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“Quando ero matricola io...”
Breve compendio di consuetudini, concetti, metodi e atteggiamenti della Goliardia italiana (per un gioco consapevole dei baldi giovani Attivi e la nostalgia dei Vecchiacci come il sottoscritto)
Scritto da Seneca il Logorroico
Ai “Litocordi Errabondi” come me
Quest'opera è scaricabile gratuitamente da Internet. Purché non si agisca a scopo di lucro può essere copiata, stampata e riprodotta, in tutto o in parte, citandone l'autore e la fonte. Qualunque modifica dev'essere autorizzata dall'autore: © Emiliano Brotto, in Goliardia “Seneca il Logorroico” (
[email protected]) Il presente testo è stato registrato su Patamu (www.patamu.com), in data 09 settembre 2015 con numero di licenza 23734. Illustrazione di copertina di Cana (www.mondocana.com), © dell'autore
Editing by Studio Metropolis /A.C.C.A. Edizioni - Padova
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INDICE PREFAZIONE (a cura dell'autore) .................................................. 4 BERE ........................................................................................... 8 BOLLE........................................................................................ 10 BOLLI ......................................................................................... 15 BURLE e MACCHIETTE .............................................................. 17 CANTI ......................................................................................... 20 CARICHE e GERARCHIA............................................................. 22 CENE e FESTE ........................................................................... 27 DISCUSSIONE ............................................................................ 29 DIVINITÀ (con un intervento di Paola “Vipera” Vallini) ................... 34 FEDE e CUSTODIA ..................................................................... 38 FELUCA .................................................................................... 39 FRONDA ..................................................................................... 43 GEMELLAGGIO .......................................................................... 45 GUERRA..................................................................................... 46 ORDINI e SOVRANITÀ................................................................. 48 OSPITI ........................................................................................ 53 PRESENTAZIONE ....................................................................... 54 PROCESSO................................................................................. 55 QUESTUA ................................................................................... 58 RAPIMENTO ............................................................................... 60 RES GOLIARDICHE .................................................................... 63 RIUNIONE .................................................................................. 65 SCAZZO ..................................................................................... 67 UCCELLAGIONE......................................................................... 70 VIOLENZA e VILIPENDIO ............................................................ 72 POSTFAZIONE (di Umberto “Kociss” Volpini) ................................ 74 EPILOGO (inevitabile e necessario).............................................. 76 E PER RIFLETTERE ecco le parole di un grande Goliarda ........... 79 RINGRAZIAMENTI ...................................................................... 81
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PREFAZIONE (a cura dell'autore) “Quando ero matricola io...”: una delle frasi più ricorrenti nella vita di chiunque abbia fatto Goliardia. Non esiste Piazza, “bar” o riunione dove qualche Vecchio non lamenti il mala tempora currunt alla vista dell'andazzo, del modo di giocare e di porsi, degli odierni Goliardi. La scena è sempre la stessa, e si ripete ovunque con medesime modalità e identici protagonisti: un Attivo e un Vecchio. Il primo ha dipinti sul volto sbigottimento, sopportazione, noia. Il secondo è in piena fregola, sovraeccitato da foga comunicativa e abuso di alcolici. Uno, armato di certosina pazienza, ascolta svogliato. L'altro snocciola un pippotto di due ore, su come vanno o non vanno fatte le cose in Goliardia, e il suo discorsone comincia sempre con il paradigmatico incipit: “quando ero matricola io...”. Terminato lo sproloquio il risultato poi è pressoché sempre lo stesso. Il Vecchio se ne va soddisfatto, convinto di aver fatto il suo dovere, di “quello che insegna ai giovani”. L'Attivo dopo aver dato ragione al suo interlocutore, nella vana speranza che questi la finisca al più presto di rompergli i coglioni, se ne rimane a valutare che quelle due ore le poteva impiegare meglio. Tipo divertirsi, bere, scopare, ecc., invece che farsi macinare a polpa fine il contenuto della sacca scrotale dal pontificatore di turno. Messa così sembra un incontro tra uno scarabeo stercorario e una mosca. Per quanto il primo provi a convincere la seconda che, se fai la pallina, la merda te la puoi portare comodamente in giro, la mosca rimane fissa nella sua convinzione che posarcisi sopra è la cosa migliore che ci sia. L'Attivo e il Vecchio: entrambi convinti di conoscere come funzioni la Goliardia, ambedue persuasi di farla nel modo giusto. Eppure la Goliardia dovrebbe essere la stessa per tutti, da sempre. Allora chi ha ragione? Chi la fa bene e chi no? È il vecchio ad essere incapace di adeguarsi alla Goliardia degli Attivi, o sono gli Attivi a soffrire una conoscenza lacunosa del gioco e delle tradizioni? Il modo di fare Goliardia è cambiato, ma era prevedibile: altre persone, altri tempi, altri mezzi, altre mode. È l'eterno panta rei a cui nemmeno la Goliardia, nonostante la sua apparente staticità basata sul reiterarsi delle sue tradizioni, può sottrarsi. Soprattutto sono cambiati i canali di comunicazione. La rivoluzione internet ha creato la cosiddetta “Goliardia 2.0”. Espressione orribile, ma che identifica un fenomeno realmente esistente, con tutti i pro e i contro del caso. I Goliardi oggi, senza corroborarsi con un buon litro di rosso da spartire, discutono a mezzo facebook, e gli inviti alle riunioni si mandano per whatsapp o con telegram, non dopo la terribile telefonata al fisso di casa. Dove una madre ignara e contraria a quei perditempo passava la cornetta al figlio, convinta che questi uscisse l'indomani per preparare assieme a te l'esame di istituzioni di diritto privato. Salvo poi rivederlo a casa all'alba, sbronzo marcio, con la feluca mal nascosta dentro il giubbotto. Fossero solo i mezzi di comunicazione che cambiano, non me ne fotterebbe una sega. Io sono terrorizzato dal cambio di atteggiamento nel giocare dei Goliar4
di. Un caso esemplare mi è successo proprio qualche mese fa: incrocio una Sorellina che, in perfetta buona fede e con profonda convinzione, mi racconta che in Goliardia non si dicono mai le parole “scusa” e “grazie”. Al posto di “scusa”, a suo dire, è lecito usare solo la locuzione “chiedo venia”. Cioè non si può chiedere scusa, ma farlo con un sinonimo desueto e ricercato va bene. Che per tradurla in fine metafora sarebbe come se io, non potendo dire a uno “vai a fartelo buttare in culo da un rinoceronte nero incazzato”, fossi però autorizzato a dirgli “la invito a farsi fare un approfondito esame prostatico, pregandola di usare a tale scopo il corpo cavernoso di un appartenente alla specie dei diceros bicornis, però le raccomando di infastidire adeguatamente il mammifero, al fine di ottenere quel risultato ottimale che vivamente le auguro”. Ma che cagata è?! Se camminando in piazza tiro per distrazione un pestone ad un Fratello, visto che stimo di essere una persona educata, il minimo è chiedergli scusa. Anche quando ero matricola io mi si diceva che un Goliarda non deve chiedere mai scusa, ma il senso non era letterale, e questo monito intendeva ben altro. Indicava il fatto che un buon Goliarda, messo alle strette per uno scazzo, se la doveva cavare pagando il giusto, oppure discutendo per ottenere ragione. Senza mai doversi umiliare a dire “ti chiedo scusa, ho sbagliato, sono una fava lessa”. Circa il grazie poi, non ho proprio capito le ragioni per cui non si può usare tale lemma. Vorrà dire che la prossima volta che qualche Fratello per munificenza mi offrirà da bere, anziché ringraziarlo, provvederò a mandarlo a farselo buttare nel posto di cui sopra dall'animale succitato. Evidentemente oggi va di moda così. Pur comprendendo l'inevitabile scoglionamento che gli Attivi provano di fronte ai Vecchi e al loro “quando ero matricola io...”, mi vedo costretto, un po' per età, un po' per spirito di classe, un po' perché mi dispiace che certe tradizioni si perdano, a tener bordone ai miei colleghi “geriatrici” e alle loro lamentele. Però, siccome lagnarsi e basta è stupido, oltre che inutile, ho deciso di stilare questo breve compendio di consuetudini goliardiche. Non tanto per insegnare un freddo e sterile insieme di regole, piuttosto per far riflettere, chi avrà voglia di leggermi, sui principi che stanno alla base di queste consuetudini. Detto in soldoni: quello che mi propongo di fare non è stilare una fredda lista di dogmi goliardici, ma chi proseguirà nella lettura si troverà davanti al tentativo di raccontare quel modo di ragionare e di comportarsi che fu la base comune dei Goliardi della mia generazione. Alla fine quello che interessa, a Noi del “comparto geriatria”, non è certo che gli Attivi sappiano tutte le nozioni minuziose e l'universo di regolette che riguardano il Nostro gioco. A Noi preme che quei valori di condivisione, libertà, ironia ed autoironia, fratellanza, rispetto, buon senso e spirito critico, non vadano perduti, ma siano sempre il pilastro fondante su cui poggia qualunque attività goliardica. Altra rapida considerazione da fare è che un buon Goliarda non si limita a ripetere meccanicamente una serie di operazioni formali, solo perché questa è la prassi comune e “se non faccio così mi chiamano scazzo”. Un vero Goliarda è un curioso che usa sempre la testa, sviluppando un modo personale di riflettere sulle cose che fa, avvalendosi anche dei percorsi logici che il suo Ordine di appartenenza ha prodotto in decenni di attività goliardica. 5
Per cui quello che spero vi rimanga, dopo la lettura del presente compendio, sia, più che la conoscenza delle consuetudini e degli usi che normano il gioco, il gusto di esaminare le cause da cui scaturiscono queste regole. Per alcune di esse verrà data una risposta o un suggerimento, per altre invece sarà compito del lettore – della sua esperienza e della sua fantasia – trovare la giusta motivazione su cui si basano. Vedrete che, alla fine della fiera, questa miriade di precetti e di prassi si fondano tutte sull'educazione e sulla signorilità. Altro non sono se non lo spirito nobile e il comportamento distinto del galantuomo, tradotto dal vivere quotidiano al gioco di Nostra Santa Madre Goliardia. Seneca il Logorroico Padova, agosto del 793 a B. c. (anno 2015 secundum caledarium philistaeorum) Post scriptum: La Goliardia è un fenomeno poliedrico e variegato, e sono pochissime le consuetudini perfettamente uguali in tutte le Piazze e applicate con la medesima prassi. Sono identici i valori che stanno alla base di queste norme, ma ogni realtà li esprime nel proprio modo e con i propri costumi. Mi sono trovato quindi costretto a riempire il testo di termini quali “solitamente”, “di massima”, “talvolta”, “alcuni”, “la maggior parte”, ecc., proprio per evitare di dare un taglio troppo dogmatico alle mie affermazioni. Ho dovuto scrivere mettendo il più possibile le “mani avanti”, insomma. Spero di averlo fatto sempre quando era necessario, senza dare nulla per scontato o assoluto, ma potrebbe essermi sfuggito qualcosa. In quei casi non me ne vogliate male: da un lato la materia trattata è vastissima e le tradizioni cittadine sono tante, dall'altro io sono cresciuto goliardicamente con gli usi del Vespertilio (il mio Ordine di nascita) e di Padova (la mia Piazza di appartenenza), e non è facile staccarsi completamente dalle proprie abitudini locali per proporre una visione globale del gioco. In alcuni punti del testo ho sentito il bisogno di esprimere la mia opinione, talvolta in contrasto con quella comune o con le stesse consuetudini goliardiche. Ovviamente siete liberi di condividerla o meno. Anche in questi casi spero di essere stato chiaro nell'evidenziare che non si trattava di regola generale, ma di considerazioni personali suggerite dalla mia storia individuale di Goliarda. Ho cercato di scrivere per tutti: da chi è stato processato 50 e passa anni fa, alle matricolacce pisciate in Goliardia l'altro ieri. Naturalmente con più attenzione verso queste ultime, per cui troverete delle spiegazioni dettagliate di cose magari evidenti e notissime. Ho preferito non dare nulla per scontato, rischiando di essere eccessivo e metterci del superfluo, piuttosto che dare adito a fraintendimenti o confusioni per chi dispone di poca esperienza goliardica. Data l'ovvia difficoltà di dare una scala di importanza ai temi trattati ho deciso di seguire un ordine meramente alfabetico. Tra le varie parti del testo troverete dei rimandi, sono risultati inevitabili per avere un quadro il più possibile lucido e organico. Ultima nota, termini e locuzioni latine sono volutamente NON tradotti!!! Tutti i goliardi dovrebbero comunque conoscerli! 6
Post post-scriptum: Dovrei parlarvi soprattutto di quello che è l'aspetto più rappresentativo dei Goliardi: quella (falsamente) ingenua incoscienza nel fare cose pazze e fuori dagli schemi, perché l'ispirazione del momento ha dettato così, o semplicemente perché non avevi al momento una risposta sensata al “perché non farlo?”. Potrei raccontarvi del Capo Città che ha trascorso i tre giorni di feriae a Bologna a parlare con tutti esclusivamente in latino, persino coi baristi che annaspavano nel tentativo di trasformare cervisiam in birra. O di quello che passeggiava con i pantaloni slacciati, così che ogni dieci metri gli scivolavano alle caviglie, e ad ogni “sbracata” fingeva vergogna e innocente pudore coi passanti. O ancora di quell'altro che, terminata una caraffa di bianco, se la infilava sotto al manto per ricreare “magicamente” il contenuto, per poi posarla su un tavolo in attesa che qualche fortunato se ne appropriasse. O del tale che, andando direttamente al sodo, abbordava perfette sconosciute con la domanda “limoniamo?”, e alla loro ritrosia si sfilava un limone da sotto il mantello, glielo infilava in bocca, e si pomiciava l'agrume. Potrei narrarvi del bravo cantore che suona per ore in compagnia, ma anche del Goliarda che continua a suonare da solo la sua chitarra, alle tre di mattina, sussurrando canzoni a una piazza vuota. O di un intero Ordine che, come bambini a cui è volato via il palloncino, ascoltarono l'abdicazione del loro Capo con gli occhi lucidi e le guance rigate di lacrime. O del tale che, fuori dal funerale di un Fratello, per comportarsi come avrebbe fatto lo scomparso, alla domanda di un'ignara vecchietta incuriosita dai mantelli se si trattasse della festa delle matricole, col cuore gonfio di dolore rispose di si, inventando una serie di palle allucinanti sul motivo per cui ci si trovava in chiesa col carro funebre, anziché in piazza con i banchetti. O di quello che, fra andata e ritorno, si è fatto più di 1500 chilometri di viaggio solo per trascorrere un sabato in compagnia. Come potrei parlarvi di quel Capo Ordine, fuggito dietro un angolo a sfogarsi tirando pugni a un muro, incazzato perché un caro amico, di cui aveva profonda stima, infilava una serie di figure di merda, non sapendo gestire la sbronza. O del Goliarda, visto tre volte, che mi consegna le chiavi di casa dicendomi “stai quanto vuoi, io per una settimana sarò via”. O di quello che, dopo una canzone nonsense improvvisata lì per lì, la concluse degnamente sfasciandosi la chitarra in testa. O dello squattrinato che scroccava alcol e sigarette a tutti, ma appena aveva due soldi nel portafoglio li dilapidava offrendo anche agli sconosciuti. Mi ci vorrebbe un intero testo dedicato all'argomento per provare ad illustrare questa vis goliardica che da sempre ci compete, ma sarebbe solo una lista di episodi e di esempi. Non riuscirei a spiegare la filosofia che sta alla base di queste cose. Sono atteggiamenti e inclinazioni, questi, che se già ti appartengono allora li comprendi senza tanti chiarimenti, ma se ti mancano non li capiresti nemmeno con un enciclopedia tematica scritta apposta. Tutte queste cose sono Goliardia, ma nessuna singolarmente è la Goliardia. Se riuscite a coglierne lo spirito, e a sentirlo parte di voi, allora potete proseguire con la lettura di questo compendio: significa che il dipinto, o quanto meno i colori e la tela per farlo, già ce li avete. Le regole e le consuetudini, di cui vi parlerò nei capitoli seguenti, sono solo la bella cornice da metterci attorno.
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BERE Se c'è una cosa imprescindibile dall'ambiente goliardico è Bacco. Vino, birra, amari, grappe e alcolici in genere si consumano a fiumi. Come per tutte le cose il buon senso vuole che non si ecceda. Del resto se ti sei sbronzato come una merda, e finisci a dormire accasciato in qualche tavolino di bar, non puoi avertene a male se gli altri ti appendono cartelli con scritto:“game over”, “torno subito” o “sono momentaneamente assente, lasciate un messaggio dopo il segnale acustico”. Questo se ti va bene, perché è più probabile che tu finisca spogliato dalle insegne, e fotografato con una mandorla di cazzi a farti corona attorno alla testa. Sempre che tu ti spenga, perché se rimani sveglio da ubriaco marcio può essere peggio: l'unico soggetto più molesto di un Goliarda è un Goliarda sbronzo. Di solito quelli troppo fastidiosi finiscono col portarsi a casa almeno un paio di manate in faccia da parte dei molestati. Per cui è bene imparare fin da matricole a gestirsi la sbronza: bere si, ma mantenendo a prescindere un adeguato livello di lucidità. In Goliardia essere troppo inebriati da Bacco non è un'attenuate per le eventuali cazzate che si fanno. L'ubriaco è come l'antilope più lenta del branco, e ogni Goliarda lesto a fiutare la preda facile è nel pieno diritto di profittarne. Dall'uccellagione di effetti ed insegne, al rapimento, al fargli pagare una fila infinita di scazzi o presunti tali. Per quanto ci sia della pochezza goliardica nello sfruttare l'ubriachezza altrui, rimane il fatto che da un punto di vista formale, gli scazzi fatti da sbronzo valgono, e vanno pagati, quanto quelli fatti da sobrio. Per cui, quando non si è nell'ambiente “sicuro” della propria riunione, è consigliabile che il Goliarda sia sempre accompagnato da altri membri del suo Ordine. Soprattutto quando si immagina di bere più del dovuto, è meglio avere qualcuno che, in caso di blackout alcolico, recuperi la salma prima del patatrac. In special modo le matricole e i popolani, che ancora devono farsi le ossa circa il loro rapporto con Bacco, sarà bene che abbiano almeno un Manto che li accompagni alle Piazze estere o presso altri Ordini. Parimenti è un Goliarda del cazzo quello che, sempre e comunque, rifiuta Bacco, magari accampando la scusa che tanto ha qualcuno che gli fa da stomaco. Intanto complimenti! Essere astemi e fare Goliardia è come essere monchi e suonare i capricci di Paganini. Poi non esiste che, se stiamo parlando io e te, ti permetti di introdurre anche la sola presenza di un terzo (“lo stomaco”) alla nostra discussione senza il mio consenso. A servire da bere, salvo particolari eccezioni, deve sempre essere il minor presente nel consesso. Egli verserà Bacco, e/o porgerà i bicchieri pieni, seguendo la regola generale di qualunque attività goliardica: il rispetto per il R.O.G., ovvero il Rigido Ordine Goliardico (vedi BOLLI e CARICHE e GERARCHIA). Anche per l'ordine di bevuta va strettamente seguito il R.O.G., con l'eccezione che chi offre Bacco ha diritto/dovere di bere per primo. Talora è successo che, nonostante pagassi io, abbia rinunciato ad avvalermi di questo diritto per rispetto alla Dignità di carica del mio interlocutore, o perché semplicemente avevo 8
apprezzato talmente il suo modo di discutere e giocare, che mi è sembrato giusto concedere a lui l'onore del primo sorso. Altro diritto di chi paga da bere, o del Maior carica presente, è chiamare l'usque ad fundum. In questo caso tutti i Goliardi che stanno condividendo il Bacco offerto sono tenuti a finire il loro bicchiere “alla russa” (i.e. in un sorso!). Terminato, chiunque può chiedere di controllare che l'usque sia stato effettivamente ad fundum. Quindi i bevitori capovolgeranno il proprio bicchiere e non dovranno cadere più di tre gocce, pena il pagamento di un altro giro da parte di coloro che non hanno superato la prova. Se tutti superano la verifica sarà il diffidente che ha chiamato il controllo dei bicchieri a pagare altro Bacco al consesso. Ricordatevi che quando si chiama l'usque ad fundum non ci si deve mai limitarsi a dire “usque”, altrimenti potrebbe essere inteso come usque ad libitum. Inoltre è nei diritti di chi offre Bacco, o del Maior carica presente, proporre un brindisi di suo gradimento. Per quelli particolarmente evocativi e importanti la consuetudine vuole che siano fatti usque ad fundum, ad esempio se si sta ricordando un Fratello scomparso. Quando si brinda l'altezza dei bicchieri, toccandosi fra loro, deve strettamente seguire il R.O.G. Il Maior carica presente avrà il bicchiere più in alto rispetto ai vari minores, che terranno il loro bicchiere più in basso a scalare secondo la loro carica goliardica. Non ci si regola riferendosi all'altezza dell'intero bicchiere, ma al livello del Bacco in esso presente. Un altro diritto fondamentale inerente a Bacco è la consuetudine per cui chi non consuma non è tenuto a pagare. Non c'è cosa più becera di vedere qualche Goliarda del cazzo che, con la scusa di uno scazzo, scrocca una bottiglia a una matricola e sa la beve da solo lasciando il tapino a bocca asciutta. Oltre ad essere un comportamento da sfigati è chiaramente vietato dagli usi di N.S.M. Il buon senso e una sana educazione goliardica vorrebbero, inoltre, che l'alcolico pagato debba essere consumato tutto, soprattutto quando offerto per uno scazzo. Dovrà essere sempre finito dai Goliardi implicati nel gioco: il pagatore e il fustigatore in primis, dagli altri coinvolti se ci sono. Lasciare bicchieri e bottiglie a metà è una sgradevole mancanza di rispetto verso Bacco medesimo, e verso chi l'ha pagato. Così come è irrispettoso e illecito invitare a bere altri Goliardi esterni al gioco. Lo si può fare solo dopo esplicito consenso del pagante, a seguito di cortese richiesta tipo: “permetti che offra del tuo a Tizio?” Ultimo punto da chiarire è il concetto di Bacco su Bacco. Questo è solitamente considerato uno scazzo, per mille e più ragioni trovate dalla fantasia di generazioni di Goliardi. Non si prenda però questa regola come diktat, vi sono delle eccezioni dettate dall'intelligenza delle persone. Per dirne giusto una: qualcuno sta offrendo ad un tavolo di Goliardi una bottiglia di vino. Dopo averla versata si aggiunge al tavolo un Fratello che, salvo un rabbocco fatto con gli altri bicchieri già pieni, rimarrebbe a bocca asciutta. È caso che questi chiami lo scazzo per il Bacco su Bacco? Potrebbe farlo, stando al divieto generale, ma sarebbe un comportamento da Goliarda del cazzo, oltre che da rompipalle e scroccone di merda, e come tale andrebbe trattato. Come sempre deve prevalere il buon senso.
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BOLLE Se sei un Goliarda stronzo e vuoi mettere in difficoltà un avversario chiedigli una bolla, in Goliardia non esiste nulla di più discutibile della sua stesura. Sono talmente tanti i precetti, le norme, le consuetudini ad esse applicabili, che stilare una bolla a regola d'arte è pressoché impossibile. Se il tuo avversario è bravo a cercare il pelo nell'uovo, sicuramente troverà qualche omissione o qualche errore nello scritto. In questa sezione mi limiterò ad elencare i più importanti. Quelli che valgono per tutte le Città e tutti i tipi di bolle. Quelli che ovunque e comunque le invalidano, o quanto meno sono scazzi grossi come un condominio di cinque piani. Esistono svariati tipi di bolle, alcune in uso presso determinati Ordini e Piazze, altre obbligatorie sempre e comunque. Ne ho stilato un elenco generico giusto per darvi un idea: Di nomina: sono gli attestati con cui il Capo Ordine concede un qualunque titolo o carica ad un Goliarda; dipendono essenzialmente dallo statuto dell'Ordine e dalle consuetudini interne al gruppo. Non sempre una nomina esige la presenza della relativa bolla, di solito per le minori non si stila alcun documento. Di questo genere di bolle ce ne sono due di particolare valore: di Nobiltà e di Abdicazione. La prima concede i diritti nobiliari a un Goliarda, la seconda è il documento con cui un Capo Ordine uscente passa la propria carica al nuovo. Mentre quella di Abdicazione è tuttora sempre in uso, oggi capita spesso di vedere Nobili nominati senza relativa bolla: tristezza! Di massima andrebbe sempre compilata e consegnata dal Capo Ordine: è un ricordo per il nominato, ed è un documento fondamentale per la sua posizione e i giochi a essa connessi. Di infamia: chiamata anche bolla di scomunica o di cassazione, è quel documento che espelle un Goliarda da un Ordine o da una Città, oppure che lo marchia quale matricola a vita. Solitamente è inappellabile e per riceverla bisogna combinarla davvero grossa. Di questua: attestano che un filisteo (cioè un non Goliarda) ha già versato un equo obolo ai Fratelli che ne hanno fatto richiesta. Normalmente la si trova appesa negli esercizi commerciali poco prima della festa delle matricole: serve a evitare al povero bottegaio di essere oggetto di ulteriori coreografiche vessazioni da parte dei Goliardi. Questa bolla, come quella di invito, è ritenuta valida anche se fotocopiata, anziché in originale. L'importante è che il timbro di Ordine e la firma autografa, siano apposti su ogni copia. Di riscatto: a mezzo di questa, in caso di rapimento o uccellagione, si specificano le richieste e le modalità per la liberazione del rapito o la restituzione della res goliardica uccellata. In entrambi i casi questa bolla va consegnata a chi di dovere entro 69 ore dalla dichiarazione di uccellagione o di rapimento.
