Plinio Il Vecchio - Della Storia Naturale Vol.2 (Libri XX-XXXVII)

May 5, 2017 | Author: leonardo7804 | Category: N/A
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Versione storica della Naturalis Historia, ripulita, formattata e con OCR...

Description

BIBLIOTECA D E G L I

SCRITTORI

LATINI

CON TRADUZIONE E NOTE

C. PLINIUS SECUNDUS

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HI S T ORI AE MUNDI LIBRI XXXVII

VOLUMEN SECUNDUM

VKNETIIS EXCUDIT

JOSEPH

ANTONELLt

AUREIS DORATVS NUMISMATI!OS ■.OCCC.XLIT

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PLI NI O SECONDO LIBRI XX.XVII TRADUZIONE

DI M. L O D O V I C O D O M E N I C H I EMENDATA

P E R LA PRIMA

TOLTA

•KCOIfOO IL TESTO LATINO

CON L’AGGIUNTA D[ UN NUOVO INDICE GENERALE

VOLUME SECONDO

VENEZIA DALLA TIP. DI G IU SEPPE ANTONELL1 ED FRBMIATO

DI M ED AG LII

l844

» ' ORO

C. PLINIO SECONDO

C. PLINII SECUNDI

HISTORIARUM MUNDI LIBER XX MEDICINAE EX HIS QUAE SERUNTUR IN HORTIS

---------------------------------

CCCUMERE SILVESTRI, XXVI.

T. JJla lim om hinc opus naturae ordiemur, et cibos «nos homini narrabimus, faleriqae coge­ mus ignota esse, per quae vivat. Nemo id par­ vum ac modicum existimaverit, nominum vilitato deceptus. Pax secum in his aut bellum na­ turae dicetur, odia, amicitiaeque rerum surdarum ac sensa carentium : et, quo magis miremur, omnia ea hominum causa, quod Graeci sympa­ thiam appellavere; quibus cuncta constant, ignes aquis restinguentibus, aquas sole devorante, luna pariente, altero alterius injuria deficiente sidere. Atque ut a sublimioribus recedamus, ferrum ad se trahente magnete lapide, et alio rursus abigente a sese : adamantem opum gaudium, infra­ gilem omni celera vi et invictum, sanguine hir­ cino rumpente, quaeque alia in suis dicemus lo­ cis, paria, vel majora, mira. Tantum venia sit, • minimis, sed a salutaribus ordienti, primumque ab hortensiis.

DiL

COCOMERO SELVATICO, 2 6 .

I. IjT rande opera di natura al presente noi comincieremo, e racconteremo atl* uomo i suoi ci­ bi ; e lo faremo confessare, eh* egli non conosco le cose, delle quali ei vive. Niuno, benché i nomi sieno vili, stimi esser questa piccola cosa, consi­ derato che in questi si ragiona la pace e la guerra che la natura ha con esso lui, e gli odii e le ami­ cizie delle cose inanimate e mancanti di senso, le quali, eh* è cosa mirabile, vengono naturalmente in servigio dell’uomo : il che i Greci appellaronosimpatia. Da questi due principii di odio e di amicizia si compone l ’ università delle cose : così T acqua spegne il fuoco, e il sole divora I’ acqua, mentre la luna la produce, in modo che questi duo pianeti soffrono sempre ingiuria l’uno dall' altro. E per lasciar le cose alte, e ragionare delle basse, la calamita tira a sè il ferro, mentre il teamede de sè lo scaccia ; e il diamante, gioia delle ricchezze, il quale da nessuna altra forza può esser vinto, spezzasi col sangue del becco ; e altre maraviglie pari a queste, o maggiori, le quali racconteremo a suo luogo. Siaoi solamente perdonalo, se comincieremo dalle cose minime, perciocch’elle sono le più utili ; e prima parerlemo degli erbaggi. i. Abbiamo già dello che il cocomero salII. t. Cucumim silvestrem esse diximus, mul­ II. to infra magnitudinem sativi. Ex eo fit inedic*- valice è minore che il dimestico. Di questo si fa f u i i o i. N., \ ol. 11.

3

C. PLINII SECUNDI

mentum, quod voctlur elaterium, sueoo expresso e semine. Cuju* causa nisi maliirius incidatur, semen exsilit, oculorum etiam periculo. Servatur autem decerptus una nocte: postero die incidi­ tur arundine. Semen quoque cinere conspergi­ tur, ad coercendam sqcci abundantiam : quii ex­ pressus suscipitor aqua ooelesti, atque subsidit :. deinde sole cogitur in pastillos, ad magnos mor­ talium usus. Obscuritates et vitia oculorum sa­ nai, geoarumque ulcera. Tradunt hoc succo tactis radicibus vitium, non attingi uvas ab avibus. Radix aulem ex aceto cocta podagris illinitur, succoque dentium dolori medelar. Arida cura resina impetiginem et scabiem, quae psoram et liebenas vocant, parotidas et panos sanat, et ci­ catricibus colorem reddit. Et foliorum succos au­ ribus surdis cum aceto instillatur.

E

l a t e r io , x x v ii.

4

vna medicina chjamata elaterio, cavando il sugo dels£me. Se a ciò (are non s'incide molto per tem­ po, il seme schizza fuori con pericolo degli oc­ chi. Levato dalla pianta si serba una nolle, e I' al­ tro giorno s'incide con canrfa. Il seme si sparge con 1« cenere, per scemare l ' abbondanza del su­ go, il quale si preme in acqua piovana, e va al fondo : di poi si rappiglia al sole, « fassene pa­ stelli per grandissimo uso degli uomini. Guari­ sce 1' oscurità e il difetto de gli occhi, e le crepa­ ture che sono intorno a essi. Dicesi che toccan­ dosi le radici delle vili con questo sugo, gli uc­ celli non beccano di quelle uve. La radice sua cotta con l ' aceto si mette sulle gotte, e col sugo si medica il dolore de' denti. Secca con la ragia guarisce le impetigini e la scabbia, che si chia­ mano tigna e volatiche, le posteme, che nascono dietro a gli orecchi, e gli enfiali nella gola, e ren­ de il colore alle margini delle piaghe. Distillasi ancora H sugo deHe foglie sue con l’ aceto negli orecchi de sordi. D e l l * b l a t b b i o , 2 ■erationi ereditar, cohibendo genitalia denseri. Aeqae maribus ae feminis sistit sanguinei» : et pnrgatione» feminairom inhibet : cum amylo ex aqaa pota, coeljaeontan impetas. Syriation et vomicas vulvae curavit illa. Jociaernm vilia ternis obolis ex molto datis. Item sanguinem exscreanti* busiasorbitionem.Ukera in capi te infantium mire sanai. Arterias h a mi das siccat, siccas adstringitw Pituitas corruptas purgat in malso et aqaa.

Voei saccus sub certamine ulilb dam luxat, qai et gargarixatar ara tornente, adjecta ruta et coriandro ex Jacte. Utilis et contra tonsillas cum alumine : linguae asperae eam meile. Ad convulsa intus per se, viliisque pulmonis. Singultas et t o * roiiiones sistit cum succo granati, ut Democrilos aaonslr«i. Eeeenlis succus narium vitia spiritu subii aci os emeodat. Ipsa trita choleras, in aceto quidem pota. Sanguinis fluxiones intus. Ileum etiam imposita cum polenta : et si mimmae ten­ dantur. Illinitur et temporibus in eapilis dolore. Soanitnr et contra soolopendrss, et scorpiones marino», et ad serpentes. Epiphoris illinitur, et omoibos in capite eruptionibus : itera aedis vitiis. Intertrigines quoque, vel si teaeatar tantum, prohibet Auribus cum mulso instillatur. Ajuut et lieni mederi eam in horto gustatam, ila ne vellatur, si is qui mordeat, dicat se lieni mederi, per dies ix. Aridae quoque farinam tribas digilis adpreheosam, et stomschi dolorem sedare in aqna : el similiter aspersam in potionem, ventris animalia expellere.

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58 mutta,

4>

L lll. I / odore della menta desta I' animo, e II sapor suo risveglia I’ appetito ne' cibi ; e perciò s’ usa molto negl*intingoli, ovvero manicaretti. Ella non lascia rinforzare, nè rappigliarsi il latte» e perciò si mette nelle bevaude di latte, acciocché per lo beverlo rappreso non porti soffocazione. Per la medesima virtà impedisce la generatione, pigliandola eon I*acqua e col vin melato, perchè rappiglia il seme. Rislagna il sangue egualmente a1maschi e alle femmiue, e impedisce le purgazio­ ni delle donne. Se si bee con nna mistura di grano e di latte, che si chiama àmilo, nell’acqua, raffrena i flussi di ventre impetuosi. Siriazione medicò già con essa le fistole della matrice, e anco i difetti del fegato, dandone tre oboli col vin melato. Così si dà a sorseggiare ancora a quegli, che spulano saugne. Guarisce mirabilmente i malori nel capo de’ bambini. Secca l’ arterie umide, e ristrigne le secche. Col vino melato e con l’ acqua purga le flemme corrotte. 11 sugo suo è utile alla voce solamente nel tempo, che altri ha a cantare. Gargarizzasi, quan­ do t’ogoia è ingrossata, aggiugnendovi ruta e co­ riandoli con latte. E utile conira gli enfiati della gola con allume, e alla lingua aspra col mele. Per sè sola giova alle convulsioni interne, e a’ difetti del polmooe. Democrito dice che eon sugo di melagrana leva i singhiozzi e i vomiti. 11 sugo della menta fresca guarisce i difetti del naso ; e pesta e bevuta con l’aceto purga la collera, e » flassi del sangue dentro al eoapo. Guarisce ancora il male del fianco, postavi su con la polenta, e se le poppe si distendono, o sono enfiate. Fregaisi anco alle tempie, quando duole il capo. Pigliasi similmente contra le scolopendre, gli scorpioni marini, e le serpi. Ungonsene le lagrimaloie degli occhi, e tutte le rotture del capo, e i difetti del sedere. Rimedia ancora a certe scorticature dei membri che si toccano insieme e stropicciansi, onde n* esce a modo di sudore, pur solamente a tenervela sopra. Infondasi negli orecchi col vin melalo. Dicono che guarisce la milza gustata nelI* orlo senza averla, se oolai òhe la mangia dice per nove giorni ebe medica la milza. Cosi atoohe la polvere detta secca presa cou tre dita ; la quale infusa nell’ acqua sana il dolore dello stomaoo; e similmente sparsa nella bevanda caccia i ver­ mini del corpo.

B t M u n io , i i t .

D el p o u m i o , a $ .

L1T. Maga* societas eum hae ad reereaOdos fcfectos animo pnlegio, emm surculis snis in am-

L1V. Ha gran conveniènte col paleggio a ri­ creare la stanchezza dall’ animo, mettendo i suoi

C, P IJN lt SECONDI



pallas vitreas aceti ulrisqae dejectis. Qua de cau­ sa dignior e pulegio corona vertigini, qoam e rosi», cubiculis nostris pronuntiata est. Nam et capiti» dolores imposita dicitur levare. Q uid et olfactu capita tueri contra frigorum aeatusque injuriam, et ab siti traditur ; neque aestuarereos, qui duos e pulegio surculos impositos auribus in aole habeant. Illinitur etiam in dolorihus oum polenta et aceto. Femina efficacior. Est autem haec flore purpureo. Mas candidum habet. Nau­ seas cum sale et polenta in frigida aqua pota inhibet. Sic et pectoris ac ventris dolorem. Sto* machi autem ex aqua item rosiones sistit, et vo­ mitiones cum aceto et polenta. Intestinorum vitia meile decocta et nitro sanat. Urinam pellit ex yino ; et si ammineum sil, et calculos, et interio­ res omnes dolores. Ex meile et aceto sedat men­ strua, et secundas. Vulvas conversas corrigit. De­ functos partus ejicit. Semen obmutescentibus olfactu admovetur. Comitialibus io aceto cyalbi meutura datur. Si aquae insalubres bibendae sint, tritum aspergitur. Lassitudines corporis, si cum ▼ino tradatur, minuit.

Nervorum causa, et in contractione, cum sale et aceto et meile confricatur in opisthotono. Bibitur-ad serpentium ictus decoctum : ad scorpio* num et in vino tritum, maxime quod iu siccis nascitur. Ad oris exulcerationes,ad lusiira efficax habetur. Flo» recentis incensus, pulices necat odore. Xenocrates pulegii ramum lana involutum, iu tertianis- ante accessionem olfactandum dari, aut stragulis subjici, et ita collocari aegrum, inter remedia tradit.

p B VULBOIO SILYBSTBI, X f l l l .

LV. Silvestri ad eadem vis efficacior est, quod simile est origano, minoribus foliis, quam sali­ vam : et a quibusdam dictamnos vocatur. Gusta» tum a pecore eaprisque, balatum concitat. Unde qnidam Graeci littera mutata blechona voca­ verunt. Natura tam fervens est, ut illitas paries exul­ ceret. Tussi in perfrictione fricari ante balnea convenit: et aute accessionum horrorem, convul­ sis^ et torminibus. Podagris mire prodest.

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sprochetli in ampolle di vetro che abbiano dell'ace­ to. Per la qual cagione s 'i da(jt sentenza nelle no­ stre camere, che la corona del paleggio sia migliore alla vertigine, che quella delle rose; perchè messa sul capo dicest che leva il dolore. Truovasi anco, che col fiutarlo solo conserva il capo contra la violeosa del freddo, e del caldo, e della sete. Di­ cono ancora, che quegli che stanno al sole non sentono troppo caldo, se hanno due massetti di puleggio posti negli orecchi. Impiastrasi ancora ne1dolori con polenta e con aoeto. La femmina è più possente : questa ha il fior rosso, meulre il maschio l'h a bianco. Bevuta corsale e eoo I» polenta nell' acqua fredda, non lascia venire i fastidii di stomaco ; e cosi ancora leva i dolori del petto e del corpo. Con acqua ferma le rosionidelto stomaco, e le vomitasioni con aceto e po­ lenta. Cotta con mele e oon nitro guarisce i di­ fetti degl' interiori. Col vino muove 1* orina ; e se il vino è ammineo, leva i mali della pietra, e tulli i dolori di dentro. Col mele e con l ' aceto ristagna le purgagioni delle donne, e le seconde : fa tornare la matrice al suo luogo, e manda fnora i parti. Il seme soo si dà a fiutare a quegli, che ammutoliscono. A quegli che hanno il male ca­ duco, si dà nell' aceto a misura d 'nn bicchiere. Se fosse bisogno bere acqua malsana, vi si sparge deotro trito ; e se si dà con vino, mitiga le lassez­ ze del oorpo. Per cagione de' nervi e rallrappatione si frega con sale, aceto e mele a chi ha ritirati i nervi da I collo al capo, che lo fanno stare come rattoppa­ to. Beesi cotto contra i morsi delle serpi : contro quegli degli scorpioni, Irilo ancora nel vino,massi­ mamente quello che oasce in luoghi secchi. Tienst eh' egli abbia virtù per le fessure, e nasoeoze della bocca, e per la tosse. Il fiore del fresco abbruciato ammazza le pulci pur con l ' odore. Senocrate dà a fiutare un ramo di puleggio, rinvolto con la lana, a chi ha la terzana, innanzi l ' accesso, o lo mette sotto i panni del letto, e così vi pone sa l'ammalato ; e questo mette fra i rimedii. Dtb

POLBCOIO

8AL VATI CO, l8.

LV. Il selvatico ha maggior forza agli stessi efTetli, ed è simile all' origano : ha foglie mioori che il domestico, e da alcuni è chiamato dittamo. Mangiato dalle pecore e dalle capre, le fa belare ; onde alcuni Greci mutando le lettere lo chiama* rouo blecone. È di natura sì caldo, che dove si stropiccia, fa venire le coeciuole. Nella tosse conviene far le fregagioni innanzi al bagni i e per le convulsioni e i tormini, si dà iouaasi il capriccio dell' accesso loro. Giova mirabilmente alle gotte.

6.

HISTORIARUM MUNDI LlB. XX.

Hepaticis cam meile el sale bibendam datar : pulraooam vitia exscrea bilia facit. Ad lienem cam sale utile est, et vescicae, et suspiriis, et inflatio­ nibus : decoctum succo aequaliter, et volvas cor­ rigit : et contra scolopendra»! terrestrem vel ma­ rinam: ilem scorpiones ; privatimqoe valet contra hominis morsum. Radix contra incresoentia ul­ cera recens potentissima. Arida vero cicatricibus decorem ad fert.

Dassi a bere con mele é ssle a’ fegatosi, e fp che le marcia del polmone si possono spolare. Ì£ utile alla milza col sale ; non che alla vescica, e a' Sospirosi e all* enfiagioni : cotto egualmente eoi sago corregge la matrice, e giova contra la scolopendra terresti e o marina, e contra gli scor­ pioni, e particolarmente contra il morso dell* uo­ mo. La sua radice fresca è potentissima contra le piaghe che crescono. La secca fa levare le margini.

Da aapBTA, ix.

DELLA NEPITELLA, Q.

LV1. Itera pulegio est nepelaeqae societas. Decoefa enim in aqua ad tertias discutiant fri­ gora, molieram que menstruis prosont. Et aestate tedaol calores. N epeta quoque vires contra ser­ pentes habet. F u m aro ex ea nidoremque fagiani, qaam et su b ste rn e re in raetu obdormitaris alile esi. Tusa ae g ilo p iis imponitor, el capitis dolori­ bus recens c a r a te rtia parte panis temperata aceto illinitor. S u c c u s e ju s instillatus naribos supinis, profluvium s a n g u in is sistit. Item radix, quae cum mjrti semine in passo lepido gargarizata auginis taedelur.

Ds CON1BO,

T L V Ill.

Ds

CtMIHO SILVESTBI, XXVI.

LY1I. C am inum silvestre est praeteoae, qua­ terni» aut q u in is foliis velati serratis. Sed el sa­ tivo magnus usas, in stornaci» praecipue remeDiscutit pitaitas, et inflationes, tritum et «ara pane sumptum, vel potam ex aqua vinoque: tormina quoque et intestinorum dolores. Verumtameaomne pallorem bibentibus gignit. Ita certe ferunt Porcii Latronis, clari inter magistros di­ cendi, adsectatores, similitudinem coloris stndiis contracti imitatos ; et panilo ante Jaliam Vindilem adsertorem illum a Nerone libertatis, capta­ tione testamenti sic lenocinatura. Nariaro sangui­ nem pastillis inditam vel ex aceto recens sistit. E t oculorum epiphoris per se impositum, turoenfib as cum meile prodest. Iafaatibas imponi in v e n tre satis est. Morbo regio in vino albo a bali* n eis datur.

s 5. Aethiopicum maxime io posca, et in ecli­ gm ate eam meile. Africano paullatim urinae in­ continentiam cohiberi putant. Sativam datar ad

LV1. II puleggio e la nepitella hanno compa­ gnia insieme ; perciocché cotti nell* acqua fino alla terza parie levano il freddo, e giovano alle pnrgagioni delle donne. La state temperano il caldo. La nepitella ancora ha virtù contra le serpi, perch* esse fuggono il profumo e I* odor suo. È buono anco porla sotto a chi ha a dormire, »' egli avesse paura. Pesta si mette sopra una spe­ cie di mal d 'occhi, che viene ne' peli delle palpe­ bre, e fresca si pone alla doglia del capo con la lerza parte d’ un pane temperato con l ' aceto. Stando supino, e ricevendo il sugo nella nari, fa ristagnare il sangue del naso : così anche la sua radice, la qnale, gargarizzandosene insieme con vin colto tiepido e con seme di mortine, guarisce i serramenti della gola. D e l co n in o , 4 8 . D e l

conino sacvatico ,

26.

LVIl.il cornino sai valico è sottile, ed ha quat­ tro o cinque foglie per posta, le qaali souo a modo di sega. Il domestico ì molto utile, mas­ simamente allo stomaco. Leva la flemma e la ven­ tosità, pesto e mangiato col pane, o bevuto nelI* acqna e nel vino : così leva anche i tormini e le doglie delle badelle, ma fa pallido chi lo bee. Certo è che dicono, come i discepoli di Porcio Latrone, uomo molto eccellente fra i maestri del dire, imitarono la somiglianza del colore acquistato dagli studii ; e poco avanti Giulio Vindice, che fa il primo a ribellar da Nerone e porsi io liber­ ti, usò questo colore per allettare il principe a conferirgli onori sulla speranza della sua vicina morte, e quindi della sua eredità. Ristagna il san­ gue del naso, messovi sa ia pastelli, o mescolato fresco con 1*aceto. Guarisce le lagrimasioni degli occhi postovi per sé, e agli enfiali giova eoi mete. Basta a* bambloi porlo sul corpo. A quegli die hanno sparso il fiele ri dà a bere nel vin bianoo dopo i bagni. i 5. Il cornino Etiopico s’ impiastra col mele nella posca e in certo elettnario lambitivo dette eoligma. Aleaot tengono che l 'Africano abbia

C. PLINII SECUMDJ

6?

jocineris vilia tostum, Iriluro in aceto, lie n ad vertiginem. Iit vero quos acrior urina mordeat, in dulci Iriluro vino. Ad vulvarum vilia in vino: praeterque, impositis vellere foliis : testium tu­ moribus, tostum trilumque cum meile, aul cum rosaceo et cera.

Silvestre ad omnia eadem efficacius. Praeterea ad serpentes curo oleo, ad scorpiones, ad scolo­ pendras. Sistit et vomitionem nauseasque ex vino, quanlum adprehenderint tres digiti. Propter co­ lum quoque bibitur illiniturque, vel peoicillis fervens adprimitur fasciis. Slrangulaliones vulvae potum in viuo aperit, tribus drachmis in tribns cyathis vini. Auribus instillatur ad sonitus atque tinnitus cum sebo vitulino, vel meile. Sugillatis illinitur cum raelle, et uva passa, et aceto. Lenti­ gini nigrae ex aceto.

Db aumi, x. LVUI. Est cumino simillimnm, quod Graeci vocant amrai. Quidam vero Aethiopicnna cumi­ num id esse existimant. Hippocrates regium ap­ pellat, videlicet quia efficacius Aegyptio judica­ vit. Plerique alterius naturae in lotura putant, quoniam sit exilius el candidius. Similis autem et huic usus : namque et panibus Alexandrinis subjicitur, et condimentis interponitur. Inflatio­ nes et tormina discutit. Urinas el menstrua ciet. Sugillata et oculorum epiphoras railigat. Cum lini semine scorpionum ictus in vino potum drachmis duabus, privatimque ceraslarum, oim pari portione myrrhae. Colorem quoque bibentium similiter mutat in pallorem. Suffitum cum uva passa et resina, volvam pnrgat. Tradunt facilius concipere eas, quae odorentur id per coitum.

De a r m i , xviu. LIX. De cappari satis digimos inter peregri­ nos frutices. Non ulendum transmarino : inno* f.enlius Italicam est. Ferant, eos qui qaotidie id edunt, paralysi non periclitari, nec lienis dolo­ ribus. Radix efus vitiligines albas tollit, si trita in sole firicenlur. Splenicis prodeat in vino potas radicis cortex duabus drachmis, dempto balinea­ rum «au. Ferontque xxxv diebus per orinavi et •ivom totum lienem emitti. Bihilar ia lamboram doloribus, ac paraijrti. Dentiam dolorea aedat

64

gran virtù di ristagnare il flusso dell'orina. 11 domestico s' adopera arrostito a* difetti del fega­ to, e trito nell' aceto ; e così ancora oonlra il capogirlo. A quegli che souo gravemente trava­ gliati dall' orina si dà pesto con vin dolce. A' di* folti delle matrici si dà nel vino ; a' quali in oltre s’applicano le toglie in velli di lana : a' gonfia­ menti de' testicoli si poue arrostilo, e trito non mele, olio rosalo e cera. Il salvalico ha maggior virtù a tulle le mede­ sime cose. Olirà di ciò si dà con olio conira il morso delle serpi, de#li scorpioni e delle scolo­ pendre. Col vino ferma il vomito e i fastidii dello stomaco, dato quanto se ne può pigliare con tre dita. Beesi ancora per li dolori coliche impiastra­ si, o fattone come pennelli, si comprime eoo fa* scie. Bevuto nel vino apre le strangolazioni della matrice, pigliandone tre dramme in tre bicchieri di tino. Insellasi negli orecchi a coloro, a coi risaonano, con sevo di vitello, o con mele. Im­ piastrasi a' suggellali con mele, uva passa e aceto : e con l ' aceto pure alle lenligiui nere. D ell'

am bi , i o .

LV111. Somiglia molto al cornino, quello che i Greci chiamano aromi. Alcuni tengooo ch 'ei sia il cornino Etiopico. Ippocrale lo chiama regio, perchè lo giudicò di maggior virtù che l ' Egizio. Altri del tulio lo slimano d'allra natura, perché egli è più sottile e più bianco. Però nell' uso è simile ad esso ; perocché ili Alessandria si matte nel pane, e adoperasi ne’condimenti. Scaccia gli enfiati e i torni ini. Provoca l'orina, e le purgagio­ ni delle doune.iVliligu i suggella ti, e le lagrimazioni degli occhi. Bevulone due dramme nel vino eoo seme di lino medica il morso degli scorpioni ; e particolarmente quello delle ceraste, con eguale porzione di mirra, t'a similmente veuire pallidi coloro che lo beono. Fattone profumo con avo passa, o con ragia, purga le matrici. Dicono che quelle donne, le quali usando il coito lo fiutano, facilmente ingravidano. D el

cappero,

»8.

LIX. De1capperi abbiamo ragionato abbastan­ za fra gli sterpi forestieri. Non è da usare l ' o ltre ­ marino : l ' Italiano è manco pericoloso. Dicono che chi gli asa ogui di non senle il parietico, n è dolore di milza.La sua radice leva le vitiligiui bian­ che, cioè la morféa, se pesta vi si stropiccia su a l sole. La corteccia della radice a peso di due dram ­ me bevuta nel vino giova a quegli che hanno il male della milza, levato l ' uso de’ bagni. Dicono che in trenta cinque giorni per V orina e per ae-

63

HISTORIARUM MUNDI UB. XX.

trilum ex aceto semen decoctam, vel manducata radix. Infunditur et aurium dolori decoctam oleo. Ulcera quae phagedaenas vocant, folia et radix recens cura meile sanant. Sic et strumas discntit radix : parotidas, vermicolosque cocta iu aqua. Joci neris quoque malis medetur. Dant et ad taenias in aceto et meile. Oris exulcerationes io aceto decocta tollit : stomacho inutile esse inter anciores convenit.

De

lig u s tic o ,

sivr.

fa ra c e ,

cesso si getta tutta la milta. Beesi per la doglia de* lombi, e per lo parietico. Il seme suo pesto, e cotto nell' aceto, mitiga il dolore de* denti, ovve­ ro masticando la radice. Metlesi negli orecchi, quando dolgono, cotto nell* olio. Le soe foglie, « la radice fresca eoi mele guarisoe quelle piaghe*’ che si chiamane fagedene. Così la radice manda ancora via le gavine, e cotta nell1acqua le poste­ me intorno agli orecchi, e i vermini. Medica pa­ rimente i mali del fegato. Dassi con I* aeeto e col mele contra le tignuole e i vermini. Cotta nell’aceto sana le vesciche della bocca, ma s'ac­ cordano gli autori eh' ella è inutile allo stomaco.

iv.

LX. Ligusticum (aliqui panacem vocant) sto­ macho utile est. Item convulsionibus et inflatio* ■ibus. S ont et qui cunilam bubulam appellave­ rint, ut diximus, falso.

D el

Db c u r i l a

g a l l i n a c e a , s iv e o b ig a r o , v .

LXII. Est alia cunila, gallinacea appellata no­ stris, Graecis origanum Heracleoticam. 'Prodest oeolis trita addito sale. Tussim quoque emendat, et jocinerttm vilia. Laterum dolores cum farina, oleo et aceto in sorbitionem temperata. Praeci­ pue vero serpentium morsos.

D ella

4>

curila bubcla ,

5.

LXI. 16. Della conila, oltra la domestica, sono piò sorti in medicina. Quella che si chiama bubu­ la, ha seme come il paleggio, che i alile alle ferita masticato, e postovi so, ma si lascia sciogliere fino al quarto giorno. Beesi ancora in vino contra le serpi, e pesto si mette sulla piaga, e le ferite da quelle latte si stropicciano. Le testuggini quando hanno a combattere con le serpi, si mu­ niscono con questa erba, e alcuni per questo toso la chiamano panace. Mitiga anche gli enfiati, a i mali del membro virile, seeea, o con le foglie peste ; ed i ottima in ogni uso mesoolata col vino. D ella

curila gallinacea , ovvero obigaro ,

5.

LXII. Écci on*altra cunila, chiamata da* no­ stri gallinacea, da* Greei origano Eradeotico. Questa col sale pesta giova agli occhi, scaccia la tosse e i difetti dd fegato. Caccia la doglia del fianco con farina, olio e aceto stemperata in be­ vanda. Ma soprattutto guarisce i morsi delle serpi.

D e ccrilagire, viti.

LXIII. Tertium genus est ejus, quae a Graeci* mascula, # nostris cunilago vocatur, odoris foedi, radicis lignosae, folio aspero. Vires ejus vehementissimas in omnibus generibus earum (radunt. Manipulo quoque ejus abjecto, omnes a tota domo blattas convenire ad eain. Privatilo Aversus scorpiones ex posca pollere. Tribus fofai ex oleo peruncto homine, fugari serpentes.

ligustico o farace ,

LX. Il ligustico (chiamata da aleoni panace)è utile allo stomaco, alle convulsioni, e alle ven­ tosità. Alcuni ancora, come abbiamo detto, l’han­ no chiamata conila bubnb, ma a torto.

D b CUVILA BOBULA, V.

LXI. 16. Conilae praeter sativam plura sunt in medicina frenerà. Quae bnbnla appellatur, semen pulegii habet, utile ad vulnera comman­ ducatum impositumqne, ut quinto post die solvatnr. E t contra serpentes in vino bibitur, ac tritum plagae imponitur. Vulnera ab iis facta perfricantur. Item testudines cum serpentibus pugnaturae hac se muniunt : quidamque in hoc oso panaceam vocant. Sedat et tumores, et viri­ liora mala, sicca, vel foliis tritis, in omni nsu mire congruens ex vino.

G6

D ella

corilagirb ,

8.

LXIII. La teria sorte è chiamata da* Greci maschia, e da* nostri cunilagine, di brutto odore, di radice legnosa, e di foglie aspre. Dicono che in tuiti i generi suoi ha grandissima forza, e ancora, che gittatone un mazzo per terra, tutte le piattole della casa si raunano ad essa ; ma particolarmente con la posca vale conira gli scorpioni. L'uom * • unto con tre foglie bagnate nell' olio fa fuggire le serpi.

C. PLINII SECUNDI

g7 Di

curila , iio l l i ,

i». Di

cubila libarotide , i u .

D ella

curila m olle ,



S. D ella

otidb ,

curila liba-

3.

LXIV. E contrario qaae mollia voealar, pilo­ siori bas foliis se ramis acalealij, tril* mellis odo* rem habet, digitis tacta ejus cohaerescentibus. Altera thuris, quam libanotidem appellamus. Me­ detur utraque contra serpentes ex vino vel aceto. Pulices etiam contritae cum aqua sparsae necant.

LXIV. Per Io contrario quella che si chiama molle, ha le foglie più pilose, e i rami appuntati : pesta ha odore di rode, e le dita si appiccano insieme a toccarla. L'altra che si chiama liba­ notide, ha odore d 'incenso. L’una e l ' altra con vino, o aceto, vale contra le serpi. Peste e sparse con l’ acqua ammazzano le pulci.

D b c u r i l a s a tiv a , h i. C o n ila m o k ta r a , vii.

D b l l a c u r i l a s a tiv a , 3. D e l l a c u r i l a m o r ta s a , 7 .

LXV. Sativa quoque suos usus habet. Succus ejus cum rosaceo auriculas juvat. Ipsa ad ictus bibitur. - F it ex ea montana, serpyllo similis, efficax contra serpentes. Urinam movet: purgat et a partu mulieres. Concoctionem mire adjuvat, et ad cibos aviditatem. Utraque vel in cruditate je­ junis in potione aspersa. Luxatis quoque utilis. Contra vesparum et similes ictus, ex farina hor­ deacea et posca, utilissima. Libanotidis alia genera suis dicentur locis.

LXV. La domestica ancora ha le sue virtà. Il sugo suo con olio rosato giova agli orecchi. Beesi a guarir delle percosse. Fassi di questa la montana, simile al aermollino, possente contra le serpi. Muove 1*orina, e purga le doune dopo il parto. Aiuta mirabilmente la digestione, e fa venire appetito di mangiare. L’ una e l ' altra si dà nel bere a digiuno a chi non ismaltisce. È utile ancora a quegli che hanno i membri usciti del luogo loro. Con farina d’ orzo e posca è utilissima contra le vespe e simili pun­ ture. Dell’altre sorti della libanotide si ragionerà al suo luogo.

D b V1PBR1TIDB, SIVB SILIQUASTRO, V.

D el tlFEKlTBy o SILIQUASTRO, 5.

LXVI. 17. Piperitis, quam et siliquastrum appellavimus, contra morbos comitiales bibitur. Castor et aliter demonstrabat, caule rubro et longo, densis geniculis, foliis lauri, semine albo, tenui, gustu piperis, utilem gengivis, dentibus, oris suavitate, et ructibus.

LXVI. 17. 11 piperite, il quale chiamammo ancora siliquastro, si bee contra il opale caduco. Castore lo dimostrava altrimenti, dicendo ch'egli ha il gambo rosso e lungo, con nodi spessi, e fo­ glia d'alloro, con seme bianco e sottile, con gusto di pepe, utile alle gengie, a' denti, alla soavità della bocca, e a’ rutti.

D b ORIOARO OBITI, SIVB FRASIO, VI.

D e l l ' o r io a v o o r i t i , o p x asio , 6 .

LXVII. Origanum quod in sapore cunilam aemulatur, ut diximus, plura genera in medicina habet: onitin vel prasion appellant, non dissimile hyssopo. Privalim ejus usus contra rosiones sto­ machi in tepida aqua, et contra cruditates : con­ tra araneos scorpionesque in vino albo : luxata et incussa in aceto, et oleo, et lana.

LXVII. L 'origano, il quale nel sapore è sl­ mile alla cunila, come dicemmo, ha più specie in medicina, e chiamasi oniti, ovvero prasio, ed è poco differente dall'issopo. Questo è buono parti­ colarmente alle rosure dello stomaoo e alla crudità con l ' acqua tiepida, e contra i ragui e gli scor­ pioni col vin bianco. Pei membri sconci, o am­ maccati, è utile in aceto, olio e lana.

D b t r a g o r i g a r o , ix .

D e l tr a g o rig a r o , 9 .

LXVIII. Tragoriganum similius est serpyllo silvestri. Urinam ciet, tumores discutit, contra viscum potum, viperaeque ictum efficacissimum, slomachoque acida ructanti, et praecordiis. Tui»

LXVUI. Il tragòrigano è sìmile al sermollino salvalico. Muove l'orina,leva gli enBali, è poten­ tissimo a berlo contra il viseo, al morso della vipera, c allo stomaco che fa rutti acetosi, e agli

HISTORIARUM MUNDI L1B. XX.

&>

70

sientibus qaoqae eam meile dalur,et pleuriticis, el peripneumonicis.

interiori viziati. Dassi alla tosse, e a quegli che haono il male del fianco, e a quegli che hanno male al polmone.

Da origavo hm acuo : g e rirà ui. Mrdicirab m .

D iu .’ origavo rra cu o : m e » 3. Midichw , 3o.

LX1X. Heraeliom qaoqae tria genera habet, nigrius, latiorìbas foliis, glaiinosam. Alleram exifioribas, mollias, sampsucho non dissimile, qood aliqai prasion vocare malnnt. Tertiam est ioter haee medium, minas qaam cetera efficax. Optimum aatem Creticam; oam et jocande olet. Proximam Smyrnaeum, odorius. Heracleoticam, ad potam a tilias, qaod onitin vocant.

LX1X. L’ eraclio aneora è di tre ragioni. U piò nero ha le foglie più larghe, ed è glutinoso. 11 secondo ha foglie minori, e morbide, e no» è differente dsl sansuco, il quale alcuni vogliono piuttosto chiamare prasio. La terza speeie è in mezzo di queste due, ma è meno possente. 11 Candiotto è ottimo, perch’ egli ha eziandio mi­ gliore odore. Dopo questo è lo Smirneo, più odo­ roso, e dipoi 1*Eracleotico, il quale chiamano oniti ; e questo è più alile a bere. Comunemente è buon per cacciar le serpi, per darlo cotto a mangiare a* percossi, per muover P orina a chi lo bee, per medicare le rotture e le convulsioni, mescolato con radice di panace.Colto infino alla sesta parte con fichi e con issopo, a misura d1un bicchiere medica i rilruopichi. Gua­ risce scabbia, rogna e pizzicore ; ma vuoisi pren­ dere in sulP ire al bagno. Il sugo suo eon latte A mette negli orecchi. Medica gli enfiati della gola e della ugola, e ancora le ulcere del capo. Colto e bevuto con cenere in vino spegne il veleno deir oppio e del gesso. Bevuto a misura d' un bicchiere mollifica il corpo. Fassene empiastro ai suggellati, non che al dolore de1denti, coi con mele e con nitro fa bianchi. Ristagna il sangue del naso. È buono con farina d’ orzo alle posteme degli orecchi. All’ asprezza delle arterie si pesta cou galla e mele. Alla milza giovano le sue foglie eoi mele e col sale. Colto con l1aceto e col sale, e preso a poco a poco, assottiglia la flemma grossa e nera. Trito con P olio si mette ne' bachi del naso a coloro che hanno sparso il fiele. Gli stan­ chi s'ungono con esso, ma però in modo che il ventre non si tocchi. Sana le Goccinole,o bolloline rosse che vengono sul dosso, mescolato con pece. Trito col fico apre S ciccioni, e con olio, aceto e farina d'orzo sana le scrofe. Impiastrato col fico guarisce i dolori del fianco. Pesto e impiastrato eon aceto sana il flusso del sangue nelle parti genitali, e le reliquie delle purgagioni del parto.

Communis autem usos serpentes fugare, per* cossis esui dare decoctum, potu urinam ciere, ra­ ptis, convulsis mederi cum panacis radice, hydropicis oam fico, aut cum hyssopo, acetabuli men­ suris deooetnm ad sextam. Item ad scabiem, pruriginem, psoras, in descensione balinearum. Sue* cus auribus infunditor cum lacte. Tonsillis quo­ que et avis medetar, et capitis ulceribus. Venena opii et gypsi extinguit decoctnm, si eum cinere in vino bibatur. Aivam mollit acetabuli mensura. Sugillatis illinitur. Item dentium dolori, quibus etiam et candorem facit, cum meile et nitro. San­ guinem narium sistit. Ad parotidas deeoqoilur cum hordeacea farina. Ad arterias asperas cum galla et meile teritor : ad lienem folia cum meile et sale. Crassiores pituitas et nigras extenuat co­ ctam cam aceto et sale, sumptum paullatim. Re* gio morbo tritam cam oleo in nares infunditur. Lassi peranguntur ex eo, ita ut ne venter attin­ gatur. Epioyctidas cam pice sanat Furanoulos aperit cum fico trita : strumas cum oleo et aceto et brina hordeacea. Lateris dolores cum fico illi­ tum. Fluitone* sanguinis in genitalibus tusum, et acelo illitum. Reliquias purgationum a partu.



l e p id io ,

n i.

LXX. Lepidium inter urentia intelligitur. Sie et in lacie entem emendat exulcerando, ut tamen cera et rosaceo facile sanetur. Sic et lepras, et psoras tollit s e m p e r facile, et cicatricum ulcera. Tradunt in dolore dentium adalligatum brachio 94

sull’ albero. Alcune non banrio odoré se non n rompono, o stropicciano. Alcune non l ' hanno, su non si leva loro la corteccia. Alcune altre se non s’ abbruciano, come l’ incenso e la mirra. Tutti i fiori sono più amari pesti, che quando non sono tocchi. Alcune cose secche mantengono lungamente l1 odore, come il meliloto. Alcune fanno il luogo loro più odorifero, come l1 iride ; anzi tutto un albero, solo a toccare le radici. L 'erb a esperi ha maggior odore la notte ; e di qui ha preso il nome. Non c1 è ninno animale odorifero, se non vogliamo credere quello che si dice delle pantere. D ell '

a id s .

XIX. Illa quoque non omittenda differentia XIX. Mi pare di non dover omettere u n'altra est, odoramentorum molta nihil pertinere ad differenza, ed è, che molti odori sono, che non si coronamenta, u t irin, atque saliuncam, quam­ appartengono a corone e ghirlande, come quel dell* iri e della saliunca, benché Io abbiano maraquam nobilissimi odoris utramque. Sed iris ra­ viglioso. Ma l'iride è lodato solo per la sua radice, dice tantum commendatur, unguentis et medici­ e nasce per fare unguenti e medicine. Viene eccel­ nae nascens. Laudatissima in Illyrico, et ibi quo­ que non in maritimis, sed in silvestribus Drilo- lentissimo in )schiavonia,e quivi pure non ne'luo­ ghi marittimi, ma ne’salvatichi di Drilone « di nis, et Naronae. Proxima in Macedonia, longis­ Narona. Dopo c1è quello di Macedonia : questo sima haec et candicans, et exilis. Tertium locum habet Africana, amplissima inter omnes, gusLu- è lunghissimo, bianco e sottile. 11 terzo luogo ha l ' Africano, maggiore che tutti gli altri, e amaris­ que amarissima. Illyrica quoque duorum gene­ simo al gusto. Lo Schiavone anch' egli è di due rum est : raphanitis a similitudine : e t quae me­ sorti ; il rafanito, cosi nomato dalla somiglianza lior, rhixolomos subrufa. Optima, quae sternu­ eh' egli ha col rafano | e il rizotomo, che è mi­ tamenta tactu movet. Caulem habet oubitalem, erectum. Floret diversi coloris specie, sicut arcus gliore e rosseggia. Ottimo è quello, che toccan­ dolo fa starnutire. Ha il gambo lungo un braccio, coelestis, unde et nomen. Non im probatur et Pi­ sidica. E t fossuri tribus ante mensibus mulsa e dritto. Fiorisce io diversi colori, come l ' are» celeste, onde ha preso il nome. Non è biasimato aqua circumfusa, hoc velati placamento terrae ancora il Pisidico. Quegli che 1*hanno a avegliere* blandiuntur, circumscripta mucrone gladii orbe per tre mesi innanzi lo bagnano intorno con acqua triplici : et quum legerint eam, protinus in coe­ melata, e in un certo modo con questi veiai ac­ lum adtollunt. Natura est fervens, traetataque carezzano il terreno ; così anche segnanlo all' in­ pusulas ambusti modo facit. torno con la panta d* un coltello in tre giri ; e eome poi l ' hanno colto, subito l ' alzano al cielo. È di natura calda, ed essendo tocco £1 vesciche ai modo di chi sia incotto; Si vuole sopra ogni altra cosa, che le persone Praecipitnr ante omnia, ut casti legant Te­ caste, e non altri, P abbiano a corre. Srate tosto redines oon sicca modo, verum et in terra celer­ i tarli, non solamente secco, ma ancora esseodo rime sentit. Optimum antea irinum Leucade et Elide ferebatur: jarapridem enim et serita r: io terra. Già veniva ottimo iride di Leucade e d ’E lide, perchè ha già gran tempo die vi si semina : nunc e Pamphylia : sed Cilicium maxime lauda­ ora vien di Panfilia ; ma sommsmente lodato è tur, atque e septemtrionalibus. quello di Cilicia e d ' alcune posture del setten­ trione. D . SALIOKCA.

D ella

salicrca .

XX. Saliunca folio quidem subbrevi, et quod XX. La saliunca è fogliosa, ma corta, e n o n si può annodare. Sta appiccata a numerosa radice, necti non possit, radici numerosae cohaeret, her­ ba verius quam flos, densa velqti manu pressa, e veramente si può piuttosto chiamare erba, ch e

UISTOMA RUM MUNDI L1B. XXI.

135

brerilerque cespes sui generis. Pannonia hanc gigoit et Norici, Alpiumque aprica : urbium, Eporedia: tantae suavitatis, ut metallum esse coe­ perit. Vestibus interponi eam gratissimum.

P o l i u m , s iv b t b o t h b io h .

12G

fiore, ed è ristretta come se fosse stata'premuta con mano: a dir corto, è cespuglio di specie pro­ pria. Nasce in Ungheria e in Baviera, e ne’luoghi a solatio dell* Alpi, e nel paese d ' Ivrea ; ed è «li sì preziosa soavità, che ha cominciato a essere posto tra le rendite dello stato, come le cave de1metalli. Usasi per gentilezza a metterla fra le vesti. D bl

po l io ,

o te d t& io .

XXI. Sic e i apud Graecos polion herbam, XXI. Così fanno i Greci dell’ erba polio, illu­ iudytam Musaei et Hesiodi laudibus, ad omnia stre per le lodi che le danno Moseo ed Esiodo, I utilem praedicantium, superque cetera ad famam quali dicono ch'ella è utile a tutte le cose, e fra etiam ae dignitates, prorsosque miram, si modo I ' altre ad acquistare ancora fama e dignità, e (uttradunt) folia ejus mane candida, meridie certo è cosa maravigliosa ( s ' egli è vero quel che purpurea, sole occidente caerulea aspiciuntur. dicono) che le sue foglie la mattina sien bianche, a mezzo giorno rosse, e la sera verdi. Duo genera ejus : campestre, majus: silvestre, E di due sorti : il domestico è maggiore, il quod minus est. Quidam teuthrion vocant Folia salvatico minore. Alcuni lo chiamano teutrio. «inis hominis similia, a radice protinus, nam quam Le foglie sue somigliano I capei canuti dell' uomo, palmo alliora. « cominciano sulla radice ; nè mai sono più alti d* un palmo. Vbstidm

a b m u l a t io com fl o b ib d s .

DBLLB VBJTI, CBE S il R O IMITATO IL COLOBR d b ' FI 0B1.

XXII. 8. E t d e odoratis floribus satis dictam : io qnibus unguento -vicisse naturam gaudens lu­ xuria, vestibus quoque provocavit eos flores qui colore commendantur. Hos animadverto tres esse principales. Rubentem, in cocco, qui a rosis mi­ grante gratia, idem trahitur suspectu et in pur­ puras Tyrias, dibapbasque, ac Laconicas. Alium in amethysto, qua a viola, et ipse in purpureum, quemque ia n th in u m appellavimus. Geoera enim tractamas, in species multas sese spargentia. Tertius u t, q u i p ro p rie conchylii intelligitur, multis modis : o n u s in heliotropio, et in aliquo e* his plerumque satu ratio r: alius in malva, ad porporaminclinans: alius in viola serotina,con­ chyliorum vegetissim us. Paria nunc componunlar, et natura a tq u e luxuria depugnant.

Lutei video h o n o re m antiquissimum, in nu­ ptialibus flam m eis totam feminis concessam : et fortassis ideo n o n numerari inter principale*» hoc est, co m m u n es maribus ac feminis, quoniam ncieta» p rin c ip a tu m dedit..

XXII. 8. Ora basti il fin qui dello de' fiori odoriferi; ne'cui unguenti gode la lussuria di aver vinto la natura ; ma non fu contenta abbastanza : essa volle anche competere, nell'ornar le sue ve­ sti, con que fiori, i quali hanno color più bello. Io trovo che questi oolori sono tre principali : l'u n o è rosseggiante, vale a dire la grana, che acquista grazia dalla rosa, e fa bellissima vista nel* le porpore Tirie, nelle ritinte, e nelle Laconiche. L 'altro è l ' ametisto, che ritrae dalla viola, e tira anch' esso al purpureo, da noi già detto iantino. E qui si osservi che noi tocchiamo i generi dei co­ lori, cbe in molte specie si suddividono. Il terzo è quello che propriamente •’ intende per conchi* Jio, il quale ha molte modificazioni : nna è nel girasole, .che talora è assai carico e pieno : un'al* tra nella malva che pende in porpora: u n ' altra nella viola serotina, che è il più vivo e nitido colore che derivi dal conchilio. AI presente s 'è introdotta la gara, e contendono insieme la na­ tura e la lussuria. Truovo l’onore del giallo essere antichissimo, conceduto alle sole vesti nuziali delle donne. E forse per ciò non si mette fra i principali, cioè comuni a' maschi e alle femmine, essendo stato l’uso promiscuo che diede il principato agli altri.

128

C. PLINII SECUNDI

AuAIiAKTHOS.

D eLL’ AMAKAaXO.

XXUI. Amarantho non dubie vincimur. Est autem spica purpurea verius, quam flos aliquis, et ipse sine odore. Mirum in eo, gaudere decerpi et laetius renasci. Provenit Augnilo mense : du­ rat in autumnum. Alexandrino palma, qui de­ cerptus adservatur. Mireque, postquam defecere cuncti flores, madefactus aqua revivescit, et hibernas coronas facit. Summa e}u> natura in nomine est, appellato, quoniam non marcescat.

XX II I. Ma senta dubbio noi sismo vinti dall’ amaranto, il quale è veramente più tosto spiga porporina, che fiore, e non ba odore alcu­ no. È cosa maravigliosa in esso, eh' egli am i d’esser collo, e più abbondevolmente poi rinasca. Viene del mese d* Agosto, e dura fino all’ au tu n ­ no. L’Alessandrino tiene il principato, il quale oolto si conserva. Ed è maraviglia, che poi che lutti gli altri fiori mancarono, questo bagnato con l’ acqua rinviene, e serve a far ghirlande d i verno. Tutta la sua natura è divisata nel nome, essendo egli così chiamato perchè non marcisce.

C tA N O S : HOLOCHBTSOS.

Dbl c ia n o b d e l l ’ o lo c b is o .

XXIV. Nel nome ancora è significata la n a ­ XXIV. In nomine et cyani colos: item holotura del ciano, che è un colore, e dell* olocriso. chrysi. Omnes autem hi flores non fuere in nsu Però (ulti questi fiori non furono in uso al tem ­ Alexandri Magni aetate, quoniam proximi a po d’ Alessandro Magno, perchè gli autori, che morie ejus auctores siluere de illis: quo mani­ furono poco dopo la morte sua, non n 'h a n n o festum est postea placuisse. A Graecis tamen re­ parlato 1 onde si vede come eglino sono piaciuti perto* quis dubitet ; non aliter Italia usurpante dipoi. Ma però chi dubita eh’ essi non sieno stati nomina illorum ? trovati da' Greci, poiché l’ Italia gli chiama se­ condo i nomi loro ? P

e t il iu m

:

b e l l io .

XXV. At Hercules petilio ipsa nomen impo­ suit, autumnali, circaque vepres nascenti, et tan­ tum colore commendato, qui est rosae silvestris. Folia parva, quina. Mirumque in eo flore, infle­ cti cacumen, et non nisi retorto folia nasci, parvo calyce, ac versicolori, luteum semen includente.

Luteus et bellio pastillicantibus quinquag enis rquinis barbulis coronatur. Pratenses hi flores, ae sine usu plerique, et ideo sine nominibas. Quin e t his ipsis alia alii vocabula imponunt. C h &y s o c o m b ,

s iv b c h r y s i t i s ,

XXVI. Cbrysoeome, sive chrysitis, non habet latinam appellationem. Palmi altitudine est, co­ mantibus fulgore auri corymbis, radice nigra, ex austero dulci, in petrosis opacisque nascens.

Q lJ l VBUTlCBS

v l o b b cokonbh t.

XXVII. 9. E t fere peractis colorum quoque ce­ leberrimis, transeat ralio ad eas coronas, quae varietale sola placent. Duo earum genera, quan-

D el v b t i l i o : d b l b b l l i o h b . XXV. La Grecia similmente pose 11 nom e al petilio, il quale nasce l'autunno intorno a’prn ni, e piace solo per rispetto del colore, il quale è di rosa salvatica. Ha cinque foglie, ma piccole. E maraviglia che questo fiore pieghi la cima, e che non nasca se non con la foglia torta, e con piocola boccia, di vario colore, la quale ha in sè il seme glsllo. Giallo similmente è il fiore chiamato beltione, il quale è coronato di cinquantacinque barboline. Questi sono fiori di prato, ma i più non eono io uso, e perciò non hanno nome, o l’hanno diverso, secondo la diversità de* luoghi. Del crisocome, o crisiti. XXVI. Il crisocome, ovvero crisiti, non h a nome latino. È alto un palmo, e fa grappoli fo lli d i coccoline d’aureo colore : ha radice nera, e sa­ pore di dolce brusco, e nasce in luoghi p etro si « ombrosi. D i q u il l e p i a n t e c h e d a b f i o b i p bb l b

coaom .

XXVII. g. Avendo noi trattato quasi d i t u t t i i più nobili colori, ragioneremo di quelle g h ir ­ lande, le quali piacciono solo per la varietà l o r o .

■» i

HISTORIARUM MONDI L1B. XXI.

i3o

do afiae flore constant. aliae folio. Florem esse dixerim geuistas(nam que et iis decerpitur luteus): item rh o d o d e n d ro n : item zisipha, quae et Cap­ padocia v o c a n tu r: his odoratus, similis olearum floribus. Io v e p rib u s nascitur cyclaminum, de quo plura alias. F lo s ejus Colossicus in coronas admittitor.

Esse sono di due sorti ; perciocché alcuoe sono di fiori, e alcuue di Iroodi. Fiore dirò io che sieno le ginestre { perchè anche da esse si coglie il giallo), e così il rododendro, e le zizife ancora, chiamate pur Cappadocie, il cui odore è simile t quello de' fiori dell* olivo ; e finalmente il cicla­ mino, che nasce tra1 p ru n i, del quale un1altra volta ragioneremo più a lungo. Il fior suo pur­ pureo, somigliante al belletto della città di Colussi in Troade, si mette nelle ghirlande.

Q o i FOLIO.

D i quelle cbb solb foglie.

XXVIII. Le foglio della amilace, dell'ellera e XXVIII. F o l i a in coronamentis smilacis et ederae, c o ry m b ic ju e earum oblinent principa­ del corimbo vanno nelle ghirlande, e tali ghir­ lande banuo il primo luogo. Di easi abbiamo già tum, de q u ib u s in fruticum loco abutide diximus. ragionato iu copia parlando dei frutici. Sonci Sunt et alta penerà» homi ni hos graecis indicanda, altre ragioni di piante da ghirlande, le quali ap­ quia ooslris m a j o r e ex parte hujus nomenclatupelleremo co' nomi greci, perchè i Latini ntm si ne defuit c u r a , k it pleraquè eorum In exteris souo curali di porre lor nome. La maggior parte terris nSseuntut*, n o b is tamen consectanda, quo* d'essi nascono in paesi lontani ; ma da noi tono niam de n a t u r a se rm o , non de llaKa est. stali ricerchi, essendo inlenzion nostra trattare della naturi di tutte le cose, non pure d 'ila* lia sola. Me l o t h b o s , s p i b a b a ,

o b ig a h o m : cmBohom sivb

CASIA, GSSEK A DCO! MELISSOPHYttOM SIVE MB* uttabha.

M e l i l o t o s , quae s b s t o l a C am pan a .

D el

mulotbo,

s p ib b a ,

di dub specib D el

o b ig a k o ,

creobo

q

c a s ia

: dbl mblissofii.lo o melittewa.

m buloto

,

che

arche

d ic e s i

s ta n i

la

C a m p a » a.

X XIX . Ergo in coronamenta folio venere raelo th ro o , spirae», origanon, cneoron, quod casiam Hy«rinns vocat : et quod cunilaginem, quae co­ nyza : metissophyllon, quod apiastrum : melilo­ to n , quod sertulam Campanaro vocamus. Est eoim in Campania Italiae laudatissima, Graecis in S un io : mox Chalcidica elCreliea: ubicumque ■vero asperis e< silvestribus nata. Coronas ex ea auliquilus factitatas, indicio e st nomen sertulae, quod occupavit. Odor ejus croco ricinus est, et flos; ipsa cana. Placet ma­ xim e foliis brevissimis atque pinguissimis.

T siro t.ii GsifBBA in. H y e id o m i. X X X . Folto c o ro n i! et trifolium. Tria ejus fenera. M irtyanthes vocant Graeci, alii asphaltion, majore folio, q u o nlrintur coronarii. Alterum acuto, o ry trip h y llo n . Tertium e l omùibus mi­ nutissimum. I n t e r b aec nervosi cauliculi quibusb, u t r o a r a tb rd , hippomaralhro, myophono. Clunlor e f e r u lis e t corymbis; et ederae flore purpureo. E s t e t i n alio genere earum silvestriku rosis simili»* E l in »•* quoque colos lanium «Iclcctat, o >1o r a u l e ” 1 abest.

XXIX. Vengono adunque nelle ghirlande di foglie il melotro, la spirea, 1' origano, il cneoro, che Igino chiama cassia ; e la cooiza, «letta già cu­ nilagine ; e il roelissofillo, che si chiama appia^ slro ; e il meliloto, che noi chiamiamo serlula Campana, perch' è eccellentissima in Campagna d'Italia, e in Sunio di Grecia; poi in Calcide e in Creta ; nascente solo in luoghi aspri e salvatichi. Di questa anticamente si facevano ghirlande, come ce ne dà segno il nome di serlula, eh' ella ha preso. L'odore e il fior suo è vicino a quello del zafferano, ma essa è bianca. Piace mollo quella che ha le foglie tortissime e grassissime. Di

tb e sagiori di tb ifo g lio. D e l mioforo.

XXX. Con le foglie del trifoglio sneora si fanno ghirlande. Éccenedi tre sorli; l'uno è chia­ mato dai Greci miniante, da altri asfaltio, che ha le foglie maggiori che gli altri, usate in prefe­ renza da quegli che fanno le ghirlande. 11 secon­ do, che ha le foglie acute, è chiamato ossitrifillo. Il terzo è il più minuto di lutti. Fra questi sono alcuni che haono il gambo nervoso, come il maralro, l ' ippomaralro e il miofono. Usano la fe­ rula, le coccole e il fior rosso dell' ellcra. Kcui

C. PLINII SECUNDI un' altra sorte simile alle rose salvatiche, cbe si appella cistro. Di questi diletta solamenta il co­ lore, perchè non hanno fragranza veruna. 10. El cneori duo genera, nigri atqoe can­ io. Il cneoro è di doe sorti ; cioè nero e bian­ didi. Hoc et odoratum : ramosa arabo. Florent co : questo è odoroso, e l’ uno e l’ altro è fornito post aequinoctium autumnum. Totidem et ori­ di rami. Fioriscono dopo l'equinozio dell’auton­ gani in coronamentis species. Alterius enim nalno. Altrettante sono le specie dell' origano nelle Jum semen. Id, cui odor est, Creticum vocatur. ghirlande, perchè l'altro, che è detto tragorigauo, non ha seme veruno. Quello che ha odore, si chiama Cretico, T

h y m i gbm bba h i .

F

lore

(U s c b r t ia ,

KOH SEMIR8.

Di

tre

r a o io r i d i t i n o . N ascb d a l f i o r e s b h ib a to , BOB DAL I B M .

