[Riassunto] P. Zanker - Augusto e Il Potere Delle Immagini

January 12, 2017 | Author: gazzellone | Category: N/A
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Paul Zanker

AUGUSTO E IL POTERE DELLE IMMAGINI CAPITOLO 1 – IMMAGINI CONTRADDITTORIE. LA REPUBBLICA AL TRAMONTO Le statue onorarie nude ellenistico-macedoni, celebravano con fisicità e fierezza, le virtù sovrumane/divine del soggetto. Nella tradizione romana, priva di questi confronti ed esaltazioni, la statua celebrativa era quella togata, simbolo di sobrietà. Mentre una statua equestre poteva essere accettata dai romani, una statua nuda appariva probabilmente irritante e immorale. Il processo di ellenizzazione della mentalità romana è determinato dall’immigrazione, e dai viaggi in oriente dei condottieri. Le vittorie dei grandi venivano celebrate con spettacoli di iconografie e rituali greci (es. Gaio Mario che imita Dionisio). Il senato, che cercava attraverso leggi di limitare lusso e spese pubbliche, nulla poteva contro l’ellenizzazione della sfera privata. L’incontro tra ricchi nobili romani e abili artisti ellenici, determina una situazione dal linguaggio scultoreo contraddittorio. L’uso inflazionato, da parte di generali e magistrati, di statue nude o armate di stile ellenistico, privò presto queste immagini del loro significato, facendo dipendere la forza del messaggio sempre più dal numero e dalle dimensioni dei manufatti. La rivalità tra committenti, determina una corsa al realismo delle statue, che dovevano mostrare gli aspetti inconfondibili e peculiari del rappresentato, conferendogli però il tipico pathos ellenistico. Si determina un contrasto tra l’ammirazione per i grandi ellenici, e la fedeltà alla repubblica. Esempio eclatante è quello di Pompeo, che aveva ripreso acconciatura e vestiario di Alessandro, tentando (senza successo) l’entrata in città con elefanti. Dalla fine del II secolo, si fa sempre più evidente la volontà dei politici di celebrare meriti e glorie personali o famigliari. I funzionari della Zecca facevano coniare monete che celebravano le origini delle proprie famiglie, mentre i censori si celebravano il terminato incarico con rituali e rilievi in cui erano rappresentati accanto a divinità come Marte e Poseidone. I nobili che non vantavano ascendenze mitiche commissionavano effigi o monete che celebravano le loro famiglie o loro stessi. Questo esibizionismo e bisogno di affermazione sociale sono sintomi della crisi sociale in atto. Sono sempre più numerose lungo le vie cittadine le costruzioni funerarie di aristocratici e benestanti, che commemoravano in modo monumentale (più delle tombe dei consoli) qualsiasi membro della famiglia, senza differenze di merito e prestigio. La rivalità, spinge i committenti a puntare sulle dimensioni e accumulo di elementi architettonici, che rendevano però poco chiara la funzione del monumento. Nasce così l’ecclettismo formale ellenistico, tipico delle costruzioni tardo repubblicane. L’immagine urbana di Roma come specchio della situazione politica e sociale All’epoca delle guerre sociali e civili, l’immagine urbana di Roma variava da magnifici palazzi, a quartieri affollati del centro. Durante la dittatura di Silla, la costruzione di sontuose ville, segna il dilagare del lusso sfrenato e il forte contrasto tra ricchezza e povertà. Crescita demografica e speculazione immobiliare, avevano portato alla costruzione di edifici scadenti (troppo alti e stretti) causa di incendi e rivolte. In questo contesto, i palazzi sorgevano come piccole città murate. La mancanza di veduta d’insieme da parte del Senato, determina per la capitale una situazione edilizia indegna. Impietoso è il confronto con lo splendore delle città greche d’oriente e delle antiche città campane e laziali come Capua, Tivoli e Palestrina (dotate di splendidi santuari, edifici pubblici e piazze). Nonostante le limitazioni al lusso privato, la regolazione della crescita urbana e il restauro di vecchi templi, non si era mai provveduto all’elaborazione di un coerente piano urbanistico (Cesare prevedeva addirittura la costruzione di una nuova città di tipo ellenistico ritenendo insalvabile la vecchia capitale). I generali puntarono alla costruzione di imponenti monumenti e strutture spettacolari con finalità votiva e religiosa. Il Senato invece si limitò ad impedire la costruzione di edifici dedicati al tempo libero che avrebbero permesso assemblee e manifestazioni, permettendo ai privati la realizzazione di sole strutture religiose. Monumenti apparentemente pubblici come il Tempio della Concordia o il Tabularium non celebravano la repubblica, bensì il predominio di una categoria o famiglia. La volontà di riprendere modelli ellenistici, ma di mantenersi fedeli alla tradizione, determinava soluzioni spesso contraddittorie sia dal punto religioso (es. Giove rappresentato con le fattezze di Zeus) che compositivo (es. Statue delle divinità protettrici cui era dedicato il tempio collocate in nicchie in secondo piano). Mentre i capi facevano costruire lussuosi templi marmorei per le proprie divinità, molti culti antichi caddero nell’oblio, e con essi templi e santuari. Le costruzioni dei grandi raggiunsero una nuova dimensione con il teatro che Pompeo donò alla città (le cui statue esemplificavano il suo culto della personalità), e con il Foro che Cesare fece costruire accanto al vecchio Foro (che celebrava Venere Genitrice capostipite della gens Iulia e la sua origine divina). Esempi successivi di culto della personalità furono gli edifici fatti costruire da Ottaviano prima della battaglia di Azio (Tempio di Apollo e Mausoleo). L’immagine urbana del tempo, non si identificava con lo Stato; non si trattava di immagine simboli della collettività, ma monumenti che dichiaravano il declino dello Stato e il trionfo degli interessi privati. Tutto nelle città dimostrava lo strapotere e l’ambizione dei grandi. La villa e la nascita della sfera privata