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Di guerra: è la comunicazione ufficiale con cui un Ordine, o una Città, inizia una guerra goliardica contro un altro Ordine, o un altra Piazza. Talvolta esprime anche i motivi, le modalità e/o la durata della guerra. Di gemellaggio: è il documento con cui due Ordini o due Città si legano goliardicamente. In esso sono indicati i diritti e i doveri che i gemellati hanno tra loro. Di presentazione: con essa il neo eletto Capo Città o Capo Ordine si presenta a tutti i Goliardi della propria Città e dell'Italia in generale. Di fondazione: scritta dal gruppo dei fondatori, sancisce la nascita di un nuovo Ordine. Se appesa in pubblico e fatta girare serve a informare tutti di questa nuova realtà. Di riconoscimento (di vassallaggio): sempre emessa da chi ne ha titolo (solitamente il Capo Città) riconosce il diritto di un gruppo di Goliardi di fregiarsi di proprie insegne, insieme a quelle dell'Ordine Sovrano, costituendo un Ordine Vassallo, quindi legittimato a operare nell'ambito universitario cittadino. Viene stilata anche alla riapertura di un Ordine in sonno, per ripristinarne i diritti. Può concedere anche la Sovranità a vario titolo su determinati territori. Analoga, ma di opposte finalità, quella indirizzata al riconoscimento di indipendenza di un Ordine Vassallo divenuto Ordine Minore. In questo caso, solitamente dovuto ad apertura di nuove sedi universitarie, si legittima la parziale indipendenza dell'Ordine, così autorizzato a operare autonomamente nel proprio territorio cittadino. Di invito: sicuramente questa è quella più in uso, attraverso cui si invitano a cene o feste altri Ordini/Città o semplicemente altri Goliardi (ad personam). A differenza delle altre bolle (salvo quella di questua), vista la copiosità del numero degli inviti, è tollerato che sia fotocopiata anziché olografa, l'importante è che la firma e il timbro d'Ordine siano apposti su ogni copia . Varie ed eventuali: ogni scusa può essere buona per emettere una bolla, per cui vi segnalo e vi sottolineo il fatto che questo elenco è tutto tranne che esaustivo circa l'argomento. Aggiungo inoltre un paio di documenti che, pur essendo simili alle bolle, non ne partecipano in senso stretto. Papiro matricolare: ovvero il documento che attesta l'accettazione in Goliardia di una matricola. Varia da Città a Città, talora anche da Ordine ad Ordine. Di solito sono presenti il decalogo dei memento che la matricola deve rispettare, e un numero di fori di sigaretta pari al numero di anni di facoltà più uno. Vi sono inoltre le firme di chi ha battezzato il soggetto, apposte secondo R.O.G., e fra queste dovrebbe apparire sempre quella di almeno un fagiolo della stessa facoltà del matricolato. Compaiono quasi sempre anche una serie variopinta di simboli di B.T.Vque: cazzi, fighe, culi, tette, bottiglie, sigarette, pipe, ecc. A differenza delle bolle il papiro matricolare è ovunque considerato inuccellabile, poiché deve essere esibito a ogni richiesta dei Maiores per verificare l'identità della matricola e la sua congruità. Il verificatore, insoddisfatto per qualsivoglia ragione del documento presentato, può stilare, dietro adeguato compenso, un codicillo in cui annota la correzione che reputa necessario per la sua validità. 11
Il codicillo, redatto tradizionalmente sul cartoncino di un pacchetto di sigarette estere, fa parte integrante del papiro matricolare. Ogni ulteriore revisione deve comprenderlo. Richiederebbe un codicillo apposito anche ogni eccezione alle vestimenta e al comportamento della matricola (per esempio uno stemma sulla feluca, il cordone, ecc.). In alcune Piazze era in uso il codicillo di prenotazione, tramite il quale gli Anziani di un Ordine “prenotavano” l’aspirante per una serie di prove specifiche, tese a valutare la sua ammissione nel gruppo. In altre usava il codicillo di attivazione: era il primo ad essere allegato al papiro e la sua funzione era quella di renderne operante la validità. Papiro di laurea: solitamente racconta in rima le avventure e le imprese del laureato, corredando il testo con caricature, vignette umoristiche spesso pornografiche, e fotografie compromettenti. Alcune Città listano il papiro di laurea a lutto per commemorare la perdita della condizione spensierata di studente. È redatto dagli amici per sbeffeggiare e sputtanare il neo dottore, e di norma gli viene fatto declamare in pubblico poco dopo la sua nomina. Vedere le facce sconvolte dei parenti quando scoprono le “avventure” del nipote prediletto è sempre un piacere. Tipo quando delirava in preda all'ubriachezza più molesta, o di quella volta che è stato sgamato a scopare con una certa tizia, oppure di quando girava nudo per la piazza, e altre perle consimili. Nella mia Città, Padova, è talmente radicata questa tradizione che, anche chi non ha mai fatto Goliardia, ha gli amici che gli preparano il papiro di laurea. Di solito, per fare in modo che lo sputtanamento sia il più ampio possibile, una copia viene appesa fuori dall'Università e una nel punto di maggior passaggio del quartiere, o del paese, dove abita il neo dottore. Noterete che le tipologie di bolle e papiri sono tantissime, quasi una per ogni occasione e situazione di gioco goliardico. Ciò che è scritto, pur essendo talora discutibile circa l'interpretazione del testo, non è modificabile, quindi sarà più difficile che un Goliarda cambi il proprio atteggiamento di gioco dopo l'emissione di una bolla. In molte occasioni è sempre meglio richiederla: ci si deve tutelare da chi fa del motto “parola di Goliarda, parola bastarda” il proprio gioco. Solitamente questi soggetti non sono dei gran geni di Goliardia, per cui rimetterli in riga è un operazione tutto sommato semplice. Ogni gioco goliardico, fra due o più parti, è un contratto dove si stabiliscono delle regole comuni. Se qualcuno le cambia in corso d'opera a proprio vantaggio, pretendendo che anche agli altri vada bene, il minimo che si merita è un onesto “vaffanculo, amico mio, così è troppo comodo”. Avrete notato questa sottile, ma importante, differenza: vengono definite bolle gli attestati che riguardano la vita goliardica attiva, mentre si chiamano papiri i documenti inerenti alla nascita e alla morte di un Goliarda. Il papiro matricolare dove uno studente compie il primo passo in Goliardia e il papiro di laurea con cui si conclude tale esperienza. Solo i Nobili (o per carica o per numero di bolli) hanno diritto a firmare una bolla. Quelle firmate da un popolano non sono valide, a meno che non sia presente almeno una firma di Nobile per avallo. Una bolla deve necessariamente contenere luogo e data di emissione, di solito si trovano in intestazione, ma un'altra e12
ventuale posizione non è invalidante. Si faccia attenzione che ogni Città ha un proprio modo di misurare il tempo: a Bologna si calcola l'anno dalla traslazione del Fittone, a Padova dalla fondazione del Bo', a Genova dall'entrata in vigore della legge Merlin, a Pisa dalla battaglia di Curtatone e Montanara, ecc. Inoltre l'anno goliardico e quello solare dei filistei sono sfasati. La regola generale è che il capodanno goliardico coincida con l'inizio dell'Anno Accademico (1 ottobre), salvo eccezioni come per esempio Padova che comincia a datare dal giorno 8 febbraio. Per questa ragione nello scrivere il mese su una bolla, non si devono mai usare i numeri ordinali, ma va segnalato sempre e solo col suo nome per esteso. Per esempio: se scrivessi “VIII menstruo” o “octavo mensis”, riferendomi ad agosto secondo il calendario filisteo, i Goliardi che cominciano a datare da ottobre (inizio dell'A.A.) intenderebbero il mese di giugno. Nel caso di Padova, partendo l'anno a febbraio, risulterebbe invece settembre. Quindi, per evitare conteggi astrusi e scazzi inevitabili, l'unico modo ineccepibile sarà scrivere semplicemente “agosto”. Anni fa le bolle si stilavano in latino maccheronico dal sapore “medievaleggiante”, per cui quelle in perfetto latino alla Cicerone, per quanto gradite alla prof del liceo, non sono come dovrebbe essere una bolla goliardica. Ai Goliardi interessa perculare lo stile altisonante degli editti medievali, non passare per i secchioni dell'ora di latino. Adesso usano, e sono da ritenersi valide, anche bolle in italiano con qualche termine latineggiante inserito nel testo, o in dialetto. Sono apprezzati anche disegni e caricature, così come è piacevole a vedersi il testo vergato in caratteri gotici, carolingi o medioevali, ma si tratta di meri abbellimenti estetici la cui assenza non è invalidante. Le bolle devono necessariamente essere battezzate in B.T.Vque. Attenzione a Tabacco: per molte Piazze il foro di sigaretta deve essere fatto in modo che questa non ci balli dentro, ma si incastri perfettamente e con facilità. Altresì è importantissimo, a tutela del firmatario, che abbiano una ceratura uniforme allo scopo di evitare che altri appongano modifiche al testo. Per ovviare al problema della ceratura, impossibile a effettuarsi nelle occasioni estemporanee, nel passato, e tuttora, è perfettamente valido riempire ogni spazio possibile con disegni e motti, così che nessuna aggiunta possa essere effettuata. La ceratura, al contrario di quanto si crede, non è condizione sine qua non della validità di una bolla. D'altra parte essa deve apparire totalmente piena, ovvero nell'impossibilità di aggiungere modifiche e capoversi apocrifi. Obbligatoria è, invece, la firma del Goliarda, eventualmente con carica e Ordine di appartenenza. In alcune Piazze è richiesto anche il suo numero di bolli al momento della stesura, generalmente segnati con una serie di crocette, asterischi o stellette (non in numero!). Nella bolla è gradito, ma non imposto, lo stemma dell'Ordine e/o lo stemma nobiliare del suo firmatario, a meno che non sia emessa da un Capo Ordine o da un Capo Città nello svolgimento delle proprie funzioni. In quel caso sono indispensabili, per la validità del documento, sia il timbro che lo stemma. Se la bolla è divisa in più fogli è necessario un sigillo, a cavallo tra i fogli di carta che la compongono, che certifichi l'unicità del documento. La carta non essendo, comunque, l'unico materiale utilizzabile. È normale l'uso di stoffa come tovaglie e tovaglioli, ma anche capi di intimo, maschili e femminili. Non rara la lamiera, specie di segnali stradali e targhe viarie, il legno o il 13
vetro, rigorosamente di una bottiglia di alcolico, o perfino la pietra, un piatto o una mattonella. Tutti i materiali sono accettabili, anche la pelle umana (senza necessità di strapparla!) Le bolle in quanto res goliardiche sono sempre uccellabili, salvo il caso in cui siano appese in pubblico per conoscenza. Una volta appese sono inuccellabili, e spetta solo al firmatario della bolla stessa il diritto di staccarla, con l'eccezione di quelle realtà dove di questo diritto possono avvalersi anche i Maior di Ordine o i membri dell'Ordine Sovrano cittadino. Quindi non sono uccellabili quelle di Questua. Non vedo dove stiano astuzia o destrezza nello staccare una carta dal muro, appesa e intenzionalmente “abbandonata” dal suo autore perché tutti abbiano modo di leggerla (vedi UCCELLAGIONE). Le bolle hanno un valore relativo che, per buona diplomazia goliardica, diventa quasi in tutti i casi assoluto. Mi spiego meglio con un esempio: se il Sovrano di Fanculonia emette una bolla di infamia per il (fu) Goliarda Cicciopasticcio questa avrebbe, di diritto, valore solo nei territori e per le persone soggette alle leggi di Fanculonia. Le altre Piazze non sono tenute a riconoscerne la validità, quindi potrebbero permettere allo scomunicato di continuare a fare Goliardia da loro. Però, per buona diplomazia goliardica, gli altri Sovrani, di norma, accettano per valida tale bolla. Sanno bene che, negandone il valore, autorizzerebbero il Capo Città di Fanculonia a ripagarli con la stessa moneta, cioè a contestare le loro se si presentasse l'occasione. Quindi il valore relativo ai diritti di chi ha firmato la bolla, diventa assoluto in tutti i territori dove si fa Goliardia. Questo almeno in linea teorica. Se però il firmatario della bolla sta sul cazzo a tutti, può accadere che si faccia a gara per invitare Cicciopasticcio alle proprie cene, magari solo per il gusto perverso di andare in culo a quel coglione del Capo Città di Fanculonia. Una cosa che purtroppo è andata persa dalla Goliardia attuale è il piacere di compilare quelle bolle improvvisate, di solito atte a fondare improbabili Ordini farlocchi, che quando ero matricola io spesso erano la degna conclusione di una serata divertente. Cercate di recuperare il gusto per queste bolle: se in un momento di allegria alcolica, avete stilato con un gruppo di amici la bolla della “Confraternita del Baccalà”, dei “Cavalieri del Refosco” o della “Compagnia del Fante di Spade”, che promette di riunirsi per ripetere il convivio, potreste ritrovarla in fondo a un cassetto dopo una vita, riportandovi alla memoria piacevoli ricordi. Aggiungo un ultimo pensiero che, per quanto evidente, è comunque il caso di sottolineare: verba volant, scripta manent. Prima di scrivere qualcosa su una bolla pensateci dieci volte. Se scrivete una stronzata colossale, di quelle che urlano scazzo ai quattro venti, e questa gira, non stupitevi se la gente vi darà del coglione anche a distanza di anni.
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BOLLI “Chi va a bolli è uno sfigato”: è questa la convinzione che drammaticamente impera tra il grosso degli Attivi. Peccato che se chiedi loro cosa siano, quale senso stia dietro al gioco, che peso abbiano avuto nella storia della Goliardia, la risposta, di solito, è il vuoto cosmico condensato in pochi minuti di parole a vanvera. Negando il valore dei bolli si disconosce anche l'unica legge della Goliardia, visto che le altre regole sono solo consuetudini rispettate da molti ma non da tutti. A Padova viene espressa attraverso la locuzione “ubi Maior minor cessat”, a Bologna si parla di “sacra legge dei bolli (Frolli, Vangiolli, ecc.)”, in altre Città si usano altre definizioni, ma alla fine si tratta sempre del medesimo concetto: il rispetto per l'anzianità e per la scala gerarchica che ne consegue. Questa deferenza che il minor bolli dovrebbe portare al Maior, è dovuta perché chi ha più bolli ha più esperienza, e chi ha più esperienza (salvo qualche eccezione) ha anche titolo per insegnare a chi ne ha meno. È evidente che se un Fuoricorso porta a bolli una matricola passa da sfigato e da approfittatore, ma se è una matricola a sfidare chi le è palesemente Maior, se lo fa cum grano salis, anche se pagherà sicuramente si dimostrerà un Goliarda coi controcazzi. Negli anni '50 dove il 99 % delle matricole veniva di forza inserito nel contesto della Goliardia, con veri e propri capannelli e cordoni di Anziani che, appostati davanti alle facoltà e alle segreterie, fornivano al neo iscritto il necessario papiro matricolare (vedi BOLLE), andare a bolli era la quotidianità di ogni Goliarda. Il gioco era spicciolo: si confrontavano gli statini, cioè i tesserini universitari. In questi documenti la segreteria di facoltà imprimeva un timbro annuale, atto a certificare il regolare pagamento della quota di iscrizione. Si trattava, quindi, di contare chi avesse più timbri, ossia più bolli. In caso di parità bastava affidarsi alla data di iscrizione all'Università presente sullo statino. Oggi, dove vengono processati in Goliardia anche studenti iscritti da più di un anno, si tende a giocare utilizzando i bolli goliardici. Il calcolo è fatto sugli anni effettivamente passati con la feluca in testa, anche se magari risultano molto inferiori a quelli accademici. Alcune scuole di pensiero permettono che, al momento di passaggio tra la matricola e il fagiolo, il Goliarda abbia diritto a recuperare in bolli tutti gli anni di iscrizione in Ateneo. Essendo la Goliardia un gioco che premia l'esperienza, è mia opinione che sia da evitare il recupero dei bolli poc'anzi espresso. Uno che fa Goliardia da solo due anni, pur essendo studente da cinque, ha sicuramente meno maturità goliardica di chi, processato da matricola, è al terzo anno di Università. Chi porta a bolli qualcun altro va in attacco, chi è portato a bolli va in difesa. Spetta all'attaccante estrarre per primo un certificato che attesti il numero effettivo di bolli. Non essendo più in uso lo statino ci si deve arrangiare con qualcos'altro: il libretto universitario, il tesserino goliardico per le Città che lo hanno in uso, il papiro matricolare, ecc. Quindi sarà l'attaccato a dover dimostrare i suoi bolli, sempre a mezzo di un documento che testimoni inequivocabilmente il loro numero. Tradizionalmente 15
si confrontavano come una mano di poker, lo sfidante dichiarava “coppia”, l'altro rilanciava, veniva coperto e rilanciato a sua volta. Ogni “dichiarazione” poteva, o meno, essere accompagnata da un rialzo della posta. Lo scopo era di non dichiarare il numero totale, ma solo quanto necessario a risolvere la disputa, aumentando la suspence e il monte premi! In alcune Città vi sono cariche, solitamente dell'Ordine Sovrano, che hanno diritto allo stesso numero di bolli (N) o a un bollo in più (N+1) rispetto all'avversario. A seconda delle tradizioni questa parificazione o maggiorazione dei propri bolli può essere solo in difesa, oppure sia in attacco che in difesa. I bolli Honoris Causa (H.C.) vengono concessi per diritto statutario o consuetudinario, solitamente perché si è stati membri dell'Ordine Sovrano della Città, oppure conferiti dal Capo Città (o dagli aventi diritto) per alti meriti goliardici. Di essi ci si può avvalere solo in difesa e mai in attacco. Altre maggiorazioni da segnalare sono il diritto ad un bollo in più derivante da un cambio di facoltà, o il diritto a mezzo bollo in più per un cambio di Ateneo. Questi sono bolli effettivi, per cui fanno computo sia in attacco che in difesa, naturalmente vanno anch'essi dimostrati. Ultimo appunto riguarda il caso dei Capi Ordine, i quali possono avvalersi di tutti i bolli del proprio Ordine, così da poter difendere la dignità propria e dell'Ordine dai provocatori. Dato che il gioco dei bolli esige la dimostrabilità degli stessi, potranno usufruire solo di quelli dei loro adepti, muniti della necessaria documentazione, presenti al momento della dichiarazione. Per gran parte della storia della Goliardia il gioco dei bolli era quello principale. In osteria al momento del conto vigeva la legge del Vangiolli: pagat semper minus bolli. Oggi, dove la discussione “al bar” è ormai consuetudine assodata, l'andare a bolli si usa come extrema ratio. Se dopo una estenuante scambio di vedute non si giunge ad una conclusione, e non viene interpellato nessun super partes, ci si affida ai bolli per stabilire chi abbia ragione (vedi DISCUSSIONE). Resta comunque valido il diritto di chiunque a portare a bolli qualcun altro, anche senza dover necessariamente essere in discussione. Per esempio io, da fagiolo, sfidai un Duca del Bo' prima di portarlo “al bar”. Visto che tradizione vuole che il Duca Bovis abbia N bolli in difesa, feci questa operazione per adeguarlo al mio stesso livello, e rendergli più difficile in seguito avvalersi della sua carica palesemente superiore alla mia. Concludo l'argomento con uno specchietto che inquadra le figure legate al numero di bolli. Tenete conto che il seguente schema si riferisce ad un ambiente universitario dove vigeva il cosiddetto “vecchio ordinamento”, quando i corsi di laurea più brevi prevedevano almeno 4 anni di studio. Adesso che ci si laurea dopo tre il presente schema non è più congruente, per cui molte figure descritte qui sotto andranno intese alla luce dell'attuale ordinamento. Quindi non ha molto senso parlare di Laureando e Laureandissimo per la laurea triennale, è opportuno farlo solo per la magistrale. 0 bolli
bustina chiamato anche feto, è un liceale che già bazzica e gioca coi Goliardi. 16
1 bollo
matricola a seconda delle Piazze si rimane matricole per periodi diversi: a Padova usque Pasquam secundam, cioè fino al secondo 8 febbraio, a Roma fino al primo esame con esito positivo, ecc. 2 bolli fagiolo può battezzare matricole, se della sua facoltà. 3 bolli colonna non è Nobile, ma può battezzare qualunque matricola. 4 o più bolli Anziano è Nobile, con tutti i diritti annessi e connessi. X bolli Laureando solitamente è lo studente iscritto all'ultimo anno della sua facoltà, per alcune Piazze tale status è legato al numero di esami mancanti per terminare gli studi. X bolli Laureandissimo per alcuni è il Goliarda a cui manca un solo un esame, per altri è lo studente entrato in tesi. X + Y bolli Fuoricorso è chi ha superato gli anni di iscrizione regolamentari. Fino agli anni '60 era una figura piuttosto rara. (X = numero anni della facoltà; Y = numero anni fuoricorso) A queste figure è legato anche il numero di ammennicoli ammessi sul pileo, argomento che tratterò nella sezione ad esso dedicata (vedi FELUCA).
BURLE e MACCHIETTE C'è un'idea comune che i Goliardi hanno verso chi non ha mai fatto Goliardia, ce l'hanno gli attuali e ce l'avevano anche le generazioni precedenti. Tale percezione è riassumibile nella formula “Noi” versus “loro”. Da un lato ci siamo Noi: con le nostre feluche e le insegne colorate, con le tradizioni chiuse del nostro gioco “misterioso” e secolare. Dall'altro loro: stupiti dai nostri modi tanto alieni alle “normali” convenzioni, a cui risultiamo per lo più buffi e incomprensibili. È così che ci vediamo, è così che li vediamo. Noi cataloghiamo loro come esclusi, loro classificano Noi come stravaganti. Fra Goliardi e filistei il dialogo non è mai su un piano paritario. Ci sentiamo superiori: noi conosciamo e valutiamo le loro norme comportamentali, loro non sono in grado di farlo con le nostre. Non le possono riconoscere e comprendere, non ne partecipano. Non solo: il nostro stesso gioco si fonda sulla derisone dei loro costumi, sulla presa in giro dei loro schemi mentali omologati. “Giocando” di fatto mettiamo in discussione tutte quelle regole sociali che magari non condividiamo, ma che siamo costretti a subire, una volta tolta la feluca, per il cosiddetto quieto vivere. Fare Goliardia è smitizzare tali convinzioni imposte, sconfessarle e mostrarle per quello che sono: abitudini e “logiche” acriticamente accettate senza una reale ragion d'essere. Questa operazione di smascheramento viene realizzata con le caratteristiche tipiche della Goliardia: ironia, teatralità, e modalità spesso pungenti e bizzarre. Rompere il cazzo ai filistei, come novelli Socrate verso gli ateniesi, è quindi da sempre una delle attività preferite dai Goliardi. Ci siamo sempre divertiti a prendere in giro la cittadinanza, con burle di vario genere. Spesso mirate a “colpi17
re” i falsi miti, e a scuotere quell'atteggiamento superficiale e sempliciotto generalizzato, per cui “sono disposti a credere a qualunque stronzata, perché a dirla è quello che comanda”. Ricordo uno scherzo geniale, organizzato da un Ordine di Padova, in occasione di una passata edizione dei mondiali di calcio. Riempirono il centro storico con finti manifesti dell'E.N.E.L., dove si avvisavano gli utenti che, per manutenzione alla rete, sarebbe stata sospesa l'elettricità per due ore. Precisamente quelle in cui doveva giocare l'Italia. Le conseguenze furono scontate: tifosi inferociti e smentite da parte della società elettrica. Quando ero Capo Ordine, feci pervenire ai padovani una finta lettera del Comune in perfetto burocratese, dove li invitavo a ritirare un kit per somministrare pillole anticoncezionali alle nutrie, promettendo uno sconto sulle tasse a chi avesse collaborato contro questa piaga dei canali cittadini. Un “pacco” che avrebbe dovuto contenere: le suddette pillole da propinare con le proprie mani agli animali, una serie di improbabili protezioni contro l'aggressività dei roditori, e un gatto appositamente addestrato alla loro cattura. Ci cascarono a decine, e i dipendenti del Comune furono costretti ad appendere dei cartelli dove spiegavano che era tutta una bufala. Se chiedete ai vostri Vecchi ve ne racconteranno parecchi di scherzi come questi. Quando ero matricola io, un anno senza una burla alla cittadinanza era impensabile. E se l'impresa non finiva sul quotidiano locale allora non era andata a buon fine. Il segreto di una bella burla è tutto nel concetto di ludere, non laedere, cioè fare le cose con buon senso, intelligenza e ironia. Ridicolizzare l'ottusità altrui, giocare sull'eccesso di fiducia per le auctoritas, prendere in giro l'acriticità diffusa, è un attività che come risultato deve divertire sia chi la compie, ma anche chi la subisce. Anche se la prima reazione dei burlati di solito è il giramento di palle, l'obiettivo è che la seconda sia farli sorridere di loro stessi e della loro credulità. Puntare sulle paure delle persone, eccedere con lo scherzo, andare oltre la linea del buon senso è un atteggiamento da mitomani del cazzo e non da Goliardi. Per farvi un esempio: una possibile burla che avevo paventato, quando successe il dramma delle torri gemelle, sarebbe stata un ipotetica confisca di balconi e terrazze. Esproprio su richiesta dal Ministero della Difesa per metterci dei cecchini a presidiare la zona da possibili attentatori, qualche allocco ci sarebbe di sicuro cascato. Non lo feci. Una cosa del genere avrebbe terrorizzato i vecchietti già iperbombardati dai messaggi allarmistici dei media. Sarebbe stato, oltre che passibile di denuncia, decisamente di cattivo gusto. Stesso discorso di rispetto e attenzione vale anche per quello che concerne il patrimonio artistico e storico, di cui le nostre Università, e l'Italia in generale, sono piene. Per fare una provocazione goliardica verso un altra Piazza, anni fa, ci fu chi scrisse con l'indelebile su un busto del Rettorato di Ferrara. Lo trovo inconcepibile: poteva ottenere il medesimo risultato appendendo un cartello. Rovinare consapevolmente una statua storica, che peraltro appartiene anche a te come cittadino italiano, è vandalismo da hooligan, non certo Goliardia. Le burle non sono solo dirette ai filistei, spesso e volentieri le vittime designate sono altri Fratelli. Con la complicità di alcuni amici ignoti all'ambiente go18
liardico, ad una mia riunione organizzai una finta perquisizione da parte delle forze di Polizia. Al più innocuo e innocente dei miei venne rinvenuto un sacchettino sospetto pieno di polvere bianca. Sei bustine di dolcificante che avevo approntato per l'occasione, e che un mio complice aveva infilato nelle tasche della “vittima” a sua insaputa. Il poverino, nonostante gridasse ai quattro venti la sua totale estraneità ai fatti, venne ammanettato e quasi tradotto verso la Questura. Era bianco come un cencio, e sicuramente in testa si stava facendo il film dei genitori che lo andavano a recuperare in cella. Cominciò a riprendere colore solo quando apparve un enorme striscione con la scritta “pesce d'aprile”. Per riaversi dalla botta reagì con inaspettato aplomb: andò dal barista, ordinò un whiskey doppio, e se lo scolò alla goccia. Al suo nome venne aggiunto l'appellativo de “il Cocainomane”, a perenne memoria della riuscita dello scherzo. Se adesso gli rammentassi questa burla, sicuramente mi manderebbe ancora affanculo, ma lo farebbe sorridendo. È lo stesso discorso di cui sopra: ludere, non laedere. Ironia quindi, ma anche e soprattutto autoironia, perché chiunque fa Goliardia ha le stesse possibilità di essere tanto autore quanto vittima di uno scherzo. Anzi c'è il sensibile rischio che i permalosi, che se la prendono per un nonnulla, diventino i bersagli migliori per burle e perculamenti vari. Quando ero matricola io, si diceva che il Goliarda non caga di notte in mezzo ad una piazza vuota, ma lo fa a mezzogiorno, quando è gremita di gente. E ci tengo a sottolineare questa cosa: gli scherzi si firmano. Non dico per i filistei, a loro basti sapere che è stata la Goliardia, ma sicuramente all'interno della comunità goliardica si deve sapere chi è l'autore. Specialmente quando le vittime sono altri Goliardi, se nessuno rivendica la burla, l'impressione percepita da tutti è che si tratti di un dispetto, e non di un'azione giocosa. Mi soffermo su questo punto perché è roba da Goliardia 2.0: un paio di anni fa un anonimo ha organizzato uno scherzo ad un Sovrano, senza mai rivendicarne la paternità, ma operando tramite una sedicente associazione. Sono cose che non concepisco: un Goliarda che “gioca” coi Fratelli coperto dall'anonimato è un Goliarda senza palle, e “Goliardia” e “senza palle” sono concetti antitetici. Anni fa si agiva diversamente. A Padova, durante un otto febbraio, ci fu un Tribuno uscente a cui venne il pallino di creare casini gratuiti al suo successore. Dopo aver pisciato sulla porta del Tribunato, corse a informare il neo eletto del gesto sacrilego, badando bene di incolpare quelli di un altra Città. Ovviamente scoppiò il cataclisma più totale: da un lato il nuovo Tribuno e i suoi sodali a puntare il dito accusatore, dall'altro gli incriminati a proclamare la loro innocenza. Passarono i mesi, e nonostante accuratissime ricerche, il nome del pisciatore non voleva saltare fuori. Quando l'otto febbraio successivo il burlato smise la carica, la prima cosa che fece il colpevole fu andare da lui a vantarsi dello scherzo, aggiungendo al “danno” la beffa. Fra Goliardi dovrebbe funzionare così. Come ha scritto Manlio “Zeus” Collino, la massima autorità italiana in questa materia: la macchietta è essenzialmente un divertissement del suo autore, che si realizza di solito alle feste delle matricole, ossia in quelle occasioni in cui è presente tanto pubblico. Molto in uso negli anni '50 e '60 del secolo scorso, le macchiette sono andate, purtroppo, via via perdendosi. 19
Che cos'era una macchietta? Di tutto e di più. Per ghiribizzo del momento, o premeditata pianificazione, uno o più Goliardi si travestivano in maniera estrosa e surreale. Armati di fantasia e di spirito dadaista portavano avanti un loro personaggio, interagendo con i Fratelli in Goliardia, ma soprattutto con i poveri filistei che, volenti o nolenti, si trovavano coinvolti nelle bizzarrie dei Goliardi di turno. Qualche esempio: Ordini che in perfetta mise da alpinista “scalarono” via dell'Indipendenza fino alla piazza del Nettuno a Bologna. Quello agghindato da iettatore che, metro alla mano, misurava i passanti per vendergli la bara in anticipo sulla dipartita. Chi, vestito da cuoco, allargava leggermente le gambe, al passaggio di una bella ragazza, facendo scattare il mestolo che, spuntando malliziosamente da sotto la traversa sbatteva fragorosamente contro un coperchio. Provetti pescatori che lanciavano la lenza nella fontana cittadina in attesa che qualcuno “abboccasse”. Ne proposi una a una festa delle matricole di Perugia una quindicina d'anni fa. Mi misi in testa una scatola aperta sul davanti, con sagomati all'altezza della mia bocca due semicerchi. Sotto i semicerchi campeggiava la scritta “poggiare il seno qui”, con tanto di freccia rivolta verso la mia faccia, mentre ai lati si leggeva a caratteri cubitali “mammografia gratuita”. Ruppi le palle a tutte le signore e signorine che incrociavo per strada proponendo “l'esame”, con grasse risate da parte loro e del gruppetto di Goliardi che mi seguiva per gustarsi la scenetta. Peccato davvero si sia perso il gusto per le macchiette: sono un'esplosione di fantasia, genialità e gusto per il surreale. Tutte cose che non mancherebbero a tanti Attivi che vedo in giro, per cui mi chiedo perché non si facciano più. Probabilmente le generazioni precedenti non sono state brave a tramandare il piacere di queste scenette tra il comico e il grottesco. Speriamo che qualcuno leggendomi si invogli e le riproponga. Prometto una bevuta al primo Attivo che vedrò a qualche festa delle matricole, impegnato a coinvolgere gli ignari passanti con la sua macchietta.
CANTI Se mi intestardissi a stilare, non dico un canzoniere, ma solo un elenco dei titoli delle canzoni di Goliardia, probabilmente ci impiegherei mesi per essere soddisfatto del mio lavoro. Trattare con esaustività questo argomento è come il supplizio di Tantalo, per cui se volete approfondire la questione frugate in rete, o chiedete ai vostri Vecchi. Ci sono decine di canzonieri presenti in internet, o sugli scaffali dei Goliardi delle generazioni passate. Quindi mi limiterò a parlare dei canti con i particolari diritti a loro associati. Tali canti sono quelli che possono essere intonati solo dal Maior carica presente nel consesso (solitamente il Capo Ordine o il Capo Città): il “Gaudeamus”, il “Di canti di gioia”, il “Prologo al Gaudeamus” (anche se spesso viene concesso il diritto di intonarlo al musico), gli inni di Città e gli inni di Ordine. Il fatto che questi canti possano essere intonati solo dal Maior carica, è una forma di rispetto per l'autorità gerarchica e per il ruolo che il Maior ricopre, cioè 20
quello di rappresentare la storia e le tradizioni goliardiche di un intera Piazza o di un intero Ordine. Il Gaudeamus, il Di canti e il Prologo dovrebbero essere sempre intonati dal Maior carica presente, salvo i casi in cui questo diritto viene ceduto. Ad esempio: alla riunione di un Ordine Vassallo, se fra gli ospiti è presente il Sovrano o un suo rappresentante, la consuetudine vuole che questi conceda l'intonazione del canto a chi presiede il consesso, anche se si tratta di un suo minor. Invece il diritto di interrompere il Gaudeamus, varia a seconda delle Piazze. Per alcune, quando è presente un membro dell'Ordine Maggiore, spetterà a lui dare l'omissis, per altre viene accordato a chi presiede il consesso insieme a quello di intonare il canto. Per gli inni Cittadini l'intonazione spetta sempre al Maior carica dell'Ordine Sovrano, parimenti per gli inni di Ordine sarà il Maior dell'Ordine titolare del canto ad intonarlo. Per talune realtà può intonare il proprio inno esclusivamente il Capo Città o il Capo Ordine. Di solito si cantano queste canzoni, con l'eccezione del Prologo, con la feluca con la punta rivolta verso l'alto, salvo alcune Città dove è la piuma a essere rivolta verso l'alto e la punta del berretto goliardico verso il basso. Nel Gaudeamus la terza strofa va sempre cantata con la punta (o la piuma) verso il basso in segno di mestizia e rispetto per i Fratelli che non ci sono più. Adesso si sente talvolta dare l'omissis immediatamente dopo la terza strofa, quando ero matricola io si aspettava sempre almeno la quarta, per non dover concludere pensando ai lutti. Questi canti, inoltre, misurano la popolarità di un Sovrano o di un Capo Ordine. Se a riunione chi intona non viene seguito da nessuno, forse è il caso che abdichi prima di trovarsi frondato (vedi FRONDA). Il momento in cui si cantano queste canzoni è anche l'ideale per esprimere goliardicamente un eventuale disappunto: ad una nomina sgradita mi capitò di cantare il Gaudeamus interamente con la punta della feluca rivolta in giù. Era un segno di protesta e di “lutto” per un titolo H.C. che ritenevo concesso immeritatamente. I canti di cui vi ho parlato finora li sanno tutti. Anzi tutti sono tenuti a saperli, salvo il Prologo verso cui si è più elastici. Per forza: ignorarne il testo o sbagliarlo significa scazzo e Maiores che ti fanno il culo. Peccato che, tolte queste canzoni obbligatorie, gran parte degli Attivi non ne conosca altre, se non quelle più famose, il “Fanfulla da Lodi” o il “Cagnolino di pezza”. Bellissime, ci mancherebbe, ma sono sempre quelle. Ed è un peccato saperne due in croce quando le canzoni goliardiche sono centinaia. Quando ero matricola io si cantava sempre, si cantava ovunque: a riunione, in piazza, alle cene. Adesso vedo solo pochi Ordini che hanno ancora in mano la chitarra, e a loro va tutto il mio plauso. È un peccato smarrire il gusto per la musica e per i canti. Cantare insieme è coinvolgente e tocca le emozioni più profonde del cuore. Il coro dei Goliardi è una forza che ti invade da fuori e da dentro: può farti spanciare dalle risate, o farti inumidire gli occhi di lacrime. Soprattutto non limitatevi a cantare le canzoni di altri. Cantare canzoni del passato è fantastico, è “incontrare” altre generazioni e altre epoche, ma i Goliardi 21
scrivono cose nuove. Un buon Goliarda, in qualche modo è sempre un po' artista, quindi ha la necessità quasi fisiologica di esprimersi. Io non ho mai saputo suonare decentemente, figurarsi comporre musica, per cui mi sfogavo parodiando canzoni note. Ma pur coi miei limiti tecnici mi esprimevo. Con risultati assai discutibili, ma mi esprimevo. Fatelo anche voi: la canzone goliardica non è un pezzo da museo da conservare nella sua immobile bellezza, piuttosto è una cosa viva, da curare e far crescere giorno per giorno.
