Riassunto Del Libro Economia Samuelson
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CAPITOLO I: Le basi dell’economia (pag. 3 – 23) Introduzione L'economia è lo studio del modo in cui le società utilizzano risorse scarse per produrre beni utili, e di come tali beni vengono distribuiti tra i diversi soggetti. Il nostro è un mondo dominato dalla scarsità e pieno di beni economici. Si ha una situazione di scarsità quando i beni sono limitati rispetto ai desideri. Se si sommano tutti bisogni, è facile rendersi conto che non esistono beni e servizi sufficienti per soddisfare anche solo una piccola parte del desiderio di consumo di ciascuno. Data la limitatezza dei bisogni, è importante che un sistema economico utilizzi al meglio le proprie risorse limitate. Questa affermazione introduce l'importante concetto dell'efficienza: efficienza significa miglior utilizzo possibile delle risorse economiche al fine di soddisfare i bisogni e desideri degli individui. Adam Smith è di solito considerato il fondatore della microeconomia, la branca dell'economia che oggi si occupa del comportamento di singole entità, quali i mercati, le imprese, e le famiglie. Smith affrontò il modo in cui vengono fissati i singoli prezzi, studiò i meccanismi di determinazione dei prezzi di terra, lavoro e capitale e analizzò i punti di forza e di debolezza del meccanismo dei mercati, ma identificò soprattutto le importanti proprietà di efficienza dei mercati, la "mano invisibile" che produce un bene comune, al di là delle azioni di singoli individui mirati al perseguimento dei propri interessi. La macroeconomia era la branca dell'economia che si occupava dell'andamento complessivo di un sistema economico. La macroeconomia odierna, invece, si occupa di un'ampia gamma di settori, dalla determinazione dell'investimento e del consumo totali, alla gestione della moneta e dei tassi d'interesse da parte delle banche centrali per arrivare alle cause delle crisi finanziarie internazionali e infine ai motivi per i quali la crescita è rapida in alcuni paesi e stagnante in altri. Gli economisti per comprendere la vita economica utilizzano il metodo scientifico, che comporta l'osservazione dei fenomeni economici e il ricorso a statistiche e dati storici per interpretarli. Spesso l'economia si fonda su analisi e teorie che consentono anche generalizzazioni, per esempio riguardo ai vantaggi offerti dal commercio internazionale e dalla specializzazione o agli svantaggi causati dai dazi doganali e dai contingentamenti. Poiché le relazioni economiche sono spesso complesse e comprendono molte variabili diverse, è facile che si ingeneri confusione sul motivo preciso o sull'impatto delle politiche sull'economia. Tra gli errori comuni commessi nel ragionamento economico rientrano i seguenti: • Errore del post hoc. Questo errore riguarda l'inferenza di causalità: si verifica quando supponiamo che, dal momento che un fenomeno si è verificato prima di un altro, il primo ha provocato il secondo. • L'ipotesi della parità di altre condizioni. Per non commettere errori occorre ricordare che tutti fattori tranne quello considerato vanno mantenuti uguali o costanti. • L'errore di composizione. In economia scopriamo spesso che il tutto è diverso dalla somma delle parti. Quando si suppone che ciò che vale per una parte sia valido anche per il tutto si commette l'errore di composizione. Il fine ultimo della scienza economica consiste nel migliorare le condizioni economiche degli individui nella loro vita quotidiana. Per mantenere sana l'economia, lo Stato deve prevedere per i cittadini incentivi al lavoro e al risparmio. La società deve quindi trovare il giusto equilibrio tra la dura disciplina del mercato e l'atteggiamento compassionevole espresso attraverso i programmi di assistenza pubblica. I tre problemi dell’organizzazione economica Qualsiasi società umana deve affrontare e risolvere tre problemi economici fondamentali. Deve infatti sapere come stabilire cosa, come e per chi produrre. Per quanto riguarda il cosa produrre, una società deve stabilire quale quantità di ciascun bene o servizio produrre e quando produrla. Il come produrre viene stabilito rispondendo a domande quali: a chi spetta il compito di produrre, con quali risorse effettuare la produzione e quali tecniche produttive utilizzare. Infine bisogna rispondere anche al quesito di chi gode i frutti dell'attività economica. L'economia positiva descrive i fatti di un sistema economico, mentre l'economia normativa i giudizi di valore e principi di carattere etico e norme di equità. Le società sono organizzate in sistemi economici alternativi e l'economia studia i http://unict.myblog.it
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diversi meccanismi a disposizione di una società per l'allocazione delle proprie risorse scarse. In generale si possono distinguere due modi fondamentalmente diversi in cui organizzare un sistema economico: nel primo caso, lo Stato prende la maggior parte delle decisioni economiche, e coloro che si trovano al vertice della gerarchia impartiscono le direttive economiche ai soggetti situati più in basso. Nel secondo caso le decisioni vengono prese dai mercati sui quali gli individui o le imprese accettano di scambiare input e output, di solito tramite pagamenti in denaro. In un'economia di mercato gli individui e le imprese private prendono le principali decisioni sulla produzione e sul consumo. Al contrario, in un'economia pianificata lo Stato prende tutte le decisioni relative alla produzione e alla distribuzione; risponde alle principali domande economiche tramite il possesso delle risorse e il suo potere di imporre le proprie decisioni. Nella società contemporanea esistono piuttosto economie miste. Possibilità tecnologiche della società Ogni sistema economico dispone di una dotazione di risorse limitate: deve decidere come affrontare il problema della limitatezza delle risorse; deve scegliere tra i vari panieri di beni possibili (il cosa), selezionare una tecnica di produzione tra le diverse disponibili (il come) e infine decidere chi saranno i consumatori dei beni prodotti (il per chi). Per rispondere a queste tre domande, ogni società deve effettuare delle scelte relative agli input e output del sistema economico. Gli input sono beni o servizi utilizzati dalle imprese nei loro processi produttivi. Gli output sono i diversi beni o servizi utili risultanti dai processi produttivi, che possono essere consumati oppure impiegati nella produzione successiva. Un altro termine utilizzato per definire il concetto di input è fattori di produzione. Questi ultimi possono essere classificati in tre grandi categorie: terra, lavoro e capitale. La terra, o più in generale le risorse naturali, rappresenta i doni della natura impiegati nei processi produttivi. Il lavoro è costituito dal tempo impiegato dall'uomo nella produzione. Le risorse di capitale costituiscono i beni durevoli di un sistema economico, che vengono prodotti al fine di produrre altri beni. Le società umane non possono avere tutto ciò che desiderano, ma sono limitate dalle risorse e dalla tecnologia a loro disposizione. La frontiera delle possibilità produttive (o FPP) indica le quantità massime di produzione ottenibili da un sistema economico, date la conoscenza tecnologica e la quantità di input di cui dispone. La vita comporta numerose scelte: poiché le risorse sono scarse dobbiamo sempre stabilire come spendere il tempo o i redditi indicati di cui disponiamo. Quando decidete, il costo dell'alternativa alla quale avete rinunciato è il costo opportunità insito nella decisione. L'efficienza produttiva si ha quando la società non può aumentare l’output di un bene senza ridurre quello di un altro bene. Un sistema economico efficiente si trova sulla frontiera delle possibilità produttive. Se sono presenti risorse inutilizzate, il sistema economico non si trova sulla frontiera delle possibilità produttive, ma piuttosto in un punto al suo interno. Appendice: come leggere i grafici I grafici sono uno strumento indispensabile per l'economia in quanto consentono di rappresentare in modo chiaro i dati o le relazioni tra le variabili. I concetti importanti relativi a un grafico sono i seguenti: che cosa rappresentano i due assi (orizzontale e verticale)? Quali sono le unità misurate su un asse? Che tipo di relazione è illustrata dalla curva, o dalle curve, del grafico? La relazione esistente tra le due variabili di una curva è data dalla pendenza di quest'ultima, ovvero l'incremento di y per unità di incremento di x. Se la pendenza è ascendente (o positiva), le due variabili sono in relazione diretta, si muovono cioè insieme verso l'alto o verso il basso. Se la pendenza del grafico è discendente (o negativa), la relazione tra le due variabili è inversa. Talvolta vengono utilizzati grafici particolari: le serie storiche, che mostrano la variazione nel tempo di una determinata variabile, i diagrammi a dispersione, che illustrano il comportamento di una coppia di variabili e i diagrammi multicurve, che mostrano due o più relazioni su una sola figura. CAPITOLO II: Mercati e Stato in un’economia moderna (pag. 25 – 44) Nel Medioevo l'aristocrazia e le corporazioni cittadine controllavano gran parte dell'attività economica in Europa e Asia. Tuttavia, circa due secoli fa, lo Stato iniziò ad esercitare un potere sempre minore sui prezzi e sui metodi di produzione. Per la maggior parte dell'Europa e del Nord America http://unict.myblog.it
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il XIX secolo fu l'epoca del laissez - faire. Secondo questo principio lo Stato dovrebbe interferire il meno possibile sull'attività economica e lasciare le decisioni al mercato. Ciononostante, alla fine del secolo gli eccessi del capitalismo, a cui non veniva posto freno, indussero gli Stati Uniti ed i paesi industrializzati dell'Europa occidentale ad un parziale abbandono del laissez - faire. Lo stato assunse un ruolo sempre maggiore, regolamentando il monopolio, applicando imposte sul reddito e iniziando a fornire una rete di protezione sociale quale l'assistenza agli anziani. In questo nuovo sistema, denominato welfare state (Stato di benessere), i mercati controllano le attività della vita economica quotidiana mentre lo Stato stabilisce le condizioni sociali e fornisce pensioni, assistenza medica e altri beni e servizi indispensabili alle famiglie povere. Intorno al 1980 il clima cambiò di nuovo: in molti paesi i governi conservatori iniziarono a ridurre le imposte e il controllo dello Stato sull'economia. Che cos’è un mercato? Un'economia di mercato è un complesso meccanismo che coordina individui, attività e imprese tramite un sistema di prezzi e di mercati. Un mercato è un meccanismo che consente ad acquirenti e venditori di interagire al fine di determinare il prezzo e la quantità di un bene o di un servizio. In un sistema di mercato ogni cosa ha un prezzo, costituito dal valore del bene in termini di moneta. I prezzi rappresentano i termini in base ai quali gli individui e le imprese scambiano volontariamente beni diversi. I prezzi fungono inoltre da segnali per i produttori ed i consumatori: se i consumatori richiedono quantità maggiori di ciascun bene, il prezzo subisce un incremento che segnala ai produttori la necessità di aumentare l'offerta. In ogni momento vi sono individui che comprano e altri che vendono; le imprese inventano nuovi prodotti mentre i governi emanano le leggi per regolamentare quelli già esistenti. In mezzo a tale fermento i mercati devono comunque risolvere costantemente i problemi relativi a cosa, come e per chi. Bilanciando le forze che operano nel sistema economico, i mercati individuano un equilibrio tra domanda e offerta. L'equilibrio di un mercato è il punto in cui la quantità offerta dai venditori è uguale alla quantità richiesta dai compratori. I consumatori, con i loro gusti innati o acquisiti, espressi dai loro voti con il portafoglio, determinano l'utilizzo finale delle risorse della società. Ma i consumatori, da soli, non possono imporre cosa produrre in quanto le risorse disponibili e le tecnologie esistenti limitano notevolmente le loro decisioni: il sistema economico non può andare al di là della propria frontiera delle possibilità produttive. I consumatori acquistano beni e vendono fattori di produzione, mentre le imprese vendono beni e acquistano fattori di produzione. I consumatori utilizzano il reddito proveniente dalla vendita di lavoro e di altri input per acquistare beni dalle imprese; le imprese basano i prezzi dei loro beni sui costi di lavoro e altri fattori. I prezzi nei mercati dei prodotti sono fissati in modo da bilanciare la domanda dei consumatori e l'offerta delle imprese; nei mercati dei fattori i prezzi sono invece fissati in modo da bilanciare l'offerta delle famiglie e la domanda delle imprese. Adam Smith scoprì un’importante proprietà di un'economia di mercato concorrenziale. In una situazione di concorrenza perfetta e in assenza di fallimenti del mercato, i mercati produrranno, con le risorse a loro disposizione, la massima quantità di beni e servizi utili. Ma quando prevalgono monopolio, esternalità o altre forme di fallimento del mercato, le notevoli caratteristiche di efficienza della mano invisibile possono venir meno. Flusso reale
Flusso monetario
MERCATO DEI PRODOTTI Flusso reale Flusso monetario
FAMIGLIE
IMPRESE Flusso monetario
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MERCATO DEI FATTORI Flusso reale
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Flusso monetario
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Scambi, moneta e capitale Un’economia moderna è caratterizzata da una complessa rete di scambi tra individui e Stati basata su un elevato livello di specializzazione e su una complessa divisione del lavoro. Le economie moderne fanno un ampio uso di moneta, che costituisce la linfa vitale del sistema economico e fornisce il metro per misurare il valore economico dei beni e per finanziare gli scambi. Le moderne tecnologie industriali si basano sull'utilizzo di ingenti quantità di capitale: la produzione richiede macchinari di precisione, impianti di grandi dimensioni e l'accumulo di notevoli quantità di scorte. I beni capitali aumentano l'efficienza del lavoro umano quale fattore di produzione, consentendo in tal modo una produttività decisamente superiore rispetto al passato. La specializzazione si ha quando gli individui concentrano i propri sforzi su un particolare insieme di attività affinché ogni individuo o paese possa utilizzare al meglio le proprie capacità o risorse. Una delle certezze della vita economica è che, invece di far sì che tutti sappiano fare tutto in modo mediocre, è preferibile adottare la divisione del lavoro, ovvero suddividere la produzione di numerose fasi o compiti specializzati. Gli individui e le nazioni scambiano volontariamente beni in cui sono specializzati per ottenere prodotti di altri; in questo modo essi ampliano la gamma e la quantità dei consumi e migliorano le condizioni di vita di ognuno. Globalizzazione è un termine ormai comune, utilizzato per indicare l'aumento dell'integrazione economica tra paesi che oggi si nota nell'enorme crescita dei flussi di beni, servizi e capitali oltre i confini nazionali. Una seconda componente della globalizzazione è la crescente integrazione dei mercati finanziari che si nota per il ritmo sempre più sostenuto dei prestiti e dell'indebitamento tra le nazioni oltre che per la convergenza dei tassi d'interesse di paesi diversi. È dovuta principalmente all'abolizione delle restrizioni dai flussi di capitali da un paese all'altro, alla riduzione dei costi e alle innovazioni dei mercati finanziari, in particolare per quanto riguarda l'uso di nuovi tipi di strumenti finanziari. L'integrazione dei mercati finanziari e delle merci ha prodotto enormi vantaggi negli scambi in termini di prezzi inferiori, maggiore innovazione e crescita economica più rapida. Questi vantaggi sono stati accompagnati però da dolorosi effetti collaterali: conseguenza dell'integrazione economica sono la disoccupazione e la perdita di profitti che si verificano quando produttori stranieri a basso costo spiazzano quelli nazionali. Se la specializzazione consente agli individui di concentrarsi su compiti particolari, la moneta permette loro di scambiare gli output specializzati che producono per ottenere la vasta gamma di beni e servizi prodotti da altri. Oggi in tutti sistemi economici gli scambi avvengono per mezzo della moneta. La moneta è il mezzo di pagamento, ma può essere considerata soprattutto come lubrificante che agevola gli scambi. Se tutti si fidano della moneta e l'accettano come pagamento di beni e debiti, gli scambi risultano facilitati. Un'adeguata gestione dell'offerta di moneta è uno dei principali problemi di politica macroeconomica del governo di tutti paesi. Un'economia industriale avanzata utilizza un enorme quantità di edifici, macchinari, computer. Questi sono i fattori di produzione denominati capitale; si tratta di strumenti di produzione a loro volta prodotti, input durevoli che sono allo stesso tempo un output del sistema economico. Se gli individui sono pronti a risparmiare, a sacrificare cioè il consumo presente a favore del consumo futuro, la società può destinare le proprie risorse a un nuovo capitale. Una riserva di capitale maggiore determina una più rapida crescita dell'economia spingendo la frontiera delle possibilità produttive verso l'esterno. In un'economia di mercato il capitale è di proprietà dei privati e il reddito prodotto dal capitale viene percepito dagli individui. La proprietà di ogni apprezzamento di terreno è attestata da un atto legale o titolo di proprietà; quasi ogni macchina o edificio appartiene a un individuo o a una società. Il capitalismo prende il nome dalla capacità degli individui di possedere e sfruttare il capitale. Benché la società occidentale sia basata sulla proprietà privata, i diritti di proprietà sono limitati: la società stabilisce in quali proporzioni la proprietà di un individuo può essere lasciata in eredità e quanto deve essere pagato allo Stato sotto forma d'imposta di successione; sempre la società decide i limiti entro i quali una fabbrica può emettere sostanze inquinanti e quali sono le aree urbane in cui è consentito parcheggiare l'automobile. Il ruolo economico dello Stato In un'economia di mercato ideale tutti beni e servizi vengono scambiati volontariamente ai prezzi di mercato. Un sistema di questo tipo ricava il massimo beneficio dalle risorse a disposizione della sohttp://unict.myblog.it
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cietà senza alcun intervento da parte dello Stato: nella realtà, tuttavia, nessun sistema economico corrisponde esattamente al mondo ideale perfettamente guidato dalla mano invisibile; al contrario, tutte le economie di mercato presentano delle imperfezioni che sono alla base di problemi quali l'eccessivo inquinamento, la disoccupazione e casi di estrema ricchezza o povertà. Nelle moderne economie lo Stato assume un enorme varietà di ruoli per porre rimedio alle imperfezioni del meccanismo di mercato. Lo Stato aumenta l'efficienza favorendo la concorrenza, limitando le esternalità come l’inquinamento e fornendo beni pubblici; promuove l’equità utilizzando le imposte ed i programmi di spesa per distribuire il reddito tra determinate categorie di popolazione; favorisce la stabilità alla crescita macroeconomica riducendo la disoccupazione e l'inflazione incoraggiando contemporaneamente la crescita economica mediante la politica fiscale e la regolamentazione monetaria. La concorrenza perfetta si ha quando tutti beni e i servizi hanno un prezzo e vengono scambiati sul mercato, e inoltre non esistono imprese o consumatori abbastanza grandi da influenzare il prezzo di mercato. La dottrina della mano invisibile è valida per quei sistemi economici in cui tutti mercati sono perfettamente concorrenziali. Vi sono tuttavia diverse situazioni in cui tali condizioni non si verificano; i tre casi più significativi riguardano le situazioni di concorrenza imperfetta, le esternalità e infine i beni pubblici. L'efficienza di un mercato può essere seriamente compromessa da elementi di concorrenza imperfetta o di monopolio. La concorrenza imperfetta si verifica quando un acquirente o un venditore può influire sul prezzo di un bene. La concorrenza imperfetta fa sì che i prezzi superino i costi e che gli acquisti dei consumatori scendano al disotto dei livelli di efficienza: prezzi troppo alti e output troppo limitati sono le caratteristiche che contraddistinguono le inefficienze della concorrenza imperfetta. Un secondo tipo di inefficienza si verifica quando vi sono esternalità, che comportano scambi involontari di costi o benefici. Le esternalità si hanno quando imprese o individui impongono costi o benefici ad altri soggetti al di fuori dalle relazioni di mercato. Gli stati hanno imposto regolamentazioni per controllare esternalità quali l'inquinamento atmosferico o idrico, le miniere a cielo aperto, i rifiuti dannosi, i medicinali ed i cibi pericolosi e materiali radioattivi. Benché le esternalità negative come l’inquinamento o il surriscaldamento del globo terrestre siano argomenti molto dibattuti, dal punto di vista economico le esternalità positive rivestono spesso l'importanza maggiore. Esempi significativi sono la costruzione di una rete di autostrade, il servizio meteorologico nazionale, il sostegno delle scienze di base e le disposizioni atte a migliorare la sanità pubblica, beni cioè che non possono essere acquistati o venduti sul mercato. Il caso estremo di esternalità positive è costituito dai beni pubblici. I beni pubblici sono prodotti per i quali il costo sostenuto per estendere il servizio a un individuo supplementare è zero ed è impossibile impedire agli individui di farne un uso. Un chiaro esempio di bene pubblico è la difesa: una nazione che protegge la propria libertà dalle invasioni straniere offre tale servizio a tutti cittadini, che essi lo richiedano o meno. Lo Stato deve procurarsi le entrate per acquistare beni pubblici e per i programmi di redistribuzione del reddito. Tali entrate provengono dalle imposte sui redditi personali e delle imprese, sulle vendite di beni di consumo e da altri tipi di imposte. Supponiamo che il sistema economico sia pienamente efficiente: anche se il sistema di mercato fosse perfetto, i risultati potrebbero comunque rivelarsi insoddisfacenti. I mercati non producono necessariamente una distribuzione del reddito che si possa considerare socialmente equa. È possibile che un'economia di mercato determini disuguaglianze di reddito e consumo inaccettabili per gli elettori. Per ridurre la sperequazione del reddito gli strumenti a disposizione dello Stato sono in primo luogo adottare l'imposizione fiscale progressiva, che consiste nel tassare di più i redditi elevati e di meno quelli più modesti. In Italia il principale esempio di imposizione fiscale progressiva è rappresentato dall'IRPEF. In secondo luogo le pubbliche amministrazioni possono effettuare l'assistenza agli anziani, ai ciechi, ai disabili, ai genitori con figli a carico, oltre ai sussidi di disoccupazione. Sin dalle sue origini, il capitalismo è stato turbato da periodi di inflazione (aumento dei prezzi) e recessione (tasso di disoccupazione elevato). Queste fluttuazioni sono note come ciclo economico. L’attento impiego di politiche fiscali monetarie consente allo stato di influenzare la produzione, l'occupazione e l'inflazione: le politiche fiscali rappresentano il potere di far pagare le imposte e di spendere, mentre le politiche monetarie consistono nella determinazione dell'offerta di moneta e dei tassi d'interesse, che influenzano gli investimenti in beni capitali e altre http://unict.myblog.it
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zano gli investimenti in beni capitali e altre spese sensibili ai tassi d'interesse. Con questi due strumenti fondamentali della politica macroeconomica lo Stato può influenzare la spesa totale, il tasso di crescita e il livello di produzione, i tassi di occupazione e disoccupazione, il livello dei prezzi e il tasso di inflazione di un sistema economico. Grazie allo sviluppo della macroeconomia, a partire dagli anni trenta gli stati sono riusciti ad attenuare gli eccessi di inflazione e disoccupazione. Tutte le economie industriali avanzate sono caratterizzate da un'economia mista in cui il mercato stabilisce i livelli di produzione e i prezzi in quasi tutti settori, mentre lo Stato guida l'andamento economico generale mediante programmi di imposizione fiscale, spesa e regolamentazione monetaria. Fallimento della mano invisibile Inefficienza Monopolio Esternalità Beni pubblici
Intervento dello Stato
Esempi attuali di politica statale
Intervento nei mercati Leggi antitrust Intervento nei mercati Leggi antinquinamento, antifumo Sovvenzioni alle attività di pubblica Difesa nazionale, fari utilità
Sperequazione Sperequazioni inaccettabili di reddito Redistribuzione del reddito e ricchezza
Imposizione fiscale progressiva sul reddito e sulla ricchezza; trasferimenti assistenziali
Problemi macroeconomici Cicli economici (elevati tassi di infla- Stabilizzazione tramite politiche ma- Politiche monetarie (modifiche zione e disoccupazione) croeconomiche dell’offerta di moneta e dei tassi di interesse). Politiche fiscali (relative a imposte e spese) Crescita economica lenta Stimolazione della crescita economica Investimenti nell’istruzione pubblica; riduzione del deficit di bilancio e aumento del tasso di risparmio nazionale
Capitolo III: Elementi fondamentali di domanda e offerta (pag. 45 – 63) La scienza economica dispone di un ottimo strumento per spiegare mutamenti che avvengono nel sistema economico: la teoria della domanda dell'offerta, secondo la quale le preferenze dei consumatori determinano la domanda di consumo dei beni mentre costi sostenuti dalle imprese sono alla base dell'offerta dei beni. Se per esempio il prezzo del petrolio scende, significa che la domanda di petrolio è diminuita oppure che l'offerta di quel bene è aumentata. La scheda di domanda Mantenendo costante ogni altro elemento, maggiore è il prezzo di un bene, meno saranno le unità di quel bene che i consumatori desiderano acquistare; minore è il prezzo di mercato, più saranno le unità acquistate. Esiste una precisa relazione tra il prezzo di mercato di un bene e la quantità richiesta, a condizione di tutti gli altri elementi rimangono costanti: tale relazione tra prezzo e quantità acquistata è detta scheda di domanda o curva di domanda. La curva di domanda è la rappresentazione grafica della scheda di domanda. La legge della domanda con pendenza negativa si basa sia sul senso comune sia sulla teoria economica, ed è stata provata e verificata empiricamente pressoché per tutti tipi di beni. Se il prezzo subisce un incremento, la quantità domandata tende a diminuire per due motivi. Il primo di questi è l'effetto di sostituzione: l'aumento del prezzo di un bene a fa sì che esso venga sostituito con altri beni simili. Il secondo motivo che determina la diminuzione degli acquisti in seguito ad un aumento di prezzo è l'effetto reddito: se il prezzo di un bene aumenta, il consumatore diventa più povero. Scheda di domanda di fiocchi di mais Prezzo (euro a scatola) 5 4 3 http://unict.myblog.it
Quantità domandata (milioni di scatole/anno) 9 10 12 6
Curva di domanda di fiocchi di mais
Prezzo dei fiocchi di mais (euro a scatola)
Quantità di fiocchi di mais (milioni di scatole/anno)
Le componenti fondamentali della domanda sono i gusti ed i bisogni individuali. La curva di domanda del mercato si ottiene sommando le quantità domandate da tutti gli individui ad ogni livello di prezzo. Gli elementi che influenzano la curva di domanda sono: • il reddito medio dei consumatori è un fattore determinante della domanda. Se il reddito degli individui aumenta, essi tendono ad acquistare maggiore quantità di tutti beni, anche se il prezzo non subisce variazioni; • le dimensioni del mercato, supponendo che esse dipendono dal numero di abitanti, hanno un chiaro effetto sulla curva di domanda; • i prezzi e la disponibilità di beni correlati influenzano la domanda di un bene; la domanda del bene A tende ad essere limitata se il prezzo del prodotto sostituivo B è basso, e viceversa; • a questi elementi oggettivi va aggiunto un insieme di elementi soggettivi, definiti gusti o preferenze; • infine, la domanda di alcuni beni e spesso dipende da influenze particolari come le aspettative sulle condizioni economiche future. Le variazioni di fattori diversi dal prezzo di un bene che influiscono sulla quantità acquistata sono definite variazioni della domanda, che aumenta (o diminuisce) quando aumenta (o diminuisce) la quantità richiesta a ciascun livello di prezzo. Non bisogna confondere gli spostamenti sulle curve con lo spostamento delle curve. È molto importante non confondere una variazione della domanda (che denota uno spostamento della curva di domanda) con una variazione della quantità domandata (cioè lo spostamento in un punto diverso sulla medesima curva di domanda in seguito ad una variazione di prezzo).
Spostamento della curva
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La scheda di offerta L'offerta di un mercato implica le condizioni alle quali le imprese producono e vendono i loro prodotti. La scheda di offerta di un bene (e la sua rappresentazione grafica, la curva di offerta) mostra la relazione esistente tra il prezzo di mercato e la quantità di tale bene che le imprese desiderano produrre e vendere, a parità di altri fattori. Scheda di offerta di fiocchi di mais Prezzo (euro a scatola) 5 4 3
Quantità domandata (milioni di scatole/anno) 18 16 12
Curva di offerta di fiocchi di mais
Prezzo dei fiocchi di mais (euro a scatola)
Quantità di fiocchi di mais (milioni di scatole all’anno)
Dall'analisi delle forze che determinano la curva di offerta emerge un dato fondamentale sul comportamento delle imprese: i produttori offrono beni per trarne un profitto. Uno dei principali elementi che influenzano la curva di offerta è il costo di produzione. Se i costi di produzione di un bene sono bassi rispetto al suo prezzo di mercato, è vantaggioso produrne in grandi quantità; se invece i costi di produzione sono elevati rispetto al prezzo, le imprese riducono la produzione. I costi di produzione sono determinati soprattutto dai prezzi dei fattori produttivi e dal progresso tecnologico. I costi dei fattori produttivi, quali il lavoro, energia o macchinari, hanno ovviamente una notevole influenza sul costo sostenuto per produrre un dato livello di output. Un altro importante elemento che influenza i costi di produzione è rappresentato dal progresso tecnologico, ovvero i cambiamenti nelle tecniche produttive che riducono la quantità dei fattori necessari a produrre una determinata quantità di output. Le imprese sono sempre attente alle opportunità alternative di utilizzo delle loro attività patrimoniali, per cui l'offerta è influenzata anche dei prezzi dei beni correlati, in particolare quei beni che nel processo produttivo rappresentano output facilmente sostituibili l’uno con l'altro. Anche le politiche governative hanno una notevole influenza sulla curva di offerta. Considerazioni di carattere ambientale e sanitario determinano i tipi di tecnologie da utilizzare, mentre le imposte e le leggi sul salario minimo possono provocare un sensibile aumento dei prezzi degli input. Infine sulla curva di offerta si ripercuotono influenze particolari. Le condizioni atmosferiche, per esempio, http://unict.myblog.it
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esercitano una forte influenza sull'agricoltura e sull'industria degli sport invernali. Le variazioni di fattori diversi dal prezzo di un bene che influiscono sulla quantità offerta sono definite anche variazioni dell'offerta, che aumenta (o diminuisce) quando aumenta (o diminuisce) la quantità offerta a ciascun livello di prezzo di mercato. Equilibrio di domanda e offerta Domanda e offerta interagiscono per produrre un prezzo e una quantità di equilibrio, ossia un equilibrio di mercato. L'equilibrio di mercato è dato dal prezzo e dalla quantità in corrispondenza dei quali le forze dell'offerta e della domanda si bilanciano; al prezzo di equilibrio la quantità che i consumatori desiderano acquistare è pari alla quantità che i produttori desiderano vendere. Il prezzo di equilibrio è dato dunque dall'intestazione delle curve di domanda e offerta. Al prezzo di equilibrio non si verificano eccessi di domanda o di offerta. D O
Punto di equilibrio
Variazione dell’offerta
D
O1 O
E1
E
Variazione della domanda
D1 D O
E
E1
La variazione degli elementi che influenzano la domanda e l’offerta comporta spostamenti delle curve di domanda o di offerta, e dunque cambiamenti dell'equilibrio di mercato relativamente a prezzo e quantità. Un aumento del prezzo del pane accompagnato da una diminuzione della quantità venduta, per esempio, può significare che la curva di offerta si è spostata sinistra, mentre un aumento del prezzo accompagnato da un aumento della quantità può significare che la curva di domanda dei fiocchi di mais si è spostata verso destra. Il meccanismo di mercato, determinando i prezzi e le quantità di equilibrio di tutti gli input e gli output, distribuisce (o raziona) i beni scarsi a disposizione della società tra i possibili utilizzi. Attraverso l'interazione di domanda offerta si ha un "razionamento con il portafoglio". Cosa produrre? La risposta questa domanda va ricercata nei segnali contenuti nei prezzi di mercato. Prezzi elevati del petrolio ne stimolano la produzione, mentre prezhttp://unict.myblog.it
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zi contenuti dei generi alimentari sottraggono risorse all'agricoltura. Per chi produrre? Il potere del portafoglio detta la distribuzione del reddito e del consumo. Anche il problema del come produrre viene risolto dalla domanda dell'offerta. Quando i prezzi del petrolio sono elevati, le società petrolifere non esitano a effettuare profonde trivellazioni in mare aperto ed a utilizzare nuove tecniche sismografiche per trovare il petrolio. CAPITOLO IV: Domanda e offerta dei prodotti (pag. 67 – 84) Elasticità di domanda e offerta Per trasformare le curve di domande di offerta in strumenti utili, è necessario sapere in che misura la domanda e l'offerta rispondono alle variazioni di prezzo. L'elasticità della domanda rispetto al prezzo (talvolta definita semplicemente elasticità rispetto al prezzo) misura la variazione della quantità domandata di un bene al variare del prezzo. L'elasticità rispetto al prezzo può essere definita in modo più preciso come la variazione percentuale della quantità domandata diviso per la variazione percentuale del prezzo. Quando l'elasticità rispetto al prezzo di un bene è elevata, si dice che la domanda di quel bene è "elastica", cioè che la quantità domandata del bene risponde sensibilmente alle variazioni di prezzo. Quando l'elasticità rispetto al prezzo di un bene è scarsa, la domanda è "anelastica", per cui la quantità domandata non subisce modifiche di rilievo in seguito alle variazioni di prezzo. Per i beni di prima necessità la domanda tende ad essere anelastica; al contrario, i beni di lusso, possono facilmente essere sostituiti se i loro prezzi aumentano. L'elasticità rispetto al prezzo dei singoli beni dipende da fattori economici, e tende ad essere più elevata per il beni di lusso, quando sono disponibili beni sostitutivi e quando i consumatori hanno più tempo per adattare il loro comportamento alla nuova situazione. L'elasticità rispetto al prezzo, ED, può essere definita in modo più preciso come la variazione percentuale della quantità domandata divisa per la variazione percentuale del prezzo. Elasticità della domanda rispetto al prezzo Variazione percentuale della quantità domandata ED =
Variazione percentuale del prezzo
Quando una variazione di prezzo del 1% genera una variazione della quantità domandata superiore all'1%, si ha una domanda elastica rispetto al prezzo. Quando una variazione di prezzo del 1% produce una variazione della quantità domandata inferiore all'1%, si ha una domanda anelastica rispetto al prezzo. Un'importante caso speciale riguarda la domanda ad elasticità unitaria, che si ha quando la variazione percentuale della quantità è esattamente uguale alla variazione percentuale del prezzo. Il ricavo totale è uguale al prezzo per la quantità (P x Q). Se i consumatori acquistano 5 unità a 3 euro ciascuna, il ricavo totale sarà di € 15. Se l'elasticità della domanda rispetto al prezzo è nota, si può calcolare quali saranno gli effetti di una variazione del prezzo sulla ricavo totale: • se la domanda è anelastica rispetto al prezzo, una diminuzione del prezzo riduce il ricavo totale; • se la domanda è elastica rispetto al prezzo, in una diminuzione del prezzo aumenta il ricavo totale; • nel caso limite della domanda ad elasticità unitaria, una diminuzione del prezzo non modifica il ricavo totale. L'aumento o la diminuzione dei prezzi non comportano unicamente variazione dei consumi. Anche le decisioni di offerta delle imprese sono più meno sensibili alle variazioni di prezzo. L'elasticità dell'offerta rispetto al prezzo misura la variazione percentuale della quantità offerta divisa per la variazione percentuale del prezzo. L'offerta viene definita elastica o anelastica a seconda che la variazione percentuale della quantità sia maggiore o minore della variazione percentuale del prezzo. Nel http://unict.myblog.it
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caso limite dell'offerta ad elasticità unitaria, dove l'elasticità dell'offerta rispetto al prezzo è pari a 1, l'aumento percentuale della quantità offerta è esattamente uguale all'aumento percentuale del prezzo. Elasticità dell’offerta rispetto al prezzo Variazione percentuale della quantità offerta EO =
Variazione percentuale del prezzo
La figura mostra tre importanti casi di elasticità dell'offerta: la curva di offerta verticale indica l'offerta perfettamente anelastica, la curva orizzontale rappresenta l'offerta perfettamente elastica, mentre la linea retta che attraversa l'origine rappresenta il caso limite dell'elasticità unitaria. Tra i fattori che determinano l'elasticità dell'offerta il principale è la facilità con cui è possibile aumentare la produzione in un determinato settore. Un altro importante fattore che influenza l'elasticità dell'offerta è il periodo di tempo preso in considerazione. Una determinata variazione di prezzo tende ad avere un effetto maggiore sulla quantità offerta man mano che aumenta il tempo a disposizione dei produttori per far fronte a tale cambiamento. Elasticità dell’offerta
Eo= 0
Eo= 1
Eo= ∞
Applicazioni di domanda e offerta Uno degli scenari più interessanti per l'applicazione di domanda e offerta è il settore agricolo. I miglioramenti delle tecnologie agricole determinano un sensibile aumento dell'offerta, mentre la domanda di generi alimentari aumenta meno che proporzionalmente rispetto al reddito, e quindi prezzi del libero mercato dei generi alimentari tendono a diminuire. Un'imposta su un bene sposta l'equilibrio di domanda e offerta. L'onere fiscale ricade più pesantemente sui consumatori che sui produttori nella misura in cui la domanda è anelastica rispetto all'offerta. Talvolta lo Stato interferisce nell'andamento dei mercati concorrenziali imponendo livelli di prezzi massimi o minimi. In tali situazioni la quantità offerta non corrisponde più alla quantità domandata: l'imposizione di prezzi massimi produce un eccesso di offerta, mentre prezzi minimi provocano un eccesso di domanda. CAPITOLO V: Domanda e comportamento del consumatore (pag. 85 – 107) Utilità indica soddisfacimento: più precisamente, questo termine si riferisce alla misura in cui determinati beni o servizi vengono preferiti dai consumatori. Non bisogna credere che l'utilità sia una funzione psicologica o una sensazione che si può osservare o misurare. Al contrario, si tratta di un concetto scientifico utilizzato dagli economisti per capire il modo in cui i consumatori razionali ripartiscono le loro risorse limitate tra i beni che consentono di soddisfare i loro bisogni. In che modo l'utilità può essere applicata alla teoria della domanda? Supponiamo che il consumo della prima unità di un bene, per esempio il gelato, dia all'individuo un certo livello di soddisfacimento o utilità. Supponiamo ora che lo stesso individuo consumi una seconda unità di gelato: l'utilità totale aumenterà, in quanto la seconda unità del bene fornisce un’utilità aggiuntiva. E se egli consumasse una http://unict.myblog.it
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terza e una quarta quantità dello stesso bene? Alla fine, invece di trarne utilità aggiuntiva, l'individuo si troverà con il mal di pancia. Se si consuma un'unità aggiuntiva di gelato, si ottiene un soddisfacimento maggiore, o utilità aggiuntiva. L'incremento dell'utilità per il consumatore si definisce utilità marginale. La legge dell'utilità marginale decrescente afferma che all'aumentare del consumo di un bene l'utilità marginale di quel bene tende a diminuire. L'utilità totale derivante dal consumo di una determinata quantità è uguale alla somma delle utilità marginali fino a quel punto. U
U
Q Utilità totale
Q
Utilità marginale
Nel 1738 Daniel Bernoulli osservò che gli individui si comportano come se il denaro che possono vincere in una scommessa avesse meno valore di quello che rischiano di perdere; questo significa che non amano il rischio e che quantità sempre maggiori di moneta garantiscono loro incrementi sempre minori di utilità reale. Supponiamo che un consumatore cerchi di massimizzare la propria utilità, ovvero scelga i beni che preferisce tra quelli disponibili. Il principio di utilità marginali uguali per euro speso per ciascun bene afferma che la condizione essenziale per ottenere la massima soddisfazione o utilità e far fronte ai prezzi di mercato dei beni e che un consumatore con reddito dato ottiene il massimo soddisfacimento quando l'utilità marginale dell'ultimo euro speso per un bene è esattamente uguale all'utilità marginale dell'ultimo euro speso per qualsiasi altro bene. L'utilità marginale per euro di tutti beni nell'equilibrio del consumatore è definita utilità marginale del reddito; essa misura l'utilità aggiuntiva che il consumatore otterrebbe se potesse spendere un euro in più per il consumo. La condizione essenziale per l'equilibrio del consumatore può essere scritta in termini di utilità marginali (UM) e prezzi (P) di beni diversi nel seguente modo: UM bene1 P1
=
UM bene2 P2
=
UM bene3
=
.......