Nelle antiche città campane e laziali il processo di ellenizzazione era stato meno problematico di quello romano. Città come Pompei e Capua presentavano strutture e edifici di una moderna città ellenistica, mentre il Tempio della Fortuna di Palestrina e quello di Ercole a Tivoli superavano la grandezza dei maestosi edifici orientali. Nel clima libero della Campania del II secolo, gli aristocratici costruivano lussuose case di campagna, mentre a Roma il Senato si dimostrava ostile verso la cultura ellenistica. Le ville rappresentavano il prodotto di una nuova cultura, propizia alle forme di vita importate dalla Grecia, luoghi nei quali, lontano da Roma, aristocratici fedeli alla tradizione poteva sfogarsi, abbandonandosi a svaghi e lussi della cultura greca. Si produsse una vera e propria spaccatura tra sfera privata e pubblica. Le ville divennero il centro di una vita più libera ed estroversa, il cui bisogno era alimentato dai freni morali della vita cittadina. Simbolo di prestigio e ricchezza, le ville erano munite di molteplici ambienti, a cui corrispondevano opportune statue, simbolo della grecità. Ecco quindi che i portici ospitavano statue di atleti e divinità, sale, le biblioteche busti di poeti, filosofi e oratori), pinacoteche e giardini, rappresentando un vero e proprio campionario della cultura greca. Nella villa di Sperlonga si giunge addirittura a mettere in scena il mito omerico in una grotta naturale. La migliore idea d’assieme di una villa romana è la villa museo fatta costruire da P. Getty che riproduce fedelmente la Villa dei Papiri di Ercolano. L’aspetto più interessante è l’assenza di tematiche romane; come in quasi tutte le ville, sono assenti raffigurazioni di miti, ero, intellettuali o virtù romane, alle quali vennero preferite raffigurazioni di poeti, filosofi, oratori o sovrani ellenistici. La tradizione politica romana troverà spazio nel mondo dell’ozio solo in epoca imperiale. La pittura sostituiva l’ambientazione sognata o accresceva il lusso effettivo mostrando immagini di favolosa ricchezza. Vedute di santuari e di scene mitiche creavano un grande effetto scenografico e dimostravano un bisogno quasi nevrotico di sfarzose e grandiose prospettive architettoniche. Nessuno dei soggetti rappresentati ha a che fare con la vita a Roma. Come le statue, le immagini evocavano associazioni erudite e soddisfacevano bisogni di splendore e bellezza. Dopo la svolta augustea queste pareti saranno viste come simboli di lussuria e ipocrisia. La fuga nella cultura greca riguardava anche l’abbigliamento; indossati mantello, sandali e corona greci, il romano si sentiva letterato e artista, Greco fra i Greci, e così si faceva immortalare. Tolta la toga, il romano deponeva la sua romanità. Il sorgere di uno spazio vitale privato sottratto alla sfera della repubblica, evidenziava il declino di un sistema di valori, creando due mondi, due lingue e una doppia morale. Il mondo dell’ozio permetteva un godimento della cultura greca, una vita intellettuale libera da obblighi.

