Plinio Il Vecchio - Della Storia Naturale Vol.1 (Libri I-IXX)

May 1, 2017 | Author: leonardo7804 | Category: N/A
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Versione ripulita della Storia Naturale di Plinio il Vecchio...

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B IB LIO T E C A d e g l i

SCRITTORI

LATINI

CON TRADUZIONE E NOTE

C. PLINIUS SECUNDUS

I. NINI « I I I H I S T O R I A E MUNDI LIBRI XXXVII

VOLUM EN PRIMUM

VENETUS EXCUDIT

JOSEPH

ANTONELLI

AUREIS DOVATI» MTHISMATIBUS M.OOCC.XLIT

i i t sm ii n u i DI

C. P L I N I O SECONDO LIBRI XXXVII TRADUZIONE

D I M. LODOVICO DOMENICHI EMENDATA PER LA PRIMA TOLTA SECONDO IL TOSTO U T I R O

CON L’AGGIUNTA DI UN NUOVO INDICE GENERALE

VO LU M E PRIM O

VENEZIA DALLA TIP. DI GIUSEPPE ANTONELLI ED. PR E M U TO

DI Μ Ε Ο Λ β Μ Ε

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D* ORO

C. PLINIO SECONDO

VITA E OPERE DI

P L I N I O IL N A T U R A L I S T A ----------*«£>© ·»■ ----------

T o m a malagevole, e taJora vicino che impossibile, divisare la vera patria di molti uomini nominali e famosi, onde s’ onora Γ antichità. L a ninna cura de* concittadini di guarentirsi con memorie scritte il possedimento dell' illastre che loro s* attener* per nascita, e la gara degli stranieri di vantarlo per suo o pel soggiorno prestatogli, o pegli elementi della fama comunicatigli nna con le dottriue, cospirarono per diverso modo a renderne spesso via piò sospetta ed incerta la vera attenenza. Imperò non si dibattè meno dai posteri di Omero, che non si facesse dai posteri di Plinio circa la terra della soa natività. L a ereduzione più profonda non varrebbe oggimai che a ripezzare le conghiettore, che non è potuta render certe la investigazione di tanto secolo sopraccorso. Ma siccome non è nostro proposito discorrervi sopra, e d’ altra parte veggiamo che alla quantità della fama di Plinio poco o nulla rileva il determinarne la patria, ce ne passeremo di leggeri, ricordando solo che le conghiettore piò probabili lo Canno nativo d1 osa terra del tenitorio Comense, anzi di Como medesima. Certo quivi fa e fiorì la famiglia Pliniana, quivi nacque Plinio fl nipote, quivi ebbe il zio di molti poderi, e quivi più che altrove si ritrovano lapide e allusioni a quella famiglia. Noi rimettiamo chi ne volesse più sapere alle due dotte dicerie di Paolo Cigalino, che fu professore di scienza medica a Pavia. Plinio nacque l’ anno di C riat· xxn, di Tiberio ix ovvero x, da Celere e Mar­ cella nel consolato di Asinio Pollione e Antiatio Vetere. È probabile che menasse

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la puerizia nella terra nativa, poiché non si sa che venisse a Roma innanzi lo scorcio del terzo lustro di età. Qui ascoltò, secondo che si pare, il grammatico Apione, uomo che in fatto d 'insegnamento andava per de' primi. Dire come Plinio vi profittasse è soverchia cosa. 11 valore in che saliva dappoi e le opere che componeva dicono assai più che non faremmo noi a parole. Y ' ha chi assevera, per ciò eh' ei scrive intorno le gemme di Lollia PaoKna, che di questa pezza usasse a corte di Gaio Caligola. Ma questa asserzione non ha momento veruno : la sua verde età, stante che a detta del Rezzonico aggiungeva appena all’ anno sedecimo, non poteva averlo ancor sollevato alla stima del pubblico, alla conversazione de* grandi, e alle astuzie della cortigiania : la sua indole contegnosa, che gli conservò per tutta la vita un sommo disamore ad ogni gioia, salvo che alle purissime de' suoi studii, non poteva accostumarlo a quelle stemperate voluttà che imbriacavano la corte d’ uno stolto tiranno, e finalmente, senza che si frammettesse altrimenti delle auliche faccende, quelle gemme gli potevano essere mostre in privato, o correre alla vista quando Lollia usciva di palazzo a solennità. Comunque sia, Plinio dava intanto gran mano agli studii suoi con quella agevolezza che comportava il suo alto ingegna, e con quella assiduità che la sua gran voglia di satollarsene. E ’ codiava da per tutto, e notava ciò che avesse del singolare, o di cui fosse nuovo e selvaggio, siocome quegli che giudicava ore perdute quelle che non avesse spese ad acquisto di cognizioni. L a sconfitta dell1 Orca abbattutasi di smarrirsi nel porto di Ostia (lib. ix, cap. 6), e le peregrine fiere che tenzonavano nelle lotte Circensi, gli offerivano bell1 agio di farvi sopra le più importanti osservazioni. Sul tramontare dell' anno diciannovesimo dell* età si condusse in Africa. A questo viaggio vuolei attribuire la sua venata in Egitto e in Grecia a metter com­ pimento agli studii scolastici, tra perchè risedevano quivi i più gran maestroni di ogni scienza e d' ogni arte, e perché sentiva che il viaggiare è il massimo espe­ diente a diventar sociabile il più che si possa. D* altra parte, siccome il viaggio e la conoscenza della storia civile e naturale son due bisogni che nascono un dall’ al­ tro, non poteva Plinio per l ' aumento delle sue conoscenze limitarsi fra R om a e la patria, senza che i suoi studii patissero diffalta di ciò che s’ apprende con la presenza dei sensi. Quinci però sembra che ritornasse dopo tre anni, o in quel torno ; poiché nel vigesimoterzo il veggiamo far all* armi in Germania sotto le insegne di L . Pomponio, che gli pose amore pari che a germano, e il fece di corto comandante di cavalleria. Plinio sentì vivamente quel carico, che rendeagli

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pia accessibile 1' amico e piò ragguardevole la sua missione : se lo riputava affidato perchè il nobilitasse e lo mettesse in ona veduta più cospicua ; ma ne voleva cer­

care gli appoggi dentro di sé e nella possa del suo ingegno medesimo. Questo era forse il sentimento che moveva Plinio a comporre il libro Del saettare a cavallo. Le intermissioni dagli eserdzii militari gliene somministravano Γ agio, e i canoni dell* arte per lo senno a mente saputi gliene agevolavano il trattamento. L ’ amore alla osservazione, già diventato in lai abituale, lo traeva in pari tempo a spiare le fonti del Danubio e le postare de* Cauri che tenevano le maremme settentrionali del mar di Germania ; né vuoisi miscredere che sceso per l’ Elba ed il W eser percorresse il Chersoneso Cimbrico e le riviere che morde il Baltico mare. Anzi é par fona attribuire alla sua dimora in Germania la perizia acquistata dell’ arte marinaresca, che alcuni fuor di ragione attribuiscono al viaggio in Egitto, sì perchè Je necessità della guerra e insieme i riposi dalle armi lo mettevano in opportunità di conoscere il mare e il come del navigarlo, e sì perché quel viaggio aveva oggetto di studii più severi che gli educassero Γ intelletto e la facoltà del pensare. Di questi tempi medesimi ei discorreva le province Romane, ond’ era composta la terraferma occidentale del Reno, e contraeva amistà con la famiglia di quel Tacito, che amò poi sì strettamente il nipote di lai, da prestargli e riceverne del pari aumento di sapienza con onor loro e vantaggio della Romana letteratura. Plinio però sentiva forte i beneficii che Pomponio gli veniva impartendo, e cercava nel suo ingegno il come ne lo potesse rimeritare. Né poteva cercarlo in ionte piò abbondevole : anzi ciò che veniva più in grado a Pomponio era per Plinio la specie di rimerito più agevole a prestare ; ond' ei dava mano di botto a due volumi, ne quali veniva narrando la vita e infiorando le imprese di quell' illu­ stre capitano. Non sì tosto venne quest' opera a compimento, che Plinio vide in sogno Γ immagine di Druso, sì forte di fama in Germania, il quale gli raccoman­ dava il suo nome e confortavate a inserire agli annali Romani la storia delle guerre che aveva quivi condotte. Plinio ne fu commosso : il dovere di campar dalla dimen­ ticanza quello sventurato, che troncava le speranze comuni con l ' immaturo suo fine, il sospetto che correva che una colpa di corte avesse sacrificato all' invidia le virtù di tanto giovine e quello splendore che prometteva solennissimi aumenti, e per giunta il desiderio di guadagnarsi il vanto di storico de' fatti Germanici, indus­ sero Plinio ad accollarsi questa novella faccenda. L a vita militere, come che in­ quietala da pericoli, da stragi, e talora da vittorie non meuo ingrate delle sconfitte

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medesime, il convitto con guerrieri attempati che fecero stipendii sotto Germanico, Draso e Tiberio, e finalmente i luoghi stessi e le vive immagini delle cose torna­ vano molto piò acconce

a comporre sì Catta storia, che non il fasto e le delicatare

di Roma, l ' agonia de* pretoriani di farsi autorevoli eolia imbecillità de* prìncipi, e quella sonnolenza che risolveva il Romano valore, giunto

a non porre più pensiero

a ciò che si facesse oltre il Danubio ed il Reno. Quest* opera voleva già essere compiuta quando Plinio dovette seguir Pomponio, il quale ridotti in soggezione i Catti ritornò a Roma a ricevere quel trionfo che per la invidia de* grandi non riteneva di sé altro che una languida effìgie. Dopo questa spedizione sembra che Plinio lasciasse stare le armi per attendere esclusivamente alle lettere. S* intendeva assai di grammatica

e di rellorica, e se non ottenne lode di sommo oratore, se ne

vuol porre cagione a quella sorte di faccende e di studii, a che aveva obbligato il suo ingegno. Nondimeno tenne aringhe e dicerie pubbliche, e trattò parecchie cause quando a Roma, e quando a Como, dove sovente riparava per amministarvi

i suoi poderi e levarsi dallo scombuglio cittadino e dalle sfacciate cose de* principi e de* liberti. Non pertanto il libro del saettare a cavallo, la vita di Pomponio e la storia delle guerre Germaniche il fecero quant' altri nominato e famoso. A lle serie meditazioni della filosofia nè alle cose poetiche non fece molta opera, amando meglio istruirsi in fatto di erudizione

e di dottrine spettanti alla natura delle cose.

11 perchè non è da far le maraviglie che esercitando più la memoria che Γ ingegno,

non raggiungesse quella forza di discernimento, che lo avrebbe rattenato dal tra­ mestare, siccome ei fece, tante malvage cose alle buone, tante vili alle nobili, tante bugiarde alle vere. Contuttociò è da maravigliare che Agrippina, mentre riforniva Nerone di precettori dotti che lo fermassero a savio e onesto regimine, non si ponesse in cuore di dare il figliuolo per alunno allo scrittore delle campagne G er­ maniche : se non che Anneo godeva allora in Roma la più alta riputazione, tra per la novità della sua dizione e scrittura, per Γ amore d* una donna che vantava A u­ gusto fra gli avi, e per la nota innocenza che non era potuta camparlo dal più ingiusto esilio die s* intimasse di quella pezza. Intanto la sorella di Plinio ebbe un figliuolo, che il zio toglieva pur di buon* ora ad educare nelle scienze e nelle lettere, e via più informava dell* arte del dire con tre volumi OdT eloquenza^ che per la vastità della materia sceverava poscia in sei. L a mente di quest* opera è di scorgere 1*alunno da* primi studii per insino al foro: lo mepa al ginnasio, ai bagni, alle scuole di grammatica e di rettorìca, e finalmente

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a’ rostri, toccando ancora I doveri del più piccolo imporUre, come a dire in che modo $’ abbia ad anim ar Γ oratore, come comporre la chioma, come usar le pez­ zuole da sudore, ed altrettali ciuffole e parvità. Però il suo ingegno sentiva di bastare a piò elevate cose : quelle die ricordam­ mo, benché ei vi si fosse ritrovato molto sufficiente, non erano piò che il saggio eh’ ei faceva della sua possa. L*abbandono delle cose pubbliche lo concentravano vie meglio in sé medesimo, e gli studii già fatti si voleano riprodurre in opere degne della loro estensione. Ed eccovi perdò Della continuatione di Aufidio Basso trentun libro, ne* quali conduce la storia de* contemporanei, già cominciata da quello, fino all' impero di Tiberio, non s1 affidando di toccar punto le cose di Ne­ rone, come di quello che lo avrebbe con la sua natura crudele e diversa pericolato, per odio a un censore delle sue stolide ferità, se n* avesse racconto il vero ; o per odio all* adulazione studiata, se avesse lor posto orpello con uno stile fittizio, quale sogliono dettare i tempi di spavento e d* intrigo. G li uomini piò bizzarri nelle lodi die sanno di non meritare ravvisano spesso altrettanto sprezzo e rimprovero. Anzi furono questi i timori che mossero Plinio ad appartarsi e andare in {scrittore di altro tenore, che non toccassero lo stato, nè i potenti che il dissipavano. G li otto libri Delle parole di duSbio senso, eh* egli pubblicò Γ anno di Cristo LXvm, degli ultimi di Nerone, suscitarono gran differenze, ma solo tra i grammatici e i filosofi, i quali però, benché facessero vista di averne a scrivere un mondo di opposizioni, soprastettero tanto, che o non prima di died anni, secondo che accenna Plinio nd proemio, o sfidati di sé non le divulgarono più mai. A questa pezza e* fu eletto procuratore di Cesare nella Spagna citeriore; carico che tutte le più volte si con­ ferirà alla nobiltà equestre ; onde si può inferire che Plinio avesse già acquietato

il titolo di cavaliere nel ritorno dalla Germania, tra in premio della sua milizia, e pel libro die avea composto attinente a cavalleria. L e soe ricchezze per patri­ monio familiare montavano a ben piò che non iacea luogo per essere ascritto a qoell* ordine, ma la dimora in Ispagna gliene procacdò delle maggiori. Teneva ancora la penisola, quando per la morte di C. Cecilio, il figlinolo di sua sorella rimase orfano, e già era passato sotto la tutela di Virginio Rufo ( anno di Cristo LXXi), quando ritornato egli in capo a due anni, adottò il giovinetto in doe lustri d’ età, e gli si pose attorno per educarlo come dicemmo. ^ er Γ amicizia contratta con Vespasiano fin da quando militava in Germania avea tacile accesso a quel grande, e specialmente nell’ ore mattutine eh’ erano le

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più franche dalle esigenze dello stato. Plinio sapeva che se non vogliono i grandi portar pericolo d 'esser idoli muti o divinità feroci, debbono levarsi alto dalla stregua delle persone che gl’ inchinano ; ma la sua indole che dal venire in tali amicizie lo spaventava, ne fa fede eh* ei non sacrificava mai le sue risoluzioni e le sue abitudini agl’ impronti bisogni delle circostanze. Il grande che lo voleva am ico dovea prediligere quella sua ingenua severità, che o lo teneva mutolo, o non lo voleva simulatore. Però questo discendere dell’ imperadore a lui il facea tanto più tenersi, quanto che la natura contegnosa e severa di Vespasiano degnava pochissimi della sua confidenza. Ebbe amico eziandio Tito : basta leggere il proemio per vedere quanto si dicesse con lui il conquistatore della Giudea. Anzi per ciò medesimo alcuni sospicarono che Plinio venisse con esso in oste a quella contrada ; ma oltraché non d ha storia che ne parli, dò che Plinio ricorda della Giudea non ha caratteri tali di verità, che possano certificare com’ ei vedesse di presenza quel suolo. Nè men debole è Γ altra opinione da qualche storico portata, che fosse creato senatore da Vespasiano. Ne tace ei medesimo, ne tace Plinio il minore, ne tacdono gli annali. S ’ arroge che V e ­ spasiano, il quale da prindpio si dicea benissimo col senato, dopo l'insolente fare di Elvidio e la sua agonia di libertà aveva mutato tenore e tolta l ' ingerenza negli affari al corpo senatorio. O r come avrebbe egli associato $ quel corpo una persona, se lo avesse volato onorare ? come dimostratogli di averlo a capitale, se lo avesse inserto a un branco di reietti, privati della sua confidenza e de'ministerii di stato ? Bensì ebbe Plinio la prefettura della flotta nel Miseno e il governo dell1Adriatico, onde acquistò del pari fama e ricchezze. L ’ amicìzia però de' Cesari e gli ufficii che esercitò di tempo in tempo nelle repubblica non gli stremarono mai tanto 1' applicazione a' suoi studii, che per lo meno non andasse sfiorando i libri che leggeva con farsene note ed estratti. P er viaggio era questa la sola sua occupazione : teneva allato un menante, e dettavagli or d’ una, or d' altra materia ; o si faceva leggere, e tuttavia notava le cose che gl’importavano. D i questo modo s'avea fatta una scelta di Commentarii che monta­ vano fino a censessanta libri,che trascrisse poi di sua mano in lettera minuta. Lidnio Largo n’ era sì invogliato, che gli avrebbe comperi quattrocento mila sesterzii ; ma Plinio non volle mai partirli da sé. Pare che vi capissero quelle stesse materie eh’ egli trattò poi con più ordine nella Storia Naturale, opera vasta che gli fruttò gran fama, quandoché non goduta a lungo, però che divqlgolla l’ anno 5 5 dell* età,

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che fa il penultimo della vita. Essa é propriamente divisa in trentasei libri ; ma siccome Γ Indice che va innanzi a tutta Γ opera fu da Plinio stesso e dai posteri ritenuto per un librò, cosi essa ne conta volgarmente tremasene. Questo numero fu tenuto anche da’noi, tra per fuggire confusione, e perchè Plinio si richiama sovente ai varix libri secondo la divisione già detta. Però lo scompartimento per capi ne sapeva male: la materia in essi trattata non sempre s'acconciava bene coi titoli rispettivi, traboccando spesso fuori del termine da essi voluto. Il perchè, segnato lo scompartimento antico con le cifre arabiche, abbiamo partita la mate­ ria con quella discrezione che ne pareva più decente, e numeratine i capi con le dfre Rom ane. Questa novità reca il vantaggio che non le edizioni antipassate, e non toglie Γ agio di consultar nel tempo stesso il nostro autore secondo Γ antica divisione. L ’ anno seguente che Plinio divulgò quest* opera fu contrassegnato da una ca­ lamità, che se rispetto al suo genere non era nuova all* Italia e ad altre regioni, era delle precedenti più luttuosa per la morte'che incontrò al nostro autore. Il monte Vesuvio, che per lo volger di più secoli era stato come inerme e innocente, quell’ anno ruppe con tale veemenza, che della fitta cenere e delle pietre strabal­ zate e spinte immensamente di lungi nabissò Ercolano e Pompei con vastissima tratta della Campagna. Plinio che v era ito per vedere quel rovinio e studiarvi so­ pra, vi rimase affogato. Questa morte è descritta da Plinio il nipote nella Xvi del libro vi. Così finiva Γ uomo più erudito che vantasse Roma di quel tempo. Egli aveva emulato Empedocle nelle ricerche della natura, e pare che la stessa missione di spiare le forze vulcaniche li volesse somiglianti nella qualità del loro fine. Empedode, salito sul corazzo dell’ Etna già tranquillo e sopito, v1 affondò la persona mentre volea specularne il cratere. Plinio periva in un* età ancora vegeta. Non istraniero della filosofia, avvezzo attingere nelle fonti della fisica e della medicina, e profondato nello studio ddla natura, aveva raggiunto totta la scienza che si po­ teva in un tempo d1 ignoranza, o di sdenze guaste e adulterate. La sua vita, e di conseguente la sua indole, lo sceverava di gran lunga dalla volgar moltitudine : non ambi onori, ma ne meritò : non fu servo delle circostanze, né piaggiò mai persona : d’ ingegno pronto alle militari e alle civili incumbenze possedette più che altri mai Γ arte di non lasciar tramontare un ora senza che ne cogliesse van­ taggio alle faccende domestiche ed a*suoi studii: sufficiente a fatiche diverse in un

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tempo, intendeva a fini sempre alti e nobili, e vi riusciva con la felicità dell* uomo accorto e speculatore de1tempi e delle cose. Se ne vegga Γ epistola v nel libro m del citato nipote. Nondimeno, come spesso addiviene, Plipio s’era posto intorno a stadii, che non s’ addicevano in tatto alle eoe native facoltà, o almeno difettava di quella forza di discernimento che ordina le cognizioni, le semplifica e le raddace a sistema ; difetto che fa dar sovente in assordi e puerilità. Laonde s' ei condusse opere che vantaggiavano quelle de1 contemporanei, non condusse però quella che noi conosciamo quale si doveva attendere dal suo ingegno, e quale bisognava per tener muta la censora degli avvenire. Delle opere di Plinio che piò non esistono si può dire presso che nulla. La storia delle guerre Germaniche e la continuazione di Aufidio Basso sono più volte commendate da Tacito e da Tranquillo. Degna di lode volea pur essere la Vita

di Pomponio, come quella che spesa per gran parte in Germania doveva aver luo­ go e importanza nella descrizione di quelle guerre ; ed è molto a dolere che tali memorie ne perissero, perchè nella oscurità che avvolge le guerre di Roma con que’ barbari, condotte per ben quattro secoli in diverse fogge, si sarebbe potuta di esse raccogliere non iscarsa luce. Asserivano alcuni, non è guari di tempo, che in Augusta di Germania se ne ritrovasse un codice manoscritto; ma dopo il testi­ monio di Simmaco, il quale fin dal secolo v lagnava sulla rarità di queste opere, giova ora avere per nulla o per sospetta un1 asserzione che non si folce di argo­ mento veruno. Quanto è a' libri Del saettare a cavallo e Delle parole di dubbia

senso, le lodi che spesso ne movono Prisciano, Carisio e Diomede ben ci persua­ dono che Plinio mostrasse in essé come ben & intendeva di cavalleria e di gram­ matica, e che anzi le sue cognizioni erano sì vaste, qaant' era la sua usata bramo­ sia di aumentarne 1' acquisto. Rapporto ai tre libri Delf eloquenza se ne sa nalla affatto. Però giova credere che quest' opera non fosse da men che le altre, e che egli vi trattasse le discipline’e gli studii oratorii maestrevolmente, siccome colai che viveva a Roma in tempo, in cui Γ arte de' rettori e degli oratori era in gran fiorire} dove non mancavano scuole e biblioteche, e dove finalmente non solo ei dettava precetti di quell* arte, ma vi trattava eziandio cause, ed aveva acquistato grande esperienza del foro. Ora verremo discorrendo della Storia Naturale, eh' è la sola di lui opera da noi conosciuta. G li antichi intendevano per natura assai più che non facciamo noi di presen­ te. Essi comprendevano il cielo, le meteore, gli animali, i vegetabili, i minerali, la

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fisica e la geografia, e ▼' avrebbero anche aggiunta la chimica e la geologia, se le avessero meglio conosciate, e annoverate fra le scienze naturali. G li obbietti che da questo lato presenta Γ universo fanno per sé medesimi un1estensione che a ma­ lo stento si può percorrere, chi ne volesse toccare le parti più minute. Aristotele stesso, postoché Γ opera che compose sa questo tema é un estratto di più che mille volami, non potè abbracciare le tante minutezze che rendono più maravigliosa la natura. Però Γ università delle cose che a noi spettano si dispaia in due spe­ cie: ci son cose che diconsi naturali, ci son che diconsi umane. L a forza onde quelle sono affaticate di moto in molo, é immensa, eterna, universale e si doman­ da natura : la forza onde son governate e mosse queste, è inferma, cascaticcia e in brevi termini ristretta, e si nomina umanità. Sono però ambedue queste forze in perpetua pugna tra loro, e Γ umanità, non ostante che emerga dalla natura per poi ricadere in essa, è non pertanto spinta da una cotale emulazione che vellica, ri­ stringe, emenda la natura, e talvolta ancora la muta. Per Γ umana industria noi

a aduniamo le miglia sotto a quella terra medesima, che racchiude tanti arcani al­ la geologia impenetrabili : ascendiamo per Γ aere, emulatori de* volatili, fino a 5 6 oo metri, e valicando il mare vi tracciamo de* solchi, comeché brevissimi, a somi­ glianza che noi ariamo il terreno. Queste modificazioni, queste novità che a quan­ do a quando opera nella natura Γ industria dell* uomo compongono quella che tar­ da età nominò cultura della vita. L'uom o però in tali operazioni non s'adopera a caso: ei si muove dietro cognizioni certe ed evidenti che acquisi^ con l ' esperien­ za e con lo stadio, e dietro regole somministrategli dalle cognizioni stesse perchè s* adoperasse con sicurezza. In queste cognizioni e regole fondano le scienze e le arti umane. Il perché le discipline liberali, la storia, le lingue, la legislazione, la politica e le antichità non cadono nella natura delle cose, ma solo si 'avvicinano ad essa per relazione. Plinio adunque, a volersi contenere dentro i limiti del suo assunto, doveva aggirarsi sulle scienze naturali, senza delibar punto le umane. Ma ei non avea l’ occhio a codesta distinzione. Adottava alla confusa e riteneva tutto che pensavasi emergere dalla sua materia spontaneamente : credeva alle cose naturali dover secondare appresso quando più e quando meno ciò che con la natura non ha che una lontana relazione, e intanto che riputava la natura troppo angusta «di' estensione del suo ingegno, traboccava nell’ umanità e perdevasi nelΓ immensa famiglia degli oggetti universi. Ma se questo trasalire era in parte un contraffare Γ assunto, vorremo noi credere che trattasse a dovere la materia arro-

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gatasi ? Mai no. Ei s' aggira intorno le scienze amane, ma alla sfoggila : vi sor­ seggia appena, e già ne sembra ristacco. E i dà loro accesso in tatta Γ opera, ma non laogo veruno che sia loro proprio : non le scevera per ispecie, non le dinota con rispettive indicazioni. Non di meno, intanto che biasimiamo i deviamenti, a coi lo traeva la troppa libertà dell1 ingegno, noi d’ altra parte non possiamo che dolerci, che avendonela fatta sperare, non ne presentasse poi intera la pittura delΓ umanità de* suoi tempi. Egli errò adonqae, o per aver travarcati i confini della natura, o per aver troppo circoscritta Γ università nella qaale si era lanciato. Ma veniamo alla partizione dell’ opera. Il secondo libro parla i corpi celesti e le meteore : i quattro seguenti la geo­ grafia. I libri νπ, vni, ix, x , xi discorrono di zoologia : di botanica gli otto appres­ so. Seguono poscia le medicine tratte dalla botanica, fino al libro xxvu : di quindi al xxxii altre cose attinenti a zoologia. Nel restante Plinio viene divisando le pie­ tre e ciò che credette aver dipendenza da esse, le medicine trattene, la statuaria, la scultura, la pittura, e parecchie cose spettanti ad industria. Nè v' intrude Γ in­ dustria solamenti qui : ei ve la annesta per tutta Γ opera, tuttavolta che la si cre­ deva tornare acconcia, e specialmente nello scorcio del libro settimo. L a struttura dell1 opera a prima giunta può parere ben condizionata : si co­ mincia dal cielo, poi segue la terra : di questa si tratta primamente la parte geo­ grafica (poiché la geologia propriamente detta non era nota a que' tempi) * poi i regni di natura, qiò sono gli animali, i vegetabili, i minerali. Nondimeno ci ha gravi difetti, chi ben vi mira, ì quali crediamo di dovere testé mettere in mostra, per­ chè non iscorga altrui a mal passo la devozione degli antichi verso un libro, ch'essi erroneamente credevano da ogni parte perfetto. Noi dicemmo già che Plinio in­ serta per tutto ciò che pertiene all’ industria ·, nè ripetiamo ora com’essa è inserta abusivamente : ma, quand1 anche si comporti, ella volessi allogar più presto sicco­ me appendice in fine d1ogni trattato, di zoologia, di botanica, e di mineralogia, in capi separati e con i loro titoli rispettivi. Almeno si sarebbe conservato il decorso dell1 opera mondo da intoppi. Simile è quell1 altro vizio d1 inchiudere nella mine­ ralogia le belle arti, la scultura, ecc. come se gli artefici non si valessero d’ assai pur delle sostanze organiche : certo che all1uopo essi operavan Γ ebano non altra­ mente che i marmi ed i metalli. Ciò nonostante si chiederebbe indarno a Plinio di c^e materia usassero le tele i pittori, di che i pennelli, e quante tinture compo­ nessero con elementi tratti delle piante. A che finalmente alle due parti di storia

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naturale g ii trattale non appicca di seguito la mineralogia, ma discorre di medi­ cina innanzi che delle pietre ? Certo ei sarebbe uscito meglio del suo debito, se avesse riserbata al fine d' ogni parte la sua terapeutica, e trasmessa a dopo che avesse ragionato delle pietre l ' università della materia medica. Nella storia natu­ rale la botanica amava meglio antivenire la zoologia, e nella terapeutica la zooiogià, antivenire la botanica ; ma Plinio fa alla peggio. Nella mineralogia non cer­ cheremo ordine, chè ve n’ è nulla. Non basta. Ninna scienza, dalla geografica in fuori, é fornita della debita tassonomia. Nel libro che ragiona del cielo e del mondo, la differenza tra gli astri e le meteore a malo stento si ravvisa pur da chi vi badas­ se: della cosmogonia e cosmografia brevi cenni a spilluzzico: indi si ragiona degli elementi, di Dio, degli astri, dello ecclisse e de' fulmini : qui l ' autore tocca bom­ ba, e quasi se credesse che si possa allogare in qualsivoglia sito ciò che si detrasse a ona materia non compiutamente trattata, ripara da capo agli astri per ricercar­ ne gl*intervalli, e intanto vi fa un solenne tramestio di cose meteorologhiche ed astronomiche. Nella botanica e nella zoologia v' ha un ordine, é vero, ma solamente quale poteva approvarsi a* tempi di Plinio, quando la scienza anatomica non era conosciuta : le differenze delle specie e i caratteri loro si veggono determinati più presto secondo Γ uso de' diversi paesi, che dietro a canoni e norme generali. E come non dee strabiliare la scuola di Linneo vedendo i vegetabili sceverati in sette classi : piante esotiche e aromatiche, ortensi, salvatiche, piante sative, biade, lino, legumi ? perocché quantunque Plinio non tenga questa divisione a parole, ei la tiene però nel (atto. G li stessi libri che parlano degli animali, con tutto che meno éMfcttuosi, hanno molto di che vorrebbero essere ammendati. Della vita delle piante, della combinazione delle lor parti e del promuoverne la cultura, indarno sì attende stabiliti di precetti e giustezza di osservazione. Ma siccome gli antichi non si conoscevano di ciò che noi chiamiamo fisica particolare e sperimentale, non avvisavano i vantaggi che trar si possono dall' esame rigoroso e dall' esatta osservazione di tutte le parti di una pianta, o d’ un piccolo animale, e non vede­ vano le relazioni che ciò aver poteva con la spiegatura de' fenomeni naturali. Non è però questo l ' obbietto più importante ; né convien credere che lo storico della natnra debba star contento delle descrizioni esatte e de' fatti particolari. E i dee sollevarsi più alto, a cose più degne de' pensieri nostri : combinar le osservazioni, rendere generali i latti, unirli insieme coi legami delle analogie, e procacciar di spargervi quella copia di cognizioni, per cui si possa addarsi che gli effetti parti-

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colari dipendono da effetti più universali, e paragonare la natura con sé mede­ sima per aprire così la via al perfezionamento delle varie parti della fisica. Ma per Plinio un' erba e un insetto altro non erano che un insetto ed un' erba. Ei non li degnava della sua occupazione, perché non conosceva l ' importanza che hanno in natura ; ignorava le loro relazioni cogli oggetti di ordine più alto, e la­ sciava intanto trascurata quella parte della natura, le cui fisiche proprietà son dai moderni riputate sì degne della loro attenzione. Conviene però ammentare che non era mente di Plinio far disquisizione sopra ogni cosa, ina solo raccozzarne le molte degli antichi, che trascrisse o voltò di greco nel suo linguaggio. Questa é in gran parte la ragione de1 difetti che viziano la sua enciclopedia. Però vediamo com' egli errasse quanto a sé. Primamente ei non seppe far scelta de' suoi autori. Trascriveva Aristotele con tutta la fede che deesi a quell' immenso ingegno, ma troppo corrivo ad un tempo ricevea tutto che trovava affastellato in Ctesia, senza punto sfasciamelo dai miti, dai simboli e dai geroglifici dell' antica Persepoli. Preferiva spesso un' iper­ bole a una verità, nè si asteneva dalle cose rancide, assurde e puerili più che non adottasse le raccomandate dalla ragioue; e talora non levava pur truciolo a quante goflerie gli spiattellasse un autore. Ciò che narra o descrive non vide di presenza kbe raro, e siccome tramuta spesso le cose credendo di non tramutarne che il nome, dà nell' oscuro, o s' arresta nel bel mezzo ; il che massimamente interviene quando segna misure, distanze, specie o generi, e quando mette in latino gli autori Greci. Fa maraviglia come incespichi sì sovente nel tradurre Teofrasto, e travisi il lettore con dargli per verità quegli strafalcioni, che ponderandoli avrebbe potuto evitare, se non li avesse troppo ciecamente perdonati a sé stesso. Di nomenclatore è troppo manco ed avaro. V ' ha fiere, alberi, pietre che non si conoscono a nome, ed alcune Γ hanno imposto da lui, ma senza un aggiunto, senza una dichiarazione. Veggasi l'autore della Biographie universeìlt, t. xxxv, p. 72. Quanto però è man­ chevole da questo lato, altrettanto é soverchio nel ritornare sopra a materie di già esaurite : le ripetizioni ristuccano per troppa frequenza, e in ispecieltà nella bota­ nica e nella geografia. Non neghiamo che altri torrà forse a giustificar questa p ecca col supporre in Plinio la mira di sfastidire il lettore che dovesse altrimenti rico r­ rere a' luoghi affini, o la cura di mettergli in pronto dò che lo svolgerebbe dallo studio, se avesse a frugarlo altrove ; ma chi torrebbe a giustificarlo dal contrad­ dire a sé stesso e alla sua materia quasi ogni volta che rapporta alla sbadata le v a ­

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rie opinioni altrui circa on soggetto medesimo ? Chi ben mira alla descrizione degli astri e alla geografia, le trova zeppe di contraddizioni, e di pareri volti a di­ struggersi a vicenda. L ’ autore vi mostra come non avea raggiunta Γ evidenza della cognizione, e come nel concorso di varii giadicii ei si stava neghittoso, senza di­ scernere quello che fosse più consenziente con la ragione e con le dottrine de' suoi tempi : egli, a dir corto, in tali congiunture non s 'occupava che della parte mate­ riale del suo ufficio. Ma eoo Γ avere sì alla lunga incolpato Plinio (e confessiamo die molli altri errori si sono lasdati stare per amore di brevità) non vorremmo che il nostro giù· dirio fosse tacciato di troppo severo a petto degli stemperati elogii che furono sempre a quest* opera prolusi. Laonde perseguiteremo ora le nostre osservazioni dal lato opposito, aggiungendo anche noi quella parte di lode verace, che giusta­ mente d persuadiamo di doverle. L a geografia antica sarebbe per gran parte ita in dileguo, o non si potrebbe conoscere abbastanza, se Plinio non d avesse conser­ vato tanti nomi di nazioni, di sili, di fiumi. L'origine delle arti, il progresso, i capHavori ne sono diciferati con la massima esattezza: menzionati gli autori, e sparse in boondato qua e là nozioni sopra le arti medesime. Certo se i moderni si fossero dati assai più allo studio di questo autore, avrebbero acquistate più aàipie notizie arca Γ industria antica, che i posteri troppo stracciarono, e perdò non imitarono nelle parti più principali. Anzi chi volesse apprendere per intero le Romane cose, i profitti dell* ingegno, lo stato dell’ umanità, delle scienze, deU’ agricultura e del1’ industria ; quali arti, quali costumanze prevalessero al tempo spedalmente de’Ce-

uei, avrebbe in Plinio solo dò che gli potrebbe somministrare una copiosa biblio­ teca. G li antichi, ignoranti delle mende che viziano questa storia della natura, e lontani dal credere che Plinio dietro a tanti valentuomini che lo precessero avesse potuto cadere in errore, si tennero indifferenti sopra tutto dò che richiedeva on esame, dicendo delle sole bellezze che chiaro vi scorsero i più smoderati elogii che mai. Nondimeno il titolo di dottissimo che davano a Plinio era una giusta re­ tribuzione dello splendore alla nazione aumentato, e de’ vantaggi di'ei procacdava al mondo con la mirabile potenza del suo ingegno. L e età di poi fecero un passo più : si valsero ddl’aulorità di Plinio come d'infallibile, e spesso v'aggiunsero peso con la dtazione ddle stesse parole^ ned è a stupire che Solino, per la reverenza in coi lo area, prendesse a imitarlo sì da presso, da esser detto da Arduino scimia di Plinio. Giova credere che anche il libro De’ rimedit\ il quale passa per di Pii-

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nio Valeriano sia lavoro del nostro autore, benché disposto con altro ordine da qualche persona nominato Valerio. Di fatto, né da esso, né altronde si rileva che vivesse mai aatore di tal nome ; né fa contro alla boona latinità che Γ opera di Plinio altramente disposta è pubblicata da codesto Valerio si titolasse Plinio

Valeriano. Qaanto poi alla utilità di qaesta storia, giova desumerne la misura da ciò che dice Plinio medesimo nel suo proemio : « Io ho ridotto in trentasei libri venti­ mila cose degne d' esser sapute (da formar, come dice Domizio Pisone, più pre­ sto tesori che non libri), tratte fuori da intorno a due mila volumi, de’ quali pochi son tocchi dagli studiosi per rispetto della materia non comune, e da cento autori esquisiti, con la giunta d’ assaissime cose, le quali i primi non seppero, ο Γ inge­ gno ha trovate poi. » Non basta : ei dibattè contro un* immensa difficoltà : dar in­ novazione alle cose vecchie, autorità alle nuove, splendore alle dismesse, luce alle oscure, grazia alle sazievoli, fede alle dubbiose, la sua natura a tutte, e tutte a lli natura loro, son le più forti malagevolezze che possano incontrare ad uno scrittore. Ma Plinio vi riuscì felicemente. Egli fu il primo che trattasse la natura con tanta estensione : conobbe il travaglio che la sua materia gli domandava, ma non se ne spaventò punto ; e come se avesse misurato con essa il suo ingegno, si ritrovò di tal possa da vantaggiare le più prepotenti esigenze. Veggasi a maggior lode Γ intero brano del proemio, che precede il testé citato. Senzachè Plinio a1 contemporanei piacque assai pel suo genere di scrittura acre e severo, ma bello ad un tempo e adattissimo a metter sott' occhio le cose. L a sua età non contava più que’ nobili amatori della dizione Ciceroniana, perchè al candore e alla sincerità dell'innanzi era succeduta l'agonia dello stile turgido e parolaio. Allora s' avea già buscato Seneca il vanto del primato nell' eloquenza, eziandio che egli dall' andar sulle tracce di Tullio fosse le millanta miglia lontano. Plinio nè amatore spasimato delle eleganze di Seneca, nè graufatto seguace di Tullio, scrisse d' un suo modo, e intanto come era da meno di codesto sire del foro, tanto era da più del precettor di Nerone. Il suo linguaggio è un felice mistio del grave e semplice che contrassegnò Γ età più cospicua della favella del Lazio, col lepido e fattizio de’primi tempi della sua dacadenza: v’ ha molta novità, e ciò che v’ entra di antico, é bellamente foggiato che par d' allora allora. L a scrittura è robusta e relativa, e, che non è piccola arte, le parole acquistano dalle parole stesse luce e potenza. Solo si amerebbe che non istesse sì alla dura di voler più

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brevità che chiarezza, e non affettasse quelle laute elissi e reticenze scabrose e a prima giunta inaccessibili ; avvegnaché il suo stile non tora» soverchiamente oscuro a chi vi si è avvezzo, se non dove Γ autore medesimo aveva oscura la idea del suo soggetto. Laonde non possiamo perdonare al Domenichi quel sì sovente travedere e quel pigliare alla peggio i sensi dell’ autore, non solo dov’ egli é in­ tralciato o pei guasti del testo, o per la malagevole locuzione ; ma eziandio dove la frase non é ardua né il senso domanda meditazione veruna. Imperò, quantun­ que per difetto di buone versioni s’ é preferita quella del Domenichi, non ne sof­ ferse l'animo di darla sì rimpinzata di aberrazioni, com’ essa era. Racconciammo alla meglio i luoghi dove il traduttore appannava, e non ligii alla dizione di lui, che pure é assai pedestre e stemperata, ci studiammo piò presto di raddurre a corri­ spondenza i due testi che s 'affrontano. Nondimeno de’ primi libri (tranne l’ elenco, che si è volgarizzalo di nuovo) s’ é tocco presso che nulla, perché la minor copia d’errori ne invogliò di lasciare alla versione la sua nativa integrizia. Finalmente Plinio delle umane cose e della vita medesima tenne quel conio che dì ridevoli e indegne della sua estimazione. Sebbene ottenesse «li cospicui onori, fosse bene dell’ amore de’ principi, e avesse (ama onorata anche sempre che visse; non che ne menasse trasoneria, la contemplazione della natura e insieme dei deliri dell’ umanità gli destava un non so che di scontento, di maninconia, e di riso ama­ ro, che lo stornavano con fastidio da tutto che vedea fuori di sé. Quantunque della metafisica oon si conoscesse a fondo, é però fuor di dubbio che aveva il mondo e Dio per una cosa stessa : pensamento che non fu di lui solo, ma d’ altri eziandio che asserirono il Panteismo, e che molto scrissero per accreditare le loro opinioni. 11 perché que’ suoi superbi parlari, spesso acri e corrucciosi, e talvolta sparsi di

maligna derisione, intanto che mettono a ludibrio l’ umanità fanno rea la provvi­ denza divina. Però non vuoisi passare in silenzio il suo altamente sentire della virtù, per cui inveisce di spesso contro la spietatezza, la libidine e il depravamento de’ suoi tempi ; trasanda le verità pericolose a dire, piuttosto che velarle di simu­ lazione, abborre la piagenteria usa a falsare l’ onestà delle coscienze, e pare che portenda come scommessa dai vizii che avversa avesse finalmente a dissolversi la Romana potenza.

C. PLENTI SECUNDI

HISTORIARUM MUNDI LIBRI XXXVI

C . PLINII SECUNDI

H IS T O R IA R U M MUNDI LIBRI XXXVI -----------* · « ------------

PROOEMIUM

PREFAZIONE

C. Pune» Smccn>vs T. V iir u u io soo s.

C. Pumo Sxcoroo a T. V m ii u i o suo saluti.

JCitbros naturalis Historiae, novitium Camoeais Quiritium tooram opus, natam apad me proxima f e t a n , licentiore epistola narrare constitui tibi, ja e u d iiiia K Imperator : ah enim haec toi praefelio veiiisim ·, dum Maximi consenescit in patre : «.Kamqoe to solebas Meas esse aliquid potare no(M , * «t objicere moliar Catuliam conterraneum meem. Agnoscis et hoc castrense verbam. Ille e n w , i t icis, permutatis prioribus «etabis, duriai c u Iu b se fecit, quoniam volebat aestimari ea a VeranioKssBbetFabollis^imul at hac mea peto· lanlia-fiat, quod proxime non fieri questus es in alia procaci epistola nostra, ut in quaedam acta exeant, scianlqoe omnes quam ex acquo tecam vivat iraperiam. Triumphalis et censorias tu, aexMsque consci, ac tribuoitiae potestatis partiecpc, et, quod his nobilius fecisti, dum illud patri pariter et equestri ordini praestas, prae­ fectas praetorii ejos; omniaque haec reipubUcae : «t nobis quidem qualis in castrensi contubernio. Kee quidquam in te mutavit fortunae amplitudo, nisi ot prodesse tantumdem posses, nt velles. Itaque quam ceteris in venerationem toi pateant •mala illa, nobis ad colendum te familiarius audacia sola saperest Hanc igitur tibi imputabis, et in nostra culpa tibi ignosces. Perfricui faciem.

I o ho deliberato, o giocondissimo imperadorò (e questo sia il tuo verissimo titolo, mentre che quel di Grandissimo invecchia in tao padre), di voler narrarti con nna epistola, forse troppo licensiosa, i libri dell*Istoria naturale, opera nuova alle Mose de’ tuoi Romani, nata appresso di me in questo altimo parto. Perciò che tu pur solevi credere, che le mie ciance fossero qualche cosa, acciocché io usi il verso di Catullo mio eompatrioto. Tu pur conosci anco questa parola soldatesca. Perch’ egli, come tu sai, mutando le prime sillabe, si fece alquanto più duro, eh· non avrebbe voluto esser teouto da'suoi Veranioli e Fabulli. E parte ancora per fare con que­ sta mia domestichezza quello, che poco fji avesti per male, che io non facessi in un’ altra mia licenziosa lettera, acciocch’ella esca in certi atti, e sappia tutto il mondo quanto meritamente Γ imperio sia nelle tue mani. Tu hai trionfato, tn sei stato censore, e sei volte consolo, e parte­ cipe‘della podestà tribunizia, e quello ch’è molto più nobile, che tutte queste cose, mentre che ciò facesti per.piacere a tuo padre, e all'ordine equestre, fosti prefetto del suo pretorio, e tutto ciò in servizio della repubblica. E come ti sei tu portato con esso noi alla guerra? Ni però la gran-

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PROOEMIUM

Nec tamen profeci : quoniam alia via occurris ingens, etlongius etiam submoves ingenii fascibus. Fulgurat in nullo umquam verius dicta t u elo­ quentiae, tribunitiae potestatis facundia. Quanto tn ore patris laudes tonas? quanto fratris amas ? quantus in poètica es? O magna fecanditas animi ! quemadmodum fratrem quoque imitareris, exeo· gì tasti. Sed haec qnis possit intrepidus aestimare, apbilurus ingenii tui judicium, praesertim lacessitum? Neque enim similis est conditio publi­ cantium, et nominatim tibi dicantium. Tum possem dicere : Quid ista legis, Imperator ? Humili *volgo scripta sunt, agricolarum, opificum turbae, deniqne studiorum otiosis. Quid te judicem facis? quum hanc operam condicerem, non eras in hoc sdbo. Maj orem te sciebam, quam ut descensurum bue putarem. Praeterea estquaedam publica etiam eruditorum rejectio. Utitur illa et M» Tullius, ex­ tra omnem ingenii aleam positus, et (quod rai re­ mar) per advocatum defenditur, u Haec doctissi­ mum Persium legere nolo, Laelium Decimum vo­ lo.» Quod si hoc Lucilius,qui primus condidit styli nasum, dicendum sibi putavit, si Cicero mutuandnm, praesertim quum de Republica scriberet ; quanto nos causatius ab aliquo judice defen­ dimus? Sed haec ego mihi nunc patrocinia ademi nuncupatione : quoniam plurimum refert, sor­ tiatur aliquis fudicem, an eligat: multumque afpparatus interest apud invitatum hospitem, et obtutum. Quum apud Catonem illam ambitus bostem, et repulsis tamqusm honoribus ineptis gaodentem, flagrantibus comitiis pecunias depo· nerent candidati, hoc se facere pro innocentia ( quod in rebus hun^anis summum esset ) profi­ tebantur. Inde illa nobilis M. Ciceronis suspiratio : ά O te felicem, M. Porci, a quo rem improbam petere nemo audet ! » Quum tribunos appellaret ti. Scipio Asiaticus, inter quos erat Gracchus, hoc ad testabatur, « vel inimico judici se probari posse. ·» Adeo summum quisque causae judicem facit quemcumque,quum eligit : unde provocatio appellatur. Te quidem in excelsissimo humaui generis fastigio positum, summa eloquentia, lumina eruditione praeditum, religiose adiri étiam a salutantibus scio. £ t ideo subit cura, ut quae tibi dicantur, te digna sint. Vernm et diis lacte rustici multaeque gentes snpplicaut, et mola tantum salsa litant, qui non habent thura : neo oUi fuit vitio deos eolerc quoquo modo posset.