P3
La regola fondamentale del comportamento del consumatore consente di spiegare il motivo per cui le curve di domanda hanno tendenza negativa. Per semplicità supponiamo che l'utilità marginale per euro di reddito venga mantenuta costante, mentre il prezzo del bene 1 aumenta. Se la quantità consumata non varia, il primo rapporto (UM bene1 / P1) sarà minore dell'utilità marginale per euro di tutti gli altri beni. Quindi, poiché l’aumento di prezzo di un bene riduce il consumo desiderato di quel bene, le curve di domanda hanno tendenza negativa. L'effetto di sostituzione è il fattore più evidente per spiegare la tendenza negativa delle curve di domanda. Se il prezzo del caffè sale e gli altri prezzi rimangono costanti, significa che il caffè è diventato relativamente più caro; come conseguenza, la domanda di caffè diminuirà e aumenterà il consumo di prodotti che possono in qualche modo sostituirlo, come per esempio il tè. Se il reddito monetario di un individuo è fisso, un aumento dei prezzi si traduce in una riduzione del suo reddito reale, ossia dell'ammontare effettivo di beni e servizi acquistabili con il reddito monetario. L'effetto reddito indica infatti l'impatto di una variazione di prezzo sulla quantità domandata di un bene risultante dall'effetto della variazione di prezzo sui redditi reali dei consumatori. Poiché un reddito reale inferiore in genere determina una riduzione del http://unict.myblog.it
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consumo, di norma l'effetto reddito rafforza l'effetto di sostituzione, contribuendo a far sì che la curva di domanda abbia tendenza negativa. Gli effetti reddito e di sostituzione si combinano per determinare le caratteristiche principali dei diversi beni. In alcune circostanze la curva di domanda risultante è molto elastica rispetto al prezzo, per esempio quando il consumatore spende una quota rilevante del proprio reddito per l'acquisto di un determinato bene, o quando sono presenti beni sostitutivi. La curva di domanda di mercato di un bene si ottiene sommando le quantità richieste da tutti i consumatori. Ciascun individuo è diverso dagli altri: i redditi di alcuni sono elevati e quelli di altri modesti; alcuni amano il caffè, altri preferiscono il tè. Per ottenere la curva di domanda di mercato occorre sommare tutte le quantità che diversi consumatori acquistano ad un determinato prezzo; la quantità totale sarà quindi rappresentata da un punto sulla curva di domanda di mercato. Un incremento del reddito tende a far aumentare la quantità di ciascun bene che gli individui sono disposti ad acquistare. I beni di consumo di prima necessità tendono essere meno sensibili alle variazioni di reddito rispetto alla maggior parte degli altri beni, mentre i beni di lusso mostrano una maggiore sensibilità tra le variazioni. Vi sono poi altri beni anomali, detti beni inferiori, il cui consumo può diminuire all'aumentare del reddito, in quanto possono essere sostituiti con altri beni più apprezzati. La curva di domanda mostra in quale misura la quantità domandata di un bene varia al variare del prezzo del bene; dato tuttavia che la domanda è influenzata anche dai prezzi degli altri beni, dai redditi dei consumatori e da influenze particolari, la curva di domanda viene tracciata presupponendo che tali elementi rimangano costanti. Se invece essi variano, la curva di domanda si sposta verso destra o verso sinistra. A e B sono beni sostitutivi se un aumento di prezzo del bene A determina un incremento della domanda del bene sostitutivo B. Al contrario, le automobili e la benzina, sono beni complementari, in quanto ad un aumento di prezzo del bene A vi è una diminuzione della domanda del bene complementare B. Nel mezzo si situano i beni indipendenti, come i libri di testo. Esistono situazioni in cui un governo, con molta circospezione, decide di disciplinare le scelte private di individui adulti: è il caso dei cosiddetti beni meritevoli considerati positivi in sé e, all'opposto, dei beni non meritevoli, ritenuti dannosi. Il consumo dei beni non meritevoli di solito è talmente deleterio da rendere accettabile la limitazione della libertà di scelta personale. Oggi molte società civili prevedono l'istruzione pubblica e l'assistenza sanitaria gratuite, ma che penalizzano o proibiscono l'uso di sostanze nocive come le sigarette, le bevande alcoliche o l'eroina. Il costo globale delle sostanze stupefacenti sarebbe inferiore se le proibizioni fossero meno severe e le risorse attualmente impiegate per limitare l'offerta fossero invece spese in cure e sostegno morale e psicologico. Più di due secoli fa Adam Smith introdusse il paradosso del valore. Egli scrisse: "niente è più utile dell'acqua, ma con essa non si può acquistare praticamente nulla. Al contrario, un diamante ha uno scarso valore d'uso, ma può essere spesso scambiato con moltissimi altri beni". Questo paradosso turbava Smith circa 200 anni fa, ma oggi si sa che può essere risolto come segue: "le curve di domanda e offerta di acqua si intersecano a un livello di prezzo molto basso, mentre la domanda e l'offerta dei diamanti determinano un prezzo di equilibrio molto elevato". Il paradosso del valore può essere risolto nel seguente modo: maggiore è la quantità disponibile di un bene, meno desiderabile sarà l'ultima unità consumata. Risulta quindi chiaro il motivo per cui il prezzo dell'acqua è basso e perché un bene indispensabile come l'aria può diventare addirittura un bene libero. Il paradosso del valore mette in evidenza il fatto che il valore monetario di un bene può essere fuorviante quale indicatore del valore economico totale di quel bene. Il divario esistente tra l'utilità totale di un bene e il suo valore totale di mercato è detto rendita (o surplus) del consumatore. Tale rendita deriva dal fatto che l'individuo riceve più di quanto paga, come conseguenza della legge dell'utilità marginale decrescente. Supponiamo che il prezzo dell'acqua sia un euro al litro; il consumatore dovrà quindi valutare quante caraffe da un litro acquistare a quel prezzo. Per il primo litro, che ha un valore molto elevato in quanto impedisce di morire di sete, egli è disposto a pagare 9 euro; dato però che il prezzo di mercato del primo litro è soltanto di un euro, il consumatore otterrà una rendita di 8 euro. Il secondo litro vale invece 8 euro, ma poiché il prezzo è sempre di un euro, la rendita del consumatore sarà di 7 euro; e così di seguito fino al nono litro, che per il consumatore vale soltanto € 0,50 e quindi non viene acquistato. L'equilibrio del consumatore e rappresentato dal punto dove 8 litri http://unict.myblog.it
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d'acqua vengono comprati al prezzo di 1 euro. Quest'esempio consente di fare un importante osservazione: anche se il consumatore paga soltanto 8 euro, il valore totale dell'acqua è di 44 euro, risultato che si ottiene sommando le colonne dell'utilità marginale. Il consumatore ha quindi ottenuto una rendita di € 36 sulla somma pagata. Analisi geometrica dell’equilibrio del consumatore Supponiamo che un consumatore acquisti combinazioni diverse di due beni, per esempio generi alimentari e vestiario, a prezzi dati. Supponiamo che, posto di fronte a due combinazioni diverse, il consumatore sia sempre in grado di dire se ne preferisce una all'altra, oppure se la scelta di una o dell'altra combinazione gli è indifferente. Supponiamo ora che sia A sia B costituiscono per il consumatore scelte ugualmente accettabili, gli sia cioè indifferente ottenere la prima o la seconda, e consideriamo ulteriori combinazioni riguardo alle quali il consumatore è ugualmente indifferente. Nella figura tali combinazioni diverse sono rappresentate in un grafico. Le unità di vestiario sono misurate su un asse e le unità di generi alimentari sull'altro; i punti A, B, C e D rappresentano le quattro combinazioni di beni. La curva della figura che collega i quattro punti, è una curva di indifferenza. Quanto più un bene scarso, tanto maggiore è il suo valore relativo di sostituzione; la sua utilità marginale cresce rispetto all'utilità marginale del bene che è diventato abbondante. Passando da A a B si sostituirebbero quindi tre delle sei unità di vestiario disponibili con una unità aggiuntiva di generi alimentari. Spostandosi da B a C, verrebbe invece sacrificata una sola unità di vestiario tra quelle rimanenti per ottenere una terza unità di generi alimentari, uno scambio 1 a 1. Collegando i punti A e B della figura, si scopre che il valore della pendenza della linea risultante è pari a 3. Congiungendo B e C si ottiene una pendenza di 1, mentre collegando C e D la pendenza ottenuta è pari a 0,5. Queste cifre rappresentano il rapporto di sostituzione dei due beni. Quanto più piccolo è lo spostamento sulla curva, tanto più il rapporto di sostituzione si avvicina alla pendenza effettiva della curva di indifferenza. La pendenza della curva di indifferenza è la misura dell'utilità marginale relativa dei beni, o delle condizioni di sostituzione alle quali, per variazioni molto limitate, il consumatore sarebbe disposto a scambiare un po’ di un bene per ottenere un poco di più dell'altro bene. Tralasciamo per un momento la mappa di indifferenza del consumatore e assegniamo a quest'ultimo un reddito fisso. Supponiamo che egli possa spendere sei euro al giorno e che il prezzo di ciascuna unità di generi alimentari e di vestiario sia fisso: € 1,50 per i generi alimentari e un euro per il vestiario. È chiaro che il consumatore potrebbe spendere il proprio denaro per acquistare una qualsiasi delle numerose combinazioni alternative di generi alimentari e vestiario. La retta di bilancio NM riassume tutte le possibili combinazioni dei due beni che favoriscono il reddito del consumatore. La pendenza di NM è 3/2, cioè il rapporto tra il prezzo dei generi alimentari e quello del vestiario. Tale pendenza significa che, dati i prezzi, ogni volta che il consumatore rinuncia a 3 unità di vestiario può ottenere due unità aggiuntive di generi alimentari. NM è pertanto definita retta di bilancio o vincolo di bilancio. La retta di bilancio può essere sovrapposta alla mappa di indifferenza del consumatore. Il consumatore, ovviamente, si sposta verso il punto che genera il più alto grado di soddisfacimento e che in questo caso e rappresentato dal punto B.
A
U Vestiario
B
C
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D
Generi alimentari
M
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L'equilibrio del consumatore si raggiunge nel punto in cui la retta di bilancio è tangente alla curva di indifferenza più elevata, vale a dire dove il rapporto di sostituzione è esattamente uguale alla pendenza della retta di bilancio. PGa
=
rapporto di sostituzione
=
PV
UMGa UMV
Supponiamo che il reddito giornaliero del consumatore sia dimezzato e che i due prezzi rimangono invariati. La retta ha subito uno spostamento parallelo verso l'interno. Supponiamo ora che il reddito giornaliero ammonti a sei euro, ma che il prezzo dei generi alimentari aumenti da 1,50 a 3 euro, mentre quello del vestiario rimane invariato. Anche in questo caso la retta di bilancio subisce una variazione: questo provoca una rotazione della retta di bilancio. CAPITOLO VI: Produzione e organizzazione delle imprese (pag. 109 – 123) Teoria della produzione e prodotti marginali Un'economia moderna prevede una vasta gamma di attività produttive. La trattazione presuppone che l'azienda si sforzi di produrre in modo efficiente, ossia al minor costo possibile; essa cerca cioè di produrre sempre il livello massimo di output per una data quantità di input, evitando, dove possibile, qualsiasi spreco. In un secondo tempo presupporremo che, nel decidere quali beni o servizi produrre e vendere, le imprese tentino anche di massimizzare i profitti. La relazione tra la quantità di input necessaria e la quantità di output producibile è definita "funzione di produzione". La funzione di produzione è la relazione tra la quantità massima di output ottenibile e la quantità di input necessaria per ottenerla, ed è definita per un determinato livello di conoscenze tecniche. A partire dalla funzione di produzione di un'impresa è possibile calcolare tre importanti concetti relativi alla produzione: il prodotto totale, il prodotto medio e quello marginale. Il prodotto totale fisico, o prodotto totale, indica la quantità totale di output prodotto in unità fisiche. Il prodotto marginale di un input è prodotto il aggiuntivo, o output aggiunto da un’unità addizionale di quel tipo di input, mentre tutti gli altri input sono mantenuti costanti. Infine, il prodotto medio è quello che misura l’output totale diviso per le unità totali di input. Unità di lavoro 0 1 2 3 4 5
Prodotto totale 0 2000 3000 3500 3800 3900
Prodotto marginale
Prodotto medio
2000 1000 500 300 100
2000 1500 1167 950 780
La legge dei rendimenti decrescenti afferma che, aggiungendo quantità addizionali di un input e mantenendo costanti tutti gli altri, s'otterranno quantità aggiuntive di output sempre minori. Se si aggiungono quantità di un fattore come il lavoro ad una quantità fissa di terra, macchinari e altri input, il lavoro potrà contare su quantità sempre minori degli altri fattori. Di conseguenza, la terra diventerà più affollata, i macchinari sovrautilizzati ed il prodotto marginale del lavoro diminuirà. I rendimenti decrescenti sono un fattore chiave per spiegare la povertà di molti paesi asiatici, il tenore di vita nei paesi ad alta densità di popolazione è basso perché vi sono troppi lavoratori per ettaro di terra e non perché gli agricoltori sono incapaci o non rispondono agli incentivi economici. In alcuni casi vi può essere tuttavia interesse ad aumentare tutti gli input. Questo fa riferimento ai rendimenti di scala, ossia agli effetti degli incrementi in scala degli input sulla quantità prodotta; in altre parole, i rendimenti di scala riflettono la reazione del prodotto totale quando tutti i fattori aumentano proporzionalmente. Occorre distinguere tre casi importanti: http://unict.myblog.it
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I rendimenti di scala costanti si hanno quando una variazione di tutti gli input determina una variazione proporzionale degli output. • I rendimenti di scala crescenti (detti anche economie di scala) si hanno quando un aumento di tutti gli input produce un incremento più che proporzionale del livello di output. • I rendimenti di scala decrescenti si verificano quando un aumento proporzionale di tutti gli input produce un incremento meno che proporzionale dell’output totale. Per tener conto del ruolo del tempo nella produzione nei costi, si distinguono due diversi periodi di tempo. Si definisce breve periodo quello in cui le imprese possono variare la produzione modificando i fattori variabili, come materiali ed il lavoro, ma non i fattori fissi, come il capitale; il lungo periodo è invece quello in cui le imprese hanno la possibilità di variare tutti i fattori, incluso il capitale. Il progresso tecnologico si riferisce a miglioramenti dei processi produttivi di beni e servizi, a variazioni di prodotti già esistenti o all'introduzione di nuovi prodotti. Bisogna distinguere tra innovazione di processo, che si ha quando migliorano o vengono introdotte tecniche produttive, e innovazione di prodotto, che si verifica quando sul mercato vengono introdotti prodotti nuovi o migliori. La produttività è una delle più importanti misure della prestazione economica e si esprime come rapporto tra l’output totale e una media ponderata degli input. Si può avere la produttività del fattore lavoro che misura la quantità di output per unità di lavoro, oppure la produttività totale dei fattori che misura l’output per unità di input totali (capitale e lavoro). La produttività aumenta grazie all'economie di scala e al progresso tecnologico. Benché i rendimenti di scala crescenti siano potenzialmente elevati in numerosi settori, è possibile che ad un certo punto prevalgano i rendimenti di scala decrescenti. L'aumento delle dimensioni delle imprese, per esempio, complica i problemi di gestione e di coordinamento. Nella continua ricerca di profitti elevati, un'impresa può espandersi geograficamente oppure ampliare la produzione oltre le proprie capacità di gestione. È probabile poi che un'impresa abbia un solo direttore generale, un unico direttore finanziario e un solo consiglio di amministrazione. Il minor tempo a disposizione per studiare i mercati, e per prendere le diverse decisioni, può far si che in alcuni casi i dirigenti si estranino dalla produzione quotidiana e commettano quindi degli errori. Organizzazione delle imprese Le imprese esistono per varie ragioni, la più importante delle quali è che esse sono organizzazioni specializzate che si dedicano alla gestione del processo produttivo. Tra le loro funzioni principali si annoverano lo sfruttamento dell'economia della produzione in serie, il reperimento di fondi e l'organizzazione del processo produttivo. Per produrre in modo efficiente sono necessari macchinari e stabilimenti specializzati, catene di montaggio e la divisione del lavoro in numerose operazioni. La seconda funzione delle imprese è il reperimento delle risorse per la produzione su vasta scala. Ma da dove provengono tali fondi? Ai giorni nostri, in un'economia basata sull'impresa privata, la maggior parte dei fondi proviene dei profitti delle imprese o dai prestiti contratti sui mercati finanziari. Un terzo motivo alla base dell'esistenza delle imprese è costituito dalla necessità di gestire il processo produttivo. Un manager è una persona che organizza la produzione, introduce nuove idee, prodotti o processi, prende le decisioni aziendali ed è ritenuto responsabile dei successi o dei fallimenti dell'impresa. Le imprese individuali sono le classiche piccole imprese a conduzione familiare. Tra le imprese sono molto diffuse ma presentano volumi di vendite totali limitati. In quasi tutti i casi si tratta di attività che richiedono un enorme impegno da parte dei proprietari, che arrivano a lavorare cinquanta o sessanta ore la settimana e spesso rinunciano alle ferie. Spesso un'impresa necessità della collaborazione di diversi specialisti. Due o più persone possono riunirsi per formare una società di persone; tutti i soci accettano di fornire parte del lavoro e del capitale, di suddividere profitti derivanti dall'attività, e naturalmente di ripartirsi di eventuali debiti o perdite. Oggi le società di persone rappresentano soltanto una piccola parte dell'attività economica complessiva. Il principale svantaggio è costituito dalla responsabilità illimitata: i soci sono infatti responsabili senza limitazioni di tutti i debiti contratti dalla società. In un'economia di mercato avanzata, gran parte dell'attività economica si svolge in società per azioni private. Una moderna società per azioni è una forma di organizzazione aziendale istituita mediante statuto e appartenente a numerosi azionisti; dispone di iden•
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tità giuridica ben definita e può essere in effetti considerata come una persona giuridica che ha la facoltà di acquistare, vendere, contrarre prestiti, produrre beni e servizi e stipulare contratti; tale società gode inoltre di responsabilità limitata, per cui gli investimenti nella società di ciascun proprietario sono strettamente limitati a una determinata somma. La proprietà di una società per azioni è determinata dal possesso dei titoli ordinari della società; in linea di principio gli azionisti controllano la società di cui sono proprietari. Gli azionisti sono i proprietari della società per azioni, ma la gestione è affidata ai dirigenti. La società per azioni presenta tuttavia un grosso svantaggio: l'imposta sui profitti della società. Per le imprese diverse dalle società per azioni il reddito al netto delle spese viene tassato come normale reddito personale, mentre il reddito delle società per azioni subisce una doppia tassazione, in primo luogo come profitto della società e successivamente come reddito personale sui dividendi. CAPITOLO VII: Analisi dei costi (pag. 125 – 146) Analisi economica dei costi I costi fissi di un'impresa, anche chiamati "costi generali" o "costi non recuperabili", sono costituiti da elementi quali canoni di affitto di una fabbrica o di un ufficio, i pagamenti contrattuali per le attrezzature, i pagamenti degli interessi sui debiti. Tali costi devono essere sostenuti anche se l'impresa non produce alcun output e non variano al variare della quantità di output prodotta. I costi variabili variano al variare dell'output: essi includono i materiali necessari per la produzione, gli operai che lavorano nelle catene di montaggio, l'energia richiesta per il funzionamento delle fabbriche. Il costo totale rappresenta la spesa minima totale necessaria per produrre ciascun livello di output q e aumenta all'aumentare di q. CT = CF + CV Il costo marginale indica il costo aggiuntivo sostenuto per produrre una unità dice male di output. In alcuni casi il costo marginale sostenuto per produrre un'unità aggiuntiva di output è piuttosto limitato. In altre situazioni, invece, il costo di unità aggiuntiva di output può essere elevato. La tabella illustra il calcolo dei costi marginali. Il costo medio unitario è dato dal costo totale diviso per il numero di unità prodotte. Costo totale CT Costo medio unitario = = = CU Output Q Si noti che, in un primo tempo, il costo medio unitario diminuisce costantemente; CU raggiunge il livello minimo di € 40 quando q = 4 e poi cresce lentamente. Quantità 0 1 2 3 4 5 6 7 8
Costo fisso Costo va- Costo tota- Costo riabile le Marginale unitario 55 0 55 55 30 85 30 55 55 110 25 55 75 130 20 55 105 160 30 55 155 210 40 55 225 280 50 55 -370 -55 -410 90
Il costo medio unitario può essere ripartito in componenti fisse e variabili. Il costo fisso unitario (CFU) viene definito come costi fissi / quantità. Poiché il costo fisso totale è una costante, dividenhttp://unict.myblog.it
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do tale costo per una quantità di output crescente si ottiene una curva del costo fisso unitario in costante discesa. Il costo variabile unitario (CVU) è dato dal costo variabile / output. Il costo variabile unitario inizialmente presenta un andamento decrescente e successivamente crescente. Spesso si commette l'errore di confondere il costo medio unitario con il costo marginale anche se il primo può essere notevolmente maggiore o minore del secondo. Quando il costo marginale è inferiore al costo medio unitario, il primo spinge il secondo verso il basso; quando il costo marginale è uguale al costo medio unitario, quest'ultimo non sale non scende e si trova al livello minimo; quando invece il costo marginale è superiore al costo medio unitario, il primo spinge il secondo verso l'altro. CM CU Costo medio unitario e costo marginale
CVU
CFU
Quantità di output
La curva dei costi di impresa dipende direttamente anche dalla sua funzione di produzione; se, per esempio, il progresso tecnologico consente all'impresa di produrre la stessa quantità di output riducendo l'impiego di input, i costi sostenuti dall'azienda diminuiscono e la curva dei costi si sposta verso il basso. Se i prezzi dei fattori e la funzione di produzione sono noti, è possibile calcolare la curva dei costi. A titolo di esempio, considerate il costo totale sostenuto per produrre tre tonnellate di grano. In base alla funzione di produzione, Rossi è in grado di produrre tale quantità con 10 ettari di terra e 15 ore di lavoro. Il costo totale sostenuto per produrre tre tonnellate di grano sarà quindi (10 ettari x € 5,50 l’ettaro) più (15 ore x €5 l’ora) = € 130. La relazione esistente tra costo e produzione serve a spiegare il motivo per cui le curve dei costi tendono ad essere a forma di U. Nel breve periodo i fattori fissi, come gli impianti e le attrezzature, non possono essere modificati; nel breve periodo, quindi, i costi del lavoro e dei materiali sono tipicamente variabili, mentre i costi di capitale sono fissi. Nel lungo periodo è possibile modificare tutti gli input, compresi lavoro, materiali e capitale; nel lungo periodo, quindi, tutti i costi sono variabili. La relazione esistente tra le leggi della produttività e le curve dei costi può essere riassunta come segue: nel breve periodo, quando i fattori come il capitale sono fissi, i fattori variabili tendono a presentare una fase iniziale di rendimenti crescenti seguita da rendimenti decrescenti. Le relative curve dei costi mostrano una fase iniziale di costi marginali decrescenti seguita da costi marginali crescenti dopo che sono subentrati rendimenti decrescenti. Spesso le combinazioni di input possibili sono più di due, ma non è necessario calcolare il costo di ciascuna al fine di determinare quella meno costosa. Per stabilire quale sarà la combinazione più conveniente, basta calcolare il prodotto marginale di ciascun input. Occorre quindi dividere il prodotto marginale di ogni input per il prezzo dei fattori, per ottenere il prodotto marginale per euro di input. La combinazione che consente di minimizzare i costi si ha quando il prodotto marginale per euro di input è uguale per tutti gli input. In altre parole, l’apporto marginale di ciascun euro sotto forma di lavoro, terra, petrolio dev'essere uguale. In base a tale ragionamento un'impresa minimizza il proprio costo totale di produzione quando il prodotto marginale per euro di input è uguale per tutti i fattori di produzione. Regola del costo minimo: per produrre un dato livello di input al costo minimo, un'impresa deve acquistare diversi input fino a quando il prodotto marginale per euro speso per ciascun input è uguale. Prodotto marginale di L Prezzo di L http://unict.myblog.it
=
Prodotto marginale di T Prezzo di T
.,,,,,,,,,,,, 18
Una conseguenza della regola del costo minimo è la regola della sostituzione: se il prezzo di un fattore diminuisce e quelli di tutti gli altri fattori rimangono costanti, alle imprese converrà sostituire il fattore divenuto meno caro agli altri fattori. Contabilità aziendale e costi economici Per stabilire se l'impresa sta realizzando un utile, è necessario consultare il conto economico o conto profitti e perdite. Utile netto (o profitto) = ricavo totale – spese totali Esso rappresenta l'identità fondamentale del conto profitti e perdite e indica i profitti che l'impresa intende massimizzare. 1) Vendite nette (al netto di sconti) Meno: 2) Materiali 3) Costo del lavoro 4) Costi d’esercizio diversi 5) Meno coti globali: 6) Costi di vendita e amministrativi 7) Affitto dell’immobile 8) Ammortamento 9) Spese d’esercizio 10) Utile netto d’esercizio Meno: 11) Interessi sul debito per le attrezzature 12) Imposte locali e statali 13) Utile netto al lordo delle imposte sul reddito 14) Meno: imposte sul reddito delle società 15) Utile netto al netto delle imposte 16) Meno: dividendi pagati per le azioni ordinarie 17) Utili non distribuiti
€250.000 €50.000 90.000 10.000 15.000 5.000 15.000 €185.000 €65.000 6.000 4.000 €55.000 18.000 €37.000 15.000 €22.000
Nella prima riga sono riportati i ricavi; le righe da 2 a 9 indicano il costo di diversi fattori del processo produttivo. I costi di vendita e amministrativi includono il costo per la pubblicità del locale e la gestione dell'ufficio, mentre i costi di esercizio diversi includono per esempio costo dell'energia elettrica. Le prime tre categorie di costo in linea di massima corrispondono al costo variabile dell'impresa, o costo delle merci vendute. Le tre categorie successive, dalla riga 6 alla 8, rappresentano invece i costi fissi dell'impresa in quanto non possono essere modificati nel breve periodo. La riga otto contiene un termine nuovo: ammortamento. Esso si riferisce al costo dei beni capitali. L'ammortamento si calcola in quote annue per la durata contabile dell'attività, che di solito è connessa alla sua effettiva durata economica. Sommando tutti costi di cui si è parlato finora, si ottengono le spese di esercizio. L'utile netto dell'esercizio è dato dai ricavi netti meno le spese d'esercizio. Non si è ancora tenuto conto, però, di tutti i costi di produzione. La riga 11 contiene il costo annuo dell'interesse pagato sul prestito. Un’ulteriore spesa è costituita dalle imposte statali e locali. Sottraendo le righe 11 e 12 si ottiene un profitto totale di € 55.000 al lordo dell'imposta sul reddito. Come si suddividono gli utili? Circa €18.000 spettano allo Stato sotto forma di imposta sul reddito delle società per azioni. Rimane quindi un profitto di € 37.000 al netto delle imposte. Una volta pagati i dividendi di € 15.000 per le azioni ordinarie, restano € 22.000 di utili non distribuiti da reinvestire nell'impresa. La contabilità aziendale comprende anche lo stato patrimoniale o bilancio, ovvero un resoconto della situazione finanziaria dell'impresa in una certa data. Tale documento registra il valore di un'impresa, di un individuo o di uno stato in un determinato momento. Da una parte del bilancio sono riportate le attività (proprietà dotate di valore economico o diritti posseduti dall'impresa), dall'alhttp://unict.myblog.it
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tra compaiono invece due elementi: le passività (debiti o obbligazioni dell'impresa) e patrimonio netto (o valore netto, dato dalle attività totali meno le passività totali). Un’importante distinzione fra stato patrimoniale e conto economico è quella che c’è tra fondi e flussi. Il fondo esprime il livello di una variabile in un dato momento. La variabile di flusso ha una dimensione temporale, ossia affluisce nel tempo. Patrimonio netto = Attività – passività Uno stato patrimoniale dev'essere sempre in pareggio in quanto il patrimonio netto è un residuo definito come attività meno passività. Il conto profitti e perdite mostra il flusso di vendite, costi e ricavi relativi all'anno o periodo contabile, e misura il flusso monetario dell'impresa in entrata e in uscita, ovvero l'andamento della stessa durante l'anno. Lo stato patrimoniale può essere considerato come una fotografia istantanea che illustra la situazione finanziaria dell'impresa. Le voci principali sono le attività, le passività e il patrimonio netto. Costi opportunità Le decisioni hanno loro costo opportunità in quanto la scelta di un bene in una situazione di scarsità implica la rinuncia ad un altro bene. Il costo opportunità è il valore del bene o servizio a cui si rinuncia. Nei mercati che operano correttamente il prezzo è uguale al costo opportunità. Il costo economico non comprende soltanto le spese vive, ma anche il meno evidente costo opportunità, come per esempio il compenso del lavoro fornito dal proprietario di un'impresa. I costi opportunità possono differire dai prezzi nel caso di merci non commerciali, come l'aria pulita, la salute o lo svago, cioè servizi che possono avere enorme valore anche se non vengono acquistati e venduti sul mercato. Produzione, teoria dei costi e decisioni dell’impresa La teoria della produzione e l'analisi dei costi traggono origine dal concetto di funzione di produzione, che indica la quantità massima di output che può essere prodotta con combinazioni diverse di input. È importante ricordare che la funzione di produzione mostra l’output massimo ottenibile con le capacità e le conoscenze tecniche disponibili in un dato momento. Va ricordato che il prodotto marginale del lavoro è dato dalla produzione aggiuntiva derivante da una unità addizionale di lavoro quando la terra e gli altri input sono mantenuti costanti. Dopo aver definito il concetto di prodotto marginale di un input, è semplice fornire la definizione della legge dei rendimenti decrescenti: se un input aumenta mentre gli altri sono mantenuti costanti, il prodotto marginale dell'input che è stato modificato diminuisce, perlomeno superato un certo limite. Il prodotto dovrebbe aumentare proporzionalmente quando entrambi i fattori vengono aumentati contemporaneamente. L'analisi numerica del modo in cui un'impresa combina gli input per minimizzare i costi può essere rappresentata più efficacemente sotto forma di grafico. Tale curva mostra tutte le diverse combinazioni di terra e lavoro che producono un output di 346 unità. Essa viene definita isoquanto ed è analoga alla curva di indifferenza del consumatore. Dati i prezzi di lavoro e terra l'impresa può calcolare il costo totale per i punti A, B, C e D o per qualsiasi altro punto sull’isoquanto. L'impresa minimizzerà i costi scegliendo il punto che presenta il costo totale più basso. Una semplice tecnica che consente di individuare il metodo di produzione al costo minimo consiste nel tracciare degli isocosti. Combinando isoquanti e isocosti è possibile determinare la posizione ottimale per l'impresa. Per individuare tale punto è sufficiente sovrapporre l’isoquanto alla famiglia di isocosti.
A Terra
B
Terra C
Lavoro
ISOQUANTO http://unict.myblog.it
D
Lavoro
ISOCOSTI
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CAPITOLO VIII: Offerta e allocazione nei mercati concorrenziali (pag. 147 – 166) L’offerta dell’impresa concorrenziale Per massimizzare i profitti è necessario che l'impresa gestisca le proprie attività interne in modo efficiente e prenda decisioni giuste sul mercato. Per quale motivo un'azienda desidera massimizzare i profitti? I profitti corrispondono all'utile netto o reddito netto di una società per azioni, e rappresentano la somma che un'impresa può pagare sotto forma di dividendi ai proprietari, reinvestire in nuovi impianti o attrezzature o impiegare in investimenti finanziari. Tutte queste attività incrementano il valore dell'impresa per i suoi proprietari. Un'impresa perfettamente concorrenziale vende un prodotto omogeneo (cioè un prodotto identico a quello venduto dai suoi concorrenti) e non è sufficientemente grande per poter influenzare il prezzo, per cui lo considera come un elemento dato. Il ricavo aggiuntivo derivante dalla vendita di ciascuna unità supplementare è pari al prezzo di mercato. L'output che consente il massimo profitto si ha quando il costo marginale è uguale al prezzo. La ragione alla base di tale affermazione è che l'impresa può incrementare i profitti fino a quando il prezzo supera il costo marginale dell'ultima unità. Il profitto totale raggiunge il punto massimo quando, vendendo quantità aggiuntive di output, non si ottengono profitti aggiuntivi. Nel punto di massimo profitto, l'ultimo unità prodotta garantisce un ricavo esattamente uguale al costo di quella unità. In generale, la curva del costo marginale di un'impresa può essere utilizzata per determinare il piano di produzione ottimale: l'output che consente di massimizzare profitti è indicato dal punto in cui il prezzo interseca la curva del costo marginale. Nel breve periodo un'impresa decide di chiudere quando non riesce più a coprire i costi variabili. È necessario tenere presente che, anche se la produzione di un’impresa è zero, essa deve comunque rispettare i propri obblighi contrattuali. Nel breve periodo l'impresa deve sostenere costi fissi, quali gli interessi da pagare alla banca, gli affitti degli immobili, le imposte sulle licenze ed i compensi degli amministratori. Ai costi fissi si aggiungono i costi variabili, come quelli per i materiali, i lavoratori addetti alla produzione e il combustibile che sarebbe zero, con la produzione a zero. All'impresa conviene continuare a produrre con P almeno uguale a CM fino a quando il ricavo meno i costi variabili copre parzialmente i costi fissi. Il livello critico del prezzo di mercato al quale i ricavi corrispondono esattamente al costo variabile viene definito punto di chiusura. Se i prezzi sono superiori al punto di chiusura, il livello di produzione verrà mantenuto sulla curva del costo marginale in quanto, anche se l'impresa è in perdita, quest'ultimo aumenterebbe se venisse interrotta l'attività. Se i prezzi sono inferiori al punto di chiusura, l'impresa cesserà di produrre poiché in tal modo perderebbe soltanto i costi fissi. L’offerta delle industrie concorrenziali Per ottenere la curva di offerta del mercato di un bene, è necessario sommare orizzontalmente le curve di offerta di tutti i singoli produttori di quel bene. Dato che le imprese possono modificare la produzione nel tempo, si distinguono due diversi periodi: l'equilibrio nel breve periodo, dove il prodotto varia entro i limiti consentiti dagli impianti e dalle imprese esistenti e l'equilibrio nel lungo periodo, dove il numero di imprese e impianti, nonché tutti gli altri fattori, possono essere completamente adeguati alle nuove condizioni di domanda. Nel lungo periodo, se le imprese possono entrare e uscire liberamente dall'industria e nessuno gode di particolari vantaggi di specializzazione o di ubicazione, la concorrenza elimina gli eccessi di profitto realizzati dalle imprese nell'industria. Se quindi da un lato la possibilità di uscire liberamente dall'industria significa che il prezzo non può scendere al disotto del punto di pareggio, dall'altro la possibilità di entrarvi liberamente fa si che nell'equilibrio di lungo periodo il prezzo non possa superare il costo medio unitario. Quando un'industria è in grado di ampliarsi senza provocare un aumento dei prezzi dei fattori di produzione, la risultante curva di offerta nel lungo periodo sarà orizzontale. Se un'industria utilizza fattori specifici all'industria stessa, la sua curva di offerta nel lungo periodo sarà crescente. Casi particolari di mercati concorrenziali Le regole della domanda e dell'offerta di un mercato concorrenziale affermano che , nel primo caso, se la domanda di un bene aumenta e la curva di offerta rimane invariata, il prezzo e la quantità domandata del bene subiscono un incremento, mentre la diminuzione della domanda avrà l'effetto opposto; nel secondo caso, se l'offerta di un bene aumenta e la curva di domanda rimane costante, in http://unict.myblog.it
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genere il prezzo diminuisce e la quantità acquistata e venduta aumenta. Una diminuzione dell'offerta avrà l'effetto contrario. Nei mercati concorrenziali si verificano casi particolari: costo costante e costo crescente, offerta completamente anelastica (che produce rendite economiche) e curva di offerta rivolta all’indietro.
O
Costo costante
Costo crescente
Rendita pura
Le imprese nei paesi poveri si sono rese conto che, in seguito ad un aumento dei salari, spesso i lavoratori locali riducono le ore lavorative; se il salario raddoppiasse, invece di lavorare sei giorni alla settimana per incrementare i loro modesti redditi, i lavoratori preferirebbero andare a pesca tre giorni alla settimana. La figura mostra una possibile curva di offerte di lavoro. Inizialmente l'offerta di lavoro aumenta all'aumentare dei salari, ma una volta superato il punto T, i salari più elevati inducono gli individui a ridurre le ore lavorative e a concedersi più svago.