CARICHE e GERARCHIA Parlare in senso generale delle cariche e dei titoli in Goliardia è abbastanza problematico, in quanto ogni Ordine italiano presenta caratteristiche del tutto peculiari, e difficilmente associabili a quelle di altri Ordini. Un generico organigramma degli Attivi, più o meno valido per la maggior parte della Goliardia, potrebbe essere il seguente: Nobili: • Capo Ordine (chi regge l'Ordine, di solito ha tutti i diritti) • Vicario (spesso presente, svolge le funzioni del Capo in sua assenza) • Ministri (hanno incarichi specifici: al Tesoro, agli Esteri, ai Ludi, ecc.) • Nobili generici Tra Nobili e popolo in molti Ordini sono presenti delle cariche e dei titoli che, pur portando manto lungo o mezzo manto, comunque non hanno Dignità nobiliare, per cui non dispongono dei privilegi e dei diritti di tale status. Fra essi talvolta è presente il capo popolo. popolo: • capo popolo (a cui spetta il compito di gestire i popolani e di fare da tramite tra loro e i Nobili) • popolani con diritti o funzioni particolari (diritto a indossare la placca, saio con fregi, ecc. servire la Tavola Alta, organizzare giochi, ecc.) • popolani generici • aspiranti (neo processati, ancora non fanno formalmente parte dell'Ordine) I Nobili indossano (quasi) sempre, oltre alla feluca, il manto lungo e la placca. Spesso possono cucire un proprio stemma nobiliare sul mantello, sempre che il manto sia personale e non dell'Ordine, e che sia lecito a livello statutario o consuetudinario. Le vestimenta dei popolani invece si riducono al saio, chiamato anche casacca, talvolta neppure quello per le cariche più basse. In molti Ordini possono indossare anche la placca, generalmente solo da una certa carica in su. Esistono ovviamente delle eccezioni, ad esempio nel Chiavaccio di Prato già da matricole si ha diritto a indossare il manto lungo, ma non la placca. Per cui, mi ripeto, prendete questo schema e queste considerazioni per la loro estrema genericità. 22
Affiancate a queste figure attive vi sono i titoli Honoris Causa e quelli spettanti agli ex Capi Ordine e agli ex Nobili. I primi sono titoli concessi per meriti goliardici a Fratelli provenienti da Ordini diversi dal proprio, i secondi sono conferiti, sovente di diritto statutario, per essere stati Capi Ordine o Nobili in passato. Diritti e doveri di Attivi, Titolati e Honoris Causa sono solitamente stabiliti dallo statuto dell'Ordine, ma volendo si può dire che chi occupa le cariche e i titoli attivi è l'Ordine vero e proprio, sono quelli che lo tengono vivo e che ne costituiscono la spina dorsale. Il gioco di Ordine appartiene essenzialmente agli Attivi, e le decisioni spettano a loro. Per esperienza, grazie al cielo indiretta, posso dirvi che quando i cosiddetti “Vecchi” mettono becco in troppe cose, il gruppo degli Attivi finisce quasi sempre male. I Vecchi rimangono comunque un ottima fonte di consigli e informazioni, nonché la miglior risorsa per conoscere e approfondire le tradizioni del proprio Ordine e della propria Città. Per cui siate astuti e coccolateli: fa sempre comodo avere qualcuno disposto a pararvi il culo, e a darvi le dritte in caso di bisogno. A loro non spetta alcun dovere, i Vecchi hanno solo diritti. In parole povere fanno quel cazzo che gli pare, sempre nel limite, dettato dal buon senso, di non creare problemi al gruppo degli Attivi. Quindi fa sorridere vedere qualche Capo Ordine provare a dare diktat, e a gestire i propri Vecchi imponendosi con autorità, anziché con intelligenza e diplomazia. Quando gli va bene faranno esattamente il contrario di quello che gli è stato comandato. Lo stesso discorso, anche se decisamente con minor valenza, è estendibile anche per gli H.C., che però a differenza dei primi rischiano più facilmente l'espulsione. La gerarchia in Goliardia è fondamentale. È la base strutturale su cui si fonda l'intero gioco, quindi chi sceglie di indossare una feluca deve necessariamente accettare tutta la piramide gerarchica. Per cui quando un Maior ordina qualcosa, il minor è sempre tenuto ad eseguirla prontamente. Il mancato rispetto per un ordine è considerabile scazzo. Quando ero matricola io, uno dei giochi più stronzi in voga fra i miei Maiores, era di darmi in sincrono due ordini antitetici fra loro. Il più classico era: “vieni dietro alla Tavola Alta” e “guai a te se ti vedo in Tavola Alta”. A quel punto l'unico modo per cavarsela era in primis eseguire immediatamente il comando del Maior carica tra i due, quindi pagare uno scazzo all'altro per l'omissione. E subito dopo portarlo in discussione “al bar”, dimostrandogli che anche lui è tenuto a rispettare la gerarchia goliardica, e che non gli è concesso di dare ordini opposti a quelli di un suo Superiore. Il concetto di Maior è ampio: un Maior è Maior anche se non appartiene al tuo Ordine o alla tua Città. Comunque gli si deve rispetto e una certa dose di obbedienza. Oggi mi capita spesso di assistere a scene assurde tipo la seguente: un Nobile, di fronte ad un orribile scazzo di un popolano di un altro Ordine, allo scopo di punire l'ignoranza goliardica gli intima di andare in braghe. Il saietto, guardandolo con stupore e disappunto, risponde: “io non posso andare in braghe di fronte a te. I miei Manti mi hanno ordinato di andare in mutande solo se lo dicono loro”. Eh?! Ma che cazzata è?! Un buon Goliarda dovrebbe reagire con un “mi è stato comandato di finire in braghe solo per volontà dei Superiori del mio Ordine, 23
riconosco che non obbedendoti sto scazzando, per cui ti pagherò il dovuto (...ma intanto in mutande non ci vado)”. Altro scenario, ahimè, visto coi miei occhi: “tu non hai alcun diritto di mandarmi in braghe. Lo possono fare solo quelli del mio Ordine!”. Che tradotto significa né più, né meno di “tu per me, anche se ricopri la carica delle cariche, hai il titolo dei titoli, e fai Goliardia da millenni, non conti proprio un cazzo”. Io capisco che ci sono stati, e ancora ci sono, fin troppi personaggi che per puro sadismo hanno vessato miriadi di matricole altrui. Qualunque popolano preferirebbe mangiare un tramezzino tonno cipolline e merda, piuttosto che pagare da bere a certi stronzi, ma rimane il punto che sono sempre Maiores. Per cui, antipatici o meno, scrocconi o meno, a ragione o meno, quando ordinano qualcosa le scelte sono due: eseguire il comando o pagare lo scazzo per l'omissione. Per altro, visto che è buona regola avere sempre almeno un Manto in zona che tenga d'occhio i saiati, se vi capita di incrociare di questi fenomeni, dopo aver saldato lo scazzo, rivolgetevi al vostro Nobile di riferimento. Il suo compito primario, in queste occasioni, è di far abbassare la cresta a questi soggetti, solitamente usi a fare i bulli con i popolani e i remissivi con quelli più grossi di loro. Il senso della gerarchia è il medesimo di quella per bolli (vedi BOLLI): più esperienza significa più capacità, e quindi titolo più elevato. Se ci riflettete, salendo i vari gradi della scala gerarchica, si dovrebbero incontrare non solo gradi via via più elevati di Dignità, ma soprattutto persone dotate di sempre maggiori capacità goliardiche ed esperienza di gioco. E quindi di tutte quelle qualità positive che contraddistinguono il Goliarda ideale. Se un Maior, di qualunque Ordine sia, comanda qualcosa ad un minor, lo dovrebbe fare alla luce delle sue maggiori capacità e autorevolezza goliardiche. Quindi per insegnare, per far giocare, o comunque per motivi costruttivi verso il minor di turno. Per un Maior che sa fare veramente Goliardia, è una questione d'onore comportarsi in tal modo verso tutti i minores, anche quelli di altri Ordini o Piazze. Capiterà qualche Goliarda del cazzo che gioca a torturare gratuitamente le matricole, ma fanno da sempre parte del panorama, e non ci si può fare quasi nulla, salvo appellarsi a qualcuno che li rimetta in riga. Talora può capitare che una colonna (3 bolli) sia ancora popolano, mentre un fagiolo (2 bolli) sia già Mantato. In questo caso chi è il Maior fra i due? Se entrambi appartengono allo stesso Ordine, prevale la gerarchia interna rispetto al numero di bolli. Se però i due afferiscono a Ordini o Città diverse si troverebbero nella situazione ibrida dove la colonna popolana è Maior per bolli e minor per carica, e il fagiolo Mantato è Maior per carica e minor per bolli. Quando ero matricola io in casi di questo genere si dava comunque più importanza alla Dignità di carica, in quanto il gioco dei bolli, per quanto valido, era desueto e raramente praticato. Ciò però permetteva delle avvincenti discussioni “al bar”, dove il popolano Maior bolli, nel tentativo di confutare la Dignità di carica dell'avversario, lo “costringeva” a dover dimostrare che il manto che indossava era ben meritato, grazie al maggior carisma, alla maggiore dialettica e fantasia, e alle maggiori conoscenze del gioco goliardico. Era l'inevitabile scontro tra l'avanzamento meritocratico e quello gerontocratico!
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Il caso appena analizzato è paradigmatico di una caratteristica della Goliardia, purtroppo poco ribadita e spesso minimizzata dagli odierni Attivi: il R.O.G., ossia il Rigido Ordine Goliardico, è meno rigido del pisello di un novantenne a cui hanno nascosto il viagra. Il R.O.G. è una realtà fluida. Si può essere al contempo Maior e minor, per cui quando una matricola serve da bere o saluta in R.O.G. nel 99% dei casi sbaglia, con ovvia e conseguente inculata da parte dei Maiores. Le variabili che entrano in gioco nello stabilire il R.O.G. sono essenzialmente cinque: di due abbiamo già parlato, cioè carica e numero di bolli. Vi è poi l'appartenenza all'Ordine “organizzatore”, cioè, a parità di carica, sono Maiores i Goliardi dell'Ordine che presiede l'evento (cena, festa, riunione, ecc.) dove ci si trova in quel particolare momento. Stesso discorso per i diritti territoriali, ovvero a parità di carica, sono superiori in R.O.G. i Goliardi che provengono dagli Ordini della Città dove si è in quella contingenza. Ultima, ma più importate fra tutte, è la variabile del carisma personale: se sei un coglione, anche se dalla tua hai il fatto di essere il “più Maior” fra tutti, rimani lo stesso un coglione. Non c'è R.O.G. che tenga, e che ti tuteli a sufficienza dalla tua coglionaggine. Assodato quindi che ci sono delle teste di cazzo che in Goliardia raggiungono cariche importanti, rimane il fatto che la Dignità di carica non va mai e poi mai messa in discussione, anche se a portare quel manto è un idiota anziché un Goliardone ganzissimo. Il gioco della Goliardia è un gioco di ruoli, e se si toglie valore alle cariche, lo si svuota del suo significato primario. Un Maior, anche se è un cretino, rimane comunque Maior, e da tale va trattato. Quando ero matricola io c'era un Capo Ordine che riteneva il proprio Capo Città un perfetto imbecille, e mai e poi mai avrebbe ammesso il proprio essere minor carica andandolo a salutare per primo. Per cui, quando lo incrociava, gli andava alle spalle e salutava il mantello da Sovrano. Manteneva così il massimo rispetto per la Dignità di ruolo, e al contempo mandava in crisi il pirlocco che indossava quelle auguste insegne. Oggi invece si vedono Goliardi del cazzo che, se ritengono inadatto il loro Sovrano, lo trattano come se fosse l'ultima delle matricole, dimostrando un assoluta incapacità di scindere tra la persona investita d'autorità e la carica medesima. E sono pure convinti di fare una figata, tanto “cosa ci può fare? Nulla!”. Sulla carta un Sovrano può fare tutto: chiudervi l'Ordine, bruciarvi le feluche, scomunicarvi, quindi estromettervi dalla Goliardia. Ma, all'atto pratico, nessun Sovrano con un minimo di cervello metterà mai al bando un intero gruppo di Goliardi, che magari rappresenta un quinto e passa di quelli della sua Piazza. La conseguenza non è mai quella sperata da chi maltratta il Capo Città: “vediamo se questo coglione, fatto Sovrano per sbaglio, abdica e si leva dal cazzo”. Trattandolo da cretino questo non succede mai. Se avessero voluto frondarlo avrebbero dovuto agire ben diversamente, avvalendosi di una qualità sempre più carente: la diplomazia goliardica. Finisce invece che la Piazza che vede il Capo Città subire, quasi passivamente, questo trattamento si sente autorizzata a fare lo stesso, con lui, con quello dopo, e con quello dopo ancora. Il risultato, quindi, è che sarà la carica stessa a perdere di “Sovranità”. Non quella formale e statutaria, ma quell'aura di onnipotenza che, pur essendo assolutamente fittizia, fa parte del ruolo del Capo nel gioco della Goliardia. 25
Una situazione dove il Maior fra i Maiores non viene più percepito come tale, è una Goliardia snaturata e privata di uno dei suoi pilastri fondamentali: il rispetto per la gerarchia. Se viene a mancare questo saltano anche tutte le regole del gioco, che altro non sono se non corollari della legge ubi Maior minor cessat, e un gioco privo di regole non è un gioco, ma una giungla dove ognuno si sente autorizzato a fare quel cazzo che gli pare, anche a discapito degli altri. È importante sottolineare una fondamentale differenza tra i Mantati degli Ordini Minori o Vassalli e quelli degli Ordini con Sovranità Maggiore: i primi si definiscono Nobili e i secondi Nobilissimi. Questi ultimi sono tenuti ad avere molto più marcate quelle caratteristiche che contraddistinguono un qualunque Mantato in Goliardia: oltre alla succitate esperienza e conoscenza del gioco, dovrebbero avere anche carisma personale e voglia di insegnare ai minores. Soprattutto dovrebbero possedere la Nobiltà goliardica: non i semplici privilegi di cui godono d'autorità statutaria, ma quell'elevatezza di spirito e quella padronanza di gioco che distinguono il Nobile vero da chi è appendino del proprio mantello. Concludo segnalandovi che, mentre i Mantati degli Ordini Minori o Vassalli comprendono, sia titoli che cariche, quelli degli Ordini Maggiori sono sempre cariche. Vediamo la differenza. Titolo è un grado della scala gerarchica che una volta concesso dura a vita, salvo ulteriori upgrade. È puro titolo quando non comporta alcun compito particolare, per esempio i tanti Cavalieri, Baroni, Conti, ecc. di molti Ordini. È titolo e carica quando è così specificato: “Conte alla Giustizia”, “Barone alla Guerra”, ecc., ovvero è il Ministro alla Giustizia, alla Guerra, ecc., del tal Ordine. Dove l'essere “Conte”, “Barone”, ecc. è titolo, mentre avere l'incarico “alla Giustizia”, “alla Guerra”, ecc., costituisce carica. Invece la carica è un grado della gerarchia con compiti particolari, e durata limitata al tempo in cui il Goliarda è incaricato a occuparsi di queste mansioni. Come regola puramente generica i Capi Ordini, una volta decaduti acquisiscono quasi sempre un titolo particolare: Principe, Protettore e Senatore quelli più usati. Mentre per gli ex Ministri le strade maggiormente battute sono due: in una si mantiene il proprio titolo, ad esempio chi è stato “Barone alla Guerra” rimane “Barone” generico, nell'altra si assume un titolo più prestigioso, spesso assegnabile solo a chi non è più Attivo. Dipende naturalmente dallo statuto del loro Ordine. I Mantati degli Ordini Sovrani, invece, sono sempre cariche, o a tempo determinato (solitamente un anno), oppure legate al mandato del Capo Città. Generalmente, cessato l'incarico, il Goliarda assume un titolo che mantiene per il resto della vita.
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CENE e FESTE Ogni Ordine, e ogni Città, organizza almeno una cena o una festa all'anno. Andateci! Il Goliarda gira! Ho sempre visto un sacco di gente, purtroppo anche quando ero matricola io, starsene rintanata alle riunioni del proprio Ordine e basta. Ma che senso ha?! Il bello del gioco è conoscere gente nuova, altre mentalità e modi di giocare diversi. Tanto più che i Goliardi dovrebbero essere figli spirituali di quegli studenti che nel medioevo giravano le Università per studiare diritto a Bologna, teologia a Parigi e i culi delle servette di osteria a Cambridge. Se i vostri trisavoli rischiavano la vita, girando a dorso di mulo per un'Europa di selve e di briganti, chi siete voi per non prendere un cazzo di treno e andare a 150 km da casa? Che poi, quelli che non girano, sono pure gli stessi che affermano “tanto è una festa di merda, non ha senso andarci”. Per forza è stata una festa di merda: l'unica volta in cui ti sei presentato ti sei solo rotto i coglioni, perché rimanendo sempre a casa tua non conoscevi nessuno, e nessuno si filava un giandone come te. Scommettiamo che se cominci a bazzicare le altre Piazze, magari le cene e le feste diventano un po' meno di merda, e un po' più occasione per ritrovare degli amici o conoscerne di nuovi? Agli eventi altrui ci si va solo se invitati. Chi non è stato invitato non entra, per cui capita di vedere qualche fesso restare fuori da una cena, perché dava per scontato che tanto lo avrebbero fatto entrare lo stesso. Da un punto di vista goliardico e anche di educazione è decisamente una situazione sgradevole: chi si presenta senza invito intanto rovina la serata a se stesso, ma soprattutto mette in imbarazzo gli organizzatori che si vedono costretti a lasciarlo fuori, anche per non fare un torto a tutti gli altri che non sono stati invitati. Fra l'altro non tutte le cene sono aperte, ovvero con l'invito allargato a molti Ordini e Goliardi. Alcune si definiscono chiuse, a questi convivi possono partecipare esclusivamente gli Attivi dell'Ordine organizzatore, i loro Vecchi, i loro H.C., i rappresentanti dell'Ordine Sovrano (ma non in tutte le Piazze), e pochissimi altri sempre su invito ad personam. Gli inviti vanno fatti in cartaceo, e spediti a mezzo posta o consegnati a mano. Inviti via computer, cellulari e altri sistemi tecnologici, pur essendo estremamente pratici, non hanno alcun valore formale (vedi BOLLE). Usate pure la tecnologia, ma sempre e solo come comodo appoggio alle modalità ufficiali. L'invito può essere diretto alla Città, all'Ordine o ad personam. È evidente che, se ti arriva un ad personam, l'Ordine che organizza l'evento ci tiene molto alla tua presenza. Se sei un Nobile hai diritto ad essere accompagnato da uno scudiero o da una valletta, però, visto che non è sempre detto che questa persona sia benaccetta agli anfitrioni, sarà tua cura informarti prima presso di loro se chi hai scelto va bene, o se la devi sostituire con un popolano più gradito. Alle cene e alle feste si dovrebbero dare gli accrediti: chi organizza l'evento concede di entrare gratuitamente a qualche ospite particolare. Quando ero matricola io Capi Città e Capi Ordine imperanti avevano sempre l'accredito, poi si è 27
passati ad accreditarli solo se seguiti da due popolani paganti, poi tre, poi cinque, al punto che ho pure visto un invito dove ti accreditavano solo se eri con sette popolani al seguito. Mi pare una gran stronzata, tanto lo sappiamo tutti che sul prezzo dell'ingresso c'è sempre un po' cresta, a 'sto punto scrivi direttamente “fatti pagare la quota dai tuoi sai” e fai più bella figura. La mia opinione è che un Ordine quando funziona, comunque conceda gli accrediti ai Sovrani ed ai Capi Ordine a prescindere da quanta gente si portino dietro. Se il problema fossero i soldi esistono le questue proprio per quello (vedi QUESTUA): metti i tuoi a questuare, raccogli del denaro e lo utilizzi per questo tipo di spese. Offrire l'ingresso gratuito a certe Dignità goliardiche è un fatto di noblesse oblige, nonché una dimostrazione di stima e rispetto per le alte cariche degli altri Ordini. Se tu che organizzi sei il primo a fare e a dare, puoi pretendere di avere il medesimo trattamento alle cene altrui. Se non lo fai non ti è concesso, né di accampare pretese, né di proferire critiche in tal senso. Cene e feste, come le riunioni, iniziano e terminano ufficialmente con il Gaudeamus, ed eventualmente gli inni di Città o di Ordine (vedi CANTI). Sarebbe buona norma per gli Ordini invitati, ma anche per i singoli che hanno ricevuto l'ad personam, portare un dono in B.T.Vque a chi presiede la cena o la festa. È sempre questione di noblesse oblige, per cui siamo al punto di prima: se tu che organizzi non offri un cazzo non puoi pretendere che la gente ti offra. Chi presiede una cena dovrebbe approntare posti di rappresentanza per i propri ospiti maggiorenti. A Sovrani, Capi Ordine e Facenti Funzione va ritagliato un posto in Tavola Alta. Ovviamente, visto che lo spazio è sempre limitato, l'accesso sarà permesso secondo R.O.G., ovvero secondo l'importanza goliardica degli Ospiti e dell'Ordine che rappresentano. È un atto di cortesia e di educazione che vi invito a fare. Quando ero matricola io era consuetudine consolidata organizzare dei posti di rappresentanza, tanto che gli aventi diritto a cui non veniva concesso lo spazio in Tavola Alta, portavano “al bar” gli organizzatori chiedendo di lavare l'onta per lo scazzo diplomatico. Adesso partecipo a cene dove la gente viene fatta sedere a cazzo, senza alcun criterio, senza tenere conto di quei riguardi che una buona educazione e una buona diplomazia goliardica richiedono verso i propri ospiti. Come se gli invitati fossero tutti degli uguali, a cui le eventuali forme di cortesia vengono portate solo per amicizia o per carisma personale, e non per rispetto verso la carica ricoperta quali rappresentati di Città o di Ordine. Un consiglio che vorrei dare agli organizzatori delle cene è che va bene mangiare più tardi rispetto al solito, anche quando ero matricola io si iniziava a cenare sempre dopo le 21, ma un conto è fare due ore di aperitivo e poi cena, un altro è cominciare a mangiare dopo le 23. Ultimamente vedo sempre più cene partire ad orari improponibili, con tutte le conseguenze del caso: quelli che si sono rotti i coglioni di aspettare, quelli che sono esageratamente sbronzi per aver bevuto per ore a stomaco vuoto, ecc. Allo stesso modo mi sento di consigliare un'equa brevità quando alla fine della cena arriva il momento delle nomine. L'assegnazione di una carica è una circostanza solenne, e gli ospiti per rispetto dovrebbero contenere il casino, ma 28
sta anche all'intelligenza di chi nomina di non tirarla troppo per le lunghe. È chiaro che ad un certo punto gli astanti si stufano, e si mettono a fare cagnara, o se ne vanno senza nemmeno salutare. Inizialmente pensavo di concludere l'argomento parlando nello specifico delle varie feste delle matricole, ma non lo farò. Preferisco riallacciarmi al discorso iniziale: se vi interessa sapere come sono le varie matricolari, vi esorto a girare le Piazze, ed a girarle tutte. Le feste non si possono raccontare, se fatte bene sono come una meravigliosa scopata, anche se ti impegni a descriverla nel particolare, non riuscirai mai a spiegare fino in fondo quanto sia risultata di soddisfazione.
DISCUSSIONE Le discussioni “al bar” sono l'anima del gioco goliardico. Discutere è il miglior banco di prova dove testare le qualità dialettiche, la fantasia, la capacità di pensare oltre l'ovvio e l'evidente, nonché la prontezza di battuta e la vivacità di spirito di un Goliarda. La discussione, parodia giocosa della disputatio universitaria medievale, si svolge in maniera molto semplice: i disputanti sostengono due (o più) tesi in opposizione, e lo scopo della diatriba dev'essere valutare quale argomentazione sia quella più corretta, o spesso più divertente, utilizzando i metri di giudizio sia della logica che della retorica che del puro intrattenimento. Ovviamente per ottenere questo ci vuole una buona dose di onestà intellettuale. Se ci si rende conto che l'avversario ti sta asfaltando, o per rigore di ragionamento, o per prontezza dialettica, è meglio ammettere la sua vittoria. Non si può vincere sempre, per cui si fa molta più bella figura a perdere con decoro, piuttosto che arrampicarsi sugli specchi. Chi vuole aver ragione a tutti i costi, oltre a infastidire la controparte, si dimostra anche il tipico Goliarda di merda che non ha capito un cazzo di cosa sia “andare al bar”. L'importante in una discussione non è mai vincere, ma divertirsi. Il vero vincitore è sempre quello che se l'è goduta di più. Quando ero matricola io vidi un Fratello di Torino fare una mossa meravigliosa: due tizi stavano discutendo da due ore, scannandosi malamente per aver ragione a tutti i costi. Parlavano di niente, senza apportare un minimo lume dialettico, o quanto meno simpatia, al discorso. Il classico “bar” palloso fra due sfigati che puntavano solo a dimostrarsi migliori dell'avversario. Il torinese assistendo alla scena si avvicinò ai due con ostentata nonchalance, li circondò col mantello e dichiarò uccellata la loro disputa. La reazione dei due fu impagabile: urla, strepiti, scatti d'ira, ma fra un “tu non puoi” e un “non me ne frega un cazzo ormai è uccellata”, alla fine dovettero offrirgli da bere per farsela restituire. Al che il torinese, dopo aver ottenuto come giusta mercede un calice di ottimo prosecco, sentenziò: “per una discussione di merda come la vostra potevate anche offrimi un bicchiere del rosso più marcio della casa”. Oltre al danno la beffa. “Al bar” si discute di tutto: certamente delle questioni strettamente legate al mondo della Goliardia, ma anche delle cose più improbabili come la quadratura 29
del cerchio o il sesso degli angeli. Di solito i “bar” più divertenti sono proprio quelli più estemporanei. Quando ero matricola io, ma avevo si e no due settimane di Goliardia, venni fermato da un Nobile di un altro Ordine, il quale mi tenne due ore a discutere se a creare il mondo era stato lo Spirito Divino o lo Spirito di Vino. Ovviamente, allo scopo di animare maggiormente la disputa, mi imbottì del secondo. Non ricordo se persi o se mi lasciò vincere, comunque tra il Bacco che circolava, la spiritosa dialettica dell'avversario, e il piacere di inventare le cose più astruse per portare avanti la mia tesi, mi divertii talmente tanto che probabilmente fu allora che mi innamorai definitivamente del gioco di N.S.M. Un Goliarda dovrebbe saper disquisire di tutto, sempre e comunque, senza mai tirarsi indietro. Per lo meno questa è la regola generale: salvo le esenzioni dettate dal buonsenso, tipo portare al bar chi è impegnato in attività che non può interrompere (tenere riunione, raccogliere soldi, controllare ingressi, ecc.) è una stronzata, un gioco senza gioco fatto solo per provocare e per rompere le palle. È consuetudine, quando c'è un problema tra due o più Goliardi, che lo si risolva discutendo. E se qualcuno evita “il bar” è come se ammettesse le proprie incapacità, ritirandosi sconfitto dalla competizione. Purtroppo oggi questa regola generale è degenerata in uno orrore che mi capita spesso di vedere in giro, e che mi fa davvero girare i coglioni: i Goliardi del “prima discutiamone”. Mi riferisco a quei soggetti irritanti, che dopo aver commesso uno scazzo di dimensioni titaniche, comunque esigono che se ne discuta prima di pagare in B.T.Vque. Palle! Se hai versato volontariamente del Bacco è scazzo, e paghi, non c'è niente da discutere. Se hai strappato un insegna è scazzo, e paghi, non c'è niente da discutere. Se non ti sei presentato ad un Maior è scazzo, e paghi, non c'è niente da discutere. Insomma, se hai infranto una qualsiasi regola goliardica conclamata, fai più bella figura a pagare ammettendo l'errore: non ha alcun senso discutere se quello che hai fatto è o non è scazzo. Adesso, per tantissimi Attivi, vige la mentalità del mettiamo in discussione qualsiasi norma. È una cosa che mi fa ribrezzo e mi da il nervoso, perché quando ero matricola io un atteggiamento del genere era a dir poco impensabile: gli Anziani ti avrebbero mandato nudo a misurare perimetri di edifici con la tua feluca. La questione è che, se a partita iniziata, ti metti a contestare le regole su cui si basa qualunque gioco, questo non ha più senso di esistere, e tutto si riduce ad una eterna e sterile discussione fine a se stessa. Il bello della Goliardia sta proprio nel cavarsela nonostante le millantamila regole, non perché uno ci questiona continuamente sopra, ma perché sa aggirale e barcamenarsi all'interno di queste. Che poi, se hai un tot di anni di Goliardia alle spalle mi sta bene che tu mi dica, motivandolo, guarda che questa regola è sbagliata, ma se sei un cazzo di Mantellino fresco di sartoria, o una matricolaccia piena di sé, te ne vai affanculo e non ti devi proprio permettere di provare a dubitare delle consuetudini di N.S.M. Prima le impari tutte per bene, e poi potrai cominciare a metterle in discussione, se e quando ne sarai capace. 30
E comunque vige sempre la gerarchia: se a chiamarti scazzo è un Maior, la prima cosa da fare è pagare. Una volta saldato il dovuto, se ritieni che lo scazzo non sussista, allora ti pigli il Maior e lo porti “al bar” adducendo le tue ragioni. Se gli dimostri che aveva torto, e non è un Goliarda di merda, sarà ben felice di renderti quello che ti ha chiesto in pagamento per il presunto scazzo. Una regola fondamentale da ricordare è che chi porta “al bar” offre sempre il primo giro in B.T.Vque, solitamente motivando l'elargizione con le parole “questo è per il piacere di discutere con te. Lo accetti?”. Il più delle volte si offre un bicchiere di vino e lo si porge all'avversario, il quale dopo averlo accettato lo prende. Chi ha offerto beve per primo, quindi espone gli argomenti di discussione, e da lì inizia “il bar” vero e proprio. Una volta quando nei locali prima si consumava e poi si pagava, non era necessaria questa consuetudine. Si ordinava quello che poi si beveva, e alla fine della discussione chi aveva perso saldava il conto. Adesso in moltissimi esercizi si paga direttamente quando si ordina, per cui si è sviluppata questa forma di cortesia verso l'avversario che si porta “al bar”. Ricordatevela questa consuetudine del primo giro: è imbarazzante vedere soggetti che, dopo aver chiamato qualcuno “al bar”, aspettano che gli arrivi il bicchiere in mano. Oltre a passare da scrocconi di merda, dimostrano ignoranza verso le regole della buona educazione: se ti chiamo a discutere, mi sto approfittando del tuo tempo, che anziché impiegare a farti i cazzi tuoi dedicherai a me, quindi il minimo sarà offriti da bere. Questa regola vale sempre e comunque: uno può averti pisciato sulle insegne, insultato la madre e trombato la fidanzata, nel momento in cui decidi di discuterci comunque il primo giro spetta a te. Durante la discussione i contendenti portano la propria tesi, e controbattono fino a quando uno non ammette la propria sconfitta. Chi perde pagherà il dovuto, ovviamente il pagamento deve essere proporzionale alla Dignità di carica dei contendenti, e alla profondità e importanza goliardica degli argomenti trattati. Se qualche MegaMantato fa pagare litri di roba ad una matricolina è chiaramente un pezzente scroccone, allo stesso modo se si stava discutendo di puttanate e frivolezze non ha senso chiedere al perdente di dilapidare una fortuna in alcolici. Altra consuetudine è il divieto di interrompere una discussione una volta iniziata, naturalmente anche a questa regola si deve applicare la giusta dose di buon senso. Se sono “al bar” con Tizio, e passa Caio che rapidamente lo saluta, è da sfigati chiamare uno scazzo per una bazzecola del genere. Se invece Tizio abbandona senza motivo la disputa per farsi i cazzi suoi, allora appena lo rivedo sarà mia cura fargli il culo per l'interruzione. Può succedere che il proprio avversario, anziché confrontarsi con intelligenza e dialettica, si dimostri un coglione arrogante e presuntuoso che vuol avere ragione a tutti i costi, in questi casi la discussione perde il suo significato di base: l'essere divertente. Per liberarsi da queste impasse la cosa più goliardica e signorile da fare è pagare lo scazzo di interrompere “un bar”, ossia ordinare da bere per il tizio, lasciarglielo sul bancone, fargli presente che vi siete rotti il cazzo, per poi andarsene come se nulla fosse. 31
Quando ero matricola io ricordo un Mantato che per liberarsi dalla palese ottusità di un Capo Città, concluse la discussione lasciandogli un giro pagato e, fra le risate di tutti i presenti, se ne andò con un lapidario “mi hai omogeneizzato lo scroto”. Di solito questi soggetti, con cui “il bar” diventa una rottura di palle, sono quelli che mentre discutono urlano e sbracciano, convinti che il tono di voce grosso riempia il vuoto sostanziale dei loro discorsi. Vi do un consiglio: più questi alzano la voce e si innervosiscono, più voi dovete parlare con voce calma e tranquilla. Vedrete che nel giro di poco usciranno di testa. Ve lo posso assicurare perché l'ho collaudato decine di volte: per far impazzire un esagitato basta essere il più rilassato possibile. Non esistendo una norma che limiti il tempo di una discussione, quando a questionare sono due “tosti” la cosa può durare ore. Se non si arriva ad un ammissione di sconfitta è possibile risolverla in altro modo, cioè chiamando un super partes. Questi deve essere accettato da tutti i partecipanti alla disputa, fra i contendenti nessuno ha diritto di eleggerne uno senza che ci sia l'accordo di tutti. Al super partes andrà offerto B.T.Vque, gli verranno brevemente esposte le varie tesi, quindi emetterà un giudizio insindacabile e inappellabile circa quale sia quella corretta. Chi avrà perso sarà tenuto ad offrire al vincitore, o ai vincitori, e già che c'è anche al super partes. Un altro modo per terminare una disputa infinita è risolverla andando a bolli. Non sarà democratico, non sarà nemmeno divertente, ma comunque è goliardicamente valido e accettabile, specie dopo tre ore di pontificazioni senza costrutto, o alle tardi in punto quando tutti vogliono andare a casa. Capita che si voglia entrare in una discussione già avviata, in quel caso si deve sempre offrire B.T.Vque ai contendenti, i quali devono essere concordi all'unanimità nell'accettare la presenza del nuovo avversario. Infilarsi in “un bar” senza aver provveduto al suddetto iter è scazzo, e andrà pagato a tutti i disputanti. Altri due punti da ricordare sono che, salvo accordi preventivi tra le parti, all'estero si gioca con le regole e le consuetudini della Città dove ci si trova, questo soprattutto se i contendenti provengono da Città differenti. Inoltre, in caso di diverbio fra Ordini, per le discussioni importanti (scazzi gravissimi, rapimenti, uccellagioni di res di gran valore, ecc.) è nel diritto di qualunque contendente discutere con un pari carica. Nell'esempio pratico: se sono un Capo Ordine che si sta scontrando con un altro Ordine, e questi mi mandano un qualsiasi Nobile, è mio diritto chiedere di discutere direttamente con il loro Capo Ordine. Ovvero con il mio corrispettivo nella loro scala gerarchica. Se il loro Capo Ordine fosse assente avrei diritto a discutere con il Facente Funzione, o con il loro Maior carica presente. La cosa più importante circa la disputa goliardica è che, se ben fatta, questa diventa un ottima palestra per sviluppare il cosiddetto “pensiero laterale”. Ossia quella capacità di affrontare e risolvere un problema attraverso soluzioni indirette e alternative, evitando la strada più ovvia e immediata che, come spesso accade in Goliardia e nella vita, non è detto sia quella giusta o migliore. Sapersi approcciare alle questioni da punti di vista diversi, anticonvenzionali, talmente inaspettati da essere in grado di sorprendere l'interlocutore, richie32
de alcuni tratti caratteriali che dovrebbero appartenere a chiunque faccia bene la sua Goliardia. È necessario possedere un forte spirito critico, da applicare a qualsiasi tesi espressa dall'avversario: dubitate di tutto, sempre. Mai dare nulla per scontato. Prima si dubita, si valuta se e quanta verità c'è in quello che vi dicono, e poi si controbatte. Inoltre è fondamentale rifiutare qualsiasi luogo comune, sono la ruggine che inceppando l'ingranaggio del giudizio, lo limita al pregiudizio. Se si discute ingabbiato all'interno dei topos, si lascia “gioco facile” all'avversario. I luoghi comuni certamente li conosce anche lui, per cui sarà in grado di prevedere le vostre mosse, quindi di confutare in anticipo le vostre tesi. Non omologatevi agli altri e non siate la copia di nessuno. Meglio essere se stessi. Per inesperienza o per insicurezza capita che ci sia chi in discussione imita “i più”, o si ispiri a qualche Goliarda ritenuto carismatico e ganzo. Replicare lo stile di altri alla fine è controproducente: è difficile gestire la dialettica altrui. Non essendo la propria, prima o poi, si finisce con l'inciampare nel filo del discorso. Molto meglio utilizzate le proprie capacità e caratteristiche personali, anche se limitate da imperizia. Nelle prime discussioni arrancherete e vi affannerete, ma lo fareste anche sfruttando il modo di “fare bar” altrui, oltretutto risultando pure delle ridicole brutte copie. Imparate ad ascoltare l'avversario. Avere una buona capacità d'ascolto è un'arma potentissima, che vi permette di avere una visone di insieme di ciò che sostiene il vostro interlocutore, e nel contempo di sapervi focalizzare anche nei particolari apparentemente insignificanti. In Goliardia i dettagli non sono mai da sottovalutare: basta dare una piccola spintarella a quelli traballanti, per far crollare l'intera costruzione logica del vostro avversario. Soprattutto abbiate convinzione, coraggio e faccia tosta in quello che sostenete. Sono qualità in grado di far apparire vere e inconfutabili anche le più gradi cazzate. Mia nonna diceva che “avere in tasca due lire di faccia come il culo fa sempre comodo”. E aveva ragione. Un ultimo spunto su cui vorrei farvi riflettere è il seguente: ricordiamoci che comunque uno può sapere tutte le regole e le nozioni che vuole, ma se non le sa difendere “al bar” varranno poco più dell'aria fritta. Allo stesso modo si può essere un asso in dialettica e discussione, ma se “al bar” uno dimostra di conoscere regole e consuetudini solo superficialmente, finirà di certo per inanellare una serie indegna di scazzi. Per cui vi consiglio caldamente di provvedere ad essere non solo capaci di disquisire con intelligenza, ma anche di conoscere il perché degli argomenti che sostenete. I pappagalli che ripetono i discorsetti mandati a memoria finiscono sempre spennati.