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desif della tua fortuna ha mutato in te nulla, «e non che tu possa giovare altrui quanto tu vuoi. Essendo dunque tutte queste cose aperte agli altri per onorarti, a me rimane l'audacia sola per più fymigUarmente farli oaore. Questo mio ardir dunque a te medesimo imputerai, e le mie colpe a te stesso perdonerai. Io ho fatto fronte. Ni però m 'è giovato nulla, poiché per altra via tu mi vieni innanzi maggior che mai, e mi fai star discosto eoo la grandezza del tuo inge­ gno. In ninno altro folgora più veramente quella, che in te si chiama forza d'eloquenza. In te è la facondia della podestà tribunizia. Con quanto ' spirito intuoni tu le lodi di tuo padre ? quanto ami tu quelle di tuo fratello ? quanto se'tu grande nella facoltà poetica? O gran fecondità d’animo! Tu t'hai immaginalo ancora, come tu possa imi­ tar tuo fratello. Ma chi è colui, che sicuramente possa considerar queste cose per venir sotto il giudicio del tuo ingegno, massimamente provo­ cata ? Perciocché non è simile la condizione di coloro, che pubblicano alcun libro, e di quegli, che nominatamente te lo dedicano, lo potrei dire allora,perché leggi tu queste cose, o imperadore? Elle sono stale scritte per Tornii volgo, de'contadini, djlrtefici, e finalmente per gli oziosi studii: perchè ne vuoi tu esser giudice ? Quando 10 scriveva queat'opera, tu non erj in questo ruolo. Io sapeva bene, che tu eri maggiore, tanto eh' io non pensava, che tu avessi a scender si basso. Olirà di ciò sempre gli scrittori fuggono 11 giudicio de' dotti. È questo fa M. Tullio, il quale benché sia di tanto valore, che non abbi* a temere il giudicio di niuno, nondimeno, quel ch'è da maravigliarsi, si difende per Io avvocato, « Queste mie cose non vo’ che sien Ielle dal dottissimo Perseo, ma si bene da Lelio Decimo. » Che se Locilio, il quale fu il primo che trovò il naso dello stile, pensò di poter dir questo ; se Cicerone anch'egli lo volse accattare, massimamente quando e' scriveva della Repubblica, quanr to più giustamente sarò io difeso da qualche giudice? Ma io m'ho levalo ora da me stesso questi patrocinii col dedicarli il libro. Perciocché gran differenza c'è, che altri abbia a sorte un giudice, o che se lo elegga da sé stesso, e altro apparato rioerca un forestiero invitato, e uno improvviso. Quando appresso a quel Catone ni­ mico delle pratiche, il quale godeva delle repulse» come altri fa degli onori acquistati, coloro che domandavano i magistrali nella furia dello squiU linio deponevano i lor denari, usavano dire, che ciò facevano per la innocenza, la quale nelle cose del mondo è molto stimata; quindi ne venne quel nobil sospiro di M. Cicerone : « Felice tu, M. Porzio, da coi niuno ardisce chiedere cosa mal-

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Meae qaidem temeritati accessit hoc quoque, quod levioris operae hos tibi dedicavi libellos. Naa nec ingenii sunt capaces, quod alioquin nobis perquam mediocre erat: nec admittant excessas aut orationes, sermonesve, aut casus mirabiles, vel eventus varios, non alia jucunda di· do,aut legentibus blanda, sterili maleria. Rerum natura, hoc est, -vita narratur, et haec sordidis­ sima sui parte, ut plurimarum rerum aut rusticis vocabulis aut externis, immo barbaris, etiam cum honoris praefatione ponendis. Praeterea iter est, non trita auctoribus via, nec qua peregrinari animus exspectat. Nemo apud nos, qui idem tentaverit, nemo apud Graecos, qui unus omnia ea tractaverit. Magna pars studiorum amoenitates quaerimus. Quae vero traotata ab aliis dicuntur immensae subtilitatis, obscuris rerum tenebris premuntur. Jam omnia attingenda, quae Graeci r ii iyxuxXonratiiiας vocant, et tamen ignota, aut incerta ingeniis /acta. Alia T ero ita multis prudila, et in fastidium sint adducta. Res ardua, vetusti· novitatem dare, novis auctoritatem, obsoletis nitorem,obscuris lucem, fastiditis gratiam, dubiis fidem, omnibus vero nataram, et naturae suae omnia. Itaque etiam non assecutis, voluisse, abunde pulchrum alqne magnificum esi. Equi­ dem ita sentio, peculiarem in studiis causam •orum esse, qui difficultatibus victis, utilitatem juvandi praetulerunt gratiae placendi : idque jam et in aliis operibus ipse feci : et profiteor mirari me T. Liviam, auctorem celeberrimum, in histo­ riarum suarum, quas repetit ab origine Urbis, quodam volumine sic orsum : « Salis jam sibi gloriae quaesitum : et potuisse se desinere, ni animus inquies pasceretur opere.» Profecto enim populi gentium victoris, et Romani nominis glo­ riae, non suae composuisse illa decuit. Majus meri· tum emet, operis amore, non animi causa perseve­ rasse; et boc populo Romano praestitisse, non sibi,

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fatta. » Quando L. Scipione Asiatico appellava a' triboni, fra i quali era Gracoo, diceva questo, *Vch'egli poteva aneo esser approvato da un giu­ dice suo nimico. » In modo che ciascuno fa giudice supremo della sua causa, quel che ai elegge, onde si appella la provocazione. Gii so bene io, come coloro che salutano, con grandis­ simo’ onore T e n g o n o a riverirti, essendo tu posto nella maggior dignità del mondo, e dotalo di grande eloquenza, e di singolare eruditione. E perciò fra gli altri miei pensieri il maggior è, che le cose, che si dedicano, sieno degne del tuo nome. Ma nondimeno contadini e molle nazioni supplicano agli dei col latte, e coloro che non hanno incenso, sacrificano solamente con polti­ glia insalata. Nè fu mai riputato a vizio a veruno, onorare gli dei in quel modo ch'e' può. E alla mia presunzione questo s'è aggiunto ancora, ch'io t’ ho dedicato questi miei libri, opera d'assai poco momento. Perciocché nè essi sono capaci d ' ingegno, il quale per altro è in me assai mediocre, nè hanno digressioni, o orazioni, o ragionamenti, o casi maravigliosi, o varii successi, nè altre cose piacevoli e grate a coloro che leggono. Ma con iste|il materia si rac­ conta in essi la natura, cioè la vita delle cose, · questa nella vilissima sua parte, in modo che bisogna porre di più cose o con vocaboli rustici, 0 stranieri, anzi più tosto barbari, e anco con prefazione d'onore. Olirà di ciò io mi son messo per una via, la quale non è calpesta dagli autori, e per la quale non s'ha molto diletto camminare. Appresso di noi non c'è niuno, che ciò abbia lentato, nè anco appresso de' Greci c' è veruno, che abbia trattato tulle queste cose. La maggior parte degli uomini cerca la piacevolezza degli studii. E queste cose di gran sottilità, le quali si trovano trattate dagli altri, sono oppresse da oscurissime tenebre. Già tutte le cose sono da es­ ser tocche, le quali da'Greci sono chiamate iynvxkonreuèimfy e nondimeno sono oscure, o fatte incerte dagl’ ingegni. Alcune altre sono fatte tanto palesi a molli, che per ciò vengono a noia. Egli è mollo difficile, dar novità alle cose vecchie, autorità alle nuove, splendore alle dismesse, luce alle oscure, grazia alle sazievoli, fede alle dub­ biose, la natura a tutte, e tutte alla sua natura. Bella cosa dunque e onorata è ancora aver vo­ luto fare, benché altri non sia giunto al suo desiderio. E veramente io sono di questa opi­ nione, che coloro negli studii abbiano fallo assai, 1 quali avendo vinte le difficoltà, hanno messa innanzi la utilità del giovare alla grazia del pia­ cere, e il medesimo ho già fatto ancora io in altre opere,e confesso maravigliarmi assai cheT. Livio, autore celeberrimo, in un certo volume delle sue

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PROOEMIUM

istorie, ch'egli comincia dall'origine di Roma, dicesse in questo modo : u Ch* egli aveva già acquistato gloria abbastanza, e che avrebbe po­ tuto lasciar lo scrivere, se l'animo inquieto non si fosse pasciuto della fatica. » Perciocché vera­ mente convenne, ch'egli avesse composte quelle cose per gloria del popolo Romano vincitor del mondo, non per gloria sua. Maggior merito sa­ rebbe stato il suo, ch'egli avesse continuato' dì scrivere per amor dell'opera, non per soddisfare all'animo suo ; ch'egli avesse fatto ciò per piacere al popolo Romano, non a sé stesso. Viginti millia rerum dignaram cara ( quo­ Io ho ridotto in trentasei libri ventimila cose niam, at ait Domitius Piso, thesauros oportet degne d'esser sapute (perchè, come dice Domizio esse, non libros ), ex lectione voluminum circiter Pisone, bisogna che sieno tesori, e non libri ), duam milliam, quorum patica admodam studiosi tratte fuori d'intorno a due mila volumi, de'quali attingunt,, propter secretum materiae, exquisitis pochi son tocchi dagli studiosi per rispetto del auctoribus-centum, inclosimos triginta sex volu­ secreto della materia, e di cento autori esquisiti, minibus, adjectis rebus plurimis, qaas aut igno­ con la giunta d'assaissime cose, le quali i primi raverant priores, aot postea invenerat vita. Nec non seppero, o la vita ha trovate poi. E non ho dubitamus, malta esse, quae et nos praeterierint. dubbio ancora di non aver saputo molte cose. Perciocché io sono uomo, e occupato negli ufficii, Homines enim somos et occupati officiis : subcisivisqae temporibus ista caramus, id est, noctur­ e studio queste cose Quando io posso, e quando nis, ne quis vestrum putet his cessatum horis. m'avanza tempo, cioè di notte, acciocché voi non Dies vobis impendimus: cum somno valetudinem credeste, che io avessi mancato alle vostre ore. computamus : vel hoc solo praemio contenti, quod II giorno lo spendo in servizio vostro. Dormo dum ista (ut ait M. Varro) musinamurypluribus poi quanto basta a mantenermi sano, contento di horis vivimus. Profecto enim vita vigilia est. questo premio solo, che mentre, come dice Var­ rone, m'impiego intorno a queste cose, vivo pià ore. Perciocché la vita è veramente una vigilia. Per le quali cagioni e difficolti non avendo Quibus de causis atque difficultatibus nihil auso promittere, hoc ipsum tu praestas quod ad io ardire di prometter nulla, tu mi dai animo te scribimus. Nec fiducia operis haec est, sed di scriverti. N i questo è fidanza dell'opera, ma indicatura. Molta valde pretiosa ideo videntur,· come darne il saggio. Molte cose sono stimate quia sunt templis dicata. Nos quidem omnes, preziose, perch'elle sono dedicate a'tempi. E ve­ patrem, te, fratremque diximus opere justo,, ramente noi tutti abbiamo scritto di te, di tuo temporum nostrorum historiam orsi a fine Aufidii padre e di tuo fratello in un'opera giusta, avendo Bassi. Obi sit ea quaeres ? jam pridem peracta scritto Γ istoria de' nostri tempi dalla fine d'Aufi· sancitur : et alioquin statutum erat heredi man­ dio Basso. Turni domanderai forse dov'è questa dare, ne quid ambitioni dedisse vita judicaretur. istoria? Egli è gii un pezzo,che è finita, e riposa. Proinde occupantibus locum faveo ; ego vero et E gii m'era risoluto d'ordinare al mio erede, posteris, quos scio nobiscum decertaturos, sicut che la pubblicasse egli acciocché non si credesse ipsi fecimus cum prioribus. ch'io l'avessi voluta pubblicare io per ambiuone. Perciò favorisco io coloro, che occupano il luogo, e quei che verranno dopo noi, i quali son certo che contenderanno con esso noi, siecou)· noi abbiamo conteso co' primi. Tu avrai lo argomento di questo mio stoma­ Argumentum hujus stomachi mei habebis, quod in his voluminibus auctorum nomina prae­ co, eh' io ho messo i nomi degli autori in questi texui. Est enim benignum, ut arbitror, et plenum volam i. Perciocché egli è cosa ragionevole e ingenui pudoris, fateri per quos profeceris, non, di gentil creanza confessare da chi tu hai impa­ ut plerique ex iis, quos attigi, fecerunt. Scito rato, non come hanno g ii fatto molti di coloro, enim conferentem auctores me deprehendisse a eh* io ho letti. E voglio che tu sappia, che con­ juratissimis et proximis veteres transcriptos ad ferendo io insieme gti autori, ho trovato alcuni verbum, neque nominatos : non ilia Virgiliana approvatissimi, e vicini, che hanno trascritto g li virtute, ut certarent; non Ciceroniana simpli- antichi parola per parola, senza avergli nominali,

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PROOEMIUM

citate, qui io libri· de R «publica, u Pia toma ae comitem » profitetur, in Consolatione filiae, «.Crantorem, Inquit, aequor», item uPanaetiom t» de Offieiia : quae volumina ejus ediscenda, non nodo io manibuf quotidie habenda, nosti. Obnoxii profecto animi, et infelicis ingenii est, deprehendi in furto malle, quam mutuum red­ dere, quum praesertim aors fiat ex usura.

Inscriptioni· apud Graecos mira felicitas : Kvf/er inscripsere, quod volebant intelligi favum: alii Kίςας *AftaXSi/af, quod Copiae cornu, ut vel lactis gallinacei sperare possis in volumine hau­ stam. Jam *1«, Mgrai, IJaP&jxreUy 'Eyfcf/f/cf/or, Auf«a»V, Π/ναξ, inscriptiones, propter quas vadimonium deseri possit. At quum intra­ veris, dii deaeque, quam nihil in medio invenies ! Nosiri crassiores, Antiquitatum, Exemplorum, Arliomque. Facetissimi Lucubrationem poto, ut qui Bibaculus erat et vocabatur. Paullo minus sdserit Varro in Satyris suis Sesculyssem, et Fiatatala. Apud Graecos desiit nugari Diodorus, et BìjSXjoAixjk historiam suam inscripsit. Apion quidem grammaticus, hio quem Tiberius Caesar cymbalum mundi vocabat, qoum publicae famae tympanum potius videri posset, immortalitate donari a se acripeit, ad quos aliqua componebat. Me non poenitet nullum festiviorem excogitasse titolom. Et ne in totum videar Graecos insectari, ex illis oos velim intelligi pingendi fingendique conditoribus, quos in libellis his invenies, abso­ luta opera, et ilb quoque quae mirando non satiamur, pendenti titulo inscripsisse : ut, A fille * rACuaiT, aut P o ly c u tc s : tamquam inchoata semper arte et imperfecta, ut contra judiciorum varietates supereaset artifici regressus ad veniam, veiut emendaturo quidquid desideraretur, d non csaek interceptu·. Quare plenum verecundiae iJJod est, qaod omnia opera tamquam novissima inscripsere, et tamquam singulis fato adempti. Tria ooa amplius, ut opinor, absolote traduntur inscripta, J u s fxcit, quae suis locis reddam : quo apparuit, summam artis securitatem auctori placuisse ; ek ob id magna invidia fuere omnia ea.

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non con Ia virtù di Virgilio per contrastare, non con la semplicità di Cicerone, il quale ne1 libri della repubblica ai chiama u compagno di Pla­ tone, » e nella consolazione della figliuola dice, W io seguo Crantore, e Paoezio negli Officii. « I quai suoi libri degni d'essere imparati, non pure d’esser di continuo tenuti in mano, tu gli hai ben veduti. Ed è veramente cosa d’animo servile e d* ingegno infelice voler più tosto esser colto in furto, che rendere quello che gli è stato prestato, massimamente facendosi il capitale eoa l'usura. Sono stati i Greci molto felici in fare i titoli loro: Kvf/tr intitolarono quello che volevano che a' intendesse per Salone. Alcuni altri hanno intitolato il libro Corno di dovizia, ovvero d’ Amaltea, acciocché tu possa sperare di trovare in tal libro fin del latte di gallina. Sonai trovati titoli 4 i questa sorte la , Muse, Pandette, Enchi­ ridionf Limotty Pinact, Schedion, per li quali libri ti farebbono lasciare il tuo mallevadore per leggerli. Ma quando ti metti poi a leggere, tu non vi truovi dentro nulla. I nostri sono molto più grossi ne' titoli, nsando dire, delle Antichità, degli Esempli, e dcll’Arti. Valerio, il quale era e chiamavasi attedino Anziate, fu il primo, che intitolò le sue fatiche Lucubrationi, e Varrone nelle sue satire Sesculisse e Flextabula. Appresso i Greci il primo, che lasciò di cianciare, fu Dio­ doro, e intitolò la sua istoria Biblioteca. E Apio­ ne grammatico, quello che Tiberio Cesare usava di chiamare cembalo del mondo, dove più tosto pareva che fosse un tamburo della pubblica fama, si vantò di donare la immortalità a coloro, ai quali egli intitolava alcuna cosa. Ma io non mi pento già di non avermi saputo immaginare titolo alcuno piò piacevole. E acciocché non paia ch'io voglia perseguitare affatto i Greci, io voglio che tu sappia come quei componitori del dipingere e del formare, i quali tu troverai in questi libri, non fecero opere finite, ma quelle che ancora non ci saziamo di vedere intitolarono con titolo pendente, perciocché essi usavano dire, Apblls, a P o l ic l it o vacava, quasi che ciò fosse sempre artificio incominciato e imperfetto, acciocché l'artefice potesse trovare perdono contra le va­ rietà de' giudicii, sì come quel ch'era per emen­ dare quel che vi mancava, se non fosse stato interrotto. Onde é coja piena di modestia, il vedere, come essi intitolarono tutte l'opere loro come se ciascuna fosse stata l'ultima, e come se per morte non l'avessero potuta finire. Tre opere e non più solamente, corte io stimo, fece colui, le quali s'intitolano come fornite, come io dirò al suo luogo, onde si vide, che l'autore vi si com­ piacque molto, e mostrò gran sicurezza d’arte,

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Ego plane meis adjici posse nulla confiteor ; nec his solis, sed et omnibus quae edidi : nt ob id caveam istos Homeromastigas. Ita enim verius dixerim, quoniam audio et Stoicos, et Dialecticos, Epicureos quoque ( nam de grammaticis semper exspectavi ) parturire adversus libellos, quos de Grammatica edidi, et subinde abortus faceré jam decem aonis, quum celerius etiam elephanti pariant. Ceu vero nesciam, adversus Theophra­ stum hominem in eloquentia tantum, ut nomen divinam inde invenerit, scripsisse etiam feminam, cl proverbium inde natum, u suspendio arborem eligendi. » Non queo mihi temperare, quominus •ad hoc pertinentia ipsa censorii Calonis verba ponam : ut inde appareat, etiam Catoni de Mili­ tari disciplina commentanti, qui sub Africano, ìmmo vero et sub Hannibale didicisset mutare, et ne Africanum qnidem ferre potuisset, qui im­ perator triumphum reportasset, paratos fuisse islos, qui obtrectatione alienae scientiae famam sibi aucupantur. Quid enim ait in eo volumine ? u Scio ego qu ae seri pia sunt, si palam proferantur, multos fore qui vitilitigent : sed ii potissimum, qui verae laudis expertes sunt. Eorum ego ora­ tiones sino praeterfluere. « Nec Plancus illepide, quum diceretur Asinius Pollio orationes in eum parare, quae ab ipso aut liberis post mortem Planci ederentur, ne respondere posset : « Cum mortuis non nisi larvas luctari. » Qao dicto sie repercussit i Has, nt aped eruditos nihil impu­ dentius jndicetur. Ergo secari etiam contra vit£ litigatores, quos Calo eleganter ex vitiis et litiga­ toribus composuit ( quid enim illi aliud quam litigant aut litem quaerunt? ) exsequemnr reliqua propositi. Quia occupationibus tuis publico bono parcendum erat, quid singuliscontineretur libris huic epistolae subjunxi : sunmaque cura, ne legendos eos haberes, operam dedi. Tn per hoe et aliis praestabis ne perlegant : sed ut quisque desideraverit aliquid, id tantum quaerat, et sciat quo loco inveniat. Hoc ante me fecit in literis nostris Valerius Soranus, iu libris quos ’E « v » r ii* * inscripsit. Vale.

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e perciò quelle opere gli acquistarono grande invidia. lo veramente confesso, che alle mie si possono aggiugnere di molte cose, n i solamente · queste, ma a tutte quelle, eh4io ho composto, acciocché iu mi guardi da questi biasimatori d’ogni cosa. Perché così dirò meglio il vero, perciocché io odo dire, che e gli Stoici, e i Dialettici, e gli Epi­ curei (che de'grammatici io me l'h o sempre aspettato), stanno per partorire alcuna cosa con­ tra i libri, eh' io ho composto di grammatica, e tuttavia fare sconciature già dieci anni, come che gli elefanti aneora partoriscano piò tosto. Quasi ehe io non sapessi aneora come fino a una donna scrisse conira Teofrssto, uomo di tanta eloquen­ za, che perciò s'acquistò nome di divino, onde ne nacque il proverbio, u di eleggersi un albero per appiccarsi. » Io non mi posso tenere, eh' io non ponga qui le parole di Catone Censorino accomodale a questo proposito, acciocché si veg­ ga, come Catone ancora, il quale trattava della disciplina militare, che aveva imparalo a militare sotto Africano, anzi pur sotto Annibaie, e non poteva pur sopportare Africano, il quale capilan generale avea trionfalo, trovò anch’egti di colo­ ro, che cercano d'acquistarsi fama col biasimar l'altrui scieoza. Or che dice egli in quel libro ? a Già io so bene, che se quelle cose, eh* io ho scritte, si metteranno fuori, che vi saranno molti, i quali le biasimeranno, e massimamente quegli, che non conoscono la vera lode. Lascerò dunque scorrere*! ragionamenti loro. w E Planco aucora egli argutamente rispose, perch'essendogli detto, che Asinio Pollione gli componeva contra alcune orazioni, le quali da lui, o da figliuoli sarebhono stale pubblicate dopo la morte di Planco, acciocch'e'non potesse rispondere, disse, u che coi morti non combattevano se non le beffane. » Col qual motto le ribattè in modo, che appresso agli uomini dotti non è cosa tenuta più vitupe­ rosa di quelle orazioni. Sendo io donque securo ancora contra i vitiligatori, i quali Catone ele­ gantemente compose da'vizi) e litigatori, per­ ciocché, che fanno essi altro, se non litigare, o cercar lite f seguirò il mio proposito. E perchè io ho conosciuto le tue occupazioni intorno al ben pubblico, io ho messo sotto questa epistola ciò che si contiene libro per libro : e hovvi posto gran cura, acciocché ta noe gli abbia a legger tutti. Tu per questo sarai cagione ancora, che gli altri non gli avranno a legger tutti, ma se ­ condo, che ciascuno desidererà alcuna cosa, cer­ cherà quella sol·, e saprà dove trovarla. Questo medesimo fece prima di me nelle lettere Valerio Sorauo in quei libri, ch'egli intitolò Epoptidon. Si» sano.

C. PLINII SECUNDI

HISTORIARUM MUNDI ELENCHOS, QUI ET LIBER PRIMUS ---- --------

LIBRO n

LIBRO Π Corniranm db M ondo i t E luim tis.

1. An finitas sil mandas, et an unus. U. De forma ejus. III. De motu. Car mandas dicator. IV. De elementis, et planetis. V. De Deo. VI. De sideram errantiam natara. VII. De lanae et solis defectibus. VHI. De magnitudine sideram. IX. Qaae qais invenerit in observatione coelesti. X. Quando recurrant solis ac lanae defectas. U . De lanae motu. XII. Errantiam motas, et laminam canonica. XIII. Quare eadem alliora, alias propiora vi­ deantur. XIV. C a r motas dissimiles eadem habeant. XV. Catholica sideram errantiam. XVI. Qaae ratio colores eornm motet. X V II. Solis motos, et dierum inaequalitatis ratio. X V III. Qaare fulmina Jovi assignentur. X IX . Intervalla siderum. XX. D e sideribus, musica. XXI. D e mundo, geometrica. XXII. De repentinis sideribus, seu cometis. XXUI. Natara, et sitos, et genera eoram.

T batta

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M ohdo

b dboli

E lbm bcti.

i. 9 « il mondo è finito e uno. а. Delia forma sua. 3. Del moto di esso, e perchè chiamisi mondo. 4. Degli elementi, e de* pianeti. 5. Di Dio. б. Della natura delle stelle erranti. 7. Dell'eclisse del sole e della luna. 8. Della grandezza delle stelle. 9. Di quelle cose che alcuno ha trovate nella osservazione del cielo. 10. Del periodo degli eclissi solari e lanari. 11. Del moto della luna. ìa. Del moto de* pianeli, e de'caooni de' lami. 13. Perché le medesime stelle paiano ora pià alte, ora più basse. 14. Perchè le medesime abbiano movimenti diversi. 15 . Di alcune leggi costanti de' pianeti. 16. Che cosa muti i colori de' pianeti. 17. Del molo del sole, e perchè i giorni non sono eguali. 18. Perché i folgori sono attribuiti a Giove, ig. Degl' iolervalli delle stelle. ao. Della musica delle stelle, ai. Della geometria del mondo, uà. Delle stelle repentine, o comete. a3. Della natara, site, e specie loro.

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C. PUNII SECUNDI

XXIV. Hipparchea, de sideribus. XXV. De coelestibus prodigiis, per exempla hi­ storica. Faces, lampades, bolides. XXVI. Trabes coelestes, chasma coeli. XXVII. De coeli coloribos, et flamma coelesti. XXVIII. De coronis coelestibus. XXIX. De circnlis repentinis. X XX . Solis defectas longiores. XXXI. Plores soles. XXXII. Piares lunae. XXXIII. Dierum lox noctibus. XXXIV. Clypei ardentes. XXXV. Ostentum coeli semel notatum. XXXVI. De discursa stellarum. XXXVII. De stellis quae Castores vocantur. XXXVIU. De aSre; et qaare lapidibns pluat. XXXIX. De statis tempestatibus. XL. De Caniculae orta. XLI. Vis temporum anni stata. X L 1I. De incertis tempestatibus. XLUI. De tonitribus et fulgetris. X L 1V. Ventorum origo. XLV. Ventorum observationes diversae. XLVI. Ventorum genera. X LV 1I. (* Ventorum tempora *) XLV1II. Naturae ventorum. XLIX. Ecnephias et Typhon. L. Turbines, presteres, vorlices et alia prodigiosa genera tempestatum. LI. De fulminibus : quibas ia terris non cadant, et quare. L 1I. Genera fulgurum, et miracola. LUI. Etrusca observatio in his, et Romana. LIV. De fulminibus evocandis. LV. Catholica folgoram. I/VI. Qaae num^uam feriantor. LV1I. Lacte pluisse, sanguine, carne, ferro, lana, lateribus coctis. LVIII. Armorum crepitum, et tubae sonitam de coelo «oditam. LIX. De lapidibus coelo cadeotibos. Anaxagorea de his. LX. Arcus coelestis. LXI. Natara grandiois, nivis, pruinae, nebolae, ' roris : nubium imagines. LX 1I. Proprietates coeli in locis. LX1U. Natara terrae. LXIV. De forma ejas. LXV. An sint antipodes. LXVI. Quomodo aqua terrae inoexa. De oavigatiooe maris et flumioom. L X V il. An circomdatos terrae Oceanos. LXVI1I. Qaae portio terrae habitetor. LX1X. Mediam esse muhdi terram. LXX. De obliqoitate Zonarum. LXX1. De inaeqoalitate elimatam.

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a4 - Delle opinioni d 'Ipparco intorno alle stelle. a5. De* prodigii celesti, per esempii storici : facelline, lampade, bolidi. a6. Travi celesti : casma, o aprirsi del cielo. 27. De'colori e fiamme del cielo. 38. Delle corone celesti. 39. De1 circoli repentini. 30. Di alconi oscuramenti del sole più lunghi. 3 1. Più soli. 33. Più lune. 33. Loce di dì nella notte. 34. Scudi ardenti. 35. Portento del cielo notato uoa sola volta. 36. Discorsi di stelle. 37. Delle stelle dette i Castori. 38. Dell’aria, e perohè piovano sassi. 39. De1 temporali ordinarii. 40. Del nascimento della Canicola. 4 1. Influenze ordinarie deVarii tempi dell'anno. 4a. De* temporali straordioarii. 43. De* tuoni, e de’ lampi. 44* Origine de* venti. 45. Osservazioni diverse fatte sai venti. 46. Delle maniere de* venti. 47. De* venti periodici. 48. Varia natura de* venti. 49. Uragani e tifoni. 50. Turbini, presteri, vortici ed altre prodigiose maniere di tempeste. 5 1. Delle saette : in quali terre noo caggiono, e perchè. 5a. Delle sorti e miracoli de* folgori. 53. Osservazioni sui folgori,Etnische e Romane· 54. Evocazioni delle saette. 55. Cose universali de' folgori. 56. Cbe cose non sieno tocche dalla saetta. 57. Piogge prodigiose di latte, sangue, carue, ferro, lana, mattoni cotti. 58. Suono d'afrni e di trombe odilo in aria. 59. Pietre cadute di cielo : ciò che narrasi di Anassagora intorno a questo. 60. Dell’arco celeste. 61. Della gragouola, oeve, brinata, nebbia, ragiada ; delle imagini delle nugole. ба. Delle proprietà dell'aria secondo i luoghi. 63. Della natara della terra. 64. Della forma della terra. 65 . Se vi siano Aotipodi. бб. Come l’acqaa è con giunta alla terra ; della a^ iguion e del mare e de* fiumi. 67. Se l*Oceano abbracci la terra. 68. Qual parte della terra è abitata. 69. Come la terra è in mezzo del mondo. 70. DeU’obliquità delle zone. 71. Della inequalilà de* climi.

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HISTORIARUM MUNDI LIB. 1.

LXXII. Ubi eclipses non appareant, et quare. LXXlll. Q aae ralio diurnae locis in terris. LXX1V. Gnomonica de eadem re. LXXV. Ubi, et qaando nullae nmbrae. LXXVI. Ubi bis anno : abi in contrarium umbrae ferantur. LXXYII. Ubi longissimi dies, ubi brevissimi. LXXVIII. De primo horologio. LXX1X. Quomodo observentur dies. LXXX. Differentia gentium ad rationem mundi. LXXXI. De terrae molibus. LXXX11. De terrae hiatibus. LXXX1II. Signa motas faturi. LXXX1V. Auxilia contra motus futuros. LXXXY. Portenta terrarum semel tradita. LXXXVI. Miracula terrae motus. LXXXVIi. Quibas locis maria recesserint. LXXXV11I. Insularum enascentium ratio. LXXX1X. Qaae et qnibus temporibus enatae sint. XC. Qaas terras interruperint maria. XCI. Quae insnlae continenti adjunctae sint. XC1I. Qaae terrae in totam mari permutatae. XCI1I. Quae terrae ipsae se sorbuerint. XC1V. Urbes haustae mari. XCV. De spiraculis terrarum. XGV1. De terris semper trementibus: et de fluc­ tuantibus insulis. XCV 11. Quibus locis non impluat. XCVUI. Acervata terrarum miracula. XC1X. Qua ratione aestus maris accedant et re­ cedant. C Ubi aestus extra rationem idem faciant. Cl. Miracula maris. CII. Qaae potentia lunae ad terrena, et maria ; CHI. Quae solis. C 1V. Quare salsam mare. CV. U bi allissimum mare. CVI. Mirabilia fontium et flominom. CV 11. Igniam et aquarum juacta miracola. CVIII. De maltha. C1X. De naphtha. CX. Quae loca semper ardeant. CX 1. Igniam per se miracula. CX U . Terrae universae mensura. CX 1II. Harmonica mundi ralio. Smns a : Res, et historiae, et observationes ccccxvii.

72. Dove non paiano gli eclissi, e perchè. 73. Disparità del giorno ne* varii luoghi. 74. Degli squadranti, allo stesso proposito. 75. Dove e quando non è ombra ; 76. Dove due volte l'anno è ombra, c dov'essa volgesi alla parte opposta. 77. Dove il giorno è lunghissimo, e dove bre­ vissimo. 78. Del primo oriuolo. 79. Come s'osservino i giorni. 80. Differenze di genti secondo i climi. 81. De’ terremoti. 82. Dell'apritura della terra. 83. Presagii de* terremoti. 84. Aiuti con tra a* terremoti. 85 . Portenti della terra vedati uaa volta. 86. Miracoli di terremoti. 87. Da che luoghi i mari si sieno discostati. 88. Ragione delle isole nascenti. 89. Quali isole ed in che tempo son nate. 90. Quali terre i mari hanno trapassato. 91. Di quelle isole, che si son con giunte con terra ferma. 92. Di quelle terre,che in tatto sono ite in mare. 93. Delle terre che si sono inghiottite. 94. Delle ciltà, che sono state inghiottite dal mare. 95. Delle esalazioni della terra in alcuni luoghi. 96. Terre che sempre tremano, ed isole ondeg­ gianti. 97. Luoghi dove non piove. 98. Miracoli yarii di alcune terre. 99. Con qual regola succedano i Bassi e refiussi del mare. 100. In quali luoghi il mare cresca e soemi fuor di regola. 101. Miracoli del mare. 102. Della possanza della lana in terra e in mare. 103. Della possanza del sole. 104. Perchè il mare sia salso. 105 . Dove il mare è altissimo. 106. De* miracoli de* fonti e de* fiumi. 107. Miracoli del fuoco e dell’acqua congianti. 108. Della malta. 109. Della nafta. 110. De* luoghi che sempre ardono. 111. Miracoli del fuoco di per sé. u à . Misura di tutta la terra. 11 3. Ragione armonica del mondo. S omma

: fra cose, storie ed osservazioni, 4 * 7·

EX AUCTORIBUS

AUTORI

M . Varrone. — Solpicio Gallo. — Tit$ Caesare imperatore. — Q. Tuberone. — Tallio Tirone. —

Marco Varrone. — Sulpicio Gallo. —· Tito Cesare imperadore. — Quinto Tuberone. — Tal-

C. PLINII SECUNDI

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>4

L. Pilone. — T. Livio. — Gorn. Nepote. — Sutio Seboso. — Caelio Antipatro. — Fabiano. — An­ tiate. — Modano. — Caecina, qui de Etrusca disciplina scripsit. — Tarquitio, qui item. — Julio Aquila, qui deEtrnsca disciplina scripsit. — Sergio Paolo.

lio Tirone. — Lacio Pisone. — Tito Livio. — Cornelio Nipote. — Statio Seboso. — Celio An­ tipatro. — Fabiano. — Anxiate. — Mutano. — Cecina, che scrisse della disciplina Etrosca. — Tarquitio, che scrisse similmente. — Giulio Aquila, scrittore anch’esso della disciplina Etru­ sca. — Sergio Paolo.

EXTERNIS

STRANIERI

Platone. — Hipparcho. — Timaeo. — Sosigene. — Petosiri. — Necepso.— Pythagoricis.— Po­ sidonio. — Anaximandro. — E pi gene gnomonico. — Euclide. — Coerano philosopho. — Eudoxo.— Democrito. — Critodemo. — Thrasyllo. — Sera­ pione. — Dicaearcho. — Archimede. — Onesi­ crito. — Eratosthene. — Pythea. — Herodoto. — Aristotele. — Ctesia. — Artemidoro Ephesio. — Isidoro Characeno. — Theopompo.

Platone. — Ipparco. — Timeo. — Sosi gene. — Petosiri. — Necepso. — Pitagorici. — Posi­ donio. — Anassimandro. — Epigene gnomonico. — Euclide. — Cerano filosofo. — Eudosso. — Democrito. — Critodemo. — Trasillo. — Sera­ pione. — Dicearco. — Archimede. — Onesicrito. — Eratostene. — Pitea. — Erodoto. — Aristo­ tele. — Ctesia. — Artemidoro d*Efeso. — Isidoro Caraceno. — Teepompo.

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LIBRO m

LIBRO ΠΙ

CoiTntxrrcm sitos, gbrtbs, maim , opw m , portcs, ■ORTIS, PLUMI1U, MBBSOBAB, POPOLI QOI SOBT, aut fobbust.

T ratta db’ siti , ηλιιομ , mabi, città, forti, MOtITl, FIUMI, M1SORB E POPOLI CHE SONO IR BSSBBB, ο già sono stati.

I. (* E obopab in oniversom fines ac sinos prae­ mittantur : II. Tom Hispaoiae totios *) : III . Baeticae. IV. Hispaniae citerioris: V. Narbonensis provinciae : VI. Italiae. VII. I’ Nona Italiae regio : VIII. Septima Italiae regio : IX. Prima Italiae regio *), Tiberis, Roma. X. (* Tertia Italiae regio *) : XI. Inanlarom lxiv. In his, Balearium :

1. Premettonsi in generale i confini e i seni Della salianca, 3. 84 ron, xix. LXXVJil, Pcriatereoe, vi. LXXIX. (* Rimedia adraraos r«niQ«*). LXXX. Aotirrhinam, «ire anarrhinam, sire lychnis agria, in. LXXXI. Eoplea, i. LXXXII. Ptricarpum, fcnana u. Madie, u. LXXX 11I. Remedia ad ri tia capili», i. Nymphaea heraclia, u. LXXXIV. Lingulaca, «. LXXXV. CacaUa, sire ltontice, m. LXXX VI. CjdJUbeix. **. LXXXV1I. Hyssopum, x. LXXXVIII. Lonchitis, ir. LXXXIX. Xiphion, sire phasganion, ir. XC. Psyllion, sire cyooides, sire chrysallion, sive oeelioon, «ire «yaomyia, j . XCI. Remedia ocaloram. XCU- AnsgaUis, «ire ap«q|to«>tt, #t qnae ferus oenius, genera μ. Medie, hi. XC11I. Aegilops, u. XC1V. Mandragoras, sire circaeop, sive otriop, e r e hippophlomon : genera n. Mediana*, xxir. XCV. Cicala, xiu. XCVI. Crethmos agrios, i.

it»

54. Dell'arislolochia, o eternatile, · Creile», e

pUsteJoehia, · Uchta polirete·, della por mela della terra, aa. 55. Uso delPerbe contro il monw dalla serpi. 56. Dell'argemonia, 4. 57. DelPagarieo, 83. 58. Dell’eobio, specie 3. Medie. 10. 5g. Dell' ieraboten*, o peristereo, o rerfceaaca, apecie a. Medie, lo. 60. Della blaLUria, 39

C. PLINII SECONDI

XXVI. Aclaea, i. XXVII. Ampelos agria, i t . XXVIII. Absinthium, genera m. Medie, x l v i u . XXIX. Absinthium marinum, sive seriphium. XXX. Ballotes, sive porrum nigrum, tu. XXXI. Botrys, sire ambrosia, sive artemisia, i. XXXII. Brabyla, i. XXXIII. Bryon marinum, v. XXXIV. Bupleuron, i. XXXV. Catanance, i. — Cemos, i. XXXVI. Calsa, m. XXXVII. Calsa allera, sive anchusa, sive rhiuochisia, n. XXXVIU. Circaea, m. XXXIX. Cirsion, i. XL. Crataeogonon, genera m. Medie, vm. XLI. Crocodilion, n. XLU. Cynosorchis, sive orchis, iv. XLI II. Chrysolachanum, genera ii. Medie, m. — Coagulum terrae, n. XL 1V. Culicus, sive strumus, sive strychnos, vi. XLV. Conferva, n. XLVI. Coccum Gnidium, u. XLVII. Dipsacos, m. XLVI 1I. Dryopteris, u. XLIX. Dryophooon, i. L. Elaitae, ir. Ll. Empetros, quae calcifraga, iv. LII. Epipactis, sive elleborine, u. L1II. Epimedion, m. LIV. Enneaphyllon, m. LV. Filicis genera duo, quam Graeci pteriu, alii blachnon, item thelypterin, nymphaeam pterin vocant, xi. LVI. Fermur bubulum. LV1I. Galeopsis, sive galeobdolon, sive gallio, vi. L Y 1II. Glauz, i. LIX· Glaucion, m. Collyrium, u. LX. Glycyside, sive paeonia, sive pentorobon, xx. LXI. Gnaphalium, sive chamaexelon, vi. LXU. Gallidraga, i. LXUI. Holcus, i. LXIV. Hyosiris, i. LXV. Holesleon, m. LXVI. Hippophaeston, vi. LXV 11. Hypoglossa, i. LXV 1II. Hypecoon. LX 1X. Idaea, iv. LXX. Isopyron, ii. LXXI. Lathyris, u. LXXU. Leontopetalon, u. LXX 11I. Lycapsos, 11. LXXIV. Lilhospermon, sive aegonychon, sive diospyron, sive heracleos, n. LXXV. Lapidis museut. LXXVI. Limeum, i.

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a6. Dell’altea, i. 27. Dell’ampelos agria, 4· 28. Dell’assenzio, specie v . Medie. 48. 29. Assenzio marino, o serifio. 30. Del ballote, o porro nero, 3. 3 1. Del botris, o ambroria, o artemisia, 1. 32. Dalla brabila, 1. 33. Del briou marino, 5. 34. Del bupleuro, 1. 35. Delia catanance, 1. — Del cemo, 1. 36. Della calsa, 3. 37. Di altra calia, o aneusa, o rinchisia, 2. 38. Della circea, 3. 39. Del cirsion, 1. 40. Del crategono, specie 3. Medie. 8. 4 1. Del crocodilio 2. 42. Del cinosorchi, o orchi, 4· 43. Del crisolacano, specie 2. Medie. 3. — Del presame della terra, 2. 44* Del culico, o strumo, o stricno, 6. 45. Della conferva, 2. 46. Della grana di Gnido, 2. 47. Del dipsaco, 3. 48. Della drioptere, 2.

49. Del d riofono, 1. 50. Della elatine, 2. 5 1. Dell’empetro, detto calcifraga, 452. DeU’epipatte, o elleborine, 2. 53. Dell’epimedio, 3. 54. Dell’enneafillo, 3. 55. Di due specie della felce, ebe i Greci appel­ lano l'una pteri, altri blaqno » l'altra telipteri, o ninfea pteri, 11. 56. Del petignone di bue. 57. Della galeopse, o galeobdolo, o gallio, 6. 58. Della glauce. 59. Del glaucio, 3. Del collirio, 2. 60. Della gliciside, o peonia, o pentorobo, ao. 61. Del gnafalio, o camezelo, 6. 62. Della gallidraga, 1. 63. Dell’olco, t. 64. Della iosiri, i. 65. Dell’olosteo, 3. 66. Dell’ ippofeslon, 6. 67. Della ipoglossa, 1. 68. Dell’ ipecoo. 69. DelP idea, 4. 70. Dell* isopiro, 2. 71. Del laliri, 2. 72. Del leontopelalo, 2. 73. Della licapside, 2. 74. Del litospermo, o egonico, o diospiro, 9 eraeleo, 2. 75. Del mujBchio di pietra. 76. Del limeo, 1.

HISTORIARUM MONDI L1B. I. L1 XV 1I· Leuce, sive mesoleuce, et leucas, m. U X V 11I. Leucographis, t. LXX 1X. Medion, m. LXXX. Myiosota, «ire Myosotis, m. LXXXI. Myagros, >. LXX X I 1. Nyma, i. LXXXI1I. Natrix, i. LXXXIV. Odontitis, i. LXXXV. Othouna, m. LXXXVI. Onosma, i. LXXXVU. Onopordon, v. LXXXVIII. Osyris, i t . LXXX 1X . Oxys, u. XC. Polyanthemum, sive batrachios, m. XC1. Polygonum, sive thalassias, sive carcinetbron, sive dema, sive myrtopetalos, quae sanguinaria, sive oreos : genera iv. Medici­ nae XL1II. XCI1. Pancratium, xu. XCUl. Peplis, sive syce, sive meconion aphrodes, ui. XC1V. Periclymenon, v. XCV. Pelecinum, 11. XCVI. Polygala, 1. XCVII. Poterion, sive phryuion, sive nearas, iv. XCTUI. Phalangites, sive pbalangion, sive leucacanlhon, iv. XC1X. Phytenma, 1. -C. Phyllon, >. CI. Phellandrion, 11. CII. Phalaris, u. C1II. Polyrrhizon, 1. CIV. Proserpinaca, v. CT. Rhacoma, xxxvi. CTI. Reseda, 11. CYII. Sioechas, 111. CVI1I. Solanum, quam Graeci strychnon, 11. CIX. Smyrnium, x x x i i . Sinon, u. CX. Telephium, iv. CX1. Trichomanes, v. CX1I. Thalilruum, 1. CX11I. Thlaspi, iv. CXIV. Trachinia, 1. CXV. Tragonis, 1. CXTI. Tragos, sive scorpio, iv. CXTII. Tragopogon, 1. CXVI1I. De aetatibus herbarom. CXIX. Quomodo cojusque vires efficaciores. CXX. Gentium vitia diversa.