T
Efficienza ed equità nei mercati concorrenziali Un sistema economico è efficiente quando, date le risorse e la tecnologia disponibili, è organizzato in modo tale da fornire ai consumatori i beni ed i servizi maggiormente desiderati. L'efficienza allocativa (o efficienza) si ha quando non è possibile riorganizzare la produzione in modo tale da migliorare le condizioni di vita di qualcuno senza peggiorare quella di altri. In una situazione di efficienza allocativa, il soddisfacimento (o utilità) di un individuo può aumentare soltanto riducendo l'utilità di altri individui. Il concetto di efficienza può essere intuitivamente collegato alla frontiera delle possibilità produttive. L'efficienza è soddisfatta quando i consumatori massimizzano il proprio soddisfacimento, l'utilità marginale è uguale al prezzo; quando i produttori in concorrenza scelgono il livello di output al quale il costo marginale è uguale prezzo; dato che UM = P e CM = P, ne consegue che UM = CM. Il costo marginale sostenuto dalla società per produrre un bene in concorrenza perfetta è quindi uguale all'utilità marginale valutata in termini di perdita di beni o svago. Se il guadagno che la società ottiene dall'ultima unità di bene consumata è uguale al costo marginale sostenuto per produrre l'ultima unità di prodotto, la condizione che garantisce l'efficienza dell'equilibrio concorrenziale è soddisfatta. Il mercato perfettamente concorrenziale sintetizza la volontà di acquistare beni, rappresentata dalla domanda, degli individui che possiedono i voti con il portafoglio, ed i costi marginali di quei beni, rappresentati dall'offerta delle imprese. Se certe condizioni vengono soddisfatte, la concorrenza garantisce l'efficienza, cioè una situazione in cui non è possibile incrementare l'utilità di un consumatore senza diminuire quella di un altro. Tale affermazione è valida anche per i sistemi economici caratterizzati da numerosi fattori e prodotti. Il ruolo essenziale del costo marginale in un'economia di mercato è il seguente: solo se i prezzi sono uguali ai costi marginali il sistema economico produce il massimo livello di output e ottiene il massimo soddisfacimento delle proprie scarse risorse di terra, lavoro e capitale. Fallimenti del mercato L'immagine idilliaca della concorrenza perfetta che abbiamo dato per scontato nella discussione sui mercati efficienti è guastata dai fallimenti del mercato: concorrenza imperfetta, esternalità e imperhttp://unict.myblog.it
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fezioni nella diffusione delle informazioni. Quando un'impresa gode di un certo potere in un particolare mercato può alzare il prezzo del prodotto al disopra del costo marginale. I consumatori acquisteranno il bene in quantità minori rispetto a una situazione di concorrenza perfetta, per cui si avrà una diminuzione del soddisfacimento del consumatore: Questa diminuzione è tipica delle inefficienze create dalla concorrenza imperfetta. Un secondo tipo di fallimento del mercato è costituito dalle esternalità, che si hanno quando alcuni degli effetti collaterali della produzione o del consumo non sono inclusi nei prezzi di mercato: può accadere che una fabbrica emetta esalazioni solforose nell'aria provocando danni alle abitazioni vicine e alla salute delle persone; se l'impresa non risarcisce tali impatti ambientali, l'inquinamento sarà inefficientemente elevato e danneggerà il benessere del consumatore. Un terzo importante fallimento del mercato è costituito dalle imperfezioni nella diffusione di informazioni. La teoria della mano invisibile dà per scontato che acquirenti e venditori dispongono di tutte le informazioni necessarie su beni e servizi che acquistano e vendono. Ma la realtà si discosta notevolmente da questo mondo ideale. Il punto importante riguarda l'entità del danno provocato dalle imperfezioni nella diffusione delle informazioni. In alcuni casi la perdita di efficienza limitata, mentre in altri casi la perdita può essere più rilevante. CAPITOLO IX: Concorrenza imperfetta e monopolio (pag. 167 – 183) Modelli di concorrenza imperfetta Se un'impresa è in grado di influire in modo significativo sul prezzo di mercato del proprio output, si dice che opera in condizioni di concorrenza imperfetta. La concorrenza imperfetta prevale in un'industria quando i singoli venditori hanno un certo controllo sul prezzo del loro prodotto; ciò non implica che il controllo esercitato da un'impresa sul prezzo sia assoluto, ma soltanto che l'impresa lo può fissare entro certi limiti. La differenza fra concorrenza perfetta e imperfetta può essere analizzata anche in termini di elasticità rispetto al prezzo. Per un'impresa in concorrenza perfetta la domanda è perfettamente elastica, mentre per un'impresa in concorrenza imperfetta essa presenta un'elasticità limitata. Gli economisti suddividono la concorrenza imperfetta in tre diverse strutture di mercato. Il caso estremo è costituito dal monopolio, dove un unico venditore ha il totale controllo di un'industria. Non esiste altra industria capace di produrre un bene sostitutivo. Oggi i veri monopolisti sono rari e la loro esistenza è quasi sempre legata a qualche forma di protezione statale. Il termine oligopolio significa "pochi venditori". In questo contesto pochi indica un numero che può variare da due a dieci o quindici imprese. Ma il concetto importante è che il comportamento delle singole imprese può influire sul prezzo di mercato. Le industrie oligopolistiche sono abbastanza numerose. Nella terza categoria di concorrenza imperfetta, di solito definita concorrenza monopolistica, molti venditori offrono prodotti differenziati. Questa struttura di mercato assomiglia alla concorrenza perfetta, in quanto i venditori sono numerosi e nessuno possiede una grande quota di mercato, e si differenzia dalla concorrenza perfetta per il fatto che i prodotti venduti dalle varie imprese non sono identici. I prodotti differenziati presentano solo piccole differenze. Dato che i prodotti sono leggermente differenziati, essi possono essere venduti a prezzi leggermente diversi. Il costo opportunità totale dei beni (compreso il costo del tempo) dipende dalla distanza tra abitazione e punto di vendita. Poiché il costo opportunità dei punti di vendita più vicini è inferiore, questi saranno generalmente preferiti. Quasi tutti casi di concorrenza imperfetta possono essere fatti risalire a due ragioni principali. In primo luogo, le industrie tendono a essere caratterizzate da pochi venditori in presenza di importanti economie di produzione su vasta scala e di costi decrescenti: in queste condizioni le grandi imprese possono produrre a costi inferiori e quindi applicare prezzi più bassi di quelli delle piccole imprese, impedendone la sopravvivenza. Il secondo luogo, i mercati tendono alla concorrenza imperfetta quando l'ingresso di nuovi concorrenti nell'industria è ostacolato. Le cosiddette "barriere all'ingresso" non possono derivare da leggi o regolamentazioni che limitano il numero dei concorrenti, mentre in altri casi l'ingresso in un mercato è semplicemente troppo costoso per un nuovo concorrente. La tecnologia e la struttura dei costi di industria contribuiscono a determinare quante imprese possono sopravvivere in una particolare industria e quali devono essere le loro dimensioni. Per quanto riguarda i costi, le imprese più grandi sono avvantaggiate rispetto a quelle di http://unict.myblog.it
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dimensioni più modeste. Le economie di scala, ossia i costi medi unitari decrescenti, costituiscono la causa principale di concorrenza imperfetta. Quando le imprese possono ridurre i costi incrementando l’output, la concorrenza perfetta tende a scomparire, in quanto poche imprese sono in grado di produrre l'output dell'industria nel modo più efficiente. Quando la dimensione minima efficiente di un impianto è ampia rispetto al mercato nazionale o regionale, le condizioni di costo producono la concorrenza imperfetta. Le barriere all'ingresso sono fattori che ostacolano l'ingresso di nuove imprese nell'industria: quando sono elevate, è probabile che un'industria sia caratterizzata da poche imprese e da un livello di concorrenza limitato. Le economie di scala sono un tipo comune di barriere all'ingresso, ma ne esistono altre, come le restrizioni legali, gli elevati costi d'ingresso, la pubblicità e la differenziazione dei prodotti. Le restrizioni legali comprendono i brevetti, le restrizioni all'ingresso, i dazi doganali ed i contingenti di importazione. Oltre alle barriere all'ingresso imposte dalla legge, vi sono anche barriere economiche. In alcune industrie il prezzo d'ingresso può essere semplicemente molto elevato: nell'industria degli aerei commerciali, per esempio, gli elevati costi sostenuti per progettare e collaudare i nuovi aeroplani scoraggiano le imprese che vorrebbero entrare nel mercato. Talvolta le imprese creano barriere all'ingresso per ostacolare i potenziali rivali tramite la pubblicità e la differenziazione dei beni. La pubblicità fornisce ai consumatori maggiori informazioni sui prodotti e fa si che essi rimangano federali alle marchi più note. Anche la differenziazione dei prodotti, singolarmente o in combinazione con ampie campagne pubblicitarie, può costituire una barriera all'ingresso e incrementare il potere di mercato dei produttori. In numerose industrie, come per esempio, quelle dei cereali per la prima colazione, delle automobili, di elettrodomestici e dei detersivi, è normale che un ristretto numero di produttori forniscano una vasta gamma di marche, modelli, e prodotti diversi. Ricavo marginale e monopolio Per ottenere il ricavo totale corrispondente a ciascun livello di rendita, è sufficiente moltiplicare il prezzo per la quantità. Il ricavo marginale è l'incremento del ricavo totale derivante dalla vendita di unità aggiuntiva. Il ricavo marginale può essere sia positivo sia negativo. Se il ricavo marginale è negativo significa che, per vendere unità aggiuntive, l'impresa deve diminuire e il previo delle unità precedenti di un ammontare tale che i ricavi totali diminuiscono. Il ricavo marginale è positivo quando la domanda è elastica, zero quando la domanda è a elasticità unitaria e negativo quando la domanda è anelastica. Se la domanda è Elastica
Relazione tra Q e P Variazione % di Q > di P
A elasticità unitaria Variazione % di Q = di P Anelastica Variazione % di Q < di P
Effetti di Q su RT
Valore di ricavo marginale (RM) Aumento di Q incremento di RM > 0 RT Aumento di Q, RT invariato RM = 0 Aumento di Q riduzione di RM < 0 RT
Verrà ora individuato il punto di equilibrio che garantisce al monopolista il massimo profitto. Per definizione, profitto totale = ricavo totale - costi totali. Il massimo profitto si ha quando l’output si trova al livello in cui il ricavo marginale dell'impresa è uguale al suo costo marginale. La figura mostra l'equilibrio del monopolio. CM G
CU
E
http://unict.myblog.it
RM
dd
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Sono riportate le curve dei ricavi e dei costi dell'impresa. Il punto di massimo profitto si ha al livello di output in cui CM è uguale a RM, che corrisponde al punto di intersezione E. L'equilibrio del monopolio è dato dall'output q = 4. Per individuare il prezzo che massimizza i profitti, occorre salire in senso verticale da E verso la curva dd fino al punto G, dove P = €120. Poiché il ricavo unitario nel punto G è superiore al costo unitario nel punto F, il profitto è positivo. Il principio marginale è quello in base al quale gli individui massimizzano i loro redditi, profitti o soddisfazioni calcolando soltanto i costi e benefici marginali derivanti da una determinata decisione. CAPITOLO X: Oligopolio e concorrenza monopolistica (pag. 185 – 203) Comportamento delle imprese in concorrenza imperfetta Il potere di mercato indica il grado di controllo esercitato da una singola impresa o da un numero limitato di imprese sul prezzo e sulle decisioni relative alla produzione di un'industria. La misura più comune del potere di mercato è il rapporto di concentrazione di un'industria. Il rapporto di concentrazione su quattro imprese viene definito come la percentuale del prodotto totale dell'industria dovuta alle quattro maggiori imprese e, analogamente, il rapporto di concentrazione su otto imprese è la percentuale di prodotto fornita dalle otto imprese principali. Molti economisti ritengono che i rapporti di concentrazione tradizionali non misurino adeguatamente il potere di mercato e propongono come alternativa l'indice di concentrazione Herfindahl - Hirschman che rileverebbe meglio il ruolo delle imprese dominanti. L'indice è dato dalla somma del quadrato delle quote di mercato di tutte le imprese operanti sul mercato e in situazione di concorrenza perfetta sarebbe vicino a 0, mentre in monopolio assoluto sarebbe 10.000. Per quale motivo gli economisti hanno un interesse tanto marcato per le industrie in concorrenza imperfetta? La concorrenza imperfetta spesso conduce a prezzi che superano i costi marginali e, talvolta, l'assenza dello stimolo della concorrenza produce una qualità dei servizi scadente, esiti entrambi poco accettabili. Attente ricerche nel campo dimostrano che le industrie ad alta concentrazione tendono ad avere saggi di profitto solo leggermente superiori rispetto alle industrie non concentrate, fatto che può lasciare sorpresi e ha creato molte perplessità soprattutto nei critici delle grandi imprese, i quali si attendevano invece che esse realizzassero enormi profitti. Il livello di concorrenza imperfetta in un mercato non è influenzato soltanto dal numero e dalle dimensioni delle imprese, ma anche dal modo in cui agiscono. Interazione strategica è il termine che definisce come ogni strategia adottata da un'impresa dipenda dal comportamento dei suoi rivali. Se in un mercato sono presenti poche imprese, queste possono decidere di cooperare oppure di non cooperare. Le imprese non cooperano quando agiscono per conto proprio, senza alcun accordo esplicito o implicito con le altre imprese, comportamento che spesso si traduce in guerra dei prezzi. Le imprese cooperano quando cercano di ridurre al minimo la concorrenza; quando le imprese in un oligopolio cooperano attivamente, si dice che sono in collusione. Questo termine indica una situazione in cui due o più imprese fissano di comune accordo i livelli di prezzo e di produzione, si suddividono il mercato e prendono congiuntamente altre decisioni. Un cartello è un'organizzazione di imprese indipendenti che producono beni simili e operano insieme per aumentare i prezzi e ridurre l’output. A parte alcune rare eccezioni la legge vieta alle imprese di colludere per fissare i prezzi o suddividere i mercati: le imprese sono però spesso tentate di dare vita a collusioni tacite, ossia evitano di adottare comportamenti concorrenziali anche in assenza di accordi espliciti. Quando riesce, la collusione può presentare grossi vantaggi per le imprese. Quando gli oligopolisti possono colludere per massimizzare profitti comuni, tenendo presente la loro interdipendenza, generano prezzi, quantità e profitti di monopolio. All'estremo opposto degli oligopoli collusivi si situa la concorrenza monopolistica, che assomiglia alla concorrenza perfetta per tre aspetti: il mercato è formato da numerosi acquirenti e venditori, l'ingresso e l’uscita sono agevoli e le imprese accettano come dati i prezzi delle altre imprese. Esempi di concorrenza monopolistica sono le drogherie di uno stesso quartiere, che offrono i medesimi prodotti ma in luoghi diversi. Il punto importante è che la differenziazione dei prodotti significa che ciascun venditore gode di una certa libertà di alzare o abbassare i prezzi, più di quanto non accada in un mercato perfettamente concorrenziale. La differenziazione dei prodotti fa si che la curva di domanda di ciascun venditore abbia pendenza http://unict.myblog.it
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negativa. Poiché l'industria produce un profitto, nuove imprese sono attratte nel mercato, ma il loro ingresso determina uno spostamento verso sinistra della curva di domanda delle imprese già presenti, in quanto nuovi prodotti differenziati rosicchiano la loro quota di mercato. In questo tipo di concorrenza imperfetta il tasso di profitto nel lungo periodo tende a zero man mano che nuove imprese fanno ingresso nell'industria con nuovi prodotti differenziati. La concorrenza tra pochi introduce un aspetto del tutto nuovo nella vita economica: costringe le imprese a tener conto delle reazioni dei concorrenti in seguito a variazioni dei prezzi e dell'output e introduce nei mercati la considerazione dell'interazione strategica. Il mondo degli affari è ricco di interazioni strategiche tra i concorrenti, e per analizzare i risultati gli economisti si basano su un’affascinante aria della teoria economica, nota come teoria dei giochi, che consiste nell'analisi di situazioni riguardanti due o più "giocatori" che devono prendere decisioni e hanno obiettivi contrastanti. All'aumentare del numero di oligopolisti non cooperativi, il prezzo e la quantità dell'industria tendono ad avvicinarsi alla situazione del mercato perfettamente concorrenziale. Se le imprese decidono di colludere piuttosto che competere, il prezzo e la quantità del mercato saranno simili a quelli del monopolio. Spesso l'oligopolio non gode di un solido equilibrio. L'interazione strategica può condurre a risultati stabili quando le imprese minacciano, scatenano guerra dei prezzi, si arrendono di fronte alle imprese più forti, puniscono i rivali più deboli, palesano le loro intenzioni o semplicemente escono dal mercato. Le imprese che detengono il potere di mercato possono aumentare i loro profitti attuando la discriminazione del prezzo, cioè vendendo a clienti diversi lo stesso prodotto applicando prezzi differenti. Queste discriminazioni sorprendentemente migliorano il benessere economico: applicando prezzi differenti a coloro disposti a pagare prezzi elevati e a coloro che accettano solo prezzi più bassi, l'impresa monopolista può aumentare sia i profitti sia la soddisfazione del consumatore. Comportamento delle grandi società per azioni Il primo passo per capire il comportamento delle grandi società per azioni consiste nel rendersi conto che nella maggior parte dei casi sono ad azionariato diffuso: chiunque infatti può acquistare le azioni delle società, e la loro proprietà è perciò suddivisa tra numerosi investitori. Data l'ampia dispersione del capitale delle grandi società, la proprietà dell'impresa è solitamente separata dal controllo: i singoli proprietari non possono influire facilmente sull'operato delle grandi società per azioni e, benché gli azionisti eleggano il consiglio di amministrazione, sempre più spesso sono gli amministratori stipendiati che prendono le decisioni più importanti sulla strategia e le attività quotidiane della società. Le innovazioni producono enormi profitti innovativi, ma temporanei perché l'imitazione li erode. Schumpeter vedeva l'imprenditore come l'eroe del capitalismo, la persona dalle qualità intellettuali e dalla volontà superiori, mossa dall'intento di conquistare e dalla gioia di creare. Le interpretazioni moderne delle teorie di Schumpeter pongono particolare attenzione sugli aspetti peculiari dell'economia dell'informazione. L'informazione è fondamentale: è molto costoso produrla, ma molto economico riprodurla, perciò i mercati dell'informazione sono soggetti a gravi fallimenti di mercato. L’inappropriabilità delle invenzioni determina una carenza di investimenti nella ricerca e nello sviluppo, soprattutto nel settore della ricerca di base. L’inappropriabilità e gli elevati rendimenti sociali della ricerca spingono quindi molti stati a sovvenzionare la ricerca di base in campo medico e scientifico. Da tempo le nazioni hanno riconosciuto la necessità di proteggere pubblicamente le invenzioni perché il compenso per produrre informazioni di valore come le invenzioni è minimo rispetto alla facilità di riprodurle. Esistono perciò apposite leggi che regolano brevetti, segreti industriali e commerciali e prodotti elettronici, e che creano diritti di proprietà intellettuale. Grazie ai sistemi informatici elettronici a basso costo come Internet, è tecnologicamente possibile rendere l'informazione disponibile per tutti. La nuova economia dell'informazione mette in evidenza il conflitto tra efficienza e incentivi: da un lato tutte le informazioni possono essere fornite gratuitamente apparentemente in modo economicamente efficiente perché il prezzo è uguale al costo marginale, cioè zero; d'altra parte però il prezzo zero per la proprietà intellettuale riduce o distrugge l'incentivo a produrre nuovi dati, nuovi libri perché i creatori non traggono alcun profitto dalla loro attività. Tra innovazione e potere di mercato esiste una complessa relazione. Poiché le grandi imprese hanno dato un contributo essenziale alla ricerca e all'innovazione, è necessario usare http://unict.myblog.it
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prudenza nell'affermare che il loro potere è assolutamente negativo; bisogna inoltre riconoscere che alle piccole imprese e ai singoli individui si devono alcuni dei progressi tecnologici maggiormente rivoluzionari. Per promuovere una rapida innovazione, una nazione deve disporre di una grande varietà di organizzazioni e di metodi. Costi economici della concorrenza imperfetta Il potere del monopolio conduce all'inefficienza economica, in quanto il prezzo supera il costo marginale, ed è anche possibile che si verifichi un deterioramento della qualità. Per frenare gli abusi della concorrenza imperfetta, in passato i poteri pubblici hanno talvolta fatto ricorso all'imposizione fiscale, ai controlli dei prezzi e alla nazionalizzazione, ma nelle moderne economie di mercato questi strumenti sono utilizzati con minore frequenza. Ulteriori strumenti di politica industriale, adottati con maggiore frequenza, sono la regolamentazione, le leggi antitrust e l'incoraggiamento della concorrenza; tra questi, il più efficace è quello di favorire la concorrenza, riducendo le barriere in tutti casi in cui ciò è possibile. CAPITOLO XII: Redditi e prezzi dei fattori di produzione (pag. 227 – 244) Reddito e ricchezza Nel considerare la situazione economica di un individuo o di una nazione le due unità di misura utilizzate più di frequente sono il reddito e il patrimonio o ricchezza. Il reddito si riferisce ai salari, agli interessi, ai dividendi ed a ogni altro valore che matura in un certo periodo di tempo, il totale complessivo di tutti i redditi costituisce il reddito nazionale. Il reddito nazionale è rappresentato dai redditi da lavoro, sotto forma di salari, stipendi o altre indennità, mentre la parte rimanente riguarda i diversi tipi di redditi da capitale. I proventi di un'economia di mercato sono distribuiti tra i proprietari dei fattori di produzione del sistema economico sotto forma di salari, profitti, rendite e interessi. Il reddito di mercato di un individuo è dato dall'insieme delle quantità dei fattori di produzione che possiede moltiplicate per il prezzo di ciascun fattore. Le varie amministrazioni pubbliche costituiscono la principale fonte di reddito per milioni di persone. Lo Stato incassa una quota consistente del reddito nazionale attraverso le imposte e altri tributi. Ma ciò che lo stato prende con una mano lo restituisce con l'altra: la pubblica amministrazione distribuisce prestazioni sociali, ovvero pagamenti diretti a singoli individui che non hanno nulla a che vedere con la fornitura di beni o servizi. La proprietà di attività finanziarie in grado di produrre reddito, come le azioni e le obbligazioni, è decisamente più concentrata, ciò conduce ad un secondo importante concetto economico: il patrimonio o ricchezza è costituito dal valore monetario netto delle attività possedute in un determinato momento. Si noti che la ricchezza si accumula, mentre il reddito è un flusso per unità temporale. La ricchezza di una famiglia include beni tangibili e le attività finanziarie; i beni dotati di valore sono definiti attività, mentre i debiti costituiscono le passività. La differenza tra attività e passività totali è definita patrimonio netto o ricchezza netta. Produttività marginale e prezzo dei fattori La teoria della distribuzione del reddito studia il modo in cui in un'economia si determinano i redditi. I salari rappresentano il prezzo del lavoro, l'interesse è il prezzo del capitale, le rendite rappresentano il prezzo per l'utilizzo della terra e, come per i beni, anche per i fattori di produzione i prezzi sono stabiliti dall'interazione tra domanda e offerta. La domanda di diversi fattori di produzione può essere espressa in termini di ricavi ottenuti dalla produttività marginale, e che questi, combinati con l'offerta, determinano i prezzi e le quantità dei fattori e quindi i redditi di mercato. La domanda di fattori è diversa da quella di beni di consumo per due importanti ragioni: le domande di fattori sono domande derivate e interdipendenti. La domanda dei consumatori determina la domanda di tutti fattori di produzione. Gli economisti definiscono domanda derivata la domanda dei fattori di produzione. Questo significa che le imprese richiedono un input perché questo consente loro di produrre un bene che i consumatori desiderano in quel momento o richiederanno nel futuro. La produttività di un fattore, come per esempio il lavoro, dipende dalla quantità degli altri fattori produttivi che interagiscono con il primo, per cui è spesso impossibile stabilire la quantità di output prodotta da uno dei diversi input considerato singolarmente, in quanto gli input interagiscono l'uno con l'alhttp://unict.myblog.it
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tro. Le domande dei diversi fattori di produzione sono derivate dai ricavi prodotti da ciascun fattore in base al prodotto marginale. Il prodotto marginale in termini di valore dell'input a è il ricavo aggiuntivo generato da un'unità aggiuntiva di tale input. Quando i mercati dei prodotti sono perfettamente concorrenziali, è facile calcolare il prodotto marginale in termini di valore. In questo caso, ciascuna unità del prodotto marginale di un lavoratore (PML) può essere venduto al prezzo concorrenziale dell’output (P); in condizioni di concorrenza perfetta, inoltre, il prezzo dell'output non è influenzato dall'output dell'impresa per cui il prezzo è uguale al ricavo marginale (RM). In concorrenza perfetta il valore di ciascun lavoratore per l'impresa è quindi pari al valore monetario del prodotto marginale dell'ultimo lavoratore. Il concorrente imperfetta, dove la curva di domanda della singola impresa ha tendenza negativa, il ricavo marginale ottenuto da ciascuna unità addizionale di output venduto è inferiore al prezzo, in quanto l'azienda deve abbassare il prezzo delle unità precedenti per vendere un'unità aggiuntiva. Il prodotto marginale in termini di valore rappresenta il ricavo aggiuntivo che un'impresa ottiene dall'impiego di un'unità addizionale di un tipo di input mantenendo costanti gli altri input, e viene definito come il prodotto marginale dell'input moltiplicato per il ricavo marginale ottenuto dalla vendita di un'unità aggiuntiva di output. Tale regola è valida per il lavoro, la terra e gli altri input: Prodotto marginale in termini di valore del lavoro
PMVL = RM x PML
Prodotto marginale in termini di valore della terra
PMVT = RM x PMT
In condizioni di concorrenza perfetta, dato che P = RM Prodotto marginale in termini di valore (ciascun input) PMVi = P x PMi Per massimizzare i profitti occorre aumentare l’impiego degli input fino a quando il prodotto marginale in termini di valore di ciascun input supera il costo marginale o il prezzo dello stesso. La combinazione di input che massimizza i profitti di un’impresa in concorrenza perfetta si ha quando il prodotto marginale moltiplicato per il prezzo dell’output è pari al prezzo dell’input: Prodotto marginale del lavoro x prezzo dell’output = prezzo del lavoro = salario Prodotto marginale della terra x prezzo dell’output = prezzo della terra = rendita È possibile riformulare la condizione di cui sopra in termini molto più generali, valida sia per i mercati dei prodotti in concorrenza perfetta sia per quelli in concorrenza imperfetta. La regola del costo minimo stabilisce che i costi sono minimizzati quando il prodotto marginale per euro di input è uguale per tutti gli input. La scheda del prodotto marginale in termini di valore di ciascun input fornisce la domanda dell’impresa per quel dato input. Una conseguenza della regola del costo minimo è la regola della sostituzione: se il prezzo di uno dei fattori sale mentre quello degli altri fattori rimane invariato, di solito all'impresa conviene sostituire il fattore più costoso con quantità maggiori di altri fattori. Gli elementi che determinano l'offerta di lavoro sono il prezzo del lavoro e fattori demografici quali età, sesso, livello di istruzione e composizione familiare; la quantità di terra e di altre risorse naturali è determinata dalla conformazione geologica e non può essere modificata radicalmente. L'offerta di capitale dipende dagli investimenti effettuati in passato dalle imprese, dalle famiglie e dallo Stato. Un'analisi completa della distribuzione del reddito deve combinare la domanda e l'offerta dei fattori di produzione. La domanda di mercato dei fattori si ottiene sommando le domande individuali di ciascuna impresa. Il prezzo di equilibrio dell'input in un mercato concorrenziale viene raggiunto al livello in cui la quantità domandata e quella offerta sono uguali. La teoria della distribuzione del reddito basata sulla produttività marginale analizza il modo in cui il reddito nazionale totale è distribuito tra i diversi fattori. La concorrenza di numerosi proprietari terrieri http://unict.myblog.it
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e lavoratori fa si che i prezzi dei fattori uguaglino i rispettivi prodotti marginali, e tale processo consente di distribuire esattamente il 100% del prodotto. Qualsiasi fattore può essere variabile, non soltanto il lavoro. Dato che per ciascuna unità del fattore viene corrisposto soltanto il prodotto marginale dell'ultima unità impiegata, i prodotti marginali delle unità precedenti forniscono un'eccedenza residua di output; questo residuo è esattamente uguale ai redditi degli altri fattori, i cui prezzi vengono determinati in base alla produttività marginale e, di conseguenza, la teoria della distribuzione basata sulla produttività marginale, benché semplificata, fornisce un quadro logico completo della distribuzione del reddito in concorrenza perfetta. Anche se l'economia concorrenziale può trarre la quantità massima di un bene dalle risorse disponibili, a suo riguardo permane una fortissima riserva. In presenza di un'economia capitalista del laissez – faire, nulla può indurre a credere che i redditi saranno mai equamente distribuiti: i redditi di mercato possono produrre accettabili differenze, ma anche enormi disparità che permarranno per generazioni. CAPITOLO XIII: Mercato del lavoro (pag. 245 – 266) Determinazione dei salari Gli economisti tendono a utilizzare il salario medio reale, che rappresenta il potere d'acquisto di un'ora di lavoro ossia il salario monetario diviso per il costo della vita. In un certo momento ed a un determinato livello di tecnologia esiste una relazione tra la quantità di input di lavoro e la quantità di output; per la legge dei rendimenti decrescenti ogni unità aggiuntiva di input di lavoro apporta una quantità di output via via minore. I livelli salariali sono diversi da una nazione all'altra. Queste enormi differenze non significano che i governi impediscano ai salari di aumentare, pur essendo vero che le politiche governative influenzano il salario minimo e altri aspetti del mercato del lavoro, quanto piuttosto che i salari reali sono diversi da paese a paese principalmente a causa dell'interazione della domanda e dell'offerta di lavoro. L'offerta di lavoro si riferisce al numero di ore che la popolazione desidera dedicare ad attività remunerative in fabbriche, fattorie, imprese, enti pubblici o organizzazioni senza fini di lucro. I tre elementi chiave dell'offerta di lavoro sono le ore lavorative, la partecipazione della forza lavoro e l'immigrazione. Alcuni individui svolgono attività con orari flessibili, ma in genere l'orario di lavoro va da 35 a 40 ore settimanali, senza grandi possibilità di incrementare o ridurre le ore di lavoro. Supponiamo ora che i salari aumentino. La curva di offerta di lavoro in un primo tempo sale in direzione nord-est e successivamente presenta una pendenza all’indietro in direzione nord ovest. Un salario più elevato si traduce in un aumento di reddito, per cui l'individuo richiede maggiori quantità di beni e servizi nonché ore di svago aggiuntive. Uno degli sviluppi più notevoli negli ultimi decenni è stato il massiccio ingresso delle donne nella forza lavoro. Questo fenomeno può essere in parte spiegato dall'aumento dei salari reali ma un mutamento di tali proporzioni non può essere attribuito unicamente a fattori economici. Il ruolo degli immigranti nell'offerta di lavoro non può continuare a essere ignorato. Gli immigrati tendono a concentrarsi in occupazioni faticose e poco pagate. Consideriamo un mercato di lavoro perfettamente concorrenziale, in cui sono presenti numerosi lavoratori e datori di lavoro che non hanno la possibilità di influenzare i tassi salariali in modo apprezzabile. I tassi salariali orari sono esattamente uguali; le differenze salariali tra le industrie e gli individui sono determinate da differenze tra le occupazioni e tra le persone, oppure dall'assenza di concorrenza perfetta nei mercati del lavoro. Le differenze salariali atte a compensare la mancanza di attrattive relative, o differenze non monetarie, tra le diverse occupazioni sono dette differenziali salariali compensativi. Numerose differenze della qualità del lavoro dipendono da fattori non economici, mentre la decisione di accumulare capitale umano può essere valutata economicamente. Il termine capitale umano si riferisce alle scorte di conoscenze utili acquisite dagli individui nel corso della loro preparazione scolastica e professionale. Nella situazione di equilibrio di concorrenza perfetta, se gli individui e le occupazioni fossero esattamente uguali, i differenziali salariali non esisterebbero e tutti i tassi salariali di equilibrio determinati da domanda e offerta sarebbero gli stessi; ma se si abbandona l'utopia dell'uniformità degli individui e delle occupazioni, si riscontrano notevoli differenziali salariali anche nei mercati del lavoro perfettamente concorrenziali. I differenziali salariali compensativi, che compensano le differenze non http://unict.myblog.it
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monetarie della qualità delle occupazioni, spiegano alcuni di questi differenziali, mentre le differenze della qualità del lavoro ne chiariscono molti altri. Il movimento sindacale I sindacati raggiungono accordi collettivi che specificano chi può svolgere determinate attività, quale deve essere il salario e quali le regole lavorative, e possono inoltre decidere di organizzare uno sciopero al fine di ottenere condizioni più favorevoli dal datore di lavoro. I salari e le indennità accessorie dei lavoratori riuniti in un sindacato sono determinati dalla contrattazione collettiva, vale a dire dalle negoziazioni tra i rappresentanti delle imprese e dei lavoratori aventi lo scopo di fissare condizioni di lavoro accettabili da entrambe le parti. La parte centrale di questi accordi è costituita dal pacchetto economico, che comprende i tassi salariali di base delle diverse categorie occupazionali e le regole relative alle ferie e alle pause per i pasti; l'accordo contiene inoltre disposizioni relative alle indennità accessorie, come il sistema pensionistico, la copertura sanitaria e questioni analoghe. Una seconda importante questione è costituita dalle regole lavorative, che riguardano le assegnazioni e i compiti delle varie attività, la sicurezza del lavoro e le quantità di lavoro assegnato. L'accordo sindacale contiene infine caratteristiche procedurali, che includono regole di anzianità nonché una procedura per discutere le vertenze sindacali. In genere un contratto rimane valido tre anni. Spesso nella contrattazione collettiva i lavoratori fanno pressione per ottenere i salari più elevati, mentre gli imprenditori spingono nella direzione opposta: questa situazione viene definita monopolio bilaterale, caratterizzato da un unico acquirente e da un unico venditore. Quando in uno stato i salari reali sono troppo elevati, possono verificarsi alti tassi di disoccupazione, un tipo di disoccupazione che non risponde alle tradizionali politiche macroeconomiche, che consistono nell'aumentare la spesa totale, e richiedono piuttosto misure atte a ridurre i salari reali. Discriminazione razziale e sessuale Le differenze salariali sono una caratteristica universale delle economie di mercato, ma quando una differenza di questo tipo si verifica a causa di caratteristiche personali irrilevanti, come la razza, il sesso o la religione, viene definita discriminazione. La discriminazione si esprime in due aspetti: diverso trattamento delle persone in base a caratteristiche fisiche o prassi che hanno ripercussioni diverse su gruppi diversi. La forma di discriminazione più diffusa è l'esclusione da determinate occupazioni e determinate zone residenziali. Le minoranze vivono in zone in cui le scuole sono scadenti e non possono permettersi di optare per l'istruzione privata; di conseguenza, questi individui non vengono preparati a sufficienza per poter ottenere posti di lavoro ben retribuiti. Un aspetto molto interessante della discriminazione si realizza nell'interazione tra informazioni parziali e motivazioni errate, cioè nella discriminazione statistica in cui gli individui sono considerati in base al comportamento medio degli appartenenti al gruppo di riferimento più che in base alle loro caratteristiche fisiche. CAPITOLO XIV: Terra e capitale (pag. 267 – 293) Terra e rendita La terra costituisce un fattore di produzione essenziale. La caratteristica propria della terra è che la sua quantità è fissa e completamente insensibile al prezzo. Il prezzo da pagare per l'utilizzo di un terreno per un certo periodo di tempo è la rendita o, più formalmente, la rendita economica pura, e viene calcolata in termini di euro per unità di tempo. La rendita, o rendita economica pura, è il pagamento per l'utilizzo di fattori di produzione a offerta fissa. La curva di offerta della terra è completamente anelastica, cioè verticale, perché l'offerta di terra è fissa. La domanda del fattore è derivata dalla domanda del prodotto che il fattore genera. Il fatto che l'offerta di terra sia fissa ha un importante conseguenza: in seguito all'introduzione di un'eventuale imposta, se l'offerta è anelastica, l'intera imposta grava sui proprietari del fattore. Un'imposta sulla rendita non provoca distorsioni o inefficienze economiche in quanto non modifica il comportamento economico di nessuno; gli acquirenti non vengono influenzati perché il prezzo rimane invariato e il comportamento dei proprietari non cambia perché l'offerta di terra è fissa, per cui, prima e dopo l'introduzione dell'imposta sulla
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terra, il sistema economico opera esattamente nello stesso modo, e tale imposta non provoca distorsioni o inefficienze. Capitale e interesse L'analisi economica tradizionalmente suddivide i fattori di produzione in tre categorie: terra, lavoro e capitale. Alle prime due, definite fattori primari o originali, la cui offerta è in larga parte determinata al di fuori del mercato, va aggiunto un fattore prodotto: il capitale. Il capitale è costituito da quei beni durevoli che risultano da un processo produttivo e che a loro volta vengono utilizzati come input per la produzione successiva. Esistono tre categorie principali di beni capitali: le strutture, le attrezzature e le scorte di input e output. I beni capitali vengono acquistati e venduti in appositi mercati. Gran parte dei beni capitali sono di proprietà delle imprese che li utilizzano, ma in alcuni casi sono dati in affitto dai proprietari. I pagamenti per l'uso temporaneo dei beni capitali sono detti affitti. Per scegliere l'investimento più conveniente è necessario disporre di una misura del rendimento del capitale; una di queste è il tasso di rendimento del capitale, che indica il rendimento monetario netto annuo di ogni euro di capitale investito. Le attività materiali comprendono la terra e i beni capitali come il computer, le abitazioni e le automobili utilizzate per produrre altri beni e servizi. Ma dobbiamo distinguere queste attività dalle attività finanziarie, essenzialmente costituite da pezzi di carta; più precisamente, sono obbligazioni di natura monetaria da parte di un soggetto nei confronti di un altro. Un vasto sistema finanziario di banche, fondi d'investimento, compagnie assicurative e fondi pensione, spesso aiutati da prestiti e garanzie pubbliche, si occupano di incanalare i fondi dei risparmiatori verso gli investitori. Senza questo sistema finanziario, le imprese non avrebbero la possibilità di fare gli enormi investimenti necessari per sviluppare nuovi prodotti. Gli individui risparmiano perché si aspettano di ricevere un rendimento: questo è il tasso di interesse, ossia il rendimento finanziario dei fondi, o rendimento annuo dei fondi prestati. L'interesse è il rendimento d'investimento misurato in euro all'anno per euro d'investimento. Il tasso di interesse reale è il rendimento dei fondi in termini di beni e servizi. Per piccoli valori dei tassi di interesse e di inflazione, il tasso di interesse reale è dato dal tasso di interesse nominale meno il tasso di inflazione. Il valore attuale è il valore monetario odierno di un flusso di reddito nel tempo e si misura calcolando quanto denaro occorre investire oggi al tasso di interesse corrente, per generare il flusso di entrate future garantito dall'attività patrimoniale. Per illustrare il primo metodo per calcolare il valore attuale, verrà ora presentato il caso della rendita perpetua, ovvero le attività patrimoniali come la terra che durano per sempre e rendono N euro all'anno per un numero infinito di anni. N euro V= i V = valore attuale della terra N euro = entrate annue perpetue (euro all’anno) i = tasso di interesse in termini decimali (per esempio, 0,05 o 5/100 all’anno) Dopo aver esaminato il semplice esempio della rendita perpetua, prenderemo in considerazione il caso generale del valore annuale di un'attività patrimoniale che genera un flusso di reddito variabile nel tempo. La formula esatta per il calcolo del valore attuale è la seguente: V=
N1 1+i
+
N2 (1 + i)2
+
….