CAPITOLO 2 – IMMAGINI ANTAGONISTE. LA LOTTA PER IL POTERE ASSOLUTO È dopo la morte di Cesare che contraddizioni del linguaggio visivo e declino del sistema politico raggiungono il loro culmine. Il massiccio uso di forme e simboli greci da parte di Ottaviano e Antonio li faceva sembrare due sovrani ellenistici in lotta per il dominio su Roma. Divi filius Quando il giovano Ottavio scese sul terreno di guerra per entrare in possesso dell’eredità del padre adottivo, doveva la sua posizione unicamente al suo nome. Senza lasciar dubbi, rivendicava onori e posizione del padre, indicando la statua dell’assassinato, tra nobili stupiti e costernati. Ottaviano modificò il suo stile politico solo raggiunto il potere assoluto, ripristinando la repubblica (27 a.c.) e ottenendo il titolo di Augusto, in quanto salvatore dei cittadini. Da quel momento fece di tutto per tagliare i ponti con il passato e far dimenticare gli avvenimenti succeduti al 44. Parole ed azioni erano state funzione della lotta per il potere. La rivalità tra i due antagonisti aveva avuto un ruolo decisivo, condizionando le rispettive immagini e la loro traduzione nel linguaggio delle forme artistiche. Volontà principale di Ottaviano era di mantenere tra veterani e plebe la memoria di Cesare, mediante una campagna di divinizzazione del dittatore assassinato. La cometa apparsa nel giorno del Ludi Victoriae Caesaris, voluto da Ottaviano, era stata interpretata come segno della divinizzazione di Cesare. Subito dopo venne consacrata nel Foro una statua di Cesare, sul cui capo Ottaviano fece mettere una stella. Ottaviano propagandò la credenza nella stella, ponendo il simbolo su tutte le statue di Cesare e sul suo stesso elmo. La stella cominciò ad essere interpretata come simbolo di un età felice e prospera ed il segno si diffuse presto su monete, anelli e sigilli. Nel 42 Ottaviano stabilì che il culto di Cesare (Divus Iulius) entrasse ufficialmente nella religione di stato, e ne impose la venerazione in tutte le città d’Italia. Da allora poté chiamarsi Divi Filius. La moneta del tempio del Divo Giulio, è un esempio del modo particolare in cui Ottaviano usava il linguaggio delle immagini. Nel timpano, compare ben visibile il sidus Iulium e subito sotto la scritta dedicatorio DIVO IULIO. Di fianco al tempio si vede l’altare commemorativo, che secondo la leggenda era stato eretto spontaneamente dalla folla dopo l’assassinio del dittatore. La stella di Cesare viene sempre più celebrata da poeti e monete, divenendo elemento di grande efficacia simbolica. Gran parte delle immagini diffuse dai seguaci di Ottaviano avevano come protagonista Cesare e i suoi simboli (sedia dorata e corona). Ottaviano riprende la immagini di Venere e Enea usate da Cesare per rivendicare le origini divine della gens Iulia, mentre Marco Antonio non poteva contrapporre nulla di simile. La somiglianza del figlio con il padre vengono messe in risalto da numerose monete. Molte immagini diffuse da Ottaviano e seguaci, riprendevano quelle usate dal dittatore (Venere ed Enea) per rivendicare l’origini divina della propria gens (cosa impossibile per Antonio), o celebravano Cesare stesso e i suoi simboli (sedia dorata e corona). Le monete evidenziano la somiglianza tra padre e figlio adottivo, la cui immagine era basata su quella del giovane Alessandro. Questo sfruttamento politico sistematico delle immagini era una novità rispetto alla propaganda familiare del passato. Le statue trionfali del giovane Cesare, che ne celebrano qualità militari e meriti, diventano simbolo della sua ascesa politica. La prima (e più importante) di queste, fu la statua equestre dorata della tribuna dei rostra (43 a.C.). Il monumento, voluto dal senato, riconosceva il ruolo di Ottaviano come condottiero della repubblica e gli riservava un posto di prestigio nel senato. Le lettere SC presenti nelle raffigurazioni numismatiche della statua, sottolineano l’ufficialità del decreto che legittima la statua.

