio non si chiudono mai completamente dopo il passaggio del potenziale d’azione. Il risultato è che gli ioni sodio penetrano nella cellula rendendo meno negativo il suo potenziale e portando il neurone vicino alla soglia. Nei muscoli innervati da questi neuroni, si generano degli spasmi detti contrazioni tetaniche. Molti narcotici ed anestetici bloccano la conduzione nervosa come la cocaina, novocaina e lidocaina che influenzano l’attività dei canali voltaggiodipendente per il sodio diminuendo la permeabilità della membrana a questo ione. L’eccitabilità può essere depressa non facendo trasmettere impulsi ai neuroni nella zona anestetizzata. Abbiamo detto che i neuroni comunicano con le altre cellule attraverso sinapsi. La sinapsi tra un neurone ed una cellula muscolare è detta giunzione neuromuscolare o placca motrice. I segnali che attraversano una sinapsi possono essere elettrici o chimici. Nelle sinapsi elettriche i neuroni pre e post-sinaptici sono molto vicini tra loro (entro 2 nm (nanometri 10¯9 metri) e tra le loro membrane si formano le giunzioni comunicanti collegate tramite una proteina canale. Inoltre le sinapsi elettriche permettono il passaggio diretto di ioni da una cellula all’altra così l’impulso viene trasmesso molto più rapidamente. La maggior parte delle sinapsi sono chimiche, dove le cellule pre e post-sinaptico sono separate da uno spazio sinaptico largo più di 20 nm. Quando il potenziale d’azione raggiunge un terminale assonico, non riesce a superare lo spazio, per cui il segnale elettrico deve essere trasformato in segnale chimico attraverso i neurotrasmettitori, cioè sostanze chimiche che possono portare al di là dello spazio sinaptico il segnale nervoso. Le sostanze che si pensa possano funzionare da neurotrasmettitori sono più di 40. Tra cui: l’Acetilcolina rilasciata dai neuroni motori attiva la contrazione muscolare. Le cellule che rilasciano questo neurotrasmettitore sono detti neuroni colinergici. Le amine biogene o catecolamine, di cui fanno parte la noradrenalina (rilasciata dai neuroni adrenergici), serotonina, dopamina, influenzano lo stato d’animo, una loro alterazione può legarsi a gravi disturbi mentali tra cui la depressione, il deficit di attenzione, e
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la schizofrenia. I farmaci antidepressivi che influenzano lo stato d’animo, agiscono alterando il livello di amino biogene nel cervello. L’acido gamma-aminobutirrico (GABA) è un aminoacido che ha funzione inibitoria nel cervello. La sua azione è amplificata da alcuni farmaci come i barbiturici utilizzati nel trattamento dell’ansia. Gli oppioidi come encefalina e beta-endorfina bloccano la trasmissione del dolore. L’Acetilcolina, le amine biogene, l’acido gamma-aminobutirrico (GABA) sono neurotrasmettitori dal basso peso molecolare e sono prodotti nei terminali sinaptici. I mitocondri forniscono l’ATP necessario per questa sintesi. Gli enzimi richiesti per la loro biosintesi sono sintetizzati nel corpo cellulare e trasportati lungo l’assone verso i terminali sinaptici. I neurotrasmettitori con maggiore peso molecolare come gli oppioidi sono sintetizzati direttamente nel corpo cellulare e trasportati poi ai terminali sinaptici. I neurotrasmettitori sono accumulati nei terminali sinaptici in piccole vescicole circondate da membrana dette vescicole sinaptiche. Ogni volta che un potenziale d’azione raggiunge il terminale sinaptico, il cambiamento di potenziale che ne risulta attiva dei canali ionici per il calcio e questi entrano nel terminale sinaptico promuovendo la fusione tra le vescicole sinaptiche e la membrana e tramite esocitosi il neurotrasmettitore viene rilasciato nello spazio sinaptico. I neurotrasmettitori diffondono attraverso lo spazio sinaptico e si combinano con specifici recettori posizionati sul corpo cellulare o sui dendriti del neurone postsinaptico. Questi recettori sono dei canali ionici chemio-dipendenti chiamati canali ionici attivati da ligando. Quando il neurotrasmettitore, cioè il ligando si combina con il recettore, avviene l’apertura del canale ionico. Ad esempio il recettore per l’acetilcolina è un canale permeabile sia al Na+ che al K+ La serotonina opera attraverso un meccanismo differente induce la formazione di un secondo messaggero, che attiva una proteina G, che attiva un enzima l’adenilato ciclasi, la cui funzione è quella di convertire l’ATP in AMP ciclico (cAMP) che agisce da secondo messaggero. La funzione dell’AMP ciclico è quella di attivare una protein chinasi che a sua volta fosforila una proteina che induce la chiusura dei canali K+ Le amine biogene vengono attivamente trasportate all’interno dei terminali pre-sinaptici mediante un processo dal nome ricaptazione (reuptake). Molti farmaci agiscono selettivamente inibendo il reuptake di un neurotrasmettitore. Molti antidepressivi agiscono inibendo il reuptake della serotonina, inducendo un aumento della sua concentrazione nello spazio sinaptico. I recettori dei neurotrasmettitori inviano segnali eccitatori o inibitori. L’acetilcolina eccita le cellule muscolari scheletriche inducendo l’apertura di canali ionici per il sodio. Ne consegue una maggiore permeabilità delle fibre muscolari al sodio che porta alla contrazione muscolare. Al contrario l’acetilcolina ha un effetto inibitorio sul muscolo cardiaco ed induce una riduzione della frequenza cardiaca. Quando i neurotrasmettitori si combinano con i recettori direttamente o indirettamente influenzano lo stato dei canali ionici e il potenziale di membrana può depolarizzare o iperpolarizzare. Quando il cambiamento del potenziale di membrana è tale da portare il neurone vicino al livello di soglia è detto potenziale post-sinaptico eccitatorio (EPSP). Il potenziale post-sinaptico inibitorio (IPSP) si ha quando avviene una
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iperpolarizzazione della membrana post-sinaptica. Questo processo allontana il neurone dal potenziale di soglia. (-80mV) Ogni EPSP e IPSP è una risposta locale nella membrana di un neurone. Tali risposte sono chiamate potenziali graduali, a causa della loro variazione in ampiezza che dipende dalla forza dello stimolo applicato. Un EPSP in genere è troppo piccolo per generare da solo un potenziale d’azione. Il suo effetto è detto subliminale cioè sotto il livello di soglia. Il meccanismo di integrazione neurale è detto sommazione, cioè il fenomeno di addizione e sottrazione dei segnali che raggiungono la cellula. La sommazione temporale avviene quando degli stimoli ripetuti inducono lo sviluppo di nuovi EPSP prima che i precedenti EPSP si siano esauriti. Attraverso la sommazione di molti EPSP il neurone può essere portato al livello di soglia. Ciascun neurone può creare sinapsi con centinaia di altri neuroni. Nei vertebrati più del 90% dei neuroni è localizzato nel SNC e come risultato la maggior parte dei fenomeni di integrazione avviene all’interno del cervello e del midollo spinale. Il SNC contiene milioni di neuroni organizzati in reti neurali separate, e all’interno di ciascuna rete i neuroni sono disposti a formare specifici circuiti neurali come la convergenza e la divergenza. Nella convergenza l’attività di un singolo neurone è controllata dai segnali che convergono su esso inviati da due o più neuroni pre-sinaptici. La convergenza è un importante meccanismo mediante il quale il SNC può integrare tutte le informazioni, di diversa provenienza, che lo raggiungono. Nella divergenza un singolo neurone pre-sinaptico è in grado di stimolare molti neuroni postsinaptici. Ciascun neurone pre-sinaptico può ramificare e fare sinapsi con più di 25000 neuroni postsinaptici diversi. Un singolo neurone che trasmette un impulso dall’area motoria del cervello può fare sinapsi con centinaia di interneuroni del midollo spinale e ognuno di questi può a sua volta divergere così che centinaia di fibre muscolari possano essere stimolate. Il circuito riverberante molto importante nel mantenimento del ritmo respiratorio, è costituito da un assone collaterale del secondo neurone che torna a prendere contatto con i propri dendriti, e questo permette una autostimolazione da parte del neurone stesso. CAPITOLO 40 REGOLAZIONE NERVOSA: IL SISTEMA NERVOSO Il sistema nervoso è composto da milioni di neuroni che lavorano in modo coordinato per produrre delle risposte adeguate agli stimoli provenienti dal mondo esterno. Il sistema nervoso dell’uomo si compone di due parti: il sistema nervoso centrale (SNC) e il sistema nervoso periferico (SNP). Il sistema nervoso centrale comprende l’encefalo (racchiuso nella scatola cranica) che prosegue con il midollo spinale (racchiuso nel canale vertebrale all’interno della colonna vertebrale) ed è formato principalmente da neuroni associativi. Ricordiamo che il sistema nervoso è composto da neuroni sensoriali o afferenti che ricevono gli stimoli dai recettori, da neuroni associativi che elaborano il segnale proveniente da più neuroni sensoriali per attivare
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una risposta, e neuroni motori o efferenti che ricevono la risposta e la trasmettono agli effettori. I tre strati di tessuto connettivo, che proteggono sia l’encefalo che il midollo sono le meningi. Lo strato più esterno e resistente è detto dura madre, quello intermedio è detto aracnoide, mentre adesso al tessuto cerebrale e del midollo spinale si trova la pia madre. La meningite è una malattia nella quale questi tre strati vengono infettati e risultano infiammati. Il compito del SNC è quello di identificare, interpretare e integrare gli impulsi che arrivano dai neuroni sensoriali, generare una risposta adeguata e trasmetterla ai neuroni efferenti. Nelle fasi precoci dell’embriogenesi, l’encefalo e il midollo spinale si originano da un singolo tubo di tessuto, il tubo neurale. Nella parte anteriore il tubo si sviluppa nell’encefalo. Posteriormente da luogo al midollo spinale. Quando l’encefalo inizia a differenziarsi divengono evidenti tre rigonfiamenti: il prosencefalo, il mesencefalo e il rombencefalo. Il rombencefalo si suddivide per formare il metencefalo e il mielencefalo. Il metencefalo darà luogo al cervelletto e al ponte. Il cervelletto coordina l’attività muscolare ed è responsabile del tono muscolare della postura e dell’equilibrio. Una lesione o la rimozione del cervelletto comportano una insufficiente coordinazione motoria. Il ponte collega varie parti dell’encefalo. Il mielencefalo darà luogo al midollo che contiene i centri vitali per l’organismo, che regolano la respirazione il battito cardiaco e la pressione sanguigna, e anche altri centri che controllano i riflessi e coordinano la deglutizione il tossire e vomitare. Il midollo il ponte e il mesencefalo costituiscono il tronco encefalico. Il mesencefalo è formato dai collicoli superiori, centri implicati nella genesi di riflessi visivi come ad esempio la contrazione delle pupille, e dai collicoli inferiori nei quali si formano alcuni riflessi uditivi. Il prosencefalo si suddivide per formare il telencefalo e il diencefalo. Il telencefalo si sviluppa nel cervello, e da luogo ai bulbi olfattivi, strutture importanti per il senso chimico dell’olfatto, il senso più sviluppato dei vertebrati. Il diencefalo si sviluppa nel talamo e nell’ipotalamo. L’encefalo è formato dal cervello, che avvolge al centro il corpo calloso, il talamo e l’ipotalamo che si prolunga nell’ipofisi. Il cervello è diviso in due emisferi cerebrali il destro e il sinistro fisicamente collegati tra loro dal corpo calloso. Un solco centrale attraversa trasversalmente ogni emisfero. Questo solco separa il lobo frontale da quello parietale. Le aree motorie primarie nel lobo frontale controllano i muscoli scheletrici. Le aree sensoriali primarie nel lobo parietale ricevono informazioni riguardanti il caldo, il freddo, il tatto e la pressione degli organi di senso nella pelle. Il cervello è composto da materia bianca costituita da assoni mielinizzati, la materia grigia è presente nella corteccia cerebrale che costituisce lo strato superficiale del cervello. La sostanza grigia è composta dai corpi cellulari e dai dendriti dei neuroni. In tutti i mammiferi è presente il neopallio, un tipo di corteccia cerebrale nella quale si integrano funzioni sensoriali e motorie ed è responsabile di funzioni cognitive superiori come ad esempio l’apprendimento. Nell’uomo il 90% della corteccia cerebrale è costituito da neopallio suddiviso in sei strati cellulari sovrapposti. La maggior parte dei fenomeni di integrazione che avvengono nel sistema nervoso ha luogo nella corteccia cerebrale. Esempio: sonno e veglia, emozioni e elaborazioni