+
Ni (1 + i)3
Esiste una regola in grado di fornire le risposte corrette a tutte le decisioni d'investimento: basta calcolare il valore attuale risultante da ciascuna decisione possibile e successivamente agire in modo tale da massimizzare il valore attuale. In questo modo si otterranno ricchezze maggiori che potranno http://unict.myblog.it
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essere spese come si desidera. I contabili definiscono i profitti come la differenza tra i ricavi totali ed i costi totali. Molti dei profitti aziendali costituiscono il compenso ottenuto dai proprietari dell'impresa per il capitale ed il lavoro svolto, cioè i fattori di produzione che essi mettono a disposizione. Questi rendimenti sono detti impliciti, poiché questa è la denominazione attribuita ai costi opportunità dei fattori di proprietà delle imprese. I profitti contengono anche un premio per la rischiosità dell'investimento. Esiste un rischio di inadempienza quando un prestito o un investimento non può essere ripagato, magari perché il debitore è fallito. Inoltre esistono molti rischi assicurabili, per esempio contro gli incendi o gli uragani. Un terzo tipo di rischio è il rischio non assicurabile degli investimenti. Una quarta categoria è poi quella del rischio del governo, che si ha quando una nazione viene meno ai suoi impegni e non è previsto ricorso al sistema giudiziario. Contenendo elementi di queste quattro tipologie di rischi, i profitti aziendali sono la componente più instabile del reddito nazionale. Le obbligazioni e le azioni delle società devono quindi offrire un premio significativo per il rischio. Questo rendimento supplementare dell'azione rispetto agli investimenti per fini di rischi è detto equity premium. Un terzo tipo di profitti consiste nei compensi per l'innovazione e l'invenzione. Che cosa intendiamo per "innovatori"? Sono persone che possiedono la visione, l'originalità e il coraggio per introdurre nuove idee nell'impresa. Possiamo definire i profitti per l'innovazione (chiamati talvolta anche profitti di Schumpeter) come il premio supplementare temporaneo agli innovatori e agli imprenditori. L'investimento in beni capitali richiede il sacrificio del consumo presente per incrementare il consumo futuro. Con l'accumularsi del capitale subentrano i rendimenti decrescenti e il tasso di rendimento degli investimenti tende a diminuire. La teoria classica del capitale può essere utile per capire come si determina il tasso di interesse. Le famiglie offrono fondi da investire astenendosi dal consumo e accumulando risparmi nel tempo; allo stesso tempo, le imprese domandano beni capitali da utilizzare in combinazione con il lavoro, la terra e altri input; la domanda di capitale dell'impresa, infine, è determinata dal desiderio di realizzare profitti tramite la produzione di beni. In un sistema economico concorrenziale senza rischi o inflazione il tasso di rendimento concorrenziale del capitale è uguale al tasso di interesse del mercato. Il tasso di interesse di mercato ha due funzioni: limita l'offerta scarsa di beni capitali della società agli utilizzi che presentano i tassi di rendimento più elevati e induce gli individui a sacrificare il consumo presente al fine di incrementare lo stock di capitale. Il punto di equilibrio nel lungo periodo dello stock di capitale si ha nel punto in cui il valore delle attività finanziarie che gli individui desiderano offrire nel lungo periodo corrisponde esattamente alla quantità di capitale che le imprese richiedono per la produzione. Mercati ed efficienza economica L'efficienza è un processo attraverso il quale i consumatori ottengono il massimo soddisfacimento dalle risorse della società; più precisamente, l'efficienza allocativa si ha quando non è possibile riorganizzare la produzione o il consumo in modo tale da incrementare il soddisfacimento di un individuo senza ridurre quello di un altro. I principali concetti relativi al comportamento dei singoli mercati di cui abbiamo parlato nei capitoli precedenti sono: 1. la domanda e l'offerta concorrenziali determinano i prezzi delle quantità nei singoli mercati; 2. le curve di domanda di mercato derivano dalle utilità marginali dei diversi beni; 3. i costi marginali dei diversi beni determinano le curve di offerta concorrenziali; 4. le imprese calcolano i costi marginali dei prodotti ed i prodotti marginali in termini di valore dei fattori, e successivamente i livelli di input e output che consentono loro di massimizzare profitti; 5. la somma dei prodotti marginali in termini di valore di tutte le imprese fornisce la domanda derivata dei fattori di produzione; 6. la domanda derivata di terra, lavoro o beni capitali interagiscono con le offerte di mercato per determinare i prezzi dei fattori, quali la rendita, i salari e tassi di interesse; 7. i prezzi e quantità dei fattori determinano i redditi, i quali chiudono il cerchio tornando ai punti 1 e 2, contribuendo in tal modo a determinare la domanda dei diversi beni.
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Ciascuna di queste affermazioni è il risultato dell'analisi degli equilibri parziali. Come una ragnatela invisibile, i mercati degli input e degli output sono collegati all'interno di un sistema interdipendente, che viene definito equilibrio generale. Nell'equilibrio economico generale esiste una struttura logica che sta alla base di milioni di mercati che determinano i prezzi e gli output: le famiglie che intendono massimizzare la propria soddisfazione, l'offerta di fattori e l'acquisto di prodotti, mentre le imprese, spinte dal desiderio di realizzare profitti, trasformano i fattori acquistati dalle famiglie in prodotti da vendere alle famiglie. La struttura logica di un sistema di equilibrio generale è così completa. Quali sono i presupposti dell'analisi di un sistema economico di libero mercato? La perfetta concorrenzialità di tutti mercati, in altre parole essi sono soggetti alla spietata concorrenza di numerosi acquirenti e venditori. Si passa successivamente alla descrizione delle interazioni nei diversi segmenti di un sistema economico: i componenti fondamentali sono il comportamento dei consumatori e dei produttori e la loro interazione produce l'equilibrio generale. I consumatori distribuiscono i loro redditi fra diversi beni, al fine di ottenere la massima soddisfazione e scelgono i beni in modo tale che le utilità marginali per euro di spesa siamo uguali per tutte le ultime unità di ciascun bene. Per quanto riguarda le condizioni necessarie affinché i produttori possano massimizzare i profitti, nei mercati dei prodotti ogni impresa fissa il proprio livello di output in modo tale che il costo marginale di produzione sia uguale al prezzo del bene. Un sistema di mercato caratterizzato dall'equilibrio generale alloca le risorse in modo efficiente e se i mercati sono in condizioni di concorrenza perfetta, i consumatori ed i produttori sono ben informati e non sono presenti esternalità. In un sistema di questo tipo il prezzo di ciascun bene è uguale al suo costo marginale e il prezzo di ogni fattore è uguale al valore del suo prodotto marginale. Di conseguenza, quando tutti i produttori massimizzano i profitti e tutti i consumatori massimizzano l’utilità, il sistema economico nel suo insieme è efficiente e non è possibile migliorare le condizioni di qualcuno senza peggiorare quelle di qualcun altro. Il punto fondamentale da chiarire e che, siccome i prezzi fungono da indicatori della scarsità economica per i produttori e dell'utilità sociale per i consumatori, un meccanismo di prezzi concorrenziali consente di produrre la combinazione migliore di beni e servizi avvalendosi delle risorse e della tecnologia a disposizione della società. CAPITOLO XV: Il vantaggio comparato ed il protezionismo (pag. 297 – 322) Il fondamento economico del commercio internazionale Esistono tre differenze importanti tra il commercio interno e internazionale, che comportano conseguenze significative a livello pratico ed economico: il principale vantaggio del commercio internazionale sta nell'ampliamento degli orizzonti di scambio; 1. a volte vengono erette barriere politiche al commercio internazionale, quando i gruppi interessati si oppongono alla concorrenza delle merci straniere e le nazioni impongono dazi doganali o contingenti d'importazione. Questa prassi viene definita protezionismo; 2. quasi tutte le nazioni hanno una moneta propria; il sistema finanziario internazionale deve assicurare un flusso regolare di valute se non vuole correre nel rischio di un blocco del commercio. Le nazioni trovano utile partecipare al commercio internazionale per vari motivi: a causa delle diverse condizioni di produzione, a causa dei costi decrescenti di produzione e a causa di differenze di gusti dei paesi stessi. Le economie di scala danno al paese un notevole vantaggio sotto il profilo dei costi e della tecnologia rispetto ad altri stati, che trovano meno caro acquistare dal maggiore produttore che realizzare da se il bene in questione. Il vantaggio comparato Il principio del vantaggio comparato afferma che un paese può beneficiare del commercio anche se in termini assoluti e più efficiente (o meno efficiente) di altri paesi nella produzione di ciascun bene. Il principio del vantaggio comparato afferma che ogni paese avrà un vantaggio se si specializzerà nella produzione e nell'esportazione dei beni che può produrre a costo relativamente basso (nei quali è relativamente più efficiente di altri paesi); al contrario, ogni paese avrà un vantaggio se imhttp://unict.myblog.it
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porterà i beni che produce a un costo relativamente elevato (nei quali è relativamente meno efficiente di altri paesi). Nel 1817 l'economista inglese David Ricardo, dimostra come la specializzazione a livello internazionale vada a beneficio delle singole nazioni, e giunse ad enunciare la cosiddetta legge del vantaggio comparato. Quando ogni paese si concentra sul proprio settore di vantaggio comparato, tutti ne beneficiano. I lavoratori di una regione possono ottenere un quantitativo maggiore di beni di consumo con la stessa quantità di lavoro, quando gli individui si specializzano nei settori di vantaggio comparato e scambiano la produzione con beni per i quali hanno uno svantaggio comparato. Il libero scambio nei mercati concorrenziali consente al mondo di spostarsi sulla frontiera delle possibilità produttive. Il protezionismo Per secoli gli stati hanno utilizzato i dazi doganali e contingenti per aumentare i ricavi e influire sullo sviluppo delle singole industrie. Possiamo usare l'analisi della domanda e dell'offerta per comprendere gli effetti economici dei dazi e dei contingenti: tenere conto, innanzitutto, che un dazio doganale è un tributo prelevato sulle importazioni, mentre un contingente di importazione è un limite alla quantità di beni importati; gli Stati Uniti hanno contingenti di importazione su molti prodotti, mentre l'Italia ha completamente eliminato dazi e contingenti di importazione nei confronti dei paesi dell'Unione Europea. Il caso più semplice da analizzare è quello di un dazio doganale proibitivo, un dazio così elevato da scoraggiare qualsiasi importazione. Dazi doganali più moderati colpirebbero, ma non stroncherebbero il commercio. Un dazio doganale tenderà a fare aumentare il prezzo, a ridurre le quantità consumate e importate ed a incrementare la produzione nazionale. Un contingente proibitivo produrrà lo stesso risultato di un dazio proibitivo. Un dazio fornisce entrate allo Stato, magari consentendo che altre imposte vengano ridotte. Un contingente, invece, trasferisce i prodotti derivanti dalla differenza di prezzo nelle tasche degli importatori o degli esportatori che sono così fortunati da ottenere il permesso o la licenza di importazione e che in tal modo possono ricompensare, o perfino corrompere, i funzionari che concedono le licenze di importazione. Il costo per il trasferimento di merci ingombranti o deperibili ha lo stesso effetto dei dazi doganali, in quanto riduce l'entità della positiva specializzazione regionale. Gli argomenti a favore della protezione mediante dazi o contingenti di importazione contro la concorrenza delle importazioni straniere assumono molte forme diverse. Quelle che seguono sono le principali categorie: • argomentazioni non economiche indicanti che è auspicabile sacrificare il benessere economico per sostenere altri obiettivi nazionali; • argomentazioni basate sul fronte rendimento della logica economica, per esempio del principio del vantaggio comparato; • analisi che si basano sul potere di mercato o su imperfezioni macroeconomiche. La manipolazione delle ragioni di scambio mediante dazi ottimali può aumentare il reddito reale di un grande paese a spese dei partner commerciali. In presenza di disoccupazione i dazi possono spingere l'economia verso la piena occupazione, ma le politiche monetarie fiscali potrebbero raggiungere lo stesso obiettivo con minori inefficienze rispetto a questa strategia che va a scapito dei partner commerciali. A volte le industrie nascenti possono aver bisogno di protezione temporanea per realizzare i loro veri vantaggi comparati di lungo periodo. Il principio del vantaggio comparato va adeguato se i mercati funzionano male a causa della disoccupazione o di disordini sul mercato dei cambi. Inoltre, il commercio può danneggiare i singoli settori o fattori se le importazioni diminuiscono i loro profitti. CAPITOLO XVI: Sistema fiscale e spesa pubblica (pag. 323 – 346) Controllo del sistema economico da parte dello Stato Lo Stato per influenzare l'attività economica privata si serve di questi tre principali strumenti: • le imposte, che, riducendo il reddito privato, limitano le spese dei privati e forniscono le risorse per la spesa pubblica. Il sistema fiscale ha inoltre la funzione di scoraggiare alcune attività tassandole maggiormente ed incoraggiare altri settori tassandoli meno;
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le spese, che inducono le imprese o i lavoratori a produrre determinati beni e servizi ed i trasferimenti che sostengono i redditi dei meno abbienti; • le regolamentazioni o controlli che spingono gli individui a eseguire o a evitare certe attività economiche. In Italia, così come in altri paesi europei, il rapporto tra spesa pubblica e PIL è assai più alto che negli Stati Uniti, e si colloca oggi intorno al 50%. I paesi con redditi elevati tendono a introdurre imposte elevate e a spendere una parte più consistente del PIL rispetto ai paesi poveri. L'intervento statale nell'economia, sia mediante regolamentazione sia mediante la creazione di imprese pubbliche, si accrebbe notevolmente durante il fascismo, e la tendenza è continuata anche dopo la fine della dittatura e l'instaurazione della Repubblica. La storia economica italiana degli ultimi cinquant'anni ha visto, tra l'altro, la creazione e l'ampliamento del sistema delle partecipazioni statali e l'estensione dell'assistenza sanitaria pubblica a tutta la popolazione. Quali sono gli obiettivi economici della pubblica amministrazione in una moderna economia mista? • incremento dell'efficienza economica; • miglioramento della distribuzione delle reddito; • stabilizzazione del sistema economico mediante politiche macroeconomiche; • rappresentanza del paese a livello internazionale. In altre parole la pubblica amministrazione opera per correggere i principali fallimenti del mercato, tra i quali vanno ricordati il fallimento della concorrenza perfetta, le esternalità ed i beni pubblici e le informazioni incomplete. La redistribuzione delle reddito è la seconda funzione economica pubblica in ordine importanza. I governi si assumono la responsabilità di evitare il ripetersi di disastrose depressioni economiche mediante un'assennata politica fiscale monetaria e una rigorosa regolamentazione del sistema finanziario. Oggi i governi svolgono l'importante funzione di rappresentare gli interessi nazionali sulla scena internazionale e di negoziare accordi vantaggiosi con altri paesi. Una parte importante della politica economica riguarda l'armonizzazione delle leggi e la riduzione delle barriere commerciali al fine di incoraggiare la socializzazione e la divisione del lavoro a livello internazionale. Le nazioni ricche dispongono di numerosi programmi per il miglioramento delle condizioni dei poveri di altri stati. Il sistema monetario internazionale non è in grado di gestirsi autonomamente; la creazione di un sistema di cambio armonico costituisce un prerequisito per l'efficienza del commercio internazionale. La novità più recente della politica economica internazionale consiste nella collaborazione tra nazioni al fine di proteggere l'ambiente nei casi in cui numerosi paesi partecipano alla gestione di una certa risorsa ambientale. Possono verificarsi anche "fallimenti pubblici", vale a dire situazioni in cui gli interventi pubblici provocano sprechi o distribuiscono il reddito in modo indesiderato. Questi problemi riguardano la teoria delle scelte pubbliche, cioè la branca dell'economia e della politologia che studia il modo in cui i governi prendono le loro decisioni. La spesa pubblica In Italia, accanto alla pubblica amministrazione centrale operano gli enti locali: regioni, province e comuni. In teoria, la suddivisione di poteri e responsabilità tra i diversi livelli della pubblica amministrazione dovrebbe riflettere l'esistenza di una suddivisione delle responsabilità fiscali tra i diversi livelli amministrativi, ovvero di un sistema denominato federalismo fiscale. In generale, le amministrazioni locali sono responsabili dei "beni pubblici locali", vale a dire attività i cui benefici sono essenzialmente limitati ai residenti locali. I problemi relativi agli "beni pubblici globali" sono invece soggetti ad accordi internazionali in quanto superano i confini dei singoli paesi. In anni recenti le categorie di spesa che hanno presentato la crescita più rapida a livello statale e locale sono state l'assistenza sanitaria e il sistema carcerario. Per l'Italia va innanzitutto segnalato che gran parte della spesa è decisa a livello centrale. Aspetti economici dell’imposizione fiscale I governi finanziano i propri programmi di spesa soprattutto con i fondi provenienti dalle imposte e, nel caso siano insufficienti, facendo ricorso al debito pubblico. Quando il governo introduce l'imposta, in realtà decide in che modo trarre le risorse necessarie dalle famiglie e dalle imprese della na•
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zione per destinarle a finalità pubbliche. I fondi raccolti tramite le imposte rappresentano il veicolo con cui le risorse reali vengono trasferite dai beni privati ai beni pubblici. Economisti e filosofi politici hanno proposto due principi fondamentali per l'organizzazione di un sistema fiscale: • il principio del beneficio afferma che individui diversi dovrebbero essere tassati in proporzione al beneficio che ricevono dai programmi di spesa pubblica; • il principio della capacità contributiva afferma che le imposte pagate dagli individui dovrebbero essere correlate al loro reddito o patrimonio. Quasi tutti i moderni sistemi fiscali tentano di incorporare anche concetti di giustizia o equità. Un principio importante è quello dell'equità orizzontale, secondo il quale gli individui sostanzialmente uguali devono essere tassati allo stesso modo. Un principio più controverso è quello dell'equità verticale, che riguarda il trattamento fiscale di persone con redditi diversi. Ai giorni nostri i paesi avanzati si basano in larga misura sulle imposte progressive sul reddito. Di fatto la famiglia con il reddito più elevato non paga solo un'imposta sul reddito maggiore, ma anche una maggiore percentuale del reddito stesso. L'imposta progressiva si contrappone a un'imposta strettamente proporzionale, che preleva dai contribuenti esattamente la stessa percentuale di reddito; per contro, un'imposta regressiva preleva dai poveri una percentuale di reddito maggiore di quella versata dai ricchi. Le imposte indirette gravano su beni servizi e quindi soltanto "indirettamente" sugli individui; esempi di tali imposte sono quelle sui consumi e sulle rendite. Per contro, le imposte dirette gravano direttamente sugli individui o sulle imprese; ne sono esempi le imposte sul reddito delle persone fisiche. In primo luogo consideriamo l'imposta sul reddito delle persone fisiche. Si tratta di un'imposta diretta e, tra tutte le imposte, è quella che maggiormente riflette il principio della capacità contributiva. Come si calcola l'imposta sul reddito delle persone fisiche? Innanzitutto si determina il reddito dell'individuo in questione, e da questo si sottraggono spese, detrazioni ed esenzioni per ottenere l'imponibile su cui calcolare l'imposta. L'imposta, in tutti i sistemi economici più avanzati, è progressiva, ossia grava in misura maggiore sui redditi più elevati. L'imposta federale che presenta la crescita più rapida è l'imposta sul monte salari che serve a finanziare la previdenza sociale. Si tratta di imposta "per scopi sociali" che raccoglie fondi da destinare ai programmi pubblici a favore di pensionati, invalidi e malati. Dato che nella fase finale del flusso di pagamenti vi sono benefici visibili, l'imposta sul monte salari presenta elementi di un’imposta sul beneficio. In Italia un ruolo analogo è svolto dai contributi sociali, destinati a finanziare il sistema di sicurezza sociale. Le imposte influenzano sia l'efficienza sia la distribuzione del reddito. La moderna teoria dell'imposizione fiscale efficiente ha prodotto la regola delle imposte di Ramsey, che afferma che lo Stato dovrebbe imporre le imposte più elevate sugli input e gli output con domande e offerta maggiormente anelastiche rispetto al prezzo. La regola delle imposte di Ramsey si basa sul fatto che se l'offerta alla domanda di un bene è molto anelastica rispetto al prezzo, un'imposta sul bene avrà un'influenza limitata sui consumi e sulla produzione. Un esempio concreto si ebbe in Gran Bretagna nel 1990 con la proposta di introdurre una poll tax, cioè un'imposta in somma fissa per persona; il vantaggio di una tale imposta e che è, come per l'imposta sulla terra, essa non avrebbe prodotto inefficienze, in quanto è improbabile che gli individui migrino in Russia o facciano di tutto per evitare l'imposta, quindi le distorsioni economiche sarebbero state minime. Purtroppo il governo inglese non si rese conto della misura in cui la popolazione riteneva quest'imposta ingiusta. Le critiche rivolte alla poll tax furono uno dei principali motivi che causarono la caduta del governo Thatcher dopo undici anni di potere. La questione del trasferimento delle imposte riguarda l'incidenza fiscale, cioè il modo in cui si ripartisce l'onere fiscale e gli effetti globali sui prezzi, sulle quantità e sulla composizione di produzione e consumo. L'incidenza fiscale esamina l'impatto dei programmi di imposizione fiscale e di spesa sui redditi della popolazione e riguarda il loro livello generale di progressività o regressività; per calcolarla occorre distribuire tutte le imposte e i trasferimenti tra i diversi gruppi. La curva di Laffer La curva di Laffer, che ha preso il nome dall'economista e aspirante senatore californiano Arthur Laffer, è mostrata nella figura sotto. La curva di Laffer mostra che l'incremento delle aliquote d'im-
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posta determina un aumento delle entrate, che salgono fino a un punto massimo L e poi scendono fino a 0 con un'aliquota fiscale del 100% in quanto l'attività viene completamente scoraggiata. L Entrate fiscali totali
Aliquote d’imposta
CAPITOLO XVII: Politiche di regolazione e antitrust (pag. 347 – 366) Regolamentazione delle imprese: teoria e pratica Nel tentativo di controllare l'attività economica lo Stato può incentivare il mercato oppure imporre determinati obblighi. Le disposizioni del governo riguardano oggi una vasta gamma di aree, che non includono soltanto l'inquinamento o l'urbanizzazione ma anche la raccolta delle informazioni, la regolamentazione dei salari e degli orari di lavoro e molte normative specifiche di particolari industrie, per esempio delle imprese che utilizzano pesticidi o producono nuovi farmaci. In genere si distinguono due forme di regolamentazione. La regolamentazione economica si riferisce al controllo dei prezzi, alle condizioni di ingresso e di uscita nel mercato e ai livelli del servizio di una particolare industria ed è estremamente importante nei settori in cui vi sono monopoli naturali. Esiste inoltre una seconda forma di regolamentazione, nota come regolamentazione sociale, che viene utilizzata per proteggere l'ambiente, la salute e la sicurezza dei lavoratori e dei consumatori. La regolamentazione limita il potere di mercato delle imprese. Esistono tre principali giustificazioni di interesse pubblico nella regolamentazione: innanzitutto per disciplinare il comportamento delle imprese al fine di prevenire abusi del potere di mercato attraverso monopoli e oligopoli; in secondo luogo per rimediare alla carenza di informazioni, come quella che si verifica quando i consumatori non conoscono in modo adeguato le caratteristiche di prodotti importanti come farmaci o le apparecchiature elettriche; una terza giustificazione, infine, è la correzione di esternalità come l'inquinamento, oggetto della regolamentazione sociale. Il governo dovrebbe regolamentare le industrie in cui vi sono troppe poche imprese per garantire una concorrenza efficace, soprattutto nel caso estremo del monopolio naturale. Una tipica motivazione economica della regolamentazione è quella di impedire la determinazione di prezzi monopolistici da parte dei monopoli naturali. La regolamentazione impone alle imprese regolamentate una determinazione dei prezzi in base al costo medio. A ciascuna categoria di consumatori verrebbe quindi applicato il costo medio interamente distribuito di quel tipo di servizio. D Prezzo di monopolio
PM
Prezzo regolamentato PR Prezzo ideale PI RM
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D QM
QR
QI
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La figura illustra la regolamentazione dei servizi pubblici: il punto M rappresenta l'output non regolamentato che consente al monopolista di massimizzare i profitti; tale punto corrisponde a un pezzo estremamente elevato, a una quantità modesta e a profitti di tutto rispetto. Nella regolamentazione tradizionale il monopolista è autorizzato a fissare un pezzo sufficientemente elevato da coprire il costo medio unitario. In questo caso l'impresa fisserà un pezzo corrispondente al punto in cui la curva di domanda DD interseca la curva CU, e, di conseguenza, l'equilibrio sarà indicato dal punto R. In realtà, P = CM, ossia la determinazione dei prezzi in base al costo marginale, è l'obiettivo ideale per raggiungere l'efficienza economica, ma presenta un serio ostacolo pratico: se un’impresa con costo medio decrescente fissa il prezzo a un livello pari al costo marginale incorrerà in una perdita cronica. Un approccio alternativo fissa i prezzi in base a tariffe a due parti: l’impresa impone una tariffa fissa per coprire i costi generali e aggiunge quindi un costo variabile per coprire il costo marginale. Tra gli effetti della regolamentazione vi sono sia aumenti sia cali di efficienza e provoca una redistribuzione del reddito. La politica antitrust La politica antitrust è una delle più importanti forme di controllo pubblico sulle imprese. Con il declino della regolamentazione economica come principale strumento per la prevenzione degli abusi monopolistici, il governo si è concentrato in modo crescente sugli incentivi alla concorrenza e sull'applicazione di politiche antitrust come armi principali per incoraggiare l'efficienza economica dei mercati. Le politiche antitrust vietano alcuni tipi di comportamenti delle imprese che inibiscono le forze concorrenziali e pongono restrizioni ad alcune strutture di mercato, come i monopoli. Per lungo tempo le uniche norme antitrust in vigore in Italia sono state quelle contenute nel trattato di Roma, con il quale fu costituita la Comunità Economica Europea. In particolare, l'articolo 85 del trattato proibisce le pratiche collusive che possono restringere o falsare la concorrenza nel mercato comune; l'articolo 86 vieta inoltre l'abuso di posizione dominante nel mercato interno. L’Italia ha tardato a lungo prima di approvare una legge antitrust. Finalmente, la materia è stata regolamentata con la legge 287, approvata nell'ottobre 1990, che ha istituito l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, definendone gli ambiti e le modalità d'intervento. Negli Stati Uniti i monopoli erano illegali già da lungo tempo secondo il diritto comune, ma tali leggi si rivelarono inefficaci per combattere le fusioni, i cartelli e il trust. Nel 1890 i sentimenti populisti condussero all'approvazione dello Sherman Act, che rappresenta la pietra miliare della normativa antitrust americana. Questa legge proibisce qualsiasi contratto, associazione o accordo che limiti gli scambi, e proibisce la monopolizzazione e tentativi di monopolizzazione. Il Clayton Antitrust Act, approvato per chiarire e rafforzare la legge Sherman, vietava i contratti vincolanti, dichiarava illegali le discriminazioni dei prezzi e le trattative esclusive, proibiva i consigli di amministrazione incrociati e le fusioni realizzate con l'acquisto di azioni ordinarie dei concorrenti. Nel 1914 fu istituita la Federal Trade Commission per proibire metodi sleali di concorrenza e per vigilare contro le fusioni anticoncorrenziali. I tribunali hanno stabilito che alcuni tipi di comportamento collusivo sono illegali di per sé e non esistono giustificazioni per tali azioni. La principale categoria di comportamento illegale di per sé è costituita dagli accordi tra imprese in concorrenza volte a fissare i prezzi, limitare l'output o ripartire i mercati. Le leggi antitrust limitano anche altre forme di comportamento: • la fissazione predatoria dei prezzi, dove un’impresa vende i propri beni a prezzi inferiori ai costi di produzione; • i contratti vincolanti; • la discriminazione dei prezzi, dove un'impresa vende a clienti diversi lo stesso prodotto applicando prezzi differenti per motivi estranei al costo o alla concorrenza. I casi più evidenti di applicazione delle leggi antitrust riguardano la struttura delle industrie piuttosto che il comportamento delle società. Si tratta di tentativi di disgregazione delle grandi imprese e di procedimenti preventivi antifusione contro le proposte di fusione di imprese di grandi dimensioni. Le fusioni orizzontali, in cui si uniscono società appartenente alla medesima industria, negli Stati Uniti sono vietate dalla legge Clayton quando la fusione potrebbe ridurre considerevolmente la concorrenza dell'industria. Le fusioni verticali si verificano quando si uniscono due imprese a diversi http://unict.myblog.it
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stadi del processo produttivo. I tribunali hanno prestato scarsa attenzione alla potenziale efficienza di operazioni congiunte nelle fusioni verticali. Un terzo tipo di fusioni, definite fusioni in conglomerato, si ha quando si uniscono imprese non correlate come quando, per esempio, una società chimica o siderurgica acquista una società petrolifera. I critici di questo tipo di fusioni mettono in evidenza due aspetti: in primo luogo rivelavano che la dimensione delle maggiori società è spaventosa; di conseguenza esse dispongono di un grande potere economico e politico. Il secondo punto è che molte di queste combinazioni non presentano alcune finalità economica. Eppure anche questi tipi di fusioni hanno i loro sostenitori: alcuni economisti affermano, per esempio, che hanno il merito di introdurre sistemi di gestione moderni in imprese arretrate e che le acquisizioni, come i fallimenti, rappresentano lo strumento a disposizione del sistema economico per eliminare i rami secchi nella lotta economica per la sopravvivenza. CAPITOLO XVIII: Risorse naturali e ambiente (pag. 367 – 388) La “teoria della cornucopia” afferma che il momento in cui l’umanità esaurirà le risorse naturali o le capacità tecnologiche è molto lontano. Secondo questo punto di vista possiamo guardare al futuro con ottimismo: vi saranno crescita economica, tenore di vita in aumento e l’ingegnosità umana sarà perfettamente in grado di affrontare qualsiasi problema ambientale. Generalmente, i principali economisti tendono a collocarsi fra gli estremi dell’ambientalismo e della teoria della cornucopia. Popolazione e limitazione delle risorse L'analisi economica della popolazione ebbe origine grazie ai contributi del reverendo Malthus, il quale sviluppò le proprie idee criticando l'opinione ottimista di suo padre, secondo la quale la razza umana progrediva costantemente. Malthus partì dall'osservazione secondo cui nelle colonie americane, dove le risorse abbondavano, la popolazione tendeva raddoppiare ogni 25 anni circa e da qui postulò una tendenza universale della popolazione a crescere in modo esponenziale o in progressione geometrica. Dopo aver fatto ricorso all'interesse composto, Malthus utilizzò anche i rendimenti decrescenti. Egli affermò che siccome la terra è fissa mentre gli input di lavoro aumentano costantemente, i generi alimentari tenderebbero a crescere in progressione aritmetica e non geometrica. Egli descrisse anche gli impedimenti che, in tutti tempi e in tutti i luoghi, tengono basso il livello di popolazione. Nella prima edizione del suo lavoro, evidenziò anche gli impedimenti "positivi" che fanno salire il tasso di mortalità: pestilenze, fame e guerre; successivamente, espresse la speranza che la crescita della popolazione potesse essere rallentata da "precetti morali" come l'astinenza e il rinvio dei matrimoni. Nonostante gli accurati studi statistici condotti da Malthus, oggi i demografi ritengono che le sue idee fossero eccessivamente semplificate. Nel secolo successivo a Malthus, i progressi tecnologici hanno spostato verso l'esterno la frontiera delle possibilità produttive di alcuni paesi europei e Nord americani e i mutamenti della tecnologia sono stati talmente veloci che l'incremento dell'output ha superato notevolmente la crescita della popolazione, determinando un rapido aumento dei salari reali. È interessante la scoperta dell'andamento a U rovesciata del livello di inquinamento lungo le diverse fasi dello sviluppo economico. Il tratto ascendente della curva è determinato dall'urbanizzazione che, accompagnata dallo sviluppo di industrie molto inquinanti, spesso sostituisce l'agricoltura nelle prime fasi dello sviluppo; quando le acciaierie prendono il posto dell'agricoltura di sussistenza, è quasi inevitabile che l'inquinamento atmosferico peggiori, soprattutto perché i paesi poveri sono in grado di comperarlo solo in minima parte. Tuttavia, con l'aumento dei redditi, i paesi tendono a investire nella riduzione dell'inquinamento e le loro strutture economiche si evolvono verso servizi e lontano dall'industria pesante, riducendo l'inquinamento.