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DIVINITÀ Tradizionalmente il gioco della Goliardia è una parodia giocosa della società dei filistei, particolarmente quella borghese. È uno sfottò e una scimmiottatura di tutte le sue liturgie ed etichette, non ultima fra queste la religiosità formale e di facciata tanto cara ai benpensanti e alle beghine. Per questo le Divinità a cui fanno riferimento i Goliardi sono tre, come il dogma trinitario. Un po' a causa degli Atenei medievali la cui cultura si riferiva alle auctoritas ed ai valori del mondo classico, e un po' per contrapposizione alla rigidità della religione cattolica dei secoli passati, la scelta è caduta sugli Dei pagani: Bacco, Tabacco e Venere, ai quali talora si uniscono (a seconda delle tradizioni) altre Divinità. Bacco, Dio del vino e del baccanale, rappresenta il piacere dell'ebbrezza data dall'alcool, ma anche le gioie del buon cibo, e del convivio in genere. Parimenti Venere (o il corrispettivo maschile Priapo o Adone), Dea della bellezza e dell'amore, non si limita ad essere il mero godimento della libido, ma raccoglie in se tutte quelle sfaccettature ludiche e divertenti legate alla sfera del sesso e della seduzione. Tabacco è il piacere del fumo, come Divinità è più moderna e di fatto sostituisce Decio. Nel medioevo, quando con i clerici vagantes nacque la Goliardia, non essendo stato ancora scoperto il continente americano, non c'era l'uso del tabacco, per cui nella triade Divina era contemplato Decio, ovvero il dado, cioè il gioco più in uso nelle osterie di quei tempi. Tradizione vuole che le Divinità vengano riassunte con la sigla B.T.Vque (Bacci, Tabacci Venerisque). Tale acronimo viene comunemente usato sia per definire i tre Dei nel loro insieme, sia nel senso di “Bacco o Tabacco o Venere”, cioè una o più di queste Divinità. Ad esempio: se in calce ad una bolla trovate scritto“in nomine B.T.Vque” l'autore intende menzionare tutti e tre gli Dei, se invece per uno scazzo vi si chiede di “lavare l'onta in B.T.Vque” il riferimento è a una o più Divinità, solitamente a vostra scelta. Molti oggetti, perché siano formalmente una res goliardica, devono essere stati battezzati in Bacco, Tabacco e Venere. Ciò non toglie che una qualunque cosa “in odore” di Goliardia sia comunque uccellabile o soggetta ai vari giochi, a prescindere dall'aver ricevuto o meno il battesimo. Ci sono res di vario genere e di diversa natura, nella loro sezione verrà approfondito questo argomento (vedi RES GOLIARDICHE). Ma non sono solo gli oggetti, come le insegne di Ordine, le bolle o la feluca, ad essere iniziati in B.T.Vque. Le stesse persone alle nomine ricevono le tre Divinità: un suggello rituale che riconferma il gusto godereccio nel partecipare a N.S.M. Le Divinità si condividono: è un ottimo modo per attaccare bottone, e iniziare una qualsivoglia discussione o gioco che sia. Scolarsi una bottiglia da soli è da sfigati, oltre che da alcolizzati. Stesso discorso per Tabacco. Per Venere dipende ovviamente da quanto la Venere (o l'Adone) di turno siano disponibili. Circa la condivisione di Bacco ci tengo a dare un caloroso suggerimento alle matricole: occhio a quando versate nei bicchieri, il livello del liquido deve essere 34
uguale per tutti. I bicchieri “slivellati” sono una sicurezza per farsi fare un culo a tarallo da tutti i Maiores presenti. Perdere la condivisione delle Divinità sarebbe eliminare uno dei valori su cui si basa il gioco goliardico: la fratellanza. Va però detto che non tutti i Fratelli sono uguali. Se ce n'è qualcuno che ti sta palesemente sui coglioni, magari perché si comporta da stronzo, giocoforza non condividerai con lui un accidente di nulla, o per dirla con più eleganza una cippa di cazzo. B.T.Vque sono sacri e da tali vanno trattati, per cui sprecarli, tipo spandere vino, è considerato scazzo. Inoltre vanno custoditi con attenzione e cura, se li abbandonate potreste incappare nel diritto di preda. Tale diritto stabilisce che, nel caso qualcuno lasciasse incustodito Bacco o Tabacco, chi ne entra in possesso possa consumarne. Per Venere (o Adone) il discorso si fa più complesso, in quanto dipende sempre da quanto è consenziente (e magari un filino mignottella) la “Divinità” incustodita. Ovviamente questo diritto va applicato con buonsenso: B.T.Vque devono proprio essere malamente ignorati dal loro proprietario. Se ci sto seduto di fronte, con un normale livello di attenzione nei loro confronti, non è che potete approfittarne appellandovi alla predatio. Così come è sempre bene ricordarsi che predare è un gioco, non una scusa per fottere vino, sigarette, ecc. Per cui sarebbe buona norma sfruttare quanto predato per creare altri giochi, e comunque finire sempre col rendere al titolare la Divinità sottratta. Inoltre la consuetudine goliardica prevede che, se si predano pacchetti e bottiglie intonsi, questi non siano mai aperti se non in presenza e con la collaborazione del legittimo proprietario. Oltretutto è anche un fatto di cortesia e buona educazione: fare Goliardia non esime dal portare rispetto per le cose altrui. Per le stesse ragioni Bacco e Tabacco accumulati sulla Tavola Alta sono intoccabili. Sono doni all'anfitrione e andrebbero consumati in compagnia. Se si è seduti in Tavola Alta predarli sarebbe un azione inutile, visto che se ne potrà disporre senza doversene appropriare. Se invece non si ha diritto a stare in Tavola Alta, la predatio di quei beni sarebbe uno sfregio a chi li ha portati, a chi li ha ricevuti, e a tutti quelli che dovrebbero condividerli. Se volete fare una provocazione a tutta una Tavola Alta fate pure, il rischio è vostro, il pericolo è vostro, ma soprattutto ad essere vostro sarà il culo in gioco. Il diritto di preda dovrebbe funzionare così: predi una bottiglia di vino e, nel restituirla allo sbadato proprietario, ti riempi un bicchiere, sottolineando la tua bontà nel rendergliela, invitandolo ad essere più sollecito nel conservare le sue Divinità. Quando ero Attivo, capitò ad una cena a Pisa, che un Ordine intonasse un inno di Padova. Per andare in culo a questi, insieme al Tribuno di allora e ad un parmense H.C. di un Ordine patavino, predammo tutto il vino presente nella loro tavolata. Chiaramente ne bevemmo il giusto, ma il grosso fu tutto reso: lo scopo non era avere Bacco a sbafo, ma rompere le palle a chi ci aveva intenzionalmente provocato. Per saldare gli scazzi o le richieste di riscatto (vedi SCAZZO, RAPIMENTO, UCCELLAGIONE) si usano le Divinità, giammai il denaro. Un Goliarda non si sporcherebbe mai con tale mercanzia vile, disonorevole, e tanto cara ai filistei. Si paga in Bacco, in Tabacco, in Decio, in Venere, dove per pagamento si intende condivisione con il Fratello offeso delle proprie Divinità. 35
Onorare uno scazzo a mezzo Bacco o Tabacco è semplice e non prevede grosse spiegazioni: basta condividere vino, birra, grappe, e altri alcolici o sigarette, sigari, tabacco e quant'altro. Per quanto riguarda Decio, Dio legato alla sfera ludica e del divertimento, si tratta di approntare un gioco, una scenetta, una trovata, che sollazzi il Fratello con cui si è scazzato. Pagare in Venere invece presenta un ampio ventaglio di sfumature: si va dalle cose più innocenti (un bacetto sulla guancia, un capo di intimo donato, un madrigale inventato lì per lì, ecc.) fino ai più pirotecnici “numeri da circo”. A questo proposito una raccomandazione alle Goliarde: evitate di fare troppo le scaldacazzo. Capisco che sensualità ed erotismo sono armi molto potenti per vincere i giochi o per rabbonire i rompicoglioni, ma in troppe occasioni ho visto questo comportamento ritorcersi alla lunga contro di voi. La Goliardia è nata come gioco per maschi, perché tale era la situazione dell'epoca; e tale è rimasta per decenni. Tuttora è androcentrica, con posizioni e cariche che solo in questi ultimi due decenni si sono aperte alla partecipazione femminile. L'uomo è decisamente più facilitato in molti ambiti, e per tradizione storica e per il numero dei Fratelli, di gran lunga superiore alle Sorelle. Inutile giudicare se tale androcentrismo sia giusto o sbagliato, sia bene o male, ma è impossibile ignorarlo. Se poi si aggiunge il fatto che i Goliardi tutti, o quasi, sono maliziosi e pettegoli, è facile capire quanto sia complicato fare Goliardia per una donna. Questa, forse, è la mia visione di maschio; pertanto ho pensato bene di cedere la parola a una Sorella, per puntualizzare l'argomento. Come ha fatto notare Seneca, il rischio per una donna in Goliardia è quello di imparare a giocare usando sempre e soltanto la sfera sessuale, tanto facile e comoda, quanto pericolosa per l'immagine che si trasmette. Una volta coinvolta dall'ingranaggio è molto difficile uscirne e, se ci riesci, passerai il resto del tempo a smentire i detrattori dall'insulto facile e gli invidiosi rimasti a secco. D'altra parte, la Goliardia è tradizionalmente un ambiente a prevalenza maschile. Non c'è bisogno di gridare allo scandalo per questo, basta avere un minimo di cultura storica per capire che le donne ci hanno messo il doppio del tempo per raggiungere traguardi di assoluta prerogativa maschile come la possibilità di iscriversi all'Università. Giocoforza anche in Goliardia le donne sono arrivate dopo, e per parecchio tempo sono state relegate a meri soprammobili per “accessoriare” la Tavola Alta o i convivi. Insomma, il classico “noi non vogliam le donne all'Università, ma le vogliamo nude, distese sul sofà”. Il tentativo delle Goliarde di conquistarsi uno spazio ha prodotto strani ibridi di donne che vogliono giocare come gli uomini. Poche cose sono tristi come Venere che abdica alla sua femminilità in favore di atteggiamenti da scaricatore di porto infoiato e/o ubriaco, dimenticando la propria indole di donna per essere la brutta copia di quei maschi che meno ci piacciono. All'estremo opposto è deludente vedere delle Goliarde proporsi in giro come “ragazze facili”, convinte di accattivarsi le simpatie altrui e di ritagliarsi chissà quale ruolo, mentre nella realtà l'opinione diffusa che la gente avrà di loro non sarà certo positiva. O peggio quelle che, pur di apparire adeguate ad ogni situazione, migrano fra questi due opposti, alternandoli. 36
È un vero peccato vedere delle Goliarde, che avrebbero tutti i numeri per fare una bella Goliardia, ridursi volontariamente così. Che poi, diciamola tutta, qualsiasi tredicenne di oggi è in grado di battere in mignottaggine, scaldacazzismo e grezzaggine praticamente chiunque. Se una eccede con l'uso della propria sensualità, nelle pose o nei fatti, venire marchiata come troietta è un attimo. Una volta che, a torto o a ragione, si ha quella nomea, togliersela è quasi impossibile. Sarà un peso che rovinerà il cursus honorum, con cattiverie che si sono purtroppo sempre sentite dire: “ha avuto la placca facendo pompini” o “è un mignottone: non le daranno mai la carica”. Forse non è vero, ma verso chi ha fama di rizza cazzi la gente purtroppo malignerà, per altro alle spalle e raramente in faccia. Certo, nulla vieta di apparire come “quella che ci sta” per ottenere qualcosa, ma che sia un gioco fatto ad hoc per l'occasione e non una costante della propria Goliardia. Quando ero matricola io, proprio giocando a passare per “quella che ci stava”, uccellai otto mantelli nei tre giorni delle feriae patavine. La mia Maior era disperata a starmi dietro, però ci siamo fatte le matricolari gratis, mille risate e mille bevute. Questo gioco, dove “si vince facile”, è nato ed è morto lì: continuare ad atteggiarmi solo e soltanto in quel modo sarebbe stato rinunciare alla mia dignità, di donna e di Goliarda. Baciate pure qualcuno come pagamento di uno scazzo, ma solo se vi va di farlo, perché il tizio è proprio di vostro gusto; scazzo o non scazzo, lo bacereste lo stesso! Altrimenti trovate altre vie: donate una calza autoreggente, un bacio di cioccolata, un tampax, un massaggio sexy alla feluca, un giornalino porno, usate un amico Goliarda come palo e improvvisate una lap dance, recitate un sonetto dell'Aretino, fate una corona usando dei preservativi, e via enumerando. Quando ero matricola mi capitava spesso di cavarmi dagli impicci portando in dono "una bella maiala calda calda", che era nientepopodimenoche… una bella schiacciatina con salsiccia presa calda calda in pizzeria! Insomma, usate la fantasia, giocate sul doppio senso e non dimenticate che la Venere vincente è quella arguta. Se vi riducete a giocare mostrando le tette o stuzzicando l'altrui voglia di passera, non stupitevi se come provocazione qualcuno vi paga uno scazzo con dieci centesimi di euro: l'immagine che avete dato di voi è quella di una Venere che vale poco, giusto i dieci centesimi su cui è impressa. Paola “Vipera” Vallini Quando ero matricola io trovarmi a discutere con le rizza uccelli di turno, in diverse occasioni è stato motivo di voluttuosa soddisfazione, di cui il mio pistolino ha approfittato ringraziando. Altre volte mi ha fatto proprio cadere le braccia, perché magari mi aspettavo qualcosa di più arguto rispetto agli sguardi ammiccanti e sexy, alle battutine sessualmente compiacenti o a un più prosaico “ti faccio toccare le tette”. Quando ero Attivo, con quelle che si atteggiavano troppo da femme fatale, o mi ci sono sollazzato spensieratamente la libido, o le mandavo in crisi facendomi sì pagare in Venere, ma da un metro di distanza. Ha ragione Vipera: la fama da troietta è un fattore estremamente limitativo. Anche per noi maschietti: per quanto un bel culo sia gradevole e interessante, non è minimamente paragonabile a una buona testa. L'esposizione del primo la ammiri per una sera, mentre la seconda la puoi apprezzare ad libitum. 37
FEDE e CUSTODIA Esiste un modo in Goliardia per consegnare le proprie res goliardiche a un altro, senza che questi le possa dichiarare uccellate: darle in fede. Funziona in maniera molto semplice, e ve lo spiego con un esempio: Tizio vuol dare il suo pileo a Caio, prima di consegnarglielo gli chiede “accetti in fede la mia feluca?”. Se Caio risponde “l'accetto in fede”, Tizio la porge a Caio sapendo che potrà farsela rendere quando vuole, peraltro senza essere tenuto a pagare nulla per la custodia. Anche la restituzione ha la sua bella formuletta: “mi rendi in fede la mia feluca?”, “te la rendo in fede”. Adesso che vi ho esposto la regola mi sfogo esponendovi il mio pensiero. Io questa consuetudine della fede la disconosco. Dare qualcosa in fede è una cagata di dimensioni titaniche: intanto io le mie cose le tengo per me, col cazzo che do in giro le mie res. Ma se per qualche caso eccezionale arrivo a consegnartele, è evidente che mi fido di te. Per cui la formula di rito è assolutamente inutile, anzi è deleteria, perché il proteggermi dalla possibilità di uccellagione, si dimostra essere una forma di sfiducia nei tuoi riguardi, anziché una reale dimostrazione di fede. Inoltre se tu detieni qualcosa di mio, che ti ho consegnato per mia volontà, il minimo è pagarti la custodia per la seccatura di aver avuto cura delle mie cose. Mi pare proprio un comportamento da Goliardi del cazzo, non offrire nulla di nulla, a chi si è sbattuto a tenere la tua roba. E poi è molto più apprezzabile un Goliarda con le palle che le sue res te le mette in mano, pur sapendo di essere a rischio uccellagione, piuttosto che chi fa il cacasotto cercando di pararsi il culo con questa puttanata della fede. Il termine custodia si riferisce al diritto di ogni Goliarda di vedersi ripagato del fatto di aver detenuto con cura res goliardiche altrui. A differenza dell'uccellagione (vedi UCCELLAGIONE) non ci deve essere stata la volontà di sottrarre il bene oggetto di custodia, il custode deve esserne entrato in possesso per altri motivi. Esempio classico: dopo una cena mi ospiti a dormire a casa tua, la mattina seguente sono ancora sbomballato dagli eccessi della sera prima, e mi dimentico la placca da te. Quando realizzo ti chiamo, e ci accordiamo per vederci di lì a qualche giorno così mi rendi la placca. Al momento del nostro incontro ti gratifico con una bottiglia, per pagarti la scocciatura di avermela tenuta in custodia. Il pagamento deve essere adeguato a due fattori: il valore del bene custodito e il tempo di detenzione. Tra uno stendardo storico e una feluca di matricola è ovvio che la prima custodia andrà pagata meglio. Parimenti se ti tieni una res due anni, anziché due giorni, è evidente che nel primo caso il pagamento sarà più cospicuo. Soprattutto perché se lasci una cosa tua due anni in mani altrui, significa che non te ne frega un cazzo, allora, giusto per farti apprezzare il valore delle res, ti sta bene “faticare” un po' per riaverla indietro.
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FELUCA Il primo “copricapo” goliardico fu l'orsina, una sorta di zuccotto che venne introdotto a Bologna nel 1888, durante i festeggiamenti per gli 800 anni dell'Ateneo felsineo. I colori, che già allora indicavano la facoltà dello studente, furono scelti dal poeta Giosuè Carducci: bianco per lettere, nero per ingegneria, rosso per medicina, blu per giurisprudenza e verde per scienze. Rispetto ad oggi sono pochissimi, solo cinque. Quello era il numero di facoltà, presenti nelle Università italiane, alla fine del diciannovesimo secolo. Attorno a quel periodo, fra gli studenti di Padova, entrerà in uso la feluca, un cappello a punta ispirato ai berretti da viaggio del basso medioevo e della prima età moderna. Affermandosi ufficialmente nel 1892, in occasione delle celebrazioni Galileiane di Padova, la feluca manterrà i colori scelti da Carducci per l'orsina. Negli anni seguenti verrà progressivamente adottata dagli studenti di tutti gli Atenei italiani. La feluca, chiamata anche goliardo, pileo o berretto goliardico, è il copricapo del Goliarda e rappresenta la sua anima. Seguendo questa simbologia è evidente che le feluche più belle sono le più vissute, quelle macchiate, lise, combattute. Un buon Goliarda difficilmente potrà avere l'anima limpida e intonsa, qualche peccatuccio di gola, di lussuria e quant'altro, non può proprio mancare. Il colore del pileo indica di norma la facoltà di appartenenza del Goliarda, salvo casi particolari: alcuni Sovrani (ad esempio il Pontefice di Torino e il Tribuno di Padova) indossano una feluca del colore stabilito dalle consuetudini cittadine, o dallo statuto del loro Ordine. Inoltre, anni fa, ci fu un caso di una Città sarda dove i Goliardi indossavano pilei di due soli colori, essendo gli unici che riuscivano ad acquistare. Possono portare la feluca tutti gli studenti universitari che siano stati accettati in N.S.M.; hanno poi diritto ad avere il goliardo anche i filistei che abbiano ricevuto la “matricola H.C.” da chi ha i privilegi per concederla (solitamente i Sovrani di Ordine Maggiore). Ogni Città ha i propri colori di facoltà. Mettersi a stilarne un elenco esaustivo sarebbe un lavoraccio lungo e noioso, che non ho nessuna voglia di fare. Tanto più che, non essendo le feluche fatte in serie dal medesimo cappellaio, le stesse sfumature di colore sono facilmente confondibili tra loro. Per cui potreste trovarvi uno studente di Veterinaria di Padova con la sua feluca correttamente rosso granata, ma del medesimo colore di uno studente di Magistero di Bologna che invece ce l'ha giustamente amaranto. Le differenze fra i colori dei berretti goliardici è meglio quindi intenderle sotto l'aspetto “teorico”, piuttosto che per la loro realtà “empirica”. Quindi se volete sapere a che facoltà appartiene un Goliarda, o andate a culo confidando nei cinque colori di Carducci validi grosso modo per tutte le Piazze, oppure andate dal tizio e gli pagate l'informazione, che fate prima. Tradizionalmente, quando uno studente si avvicina alla Goliardia, il suo pileo gli dovrebbe essere regalato da una persona di sesso opposto. Il massimo sa39
rebbe se quella persona se l'è pure trombata a dovere. Una volta incontrati gli Anziani la feluca, intonsa e nuova di cappelleria, viene battezzata a seguito dell'ingresso in N.S.M. dell'aspirante. Ogni Città ha modi diversi per compiere questo rito, a volte togliendo dei pezzi, a volte aggiungendone. A Pisa viene tagliata la punta, a Padova viene completamente spogliata, a Bologna viene mantenuta la toppa dell'Ateneo (“l'Alma Mater”), a Torino le feluche presentano la scritta in stoffa “Augusta Taurinorum”, a Genova sul retro del goliardo viene apposta la Gomena, ecc. Dietro ognuna di queste modifiche c'è sempre una storia ed una tradizione, naturalmente diversa da Città a Città. Un breve inciso circa il taglio della punta: non tutti i berretti goliardici con la punta tagliata sono di Pisa, in altre Piazze è un segno di lutto per la morte di un Fratello. In tutti i casi la feluca viene comunque annegata di vino, una volta fradicia si riesce a darle quella forma caratteristica che la identifica e la contraddistingue. Sulla feluche vengono appesi gli ammennicoli, ovvero oggetti di vario genere: dalle cose pratiche quali spillette e toppe, agli affari più assurdi e scomodi. Quando ero matricola io, ad una cena, ho visto un Goliarda girare con una enorme boa da piscina attaccata al pileo da una cordicella. Una roba talmente ingombrante e fastidiosa, che il poveretto ogni tre per due inciampava su 'sto aggeggio, imprecando come un dannato. Era un dono dei suoi Fratelli di Ordine per rompergli i coglioni, e a ripensare alla faccia scazzata del tizio direi proprio che c'erano riusciti. Qualunque sia la dimensione, il materiale o la forma, gli ammennicoli simboleggiano i propri ricordi, le proprie imprese, gli eventi che hanno segnato il percorso di un Goliarda. Talora sono souvenir di cene e feste, sovente sono regali da parte di Fratelli in N.S.M. Purtroppo alcuni Goliardi del cazzo hanno l'abitudine di attaccare ammennicoli solo per il gusto di riempire la feluca, ma se dietro a quegli oggetti non c'è una storia, sono solo abbellimenti senza significato. Farebbero più bella figura, quindi, a togliere quelli dietro cui non c'è niente. La Goliardia troppo “estetica” l'ho sempre trovata deludente per chi la vede, e sminuente per chi la pratica. Il numero ed il tipo di ammennicoli che un Goliarda ha diritto ad appendersi alla feluca sono normati, variano di Città in Città, ma genericamente seguono il seguente schema legato alla propria anzianità: matricole: feluca completamente nuda, anche se è tollerato quasi ovunque il cordone corto (chiamato anche sottogola). fagioli:
massimo sette ammennicoli non pendenti, talora ammesso il cordone lungo. Per alcune Città non è consentito attaccare gli ammennicoli alla calotta.
colonne:
ammennicoli non pendenti illimitati, pendenti massimo sette.
Anziani:
ammennicoli illimitati sia pendenti che non pendenti.