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delle informazioni. La corteccia cerebrale umana è divisibile funzionalmente in tre aree: le aree sensoriali che ricevono i segnali che provengono dagli organi si senso, le aree motorie che controllano i movimenti volontari, le aree associative che mettono in connessione le aree sensoriali e motorie e che sono responsabili delle attività cognitive superiori come il pensiero, l’apprendimento, il linguaggio, la memoria, il giudizio, e la personalità. Inoltre aree come i lobi occipitali sono la sede dei centri della vita, quelli acustici sono nel temporale, l’olfattiva e gustativa nell’ippocampo. Il talamo è il centro di smistamento dei messaggi motori e sensoriali. Tutti i messaggi sensoriali (tranne quelli olfattivi), passano attraverso il talamo prima di essere smistati alle aree sensoriali del cervello. L’ipotalamo contiene i centri olfattivi, controlla le funzioni autonome collegando il sistema nervoso con quello endocrino. Controlla la temperatura, l’appetito e l’equilibrio dei fluidi. E’ coinvolto in alcune risposte emozionali e sessuali. Il midollo spinale è una via di transito per gli impulsi sensoriali, dalla periferia verso l’encefalo e per gli impulsi motori dall’encefalo verso la periferia. Dal midollo spinale emergono 31 paia di nervi spinali ognuno provvisto di due radici. Il midollo spinale tubulare si estende dalla base dell’encefalo fino a livello della seconda vertebra lombare. E’ composto da un canale centrale circondato da un’area composta da materia grigia a forma di H. La materia grigia è composta da grandi ammassi di corpi cellulari, dendriti, assoni non mielinizzati, cellule gliali e vasi sanguigni ed è suddivisa in sezioni dette corna. La materia bianca che si trova all’esterno della materia grigia, è costituita da assoni mielinizzati raccolti in fasci detti tratti o vie. Il midollo spinale controlla molte attività riflesse. Un’azione riflessa è una risposta motoria piuttosto fissa nella sua esecuzione che viene prodotta in risposta ad un semplice stimolo. La risposta è prevedibile ed automatica, non necessitando di pensiero cosciente. Molte attività corporee, come ad esempio il respiro, sono regolate da azioni riflesse. Nel riflesso di evitamento per ottenere una risposta ad uno stimolo serve un circuito composto da tre soli neuroni. Supponiamo di toccare con una mano una superficie calda: in modo istantaneo e prima ancora di renderci conto in modo cosciente la mano si ritrae. Qui il messaggio è trasferito dal neurone sensoriale ad un neurone associativo ed infine ad un neurone motorio che convoglia l’informazione al gruppo di muscoli che rispondono contraendosi e allontanando la mano dalla fonte di calore. Il midollo spinale è plastico ed è possibile modulare le sue risposte. L’attività cerebrale può essere studiata misurando e registrando i potenziali elettrici, anche detti onde cerebrali generati da migliaia di neuroni. Questa attività si misura attraverso un Elettroencefalogramma (EEG). Le onde alfa si presentano con frequenza di circa 10 al secondo e si presentano in condizioni di quiete e con gli occhi chiusi, le onde beta compaiono con gli occhi aperti sono più rapide e irregolari. Durante il sonno il cervello emette onde con minor frequenza e ampiezza maggiore e sono le onde delta. Pazienti epilettici mostrano un profilo anormale di onde. La localizzazione di un tumore cerebrale oppure la sede di un danno causata da un colpo alla testa a volte possono essere identificati rilevando onde anomale. Il sistema reticolare attivante (SRA) è definito come il sistema che induce il risveglio, riceve i messaggi dai neuroni del midollo spinale e di molte altre parti del sistema nervoso e comunica con la corteccia cerebrale tramite circuiti neurali. L’SRA sopporta la coscienza un
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sistema cognitivo che produce consapevolezza delle sensazioni provate e delle memorie immagazzinate. Quando l’SRA bombarda la corteccia cerebrale con una grande quantità di stimoli ci si sente vigili e capaci di focalizzare l’attenzione su pensieri specifici. Quando l’SRA viene danneggiato il paziente passa in uno stato di coma profondo permanente. Il sonno è una alterazione dello stato cosciente durante il quale si manifesta una ridotta attività elettrica della corteccia cerebrale e dal quale una persona può essere risvegliata. Vengono identificati due stadi all’interno del sonno: quello NON REM e quello REM. REM significa movimenti rapidi degli occhi. Durante il sonno NON REM anche detto sonno normale il tasso metabolico diminuisce, il respiro rallenta e la pressione corporea diminuisce. Le onde in questa fase sono le Delta. Una persona che sta dormendo entra in fase REM circa ogni 90’. In questo stadio che occupa circa un quarto del tempo totale speso per dormire, gli occhi si muovono piuttosto rapidamente sotto le palpebre che sono chiuse, ma che oscillano. Le onde cerebrali in questa fase sono le beta. Tutte le persone sognano specialmente nella fase REM. Il sistema libico è un sistema attuativo dell’encefalo. Il sistema libico influenza la componente emotiva dell’apprendimento, valuta le ricompense ed è importante nella motivazione. La stimolazione comporta un aumento dell’attività generale, cosa che può indurre un comportamento aggressivo o livelli estremi di rabbia. L’apprendimento è una modificazione duratura del comportamento che si verifica a seguito dell’esperienza. Affinché l’apprendimento possa avvenire si devono ricordare le esperienze fatte. La memoria è la capacità di archiviare informazioni e recuperarle all’occorrenza. Sono distinguibili due tipi di memoria: quella a breve e a lungo termine. Quella a breve ci permette di riportare alla mente l’informazione solo per alcuni minuti, ad esempio un numero di telefono memorizzato velocemente; affinché venga consolidata come memoria a lungo termine sono necessari alcuni minuti. Se una persona subisce una commozione cerebrale, la memoria di ciò che è avvenuto immediatamente prima andrebbe persa. Questo fenomeno è noto come amnesia retrograda. Quando ci si dimentica qualcosa, non significa che la memoria è stata persa, ma bensì che la si è cercata in modo inefficace. Un metodo è quello di formare associazioni tra le informazioni. L’immagazzinamento della memoria a lungo termine può richiedere l’attivazione di un gene e la formazione di nuovi collegamenti sinaptici funzionali a lungo termine noti come potenziamento a lungo termine (PLT). La sensibilizzazione è un fenomeno che si manifesta con un aumento della risposta a seguito della presentazione di uno stimolo non piacevole. Il condizionamento classico è la forma di apprendimento nella quale viene formata una associazione tra alcune risposte comportamentali normalmente espresse in presenza di uno stimolo normale, detto stimolo incondizionato (SI), e un nuovo stimolo detto condizionato (SC). L’animale impara l’associazione ed in seguito la presentazione dello stimolo condizionato (SC) induce l’esecuzione della risposta comportamentale che adesso viene detta condizionata (RC). L’effetto dell’esperienza cioè l’abilità di cambiare in risposta a stimoli ambientali dimostra l’esistenza della plasticità neuronale. La stimolazione precoce è un fattore importante per lo sviluppo sensoriale, motorio ed intellettivo dei bambini, ed è importante anche in età avanzata una continua stimolazione ambientale per mantenere lo status della corteccia cerebrale. Il sistema nervoso periferico è costituito dai recettori sensoriali (ad esempio tattocettori,
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recettori visivi e acustici), e dai nervi afferenti ed efferenti tra cui quelli craniali e spinali. Le sue funzioni sono quelle di conduzione dei segnali. Questi sono trasportati dal midollo spinale verso gli organi periferici e viceversa. Il SNP si può dividere in: somatico e autonomo. Il somatico comprende i recettori che reagiscono ai cambiamenti esterni e agisce sulla muscolatura volontaria. Dal cervello emergono 12 paia di nervi craniali che trasmettono informazioni che riguardano i sensi dell’olfatto, vista, udito e gusto a partire da specifici recettori sensoriali. Emergono inoltre dalla corda spinale 31 paia di nervi spinali: 8 paia cervicali, 12 toracici, 5 lombari, 5 sacrali e 1 paio coccigei. L’autonomo, aiuta a mantenere l’omeostasi nell’ambiente interno e agisce sulla muscolatura involontaria e sulle ghiandole. I neuroni afferenti e efferenti del sistema autonomo sono localizzati nei nervi craniali o spinali. La porzione efferente del sistema autonomo si suddivide nei sistemi simpatico e parasimpatico, entrambi innervano gli stessi organi, ma producono effetti opposti. Il simpatico prepara il corpo a situazioni d’emergenza come accelerare il battito cardiaco e la frequenza respiratoria, provoca la vasocostrizione, mobilita le riserve di glicogeno nel fegato. Il parasimpatico rallenta il battito cardiaco, induce la vasodilatazione e stimola l’attività dell’apparato digerente. Molti farmaci hanno effetti sul sistema nervoso. Il 25% di tutti i farmaci prescritti è assunto al fine di alterare le condizioni psicologiche e nella maggior parte dei casi tutti i farmaci di cui si abusa hanno effetti sull’umore. L’assunzione abituale può dar luogo alla dipendenza psicologica, inducono alla tolleranza (assuefazione) dopo numerosi giorni o settimane. Ciò significa che la risposta al farmaco diminuisce e sono necessarie maggiori quantità per ottenere l’effetto desiderato. La dipendenza da farmaco è un problema sociale. I meccanismi neurofisiologici per la dipendenza da farmaci coinvolgono una rete di neuroni che rilasciano dopamina (neurotrasmettitori appartenenti alla classe delle amine-biogene che influenzano lo stato d’animo). EFFETTI DI ALCUNI FARMACI USATI COMUNEMENTE Ansiolitici EFFETTO SULL’UMORE: sedativo inducono al sonno. AZIONE SUL CORPO: si legano al complesso del Recettore GABA i canali del cloro si aprono causando la iperpolarizzazione. EFFETTO COLLATERALE: sonnolenza. Antipsicotici EFFETTO SULL’UMORE: alleviano la schizofrenia, riducono i comportamenti aggressivi. AZIONE SUL CORPO: bloccano i recettori della dopamina. EFFETTO COLLATERALE: spasmi muscolari, andatura strascicata. Anfetamine EFFETTO SULL’UMORE: euforia. AZIONE SUL CORPO: stimolano i rilascio di dopamina, dilatano le pupille, e aumentano il ritmo cardiaco e la pressione sanguigna.