Scnu : Medicinae, et historiae, et observatio­ nes, nccii.

*



77. Della leuce, o mesolenco, e leuca, 3. 78. Delia leucografe, 5. 79. Del medio, 3. 80. Della miosota, o raiosoti, 3. 81. Del miagro, 1. 8a. Delia nima, 1. 83. Della natrice, 1. 84· DelFodontile, t. 85. DeU'otouna, 3. 86. DelPonosma, 1. 87. DelPonopordo,. 5. 88. Deir-osiri, 4. 89. Dell’oti, a. 90. Del polianlemo, o batrachio, 3. 91. Del poligono, o talassia, o carcinelro, o ete­ rna, o mirtopetalo, ch’ è la sanguinaria, ovvero oreo : specie 4· Medie. 43. 93. Del pancrazio, 12. 93. Del peplo, o sice, o meconio afrode, 3. 94. Del periclimeno, 5. 95. Del pelecino, 2. 96. Della poligaia, 1. 97. Del poterio, o frinio, o neurada, 4· 98. Del'falangite, o falangio, o laeucanto, 4· 99. Delia fiteuma, 1. 100. Del fillon, 1. :o i. Del felandrio, 2. loa. Del falari, 2. io 3. Del polirriio, 1. 10Ì. Delia proserpina, 5. 105. Delia racoma, 36. 106. Delia reseda, 2. 107. Delia steca, 3. 108. Del solano, che ì Greci chiamano selan» strieno, 2. 109. Dello smirnio, 32. Del sino, 1. 110. Del telcfio, 4· 111. Del tricomaue, 5. 112. Del talitruo, 1. n 3. Del tlaspo, 4· 114. Delia trachinia, 1. 11 5. Del tragoni, 1. 116. Del trago, o scorpio, 4> 117. Del tragopogo, 1. 118. Sopra l'età delle erbe. 1 19. Come sia ciascuna di maggiora virtà. 120. Vizii diversi tra le genti.

S om m a :

tra medieine, storie e osservasioai 70».

>kk

c. PUNII SECONDI

φ EX AUCTORIBUS

AUTORI

Pompejo Lenaeo. — Sexlio Nigro, qoi graece scripsit. — Julio Basso, qui item. — Antonio Ca­ store. — Corn. Celso.

Pompeo Leneo. — Sestio Nigro, «he sor Use in greco. — Giulio Basso, che del pari. — Anto­ nio Castore. — Cornelio Celso.

EXTERNIS

STRANIERI

Theophrasto. — Apollodoro Citiense. — De­ mocrito. — Aristogitone. —* Orpheo. — Pytha­ gora.— Magone.— Menandro,qui B/o*fWT« seri* psit. — Nicandro.

Teofrasto. — Apollodoro Citiense. Demo­ crito. — Aristogitone. — Orfeo. — Pitagora. — Magone.— Menandro, che scrisse 1« Biocriste . — Nicandro.

MEDICIS

MEDICI

Mnesitheo, et celeris iisdem, qaibus ra priore libro.

Meesiteo, e gli altri citati nel libro prece­ dente.

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— Ψ ----

LIBRO XXVIII CotmRBBTPE medici bab bx asinalibus. 1 et II. Ex homine remedia.

IIL An sit in medendo verborum vis aliqua. IV. Ostenta et sanciri, et depelli. V. (*Varii mores*). VI. Ex viro medicinae, et observationes, ccx*ei : pnero, vm. VII. (* Ex saliva. VIII. Ex sordibus anriam. IX. Ex capillo, dente, ete X. Ex sanguine, Venere, etc. XI. Ex mortuis. XII. Magorum commenta vari*. XIII. Ex sordibas hominis. XIV. Ab animo hominis pendentes aaedicinae. XV. Ex sternutamento. XVI. Ex Venere. XVII. Promiscua remedia. XV II I. De urina. XIX. Auguria valetudinis ex urina*). XX. Ex muliere, medictae xli. XXI. (*Ex lacte mnlieris. XXII. Ex saliva mulieris. XX II I. Ex mensibns *). XX? V. Ex peregrinis animalibus: elephante, vui. XXV. Leone, x. XXVI. Camelo, x. XXVII. Hyaena, lixjx .

LIBRO xxvm CoevaeooMi u « w q u i ena ss tiagooio DAGLI A BUCALI.

i e 2. Medicine che traggonsi dall'uomo. 3. Se nel medicare abbiano alena petere le parole. 4- Dei prodigii da osservare, o negligere. 5. Fa r ii costumi. 6 Medicine che si traggono dalTneno, « osser­ vazioni a26 : da' fanciulli, 8. 7. Dalla sciliva. 8. Dalle brutture delle orecchie. 9. Dai capelli, dai denti, eoe. 10. Dal sangue, dal coito, ecc. 11. Dai morti. ia. Varie inventioni de’ magi. 13. Dal loto dell*uomo. 14. Medicine che procedono dell* animo delΓ uomo. 15. Dallo starnuto. 16. Dal coito. 17. Rimedii promiscui. 18. DelPorina. 19. Augurii di sanivi traili dell'orina. ao. Medicine 4 1 tratte dalle donne, ai. D al latte della donna. аа. Dalla sciliva della donna. a3. Da' menstrui. Dagli animali forestieri : deU’clefote· 8. a5. Dal leone, 10. аб. Dal cammello, 10. 37. Della iena, 79.

•45

HISTORIARUM MUNDI L1B. I.

XXVIII. Crocodilo, xxi. Crocodilea, xi. XXIX. Chamaeleone, xt. XXX. Scinco, iv. . XXXI. Hippopotamo, vn. XXXII. Lynce, v. XXXIII. Medicinae communes ex animalibus fe­ ris, aut ejusdem generis placidis. Laciis usus, et observationes, l i v . XXXIV. De caseis, x i i . XXXV. Butyro, xxv. XXXVI. Oxygala, i. XXXVII. Adipis usus, et observationes, mi. XXXVIII. De sevo. XXXIX. De medulla. XL. Felle. XLI. Sanguine. XL1I. Privatae ex animalibus mediciuae digestae in morbos. (* Contra serpentes *). — Ex cer­ vis. — Hinnuleo. — Ophione. — Apro. — Ca­ pris, et hoedis. — Asino. XL11I. (* Contra canis rabidi morsus * ). — Ex vi­ tulo. — Hirco. — Diversis animalibus. XLIV. (* Contra veneficia. XLV. Contra venena. XLVI. Ad caput, et alopecias. XLV1I. Ad o c u lo r u m Titia. XLV11I. Ad aurium dolores, et vitia. XL1X. Ad dentium dolores. L . Ad faciei vilia. LI. Ad tonsillas, et strumas. L ll. Ad cervicum dolores. LUI. Ad tussim, et sanguinis cxcrealiones. L1V. Ad stomachi dolores. LV. Ad jocineris dolores, et suspiria. LVI. Ad lumborum dolores. LVU. Ad lienem sanandum. LV1I1. Ad alvum. LIX. Ad tenesmum, lineas, colum. LX. Ad vesicam, et calculos. LXI. Ad genitalium el sedis vitia. LX11. Ad podagram et pedum dolores. LXUl. Ad comitialem morbum. LX1V. Ad morbum regiam. LXV. Ad ossa fracta. LXV1. Ad febres. LXVU. Ad melancholicos, lethargicos, phthi­ sicos. LXVUI. Ad hydropicos. LX1X. Ad ignem sacrum, et eruptiones pituitae. LXX. Ad luxata, ad duritias, et furunculos. LXXI. Ad ambusta*). De glutino taurino pro­ bando, et medicinae ex eo, vn. LXXII. I* Ad nervorum dolores, et contusa.

,46

a8. Dal crocodilo, ai. Delia crocodilea, u . ag. Dal caroeleone, i 5. 30. Dallo scinco, 4· 3 1. Dall’ ippopotamo, 7. з а. Del lupo cerviero, 5. 33. Medicine comuni tratte dagli animali salvalichi, o da* domestici della stessa· spede. Usi del latte osservazioni, 54. 34· D e'caci, ia. 35. Del burro, a5. зб . Del latte acido, 1. 37. Usi della sugna a osservazioni 5a. 38. Del sevo. 39. Della midolla. 40. Del fiele. 4 1. Del sangue. 4a. Medicine speciali tratte da aoimali per tulle le malattie. Contro i serpenti. — Dai cer­ vi. — Dal cerviatlo. — Dall'ofio. — Dal cinghiale. — Dalle capre e dai capretti. — Dall'asino. 43. Contro il morso del cane arrabbiato. — Dal vitello. — Dal becco. — Da varii altri animali. 44· Contro le malie. 45. Contro i veleni. 46. Ai mali del capo, e alla tigna. 47. Ai mali d'occhi. 48. Ai dolori e mali d'orecchie. 49. Ai dolori dei denti. 50. Ai difetti del viso. 5 1. Alle tonsille e alle scrofe. 5a. Ai dolori ddla collottola. 53. Alla tosse e al recere sangue. 54. Ai dolori dello stomaco. 55. Ai dolori del fegato, e ai sospiri56. Ai dolori de' lombi. 57. A risanare la milza. 58. A ristagnare il corpo. 59. Al mal de' pondi, ai vermini, ai dolori colici. 60. Alle doglie d'orina e al mal di pietra. 61. Alle malattie de'membri genitali e del fonda­ mento. 62. Alla gotta e a' dolori de' piedi. 63. Al mal caduco. 64. Al morbo regio. 65. Alla frattura delle ossa. 66. Alla febre. 67. A' maninconici, letargici, tisici. 68. 69. 70. 71.

A' rilruopici. Al fuoco sacro, c agli umori della flemma. A' membri sconci, alle durezze, ai Agnoli. Alle incollure. Della colla bovina da sceglie­ re, e medicine, che se ne fanno, 7. 72. Ai dolori de' nervi, e alle contusioni.

C. PLINII SECUNDI

147

LXX 11I. Ad sanguinem sistendum. LXXIV. Ad ulcera, et carcinomata. LXXV. Ad scabiem. LXXVI. Ad extrahenda qnae sunt infixa corpori, et ad cicatrices sanandae. LXXVU. Ad muliebria mala*). LXXV 1II. Ad iufantium morbos. LXX 1X. (* Ad somnum et sudorem. LXXX. Ad Venerem, et ebrietatem. LXXXI. Mira de animalibus*).— Snnt medici­ nae ex apro, xii. — Sue, l x ; — Cervo, m ; — Lupo, xxvu ; — Urso, xxiv ; — Onagro, xii ; — Asino, l k x v i ; — Polea, ui ; — Equifero, xi; — Equulei coagulo, i ; — Equo, x l i i ; — Hip­ pace, i ; — Bobus feris, u ; — Bove, l x x x i . — Tauro, l u i ; — Vitato, l i x ; — Lepore, l x i ? ; — Volpe, xx ; — Mele, n ; — Fele, ▼; — Ca­ pra, cxvi ; — Hirco, xxxi ; — Hoedo, xxi.

S omma : Medicinae, et historiae, el observationes,

73. A ristagnare il sangue. 74· Alle ulcere, e piaghe infistolite.

75. Alla rogna. 76. A estrarre ciò che s’ è infisso nelle membra, e a levare le margini delle piaghe. 77. Ai mali delle donne. 78. Ai mali de* bambini. 79. Al sonno e al sudore. 80. Alla lussuria e all'ubbriachezza. 81. Maravigliose cose d’ animali. — Traggonsi medicine dal cinghiale, 12. — Dal porco, 60 ; — Dal cervo, 3 ; — Dal lupo, 37 ; — Dall'orso, 2$; — Dall'onagro, 1 2 ;— Dal­ l'asino, 76 ; — Dallo sterco del feto asine­ sco, 3 ; — Dal cavallo salvalico, 11; — Dal coagulo del puledro, 1 ; — Dal cacio caval­ lo, 42 ‘* — Da'buoi salvatichi, 2; — Dal bue, 81 ; — Dal toro, 53 ; — Dal vitello, 59; — Dalla lepre, 64; — Dalla volpe, 20; — Dal martorn, 2; — Dal gatto, 5 ; — Dalla capra, 116; — Dal becco, 3 »; — Dal ca­ pretto, 11. Somma : fra mediciue, storie e os«ervazioni 1682.

MDCLXXXII.

EX AUCTORIBUS

AUTORI

M. Varrone. — L. Pisone. — Fabiano. — Va­ lerio Antiate. — Verrio Flacco. — Catone censo­ rio. — Servio Sulpicio. — Licinio Macro. — Celso. — Masurio. — Sextio Nigro, qai graece scripsit. — Bytho Dyrracheno. — Opilio medico. — Granio medico.

Marco Varrone. — Lacio Pisone. — Fabiano. — Valerio Amiate. — Verrio Flacco. — Catone Censorino. — Servio Sulpicio. — Licinio Macro. — Celso. — Masurio. — Sestio Nigro, che scrisse in greco. — Bito Dirracheno. — Opilio medico. — Granio medico.

EXTERNIS

STRANIERI

Democrito.— Apollonio, qai Mc?fatvtv. — Mi­ leto. — Artemone. — Sextilio. — Antaeo. — Ho­ mero.— Theophrasto.— Lisimacho. — Attalo. — Xenocrate. — Orpheo, qui ΔιφΜΐΎ. — Archelao, qui i lem. — Demetrio. — Sotira.— Laide,— Ele­ phantine. — Salpe. — Olympiade Thebana. — D io lim o Thebano. — lolia. — Mictone Smyroaeo. — Aeschioe medico.— Hippocrate. — Ari­ stotele. — Metrodoro. — Icetida medico. — He­ siodo. — Dalion?. — Caecilio. — Bione, qui 68

nio Gracchano. — Attico Pomponio. — Muciano. — Calvo Licinio. — Boccho. — Fetiale. — Fene­ stella. — Valerio Maximo. — Julio Basso, qui de Medicina graece scripsit. — Sextio Nigro, qui item. — Marso poeta. — Fabio Vestale.

— Giunio Graccano. — Attico Pomponio. — Muciano. — Carlo Lioinio. — Bocco. — Feriale. — Fenestella. — Valerio Massimo. — Giulio Basso, che scrisse in greco sulla medicina. — Sesiio Nigro, che del pari. — Marso poeta. — Fabio Vestale.

EXTERNIS.

STRANIERI

Democrito. — Theophrasto. — Juba. — Ti­ maeo historico, qui de Medicina metallica scri­ psit. — Heraclide. — Andrea. — Diagora. — Botrye. — Arcbidemo. — Dionysio. — Aristogene. — Deraocle. — Mneside.— Attalo medico. — Xe­ nocrate Zenonis. — Theoronesto. — Nymphodoro. — lolla. — Apollodoro. — Pasitele, qui Mira­ bilia opera scripsit.— Antigono qui de Toreutice. — Menaechmo item.— Xenocrate, qui item.— Duride, qui item. — Menandro, qui de Toreutis. — Heliodoro, qui de Atheniensium Anathematis. — Metrodoro Scepsio.

Democrito. — Teofrasto. — Giuba. — T i­ meo storico, che scrisse della medicina metallica. — Eraclide. — Andrea. — Diagora. — Boi rie. — Archidemo. — Dionisio. — Aristogene. — Dé­ modé. — Mneside. — Alialo medico. — Senocrate di Zenone. — Teonnesto. — Niufodoro. — lolla. — Apollodoro. — Pasitelle, che scrisse mirabili opere. — Antigono, che scrisse dell'arte di scolpire. — Menecmo, che del pari. — Senoera te, che del pari. — Duride, che del pari. — Meuandro, che scrisse dei rilievi. — Eliodoro, che scrisse sugli anatemi degli Ateniesi. — M·trodoro Scepsio.

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LIBRO XXXIV

LIBRO XXXIV

CORTIREKTOR A«BIS MBTALLA.

S l ΤΗΑΤΤΛ DBLLB MIN1EKB DEL RAME.

I . Aeris metalla. II. Genera aeris. III. Quae Corinthia. IV. Quae Delìaca. V. Quae Aegineliea. VI. De candelabris. VII. De Ifemplorura ornamentis ex aere. VIII. De tricliniis aereis. * IX. Quod primum dei simulacrum Romae ex aere factam. De origine statuarum, et honore. X. Statuarum genera et figurae. XI. Quibus primum publice positae: quibus pri­ mum in eolumna : quando rostra.

XII. Quibus externis Romae publice positae. XIII . Quae prima Romae statua equestris publice posita, et qnibus Romae mulieribus in publi­ co positae. XIV. Quando omnes privatim et publice statuae ex publico sublatae. XV. Quae primae ab externis publice positae. XVI. Fuisse antiquitus in Italia statuarios. XVII. De pretiis signorum immodicis. XVIII. De colonis in urbe celeberrimis.

1.

Delle cave de! rame.

а. Specie dei rarae. 3 . Del Corintio. 4. Del Deliaco.

5. Dell' Eginelico.

б. 7. 8. 9.

De’ candelieri.

Degli ornamenti di rame pei templi. Dei triclinii di rame. Quale fu la prima statua di rame a Roma. Dell'origine e onore delle statue. 10. Specie e figure delle statue. 11. A chi furono poste la prima volta in pub­ blico : a chi la prima volta sopra colonne : quando furono posti i rostri, ìa. A quali stranieri furono pubblicamente poste in Roma. 13. Quale fu la prima statua equestre posta pub­ blicamente in Roma, e di quali donne ne furono poste in pubblico. 14. Quando tulle le statue sì pubblicamente che privatamente furono lolle vie del pubblico. 15. Quali furono le prime poste in pubblico fra gli stranieri. 16. Che ci furono in Italia anticamente statuarii. 17. Dei precetti esorbitanti delle statue. 18. Dei colossi ctlebratissimi di Roma.

HISTORIARUM MUNDI LIB. 1.

«*>

XIX. Nobilitates ex aere operam, et artificum,

170

19. Eccellenti opere e artefici in rame, 366.

CCCLXVI.

XX. Differentiae aeris, et mixturae. De pyropo. De Campano aere. XXI. De servando aere. XX1J. De cadmia. XXIII. Medicinae ex ea xv. Aeri· usti effectas in medicina. XXIV. De scoria aeris : XXV. De stomomate aeris : medicinae ex his itv n . XXVI. Aerugo. Medicinae ex ea xtii. XXVH. Hieracinm. XXVIII. Scolex aeris : medicinae ex eo, xv». XXIX. De chalciti : medicinae ex ea, t u . XXX. Sory : medicinae ex eo, vm. XXXI. Hisy : medicinae ex eo, xiv. XXX I I . Chalcanthum, sire atramentum auto· ritun : medicinae ex eo, xvi. XXXUI. Pompholyx t XXXIV. Spodium : medicinae ex bis, vi. XXXV. Antispodii genera, xv. XXXVI. Spegma. XXXVII. De diphryge. XXXVII I . De triente Servilio. XXXIX. De ferri metallis. XL. Simalacra ex ferro. Caelaturae ex ferro. X U . Differentiae ferri, et temperatura. XL 1I. De ferro quod vivum appellant. X L lll. Rubiginis remedia. X U V . Medicinae ex ferro, v i i . XLV. Medicinae ex rubigine, xiv. XL Vi. Medicinae ex squama ferri, xvn. Hygremplastrum. XLV1I. De plumbi metallis : de plumbo albo : de nigri origine duplici. XLV1II. De stanno : de argentario. XLIX. De plumbo nigro. L. Ex plumbo, medicinae xv. LI. Ex scoria piambi, medicinae xvi. LII. Spodium ex plumbo. L 1U. De molybdaena : medicinae ex ea, xv. LIV. De psimmylhio, sive cerussa, medie, vi. LV. Sandaracba : medicinae ex ea, xi. Arsenicum.

ao. Differenze e misture del rame. Del piropo. Del rame Campano, a i. Del modo di conservare il rame. аа. Della cadmia. a3. Medicine, che se ne fanno, i 5. Effetti in medicina del rame brucialo. a4· Della scoria del rame. a5. Dello stomomate del rame : medicine, che se ne fanno, 47. аб. Della ragine. Medicine, 17. V). Del ieracio. a8. Della scolecia del rame: medicine 17. 39. Del calcile : medicine 7. 30. Del sori : medicine 8. 31. Del misi : medicine 14. з а. Del calcanto, o inchiostro da calzolai : me­ dicine 16. 33. Della ponfolige : 34· Dello spodio : medicine tratte da essi, 6. 35. Specie delPantispodio, i 5. зб . Dello spegma. 37. Del difrige. 38. Del triente Servilio. 39. Del ferro e sne miniere. 40. Delle statae di ferro. Scollar· nel ferro. 41. Differente e tempera del ferro. 4a. Di quello che appellano ferro vivo. 43. Rimedii alla rogine. 44· Medicine che si traggono dal ferro, 7. 45. Mediciue che dalla rugine, i 4· 46. Medicine che dalla squama dd ferro, 17. Dell' igremplasto. 47· Del piombo e sue miniere : del piombo bian­ co di doppia origine del nero. 48. Dello stagno : del piombo argentario. 49. Del piombo nero. 50. Medicine, che si fanno del piombo, i 5. 5 1. Medicine, che della scoria del piombo, 16. 5a. Dello spodio del piombo. 53. Della molibdena : medicine i 5. 54. Del pimmiiio, o biacca, medie. 6. 55. Della sandraca : medie. 11. Dello arsenico.

S c n u : Medicinae, et historiae, et observationes,

S o m a : fra medicine, storie e osservazioni, 915.

DCCCCXV.

EX AUCTORIBUS Iisdem, qaibas anteriore libro.

AUTORI Sono i citati nel libro precedente.

ι 7ι

i7a

G. PUNII SECONDI

LIBRO XXXV COKTIVBTVE DE FICTCBA BT COLOJUBCJ. I. Honos picturae. II. Hooot imaginum. IH. Quando primum clypei imaginum instituti : et quando primum in publico positi. IV. Quando in domibus. V. De piclurae initiis : de monochromatis pictu­ ris : de primis pictoribos. VI. Antiquitas picturarum in Italia. VII. De pictoribus Romanis. V ili. Quando primum externis picturis dignitas Romae. IX. Quando primum dignitas picturae, et quibus publice Romae. X. Qui victorias suas pictas proposuerunt. XI. Ratio pingendi. XII. De coloribus nativis, et de coloribus factitiis, et de pigmentis, praeter metallica. XIII.De sinopide : medicinae ex ea, xi. XIV. De rubrica : de terra Lemnia : med. ex ea, ix. XV. De Aegyptia terra. XVI. De ochra. XVII. Leucophorum. XVIII. Paraetonium. XIX. Melinum : medie, ex eo, τι. XX. Cerussa usta. XXI. Eretria terra : medie, ex ea, τι. XXII. Sandaracha. XXIII. Sandyx. XXIV. Syricum. XXV. Atramentum. XXVI. Purpurissum. XXVII. Indicum : medicinae ex eo, it. XXVIII. Armenium : medicina «x eo, i. XXIX. Viride Appianum. XXX. Annulare. XXXI. Qai colores udo non inducantur. XXXII. Qaibus coloribus antiqui pinxerint. XXXIII. Quando primum gladiatorum pugnae et picturae propositae sint. XXXIV. De aetate picturae : nobilitates operum, et artificum in pictara, ccct. XXXV. Picturae primam certamen. XXXVI. Qui penicillo pinxerint, et quae quis primus invenerit in pictura, et quid difficil­ limum in ea.

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d il l a f it t u » a b d b ’ c o l o b i .

i . Della nobiltà della pittura. а. Della nobiltà delle imagini. 3. Quando si cominciò usare di scudi con so­ prani imagini : e qaando si posero la prima volta in pubblico. 4. Quando nelle case. 5. Del principio della pittura : della pittura d'un color solo : dei primi pittori. б . Antichità delle pitture in Italia. 7. De* pittori Romani. 8. Qaando s'ebbero in riputaxione le pitture estere in Roma. 9. Qaando la pittura cominciò salire in dignità, e quali pubblicamente furono in credit· a Roma. 10. Di quelli che fecero dipingere le proprie vittorie. 11. Del modo di pingere. ìa. Dei colori naturali, e de* fittixii, e della bel­ letta, oltre i colori che si Canno dai metalli. 13. Della sinopia : medicine, che se ne fanno, 11. 14. Della terra rossa : della terra Lennia : medi­ cine 9. 1 5. Della terra Egizia. 16. Della ocra. 17. Del leocoforo. 18. Del paretonio. 19. Del melino : medie. 6. ao. Della biacca bruciata. a i. Della terra Eretria : medie. 6. аа. Della sandaraca. a 3. Del sandice. a4· Del sirico. a5. Del trementaio. аб. Della porporioa. 37. Dell' Indico : medicine 4· a8. Dell* Armenio : medicin. 1. 39. Del T e rd e Appiano. 30. Dell*anulare. 3 1. Quali colori non si mettano in fresco. з а. Con quali colori pingessero gli antichi. 33. Qaando furono la prima Tolta dipinte le pugne dei gladiatori, ed esposte in pub­ blico. 34. Dell* età della pittura : eccellenti opere, · artefici in pittura, 3o5. 35. Prima gara in pittura. зб . Di quelli che pinsero col pennello, e di chi fece qualche invenzione in queU'art·, « in che si· la somma difficoltà di essa.

HISTORIARUM MUNDI L1B. I.

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XXXVII. De generibus picturae. XXXVIII. De aviam canta compescendo. XXXIX. Qai encausto et penicillo pinxerint. Quii primas lacunaria pinxerit: quando primum camerae pictae. Prelia mirabilia pi­ ctura rum. XLI. De encausto. XLII. (* De vestiam pictara *). X L I 1I. Plastices primi inventores. XL 1V. Quis prnamenti, appellavere, eum nos, a perfecta ahsolotaqne eie· ( t a t ù , mundum, Coelum qaidem· haud dubie c e d a li argomento didmoa, ot interpretator M. Varro. Adjuvat rerum ordo, descripto circulo, q a i signifer vocator, in doodecim animalium effi­ gies, et per illa· solia cursus eonfroena tot acco­ lis ratio.

4· qoesto sono io coi parere di tutto Ia persone. Perciocché quello che i Greci chiama­ rono cosmo, con nome d'ornamento, noi ancora per la sua perfetta eleganxa Tabbiam chiamato mondo. Chiamiamolo ancor cielo, come lo ioterpreta M. Varrone, per essere egli celato, cioè scolpito. Ciò ne conferma P ordine delle cose, essendo disegnato il circolo, che si chiama Zo­ diaco, in dodici figure d’animali, per le qaali si gira il «ole, già tanti anni sono senta mai fer­ marsi.

D b aunuim s st i u i i t u .

D igli tLxmtrri ■db* piaubti

IV. 5. Non veggo ancora, cha niono dubiti, IV. 5. Nec deelamentia video dobilari qnatuor che gli elementi non sien qaattro. Quel del fuoco eaeaae. leniam sammum ; inde tot ateUaram colil primo, il più alto, onde veggiamo gli occhi loceaiiom illoi oculos. Proximam spirita»» qoem di tante (acidissime stelle. Vicino a questo è Io Graeci nostriqae eodefa vocabolo «era appellant; spirito, il quale i Greci e i nostri con an mede­ vitalem boae, et per enneta rerom meabilem, simo vocabolo chiamano aere. Questo è quello totoqne oonaertom. Hojos vi suspensam, com elemento, che ci dà la vita, e passa per tutta quarto aqoarom elemento, librari medio spatio la cose, ed è inserto oel tatto, e la terra sospesa telis rem. Ita matoo complexo diversitatis effici dalla forza d’esso, si sta bilaaeiata nello spatio nexam, et levia ponderibos inhiberi qoo minos di metto, col quarto elemento dell’acqua. E eoal evolent, controque gravia, ne ruant, snependi leabbracciandosi insieme gli elementi, si viene a vibos in «obiime tendentibus. Sic, pari in diverso fare un nodo di diversità ; onde le cose leggieri niso, in sno qoaeqoe eoosistere, irrequieto mondi sono ritennte dalle gravi, perché elle non volino; ipsios constricta dreoito : qoo semper in se cor* e all'incontro acciocché le gravi non rovinino rente, imam atqoe mediam in toto esse terram, in giù, sono sospese dalle leggieri, che vanno eamdemqne aniversi cardine stare pendentem, librantem per qnae pendeat; ita solam immobilem all' insù. Così con pari sforzo, tirando ciascuna •irea eam volabtli universitate, eamdemex omaiin diversa parte, per la lor forza vengono a fer­ baa necti, eidemqoe omnia inniti. marsi , essendo ristrette insieme dal continuo circuito d’esso mondo : il quale correndo sempre in aè medesimo, la terra viene ad essere la piè bassa in metzo, e stasai sospesa sul perno del­ l'universo, e tiene sospesi quegli elementi, par li quali essa pende. E così ella sola sta immobile, girandosi gli altri intorno a lei ; e la medesima è collegata da tutti gli altri, e tatti gli altri si appoggiano a lei. Fra la terra e il eielo, per Io medesimo 6. later hanc coelomqoe eodem spirita pen­ 6. spirilo, pendono selle stelle separate ira laro dent, cerlie discreta spatiis, septem sidera, qaae con certi spatii, le quali per il moto loro chia­ ab inaerai voeamna errantia, qoom errent nolla miamo stelle erranti, dove non ce n' è ninna, m nae illis. Eorum medias sol Certor, amplissima magaitediae ac potestate ; neo temporom modo ch'erri meno d'esse. Per mezzo di queste va il icm rnm qoe, sed sideram etiam ipsorum coeliqae sole d'infinita grandezza e possanza, il quale non solo è rettore de'tempi e della terra, ma rector. Hone mondi esse totius animam aeplaoias ancora delle stelle istesse e del cielet E chi co n ­ ■ calat, bone principale natone regimen ac na­ s c a credere decet, opera ejos aestimantes. Hic sidera bene l’opere di esso, dovrà crederà, che locem rebus ministrat, aufertqoe tenebras; bic egli sia l'anima di tutto il mondo, anzi pio ttosto r d i q u sidera occultat, illustrat; hic vices tempo- la mente, e il principal reggimeoto e divinità della natura. Questo è quel che ministra la laoe, rom amaomque semper renascentem ex asu natu­ rae temperat; biceoelrtristitiam discutit, atqoe e leva le tenebre dalle cose ; questo nasoonde le altre stelle, e questo secondo l'uso della natura etiam humani nubila animi serenat; hic soum tempera le scambievoli mutazioni de’ tempi, e lam a ceteria qooqoe sideribus fenerat: praecla­ Tanno, che sempre rinasce : questo discaccia la ras, eximia·, omnia inluens, omnia etiam exau-

C. PLINII SECUNDI

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4ieoi, ul principi li teraram Homero placuisse

in uno eo video.

D b D bo.

mestizia del cielo, e rasserena aneora i angoli dell'animo umano ; questo presta il soo lame ancora alle altre stelle, e come chiarissimo « grandissimo ch'egli è latte le cose risgaardt, e latte le ode, siccome io veggo esser pisciato ad Omero principe delle lettere. Di Dio.

7. E però io giudico debolezza umana il V. 7. Quapropter effigiem Dei formamque V. quaerere imbecillitatis humanae reor. Quisquis voler cercare la figura e forma di Dio. Qualun­ est Deas, si modo est alias, et quacumque in parte, que è Dio (se pur v 'è altro), e in qualunque parte si sia, è tatto del senso, tatto della vista, totas est sensus, totas visus, totus auditas, totus tutto del l'udito, tutto dell'animo, tutto delfini· animae, totus animi, totuj sui. Innumeros quidem credere, atque etiam ex virtutibas vitiisqae homi­ ma, e finalmente tutto di sè stesso. E veramente num, ut pudicitiam, concordiam, mentem, spem, è pazzia grandissima credere, che vi siano infi­ honorem, clementiam, fidem, aut ( ut Democrito niti dei secondo le virtù a i viziì degli nomini, placnit) duos omnino, poenam et beneficium, siccome la castità, la coneordia, la mente, h speranza, l'onore, la clemenza, la fede, 0 come majorem ad socordiam accedit. Fragilis et labo­ volle Democrito, due in tatto, la pena e il bene­ riosa mortalitas in partes ista digessit, infirmita­ tis suae memor, ut portionibus coleret quisque, fizio. Ma la debole e faticosa natura degli nomini quo maxime indigeret. Itaque numina alta aliis divise queste cose in parti, ricordandosi della gentibus, et nomina in iisdem innumerabilia re- infermità sua, acciocché ciascuno adorane in perimus; inferis quoque in genera descriptis, parti, quelle di che più avea bisogno. Noi ritro­ morbisque, et multis etiam pestibus, dum esse viamo dunque varii nomi in diverse Dazioni, e placatas trepido metu cupimus. Ideoque etiam in esse ancora innumerabili deità, essendo de­ scritti fino agli dei dell’ inferno in generi, e publice Febris fanum in Palatio dicatum est, Orbonae ad aedem Larium, et ara Malae For­ infermità, e molte pesti ancora, mentre che tunae Exquiliis. Quamobrem major coeli tum sovrappresi da spaventosa paura desideriamo pi*· populas etiam qaam hominam intelligi potest, carie. E perciò fu dedicato un tempio allaFebre in Palazzo, nel tempio dOrbona l’altare degli quum singuli quoque ex semetipsis totidem deos dei Familiari, e nel monte Esquilino alla ΜΛ faciant, Junones Geniosque odoptando sibi ; gen­ Fortuna. Onde si può stimare, che molto mag­ tes vero quaedam animalia et aliqua etiam obscoena pro diis habeant, ac mnlta dictu magis giore sia il popolo degli dei, che degli nomini, poi che tutti da sè medesimi si fanno altrettanti pudenda, per foetidos cibos et alia similia juran­ dei adottandosi le Giunoni e i Genii· Ed aiwhe tes. Matrimonia quidem inter deos credi,tantoque aevo ex his neminem nasci, et alios esse grandae­ alcuni popoli hanno per dei certi anim ali, e pnr vos semperque canos, alios juvenes atque pueros, degli sporchi, e molle cose ancora più disoneste a dirsi, giurando per cibi stom acosi, e simili altre atri coloris, aligeros, claudos, ovo editos, et al­ cose. Il creder ancora, che fra gli dei ci •*in0 ternis diebus viventes morientesque, puerilium mariti e mogli, e che per tanto tempo di loro prope deliramentorum est. Sed super omnem non nasca veruno, ch’alcuni d’essi siano veccki, impadentiam, adulteria inter ipsos fingi, mox e sempre canuti, altri giovani e fanciulli, di colot jurgia et odia, atque etiam fuGlorumesse et sce­ nero, alati, zoppi, nati d'un uovo, e di lerum numina. Deus est mortali juvare morta­ che partendo le volte fra loro, m entre che In· lem, et haec ad aeternam gloriato via. Hac proce­ res iere Romani ; hac nunc coelesti passu cum vive, l’altro si muoia, è scioccheria q0·*· ' fanciullesca. Ma vince ogni afacciatezM, «he ,r*. liberis suis vadit maximus omnis aevi rector Ve­ loro si fingano adulterii, villanie e odii, e che spasianus Augustus, fessis rebus subveniens. Hic est vetustissimus referendi bene merentibus gra­ siano ancora gli dei de' furti e delle #ce*kr*,e**^ Dìo è, che l'uomo aiuti l'altro uom o, e i oe* tiam mos, ut tales naminibas adscribant. Qaippe la via all'eterna gloria. Per questa via canna* ^ et omnium aliorum nomina deorum, et quae su­ pra retuli siderum, ex hominum nata sunt me­ rono i principi Romani, per questa ort ^ ritis. Jovem quidem aut Mercurium, aliterve alios con celeste passo, insieme co'suoi figH“ spassano Augusto il maggior principe, * inter se vocari, et esse coelestem nomenclaturam, viva, soccorrendo a» travagli del mondo. «■ quis oon interpretatione naturae fateatur? è 1' antichissimo costume, che per Γ,Ι0βΓ

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HISTORIARUM MUNDI LIB. II.

Irridendam vero, agere curam rerum hama· naram illad quidquid est summum. Anne tam tri­ tìi alqoe multiplici ministerio non pollui creda­ mus dubitemosve? Vix prope est judicare utrum magis conducat generi humano quando aliis nui· Ius est deorum respectus, aliis pudendus. Exter­ nis famulantur sacris, ac digitis deos gestant monstraqae quae colunt ; damnant et excogitant cibos; imperia dira in ispos, ne somno quidem quieto, irrogant ; non matrimonia, non liberos, aoa denique quidquaro aliud, nisi juvantibus sa­ cris, deligunt. Alii in ipso Capitolio fallunt, ac fulminantem pejerant Jovem. Et hos juvant «ce­ lerà, illos sacra sua poenis agunt.

Invenit tamen inter bas utrasque sententias medium sibi ipsa mortalitas numen, quo minus etiam plana de Deo conjectatio esset. Toto quip­ pe mundo, et locis omnibus, omnibusque horis, omnium vocibus Fortuna sola invocatur: una nominatur, una accusatur, una agitur rea, una cogitatur, sola laudator, sola arguitur, et cum eonviciis colitur: volubilis, a plerisque vero et caeca etiam existimata, vaga, inconstans, incerta, varia, indignorumque fautrix. Huic omnia expen­ sa, haic omnia feruntur accepla ; et in tota ratione mortalium,sola utramque paginam facit. Adeoque obnoxiae sumus sortis, nt Sors ipsa pro Deo sit, qua Deus probator incertos.

Pars alia et banc pellit, astroque soo eventus adsignat, et nascendi legibus; semelqoe in omnes fataros nmquam Deo decretam, io reliquam vero otiam datum. Sedere coepit sententia haec, pariterque et eruditum vulgus et rude in eam cursu vadit. Ecce fulgurum monitus, oraculorum prae­ fata, aruspicum praedicta, atque etiam parva di­ eta, in angariis sternumenta, et offensiones pe­ dam. Divus Angustus laevum prodiditsibi calceum praepostere indootum qao die seditione militari

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coloro che hanno fatto beneficio, essi sieoo posti nel numero degli dei. E certo che i nomi di tutti gli altri dei e delle stelle, che io ho raccontato di sopra, sono nati da'meriti degli uomini. E chi è, che non confessi Giove, e Mercurio, e altri altrimenti esser chiamati fra loro, ed essere la denominazione celeste per la interpretazione della natara. Ma egli è bene anche da ridere, che quel grande e supremo qualunque ei si sia, abbia la cura delle cose di questo mondo. Or non crederemo noi senza dubbio alcuno, che per cosi tristo e diverso maneggio egli venga a macchiarsi ? E certo che con difficoltà si può giudicare, qual de'due metta più conto alla generazione umana, poi che alcuni sono, che non hanno rispetto alcuno agli dei, e' altri Tanno tale, che i da vergognarsene. Perciocché servono ai sacri­ ficii stranieri, portano gli dei con le mani, e an­ che adorano i mostri, dannano alcuni cibi, e se ne vanno fantasticando de'naovi, impongono crudeli imperii a sè stessi, nè posson pure aver sonno quieto. Non fanno maritaggi, non haono cura de' figliuoli, e finalmente alcuna altra cosa non trattano, se non in quanto ne sono consi­ gliati da'sacrificii. Alcuni nel Campidoglio istesso ingannano altri, e giurano il falso per Giove folgorante : e questi nelle ribalderie sono favo­ riti, quegli altri cou tulli i lor sacrificii son puniti. Ha però la generazione umana trovatasi una deità di mezzo fra l'una e l’altra di queste due opinioni, per la quale verrebbe anche men chiara la congiettura di Dio. Perciocché in tutto il mondo, in tutti i luoghi, da tutte l'ore, con le voci di tutti è invocata la Fortuna sola: ella è nominala, ella è accusata, ella è incolpata, ella è pensata, ella lodata, ella ripresa, e con villanie adorata, ma da molli ancora è stimata e volu­ bile e cieca e incostante e incerta e varia, e fau­ trice degli uomini indegni. Costei governa ogni cosa, e da lei si riconosce il tolto ; e in tutto quanto il maneggio di questo mondo essa empie l'una e l'altra carta. E siamo tanto soggetti alla sorte, che la Sorte istessa si tien per Dio, per la quale si proova Dio essere incerto. Sonci alcnoi altri, che la rifiatano, attri­ buendo i successi delle cose agli influssi delle stelle, e alle condizioni del nascere : e questi tali vogliono, che Dio abbia deliberato una volta quel che ha ad essere di tutti, e che del rima­ nente poi non tenga conto aleono. E questa opinione è già cominciata a piacere, e non pare al volgo ignoranle, ma ancora agli uomini dotti. E di qui viene, che noi ci siamo dati a credere, che i folgori ci facciano avvertiti delle cose av-

C. PUNII SECUNDI

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prope afflictus est.Quae singula improvidam mor­ talitatem involvant, solam at inter isla certam sil nihil esse certi, nec miserias qaidqaam homi­ ne aat superbius. Ceteris quippe animantium so­ la victo· cara e«t, in qoo sponte naturae benigni­ tas «afficit; ano qaidem vel praeferendo cunctis bonis, qaod de gloria, de pecania, ambitione, superque de morie non cogitant.

Verum in his deos agere curam rerum huma­ narum credi, ex usu vitae est; poenasqae male­ ficiis aliquando seras, occupato Deo in tanta mole, numquam autem irritas esie; nec ideo proximam illi genitam hominem, at vilitate jaxta belluas esset. Imperfectae vero in homine naturae prae­ cipua solatia, ne Deum quidem posse omnia. Namqae nec sibi potest mortem consciscere, si velit, quod homioi dedit optimum in tantis vitae poenis; nec mortales aeternitate donare, aat re­ vocare defunctos ; nec facere ut qui vixit non vi­ xerit, qui honeresgessit non gesserit; nulluraqae habere ia praeterita jus, praeterquam oblivionis ; atque (at facetis quoque argumentis societas haec eum Deo copuletur) ut bis dena viginti non sint, ac multa similiter, efficere non posse : per quae declarator haud dubie natarae potentia, idqae esse qaod Deam vocamus. In haec divertisse non fuerit alienam, vulgata propter assiduam quaestionem de Deo.

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venire, che gli oracoli sappiano le cose innanti, e gl’ indovini le predicano, tanto che fino a piecoli starnati, e i percotimenti di piedi si mettono fra gli angarii. L'imperadore Angusto ebbe t dire, com'egli s'avea messa la calza manca in cambio della ritta, qael giorno che fu qatsi morto da*soldati ammutinati. E tutte queste cose aggirano gli uomini poco accorti, tanto che la più certa cosa, che sia fra esse, è il non esservi nulla di cerio, e che non vi sia cosa alcuna pià infelice, nè pià superba delPuomo. Perciocché gli altri animali non hanno cura d'altro se non del vitto, nel qaale la benignità della natura supplisce loro abbastanza. Oltra di ciò hanno ancora una cosa, la qual merita d* esser post* innanzi a tutti i beni, ch'essi non pensano punto nè alla gloria, nè a* denari, nè all'ambizioue, nè alla morte. Ma però in queste opinic*· torna bene a eredere, che gli dei abbiano cura delle eoee del mondo ; e che se ben lalora i maleficii tardi son puniti, ciò avvenga per esser· Dio occupato in tanta macchina, non già che mai ne vadano esenti. Nè perciò l'uomo fu generalo prossimo a Dio, acciocché per vililà fosse presso alle be­ stie. Bene è vero, che principal conforto ddls imperfetta natura dell' u o m o è questo, che nè anche Dio può ogui cosa. Perciocché egli non si può uccider da sè stesso, quando anche et volesse : la qual cosa fu dala per ottimo conforto all'uomo in tanti travagli di questa vita : aè può ancora fare gli uomini immortali, o ritornare i morti in vita, nè fare che chi è vissuto, noo sia visso, chi ha avolo degli onori, non gli abbia avuti, e in somma egli non ha ragione a la rn e nelle cose passate, fuor che l'oblivione ; e ( p e r unire ancora con faceti argomenti- questa com­ pagnia con Dio) e'non può fare, che due vo lta dieci non sian venti, e molte altre simili eoee : per le quali ragioni si viene a conoscere la poesanza della natura, esser quello, che noi chia­ miamo Dio. Nè però sarà stato fuor di prope­ silo, aver fatto questa digressione, per la contiatta investigazione, che si fa di Dio. D e l l a v a tu b a d b lle st bllb b e b a n ti.

r VI. 8. Hinc redeamus ad reliqua naturae sidera, VI. 8. Ora torniamo alPaltre cose della a e quae affixa diximus mando. Non illa, at existi­ tura. Le stelle, che noi diciamo essere appiccate mat vulgus, singulis attributa nobis, et clara di­ al cielo, non sono, come sì crede il volgo, a U rivitibus, minora pauperibus, obscara defectis, ac bui te a ciascun di noi, le chiare a' ricchi, l e mi­ pro sorte cajusqae lucentia, adnumerata mortalinori a’ poveri « le scure agli storpiati, e eoeà bos; nec eum suo qaaeqae homine orta moriunsecondo la sorte di ciascuno a chi piè, e a ehm. meno rilucenti : nè alcuna d'esse nata co l « a » tnr, nec aliquem exstingui decidua significant Non tanta coelo societas nobiscam est, at nostro uomo muore insieme con esso ; nè anche q u a n d o foto mortalis sit ibi quoque sideram fulgor. Illa elle cascano, significano che alcun mnoia. N o ia

aoi

HISTORIARUM MUNDI LIB. U.

nimio alimeli io tracti humoris ignea vi abun­ dantiam reddant, qaam decidere creduntor : at •pad nos qaoqae id, luminibus accensis, liquo­ re olei notamus accidere. Ceteram aeterna eat coelestibus natura, intexentibus mandam, iatextaqoe concretis; potentia autem ad terram ma­ gno pere eorum pertinens, quae, propter effectu» daritateroqae et magnitudinem, in tanta subtili­ tate nosci potuerant, sicut auo demonstrabimus loco. Circulorum quoque coeli ratio in terrae mentione aptias dicetur, qaando ad eam lota pertinet, signiferi modo inventionibus nou dila­ tu. Obliquitatem ejus intellexisse, hoc est rerum fores aperuisse, Anaximander Milesius traditur, primos, olimpiade quinquagesima oclava. Signa deinde in eo Cleostratus, et prima Arietis ac Sa­ gittarii. Sphaeram ipsam ante multo Atlas. Nuuc, relicto mondi ipsius corpore, reliqua inter coe­ lum terràsque tractentur.