Inquinamento pro capite per unità prodotta Reddito pro capite
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L’economia delle risorse naturali Le risorse naturali più importanti sono la terra, l'acqua e l'atmosfera: i terreni fertili forniscono generi alimentari e vino, mentre dal mantello terrestre si estraggono petrolio e altri minerali; le acque forniscono pesce e possibilità di svago, e costituiscono un mezzo di trasporto estremamente efficiente; la preziosa atmosfera produce l'aria da respirare, bellissimi tramonti e spazi in cui possono volare gli aeroplani. Nell'analisi delle risorse naturali gli economisti effettuano due distinzioni primarie: un bene si definisce appropriabile quando le imprese o i consumatori possono trarne l'intero valore economico, come la terra, le risorse minerarie, il gas e gli alberi; una seconda categoria di risorse, note come inappropriabili, possono sicuramente provocare problemi economici; esse sono quelle che implicano esternalità. Una risorsa non rinnovabile è caratterizzata da un'offerta essenzialmente fissa o che non si rigenera velocemente, come i combustibili fossili. Una seconda categoria è costituita dalle risorse rinnovabili, i cui servizi si rinnovano regolarmente e che, se gestite correttamente, possono fornire una quantità infinita di servizi utili, come l'energia solare e l'acqua. In primo luogo verranno considerate le risorse naturali appropriabili. Anche se la percentuale di reddito totale direttamente derivante dalle risorse naturali è modesta, non sarebbe saggio pensare che tali risorse non siano importanti per la crescita economica. Tutte le risorse energetiche dispongono di sostituti; è così sempre possibile per esempio sostituire il petrolio e il gas o con il carbone. Numerosi ambientalisti sostengono che l'energia e altre risorse naturali, come le zone verdi e le foreste secolari, sono tipi speciali di capitale che devono essere conservati al fine di mantenere una crescita economica "sostenibile". L'influenza del progresso tecnologico ha controbilanciato l'effetto della tendenza all'esaurimento, che spinge verso l'alto i prezzi: i fili telefonici in rame, per esempio, vengono sostituiti dai cavi in fibra ottica, che utilizzano materie prime molto più economiche e abbondanti. Un fenomeno analogo si sta verificando in quasi tutti i settori legati alle risorse naturali. Contenimento delle esternalità: economia ambientale Esistono vari tipi di esternalità. Alcune sono positive, altre sono negative: se, per esempio, qualcuno getta rifiuti tossici in un fiume, potrebbe uccidere pesci e piante e diminuire il valore del corso d'acqua a scopo ricreativo e, poiché non paga per il danno provocato, si verifica un’esternalità negativa o nociva; se invece qualcuno sviluppa una tecnica migliore per ripulire l'inquinamento da petrolio, il beneficio si estenderà a numerosi individui che non pagano l'inventore; in questo caso si avrà un’esternalità positiva o benefica. Un esempio estremo di esternalità è quello di un bene pubblico, ovvero un bene che può essere fornito a tutti con la stessa facilità con cui può essere fornito a un solo individuo. Il caso per eccellenza di un bene pubblico è la difesa nazionale. I beni pubblici garantiscono benefici indivisibili all'intera comunità, indipendentemente dal fatto che gli individui desiderino o meno acquistare il bene pubblico. Al contrario, i beni privati possono essere suddivisi o forniti separatamente a diversi individui senza comportare benefici o costi esterni per altri. Perché le esternalità come l'inquinamento producono inefficienza economica? In un ambiente non controllato le imprese determinano i livelli di inquinamento a loro più convenienti, uguagliando il beneficio marginale privato derivante dalla riduzione dell'inquinamento al costo marginale di tale riduzione. Gli economisti tentano di determinare il livello di inquinamento socialmente efficiente equilibrando i costi e benefici sociali; più precisamente, l'efficienza richiede che il beneficio marginale sociale della riduzione ed i costi marginali sociali della riduzione siano uguali. Gli economisti hanno sviluppato diversi approcci per misurare i danni che non si evidenziano direttamente dai prezzi mercato; la valutazione è più semplice nei casi in cui i problemi ambientali danneggiano direttamente gli utenti. Alcuni economisti dell’ambiente utilizzano una tecnica detta valutazione contingente, che consiste nel domandare alle persone quanto sarebbero disposti a pagare in una situazione ipotetica, per esempio, al fine di preservare alcune risorse naturali. Quali sono gli strumenti a disposizione dello Stato per combattere le inefficienze provocate dalle esternalità? Per quasi tutti tipi di inquinamento, così come per l'esternalità che influiscono sulla salute e sulla sicurezza, l'intervento pubblico si basa su controlli diretti, i quali vengono spesso definiti regolamentazioni sociali. Per evitare alcune delle conseguenze indesiderate dei controlli diretti, numerosi economisti hanno suggerito un approccio basato più sugli incentivi economici che non sulle ordinanze governative; in partihttp://unict.myblog.it
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colare, si è proposta l'introduzione di un’imposta sulle emissioni. Un nuovo approccio che evita l'introduzione di imposte è l'utilizzo di permessi di emissione negoziabili: invece di imporre alle imprese un pagamento di x euro per ciascuna unità di inquinamento e di lasciare che siano le imprese stesse a fissare il proprio livello di inquinamento, lo Stato stabilisce il livello di inquinamento e distribuisce un numero appropriato di permessi il cui prezzo, che corrisponde al livello dell'imposta sulle emissioni, è determinato dalla domanda e dall'offerta sul mercato dei permessi. Le regole di responsabilità e le negoziazioni private sono due soluzioni di natura privatistica. Le regole di responsabilità sono uno strumento allettante di internazionalizzazione dei costi non di mercato; all'atto pratico, tuttavia, la loro applicabilità e piuttosto limitata; solitamente tali regole richiedono costi processuali elevati, che vanno ad aggiungersi all’esternalità iniziale. Esiste una soluzione anche quando le imprese non sono responsabili di danni ambientali causati? Un'analisi sorprendente condotta da Ronald Coase di Chicago dimostrò come, con diritti di proprietà chiaramente definiti e costi di transazione contenuti, negoziazioni volontarie tra le parti interessate possono produrre il risultato di efficiente. Tra tutti i problemi ambientali quello che maggiormente preoccupa gli scienziati è la minaccia del surriscaldamento del pianeta provocato dall’effetto serra. L'effetto serra può essere considerato il "nonno" dei problemi relativi ai beni pubblici: interventi effettuati oggi influenzeranno il clima di tutti gli stati del mondo nei secoli a venire. CAPITOLO XIX: Efficienza e uguaglianza: il grande compromesso (pag. 389 – 407) Le fonti della disuguaglianza Il reddito personale indica le entrate totali di un individuo o di una famiglia in un determinato periodo di tempo. Le componenti principali del reddito personale sono i redditi da lavoro, i redditi da capitale ed i trasferimenti pubblici. Il reddito personale disponibile è costituito dal reddito personale al netto delle imposte. Il patrimonio o patrimonio netto, o ricchezza netta, è il valore monetario delle attività finanziarie e tangibili meno le somme dovute alle banche o ad altri creditori. Come si può misurare il grado di disuguaglianza nella distribuzione dei redditi? È possibile osservare il grado di disuguaglianza mediante un diagramma noto come curva di Lorenz, uno strumento ampiamente utilizzato per analizzare la sperequazione del reddito e della ricchezza. L'uguaglianza assoluta è indicata dalla diagonale tratteggiata nel diagramma di Lorenz. All'altro estremo vi è il caso ipotetico della disuguaglianza assoluta, in cui un solo individuo riceve la totalità del reddito. Curva dell’uguaglianza assoluta Percentuale del reddito Deviazione dell’uguaglianza assoluta
Percentuale della popolazione
Una delle fonti più importanti di sperequazione del reddito è rappresentato dalle disparità nella ricchezza, ovvero dalla proprietà di attività finanziarie e beni tangibili. Le forti disparità nella distribuzione della ricchezza hanno spinto gli oppositori del capitalismo a proporre la tassazione progressiva dei redditi da capitale, patrimonio o sulle successioni, mentre i rivoluzionari si sono battuti per l’espropriazione da parte dello Stato delle grandi concentrazioni di proprietà. Le nazioni distribuiscono il reddito in modi diversi a seconda della loro struttura sociale ed economica. L'esperienza dei paesi in via di sviluppo mostra una relazione interessante: la disuguaglianza comincia a svilupparsi quando i paesi si avviano verso l'industrializzazione per poi diminuire una volta terminata questa fase. I fattori che producono disparità sono differenze di capacità e specializzazione professionale, http://unict.myblog.it
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ritmi di lavoro, del tipo di occupazione e di altri fattori. I mercati tendono a premiare la volontà di assumere rischi, l'ambizione, la fortuna, le genialità tecnologiche, la capacità di valutazione e l'impegno nel lavoro, ma nessuna di queste qualità può essere facilmente misurata mediante test standardizzati. Quali sono le ragioni di tali enormi differenze tra le diverse occupazioni? Le professioni tecniche, per esempio, sono accessibili soltanto a coloro che possiedono determinate capacità quantitative. Le maggiori disparità di reddito derivano da differenza dei redditi da capitale, che sono costituiti dai redditi derivati da beni quali azioni, titoli, e immobili. Le società tendono a definire e a concentrarsi su gruppi sociali o problematiche specifiche. Negli anni 60, gli Stati Uniti dichiararono "guerra alla povertà" e lanciarono programmi sanitari e alimentari ambiziosi per estirpare disagi economici. La povertà è quella condizione in cui gli individui dispongono di redditi insufficienti, ma è difficile tracciare una linea precisa che separi i poveri dai non poveri; per questo motivo gli economisti hanno elaborato alcune tecniche che consentono di fornire una definizione ufficiale di povertà. La povertà fu definita ufficialmente negli anni sessanta negli Stati Uniti come un reddito insufficiente per acquistare beni primari, abbigliamento, una casa e altri beni di necessità; tale valutazione era basata sui bilanci familiari e fu edificata attraverso l'esame della frazione del reddito destinato alla spesa alimentare. Politiche contro la povertà Le società democratiche affermano il principio dell'uguaglianza dei diritti politici, che include in genere il diritto di voto, il diritto alla difesa e la libertà di parola e di associazione. Negli anni sessanta i filosofi progressisti accolsero l'idea che gli individui dovessero godere anche di pari opportunità economiche. In altre parole, tutti dovevano giocare secondo le stesse regole su un campo da gioco rivelato; tutti dovevano avere le stesse possibilità di frequentare le scuole più rinomate, di specializzarsi e di ottenere posti di lavoro migliori. Oltre i benefici, l'equità presenta anche dei costi che corrispondono alle perdite del "secchio forato" di Okun. In altre parole, i tentativi di ridurre la sperequazione del reddito mediante l’imposizione fiscale progressiva o le indennità assistenziali possono danneggiare gli incentivi economici al lavoro o al risparmio e, di conseguenza, possono ridurre il prodotto nazionale. Le perdite potenziali sono i costi amministrativi e la riduzione delle ore lavorative o del tasso di risparmio. I programmi ridistribuitivi del tipo adottato oggi nei maggiori paesi industrializzati provocano perdite modeste di efficienza economica: i costi della redistribuzione in termini di efficienza sembrano limitati rispetto ai costi economici della povertà in termini di malnutrizione, salute, perdita di capacità professionali e miseria umana. Politiche di assistenza sanitaria La buona salute è una componente fondamentale del benessere economico, alla quale le persone attribuiscono un'importanza sempre maggiore man mano che i loro redditi aumentano. L'assistenza sanitaria presenta tre caratteristiche che negli ultimi anni hanno contribuito alla rapida crescita del settore: elevata elasticità rispetto al reddito, rapidi progressi tecnologici e crescente isolamento dei consumatori dei prezzi. L'elevata elasticità rispetto al reddito dell'assistenza sanitaria significa che garantire una vita lunga sana diventa sempre più importante via via che le persone possono permettersi di soddisfare altre necessità essenziali. Molti aspetti del sistema sanitario, dalle malattie trasmissibili allo sviluppo della disciplina fondamentale, costituiscono beni pubblici che il mercato non fornisce in modo efficiente. I costi crescenti dell'assistenza sanitaria e i risultati spesso insoddisfacenti hanno provocato un vivace dibattito politico sull'argomento nei maggiori paesi industrializzati. Pochi desiderano ritornare ad un sistema di mercato puro, a causa degli effetti negativi che ciò avrebbe sulla sanità pubblica e sulla scoperta nel campo della biomedicina. Un sistema nazionalizzato garantirebbe una copertura universale, ma allo stesso tempo razionerebbe l'assistenza sanitaria tramite lunghe attese per i servizi; negli Stati Uniti è stato proposto un nuovo approccio, definito concorrenza controllata, che produrrebbe una copertura universale soprattutto tramite datori di lavoro che offrono o acquistano servizi sanitari. Rimane comunque da verificare se quest'ultimo sistema sarebbe in grado di fornire sufficienti incentivi per un costante progresso tecnologico e allo stesso tempo di contenere i costi.
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CAPITOLO XI: Rischio, incertezza e teoria dei giochi (pag. 205 – 223) Economia del rischio e dell’incertezza La speculazione, consiste nell'acquisto di un bene con l'intenzione di venderlo in un secondo tempo realizzando un profitto grazie alla fluttuazione dei prezzi. Chi specula, di solito sta pensando al futuro aumento del prezzo e vende quando ritiene che il prezzo sia notevolmente aumentato. Il caso più semplice è quello in cui l'attività speculativa riduce o elimina le differenze di prezzo da zona a zona, cioè quando i commercianti acquistano in un mercato e vendono simultaneamente in un altro a un prezzo superiore. Questa attività è detta arbitraggio. L’arbitraggio fa sì che il costo dello spostamento di beni da un mercato all'altro sia inferiore alla differenza di prezzo tra i mercati. La speculazione rappresenta un esempio concreto del principio della mano invisibile: equilibrando l'offerta ed i prezzi determina un aumento dell'efficienza economica; trasferendo i beni nel tempo da periodi di abbondanza a periodi di scarsità, lo speculatore acquista quando il prezzo e l'utilità marginale del bene sono bassi e vende quando sono elevati. Perseguendo i propri interessi (profitti), gli speculatori incrementano il benessere del sistema economico in generale (utilità totale). La copertura consiste nell'evitare un rischio tramite una vendita o un investimento controbilanciante. I mercati speculativi servono a migliorare i modelli di prezzo e di allocazione nello spazio e nel tempo, nonché a trasferire i rischi. Queste attività sono svolte dagli speculatori i quali, spinti dal desiderio di acquistare a prezzi bassi e rivendere a prezzi elevati mostrano il funzionamento della mano invisibile, che trasferisce beni dei periodi di abbondanza (quando i prezzi sono bassi) ai periodi di scarsità (quando i pezzi sono elevati). La speculazione riveste l’importante funzione di ridurre la variazione del consumo e, in un mondo popolato da individui con utilità marginale decrescente, di incrementare l'utilità totale e l'efficienza allocativa. Un individuo è avverso al rischio quando il dispiacere provocato dalla perdita di un ammontare di reddito è maggiore del piacere ricavato ottenendo lo stesso ammontare. In genere gli individui sono avversi al rischio e preferiscono certezze a livelli incerti di consumo, scelgono cioè situazioni meno incerte che presentano gli stessi valori medi. Per questo motivo, le attività che riducono l'incertezza o il rischio relativo al consumo degli individui producono miglioramenti del benessere economico. I mercati affrontano il problema del rischio mediante la ripartizione dei rischi. Questo processo consiste nell'assumere rischi che sarebbero molto elevati per un solo individuo e nel ripartirli in modo tale che diventino rischi minori per un grande numero di persone. La principale forma di ripartizione dei rischi è l'assicurazione, ovvero una sorta di gioco d’azzardo all'inverso. L'assicurazione trasferisce i rischi da coloro che sono più avversi al rischio o che sono esposti a rischi sproporzionati a coloro meno avversi o meno esposti. Risulta quindi evidente che l'assicurazione, a prima vista una sorta di gioco d'azzardo, in realtà produce l'effetto opposto. Se da un lato la natura dispensa i ricchi, dall'altro l'assicurazione contribuisce a ridurli e a ripartirli. Un'altra forma di ripartizione dei rischi si verifica nei mercati finanziari di un'economia di mercato, in quanto la proprietà finanziaria del capitale fisico può essere ripartita tra numerosi proprietari per mezzo della proprietà azionaria. Uno dei campi economici più interessanti è l'economia finanziaria. Essa esamina i modi in cui gli investitori possono bloccare i loro fondi per massimizzare il rendimento con un dato livello di rischio e segue l'andamento dei prezzi dei titoli azionari e di altri prodotti finanziari. Nell'analisi finora effettuata si è supposto che gli investitori e i consumatori conoscano bene i rischi che affrontano e che i mercati del rischio siano efficienti. Questo è vero incerti settori, mentre in altri si verificano fallimenti del mercato. Il comportamento sleale si ha quando l'assicurazione riduce l'incentivo di individuo a evitare o prevenire l'evento rischioso. Può inoltre accadere che l'assicurazione privata non sia disponibile o che prezzi siano sfavorevoli a causa della selezione avversa. La selezione avversa si ha quando gli individui maggiormente a rischio sono quelli che più di frequente acquistano l'assicurazione. L'assicurazione sociale, ovvero la forma di assicurazione obbligatoria fornita dallo Stato, subentra quando i fallimenti del mercato sono talmente gravi che il mercato privato non è in grado di garantire una copertura adeguata. Teoria dei giochi La teoria dei giochi analizza il modo in cui due o più giocatori, o coalizioni, scelgono determinate azioni, o strategie, che si ripercuotono su tutti i partecipanti. Questa teoria, la cui terminologia può http://unict.myblog.it
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apparire frivola, è in realtà densa di significato; la teoria fu ampiamente sviluppata da John von Neumann, un genio della matematica di origine ungherese. Gli economisti utilizzano la teoria dei giochi per studiare l'interazione tra oligopolisti, le controversie tra sindacati e industriali, le politiche commerciali ambientali a livello internazionale, la notorietà e moltissime altre situazioni, ma essa è utile anche per comprendere la politica, le guerre, e la vita quotidiana. Nel momento in cui un'impresa comincia a chiedersi in che modo i rivali reagiranno alle sue azioni, entra nel regno della teoria dei giochi. Uno strumento utile per rappresentare l'interazione tra due imprese o due individui è la tabella delle decisioni a doppia entrata. Una tabella delle decisioni serve a mostrare le strategie e le vincite di un gioco condotto da due giocatori. Le linee guida della filosofia della teoria dei giochi è la seguente: scegliete la vostra strategia chiedendovi quale possa essere il comportamento più sensato, tenendo presente che anche il rivale agisce strategicamente nel proprio interesse. Il caso più semplice di strategia è la strategia dominante. Questa situazione si verifica quando un giocatore dispone di una strategia migliore indipendentemente dalla strategia scelta dall'altro. Nel gioco della guerra dei prezzi la miglior strategia per entrambe le imprese consiste nel mantenere il prezzo normale. Quando entrambi o tutti giocatori dispongono di una strategia dominante, si ottiene l'equilibrio dominante. L'equilibrio di Nash si ha quando nessuno dei due giocatori, data la strategia dell'altro, è in grado di migliorare la propria vincita. Questo significa che, data la strategia del giocatore A, il giocatore B non può agire in modo migliore e data la strategia di B, A non può fare meglio. Ciascuna strategia rappresenta quindi la risposta più adatta alla strategia dell'altro giocatore. L'equilibrio di Nash viene talvolta definito equilibrio non cooperativo, in quanto non si ha collusione né cooperazione e ogni parte sceglie la strategia più adatta alle proprie esigenze senza tener conto degli altri giocatori o del benessere della società. I duopolisti possono certamente decidere di colludere e quindi di comportarsi in modo cooperativo. L'equilibrio cooperativo si verifica quando le parti agiscono di comune accordo per individuare strategie atte a incrementare le vincite comuni. Ma non è sempre facile realizzare la soluzione del monopolio cooperativo, poiché i cartelli che riducono gli scambi sono illegali in quasi tutte le economie di mercato. Il dilemma del prigioniero Confesso
Confesso
Non confesso
Non confesso
A 5 anni
5 anni
B 3 mesi
10 anni
C 10 anni
3 mesi
D 1 anno
1 anno
Il gioco dell’inquinamento Inquinamento limitato Inquinamento limitato
Inquinamento elevato
Inquinamento elevato
A $ 100
$ 100
B $ - 30
$ 120
C $ 120
$ - 30
D $ 100
$ 100
CAPITOLO XX: Quadro generale di macroeconomia. (pag. 411 – 430) La macroeconomia è lo studio del comportamento del sistema economico nel suo insieme e si occupa delle forze che influenzano contemporaneamente varie imprese, consumatori e lavoratori, contrapponendosi alla microeconomia, che analizza invece singoli pezzi, quantità e mercati.
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Concetti fondamentali della macroeconomia Negli anni ’30 la scienza della macroeconomia, fondata da John Maynard Keynes nel tentativo di comprendere il meccanismo economico che aveva determinato la grande depressione, compì i primi passi. Questi tre obiettivi informano ancora le principali questioni macroeconomiche: • Perché a volte la produzione e l'occupazione diminuiscono e come si può ridurre la disoccupazione? Tutte le economie di mercato presentano fasi di espansione e contrazione dette cicli economici. Durante le fasi di contrazione del ciclo, la produzione dei beni e dei servizi diminuisce e milioni di persone perdono il lavoro. La macroeconomia esamina le fonti di tale persistente e dolorosa disoccupazione. Una volta analizzate tutte le possibili diagnosi, l'economia può anche suggerire eventuali rimedi, quali l'aumento della domanda aggregata o la riforma delle istituzioni del mercato del lavoro. • Qual è l'origine dell'inflazione e come si può tenerla sotto controllo? In un'economia di mercato si utilizzano i prezzi come misuratori dei valori economici e come criterio per condurre gli affari. Quando i prezzi aumentano rapidamente, ossia in presenza di inflazione da prezzi, tale criterio perde il proprio valore. La macroeconomia può suggerire quale ruolo debbano svolgere la politica fiscale monetaria, il sistema dei tassi di cambio e una banca centrale indipendente per il contenimento dell'inflazione. • Come può una nazione aumentare il proprio tasso di crescita economica? La macroeconomia si interessa in particolare della crescita economica, che riguarda l'aumento del potenziale produttivo di un sistema economico, l'elemento fondamentale per determinare l'incremento dei salari reali e del tenore di vita. È importante sapere quali fattori determinano una effettiva crescita: tra quelli fondamentali si possono includere la prevalenza di liberi mercati, tassi elevati di risparmio e investimento, una politica commerciale orientata all'esterno e un governo onesto unito a diritti di proprietà ben definiti. Per prevenire l'inflazione galoppante i responsabili politici sono inoltre obbligati a imbrigliare l'economia quando cresce troppo in fretta o quando la disoccupazione diventa eccessivamente bassa. I principali obiettivi macroeconomici sono un livello elevato e una crescita rapida della produzione, una disoccupazione bassa e prezzi stabili. La misura più completa della produzione totale di un'economia è il prodotto interno lordo (Pil), che stima il valore di mercato di tutti i prodotti finiti e dei servizi (la pasta, il vino, le automobili, i concerti, i biglietti del treno, la sanità), realizzati in un paese nel corso di un anno. Esistono due modi per misurare il Pil: il Pil nominale, valutato secondo gli effettivi prezzi di mercato, e il Pil reale, calcolato in base a prezzi costanti o invariati. Il Pil potenziale è la tendenza di lungo periodo del Pil e rappresenta la capacità produttiva a lungo termine dell'economia o la quantità massima che l'economia può produrre mantenendo stabili i prezzi. La produzione potenziale a volte è definita livello di produzione in condizioni di elevato impiego: quando un'economia opera in base al proprio potenziale la disoccupazione è bassa e la produzione elevata. La produzione potenziale è determinata dalla capacità produttiva del sistema economico, che a sua volta dipende dagli input disponibili e dalla sua efficienza tecnologica. Le fasi discendenti del ciclo sono denominate recessioni se la produzione reale diminuisce per un anno o due, mentre se la situazione si protrae si parla di depressione. Il tasso di disoccupazione si ottiene calcolando la percentuale dei disoccupati sulla forza lavoro, che comprende tutte le persone occupate e quelle disoccupate in cerca di impiego, mentre esclude disoccupati che non cercano lavoro. Il tasso di disoccupazione tende a riflettere l'andamento del ciclo economico: quando la produzione scende, la domanda di manodopera diminuisce e il tasso di disoccupazione aumenta. Il terzo obiettivo macroeconomico è mantenere prezzi stabili. La misura più comune del livello globale dei prezzi è l'indice dei prezzi al consumo, noto anche come IPC. Questo indice serve a controllare il costo di un paniere fisso di beni acquistato dal consumatore urbano medio. Il livello globale dei prezzi viene spesso indicato con la lettera P. Il tasso di inflazione indica invece il ritmo di crescita o diminuzione del livello dei prezzi da un anno all'altro. Si parla di deflazione quando i prezzi diminuiscono. All'altro estremo c'è l’iperinflazione, un aumento del livello dei prezzi estremamente rapido. Con l'inflazione elevata le imposte diventano altamente variabili, il valore reale delle pensioni dei cittadini viene ehttp://unict.myblog.it
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roso e gli individui utilizzano risorse reali per evitare il deprezzamento della loro moneta. I governi dispongono di diversi strumenti che si possono utilizzare per influire sull'attività macroeconomica. Uno strumento di politica economica è una variabile sotto il controllo del governo che può influire su uno o più obiettivi macroeconomici. La politica fiscale o di bilancio indica le modalità di impiego delle imposte della spesa pubblica. Quest'ultima assume due forme diverse: innanzitutto vi sono gli acquisti effettuati dalla pubblica amministrazione, che comprende la spesa per i beni e servizi; vi sono inoltre i trasferimenti pubblici, che aumentano i redditi di gruppi mirati come gli anziani o i disoccupati. L'altra parte della politica fiscale, la tassazione, influisce sull'economia nel suo complesso in due modi: innanzitutto le imposte riducono i redditi della popolazione; le imposte tendono a ridurre l'entità della spesa per beni e servizi, oltre a quella del risparmio privato. Il secondo grande strumento della politica macroeconomica è la politica monetaria, che il governo attua gestendo la moneta, il credito e il sistema bancario della nazione. I rapporti commerciali d'importazione e d'esportazione di beni e servizi sono evidenti. I rapporti finanziari si hanno, per esempio, quando l'Italia contrae prestiti con gli Stati Uniti per finanziare il proprio deficit di bilancio o quando in Gran Bretagna i portafogli dei fondi pensione vengono diversificati investendo nella borsa statunitense in notevole rialzo. Un indice particolarmente importante sono le esportazioni nette, la differenza numerica tra il valore delle esportazioni e quello delle importazioni. Le politiche commerciali consistono in dazi doganali, contingentamenti e in altre normative che limitano o favoriscono le importazioni e le esportazioni. Un'altra categoria di politiche è la gestione della finanza internazionale. Il commercio internazionale di una nazione è infatti influenzato dal tasso di cambio che costituisce il prezzo della sua valuta rispetto a quelle di altri paesi. Domanda e offerta aggregata
Politica monetaria Politica fiscale
Produzione (Pil reale) Domanda aggregata
Altre forze
Livello dei prezzi dei costi Produzione potenziale
Offerta aggregata
Interazione della domanda e dell’offerta aggregate
Occupazione e disoccupazione Prezzi e inflazione Commercio estero
Capitale, lavoro tecnologia
La figura mostra le relazioni esistenti tra le diverse variabili nell'ambito della macroeconomia; divide gli strumenti di politica economica e le variabili endogene in due categorie, quelle che agiscono sull'offerta aggregata e quelle che incidono sulla domanda aggregata. Nella parte bassa sono indicate le forze che influiscono sull'offerta aggregata, che si riferisce alla quantità totale di beni e servizi che le aziende della nazione sono disposte a produrre e a vendere in un dato periodo. L'offerta aggregata (OA) dipende dal livello dei prezzi, dalla capacità produttiva dell'economia e dal livello dei costi. Il prodotto nazionale e il livello generale dei prezzi sono determinati dalle due lame della forbice dell'offerta e della domanda aggregata. La seconda lama è costituita dalla domanda aggregata, che si riferisce all'importo totale che i diversi settori dell'economia sono disposti "a spendere in un dato periodo". La domanda aggregata (DA) è la somma della spesa dei consumatori, delle aziende e dello Stato, e dipende dal livello dei prezzi oltre che dalla politica monetaria e fiscale e da altri fathttp://unict.myblog.it
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tori. Usando entrambe le lame della forbice della domanda e dell'offerta aggregata si ottiene l'equilibrio, come mostra il cerchio a destra. Il prodotto nazionale e il livello dei prezzi stabiliscono a che punto gli acquirenti sono disposti a comprare e le imprese a vendere: l'equilibrio e il livello dei prezzi che ne derivano determinano l'occupazione, la disoccupazione e il commercio internazionale.
La figura mostra l'andamento della domanda dell'offerta aggregata per la produzione di un'intera economia: sull'asse orizzontale, o delle quantità, è indicata la produzione totale dell'economia, su quello verticale il livello globale dei prezzi. La curva con pendenza decrescente è la rappresentazione grafica della domanda aggregata, e indica la somma di ciò che i vari agenti operanti nell'economia sono disposti ad acquistare a diversi livelli dei prezzi. La curva con pendenza crescente è la rappresentazione grafica dell'offerta aggregata che indica la quantità di beni e servizi che le aziende sono disposte a produrre e vendere a ciascun livello dei prezzi. L'equilibrio macroeconomico è una combinazione del livello generale dei prezzi e della quantità globale prodotta in cui né gli acquirenti né i venditori desiderano cambiare i propri acquisti, le proprie vendite o i prezzi. La storia recente presenta un'alternanza di crisi della domanda e dell'offerta aggregata ed interventi politici correttivi: la crisi petrolifera del 1973 e quella seguente del 1979 determinarono uno spostamento verso l'alto dell'offerta aggregata, e ciò portò alla stagnazione con un contemporaneo aumento della disoccupazione e dell'inflazione. Alla fine degli anni settanta i responsabili della politica economica reagiranno alla crescente inflazione mediante una politica monetaria restrittiva e l'aumento dei tassi d'interesse, che ebbero come conseguenza una spesa inferiore in aree della domanda sensibili ai tassi d'interesse come le case, gli investimenti e le esportazioni nette. L'austerità dei primi anni '80 segnò l'inizio di un lungo periodo di stabilità macroeconomica. Nell'arco di tutto il XX secolo si è verificata una notevole crescita dell'offerta aggregata, che ha portato a un costante aumento della produzione e del tenore di vita. CAPITOLO XXI: Misurazione dell’attività economica. (pag. 433 – 449) Il prodotto interno lordo, criterio di misura dei risultati di un’economia Pil è il nome che si da al valore monetario totale dei prodotti e dei servizi realizzati da una nazione in un dato anno. Il Pil è pari alla somma del valore monetario di tutti i consumi, gli investimenti, la spesa pubblica e le esportazioni nette in altri paesi. La più importante fonte di dati è costituita dai conti economici delle aziende. Il conto economico di un'azienda è la registrazione in cifre di tutti i flussi in un dato periodo. Il Pil è stato definito come la produzione totale di beni e servizi finali. Un prodotto finale è un bene realizzato e venduto direttamente per il consumo o l'investimento. Il Pil esclude i prodotti intermedi, beni utilizzati per produrre altri beni che circolano semplicemente all'interno del blocco denominato "produttori", non vengono mai acquistati dai consumatori né figurano mai come beni finali nel Pil. Nell'effettuare misure in base ai redditi, gli statistici pongono grande attenzione ad includere nel Pil solo il valore aggiunto di impresa, che è la differenza tra le vendite effettuate e gli acquisti di materiali e servizi da altre imprese. Il metodo del valore aggiunto consiste nel fatto che, per evitare doppi conteggi, è opportuno includere nel Pil solo i beni finali ed escludere quelli intermedi usati per produrre altri beni. Misurando il valore aggiunto in ciascuna fase e facendo attenzione a sottrarre le spese per i beni intermedi acquistati da altre imprese, il metodo
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del reddito illustrato dall’anello inferiore dello schema serve ad evitare doppi conteggi e registra salari, interessi, rendite e profitti solo una volta. Aspetti particolari della contabilità nazionale Si definisce Pil il valore monetario dei beni e dei servizi prodotti in un sistema economico, calcolato usando come criteri di misura i prezzi di mercato dei beni e dei servizi stessi. Ma i prezzi variano nel tempo, dato che l'inflazione di solito li fa salire anno dopo anno. È chiaro che, se si vuole una misura efficace del prodotto del reddito nazionale, è necessario utilizzare un criterio di misurazione che non sia influenzato dalla variazione dei prezzi. Gli economisti cercano di ovviare al problema eliminando la componente di aumento dei prezzi, in modo da creare un indice quantitativo del prodotto nazionale. Per misurare il Pil reale si moltiplicano le quantità di beni per un insieme di prezzi fisso o invariato. Pertanto, il Pil nominale si calcola in base a prezzi variabili mentre per quello reale si utilizzano prezzi costanti. Dividendo il Pil nominale per il Pil reale si ottiene il deflatore del Pil, che serve a misurare il livello globale dei prezzi. Il Pil nominale (PQ) rappresenta il valore monetario totale dei beni e dei servizi finali prodotti in un dato anno, dove i valori sono espressi in termini dei prezzi di mercato per ciascun anno. Il Pil reale (Q) elimina le variazioni di prezzi dal Pil nominale e serve a calcolare il Pil a prezzi costanti. Il tradizionale deflatore del Pil (P) è il “prezzo del Pil” ed è definito come segue. PIL nominale PQ Q = PIL reale = = Deflatore del PIL P Il consumo, ossia le "spese per consumo personale", è la prima componente importante del Pil, di gran lunga la maggiore e pari a quasi 2/3 del totale negli ultimi anni. Le spese per consumo si suddividono in tre categorie: beni durevoli come le automobili, beni non durevoli come generi alimentari e servizi come l'assistenza sanitaria. Finora è stato escluso dall'analisi tutto il capitale, ma nella vita reale le nazioni riservano parte del loro prodotto alla realizzazione di capitale, cioè di beni durevoli che incrementino la produzione futura. L'aumento del capitale esige il sacrificio del consumo attuale a favore di quello futuro. Nei conti economici l'investimento consiste nelle aggiunte al capitale sociale nazionale di costruzioni, attrezzature, software e scorte del corso di un anno. Il prodotto interno lordo è la somma di tutti prodotti finali; insieme ai beni di consumo e servizi bisogna includere anche gli investimenti lordi. Che cosa significa lordo in questo contesto? Indica che gli investimenti comprendono tutti i beni capitali prodotti. Gli investimenti lordi non vengono corretti per tenere conto dell'ammortamento, che misura l'ammontare di capitale "consumato" in un anno; perciò includono tutti i macchinari, gli stabilimenti e le case costruite nel corso di un anno. Per valutare la formazione del capitale si misurano gli investimenti netti, dati alle nascite di capitale (investimenti lordi) meno i decessi di capitale (ammortamento). La misura del contributo della pubblica amministrazione al prodotto nazionale è complessa perché la maggior parte dei servizi forniti non sono venduti sul mercato. La pubblica amministrazione tende ad acquistare beni tipo quelli di consumo e beni come quelli di investimento. Le spese della pubblica amministrazione per la retribuzione dei dipendenti per i costi dei beni che acquista dall'industria privata sono in questa terza categoria di flusso di prodotti denominata spese della pubblica amministrazione per consumi e investimenti lordi. Il Pil comprende sola spesa pubblica per beni e servizi, mentre esclude il costo dei trasferimenti. I trasferimenti pubblici costituiscono i pagamenti della pubblica amministrazione a singoli individui che non forniscono in cambio alcun bene o servizio. Una particolare forma di trasferimento sono gli interessi sul debito pubblico: anch’essi sono considerati trasferimenti e vengono quindi omessi dal Pil. L'approccio al Pil secondo i costi comprende sia le imposte indirette sia quelle dirette come elementi del costo per la realizzazione del prodotto finale. L'ultima componente del Pil sono le esportazioni nette, la differenza tra esportazioni e importazioni di beni e servizi. Bisogna ricordare che il Pil comprende gli investimenti lordi, cioè gli investimenti netti più l'ammortamento; comprendere l'ammortamento equivale a includere nel calcolo del prodotto di un determinato anno anche il capitale consumato nel corso dell'anno, mentre un criterio di misura migliore introdurrebbe http://unict.myblog.it
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nel prodotto totale solo gli investimenti netti. Sottraendo l'ammortamento al Pil si ottiene il prodotto interno netto (PIN). Una misura alternativa, ampiamente usata fino a poco tempo fa, è il prodotto nazionale lordo (PNL). Qual è la differenza tra il PNL e il Pil? Il PNL è il prodotto totale ottenuto con il lavoro o il capitale di proprietà dei residenti in un dato paese, mentre il Pil è il prodotto ottenuto con il lavoro e il capitale situati all'interno del paese stesso. Il prodotto interno netto (PIN) è pari al prodotto totale realizzato all'interno di un paese nel corso di un anno, dove il prodotto comprende gli investimenti netti o gli investimenti lordi meno l'ammortamento. Il prodotto nazionale lordo (PNL) è il prodotto totale ottenuto con fattori di produzione di proprietà dei residenti di un paese nel corso di un anno. Per comprendere meglio l'attività macroeconomica a volte si vuole misurare il reddito totale di una nazione. Per questo si elaborano dati sul reddito nazionale, che rappresenta i redditi totali dei fattori, e si ottiene perlopiù sottraendo l'ammortamento e le imposte indirette dal Pil. Un altro aspetto importante consiste nello stabilire quanto denaro le famiglie abbiano veramente a disposizione da spendere ogni anno. Il concetto di reddito personale disponibile risolve questo problema: per ottenere il reddito disponibile si calcolano i redditi ricevuti dalle famiglie e si sottraggono le imposte dirette. Il risparmio nazionale è uguale agli investimenti nazionali per definizione. Le componenti degli investimenti nazionali sono gli investimenti interni privati e gli investimenti esteri. Le fonti del risparmio sono il risparmio privato e il risparmio pubblico. Gli investimenti privati più le esportazioni nette sono uguali al risparmio privato più l'avanzo di bilancio. Quest'identità devono valere comunque, a prescindere dall'andamento del ciclo economico. Oltre i conti economici nazionali I conti economici convenzionali di solito includono le attività di mercato, ma molte attività economiche utili si svolgono al di fuori del mercato. Per esempio, gli studenti universitari investono in capitale umano, mentre i conti economici nazionali registrano i costi delle lezioni, ma omettono i costi opportunità dei guadagni cui gli studenti hanno rinunciato. Le ricerche indicano che l'inclusione degli investimenti non market nell'istruzione e in altri settori determinerebbe un aumento più del doppio del tasso di risparmio nazionale. L'inflazione si verifica quando aumenta il livello generale dei prezzi, la detrazione quando scende. Il livello generale dei prezzi e il tasso d'inflazione si misurano utilizzando gli indici dei prezzi, medie ponderato dei prezzi di migliaia di singoli prodotti. L'indice dei prezzi più importante è l'indice dei prezzi al consumo (IPC), che di solito misurava il costo di un paniere fisso di beni di consumo e di servizi rispetto al costo di quel paniere in un particolare anno base. Studi recenti indicano che l’IPC tende ad essere notevolmente sovrastimato per il problema dei numeri indice e l’omissione di beni nuovi e migliorati. Lo stato ha preso misure per correggere almeno in parte questa distorsione. CAPITOLO XXII: Il consumo e l’investimento. (pag. 451 – 469) Il consumo elevato rispetto al reddito determina bassi investimenti e crescita lenta, mentre un elevato risparmio porta a elevati investimenti e rapida crescita. Quando le condizioni economiche determinano la rapida crescita del consumo e degli investimenti, aumenta la spesa totale o domanda aggregata, incrementando nel breve periodo il prodotto e l'occupazione. Quando invece i consumi diminuiscono a causa dell'aumento delle imposte o della perdita di fiducia da parte dei consumatori, la spesa totale tende a ridursi e può subentrare la recessione. Il consumo e il risparmio Il consumo (o, più precisamente, le spese per i consumi) è la spesa delle famiglie per beni finali e servizi, mentre il risparmio è la parte del reddito disponibile non destinata ai consumi. Quali sono i principali elementi del consumo? Tra le categorie più importanti vi sono la casa, i veicoli a motore, i generi alimentari, l'abbigliamento. Le famiglie povere devono spendere i propri redditi in gran parte per i bisogni primari, quali il cibo e la casa. All'aumentare del reddito anche la spesa per molti prodotti alimentari aumenta: si può mangiare meglio e di più. Le spese per vestiti, attività ricreative e automobili aumenta nel modo più che proporzionale al reddito al netto delle imposte, fino a quando si raggiungono redditi elevati; la spesa per articoli di lusso aumenta in proporzione maggiore rispetto al reddito. Il risparmio è il maggior lusso che una famiglia si possa concedere. Il risparmio http://unict.myblog.it
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personale è la parte del reddito disponibile che non viene consumata; è pari al reddito meno il consumo. Studi empirici hanno dimostrato che il reddito è il principale fattore che determina il consumo e il risparmio: i ricchi risparmiano più dei poveri, sia in termini assoluti sia come percentuale di reddito; chi è poverissimo è del tutto incapace di risparmiare, anzi, finché può ottenere prestiti o intaccare la propria ricchezza, tende ad attuare un risparmio negativo, cioè a spendere più di quanto guadagni, riducendo il risparmio accumulato in precedenza o indebitandosi sempre di più. Per comprendere come il consumo influisca sul prodotto nazionale è necessario introdurre alcuni nuovi strumenti. È infatti necessario capire quale sia l'incremento del consumo del risparmio per ogni aumento unitario del reddito. Questo rapporto è indicato da due funzioni: • la funzione di consumo, che mette in relazione consumo e reddito; • la funzione di risparmio, che mette in relazione risparmio e reddito. Risparmio Spesa per consumi
Reddito disponibile
La funzione di consumo mostra il rapporto tra il livello delle spese per i beni di consumo e quello del reddito disponibile delle famiglie. Questo concetto, introdotto da Keynes, si fonda sull'ipotesi che esista una relazione empirica costante tra consumo e reddito. Per comprendere la figura è utile considerare la bisettrice degli assi che, data l'identità della scala degli asse orizzontale e verticale, ha una funzione molto importante: in qualsiasi punto della retta il consumo è uguale al reddito disponibile. La bisettrice indica immediatamente se la spesa è uguale, maggiore o minore del livello di reddito disponibile. Il punto sulla curva di spesa che la interpreta rappresenta il livello di reddito disponibile al quale le famiglie giungono esattamente al pareggio, ossia spendono tutto il proprio reddito disponibile per beni di consumo. La bisettrice indica che a sinistra del punto di equilibrio la famiglia spende più del proprio reddito. In qualsiasi punto della bisettrice degli assi il consumo è esattamente uguale al reddito e la famiglia ha un risparmio pari a zero. Quando la funzione di consumo si trova al disopra della bisettrice la famiglia ha un risparmio negativo; quando si trova sotto la bisettrice la famiglia ha un risparmio positivo.