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EFFETTO COLLATERALE: tolleranza, possibile dipendenza. Analgesici narcotici EFFETTO SULL’UMORE: euforia, effetto sedativo, alleviano il dolore. AZIONE SUL CORPO: imitano le azioni delle endorfine, si legano ai recettori dei narcotici. EFFETTO COLLATERALE: reprimono la respirazione, restringono le pupille, alterano la coordinazione, tolleranza dipendenza psicologica, assuefazione, convulsioni, morte per sovradosaggi. Alcool EFFETTO SULL’UMORE: euforia, rilassamento, libera dalle inibizioni. AZIONE SUL CORPO: deprime il SNC, altera la vista, la capacità di giudizio, allunga il tempo di reazione. EFFETTO COLLATERALE: dipendenza fisica, danni al pancreas, cirrosi epatica e danni cerebrali. CAPITOLO 41 RECETTORI SENSORIALI I recettori sensoriali sono strutture che percepiscono informazioni circa i cambiamenti dell’ambiente interno o esterno. Sono formati da terminazioni nervose o da cellule specializzate, in stretto contatto con i neuroni. Questi recettori trasducono (convertono) l’energia degli stimoli in segnali elettrici, che rappresentano il valore informativo del sistema nervoso. I recettori sensoriali insieme con altri tipi di cellule costituiscono la complessa famiglia degli organi di senso: vista, udito, olfatto, gusto e tatto, in aggiunta ai 5 sensi, i neurobiologi riconoscono l’equilibrio come un vero senso. PRIMA CLASSIFICAZIONE Gli esterocettori ricevono stimoli dell’ambiente esterno. I propriocettori sono presenti nelle fibre muscolari, nei tendini, e nelle articolazioni e permettono di percepire la posizione spaziale degli arti, della testa. Gli intercettori sono posti all’interno degli organi e sono sensibili alle variazioni di pH, temperatura corporea e composizione chimica del sangue. Avvertiamo la loro azione quando percepiamo sensazioni quali sete, fame, nausea, dolore ed orgasmo. SECONDA CLASSIFICAZIONE A seconda degli stimoli ai quali rispondono i meccanorecettori rispondono ad una stimolazione meccanica, tocco, pressione, gravità, stiramento e movimento. I chemiocettori rispondono a particolari composti chimici. I fotocettori sono sensibili all’energia luminosa. I termocettori rispondono al caldo e al freddo. I recettori sensoriali assorbono diversi tipi di energia e la trasformano (conversione) in
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energia elettrica che serve ad instaurare un potenziale recettoriale, una depolarizzazione o iperpolarizzazione della membrana. Ha tre funzioni: Identifica uno stimolo proveniente dall’ambiente tramite assorbimento di energia; Converte l’energia dello stimolo in energia elettrica, processo conosciuto come trasduzione; Produce un potenziale recettoriale che può essere in grado di trasmettere l’informazione al SNC tramite un potenziale d’azione. La nostra abilità a distinguere gli stimoli dipende sia dagli stessi recettori sensoriali, sia dal cervello, perché le cellule di ogni recettore sono connesse con specifici neuroni posti in particolari aree cerebrali. Quando il recettore viene stimolato, origina un messaggio “codificato” composto da potenziali d’azione trasmessi lungo le fibre nervose. Tale messaggio sarà decodificato dal cervello. Esempio: la differenza d’intensità sonora, dipende sia dal numero di neuroni che trasmettono i potenziali d’azione, sia dalla frequenza dei potenziali d’azione trasmessi da ogni singolo neurone. Molti recettori non mantengono la stessa frequenza della risposta iniziale alla stimolazione, anche se quest’ultima rimane della stessa intensità. Con il passare del tempo la frequenza dei potenziali d’azione dei neuroni sensoriali diminuisce. Viene definita come adattamento sensoriale. Alcuni recettori come quelli del dolore e del freddo, si adattano così lentamente che continuano a generare potenziali d’azione per tutta la durata della stimolazione e sono chiamati recettori tonici. Altri chiamati recettori fasici, si adattano più rapidamente permettendo di ignorare uno stimolo ripetitivo spiacevole o poco importante. Quando si indossano dei jeans attillati, i recettori di pressione avvertono una spiacevole sensazione, presto però gli stessi recettori si adattano e la sensazione di scomodità sparisce. In modo analogo noi ci adattiamo velocemente ad odori pungenti che aggrediscono i nostri sensi. I meccanorecettori sono attivati quando la loro forma viene alterata da una forza che li comprime o li distende esempio ci avvertono della presenza di cibo nello stomaco, di feci nel retto, di urina nella vescica e del feto nell’utero. I meccanocettori più semplici sono costituiti da terminazioni nervose libere nella pelle, sensibili al tocco, alla pressione, ed al dolore. Tre tipi di meccanocettori hanno terminazioni che sono incapsulate: i corpuscoli di Meissner, di Ruffini, di Pacini. I corpuscoli di Meissner sono sensibili al tocco leggero ed alla pressione e si adattano rapidamente. I corpuscoli di Ruffini sono sensibili al tocco intenso e continuo e si adattano molto lentamente. I corpuscoli di Pacini sono sensibili alla pressione profonda che causa un rapido movimento nel tessuto. Questo recettore è fasico (dinamico) cioè viene stimolato solo quando si verifica un movimento del tessuto. I propriocettori sono meccanocettori che rispondono continuamente alla tensione ed al movimento dei muscoli e delle articolazioni. I vertebrati hanno tre tipi di propriocettori: i fusi muscolari, che identificano il movimento muscolare; gli organi tendinei di Golgi, che identificano lo stiramento dei tendini che legano i muscoli alle ossa; i recettori articolari che identificano il movimento dei legamenti.
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Sono tutti recettori sensoriali tonici (statici). Il potenziale recettoriale è mantenuto fino al termine della stimolazione e perciò i potenziali d’azione sono continui. Gli impulsi provenienti dai propriocettori sono importanti nell’assicurare le contrazioni coordinate di muscoli diversi che compiono un singolo movimento. Questo organi sono importanti anche nel mantenimento dell’equilibrio. L’apparato vestibolare dell’orecchio dei vertebrati è responsabile del mantenimento dell’equilibrio. Quando pensiamo all’orecchio, ci riferiamo essenzialmente all’udito. In realtà la sua funzione nei vertebrati è quella di assicurare l’equilibrio. L’orecchio interno è formato da un complicato gruppo di sacche e canali, interconnessi, il cosiddetto labirinto, a sua volta composto da un labirinto membranoso circondato da un labirinto osseo. Il labirinto membranoso consiste di due camere a forma di sacco, il sacculo e l’otricolo, e di tre canali semicircolari il tutto forma l’apparato vestibolare. La distruzione di questi organi porta ad una perdita considerevole dell’equilibrio. Nell’uomo l’equilibrio dipende, non solo dalle stimolazioni provenienti dagli organi dell’orecchio interno, ma anche dalla vista e da stimolazioni delle cellule sensibili alla pressione che si trovano nella pianta del piede. Il sacculo e l’otricolo sono provvisti di indicatori gravitazionali che sono presenti sotto forma di piccoli sassolini di carbonato di calcio chiamati otoliti le cui cellule sensoriali sono formate da un gruppo di cellule pilifere circondate alle loro estremità da una cupola gelatinosa. La superficie presenta un unico lungo ciglio e diverse stereo ciglia più corte. La forza di gravità spinge gli otoliti a premere contro le stereo ciglia stimolandole a generare impulsi che sono trasmessi al cervello. Quando la testa viene fatta oscillare oppure è soggetta ad un’accelerazione lineare gli otoliti esercitano una pressione sulle stereo ciglia di differenti cellule, deflettendogli. La deflessione delle ciglia verso il ciglio più lungo depolarizza la cellula pilifera. La deflessione nella direzione opposta iperpolarizza la cellula. Quindi a seconda della direzione del movimento le cellule pilifere rilasciano più o meno neurotrasmettitore. Il cervello interpreta questi messaggi e percepiamo la propria posizione relativa al terreno indipendentemente dalla posizione della propria testa. L’informazione riguardante i movimenti rotatori è generata dai tre canali semicircolari. Ogni canale ha al suo interno un fluido che scorre chiamato endolinfa. In ogni canale si trova un piccolo slargo a forma di bulbo detto ampolla dentro cui giace un raggruppamento di cellule pilifere chiamato cresta. Dato che i tre canali giacciono su tre piani differenti, il movimento rotatorio del capo in qualsiasi direzione causa la stimolazione di almeno uno dei canali. Gli esseri umani sono abituati a spostamenti orizzontali ma non verticali. Il movimento di una nave in un mare agitato o di un ascensore, stimola i canali semicircolari in maniera anomala e può causare la sensazione nota come mal di mare. I recettori uditivi collocati nella coclea dell’orecchio interno contengono cellule pilifere meccanocettori che sono sensibili alle onde di pressione. La coclea è un tubo a forma di spirale che rassomiglia alla conchiglia delle lumache. E’ formata da tre canali separati tra loro da sottili membrane, il canale vestibolare, il canale timpanico connessi tra loro all’apice della coclea e sono pieni di un fluido particolare detto perilinfa. Il canale cocleare è invece riempito con un fluido l’endolinfa e contiene l’organo uditivo vero e proprio cioè l’organo di Corti. Le onde sonore presenti nell’aria, sono trasformate in onde di pressione nel fluido cocleare.
