Rahner - la Trinità

April 6, 2017 | Author: Pietro Cesana | Category: N/A
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KARL RAHNER

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QUERINIANA

Karl Rahner

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LA TRINITA Introduzione, glossario e indice analitico di

CATHERINE MOWRY LACUGNA

seconda edizione

QUERINIANA

Titolo originale Der drez/altige Gott als transzendenter Urgrund der Heilsgeschichte, inDie Heilsgeschichte vor Christus, vol. 2 di Mysterium Salutis. Grundrifl heilsgeschichtlicher Dogmatik, pp. 317-401

© 1967 by Benziger Verlag, Einsiedeln - Koln

© 1997 by Catherine Mowry LaCugna (per Introduzione, Glossario, Indice analitico) The Crossroad Publishing Company, New York

© 1998, 2000' by Editrice Queriniana, Brescia via Ferri, 75 -25123 Brescia (Italia) te!. 030 2306925- fax 030 2306932 internet: www.queriniana.it e-mail: [email protected] Tutti i diritti sono riservati. È pertanto vietata la riproduzione, l'archiviazione o la trasmissione, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, comprese la fotocopia e la digitalizzazione, senza l'autorizzazione scritta dell'Editrice Queriniana. ISBN 88-399-0402-6 Traduzione dal tedesco e dall'inglese-americano di CARLo DANNA Stampato dalla Tipolitografia Queriniana, Brescia

INTRODUZIONE di CATHERINE MOWRY LACUGNA

Verso la fine del concilio Vaticano II (1962-1965) un nuovo spirito pervase la chiesa, e non solo per quanto riguarda la visione conciliare del rinnovamento della vita ecclesiale. Già gli stessi documenti del Vaticano II erano il frutto di un pensiero teologico innovatore e aprirono a loro volta la porta a un nuovo modo di pensare la natura della teologia e di trattare i temi teologici. Dopo il concilio i grandi teologi, che ne avevano modellato la visione, scrissero libri e articoli influenti che trasformarono l'opera conciliare in un ripensamento globale di ogni aspetto della teologia. Karl Rahner (1904-1984) fu particolarmente prolifico ed ebbe subito una grande risonanza in campo internazionale. Egli si rese conto che il Vaticano II liberava il cattolicesimo dai confini della neoscolastica. La scolastica medioevale era stata un sistema di ricerca che aveva utilizzato la logica e la metafisica aristotelica per provare temi teologici e aveva usato il metodo della quaestio e della disputatio per esplorare argomenti teologici. La neoscolastica era stata, invece, un tentativo di recuperare la sintesi medioevale per fronteggiare le gravi sfide portate al cristianesimo dall'illuminismo. Essa si presentò dopo il 1840 come una semplificazione alquanto rigida della ricchezza e della diversità delle teologie medioevali. Rahner, così come la maggior parte dei teologi del Vaticano II, era stato formato in questa 'teologia scolare', ma al tempo del Vaticano Il la neoscolastica fu ampiamente criticata come astorica e mal equipaggiata per affrontare la svolta moderna verso il soggetto, come avulsa dalla scienza moderna e come troppo focalizzata su concetti privi di vita e opposti all'esperienza. Per di più i suoi seguaci miravano ad avere un monopolio totale e ad escludere tutte le altre teologie, vecchie e nuove. Inoltre, negli anni immediatamente precedenti il Vaticano II alcuni teologi avevano già cominciato ad allontanarsi dal modo neoscolastico di affrontare e di trattare i temi più importanti della teologia. La Trinità fu originariamente pubblicato trent'anni fa in Mysterium Salutis, una teologia sistematica in più volumi scritta in tedesco e prodotta dal1967 al1976 da teologi eminenti del Vaticano IL Non appena apparve il primo volume, gli editori pianificarono traduzioni in inglese, spa-

KARLRAHNER

LA TRINITÀ

CAPITOLO PRIMO

METODO E STRUTTURA DEL TRATTATO DE DEO TRINO

Sebbene la storia di questo dogma sia stata fatta oggetto di numerosissimi studi, da PETAVIO a DE RÉGNON e fino a LEBRETON e SCHMAUS (per nominare solo pochi nomi celebri di questa parte della storia dei dogmi), tuttavia si dovrà riconoscere, forse con stupore e con una certa rassegnazione, che lo studio di questa storia non si è ripercosso, almeno per il momento, in molti impulsi che facessero progredire questa stessa storia. A dir il vero, si potranno notare oggi, qua e là, nella letteratura religiosa dei tentativi di collegare la devozione cristiana in modo più esplicito e più vivo con questo mistero cristiano 1; qua e là nella teologia stessa ci si mostra consci, in modo più riflesso e impegnato, di dover concepire e presentare la dottrina trinitaria in modo che diventi una realtà nella concreta vita religiosa del cristiano (si pensi alla Dogmatica cattolica di M. SCHMAUS e a G. PHILIPS) 2 ; anche nella storia della devozione si può scoprire che, nonostante il culto mistico del Dio assoluto, privo di forma e di norme, questo mistero non è rimasto dappertutto solo un mistero della teologia astratta, bensì che è esistita anche una mistica trinitaria (BONAVENTURA, RUYSBROEK, l GNA1 Come esempi si possono citare i seguenti: V. BERNADOT, De l'Eucharistie à la Trinité, Paris 1915 [trad. it., Dall'Eucaristia alla Trinità, Marietti, Torino 1924); ELISABETTA DELLA SS. TRINITA, O mio Dio, Trin ità che adoro, a cura di E. Vandeur, Firenze; F. KRONSEDER, Im Banne der Dreieinigkeit, Regensburg 1933; C. MARMION, Consacrazione alla santissima Trinità, Vita e pensiero, Milano 1947; GABRIELE DI S. MARIA MADDALENA, Dal Cuore di Gesù alla Trinità, 3 voli., Milano. 2 Cfr. P. LABORDE, Dévotion à la Sainte Trinité, Paris 1922; M. RETAILLEAU, La Sainte Trinité dans les ames justes, Paris 1932; R. G ARRIGOU-LAGRANGE, I.:habitation de la Sainte Trinité et l'experience mystique, in RThom 33 (1928) 449-474; M. PHlLIPON, La Sainte Trinité et la vie surnaturelle, in RThom 44 (1938) 675-698; F. TAYMANS n'EYPERNON, Le mystère primordial. La Trinité dans sa vivante image, Bruxelles 1946; A. MrNON, Bionde! et le mystère de la Sainte Trinité, in ETL 23 (1947) 472498; J. HAVET, Mystère de la Sainte Trinité et vie chrétienne, in Rev Dioc Nam 2 (1947) 161-176; F. GUIMET, Caritas ordinata et amor discretus dans la Théologie trinitaire de Richard de Saint Victor, in Rev MA Lat 4 (1948) 225-236; B. APERRIBAY, Influjo causa! de las divinas personas en la experiencia mistica, in Verdad y vida 7 (1949) 53-74; G. PHILIPS, La Sainte Trinité dans la vie du chrétien, Liège 1949; H. RONDET, La Divinisation du chrétien, in NRT 71 (1949) 449-476.561-588; K. RAHNER, Dreifaltigkettsmystik, in LThK 3 (1959) 563 s.

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La Trinità

ZIO DI LOYOLA, GIOVANNI DELLA CROCE, MARIA DELL'INCARNAZIONE e si potrebbe menzionare qui forse BÉRULLE e alcuni moderni - per es., ELISABETTA DELLA TRINITA, ANTONIO }ANS -)3 . Si può certo dire che nella teologia del Vaticano II la Trinità è presentata in un contesto economico-salvifico, ma si dovrà tuttavia aggiungere che questa collocazione è semplicemente condizionata da un certo 'biblicismo' (in sé lodevole) delle enunciazioni conciliari; questo però non può certo bastare per una revisione veramente teologica della teologia trinitaria scolare, poiché altrimenti la stessa Scrittura (e non solo la sua citazione da parte del Concilio) avrebbe dovuto da sola evitare questa teologia scolare con le sue omissioni.

3 Ad esempio, in Bonaventura, in virtù del suo esemplarismo, per mezzo del quale egli, in conseguenza della rivalutazione metafisica della causa exemplaris accanto alla causa e/ficiens e alla causa finalis, supera a suo modo largamente l'opinione secondo la quale nel mondo non può propriamente accadere nulla di trinitario, il mondo essendo creato per causalità efficiente ad opera del Dio uno. Cfr. A. GERKEN, Theologie des Wortes. Das Verhèiltnis von Schopfung und Incarnation bei Bonaventura, Diisseldorf 1963. Cfr. inoltre L. REYPENS, Le Sommet de la contemplation mystique chez le B. fean de Ruysbroek, in RAM 3 (1922) 250-272; 4 (1923) 256-271; A. AMPE, De grondlijnen van Ruusbroec's drieeenheidleer als onderbouw van den zieleopgang, Tielt 1950; ID., Kernproblemen uit de leer van fan von Ruusbroec, II-III, Tielt 1950-1951; ID., De mystieke leer van Ruusbroec aver de zieleopgang, Tielt 1957; Sr. AxTERS, Geschiedenis van de vrommheid in de N eder!anden, II, Antwerpen 1953; L. REYPENS, Dieu (Connaissance mystique), in DSAM III, 883-929; P. HENRY, La Mystique trinitaire du B. fean Ruysbroec, in RSR 40 (1951152) 335 -368; H. RAHNER, Die Vision des hl. Ignatius in der Kapel!e von La Storta, in ZAM 10 (1935) 17-34.124-139.202-220.265-282;]. lPARRAGUIRE, Visi6n ignaciana de Dzos, in Gr 37 (1956) 366-390; EFRÉN DE LA MADRE DE Dros, San fuan de la Cruz y el mistero de la Santissima Trinidad en la vida espiritual, Zaragoza 1947; P. BLANCHARD, Expérience trinitaire et vision béati/ique d'après S. Jean de la Croix, in ATh (1948) 293-310; J. KLEIN, l:itinéraire mystique de la Vénérab!e Mère de l'Incarnation, Roma 1937; M . PHILIPON, La doctrine spirituelle de Soeur Elisabeth de la Trinité, Paris 1938 [trad. it., Morcelliana, Brescia]; H.U. VON BALTHASAR, Elisabeth von Dijon, Koln 1952; T. MANDRINI, Una nuova mistica Carmelitana, in SC 69 (1941) 425-432; A. }ANS, Ein Mystikerleben der Gegenwart, a cura di M. Grabmann, Miinchen 1934. Q ui non si può trattare in particolare fin a che punto si dovrebbe citare non solo una speculazione sul L6gos (iniziata da Origene), ma anche una devozione del L6gos, e fino a che punto sarebbe anche da menzionare il culto della 'divina sapienza', per es., di SUSONE, L. BLOSIUS, 0. DRUZBICKI e così via. Cfr. W. VOLKER, Dal Vollkommenheitsideal des Origenes, Tiibingen 1931; A. LIESKE, Die Theologie der Logosmystik bei O rigenes, Miinster 1938; B. KRIVOCHEINE, The holy Trinity in Greek Patristic Mystical Theo!ogy, in Sobornost 4 (1947/1948) 529-537; cfr. anche E. HAIBLE, Trinitarische Hei!s!ehre, Stuttgart 1960; B. FRIGNEAU-}ULIEN, Ré/!exion sur la signzfication re!igieuse du mystère de la Sainte Trinité, in NRT 87 (1965) 673-687.

Metodo e struttura del trattato De Deo trino

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l. L'isolamento della dottrina trinitaria nella devozione e nella teologia della scuola

Tutto ciò però non potrà far sì che si sorvoli sul fatto che i cristiani, nonostante la loro esatta professione della Trinità, siano quasi solo dei 'monoteisti' nella pratica della loro vita religiosa. Si potrà quindi rischiare l'affermazione che, se si dovesse sopprimere, come falsa, la dottrina della Trinità, pur dopo tale intervento gran parte della letteratura religiosa potrebbe rimanere quasi inalterata. A ciò non si può nemmeno obiettare che la dottrina sulla incarnazione sia teologicamente e religiosamente così centrale presso i cristiani, al punto che, muovendo di là, la Trinità sia sempre e dappertutto inseparabilmente 'presente' nella loro vita religiosa. Poiché, quando oggigiorno si parla dell'incarnazione di Dio, lo sguardo cade, in senso teologico e religioso, solamente sul fatto reale che 'Dio' s'è fatto uomo, che 'una' Persona divina (della Trinità) ha assunto carne umana, ma non sul fatto che questa Persona è appunto proprio quella del L6gos. Si può avere il sospetto che, per il catechismo della mente e del cuore (a differenza del catechismo stampato), la rappresentazione dell'incarnazione da parte del cristiano non dovrebbe punto mutare, qualora non vi fosse la Trinità. Dio allora si sarebbe appunto fatto uomo in quanto (unica) Persona. il cristiano medio infatti, con la sua credenza nell'incarnazione, può di fatto non comprendere esplicitamente nulla di più. Potrebbe esserci più di una cristologia moderna, scientifica e voluminosa, in cui rimanga pienamente sullo sfondo la questione di quale ipostasi divina abbia assunto la natura umana. Oggi la dottrina comune sull'incarnazione, insegnata nelle scuole, lavora di fatto solo con un concetto astratto di ipostasi divina (concetto che in verità ha però solo un'unità del tutto analogica e precaria), non invece con la nozione precisa della seconda ipostasi in Dio come tale. Essa si chiede che cosa voglia dire che Dio s'è fatto uomo, ma non che cosa significhi in particolare che il L 6gos, appunto come tale, in distinzione dalle altre divine Persone, s'è fatto uomo. E ciò non stupisce. Da AGOSTINO in poi (contro la tradizione a lui precedente) è, infatti, invalsa tra i teologi l'opinione più o meno esplicita che ciascuna delle Persone divine (a condizione che Dio liberamente lo voglia) possa divenire uomo e che, quindi, l'incarnazione di questa determinata

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La Tn'nità

Persona divina non esprima nulla circa la proprietà intradivina di questa Persona4 • Nessuna meraviglia, quindi, se la pietà ispirata alla dottrina dell'incarnazione percepisca in effetti in tale dottrina solo che 'Dio' si è fatto uomo senza sentirvi insieme una chiara affermazione circa la Trinità. Così la fede chiara e consapevole nell'incarnazione non è ancora una prova che la Trinità significhi qualcosa nella devozione comune del cristiano. Così accade pure (ancora una ripercussione, questa, della sensibilità comune della pietà nella dogmatica e ciò in contrasto, sentito però solamente in modo assai debole, con le formule sacralmente cristallizzate dell'antica liturgia) che, per es., nella teologia venga spiegato, come cosa quasi ovvia, che il Padre nostro è rivolto nella stessa misura e già originariamente senza distinzione alla Santissima Trinità, a tutte e tre le divine Persone; che l'offerta del sacrificio eucaristico vien presentata nello stesso modo a tutte le divine P ersone; che la dottrina oggi corrente della soddisfazione, e quindi della redenzione, con la sua teoria di un doppio soggetto morale in Cristo, pensa ad un atto redentore che fin da principio è diretto in ugual modo a tutte e tre le divine Persone; che, quindi, questa dottrina non riflette in nessun modo esplicitamente sul fatto che la soddisfazione fu compiuta appunto dal 'Verbum' incarnatum (e non semplicemente dal Deus-homo), così come non si riflette di conseguenza sul fatto che si sarebbe potuto immaginare altrettanto bene che un'altra divina Persona come uomo avrebbe potuto rendere al Dio trino una satisfa ctio condigna e che, anzi, quest'ultima sarebbe ugualmente pensabile per noi addirittura senza che la Trinità venisse posta come condizione della sua possibilità5 .

4 È strano: ogni dottrina trinitaria deve sottolineare che l'hyp6stasis in Dio è proprio ciò per mezzo di cui Padre, Figlio e Spirito si distinguono l'uno dall'altro; che, dovunque esista tra questi tre un accordo proprio e univoco, là regna pure un'identità numerica assoluta; che, dunque, il concetto di hyp6stasis, applicato a Dio, non è per nulla un concetto universale univoco, che convenga ad ognuna delle tre Persone in ugual modo. Tuttavia questo concetto vien poi usato nella cristologia come fosse cosa ovvia che una functio hypostatica relativamente a una natura umana possa essere esercitata ugualmente da un'altra ipostasi in D io, come se n on si dovesse p~rlomeno chiedere se quelladeterminata sussistenza relativa, nella quale appunto il Padre e lo Spmto sussistono tn netta dJstmz!One e non in uguaglianza con il Figlio, non proibisca forse (benché questo non sia il caso del Figlio) di esercitare una simile /un etio hypostatica nei riguardi di una natura umana. Per maggiori particolari circa questo concetto, vedi più avanti, pp. 74ss.100ss. 5 Una volta ammessa la teoria di una doppia persona morale in una sostanziale unità di persona, anche un D io assolutamente uno potrebbe contrarre un'unione ipostatica con una natura umana e così rendere soddisfazione a se stesso.