XXXI. Altrettante cono le specie del timo, XXXI. Totidem et thymi : candidum, ac ni­ cioè bianeo e nero. Fiorisce intorno a* so Isti zìi, gricans. Florei autem circa solstitia, quum et allorché le pecchie lo colgono, e si fa l'angario apes deccrpunt, et augurium mellis est. Proven­ del mele ; perchè qaando esso abbondevolmenle tum enim sperant apiarii large florescente eo. fiorisce, coloro cha attendono alle pecchie spe­ Laeditur imbribus, aroittitque florem. Semen rano dovizia di mele. Dalle piogge è offeso, e thymi non potest deprehendi, quum origani perde il fiore. Il ano aeme non ai può corre ; perquam minutum, non tamen fallat. Sed quid mentre quello dell' origano, benché sia minutis­ interest occultasse id natorara ? In flore ipso insimo, si può. Ma che rileva che la natura l ' abbia telligitur, satoque eo nascitur. Quid non tentanascoso ? Si sa che è nello stesso fiore, perchè se­ vere homines? Mellis Attici in toto orbe summa minatolo nasce. E che non hanno tentato gli laus existimatur. Ergo translatum est ex Attica uomini? Il mele Ateniese è tenuto in gran ripu­ thymum, et vix flore (uti docemus) satum. Sed tazione per tutto il mondo. Si conduoe adunque alia ratio naturae obstitit, non durante Attico il timo dal territorio di Atene, e (come diciamo) thymo, nisi in addata maris. E rat quidem haec si poò appena seminare col suo fiore. Alla diffi­ opinio antiqua in omni thymo, ideoque non na­ coltà di cogliere il seme u n 'altra n' ha aggiunto sci in Arcadia. Tunc oleam non putabant gigni, la natura, poiché il timo Attico non darà se noa nisi intra ccc stadia a mari. Thymis quidem nnnc dove senta l'alito del mare. Era questa l'opinione etiam lapideos campos in provincia Narbonensi degli aolichi in ogni sorte di timo, e perciò tene­ reiertos scimus : hoc paene solo reditu, e longin­ vano che non nascesse in Arcadia. Allora non qui* regionibus pecudum millibus convenien­ credevano neppure che l ' ulivo nascesse più lon­ tibus, u t tbymo vescantur. tano dal mare che trentasette miglia e mezzo. In Provenza sono campi sassosi pieni di timo, i quali quasi non rendono altro; se non che di paese lontano vengono a pascere il timo le bestie. Go

it ia

.

XXXII. Et conyzae duo genera in corona­ mentis, mas ac femina. Differentia in folio. Te­ nuius feminae, et constrictius, angustiusqne : imbricatum maris, et ramosius. Flos quoque magis splendet ejus, serotinos utrique post Ar­ cturum. Mas odore gravior, femina acutior : et ideo contra bestiarum morsus aptior. Folia femi­ nae mellis odorem habent. Masculae radix a quibusdam libanotis appellatur, de qua dixi­ mus.

D blla

c o b iz a .

XXXII. Usansi due sorti di coniza nelle gh ir­ lande, cioè il maschio e la femmina. La differenza è nelle foglie.. L# femmina le ha più sottili, p iù strette e più corte : il maschio le ha in foggia d’ embrice, e più ramose. II sao fiore anohe p iù riluce : 1' uno e l'altro lo fa serotino dopo l’A r­ turo. 11 maschio ha odore più grave, e la fem m i­ na più acuto, e perciò è migliore contra i m orsi delle bestie. Le faglie della femmina hanno o d o re di mele. La radice del maschio è da alcuni ch ia­ mata libanoti, di che già abbiamo parlala.

HISTORIARUM MUNDI LIB. XXI.

i33

JoflS PLOS! HRM8 ROCALLK5 . H i LEVI DM. PlLO l. Q o i l u m BT FOLIO ODORAVA.

134

D e l p io r d i Giovb : D e l l ' e m e r o c a l l e . D e l l ' r l e h io .

D e l p l o x . P ia n t e odorose b e l l e ram e

r b e l l e v o g l ie .

XXX1U. E t tantom folio coronant, Jovis flos, amaracus, hemerocalles, abrotonum, heleniam, sisym brium , serpyllum, omnia surculosa, roue m odo. Colore tantum placet Jovis flos, odor abest : sicut et illi, qui graece phlox voca­ tor. Et ram is autem et folio odorata sunt, exce­ pto serpyllo. Helenium e laerymis Helenae dici­ tor natum, e t ideo in Helene insula laudatissimum. Est aotem frutex hum i se spargens dodrantali* bos ramulis, folio simili serpyllo.

XXXIII. Il fior di Giove, la persa, Temeròcalle, l ' abrotino, l’elenio, il sisimbrio, ilsermollino, solo con le foglie fanno ghirlanda. Questi son pieni di germogli, come la rosa. 11 fior di Giove piace solo per rispetto del colore, perchè non ha olezzo, siccome qoello che i Greci chiamano flex. Gli altri s o n o odorati ne' rami e nelle foglie, fuor che il sermolliuo. L'elenio si dice che nacque delle lagrime d ' Elena, e che perciò è eccellentissimo nell1isola Elene. Questo è uno sterpo, il quale va per terra con piccoli vami, e ha le foglie aimiti • quelle del sermollino.

AtaoTomm. A dobitjm, genera ii . I psa se proPAOABTIA. L eDCARTHBMDM.

D e l l ' a r r o tin o . D b l l ' a d o b io d i o d e m a n ie r e . P ia n t e c h e si pr o pa g a n o da s è . D e l lbocan -

TEMO. XXXIV. L 'abrotino ha odore giocondo e XXXIV. Abrotonum odore jucunde gravi floret; est autem flos aurei eoioris. Vacuum sponte grave, e il fiore è di color d'oro. Nasce da sè me­ provenit. Cacomiue suo se propagat. Seritur desimo, e con la pania sua da sè si propagina. autem semine melius, quam radice aut sarculo : Ponsi meglio col seme, che con radice, o con semine quoque non sine negotio: plantaria trans* piante : quello eh' è nato di seme è di più van­ feruntur. Sic et adonium. Utrumque aestate. taggio, poiché le pianticelle si possono trasporre. Alsiosa enim admodum sunt, et sole tamen nimio Così fa 1*adonto ; ma l’ uno e l’ altro di state, laedantur. Sed ubi convaluere, rutae vice fruti­ perché temono il freddo, quantunque anco il can t Abrotono simile odore leacanlhemum est, troppo sole gli offende. Però quando sono appre­ flore «Ibo foliosam. si, crescono e germogliano come la ruta. All* abrotino è simile il leucanlemo, che ha il fior bian­ co e foglioso. A m araci

D i DDE SPECIE DELL* AMARACO.

o b se r a doo.

XXXV. i i . Amaracum Diodes medieus et XXXV. 11. Diocle medico e i Siciliani chia­ marono amaraco quello che l ' Egitto e la Siria Sicula gess appellavere, quod Aegyptus et Syria chiaman sansuco. Seminasi all'uno e l'altro modo, sampsocham. S eritur utroque genere, et semine cioè col seme, e col ramo, ed è più vivace che i et ramo, vivacius sopradictis, et odore melius. sopraddetti, e di miglior odore. L' amaraco fa Copiosam amaraco aeque,quam abrotono, semen. Sed abrotono radix ana et alte descendens: cele­ mollo seme, come l ' abrotino. Ma l ' abrotino ha una radice sola, e che va molto sotto, la quale ris in somma te rra leviter haerens. Reliquorum satio autum no fiere incipiente, nec non et vere negli altri legger mente *' appiglia alla superficie della terra. Gli altri si seminano nel principio qoiboadam locis, qnae umbra gaudent, et aqua, dell' autunno, e anche nella primavera in certi ac fimo. luoghi che amano l ' ombra e l ' acqua e il gras­ sume. N tctbgrktdm ,

s iv b

c h en o m y c bo s ,

s iv b

D e l n it t r g r e t o ,

o

c b b n o m o o , o n t t t il o p a .

NYCTALOPS.

X X X V I. Nyclegreton inter pauca miratus est tfcaaoeritus, colori* bysgini, folio spinae, nec a terta se adtollenlem , praecipuam in Gedrosia

XXXVI. Tra le cose rare Democrito ammira il niltegreto, che ha color di porpora e foglie di spina, e che non cresce molto alto, ed è eccellente

C. PLINII SECUNDI narrai. Erui posi aequinoctium vernum radici­ bus.- Magos Parthorumque rege» uti hac h erta ad vola suscipienda. Eamdem vocari chenomychon, quoniam anseres a priroo oonspectu ejus expavescant: ab aliis nyclalopa, quoniam e lon­ ginquo noctibus fulgeat.

in Gedrosia. Dice che ai cava con le radici dopo l'equinozio della primavera; che i Magi e i re dei Parti usaop questa erba, quando fan-voti ; ch'el­ la si chiama ancora chenomieo, perchè le oche co­ me la veggooo subito si spaveotano ; e che da al­ cuni è domandata oitlilopi, pereti' ella riluce di lontano la notte. D el

M e l il o t o s .

m e l il o t o .

XXXVII. Melilotos ubique nascitur : lauda* tissima tamen in Attica : ubicumque vero recens nec candicans, et croco quam simillima : quam­ quam in Italia odoralior candida.

XXX VII. II meliloto nasce per (otto; ma però è eccellentissimo nel paese d 'Alene. In ogni luogo è fresco, e non biancheggia, ed è molto simile al zafferano, benché in Italia aia molto odorifero • bianco.

QOO ORDIRE TEMPORUM FLORES HISCANTUR. VERNI

Con q u a l

o r d i n e d i te m p i n a s c o n o i f i o r i . F i o r i

FLORES : VIOLA : ANEMONS CORONARIA : OENAN­

DI PRIMAVERA : LA VIOLA : L'ANEMONE CORONARIO:

THE HERRA : MELIANTBUM : HELIOCHRYSOS ‘. GLA­

l ’ erra e n a n t e : il

DIOLUS : HYACINTHOS.

g l a d i o l o : i l g ia c i n t o .

XXXVIII. Florum prima ver nuntiantium * viola alba. Tepidioribus vero locin cliam hieme emicat. Postea quae ion appellatur, el purpurea. Proxime flammea, quae et phlox vocatur, silve­ stris dumlaxal. Cyclaminum bis anno, vere et aulnrano: aestales hieraesque fugit. Seriores su­ pra dictis aliquando narcissus et lilium trans maria: in Italia quidem, u t diximus,post rosam. Nam in Graecia tardius etiamnum anemone. Est autem haec silvestrium bolborum flos, aliaque quam quae dicetur in medicinis. Sequitur oenan­ the, melianthum : ex silvestribus heliochrysos. Deinde alterum genas anemones, quae limonia vocatur. Post hanc gladiolus comitatas hyacin­ this. Novissima rosa : eademque prima deficit, excepta sativa: e celeris hyacinthus maxime du­ rat, et viola alba, et oenanlhe : sed haec ila, si divolsa crebro prohibeatur io semen abire. Naaciiur locis tepidis. Odor idem ei, qui germinan­ tibus ovis, alque inde nomen.

Hyacinthum comitator fabula doplex,luctum praeferens ejus quem Apollo dilexerat, aut ex Ajacis cruore editi, ita discurrentibus venis, ut gr aeca rum litterarum figura AI legatur inscripta.

Heliochrysos florem babet auro similem, fo­ lium tenne, cauliculum quoque gracilem, sed durum. Hoc coronare se Magi, si et unguenta sumantur ex auro, quod apyron vocant, ad gra­ tiam quoque vitae gloriamque pertinere arbi­ trantur. E t verni quidem fleres hi sunt.

m e l a n t io : l ' e l io c r is o : il

XXXVIII. La viola bianca è il primo Bore, che annunzi! la primavera; e ne’ luoghi caldi viene- anco fuori il verno. Poi è quella, che si chiama io, ed è purpurea. Dopo la flammea, che si chiama anco flox, solamente salvatica. Il cicla­ mino fa due volte l ' anno, cioè la primavera e l ' autunno : fugge la stale e il verno. Piò serotini che i sopraddetti alcuna volta sono il narciso e il giglio olirà mare; ma in Italia,come dicemmo, vengono dopo le rose. Perciocché in Grecia sono ancora piò serotini che l'anemone. Questo è il fiore delle cipolle salvaliche, e diverso da quello, di cui si parlerà nelle medicine. Segue Penante e il melianto, e de'salvatichi l ’eliocriso. Dipoi un'altra sorte d’ anemone, che si chiama limo­ nio. Dopo questo, il gladiolo accompagnalo coi giacinti. L* ultima è la rosa. Essa è ancora il pri­ mo fiore che manca, fuor che la domestica : fra gli altri il giacinto dura molto, e la viola bianoa, e l ' enante ; ma questo solamente se svelto spesso non si lascia semenzire. Nasce in luoghi caldi, e ha il medesimo odore che hanno l ' uve, quando elle germogliano, d ' onde s 'ha preso il nome. Il giacinto è accompagnato da due favole, cioè, eh' egli ritenga colore luttuoso in m em ori» di quel fanciullo, che Apolline amò, o perchè nacque del sangue d' Aiace, perocché egli ha in sé alcune vene, le quali paiono lettere greche, le quali dicono AI. L' eliocriso ha il fiore simile all’oro, le foglie minute, il gambo sottile e duro. Credono che d i questo si facciano i Magi le ghirlande, se pigliano anche 1' unguento del vaso d 'o ro , il quale chia­ mano apiron, e che giovi a procacciarsi b en iv o lenza e gloria. Tulli questi sono i fiori di p rim a ­ vera.

i37

HISTORIARUM MLINDI L1B. XXI.

flores:

àesttvi

l y c h r is

: t ip b t o x : amaracus

«3»

F io r i d i s t a t b ; i l lic b i : i l t i f i o : l ' a m araco f r i ­

PBRYGICS. P o T H l GERVBA DUO. ORSIRAR GENERA

g i o : DCB SORTI m POTO, DDE D* ORSINA: r>A VIR-

DUO.

c a p e r v i MCA, o c a m e d a p n b . D e m .* k r b a s e m p r e

VlNCAPBBVlRCA ,

SIVB

CBAMARDAPHRK.

Q o AR SEMPRE VIREAT DEBBA.

VERDE.

XXXIX. S u c ce d an t illis «estivi, lychnis, el Jovis flos, e t a lteru m genus lilii. Item tiphyon, et amaracus, q o e m Phrygiam cognominant. Sed maxime spectabilis pothos. Duo genera hujos : imam, coi flos hyacinthi est : alterum candidius, qai fere n a sc ila r in tumulis, qaoaiam fortius darai. E t iris aestate (lorei. Abeunt et hi, mareescuolqoe, Alii ra r s a s subeunt autumno : ter­ tiam genas lilii : $t crocum in utroque genere : ■nam hebes» a lte ru m odoratum : primis omnia imbribus em ican tia. Coronarii qnidem et spinae fiore utantur : q u ip p e quum spiane albae cauli­ coli inter o b lectam en ta gulae quoque condiantur. Bic est trans m a ria o rdo florum. In Italia violis saccedil rosa : h u ic intervenit lilium: rosam cya­ nos excipit, cy an u m aroaranthus. Nam vincapervioea semper v ire t, in modum lineae foliis genieulathn circu m d a ta , topiaria herba. Inopiam Uroen florum aliq u a n d o supplet. Haec a Graecis cfcamaedaphne v o catu r.

XXXIX. Vengono dopo questi i fiori dell» stil­ le, cioè il licini, il fior di Giove, e un* altra sorte di giglio; non che il tifio, e Pamuraco cognomina­ to Frigio. Viene inoltre il poto, il quale è molto vago da vedere, ed è di due sorti ; l ' uno che ha il fior di giacinto, I*altro ch’è piè bianco, e nasce per lo più ne* poggi, il perchè dura molto. L* iri fiorisce anch* egli la stale. Questi se ne vanno, e marciscono ; e di nuovo ne vengono degli altri l'autunno, cioè, una terza »orte di giglio, e il gruogo dell' uno e l'a ltro genere, 1' uno senza odore,' e l ' altro odorifero, i quali escono lutti fuori per le prime piogge. Quegli che fanno le ghirlande usano ancora il fiore della spina ; dacché le messe tenere della spina bianca si mettono fra le vivan­ de delicate. Questo è P ordine de* fiori d* olirà mare. In Italia dopo le viole vien la rosa, e in­ nanzi che la rosa manchi, viene il giglio : dopo la rosa viene il ciano, e dopo il ciano l’amaranto. Perciocché la vincapervinca è sempre verde, cir­ condata di nodelli e di foglie in modo di linee. Questa è erba topiaria, di cui si fanno diverse fi­ gure; ma talora supplisce alla carestia de* fiori. 1 Greci la chiamano caraedafne.

Ql7AM L O R G i CUIQUE FLORUM VITA.

XL. Vita lo n gissim a violae albae Irimaln. Ab eo tempore d e g e n e ra t. Rosa et quinquennium perfel, nec re c is a , nec adusta. Illo enim modo joveaesait. D ix im u s et terram referre plurimum. Nam et io Aegy p i o sine odore haec omnia : lantaroque myri is o d o r praecipuus. Alicubi etiam biois messibus an te ce d it germinatio omnium. Rosaria a F a v o n io fossa oportet esse, iterumque toblitio. E t id a g e n d a m , ut intra id tempus pur­ gata ac para a io t.

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flores.

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u a r t o d u b i l a v it a a c ia s c u n f i o r e .

XL. La viola bianca ba lunghissima vita, per­ chè dura tre anni. Da quel tempo in là traligna. La rosa non potala, nè ars», dura ancora cinque anni, perchè in quel modo ringiovanisca. Dicem­ mo già che ancora la terra importa assai. Percioc­ ché tulle queste cose in Egitto non hanno odor veruno, e solo le moriine hanno quivi grandissimo odore. In qualche luogo ancora tulli questi fiori vengono due mesi prima. 1 rosai si lavorano quan­ do comincia a soffiare Favonio, e un 'altra volta da mezza state. E ciò si fa, perchè fra questo tem­ po sieno purgali e netti. Q

u a l i f i o r i v o g l io x s i p i a n t a r e p e r l e p b c c h ir .

C b rirth e .

D el c b r i r t b .

XLI. ia. V eru m borlis coronamentisqoe maiime alvearia e t apes conveniunt, res praecipui qoaestus cosupendiiqoe, qoum Cavit. Haram ergo tw u oportet serere thymum, apiastrum, rosam, violas, lilium , cy tisum, fabam, erviliam, cunilam, tyaver, conyzam , casiam, raelilolam, melissol^jllam, ce rin th e n . £*t autem cerialhe folia

XLI. i a. Agli orti e alle piante da ghirlande si confanno benissimo le pecchie, e le casse loro; cose di guadagno grandissimo, quando elle passan bene. Per cagioo d'esse adunque bisogna seminare il li­ mo, l'appiastro, la resa, le viole, il giglio, il citiso, la fava, la rubigli?, la cunila, il papa vero, laconica, la cassia, il melilolo, il melissofillo, e il cerinle.

C. PLINII SECONDI candido, incnrro, cubitalis, capite concavo, mel­ lis succum habente. Horom floris avidissimae suot, atque etiam sinapis, quod miremur, quum olivae florem ab his non attingi constet, ldeoque hanc arborem procul esse melius sit: quorn ali­ quas quam proxime seri conveuiat, quae et evo­ lantium examina invitent, nec longias abire pa­ tiantur.

li cerinle ha Ia foglia bianca, ritorta, lunga nn braccio, e il capo concavo, ehe ha sugo di mele. Alle pecchie piacciono molto questi fiori, e quel della senape ancora; di che mi maraviglio molto, veggendo eh1elle uon toccano il fior dell* ulivo. E perciò saria bene che questo albero fosse loro discosto ; dove all' inconiro bisogna pianlarvenC appresso alcuni altri, acciocché gli sciami loro possano volarvi sopra, e non abbiano a ire lon­ tano.

D b IOMII BAECM, BT BEMBDlIS.

D elle mfb &mità di bssb, b db*i m e n i .

XLI1. Cornum qaoqae arborem caveri opor­ te t: flore ejus degustato, alvo cita moriantur. Remedium, sorba contusa e meile praebere his, vel urinam hominum, vel boum, aut grana punici mali, ammineo vino conspersa. At genistas cir­ cumseri alveariis gratissimum.

XLI 1. Risogna ancora tener loro discosto l'al­ bero del corniolo, perciocché quando elle assag­ giano de' suoi fiori, si muove loro il corpo, e si muoio- no. 11 rimedio è dare loro sorbe peste eoo mele, orina d ' uomini, o di buoi, o graoella di melagrana spruzzate di vino ammineo. E loro gratissima ancora la ginestra.

D b pabulo apium.

D ella pastosa d b lu pecchie.

XLIII. Miram est dignamqae memoratu, de alimentis quod comperi. Hostilia vicos adloitur Pado. Hujus inquilini pabulo circa deficiente im­ ponant navibus alvos, noctibusque quina millia passuum contrario amne naves subvehunt. Egres­ sae luce apes pastaeqne, ad naves quotidie remeant, mutantes locum, donec pondere ipso pressis navibas plenae alvi inlelliganlur, revectisqpe eximantur mella. E t ia Hispania mulis provehunt, simili de causa.

XL 111. E maraviglioso e degoo di conside­ razione ciò eh'io ho trovato de'cibi delle pecchie. E un villaggio sul Po, che si chiama Ostiglia. Gli uomini di questo luogo, mancando la pastora alle pecchie, pongon le casse sulle navi, e la notte vanno cinque miglia contra acqua. Le pecchie uscite fuori al far del giorno, e pasciute, ritornano tutto il dì alle navi, mutando luogo, infino a che dal peso aggravale le navi, conoscono quegli no­ mini che le casse son piene, e ritornando cavano il mele. In Ispagna fanno portar le casse dai muli per eguale cagione.

Db vbvemato mbllb, bt remediis ejcs.

D bl mele awblbsato, b db' simbdu costao ESSO.

XLIV. i 3. Tanturaqne pabulum refert, ut mella qaoqae venenata fiaot. Heracleae in Ponto, quibusdam annis perniciosissima exsistunt, ab iisdem apibus facta. Nec dixere anciores, e qui­ bus floribus ea fierent. Nos trademus, quae comperimas. Herba est ab exilio et juraentornra quidem, sed praecipue caprarum, appellata aegolethron. Hujus flores concipiunt noxium virus, aquoso vere marcescentes. Ita fit, a t non omni­ bus annis sentiatur hoc malum. Venenati si^na sunt, quod omnino non densator, quod color magis rulilns est, odor alienas, sternutamenta protinus movens, quod ponderosius innoxio. Qui edere, abjiciant se ham i, refrigerationem quaerentes; nam et sudore diffluunt. Remedia sunt multa, quae suis locis dicemus. Sed quoniam statino repraesentari aliquam laniis insidiis o por­

XLIV. i 3. La pastura è di tanta im portansa, che alcuna volta per causa loro i meli si fa n n o ve* leu osi. In Eraclea di Ponto a certi anni sono peri­ colosissimi, benché fatti dalle medesime pecchie. Né gli autori hanno delto di quai 6ori si facciano questi meli. Io dirò quello ohe n 'h o trovato. Écci una erba, la quale perch' ella uccide le bestie, a massimamente le capre, èchiamata egolelro. I fiori d ' essa infradiciando, quando la primavera è piovosa, diventano velenosi. Però questa sciagura non avviene ogni anno. I segni del mele avvele­ nato son questi, che egli non si rassoda bene, ebe il colore è più rosso, l’odore strano, e subito muove lo starnato, e eh’ egli 4 più pesante d e l buono. Quei che ne mangiano, si gettano in te rra , cercando il fresco, perchè sudano molto. I rim e dii a ciò sono assai, ma gli diremo al suo luo g o .

HISTORIARUM MUNDI LIB. XXI. lei, mulsum vetus e meile opHmo et ruta : salsa­ menta etiam , si rejiciantur sumpla crebro. Cerlumque est id malum per excrementa ad canes etiam pervenire, aimiliterque torqueri eos. Mul­ sam tamen ex eo iuveleralura, innocuum esse canstat: ek feminarum cutem nullo melius ememlari cuna costo, sugillata cum aloè.

Ma perchè pur bisogna metterne innanti alcuno in tanto pericolo, ottima cosa è il via raulso vecchio, con buonissimo mele e con ruta; e i sala­ mi ancora,se l'uomo gli ributta spesso fuora o per isputo o per vomito o per di sotto. Ed è certo, che questo male per lo sterco s ' appicca a’ cani, e eh’ essi ancora ne sentono travaglio. Nondimeno il vin mulso, fatto di questo mele invecchiato, non fa mal verono. La pelle delle donne con nin­ na altra cosa meglio si pulisce, che con questo unito col costo ; però stropicciata prima eoa aloe.

D b i m i IM5ABO. XLV. A lio d genus in eodem Ponti situ, geale Sannorum , mellis, quod ab insania, quam gigoit, maenomenon vocant. Id existimatur con­ trahi flore rhododendri, quo scatent silvae. Genaqoe ea, quum ceram in tributa Romania praestet, mei (quoniam exitiale esL) non vendit. E t in Perside, e t in Mauretaniae Caesariensis Gaetulia, contermina Massaesylis, venenati favi gignuntur : quidaioque a parte, quo nihil esse £al)acius po­ test, nisi quod livore deprehenduntur. Quid sibi voluisse naturam iis arbitrem ur insidiis, u t ab iisdem apibus, nec omnibus annis fierent, aut non totis favis? Parum erat genuisse rem, ia qua venenum facillime darelur: etiamne hoc ipsa in m eile to t animalibus dedit ? Quid sibi voluit, n isi o t cautiorem minusque avidum faceret homi­ n e m ? Non enim et ipsis )ara apibus cuspides d e d e ra t, et quidem venenatas? Remedio adver­ sus b a s u lique non differendo. Ergo malvae suc­ co, a u t foliorum ederae perungi salutare est, vel percussos ea bibere. Mirum tamen est, venena p o rtan tes ore, figentesque ipsas non mori : nisi quod illa dom ina rerum omnium hanc dedit repugnantiam apibus : sicut contra serpentes Psyllis Marsisqoe in ter homines.

D

e m il l e

,

q u o d m u sc a s hon a t t is g u b t .

X LV I. 14. A liu d in Creta miraculum mellis. Mons est C arin a ix m passuum ambitu : intra quod spatium m uscae non reperiuntur, natumque ibi mei n u sq u a m altioguDl. Hoc experimento ùogulare m edicam entis eligitur.

D el

m blb pa sso .

XLV. Nel medesimo paese di Ponto è un1al­ tra sorte di mele, il quale in certi anni fa impaz­ zare, e per questo si chiama menomeno. Credesi che ciò proceda da* fiori del rododendro, di cui sono pieoi i boschi. Quei popoli danno a* Romani la cera per tributo, ma oon vendono altrimenti il mele, perch* egli è pericoloso. In Persia, e in Getulia, eh' è oella Mauritania Cesariense, e che con­ fina co* Massesili, nascono fialoni velenosi, e certi da una parte sola, di che non può essere cosa più fallace ; se non che si conoscono per certo livi­ dore. O r che cosa crediamo noi che la natura abbia voluto fare con tanti tradimenti, voleudo che le medesime pecchie non facessero ogni anno il mele velenoso, nè anco in tutti i fialoni ? Poco le pareva aver generata una cosa, nella quale il veleno facilmente si potesse dare, eh* essa ancora 1' ha dato nel mele a tanti animali. Che ha voluto ella per ciò, se non far 1* uomo più accorto, e meno ingordo ? Perocché non aveva dato ella alle pecchie medesime I* ago, e gii avvelenato ? Ma il rimedio contra esse non è da differire. Molto utile dunque è ugnere col sugo della malva, o delle fo­ glie d*ellera, il luogo da essse leso, ovvero che i feriti se ne beano. Nondimeno è da maravigliarsi coni* esse, che portano il veleno io bocca, e che pungono, fra sé non se ne muoiano ; se non che la natura, signora di tutte le cose, ha dato questa repugnanza alle pecchie, siccome fra gli uomini ha dato virtù a* popoli Psilli e Marsi contra le serpi. D

b l m b l b , c h e l b m o sch e ho* t o c c a r o .

XLV1. 14. In Candia è nn altro mele maraviglioso. Quivi è il monte Carina, il quale gira nove miglia. Dentro a questo spazio non istanno mo­ sche, e il mele nato quivi non è mai tocco da esse iu qualsivoglia luogo. Questo è singolare in me­ dicina, e si conosce con questa pruova.

C. r u M I SECUNDI D * AI.VfcARItS, DK ALVIS, ET CURA fcORLM.

Dfcl.Lb CASSE, DEGLI ALVI, B LOBO GOVBBNO.

XLV 1I. Alvearia orientem aequinoctialem spedare convenit. Aquilonem evitent: nec Favo­ nium minus. Alvos optimas e cortice, secundas fero)», tertias viroiue. Mulli eas et speculari lapi­ de fecere, ut operantes intus spectarent. Circum­ lini alvos 6mo bubulo utilissimum, operculum a tergo esse ambulatorium, ut proferatur intus, si magna sil alvus, aut sterili* operatio, ne despe­ ratione curam abjiciant : id paullatim reduci, fallente operis incremento. Alvoihieme stramento operiri, crebro suffiri, maxime lìmo bubulo. Cognatum hoc iis, innascentes bestiolas necat, araneos, papiliones, teredines : apesque ipsas cxcitat. Et araneorum quidem exilium facilius est : papilio pestis anajor. Tollitur vere, quum «nuturescit malva, noctu, interlunio, cocio sere­ no, accensis lucernis ante alvos. In eam flammam >cse inferunt.

XLVII. Bisogna che le casae stieao volte a le­ vante equinoziale, e schivino Aquilone, e cosi Fa­ vonio. Le casse sono ottime di scorza, poi le fatte di ferula, e indi quelle di vimini. Sfolti le hanno fatte di pietra trasparente, per veder lavorare dentro le pecchie. Utilissimo è stuccarle con islerco di bue, e che il coperchio di dietro sia fatto in modo che vi si possa mettere e levare, acciocché si spinga iu deutro, se la cassa sia troppo più grande che non bisogni a povero lavoro, acciò che per disperazione uon lascino le pecchie la cura ; e che a poco a poco si tiri indietro, se l'opera cresce, senza che se neav visino. Le casse il verno debbono essere coperte con lo «trame, e spesso profumarsi, ma*«imamente con isterco di bue. Questo è assai con­ facente alla loro natura, e ammazza le bestie eh® vi nascono, cioè ragnaieli, farfalle, tignuole ; e fis più vivaci le stesse pecchie. I regnateli, a dir ve­ ro, si estinguono senza gran pena ; m i le ferfallb tono una peste molto ria. Si estirpano nottetem­ po, quahdo la malva si matura, a luna fra vec­ chia e nuova e per cielo sereno, ponendo lacerne At*ce*e innanzi alle casse, alla cui flamma elle in­ d e tta n d o si, ne vanno abbruciate.

Si

fa m em a p e s s e n t ia n t .

XLV 11I. Si cibus deesse censeatur apibus, uvas passas siccas ve,ficosque tusas, ad fores earum posuisse conveniet : i lem lanas tractas madentes passo, aut defruto, aut aqua mulsa : gallinarum etiam crudas carnes. Quibnsdsm etiam aestati­ bus iidem cibi praestandi, quum siccitas continua florum alimentum abstulit. Alvorum, quum rad eximitur, illini oportet exitus, raelissophyllo aut genista tritis: aut medias alba vite praecingere, « e apes difTugianl. Vasa mellaria aut favos lavari aqu» praecipiunt : hac decocla, fieri saluberri­ mum acetum.

Db

c e k a f a c ie n d a .

De

Q

da e o p t im a b ju s g e n e r a .

ceka

P

u n ic a .

XL 1X. Cera fit expressis favis, sed ante pu­ rificatis aqua, et triduo in tenebris siccat is, quarto die liquatis igni in novo fictili, aqua favos tegenle, tunc sporta colatis. Rursus in eadem olla co­ quitur cera cum eadem aqua, excipilurque alia frigida, vasis meile circumlitis. Optima, quae Punica vocatur. Proxima quam maxime fulva, odorisque mellei, pura, natione autem Poutica, quam constare equidem miror iuter venenata

Se

l b p e c c h ie se n t o n o f a m i .

XLVIH. Se il cibo manca alle pecchie, biso­ gna porre uve passe e fichi secchi dinanzi alle entrate degli alveari, o lana distesa bagnata m vi­ no passo, cotto, o in acqua melata ; e parte carne cruda di gallina. Alcune stati ancora s'hanno a dar loro questi medesimi cibi, quando il seccoha spen­ to i fiori, eh*è il loro alimento. Quando si cava il mele tirile casse, bisogna impiastrare i loro buchi con melissofillo'o ginestre trite, ovvéro cignere le casse con la vitalba, acciocché le pecchie non fug«ano. I vasi del mele, o i fiatoni, vogliono esser lavati con l ' acqua, e dicono che se quest’ acqua dipoi si cuoce, diventa nn aceto assai salubre. C om e

s i f a la c e r a .

Q

u a l i n b so n o l b q u a l i t à

MIGLIORI. D e l l a CERA PUNICA.

XL1X. La cera si fa premendo i favi, già innanzi purificati nell* acqua, e per tre giorni asciutti al buio. Il quarto d) si fan liquefare al fuoco in vaso di terra nuovo, con tanl’acqna cheli copra, e poi si mettono in una sporta a colare. Di nuovo nella stesso vaso si cuoce la cera con fa medesima acqua, e pigliasene d rira ltra fredda, impiastrando i vasi col mele. Ottima è quella che si chiama P u n ica. Fui è quella, ch’è mollo gialla, e d'odore di ineie,

M5

HISTORIARUM MUNDI U B. XXI.

>46

n e lla : deisd« C re tio , plnri muro enim ex pro­ poli habet, de qua diximus io nalura «puro. Posi has Corsica, quoniam ex buxo 6t, habere quam* dam v i a medicaminis pulalar. Panica fit hoe modo. V entilator aub divo saepius cera fulva. Deiode fervet io aqoa raarioa, ex allo pelila, ad* diio nitro. In d e lingulis hauriunt florem, id est, candidissima quaeque, transfanduntque io vas, quod exiguum frigidae habet. E t rursus marioa decoqount sep aratim : deio vas ipsum refrigerant. Et quum h aec te r fecere, juocea crate sob dio occant aole, lu n a q u e : haec enim eaodorem facit. Sol siccat : e t n e liq u e ferò L> protegant tenui lin* teo. C u d id isiim a vero fit, post insolatio nem elismaom r e c o c ta . Panica medicinis utilissima. Nigreidt cero a d d ito chartaram cinere, sieat aacbais a d m ix ta rab e t. Variosqae ia colores pifaeolis t r a d i t u r , ad edaodas similitudines, et ifiDomeros m o r ta liu m usus, parietumque etiam et armorum la te l a m . Cetera de meile apibusqae ioDitara e a ru m d ic ta suat. E t hortorum quidem «mais fere r a t i o p e ra c ta est.

e para, nativa dei Ponto, Ia qoal* o i b i n t h glio come si froda di meli avvelenati. Dipoi vito quella di Candia, la quale ha molla propoli, di cui ragiooammo nella nalura delle pecchie. Do­ po queste vien la Corsica, la quale perchè si fa di bossolo, si tiene che abbia una certa Io n a di medicina. La Punica si fa in questo modo. La cera ancora gialla ai ventila spesso all’ aria, dipoi si fa bollire in acqoa marioa attinta d'alto mare, aggiugnendovi nitro. Indi eoo cuochiai pigliaoo il fiore, cioè quella eh' è più biaaca, e verssnla in un vaso, dote ne sia un poco di fredda ; e di nuovo la cuocono a parte con la marina, dipoi rinfrescano il vaso stesso, e quando hanno fatto tra volte queste cose, la seccano allo scoperto in sa graticci al sole, e alla luca, perchè questa fa bian­ chezza. E aoolocehè le care oon ti struggano per troppo sole, le euoprono eoa nn lenzuolo sottile. Bianchissima si fa, se dopo ohe ha avuto il sole, di nuovo « rionoce. La Panica è utilissima alle medicine. La cera diventa negra, aggiogoeudoviai cenere di carte» siccome ella rosseggia, mescolan­ dovi l ' ancuaa. Tirasi in diversi colori eoa diverse tinte, per rendere le simiglianxe, e per diversi bisogni delle persone, e per difesa anoora delle mura e dell’ armi. L’ altre cose del mele e delle pecchie sono già state dette, ragionando della na­ tura loro. Così s’ è detto quasi tatto quello, che si può dire degli orti.

Sfotte « ia c n T i c M « «m B A S cii ih q u ib b iq u b g m t i -

U s o , HATUBA B OABAV1QL1B DBLL'BaBB CHS BASGO-

bcs u sb s , h a t u ìa e bdscus.

«u b a c u l à . F e a o a , t a u b u s ,

B a t u : obbbbl A d u o . P astin a c a n i *

TM SIS: LU PUS SALICTARIUS.

L. i 5. S e q a a o tu r herbse sponte nascentes, qaibo» (»leraequ« genlium alu o la r in cibis, rnaxiraeqne Aegyptus, frugum quidem fertilissima, sed at prope sola iis carere possit : tanta est cibo* n a ex herbis abundantia. In Italia paucissimas aevimos, fraga, tam num , roseam, balia marinam, balio hortensiam, quam aliqui asparagum Galli* eum vocant. P rae te r haa pastinacam praleosem, lo p a m salictarium, eaque verius oblectamenta, quam cibos.

C olocasia. L I . I a A egypto nobilissima est colocasia, quam e j a m o o aliqui vocant. Hanc e Nilo metuat, caale, q a a m coctas eat, araneoso in mandendo : thyrso a u te m , qui in te r folia emicat, spectabili : foliis b lis n m is , si arboreis comparentur, ad simililuW m eorum q a a e personata in nostris amnibus f a r n o s . Adeoqne Nili sni dolibus gaudent, ut P mhio 1. N., V ol. II.

BO SPOBTANBB PBBSSO CIASCUB POPOLO. L b FBAGOLB, IL TAURO, IL BUSCO. L cib .

La p a s t i r a c a

a

BATI DI DUB SPB-

p b a tb sb : i l lu p o s a l i t t a h i o .

L. i 5. Seguono l ' erbe nascenti da loro slesse, le quali da molli popoli sono osate ne* cibi, e mas­ simamente in Egitto, il quale cornechè è abboo* dantusimo di biade, è nondimeno il solo paese che beo potrebbe far senza esse ; tanta è la dovizia dell' erbe, che vi si mangiaao. lo Italia poche oe conosciamo, le fragole, il tanno, il rusco, la bali marina, la ball ortolana, la quale alcuni chiamano asparago Gallico. Oltra di queste, la pastinaca pra­ tese, il lupo talittario, ma questi sono piuttosto trattenimenti di gola, che cibi. D SLLA COLOCASIA.

LI. In Egitto nobilissima è la colocasia, la quale alcuni chiamano oiamo. La mietono appres­ so il Nilo : ha il gambo arenoso a masticarlo, e il torso eh* esce tra le foglie è bello : le foglie sono larghissime, se si paragonano con quelle degli al­ beri, ed han somiglianza di quelle, che ooi nei nostri fiumi chiamiamo personali. E tanto gli 10

,47

C. PLINII SECUNDI

14«

implexi* colocasiae foliis io variam speciem vasortim, potare gratissimam habeant. Seritur jam haec in Italia.

Egizii godono delle doli del tao Nilo, che delle foglie dolia colocasia intrecciate fanno diverse sorti di vasi, e piace molto lor bere con easi. Que­ sta erba si semina oggidì anche in Italia.

ClCHOBlUM : ARTHALIUX, OETUM, ARACHIDI!A, ABA­

Del c i c o b i o ,

a h ta lio , b to , a ra c b id h a , a b a c o , ca b -

COS, CAUDBYALA, HYPOCHOBBIS, CAUCAL1S, AW-

DB1ALA, IPOCHEBI, CAUGALI, A1TTBISCO, SCAHDI-

THBJ5CUM, SCANDII, PABTBENIUK, STRYCHBUM,

CB, PABTEB10, STBICRO, COBCOBO, AFACE, AC1KO-

CORCHOBCS;

p o , BPIPBTBO. Q

Q

uab

APBACB,

ACTHOPOS,

BPIPETBOH.

NUMQtJAM FLOBEAHT, QUAB SSMPEB.

L1I. In Aegypto proxima auctoritas cichorio est, quam diximus intubum erraticum. Nascitur post Vergilias. Floret particolalim. Radix ei lenta, quare etiam ad T i n e o la utuntur illa. Anthalium longius a flumine nascitur, mespili ma­ gnitudine et rotunditate, sine nucleo, sine cor­ tice, folio cyperi. Mandunt igni paratnm : man­ dunt et oetum, cni pauca folia minimaque, verum radix magna. Arachidna quidem et aracos, quum habent radices ramosas ac multiplices, nec folium, nec herbam ullam, aut quidquam aliud supra terram habent. Reliqua vulgarium in cibis apud eos herbaram nomina, candryala, hypochoeris, et caucalis, anthriscum, scandi x, quae ab aliis tragopogon vocatur, foliis crooo simillimis : partheniam, strychnum, corchorus, et aequinoctio nascens aphace, acinos : epipetron vocant, quae numqnam floret. At e contrario aphace subinde marcescente flore emittit alium, tota hieme, toto* que vere, osqae in aestatem.

C mici g e h e b a IV.

Ac c l *a t i

o b r k iis

hbbbab:

b b y n g io b ,

LU. In Egitto dopo Ia colocasia è in riputazio­ ne il cieorio, il quale chiamammo intubo erratico. Nasce dopo le Vergilie, e fiorisce a parti. Ha la ra­ dice pieghevole, e perciò l ' usano ancora per le­ gami. L’ antalio nasee discosto dal fiume, grande e tondo come nespola, senza guscio, senza cor­ teccia, e con foglia sembiante a quella del cipero. Mangiasi colto. Mangiasi quello ancora, che si chiama eto, che ha poche e piccolissime foglie, ma gran radice. L* arachidna e l’araco, ancora che abbiano radice ramosa e molteplice, non hanno però sopra la terra nè foglia, nè erba, nè veruna altra cosa. Gli Egizii si cibano pure d 'a ltre erbe volgari, siccome è la candriala, l ' ipocheri, il caucali, Tantrisco, lo scandice, il quale da alcuni è detto tragopogo, ed ha le foglie molto simili a quelle del zafferano ; il partenio, lo stricno, il corcoro, e l’ aEace che nasce per l'equinozio, • l'acinopo, che si chiama epipelro, e non fiorisce mai; mentre per contrariol’aface continuamente marcendo il fiore, ne mette fuora a n 'altro, tutto il veroo e latta la primaverara fino alla state. Q

LIII. Multas praeterea ignobiles habent : sed maxime celebrant cnicon Italiae ignotam, ipsis autem oleo, non cibo gratam. Hoc faciant e semine ejus. Differentia prima, silvestris et sativae. Sil­ vestrium duae species: ana mitior est, simili cau­ le, tamen rigido : itaque et cola antiquae mulie­ res utebantur ex illia : quare quidam atractylida vocant. Semen ejus candidum et grande, ama­ ram . Altera hirsutior, torosiore caule, et q ai paene humi serpat, minuto semine. Acaleataram generis haec est : qaoniam distinguenda sunt et genera.

glycyb-

BHIZA, TlIBU LU S, OKOBIS, PHEOS SIVB STOBBB,

u a l i p i a s t e b o b m a i f io r is c o n o ,

QUALI SEMFBZ.

u a t t r o s p e c ib d b l

etneo.

LUI. Oltre di ciò hanno molle altre erbe igno­ bili, e fra l ' altre celebrano il cnico, sconosciuto in Italia, e a loro grato non in cibo, ma in farne olio. L’ olio si fi» del suo seme. La prima diffe­ renza è del salvatico e del domestico. Di salvatichi ce ne sono di due ragioni, uno pià mansueto, e di simil gambo, ma ruvido ; e perciò le donne anticamente 1’ usavano per rocca, onde alcuni lo chiamano alratlilide. Il seme suo è bianco, gran­ de e amaro. L 'altro è più aspro : ha il gam bo piò grasso, cbe va quasi per terra, e il seme m i­ nuto. Questo è degli spinosi; perchè s ' hanno a distinguere ancora i generi. D e l l ’ e r b e s p in o s i : e r i n g i o , g l i c i b r i z o , t b j b o l o , ow onb, f b o

o rm o

s te b b , if p o f a b .

HIPPOPBAfcS.

LI V. Ergo quaedam herbarum spinosae sunt, quaedam ùae spinis» Spinosarum mullae speciei.

L1V. Alcune erbe dunque sono spinose, alcu­ ne senza spine. Le spinose sono di mòlle rag io n i.

HISTORIARUM MUNDI L1B. XXI.

'4 9

Ia totam spina est asparagos, seorpio : nullum enim foliam habet. Quaedam spinosa, foliata suot, a t cnrdaus, eryngion, glycyrrhiza, nrlica. lis enim om aibas foliis ioest aculeata mordaci­ tas. Aliqua e t secandum spinam habent foliam, a t tribolus, e t onoois. Qaaedam ia folio habent e t io cade, u t pbeos, quod aliqui stoeben appel­ lavere. Hippophae* spiois genieulatom: tribolo proprietas, quod e t fruetom spinosam habet.

D i t i a i o s m i rv. L amium,

■iS o

Spina affatto è lo asparago, e lo scorpione, perché non ha foglia alenna. Certe erbe hanno spinose le foglie, come il cardo, lo eringio, il glicirrizo e l'or­ tica; perocché tatte le lor foglie son mordaci per essere rivestite di aculei. Alcune hanno la foglia lango la spina, come il tribolo e I1onone. Alcuoe hanno la spina nella foglia e net gambo, come il feo, chiamato da alcuni stebe. I / ippofae ha le spine sui nodelli ; e il tribolo ha la proprietà di avere spinoso anche il fratto. Q oattso

s c o b p io .

s p b c ib d i ostiche .

D bl

LAMIO, DELLO SCOBPIOBB.

LV. Ex om nibus his generibus artica maxime nosciter,acetaboli» in flore purpuream lanuginem fondentibus, saepe allior binis cubitis. PJures eju»differentiae: silvestris,quam ef feminam vo­ cant: m iliorque. E t in silvestri, quae dicilnr canina, acrior, caule quoque mordaci, fimbriatis foliis. Q uae vero etiam odorem fandit, Hercula­ nea vocatur. Semen omnihos copiosum, nigrum. Mirasa sine nilis spinaram aealeis lanuginem ipsaai esse noxiam, et tacta tantum leni p raritnai, putolasqae confestim adusto similes exsi­ stere. Notam est e t remedium olei. Sed morda­ cità* non p ro tin u s oum ipsa herba gignitur, neo ■in solibus roborata. Incipiens quidem ipsa nasci vere, non ingrato, mnltis etiam religioso ia cibo est, ad pellendos totius anni morbos. Silvestrium quoque radix om nem carnem teneriorem faeit, nmulque cocta ionoxia est. Morsa carens, lamium vocatar. De scorpione dicemus inter medicas.

a co b r a

ClALCSOS,

■tL x in ,

,

s iv b

p h o r o »,

l bd ca ca h th o s.

CBIGOS, POLYACARTHOS, OHOPTXOS,

s c o ltm o s .

C hamaeleoh,

TSTRALIX,

LV. Di tutti questi generi l ' ortica mollo si conosce, perchè ha i fiori che spargono una la­ nugine purpurea : la pianta è spesso piò alta di due braccia. Questa è. di pi à specie. La salvatica, la qaale chiamano anche femmina, è più man­ sueta. Nella specie salvatica ancora è quella che h chiama canina, più aspra, con gambo mordace, e le foglie stratagliate. Quella che ha odore è chiamata Ercolsnea. T atte baano il seme copioso e nero. E d è maraviglia, che ancora la lana loro senza alcuna spina è nociva, e dove tocca fa piz­ zicore,^ leva subito gallozzole sembianti a quelle di scottatura. 11 rimedio è Polio» La mordacità però non nasce subito insieme eon l ' erba, perocché il sole è quel che le dà fona. Quando la primavera ella comincia a nascere, è cibo non ispiacevole, e a q u e 'molli ancora religioso, che credono eoa quella cacciare le infermità di tutto l ' anno. La radice delle selvatiche fa ogni carne più tenera, e cocendola insieme con essa è innocente. Quella ebe non pagne si chiama lamio. Dello soorpione ragioneremo tra le medicinali. D bl

ca rd o , aco rra o fo ro , lb c ca ca rto , calcbo,

emeo, D el

1

POLIACARTO, OROP SSO, SLS1RS, SCOLINO.

c a m b lb o h b , t b t r a l i c b , a c a r t i c e m a s tic h e .

ACASTHICB MASTICHE.

LVI. 16. C arduus et folia et caules spinosàe lsonginis hab et. Item acorna, leucacanthos, chal­ ceos, cnicos, polyacanthos, onopyxos, helline, scolymos. Cham aeleon in foliis non habet aculeos. Est et illa differentia, quod quaedam in iis* mul­ ticaulia ram osaque sunt, u t carduus. Uno autem caule, nec ram osam , cnicos. Quaedam cacumine tsolum spinosa sunt, ut eryngium. Quaedam aestate florent, u t tetralix, et helxine. Scotymns quoque flo re t aero et din. Acorna colore tantum tofo d istin g u ito r, et pinguiore succo. Idem erat ttractylis q u o q u e , nisi candidior esset, et nisi ■aguineom saccu m fonderei. Qua de causa pho*» vocatu* a quibusdam, odore etiam grati»,

LVI. 16. II cardo e nelle foglie e nel gambo ha lanugine spinosa; e cos) l ' acorna, U leucacanto, il calceo, il cnico, il poliacanto, l’onopisso, P elsine e lo scolimo. Il cameleone non ha spine nelle foglie. Écci anco nn1altra differenza, perchè alcuni d ' essi hanno più gambi, e sono ramosi, come il cardo. II cnico non ha più che un gambo, e non è ramoso. Alconi sono spinosi solamente nella cima, come 1*eringio. Alcuni fioriscono la state, come il tetralice e 1*elsine. Lo scolimo an­ cora fiorisce tardi, e lungamente. L’ acorna si di­ stingue solo pel color rosso, e per essere più grassa di sugo. Tale sarebbe P etrattile ancora, se non fosse più biancone non avesse sugo san-

C PLINII SECONDI

lfl2

sero matureicente semine, nee ante autumnum : quamquam id de omnibus spinosis dici potest. Verum omoia baeo et semine et radice nasci possunt. Scolymus carduorum generis ab iis distat, quod radix ejus vescendo eat decocla. Mirum, qnod sine intervallo tota aestate aliud floret iu eo genere, aliud concipit, aliud parturit. Aculei arescente folio desinunt pungere. Hclxine rara visa est, neque in omnibus terris : est • ra­ dice foliosa, ez qua media velati malum extube­ rat, contectum sua fronde. Hujus vertex summus lacrymam continet jocandi saporis, acanthicen mastichen appellatam.

guigno. Per la qual cosa alcuni lo chiamano fono: ha odor grave, e matura il seme tardi, nò mai innanzi T autunno, benché il medesimo si può d iredi tutteTerbespinose. Però tullequeateerbe possono nascere e di seme, e di radice. Lo scolimo, eh' è della specie de* cardi, è differente da essi, perchè la radice sua mangiasi colla. E d è maraviglia che senza intervallo per tutta la state, altro in quel genere fiorisce, altro concepe, altro partorisce le ponte. Le spine, seccando la foglia, lasciano di pungere. L’ elsine si vede di rado, perchè non ne nasce per tutto: è fogliosa fin dalla radice, del cui mezzo esce tuora rigonfiandosi a a bozzolo che pare una mela, coperta dalla soa fronde. Nella saa cima ha ana lagrima di dolcis­ simo sapore, la quale si chiama acantice mastiche.

ECTACOS, SITE CACTO», PTBBS1X, PAPPUS, ASCALIA.

Dell* ettaco, ovvero catto, PTBBJNCA, PAPPO, ASCALIA.

LV11. E t cactos qaoqae in Sicilia taotum na­ scitur, suae proprietatis et ipse: in terra serpunt caales, a radice emissi, lato folio et apinoso. Cau­ les vocant cactos : nec fastidiant ia cibis, invete­ ratos qnoqae. Unam caalem rectam habent,quem vocant pternica, ejusdem suavitatis, sed vetusta­ tis impatientem. Semen ei lanaginis, qaam pappon vocant : qoo detracto et cortice, teneritas eimilis cerebro palmae est : vocant ascalian.

LVII. 11 catto ancora nasce solo in Sieilia, ed i d’una specie sua propria: i suoi gambi vanno per terra, uscendo della radice, con la foglia larga « spinosa. 1 gambi si chiamano catti, e si mangiano volentieri, ancora quando sono invecchiali. Han­ no un gambo solo, diritto, che si chiama pternica, e che ha la stessa soavità, ma non invecchia. Il seme sao è di lanugine, la quale chiamaoo pappon ; e levala essa e la corleceia, trnovasi una tenerezza simile al cervello della palma, la qual tenerezza si chiama ascalia. V

T e ib u l u s : o s o r is .

D el tribolo : dell' osose»

LVII1. Tribulus non nisi in palustribus na­ scitor, dira res alibi, juxla Nilum et Strymooem amnes excipitur in cibis, inclinatus in vadum, folio ad effigiem almi, pediculo longo. At in reliqao orbe genera duo: ani cicerculae folia, alteri aculeata. Hic et serias floret, magisque septa obsidet villarum. Semen ei rotundius, nigrum, in siliqua : alteri arenaceam. Spinosorum eliamoom aliad genas ononis. In ramis enim spinas habet, adposito folio rutae ùmili, toto caule fo­ liata in modum coronae : sequitor a frngibus, aratro inimica, vivaxqae praecipue.

LVIII. Il tribolo non nasce se non uè* luoghi paludosi, e altrove è cosa crodele. Appresso il Nilo e lo Strimone si saole mangiare : inchinasi verso il fiume ed ha la foglia simile a quella del­ l’olmo, e il picciuolo lungo. Nell* altre parti del mondo ce n* è di due ragioni ; l’ une ha le foglie come la cicerchia, 1*altro apponiate. Questo fio­ risce tardi, e rinforza le siepi che fannosi alle ville. Il seme suo è iu baccelli, tondo e nero. L* altro l ' ha come rena. Écci po’ altra erba spi­ nosa, che si chiama onone. Questa ha le spine nei rami, e la foglia all’ incontro, la qaale è simile alla ruta, con gambo tutto fogliato a modo di ghirlanda : viene dopo le biade, ed è nimica all'a­ ratro, e molto vivace.

HlKAIVNàElllA FU CAULES. COBOBOPSS t ABCHUSA, ABTHEMIS, PHYLLABTHES, CBBPIS, LOTOS.

DlPPBBBNZA DELL* EBBE RISPETTO Al GAMBI. I l COBOBOPO, L1ASCOSA, L* ASTEMI, IL PILLASTE, U. CBEPI, IL LOTO.

LIX. Aculeatarum caales aliquarum per ter­ ram serpunt, at ejus quam coronopum vocant.

LIX. I gambi d ' alcune erbe spinose vanno per terra, come di quella che si Uu^ma co ro n o -

HISTORIARUM MUCIDI L1B. XXI.

i5J

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£ diverso stant, anchusa inficiendo ligno ceri*fK radice api», e t e mitioribus authemis, et pbyllaothes, e t anemone, et aphace. Gaule foliato a t et crepis, e t loto*.

po. Per contrario stanno 1' anchusa, la cui radice i buona a tignere-il legno e la cera, e 1' antemi una delle più delicate fra queste, « il fillante, e 1* anemone, e l'aface. 11 crepi e il loto hanno il gambo fogliato.

D im im u B

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d e ll* eb b e r is p è tto

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fo g lie .

f io r is c o n o a p a & te a p a r t e : q u a l i b o b

p e rd o b o l e f o g lie : g ira s o le , a d ia b to .

LX. Diflerentia folioram e t hic qaae in arbo* ribu, brevitate pediculi ac longitudine, angu­ stiis ipsius folii, amplitudine, angulis, incisuris, odore, flore. D iu tu rn io r hic quibusdam per par­ tes florentibos, a t ocimo, beliotvopio, aphacae, onoehili. Multis inter haec aeterna folia, sicut quibusdam a rb o r o m ,in primisque heliotropio, aditolo, polio.

LX. In queste erbe la differenza delle foglie consiste in ciò stesso che uegli alberi, cioè nella bre­ vità e lunghezza de' picciuoli, nella larghezza o strettezza delle foglie, negli àngoli, intagliature, odore e fiore. Questo dura più lungamente iu alcu­ ne, che fioriscono per parti, come fa il basilico, il girasole, l’ a face, e l'onochilo. Molte tra questo erbe hanno la foglia perpetua, come alcuni albe­ ri, e massimamente il girasole, l'adianto e il polio.

S n a t u D i L f i u n u . S tabtopo s,

D ell'

u p b o r o s , s iv b o r t y x

,

a lopecuros,

m -

s iv b f l a b t a g o . T h r x a l l i *

erbe

D ella

LXI. 17. A lia d ru n a s spicatarum genas, ex quo est cyuops, alopecuros, stelephuros ( qaam quidam orlygem vocant, alii plantaginem, de qua plura dicemus iu ter medicas), thryallis. Ex iis Mopeeuros spicam habet mollem, et lanugi* □em deusam, n o n dissimilem vulpium oaudia, aude ei et oomen. Proxim a esi ei et stelephuroa, nisi quod illa particulatim floret. Gieborion, et Milia, circa te rra m folia habent, germinantibus ab radice post Vergilias.

P ost a b i t o i a i c s r t u : a sommo fl o b b k t b s : ITEM AB IMO.

LX11I. M iraro , loton herbam, et aegilopa, nisi post a n n u m e semine sao nasci,^Hira et aathemidis na ta r a , qaod a summo florere inci­ pit, qaam ceterae omnes, quae particalatim flo> tot, ab ima sui p a r te incipiant.

boo

:

l o s t a k io p o , l ' a l o p e c c r o ,

t r ia l l i.

LXI. 17. Un* altra specie è quella delle spiga­ te, come il cinope, 1* alopecuro, lo slelefuro ( che alcuni chiamano ortige, alcuni piantaggine, di cui ragioneremo a lungo fra l’ erbe medicirfali ), e la trialli. Fra queste 1*alopecuro ha spiga molle, e lanugine folta, simile alle code delle volpi, ond* ella ha preso il nome. Simile a questa è lo sto­ le furo, se uon che questo non fiorisce a un tratto. 11 cicorio e simili hanno le foglie intorno a terra, le quali germogliano dalla radice dopo le Vergilie. Del

P n m c i r a . O rbitbogalb .

LXU. Perdicium et aliae gentes, qoam Aegy­ ptii, edant: n o m e n dedit avis, id maxime eruens. C n a u plurim asqae habet radiees. Item ornitbogale, caule te n e ro , candido, semipedali radice, bolbosa, molli, trib a s aut qualnor agnatis. Co­ n t a r in pulte.

s p ig a t r

LO STELEFURO, OVVERO OBTIGB, O PIAHTAGGIBB.

p e rd ic io : d e ll* o e r i t o g a l e .

LX 11.11 perdicio è un'erb a, che altri popoli ancora oltre gli Egizii asano maogiare, e che*pre­ se questo nome da ua uccello, che massimamente la schianta di terra. Ba di molte e grosse radici. Écci l’ornitogale, che ba il gambo tenero e bian­ co, la radice di mezzo braccio, cipollosa, tenera, con tre o quattro messe. Caocesi nella poltigia. E

r r e c b e bascobo d o p o db a b b o f i o r i s c o b o ir so m m o

:

:

di qubllb cbe

d i q u e l l e c h e a b ba sso.

LX 1I 1. È maraviglia, come l'erba loto e l*e* gilopa non nascono del lor seme, se non dopo l'an­ no. Maravigliosa anco è la natura dell* antemide, che comincia a fiorire dalla cima, ancor che tutte 1* altre, le quali partitamente fioriscono, comin­ cino dalla loro più bassa parte.

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C. PLINII SECONDI

>56

L appa, hbbba qoae I i n * u VASIT. OpUHTIA, B VOUO BAD1CBH FACIEBS.

L' 8BBA LAPPA GBBMOGUA BUTEO DI S Ì DkLL’ Opubcia, chb si va m u sim foolib.

LX 1V. Notabile et in lappa, quae adhaere­ scit, quoniam in ipsa flos nascitur, non evidens, aed intus occultus, et intra seminat, velat anima­ lia, quae in se pariant. Circa Opuntem opnntia est herba, etiam homini dulcis. Mirumque e folio ejus radicem fieri, ac sic eam nasci.

LXIV. È similmente cosa notabile nella lappa, eh1 ella stia attaccata e chiusa, producendo il fio­ re invisibilmente e solo ri poeto dentro di aè* p e r lo spargersi che fa del seme uel seno come gli animali che partoriscono fra sè stessi. Appresso a Opunte nasce un' erba, che si chiama opunzia, la quale è dolce ancora all' uomo. Ed è maraviglia delle sue foglie farsi radice, e cosi nascere.