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Nell’orecchio umano, le onde sonore passano attraverso il canale uditivo esterno e stimolano la membrana timpanica o timpano (la membrana che separa l’orecchio esterno dall’orecchio medio) a vibrare. Le vibrazioni sono trasmesse attraverso l’orecchio medio da tre ossicini, il martello, l’incudine, e la staffa così chiamati a causa del loro aspetto. Il martello è in contatto con il timpano e la staffa con la membrana che ricopre l’apertura dell’orecchio interno, chiamata finestra ovale. Martello, incudine e staffa agiscono come tre leve con la funzione di amplificare le vibrazioni, che passano attraverso la finestra ovale e sono trasmesse al fluido del canale vestibolare. Dato che i liquidi non sono incomprimibili la finestra ovale non è in grado di provocare un movimento del fluido nel canale vestibolare in assenza di una valvola di scarico. Tale valvola è detta finestra circolare. L’onda trasmessa esercita una pressione sulle membrane che separano i tre dotti, si propaga nel canale timpanico e provoca un rigonfiamento della finestra circolare. I movimenti della membrana basale prodotti dalle vibrazioni provocano lo strofinio delle stereo ciglia dell’organo di Corti sulla membrana tettoia e questa stimolazione genera un impulso che giunge al nervo cocleare che trasmette gli impulsi al cervello. I suoni differiscono in tonalità intensità e qualità. Il tono dipende dalla frequenza delle onde sonore espresse in hertz. Le alte frequenze sono rilevate dalle cellule pilifere localizzate vicino alla base della membrana basale, mentre le basse frequenze sono rilevate dalle cellule pilifere vicino all’apice della membrana basale. Il cervello riconosce una particolare tonalità sonora in base al gruppo di cellule pilifere che viene stimolato. L’orecchio umano riesce ad interpretare frequenze sonore tra i 20 e i 20.000 Hz, e suoni compresi tra i 1000 e 4000 Hz, ed inoltre confrontando l’energia delle onde sonore udibili con quella delle onde luminose visibili, risulta che il nostro orecchio è dieci volte più sensibile dell’occhio. I chemiocettori sono associati con i sensi del gusto e dell’olfatto. Ci permettono di rilevare le sostanze chimiche contenute nel cibo, acqua e aria. Gli organi del gusto nei mammiferi sono costituiti dalle papille gustative collocate nella bocca e soprattutto sulla superficie della lingua. Normalmente si riconoscono quattro fondamentali tipi di gusto: dolce, amaro, salato ed aspro. Il sapore è il risultato della combinazione dei quattro tipi di gusti fondamentali con l’aggiunta di ulteriori stimoli quali l’odore, l’aspetto e la temperatura del cibo. L’olfatto è una componente del sapore perché gli odori passano facilmente dalla bocca alla cavità nasale attraverso le narici interne. Quando si ha il naso congestionato da un raffreddore il cibo sembra avere poco sapore. Le papille gustative non sono influenzate dal raffreddore, ma il blocco del canale nasale riduce notevolmente la recezione olfattiva. Gli odori vengono recepiti a livello dell’epitelio nasale. Negli essere umani l’epitelio olfattivo si trova nella parete superiore della cavità nasale. Esso contiene circa 100 milioni di cellule olfattive. L’uomo può rilevare almeno 7 principali gruppi di odori: canfora, muschio, floreale, menta, etereo, pungente e putrido. Circa 1000 geni codificano per 1000 tipi di recettori olfattivi. Il 50% dei recettori olfattivi subisce l’adattamento in circa 1 secondo dall’inizio della stimolazione, quindi anche gli odori più pungenti e sgradevoli possono scomparire dopo solo pochi minuti. I termocettori sono sensibili al calore. Negli esseri umani i cambiamenti della temperatura vengono avvertiti da almeno tre tipi di recettori: i recettori per il freddo, per il caldo e per il dolore. I termocettori presenti nell’ipotalamo individuano le variazioni interne di temperatura e ricevono ed integrano le informazioni provenienti dalla superficie corporea. L’ipotalamo, quindi attiva i meccanismi omeostatici che assicurano il mantenimento di una temperatura
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corporea costante. I fotocettori utilizzano dei pigmenti (rodopsine) per assorbire la luce. L’energia luminosa, che stimola una cellula recettoriale fotosensibile contenente questi pigmenti, genera un cambiamento chimico nelle molecole del pigmento stesso. Come conseguenza, la cellula recettoriale trasmette un impulso nervoso. L’OCCHIO Nell’occhio umano la luce entra attraverso la cornea, viene messa a fuoco dalla lente e produce un’immagine sulla retina. L’iride regola la quantità di luce che può entrare. Un anello muscolare liscio che appare blu, verde, grigio o marrone a seconda della quantità e del tipo di pigmento presente, è composta da due fasci di fibre muscolari antagonisti. Ogni occhio possiede sei muscoli che permettono il movimento nella sua globalità. I nervi cranici innervano i muscoli in modo tale da muovere entrambe gli occhi e farli focalizzare sullo stesso punto. La retina contiene le cellule fotocettrici (bastoncelli e coni): i bastoncelli 125 milioni che funzionano alla luce debole e formano immagini in bianco e nero, ed i coni 6.5 milioni che funzionano alla luce intensa e permettono la visione dei colori. La distinzione dei colori dipende da tre tipi di coni: rossi, verdi e blu. Ognuno contiene un foto pigmento. L’assenza di uno o più coni porta alla cecità ai colori. Coni e bastoncelli si trovano nella Fovea. All’esterno della retina si trova lo strato coroide cellule riempite da un pigmento nero che assorbe la luce eccessiva e previene la formazione di un riflesso interno che potrebbe distorcere l’immagine. Il rivestimento esterno del bulbo oculare, chiamato sclera è uno strato spesso che protegge le strutture interne ed aiuta a mantenere la rigidità del bulbo stesso. Sulla superficie frontale dell’occhio questo strato diventa più sottile e viene chiamato cornea attraverso la quale la luce penetra. La lente oculare è una palla elastica e trasparente collocata subito dietro all’iride. Essa devia i raggi luminosi incidenti e li mette a fuoco sulla retina, aiutata dalla superficie curva della cornea e dalle proprietà rifrattive dei liquidi all’interno del bulbo oculare. La cavità anteriore tra la cornea e la lente è riempita da un liquido acquoso, l’umor acqueo. La cavità posteriore tra la lente e la retina è riempita da un liquido più viscoso, l’umor vitreo. Entrambi i fluidi sono importanti nel mantenere la forma del bulbo oculare fornendo una pressione liquida interna. A livello del suo margine anteriore, il coroide è spesso e forma il corpo ciliare che consiste nei processi ciliari e del muscolo ciliare. I processi ciliari sono ripiegamenti ghiandolari che secernono l’umor vitreo. Il muscolo ciliare fornisce all’occhio la possibilità di correggere il fuoco per la visione a breve ed a lunga distanza cambiando la curvatura della lente. Per focalizzare oggetti vicini, il muscolo ciliare si contrae e la lente elastica assume una forma rotonda. Per oggetti lontani il muscolo si rilassa e la lente assume una forma appiattita (ovoidale). I più comuni disturbi della visione sono la miopia, l’astigmatismo e il presbitismo. Nella miopia (scarsa visione alle lunghe distanze), il bulbo oculare è allungato, i raggi luminosi convergono in un punto davanti alla retina e divergono nuovamente quando giungono su di essa, determinando un’immagine non definita. Lenti concave correggono la miopia spostando la radiazione luminosa artificialmente a fuoco sulla retina. Nel presbitismo (scarsa visione alle brevi distanze) il bulbo oculare è troppo corto e la retina troppo vicina alla lente. I raggi luminosi colpiscono la retina prima di avere raggiunto la convergenza formando nuovamente un’immagine distorta. Lenti convesse correggono il
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presbitismo facendo convergere i raggi luminosi un po’ più avanti a fuoco sulla retina. Nell’astigmatismo la cornea è incurvata in modo non simmetrico per cui i raggi luminosi si focalizzano su diversi piani. Una parte di raggi di luce passano sulla lente e vengono messi a fuoco sulla retina, altri passano in altre zone della lente e non vengono messi a fuoco sulla retina. Una lente cilindrica corregge piegando i raggi e li converge. La retina possiede 5 tipi di neuroni: i fotorecettori (coni e bastoncelli), quelle gangliari e le amacrine. Gli assoni delle cellule gangliari si uniscono formando il nervo ottico che trasmette gli impulsi nervosi al talamo che coinvolgerà l’area visiva delle corteccia cerebrale. I nervi ottici sono localizzati nella base dell’ipotalamo formando una struttura a forma di X, il chiasma ottico. CAPITOLO 42 TRASPORTO INTERNO I sistemi circolatori sono specializzati nel trasporto di ossigeno, nutrienti, ormoni, aiutano a mantenere l’equilibrio idrico, a distribuire il calore metabolico all’interno del corpo, a mantenere costante la temperatura e il pH, rimuovendo i prodotti metabolici di scarto. Il sistema circolatorio umano è chiamato sistema cardiovascolare. Un grosso fattore di rischio per le malattie cardiovascolari è l’elevato livello di colesterolo e lipoproteine a bassa densità (LDL) nel sangue. Le lipoproteine ad alta densità (HDL) sembrano avere un ruolo protettivo rimuovendo l’eccesso di colesterolo dal sangue e dai tessuti. Il sistema circolatorio chiuso dei vertebrati comprende: il cuore, i vasi sanguigni, il sangue, la linfa, i vasi linfatici ed organi associati come il timo, la milza ed il fegato. I più piccoli vasi sanguigni, i capillari, hanno delle pareti molto sottili che permettono un rapido scambio di materiali tra il sangue ed il fluido interstiziale (fluido presente tra le cellule). Nei vertebrati il sangue è costituito da un fluido giallastro detto plasma, composto di acqua per il 92%, proteine circa 7% ( fibrogeno, alfa, beta, gamma globulina, albumina) e Sali in cui sono sospese le cellule rosse del sangue, le bianche e le piastrine. Nell’uomo il volume totale di sangue circolatorio è circa l’8% del peso corporeo, circa 5,6 litri in una persona che pesa 70 kg. Circa il 55% del sangue è rappresentato dal plasma, il rimanente 45% è costituito dalle cellule del sangue e dalle piastrine. Gli eritrociti o globuli rossi sono cellule altamente specializzate per il trasporto dell’ossigeno. Nel sangue umano circolano circa 30 trilioni di eritrociti circa 5 milioni per μL (microlitri 10-6). Sono prodotti nel midollo osseo di certe ossa. Durante il loro sviluppo producono grandi quantità di emoglobina, il pigmento che trasporta ossigeno e che conferisce al sangue dei vertebrati il suo colore rosso. La sua vita media è 120 giorni. La produzione è regolata dall’eritropoietina che è liberata dai reni in risposta ad una diminuzione dell’ossigeno. L’anemia è un deficit di emoglobina (accompagnato spesso da una diminuzione del numero dei globuli rossi). Una persona anemica si lamenta spesso di un senso di stanchezza e si affatica facilmente. Le cause possibili di anemia sono tre: perdita di sangue dovuta ad emorragia esterna o interna, diminuzione della produzione di emoglobina o di globuli rossi come l’anemia sideropenica, aumento del tasso di distribuzione degli eritrociti anemie emolitiche come
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l’anemia a cellule falciformi. I leucociti o globuli bianchi, sono cellule specializzate nella difesa dell’organismo da batteri o da altri microrganismi dannosi. Il sangue umano contiene 5 tipi di leucociti: neutrofili, eosinofili, basofili fanno parte dei leucociti granulari, linfociti e monociti fanno parte dei leucociti agranulari. I neutrofili, che rappresentano la principale cellula fagocitaria del sangue, sono specializzati nell’ingestione dei batteri. Gli eosinofili aumentano il numero durante le reazioni allergiche e durante le infezioni parassitarie. I basofili contengono istamina, una sostanza che dilata i vasi sanguigni. I linfociti sono specializzati nella produzione di anticorpi. I monociti sono cellule più grandi tra i leucociti raggiungono 20 micrometri di diametro. Dopo aver circolato nel sangue per circa 24 ore, un monocita lascia il torrente circolatorio e completa il suo sviluppo nei tessuti dove aumenta di volume e diventa un macrofago, una grossa cellula spazzino. La leucemia è una forma di cancro in cui uno dei leucociti si moltiplica rapidamente all’interno del midollo osseo. Molte di queste cellule non maturano e il loro sovraffollamento impedisce lo sviluppo dei globuli rossi e delle piastrine, determinando quindi anemia e compromissione della coagulazione. Una comune causa di morte nelle leucemie è l’emorragia interna, specialmente nel cervello, oppure le infezioni. Le leucemie acute hanno uno sviluppo rapido e sono caratterizzate da un grande numero di leucociti immaturi, mentre le leucemie croniche hanno uno sviluppo più graduale e sono caratterizzate da un grande numero di leucociti maturi. Le piastrine composte dai trombociti, (piccoli frammenti di citoplasma) agiscono nella coagulazione del sangue. Sono circa 300.000 μL. Le piastrine non sono cellule intere, ma frammenti di citoplasma racchiusi da una membrana. Quando un vaso sanguigno viene tagliato si contrae, riducendo quindi la perdita di sangue. Durante il processo di coagulazione la protrombina una proteina del plasma viene trasformata in trombina, che catalizza la trasformazione del fibrogeno, una proteina solubile del plasma nel sua forma insolubile la fibrina che producendo lunghi fili appiccicosi che aderiscono alla superficie danneggiata dei vasi sanguigni formano il tessuto del coagulo. Il sistema circolatorio comprende tre tipi di vasi sanguigni: le arterie, i capillari e le vene. Un’arteria trasporta il sangue lontano dal cuore verso gli altri tessuti. Quando entra in un organo si divide in ramificazioni chiamate arteriole che a loro volta conducono il sangue in piccolissimi capillari. Dopo che il sangue ha attraversato tutto un organo, i capillari si fondono per formare una vena che trasporta indietro il sangue verso il cuore. Le pareti dei vasi sanguigni sono composte di tre strati: il più interno chiamato endotelio, quello di mezzo è costituito da tessuto connettivo e da cellule muscolari lisce, e l’esterno è costituito da un tessuto connettivo ricco di collagene e di fibre elastiche. Il considerevole spessore delle pareti delle arterie e delle vene impedisce il passaggio attraverso esso di gas e di metaboliti. Gli scambi di materiale avvengono tra il sangue ed il fluido interstiziale attraverso le pareti dei capillari. La rete dei capillari è molto estesa tanto che ad ogni cellula arriva un capillare. La lunghezza totale di tutti i capillari è circa 60.000 miglia. Il muscolo liscio delle pareti delle