Metodo e struttura del trattato De Deo trino

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In modo corrispondente, pure là dove il trattato della grazia viene intitolato De gratia 'Ch risti', la dottrina della grazia è di fatto monoteistica e non trinitaria: consortium divinae 'naturae' fino alla visio beata 'essentiae' divinaé. Veramente, si dice ancora che questa grazia è stata 'meritata' da Cristo. Eppure, poiché questa grazia di Cristo viene spiegata poi, nel migliore dei casi, come grazia 'Dei' hominis e non come grazia del 'Verbum ' incarnatum in quanto L6gos, e poiché essa viene compresa solo come una rielargizione di una grazia che, nella sua natura supralapsaria, è intesa al massimo come pura gratia 'Dei' e non 'Verbi' e ancor meno ' Verbi incarnandi', così anche il trattato sulla grazia costituisce solo assai poco chiaramente un riferimento teologico e religioso al mistero del Dio unitrino. Per questa stessa paura della Trinità ci si guarda bene (le eccezioni, che vanno da PETAVIO a THOMASSIN, SCHEEBEN, SCHAUF e così via, confermano solo la regola) dall'intendere il rapporto delle t re divine Persone con l'uomo, stabilito dalla grazia, diversamente da un rapporto che è fondato dalla 'grazia creata' prodotta con causalità efficiente e che viene solo 'appropriato' in modo diverso alle singole Persone. Lo stesso vale quindi, ovviamente, per il trattato sui sacramenti e per l'escatologia. Nella dottrina sulla creazione a stento si trova oggi una parola circa la Trinità (a differenza dell'antica grande teologia, per es. di BONAVENTURAF. Si crede che questo silenzio sia anche pien amente legittimo, poiché appunto le opere divine ad extra sono così 'in comune', che il mondo, in quanto creazione, in fondo non può portare in sé nessun segno concreto della vita trinitaria intradivina. La vecchia dottrina classica delle vestigia e della imago Trinitatis nel mondo è considerata (ovviamente senza ammetterlo in modo esplicito) come una speculazione pia, che si può effettuare dopoché si è già sentito alt rove l'essenziale sulla Trinità; una speculazione la quale però non dice nulla di rilevante né sulla Trinità stessa né sulle realtà create, oltre a quanto già si conosce indipendentemente da essa. Come conseguenza di tutto questo risulta che il trattato sulla Santissima Trinità rimane piuttosto isolato nell'insieme della dogmatica. Per 6 Nella famosa costituzione di Benedetto XI sulla visio beatifica (DS 1000 [DDM 1373] ) la Trinità rimane del tutto fuori considerazione: vi si parla solo della 'essenza divina' e ad essa viene attribuito ciò che vi è di più intimamente personale: il manifestar-si. Ciò si spiega forse solo con la tematica di cui qui ci si occupa immediatamente? 7 Cfr. A. GERKEN, op. cit., 53ss. e passim. Cfr. inoltre L. SCHEFFCZYK, Lo sviluppo della teologia trinitaria nella Chiesa, in MySa/3, Queriniana, Br escia 1969, 268ss.

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La Trinità

dirla francamente (e ovviamente in modo iperbolico e generalizzando): nella dogmatica, una volta che questo trattato è stato spiegato, non se ne parla più in seguito. La sua funzione nel complesso della dogmatica è vista solo confusamente. Questo mistero sembra ~ssere stato comunicato come fine a se stesso. Esso, anche dopo la sua nvelazione rimane come realtà chiuso in se stesso. Circa questo mistero si fann~ solo delle affermazioni; esso però come realtà effettiva non ha veramente nulla o quasi nulla a che fare con noi. La teologia corrente non può respingere a ragione questa tesi come esagerata: chi nella cristologia conosce solo una funzione ipostatica di 'una' Persona div~a, la quale funzione potrebbe venir esercitata al~~ettar:to b~ne da Ciascun'altra Persona divina; chi pensa che per n01 m Cnsto sia realmente importante il fatto che egli è 'una' Persona divina (quale, sare?b~ per noi irrilevante); chi nella grazia conosce realmente solo relaz10m 'appropriate' delle Persone divine con l'uomo e anche qui ha soltant~ una vaga cognizione di una causalità efficiente dell'unico. Dio, cos~m in fondo afferma espressamente con parole povere che noi non abbiamo in realtà altro rapporto con il mistero della Trinità, se non quello di sapere qualcosa 'al suo riguardo' per mezzo della rivelazione8 . Se a ciò si rispondesse solo che la nostra beatitudine consisterà un giorno nel contemplare faccia a facci~. questo ~io trin~, c~e all?r.a proprio per questo mezzo noi saremo mtrodotu nella vita mtradivina, che questo sarà il nostro più reale compim~nto e che. per qu~st? tale mistero ci viene esposto già adesso, allora viene da chiedere di n mando come tutto ciò possa essere vero, dal momento che viene negata una relazione reale ontologica di ciascuna delle tre Persone divine con l'uomo (che non sia pura appropriazione!) e se la visione di una realtà, anche la più elevata, ci possa quindi rendere beati anche se essa (nel presupposto che stiamo criticando) è considerata assolutamente priva di relazioni antologiche reali rispetto a noi9 • 8 Nella nostra critica prescindiamo ovviamente dal fatto (poiché da esso si prescinde anche nella posizione criticata) che una vera 'conoscenza', intes~ metafisicamen~e in maniera radicale , implica il rapporto più reale che si possa pensare, con la realta conoscmta e viceversa, ma appunto li fatto che il concetto di persona in questo contesto sia sanzionato dal magistero ecclesiastico fl;On significa, necessariamente e in ogni caso, che esso debba essere il punto di partenza di ogni riflessione teologica. Esso può essere anche il traguardo al quale si arriva in un ripensamento teologico-raZIOnale dello sviluppo della rivelazione e della dottrina della chiesa; facendo così, proprio perché si npensa questo sviluppo, in nessun istante della riflessione teologica ci si emancipa dalla dottrin a della chiesa e del magistero.

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La Trinità

7. Nuova determinazione del rapporto tra i trattati De Deo uno e De Deo trino Infine, muovendo da questo punto di vista, si può nuovamente porre la questione circa il rapporto, il nesso e la distinzione dei due trattati De Dea uno e De Dea trino. I due trattati non si lasciano così facilmente separare, come si ritiene, muovendo dall'esempio di san ToMMASO e seguendolo44 • Se si prende sul serio l'espressione De Dea 'uno', in questo trattato non ci si occupa semplicemente della essenza di Dio e della sua unicità, bensì delle tre Persone divine, dell'unità di Padre, Figlio e Spirito e non solamente della unicità della divinità; si tratta dell'unità mediata, di cui la Trinità è l'autentico compimento, e non della unicità non mediata della natura divina, la quale, intesa numericamente come una, per sé solamente è ancora assai lontana da essere il fondamento della trina unità di Dio. Se, però, il trattato si chiama De Dea uno e non De divinitate una, a priori ci si trova presso il Padre, il principio senza principio del Figlio e dello Spirito. Quindi è proprio impossibile disporre, uno dietro l'altro, i due trattati senza alcuna relazione reciproca, come ancor oggi spesso succede. Se con ciò si è fissata la base, metodologicamente e obiettivamente 44 Sul rapporto più preciso dei trattati De Deo uno e De Deo trino in Tommaso d'Aquino, cfr. anche F. BOURASSA, in Gr 47 (1 966) 263, nota 14 (con importante bibliografia). Secondo U. HoRST, in MTZ 12 (1961) 109, nota 56, già PIETRO DI POITIERS precedette Tommaso nella divisione e nella corrispondente successione dei trattati. Secondo una più recente ricerca di U. Horst, fu addirittura RoBERTO DI MELUN il primo ad attuare una coerente divisione dei trattati; cfr. Die Trinità't- und Gotteslehre des Robert von M elun , Mainz 1964, 199s.202, nota 14. A proposito degli importanti sfondi culturali, cfr. ST. OTTO, Augustinus und Boethius im 12. Jahrhundert. Anmerkungen zur Entstehung des Traktates 'De Deo uno', in Wi Wei 26 (1963) 15-26. Negli ultimi anni e con un lavoro molto diligente si è indagato sugli elementi storico-salvifici nella teologia medievale e specialmente nella dottrina trinitaria. Un gran numero di lavori molto validi ha portato qui una correzione del quadro. Mi pare tuttavia problematica la tendenza a voler vedere nella dottrina trinitaria di Tommaso troppi aspetti economico-salvifici (così per es. in U. HORST, op. cit., 109-111). La problematica dell'interpretazione di S. Th. I, q. 43 non viene nemmeno menzionata da U. Horst. La regressione dell'aspetto economicosalvifico della dottrina trinitaria in Tommaso - appunto alla luce della scoperta eli molti altri aspetti storico-salvifici- diventa ancor più sorprendente (O.H. PESCH, in LThK lO [1965] 131); anche M . SECKLER, Das Heil in der Geschichte, Mi.inchen 1964, non porta molto materiale per la questione [cfr. per es., pp. 106ss.J). Una considerazione oggettiva su simili incontestabili limitatezze mostra i limiti delle in sé lodevoli fatiche per seguire l'intreccio eli storia salvifica e di metafisica nella teologia medievale. Inoltre l'odierno concetto, teologicamente necessario, di storia della salvezza (per la problematica cfr. MySall , Queriniana, Brescia 1969, 33-217) non può essere posto sul medesimo piano del concetto medievale eli 'storia salvifica'. Non servirebbe a nulla per i compiti odierni della teologia, più che mai non servirebbe nella dottrina trinitaria. Per la problematica reale e oggettiva in Tommaso, cfr. sopra nota 10. Cfr. anche MySal3, Queriniana, Brescia 1969, 376ss.

Metodo e struttura del trattato De Deo trino

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esatta, p~r una dottrina trinitaria sistematica, non per questo, ovviamente, s1 sono ancora raggiunti tutti i principi da tener presenti in una tale dottrina sistematica. Qualcosa di più almeno si deve dire già ora.

8. Il carattere misterioso della realtà e della dottrina trinitaria È evidente che la dottrina t rinitaria deve rimanere stabilmente cosciente del carattere di mistero, che spetta alla realtà divina, almeno quoad nos, ora e sempre, quindi anche nella visio beata (a causa dell'incomprensibilità di Dio, sempre vigente). In questa affermazione tuttavia (per quanto riguarda la teologia del 'viatore') bisogna notare che questo 'mistero' non consiste semplicemente o originariamente in una speciale difficoltà logica di compatibilità dei concetti, usati nella sua enunciazione, bensì che esso è essenzialmente identico con il mistero dell'assoluta autocomunicazione di Dio a noi in Cristo e nel suo Spirito45 • Se l'uomo ha compreso se stesso solo se si è inteso come il destinatario di questa autocomunicazione divina, allora si può dire che il mistero t~initario è l'ultimo mistero della nostra propria realtà e che appunto m questa realtà esso viene sperimentato (la qual cosa, ovviamente, non significa che esso possa venir oggettivato concettualmente, muovendo da questa esperienza, mediante pura riflessione individuale su di sé). . Sviluppando questo pensiero si potrebbe dire già qui46 che l'unità Incomprensibile, originaria e rimanente mistero, fra trascendenza attraverso la storia e storia orientata alla trascendenza possiede la sua ultima profondità e radicalità nella Trinità, nella quale il Padre è l' origine inafferrabile e l'unità originaria, la 'Parola' è la sua espressione nella storia e lo 'Spirito' è l'apertura della storia alla vicinanza diretta alla sua origine e meta paterna: appunto questa Trinità della storia salvifica rivelata operando nella storia è la Trinità 'immanente'. Da questo accertamento si ottiene un prmcipio metodologico per 45 Cfr. K. RAHNER, Uber den Begrz/fdes Geheimnisses in der katholischen Theologie, in Schrz/ten IV, 51-94ss. [trad. tt., Sul concetto dz mzstero nella teologia cattolica in Saggi teologici P aoline Roma ' ' , 1965, 391-466] 46 Cfr. sotto pp. 90ss.

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La Trinità

l'intero trattato sulla Trinità. La Trinità è un mistero, il cui carattere paradossale risuona in quello dell'esistenza umana. Perciò, da una parte, è assurdo voler eludere questo carattere, volerlo velare con una forzata sottigliezza di concetti e di distinzioni concettuali, che solo apparentemente rischiarano ulteriormente il mistero, ma che in verità offrono solo dei meri verbalismi, che per spiriti ingenuamente acuti di mente agiscono come analgesici per assopire il dolore di dover glorificare il mistero senza potervi penetrare con lo sguardo. Quando, per es., si discute, come un tempo, se una Persona viene costituita in Dio mediante la 'relazione' oppure mediante la 'processione', in tal caso una simile disputa verte su verbalismi, che non si possono più distinguere oggettivamente e realmente. Se dunque la presentazione che segue non sembra al lettore, stando all'apparenza, capace di raggiungere l'acutezza concettuale della teologia trinitaria 'classica' (da TOMMASO fino, per es., a Rurz DE MONTOYA), il lettore critico è pregato di tener presente, almeno come possibilità, che una simile maggiore povertà e 'imprecisione' è stata assunta intenzionalmente. D'altra parte, dall'interpretazione appena citata del carattere misterioso della Trinità e della sua enunciazione, risulta che non ogni asserzione sulla Trinità può essere incolpata di puro verbalismo dalla precipitosa impazienza del razionalista e del 'kerygmatico'. Dove una dottrina trinitaria esatta viene anche esattamente ascoltata e condivisa, lì una concettualizzazione rettamente intesa spinge da sola a quell'attuazione dell'esistenza nella fede e nella grazia, in cui domina il mistero del Dio trino stesso e che non viene costituita semplicemente mediante l'aggettivazione concettuale di tale mistero. Dal punto di partenza della dottrina trinitaria sopra fissato risulta che la dottrina sulle 'missioni' è effettivamente il punto iniziale di questo insegnamento. In linea di principio ciò non può venir contestato da alcuna teologia, poiché sul piano storico della rivelazione le cose stanno semplicemente in modo tale che noi veniamo a conoscenza della Trinità, in quanto la Parola del Padre è entrata nella nostra storia e ci ha comunicato il suo Spirito. Questo punto di partenza non può valere solo come tacito presupposto, bensì va posto realmente come tale. Altrimenti in questa dottrina significato e limiti di ogni asserzione non si spiegano più né si può evitare il pericolo di una sterile e vuota acrobazia concettuale. Quanto- al di là dell'asserzione formale (da fare sin dall'inizio e

Metodo e struttura del trattato De Deo trino

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non ~o.lamente da supporre o da aggiungere come supplemento) che la Tnmtà economica è già la Trinità immanente - sia possibile arrivare a capire ancora più a fondo la Trinità di Dio mediante una dottrina 'psicologica' della Trinità, è cosa che solo l'esposizione potrà provare47.

In ogni caso però questa interpretazione 'psicologica' della Trinità sarà legittima, valida e chiarificatrice solamente dopo avere dimostrato che proviene dal punto di partenza reale e unico di tutta la dottrina trinitaria e che ad esso ritorna.

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Cfr. sotto pp. llOss.

CAPITOLO SECONDO

LINEE FONDAMENTALI DELLA DOTTRINA DEL MAGISTERO ECCLESIASTICO SULLA TRINITÀ

Le dichiarazioni del magistero nel loro contesto storico sono già state enumerate e prese in considerazione nella parte storico-dogmatica della nostra esposizione della dottrina sulla Trinità 1• Ci sembra opportuno tuttavia esporle ancora una volta ricapitolate in modo sistematico. Una tale sistemazione ha certamente anche i suoi svantaggi e i suoi pericoli. Staccate dal loro contesto storico, il loro senso e il loro peso divengono facilmente poco chiari, anche se si precisa che cosa ha valore di definizione e che cosa non lo ha. Questi testi vengono facilmente collocati in un 'sistema', che non è affatto del magistero, ricevendo magari una valorizzazione falsa o problematica. Tentando con questo metodo la sistemazione di ciò che si trova nel Denzinger, si corre facilmente il pericolo di ignorare o di mettere in secondo piano ciò che altrimenti è presente nella coscienza di fede della chiesa2 (attraverso la Scrittura, la liturgia, la predicazione, la tradizione originaria, la vita religiosa), benché a tale coscienza debba essere dato un peso maggiore che a qualche passo del Denzinger, che può essere il risultato di eventi della storia dei dogmi relativamente secondari. Per una tale sistemazione si deve dunque far attenzione ai pericoli cui abbiamo accennato e ad altri simili. Tuttavia essa è pur necessaria. Anche se un atto di fede autenticamente personale e, nello stesso tempo, frutto di riflessione teologica nel dogma trinitario non è possibile con la semplice ripetizione dell'insegnamento esplicito del magistero (ogni atto di fede avviene inevitabilmente e necessariamente in dipendenza da una determinata 'teologia'), tale teologia, per essere u-

1 Cfr. L. SCHEFFCZYK, Dichiarazioni del magistero e storia del dogma della Trinità, in MySal3, Queriniana, Bre scia 1969, 187-278. 2 Cfr. A. H AMMAN, La Trinità nella liturgia e nella vita crt5tiana, in MySal3, Queriniana, Brescia 1969, 169ss.