CAPITOLO 3 – LA GRANDE SVOLTA. IN NUOVI SEGNI E IL NUOVO STILE POLITICO

CAPITOLO 4 – IL PROGRAMMA DI RINNOVAMENTO CULTURALE

CAPITOLO 5 – LO SCENARIO MITICO DEL NUOVO STATO

CAPITOLO 6 – IL LINGUAGGIO FORMALE DEL NUOVO MITO

CAPITOLO 7 – LE NUOVE IMMAGINI E LA VITA PRIVATA

CAPITOLO 8 – LA DIFFUSIONE DEL MITO IMPERIALE

CONCLUSIONE Il seculum augustum segna una svolta per i vocabolari artistico, architettonico e visivo, e dà vita a forme che trasformano l’immagine delle città, in una rottura epocale (anche politica), simile a quella avvenuta tra età arcaica ed ellenismo. Il potere delle immagini fu fattore importante nell’ingresso di Roma nel mondo ellenistico e nella dissoluzione della repubblica. Gli artisti si confrontarono con nuove forme (assimilate diversamente dai generi) concorrendo allo sviluppo di un ecclettismo formale ricco e suggestivo, che fa della tarda repubblica l’età d’oro dell’arte romana dal punto di vista creativo. La normalizzazione della vita culturale romana, avviata dalla monarchia, si configura come l’inversione del passato processo di influenza eterogenea dei centri ellenistici su Roma, che assume il ruolo di centro propulsivo di una nuova cultura unitaria. Il clima di rivalità tra privati e l’ecclettismo formale tardo ellenistico precedenti ad Azio, vengono sostituiti in epoca imperiale da un linguaggio visivo che ha come fulcro lo Stato e l’imperatore, quest’ultimo centro non solo di culto, ma modello per eccellenza emulato esteticamente (moda, abbigliamento, pettinatura) anche da comuni cittadini. L’uso di immagini politiche e di omaggi imperiali si estende ad ambiti e classi sociali sempre più ampie; ecco quindi che semplici uomini vengono celebrati come eroici imperatori e donne comuni ricordate come dame imperiali (le qualità del defunto sono celebrate con formule retoriche). Ideologia che ancora maggiormente influenza il nuovo sistema di valori e linguaggi visivi, è la visione dell’epoca imperiale come un rinascimento che coniuga ai modelli greci le condizioni di pace, benessere e moralità. Pubblica magnificenza e classicismo, punti fondamentali del rinnovamento del capitale, avevano formato un linguaggio visivo omogeneo, che coinvolgeva tutti gli abitanti dell’impero in una cultura classica con sistema di valori comune (e che affascinò fino al III secolo d.C. le città di nord africa e medio oriente). Il programma augusteo di rinnovamento, accoglie l’eredità della Grecia purificandola da peccato e lussuria. In accordo con nuova linea politica, statue, figure, forma architettoniche greche entrano sia nel pubblico che nel privato, mettendo fine ai conflitti tra le due sfere che avevano caratterizzato l’ellenizzazione della tarda repubblica. L’omaggio imperiale alla cultura greca (molto spinto nel caso di Adriano e Marco Aurelio), rende miti, arte, e filosofia greci, elementi dello stile ideale di vita di tutti i ceti sociali (i surrogati letterari e figurativi greci divengono status symbol). Alla privatizzazione imperiale di elementi del vecchio immaginario politico, si aggiunge quindi la riproduzione/citazione sfrenata della cultura greca in contesi privati (cittadini ritratti come filosofi, abitazioni e sarcofagi arredati con versi e raffigurazioni greche che simboleggiano le virtù dei defunti). Il linguaggio imperiale veniva continuamente semplificato, sviluppato, accentuato. Nel tempo vengono accentuate le qualità militari dell’imperatore, e rese più sontuose feste e celebrazioni, mentre la sua immagine borghese perde importanza. Le allegorie dei rilievi funerari, enfatizzano più direttamente le virtù del defunto, allo stesso tempo mitologia, iconografia e stile classico perdono terreno. Durante I e II secolo la relativa stabilità del potere mantiene immutate le linee portanti del sistema. Le innovazioni venivano di norma dall’alto e si diffondevano da Roma, ma senza controlli o precise campagne di propaganda. Il successo delle iniziative dei singoli gruppi, richiedeva quasi necessariamente il consenso imperiale o della nobiltà romana. Alcuni modelli, una volta accettati, si conservavano spesso per generazioni, nonostante i motivi non fossero d’attualità. In settori come architettura tradizionale a colonne, scelta di miti/capolavori greci e schemi decorativi, non vi fu alcuna innovazione. L’idea di perfezione e validità assoluta dei modelli greci è simbolo della staticità della cultura del tempo, contraria ad alcun tipo di innovazione che non fosse in tecniche artigianali. Forme architettoniche e immagini non invecchiarono, permettendo ai nuovi e sontuosi monumenti di rimanere omogenei al costruito. Questo fu uno dei tanti elementi che contribuì alla stabilità del sistema politico-sociale romano. L’immobilità di questa cultura del benessere, uniforme e diffusa, determina, rispetto alla cultura ellenistica, fenomeni di stagnazione/normalizzazione in architettura, arte, filosofia, poesia e tecnica. Si sviluppa per controtendenza, una florida cultura di imitazioni, compilazioni e virtuosismi. Le novità effettive si hanno solo dopo Augusto, quando il potere entra in scena con iniziative economiche e militari, riorganizzazione delle masse urbane e dell’approvvigionamento, problemi che pongono architettura e urbanistica di nuovo in primo piano.

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