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arteriole è in grado di contrarsi (vasocostrizione) o di rilassarsi (vasodilatazione) cambiando così il diametro delle arteriole. Durante gli sforzi muscolari le arteriole all’interno dei muscoli si dilatano facendo aumentare così la quantità di sangue che fluisce all’interno delle cellule muscolari. Normalmente il fegato i reni e il cervello ricevono un’aliquota maggiore di sangue rispetto agli altri organi. IL CUORE Il cuore non è molto più grosso di un pugno e di peso inferiore a mezzo kg, è un organo che batte circa 2,5 miliardi di volte in una vita media pompando 300 milioni di litri di sangue. È un organo muscolare cavo, localizzato nella cavità toracica direttamente sotto lo sterno avvolto da una membrana di tessuto connettivo resistente: il pericardio. Tra la superficie interna del pericardio e quella esterna del cuore c’è una piccola cavità pericardica ripiena di liquido che riduce al minimo l’attrito ad ogni battito cardiaco. L’atrio e il ventricolo destro sono separati dall’atrio e dal ventricolo sinistro da una parete o setto. Per prevenire il flusso a ritroso del sangue, il cuore è provvisto di valvole che si chiudono automaticamente. La valvola tra l’atrio destro ed il ventricolo destro è chiamata valvola atrioventricolare (AV) destra, conosciuta come valvola tricuspide. La valvola AV sinistra è detta anche valvola mitrale (o valvola bicuspide). Queste valvole sono come porte oscillanti che possono aprirsi solo in una direzione. Le valvole semilunari, chiamate così per la loro forma a mezzaluna, controllano le uscite del cuore. La valvola semilunare tra il ventricolo sinistro e l’aorta è la valvola aortica, quella tra il ventricolo destro e l’arteria polmonare è la valvola polmonare. Ogni battito è iniziato da un pacemaker chiamato nodo senoatriale (SA), che è una piccola massa di muscolo cardiaco localizzato nella parete posteriore dell’atrio destro, vicino all’apertura di una larga vena, la vena cava superiore. Il cuore batte circa 70 volte al minuto. Un battito completo impiega circa 0.8 secondi e viene definito ciclo cardiaco. La sistole è la contrazione, la diastole è il periodo di rilassamento. Si può misurare il ritmo cardiaco ponendo un dito sopra l’arteria radiale del polso o dell’arteria carotidea del collo e contando le pulsazioni. Ogni volta che il ventricolo sinistro pompa il sangue nell’aorta, le pareti elastiche di questa si espandono per ricevere il sangue. Questa espansione mette in moto un’onda lungo l’aorta. Quando l’onda passa le pareti elastiche della arteria tornano alla loro forma normale. Quando ascoltiamo il battito del cuore con uno stetoscopio si possono udire due suoni prodotti dalla chiusura delle valvole cardiache. Il primo suono cardiaco è causato dalla chiusura delle valvole AV (mitrale e tricuspide) e segna l’inizio della sistole ventricolare. E’ seguito da un suono acuto forte e corto che segna la chiusura delle valvole semilunari e l’inizio della diastole ventricolare. La qualità di questi suoni è indice di stato di buona salute. Quando le valvole semilunari sono danneggiate si sente un rumore debole e sibilante. Tale disturbo è conosciuto come soffio cardiaco e può essere causato da qualsiasi condizione che impedisca alle valvole di chiudersi completamente permettendo così al sangue di refluire durante la diastole. Piazzando degli elettrodi sulla superficie corporea l’attività può essere registrata attraverso l’elettrocardiogramma (ECG). La gittata cardiaca (CO) è il volume di sangue pompato dal ventricolo sinistro nell’aorta in un
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minuto. La gittata varia con i cambiamenti del volume sistolico e del ritmo cardiaco. Il volume sistolico dipende principalmente dal ritorno venoso cioè la quantità di sangue che torna al cuore dalle vene. In accordo con la legge del cuore di Starling, maggiore è la quantità di sangue che arriva al cuore dalle vene e maggiore è la quantità di sangue pompato dal cuore. Sebbene sia capace di battere in modo indipendente il suo ritmo in effetti è attentamente regolato dal sistema nervoso e dal sistema endocrino. I recettori sensoriali sono sensibili ai cambiamenti di pressione del sangue. Quando stimolati, mandano messaggi ai centri cardiaci nel midollo cerebrale. Questi centri mantengono il controllo su due serie di nervi autonomi: i nervi simpatici e parasimpatici che hanno effetti opposti sul ritmo cardiaco. I nervi parasimpatici rilasciano acetilcolina che rallenta il cuore, i nervi simpatici rilasciano noradrenalina che aumenta la velocità del ritmo cardiaco e la forza della contrazione. Durante lo stress le ghiandole surrenali liberano adrenalina e noradrenalina che aumentano il ritmo, come anche un’elevata temperatura corporea può aumentare di molto il ritmo cardiaco. Il ritmo diminuisce quando la temperatura si abbassa. Questo è il motivo per cui la temperatura dei pazienti viene abbassata durante gli interventi chirurgici al cuore. La pressione sanguigna dipende dal flusso del sangue e dalla resistenza che esso incontra. La pressione sanguigna è la forza esercitata dal sangue sulle pareti dei vasi. La resistenza è la resistenza al flusso causata dalla viscosità del sangue e dai fenomeni di attrito tra il sangue e le pareti dei vasi sanguigni. La pressione nelle arterie aumenta durante la sistole e diminuisce durante la diastole. Normalmente deve essere 120/80 millilitri di mercurio (mm Hg). Il paziente può soffrire di pressione alta, ipertensione, dove c’è una resistenza vascolare specialmente nelle arteriose e nelle piccole arterie. La quantità di lavoro del cuore aumenta perché deve pompare contro questa maggiore resistenza. Come risultato il ventricolo sinistro si allarga e la sua funzione può incominciare a deteriorarsi. Fattori ereditari, obesità ed invecchiamento sono molto importanti nello sviluppo dell’ipertensione. Come si può intuire la pressione sanguigna è maggiore nelle grandi arterie, e diminuisce man mano che il sangue si allontana dal cuore. Quando il sangue entra nelle vene è veramente bassa quasi vicina allo zero. La velocità del flusso può essere mantenuta anche nelle vene a bassa pressione perché esse offrono bassa resistenza vasale. Il loro diametro è maggiore di quello delle arterie e nelle loro pareti c’è poca muscolatura liscia. Ogni volta che ci si alza da una posizione orizzontale avvengono dei cambiamenti di pressione. Quando la pressione diminuisce i nervi simpatici delle pareti vasali stimolano una vasocostrizione in modo che la pressione aumenti. I barorecettori presenti nelle pareti di alcune arterie e nella parete del cuore, sono sensibili ai cambiamenti della pressione sanguigna. Quando un aumento della pressione provoca lo stiramento dei barorecettori vengono spediti degli impulsi ai centri cardiaci che stimolano i nervi parasimpatici che rallentano il cuore abbassando la pressione sanguigna. Anche gli ormoni sono coinvolti nella regolazione della pressione del sangue. In risposta alla bassa i reni rilasciano renina. Questo enzima stimola la formazione di angiotensine che sono un gruppo di ormoni che agiscono come potenti vasocostrittori. Le angiotensine aumentano la sintesi e il rilascio di aldosterone, un ormone che aumenta la ritenzione di ioni sodio da parte dei reni il che si traduce in una maggior ritenzione di fluidi ed un incremento nel volume del sangue. Una delle principali funzioni della circolazione è di portare ossigeno a tutte le cellule del corpo.
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Il sangue viene caricato di ossigeno nei polmoni. I mammiferi hanno un doppio circuito di vasi sanguigni: la circolazione polmonare che collega cuore e polmoni e la circolazione sistemica che collega il cuore a tutti i tessuti del corpo. La circolazione polmonare ossigena il sangue. Il sangue ritorna dai tessuti all’atrio destro del cuore parzialmente privato del suo contenuto di ossigeno. Questo sangue povero di ossigeno, ma ricco di anidride carbonica è pompato dal ventricolo destro nella circolazione polmonare. Appena esce dal cuore il largo tronco si ramifica per formare le due arterie polmonari una per ogni polmone. Queste sono le uniche arterie del corpo che trasportano sangue povero di ossigeno. Nei polmoni le arterie polmonari si ramificano in capillari polmonari che fanno pervenire il sangue a tutti gli alveoli dei polmoni. Quando il sangue passa attraverso i capillari polmonari l’anidride carbonica diffonde fuori il sangue negli alveoli. L’ossigeno diffonde dagli alveoli ai vasi sanguigni in modo che quando il sangue entra nelle vene polmonari per ritornare all’atrio sinistro al cuore, è carico di ossigeno. Le vene polmonari sono le uniche vene che trasportano sangue ricco di ossigeno. Riassumendo il flusso del sangue attraverso la circolazione polmonare: atrio dx, ventricolo dx, arterie polmonari, capillari polmonari (nei polmoni), vene polmonari, atrio sx. La circolazione sistematica conduce il sangue ai tessuti. Il sangue che entra nella circolazione sistematica è pompato dal ventricolo sinistro nell’aorta la più grande delle arterie del corpo. Le arterie si diramano dall’aorta portano il sangue in tutte le regioni del corpo. Alcune delle ramificazioni principali comprendono le arterie coronarie che portano il sangue alle pareti del cuore stesso, le arterie carotidi che portano il sangue al cervello, le arterie succlavie nella regione delle spalle, le arterie mesenteriche nell’intestino, le arterie iliache nelle gambe. Ognuna di queste arterie da luogo a vasi di volta in volta più piccoli. Il flusso del sangue arriva con il reticolo dei capillari all’interno di ogni tessuto od organo. Il sangue tornando da reticolo di capillari del cervello, passa attraverso le vene giugulari. Il sangue dalle spalle e dalle braccia è drenato nelle vene succlavie. Queste ed altre vene si riuniscono a formare una grossa vena che porta il sangue nell’atrio destro. Nell’uomo questa vena è chiamata vena cava superiore. Le vene renali dei reni, le iliache degli arti inferiori, le epatiche del fegato, confluiscono nella vena cava inferiore che porta il sangue nell’atrio destro. Esempio della circolazione del sangue attraverso il circuito sistematico: Atrio sx, ventricolo sx, aorta, arteria iliaca, piccole arterie della gamba, capillari della gamba, piccole vene della gamba, vena iliaca, vena cava inferiore, atrio dx. Quattro arterie conducono il sangue al cervello: due arterie carotidi interne e due arterie vertebrali. Alla base del cervello ramificazioni di queste arterie formano un circuito arterioso chiamato circolo di Willis. Il sangue dal cervello ritorna alla vena cava superiore attraverso le vene giugulari interne situate ad entrambi i lati del collo. Il sangue generalmente fluisce dalle arterie ai capillari alle vene al cuore. Un’eccezione a questa sequenza avviene nel sistema portale epatico, che porta il sangue ricco di nutrienti al fegato. Il sangue è portato al piccolo intestino con l’arteria mesenterica superiore. Mentre fluisce il sangue preleva glucosio, aminoacidi ed altri nutrienti. Passa quindi nella vene mesenterica e poi nella vena portale epatica. Invece di portare il sangue direttamente al cuore (come fa la maggior parte delle vene), la vena portale epatica conduce il sangue ricco di nutrienti al fegato. Da luogo quindi ad un esteso reticolo di sottili sinusoidi epatici, le cellule de fegato prelevano i nutrienti e li immagazzinano.