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na teologia ecclesiale, deve tuttavia riferirsi a priori alla dottrina del magistero ecclesiastico. Innanzitutto importa dunque prendere conoscenza di questa dottrina. A questa esplorazione, che si limita a riferire, può però venir contemporaneamente collegata una prima riflessione su ciò che si dice e su ciò che non si dice nelle dichiarazioni del magistero, su ciò che ivi rimane oscuro, ecc. Una simile riflessione non è intesa come una critica, ma come un primo orientamento, che scaturisce spontaneamente dai testi magisteriali stessi circa i compiti che, secondo questa dottrina ufficiale, rimangono urgenti o diventano tali per la teologia sistematica.

l. La Trinità come mistero assoluto

n

dogma della Trinità è un mistero assoluto che, anche dopo la sua rivelazione, non diventa intrinsecamente comprensibile. Questa tesi è nella sua prima parte un'inequivocabile conclusione dell'insegnamento del Vaticano I, secondo cui ci sono «mysteria in Dea abscondita, quae, nisi revelata divinitus, innotescere non possunt» (DS 3015s. [DDM 61s.]) e secondo cui fra tali misteri va se mai (cfr. DS 3225) enumerato soprattutto il dogma della Trinità (cfr. anche Col. Lac., VII, 507c; 525b; DS 367.616.619 [ine/fabtlis Trinitas]). La seconda parte della tesi contiene la spiegazione del concilio Vaticano I sulla natura di tali misteri (DS 3016 [DDM 62]), che, per tale motivo, qui vengono detti 'assoluti'. carattere permanente del mistero del dogma trinitario viene analogamente ribadito contro ROSMINI (DS 3225). concetto di 'mistero', però, nel contesto dell'insegnamento del concilio (come anche altrove) resta quale semplice concetto opposto alla accessibilità razionale-concettuale di una proposizione e all'empirismo immediato del quotidiano e non viene ulteriormente meglio determinato. Così esso appare, confrontato con l'ideale di conoscenza della scienza moderna, come una grandezza negativa ma non come una caratteristica originaria e positiva della conoscenza ultima della verità, che ha il suo fondamento nell'apertura al mistero permanente3 •

n

3

Cfr. in proposito K. RAHNER,

n

Ober den Begri// des Geheimnisses in der katholischen Theologie, in

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Se, per~, !a Trinità del Dio, che rimane essenzialmente e sempre incomprensibile, non è un oggetto qualsiasi all'interno di un ambito di co~prensione a lui neutro, bensì lo stesso incomprensibile Dio dis~hmde que~t~ c~mpo di comprensione ed è nello stesso tempo essenzialm~nte trmitano, allora 'Trinità' e 'mistero' si esigono in modo sostanziale, per lo meno dopo che noi abbiamo conoscenza della Trinità attraverso la rivelazione e vogliamo elaborare una teologia della conoscenza; quella Trinità non è un caso qualsiasi di questo mistero: laTrinità dunque potrebbe, in una teologia della conoscenza radicalizzare il concetto stesso di mistero; l'incomprensibilità di Di~ per noi potrebbe essere posta, quale predicato positivo della nostra conoscenza in intima prossimità al mistero della Trinità. '

2. Significato e limiti dei concetti adoperati

I concetti fondamentali, con cui viene espresso il mistero dell'unità e trinità di Dio nella proclamazione della fede della chiesa e nelle dichiarazioni magisteriali, sono: da una parte, persona (subsistentia: DS 501\ dall'altra, substantia, essentia, natura (e, corrisponden~emente, dzvmttas, ecc.; anche summa res: DS 804), tre concetti che m questo contesto non vengono ulteriormente differenziati (cfr. DS 73.75.112 .176.188.501.525ss.800.803s.l330.1880, ecc. [DDM 247 .270ss.276.278.1421]).

A. Il presupposto della comprensibilità di tali concetti fondamentali quale problema ermeneutico

Questa coppia fondamentale di concetti ('persona' e 'natura' ) di fatto non viene ulteriormente spiegata nelle dichiarazioni della chiesa. I due concetti vengono dunque supposti come comprensibili in sé, ma questo ha la sua motivazione e implica un problema. n presupposto della comprensibilità di questi termini può avere il suo fondamento o Schri/ten IV, 51-99 [trad. it., Sul concetto di mistero nella teologia cattolica in Saggi teologici Paoline Roma 1965, 391-466]. ' ' '

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nel fatto che queste parole hanno un comune e uguale significato v~ri­ ficabile in ogni tempo con l'esperienza (come per es., nella do~t~ma eucaristica, 'pane', 'vino') o nel fatto che dall'insegnamento. ufficiale della chiesa viene supposta come data e accettata una formaz10ne teologica di concetti nella teologia e nella predicazi~ne _or~~aria (p~r es., il concetto di transsubstantiatio) o nel fatto che 1l s1gmf1cato del concetti usati risulta, in modo sufficiente, da tutto il contesto. Dato che la prima possibilità non entra qui in questione e l~ ~econ­ da, in parte, deve venir ricondotta alla terza, com~ alla s~a- ongme, e, in parte, non offre una vera e definitiva comprens~one (ne m ~enerale né nel nostro caso), così resta concretamente solo il terzo motlvo _q~a­ le giustificazione dell'uso dei concetti, motivo non spiegato ufficialmente dalla chiesa. . Di fatto è stato così storicamente4 • I concetti si formano mentre vlene detto innanzitutto che il Padre è Dio, che il Figlio è Dio e che co~ me tale ci viene incontro, che lo Spirito Santo è Dio e che come tale cl viene incontro che pur con questi tre che sono Dio, esiste un solo Dio. Per espr~ere 'ciò, si dice: un'unica ed identica divinità (dunque una 'essenza', una 'sostanza', una 'natura') ci è data nelle tre Persone. Con ciò vengono dette due cose, che ora dobbiamo spiegare.

B. Funzione dei concetti fondamentali come spiegazione logica della realtà Con i termini 'persona' ed 'essenza' si esprime in una diversa ~or~a solo verbale la stessa realtà dell'esperienza più originaria e delle dichiarazioni di fede: noi, cioè, abbiamo a che fare con Dio nella sua radicale e incomprensibile divinità (Padre); questa divinità ~i è do~ata realrnen~ te nel Figlio e nello Spirito Santo, senza che poss1am? r~durre questi due a mediazioni create di questa divinità o ad espress10m solo verbalmente diverse della divinità del Padre, che attraverso esse è a noi presente. Se questi due concetti contengano non solo una spiegazior:e logica, bensì anche ontic:a o possano contenerla, è cosa che non nsul:a ancora dalla loro origine storica, dal contesto nel quale furono formati.

4 Qui dobbiamo rinviare alle considerazioni fatte da L. ScHEFFCZYK, Dichiarazioni del magistero e storia del dogma della Trinità, in MySal3, Q ueriniana, BreSCia 1969, 212ss.222ss.

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Denomino spiegazione logica di una proposizione circa una determinata realtà una proposizione che rende chiara, cioè più evidente e inequivocabile, la proposizione da spiegare e che nello stesso tempo la chiarifica movendo da questa stessa, cioè senza far ricorso a una realtà diversa da quella da chiarire. La spiegazione logica - per dirla in modo approssimativo - spiega e precisa, ma per la spiegazione di un contenuto non se ne esprime un altro. Perciò l'insieme delle nozioni usate per la spiegazione può essere desunto dalla realtà stessa da spiegare e quasi intravisto in essa. Questo si verificherebbe anche nel caso che la terminologia verbale, usata nella spiegazione, fosse di per sé presa altrove, posto solo che regni accordo (espresso o tacito) sul fatto che essa è intesa solo nell'estensione, nel significato e nella portata quale risulta dalla realtà da spiegare. Spiegazione antica di una p roposizione circa una determinata realtà è quella spiegazione che esprime una realtà diversa da quella da chiarire e adatta a rendere comprensibile la realtà da spiegare e, in tal guisa - cioè mediante l'indicazione della sua causa, del modo determinato e concreto con cui si forma, ecc. -, la protegge da malintesi. Io ho spiegato anticamente il farsi buio davanti ai miei occhi, se faccio risalire la frase: «Davanti ai miei occhi si fa buio», allo spegnersi della luce o ad un'atrofia fisiologica del mio nervo ottico. Da ciò che è stato detto risulta chiaro che, in una spiegazione logica, per la sua vera comprensione resta sempre necessario il riferimento all'enunciazione da spiegare. Si tratta, infatti, della medesima realtà e questa, nei casi della teologia, non è accessibile indipendentemente dalle formulazioni originarie, che si devono spiegare. La spiegazione ontica, invece, come mostra il piccolo esempio già menzionato, non fa leva sulla cosa da spiegare, bensì sussiste in se stessa, perché enuncia un'altra realtà. Per quale motivo la spiegazione logica (nonostante questo suo permanente riferimento all'asserzione da spiegare, riferimento del quale essa vive e senza il quale muore in un vuoto verbalismo e in un razionalismo concettuale privo di concretezza) sia tuttavia di grandissima importanza, non è cosa che dobbiamo qui appositamente illustrare. Ognuno lo sa in fo ndo, ognuno ricorre a questa spiegazione. Infatti, chi coltiva per es. la teologia biblica vuole precisamente dire ciò che la Scrittura dice e non può tuttavia ripetere semplicemente le parole della Scrittura. La differenza - per quanto sostanziale - fra la teologia evangelica e la teologia cattolica su questo argomento mi sembra che sia solo questa: per il teologo cattolico la spiegazione logica delle parole della Scrittura può diventare inequivocabilmente proposizione di fede attraverso la chiesa, mentre per il teologo protestante rimane - per principio - una teologia, che per sé resta sempre rivedibile in una conoscenza di segno opposto. Però (sia detto per inciso), anche se la spiegazione logica può diventare per noi un dogma immutabile, essa mostra tuttavia -che anche allora rimane una differenza qualitativa rispetto alla Scrittura: una formula del genere rimane continuamente retrovincolata alla parola della Scrittura (o della tradizione originaria) non solo per il suo valore di norma di fede, ma anche per il suo significato e per la sua comprensione, così come a sua volta la parola della Scrittura rimane viva e decisiva solo se è presente mediante la spiegazione dogmatica vincolante (in modo logico) nella situazione storica cangiante.

L'esplicita risposta a questa questione può essere rinviata alla esposizione sistematica dell'insegnamento trinitario. Notare la questione è,

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però, di gran?e impor~anza. Ad ogni modo pos~iamo qui. dire eh~ per quanto questi concetti appartengano al dogma della c~1esa, ess1 ~o­ gliono essere soltanto una spiegazione log~ca, non ?nuca, e precisamente una spiegazione della realtà che vogliono espnmere e che poteva essere asserita nella Scrittura e nella tradizione prenicena senza l'uso di questa coppia di concetti, come di fatto è avvenuto e può ancora accadere. Con ciò non neghiamo la loro importanza anche per la dichiaraz.ione del dogma come tale; essi sono mol~o ~d.atti, anzi qu~si necessan, .a difendere il dogma da un malinteso tntelsttco o .moda~sta? subordtnazionista, anche se proprio da questa loro funzwne d~enslVa ~ppare che essi non espongono tanto direttamente in sé per notla realta mte. sa, ma ci rinviano all'oscuro mistero di Dio. È altresì pacifico che essi, quali concetti del dog~a come tale ~ questa spiegazione logica, alla domanda che co~a. esst come concetti propriamente asseriscano, rinviano se,t?pre all'on~~e da~a ~uale provengono: all'esperienza di fede che l mcoml?~enstbtle Dw e pres,ente nel duplice quoad nos di Cristo ~ del suo Spmt~ verament~ e c?s1 co~ me egli è, senza che questo duphce quoad nos (l autocomumcazwne ~~ Dio in quanto offerta a noi e da noi accet~ata) p~ss.a e~sere pensato m maniera modalista come mero risultato d1 una dtstmztone mentale da noi fatta a proposito dell' autocomunicazione di Dio, la qual cosa distruggerebbe alla base questa autocomunicazione e non. peri?ette~ rebbe più a Dio di venire così come egli è (modalismo e ananesrmo s1 richiamano e si condizionano, infatti, a vicenda). In quanto si tratta, dunque, del contenuto. dogm_atz:cam,ente necess~: rio dei due concetti, non si deve includere m esst ment altro che cto che risulta dal fatto - e che può essere quindi in fondo dedotto dal nostro assioma fondamentale- che la Trinità 'economica' quoad nos è la prima realtà conosciuta e la prima realtà rivelata e che essa è l.a realtà 'immanente', circa la quale conosciamo dunque come dogmaticamente vincolante solo ciò che è rivelato nella Trinità economica. Se si possa penetrare ancora di più speculativ~m~nte ~ questi. con~etti, così che la spiegazione 'logica' data da esst dtventt una sptegaz_t~ne 'ontica' (teologica, anche se non magisteriale) lo accerteremo pm avanti.

5 Cfr. per questa nozione e per i seguenti sviluppi,

MySall/2, Queriniana, Brescia 1968,244-265.

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C. Il problema della sostituibilità del concetto di 'persona' I concetti nominati non sono per principio insostituibili per l' enunciazione del dogma: non soltanto nel passato, cosa che è evidente, ma, per frincipio, cioè 'in sé', neppure per il futuro dell'enunciazione dogmatica. Se, cioè, essi sono soltanto la spiegazione 'logica' della rivelazione originaria, allora a priori non è impossibile che questo tipo di spiegazione si faccia anche mediante altri concetti. Ovviamente questi altri concetti pensabili non possono venir inventati arbitrariamente e così sostituire i precedenti; devono, infatti, riguardare la medesima realtà immutabile, riprodurre obiettivamente la precedente 'più semplice' asserzione e salvarla da malintesi. In pratica è pressoché impensabile che i concetti di essentia e substantia nel loro significato più formale possano un giorno venir sostituiti da altri migliori; è invece possibile che in un altro sistema di riferimento (di tipo prescientifico o filosofico riflesso) emergano più chiaramente che in passato singoli aspetti i quali rendano poi tali concetti addirittura più adatti per il loro uso nel dogma trinitario (per es. , qualora questi concetti siano posti in una relazione meno statica, ma in compenso più onto-logica, cioè più chiara con una realtà spirituale piuttosto che con una realtà cosale, ecc.). Più problematico in questo contesto è però il concetto di 'persona' (e 'ipostasi') 6 • Non è solo la sua storia fino all'uso nel dogma trinitario a mostrare che il suo significato ed anche la sua idoneità per questo dogma non sono semplicemente univoci, bensì il concetto di 'persona' anche dopo la sua assunzione nel linguaggio dogmatico e nelle definizioni della chiesa ha avuto una storia ulteriore; il vocabolo ha così assunto possibili significati, con cui il concetto non può proprio venir collegato all'interno di questa enunciazione dogmatica. Chi oggi, per es., sente parlare di 'tre persone', quasi inevitabilmente collega a tale termine, come è stato già sottolineato, la rappresentazione di tre diversi centri di coscienza e di azione, cosa che porta a un'interpretazione eretica del dogma. Teoricamente la teologia può, in verità, tener lontano dal suo concetto di persona tali variazioni di significato fissandolo con una 'definizione', ma la chiesa non è l'arbitra 6

Cfr. in proposito più sotto pp. 81ss., specialmente p. 100.

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62 . d l c ' non è a priori impossie la guida di una tale stona e concetto. ~sl il fonbile che il vocabolo abbia uno sviluppo stonco c~e, nonostar:te . del damentale diritto del magistero a una «regolazlOne ~omn~~:~~:ione

fguag~io) (cf~n~~s~~~:~: ~e~d:e:;~s~~i~~~~~ qu~sto vocabolo

olgkmatica ' ~ modo tale che rimanga sufficientemente esclusa la posne erygma m . . . . "bil" t, di una errata interpretaziOne tntelstica. . . Sl l a . , ca in cui il magistero della chtesa manuene -:- a concetto (il termine) con una tiva della terminologia per una confessione com_une' a a teo o~a c n è roibito - anzi ad essa è addirittura imposto come ov~re t~fle no p il vocabolo 'persona' sia concretamente e realmente mson ettere se

bu:~;it: ~~~~s~o

fis~azio~e a~to~::~

sti~;~~l~:Veog~~~t~o~piegarlo; deve dire cosa con esso è qui intes? e

che cosa no~ lo è; cleve staccarlo dal suo si~nificat? profar:o eh~ Sl e. di uesta mutazione essa Sl trova m una SltuazlO?e e volve, per c~usa q i Può darsi perciò che essa riesca a smte. vocabolo che non suona in un compito sempr~ nuov . . . tizzar~ questta 'sppeiersgoanzla~~ec~~l~~:a:u~ :u~~ significato qui applicabipropnamen e ' · · d" k male è forse migliore e di più semplice comprensiOne ~ quml l . e~yg .' . , idoneo del vocabolo 'persona'. Questl prob eml evon? ti~:Tce:::~~ssere presi in considerazione in un'esposizione sistematip ... ca della dottrina tnmtana.

. t emau·ca della dottrina del magistero ecclesiastico 3. S.mtest. sts Se ora dopo queste osservazioni preliminari, dob?fam? _esporre ciò sorge gta quhl il pro~lemla Che asserisce la dottrina ufficiale della· chiesa, · bl ma c e non e so . . È della strutturazione di questa espos1z10ne, pro . ~ , . di st"ntesi didattica di semphclta e dl chtarezza. tanto una questione ' 1 1 · b"bl" ossibile un doppio punto di partenza: o si ?art~, con ateo, og:a l . lp . . b 11. pt"u' antichi e con la teologta onentale, dali untco D~o, ca con 1 s1m o 1 d f" · · · t 1 t è il Padre, oppure, come fanno e e mlz~onl pos er oc_ ed ellm qh~an odalla Trinità dunque dall'unico Dio la cul umca essenn e a c 1esa, ' za sussiste in tre Persone. . · h b"t · _ . f . o il prnn· o punto di partenza per motiVl c e su lom o1 pre enam N

h .