Risparmio netto
Risparmio
Reddito disponibile
La funzione di risparmio mostra il rapporto tra il livello di risparmio e il reddito. La propensione marginale al consumo (PMC) è l'importo aggiuntivo che i cittadini consumano quando ricevono un euro in più di reddito. La pendenza della funzione di consumo, che misura la variazione del consumo per ogni euro di variazione del reddito, è la propensione marginale al consumo. Oltre alla propensione marginale al consumo esiste anche la sua immagine speculare, la propensione marginale al risparmio, definita come la frazione di un euro addizionale di reddito che si traduce in un risparmio aggiuntivo. Perché ci si interessa delle tendenze del consumo nazionale? Il consumo è essenziale per comprendere i cicli economici di breve periodo e la crescita economica di lungo termine. Nel breve periodo il consumo è la principale componente della spesa aggregata. Inoltre il consumo è fondamentale perché ciò che non si consuma ( il reddito che si risparmia) è a disposizione della nazione per l’investimento, e quest'ultimo funge da forza propulsiva della crescita economica di lungo http://unict.myblog.it
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periodo. Sia l'osservazione diretta sia le analisi statistiche mostrano che il livello corrente del reddito disponibile è il fattore essenziale nella determinazione del consumo di una nazione. Il reddito permanente è il livello tendenziale del reddito, cioè il reddito che si ottiene una volta eliminati gli influssi temporanei o transitori dovuti al tempo o una vincita inaspettata alla lotteria. Se il cambiamento appare chiaramente transitorio una frazione significativa dell'incremento può essere risparmiata. L'ipotesi del ciclo di vita presuppone che l'individuo risparmi per ripartire equamente il consumo nel corso della propria vita. Un altro fattore che determina l'ammontare del consumo è la ricchezza. Il fatto che una maggiore ricchezza porti a maggiori consumi si definisce effetto ricchezza. Di solito la ricchezza muta lentamente da un anno all'altro; quando però aumenta o diminuisce rapidamente può determinare impennate del consumo. Gli investimenti La seconda componente principale della spesa privata è costituita dagli investimenti, che hanno un duplice ruolo nella macroeconomia: primo, essendo una componente ragguardevole e imprevedibile della spesa, spesso determinano variazioni della domanda aggregata e influiscono sul ciclo economico; secondo, portano l'accumulazione di capitale. Le componenti principali di investimenti interni privati lordi sono la costruzione di strutture residenziali, gli investimenti in attrezzature fisse, software e attrezzature aziendali e in aggiunta alle scorte. Perché le imprese investono? Il motivo fondamentale per cui le aziende acquistano beni capitali è che si aspettano che ciò porti loro profitti, cioè che determini per loro entrate superiori ai costi degli investimenti. Questa semplice affermazione contiene tre elementi essenziali per la comprensione degli investimenti: ricavi, costi e aspettative. L'investimento porterà a un'azienda entrate aggiuntive se la aiuta a vendere di più. Ciò indica che un fattore molto importante nella determinazione degli investimenti è il livello globale di produzione. Il secondo fattore importante nella determinazione del livello di investimento sono i costi dell'investimento stesso. Poiché i beni di investimento durano molti anni, calcolare i relativi costi è un po' più complicato che nel caso di altri prodotti, come il carbone o il frumento. Per i beni durevoli il costo del capitale non comprende solo il prezzo del bene capitale, ma anche il tasso d'interesse che chi contrae il prestito paga per finanziare il capitale oltre alle spese sul reddito sostenute dalle aziende. Qual è il costo del prestito? È il tasso d'interesse sui fondi presi in prestito. Si ricordi che il tasso d'interesse è il prezzo pagato per prendere in prestito denaro per un certo periodo di tempo. Le decisioni di investimento sono legate in parte alle aspettative e alle previsioni su eventi futuri ma, come ha detto qualcuno, fare previsioni è rischioso, soprattutto se si tratta del futuro. Le aziende dedicano molta energia ad analizzare i propri progetti di investimento e a cercare di limitarne le incertezze. Per mostrare il rapporto tra tassi d'interesse ed investimenti gli economisti utilizzano la cosiddetta curva di domanda di investimenti. Nel decidere tra i progetti di investimento le aziende confrontano i ricavi annui provenienti dagli investimenti con il costo annuo del capitale, che dipende dal tasso d'interesse. La differenza tra entrate annuali e il costo annuo da il profitto netto annuo che, quando è positivo, indica che l'investimento è proficuo, mentre quando è negativo denota che l'investimento è in perdita. CAPITOLO XXIII: Le fluttuazioni economiche e la teoria della domanda aggregata. (pag. 471 – 484) Che cosa provoca le fluttuazioni economiche? Come possono le politiche del governo attenuarne la portata? La lezione che abbiamo appreso dall'economia di Keynes è che nel breve periodo le variazioni della domanda aggregata possono esercitare un notevole influsso sul livello globale del prodotto, dell'occupazione e dei prezzi. Fluttuazioni economiche La storia economica mostra che l'economia non cresce mai seguendo un percorso regolare e uniforme: alcuni anni di vivace espansione e di prosperità sono seguiti da una recessione o persino da una grave crisi. Quando, alla fine, si tocca il fondo, inizia la ripresa, che può essere lenta o veloce, http://unict.myblog.it
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incompleta o tanto forte da portare a una nuova espansione. La prosperità può implicare un lungo periodo sostenuto di vivace domanda, posti di lavoro in abbondanza e tenore di vite in aumento, oppure può essere segnata da una fiammata inflazionistica, che sarà seguita da un'altra crisi. Un ciclo economico è l’incontro del prodotto nazionale, del reddito e dell'occupazione, che di solito dura per un periodo variabile dai due ai dieci anni, segnato da una diffusa espansione o contrazione nella maggior parte dei settori dell'economia. Di solito gli economisti suddividono i cicli economici in due fasi principali, la recessione e l'espansione, i massimi ed i minimi segnano i punti di svolta dei cicli. La fase decrescente di un ciclo economico viene detta recessione, che è un periodo ricorrente di diminuzione del prodotto totale, del reddito e dell'occupazione ed è segnata da una diffusa contrazione di molti settori dell'economia. La depressione è una recessione su scala più ampia sia per entità che per durata. Quelle che seguono sono alcune caratteristiche tipiche di una recessione: • Spesso gli acquisti da parte dei consumatori diminuiscono rapidamente, mentre le scorte di automobili e altri beni durevoli delle imprese aumentano inaspettatamente. Le aziende reagiscono limitando la produzione e il Pil reale cala; poco dopo anche gli investimenti delle imprese in impianti e attrezzature diminuiscono rapidamente. • La domanda di manodopera cala: ciò si nota innanzitutto nella riduzione della settimana lavorativa media, seguita da licenziamenti e da una disoccupazione più elevata. • Mentre il prodotto diminuisce, l'inflazione rallenta, e mentre la domanda di materie prime scende, i prezzi crollano. È improbabile che i salari e i prezzi dei servizi calino, ma nelle fasi decrescenti tendono ad aumentare meno rapidamente. • I profitti delle imprese scendono rapidamente durante le recessioni e, in previsione, i prezzi delle azioni ordinarie di solito calano, poiché gli investitori hanno sentore di una fase decrescente degli affari, ma siccome la domanda di crediti scende, durante le recessioni anche i tassi d'interesse in genere diminuiscono. Le teorie esogene individuano l'origine del ciclo economico nelle fluttuazioni di fattori al di fuori del sistema economico: nelle guerre, nelle rivoluzioni e nelle elezioni politiche; nei prezzi del petrolio, nella scoperta di giacimenti d'oro e nelle migrazioni. Le teorie endogene, invece, cercano di individuare all'interno del sistema economico stesso i meccanismi che creano i cicli economici. Secondo questo approccio qualsiasi espansione determina la recessione, e ogni contrazione genera la ripresa e l'espansione. Un esempio rilevante è quello della teoria del moltiplicatore – acceleratore. Secondo il principio dell'acceleratore, la rapida crescita del prodotto stimola gli investimenti, che a loro volta favoriscono una maggiore crescita del prodotto; il processo continua fino a quando si raggiunge la capacità produttiva dell'economia e a quel punto il tasso di crescita economica rallenta. A sua volta la crescita più lenta riduce la spesa per investimenti e le scorte si accumulano tendendo a indurre una recessione dell'economia. Una fonte importante di oscillazioni economiche è dato dalla crisi della domanda aggregata, che si verifica quando i consumatori, le imprese o i governi modificano la spesa totale rispetto alla capacità produttiva dell'economia. Quando queste variazioni della domanda aggregata determinano brusche contrazioni l'economia attraversa periodi di recessione o persino di depressione. Una brusca espansione dell'attività economica può portare invece l'inflazione. Gli economisti hanno elaborato strumenti di previsione in grado di anticipare le variazioni dell'economia. Per uno sguardo più accurato nel futuro gli economisti si rivolgono a modelli computerizzati di previsione economica. Un modello econometrico è un insieme di equazioni che rappresentano il comportamento dell'economia stimato utilizzando dati storici. Come si possono costruire modelli computerizzati dell'economia? In genere gli elaboratori di modelli partono da una struttura analitica contenente equazioni che rappresentano sia la domanda sia l'offerta aggregata; sfruttando le tecniche della moderna econometria, ciascuna equazione viene adeguata ai dati storici per ottenere stime dei parametri. Infine l'intero modello viene elaborato e fatto girare sotto forma di sistema di equazioni. I modelli più piccoli contengono 10 – 20 equazioni, mentre oggi i grandi sistemi effettuano previsioni in base a un numero di variabili che va da qualche centinaio a 10.000.
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Fondamenti di analisi della domanda aggregata La domanda aggregata è la quantità totale o aggregata di prodotto che viene acquistata volontariamente a un dato livello di prezzi e a parità di altri fattori. È la spesa complessiva prevista in tutti i settori economici, ed è costituita da quattro componenti principali: • Il consumo è determinato principalmente dal reddito disponibile, cioè dal reddito personale al netto delle imposte; altri fattori che incidono sul consumo sono le tendenze di lungo periodo del reddito, la ricchezza delle famiglie e il livello dei prezzi. L'analisi della domanda aggregata si incentra sui fattori che determinano il consumo reale. • La spesa per investimenti comprende gli acquisti di strutture e attrezzature e l'accumulo di scorte da parte di privati. I principali fattori che determinano gli investimenti sono il livello di produzione, il costo del capitale e le aspettative sul futuro. • Una terza componente della domanda aggregata è la spesa pubblica per beni e servizi. • L'ultima componente della domanda aggregata sono le esportazioni nette, pari al valore delle esportazioni meno quelle delle importazioni. Queste ultime sono determinate dal reddito e dal prodotto interno, dal rapporto tra prezzi interni ed esteri e dal tasso di cambio della moneta. La curva della domanda aggregata ha andamento decrescente principalmente a causa dell'effetto dell'offerta di moneta. La curva DA ha un andamento decrescente, indice del fatto che la spesa reale diminuisce proporzionalmente all'aumento del livello dei prezzi, a parità di altre condizioni. La pendenza decrescente della curva DA è determinata principalmente dall’effetto dell'offerta di moneta, per cui prezzi più elevati, che agiscono sull'offerta fissa di moneta nominale, creano scarsità di denaro e una spesa aggregata inferiore. Si è visto che, a parità di altre condizioni, la spesa totale dell'economia tende a diminuire all'aumentare del livello dei prezzi. Anche altri fattori, però, tendono a variare e questi flussi determinano spostamenti della domanda aggregata. Quali sono le variabili fondamentali che portano spostamenti della domanda aggregata? La prima comprende le principali variabili di politica economica soggetta al controllo pubblico, e sono rappresentate dalla politica monetaria e dalla politica di bilancio. La seconda categoria è costituita dalle variabili esogene, o variabili che vengono determinate al di fuori dell'apparato DA – OA . CAPITOLO XXIV: Il modello del moltiplicatore. (pag. 485 – 503) Il modello di base del moltiplicatore Il modello del moltiplicatore è una teoria macroeconomica usata per spiegare come si determini il prodotto nel breve periodo. Il termine moltiplicatore deriva dalla constatazione che ogni variazione di un euro di determinate spese porta una variazione del Pil di più di un euro (o variazione moltiplicata). Il modello del moltiplicatore presuppone innanzitutto che prezzi e i salari siano considerati fissi e che esistano risorse inutilizzate. Consideriamo innanzitutto come si bilancino risparmi e investimenti nel modello del moltiplicatore per un sistema economico altamente semplificato. R E Risparmio e investimenti I PIL A Prodotto interno lordo
Nella figura i diagrammi del risparmio e degli investimenti si intersecano nel punto E, che corrisponde al livello del Pil dato nel punto M e rappresenta il livello di equilibrio nel modello del moltiplicatore. Questa intersezione dei diagrammi degli investimenti e del risparmio è il livello di equilibrio del Pil verso il quale tenderà il prodotto nazionale. Per comprendere come il prodotto si adehttp://unict.myblog.it
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gua affinché risparmio e gli investimenti desiderati coincidono, consideriamo tre casi: nel primo il sistema si trova in E, dove il diagramma degli investimenti desiderati dalle imprese interseca il grafico del risparmio desiderato dalle famiglie; quando sono soddisfatti i programmi di tutti, ognuno si accontenta di proseguire nel comportamento tenuto fino ad allora. Nel punto di equilibrio le imprese non troveranno scorte che si accumulano nei loro magazzini, né le vendite andranno così bene da costringerli a produrre altri beni. Nel secondo caso (una situazione di disequilibrio) si parte da un Pil superiore a E. Non è una situazione di equilibrio perché a questo livello di reddito le famiglie risparmiano più di quanto le imprese siano disposte a investire, e le aziende avranno un numero troppo esiguo di clienti e scorte di beni invenduti superiore a quelle che desiderano. A questo punto dovremo essere in grado di analizzare il terzo caso. Mostrate che, se il Pil fosse al disotto del livello di equilibrio, entrerebbero in azione forze che lo sposterebbero verso destra per riportarlo al punto E. Oltre all'equilibrio risparmio-investimenti c'è un altro modo per mostrare come si determina il prodotto. Questo approccio è definito approccio del consumo più l’investimento (C + I). La curva della spesa totale (C + I) mostra il livello di spesa desiderata da consumatori e imprese corrispondenti a ciascun livello di prodotto. E
C+I
I C Spesa totale
Prodotto interno lordo M
L'economia è in equilibrio nel punto in cui la curva C – I interseca la bisettrice degli assi (nel punto E); nel punto E l'economia è in equilibrio perché a quel livello la spesa desiderata per consumi e investimenti uguaglia esattamente il livello di prodotto totale. Il disequilibrio della spesa determinerebbe una variazione di prodotto. È logico che un aumento degli investimenti faccia salire il livello del prodotto e dell'occupazione. Ma di quanto? Il modello di Keynes del moltiplicatore mostra che un incremento degli investimenti farà crescere il Pil di un importo ampliato o moltiplicato, superiore all’incremento iniziale. Il moltiplicatore è il fattore per il quale si deve moltiplicare la variazione iniziale degli investimenti per determinare la corrispondente variazione del prodotto totale. L'entità del moltiplicatore dipende dalle dimensioni della propensione marginale il consumo, che essere espressa in termini del suo concetto complementare, la propensione marginale al risparmio. Variazione di prodotto
=
1
Variazione di investimenti
x
PMR
=
1
x
Variazione di investimenti
1 - PMC
In altre parole, maggiore è la spesa aggiuntiva per consumi, maggiore sarà il moltiplicatore. Quando aumentano gli investimenti o altre spese in un sistema economico caratterizzato da capacità in eccesso e lavoratori disoccupati, buona parte della spesa aggiuntiva si tradurrà in prodotto reale aggiuntivo, con incrementi solo limitati del livello dei prezzi. Man mano che l'economia raggiunge il livello di piena occupazione, però, non sarà possibile indurre una maggiore produzione ai prezzi correnti: pertanto, in condizioni di piena occupazione una spesa maggiore si tradurrà in livelli più alti dei prezzi anziché in prodotto reale o occupazione più elevati. Il modello del moltiplicatore http://unict.myblog.it
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spiega il funzionamento della domanda aggregata mostrando come interagiscano il consumo, gli investimenti e altre variabili per determinarla; rappresenta quindi un caso particolare del modello della domanda e offerta aggregata. La politica fiscale nel modello del moltiplicatore Gli economisti sono consapevoli da secoli del ruolo allocativo della politica di bilancio (ossia dei programmi di spesa e tassazione del governo). La consapevolezza che la politica di bilancio abbia notevoli effetti sull'attività economica portò all'approccio di Keynes alla politica macroeconomica, che consiste nell'uso attivo dell'azione pubblica per attenuare le eccessive oscillazioni dei cicli economici. Per comprendere il ruolo dello Stato nell'attività economica è necessario guardare alla spesa pubblica e al prelievo fiscale, insieme agli effetti di tali attività sulla spesa del settore privato. In condizioni semplificate sappiamo che il Pil è pari al reddito disponibile più le imposte ma, a parità di gettito fiscale, il Pil e il reddito disponibile differiranno sempre dello stesso importo; perciò, una volta tenuto conto di tali imposte, è ancora possibile tracciare il grafico del consumo CC rispetto al Pil anziché rispetto al reddito disponibile. Passando ora alle diverse componenti della domanda aggregata, ricordate che il Pil è composto da quattro elementi: • Spesa per consumi (C); • Investimenti interni privati lordi (I); • Spesa pubblica per beni e servizi (G); • Esportazioni nette (X). Per ora si supporrà che non vi sia commercio estero, perciò il Pil consiste nelle prime tre componenti. E G Spesa totale I C
Prodotto interno lordo
Alla fine si ottiene una torta a tre strati formata da C + I + G, calcolando l'importo della spesa totale futura a ciascun livello del Pil. Ora si deve aggiungere al punto di intersezione quella bisettrice degli assi per trovare il livello di equilibrio del Pil indicato dal punto E, al quale la spesa totale programmata è esattamente uguale al prodotto totale previsto. Il punto E è quindi livello di equilibrio del prodotto se si aggiunge la spesa pubblica al modello del moltiplicatore. Le imposte aggiuntive fanno diminuire i redditi disponibili, che a loro volta tendono a ridurre la spesa per consumi. È chiaro che, se gli investimenti alla spesa pubblica rimangono immutati, una riduzione della spesa per consumi farà scendere il Pil e l'occupazione; nel modello del moltiplicatore, quindi, imposte più elevate senza incrementi della spesa pubblica tenderanno a far diminuire il Pil reale. L'analisi del moltiplicatore dimostra che la politica di bilancio dello Stato si traduce in una spesa che genera effetti "a cascata" simili a quelli originati dalla spesa per investimenti. Questo parallelo suggerisce che anche la politica di bilancio dovrebbe avere effetti di moltiplicatore sul prodotto, il che è assolutamente esatto. Il moltiplicatore della spesa pubblica è l'incremento del Pil derivante dall'aumento di un euro della spesa pubblica per beni e servizi. L’acquisto iniziale di un bene o di un servizio da parte dello Stato metterà in moto una catena di nuove spese. Il moltiplicatore della spesa pubblica è esattamente uguale a quello di investimenti; a causa della loro uguaglianza sono detti entrambi moltiplicatori della spesa. Le variazioni del prelievo fiscale rappresentano un'arma contro disoccupazione e inflazione potente quasi quanto le variazioni della spesa pubblica. Il moltiplicatore delle imposte è inferiore a quello della spesa di un fattore pari alla propensione marginale al consumo. MOLTIPLICATORE DELLE IMPOSTE = PMC x moltiplicatore della spesa CAPITOLO XXV: La moneta, l’attività bancaria e i mercati finanziari. (pag. 505 – 533) http://unict.myblog.it
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Moneta e tassi di interesse Cos'è la moneta? È tutto quello che serve come mezzo di scambio comunemente accettato. Il baratto consiste nello scambio di beni per ottenere altri beni e si contrappone allo scambio mediante la moneta perché i maiali, i tacchini e i limoni non sono denaro generalmente accettato che noi possiamo dare per acquistare beni. Con il progressivo sviluppo dell'economia, i cittadini non scambiano direttamente un bene con un altro, ma vendono merci per ottenere denaro e poi utilizzano il denaro per acquistare altri beni. La moneta come mezzo di scambio entrò per la prima volta nella storia umana sotto forma di particolari merci. Una grande varietà di beni sono serviti come moneta nell'uno o nell'altro periodo storico: bovini, olio, rame, ferro, oro, argento, diamanti e sigarette. Nel XIX secolo la moneta merce era ormai limitata quasi esclusivamente a metalli come l'argento e l’oro. Questa forme di denaro aveva un valore intrinseco, il che significava che aveva un valore d'uso in se. L'avvento del controllo monetario da parte delle banche centrali ha portato a un sistema di valuta molto più stabile. Il valore intrinseco oggi è l'aspetto meno importante della moneta. All'era della moneta merce seguì quella della moneta cartacea. A questo punto emerge l'essenza stessa della moneta: non si desidera la moneta di per sé, ma per ciò che può comprare. La moneta cartacea si è diffusa perché è un mezzo comodo di scambio, si trasporta e conserva facilmente; con un'attenta incisione il suo valore può essere protetto dalla contraffazione: poiché i privati cittadini non possono produrla legalmente, la sua scarsità è assicurata. Quella attuale è l'era della moneta bancaria, degli assegni coperti da fondi depositati in una Banca o in un altro istituto di credito. Una misura importante e attentamente osservata è la moneta per transazioni, che consiste di voci usate realmente per le transazioni. Quelle che seguono sono sue componenti: • Monete metalliche. Comprende le monete che non sono in possesso delle banche; • Moneta cartacea. Più importante è la valuta cartacea; oggi, tutte le monete metalliche cartacee sono monete a corso forzoso. Questo termine significa che qualcosa costituisce valuta, anche se non ha valore, perché lo stabilisce lo Stato. • Conti correnti. Vi è una terza componente della moneta per transazioni, i depositi in conto corrente o moneta bancaria: questi sono costituiti da fondi, depositati nelle banche e in altri istituti di credito, sui quali si possono emettere assegni, e sono noti a livello tecnico come "depositi a vista e altri depositi traibili". La moneta cartacea e le monete metalliche sono monete a corso legale che devono essere accettate in pagamento di qualsiasi debito, pubblico o privato. Un altro aggregato attentamente osservato è la moneta in senso ampio che comprende la moneta per transazioni nonché i conti di risparmio presso le banche e attività patrimoniali analoghe che rappresenta un succedaneo molto simile alla moneta per transazioni. Esempi di attività che fanno parte della moneta in senso ampio sono i depositi in conti di risparmio in banca e fondi comuni di investimento del mercato monetario gestiti dagli intermediari di borsa, i depositi dei conti di deposto gestiti da banche commerciali e così via. L'interesse è il pagamento effettuato per l'uso del denaro. Il tasso d'interesse è l'entità degli interessi versati per unità di tempo: in altri termini, i cittadini devono pagare per avere l'opportunità di prendere in prestito il denaro, il cui costo, misurato in euro all'anno per ogni euro preso in prestito, è il tasso di interesse. I prestiti differiscono per scadenza, il tempo nel quale devono essere restituiti: i più brevi durano solo un giorno; i mutui di solito durano fino a trent'anni. I titoli a più lungo termine in genere esigono un tasso di interesse più elevato di quelli a breve scadenza, infatti i cittadini sono disposti al sacrificio per avere rapidamente accesso ai fondi solo se possono aumentarne il rendimento. I prestiti variano anche in termini di rischio. Alcuni prestiti sono praticamente privi di rischi, altri sono altamente speculativi. Le attività variano per liquidità. Un'attività patrimoniale si dice liquida se si può convertire in contanti velocemente e con una scarsa perdita di valore. A causa del rischio più elevato e della difficoltà di recuperare gli investimenti da parte di chi concede il prestito, le attività patrimoniali non liquide di solito prevedono tassi d'interesse notevolmente più elevati di quelli liquidi, esenti da rischi. Il tasso d'interesse nominale misura il rendimento in euro annui per euro investito, ma moneta può diventare un criterio di misura distorto: i prezzi possono infatti salire in seguito all'inflazione. Appare chiaro che è necessahttp://unict.myblog.it
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rio un concetto diverso di interesse, che misuri il rendimento degli investimenti in termini di beni e servizi reali invece del reddito in termini monetari. Questo concetto alternativo è il tasso d'interesse reale, che misura la quantità di beni che si otterranno in futuro rispetto quelli cui si è rinunciato oggi. Il tasso d'interesse reale si ottiene correggendo il tasso d'interesse nominale monetario mediante il tasso di inflazione. Le funzioni della moneta sono: • la funzione di gran lunga più importante è quella di mezzo di scambio; • la moneta si usa anche come unità di conto, con la quale si misura il valore delle cose; • la moneta si usa a volte come riserva di valore, perché consente di conservare il valore nel tempo. Qual è il costo insito nel possedere moneta? È il sacrificio in termini di interessi che si deve accettare per possedere contanti invece di un'attività patrimoniale o un investimento più rischioso, meno liquido. La necessità di avere denaro per pagare gli acquisti, o le transazioni di beni, servizi e altri articoli costituisce la domanda transazionale di moneta. La disponibilità monetaria (o domanda di moneta) può essere sensibile ai tassi d'interesse: a parità di altre condizioni, all'aumento dei tassi di interesse diminuisce la quantità di moneta richiesta. L’attività bancaria e l’offerta di moneta Nella maggior parte dei paesi la valuta viene emessa dalla Banca centrale, mentre le banche commerciali producono il resto della moneta sotto forma di depositi in conto corrente. Potrà però sorprendere che la Banca centrale in realtà controlli l'offerta totale di moneta. La moneta bancaria e molti altri servizi finanziari vengono forniti oggi da intermediari finanziari, istituzioni come le banche commerciali, che raccolgono depositi e fondi da un gruppo di individui e li prestano a un altro. Altre categorie importanti sono le casse di risparmio, le compagnie di assicurazione, i fondi pensione e i fondi comuni. Le banche e gli altri intermediari finanziari sono molto simili ad altre imprese: sono concepiti per realizzare profitti per i loro proprietari. Il bilancio aziendale è un prospetto della situazione finanziaria di un'impresa a una certa data, nel quale sono elencate le attività e le passività; la differenza fra attività e passività viene definita valore netto. Tranne qualche piccola variazione, il bilancio di una banca appare molto simile a quello di una qualsiasi impresa; l'unica sua caratteristica distintiva è una voce detta "riserve", che compare dal lato dell'attivo. Le riserve sono attività che le banche accantonano sotto forma di contante o di depositi presso la Banca centrale; vengono tenute in parte per le necessità operative di tutti giorni, ma servono perlopiù a far fronte alle esigenze di riserva obbligatoria. L'attività bancaria commerciale iniziò con gli orafi, che crearono la prassi di conservare loro i preziosi dei cittadini per tenersi al sicuro. Ben presto gli orafi trovarono più conveniente non preoccuparsi di restituire esattamente lo stesso pezzo d'oro che avevano lasciato i clienti. I depositanti erano disposti ad accettare qualsiasi oro purché fosse di valore equivalente a quello che avevano lasciato in custodia: questo "anonimato" era importante, perché dava agli orafi la possibilità di prestare ad altri l’oro. Gli orafi – banchieri constatarono che, sebbene i depositi fossero esigibili a vista, non venivano ritirati tutti contemporaneamente. Sarebbero state necessarie riserve pari ai depositi totali se all'improvviso tutti i depositanti avessero dovuto essere rimborsati completamente e contemporaneamente, ma questo non si verificava quasi mai: in un dato giorno alcuni effettuano prelievi e altri invece depositi; questi tipi di transazione generalmente si compensavano. Impiegando la maggior parte del denaro depositato presso di loro in attività patrimoniali, e mantenendo solo riserve razionali di contante a fronte dei depositi, le banche massimizzano i profitti. La principale funzione della riserva obbligatoria è di consentire all'autorità monetaria di controllare l'entità dei depositi in conto corrente che le banche possono creare. Imponendo una quota fissa elevata di riserva obbligatoria, l'autorità monetaria può controllare meglio l'offerta di moneta. Ogni singola Banca presenta limiti nella capacità di espansione dei prestiti e degli investimenti: non può prestare più di quanto abbia ricevuto dai depositanti; può prestare solo nove decimi dell'importo. Benché nessuna banca da sola possa espandere le riserve di 10 a uno, il sistema bancario nel suo insieme può farlo: ogni banca che riceve € 1000 di nuovi depositi presta nove decimi del contante appena acquisito sotto forma di prestiti e investimenti; seguendo i successivi gruppi di banche nella catena decrescente infinita, si evince che il moltiplicatore dell'offerta di moneta è uguale a 1/frahttp://unict.myblog.it
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1/frazione di riserva obbligatoria. Si possono verificare "perdite" delle nuove riserve di contante del sistema bancario, che entrano in circolazione al di fuori del circuito bancario e finisco in attività patrimoniali diverse dei conti correnti. Quando una parte di queste nuove riserve si disperde, la relazione, il rapporto tra la creazione di moneta e le nuove riserve può discostarsi dalla formula di 10 a uno fornita dal moltiplicatore dell'offerta di moneta. L’economia finanziaria Le attività finanziarie sono diritti monetari di una parte su un'altra e consistono principalmente in attività patrimoniali denominate in valuta (i cui pagamenti sono fissi in termini monetari) e titoli (il cui valore fissato dal mercato). I principali tipi di attività patrimoniali sono i seguenti: • la moneta che è stata definita in precedenza; • i conti di risparmio che sono depositi presso le banche, di solito garantiti dallo Stato, che hanno un valore monetario fisso del capitale e tassi d'interesse determinati dai tassi d'interesse di mercato a breve; • i titoli di Stato sono certificati e obbligazioni di Stato che garantiscono il rimborso del capitale alla scadenza e il pagamento di interessi nel tempo; • i titoli sono diritti di proprietà sulle imprese che rendono dividendi, cioè pagamenti derivanti dall'utile netto delle aziende; • i derivati finanziari sono nuove forme di strumenti finanziari il cui valore si basa su quelli di altre attività o sono derivati da esse; • i fondi pensione rappresentano titoli di proprietà di attività detenute dalle imprese o da programmi di pensionamento. Il tasso di rendimento è il guadagno monetario totale derivante da un titolo. Il fatto che alcune attività abbiano tassi di rendimento prevedibili mentre altre sono piuttosto rischiose ci porta alla successiva caratteristica importante degli investimenti: il rischio si riferisce alla variabilità dei rendimenti su un investimento. La borsa è un luogo in cui sono venduti e acquistati le azioni di società quotate, i titoli delle imprese. Il mio New York Stock Exchange è la principale borsa americana, presso la quale sono quotati oltre 1000 titoli, anche se negli ultimi tempi il Nasdaq, come molte azioni di società non quotate o scambiate fuori del mercato, ha registrato un rialzo eccezionale. Ogni grande centro finanziario ha una borsa. Quando l’eccitazione assale il mercato può determinare bolle speculative e crolli. Le prime si verificano quando i prezzi aumentano perché i cittadini pensano che in futuro i titoli saliranno: una bolla speculativa mantiene le promesse, poiché se i cittadini comprano perché ritengono che le azioni saliranno, l'atto di acquisto farà salire i prezzi inducendo gli investitori a comprare ancora di più e innescando così una spirale vertiginosa. Le bolle speculative provocano sempre crolli e a volte scatenano il panico. Un evento traumatico getta da decenni un'ombra sui mercati azionari: il panico del 1929 e il crollo di Wall Street. Quest'evento segna l'inizio della lunga e dolorosa grande depressione degli anni 30. Le moderne teorie economiche dei prezzi delle azioni in genere si incentrano sul ruolo dei mercati efficienti, luoghi in cui tutte le informazioni vengono assorbite velocemente dagli speculatori e immediatamente incorporato nelle quotazioni. Nei mercati efficienti non ci sono prodotti facili; considerando le notizie del giorno prima, le tendenze dei prezzi in passato, le elezioni e i cicli economici non si sarà aiutati nella previsione delle future oscillazioni dei prezzi. Per questo, nei mercati efficienti i prezzi sono sensibili alle sorprese che, essendo sostanzialmente casuali, fanno sì che i prezzi delle azioni e altri prezzi speculativi varino nel modo imprevedibile, come in un percorso casuale. CAPITOLO XXVI: L’attività delle banche centrali e la politica monetaria. (pag. 535 – 552) L’attività delle banche centrali La responsabilità della politica monetaria è oggi della Banca centrale europea, che assieme alle banche centrali nazionali costituisce il "sistema europeo di banche centrali". Nei primi decenni del regno d'Italia vi erano sei banche autorizzate dallo Stato ad emettere banconote aventi corso legale. Nel 1893, dalla fusione della Banca nazionale del regno d'Italia, la Banca nazionale Toscana e la http://unict.myblog.it
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Banca toscana di credito per le industrie e il commercio venne creata la Banca d'Italia. Il banco di Napoli il Banco di Sicilia mantennero l'autorizzazione ad emettere banconote aventi corso legale. Solo nel 1926 la Banca d'Italia divenne l'unico istituto di emissione. La Banca centrale italiana ha una struttura fortemente centralizzata, dove le decisioni cruciali in tema di tassi e di politica monetaria vengono presi in modo indipendente dalle quattro persone che compongono il direttorio, e in ultima istanza dal governatore che ne è a capo. Una volta nominato dal potere politico, il governatore può contare su una carica a vita. Ad attribuire il ruolo di governatore deve essere un decreto del presidente del consiglio, su parere del ministro del Tesoro, controfirmato dal presidente della Repubblica. La stessa procedura deve essere rispettata anche per tutti gli altri membri del direttorio. Spesso l'indipendenza della Banca centrale porta conflitti con il potere politico. Come gestisce veramente l'offerta di moneta la Banca centrale? I tre principali strumenti di politica monetaria sono: • le operazioni di mercato aperto, l'acquisto e la vendita di buoni del Tesoro in modo permanente o temporaneo; • la politica del tasso di sconto, la fissazione del tasso d'interesse, detto tasso di sconto, al quale le banche possono prendere a prestito riserve dalla Banca d'Italia; • la politica della riserva obbligatoria, la variazione del rapporto tra depositi e riserva obbligatoria di banche e altre istituzioni finanziarie presso la Banca d'Italia. Nella gestione della moneta la Banca centrale deve sempre sorvegliare l'andamento di un insieme di variabili note come obiettivi intermedi. Quando la Banca centrale vuol incidere sugli obiettivi finali inizia col variare uno dei suoi strumenti. Dal 1999 il sistema europeo di banche centrali svolge le funzioni di Banca centrale dell'unione monetaria, che comprende, al 2001,12 paesi dei 15 dell'unione europea. Precisamente, il sistema europeo di banche centrali è composto dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali dei 15 stati membri. La Banca centrale europea è dotata di personalità giuridica ai sensi del diritto pubblico internazionale. Mentre il processo decisionale all'interno dell'euro sistema e del sistema europeo di banche centrali è centralizzato, per prendere decisioni riguardo lo svolgimento dei compiti, la Banca centrale europea è tenuta a seguire il principio del decentramento secondo quanto stabilito nello statuto del sistema europeo di banche centrali. La Banca centrale europea tiene in conto tutti gli aspetti dell'evoluzione dell'economia per decidere la strategia di politica monetaria, che ha come obiettivo fondamentale la stabilità dei prezzi e si basa su due schemi di analisi (cosiddetti "pilastri") che contribuiscono a fornire una valutazione prospettica dei rischi per tale stabilità. Il primo pilastro assegna un ruolo preminente alla moneta; il secondo pilastro si basa sull'analisi di un'ampia gamma di indicatori economici e finanziari. La politica monetaria è responsabilità della Banca centrale. Lo strumento più importante di stabilizzazione a disposizione della Banca centrale sono le "operazioni di mercato aperto". Vendendo o acquistando titoli di Stato nel mercato aperto, la Banca centrale può aumentare o ridurre le riserve bancarie. Quando le banche commerciali sono a corto di riserve possono contrarre prestiti con la Banca centrale. All'inizio il tasso di sconto era lo strumento principale per fornire riserve al sistema bancario. Con lo sviluppo dei mercati finanziari le banche centrali fecero delle operazioni di mercato aperto il principale strumento per regolare il livello generale delle riserve. A volte la Banca centrale può far abbassare il tasso di sconto, che rappresenta il tasso d'interesse praticato sui prestiti alle banche della Banca centrale. Nella maggior parte dei casi il tasso di sconto si limita a seguire i tassi d'interesse di mercato per impedire alle banche di ottenere enormi profitti prendendo a prestito il denaro a un tasso di sconto basso per poi prestarlo ad un tasso di sconto elevato sul mercato aperto. Se non esistessero prescrizione di legge, probabilmente le banche terrebbero solo una piccola parte dei loro depositi sotto forma di riserve; per le banche commerciali la riserva obbligatoria rappresenta un onere, dal momento che i fondi impiegati come riserve hanno una remunerazione inferiore a quelli impiegati in modo alternativo. Poiché la Banca centrale controlla sia le riserve bancarie sia il coefficiente di riserva obbligatoria, detiene il controllo dell'offerta di moneta. La Banca centrale può inoltre variare la riserva obbligatoria se vuole modificare velocemente l'offerta di moneta: se, per esempio, vuole restringere la massa monetaria da un giorno all'altro, può aumentare il coefficiente di riserva obbligatoria; d'altro canto, se vuole creare condizioni di credito più facile può fare il contrario http://unict.myblog.it
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e ridurre i rapporti di riserva legale. Le banche centrali svolgono un ruolo particolarmente importante nell'economia aperte, dove gestiscono i flussi delle riserve e il tasso di cambio e tengono sotto controllo gli sviluppi della finanza internazionale. Il controllo della Banca centrale sulle riserve bancarie è soggetto a interferenze dall'estero, che possono però essere compensata se la Banca centrale sterilizza i flussi internazionali. Un aspetto importante del mercato finanziario di un paese è il sistema di cambio. Un sistema di cambi importante è quello dei tassi fluttuanti in cui il cambio è determinato dalle forze di mercato della domanda e dell'offerta. In alcune economie si mantengono tassi di cambio fissi e si agganciano le monete a una o più divise estere. Gli effetti della moneta sul prodotto e sui prezzi Il meccanismo di trasmissione della moneta è il modo in cui variazioni dell'offerta di moneta si traducono in variazioni di prodotto, occupazione, prezzi e inflazione. Per concretezza supponiamo che la Banca centrale si preoccupi di un aumento dell'inflazione e abbia deciso di rallentare l'economia. Il processo ha cinque fasi: 1. per iniziare il processo la Banca centrale provvede a ridurre le riserve bancarie; 2. ogni euro di riduzione delle riserve bancarie produce una contrazione multipla dei depositi traibili, diminuendo quindi l'offerta di moneta; 3. la riduzione dell'offerta di moneta tenderà ad aumentare i tassi d'interesse e restringere le condizioni di credito; 4. con tassi d'interesse più elevati e minore ricchezza, le spese sensibili ai tassi d'interesse, soprattutto gli investimenti, tenderanno a diminuire; 5. infine, le pressioni delle restrizioni creditizie, riducendo la domanda aggregata, faranno diminuire il reddito, il prodotto, i posti di lavoro e l'inflazione. L'offerta la domanda di moneta insieme determinano i tassi d'interesse di mercato. D