I asiohb, cohdbtlla, piceis, quae toto axho FLORET.

Dell' iasione, della cokd&illa, della picei , CHE PIOBISCB TUTTO l 'ABBO.

LXV. Iasione unnm feliam habet, sed ita im­ plicatum, a t plora videantur. Condrylla amara est, et acris in radice sacci. Amara et aphace, et quae picris nominatur, et ipsa toto anno florens: nomen ei am aritado im posait

LXV. Lo iasione ha ana foglia sola, m a così implicala, che paion molte. La eondrilla è am ara, e nella radice ha sugo agro. Amara è ancora 1*aface, e quella che si chiama picri, la qaale fiorisce anch’ essa tatto l’ anno, ed ebbe noma dalla soa amaritudine.

Q uibus flos, ahtiquaj* caulbs bxeast: quibus CAULIS, ABTEQUAM FLOS BXEAT: QDAB TBB FLOBBAHT.

Di quali ebbb esce il fiobe pbika che il gambo : DI QUALI 11. gambo vbiha che il fiobe : DI quel­ le CHE FIOBISCOBO TEE VOLTE.

LXVI. Notabilis et scillae croeiqne natura, quod qaura omnes herbae foliam primam emit­ tant, mox in caalem rotundentur, in iis caulis prior intelligitar, qaam foliam. E t in croco qui­ dem flos impellitor caule: in scilla vero caolis exit, deinde flos ex eo emergit. Eademque ter floret, a t diximas, tria tempora arationnm osten­ dens.

LXVI. Notabile è la natura della scilla e del zafferano, perchè ancora che tolte l’erbe mandino prima foora la foglia, dipoi si rifondino nel gam­ bo, in queste si vede prima il gambo ohe le foglie. Nel zafferano il fiore è spinto dal gambo, ma nella scilla il gambo esce da quello. Essa fiorisce tre volte, come abbiamo detto, dimostrando Ire tem­ pi di sementa.

Ctpibos, medicihab viii. T bbsior.

D el ap iao , hedicibe, 8. D el tesio.

LXVII. Bolborum generi quidam adnomerant et cypiri, hoc est, gladioli, radieem. Dulcis ea est, et quae decocta panem etiam gratiorem -faciat, ponderosioremqae simul subacta. Non .dissimilis est et qaae thesion vocator, gusta aspera.

LXVII. Alcuni pongono tra le cipolle la rad i­ ce del cipiro, cioè del gladiolo. Qoesta è dolce, e cotta fa ancora il pane piò grazioso, e impiastrata con esso Io fa di piò peso. Simile a questa è quella che si chiama tesio, aspra al gusto.

AsraqDKLus, sivb hastula bboia. Abthbbicoh.

Asfodelo, ovvebo astula begia. Artebico.

LXVIII. Ceterae ejusdem generis folio diffe­ ran t. Asphodelus oblongum et angustam habet, aeilla latam et tractabile, gladiolus simile nomini. Asphodelus maoditur, et semine tosto, et bnlbo : sed hoe in cinere tosto, deio sale et oleo addito : -praeterea taso cam ficis, praecipua voluptate, ut videtur Hesiodo. T raditur et ante portas villa­ rum satum, remedio esse contra veneficiorum noxiam. Asphodeli mentionem et Homeras fecit.

LXVIII. L’ altre della medesima specie sono differenti nelle foglie. L'asfodelo ha la foglia lu n ­ ga e stretta, Ia scilla larga e trattabile, il gladiolo l ' ha simile al nome. L ' asfodelo si mangia, e p e r ^eme arrostito, e per cipolla ; ma questa vuoisi arrostire nella cenere, poscia porvi sale ed olio ; in oltre pesta co' fichi si mangia con grandissim o piacere, come dice Esiodo. Tiensi che sem inato innanzi alla porta delle ville sia rimedio contra lo

H1ST0B1ARUM MONDI MB. XXI. Radix ejus napis modicis similis est : neque alia nam erosior, l x x x a iro n i acervatis saepe bulbi». Theophrastus, et fere Graeci, priocepsque Pytha­ goras, caulem ejus cubitalem, et saepe duum cu­ bitorum, folii* porri silvestris anlhericon voca­ vere : radicem vero, id est, bolbos, asphodeloo. Nostri illud albucum vocant, et asphodelum ba­ stala» regiam , caulis acioosi : ae duo genera la­ ciunt. Albuco est scapos cubitalis, amplos, purus, laevis. De q u o Mago praecipit, exitu mensis Martii, ei initio A prilis, quum floruerit, nondum semine ejus intumescente, demetendam : findeodosque •capos, et q u a rto die in solem proferendos : ita meatis manipulo* faciendos. Idem pistanam dieit a Graecis yocari, qaam inter olvas sagittam ap­ pellano*. H anc ab idibus Maji usque ad finem Octobris menai* decorticari, atqoa leni sole sic­ cari jobet. Id e m e t gladiolom alteram , quem eypiroa vocant, a t ipsam palustrem, Jolio mense toto seeari ju b e t a d radicem, tertioqae die «ole acari, donec c a n d id o * fiat. Quotidie autem ante solcai ocddeutem i a tectum referri, q ao n ia* pdutribu* deaectia nocturni rores noceant.

malie e gl'incanti. Dell'asfodelo fece mentione an­ che Omero. La sua radice è simile a' navoni piocoli. Nè ve n 'è alcun1altra sì numerosa, avendo spesso raccolti insieme piò d'ottanta capi.Teofrasto, e quasi tutti e i Greci, e Pitagora innanti agl) altri, chiamarono il suo gambo enterico, il quale è d ' un braccio, e spesso di due, con foglie di por­ ro salvatico ; e la radice, cioè i bulbi, o capi, chia­ marono asfodelo. 1 nostri chiaman lo enterico aibuco, e chiaman 1' asfodelo astula regia, la quale ha gambo acinoso, e fannola di due ragioni. L 'aibuco ha lo stipite d’uo braccio, grande, puro, pu­ lito. Magone vuole che si colga all' uscita di Mar­ zo, e al principio d 'Aprile, quando egli i fiorito, ma non ha il seme ancora rigonfio, e che gli stipi­ ti si fendano, e il quarto dì si mettano al sole; e così quando son secchi se ne facciano m atti. Diceaocora che i Greci ohiamano pistana quella che tra le ulve noi chiamiamo saetta. Vuole che que­ sta si scortichi dai quindici di Maggio sino alla fine d ' Ottobre, e che si secchi a sol lento ; che l ' altro gladiolo, il quale si chiama eipiro, anch'esso palustre, per tutto il mese di Loglio si seghi fino alla radice, e il terzo dì si secchi al sole, fin­ ché diventi bianco ; e finalmente che ogui giorno si riporti io casa, innanzi che il sole tramonti, perchè le rugiade della notte fan danno all* erbe pai astri segate.

3caci o a m a a vi. Mbdicihab it .

Di sai sn c ix di Giunco. M kdicih 4 »

LX1X. 18. Sim ilia praecipit et de jnnco, qnem mariscon appellat, ad texendas tegetes: et ipsam Jonio mense eximi ad Joliom medium praeripiens. Cetera de siccando, eadem qoae de alva suo loco diximus. Alterum genus j ancoram fadt, qnod m arinum , et a Graecis oxyseboenon vocari invenio. T ria genera ejus : acuti, sferilis, quem marni, et oxyn Graeci vocant: reliqua feminini, ferentis semen nigram , quem melaucranin vocant. Crassior hic et fraticosior : magisque etiamnum tertios, qui vocatur holoschoenos. E x his melaneranis sine aliis generibus nascitur. O xys aetem et holoschoenos eodem cespite. Uti* ìmsùdms ad vitilia holoschoenos, qnia mollis et c arn o sa s est. F e rt fructum ovorum cohaerentiam ■ o d o . N ascitur autem is, quem marem appellar i a to s , ex semetipso, cacumine in terram defixo: a d a n c n n i i autem sao semine. Alioqoi omnium ra d ice s omnibus annis interm oriuntur. Osos ad — u s m arinas, vitilium elegantiam, lacernarum I n a i a a , praecipua m edulla, amplitudine juxta ■• r its r o a s Alpes tanta, u t inciso venire impleant faeoe unciarum latitudinem : in Aegyplo vero (n b ro riu n longitudinem , non aliis utiliorem.

LX 1X. 18. Lo stesso Magone vuole che le me. desime cose si facciano del giunco, il quale ei chia-> ma marisco, ed è buono a coprir capanne, ordi­ nando che si cavi del mese di Giugno fino a m et­ to Luglio. L 'altre cose, quanto al seccare, sono le medesime .che noi dicemmo della ulva al suo luo­ go. Egli fa nn'altra sorte di giunco, il quale trovo che si chiama marino, e da' Greci ossischeno.Esso è di tre ragioni, aouto, sterile ( che noi chiamia­ mo maschio, e i Greci ossi ), e femmina, che ha il seme nero, e si domanda melancrani, ed è più grosso e più germoglioso. Ma più ancora lo è quel­ lo della terza fra le sei specie, che si chiama 0I0scheno. Di qoesti nasce il melaocraoe senta altri generi : Possi e l ' olosebeno nascon del medesimo oespo. L 'olosebeno è utilissimo ai bisogni delle viti, perch'egli è tenero e carnoso. Produce frutto a modo di uova, che stieno attaccate insieme. Quel­ lo che noi chiamiamo maschio, nasce di sé slesso, con la cima piantala in terra; e il melancrane del suo seme. D 'altronde le radici di tutti muoiono ogni anno. L 'oso loro è a far reli da pescatori, ai bisogni delle vili, e a'lam i di lucerne, e massima­ mente quegli che hanno assai midolla; e ve n 'è di così grandi appresso 1' Alpi marittime, che la-

C. PLINII SECUNDI

Quidam eliamnum unam genas faciunt {unci trianguli : cyperon vocant. Multi vero non discer­ nunt a cypiro vicinitate nominis. Nos distingue* mas atrum qae. Cypiras est gladiolos, a t dixirans, radice bulbosa, laudatissimas in Insulis Creta, dein Naxo, et pustea in Phoenice. Cr«tico candor odorque vicinus nardo, Naxio acrior, Phoenicio exiguum spirans, nallos Aegyptio. Nam et ibi nascitur. Discutit duritias corporum. Jam «nim remedia dicemus ; quoniam et florum odoram* que generi est magnas usu» in medicina.

Qaod ad cypiron attinet, Apollodorum qui­ dem sequar, qui negabat bibendum : quamquam professus efficacissimam esse adversas calculos, os eo fovet. Feminis quidem abortos facere non dubitat. Mirumqoe tra d it{ barbaros suffitum hojus herbae excipientes ore, lienes consumere : et non egredi domibus, nisi ab hoc suffita : vege­ tiores enim firmioresque sic etiam in dies fieri. Intertriginum et alarum vitiis, perfrictionibusque cnm oleo illitum, non dubie mederi.

C t PERUS, MEDICINAE XIV. CtPERIS, CTP1RA.

LXX. Cyperos jancus est, qualiter diximus, angulosus, juxta terram candidus, cacumine ni­ ger, pinguisque. Folia ima porraceis exiliora, in cacumine minuta, inter quae est semen. Radix olivae nigrae similis, quam, quum oblonga est, eyperida vocant, magni in medieina usus. Laus cypero prima Ammoniaco, secnnda Rhodio, ter­ tia Theraeo, novissima Aegyptio : qaod et confnndit intellectam, quoniam et cypiros ibi nasci­ tor. Sed cypiros durissima, vixqoe spirans. Cete­ ris odor et ipsis nardam imitans. Est et per se Indica herba, quae cypira vocatur, tingiberis effigie : commanducata croci vim reddit. Cypero vis in medicina psilothri. Illinitor pterygiis, ulceribusque genitalium, et quae in humore sunt •ronibas, sicat oris ulceribus. Radix adversus serpentium ictos, et scorpionum, praesenti reme­ dio est. Valvas aperit pota. Largiori tanta vis, ut expellat eas. Urinam ciet, et calculos, ob id uti­ lissima hydropicis. Illinitur et ulceribus, quae serpunt, sed his praecipue, quae in stomacho sunt, ex vino vel aceto illita.

160

filato il ventre sono larghi quasi un' oncia, e in Egitto ne fanno vagli. Alcuni ne mettono un* altrp sorte di gianeo triangolare, ohe chiamano cipero. Molti però non 10 distinguono dal cipiro, per la somigliànzà del nome. Noi distingueremo l’ uno e l’altro. Il cipi­ ro è il gladiolo, come abbiamo detto, che ha la radice cipollosa, e nasce eccellentissimo nell* isole di Candia e di Nasso, e poi in Fenicia. 11 Caodiotlo è bianco e d'odore vicino al nardo, quello di Nasso è più agro, il Fenicio getta poco odore, e l ' Egizio niuno ; percioochè nasce ancora quivi. Leva la durezza del corpo. Tocco le medicine un'altra volta, perchè i fiori e gli odori sono osati molto in medicatore. Quanto appartiene al cipiro, io seguirò Apol­ lodoro, il quale diceva che non si dovea bere, an­ cora che confessi eh’ egli è potentissimo a rom­ pere la pietra. Secondo lui, ei fa sconciare le don­ ne. Egli ancora mette una maraviglia, che i bar­ bari ricevendo il profumo di questa erba per becca, consumano la milza, e non escono di easa, se non hanno fatto questo profumo ; perciocché a questo modo diventano ogni giorno più ga­ gliardi e più forti. Guarisce anco i difetti delle intertrigini, e di sotto le braccia, e le infredda­ ture impiastrato con olio. D el cipero, medicine i 4> C iperi, cipira. LXX. 11 cipero ì giunco, come abbiamo detto, anguioso, bianco appresso terra, nella cima nero, e grasso. Le foglie da basso sono più sottili che quelle del porro, e in cima minute, fra le quali è 11 seme. La sor radice i simile all' ulivo nero, I r quale quando è lunga si chiama ciperide, di gran­ de utilità nella medicina. 11 miglior cipero è l’Am­ moniaco, poi il Rodioilo, il terzo il Tereo, l 'o t ­ timo l ' Egizio, il quale subito non si discerne, perchè quivi anco nasce il cipiro, il quale però è durissimo, e a fatica getta odore. Gli altri h an n o odore -simile a quello del nardo. Écci anco di p e r sè un' erba Indiana, la quale si chiama cipira, di forma di gengiovo, e masticata ha forza di zaffe­ rano. 11 cipero in medicina fa forza di psilotro. Fassene empiastro a quelle ptllicine, che si sfo­ gliano intorno all'unghie delle dila, e a ll'u lc e re de’ membri genitali, e a tutte 1* ulcere, che sono in luoghi umidi, come • quelle della bocca. La sua radice giova contra il morso delle serpi, e massimamente degli scorpioni. Bevuta ap re le matrici, e quando se ne bee in abbondanza, h a tanta forza, che le caccia fuori. Muove l ' o rin a , e la pietra, e per questo è utile a' ritruopichi. Im ­ piastrasi sull* ulcere che vanno im pigliando, e massimamente su qnelle che sono nello sto m aco , insieme col vino o con l ' aceto.

,6 ,

HISTORIARUM MUNDI L1B. XXI.

162

HoLOJCHOtSOS.

D bll' oloccbeko.

LXXi. Junci radix in Iribus heminis a q a a e decocta ad tertiat, tussi medetur. Semen tostum et in aqua potum , sislit alvum, e t feminarum mense*. C upitis dolores facit, qui vocatur holotchoenos : ejus q u a e proxima sunt radicis, commamlucanlur adversus araneorum morsus. Inve­ nio etiamnum unum junci genus, quod euripiceo vocant. Hujus semine somnum allici, sed modum servandum , ne sopor fiat.

LXXI. La radice del giunco cotta in tre emine d ' acqua infino olla terza parte, medica la tosse. Il seme arrostito e bevuto nell'acqua, ferma il corpo e i mesi delle donne. Il giuoco chiamato oloscheno fa dolere il capo : la parte vicina alla radice si mangia contra il morso de'ragoi. lo truovo un' altra sorte di giunco, che si chiama euripice, il cui seme fa dormire ; ma bisogna aver cura di prenderne moderatamente, perchè il sonno non sia troppo.

Medicinae ex jm co odorato, sivb tbochite, x.

M e d ic in e c h e si fanno dee . cionco

LXX11. O b id et odorati junci medicinae di* ceotor, qnoniam et in Syria Coele ( ot suo loco retulimus) nascitur. Laudatissimus ex Nabataea, cognomine teuchites, proximus Babylonias., pes­ simus ex Africa, ac sine odore. Est aulem rotun­ das, vinosae mordacitatis od linguam. Sinceras io confricando odorem rosae emittit, rabentibus fragmentis. D iscutit inflationes, ob id stomacho olilij, bilemque e t sanguinem rejicientibus. Sin­ gultas sedat, ructus movet, urinam ciet, vesicae medelur. Ad muliebres usas decoquitur. Opisthotonicis cura resino arid a imponitur cxcalfactoria.

LXX 1I. Per questo porremo le medicine anche del giunco odorifero, perciocché e' nasce ancora nella Celesiria, come abbiamo detto al suo luogo. Eccellentissimo viene di Nabalea, cognominato tenchite : prossimo a questo è il Babilonio ; pes­ simo l’ Africano, e senza odore. Esso è tondo, e di forza mordace alla lingua con sapore di vino. Lo schietto stropicciandolo getta odore di rosa, e i,suoi frammenti traggono in rosso. Caccia le ventosità, e perciò giova allo stomaco, e a coloro che ributtano la collera e il sangue. Ferma i sin­ ghiozzi, muove i rutti, provoca l'orina, e medica la vescica. Cuocesi a' bisogni delle donne. Ado­ perasi a coloro che hanno ritirati i nervi del collo, con ragia secca, che ha virtù riscaldativa.

BflDICINAB BX SCPRADICWS FLOBIBLS : EX ROSA, MED. XXXII.

1.XXIII. Roso adslringit, refrigerat. Usus ejns«iÌTÌtor in folia, et flores, el capila. Foliorum paries quae can d id ae, ungues vacantur : in flore aliud est semen, a liu d capillus: in capite, aliud corier, aliod caly x . Folium siccatur, aut tribus modis exprim itur. P e r se, quum ungues non detrahunlur: ibi e n im humoris plurimum. Ant cotn detractis u n g u ib u s , reliqua pars aut oleo aut vino m a c e ra tu r in sole vasis vitreis. Quidam el salem adm iscent, et anchusam nonnulli, ant Hpalalhum, a n t ju n c u m odoratum : quia talis naxime prodest v u lv a e ac dysentericis. Expri­ muntur eadem folia detractis unguibus, trita per lioleom spissum in aerenm vas, lenique igni iorcos co q u itu r, d o n e c fiat crassitudo mellis, ii hoc eligi o p o r t e t odoratissima quaeque folia.

o d o r if e r o , o t e d c h it b ,

M e d ic in e

10.

cbb si f a n n o d e i s u d d e t t i f i o r i : DELLA ROSA, 3 a .

LXXIII. La rosa ristringe e rinfresca i corpi. L ' oso suo è differente, secondo che ae ne adope­ rano le foglie, i fiori, e i capi. Le parti bianche delle foglie si domandano ugne. Nel fiore altro è il seme, allro il capello : nel capo altra la cortec­ cia, altra la boccia. La foglia si secca, o in tre modi si preme ; cioè, o per sè, quando le ugne non si levano, perciocché quivi è molto umore. O quando levate le ugne, l ' altra parte si macera ovvero in elio, o in vino al sole in vasi di vetro. Alcuni vi mettono anco il sale, e alcuni l'ancusa, o l ' aspalato, o il giunco odorato, perciocché tale mistura giova molto alla matrice, e a) male dei pondi. Premonsi le medesime foglie, già levate via le ugne, peste per pannolino fitto in un Taso di rame, e il sugo si cuoce a fuoco lento, finché si rassodi come il mele. A qoesto effetto si scel­ gono tolte le foglie più odorifere.

C. P U N I I SECUMDI

19. Vinum quomodo fieret e rosa, diximus inter geuera vini. Usus succi ad aures, oris ulcera, gingivas, tonsillas, gargarizatus, stomachum, vulvas, sedis vilia, capitis dolores. In febre per te, vel curo aceto ad somnos, nauseas. Folia urun­ tu r in calliblepharum. E l siccis femina adsperjiuntur. Epiphoras quoqne arida leniunt. Flos somnum facit. Inhibet fluxiones mulierum, ma­ xime albas, in posca potus: et sanguinis exscrea­ tiones. Stomachi quoque dolores, quantum ia vini cyathis tribus. Semeu his optimum crocinum, nec anniculo vetustius, et in umbra siccator. Ni­ grum inutile. Dentium dolori illinitur. Urinam ciet. Stomacho imponitur. Itera igni sacro non veteri. Naribus subductum caput purgat. Capita pota venirem cl sanguinem sistunt. Ungues rosae epiphoris salubres. Ulcera enim oculorum rosa sordescunt, praeterquam initiis epiphorae, ita pl arida cum pane imponatur. Folia quidem vi­ tiis stomachi, rosionibus el vitiis ventris, et itile* stinorum, et praecordiis utilissima, vel illita. Cibo quoque lapathi modo condiuulur. Caven­ dus in his silus celeriter insidens.

El aridis et expressis aliquis usos. Diapasmata inde fiunt ad sudore* coercendo*, ita ut a bali­ neis inarescant corpori, dein frigida abluantur. Silvestris pilulae cum adipe ursino alopecias mirifice emendant.

Ex LILIO, XXI. LXX 1V. Lilii radices multis modis florem suum nobilitavere, contra serpentium ictas ex vino potae, et contra fungorum venena. Propter clavos pedum in vino decoquuntur, tridnoque non solvuntur. Cum adipe aut oleo decoctae, jtilos quoque adustis reddunt. E mulso polae inutilem sanguinem cum alvo trahunt. Lienique, rl ruplis, vulsis prosunt, et mensibus feminarum, in vino vero decoctae, impositaeque cum meile nervi» praecisi» medentur. Lichenas, et lepras, «*l furfures in facie emendant. Erugant corpora. Folia io aceto cocla vulneribus imponuntur : epiphoris testium, melius cum hyoscyamo el farina tritici. Semeu illinitur igni sacro: flos et folia ulcerum vetustati. Succus qui flore expres­ sus est, ab aliii mei vocatur, ab alii» synuui, ad

19. In che modo si faccia il vino della rosa, già 1’ abbiamo detto ragionando de'vini. Usasi il sugo agli orecchi, alle crepature della bocca, alle gengie, alle enfiature della gola : gargarizzando­ sene giova allo slomaco, alle matrici, a'difetti del fondamento, e alle doglie del capo. Nella febbre giova da sè solo, e cou l ' aceto al sonno e al fa­ stidio dello stomaco. Le foglie a' abbruciano per medicina J ’ occhi : eoa le secche si medicano i peltignoni. Le aride guariscono ancora le lagrimazioni dagli occhi. 11 fiore fa sonno, ristagna i flussi delle donne, e massimamente i bianchi, be­ vuto con la posca ; e lo sputare del sangue. Leva auco i dolori dello slomaco, quanto basta in tre bicchieri di vino. Di questi il miglior seme è il giallo, nè più vecchio d ' un anno : seccasi al rez­ zo. Il nero è disutile. Mettesi sul dolore de’deuti, muove l ' orina, ponsi sullo stomaco, e guarisce il fuoco sacro, non vecchio. Posto sotto il naso p u r­ ga il capo. I capi suoi bevuti fermano il corpo e il sangue. Le ugne della rosa sono utili alle lagrimazioni degli occhi ; perciocché 1' ulcere di essi diventano sordide dell’ umor che stillano pel sugo delle foglie, fuorché nel principio della lagriraazione, pure che esso vi si metta su secco col pane. Le foglie a' difetti dello stomaco, a' rosicamenti e difetti del ventre e delle kudelle e alle precordia sono utilissime, ancora impiastrale. Condiscono ancora per mangiare a modo di sp i­ naci, ma voglionsi in ciò guardar dalla muffa, che tosto vi s1attacca sopra. Le secche e premute son buone a qualche co­ sa. Fannosene certe polveri odorose per frenare i sudori, in modo che dopo i bagni si secchino sul corpo, dipoi fredde si lavino. La rosa salvatica col grasso di orso giova maravigliosamente alle alopecie. D el

g ig lio , a i.

LXX1V. Le radici del giglio per molti m oda nobilitarono il fior loro, bevute col vino c o n ira i morsi delle serpi e contra il veleno de* fuoghi. Pei. calli de' piedi si cuocono nel vino, dove non b a ­ stano a sciorle tre giorni. Colte cou grasso, o c o n olio, fanno rimettere il pelo agl’ incolli. B e v u te col vin melalo mandano il saugue disutile p e r i l i solto, e giovano alta milza, a' rotti, agli s c o n v o lti e alle purgagioni delle donne. Colte col v in o , e postevi su col mele, guariscono i nervi ta g lia li, 1 « volatiche, la lebbra, e le forfore nella faccia. L e ­ vano le crespe a' corpi. Le foglie colte n e l l 'a c e l u si mettono sulle ferite. Con giusquiamo e fa ri o s i di grano giovano al male de' testicoli. 11 s e m e j , i impiastra al fuoco sacro : il fiore e le foglie a l l * , piaghe vecdiic. 11 augo premuto del suo f l o r e ,

.65

HISTORIARUM MONDI LIB. XXI.

emolliendas vulvas, sudoresque faciendos, et supporationes concoquendas.

E x BAftCUSO, xvi. LXXV. Narcissi duo genera in usa medici recipiant. U nam purpureo flore, et alterum her­ baceam. H unc stomacho inutilem, et ideo vomi­ torium, alvosque solventem, nervis inimicum, capat gravantem, et a narce narcissum dictum, noa a fabuloso puero. Otriusque radix ma Isei saporitesi. A m bustis prodest cum exiguo meile. Sic et vulneribus, et luxatis. Panis vero cum meile et avenae farina. Sic et infixa corpori ex­ trahit. Io polenta tritas oleoque, contusis mede­ tur, el lapide percussis. Purgat vulnera permi­ xtas farinae. N igras vitiligines emaculat. Ex hoc flore fit narcissinum oleum ad emolliendas duri­ tias, calfacienda quae alserint. Auribus utilissi­ mam : sed et capitis dolores facit.

£ v io l is ,

xxviii.

LXXVL Violae silvestres, et sativae. Purpu­ reae refrigerant. Contra inflammationes illinun­ tur stomacho ard enti. Imponuntur et capiti in fronte. Ocoloramn privatim epiphoris, et sede procidente, v u lv a e : et contra suppurationes. Crapulam, et gravedines capitis impositis coronis olfactoque d iscu tiu nt. Anginas ex aqua potae. Id qood purpureum e x iis, comitialibus medetur, maxime pueris, in aqua potum. Semen violae Korpiooibus a d v ersa tu r. Contra flos albae suppu­ rata aperit: ipsa d iscu tit. E t alba aulem et lutea extenuant n e n s tr u a , urinam cieut.

Miubr vis e s t recentibus: ideoque aridis post annum u teu du m . L u te a dimidio cyatho in aquae Iribus, menses tr a h it. Radices ejus eum aceto illitae sedant lie n e m : item podagram : oculorum salem inflam m ationes cum myrrha et croco. Fo­ ia cum meile p o r g a n t capitis ulcera : cura cera­ to rimas-sed is, e t q a a e ia homidis sunt. Ex aceto vero collectiones s a n a n t.

tC6

chiamato

SIVB POLYTBICHO, SIVB SAXIFRAGA : GElfBRA II ;

1 1

L TR CO, O SASSIFBAGO, SPECIE

2,

KBDIC. 2 8 .

■ EDICIRAE, XXVIII.

I/ad ian to ha un'altra maraviglia, per­ XXX. Aliad adianto miraculam : aestate vi­ XXX. ret, bruma non marcescit: aqaas respuit, perfn- ciocché la state sta verde, e il verno non marcisce: sum mersura te sicco simile est : tanta dissociatio e benché se gli getti l ' acqua, o vi si tuffi, non ti deprehenditor : unde et nomen a Graecis : alio- bagna,ma rimane asciutto; tanta è la disuguaglian­ qai frutici topiario. Quidam callitrichon vocant, za tra loro. Di qui ha preso il nome dai Greci. È molto germoglioso, e ricopre le pareti. Alcuni lo alii polytrichon, utrnmque ab effecta. Tingit chiamano callitrico, ed altri politrico, l’uno e l'al­ enim capillum : et ad hoc decoquitor in vino cum tro per cagione del suo effetto, cbe è di tingere i semine apii, adjecto oleo copiose, ut crispum capegli ; al che fare si caoce nel vino con seme di densnmqae faciat: defluere autem prohibet. Dno ejus genera : candidius, et nigrum bevius- appio e mollo olio : fa i capei folti e biondi, t non gli lascia cadere. Egli è di due ragioni ; bianco, e que. Id qnod majns est, polytrichon : aliqui trinero, ma più corto. Quello e h 'è maggiore si chomanes vocant. Utrtque ramnli nigro colore nitent, foliis filicis : ex quibus inferiora asperga chiama politrico, e da alcuni tricomane. L 'uno* P altro ba rami di color nero, e foglie di felce, I* ac fusca sunt : omnia autem contrariis pediculis cui parti di sotto son aspre e nericce : esse hanno densa inter se ex adverso : radix nulla. Umbro­ i picciuoli volti l'u n contra l’ altro, e si addensano sas petras, parieturaque aspergines, ac footium maxime specus sequitnr: et saxa manantia, quod incontrandosi oppostamente. Di radici fa senza. miremur, quum aqnas nòn sentiat. Calculos e Nasce in rupi ombrose, in pareti che gemano, • corpore mire pellit, frangitque, utique nigrum. massimamente in ispelonche derivanti acqua; Q aa de cansa potias qaam quod in saxis nascere* non che in sassi che grondeggino, il che è da ma­ ta r, a nostris saxifragam appellatam crediderim. ravigliare, perchè non sente l’ amido. H nero Bibitur e vino, quantum terni decerpsere digiti. leva e frange la pietra. Il perchè io credo che i noatri lo chiamino sassifrago piuttosto p e r questo, Urinam cient. Serpentium et araneorum vene­ che perch*e' nasca in luoghi sassosi. Beesi col vino nis resistunt. In vino deoocti alvum sistunt. Ca­ pitis dolores corona ex his sedat. Contra scolo* quanto se ne può pigliare con ir* dita. Muovono

HISTORIARUM MUNDI U B. XXII. pendrac morsas illinuntur, crebro auferendi, ne perurant : hoc et in alopeciis. Strumas discu­ tiant, farfuresque io facie, et capitis mananlia ulcera. Decoctum ex his prodest suspiriosis, et joctneri, et lieni, et felle suflusis, et hydropicis. Stranguriae illinuntur, et renibus cam absinthio. Secunda» cient, e l mensUrna.

Sanguinem sistunt ex aceto, aut rubi succo poti. Infantes q uo qu e exulcerati perunguntur ex iis cum rosaceo et vino prius. Folium inurina pueri impubis, tritum quidem cum «phronitro, et illitum ventri mulierum, ne rugosus fiat prae­ clare dicitur. Perdices et gallinaceos pugnaciores lien putant, in cibum eorum additis: pecorique mk utilissimos.

Db

f ic h id b ,

i.

Thesiuk,

i.

XXXI. aa. P icris ab insigni amaritudine co­ gnomina lur, ut diximus : rotundo folio. Tollit exiiuie verrucas. Thesium quoque non dissimili amaritudine est: sed purgat alvum ; in qnem usum teritur ex aqua. A

sphod elum ,

l i.

XXXII. Asphodelum de clarissimisberbatum, quam heroneon aliqui appellaverunt, Hesiodus et in sil*is nasci d ix it. Dionysius, marem ac fe­ minam esse. Defectis corporibus et phthisicis conslat bulbos eju s cum piisana decoctos, aptis­ sime dari: panem que ex his cum farina subactis, saluberrimum este. Nicander et contra serpentes •c scorpiones, vel caulem, quem anlhericon vo­ cavimus, vel sem en, vel bulbos dedit in vino tri* bus Jr^cbmis: substravilque somno contra hos melos. Dator e t contra venenata marina, et con­ ira scolopemlras terrestres. Cochleae mire in Campania caulem euro persequuntur, et sugendo arefaciunt. Folia quoque illinuntur venenatorum «uloeribus ex vino. Bulbi nervis arliculisque eum polenta tosi illinuntur. Prodest et concisis ex aceto lichenas fricare : item ulceribus putreKeatibns ex a q u a im ponere: mammaram quo­ que et testium inflammationibus. Decocti in Lo­ ce vini, o culorum opipboris supposito linteolo cedentur. F e re in quocumque morbo magis de­ coctis medici u tu n tu r. Item ad tibiarum tetra obera, rim asque corporum quacumque in parte, fana arefactorum . Autumno aulem colliguntur, quum plu rim u m valcul. Succus quoque lusis

au

P orina. Resistono al veleno delle serpi e dei ra- I gni. Cotti nel vino ristagnano il corpo. Facendo­ ne ghirlanda miligan la doglia del capo. Fassene empiastro al morso della scolopendra, e spesso si levano, acciocché non abbrucino ; il che si osser­ va anco nelle alopecie. Levano le scrofe, e la for­ fora nel viso, e l ' ulcere del capo che colano. La lor cocitura giova a* sospirosi, al fegato, alla mil­ za, a chi ha sparso il fiele, e ai ritruopichi. Pongonsi con assenzio alle slrengurie e alle reni. Pro- 1 vocan le seconde e i mesi delle donne. Beeudoli cou aceto, o con sugo di pruno, ri­ stagnano il sangue. I bambini che hanno rogna, 0 lattiate, s' ungono con questi, ma prima con olio rosalo e con vino. Le foglie loro peste in orina di fanciullo con salnitro Africano, impia­ strate sul ventre delle donne fanno che non di­ venta grinzo. Le starne e i galli mangiando di essi divengono più fieri a combattere, e dicono che sono utilissimi ai bestiami. D e lla

p ic b id b ,

i. D e l

t e s io ,

i.

XXXI. aa. La pieride è così chiamala, come dicemmo, per la sua grade amaritudine. Ha foglia tonda. Leva maravigliosamente i porri. 11 tesio non è puuto meno amaro, ma purga il corpo, trito nell'acqua. D ell*

asfo d elo ,

5 i.

XXXII. L’ asfodelo è Ira P erbe più nobili, il quale alcuni chiamano eroneo. Esiodo dice che nasce nelle selve; e Dionisio, che v 'è il maschio e la femmina. Le sue cipolle, cioè i capi delle ra­ dici che mettono, cotte con l'orzata si danno con grandissimo vantaggio ai corpi estenuati e tisichi, e il pane d' esse impastate con la farina è utilissimo. Nicandro ne diede nel vino a peso di tre dramme, contro le serpi e gli scorpioni, o il gambo suo, il quale chiamammo anterico, o il se­ me, o i bulbi : e li pose sotto a chi dorme contra queste paure. Dassi ancor* con tra i veleni di ma­ re, e conira le scolopendre terrestri. Le chioc­ ciole in Terra di lavoro vanno maravigliosamente dietro a questo gambo, e succiando lo seccano. Le foglie ancora si pongono col vino sulle ferite vele* nose. Le sue cipolle s ' impiastrano a* nervi e alle congiunture, peste con polenta. Giova fregarle, poi che trite furono nell'aceto, sopra le volatiche: similmente con acqua giovano alle piaghe pu­ trefatte, e alle infiammagioni delle poppe e dei testicoli. Cotte nella feccia del vino guariscono le lagrimazioni degli occhi, postovi sotto pezzolina. 1 medici le usauo piuttosto eolie quasi in ogni ma­ lattia} e così ancora alle piaghe brulle delle gam-

C. P U M I SECUNDI be, e alle fessure dei corpi, in qualunque membro ci siano, asciugando prima ben bene con farina. Colgonsi nell'autunno, nel qual tempo possono as­ sai. Il s u g o ancora delle peste o delle cotte g i o T a col melle alla doglia del corpo, e con iride e un po­ co di sale a coloro che affettano di aver giocondo odore nel corpo. Le foglie ancora medicano le cose sopraddette, le scrofe, le enfiature e le cre­ pature del viso, cotte col T i n o . La cenere della radice guarisce le alopecie e le crepature dei pie­ di. 11 sugo della radice cotta guarisce i pedignoni e le incotlure. S1infonde negli orecchi a chi ha l’ udir grosso; e al dolor dei denti s'infonde nell'orecchio della contraria parte. La radice b e T u t a moderatamente giova ancora all' orina, ai menslrui, e ai dolori di fianco ; e bevuta nel t ì o o a peso d’ una dramma g i o T a ai rotti, agli sconvolti e alla tosse. La medesima masticata fa­ cilita il vomito. Pigliando il seme si turba i l ventre. Chrysermus et parotidas in vino decocta ra­ Crisernio con la radice colla nel vino curò le dice curavit : item strumas, admixta cacbry ex posteme dietro agli orecchi e le scrofe, mescolan­ vino. Quidam ajonl, si imposila radice pars ejus dovi la cacri col vino. Dicono alcuni che se, in fumo suspendatur, quartoque die solvatur, mettendovi su questa radice, una parte d ' essa si una curo radice arescere strumam. Sophocles ad appicca al fumo, e il quarto dì si scioglie, la scro­ podagras utroque modo, coeta crudaque, usus fola si secca insieme con la radice. Sofocle l ' usò est. Ad perniones decocla ex oleo dedit, et suf­ nell' uno e l'altro modo, cotta e cruda, alle gotte. fusis felle in t ì i i o , et hydropicis. Venerem quo­ La diede cotta con l'olio ai pedignoni, e nel que concitari cum vino et meile porunctis, ant vino a chi ha sparlo il fiele, e ai rilruopichi. D i­ bibentibus tradidere. Xenocrates et lichenas, cono ancora che s ' accende la lussuria a coloro psoras, lepras, radice in aceto decocta, tolli dicit. che se n' ungono, o che la beono col vino e col Ilem si cocta sit cum hyoscyamo et pice liquida mele. Dice Senocrate che con la radice cotta nelalarum quoque et feminum vitia : et capillum l ' acelo T a n n o T ia le T o l a li c h e , le rogne e la le b ­ crispiorem fieri, raso prius capite, si radice ea bra ; e se è cotta con giusquìamo e pece liquida fi icetur. Simus lapides renum in vino decocta guarisce ancora i mali, che Tengono sotto le atque pola eximit. Hippocrates semen ejus ad braccia e nelle coscie ; e se avendo prima raso il impetus lienis dari censel. Jumentorum quoque capo, vi si frega sn questa radice, i capegli si ulcera ac scabiem, radix illita, aut decoctae suc­ fanno più crespi. Sirao dice che cotta nel vino e cus ad pilum reducit. Mures eliam eadem fugan­ bevuta leva le pietre delle reni. Ippocrate dà il tur, caverna praeclusa moriuntur. seme di essa agl' impeti della milza. La radice impiastrata guarisce le scorticatore e lai' scabbia delle bestie, e il sogo della cotta vi fa rim ettere il pelo. Questa medesima fa fuggire i topi, i quali rinchiusi nelle buche loro si muoiono.

expressus aot decoctis utilis fit corporis dolori. ' cum raelle : idem odorem carporis jucundum af­ fectantibus, coi iri arida et salis exiguo. Folia eliaiu supra dictis medentur, et slrurais, panis, ulceribus in facie, decorta in Tino. Cinis e radice alopecias emendat, et rimas pedum. Decoctae ra­ dicis in oleo succus, perniones et ambusta. Et ad gravitatem aurium infuodilur: a contraria aure in dolore dentium. Prodest et urinae pota modi­ co radix, et menstruis, et lateris doloribus : item ruptis, convulsis, tussibus, drachmae poudere in vino pota. Eadem ct Vomitiones adjuvat com* mauducata. Semine sumpto turbatur venter.

Alimok, xit.

D e l l * a l i n o , * 4-

XXX1U. Asphodelum ab Hesiodo qoidam aliraon appellari existimavere, quod falsura arbi­ tror. Est euim suo nomine alimon, non parvi et ipsum erroris inter auctores. Alii enim frnlicem esse dicunt densum, candidum, sine spina, foliis oleae, sed mollioribus : coqui autem haec cibo­ rum gratia. Radix tormina discutit, drachmae pondere in aqua mulsa pota : item conTulsa, el rupta. Alii olus maritimum esse dixere salsum, el

XXXHI; Alconi tengono eh'Esiodo chiama alimo l ' asfodelo, il che non è vero. Perchè c ' è 1*alimo propriamente detto, cagione anch'esso di non piccolo errore fra gli autori. Perciocché alcuni dicono eh’ egli è nn cespuglio folto, bian­ co, senza spina, con foglie di ulivo, ma più tene­ re, e che questo si cooce per mangiare. La radice bevuta in acqua melata a peso d' una dramma caccia i tormiui, e le cose sconvolte e le rolte.

HISTORIARUM MUNDI LIB. XXII. in rotunditatem longis, U u d a i M iu c i b i s . Duorum praeiere* generum, silT«lre, et m itiu s : ulruraqae prodesse dysenlerids etiam exulceretis cum pane, stomacho vero ex «ceto. U lceribus vetustis illini crudum, et vulnerum recen tiu m ir a pe l u s leniri, et luxato* rvm pedum ac vesicae dolores. Silvestri tenuiora folia, led iu eisdem remediis effectus majores, et in sananda ho m in um ac pecorum scabie. Praeie­ re* oilorero co rp o ri fieri; dcnlibusque cando­ rem, si frice n lu r radice ea. Semine linguae sub­ dito si lira o o n sentiri. Hoc quoque mandi et utraque etiam condiri. Cratevas terlium quoque genas tradidit, longioribus foliis et hirsutioribus, odore cupressi : u a s c i sub edera maxime : pro­ desse o p isth o to n is, contractionibus nervorum, tribas obolis i o sextarium aquae. io d e

m m c d

A c a s td o s ,

, fo liis

s iv b

f a e d x h o s , s iv b m r l a m p h y l l o s ,

v.

Altri dissero eh’ i cavolo marino salso, e ehe di qui ha preso il notne, con le foglie rifondate in lungo, tenuto per cosa eccellente da mangiare: che è di due ragioni, cioè salvatico e domestico, e T nno e I1altro giova al male dei pondi ed a chi è scorticalo col pane, e allo stomaco con l’a­ ceto : che impiastrasi crudo alle piaghe vecchie, e mitiga l ' empito delle ferite fresche, e i dolori dei piedi uscili dei loro luoghi, e della vescica: che il salvatico ha le foglie più sottili, ma nei medesimi rimedii fa gli effetti maggiori, e nel guarire la scabbie degli uomini e delle bestie : che inoltre fa la pelle rilucente, e i denti bianchi, se si fregano con quella radice : che il seme posto sotto la lingua non lascia sentire la sete ; e che questo ancora si mangia, e l ' uno e 1*altro si con­ disce. Crateva ne mette una terza specie, che ha foglie più lunghe e più aspre, odore di cipres­ so, e nasce massimamente sotto l'ellera. Dice che questo giova allo spasimo, che per ritirare i nervi tira la testa all’ indietro verso le spalle, e ai nervi rattrappati, preso alla misura di tre oboli in un sesiario d'acqua. D e l l ’ a c a s t o , o p e d e b o t e , o m e l a h f i l l o , 5.

XXXIV. L'acanto è erba topiaria e di citlà, XXXIV. A canthi, topiariae et urbanae herbae, con foglia larga e lunga, la quale ricuopre le elalo longoque folio, crepidines marginum, adsurripe dove corre l’ acqua, e i vivagni delle aiuole feolium que pulvinorum loros vestientis, duo rilevate. È di due ragioni, appuntalo, e crespo, genera sunt : acnlealam el crispum, quod bre­ il quale è più corto. L'altro è delicato, da alcuni vias : alleram laeve, quod aliqui paederota vo­ dello pederote, da altri melanfillo. Le radici di cant, alii melarophylluin. Hujus radices ustis luxaquesto giovano mirabilmente agl'incotti, ed a tisquc mire p ro au n t : ilem ruptis, convulsis, et phibisio m e tu en tib u s incoctae cibo, maxime pti— chi ha i membri sconci, a chi ha la carne rotta, o crepala, a chi teme il tisico, mangiandola colta, sana. Podagris q a o q a e illiounlur tritae et cale, specialmente eoa la orzata. Fessene ancora em­ factae calidis. piastro alle gotte, tritandola e scaldandola. B cplroboh , v.

D el b o p l e u b o , 5.

XXXV. B a p le u ro n in sponte nascentium ole* XXXV. 1 Greci mettono nel numero dell' er­ rum nam ero G raec i habent, caute cubitali, foliis be, che dascooo da loro stesse, il bupleuro, ebe ba il gambo luogo un braccio, e molte foglie e multis lo ng isq ue, capite anethi, laudatum in cibis lunghe, il capo d1aneto, lodato nei cibi da Ippoab H ippocrate : ia medicina a Glaucone, et Ni­ era te, e nelle medicine da Glaucone e da Nican­ candro. S em e n contra serpentes valet. Folia ad dro. 11 seme suo vale conira le serpi. Le sue fo­ secundas fe m in a ru m , vel succum ex vino illinunt: glie s ' impiastrano alle donne per le secondine, et strumis folia cum sale et vino. Radix contra ovvero il sugo col vino. Le foglie col sale e col serpente* d a t a r in vino, et urinae oieadae. vina s’adoperano alle scrofe. La radice si dà nel vino contra le serpi, e a muover l ' orina. B o fe b stii , i .

D bl

b o p m s ti, i.

XXXVI. I Greci con gran leggerezza lodano X X X V I. B u p r e s ti» magna inconstantia Graeci molto il bupresti nei cibi, e vogliono ancora che ia laudibus c ib o ru m etiam habuere : iidemque ei sia rimedio conira il veleno. 11 nome suo direnedia ta m q u a m contra venenum prodiderunt. i5 P l w io 1. N., Vol. 1).

C. P U N II S&CUND1

227

22%

E l ipsum nomen indicio est boom certe venenum esse,quos dissilire degustata fa tentar. Quapropter nec de hac plura dicemus. Est vero causa, quare venena monstremus inter gramineas corona*, nisi libidinis causa expetenda alicui videtur, quam non aliter magis accendi palant, quam pota ea.

mostra come egli è veleno ai buoi, i quali gastaadolo $000 forzati saltare. Epperò non ne diremo più cose. Nondimeno è di ragione essere da noi dimostri i veleni ch'entrano nelle corone di gra­ migna, acciò cbe altri ne sia avvertito; se pare non è quest’erba da taluno ricerca per cagion di lussuria,stimando che non si possa essa infiammar più, che col bere del sugo di lei.

E lapb obosc oh , IX.

D e l l * ela fo b o sc o , 9 .

XXXVII. L’ elafobosco è come ferula, e ha il XXXVII. Elaphoboscon ferulaceum est, geni­ gambo a boccinoli grosso quanto un dito, e il culatum digiti crassitudine, semine corymbis dependentibus, silis effigie, sed non amaris, foliis seme simile a quello del seseli in grappoli penzigliauti, ma non amari : le foglie sono come di olasairi : et boc laudatam in cibis. Quippe etiam conditum prorogator ad arioam ciendam, lateris olusatro, e lodasi fra i cibi. Tiensi ancora in con­ serva per provocar 1’ oriua, per guarire la doglia dolores sedandos, rapta, convulsa sananda, infla­ del fianco, le parli rotte, o spiccate, e per levare tiones discutiendas, colique tormenta. C ontri le ventosità e la passione dell’ iuleslino colon; serpentium omniamque aculeatorum ictus. Quip­ pe (ama est, hoc pabalo cervos resistere serpen­ non che contra le serpi, e ogni pu ntu ra degli ani­ mali che hanno l’ ago. Dicono che i cervi con tibus. Fistulas quoque radix nitro addito illita sanat. Siccanda autem in eos usus prius est, ne questo cibo resistono alle serpi. La sua radice col succo suo madeat, qui contra serpentium ictus nitro guarisce le fittole. Ma prim a ai secca, che non facit eam deteriorem. s ' adoperi alle già dette cose, acciocché non sis molle del suo sugo, il quale la fa manco vakre contra i morsi delle serpi. S c a h d ix , x . A h t h &iscus , i i .

XXXVIU. Scandix quoque in olere silvestri a Graecis pooitur, ut Opion et Erasistratas tra­ dunt. Item decocta alvum sistit. Semine singul* tus confeslim ex aceto sedat, lllioitur ambustis, urinas ciet. Decoctae succus prodest stomacho, jocineri, renibus, vesicae. Haec est, quam Aristo­ phanes Euripidi poetae objicit joculariter, ma­ trem ejus ne olus quidem legitimum venditasse, sed scandicem. Eadem erat anthriscus, si tenuiora folia et odoraliora haberet. Peculiaris laus ejus, quod fatigato Venere corpori succurrit, marceutesque senio jam coitus excitat. Sistit profluvia alba feminarum. I a s io k b , IV .

D e l l a scan dicb, 1 0 . D e l l ’ a h tb is c o , a.

XXXVIII. 1 Greci pongono ancora la scandice fra gli erbaggi salvalichi, siccome dicono Opione ed Erasistrato. Cotta rislagoa il corpo. Il seme suo stato nell’ aceto ferma il singhiozzo. Poasi io su’ cotti, e muove l’ orina. 11 sugo della cotta gio­ va allo stomaco, al fegato, alle reni e alla vescica. Questa è quell’ erba, che Aristofane im provera per gioco ad Euripide poeta, dicendo che la sua madre neppur cavolo vero avea vend uto , m a scan­ dice iti quella vece. Lo antrisco sarebbe eguale, a1 e g l i avesse le foglie più sottili « p iù odorifere. L a aua pecdliar virtù è, eh’ egli soccorre al corpo a f f a t i c a t o nella battaglia amorosa, e desta il coito g i à stracco per vecchiaia. Ristagna il flusso bianco d e l l e d o n n e . D e l l ’ ia s io h e , 4 .

XXXIX. Et iasione olus silvestre habetur, in XXXIX. Lo iasione anch’ egli è e r b a a a l v a li terra repens, cum lacte multo : florem fert can­ ca. Va per terra, ed ha di molto la tte : fa il fior didum : concilium vocaut. E t bujus eadem com­ bianco, che chiamasi concilio. A ncb'esso è lodato mendatio ad stimulandos coitus. Cruda ex aceto al medesimo effetto di destare la lu san ria. Cibato in cibo sumpta, mulieribus lactis ubertatem prae­ crudo con l’ aceto dalle femmine, c re sc e lo ro il stat. Salutaris est phthisin sentientibus, lufanlatte. E utile a chi sente di tisico. P o s t o sul capo tium capiti illita, nutrit capillum tenacioremque ai bambini, nutrisce i capegli, e fa l a c o t e n n t più ejus culem efficiL , tenace.

HISTORIÀROM MUNDI LIB. XXII.

CiDUlM, Zìi. XL. E slu r e t eaocalis, fenieulo similis, brevi caale, flore candido, cordi utilis. Saccos quoque ejus bibitur, stomacho perqnam commendatus, el ariose, calcalisque et arenis pelleodis, et vesi­ cae pruritibus. Exlenoat et lienis, jocineris, reniomque pituitas. Seroen menses feminarum adju­ tat, bileaique a p arta siceat. D atar et contra profluvia geniturae viris. Chrysippus et conceptioaibas eam putat conferre multum : bibitur io vino jejunis. Illinitur et eonira venena roarinoram, sicul Petriehas in carmine suo significat.

S

iu m , v i .

XLI. His ad n u m en n i et sium, latius apio, in aqoa nascens, pinguius, nigriusque, copiosum semine, sapore nasturtii. Prodest urinis, renibus, lienibus, raulicrumque mensibus, sive ipsum in cibo sumptum, sive jus deeocti, sive semen e vino drachmis duabus. Calculos rumpit, aquisque quae gignant eos, resistit. Diseutericis prodest infusum. Item iHilum lentigini, et mulierum vi­ tiis in facie noctu illitum, momentoque cutem emendat, et ramices lenii, eqaoram etiam sca­ biem. Sar.YBCM.

XL 1I. Silybum, chamaeleoui albo similem, aeque spinosam, ne iu Cilicia quidem, aul Syria, aut Phoenice, ubi uascitur, coquere tanti est: ita operosa ejus culina traditur. In medicina nul­ lum usum habet. ScOLYMOH, SIT* MMOHIOV, V.

XLUI. Scolymon quoque in eibos recipit Oriens, et alio nomine limoniam appellat. Frutex est numquam cubitali altior, cristisqUe foliorum ac radice nigra, sed dulci : Eratostbeni quoque laudata in pauperis coena. Urinam ciere praeci­ pue tra d itu r : sanare lichenas e) lepras ex acelo. Tenerem stimulare in vino, Hesiodo et Alcaeo testibus : qui fiorente ea cicadas acerrimi cantus esae, et mulieres libidinis avidissimas, virosque ia coitum pigerrimos scripsere, velut providentia naturae hoc adjum ento tuoc valentissimo. Item graveolentiam alarum emendat radicis emedulla­ tae uncia, io vini Falerni heminis tribus decocta ai tertia*, e t a balineo jejuno, itemque posteih ttc ja th if slogati* pota. Miram est* qaod Xe>

D el

caucalb, i

a.

XL. Mangiasi ancora il caucale, il quale i si­ mile ai finocchio : ha it gambo corto, il fior bian­ co, ed è utile al cuore. Beesi ancora il suo sugo, il quale è molto accomodato allo stomaco, all* orina, a cacciare la pietra, la renella e il pizzicore della vescica. Assottiglia la flemma della milza, del fegato e delle reoi. 11 seme suo aiuta i mesi delle donne, e rasciuga la collera dopo il parto. Dassi inoltre agli uomini sfilati. Crisippo tiene che essa aiuti molto lo ingravidare. Beesi col vino a digiuno. Fassene ancora empiastro coatra il veleno degli animali marini, come scrive Petrico ne* suoi versi. D b l sto, 6 . XL 1. A questi aggiungono il sio, il qaale na­ sce bell' acqua, ed è più largo che 1*appio, più grasso e più nero, copioso di seme, e di sapore del nasturzio. Giova alla orina, alle reni, alla milza e ai me«i delle donne, sia mangiandolo, sia beendo la sua cocitura, o il seme col vino a peso di doe dramme. Rompe la pietra, e resiste alle acque che la fanno. Al male de'pondi giova infuso. Impiastrasi alle lentiggini : ai difetti nel viso delle donne s'impiastra la notte, e subito fa bella cute : mitiga l ' ernie, e leva la rogna de* cavalli. D el

s il ib o .

XL 1I. Il silibo è simile al cameleone bianco, e spinoso cora'esso : in Cilioia, o in Soria, o in Fenicia, dove nasce, non franca la spesa a cuo­ cerlo ; tanto è difficile la sua cucitura. In medi­ cina nou è buono a nulla. D e l l o s c o l i m o , o li m o b i o ,

5.

XLI 1I. Lo scolimo eziandio s ' usa per ciho in Levante, e per altro nome si chiama limonio. Non cresce mai più che un braccio. Ha crestate le foglie, e la radice nera, ma dolce. Eratostene lo loda per la cena di un povero. Dicesi sopra tutto che egli muove l ' orina, e che con l ' aceto guari­ sce le volatiche e la lebbra. Col vino risveglia la lussuria, secondo Esiodoe Alceo, i qnali dicono che quando ei fiorisoe, le cicale cantano a più potere, e che gli uomini sono pigrissimi al coito, dove al­ l'incontro le donne ne sono desiderosissime, co­ me se la natura avesse proveduto questo per otti­ mo aiuto. Leva 1* odore cattivo di sotto le braccia, togliendo un' oncia della sua radice senza midolla cotta in tre emine di vino Falerno fin che scemi

a3 i

C. PLINII SECUNDI

nocrales promittit experimento, vilium id ex «lis per urinam efflaere.

per terzo, e beendola a digiuno dopo il bagno o dopo il cibo in Ire bicchieri, presi uno per volta. Maraviglia è ciò che dice Senocrale, aver conosciuto per prova, che quel cattivo putto se ne va per l’ orina.

SOSCHOS : O U I U l i , MBDICI1U B XV.

D e l s o h c o , s p e c i e 2 , v b d i c . i 5.

XL 1V. Estur et sonchos (ut qaem Theseo •pud Callimachum adpooat Hecale), uterque, albus et niger: lactucae similes ambo, nisi spioosi essent : caule cabi la Ii, anguloso, intus cavo, sed qui fractas copioso lacte manet. Albus, qui e lacte nitor, utilis orlhopnoicis lactucarum modo, ex embammate. Erasistratus calculos per urinam pelli eo monstrat, et oris graveolentiam comman­ ducato corrigi. Succus trium cyathorum memura, in vino albo et oleo calefactus, adjuvat parius, ita u t a partu ambulent gravidae. Dalur el in sorbitione. Ipse cauli* decoctus facit laciis abun­ dantiam nutricibus, coloremque meliorem infan­ tiam : utilissimas his, quae lac sibi coire sentiant. Instillatur auribus succus, calidusque in strangu­ ria bibitur cyathi mensura, el in stomachi rosio­ nibus cum semine cucumeris, nndeisque pineis. Illinitur et sedis collectionibus. Bibitur contra serpentes scorpionesque ; radix vero illinitur. Eadem decocta in oleo, punici mali calyce, aurium morbis praesidium e»t. Haec omnia ex albo. Cleemporus nigro prohibet vesci, ut morbos faciente, de albo consentiens. Agathocles etiam con­ tra sanguinem tauri demonstrat succum ejus. Refrigeratoriam tamen vim esse convenit nigro, et hac caasa imponendum cura polenta. Zenon radice albi stranguriam docet sanari.

X L 1V. Mangiasi aucora il soneo (poichéCal­ limaco dice eh' Ecale lo diede a Teseo ), tanlo il bianco che il nero : amendae son simili alla lat­ tuga, se non fossero spinosi : hanno il gambo lungo un braccio, a canti e vólo dentro, il qnale rompendosi manda fuori di molto latte. Il bianco, il quale riceve quel colore dal suo latte, é utile nel modo che le lattughe metterlo per condimento ne'cibi a chi non paò alitare, te non con difficoltà. Erasistrato dice che con esso si mandano fuora le pietre per I' orina, e masticato fa buono alilo. Il sugo alla misura di tre bicchieri in vin bianco e riscaldato cou Polio aiuta i p arti, in modo che le gravide cammiuino dopo il parto. Dassi ancora a bere. II gambo cotto fa dovizia di lalte alle balie, e miglior colore ai bambini : è utilissimo a quelle che si sentono rappigliare il latte. Il sugo si »liM* negli orecchi, e beesi caldo nella stranguria alla misura di un bicchiere, e nei rosicamenli dello stomaco col seme del cocomero e con pinocohi. Fessene empiastro ancora alle raccolte d 'amore nel fondamento. Beesi conira le serpi e gli scor­ pioni, e la radice s'impiastra. Essa colla nell'olio in ana buccia di melagrana, giova al male degli orecchi. Tutte queste cose sien dette del bianco. Cleemporo non vuole che il nero si mangi, perchè fa male : del bianco acconsente. Agatocle ancora dice che il sugo di esso vale contra il sangue del toro. Nondimeno pare che il nero abbia forza di rinfrescare, e perciò è da porlo con la polentaZenone insegna che la radice del bianco guarisce gli stranguglioni.

CORDBILLOR, SIVB COHDEILLE, III.

XLV. Condrillon, sive condrille, folia babet intubi, circumrosis similia, caulem minus peda­ lem, sacco madentem amaro, radice fabae simili, aliquando numerosa. Habet proximam terrae mastichen tubercolo fabae, quae ad posita femina­ rum menses trahere dicitar. Tusa cum radicibus tota dividitur in pastillos, contra serpentes, ar­ gumento probabili: si quidem mures agrestes laesi ab his, hanc esse dicantar. Succus ex viao oocUe, alvum sistit. Eadem palpebrarum pilos inordinatissimos, pro gummi efficacissime regit. Dorotheus stomacho et concoctionibus utilem carminibus suis pronuntiavit. Aliqai feminis, et

D el

c o r d b il l o , o c o h o b i l l b ,

3.