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dicheremo e che saranno messi ancor meglio in evidenza nella sezione sistematica. Servendoci dei concetti di 'essenza' e 'persona' esponiamo ora la dottrina ufficiale della chiesa in quanto tale.

A. Le dichiarazioni circa Dio Padre aa. La confessione del Padre. La chiesa professa l'unico Dio onnipotente, che le viene incontro come Signore attivo della storia della salvezza e come Creatore di ogni realtà finita (DS 125.150), come il 'Padre' (DS 1-5, [diversamente 6!], 10-17 [DDM 1418], 19, 21ss., 25,2730, 36, 40ss., 44 [DDM 1419], 46, 48, 50s., 55, 60s., 64 , 71, 125, 139, 150 [DDM 248] , 470, 1862): «Credo in un solo Dio, Padre onnipotente». Si può ovviamente iniziare anche con la confessione dell'unico Dio come trino, con la confessione della Trinità. Ma se, da una parte, non si può con ciò pensare che 'dietro' alle tre Persone ci sia in certo qual modo una 'divinità', cui propriamente si riferisce la confessione e la quale successivamente emana in un certo qual modo la tripersonalità (cfr. DS 803 [DDM 271], 973s. ), e se, d'altra parte, la confessione e l'atto religioso vanno in ogni caso alla concretezza della realtà della salvezza, se la 'Trinità' intesa come una simile 'triade' e quindi come unità è però in ogni caso un concetto successivo, perché con esso i 'tre' sono fatti confluire in una unità tenuto conto di ciò per cui soltanto sono propriamente distinti ('persone'), allora si comprende perché sia del tutto legittimo anche in una sistematizzazione della dottrina della chiesa iniziare, insieme con gli antichi simboli, dalla confessione del Padre. bb. La conoscenza di Dio come conoscenza del Padre. Ovviamente nasce subito la questione: questo 'Padre' è talmente accessibile alla confessione e alla fede da poter essere confessato per primo dal kerygma, dalla fede, dal simbolo? Nei simboli egli viene naturalmente nominato per primo a causa dello svolgimento della storia della salvezza e della rivelazione: il Dio dell'antica alleanza - ho the6s semplicemente - è già conosciuto e confessato nell'esperienza della rivelazione storico-salvifica; appunto di questo Dio già conosciuto, che ha stabilito una relazione con l'uomo, veniamo poi a sapere nell'evento del Nuovo Testamento

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che egli ci manda suo Figlio e lo Spirito del Figlid. Dobbiamo evitare il malinteso che il protagonista, in quanto egli è il partner concreto, sia nell'Antico Testamento il Dio trino. I concetti 'Dio trino' e 'Trinità' sono concetti legittimi, ma secondari e sintetizzano successivamente in una 'formula breve' l'esperienza concreta della salvezza e della rivelazione. L'esperienza di Dio nella rivelazione, unitamente all'elemento trascendentale del riferimento dello spirito creato a Dio, riguarda, infatti, originariamente e necessariamente il Dio concreto, precisamente in 8 quanto semplicemente necessario e senza origine • 9 Se non si costruisce arbitrariamente una subsistentia absoluta (che solleva il pericolo di una quaternitas: DS 804), allora questo essere concreto privo di origine (si sappia o non si sappia che egli è l'origine di due processioni divine) è precisamente colui che, non appena lo si conosce, è il Padre. n Padre, in quanto il Dio concreto dell'Antico Testamento, è ovviamente conosciuto come Padre solo quando è conosciuto il Figlio. Allora si apprende anche che egli opera in unione con il Figlio e con lo Spirito Santo («che ha parlato per mezzo dei profeti») e, anzi, che solo così può agire 10 • Questo, però, non modifica il fatto che, se e fino a quando la Trinità non è ancora comunicata e conosciuta per rivelazione, il Dio concreto e inteso necessariamente come

7 Ciò è inequivocabile per la teologia dell'Antico e del Nuovo Testamento. Cfr. K. RAHNER, Theos im Neuen Testament , in Schrzften I , 91-167.105ss.143ss. [trad. it. , Theos nel Nuovo Testamento, in Sa~i teologici, Paoline, Roma 1965, 467-586].

1fprima della rivelazione della Trinità la semplice assenza di principio non si può ovviamente ancora differenziare in aseità e innascibilità (l'essere assolutamente aghénnetos e tinarchos), ma il secondo momento della assenza di principio del Padre è tuttavia affermato formalmente e necessariamente in modo implicito quando si raggiunge la convinzione che ci deve essere un principium sine principio. Tale è il caso in ogni conoscenza autentica di Dio. Per l'affermazione esplicita dell'assenza di principio del Padre, cfr. DS 60.75 [DDM 1421).441.485.490 [DDM 434).525.527.569.572.683.800.1330s. [DDM 276]: aghénnetos, non genitus, a nullo ong,inem ducit (sumpsit), principium sine pn'ncipio. 9 In proposito cfr., per l'aspetto storico, oggettivo e critico: H . MùHLEN, Person und Appropriation, cit., 39s. con la nota 13, 47s. ecc. Inoltre C. S'I'RATER, Le point de départ du traité thomiste de la Trinité, in ScEccl14 (1962) 71-87, spec. 76, nota 15. IO Ciò vale non solo in forza dell'unità dell'essenza divina, per cui un'opera ad extra (fin tanto che si tratta dunque d'una autentica attività efficiente) è sempre un'opera del Padre, del Figlio e dello Spirito, del Dio trino. Anche l'autorivelazione del Padre in qu anto tale, che per ragioni qui non illustrabili non può essere solo la comunicazione di un sapere concettuale, ma dev'essere opera salvifica autentica per l'uomo, può essere solo (nonostante A GOSTINO e la teologia successiva) autocomunicazione del Padre mediante il Figlio nello Spirito Santo (cfr. DS 140: il XIV e XV anatema della prima formula di Sinnio del3 57; inoltre DS 16.21.22.29: Invisibilis, ciò che soltanto più tardi diventa enunciazione della Trinità: per es., DS 683). Infatti, la reale autocomunicazione del Padre in quanto tale (che costituisce il presupposto dell'autocomunicazione concettuale-verbale) è n ecessariamente, in forza dell'essenza stessa della Trinità, comunicazione del Figlio nello Spirito, se la 'paternità' significa pura ' relazione' al Figlio e allo Spirito.

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privo di origine, con il quale ha a che fare la storia della rivelazione pre-trinitaria, è il 'Padre'. cc. Il Padre del Figlio. Per mezzo dell'incontro mediante la fede con il 'Figlio' per eccellenza, e con lo Spirito Santo quale prmc1p1o mterno della nostra filiazione e della nostra assoluta vicinanza a Dio 11 , questo Dio che non ha origine viene conosciuto come il Padre del Figlio, come 'principio generante', fonte, origine e principio dell'intera divinità (DS 490.525.3326). Ciò verrà sviluppato ulteriormente nelle riflessioni seguenti. G~sù. ~ris!o,

B. Asserzioni circa il Figlio

aa. Affermazioni fondamentali della dottrina della chiesa. Questo 'Padre' ha dunque un (unico) Figlio 12 • n Figlio è da lui generato, cioè non creato 'dal nulla' , bensì esiste in forza della comunicazione- derivante dall'essenza del Padre (dunque non per decisione o per necessità esterna: DS 71.526)- dell'intera essenza divina autentica, della sua 'so~t~nza' , dell~ sua 'na~ura' ed è quindi 'consostanziale' al Padre, poiche 11 Padre gli comun1ca tutto (tranne la 'paternità': DS 1301 [DDM 275].1986). Egli partecipa così dell'eternità del Padre. Senza che il linguaggio della chiesa preferisca, per favorire la comprensibilità del 'Figlio', il concetto di L6gos (DS 2698), questo rapporto del 'Figlio' con il 'Padre' è tuttavia da intendere, secondo la Scrittura, come quello del L6gos ('parola', 'sapienza') con colui che attraverso questo L6gos si esprime nella storia della salvezza e così anche 'immanentemente' (DS 40.55 .113 [DDM 296].144 [DDM 225 ]. 147 [DDM 227].178 [DDM 326ss.].250ss.427 [DDM 423].502s.852 [DDM 1436].3326).

11

Per questo punto di partenza della conoscenza di Dio come conoscenza del Padre dobbiamo

q~ rinviar_e ~Ila cristolo~ia e alla dottrina della grazia. D iciamo spesso intenzionalmente 'sperimenta-

re , perch~ l ~utocomumcaz10ne d t Dto come autocomunicazione del Padre comporta il momento dell enun,CLaziOne concettuale ~ome elemento costitutivo e che non si può omettere, ma questa enunCiaziOne e un momento dell'umco evento reale dell'esperienza di Gesù Cristo e del suo Spirito. 12 Per non appesantire troppo le rimanenti pagine con riferimenti a DS, rinviamo al suo indice sistematico (B 2). Faremo perciò solo qualche riferimento, quando esso non ci sembra del tutto evidente.

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bb. Differenziazioni nell'autointerpretazione di Gesù come Figlio. Una comprensione originaria e reale di queste asserzioni è ora possibile muovendo dalla cristologia biblica o, meglio, dalla consapevolezza del Gesù storico 13 • Gesù si sa in un rapporto con Dio, che egli chiama 'Padre', in una maniera che gli consente di distinguere la sua filiazione da quella degli altri uominP 4 • Tuttavia, anche se la cosa è in ultima analisi oggettivamente esatta, resta metodologicamente pericoloso intendere questa filiazione unica, di cui Gesù è conscio nei sinottici ariguardo di se stesso, come riferentesi direttamente all' autointerpretazione dello stesso Gesù solo e semplicemente nell'eterna generazione del L6gos. Gesù si conosce anzitutto come l'unico uomo concreto, che sta di fronte al Padre e che ci viene incontro come il Figlio (per eccellenza), cosicché sarebbe pericoloso escludere a priori determinati elementi di questa realtà concreta (la sua 'natura' umana creata) dalla costituzione di ciò che egli stesso chiama 'Figlio'. n suo concetto può sì essere molto più complesso e la filiazione di cui parla la dottrina della chiesa può in verità esserne una base e uno sfondo antologico, ma non deve necessariamente essere la totalità di ciò che egli intende per 'Figlio'. È, infatti, mai possibile dire, senza aggiungere altro, che nel concetto di figlio del Gesù sinottico va eliminato il suo rapporto d'obbedienza, d'adorazione, di sottomissione all'incomprensibile volontà del Padre 15 ? Esso è eliminato, se queste qualità gli si riconoscono solo a causa dell'unione ipostatica come tale; queste sono allora qualità del Figlio, ma non elementi costitutivi della filiazione, ovviamente della filiazione quale Gesù stesso la intende, non di quel presupposto antologico che noi oggi chiamiamo la filiazione 'metafisica'.

13 Cfr. la presentazione di F.]. SCHIERSE, Rivelazione neotestamentaria della Trinità, in MySal 3, Queriniana, Brescia 1969, 116ss. 14 Qui non abbiamo bisogno di esporre particolareggiatamente la cristologia biblica. Per fare una cosa dd genere dovremmo distinguere tra la coscienza del Gesù 'sinottico' e la sua interpretazione teologica nei discorsi di Gesù in Giovanni e nella cristologia apostolica (comunità primitiva, Paolo, Giovanni). Qui dobbiamo solo indicare il punto biblico di partenza delle enunciazioni del magistero ecclesiastico circa l'homousia di Cristo, che va messa continuamente in evidenza per l'esatta comprensione di queste enunciazioni. 15 Per la problematica dell'esegesi cfr., oltre a F.J. SCHIERSE, Rivelazione neotestamentaria della Trz~ nità, in MySal3, Queriniana, Brescia 1969, 123.133-145, B.M.F. VAN !ERSEL, Der 'Sohn' in den synoptischen Jesusworten, Leiden 1964'; R. SCHNACKENBURG, in LThK 9 (1964) 852ss. (bibl.); F. HAHN, Christologische Hoheitstitel, Gottingen 1964', 319ss. (bibl.), spec. 332s.

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cc. Il Figlio come 'Salvatore assoluto' e come autocomunicazione del Padre. Innanzitutto possiamo tranquillamente dire che Gesù conosce se stesso come l'uomo concreto, come 'il Figlio' per eccellenza. Ma appunto in modo unico. Questo modo consiste nel fatto che per mezzo di lui quale 'Salvatore assoluto' 16 (il 'messia' in un senso radicale, che si differenzia fondamentalmente da quello di un 'profeta') ci sono presenti in una vicinanza assoluta e definitiva e ci vengono comunicati il Padre, la sua volontà, la sua salvezza, il suo perdono, il suo regno. Il 'Figlio' (quale concetto concretamente identico al 'messia', inteso questi non come 'profeta', ma come 'Salvatore assoluto') è innanzitutto l'autocomunicazione del Padre al mondo, cosicché in questo 'Figlio' il Padre è radicalmente presente e la sua autocomunicazione, attuata per mezzo dello stesso, è radicalmente accettata. n Figlio è l'autocomunicazione economica (storica) del Padre17 • dd. Autocomunicazione 'economt·ca' e 'immanente' al Figlio. In una formulazione greco-scolastica possiamo dire: la 'processione' del Figlio come autocomunicazione della realtà divina del Padre è insieme per noi innanzitutto -l' autocomunicazione economica e libera a Gesù quale 'Salvatore assoluto' e - ivi manifestantesi e quindi intelligibile (non comprensibile in modo esauriente!) per noi nel suo significatol' autocomunicazione 'immanente' necessaria della realtà divina, l'espressione proveniente dal Padre, così che essa esiste dall'eternità e per necessità quale Parola di tale possibile e libera automanifestazione al mondo.

16 Rdativamente al perché il concetto di 'Salvatore assoluto' implichi necessariamente l'unione ipostatica, dr. K. RAHNER, Die Christologie innerhalb einer evolutiven Weltanschauung, in Schn/ten IV, 183-221, spec. 202ss. [trad. it., La cristologia nel quadro di una concezione evolutiva del mondo in Saggi di cristologia e. di mariologia, ~aoline, Roma 1967', 123-198]; inoltre: A. DARLAP, Teologia ionda~entale della storz_a della sal~eua, m .MySall/1, Queriniana, Brescia 1969, spec. 100ss.149ss. Dovremo considerare p1u avanti il rapporto tra questa autocomunicazione e quello ndlo Spitito. 9uando affermiamo che il Figlio è l'autocomunicazione economica dd Padre, non affermiamo che il Padre è apparso e si è unito 'ipostaticamente' con un'umanità. Una tale concezione sarebbe possibile solo a condizione che il Padre possa anche incarnarsi, ma questa è una supposizione gratuita che alla fine distrugge il mistero t rinitario, l'identità ddla Trinità immanente e economica e la ~omprensione di quella muovendo da questa . Se in senso 'immanente' possiamo affermare: il Figlio è l autoespresswne del Padre, la Parola dd Padre (non della divinità! ), allora bisogna poter ripetere la stessa affermazione in senso 'economico' e solo in tale affermazione diventa comprensibile ciò che è la relazione 'immanente' tra Padre e Figlio.

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Per comprendere questo principio bisogna tener presenti due cose. l. li 'Padre' (Dio per antonomasia) è presente, si comunica in quanto tale e, tuttavia, è colui che non ha principio e che, conservando se stesso mentre si esprime, rimane l'incomprensibile, il 'Padre', e dunque colui che nell'autoespressione stabilisce una distinzione (innanzitutto economica) fra sé e la sua propria comunicazione. 2. Questa distinzione 'pre-esiste' alla stessa libera autocomunicazione gratuita di Dio (dell'assolutamente privo di principio, del Padre) come sua possibilità. Il , che implica un rapporto particolare di ogni Persona divina con la realtà creata di volta in volta in questione.