Laureandi: frangia dorata a destra. 40
Fuoricorso: per alcune Piazze porta la frangia dorata completa, anche se attualmente tale tradizione non usa più. Per altri la frangia intera è prerogativa solo del Laureandissimo, che ovviamente resta nella feluca del dottore. A Padova, da Codice Morandini, ai Fuoricorso spetta la piuma di pavone. Dicesi pendente l'ammennicolo che modifica il profilo della feluca in modo differente, quand'essa è ruotata sui propri assi. È, quindi, da considerarsi pendente anche l'oggetto fissato “largo”, che si muove dalla sua sede. In quasi tutte le Piazze i pluribollati (dagli Anziani in su), e i Nobili in genere, hanno il diritto di controllo sui berretti goliardici dei minus bolli, facendo togliere loro tutti gli ammennicoli che non siano a norma con le consuetudini cittadine. Ovviamente sempre e solo limitatamente ai propri minores: in nessun caso un Anziano può contestare la feluca di un appartenente alla Goliardia di un'altra Città. Questa verifica è sempre da eseguirsi con attenzione e cortesia goliardica per non incappare in scazzi apocalittici. Le regole, in Goliardia, sono fatte per essere infrante, consapevolmente o meno. Una matricola può girare con un pendente legittimo, perché concesso per qualsivoglia ragione dal suo Capo Ordine. D'altra parte dovrebbe possedere il codicillo al papiro che lo autorizza a tale infrazione, o quanto meno disporre di una bolla che dichiari il permesso a portare l'ammennicolo. Considerando che oggi i papiri matricolari sono più rari delle vergini, e bolle di quel genere sono pura utopia: i casini sono assicurati! Alcuni ammennicoli sono particolari e meritano una breve descrizione: cordone:
se si tratta del sottogola, ovvero il cordone corto, solitamente viene concesso dopo un certo numero di cene e feste a cui la matricola ha partecipato. Dovrebbe essere lungo 69 centimetri, e la sua presenza autorizza il “colpo di vento”, ma solo a Trieste, in tutte le altre Piazze è vietato. Se invece si tratta di cordone lungo, ovvero quello che permette di legare la feluca alla cintola, la sua lunghezza è a piacere, anche se spesso è multiplo di 69. A seconda delle Città si più portare da un certo numero di bolli in su. Di solito è in tinta con la feluca, ma per quelle realtà dove è simbolo di appartenenza ad un particolare gruppo, il cordone ha dei colori stabiliti dalle consuetudini o dagli statuti. Ad esempio: i Goliardi triestini lo portano bianco, rosso e verde, nella Vacca di Firenze è bianco e blu come i colori dell'Ordine, ecc. code, piume, penne, frange: per la maggior parte delle Piazze la mezza frangia e la frangia intera sono prerogative dei Laureandi, dei Laureandissimi e dei Fuoricorso. La coda e la penna possono essere portate dal terzo anno, come un normale pendente, salvo limitazioni specifiche di Ordine o consuetudini cittadine. Per le piume sarebbe teoricamente lo stesso. Diverse Città e innumerevoli Ordini le hanno, però, scelte negli anni come simbolo di carica, così sono diventate “pericolose”. Consigliate solo agli scassacazzi in cerca di discussioni! 41
tappo:
sapienza:
simboli:
il tappo è un tappo di sughero che, opportunamente forato, serve a stringere il cordone sotto la gola. Avrebbero diritto a portarlo solo gli studenti che sono stati “tappati”, ovvero bocciati ad un esame con voto negativo scritto sul libretto. In alcune Città lo si potrebbe mettere al cordone solo dopo aver superato il suddetto esame, scrivendoci sopra il nome dell'esame e il numero di volte che il Goliarda l'ha ripetuto prima di passarlo. solitamente è una nappina dorata pendente, ma può trattarsi di qualunque oggetto, da portare appeso in punta alla feluca. Da tradizione veniva regalata da un Anziano o da un Fuoricorso ad un neo Anziano, a dimostrazione della “sapienza goliardica” raggiunta dal giovane. In qualche Piazza è concessa anche alle Colonne. di Ateneo o di Città. Mi riferisco all'Alma Mater, all'Augusta Taurinorum, alla Gomena, alla Coccarda Tricolore, ecc. Ossia a tutte quella toppe, scritte, oggetti vari che, a seconda della Città, connotano l'appartenenza ad una particolare compagine di Goliardi. Sono ammessi anche nelle feluche delle matricole in quanto non sono considerabili ammennicoli in senso stretto, bensì parte integrante del berretto goliardico.
La feluca è una res personalissima, una volta che il neofita riceve la feluca infilata sul capo, sarà solo lui, da quel momento, ad avere il diritto di togliersela e di mettersela in testa. Per cui se vedete qualcuno che sfila dalla testa delle matricole i berretti goliardici, portatelo “al bar” e fategli il culo per lo scazzo. Non è dato a nessuno il diritto di sottrarre ad un altro Goliarda l'anima dalla sua collocazione naturale. Resta comunque valido il diritto dei Sovrani (sovente anche dei Capi Ordine) di bruciare la feluca ad un Goliarda, nel caso questi si sia macchiato di un comportamento tale da dover essere cacciato dalla Goliardia. Dove per “bruciare” si intende, nella maggioranza dei casi, l'atto materiale di dare il pileo alle fiamme. Tradizionalmente uno degli attestati di stima più grandi che un Goliarda possa dare ad un altro Fratello è mettergli sulla testa la propria feluca. Allegoricamente è come mettere la propria anima nel luogo ad essa preposta, dove tale luogo (la testa) appartiene a un altro. Una feluca data in questo modo rimane oggetto di uccellagione, ma sarebbe proprio da merde umane uccellare quel pileo dopo che ti è stato messo in tale maniera. Esistono varie scuole di pensiero sul dove portare il proprio berretto goliardico: chi lo porta in testa, chi poggiato sulla spalla destra, chi su quella sinistra, ecc. Così come vi sono diverse correnti circa come dev'essere il pileo: alcuni lo vogliono rigido per richiamare un fallo in erezione, altri floscio a simboleggiare che la durezza del proprio membro è inversamente proporzionale a quella del goliardo. Essendo la feluca soggetta a innumerevoli allegorie e simbolismi, il modo in cui la si porta dovrebbe rispecchiare, per analogia, la scuola di pensiero seguita dal suo proprietario. Se volete avere una piacevole discussione “al bar”, chiedere ai Fratelli perché tengono il goliardo in quel modo, piuttosto che in un altro. Le risposte potrebbero essere inaspettate e divertenti.
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FRONDA La fronda, chiamata anche colpo di Stato, è l'ultima ratio a disposizione di un Ordine o di una Piazza per togliersi dalle palle un Capo Ordine o un Sovrano sgradito ai più. È un atto sicuramente drastico, potenzialmente “pericoloso”, tendenzialmente contrario alla norma generale del ubi Maior, minor cessat, raramente codificato negli statuti di Ordine. Ciò nonostante il numero di fronde, accadute finora in giro per le Piazze, è tale da costituire precedente storico un po' in tutta Italia, per cui si può dire che oramai il colpo di Stato rientri a suo modo tra gli usi della Goliardia. La consuetudine vuole che la fronda avvenga nella seguente modalità: il gruppo dei frondatori deve venire in possesso di almeno una res che rappresenti il potere del Sovrano. A seconda dei casi potrà trattarsi del manto, della placca, talora della feluca, ecc., ciò che conta è che questa res sia differente dalle altre, di uso esclusivo della carica che si intende raggiungere, e che rappresenti in maniera chiara e univoca il dominio su tutti membri e sulle altre insegne dell'Ordine. Questo automaticamente esclude la possibilità di fronda in tutti quegli Ordini ove non esista almeno un simbolo di imperium trasmesso tra i Capi Ordine. Il Goliarda che intende diventare il nuovo Capo, indossando correttamente, ovvero nel verso dritto, la res di cui sopra, intonerà il Gaudeamus (o l'Inno di Ordine o di Città) alla presenza del Sovrano o del Capo Ordine che vuole spodestare dalla carica. Se sarà seguito dalla maggioranza delle persone afferenti all'Ordine, o alla Piazza, su cui si sta compiendo il colpo di Stato, a quel punto diventerà ufficialmente il nuovo Capo. Con buona pace di chi lo è stato fino ad un secondo prima. L'ex-Capo, nonostante il naturale e comprensibile livore, dovrà ammettere di essere decaduto, e riconoscere nella persona acclamata dalla maggioranza del gruppo il nuovo leader. Nel caso in cui il frondatore sia seguito dalla minoranza del gruppo, porterà a casa, anziché la carica di vertice, una simpatica bolla di infamia. Lui sicuramente, e con buona probabilità pure i suoi sodali, che hanno avuto la disgrazia di tenergli bordone. Naturalmente questo succede se fila tutto liscio, ma trovare in Goliardia una cosa che fili liscia è come cercare la verginità tra le cosce di una pornostar, cosa rara insomma. Per cui di solito i colpi di Stato finiscono in rissa collettiva, in Capi decaduti che si trattengono a tempo indeterminato sigilli e stendardi vari, in rancori malcelati dove, “l'appena posso te la butto al culo”, diventa la quotidianità di rapporto tra fazioni. La mia opinione è che il colpo di Stato sia sensato solo quando è davvero l'ultima azione disponibile per cambiare le cose. Ci si dovrebbe ricorrere solo quando sono state tentate, infruttuosamente, tutte le strade possibili per arrivare alla successione di carica.
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La prima cosa da fare è talmente ovvia che mi da noia scriverla, ma ho visto diversa gente saltare questo passaggio, quindi mi vedo costretto ad esporlo in modo evidente: parlare con chi si intende eliminare. Mi rendo conto che da parte dei frondatori non sia facile affrontare il proprio Capo. Troppe volte dietro i loro bei discorsi “rivoluzionari” si cela tanta volontà arrogante di lustro personale, e pochissimo amore per i colori e le sorti dell'Ordine. Però se si ritiene un Capo Ordine indegno è giusto metterlo di fronte alle sue responsabilità, ai suoi doveri, e alla volontà generale di cambiamento. Tanto più che, se si è dalla parte della ragione, tirare fuori gli attributi per perorare dialetticamente le proprie idee dovrebbe venire spontaneo. Se il soggetto non è scemo, capisce perfettamente l'antifona e abdica motu proprio. Il Capo Ordine potrebbe fare orecchie da mercante, evitando di prendere coscienza del rischio tangibile di trovarsi a comandare un gruppo che, per motivi sensati e ragionevoli, non lo vuole più. In questo caso ci sono i Vecchi. Potete appellarvi a loro: il grosso degli Ordini prevede nello statuto, o nelle consuetudini, la possibilità di far saltare un Capo indegno della propria carica. Questo avviene solitamente attraverso la volontà di destituirlo di un certo numero di Titolati: exCapi Ordine o ex-Capi Città, a seconda dei casi. Può succedere che i Vecchi non si accordino tra loro, oppure se ne lavino le mani, rimettendo il gioco alle scelte degli Attivi. Allora, e solo allora, avrà senso tentare la fronda. Però parliamoci chiaro: se su un gruppo di venti Attivi sono solo in tre a voler cambiare la dirigenza dell'Ordine, è irragionevole tentare un colpo di Stato. Anche se andasse a buon fine, mancando la volontà della maggioranza del gruppo, il nuovo Capo si ridurrebbe ad essere il boss di se stesso e di due pirla che gli stanno dietro. Allo stesso modo bisogna valutare la persona che spinge per raggiungere il vertice. Uno che si propone solo per proprio vanto e per “fame” di arrivismo, fottendosene della storia e delle tradizioni dell'Ordine, potrebbe essere un buon Capo? Anche se fosse un tipo carismatico, che riesce a farsi seguire da un copioso gregge di pecoroni, che razza di Capo Ordine sarebbe dopo la fronda? Probabilmente un arrampicatore goliardico, tronfio e borioso di essere arrivato dove voleva. Un coglione, tanto bravo a vantarsi della supercarica raggiunta, quanto a snaturare l'Ordine dal proprio gioco. Tutto sarebbe tranne che rappresentativo della storia, solitamente pluridecennale, di quei colori che indegnamente indosserà. Presupponendo che il Capo Ordine/Città imperante sia davvero una testa di cazzo, che non ha nessuna voglia di spendersi per il gruppo, capace solo di fare figure di merda in giro, odiato o mal tollerato da tutti. E che il possibile sostituto sia un Goliarda favoloso, per nulla opportunista e carrierista, ma pronto a prendere in mano la leadership esclusivamente per il bene dell'Ordine, amato e seguito dalla totalità degli Attivi. Anche con tutte queste premesse ottimali comunque mi sento di sconsigliarvi la via della fronda. Il colpo di Stato è certamente un cambiamento, ma per nulla indolore. Nella larga maggioranza dei casi genera una frattura, spesso insanabile, nella storia di un Ordine o di una Città. 44
Ciò che può apparire vincente e piacevole il giorno dopo la riuscita dell'impresa, potrebbe rivelarsi una enorme rottura di coglioni per tutti, frondati e frondatori, a distanza di mesi, ma anche di anni. Anzi, quando queste vicende si incancreniscono, si finisce con lo starsi sul cazzo tra generazioni differenti di Goliardi. Al punto in cui 'sti personaggi manco si ricordano più i motivi per cui non si sopportano, vivendo di astio reciproco, nella convinzione che “gli stronzi sono quegli altri”, mentre loro sono anime candide. Atteggiamento antipatico, ma umano, umanissimo, e quindi ahimè comprensibile, comprensibilissimo. Se potete evitatele queste merdate fin che siete in tempo, pensate a bere e scopare, va là, che vi divertite di più.
GEMELLAGGIO Il gemellaggio è un atto, formalizzato da una bolla, attraverso cui due (o più) Ordini si legano l'uno all'altro, promettendosi solidarietà e appoggio reciproco. Solitamente in maniera definitiva, ma nulla vieta che l'alleanza possa essere temporanea, se dettata da qualche particolare contingenza. A gemellarsi sono soprattutto Ordini di Città diverse, questo perché in Goliardia, da sempre, vige il più fanatico campanilismo. Per cui è più facile fare amicizia con l'estero che abita lontano piuttosto che con il vicino di casa, che sarà anche simpatico, ma lasciamolo lì dove sta che è meglio. Di solito gli Ordini gemelli hanno diritti e doveri reciproci, naturalmente specificati nella bolla di gemellaggio. Tra quelli più in uso compaiono: il dovere di ospitalità, ovvero il fornire un giaciglio ai gemelli se presenti nella propria Città. Il diritto ad essere invitati a tutte le feste e cene, anche quelle chiuse (vedi CENE e FESTE). La possibilità di partecipare a tutte le loro riunioni, anche senza bisogno di invito alcuno. Il dovere di essere fidi alleati in caso di guerra (vedi GUERRA) con qualche altra compagine di Goliardi. Per dirla in termini più generali vi deve essere fra i due Ordini un appoggio e un sostegno reciproco, sia materiale che “politico”, per quanto concerne l'attività goliardica. Salvo rarissimi casi, di norma tra i gli Ordini gemelli si stabilisce anche uno scambio reciproco di cariche, o una parificazione tra alcune di queste. Talvolta anche con diritto di portare le insegne della carica corrispettiva, o un simbolo/insegna sul proprio manto. Nell'esempio pratico: il Capo Ordine della Confraternita dei Pruriti al Culo, gemello dell'Ordine delle Ascelle Sudate, all'atto di nomina riceve automaticamente anche una carica importante nelle Ascelle. Oppure chi diventa Nobile nei Pruriti, acquisisce la Nobiltà anche nelle Ascelle, e viceversa. La bolla di gemellaggio può contenere anche delle conditio sine qua non affinché il gemellaggio rimanga valido: il dovere di organizzare periodicamente una cena congiunta, piuttosto che l'obbligo di indossare sempre l'insegna altrui, ecc. 45
Questo tipo di vincoli serve ad evitare che si crei la situazione antipatica per cui Ordini che oggi si amano si gemellino, poi magari fra cinquant'anni si stanno sui coglioni, ma sono costretti a fingere amicizia e cortesia reciproca per colpa di una bolla sottoscritta dai nonni. Proprio per il discorso appena espresso, io sarei tendenzialmente contrario ai gemellaggi. Anche se ci sono casi storici e pluridecennali dove tutto è sempre andato a gonfie vele (ad esempio il gemellaggio fra il Chiavaccio di Prato e la Calza di Padova), può capitare che chi oggi ci sta simpatico domani non si possa vedere, meglio quindi evitare di vincolarsi con una carta scritta. Io, e molti come me, i loro personali gemellaggi se li sono fatti senza necessità di stilare documento alcuno. Lo sanno bene gli Ordini che da Attivo ho bazzicato più e più volte: andando alle loro cene o alle loro riunioni, con loro che venivano alle mie. Dando una mano se serviva, e ricevendo aiuto quando ne avevamo bisogno io e il mio Ordine. Se si è amici, oltre che Fratelli in Goliardia, ci si rispetta e ci si aiuta proprio perché si è amici, e ciò basta. Il gemellaggio può essere un bellissimo gioco, magari un attestato di stima reciproca, ma del tutto superfluo. Un po' come la differenza tra essere sposati e convivere: tutto quello che si fa da gemelli lo si può fare benissimo lo stesso, senza troppe cerimonie.
GUERRA In Goliardia la guerra è quel momento storico in cui due o più Ordini, ma anche intere Piazze, si impegnano formalmente a farsi a vicenda un culo a paiolo. Si tratta quindi di un atto che non è mai personale, ma sempre collettivo. Solitamente inizia per un casus belli, ovvero una qualunque puttanata minimamente degna di nota. Tipo: “hanno intonato il nostro inno in piazza”, o “ci hanno strappato il gonfalone”. Anche cose meno direttamente connesse alla Goliardia vanno benissimo: “quello ci prova con la tizia che piace a me” o un semplice “mi sono sempre stati sui coglioni”. Nulla vieta, però, che le ostilità partano senza alcun motivo apparente, ma solo perché a qualche Capo Ordine tirava il culo così. Parlo di formalità perché una guerra goliardica, che voglia definirsi tale, necessariamente prevede la presenza della relativa bolla (vedi BOLLE), ossia di un documento che dichiari la volontà da parte di un Ordine di iniziare un conflitto con un Ordine rivale. I belligeranti non sono obbligati a stabilire alcun confine di spazio, cioè le ostilità possono svolgersi in qualunque Piazza. Però, se siete in guerra e vi trovate in una Piazza estera ad entrambi, vi consiglio di stabilire una tregua. O per lo meno evitate di rompere troppo i coglioni ai padroni di casa e ai loro ospiti con i vostri bisticci. In ogni Città c'è sempre una fontana, per altro a portata di mano, dove inzuppare quelli che disturbano eccessivamente la tranquillità altrui. 46
Così come non c'è nemmeno la necessità formale di imporre un limite temporale alla guerra, volendo il gioco può durare in eterno, cosa che vi sconsiglio perché la rivalità è bella, ma se dura troppo è pressoché certo che finisca col degenerare. Parimenti non c'è alcun vincolo che imponga delle limitazioni alla pesantezza delle attività belliche, per cui gli unici freni all'eccesso sono il buonsenso e l'intelligenza dei belligeranti. Capite bene che le possibilità di uscire dal gioco divertente, ed entrare nel rancore più astioso, sono piuttosto concrete. Una buona guerra goliardica dovrebbe contenersi a cose tipo scherzi reciproci, uccellagioni di insegne, rapimenti di membri eminenti dell'Ordine avversario, stremanti e accaniti “bar”, pubbliche prese per il culo, al limite (ma proprio al limite) bicchierate di vino pisciato somministrate al “nemico”. Tutte cose che, anche senza guerra, dovrebbero essere il pane quotidiano di ogni Goliarda che si rispetti, con la differenza che, in caso di conflitto, il numero di questi giochi e di queste provocazioni aumenta vertiginosamente verso un rivale dichiarato. In un ambiente fatto di eccessi, di scarsità di inibizioni e di “prime donne”, com'è la Goliardia, è un attimo che le cose prendano una brutta piega. Quello che, per quanto provocatorio, dovrebbe rimanere comunque gioco, finisce spesso col diventare risse, lassativi nei bicchieri, scherzi di pessimo gusto e simili. Con tutti i rancori e le vendette, promesse e realizzate, che ne conseguono da entrambe le parti. Il problema è che la cosa più naturale è dichiarare guerra a chi ti sta sui coglioni, mentre con chi ti sta sui coglioni non è affatto naturale comportarsi bene, anzi! L'ideale sarebbe quindi aprire le ostilità solo con Ordini amici, di cui si ha stima, con cui è davvero improbabile oltrepassare i confini del rispetto e della civiltà. Quello che nasce come gioco rimarrebbe gioco, e sarebbe divertente per tutte le parti in causa. Come ultime considerazioni vorrei segnalarvi che esistono delle “guerre” storiche, mai formalmente dichiarate, ma mantenute vive da generazioni di Goliardi. Qualche esempio: Padova vs Bologna, Perugia vs Camerino, Parma vs Modena, giusto per citarne qualcuna di quelle tra Piazze. Non mi metto a citarvi le ostilità fra Ordini, tanto sono sotto gli occhi di tutti, basta avere un minimo di spirito di osservazione e le inquadrate subito tutte. Sono rivalità, queste, che risalgono a decine di anni fa, e che ormai fanno parte integrante del gioco dei Goliardi nati sotto quei colori. E per fortuna ci sono! A ripensare al mio percorso da Attivo, se non avessi avuto dei buoni rivali con cui “scontrarmi”, in accanitissima lotta col mio Ordine o con la mia Piazza, certe serate sarebbero state proprio pallose. Non sto a nominarvi per paura di scordare qualcuno, però cari stronzi di “quando ero matricola io”, di quando ero Attivo per numero di bolli e per operatività sul campo, cari farabutti con cui ogni occasione era buona per scannarsi allo stremo, cara gentaglia con cui la provocazione e l'affronto erano routine: grazie! Se allora mi stavate sul cazzo adesso ricordo quelle “baruffe”, e le vostre facce di merda, con molta nostalgia ed anche un po' di affetto. Basta, sto diventando mieloso e romantico. Meglio cambiare argomento. 47
ORDINI e SOVRANITÀ Un Ordine è una compagine di Goliardi uniti da medesime insegne. Per un osservatore superficiale questa potrebbe essere una definizione perfetta, che però è anche estremamente limitativa e troppo semplicistica. La spiegazione di un Ordine in questi termini poteva andare bene anni fa, quando si sapeva perfettamente che, dietro queste brevi parole, l'intenzione era qualcosa di molto più profondo e articolato. Adesso, alla luce dell'omologazione di gioco che si vede in giro, è caso di non sottintendere niente. Quando ero matricola io ogni Piazza, ogni Ordine, aveva un proprio stile, un proprio modo di fare Goliardia, per dirla come di diceva allora “una propria scuola”. Un bolognese lo riconoscevi subito dalla fantasia borderline, un padovano dal formalismo fanatico, un triestino dalla fisicità spicciola, un fiorentino dalle velleità da eminenza grigia, ecc. I miei coetanei, e quelli più vecchi di me, potranno confermarvi queste differenze di stili sia fra Città che fra Ordini. Allora, rispetto ad oggi, non c'era una globalizzazione nel gioco, si intuiva subito da quale Piazza uno provenisse. Talvolta si capiva anche a che Ordine appartenesse, bastava parlarci cinque minuti, non c'era nemmeno bisogno che indossasse le insegne. Non eravamo così monocromi e uniformati come purtroppo sono attualmente tanti degli Attivi. Quando ero matricola io le diversità negli atteggiamenti mentali, e nelle forme di comportamento, erano la prima fonte di discussioni “al bar” della Goliardia di quei tempi. Dovrei attaccarvi un ulteriore pistolotto per specificare che questa Goliardia 2.0, così appiattita e arida, è causata da un uso sbagliato dei nuovi strumenti di comunicazione, quali i social network, ma risulterei pedante e noioso. Per cui torno al tema iniziale e vedo di fornirvi una definizione più completa di Ordine. Un Ordine non è solo un gruppo di Goliardi che portano le stesse insegne, in un Ordine che si rispetti gli individui che lo compongono condividono anche una storia collettiva, un determinato modo di giocare e di porsi con i Fratelli di altri Ordini, uno stile che li identifica quali appartenenti a quel gruppo specifico e particolare. Portare certi colori significa, insomma, avere una forma mentis e un modus operandi comune, immediatamente riconoscibile, e di cui ci si fa vanto come e più delle insegne che si indossano. Inoltre un Ordine non va mai inteso solo per quella quindicina di persone, più o meno Attive, che lo bazzicano, ma come l'insieme di tutti i suoi affiliati, dal fondatore all'ultima merdaccia processata. Ovvero come l'insieme delle esperienze, delle personalità e delle vicende individuali di tutti i membri, dalla costituzione ai giorni nostri. Intendere un Ordine in questa maniera prevede, naturalmente, che ci sia una profondissima diversificazione fra i vari gruppi. In una situazione così è impensabile che un perugino giochi come un milanese, o un torinese come un ferrarese, ecc. Perfino nella stessa Piazza si noterebbero differenze di gioco fra i vari Ordini Vassalli. Ognuno dovrebbe avere un proprio modo di fare Goliardia, accomunato da valori accettati da tutti e consuetudini per lo più condivise, ma espresso in diffe48
renti e molteplici modalità di portare avanti il gioco. Per cui vedere tanti Attivi di Città diverse che fanno le stesse cose, allo stesso modo, con le stesse logiche, con comportamenti identici e percorsi mentali standardizzati, da un lato mi fa male al cuore, dall'altro mi fa girare i coglioni. In tutto il testo, per individuare i gruppi di Goliardi accomunati da medesime insegne, ho utilizzato per praticità il termine “Ordine”. In realtà la situazione è molto più variegata e caleidoscopica, avrei dovuto parlare di Accademie, Balle, Confraternite, Ordini, Vole, ecc. Le differenze fra queste realtà sono soprattutto di due tipi: l'organizzazione interna della gerarchia, e il rapporto con l'Ordine Sovrano della propria Città. Entrare nel dettaglio più di così sarebbe infilarsi in un labirinto senza uscita: sono talmente tanti i gruppi di Goliardi accomunati da un insegna, che risulta impossibile descrivere le migliaia di differenze che intercorrono tra loro. L'unica sarebbe stilare un elenco con tutti gli Ordini italiani e segnalare per ognuno di essi le varie caratteristiche e peculiarità. Lavoro ingrato e certosino, per cui se volete approfondire: arrangiatevi. Fate alla solita maniera, vi pigliate un membro dell'Ordine di cui volete sapere vita morte e miracoli, e ve lo portate “al bar”. E visto che in Goliardia le informazioni andrebbero pagate, per farvi raccontare offrite voi. Ogni Ordine di regola ha un proprio statuto, ovvero un documento ufficiale che ne specifica le caratteristiche, norma la scala gerarchica interna, sancisce eventuali deroghe alle consuetudini comuni per gli usi particolari. Se si tratta di Ordine Vassallo è necessaria l'approvazione del Capo Città affinché lo statuto sia formalmente valido, e l'Ordine venga riconosciuto ufficialmente. Nel caso si costituisca un Ordine nuovo, è necessario un atto formale di legittimazione, sottoscritto dal Sovrano della Piazza dove il gruppo esordiente svolge la propria attività. Di norma questa autorizzazione, espressa attraverso una bolla di riconoscimento (vedi BOLLE), è ottenibile soddisfacendo alcune condizioni imposte dal Capo Città. Un numero minimo di membri, il compimento di determinate imprese goliardiche, la partecipazione ad alcune riunioni di altri Ordini, e/o l'organizzazione di eventi, sono quelle più “gettonate”. Lo scopo di queste richieste è dimostrare che la nuova compagine ha i numeri, la voglia, le capacità e più in generale le “palle”, per costituirsi Ordine e fare Goliardia. Questa convalida, che autorizza lo svolgimento di attività goliardiche a livello locale, cioè nella propria Città, è necessaria, ma non sufficiente, per il riconoscimento dell'Ordine stesso a livello nazionale. In passato, cioè negli anni '60 del secolo scorso, questa legittimazione venne concessa a moltissimi Ordini attraverso i C.S.G.I. (Consiglio Superiore della Goliardia Italiana). Si trattava di convegni a cui erano invitati i Principi di Goliardia delle varie Città, i quali si prefissarono di organizzare a livello nazionale la moltitudine di gruppi di Goliardi che si erano formati allora. Il tentativo risultò vano, per la natura stessa della Goliardia, tendenzialmente anarchica e insofferente alle imposizioni dall'alto da parte di qualsivoglia auctoritas, però in quelle occasioni venne stilato un elenco contenente la stragrande maggioranza degli Ordini ufficialmente legittimati operanti in Italia. 49
Da allora la lista non è stata più aggiornata, per cui per vedere ratificato il proprio diritto a fare Goliardia da tutti i Fratelli italiani, per consuetudine si intraprende un altra strada. Ossia organizzare una cena ufficiale di riconoscimento, fatta con tutti i crismi di N.S.M. (vedi CENE e FESTE), aperta a tutte le Città e a tutti gli Ordini d'Italia. La presenza stessa degli altri gruppi di Goliardi costituisce l'indice di “gradimento” della nuova compagine sul piano nazionale, cioè il livello di riconoscimento di quelle insegne fuori dalla Piazza di appartenenza. Quando ero matricola io era cosa eccezionale vedere insegne non riconosciute girare per le Piazze, qualche contestatore contrario ai colori incriminati sarebbe sicuramente saltato fuori, magari arrivando anche a strappare le insegne ritenute illegittime. Oggi invece sono tutti disposti ad accettare tutto. Come se il diritto a fare Goliardia e ad essere Ordine non fosse un privilegio da acquisire con impegno, ma chiunque, a proprio tiramento di culo, fosse legittimato a mettersi addosso qualsivoglia straccio colorato. Un gruppo può anche bazzicare due anni per le Piazze, prima di organizzare una cena, e magari nemmeno di riconoscimento ufficiale. Tanto a nessuno verrà mai in mente di mettere in discussione il loro diritto a farlo. Nessuno realizzerà che è il caso di portarli “al bar”, e fargli un sacrosanto culo a strisce, per testare se sono davvero Goliardi o presunti tali. Per valutare se hanno le palle per portare insegne simili alle tue, o se invece stanno usurpando dei diritti che tu hai e loro no: portare un mantello e una placca, definirsi Nobili, dichiararsi Ordine, processare matricole, ecc. Quello che mi lascia perplesso è come gli attuali Capi Ordine permettano che chiunque possa dichiarare uno status pari al loro, come i Nobili Attivi accettino che qualunque persona si fregi di Nobiltà goliardica, come i Sovrani non si interessino se i colori che girano per le loro feste siano o meno riconosciuti e ufficiali. Sono davvero stupito da tutti quegli Attivi che, pur ricoprendo una carica importante, permettano a chicchessia di ostentare uno status goliardico senza aver fatto nulla per poterselo meritare. Probabilmente non si rendono conto che questo atteggiamento, così permissivo e menefreghista, come diretta conseguenza tolga “Nobiltà” alle loro stesse insegne. Se tutti possono definirsi Capo Ordine, essere tali non è più né elite né privilegio. Se tutti possono dichiararsi Nobili, il tuo status, caro Nobile Attivo di Ordine riconosciuto, varrà decisamente molto meno. Quando un Ordine per scelta dei propri membri, o per scarsità di numero degli stessi, non è più operativo, si parla di Ordine in sonno. Tale condizione dovrebbe essere solennizzata da una cena. Un Ordine in sonno non può più processare nuovi accoliti, modificare l'assetto gerarchico di chi è già membro, cambiare il proprio statuto, ecc. Tutti gli affiliati al gruppo vengono congelati nella loro ultima carica, mantenendo comunque il diritto a portare le loro insegne e il loro ruolo. Ciò non toglie che tale Ordine possa essere risvegliato, se ha la fortuna di trovare una combriccola di baldi Attivi volenterosi di rimettere in piedi la baracca. Per ricominciare l'attività goliardica è necessaria un'autorizzazione del Capo Città, ottenibile appagando una serie di richieste, del tutto simili a quelle per l'a50
pertura di un nuovo Ordine. Inoltre è imprescindibile anche una cena di risveglio, per farsi riconoscere dal resto di Italia il diritto a tornare a girare con le insegne uscite dal sonno. In alcune Piazze, per esempio Bologna, spetta all'Ordine Sovrano Maggiore l'autorità di dichiarare l'ingresso in sonno dei propri Vassalli. In altre, ad esempio Padova, la cessazione delle attività goliardiche si fa ma non si dice, perché per consuetudine cittadina o per lacuna statutaria un Ordine non è tenuto a dichiarare il suo status di “dormiente”. Tanti Ordini, adesso e anche in passato, sopravvivono nonostante abbiamo pochissimi membri, a volte solo il Capo Ordine. Personalmente ritengo sia più decoroso un ingresso in sonno volontario e ufficializzato da una cena, piuttosto che un agonico tirare a campare, atteggiandosi come se il gruppo fosse numeroso come gli altri. Scelta legittima, ma che non condivido. Gli Ordini si dividono in tre categorie legate alla loro Sovranità: Maggiori: Minori:
Vassalli:
hanno Sovranità su territori sedi di Atenei, il Fittone a Bologna, il Griphonato a Perugia, il Corno a Torino, il Granducato a Camerino, ecc. hanno Sovranità su territori senza Università, o con facoltà distaccate e sedi dipendenti, per esempio la Papera d'Oro a San Severo (FG). Molti di questi, oggi, fanno comunque riferimento ad un Ordine Sovrano Maggiore, per esempio il Principato di Piombino (LI), de facto Vassallo del Torrione di Pisa pur mantenendo una certa autonomia. fanno Goliardia in Città sedi di Università, ma sono sottoposti all'autorizzazione e al controllo dell'Ordine Maggiore. Possono avere diritti di Sovranità a vario titolo su concessione dell'Ordine Sovrano. La grande maggioranza degli Ordini attualmente operanti rientra in questa categoria.