Summum esse quod vocant Salami sidas, ideoqoe minimam videri, et maximo ambire cirtalo, ac tricesimo anno ad brevissima sedis saae principia regredi, certam est. Omnium autem er­ rantiam siderum meatus, interque ea Solis et La­ nae, contrariam mundo agere cursum, id est lae­ vum, illo semper in dexteram praecipi ti. Et quamvis assidua conversione immensae celeritati· attollantur ab eo, rapianturque in occasum, ad­ verso tamen ire motu per suos quaeque passui, lia fieri, ne convolatas aer eamdem in partem, aeterna mundi vertigine, ignavo globo torpeat, sed findatur, adverso siderum verbere discretus et digestus. Saturni autem sidus gelidae ac ri­ gentis esse naturae ; mulloque ex eo inferiorem Jovis circulum, et ideo mota celeriori duodenis drcnmagi annis. Tertium Martis, quod qaidam Herculis vocant, ignei, ardentis a Solis vicinitate, binis fere annis converti. Ideoque hujus ardore nimio el rigore Salumi, interjectum ambobus, ex alroque temperari Jovem, satotaremque fieri. Deinde Solis meatum esse partium quidem trecen­ tarum sexaginta: sed ut observatio umbrarum ejus redeat ad nota·» quinos annis dies adjici, wperque quartam partem diei. Quam ob causam quinto anno unus intercalaris dies additur, ut temporum ratio Solis itineri coqgruat.

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ha il cielo tanta compagnia con essonoi, che per nostro (alo quivi sia mortale ancora lo splen­ dore delle stelle. Elle abbondanti per lo troppo alimento dell'umor tratto a sè, rigettano quel vapor di fuoco, quando pare altrui che caschino, come si vede ancora appresso di noi avvenire a* lumi accesi ηβΙΓοϋο. Ma la natura de* corpi celesti è eterna, perciocch’essi intessono il mon­ do, e sono in esso tessuti, e la possanza loro è mollo grande sopra la terra, perchè per la chia* rilà e grandezza dcU'effetlo si sono potuti cono­ scere in tanta sottigliezza, come mostreremo al suo luogo. Parleremo anche pià a proposito dei circoli del cielo nella menzione, che si farà delia terra, poi che tutta la compositura del Zo­ diaco appartiene ad esso. Trovasi, come A na­ si mandrò Milesio neirolimpia cinquanfotlesimp fu il primo, che io lese la obbliquità di questo Zodiaco, e ciò fu uno aprir le porte delle cose. Cleostrato poi conobbe i segni in esso, e prima l’Ariele e il Sagittario. Ma molto tempo innanzi Atlante ebbe cognizione della sfera. Ora lascian­ do il corpo d’esso mondo, trattiamo delle altre cose, che sono fra il cielo e la terra. Chiara cosa è che il più allo di tutti è il pia­ neta di Saturno, e perciò poco si vede, e fa un grandissimo cerchio, tanto che in spazio di trenta anni ritorna a’ brevissimi principii della sua stanza. E che il viaggio di tutte le stelle erranti, e fra l'al tre del Sole e della Luna, fanno il corso contrario al mondo, cioè vanno a man manca, dove il mondo precipitosamente va sempre a man ritta. E benché per la continua rivoluzione d'una gran prestezza sieno innalzali da esso, e tirati a poneute, nondimeno essi con moto op­ posito, vanno co* passi loro verso levante. E ciò si fa, perchè l’aere rivolto nella medesima parte, per la eterna rivoluzione del mondo non rimanga immobile e pigro, ma si venga a fendere dall’opposito ripercotimento delle stelle, divenendo separabile e digesto. Ora la stella di Saturno è di natura gelata e fredda : e il circolo di Giove è mollo inferiore ad esso, e perciò con più veloce moto finisce il suo corso in dodici anni. 11 terzo è il pianeta di Marte, chiamato d’alcuni d’ Erco­ le, igneo e ardente per la vicinità del Sole, il quale quasi in due anni compie il suo corso. E perciò Giove essendo posto in mezzo fra il troppo ardor di questo, e il freddo di Saturno si viene a temperare per l’uno e l’altro, e farsi benigno. S’ ha dipoi da sapere, come il corso del Sole è di trecento sessanta gradi ; ma accioc­ ché l’o»serva*iooe dell’ombre sue ritorni a’segni notali, a ciascuno anno s’ aggiungono cinque giorni, e di più la quarta parte d’un giorno. Per questa cagion Panno quinto vi s'aggiufoe

sol

C. PLINII SECONDI

an dì di bisesto, accioochè la ragion del tempo si confaccia col viaggio del Sole. Infra Solem ambii ingens sidas, appellatum Sotto il Sole gira la grande stella chiamata Veneris, alterco meata vagum, ipsisqae cognomi­ Venere, con iscambievole corso vagabonda, e nibus aemulum Solis ac Lunae. Praeveniens quip­ per li saoi cognomi concorrente del Sole e del­ pe et aate matutinum exoriens, Luciferi nomen la Luna. Perciocché prevenendo il Sole, e aa­ accipit, nt Sol aller diem maturans : contra, ab scendo innanzi il mattino, si chiama Lucifero, occasa refulgens, nuncupatur Vesper, at proro­ come snella fosse an altro Sole, che affrettasse gans lucem, vicemque Lunae reddens. Qaam na· il giorno ; e all* incontro rilucendo dopo il tra­ taram ejus Pythagoras Samius primus deprehen­ montar del Sole, si chiama Vespero, quasi che dit, olympiade circiter l x i i , qui fuit urbis Romae prolunghi la luce, e faccia l’ufficio della Luna. annas ccxxn. Jam magnitudine extra cuncta 11 primo, che conoscesse la natura d'essa, (u alia sidera est; claritatis qaidem tantae, at unius Pittagora Sa mio intorno alla quarantesima se­ hujus stellae radiis umbrae reddantur. Itaque et conda olimpia, che fu l'anno cento quaranta d ae in magno nominum ambitu est. Alii enim Juno­ dell' edificazione di Roma. Ora di graodezza nis, alii Matris deùm appellavere. Hujus natara avanza ella tutte l'altre stelle; ed è di tanto splen­ cuncta generantor in terris. Namqoe in alteratro dore, che i raggi di qnesta stella fanno ombra, exortu genitali rore conspergens, non terrae mo­ e perciò è onorata di molti nomi. Perciocché do conceptus implel, verum animantium qaoque chi Γ ha chiamata Giunone, chi Iside, chi madre omnium stimulat. Signiferi autem ambitum pe­ degli dei. Dalla natura di questa stella tutte le ragit trecenis et duodequinquagenis diebus, ab cose si generano in terra. Perciocché nell'ano Sole numquam absistens partibus sex atque qua· e l’altro suo nascimento spargendo umor geni­ draginta longius, ut Timaeo placet. tale, nou solamente empie i concetti della terra, ma incita ancora quei di lutti gli animali. £ fa il suo corso per lo Zodiaco in trecento quaranta otto giorni, non s'allontanando mai dal Sole piè. che quarantasei gradi, come vuol Timeo. Di simil maniera, ma non già di grandezza, Simili ratione, sed nequaquam magnitudine aut vi proximum illi Mercurii sidus, a quibusdam o forza è la stella di Mercurio a lei vicina, chia­ appellatum Apollinis,inferiore circulo fertur, no­ mata da alcuni Apolline, la quale per avere il circolo inferiore, fa il suo cono nove giorni vem diebus ociore ambitu: modo ante Solis exor­ tam, modo post occasum splendens, numquam ab prima, rilucendo ora innanzi il nascimento del eo viginti tribus partibus remotior, ut hio idem Sole, e ora innanzi ch'ei tramonti : né mai si discosta da esso più che ventitré gradi, sicoome et Sosigenes docent. Ideo et peculiaris horum Ctesia e Sosi gene dimostrarono, fi perù la stanza sfderum ratio est, neque communis cum supra dictis. Namqae ea et quarta parte coeli a Sole di queste stelle è peculiare, e non ha ponto ch e fare con le sopnddette. Perciocch'elleno si veg­ abesse, et tertia; et adversa Soli saepe cernuntur. gono esser lontane dal Sole per la quarta e tersa Majoresqae alios habent cuncta plenae conversio­ nis ambitas, in magni anni ratione dicendos. parte del cielo, e talon anche opposte. E latte hanno maggiori gli altri circuiti della piena conversione, de'quali si ragionerà nel tntlato dell'anno grande. Vince poi le maraviglie di tatti la Luna, 9. Sed omnium admirationem vincit novissi­ 9. ultima stella, e faraigliarissima alla terra, trovata mam sidas, terrisque familiarissimum, et tene­ dalla natura per rimedio delle tenebre. Questo brarum remedium ab natura repertum, Lanae. pianeta ha travagliato molto gl* ingegni de'conMultiformi haec ambage torsit ingenia contem­ plantium, et proximam ignorari maxime sidas ' templativi, i qoali si sdegnavano grandemente indignantium. Crescens semper, aat senescens : di non conoscere questa stella tanto vicina, la et modo curvata in cornua facie, modo aequa quale sempre cresce, o scema : e o n si spiega portione divisa, modo sinuata in orbem ; macu­ in due corna, ora si divide in egual porzione, quando si fa di tutto tondo, quando è piena losa, eademqae subito praenitens; immensa orbe di macchie, quando tutta rilucente, e grandissi­ pleno, ac repente nulla ; alias pernox, alias sera, ma col cerchio pieno, e in un subito divien nulla. et parte diei Solis lucem adjuvans; deficiens, Alcuna volta riluce tatta la notte, e talora si «tin defectu tamen conspicua; quae mensis exita latet, qaam laborare non creditur; jam vero ha· leva tanto tardi, che ana parte del giorno aiata mitis, et exoeisa, et ne id qaidem una modo, sed la luce del Sole. Manca talora di lame, e aon-

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HISTORIARUM MUNDI LIB. II.

«lias admota coelo, alias contigua montibus; nane in aqailonem elata, nunc in austro· dejecta : quae •singola in ea deprehendit hominum primus En· djmion, et ob id amore ejas captas fama tradi­ tor. Non somos profecto grati erga eos, qui labore c u raq u e locem nobis aperuere ia hac loce ; raira· qoe humani iogenii peste, sanguinem et caedes condere annalibus juvat, at scelera hominam noscantnr mundi ipsias ignaris.

dimeno nel mancar ai vede ; e nel fine del mese si nasconde, nè però si crede ch'ella patisca. Ora appar bassa e ora alta, nè perciò fa questo a un modo solo, perchè alcuna volta s* innalza fino al cielo, e talora pare che tocchi i monti ; ora la veggiamo volta a tramontana, ora chi­ nata verso mezzogiorno : e il primo che conobbe queste particolarità di lei^ fu Endimione, il qaal perciò si fìnge che fosse innamoralo d' esu. E veramente che noi siamo poco grati verso di coloro, i quali con fatica e cura ci hanno aperta la luce in questa luce ; là dove con rairabil danno degli umani ingegni ci dilettiamo di mettere il sangue e l’uccisioni sulle istorie, acciocché le scelleraggiui degli nomini sieno note a chi non ha cognizione d'esso mondo. Essendo adunque la Luna vicina al cardine Proxima ergo cardini, ideoque miifimo ambi­ to, vicenis diebus septenisque et tertia diei parte, del cielo, e perciò di minimo giro, in ventisette giorni e la terza parte d'un dì fornisce quel peragit spatia eadem, qaae Saturni sidas ellissimedesimo corso, che rallissima stella di Saturno, anom triginta,at dictam est, annis. Deinde,morata come a* è detto, fa in trenta anni. Stata dipoi in coito Solis bidao, quum tardissime tricesima loce rursus ad easdem vices exit, haud scio an due giorni nella congiunzione del Sole, al pià omnium, quae in coelo pernosci potuerunt ma­ tardi il trentesimo giorno torna di nuovo alle gistra : ia duodecim mensium spatia oportere sue medesime volte : e non so s'ella sia mastra dividi annum, quando ipsa tolies Solem redeun­ di tntte le cose, che si sono potote conoscere in tem ad principia consequitur ; Solis fulgore eam cielo : che sia necessario divider l'anno in dodici ot reliqua siderum regi, siquidem in totum mu­ mesi, dove essa altrettante volte rsggiugne il tuala ab eo loce fulgere, qualem in repercussa Sole che ritorna a'suoi principii: ch'ella come aquae volitare conspicimus; ideo molliore et im­ l'altre stelle sia retta dallo splendore del Sole. perfecta vi solvere tantum humorem, atque etiam Perciocché ella risplende con quella luce, che in aogere, quem Solis radii absumant ; ideo et inae­ tutto ha ricevuta da lu i, siccome la veggiamo quali lumine adspici, quia, ex adverso demum volare nel ribattere dell'acque. E perciò eoa •plena, reliquis diebus tantam ex se terris osten­ molto molle e imperfetta forza risolve, e accresce dat quantam ex Sole ipsa concipiat; in coilu qui· ancora tanto umore, quanto i raggi del Sole dem oon cerni, quoniam haustam o unem lucis possono consumare. Per questa cagione non ap­ pare sempre con lume eguale, perchi nella oppo­ adversa illo regerat onde acceperit ; sidera vero sizione si vede tutla, dove gli altri giorni mostra haud dubie humore terreno pasci, quia orbe ditanto di sè alla terra, quanto ella riceve dal Sole. oidio nonnumquam maculosa cernatur, scilicet Nella congiunzione non si vede, perciocché tutta nondum suppetente ad hauriendum ultra justa vi; maculas enim non aliud esse qaam lerrae ra­ quella luce, che piglia, la rigetta, donde l ' ha avuta. Le stelle poi senza alcun dubhio si pa­ ptas cum humore sordes ; scono d 'umor terreno, perchè talora essendo mezzo tonda, si vede tutta piena di imicchie; atteso che la forza non basta a tirare a sè com­ petente materia. Perciocché le macchie non sono altro, che lordure della terra tirate in alto con l'umore. io. Gli eclissi suoi e del Sole, cosa in tutta la 10. defectos autem suos et Solis, rem iu lota contemplazione della natura molto maravigliosa, contemplatione naturae maxime miram el osten­ to similem, eorum magnitudinum umbraeque in­ e simile a un prodigio, sono segni della gran­ dezza e dell'omhre loro. dices exsistere. D a L o n a b b t S o l i s d e fe c t ib u s .

D e l l ' e c l is s e d b l S o l b

b della

L otta.

VII. Perciocché chiaro è, come il Sole ci si VII. Quippe maoifestum est Solem interventu L*aae occultari, Lunamque Terrae objectu; ac viene a nascondere, quando la Luna si mette

C. pumi SECUNDI vice· reddi, eosdem Soli· radios Luna interpositu «ao «afferente Terrae, Terraque Lunae. Hac subeunte repentinas obduci tenebras,rarsomqae il­ lius umbra sidus hebetari. Neque aliud esse no­ ctem, qaam Terrae umbram. Figuram autem umbrae similem metae, ac turbini inverso: quan­ do mucrone tantum ingruat, neque Lunae exce­ dat altitudinem; quoniam nullum aliud eodem modo obscuretur, et talis figura semper mucrone deficiat. Spatio quidem consumi umbras, indicio sunt volucruro praealti volatui. Ergo confinium illis est aeris terminns, initiumque aetheris. Supra Lanam pura omnia ac diuturnae luris plena. A nobis autem pernoctem cernuntur sidera,nt reli­ qua lumina a tenebria» Et propter has causas no­ cturno tempore deficit Luna. Stati autem atque menstrui non sunt ntrique defectus, propter obli­ quitatem signiferi, Lunaeque multivagos, ut di* ctom est, flexus, non semper in scrupulis partium congruente siderum motu.

D k MAGNITUDINE SIDEEOM.

VIII i i . Haec ratio mortales animos subducit in coelum, ac, velut inde contemplantibus, trium maximarum rerum naturae partium magnitudi­ nem delegit. Non posset quippe lotus Sol adimi terris in­ tercedente Luna, si Terra major esset quam Luna. Tertia ex atroque vastita· Solis aperitur, ut non sit necesse amplitudinem ejusocalorum argumen­ tis atque conjectnra animi scrutari : immensum «•se, quia arboram in limitibus porrectarum in quotlibet passuum millia umbras paribus jaciat intervalli·, tamquam tolu spatio medius ; et quia per aequinoctium, omnibus in meridiana plaga habitantibus, simul fiat a vertice; ilem quia ci­ tra solstitialem circulum habitantium meridie ad septemtrionera umbrae cadant, orlu vero ad oc­ casum : qaae fieri nullo modo possent nisi multo quam Terra major esset; nec quod montem Idam exoriens latitudine exsuperet, dextra laevaque large amplectens, praesertim tanto discretus in­ tervallo.

in ntezto, e la Lana per laoppositione dalla Terra ; e rendonsi lo acambio l'un l'altro, parchi la Luna eoi frammettersi kya i raggi del SoleaUt Terra, e 1« Terra aUa Lvaa. Perché sottentraedo qaeato «abito si viene a far baio, e per l'ombra d'essa il pianeta perde fi suo lame. Nè altro è notte, che l'ombra della terra. E la figura del­ l'ombra è simile a una meta, o palèo volto sotto­ sopra, perchè se gli volta solamente con la pasta, e non trapassa la larghezza della Luna, percioc­ ché ninna altra stella s'oscura in quel modo, e tal figura sempre viene scemando nella panta. E che per lungo tratto vengano manco l'ombre, si può vedere per gli altissimi voli, che gli accedi fanno. Il confine lor dunque è il termine del* l'aria, e il principio del fuoco. Sopra la Lana poi tutte te cose son pure e piene di diurna tace. E noi di notte tempo veggiamo le stelle, o o b k si veggono gli altri lumi al baio. E per quest· cagione la Lana s'oacura di notte. E gli editai dell'uno e dell'altro non sono i tempi fermi e determinati d'ogni mese, per rispetto dell'obbiiquità del Zodiaco, e per li molto varii rivolgi­ menti, come s'è detto della Luna; perqhè il mota delle stelle non conviene sempre nelle divisioni delle parli. D e l l a g r a n d e zza d e ll e St e l l e .

Vili. i i . Questa considerazione tira gli — imi nostri in cielo, e quasi che di là contemplassimo, ci scuopre la grandezza di tre grandiasi me oaw, che sono parli della natura. E certamente, che non si potrebbe levare lotto il Sole alla Terra, interponendosi la Lana, •e la Terra fosse maggiore, che la Lana. Dall'ana e l'altra poi si vede più certa la grandezza del Sole in modo che non fa bisogno speculare l'am ­ plitudine sua con la pruova degli occhi, e con la congettura delTanimo. E così non è dubbio, che questo Sole è smisurato, perciocché noi reg­ giamo, ch'essendo molti alberi posti alla fila per ispazio di quante miglia si voglia, esso getta l'ombre loro con eguale intervallo, oome se foaae in mezzo di lutto lo spazio; e perchè nello equi­ nozio, tulli coloro, che abitano nella parte meri­ dionale, hanno l'ombra del mezzogiorno per­ pendicolare sopra la lesta ; e perchè l ' ombre degli abitatori del circolo aolstiziale nel mezzo­ giorno caggiono a tramontana, e al nascer del Sole caggiono a ponente : le qnali cose per alena modo non sì potrebbon fare, s'ei non fosse molto maggior che la Terra ; e perchè quando nasce, con la sua latitudine trapassa il monte Ida, lar­ gamente abbracciandolo da man ritta e man manca, massimamente essendo separato per tanto intervallo.

sog

HISTORIARUM MUNDI LIB. II.

Defectas Lanae magnitudinem ejus haud dubi· ratione declarat, sica t Terrae parvitatem ipse deficiens. Namque, quum sint tres umbrarum figorae,constetque, ai par Jumini sit materia quae jactat umbram, columnae effigie jaci, nec habere finem; si vero major materia quam lumen, turbi­ nis recti, ut sit imum ejus angustissimum, et si­ mili modo infinita longitudo ; si minor materia qaam lux, metae exsistere effigiem in cacuminis fioera desinentem ; talemque cerni umbram de­ ficiente Luna, palam fit, ut nulla amplius relin­ quatur dubitatio superari magnitudine Terram : id quidem et tacitils ipsius naturae indiciis. Cur eoira partilis vicibus anui brumalis abscedit? nt noctium opacitate terf-as reficiat, exusturus baud dubie, et sic quoque exurens quadam in parte; tanta magnitudo est.

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L'eclisse poi della Luna mostra con manifesta ragione la grandezza del Sole, siccome oscuran­ dosi esso, si viene a conoscere quanto aia picciola la Terra. Perciocché essendo tre le figure dell’ombre, ed essendo cosa chiara, che se la mate­ ria, che gella l'ombra, é pari al lume, si viene a fare una figura di colonna, e se la materia è maggior che il lume, l’ombra é simile a un paleo diritto, in modo che la parte sua bassa é sotti» lissima, e similmeute la lunghezza infinita ; se la materia è minore che la luce, l’ombra somiglia una meta, il cui fine sia appuntalo, e tal si vede l ' ombra oscurando la Luna : chiaramente si truova, senza averci dubbio alcuuo, che la Terra è vinta di grandezza. E questo ancora si conosce per tacili segni d’ essa natura. Perchè qual’ è la cagione, che il Sole si discosta il verno? se non acciocché la freschezza della notte ristori la Terra : perciocché senza dubbio egli l’abbracierebbe, e così ancora l’ abbrucia in alcuna parte; tanta è la sua grandezza. D i QUELLE COSE CBB ALCUBI BAH TEOVATE,

QoAB QUIS IR V B 9BR IT M OBSERVATIO 1ΓΒ COBLBSTI.

IX. ia. Et rationem quidem defectus utriusque primus Romani generis in vulgus extulit Sulpicius Gallus, qui consul cum Marcello fuit, sed tum tribunus militum, sollicitudine exercitu libera­ to, pridie quam Perseos rex superatus a Paulo est, in concionem ab imperatore productus ad praedicendam eclipsiro, mox et composito volu­ mine. Apud Graecos aulem investigavit primos omnium Thales Milesius, olympiadis x l v u i anno quarto praedicto Solis defectu, qui Alyatte rege factos est, Urbis conditae anno c l x x . Post eos atriosque sideris cursum in sexcentos annos praecinait Hipparchus, menses gentium, diesque et horas, ac situs locorum, et visus populorum coro· plexos, aevo teste, haud alio modo quam consi­ liorum naturae particeps. Viri ingentes, supraque mortalia, laniorum numiuum lege deprehensa, et misera hominum mente absoluta, in defectibus scelera aut mortem aliquam siderum pavento (quo in melu fuisse Stesichori el Pindari vatum sublimia ora palam est deliquio Solis), et in Lu­ na veneficia arguente mortalitate, et ob id crepi­ tu dissono auxilianie. Quo pavore, ignarus cau­ sae, Nicias Atheniensium imperator, veritus clas· sera porlo educere, opes eorum afflixit. Macti ingenio este, coeli interpretes, rerumque naturae c4paces,argumenli repertores quo deos hominesqoe vinxistis ! Quis enim haec cernens, et statos siderum (quoniam ita placuil appellare) labores, non suae necessitati morlalis genilus ignoscat?

h e l l ’ o s s e a v a z io b e d e l c ie l o .

IX. ìa. Il primo, che in Roma trovò la ra­ gione dell’eclisse dell’uno e Pai Irò, fu Sulpizio Gallo, il quale fu consolo insieme con M. Mar­ cello ; ma allora era tribuno de' soldati, libe­ rando l’esercito da una gran paura, il giorno avanti che il re Perseo fu vinto da Paolo, che dal generale fu presentato in pubblico parla­ mento, a fare intendere loro l’eclisse; e dipoi anche sopra ciò compose un libro. Ma appresso i Greci, il primo che la investigò fu Talete Milesio, Panno quarto della quarantesima ottava olimpia, predicando Peclisse del Sole, che si fece sotto il re Asliage, cento e sellante anni dopo 1’ edificazione di Roma. Dopo questi Ipparco predisse i corsi del Sole e delia Luna per seicento anni, comprendendo i mesi delle genti, e i di, e Pure, e i sili de’ luoghi e i borghi de’ popoli, essendone testimone il tempo, non per altro modo, che se fosse stalo partecipe de’ consigli della nalura. Sono stali quegli uomini eccellenti, i quali avendo sopra Puso della natura umana compresa la legge di sì gran deità, liberarono la misera mente degli uomini, la quale nelPoscurar delle stelle, temeva d’ alcuna scelleraggine, omorte d’esse (nella qual paura si legge che furono ancora Stesicoro e Piudaro,eccellentissimi poeti,pei- l’eclissi del Sole descritto ne’foro versi) e gli uomini, che giudicavano la Luna esser tra­ vagliala dagl’ incanti, e perciò l’aiutavano con lo strepito di varii tuoni. Per lo quale spavento Nicia capitan generale degli Ateniesi, non sapendone

a ia

C. PUNII SECUNDI

ai i

Nunc confessa de iisdem breviter atque capi­ tulatim attingam, raiione admodum necessariis locis strictimque reddita; nam neque instituti operis lalis argumentatio est, neque omniam rerum afferri posse causas minus mirum est quam constare in aliqaibns.

Q uando e b c d r e a n t S o l is ac L u n a s d e fe c t o s .

la cagione, temendo di menare Parmala fuor del porto, mise io travaglio grande lo stato loro. Voi siete veramente uomini di grande ingegno, interpreti del eielo, e capaci della natara delle cose, avendo il modo da viocere gli uomini e gli dei. Perciocché quale è colui, che vegga queste cose, e l'ordinate fatiche delle stelle, poiehè così ci piace chiamarle, che non abbia per iscusata la saa necessità, essendo nato mortale? lo toccherò ora brevemente, e per capitoli le cose, che de' già delti si confessano, rendendo strettamente la ragione, o in luoghi molto neces­ sarii . Perciocché tal discorso non è secondo il proposito nostro, ed è meno da maravigliarsi, ehe non si possa allegare la cagione di tulle le cose, ehe non è di poterla dire in alcune. D e l FE110D0

o b o li sc u ssi so lasi

e lo h a e i .

X. i 3. Defestus ducentis viginti tribus mensi· X. i 3. Chiara cosa è, che gli eclissi ritornano bai redire in saos orbes certum est;Solisque defe­ ne' loro cerchi in dugento ventidue mesi ; e die ctum non nisi novissima primave fieri Luna,qnod l 'eclisse del Sole non si fa, se non nell' ultima, vocant coitum ; Lunae autem non nisi plena, sem- o prima Luna, che si chiama congiunzione. Ma perque cifra quam proxime fuerit. Omnibus Γ eclisse della Luna non si fa se non qaando dia autem annis fieri ntriusque sideris defectus, statis è piena, e sempre prossimamente di qua dall'opdiebus horisque, sub terra. Nec tamen, qaam su­ posisione. Bene è vero, che ogni anno a certi perne fiant, ubiqae cerni, aliqaando propter nu­ giorni e ore determinale si viene a (are P edisse bila, saepius globo terrae obstante convexitatibus dell1uno e l ' altro pianeta sotto terra. Nè però mundi. Intra ducentos annos Hipparchi sagacitate quando e' si (anno sopra la terra, si veggono per compertum est, et Lanae defectum aliquando tutto, e ciò talora avviene per cagione dei m * quinto mense a priore fieri, Solis vero septimo ; goti, e spesse volte ancora perchè il globo della eamdem bis in triginta diebus supra terras occul­ terra s 'oppone alle convessità del mondo. Sap­ tari, sed ab aliis atqne aliis hoc cerni ; quaeque piamo ancora da dugento anni in qna per la in­ saot in hoc miraculo maxime mira, quum con­ dustria d 'lpparco, come l 'eelisse della Leoa al­ veniat umbra terrae Lunam hebetari, nunc ab cuna volta si fa cinque mesi dopo il primo, e occasus parte boc ei accidere, nane ab exortos ; qnel del Sole sette mesi ; e che la medesima Lana et quanam raiione, quam Solis exorta ambra s'asconde due volte in trenta giorni sopra la illa hebetatrix sub terra esse debeat, semel jam terra, e che ciò non si può vedere da tatti, e acciderit at in occasu Luna deficeret, utroque qaello che è maggior maraviglia in qaesto mira­ super terram conspicuo sidere. Nam ut quinde­ colo , essendo necessario che la Luna s' oscuri cim diebus utrumque sidus quaereretur, et nostro per l ' ombra della Terra, che qaesto ora le av­ aevo accidit, imperatoribus Vespasianis, patre m, viene dalla parte di ponente, e ora di levante ; e per qual ragione, dovendo al nascere dd Sole, filio iterum coniulibas. quella ombra, che la fa osearare, esser sotterra, fa che uaa volta egli avveone, che la Lana oscnrò nel tramontare ; veggendosi l ' ano e l ' altro pianeta sopra la terra. A' tempi nostri avvenne ancora, che l ' nna e 1*altra stella non si vide per quindici giorni, e ciò fu l ' anno, che gli imperadori Vespasiani furono consoli, il padre la tersa volta, e il figliuolo la seconda. D e L unae m otu.

D bl m oto d e l l a L o r i .

XI. 14. Lunam semper averris a Sole cornibus, XI. 14. Ei non è dubbio alcuno, che la Luna si crescat, ortus spectare, si minuatar, occasus, sempre con le corna volle al contrario del Sole,

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HISTORIARUM MUNDI L1B. II.

haud dubiam est. Lacere dodrantes semuncias boraram ik secanda adjieientem usque ad ple­ nam orbem, detrahea lemque in diminalioneni. InIra quataordecim autem partes Solis, semper occultam esse. Quo argomento amplior erran­ tium stellarum quam Lonae magnitudo colligi· tor, quando illae et a septenis interdum partibus emergant. Sed allilado cogit minores videri, sical affixas coelo Solis fulgor iolerdiu non carni, qaam aeque ac noeta luceant, idqae manifestam fiat defecta Solis et praealtis puteis.

E llfkM A l MOTUS,HT LUMIHUM CANONICA.

s’ ella cresce, guarda levante, se ella scema, po­ nente. E riluce, aggiugnendo ogni dì, comin­ ciando dal secondo, iusino al pieno tondo circa quattro quinti d’ ora, e così ne leva in diminu­ zione. E non appare, se non s* allontana dal Sole quattordici gradi. Per lo quale argomento si comprende, che la grandezza delle stelle erranti è maggiore, che quella della Luna, perciocché quelle appaiono alcuna volta, se sono sette gradi lontane dal Sole. Ma P altezza loro le fa paref minori, come le stelle fisse per lo splendor del Sole non si veggono di giorno, benché elle rilu­ cano non meno ebe la notte : il che manifeslamente si vede negli eclissi del Sole, e negli alti*, simi pozzi. Dbl m oto db’ p ia n e ti,

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b d e c a n o r i d b ' lu m i.

XII. i5. Errantium autem Ires, quas supra XII. 15 . 1 tre pianeti, che noi abbiamo detto Solem diximus silas, occultantor, meantes eam esser posti sopra il Sole, si nascondono quando eo. Exoriuntur Tero maialino, discedentes parti- camminano con esso lui, ma essendosi dilungati bas numquam amplias undenis. Postea radiorom da lui non più che undici gradi, si cominciano ejas contacta reguntur, et in triquetro, a parti­ a vedere, e nascono da mattina. Dipoi si reggono bus cenlam viginti, stationes matalinas faciunt, tocchi da’ raggi d'esso: e in trino da’ gradi cento qoae et primae vocantor ; mox in adverso, a venti fanno le stazioni mattatine, le quali si chia­ partibus centum octoginta, exortas vespertinos ; mano eneo le prime : dipoi alP incontro da' gradi iteramqae, io eentam viginti ab alio latere ap­ cento ottanta, fanno i nascimenti di sera. E pa­ propinquantes, stationes vespertinas, quas et rimente ne'cento venti gradi dalP altro lato, che secandas vocant; donec assecutae in partibas a’ appressa, le stazioni della sera, le quali si chia­ duodenis occultet illas, qoi vespertini occasns mano seconde, infinchè il Sole appressandosi ai appellantur. Martis stella, ut propior, eliam ex dodici gradi a quelle stelle, le nasconde : e que­ qaaJrmto sentit radios, ab oonaginta parlibus : sti si chiamano oocasi vespertini. La stella di unde et nomen accepit is raolus, primus et secun­ Marte, come più vicina, sente ancora i suoi raggi das nonagenarios dictus ab utroque exorlu. Ea­ dal quadrato, che sono novanta gradi : onde an­ dem stationalia senis mensibus commoratur in che questo moto prese il nome, e fu chiamato aigms, alioqui bimestris, quum ceterae utraque primo e secondo nonagenario dall’ uno e P altro slattone qoa ternos menses non irople«nt. nascimento. Questa medesima stella stazionale dimora sei mesi ne* segni, altrimenti due, benché l’ altre nelP una e P altra stazione non fornisca­ no quattro mesi. Inferiores autem duae occultantur in coito I due pianeti, che sono sotto il Sole, si na­ vespertino,simili modo; relicloque Sole, totidem scondono nella congiunzione di sera per simil in partibas faciant exortus matutinos ; atque a modo, e abbandonati dal Sole, in altrettanti longissimis distantiae suae melis Solem insequun­ gradi fanno i nascimenti mattutini ; e seguono tor, adeptacque occasu matutino condantur ac il Sole, da remotissimi termini della sua distanza, praetereant; mox eodem intervallo vespere ex­ e avendolo ragginolo col mattutino occaso si ornator, uaqoe ad quos diximus terminos ; ab cuoprono, e passano oltre. Poco dipoi col mede­ his retrogradiantur ad Solem, et occasu9vesper­ simo intervallo da- sera nascono fino a quei ter­ tino deli meant. Veneris stella et stationes duas, mini, che abbiamo detto. E da quegli retrogra­ mata linam veapertinamque, ab utroque exorlu dando tornano al Sole, e si nascondono col tra­ facit, a loagissimis distantiae suae finibus. Mer­ montar la sera. La stella di Venere fa due sta­ tem stationes breviore momento quam nt depre­ zioni, Puna la mattina, P altra la sera dalP uno e : P altro nascimento da lunghissimi confini della c a t i poasiot. sua distanza. Le stazioni di Mercurio sono di sì breve momento, che non si può comprendere.

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G. PLINII SECUNDI QuABE EADEM ILIAS ALTIOBA, ALIAS FBOPIOBA VIDBAKTUa.

Pisaeae

lb m edesim e s t e l l e p a ia n o

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alte ,

ΟΚΑ PIÒ BASSE.

E questa è la ragione de' lumi, e delle XIII. Haec esi luminum occultationumque Xlll. ratio, perplexior motu, mullisqae involata mira­ loro occultazioni, inviluppata da troppo intrica­ culis. Siquidem magnitudines suas el colores to molo, e da molti miracoli. Perciocché molano mutant; et eaedam ad septemtrionem accedunt, le grandezze, e i colori loro, e le medesime s' ac­ abeuntque ad austrum; terrisque propiores aut costano a tramontana, e partono a mezzogiorno, coelo repente cernuntur. In quibus aliter malta e veggonsi a on tratto ora vicine alla terra, e ora quam priores tradituri, fatemur ea quoque illo­ ritirate al cielo. Circa le quali stelle essendo io rum esse muneris, qui primi quaerendi vias de­ per mostrare molte cose altrimenti che non fe­ monstraverunt : modo ne quis desperet secula cero gli antichi, confesso che ciò era ufficio di proficere semper. Pluribus de causis haec omnia coloro, i quali furono i primi a mostrar le vie di cercarle, pur che altri non perda la speranza, accidunt. che il mondo non vada sempre migliorando. Per più cagioni avvengono tutte queste cose. La prima è de' circoli, quali i Greci chiamano Prima circulorum, quos Graeci io nelle stelle abside ; perciocché s* hanno da osare stellis vocant: etenim Graecis utendum erit vocabulis. Suut autem h^ui cuique earum, alii- i vocàboli Greci. E ciascuo pianeta ha le »oe qne quam mando : quoniam terra, a verticibus abside, le qoali sono differenti da quelle del mon­ duobus, quos appellaverunt polos, centrum coeli do ; perciocché la terra è il centro del cielo fra i est, nec non signiferi, oblique ioter eos sili. due poli, e del Zodiaco ancora, obbliquaraente Omnia autem haec coostant ratione circini sem­ posti fra loro. E tutte queste cose con la ragione per indubitata. Ergo ab alio cuique centro absi­ delle feste vengono chiare, e senza dubbio alcuno. des suae exsurgunt; ideoque diversos habent Nascono dunque le absidi da diversi centri a orbes, motusque dissimiles, qnoniam interiores ciascun pianeta. E perciò hanno diversi circoli, e differenti moli, perchè è necessario che le ab­ absidas necesse est breviores esse. side di dentro sieno più brevi. 16. Dal centro della terra dunque «000 di­ 16. Igitur a terrae centro absides altissimae sunt, Saturnò in Scorpione, Jovi inVirgine, Marti scoste, e altissime le abside, a Saturno nello Scor­ in Leone, Soli in Geminis, Veneri in Sagittario, pione, a Giove nella Vergine, a Marte nel Leone, Mercurio in Capricorno,mediis omnium partibus. al Sole ne' Gemini, a Venere nel Sagittario, a Et e contrario, ad terrae centrum haroillimae Mercurio nel Capricorno, nel mezzo de* gradi atque proximae. Sic fit at tardius moveri videan­ tutti. E per lo contrario al centro della terra tur, quum altissimo ambita feruntur : non quia bassissime e vicine. E perciò pare che ai mova­ accelerent tardentve naturales molus, qui certi no più tardi, quando sono portate nel pià allo ac singuli sunt illis ; sed quia deductas ab sum­ circuito, non ch'elle affrettino, o tardino i moli ma abside lineas coarclari ad centrum necesse naturali, i quali ciascun pianeta ha proprii e est, sicut io rotis radios ; idemque motus alias determinati ; ma perchè lirate le linee dalla som­ major, alias minor, centri propinquitate sentitor. ma abside, è necessario che si ristringano al centro, siccome fanno i raggi nelle ruote, e il medesimo molo quando si sente maggiore, e quando minore per la vicinila del centro. Ecci un* altra ragione delle loro altitudini, ▲Itera sublimitatum causa, quoniam a sno centro absidas altissimas habent in aliis signis : perchè bauno le absidi altissime dal loro centro Saturnus in Librae parte vicesima, Jupiter Cancri in altri segni. Salarno nel ventesimo grodo di quintadecima, Mars Capricorni vicesima octava, Libra, Giove ne'quindici di Cancro, Marte nei Sol Arietis decima nona, Venus Pisciam vicesima veni' olio di Capricorno, il Sole ne' venti nove septima, Mercorios Virginis decima quinta, La­ d’ Ariete, Venere ne'sedici di Pesce,. Mercurio ne’ quindici di Vergine, e la. Luna ne'quattro na Tauri tertia. di Tauro. La terza ragione delle alliludini *’ intende Tertia altitudinum ralio, coeli mensura, 009 circuli, iptelligitur ; subire eas aut descendere per la misura del cielo, e non del circolo, perchè gli occhi giudicano quegli o salire, o discendere per profundam aéris, oculis existimantibus. per la profondità dell' aere.

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HISTORIARUM MUNDI L1B. II.

Huic connexa latitudinum signiferi, obliquità· lisqne, causa est. Per hunc stellae, quas dixiraos, feruntur; nec aliad habitatur in terris quam quod illi subjacet, reliqua a polis squalent. Vene· ria tantum stella excedit eum binis partibus ; quae causa intelligilur efficere ut quaedam ani· malia et io desertis mundi nascantur. Luna quo­ que per totam latitudinem ejns ugalnr, sed orouino non excedens eum. Ah his Mercurii stella laxissime, ut tamen e duodenis partibus (tot enim sunt latitudinis) non amplius octonas pererret, neque has aequaliter, sed duas medio ejus, et supra quatuor, infra duas. Sol deiude medio fertur inter duas partes flexuoso draco­ num meatu inaequalis. Martis stella quatuor medias, Jovis mediam et super eam duas ; Satur­ ni duas, ut Sol. Haec erit latitudinum ratio ad austrum descendeutium, aut ad aquilonem sube­ untium. Hac constare et tertiam illam a terra subeuntium in coelum, et pariter scandi eam qaoqoe, existimavere plerique falso ; qai ut coarguantur, aperienda est subtilitas immensa, et omnes eas complexa cautas.

Convenit stellas in occasu vespertino proxi­ mas esse terrae et latitudine et altitudine ; exortusqoe matutinos in initio cojusque fieri ; statio­ nes in mediis latitudinum articulis, quae vocant Ecliptica. Perinde confessum est motum augeri qoamdiu in vicino sint terrae; quum abscedant m altitudinem, minui. Quae ratio Lunae maxime sublimitatibus adprobator. Aeque non est dubiam io exortibus matutinis etiam numerum augeri ; atque a stationibos primis tres superiores diminai ■sqae ad stationes secundas. Quae quum ita sint, manifestam erit ab exor­ ta matutino latitudines scandi, quoniam in eo primum babitu incipiant parcius adjici motus; ia stationibus vero primis altitudinem subire, qaoniam tum primum incipiat detrahi numerus, stellaeque retroire. Cujus rei ratioprivatim red­ denda est. Percussae in qua diximus parte, et triangulo Solis radi^ inhibentnr rectum agere cursam, et ignea τί levantur in sublime. Hoc non protinus intelligi potest visu nostro; ideoqae existimantur stare, onde et nomen accepit statio. Progreditor deinde ejosdem radii violentia, et retroire cogit vapor repercussus. Molto id magis io vespertino earum exortu, toto Sole averso, qaamio summas absida· expelluntor, minimeque

aiS

A questa è congiunta la causa delle latitudini, e della obbliquità del Zodiaco. Per questo cam­ minano le stelle, che noi chiamammo erranti ; nè altra parte della terra è abitata fuor di quella, che è sottoposta ad esso. Il resto sotto i poli è in­ culto e disabitato. Solamente la stella di Venere lo trapassa di due gradi; la qual cosa è cagione, che alcuni animali nascono nelle parti deserte del mondo. La Luna ancora cammina per tutta la latitudine del Zodiaco, ma però non la passa punto. E dopo questi la stella di Mercurio più che P altre prende della latitudine del Zodiaco, in modo però, che de' dodici gradi ( perchè tanti son quegli della sua latitudine ), non nè trapassa più che otto, nè anco questi egualmente ; perchè al mezzo di quello due, e di sopra quattro, e di sotto due. Il Sol dipoi ne va per lo mezzo, ine­ guale fra i due gradi, a guisa di serpente torto. La stella di Marte tieoe i quattro del mezzo: Giove quel di mezzo, e due sopra quello, Salurno due, come il Sole. E questa è la ragione delle latitudini de’ pianeti, o quando discendono a mezzogiorno, o quando salgono a tramontana. Molti sono stati, i quali hanno falsamente credu­ to, per questa stare quella terza di quegli, che dalla terra vanno al cielo, e parimente ancora salir quella ; i quali acciocché sien riprovati, ei bisogna aprire una gran sottilità, la quale abbrac­ cia tutte le già dette cause. Bisogna che le stelle nel tramontar della sera sieno vicine alla terra e di latitudine, e d’ altitu­ dine, e che i nascimenti mattutini si facciano nel priucipio da ciascuna, e le stazioni in mezzo gli articoli delle latitudini, che si chiamano Ecliptici. Perciò chiara cosa è che il moto ·' accresce, men­ tre che elle son vicine alla terra, e ch'egli scema, quando ne vanno in alto. La qual ragione per le sublimità dulia Luna molto s 'approva. Ei non è dubbio ancora, che ne5nascimenti mattutini il numero s 'accresce, e ehe dalle prime stazioni le tre superiori scemano fino alle seconde stazioni. Le qoali cose essendo in questo modo,sarà ma­ nifesto dal nascimento mattutino salir le latitudi­ ni, perchè in quel primo andamento cominciano adagio ad aggiugnersi i moti ; e nelle stazioni prime e altitudini tendere in sù ; perchè allora i numeri cominciano a scemarsi e le atelle a re­ trogradare. Della qual cosa privatamente s’ ha da rendere la ragione. Le stelle percosse nella parte, che abbiamo delta, e dal raggio triangolare del Sole, non possono fare il corso retto, e dalla fo­ cosa forza, del Sole sono levate in alto. E questo non si può subito comprendere dalla vista no­ stra ; e per ciò crediamo eh' elle stieno ferme, e dì qui viene questo nome stazione. La violenza poi di qoesto raggio passa innanzi^ e il vapore

C. PLINII SECUNDI

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cernantur, quoniam atlissime absunt, et minimo ferantur motu, Unto minore quum hoc in altis· simis absidam evenit signis. Ab exortu vesper­ tino latitudo descenditur, parcius jam se miiiueole motu; non tameo anlc stationes secundas angeote, quum et altilado descenditor, superve· niente ab dio latere radio, eademqae vi rursus terras deprimente, qoae sustulerit io coelum ex priore triquetro. Tantum interest, subeant radii, an superveniant. Malloqae eadem magis in ve­ spertino occasa accidunt. Haec est superioram stellarum ratio ; difficilior reliqaarum, et a nullo ante nos reddita.

Coa

MOTOS DISSIMILIS EADEM HABEANT.

aao

percotendole le costrigne a ire addietro. E ciò molto più avviene nel loro nascimento vesperti­ no, avendo tatto il Sole opposto, quando «Uè sono spinte nelle sommità delle absidi, e non ai veggono punto, perchè altissimamente sono di­ scoste, e vanoo con pochissimo moto, e tanto mi­ nore, qaando ciò avviene negli altissimi segai delle absidi. Nel nascimento vespertino si discesa de la latitudine, scemandosi già il moto più ada­ gio; ma nondimeno crescendo innanti le seconde stazioni, qaaodo anche si scende Γ altitudine, sopraggiognendo dall’ altro lato il raggio ; e per la medesima forza sono di nuovo spinti a terra, la quale gli alzò al cielo dal primo trino. Tanta differenza c' è, che i raggi vengano di sotto, o di sopra. E molto più questo avviene nel tramonta­ re della sera. E questa è la ragione delle stelle superiori : molto più difficile è quella dell1 altre, e da ninno innanzi a me stata assegnala.

Paacaè l b

medesime a b b ia ro m ovim enti D ivaast.