XLV. Il condrillo, ovver condrille, ha le fo­ glie simili alla indivia, che paiono corrose all' in­ torno ; il gambo manco di nn piè, che gocciola sugo amaro,e la radice simile alla fava, alcuna vol­ ta numerosa. Ha presso alla terra mastice grande quanto una fava, la quale posta sulle donne diccsi che cavalor fuori i menstrui. Il condrillo pesto in­ tero con le radici si di divide in paslegli. e vale con­ tra le serpi con probabile argomento, perocché si dice che i topi salvatichi offesi dalle serpi mangia­ no di questa erba. Il sugo del cotto nel vino rista­ gna il corpo. 11 medesimo, come la gom m a, efficacissimamente ritiene i disordinali peli delle pai-

Hi

HISTORIARUM MUNDI L1B. XXII.

23*

ocolts, g en eralio n iq ae virorum contrariam pu­ tavere.

pebre. Doroteo ne' suoi versi disse che esso giova allo stomaco e alla digestione. Alcuni hanno te­ nuto che ei sia contrario a* pedignoni, agli oc­ chi e allo ingenerare de' maschi.

D b BOLETIS : PaoPBIETATBS BOBOBf IN NASCBHDO.

BoLBTl : LOBO PBOPBIETÀ NASCENDO.

XLVI. ln le r ea quae temere m anduutur, et boletos m erito potuerim , optimi quidem hot cibi, sed immenso esem plo in crimen adductos, vene­ no Tiberio Claudio principi per hanc oceasionem a conjuge Agrippina dato: quo facto illa lerris venenum alteram , sibique ante omoes, Neronem tuum dedit. Quorum dam ez bis tacile noscuntur venena, diluto rubore, rancido aspectu, livido intus eoiore, rimosa stria, pallido per ambitum labro. Non sunt haec in quibusdam : siccique, et nitri similes, veluti guttas io vertice albas ex tanica sua gerunt. Volvam enim terra ob hoc prius gignit, ipsum postea in volva, ceu in ovo est luteum. Nec tunicae mitior gratia in cibo in­ fantis boleti. Rumpitur haec primo nascente : n o x increscenle, in pediculi corpus absumitur, raroque umquara geminis ex uno pede. Origo prima causaque e limo, et ncescente succo ma­ deatis terrae, au t radicis fere glandiferae : ioitioque spnm a lentior, dein corpus membranae simi­ le, rnox partus. Ut diximus, illa pernicialia, pror­ sos im probanda. Si enim caligaris clavus, ferrive aliq u a robigo, aut panni marcor adfuit nascenti, om nem illico succum alienum saporemque in venenum concoquit: deprehendisse qui, nisi agre­ stes, possunt, atqne qui colligunt ? Ducunt ipsi alia v itia : et quidem si serpentis caverna juxta fuerit, si patescentem primo adhalaverit, capaci venenorum cognatione aJ virus accipiendum. Itaque caveri conveniet, pritta quam se condant serpentes.

Signa e r a n t t o t berbae, tot arbores frnticetqoe, ab em ersu e a ru m ad latebram usque ver­ santes: et vel frax io » tantum folia, nec postea nascentia, nec a n t e decidentia. E t boletis quidem ortus occatusqae o m n is intra dies septem est.

XLVI. Fra quelle cose che inconsideratamen­ te si mangiano, a me pare cbe meritamente si debbano porre i funghi boleti, che certo sono molto dilettevoli al gusto, ma per un notabile esempio dannati, rispetto al veleno che in essi fu dato a Tiberio Claudio imperadore da saa mo­ glie Arippina ; onde essa poi avvelenò tutto il mondo, e molto più sè stessa per mezzo di Ne­ rone suo figlioolo. Di alcuni di essi facilmente si conosce il veleno, quando hanno un certo rossore sparso, con aspetto rancido, e dentro il color li­ vido con fessure striate, e pallido Porlo d'intorno. Alcuni non hanno queste cose, e secchi sono si­ mili al nitro, e portano come gocciole bianche nella cima della tonaca. E per questo la terra genera prima la volva, dipoi nella volva, come nell' uovo, il giallo Nè piace punto meno per mangiare la tonaca del boleto giovanetto. Questa si rompe quando nasce, poi nel crescere se ne va tutta nel gambo,e rade volte accade che ne sieno due in un piede. L 'origine prima e la causa vien dal limo e dal sugo della terra umida che comincia ad acidire, o dalla radice di pianta ghiandiferai da principio è una sostanza più tenace che non la schiuma, dipoi si fa corpo simile a pellicola, e finalmente ne viene il parlo. Queste, come ab­ biamo detto, son cose peruiziose, e però da fug­ gire ; poiché te il boleto, quaodo si genera, ba vicino o bottone da calzari, o ferro ruginoso, o panoo marcio, subito riceve quel sugo e quel sa­ pore e lo ricuoce in veleno ; e chi lo può ricono­ scere, se non i contadini e chi li coglie? Contrag­ gono i funghi eziandio altri difetti ; se la buca di qualche serpe vi foste pretso, o se quando n a ­ scono ei vi t ' abbatte ad alitarvi aopra ; perchè la natura di essi è capacissima a ricevere ogni qua­ lità di veleuo. Però bisogoa molto guardarsene, prima che le serpi t ’ ascondano. 1 segni del loro sparire saranno l'erb e, tanti alberi e tanti sterpi, i quali da che le serpi esoon fuori Hoo a che si ripongono stanno verdi ; e bastano anche a dare tal segno le foglie del fras­ sino, le quali nè poi nascono, nè avanti caggiono. I boleti cominciano e finiscono in selle giorni.

a36

G. PLINII SECONDI

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D b n « g h : f o n i t b r b m a t o i u v . M e d ic i m i e e x ■

is ,

i» .

XI^VII. aS. Fungorum lentior nalura, et nu­ merosa penerà, sed origo non nisi ex pituita ar­ borum. Tutissimi, qui rubent callo, rninas dilato rubore, quara boleti. Mox candidi, velut apice flaminis insignibus pediculis. Tertium genus suil­ li, venenis accommodatissimi. Familias nuper in­ teremere, et tota convivia, Annaeum Serenum praefectum Neronis vigilum, et tribunos, centurionesque. Quae voluptas tanta ancipiti* cibi ? Quidam discrevere arborum geueribus, fico, fe­ rula, et guramim ferentibus : nos item fago, aut robore, aut cupresso, u t diximus. Sed ìsIm quis spondet in venalibus? Omnium colos lividus. Hic habebit veneni argumentum, quo similior fuerit arborum fici. Adversus haec diximus remedia, dicemusque : interim sunt aliqua et in his.

Glaucras stomacho utiles putat boletos. Sic­ cantur pendeutes suilli, junco transfixi, quales e Bithynia veniunt. Hi fluxionibus alvi, quas rheu­ matismos vocant, medentur, excresceniibusque in sede carnibus : minuunt enim eas, et tempore absumunt. Item lentiginem, el mulierum vitia in facie. Lavantur etiam, u t plumbum, oculurnm medicamento. Sordidis ulceribus et capitis eru> ptionibus, canum morsibns ex aqua illinuntor.

Libet et coqnendi dare aliquas communes in omni eo genere observationes, quando ipsae suis tuanibus deliciae praeparant bunc cibum solum, et cogitatione ante pascuntur, succineis novacu­ lis, aut argenteo apparatu comitante. Noxii erunt fungi, qui in coquendo duriores fient : ionocenliores, qui nitro addito coquenlur, si utique per­ coquantur. Tutiores fiunt cum carne cocti, aut cura pediculo piri. Prosunt et pira confestim sumpta. Debellat eos et aceti natura, contraria iis.

S i l p h i u m , v ii .

XLVIII. Imbribus proveniunt omuia haec. Imbre et silphion. Venit primo e Cyrenis, ut

F ur gr i : s b g h i d e g l i a w b l e h a t i . M e d ic in e c h e s b r b p a r r ò , 9 .

XLV 1I. a 3 . Più lenta è la natura de* fanghi, i quali sono d'infinite ragioni : por l'origine loro non è altro se non flemma di alberi. Sicurissimi tono quegli che rosseggiano, e hanuo il callo eoa meno dilavato rossore che il boleto. Dipoi i bian­ chi, i quali hanno il gambo bello, e appuntato in foggia di un cappello di sacerdote flamine. La terza specie sono i porcini, accomodatissimi per veleno. Non ha molto, che hanno morto le fami­ glie intere, e quanti si trovarono a convito, e fra gli altri Annio Sereno capitan della guardia di Nerone, e tribuni e centurioni. Perchè adunque tanto piacere si piglia di un cibo cosi pericoloso? Alcuni gli distinguono secondo le maniere degli alberi presso cui nascono, al fico, alla ferula, e a quegli che fanno gomma : noi li distinguiamo se­ condo che nascooo presso al faggio, al rovero, o al cipresso, come abbiamo detto. Ma ehi ci può assicurare in quegli che si comprano ? Essi sono tutti lividi. Quanto saranno pitk simili al colore del fico, tanto manco saranno pericolosi di veleno. I rimedii da usar contro essi gli abbiamo gii inse­ gnali, e ne diremo ancora : fra tanto dimostriamo quelli che si traggono da essi. Glaucia tiene che i boleti, o rv er novoli, sieno utili allo stomaco. I porcini si seccano infilzati in un vinco, e appiccati, come sono quegli che vengono di Bilinia. Questi guariscono i flussi del corpo, che si chiamano reumatismi, e le carni che crescono nel sedere, perchè le consumano col tempo. Così le lentiggini, e i difetti del *i*o delle donne. Levansi ancora, come il piombo, per farne medicina da occhi. Fassene empiastro con l'acqua alle ulcere che fanno puzsa, e si morso del cane. lo voglio insegnare alcune osservazioni co­ muni nel cuocergli, poiché non v' ha altro cibo, che i ghiotti delle più gran delica Iure preparino in cibo con le proprie roani: si pregustano col pen* siero, e s 'imbandiscono in vasi di ambra, o con apparato di argento. 1 funghi che nel cuocere di' ventan duri sono malefichi e nocivi: meno nocivi saranno, cuocendogli insieme eoi nitro, pur che si cuocano bene. Più sicuri saranno cotti con la carne,o con picèiuuti di pera. Giova ancora mangiare subito dopo essi deUe pere. Anche l'aceto vieta loro di nuocere, perchè ha nalura ad essi contraria. D bl

s il f io ,

7.

XLVIII. Tutti questi nascono per le piogge, come per esse nasce ancora il silfio, il quale, come

HISTORIARUM MUNDI U B . XXII. dietim e»l. Ex Syria nunc maxime im portatur, deterius Parlhico, sed Medico melius, extineto omni Cyreoaico, ut diximus. Usus silphii in me* dieina: foliorum, ad purgandas vulvas pellendos» que emortuos partas : decoquuntur in viuo «Ibo et odorato, ut bibatur mensura acetaboli a bali* usis.Radix prodest arteriis exasperatis: et colle­ ctioribus sanguinis illinitur. Sed ia cibis conco­ quitur segre Inflationes facit et raclus. Urinae quoque aoxia. Sugillatis cara vino et oleo amicis* sima, et cum cera strumis. Verracae sedis ere* briore ejus suffitu cadunt.

L a s s i, x x x i x .

XLIX. Laser e silphio profluens, quo dixi* mu modo, inter eximia oaturae doua numera­ tum, plarimis compositionibus inseritor. Per ae antem algores excalfacit, polum nervorum vitia eiteouat. Feminis datur in vino. Et lanis mollib«sadmovetur vulvae ad menses ciendos. Pedum clavos drcumsca ri Beatos ferro, mixtum cerae extrahit Orinam ciet ciceris magnitudine dilu* lOB.

Aodreas spondet, copiosius sumptum nec in* flstiooes facete,et concoctioni plurimum conferre seoibus et feminia : item hieme, quam aestate, olilins, et tora aquam bibentibus: cavendumque ne qua iotns sil exulceratio. Ab aegritudine re­ creationi efficax in cibo. Tempestive enim datum, cauterii vim obtinet: adsuelis etiam utilius,quam expertibus. Ad extera corporum , indubitatas confessio­ nes habet. Venena telorum et serpentium extingait potum : ex aq u a vulneribus his circumlini­ tur: scorpionum ta n tu m plagis ex oleo: ulceribus vero ooo maturescentibus cum farina hordeacea, vd fico sicca. C arbunculis cum ruta, vel cum Bete, vel per se visco superlitum, ut haereat : **c et ad canis m orsus. Excrescentibus circa se­ dem, cum tegmine punici mali ex aceto decoctum. Clavis, qui vulgo m orticini appellantur, nitro °ùxto. Alopecias n it r o ante subactas replet cum 1|Qo, et croco, a u t pipere, aut murium fimo, et ttelo. Perniones ex vino fovet, et ex oleo coctum '•ponitur : sic e t callo. Clavis pedum superrasis pwcipaae utilitatis. Contra aquas malas, pesti* t a o tractos, vel d ie s.

aSS

corae s* i detto, venne Ia prima volta da Cirene. Ora vien di Soria, peggiore del Parlico, ma mi* gliore di quel di Media, essendosi spento, come dicemmo, tutto il Cirenaico. Il silfio s' usa nelle medicine: le sue foglie si cuocono in vili bianco odorifero, a misura di uno acetabolo, e dassi nell'uscire del bagno a chi bisogna purgar la matrice, e mandar fuori la creatura morta. La sua radioe giova alle arterie esasperate, • impiastrasi alle raccolte del sangue. Ma nei cibi malamente si smaltisce. Fa ventosità e rutti, e nuoce ancora all' orina. Con vino e olio è amicissima ai suggel­ lati, e con cera alle scrofe. Mandansi via i porri del sedere, profumandogli spesso cou essa. Dbi. L A ssao, 39. XLIX. Il lasero, che viene del silfio nel modo che abbiamo detto, è annoverato fra i singolari doni della natora, e adoperasi in molle composi* xioni. Per si riscalda i freddori, e bevuto scema i difetti dei nervi. Dassi alle donne nel vino, e con lana morbida s'accosta alla matrice per tirar fuora le purgagioni. Mescolato con la cera, cava i chiodi dei piedi, scalzati prima col ferro. Muove l ' orina stemperandone quaoto è un cece. Audrea dice che pigliandone in maggior co­ pia non produce ventosità ; che giova mollo allo smaltire dei vecchi e delle donne ; e che egli è più utile il verno che la stale, ma a chi bee acqua; però è da guardarsi beue di non aver dentro alcu­ na piaga. E buono a mangiare per riaver chi esce di malattia, perciocché dato a tempo debito ha forza di cauterio, e giova più a chi è avvezzo a pigliarlo, che non agli altri. E utile e sicuro alle cose esteriori del corpo. Bevuto spegne i veleni delle serpi e dell' armi. Fassene empiastro intorno a tali ferite, ma che sia stalo nell' acqua : solo per gli scorpioni vuole essere stato nell* olio. Alle nascenze che non ma­ turano, s ' adopera con farioa di orzo, e fico sec­ co. A' carboncelli si fa con ruta o con mele, o senza altro con un poco di visco sopra, perchè s'appicchi ; e cosi al morso dei cani. Alle malat­ tie che crescono intorno al sesso, giova cotto nell' aceto con buccia di melagrana. È utile an­ cora a' chiovi dei piedi, i quali si chiamano vol­ garmente morticiui, mescolato con nitro. Riem­ pie le cavità che l'alopezia lolla via col mezzo del nitro ha già lasciate, mescolandolo con vino e zafferano, o pepe o sterco di topi e aceto. Col vino fomenta i pedignoni, e cotto con l'o lio vi si pone sopra : cosi si fa ancora al callo. È di grandissima utilità ai chiovi de' piedi rasi di so­ pra ; n o n che contra I* acque cattive, o paesi pe­ stilenti, o giorni tali.

C. PLINII SECONDI la tasti, ava, fellis velcri suffusione, hydropisi, raucitatibus : con festini enim purgat fauces vocemque reddit. Podagras io spongia dilutam posca lenit. Pleuriticis in sorbitione vinum poiuris dalur : contractionibus, opislhotonicis, ciceris magnitudine cera circumlitum. In angina garga> rizalur. Anhelatoribus, et in tussi vetusta curo porro ex aceto dalur : aeque ex aceto his qui coagulum laciis sorbuerint. Praecordiorum vitiis synlecticis, comitialibus in vino, io aqua mulsa linguae paralysi. Coxendicibus, et lumborum do* loribus cum decocto meile illinitur.

Non censuerim, quod auctores suadent, ca­ vernis dentium in dolore inditum cera includi : magno experimento hominis, qoi se ea de causa praecipitavit ex alto. Quippe lauros inflammat naribus illitis : serpentes avidissimas vini adraixtuni rumpit. Ideo nec iuungi suaserim cum At­ tico meile, licei praecipiant. Quas habeat utilitàtes admixtum aliis, immensum est referre : et nos simplicia tractamus : quoniam in his natu­ ram esse apparet, io illis conjecturam saepius fallacem, nulli salis custodita in mixturis concor­ dia naturae ac repugnantia. Qua de re mox plura.

D s M ILLE. P lO P O L IS , V. M b LLIS, XVI.

L, »4- Non esset mellis auctoritas in pretio minor, quam laseris, ni ubique nasceretur. Illud ipsa fabricata sil nalura : sed huic gignendo auimal, ul diximus : innumeros ad usus, si qoolies misceatur, aestimemus. Prima propolis alvorum (de qua diximus) aculeos el omnia infixa corpori extrahit, tubera discutit, dura concoquit, dolores nervorum mul­ cet, ulceraque jam desperantia in cicatricem eludit. Mellis quidem ipsius natura talis est, a t pu­ trescere corpora non sinat, jucundo sapore atque non aspero, alia quam salis na tara. Faucibus, ton­ sillis, anginae, omnibusque oris desideriis alilissimnm, arescenti bus in febribus linguae. Jam vero peripneumonicis, pleuriticis decoctam. Item vul* neri bos, a serpente percussis. Gt contra venena fungorum.Paralyticis io mulso: quamquam suae

Giova alla tosse, alla ugola, a 6hi ba da molto tempo sparto il fiele, ai ritruopichi, e a quei che sono fiochi, perchè subito porga te canne «Iella gola, e rende la voce. Stemperato con la posca e applicato con ispugna m itigate gotte. Dassi sor­ seggiare ai plruretici che hanno a ber vino : dassi ai raltrappamenli, allo spasimo, ebe per ritirare i nervi tira la testa all' indietro verso le spalle, della grandezza di un cece con cera impiastrata intorno. Nella squinanzia si gargarizza. A quegli che ansano, o hanno tosse vecchia, si dà col por­ ro nell' aceto, e con I' aceto ancora a quegli che hanno inghiottito presame di latte. Dassi in vino con acqua melala ai mali degl’iuleriori, ai (in­ iettici, a quegli che hanno il mal caduco, in vino, e nell' acqua melata al parlctico della lingua. Ai dolori delle coscie e dei lombi s ' impiastra col mele cotto. lo non approvo quello che dicono g li autori, che uel dolore dei denti si mette con la cera nei buchi di essi, per essersi trovalo uno, il quale per questa cagione si gettò da allo a terra, li cer­ io esso infiamma i tori, fregandolo al naso loro, e mescolandosi col vino fa scoppiare le serpi, in­ gordissime di quello. Perciò io non consiglierei ancora ungersi col mele Ateniese, ancora eh'essi lo comandino. Lungo sarebbe il voler rac co ala re quante utilità egli abbia, a c c o m p a g n a l o con altre cose ; ma noi trattiamo dei semplici ; perciocché iu questi t i manifesta la nalura, e in quegli la congettura spesse volle iuganoa, e niuuo ha os­ servato tanto che basti I' accordo e la discordia della natura nelle misture. Della qual cosa poco più oltra copiosamente ragioneremo. M e le . D e l p i o p o l i ,

5.

D s l m e le , 16.

L. 24. Non sarebbe in minore riputazione il mele che il lasero, s’ egli non nascesse in ogni luogo. Quello lo fabbricò la oalura stessa, mai far questo, come dicemmo, produsse le pecchie. Nondimeno egli ha infinite utilità, se vorremo considerare in quante cose egli si mescola. Quello che nelle casse delle pecchie si chiama propoli, di cui già dicemmo, cava le punte e ogni cosa fitta nel corpo, leva gli enfiali, mollifica I* durezze, mitiga le doglie dei nervi, e riscalda le ulcere a cui non potè altro medicamento. E di vero, la natura del mele-è di non lasciar putrefare i corpi, con giocondo sapore, e non aspro, con altra nalura che il sale. Egli è utHi**1’ mo alle canne della gola, al male della ugola, alla suffocazione della gola, e a tutti i bisogni della bocca, e alla lingua risecca per la febbre. Col10 giova a quegli che hanno male al polmone con tosse, a chi ba dolore di fianco, e alle ferii* delle

HISTORIARUM MUNDI L1B. XXII. mulso doles constant. Mei auribus instillator cum rosaceo : lendes e t foeda capitis animalia necat. Usos despumati semper aptior : slomacbum ta­ men ioflat, bilem auget, fastidium creat, et oculis per se inutile aliqui arbitrantur. Rursus quidam angulos exulceratos meile tangi suadent. Mellis causas, atque differentias» nationesque, et indica­ tionem, in apium , ac deinde florum natura dixi­ mus, qoam ratio operis dividi cogeret miscenda rursos, ualuram rerum pernoscere volentibus.

Quo g

u u i c ib o r u m m o ee s q u o q u e m u t b b t u r .

LI. In roellia operibus et aqua mulsa tractari debet Duo genera ejus: subitae ac recentis, alte­ ram inveteratae. Repentina despumato meile praeclaram utilitatem habet in cibo aegrotantium leti, hoc est, alicae elutae: viribus recrean­ dis, ore stomachoque mulcendo, ardore refrige­ rando. Frigidam eulm utilius dari ventri mol­ liendo, invenio apud auctores. Hunc potum bibendum alsiosis : item animi humilis et prae­ parci, quos illi dixere raicropsycbos. E t est ratio subtilitatis immensae a Platone descendens: cor­ pusculis rerum laevibus, scabris, angulosis, ro­ tandis, magis a a t minus ad aliorum naturam accedentibus i id e o non eadem omnibus amara aat dulcia esse. S ic et in lassitudine proniores eae ad iracundiam , et in sili. Ergo et haec animi asperitas, seu p o tia s animae, dulciore succo miti­ gator. Lenit tranaitum spiritus, et molliores facit meatos, ne scin d a n t euntem redeuntem que.

Experimenta in se cuique: nullius non ira belosque, tristitia et omnis animi impetus cibo uellitur. Id e o q u e observanda sunt, quae non solum corporum medicinam, sed et morum ha­ bent. D b a q u a m u ls a , xvm . L1I. A qua m ulsa et tussientibus Qtilis tradilar, calefacta in v ita t vomitiones. Contra venenum pimmythii salu taris, addito oleo. Item contra ^oscyamum, c a m lacte maxime asinino, et con­ tra balicacabum, u t diximus. Infonditnr et auri­ g e t g en italiu m fistulis. Vulvis imponitur cum pue molli, s u b itis tumoribus, luxatis, leniendis-

serpi. Valeoontra i veleni dei funghi. Ai parletid ai dà in vin melato, benché il vin melato abbia anch'egli le sue virtù. II mele s'infonde negli orecchi con olio rosato: ammazza i lendini, e ogni altro animale brutto del capo. Il mele schiomato è sempre migliore : nondimeno gonfia lo stoma­ co, accresce la collera, crea il fastidio ; e alcuni tengono che per sì sia inutile agli occhi. Alcuni invece vogtiono che col mele si tocchino i lagrimaloi che gettano. Delle cagioni del mele, delle differenze, nascimenti e dimostrazioni sue abbia­ mo ragionato nella natura delle pecchie, e poi in quella dei fiori, perchè la qualità dell* opera ci cosi riuse a dividere ciò che poi si dovea ricon­ giungere per chi volesse conoscere la natura delse cose. C on

qual gbh beb d i

«ib i

n o t i n o a n c h e i c o s t u m i.

LI. Poiché s 'è parlalo degli usi del mele, vuoi­ si ora parlare dell’ acqua melata. Due sono le ra­ gioni di essa; la fresca, e P invecchiata. La fresca, toltane la schiuma, è di grandissima utilità nel cibo leggeri degli infermi, cioè d' alica stemperata, a riavere le forze, a mitigare lo stomaco e la bocca, e a rinfrescar l ' ardore. Perciocché io truovo ap­ presso gli autori, eh' egli è più utile darla fredda per mollificare il corpo, e che questa bevanda si dee dare agl' infreddali, e a quegli che son d 'ani­ mo debole, i quali essi chiamarono micropsichi. Écci anco una ragione molto sottile, la quale viene da Platone, ed è questa, che i lievi corpi delle cose sono aspri, anguiosi, tondi, più o manco acco­ standosi alla natura degli altri, ond' è che le me­ desime cose a tulli non sono dolci o amare. Cosi nella stanchezza e nella sete chi più e chi meno è inclinalo alla collera. Epperò questa asprezza d’animo, o piuttosto dell' anima, si mitiga con sugo più dolce, il quale rammorbida i meati don­ de passa lo spirito, e mollifica, acciocché non lo rompano quando va o ritorna. Ciò prnova ognuno in sè «tesso, perchè l ' ira, il pianto, la tristezza ed ogni commozione dell ' animo si mitiga col cibo. Per questo sono da osservarsi quelle cose, le quali medicano non pure i corpi, ma i costumi ancora. D e l l ' acqua m ela ta , 1 8 .

L 1I. Dicono che l ' acqua melala è utile a co­ loro che tossono, e riscaldata invita il vomito. Con l ' olio giova contra il veleno del psimmizio, e anco contra il giusquiamo, massimamente col latte asinino, e contra l ' alicacabo, come dicemmo, tnfondesi ancora negli orecchi, e nelle fistole delle membra genitali. Ponsi sulle matrici eoa

C. P U N II SECUNDI que omnibus. Inveteratae u*um damnavere po­ steri, minus innocentem aqua minosque vino firmum. Longa tamen vetnstate I r a n sit in vinum, ut constat inter omnes, stomacho inutilissimum, nervisqae contrarium.

pan molle, alle subite enfiagioni, a quegli che hanno i membri usciti dei loro luoghi, e a tutte le cose che hanno bisogno d ' essere mollificale. L' uso della invecchiata è stato biasimato dagli uomini dei nostri tempi, come quella ch'è manco innocente che l'acqua, e manco ferma che il viuo. Ma però a lungo andare passa in vino, come si sa per ognuno, inutilissimo allo stomaco, e con* trario ai nervi.

M ulsum, vi.

D e l v is o m e l a to , 6 .

LIII. Semper molsam e* vetere vtno utilissi­ mum, facillimeque cum meile concorporatur, et quod in dulci numquam evenit. Ex austero fa­ ctum non implet stomachum, neque ex decocto meile, minusque inflat, quod (ere evenit. Adpetendi quoque revocat aviditatem cibi. Alvum mollit frigido potu, pluribus calido sistit. Cor­ pora auget. Multi senectam longam mulsi tan­ tum nutritu toleravere, neque alio ullo cibo, ce­ lebri Pollionis Romilii exemplo. Centesimum annum excedentem eum divus Augustus hospes interrogavit, u quanam maxime ratione vigorem illum animi corporisque custodisset. » At ille respondit : u Intus mulso, foris oleo, » Varro re­ gium cognominatum morbum arquatum tradit, quoniam mulso curetur.

LII 1. Il mulso di vin vecchio è sempre ulilis* sinao, e mollo facilmente s ' incorpora col mele ; il che non avviene mai del dolce. Fatto di vin brusco, o di mel cotto non empie lo stomaco, e manco enfia ; il che quasi sempre avviene. Fa venire anco altrui voglia di maogiare. Bevuto freddo mollifica il corpo, ed essendo bevuto in più modi caldo, lo ferma. Accresce i corpi. Molti sono invecchiali assai, usando solo il vio melato senza alcun altro cibo; del che i celebre Pesem ­ pio di Romilio Pollione ; il quale avendo passato cento anni, fu domandato dall’ imperadore Au­ gusto, u come egli aveva fatto a conservare tanto tempo il corpo e P animo nel suo vigore. » Ed egli rispose : «. Dentro col vin melato, e di fuori con l’olio, n Varròne dice che il morbo regio si chiama arcuato, perchè si medica con questo vino.

M e l it i t e s , m .

D e l m e l it it e , 3 .

LIV. Melitites quo fleret modo ex musto et ntelle, docuimus in ratione vini. Seculis jam fieri non arbitror hoc genus, inflationibus obnoxium. Solebat tamen inveteratum alvi causa dari in fe­ bre : item articulario mbrbo, et nervorum infir­ mitate laborantibus, et mulieribus vini abstemiis.

LIV. Come si faccia il melitite di mosto e di mele, l’ abbiamo mostro, quando trattamm o del vino. Credo che sieno passati di molti anni che non se n*è fallo, perchè e* fa gonfiare. N ondi­ meno quando egli era invecchiato soleva darsi per cagione del ventre nelle febbri, e a coloro che avevano infermità di nervi, e alle donue cbe non beessero vino.

C eha ,

v h i.

LV. Mellis naturae adnexa cera est: de cujus origine, bonitate, nationibus, suis diximus locis. Omnis autem mollit, calefacit, explet corpora : recens melior. Oatur in sorbitione dysentericis, faviqae ipsi, in pulle alicae prius tostae. Adver­ satur laciis naturae: ac milii magnitudine decem grana cerae hausta non patiuntur coagulari lac in alomacho. Si inguen tumeat, albam ceram io pube fixisse remedio est.

D e ll a c e ea , 8 .

LV. Alla natura del mele è congiunta la c e ra , della cui origine, bontà e qualità s’ è rag io n ato al suo luogo. Ogni cera mollifica, riscalda o r ie m ­ pie il corpo; e la fresca è migliore cbe P a t i r e . D.issi a bere a chi ha il male dei pondi, ed a n c h e i favi slessi in pultiglia d’ alica prima arrostila. LI contraria alla natura del latte ; e beendo d ie c i granella di cera grandi quanto è un granello d i panico, non lasciano rappigliare il latte nello s t o ­ maco. Se P anguinaglia s’ enfia, il rimedio è m e t ­ tervi su cera bianca.

HISTOBIAROM MUNDI LIB. XXII. COBT&A COMPOSITIORES MEDICOSUM.

CuflTSO LE COMPOnilOBl DEI MEDICI.

LVL Nec bujus usus, q ao i mixla aliis prsestai, enumerare medicina possi l : siculi nec cete­ rorum, quae cura aliis prosunt. Ista, ut diximus, ingeniis constant. Non fecit cerotum, malagmata, emplastra, collyria, antidota, parens illa ac divi­ na rerum artifex : officinarum haec, immo verius avaritiae com m enta su n t Naturae quidem opera absoluta atq u e perfecta gignuntur : paucis ex esus», non ex conjectura, rebus adsumpUs, u t succo aliquo sicca temperentur ad meatus : aut corpore alio humentia, ad nexus. Scrupulatim quidem colligere ac miscere vires, non conjectu­ rae hamanae opus, sed impudentiae est.

LVI. La medicina aon può contare le utilità della cera accompagnata con altro ; anzi non pur di essa, ma nè anche delle altre eose che per giovare vogliono essere accompagnate. Queste, come s’ è detto, derivano da' nostri ingegni. Non fece quella madre e divina artefice di tulle le cose ce­ rotti, fomentazioni, empiastri, collirii e antidoti: queste sono invenzioni di botteghe, anzi trovati della nostra avarizia. Le opere della natura na­ scono assolute e perfette : e sol poche cose si prendono secondo la virtù loro nativa e non per congettura, acciocché con qualche sugo si tem­ perino le cose secche, perchè meglio scorrano per li meati del corpo, e acciocché le cose umide si mescolino con le secche per dar loro consistenza. Ma raccòrrò minutamente e mescolar le forze, non è opera di congettura umana, ma impudenza. Noi uon ragioniamo delle medicine che si traggon delle merci Indiane o Arabiche, nè di quelle del mondo straniero. Non ci piacciono per rimedii le cose che vengono taoto discosto, per­ chè non nascono per noi; apii n i anco per loro, chè non le venderebbono. Compriamole sì per cagio­ ne d ' odori, d 1unguenti e di delizie, e ss piace, compriosi ancora per superstizione, da che fio­ riamo sacrificio agli dei con lo incenso e col co­ sto. Ma la salute nostra può bene slare senza questi, il che noi proveremo ancora per ciò, che tanto più si vergognino delle delizie loro.

Nos nec Indicarum Arabicarumque mercium, aut externi o rb is adtingimus medicinas. Non pla­ cent remediis tam longe nasoentia : non nobis gignuntur: im m o ne illis quidem, alloqui non Tenderent O dorum causa, ungueatorumque, et deliciarum, si placet, etiam superstitionis gralia emantur, quoniam thure supplicamus et costo. Salutem quidem sine istis posse coostare, vel ob id probabimus, n t tanto magis sui delicias pudeat.

Msdicutas kx f r u g ib u s . S il ig in e , i . T s it ic o , i . P alea,

ii.

F a a n ,

i.

F o v u u b u s , i . O ltba

a iik a , u .

M b DICIICE CHE SI FARRO DALLE BIADE : DELLA SEGA­ LA, i . D e l g k a r o , i . D e l l a p a g l ia , a . D e l f a &b o , i . ca ,

LVU. 25. Sed medicinas e floribus coronamentisque et h o rte n siis, quaeque manduntur fcerbù, prosecuti, quonam modo frugum omittiausf Nimirum e t has indicare conveniat. In primis sapientissima animalium esse constat, quae fruge veseantur. Siliginis grana combusta, et trita in vino araineo, oculis illita epiphoras sedant: trilici vero (erro com busta iis, quae frigus usse­ rit, praesentaneo s u n t remedio. Farina tritici ex Melo cocta, n erv o ru m contractionibus : cum rouceo vero et fico si oca, myxisque decoctis, furfares tonsillis fauóbusque gargarizatione prosunt. Sextus Pomponius praetorii viri paler, Hispaniae tilaiorii princeps, quum horreis suis ventilandis faenderet, co rrep tu s dolore podagrae, mersit '* irilicum sesa su p e r genua : levatusque siccatis pdibas mirabilem in modum, hoc postea remedi®usus e s t Vis U n ta est, u t oados planos siccet

D e l l a cbusca , a . D e l l ' o l ib a a r n i ­

a.

LV 1I. a 5. Ms poi che abbiamo trattato delle medicine, che vengono dai fiori e dall* erbe che si mangiano e si mettono nelle ghirlande, in che modo lascieremo noi addietro quelle delle biade? Certo eh 1egli è bene insegnare ancora queste. Quegli animali-sono tenuti più sa vii, che si pa­ scono di biade. Le granella della segala arrostite e peste nel vino amineo e impiastrate agli occhi mitigano le lagrimazioni, e quelle del grano ar­ rostile col ferro giovano snbilo a quelle cose che sono incotte dal freddo. La farina del grano cotta con l 1aceto medica i raltrappamenti dei nervi, e la crusca con olio rosato, fico secco e meliaci eotli giova, gargarizzandola, agli enfiati della gola e alle canne d* essa. Sesto Pomponio padre d’ uno stalo pretore, principe della Spagna citeriore, essendo sopra i suoi granai per fargli sventolare, fu preso dal dolore dtile gotte, e si ficcò nel gra-

C. P U N II SECUNDI

248

Pateam quoque tritici, vel hordei, calidam imponi ramicum inoommodis esperii ju b e n t, quaque decoctae sunt aqua foveri. Est et in farre vermi­ culus teredini similis: quo cavis dentium cera incluso, cadere vitiati dicuntur, etiam si Tricen­ tur. Olyram, ariocam diximus vocari. Hac deco­ cta fit medicamentum, quod Aegyptii alheram vo­ cant, infantibus utilissimum : sed et adultos illi­ n u n t «o.

no fino al ginocchio ; e uscitone coi piedi mara­ vigliosamente risecchi, dipoi sempre usò questo rimedio. Ha il grano tanta forza, che secca i^ba­ rili pieni. Chi l ' ha provato dice che la paglia del grano e dell' orzo calda giova a ogni incomodo di ernia, ed è similmente buona a fare ogni fo­ mentazione con l’ acqua dov' è colta. Nel farro è un vermine simile al tarlo, il quale, rinchiuden­ dolo con la cera nella concavità dei denti, fa ca­ dere i guasti ; e ancora fa il medesimo effetto, se si fregano con esso. L 'olirà, eh' è una specie di spelds, dicemmo che si chiama arinca. Con questa cotta lassi nn medicamento, che gli Egizii chia­ mano antera, utilissimo a 'b a m b in i, benché i grandi ancora s ' ungono con esso.

E FABISA PBX GENEBA : MEDICINAE XXVIII.

F a r i n e p e r is p e c ie : m ed ic. 2 8 .

LV11I. Farina ex hordeo et cruda et decocta collectiones, impetnsque discutit, lenit, concoquitque. Decoquitur alias in mulsa aqua aut fico sicca. Jocineris doloribus cum posca concoqui opus est, aut cum vino. Quum vero inter coquen­ dum discutiendum que cura est, tunc in aceto melius, aut in faece aceti, aut in cotoneis, pirisve decoctis. Ad multipedarum morsus cum meile : ad serpentium, in aceto : et contra suppurantia, ad extrahendas suppurationes, ex posca, addita resina et galla. Ad concoctione* vero, et ulcera vetera, cum resina. Ad duritias cum fimo colum­ barum , aut fico sicca, aut cinere. Ad nervorum inflammationes, aut intestinorum, vel laterum, vel virilium dolores, cum papavere aut meliloto, et quoties ab ossibus caro recedit. Ad strumas cum pice et impubis pueri urina, cum oleo. Cum graeco feno contra tumores praecordiorum, vel in febribus cum meile vel adipe vetusto. Suppuratis triticea farina multo lenior. Ner­ vis cum hyoscyami succo illinitur: ex acelo et meile, lentigini. Zeae, ex qua alicam fieri dixi­ mus, efficacior etiam hordeacea videtur : trim e­ stris, mollior. Ex vino rubro ad scorpionum ictus tepida,et sanguinem exscreantibus: item arteriae. Tussi cum caprino sebo, aut butyro. Ex feno graeco mollissima omnium. Ulcera manantia sa­ nat, et furfures corporis, stomachi dolores, pedes et mammas cum vino et nitro cocta. Aerina ma­ gis ceteris purgat ulcera vetera, et gangraenas : cum raphano et sale et aceto, lichenas : lepras cum sulphure vivo : et capi lis dolores cum adipe anserino imposita fronti. Strumas et panos coquit, tu m fimo columbino et lini semine decocta in vino.

LVII1. La farina dell1orzo e cruda e cotta ri­ solve, mollifica e matura gli umori raccolti, e gli empiti loro. Cuocesi ancora con l'acqua melata, o coi fichi secchi. A' dolori del fegato si cuoce con la posca, o col vino ; ma quando la cura è fra il maturare e il risolvere, allora è meglio cuo­ cerlo nell' aceto, o nella feccia dell' aceto, o in mele cotogne, o pere cotte. Giova al morso del centogambe col mele, e con l ' aceto a quello delle serpi : con la posca, aggiunta ragia e galla, vale cootra le marcie, e ad estrarle fuori : giova a maturare i malori e alle piaghe vecchie, eoo ragia ; alle durezze, con isterco di colombo, o fico secco, o cenere ; alle infiammagioni dei nervi, o ai do­ lori delle interiora, o dei fianchi, o dei membri genitali, e quante volte si parte la carne dalPos»a« con papavero o meliloto ; alle scrofole, con pece e orina di fanciulletto e olio ; con fien greco eontra gli enfiati degl' interiori, o nella febbre col mele o grasso vecchio. Dove è puzza, la farina del grano è molto più mite. Impiastrasi ai nervi con sugo di giusquia­ mo, e con aceto e mele alle leatiggioi. La farina della spelda, di cui dicemmo che si fa l'alica, è di maggior virtù che quella dell'orzo. La trim estre, eioé la marzolina, è più molle. Pigliasi tiepida in vin vermiglio al morso dello scorpione, a chi sputa sangue, e all'arteria: con sevo caprino, o con b a r­ ro, è utile alla tosse. Quella del fien greco è morbi­ dissima più che l ' altre. Sana le ulcere che oolaoo, e la forfora del corpo, i dolori dello stomaco, e piedi e poppe, cotta con vino e nitro. Quella delle rubiglie più ehe l ' altre purga le nascerne vec­ chie e le cancrene ; e con rafano, sale e aceto, le volatiche, e con zolfo vivo la lebbra. Con grasso d’ oca posta sulla fronte leva la doglia della testa. Cotta nel vino oon isteroo di colombo e con sem e di lino matara le scrofe e le pannocchie.

HISTORIARUM MONDI LIB. XXII.

25 o

£ VOLUTA, TUI.

D ella po lb bta , 8 .

LIX. D e polentae generibus in frugum looo dixim us, locorum ralione. A farina hordei disiai eo q u o d torreto r, ob id stomacho ulilis. Alvum sistit, impelusque rubicundi tumoris. E t •colis illinitor, et capitis dolori cam menta, aut alia refrigerante herba. Item pernionibus et ser­ pentium plagis : item ambustis ez vino. Inhibet qaoqae pusulas.

LIX. Delie specie di polenta abbiamo ragio­ nato a bastanza trattando delle biade. Essa è dif­ ferente dalla farina dell'orzo, perch'ella s'arro ­ stisce, e per ciò è utile allo stomaco. Ferma il corpo e gli empiti de* tumori rossi. Impiastrasi agli occhi e al dolore del capo con la menta, o alcuna altra erba che rifreschi, non che ai pedignoni, e ai morsi delle serpi ; e alle incotture ancora, ma vuole esser mescolata con vino. Leva inoltre le bollicole della cute.

M iis

E P O L U M , Ì . PCLTE, I . F i U U CHAXTAXIA, L.

D bl

f io x d i p a h is a ,

5. D e l l a p o l t ig l ia , i .

D e l l a fa a ik a da ih co l la .e e , i .

LX. F arin a in pollinem subacta, vim extra­ hendi hum oris habet : ideo et cruores suffusis io fascias usque sanguinem perducit : efficacius io sapa. Im ponitur et pedum callo, davisque. Nam cum oleo vetere ac pice decocto polline, condylomata, et alia omni* sedis vilia, quam maxime calido mirabilem in modum carantur. Pulte corpus augetur. Farina, qaa chartae gluti­ nantur, sanguinem exscreantibus dalur tepida sorbenda efficaciter.

Ex

ALICA, VI.

L X I. Alica res Romana est, et non pridem e x o o g iu ta: alioqui non ptisanae potius laudes scripsissent Graeci. Nondum arbitror Pompeji Magni aetate in usu fuisse, et ideo vix quidqaam de ea scriptam ab Asclepiadis schola. Esse qui­ dem exim ie utilem nemo dubitat, sive elata de­ tur ex aq u a mulsa, sive ia sorbitiones decocta, sive in pultem . Eadem in alvo sistenda torretur : dein Cavorum cera coquitur, ut sapra diximus. Peculiariter tamen longo morbo ad tabitudinem redactis su bvenit, ternis ejus cyathis in sextarium aquae sensim decoctis, donec omnis aqua consu­ matur. P o stea s e x t a r i o lactis o v illi aut caprini addito p e r c o n t i n u o s dies, mox adjecto meile. Tali sorbitionis genere emendantur syntexes.

E aiLio, vi» L X D . M ilio sistitur alvus, disculiuntar tor■m « | jn q u e m usum torretur ante. Nervorum faloribos, e t aliis, fervens in sacco im ponitur: —y a liu d u tiliu s : quoniam levissimum raollis-

•iaamqac e*L> et caloris capacissimum. Itaque

LX. Il fiore della farina impastata ha virtù di cavar fuora l ' amore, e per questo a quegli che son soffusi di sangue lo tira fin nelle fascie ; e con maggior virtù se è nella sapa. Ponsi sopra i calli • chiovi dei piedi. Con olio vecchio e fior di farina cotta con pece mirabilmente guarisce i di­ lombati, e tutti gli altri mali del sesso, postovi su molto caldo. La sua pulliglia ristora e ingrassa il corpo. La farina, con cui s ' incollano le carte, si dà a sorseggiare tiepida a chi sputa sangue. Dell' auca, 6 .

LXI. L ' alica è cosa Romana, e non usata per l'avauti; altrimenti i Greci non avrebbono più tosto scritte le lodi della orzata. Credo che anco* ra ella non s’ usasse al tempo di Pompeo Maguo; e perciò la scuola d ' Asclepiade appena ha scritto alcuna cosa d ' essa. Già non v' è dubbio alcuno che ella non sia utilissima, o diasi stemperata con 1’ acqua mulsa, o a bere colta, o in pulliglia. La medesima s'arrostisce per fermare il corpo, poi si cuoce con cera di favi, come dicemmo di sopra. Nondimeno la sua peculiar virtù è di ria­ ver coloro che per lunga malattia sono ridotti a consunzione, mettendosi a cuocer tre bicchieri di essa a poco a poco in un sestario di acqua, fioche tutta l'acqua si consumi. Agginngevisi poi un sestario di latte di pecora o di capra per più giorni continui, poi si mette il mele. Con tal sorte di bevanda si guariscono l'eslrem e estenuazioni. D e l m ig l io , 6 .

LX 11.11 miglio ferma il corpo e leva i tormini, e a questo effetto s ' arrostisce prima. A doglie di nervi e altri dolori si mette caldo in un sac­ chetto, nè v 'è alcuna altra cosa più utile,perchè egli è leggerissimo, e capacissimo di calore. Laon-

C. PLINII SECUNDI talis usos ejns est ae, vel cuoi eotoiMo malo, aut piris, aut m y r to , aut in­ tubo erra t ico, aul beta nigra, aot plantagine. Pol» mooi est m utilis, el capitis dolori, nervosisqae omnibus, el felli : neo somno facilis : ad pusulas utilis, ignique sacro, et mammis in aqua marini decocta: in aceto antem duritias et strumas discu­ tit Stomachi qoidem causa, polentae modo po­ tionibus inspergitur. Quae sunt ambusta, aqua semicocta curat, postea trita, et per cribrum ef­ fato furfure, mox procedente curatione addito meile. £x posea coquitur ad guttura. Est et pa­ lustris lens per se nascens in aqua non profluente» refrigeratoriae naturae : propter quod collectio* nibus illinitur, et maxime podagris, et per se, et cum polenta : glutinat et interanea procidentia.

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BL,ILIS PHACO, SIVB

s p h a c o , q u a e s a l v ia , x i u .

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pondi sono migliori colle in tre aequa; e in q«e* sto bisogno sempre è meglio arrostirle, o pestar* le, acciocché si dieno più sottili, o di per sé, o con mele cotogne, o con pere, o con mortine, o con endivia salvatica, o con bietola nera, o con piantaggine. La lente è inutile al polmone, al dolore del capo, a tutti i nervosi e al fiele; nè giova per dormire. E utile alle pus tuie e al fuooo sacro ; e alle poppe cotta in acqua marina. Cotta con l ' aceto leva le duretae e le scrofole ; e per lo alomaco se ne sparge in su quello che si bee, come ^i fa la polenta. Guarisce le cotture, mezza colla con 1* acqua, dipoi macinala e stacciata ; poi in processo della cura vi s’aggiugne il ma­ le. Poich'è stata nella posca si cuoce per la gola. Écci ancora una sorte di lente palustre, che na­ sce per sè in acqua nou corrente, di nalura riofrescaliva: per questo se ne fa empiastro alle raccolte degli umori, e massimamente alle gotte, e per sè, e con polenta, e rappicca le ialeriora, che caggiouo. D e l * ’ ELI3FACO, O SFACO,

che

UICES1 PUE SALVIA, l 3 .

LXXI. Est e t silvestri elelispbacos dicta a Graecis, ab aliis spacos. Ea est sativa lente le­ vior, et folio m inore, atque sicciore, et odoratiore. Est et alteru m genus ejus silvestrius, odore gravi: baecm itior. Folia habet colonei mali effi­ gie, sed minora e t candida, quae cam ramis decoquuntur. Menses ciet, et urinas : et pastinacae marinae ictus sanat. Torporem autem obducit percusso loco. B ib itu r eum absinthio ad dysente­ riam. Cum viuo eadem commorantes menses tra­ hit: abundantes aislit decocto ejus polo. Per se imposita herba vulnerum sanguinem cohibet. Sa­ nat et serpentium morsus. E t si in vino decoqua­ tur, prurito» testium sedat. Nostri, qui nnnc sunt, herbarii elelisphacon graece, Ialine salviam voeant, mentae similem, canam, odoratam. Par­ tus emortuos ea adposita extrahunt : ilem ver­ mes aurium ulccrum que.

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t C 1 C U B , s f CICBXCULA, XXIII..

LXX 1I. C ic e r et silveslre est, foliis salivo limile, o d o re g ra v i. Si largius sumatur, alvus wlvitur, e t in fla tio contrahitur, et tormina. To­ rtam salubrius h a b e tu r. Cicercula etiamnum ma­ lis io alvo p ro f ic it. Farina ulriusque ulcera ma­ nantia capitis s a n a t, efficacius ùlvcslris. Ilem co■itiales, e t jo c in e ru ro tumores, et serpentium

LXXI. Écci anco la salvatica, chiamata dai Greci elelisfaco, e da altri sfaco. Questa è assai più leggeri che la lente domestica. Ha le foglie minori, più secche e più odorifere. Éccene un' al Ira sorte di più salvatica, che ha grave odore; e que­ sta è più mite. Ha le foglie simili al melo cologno, ma minori c bianche, che si cuocono co* rami. Provoca i mesi delle donne, e P orina, e guarisca i morsi della pastinaca marina. Però fa intormen­ tire il luogo che ha rilevato percosse. Bessi con assenzio al male de’pondi. La medesima bevuta con vino tira fuori il menstruo cbesoprasla; e bevendo la sua decozione ferma il superfluo. L’ erba po­ stavi su per sè stessa ristagna il sangue delle ferite. Guarisce anco il morso delle serpi. E se si cuoca nel vino, mitiga il pizzicore de1 testicoli. Gli eri bolsi de' nostri tempi la chiamano ia greco eleli­ sfaco, e in latino salvia, simile alla menta, bianca, odorosa ; e metlendovela sopra cavano fuori la creatura morta, e i vermini degli orecchi e delle rotture. D el

c e c e , b d e l l a c ic e r c h ia ,

a 3.

LXX 1I. Écci anco il ceoe salvatico, simile nelle foglie al domestico, di grave odore. Piglian­ done quantità muove il corpo, e genera vontosità e tormini. Tiensi che l ' arrostito sia più salutife­ ro. La cicerchia ancora giova molto al corpo. La farina dell* una e 1' altra guarisce le rotture del capo che gocciolano, ma assai meglio quella del

C. PLINII 9KCUND1 ictus. Ciel mense* et orinai, grano maxime. Emendai et licbenas, et testium inflammationes, regiam morbum, hydropicos. Laedunt omnia haec genera exulceratam vesicam, et renes. Gan­ graenis utiliora cum meile, at his quae cacoethe vocantur. Verrucarum in omni genere prima lu­ na singulis granis singulas tangunt, eaqoe grana in linleolo deligata post se abjicinut, ita fugari vitium arbitrante*. Nostri praecipiunt arietinum ha aqua cum «ale discoquere, ex eo bibere cya­ thos bino* in difficultatibus urinae. Sic et calcu­ los pellit, morbumque regium. Ejusdem foliis sarmenlisque decoctis, aqua quam maxime calida morbos pedum mollit, et ipsum calidum trilum que illitum. Columbini decocti aqua, horrorem tertianae et quartanae minuere creditur. Nigrum autem cum gallae dimidio tritumi oculorum ul­ ceribus ex passo medetor.

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ERVO,

xx.

1 LX XIU. De ervo quaedam in mentione ejus diximus: nee potentiam ei minorem veteres, quam brassicae tribuere. Contra serpentium ictus ex abeto,adcrt>óodilorum hominamque morsam. Si quis ervum quotidie jejuna» edat, lienem ejus absumi certissimi auctores adfirmant. Farina ejus varos, sed et maculat toto corpore emendat. Ser­ pere ulcera non patitur : in m3ramis efficacis'imuin. Carbunculos rumpit ex vino. Urinae diffi­ cultates, inflationem, vitia jocineris, tenesmon, et qnae cibum non sentiont, atropha appellata, to­ stura, et in nucis avellanae magnitudinem meile collectam devoratumque corrigit : item impetigi­ nes, ex aceto coctum et quarto die solutum. Pa­ nos ia meile impositum suppurare prohibet. Aqna decocti perniones et pruritus sanat fovendo. Quia et aniverso C orpori, si quie quotidie jejunus bi­ berit, meliorfem fieri colorem existimant. Cibi* idem hominis alienum. Vomitiones movet, alvum turbat, capiti et stomacho onerosum. Genua quo­ que degravat. Sed madefactum pluribus diebus, mitescit, babo* jumentisquentilissimum. Siliquae ejus virides, prios quam indurescant, cum suo Caule foliisque contritae, capillos nigro co lo re ittfiriu o t.

salvalico. Guarisce pare il mal caduco, il gonfia­ mento del fegato e i morsi delle serpi. Muove i mesi delle donne,e 1*orina, e massimamente ciò fanno le sue granella. Guarisce le volatiche, le in­ fiamma gioni de1testicoli, il fiele sparto, e i ri. truopichi. Tutte queste civaie offendono la vesci­ ca scorticata e le reni. Col mele sono molto utili alle cancrene e alle cacoete. Tutti i porri e le ver­ ruche li toccano il primo dì della luna, cioè cia­ scuno eoa un granello, e legano poi le granella in petzolina, e gellansele dietro le spalle, creden­ dosi ia quel modo cacciare i porri. I nostri voglio­ no che quello che si chiama arietino* si cuoca col sale n eir acqua, e se ne beano due bicchieri alle difficoltà dell' orina ; e così alla pietra e al fiele sparlo. Cuoconsi le foglie e i rami suoi n ell'ac­ qua, e la cocitura calda quanto si può patire s’ a­ dopera al male de'piedi; ed esso caldo e pesto, impiastrandolo, fa il medesimo effetto. Dicono che la cocitura in acqua del cece colombino scema i tremili della febhre terzana e della quartana. I ceci neri pesti con la metà di galla e stali nel vin collo guariscono l ' ulcere degli occhi. D ella b c b i g l i a , ao.

LXX 111. Già dicemmo alcuna cosa della ru­ bi jjHa, alla quale gli antichi attribuirono non meno virtù, che al cavolo. Coa aceto vale al mor­ so delle serpi, de'crócodili e degli uomini. Alcuni autori affermano per cosa certa, che ae ai man­ giasse ogni dì a digiuno della rubiglia, la milsa ai consumerebbe. La farina d ' essa leva le piccole durezze della faccia e le macchie di tatto il co r­ po ; e non lascia l ' ulcere impigliare più avanti. La rubiglia è molto ulile alle poppe. Col vino rompe i carboncelli. Arrostita, e mangiata col mele, in pallottole alla grandezza d'una Doccinola, guarisce la difficoltà dell'orina, la enfiagione, i di­ fetti del legalo, il mal de’pondi, e que’mali cbe non sentono il cibo, chiamali atrofi; non che le volati­ che cotta con l’aceto, e sciolta il quarto dì. Po­ sta col mele sulle pannocchie, non laaeia lo ro co­ gliere puzza. La cocitora sua guarisce i pedignoni e i pizzicori, facendovi sopra fomento. A chi ne bee ogni giorno a digiuno, tengono che faccia miglior colore in tutto il corpo. La medesima è nociva per cibo all'uomo. Muove il vomito, tu rb a il corpo, è grave al capo e allo stomaco. Aggrava ancora le ginocchia. Ma tenuta più giorni in m a ­ cero diventa più mite, ed è utilissima a' buoi e all' altre bestie. I suoi bacegli verdi innanti c h e induriacano pesti col suo gambo e foglie fauuo i capegli neri.

HISTOEIARDM MONDI LIB. XXII.

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E * (.OPINO, X IV .

LXXIV. L upini qaoqae silvestres sant* ornai modo m in o res sativis, praeterquam im irilm lioe. Lx omnibus quae ed u n tu r, sicco ntfUt minus ponderis e st, n ee plus Utilitatis. Mitescunt ci aere sol aqua calidis. Coiorem hominis frequenliores io cibo ex h ila ra n t : amari contra aspidas va leni. Diserà a tra , arid i dacortioatique triti, «opposito lialeolo, o d vivum corpos redigunt. Slromas, parotidas, isa aceto cocti discutiunt. Socous deoo* ciornm c a m ru ta et pipere, vel in febri datar ad ventris anim alia pellenda, minoribus triginta an­ norum : p u e ris vero impositi, in ventrem jejunii promat. E t alio geoore tosti, et in defkruto poti, vel ex m eile sampti. Ii dem aviditatem cibi fc* eiunt, fastid ia m detrabuat. Farina eorum aceto mbacta, p ap u las pruritosque in balintis illita cobibet, et p e r sa siccat ulcera. Livores emendat ; ioQammationcs cam polenta sedat. Silvestrium efieacior via e st contra ooxendicum fet lumborum debilitatem. E s iisdem deoocte. lentigines, et fo­ ventium en tem co rrig u n t: si ver»ad melli* era#»* sitadinem d eco q u an tu r Vel sativi, vitiligines ni* fias et lepras em endant. Sativi quoqne rum puol carbunculos im positi : pinos n w w n t, aot maturant, cocti ex aceto : cicatricibus candi­ dum colorem red d u n t. Si vera coelesti aqua di­ scoquantur, succos ille smegma fit : quo fovere gangraenas, eruptiones pituitae, ulcera manantia, utilissimam. E x p ed it ad bonem bibere, et cura meUe menstruis haerentibus.

Lieni c ru d i eam fico sicca triti ex aceto im* ponuntor. R a d ix quoque io aqua deconta, urinas peffit H e d e n l o r pecori eum abamaekOne hfrba decocti, aqua in potum collata. Sanant et scabiem qoadropedutn omnium, in afnureè decocti, vel utroque liq u o re postea mixto. Fumus crematontm calice» neoai.

Ex iKioHK, siv* anvsiuo,

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xv.

s o , a 5.

LXXIV. 1 lupini salvatiebi ancora sono per ogni modo minori che i domestichi, fuor eho dell* amaritudine. Di tutte le civaie che si man-* giano, DRt«s ve n' |ia eh« seoca pesi meno, e ch4 sia di maggiore utilità. Addolciscono con la cenerà o P acqua calda. Ubandosi spesso in cibo, visefaia* rano il colore dell'uomo. Gli amari hanuo virtù contra gli aspidi. Secchi, scorticali e pesti, e messi io pezzolina, e posti sopra le piaghe di color sau* guinoso, le ritornano a vivo corpo. Colti nell* acrto levano le scrofe, e le posUftoe dopo gli orec­ chi. La cocitura loro con ruta e con pepe ancora nella febbre ai piglia per cacciare i vermini del corpo a quegli che non passano treni' anni, ma ai fanciulli giovano ponendoli loro sul corpo digiu-i no ; come anche arrostiti, o bevuti nel vin cotto, o preai col mela. Fauno vanire ancora voglia di mangiare, e levano il ftslidio. La farina loro im­ pastala oon l ' accio c impiastrata nei bagui leva le stianxe a il pm ioore, e per sè seooa le rotture. Guarisca i livida ri, e «M itiga le iufiammagioni eoa la polenta. 1 salvatichi banao maggior virtù con* tra la debilità delle coscie e de' lombi. La cocitura loro leva le lentiggini, e rassetta la cotenna ; e se si cuocooo io modo che tornino alla grossexza del mele, ancora i domestichi,' guariscono le mac­ chie nere che vengono pel corpo, e la lebbra. 1 domestici ancora postivi su rompono i carbonselli, e cotti oon 1*aceto maturano, o dissolvono in pannocchie e le scrofole, a rendono il color biao* co a lle margini. Se si cuocooo con acqua p io sa­ na, quel sugo diventa medicamento che vale a le v a r le macchia del viso ; col quale è u tilis s im o fo m e n ta re le c a n c re n e , la flem m e* « le n a s< eo z * c h e geA taoo. È utile berlo p e r la railsa, e ool m e la pei menstrdi sopratteonli. * Pongonai alla miUa crudi e pesti con fiohi secchi stati nell* aooto. Anche U radi oc lordi coti* nell' acqua provoca l ' orina. Cotti con l ' erba cameleone medicano il bestiame che ne beesse l'ac ­ qua. Guariscono le scabbia’ di lutti i quadrupedi, cotti nella morchia, o l ' uno e l ' altro liquore di­ poi mescolato; M filmo degli arsi ammazza le xaniare. D e l l * ir io n e , G alli

LXXV. Irio n em inter fruges sesamae similem esse diximus, e t o Graecis erysidiofe voeari : Galli velam ap p ellan t. E st autem irntiooaam , foliis crocee, au g ustio ribu s panilo, semine nasturtii, ^tilimimuan tussientibus cum msll*,et iu tbaracis

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d ic o n o v e l a , i

5.