B. Realtà e asserzioni nazionali ed essenziali

Corrispondentemente alla distinzione tra Padre, Figlio, Spirito e all'identità dell'unica essenza divina, che questi tre sono, si può distinguere fra realtà e asserzioni 'essenziali' e 'nazionali'. 'Essenziale' è tutto ciò che è dato ed espresso con la divina essenza. Una tale asserzione si può fare circa Dio e circa ogni Persona divina presa singolarmente (Dio è onnipotente, la Trinità è onnipotente, il Figlio è onnipotente). 'Nazionale' è tutto ciò che si riferisce alle Persone nella loro differenziazione. Di conseguenza appartengono alle realtà e alle dichiarazioni nazionali: aa. Le due processioni: dal Padre e, rispettivamente, dal Padre attraverso il Figlio; cioè la 'generazione' del Figlio come autoespressione del Padre e l'unica 'spirazione', la derivazione dello Spirito dal Padre e dal (attraverso il) Figlio, come da unico principio dello Spirito. bb. Le tre relazioni di origine, così conseguenti, formanti le Persone>4 (in quanto tali relazioni sono opposte): l'assenza di principio (innascibilità, non esser generato, Pater ingenitus) del Padre quale origine del Figlio (paternità), l'origine per generazione (espressione) dal Padre (filiazione), le quali due relazioni sono identiche alla spirazione attiva dello Spirito attraverso Padre e Figlio; la derivazione dello Spirito da Padre e Figlio (in quanto opposta alla 'spirazione' attiva). cc. A queste tre relazioni, formanti le Persone, si aggiunge quale 35 realtà nazionale la quarta relazione non formante una persona : la spi-

Per questo concetto, cfr. la bibliografia indicata alla nota 15 e 20 del cap. primo. Cfr. B. LONERGAN, op.cit., II, 123ss.l6lss. 35 Ibid., 116-127.16lss. 33

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razione attiva dello Spirito quale comune proprietà del Padre e Figlio· questa proprietà è presente nel Figlio in quanto originato dal Padre. ' Se ~ perch.é que.ste quattro relazioni vanno pensate come produzione attiva e, nspettlvamente, come 'passivo' venir prodotto, si deve dire che in Dio ci sono quattro atti 'nozionali' 36 : generazione attiva e passiva, spirazione attiva e passiva. dd. In quanto si può distinguere la paternità e l'innascibilità del Padre (sen~a dimenticare che la innascibilità del Padre è la sua paternità e che - m quanto formante una Persona - non può esser pensato come ad essa anteriore), si possono distinguere cinque proprietà 'nazionali' \idiom~ gn.oristik6n~: innascibilità, paternità, filiazione, spirazione attiva, spirazwne passiva. ee. A motivo dell'unità dell'essenza, delle processioni e delle relache costituiscono le Persone, si asserisce una reciproca m-?s~s~en~a ~el.le tre ,Pers~n,e, (circuminsessio, circumincessio, perichorests): il Figlio dali etermta e nel Padre e viceversa, ecc. (DS 112s. [DDM 295s.].115 [DDM 298].1331)37 • ~ioni. opposte,

36 Ibid., 37

182-185.

Ibid., 205ss.

CAPITOLO TERZO

SCHEMA SISTEMATICO D'UNA TEOLOGIA TRINITARIA

l. Significato e fine dello schema proposto

Ora, dopo i due capitoli precedenti, dobbiamo intraprendere direttamente il tentativo di una dottrina trinitaria 'sistematica'. 'Sistematica', in questo caso, vuol indicare qualcosa di assai semplice: dopo che si è ascoltato molto particolareggiatamente e pazientemente - per lo spazio possibile in un manuale - tutto quanto dicono Scrittura, storia dei dogmi e magistero ecclesiastico circa la Trinità, resta ancora da dire brevemente ciò che si è ascoltato. . Le due cose non sono identiche. Non è, infatti, possibile che tutto ciò che vien detto sia anche ascoltato in uguale maniera e che lo si ritenga ugualmente importante e significativo: si può udire e nello stesso tempo non prestar attenzione a tutto. Per tale motivo dire ciò che si ascolta e dire ciò che si è ascoltato e si è ritenuto non si equivalgono. Perciò qui molte cose che si sono ascoltate o che si sarebbero potute ascoltare non vengono riferite. Questo non lo facciamo per mancanza di tempo e di spazio o perché disprezziamo la teologia del passato. Un tempo si può aver riflettuto a buon diritto con precisione se il concetto di relazione nella teologia trinitaria abbia a che fare con il concetto di relazione categoriale, più che con quello di relazione trascendentale 1; se la pura distinzione logica tra essenza e persona nella divinità sia una virtualis distinctio rationis ratiocinatae oppure una distinctio /ormalis ex natura rei, ecc.2 ; se le relazioni, strettamente come tali (in quanto esse ad), in Dio costituiscono o no una 'perfezione' 3 ; quale sia più precisamente il reciproco 1 Cfr.

le sottili discussioni di B. L ONERGAN, De Deo Trino, cit., II, 291·3 15. lbid., 146ss. 3 Ibid., 143s.208ss. 2

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rapporto concettuale di relatio e di processio (nel dare origine alle Persone); come si distingua una processio (per modum) operati da una processio (per modum) operationis e quale dei due concetti sia applicabile alla dottrina trinitaria4 • Su questi argomenti si può riflettere e a nessuno è vietato farlo, ma si deve proprio farne oggetto di riflessione? Si deve trattarne in questo lavoro dove, date le possibilità limitate, ci si possono presentare con maggior urgenza altre questioni, che nella teologia scolare tradizionale non sono affrontate molto esplicitamente? La giustificazione esplicita del nostro disinteresse (relativo) per simili questioni richiederebbe un tale loro approfondimento da frustrare lo scopo di questa giustificazione, che è quello di procurare spazio e tempo per altri quesiti e per una comprensione a noi adeguata della Trinità. All'inizio, quindi, possiamo solo dichiarare che qui facciamo uso di quella libertà di cui pure la teologia finora corrente nelle scuole ha fatto tacitamente uso, la libertà cioè di selezionare i nostri argomenti espliciti. In proposito presupponiamo l'opinione che molte acute riflessioni della teologia scolare non riescono ad accostarsi molto alla meta recondita (da ultimo preclusa) di rendere logicamente chiaro e comprensibile il mistero, cercando di padroneggiare con riflessioni sempre più sublimi la dialettica formale fra unità e triade; presupponiamo, quindi, l'opinione che all'uomo moderno (legittimamente, anche se non in modo vincolante per epoche e mentalità diverse) non riesca particolarmente difficile sapere a priori che ci sono asserzioni provenienti da fonti di esperienza che rimangono distinte - che non consentono più una sintesi positiva, non puramente verbale, e che possono tuttavia rimanere nella loro ambiguità non superabile positivamente. Ciò autorizza appunto oggi a esser meno metafisicamente sottili di quanto un tempo la teologia scolare tentasse di essere5 • Dallo scopo di questo terzo capitolo risulta evidente che saranno inevitabili e necessarie alcune ripetizioni di quanto abbiamo detto nei due capitoli precedenti. Né abbiamo la pretesa che quanto qui diremo ripeta in modo tale la dottrina ufficiale della chiesa, da presentarla in 4

IbM, 79ss.l82s.

5 Quindi per queste questioni rinviamo esplicitamente ai validi trattati di P. GALTrER, A. o' ALÈS, A. STOLZ, H . DONDAINE, R. GARRIGOU-LAGRANGE, M. SCHMAUS, J. BRINKTRINE, L. BILLOT, }.M. DALMAU (cfr. I:fhK.' III, 559), e specialmente ai due volumi, copiosamente documentati, di B. LoNERGAN, De Deo Trino, I, Roma 1964'; II, Roma 1964, anche se precisamente in quest'opera assai

sottile si noteranno i limiti di questi tentativi.

Schema sistematico d'una teologia tn.nitaria

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modo adeguato. Nel grado della loro rispettiva forza vincolante sono ovviamente valide e costituiscono una parte della dottrina trinitaria sistematica anche quelle asserzioni ufficiali che qui non dovessero essere eventualmente espresse ancora una volta in modo sufficientemente chiaro.

2. Sviluppo del punto di partenza Ciò che già nel primo capitolo è stato posto come assioma fondamentale della teologia trinitaria indica il punto di partenza al quale qui è necessario fare continuamente riferimento.

A. La necessità di una concezione 'sistematica' della Trinità 'economica' Riguardo a questo punto di partenza non possiamo però accontentarci di quanto abbiamo detto sopra, giacché ora dobbiamo dire più precisamente che cosa sia questa Trinità 'economica', che deve coincidere con quella 'immanente'. Ovviamente abbiamo una conoscenza preliminare di ciò che intendiamo con Trinità 'economica' . La storia della salvezza, la sua esperienza e l'espressione biblica di quest'ultima sono le fonti di un tale concetto preliminare che resta sempre la base e il punto di partenza insostituibile e più ricco, anche quando essa viene trasformata in un concetto sistematico. In pratica questa concezione preliminare viene elaborata realmente soltanto nella cristologia e nella dottrina sulla grazia ed anche allora forse non è a priori pacifico che ciò sia attuato in modo tale da esser qui veramente sufficiente allo scopo. Perciò anche prescindendo dalla questione se, dal punto di vista teologico, sia pienamente conveniente trattare la dottrina trinitaria prima della cristologia e della dottrina circa la grazia, non possiamo qui presupporre semplicemente questa concezione preliminare biblica e storico-salvifica circa la Trinità economica. Qui non possiamo però neppure approfondirla sotto l'aspetto della teologia biblica. Metodologicamente non ci resta quindi altro che rischiare il tentativo ardito di ridurla ad una breve concezione sistematica. Per quanto

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problematico possa essere questo tentativo, tuttavia esso è inevitabile. Infatti, da un lato non possiamo presentare particolareggiatamente l'esperienza biblica storico-salvifica (ciò formerebbe l'insieme della cristologia e della dottrina circa la grazia) e, tuttavia, non la possiamo semplicemente omettere; inoltre essa va formulata (dunque ridotta ad un concetto sistematico) in modo tale da poter servire direttamente al nostro scopo, che è quello di esprimere in maniera teologica la 'Trinità immanente' che forma qui il nostro vero tema. A questo concetto 'sistematico' della 'Trinità economica' non abbiamo potuto evitare di accennare già più volte, ma appunto solo accennare anticipatamente. Ora però è arrivato il momento di esporla in maniera più dettagliata.

B. Necessaria conoscenza di un rapporto intrinseco dei modi dell'autocomunicazione divina aa. L'enunciazione della Trinità economica riguarda i due modi diversi, tra loro correlati, condizionantisi a vicenda e in questo reciproco rapporto di condizionamento costituenti una tdxis della libera e indebita autocomunicazione di Dio alla creatura spirituale in Gesù Cristo e nello 'Spirito'. Quando diciamo 'Dio', con ciò non presupponiamo una teologia trinitaria 'latina' (in distinzione da quella 'greca'), bensì quella biblica (e, volendo, quella greca). Dio è qui il 'Padre', cioè il Dio assolutamente privo di origine, che vien sempre conosciuto come presupposto e che comunica se stesso proprio se e perché la sua autocomunicazione, da una parte, non coincide con lui in maniera pura e semplice in una morta identità ed egli, d'altra parte, rimane in questa autocomunicazione il libero, incomprensibile, non esaudentesi, appunto il senza origine. La sua assenza di origine in quanto manifestantesi nell' autocomunicazione ha un carattere positivo: l'assoluta assenza di pericolo dell' autocomunicazione per colui che si comunica, quale può convenire solo all'essere divino privo di originé.

6 Se si volesse obiettare che in pratica si parla qui oggettivamente di una mancanza essenziale di origine eli Dio, quindi praticamente dell'aseità, e che tuttavia si insinua che si tratta della mancanza nazionale eli origine del Padre, quest'obiezione si baserebbe su un malinteso. N ell'au/ocomunicazione di Dio, la quale non consente che la comunicazione sia semplicemente, in una morta identità, colui che si comunica (che non sia così è cosa che va ancora d imostrata), l'essenza della mancanza eli o-

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bb. Non s'incontra ancora nessun problema speciale fin tanto che si presuppone il rigoroso concetto dell' autocomunicazione di Dio che trascende la comunicazione di una realtà creata. La questione decisiva riguardo a questo concetto è come esso possa aiutare a far comprendere i due modi dell' autocomunicazione attraverso il 'Figlio' e lo 'Spirito' e come questi due modi possano essere intesi quali elementi intrinseci tra loro correlati e distinti l'uno dall'altro dell'unica autocomunicazione di Dio, in modo da ridurre realmente a un unico 'concetto' anche la diversità7 • cc. Non si può dire che la teologia cattolica avverta in modo chiaro questo problema. Essa considera l'incarnazione e la missione dello Spirito come due eventi tra loro collegati in modo molto esterno. Infatti, senza rifletterei sopra troppo, è convinta che ci potrebbe essere lo Spirito anche senza l'incarnazione; che ciascuna Persona divina potrebbe farsi uomo, quindi anche il Padre o perfino lo Spirito; che ci potrebbe essere incarnazione del L6gos (anche in una prospettiva soteriologica, per es., in quella di una satù/actio condigna), senza che per questo sia già in linea di principio concessa anche la missione dello Spirito. Così queste due autocomunicazioni di Dio sono collegate solo dal vincolo di un decreto morale di Dio e non possono più essere intese veramente come gli aspetti interni, tra loro correlati e opposti, dell'unica autocomunicazione in cui Dio (il Padre) si comunica al mondo in una vicinanza assoluta8 • rigine si manifesta nella sua concretezza: una divinità (aseità), che può comunicare se stessa senza per questo perdersi e senza, da ultimo , salvaguardarsi e con ciò togliere alla comunicazione il carattere di autocomunicazione. Con ciò però è nominata la concretezza della 'persona' del Padre, che non è solo 'paternità' (quindi 'nazionalità'), bensì il Dio concreto nell'unità di aseità essenziale e di paternità na zionale, vale a dire concreta mancanza eli origine. Se si può affermare che questo pericolo non tocca nemmeno il Figlio e lo Spirito, risponderemo che ciò spetta loro appunto come comunicato, in quanto essi sono costituiti attraverso la autocomunicazione paterna; in altri termini, non si può mai pensare una divinità, la quale non esista come quella del Padre o del Figlio e dello Spirito. 7 Non è necessario qui spiegare per esteso che, da un lato, una tale questione - trascendentale, se si vuole - suppone già la conoscenza storico-salvifica riguardo al Figlio e allo Spirito e non avanza la pretesa di dedurre ambedue questi modi dal nostro semplice concetto di un'autocomunicazione di Dio, che noi forse ci saremmo potuti formare in modo astratto senza quest'esperienza, ma che, d'altro lato, una tale questione non diviene superflua, quando si presuppone già l'esperienza dell'incarnazione e dell'effusione dello Spirito. C'è proprio un singolare intreccio eli esperienza a posteriori e di approfondimento della necessità trascendentale. Anche ciò che si conosce solo attraverso un' esperienza concreta, in seguito può eventualmente esser riconosciuto come necessario; così qui i due momenti necessariamente omogenei di un'unica realtà (posta liberamente). 8 Si noti, per inciso, come in questa semplice fatticità l'incarnazione assuma uno strano sapore mitologico.

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Di qui viene anche che la distinzione tra l'incarnazione e la co.mun~­ cazione dello Spirito, in quanto entrambe sono grandezze sotenologlche non risulta chiara. Finché, infatti, si ammette, per es., che pure lo Spi;ito avrebbe potuto farsi uom~ ed e~ercitare.la 'funzione~~ ipostasi' rispetto alla 'natura' umana di Ges~, no~ cl sarebbe .nellmcarnazione nulla (al di fuori di altre parole d1 Gesu) che non Cl sar~bb~ anche nell'altro caso. Fin tanto che si presuppone che la comumcazwne dello Spirito è possibile anche senza l'incarnazione, in essa in qua~to tale non potrebbe esserci nulla che significhi una differ.enza essenz1al~ dall'incarnazione del L6gos, ad eccezione del fatto che m concreto qw appunto il L6gos esercita quella 'funzione di ipostasi' che altrettanto bene avrebbe potuto esercitare lo Spirito. dd. Noi perciò partiamo dall'ipotesi opposta, cioè dall'ipot~si che, se Dio liberamente decide di uscire da sé nell'autocomumcazwne (e non quindi soltanto ponendo l'essere diverso da sé nella. creazione), è e dev'essere precisamente il Figlio quello che appare stonc~~ente nella carne come uomo ed è e dev'essere esattamente lo Spmto quello che opera l'accettazione dell' autocomunicazione da parte ?~l mondo (in quanto realtà creata) nella fede, nella speranza, nell~ canta. In quanto l'unica autocomunicazione di ~io: c~e s1 a,~tua nec~ssa­ riamente in questi due aspetti complementari, e lzber~, lmcarna~wne e la missione dello Spirito di Dio sono libere, sebbene il nesso reciproco tra questi aspetti sia necessario. . . . In ogni caso non risulta dalla dottrina del magistero eccl~s1ast1~o che ci sia alcun argomento dogmatico stringente ~o.ntro ~~esta 1p~tes1. Che essa concordi poi con la tradizione pre-agostmtana g~a lo a~?tamo ~et­ to. Per noi l'argomento che porta ad ammettere .tale lpot.est e semphc~­ mente il fatto sostanzialmente scoperto nel pnmo capitolo che altrimenti non è possibile comprendere la dottrina della grazia e la. cristol~­ gia. li fatto che proprio il L6gos si sia fatto uomo e che pror:no .lo Sp1~ rito 'santifichi' è un evento libero, se e perché l' autocomumcazwne di Dio è libera ma se andando al di là di questa premessa, l'incarnazione del L6gos è 'pensat~ come 'libera' e così pure la santific~zione proprio mediante lo Spirito è pensata come libera9 , allora la stona della salvez-

9

Se si sostiene che la santificazione viene solo 'appropriata' allo Spirito , allora si può rispondere

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za non ci dice affatto più nulla del Padre, del Figlio e dello Spirito. La dottrina trinitaria si trasforma in un accompagnamento verbale di una storia della salvezza che in sé si svolgerebbe per noi (prescindendo da questo 'per noi' essa non è affatto storia della salvezza) esattamente così, anche se fosse il Padre o lo Spirito a farsi uomo. ee. Ci si può quindi chiedere solo in che maniera l'incarnazione e la missione dello Spirito, nelle loro proprietà testimoniate dalla rivelazione, possano essere 'concettualizzate', cioè possano essere comprese in modo che appaiano come momenti dell'unica autocomunicazione di Dio, quindi come un'unica Trinità economico-salvifica e non come due 'funzioni' di due ipostasi divine che possono venir scambiate a piacere. È difficile rispondere alla domanda così posta, specie per il fatto che qui non è possibile raccogliere, sviluppare e commentare a tale scopo le indicazioni che ovviamente si trovano sparse dappertutto nella tradizione biblica e teologica. Possiamo solo fare un tentativo, che rappresenta un inizio. Esso trova la sua giustificazione nel fatto che lo si deve assolutamente fare, se ha da esser superato, nella situazione storico-culturale odierna, lo strano sospetto che la Trinità sia mitologia.