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Il sistema linfatico svolge tre importanti funzioni: raccogliere e rimandare il fluido interstiziale al sangue, difendere il corpo da organismi patogeni mediante i meccanismi immunitari, assorbire i lipidi dall’apparato digestivo. Il sistema linfatico consiste di: vasi linfatici che trasportano la linfa, un liquido acquoso chiaro formato da fluido interstiziale, un tessuto linfatico con grande numero di linfociti. Il tessuto linfatico è organizzato in piccole masse di tessuto chiamate linfonodi e linfonodali. Le tonsille, il timo e la milza che sono costituiti da tessuto linfatico fanno parte del sistema linfatico. Le tonsille sono masse di tessuto linfatico situate sotto il rivestimento della cavità orale e della gola. (Le tonsille faringee situate nella parte posteriore del naso, quando si ingrossano vengono definite adenoidi). Le tonsille servono a proteggere il sistema respiratorio da infezioni da parte di batteri che entrano attraverso la bocca o il naso. Sfortunatamente le tonsille a volte diventano esse stesse infette e devono essere rimosse chirurgicamente. CAPITOLO 43 DIFESA INTERNA DOMANDA: CONOSCERE I PRINCIPALI CONCETTI ALLA BASE DELLA DIFESA IMMUNITARIA La difesa immunitaria è quel meccanismo che l’organismo mette in atto per proteggersi da sostanze estranee, cioè non facenti parte dell’organismo. Patogeno: crea malattia è tutto ciò che reca un alterazione della stabilità e dell’equilibrio organico. I microrganismi come virus e batteri vengono definiti patogeni. Antigene, è una molecola, una qualsiasi sostanza in grado di evocare una risposta anticorpale. Proteine, RNA, DNA sono antigeni. Esistono sostanze self (proprie) che l’organismo è stato abituato e predisposto a riconoscere e non attaccare e non self (non proprie) che sono le truppe nemiche verso le quali l’organismo mette in atto una serie di eserciti che si contraddistinguono per un diverso approccio nell’aggressione, ma con l’unica finalità comune di determinare l’allontanamento del patogeno. L’immunologia è lo studio dei meccanismi specifici di difesa. La risposta immune coinvolge il riconoscimento di molecole estranee ed una risposta mirata alla loro eliminazione. Le cellule bianche (LINFOCITI) sono specializzati per attivare le risposte immuni. Il sistema immunitario si determina perché a livello del midollo osseo c’è una cellula totipotente che potenzialmente può diventare qualsiasi cosa che ha il compito di dare origine a cellule del sistema immunocompetente. Da questa cellula totipotente originano due linee: Un precursore eritroide (si chiama precursore perché è un passaggio per arrivare a una cellula) che darà origine agli eritrociti (globuli rossi) che sono 5.000.000; Una linea bianca che darà origine ai leucociti (globuli bianchi) che sono 5.000/6.000
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che si dirama ancora in mieloide e linfoide dalla linea mieloide si origineranno le cellule che presiederanno l’immunità naturale, che sono i granulociti e monociti. I granulociti (chiamati così perché composti da granuli che contengono lisosomi dovranno avere tanto ergastoplasma e Golgi perché dovranno fare le glicoproteine. Vengono distinti in: neutrofili – eusinofili – basofili. I monociti macrofagi (sono le stesse cellule). Per monociti si intendono cellule della linea mieloide che circolano nel sangue. Quando c’è un’infiammazione, un batterio, il monocita circolante nel sangue periferico viene attratto in base alla secrezione di sostanze chimiche nel sito dell’infiammazione e diventa macrofago. Le cellule sono diverse ma la funzione è unica cioè distruggere tutto ciò che è riconosciuto come estraneo, che significa distruzione anche dell’ambiente dove questo estraneo si è posizionato ed è tipico dell’immunità innata aspecifica. Dalla linea linfoide si originano i linfociti distinti in T B e natural killer che presiederanno l’immunità acquisita, daranno una risposta immune specifica perché risponderanno alla presenza di un antigene e solo a quel tipo di antigene perché ogni linfocita viene costruito sulla base di uno ed un solo antigene. Questa è garanzia di avere una potente risposta mirata senza che vi sia distruzione del contesto attorno all’infiammazione o all’infezione. La rispettiva quota di globuli bianchi (conta leucocitaria) presente nell’organismo è: granulociti (neutrofili 45-75% eusinofili 1-5% basofili 0.5-1% ), linfociti 25-45%, monociti macrofagi (210%). Le cellule del sistema immunitario secernono proteine regolatori dette CITOCHINE. Si dividono in tre gruppi: INTERFERONI, INTERLEUCHINE ed i FATTORI DI NECROSI TUMORALE. INTERFERONI: prodotti dai macrofagi e fibroblasti, inibiscono la replicazione virale ed attivano le cellule chiamate natural killer che hanno azione antivirale. Si usano per il trattamento di parecchie malattie come l’epatite B e C, le verruche genitali, un tipo di leucemia un tipo di sclerosi multipla e si sta cominciando ad usarlo contro le infezioni da HIV e in alcuni tipi di cancro. INTERLEUCHINE: prodotte dai macrofagi e dai linfociti. Sono numerate secondo l’ordine in cui sono state scoperte. Durante l’infezione l’Interleuchina -1 (IL1), può regolare il termostato del corpo nell’ipotalamo dando luogo a febbre. FATTORI DI NECROSI TUMORALE (TNF): secreti dai macrofagi e dai linfociti chiamati cellule T. Il TNF può uccidere le cellule tumorali facendo ben promettere in termini di immunoterapia per i pazienti malati di cancro. A volte le infezioni come la salmonella comportano il rilascio di quantità di TNF e di altre citochine che può portare a uno shock settico con febbre altissima e disfunzione del sistema circolatorio. Il COMPLEMENTO, chiamato così perché completa l’azione di altri meccanismi di difesa, è una serie di proteine che si attivano a cascata fini a produrre molecole in grado di lisare il patogeno. Le proteine del complemento agiscono contro qualsiasi antigene. Esse hanno quattro principali azioni: Lisano la parete cellulare del patogeno; Rivestono i patogeni rendendoli meno scivolosi in modo che i fagociti possano fagocitarli più facilmente;
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Attraggono le cellule bianche del sangue nel luogo d’infezione; Aumentano l’infiammazione stimolando il rilascio di istamina e di altri composti che dilatano i vasi sanguigni ed incrementano la permeabilità capillare. LA RISPOSTA IMMUNITARIA (infiammazione) è la reazione del corpo all’invasione di patogeni o ad una lesione. L’infiammazione è regolata da proteine plasmatiche, da citochine, da sostanze rilasciate dalle piastrine, da determinate cellule bianche del sangue (basofili) e dalle MASTCELLULE, grandi cellule del tessuto connettivo ricche di granuli. Le piastrine, i basofili e le mastcellule rilasciano istamina, che dilata i vasi sanguigni nell’area colpita ed aumentano la permeabilità capillare. Nella regione interessata aumenta il flusso ed arriva un gran numero di cellule fagocitarie come i neutrofili. L’aumento del flusso rende la pelle calda al tatto e si arrossa. I fagociti migrano fuori dai capillari e penetrano nei tessuti infetti. L’aumentata permeabilità permette agli anticorpi di uscire dal torrente circolatorio ed entrare nei tessuti. Quando il volume dei liquidi tissutali aumenta si forma un edema ( gonfiore) che assieme ad alcune sostanze liberate dalle cellule danneggiate causa il dolore. Quindi le caratteristiche cliniche dell’infiammazione sono: calore, edema, dolore ed eventualmente arrossamento. LA FEBBRE è un sintomo clinico della risposta infiammatoria. I macrofagi rilasciano l’interleuchina-1 che regola il termostato del corpo nell’ipotalamo, dando come risultato la febbre. Le prostaglandine (molecole che derivano dagli acidi grassi), sono coinvolte in questo meccanismo di regolazione. La febbre può uccidere alcuni patogeni, causa anche la rottura dei lisosomi distruggendo le cellule infettate dai virus. Promuove l’attività di alcuni linfociti T e la produzione di anticorpi e può aumentare la fagocitosi. Come risultato a breve termine una febbre non troppo elevata può aiutare a ripristinare le condizioni normali. FUNZIONE DELL’INFIAMMAZIONE: è l’aumento della fagocitosi (processo utilizzato dai globuli bianchi per ingerire). Un neutrofilo può fagocitare 20 o più batteri prima di diventare inattivo, un macrofago 1000. I due tipi di risposta immune sono: specifiche e non specifiche. NON SPECIFICHE I meccanismi di difesa non specifici detti anche risposte innate, forniscono una protezione generale contro i patogeni. Impediscono l’entrata della maggior parte dei patogeni nel corpo e distruggono quelli che sono riusciti ad eludere le difese esterne. Ad esempio la pelle rappresenta una barriera per i patogeni che vengono a contatto con il corpo. Il sudore e il sebo contengono sostanze che distruggono alcuni tipi di batteri. Il lisozima un enzima che si trova anche nelle lacrime e in molti tessuti, attacca la parete di molti batteri gram-positivi. I microrganismi che entrano attraverso il cibo sono generalmente distrutti dalla secrezione acida ed enzimatica dello stomaco. I patogeni che entrano nell’organismo attraverso l’aria inalata possono essere trasportati all’esterno dai peli del naso o intrappolati nel muco che riveste i condotti respiratori e successivamente distrutti dai fagociti (cellule che ingeriscono). SPECIFICHE I meccanismi di difesa specifici dette anche acquisite sono strutturati in modo tale da combattere macromolecole specifiche associate ad ogni patogeno. Uno dei principali