LXXV. Dicemmo nelle biade, che 1' irione è simile alla sesamo, e che i Greci lo chiamano eri­ simo, e i Francesi vela. Egli fa cespuglio, e le sue Coglie sono un poco più strette che quelle della ruchetta, ed ha seme di nastufùow Utilissimo è

G. PLINII SECUNDI

2 63

pnralentit exscrealìonibu». D atar *t regio morbo, et lumborum vitiis, pleuriticis, torminibus, coe­ liacis. Illinitur vero parotidum et carcinornalum malis. Testium ardoribus ex aqua, alias cum meile. Infantibus quoque utilissimum. Item sedit vitii», et articulariis morbis, cum meile et fico. Contra venena etiam effieii potum. Medetur et suspiriosis, item fistulis, cum axungia veteri, ite ne in tu* addatur.

col mele a chi ha la tosse, ed a chi ha nel petto spurgo marcio. Dassi ancora a chi ha sparto il fiele, a' difetti de* lombi, al male di petto, a' tor­ mini e a' debili di stomaco. Fassene empiastro alle posteme dietro agli orecchi, e a’ cancri. Al­ l'arsione tlef testicoli l’ empiastro si fa con l'ac ­ qua, all’ altre cose eoi mele. È utilissimo ancora a1 bambini ; e eoa mele e eoo fichi a' difetti del fondamento, ed alle gotte. Bevuto he virtù anco­ ra contra i veleni. Medica i sospirosi, non che le fistole con sugna vecchia, ma in modo che no» vada dentro.

E x BOBMIBO, VI.

D b il' o b h i k o , 6.

LXXVI. Horminum semine (ut diximus) cu­ mino simile est, celero porro, dodrantali altitu­ dine. Duorum generum : altefi semen nigrius, et oblongum. Hoc ad Venerem stimulandam, et •d oculorum argema et albugines. Alteri candi­ dius semen et rolundios. Utroque tuso extrahun­ to r aculei ex corpore, per te illito ex aqua: folia ex aceto imposita, paoos per ae vel cuin meile diseatnrat: item furunculo», prMsquam capita faciant, omnesque acrimonias.

LXXVI. L' ormino, come abbiamo dello, è nel seme simile al cornino, nel resto al porro, viene all’altezza d'un palmo. È di doe ragioni : l'uno di essi ha il seme nero e lungo. Questo è buono a destar la lussuria, e giova a* fiocchi bianchi e alle albugini degli occhi. L'altro be' il seme più bian­ co e più tondo. Con l'u n o e P eltro pesto e wtpiastrato per sè nelP acqua si cavano le punte infittesi uel corpo. Le foglie stale nelP acelo, e peste sopra le pannocchie per sè, o col mele, le levano via, non ehe i Agnoli, prime cbe facciano capo, e latte le agrimonie.

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5.

LXXVII. Quin et ipsae frugum pestes io ali­ quo suol oso. Infelix dictum est a Virgilio lolium. Hoc tameu molitum, ex aceto coctum, imposituroque, sanat impetigines, celerius, quo saepius n atatu m est. Medetur et podagris, aliisque dolo­ ribus, ex oxymelite. Curatio baee a celeris differt. Aceti sextario ano dilui mellis uncias duas ju­ stam est : ita temperatis sextariis tribas, decocta farina lolii sextariis daobat asqae ad crassitudi­ nem, calidumque ipsam imponi dolentibus mem­ bris. Eadem farina extrahit ossa fracta.

LXXVII. Anche Perbe che son peste alle biade hanno qualche utilità in loro. Il loglio da Virgi­ lio è chiamato infelice ; nondimeno mollificato e cotto nelP aceto guarisce le volatiche, postovi so­ pra, e tanto più tosto, quanto più spesso si mula. Medica ancora le gotte e altri dolori con ostimele. Questa cura è differente delP altre. In un sestario di aceto si dissolvono doe oncie di mele, e con questo liquido si steraperan tre settarii di farina di loglio, cocendola iofino a cbe si rappigli; poi maltesi calda questa oompotiaèone a* membri che dolgono. La medesima farina cava P ossa rotte.

E MILIARIA BBBBA, 1 .

D e l l ' u b a m il ia e ia , i .

LXXVIII. Miliaria appellatur herba, qaae ne­ cat miliam. Haec trita, et cornu cum vino infusa, podagras jumentorum dicitar sanare.

LXXV1II. Écci un' erba che si chiama milia­ ria, la quale ammazza il miglio. Questa trita, e messa col vino nelP ugna de' cavalli, asini e buoi, dicesi che gli guarisce delle gotte.

E bbomo, i. LXXIX. Bromos semen est spicam ferentis herbae : nascitur inter vitia segetis, avenae gene­ re : folio et stipala triticum imitator. In cacumi­ nibus dependentes pervolas velut locostas habet.

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i.

LXXIX. Il bromo è seme d ' a n ' erba che fa la spiga : nasce fra le biade, ed è specie d ’avena ; e nelle foglie e ne' gambi somiglia il grano. Ha nelle cime siccome piceole locuste che pendono.

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HISTORIARUM MUNDI MB. XXII. Semen alile ad cataplasmata, aeque a t hordea rn, similia. Frodesl tussientibus saccus.

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E x OBOEARCHE, SIVE CYBOMOEIO, I .

LXXX. Orobsnchen appellavi mus uecantera ertam et legumina : alit cynoroorion eam appelliat, a similitudine canini genitalis. Cauliculus esi aioe sanguine, loliis rubens. Estur et per sc, «t in |wtiois qoam tenera est deoocta.

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l b g u v im u m b b s t io l is .

LXXXI. E t leguminibus innascuntur bestiolae venenatae, quae manus pungunt, et periculum vitae adierant, solipugarum generis. Adversus h*s omnia eadem medentur, quae contra araneos et phalaogia demonstrantur. Et fVugum quidem haec sunt ia usa medico.

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zy th o kt c e b v is u .

LXXXI1. Ex iisdem fiant et polus, zythum ia Aegypto, celia et ceria in Hispania, cervisia et plora genera in Gallia, aliisque provinciis, quo­ rum omnium spuma cutem feminarum in facie nutrit. Nam quod «d potum ipsum attinet, prae­ stat ad vini transire mentiouem, atque a vite or­ diri medidoas arborum.

Il seme suo è utile a fare brinate, e simili eose, come l’ orzo. 11 sago giova alla tosse. D e ll’

obobabchb,

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ciho m obio ,

t.

LXXX. Chiamammo orobanche un* erba, la quale ammazza le rubiglie e le civaie: altri la chiamano cinomorio, per essere simile al mem­ bro genitale del cane. Ha gambo senza sugo • foglie rosseggiarti. Mangiasi cruda da sè, o in piattelli quando è cotta tenera. B es TIUOLB CHE BASCOKO FBA 1 LEGUMI.

LXXXL Tra le civaie nascono alcone bejtino­ ie velenose, le quali pugnendo le mani fanno pe­ ricolo alla vita. Sono della specie delle solipun* ghe. Conira queste valgono quei medesimi rimedii, che insegnammo conira i ragni e i falangi. Queste dunque sono le medicine, che si Unno delle biade. Z it o

b c e b v o g ia .

LXXX 1L Delle medesime si fanno pozioni, cioè il zito in Egitto, la celia e la ceria in Ispagna, la cervogia e molle allre in Francia c nel* l ' altre provincie, la schiuma di lolle le quali fa bella pelle nel viso alle donne. Ma avendo a trat­ tare del bere, meglio è venire alla menzione del vino, e cominciare le medicine degli alber dalle vili.

C. PUNII SECUNDI

HISTORIARUM MUNDI LIBER XXIII MEDICINAE EX ARBORIBUS CULTIS

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D * v itib u s* xx .

I. JTeracia cerealium in medendo quoque natura ert, oauwunque q u a e ciborum, aut florum, odormaqae gratia p ro v e n iu n t supina fallare. Noo taril his Pomona, parte*]ae medicai et pendentibas dedit, non c o n te a ta protegere, arborurnqoe tkre ambra q u ae diiiaM it; immo velat indignata fh i assilit ia e n e h is quae longius a eoelo abea•mt, qaaeqse p o stea eoepisient. Primum enim henioi oibam fuisse inde, et sio indocto coelsm patcique e t n sn c ex ss posse sine fra-

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D illi

v it i

mbdic. ao.

I. t j i à s’ è trattato della medicina eh*è nelle biade, e di tutte le cote che produce la terra dalla superficie o per cibo, o per fiori e odoramenti. A questi non cede Pomona, la quale ha dato ancora virtù medicinale a' tuoi frutti pendenti, non con­ tenta di coprire e nutricare con 1' ombra degli alberi le cose già dette da noi : anzi è come sde­ gnala che sia maggiore aiuto in quelle cose, le quali sono più discoste dal cielo, e che più tardi comiociarono. Perciocché il villo degli uomini pW ▼enne prima dagli alberi, onde anche per ciò essi erano indotti a guardare il cielo ; e ancora a' tem­ pi nostri potrebboo vivere senza le biade. 11. Laonde, come sdegnala, diede està dea vir­ 11. Ergo herow ls artes io primis dedit f itibus, tù medicinale agli alberi, e mautmamenle alle ■oo «ostenta delicia* etiam, et odores, atque m * viti, non contenta averci dato in qaegli tante fMata, ompbacào, e t oenanthe, ao massari (qaae delicatezze, e unguento «l’ onfacio, e di eoante, e «w locis d ix im u s), nobiliter instruxisse. « Più» di massare ( di cui sopra abbiamo latto menzio­ riaam, in q a it, ho m in i voluptatis ex me est. Ego ne ). Epperò disse: «. Grandissimi diletti pigliano ■ceom vini, liq u o rem olei gigno. Ego palmas et gli uomini per me. lo genero il sugo del vino, e P*ma, totqoe v arietates: neque a t tellus, omnia il liquore dell’ olio. Io produco le palme, i pomi p r labores, sra n d a tauris, terenda areis, deinde »xii, ut q u an d o , quantove opere cibi fiant. At e tante sorti di frulli : nè fa bisogno ch’io, come ex me parala om nia, nec curvo laboranda, sed la terra, ogni cosa faccia con fatica, arare co’ buoi, battere sull’ aie, e finalmente macinare co’sassi, vie porrigentia u ltro : et si pigeat attingere, etiam acciocché dopo mollo tempo e fatica i miei pomi «lentia. » C e rta v it ipsa secom, plusque utilita­ diventino cibo. Tutti i miei fruiti sono pronti e ri causa g e n u il eliam , quam voluplalis.

C. P U M I SECUNDI a pparecehiati,e senzadio i) curvo colouolor trava­ gli intorno, se gli offrono da loro stessi : e se gli uomini per pigrizia non gli colgouo, cadendo da sè medesimi a loro si danne. » In questa forma sforzando di vincere sè stessa, ha generato agli uomini molte più cose per cagion d’ utilità, che di piacere. Di

f o l iis

v iT iu ii, * t

f a m p ik o ,

tu .

D i l l e f o g l i e d e l l e v i t i , b d e l p a m p in o , j .

III. Le foglie e i pampani delle vili mitigano III. Fulia vitium el pampini capitis dolores, la doglia del capo e le infiammagioni de* corpi inllammatiunesque corporum mitigant cum po­ lenta. Folia per «e ardore* stomachi ex aqua fri* con la polenta. Le foglie per sè state nell1acqua fredda mitigano gii ardori dello stomaco, e oou fida : cam farina vero hordei* articularios mor­ farina d* orzo medicaoo i morbi articolari. I pam­ bos. Pampini Irili et impositi lumoirem omnem pani pesti seccano, postivi sopra, ogni enfiagione. siccant. Succus eorum dysentericis infusus mede­ tur. Lacryraa vitium, quae veluti guminis est, 11 sugo loro guarisce i pondi, iufusovi sopra. La lagrima delle vili, eh1è come gomma, guarisce b lepras et lichenas, psorat nitro ante praeparatas lebbra, le volatiche, e la rogna, preparate prima san at. Eadem cum oleo saepius pilis illitis, psi­ col nitro. Ungendo spesso i peli eoa la medesima, lothri effectum habet, inaximeque quam virides accensae vites exsudant : qua et verrucae tollun­ e oon olio, si la il medesimo effetto che col psilotur. Pampini sanguinem exscreantibus, et mu­ Iro, e massimamente con quella lagrima che fanno lierum a conceptu defectioni, diluti potu prosunt. le vili verdi quando elle ardooo ; eoa la qaale si Cortex vilium et folia arida, vulnerum sanguinem levano via ancora i porri. I pampani giovano a sistunt, ipsumque vulnus conglutinant. Vilis albae chi spula sangue ; e beendogli stemperati giovano viridis lusae succo impetigines tollantur. Cinis agli sfinimenti delle doone, poi che hanno par­ sarmentorum vitiumque et vinaceorum, condy­ torito. La corteccia e le foglie secche delle vili lomatis et sedis vitiis medetur ex aceto: item fermano il sangue, e risaldano le ferite. 11 sago luxatis et ambustis, et lienis tumori, cum rosaceo della vite bianca verde pesta oon l’ incenso caccia et ruta et aceto. Item igni sacro ex vino citra P impetigine. La cenere de* sarmenti delle viti e oleam adspergilur, et intertrigini: et pilos absudelle vinaccie stata nell’ aceto guarisce i fiehi ed rtil. Dant et bibendum cinerem sarmentorum ad altri difetti del sedere ; e oon olio rosato, rata lienis remedia aceto oonspersara, ita a t bini cya­ e aceto medica qaegli che hanno le membra scoathi in tepida aqua bibantur, utque qui biberit, cie, le incolture e lo enfiato deHa milza. Stata nel io lienem jaceat. vino senza olio e sparsa sol fuoco sacro lo risani, e consuma le scorticatore della pelle per troppa camminare, o per fregarsi 1* un membro eoa P al­ tro, e leva via i peli. Dassi anco li oenere de’aarmenti spruzzata d’aceto a bere per rimedio dell* milza ; così però, che bevansene dae bicchieri io acqua tiepida, e colui che beve giaccia in salii milza. Gli stessi viticci triti e beali con acqua levano Clavicalae ipsae, qnibus repant vites, tritae, l’usanza del vomitare. La cenere di viti eoo sugai et ex aqna potae, sistant vomitionum consueluvecchia giova contra gli enfiati, purga le fistòls, di nem. Cinis vitiam cum axungia vetere contra e poi le risalda : leva le doglie de’ nervi nate per tumores profieit, fistulas porgat, mox et persa­ freddura, e i rattrappamenli : con olio guarisce W nat : item nervorum dolores frigore ortos, conparli infrante nel corpo ; e con aceto e nitro le tractionesqoe: contusas vero partes cnm oleo, carnes excrescentes in ossibus cum aceto et nitro, carni che orescono nell' ossa ; e oon olio lo piaghe scorpionum et canum plagas cura oleo. Cortic» fatte dagli scorpioni e da’cani. La oenere della scorza della vite fa riuasoere i peli a chi pati ar» per •« oiois combustis pilos reddit. sione.

HISTORIARUM MUNDI LIB. XXIII. D b OMPHAC 10 V1T1DM, XIV.

D E L I .'OBFACIO DBLLB VITI, l { .

IV. O m p b a d n m qua fie n t ratione incipienti* IV. Abbiamo già insegnalo n d trattalo degli p u b e rta te , in ungaentoram loco docuimus. unguenti, come dell’ uva, quand' essa comincia, Nane ad m edicinam de eo pertinentia indicabi­ si fa 1’ unguento chiamato onfacio. Ora ragione­ mus. Sanat ea, quae in humido sunt ulcera, ut remo delle sue medicine. Guarisce dunque le ul­ oris, tonsillarum , genitalium. Oculorum d aritati cere che sono in luogo umido, come della bocca, plurimum co n fert: scabritiae geoarum, ulceridelle gavigne e delle parti genitali. Giova molto busque angulorum , nubeculis, ulceribus quacum­ a rischiarare la vista, alla ruvidexza delle palpe­ que in p a rte manantibus, cicatricibus marddia, bre, alle ulcere che son negli angoli degli occhi, ossibus p u ru lente limosis. Mitigatur vehementia a' panni o maglie, a tutte le ulcere che gettano, in ejus raelle a n t passo. Prodest et dysenlericis, qualunque parte sieno, alle margini marcie e agli sanguinem exscreantibus, anginis. ossi dove sia puzza. La sua veemenza si rompe col mele o col viu collo. Giova al male de'poudi, a chi sputa sangue, s alla sqainanzia.

btm

Db

o b h a h th b , x x i.

D ell'

ehartb,

21.

V. Ompbacio cohaeret oenanthe, quam viles V. Con Ponfacio s'accompagna Penante, prodotto dalle vili selvatiche, di cui s 'è detto nel silvestres ferunt, dicta a nobis in unguenti ratio­ ne. Laudatissima in Syria, maxime drea Antio­ trattalo degli unguenti. E ottimo in Siria, massi­ mamente circa i monti d ' Antiochia e di Laodi­ chiae et Laodiceae montes : et ex alba vite refri­ gerat, adstringit, vulneribus Inspergitur, stoma­ cea : quello di vile bianca rinfresca, rislrigne, cho illinitur, utilis nrinae, joci aeri, capitis dolo­ spargesi sulle ferite e impiastrasi sullo stomaco : ribus, dysenteriois. Contra fastidia obolo ex aeeto ì olile alP orina, al fegato, a' dolori del capo e al pota. Siccat manantes capitis eruptiones, effica­ mal de' pondi. Conira i fastidii si bee con l’aceto a cissim a ad vitia quae sunt in humidis : ideo et misura d 'un obolo. Secca le rotture del capo, che o ris ulceribus, et verendis, ac sedi cum meile et gettano: è potentissimo a'mali che sono nelle parti ero e» . AJvum sistit. Genarum scabiem emendat, nmide, e per questo è utile alle crepature della ocuJoraraque lacrymaliones ex vino stomachi dis­ bocca, e alle parli genitali, e al «edere, col mele solutionem : ex aqna frigida pota sanguinis e col zafferano. Ferma il corpo. Guarisce la scab­ exscreationes. Cinis ejus ad collyria, et ad ulcera bia delle guance e la lagrimazione degli occhi, e porganda, e t paronychia, et pterygia, probatur. col vino la dissoluzione ddlo stomaco, e con ac­ U ritor in furno, dotiec panis percoquatur. Mas­ qua fredda bevuta lo spotare del sangue. La ce­ saris odoribus tantum g ig n itu r: omniaque ea nere sua è buona a fare medioamenti da occhi, e aviditas h u m sni ingenii nobilitavit, rapere festi­ a purgare le rotture, s 1 paterecci, e quelle pel­ nando. licole, che si sfogliano attorno all' unghie delle dita* Ardesi nel forno, fin cbe si cuoce il pane. Il massare nasce solo per gli odori : però tutte cotali cose sono state nobilitate dall' avidità ddP inge­ gno umano, che le colse prima che il fiore passasse in frutto. Db

u v i s m a t u r is , h b c e n t ib u s .

U vb m a t u r b

e fre sc h e .

V I. i. Matureseentiom autem uvae veheaen- VI. 1. Dell'uve, che maturano, le nere sono più gagliarde, e perdo il vin loro è manco dilet­ tio re s nigrae, ideoque vinum ex his minus jucun­ tevole : più soavi sono le bianche, perchè ricevo­ d u m : suaviores albae, quoniam e translucido fa­ no meglio l ' aria per essere trasparenti. ciliu s accipitur aer. L 'uve fresche gonfiano lo stomaco, e per ven­ R ecentes stomachum, et spiritus inflatione tosità turbano il corpo ; e perciò nella febbre è alvu m tu rb a n ti iiaque in febri damnantur, utique biasimala la troppa copia d ' esse, perciocché ap­ largiores. Gravedinem enim capiti, roorbumque portano gravezza al capo, e fanno il male del le­ lethargicum faciunt, lnnocentiores, quae decer­ targo. Nuocono meno quelle, che colle sono «tale ptae d i a pependere: qus ventilatione etiam utiles

C. PLINII SECUNDI

275

»76

fiunt stomacho, aegrisque. Nara et refrigerant leviter et laalidiam auferunt.

appiccate qualche tempo ; per la quale ventila­ zione sono anco utili allo stomaco e agli amma­ lali ; perchè elle rinfrescano leggermente, e leva­ no il fastidio dello stomaco.

D e u v i s c o n d i t i s ; m e d ic i n a e , i i .

D e l l 1 u v e c o n s e r v a t e , m e d ic . i i .

Le ave che sono state nel vin dolce, of­ VII. Qoae autem in vino dolci conditae fuere, VII. fendono il capo. Prossime 1 qoelle che sono state capot tentaut. Proximae sunt pensilibus in palea appese, son quelle altre che si sono conservate servatae. Nara io vioaceis servatae, et capot, et nella paglia ; perciocché le conservate nelle vivesicam, et stomachum infestant. Sistunt tamen naccie offendono il capo, la vescica e lo stomaco. alvom, sanguinem exscreantibus utilissimae. Quae Nondimeno fermano il corpo, e sono utilissime a vero in musto fuere, pejorem vim eliamnnra ha­ chi spula sangue. Però quelle che sono siate nel bent, qoam quae in vinaceis. Sapa quoque stomosto sono ancora peggiori di quelle che sodo jnacho inutiles facit. Saluberrimas potant medici state nelle viuaccie. Similmente la sapa le fa ino­ in coelesti aqoa servatas, etiamsi minime jucunlili allo stomaco. I medici tengono per utilissime das: sed voluptatem earum in stomachi ardore quelle che si son serbate in acqna piovana, ancor* sentiri, et in amaritudine jecoris, fellisque vomi­ ch’ elle sieno poco dilettevoli al gusto; ma il tione in choleris: hydropicis, cum ardore febrium diletto loro si sente nell'ardore dello stomaco, aegrotantibus. At in ollis servatae, et os, et sto­ nell* amaritudine del fegato, nel vomito del fiele machum, et aviditatem excitant. Paullo tamen per collera, e dai ritruopichi, i quali hanno ar­ graviores existimantur fieri vinaceorum halita. dori di febbre. Quelle che si sono serbate nelle Uvae florem in cibis si edere gallinacei, ovas non attingunt. pentole, destano la bocca, lo stomaco e l’ appe­ tito. Si tien però che riescano alqaanto più gravi con P alito deHe vinaccia. Se si darà a beccare ai polli il fior dell'uve, non toccheranno Pavé stesse. D e s a i m b i tti s u v a r u m , i .

D e* s a r m e n t i d e l l 1 o v e , i.

VIII. Sarmenta earum, in quibus icini fuere, adstringendi vim habent, efficacior» ex ollis.

V ili. I raspi loro, ne* quali furono gli acini, hanno virtù ristrettiva, ma piò possenti aon que­ gli che sono stali nelle pentole.

D e n u c l e is a c in o ru m ,

v i.

IX. Nuclei leioorom eam dem vim obtinent. Hi sont qoi in vino capitis dolorem faciant. To­ sti tritiqoe stomacho utiles sont. Inspergitor fa­ rina eorom, polentae modo, potioni, dysentericis, et coeliacis, et dissoluto stomacho. Decocto etiam eorum fovere psoras et proritom utile est.

D e v in a c e is , v in .

X. Vinacei per se minus capiti aot vesicae no­ cent, quam nuclei : mammarum inflammationi triti cum sale utiles. Decoctam eorum veteres dysentericos et coeliacos jovat, et potione, et fotu. Uva

t h e r ia c b , i v .

XI. Uva theriace, de qua soo loco diximus, cou tra serpentium ictus estur. Pampino* quoque

D e i g u s c i d e g l i A erar,

6.

IX. I gusci degli acini hanno la medesima vir­ tù; ma stati nel vino fan dolore di capo. Arrostiti e triti sono utili allo stomaco. La polvere di questi sparsa in pozione al modo che la polenta, è utile ai pondi, a'deboli di stomaco, e a chi ha Io sto­ maco dissolato. La lor cocitura è utile a far fo­ mento alla rogna e al pizzicore. De'

v in a c c iu o l i ,

8.

X. I vinacciuoli di per sè nuocono meno al capo e alla vescica, che i gusci. Pesti col sale sono utili all’ enfiato delle poppe. La loro cocitura è boona a1 pondi vecchi e a’ deboli di stomaco, sia per fomentare, sia per bere. D e l l * uva

t e r ia c a ,

4.

XI. L*uva teriaca, di cui abbiamo parlato al suo luogo, si mangia conira il morso delle serpi.

HISTORIARUM MUNDI LIB. XXIII.

»77

ejus edendos censent, imponendosque, vinumque et «cetum ex his factum auxiliarem contra eadem vim habet. U

v a p a s s a , s iv b a s t a p h is , x i v .

Dicono che ancora i parapani sono utili a man­ giarli e a porli sul morso, e che it viuo e 1' aceto di queste uve fa il medesimo effetto. D bu'

o v a p a s s a , o a s t a f id a ,

14.

XII. Uva pasia, quam astaphida vocant, sto­ XII. L’ uva passa, che si chiama astafida, nomachum, ventrem et interanea tentaret, nisi pro cerebbe allo stomaco, al corpo e agl1 interiori, remedio in ipsis acinis naclei essent: iis exem­ se non fossero per rimedio iu essi acini i noccio­ plis, vesicae utilis habetur ; et tussi, alba utilior. li. Levali questi, si tiene eh' ella sia utile alla ve­ Utilis et arteriae, et renibus: sicut ex his passum scica, e che la bianca sia più utile alla tosse. È privalim e serpentibus contra haemorrboida poutile eziandio all' arteria, e alle reni. 11 loro vin lens. Testium inflammationi cum farina cumini, passo giova particolarmente coutro quella specie aul coriandri im ponuntur: itera carbunculis, ar­ di serpi, che si chiamano emorroidi. Poogonsi ticulariis morbis, sine nucleis tritae cum ru ta: alle infiammagioni de' testicoli, con farina di co­ fovere ante vino ulcera oportet. rnino o di coriandolo; non che a’carboncelli e ai mòrbi articolari, trite senza noccioli con la rata. Quanto alle rotture, bisogna fomentarle prima con vino. Sanant epinjctidas et ceria : et dysenteriam Guariscono alcune macchie rosse rilevate, che cam suis nucleis. E t in oleo coctae gangraenis vengono più la notte che il giorno con ardore, illinuntur cum cortice rapbani et meile. Podagris male che in Toscana si chiama porcellana : coi et unguium mobilibus cum panace, et per se ad lor nocciooli guariscono il mal de' pondi ; e cotte purgandum os caput que, cam pipere comman­ nell' olio s ' impiastrano sulle cancrene con cor­ ducantur. teccia di rafano e mele. Alle gotte, e all' ugna mobili s ' impiastrano eoo panace, e a purgare la bocca e il capo si mangiano per aè cou pepe. A s t a p h is

a g r i a , s iv e s t a p h i s , s iv b p i t u i t a r i a ,

D bll ' a s t a f i s a g b i a ,

o s ta f i, o p itu ita ria ,

ia .

x ii.

XIII. Astaphis agria, sive staphis, quam uvam XIII. L'astafisagria, ovvero stafi, la quale al­ tamiuiam aliqui vocant falso ( suum enim genus cuni falsamente chiamano ava taminia ( perchè habet, cauliculis nigris, rectis, foliis labruscae ), è d' un suo genere, con gambi neri e dritti, e fo­ glie di labrusca), produce foglietto, piuttosto fert follicalos verius, quam aciuos, virides, simi­ les ciceri : in his nucleum triangulum. Maturescit che acini, verdi, simili al cece ; ne' quali è il noe* eam vindemia, nigrescitque : quum taminiae ru» dolo triangolare. Maturasi e fassi nera per la ven­ beotes norinons acinos, sciamusque illam io apri­ demmia, mentre veggiamo che la taminia ha gli acini rossi, e sappiamo che quella nasce in luoghi cis nasci, h an c non nisi in opacis. His nucleis ad solazii, e questa se non al bacio. Io non crederei porealionem uti non censuerira, propter ancipiche questi noccioli si dovessero osare a purga* tem strangulationem : nec ad pituitam oris sio gione, per rispetto del pericolo dello strangolar­ caodaro. fauces enim laedunt. Phthiriasi caput tt reliquum corpus liberant triti, facilius admixta si ; nè ad asciugare le reme della bocca, perchè offendono le canne della gola. Pesti liberano il sandaracha : item prnritu, et psoris. Ad dentium dolora deco q u u n tu r in aceto, ad aurium vitia, capo e il rimanente del corpo dal male de' pi­ docchi, e più facilmente mescolandovisi la sanda­ rheumatismum cicatricum,'ulcerum manantia. raca, e dalla rogna e dal pizzicore. A dolori dei denti si cuocono nell'aceto, a mali degli orecchi^ a rema di cicatrici, e a piaghe che gettano. Il fiore trito nel vino si bee contra le serpi, FJos trilu a in vino contra serpentes b ib itu r: semen enim abdicaverim, propter nimiam vim ma non oserei già il seme per la troppa forza di ardore. Alcuni domandano pituitaria codesta vite, ardoris. Q u id am eam pituitariam vocant, et piar e la empiastrano sulle piaghe fatte dalie serpi. fu scrpeotiom u tiq u e illinunt.

C. PLINII SECONDI

279 L a b b c k a , x ii .

DBLLA LABBOSCA,

12.

XIV. Labrusca qaoqae oenanthen fert, satis XIV. La labrusca ancora produce renante, di dictam, quae a Graecis ampelos agria appellatur, cui s' c ragionato a bastanza. Ella st chiama apissis et candicantibus foliis, geniculata, rimoso da' Greci ampelossgria: ba le foglie spesse e bian­ cortice : fert ovas rubentes cocci modo, qoae cu­ che, con nodegli e con corteccia piena di fessu­ re : fa uve rosse a modo di grana, le quali pur­ tem in facie mulierum purgant, et varos : coxen­ dicum et lumborum vitiis tusae, cum foliis et gano la pelle nel viso delle donoe, e giovano per diversi mali delle costole e de' lombi, peste con sucoo prosunt. Radix decoela in aqua, pota in vini Coi eyathis duobos, humorem alvi ciet : ideo le foglie e il *ugo. La radice cotta nell* acqua e hydropicis datur. Hanc polias crediderim esse, bevuta in due bicchieri di vin di Coo moove quam vulgus uvam tamioiam vocat. Utontur ea 1'amore del ventre; e per questo si dà a 'ritru o ­ pichi. Questa crederò io piuttosto che sia quella, pro amuleto : et ad exspuitionem sanguinis quo­ che il vulgo chiama uva taminia. Usasi a mo’ d'a­ que adhibent, non nitra gargarizationes* et ne muleto, anche contra Io sputo di sangue, ma so­ qoid devoretur, addito sale, thymo, aceto mulso. lamente per gargarismo, senza che punto se ne Ideo et purgationibus andpitem putant. inghiotta : aggiunge visi sale, timo, e aceto me­ lato. Per questo la tengono dubbiosa nelle pur­ gagioni. D b SAL1CASTBO, X II.

D el

s a lica st bo ,

13.

XV. Est baio similis, sed in salictis nascens : XV. Éccene un* altra simile a questa, ma na­ ideo distinguitur nomine, quum eosdem usus sce ne’ salcetti, e per questo è distinta per nome, babeat, et «alicastrum vocatur. Scabiem'*et pruri- ancora eh' ella abbia la medesima virtù, e chia­ ginem hominum quadrupeduraqae aoeto mulao masi salicastro. Pesta con P aceto melato ha gran trila haec efficacius tollit. virtù di cacciare la scabbia e il pizzicore degli uomini e de* quadrupedi. D*

VITE ALBA, SIVB AMFELOLROCX, SIVB STAPBYLE, SIVB KBL 0 T i n

0 ,SlVB

SIVB MADO, XXXV.

ABCHEZOST1, SIVB CBDBOSTI,

D

ella

v it e a l b a , o v v bbo

a m pelo lec c e,

o sta-

F1LB, O MELOTBO, O AECBEZOSTI, O CEDEOSTI, O MADO,

35.

XVI. Vilis alba est, quam Graeci ampeloleu* XVI. Écci la vile alba, che i Greci chiamano een, alii ophiostaphylon, alii melothron, alii psi­ ampelolence, alcuni ofiostafilo, altri melotro, al­ lothrum, alii archezoslin, alii cedroitin, alii ma­ tri psilotro, alcuni archezosti, alcuni cedrosti, e don appellant. Hnjus sarmenta longis et exilibus alcuni mado. I sarmeoti di questa son nodosi con internodiis geniculata scandunt. Folia pampinosa lunghi e sottili bucciuoli. Le foglie sono pampi­ nose alla grandezza dell' ellera, e dividonsi come ad magnitudinem ederae, dividantur u t vilium. quelle delle viti. La radice è bianca, grande, e si­ Radix alba, grandis, raphano similis inilio: ex ea caules asparagi similitudine exeunt. Hi decocti mile nel principio al rafano : da essa eacono in cibo alvum et urinam cient. Folia et caules gambi simili allo asparago. Questi cotti e m an­ exulcerant corpus : utique ulcerum phagedaenis giali muovono il corpo e 1*orina. Le foglie e i et gangraenis, tibiarumque taedio cnm sale illi­ gambi rompono i malori del corpo : fassene e m nuntur. Semen in nva raris acinis dependet, succo piastrocon sale alle fagedene, alle cancrene e al fa­ rubente, postea croci. Novere id qui coria perfi* stidio delle gambe. 11 seme nell'uva pende in a c i­ ciont: illo enim utuntur. Psoriset lepris illiuitur. ni rari, e il sngo da principio rosseggia, dipoi è Lactis abundantiam facit coctum cum tritico, po- giallo. Sannoio que* che tingono i cuoi, perch è • tumque. Radix numerosis utilitatibus nobilis, con­ l'adoperano. Fassene empiastro alla rogna e alla tra serpentium ictus trita dracmis duabus bibitur. lebbra. Cotto col grano e bevuto fa dovizia d i Vitia eutis in facie, varosque et lentigines et su­ latte. La radioe è nobile per molte utilità. Pesta gillata emendat, et cicatrice*. Eademque praestat si bee a peso di dne dramme oontra il m orso decocta in oleo. Decoctae datur et comitialibus delle serpi. Vale a levare ogni macchia, tum o re, potus : item mente commotis, et vertigine labo­ lentiggine, sigillato e margine che fosse sul viso. rantibus, drachmae pondere quotidie anno loto. Il medesimo fa ancora cotta nell’ olio. La *ua co -

mSTOtUÀROM MUNDI LIB. XXIlf. Et ip u a u te m la rg io r aliquanto «cosai porgat. llla vis p ra e c la ra , q ao d ossa infracta exlrabit in aqua, im p o sita , u t bryonia : quare quidam hano albam b ry o n ia m vocant. Alia vero nigra effica­ cior ia eodem u su cum meile el ibare.

S uppurationes incipientes discutit, veteres mu* tarai et p o rg a t. C ie t menses et urinam. Ecligma ei ea fit su sp irio sis, et contra lateris dolores, vul­ sis, ruptis. S p le n e m ternis obolis pota triginta diebus c o n su m it. lllio ita r eadem cum fico et pterygiu d ig ito ru m . E x vino secundas feminarum adpodta tr a h it : e t pituitam, drachma pota in aqna mulsa, s o c c o s radicis. Colligi debet ante aatsrilstem s e m i o is : qui illitus per se el eum ervo, laetiore « fn o d am colore et cutis teneritate mangonizat c o r p o r s . Tunditur ipss radix cum piogui fico, e r u g a t q u e corpus, si stalim bina sta­ dia a m b u len tu r: alias urit, nisi frigida abluatur. Joesndius h o c id e m praestat nigra vilis, quoniam a lk pruri tu sa « d f e r t.

De v it e nsiA ,

s iv e

n to iu ,

s iv e c h i b o r i a , s iv b

283

citura si dà a bere a chi ha il male caduco, a chi avesse Ia mente altersta e a chi avesse capogirli, ogni dì una dramma per un anno. Se si piglia in quantità» purga i sentimenti. Ha similmente altra gran virtà, che posta nell* acqua e messavi su, come la brionia, tira fuori l ' ossa rotte : per ciò alcuni la chiamano brionia bianca. Éccene un' al­ tra nera, che ba maggior virtù nel medesimo uso con mele e incenso. Questa dissolve dove si comincia a far colta ; o se già è fatta la ragunata, matura e purga. P ro ­ voca i mesi delle donne e l ' orina. Di questa si fa pittima a1sospirosi, al dolore del fiauco, agli sconvolti ed a rotli. Beendone treota dì conlioui, ogni dì tre oboli, consuma la milza. Fassene e ca­ pissi ro co1 fichi alle pellicole, che si sfogliano in­ torno all' unghie delle dits. Ponendola sul luogo eoi vino, tira fuori le seconde delle donne. Been­ done una dramma del sogo della radice in acqua melata purga la flemma. Questo sugo si debbe raccorre innanzi che il seme sia maturo ; il qual impiastrato per sè e«on le rubiglie, arruffiana i corpi, facendoli di più lieto colore, e più bella ente. La radice si pesta eon fichi grassi, e cosi leva le grinze di tutto il corpo, se di subito cam­ minerai un quarto di miglio : altrimenti riarde, se non si lava con acqua fredda. Queslo medesimo effetto e molto meglio fa la vile nera, perchè la bianca apporta pizzicore. D e lla

v it e r b g b a , o b b io r ia , o c b ib o r ia ,

G 1 S A E C 1 R T B B , SIVB ÀPEORIA, XXXV.

O G1RECARTE, O APEORIA, 3 5 .

XVII. E st e r g o e t nigra, quam proprie bryo­ niam vocant, a lii chironiam , alii gynaecanthen, aut aprooiam, sim ilem priori, praelerquam co­ lore. Hujus e n im n ig ru m esse diximus. Asparagos ejas Diodes p r a e t u li t veris asparagis in cibo, ari­ ose eiendse, lie n iq u e minuendo, in frutelis et sraadinetis m a x im e nascitur.

XVII. Écci dunque anco la nera, la quale pro­ priamente si chiama brionia, da alcuni chironia, da altri ginecante, ovvero apronia, simile alla pri­ ma, fuor che nel colore. Dicemmo che il colore di questa è nero. Diocle loda più gli sparagi! d'essa, che i veri sparagii, per mangiarli a provocar l’o­ rina, e a scemar la milza. Nasce per lo più nei pruneti e ne' canneti. La radice sua di fuora è nera, dentro di co­ lore di bosso, e più gagliardamente tira fuori le ossa rotte, che le sopraddette. Ma la sua priocipal virtù è, cbe ella medica unicamente il collo dei giumenti. Dicono che essa, se si cingerà con lei la casa della villa, fa fuggire gli uccelli di rapina, e assicura gli uccelli della villa. Legandola al tal­ lone guarisce nell’ uomo e nel giumento la flem­ ma, o il sangue che vi si raccoglie. Ma questo basti quanto alle specie delle vili.

Radix fo r is n ig ra , intus buxeo colore, ossa iofiracta vel efficaeiu s extrahit, qoam supra dicta. Ceterum e id e m peculiare est, quod jumentorum cervicibus u n ic e m edetur. Ajunt, si quis villam ea p ra ec in x erit, fu gere accipilres, tutasque fieri villaticas a lite s. Iisd e m in jumento bomineque, flemina, a u t s a n g u in e m , qui se ad talos dejecerit, circumligata s a n a t. E t hactenus de vitium geaeribus»

D

e h o sto,

xv.

XVII I. M u s ta differentias habent naturales W, q a o d s u n t candida, aut nigra, aut inter

D el

so sto, i

5.

XVII I. Fra i mosti è questa naturai differen­ ta , eh' essi sono bianchi, o neri, o fra l ' uno e

C. PLINII SECUNDI

*83

utramque : aliaque, ex quibus vinum fiat; alia* ex quibus passum ; cura differentias innumerabi­ les facit. Iu plenum ergo haec dixisso conveniat. Mustum omne stomacho ioutile* venis jucun> dum. A balineis raptim et sine interspiratione potam, necat. Cantharidum natorae adversatur. Item serpentibus, maxime haemorrhoidi, et sala­ m a n d ra . Capitis dolores facit, et gutturi inutile : pro­ dest renibus, jocineri, et interaueis vesicae ; col­ laevat enim ea. Privalim contra buprestim valet. Contra meconium, laciis coagulationem, cicu­ tam, toxica, dorycnium, ex oleo potura, redditumque vomilionibas. Ad omnia infirmius album, jucundius passi mostum,et quod minorem capitis dolorem adferat,

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l'altro colore ; e d’alcuni si fa vioo, d’alcnni altri si fa passo o vin cotto : dipoi la industria fa tra loro infinite differente. Ma in generale qoeste son le cose che s ' hanno a dire. Ogni mosto nuoce allo stomaco, ma è dilet­ tevole alle vene. Egli uccide, se si bee di fretta e senza pigliar fiato, quando si esce dal bagno. È contrario alla natura delle canterelle e alle serpi, e massimamente alla emorroide e alla sala­ mandra» Fa dolere il capo, ed è inutile alla gola. Gio­ va alle reni, al fegato, e agl’ interiori della vesci­ ca, perchè li ammorbida. Particolarmente vale contra i bupresti, specie di bruchi velenosi. Bevuto con olio, e mandato fuori per vomito, vale contra il meconio, specie d’ oppio, il rappi­ gliar del latte, la cicuta, i veleni e il doricnio. A tutte codeste cose ha manco virtù il bianco. 11 mosto del vin colto è più dilettevole, e fa manco dolore al capo. T

v ir o .

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v iv o .

XIX. Noi abbiamo raccontate assaissime ra­ XIX. Tini genera differentiasque perquam gioni e differenze di vino, e quasi la proprietà di multas exposuimus, et fere cujusque proprietates. ciascuno. Ma n o n v* è alcuna parte più difficile a Neque ulla pars difficilior tractatu, aut numero­ sior : quippe quum sit lardum dictu, pluribus trattarsi, nè più numerosa di questa, essendo prosit an noceat. Praeterea quam ancipili eventu malagevole a dirsi se giova a’ più, o s’ei uuoce; e polu statini auxilium fit, t u t venenum ? Eteoiin oltra ciò con quanto dubbioso successo beendolo de natura ad remedia tantum pertinente nunc ora è aiuto, ora veleno ? Perchè noi parliamo ora loquimur. Unum de dando eo volumen Asclepia­ della natura, solo in quanto essa appartiene a’ri­ des condidit, ab eo cognominatura : qui vero medii. Asclepiade compose un libro, cognominato postea de volumine illo disseruere, innumera. Nos da lui, circa il modo di darlo : molli poi hanno ista Romana gravitate, artiumque liberaliora addisputate molle cose di questo libro. Noi dili­ pelenlia, non ut medici, sed ut judices salutis gentemente distingueremo queste cose con gra­ humanae, diligenter distioguemas. De generibus vità Romana, e secondo che vogliono le orti li­ singulis disserere immensam et inexplicabile est, berali, non come medici, ma come giudici della discordibus medicorum sententiis. salute umana. Il volere particolarmente discor­ rere di tutti i generi è cosa di grandissimo tra­ vaglio e fatica, essendo tanto differenti i medici nelle loro opinioni. D b S o b b i r t i h o , i u ; A lbano,

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; F a le b k o ,

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s u b b b b t ik o , m b d ic .

3.

D ell*albaro, a .

D el F alebno, 6 .

XX. Surrentinum veteres maxime probavere : XX. Gli antichi lodarono molto il vin Surren­ tino, e l’età che veone appresso lodò l’Albano o sequens aetas Albanum aut Falernam. Deinde alia il Falerno. Dipoi chi uno e chi un altro, con in­ alii iniquissimo genere decreti, quod cuique gra­ tissimam, celeris omnibus pronuntiando. Quin, giustissimo giudicio, ritenendo ciascuno per mi­ ot constarent sententiae,quota portio lamen mor­ gliore quello che più gli piaceva. Ma poniamo talium his generibns posset uti ? Jam vero nec che lutti s’ accordassero, nondimeno quanti poi proceres usquam sinceris. Eo venere mores, ut sono quegli che possono usar di queste specie ? nomina modo cellarum veneant, stalimque in la- Nè anco gli uomioi grandi in ogni luogo possono cubus vindemiae adulterentur. Ergo hercle, mi­ avergli schietti. A tale son venuti i costumi, che rum dictu, innocentius jam est, qaodcaraqae et •olo i nomi delle celle si vendono, e subito nei lini della vendemmia si con trailan no. Maravjgliosa ignobilius. Haec tamen facere constantissime vi-

HISTORIARUM MUNDI MB. XXIII.

285

dentar tic toriati», quorum mentione fecimus. Si quis hoc quoque discrimen exigit, Falernam noe in novitate, nec in oimia vetustate corpori salu­ bre est. Media ejus aetas a quintodecimo anno incipit. Hoc non rigido pota stomacho utile, non item io calido. E t in diutina tussi sorbetur meram utiliter a jejunis : item in quartanis. Nullo aeque venae excitantor. Alvum sistit, corpos alit. Credi­ tum est obscuritatem visas facere: nec prodesse nervis, aut vesicae.

Albana nervis atiliora. Stomacho minas, quae sunt dolcia : austera vel Falerno utiliora. Conco­ ctionem m ious adjuvant : stomachum modiceimplent. At Sorrentina nullo m odo,nec caput lentant: stomachi et intestinorum rheumatismos cohibent. Caecuba jam non gignantur. D s S e t in o ,

i

; Stataro,

i

; S ig n in o ,

i.

28G

cosa danqae è a dire, che più sincero sia quello eh’ è più ignobile. Eppure le opinioni che dicem­ mo son esse che danno il pregio e la preferenza nei vini. Ma ancora stando a queste, è certo che il vin Falerno non è salutevole nè nuovo, nè troppo vecchio. La soa mediocre età comincia dal quindicesimo anno. Questo è alile allo stomaco, bevalo non freddo, n è p ar caldo. Utilmente si bee puro da’digiuni, nella tosse continua, e nella quartana. Nessun altro vino risveglia più le v e n e , che questo. Egli ferma il ventre e nutrisce il cor­ po. Alcuni hanno creduto eh* egli oscuri la vista, e che non giovi a' nervi, nè alia vescica. I vini Albani sono molto più utili ai nervi. I vini dolci sono manco utili allo stomaco: i bru­ schi sono più utili che i Falerni. Giovano manco allo sm altire, ed empiono moderatamente lo stomaco. Ma i Surrentini per alcnn modo non tentano il capo : restringono i fiossi dello stomaco e de­ gl' interiori. 1 vini Cecabi non sono più in essere. D n S e t in o ,

i

. D ello

D b l S ig n in o ,

XXI. At qoae supersunt Setioa, cibos concoqni cogunt. Virium plus Surrentiua, austeritatis Albana, vehementiae minas Falerna habent. Ab his Statana non longo intervallo abfuerint. Alvo citae Signinam maxime condocere indubita­ tum est. D s EELIQOIS VINIS, U I V .

XXII. Reliqua in commune diceatar. Vino alantor vires, sanguis, colosqae hominum. Hoc qaoqae distat orbis medias, et mitior plaga a cir­ cumjectis: quantam illis feritas facit roboris, tan­ tam nobb bic succos. Lactis potns ossa alit, fru­ goni nervos, aquae carnes. Ideo minos ruboris est in corporibus illis, et minus roboris, conlraquelabores patientiae.

Vino modico nervi javantur, copiosiore lae­ dantur ; sic et ocnli. Stomachus recreator : adpeteotia c i b o T u m invitatur : tristitia et cara hebeta­ tor: urioa et algor expellitor : somnus conciliator. Praeterea vomitiones sistit: collectiones extra la­ nis horaidis impositis mitigat. Asclepiades utilita­ tem vini aequari vix deorum potentia pronuntia­ vit Vetus copiosiore aqua miscetur, magisque vrioam expellit: minus siti resistit. Dulce minus fcbrut, sed stomacho innatat : austerum facilius taacoquilar. Levissimum esi, quod celerrime in-

statan o, i

r.

.

XXI. I Setini, che oggi s ' usano in cambio loro, fanno smaltire. Più forza ha il vin Surren­ tino, l’ Albano è più brusco, e il Falerno più gen­ tile. Dopo questi, e poco da essi differenti, sono i vini Statasi. Il Signino senza alcan dabbio ha virlù di fermar il corpo mosso. D

e g l i a l t r i v in i ,

64.

XXII. Deir altre cose si parlerà in cornane. II vino mantiene le forze, il sangue e il colore delle persone. Per qoesto ancora son differenti il mezzo della terra e i paesi di mite temperatura, da quelli che occupano le estremità di lei; perchè quanto la ferità tà loro fortezza, tanto fa a noi questo sugo. Il bere del latte nodrisce Tossa, quel delle biade i nervi, quel dell' acqua le carni. li perciò manco colore è in q u e 'corpi da noi ri­ moti, e manco forza, e manco pazienza ancora contra le fatiche. II poco vino aiuta i nervi, il troppo gli offen­ de; così gli occhi. Lo stomacosi ricrea, l'appetito de'cibi si risveglia, la maninconia si va scemando, l’oriua e il freddo si caccia, e acquistasi il sonno. Olirà di ciò il vino ferma il vomito : ponendolo con la lana umida dove si fa raccolta, la miliga. Asclepiade ebbe a dire che la potenza degli dei appena si paò agguagliare con la utilità del vino. Il vin vecchio si mescola con più acqna, e caccia più l ' orina, e manco cava la sete. 11 vin dolce ubbriaca meno, ma nuota nello slomaco. 11 bru-

a88

C. PLINII SECONDI veteratur. Mious infestat nervos, qaod vetusUle dulcescit. Stomacho minus utile est pingue, nigrani, sed corpora magia alit. Tenue et austerum minus alit, magis stomachum nutrit. Celerius per urinam transit, lantoqae magis capita tentat: hoc et io omni alio succo semel dictum sit.

Vinum si sit fumo inveteratum insaluberri­ mum est. Mangones ista in apothecis excogitare* re. Jam et patresfamilias aetatem ademere his, quae per se cariem traxere. Quo oerte vocabulo salisconsilii dedere prisci: qnoniamet in materiis cariem fumus erodit : at nos e diverso fumi ama* ritudinc vetustatem indui persuasum habemus, Qoae sont admodum exalbida, haec vetustate insalubria fiunt. Quo generosius vinum est, hoc magis vetustate crassescit, et in amaritudinem corpori minime utilem eoit. Condire eo alind minus annosum, insalubre est. Sua cuique vino saliva innocentissima, sua cuique aetas gratissima, hoc est, media. O

b s e k v a t io n k s c ik c a

v ir a , l x i .

piò facilmente si smaltisce. Quello è più leg­ geri, che più tosto iovecchia. Manco nuoce ai nervi quello che invecchiando diventa dolce. 11 vin nero grasso è meno utile allo stomaco, ma dà pià nutrimento al corpo. 11 vin piccolo e brusco dà meno nutrimento, ma offende meno lo stoma­ co ; più prestamente passa per orina, roa tanto più nuoce al capo ; e basti dir questo una volta di tutti i sughi. Se il vino è fatto vecchio col fumo, è molto nocivo. I mercatanti hanno trovato questo nei ma­ gazzini. E già i padri di famiglia tolgouo Telài quegli, i quali per sè medesimi sanno d’ intarlalo. Col qual vocabolo assai ci hanno consigliato gli antichi, perchè anche uel legname il fumo coniam a i tarli. Noi per contrario ci persuadiamo di dargli vetustà con l ' amarezza del fumo. Qualunque vino è scialbo, invecchiando di­ venta mal sano. Quanto è migliore, tanto piò per vecchiaia ingrossa, e rappigliasi in amaritudine nociva al corpo. Non è cosa utile condire con et* il vino raen vecchio. Ciascun vino ba il suo amo­ re sanissimo, ciascuno ha la sua età gratissima, oioè l1età di mezzo. sco

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v ir i,

6 i.

XX 111. Corpus augere volentibus, aut mollire XXUI. Chi vuole aeorescere il corpo, o mol­ alvum, conducit inter cibos hibere. Contra mi* lificare il ventre, bea tra il mangiare ; ma chi nuentibus, alvumque cohibentibus, sitire in eden* vuole fermare il ventre e scemare il corpo, non bea quando mangia, e poscia bea poco. E cosa do, postea param bibere. Vinum jejanos bibere, novilio invento, inutilissimum est curis, vigorem* dannosa bere a digiuno, secondo nuova inven­ que animi ad procinctum tendentibus : somno zione, perchè egli impedisce i pensieri e il vigore vero ac securitatibus jamdudum hoc fuit, quod dell1animo a chi s'apparecchia a fare de’ fatti* Homerica illa Helena ante cibum ministravit. Sic m a ciò torna bene a chi ha da dormire, o non ha quoque in proverbium cessit, u sapientiam vino da pensare a nulla, come ben mostrò Eleo* in obumbrari, n Vino damus homines, quod soli Omero, dandolo innanzi il cibo. Onde ancora è animalium non sitientes bibimus. Aqnae potum passato in proverbio, u che la sapienza è oscurata interponere utilissimam i itemque jugi sa perbi­ dal vino. « Esso è bevuto solo dagli uomini, p#’ bere. Ebrietatem quidem frigidae potus extemplo chè siam noi soli che lo beviamo senza pure *Ter discutit. sete. È cosa utile tramezzare il bere dell’ acqo*? è utile ancora berne sopra 1*ubbriachezza, la qn»l certo beendo subito dell' acqua fresca se ne va via. Consiglia Esiodo che si bea il vin pretto venti Meracis potionibus per viginti dies ante Canis giorni innanzi al nascere della Canicola, e altret­ ortum, tolidemque postea, suadet Hesiodus ati. Merum quidem remedio est contra cicutas, eo* tanti dopo. 11 vin pretto è rimedio contra la ci­ cuta, il coriandolo, l’ aconito, il visco, il meconio, riandrum, aconita, viscum, meconium, argentum l ' argento vivo, le pecchie, le vespe, i calabroni, vivam, apesf vespas, crabrones, phalangia, ser­ i falangi, e contra i morsi delle serpi e degli sc°r* pentium scorpionumque ictus, contraque omnia pioni, e contra tutte quelle cose c h e nuocooo quae refrigerando nocent. Privatim contra haeraffreddando ; e particolarmente contra l’ emor­ morrhoidas, presteras, fungos. Item contra in­ roidi, le prestere, specie di serpi, e i funghi. CoA flationes, rosionesque praecordiorum, et quoram giova pur contra l ' enfiagioni e i rosicamenti de­ stomachus in vomitiones effunditur : et si venter gl’ intcriori, e a quegli, il cui stomaco è inclinato aat interanea rheumatismum sentiant. Dy«enteri­ al vomito, e se il corpo o gl’ interiori hanno il ci*, sudatoribus, in longa tussi, in epiphoris, flusso. È utile eziaudio a chi ha il male de’pondi, meracum. At vero cardiacis, in mamma laeva

HISTORIARUM MUNDI U B . XXIII. ■eram' iri sp o n g ia in)poni [irodèit. Ad omnia aatera n a x i n e a l b u m inveterascens. Ulilitereliam fovetur v ia e calitlo virilitas jumentis : quo etiam infuso c o rn u lastitndioem auferri ajuut. Simias* quadrupedesque* quibus digiti sunt, negant cre­ scere adauctas m eri p o tu .

Q o iB D S ABG&IS DANDA, BT QOABDO DABDA.

a chi'suda* alla tosse luuga e alie lacrimationi degli occhi. A chi ha passione di cuore giova porre il vin pretto nella poppa ritta con la spugna. Alle quali tutte cose è giovevole massimamente il bian­ co che iuvecchi. Utilmente ancora si fomenta eon vin caldo il membro genitale a’ giumenti, col quale ancora* se vi sia infuso del corno, dicono levarsi la stanchezza. Dicono che le soimie* e i quadrupedi che hanno dita, avvezzandosi a bere vin pretto, non crescono. A QUALI MALATI V OG LIO SI DA&B* B QUANDO.

Ora ragioneremo de1 vini intorno alle XXIV. N u a c circa aegritudines sermo de vini* XXIV. crìi. Saluberrim um liberali ter genitis* Campaniae malattie. Utilissimo a quelli che son di buooa na­ quodeumque tenuissimum : volgo vero* quod tura di corpo è qualunque via leggero di Terra di lavoro : al vulgo è più utile qualunque, altro questue m a x im e juverit validum. Utilissimum omoibus sacco viribus fractis. Meminerimus sue* possente, secondo la natura di ciascuno. Utilis­ cam esse* q u i fervendo vires e musto sibi fecerit. simo a tutti è il via colalo per li sacchi. Ricorde­ Misceris p lu ra genera, omnibus inutile. Saluber­ rem o quello esser sugo, che bollendo acquista rimum, cui n ih il in musta addi tum est: meliusque* forze dal mosto. Mescolare insieme più sorti di si nec vasis p ix adfuit. Marmore enim* et gypso* viuo, nou è cosa mollo utile. Quello è sanissimo, al quale essendo mosto non è stato aggiunto nul­ aat calce condila« quis ttou etiam validus expa­ la ; e meglio ancora, se il vaso non è stalo imverit? In peirais igitur vinum marina aqua facium* pecciato. Quegli che sou conci con marmo, gesso, iout le est stomacho* nervis* vesicae. Resiua con­ o calcina fauno paura ancora agli uomini ben gadita* frigidis stomachis utilia existimantur. Non gliardi. 11 vino concio con acqua marina nuoce expedire vomitionibus* sicut ueque mustum* nea’ nervi* allo stomaco e alla vescica. 1 couei con que sapa* n cq u e passutn. Novilium resinatum n ulli conducit. Capitis dolorem et vertigines la ragia sono tenuti utili agli stomachi freddi, ma non a* vomiti ; come oè ancora il mosto* nò la fa c it : ab hoc «licta crapula est. Tussientibus et in sapa* nè il vin cotto. 11 vin nuovo concio con la rheum atism o nom inata prosunt. Item coeliacis et ragia è inutile afflitto : fa doglie e vertigini di ca? d ysentericis, mulierum mensibus. po, e per questo è detto crapula. I vini già detti giovano al flusso del corpo, alla tosse a' debili di slomaco, al mal de* pondi e a* mesi delle donne.. In questo genere il rosso e il nero ristriugon I n h o c geoere robrum nigrumve magis con­ più* e più riscaldano. Manco nocivo è quello eh* è strin g i!, roagisque cal facit. Innocentius pice sola c u o d iiam . Sed e t picem meminisse debemus non concio con la pece sola. Ma dobbiamo anco ricor­ darci, come altro non è la pece che flusso di. ragia a liu d esse, quam combustae resinae fluxura. Hoc g e n u s vini excalfacit* concoquit, purgat : pectori* combusta. Questa specie di viuo riscalda* fa smal­ tire* purga, ed è utile al petto e al corpo; ed anco v e o ir i utile : item vulvarum dolori, si sine febre al dolore delle matrioi* *’ elle sono senza febbre, s io t, v eteri rheumatismo* exulcerationi* ruptis* al flusso vecchio* alla esulcerazione* a1rolli, agli c o a v u lsis, vomicis* nervorum infirmitati* infla­ spiccali, alle fistole, alla dobolezza de’ pervi* alla tionibus* tussi, anhelationibus* luitflis, in succida ventosità, alla tosse, a chi alita cou fatica, e a que­ la a u im p o situm . Ad omnia haec utiUas id, quod gli che hauno i membri usciti de’ loro luoghi, s p o a te natu rae suae picem resipit* pieatumque postovi su con lana succida. Ma a tulle queste cose apyeUatur. Helvenaco quoque tamen nimio caput è più utile quello che di sua natura riceve il sa­ te stari convenit. pore della pece, e chiamasi picato. Nondimeno ancora il troppo vino Elvico fa dolere il capo. Quanto appartiene alle febbri, cerio è chc Quod ad fe b riu m valeludioes attinet, certum otttoo d andum i a febri, nisi veteribus aegris : non fi deer dar vino a chi ha febbre* se nou ai vecchi ammalati* nè anco sempre, se non quando ■cenisi declinan t e mòrbo. Iu acutis vero peri? cafe, aulii* n is i * sere per mangiare. L 'onfacino giova alle gengi­ ve. Se si tiene in bocca, conserva il color de’deo* ti mollo più che alcuna altra cosa ; e ristringe 1 sadori. D ell'

o l io d ' b n a h t b , e d ' o g b i a l t r o o l io ,

28.