C. Esposizione formale del concetto di 'autocomunicazione di Dio' 'Autocomunicazione di Dio' (tenendo conto di quanto detto sopra) non è innanzitutto un concetto che, da un lato, fa nascere necessariamente il sospetto di mitologia, una volta ammessa l'esistenza di Dio e tenuto conto della circostanza che qualsiasi conoscenza di Dio, nella misura in cui è intesa esattamente ed è interpretata teologicamente, pone il problema del rapporto di Dio con noi e quindi comporta il concetto di una autocomunicazione divina, almeno come concetto asintotico limite circa questo rapporto; d'altro lato, esso non esclude il 'mistero', bensì lo implica e non è pertanto 'teologicamente' sospetto in questo sensd0 .

in primo luogo: gratis asseritur, gratis negatur; in secondo luogo: in ogni caso questa scappatoia non vale per l'incarnazione del L6gos. 10 li concetto di autocomunicazione significa: l) precisamente l'assoluta prossimità di Dio come mistero incomprensibile e che rimane nella sua incomprensibilità; esso indica ancora: 2) la libertà as-

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Una volta ammesso questo concetto dell'autocom.uni~azione.~ Di~, essa si presenta necessariamente sotto quattro copp1e d1. asp~ttl · a) ~ rigine-futuro; b) storia-trascendenza; c) offerta-accettaz10ne, d) cono scenza-amore. . · 1 Tali quattro coppie di aspetti vanno ~nanzitut,~o ~p1egat~ ~mgo ,armente. In secondo luogo possiamo considerar~ l u:uma umta dell un loro lato e la distinzione del loro altro lato ..se nusc1amo a~ as~olvere a questo secondo compito, allora compren~1amo che qu~st un1~a .au~o­ comunicazione di Dio si attua in due mod1 fondamentali, che s1 nchlamano a vicenda.

D. Struttura dell' autocomunicazione a un destinatario personale È ovvio che questi aspetti fondamentali dell' autocomunicazione di Dio si attuano innanzitutto in base a noi e all~ nostra struttura fond~­ mentale di creature umane. Ciò non deve suscitare sospett.o alcuno (U: fin dei conti di modalismo) per un doppio m?tiv~. In. pr~"! 0 luogo: ~ 1 tratta a priori di un'autocomunicazione. Non s~ puo. qum~,m nes~un lstante fare astrazione in questo concett? dal des~matano · Il .mls~ero dell' autocomunicazione di Dio sta preCisamente m ':luest.o: D10 v~ene veramente all'uomo, quindi entra verame~t: nell.a ~1tuaz10ne dell uomo, la assume lui stesso e così è ciò che egh e. Eg~1 v1e~e verament~ essendo e rimanendo quel che così è, senza che la s1tuaz10ne del destu~a­ tario diventi a priori un ostacolo al suo ~vvento. (c?me, per esemp10.' per gli animali l'animalità rende impossibile a prz.ort che una parola rtmanga parola umana e non diventi un suono animalesco). In secon,do luogo (ancora una coppia): la creazione concreta, se~za danno de~ unità dell'azione creatrice di Dio ad extra, deve (o puo) ~s~~r,e considerata come momento (cioè come condizione ~ell~ possi?ili.ta nella costituzione di un destinatario) dell'autocomun1caz10ne di D10, anche se

c?

sol uta e erciò l'evento irreversibile di quest' autocomunicazione, che~ an e pe,r questo m~tivo, ri · • p t • esso st'gnt·f1·ca ulteriormente· 3) che l'intrinseca poss1b1hta del! autocomumcazwne · . . ) · d tamenmane m1s ero; come tale (comunicazione assoluta dell'incomprensibile a~solu:od ndon Vledne comalpresa a teogucaost·cché · on s1 puo e urre a un tro pun , te· essa viene appresa come puro avvemmento, ma n ~che per questo motivo rimane mistero. . . . 11 Qui e in seguito, non è necessario sostenere che bisogna dlstmguere ~olo ~dest~ quattrod~~l~:~ di È sufficiente che questi aspetti ci siano e che eSSI rendano, ne~ umta l ctascuno latt:~du~lità dell'autocomunicazione di Dio in modo sufficientemente chtaro per il nostro scopo.

ttl

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'in sé' avrebbe potuto essere creata senza questa autocomunicazione. La 'natura umana' di Cristo non è quindi qualcosa di facoltativo, accanto a molte altre realtà che ugualmente bene sarebbero potute essere assunte ipostaticamente, bensì precisamente ciò che si attua quando il L6gos di Dio 'esprime' se stesso ad extra. Se noi dunque postuliamo queste quattro coppie di aspetti di un'unica autocomunicazione di Dio innanzitutto 'dal basso', muovendo da noi, con ciò non diciamo necessariamente che noi aggiungiamo all' autocomunicazione di Dio qualche cosa, che ad essa, in quanto viene da Dio, sarebbe di per sé esteriore. Queste strutture universali e personali possono proprio essere intese come ciò che - certo diverso da Dio - nasce precisamente, quando e in quanto Dio si pone il destinatario della propria autocomunicazione come condizione della possibilità di questa. L'autocomunicazione del Dio personale e libero, che si dona come 'persona' (nel senso odierno del termine!), presuppone un destinatario personale. A costui Dio non si comunica solo di fatto; il destinatario dell' autocomunicazione deve piuttosto essere tale in forza della natura stessa di questa autocomunicazione. Se Dio vuole liberamente uscire da se stesso, egli deve creare l'uomo. Che egli debba poi creare un essere spirituale e personale, che solo questo abbia la potentia oboedientialis per accogliere l' autocomunicazione di Dio, è cosa che non occorre esporre qui più particolareggiatamente. L'unica questione, che una teologia scolare tradizionale potrebbe qui sollevare, sta nella obiezione che anche un soggetto non materiale né corporale, anche se personale (un 'angelo' dunque), potrebbe entrare in questione altrettanto bene come destinatario dell' autocomunicazione divina (e che anzi esso esiste già di fatto dotato di questa autocomunicazione). Tale obiezione non può essere qui discussa nei particolari, ma non siamo costretti a ritenerla valida. Per rendercene conto dovremmo in primo luogo mostrare come ci sia un'unità tra spirito e materia (mondo) nella quale, a modo loro, sono implicati anche gli angeli e come la grazia degli angeli sia essa pure grazia di Cristo, quindi momento di quella autocomunicazione di Dio che si dirige a un mondo fatto di spirito e di materia (quale necessaria alterità dello spirito finito) e che- una volta presupposta la libertà dell'autocomunicazione -trova necessariamente nell'incarnazione (così e non diversamente) il suo vertice e la sua determinazione definitiva e irreversibile. In questo unico movimento gli angeli ricevono la grazia quali momenti personali sui generis di questo unico mondo di spirito e di materia. Se si pensa

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· 1ve senza che la si debba . d' . l'obiezione citata sl· nso m questa u~~IOne, . . 12 considerare pm da vtcmo · . nte crt'stiana deve guardare a . , e1o1ogta verame . D' In ogm caso un ang . , artl.re dall'ipotesi che lO , d il' mo D1o e non puo P b angelo se l'avesse vo1uto Priori ail a re alta die uo · altrettanto ene un ' . 1 sarebbe potuto ve?~re l . t i) Infatti una tale ipotesi, o (né ammettere imphcttamentefta e lpl~ es . zl'one' in un mito immeri. t re tras orma mcama si vogha o no ammet e .' ff arire Dio stesso nella carne, pertevole di fede e non lascdl~ a ~t;to ~;di colui che appare. ché ciò che appare non lce pm n

r

. E. Sulla comprensione dez. szngo z asp etti fondamentali dell' autocomunicazione

. ano ersonale è il destinatario necessaPremess_o c~e il soggetto um ell'~utocomunicazione divina, la qua. sibilità le quattro copriamente nchlesto dalla natura dll de a propna pos . , ') Ie se lo crea come condizione'bili C anzitutto clascuna per se . mn d l destinatario, questa comunipie di aspetti sono compre~si Corrispondentemente _a a natura e . divenire) ha un'origine e . t artecipata (ma ancora m d . cazione m quan ? p . d' tti) nella tensione aperta i questi un futuro (la przma coppia. a~pe . inizio come costituzione del due momenti della comumcaziOne. un. . ne divina come costitu. d' ssibile autocomumcaziO ' · destinatario una ~o . l volontà di questa autocomunicazlOzione di questo destmatano p~r~zio (origine) proteso verso il futuro ne e muovendo da essa, codn: . pleta) tenuto conto che questo , . (come autocon:unicazione tvma comlicemente come evoluziOne profuturo non puo essere pensato semp l' rientamento dell'inizio verso gressiva dall'inizio, bensì- nonost~n~e o e altro momento del radiil futuro - sta di fronte a questa ongme_ com . della libertà). Questa t da un'autentica stona calmente nuovo (separa_ 0 b ui· sufficientemente comttl dovreb e essere q . ., . d' prima coppia l aspde ll lib , d ll comunicazione e della stoncita prensibile alla luce e a erta e a

d coppia di aspetti, sotto cui del destinatario. l Storia e trascendenza sono a secon a 533 538· K RAHNER- P. OvERHAGE, Das Pro· Cfr. K. RAHNER, Angelolo~ie, in LThK l (1957) 3 Herd~r, Freiburg 1963', 47s.53s. [trad. it., Il blem der Hominisation (Quaest!Ones d!sp~atae.12:;6~J· dr. Schrl/ten VI, 19lss. [trad. It., Nuovr Sag· problema dell'ominiz:z.azione, Morcelhana, resCia , gr. 1' Paoline, Roma 1968, 264ss.]. 12

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l'autocomunicazione si presenta, se essa deve raggiungere tutto l'uomo unitario, dal momento che in essa Dio, quale origine dell'uomo, si dà pienamente e direttamente come salvezza. Non è questo il luogo per sviluppare con esattezza e completezza filosofiche il significato di questi due concetti, ma anche senza questa estrema precisione è evidente che all'uomo appartiene essenzialmente quella aperta differenza, che noi indichiamo qui con questi due termini: la differenza (nella conoscenza e nell'azione) tra l'oggetto concreto e !"orizzonte' all'interno del quale l'oggetto viene a collocarsi, tra l'a priori e l'a posteriori della conoscenza e della libertà, tra il pervenimento della conoscenza e dell'azione al qui e all'adesso ben determinati (cast' e non diversamente) e la distesa aperta verso cui la conoscenza e l'azione si protendono e che anticipano, quella distesa aperta in virtù della quale esse, limitandosi, determinano !"oggetto' e nello stesso tempo incessantemente ne dissolvono la fissità. Con questa distinzione non affermiamo nello stesso tempo che solo l'orizzonte, il 'verso dove' [Worau/hin] illimitato della trascendenza e la trascendenza stessa costituirebbero la realtà autentica, mentre l'oggetto sarebbe solo la mediazione dell'esperienza della trascendenza, un oggetto che alla fine dovrebbe però scomparire. La trascendenza e il suo 'verso dove' o punto di fuga hanno proprio nell'oggetto la loro storia (e la loro unità che genera la differenza è propriamente ciò che rinvia a Dio, senza che si possa rendere luogotenente di Dio solo uno dei due momenti): la trascendenza si vede e si trova (contro ogni mistica pura e 'priva di immagini' di un'esperienza della trascendenza nella semplice anonimità del mistero) nell'oggetto stesso e questo è se stesso solo mentre si tuffa nello spazio aperto della trascendenza che concorre a costituirlo senza identificarsi con lui in una morta identità. Non c'è qui bisogno di riflettere sul più esatto rapporto tra apertura al futuro e trascendenza. In ogni caso possiamo dire: se l' autocomunicazione di Dio si attua nei confronti dell'uomo storico, che è ancora in divenire, allora essa può attuarsi solo nella dualità unificante di storia e trascendenza, quale l'uomo è. Se l'uomo è l'essere che esiste nell'unica dualità di origine e futuro, di storia nella (verso la) trascendenza e in tal modo è l'esistente libero, allora l' autocomunicazione di Dio deve comportare anche la differenza fra offerta e accettazione (la terza coppia di aspetti) di questa autocomunicazione, anche se con ciò non neghiamo, ma affermiamo che pure la capacità e l'atto libero dell'accettazione di una autocomuni-

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92 cazione divina sono ancora una volta un momento dell' autocomunicazione di Dio, il quale si dà in modo che il suo dono di sé sia accettato liberamente. La quarta coppia di aspetti sembra dapprima essere di tutt'altra specie: conoscenza-amore, atto della verità e atto dell'amore. Eppure essa caratterizza in maniera necessaria l' autocomunicazione divina in quanto tale e nel suo insieme. Se, infatti, presupponiamo che la conoscenza è da ultimo effettuata nell'atto corporeo e non solo nel pensiero astratto, allora viene superata l'obiezione che l'atto della verità (come unità originaria di conoscenza pratica e teorica) sia una determinazione settoriale-categoriale e non invece trascendentale dell'uomo e che così esso non venga in taglio, almeno originariamente, per la caratterizzazione dell' autocomunicazione di Dio, la quale ha come destinatario l'uomo intero in quanto tale. D'altra parte questa dualità nell'uomo non è superabile né integrabile. Essa non è superabile: verum e bonum, conoscenza e amore, pur con tutta la loro 'pericoresi', la loro unità trascendentale (e una tdxis, che non dobbiamo ora considerare) sono la più originaria diversità, cosicché nessuno dei due si lascia considerare come puro momento dell'altro; la volontà non è né pura dinamica della conoscenza, puro appetitus di un bonum in fin dei conti unico, che sarebbe il verum; né la conoscenza è pura luce dell'amore, che farebbe di essa un semplice momento dell'amore stesso. Questa dualità trascendentale non è, inoltre, integrabile con ulteriori determinazioni (per es. , mediante un 'bello' ugualmente originario, mediante il 'sentimento', ecc.). Ciò non solo per il motivo che altrimenti sarebbe compromessa irrimediabilmente una reale comprensione della necessità di due sole processioni all'interno della Trinità e non si potrebbe più sostenere l'assioma fondamentale dell'identità fra la Trinità 'economica' e la Trinità 'immanente'. Piuttosto se la volontà, la libertà, il bonum sono compresi nella loro vera e piena essenza, cioè innanzitutto non solo come impulso, bensì come amore verso la persona, amore che non solo tende verso la persona, ma riposa nella sua bontà e nel suo splendore pieno, allora non si vede alcun motivo di aggiungere a questa dualità una terza e ulteriore facoltà. Conoscenza e amore descrivono, nella loro unica dualità, la realtà dell'uomo. Un' autocomunicazione di Dio all'uomo deve dunque costituirsi come autocomunicazione all'uomo della verità assoluta e, come tale, dell'amore assoluto.

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F. I.:intima unità dei rispettivi aspetti dell'autocom umcazzone . . d't Dto . Se si vuole ridurre ora quest' . l'uomo ad un concetto teolo ico ~Hica a~tocomu[,lic~zione di Dio alle singole parti delle quatt g , _ora btsogna chtanre come e perché · d ro menzionate coppie di . . , aspetti SI possano mten ere come unità. Se ciò è ossibil all modi fondamentali dell'auto c p . ~, ora e vero che ci sono due d' . omumcazwne di Di 1 d o, e so o ue, che si Istmguono e si condizionano a vi d . spettive caratteristiche sono cen a m modo tale che le loro rile une dalle altre. comprese concettualmente e distinguibili aa . ·. Per alcum·d'I questi· aspetti l'unit' , f ilm Orzgme, storia e offerta formano chi a e ac ~nte_ ~omprensibile. tutta la realtà non divina d ll ar~n:_ente un umta. L origine di ' e e a sua stona e la 1 , d' D' . vo onta · autocomunicazione divina l . , 1n quanto Il. mondo t · I Io , di offrire . . come estmatario libero dt' s onco e costitUito d c accettare quest · . I erta dell' autocomunicazione divin , l' . a. autocomuntcazwne. L' ofria, il piano fondamentale second ~e on~me del mondo e della stostorico. Questo inizio non t'n l bo _qu~ele s~ato progettato il mondo · g o a m se a fme n:e,nto esplicativo, poiché questo iniz ' . . c~me suo puro movlta aperta, perché il fut d IO, c?stitmsce il futuro come nostorico e non semplicemeunrto, quan , o e m_teso autenticamente come e come evolutivo' , · . . PlIcemente nell'inizio. Si d . l . ' non e anticipato semta di Dio al mondo è vera ~{;' ~o t~, con~I~erar~ ~he, se l' auto-offerdefinitivamente e irrevocabilmer a ag ul omml storta, allora è realizzata ente so o quand , c~mente nel 'salvatore assoluto' d l' ft o essa e presente storizwne di Dio non solo costi t . ' quan o o erta dell' autocomunicaferta, bensì pone se stessa st~~~ce un mon~o a dest~atario di tale cfche ciò appartiene all'm't'zt'o ll'cai?~nted(ellem modo Irrevocabile). An. ' a ongme a st . . mt~sa come storia dell'accettazione d ll' 0 ff o~a, m quanto questa è erta questa autocomunicaztone divina Che poi t e luta e irrevocabile sia es~~=~:!res~~z~ storica dell'auto-offerta assodola 'incarnazione di Di ' h e cio c .e attesta la teologia chiamancetto del 'salvatore assol~t~~ : quest~ sta per~anto implicita nel connella cristologia) L'unt'ta' d .' e cosa ~ e va spiegata altrove (appunto · et momenti me · · d' ventare ancora più mant·c t . nzwnati tra t loro deve dires a, se essa vtene e l' . d' . , ., . sp Icitamente Istmta dall untta det momenti opposti (fut uro, trascendenza, accettazione).