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meccanismi di difesa specifici è la produzione di anticorpi, proteine altamente specifiche che riconoscono e si legano con specifici antigeni. I meccanismi specifici comprendono anche la memoria immunitaria, cioè la capacità di rispondere efficacemente ad una seconda invasione di molecole estranee. Appartengono ai meccanismi di difesa specifici: Immunità umorale o anticorpo-mediata, Immunità cellulo-mediata. Nell’immunità umorale o anticorpo-mediata è quella risposta che l’organismo da contro un agente estraneo attraverso la produzione di anticorpi formando immunocomplessi attivando l’infiammazione. Le cellule B o linfociti B sono responsabili. Le cellule B maturano nel fegato fetale e nel midollo osseo adulto. Sono geneticamente programmate per codificare un recettore glicoproteico che si lega con uno specifico tipo di antigene. Quando la cellula B entra in contatto con l’antigene che si lega al suo recettore, essa diventa attiva e si divide rapidamente creando un clone di cellule identiche, che si differenziano in plasmacellule che sono specializzate nella produzione di anticorpi. Una plasmacellula può produrre più di 10 milioni di molecole di anticorpi all’ora. Alcune cellule B attivate diventano cellule della memoria che continuano a produrre piccole quantità di anticorpi anche dopo che l’infezione si è risolta. Nelle cellule della memoria viene attivato un gene della sopravvivenza che permette loro di prevenire la morte programmata che è nel destino delle cellule B. COME SI ATTIVA LA CELLULA B L’ attivazione delle cellule B coinvolge i macrofagi o le cellule dendritiche. I macrofagi e neutrofili fanno parte dei fagociti. Quando un macrofago (cellula spazzino) ingerisce un batterio, digerisce la maggior parte, ma non tutti degli antigeni batterici. I frammenti degli antigeni estranei associati con un certo tipo di molecole proprie (MHC, classe II) vengono esposti sulla superficie del macrofago, che può essere descritto come una cellula che presenta l’antigene (APC) che espone cioè gli antigeni batterici sulla sua superficie. Quando un APC entra in contatto con la cellula T Helper, che possiede i recettori complementari, si mettono in moto meccanismi chimici come la secrezione di citochine. La cellula T Helper interagisce con la cellula B che espone lo stesso complesso. La cellula B si ingrossa e si divide formando cloni di cellule. Alcune si differenziano in plasmacellule formando gli anticorpi che lasceranno la cellula e attraverso la linfa e il sangue arriveranno all’area dell’infiammazione. Gli anticorpi formeranno dei complessi con il patogeno, che scateneranno un processo che porterà alla distruzione del patogeno, altre diventeranno cellule B della memoria. L’MHC è il complesso maggiore di istocompatibilità cioè un gruppo di proteine di membrana, conosciute come antigeni, capaci di distinguere il self dal non self. Questi antigeni sono codificati da un gruppo di geni che hanno all’interno molteplici alleli per ogni locus (qualche volta più di 40 alleli per uno stesso gene). Come risultato le proteine di superficie sono in genere differenti per ogni individuo, a parte i gemelli. Per cui l’MHC da un impronta digitale biochimica. L’MHC è diviso in tre gruppi di geni che codificano differenti gruppi di proteine che differiscono per la loro distribuzione nei tessuti e per la loro struttura chimica:
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MHC classe I: sono antigeni presenti nelle cellule nucleate. Si combinano con gli antigeni estranei prodotti all’interno delle cellule (virus) formando un complesso molecolare che viene esposto sulla superficie cellulare. Questo complesso antigene MHC-antigene estraneo, viene riconosciuto dalle cellule T citotossiche. MHC classe II: sono antigeni presenti sulla superficie delle cellule B, dei macrofagi e le cellule dendritiche (cellule presenti nella milza e nei linfonodi). Si combinano con i frammenti di proteine che sono penetrate nella cellula tramite fonti estranee come i batteri e sono state degradate. Questo complesso antigene MHC-antigene estraneo, viene riconosciuto dalle cellule T helper. MHC classe III: le proteine di questa classe comprendono i componenti del sistema del complemento. CHE COS’E’ UN ANTICORPO Gli anticorpi sono proteine altamente specifiche chiamate immunoglobuline (Ig), che sono prodotte in risposta ad un preciso antigene. Hanno due funzioni: si combinano con l’antigene con l’obiettivo di formare degli immunocomplessi cioè l’unione tra un antigene e un anticorpo e attivano i processi che distruggono l’antigene che lega. L’anticorpo non distrugge direttamente l’antigene che lega. Un anticorpo è una molecola che presenta in genere una struttura formata da quattro catene, due pesanti identiche e due leggere identiche, in ognuna delle quali vi è una parte costante che si impianta nei tessuti e si chiama Fc e una variabile che si chiama Fab che ha una specifica sequenza amminoacidica per ogni tipo di antigene che lega che si chiama epitopo o determinante antigenico. Normalmente un antigene ha molti determinanti antigenici sulla sua superficie e possono differire l’uno dall’altro in modo tale che diversi anticorpi possano combinarsi con un singolo antigene. Questa forma permette all’anticorpo di legarsi con due molecole antigeniche e formare il complesso antigene-anticorpo. Gli anticorpi o immunoglobuline sono raggruppati in cinque classi: IgG, IgM, IgA, IgD, IgE. Nell’uomo il 75% degli anticorpi appartiene alla classe IgG. Le IgG e le IgM agiscono nella difesa verso patogeni trasportati dal sangue, inclusi virus e batteri, stimolando i macrofagi a attivano il complemento. Le IgM hanno una struttura pentamerica a 5 braccia sono la prima linea di difesa dell’organismo, in grado di legare massimamente gli antigeni e quindi garantire soprattutto nella fase iniziale della malattia, una grossa risposta. Le IgA sono presenti nel muco, nelle lacrime, nella saliva nel latte sono secrete nel tubo digerente, nelle vie respiratorie, urinarie e riproduttive. Combattono virus e batteri che possono ledere la superficie epiteliale. Agiscono contro i patogeni inalati o ingeriti. Hanno una struttura dimerica a due braccia. Le IgD sono presenti sulla superficie delle cellule B e le aiutano ad attivarsi. Le IgE si combinano con le mastcellule, cellule del tessuto connettivo che contengono istamina responsabile di molti sintomi allergici. Immunità cellulo-mediata definita così perché mediata dai linfociti T. Le cellule T e i macrofagi sono responsabili dell’immunità cellulo-mediata. Le cellule T derivano dalle cellule staminali del midollo osseo, migrano verso i tessuti linfatici,
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e si fermano nel timo per completare il loro differenziamento. Solo le cellule che possiedono recettori specifici sono selezionate per dividersi, le altre che reagiscono con antigeni self, vanno incontro ad apoptosi. Solo il 10% di cellule T lasceranno il timo per arrivare ai tessuti linfatici o per dare una risposta immunitaria nei tessuti infetti. Le cellule T si dividono in T citotossiche (agiscono direttamente lisando l’estraneo), che con il loro marcatore CD8 riconoscono e distruggono cellule che hanno antigeni estranei sulla loro superficie tipo virus e cellule cancerogene, e T helper (hanno il compito di produrre molecole che si chiamano linfochine che potenzieranno macrofagi e granulociti), conosciute come cellule CD4 che producono sostanze che amplificano la risposta immunitaria. COME SI ATTIVA LA CELLULA T Quando un macrofago (cellula spazzino) ingerisce un virus, digerisce la maggior parte, ma non tutti degli antigeni batterici. I frammenti degli antigeni estranei associati con un certo tipo di molecole proprie (MHC, classe I) vengono esposti sulla superficie del macrofago, che può essere descritto come una cellula che presenta l’antigene (APC) che espone cioè gli antigeni virali sulla sua superficie. Quando un APC entra in contatto con la cellula T Helper che possiede i recettori complementari si mettono in moto meccanismi chimici come la secrezione di citochine. La cellula T Helper interagisce con la cellula T che espone lo stesso complesso. La cellula T attivata aumenta di volume e origina un clone di cellule helper, citotossiche, e memoria. Le cellule T citotossiche lasciano quindi i linfonodi si recano verso l’area infetta, rilasciano proteine in grado di degradare la cellula infetta. Mentre le T Helper e i macrofagi secernono interleuchine che attirano un gran numero di macrofagi nell’area infetta. Immunità attiva può essere indotta artificialmente o naturalmente. Naturalmente con il contagio esempio varicella, morbillo, e artificialmente con il vaccino cioè tramite immunizzazione. Il vaccino è una sostanza che viene ingerita o iniettata contenente i responsabili della malattia infettiva, però in forma meno virulenta. Immunità passiva è una condizione temporanea, dove gli anticorpi sono stati forniti da un altro organismo. Esempio: le donne in gravidanza trasmettono una naturale immunità passiva al feto in via di sviluppo producendo anticorpi IgG per esso, che passano attraverso la placenta. Oppure i bimbi che vengono allattati al seno ricevono le IgA con il latte materno. In una risposta allergica, un allergene può stimolare la produzione di IgE, che si legano con i recettori dei mastociti che liberano istamina ed altre sostanze che causano i sintomi dell’allergia, come l’infiammazione. Le cellule NK e le T citotossiche sembrano quelle più impegnate contro le cellule tumorali. Il mal funzionamento del sistema immunitario può portare a malattie autoimmuni (dove i linfociti sono autoreattivi cioè in grado di agire contro tessuti propri) o immunodeficienze (condizione che aumenta la suscettibilità alle infezioni). La sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS), è causata da un retrovirus noto come virus dell’immunodeficienza umana (HIV). Esso danneggia il sistema immunitario distruggendo le cellule T Helper. La capacità di resistere alle infezioni è gravemente compromessa. CARATTERISTICHE
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Le caratteristiche della risposta immunitaria qualora sia immunitaria acquisita sono: Specificità perché è solo per quel tipo di antigene; Diversità ogni linfocita è specifico per un antigene e solo per quello; Memoria si ricorda di quel tipo di antigene per cui è stato costruito; Autolimitazione perché nel momento in cui sono stati eliminati i patogeni non deve più funzionare; Discriminare self da non self. Gli invertebrati hanno la capacità di riconoscere tra sé e non sé. Danno risposte immunitarie non specifiche come la fagocitosi e la risposta infiammatoria. Nelle malattie autoimmuni l’organismo reagisce contro se stesso perché non riconosce il self dal non self. CAPITOLO 47 REGOLAZIONE ENDOCRINA DOMANDA: ILLUSTRARE LE GENERALITA’ SULLA CLASSIFICAZIONE, SULLA SECREZIONE E SULLA FUNZIONE DEGLI ORMONI NELL’AMBITO DEL PIU’ AMPIO CONCETTO DI RECEZIONE E TRASDUZIONE DEI SEGNALI INTERCELLULARI. Il sistema endocrino consiste in ghiandole endocrine (non hanno dotti), cellule e tessuti che secernono ormoni definiti messaggeri chimici in grado si trasmettere informazioni da una parte all’altra di uno stesso organismo. Vengono secreti nel fluido interstiziale o nel sangue e trasportati dal sangue. Si legano a recettori su o all’interno di tessuti bersaglio. Possono distinguersi 4 categorie: derivati degli acidi grassi ( prostaglandine sintetizzate partendo dall’acido arachidonico); steroidi (la corteccia surrenale i testicoli le ovaie la placenta secernono ormoni steroidei partendo dal colesterolo; derivati degli aminoacidi (ormoni tiroidei e l’epinefrina sono sintetizzati partendo dall’aminoacido tirosina e iodio); peptidi o proteine (sono idrosolubili come l’ormone antidiuretico ADH e glucagone e insulina). La maggior parte degli ormoni è idrofila e non entra nelle cellule bersaglio. Utilizzano la trasduzione del segnale cioè si legano a recettori ( che sono dei trasduttori) sulla membrana plasmatica ed il segnale extracellulare viene convertito in segnale intracellulare che influenza la cellula bersaglio. ORMONE PANCREATICO GLUCAGONE Quando il glucagone si lega a un recettore per il glucagone situato sulla superficie della membrana plasmatica, l’ormone modifica la forma del recettore. Questo evento di legame attiva una proteina G visto che si lega al GTP (guanosin 3fosfato) un trasportatore d’energia, che attiva un enzima situato sulla superficie interna della membrana detto adenilato ciclasi (nello specifico la proteina Gs attiva, mentre la G1 inibisce l’adenilato ciclasi), che converte