O
Tasso di interesse
Moneta
La figura presenta un grafico con la quantità totale di moneta sull'asse orizzontale e il tasso d'interesse nominale su quello verticale; la curva dell'offerta diventa una retta verticale nel caso in cui la Banca centrale manipoli gli strumenti per tenere l'offerta di moneta a un dato livello. Il diagramma della domanda di moneta viene inoltre rappresentato da una curva con pendenza decrescente, perché le giacenze monetarie diminuiscono all'aumento dei tassi d'interesse. L'intersezione dei diagrammi della domanda dell'offerta determina il tasso d'interesse di mercato. La politica monetaria ha la stessa incidenza sul commercio internazionale e interno: le restrizioni creditizie riducono gli investimenti stranieri e interni facendo quindi diminuire il prodotto e i prezzi. L'impatto della politica monetaria sul commercio internazionale rafforza l'incidenza sull'economia interna. L'espansione della moneta fa scendere i tassi d'interesse di mercato, stimolando la spesa per beni sensibili ai tassi d'interesse: gli investimenti delle imprese, l'edilizia, le esportazioni nette e simili. Mediante il meccanismo del moltiplicatore la domanda aggregata aumenta facendo salire prodotto e prezzi oltre i livelli che raggiungerebbero altrimenti. Molti economisti ritengono che variazioni nell'offerta di moneta a lungo termine facciano salire principalmente il livello dei prezzi con influsso scarso o nullo sul prodotto reale. Ciò significa che nel lungo periodo, mentre i prezzi e i salari diventano più flessibili, l'effetto di una variazione di offerta di moneta si esplica sempre più sui prezzi e sempre meno sul prodotto. Sono stati esaminati i fondamenti della domanda aggregata e si è visto che è determinata da fattori indipendenti come gli investimenti e le esportazioni nette, e dalle politiche economiche, in particolare quelle monetarie e fiscali. I governi oggi agiscono per contene-
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re le oscillazioni del ciclo economico, ma persino i governanti più saggi non possono sperare di eliminare la disoccupazione e l'inflazione di fronte a tutte le crisi cui è esposta l'economia. CAPITOLO XXVII: La crescita economica. (pag. 555 – 573) Nel XX secolo la rapida e continua crescita economica ha consentito ai Paesi industrializzati avanzati di fornire ai propri cittadini quantità maggiori di tutti i beni. Le nazioni continuano a considerare la crescita economica un obiettivo centrale della politica. Nel lungo periodo la crescita economica è il fattore più importante per il successo delle nazioni. Teorie della crescita economica La crescita economica rappresenta l'espansione del Pil o del prodotto potenziale di un paese. In altri termini, la crescita economica si verifica quando la frontiera delle possibilità produttive si sposta verso l'esterno. Un concetto strettamente connesso è il tasso di crescita del prodotto pro capite, che stabilisce il ritmo al quale sale il tenore di vita nel paese. Gli economisti che hanno studiato la crescita economica hanno scoperto che questa si fonda sempre sugli stessi quattro fattori: • le risorse umane (offerta di manodopera, istruzione, disciplina, motivazione); • le risorse naturali (terra, minerali, carburanti, qualità dell'ambiente); • la formazione di capitale (macchine, fabbriche, strade); • la tecnologia (scienza, tecnica, capacità gestionale e imprenditorialità). Spesso gli economisti scrivono la relazione in termini di funzione della produzione aggregata che mette in relazione il prodotto nazionale totale con gli input e la tecnologia. Dal punto di vista algebrico la produzione aggregata è pari a: Q = A x F (K, L, R) Dove Q = prodotto, K = servizi produttivi del capitale, L = input di lavoro, R = input di risorse naturali, A rappresenta il livello di tecnologia dell’economia e F è la funzione di produzione. Possiamo ritenere che il ruolo della tecnologia sia di incrementare la produttività degli input. La produttività indica il rapporto tra il prodotto e una media ponderata di input. Gli input di lavoro consistono nella quantità e abilità della forza lavoro. Molti economisti ritengono che la qualità degli input di lavoro sia il fattore più importante della crescita economica. Il secondo fattore classico della produzione sono le risorse naturali. Sotto questo profilo le risorse importanti sono la terra arabile, il petrolio e il gas, le foreste, l'acqua e le risorse minerali. Ricordate che il capitale tangibile comprende strutture come strade, centrali elettriche, attrezzature come camion e computer e riserve di scorte. Molti investimenti vengono intrapresi solo dai governi e servono a creare la struttura per lo sviluppo di un fiorente mercato; questi investimenti vengono definiti capitale fisso sociale e consistono in progetti su larga scala che agevolano l'attività economica: si tratta di gran investimenti che tendono ad essere indivisibili e a volte presentano rendimenti di scala crescenti. La crescita economica dipende da un quarto fattore essenziale, la tecnologia. Lo sviluppo tecnologico denota cambiamenti nei processi produttivi, o l'introduzione di nuovi prodotti, per rendere possibile una produzione migliore e più abbondante partendo dallo stesso insieme di fattori. I primi economisti, come Smith e Malthus, misero in rilievo il ruolo fondamentale della terra nella crescita economica. Smith forniva un manuale per lo sviluppo economico partendo da un'ipotetica era idilliaca, "quello stato originale delle cose che precede sia l'appropriazione della terra sia l'accumulazione di capitale", in cui la terra era liberamente disponibile a tutti e non si era cominciato ancora a parlare di capitale. Poiché la terra è liberamente disponibile, la gente si distribuisce su un numero maggiore di ettari all'aumentare della popolazione. Non essendoci capitale, il prodotto nazionale raddoppia esattamente al raddoppio della popolazione. Che cosa accade ai salari reali? Assorbono l'intero reddito nazionale perché non vi è alcuna detrazione per la rendita della terra o per gli interessi sul capitale. Il prodotto si espande insieme alla popolazione, per cui il salario reale per lavoratore è costante nel corso del tempo. Alla fine, mentre la popolazione continua a crescere, tutta la terra sarà occupata e, una volta scomparsa la terra libera, la crescita equilibrata della terra, del lavoro e del prodotto non è più possibile. La popolazione continua a crescere ed entra in funzione la legge dei rendimenti decrescenti. Il rapporto crescente terra – lavoro porta un minore prodotto marhttp://unict.myblog.it
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ginale del lavoro e quindi a minori salari reali. Malthus riteneva che la pressione demografica spingesse l'economia fino al punto in cui i lavoratori si trovano al livello minimo di sussistenza, e argomentava che ogni volta che i salari fossero stati al disopra del livello di sussistenza, la popolazione sarebbe aumentata; salari sotto questo livello avrebbero determinato un'elevata mortalità e la diminuzione della popolazione. La previsione di Malthus era molto lontana dal vero perché egli non aveva tenuto conto di come l'innovazione tecnologica e gli investimenti di capitale potessero ovviare alla legge dei rendimenti decrescenti. L'accumulazione di capitale e le nuove tecnologie divennero la forza dominante dello sviluppo economico. Per comprendere come l'accumulazione di capitale e il progresso tecnologico incidono sull'economia è necessario comprendere il modello neoclassico della crescita economica. Il pioniere di questo approccio fu Robert Solow. Il modello neoclassico di crescita descrive un'economia in cui si ottiene un singolo prodotto omogeneo con due tipi di input, il capitale e il lavoro. La crescita del lavoro è determinata da forze esterne all'economia e non è influenzata dalle variabili economiche; si suppone inoltre che l'economia sia concorrenziale e operi sempre in condizioni di piena occupazione, in modo da poter analizzare la crescita del prodotto potenziale. I nuovi ingredienti del modello di crescita neoclassico sono il capitale e il progresso tecnologico. Il capitale consiste in beni strumentali durevoli che si utilizzano per produrre altri beni. Per convenienza si supporrà che ci sia un solo tipo di bene capitale (K). Nei calcoli reali il bene capitale universale viene approssimato al valore monetario totale dei beni capitali. Se è L è il numero di lavoratori, (K/L) è pari alla quantità di capitale per lavoratore o rapporto capitale/lavoro. Possiamo riscrivere la funzione di produzione aggregata per il modello di crescita neoclassico senza innovazione tecnologica come Q = F (K, L). Passando ora al processo di crescita economica, gli economisti sottolineano la necessità di aumentare l'intensità di capitale, processo mediante il quale la vendita di capitale per lavoratore aumenta nel corso del tempo. I tassi salariali salgono per i lavoratori agricoli, dei trasporti o per gli impiegati di banca, a mano a mano che gli incrementi del capitale per lavoratore fanno aumentare il prodotto marginale del lavoro in questi settori. Possiamo analizzare gli effetti dell'accumulazione di capitale utilizzando la figura che rappresenta graficamente la funzione di produzione aggregata ponendo il prodotto per lavoratore sull'asse verticale e il capitale per lavoratore su quello orizzontale; sullo sfondo, e mantenute costanti per il momento, ci sono tutte le altre variabili discusse all’inizio di questa sessione. Che cosa accade quando la società accumula capitale? Mentre ogni lavoratore ha sempre più capitale con cui lavorare, l'economia si sposta in alto verso destra lungo la funzione di produzione aggregata. FPA Prodotto per lavoratore
Capitale per lavoratore
Qual è l'equilibrio di lungo periodo nel modello neoclassico della crescita senza progresso tecnico? Alla fine il rapporto capitale/lavoro cesserà di aumentare: a lungo termine l'economia entrerà in una condizione di stato stazionario in cui l'aumento dell'intensità di capitale si blocca, la crescita dei salari reali si arresta e i rendimenti del capitale e i tassi d'interesse sono costanti. Modelli di crescita negli Stati Uniti Gli economisti che studiano la storia dei paesi avanzati hanno scoperto che le seguenti tendenze sono valide per la maggior parte di queste nazioni: • lo stock di capitale è cresciuto più rapidamente della popolazione e dell'occupazione determinando intensità di capitale; • per la maggior parte del XX secolo vi è stata una forte tendenza all'aumento dei tassi salariali reali; • la quota di compensazione del lavoro nel reddito nazionale è stato notevolmente stabile nel secolo scorso; http://unict.myblog.it
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vi sono state grandi oscillazioni dei tassi d'interesse reali e del tasso del profitto soprattutto durante i cicli economici, ma in questo secolo non c'è stata una forte tendenza all'aumento o alla diminuzione; • invece di salire costantemente, come si sarebbe potuto prevedere in base alla legge dei rendimenti decrescenti con tecnologia immutata, il rapporto capitale/prodotto in realtà è diminuito dal 1900 in poi, ma è variato di poco dal 1950., • per la maggior parte del XX secolo, il risparmio nazionale e gli investimenti in proporzione del Pil sono stati stabili; • una volta eliminati gli effetti dei cicli economici, il prodotto è cresciuto a un tasso medio prossimo al 3% annuo. L'aumento del prodotto è stato molto superiore alla media ponderata dell'incremento di capitale, lavoro e input di risorse, e questo indica che l'innovazione tecnologica deve avere svolto un ruolo chiave nella crescita economica. Gli studi dettagliati della crescita economica si fondano sulla cosiddetta contabilità della crescita. Questa tecnica non rappresenta un bilancio di contabilità nazionale del tipo incontrato nei capitoli precedenti, ma è piuttosto un modo di suddividere i contributi di diversi ingredienti alla base delle tendenze di crescita osservate. Nella contabilità della crescita si parte di solito dalla funzione della produzione aggregata. Utilizzando questi sistemi di calcolo elementari e ricorrendo ad alcune ipotesi semplificate possiamo esprimere la crescita del prodotto in termini di crescita degli input più il contributo dell'innovazione tecnologica: la crescita del prodotto può essere scomposto in tre fattori distinti: crescita del lavoro per il suo peso, crescita del capitale per il suo peso e l'innovazione tecnologica. Ignorando momentaneamente quest'ultimo elemento, il presupposto di rendimenti costanti di scala significa che una crescita dell'1% di lavoro, insieme a una crescita dell'1% di capitale, porterà una crescita dell'1% di prodotto. Dopo il 1970 la crescita della produttività ha rallentato sotto il peso degli aumenti dei prezzi dell'energia, di una sempre maggiore regolamentazione ambientale e altre modifiche strutturali. Alla fine degli anni '90 però l'esplosione della produttività degli investimenti nell'informatica insieme a miglioramenti nella misurazione hanno determinato un'impennata nella crescita della produttività misurata. •
CAPITOLO XXVIII: La sfida dello sviluppo economico. (pag. 577 – 596) Lo sviluppo economico Un paese in via di sviluppo è un paese con un reddito reale pro-capite basso. Sotto il profilo umano i paesi in via di sviluppo di solito sono caratterizzati da popolazioni con cattiva salute, bassi livelli di alfabetizzazione, abitazioni inadatte e diete misere. Vi è una grande diversità tra i paesi in via di sviluppo: alcuni rimangono ai limiti della sopravvivenza; altri, che si trovavano in quella categoria trent'anni fa, sono assunti al rango di nazioni a medio reddito. Quelli che hanno avuto un po' più successo sono definiti paesi recentemente industrializzati; alcuni di loro hanno un reddito pro capite che ha raggiunto i livelli più elevati dei paesi ad alto reddito. Un nuovo metodo interessante che unisce gli indicatori economici a quelli sociali è l'indice dello sviluppo umano (Human Development Index). L'HDI comprende quattro indici diversi: il Pil reale pro-capite, l'aspettativa di vita alla nascita, l'iscrizione a scuola e l'alfabetizzazione da adulti. Per le nazioni povere è difficile superare la propria condizione con tassi di natalità così elevati, ma esistono metodi per sfuggire alla sovrappopolazione, di cui uno consiste nell'assumere un ruolo attivo nella limitazione della crescita demografica. Per i paesi che riescono a espandere il reddito pro capite, c'è la prospettiva della transizione demografica verso una popolazione stabile con tassi di natalità e di mortalità bassi. Oltre ad affrontare l'eccessiva crescita della popolazione, i paesi in via di sviluppo devono preoccuparsi anche della qualità delle loro risorse umane. I pianificatori economici di queste la nazioni sottolineano l'importanza dei seguenti programmi specifici: • controllo delle malattie e miglioramento della salute e dell'alimentazione; • miglioramento dell'istruzione, riduzione dell'analfabetismo e formazione professionale; • non deve essere sottovalutata l'importanza delle risorse umane. http://unict.myblog.it
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Alcuni paesi poveri dell'Africa e dell'Asia hanno scarse dotazioni di risorse naturali, e la terra e i minerali che possiedono devono essere ripartiti tra popolazioni numerose. La risorsa naturale più preziosa dei paesi in via di sviluppo è forse il terreno coltivabile. Una moderna economia richiede una vasta gamma di beni capitali. I cittadini devono astenersi dal consumo corrente per impegnarsi in una fruttuosa produzione indiretta: ma li sta il problema perché quando si è poveri, ridurre il consumo corrente in vista di quello futuro sembra impossibile. Soprattutto nelle regioni più povere, l'urgenza del consumo corrente compete con gli investimenti per le scarse risorse. Ne derivano investimenti troppo ridotti nel capitale produttivo, tanto indispensabile per il rapido progresso economico. L'ultimo fattore di crescita è il progresso tecnico. In questo settore i paesi in via di sviluppo hanno un vantaggio potenziale: possono sperare di trarre vantaggio facendo ricorso al progresso tecnico delle nazioni più avanzate. Questi paesi scoprono anche che le loro difficoltà si assommano dando vita un circolo vizioso di povertà: i bassi redditi portano a un basso risparmio; e il basso risparmio ritarda la crescita del capitale; il capitale inadeguato impedisce l'introduzione di nuovi macchinari e la rapida crescita della produttività; la bassa produttività determina redditi bassi. Inoltre la povertà è accompagnata da livelli bassi d'istruzione; questi a loro volta impediscono all'adozione di nuove e migliori tecnologie e determinano la rapida crescita della popolazione, che annulla i miglioramenti nella realizzazione di prodotti, e in particolare dei generi alimentari. La relativa arretratezza può contribuire allo sviluppo: i paesi arretrati possono acquistare macchinari potendosi appoggiare alle tecnologie delle nazioni progredite. Nella maggior parte dei paesi i redditi delle arie urbane sono quasi il doppio di quelli delle aree rurali, e nelle nazioni ricche buona parte dell'economia si fonda sull'industria e sui servizi. Molte nazioni saltano quindi alla conclusione che l'industrializzazione è la causa anziché all'effetto della ricchezza. Modelli alternativi di sviluppo Tra gli estremi del completo laissez – faire e del comunismo si trovano il capitalismo misto, i mercati amministrati, il socialismo e le molte combinazioni di questi modelli. In questa sezione verranno descritte brevemente alcune delle più importanti strategie di sviluppo. • Approccio asiatico del mercato gestito. La Corea del sud, Taiwan e altri paesi dell'est asiatico hanno elaborato un proprio tipo di economia che unisce un forte controllo dello Stato a potenti forze di mercato. • Socialismo. Il pensiero socialista include anche gamma di approcci diversi. Nell'Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale i governi socialisti operanti in un contesto democratico ampliarono lo Stato assistenziale, nazionalizzarono industrie e pianificarono l'economia. Negli ultimi anni, però, sono ritornati a una struttura di libero mercato con ampie deregolamentazioni e privatizzazioni. • Comunismo di tipo sovietico. Per molti anni la più chiara alternativa all'economia di mercato si trovava in unione sovietica: in base al modello sovietico, lo Stato possiede tutta la terra e la maggior parte del capitale, fissa i salari e quasi tutti prezzi e dirige il funzionamento dell'economia a livello microeconomico. A un'estremità dello spettro c'è l'economia di mercato. In un sistema di mercato i cittadini agiscono volontariamente e principalmente per il vantaggio economico o la soddisfazione personale. Le imprese acquistano fattori e realizzano prodotti, scegliendo gli uni o gli altri in modo da massimizzare i profitti; i consumatori forniscono fattori di produzione e acquistano beni di consumo per massimizzare la propria soddisfazione. Benché i singoli cittadini differiscano notevolmente tra loro in termini di potere economico, i rapporti tra i singoli individui e le imprese sono orizzontali per natura, essenzialmente volontari e non gerarchici. All'altra estremità dello spettro si trova l'economia pianificata, in cui le decisioni vengono prese dall'apparato statale. Secondo questo approccio i cittadini sono legati da un rapporto verticale e il controllo viene esercitato da una gerarchia a più livelli. Nel mezzo si trovano l'economia socialista e i mercati controllati. CAPITOLO XXIX: Tassi di cambio e sistema finanziario internazionale. (pag. 597 – 617)
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La bilancia dei pagamenti internazionale La bilancia dei pagamenti internazionali misura tutte le transazioni economiche tra una nazione e il resto del mondo; comprende le esportazioni e le importazioni di beni, servizi e capitali finanziari. Le esportazioni sono voci di credito, mentre le importazioni sono debiti. In termini più generali, le voci di credito di una nazione sono transazioni che rendono disponibili valute estere, mentre i debiti sono voci che riguardano la riduzione delle scorte di valuta estere. Le principali componenti della bilancia dei pagamenti sono: • le partite correnti (commercio di beni e servizi, reddito da investire e trasferimenti); • i conti patrimoniali (pubblici, privati e variazioni delle riserve ufficiali). La norma della contabilità della bilancia dei pagamenti vuole che la somma di tutte le voci sia uguale a zero. Storicamente i paesi tendono ad attraversare le seguenti fasi della bilancia dei pagamenti: da giovane paese che assume prestiti per lo sviluppo economico, a maturo debitore, da giovane creditore, a nazione creditrice matura che vive degli utili degli investimenti passati. La determinazione dei tassi di cambio Il commercio estero prevede l'uso delle diverse valute nazionali: il tasso di cambio è il prezzo di una valuta in termini di un'altra ed è stabilito dal mercato dei cambi, dove vengono scambiate le varie valute. I principali paesi hanno una loro valuta. Grazie al cambio estero un negoziante italiano può acquistare racchette da tennis inglesi. Supponiamo che il prezzo sia di cinquanta sterline l’una; il negoziante può consultare un quotidiano per vedere il tasso di cambio della sterlina: se il tasso è di € 0,60 a sterlina, va semplicemente in banca con € 83,33 e le converte in cinquanta sterline, e con queste può poi pagare l’esportatore nella valuta necessaria per l'acquisto della racchetta da tennis. Il mercato dei cambi è il mercato in cui si effettuano gli scambi delle monete dei diversi paesi e se ne determinano i tassi di cambio; la valuta estera viene poi trattata al dettaglio in molte banche e uffici specializzati nel settore. L'equilibrio della domanda dell'offerta di cambio determina il tasso di cambio di una valuta. Qual è il legame tra i tassi di cambio e gli adeguamenti della bilancia dei pagamenti? Nel caso più semplice supponiamo che i tassi di cambio siano determinati dalla domanda e dall'offerta. Le variazioni dei cambi fungono da stabilizzatore per eliminare squilibri della bilancia dei pagamenti. Un'importante implicazione è la teoria della parità del potere d'acquisto dei tassi di cambio, in base alla quale il tasso di cambio di un paese tenderà a bilanciare il costo di acquisto di prodotti commerciati internamente con quello di acquisto di quegli stessi beni all'estero. La dottrina della parità di potere d'acquisto afferma inoltre che i paesi con tassi d'inflazione elevati tenderanno ad avere monete che si deprezzano: va rilevato inoltre che la teoria della parità di potere d'acquisto è solo tendenziale e non prevede una stabilizzazione completa dei relativi prezzi. Il sistema monetario internazionale Il sistema monetario internazionale designa le istituzioni sotto la cui egida vengono effettuati pagamenti per le transazioni che travalicano i confini nazionali. In particolare, il sistema monetario internazionale determina come vengono fissati i tassi di cambio e come influenzano gli stati. Negli ultimi anni le nazioni hanno utilizzato uno dei seguenti sistemi principali: • il sistema di tassi di cambio fissi; • il sistema di tassi di cambio flessibili o fluttuanti in cui i tassi sono determinati dalle forze di mercato; • tassi di cambio amministrati sui quali le nazioni intervengono per attenuare le oscillazioni dei cambi o spostare la loro valuta verso una zona prefissata. A un'estremità c'è un sistema di tassi di cambio fissi, in cui i governi specificano esattamente il tasso al quale gli euro saranno convertiti nelle altre monete. Storicamente il sistema di tassi di cambio fissi più importante fu il sistema monetario aureo (Gold Standard), secondo il quale ogni paese definiva il valore della propria moneta nei termini di una quantità fissa d'oro. In condizioni di tassi flessibili, il cambio di un paese potrebbe deprezzarsi per bilanciare l'inflazione interna, ma con tassi fissi l'equilibrio deve essere ripristinato mediante la deflazione interna o l'inflazione all'estero. Esiste un meccanismo di adeguamento automatico, come dimostrato nel 1752 del filosofo scozzese David Hume, il quale indicò che il deflusso di oro era parte di un meccanismo che tendeva a mantehttp://unict.myblog.it
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nere in equilibrio i pagamenti internazionali. La spiegazione di Hume si fondava in parte sulla teoria quantitativa dei prezzi. Questa dottrina afferma che il livello globale dei prezzi di un'economia è proporzionale all'offerta di moneta; nel sistema aureo l’oro costituiva una parte importante dell'offerta di moneta: sia direttamente, sotto forma di monete d'oro, sia indirettamente, quando i governi usavano l’oro come copertura della carta moneta. Tra i due estremi dei tassi di cambio rigidamente fissati e tassi completamente flessibili si trovano i tassi di cambio amministrati, che in sostanza sono determinati dalle forze di mercato, ma i governi comprano e vendono valute o variano offerta di moneta per influenzarli, contrastando a volte l'andamento dei mercati privati oppure ricorrendo a "zone target" che guidano i loro interventi. L'attuale sistema di cambi presenta contorni che non sono nettamente delineati. Senza che nessuno lo avesse progettato il mondo è passato a un sistema di cambi ibrido, le cui principali caratteristiche sono le seguenti: • alcuni paesi consentono alla propria moneta di fluttuare liberamente. Negli ultimi vent'anni gli Stati Uniti hanno seguito quasi sempre questo sistema; • alcuni grandi paesi hanno tassi di cambio amministrati ma flessibili. Oggi questo gruppo comprende il Canada, il Giappone e molti paesi in via di sviluppo; • molti paesi, soprattutto piccoli, agganciano la loro valuta a una moneta importante o un paniere di monete; • inoltre quasi tutti i paesi tendono a intervenire quando i mercati diventano turbolenti o quando i tassi di cambio sembrano molto lontani dai fondamentali, cioè dai tassi di cambi appropriati per i livelli di prezzi e flussi commerciali esistenti. CAPITOLO XXX: La macroeconomia dell’economia aperta. (pag. 621 – 641) Il commercio estero e l’attività economica La macroeconomia dell'economia aperta è lo studio del comportamento dell'economia quando si prendono in considerazione i legami commerciali finanziari tra le nazioni. Il commercio estero prevede esportazioni ed importazioni. Si definiscono esportazioni nette le esportazioni di beni e servizi meno le importazioni di beni e servizi. Quando un paese registra esportazioni nette positive accumula attività estere, perciò la controparte delle esportazioni nette sono gli investimenti esteri netti, che indicano i risparmi degli investimenti netti all'estero e sono pressappoco uguali al valore delle esportazioni nette. In una economia aperta le spese della nazione possono divergere dalla sua produzione. Le spese interne totali (a volte denominate domanda interna) sono pari al consumo più gli investimenti interni più gli acquisti pubblici. Questa misura differisce dal prodotto interno per due motivi: innanzitutto, una qualche parte delle spese riguarderà le merci prodotte all'estero, articoli che costituiscono le importazioni. Inoltre, una parte della produzione interna americana sarà venduta all'estero sotto forma di esportazioni. La differenza tra prodotto nazionale e spese interna è semplicemente: Ex – Im = esportazioni nette (X) Il volume e il valore delle importazioni saranno influenzati dai prezzi relativi dei beni nazionali ed esteri. Le esportazioni sono l'immagine speculare delle importazioni: quando aumenta il prodotto estero o scende il tasso di cambio dell'euro, il volume e il valore delle esportazioni tendono a crescere. Come influiscono variazioni dei flussi commerciali sul Pil e sull'occupazione? In presenza del commercio internazionale i fattori macroeconomici principali sono due: innanzitutto una quarta componente della spesa, le esportazioni nette, che fanno aumentare la domanda aggregata; in secondo luogo una economia aperta con moltiplicatori diversi per gli investimenti privati e per la spesa pubblica interna, in quanto parte della spesa si disperde nel resto del mondo. Disavanzo delle esportazioni nette
C+I+G C+I+G+X
Spesa totale
Prodotto interno lordo
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La propensione marginale alle importazioni, che sarà indicata con PMm, rappresenta l'incremento del valore monetario delle importazioni per ogni dollaro aggiuntivo del Pil. La propensione marginale alle importazioni è strettamente connessa alla propensione marginale al risparmio. La dispersione della spesa al di fuori dell'economia nazionale verso le importazioni ha l'effetto giunto sorprendente di modificare il moltiplicatore di una economia aperta. Il rapporto è il seguente: Moltiplicatore dell’economia aperta =
1 PMR + PMm
Quando gli investimenti che possono defluire facilmente da un paese all'altro e le barriere normative agli investimenti finanziari sono basse si dice che i paesi godono di elevata mobilità del capitale finanziario. I paesi con tassi di cambio fissi ed elevata mobilità del capitale si contraddistinguono per tassi d'interesse pressoché allineati fra loro. Qualsiasi divario nei tassi d'interesse di due paesi attira gli speculatori, che venderanno una valuta e acquisteranno l'altra fino a quando i tassi si livelleranno. Nell'ambito dei tassi di cambio flessibili è importante comprendere che la politica macroeconomica opera in modo ben diverso dal caso degli tassi fissi perché diventa molto efficace. Il commercio estero crea effettivamente un altro legame nel meccanismo di trasmissione monetaria quando un paese è caratterizzato da tassi di cambio flessibili. La politica monetaria opera mediante i cambi per influire sulle esportazioni nette oltre che sugli investimenti interni. L'effetto del tasso d'interesse sulle esportazioni nette rafforza l'incidenza sugli investimenti interni: le restrizioni creditizie riducono il prodotto e i prezzi. Interdipendenza dell’economia globale I paesi devono tener d'occhio le implicazioni delle loro politiche per la crescita economica di lungo periodo. A volte è utile considerare una singola area all'interno di un paese con una piccola economia aperta con un tasso di cambio fisso. La crescita economica non riguarda solo il capitale; esige lo spostamento oltre la frontiera tecnologica con l'adozione delle migliori prassi tecnologiche, richiede lo sviluppo di istituzioni che alimentano gli investimenti e lo spirito d'impresa. Altre questioni, quali le politiche commerciali, i diritti di proprietà intellettuale, le politiche per gli investimenti diretti e il clima macroeconomico globale, sono ingredienti fondamentali della crescita dell'economia aperta. In un'economia chiusa gli investimenti totali sono pari al risparmio interno. Per le economie aperte, invece, i mercati finanziari mondiali sono un'altra fonte di fondi d'investimento e un altro sbocco per il risparmio interno. È utile esaminare come siano allocati risparmi e investimenti di lungo periodo in un'economia "classica" con piena occupazione e prezzi flessibili. Consideriamo il caso più semplice in cui non c'è inflazione o incertezza partendo da un'economia chiusa per estendere poi l'analisi a un'economia aperta. Sappiamo che in un'economia chiusa gli investimenti devono essere uguali al risparmio privato più l'avanzo pubblico. Per semplificare supponiamo che le imposte, la spesa pubblica e il risparmio privato non dipendono dai tassi di interesse. Pertanto, il risparmio interno totale (pubblico e privato) è pari a un dato importo in condizioni di piena occupazione. Al contrario, gli investimenti sono molto sensibili ai tassi di interesse. Possiamo perciò scrivere la scheda degli investimenti come I(r) per indicare che gli investimenti dipendono dal tasso di interesse reale, r. In un'economia chiusa con piena occupazione un maggior disavanzo pubblico riduce gli investimenti. Un'economia aperta ha fonti alternative d'investimento e sbocchi alternativi per il risparmio. Una piccola economia aperta deve porre il proprio tasso di interesse interno uguale a quello reale mondiale, perché è troppo piccola per influire su di esso, e dato che la mobilità del capitale è elevata, il capitale finanziario si sposterà per equilibrare i tassi di interesse all'interno e all'estero. Le esportazioni nette sono dunque determinate dalla differenza tra risparmi e investimenti nazionali determinati da fattori interni più il tasso di interesse mondiale. Le variazioni dei cambi sono il meccanismo mediante il quale si ade-
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guano i risparmi e gli investimenti. Altri esempi importanti della teoria del risparmio e degli investimenti in un'economia aperta riguardanti una piccola economia aperta sono i seguenti: • Un aumento del risparmio privato o una spesa pubblica inferiore del paese aumenterà il risparmio nazionale rappresentato da uno spostamento verso destra nella scheda del risparmio nazionale. Questa situazione determinerà un deprezzamento del cambio fino a quando le esportazioni nette non aumenteranno quanto basta per bilanciare l'aumento del risparmio privato. • Un aumento degli investimenti interni, per esempio a causa di un miglioramento del clima commerciale o dell'esplosione di innovazioni, determinerà uno spostamento della scheda degli investimenti che porterà a un apprezzamento del cambio fino a quando le esportazioni nette diminuiscono quanto basta per equilibrare il risparmio e gli investimenti. In questo caso gli investimenti interni spiazzano quelli esteri. • Un aumento dei tassi di interesse mondiali ridurrà il livello degli investimenti portando a un ampliamento del divario tra risparmi e investimenti, a un deprezzamento del cambio e all'incremento delle esportazioni nette e degli investimenti stranieri. Nel lungo periodo il metodo principale per aumentare il prodotto pro capite e il tenore di vita consiste nell'assicurare che nei processi produttivi il paese adotti tecniche improntate alla migliore prassi. Un altro insieme importante di politiche è dato dalle politiche commerciali. Le evidenze empiriche indicano che un sistema di commercio aperto favorisce la competitività e l'adozione di tecnologie improntate alla migliore prassi. Quando i paesi considerano i risparmi e gli investimenti non devono concentrarsi unicamente sul capitale fisico: il capitale intangibile è altrettanto importante. Gli studi dimostrano che i paesi che investono nel capitale umano attraverso l'istruzione tendono a ottenere buoni risultati e a dar prova di capacità di ripresa di fronte alla crisi. Uno dei fattori più complessi della crescita di un paese riguarda l'immigrazione e l'emigrazione. Tra i fattori che determinano gli influssi più importanti e pervasivi rientrano le istituzioni del mercato. L'economie aperte di maggior successo hanno fornito un ambiente sicuro per gli investimenti e l'imprenditorialità mediante un insieme di diritti di proprietà certi per assicurare che inventori e artisti creativi traggono profitto dalle proprie attività. Un clima macroeconomico stabile significa che le imposte sono ragionevoli e prevedibili e che l'inflazione è così bassa che i prestatori non si preoccupano che possa assorbire interamente i loro investimenti. È essenziale che i tassi di cambio siano relativamente stabili, con una convertibilità che consenta il passaggio dalla e nella valuta nazionale in modo semplice ed economico. Questioni di politica internazionale alla fine del secolo Va attuata una distinzione tra competitività e produttività: la prima si riferisce al grado in cui i prodotti di un paese possono competere sul mercato, che dipende principalmente dai prezzi relativi di prodotti interni ed esteri, e va distinta dalla seconda, che si misura in base al prodotto per unità di input ed è fondamentale per la crescita del tenore di vita di un paese. Come dimostra la teoria del vantaggio comparato, i paesi non sono intrinsecamente poco competitivi, ma lo diventano quando i loro prezzi non sono più allineati con quelli dei partner commerciali a causa di un cambio sopravvalutato. Un sistema di cambio è ideale quando rende altamente prevedibili i prezzi relativi, assicurando al contempo un adeguamento senza traumi alle crisi economiche. I primi passi in direzione di una moneta europea comune furono mossi nel 1978 in Europa con la creazione di un blocco monetario noto come sistema monetario europeo (SME). Quali membri del sistema monetario europeo i paesi si impegnavano a tenere il proprio cambio entro una fascia di oscillazione prestabilita e piuttosto ristretta. Un'implicazione del sistema di cambi fissi è che i paesi devono rinunciare al controllo dei tassi d'interesse interni. In condizioni normali la perdita del controllo sulla politica monetaria non sarebbe fatale, ma nei periodi di crisi la politica monetaria reale e quella desiderata possono essere troppo divergenti. Un sistema di cambio fisso è vulnerabile ad attacchi speculativi devastanti se i flussi di capitale finanziario circolano liberamente da un paese all'altro, perché un cambio fisso ma aggiustabile è soggetto all'attacco ogni volta che gli speculatori ritengono che siano imminenti variazioni del cambio stesso. Se è probabile che una moneta sia svalutata, gli speculatori inizieranno http://unict.myblog.it
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velocemente a venderla; in tal modo, l'offerta di moneta aumenta mentre la domanda scende. A questo punto interviene la Banca centrale per difendere la moneta. Date le risorse private esposte ad attacchi speculativi, che possono arrivare a decine di miliardi di euro in poche ore, chi difende una moneta debole esaurisce velocemente le riserve. A meno che paesi con una "valuta forte" siano disposti a fornire credito illimitato, prima o poi la Banca centrale che attua la difesa rinuncerà e svaluterà la moneta o la lascerà fluttuare. Dalla seconda guerra mondiale i paesi democratici dell'Europa occidentale hanno perseguito un'integrazione economica sempre maggiore, principalmente per promuovere la stabilità politica dopo due conflitti disastrosi. Dopo un processo di integrazione durato trent'anni, i paesi dell’Unione europea risolsero questa contraddizione adottando una moneta comune. La nascita di una unità monetaria europea fu sancita con il trattato di Maastricht, che dettava le condizioni per l'adesione alla nuova moneta comune, l'euro. CAPITOLO XXXI: La disoccupazione e i fondamenti dell’offerta aggregata. (pag. 645 – 663) I fondamenti dell’offerta aggregata Nel breve periodo la natura del processo inflazionistico e l'efficacia della politica anticiclica del governo dipendono dalla domanda aggregata. Nel lungo periodo di un decennio o più la crescita economica e un tenore di vita in ascesa sono strettamente legati ad aumenti dell'offerta aggregata. Questa distinzione tra offerta aggregata di breve e lungo periodo è fondamentale per la moderna macroeconomia: a breve termine l'offerta aggregata opera insieme alla domanda aggregata per determinare gli alti e bassi del ciclo economico, ma a lungo termine è la crescita dell'offerta aggregata, anziché della domanda aggregata, a spiegare perché gli italiani, come gli abitanti di tanti altri paesi, godano oggi di un tenore di vita molto più elevato rispetto a cent'anni fa. L'offerta aggregata descrive il comportamento dell'economia dal lato della produzione. Si può costruire la curva dell'offerta aggregata come diagramma che mostra il livello del prodotto nazionale totale che sarà realizzato a ogni livello possibile di prezzi a parità di altre condizioni. Per il breve periodo si considera la scheda dell'offerta aggregata di breve periodo. Per il lungo periodo si considera la scheda dell'offerta aggregata di lungo periodo. L'offerta aggregata dipende fondamentalmente da due insiemi distinti di forze: il prodotto potenziale e la dinamica prezzi – salari. Il concetto fondamentale per comprendere l'offerta aggregata è il prodotto potenziale e il pil potenziale. Ai fini quantitativi i macroeconomisti di solito utilizzano la seguente definizione di prodotto potenziale: il pil potenziale è il livello più alto sostenibile del prodotto nazionale. In generale si misura come prodotto che sarebbe realizzato a un basso livello di riferimento del tasso di disoccupazione, noto come tasso naturale di disoccupazione. La curva dell'offerta aggregata è influenzata anche da variazioni dei costi di produzione. Quando questi aumentano, le imprese sono disposte a fornire un dato livello di prodotto solo a un prezzo più elevato. Molti economisti della scuola di Keynes ritengono che variazioni della domanda aggregata hanno un effetto significativo e duraturo sul prodotto, quindi se la domanda aggregata scende a causa di restrizioni monetarie o una diminuzione della spesa dei consumatori, i sostenitori di Keynes sostengono che nel breve periodo questo determinerà una riduzione del prodotto e dell'occupazione. Un punto di vista contrario è rappresentato dall’approccio classico alla macroeconomia. Questa scuola sottolinea la grande capacità di bilanciamento delle forze che operano attraverso il meccanismo di prezzi tenendo l'economia vicina alla piena occupazione senza intervento del governo; di conseguenza la disoccupazione volontaria è scarsa. La differenza fondamentale sta nel periodo temporale dell'analisi: la curva OA di breve periodo sulla destra ha pendenza crescente, cioè è di Keynes; indica che le imprese sono disposte ad aumentare i livelli di prodotto in risposta alle variazioni della domanda aggregata, ma l'espansione del prodotto non può essere illimitata. All'aumento del prodotto si verificano carenze di manodopera e le fabbriche operano quasi a regime. La seconda figura mostra che cosa accade nel lungo periodo, dopo che i salari e i prezzi hanno avuto tempo di reagire. Quando hanno avuto luogo tutti gli adeguamenti, la curva OA di lungo periodo diventa verticale o classica. Nel caso classico e di lungo periodo il livello del prodotto offerto è indipendente dalla domanda aggregata.