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94 bb. Più difficile è la questione del perché la verità quale momento dell' autocomunicazione di Dio si collochi proprio dalla parte dei tre momenti sopra collegati. Perché la verità-conoscenza sta più originariamente dalla parte di questi tre momenti (origine, storia e offerta) piuttosto che dalla parte dei tre momenti opposti (futuro, trascendenza e accettazione)? Perché la 'verità' ha, per es., un'affinità più originaria13 con la storia che con l'amore? Per poter qui progredire oltre non possiamo semplicemente presupporre una nozione volgare della verità e della conoscenza (di provenienza greca). La1 verità non è in primo luogo l'esatta comprensione di un contenuto \ bensì innanzitutto il permettere alla propria natura personale di emergere, un atto questo con cui prendiamo posizione verso noi stessi senza infingimenti, con cui ci accettiamo e con cui permettiamo a questa natura percepita di emergere veracemente anche davanti agli altri. In questo far emergere la propria natura senza infingimenti c'è certo (in quanto atto) un momento volontario, ma esso è ancora un momento intrinseco della verità stessa. Questo vero e 'rivelante' far emergere la propria natura di fronte agli altri - quando include il libero atteggiamento verso gli altri - è ciò che si chiama 'fedeltà'. La verità è così innanzitutto la verità fatta, l'azione in cui ci si presenta con fermezza davanti a sé e agli altri, l'azione che è in attesa di come le si risponda. Muovendo da qui comprendiamo che il processo dell' autocomunicazione, in quanto essa si costituisce come origine, storia e offerta, si presenta come verità. L' autocomunicazione divina in quanto fa emergere e apparire la natura di Dio è per noi verità e questo far emergere avviene come offerta fedele, pone così un inizio e si rende definitivamente stabile nella concretezza della storia. E in senso inverso: dove l'autocomunicazione divina, in quanto principio e storia, è ancora data nel modus dell'offerta, lì essa è ancora nel modus della verità da presentare fedelmente e così

13 In questa problematica bisogna sempre tener presente che i due aspetti fondamentali dell'autocomunicazione divina si condizionano anche vicendevolmente a priori; si deve quindi poter sempre dimostrare che momenti di un modo fondamentale dell'autocomunicazione devono esser anche significati e determinanti per l'altro modo fondamentale. Questo spiega l'oscillare, apparentemente arbitrario, delle 'appropriazioni'. Qui si tratta dunque di ricercare l'associazione più on'ginaria di un tale momento (per es., della 'verità') a uno dei due modi fon damentali. 14 Anche se secondariamente ciò è giusto. Anche nel caso della conoscenza di una cosa la verità è presente solo nel giudizio. li giudizio però è l'atto che fa apparire la cosa conosciuta come una determinazione dell'ambiente o del mondo del soggetto stesso ed è così anche un momento parziale del processo in cui il soggetto fa apparire davanti a se stesso la sua propria natura (concreta) e fedelmen-

te l'accetta.

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anche solo storica e, come tale non è an era la accettazione, che è amore già penetrato nel destin ~ . questa autocomunicazione a ano e ~eco to e che produce amore. E bero nella decisione da p~~;rJe~~~~~c~v~e la risposta dell' am.ore liquesto scopo e quindi deve essere fedel , eve concede~e spazto per dele a se stessa, lasciare posto er le e a .s~ ~tess~ e, .nmanendo fedus della verità. p oggettlVIta, qumdt darsi nel macc. Non è facile vedere l'unz't.a' d e1. quattro mom 11· · fi trascen d. enza - accettazione - amore. Futuro e t en dopposti: uturo ra rel atlvamente facili d d rascen enza sono ancaa compren ere nell 1 -, servare che il futuro non dt'c l . , h a oro. umta. Basta solo os, b , . e so o cio c e sempli e, ensi, m quanto modalità dell' au . . cem~nte ancora non proprio in quanto egli com . tocomumcazwne di Dio, dice 'Dio' li' , umcato e accettato . d suo complemento e che per ., d , SI ona a uomo come .. czo esso eve disch' d m ere una trascendenza o addInttura contenerla m· , . se come mome t . stesso Sl dona come futuro n l n o suo propnot5. Dove Dio · d' . , asce a trascendenz d a, ch e m Ica msieme tanto la trascen d enza come rt una trascen enza ,le futuro assoluto (nel caso esso div . . ap~ ura per un possibinaturale' dello spirito) quant l enti didspombile) (trascendentalità · · . ' o a trascen enz ( come possibilità dell' accettazion d' f a costitUita per grazia) fattd6. e l un uturo assoluto che si offre di

L' autocomunicazione in quant .d tamente da Dio, deve c~m ortareol va cons_I erata co~ e voluta assolucettazione, se non deve d p . a propna accettaziOne, perché l'ac· · . epotenztare questa l d partecipaziOne al livello d I un a priori umano e così sop . stesso Dio che si comunica e ::~he: Ì~ libve ~ssere,consor_retta dallo quanto capacità e anche t'n erta dell accoglimento in quanto atto va pe t ' una v?lta, senza detrimento della ' d nsa _a cor_ne posta ancora creatnce di Dio L'autocom . . natudi~a ella hberta, dalla potenza · untcaztone vin a, qum · di, m · quanto impli15 Non e, qUI. necessario esaminare più , · la ~rfscendenza' come 'eventualità' [Zukf:ft~~~:7t);ell9ueste due possibilità. Si potrebbe intendere so uturo. In tal modo il sarebbe in conne e uomo, apertura, potenzialità dell'uomo verperve~ento del futuro reale che in quant . ~swnel con la trascendenza, ma direbbe di più· il ventualttà (né può semplicem~nte ~enir svilu o ~~vita asso uta, n_o~ è semplicemente identico con l.'e~~~~~?ra esJ~e?tC:: bensì, come futuro in a~~iv~ ~~si~~~~~~ f,e e semplicemente la realtà successiva 16 p plosste. e gta come non ancora dato ciò che d uom~ concreto della 'speranza', nella eve ancora vemre. . er a nozwne di 'futuro assoluto' cfr Paolme,Romal968119-134] ' • , .K.RAHNER,Schn/tenVI,77-88[trad · t't ., N UOVI·saggt.l,

futuro

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96 ca la volontà della sua accettazione, è la costituzione della trascendenza e del futuro [Zukun/tigkeit] e l'avvento del futuro assoluto, che porta con sé la propria accettazione. Più difficile è indagare in che misura l'autocomunicazione divina, in quanto essa costituisce così la trascendenza, il futuro e il futuro assoluto unitamente al suo accoglimento, è da caratterizzare come amore. Tuttavia: l'autocomunicazione, che si vuole assolutamente e si crea la sua possibilità di essere accolta e il proprio accoglimento, è ciò che vuole dire amore, il 'caso' specificamente divino (poiché crea il suo stesso accoglimento) dell'amore come autocomunicazione liberamente offerta e liberamente accolta della 'persona'.

G. Le due modalità fondamentali dell' autocomunicazione divina

L' autocomunicazione divina ha, quindi, due modalità fondamentali: autocomunicazione come verità e come amore. Ciò è, in apparenza, un risultato molto semplice delle riflessioni precedenti, ma, secondo queste, tale tesi implica che questa autocomunicazione, in quanto si attua come 'verità', avvenga nella storia; in quanto si attua come amore, significa l'apertura di questa storia nella trascendenza verso il futuro assoluto. Ciò però non è evidente. La storia in quanto concreta, nella quale appare l'irrevocabilità dell'autocomunicazione divina, e la trascendenza verso il futuro assoluto, essendo tra loro opposte, tengono separata nei loro modi l'unica autocomunicazione divina. In quanto però questa apparizione storica come verità è percepibile solo nell' orizzonte della trascendenza verso il futuro assoluto di Dio e in quanto questo futuro assoluto è promesso in maniera irrevocabile come amore per il fatto che questa promessa è ancorata nella storia concreta (del 'salvatore assoluto'), questi due modi dell'autocomunicazione divina né sono l'uno estraneo all'altro, né sono tra loro collegati puramente per decreto divino, bensì formano l'unica autocomunicazione divina che si dispiega come verità nella storia, nell'origine e nell'offerta e come amore nella trascendenza verso il futuro assoluto accettato. Se volessimo ridurre ad una formula breve queste due modalità fondamentali e a questo scopo ponessimo la 'storia' come rappresentante di una parte delle quattro coppie degli aspetti antitetici e dicessimo per l'altra parte 'spirito' (la scelta di questo termine tipico invece di uno dei quattro di questa parte è facilmente comprensibile), allora

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potremmo dire·: t au t ocomumcazzone · · d.zvzna . avviene in unità e d. t. . zzone nella stona .(1ella verità) e nello spirito (dell'amore). ts md fre due mo:~~ta fondame?tal~ si condizionano a vicenda, nascono _a a natura . e autocomumcaziOne (anche se uesta autoco .

ilton:;esta miStero quanto ~ possibilità erealtà) 'de! Dio senza:~:~-

st~~a ~d~::c:er~~~~prenstbile, e tuttavia non sono semplicemente l~

3. D pass~~gio dal concetto sistematico della Trinità 'ec . ' alla Trmttà 'immanente' onomtca

Tr!~~{~~~~~~~i~~~cJt~~~mente

nel miglior modo qui possibile la dell T . . , , ' . o tamo ora vedere se, attraverso il concetto _a. _rm~ta eco~·IOr~uca'' raggiungiamo effettivamente ciò h il trinitarie si dice del Padre Fi l" c Se e la Trinità 'immanente'. Nel 0 Iamo gta detto l essenziale · d 11' · p a dell'identità d 11 T · · , , a pro~os~to e assiOma fondamentale p , l . e a . nmta economica e della Trinità 'immanente' ' ero so ~ q,m possiamo porre la domanda se il concetto della Trinità ;~~ft~~~~:~~::e~ espo~t? co?s~nta non di postulare una qualsiasi . . .d l .' bensl rmphchi quella che viene espressa nelle diChlaraztom e mag1stero11. A~zitutt~, richi~mandoci al menzionato assioma fondamenta!

defm1z~om ~cclestasuche s~ raggm.~giamo q~indi

?~ c~pit~{~ erU::mt~,

b

;'t~~~'Jd~~~~:ri~~~~~:~~~(JdJ!:~o:~td~~~~:à:: ~~:r ~

stesso. ,tnmentl questa differenza, che indubbiamente esiste nerebbe l autocomunicazione di Dids. Poiché queste

s_e

modalità~ }:f~~

17 p er nspon . dere nel modo debito a questa domanda bi SI. osserverà più sotto circa l'idoneità e l bl . del sogna sempre tener presente anche ciò che ria. a pro ematica concetto di 'persona' nella dottrina trinita· 18 Questa non è per mùla una ' • · · . . . . nente'. Infatti, questa proposizion~;rv:Su:r~~~st:~o-razl~nahsttca dell'es!stenza della Trinità 'immamedlante la rivelazione e in quanto mistero In lg a ~ue:t autocomumcazlone m quanto testimoniata modalità dell'autocomunicazione divina si _o tre_eJI; stato messo in evidenza che lo schema delle comunicazione dello Spirito di Dio Tra s~l~ gJa atto sto~lco-nvelato dell'incarnazione e della steriori dei fatti casuali c'è una vi· .di una le uzwne apnonsttca e una percezione puramente a po' a mezzo: a conoscenza d Il 1' · me trascendentalmente necessaria perché ess d e a re~ ta espenmentata a posteriori coro dato di fatto, poco importa p~r quali m : . e~e _essere necessanamente e non può essere un puo VI SI nconosca questa necessità. Se questa necessità è

i

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ro distinzione o sono di Dio stesso (per quanto siano esperimentate innanzitutto partendo da noi) oppure riguardano solo noi, appartengono solo all'ambito della creatura come effetti dell'agire divino creatore. In questo secondo caso, però, esse sono mediazioni di Dio in quella differenza che esiste tra il creatore e la creatura tratta dal nulla e non possono per principio essere altra comunicazione di Dio che quella che appunto si verifica nella creazione, in cui l'altro creato contiene un rinvio trascendentale al Dio che rimane sempre al di là della detta differenza e in tal modo lo 'dà' e lo sottrae. Così però non avviene alcuna autocomunicazione e Dio non è direttamente presente, bensì è rappresentato dalla creatura e dal suo rinvio trascendentale. Ovviamente anche l'autentica autocomunicazione di Dio ha il suo effetto creato 19 (la realtà creaturale di Cristo e la grazia 'creata') e il rapporto tra l'autocomunicazione di Dio in quanto tale (ipostasi divina in quanto ipostaticamente unita; grazia in creata) e l'effetto creato può essere come sempre antologicamente definito in corrispondenza alle diverse teorie, che a questo proposito sono esposte nella cristologia e nella dottrina della grazia. Eppure questo elemento creato, se ci deve essere un'autentica autocomunicazione e non soltanto una creazione, non è in ogni caso mediatore nel senso di una rappresentanza, ma come conseguenza dell' autocomunicazione (e come presupposto che l'autocomunicazione si crea). L'autocomunicazione di Dio sperimentata da noi, in quanto concretamente sperimentata, può anche sempre implicare questo effetto e questa condizione creata. Se, però, questo effetto creato fosse l'autentica mediazione dell' autocomunicazione di Dio in sua rappresentanza e nella differenza tra creatore e creatura, allora non ci sarebbe più autocomunicazione. Dio sarebbe il 'donatore', non il dono stesso, egli 'si darebbe' soltanto in quanto comunicherebbe i doni distinti da lui. La differenza creata che viene sperimentata anche nell'autocomunicazione di Dio ('umanità di Cristo' e 'grazia creata'), non costituisce la differenza delle due modalità dell' autocomunicazione divina, bensì la fa apparire come loro conseguenza.

colta formalmente, è legittimo il tentativo di volerla comprendere il m eglio possibile alla luce della realtà conosciuta a posteriori. Questo genere di conoscenza di ciò che è 'necessario' è spesso adoperato, per es. , da Tommaso d'Aquino. 19 Tale effetto può anche essere indispensabile per la costituzione dell'autocomunicazione e per il suo concreto giungere fino a noi, come dimostrano la polemica medioevale contro la dottrina della grazia di Pietro Lombardo e la cristologia.

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4. La fondazione della Trinità 'economica' nella Trinità 'immanente'

Se ora, partendo di qui, tentiamo di esporre la Trinità 'economica' come 'immanente', cioè così come essa è in Dio, lasciando da parte la sua libera autocomunicazione, possiamo dire quanto segue20 . a) In Dio, così come egli è in se stesso, esiste una reale differenza tra l'unico e medesimo Dio, in quanto egli è insieme e necessariamente colui che non ha origine e che media sé a se stesso (Padre), colui che è espresso in verità per sé (Figlio) e colui che nell'amore è per se stesso accolto e accettato (Spirito), e in quanto perciò egli è colui che in libertà può autocomunicarsi ad extra21 • b) Questa reale distinzione è costituita da una doppia autocomunicazione del Padre; attraverso di essa il Padre, da una parte, comunica se stesso e, dall'altra parte (attraverso appunto questa autocomunicazione), precisamente in quanto esprimente e ricevente, pone la sua reale distinzione rispetto a colui che è espresso e accolto. Ciò che è comunicato [das Mitgeteilte] 22 , in quanto da un lato rende la comunicazione un'autentica autocomunicazione e, dall'altro lato, non toglie la distinzione reale tra Dio come comunicante e Dio come comunicato, può a ragione essere indicato come la divinità e quindi come l" essenza' di Dio. c) Il rapporto tra l'originario autocomunicatore e colui che è espresso e accoltd\ rapporto che implica una distinzione, deve essere compreso come 'realtà relativa' (relazionale). Ciò si arguisce semplice20

Qui astraiamo volutamente dall'uso esplicito del concetto di 'persona'. Questo per due motivi: anzitutto perché abbiamo presentato la Trinità 'economica' senza usarlo, di modo che il nostro assioma fon.damentale no~ dà m~tivo ~er usarlo già a questo punto; inoltre perché dovremo occuparci presto ID modo spec1f1co dell uso di questo concetto nella dottrina trinitaria. 21 Non si può trascurare la seguente concatenazione: se la Trinità in quanto 'immanente' è necessaria e se Dio è assolutamente 'semplice' e comunica in libertà se stesso concretamente nella Trinità 'economica' che è quella 'immanente', allora la Trinità 'immanente' è la condizione necessaria per la possibilità della libera autocomunicazione di Dio. 22 Si .~oti !'~so dell'espressione imperson~e [con l'articolo neutro in tedesco]. Possiamo distinguere tra c10 che e comwucato, ID quanto esso mclude la distinzione tra colui che esprime se stesso e colui che è espresso. In tal caso pensiamo al Figlio (L6gos). Ma possiamo anche pensare, antecedentemente a ciò, alla realtà comunicata come a ciò che fa della comunicazione un'autocomunicazione e in tal caso, pensiamo all'essenza. ' 23 . .