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l’ATP in AMP ciclico (cAPM) un secondo messaggero (l’energia per fare questo è fornita dal GTP che viene idrolizzato (cioè la scissione di una molecola causa addizione di acqua) in GDP. Il cAMP diffonde nel citoplasma dove attiva le proteinchinasi enzimi in grado di fosforilare (aggiungere fosfati) ad una proteina che cambia la sua funzione e scatena una serie di reazioni. Quando il glucagone si lega ad un epatocito (cellula del fegato) determinando la sintesi di cAMP la protein-chinasi attivata attiva un enzima che scinde il glicogeno in glucosio. Di conseguenza la secrezione di glucosio fa aumentare la glicemia. L’intervento di due messaggeri (un ormone e il cAMP) amplificano il segnale iniziale. Il legame di una molecola di glucagone a livello della superficie cellulare promuove la sintesi di migliaia di molecole di cAMP all’interno della cellula. Quindi una piccola concentrazione ematica di ormone è capace di produrre una risposta rapida e massiva all’interno di una cellula bersaglio. L’incremento di cAMP è temporaneo, ed è inattivato da enzimi conosciuti come fosfodiesterasi che lo convertono in AMP. ORMONE STEROIDEO Questo ormone agisce in modo diverso. E’ idrofobo e diffonde attraverso la membrana dove si lega a una specifica molecola recettrice citoplasmatica. Poi il complesso recettore-ormone entra nel nucleo e si attacca a un sito specifico sul cromosoma. L’attaccamento attiva quei geni che sono responsabili della modificazione indotta dall’ormone come i geni necessari per la costruzione del fusto di un pelo per opera di un follicolo pilifero precedentemente dormiente sulla guancia di un adolescente. CAPITOLO 48 LA RIPRODUZIONE DOMANDA: DESCRIVERE I MECCANISMI DELLA RIPRODUZIONE La riproduzione è il processo con cui vengono generati nuovi discendenti e può essere asessuale e sessuale. Nella asessuale, un singolo individuo produce tramite un processo di scissione, frammentazione, o gemmazione due o più individui figli che mostrano le sue stesse caratteristiche. La riproduzione sessuale si ottiene con l’unione di uno spermatozoo e di una cellula uovo. Molti animali acquatici effettuano la fecondazione esterna nella quale i gameti si incontrano all’esterno del corpo. I due partner di regola emettono simultaneamente uova e spermatozoi direttamente nell’ambiente acquatico. Nella fecondazione interna il maschio generalmente rilascia gli spermatozoi direttamente all’interno delle vie genitali. L’ermafroditismo è una forma di riproduzione sessuale nella quale un singolo individuo produce sia uova che spermatozoi. RIPRODUZIONE UMANA
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IL MASCHIO PRODUCE SPERMATOZOI, LA DONNA CELLULE UOVO E PROVVEDE ALLO SVILUPPO DELL’EMBRIONE. UOMO Nell’uomo il processo di formazione degli spermatozoi ovvero la spermatogenesi avviene in due organi definiti gonadi o testicoli e più precisamente all’interno di una complessa rete di strutture tubulari definite tubuli seminiferi presenti in ciascun testicolo. La spermatogenesi ha inizio da cellule indifferenziate, gli spermatogoni, cellula ancora diploidi che si dividono ripetutamente per mitosi e aumentano di numero. Un certo numero di spermatogoni aumenta di dimensioni e si trasforma in spermatociti primari che iniziano il processo di meiosi e sono sempre diploidi. Ogni spermatocita primario va incontro a una prima divisione meiotica e produce due spermatociti secondari aploidi. Alla seconda divisione meiotica da ogni spermatocita secondario derivano due spermatidi. In definitiva da ogni spermatocita primario si originano quattro spermatidi aploidi e attraverso una serie di modifiche morfologiche si trasformano in spermatozoi maturi. Lo spermatozoo maturo consiste di una testa, un tratto intermedio e un flagello. La testa è formata dal nucleo e da una porzione detta acrosoma che produce enzimi che consentono allo spermatozoo di penetrare all’interno della cellula uovo. I mitocondri forniscono l’energia necessaria al movimento del flagello. Gli spermatozoi umani non possono svilupparsi alla normale temperatura corporea, infatti due mesi prima della nascita discendono nello scroto, che serve come struttura di raffreddamento e mantiene gli spermatozoi a circa 20 C di temperatura al sotto di quella corporea. Dopo aver completato la maturazione gli spermatozoi vengono immagazzinati nell’epididimo e nei vasi deferenti. Durante l’eiaculazione, gli spermatozoi passano dai vasi deferenti nel corto dotto eiaculatore e confluiscono nell’uretra, (condotto impari che a seconda delle circostanze può trasportare urina o sperma e si prolunga attraverso il pene fino all’esterno del corpo). Oltre ai testicoli ci sono tre strutture ghiandolari che aggiungono il loro secreto al seme e sono: le vescichette seminali contribuiscono per il 60% del volume totale del seme che contiene fruttosio fonte d’energia per gli spermatozoi, la prostata il cui secreto è di pH alcalino che riesce a bilanciare l’acidità dei residui di urina presenti nell’uretra e le ghiandole bulbo uretrali. E’ accertato che il loro secreto contiene spermatozoi rilasciati in anticipo rispetto all’eiaculazione massiva e sembra rappresentare uno dei fattori della mediocre affidabilità del metodo di controllo delle nascite tramite la retrazione del pene dalla vagina prima dell’orgasmo. Nella fase di eiaculazione vengono emessi circa 3.5 ml di sperma o liquido seminale, contenente circa 200 milioni di spermatozoi. Con meno di 35 milioni/ml le possibilità di fecondare sono scarse, sotto i 20 milioni/ml si considera sterile. LA REGOLAZIONE ORMONALE DELL’ATTIVITA’ RIPRODUTTIVA MASCHILE Coinvolge: ipotalamo, ipofisi e testicoli. L’ipotalamo comincia a produrre uno specifico ormone definito fattore di rilascio delle gonadotropine (GnRH) che stimola l’ipofisi anteriore a produrre l’ormone follicolo-stimolante (FSH) e l’ormone lutienizzante (LH). Questi due ormoni inducono i testicoli a produrre testosterone e stimolano la
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spermatogenesi. Il testosterone rappresenta il principale ormone androgeno (qualsiasi ormone in grado di stimolare e mantenere i caratteri sessuali maschili). DONNA Al pari delle gonadi maschile, le ovaie producono sia gameti che ormoni sessuali. Il processo di maturazione della cellula uovo viene definito ovogenesi. Nelle ovaie le cellule sessuali immature sono definite ovogoni. Nel corso dello sviluppo embrionale aumentano di dimensioni e si trasformano in ovociti primari che sono ancora diploidi. Un ovocita primario circondato di cellule follicolari costituisce il follicolo ovarico. Con l’inizio della pubertà di regola ogni mese un follicolo riprende la maturazione in risposta allo stimolo dell’FSH secreto dall’ipofisi anteriore. Quando il follicolo cresce, l’ovocita primario va incontro alla prima divisione meiotica e forma due cellule di differente grandezza cioè l’ovocita secondario e un globulo polare che potrà a sua volta dividersi e produrre due globuli polari destinati a degenerare. Al momento dell’ovulazione, l’uovo (in fase di ovocita secondario) viene espulso attraverso la parete dell’ovaia e cade nella cavità pelvica. La parte di follicolo che rimane nell’ovaia si trasforma in corpo luteo, una struttura ghiandolare transitoria che produce estrogeni (qualsiasi sostanza in grado di influire sullo sviluppo e il mantenimento dei caratteri sessuali) e progesterone (ormone steroideo responsabile della preparazione alla gravidanza degli organi riproduttivi femminili e nel mantenimento dell’utero in condizioni necessarie per lo sviluppo dell’embrione. Dopo l’ovulazione, l’ovocita secondario entra nell’ovidotto dove può essere fecondato e va incontro alla seconda divisione meiotica, ma si blocca in metafase fino al momento in cui eventualmente si verificherà la fecondazione. Se ciò accade la meiosi procede e da luogo a una cellula uovo e un secondo globulo polare, che serve unicamente a realizzare il dimezzamento del corredo cromosomico. Successivamente le contrazioni peristaltiche della parete muscolare della tuba e il movimento cigliare favoriscono il movimento dell’ovocita verso l’utero. L’utero è un organo dalle dimensioni di un pugno è provvisto di muscolatura liscia e di una mucosa, l’endometrio, che si ispessisce mensilmente in preparazione a una possibile gravidanza. Se l’ovocita viene fecondato, l’embrione appena formatosi viene trasportato nell’utero e si annida nell’endometrio. Qui esso cresce e si sviluppa, nutrito e ossigenato da vasi sanguigni materni. Se la fecondazione non si realizza, l’endometrio degenera e viene eliminato nel corso di un processo definito mestruazione. LA REGOLAZIONE ORMONALE DELL’ATTIVITA’ RIPRODUTTIVA FEMMINILE La regolazione ormonale dell’attività riproduttiva femminile coinvolge: ipotalamo, ipofisi e ovaie. Il primo giorno del ciclo mestruale corrisponde al primo giorno delle mestruazioni. L’ovulazione si verifica al 14° gg di un tipico ciclo di 28 gg. Durante la fase preovulatoria del ciclo l’ormone GnRH prodotto dall’ipotalamo induce l’ipofisi a secernere FSH che stimola lo sviluppo del follicolo ovarico. Quest’ultimo rilascia estrogeni che stimolano l’accrescimento dell’endometrio e segnalano all’ipofisi di produrre LH che a sua volta stimola l’ovulazione. Durante la fase post ovulatoria, l’LH stimola lo sviluppo del corpo luteo che secerne estrogeni e progesterone che determinano la preparazione finale dell’utero a una eventuale
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gravidanza. Durante la fase post ovulatoria, gli estrogeni inibiscono il rilascio di GnRH, FSH, LH. Se l’ovocita secondario viene fecondato inizia lo sviluppo e il giovane embrione si annida nella parete dell’utero; le membrane che si formano attorno all’embrione producono gonadotropina corionica umana (hCG), un ormone che mantiene in attività il corpo luteo. Se la fecondazione non avviene il corpo luteo degenera, la concentrazione di estrogeni e progesterone nel sangue si abbassa e si verifica la mestruazione. Mestruazioni: fenomeno fisiologico ciclico consistente in un versamento dell’endometrio uterino e caratterizzato da sanguinamento vaginale della durata di 3/7 gg che si ripete regolarmente ogni 28gg. Parte dalla pubertà con il menarca (le prime mestruazioni), si interrompe con la gravidanza e termina con la menopausa. Per confronto: nel maschio ogni spermatocita primario produce quattro spermatozoi, nella femmina da ogni ovocita primario si ottiene soltanto una cellula uovo matura e tre globuli polari. L’ormone steroideo è qualsiasi composto organico prodotto e secreto da una ghiandola endocrina e trasportato in circolo sanguigno ad un organo bersaglio su cui agisce modificandone la funzione e generalmente stimolandone l’attività. I principali ormoni steroidei maschili sono gli androgeni il più importante è il testosterone. Sono prodotti nel testicolo e determinano lo sviluppo delle caratteristiche primarie (apparato riproduttore i dotti i genitali esterni e la produzione di spermatozoi) e secondarie che sono collegate alla mascolinità (la profondità della voce, i peli facciali e ascellari e la notevole massa muscolare). Il testosterone ha attività anabolizzante nei confronti delle proteine. Sia la produzione di androgeni sia la maturazione degli spermi rappresentano processi controllati dall’ipotalamo e dagli ormoni dell’adenoipofisi.
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