La Sovranità territoriale prevedrebbe la possibilità di costruire una piantina “politica” dell'Italia, con le zone divise a seconda dell'Ordine Maggiore di riferimento. Quando ero Attivo ho provato a disegnare questa mappa, ma con pessimi risultati. Ci sono troppi territori di difficile attribuzione, in quanto storicamente contesi fra varie Piazze: Reggio Emilia da sempre è disputata tra il Duca di Parma e il Duca di Modena, Rovigo tra il Tribuno di Padova e il Duca di Ferrara, la Lunigiana tra il Torrione di Pisa e il Duca di Parma, ecc. Allo stesso modo ci sono territori, storicamente soggetti ad un Ordine Sovrano, dove un Ordine Minore o Vassallo ha tentato di creare una propria autonomia: per esempio Verona dove i Cavalieri Ghibellini hanno provato a staccarsi dal dominio del Tribunato di Padova. Bisogna tenere conto della diversa situazione creatasi negli anni. Nel dopoguerra (congresso dei Principi di Goliardia e dichiarazione di Ca' Foscari) le città universitarie italiane erano meno di venti, di cui oltre una dozzina firmatarie dei primi regolamenti. A queste si aggiungevano alcune sedi distaccate, poi aumentate negli anni a dismisura. Quindi si è proceduto all'apertura di numerose nuove Università, o alla trasformazione di sedi in centri indipendenti. Il conteggio adesso è attorno al centinaio. 51
Tra le velleità di protagonismo di singoli o gruppuscoli, e il minimo storico di presenze in Goliardia, si arriva logicamente alla frantumazione attuale, con la difficoltà di capire o distinguere tra Ordini Maggiori, Minori o Vassalli, e la complessità di attribuzione di molti territori. La confusione è il risultato inevitabile. Non confondete “Sovranità territoriale” e “territorialità”, anche se i termini sono simili indicano due cose molto diverse tra loro. La prima si riferisce ai diritti, che a vario titolo, un Ordine (Maggiore, Minore o Vassallo) può vantare su una determinata area geografica. Invece la seconda riguarda per lo più gli Ordini Minori o Vassalli, e specifica che i membri di quel gruppo, che si definisce “territoriale”, provengono tutti dalla medesima zona. Ad esempio: il Califfato a Perugia annovera Goliardi del sud Italia, la Melangola a Bologna raccoglie abruzzesi e molisani, ecc. Per lo meno una volta era così. Oggigiorno, per colpa dello scarso numero di studenti che fanno Goliardia, gli Ordini “territoriali” ancora in attività raramente impongono limitazioni di origine geografica ai loro aspiranti. Esistono dei particolari Ordini che sono “per chiamata”. A differenza di quelli matricolari, che accolgono nuovi membri a seguito di un processo, questi sono formati da Goliardi nati sotto altri colori e insigniti nell'Ordine per meriti goliardici, o per situazioni particolari, piuttosto che per semplice tiramento di culo del Capo Ordine. Come esempio cito il Goliardico Nobilissimo Ordine Cavalleresco di Slavonia, Ordine Equestre di Bologna, che raduna circa 400 Goliardi di tutta Italia. Concludo segnalandovi la presenza di due Ordini nazionali: la Sacra Golia Confraternita e il Sovrano Ordine Goliardico dei Clerici Vagantes. La Golia è nata come tentativo di federare Ordini già esistenti, in un insieme di Principati (ovvero Università) dislocati su tutto il territorio italiano, tutti facenti riferimento al Capo Ordine (il “Golia”), e organizzati in unica Confraternita con ampia autonomia dei singoli gruppi. Attualmente opera solo a Milano. I Clerici Vagantes sono un Ordine che raggruppa Goliardi provenienti da diverse Piazze italiane, il cui cursus honorum si è svolto sotto le insegne di Ordini a carattere locale. La Sovranità Maggiore dei Clerici è il corrispettivo goliardico dei diritti di Sovranità di Stato dei Cavalieri di Malta, ovvero pur non avendo sede fissa, il loro diritto a svolgere attività goliardica in maniera indipendente, e la loro Sovranità, risiedono nella figura stessa del Capo Ordine (il “Gran Priore”).
OSPITI In Goliardia l'ospitalità è sacra, per cui chi è ospitato va trattato in guanti bianchi, sia che si tratti di una semplice riunione, di una cena o di una festa delle matricole in grande stile. Chiaramente l'ospite deve sapersi comportare, rimanendo nei confini del rispetto e dell'educazione nei confronti dei padroni di casa. Se per caso oltrepassa tali limiti perde il suo status e, da gradito e benaccetto, migra in quello di rompicoglioni. Sarà quindi diritto e dovere degli anfitrioni cacciarlo malamente dal con52
sesso, restituendogli eventuali doni che ha portato, o un pari valore in B.T.Vque se fossero già stati consumati. Quando si è ospiti è buona abitudine non presentarsi mai a mani vuote, va sempre portato qualche omaggio. Magari una bottiglia di vino senza pretese o un pacchetto di sigarette, comunque si dovrebbe avere qualcosa da condividere con chi ci ospita: è segno di cortesia e di riconoscenza goliardica. Quando ero matricola io, se qualcuno portava del vino in dono, l'anfitrione, anche se non apriva subito la bottiglia, al momento di stapparla chiamava chi gliene aveva fatto omaggio e ne condivideva con lui. Omettere questa attenzione era considerato scazzo. Oggi più di una volta ho avuto modo di vedere padroni di casa di merda che, invece di condividere il vino con il suo latore, lo bevono per i cazzi loro, o si portano a casa la bottiglia intonsa. Come se questo atteggiamento fosse la normalità, e non una mancanza di riguardo ed educazione verso chi generosamente ha portato l'omaggio. Se un ospite è Nobile è nel suo diritto portarsi appresso uno scudiero o una valletta, che naturalmente deve risultare gradito agli anfitrioni. Consuetudine vuole che per gli ospiti che sono Capi Città, Capi Ordine o Nobili Facenti Funzione, i padroni di casa concedano loro un posto di rappresentanza in Tavola Alta. Visto che i posti sono sempre limitati il diritto a sedersi sarà secondo R.O.G., ovvero prima i Sovrani, se resta posto i Capi Ordine e a seguire i Facenti Funzione. Questo alle cene, durante le riunioni, dove la situazione è più elastica, gli anfitrioni solitamente concedono ai loro ospiti Nobili un posto in Tavola Alta, o quanto meno la possibilità di accedervi se hanno voglia di farlo. Ultima cosa da ribadire è il fatto che per avere bisogna dare. Nessuno può avere la pretesa di essere trattato come la Regina di Inghilterra, se non è lui stesso il primo a trattare i suoi ospiti allo stesso modo.
PRESENTAZIONE Nella vita di tutti i giorni la buona educazione prevede che, se in qualche occasione non si conosce qualcuno, ci si vada a presentare. Lo stesso discorso vige anche in Goliardia seguendo il R.O.G.: il minor è sempre tenuto a presentarsi ai Maiores che non conosce, se non lo fa commette uno scazzo. Nella larga maggioranza delle Città italiane ci si presenta porgendo la mano destra, in una particolare stretta di mano all'altezza del petto, invece a Padova, la mia Piazza di provenienza, ci si abbraccia prima a destra e poi a sinistra. Altrove gli abbracci sono tre. Ovunque il minor si avvicina all'orecchio destro del Maior e gli dice il proprio nome, la carica e l'Ordine di appartenenza, viceversa sarà poi il Maior a fare la stessa cosa. 53
La presentazione va fatta a voce adeguatamente alta e scandita. Non sussurrate il vostro nome, anche se vi fa schifo è e resta quello, tanto vale che lo portiate con onore. Inoltre non si lascia mai la stretta di mano, o l'abbraccio, prima di essersi presentati entrambi, il Maior con cui state facendo conoscenza potrebbe sospettare che non ve ne freghi nulla di sapere chi è, e ovviamente vi farebbe il culo per la scortesia presunta. Una volta che ci si è presentati è bene ricordarsi il nome della persona conosciuta, dimenticarlo o sbagliarlo storpiandolo è uno scazzo, una mancanza di rispetto, una dimostrazione che del tizio non ve ne frega nulla. Quando ero matricola io i nomi lunghi erano piuttosto rari, adesso invece c'è la mania stupidissima di dare alla gente nomi infiniti, per cui mi è capitato recentemente di sentire due popolani presentarsi più o meno così così: - “Sono Pippo Pipparolo Minchiobombo Caccapipì Bibì Bobò Stupidello Mollocacchio Alitossico Unghiaincarnita, casacchino dell'Ordine del Pertugio Anale” - “Come posso chiamarti?” - “Pippo” - “Io invece sono Lello Somarello Ciucciacicci Bietolone Callialculo Emorroidella Sodomofilo Fallocefalo Pestalamerda, saiettazzo della Confraternita delle Coliche Intestinali” - “Come posso chiamarti?” - “Lello” Al che il mio primo pensiero è stato: ma che cazzo vi servono duemila nomi se poi vi fate chiamare da tutti “Pippo” e “Lello”?! Io al mio nome e al mio appellativo ci tengo, e mi presento con orgoglio come “Seneca il Logorroico”. Se dopo la presentazione qualcuno prova a chiedermi come mi può chiamare, la risposta è ovviamente “Seneca il Logorroico”. Cari Capi Ordine, ci può stare il giochino di dare ad uno dei vostri un nome lunghissimo, per il gusto di mettere in difficoltà quelli con cui questo si presenta, costretti loro malgrado a ricordarsi tutta la litania. Se un Goliarda su cento ha un nome “infinito” la trovata può anche risultare divertente, ma siccome adesso la proporzione è nove col nome lungo per uno col nome breve, mi pare una puttanata senza alcuna originalità. Tanto più che i proprietari del nome filastrocca non pretendono che la gente se li ricordi per intero, ma ammazzano il vostro gioco permettendo agli altri di usare solo il primo della lista. Questo uso di nomi lunghi puzza di barocchismo, di inutile infiorettatura, di costruzione estetica atta solo a coprire vuoti e lacune sostanziali. Non dico che non vadano dati eventuali secondi nomi, ma se vengono concessi dev'essere per qualcosa di veramente memorabile, non per una stronzata qualsiasi. Così chi li porta lo fa con onore, e si incazza se qualcun altro se li dimentica. Invece quest'abitudine di allungare il brodo del nome ha portato a far si che conti solo il primo, e gli altri siano, per chi li deve dire e per chi li deve ascoltare, solo una tiritera di parole vane dette mentre ci si presenta. Mi chiedo dove stiano cultura e intelligenza nello sciorinare una cantilena senza alcun significato.
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PROCESSO Il processo è il rito di iniziazione che una matricola compie per entrare in Goliardia. I Nobili che presiedono il rito possono in questo modo testare le capacità dell'aspirante, cioè valutare se sia adatto al gioco goliardico e all'Ordine in cui chiede di entrare. L'ingresso in Goliardia e l'ammissione in un Ordine sono due passaggi distinti. La consuetudine più comune vuole che, alla fine del processo, come primo atto l'aspirante venga accettato “in nostra magna familia goliardica”, solo successivamente vi sarà l'accesso all'Ordine. La maggior parte degli Ordini sbriga questo secondo passaggio immediatamente dopo il primo. Tutti gli Ordini in attività, salvo quelli puramente onorifici, hanno diritto a processare i propri aspiranti, e qualsiasi studente universitario può ambire a indossare una feluca e delle insegne, sottoponendosi ad un processo goliardico. È preferibile farlo da matricole, per godersi più anni di Goliardia, ma uno può venire processato a qualunque età, purché sia regolarmente iscritto ad un Ateneo. Consuetudine vuole che l'aspirante porti un dono in Bacco, uno in Tabacco e uno in Venere al gruppo che lo processerà. Per alcuni Ordini è necessaria anche una “domanda in carta opportuna”, ovvero una richiesta di accettazione fra i Fratelli scritta su un materiale fantasioso e goliardico: dalla carta igienica alla tavoletta del cesso, dalle mutande, di una che ti sei scopato, al tuo culo, dove ti sei scritto il testo con l'indelebile. Molti Ordini prevedono anche che il processato porti la sua feluca nuova di fabbrica la sera stessa dell'iniziazione. Non ci sono norme specifiche che definiscano le forme del processo goliardico, salvo il fatto che il processato, pur non potendo rifiutare nessuna prova, rimane comunque libero di andarsene in qualunque momento. Storicamente il processo era costituito da un vero e proprio tribunale, con accusa, difesa, e quant'altro facesse parodia della corte di giustizia. Oggi alcuni utilizzano ancora questa formula, altri la usano sporadicamente, ma in generale ogni Ordine processa senza un rituale prefissato. Semplicemente recitano a soggetto, a seconda delle caratteristiche dell'aspirante, dell'estro del momento e del quantitativo di Bacco ingerito dalla Tavola Alta. Per la maggioranza degli Ordini il processo si svolge in una serata, anche se ci sono realtà dove il processo dura anche un anno. Per lo meno quello del “tutto in una sera” è la consuetudine generale, poi in Goliardia il tempo è un concetto molto astratto. Ci sono state circostanze dove la “serata” è partita alle due del pomeriggio per finire alle cinque del mattino successivo, e casi dove il processo è durato per più riunioni consecutive. Quando ero matricola io, per accettare in Ordine un Tizio, lo processammo tre volte di fila. I tre processi furono una peripezia, se dovessi raccontarveli nel dettaglio mi ci vorrebbe un altro testo interamente dedicato alla vicenda. E comunque non lo potrei fare; il processo è segreto, e l'unica persona autorizzata a parlarne a terzi è il processato. È assodato che la Goliardia è un paese 55
piccolo dove la gente mormora, anzi è il crocicchio delle comari, dove l'arte di farsi i cazzi propri non è mai arrivata. Ciò nonostante non si parla dei processi altrui con chi non era presente, non si fa. È una mancanza di rispetto sia nei riguardi della privacy del processato, che verso l'Ordine che presiedeva il rito. Omertà mafiosa, insomma. Sono conscio che per dei pettegoli come i Goliardi sia un concetto difficile da accettare, ma bisogna fare uno sforzo e riuscirci. Per questi motivi di privacy e rispetto è anche assolutamente vietato fotografare, fare videoregistrazioni, ecc. durante un processo. Ogni Piazza, ogni Ordine, ha il proprio rito per l'ammissione dell'aspirante in N.S.M. Non esiste una forma canonica comune a tutti, salvo il battesimo del neo Goliarda in Bacco, Tabacco e Venere (vedi DIVINITÀ), e per molti anche l'uso del sale (salis sapientiae) e del pepe (pepis argutiae). Recentemente mi è capitato di essere invitato, da svariati Ordini, a qualche processo. La cosa che ho notato in quasi tutti i casi è che la serata dopo un po' degenera nel casino più totale, come se si trattasse di una riunione qualsiasi. L'attenzione verso il processato cala, e a “prendersene cura” rimangono due o tre persone al massimo. Succede talvolta che qualcuno dalla Tavola Alta richiami alla disciplina i vari membri del gruppo, i quali magari lo cagano per due minuti giusto per dargli il contentino, e poi continuano col farsi i cazzi loro. Questo modo di processare mi sembra un enorme stronzata. Non dico che durante il processo non debba volare una mosca, mi rendo conto che in un consesso di ubriachi la cagnara più anarcoide è di casa, ma è importante ricordarsi che durante questo rito la serata “appartiene” all'iniziato, è lui ad essere il “protagonista”. Tutto l'Ordine, non solo parte della Tavola Alta, è tenuto a testare un possibile Goliarda. Non ci si limita a farlo ubriacare a merda, e mandarlo nudo a fare cose ridicole. Certo, anche quello fa parte del processo, ma ciò che è fondamentale è valutare le capacità dell'aspirante a cavarsela nei giochi che incontrerà durante il suo percorso in Goliardia. E tutti, dal Capo Ordine all'ultimo popolano, devono collaborare per eseguire al meglio questa verifica. Quando il processato entra bendato in sala, la situazione dovrebbe essere il più possibile sfavorevole nei suoi riguardi. Deve trovarsi solo contro tutti, e dimostrare di avere le palle per reggere gli affondi, verbali e non, da parte dell'intero Ordine che lo sta processando. Inoltre è bene che un aspirante intuisca, fin dalla prima sera, che il gruppo in cui sta per entrare è una realtà unita, compatta e monolitica. Va ricordato poi che il processo (anche se diluito in più serate) è un rito che la matricola compie una volta sola, e che ricorderà per tutta la vita, per cui ritengo giusto che le attenzioni di tutti siano sempre focalizzate su di lui. Quando ero matricola io funzionava esattamente così: il processato era il bersaglio di un gruppo ordinato e compatto, tutti lo tenevano attentamente sotto tiro. L'aspirante si vedeva costretto a tirare fuori carattere, fantasia e spirito di iniziativa per superare le prove e i disagi che gli arrivavano da ogni parte. Era una sorta di imprinting: te la ricordavi bene quella serata. E ti ricordavi bene che il culo ti veniva fatto da tutti, e che tutti erano impegnati esclusivamente a fare il culo a te. Quindi imparavi da subito che in Goliardia bisognava girare 56
a chiappe strette, occhi aperti, e orecchie tese, perché non sapevi da dove sarebbe arrivata la prossima inculata. Chi entra in Goliardia adesso che idea si può fare dell'Ordine che lo processa, e di N.S.M. in generale, se dopo un po' tre quarti di Ordine si fa i cazzi propri nella confusione più totale? Ovviamente crederà che è un ambiente dove è lecito fare qualunque cosa, in cui regna praticamente solo il casino. Penserà che alcuni tizi con i mantelli più vistosi comandano, ma chiunque può fare quello che gli gira di fare, passandosela più o meno impunito. Proviamo a spostarci avanti nel tempo: una matricola a cui inizialmente è stata data questa opinione della Goliardia che tipo di Nobile sarà? Uno di quelli capaci di tenere, gestire e inquadrare un Ordine, o un cazzone per cui la regola è saper star dietro a un pollaio di galline starnazzanti? A voi la risposta. Altra cosa che mi fa venire rabbia è notare quanto sia calata la parte dialettica nei processi. È al processo che si insegna all'aspirante che le parole in Goliardia sono macigni, ma se tu non lo fai parlare, o peggio non lo sai ascoltare, come cazzo glielo insegni? Quando ero matricola io era consuetudine far discorrere il più possibile la matricola, allo scopo maligno di rivoltare a suo svantaggio qualunque cosa dicesse. Non che mancassero prove “fisiche”, semplicemente le varie leonatio, mattonatio, candelatio, ecc. non venivano imposte al processato senza alcun motivo, come mi è capitato di vedere ultimamente, ma si proponevano di solito come inevitabile conseguenza a qualche stronzata che aveva detto o fatto. Era fondamentale insegnare che in Goliardia ogni pensiero, parola, opera e omissione, conducono sempre a risvolti ed effetti, qualche volta piacevoli, molto più spesso no. Così come trovo sciocco, inutile e anche deleterio ubriacare il processato fino allo sbocco e oltre. Ci sta che l'aspirante Goliarda sia cotto a puntino, ci mancherebbe altro, ma togliendo completamente lucidità a una persona, ti risulterà impossibile testarla per le sue capacità umane, ai fini dell'ingresso in Ordine. Uno che è sbronzo marcio è buono solo a fare pagliacciate, ma un processo fatto solo per ridicolizzare una matricola, converrete con me, è più vicino al nonnismo da caserma che a un rito di ingresso in N.S.M. Va ricordato poi che il processato non paga. Ovvero quando si raccolgono i soldi è consuetudine che l'Ordine gli offra la serata. Così come, a processo terminato, il neo Goliarda, su di giri per il Bacco ingerito, non rientra mai da solo a casa, ma viene accompagnato da qualche Fratello a cui è stato dato l'incarico di prendersene cura. Un consiglio: non tutti sono fatti per la Goliardia, e la Goliardia non è fatta per tutti. Se il processato si dimostra essere un minchione antipatico speditelo a casa. Meglio essere in pochi, ma buoni, piuttosto che riempire l'Ordine di teste di cazzo solo per fare numero. Altra dritta: se vedete che l'aspirante, pur mostrandosi un idiota, uno spocchioso o simili, è comunque recuperabile, dategli un nome di merda tipo “ti porto a bolli”, “vado nudo” o “uccellami la feluca”. Se resiste alle rotture di cazzo, che gli arriveranno in fase di presentazione nei due mesi successivi, probabilmente ha le palle per il gioco della Goliardia. Allora ve lo potrete tenere, magari cambiandogli 57
il nome con uno più decente. L'altra possibilità è che al primo scoglio, nonché scoglionamento, se ne vada da solo con le sue gambine. Concludo sottolineando il fatto che una persona quando supera un processo viene accettata in N.S.M., quindi, se se per caso cambiasse Ordine, non ha alcun senso che il nuovo gruppo lo riprocessi: è già un Goliarda! Che gli faccia passare una o più serate di rotture di coglioni ci può stare, ma riproporre ad uno un rito che ha già passato, e di cui magari conosce già i giochi e i trucchi, mi sembra assolutamente stupido. Per cui, per correttezza formale, non chiamerei “processo” la serata di ingresso in un nuovo Ordine, credo che il termine “stasera ti facciamo un culo a tarallo e vediamo come te la cavi” sia più indicato e preciso.
QUESTUA Quando ero matricola io, un mio Vecchio mi ha insegnato questa massima che vi riporto: “un Goliarda, anche se ha sempre le tasche vuote, è comunque ricco delle proprie idee”. Per dirla in altro modo: un Goliarda è normale sia perennemente squattrinato, ad ogni modo non si pone mai il problema del denaro. Grazie alla sua fantasia e alla sua intelligenza se la cava sempre, mantenendo comunque la dignità e il decoro di uno studente universitario, ossia di una persona la cui cultura dovrebbe essere superiore a quella della maggior parte dei filistei. Lo spirito con cui si dovrebbe questuare è proprio questo. La questua non è accattonaggio, ma un modo raffinato di spillare denaro ai non Goliardi, senza perderne in dignità personale. Il Goliarda che chiede soldi con formule tipo “vuole darci una mano per una festa studentesca” mi ha sempre fatto incazzare, questo è un atteggiamento da barbone che domanda l'elemosina col piattino. Avete cervello e fantasia: usateli! Quando ero matricola io c'era un Fratello che, questuando ad un incrocio, imboniva la gente proponendosi come volontario di una fantomatica associazione “contro quelli che chiedono soldi ai semafori”. Gli automobilisti ridevano per la trovata, e intanto gli riempivano la feluca di quattrini. Inoltre è fondamentale ricordarsi che in questua ci si diverte. Non va presa come un attività il cui fine è rimpinguare cassa Ordine, quella è una conseguenza. Lo scopo principale è divertirsi e profittarne per qualche piacevole lazzo o sfottò ai filistei di turno. Tanto più che la questua non è diretta solo a incassare soldi, anche le offerte in B.T.Vque sono sempre gradite. In realtà qualunque elargizione, fatta di buon cuore, andrebbe accolta con gratitudine. È forse questa la parte più divertente delle questue, recuperare cose astruse solo perché sei riuscito a convincere la gente che era il caso di dartele. Quando ero Capo Ordine andammo, io e i miei sai, a questuare in un bar. I titolari erano dei cinesi che capivano quattro parole in croce di italiano, e ovvia58
mente non avevano la più pallida idea di cosa fosse la Goliardia, figurarsi la questua. Al nostro tentativo di fargli cacciare il baiocco fecero immediatamente orecchie da mercante, per cui glissammo su una offerta in Bacco. Anche per quello muro totale da parte loro. Era diventato un punto d'onore: dovevo uscire dal locale con qualcosa in saccoccia. Tanto si disse e tanto si fece che alla fine ci presero in simpatia, e ci regalarono quattro bottigliette d'aranciata. A distanza di anni non ho memoria di quelli che quel giorno hanno dato dei soldi, però i baristi cinesi e le loro aranciate me li ricordo bene. In quel periodo c'era un Ordine che aveva organizzato un giochino per la questua, così divertente e particolare che è caso di farne menzione. Il gioco era a squadre, e consisteva nello scambiare via via oggetti con cose di valore sempre maggiore, convincendo passanti e negozianti ad accettare la permuta. I vincitori erano quelli che riuscivano a recuperare la cosa più bella, o più interessante, entro un tempo stabilito. Partivano tutti da qualcosa di inutile, per non dire pattume, da quello recuperavano un cioccolatino, che veniva poi scambiato con una penna, la penna lo barattavano con un giornale, il giornale con una maglietta, e così via. C'è stato chi, da un tappo di sughero, alla fine del gioco è tornato con un motorino. Non si può questuare sempre e dovunque, il periodo e il luogo di questua vengono sempre decisi dal Capo Città, o dal Capo Ordine, che vanta diritti sul territorio dove viene concessa. Farlo in zone che non sono di propria competenza, o fuori dai limiti temporali permessi, è considerato un grave scazzo e come tale va pagato. Solitamente i Sovrani concedono sempre un periodo per le questue prima delle loro feriae. Però può succedere che un Ordine, per organizzare un evento, abbia bisogno di una questua straordinaria per tamponare le spese. Cari Capi Ordine non esitate a chiedere la facoltà di farlo al vostro Sovrano, se la richiesta è motivata da una cena o una festa, difficilmente vi negherà il permesso. Ovviamente è sempre una questione di do ut des, se vi è stata data la possibilità di recuperare denaro, ma voi non avete avuto spese né concesso accrediti né offerto nulla, sicuramente il Capo Città vi farà il culo, e col cazzo che vi lascerà andare ancora in questua straordinaria. In caso di festa delle matricole, è consuetudine accettata che gli esteri possano questuare nella Piazza che fa le feriae, al fine di recuperare di che mantenere le proprie crapule. Per la stessa ragione è ammessa la questua itinerante durante il viaggio verso una feria o una cena, da quella in treno alle numerose fermate in Autogrill. In questo caso, naturalmente, non è necessario richiedere l'autorizzazione dei Capicittà dei territori attraversati. Per la questua del singolo o del gruppo, che cerca di recuperare qualcosa, buona regola è sfruttare le proprie capacità, magari aiutandosi con pochi accorgimenti ormai classici. Molti fiorai sono disposti a regalarvi fiori appassiti, o foglie mosce. Preparate alcuni mazzolini, forse miseri ma di cuore, che provvederete a offrire alla bella coppia di turno. Se accompagnati da sonetti e distici sia classici che improvvisati, ottengono sempre un sorriso e una buona resa. I cantori, muniti o meno di strumenti musicali, fanno sempre il loro effetto, così come i rimatori estemporanei raccolgono gli applausi, e un adeguato soldo. 59
Quando percepisce i soldi un Goliarda non li prende mai con le mani, ma se li fa riporre dentro la feluca. I quattrini sono un mezzo sporco per ottenere B.T.Vque, un buon Goliarda tocca quelli, non certo il vile denaro. E a proposito di quattrini, un piccolo trucco: non questuare MAI con la feluca vuota. Vuotarsi le tasche e partire coi pochi spiccioli recuperati. Man mano che si raccolgono offerte, cambiare gli spiccioli in banconote. La loro presenza invoglia l'emulazione! Il modo più classico e il più ufficiale per questuare è attraverso le bolle di questua (vedi BOLLE), cioè dei documenti da smerciare agli esercenti cittadini, di solito nel modo più variopinto, fantasioso, brillante e grottesco possibile. Ultimo punto da ricordare è che non si questua mai ai Fratelli. Recentemente mi è capitato di vedere un tizio fuori da una cena chiedere, feluca alla mano, denaro agli altri Goliardi. In altre parole provava a rubare in casa del ladro. Non si fa! Da che mondo è mondo i soldi si spillano solo ai filistei! Al limite, quando un Ordine organizza una cena o una festa, si può chiedere un contributo ai propri Vecchi, atto certamente borderline sotto l'aspetto formale, ma accettato e storicamente consolidato per molte realtà, e comunque molto diverso dalla classica questua.