~~ realtà acc~!ta va nat~ralmente ~empre pensata (in corrispondenza alla natura peculiare della TriDtta economica ) come CIO che, nel! essere accolto e accettato con amore, è costituito come accoglibile e quindi come distinto. In questa proposizione, sotto c), è inteso colui che è espresso e colui che è accolto, vale a dire ciò che è comunicato [das Mitgeteilte] , in quanto esso sussiste distinto dal comunicante.

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mente dall'identità dell'essenza. Questa relazionalità non va considerata, in prima linea, come il mezzo per risolvere apparenti contraddizioni logiche nella dottrina trinitaria. Come mezzo del genere essa è adatta solo a precise condizioni. Infatti, nella misura in cui la relazione è intesa come la più irreale delle realtà, diminuisce anche la sua importanza per la comprensione di una Trinità che è la cosa più reale. Invece, la relazione è altrettanto assolutamente reale come altre determinazioni, e un"apologetica' della Trinità 'immanente' non può partire dal preconcetto che una morta identità di tipo assolutamente non mediato sia il modo più perfetto di essere di colui che esiste assolutamente, per poi tentare nuovamente di togliere di mezzo, con l'aiuto della spiegazione che la distinzione in Dio è 'solo' relativa, la difficoltà che essa si è creata con questo preconcetto (avendo posto in modo errato la 'semplicità' di Dio).

5. L'aporia del concetto di 'persona' nella dottrina trinitaria

Dobbiamo ora affrontare espressamente il problema dell'uso del concetto di persona nella dottrina trinitaria, anche se lo abbiamo toccato già in tutte le precedenti sezioni della dottrina trinitaria sistematica24. Si tratta di una questione di terminologia e di sostanza e di una questione che ha una propria importanza per la sistematica qui discussa. Quanto al problema terminologico la questione suona: il concetto di persona è adatto ad esprimere convenientemente la realtà intesa nel contesto della dottrina trinitaria? La questione oggettiva suona: che cosa s'intende propriamente con tale concetto in questo contesto? Per la sistematica finora esposta è importante la seguente domanda: siamo riusciti ad esprimere in essa l'affermazione che la dottrina del magistero fa mediante il concetto di persona? Queste questioni vanno discusse qui, senza preoccuparci di distinguerle nettamente fra di loro, dal momento che ciò non ha molta importanza.

24

Cfr. pp. 33s.47s.59s.74ss.

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A. Difficoltà terminologiche formali

Dobbiamo innanzitutto mettere in evidenza (ancora una volta) alcune difficoltà che nascono dall'uso del concetto di persona nella dottrina trinitaria. n semplice fatto che esso non ricorra fin dal principio nella dottrina trinitaria (né nel Nuovo Testamento, né nella prima patristica) non è ancora di per sé solo preoccupante. Esso però lascia trasparire la possibilità di una presa di posizione critica: in ogni caso un concetto di questo genere non è assolutamente costitutivo per la conoscenza di fede del Padre, Figlio e Spirito, come unico Dio. Tale fede può sussistere anche senza l'uso di questo concetto. Inoltre questo concetto ha (nella dottrina trinitaria) una natura quale altrimenti non si attribuisce a dei concetti (ad eccezione forse di quello di 'individualità' o di 'distinzione') 25 : esso tenta ancora una volta di generalizzare ciò che è assolutamente unico. Quando si dice: «in Dio ci sono tre Persone», «Dio sussiste in tre Persone», allora si generalizza e si addiziona ciò che propriamente non si può addizionare26 , perché ciò che solo è veramente comune del Padre, Figlio e Spirito è l'unica e singola divinità e non esiste un punto di vista veramente superiore sotto al quale i tre in quanto Padre, Figlio e Spirito possono venire addizionati. Quando l'individualità e la distinzione esistono in attualizzazioni essenziali numericamente molteplici, è possibile addizionarne diverse senza speciali difficoltà, anche se esse sono denominate con un concetto distintivo (per es., tre 'individui'), ma qui non ne è precisamente il caso. Inoltre, 'persona' in quanto concetto concreto, a differenza di personalitas (subsistentia, subsistentialitas), non designa formalmente la distinzione come tale, bensì coloro che sono distinti e fa questo anche quando bisogna sì parlare di tre Persone, ma non è possibile pensare coloro che sono distinti come moltiplicati anche nel-

25 Quello che ora segue è ovviamente un tema noto e molto discusso nella dottrina trinitaria classica. Cfr., per es., TOMMASO, S. th. I, q. 30, aa. 3 e 4. Noi consideriamo il concetto di persona di Tommaso come quello ancora più idoneo per la dottrina trinitaria (rispetto a Boezio, Riccardo da san Vittore): subsistens distinctum in natura rationali. Per altri concetti di persona cfr. gli studi citati nella bibliofrafia. 2 Ovviamente si può affermare che qui si tratta di 'numeri trascendentali' che non comportano nessuna quantità (cfr. B. LONERGAN, De Deo Trino, cit., II, 166). Con ciò però appunto si ammette che qui non si addiziona nulla, bensì la 'triplicità' consiste nel fatto che noi possiamo, e dobbiamo, predicare Dio tre volte, cioè a proposito del Padre, del Figlio e dello Spirito.

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la loro 'essenza', come invece altrimenti avviene ed è oggettivamente e terminologicamente ovvio in un simile caso ('tre individui'). Già di qui risulta chiaro che, a proposito di Dio, ~on pos~iamo parlare di tre Persone nella maniera usuale e virulenta nmane d1 contmuo la difficoltà kerygmatica per il fatto che (a causa del linguaggio corrente) ci dimentichiamo continuamente che l'espressione: 'tre Persone', non indica né una moltiplicazione numerica dell'essenza, né un"uguaglianza' della personalità delle tre Persone. 27 Se si dice che Persona in Dio designa l' individuum vagum , si è così trovato solo un concetto che indica la difficoltà ma non la risolve, la difficoltà cioè che si adotta un uso linguistico che non ha riscontro altrove. Infatti, se si parla di 'tre' persone nell'ambito creaturale (e filosofico) (e non si corregge immediatamente tale linguaggio muovendo dalla dottrina trinitaria) con 'persona' si pensa in recto anche la natura ratz'onalis, che di fatto in tale ambito è similmente moltiplicata, perché nel nostro ambito non sperimentiamo alcun caso in cui il subsistens distinctum possa essere pensato come moltiplicato senza moltiplicazi?n.e della natura. Ovviamente si deve anche ammettere che questa difficoltà esiste per tutte le affermazioni nozionali riguardo alla Trinità quando esse operano con i numeri (due processioni, ec.c.). . . In ogni caso se vogliamo comprendere nel modo gms~o il d1scorso delle tre Persone- contro il linguaggio corrente- dobb1amo sempre risalire all'esperienza originaria della storia della salvezza: noi facciamo l'esperienza dello Spirito e precisamente come Dio (che è uno solo), del Figlio e precisamente come Dio, del Padre e precisamente come Dio. La generalizzazione: «sperimentiamo tre Persone», è successiva, è (perlomeno in primo luogo) una spiegazione lo~ica (no~ ~ma nuova conoscenza supplementare rispetto a questa espenenza ongmaria), che serve solo ad allontanare il pericolo di un fraintendimento modalistico di questa esperienza originaria.

27 TOMMASO n'AQUINO, S.

tb. l , q. 30, a. 4; B. LONERGAN, op.cit., Il, 165s.

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B. Regolazione magisteriale dell'uso del concetto di 'persona' e storia autonoma moderna del concetto nella comprensione della persona La difficoltà maggiore del concetto di persona nella dottrina trinitaria è però un'altra, già toccata più volte: quando noi oggi usiamo il termine persona al plurale, pensiamo quasi necessariamente, a motivo dell'odierna percezione del termine28 , a più centri spirituali di atti, a più soggettività e libertà spirituali. In Dio però non ci sono tre centri del genere sia perché in Dio c'è una sola essenza e dunque un solo essere presso se stesso, sia anche perché c'è una sola autoespressione del Padre, cioè il L6gos (che non è colui che parla, bensì colui che viene detto), e perché non c'è propriamente un amore reciproco tra Padre e Figlio (che presuppone due atti), bensì un autoaccoglimento amante e fondante la distinzione del Padre (e del Figlio a causa della tdxis della conoscenza e dell'amore). Ciò che noi in Dio chiamiamo le 'tre Persone', in Dio ovviamente è una cosa conscia; in Dio c'è la conoscenza circa queste tre Persone (quindi in ciascuna Persona circa se stessa e circa le altre due Persone), la conoscenza circa la Trinità tanto come coscienza quanto come oggetto della conoscenza (esser conosciuto)29 • Eppure non ci sono tre coscienze, bensì l'unica coscienza sussiste in triplice modo; in Dio c'è una sola coscienza reale, posseduta dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito, in maniera propria a ciascuno. La triplice sussistenza dunque non è qualificata da tre coscienze. La 'sussi28 Più avanti dovremo ancora parlare dell'importanza teologica di questo fatto, cfr. pp. llOss. e no· ta29. 29 In Dio ogni conoscenza è originaria, cioè non è una conoscenza ricettiva, ed (essenzialmente) non vige alcuna differenza tra il soggetto conscio di sé e l'oggetto conosciuto del sapere (così il Padre si esprime perché egli conoscendo è senza differenza presso di sé, è 'conscio' di sé, non per conoscer· si). Di conseguenza non possiamo introdurre in Dio la distinzione umana tra coscienza e essere cono· sciuto (tra presenza del soggetto a se stesso nella conoscenza e rappresentazione oggettivante di un oggetto). Ciò non significa però che i 'tre soggetti' in Dio abbiano tre coscienze distinte, attraverso le quali essi siano originariamente consapevoli presso se stessi. Possiamo certo affermare che ciascuna delle Persone divine è conscia delle altre due (e non le ha semplicemente come 'oggetti' della cono· scenza), ma ciò deriva da un lato dall'identità dell'essenza divina (e quindi anche dalla conseguente assoluta presenza a se stessa di quest'essenza) nel Padre, Figlio e Spirito e, dall'altro lato, dal fatto che ogni actus notionalis (identico all'essenza divina) in quanto conscio (e relativo) rende insieme conscio ogni altro. In breve: «et ideo relinquitur quod tria subiecta sunt invicem conscia per unam con· scientiam quae a/iter et aliter a tribus habetur [si deve dire quindi che i tre soggetti sono mutuamente consci per un'unica coscienza che ciascuno dei tre a suo modo possiede)» (B. LONERGAN, op. cit., II, 193).

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stenza' dunque non è come tale 'personale', se per 'personale' s'intende ciò che ci è usuale muovendo dalla nozione moderna di persona. La 'distinzione' delle Persone non è costituita da una distinzione di soggettività di coscienti, né la include. Questa distinzione è conscia, ma essa non è conscia in virtù di tre soggettività, bensì è la consapevolezza di questa distinzione in un'unica coscienza reale30 • Questa difficoltà non viene superata per il fatto che il concetto di persona viene definito in modo che esso, applicato a Dio, non includa questa distinta personalità. 'Persona' deve appunto aiutarci a comprendere ciò che qui s'intende, non deve invece esser modificata muovendo dall'oggetto pensato, anche se un certo reciproco influsso tra il concetto applicato 'dall'esterno' all'oggetto - per definirlo - e l'oggetto pensato è inevitabile. In pratica, però, un tale concetto non sta semplicemente in potere della chiesa; esso ha una storia, che non è diretta in modo autonomo e autarchico solo dalla chiesa. La descrizione ad opera del magistero e della teologia di un concetto non sottrae di fatto - cioè per l'intelligenza degli uomini concreti, il cui orizzonte intellettuale e il cui strumentario concettuale non è autarchicamente 'ecclesiastico' - tale concetto alla sua storia e alla sua evoluzione. La chiesa e la sua proclamazione magisteriale sono quindi sempre di fronte a un nuovo compito, perché l'idoneità d'un concetto per comprendere un contenuto può mutare, senza che la chiesa, che deve parlare a uomini concreti nel modo più facilmente comprensibile, possa impedirlo. Ciò vale anche per il concetto di persona. Mentre una volta 'persona' in recto esprimeva solo la sussistenza distinta e indicava insieme solo in obliquo la natura rationalis (secondo il modo casale greco di pensare), con la 'svolta antropocentrica' dell'evo moderno nel concetto profano di persona l'aspetto 31 spirituale soggettivo è diventato quello che è pensato in rect0 - La chiesa si trova quindi di fronte a una situazione che non è esistita sempre. D'altra parte è evidente che una regolazione teologica dellinguag30 Quest'unica coscienza formerebbe un'unica singola persona (assoluta) solo per chi, ancora una volta, volesse supporre in tutta la questione il concetto moderno di persona e quindi confondere l'intero problema. 31 Ovviamente questo cambiamento cominciò a farsi strada già prima. Già nella disputa sul monotelismo non sarebbe stato possibile chiedersi come mai siano possibili due enérgheiai (dunque due 'centri di attività' di tipo conscio) in un'unica persona, se il concetto di persona non avesse già avuto quella tendenza che nell'evo moderno ha condotto alla sua nuova interpretazione riflessa. Qui _Però non possiamo addentrarci in questo problema estremamente difficile, stancamente non ancora mdagato in maniera sufficiente e più che mai intricato (neoplatonismo come forma tardiva della filosofia classica; cristianesimo-[neo]platonismo).

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gio, necessaria in una chiesa quale comunità di una medesima confessione sociale e cultuale, non può essere intrapresa a piacere da un sin-_ gola teologo. Al singolo teologo, dunque, non resta al presente nient'altro che usare anche il concetto di persona nella dottrina sulla Trinità e difenderlo con tutte le forze dai fraintendimenti di cui oggi è fortemente minacciato. Infatti, se il magistero gli vieta di abolire di propria autorità tali concetti, lo obbliga in pari tempo a spiegarli. Ciò, però, egli lo può fare solo se usa altre parole al posto dei concetti del magistero da spiegare, ma se questa spiegazione è per principio legittima, anzi necessaria e se nel caso concreto viene fatta nel modo giusto, allora non può in linea di principio essere cosa ingiustificata che essa si concretizzi e si condensi in un altro concetto determinato. Un tale concetto chiarificatore non autorizza l'abolizione del concetto spiegato, ma autorizza solo a fare di esso uso per spiegare quest'ultimo.

C. La possibilità di altri modi teologici di esprimersi Solo così arriviamo al vero problema di questo capitolo. Quale potrebbe essere un tale concetto capace di spiegare il concetto di persona, che va chiarito e interpretato rettamente? Rende esso esattamente e pienamente il concetto da spiegare? Per rispondere a queste domande riassumendo le riflessioni fatte in questi tre capitoli, dobbiamo partire (ancora una volta) dal nostro assioma fondamentale. L'unica autocomunicazione dell'unico Dio si attua in tre diversi modi di presenza nei quali l'unico e medesimo Dio ci è dato concretamente in se stesso (e non per rappresentanza attraverso un'altra realtà grazie al di lei riferimento trascendentale a Dio). Dio è il Dio concreto in ciascuno di questi modi di presenza, che sono ovviamente correlati tra di loro senza coincidere modalisticamente. Se traduciamo ciò che abbiamo detto in termini di Trinità 'immanente', possiamo dire: l'unico Dio sussiste in tre distinti modi di sussistenza. 'Distinti modi di sussistenza' sarebbe allora il concetto chiarificatore non già per quello di persona, che indica ciò che sussiste distintamente, ma per quello di personalitas, che rende la concreta realtà di Dio, la quale ci viene incontro in modi diversi, precisamente costui che ci viene incontro così, tenuto conto che questo venir-incontro-così va sempre pensato come proprio di Dio in sé e per sé. La singola 'Persona' (in Dio) sarebbe allora Dio in quanto colui che esi-

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ste e ci viene incontro in quanto determinato distinto modo di sussistenza. L'espressione 'distinto modo di sussistenza' va spiegata ancora un po' più esattamente. Noi la riteniamo migliore, meno insidiosa e più vicina all'uso tradizionale ecclesiastico-teologico dell'espressione proposta da KARL BARTH:
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