17. Prima daoqae è da dire qaale è la XIV. 17. Primum igitur dicatur car Veneris XIV. stella numquam longius x l v i partibas, Mercarias cagione, eh1 essendo diverse stelle, la stella di viginti tribas a Sole abscedant, saepe citra eas ad Venere non si discosta mai dal Sole più di qua­ Solem reciprocent. Conversas habent ulraeqoe rantasei gradi, Mercurio ventitré, e spesse volle absidas, at intra Solem sitae ; tantumque circulis di qua da questi gradi ritornano al Sole. L* uoo earum sobter est, quantum superne praedicta­ e Γ altro pianeta ha le sue absidi rivolle siccome rum ; et ideo non possunt abesse amplius, quo·' quegli che sono posti sotto il sole ; e tanto de' lor niam curvatura absidam ibi non habet longitu­ circoli è di solto, quanto de' già detti è di aopra ; dinem majorem. Ergo atriqae simili ratione, e perciò non possono esser più discosti, perchè modum statuant absidum soarom margines, ac per rispetto della piegatura delle absidi, quivi spatia longitudinis latitudinum evagatione pen­ non hanno maggior longitudine. Ambidoe dun­ sant. At enim cur non semper ad qaadraginta que per simil ragione slatuisoono il modo, e i sex, et ad paries viginti tres perveniunt ? lmmo margini delle absidi, e compensano gli spasii del­ vero. Sed ratio Canonica fallit. Namqoe apparet la longitudine con le latitudini. Ma perohè non absidas quoque earum moveri, quod oumqoam giungono essi sempre l ' uno ai gradi quarantasei, transeant Solem. Itaqae quum in partem ipsam Γ al irò a' ventitré ? Anzi vi giungono-essi. Ma la ejus incidere margines alterutro latere, tum et ragione inganna coloro che faono le regole di stellae ad longissima soa intervalla pervenire astronomia. Perciocché si vede che anche le ab­ intelliguntor ; quam citra fuere margioes toti­ sidi loro si muovono, perchè non passano mai il dem partibas, et ipsae ocias redire creduntor, Sole. Quando danque in essa parte caggiono le qaam sit illa semper atriqae extremitas summa. sae estremità dall1 uno, o dall' altro lato, allora Hinc et ralio molaom conversa intelligitur. Su­ si conosce che le stelle giungono ai lunghissimi periores enim celerrime ferantur ia occasa ve­ loro intervalli, benché sieno di qua dalle estre­ spertino, hae tardissime ; illae a terra altissime mità altrettanti gradi, allora si crede, che ritor­ absunt qoam tardissime moventor, hae quum nino più ratto addietro ; perciocché quella è sem­ osissime. Qoia, sicut ia illis propinquitas centri pre la maggiore estremità dell' uno, e dell1 «Atro. accelerat, ita in his exlremitas circuli. Illae ab Di qui s'intende ancora la ragione dei moti esser exorta matetino minuere oeleritatem incipiunt, rivolta ; perchè i superiori sono più velocemente hae vero angere. Illae retro cursum agant a sta­ portati nel tramontar della aera, dove questi van­ tione matutioa asqne ad vespertinam ;· Veneri», no molto più tardi ; quegli sono altissunamente a vespertina asqne ad matutinam. Incipit autem discosti dalla terra, qaando lardissiaiamente si ab exortu matutino latitadinem scandere, allitu- muovono,questi qaando velociaaiinamenteJ*ercfcè dinem vero ac Solem insequi a statione matutina, siccome in quegli la vicinità del centro affretta, ociseima in occasu maialino, et altissima ; degre- e così in questi la estremità del circolo. Quegli

UI

HISTORIARUM MUNDI LIB. II.

di autem latitudine, motumqae minuere ab exor· Iu vespertino ; retro quidem ire, aimulque alti­ tudine degredi a statione vespertina. Mercorii rursus stella utroque modo scandere ab exortu matutino, degredi vero latitudine i vesper tino ; consecatoque Sole ad quindecim psrtium inter­ vallum, consistit quatriduo prope immobilis. Mox ad altiladine descendit, retroque graditor ab occam vespertino usque ad exortam matuti­ num. Tantnmque baec, et Luna, totidem diebus quot subiere, descendunt. Veneris quindecies plu­ ribus subit Rursus Saturni et Jovis duplicalo de­ grediantur; Martis etiam quadruplicato. Tanta ertnaturae varietas. Sed ratio evidens: nam qnae n vaperem Solis nituntur, etiam descendunt «*re.

C in o L K i n o n n i txa a r t iu m .

222

dal nascimento mattutino incominciano a sce­ mare la presterà, e questi a crescerla. Quegli sono retrogradi dalla stazione della mattina fino a quella della sera, e Venere dalla sera sino alla mattina. Comincia poi dal nascimento mattutino a salire la latitudine, e a salire P altitudine, e a seguitare il Sole dalla stazion mattutina, essendo velocissima e altissima nel tramontare della mat­ tina. Comincia partirsi dalla latitudine, e a sce­ mare il moto del nascimento mattutino, e a re­ trogradare, e a partire dalP altitudine da quel della sera. Mercurio nell' uno e P altro modo co­ mincia a salire dal nascimento mattutino, e a par­ tirsi dalla latitudine da quel della sera ; e avendo raggiunto il Sole appresso a' quindici gradi, si ferma quasi immobile per quattro giorni. Scende poi dalP altitudine, e retrograda dat tramontar della sera fino al nascimento della mattina. E questa, e la Luna scendono altrettanti giorni, quanto son salite. Venere saglie quindici giorni, e più. Saturno e Giove scendono il doppio più. Marte quattro volte più. Tanta è le varietà della natura, ma la ragione è chiara ; perchè quegli che vanno contra il vapor del Sole, con difficoltà scendono. Di

ALCUNE LEGGI COSTASTI DE* PIANÉTI.

Molte cose ancora si posson dire ia ma­ XV. Multa promi araplins circa baec possunt XV. secreta naturae, legesque, quibus ipsa serviat. teria di questi secreti e leggi della nalura, alle Exempti gratia : m Martis sidere, cujus est ma­ quali essa serve. Come per cagion d 'esempio : la xime inobservabilis cursus, numqoam id statio­ stella di Marte, il cui corso poco si può osservare, nem facere Jovis sidere triquetro; raro admodum non farà mai stazione quando Giove è d'aspetto sexaginta partibus diAreto, qui numerus sexan­ trino, e molto di rado, essendo quello distante gulas mundi efficit formas ; nec exortus, nisi in da lui sessanta gradi ; il qual numero fa le forme dnofau» signis tantum, Cancri et Leonis, simul del mondo sessangolari. Nè insieme nascono, se edere. Mercurii vero sidus in Piscibu· exortus non solamente in due segni, cioè Cancro e Leone. vespertinos raros facere, creberrimos in Virgine, Mercurio fa di rado i nascimenti vespertini nella in Ubra matutinos. Item matutinos in Aquario, sera, e spessissime volte in Vergine ; in Libra i rarissimos m Leone. Retrogradum in Tauro et mattutini. 1 mattutini in Aquario, e rarissimi in Geminis non fieri ; in Cancro vero non citra vi­ Leone. Non si fa mai retrogrado nè in Tauro, cesimam quintam partem. Lunam bis coitum cum nè in Gemini ; ma in Cancro se non di là dai Sole et in nullo alie signo facere quam Geminis, venticinque gradi. La Luna non fa due volte mai n e · coire aliquando m Sagittario tantum. Novis­ la congiunzione col Sole in nessuno altro segno, simum vero primamque eadem die vel nocte, fuor che in Gemini : e non avvien mai che in nullo alio m signo quam Ariete, conspici: id ogni segno non si cooginnga, te non in Sagitta­ quoque pancia mortalium contingit; et Inde fama rio. Non si vede mai in un medesimo dì, o in cernendi Lyneao.Non comparere in coelo Saturni nna medesima notte in alcun altro segno, che màm et Martis, quum plurimum, diebus centum io Ariete, e questo ancora è stato veduto da po­ rcylnagmta ; Jovis triginta sex, aut quam mini­ chi : e di qui nacque il motto del veder di Lin­ mam denis detractis diebus ; Veneris sexaginta ceo. Stanno ascosi Saturno e Marte al più cento u n ta i, uni qunm minimum quinquaginta duo· settanta giorni : Giove trentasei, o almeno ventibua;.Mercurii tredecim, aut quum· plurimum sei. Venere sessantanove, e quando meno, cinoetodeeun. quantadue. Mercurio tredici, e quando più, diciotto.

C. PLINII SECONDI Q

oab s a t io

colobbs b o b u m m o t e t .

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C lB COSA MUTI I COLOBI DB* FIA3BTI.

XVI. (8. Colores ralio altitudinum temperat: XVI. 18. La varietà delle altitudini cambia siquidem earum similitudinem trahunt,* inqua- il color de’ pianeti, perciocché essi pigliano la rara aera venere subeundo, tingitque adpropin- sembianza di quelle, nelParia delle quali aono quantes utralibet alieni meatus circulus: frigidior venuti salendo, e il circolo del corso d’un altro in pallorem, ardentior in ruborem, ventosus in pianeta tigne qoegli da qualunque parte a'aocohorrorem; Sol, atque commissurae absidum, stino ad esso. Il freddo gli mostra pallidi, Pardente rossi, il ventoso scuri e spaventosi. Il Sole, exlremaeque orbitae, atram in obscuritatem. Snus quidem cuique color est: Saturno candi­ e le commessure delle absidi, e gli estremi bassi dus, Jovi clarus, Marti ingneus, Lucifero can­ circuiti gli mostrano oscuri. Ciascun pianeta ha dens, Vesperi refulgens, Mercurio radians, Lu­ il suo colore. Saturno è bianco, Giove chiaro, nae blandus, Soli quum oritur ardens, postea Marte focoso, Venere, quando è delta Lucifero, radians. His causis connexo viso et earuro, quae come ferro rovente ; quando Vespero, r iv e n ­ coelo continentur. Namque modo multitudo con­ dente : Mercurio radiante, la Luna bianchiccia ; ferta inest circa dimidios orbes Lunae, placida il Sole, quando si leva, è ardente, dappoi radian­ nocte leniter illustrante eas; modo raritas, ut fu­ te. Per questa medesima cagione congionta la gisse miremur, plenilunio abscondente, aut quum vista è il color di quelle, che sono fisse al cielo. Solis soprave dictarum radii visus perstrinxere Perciocchi ora se ne vede una mollitudine più nostros. Et ipsa autem Luna ingruentium Solis spessa, quando la Luna ha il mezzo tondo, in radiorum haud dubie differentias sentit, hebe tan­ una notte placida, che dolcemente le illustra; te cetero inflexos mondi convexitate eos, praeter­ ora si veggon rade, in modo che ci maraviglia­ quam ubi secti angulorum competunt ictus. Ita­ mo, come s’elle si fossero fuggite ascondendole que in quadrato Solis dividua est, in trique­ il plenilunnio, o quando i raggi del Sole, o dei tro seminani ambitur orbe, impletur autem in pianeti sopraddetti abbagliano la nostra vista. La adverso ; rursusque minuens easdem effigies pa­ Luna ancora senza dubbio sente le differenze ribus edit intervallis, simili ratione qna supra de1 raggi del Sole, i quali per la convessità del Solem tria sidera. mondo, che gl’ ingrossa, si fanno piegati, e non diritti, infuor che dove gli angoli sono retti. E però quando la Luna è in quadrato del Sole, si vedo mezza ; quando è in trino, è circondata del suo tondo ; quando è in opposizione, diventa piena ; e similmente nella diminuzione pipita le medesime forme, con'pari intervallo per simil ragione, la quale dimostrammo ne* tre pianeti posti sopra il Sole. D bl m oto d e l S olb, b pebch à i G io b b i S o lis

m otos , s t s id e r u m in a e q u a l it a t is b a t io .

XVII. 19. Sol autem ipse quatuor differentias habet, bis aeqnata nocte diei, vere et autumno, et in centrum incidens terrae, octavis in partibus Arietis ac Librae ; bis permutatis spatiis, in auc­ tum diei, bruma, octava in parte Capricorni ; ooctis vero, solstitio, totidem io partibus Can­ cri. Inaequalitatis causa obliquitas est signiferi, quum para aequa mundi super suhlerque terras omnibus fiat momentis. Sed quae recta in exortu suo consurgant sigoa, longiore tractu lucem; qoae vero obliqua, ociore transeant spatio.

BON SOHO EGUALI.

XVII. 19.11 Sole ha quattro differenze, per­ chè due volte pareggia la notte al giorno, la primavera e Pau tuono, e cade nel ceutro della terra negli otto gradi d’Ariete e di Libra ; e due volte muta gli spazii nell'accrescimenlo del gior­ no, il verno, negli otto gradi di Capricorno; e della notte, nel solstizio, in altrettanti gradi di Cancro. La cagione di questa inegualità, è la ob­ liquità del Zodiaco ; perciocché sempre a tutta i momenti si fa la metà del mondo, e di sopra e sotto la terra. Ma i segni, che nel lor nasci­ mento salgono su relti, con più tango spazio tengono la luce ; quei che nascono obbliqui , passano piuttosto.

HISTORIARUM MUNDI LIB. II. Q iw n n u n u I oti asmeaxrrua. 1VU1. ao. La lei pleroaque, magna coeli «ssectatione compertum a prindpibus doctrinae viris, taperioroni trio·» sideram ignes esse qoi decida» ad terras fulminum nonen habeant; sed a u i a e t t iis taedio looo siti, fortassis qoo. msb contagium nimii homorii ex superiore circale, atque ardoris ex subjecto, per hunc modum «gerat ; ideoqoe dietum Jovem fulmina jaculari. Ergo at e flagraste ligno carbo cum crepitu, sic a sidere coelestis igni· exspuitor, praescita secum effertos, ne abdicata quidem sni parte in divinis •assaate operibus. Idqoe maxime turbato fit aCce; quia collectu· humor abundantiam stinolal, aat quia turbatur quodam ceu gravidi rideris farta.

l im v iL U in> nn.

Paacaà i

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Giova.

XVIII. ao. Molti non sanno, come con lunga osservazione del cielo nomici dottissimi autori di questa dottrina, hanno trovato, che i fuochi die cadendo in terra pigliano il nome di saette vengono da' primi tre pianeti, e massimamente da Giove, posto nei mezzo d'essi ; e ciò forse, perchè per qaesto modo parga la contagione dd troppo amore, il quale tira da Saturno, che gli è di sopra, e dell'ardore di Marte, che gli è dì sotto ; e perciò »’ è detto che Giove lancia le saette. Siccome dunque da legno ardente viene con istrepito il carbone, così dalla stdla il faooo celeste è mandalo fuori, R qcale apporta seco presagio di cose avvenire, e non cessa di far divine operazioni in cielo, con quella parte anoora, che da esso è scacciata. E ciò massimamente si fa essendo Paria turbata, perchè l'amor rac­ colto stimola l'abbondanza, o perohè Paria si turbe, come se 11 pianeta gravido avesse a par­ torire. D w u imrtavALLi

d il l i s u l l ·.

XIX. ai. Intervalla quoque sideram a terra XIX. ai. Molti ancora hanno tentato 45

HISTORIARUM MUNDI UB. II.

plagas: idcoqne protinus coruscare igneas Dubium rimas. Pone et reputai siderum depressum, qui a terra meaverit, spiritum nube cohibitum to­ nare, ualora strangulanto sonitum dum rixetur, edito fragore quam erumpat, ut in membrana spirito intenta. Poase et attritu, dom in praeceps feratur, illam, quisqois est, spiritum accendi. Posse et conflicto nubium elidi ot doorom lapi­ data, scintillantibus fulgetri·. Sed haec omnia esse for Init·. Hinc bruta fulmina et vana, ot quae aulla veniant ratiooe naturae. His percoli montes, his maria, omnesqae alios irritos jactas. Illa vero fatidica ex alto, statisque de causis, et ex sois ve­ nire sideribus.

a46

saette : e se per longo spazio fa tal forza, vengo­ no i baleni. Perciocché qoesti tendono le nugole, e quei le rompono. £ i tnoni sodo le percosse, che fanno i fuochi, che battono nelle nugole, c perciò subito le focose fessure loro vengono a lampeggiare. Può bene anco tal volta lo spirito, ehe si levò da terra, rispinto in già dalla forza delle stelle, e ristretto nella nugola, tonare, strangolando la uatura il suono, mentre che si combatte, ma finalmente mandando fuori il suo­ no, rompe come in carta pergamena gonfiata. Può qoello spirito ancora, qoalunque e* si sia, raccendersi, per lo stroppiccamento, mentre che furiosamente è portato. Può ancora per il riper­ cotiménto delle nngole spezzarsi, come veggiamo le scintille sfavillare da due pietre percosse insie> me. Ma tolte queste cose vengono a caso. E di qoi nasce, che tai folgori son vani, siccome quei, che vengono senza alcuna ragione di natura. Qoesti percootono i monti e i mari, e tutti gli altri luoghi battuti in vano. Ha i folgori, che predicano le cose avvenire, vengono da allo, e da cause determinate, e dalle loro stelle.

V aaroam s o aieo.

O aiGina Da’ va* t i .

XL1V. Simili modo ventos, vel polius flatus, pone et ex arido siccoque anhelitu terrae gign» oon negaverim : posse et aqois a€ra expirantibos, qai aeqne in nebolam densetur, uec crassescat in nube* : posse et solis impulso agi : qooniam vesto* non aliod intelligatur, quam fluxus sèri* : ptaribosque eliam modis. Namque et e fluroinibos, ac sino bus, et e mari videmus, et qaidem tranquUWi, et alios quos vocant Altanos, e terra consorgere. Qai qaidem quum e mari redeunt, Tropaei vocantur : si pergunt, Apogei.

XM V. Per questo modo non negherò ancora, che non possano nascer venti, o più tosto fiati da arido e secco vapor della terra : possono nascere ancora dalle acque, ch'esalano aria, la quale non si condensi in nebbie, nè ingrossi in nugole : possono eziandio essere spinti dal sole; percioc­ ché il vento non si tiene che sia altro, che onde di aria : possono ancora nascere in molti altri modi. Perciocché veggiamo procedere e da'fìumi, e dalle nevi, e dal mare, quando egli è più tran­ quillo, e altri venti, che si chiamano Altani, levarsi da terra. I quai venti, quando ritornano dal mare, si chiamano Tropei; e, se seguitano, Apogei. 44· 1 ripicchi de'monti, e le spesse sommità, e i gioghi svolti, con aperture, e le concavità delle valli rompendo l'aria,che di lì inegualmente risulta ( la qual cagione fa in molti luoghi ancora le voci reciproche senza fine) generano venti.

Montium vero flexus crebriqoe vertices, et conflexa cubito, aut confracta in homeros jaga, concavi valliom sinos, scindentes inaequa­ litate ideo resultantem aera ( quae causa etiam voces multis in locis reciprocas facit sine fine ), ventos generant. Alcune spelonche ancora generano venti, 45. Jam quidam et specus,qualis in Dalmatiae 45. ora, vasto in praeceps hiatu, in quem dejecto siccome una eh'è in Dalmazia, la quale ha una levi pondere, quamvis tranquillo die, turbini grande e precipitosa apri tura, nella quale getta­ maifia emicat procella. Nomen loco est Senta. tovi cosa di poco peso, benché di giorno tran­ Quin «t in Cyrenaica provincia rupes qoaedam quillo, ne nasce nobiloso vento di pioggia, che terribilmente s* aggira. Questa spelonca si chia­ Anatro traditor sacra, qaam profanam sil attre­ ctari hominis maoo, confestim Aostro volvente ma Santa. Dicesi ancora ehe nella provincia Cire­ arenas. In domibus etiam molti·, manu facta naica v’ è ooa oerta ripa consacrata al vento

»47

C. PLINII SECONDI

inclusa opacitate conceptacula aursi sani habent, adeo causa non decst.

Austro, la quale non si può toccare da mas d* uomo, che subito si · leva questo vento, e rivolge l'arena. In molte case ancora sono ricetti fatti a mano, dove è rinchiuso il fresco, i quali hanno i lor venti, in modo ehe non manca mai la cagione di fargli naaoere.

VCBTOBOM ÙBSBBTATIONB9 DIVEBSAE.

OsSBftVAZIONI DIVBSIB FATTE SDÌ VESTI.

XLV. Ma c'è gran differenta, s 'egli è fiato, o vento. Perchè qnegli «on venti ordinarii, che spirano, i quali non son particolari in alcun luo­ go, ma universali per molte terre, i quali non per óra, nè per burrasca, ma di nome aneora *00 maschi : e nascono o per lo continuo incitamento del moudo e contrario occorso delle stelle, o questo è quello spirilo generabile della natara delle cose che scorre qua e lì, come in qualche ventre: o noi diremo il vento essere aere percosso da ioegual colpo di stelle erranti, e da dissimili raggi di pianeti : o pure questi venti escono dalle proprie stelle loro, o da quelle, che son fisse al cielo. Ma comunque si sia, chiaro è, ch'esai hanno una legge certa di natura non incognita, benché nè anco per ancora del tutto conosciuta. Più di venti antichi autori Greci hanno 46. Vigiuti amplius auctores Graeci veteres 4 6 . prodidere de his observationes. Quo magis miror, scritto osservazioni di questi venti. Onde mag­ orbe discordi, et in regna, hoc est, in membra, giormente mi maraviglio, eh' essendo il mondo diviso, tot viris carae fuisse, tam ardua inventu : in tanta discordia, e diviso in regni, cioè membri, inter bella praesertim et infida hospitia, piratis tanti uomini si sieno curati di ccroar cose cosà etiam omnium mortalium hostibus transitus fer­ difficili a trovarsi, massimamente fra le guerre, me tenentibus : nt hodie quaedam in suo quisqae e gl' infedeli alberghi, e per li eorsali nimici di tracta ex eoram commentariis, qui numqnam eo tutte le persone, i quali tengono quasi lutti i accessere, verins noscat, qaam indigenarum scien­ passi : in modo che oggi ciascuno in oasa sua, tia : nane vero pace tam festa, tam gaudente da' libri di coloro, che non vi sono mai iti, ha p i* proventu rerom artiumque principe, omnino vera cognizione di questa cosa, ohe gli uomini nihil addisci nova inquisitione, immo ne veterum proprii del paese. Ed ora in cosi lieta pace, dove quidem inventa perdisci. Nou erant majora prae­ il principe s'allegra del miglioramento delTarli, mia, in mnltos dispersa fortunae magnitudine : e di latte le cose, non s 'impara più sulla per et ista piares sine praemio alio, quam posleros nuova investigazione, anzi nè anco pure s 'impa­ juvandi, eruerant. Mores hominum senuere, non rano le cose trovate e scritte dagli antichi. Non fractus : et immensa mollitudo aperto, quodeura- erano proposti maggiori premi i, perchè la gran­ que est, mari, hospitalique lilornm omnium ap- dezza della fortnna fosse sparsa in molli : e non­ palsu, navigat: sed lucri, non scientiae gratia. dimeno ci furon molli, che investigarono queste Nec reputat caeca mens, el tantum avaritiae cose senza speranza d 'altro premio, che di gio­ intenta, id ipsum scientia posse tutius fieri. Qua­ vare a' posteri. 1 costumi degli uomini sono propter scrupulosius, quam instituto fortassis invecchiati, e non i frutti : e gran numero di conveniat operi, tractabo ventos, tot millia navi­ persone, essendo aperti e sicuri tutti i mari, e con festa di tuiti i liti, i quali amorevolmente gli gantium cernens. ricevono, vanno navigando, ma per cagion di guadagno, e non di scienza. E la mente cieca, e solamente intenta all'avartua, non crede che ciò più sicuramente si possa fare con la scienza. Per la qual cosa forse più che non si converrebbe all'opera cominciata, tratterò de’venli, leggendo esserci tante mi gliaia di naviganti. XLV. Sed plariroum iulerest, fUtu· sii, an Tentai, Illos sUitos atque perspirantes : qnos non tractas aliquis, veram terrae sentiant : qai non aura, non procella, sed mares appellatione quo­ que ipM venti sunt : sive assiduo mundi tacitala, et contrario sideram occursa nascuntur ; sive hic est ille generabilis rerum aa lurae spiritus, huc illuc tamquam in alerò aliquo vagus : sive dispa­ rili errantiam siderum ictu, radiorumque multi­ formi jactu flagellatus aer, sive a suis sideribus exeunt his propioribus, sive ab illis coelo affixis cadunt, palam est illos quoqne legem naturae habere non ignotam, etiamsi nondum perco­ gnitam.

HISTORIARUM MONDI L1B. II.

VtKOiai e u iu .

Dilli u n n i d·' vttrri.

XLV1. 4?. Veteres quatnor omnino servaTe­ re, per totidemmoodi partes (ideo n e e Homerus piare» nominat ), hebeti, ut max judicato·» Ml, ratione. Secata aetas octo addidit, nimis subtili, et concisa : proximis inter utramque media pia· eaitf ad brerem ex nnmerosa additis quatuor. Sant ergo bini in quatuor coali partibus: ab oriente aequinoctiali Subsolanos, ab oriente bra­ mali Valtunms : illum Apelioten, hunc Eurum Graeci appellant. A meridie Auster, et ab occasu brumali Africas : Noton, et Liba nominant. Ab occasu aequinoctiali Favonius, ab occasu solsti­ tiali Cocus : Zephyrum, et Argesten vocant. A septemtrionibus, Sfeplemirio: inlerque eum et exorluaa solstitialem, Aquilo : Aparctias et Bo­ reas dietL Kemerosior ratio qoatuor bis interje­ cerat, Thraseam, media regione inter septemtrio■aena, el occasum solstitialem : itemque Caeeiam, media inter Aquilonem et exortum aequinoctialem, ab ortu solstitiali : Phoenicem, media re­ gione inter ortum brumalem et meridiem. Item inter Liba et Noton, compositum ex utroque medium, inter meridiem et hibernum occiden­ tem, Libonotos. Nec finis. Alii quippe Mesen nomine »*»«"""" addidere inter Borean et Caecian: el inter Eurum et Noto·, Euronotum. Soni etiam quidam peculiares quibusque genti­ bus venti, nou ultra certum procedentes tractum, nt Atheniensibus Sciron, paallum ab Argeste de­ flexus» reliquae Graeciae ignotus. Aliubi elatior, idem Olympiae vocator. Consuetudo omnibus hia noaainabna Argesten iatelligit: et Caecian abqpà vocant Hellespontiam, et eoedem alibi aliter. Item in Narbonensi provincia clarissimus ventorum est Circias : nec alio violentia inferior, Oaliam plerumque recta Ligustico mari perfe­ rens : idem non modo io reliquis partibus eoelr ignotas est, sed ne Viennam qaidem, ejusdem provinciae orbem, attingens, paucis ante limiti­ bus, jugi modici occorso tantus ille ventorum coercetur. Et Austros in Aegyptum penetrare negat Fabianus. Quo fit manifesta lex naturae, ventae etiam et tempore, et fina dido.

XLV1. 47· Gli antichi tennero, che non ci fossero più che quattro veoti, secondo le quattro parli del mondo (e perciò Omero non ne nomina anch'egli più) oou grossa e debil ragioae, siccome poi s'è conosciuto. L 'eli, ehe renne appresso, ve n' aggiunse altri otto, con troppo sottile e stretta ragione : quei che vennero poi, tolsero la via del meazo, dalla breve alla nuaaerosa aggiogando­ ne quattro. Sono due veoti adunque per cia­ scuna delie quattro parti del cielo : dall' orienta equinoziale, è Subsolano ; dall' oriente brumale ci è Vulturuo : questo da' Greci fu chiamato Ape­ liote, e quell* altro Euro. Da mezzogiorno i Au­ stri, e da ponente brumale Africo, il quale assi chiamano Noto e Liba. Da ponente equinozia­ le Favonio, da ponente solstiziale Coro, chiamati da' Greci Zefiro e Argeste. Da tramontana Set­ tentrione, e fra questo e levante solstisiale, Aqui­ lone, chiamati 1' uno Apartia e Γ altro Borea. Un' altra più numerosa ragiona n' aggiunse a questi quattro : cioè Traseia nella regione di mezzo fra tramontana, e ponente solstiziale : Cecia in quella di mezzo fra Aquilone, e levante equinoziale dal lavante solstiziale: Fenice,, nel­ la regione di mezzo fra levante bramale, e mez­ zogiorno, e fra Liba e Noto, composto di ambe­ due, fra mezzogiorno e ponente di verno, Libo­ noto. Nè perciò questo fu il fine percioochè al­ cuni altri ancora v' aggio asero un Tento, ebe si chiama Mese fra Borea e Cecia, e fra Euro e No­ to, un che chiamarono Euronoto. Hanno ancora certe nazioni alooni T e n ti lor proprii, i quali n o n escono più che un certo spazio, siccome sona gli Ateniesi, ehe hanno U vento Scirone, poco dif­ ferente da Argeste, il qual Tento non è conosciu­ to dal rimanente della Grecia. Altrove il medenmo vento alquanto più elevato si domaoda Olim­ pia. Ma la usanza per tutti questi nomi intende Argeste : e alcuni chiamano Cecia Eltospontia : e questi medesimi venti hanno altrove altri nomi. 10 Proveoza Circio è famosissimo reato, uè ceda a Terono altro di violenza, e a dirittura per 11 mar di Geoora condace ad Ostia. E il me­ desimo non solamente non è conosciuto nell* altre parti del cielo, ma non aggiugne pure insino a Vienna cittì della medesima Provenza ; perchè poco innanzi a quella dalla opposizione di picciol giogo è ritenuto quel così gran vento. Fa­ biano anch' egli 'dice, che il vento d' Austro non passa in Egitto. Onde si vede manifesta la legge, che la natura ha in sè stessa, essendosi assegnato ancora a* venti il tempo e il fine.

C. PUNII SECUNDI (* V kHTOBU· « H f ΟΚΑ *).

Da’ v b i t i naioDici.

XLVII. Ver ergo «perit navigantibus maria : cujas in priocipio, Favonii hibernam molliunt coelum, sole Aquarii xxv obtinente partem. 1$ dies sextus est ante Februarias idos. Competit ferme et hoc omnibus, quos deinde pooam, per singulas intercalationes ano die aalicipanlibns : rursumqae lustro sequeoti ordinem servantibus. Favonium quidam ante diem vm kalendas Mar­ tii, Chelidonian vocant, ab hirundinis visu : non­ nulli vero Ornithian, uno et l x x in die post brumam ab adventu avium, flantem per dies novem. Favonio contrarius est, quem Subsolanum appel­ lavimus. Datus est autem huic exortns Vergilia­ rum in totidem partibas Tauri, sex diebus ante Majas idus, qaod tempus aastrinum est, haic vento Septemtrione contrario. Ardentissimo aa· tem aestatis tempore exoritar Caniculae sidus, sole primam pariem Leonis ingrediente : qai dies xv ante Augustas kalendas est. Hujus exor­ tam diebus octo ferme Aquilones antecedant, quos Prodromos appellant Post biduum autem exortos, iidem Aquilones constantius perflant his diebus, qaos Etesias appellant. Mollire eos cre­ ditor solis vapor gemioatus ardore sideris : nec olli ventorum magis stati sant. Post eos rursus Austri frequentes, usque ad sidus Arctari, quod exoritar andecim diebus ante aequinoctium Au­ tumni. Cum hoc Corus incipit. Corus aulamoat: buie est contrarius Volturnus. Post id aequino­ ctium diebus fere qaatoor et qaadragiota, Vergiliarom occasas hiemem iachoat : quod tempas ia m idas Novembris incidere consuevit : hoc est Aquilonis hiberni, roaltamque aestivo illi dissimilis, cujos ex adverso est Africus. Ante bru­ mam autem septem diebus totidemqne postea, sternitor mare halcyonum feturae, onde nomen hi dies traxere : reliqoum tempus hiemat. Nec tamen saevitia tempestatum eludit mare. Piratae primam coegere mortis pericolo io mortem rue­ re, et hiberna experiri maria : none idem hoc avaritia cogit.

XLVII. La primavera danqae apre il mare ai navigaoli ; nel principio della quale i venti Fa­ vonii addolciscono Γ aere del verno, essendo il sole ne' venticinque gradi d’ Aquario. £ qaesto è agli otto dì di Febbraro. E conviene qaesto a tutti quegli, eh' io porrò dipoi per da sena a in­ tercalazione anticipando αα giorno, e di noovo servando l ' ordine nel seguente lustro. Percioc­ ché alenai a1 ventitré di Febbraro chiamano Fa­ vonio Chelidonia, perchè si comincia a veder le rondini. Altri lo domandano Oroilia, se ila n· t' nno dì dopo la brama, dalla veouta degli uc­ celli, soffiaodo egli per oove giorni. A Favonio è contrario il vento, che noi chiamammo Sab b ­ iano. A qaesto vento è assegnato il nascimento delle Vergilie in altrettanti gradi di Tauro, ai nove giorni di Maggio, il qual tempo è Austrino, essendo il Settentrione contrario a questo vento. I*a stella della Canioola.nasce nell' ardentissimo tempo della stale, entrando il Sole nel primo gra­ do di Lione, il qual giorno è a'sedici di Loglio. Nascono i venti Aquiloni otto dì inoanzi la Cani­ cola, e chiamansi Prodromi. Due giorni dopo il nascimento di tali stelle, i medesimi venti aqui­ lonari soffiano più assiduamente per quaranta di, e son chiamati Etesie. Da questi si tiene che sia mollificato il vapore del sole raddoppiato già dalΓ ardore della stella : nè alcuno altro vento è più fermo, e più ordinato di qoesti. Dopo loro si le­ vano di nuovo i venti di mezzogiorno frequenti fino alla stella d' Artaro, la quale nasce undici giorni avanti 1’ equinozio dell'autunno. Con questo comincia Coro, e regna nell' autunno ; a coi è contrario Volturno. Uopo qaesto equino­ zio d'intorno a ventiquattro giorui, tramontando e Vergilie, incomincia il verno, il qoal tempo uole venire agli undici di Novembre, cioè nei tempo dello Aqailooe del verno, ed è molto dif­ ferente da quello della state ; e all' incontro di questo è il vento Africo. Ora innanxi il verno sette giorni, e altrettanti dopo, viene bonaccia io mare, avendo a covare gli uccelli alcioni ; e Giove, e quelle della notte a Sommano. Le notturne sono più rare per la medesima cagione della frigidità dell'aria. 1 Toscani tengono che di sotto terra ancora vengano le saette, le quali da loro sono chiamate infernali, ed essendo falle di verno,sono molto crudeli e pestifere, perciocché tutte le cose, che stimano terrene, non sono generali, ne ven­ gono dalle stelle, ma da prossima, e più torbida nalura. Di questo è manifesto segno, che tulle le cose, che caggiono dal cielo superiore, fanuo sempre i lor colpi a traverso ; e queste, che si chiamano terrene, gli fanno diritti. Ma perchè cascano da materia più vicina, perciò ai crede eh* elle escano della terra, perciocché dalla riperoossa non fanno alcun segno, essendo la ra­ gion questa non d 'un colpo di sotto, ma all* in­ contro. Coloro che sottilm ente hanno investigate queste cose, tengono ch'elle vengano da Saturno, siccome quelle che ardono, vengon de Marte, quale fu quella, che abbruciò già tutta Bolaena, città potentissima di Toscana. Chiamano lacon famigliar! le pronosticati ve in tutta la vite, le quali vengono prima a ciascuno, che ha consti· tuito la sua famiglia, dandogli principio. Ma però tengono che le saette de'privali non facciano pronostico, che passi dieci anni, fuor che quell· che vengono nel giorno del matrimouio, o nel dì della nascita. Ledette pubbliche non si di­ stendono più che treni' anni, eccello quelle, che vengono.nella edificazione delle città.

D e FOLMIKIBUS EVOCANDIS.

LIV. 53. Exstat Annalium memoria, sacris quibusdam, et precationibus, vel cogi fulmina, vel impetrari. Vetus fama Eiruriae est, impetra­ tum, Volsinios urbem agris depopulatis subeunte monstro, quod vocavere Voltam. Evocatum et a Porsenna suo rege. El ante eum a Numa saepius boc faclilalura, in primo Annalium suorum tra­ dii L. Piso, gravis auctor : quod imitatum parum rile Tullum Hostilium iclum fulmine. Lucosquc et aras el sacra habemus : interque Statores, ac Tonantes, el Feretrios, Elicium quoque accepi­ mus Jovem. Varia in hoc vitae sententia, et pro cujosque animo. Imperari naturae audacis est credere ; nec minus hebetis, beneficiis abrogare vires ; quando in fulgurum quoque ioterprela-

E

voca u

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d b llb sa b ttb .

L 1V. 53. Trovasi scritto nelle istorie, che era certi sacrificii, o preghi, si costringono a venire, o s'impetrano le saette. Ragionasi per cosa antica in Tpscana, che la città di Bolsena la impetrò, essendo guasti i lor campi da un m o stro , che v'era entrato sotto, il quale essi chiamarono Vol­ ta ; e fu scacciato dal loro re Porsena. E L. Pi­ sone, scriltor di grande autorità, scrive nel prisno libro delle sue istorie, che innanxi a lui ciò più volte fu fatto da Numa : il che avendo volato imitare Tulio Ostilio, e non osservando quello che bisognava, fu percosso dalla saetta. Abbiamo anoora e boschi, e altari, e sacrificii, e fra gli S u ­ tori, i Tonanti e i Feretrii, v' è anche Giove Elicio. Diverse sono in questo le opinioni degli

HISTORIARUM MUNDI LIB. II. tiooe «o profecit scientia, ot ventare alia finito die praecinat; et aa peremptura sint fatum, aat apertura potias alia fata quae lateant, innumera­ bilibus m utroque publicis privatisque experi­ mentis. Quamobrem sint ista, ut rerum naturae liboit, aliis certa, aliis dubia, aliis probata, aliis damnanda: nos cetera, quae sunt in his memo­ rabilia, non omittemus.

C

a t h o l ic a

r o to c ira .

LV. 54· Fulgetram prias cerni, quam toni­ trum andiri, qunra simul fiant, certum est. Nec ■iram ; quoniam lux sonitu velocior. Ictura au­ temel sonitam congruere, ita modulante natu­ ra ; sed sonitum profecti esse fulminis, non illati. Etiamnam spiritum ociorem tolmine : ideo quali prius omne et afflari, quam perenti : nee quemquam tangi, qui prior viderit fulmen, aut toni­ tru audierit. Laeva prospera existimantur, quo­ niam laeva parte mundi ortus est Nee tam adven­ ias spectatur, quam reditus : sive ab ictu resilit ignis, sive opere confecto, aut igne consumpto spiritus remeat. In sedecim partes coelum in eo aspecta divisere Tusci. Prima est a septemtrionibus ad aequinoctialem exortum : secunda ad aaeridiem , tertia ad aequinoctialem occasum : quarta obtinet quod reliquum est ab occasu ad septemtriones. Has iterum in quaternas divisere partes, ex quibas octo ab exortu sinistras, toti­ dem e contrario appellavere dextras. Ex his maxime dira, quae septemtrionem ab occasu at­ tingant Itaque plurimum refert, unde veneriut falauna, et quo concesserint. Optimum est, in exortivae redire partes. Ideo cum a prima coeli parte venerint, et in eamdem concesserint, sum­ ma felicitas portenditur, quale Syllae dictatori •stentum datum accepimus. Cetera ipsius mundi portione minus prospera, aut dira. Quaedam folgnra eountiare «ion putant fas, nec audire, praeterquam si bospiti indicentur, aut parenti. Magna hujus observationis vanitas, tacta Junonis «ede, Romae deprehensa est Scaaro consule, qui • o i princeps fuit.

afa

uomini, e secondo U parer di ciascuno. Ma gran­ de ardire è il credere che si comandi alia natu­ ra ; e non è minor pazzia persuadersi di levarle le forze co'sacrificii; poiché ancora tanto avanti è passata 1^ scienza della interpretazione de* fol­ gori, ch'ella predice con definito giorno quel che ha a venire; e s'elle sono per levar via il fatto, o piuttosto per iscoprire altri fatti, che stanno ascosi, con infiniti esperimenti pubblici e privati neU'una e nell’altra cosa. Però sirn pure queste cose (siccome piace alla natura) ad altri certe, ad altri dubbiose, da alcuni approvale e da alcuni biasimate: noi non lasceremo di dire le altre cose, che in questa materia sono degne di memoria. C o s e OHIVEtSALl !>*’ FOLGORI.

LV. 54· Egli è cosa certa, che prima si vede il baleno, ancoraché si facciano insieme, che non s'ode il tuono. E ciò non è maraviglia , perché la luce è più veloce che il suono. Ma 1* percossa e il suono s'accordano, perciocché cosi è l'ordine della natura. 11 suono è della saetta venuta, non mandata : e similmente il vento è più veloce che la saetta : e perciò avviene che la cosa trema, e sente il vento, prima che sia percossa dalla saetta. Né alcun sari mai tocco, che prima abbia veduto il folgore, o udito il tuono. 1 folgori, che vengono dalla man manca del cielo, sono tenuti prosperi, perché il levante è dalla man manca del mondo. Né si considera tanto la venuta della saetta, quanto la pattila, o che il fuoco dalla percossa risalii indietro, o che finita l'opera,e consumato il fuoco,il vento ritorni addietro. In questo aspetto i Toscani divisero il cielo in sedici parli. La prima é da tramontana a levante equiuoziale, la seconda a mezzogiorno, la terza a ponente equinoziale, la quarta tiene quel che rimane da ponente a tramontana. E cia­ scuna di queste divisero di nuovo in quattro par­ ti, delle quali olio da levante chiamarono sinistre, e altrettante all'incontro destre. Di queste le più pestifere e dannose son quelle, che da pooente vengono a tramontana. Importa dunque mollo sapere, onde le saette sien venute, e dove hanno dato. Ottima cosa è, ch'elle ritornino nelle parti orientali. E per questo quando elle vengono dal­ la prima parte del cielo, e tornano nella medesi­ ma, significano somma felicità, il qual pronostico leggesi che fu dato a Siila dittatore. Nelle altre parti d'esso mondo per proporziono son manco prospere. Certe saette nou pensano che sia lecito narrarle, ne udirle, fuor che se son denunziate al padre, o al forestiero, che ha a l b e r g a l o in casa. Grande è la vanità di qneita osservazione.

C; 'PL1MI SECONDI

Noeta magi·» quam ialerdia, line tonitribus fulguret Unum animai bominem non «emper exstinguit, cetera illico : hunc videlicet D atu ra tribuente honorem, quum tot belluae viribus praestent. Omnia contrarias inenbant in partes : homo, nisi convertatur in percussas, non exspi­ rat. Saperne icti considunt. Vigilans ictus conniventibus ocalis, dormiens patentibus reperitur. Hominem ita exanimatum cremari fas non est : condi terra religio tradidit. Nullum animal, nisi exanimatum, fnlmine accenditur. Vulnera fulmi­ natorum frigidiora sant reliquo corpore.

Fa percossa la chiesa di Giunone in Rohm , es­ tendo Scauro consolo, il quale fa poi principe. La notte pià eh· il giorno folgora senxa tuo­ ni. L'uomo solo fra tutti gli altri animali ra t i sempre morto dalla saetta : gli altri subito moo· iono ; perciocché la natura a lui dì questo ooore, laddove tante bestie lo vantaggiano di farse. Tutti gli altri animali percossi giacciono rovesci: l’uomo, se non è rivolto nelle parti peroosK, non muore. Quegli, che sono percossi di sopra, stanno a sedere. Quel che veggbiando è percosso, si trova con gli occhi chiusi; e colui che dorme» con gli occhi aperti. L'uomo, eh'è morto di que­ sta maniera, non è lecito che s'arda ; ma la reli­ gione vuole che sia sotterrato. Nessuno animale, se prima non è morto, arde per saetta, e le ferite di quegli che sono stali fulminati, son piò fred­ de, che il resto del corpo.

Q vAH mU Q VAM IBM A VTO B.

Q uali c o n · ο · m i o t o c c u d alla sabtta .

LVI. 55. Ex iis, quae terra gignantur, lauri fruticem non icit ; nec umquam quinque aliius pedibus descendit in terram. Ideo pavidi altiores specas tutissimos putant : aut tabernacula e pel­ libus bellaarum, quas vltalos appellant : quoniam hoc solum animal ex marinis non percutiat : si­ cut nec e volucribus aquilam, quae ob hoc armi­ gera hujus teli fingitur. In Italiainler Terracinain et aedem Feroniae, tarres bellicis temporibus desiere fieri, nulla non earum fulmine diruta.

LVI. 55. Di quelle cose, che nascono in terra, l'alloro aoo è tocco dalla saetta ; « la snello non Iscendemai in terra più che cinque piedi. E per· ciò i paurosi tengono per sicurissime le spelonche profonde; ovvero i padiglioni fotti di pelli 4»be­ stie, che si chiamano vitelli marini, perciocché qoesto animai solo fra tutti quelli, ohe nascano in mare, non è tooco dalla saetta, come anche fra gli uccelli l'aquila, la quale per qnesto ai finge eh· porti queste arme a Giove, lo Itali* fra Terra· cina e il tempio di Feronia restarono di farti torri ne* tempi della guerra, essendo roviaaU tutte dalla saetta.

L a c te

f l u i s s i , sa h g u ih e , c a s h e ,

m io ,

lava,

PlOGOft PRODIGIOSI DI LATTE, SA «ODE, C i M I ,

LATMUBUS COCTIS.

rumo, LARA, MATTOH1 cossi.

LV1I. 56. Paeter haec inferiore coelo relatam in monumenta est, lacte et sanguine pluisse M. ▲cilio, C. Porcio coss. et saepe alias : sicut carne, P. Volumnio, Servio Sulpicio coss., exque ea non putruisse, quod non diripuissent aves. Item ferro in Lucanis, anno antequam M. Crassus a Parthis interemptas est,oranesque cum eo Lucani milites, quoram magnus numerus in exercitu erat. Effi­ gies, quae pluit, spongiarum fere similis fuit : aruspices praemonuerunt superna Vulnera. L. autem Paulo, C. Marcello coss. lana pluit circa castellum Carissanura, juxta quod postaunam T. ▲nnius Milo occisus est. Eodem causam dicente lateribus coctis pluisse, in ejus anni acta rela­ tam est.

LVII. 56. Olirà queste oose, per l'aero infe» riore si trova scritto esser piovuto latte « eaftgue, essendo consoli M. Acilio e G. Portio, e di molte altre volte ; siccome anche piovè cani·, essendo consoli L. Volunnto e Servio Solpisio, della qaal carne non si guastò quel ch'era avanzato agli uccelli. Piovè ferro ancora in Lucania, l'anno innanzi che M. Crasso fu morto da' Parti, e tatti i soldati Lucavi con lai, ch'erano nell'esercito in numero grande. Fu la forma di questo ferro, ebe piovè, simile alle spugne; onde gl'indovini predissero, che sarebbon venute ferita dal deio. Un'altra volta essendo consoli L. Paolo a G. Mar* cello, piovè lana appresso il castello Carissano, dove l'anuo seguente poi fu morto T. Ann io Milone. Trovasi negli atti di quell'anno, che difendendo egli la saa causa, piovi mattoni cotti.