RAPIMENTO Il rapimento goliardico, come altri giochi in Goliardia, è sottoposto a consuetudini e norme ben definite, alcune di queste sono fondamentali per la validità del gioco stesso, per cui è necessario averne una buona conoscenza. Esistono tre tipi di rapimento: per accerchiamento: è la tipologia di ratto più comune, in cui il rapito viene circondato da un gruppo di Goliardi. Perché sia formalmente valido ogni rapitore, in numero non inferiore a sette persone, deve avere un numero di bolli pari o superiore a quelli del rapito, gli eventuali altri partecipanti non sono tenuti a rispettare questo parametro. Secondo alcuni è necessario che sussista anche parità (o superiorità) di carica fra i sette rapitori e il rapito, cioè per rapire un capo popolo ci vogliono almeno sette capi popolo, per un Nobile sette Nobili, ecc. Pur non contestando in toto la validità di questa “scuola”, trattandosi di un gioco molto vecchio, risalente al periodo in cui si faceva Goliardia principalmente per bolli, ritengo che questi ultimi siano sufficienti per la validità formale del gioco. La parità di carica è però generalmente, e assolutamente, richiesta per le maggiori Dignità: Capi Ordine e Capi Città. Risultando altrimenti troppo semplice il ratto. per ratto forzoso: in questo caso il rapito viene prelevato di forza, ma senza violenza alcuna. Di solito lo si carica in macchina e lo si porta nel luogo di detenzione predestinato. Qui non conta avere sette volte i bolli del rapito, piuttosto è necessario avere gente grossa disposta al lavoro “sporco”. Sia chiaro che stiamo parlando di Goliardia, per cui nessu60
no deve farsi male. Se il rapito rischia di ferirsi per il trambusto e l'agitazione, seguite il buonsenso e interrompete il gioco. Usare la forza significa tenere fermo qualcuno grazie alla propria massa fisica, non certo pestarlo di botte o sottoporlo a qualunque forma di violenza. Questo, tra l'altro, rientra nel classico gioco tra sodali, piuttosto che tra nemici, anche per ottenere più facilmente l'acquiescenza del rapito. Sono innumerevoli le volte in cui è stato rapito il Capo di un Ordine con cui si è in ottimi rapporti, un giorno o due prima della sua cena di abdicazione, solo per il gusto di vedere il panico degli amici costretti a riscattarlo in tempo. per astuzia: in questa variante raffinata del ratto forzoso, viene approntato un piano dove è lo stesso rapito a infilarsi in trappola. Non ci sono limiti alla fantasia per mettere in opera il progetto, salvo quelli dettati dall'intelligenza e dal buongusto. Il caso classico è quello della bella figa prezzolata dai Goliardi, che invita il tizio che si vuol rapire ad un rendez vous amoroso nel proprio appartamento. Se il tapino abbocca, invece della fanciulla tanto anelata, troverà il gruppetto dei suoi rapitori. Una volta dichiarato il ratto, un buon Goliarda, senza fare tanti capricci, dovrebbe accettare serenamente il suo status di rapito. A seguito di questa accettazione è anche possibile liberarlo dal luogo dov'è detenuto. Tale ammissione dell'avvenuto rapimento può essere semplicemente orale e risulta comunque formalmente valida, anche se è sempre consigliabile fargli firmare una bolla di accettazione, per impedirgli qualsiasi tentativo di rimangiarsi la parola data. Nel caso l'ostaggio non accettasse il suo status, verrà necessariamente costretto a rimanere nel luogo di detenzione fino a quando il suo Ordine non pagherà il riscatto richiesto. Il rapito, qualunque sia il suo valore e la sua carica, deve essere sempre trattato come e meglio di una principessa sul pisello. Non potrà in alcun modo essere fatto oggetto di violenza, gli devono essere forniti B.T.Vque in quantità, e nei limiti del ragionevole devono venire soddisfatte tutte le sue richieste. Ovvio che se il tizio comincia a volere casse di amarone d'annata, scatole di costosissimi cubani, mignottoni d'alto borgo, ecc. lo si manda affanculo, ma se le sue pretese sono sensate e accontentabili vanno assolutamente soddisfatte. Naturalmente l'ostaggio ha diritto a fare richieste proporzionate al valore della sua carica, quindi se un Capo Città vi chiede una bottiglia di champagne, o un'onesta scopata, non potete esimervi dal fornirgliela. Allo stesso modo il luogo di custodia dovrà essere proporzionale alla Dignità goliardica dell'ostaggio: rinchiudere un Nobile in uno sgabuzzino o in un garage è impensabile. A ratto avvenuto i rapitori devono far pervenire all'Ordine del rapito una bolla di riscatto (vedi BOLLE), assolutamente il prima possibile e comunque mai oltre le 69 ore. In questo caso il giochino di aspettare l'ultimo minuto disponibile non vale: sarebbe da stronzi tenere uno segregato per quasi tre giorni, senza che nessuno sappia nulla. Le richieste di riscatto devono sempre essere proporzionali al valore dell'ostaggio, oltre che ragionevoli e soddisfacibili dai sui Confratelli. Se viene rapito un Capo Città si potrà chiedere di più e di meglio rispetto al rapimento di un qualsi61
asi Mantato di Ordine Vassallo. Ciò non toglie che, come per l'uccellagione, nulla vieta di chiedere poco per ratti di cariche importanti. Le considerazioni circa le richieste di riscatto improbabili, cioè beni economicamente accessibili, ma di difficile reperibilità, che troverete quando scriverò circa l'uccellagione (vedi UCCELLAGIONE), non sono assolutamente applicabili in caso di rapimento. Chiedere cose rare e introvabili potrebbe costringere i rapitori a tenere in custodia l'ostaggio magari per giorni, se non per settimane, in attesa del riscatto. Ovviamente una cosa simile è impedita da buonsenso e intelligenza, se non dalla denuncia di scomparsa che i parenti del rapito faranno in Questura. Una volta pagato il dovuto l'ostaggio può considerarsi libero. Buona consuetudine vuole che il riscatto sia condiviso fra Ordine del rapito e rapitori. Allo stesso modo quest'ultimi dovrebbero offrire B.T.Vque alla compagine del rapito, in quantità e qualità vicine a quelle che hanno chiesto. È un modo elegante, e una prova coi fatti, per dimostrare che lo scopo del rapimento non era profittare del riscatto, ma si è giocato per il gusto stesso di giocare. Se durante la detenzione il rapito riesce, per astuzia o destrezza, a fuggire, o se i suoi riescono a liberarlo, si ha un caso di “mancato rapimento”. I rapitori saranno tenuti quindi a offrire a lui e al suo Ordine il doppio di quanto avevano chiesto nella bolla di riscatto. Queste norme e consuetudini, accettate dalla maggioranza delle realtà goliardiche, mi portano a fare alcune considerazioni: per questo gioco vale la medesima filosofia esposta per la guerra goliardica (vedi GUERRA). Si rapiscono gli amici o comunque le persone che ti stanno simpatiche. È sconsigliabile rapire uno che consideri uno stronzo o una testa di cazzo, con quelli non si ha piacere a giocare, a condividere B.T.Vque, a passare del tempo insieme. Se si organizza un ratto lo si fa per divertirsi, per cui non ha senso iniziare un gioco con persone che, già in partenza, sai che saranno solo una gran rottura di coglioni. Inoltre andrebbero rapiti solo Goliardi che siano quanto meno Mantati, al fine di poter chiedere un riscatto decoroso, che soddisfi lo sforzo impiegato per portare a termine il gioco. Ricordiamoci che per un rapimento fatto a regola d'arte, i rapitori devono predisporre una location dove custodire adeguatamente l'ostaggio, procurarsi B.T.Vque sufficienti per il suo mantenimento (e anche per il loro visto che ne condivideranno con lui) e soddisfare in generale tutte le sue richieste. Oltre a preparare una bolla di riscatto fatta con tutti i crismi, e trattare la liberazione con l'Ordine del rapito. Insomma: un carico economico, organizzativo e temporale non da poco. Il gioco deve valere la candela! Non ha alcun senso, quindi, sbattersi a pianificare un ratto di popolano, per poi poter chiedere al massimo una caraffa di vino alla spina, o un pacchetto di sigarette già iniziato. Secondo alcuni è possibile, per un Nobile, rapire una matricola avvolgendola col mantello. Formalmente è una cosa discutibilissima, per l'imprescindibile regola dei sette pari bolli poc'anzi espressa. Ma ipotizzando pure che si possa fa62
re, semplicemente mi chiedo cui prodest? Non certo al rapitore, che si vedrà costretto a chiedere un riscatto miserabile, tanto meno alla matricola, il cui scarso valore goliardico permette un mantenimento in B.T.Vque a livelli da minimo sindacale. Per cui questa del rapimento col mantello mi sembra proprio una grandissima stronzata. Va anche detto che se il rapito è un Goliarda di scarsa importanza, non è scritto da nessuna parte che il suo Ordine sia tenuto a soddisfare le vostre richieste per la sua liberazione. C'è gente che, pur di non pagare, vi lascerebbe in ostaggio il Capo Città, figuratevi un fagiolo o una matricola! Quando ero Capo Ordine mi rapirono un popolano particolarmente “rinco”. Nel momento in cui vennero a chiedermi il riscatto, la mia risposta fu “tenetevelo”. Ci provarono a tenerselo, ma il soggetto, per quanto buono e caro, era il campione mondiale degli storditi, per cui resistettero un paio d'ore e poi me lo rispedirono indietro gratis et amore. Ultima considerazione: state molto attenti a chi rapite, nel senso che se come riscatto chiedete cinque litri di vino, ma il rapito, notissimo ubriacone, come mantenimento ve ne consuma tre da solo, forse il gioco non è stato così conveniente come vi aspettavate.
RES GOLIARDICHE Una definizione netta e univoca di res goliardica è decisamente difficile da formulare. Qualunque cosa io scrivessi, sono già sicuro fin d'ora che ci sarebbe qualcuno che troverebbe da eccepire, magari solo per il gusto meticoloso di fare la punta agli stronzi, attività parecchio diffusa nell'ambientino della Goliardia. Però, per trattare questo argomento, mi trovo costretto a darla questa cazzo di definizione. Per cui ci provo, ma vi avverto che pur essendo corretta, resta comunque imperfetta, opinabile e per nulla esaustiva. Ritenetela quindi valida in linea generale, ma con beneficio di modifica a seconda dei casi particolari. Eccola qui: le res goliardiche sono tutte quelle cose materiali che, o per battesimo in B.T.Vque, o per loro stessa natura, o per accordo tra Goliardi (implicito o espresso), costituiscono mezzi o fini per il gioco della Goliardia. Al primo tipo appartengono le feluche, i mantelli, gli stendardi, le bolle, ecc. Queste res diventano formalmente goliardiche dopo essere state battezzate con Bacco, Tabacco e Venere. Esempio classico è quello relativo al pileo, quando esce dal negozio è un semplice cappello, solo dopo il battesimo diventa res goliardica. Attenzione: un manto o uno stendardo, che per consuetudine dovrebbero venire sempre battezzati, sono comunque considerabili res anche se non avessero subito il rito. E quindi passibili di tutti i giochi, uccellagione compresa! Portando impresse insegne di Ordine di fatto rientrano nella prossima categoria. Alla seconda specie appartengono quelle cose che sono “ontologicamente” goliardiche. 63
In primis tutto ciò che è B.T.Vque: i fiaschi di vino, le bottiglie di grappa, le sigarette, i pornazzi, mutande e reggiseni dei Fratelli e delle Sorelle, ecc., la cui Divinità della loro stessa natura le rende res goliardiche, senza la necessità di essere battezzate. In secondo luogo le placche, alcuni gadget, certi ammennicoli, ecc., cioè tutti quegli oggetti che presentano insegne di Ordine. Queste cose non vengono praticamente mai battezzate, ma portando impresso lo stemma e/o i simboli di un Ordine riconosciuto, sono di fatto res goliardiche. Ovviamente nell'applicare questa definizione ci vogliono buon senso e intelligenza, limitandola a quelle res che la Goliardia ha “creato” per il proprio gioco. Per esempio alcuni Ordini hanno come simbolo lo stemma cittadino, il quale magari è impresso anche nei tombini o nei cestini del Comune. È ovvio che non ha senso uccellare un tombino o un cestino. Stesso dicasi per i simboli di Università, anche se un Ordine sfoggiasse tale effige come insegna, sarebbe da sciocchi dichiarare uccellagione per la carta intestata del Rettorato. Al terzo tipo appartiene una serie pressoché illimitata di oggetti vari. Per esempio gli ammennicoli sono considerati res, anche quando non presentano insegne e simboli, in quanto tacitamente tutti i Goliardi li accettano per tali. Mentre si ha un caso di accordo esplicito quando un Goliarda, per capacità dialettica, astuzia e fantasia, riesce a convincere un Fratello che una qualunque cosa è una res goliardica. Quando ero matricola io un Anziano mi raccontò il seguente gioco, che un Fratello estero gli propose durante una festa della matricola a Padova. Erano in discussione al bancone del Pedrocchi, quando al suo rivale venne un'idea. Si chinò e raccolse da terra due bicchieri di plastica lerci e schiacciati, e disse “facciamo che il bicchiere che ho nella mano destra è la tua feluca e quello nella sinistra è la mia?”. L'Anziano accettò il gioco, e per tutta risposta l'altro s'infilò i bicchieri nella tasca del manto, dichiarando “uccellata!”. La trovata era così carina, fantasiosa e inaspettata, che il mio Vecchio non poté esimersi dal riscattare il suo bicchiere calpestato. Questo esempio spiega perfettamente come qualunque cosa possa essere res goliardica, anche il pattume sul pavimento di un bar. Dipende dalla volontà dei Goliardi che, dando valore goliardico ad un oggetto, lo rendono in tutto e per tutto una res. Va infine chiarito perché identifico le res sia come “mezzi” che come “fini”. I mezzi sono funzionali allo svolgimento del gioco goliardico stesso. Ad esempio la feluca, o un'insegna, vengono usate in vari giochi, allo scopo di ottenere B.T.Vque in caso di vittoria. Le res che definisco fini sono infatti le Divinità, o quant'altro i Goliardi riescano a conseguire una volta che un gioco è definitivamente concluso. Una res goliardica può essere al contempo sia mezzo che fine. Ad esempio: tu sei Capo Ordine e io uccello una tua placca in maniera strepitosa. Tu apprezzi il mio modo di giocare, così invece di pagarmi il riscatto decidi di farmi H.C., e mi insignisci con la placca uccellata. In un caso del genere la res da mezzo di gioco diventa fine del gioco.
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Fra le res goliardiche ci sono due categorie particolari che devo assolutamente menzionare: le insegne e gli effetti. La differenza sostanziale consiste nel diritto di proprietà e di possesso. Le insegne nella stragrande maggioranza dei casi portano impressi gli stemmi, i colori e/o i simboli di un particolare gruppo di Goliardi. Sono i manti, le casacche, le placche, e quant'altro un Goliarda indossi per essere identificato come membro, nonché come carica particolare, di un Ordine. Queste res non appartengono all'individuo che le porta, il singolo Goliarda ne detiene il semplice possesso. Il diritto di proprietà spetta all'Ordine, e il Capo Ordine può levarle a chiunque in qualunque momento. Anche in quelle realtà dove il manto è personale, cioè non si passa tra generazioni di Goliardi, ma ognuno si fa il suo e se lo tiene anche quando non è più Attivo, comunque il diritto di proprietà su quell'insegna rimane dell'Ordine. In questi casi, se il Capo Ordine decidesse di cacciare dal gruppo uno dei suoi Mantati, staccherebbe le insegne dal mantello in quanto gli competono quali res goliardiche, per poi rendere la stoffa “epurata” allo scomunicato quale proprietario del bene materiale. Gli effetti invece sono di proprietà del singolo, che ha diritto di disporne come più gli aggrada. L'esempio classico è la feluca: se uno viene cacciato dal proprio Ordine verrà spogliato dalle insegne che non più diritto a indossare, ma la feluca rimane sua, in quanto effetto personale. Queste che vi ho scritto finora sono le indicazioni di base, poi nulla vieta di creare una sana discussione circa questi argomenti, magari per il semplice piacere di fare un po' di filosofia goliardica spicciola. Vi lancio il più classico dei classici interrogativi “da bar” di quando ero matricola io: ha più valore un insegna o un effetto? Io la risposta non ve la voglio dare, se la volete fate come ho fatto io da Attivo: trovatevi un Fratello che abbia voglia di discutere questa cosa, quindi massacratevi “al bar” davanti a due litri di rosso, vedrete che qualcosa uscirà di sicuro.
RIUNIONE Qualsiasi Ordine in attività dovrebbe riunirsi almeno una volta a settimana, con l'esclusione dei periodi di sessione d'esame, delle vacanze estive e delle festività di fine anno. Se il ritrovo è meno frequente allora è un cattivo segno per la “salute” dell'Ordine. La riunione avviene generalmente in tre luoghi: i gruppi che ne dispongono si riuniscono in sede, ossia un locale affittato dai Goliardi per quello scopo. Per altri il ritrovo è in una saletta appartata di qualche osteria o bar. Oppure qualche Fratello mette a disposizione la casa e ci si riunisce lì. Pur non essendoci una lista di attività codificate relative alle riunioni, ci sono comunque delle consuetudini che accomunano tutti i consessi goliardici dei vari Ordini italiani. 65
Come per le cene (vedi CENE e FESTE e CANTI) ufficialmente la riunione si inizia e si conclude con il canto del Gaudeamus e dell'inno d'Ordine, naturalmente intonati da chi la presiede, il Capo Ordine o chi ne svolge le funzioni (solitamente il Vicario). Tutti i membri devono essere presenti all'ora prevista per l'inizio, è tollerato il “quarto d'ora accademico” per un eventuale ritardo, oltre quel limite per essere ammessi al consesso sarà cura del ritardatario portare B.T.Vque al Maior carica. La sala, illuminata dalla luce delle candele, è sempre divisa in due aree: la Tavola Alta e lo spazio davanti a questa; dietro la Tavola Alta siedono il Capo Ordine e i suoi Nobili, oltre agli eventuali ospiti se Nobili anch'essi. I popolani non sono autorizzati ad andare dietro la Tavola Alta, non possono toccarla, tanto meno disporre di quanto vi è appoggiato sopra, salvo eccezioni strettamente codificate dai costumi dell'Ordine. Solitamente ogni Ordine annovera tra i suoi membri un saiato col compito specifico di riempire i bicchieri ai Nobili, e di provvedere in generale alle loro necessità. Esistono delle riunioni particolari, alcune comuni a tutti, altre attuate tradizionalmente in diverse Piazze che magari le chiamano con un altro nome, ma la sostanza rimane sempre quella: riunione Nobili: sono ammessi solo i Nobili di Ordine, talvolta viene allargata anche a eventuali Mantati non Nobili, e/o ai Vecchi. Spesso viene chiamata “Concilio”. riunione ex-Capi Ordine o ex-Capi Città: organizzata dal Capo Ordine, o dal Sovrano, riunisce i Goliardi che hanno ricoperto in passato la sua carica. Anch'essa viene spesso definita “Concilio”. riunione sai: retta dal capo popolo è dedicata ai popolani, solitamente viene indetta col consenso del Capo Ordine. Il suo scopo principale è passare un po' di informazioni goliardiche alle nuove leve. riunione organizzativa: fatta in prossimità di cene e feste serve all'Ordine per organizzare i suddetti eventi. riunione rossa: è una riunione all'incontrario, dove le cariche sono tutte invertite: la presiede l'ultimo dei saiati, il popolo va in Tavola Alta, Nobili e Capo Ordine fanno le matricole. riunione Capi Ordine: indetta dal Sovrano riunisce i rappresentati dei suoi Ordini Vassalli. Solitamente se ne fa una al mese. A detta di tutti è una gran rottura di coglioni. Lo era allora quando ero Capo Ordine io, mi riferiscono lo sia anche adesso. riunione plenaria: questo consesso raccoglie tutti i Goliardi degli Ordini del territorio. È indetta dal Sovrano, periodicamente come ad esempio a Bologna, o in maniera occasionale in altre Piazze. Le riunioni non sono solo un occasione per fare casino, limitare la Goliardia a quello mi sembra una barbarie. Non dico che ci debba essere silenzio da chiesa e disciplina da caserma, ma se qualcuno in Tavola Alta sta parlando rivolgendosi a tutti, il popolo deve stare zitto. Se c'è un gioco in corso d'opera, chiunque siano i partecipanti, l'attenzione dell'intero consesso deve essere rivolta a quello. Così come non si esce dalla sala a tiramento di culo, ma si chiede sempre il permesso a chi di dovere. 66
Alle riunioni dove sono stato di recente, ho constatato in più di un occasione questo malcostume: tutti si fanno i cazzi loro. I sai se ne fottono degli ordini della Tavola Alta, i Mantati riprendono qualcuno di tanto in tanto, ma la tendenza è quella di lasciar correre qualunque intemperanza. Quando ero matricola io questo era impensabile: alla prima mossa sbagliata finivi in braghe, alla seconda nudo, alla terza ti passavi tutta la serata con le mutande in testa. Andare a ordinare da bere al bancone di un bar gremito di avventori, con i tuoi boxer a guisa di cappello, non è il massimo delle aspirazioni di una matricola, ve l'assicuro. Erano metodi educativi piuttosto duri, ma se ti passi una riunione di merda, a quella successiva ci pensi dieci volte prima di pisciare fuori dal vasino. Un ultimo appunto è che la Tavola Alta dovrebbe dare i compiti per casa ai popolani, ovvero far loro preparare dei giochi per la riunione successiva. Cose tipo la tombola goliardica: ad ogni numero estratto corrisponde una prova, un premio o una punizione, e chi fa tombola vince qualcosa. La dama etilica: dove le pedine sono dei bicchieri di vino bianco e rosso, e quando si “mangia” si beve! Il twister anatomico: con parti del corpo improbabili da far toccare ai concorrenti. La ruota della sfiga: girandola ti becchi premi o fregature. La caccia al tesoro goliardica: con i bigliettini dislocati in giro, recuperabili superando prove d'abilità e vari quiz. Insomma: qualunque cosa suggerisca la fantasia.
SCAZZO Qualunque infrazione alle leggi ed alle consuetudini di N.S.M. è considerata scazzo, ossia un onta che il colpevole è tenuto a lavare, offrendo B.T.Vque al Fratello che ha offeso col suo comportamento. Gli scazzi vanno sempre e comunque pagati. Chi cerca di sfuggire alla giusta espiazione è uno che non ha capito un cazzo del gioco. Non si vince sempre, per cui è più onorevole saper perdere bene, magari divertendosi, piuttosto che puntare i piedi e non ammettere i propri scazzi per arroganza o ottusità. Se vi capitasse qualcuno che non vuol pagare uno scazzo evidente e indubbio, trattatelo da Goliarda del cazzo: dimostra di essere quello e nulla più. Come in tutti i giochi goliardici il valore del pagamento deve sempre essere proporzionato all'infrazione commessa. Non si può chiedere enormità per scazzi piccoli, però se siete magnanimi o volete soprattutto insegnare il corretto comportamento, nulla vi impedisce di chiedere poco per quelli importanti. Per altro bisogna anche valutare chi lo commette: una matricola che infrange una tradizione pagherà meno di un Nobile che compie il medesimo scazzo. L'esperienza e la Dignità di carica del Maior sono “aggravanti”: il Nobile, rispetto alla matricola, dovrebbe essere molto più competente circa le norme e le consuetudini di N.S.M.
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Uno scazzo si paga nel modo seguente, che va benissimo come traccia generale: un minor ad una riunione non ha salutato un Maior, questi gli chiama scazzo per l'omissione. Chi ha scazzato si presenterà al Maior con in mano due bicchieri di vino. Prima di porgergli il bicchiere, il minor domanderà “ti offro questo Bacco per lo scazzo di non averti salutato. Lo accetti?”, quindi l'offeso risponderà “si, lo accetto”, oppure “no, non lo accetto”. Se lo accetta il minor gli porgerà il bicchiere, brinderanno nei modi normati da N.S.M. (vedi BERE), e faranno quattro chiacchiere circa i motivi dello scazzo. Alla fine, per sancire che l'onta è stata lavata e si è tornati amici come prima, si saluteranno porgendosi la mano o abbracciandosi a seconda degli usi della propria Piazza. Nel caso in cui il Maior non accettasse quanto offerto, saranno cazzi del minor inventarsi qualcos'altro. Questa cosa del saluto finale purtroppo si è andata a perdere, ed è un peccato. È importante ricordare, anche attraverso un semplice gesto, che in Goliardia una volta che uno scazzo viene pagato, non ci dovrebbero più essere rancori, acredini e ruggini varie. Quando ero matricola io questa cosa si faceva sempre, tanto che quella volta che me ne dimenticai mi venne chiamato un ulteriore scazzo. Per saldare uno scazzo qualunque dono in B.T.Vque va bene, è però fondamentale che siano offerti sempre in coppia (due bicchieri, due sigarette, ecc.): uno per chi ha dichiarato scazzo e l'altro per chi l'ha commesso. Inoltre è importante che si tratti di due res uguali per tipo, qualità e quantità. Questo perché pagare uno scazzo significa condividere, e sarebbe una mancanza di rispetto verso l'altro se gli si offrisse mezzo bicchiere tenendosi per sé il resto della bottiglia, oppure bere un d.o.c. d'annata propinando all'altro del vino da quattro soldi. In via eccezionale si possono anche condividere res differenti, ma solo dietro consenso di chi ha dichiarato lo scazzo. Vi sono alcuni scazzi particolarmente gravi per cui nessun pagamento in B.T.Vque potrebbe sanare l'infrazione commessa. Come per i debitori insolventi durante il medioevo, per questi è prevista una punizione pubblica che varia a seconda delle Piazze: a Ferrara viene tagliata una ciocca di capelli, a Padova si fa il giro della fontana di piazza Erbe (il “Vasco de Gama o circumnavigatio”), a Torino si viene gettati in Po, ecc. Per il rapimento e per l'uccellagione (vedi RAPIMENTO e UCCELLAGIONE) esistono i concetti di “mancato rapimento” e “mancata uccellagione”. Io ritengo che si possa chiamare anche il “mancato scazzo”, secondo la seguente logica. Partendo dal presupposto che ogni Goliarda, che venga a conoscenza di un infrazione alle tradizioni, è sempre tenuto a chiamare scazzo contro il colpevole, se non lo fa può essere soggetto al “mancato scazzo”. Ovvero qualsiasi astante la scena di un Fratello che omette di chiamare scazzo, è nel diritto di intimare il “mancato scazzo” a questi. Onta che va lavata nei modi espressi poc'anzi. Naturalmente è da applicarsi alle questioni più gravi, plateali e comuni a tutti, altrimenti potrebbe insorgere il caos di scazzi e controscazzi per un'inezia.
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Non prendete tutte le consuetudini e le norme definite in questo compendio come una sorta di decalogo divino, inciso sulla pietra, dove ogni infrazione è assolutamente da condannare. Non tutti gli scazzi hanno la stessa valenza, alcuni sono gravissimi e altri invece sono solo sciocchezze. La differenza di peso sta, ovviamente, nella misura in cui l'offesa va a ledere la sfera della correttezza tra persone. Una placca strappata con violenza dal collo, o una bottiglia scagliata addosso, è evidente che sono oltraggi imperdonabili e gravissimi su cui non si può soprassedere. Mentre scazzi tipo Bacco su Bacco, o una bolla scritta male, sono stupidaggini che si limitano ad infrangere regole del gioco fatte per il gioco stesso, ma che non toccano minimamente l'ambito del rispetto interpersonale. Così come non ha senso passare le serate ad urlarsi scazzo l'un con l'altro. Bisogna valutare il tipo di offesa, la situazione, il momento e le persone. Se durante una riunione sto facendo il culo ad una matricola gli chiamerò scazzo per qualunque inezia, reale o presunta che sia. Ma se sono rilassato ad una cena, sarebbe da sciocchi dar fuori di matto a urlare “scazzo!” quello di tre tavoli più in là, a cui è giusto caduta una goccia di vino sulla tovaglia. Facendolo passerei per uno che si sa divertire solo rompendo i coglioni agli altri. La dichiarazione di scazzo è un gioco e, come per tutti i giochi, ci deve sempre essere una buona dose di buonsenso nel praticarlo. In Goliardia ci si comporta con “responsabilità”, nel senso che, quando si sbaglia, è giusto essere coscienti che si dovrà pagare: dura lex sed lex. Però ogni Goliarda che si rispetti ha in sé l'istinto di vivere le regole in equilibrio (più o meno precario) sul loro margine estremo, se non proprio di oltrepassarle. Allora, vi chiederete voi, ma com'è possibile che da un lato io scriva che le regole non si infrangono, e dall'altro invece lodi la trasgressione e lo spirito borderline della Goliardia?! Il mio non è bipolarismo goliardico, perché le due cose non sono in contrasto. Scazzare non è affatto un male assoluto: le regole in Goliardia sono fatte per essere eluse, ma talvolta anche disubbidite, dipende sempre da come uno lo fa, e da come si comporta una volta pescato con le mani nella marmellata. Se scazzo in maniera incosciente, per ignoranza e incapacità di gioco, e poi magari sono così ottuso da non riconoscere l'errore, faccio una figura di merda e giustamente mi tratteranno da coglione. Se però dimostro di aver capito la mia cazzata, e saldo il dovuto verso gli offesi, non ci farò nessuna figuraccia: nessuno nasce imparato, e vincere e perdere fa parte del gioco. Così come non fa brutta figura un Goliarda che, pur conoscendo a fondo una regola, volontariamente la infrange, ma onestamente ammette e paga lo scazzo conseguente. Di solito ci si comporta così per il gusto di fare una provocazione, l'importante comunque sarà che il motivo per cui si è trasgredito sia intelligente, e sensato, e goliardico!
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UCCELLAGIONE Quando un Goliarda entra in possesso di una res goliardica (vedi RES GOLIARDICHE) altrui con astuzia e/o destrezza, e dichiara al titolare della res che questa è uccellata, si ha un caso di uccellagione. Perché sia valida è inoltre fondamentale che non sia commessa violenza alcuna, né verso il Fratello a cui si sta uccellando la res, né verso lo stesso oggetto. In caso di evidente e conclamata lesione della res si parla di “strappo”. Come al solito a marcare il limite dev'essere il buonsenso: quando si comincia a farsi male, a mettersi le mani in faccia, allora sono finiti giochi e Goliardia. È nei diritti dell'uccellato ricevere entro 69 ore la bolla di riscatto da chi detiene la sua res goliardica (vedi BOLLE). Cercare di darsi alla macchia, per far scadere il termine temporale è una stronzata. È inutile perché comunque la res rimane in mano altrui, inoltre incattivisce l'uccellatore che, vedendosi preso in giro, vi farà sudare sette camicie prima di rendervi il vostro. Parlo di diritto dell'uccellato e non di dovere dell'uccellatore, perché per molte uccellagioni, come quella più comune verso una feluca di popolano, ci si accorda per il riscatto anche senza bisogno della relativa bolla. L'eventuale bolla andrebbe comunque consegnata il prima possibile. Aspettare volontariamente l'ultimo minuto disponibile, per quanto consentito dalla regola delle 69 ore, è un atteggiamento antipatico e un segno di scortesia nei confronti dell'uccellato, che mal si sposa con l'idea di gioco dove ci si dovrebbe (teoricamente) divertire tutti. L'uccellatore è obbligato a custodire e ad avere cura della res uccellata come se si trattasse di una cosa sua. Al momento della restituzione questa deve essere nel medesimo stato di quando è stata presa, ovvero senza “strappi” ne danni di alcun genere. Il detentore della res deve inoltre stare attento a non subire contro-uccellagione, cioè farsi uccellare da altri la res uccellata. Se l'uccellato rientra in possesso della sua res, prima di aver pagato il riscatto, si parla di “mancata uccellagione”, in questo caso a finire nelle peste è chi ha dichiarato l'uccellagione. Ricordate che per tutti i casi di infrazione delle consuetudini finora elencate, accettate dalla maggior parte della Goliardia italiana, l'uccellatore è tenuto a offrire all'uccellato il doppio di quanto aveva chiesto come riscatto. Se le res uccellate sono mantelli, placche, ecc., quindi insegne (vedi RES GOLIARDICHE), continueranno a mantenere i loro privilegi. Quindi l'uccellatore, a pena di scazzo, non dovrà mai indossarle nel verso dritto. Tale diritto continua a spettare solo ai membri dell'Ordine della res che ne hanno facoltà. Stessa cosa per quanto riguarda la feluca: un pileo, per quanto uccellato, lo può portare sulla testa solo il proprietario. Lo strappo è sempre da evitare, l'uccellagione è un gioco e non deve mai rovinare irreparabilmente le res altrui. In caso di strappo sarà l'uccellatore a pagare all'uccellato lo scazzo, tra i più gravi in Goliardia! 70
Quando ero Capo Ordine, io e un paio di Fratelli, uccellammo uno stendardo storico di Perugia. Ci presentammo all'allora Gripho per ottenere un equo riscatto, il quale ci chiese di comprovargli l'effettiva uccellagione mostrandogli il gonfalone. Noi, per soddisfare la richiesta, attentissimi a non rovinare l'antica e delicata stoffa, la tenevamo aperta in punta di dita. Vedendo la scena, un Goliarda di Parma, lestissimo di mano, prese lo stendardo e lo trasse a sé, dichiarando contro-uccellagione. Trattandosi di un drappo fragilissimo, non opponemmo la minima resistenza per evitare che subisse un qualsivoglia danno. Discutendone “al bar” il parmense, intelligentemente, ritrattò la controuccellagione: capiva perfettamente che eravamo impossibilitati a trattenere lo stendardo. Se avessimo impiegato anche una minima forza contraria alla sua presa, la stoffa consunta dal tempo si sarebbe certamente strappata. Per cui concordammo di accomunare anche lui al gruppo degli uccellatori, e dividere fra tutti il riscatto. Probabilmente, da un punto di vista del gioco, avremmo dovuto trattenere lo stendardo. Se si fosse strappato i cazzi sarebbero stati del Goliarda di Parma che aveva tirato, ma il rispetto per le proprietà altrui deve venire prima di tutto. La richiesta di riscatto deve sempre essere proporzionata al valore della res uccellata, ossia per una feluca di matricola non si può domandare chissà quale vino, mentre per la placca di un Capo Ordine si può pretendere un pagamento più importante. Inoltre la richiesta di riscatto deve essere ragionevole, cioè il riscatto deve rientrare nelle possibilità economiche di pagamento dell'uccellato. Non posso domandare mille di bottiglie di vino, o cento stecche di sigarette, perché il costo sarebbe una spesa eccessiva per chiunque. Va anche detto che la fantasia perversa dei Goliardi ha prodotto richieste, decisamente improbabili, ma formalmente corrette. Tipo quando si chiede come riscatto un bene economicamente affrontabile, ma di difficile (se non quasi impossibile) reperibilità. In questo caso il gioco, e la provocazione, non stanno tanto nell'ottenimento del riscatto, ma nel diletto nel vedere l'uccellato sbattersi a destra e a manca per soddisfare quanto richiesto. Anche per questi riscatti irreperibili vale la regola della proporzione: per una feluca di popolano si chiedono sempre cose che si trovano con facilità, per un manto da Nobile cose un po' più “difficili”, per le insegne da Capo Ordine o da Capo Città ci si può sbizzarrire col sadismo e chiedere come riscatto le cose più astruse e introvabili. Ciò non toglie che, se si vuole, si può comunque chiedere poco per res di gran valore. Ricordo una festa di qualche anno fa, dove uccellarono un manto di Sovrano. Al fine di essere provocatori e di prendere in giro il Capo Città, personaggio irritante e spocchioso, venne organizzata un asta al ribasso per chi avrebbe detenuto il mantello. Dopo vari rilanci di cose sempre più inutili, alla fine vinse quello che offrì i rimasugli della fetta d'arancia che guarniva uno spritz. Non so bene come sia finita, ma immagino che il manto sia stato reso per mezzo litro di vino in cartone o poco più. Una considerazione da fare è che l'uccellagione di Bacco, Tabacco e Venere è insussistente, pur essendo queste res goliardiche, quindi passibili di tale gioco. 71
Il ragionamento è un po' arzigogolato, ma si spiega bene con un esempio: dichiaro uccellata una bottiglia di vino. Essendo il riscatto proporzionale al valore della res uccellata, dovrei chiedere per la restituzione del Bacco un'altra bottiglia dello stesso vino. Però chiedendo una boccia identica a quella uccellata, io e il mio avversario finiremmo con lo scambiarci due bottiglie uguali. E mi pare sciocco costringere uno a comprare una copia per riavere l'originale, a quel punto si fa prima se io mi tengo la bottiglia che ho preso e lui, se la rivuole, se ne compra una nuova. Ma così facendo non ci sarebbe nessuna differenza da un banale furto: io mi impossesso di una cosa tua, e tu per riaverla la devi ricomprare. Rubare ad un Fratello è però un atto palesemente contrario alla Goliardia, quindi l'uccellagione di B.T.Vque è irragionevole. Per cui, quando le res di cui si entra in possesso sono Bacco, Tabacco o Venere, non ha senso dichiarare uccellagione, piuttosto si parla di diritto di preda (vedi DIVINITÀ). Concludo spiegandovi la pax goliardica, cioè il diritto che ha il Maior carica di dichiarare, per un luogo e un tempo limitati, il divieto da parte dei Goliardi presenti al consesso di compiere uccellagioni. Esistono poi luoghi dove la pax è perenne, ad esempio nella stanza del Tribunato a Padova, o nell'intero territorio di Siena dove l'uccellagione non è riconosciuta. Vi sono anche delle pax non dichiarate, ma validissime, ad esempio se le res si trovano in casa o in macchina, magari di chi ci ospita o ci da un passaggio, uccellarle è un azione impensabile non certo un atto da Goliarda.