XL. L* enantino fa il medesimo effetto che il rosato. Generalmente ogni sorle. d 'o l i o mollifica il corpo, e gli dà forza e vigore : il co n trario & allo stomaco. Accresce lo espurgo delle rotture. Inasprisce le canne della gola, e spunta tulli i ve­ leni, massimamente quello del psimmizio e del gesso, nell' acqaa melata, o bevuto con la cocitu­ ra de' ficchi secchi : pigliasi con l ' acqua conira

3o5

HISTORIABUM MORDI LIB. XXIU.

«e potum, redditumque vomitionibus, contri omnia «opra dieta. E t lassitudinum perfrictionumque refectio est. T onnina calidum potam cyalhis sex, magisque rata simul decocta pellit Item ventris animalia. Solvit alvum heminae rocnwy» cam vino et calida aqna potum, aut ptisanae succo. Vulnerariis emplastris utile. Fa­ ciem purgat. Bubo* infusam per nares, donec m icat, inflationem sedat.

Vetus autem magis excalfacit corpora, ma* gisqoe discutit sudores. Duritias magis diffundit. Lethargicis auxiliare, et ioclinato morbo. Oculo­ rum claritati confert aliquid, cum pari portione ndfii acapni. Capitis doloribus remedium est. Ilem ardoribus in febri cum aqua : et si vetusti noo sit occasio, decoquitor, u t vetustatem reprae­ sentet.

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o l eo ,

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AMTGDAU1TO,

il meconio, contra le canterelle, il boprtsU , le salamandre e le pkiocampe : bevuto per sè, e ri­ buttato fuori per vomito, giova contro le soprad­ dette cose. È lodatissimo per ricreare gli stanchi e gl' infreddati. Leva i tormini, beandone sei bie* chiari di caldo, e maggiormente se vi è insieme cotta la rata ; e caccia i vermini ancora. Risolve il corpo, bevalo a misura d ' un’ emina con vino e acqoa calda, o con sogo d'orzata. È utile agli em­ piasi ri delle ferite. Purga la faccia. Messo pe’ ba­ chi del naso a'buoi, infino a che ruttino, mitiga le ventosità. Il vecchio riscalda più i corpi, e molto più caccia il sudore, e mollifica le durezze. Aiuta grandemente*! letargici, e quando la malattia co­ mincia inclinare. Giova qualche poco a rischia­ rare la vista, preso eon egual porzione di mele purgato dal fumo. E rimedio a' dolori del capo, e eon l ' acqua agli ardori della febbre ; e se del vecohio non si può avere, si cuoce, aceiooehè rappresenti il vecchio. D

x v i.

XLI. Oleam cicinam bibitor ad purgationes veotris cam pari caldae mensura. Priva tim dici­ tar purgare praecordia. Prodest et artioulorum morbis, d ori t iis omnibus, valvis, auribus, am­ bustis. Cum cinere vero muricum, sedis inllamBMtiooibus, item psorae. Colorem cutis com­ mendat, capillnmqae fertili natura evocat. Semen ex quo fit, noJIa animans attingit. Ellychnia ex ava fiunt, claritatis praecipuae. Ex oleo lumen obscoram propter nimiam piogaitudinem. Folia igni nero illinuntor ex aceto : per se autem re­ centia mammis et epiphoris. Eadem decocta in vino inflammationibus, cum polenta et croco) per se autem trid u o imposita faciem purgant.

xvi.

XL1I. O leum amygdalinum porgat, mollit corpora, cotem erogat, nitorem commendat, varos cam meile to llit e facie. Prodest et auribus, cum rosaceo et meile et mali punici germine decoctum, vermiculosque in his necat, et gravitatem auditus discutit, sonos incertos et tinnitus, obiter capitis dolores, et oculorum . Medetur furunculis, et a sole nslis cum cera. Ulcera manantia et furfures «un vino e x p arg at : oondylomata cum meliloto. Per se vero e ap iti illitam, somnum allicit.

30 6

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l i o c i o ih o , 1 6 .

XLI. L’ olio eicino si bee per le purgagioni del eorpo con egnal misura d 'acqoa calda. Par* ticolarmente si dice che egli porga gl’ ioteriori. Giova pure alle malattie delle giootare, a tutte le durezze, alle matrici, agli orecchi e alle incotture. Con la cenere del pesce murice giova alle infiammazioni del sedere e alla rogna : fa beilo il colore alla pelle, e fa nascere diviziosamente i capegli. Del seme, onde egli si fa, nessuno ani­ male ne tocca. Dell' uva si fan lucignoli di sin­ goiar chiarezza. Dall' olio viene il lume oscuro per rispetto della troppa grassezza. Le foglie con l’ aceto s'impiastrano al fuoco saoro, e per sè fresche alle poppe e alle lagrime degli cechi. Le medesime cotte nel vino s'adoperano alle infiammagioni con la polenta e col zafferano ; e poste per sè tre giorni purgano il viso. D

e l l ' o l io

delle

m a ndo rle,

16.

XLI 1. L 'olio delle mandorlo purga, mollifica i corpi, leva le grinse e fa la carne lucente; e col mele leva dalla faccia i segni del vainolo. Gio­ va ancora agli orecchi cotto con olio rosato, me­ le e masse novelle di melagrano : ammazza in essi i vermicelli, leva la gravezza dell* udito, i mormorii e i zuffolamenli ; e facendo ciò ancora leva h doglia del capo e degli occhi. Con la cera guarisca i fignoli, e chi è riarso dal sole. Col vi­ no porga le olcere ehe colano, e la forfora ; e col meliloto le morici che non gettano sangue. Se oon questo sema altra mistura ungi il capo, la venir suono.

C. P U N II SECUNDI Db

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.

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XL 11I. Oleum laurinum utilius quo reoentins, quoque viridius colore. Vis ejus excalfactoria ; ei ideo paralyticis, spastici.*, ischiadicis, sugillatis, capitis doloribus, inveterali* distillationihus, au­ ribus, io calyce puoioi calfadum illinitur.

o LIO

DELL’ ALLOBO, 9 .

XLI1I. L’ olio dell* alloro è migliore q u a n to egli è piò fresco e più verde di colore. La i n a virtù è di riscaldare, e perciò è utile a'{>arletichi, agli spasimi, alle sciatiche, a'suggellati, a l dolori del capo, alle distillaaioui vecchie e a g li orecchi, impiastrandolo caldo in guscio di m elagrano.

D b m y b t b o , xx.

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m o r t i ha ,

XLIV. Similis el myrlei olei ratio : adstringit, indurat: medetur gingivis, dentium dolori, dysen­ teriae, vulvae exulceratae, vesicis, ulceribus ve­ tustis vel manantibus, cum squama aeris et cera. Item eruptionibus, ambustionibus. Attrita sanat, et furfures, et rhagadas, condylomata, articulos luxalos, odorem gravem corporis. AUglande, quod earyinum appellavimus, alopeciis utile est, et tarditati aurium infusum; item capi* tis dolori illitum. Ceterum Iners et gravi sapore. Enimvero si quid in nucleo potridi fuerit, totus modus deperit. Ex Cnidio grano factum, eamdem vim habet, quam eicioum. E lentisco factum, uti­ lissimum acopo e st Idemque proficeret aeque ut rosaceum, ni durius paullo intelligcrelur. Ut untu r eo et contra .nimios sudores, papulasque su­ dorum. Scabiem jaraentorum efficacissime sanat. Balaninum oleum repurgat varos, furunculos, len* tigiaes, gingivas.

• Ds I

l io d b l l a c a m b m ib s ib a o v v b b o o s s im ib s in a

d i l b n t is g o

:

o l i o b a l a r ib o .

XLV. L’olio della camemirsina, o della ossimi r si oa è della medesima nalura. L’ olio di c i­ presso fa i medesimi effetti, che quello della m o r­ tine, e così quello del citro. L’ olio della noce, il quale noi chiamammo cariino, è utile a m edicar la tigna ; e mettendo velo dentro, alla tardità degC orecchi ; e impiastrato, a’ dolori del capo. Ma è pigro e grave di sapore, perchè se nel di deulro è punto di magagna, tutto si guasta. L* olio fattp di grano Gnidio, ha la medesima virtù che il ci­ cino. Il fatto di lentisco è utilissimo nell’unguen­ to acopo, che si fa per le lassitudini. Giovereb* be ancora come V olio rosato, se non fosse al­ quanto più duro. Usasi contra i troppi sudori, e alle pustule d’ essi. E ottimo a guarire la scabbia de’ giumenti. L’ olio balanino purga il vaiuolo, i fignoli, le lentiggini e le gengive. Dbl c i p b o ,

b d e l l ’ o l i o d i e s s o , m b d . i G.

D b l l ’ o l io

g l e o c ih o , i

.

XLVI. Che cosa sia cipro, e come si faccia olio d’ esso, già 1’ abbiamo insegnalo. La sua natura è di riscaldare, e di mollificare i nervi. Lt foglie sue s 'impiastrano allo slomaco, e il sugo loro s’ adopera alla matrice alterala. Le foglie

fresche masticale medicano le rotture del ca^o

HISTORIARUM MUNDI L » . XXIII. lectionibus, condyloma lis. Decoctum foliorum ambustis et luxatis .prodest. Ipsa rufant papillum iosa, adjecto struthei mali suocp. Floa capilis do* lores sedat cam aceto illitu*' Idem combustus in cruda olla nomas sanat et putrescentia ulcera per •e, tei cum meile. O dor floris olet, qui somnum facit. Adstringit gleucinum, et refrigerat, eadem ratione qua e t oenanthinum»

Da

D s l b a l s a m i c o , i 3.

M U i M I R O , X III.

XLV1I. Balsaminam longe pretiosissimam omniam, a t in angoentis diximus, contra omnes serpentes efficax. Oculorum claritati plurimum confert, caliginem discutit. Item dyspnoeas, col­ lectiones omnes daritiasqoe lenit. Sanguinem den­ sari prohibet, nleera purgat: auribus,capitis do­ loribus, trem ulis, spastici;, ruptis perquam utile. Adversatur aconito ex lacte potum. Febres cum horrore venientes perunctis leviores facit. U ten­ doni tamen m odico, quoniam adorit, augetque vitia non servato temperamento.

D a MALOBATHBO,

T bbrmibo,

i.

N ito w K o , i.

R a p h a n in o , v . S is a m m o , i u . L ib in o , i u . S e l GiTIOO, i . I g o v ib o , i .

XL1X. Hyoscyamiiiora eioojlKeitdo alile est, nervis inolile. Polum quidem cerebri motos facit. Th erro inara e lapinuem olllt, proximdm rtolaceo efièclom habeo». Narcissinum dictum est cum suo flore. R apbaoiooqi phthiriases longa valetudine contractas to llit, scabritiasqoe culis in facie emen­ dat Sesam inam aariam dolores sanat, et aloen quae se rp a n t, et qaae cacoethe vocant. Lirinon, qaod et Phaanlinnm et Syriam vacavimus, renibos otilissim am est, sudorihasque evocandis, vuliae m olliendae, conooqueadoqoe intui. Selgiti-

-

XLVI!. 11 balsamino è molto più prezioso che gli altri, come dicemmo negli unguenti, ed ha virtù contra tutte le serpi. Giova assaissimo a rischiarar la vista, e leva i bagliori. Guarisce l ' asma e mollifica tutte le rac&olte di pdzza e le dorezze. Non lasria rappigliare il sangue, e por* ga le nascerne ; ed è molto atile agli occhi, a'dolori del capo, a'parleticbi, agli spasimi e alle rottore. Bevendolo con latte resiste al veleno aco*oito. Ungendone l ' infermo di febbre cbe rimette eoi freddo, fa assai otite. Però è da osarlo oon temperanza, perchè altrimenti riarde, ed accresce i difetti.

D ai

VIII.

XLVI1I. M alobathri quoque naturam et gene­ ra exponimus. U rioart ciet. Oculorum epiphoris vino expressam utilissime im ponitor: item fron­ tibus, dormire v olea ti bos : efficacius, si et nares illinantur, a a t s i ex èqua bibatur. Oris et halitus Maritalem com m endat linguae subditum folium, sicut et vestiam odorem interpositam.

D i iro s c T A M tu o , u .

che colano, e quelle della boeea, e le raccolte di pozza, e le motrici. che non gettano saugoe. La cocitura delle foglie giova agl* incotti, e a quegli che hanno le membra sconcie. Esse foglie peste fanno i capelli rossi, aggiungendovi il sugo della mela cotogna. 1 suoi fiori impiastrati cdn l'aceto levano la doglia del capo. I medesimi arsi in pen­ tola eroda goarisoono la piaghe che vaoou sem­ pre impigliando, e 1’ ulcere putrefalle, o col me» le, o di per sè. L 'o d o r è come quello del fiore, e fa veoir sonno. L'olio gleucino ristringe e rinfre» sca come l ' enantino.

MALOBATBO,

‘8.

XLVIII. Abbiamo ragionilo anoora della na* tura e delle specie del malobatro. Esso commove l ' orina, e premendolo col vino si pone alle lagri­ me degli occhi, e snlla fronte di chi vool dormi­ re : ma più virtù ha, se eoo esso ugoerai le nari, o se lo berai con l'acqua. La foglia saa posta sot­ to la lingua fa boon alito, e mescolata tra' paoni fa boon odore. D ell' o l i o d b l l 'i o s c a m o , a. D b l l ' o l i q M ain­ ilo i . D bl h a b c is s i b o , i . Dbl B A rA B in o , 5 . D*fc s e s a m i no, 3 . D bl ubino , 2 . Dbl «Bta vino, et illita cam cera, alopeciis capillum red­ dant. Qoae ex his cruda in meile condiuntur, alvum movent. Mellis aotem suavitati multum adjiciunt, stomachoque utilius id faciant.

Qoae vero in meile condiuntur cocta, quidam ad stomachi vitia, trita cum rosae foliis decoctis dsnt pro cibo. Saccus crudorum lienibus, orlhopnoicis, hjdropicis prodest. Item mammis, con­ dylomatis, varicibus. Flos et viridis, et siccus in­ flammationibus oculorum, exscreationibus sangoinis, mensibus muliernm. F it et sjuccus ex his mitis, cam vino dulci tusis, et coeliacis et jocinen. Decocto q ao q a e eoram foventur, si procidant volvae et interanea.

Fit et oleum ex his, quod melina m vocavimus, quoties non fu erin t in homidis nata. Ideo utilis­ sima, quae ex Sicilia veniunt. Minus olilia stru­ thia, quamvis cognata. Radix eoram circumscri­ pta lerra m ana sinistra capitor, ita ut qai id f|ciet, dicat quae cap iat, et cujos causa : sic adalligata, strami* m edetor.

LIV. 6. Seguono le varietà delle specie e delle medicine, che hanno le mele. Fra queste le ver-nerecce e le acerbe sono inutili allo stomaco, sconvolgono il corpo e la vescica, e offendono i nervi. Colte sono migliori. Le cotogne sono più soavi cotte; nondimeno crude, solamente mature, giovano a quegli che sputano sangue, al male dei pondi, a'collerici e a'deboli di stomaco. Non hanno quella medesima virtù cotte, perchè per­ dono la forza del sugo che ristrigne. Pongojisi ancora sol petto negli ardori della febbre, e non­ dimeno si cuocono io acqua piovana alle meJesiroe cose, che si son dette di sopra. A' dolori dello stomaco o crude o cotte si pongono in modo di cerotto. La lanugine loro guarisce i carboocelli. Cotta col vino e impiastrata con la cera fa rimet­ tere i peli alla pelarella. Le crude che s ' accon­ ciano nel mele muovono il corpo, e aggiungono molto alla soavità del mele, e lo fanno più utile allo stomaco. Le cotte, d ie si tengono nel mele, alcuni le danno a mangiare peste con foglie cotte di rosa a'm ali dello stomaco. 11 sugo delle crude giova alla milza, a coloro che non possono respi rsre, se non istanno col capo alto, e a'ritruopichi: così ancora alle poppe, alle morici che non gettano, e alle varici. 11 fiore e verde e secco giova alle infiammagioni degli occhi, a quegli che sputano sangue, e a' mesi delle donne. Fassi ancora pia­ cevole sugo di queste pestate oon vin dolce, il quale è utile a1 deboli di stomaco e al fegato. E se le matrici e gl’ interiori caggiono, si fa uno fomentazione con la loro cocitura. Fassi ancora olio d'esse, il quale noi chiamam­ mo melino,ogni volta che non sieno nate in luoghi umidi. A questo vengono utilissime di Sicilia. Man­ co utili sono le struUe, benché sieno lor parenti. Pigliasi la radice lo ro , circoscrivendo la terra, eon la man manca ; ma chi lo fa, dee dire quello che (a, e per cagione di chi ; e così legata alle scrofole le guarisce.

C. P U N II SECONDI

3 .5

DCLCIUM MALOBCM OBSBBVATIOBSS, VI } AUSTB-

M e DICMB DBLLB R I U DOLCI, 6

D sL L B A C I M I , { .

so&uu, iv. LV. Melimela el reliqua dulcia, stomachum et ventrem solvunt, siticulosa, aestuosa : sed nervos non laedunt. Orbiculata sistunt alvum, et vomi­ tiones, urinas cient. Silvestria mala similia sunt vernis acerbis, alvumque sistunt. Sane in hunc usura immatura opus sunt.

ClTEEOBUM,

v.

LV. Le melimele e l’ altre cose dolci muovono il corpo e lo stomaoo, dauno sete e caldana, ma non offendono i nervi. Le mele tonde fermano il corpo e muovono il vomito e l’ orina. Le mele salvatiche sono simili a quelle acerbe della pri­ mavera : fermano il corpo, ma per qaesto effetto bisogna che sieno immature. D b llb c itb e b ,

5.

LVI. Citrea contra venenum in vino bibun* tur, vel ipsa, vel semen. Faciunt oris suavitatem, decoclo eorum colluti, aut succo expresso. Ho­ rum semen edendum praecipiunt in malacia prae* gnantibus : ipsa vero contra infirmitatem stoma­ chi, sed non nisi ex aceto facile manduntur.

LVI. Le citree si beono nel vino contra il ve* leno, o esse, o il seme. 11 lavarsi oon la cocitura loro, e il sugo premalo fanno soavità di boecs. 11 seme d’esse vogliono che si dia mangiare «He donne pregne, quando elle hanno voglia di tante cose strane, e si mastica ancora contra la infermi-2 tà dello stomaco, ma non facilmente se non eoa Taceto.

Pomcoauv, xxvi.

D b’ m s la g k a m , a ? .

LV1I, Punici mali novero genera nono iterare supervacuum. Ex his dolcia, quae apyrina alio nomine appellavimus, stomacho inutilia habentur, inflationes pariunt, dentes gingivasque laedunt. Quae vero ab bis sapore proxima vinosa diximus, parvum nucleum babentia utiliora pauTlo intel* ligunlur. Alvum sistunt, et stomachum, dumtaxat pauca, citraque satietatem. Sed haec minime dan­ da, quamquam omnino nulla, in febri, nec carne acinorna» utili, nee succo. Caventur aeque vomi­ tionibus, ac bilem rejicientibus.

LV1I. È soverchio riandare nove sorti di me­ lagrane, avendone già parlato. Diremo solo, rap­ portò a medicina, che le dolci, che noi per altro nome chiamammo apirine, si tiene che sieno inu­ tili allo stomaco : partoriscono ventosità, e offen­ dono i denti e le gengive. Quelle che per sapore son dopo queste, e chiamansi vinose, hanno pic­ colo nocciolo, e sono di poco piò utili. Fermano il corpo e lo stomaco, ma sien poche, sicché non {stucchino altrui. Non si vogliono dare nella feb­ bre, ancora che non ve ne sia punto, perchè nè la carne degli acini, nè il sugo non è utile. Guardisi ancora da queste chi ha il vomito, o chi sputa sangue. In queste non apparisce nè uva, nè mosto, m i vino subitamente. L1 una e 1*altra ha corteccia aspra. Questa fra le acerbe è in uso a molte cose. Il vulgo con essa concia le cuoia, e per questo i m e­ dici la chiamano malicorio. Provoca P orin a, e cotta nell1aceto con galla, ferma i denti che si muovono. Dassi alle donne gravide che han vizio di cose stravsganti, e gustandola muove la crea­ tura nel corpo della madre. Partesi la melagrana, e tiensi in macero in acqua di piova per tre giorni. Questa si bee fredda per coloro che son d e­ boli di stomaco, e per quegli che sputano sangui.

Uvam in his, ac ne mustam quidem, sed pro­ tinus vinum aperuit natura. Utromque asperiore cortice. Hic ex acerbis in magno uso. Vulgus co­ ria maxime perficere illo novit: ob id malicorium appellant medici. Urinam cieri eodem monstrant : mixtaque galla in aeeto decoctum, mobiles den­ tes stabilire. Expetitur gravidarum malaciae, quoniam gustatu moveat infantem . Dividitor m alum , coeleatiqiie aqna madescit ternis fere diebus. Haec bibitur frigida coeliacis, et sangui­ nem exscreantibus.

S t o m a t ic e ,

x x iv .

LVIII. Ex acerbo fit medicamentum, quod stomatice vocatur, utilissimum oris vitiis, narium,

D ella

s t o m a t ic a ,

34.

LVI1I. Dell'acerba si fa una medicina, che si chiama stomatica, utilissima a* mali della bocca,

HISTORIARUM MONDI Llfi. XX 1 1 I.

ìli

aurium, oculorum caligini: pterfgiis, genitalibus, et bis q«M nomas -vocant, et qoae ia ulceribus excrescunt. Contra leporem marinum hoc modo: acinis detracto cortice tusis, succoque decocto ad tertias, cam erodi,, e t aluminis aciasi, m jrrbae, mellis Attid selibris.

Alii et hoc m odo freiant : panica adda multa tuodunlur: s u c c u s in cacabo novo coquitur mel­ lis erassitudiue, ad virilitatis et sedis vitia, et omnia quae lycio curantur, aures purulentas, epiphoras incipientes, rubras raaculas. In mani* bus rami punicorum serpentes fugant. Cortice punici ex vino decocti et impositi, perniores sa­ narli or. Contusura malum ex tribus heminis vini, decoctam ad hem inam , tormina et taenias pellit. Puaicum in olla nova, cooperculo illito, in furno exustum, el contritum , potumqae in vino, sistit tlfun, diaculit term ine.

De

c y t is o ,

vm .

LIX. Primas pomi bujus partus florere ind« piealis, cylinus vocatur Graeds, mirae observa­ tionis mullorum experimento. Si quis anum ex bis, solutas vinculo omni cinctus et caleeatus, atque eliam annli, decerpserit duobus digitis, pollice et quarto sinistrae manus, atque ita lustra­ ti* levi tactu oculis, mox in os additam devora* Terit, ne dente co n tin g at, ad firma tur nullam oculocum imbecillitatem passurus eo anno. Ii dem cjtini siccati tritiq u e , carnes excrescentes cohibent : giogivis e t dentibus medenlur : vel si mo­ biles sioi, decocto succo. Ipsa corpuscula trita, ulceribos qoae se rp u n t pulrescunlve, illinantur. Ilem oculorum inflammationi intestinoramque : el fere ad om nia, quae cortices malorum. Ad verMulur scorpiouibus.

D s BALAUSTIO, X II.

LX. Non e st sstis mirari cursm diligentiam* que priscorum , q u i, omnia scrutati, nibil inlen* lilam reliquere. In hoc ipso cytino flosculi sunt, antequam sc ilic e t malum ipsum prodeat, erum­ pentes, qnos balaustium vocari diximus. HosquoS**ergo e x p e rti invenerunt scorpionibus ad veruri. Sisiunt p o t u menses lem inanip : sanant o ra

3x8

delle nari e degli orecchi ; a1bagliori degli occhi, a quelle pellicole che si sfogliano intorno all’ un* ghie delle dila, a* malori de* genitali, alle piaghe che vanno sempre impigliando, e a quelle che crescono nelle rotture. Vale contra la lepre ma­ rina in questo modo : pestansi le granella, levando lor prima la corteccia, e caocesi il sugo fino alla terta parte, con mezza libbra di zafferano, d'al­ lume tagliato, di mirra e di mele Ateniese. Altri fanno in questo modo: pestano molte melagrane acetose, e cuocooo il sugo in vaso nuo­ vo, tanto che si rassodi come mele : questa deco­ zione è alile a'mali del membro virile e del sedere, a tutte quelle cose che si enrano con un medica­ mento chiamato liccio, agli orecchi che gettano puzza, alle lagrime degli occhi, che cominciano, e alle macchie rosse. 1 rami del suo albero por­ tati in mano cacciano le serpi. Con la buccia della melagrana colta nel vino, e postavi su, si guari­ scono i pedignoni. La mela stessa pestata con tre emine di vino, e colta fino a un'emina, leva i tor­ mini e le tignuole. Messa in pentola nuova con co|»erchio sopra, e arrostita nel forno, poi pesta e bevala nel vino, ferma il corpo e leva i tormini. D el

c it is o ,

8.

LIX. II primo parto di questo frutto comin­ ciando a fiorire, si chiama da’ G red citino, il quale è di grande osservazione per esperienze di molli. Se alcuno, sciolto da ogni legame di farsetto e di calzari, e ancora pure d’ anello, ne eoglie uno con due dita della man manca, col dito grosso e col quarto, e così leggerm ele toc­ cando lo tira intorno agli occhi, e dipoi se lo metle in bocca e inghiottisce, che non tocchi il dente, a1 afferma che q u d tale non patirà quel* l ' anno alcun male agli occhi. 1 medesimi cilini secchi e pesti reprimono le carni che crescono : medicano le gengfe e i denti ; e se questi si di­ menino, molti n'adoperano il sugo collo. Essi granelli triti guariscono gli ulceri che impigliano o che si putrefanno. Sono ancora utili alla infiammagione degli occhi e degl’ interiori, e quasi a tutte quelle cose, dov' è utile la corteccia. Sono contrarii agli scorpioni. D bl

b a l a u s t io ,

ia .

LX. Non possiamo maravigliard tanto che basti della cara e diligenza degli antichi, i quali non lasdarono cosa che non tentassero. In questo citino sono alcuni fiori, i quali escon fuori in­ nanzi che il citino diventi mela, e chiaraansi ba­ laustii. Avendo eglino dunque fattone esperienza, trovarono ebe sono ottimo rimedio contra gli

C. PLINII SECUNDI

3«9

ulcera, et tonsillas, a vam, sanguinis exscreationes, ventris et stomachi solutiones, genitalia, ulcera quacumque in parte manantia. Siccavere etiam u t sic quoque experirentur, inveneruntque tosorum farina dysentericos a morte revocari, alvum sisti. Quin et nucleos ipsos acinorum experiri non piguit. Tosti tnsique stomachum juvant, cibo aut potioni inspersi. Bibuulur ex aqua coelesti ad sistendam alvum. Radix decocta succum emittit, qui taenias necat, victoriati pondere. Eadem di­ scocta ia aequa, quas lycium, praestat utilitates.

D

e

PUNICO SILVESTRI.

PlBOBUM OBSSEV ATIO BBS, X II,

LXII. 7. Pirorum omnium cibus etiam valeo* tilias onerosus, aegris quoque vini modo negator. Decocta eadem mire salubria et grata, praedpue crustumina. Quaeeumqae vero cum melledecoota, stomachnm adjuvant. Fiunt cataplasmata e piris, ad discutienda corporum vitia: et decocto eorum ad duritias utuntur. Ipsa adversantur boletis atque fungis, pelluutque pondere et pugnante succo. Piram silvestre tardissime roatnrescit, Con­ ciditur, suspensuraque sicoatnr ad sistendam al* vum : quod et decoctum ejus potu praestat. De­ coquuntur et folia cum pomo ad eosdem usus. Pirorum ligni cinis contra fungos efficacius profi* cit. Mala piraque portata jaraentis mire gravia sunt vel pauca. Remedio ajunt esse, si prius eden­ da dentur aliqua, aut utique ostendantur.

o b s e r v a t io n e s ,

scorpioni. Beendogli firmano i mesi delle donne, guariscono le ulcere della bocca, le gavigne, I* u* vola, lo spalar del sangue, il flusso dello stomaca e del corpo, le parli genitali, e tutte le ulcere che colano. Hanno trovato ancora* che seccandogli e facendone polvere guariscono i pondi morteti, 1 ristagnano il corpo. Nè increbbe loro fare espe­ rienza ancora de1 noccioli, i qnali arrostiti e pesti aiutano lo stomaco, spargendogli nel mangiare o nel bere. Beonsi con l’ acqua piovana a ristagnare il corpo. La sua radice cotta fa un sugo che am­ mazza le tignuole, a peso d ' una moneta ehe si chiama vittoriato. Cotta nell' acqua fa i medesimi effetti che il liccio. M ela g ra n o s a l v a t i c o .

LXI. Est et silvestre punicom a similitudine appellaturo. ‘Ejus radices rubro cortice denarii pondere ex vino potae somnos faciunt. Semine poto, aqna quae subierit cutem, siccatur. Mali punici corticis fumo culices fugantur.

Fi c o h u m t

Sao

axi.

LXIII. Fici saccas lacteus, aceti nataram ha­ bet. Itaque coaguli modo lac contrahit. Excipitur ante maturitatem pomi, et in nmbra siccatur, ad aperienda ulcera, cienda menstrua adposito cum luteo ovi, aut potu cnm amylo. Podagris illinitar cum farina graeci feni et aceto. Pilos quoque de­ trahit, palpebrarnmqae scabiem emendat 1 item lichenas et psoras. Alvum solvit. Lactis ficulni natura adversatur crabronum , vesparumque et similium venenis, privstim scorpionum. Idem

LXI. Écci anco il melagrano salvatico, cosi chiamato della somiglianza, le coi radici bevale con vtao a peso d'un denaio fanno sonno. Il seme suo beendolo asciuga l 'acqoa de* rilruopichi. 11 fumo delle cortecce caccia le zanzare* OSSBRV AZIONI SOVRA I P E R I,

13 .

LX 1I. 7. Il cibo di tatte le pere aacora a'sani è grave, e agli ammalati s’ interdice come il vino. Cotte sono molto sane e grate, massimamente le crustamine. Tutte quelle che son cotte col mele aiutano lo stomaco. Faunosi empiastri delle pere a levare i malori de’corpi, e la lor cocitura s* osa alle durezze. Esse s' oppongono a' boleti, e agli altri fanghi, e scacciangli col peso, e col sago che li contrasta. La pera selvatica tardissimo si malo­ ra. Intaccasi, e appicoata si secoa per fermare il corpo ; il che fa ancora la sua cocitura bevuta. Caoconsi par le foglie col fratto per fare i mede­ simi affetti, e la cenere del legno ha molto mag­ gior virtù contra i fanghi. Le mele e le pere sono maravigliosamente gravi a smaltirsi ancora a'gio* meuli, benché poche. Dicono che il rim edio di dò è, che se ne dia a mangiar prima alcuna, ori mostri almeno. So pea 1 f ic h i, n i .

LXI 11. Il sugo latteo del fico ha qualità d'aceto, e però a modo di presame fa rappigliare il latte. Pigliasi innanzi che il fico maturi,e seccasi al rezzo, per aprir le piaghe e muovere i menstrui, ponen­ dolo col luorto dell'uovo, o beendolo con l'amido. Impiastrasi alle gotte con farina di fien greco e oon aceto. Leva i peli, e guarisce la scabbia delle palpebre, e le volatiche e la rogna. Risolve il cor­ po. La natura del lalle del fico è contraria a'veleni de' oalabroni, delle vespe e simili animali, c parli*

3ai

HISTORIARUH MUNDI LIB. XXIII.

cam in n g il verrucas tollit. Foli*, et quae noa malaraere fici, strumis illinuntur, omnibutque quae emollienda sint, disculiendave. Praestant boe et per te folia. E t alii usus eorum, tamquam ia fricando lichene, et alopeciis, et quaecumque einlcerari opus sit. E t adversus canis morsus, ramorum teneri cauliculi culi im ponantur. lidem cum meile ulceribus, quae ceria vocantur, illi­ nuntur. E xtrahunt infracta ossa cum papaveris silvestris foliis. Canum rabiosorum morsus folio trito ex aceto restringunt. E nigra ficu candidi caulicoli illinnntur furunculis, muris aranei mor­ tibus cum cera. Cinis earum e foliis, gangraenis, eoosumeodisque quae excrescunt.

Fici matarae urinam cient, alvnm solvunt, nidorem movent, papulasque. Ob id autumoo insalubres, quoniam sudanti* hujus cibi opera corpora perfrigescunt. Nec stomacho utiles, sed ad breve tempus : et voci contrariae inlelligunr tnr. Novissimae salubriores, quara primae: me­ diatae vero numquam. Juvenum vires augent: lenibus meliorem valetudinem faciant, minusque ragarum. Sitim sedant: calorem refrigerant. Ob id non negaudae in febribus constrictis, quas stegnas vocant. Siccae fici stomachum laedunt : gutturi et fancibas magnifice utiles. Natura his excalfacien­ di. Sitim adferunt. Alvum molliant,rheumatismis ejus, et stomacho contrariae. Yescicae semper nliles, et anhelatoribus, ac suspiriosis. Item joci* neram, rennm, lienum vitiis. Corpus et vires adjuvant : ob id ante athletae hoc cibo pascebanlot: Pythagoras exercitator, primus ad carnes eos lramtulit. Recolligenti se a longa valetudine utilissimae. Ite m comitialibus, et hydropicis, omnibusque, q u e e maturanda aut discutienda soni, im ponuntur : efficacius calce aut nitro ad­ mixto. Coctae cum hyssopo pectus purgant, pi­ tuitam, tussim veterem . Cum vino autem ad se­ dem, et tumores maxillarum. Ad furunculos, pa­ nos, parotidas, decoctae iUinunlur. Utile et de­ cocto earum fovere feminas.

Decoctae q uoque eaedem cum feno graeco olile* sunt plenrilicis et peripneumonicis. Cum rota coctae torm inibus prosunt. Tibiarum ulce* ribos curo acris flore. Pterygiis cum punico malo. Ambustis, p ern io n ib us, cum cera. Hydropicis *»ctae in vino, e t cum absinthio el farina hor­ deacea, n itro addito. Manducatae, alvum si-

3aa

eolarmeute degli scorpioni. Il medesimo oon la sngna leva i porri. Le foglie e i fichi acerbi s’ im­ piastranoalle scrofe, e a tutte le cose ehe bisogna mollificare e levar via. Questo medesimo effetto fanno anoora le foglie per sè stesse. Oltre a questi, ad altri usi ancora s'adoperano,come a stropicciar le volatiche, le alopecie e tutte quelle cose che bisogna scorticare. Coulra i morsi del cane le messe tenere de* rami si metrono sulla cotenna. Le medesime col mele si pongono sulle rotture, che si chiamano ce rie. Con le foglie del papavero salvalico tirano fuori l ' ossa rotte. La foglia pesta nell'aceto ristringe i morsi de'cani arrabbiati. Le tenere messe bianche del fico nero s ' impia­ strano a ' frignoli, e a'morsi del topo ragno si pongono con la cera. La cenere delle foglie loro s'adopera alle caocrene, e a consumare quelle cose che crescono. I fichi malori muovono l’ orina, risolvono il corpo, muovono il sudore e le pustole. Laonde non sono u n i nell'autunno, perchè i corpi, i quali sudano peropera di questo cibo,vengono a raffred­ darsi. Non sono anco utili allo stomaco, ma per breve tempo, e vedesi che soo contrarii alla voce. Gli ultimi son più sani che i prim i,e gli affatturati non mai. Crescono le forze de' giovani, fanno miglior complessione a' vecchi, e manco grinze. Mitigano la sete, e rinfrescano il calore, e perciò non s' hanno da negare alle febbri ristrette, le quali si chiamano slegne. I fichi secchi offendono lo stomaco, ma però sono molto utili alla gola. La natura loro è di riscaldare. Fanno sete, mollificano il corpo, sono contrarii a’ suoi flussi e allo stomaco. Sono sem­ pre utili alla vescica, a chi ansa, a chi sospira, a' difetti del fegato, della milza e delle reni. Aiu­ tano i corpi e le forze, e per questo gli atleti sole­ vano valersene per cibo. Pitagora usandone fu il primo che gli trasferì alle carni. Sono utilissimi a chi esce di lunga malattia, al mal caduco e ai ritruopichi ; e a lutti que* mali che debbonsi ma­ turare o sciogliere, si mettono su, e più utilmente ^.con la calcina, o col nitro mescolato. Cotti con lo issopo purgano il petto, la flemma e la tosse vec­ chia ; e colti co) vino sono utili al sedere e all'en­ fiato delle mascelle. Cosi si applicano a' fignoli, alle pannocchie, e alle posteme dopo gli orec­ chi. La cocitura loro è utile ancora a fomentar le donne. I medesimi cotti con fien greco sono utili al mal di fianco, e a chi ha difficolti di respirare. Colti con ruta giovano a' tormini ;col verderame alle piaghe delle gambe ; con melagrana, a quelle pellicole che si sfogliano intorno all'unghic delle dita ; agl’ incolti e a' pedignoni, con cera ; a’ ritruo­ pichi colli nel vino, e con l'assenzio, farina d'or-

3a3

C. PLINII SECUNDI

«tnnt. Scorpionum ictibai cum sale tritae illi«outur. Carbancnlos extrahunt in vino coctae et im­ politae. Carcinomati, si «ine ulcere est, quam pinguistimam ficum imponi, paene singulare re­ medium est : ilem phagedaenae. Cinis non ex alia arbore acrior: purgat, con­ glutinat, replet, adstringit. Bibitur et ad discu­ tiendum sanguinem concretum. 1tem percussis, praecipitatis, convnlsis, raptis, cyathis singulis aquae et olei. Datur tetanicis et spasticis : item potus vel infusus coeliacis, et dysentericis. E t si qais eo eum oleo perungatur, excalfacit. Idem cum cera et rosaceo subactas, atnbaslfs cicatri­ cem tenuissimam obducit. Lusciosos ex oleo illi— tns emendat, dentiumqne vitia crebro fricata.

Produnt etiam, si quis, inclinata arbore, su­ pino ore aliquem nodum ejus morsu abstulerit, nullo vidente, atqne cum aluta illigatum licio e collo suspenderit, strumas et parotidas discuti. Cortex trilus cum oleo ventris ulcera sanat. Cru­ dae groi»i verrucas et thymos, nitro farinaque additis tollunt. Spodii vicem exhibet fruticum a radice exeuntium cinis. Bis tostus adjecto psimmythio digeritor in pastillos, ad ulcera oeniorum et scabritiam.

C a p b if ic o b u m

o b s e r v a t io n e s , x l i i .

LX1V. Caprificus etiamnum multo efficacior fico. Lactis miuus hahet : surculo quoque ejus lac coagulatur in caseum. Exceptum id coactumque in duritiam, suavitatem carnibus adfert. Fricatur diluto ex aceto. Miscetur exulceratoriis medicamentis. Alvum solvit : vulvam cum amylo aperit. Pota menses ciet cum luteo ovi. Podagri­ cis cum farina graeci feni illinitur. Lepras, psoras, licheoas, lentigines expurgat : item venenatorum ictus, et canis morsus. Dentium quoque dolori hic succus adposilus io lana prodest, aut in cava eorum additus. Cauliculi et folia, admixto ervo, contra marinorum venena prosunt. Adjicitur et vinnm. Bubulas carnes additi caules magno ligni compendio percoquunt.

Grossi illitae strumas, et omnem collectionem emolliunt, et discutiunt. Aliquatenus et folia. Quae mollissima sunt ex his, curo aceto ulcera manantia, et epinyctidas, et furfures sanant. Cum meile folii» ceria sanant, et canis morsus. Recentes cum viuo, phagedaenas. Cum papaveri* foliis ossa

io e nitro. Mangiati ristagnano il corpo. Pesti col sale s'impiastrano a'm orsi degli scorpioni. Cotti nel vino e postivi sa tirano fnora 1eifboncelli. Se il canchero è senza piaga, il piò utile rimedio è porvi on grassissimo Beo, e cosi alle nascenze che rodono. Non v 'è cenere d 'a ltro albero, che sia piò acre : ella porga, rappiglia, riempie e ristrigne. Beesi ancora per levare il sangue rappreso. Dassi a' percossi, a' precipitati, agli sconvolti e a'rotti, con an bicchier d'acqua e nn d'olio. Dassi al parietico e allo spasimo : e bevuto o infuso, a* debili «li stomaco e a'pondi. Questa cenere riscalda, ss alcuno si unge d'essa con olio. Impastata con cera e olio rosato fa sottilissima margine agl' incotti. Impiastrata con olio guarisce coloro che non veg­ gono al lume, e i difetti d e'den ti col fregsre spesso. Dicono ancora, che se inchinando P albero, alcuno stando con la bocca supina leva col morso alcun nodo di quello, senza che sia veduto da altri, e legatolo alla scarpa, con un liccio l'appic­ ca al collo, dissolve le scrofe, e le posteme dietro agli orecchi. La corteccia sua trita con olio gua­ risce le ulcere del corpo. I grossi, cioè quei fichi che non si maturano, crndi cacciano via i porri, con timo, nitro e farina. La cenere de' rampolli, eh' escono dalle radici, vaia in luogo di spodio. Due volte riarsa, e giuntovi il psimmizio, sa ne fa pastelli all' ulcere degli occhi e al ruvidore. Sopra t

c a p r if ic h i,

4*-

LXIV. Il caprifico ha maggior vtrtà che il fico. Ha raen latte, e con nna verga d'esso il lat­ te si rappiglia in cacio. Questo raccolto « fatto duro, dà soavità alle carni. Serve a stropiccia­ re, dilavato nell'aceto, e a mescolarsi agli un­ guenti esulcerativi. Risolve il corpo, e eoo amido apre la matrice. Bevuto con tuorlo d* uovo p ro ­ voca il menstruo. Impiastrasi alle gotte con farina di fien greco. Purga la lebbra, la rogna, le vola­ tiche e le lentiggini, e così i morsi degli anim ali velenosi e de'cani. Questo sugo ancora posto con la lana giova al dolore de' denti, ovvero m esso nel loro buco. Le sue messe tenere, e le foglie insieme con le rnbiglie giovano contra i v e le n i. Aggiungonvi ancora il vino. Mettendo le m esse tenere con la carne del b u e, la fanno c u o c e re con gran risparmio di legne. 1 fichi che non si maturano, impiastrati su lle scrofe le mollificano, e sulle raccolte le levati via. Le foglie in parte fanno il medesimo effetto. L e più tenere con l ' aceto guariscono le ro ttu re c h e gettano, e certe macchie rosse rilevate, le q u a l i vengono più la notte ebe il giorno con p i z z i -

HISTORIARUM MUNDI LIB. XX11I.

5a5

extrahant. GroMÌ caprifici inflationes discutiunt tuffilu. Resistunt cl sanguini laurino polo, et ptiramythio, et lacti coagulato potae. Ilem iu aqua «leeoclae atque illitae parotida» sanant. Cauliculi >ul grossi ejus quam minutissimae ad scorpionum icbu e rino bibuntur. Lac quoqi^e instillatur plagae, el folia im ponuntur. Item adversus mu­ rem araneum. Cauliculorum ciuis uvam iaucium sedai. Arboris ipsius cinis ex meile, rhagadia. Radix defervefacta in vino, dentium dolores. Hiberna caprificas in aceto cocta et trita, impeti­ gines tollit. Illinuntur ramenta rami sine cortice qoam miontissima ad scobis modum. Caprifico quoque medicinae unius miraculum addUur. Corticem ejus impubescentem puer impubis si «le/racio ramo detrahat dentibus, medullam ipsam adalligatam ante solia ortum, prohibere strumas. Caprificas tauros quamlibet feroces, collo eorum circumdata, in lautam mirabili natura compescit, ut immobiles praestet.

D> U M B O

HBKBA, III.

LXV. Herba quoque, qoam Graeci erineon vocant, reddenda in hoc loco propter gentilitatem. Palmum alta est, cauliculis qaiois fere, ocimi similitudine, flos candidus, semen nigrum, par­ vam : tritam cum meile Attico, oculorum epi­ phoris medetor : olcumque aotem decerpta auoat laete multo e t dulci. Herba perquam utilis suriam dolori, n itri exiguo addito. Folia resistunt venenis.

D s ramus, iv. LXVI. P ro n i folia deceda tonsillis, gingivis : w«e prosunt in vino, decoclo eo subinde ore toltolo. Ipsa p ru n a alvum molliunt, slomacho non utilissima, sed brevi momento.

Db

p b &s ic is , i i .

LXVII. U tilio ra persica, Mccujque eorum, 'tiamnum in v in o w l in aceto expraaaus. Kec est ■liat eia pomis initooentior cibos. NcUqaam minus °*wis, suoci P*«* qui tamen aitilo alimulei. ^«Jia ejus trita illita, haemorrhagtam sialunt.

core, e le forfore. Le foglie con il mele guari­ scono certi malori, che si chiamano cerie, e i morsi del cane. Le fresche col vino sanano le u l­ cere corrosive. Con le foglie del papavero cavano l ' ossa. I caprifichi che non maturano, col profu­ mo levano le ventosità. Bevuti resistono ancora al sangue del toro bevuto, al psiramizip e al latte rappreso. Cotti nell1acqua e impiastrali guarisco* no le posteme dietro gli orecchi. Le sue messe tenere, o i fichi che non malurauo, piccolissimi, si beono col vino s' morsi delle serpi. Il latte suo ancora s1 instilla alle piaghe, e mettonrisi su le foglie; il che si fa ancora conira il topo raguo. La cenere delle messe tenereUe mitiga Tàvoli. La cenere dell’ albero col rade vale sU i crepature del sedere. La radice boUiia nel vino gioirà al do­ lore da’ deoli. Il caprifico vernereccio colto nell ' aceto, e trito, leva via le volatiche. Im piasi rana* i pezzi del ramo senxa carleceià, minutissimi a modo di segatura. Si fa ancora del caprifico una medicina miraoolosa. Se un fanciullo, che non abbia ancor messo pelo, rompendo il ramo del caprifico ae leva 00' denti la corteccia, dove non è lanugine, la midolla, legata innanzi al levar del sole, leva via le scrofe. Il caprifico circondalo al collo di tori quanto si voglia feróci, gli doma di lai modo, che gli fa rimanere immobili. SoPBA

l ’ BBBA ta ilB O ,

3.

LXV. L’ erba aneora, ohe i Greei chiamano erineo, per rispetto alla soa nobiltà dà occasione di ragionare di sè in qaesto luogo. Ella è alta on palmo, fa cinque gambi e somiglia il basilico : fa il fior biaoco, il seme nero e piccolo, che pesto col mele Ateniese medica le lagrime degli oc­ chi : comunque sia colta, manda foora molto latte dolce. L’ erba è mollo olile alla doglia degli oreoehi, aggiungendovi un poco di nitro* Le foghe resistono al veleno. So m

a l e p &o g b o l k ,

4-

LXVI. Le foglie del prugnolo cotte medicano le gavine, le gengive e l’ugola, se tu le cuoci in vi­ no, e bagniti la bocca. Esse prugnole o susine muovono il corpo, e non sono del lutto olili allo stomaco ( ma per breve momento. D b l l b m s c h b , *•

LXV 1I. Piò alili sooo le pesehc, non che il sago loro premalo nell’aceto o nel vino. Non v’è cibo meno nocivo di questi fratti. Nessuno ha meuo odore, nè pià sogo, il quale nondimeno alimola la Mie. Le sue foglie (cito e postevi au ri-

C. PLIN11 SECDNDI

3a 7

Nuclei persioorom cnm oleo et aceto, cupitis do­ loribus illiuuotur. Db n o n

s ilv b s tb ib u s ,

Db l i m o ,

s iv e l i c h b b b a b b o b u m , u

D elle

.

LX1X. E l in iis, et sativis prunis est limos arborum, quem Graeci lichena appellant, rhaga­ diis el condylomatis mire utilis.

Db m o b is ,

x x x ix .

LXX. Mora in Aegypto et Cypro sui generis, ut diximus, largo sncoo abundant, summo cortice desquamato: altiore plaga siccantur» mirabili na­ tura. Succus adversatur venenis serpentium, prodest dysentericis, discutit panos, omnesque collectiones: vulnera conglutinat, capitis dolores sedat, ilem aurium : splenicis bibitur, atque illi­ n itur : et contra perfrictiones : celerrime teredi­ nem sentit. Neque apud nos succo osus minor. Adversatur aconito et araneis, in vino potus. Alvum solvit : pituita*, taeniasque et similia ven­ tris animalia extrahit. Hoc idem praestat et cortex tritus.

Folia tingunt capillum cum fici nigrae et vitis corticibus simul coctis in aqua coelesti. Pomi ipsius saccos alvum solvit protinus. Ipsa pom i ad praesens stomacho utilia, refrigerant, sitim faciuut. Si non superveniat alios cibus, intu­ mescunt. Ex immaturis succus sistit alvum : ve* Iuli animalis alicujus, in hac arbore observandis miraculis, qoae in natura ejus diximus.

S t o m a t ic e ,

stagnano le morici. I noccioli delle pesche in aveto e olio fanno impiastro alla doglia del capo.

n.

LXV 11I. Silvestrium quidem prunorum bac­ che, vel • radice cortex, in viuo austero si deco­ quantur, ita ut triens ex hemina supersit, alvum el tormina sislunt. Satis est singulos cyathos decocti sumi.

s i v b a b t e b i a c e , s iv b p a n c h r e s t o s , iv .

LXXI. F it ex pomo panchrestos stomatice, eadem arteriace appellata, hoe modo : sextarii tres succi e pomo, leni vapore ad crassitudinem mellis rediguntor. Post additur omphacii aridi pondos x duorom, aut myrrhae x unins, croci x unius. Haec simul trita miscentur decocto. Neque est aliud oris, arteriae, uvae, stomachi, jucuodios temedium. F it «l alio modo : succi sextarii duo,

3a8

f b d g n o l b s a l v a t ic b b ,

2.

LXVI 1I. Le prugnole salvatiche, o la cortec­ cia della radice del prugnolo, colle in vin biuseo, di modo che d ' una emina ne rimanga un terzo, ristagnano il corpo e i tormioi. Casta pi­ gliare on bicchier per volta di tale decollo. D

e l l a b e l l e t t a , o l ic h e n e d e g l i a l b e b i,

a.

LX 1X. Negli alberi di questi e de'susiui dome­ stichi è una certa belletta, che i Greci chiamano lichene, utilissima alle crepature del sesso, e alle morici che non gettano. D e ll b m obb,

30.

LXX. Le more in Egitto e in Cipri, che noi dicemmo essere d’una specie propria, son di maravigliosa natura : hanno di molto sugo, se si leva la prima buccia ; ma faceudo la ferita più profonda, si seccano. 11 sugo loro vale contra il veleno delle serpi. Giova a* pondi, dissolve V en­ fiature e ogni raccolta, risalda le ferite, mitiga le doglie del capo e degli orecchi. Beesi da quegli che hanno male di milza, e che patiscono infred­ dature ; oppure impiastrasi. Intarla presto. Non è sugo appresso di noi, che s’ usi manco di que­ sto. Bevuto nel vino è contrario all' aconito e ai ragni. Risolve il corpo, e caccia la flemma, le ti* gnuole e simili animali del corpo. 11 medesimo effetto fa la corteccia trita. Le foglie tingono i capelli cotte in acqua pio­ vana con cortecce di fico nero e di vite. Il sugo di questo frutto subito risolve il corpo. Essi frut­ ti fanno subita utilità allo stomaco, rinfrescano e fanno sete. Se non si mette lor sopra altro cibo, rigonfiano. Il sugo delle more acerbe ferma il corpo : io questo albero, come d’alcuno animale, sono da osservarsi le proprietà maravigliose, che già dicemmo nella natura d 'esso. D e l l a s to m a tic a , o a b t b b ia c r , o p a n c h e tto ,

4-

LXX1. Di questo frutto si fa un medicarne chiamato pancreslo stomatica, che pur si chiama arteriace,in questo modo: tre sestarii del sugo leggermente ai coocono, tanto che si r-assodioo come II mele. Vi s'aggiungono poi due danari a peso d* onfacio secco, e ano di mirra e ono «li zafferano. Queste cose insieme peste si mescolano con la lu i cocitura. Non c ' è aloua altro più p ia -

HISTORIARUM MUNDI LIB. XXIII. oitilis Attici sextarius, decoquuntur, ut supra diximus»

Mira sont praeterea quae produntor. Mori germinatione, priusquam folia exeant, sinistra decerpi jubentur fatura poma : ricinos Graeci vocanL Hi terram si noa attigere, saoguinem sistuoi adalligati, sive ex vulnere fluat, sive ore, sire naribus, sire haemorrhoidi* : ad hoc servantar repositi. Idem praestare et ramus dicitur lana plena defractus, incipiens fructum babere, si terram non attigerit, privati™ mulieribus adal­ ligatos lacerto, contra abundantiam roensiom. Hoc el quocumque tempore ab ipsis decerptum, ita ut terram non attingat, adalligatumque exi­ stimant praestare. Folia mori trita, aut arida de­ cocta, serpentinm ictibus imponootur. Ad id e a que pota proficitar. Scorpionibos adversator e ndioe corticis succus, ex vino a a t posca potas.

Reddenda est et antiquoram compositio. Soc­ cum expressam pomi m atari immaturique mix­ tam, coquebant in vase aereo ad mellis crassitu­ dinem. Aliqoi m yrrha adjecta et cupresso prae­ duratam ad solem torrebant, permiscentes spatha ter die. Haec erat stomatice, qua et vulnera ad cicatricem perducebant. Alia ratio: succum sic­ cato exprimebant pomo, molium sapori obsonio­ rum conferente. In medicina vero contra nomas, et pectoris pituitas, et ubicumque opas esset adslringi viscera. Dentes quoque colluebant eo. Tertiam genas sacci : foliis et radice decoctis ad ambusta ex o le o illinenda. Imponuntur et per se lolia.

Radix p e r xnesses incisa snccam dat aptissi­ mam dentium dolori, collectionibusque, et sup­ purationibus. A lvum purgat. Folia mori in urina nadefacla, p ila m coriis detrahant. Ds

c b b a s is ,

v.

LXX II. C erasa alvum molliunt, stomacho no lilia : e a d e m siccata alvum sistunt, urinam « a l . ln v e o io a p u d auctores, si quis matutino roscida cum su is nucleis devoret, io tantum levari •bum, u t p e d e s m orbo liberentur.

33o

cevole rimedio alla bocca, ali' arteria, all* ugola e allo stomaco. Fassi ancora in un altro modo : caoconsi, come abbiamo detto sopra, due sestarii di sugo e un sestario di mele Ateniese. Maravigliose sono oltra ciò le cose che si dico1no del moro. Quando ei mette, prima ch'escano le foglie, con la man manca si colgono quelle che hanno a esser more, dai Greci domandate ricini. Queste, se non hanno tocco terra, legatevi ferma­ no il sangue, s’ egli esce o della piaga, o della bocca, o del naso, o delle morici, e a questo fine si salvano riposte. Dicesi che il medesimo effetto fa il ramo, rotto a luna piena, quando egli co­ mincia aver frutto, se egli però non ha toeeo ter­ ra ; e vale specialmente legato al braccio delle donne contra I* abbondanza de* menstrui. Anzi in qualunque tempo sia colto da esse donne, fa l’ istesso effetto, pur che non tocchi terra, e sia legato com 'è detto. Le foglie del moro peste, o secche e cotte, si pongono sopra i morsi delle ser­ pi. In bevanda giovano al medesimo. Il sugo della corteccia della radice bevalo con vino, o con po­ sca, è contra gli scorpioni. Diremo ancora la composizione degli antichi. Essi cocevano il sago delle more mature e delle acerbe insieme, in vaso di rame, fin che si rasso­ dasse come il mele. Alcuni aggiungendovi mirra e cipresso, seccavano tulio questo al sole nel vaso ben turato, mescolandolo con la spalola tre volle il giorno. Questa era la stomatica, con la quale anche risaldavano le ferite. Eravi pure altro modo : premevano il sugo delle more secche, e l'usavano nelle vivande, perchè dava buon sa­ pore. In medicina lo davano contra le piaghe che impigliano, la flemma del petto, e dovunque bi­ sognava ristriguere le viscere. Lavavano ancora i denti con esso. Il terzo modo era cuocere le foglie e le radici, e con quel sago e con olio fa­ cevano unguento «Ile cotture. Pongonsi ancora le foglie di per sè. La radice tagliata per mietitura ha sugo ac­ comodatissimo al dolore d e 'd e n ti, e a dove è raccolta puzza. Purga il corpo. Le foglie del mo­ ro bagnale nell* orina cavano i peli del cuoio. D e l l b c irib g ie ,

5.

LXX 1I. Le ciriegie mollificano il corpo, e sono nocive allo stomaco. Secche fermano il corpo, e provocano l ' orina. Io truovo appresso degli au­ tori, che cogliendole la matlina, quando elle son rugiadose, e inghiottendole intere col nocciolo, alleggeriscono talménte il corpo, che i piedi si liberano dal male.

33.

G. PU N II SECONDI Ob m e s p i l i s , n. D b s o b b is , n .

LXX 11I. Mespila, exceptis selaniis, quae malo propiorem vim habeat, reliqua adstringunt sto­ machum, «istuntque atrum . Ilem aorba sicca; nara recentia stomacho et alvo citae prosuol.

Db b d c ib c s

p ih k i s , x i u .

LXX 1V.8 .Nuces piceae, quae resinam habent, contusae leviter, additis in singulas sextariis •quae ad dimidium decoctae, sanguiuis exscrea­ tioni medentur, ita u t cyathi bini bibantar ex eo. Corticis e pinu io vino decoclum con Ira tormiua datur. Nuclei nucis pineae sitim sedani, et acrimoniam stomachi rosionesqoe, et contrarios hu­ mores consistentes ibi: et infirmitatem virium roborant, renibas et visicae utiles. Fauces viden­ tu r exasperare, et tussim. Bilem pellunt poti ex aqua, aut vino, aut passo, ant balanorom decocto. Misoetur his contra vehemeutiores stomachi ro­ siones cucumeris semen, et auccus porcilacae. Item ad vesicae ulcera et renes, quoniam et uri­ nam cient.

Db

a m y g d a l is , x x i x .

LXXV. Amygdalae amarae radicum decoctam «01 em in facie corrigit, coloremque hilariorem f»cit. Nuces ipsae somnum faciunt, et aviditatem. Urinam et menses cient. Capitis dolori illinantur, tnaximeque in Cabri : si ab ebrietate, ex aeeto et rosaceo, et aquae sextario. E t sanguinem sistunt, M ia amylo et menta. Lethargicis, et comitialibus prosunt. Capite peruncto epinyctidas sanant : e vino vetere ulcera putrescentia. Canum morsus cura meile. E t furfures ex facie, ante fotu prae­ parata. Item jocineris et rennm dolores ex aqua potaé : et saèpe ex ecligmate cam resina terebin­ thina. Calculosis et difficili urinae in passo : et ad purgandam cutèm in aqua mulsa tritae, sunt efficaces.

Prosunt ecligmate joci neri, tussi, et colo, cum elelisphaco modice addito. In meile sumilur nucis avellanae magnitudo. A ju n t, quiois fere praesumptis ebrietatem non sentire polores : vulpesque, si ederint eas, nec contingat e vieino

D

33i

bllb n b s m l b ,

s . D bllb s o m , 2.