HISTOMJJtUM MONDI LIB. Π. iia o in

c a u i n » , * x t c m i « o n x iw

d r c o r lo

a v u t o ·.

LV111. S7. Armorum crepitile» et tubae soni· tns andito· e coclo Cimbrieia belli· aecepimus : crcbroqoe el pritu, et poUca, Tertio vero conio· iato Marti ab Amerinis el Tuderlibu· spectata ama codesti*, ab orla occasnqae inter se con­ correnti*, polsi· qaae ab occasa erant. Ipsum ardeae coelam t minime miram est, et saepies lito ·, majore igne nobibos correptis.

D b u n n i o i c o b l o c a d b h t iiu s . A rax a g o rr a db b is .

U 1 SS. Celebrant Graed Anaxagonm Qaw w h i · , «lympiadis septuagesimae octavae se­ condo au to , praedixisse coelestium li terarum aprali·, qaibas diebus saxom casuram esset e •ole. Idque factam interdia in Tbraeiae paria si£ g o s flamen. Qai lapis etiaaa non· ostenditor, ■ spiladiae vehis, colore adusto, ooaaete quoque illi» aoctiboa flagrante. Qaod si quis praedictam credei, «aonl Calcator necesse est, majoris miraooK dnisutatem Anaxagorae fuisse, solviqa· «acaa naturae intellectum, et confondi omnia ; si aut ipso sol lapi· esse, aat nmquam lapidem in eo Ansae credatur: decidere tamen crebro, non eril dabiom. In Abydi gymnasio ex ea caos· eolitor bodieque, modica· qaidem, sed quem in medio larrantm casurum idem Anaxagora· praedixi··· namlar. Colitor el Cassandriae, Potidaea vocitata eat, ob id dedneta. Ego ipse vidi in Vocontiorum agro panilo ante dela­ tam.

Amcm coxuras. LX. 59. Areo· vocamus, extra miraculum frcqoenle·, et extra ostentam. Nrm ne plnvios qnidem, aat sereno· dies, corn fide portendant. Manifestam est, radiam solis immissam cavae subi, repalaa sd e in solem refringi, colorumque 'varietatem mixtura nobium, airi·, igninmque fieri. Certe nisi solo adverso non fiant, nee «■quam, nisi dimidia circoli forma 1 nec noeta, qmamvia Aristotele· prodat aliquando visam,

Suono d ’a r jii

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m a r ia .

LV1IL 57. Leggesi, coma nella guerra dei Cimbri, e spesse volte ancora e prima e poi. Co­ rono oditi strepiti d 'arme, · soon di trombe dal cielo. E nel terso consolato di Mario, in Amelia, e in Todi furono vedale armi celesti da levant· a ponente correre ad incontrarsi fra loro, dove quelle di ponente furon messe in fo­ ga. E non è anche maraviglia che il cìd · arda, perchè ciò s 'è visto piò volte, essendo entrata nelle nngole grande abbondansa di fuoco. PlBTBB CADUTB DI CULO. di

Ciò C M

BARRASI

A m assaooba ib t o r r o a c iò .

LIX. 58. Celebra·· i Greei Anassafors CU- ' tomento, il qual· l’anno secondo dell* olimpia settantesima ottava per la sdenta delle lettere celesti predisse in che giorno sarebbe caduto nn sasso dal sole. E ciò avvenne di giorno in Tracia appresso il fiume Ego. Le qual pietra oggi si moatra ancora, della grandetta d’on carro, di colore arsiccio : · in quelle medesime netti rilu­ ceva la cometa. La qual cosa, se alcuno erede eh· fosse predetta, bisogna ancora ebe confessi la divinili d’ Anassagora esser· «tata di maggior maravigli·, « eh· lo intettetto ddla natara dd­ le cose si dissolve, e ogni cesa si confonda, se si eroda eh’esso sol· *ia pietra, o ehe in lei fesso mai pietra; e nondimeno chiara cosa è , che •pcsso caggiono dell· pietre dal deio. Nel ginna­ sio d* Abido per questa cagione oggidì ancora è onorata una pietra non molto grande, la qoale dicesi che il medesimo Anassagora avea predet­ to, che doveva cadere nel metto della terra· È adorata anche in Cassandria, la qnale si chia­ ma Potidea, e per qoesto condotta da luogo a luogo. Ed io medesimo Γ ho veduta nd territo­ ri· d·* Vocoozii, dove poco avanti era «tata oondotla. D b ix * a r c o c a n a r i.

I X . 5φ. Quei, che noi chiamiamo archi, av­ vengono molto spesso, e ciò non è maraviglia, nè prodigio; perciocché essi non predicono al sicuro nè pioggia, nè sereno. Certa cosa è, che il raggio del spie percolendo in una nugola concava, rispinta la punta nd sole viene a spez­ iarsi, e fa qadJa varieté de'colori con la misura delle nugole, ddl'aria e de’ fuochi. Bene è vero che non si fanno mai, se non all1incontro dd

G. PLINII SECUNDI qaod tamen fatetor idem non nisi quartadecima lana posse. Fiunt antem hieme maxime ab aequi­ noctio aatamnali die decrescente. Quo rarsas crescente ab aequinoctio verno non exsistant : nee circa solstitium longissimis diebas : brama Tero, hoc est, brevissimis diebas, frequenter, lidem sublimes humili sole, hamilesqoe sublimi, el minores oriente, aut occidente, sed in latitudi­ nem diffusi : meridie exiles, veram ambitas ma­ joris. Aestate vero per meridiem non cernantur: post aatumui aequinoctium quacumque hora: nec umquam piares simul quam doo.

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o b ak d ib js ,

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ρ β ιπ η α β , e x b o l a e , b o e is :

MUBIDM 1MAGIBBS.

sole, nè mai se non con la mena forma del cir­ colo, nè di notte tempo; benché Aristotele scri­ ve, che pure alcuna volta s’ è visto : e nondimeno confessa, che ciò non può essere se non nella quartadecima luna. Vengono questi archi di verno, e massimamente dopo l'equinozio del­ l'autunno, quando i giorni scemano. E quando i giorni crescono dopo l'e q u in o z io della prima­ vera, non si veggono ; nè anco d 'intorno il sol­ stizio, quando i giorni son lunghissimi : di verno poi, qaando i dì son brevissimi, si veggono mol­ to spesso. Sono questi archi alti, qaando il sole è basso ; e bassi, qaando egli è alto ; e minori, qaando il sole va sotto, o qaando e' si leva, ma diffusi in lunghezza ; di mezzogiorno sottili, ma di maggior circuito. Ma la state non si veggono di mezzogiorno : dopo l'equinozio deli'aatunno, da ciascuna ora : nè mai più che doe insieme. D

ella

g b a m v o l a , s b v b , b b ih a t a , v b b b i a ,

BDG1ADA : DBLLB ΙΜΑΟΙΙΠ DBLLB M O G O L *.

LXI. Cetera ejusdem natorae non multis do* LXI. L'altra coso della medesima natara bia esse video. veggo che son chiare a molti. 60. Grandinem conglaciato imbre gigni, el 60. Nasce la gragnuola di pioggia agghiac­ nivem eodem humore mollias coacto : pruinam ciata, e la neve del medesimo umore, ma piè aulem ex rore gelido. Per hiemem nives cadere, dolcemente congelato; ma la brina ai genera non grandines : ipsasque grandines interdio sae­ di rugiada agghiacciata. Di verno veogono la pius, quam noctu, et mallo celerius resolvi, quam nevi e non le gragnuole ; le qnali gragnnole ven­ nives. Nebulas nee aestate, nee maximo frigore gono più spesso di giorno, che di notte, e si exsistere. Rores neque gelu, neque ardoribus, risolvono molto più presto, che le nevi. Le neb­ neque veniis, nee nisi serena nocle. Gelando li­ bie vengono di state, nè per grandissimo freddo. quorem minui, solotaque glacie non eumdem Le rugiade non si fanno quando è freddo, nò inveniri modum. caldo, nè vento, nè mai se non di notte serena. L'umore quando s'agghiaccia, e disfatto il ghiac­ cio, non si trova essere quanto prima. 61. Veggonsi le di versili de’ colori, e delle 61. Varietates colorum figurarumque in nu­ bibus cerni, prout admixtus ignis superet, aut figure nelle nugole, secondo che il fuoco mesco­ latoti vince, o è vinto. vincator. P io n n u n s

cobli

m l o c is .

LX1I.6a. Praeterea quasdam prorietates qui­ busdam locis esse. Roscidas aestate Africae noctes. In Italia Locris, et in Iaco Velino, nullo non die apparere arcus. Rhodi et Syracusis numquam tanta nubila obduci, ot non aliqua hora sol cer­ natur : qoalia aptios soia referentur locis. Haec sint «lieta de aere.

N atvba

t b ib a s .

LXI1I. 63. Sequitur terra, cui nni rerum naturae jfartium, eximia propter merita, cogno­ men indidimus maternae venerationis. Sie homi-

D b l l b rx o ra iE T À

d b l l ' a b i a sb c o k d o i l v o o t i .

LXII. 6a. Sono oltre a ciò certe proprieti d'aria in alcuni luoghi. In Africa la state vi sono le notti rugiadose. In Italia a Locri, e nel Iago Velino ogni dì si vede 1*arco celeste^ Io Rodi e in Siracusa non è mai tanto nugolo, che da qualche ora non si vegga il sole. E queste cose più comodamente si diranno a* «noi luoghi. E questo basti aver detto dell'aria. D

ella b atce a della tb b b a.

LX1II. 63. Segoe ora la terra, alla qoale ano parte della natura delle cose, per li suoi grandiasimi meriti, abbiamo dato nome di madre. E cesi

»69

HISTORIARUM MONDI L1B. II.

anni in· t ul coelam Dei : qaae no· nascente· excipit, nato· alit, •emelque editos sustinet semper : novìssime complexa gremio jim a reliqua natura abdicatos, tam maxiine ut mater, ope­ riens : nollo magie sacra merito, qaam qoo nos quoque sacros facit, etiam monumenta ac titulos gerens, nomenque prorogans nostrum, et memo­ riam extendens contra brevitatem aevi. Cujus numen nllimum jam nullis precamur irati grave: tamquam nesciamus hanc esse solam, quae namqaam iriscatur homini. Aquae subeunt in imhres, rigescunt in grandines, tumescant in doctas, praecipitantor in torrentes: aer densatur nubibos, furit procellis. At haec benigna, mitis, indulgens, usnsque mortaliam semper ancilla, quae coacta generat ! quae sponte fundit ! quos odores saporesque ! quos succos ! quos tactus ! quos colores ! quam bona fide creditum fenus reddit ! quae no­ stri causa alit

Pestifera enim animantia, vitali spiritu habente culpam, necesse est illi seminata excipere, et genita sustinere. Sed in malis generantium noxa est. Illa serpentem homine percusso non amplias recipit, poenasqae etiam ioertium nomine exigit: ilia medicas fundit herbas, et semper homini pariant. Qain et venena nostri misertam insti­ tuisse credi potest: ne in taedio vitae fames, mors terrae meritis alienissima, lenta nos conia­ laerei tabe : ne lacerum corpas abrupta disper­ gerent : ne laquei torqueret poena praepostera, incluso spiritu, cui quaereretur exitus: ue in profundo quaesita morte, sepultura pabulo fieret: ne ferri cruciatas scinderet corpus.

Ita est, miserta genuit id, cujus facillimo haustu, illibato corpore, el cum tolo sanguine exstingueremur, nullo labore sitientibus similes : qualiter defunctos, non volucris, non fera attin­ gerei, lerraeque servaretur, qui sibi ipsi perisset. Veram Caleamur, terra nobis malorum remedium genuit, nos illud vitae fecimus venenum. Non euim et ferro, quo carere non possumus, simili mo­ do ulimur? Nec tamen quereremur merito, etiamsi auleficii causa tulissel : adversus unam quippe ualurae pariem ingrati sumus. Quas non ad deli·

270

questa è degli uomini, come il cielo di Dio : ella nascendo noi d riceve, nati d alleva ; e poi che una volta siam nati, sempre d sostiene : final­ mente d riceve nel suo grembo, quando gii siamo scacciati dalla natara, e pare allora d aspetta come madre ; con nessun maggior sacra­ mento che quello, per lo qual fa noi ancora sacri, e ritiene i ricordi e i titoli di noi, e pro­ lunga il nome nostro, ampliando la memoria contra la brevità del tempo. La coi ultima divi­ nità noi. non preghiamo mai adirati che faccia male a veruno, quasi che non sappiamo, che questa «ola è quella, che mai non s'adira con l'uomo. Le acque s'innalzano in piogge, si rasso­ dano in gragnuole, si gonfiano con Tonde, rovi­ nano in fiumi di rapina : l'aria si condensa in nugoli, e infuria per le tempeste. Ma questa beoigna, mansueta, amorevole e sempre serva al bisogno delle persone, che cosa fa ella costret­ ta e coltivata ! quante ne produce ella da si stessa J quanti odori e sapori ! quanti saghi ! quante cose che dilettano il tatto ! quanti colori! con quanta buona fede, e con che usura ci rende il seme,che le abbiamo fidato ! e in somma quante cose nodrisce ella per nostra cagione 1 Che ci sieno degli animali pestiferi e vele­ nosi, la colpa non è di lei, ma dello spirilo vi­ tale ; perch'ella è sforzata pigliare il seme ddle cose, e generale sostenerle. Ma ne' mali, la colpa è di chi ingenera. Ella non riceve più il serpente, poiché ba percosso l'uomo, e fa la vendetta anche de'pigri, che non sanno vendicarsi da loro: ella fa l'erbe medicinali, e sempre partorisce alcuna cosa a beneficio dell'uomo. Ami si può credere ancora, che per aver compassione di noi ella abbia fallo i veleni, acciocché nel tedio della vita, la fame della crudel morte, troppo contraria a'meriti della terra, non ci consumasse con un Iango penare; acciocché i precipiti! non disper­ gessero il corpo sbranato ; acciocchi il capestro non chiudesse la via dell'uscire allo spirito; ac­ ciocché ricercando la morte io qualche profon­ dità, non si facesse la sepoltura di chi lo pasce; acciocché il lormenlo del ferro non dndschiasse il corpo. E così è senza dubbio, che per compassione di noi ella ha generato cosa, la quale agevolissimamenle beendosi, e con tutto il sangue noi venissimo a mancare, senza fatica veruna, a guisa di coloro, che hanno seie : acciocché es­ sendo l'uomo morto di questa maniera, nè uccel· lo, nè fera lo toccasse ; ma si serbasse alla terra, la quale a sè medesima l'area partorito. E per confessare il vero, la terra ci ha generalo il ri­ medio de'mali, e noi l’ abbiamo fatto veleno dell* vita. Perciocché noi anche nel medoiino

c. p u n ii secundi

*7*

viat, quasque non ad oonltundia* servit homini ! In muria jaatar, «at, nt freta admittamus, ero· di lar aqaia : ferro, lig no, igne, lapide, froge, omnibus eradatur horia, maltoqae pia· at deli­ ciis, qaam nt alimentis famuklnr nostri·. Nisi tamen, qaae summa patiatur, atque extrema cate, tolerabilia rideantur. Penetramus in viscera, auri argentique venas, et aeris àc plumbi metalla fodktotes : gemma· etiam et quosdam parvaloi quaerimus lapide», scrobibus in profundum actis. Vijcera ejus extrahimus, ut digito gestetur gem­ ma, quam petimus. Quot manas alterantur, ot nnus niteat articulus ! Si ulli essent infert, jam profecto illos avaritiae atque laxartae cuniculi -refodissent. Et miramur ti eadem ad noxam ge­ nuit aliqua ! Ferae enim, credo, custodiunt illam, arceat que sacrilegas manus. Non inter serpentes fodimus, et venas auri tractamos cum veneni -radicibus t Placatiore tamen dea ob hoc, quod omnes hi opulentiae exitus ad scelera, caedesqae, et bella tendant : quamque sanguine nostro irri­ gamus, insepultis ossibus tegimus. Quibas tamen, vehit exprobrato furore, tandem ipsa se obducit et seelera quoque morlaKum occultat.

Inter crimioa ingrati animi et hoc duxerim, quod naluram ejus ignoramus.

De

*

oxma . e j u s .

LXIV. 64· Bit aulem figura prima, de qua consensus judicat. Orbem certe dicimu* terraé, globo mqu« verticibus includi falemur. Neque enim absoluti orbis esi forma, in tanta monlinm excelsitate, tanta camporum planitie : sed cujus amplexus, si capita linearum comprehendantur ambitu, figuram absoluti orbis efficiat : id quod ipsa rerum naturae cogit ratio, non eisdem causis, quas attulimus in coelo. Namque in illo cava in se convexitas vergit, et cardini suo, hoc est, terrae, nndique incumbit. Haec, ut solida atque conferta •dsnrgit, intumescenti similis, extraque proten­ ditur. Mundas in centram vergit: at terra exii 'a centro, immensnm ejus globum in formam orbis assidua circa eam mundi volubilitate cogente.

*7» i modo usiamo il fèrro, senza il qaale non possiai d o fare. Nè però anche a ragione ci dorremmo, valgy* omne * lue# ad tenebra* : sacerdote* Romapi, ei qui dieta diftniere cin­ t a i, item Aegyptii, et tfippacqhus, a media nocte in mediam . Minora autem intervalla ose loda in ter ortussolis jnxta solstitia, qaam aequinoctia, apparet : qoia positio signiferi drea niniia ani obliquior est; juxta solstitium rero rectior.

O im a u T u o u t m ·

m o r d i l ib .

uoTiBOs.

'LX X X I. 99. Babyloniorum placita, motus Icrrue, hiatnsque, ei cetera oannia, vi siderum «ùalisiaatfieri,sed illotum trium, quibus iulmina adsipanl : fieri autem, meantium eum sole, aut ronfiari>tjnp. et maxime circa quadrata mundi, PruecUt* «pandem esaa el immortalis in eo, si

LXX1X. 77. II giorno è stato distinto da molti, da ehi in un modo, e da ehi ia an altro. 1 Babilouii lo fanno da un levante all* altro : gli Ate­ niesi dall* uno occaso all* altro : gli Umbri da menogierno in mezxogiorno ; e tutto il volgo lo fa daHa mattina alla sera : i sacerdoti Romani, e quei che diffinirono il giorno civile, e gli Egitti ancora e Ipparco, dalla metzanotte ftao elT «rttra mescanone. E si vede ohe minori sono gl* inter­ valli della luce fra H nascimento del sole appres­ to i solstisii, che gli equinosii, perchè la positura del sodiaeo circa il suo meteo è più obbliqna, ma appresso il solstizio più retta. DirraaEEXB d i

g e s t i secon do 1 clim i.

LXXX. 76. Ora s* hanno d* aggiagnere a qual ehe s* è detto, le cose ebe dipepdooo dalle canee celesti. Perciocché ei non è dubbio, che feti Btiopi per lo vapore del sole, eh* è lor vicino, sono riarsi, e nascono simili agli abronzati, con la barba e i capei riccioli. E quegli che tono a tra· montana* hanno la pelle bianca, co* capei biondi, e luoghi ; ma di terribile aspetto per lo rigor del cielo. E queste e quelle genti sono assai poco stabili. E con esao argomento de’ ctpegli, si vede, che gli Etiopi hanno il sago ritirato insù, per rispetto della natura del caldo ; devi questi altri lo maadan già naUe parli inferiori, per «ugiou dall* umor, che rioade. Qui nascono terribili fiere!» e quivi varie specie d* animali, e massimamente d* uccelli, e in diverse fonde. Nondimeno nel* 1* uno e altro luogo nascono corpi grandi, quivi per la forua de* fuochi, e qui per lo alimeolo del· l ' umore. Ma il paese posto in questo messo è sano, e fertile a tutte le cose, per la mistura di qua e di là ; e i coppi sono di mediocre statore. Sono anco di eeior molto temperato, I notturni loro sono molto umani, i sentimenti pori, gl* in» gegni fecondi, e capaci d'tateoidére tutta 4« na­ lura. I medesimi hanno gl* imperii* i1 paese di Galene e di Gamale, città in Fenicia, insieme 000 esse ; e Fegio altissimo giogo dell* Etiopia; come se non assaltassero i liti infedeli. Delle

c it t à c h b soho s t a t b i u g h i o t t i t e dal m abb.

XCIV. 93. Pyrrham et Antissam·circa Maeotim poutus abstulit: Helicen et Baram in sinu Corinthio, quarum ia alto .vestigia appareot. Ex insola Cea amplios triginta millia passuum abru­ pta subito cura plurimis mortalibus rapai t. Et in

XC1V. 93. Il mare appresso alla palude Meotide inghiottì già Pirra e Antissa* Elice e Bara nel golfo Corinzio, i cui vestigii si veggono an­ cora oggi in alto mare. Dell1isola di Cea fa in un subito sommerso per più di trenta miglia,

HISTORIARUM MONDI L1B. II.

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Sicilia dimidiam "Tyndarida urbem, ac quidquid ab llalia deest. Similiter in Boeotia Eleusina.

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X CV, 93. Motus enim terrae sileantur, et quidquid est, obi saltem busta urbium exstant : amai ot terrae miracola potius dicamus, quam scelera natorae. Et bercole non coelestia enarratu difficiliora foerint. Metallorum opulentia tam varia, tam dives, tam fecunda, tot seculis subo· riens, qoom tantam quotidie orbe toto popalenIsi ignes, ruinae, naufragia, bella, fraodes : tan­ tam vero luxuria, et tot mortales conterant: gemmarum pictnra tam multiplex, lapidum tam discolora maculae, interqoe eos, candor alicujus, praeler locem omoia excludens : medicatorum fontium vis : ignium tot locis emicantium perpeiaa tot secalis ioceadia : spiritus letales ali­ bi, aat scrobibus emissi, aat ipso loci sita mor­ tiferi, «libi volucribus tantam, at Soracte vicino Crbi tracto : alibi praeter hominem, ceteris animanlibas: aonoamquam et homini, ot in Sinuessaao agro, et Puteolano : spiracula vocant, alii Charooeas scrobes, mortiferum spiritum exha­ lantes. Item io Hirpinis Amsaocti, ad Mephitis aedem, locum, quem qui iotravere, moriuolar. Simili modo Hierapoli io Asia, Matris taotom Magnae sacerdoti innoxium. Alibi fatidici spe­ cus, quorum exhalatione temulenti fatura prae­ cinant, at Delphis, nobilissimo oraculo. Quibas ia rebus quid possit aliud causae afferre morta­ lium quispiam, quam diffusae per omne natorae Su biade aliter mimen erumpens ?

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X CVI. 94* Quaedam vero terrae ad ingres­ sas tremaot* sicut in Gabieasi agro, non procal albe ftoaw, jugera ferme duoenta, equitantium cursa 1 similiter io-Reatino.

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insieme con ausissime persone. E in Sicilia la metà della città di Tindarida, e ciò che manca dalla parte d*Italia. E similmente in Beozia Eleusina. e sa l a z io n i d e l l a t b b b a i r a lc u n i l u o g s i .

XCV. 93. Ma lasciamo oggimai il parlar dei terremoti, e di tutto qoello, ove restano almeoo i sepolcri delle città, e ragioniamo piuttosto dei miracoli della terra, che delle scelleraggini della natura. E certo che le cose del cielo non saranno più difficili da narrarsi. La dovizia ,dei metalli così riccs, così varia, cosi abbondante, e che per tanto tempo non è ancora mai man­ cata ; benché di continuo per tutto il mondo tanto ne consumino i fuochi, le ruine, i naufragii, le guerre, gl' inganni, e tanto ne porti via la lus­ suria, e tanti uomini. E la terra produce così varia pittura di gioie e pietre pretiose, di tanto diversi colori, e fra quelle la bianchezza d'alcuna, che ogoi altra cosa vince in fuor che la loce. Prodace diversi fonti medicinali, e perpetui incendii de* fuochi, i quali per tanti secoli rilu­ cono in tanti luoghi. In alcun luogo vento, o aria pestifera, la quale o esce per le caverne, o in esso luogo del silo mortifero. Altrove è mortifero solo agli uccelli, come nel monte Sorelle vicino a Roma ; altrove fuor che all’uomo nuoce a.tutti gli animali ; e talora anco all* oomo, come nel contado di Sessa a di Pozzuolo: qoesti si chia­ mano spiragli, ovvero fogne Caronee, le quali mandano fuori fiato mortale. Similmente nel paese degli lrpini in Anunto, al tempio di Mefi­ te, dove tutti colorp eh1entrano, muoiono. A Gierapoli ancora in Asia è luogo mortifero, eccetto che al ucerdote di Cibele. Altrove sono spelonche, che predicono le cose avvenire, per la esalazione delle quali gli uomini fatti come ebbri, indovinano quel che dee essere, siccome è nel uobiliuimo oracolo di Delfo. Nelle quai. cose che altra cagiooe potrebbe assegaare alcuno, se non la deità della natura, la quale di continuo penetra per tutto, ed esce diversamente di varii luoghi. T

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ED 1SOLB ONDEGGIARTI.

XCVI. 94. Sono alcune terre, che quando vi si va, tremano, come nel contado di Gabio, poco lootano da Roma, intorno a dugento iageri, che trema al corso dei cavalli : similmente nel terriI torio di Rieti.

3*3

fC' P ittili SECUNDI

g5. Quaedam insula· semper flucluaal, sicat io afro Caecabo, et eodem Reatino, Mutinensi, Stalonioosi. In Vadimonia lacu, el ad Culiliia aquaa opaca silva, quae nuraquam die ac notte eodem loco visitur. Ια Lydia quae vocantur Calaminae, non ventia aolura, aed etiam contis quo libeat impulsae, mallorum civium Milhridalico bello salus. Sunt et in Nympheo parvae, Saltuaroa dictae: quoniamin symphoniae cantu ««Uclus modulantium pedum moventur. In Tarquiniensi lacu augno Italiae, duae nemora circumferunt, ounc triquetram figuram edentes, nane rotort«damcomplexa, ventis impellentibus : quadratam namqaam.

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.

95. Aloune iabk obde|g«an sonare, come ad contado di Ceeubo, i · qafet di Rieti, di Masia e di Statonia. Nel lago di Vadimone, e ai bagai di Culilia i una selva ombrosa, la quale di e notte non ai vede mai in un medesimo luogo. In Lidia sono quelle, che si chiamano Calamine, le qaali non aolamente sono spinte da* venti, ma dalle pertiche ancora dovunque l'uomo vuole, il che Cu la salale di molli «studini nella gaetra di Mitri­ date. Sono antera in Ninfeo aleute isole, pioeoi·, chiamale Salinari, perciocché nel canta della sinfonia si muovono al percotimento de* piedi, che dansabo. Nel grata lago/L'arqainiese d 'it a li sono due boschi, i quali ora ai moetrèno in fanne di triangolo, e ora di tondo, seconda che i vaiti gli spingono ; ma non mai di quadro. L u o g h i,

nova h o ·

p io v b .

XCV11. 96. Celebre Canum habet Veneria Paphos, ia caja· quamdam aream non impluit. J4e a ia Nea, oppido Troadia, circa .simulacrum Miafertae. Ia eodem et relicta sacrificia non paUescant.

XCVU. 96. In Paio è an famoso tempio di Venere, e in esso certo chiostro, dove non piove mai. E in Nea città di Troade ancora non piove ialar noalleatatua di Minerva. E i sacrificii lasciati sa quel medesimo luogo non mareiscon aui.

ACBBVATA T U l i U É WtACULA.

MlBAOOLI VAEII DI ALCUHH T B B B B .

■ · XCVIII. Juxta HarpaSa oppic^pm Asiae cau­ tes stat horrenda, ααο digito mobilia: eadem, si toto corpore impellatur, resistens. In Taurorum |>eninsula ia eivitate Parasino terra eat, qua sa­ nantor omnia vulnera. At ai rea Assoo Troadis lapis nascita^ quo oonsumuotur omnia corpora : Sarcophagus vocabar. Dao suat monles juxta flo* mea Indam : alteri natura eat at ferram omne teneat, alteri at respuat. Itaque si aint elati ia cahmnevto, vestigia avelli ia allero non posse, in ‘altero arati. Locria et Crotone pestilentiam mmqaim fuisse, nec tillo terrae mota laboratua^, a d tr ttr tu n à est» In Lycia vero semper a latra* mota x l dies serenos e s s e , la agro Arpano fra· mentam saluto neu nascitur. Ad aras Muoias ia Yejente, et apad Tusculanum, et ia siivi Cimi* aia loca sUnt, in qaihas in terraà de^aclA noa «xtrahfentar. Ία Crustumino natam fenum ibi noxium : extra, salubre est.

XCVlil. Appresso Arpeao città dell* Asia, i una frribil pietra, la quale si muove con an sol diio,1e se altri la ναοί muovere con tutto il corpo» sta ferroa. Nel Poterne dei Tauri,· nella città detta Coracéna; é d*ana terra, cbv guarisce tutte le ferite. E intorno Assooe di Traoda nasce ual |klrat to' quale consuma tolti i corpi ; e chiamasi sarcofago^ Sono due monti approsso il fiume Inno, 1* ano dei quali tir* a sé ogni ferro, e l* altro lo ribalta. .Ond· ehi h· scarpe o stivali ferrati, nell* ano d* essi non può apiccare i piedi da terra, nell* altro non può fermargli. Trovasi, che in Locri e in Crotone non fu mai peste, nè terremoto alcuno. E in Licia sempre dopo il ter­ remoto sono quaranta dì di sereno. Nel territorio Ardano non nasce il grano, che vi si semina. Agli altari Munii in Veienle, in Tusculano e nd bosco Cimiuio sono luoghi, onde non sì possoa cavare le cose, che vi son piantale. 11 fieno, che nasce nel territorio Crustumino, quivi è nocivo, e fuor di là aalulifero.

Q

oA

BATIORB AKSTCS HABIS ACCBDAIT BT HBCBDAHT.

XC1X. 97. Et de aquarum nalura complura 'dicta auot : sed Matas maria accedere, et nei· procas·, onusae mirum, pluribus quidam mo­ dii , veram causa in sole, Iuuaqite. Bis inter

Con QUAL BSGOLA AOCCBDABO I

FLUSSI B BIFLC SSI

DCL MABB.

XClXi 97. -Assai s* è detto della notai» dal· 1* acqua, fsa bene ègre* aiasaviglia, -ehe il aaur

cresca e scemi, e ciò..in>piè «iodi; aia le cagione di ciò è il sole e la luna. Fra i due nascimenti

So5

HISTORIARUM MUNDI LIB. II.

imo* exorta* lunae tdflaml, bisque remeant,

vicenis quaternisque semper borii. Et primato •ttolleate se eoa es nando intumescentes, mox • meridiano coeli fastigip Tergente, in occasum residentes : rursusqe sb occasa subter coeli ima, et meridiano contraria accedente, inundantes. Nec omquam eodem tempore, qoo pridie, re· flui, ut ancilia nte sidere, trahenteque secum arido haustu maria, et assidue aliunde, qaam pridie, exoriente : paribus tamen intervallis reci­ proci, senisque sempre horis, non cujusque diei aut noctis, aut loci, sed aequinoctialibus: ideoque ioaequales vulgarium horarum spatio, utcumque plures ia eas aut diei aut noctis illarum mensurae cadant, et aequinoctio tantam pares ubique, lageae argumentum, plenumque lucis ac vocis etiam diurnae, hebetes esse, qui negent subter­ meare sidera.acrursus eadem resurgere: similem· que terris, immo vero universae naturae exinde iaciem, in iisdem ortus occasusque operibus : non aliter sub terra manifesto sideris cursu, aliove affeelu, quam quum praeler oculos nostos fera­ tur. Multiplex etiaronum lunaris differentia, primumque septenis diebus. Quippe modici a nova ad dividuam aestus, pleniores ab ea exundant, plenaque maxime fervent. Inde mitescunt. Pares ad septimam primis : iterumque alio latere divi­ dua augentur. In coitu solis pares plenae. Eadem Aquilonia, et a terris longius recedente mitiores, quam quam, in austros digressa, propiore nisu vim suam exercet. Per octonos qaoqoe annos ad principia motus et paria incrementa centesimo lunae revocantur ambita, aagente ea cuncta, so­ lis annuis causis, duobus aequinoctiis msxime tumentes, et autumnali amplius, qaam verno: inanes vero bruma, et mfigis solstitio. Nec tamen in ipsis, quos dixi, temporum articulis, sed pau­ cis post diebus : siculi neque in plena aut novis­ sima, sed postea : nee stalim ut lunam mundus ostendat occo Itet ve, aut media plaga declinet, verum duabus fere horis aequinoctialibus serius : tardiore semper ad terras omnium, quae gerun­ tur in coelo, effectu cadente, quam visu, siculi Jbifuris, et tonitrus, el fulminum.

3o6

della luna due volte cresce il mare, e due volte riloroa, e ciò sempre ventiquattro ore. E prima, quando la luna monta per lo cielo, il mar rresce, e dipoi quando dalla meridiana cima del cielo incomincia a calare verso ponente, il mare sce­ ma. E dipoi insino a che sale al mezzo del cielo, in quell'altro emisfero rresce, e cosi scema, quando di li scende verso il nostro levante, ini sino a che di nuovo nasce. Nè mai nel medesimo tempo, che il giorno avanti, scema in modo, che servendo il piaoeta, e tirando seco con ingordo sorso il mare, continuamente nasce d'altronde che il giorno avanti : nondimeno con eguali spatii il mare è scambievole a crescere e scemare di sei ore iu sei ore sempre, non di qualunque dì, o notie, o luogo, ma ore equinoziali. E per questo i (lussi e i riflussi sono ineguali, secondo lo spazio dell1 ore volgari in modo, che più misure di quello caggiono in esse o del di, o della notte, e solamente nell* equinozio son pari. E questo è grande, e pieno argomento, che sono di gros­ so intelletto coloro, che negano le stelle girarsi di' sotto, e di nuovo le medesime venir su ; e di qui osservare la medesima norma alla terra, anzi alla uni versai nalura, nelle medesime ope­ re del nascere e del tramontare : e non altri­ menti sotterra, per lo manifesto corso della lu­ na, o altro effetto, che quando scorre innanzi agli occhi nostri. Varia e diversa ancora è la differenza della luna, e prima dei giorni a selle a selle. Perchè i primi sette dì, Tonde e i cre­ scimene son minori, infino a che ella è mezza; e come comincia a esser piena, sono più abbon­ danti, e quando è del tulio piena, maggiormente rigonfiano ; dipoi ritornano minori, e pari ai primi fino alla seltima ; e dipoi quando dall'allro lato è mesta, crescono. Nella oongiunzione del sole sono pari. Sono ancora minori ioondasiooi quando la luna è setteolrionale, e più lungi dalla terra, che quando abbassata verso mezzogiorno più il' appresso esercita la sua forza. E ogni otto anni ancora, nel qual tempo la luna fa cento volte il suo corso, il mare ritorna ai principii del moto, e ai pari accrescimenti, accrescendo tutti quegli per le cause annuali del sole, massima­ mente rigonfiando ne1 due equinozii, e più nel· l'autunnale, che in quel della primavera. Ma nondimeno son vani di verno, e molto più nel solstizio. Però queste cose, che si dicooo, non appaiono punto in essi tempi, eh' io ho delti, nta pochi giorni dopo ; come nè nella pieoa, o nella nuova, ma dipoi. Nè subito che il cielo ci mostra la luna, o l ' asconde, o che la declina a mezzo il cielo, ma più tardi, quasi due ore equinoziali, perchè l ' effetto di tutte le cose, che si fanno in cielo, cade più tardi sempre alla terra, che nou

309

g.

PLINII SECONDI

Omnes autem sesta· io Oceano m ijon inte­ gant spatia inundantque, qaam in reliquo mari : aive quia totam in universitate animoaius est qaam in parte, sive qaia magnitudo aperta side­ ris vim laxe grassantis efficacia* sentit, eara­ desti agnstiis srcentibus. Qos de causa nec lacus, nec amnes similiter moventur. Octogenis cubi­ tis supra Britanniam intumescere aestus Pythess Massiliensis auctor est. Interiora autem maris terris claudunlur, at porta. Quibusdam tamen in locis spatiosior laxitas ditioni paret: utpote quum plura exempla »int, in tranquillo mari, nulloque velorum impulsu, tertio die ex Italia provectorum Uticam, aestu fervente. Circa litora aatem magis quam in alto deprehenduntur hi motus : quoniam et in corpore extrema pulsam veaaram, id est, spiritas magis sentiant. In plerisque tamen aestuariis propter dispares sideram in quoque tracta exortus, diversi exsistunt ae­ stus, tempore, non ratione, discordes, sicut in Syrtibus.

U b i ABSTO» BXTBA BATIOHtM 1DB· FACIAHT.

3o6

fa la vista ; come si può intendere par lo baleno, per lo taono, e per le saette. E tutti gli accrescimenti nell* Oceano son maggiori, e occupano piò spazio, che nelP altro mare ; o che ciò sia perchè il tutto è piò potente nell1 università che nella parte ; o perchè ls grsndezzs sus sperts sente piè efficacemente ls forzs del pianeta, ls qusle ampiamente si disten­ de, rispignendo la medesima in luoghi stretti. E per qaesta cagione nè i laghi, nè i fiami si muovo­ no in an medesimo modo. Pitea da Marsilia scri­ ve, che sopra la Britannia il mar gon6a ottanta gomiti. Ma i mari mediterranei sono rinchiusi dalle terre, come da un porto. Nondimeno ia alcuni luoghi la larghezza pià spszioss ubbidisce meglio; di che si veggono pià esempi: perciocché qaando il mare è tranquillo, il nsvilio, che parte d’ Italia, senza alcuno aiuto di vele, per il ribol­ lire del mare, giunge in tre dì a Utica. Ma soprat­ tutto questi moti si conoscono meglio sppresso si liti, che in allo mare, perchè nel corpo ancora le parti estreme sentono meglio il polso delle vene, cioè gli spiriti.Nondimeno in molte lagone, dove il mare cresce e scema, perché i pianeti non ci nascono in un medesimo tempo, in ciascun paese diversi sono i crescimenti del mare, discor­ di per tempo, non per ragione, siccome avviene nelle secche di Barberia. I r q u a li lu o g h i i l

i m i cb b sca s

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FUOH DI UGOLA.

C. Et quorumdam tamen privala natura est, velut Tauromenitani Earipi saepius,et in Euboea septies die ae nocte reciprocantis. Aestns idem triduo in mense consistit, septima, octava, nonaq*e luna. Gadibos, qui est delubro Herculis pro­ ximus, fons inclusas ad putei modum, alias simul cum Oceano augetur minui turqne, alias vero ntramque contrariis temporibus. Eodem in loco alter, Oceani motibus consentit. In ripa Baetis oppidum est, cujas potei crescente aesta minuun­ tur, augesount decedente, mediis temporara im­ mobiles. Eadem natara in Hispali oppido uni pateo, ceteris volgari·. Et Pontos semper extra meat in Propontidem, introrsus in Pontum numqaam refluo mari.

C. E noodimeno certi luoghi hanno Ia lor particolar natura, siccome spesso avviene nel canale di Tauro Minio, e in Negroponte, dove sette volte fra il dì e la notte cresce e scema. E il medesimo flusso tre dì del mese sta fermo, cioè nel settimo, ottavo e nono dì della lana. In Gadi, vicino al tempio d’Èrcole, è una fonte rinchiusa in modo di pozzo, la quale talora in­ sieme col mare cresce e scema, e talora fa Tono e l’altro effetto per contrsrii tempi. Nel medesi­ mo luogo è un’altra fonte, la quale s’accomoda co’ movimenti del mare. Nella ripa del finme Beti è una città, i pozzi della qaale crescendo il flusso del mare scemano, e quando egli scema, essi crescono ; e ne’ mezzi tempi non si muovo­ no. Di questa medesima natara è un fiume solo in Siviglia, e tutti gli altri sono ad an modo. Ed il mar Pootico va sempre nella Propontide dalla parte di fuori, nè mai ritorna addietro il mare nel Ponto.

HISTORIARUM MUNDI LIB. II.

3o9 M MACOLA MAEIS.

CI. 98. Omnia plenilunio maria purgantur : quaedam et stalo tempore. Circa Messanam et Mylas fimo similia exspuuntur in litus purga­ menta: unde fabula, solis boves ibi stabulari. His addit ( ut nihil, quod equidem noverim, praeteream ) Aristoteles, nullum animal nisi ae­ stu recedente exspirare. Observatum id multum in Gallico Oeeano, et dumtaxat iu homine com­ pertam.

Q

uas

FOTSBTIA LO * AS AD T U U I A , ET ΜΑΒΙΑ.

CII. 99. Quo vera conjectatio exsistit, haud frustra spiritus sidus lunam existimari. Hoc esse quod terras ssturet, sccedensque corpora im­ pleat, abscedens inanis t. Ideo cum incremento ejus augeri conchylia, et maxime spiritum senti­ re, quibus ssnguis non sit. Sed .et sanguinem hominum etiam cum lumine ejus augeri ac mi­ nui : frondes quoque ac psbuls ( ut suo loco dicetur ) sentire, in omnia eadem penetrante vi.

Q uab

s o l is

CUI. 100. Itaque solis ardore siccatur liquor : et hoc esse masculum sidus accepimus, torrens caucta sorbensque.

Q

o a b b sa lsu m m a e b .

CIV. Sic mari late patenti saporem incoqui salis, aut quia exhausto inde dulci tenuique, quod bcillimeirahat vis ignea, omne asperius crassiusque linquatur : ideo summa aequorum aqua dul­ ciorem profundam : hanc esse vesiorem causam asperi saporis, qjam quod nare terrae sudor sit aeternus: aut quia plurimum ex arido misceatur illi vapore : aut quia terrae natura sicut medicatas aquas inficiat. Est in exemplis, Dionysio Siciliae tyranno, quum pulsus est ea potentia, accidisse prodigium, ut uno die in porto dulcesceret mare.

101. E contrario ferunt lunse femineum sc molle sidus, atque nocturnum, solvere humorem, et trahere, non auferre. Id manifestum esse, quod ferarum occisa corpora ia tabem visu suo resol­ vat, somnoqu· sopitis torporem contractum in

3io

M ib a c o l i

d bl m abb.

Cl. 98. Tatti i mari si purgano a piena luna, ed alcuni in certo tempo ordinato e fermo. D 'in­ torno a Messina e Mila escono fuora sul lito purgamenti ad uso di letame; onde ha avuto luogo la favola, che i buoi del sole stallano quivi. Aggiugne a questo Aristotele (acciocché io non lasci addietro nulls di quel eh* io ho inteso), che ninno animale si muore, se non quando il mare scema. E questo s'è molto osservato nel mar di Francia, e solamente s'è trovato nell'uomo. D blla

fo ssa b z a d e l l a l o h a i > t b b b a , b d ih

MAE*.

CII. 99. Onde rimane vera congettura, che non in vano stimiamo la luna essere spirito; e eh' esso sia quello, che sazii la terra, e che appressandosi loro empia i corpi, ed allontanan­ dosi gli vuoti. E perciò, quando la luna cresce, crescono l'ostriche, e maggiormente sentono lo spirito quegli animali, ehe non hanno sangue. Ma il sangue degli uomini ancora cresce e scema, secondo il lume d'essa; e le frondi e l'erbe, come si dirà al suo luogo, sentono la forza di quella, la qoale penetra in tutte le cose. D blla

po ssa n za d b l s o l b .

CUI. 100. E così per l'ardor del sole si secca 1* umido ; e di qui intendiamo questo pianeta essere mascolino, il quale abbronza e succa ogni cosa. P bech ì

i l m a e b s ia s a l s o .

C1V. Per ciò il mare, che molto s'allarga, ha sapor di sale, perciocché trattone il dolce e sottile, il quale agevolissimamente é tirato dal­ la forza del fuoco, vi lascia tutto il più aspro e più grosso. E però l'acqua, eh'è nella superfi­ cie é più dolce. E queste è la più vera cagione del sapor più aspro, che non è il dire, che il mare sia sudore eterno della terra, o perchè assai dell'arido si mescoli con quel vapore, o perchè la nalura della lerra infetti l'acque con­ taminate. Ecci un esempio, che qusndo Dionigio tiranno di Sicilia fu cacciato di signoria, avvenne un prodigio, che per un giorno il mare fu dolce in porto. 101. Per Io contrario dicono che il pianeta della luna è femminino e molle, e che risolve l'umor della notte, e che lo tira, ma non lo leva via. E ciò è manifesto, perchè i corpi morti dalI le fiere si Tengono a corrompere, essendo posti

3»*

C. PUNII SECUNDI

3*1

caput revocet, glaciem refundat, cunctaque humi­ fico spiritu laxet. Ila pensari natnrae vices, semperquesufficere,aliissiderom elementa cogentibus, aliis vero fundentibos. Sed in dulcibus aquis lu­ nae alimentum esse, sicul in marini· solis.

U bi

D ovb i l m a h i a l t i s s i m o .

a l t im im u m m a b s .

GV. io*. Altissimum mare xv stadiorum Fabia­ nos tradit. Alii in Ponto ex a d T e rs o Goraxorum genti· (Tocanl Botfet Pooti) trecenti· fere a continenti stadiis immensam altitudinem maris tradunt, vadi* numquam repertis.

M ib a b i l i a

al lume della lana, e a chi dorme al suo lame revoca ogni sonnolenza contraria nel capo, · distrugge il ghiaccio, e con lo spirito ·αο, il quale inumidisce, fa vincide e molli tutte le cose. E così la natara ricompensa bene, e sempre •oppKace, perciocché aleoni pianeti restringono gli elementi, alcnni gli risolvono. Ma nelPaeqoe dolci la luna di quel nutrimento, che fa il aele nell'acque marine.

p o u t io m b t p l u m ib c m .

GVI. io3. Mirabilius id faeiont aquae dolce·, joxta mare ot fistolls emicantes. Nam nec aquarom natura a miraculis cessat. Dolces mari inve­ huntor, leviores haud dubie. Ideo et marinae, quarum natora gravior, magis invecta sustinent. Qoaedam vero et dolce· inter se sopermeant alia·. Ut in Fucino laeta invectos amnis, in Lario Addua, in Verbano Ticinus, in Benaco Mincius, in Sevino Ollius, in Lemano Rhodanus, hic trans Alpe·, «uperiore· in Italia, multorum millium transito hospitales sua· tanto m, nec largiore· qoam intulere, aquas evehentes. Proditam hoc et in Oronte amne Syriae, moltisque aliis.