VIOLENZA e VILIPENDIO La violenza è assolutamente da escludersi in qualsiasi contesto goliardico, in alcune occasioni è ammesso l'uso della forza e della propria massa fisica, ma non ci deve essere mai l'intenzione di recare danni e lesioni agli altri Fratelli o alle loro res. Negli ultimi anni girava un gruppetto di fenomeni che facevano Goliardia menando le mani, quando l'ho saputo il mio primo pensiero è stato “questa è la cosa più aberrante e antigoliardica di cui abbia mai avuto notizia”. Fare a botte o minacciare un pestaggio per “vincere” i giochi, avere fama di prepotente e manesco, è come prendere la definizione di Goliardia scritta al Florian nel '46 e pulircisi il culo. Per fortuna pare che adesso siano spariti dalla circolazione. In tutto questo testo mi sono lamentato dell'andazzo dei tempi moderni, in questo caso non mi sento di farlo. Sono fiducioso che si sia trattato di un caso sporadico, non di una brutta piega, anzi di una brutta piaga, generalizzata e “normale” nell'ambiente degli Attivi. Anche quando ero matricola io c'è stata gente che ha fatto a botte, difficilmente per questioni goliardiche, di solito dietro c'erano livori personali esterni al gioco. Però ricordo più di un occasione dove qualcuno, prima di attaccare briga, si cavava insegne e feluca: le botte sono una cosa, la Goliardia un altra. 72
Con questo non voglio certo dire che eravamo dei santi, qualche “tafferuglio” da ubriachi sfatti l'abbiamo avuto anche noi. Tipo le “risse” nella nottata del venerdì alle matricolari di Bologna, e del sabato notte a quelle di Padova. Capitavano regolarmente tutti gli anni, e ormai c'eravamo affezionati. Se per una volta non succedeva nulla, in fondo un po' ci dispiaceva, e la festa passava per una matricolare deludente. Però si trattava di zuffe alla bell'e meglio, solitamente erano tentativi maldestri di fontanare qualcuno. Non si finiva mai ad accerchiamenti di venti contro uno pronti a menare le mani, ne tanto meno a spaccarci vicendevolmente la faccia. Il vilipendio invece è insulto gratuito e deliberato che un Goliarda fa ad un altro Goliarda. È vietato, e usare vilipendio significa scazzare nei riguardi dell'offeso. Parliamoci chiaro, da che mondo è mondo, ci si è sempre mandati a fare in culo in Goliardia, però lo si fa per fondati motivi: incazzature, scatti di rabbia, ecc. E se lo si fa, per quanto la cosa sia in qualche modo giustificata dall'emotività contingente, comunque si sta scazzando. L'insulto gratuito, dettato da ispirazione estemporanea del momento, è assolutamente da evitarsi. Quelli che lo fanno ad hoc come provocazione pesantissima, è bene che siano coscienti di mettersi dalla parte del torto. La cultura e l'intelligenza, che dovrebbero essere parti essenziali del bagaglio di qualsiasi Goliarda, suggeriscono modi ben più ingegnosi e raffinati di provocare un avversario, rispetto all'urlargli contro “tua madre bocchinara”, “sei un pezzo di merda” o simili. La provocazione in punta di fioretto, oltre ad essere spesso molto più incisiva per chi la subisce, di solito è anche più difficile da controbattere. Quando ero matricola io, uno dei giochi preferiti del Capo Ordine che mi ha processato, era proprio quello di “offendere senza offendere”. Le matricolacce come me venivano aizzate l'una contro l'altra a stuzzicarsi verbalmente, però senza poter usare insulti o ingiurie. Era un ottima palestra per imparare a provocare gli avversari, mantenendo comunque quello stile che differenzia il vero Goliarda dal popolo bue e filisteo.
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POSTFAZIONE
di Umberto “Kociss” Volpini
Qualcuno potrebbe chiedersi, dopo aver letto queste note, se non vi sia qualcosa di più da considerare dei mille usi e delle miriadi di consuetudini in Goliardia. Vale, allora, una premessa. Goliardia è gioco, ma gioco di vita. E come tale stratifica regole e consuetudini. Quanto qui descritto non è la Goliardia che ho conosciuto “quando ero matricola io”. D'altra parte, divenuto Goliarda negli anni di piombo, ho letto con invidia le vicende dei miei Anziani, che si potevano permettere licenze, per me impensabili, con la cittadinanza e la polizia. Io, che mi trovai perquisito con la mitraglietta puntata alle reni solo per aver appeso un manifesto goliardico al muro del Bo'! Di necessità virtù la mia generazione ha accolto quanto passato dagli Anziani, e ha aggiunto qualcosa di suo, nel “Nuovo Mondo” che avevamo, di Università di massa e (in)civiltà di terrorismo. Cominciato a giocare non ho più smesso. Mi trovo a mio agio col pensiero laterale; se non dico quello che penso, a costo di dir stronzate o battutacce, ho un peso sullo stomaco; mi piace viaggiare; non ho paura del ridicolo, e non mi sento tale se mi travesto per divertirmi e divertire; mi piace parlare con i giovani, perché mi aiutano a mantenermi… meno vecchio! Quindi sono ancora qui e ho visto i giochi nascere e morire. E regole e consuetudini aggiungersi e moltiplicarsi. Potrebbe allora valere la pena di cominciare dal principio, e cercare di capirli, questi usi, e regole, e consuetudini, ovvero sapere se sono Vere o False! La proposta è una provocazione, ma non solo; può essere un buon strumento per provare a comprendere le uniche regole di questo meraviglioso gioco di ruolo, di Nostra Sancta Matre Goliardia. La Goliardia nasce, nelle forme da noi perpetuate, alla fine dell'Ottocento in ambito universitario. Gli attori sono gli studenti che, all'epoca, appartenevano compatti all'alta borghesia, preparandosi a essere i medici, i farmacisti, gli avvocati, gli alti burocrati di domani. I pochi che non vi appartenevano, uscivano dalle file della piccola borghesia, mercanti o artigiani, impiegati e tecnici. L'ambiente di riferimento, la borghesia, era dominata da ferrei codici di comportamento, in parte mutuati dalla nobiltà, in parte nati dal conformismo e dal conservatorismo. Gli studenti, giovani e colti, reagivano con insofferenza, e per il loro gioco, la Goliardia, si impegnarono a contrastare, contestare, ridicolizzare quelle mille regole asfissianti, in una rivalsa insieme ludica e liberatoria. Regole e consuetudini nascono così, dall'affettata esagerazione di regole di comportamento, qui e là inquinate da dotti riferimenti storici agli studenti medievali, o colorate dagli inevitabili campanilismi cittadini. Ecco, allora, il Vero o il Falso in Goliardia. Il papiro matricolare ha il suo riferimento storico nelle carte di esenzione d'epoca medievale. Prima preoccupazione del nuovo studente giunto nella città universitaria era presentarsi al Maior del suo gruppo, etnico o di studio, perché gli fornisse e/o gli controfirmasse le carte che lo autorizzano a vivere colà in pace. Gli venivano fornite anche le informazioni per vivere al meglio la vita cittadina, locande e persone amiche cui rivolgersi, e via discorrendo. 74
Chi volesse leggere i vecchi papiri matricolari del secolo scorso vi troverà, sempre, il nome del bidello di facoltà, spesso nomi di locande ove mangiare, talvolta il nome di una rinomata “signorina”, e via elencando. In società sono obbligato a rispettare una rigidissima gerarchia, sia geriatrica che titolata, ossequiando questo e quello secondo rigidi rituali? E io questo farò in Goliardia, prendendomi gioco dei vuoti tromboni, attribuendomi altisonanti titoli che spesso avrò ricavato dalla mia storia cittadina. Così insieme mi vanterò delle mie origini e deriderò la forma. Ma baderò molto più alla sostanza sostenendo il mio diritto di contestare e discutere con chiunque, fossi anche io matricola e lui Pontifex Maximus. E il decoro, che tanto valuta la società cui sono destinato lo deriderò mostrandomi in mutande, situazione tra le più vergognose, simbolo spesso di pubblica derisione per fallimenti veri o presunti. Andare in mutande o essere in mutande per chi è fallito o condannato, specie per reati finanziari o contro la morale, non è solo modo di dire, ma reale azione svolta pubblicamente fino all'Ottocento! E io, baldo Goliarda, me ne infischio di tali condizioni, tanto da iniziare, e finire (con la tradizionale smutandatio del laureato), la mia vita goliardica in tali condizioni a sfregio della morale dei benpensanti. E si potrebbe continuare all'infinito, che la fantasia dei Goliardi ha preso le mille opprimenti regole di vita, stravolgendole, esagerandole, ritualizzandole, per farsene beffe. Ma tutte una cosa hanno in comune: una motivazione, un retroterra culturale cui rifarsi. E sì... questo è il segreto. Non si possono conoscere regole e consuetudini di decine di città, ma quando l'astuto Goliarda tenterà di intortarvi con la regola “del gomito sul bancone” o “del verde”, che in città tutti conoscono, offritegli da bere e chiedete poi “Perché?”. E al suo stolido silenzio o al suo “perché si!”... massacratelo! Forse da straniero non conoscendo la regola dovete pagare, ma lui da cittadino se non conosce le motivazioni di quella regola o è un mentitore, e l'ha inventata li per lì, o è un ignorante, in entrambi i casi un pagatore ad libitum!!! Un ultimo avvertimento. I Goliardi sono persone fantasiose, intelligenti, colte. Non tutti, ma la gran parte sì, quindi... Esiste il Vero, esiste il Falso, ed esiste la “verità fantastica” (© Grandi), quella bellissima storia che sai essere falsa, ma accetti perché troppo bella per non essere vera. I pisani tagliano la punta come fecero i combattenti del Battaglione Toscano prima della battaglia di Curtatone e Montanara del 1848 (44 anni prima dell'introduzione dell'uso della feluca!) e cantano “Di canti di gioia”, come i loro eroici predecessori, anche se hai visto il bando del 1891 con il testo di Gizzi e Melilli vincitori del concorso... Se sei in aula, e stai sostenendo un esame di storia, sfoggia la tua cultura, se hai una feluca in testa brinda con l'amico pisano e guarda con rispetto e commozione la sua feluca. Adesso hai modo di fare le tue scelte e motivare il tuo disgusto per usi e consuetudini che puoi, a ragione, ritenere contrarie a N.S.M.G. Così al prossimo imbecille che tenterà di farti bere vino pisciato imponi di scolarselo perché ad un eretico che tratta la sua Divinità, Bacco, in tal modo, nulla deve essere perdonato. Umberto “Kociss” Volpini Memento quia Goliardus es et Goliardus manebis
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EPILOGO (inevitabile e necessario) Stilare questa breve monografia mi ha fatto male al cuore. È la cosa maggiormente contraria ai miei valori di Goliardia che abbia mai fatto. Queste regole e consuetudini fin qui esposte, io e i miei coetanei, le abbiamo imparate tutte sul campo, niente scritti da studiare, salvo quattro acche messe in croce rimediate qui e lì. La fonte erano praticamente solo i Goliardi pluribollati e supermantati, che ti insegnavano come si fa Goliardia a furia di scazzi e calci in culo. Quando ero matricola io imparavi perché eri perennemente “al bar”, a sborsare fior di quattrini in alcolici vari, per qualunque cazzata commessa che non fosse in linea con le tradizioni del gioco. Le informazioni si pagavano, insomma. E visto che costavano care, sia da un punto di vista prosaicamente economico, che sotto l'aspetto poetico delle rotture di coglioni subite, una volta che avevi acquisito una regola, te la imprimevi bene in testa, e non te la dimenticavi più. Questo sarebbe il percorso formativo perfetto, quello più auspicabile per qualsiasi studente che si avvicini alla Goliardia. Peraltro è assolutamente testato, in quanto ha funzionato benissimo per generazioni di Goliardi. Per cui, prima di mettermi a scrivere tutta questa pappardella, mi sarò chiesto un milione di volte se valeva la pena svelare le regole del gioco, togliendo le parti di pagamento e di rottura di palle. Così mi sono consultato con altri Fratelli della mia generazione e di generazioni differenti. Persone di cui ho stima e fiducia, e di cui tengo in grande considerazione la loro capacità di giudizio e la loro storia goliardica. Sia io che loro abbiamo considerato il fatto che il metodo dei Goliardi Anziani, che a mezzo culi spaccati “al bar”, insegnano ai giovani non è più attuabile. Purtroppo c'è stato un buco formativo: una generazione o due che, non avendo imparato queste norme e tradizioni, non è stata poi ovviamente in grado di trasmetterle alle generazioni successive. Nella situazione attuale gran parte dei Goliardi, che per età dovrebbero essere quelli che spiegano alle matricole le consuetudini e il retropensiero di N.S.M., non sono assolutamente capaci di farlo, per il semplice fatto che non li conoscono nemmeno loro. Lungi da me fare di tutta un erba un fascio, grazie al cielo c'è ancora qualcuno che, per curiosità personale e amore del gioco, ha approfondito la materia e non si è limitato alla superficialità e alle puttanate che girano adesso. Ma si tratta di casi sporadici, di proverbiali monorchides in terra eunochorum, un numero talmente scarso da risultare irrilevante nell'ottica del prosieguo delle tradizioni. L'alternativa sarebbe stata metterci noi Vecchi a fare il culo ai popolani “al bar”, ma gli impegni di vita non ci concedono lo stesso tempo libero, disponibile per queste cose, di quando eravamo studenti. E poi appariremmo ridicoli. La Goliardia da “metto in riga le matricole” ha senso quando si hanno venticinque, ventisette anni. Massimo massimo trent'anni e non di più. Se la fai dopo vieni percepito da loro come un babbione rompicazzo, 76
ed è comprensibile. Quando ero matricola io, anche noi percepivamo come degli spaccacoglioni gli over trenta che ci facevano il culo. Non ci rendevamo conto che, invece, si trattava di persone innamorate di N.S.M., che investivano il loro tempo e la loro voglia perché le tradizioni non andassero smarrite. Oppure potremmo fottercene, e lamentare che va tutto a rotoli, ma comunque lasciare andare la Goliardia per la brutta piega che ha preso. Tanto il gioco è degli Attivi e, in ultima analisi, sono cazzi loro se faranno una Goliardia di merda, con regole abborracciate, dove tutto è permesso, dove manca completamente una “mentalità” goliardica che li affratelli davvero. Però è difficile fottersene quando si è stati, anzi si è ancora, innamorati di questo meraviglioso gioco. Vedere gli Attivi comportarsi da fave lesse anziché da Goliardi è, per Noi Vecchi, come quando vedi una tua ex, che amavi alla follia e che magari, sotto sotto, un po' ci pensi ancora, che si è messa con quello che tutti considerano una testa di cazzo. Ti rode il culo da morire, è non si tratta di gelosia verso di lei, ma amara constatazione di come certe cose, per te tanto importanti, si sprechino, si buttino via. Dopo un intero testo passato a scagliare proclami, se non vere e proprie invettive, contro gli Attivi, mi sento in dovere di coccolarmeli un po'. Se tante tradizioni si sono perse, non è per una loro inadeguatezza “genetica” nel fare Goliardia secondo i canoni, ma perché la società in generale, e il mondo universitario in particolare, hanno subito mutamenti radicali dal 1946 ad oggi. Una serie di cambiamenti che rende molto più difficile, per un ventenne di oggi, fare Goliardia. La grande opera compiuta dai Goliardi dell'immediato dopoguerra, è stata quella di far rinascere le tradizioni sorte a fine ottocento, e via via congelatesi tra il periodo fascista (con l'inquadramento della quasi totalità dell'associazionismo studentesco nei G.U.F. - Giovani Universitari Fascisti) e la fine del secondo conflitto mondiale. La realtà universitaria di quel periodo era molto diversa rispetto a oggi: gli Atenei erano molti meno e poco distribuiti sul territorio, i periodi di sessione d'esame erano quelli per tutti e i professori concedevano con molta parsimonia gli appelli straordinari. Era un altra Italia, che non offriva grosse distrazioni ai ragazzi di allora; discoteche, pub, ecc. sarebbero arrivati molto dopo, quindi gli studenti per divertirsi si dovevano “arrangiare”, con la conseguenza che le loro attività esterne allo studio finirono col passare quasi tutte attraverso la Goliardia. In pratica si trattava di una situazione ottimale: alte concentrazioni di studenti in poche Città, in gran parte fuorisede, con il tempo libero a disposizione neimedesimi periodi dell'anno, tutti Goliardi perché la Goliardia era l'unica (o quasi) valvola di sfogo e di svago nella vita da studente. Le generazioni di Fratelli, che dal 1946 si sono succedute fino alla fine degli anni '60, senza tradire lo spirito goliardico dei loro “padri”, hanno saputo utilizzarla quale base su cui costruire il complesso sistema di consuetudini raccontate in questo testo. Era una Goliardia creativa, in continua crescita ed evoluzione, sviluppatasi in un contesto ideale. Con l'arrivo della contestazione di fine anni '60, e della conseguente riforma universitaria, la Goliardia venne erroneamente interpretata come qualcosa di “vecchio”, di “reazionario”. La sua spensierata irriverenza e le sue gerarchie burlesche e caricaturali, difficilmente avrebbero potuto essere intese per quello che 77
erano, ma vennero interpretate assimilandole all'idea di un Università paternalistica e autoritaria, dove lo spazio ludico era concessione non diritto. Soprattutto la distanza della Goliardia da qualsiasi inquadramento politico, nonostante la sua partecipazione attiva all'istituzione universitaria nella gestione del tempo libero degli studenti, non era accettabile per la generazione sessantottina, ribelle a ciò che non era “rivoluzione”, e per cui tutto doveva essere in qualche modo politicizzato. Da lì la crisi della Goliardia degli anni di piombo, con pochi eroici superstiti costretti a trovarsi di nascosto, a rischio di venire “sprangati” per aver indossato una feluca. Come gli amanuensi medievali per i testi classici, quei Goliardi sono riusciti ad attraversare il momento di “buio”, preservando questo splendido gioco fino alla rinascita dei primi anni '80. Non si trattava più della realtà “oceanica” ante sessantotto, con un numero di Goliardi vicino alla totalità degli studenti, che gli Anziani infelucavano quasi a forza. Dagli anni '80 in poi chi accede a questo gioco lo fa per scelta personale. Volontariamente, consapevolmente e (ir)responsabilmente. Fino ai primi anni del duemila questa è stata una Goliardia di mantenimento, di salvaguardia e cristallizzazione delle consuetudini sviluppate dalle generazioni precedenti. Non c'è stato il bisogno di inventare nuovi sistemi di gioco, bastava riferirsi a quelli che già c'erano, avevano già dentro tutti i valori che servivano alla Goliardia: libertà, rispetto, senso critico, ironia, fratellanza, ecc. Al massimo si è sentita la necessità di modernizzare qualche regola senza tuttavia scombussolarla troppo, ad esempio togliendo rilievo ai bolli rispetto alla carica, ma in buona sostanza si trattava di una Goliardia di conservazione delle vecchie tradizioni. In quel periodo la parte innovativa era data dalla fantasia dei Goliardi di allora, nel comporre e scomporre le situazioni di gioco come pezzi di lego, creando ogni volta figure nuove, ma usando sempre i mattoncini ereditati dai propri Vecchi. Dall'inizio del nuovo millennio gli Atenei italiani hanno subito, da parte del Ministero competente, una serie continua di riforme. Un vero e proprio stravolgimento di quelli che erano i percorsi di studio, le loro modalità, e le loro tempistiche. La laurea si consegue già da colonne e non è detto che tutti continuino con la specialistica, gli appelli straordinari sono più frequenti, gli esami di verifica sono martellanti, molti universitari partecipano al programma Erasmus, ed è maggiore il tempo impiegato in attività supplementari allo studio come laboratori, stage, collaborazioni, ecc. Aggregarsi e fare Goliardia è più difficile rispetto al passato: gli studenti che la fanno già sono pochissimi, e alle occasioni goliardiche, quali riunioni e cene, si contano sempre diverse assenze perché molti sono sotto esame, impegnati nella stesura di tesi e tesine, o all'estero. Anche questo ha contribuito all'inaridimento della Goliardia odierna, di cui, con molta amarezza, mi sono lamentato per tutto il testo. Se adesso le regole del gioco non sono seguite, o sono interpretate in maniera meccanica e incosciente dei loro “perché”, le colpe non vanno tutte attribuite agli Attivi. Alcuni sono dei cazzoni a cui si fa prima a metterlo in culo che in testa, però rimane il fatto che nell'insieme soffrono la contingenza di una realtà universitaria poco compatibile con la Goliardia. Piuttosto dovrebbe essere la mia 78
generazione, e quella immediatamente successiva, a dover fare pubblica ammenda per il buco formativo di cui parlavo poc'anzi. D'accordo, la situazione è quella che è, però non si può lasciare andare tutto a puttane: qualcosa andava fatto. Quindi mi sono detto “scrivi”, quindi mi hanno detto “scrivi”. Allora ho scritto. Fiducioso che gli eventuali lettori sappiano profittare del mio lavoro, ma soprattutto augurandomi che questo testo diventi presto inutile, e che la Goliardia e le sue regole tornino ad essere raccontate come andrebbero raccontate. Dagli Anziani e dai Mantati alla matricola di turno, davanti a un bancone di bar, davanti a un bicchiere di vino.
E PER RIFLETTERE ecco le parole di un grande Goliarda Prefazione di “69 racconti di Goliardia” di Manlio Collino “Zeus”, Orient Express Editrice, Torino 1992” (© dell'autore)
Sottilissimo è il filo che separa una buona battuta da una tremenda stronzata. Questa è una verità che hanno scritto Gino & Michele nei loro fortunatissimi libri “Anche le formiche nel loro piccolo s'incazzano” 1 e 2. Per cui vale già la pena citarla, non foss'altro che in guisa di portafortuna. Quello che hanno omesso di precisare, però, è in che senso è messo il filo. Secondo me il mondo delle “buone battute” e quello delle “tremende stronzate” non stanno ai due lati del filo, ma ai due capi opposti. E il filo è posto sul baratro del ridicolo. Io sono pessimista, per cui sono certo di essere nato dalla parte delle tremende stronzate. Ma sono anche curioso, e, spingi spingi, mi sono affacciato sul grande mare del ridicolo: era pieno di gente che ci era caduta e cercava di uscirne fuori, di gente che ci era affogata e di gente che ci nuotava beatamente e ci stava benissimo. Per non parlare di quelli che se ne stavano tranquilli alle mie spalle, dalla parte delle stronzate, senza neppure provare la curiosità di spostarsi. Mentre guardavo ho spinto l'occhio fino all'altra sponda, quella delle buone battute: non sarà stato il paradiso, ma mi sembrava un posto migliore degli altri due. E il filo sottilissimo era lì, a tentarmi. Tutt'altro che teso, però. Era molle, oscillante, sinuoso, circonvoluto, continuamente agitato dal vento dei tabù, dei momenti, degli ambienti, delle mode e delle circostanze. La tentazione di provare comunque ad andare dall'altra parte era fortissima. In goliardia mi hanno insegnato proprio quello: a trasgredire, che vuol dire attraversare, andare oltre. Magari uno può anche cadere nel ridicolo, mi dicevo:l'importante è non affogarci e non sguazzarci, ma tornare a riva subito, e riprovare. Ma poi è successo di tutto. Sono caduto a volte nel ridicolo, e non me ne sono accorto. Sono approdato al regno delle buone 79
battute convinto che esse, per definizione, dovessero far ridere, e invece spesso erano accolte da un silenzio imbarazzato, o non venivano capite. Giungevano nel frattempo dall'altra sponda echi di risate omeriche suscitate dalle tremende stronzate. Allora, visto che dopo un po' quel maledetto filo sottilissimo era diventato più fermo, più familiare, e l'attraversamento mi pareva più facile, mi son concesso una rimpatriata nel buon vecchio mondo delle stronzate, perché avevo voglia di ridere. Lì ho poi capito che molti tra quelli che ridevano delle stronzate erano convinti di trovarsi dalla parte del filo definita “delle buone battute”, e chiamavano “tremende stronzate” le buone battute che il vento portava dall'altra sponda. Un·casino. E siamo lì che andiamo avanti e indietro, noi goliardi, da almeno dieci secoli. A furia di inseguire la magia di una risata, almeno una cosa l'abbiamo imparata, ed è che l'importante è saper ridere di noi stessi, senza prenderci troppo sul serio. Senza pretendere di decidere cosa è buono e cosa è una stronzata. Abbiamo sempre odiato a scuola i primi della classe, quasi sempre secchioni e violini, che la maestra incaricava di segnare alla lavagna in sua assenza i buoni ed i cattivi. E loro tracciavano, appunto, una riga verticale, gli uni di qua, gli altri di là. Era come quel filo sottilissimo di cui si parlava prima, anche se messo nell'altro senso. Ho cominciato a odiare i fili e ad amare gli arabeschi, i cunicoli, gli elicotteri ed i ponti. L'importante, e noi goliardi l'abbiamo capito fra i primi, è non perdere mai il desiderio di andare oltre, anche solo per curiosità.
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RINGRAZIAMENTI Mi pare doveroso spendere due parole di ringraziamento a quanti mi hanno dato una mano, anche perché ad alcuni ho rotto per bene le palle, visto che ero “in fregola” di rendere pubblico il malloppo per la metà di settembre. Ringrazio in generale chi mi ha fatto il culo quando ero matricola, senza di loro non avrei potuto buttare giù mezza riga di questo testo. La mia gratitudine va poi alle tante persone che hanno collaborato alla preparazione di questo scritto: chi dandomi un incipit, quando mi veniva il blocco dello scrittore, chi sorbendosi le mie filippiche sulla Goliardia, chi ascoltando pazientemente i miei voli pindarici circa questo progetto, chi lanciandomi un suggerimento o un opinione, chi semplicemente infondendomi entusiasmo. In particolare però ci tengo a ringraziare quei Fratelli che maggiormente si sono spesi per questo compendio, partecipando attivamente alla sua compilazione, editing e revisione: Sarchiapone per l'onestà intellettuale, le critiche intelligenti e circostanziate, e per la sua preoccupante affermazione “senza rendertene conto hai attualizzato il Morandini, prima o poi potremmo sentir parlare di un Codice Brotto”, “mi auguro di no, perché saremmo messi proprio male” dico io. Vipera per il punto di vista femminile circa le scalda cazzi in Goliardia, per i preziosi suggerimenti in fase di revisione, e per la tempistica “blasfema” di consegna della stessa. Compagno Utuku per le dissertazioni di filosofia e diritto goliardico, e per avermi detto candidamente “non aver paura di apparire un pontificatore, sappiamo tutti che lo sei”. Kociss per la memoria storica, l'impagabile disponibilità, la meravigliosa postfazione, ma soprattutto per la gradita sensazione di ringiovanimento che involontariamente mi ha fatto provare: mi sono ritrovato ad essere una matricolaccia bacchettata dal Maior perché si era scordata un paio di regolette del gioco. Zeus per il permesso di riproduzione del suo testo come conclusione a questo mio elaborato. Ma vi invito a leggere tutto il libro, perché è una bellissima e calzante esposizione di cosa sia fare Goliardia nelle sue mille sfaccettature. Un ringraziamento speciale va a Cana, autore della spiritosa vignetta che fa da copertina al testo. Vale la pena fare un giro nel suo blog perché fa spaccare dalle risate: www.mondocana.com Dedico questo lavoro a tutti quei popolani che mi hanno chiesto informazioni negli anni passati. Con qualcuno sono stato prodigo e mi sono speso a raccontare, con altri invece me ne sono bellamente fottuto. Questa mia “fatica” è de81
dicata soprattutto a questi ultimi, che magari ho maltrattato per scarsa considerazione nei loro riguardi, o semplicemente perché non avevo voglia di mettermi a fare il professorino. Realizzo che vi ho deluso, e che il mio dovere “morale” di Vecchio sarebbe stato portarvi “al bar”, ad insegnarvi quanto chiedevate. Per cui, cari Vecchi, se vi capitasse di incontrare qualche matricola che ha voglia di imparare, non fate il mio errore. Anche se chi avete di fronte vi appare una perdita di tempo, anche se preferireste fare altro, sforzatevi comunque di essere disponibili. Quelle che per voi sono stronzate stile “quando ero matricola io...”, per loro potrebbero essere un momento essenziale, di quelli conservati con cura nella scatola dei ricordi del loro percorso umano di Goliardi.
E come scriverebbe Horus Patavinus (uno di quei Vecchi che mi hanno fatto il culo da matricola):“asinus qui legit!”
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