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OA OA Livello dei prezzi Prodotto potenziale Prodotto reale
Perché l'andamento della curva dell'offerta aggregata di breve e lungo periodo è diverso? Perché nel breve periodo le imprese aumentano sia i prezzi che il prodotto mentre la domanda aggregata sale? Alcuni elementi dei costi delle imprese sono rigidi o vischiosi nel breve periodo; in conseguenza di questa rigidità le imprese possono trarre profitto da livelli più elevati della domanda aggregata producendo di più. Abbiamo parlato ripetutamente di costi "vischiosi" o "rigidi", dei quali un esempio molto significativo è il salario. Per vari motivi, i salari si adeguano lentamente quando cambiano le condizioni economiche. Altri prezzi e costi sono analogamente vischiosi nel breve periodo: quando un'impresa prende in affitto l'edificio, il contratto spesso durerà per un anno o più e in genere l'affitto è fissato in termini monetari, e inoltre l'azienda spesso stipula contratti con i fornitori specificando i prezzi da pagare per il materiale o i componenti. La disoccupazione La popolazione in età da lavoro viene suddivisa nei seguenti quattro gruppi: • occupati, ovvero coloro che svolgono un lavoro retribuito; • disoccupati, che comprende le persone che non sono occupate ma cercano attivamente un impiego o sono in attesa di tornare a lavorare; • persone non appartenenti alla forza lavoro, ovvero popolazione adulta che frequenta la scuola, fa lavori domestici, è in pensione o è troppo malata per andare a lavorare o semplicemente non cerca lavoro; • forza lavoro, che comprende tutti coloro che sono occupati o disoccupati. Il tasso di disoccupazione è dato dal numero di disoccupati diviso la forza lavoro totale. Quando il tasso di disoccupazione sale, l'economia spreca effettivamente tutti i beni e servizi che i lavoratori disoccupati avrebbero prodotto. Il costo economico della disoccupazione è certamente elevato, ma quello sociale è enorme. Nessuna cifra può indicare adeguatamente il prezzo umano e psicologico di lunghi periodi di disoccupazione involontaria persistente. La conseguenza più dolorosa di qualsiasi recessione è l'aumento del tasso di disoccupazione. Quando il prodotto cala, le imprese necessitano di minori input di lavoro, perciò non assumono nuovi lavoratori e licenziano parte della forza lavoro. La disoccupazione di solito procede parallelamente al prodotto: la natura esatta del rapporto, inizialmente individuato da Arthur Okun, è nota come legge di Okun. La legge di Okun afferma che per ogni due punti percentuali di diminuzione del Pil rispetto al Pil potenziale il tasso di disoccupazione sale di un punto percentuale. Un importante conseguenza della legge di Okun è che il Pil effettivo deve crescere con la stessa rapidità di quello potenziale unicamente per impedire che la disoccupazione aumenti. Se si vuole far scendere il tasso di disoccupazione, inoltre, il Pil effettivo deve crescere più velocemente di quello potenziale. Nel classificare la struttura dei mercati del lavoro gli economisti individuano per tipi diversi di disoccupazione: • La disoccupazione frizionale si verifica a causa dell'incessante movimento di persone tra regioni e occupazioni o in diverse fasi del ciclo di vita. Anche se in un'economia vigesse la piena occupazione, ci sarebbe sempre una certa rotazione dovuta a studenti che cercano lavoro quando si diplomano o le donne che rientrano a far parte della forza lavoro dopo aver avuto dei figli. Poiché i lavoratori colpiti dalla disoccupazione frizionale spesso stanno passando da un lavoro all'altro o sono alla ricerca di occupazioni migliori, spesso si ritiene siano volontariamente disoccupati. • La disoccupazione ciclica si verifica quando la domanda globale di lavoro è bassa. Quando la spesa e il prodotto totale diminuiscono, la disoccupazione sale praticamente ovunque. La http://unict.myblog.it
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disoccupazione ciclica si verifica durante le recessioni, quando l'occupazione diminuisce in seguito allo squilibrio tra offerta e domanda aggregata. • La disoccupazione strutturale indica la mancata coincidenza dell'offerta e della domanda di lavoratori, che si può verificare perché la domanda di un tipo di occupazione sale mentre quella di un altro scende e le offerte non si adeguano rapidamente. I disoccupati volontari possono preferire le attività ricreative o di altro genere agli impieghi al tasso salariale corrente, oppure possono essere soggetti a disoccupazione frizionale o preferire il tempo libero e il sussidio al lavoro malpagato. Al tasso salariale troppo elevato ci sono più lavoratori qualificati alla ricerca di un impiego che posti di lavoro vacanti. Poiché il salario supera il livello tendente all'equilibrio di mercato vi è un'eccedenza di lavoratori. I disoccupati si definiscono disoccupati involontari, il che significa che sono lavoratori qualificati che vogliono lavorare al salario prevalente, ma non riescono a trovar impiego. Il caso opposto si verifica quando il salario è al disotto del tasso tendente all'equilibrio di mercato; in questa situazione in un'economia con carenza di manodopera i datori di lavoro non riescono a trovare un numero sufficiente di lavoratori per riempire posti vacanti. La teoria della disoccupazione involontaria suppone che i salari siano rigidi. Ma ciò pone un altro problema: perché i salari non salgono o scendono per bilanciare i mercati? Perché i mercati del lavoro non sono come le vendite all'asta dei cereali e i mercati azionari? Per mercati regolati dei sindacati, gli schemi retribuitivi sono ancora più rigidi. Le scale salariali sono fissate di solito per un periodo contrattuale di tre anni; in quel periodo i salari non vanno adeguati per tenere conto dell'offerta e della domanda eccedente in zone particolari; i lavoratori iscritti sindacati, inoltre, raramente accettano riduzioni salariali, anche quando molti degli iscritti sono disoccupati. CAPITOLO XXXII: Assicurare la stabilità dei prezzi. (pag. 665 – 688) Definizione ed effetto dell’inflazione L'inflazione si verifica quando aumenta il livello generale dei prezzi. Attualmente viene calcolata utilizzando gli indici dei prezzi, media ponderata dei prezzi di migliaia di singoli prodotti. Per esempio, l'indice dei prezzi al consumo misura il costo di un paniere di beni di consumo e servizi rispetto al costo di quel paniere in un particolare anno base, mentre il deflatore del Pil è il prezzo del Pil. Il tasso di inflazione è la velocità di variazione del livello generale dei prezzi e si misura come segue: Livello dei prezzi (anno t)
_
Livello dei prezzi (anno t – 1) X 100
Livello dei prezzi (anno t – 1)
L’inflazione esiste da quando esistono le economie di mercato. L'inflazione, come le malattie, presenta diversi livelli di gravità, quindi è utile suddividerla in tre categorie: • l’inflazione moderata è contraddistinta da prezzi che aumentano lentamente in modo prevedibile: il termine potrebbe essere utilizzato per descrivere situazioni in cui il tasso di inflazione annuale è a una sola cifra; • l'inflazione galoppante è a due o tre cifre. Quando l'inflazione galoppante si consolida, si verificano gravi distorsioni economiche. In genere i contratti vengono agganciati a un indice dei prezzi o a una valuta estera come il dollaro: in queste condizioni la moneta perde valore molto rapidamente, e i cittadini conservano il minimo indispensabile per le transazioni quotidiane; i mercati finanziari languono mentre il capitale viene trasferito all'estero; i cittadini accumulano beni, acquistano case e in nessuna circostanza prestano denaro a bassi tassi d'interesse nominale.
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un terzo tipo di inflazione, questa volta letale, subentra quando colpisce il cancro dell’iperinflazione. Gli studi hanno individuato molte caratteristiche comuni dell'iperinflazione, come la domanda reale di moneta che diminuisce drasticamente. Una distinzione importante nell'analisi dell'inflazione riguarda la prevedibilità o l'imprevedibilità degli aumenti dei prezzi. Gli economisti in genere ritengono che l'inflazione prevista a tassi modesti avrebbe scarso effetto sull'efficienza economica o sulla distribuzione del reddito e della ricchezza: i prezzi sarebbero semplicemente un criterio di misura mutevole al quale i cittadini dovrebbero adeguare il proprio comportamento. In realtà l'inflazione di solito è imprevista. Le banche centrali sono unite nello sforzo comune di contenere l'inflazione; abbiamo appena osservato che durante i periodi di inflazione non tutti i prezzi dei salari variano allo stesso ritmo, si verificano cioè variazioni dei prezzi relativi che, essendo divergenti, hanno sicuramente i seguenti effetti: • una redistribuzione del reddito e della ricchezza tra diversi gruppi; • distorsioni dei prezzi relativi e dei rendimenti di attività diverse o a volte del prodotto e dell'occupazione di un'economia nel suo insieme. Il principale effetto ridistributivo dell'inflazione si verifica mediante l'impatto sul valore reale della ricchezza dei cittadini. In generale l'inflazione imprevista ridistribuisce la ricchezza dai creditori ai debitori, favorendo chi assume e colpendo chi concede prestiti; una diminuzione imprevista dell'inflazione sortisce l'effetto opposto, ma l'inflazione rode perlopiù reddito di beni capitali, ridistribuendo in modo casuale la ricchezza tra la popolazione, con scarso impatto su qualsiasi singolo gruppo. Oltre a ridistribuire redditi, l'inflazione influisce sull'economia reale sotto due aspetti particolari: influenza il prodotto totale e incide sull'efficienza economica. L'inflazione riduce l'efficienza economica perché distorce i segnali dei prezzi; in un'economia con bassa inflazione, se il prezzo di mercato di un bene sale, sia gli acquirenti sia i venditori sanno che si è verificato un reale cambiamento nelle condizioni di domanda e/o offerta per quel bene e possono reagire adeguatamente. In un'economia con inflazione elevata è molto più difficile distinguere tra variazioni dei prezzi relativi e variazioni del livello globale dei prezzi. L'inflazione distorce anche l'uso della moneta. In seguito al tasso d'interesse reale negativo sulla moneta, i cittadini destinano risorse reali alla riduzione delle proprie disponibilità monetarie. Molti economisti mettono in rilievo l'effetto distorsivo dell'inflazione sulle imposte. Quando i prezzi aumentano il valore reale delle disposizioni monetarie in termini di imposte tende a diminuire. Alcuni economisti parlano dei cosiddetti costi di listino dell'inflazione, fondati sul presupposto che, quando variano i prezzi, le imprese utilizzeranno risorse reali per adeguare i propri prezzi: i ristoranti ristampano i menu, le aziende di vendita per corrispondenza cambiano i cataloghi, le società di taxi modificano il tassametro delle proprie auto. La moderna teoria dell’inflazione Nelle moderne economie industriali l'inflazione è altamente inerziale, cioè rimane allo stesso livello fino a quando gli interventi economici la fanno cambiare. L'economia ha un tasso di inflazione al quale si sono adeguate le aspettative dei cittadini. Questo tasso di inflazione incorporato tende a esistere fino a quando uno shock lo fa salire o scendere. Uno dei principali shock inferti all'inflazione deriva da una variazione della domanda aggregata. L'inflazione da domanda si verifica quando la domanda aggregata cresce più rapidamente del potenziale produttivo del paese, facendo salire i prezzi per equilibrare la domanda e l'offerta aggregata. L'inflazione derivante dai costi crescenti durante periodi di elevata disoccupazione e modesta utilizzazione delle risorse si definisce inflazione da costi. Quasi tutti i prezzi e i salari vengono fissati con un occhio alle condizioni economiche future: quando i prezzi e i salari crescono bruscamente e ci si attende che continuino a farlo, le imprese tendono a tenere conto del tasso di inflazione delle loro decisioni sui prezzi e sui salari. Il processo di determinazione dei salari e degli stipendi con un occhio alle condizioni economiche future previste può essere esteso praticamente a tutti i datori di lavoro. L'inflazione inerziale si verifica quando le curve DA e OA si spostano costantemente verso l'alto allo stesso ritmo. Un modo utile per rappresentare il processo di inflazione fu elaborato dall'economista Philips, che quantificò i fattori che determinano l'inflazione da salari. Philips individuò un rapporto intenso tra la disoccupazione e le variazioni dei salari monetari, riscontrando che i salari tendevano ad aumentare quando la •
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disoccupazione era bassa e viceversa e li rappresentò nella celebre curva di Philips. Perché l'elevata disoccupazione potrebbe ridurre la crescita dei salari monetari? La ragione risiede nel fatto che i lavoratori eserciterebbero minori pressioni per ottenere aumenti salariali quand'è disponibile un numero minore di impieghi alternativi.
Tasso di inflazione
Tasso di disoccupazione
Come si inserisce la curva di Philips nel modello della domanda e dell'offerta aggregata? Il modo migliore di concepire la curva di Philips consiste nel considerarla come rapporto di breve periodo tra l'inflazione e la disoccupazione quando la domanda aggregata si sposta, ma l'offerta aggregata continua a variare al tasso inerziale. Il tasso naturale di disoccupazione è il tasso di disoccupazione compatibile con un tasso di inflazione costante. Al tasso naturale le forze che esercitano pressione verso l'alto o verso il basso sull’inflazione di prezzi e salari si bilanciano, quindi non esiste tendenza alla variazione dell'inflazione. Il tasso naturale è il tasso di disoccupazione più basso che si possa sostenere senza pressioni verso l'alto sull’inflazione. In altri termini, si avrà un tasso di inflazione stabile quando sono soddisfatte due condizioni: • Non esiste eccedenza di domanda. L'inflazione non sale ne scende perché le pressioni verso l'alto sui salari derivanti da posti di lavoro vacanti bilanciano esattamente le pressioni verso il basso esercitate dalla disoccupazione. • Non ci sono shock da offerta. Se non si verificano shock da offerta dovuti ai prezzi del petrolio o di altre materie prime, ai tassi di cambio, alla produttività o ad altri fattori che influiscono sui costi di produzione, cioè se non vi sono shock da OA l’inflazione continua il suo trend. Lo "scambio" tra inflazione e disoccupazione è stabile solo finché l'inflazione prevista o inerziale rimane invariata, ma quando il tasso di inflazione inerziale varia, la curva di Philips di breve periodo si sposta. Questo importante concetto, che cioè gli shock fanno spostare la curva di Philips, può essere vista come una sequenza di fasi, illustrata dal "ciclo di espansione". • Periodo 1. Nel primo periodo la disoccupazione è al tasso naturale, non vi sono sorprese in relazione alla domanda o all'offerta e l'economia si trova nel punto A sulla curva di Philips di breve periodo inferiore. • Periodo 2. Un rapido aumento del prodotto nel corso di un’espansione economica fa abbassare il tasso di disoccupazione. Quando il prodotto supera il livello potenziale, l'utilizzazione della capacità sale e i margini di profitto crescono: i salari e i prezzi cominciano ad accelerare. In termini grafici l'economia si sposta verso l'alto e a sinistra del punto B sulla curva di Philips di breve periodo. • Periodo 3. Con un tasso salariale e un'inflazione più alti, le imprese e i lavoratori cominciano ad aspettarsi un’inflazione più elevata. L'inflazione prevista più elevata compare nel grafico quando la curva di Philips di breve periodo si sposta verso l'alto e il nuovo equilibrio si trova nel punto C. • Periodo 4. Nel periodo finale, mentre l'economia rallenta, la contrazione dell'attività economica riporta il prodotto al potenziale e la disoccupazione ritorna al tasso naturale nel punto D. L’inflazione diminuisce a causa della maggiore disoccupazione. C
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D Curva di breve periodo Tasso di inflazione A Curva di lungo periodo B Tasso di disoccupazione
A volte si assiste a un "ciclo di austerità", che si verifica quando la disoccupazione sale e il tasso di inflazione effettivo scende al di sotto di quello inerziale. In questo caso il tasso di inflazione diminuisce durante le recessioni, e l'economia gode di una minore inflazione quando ritorna al tasso naturale. Secondo la teoria del tasso naturale, l'unico di livello di disoccupazione in linea con un tasso di inflazione stabile è proprio il tasso naturale. In base a questa teoria la curva di Philips di lungo periodo deve essere tracciata con una retta verticale. Dilemmi della politica antinflazionistica Una fondamentale preoccupazione dei responsabili politici è il costo insito nella riduzione dell'inflazione inerziale. Le stime attuali indicano che una sostanziale recessione è necessaria per rallentare l'inflazione inerziale. Gli economisti hanno avanzato molto proposte per abbassare il tasso naturale di disoccupazione; tra le più notevoli vanno annoverate il miglioramento delle informazioni sul mercato, il miglioramento dei programmi di addestramento e istruzione e la ristrutturazione dell'azione pubblica in modo che i lavoratori abbiano incentivi a lavorare. Un'analisi obiettiva delle proposte politicamente realizzabili induce la maggior parte degli economisti ad attendersi solo leggeri miglioramenti da tali riforme del mercato del lavoro. A causa dei costi elevati connessi alla riduzione dell'inflazione mediante le recessioni, i governi hanno spesso cercato altri metodi, quali le politiche dei redditi, i controlli prezzi – salari e le direttive volontarie, gli approcci fondati sulle imposte e le strategie di rafforzamento del mercato. CAPITOLO XXXIII: Scuole di macroeconomia in conflitto. (pag. 689 – 710) La scuola classica e la rivoluzione keynesiana In termini moderni si definiscono economia classica quegli approcci che sottolineano la forte capacità dell'economia di autocorreggersi. Secondo la teoria classica i prezzi e i salari sono flessibili, e per questo l'economia raggiunge molto velocemente l'equilibrio di lungo periodo. L'analisi classica è imperniata sulla legge di Say o degli sbocchi. Questa teoria afferma che la sovrapproduzione è impossibile per sua stessa natura. Oggi il concetto viene formulato nei seguenti termini: "l'offerta crea la propria domanda". Secondo la teoria classica è necessario che i prezzi e i salari siano abbastanza flessibili perché i mercati ritornino in equilibrio molto rapidamente, perciò l'economia opera sempre in condizioni di piena occupazione. La teoria classica presenta due conclusioni che sono di importanza vitale per la politica economica: innanzitutto l'economia ha soli intervalli brevi temporali in cui non sussistono la piena occupazione e la piena utilizzazione della capacità produttiva; non vi sono lunghe e protratte recessioni e depressioni e lavoratori qualificati possono trovare impiego velocemente al salario corrente di mercato. Il secondo elemento della teoria classica risulta ancora più notevole: le politiche macroeconomiche relative alla domanda aggregata non possono influenzare il livello di disoccupazione di prodotto reale, mentre le politiche monetarie fiscali possono incidere sul livello dei prezzi dell'economia, nonché sulla composizione del Pil reale. Keynes determinò una vera rivoluzione nella macroeconomia; la sua essenziale argomentazione è illustrata nella figura che unisce una curva della domanda aggregata con una curva di Keynes dell'offerta aggregata con pendenza crescente. Secondo la prima osservazione di Keynes una moderna economia di mercato può essere intrappolata in un equilibrio di sottoccupazione, un equilibrio, cioè, di domanda e offerta aggregata nel quale il prodotto è ben al disotto del livello potenziale e una porzione cospicua della http://unict.myblog.it
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forza lavoro è involontariamente disoccupato. Keynes e i suoi seguaci sottolineano che a causa della rigidità dei prezzi e dei salari non esiste meccanismo economico per ripristinare velocemente la piena occupazione e assicurare che l'economia produca la piena capacità. Una nazione potrebbe rimanere a lungo in condizioni di bassa produzione e grande miseria, in quanto non esistono né un meccanismo di autocorrezione né una mano invisibile che riportino l'economia alla piena occupazione. La seconda osservazione di Keynes discende dalla prima: mediante le politiche monetarie fiscali lo Stato può stimolare l'economia e contribuire a mantenere i livelli elevati di prodotto e occupazione. DA
Prodotto potenziale
Livello dei prezzi OA DA1 Prodotto reale
Il dibattito tra economisti di Keynes e classici ruota sostanzialmente intorno alla capacità dell'economia di autocorreggersi grazie a forze che agiscono su salari e prezzi flessibili contribuendo a mantenere la piena occupazione. In generale i metodi classici mettono in rilievo la crescita economica di lungo periodo e rinunciano a politiche di stabilizzazione dei cicli economici. Gli economisti di Keynes desiderano invece integrare le politiche di crescita con interventi monetari e fiscali appropriati per contenere le oscillazioni più estreme dei cicli economici. La scuola monetarista Il monetarismo afferma che l'offerta di moneta è il principale fattore che determina le fluttuazioni di breve periodo del Pil nominale e quelle di lungo periodo dei prezzi. La principale differenza tra i monetaristi e gli altri economisti sta nell'approccio alla determinazione della domanda aggregata: mentre le teorie di Keynes sostengono che molte forze diverse incidono sulla domanda aggregata, i monetaristi affermano che le fluttuazioni dell'offerta di moneta sono il principale fattore che determina le variazioni dei prezzi e del prodotto. La rapidità di movimento della moneta viene descritta in modo più preciso dal concetto di velocità di circolazione della moneta, che fu introdotto a cavallo del XIX secolo da Alfred Marshall dell'Università di Cambridge e da Irving Fischer dell'Università di Yale, e misura quante volte in media il denaro che rientra nell'offerta di moneta viene speso per beni e servizi ogni anno. Il concetto di velocità viene introdotto formalmente nell'equazione di scambio, la quale stabilisce che: MV = PQ = (p1q1 + p2q2 + …) Dove M è l’offerta di moneta, V la velocità di circolazione della moneta, P il livello dei prezzi e Q il prodotto reale. Questa equazione, divisa per M, può essere riformulata come definizione della velocità di circolazione della moneta: PQ V= M
La velocità di circolazione della moneta è relativamente stabile e prevedibile. Secondo i monetaristi la stabilità è motivata dal fatto che la velocità di circolazione riflette principalmente gli schemi basilari di determinazione dei tempi inerenti a reddito e spesa. In base a questa nozione della relativa stabilità della velocità alcuni economisti del passato, soprattutto quelli classici, utilizzavano il concetto per spiegare le variazioni del livello dei prezzi. Secondo questo approccio, detto teoria quantitativa della moneta e dei prezzi, la definizione di velocità di circolazione viene descritta come segue: MV
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Benché sia solo una grossolana approssimazione, contribuisce a spiegare perché paesi con una crescita lenta della moneta abbiano un'inflazione moderata, mentre quelli con una crescita rapida riscontrino aumenti vertiginosi dei prezzi. La moderna economia monetaria fu elaborata dopo la seconda guerra mondiale da Milton Friedman della scuola di Chicago e dai numerosi suoi colleghi e seguaci. Sotto la guida di Friedman i monetaristi contestarono l'approccio di Keynes alla macroeconomia e di rilevarono l'importanza della politica monetaria per la stabilizzazione macroeconomica. Circa vent'anni fa, i monetaristi si divisero: un ramo continuò a seguire la vecchia tradizione, che verrà descritta ora, mentre il ramo più giovane fondò l'influente scuola della nuova economia classica, che verrà analizzato successivamente. Il modello monetarista postula che la crescita della moneta determini il Pil nominale nel breve e i prezzi nel lungo periodo. Questi sono i punti fondamentali del pensiero monetarista: • la crescita dell'offerta di moneta è il principale fattore che determina l'incremento del Pil nominale; • i prezzi e i salari sono relativamente flessibili; • il settore privato è stabile. Che differenze vi sono tra l'approccio monetarista e quello di Keynes moderno? In effetti c'è stata una notevole convergenza d'opinioni tra le due scuole negli ultimi trent'anni, e le controversie oggi vertono piuttosto sul diverso rilievo attribuito ai singoli fattori che sulle convinzioni di fondo. Le principali divergenze sono che innanzitutto le due scuole non concordano sulla forze che agiscono sulla domanda aggregata: i monetaristi ritengono che la domanda sia influenzata unicamente dall'offerta di moneta e che l'effetto di quest'ultima su di essa sia stabile e prevedibile, e che la politica fiscale o variazioni indipendenti della spesa, se non sono accompagnate da oscillazioni della moneta, abbiano effetti trascurabili sul prodotto e sui prezzi. Gli economisti keynesiani, invece, sostengono che il mondo è più complesso. Pur concordando che la moneta ha un effetto rilevante su domanda aggregata, prodotti e prezzi, sostengono che tanti altri fattori sono importanti. I keynesiani indicano inoltre come prova conclusiva il fatto che la velocità aumenta sistematicamente al salire dei tassi d'interesse, per cui mantenere costante la moneta non basta per mantenere costante il Pil nominale o reale. La seconda principale differenza tra le due scuole riguarda il comportamento dell'offerta aggregata: i keynesiani sottolineano l'inerzia dei prezzi e dei salari; i monetaristi ritengono che i keynesiani esagerino la vischiosità dei prezzi e dei salari e che la curva OA di breve periodo sia piuttosto ripida, non verticale forse, ma molto più ripida di quanto ammetterebbe un keynesiano. Il monetaristi spesso sposano le strategie microeconomico dei liberi mercati, ma il loro principale contributo alla politica macroeconomica è stato la propugnazione di norme monetarie fisse rispetto a politiche fiscali e monetarie discrezionali. Un cardine della filosofia economica monetarista è una norma monetaria: la politica monetaria ottimale pone la crescita dell'offerta di moneta a un tasso fisso e la mantiene a quel livello in tutte le condizioni economiche. La nuova macroeconomia classica Esiste una visione radicalmente nuova che si discosta da quella tradizionale: questa teoria, detta nuova macroeconomia classica, fu elaborata da Robert Lucas, Thomas Sargent e Robert Barro. Tale approccio prosegue nello spirito della scuola classica discusso in precedenza, in quanto sottolinea il ruolo dei salari e dei prezzi flessibili, ma aggiunge un nuovo elemento, definito aspettative razionali, per spiegare osservazioni come quelle presunte dalla curva di Philips. La nuova macroeconomia classica afferma che i prezzi e i salari sono flessibili e cittadini usano tutte le informazioni disponibili. La prima parte della teoria si fonda sul presupposto classico secondo cui i prezzi e i salari si adeguano rapidamente per bilanciare la domanda e l'offerta. Il secondo presupposto è del tutto nuovo, in quanto si fonda su moderni sviluppi in settori come la statistica e lo studio del comportamento in condizioni di incertezza. Le aspettative sono importanti nella vita economica: influiscono sulla quota riservata dagli investitori ai beni di investimento, e sulla spesa o sul risparmio futuro dei consumatori. Il presupposto fondamentale della nuova macroeconomia classica è che, a causa delle aspettative razionali, lo Stato non può sorprendere i cittadini sistematicamente con le proprie politiche economiche. Gli economisti della nuova scuola classica ritengono che la maggior parte della dihttp://unict.myblog.it
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soccupazione sia volontaria. La disoccupazione, secondo loro, aumenta perché un maggior numero di persone è alla ricerca di impieghi migliori, non perché non riescano a trovare lavoro. Uno dei compiti più importanti di qualsiasi teoria macroeconomica consiste nello spiegare il ciclo economico in modo che sia interamente coerente e conforme alle situazioni regolarmente ricorrenti del comportamento economico. Se la disoccupazione è elevata nelle recessioni, non basta dire che la gente ha deciso che è l'anno giusto per fare vacanze più lunghe. I movimenti ciclici della disoccupazione sono la maggiore sfida per la nuova macroeconomia classica. Un primo approccio mette in rilievo le impressioni errate quale chiave dei cicli economici. In base a questa teoria l’elevata disoccupazione insorge perché i lavoratori sono confusi sulla situazione economica e lasciano volontariamente il proprio impiego nella speranza di trovarne di migliori. Un approccio strettamente connesso, che si fonda anch'esso sui temi classici e le aspettative razionali, ma che mette in rilievo meccanismi diversi, è la teoria del ciclo economico reale, che spiega i cicli economici come pure variazioni dell'offerta aggregata, senza alcun riferimento a forze monetarie o legate alla domanda. Una delle critiche più influenti alla macroeconomia di Keynes consisteva nella nuova visione del ruolo della politica fiscale, nota come teoria dell'equivalenza ricardiana, elaborata da Robert Barro, secondo la quale le variazioni delle aliquote fiscali non hanno alcun effetto sulla spesa per consumi. Secondo la visione di Barro gli individui sono lungimiranti e fanno parte di un insieme di appartenenti a una famiglia, come una dinastia. Questa struttura definita di "preferenze dinastiche" implica che l'orizzonte della generazione attuale si estende in un futuro indefinito per il sovrapporsi delle preoccupazioni di una generazione per la propria prole. A questo punto siamo a un risultato sorprendente: se lo Stato riduce le imposte che un cittadino deve pagare ma lascia invariate le spese, questa misura esige necessariamente un maggior numero di prestiti e dunque si crea un deficit pubblico, che in qualche momento futuro dovrà essere ripianato. Come? È ovvio che lo Stato dovrà aumentare in futuro le imposte per pagare gli interessi sui nuovi prestiti. Secondo la visione ricardiana i consumatori hanno aspettative razionali sulla politica futura; perciò, quando si verifica un taglio delle imposte, sanno che devono prevedere un futuro aumento delle imposte. Aumentando quindi il risparmio di un importo pari alla riduzione di imposte e il consumo rimane invariato. Il risultato netto è che secondo la teoria dell’equivalenza ricardiana le variazioni delle imposte non hanno alcun effetto sul consumo. Un altro recente sviluppo importante, che riunisce in se elementi sia dell'economia classica sia di Keynes, è detto teoria del salario di efficienza. Questo approccio spiega la rigidità dei salari reali e l'esistenza della disoccupazione involontaria con i tentativi delle imprese di tenere il salario al di sopra del livello di equilibrio del mercato per aumentare la produttività. Secondo questa teoria, salari più elevati portano a una maggiore produttività perché le forze di lavoro sono più sane. Nei primi anni '80 entrò nel dibattito un'altra scuola nota come economia orientata all'offerta, che metteva in rilievo gli incentivi e le agevolazioni fiscali come mezzo per aumentare la crescita economica. L'economia orientata all'offerta fu abbracciata con convinzione dal presidente Reagan. La nuova macroeconomia classica ha notevoli implicazioni politiche: la più importante è l’inefficacia delle politiche monetarie e fiscali sistematiche nel combattere la disoccupazione. Questo è il teorema dell'inefficacia della politica economica: con aspettative razionali e prezzi e salari flessibili, la politica economica, se prevista, non può influire sul prodotto reale o sulla disoccupazione. Le politiche governative possono peggiorare la situazione con misure discrezionali imprevedibili, che forniscono segnali economici fuorvianti, distorcono il comportamento economico e provocano sprechi. Piuttosto di rischiare tale confusione, sostengono i nuovi macroeconomisti classici, il governo dovrebbe evitare qualsiasi politica macroeconomica discrezionale. La critica di Lucas afferma che gli individui possono modificare il proprio comportamento quando cambia la politica. Proprio come la curva di Philips apparente di breve periodo potrebbe spostarsi quando i governi keynesiani tentano di manovrarla, così la velocità apparentemente costante potrebbe variare se la Banca centrale adottasse una norma di crescita monetaria fissa. I critici della nuova macroeconomia classica sostengono che i prezzi e i salari sono rigidi nel breve periodo e le previsioni sembrano forzate come spiegazione di gravi crisi economiche.
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Le tre conclusioni principali che emergono dalla rassegna delle scuole di macroeconomia in conflitto sono le seguenti: Crescita economica di lungo periodo. I macroeconomisti generalmente convengono che nel lungo periodo sono il prodotto potenziale o la crescita della capacità a determinare la tendenza del tenore di vita, dei salari reali e dei redditi reali: il prodotto potenziale dipende inoltre dalla qualità e dalla quantità di fattori come lavoro e capitale, nonché dalla tecnologia, dall'imprenditorialità e delle capacità manageriali presenti in un'economia. L'importante conclusione che possiamo trarre da questi dati è che per influire sulla crescita economica di lungo periodo è necessario incidere sulla crescita dei fattori o determinare miglioramenti di efficienza e tecnologia. Prodotto e occupazione di breve periodo. Nel breve periodo il quadro è meno chiaro: il prodotto e l'occupazione sono determinati dall'interazione della domanda e dell'offerta. Infatti tendono a indicare che, almeno per alcuni anni, le variazioni della domanda aggregata (non importa se influenzato dalle politiche fiscali e monetarie o da fattori esogeni) possono decisamente incidere sui movimenti ciclici del prodotto e dell'occupazione. Ciò porta a concludere che le politiche monetarie e fiscali hanno la possibilità di stabilizzare i cicli economici. Attualmente la maggior parte degli economisti farebbe appello alla Federal Reserve perché assumesse la guida della politica di stabilizzazione. Disoccupazione e inflazione. La maggior parte delle prove indica che l'inflazione può essere influenzata dalla pressione della domanda nei mercati del lavoro e del prodotto. Se la disoccupazione viene spinta oltre il tasso naturale, l'inflazione tende ridursi, mentre produzione e occupazione elevate tendono a determinare l'accelerazione dell'inflazione, ma il credo trade – off tra inflazione e disoccupazione appare stabile nel tempo e nello spazio, per cui la gestione dell'inflazione è un processo complicato. Siccome, inoltre, non sembra esserci trade – off duraturo, i paesi non possono tenere costantemente una minore disoccupazione consentendo all'elevata inflazione di persistere. CAPITOLO XXXIV: Politiche di stabilizzazione e crescita. (pag. 711 – 731) Le conseguenze economiche del debito pubblico I bilanci pubblici sono sistemi usati dai governi per programmare e controllare le spese e le entrate; presentano un avanzo (o disavanzo) quando lo Stato ha entrate superiori (o inferiori) alle spese. La politica macroeconomica dipende dalla politica fiscale che comprende la posizione globale in termini di spese e imposte. Gli economisti distinguono il bilancio effettivo nelle due componenti strutturale e ciclica. Il bilancio strutturale calcola le entrate e le spese dello Stato come se l'economia operasse al prodotto potenziale. Il bilancio ciclico tiene conto dell'effetto del ciclo economico sulle entrate fiscali, sulle spese e sul disavanzo. Per valutare l'effetto della politica fiscale sull'economia si dovrebbe fare molta attenzione al disavanzo strutturale; le variazioni del disavanzo ciclico sono un risultato, non la causa, dei cambiamenti dell'economia. Il debito pubblico rappresenta i prestiti contratti con i cittadini dallo Stato, ed è pari alla somma dei disavanzi passati. Una misura utile dell'entità del debito è il rapporto debito/Pil, che in Italia è notevolmente cresciuto negli ultimi vent'anni. Gli economisti si preoccupano che i disavanzi pubblici strutturali nel breve periodo possano spiazzare gli investimenti. Attualmente la migliore prospettiva consiste nel fatto che, tranne nelle profonde recessioni, gli investimenti nazionali (sia interni che esteri) siano decisamente spiazzati dalla spesa pubblica. Nella misura in cui assumiamo prestiti con l'estero per il consumo e condanniamo le generazioni future a restituire interessi e capitale, i nostri discendenti si troveranno realmente a sacrificare il consumo per il servizio di questo debito. Nella misura in cui lasciamo alle generazioni future un debito interno, ma nessuna variazione della riserva di capitale, vi saranno comunque degli effetti interni. La crescita economica può inoltre rallentare se il debito pubblico spiazza il capitale privato. Questo effetto si verifica perché il capitale delle imprese, finanziato da obbligazioni e azioni ordinarie, è un buon sostituto dei titoli di Stato per i risparmiatori; quindi un aumento del debito pubblico può ridurre le riserve di capitale privato dell'economia. Nel lungo periodo un maggior debito pubblico può rallentare la crescita del prodotto potenziale e del consumo a http://unict.myblog.it
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causa dei costi di servizio del debito estero, delle inefficienze che derivano dalla tassazione per pagare gli interessi sul debito e dalla minore accumulazione di capitale provocato dallo spiazzamento. La stabilizzazione dell’economia Nel fissare le politiche fiscali e monetarie le nazioni si trovano di fronte a due considerazioni: il livello appropriato di domanda aggregata e la migliore miscela fiscale – monetaria. La miscela di politiche fiscali e monetarie contribuisce a determinare la composizione del Pil. Una strategia di elevati investimenti richiederebbe un avanzo di bilancio insieme a tassi d'interesse reali bassi. I governi dovrebbero seguire regole fisse o discrezionali? I conservatori spesso sposano le regole fisse, mentre i progressisti sostengono l'attiva calibratura della politica monetaria per raggiungere gli obiettivi economici. Più determinante è la questione della stabilizzazione o destabilizzazione dell'economia provocata da politiche attive e discrezionali. Gli economisti sottolineano sempre più spesso la necessità di politiche credibili, indipendentemente dal fatto che la credibilità sia determinata da norme rigide o da una saggia opera di guida. Le prospettive dell’economia del nuovo secolo Ricordate il detto secondo il quale la produttività non è tutto, ma nel lungo periodo è quasi tutto. La capacità di un paese di migliorare il proprio tenore di vita nel tempo dipende quasi interamente dalla capacità di migliorare le tecnologie e il capitale utilizzato dalla forza – lavoro. La promozione della crescita economica implica anche il miglioramento del ritmo di produttività totale dei fattori, che misura il prodotto totale per unità dei fattori totali. Il principale ruolo dello Stato è quello di assicurare liberi mercati, promuovere una forte concorrenza e sostenere la scienza e la tecnologia di base.
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