Quidam vero odio maris «obeunt vada, sicot Arelhnm fooe Syracusanus, in quo reddantur jacta in Alpheam, qui per Olympiam flnens, Pe­ loponnesiaco lilori infunditor. Sabeunt terras, rarsasqne redduntur, Lycus in Asia, Erasinus Argolica, Tigris in Mesopotamia. Et quae in Aescnlapii fonie Athenis immersa sunt, in Pha­ lerico reddontur. Et in Atinate campo flovios menas, post xx m. pass, exit, et in Aquilejenn Timavo·.

Nihil m AspbaHite Jndaeae lacu, qoi bitumen gignit, mergi potest ; nee in Armentae majoris Arethusa : ia qaidem nitrosus pisces alit. In Salentino juxta oppidum Manduriam lacus ad mar-

CV. ioa. Scrive Fabiano, che il maggior fondo del mare è intorno a due miglia. Altri dieono, che in Ponto all' incontro del paese dei Corassi (chiamasi qoel luogo Bata del Ponto) circa a treotasei miglia discosto da terraferma è ona smisurata altezza di mare, dove mai non s'è trovalo fondo. D b'

b ib a c o l i

ne' roirn

b db* p id m i.

CTI. io3. Maggior maraviglia fanno l'acqae dolci appresso il mare, le qaali zampillano a goisa di cannoni. Perciocché la natura delfacqoe fa de'miracoli anch'ella. L'acque dolci stanno di sopra in mare, siccome quelle, che senza deb­ bio son più leggiere. E perciò l'acqua marina, che per nalura è più grave, sostiene più le cosa, che vi son messe dentro. Alcaoe acqae dola ancora fra sè scorrono sopra l 'altre. Siccome il fiume, ch'entra nel lago Facino ; l ' Adda nel lago di Como ; il Tesino nel lago Maggiore ; il Mincio nel lago di Garda ; l'Oglio nel lago d’Iaeo; il Rodano nel lago Lemauo. Qoesto fiume è di li dall'Alpi, gli altri sono io Italia} e nuotando sopra l’ altre acque, per molte miglia, non ne portan più aeqoa di qoella che vi eondasser den­ tro. Qoesto medesimo accora e'è visto oellOroote fiome della Soria, e in molti altri. E certi fiumi ancora, che hanno in odi· il mare, entrano sotto i lor fondi, come Arefusa, fonte di Siracusa, nella quale rieaoono le co** gettate nel fiume Alfeo ; il quale correndo per Olimpia, entra nel mare della Morea. Entrano sotterra, e di nuovo escon fuori il fiame Lieo in Asia, 1' Erasino in ArgoHca, il Tigre in Meso­ potamia. E in Atene quelle cose, che son mese· nel fonte d'Esculapio, riescono nel Falerieo. E nel territorio d'Atina nn fiome entra sotterra, e scorre venti miglia, e dipoi sbocca. Il medesi­ mo fa il Timavo in qoel d'AqaUeia. Io Asfaltile lago della Giudea, che prodnoo il bilame, tolte le cose che vi ·οη messe stanno a galla ; e il medenaao nelTAretaaa delTAnmaoia maggiore : questo abbonda di nitro, e prodnca

3ι3

HISTORIA RUM MUNDI L1B. II.

(iaci piena·, neqoe exhausti* «qui· miouitur, acque ioftm aofclnr. la Ciconum flamine, et in Piceno lacu Velino lignum dejectum, lapidea cortice obducitur, et in Surio Colchidis fin aline, adeo ai lapidem plerumque duram adhuc iutegat cortex. Similiter in Silaro, ultra Surrentum, non TirfalU modo immersa, retem et folia lapi­ descunt, alias aalobri poto ejus «qaae. In exitn palad» Reatina· a s m crescit. Et in Rubro aaari oleae, virentesque frutices enascuntur.

Sed et fontium plurimorum natura mira est ìr ik c . Idque etiam in jugia Alpium, ipaoqoe in maxi inter Italiam et Aeuariam, at in Bajana aaaa, et m Liri fluvio, multiaque alii*. Nam dui· eia franato* in aaari plurimis locis, ut ad Chelidooias insolas, et A raduna, et in Gaditano Oceano. Patavinorum aquis calidi· berbae virentes innaseontur : Pisanorum, ranae : ad Velulooios in Etraria non procul a mari, pisces. In Casinate florius appellatur Scatebra, frigidus, abundanlior aestate. In eo, at in Arcadiae Stymphali, enascuntur aquatiles museali. In Dodo·· Jovis foas quum ait gelidas, et immersas face* extingaat, si extinctae admoveantur, aeeendil. Idem meridie semper deficit : qua de causa ’ANnracw· ftf*m vocant. Mox increscens ad medium noctis •xuberat : ab eo rursus sensim defidl. Ia Illyriis sepra foeUm frigidum expansae vestes accendon ter. Jovis Ammoni* stagnum interdiu frigi­ dum, noctibus fervet. Io Troglodytis fons Solis appellator dulci·, circa meridiem maxime frigi­ das : mox pauUatim tepescens, ad noctis media fervore et amaritudiae infestatur.

Padi foo» mediis diebus aestivis velut inter­ quiescens semper aret. In Tenedo insula fona, aaanpcr a tertia aoctis hora iu sextam ab aestivo •ol»litio exundat. Et in Delo insula Inopus fons aodema, quo Nilus, modo, ac pariter cum eo de­ crescit angeturqne. Contra Timavum amnem ia m l* parva in mari est cum fontibus calidis, qoi pariter con aestu maris crescunt, mieuunturque. In a£ro Pilinale trans Apanninum fluvius Novaan s Manibus solstitiis torrens, bruma siccatur.

I d Falisco omnis aqua pota candidos boves fia d t : ia Boeotia amni* Mela* oves nigras : Ce­

3i

pesei. In terra d'Otranto, appresso a Manduria è un lago pieno sino alle prode, il quale cavan­ done acqua, non isceroa, e aaetteadovene non cresce. Nel fiume de’ Ciconi e nel Ugo Velino nella Marca, se vi si getta nn legno, fa di fuora una crosta di pietra; e il medesimo ancora nel Surio fiome di Colchide, in modo che spesse volte ancora la corteccia indurando cuopre la pietra. Similmente nel fiume Silari di lì da Sorrento, non solamente i legni massivi dentro, ma le fo­ glie ancora diventan pietre ; · nondimeno la sna acqua per altro è buona e sana da bere. AITasrila della palude di Rieti crescono i sassi. E nel mar Rosso nascono olivi e molli altri arboscelli. Maravigliosa ancora è la natura di molti fonti per lo bollir che faaeo. E ciò si vede ne* gioghi dell* Alpi e nel mare fra Γ Italia e Ischia, come nel golfo di Posinoli, e nel fiume Gsrigliano a in molti altri. Perciocché in mare in piò laogbi si trovano acque dolci, come nell* isola Chelido­ nie e Arado, e nel mar di Calia. A’ bagni che sono in quel di Padova, nascono erbe verdi ; a que'di Pisa, ranocchi ; a' Velokmii in Toscana poco discosto dal mare, di pesci. Nel territorio di Catino è un fiume che si chiama Scatebra, freddo, e mollo pieno d'acqaa la stale ; nd qua­ le, come nello Stiafali d’ Areadia, nascono topo­ lini d'acqua. Nella selva Dodona di Giove è una fonte gelala, la qaale spegoe lo faceIKoe accese messevi dentro, e s'elle sono spente, ebe vi s'accostino, le raccende. La medesima fonte manca sempre sul mezzogiorno, e perciò si chiama Anapavomenon, cioè riposantesi. Dipoi crescendo sulla mezzanotte trabocca, e di nuovo vien man­ cando a poco a poco. In Ischiavonia le vesti di­ stese sopra una fonte fredda s'accendono. La fonie di Giove Ammone di giorno è fredda, e di notte bolle. Nel paese de'Trogloditi è una fonte, che si chiama del Sole, dolce, intorno il mezzogiorno mollo fredda : dipoi a poco a poco intiepidisce, e sulla mezzanotte bolle, e si fa amara. L& fonte del Po di state sol mezzodì, come se si riposasse, è sempre secca. Nell'isola di Te­ nedo è ona fonte, la qual sempre dalle tre alle sei ore di notte nel solstizio della state trabocca. E nell' isola di Deio è una fonte, che si chiama lnopo, la quale, in quel medesimo cho il fium· Nilo cresce, scema. All' incontro del fiume Ti­ mavo è ona isolella in mare con fonti caldi, i quali crescono e scemano insieme col mare. Nel territorio Pilinate di là dalTApennino è il fiume Novano, che ne’ sol*li zìi della stata corra grosso, e di verno si secca. Nel paese de'Falisci l’acqua del fiume d i­ latino bevuta fa i buoi bianchi; in Beozia il

3.5

C. PLINII SECONDI

phissoe ex eodem Ucu profluens, alba· : rorsos nigni Peneus, rufasque juxla lliam Xanthus, aade et nomen amni. In Ponlo fluvios Astaces rigat campos, in quibus pastae nigro lacte equae gentem aloni. In Reatino fona Neminie appella­ tu·, alio atque alio loco exoritur, annouae muta­ tionem significans. Brundisii in porta font incor­ rupta· praestat aquas navigantibus. Lyncestis aqua, quae vocatur acidula, vini modo temulen­ tos facit. Item in Paphlagonia, et in agro Galeno. In Andro insula templo Liberi patris fontem nonis Januariis semper vini sapore fluere Mu­ cianus ter cons. credit : Δ/β* Oloioola vocatur. Juxta Nonacrin in Arcadia Slyx, nec odore dif­ ferens, nec colore, epota iliaco necat. Item in Libroso Taurorum colle tres fontes, sine remedio, sine dolore mortiferi. In Carrineosi Hispaniae •gro doo fontes juxta fluunt, alter omnia re­ spuens, alter absorbens. In eadem gente alius, aurei coloris omnes ostendit pisces, nihil extra illam aquam ceteris differentes. In Comensi juxta Larium lacum, fons largus, horis singulis semper intumescit ac residet. In Gydonea insula ante Leabon fons calidus, vere tantum fluit. Lacus Sinnaus iu Asia circumnascente absinthio infici­ tur. Golophone in Apollinis Clarii specu lacuna est, cujus potu mira redduntur oracula, biben­ tium breviore vita. Amnes retro fluere et nostra vidit aetas, Neronis principis annis supremis, sicnt in rebus ejus retulimus.

Jam omnes fontes aestate quam hieme geli­ diores esse, quem fallit T Sicut illa permira na­ turae opera, aes et plumbum in massa mergi, di­ latata fluitare : ejusdemque ponderis alia sidere, alia invehi. Onera in aqua facilius moveri. Scy­ rium lapidem quamvis grandem innatare, eumdemque comminutum mergi. Recentia cadavera ad vadum labi, intumescentia attolli. Inania vasa haud facilius, quam plena, extrahi. Pluvias salinis aquas utiliores esse, quam reliquas : nec fieri salem, nisi admixtis dulcibus. Marinas tardius gelare, celerius accendi. Hieme mare calidius esse,

3.6

fiume Mela ià le pecore nere : il Cefiso, ch’esce del medesimo lago, le fa bianche; il Peneo aere; il fiume Xanto, che passa appresso Ilio, rosse, il quale n’ ha perciò preso questo nome. 11 fiume Astace, eh’ è nel paese di Ponto, innaffia le cam­ pagne, dove le cavalle pasciute, nodrite di latte nero, danno il vitto alle persone. Nd territorio di Rieti ì una fonte, che si chiama Neminia, la quale nasce, quando in nn luogo, e quando in un altro, e con tal mutazione significa ora dorizia, ed or carestia. Nd porto di Brandizzo è oat fonte, onde i naviganti tolgono l’acqua, che non si guasta mai. A Lìncesti è un’ acqua, la qual si chiama addala, che ad uso di vino imbriaca le persooe. Il medesimo è in Paflagonia, e nel paese Caleno. Scrive Moziano, il quale fu tre volte consolo, che nell’ isola d* Andro, nel tem­ pio di Bacco è una fonte, la quale sempre a* cin­ que di Gennaio ha sapor di vino : e chiamasi qaesto fonte Dio Teodosia. In Arcadia, appresso a Nonacria è una fonte chiamata Stige, la cui acqua non è punto differente dall’altre, nè di odore, nè di colore ; e nondimeno subito ch’è bevuta uccide altrui. In un poggetto ancora dd paese de’ Tauri, chiamato Libroso, soa tre fonti, senza rimedio, e senza dolore alcuno mor­ tiferi. In lspagna nd territorio Carrineae cor­ rono due fonti l’una appresso l’altra ; l'una ri­ fiuta, ,l’altra inghiottisce ogni cosa. Nel medesi­ mo paese ve n’ è un’altra, la quale mostra tutti i pesci di color d’oro, i quali fuor di quell'acqua non sono ponto differenti dagli altri. Nd contado di Como sul lago è una fonte larga, che ogni ora cresce e scema. Nell' isola Cidonia dinansi a Lesbo è una fonte calda, la quale corre solamente la primavera. Il Ugo Sinnao in Asia ha l'aeque sue per lo assenzio, che gli nasce attorno, amare. A Colofone nella spelonca d’Apolline CUrio è upa laguna, la cui acqua chi ne bee, maraviglio­ samente predice le cose avvenire, ma ha corta vita. All’età nostra ancora si son veduti i fiumi correre all’ insà, e dò fu gli ultimi anni d d l' im­ perio di Nerone, siccome io ho scritto Delie sue istorie. E chi è colui, che non sappia che tutti i fonti son piò freddi la state che il verno ? Siccome è ancora opera mollo meravigliosa della natara, che il rame ed il piombo, quando in massa^ van­ no a fondo, e fatti in piastra stanno a galla. Ed altre cose del medesimo peso vanoo a fondo, altre stanno di sopra. 1 pesi più facilmente si muovono nell'acqua. Una pietra, che ai chiama Sciria, benché grande sta a nuoto, e quando è falla in pezzi, va sotto. 1 corpi morti di fresco vanno al fondo, e quegli che gonfiano poi, ven­ gono a gdla. I rasi vuoti pià d iftà la e n te ai

HISTORIARUM MUNDI L1B. 11. 3i8 3*7 •■tamno «alsias. Omne oleo tranquillari. E t ob traggon fuor dell'acqua, che i pieni. L’acque id urinantes ore spargere : quoniam mitiget na­ che piovono, son pià utili alle saline che Taltre ; taram asperam, lucemque deportet. Nives in alto e non si può fare il sale, se non vi si mescola mari non cadere. Qaam omnis aqua deorsam delPacqaa dolce. L’acqaa del mare più tardi si feratur, exsilire fonte· : atque etiam ia Aetnae raffredda, e piuttosto si scalda. Di verno il mare radiet bos flagrantis in tantam, at qainquageoa et è più caldo, l'autunno è più salso. Ogni mare si ceoleoa millia passaam areoas flammaram globo fa tranquillo per Polio. E perciò coloro che eructet. si tuffano, lo spargono con la bocca, perchè mitiga la natara aspra, e rischiara. La oeve non cade in alto mare. E benché latte Tacque vadano all’ ingiù, nondimeno veggiamo i fiumi salir· iosa : e ancora nelle radici del moote Etna iotaato ardente, che il globo delle fiamme getta Parane cinquanta e cento miglia. tamm

s t a q c a b o m j u h c t a m ib a c o l a .

CV11. lamqne et ignium, qaod est naturae quartam dementnm, reddamaa aliqua miracola. Sed primam ex aquis. D b m a lts a .

CVIII. 104. In Commagenes urbe Samosatis stagnum esi, emittens limam (maltham vocant ) flagrantem. Quum qaid attigit solidi, adbaeret: praeterea tacta aeqaitar fugientes. Sic defendere moros oppugnante Lucullo : flagnbatque miles armis mia. Aquis etiam accenditur. Terra tantum restingui docuere experimenta.

Da i a v b t i a . CIX. io 5. Similis est natura naphthae: ita appellator circa Babylonem, et in Astacenis Par­ thiae, profluens, bituminis liquidi modo. Huic magna cognatio igniam, transilinntqae protiaas in eam undecumque visam. Ita ferant a Medea pellicem crematam, postqoam sacrificatura ad ara· accesserat, corona igne rapta.

Q

u a s loca

su ra s

asd bah t.

CX. 106. Veram in montiam miracoli·, ardet Aetna noctibus semper, tantoque aevo ignium materia «afficit, nivalis hibernis temporibus, egeatnmqne cinerem pruini· operiens. Nec in illo tantam natura sa erit, exustionem terri· denun­ tians. Flagrat in Phaselide mons Chimaera, et quidem immortali diebns ac noctibus flamma. Ignem ejus accendi aqua, exstingui vero terra, aat feno, .Cnidina Ctesias tradit. Eadem in Lycia

M ix a c o l i

d b l fuo co b m l l

* a c q u a c o a o im m .

CV1I. Racconteremo anoora alcuni miracoli del fuoco, il quale è il quarto elemento della na­ tura. E prima dell* acque. D blla

ia

^t a .

CV1I1. 104. In Samosata d iti ddla Sonai ano slagno, che manda fuori una belletta arden­ te, la qual si chiama malta, che quando toooa alcuna cosa soda, · ’ attacca ; e il tatto seguita quei che fuggono. Con questa difesero le lor mura contra l* esercito di Lucullo, dove i soldati arde­ vano nelle proprie armi. S’ accende ancora con Ρ acqua, e per la prova s* è visto, che solo si spegne con la terra. D blla

n afta.

CIX. io5. Della medesima natura è la nafta : così si chiama intorno a Babilonia, e nel paese degli Astaceni popoli della Partia uno umore, che scorre a modo di liquido bitume. Qaesto amore si confa talmente col faoco, che subito vi s1 appicca, comunque lo vede. Così si dice che Medea abbrunò Creusa poich'ella andò a far •acrifido all' altare, essendosi appiccato il fuoco nella corona, che aveva in capo. D b* LUOGHI, CHS sbm pbs a e d o h o .

CX. 106. Ma ne* miracoli de* monti, Etna arde sempre la notte ; e per tanto tempo non è mancata ancora la materia al fuoco, benché a ll verno si ricuopra di neve, e la cenere mandata fuora sia coperta dalle brinate. Nè solo in questo monte infuria la nalura, minaedando arsura alla terra. Arde in Fasda il monte Chimera, e vera­ mente d* un fuoco, che dura lutto il giorno, e la nette. Scrive Ctesia da Guido, che il fuoco d* esae

C. PL1NU SECONDI

3*9

Hephaettii monte·, tieda fiammante lacti, flagrant adeo, ut lapidat quoque ri torum, et arenae in iptit aqui* ardeant : alilorque igni· iUe pluviis. Bacalo si qai· ex iis accento traxerit sulcos, rivo· igniam aequi narrant. Flagrat in Bactria Cophauli noctibus vertex. Flagrat in Medis, et Stilacene, confinio Persidi·: Sosi· quidem ad Torrim albam, e xv camini·, maximo eorum et interdiu. Campus Babyloniae flagrat, quadam velali piscina jugeri magnitudine. Item Aelhiopum juxta Heaperium montem, stellarum modo campi noeta nitent. Similiter in Megdopolitanorum agro: tametsi internus sit ille, jucundas, frondemque deosi supra se nemoris non adureos. Et juxta gelidum fontem semper arden· Nym­ phe* crater dira ApotlonialU suis portendit, ut Theopompu· tradidit. Augetur imbribus, egeritque bitumen, temperandum fonte illo ingustabili : alias omni bilomine dilutius. Sed qui» baec mi­ retur ? in medio mari Hiera inaula Aeolia juxta Italiam cum ipso mari arsit per aliquot dies sociali bello, donec legatio senatus piavit. Maximo tamen ardet incendio Theon Oshema dictum, Aethiopum jugum, torrentesque solis ardoribus flammas egerit. Tot loci·, tot incendiis rerum natura terra· cremat.

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·■w u c o u .

CX1. 107. Praeterea quum ait boja· unius dementi ralio fecuuda, aeque ipsa pariat, et mi­ nimi· oreteat scintillis, quid fore potandone eat io tot rogU terrae f Quae est illa natora, quae voracitatem in toto mundo avidissimam sine damno sui pascit f Addantur iis sidera innumera, ingensquesol. Addantur humani ignea, el lapidum quoque insiti natorae, attrita inter se ligna, jam nubium et origines fulminum. Excedit profecto omnia miracula ullum diem fuisse, quo non cuncta conflagrarent : qaam specula qaoqae con­ cava adversa solis radiis facilius etiam accendant, quam «Ilus alius ignis. Quid quod ionumerabiles parvi, sed naturales scatent f In Nymphe· exit e petra flamma, qoae pluviis accenditur. Exit et ad aquas Scantias. Haec qaidem invalida, qoom transit, oec longe in alia materia duraus. Viret «eterno bone fontem ifoèam contegens fraxino·.

Sto

s’ accende con l ' acqua, e si spegno con I· terra, o ool fieno. Nella medesima Licia sono i monti Efeslii, i quali quando son tocchi con fiaccole ar­ denti, s'accendono in modo, che inmio alle pietre e l'arene de’ ri vi ardono nell’acque; e qnd fuoco si mantien con le piogge. Se alcuno con una massa di qael fuoco facesse solchi, dicono che rimango­ no rivi di fuoco. Nd paese dei Battriani arde di notte la dota del monte Cofanto. Il medesimo avviefie in Media e nella Stilacene a’ confini di Persia : e in Susia alla Torre bianca, de* quindid camini, dal maggior d’ essi, e di giorno. Un cam­ po di Babilonia arde per ispazio d* un iugero, di maniera che pare un vivaio di fuoco. Le campa­ gne anco degli Etiopi appresso il monte Esperio ardono la notte a uso di tulle. E sirailnaeale nel paese di Megalopoli, benché sia giocondo di den­ tro, e non arda le frondi dd boaeo folto sopra di sé, sempre arde pretao a on fonte d1 acqua fred­ dissima. Scrive Teopompo, che in Apollonàa i un* acqua chiamata la tasta di Ninfeo, che pro­ dice le loro sciagure agli Apolloniati. Questa acqua cresce per te piogge, e manda fuori bitu­ me, e temperasi con l'acqua dd medesimo fonte, che non si può gustare ; altrimenti più liquido d* ogni bitume. Ma chi si farà maraviglia di gas ale cose ? lera una dell’ isole Eolie appresso P Ita­ lia insieme col mare arse per alcani giorni nella guerra sodale, infin che'gli ambasdadori Romani ebbero placati gli dd co' sacrifidi. Arde nondi­ meno con grandissimo iocendio on monte in Etiopia detto Theon Ochema, e per gli ardori del sole manda fuori cocentissime fiamme. E cosi in tanti luoghi, e con tanti incendii la natara arde la terra. Miracoli dbl rooco 01 m

si.

CX1. 107. d ira di ciò eaaando la oondizieoe di qoesto elemento feconda, in maniera eh· par­ torisce sé stesso, e cresce per piccolissime scin­ tille, che cosa è de pensare, che abbia a estere in tanti luoghi ardenti ddla terra ? Quale è quella natura, che senza suo danno pasca una voracità ingordissima in tutto il mondo ? Aggiungane a questi fuochi innumerabili stelle, e qoegli ancora che per natura sono rinchiusi nelle pietre, quegli che ai fanno oon lo stropicciare due legni insie­ me ; e quei de' nugoli, e ddle saette. Certo che questo è il maggior miracolo del mondo, cobo» non tia stato qualche dì, nel quale sieno arac lat­ te le cose ; poiché fino agli tpecchi concavi posti contra a' raggi del tole, più facilmente s* aooomdono, eh'alcuno altro fuoco. Che direaao a o i aneora degli infiniti pioooli, ma naturali fuochi, die sorgono f In Ninfeo esce de una pietre ea a

HISTORIARUM MUNDI L1B. II. Exit io Mutinensi agro statis Vulcano diebus. Reperita* «pad auctores, subjectis Ariciae arvis, ή carbo deciderit, ardere terram. Ia agro Sabino et Sidicino unctum flagrare lapidem. In Salentino oppido Egnatia, imposito ligno in saxum quoddam ibi sacrum, protinus flammam exsistere. In Laciniae Junonis ara sub dio sita, cinerem immo­ bilem esae, perflantibus undique procellis.

Quia el Kpenlinos exsistere ignes, et iu aquis, et in corporibus etiam humanis. Trasymenum lacum ararne lotum : Servio Tullio dormienti in pueritia, ex capile flammam emicuisse : L. Marcio in flispaaia interemptis Scipionibus condonanti, et milites ad ultionem exbortanli, arsisse simili modo, Valerio* An lias narrat. Plura mox et distinctius, nunc eoim quadam mixtura rerum oaaaium exhibeatur miracula. Verato egressa mens interpretationem natnrae, festinat legen­ tium animos per totom orbem velut manu ducere.

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.

CXII. 108. Pars nostra terrarum, de qua memoro, ambienti (ut dictum est) Oceano velut innatans, longissime ab ortu ad occasura patet, hoc est, ab India ad Herculis columnas Gadibus meratas, ocluagies quinquies cenlena septuaginta odo mill. past. ut Artemidoro auctori placet. Ut vero lsidoro, nonagies octies centena et xvm m ill. Artemidorus adjicit amplius, a Gadibus circuita sacri promontorii ad promontorium Arlabrom, quo longissime frons procurat Hispa­ niae, ncccxa. Id mensurae duplici currit via. A Gange amne oatioque ejus, quo se in Eoum Oceanum effundit, per Indiam Parlhienenque ad Myriandrura ur­ bem Syriae in Issico sinu positam, quinquagies bis centena xv mill. pass. Inde proxima naviga· tione Cyprum insulam, Patara Lyciae, Rhodum, Astypalaeam in Carpathio mari insolas, Laconicae Taenarum, Lilybaeum Siciliae,CalarimSardiniae, tricie» quater centena el quinquaginta mill. pass. D eioJe Gades qualuordecics cenlena cl quinqua-

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fiamma, che s* accende con l’ acqua. Escene an­ cora a uo luogo, che si chiama Γ acque Scauci·. Ben' è vero, che quando questa fiamma passa, i debole, e poco dura in altra materia. Sopra di questo foote di fuoco è un frassino, il quale sla sempre verde. Nel contado di Modena sorge fuoco in certi giorni ordinati a Vulcano. Trovasi ap­ presso gli autori, come nelle campagne dell1 Aric­ cia se un carbone cadde in terra, l'abbrucia. Nel territorio della Sabina, e nel Sidicino le pie­ tre unte s'avvampano. In Egoazia città della Ca­ labria se si pone legbo sopra un sasso consacrato in quel luogo, subito n’ esce la fiamma. Nell'altare di Giunone Lacinia, la quale è allo scoperto, la cenere non si muove, ancorché sia gran furia di vento. E di pià nell'acque nascono fuochi repentini, e ne'corpi umani ancora. Scrive Valerio Anziale, che il Iago di Perugia arse già tulio, e sopra il capo di Servio Tullio, dormendo in fanciullezza, si vide una fiamma : e che similmente parlamen­ tando Lucio Ùarcio a' soldati in Ispagna dopo che furono morti i due Scipioni, e confortando­ gli alla vendetta, se gli vide fuoco intorno al capo. Ma poco pià di sotto diremo altre cose, e più distintamente ; perciocché ora ragioniamo così alla rinfusa di molli miracoli della natura. Ora poi che la mente è di già oscita della inter­ pretazione della natura, dia s* affretta a condur­ re gli animi de' lettori per tutto il mondo, come per mano. M is u r a

d i t u t t a la t e r r a .

CX1I. 108. La nostra parte della terra, di cui io tratto, la qual, come s 'é detto, è circondala da mare, e quasi vi nuota per entro, è molto lunga da levante a ponente, cioè, dall* India alle colonne d'Èrcole consacrate in Caliz, ottantacinque centinaia e seltanlaotto mila passi, come scrive Artemidoro. Ma secondo Isidoro, novantaollo centinaia, e diciotto mila. Artemidoro v'aggiuoge di pià, da Caliz col circuito dd sacro promontorio al promontorio Artabro, dove la fronte della Spagna più ή distende, ottocento novantaono mila passi. Questa misura corre per doppia via. Dal fiu­ me Gange, e dalla foce d 'esso, dove egli mette nel mare Orientale, per l ' India e per la Parliene a Miriandro città della Soria, posta nel golfo di Laiazzo, cinquantadue centinaia, e quindici mila passi. Di quivi per la prossima naviga· zione nell'isola di Cipri, Patara di Licia, Rodi, e Aslipalea isole del mar Carpazio, Tenaro di Lacedemonia, Lilibeo di Sicilia, Cagliari di Sardigua, trentaqualtro centinda, e cinquanta

3a3

G. PLINII SECUNDI

(iota mill. pus. Quae mensura universa ab eo mari efficit octuagies quinquies centena, l i x v i i i mill. pass. Alia via, quae certior, ilinere terreno ma­ xime palei, a Gange ad Euphratem amnem quin­ quagies centena mill. pass. et xxi. Inde Cappado­ ciae Mazaca, cc m x u t . Inde per Phrygiam, Cariam t Ephesum, cccc ■ xcvm ; ab Epheso per Aegaeum pelagus Delum, cc. Isthmum, ccxn. Inde terra, et Lechaico mari, et Corinthiaco sinu Patras Peloponnesi, c c ii m quingenti . Leuca­ dem l x x x vi millia quingenti: Corcyram totidem : Acroceraunia cxxxu millia quingenti :Brundisium l x x x t i millia quingenti : Romam ccc i lx. Alpes usque ad Cingomagum vicum d x v i i i . Per Galliam ad Pyrenaeos montes 1Iliberi m quiogenla quinquaginta sex mill. Ad Oceanum el Hispaniae oram cccxxxu. Trajectu Gadis vu millia quiagenti, Quae mensura Artemidori ratione efficit octuagies sexies centena l x x x v .

Latitudo anlem terrae a meridiano situ ad se­ ptemtrionem, dimidio fere minor colligitur, qua­ dragies quater centena xc millia. Quo palam fit, quantum et hinc vapor abstulerit, et illinc rigor. Neque enim deesse arbitror terris, aut non esse globi formam: sed inhabitabilia utrimque incom­ perta esse. Haec mensura currit a litore Aethio­ pici Oceani, qua modo habitatur, ad Meroen d l mill. Inde Alexandriam, duodecies centena millia qninqoaginta.Rhodum, o l x x x u i . Cnidum, l x x x i v millia quingenti. Con,xxv millia. Samum, c mill. Chium, l x x x i v millia. Mitylenen, l x v millia. Tenedon, xxvm millia. Sigeum promonto­ rium, xn millia quingenti. Os Ponti, cccxn millia quingenti. Carambin promontorium, c c c l . Os Maeotidis, cccxu mill. quingenti. Ostium Tanais, c c l x v mill. qui cursus compendiis maris brevior fieri potest, l x x x i x mill. Ab ostio Tanais nihil modicum diligentissimi auctores fecere : Artemi­ dorus ulteriora incomperta existimavit, quum circa Tanaim Sarmatarum gentes degere faleratar ad septemtriones versas. Isidorus adjecit duodecies centena millia quinquaginta, usque ad Thulen, quae conjectura divinationis est. Ego non mino· re, quam proxime dicto spatio Sarmatarum fines nosci iutelligo. At alioquin quantum esse debet, quod innumerabiles gentes subinde sedem mutan­ tes capiat ? Unde ulteriorem mensuram inhabita­ bilis plagae, mullo esse majorem arbitror. Nam

3a4

mila passi. E di quivi a Caliz quattordici centi­ naia, e cinquanta mila passi. La qual misura dal mare Orientale fa la somma d’ollantacinque cen­ tinaia, e sellantaotlo mila passi. L 'altra via, la quale è pià certa, va per terra con più certo viaggio, dal Gange al fiume Eufrate cinquanta centinaia, e venliuno mila passi. Di quivi a Mazaca di Cappadocia dugento mila quaranta­ quattro. Di quivi per la Frigia, Caria, Efeso quattrocento mila passi, uovantaotto. Da Efeso per Γ Arcipelago a Deio dugento mila. Al· P Istmo dugento dodici mila. Dipoi per terra, e per lo mar Laconico, e per lo golfo di Corinto a Patrasso della Morea, dugento due milacinquecenlo : a Leucade, altrimenti Santa Maura, ottantaselte mila cinquecento : a Corfù altrettanto : alle montagne della Cimerà centotrentadue mila cinquecento : insino a Brìndisi ottantaselte mila cinquecento: insino a Roma tre­ cento mila sessanta. Alle Alpi insino al villaggio di Cingomago cinquecento diciottomila. Per la Francia ai monti Pirenei e Illiberi cinquecento cinquantasei mila. Insino alP Oceano e fine della Spagna trecento irentadue mila. E nel tragetto di Caliz sette mila cinquecento. La qual misura, secondo che scrive Artemidoro, fa ottanlasei centinaia, e ottanlacinque mila passi. Ma la latitudine della terra dal sito di mezzo­ giorno a tramontana è quasi la metà meno, cioè cinquantaquallro centinaia, e sessaoladue mila passi. E quinci si conosce quaata da questa parte abbia tollo il caldo, e da quella il freddo. Perchè 10 non penso, che alla terra manchi, o non abbia forma rotonda, ma i luoghi inabitabili dell’ una e dell'altra parte ci sono incogniti. Questa misura corre dalla riviera del mar d'Etiopia, dove è ora abitala, fino a Meroe cinquecento cinquanta mila passi. Di là fino in Alessandriai dodici centinaia di migliaia, e mille cinquecento. A Rodi cinquecento ottantatrì migliaia. Insino alP isola di Gnido otlantaquattro mila cinque­ cento. Insino a Coo venticinque mila. A Samo centomila. A Scio otlantaquattro mila. A Melelino sessantacinque mila. A Tenedo ventiotlo mila. Al promontorio Sigeo dodici mila cinquecento. Alla bocca del Ponto trecento dodici mila cinquecen­ to. Al promontorio di Carambi trecento cin­ quanta mila. Alla foce della palude Meotide trecento dodici mila cinquecento. Alla foce del Taoai dugento sessantacinque mila. 11 quel viag­ gio per tragalti di mare si può far pià breve otlantanove mila. Dalla foce del Tanai in là ì diligentissimi autori non vi fecer nulla. E Arte­ midoro fu d 'opinione,' che pià là non si avesse cognizione, ancora che ei confessasse, cbe circa 11 fiume Tanai abitassero i popoli Sarmati verso

3a5

HISTORIARUM MUNDI LIB. II.

et a Germania immensas insulas non pridem compertas, cognitum habeo.

De longitudine ac latitudine haec suoi, qaae digna memorata patem. Universum autem hunc circuitum Eratosthenes io omnium quidem literarum subtilitate, et in hac uliqae praeler ceteros solerà, quem cunctis probari video, ducentorum quinquaginta duorum millium stadium prodidit. Qaae mensura Romana computatione efficit tre­ centies quindecies centena millia pass. Improbam ausum : feram ita subtili argumentatione com­ prehensum, ut pudeat non credere. Hipparchus et in coarguendo eo, et in reliqua omoi diligentia ruirus, adjicit stadiorum paullo minus ix t millia.

109. Alia Dionysodoro fides : neque enim subtraham exemplam vanitatisGraecae maximum. Melius hic fuit, geometrica scientia nobilis. Sene­ cta diem obiit in patria. Funus duxere ei propin­ quae, ad quas pertinebat hereditas. Eae, quum secutis diebus justa peragerent, invenisse dican­ tur in sepulcro epistolam Dionysodori nomine ad superos scriptam : u Pervenisse eum a sepulcro ad infimam terram, esseque eo stadiorum qua­ draginta duo millia, » Nec defuere geometrae, qui interpretarentur, significare epistolam, a medio terrarum orbe missam, quo deorsam ab sommo longissimum esset spatium, et idem pilae medium. Ex quo consecuta computatio est, ut circuita esse duoenta quinquaginta quinque mil­ lia stadiorum pronunciareut.

H

arm onica m ondi r a t io .

CXIII. Harmonica ratio, quae cogit rerum naturam sibi ipsam congruere, addit huic mensu­ rae stadia vn millia : terramque nonagesimam sextam millesimam totius mundi partem facit.

3a6

settentrione. Isidoro v'aggiunse dodici ceatinaia di migliaia, e cinquanta mila passi insino a Tuie, la qual cosa è piuttosto congettura d 'indovinarione. Io non con miaore spazio di quel poco fa si è detto penso che sieno i confini dei Sarraati. E veramente che debbe esser grandissimo, poi che è capace d’ innumerabili genti, le quali di continoo mulaoo abitazione. Onde io mi do a credere, che la misura, la quale si distende più oltre della parte, che non si abita, sia mollo maggiore. Perciò che io odo dire che dalla parte di Lamagna sono grandissime isole per addietro non conosciute. Quanto dunque alla longitudine, e alla latitu­ dine questo è quello, che mi par degno di con­ siderazione. Ed Eratoslene in ogni sottilità di lettere, e in questa certamente oltre agli altri acutissimo, il quale io veggo essere da tutti approvato, scrisse, che tutto questo circuito è di dugento cinquantadue mila stadii. La qual misura secondo il conto Romano fa trecentoquindici centinaia di miglia. Troppo ardita presunzione in vero ; nondimeno con si sottil conto compresa, che vergogna sarebbe non crederlo. Ma Ipparoo, il quale e in correggere quello, e in ogni altra diligenza fu uomo meraviglioso, v'aggiunse poco meno di venticinque mila stadii. 109. Altra fede è quella che si dà a Dionisodoro : e certo eh' io non voglio passare uu grandissimo esempio della vanità Greca. Costui fu Candiotto, e molto famoso geometra, e mori vecchio nella sua patria. Gli fu fatto il mortorio da alcaoe donne sae parenti, alle quali apparte­ neva l ' eredità di lui. Queste donne dopo alcani gioroi essendo ite a fargli certi rinovali, dicesi, che trovarono nella sepoltura una lettera scritta in nome di Dionisodoro agli uomini di questo mondo, u Come egli era giuntp dal sepolcro al centro della terra, e che v' era di spazio quaran­ tadue mila stadii, n E n furono certi geometri, i quali interpretano che la lettera era stata man­ data dal mezzo tondo della terra, per lo quale dalla sommità in giù il lunghissimo spazio è il medesimo mezzo della palla. Oade ne segue il conto, e dissero, eh* ella è per circuito dugento cinquantacinque mila stadii. R a g io n e

arm onica d e l mondo .

CX11I. L'armonica ragione, la qual costrigne essa natura delle cose avere vera proporzione con sè stessa, aggiogne a questa misura sette mila stadii, e fa la terra essere la novantesima sesta millesima parte di tatto il mondo.

C. 1’LIINU SECUNDI H IS T O R IA R U M MUNDI LIBER III SITUS, GENTES, MARIA, OPPIDA, PORTUS, MONTES, FLUMINA, MENSURAE, POPULI QUI SUNT AUT FUERUNT.

-------- £>Φ4 --------

* E c b o f a b m UfflVBBSUM F i n i a c sib u s p b a b m it t u b t u b . *

I. Prooemium. Bactenut de sita et miraculis terrae aquarumque et siderum, ac ratione uni­ versitatis, atqoe mensura. None de partibas: quamquam infinitum id quoque existimator, nee temeresine aliqua reprehensioue tractatam; haod ullo in genere venia justiore, si modo minime miram esi hominem genitam non omnia hamana novisse. Quapropter auctorem neminem unum sequar ; sed nt quemque verissimam in qaaque parte arbitrabor: quoniam commane ferme omni­ bus fuit, at eos qaisqae diligentissime sitas dice­ ret, in qaibas ipse prodebai : ideo nec culpabo, aat coargaam qaemqaam. Locornm noda nomi­ na, et quanta dabitur brevitate ponentur, clari­ tate causisqne dilatit in suat partet : nunc enim sermo de toto est. Quare sic accipi velim, ut si vidaa fama eoa nomina, qualia fuere primordio ante res ollas gestas, nnneapentar; et sit quae­ dam in bit nomenclatura quidem, sed mundi rerumque natarae.

Terrarum orbis universas in tres dividitur

P bbm btto h si

jh g b r b b a l b d'

I CONFINI

b i sbm

F .u b o p a .

1. Jntino a qui noi abbiamo ragionato del tito e de'miracoli della terra, dell'acqua, e delle stelle, e della ragione e misura di tatto il mondo. Ora ragioneremo delle parti, benché qaesto aocora sia giudicato cosa infinita, né senza qualche ri­ prensione presonluosamente trattata. Né però in alcuna qualità di cose è più giusta la scusa, se pare non è maraviglia che l ' uomo non sappia tutte le cose del mondo. Però non seguirò io alcun autor solo, ma secondo eh* io giudicherò ciatcuno in ogni parte esser veritiero. Percioc­ ché è stato quasi cornane a tatti, che ciascuno diligentissimamente conosca quei siti dove è na­ to, e per qaesto io non tasserò, né riprenderò persona. Metterannosi i nomi ignudi, e con quella maggior brevità, che sarà possibile, riser­ bando la chiarezza, e le cause a* suoi luoghi ; perché ora s 'ha a parlar del tatto. E però vor­ rei che così t ' intendesse, che i nomi de’ luoghi t ' hanno a por vedovi d'ogni fama, quali farono da prima, avanti che ti facette cosa alcuna. Ab­ biano dunque essi certo nome, ma come del mondo, e della nalura delle cote. Tutto il mondo é divito in tre parti, Europa,

C. PLINII SECONDI

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partes, Europam, Asiam, Africa·. Origo, ab occasu solis ei Gaditano freto, qoa irrumpens Oceanus Atlanticus in maria interiora diffunditur. Hinc intranti dextra Africa est, laeva Europa : inter has Asia. Termini, amnes Tanais et Nilus. Quindecim ■pass, in longitudinem, quas dixi­ mus, fauces Oceani patenl, quinque n in latitudinem, a vico Mellaria Hispaniae ad promonto­ rium Africae Album, auctore Turrajiio Gracili juxta genito. 1'. Livius, ac Nepos Cornelius lati­ tudinis tradiderunt, ubi minus; vu m. pass., ubi vero plurimum, x m . Tam modico ore tam im­ mensa aequorum vastitas panditur. Nec profunda altitudo miraculum minuit. Frequentes quippe taeniae candicantis vadi carinas territant. Qua de causa Limen interni maris multi eum locum ap­ pellavere. Proximis autem faucibus utrimque im­ positi montes coercent claustra. Abyla Africae, Europae Calpe, laborum Herculis metae. Quam ob causam indigenae columnas ejus dei vacant, creduntque perfossas exclusa antea admisisse ma­ ria, et rerum naturae mutasse faciem.

Asia edj Africa, L'origUje da ponente, e dallo stretto di Gibilterra, per jlove entrando il mare Atlantico, si diffonde ne’mari mediterranei. Chi entra dunque di qui ha Γ Africa da man ritta, e da man manca P Europa : fra queste due è l'Asia. I termini sono due dami, cioè la Tan^ed il Nilo. Lo stretto dell*Oceano, che poco avanti dicem­ mo, è luogo quindici migtia, e largo cinque, da Mellara, castello di Spagna, instno ad Albo, pro­ montorio d’ Africa, secondo che scrive Turranio Gracile, il quale nacque quivi appresso. T. Li­ vio e Cornelio Nipote scrissero, che la larghezza sua dove è manco, è sette miglia, e dove è più, dieci. E per così piccola bocca, entra sì smisu­ rata grandezza di mari. Nè la profonda altezza scema punto la maraviglia. ^Perchè le molle pie­ tre acute dal fondo, che biancheggia, spaventano i navili. E per questa cagione molti chiamarono quel luogo la soglia del mar Mediterraneo. Que­ sto stretto è fra due monti, Abila in Africa, e Calpe in Europa, ultimi termini delle fatiche d'Èrcole. Per la qual cosa gli uomini del paese le chiamano le colonne di quel dio, e tengono ch'essendo rotto, egli vi facesse entrare il mare, che prima non v'entrava, e così si mutasse aspetto alla natura delle cose. 1. Primum ergo de Europa altrice victoris Parleremo dunque prima dell* Europa, noomnium gentinm populi, longeqne terrarum pul­ drice del popolo vittorioso di tutte le nazioni, e cherrima, quam plerique merito non tertiam bellissima sopra tutte le terre del mondo ; U portionem fecere, verum aequam ; in duas partes, quale da molli, e certo « gran ragione, è stata ab amne Tanai ad Gaditanum fretum, universo fatta la terza parte, n a pari a tutto il resto, orbe diviso. Oceanus hoc, quod dictum est, spatio divìdendo tutto il mondo in due parti dal fiume Atlanticum mare infundens, et avido meatu, della Tana allo stretto di Gibilterra. L'Oceano tertas, quaecumque venientem expavere, demer­ entrando per questo spazio, eh1 è detto mure gens ; resistentes quoque flexuoso litorum anfra­ Atlantico, e con ingordo discorso le terre, che cta lambit : Eoropam vel maxime recessibus ebber paura d’ esso, sommergendo ; e quelle che erebris excavans : aed in quatoor praecipuos fecero resistenza ancora con tortuosi liti va tinus. Quorum primus a Calpe Hispaniae extimo leccando. Ma soprattutto co' suoi spessi ricetti, (nt dictum est) monte, Locros et Brutium usque ▼a come incavando l ' Europa ; e quattro sono i golfi principali, il primo de’ qoali da Calpe, promontorium immenso ambitu flectitur. ultimo monte della Spagna, come s’ è detto, con un grandissimo giro si distende fino a Locri, e in Cnlabria. Τ

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Spagiu.

II. In eo prima Hispania terrarum est ulterior II. In esso è la Spagna ulteriore, come la appellata, eadem Baetica. Mox a fine tingitano prima parte del mondo, e per altro nome Betka. citerior, eademque Tarraconensis ad Pyrenea Dipoi dopo il confine Urgitano, è la Spagna juga. Ulterior in duas, per longitudinem, pro­ citeriore, la quale si chiama anco Tarragonese, vincias dividitur. Si quidem Baeticae latere se- instno a' monti Pirenei. La ulteriore si divide ptemtrionali praetenditur Lusitania, amne Ana in due province per la lunghezza. P erciocché discreta. Ortus hic Laminitano agro citerioris •dal lato settentrionale della Betica si distende Hispaniae, et modo se in stagna fundens, modo la Lusitania, separata dal fiume Ana. Questo in angustias resorbens, aut ia totum caniculis fiume nascendo nel territorio Laminitano della eondens, ct saepius nasci gaudens, in Atlanticum Spagna citeriore, ora spargendosi in istagni, ora

HISTORIARUM MUNDI LIB. 111.