LXX 1II. Le nespole sono rislrettive, in foor che le setanie, le quali sono più vicine alla natura della mela : esse ristrìngono lo stomaco e fermi­ lo il corpo. Cosi fanno anco le sorbe secche; perciocché le fresche giovano alla stomaco e al corpo mosso. D b llb io c i p ire , i

3.

LXX 1V. 8. Le pine, che hanno ragia, ammac­ cate leggermente e cotte con un sestario d 'sequa per ciascuna, infino che si consumi la metà, ne* dicano chi sputa sangue, par che se ne beano due bicchieri. La cocitura della corteccia del pino li dà nel vino contra i tormini. 1 pinocchi levano la aete, l’ agrimonia e le rosioni dello stomaco, e i guasti e oorrotli umori che si fermano qaivi : fortificano la debolezza delle parli virili, e ioa ulili alle reni e alla vescica. Pare che inaspriscano le canoe della gola e la tosse. Purgano le collere bevuti con acqua, o vino, o vin c o tto , 6 cocitura di balani. Mescolasi con questi, cootra le veementi rosicazioni di atomaeo, il seme del cocomero e il sugo della porcellana. Giova eziandio alle scorti* calure della vescica e delle reni, perchè anoora muove 1*orina. D

b llb m a hdo blb,

ag.

LXXV. La cocitura delle radici delie man* dorle amare fa bella la pelle àel viso, e il eolore piò lncenle. Le noci fanno sonno e avidità : rooo* vono 1*orina e i menstrui. Impiastranti al dolore del capo, e massimamente nella febbre ; e se il dolore avviene per ubbriachezza, con aceto, olio rosato e un sestario d’ acqua. Ferm ano ancora il sangue, con amido e menla. Giovano alla letargia e al mal caduco. Ungeudone il capo, gaariscono alcune roacohie rosse rilevate, che vengono pii la notte che il giorno eon pizzicore, e col via vecchio le piaghe ehe marciscono, e eoi mele i morsi de'cani; aon che le forfore del viso, pre­ parate prima con la fomentazione. Bevute con 1* acqua tolgooo i dolori del fegato e delle reni, e spesso con lattava?» di ragia trem entina. A chi ha la pietra, e difficilmente orina, dannosi in via cotto ; e trite in acqua melata son buone • P°r" gare la pelle. Giovano col lattovaro al fegato, e. alla tosse e al colo, aggiungendovi alquanto delP erba delisfoco. Pigliasi nel mele quanto è una nocciuola. Dicono che pigliandone innanzi cinque, i bevitori non s'ubbriacano ; e se le volpi ue mangiano, e

HISTORIARUM 3KJNDI LIB. XXIII.

333

aquam lambera, mori. Minus valent in remediis dulces, et hae tamen porgant, et urinam cient. Recentes stomachum implent.

D>

VOCIBUS GBASCfS, I.

334

subito non beono aequa, si muoiono. Le dolci vogliono meno in medicina, e nondimeno ancora esse purgano, e muovono T orina. Le fresche em­ piono lo stomaco. DblU noci

OBBCHB,

I.

LXXVI. N udbns graecis eam absinthii semi-* ne ex «ceto sumptis, morbos regius sanari dicitnr: ilem illilis per se Titia sedis, et privatim condylomata. Item tussis et sangoinis rejectio.

LXXVI. Dicono che pigliando le mandorle col seme dell* assensio nell* aceto, cessa il mal ca­ duco. Per sè medesime guariscono i difetti del fondamento e in ispecieltà il male de’ fichi. Gio­ vano ancora alla tosse e a chi sputa sangue.

D b 1TOLAHD1BCS, XXIY.

D b l l b so c i , 9 4 .

LXXVII. Nuces {oglandes Graeci » capitis gravedine appellavere. Elenim arborum ipsarum folioramque vires in cerebrum penetrant : hoc minore torm ento, et in cibis, nuclei faciunt. Sunt aulem recentes jucundiores, siccae unguinosio­ res, et stomacho inutiles, difficiles concoctu, do­ lorem capili* inferentes, tussientibus inimicae, et vomituris jejunis : aptae in teaesaao solo ; trar buot enim pituitam . Eaedem praesumptae ve­ nena hebetant : item anginam curo rota et oleo. Adversantur caepis, leniuntque earum saporem. Aurium inflammationi im ponuntur cura mellis exiguo, et cum ruta mammis, et luxatis : cura caepa autem e t sale, et meile, canis horainisque roorsoi. Putamine sucis juglandis, dens cavus inuritur. Putamen combustum trituroque in oleo aut vioo, infantium capile peruncto, n utrit ca­ pillum : et ad alopecias eo sic utunlur. Quo plures noces q u is ederit, hoc facilius tineas pellit. Qoae perveteres snnt nuces, gangraenis et car­ bunculis m ed en tu r : item suggillalis : cortex ju ­ glandium, lichenum vitio, et dysentericis. Folia trita cum aceto, aurium dolori.

LXXVII. I Greci hanno chiamate iaglandele noci dalla graviti del capo; perciocché la potenza di questo albero e delle sue foglie passa nel cer­ vello : questo medesimo, ma con minore tormen­ to, fa il frutto loro a mangiarlo. Le fresche sono più dilettevoli : le secche hanno in sè piò dell’antuoso, e sono inutili allo stomaco: smaltisconsi con difficolti, e fanno dolere il capo. Sono contrarie alla tosse, e a chi ha da vomitare a digiuno : utili solamente a chi ha gran voglia d'andare del corpo e non può, perch elle cavano là flemma.Pigliandole innanzi levano la forza a* veleni ; e cosi con ruta • olio guariscono la squinaraia. Resistono alle cipol­ le, e mitigano il sapore d’esse. Adoperansi con un poco di mele alla infiammagione degli orecchi ; e con ruta alte poppe, e a chi ha mosse le mem­ bra del suo luogo ; e con cipolla, sale e mele al morso del cane e deli* uomo. Gol guscio della noce si brucia il foro del dente. Il medesimo gu­ scio arrostito e pesto con olio, o in vino, ugnendone il capo de1bambini, fa mettere loro i capel­ li : è utile ancora alla pelatine. Quanto piè noci mangia alcuno, tanto piò facilmente cacoia le ti* gnuole del corpo. Le noci vecchie guariscono la cancrene, i earboncelli e i suggellati. Il mallo delle noci giova alle volatiche e al male de'pondi. Le foglie peste con l’ aceto giovano alla doglia degli orecchi. Pompeo Magno avendo vinto il gran re Mi­ tridate trovò nel suo gabioetto scritta di mano di lui una composizione d'antidoto che si fa di due noci secche, due fichi secchi e venli foglie di ru ­ ta ; il tutto pestato insieme con un granello di sale : nessun veleno può nuocere in quel giorno a chi a digiuno piglierà questo lattovaro. Al mor­ so del cane arrabbiato è subito rimedio che l ' uo­ mo a digiuno mastichi una noce, e ve la ponga sopra.

In sanctuariis Mithridatis maximi regis devi­ eti, Cn. P o m p eju s invenit in peculiari commen­ tario ipsius ro a n a compositionem antidoti, e dua­ bus nucibus siccis, ilem ficis totidem, et rutae Miis viginti sim u l tritis, addito salis grano: et qoi hoc je ju n a s sum at, nullum venenum nocitu­ ram illo d ie. C o n tra rabiosi quoque canis raornm, nuclei a je ju n o homine commanducati illilip raesenti rem ed io esse dicuntur.

3*5

33«

C. PLINII SECUNDI

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a v b i . l a r is ,

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p is ta c c h i, 8 .

D b llb c a sta g h b ,

LXXVIII. Naees avellanae capitis dolorem faciunt, inflationem stomachi : et pinguitudini corporis conferuot, plus quam sit verisimile. To­ stae et destillationi medentur. Tasti quoque ve­ teri iri Ise, et in aqua mulsa polae. Quidam adjiciuut grana piperis, alii e passo bibunt. Pistacia eosdem usus et effectus habent, quos pinei nu­ clei, praeterque ad serpentium ictos, sive edan­ tur, sive bibantur. Castaneae vehementersiitont stomachi et ven­ tris fluxiones, alvum cient, sangoinem exscrean­ tibus prosunt, carnes alunt.

De s i l i q u i s ,

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De c o & r o ,

i.

Db u r e d o r b .

LXX1X. Siliquae recentes, stomacho inotiits, alvum solvunt. Eaedem siccatae sistunt, storoachoque utiliores fiunt. Urinam cient. Syriacas in dolore stomachi ternas in aquae sextariis de­ coquunt quidam ad dimidium, eumque succum bibuut. Sudor virgae corni arbori» lamina ferrea candente exceptos, noo contingente ligoo, illitaque inde ferrugo, incipientes lichenas sanat. Ar­ butus sive unedo, fructum fert difBeilem conco­ ctioni, et stomacho inutilem.

Da

l a u r is, l x ix .

LXXX. Laurus excalfactoriam nataram habet, e t foliis, et cortice, et baccis : itaque decoctam ex is, maxime e foliis, prodesse vntvis et vesicis convenit. Illita vero vesparum, crabronnmqne, et apiam, item serpentium venenis resistant, ma­ xime sepis, dipsadis, et viperae. Prosunt et men­ sibus feminarum cum oleo cocta. Cum polenta autem, quae tenera sunt trita, ad inflammationes oculorum : cum ruta, testium : cum rosaceo, ca­ pitis dolores, aut cum irino. Quin et commandu­ cata atque devorata per triduum terna, liberant tussi : eadem prosunt suspiriis trita cum raelle. Cortex radicis cavendus gravidi». !p»a radix cal­ culos rumpit jocineri prodest Iribus obolis in vi­ no odorato pota. Folia pota vomitiones movent. Baccae menses trahant adpositae tritae, vel potae. Tussim veterem et orthopnoeam sanant binae, detracto cortice in vino potae. Si et febris sit, ex aqua, aut ecligmate ex aqua mulsa, aut ex passo decoclae. Prosunt et phthisicis eodem modo, et

5.

LXXVIII. Le nocciuole fanno dolore di capo e ventosità di stomaco: giovano a ingrassare il corpo più che non è verisimile. A rrostite guari­ scono 1a rema. Peste e bevute in acqua melata giovano alla tosse vecchia. Alcuni v' aggiungono parecchie granella di pepe; altri le heono col «in cotti). 1 pistacchi fanuo i medesimi effetti chei pinocchi, fuor cbe a' morsi delle serpi, o beeudoli 0 mangiandoli. Le castagno fermano gagliardamente i flussi del corpo e dello stomaco : giovauo a chi sputa sangue, e (sono carne. D e lle c a r ru b e , 5. D el c o b rio lo , i. D el c o r b e z z o l o .

LXXIX. Le carrube fresche soao inptili silo stomaco, e smuovono il corpo. Seéche lo fermano, son più utili allo stomaco, e provocano 1* orina. Alcuni per la doglia dello stomaco coocoo tre delle Soriane io altrettanti sestarii di acqua finche tornino alla metà, e ne beono quel sugo. Rice­ vendo il sudore della verga del corniolo in pia­ stra di ferro rovente, la quale non tocchi il legno, e dipoi con la ruggine che di quivi nasce ugneodo le volatiche, quando cominciano, »i guarisco­ no. 11 corbezzolo è difficile a smaltire, ed è inutile allo stomaco. D

b g l i a l l o r i,

€9.

LXXX. L’ alloro riscalda, così con la foglia 0 con la scorza, come col frutto, e però la saa deco­ zione, e massimamente delle foglie, c utile alla ma­ trice e alla vescica. F'acendone empiastro resiste molto al veleno delle vespe, de' calabroni, delle pecchie e delle serpi aucora, e massimamente di quelle, che si chiamano sepe, e dipse, e vipere. Cocendole eoo l'olio giovano a'mesi delle donne. Pestando quelle che sono tenere con la polenta, levano l'enfiato degli occhi, e con la ruta quello de'lesticoIUecon l'olio rosato, o con l'irino,la do­ glia del capo. Se ne masticherai, e poi inghiottirai tre per volta tre dì, guariscono dalla tosse. G iova­ no a'sospirosi trite col mele. Guardinsi le donne gravide dalla corteccia della sua radice. Essa ra­ dice bevuta a peso di tre oboli in vino odorifero, rompe la pietra e giova al fegato. Le foglie, beendole, muovono il vomito. Le coccole provocano

1 menstrui, o ponendovele peste, o beemlole. Becudone due senza corteccia nel vino guariscono

33?

HISTORIARUM MUNDI LIB. XXIII.

omnibus thoracis reumatismi». Nam et coquunt pituitam et extrabuat.

Advenas scorpiones quaternae ex vino bi­ buntur. Epinyclidas ex oleo illitae, et lentigines» et ulcera m anantia, et ulcera oris, et furfures. Cutis pruriginem saccus baccarum emendat, el phtfiiriasin. Aurium dolori et gravitali instilla* tnr,cum vino vetere et rosaceo. Perunctos «o fu­ giunt venenata omnia. Prodest contra ictus et polui, maxime autem ejus laurus, quae tenviora habet folia, Baccae cum vino serpentibus, et scor* pionibos, et araneis resistunt. Ex oleo et aceto illinuntor et lieni, et jocineri : gangraenis cum meile. Et in fatigatione etiam aut perfrictione succo eo perungi, nitro adjecto, prodest. Sont qoi celeritati partus multum conferre patent ra­ dicem, acetabuli mensura in aqua potam ; effica­ cius recentem, quam aridam. Quidam adversus scorpionum ictus, decem baccas dari jubent po­ tai. Item et in remedio uvae jacentis, quadran­ tem pondo baccarum, foliorumve, decoqui in aquae sextariis tribus ad tertias, eamque calidam gargarizare : et in capitis dolore, impari numero baccas cum oleo con lerere, et cal facere.

Laurus Delphicae folia trita olfaotaque subin­ de, pestilentiae contagia prohibent: tanto magis ii et uranlur. O leum ex Delphioa, ad cerata, acopamque, ad g>er frictiones discutiendas, nervo» laxandos, la ter ia dolores, febres frigidas utile est. Item ad auriuna dolorem, in mali punici cortice tepefactum. F o lia decocta ad tertias paries aquae, uram cohibeut gargarizatione : polu alvi dolores, inleslinorumque. Tenerrima ex his trita in vino* papulas, p ru ritu sq n e , illita noctibus.

Proxime v e le n t oelera laurorum genera. Lau­ ros Alexandrina, ai ve Idaea, parius celeres facil, radice pota tr iu m denariorum pondere, in vini dulcis cyalbis irib u s. Secundas aliam pellit, mentetqae. E odem m o d o pota daphnoides (sive his nominibus q u a e diximus), silvestri» laurus pro­ dest: alvum so lv it, vel recenti folio, vel arido, drachmis trib u s cum sale in bydromelite mandu­ cata. P ituitas e x tra b it folium et vomitu*, stoma­ cho inutile. Sic e t baccae quiuaedenae purgatio iit causa su m o n to r. P lib io 1* N., Vol. II.

338

la tosse vecchia, e la ortopnea. Se vi fotse febbre, cnoconsi con l'acqua, o con Utlovaro d'acqua melata, o di vino passo. Giovano a 'tisichi in quel medesimo modo, e ad ogni rema del petto, perchè oaocono e maturano la flemma, e tiranla fuori. Contra gli scorpioni ne beono quattro eoi vino. Faoeadone empiastro eoo olio levano alenile macchie rosse rilevate, le quali vengono pià 1« notte ebe il giorno con pinicori, e le lentiggini, e le nascente che colano, e le ulcere della bocca, e le forfora. U sugo delle coccole leva il pizzicore, e il m orbo pediculare, lnstillasi negli orecchi con vin vecchio e con rosato, contra la doglia e gra­ vità d ' essi. Chi è unto di questo è guarentito de ogni cosa avvelenata. Giova berle a' morsi vele­ nosi, massimamente tratto delle cocooie di quel­ l’alloro, che ha le foglie più tenere. Le coccole eoi vino resistono alle serpi, agli soorpioni e a' ragui. Con olio e con aocto s'impiastrano alla milza e al fe­ gato : alle cancrene col mele. Giova ancor» nella, stanchezza e nell’ infreddatura ugnerai oon quel sugo, aggiuntovi il nitro. Sono alcuni, che ten­ gono che la radice giovi assai a far partorire tosto, beendola nell' acqpa alla misura d ' un acetabolo» e molto meglio la fresca, che la secca. Certi vo­ gliono che se ne dieno a bere dieci coccole contra i morsi degli scorpioni. Per rimedio della ugola scesa vogliono che si cuoca in tre sestarii d 'acqua fino che resta il terzo la terza parte d 'una libbra di coccole e di foglie, e che quest' acqua diasi calda a gargarizzare. Nel dolore del capo pestauo con olio le coccole in caffo, e le riscaldano. Le foglie dell' alloro Delfico, peste e fiutate poi, levano la contagione della pestilenza, e lauto. più, s ' ella abbrucia. L 'olio dell' alloro Delfico è utile a'cerolti, all'unguento mitigativo, a levare le infreddature, a mollificar i nervi, a' dolori del fianco, e alla febbre fredda. Scaldasi in corteccia di melagrana al dolore degli orecchi. Le foglie colle infino alla terza parte dell'acqua fanno tor­ nare 1' ugola al suo luogo, gargarizzando ; e col bere, i dolori del corpo e degl' iuteriori. Le sue foglie più tenere peste nel vino guariscono le slianze e i pizzicori, impiastrale la notte. Dipoi valgono.l'altre specie dell' alloro. Quel­ lo di Alessandria o dell’ Ida fa partorir tosto, beendo la radice a peso di tre denari in tre bic­ chieri di vin dolce. Spinge fuori anco la seconda e i menstrui. Non meoo giovevole, beendolo allo stesso modo, è l'alloro salvatico, o dafnoide ( per non dira gli altri nomi, onde l ' abbiamo doman­ dato ) : smuove il oorpo, mangiando tre dramme delle sue foglie, o secobe o fresche, col sale e cou l'idrom ele. La foglia d’esso cava fuori la flemma, e la vomito, ma è iuulile allo slomaco. Pigliami ancora piuque o dieci coccole per purgare. 22

33g

G. PUN II SECUNDI

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m y bto , lx .

LXXXI. 9. Myrtus saliva candida, mitra* alili» esi medicinae, quam nigra. Semen ejus medetur sanguinem exscreantibus. Ilem contra fango* io vino potum. Odorem oris commendat vel pridie commanducatam. Item apad Menandrnm Synari­ stosae boe edunt. D atare t dysentericis denarii pondere in vino.Uloera difficilia in extremitatibu* corporii sanat, cam vino subfervefectum, Impo­ nitu r lippitudini cum polenta, et cardiaci* in mamma sinistra : et contra scorpioni* ictus in mero : et ad veicicae vitia, capitis dolores, et aegilopaa, antequam suppurent : item tamoribus : exemptisqne nucleis in vino velere trilnm e m ­ ptionibus pituitae. Suecus seminis alvnm sistit, urinam ciet. Ad eruptiones pusularum, pituitae­ que, cum cerato illinitur ; et eonira phalangia. Capillum denigrat. Lenius succo oleum est ex eadem m yrto: lenius et vinum, quo nnmquam inebriator. Inveteratum sistit alvum et stoma­ chum : tormina sanat, fastidium abigit,

Foliorum arentium farina sudores cohibet inspersa, vel in febri. Utilis et ooeliacis, et proci­ dentiae vulvarum, sedis vitiis, ulceribus manan­ tibus, igni sacro fotu, capillis fluentibus, furfuri* bus : item aliis eruptiooibus, ambustis. Additur quoque in medicamento, quod liparas vocant, eadem de causa qua oleum ex his, efficacissimnm ad ea quae in humore s u n t, tanquam in ore et vulva,

Folia ipsa fungis adversantor trita ex vino, cura cera vero articulariis morbis et collectioni­ bus. Eadem in vino decocta dysentericis et hy* dropicis.potui dantur. Siccantur in farinam, quae inspergitur ulceribus, aut haemorrhagiae. P u r­ gant et lentigines, plerygia, et paronychias, et epioyctidas, condylomata, testes, tetra ulcera : item ambusta cum ceralo.

Ad aures purulentas et foliis crematis utun­ tur, et succo, et decocto. Comburuntur et in an­ tidota. Item cauliculi flore decrepli, in novo ficti­ li operto cremati in furno, dein triti ex vino. E t ambuslis foliorum cinis medetur. Inguen ne iutumescat ex ulcere, salis ect surcul tm tantum

D

e l l a n o e t in e ,

60.

LXXXI. 9. La mortine domestica bianca è meno olile alia medicina, che la nera. 11 seme sao medica chi sputa sangue; e beendolo col vioo giova contra i fanghi malefichi. Fa buono alilo ancora essendo stato mangiato il giorno innanzi. Appresso Menandro poeta i Sinarislosi ne man­ giano. Dassi ancora al mal de’ pondi a peso d'ua denaio nel vino. Bollilo alquanto col vino guari* soe le nascenze difficili nella estremità del corpo. Ponsi con polenta alla cispa degli occhi, e a que­ gli che hanno passione di cu o re, sulla poppa manca ; e contra i morsi dello scorpione nel vino, e a* difetti della vescica, a* dolori del capo, all’egilope, innanzi eh* elle facciano puzxa, e agli en­ fiati ; e tritandolo e cavandone i noccioli ferma l ' umore flemmatico. Il sugo del seme ferma il corpo e provoca lf orina. Impiastrasi alle pustole che rompono e alla flemma con cerotto; n o n c h é contra i falangi. Fa cepegli n eri. L'olio della medesima mortine è più gentile che il sago, e così il vino ancora, il quale non ubbriaca mai. Quando egli è invecchiato ferma il corpo e lo stomaco, guarisce i tormini e leva allo stomaco il fastidio. La polvere fatta delle foglie secche leva il sudore, spargendola, ancora nella febbre. È utile pure a* deboli di stomaco, alla matrice, quando ella nscisse fuori, a’Jifetli del sedere, alle nascerne che cofano, al fuoco sacro con fomentazione, a’es­ pelli cbecaggiono, alla forfora, a tutto che rompe nella pelle e agl* incotti. Mettesi ancora in una composizione, la quale si chiama lipara, perla medesima cagione, per la quale l*olio di questi è potentissimo a quelle parti che sono umorose, come alla bocca e alla matrice. Le foglie peste col vino son buone cootra 1 fanghi, e conia cera contra i mali delle giunture, e le raocolte di marcia. Cotte nel vino dannosi bere a chi ha mal di pondi e a* rilruopichi. Sec* cansi in farina, che si sparge sulle rotture e sulle inorici. Purgano le lentiggini, quelle pellicole che si sfogliano attorno all* unghie delle dita, i pan** recci, quelle macchie rosse rilevate che vengono più la notte che il giorno con pizzicore, le inorici che non gettano, i testicoli, e le piaghe brutte ; ® col cerotto gl* incotti. Usansi le foglie arse agli orecchi che gettano puzza, tanto pel sugo loro, che per la cocitura. Afdonsi per metterle negli antidoti ; al che valgono anche le messe tenere colte nel fiorire e arse io vaso di terra nuovo nel forno, dipoi peate col vino. La cenere delie foglie medica gl* incolli. &

3$i

HISTORIARUM MUNDI LIB. XX11L

myrti habere sterna, oon ferro, nec terra con* Udam.

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Di naT O

acciocché l’ anguinaglia non ingrossi per alcun malore, basta portar seco una vermena di morti­ ne, la quale non abbia tocco ferro nè terra.

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m t b t i d a h o , X III.

LXXXII. Myrtidanum diximus qaomodo fie­ ret. Vulvae prodest, adpositn, fo la , et illitu. Mollo efficacias et cortice, et folio et semine. Kiprimitur et foliis saccos mollissimis in pila tosia, adfoso paullatim vino austero, alias aqaa coelesti: atque i t a expresso u ta n ta r ad oris se* disqoe aleera, vulvae, et T e o tr is : capilloram ni­ gritiam, malaram perfusiones, pargationem lenligimun, «t ubi constringendum aliquid est.

s i l t b s t b i , s iv b o x y m y m ih b , s i t e c h a -

M A E M Y lS im , SITE XTJSCO, TI.

LXXX111. M yrtas s i lT e s tr is , si oxymyrsine, sive ebamaemyrsine, baccis rubentibus et brevilai* a sativa distat. Radix ejns in honore est, d e ­ cocta vino, ad re n am dolores pota, et difficili uri­ nae, praedpueque crassae, et g r a T e o l e n t i : morbo regio, et vulvarum purgationi trita cum T in o . Cauliculi qaoqae incipientes asparagorum modo io cibo sampti, « t in cinere cocti. Semen cum vino potum, aat oleo, aat aceto, calculos frangit. Item in aceto et rosaceo tritam , capitis dolores sedat : et potom, m orbara regium. Castor oxy■yrsinen myrti foliis acutis, ex qoa fiant ra ri wopae, roseam T o c a T i t , ad eosdem usos. E t ha­ ctenos habent se medicinae urbanarum arborum. Transeamus ad silvestres.

3/ja

anB T iD A .no, i 3 .

LXXXII. Insegnammo gii come si fs il mirtidano, il quale facendone fomentazione e impiastro, giova alla matrice; ma molto più con la corteccia, con le foglie e col seme. Premesi ancora il sugo, pestando in pila le foglie tenerissime, e mettendovi a poco a poco T i n brusco, e altrimenti acqua piovana. Usasi questo sago così premuto alPulcere della bocca, del fondamento, della ma­ trice e del corpo ; a far neri i capegli, a’ malori delle gote, a levar le lentiggini, e quando è da risi rignere alcuna cosa. D e lla

m o e t ih e s a l t a t ic a , c a m b m ib s ib e ,

o t t e b o o s iim ib s ih b ,

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O BOSCO, 6 .

LXXX 1I 1. La mortine salvatica, ovvero ossimirtine, o camemirsiue, è differente dalla dime­ stica, perchè ba le coccole rosse e le foglie minori. La sua radice cotta in vino e bevala è utile alla doglia delle reni, e alla orina difficile, massima­ mente alla grossa e puzzolente ; nel vino giova a chi ba sparto il fiele, e alla purgazione della ma­ trice ; e così le sue messe tenere mangiale a modo di sparagii, e colte nella cenere. Il seme bevuto in vino, ovver olio, rompe la pietra ; e trito in aceto e olio rosato mitiga la-doglia del capo ; e bevuto guarisce chi ha sparto il fiele. Castore chiama roseo la ossimirsine, che ha foglie aguzze di mir­ to, di cui nelle ville si fanno le scope : essa è alile a’ medesimi efiletti. E questo basti quanto alle medicine degli alberi domestichi. Passiamo ora a

ragionare de* salvatichi.

C. PLENE SECUNDI

HISTORIARUM MUNDI LIBER XXIV MEDICINAE EX ARBORIBUS SILVESTRIBUS

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D is c o b d ia e i r r

a b b o b ib c s

b t h b b b is ,

a tq c b

D is c o rd ie

b

c o n c o r d ie t r a a l b e r i b t r a e r b e .

COBCORDIAB.

1.1. l ì . « I n e qtridem, horridiorque n i t o r n

1.1 . I l anno le selve ancora e i siti di piò orrido

W tt) medicinis carent, sacra illa pareote rerum omnium nusquam non remedia disponente ho* mini, ot medicina fieret etiam solitudo ipsa : sed r i negala illins discordiae atque concordiae mi­ raculis occursantibus. Quercus et olea tam pertite a odio dissident, a t altera in allerins scrobe Epactae m o riantu r : quercus vero et juxta nucem jflgbodem. Pernicialia et brassicae cum Tite odia: ipton olas, q u o Titi» foga tur, adversam cyclami­ no et origano «rescit Quin et annosas jam, et qwe sternantar arbores, difficilius caedi, ac cele­ rà* inarescere tradunt, si prias mana, quam fer­ ro, attingantur. Pomornm onera a jumentis sta­ tua sentiri : ac nisi prius ostendantur his, quam* tu pauca po rtent, sudare Ulico. Ferulae asini» gratissimo su n t in pabulo, ceteris vero jumentis praesentaneo veneno: qua de cansa id animal Libero patri adsignatar, coi et ferula.Surdis etiam Krnm sua cuique sunt venena, ac minimis quo­ que. Philyra coci et polline nimium salem cibis eximunt. Praedulcium fastidium sal temperat. Nitrosae au t amarae aquae, polenta addita mitipntor, n t intra duas horas bibi possint. Qua de «Bsa ia Meco» vinarios additar polenta. Similis

aspetto le ler medicioe ; perchè quella sacra ma­ dre di tutte le cose ha proveduto in ogni luogo i rimedii a ll'u o m o , talché ancora l1 istessa solitudi­ ne si confertisse in medicina ; mostrando però in ogni sua operazione maraviglioso ordine di ac­ cordo e di discordia. La quercia e 1* ulivo eoa tanto odio discordano tra loro, che piantato un di questi alberi nella fossa delP altro, si secca ; il che fa la quercia eziandio presso la noce. Il cavolo ancora egli ha capitai nimistà con la vile ; ed esso che mette in foga le vite, posto alP incontro del ciclamino e dell’ origano, si secca. Dicono ancóra che gli alberi antichi, i quali sono da tagliarsi, più difficilmente si tagliano,e più tosto si seccano, se prima si toccano con la mano, che col ferro. Le bestie da soma sentono subilo il peso delle mele,1e se prima non son mostre loro, incontanente suda­ no, benché ne portino poche. Le ferule sono gra­ tissimo pasto agli asini, dove agli altri animali sono subito veleno ; e perciò questo animale è dedicato a Bacco, a cui è dedicata ancora la ferula. Le stesse cose più vili hanno ciascuna il suo veleno, eie mi­ nime ancora. 1 cuochi levano il sale soverchio fuor delle vivande con pellicole o membrane fresche e

34?

C. PLINII SECUNDI

vis Rhodiae cretae, et argillae nostrali. Concordia ▼aleni, quum pix oleo extrahitor, quando utrumque pinguis naturae est. Oleam solum calci mi­ scetur, qnando atrumque aquas odit. Gommi «ceto facilius eluilar, atramentum aqua. Innu­ mera praeterea d ia, §aae suis loois dioenlor assidu*.

Hinc nata medicina. Haec sola natorae plaenerat esse remedia parata valgo, inventa facilia, ac aine impendio, et qaibos vivimus. Poslea fraodes homioum et ingeniorum capturae officinas i n v e ­ nere istas, in quibus saa cuique homini venalis prom ittitor vita. Statini compositiones et mixto* rae inexplicabiles decantantor. Arabia atque In ­ dia in medio aestimantur : ulceriqoe parvo me­ dicina a Rubro mari imputatur, qaum remedia vera quotidie pauperimus quisque coenet. Nam si ex horto petantur, ani herba vel frutex quae­ ratur, onlla artiam vilior fiat. Ita «st profecto, magnitudo populi Romani perdidit ritus, vin* cendoqae victi sumas. Paremus externis, et ana artiam imperatoribus quoque imperaverant. Ve­ ram de his alias plora.

M e d ic in a e

bx l o t o

I t a l ic a ,

v i.

348

sraioutaolale, e col fiore della farina, mentre per opposito il sale tempera il fastidio delle cose trop­ po dolci. L ’a c q u e nitrose o amare vengono a miti­ garsi, mettendovi dentro la polenta, di maniera che in termine di due ore si posson bere. Per questa cagione la polenta si mette ancora ne'vasi da vino.Sirail virtù è nella terra creta di Rodi, e nell' argilla nostrale. Per I1 opposito la concordia delle cose le fa più possenti : con Polio si leva vi» la pece, perché P uno e Paltro è di natura grassa : P olio solo si appiglia alla calcina, poiché P uno e P altro ha in odio P acqua. La gomma più facil­ mente si stempera con l’aceto, e P inchiostro con P acqua. Così dicasi d ' infinite altre cose, le qaali si conteranno al suo luogo. Di qui è nata la medicina. Questi rimedii soli erano piaciuti alla natura, perchè sono apparec­ chiati e pronti in ogni luogo, facili a trovarsi, e non dispendiosi, perchè si fanno delle cose onde viviamo.Dipoi le frodi degli nomini e degl'ingegni hanno trovato qoeste nostre botteghe, nelle quali a ciascun uomo si promette per denari conservargli la vita.Di subitogli sono perciò messe innanzi com­ posizioni e misture iueslricabili.L*Arabia e Plndia di sabito si ricordano, e ad ana piccola bolla dan­ no medicina, la quale dicono che viene dal mar Rosso ; mentre qualsivoglia povero mangia ogni dì rimedii più veri. Perciocché se cercheremo P erbe e i germogli degli orti, niuna arte diven­ terà più vile della medicina. Certo la grandezza del popolo Romano ha guasti i buoni costami, e noi vincendo siamo siati vinti. Noi ubbidiamo egli slraoi, e questa arte sola comanda agl' im peradori. Ma di ciò parleremo un1 altra, volta. D e l lo t o d ' I t a l ia s i fa b h o k b d ic iv b 6 .

II. a. Loton herbam, itemque Aegyptiam eo­ II. a. Noi dicemipo di sopra che cosa è loto dem nomine alias et Syrticam arborem, diximos erba, e albero Egitfo, o Sirlico del medesimo sois locis. Haec lotos, quae faba graeca appellatur nome. Qaesto. loto, che i nostri chiamano fava a nostris, alvum baccis sislit. Ramenta ligni deco­ greca, con le coccole sue ferma il corpo. 1 suoi cla in vino prosunt disentericis, menstruis, verti­ piccoli rami colli nel vino giovano a chi ha male gini, comitialibus. Cohi beo t et capillum. Mirum, di pondi, a* menstrui, a’ capogirli s a i mal caduco. his ramentis nihil esse amarius, frpclaque dalRitengono ancora i capegli. È maraviglia, che u o a essendo cosa alcana più amara di qpesti piccoli ciu». F it et e scobe ejas medicamentum, ex aqua myrti decocta, sobacta, et divisa ia pastillos, dypezzi, nulla siavi più dolce che il sao fra tto . sentericis utilissimum, pondere victoriali cum Delle sue rimondature si £a medicina* eolie con •quae cyathis tribus. P acqua di mortine, impastate e divise in pastelli, utilissime a chi ha il male de'pondi, prendendole a peso d ' un' oncia con tre bicchieri d’ acqua. G l a b m b o s,

x iii.

D bl lb o h ia s d e ,

i 3.

III. 3. Glans intrita daritias, quas cacoethes III . 3. La ghianda pesta con sogna insalata guarisce quelle durezze che si chamano. caeoete. yocaut,cam salsa axungia sanat. Vehementiora Piò possenti 1090 i legni» • in ta tti si toglieJa sani ligna et in omnibus cortex ipse, cortici^oe

HISTORIARUM MUNDI LIB. XXIV. ludie» «abjecta. Haec deootla favai coeliacos. Dysentericis eliam (limitar, vel ipsagta». fiidem* qoe m iitil serpentium ictibus, rh ettttk liin ii, suppurationibus. Folia, etbaecae, vel cortex, vel meeai decocti prosunt con Ira toxica. Cortex iftinitar decoctas b e te vaccino, serpentis plagae. Datar «t ex vino djaeatericia. Eftdem et Ù d vif.

Cocco

ni.

il ic is ,

35o

corteccia ch*è sotto la corteccia di sopra. Questa cotta giova al male del fianco. La ghianda ancora s'iropiasira al male de 1pondi : essa resiste a' morsi delle sterpi, alla rema, e a* luoghi che hanno rac­ colta marcia. Le foglie e il frutto, o la scorza, o il sugò cotti giovano contra i veleni. La corteccia colta col latte di vacca l’ impiastra al morso delle serpi. Dassi col vino al male de* pondi. La mede­ sima virtù ha il leccio ancora. D e l g e a h e llo d e l le c c io ,

3.

IV. 4* Coccum ilicis valnaribus recentibus ex IV. 4 .11 granello del leccio si mette sulle ferite seeto im ponitur. Epiphoris ex aqua, et oculis fresche con Taccio. Ponsi con l'acqua sulle lagri­ •affatis sanguine, instillatur. Est autem genas ex me degli occhi, e sugli occhi macchiali di sangue. eo b Attica fera e t Asia nascens, celerrime in Di questo è una sorte che nasce nel paese d'Ateue venuculam se mutans, quod ideo stoleciou e in Asia, il quale tosto si mata in un vermicello, vocant, im probantque. Principalia ejus genera che per ciò si chiama scolecio, molto biasimato. ditinos. Abbiamo ragionato altrove delle sue specie prin­ cipali. G alla, xxm.

D e l l a g a l l a , a 3.

V. Nec pauciora gallae genera ferìmus, soli* V. Nè ci sono msneo sorti di galla ; chè v* è dam, perforatam : item albam, nigraro, roajorero, la soda, la perforata, la bianca, la nera, la mag­ minorem. Vis omniom similis. Optima Comma* giore, la minore ; e tutte hanno somigliante gena. Excrescentia in corpore tollunt. Prosunt virtù. Ottima i la Comagena. Levano ogni cosa gtngivie, uvae, oris exulcerationi. Crematae et superflua, che cresce nel corpo. Giovano alle genviao ex tinctae, coeliacis, dyseoterieis illinuntur. gie, all'ugola e alle ulcere della bocca. Arse e Paronychiis ex meile, et unguibus scabris* pteryspeole nel vibo giovano a* deboli di stomaco, e giis, ulceribus manantibus, condylomatis, vulne­ impiastrate, al male de' pondi. Col mele valgono ribus q oae pbsgedaeaiea recontur. In vioo autem ai panerecci, alP unghie ruvide, alle pellicole che decoctae auribus instillantur, oculis illinuntur : si sfogliano intorno alP unghie, alP ulcere che adversa» eruptiones e t panos cum aceto. Nudeus colano, e alle piaghe che si chiamano fagedene. commanducatas dentium dolorem sedat: item Cotte nel vino si mettono negli orecchi e negli intertrigines e t arobuita. Immaturae ex bis ex occhi. Coutra le rotture e le pannocchie si usano aceto potae, lienem consumunt. Eaedcmcrematae, con l’aceto. Il nocciolo masticato mitiga il dolore et aceto salso extinctae, menses sistant, vulvasque de1 denti, e le scorticature della pelle nate per procidentes foto. Omnis capillo» denigrat. camminare, o petr fregarsi P u n membro con P altro, e le incotture. Le acerbe bevute con lo aceto consumano la milza ; e le medesime arse e sparse nelP aceto salato fermano i menstrui, e coù la fomentazione le matrici eh' escono. Fanno neri i capegU. Visco,

x i.

D elvuco , 11.

VI. G ii abbiamo detto che il rovero fa ottimo V I. Viscum e robore pràecipuum diximus haberi, e t quo conficeretur modo. Quidam oon- ▼isco, e mostrato in che modo e' si fa. Alcuni lo cuocono pesto dell' acqua in fino a che stia a galla. tusum in aqua decoquunt, donec innatet. Quidam Alcuni masticando gli acini, sputano la buccia. commanducantes acinos, exspuunt cortices. Opti­ mum est, quod sine cortice est, quodque levissi- Ottimo è quello che non ha buccia, che è legge­ rissimo, giallo di faori, e dentro ha qualità di n a m , extra fulvum, iotus porraceum, quo nihil est glutinosius. Emollit, discutit tumores, siccat porro ; di cui non è cosa più viscosa. Mollifica, strumas. Cum resina et cera panos mitigat omnis leva gli enfiali e secca le scrofe. Con ragia e con cera mitiga !e pannocchie d ' ogni sorte. Alcuni gcucrii. Q uidam ct galbanum adjiciunt, pari

G, PU N II SECUNDI

35»

pondere «ingulorura : eoque modo el ad vuluera ntunlur. Unguium «cabrili»! expolit, si septenis diebus solvantur, nitroqqe colluantur. Quidam id religione efficacius fieri putant, prima lana pollectum e robore sine ferro. St terram non attigit, comitialibus mederi. Conceptam femina­ rum adjuvare, si omnino secuin habeant. Ulcera commanducato impositoque efficacissime sanari.

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i l u l i s r o b o r is

:

cbrro, v iii.

SS»

v'aggiungono il gjdbano 4 ’«goal peso, e a qaesto modo Tosano anche alle £erite.Palisoekra*id*zia delle aoghie, sciogliendole ogni di fino inselle, e lavandole col nitro. Alcuni tengono che ciò »i faccia meglio con la religione, adoperandosi quel­ lo che fu raccolto dal rovero senxa ferro iLprimo dì della luna, Se nou tocca la terra, medica il male caduco. Aiuta le donne a partorire, se l’ hanuo seco addosso. Se si uielle masticalo sulle na­ scenze, maravigliosamente le guarisce. D rllb

p il l o l e d b l r o v er e

:

del gsbbo,

8.

VII. Roboris pilulae ex adipe ursino alopecias VII. Le pillole o coccole del rovero mesoolato capillo replent, Cerri folia, et cortex, et glans, con grasso d'orso fanno rimettere icapegli, Jov’à siccat collectiones supparationesque : fluxiones stata la tigna. La foglia del oerro, o la scorna o sistit. Torpentes membrorum partes corroborat la ghianda, rasciuga la raunata degli umori e la decoctum ejus fotu : coi et insidere expedit, sic* puzza, e ristagna i flussi. Conforta i membri in­ caudis adstringendisve partibus. Radix cerri ad­ tormentiti, se con la sua cocitura si fomentano; versatur scorpionibus. ed è ulile tenervi dentro le parti che si vogliooo ristrignere o seccare. La radice del cerro è con­ traria agli scorpioni. S ubE as,

ii,

D bl

su g h ero ,

a.

VIII. Suberis cortex Irilus, ex aqua calida V11L La corleocia del sughero trita e bevala polus, sanguinem fluentem ex utralibet parie hi acqua calda ristagna il sangue in ogni parie. sislit. Ejusdem cinis ex viuo calido, sanguinem La cenere d'esso col vin caldo è molto lodata per exscreantibus magaopere laudatur. chi sputa sangue. F ago,

iy .

IX- 5. Fagi folia manducantur in gingivarum labiorumque vitiis. Calculis glandis fagiaeae ciois illinilur : item cum meile alopeciis.

C upbxsso, XXUI'

D el

fa g g io ,



IX. 5. Le foglie del faggio si masticano a' di­ telli delle gengie e delle labbra. La cenere delle ghiande del faggio s 'impiastra alla pietra, • col mele alla tigna. Dbl

c iv rb ss o ,

a3.

X. Cupressi folia trita serpentium ictibus im~ X. Le foglie del cipresso trite si pongono ai morsi delle serpi, e al capo con la polenta, se poounlur : et capiti cum polenta, si a sole doleat: duole per essere stato al sole: similmente alla item ramici : qua de causa et bibuutur. Testium quoque tumori cum cera illinuntur. Capillum borsa, e a questo effetto anche si beono. Fassene denigrant ex aceto. Eadem trita cum duabus empiastro con la cera all'enfiato de'testicoli. Con partibus panis mollis, et e vino amineo subacta, l ' aceto fanno neri i capelli. Trite con le due parli pedum ac nervorum dolores sedant. Pilulae di pan molle, e dipoi impiastrate con buon vin adversus serpentium ictus bibuntor, aut si ejicia- bianeo, mitigano i dolori de'piedi e de'nervi. tur sanguis : collectionibus illinuntur. Ramici Le pillole sue si beono eonira al morso delle serpi quoque tenerae lusae cum axungia et lomento, e al recere il sangue; e s 'impiaslrauo alle raccolte prosunt. Bibuntur ex eadem causa. Parotidi et di puzza. Le messe tenere peste con sugoa e fari­ strumae cum farina imponuntur. Exprimitur, na di fave, giovano alla borsa. Beonsi per la me­ desima cagione. Pongonsi con farina alle posteme succus tusis cum semine, qui mixtus oleo caligi­ nem oculorum aufert. Item victoriati pondere in dietro agli orecchi, e alle scrofole. Peslansi col vino potus illitusque cum fico sicca pingui, seme, e il sugo trattone, mescolato con l'olio, leva exemptis grauis, vilia testium sanat, tumore» la caligiue degli occhi. Bevuto a peso d' uu' oucia

HISTORIARUM MUNDI LIB. XXIV.

discutit : et cum fermento strumas. Radix cora foliis trila potaque, vesicae et stranguriae mede­ tur : et contra phalangia. Ramenta pota menses cieat, scorpionum ictibus adversantor.

C isio ,

xui.

col vino, e impiastrato con fico seeoo grasso, ca­ rato le granella, guarisce i mali de' testicoli, lera gli enfiali, e le scrofe col fermento. La radice pesta con le foglie e beruta medica la vescica e gli stranguglioni ; e vale contra i falangi, ragni velenosi. 1 ramioelli bevuti muovono i menstrui, e sodo contro il morso degli scorpioni.

Dae

cedro,

i3.

XI. Cedros magna, qaam eedrelaten vocant, XI. 11 oedro grande, il quale si chiama cedat picem, qoae cedria vocator, dentinm doloribus drdate, fa pece che si domanda cedria, utilissi­ atHisnmam. Frangit enim eos et extrahit: dolores ma a' dolori de' denti} perciocché gli rompe o sedaLCedri soccus ex ea quomodo fieret,diximus, cava, e ne mitiga il dolore. Come si faccia d* esso magni ad lumina usus, ni capiti dolorem inferret. il sugo di cedro, il quale è molto utile alla vista, Defracta corpora incorrupta aeris serrat, viren­ se non facesse dolere il capo, gii lo dicemmo. tis oorrampit: mira differentia, quum vitam aufe­ Esso conserva lunghissimo tempo i corpi morti rat spirantibus, defunctisqne pro rita sit. Vestes incorrotti, mentre oorrompe i vivi ; e ciò con maqaoque corrumpit, et animalia necat. Obfaaecnoa rarigliosa differenza, poiché a' vivi leva la vita, emseam in anginis hoc remedio otendnm : neqae e in un certo modo la d i a' morti. Corrompe an­ io cruditatibus, quod soasere aliqui, gusta. Dentes cora le vesti, e ammassa gli animali. Perciò non queqne colluere ex aceto in dolore timuerim, credo che tal rimedio si debba usare nelle serrd gravitati a u t vermibus aurium instillare. Por­ rature della gola, nè che diasi gustare nelle crutentam est, quod tradunt, abortivum fieri in dezze, il che persuasero alcuni. Io risparmiarci Venere, ante perfusa virilitate. Phthiriases perun­ ancora di bagnare con questo sugo e con l 'scelo gere eo non dobitaverim, item porrigines. Sua­ i denti che dolgono, o instillarlo alla gravili o ai deat et contra venenom leporis marini bibere in vermini degli orecchi. E oosa mostruosa quella passo. Facilius in elephantiasi illinunt. E t ulcera che dicono alcuni, che faccia sconciatura nel coi­ sordida et excrescentia in iis auctores quidam, et to, bagnandone prima il membro virile. Io non oculorum albugines caligiocsque inungere eo : et dubiterei ungere oon esso il male de'pidocchi, contra pulmonis ulcera cyathum ejus sorbere o il pizzicore. Alcuni lo danao a bere contra il veleno della lepre marina in vino cotto. Più fa­ jussoront : ilem adversos taenias. cilmente s'impiastra nella elefanzia, specie di leb­ bra. Aleuni autori hanno unto con esso le piaghe male andate, e le cose che crescono in esse, e i bagliori, e la caligine degli occhi ; e cootra i ma­ lori del polmone vollero che se ne beesse un bic­ chiere, e così contra i vermini. Fassi di esso ancora l ' olio che ai chiama pi*Fit es eo e l oleam, quod pisselaeon rocant, reòenenlioris ad omnia eadem usus. Cedri scobe aeleo, di pià gagliardo uso a tutte le medesime «erpentes fugari cerinm est: item baoeis tritis cose. Che si caccino le serpi con la segatura del cedro, è cosa certa. Questo si ottiene anche un­ cbb oleo, si qoi perungantur. gendosi con le coccole sue peste nell' olio. Canai de, x .

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c b m id b ,

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.

XII. I cedrali o fruiti del cedro guariscono XII. Cedrides, hoc est fractas cedri, tussim nnaot, urinam cient, alvum sistunt : utiles ruptis, la tosse, muovono l ' orina e fermano il corpo. È convulsis, spasticis, stranguriae, vulvis, admoti : utile apporli alle rotture, alle carni spiccale, agli cootra lepores marinos, eademqae quae supra : spastici, alla stranguria, alla strettezza dell' ori­ na e alla matrice. Valgono contra le lepri marine ttUectionibus, ioflammalionibusqne. e contro a tutte le cose a che s 'oppone il cedro : son utili alle raccolte di marcia ed alle infiamr magioni.

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C. PLINII SECUKM G albaho , x x m .

D i l galm w o,

a3.

XIII. De galbano diximus. Neque hamidum XUI. Abbiamo gii parlato del galbano, il quale neque aridam probator, »ed qaale docuimus. Per non voole essere nè omido, nè secco, ma qoale s'è mostrato. Beesi di per sè alla tosse vecchia, •e bibi lar ad tussim veterem, suspiria, rapta, con­ vulsa. Imponitur ischiadicis, lateris doloribus, pa- a' sospiri, e alla carne crepata e spiccata. Adope­ rasi ancora alle sciatiche, a1dolori del fianco, alle ois, furuncnlis, corpori ab ossibus recedenti, stru­ pannocchie, a' Agnoli, alla carne che si parte dal­ mis, articulorum nodis, dentium quoque dolori­ bus. Illinitur et cum meile capitis ulceribus. l'osso, alle scrofe, a' mali delle giunture e al do­ Purulentis infunditur aoribos cum rosaceo ant lore de’ denti. Fassene empiastro eoi niello «Ile nardo. Odore comitialibus subvenit, et vulva ulcere del capo. Metlesi oegli orecchi che a U r à h no pozza, con rosalo o- nardo. Con 1*odor solo strangolante, et in stomachi defeci u. medica il mal cadoco, la soffocazione della mairi* ce e la debolezza dello stomaoo. Cava fuora le sconciature, che non esoonoy Abortu» non exeuntes trahit adpositv vel suffito : item ramis ellebori circumlitum atqoe ponendovelo, o facendone profomo ; il medesimo la co' rami dell' elleboro. Abbiamo detto, come subjectem. Serpentes nidore urentium fugari di­ ximus. Fugiunt et peruuotos galbano. Medetor ardendosi il galbano le serpi fuggooo dal ano odo* et a scorpione percussi». Bibitur et in difficili re. Elle fnggono anoora da coloro, cbe im o noti partu fabae magnitudine in vini cyatho : vulvas- di eaeo. Guarisce ancora chi è stato morso dall* que conversas corrigit. Cum myrrha autem et scorpione. Beesi qoanlo è una fava io on bic* in vino mortuos parius extrahit. Adversator et ebier di vino, quando la donna difficilmente par­ torisce. Corregge la matrice storta. Con la mina veneni», maxime toxicis, cum myrrha, et in vino. Serpente» oleo et spondylio mixto tacto necat. e col vino tira fbora i parti morti. Èeontra i ve­ leni, e massimamente il tossioo, posto con mirra Nocere urinae existimator. nel vino. Se mescolato con otio e spondilio tocca la serpe, la occide. Stimasi che nooca allTorina. Amromico, r a v .

D e ll'

a m m o n ia c o ,

a{.

XlV. 6. Similis ammoniaci netor» atqoe la- XIV. 6. Simile è la oetara dell* ammooiao» e erymae probandae* ut diximos : mollit, calfacit, il modo di fare il saggio della lagrima, come ab* discutit, dissolvit. Claritati visos in collyriis con­ biaroo detto : mollifica, riscalda, sommove e dis­ venit. Proritom, cicatrice», albugines oculorum solve. S’ adopera nelle medicine per rischiarar tollit. Dentium dolores sedat, efficacius accensam. la vista. Leva il pizzicore, le margini, e i panni Prodest dyspnoicis, pleuriticis, pulmonibus, ve­ degli occhi. Mitiga il dolore de' denti, ma con sicis, urinae cruentae, lieni, ischiadici* potam. maggior forza essendo acceso. Giova a chi ha Bie et alvam solvit. Arliculis et podagrae cum l 'asima, a quegli cbe hanno male di fianco, ai pari pondere picis aut cerae et rosaceo coctum. polmoni, alle vesciche, all’ orina sanguinosa, alla Maturat panos, extrahit clavos cam meile. Sic et milza, e alla sciatica, beendolo. Così anco risolve daritias emollit. Lieoi cam aceto et oera Cypria, il corpo. Alle gotte *' adopera collo con egoal vel rosaceo, efficacissime imponitor. Lassitudine* peso di pece o di cera con olio rosato. Col mele perungi cum acelo et oleo, exiguoque nitro, utile. malora le pannocchie e cava i ciccioni de' piedi: similmente molli fio» le durezze. Giova maravi­ gliosamente alla milza eoo acelo e cera Cipria, o rosato. È utile ungere di esso i membri stracchi, con aeeto, olio e un poco di nitro. S toucb , x.

D k llo

st ib a c b ,

io .

XV. Abbiamo ragionato aocora della natura XV. Et styracis naturam in peregrini» arbo­ ribus exposuimus. Placet praeter illa quae dixi­ dello slirace negli alberi forestieri. Piace aaaai, olirà le cose eh' io dissi, il molto grasso, pero, e mus maxime pinguis, purus, albicantibus frag­ menti*. Medetur tussi, fancibus, pectoris vitiis, che ha certi pezzetti che biancheggiano. Medica la tosse, la gola, i mali del petto, e la matrice vulvae praeclusae, doritieve laboranti. Ciet men-

HISTORIARUM MUNfiI LIB. XXIV.

set pota, adporituve, «Iram moHit. Invento potu modico truiitian «nini resolvi, largiore contrahi. Sonitas aurium emendat ia (usum : «tranas illi» iaa, aerroruaque nodos. Adversatur venenis, quae frigom M ceo t: ideo et ckatse.

S v o b d y u o , x v ii.

nne hiusa o dura. Beeudolo provoca i menstrui, e a powelo sopra mollifica il corpo, lo trovo die col berne un poco si viene a risolvere la malin­ conia dell’ animo, e a berne assai fa contrario ef­ fetto. Infusovi dentro leva il rumore degli or cer­ chi ; e impiastratovi, le scrofe e i nodi de* nervi. È contrario a* veleni che nuocono per freddo, e per ciò alla cicuta. Dello

spohdilio,

17.

XVI. Lo spondilio, di eoi ragionammo insie­ XVI. SpondyUon aaa demonstratum, infun­ ditur capii ibus phreneticorum, et lethargicorum : me con esso, si adopera al capo de' farnetichi e item capitis dalw ib ai longis. Cum oleo vetere de’ letargici, e a lunghe doglie di testa. Beesi con bibitur,et ia focinerum vitiis, morbo regio, comi- olio vecchio a' mali del fegato, a ehi ba sparto tiaUbas, octbopnoiris, vulvarum slraagolatione : il fiele, al mal cadoce, a ohi non può respirare, se quibas et suffita prodes». Alvuaa mollit. IHinitar non isti col capo alte, alle soffocazioni delle ma­ «leeribos quae serpunt euro ruta. Flos auribus trici, alle quali giova ancora col profumo. Molli­ pandentis efficaciter infeaditur.Sed succus quum fica il corpo. Impiastrasi alle rotture che impi­ gliano con la ruta. Il fior suo giova mollo a in­ exprimitor, iategendos est, quoniam mire ad pe­ titor a mnaeis e t «anilibus. Radix derasa, et in fonderlo negli orecchi che gettano puzza. Ma fistalas eoojeela, callum earum erodit. Auribus quando si preme il sago, si dee tenerlo coperto, quoque instillatur eom tuoco. Datur et ipsa con­ perchè è grandemente desiderato delle mosche e simili animali. La radice rasa e messa nelle fistole tri morbnm reatum, et ia jocineris vitio, et vairode il callo d’esse. Instillasi ancora eel sugo ne*mimi. Capillo* crispos fecit peruncto capite. gli orecchi. Dassi ancb1essa a chi ha sparto il fie­ le, al male del fegato e alle matrici. Uguendone il capo fa venire i capegli ricciuti. Snuoau,

she im m o ,

« m b«to, v.

XVIL Spbagnos, sive sphacos, sive bryon, et ia Gallia, ut iodi cavimus, uaseitur, vulvis deeoeto iaàdentium utUis : item genibus et feminum tumanbot, mixtu» nasturtio, et aqua salsa tritus. Cam vino autem ac resina sioca potos, urinam pellit celerrime. Hydropicos inanit, cum vino et juniperis tritus à c petas.

T a u n i f i o , vi. XVIII. Terebinthi folia et radix eollectionibm iaiponuntur. Decoetam eoram stomachum firmat. Semea in capitis dolore bibitur in vino, et contra difficultatem urinae. Ventrem leniter • ■d li l Venerem excitat. D b p ic e a b t o b i c e , r m .

XIX. Piceae et laricis folia trita, et in aceto decocta, dentiam dolori prosuol. Cinis corticum, intertrigini et ambustis. Potus alvum sistit, uri■am movet. S a fitu vulvas corrigit. Piceae folia friiatim jo d o e ri utilia sunt, drachmae pondere ■ a^ua aauWa poUU SHvas eas dumtaxat quae pi­

D b l lo

vaowo,

o

sfaco, o b&xo,

5.

XVII. Lo sfagno, 0 sfaco, 0 brio, nasce, come abbiamo detto, anch’ egli in Francia, ed è utile alle matrici che escono. Mescolato col nasturzio, e pesto nell* acqua salata giova alle ginocchia e al» P enfiato del pettignone. 11 sugo suo bevuto con vino e ragia secca prestissimo spigne P orina. Pesto e bevuto con vino e con ginepro risecca i ritruopichi. D bl

tbbbbihto, 6.

XVIII. Le foglie e la radice del terebinto si mette sulle raccolte La cocitura loro ferma Io stomaco. Il seme si bee in vino net dolore d d capo, e contra la difficulti dell* orina. Mollifica dolcemente il corpo e risveglia la lussuria. D ella ficea

b

dbl lab i c e ,

8.

XIX. Le foglie della picea e del larice peste e cotte nell1aceto giovano al dolore de1denti. La cenere della loro corteccia è utile alle scorti* calure della pelle cagionate dal camminare, o dal fregarsi 1*un membro eoa Peltro, e alte incol­ lare. Bevuta ferma il corpo, e «move P orina. Col

35g

C. P U N II SECONDI

36o

cU resinseqoe gratta radantur, alilitiimas eoe phthisicis, aut qui longa aegritudine non recolli­ gent vires» salis constat : et illum coeli aera plus ite» quam navigationem Aegyptiam» proficere» pina quam laetis herbidos per montium aestiva polus.

profumo corregge b matrice. Le foglie della pi­ cea particolarmente sono otiti al fegato, bevute in acqua melata a peso d’ una dramma. Truovasi per esperienza, che quelle selve sono utilissime a* tisici», le quali si radono per rispetto della pe­ ce e della ragia, o a quegli che per lunga malat­ tia non riacquistano le forze ; e che l’aria di quel luogo giova più loro, ehe navigare in Egitto, e più che il bere di molto latte la alale so per i monti.

COAMAIFITY, X.

Dar. a w n n , io.

XX. 11 camepiti si chiama in latino abiga per XX. Chamaepitys latine abiga vocator pro­ pter abortus, ab aliis thus terrae; cubitalibus le sconciature che produce, e da alcooi incenso di ramis, flore pinus et odore. Altera brevior, et terra: ha rami lunghi un braccio, odore e fiordi incurvae similis. Tertia eodem odore, et ideo no* pino. V1ha un'altra specie, pià corta, che par cur­ mine quoque, parvula, cauliculo digitali, foliis va. Ve n' ha una terza del medesimo odore, e simil­ scabris, exilibus, albis, io petris nascens. Omnes mente del medesimo nome: ha gambi piccoli • herbae, sed propter cognationem nominis non grossi un dito, foglie aspre, sottilie bianche, enasee differendae. Prosunt adversus scorpionum ictus. nelle pietre. Tutte qoesteson erbe,leqoali non soao Item jocineri illitae cum palmis, aut cotoneis. da differire per la affinità che hanno del s o m Renibus et veiicae, decoctum earum cum farina Giovano al morso dello scorpione: giovano al hordeacea. Morbo quoque regio, et urinae diffi- fegato, impiastrandole con palme, o eoo cotogne. La cocitura loro è utile eon farina d ' orso alle cui talibus» ex aqua decoctae bibuntur. reni e alla vescica. Beonsi ancora cotte nell* acqua per chi ha sparto il fiele» e difficolti d 'orina. L 'ultima col mele vale contra le serpi ; e po­ Novissima contra serpentes valet cum meile. Sic et adposila vulvas purgat. Sanguinem densa­ stavi su con esso purga la matrice. Bevuta tira tum extrahit pota. Sudores facit perunctis ea, pe­ fuori il sangue rappreso. Fa sodare chi a' ugoe culiariter renibus utilis. Fiunt ex ea et hydropicis con essa, ed è particolarmente utile alle reni. Fansene pillole a' rilruopichi, le quali col fico in­ pilulae, cum fico alvum trahentes. Lumborum dolorem victoriati pondere in fino finit, et tus* citano il ventre ; e pigliandone a peso d 'on’ooda sim recentem. Mortuos partus, ex aceto cocta, et in vino, finisce il dolor de* lombi e la tosse fresos. pota, ejicere protinus dicitur. Dicono che cotta in aceto e bevota sobito maoda fuori i parti morti. D b fit y o sa » VI.

D e l l a pitiusa, 6 .

XXL Cum honore et pityusa simili de causa dicetur» quam quidam in tithymali genere nu­ merant. Frutex est similis piceae, flore parvo, purpureo. Rilem et pituitam per alvum detrahit ?adix, decocti hemina: aut seminis lingula in balanis. Folia iu aceto decocta, furfures catis emendant : mammas quoque mixto rutae deco­ cto, et tormina, et serpentium ictos» et in lotum collectiones incipientes.

XXL Per simil cagione perlerassi con dnore anco della piliusa* la quale alcnni pongono nel genere del ti limalo. Il cespuglio suo somiglia la picea, ed ha picciolo fiore purpureo. La sua ra­ dice lira fuora pel di sotto la collera e la flem­ ma, e basta a ciò un' emina della sua cocitura, o un cucchiaio del seme in balani. Le foglie «eolie nell' aceto levano le forfore della pelle : sanano le poppe mescolandovi la cocitura della ruta ; e i tormini, e il morso delle serpi, e del tutto le rac­ colte di puzze, quando elle cominciano.

Rbsuu, x x ii .

D ella

xaoia » a a .

XXII. Resinam e supra diclia arboribus gigni XXII. Abbiamo insegnato die la ragia nasce docuimus, et genera ejus et nationes in ratione dagli alberi sopraddetti, e mostrato varie specie vini, ac postea io arboribus. Summae speciei duae: e nascimenti d 'essa nel trattato de’ vini, e dipoi

HIST0E1ARUH MONDI LIB. XXIV.

36r

sices, et liquida. S ten e pitia el picee fit: liquide e terebintho, larice» leu tiaco, copre*ao. Nim et eae ferant io Asie etSyria. Fallootor qai eamdem potant ette, e picea etqae larice. Picea enim pin­ guem, et thuris modo succosatn fandit: larix graeilem, ac mellei liquoris, vira* redolentem. Me­ dici liquida raro utuntur, et in ovo fere: e larice propter tussim ulcereqae viscerum : nec piace magnopere in asu : ceteris non nisi coctis. Et coqacndi genera satis demonstravimus.

In arborato differentia placet terebinthine, odoratissima atque levissima : nationum, Cypria et Syriaca: ntraqoe mellis Attici colore: sed Cy­ pria carnosior, aicciorque. In sieco genere quaeraot ut sit candida, pura, perlucida. In ornai aatem, ut montana potias, quam campestris: item aquilonia potios, quam ah alio vento. Resolvitor resina ad vulnerum usus et malagmata, oleo : in potiones, amygdalis amaris. Natura in medendo contrahere vulnera, purgare, discutere oollectiom>: ilem pectoris vitia, terebinthine, lllioitur eademcalida membrorum doloribus, spasticisque in iole.

illinitur et totis corporibus, mangonum ma* rime cura, ad gracilitatem emendandam, spatiis ita laxantium cutera per singula membra, cepa* cioriqae ciborum facienda corpora. Proximum locum obtinet e lentisco, laesi ei vis et edstrinpodi. Movet et ante ceteras urinam. Reliquae veetrem molliant, cruda concoquant, tussim vetarem sedant» volvae onera extrahont etiam suffitae. Privatim adversantur visco. Panoe et umilia, cum sevo t eurino et meile sauant. Palper brìi lentiscine commodissime replicat. Fractis quoque utilissima, et auribus purulentis : item i» prorito genitalium. Pinea capitis vnlneribus *ptioe medetur.

Pica, xxxiv. XXIII. 7. Pix quoque unde et quibas confietitlor modis, indicavimus : et ejas dao genera, Vittam, liqaidumqae. Spissarum utilissima rnefàeae Brutia, quoniam pinguissima et resinosis* ana alrasque praebet utilitates : ob id magis ^ qaam ceterae. Id enim qaod ia hoc edji*

parlando degli elberi. Le prinoipeH sue specie son due ; la seeea e la liquidi. La secca è di pine e di picea ; la liquida ì di teberiuto, di larice, di lentisco e di cipresso. Perciocché qnetti ancore fanno ragia in Asia e in Soria. Ingannanti coloro, che credono eh1ella sia una medesima della picea e del larice. La picea la 61 grassa, e sugosa e mo1 d* incenso : il larice la fa sottile, e liquida come il mele, la quale sa di lezio a fiutarla. 1 medici usano rade volte la liquida, e quasi sempre con T uovo : servoosi di quelle del larice per la tosse, e per le ulcere degl’ interiori. Quella del pinoencora non i molto in uso ; l’ altre non s’ usano se non cotte. Noi abbiamo gii ragionato a bastanza de’diversi modi di cuocerle. Quanto a differenza d'alberi, piace la terebin* lina, la quale è pià leggeri e di piè odore : quan­ to a sito la Cipriotta e le Soriana ; ma si questa che quella ha colore di mele Ateniese : la Cipriot­ ta però è pià carnosa e più secca. Nella specie secca cercano eh' elle sia candida, pura e traspa­ reo te ; e in ogni altra, che sia di monte piutto­ sto cbe di piano, e da tramontana piuttosto che da altro vento. La ragia si risolve con olio al bi­ sogno delle ferite e per impiastro mollitivo ; e per bevanda con mandorle emare. La natura sua i fare minori le ferite, purgare e risolvere le raccolte, e della terebintina guarire 1 difetti del petto. Si mette calda alle doglie de* membri, e allo spesimo si applica al sole. Ognesi per tutto il corpo. Usenle sopra tutto i venditori di schiavi, perchè in quel modo lev* no la gracilità, essendo eh' essa slarga la cale ia tutti i membri, e fa i corpi più capaci del cibo. Il prossimo luogo lieoe quella del lentisco, per­ chè ha virtù di ristriguere, e più che l ' altre maove l'orina. L’altre mollificano il oorpo, smaltiscono le cose crude, mitigano la tosse vec­ chia, e col profumo ancora cavano fuora i pesi della matrice. Particolarmente sono contrarie al visco. Col sevo di toro e col mele guariscono le pannocchie e simili malori. Quella del lentisco ripiega a tutto comodo le palpebre, ed è utilis­ sima ancora alle parti rotte, agli orecchi che gettano marcia, e al pizzicore delle membra ge­ nitali. Quella del pino ottimamente medica le ferite del capo. D illa vaca, 34*

XXIII. 7. Abbiamo mostro ancora, onde e in che modo si fa la pece. Ella è di due ragioni, spessa e liquida. Delle spesse utilissima alla me­ dicina è l’Abruzzese, la quale perch' è grassissi­ ma e molto piena di ragia, ha 1' una e l ' altra utilità} e mollo più quelle cbe rosseggia, che l'al-

C. PLINII SECUNDI

863

cinnt, e macula arbore meliorem ettt, non arbi» tror poste intellig i. Picis natura excalfecit, explet. Adversatur privatim cerastae mortibus cam poleota: ilem anginae cam meile, distillationibus et sternutamentis a pituita. Auribus infunditur cum rosaceo : illinitur com cera. Saoat lichen»», alvum solvit, exscreationes pectoris adjuvat ecli­ gmate, aut illita tonsillis cum meile. Sic et ulcera purgat, explet. Cum uva passa et axungia, car­ bunculos purgat, et putrescentia ulcera : quae wt® serpunt, cam pineo cortice, aut sulphure. Phthisicis cyathi mensura quidam dederunt, et contra veterem tusum. Rhagadas sedis et pedum, panosqae, et ungues scabros emendat: vulvae duritias et courertiones odore : item lethargicos. Stromas item cum farina hordeacea, et pueri im­ pubis urina deeoeta ad suppurationem perducit. E t ad alopecias sicca pice oluntur. A4 mulierum mammas firutia, ex vino subfervefacta eum polli­ ne farraceo, quam calidissimis impositis.

PlSSBLABO, SIVB PALIMPISSA, XVI.

964

tre. Quello che dicono, ch’eli* è migliore deM*al­ bero maschio, non credo ehe si possa intendere. La natura della pece è di riscaldare e riempiere. Ha particolar virtù oon la polenta contra i morsi della cerasta, e col mele alla serratura della gola che non lasci inghiottire, allo sfilalo e agH starnuti. Infondesi eoa olio rosato alla flemma degli orecchi, e fassene empiastro oon cera. Goa* risce le volatiohe, smuove il corpo, aiuta lo spar* go del petto, e le angine col mele. Cosi anco por­ ga le ulcere e poi le riempie. Con uva passa e con sugna purga i carboocelli, e le ulcere che marciscono ; e quelle che impigliano, con cortec­ cia di pino o col zolfo. Alcuni ancora P hanno data a miiura d* un bicchiere, e contra la lotte veoehia. Goa risce le crepature del sedere e dappie­ di, e le pannocchie e le unghie roochiose ; e eoa I1odore le durezze e le conversioni della matrice; e cosi ancora i letargici. Colta con farina d 'orca e orina di fanciullo impubere ridace lo secolo a mandare fuor la marcia. Usano la pece secca eziaadio alla pelatiaa. L' Abruzzese giova alle poppe delle femmine riscaldata col vino e oon fiore di farioa di farro, e postavi sopra tali cose quanto ti può calda. O l i P1SSBLBO, O PALIMPISSA, l6 .

La pece liqoida, e l'olio che si chiama XXIV. Liquida pix, oleumque quod pisselaeon XXIV. vocant, quemadmodum fieret, diximus. Quidam pisseleo, abbiamo insegnato come si faccia. Alcu­ Iterum decoquunt, et vocant palimpissam. Liqui­ ni lo ricnocono, e chiamaolo palimpissa. Con la da anginae perunguntur intus, et nva. Ad aurium liquida s 'ungono al di dentro le serrature detti dolores, claritatem oculorum, oris circumlitiones, gola che non lasciano inghiottire, e l'ugola. Giova suspiriosos, valvas, tussim veterem, et crebras a' dolori degli oreochi, a rischiarare la vista, a fare unzioni intorno alla bocca, a' sospirosi, alle exscreationes pectoris, spasmos, tremores, opi­ sthotonos, paralyses, nervorum dolores. Praestan- Beatrici, alla tossa vecchia, alle spesse spurgaziooi di petto, agli spasimi, a’ (riamiti, a'rattrappì' tissimam ad eanum et jumentorum scabiem. menti de' nervi, a'perletiehi e ai dolori della ner­ vatura. Ha grandissimi virtù contro la scabbia de* cani e de' giumenti. PlSS ASPE ALTO, I I .

XXV. Est et pissasphaltos, mixta bitumini pice naturaliter ex ApoHoniatarum agro. Qui­ dam ipsi miscent, praecipuum ad scabiem peco­ rum remedium, aut si foetus mammas laeterit. Maturum optimum ex eo, quod, quum fervet, innatat.

Z o p is s a ,

i

.

XXVI. Zoplseam eradi navibus diximus cera marino sale macerata. Optima haec i tirocinio

D el

p is s a s p a l t o ,

a.

XXV. Écci aoco il pissasfalto, che è pece me­ scolala col bitume, la quale naturalmente viene del paese degli Apolloniali. Certi ne fanno il mi* stio artatamente : è ottimo rimedio alla scabbia de' bestiami e alle poppe, quando il parto le ha offese. Ottimo i qpello, che quando bolle va a galla. D blla

z o p is s a ,

t.

XXVI. Noi abbiamo dotto ehe la zopissa ai rade dette navi: essa è la cera ebe si dà per into-

HISTORIARUM MONDI UB. XXIV.

365

oavbm. Additar «olea in malaga»!* ad discu­ tiendas collectiones.

T eda,

i

.

m

nico, macerata con quel sale marino. Ottima è quella che si cava de' navili nuovi. Questa s1a d o ­ pera negli ungoenti per bvare gli nmori raccolti. D

ella ted a, i

.

XXVII. Teda deoocta in accio, denliom dolo* XXVII. Le tede cotte nell'aceto guariscono rts efficaciter colluunt. benissimo il dolore de’ denti che ne sieno sciac* quali. L obtisco , x x u .

D bl

lbbtisgo ,

aa.

XXVIII. Lentisci ex arbore, et semen, et XXVIII. L 'albero del lentisco, il suo seme, b oorlex, el la e rjo a , o iiau a cient, alvaa» sistuot. corteccia e la bgrima muovono l ' orina e fermano Decoctam eoram obera quae serpant, folu. Illi- il corpo. La lor cocitura con b fomeptaModb aitar b k u i d i i , et igni sacro : gingivas colinit. guarisce le piaghe che impigliano. Fassene em­ Folia dentibus in dobre alterjuolur; mobiles de­ piasi ro a' luoghi umidi e al fuoco sacro : guarisce cocto colluanlar. Gepillam Ungant. Laeryma m > le gengive, bagnaodole con esso. Le foglie si tri* dis vitiis prodest, qaum quid siccari excalfierive taoo pel dolore de' denti ; e quei che si dimenano, opus sil. Decoctam et e bcryma slomacbo utile, si bagnano con b sua cocitura. Tingono i capegli. metum et arinam movens: qaod et capilis dolo* La lagrima giova a' mali del sedere, qnsndo biribos cum polenta illinitur. Folia tenera oculis sogui seccarvi alcuna cosa, o riscaldarveb. La inflammatis illinantur. Item mastiche lentisci cocitura della lagrima i utile allo slomaco, e replicandis palpebris, et ad extendendam entem muove il rullo e i' orina ; e con la polenta s’ im­ io Cicie, et smegmata adbibetur, et sanguinem piastra al dolore del capo. Le sue foglie tenere rejicientibus, tosai velcri : et ad omnia quae am- s'impiastrano agli occhi infiammati. La mastice mooiaci vis. Medetur et adiritis partibus, sive del lentisco impbstrasi a ripiegare le palpebre, a oleo e semine cjat facto oeracque raixto, siva fo­ distendere b pelle nel viso, agli unguenti detti liis, ax oleo decoctis* ai ve con aqua virilia fovean- smegmati, a quegli che vomitano sangue, alb lar. Scio Democrnlem medicam in valetudine tosse vecchia, e a tutte le cose, alb quali i buona Considiae M. Servilii consobris filiae, omnem b virtù dell' ammoniaco. Medica ancora b parti caratiancm jaslerant recosantis, diu efficaciter infrante, o con olio fatto del suo seme e mesco* «saa bete caprarom, quas lentisco pasoebaU b lo con b cera, o con b foglie colle con 1' olio, o se con l'acqua si fomentano b parti virili, lo so che Democralc medico nella cara di Coostdb figlinola di M. Servilio stato coasolo, b qualf 000 poteva accettare medicina alcuna troppo ga­ gliarda, si valse alla lunga e utilmente del b tle delle capre, b quali pasceva di batiseo. P iiT M O , XXV.

D el

flatabo,

a5.

XXIX. 8.1 platani sono contrarii a'pipistrelli. XXIX. 8. P b la n i adversantor vespertilioni* bai. Pilulae earum in vino potae denariorom Le coccole loro bevute in vino s peso di quattro das McaaduqM fistulae, et intumescendo ad introitila! medicamentorum aperiendas. Charta qoae fit ex ea, cremata, inter caustica est. Cinis ejus ex tino potus somnum facit : ipsa ex aqua iaipotita Calium sanat.

366 casta,

LI. In Egitto è il papiro, che si confà mollo con la canna, quando è secco, a dilatare e seccar le fistole, e gonfiandosi ad aprirle perchè vi ai gossano introdurre le medicine. La carta fatta di papiro bruciandola ha virtù caustica. La sua cenere bevuta col vino fa dormire : essa bagnata nell’ acqua, e posta sul callo, lo guarisce.

E bcmo, ▼.

D e l l 'e b b b o ,

LU. Ne io Aegyptu quidem nascitur ebeuus, ot docuimus: nec tractamus in mediciua alienos orbes: non om ittetur tamen propter miraculum. Seobea ejus oculis unice mederi dicunt: lignoque •d colem trito cum paaso, caliginem discutit. Ex aqas vero radice, albugines oculorum. Item tus­ sis, pari modo dracuncali radicis adjecto oum nelle. Ebenum medici et inter erodentia adsamaat.

3.

5.

LU. L’ ebeno non nasce altrimenti in Egitto, come abbiamo detto altrove ; e benché io non tratti in medicina delle stranie parti del mondo, nondimeno io non le vo’passare per rispetto della maraviglia. La segatura sua, secondo che si dice, guarisce unicamente gli occhi. 11legno pesto sopra la pietra, e messo in vin cotto, leva i bagliori; e con le radici alate in acqua si guariscono le albu­ gini degli occhi ; non che la tossa con le mede­ sime oose, aggiunta altrettanta radice di dragon* colo col mele.1 medici mettono l 'ebeno ancora tra le cose ohe rodono.

B io d o d u h o , i .

Dbl b o d o d b r d b o , i.

Llll. Rbododendros ne nomen quidem apud nos invenit latinum : rhododaphnen voca ut, aut neriao. Mirum, folia ejus quadrupedum venenum eise, homini vero contra serpentes praesidium, rate addita e vin o pota. Pecus etiam, et caprae, si « |« a biberint, io qua folia ea maduerint, mori dicantur.

Llll. 11 rododendro non ha nome latino . chiamasi rododafne, o nerio. Contasi una mara­ viglia d 'esso, che le sue foglie in bevanda sieno veleno alle bestie, e agli uomini rimedio contra le serpi, aggiuntovi ruta e viuo. Le capre ancora eie pecore, beendo Tacqua dove si sieno bagna­ te le foglie sue, si dice che muoiono.

& * v ;« e s e b a n

; m b d ic ira b ,

v m ; s to m a tic e , i .

Del

b o b , s p b c ib a : m e d ic i n e 8 . D b l LO STOMATICE, i .

LIF. Nec rhus latinum nomen habet, quum io ojboi pluribus modis veniat. Nam et herba est silvestris, foliis snyrti, cauliculis brevibus, quae lioeaj pellit ; et frutex coriarius appellatur, subrabias, cubitalis, crassitudine digitali : cujus ari* Jis foliis, ut malicorio, coria perficiuntur. Medici wtem rhoicis u ta n tu r ad contusa : item coelia* eoi, et sedis uloera, aut qoae phagedaenas vocant, trita cum meile, illita cum aceto. Decoctum eorum iastillatur auribus purulentis. Fit et stomatice fccoctis ramis, a«l eadem, quae ex moris : sed efficacior adm ixto alumine. Illinitur eadem hy­ dropicorum tum ori.

LlV. Nè anco il rue ha nome Utino, ancora che »' usi a molte cose. Perchè esso ed è erba sal­ va tica, che scaccia i vermi, con le foglie di mor­ tine, e piccoli rami; e chiamasi cespuglio coriario, rossigno, alto un braccio e grosso un dito, delle cui foglie secche, come col malicorio, si conciano le cuoia. 1 medici le usano a1 roici, dove la carne è pesta, a’ deboli di stomaco, alle crepature del sedere, o a que’maturi, che si chiamano fagedene, trite con mele, e impiastrale con aceto. La cocitura loro »* instilla negli orecchi che gettano puzta. Fassene pure stomatice, avendo cotti i rami, ai medesimi effetti che quel delle more; ma n ’è mag­ giore la virtù, mescolandovi allume. La medesima a1Impiastra agli enfiati dei rilruopichi.

RflC EBYTHBO,

D bl

IX.

LV. Rhus, qui erythros appellatur, semen est hujus fruticis. Vim habet adstringendi refrigerandique. Adspergitur pro sale obsoniis. Alvos solvit, omaesque carnes cum silphio suaviores facit. Ulceribus medetur manantibus cum meile ; asperitati linguae, percussis, lividis, desquamatis eodem modo. Capitis ulcera ad cicatricem celer­ rime perducit : et feminarum abundantiam sistit cibo. E

A l y ss o ,

i i

9.

LV. 11 rue che si chiama eritro, è un cespu* gl io, il cui seme ha forza di ristrignere e di rin­ frescare. Meltesi nelle vivande in luogo di sale. Muove il corpo, e col silfio fa tutte le carni più soavi. Col mele medica le ulcere che colano: guarisce la ruvidezza della lingua, le percosse, i lividori, e gli scorticali nel medesimo modo. Ri­ salda prestissimo le piaghe del capo, e mangian­ dolo ristagna il flusso delle donne.

LV1. Écci un'altra erba delta eritrodano, e da alcuni chiamata ereulodauo : noi la chiamiamo robbia, con la quale si tingono le lane, e s’a«scon­ ciano le pelli : in medicatura provoca 1' orina : con acqua melala guarisce chi ba traboccato il fiele; e con l1«celo gli enfiali del mento, altri­ menti i gattoni; non che gli sciatici e i parlctid, ma con questo, che beendo si lavino ogni giorno. La radice e il seme tirano fuora i mesi, fermano il corpo, e levano le raccolte. 1 rami suoi con le foglie s'adoperano con tra il morso delle serpi Le foglie tingouo i capegli. io trovo appresso al­ cuni, che questo cespuglio guarisce chi ba sparto il fiele, ancora se legato solamente si guardi. D e ll'

.

LV11. Distat ab eo, qui alysson vocatur, foliis tantum et ramis minoribus: nomen accepit, quod a caue morsos rabiem sentire non paliLur, potus ex aceto adalligatusque. Mirum est quod additur, saniem conspecto omnino frutice eo siccari.

s iv b b a d i c e l a , x i i i .

b o b b &i t b o ,

D e l l ’ e b ix b o d a b o , a .

b y th b o d a r o , x j.

LV1. Alia res erythrodanus, quam aliqui ereuthodanura vocant, nos rubiam, qua tinguntur lanae, pellesque perficiuntur : in medicina urinam ciet: morbum regium sanat ex aqua mulsa, et lichenas ex aceto illita : el ischiadicos, et paralyticos, ita ut bibentes laventur quotidie. Radix semenque trahunt menses, alvum sistunt, et collectiones disouliunt. Contra serpentes rami cum foliis imponuntur. Folia et capillum infi­ ciunt. Invenio apud quosdam morbum regium sanari hoc frutice, etiamsi adalligatus spectetur tantum.

S t b c t h io ,

388

G. PU N II SECUNDI

387

A po cyho,

i i

.

a l is s o ,

a.

LV1I. Dall'eri irodano è differente quello che si chiama alisso soltanto nelle foglie « ne* rami miuori : prese queslo nome, perchè bevuto nell ' acelo, e legatogli addosso, non lascia sentire la rabbia a chi è morso da’ cani. È maraviglia quel­ lo cbe si aggiugne, che solo a guardarsi questa er­ ba si secchi la marcia. D b llo

s t b d t io

o

r id ic o l a , i

3.

D e l l ’ a p o c in o , a .

LV1I1. Tingentibus et radicula lanas praepa­ rat, quam struthion a Graecis vocari diximus. Medetur morbo regio et ipsa decocto ejus polo, item pecloris vitiis. Urinam ciet, alvum solvit, et vulvas purgat. Quamobrem aureum poculum medici vocant. Ea et ex meile prodest magnifice ad tussim, orthopnoeae, cochlearis mensura. Cum polenta vero et aceto lepras tollit. Eadem cum panace et capparis radice calculos frangit, peli it-que. Panos discutit, cum farioa hordeacea et vino decocta. Miscetur et malagmatis, et collyriis, cla­ ritatis causa : sternutamento utilis inter pauca : lieni quoque ac jocineri. Eadem pota denarii

LV11I. La radicola, che abbiamo detto esser nominala strutio dai Greci, è usata dai tintori a dar la prima preparazione alla lana. Beendo la sua cocitura si guarisce chi ha sparto il fiele, e i difelli del petto. Provoca l'orina, muove il cor­ po, e purga le matrici. Epperò i medici la chia­ mano bevanda aurea. Questa insieme col mele giova magnificamente alla tosse e alla ortopnea, alla misura d’ un cucchiaio. Con la polcata e con l ' aceto caccia via la lebbra. La medesima con la panace e la radice de' capperi rompe la pietra c la manda fuori. Colta con'farina d'orzo e eoa vino risolve le pannocchie. Mescolasi ancora iu

38ft

HISTORIARUM MUNDI LIB. XXIV.

3no

unius ex malsa aqua, sospiriosos sanai. Sic et pleuriticos, et omnes lateris dolores, semen ex aqua.

eropiastri e medicine d 'occhi, per rischiarar Ia vista. Son poche cose che portino, com’essa, ulile agli starnuti ; e così alla milza e al fegato. Bevuta a peso d’ un denaio con acqua melata guarisce i sospirosi ; e il suo seme con 1' acqua guarisce il mal di petto e tutti i dolori di fianco. L'apocino è uno sterpo, che ha le foglie d’el­ Apocjnum frutex est folio ederae, mollioré tamen, et minus longis viticulis, semine acuto, lera, ma però più tenere, e di più corti viticci, diviso, lanuginoso, gravi odore. Ganes et omnes ■ seme acuto, diviso, lanuginoso e di grave odore. quadrupedes necat in cibo datum. Dandolo a mangiare, ammazza i cani, e tutti gli altri quadrupedi. R

obe

MABUO, XVIII.

D el b a m b rih o , i 8 .

LIX. E st et rosmarinum. Duo genera ejus. Alterum sterile, alterum cui et canlis, et semen resinaceum, quod cachrjs vocatur. Foliis odor thuris. Radix vulnera sanat viridis imposita, et sedis procidentia, condjlomata, et haemorrhoidas. Succus e t fruticis et radicis morbum reginm, et ea quae repurganda suat. Oculorum aciem exacui L Semen ad vetera pectoris vitia datur poioi. Et ad vulvas cum vino et pipere. Menses adjuvat. Podagris illinitur cum aerina farina. Porgat etiam leotigioes, et quae excalfacienda sont, aut qunm sudor quaerendus, illitum : item convolsis. Auget et lac in vino potam : item ra­ dix. Ipsa herba stromis cura aoelo illiftitur ; ad tossim cum meile prodest.

LIX. Ecci il ramerino, di due ragioni : l'uno è sterile, l ' altro ha gambo, e seme resinoso, il quale si chiama cacri. Le foglie hauno odore d'in­ censo. La radice sua mettendovisi su verde gua­ risce le ferite, e le cose eh' escono del fondamen­ to, e le inorici che non gettano sangue. Il sugo suo 0 della radice guarisce chi ha sparto il fiele, e le cose che hanno a ripurgarsi. Aguzza la vista. Il seme si dà a bere per i difelli vecchi del petto; e alla matrice con vino e pepe. Aiuta i mesi delle femmine. Fassene empiastro alle gotte con farina di rubiglie. Così anche purga le lentiggini, e quel­ le cose che vogliono esse riscaldate, o dove biso­ gna il sudore. Bevuto io vino accresce il latte. Il medesimo effetto fa la radice. Di questa erba fossi empiastro con aceto alle scrofe, e col mele giova alla tosse.

C achet .

D el c a c b i.

LX. Cachrys multa genera habet, ut diximus. Sed haec, quae ex rore supra dicio nascitur, ai fricetur, resinosa est. Adversatur veuenis et venenatis, praeterquam anguibus. Sodores movet, tormina discutit, lactis nbertatem facit.

LX. Il eacri è di più sorti, come dicemmo. Ma questo che nasce del sopraddetto ramerino, se si frega, è ragioso. È contra tutti i veleni, e le cose velenose, salvo que' serpi, che si chiamano angui. Muove il sudore, caccia i tormini, e fa do­ vizia di latte.

S abw a

h er b a , v ii.

LXI. Herba saj>tna, braihy appellata a Grae­ cis doorum gacierum est: altera tamarici similis folio, altera cupresso. Quare quidam Greticam «■pressura dixerant. A multis in suffitus pro thare adsumitur : in medicamentis vero dupli­ cato pondere eosdem effectas habere, quos cinaamum, traditur. Collectiones minuit, et nomas compescit. Illita tlcera purgat. Partus emortuos adposita extrahit, et soffila. Illinitur igni sacro et carbunculis. Cum ■die et vino pota, regio morbo medetur. Galli­ nacei generis pi Initas ft^rao ejus herbae sanari ta d v D t.

D e L l 'e B B A SAVINA, J.

LXI. H'erba gavina, da'Greci chiamata brati, è di due ragioni : l'noa simile alla foglia della tatnerigia, l ' altra al cipresso. Epperò fu chiamata da alcuni cipresso Candiotto. Pigliasi da molti per incenso nelle suffuraigazioni ; e nelle medici­ ne raddoppiando il peso, dieesi eh' ella fa i me­ desimi effetti che il cinnamomo. Scema le racoolte degli umori, e reprime le piaghe cancherose. Impiastrata purga le ulcere ; e postavi sopra, e col profumo ancora, cava fuora 1 parti morti. Impiastrasi al fuoco sacro, e a' carboncelli. Bevuta con mele e con vino medica chi ha sparto il fiele. Dicono che il fumo solo di que­ sta erba guarisce la pipita de' polli.

G. PU N II SECONDI

*>•

S b l a g ih e , I I .

D blla s b l a g iu , a .

LXI1. Similis herbae huic sabinae est selago appellata. Legitur sine ferro dextra mano per fanicam, qua sinistra exuitur, velut a furante, can­ dida veste vestito, pureque lotis nodi* pedibus, sacro facto prius quam legatur, pane vinoque. Fertur in mappa nova. Hanc contra omnem perniciem habendam prodidere Druidae Gallorum, et cootra omnia oculorum vitia fumum ejus pro­ desse.

LX1I. Simile all* erba savina è quella, che si chiama selagine. Cogliesi seuza ferro, con la man ritta coperta dalla vesta, sì che sembri che I* no­ tano la furi, e la man manca scoperta : ei dee es­ sere vestito di bianco, e con piedi scalzi e ben lavati, avendo fatto sacrificio di pane e di vino, prima che si colga. Portasi in una tovaglia nnova. Dicono i Druidi, sacerdoti della Francia, che qnesta erba si dee tenere appresso contra ogni sommo infortunio, e che col suo fumo giova a tutti i mali degli occhi.

S amolo , i i .

Del s a m o l o , a.

LXIII. lidem saraotum herbam nominavere nasceutem in humidis: et hanc sinistra manu legi a jejunis contra morbos suum boumque, nec respicere legentem : nec alibi, quam in canali* deponere, ibique conterere poturis.

LXIII. I medesimi chiamano samolo un* erba, la quale nasce in luoghi umidi ; e vogliono che attch’essa si colga a digiuno con la man manca contra te infirmila dei porci a de*buoi, e che efci la cogtie non la guardi, n i la ponga altrove che in canale, e quivi la triti, per poi darla a bere.

G ommi, s i .

D blla gomma , t i .

LXIV. Gummium genera diximns. Ex his majores effectus melioris cujusque erunt. Denti* bus inutiles sunt. Sanguinem coagulant, et ideo rejioientibes sanguinem prosunt: ile a ambustis, arteriae vitiis. Inutilem urinam cient, amariludines hebetant adstriclis celeris. Quae ex amygdala amara est, spissandique viribus efficacior, habet excalfactorias vires. Praeponuntur autem pruno­ rum, et cerasorum, ac vilium. Siccant illitae et adstringunt: ex aceto vero infantiom lichenas sanant. Prosunt et tussi veteri, quatuor obolis in mixte potis. Creduntur et colorem gratiorem fa­ cere, ciboramque appetentiam, et calculosis pro­ desse cum passo potae. Oculorum et vulnerum utilitatibus maxime conveniunt.

LXIV. Abbiamo ragionato, di piò sorti di gomma. Di queste le migliori fanho maggiori ef­ fetti. Sono inutili a’ denti. Fanno rappigliare il sangue, e per ciò giovano a chi è solito rigettarlo, alle cotture e a* difetti dell* arteria. Provocano l’ orina inutile, scemano I* amaritudine de* rimedii ed hanno virtù rispettiva. Quella del man­ dorlo è amara, e ha maggior virtù di rassodare, e forza di riscaldare. Ma però è tenuta migliore quella de* susini, de’ ciriegi e delle viti. Impia­ strandole meccano e ristringono ; e poi che so­ no state nell* aceto guariscono il lattine de* bam­ bini. Giovano anoora alla tossa vecchia, beendoue quattro oboli con vino inacquato. Credesi che facciano il colore grazioso, e dieno appetito di mangiare, e che giovino a chi ha pietra, beendole col vin passo. Sono molto utili agli occhi e alle ferite.

Smwa 4 *o tP T i A , sivs

A r a b ic a ,

iv .

LXV. ia. Spinae Aegyptiae* sive Arabicae laudes in odorum loco diximus : et ipsa spissat stringilque distillationes omues, et sanguinis exscreationes, mensiumque abundantiam, etiamnum radice valentior.

D e l l a n n » E g iz ia , o A ba b ic a , 4*

LXV. ia. Abbiamo gii raccontato le lodi della spina Egizia, ovvero Arabica, nel trattato degli odori: anch*essa condensa, rassoda e ristrigne tutte le distillazioni, lo sputo del sangue, e I*ab­ bondanza de*mesi: più possente la sua radice.

HISTORIARUM MUNDI LIB. XXIV.

39» SriwA

m

i , i t . A c a it k io ,

i

.

394

D ella sn«A aiAvcA, a. D bll '

acaktio , i .

LXVI. Spinae albae semen cootra scorpiones auxifcator. Corona ex ea impotila, capitii dolores minuit. Huic similis esi spina ilia, qaam Graeci acanlhion vocant, minoribus multo foliis, acu­ leatis per extremitates, et araneosa lanugine obdaclis : qua collecta, etiam vestes quaedam bombycinis similes liant in Oriente. Ipsa folia vel radices ad remedia opisthotoni bibontar.

LXVI. Il seme della spina bianca giova contra gli scorpioni. La ghirlanda d' essa posta sul capo ne leva il dolore. Simile a questa è quella spina, cbe i Greci chiamano acantio, la quale ba le fo­ glie molto minori, appuntate nell’ estremiti e piene di lana come di ragni : di essa raccolta si fanno certe vesti in Levante simili alla bombicine. Le foglie, o le radici, si beooo per lo spasimo, che per ritirare i nervi tira la testa indietro verso le spalle.

A cacia , viit .

D lU .' ACACIA, 8.

LXVII. E st et aeacia e spina. Fit in Aegypto alba oigraqoe arbore, item viridi, sed longe me­ lior e prioribus. Fit et in Galatia deterrima, spi* nosiorearbore. Semen omnium lenticulae simile: minore est tantum et grano et folliculo. Colligi­ tor autum no: ante collectom nimio validius. Spissatur soccos ez folliculis aqua coelesti perfasis: mox io pila I a s i s exprimitor organis: tunc dentatar in sole mortariis in pastillos. Fit et ex foliis m i n u a efficax. Ad coria perficienda semine pro galla u tuntor. Foliorum succus et Galalicae acaciae nigerrimos improbator : item qai valde rufus. Purpurea aut leucophaea, et quae facilli­ me diluitur, v i summa ad spissandum refrigerandumque est, oculorum medicamentis ante alias utifes. Lavantur io eos usus pastilli ab aliis, tor­ rentor ab ali». Capillom tingunt.

LX VII. Écci ancora la spina dell' acacia. Fassi in Egitto d’albero nero e bianco, e di verde an­ cora, ma migliore de* primi. Fassi anco io Galazia tenerissima d’ un albero mollo spinoso. Il seme di tutte è simile alle lenti, se non eh' egli è minore e di granello e di foglia. Raccogliesi nelI*autunno, e raccolto prima è troppo piò pos­ sente. Rassodasi il sugo delle foglioline bagnate con acqua piovana, dipoi si trae fuori per tubi pestando esse foglie nella pila ; e allora si rassoda al sole ne' mortai, facendosene pastegli. Fassi an­ cora delle foglie, ma manco possente. Per accon­ ciar le cuoia usano il seme in cambio di galla. 11 sago nerissimo delle foglie dell'acacia di Galazia è biasimato, e quello ancora eh' è molto rosso. La purpurea, ovvero leucofea, e quella che age­ volavate si stempera, ha grao forza a rassodare e rinfrescare, e sopra ogni altra cosa è utile allé medicine degli occhi. Alcuni per questo effetto lavano i pastegli, altri gli arrostiscono. Tingono i capegli. Guariscono il fuoco sacro, le rollare che im­ pigliano, i difetti umidi del corpo, le raccolte degli umori, le congiunture percosse, i pedignoni, e quelle pellicole che si sfogliano attorno alle unghie delle dita. Fermano alle donne l’abbon­ danza de'mesi, e la matrice e il sedere che caggiono. Giovano agli occhi, e a' mali della bocca e delle membra genitali.

Sanant ignem aacrom, ulcera quae serpunt, et bnmida vilia corporis, collectiones, articulos cooIo m s , perniones, pterygia. Abundantiam mensium in feminis sislunt, vulvarnque, et se­ dem, procidentes. Item oculos, oris vitia, et ge­ nitalium.

A s p a l a t k o , 1.

LXVIII. i 3. Volgaris quoque haec spina, ex qeaeortinae fulloniae implentur, radicis usus ha­ bet. Per Hispaniae quidem multi, et inter odores, et sd unguenta oluntur illa, aspalathum vocan­ tes. Est sioe d u b io hoc nomine spina silvestris in Oriente, o t dixim us, candida, magnitudine arbojustae.

D ell'

a s p a l a v o , v.

LXVIII. 13. Ancora questa spina volgare, della quale le caldaie de' tintori son piene, ha radice che utilmente s‘adopera. Molli in Ispagna l'usano fra gli odori e fra i profumi, e la chiamano aspa­ lato. È senza dubbio quella spina selvatica che in Levante ha questo nome, bianca e della grandezza d'on albero comune.

C. PLINII SECUNDI E r VSISCBPTRO,SIVS ADIPSATBBO,IIT* D1ATIROH, TUI.

D e l l ' eristscettbo , o a d ip sa t e o , o d ia t ir o , 8 .

LXIX. Sed et fra (ex humilior, aeque spino­ sus, in Nisyro, et Rhodiorum insulis, quem alii erysisceptrum, alii adipsatheon, sive dialiron vo­ cant. Optimus, qui minime ferulaceus, rubens, et In purpuram vergens, detracto corlice. Nascitur pluribus locis, sed non ubique odoratos. Quam vim haberet coelesti arcu io eum inuixo, diximus. Sanat tetra oris ulcera ètozaenas, genitalia exul­ cerata aut carbunculantia : item rhagadia : infla­ tiones pota discutit, et strangurias. Cortex san­ guinera reddentibns medetur. Decoctura ejus alvum sistit. Similia praestare silvestrem quoque putant.

LXIX. Écci un altro sterpo più piccolo, ma egualmente spinoso, oeU'isote di Nisiro e di Rodi, il quale alcuni chiamano erisiscettro, alcuni adipsateo, ovvero diatiro. Ottimo è quello, ch'è manco ferulaceo, e col rosso s 'accosta al colore della porpora, quando è dibucciato. Nasce in molli luoghi, ma non è già odorifero in ogni dove. Abbiamo anche detto quale virtù abbia, se l'arco celeste si appoggiasse in esso. Guarisce l ' ulcere brutte della bocca, e le nascente puzzo­ lenti nel naso,i genitali scorticati e iocarboncellali, e le fessure dell' anello nel sedere, non che le ventosità beendolo, e gli stranguglioni. La cor­ teccia guarisce chi sputa sangue, e la cocitura ferma il corpo. I medesimi effetti credono che faccia il salvatico.

A ppb r d ic b spiita , i i . P y b a c a r t b a , i .

D e l l a spina a p p e n d ic e , 2. D e ll a pissacakta , 1.

LXX. Spina est appendix appellata, quoniam baccae puniceo colore in ea appendices vocantor. Hae crudae per sc, et aridae in vino decoctae, alvum citam, ac tormina compescunt. Pyracanthae baccae contra serpentium ictus bibuntur.

LXX. Écci una spina che si chiama appendice, perchè le coccole rosse, eh' ella fa, si chiamano appendici. Queste crude di per sè, e secche cotte nel vino, muovono il corpo e raffrenano i lormini. Beonsi le coccole del pissacanto cootra il morso delle serpi. D bl

P a l io b o , x .

LXXI. Paliurus quoque spinae genus est. Se­ men ejus Afri zuram vocant, contra scorpiones efficacissimum : itera calculosis et tussi. Folia adstrictoriam vim habeut. Radix discutit panos, collectiones, vomicas : urinas trahit pota. Deco­ ctum ejus potum in vino alvum sistit : serpenti­ bus adversatur. Radix praecipue dator in vino.

A g b if o u o . A q u if o l ia ,

x.

T

axo, i

.

f a l iu b o , i o

.

LXXI. Il paliuro anch' egli è specie di spina. In Africa il seme suo si chiama zura, potentissimo contro agli scorpioni, e alla pietra e alla tosse. Le foglie hanno virtù ristrettiva. La radice dissolve le pannocchie, le raccolte e le posteme, e bevuta provoca l’orina. La sua deoozione in vino ferma il corpo, ed è contraria alle serpi. La radice par­ ticolarmente ai dà nel vino. D e l l ' AGRIFOGLIO. D b LL1 AQCIFOGLtA, IO. D e l tasso , 1.

LXX1I. Agrifolia contusa addito sale, articulornm morbis prosunt : baccae purgationi femi­ narum, coeliacis, dysentericis, ac cholericis. Io vino potae alvum sistunt. Radix decocta et illita extrahit infixa corpori. Utilissima est et luxatis, tumori busque. Aquifolia arbor in domo aut villa sata, vene­ ficia arcet. Flore ejus aquam glaciari Pythagoras tradit: item baculum ex ea factum, in quodvis animal emissum, etiamsi citra ceciderit defectu mittentis, ipsum per se recubitu propius adlabi :

LXXII. L'agrifoglia pesta col sale giova al male delle congiunture. Le coccole giovano alle purgazioni delle donne, a* deboli di stomaco, ai pondi e a' collerici. Bevute nel vino fermano il corpo. La radice cotta e impiastrata tira fuora le cose fitte nel corpo. È utilissima alle membra uscite de' loro luoghi, e agli enfiati. L'aquifoglia albero, piantata nella casa o nella villa, leva tutte le malie e gl' incanti. Dice Pita­ gora che il suo fiore fa agghiacciar l'acqua, e che ciò prodoce anche il bastone fallo d'essa, il quale, gittato conira qualsivoglia animale, ancora.se cade

HISTORIARUM MUNDI LIB. XXIV.

tam praecipuam naturam ioeise arbori. Taxi arboris famas marea necat.

di qua da esso per difetto di chi Io trasse, non­ dimeno da si medesimo scorre fino all* animale ; tanto notabile natnra dicono essere in quell* al­ bero. II fumo dell* albero tasso ammazza i topi.

R obis , i i .

D b*b o t i, a .

LXXUI. La natura generò i pruui non sola­ mente pegi' incantesimi, ma eziandio per cibo ; ond* è eh* essa ha lor dato le more perchè gli uo­ mini le mangiassero. Esse hanno forza di seccare e di ristringere, e sono accomodatissime alle gen­ give, alle gavignee alle membra genitali. 1 fiori, o le more, si oppongono alle emorroide e al preste­ re, crudelissimo più che tutte l’altre serpi. Con esse ungono i morsi degli scorpioni senza pericolo che facciano raccolta, e muovono l'orina. 1 gambi loro si peslano teneri, e se ne preme il sugo ; poi si rassoda al sole a modo di mele, e così è singolare rimedio contra i mali della bocca, degli occhi, chi sputa sangue, le serrature della gola, le ma­ trici, il sedere, e i deboli di stomaco, bevuto ovvero impiastralo. Le foglie masticale giovano ancora a' difetti della bocca, e alle rotture che gocciolano, o a tutte quelle cose che s’ impiastra­ no nel capo. A chi ha passion di cuore si pongono per sè sole sulla poppa manca: si pongono altresì sui dolori dello stomaco, e sagli occhi che ricaggiono. 11 sugo loro s' instilla ancora negli orec­ chi. Guarisce le morici che non gettano sangue, col cerotto rosaceo. La cocilura de'gambi col vino è subito rimedio all' ugola. I medesimi per sè mangiati, ma le cime solo, o cotti nel vin bru­ sco, fermano i denti che si dimenano. Fermano il corpo e il flusso del sangue, e giovano a'pondi. Seccansi al rezzo e s' ardono ; e la cenere loro guarisce l ' ugola. Le foglie secche e peste sono alili alle piaghe degli animali. Le more che na­ scono in essi, fanno migliore stomatica che le more gelse. Con la medesima composizione, ov­ vero con solo ipocistide e mele si beono per la collera, per la passione del caore e conira i ragni. Fra le medicine stitiche non è cosa di maggior Inter medicamenta, quae styptica vocant, ni­ hil efficacius rubi mora ferentis radice decocta in virtù, che la radice del rovo che fa le more, cotta vioo ad tertias partes, ut colluantur eo oris ulce­ in vino fin che tomi alla terza parte, per lavare 1' ulcere della bocca e fomentar quelle del fonda­ ra, el sedis foveantur « lantaque vis est, ut spon­ mento; ed ha essa lauta forza, che fa diventare giae ipsae lapidescant. pietra le spugne.

LXX11I. Nec rabos ad maleficia tantam ge­ nuit natura, ideoque et mora his, hoc est, vel hominibus cibos dedit. Vim babeot siccandi, adstringendique: gingivis, tonsillis, genitalibus accommodatissimi. Adversantor serpentium sce­ leratissimis, baemorrhoidi et presteri, flos, aut mora. Scorpionum vulnera sine collectionum pe­ riculo inuogunt, urinam cient. Caules eorum taodontur teneri, exprimitur saccus, mox sole cogitor in crassiiadinem mellis, singulari reme­ dio contra mala oris, oculornmque, sangainem exscreantes, anginas, vulvas, sedes, coeliacos, po­ tus aut illitas. Oris quidem vitiis etiam folia commandacata prosunt, et ulceribus manantibus, aot quibuscumque in capite illinuntur. Cardiacis vel sic per se imponuntur a mamma sinistra: ilem stomachi doloribus, ocolisqae procidenti­ bus. Instillatur succus eorum et auribus. Saoat condylomata cum rosaceo cerato. Cauliculorum ex vino decoctum uvae praesentaneum remedium est. lidem per se in cibo sampli cymae modo, aut decocti iu vino austero, labantes dentes firmant. Alvum aislunt, et profluvia sanguinis : dyseutericis prosunt. Siccantur io umbra, ut cinis cre­ matorum uvam reprimat. Folia quoque arefacta et contusa, jumentorum ulceribus ulilia tradun­ tur. Mora, quae in his nascuntur, vel efficaciorem stomaticen praebuerint, quam saliva morus. Eadem compositione, vel cum hypocisthide tan­ tum et meile bibuntur in cholera, et a cardiacis, el contra araneos.

C yhosba to , u t .

LXX1V. Alterum genas rubi esi, in quo rosa ■ascitur. G ignit pilulam castaneae similem, prae­ cipuo remedio calculosis. Alia est cynorrhoda, fiam proximo dicemus volumine.

D b l c im o s b a to ,

3.

LXXIV.Écci un'altra specie di rovo che fa le rose, e genera palle simili a* ricci delle casta­ gne, ottimo rimedio alla pielra. Eccene un'altra, che si chiama cinorroda, della quale ragioneremo nel seguente libro.

C. PLINII SECUNDI

?99

4"»

14. Cynosbatoo alit cyuapauxin, alii neuros­ 14.11 cfoosbato, il quale alouni chiamano ctaapaston vocant; foliam habet vestigio hominis paosi, e altri neurospasto, ba le foglie simili alla pianta dell' uomo. Egli fa uva nera, nel cui acino simile. Fert et uvam nigram, iu cujus aoino ner­ vum habet, unde neurospastos dicitur. Alia est a è un nervo, onde acquistò il nome d» neurospasto. cappari, quam medici cynosbalon appellaverunt. E differente dal cappero, ebe i medici chiamarono Hujus thyrsus, ad remedia splenis et inflatioues, cinosbato. Il torso di esso condito con 1' aceto si condilus ex aceto manditur. Nervus ejus cum mangia per rimedio della milza e della ventosità. Il suo nervo, masticalo cou mastice di Scio, pur­ mastiche Chia commanducatus os purgat. ga la bocca. La rosa del rovo con sugna guarisce la put­ Ruborum rota alopecias cum axungia emen­ dat. Mura capillum lingunt cum ompbacino oleo. rella. Le more con olio onfacino tingono i capel­ li. 11 fiore del moro ai coglie per mietitura. 11 Flot mori per mettes colligitur. Candidus pleu­ riticis praecipuus ex vioo potus, itera coeliacis. biauco bevuto col vino è ottimo al mal del fian­ Radix ad tertias decocta, alvum sistit, et sangui- co, e a' debili di stomaco. La tua radice colla fio uem: ilem danies collutos decocto. Lodera succo che torni per terzo ferma il oorpo e il sangue, e foventur sedis atque genitalium ulcera. Cinis « i denti ancora, lavandogli oou questa decozioae. Col medesimo sugo si fomentano 1’ «Icere del radice deprimit uvam. fondamento e della membra genitali. La cenere della sua radice reprime l ' ugola. Dai. aovo

Roao id a b o . LXXV. Idaeus rubus appellatus est, quoniam iu Ida nou alius nascitur. Est autem tenerior ac minor, rarioribus calamis innocentioribusque, sub arborum umbra nascens. Hujus flos cum meile epiphoris illinitur, et ignibus sacris : stomachicitque ex aqua bibendus datur. Cetera eadem praestat, quae lupra dicta.

R ham ni genkxa , 1 1. M e d ic in a * v .



LXXVI. Inier genera ruborum rhamoot ap­ pellatur a Graecis, candidior et fruticotior. Is floret, ramos spargens rectis aculeis; non, ut ceteri, aduncis ; foliis majoribus. Alterum genus est silvestre,nigrius, et quadamtenus rubens. Fert veluli folliculos. Hujus radice deeocta in aqua fit medicamentum, quod vocatur lycium. Semen se­ cundas trahit. Alter ille candidior adslringil ma­ gis, refrigerat, collectionibus et vulneribus accom­ modatior. Folia ntriutque et cruda et deoocla illi­ nuntur cum oleo. Db l y c io ,

x v iii.

LXXV11. Lycium praestantius e spina fieri tradunt, quam et pyxacanlhon chirouiam vocant, quales in Indicis arboribus diiimus, quoniam longe praettantissimum existimatur Indicum. Coquuntur in aqua tusi rami, radicesque, summae amaritudinis, aereo vase per triduum, ilerumque exempto ligno, dooec mellis crassitudo fiat. Adul­ teratur amaris succis, etiam amurca, ac felle bu­ bulo. Spuma ejus ac flos quidam oculorum medi-

I dbo.

LXXV. 11 rovo Ideo è oosì chiamato, perchè oon nasce se non nel monte Ida. Questo è minore e più tenero, e ha più rade vermene, le quali pungon meoo ; e nasce sotto l'ombra degli alberi. Il fiore di esso serve col male a far empiastro alla lagrime degli occhi e al fuoco sacro; e dassi a bere oon acqua pei mali dello stomaco. Nel resto fa tutti gli altri effetti che si «o d detti 4i sopra. D b l b a b b o , s p e c ie

a.

M e d ic i!»

5.

LXXV1. 11 ranno tra le specie de* rovi è più biaocoe più germoglioso. Questo fiorisce ed empie i rami suoi di spini ritti, non aundnati come gli altri ; e ha foglie maggiori. L 'altra su a speoe è salvatica, più nera, rosseggia un poco, e & quasi bacegli. Con la tua radice cotta in acqua si fa a u a medicina, chiamata licio. II teme suo tira fuora le seconde. Quel altro più bianco, più ristrigne, rinfresca, ed è più accomodalo alle ferite e alle raccolte. Le foglie dell’uno e l'a ltr o sì crude che colle s 'impiastrano eoo olio. D b l l i c i o , 18.

LXXVII. Dicono che il licio si fa molto eccel­ lente della spina, la quale chiamano pissacauto chironia, di cui dicemmo parlando degli alberi dell' India, perchè tengono l ' Indiano per molto migliore di tutti. Cuocoosi in acqua i r a ttù petti e le radici ohe sono amarissime, in v a ti di rame per tre giorni, cavatone dipoi il legno, inaino a tanto che ne vien la sodezza del mele. Falsificasi con •U g h i amari, e fon morchia, e con fiele di bue.

jo.

HISTORIARUM MUNDI MB. XXIV.

carneolis aJdtlur. Reliquo «occo faciem purgat, ei pioras sanat, erosos angulos oculorum, veteresque fluxiones, aures purulentas, tonsillas, gingivas, tussim, sanguinis exscreationes, fabae magnila* dine devoratum : aut si ex vulneribus* fluat, illi­ tum: rhsgadas, genitalium ulcera, atlrilus, ulcera receotia,et serpentia, ac putrescentia. In naribus clavos, suppurationes. Bibitur et a mulieribus ia Ucte contra profluvia. Indici differentia, glebis extrinsecus nigris,iutus rufis,quum fregeris, cito nigrescentibus. Adstringit vehementer cum amariluiliue. Ad eadem omnia utile est, sed praeci­ pue ad geuitalia.

S a flo o o iu ,

i i

.

LXXVIII. Sunt qui et sarcocollam spinae lacrjmaro putent, pollini thuris similem, cum qaadam acrimonia dulcem, gummioosaro. Cum vino '°m sislit fluxiones: illinitur infantibus. Vetu­ state et baec maxime nigrescit: melior, quo can­ didior.

O pqbicb ,

c b a v a e o b y e , s iv b c h a iia b r o p b ,

s iv e t e u c b io ,

D

xvi.

LXXX. Bis sub lexemus ea, quae Graaci com« nuaicatione nominum in ambiguo fecere, anne arborum essent. i 5. Chamaedrys barba est, quae latina trixafotliciiur. Aliqui eam chamaeropem, alii leucrion appellavere. Folia habet magnitudine mentae, colore et divisura quercus. Alii serratam, et ab ea «erram iovcntam esse dixere, flore paena purpu­ reo. Carpitur praegnans succo in petrosis, advers e rp e alium venena polu illiluque efficacissi­ ma: ilem stomacho, tussi vetustae, pituita iu gula

e l l a sa rcocolla,

a.

LXXVIII. Alcuni tengono chela sarcocolla sia lagrima della spina, simile alla farina dello in­ censo, dolce con un poco d’ amarognolo, e gom­ mosa. Pesta col vino ristagna i flussi. Impiastrasi a’bambini. Anche questa diventa molto nera per la vecchiezza : e quanto è pià bianca, tanto è mi­ gliore.

u.

LXXIX. Unam etiamnum arborum medicinis debetur nobile medicamentum, qaod oporicen vocant. Fit ad «lyaentericos storoachique vitia, ia *wpo musti albi, lento vapore decoctis malis co­ toneis quinque cum suis semi ii ibus, punicis toti­ dem. sorborum sextario, et pari meosura ejus quod rfaan Syriacon vocant, croci semuncia. Co­ quitur nsqoe ad crassitudinem mellis.

Tauueiia, siva

La ava schioma e il fiore t'adopera nelle medicino da occhi. Il resto del sugo purga la faccia e guarisee la rogna ; e pigliandone quanto i nna fava, medica gli angoli degli occhi rossi, i vecchi cola­ menti, gli orecchi dove sia puzza, le gavigne, le gengive, la tosse e lo sputo del sangue. Se cola dal1*ulcere, vi s* impiastra. Pesto guarisce le crepa­ ture del sedere, i taruoli o piaghe delle parli geni­ tali, le piaghe nate per lo soffregarsi dell’ an membro con l'altro, le piaghe fresche, quellecha vaono impigliando e le putride. Quanto al naso, guarisce i chiodi che sono ne* buchi di esso, e la raccolte della marcia. Beesi eziandio dalle donne per fermarne i flussi. Quello d* India è differente per rispetto disile zolle, che sono nere di fuori, e dentro rosse; e quando tu le frangi tosto nereg­ giano. Questo rislrigne gagliardamente con ama­ ritudine. Giova a tulle le medesime cose, e massi­ mamente alle parti geoitali.

D e ll* o p o ric e ,

a.

LXXIX. Restaci ancora un nobile medica* mento, tra le medicine che si traggono degli albe­ ri, il quale si chiama oporice. Fassi a* pondi, e ai mali dello stomaco, in un congio di mosto biano o , cocendo a fooco lento cinque mele cotogna c o ’ semi loro, altrettante melagrane, «fi sestario di sorbe, ed egual misura di quello che si chiama rue Siriaco, e mezza oncia di zafferano. Cuocest fino a che rassodi come mele. D ella

t r is s a o m e ,

o c a m b d r ib , o iC.

cam ebo pe,

O TEUCRIA,

LXXX. A questi aggiugneremo quegli, i quali i Greci per la simiglianaa de* nomi lasciarono in dubbio s* erano d* alberi, o no. i 5. La camedrio è an* erba, cbe in latino si chiama trissagioe. Alcuni l’ hanno chiamata ca­ merope, e altri teucria. Ha le foglie qaanto è la menta, ma il colore e il taglio è della quercia. Alcuni la chiamano serrata, e per questa dicoao che fu trovata la sega : ha fiore quasi purpureo. Cogliesi quando è piena di sugo, in luoghi petro­ si, e becudosi, o ponendosi sul luogo offeso, ha

C. PLINII SECUNDI

cohaerescenle, ruptis, convulsis, lateris doloribus. Lienem consumit, urinam et menses ciet. Ob id incipientibus hydropicis efficax, manualibus sco­ pis ejus in iribus heminis aquae decoctae usqua •d ter lias. Faciunt et pastillos, terentes eam ex aqua, ad supra dicta. Sanat et vomicas, et vetera ulcera, vel sordida cum meile. Fit et vinum ex ea pectoris vitiis. Foliorum succus cura oleo cali­ ginem oculorum discutit. Ad splenem ex aceto «uraitur. Excalfacit perunctione.

C ha m abdavrbb , v .

grandissima virtù oon tra il morso delle serpi'. Giova ancora allo stomaco, aHa tosse vecchia, alla flemma ferma nella gota, alla carne crepata, alla spiccata e al mal del fianco. Consuma la milza, provoca P orina e i mesi delle donne. Perciò ha virtù, quando comincia il ritruoplco, cuocendo manipoli delle sue scope in tre emine d* acqua, infin che scemino le due terze parti. Fassene anco­ ra pastegli, pestandola con l'acqua, buona egual­ mente alle cose sopraddette. Ella guarisce ancora le posteme, e le ulcere vecchie e brutte col mele. Fassi anco vino d'essa pei difetti del pello. Il sugo delle foglie con olio leva i bagliori degli oc* chi. Pigliasi con aceto al male della milza. Tingen­ do riscalda. D b l o a m b d a fh e ,

5.

LXXXI. Charaaedaphne unico ramalo est, cubitali fere: folia tenuiora lauri folio. Semen ru­ beo» adnexum foliis illinitur capitis doloribus recens. Ardotes refrigerat : ad tormina cum vino bibitur. Menses saccus ejus, et urinam ciet potu, pari usque difficiles in lana adpositus.

LXXXI. Il caraedafne ha un ramuscello solo, lungo quasi un braccio, e la foglia sottile che somiglia quella dell'alloro. Il seme suo, che ros­ seggia mescolalo tra le foglie, s'impiastra fresco all, Colgopsi le radici P»M fotti# a più Por**, * qp«Ife aneor* mozze; perocché la più grpf*, ebe glia la cipolla, »i dà wl
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