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Oceanum effunditur. Tarraconensis autem affixa Pyrenaeo, totoque ejus latere decurrens, et simul ad Gallicum Oceanum Iberico a mari transversa se pandens, Solorio monte, et Oretanis jugis, Carpetanisque, et Asturum, a Baetica atque Lusitania distinguitur.

ritirandosi in stretture, o nascondendosi in tolto sotterra, e spesse volte allegrandosi di nascere, entra nel mare Atlantico. Ma la Tarraconese, la quale è da un lato congiunta col Pireneo, e tra­ scorre per tutta la sua costiera, e infine »1 mar di Francia dal mar di Spagna si mostra per traverso, il monte Solorio, e i gioghi Oretani, e quelli d 'Austria la dividono dalla Betica e dal­ la Lusilania.

B a b t ic a b .

D e l l a B b t ic a .

HI. Belica, a flumine eam mediam secante cognominala, cunotas provinciarum di vite cnltu, et quodam fertili ac peculiari nitore praecedit. Juridici conventas ei quatuor, Gaditanus, Cordu· bea», Astigitanus, Hispalensis. Oppida omnia numero c l x x v . In iis coloniae v n , municipia v m . Lalioantiquitus donata xxtx, liberiate vi, foede­ re j i , stipendiaria cxx. Ex his digna memoratu, aut Latiali sermone dictu facilia, a flamine Ana, li* lore Oceani, oppidum Ossonoba, Lustoria eogno* minatam: Interfluentes,Luxie, et Urium. Ariani montes: Baetis fluvios: Litus Corense inflexo sinu; cujus exadverso Gades, inter insulas di­ cendae. Promontorium Junonis, Portus Baesippo. Oppida : Belon, Mellaria : fretum ex Atlantico mari. Carteja, Tartesso* a Graecis dicta. Mons Calpe. Dòn litore interno oppidum Barbesula cum fluvio. Item Salduba oppidum, Suel MalacKa cum flavio foedaralorum.DeinMenobacum fluvio. Sexifirraum cognomine Julium, Selambins, Ab­ dera. Margis Baeticae finis Oram eam universam origiais Poenorum existimavit M. Agrippa. Ab Ana autem Atlantico Oceano obversa Bastulorum Tardulorumque est. In universam Hispaniam M. Varro pervenisse lberos, el Persas, et Phoe­ nica*, Cellasque, et Poenos tradit. Lusum enim Liberi patris, aut Lyssam cum eo bacchaolium nomen dedisse Lusitaniae, et Pana praefectum ejus universae. Atque de Hercule ac Pyrene, vel Saturno traduntur, fabulosa in primis arbitror.

Baetis in Tarraconensis provinciae, non ut aliqui dixere, Mentesa oppido, sed Tygiensi exo­ riens saltu, juxta quem Tader fluvius, qui Car­ thaginiensem agrum rigat, llorci refugit Scipio­ nis rogaro : versasque in occasum, Oceanum At­ lanticam provinciam adoptans petit, modicus pri­ mo, sed mullorum fluminum capax, qaibus ipse famam aquasque aufert. Baeticae primum ab Os·

111. La Betica, la quale è così chiamala dal fiume Beli, che va per mezzo, avanza tutte le altre provioce di ricchezze, e di pompa, e d’ aa certo e peculiare splendore. Ella ha quattro raunauze, dove si rende ragione, ciò sono Caliz, Cordova, Astigilta, e Siviglia. Le città sono in lutto cento seltantacinque. Fra le quali sono otto colonie, otto municipii, e venti nove che hanno i privilegii del Lazio anticamente donatigli; e sei, le quali soa libere, due confederate, e cento venti tributarie. Fra queste, quelle che sono de· gne di memoria, o più facili a dirsi in lingua Latina, comincierò dal fiume Ana : lungo il lilo del mare è la città delta Ossonoba, cognominala Losturia. I fiumi vicini Lussia, e Urio. 1 monti Ariani. 11 fiume Beti U lito Corense in golfo ri­ piegalo, a dirimpetto del quale è Caliz, la quale si può contare fra 1* isole. Il promontorio di Giu­ none, il porlo Besippo. Le città Belone e Mellara. Lo stretto dal mare Atlantico. Carteia, detta dai Greci Tartesso. Il monte Calpe. Dipoi bel lito piò addentro la città di Barbasela insieme col fiome. E ancora la città di Salduba, Suel Malaca, col fiume de’confederali. Dipoi Menoba col fiume Sessifirmo, cognominato Giulio, Selambina e Abdera. Murgi confine della Betica. Fu di parere M. Agrippa, che tulta quella contra avesse avuto origine da' Cartaginesi. Ma da Ana verso il mar delle cannarie, tutto è de Basluli, e de* Tur doli. Scrive M. Varrone, che gl’ lberi, i Persiani, i Fenici, i Celti e i Cartagine*! vennero in tulta la Spagna. E che il Luso di Bacco, e Lissa, che con lui beccava, diedero il nome alla Lusilania, e Pa­ na suo governatore a tutto il paese. Ma io credo bene che quanto si ragiona di Ercole, c di Pire­ ne, e di Saturno, sia tutto favola. Il fiume Beli, il qual nasce nella provincia Tarraconese, non come dissero alcuni appresso alla città di Mentesa, ma nel monte Tigiense, ap­ presso il quale il fiume Tader, che bagna il ter­ ritorio di Cartagine, e fugge ratio la sepoltura di Scipione, e voltando verso ponente, ne va nel mare Atlantico adottandola provincia; piccolo I da principio, ma poi riceve in sè molli fiumi, ai

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G PUNII SECONDI

sigitauia Infusus, amoeno blandus alveo crebris dextrae laevaque accolitur oppidis.

Celeberrima inter hunc et Oceani oram in mediterraneo Segeda, quae Augurine cognomi­ natur : Julia, quae Fidentia : Virgao, quae Alba : Ebnra, quae Cerealis : Iliberi, quod Liberini : llipula, quae Laus: Artigi, quod Julienses: Ve­ sci, quod Faventia: Singilia, Hegua, Arialdunum, Agla minor, Baebro, Castravinaria, Episibrium, Hippo nova, Ilurco, Osca, Escua, Succubo, Nuditanum, Tacci vetus, omnia Bastetaniae vergen­ tis ad mare. Conventus vero Cordubensis circa flumen ipsum Ossigi, quod cognominatur Laco­ nicum : Iliturgi, quod Forum Julium : Ipasturgi, quod Triumphale : Satia, et xiv ■passuum re­ motum in mediterraneo Obulco, qood Pontificense appellatur. Mox Ripepora foederatorum, Sacili, Martialium Onoba. Et dextra Corduba, colonia Patricia cognomine: inde primum na­ vigabili Baeti. Oppida : Carbulo, Decuma : fluvius singulis eodem Baetis latere incidens. Oppida Hispalensis conventus : Celliaca, Vacamana, Evia, Uipa cognomine Italica. Et a lae­ va, Hispalis colonia, cognomine Romulensis. Ex adverso oppidum Osset, quod cognominatur Jolia Constantia : Vergentum, quod Julii genitor, Hip­ po, Caurasiarum, fluvius Menoba, Baeti et ipse a dextro latere infusus. At inter aestuaria Baetis oppidum Nebrissa, cognomine Veneria, et Colo­ bona. Coloniae : Asta, quae regia dicitur : et in mediterraneo Asido, quae Caesariana. Singulis fluvius in Baetin, quo dictum est ordine, irrumpens, Astigitanam coloniam adluit, cognomine Augustam Firmam, ab ea navigabilis. Hujus conventus sunt reliquae coloniae immuaes : Tucci, quae cognominatur Augusta Gemella: Ilucci, quae Virlus Julia : Attubi, quae Claritas Julia : Urso, quae Genua Urbanorum : ίηΐβς quae fuit Munda cum Pompeji filio capta. Oppida libera : Astigi vetus, Ostippo. Stipendiaria : Cal­ let, Calucula, Castra Gemina, llipula minor, Merucra, Sacrana, Obulcula, Oningis. Ab ora venienti prope Menobam amnem et ipsum navi­ gabilem, haud procul accolunt Alontigiceli, Alostigi. Quae autem regio a Baeti ad fluvium Anam tendit extra praedicta, Baeturia appellatur, in duas divisa partes, totidemque gentes : Celticos, qui Lusitaniam attingunt, Hispalensis conventus : Turdulos « qui Lusitaniam et Tarraconensem accolunt, jura Cordubam petunt. Celticos a Cel­ tiberis ex Lusitania advenisse manifestum est,

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quali egli leva il nome e 1* acque. Dipoi da Ossigetania entrato nella Betica, piacevole,con ameno fondo, da man manca e man ritta è abitato da molte città. La più celebrala di queste fra esso e il mare in fra terra è Segeda, la quale si chiama per so­ prannome Augurine ; Giulia detta Fidentia, Vir­ gao, detta Alba ; Ebura, detta Cereale ; lliberi detti Liberini: Ilipula, la quale è detta Laos; Artigi detti Giulieasi ; Vesci chiamati Faenza. Singilia, Egua, Arialduno, Agla minore, Bebro, Castravinaria, Episibrio, Ipponova, llurco, Osca, Esoua, Snocubo, Nudilano,Tucciveechia, tutti lu o ­ ghi della Bastetania, che confina col mare. E la raunanza di Cordova intorno al fiume Ossigio, che si chiama Laconico. Iliturgi detta Foro lalio, Ipasturgi detta Trionfale: Sicia, e quattordici mi­ glia più addentro fra terra, Obulco, che si chia­ ma Pontificense. Dipoi Ripepora de* confederati, Sacili, Marcialio Onoba. E da man ritta Cordova, cognominata colonia Patricia, dove prima si co­ mincia a navigare il fiume Beli. Quivi sono due ci Iti, 1* una Carbulo, l ' altra Decuma, e ciascuna ha il Beli, che le corre da un medesimo Iato. Le città della raunanza di Siviglia sono Celliaca, Vacamana, Evia e llipa, cognominala Ita­ lica. E da man manca la colouia di Siviglia, co­ gnominata Romulense. Dirimpetto v’ è la città Osset, detta Giulia Costanza, o Vergente, che fa fatto dal padre di Giulio, Ippone de* Cariasi, il fiume Menoba, il quale corre anch* egli da man ritta. E fra le lagune del fiume Beli, v* è la città di Nebrissa, delta Veneria, e Colobona. Colonie : Asta, che si chiama, regia. E fra terra Asido, chiamata Cesariana. Tutte queste città hanno un fiume, che eoa quell* ordine, che s* è detto, entra nel Beti, e ba­ gna la colonia Astigi lana, detta Augusta Firma, e quivi è navigabile. L* altre colonie di questo convento sono eseoti, Tucci, che si chiama Augu­ sta Gemella, ltucci della Virtù Giulia, Attubi detta Chiarità Giulia, Urso detta Genova degli Urbani, fra le quali fu Munda presa insieme col figliuolo di Pompeo. Città libere sono, Astigi vecchio e Ostippo. Tributarie, Callet, Calucula, Castrage­ mina, llipula minore, Merucra, Sacrona, Obul­ cula e Onioge. E a chi viene di verso la riva, presso Menoba, fiume anch*esso navigabile, poco discosto abitano gli Alontigiceli e gli Alostigi. Ma quella regione, che va dal Beti al fiume Beta, fuor delle predette, si chiama Beluria, d i­ visa in due parti, e altrettante nazioni ; i Celtici, che confinano con la Lusitania, del convento di Siviglia ; e i Turduli, che abitano la Lusitania e la Tarraconese, vanno per ragione a Cordova. Chiara cosa è, che i Celti vennero da* Celtiberi di

HISTORIARUM MUNDI MB. 111.

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sacris, linga·, oppidorum vocabulis, qoae cogpomioibus in Baetica distinguuutur : Seria, quae dicitur Fena Julia, Vertobrige, Concordia Ju­ lia , Segede, Restituta Julia, Contribula Julia, Ucul Ioniacum, quae et Curiga uunc est : Lacon iraurgi, Constantia Julia : Teresibus Fortunales, el Callensibus Emanici. Praeter haec in Celtica Aciuipo, Aruuda, Arunci, Turobriga, Lastigi, Alpesa, Saepona, Serippo. Altera Baeturia, quam diximus Turdulorum, el conventus Cordubensis, babel oppida non ignobilia, Arsam, Mellariam, Mirobricara ; regiones Osinligi, Sisaponem.

Gaditani conventus civium Romanorum, Re· giua, Latinorum, Regia, Carissa, cognomine Au* relia, Urgia cognominata Castrum Julium : itera Caesaris Salulariensis. Stipendiaria, Besaro, Belippo, Barbesula, Lacippo, Baesippo, Callet, Cappagutn, Oleatro, llucci, Braua, Lacibi, Saguntia, An RAJITVATBS, SSD V M , VERAGRI, SALAMI, AC1TA VORES, MBDVLLI, VCBHI, CATT R IG E ·, •B IG IA R I, SOGIORTIl, EBBODIORT1I, RKJSALORI, BDBR4TBS, BSVBIARI, VSAMI NI, GALLITAE, TB IT LA TTI, BCTIR1, VBBGVRRI, BGVITTBI, RBMBHTVB1, OBATBLLI, RB RV 5I, VBLAVBI, SVETRI.

Noai sunt adjectae Cottiaoae civitates xn, qoae n on fuerant hostiles : item adtribatae municipiis leg e Pompeja. Baec est Italia diis «aera, hae gentes ejus, haec oppida popalorom. Saper haec Italia, L. Aemilio Paulo, C. Atilio Regalo consalibas, nuo tis to Gal­ lica tumulto, sola sine externis ollis auxiliis,atque etiam tunc sine Transpadanis, eqaitom l x x x m , peditam d c c 11 armavit. Metallorum omniam fertilitate nallis cedit terris. Sed interdictam id r e t e r e consulto patrum, Italiae parci jubentium.

L ib u b b ia b , b t I l l t b i c i .

Non vi sono aggiunte le dodici citti Cottiane, le quali non furon nemiche, ma attribuite a' ma­ nicipii, per la legge Pompea. Questa e Γ Italia consacrata agli dei, questi i popoli suoi, e queste le città de' popoli. Olirà di ciò questa è quella Italia, la quale essendo con­ soli Lucio Emilio Paolo, e Caio Atilio Regolo, avuta la nuova del tumulto de’ Galli, sola senza alcuno aiuto straniero , e anco allora seoza i Transpadani, armò ottanta mila cavalli, e sette­ cento mila fanti. Ella non cede a verno paese di dovizia di tutti metalli. Ma ciò fu interdetto per antica ordinazione de' padri, i qoali volevano che la Italia si risparmiasse. D b l l a L ib o b r i a b d e l l ' I l l i b i c o .

a i . Con l’ Arsia si congiugne la Libor­ XXV. ai. Arsiae gens Liburnorum jungitur, XXV. usque ad 0 amen Titiam. Pars ejas fuere Mentore», nia, sino al fiume Tizio. Una parte d 'essa furono Hjmani, Encheleae, Dudini, et quos Callimachus i Mentori, gli Imani, gli Enchelee, i Dudini, e quegli che Callimaco chiama Peocezii: ora si chia­ Peacetias appellat : nane totum aoo nomine Il­ ma tutto con un nome solo generalmente lo Illi­ lyricam vocator geueratim, populomm paoca cHalu digna, aut facilia nomina. Conventum rico. Di questi popoli vi sono pochi nomi degni Scardonitauum petunt Iapydes, et Liburnorum e agevoli da parlarsi. Vanno a Scardona per ra­ gione i lapidi, e quattordici citti de' Liburni, civitates xiv, e qaibus Lacinienses, Stulpinos^arnistas, Albonenses nominare non pigeat. Jas dei quali non mi increseerà ricordar i Laciniesi,

C. PLINII SECUNDI

3ijt

italicum habent eo conventu Alulae, Flanates, a quibas sinat nominatur : Lopsi,Varubarini,iramunesque A ssesia les, et ex insulis Fertinale», Curi­ ctae. Ceterum per oram oppida a Nesactio, Alvona, Flanona, l'arsatica, Senia, Lopsica, Ortopula, Vegiurn, Argyruntum, Corinium, Aenooa civitas, Pausinos flumen, Tedanium, quo finitur Iapydia. Insulae ejus sinus cum oppidis, praeter supra significatas, Absyrtium, Arba, Tragurium, Issa : Pharos, Paros ante: Crexa, Gissa, Portunala. Rursus in continente colonia Jadera, quae a Pola c l x m pass. abest : inde triginta m Colentum insula : xvm ostium Titii fluminis.

D a u u t ia b .

393

gli Stalpini, i Burnisti, e gli Albanesi. Hanno i privilegii d1Italia in quel conveuto gli Alati, i Flanati, da*quali il golfo ha preso il nome: i Lopsi, i Varubarini, e gli Asserfati esenti, e delΓ isole i Fulsinati e i Cariti. Nella riviera sono le città dopo Nesattio, Alvona, Flavona, Tarsatica, Senia, Lopsica, Ortopala, Vegia, Argironto, Corinio, Enona, Pausino fiume, Tedanio dove finisce la la pidia. Le isole di quel golfo con le città loro, oltra le dette di sopra, sono, Absirto, Arbet, Trau, Issa, Faro prima detta Paro : Cres­ sa, Gissa e Portunata. In lerra ferma poi v’ è la colonia di Zara, la qaale è lontana da Pola cento sessanta miglia : di là a trenta miglia P isola di Colento, e a diciotto miglia la foce del fiume Tizio. Da u u z u .

XXVI. aa. Liburniae finis, et initium Dalma­ XXVI. aa. 11 fin della Libarnia e il principio tiae Scardona, in amne eo, xn m pass. a mari. della Dalmazia è Scardona, in quel fiume dodici Dein Tariotaram antiqua regio, et castellum miglia diseosto dal mare. Dipoi la antica regione 'J'ariona : promontorium Diomedis, vel ut alii de1Tarioti, e il castello Tariona : il promontorio di Diomede, o come vogliono alcuni, Illi penin­ peninsula Hyllis, circuitu c m pass. Tragarium civium Romanorum, marmore notum: Sicam, sula, che gira cento miglia. Trau di cittadini Ro­ in quem locum divus Claudias veteranos misit. mani, famoso per il marmo : Sieo dove Γ impera· Salona colonia, ib Jadera cxxn m pass. Petant dor Claudio mandò i soldati veterani. La colonia ia eam jura descripti in decurias ccclxxu Dal­ di Salona, lontana da Zara dagentoventidae mi­ glia : vanno in essa a farsi far ragione descritti matae ; xxii Decuni ; ccxxxix Ditiones ; lx ix Mazaei; lii Sardiates. In hoc tractu sunt,Burnum, in decurie trecentoseltantadue Dalmati, ventidue Mandetrium,'Tribulium, nobilitata populi Romani Decuni, dugento trentanove Dizioni, sessantanove Mezei, e cinquanladue Sardisti. In questo proeliis castella : petunt et ex insulis, Issaei, Cotratto sono, Burno, Mandetro e Tri balio, castelli lentini. Separi, Epetini. Ab his castella, Peguntium, Rataneum: Narona colonia tertii conventus, nobilitati per le battaglie del popol Romano. a Salona lxxii m pass. adposita cognominis sai Vannovi ancora dall* isole, gli Issei, i Colentini, fluvio, a mari xx m pass. M. Varro lxxxix civita­ i Separi, e gli Epetini. Dopo questi sono i castelli, tes eo ventitasse auctor est. Nunc soli prope Pigunzie, Rataneo : Narona colonia del terzo noscuntur Cerauni decuriis xxiv, Daorizi xvii, convento, da Salona settantadoe miglia, posta sol Daesitiales ciii, Docleatae xxxui, Deretini xiv, fiume del suo nome, venti miglia dal mare. Scrive Deremi stae xxx,Dindari xxxiii, Glmditionesxi.iv, Marco Varrone, che ottantanove città venivano Meloomani xxiv, Naresii cit, Scirtari lxxu , Sicu­ quivi a ragione. Ora quasi soli si conoscono i lo lae xxiv, populatoresque quondam Italiae Var­ Cerauni in ventiquattro decurie, i Daorizi con daei, non amplius quam xx decuriis. Praeter hos dicesette, i Desiziati con cento tré, i Dodeati con tenuere tractum eum Oenei, Partheni, Hemasini, irentatri, i Deretini con quattordici, i Deremisli Arthitae, Armistae. A Narone amne c m pass. con trenta, i Dindari con trenlatrè, i Glmdizioni abest Epidaurum colonia. Oppida civium Ro­ con quarantaquattro, i Melcomani con ventiquat­ manorum , Rhizinium, Ascrivium, Butua, 01tro, i Naresii con centodue, gli Scirtari con set­ chinium, quod antea Colchiniam dictum est, tantadue, i Siculo ti con ventiquattro, e i Vardei a Colchis conditum : amnis D rilo, superque già guastatori dell’ Italia, con non più che venti eum oppidum civium Romanorum Scodra, a decurie. Olirà questi abitarono già in quel luogo mari xvm m pass. Praeterea multoram Grae­ gli Enei, i Parteni, gli Emasimi, gli Arii ti, » gli ciae oppidorum deficiens memoria, nec non et Armisti. Lontano dal fiume Narone cento miglia civitatum validarum. Eo namque tractu fuere v’ è la colonia d* Epidauro. Le città de' cittadini Labea tae,Enderoduni, Sassaei, Grabaei, proprie­ Romani sono, Rizlnio, Ascrivio, Bahia, Olchique dicti Illyrii, et Taulantii, et Pyraei. Retinet nio, che già fu detto Colchinio, edificato da’Coluomen in ora Nymphaeum promontorium: Lischi : il fiume Drilo, e sopra esso Scodra città di

3g3

HISTORIARUM MUNDI L16. III.

sum oppidum civium Romanorum ab Epidauro c m pass.

a3 . A Lisso Macedoniae provincia : gentes Partheni, el a tergo eorum Dassarelae. Montes Candaviae a Dyrrachio u x ix m pass. In ora civium Romanorum Epidamnum colonia, pro­ pter inauspicatum nomen a Romanis Dyrrachium appellata : flumen Aous, a quibusdam Aeas nomi­ natum : Apollonia, quondam Corinthiorum colo­ nia, vii n pass. a mari recedens: cujus in finibus celebre Nymphaeum accolunt barbari, Amantes et Buliones. At in ora oppidum Oricum e Colchis conditum. Inde initium Epiri, montes Acrocerau­ nia, quibus hunc Europae determinavimus sinum. Oricum a Salenlioo Italiae promontorio distat l x x x v m passuum.

Noxicoxu*.

W

cittadini Romani, lontana dal mare diciotto mi­ glia. Oltra di questo è perduta la memoria di molte cittì della Grecia, e di cittì possenti. Per­ ciocché in quel paese furono già i Labeati, gli Enderoduni, i Sassei, i Grabei, e quei chepropri·· mente son detti Illirii, e i Taulanzii, e i Pirei. Ritiene ancora il nome in quella contrada il pro­ montorio Ninfeo, e Lisso città di cittadini Roma­ ni, lontana cento miglia da Epidauro. a3. Da Lisso comincia la provincia della Ma­ cedonia, i popoli Parteni, e alle spalle di loro i Dassareti. I monti di Candavia lontani da Durazzo settantanove miglia. Alla riviera è Epidanno colonia di cittadini Romani, chiamata da' Ro­ mani Dirrachio, per rispetto del nome di cattivo augurio ch'ella avea : il fiume Aoo, chiamalo da alcuni Aea : Apollonia colonia già de' Corintii lontana selle miglia dal mare : ne' confini della quale abitano i barbari il nobil Ninfeo, gli Aman­ ti e i Buiioni. Ma nella riviera v'è la citlà di Orico edificata da'Colchi. Quindi comincia l’Al­ bania, e le moolagne della Cimerà, con le quali ho finilo questo seno d’ Europa. È lontana Orico da Salentino, promontorio d 'Italia,ottantacinque miglia. N om ic i .

24. Alle spalle de’ Carni e de' lapidi, XXVII. »4 · A tergo Carnorum et Iapydum, XXV 11. dove ti presenta il grande Istro, i Norici confi­ qua se fert magnus Ister,Raelis junguntur Norici. nano co' Reti. Le città loro sono, Virano, Celeia, Oppida eorum : Virunum, Celeia, Teumia, Aguntum, Viana, Aemonia, Claudia, Flavium, Soluense. Teurnia, Agunto, Viana, Emonia, Claudia, Fla­ Norici* junguntur lacus Peiso, deserta Bojorum: vio e Soluense. Co' Norici si congiugne il lago jam tamen colonia divi Claudii Sabaria, et oppiPeiso, e i deserti de' Boii : nondimeno oggi tono du Sca rabant ia Julia habitantur. abitate Sabaria colonia di Claudio imperadore, e la città di Scarabanzia Giulia. P a h r o h ia b .

Ρ ανκοιπα .

XXVIII. a5 . Inde glandifera Pannoniae, qua XXVIU. a5. Sono dipoi i selvosi paesi della Pannonia, per dove i gioghi dell' Alpi manco mitescentia Alpium juga, per medium Illyricum aspri per mezzo della Schiavoni· voltati da tra­ a septem trione ad meridiem versa,molli in dextra montana a mezzo giorno, con piacevole china da ac laeva devexitate considunt. Quae pars ad mare man ritta e man manca si vengono a posare. Quel­ Adriaticum spectat, appellatur Dalmatia, et Illy­ la parte, che guarda verso il mare Adriatico, si ricum supra dictam. Ad septem triones Pannonia chiama Dalmazia, « Illirico la delta di sopra. La vergit : finitur inde Danubio. In ea coloniae, AePannonia è volta a tramontana, e finisce al Da­ mona, Siscia- Amnes clari et navigabiles in Danu­ bium defluunt, Dravus e Noricis violentior, Sa- nubio. In essa sono le colonie, Emona, e Siscia. Due fiumi nobili e navigabili vanno nel Danu­ vo» ex Alpibus Carnicis placidior : cxv κ. pass. bio, la Drava dal paese de' Norici più violento, e intervallo. Dravus per Serretes. Serrapillos, lala Sava dell* Alpi della Carnia più placido, di sos, Sandrizetes : Savus per G o la p ia n o » , Breucosque. Populorum haec capita. Praeterea Arivales, centoquindici miglia d 'intervallo. La Drava pat­ ta per lo paese de' Serreti, Serrapilli, lasi e SànAzali, Amantes, Belgi tes, Calari, Coreates, Aradrizeli: la Sava per quel de' Colapiani e de'Breuvisci, Hercuniates, Latovici, Oseriates, Varciani. chi. 1capi de'popoli son qnesli. Inoltre gli Arivati, Mons Claudius, cujus in fronte Scordisci, in ter­ gli Azali, gli Amanti, iBelgiti, i Catari, i Corneali, go Taurisci. Insula iu Savo Metubarris, aranica-

C. PLINII SECONDI

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396

rum maxima. Praeterea amnes memorandi, Calapìs io Savnm influens jaxta Siseiam, gemino alveo insulam ibi efficit, quae Segestica appella· tnr. Alter amnii Bacnntins ip Savoni Sirmio oppi· do influit : ubi civitas Sirmientium, et Amantinorupi. Inde x l v m passuum Taorunnm, ubi Da­ nubio miscetur Savus. Supra influunt Valdanus, Urpanus et ipsi non ignobiles.

gli Aravisoi, gli Ercaniati, i Latovici, gli O se­ riali, e i Vardani. Monte Claudio, nella cai fronte sono gli Scordisci, e alle spalle i Taorisci. Nella Sava è l'isola Metobarri, uoa delle maggiori isole, che sieno ne' fiumi. Oltra di ciò vi sono due fiomi notabili, il Calapi, eh1 entra nella Sava appresso Siscia, che con due rami fa quivi una isola, la quale si chiama Segestica. L 'altro fiome è il Bacuotio, eh' entra nella Sava alla citti di Sirmio, dove è qnesta città e Amantia. Di qaa a quarantacinque miglia v* è Tauruno dove la Sava entra nel Danubio. Più sopra v'entrano il Valdano, Γ Urpano, fiumi anch' essi illustri.

M O U I AB.

Mesia.

XXIX. 26. Pannoniae jungitur provincia,quae XXIX. a6. Con Ia Pannonia si congiugne la provincia, che si chiama Mesia, la quale insieme Moesia appellator, ad Pontum usque coro Danu­ con il Danubio si distende insino al mare. Co­ bio decurrens. Incipit aoonfluentesupra dicto. In mincia dal detto fiume. In essa sono i popoli ea Dardani, Celegeri, Tribali!, Trimachi, Moesi, Thraces, Pontoqoe contermini Scythae. Flomina Dardani, i Celegeri, i Triballi, i Trimachi, i Mesi, i Traci, e gli Sciti, che confinano colmare. I fioclara, e Dardania Margis, Pingus, Timachus : ex mi, che vengon dai Dardani, sono il Magi, il Pin­ Rhodope Oescus: ex Haemo, Utus, Escamus, go, il Trimaco : viene dal monte Rodope, l’Esco: leter os. dal monte Emo, l'Uto, l’ Escamo, e l’ Ietero. La maggior latitodioe dell' Illirico è trecento Illyrici latitudo, qua maxima esl, cccxxv m pass, colligit. Longitodo a flumine Arsia ad flu­ venticinqoe miglia. La longitodioe dal fiome men Drinium d ccc m. A Drinio ad promonto­ Arsia al fiome Drinio ottocento miglia. Dal rio Acrocerannium, c l x x i i . M. A grippa prodidit Drinio al promontorio della Cimerà centosettantadue miglia. Scrive M. Agrippa, che tutto questo oniversum hunc sinam Italiae et Illyrici ambita xm. In eo duo maria, quo distinximus fine : In­ seno dell' Italia e della Schiavonia è per circuito tredici miglia. In esso aono dne mari, per lo fernum, sive Jonium, in prima parte, inlerins qual fine facemmo la distinzione, cioè Γ Inferno, Adriaticum, qaod Superum vocant. ovvero Ionio nella prima parte, addentro l’Adria­ tico, che si chiama Supero. InstJLA&UM J o n i i BT A d r i a t i c i MAaiS.

I sole d e l l ’ I o n io x d e l l ’ A d r ia t ic o .

XXX. Insulae io Ausonio mari, praeter jam dictas, memoratu digoae nullae: in Jonio pau­ cae: Calabro litore ante Brandusium. quarum objectu portus efficitur : contra Apulum litus Dio­ medea, conspioua monumento Diomedis: et al­ tera eodem nomine, a quibusdam Tentria appel­ lata.

XXX. Dell’ Isole nel mare Ausonio, oltra le gii dette, oionà v’ è degna di memoria ; nell’ Io­ nio poche. Nella riviera di Calabria, dinanzi a Brindisi, per l’ opposizione delle quali ai la il porto, all’ incontro del lito di Puglia v’ è Γ isola Diomedea, notabile per la sepoltura di Diomede ; e un’ altra del medesimo nome, chiamata da alcuni Teutria. La Schiavonia ha piò di mille isole, perchè il mare v’è pieno di seochi, ed ha piccol fondo. Di­ nanzi alla foce del Timavo con fonti caldi, i quali crescono secondo il crescere del mare, v’ è l’ isola di Clare : appresso il territorio degl’ latri v' è Cissa, le Pullarie, e le Absirtide cosi dette dai Greci, da Absirto fratello di Medea che quivi fa morto da lei. Appresso a quelle sono l’Elettride perchè quivi nasce l’ ambra, da lor chiamalo elettro, certissimo segno della vaniti de’ Greci :

Illyrici ora mille amplias insnlis frequentator, natura vadoso mari, aestuariisqne tenoi alveo intercorsantibus. Clare ante ostia Timavi calido­ rum fontium cum aestu maris crescentium : ju­ xta Istrorum agrum, Cissa, Pullariae, et Absyrtides Grajis dictae, · fratre Medeae ibi interfecto Absyrto. Juxta eas Electridas vocavere, in qnibos proveoiret saccinum, qaod illi electrum appel­ lant, vanitatis graecae certissimum documentum : adeo ut quas earum designent, haud umquam

397

HISTORIARUM MUNDI U B . IU.

constiterit. Contra Jader «st Litu ; et quae appdU tie contra Libnrnos Creteae aliquot; nec pauciores Liburnicae, Celadussae. Contra Snrinm bobus et capris laudata Brattia : Ista civium Ro­ manorum reliqua, et cum oppido Pharia. His Corcyra, Melaena cognominata, cum Gnidiorara oppido, distat xx» m passuum ; inter quam et Illyricum Melita, unde catulos Meiitaeos appellari Cailima chos auctor est: xu millia passunm ab ea tres Elaphites. In Ionio autem mari ab Orico n millia passnom, Sasoni· piratica statione nota.

perciocché non si può intendere, di quali isola essi voglian dire. All' incontro di Zara è Lissa ; e all* incontro alla Liburnia alcune chiamate le Cretee ; e le Liburniche, che non sono punto meno, le Celadusse. Di fronte a Surio i Brattia, lodata molto per bori e per capre : Issa rimasavi de' cittadini Romani, e Faria insieme con la città. Dopo queste è Corcira, cognominata Melena, con la città de'Gnidii, lontana ventidue miglia; fra la quale e la Schiavonia è Melita (onde vengono ì cani chiamati Melitei, secondo Callimaco). Dodi­ ci miglia lontana da essa, sono le tre Elafite ; e nel mare Ionio lontano dne miglia da Orico, è Sasoni, famosa per lo ricetto che oi hanno i corsali.

C. PLINII SECUNDI

H IS T O R IA R U M MUNDI LIBER IV SITOS, GENTES, MARIA, OPPIDA, PORTUS, MONTES, FLUMINA, MENSURAE, POPULI QUI SUNT AUT FUERUNT.

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E v ir i.

ι.Τηηοι

I. Europae sina* Acrocerauniis inci­ pit montibus, finitor Hellesponto : amplectitor, praeter minores sinos xix, h t centena millia passaam. In eo Epiros, Acarnania, Aetolia, Pho­ cis, Locris, Achaja, Messenia, Laconia, Argolis, Attica, Boeotia: iteromqoe alio mari, eadem Pho­ cis et Locris, Doris, Phthiolis,Thessalia,Magnesia, Macedonia, Thracia. Omnis Graeciae fabulosi­ tas nent et literarum claritas, ex hoc primum si­ n a effulsit. Quapropter in eo paullolum com m o­ rabimur. Epiros in nniversnm appellata, Acrocerauniis incipit montibus. In ea primi Chaones, a quibus Chaonia : dein Thesproti, Antigonenses : locus Aornos, et pestifera avitas exhalatio: Cestrini, Perrhaebi, quorum mons Pindus, Cassiopaei, Dryopes, Selli, Hellopes, Molossi, apnd quos Do· àonaei Jovis templum, oraculo illustre : Tomarus mons, centum fontibus circa radices, Theopompo •debratus.

a. Epiros ipsa, ad Magnesiam Macedoniamq · · tendes, a tergo suo Dassaretas sopra dictos,

D aL L 'E viao.

I. i. I l terxo golfo di Eoropa comincia dai monti Acrocerauni, e finisce nello Ellesponto : contiene oltra i minori golfi diciannove e venticinque mila passi. In esso sono l1 Epiro, l'Arcanania,l*Etolia, la Focide, Locri, TAcaia, la Messenia, la Laconia, Argoli, l’Attica e la Beozia. E di nuovo dall'altro mare la medesima Focide, Locri, la Dorica, la Ftiotide, la Tessaglia, la Magnesia, la Macedonia, e la Tracia. Tulle le favole della Grecia, come anco lo splendor delle lettere, vennero prima di questo seno, e perciò ci fermeremo on poco in esso. Qaella provincia, che universalmente si chia* ma Epiro incomincia da* monti Acrocerauni. In essa i primi sono i Caoni, dai quali è detta la Caonia : dipoi i Tesproti, gli Anligonesi : il luogo Aorno, detto con, perchè volandovi sopfo gli uccelli muoiono : i Cestrini, i Perrebi, il monte de* quali i Pindo, i Cassiopei, i Driopi, i Selli, gli Ellopi, i Molossi, appresso de* quali è il tem­ pio di Giove di Dodona, illustre per l’ oracolo : il monte Tomaro, con cento fonti intorno alle sue radici, celebrato da Teopompo. a. L ’ Epiro, il quale aggiugne sino alla Ma­ gnesia e alla Macedonia, ha dietro a si i Dassa-

C. PLINII SECUNDI

4o3

liberam gentem, mox (eram, Dardane» habet. Dardanis laevo Triballi praetepduntur latere, et Moesicae gentes: a fronte jungantur Medi ac Denseletae, quibas Thrace», ad Pontum nsqoe pertinentes. Ita saccincta Rhodopea, mox et Hae­ mi vallator excelsitas. In Epiri ora castellum in Acrocerauniis Chimera, sub eo aqnae regiae fons. Oppida : Mae­ andria, Cestria: flumen Thesprotiae Thyamis: colonia Buthrotum : maximeque nobilitatus Am­ bracias sinus, d pass. faucibus spatiosum aequor accipiens, longitudinis xxxix n pass., latitudinis xv x. In eum defertnr amnis Acheron, e lacu Thesprotiae Acherusia profluens xxxvi u pass. inde, et mille pedum ponte mirabilis omnia sua mirantibus. In sinu oppidum Ambracia. Molos­ sorum flumina, Aphas et Arachthus. Civitas Ana­ ctoria : lacus Pandosia.

reti detti di sopra, gente libera, poi i Dardani popoli fieri. Co’ Darihtoi confinano da man man­ ca i Triballi, e altri popoli della Mesia: da fronte i Medi e i Densdati, coi quali confinano i Traci sino al Ponto. Cosi è cinto Rodope, e dipoi è avallata Γ altezza 4*1 monte Emo. Nella riviera delf Epiro è fi castello della Chimera ne1 monti Acrocerauni, e sotto esso è la la fonte, che si chiama regia. Le città sono Mean­ dri», Cestria : il fiume Tesprozia Tiami : la colo­ nia di Butroto, e il golfo Ambrado molto nobi­ litato, il quale è largo ndla foce mezzo miglio, e riceve in sè un mare spazioso lungo trentanove miglia, largo quindici. In esso entra il fiume Aceronte, il quale esce di Acherusia lago di Te­ sprotia trentaseì miglia di là, e con un ponte di mille piedi dà maraviglia a quei che ammirano tutte le cose di esso.Nel golfo è la dttà d’ Ambraeia. I fiumi de* Molossi sono I1Afa e Γ Aratto : la città Anattoria, il lago Pandosia.

* A c a b b a b ia s .

D e l l ’ A c a b b a b ia .

11. Acarnaniae, quae antea Curetis vocabatur, II. Le dttà dell* Acarnania, che prima si oppida : Heradia, Echinus, et in ore ipso colonia chiamò Careti, sono : Eradia, Echino, e nella Augusti Actiam, cum templo Apollinis nobili, ac bocca istessa Azzio colonia d 'Angusto, eoi nobil dvitate libera Nicopoli tana. Egressos sinu Ambra­ tempio d’Apolline e la città libera di Nicopoli. cio in Joninm excipit Leucadium litus: promon­ Uscendo del golfo Ambrado nello Ionio, si trova torium Leucates. Dein sinus, ac Leucadia ipsa il lito Leucadio ed il promontorio Leucate. Di­ peninsula, quondam Neritis appellata, opere ac­ poi il golfo e la penisola di Leucadia, detta già colarum abscisn a continenti, ac reddita vento- Neriti, per opera degli uomini dd paese spiccata da terraferma, aaa rieoogiantavi dai venti, i quali rnm flata congeriem arenae aocumalantinm, qai locus vocatu* Dioryctos, stadiornm longitudine radunan quivi gran massa d'arena ; il f a al laogo trium. Oppidum ia ea Leucas, quondam Neri- si chiama Dioritto, lungo meno di mezzo miglio. tum dictum. Deinde Acarnanam turbes, Alyzea, In essa è la dttà di Leucade, detta già Nerito. Dipoi le dttà degli Acaruas» sono : AUrea, Strato, Stratos, Argos Amphilochicam cognominatam. Amnis Achdous e Piudo fluens, atque Acarna­ Argo, cognominato Aafilochieo. 11 fiume Adae* niam ab Aetolia dirimens, et Ar terni tam insulam loo, che viene dal monte Pindo, e parta 1* Acar­ nania dall* Etolia ; e di contìnuo portando terra assiduo terrae inveotu continenti adnectens. congiugne I* isola Artemita a terraferma. A b t o l ia b .

D b l l ' E t o l ia .

III. Aetolorum popoli Athamanes, Tympbaei, III. 1 popoli dell* Etolia sono gli Atamani, Ephyri, Aenienses, Perrhaebi, Dolopes, Maraces, i Tintisi, gli Efiri, gli Eaiesi, I Perrebi e i Dolo^ Atraees,aquibas Atrax amnis Jonio mari iofnndi- pi, i Maraoi, gli Atrad, da'quali venendo il fiu té tar. Aetoliae oppidum Calydon est septem millibus A trace mette noi mare Ionio. Città deM'EtoUa 4 quiogratis pese, a mari, juxta Evennm amnem. Calidoae lontaM sette miglia e messo dalla ma­ Dein Macyma, Molyeria : cujus a tergo Chalda, ria a, appresso il fiome Eveno. Dipoi Maemia e et mons Taphiassus. At inora promoatoriom An- MoUeria; dietro alla quale è Caldde ed 11 monte tirrhiom, ubi ostium Corinthiad sinus, mfaxne Tafiasso. Alla riviera è B promontorio Aalirrio, mille passuum latitudine influentis, Aetolosqae dove è la foce del golfo di Corinto, si qoale è dicimeatis a Peloponneso. Promontorium, quod lungo manco d 'un miglio, e parte gli Etoli dal contra procedit, appellator Rhion. Sed in Corin­ Peloponneso. 11 promontorio, che gli à a dirim­ thiaco sina oppida Aetoliae, Naopaetn·, Pylene: petto, si chiama Rion. Ma nel golfo di Corinto el in mediterraneo Plearon, Halicyraa. Montes le dttà dell* Etolia sono : Naupatie e Pilean ;

4o5

HISTORIARUM MUNDI L1B. IV:

46

diri: io Dodonfc, Tornirai : io Ambracia, Crania : io Acarnania, AraCynthos: io Aetolia, Acanlhon, Panaetoliiun, Macyninm.

e fra terra Pleurone e Alidrna. I monti femori aono: in Dodona, Tornar» : in Ambrada, Crania : in Acarnania, Aracinto : in Etolia, Acantone, Paoetolio e Macinio.

L o c r id is , « t P b o c id i s .

D e l l a L o c r id e e d e l l a F o c id e .

IV. 3. Presimi Aetolis Locri, qui cognomi­ IV. S. Vicini agli Etoli sono i Locri, cognomi­ nantor Ozolae, immune*. Oppidom Oeanthe. nati Ozoli, esenti. La città loro è Eante. Il porto Porto· Apolliois Phaestii, ainoa Crissaeu*. loto* d’ Apolline Festio, ed il golfo Crisseo. Le città oppida : Argjna, Eupalia, Phaettum, Calamissos. fra terra sono : Argina, Eupalia, Festo e Cala­ misto. Più oltre sono i campi Cirrei di Focide, Ultra Cirrhaei Phocidis campi, oppidom Cirrha, porto· Chataeon, · quo τ π ι pass, introrsus libe­ la città di Cirra, porto Caleone, dal quale sette ram oppidom Delphi, sub monte Parnasso, claris­ miglia lontano fra terra è Delfo, città libera, simam io terris oracolo Apollinis. Fons Castalius, •otto il monta Parnaso, famosissima al mondo suoni* Cephissos praefluens Delphos, ortos in per l’oraeolo d'Apolline. Il fonte Castalio, il fiome Cefiso, che corre appresso a Delfo, nato in Lilea lila ea quondam orbe. Praeterea oppidom Criisa, già ciltà. Oltre di questo la città di Crissa, i popoli e t cum Bulensibus Anticyra, Naulochum, Pyr­ Bulesi, Anticira, Hauloco, Pirra, Anfitsa esente, rha, Amphissa immanis, Tithrone, Tritea, Am· iirysus, Drymaea regio, Daolis appellata. Dein in Titrona, Tri tea, Ambriso, la regione Drimea, chiamata Daoli. Dipoi nel golfo piò addentro intimo sino angelos Boeotiae adlaitar caro oppi­ dis, Sipbis, Thebis, qoae Corsicae cognominatae è bagnato 1' angolo di Beozia con le dttà Sifi e suat, juxta Heliconem. Tertiam ab hoc mari Tebe, le quali son cognominate Corsiche, presso Γ Elicona. Dipoi è Page, da questo mare terza Boeotiae oppidom Pagae, uode Peloponnesi pro­ ciltà della Beozia, donde sorge il capo del Pelo­ silit cervix. ponneso. P e l o p o r r e s i *.

D e l P elovouh rso .

V - 4 - Peloponneso*, Apia ante appellata, et Pelasgia, peninsula haad alii terrae nobilitate posteferenda, inter duo maria Aegaeum et Joniom, platani folio similis, propter angulosos re­ cesso·, circuitu d l x i i i k pass. colligit, auctore Isi­ doro. Eadem per aioos paene tantumdem adjicit. Angustiae, onde prooedit, Isthmos appellantor. In eo loeo erumpentia e diverso, quae dicta sunt, maria, a septemtrione et exorto, ejos omoem ibi latitudinem vorant, donec contrario incursu ae­ quorum tantorum, in qainque ■ pass. inter­ vallo, exesis utrinque lateribus, angusta cervice Peloponneso m contineat Hellas. Corinthiacas hinc, illinc Saronicus appellator sioos : Lecheae hioc, Cenchreae illinc, angustiarum termini, loogo et ancipiti navium ambitu, quas magnitu­ d o pleostris transvehi prohibet: qoam ob causam perfodere navigabili alveo aogostias eas tentato­ re, Demetrias rex, dictator Caesar, Cajos prineeps, Domitio· Nero, infaasto ( ut omoiom pa­ teat exito ) incepto. Medio hoe intervallo, qood Isthmoo appellavimus, applicata colli habitator ooloaia Corinthus, antea Ephyra dieta, sexageuls ab utroque litore stadiis, e somma sua area, quae ▼ocater Acrocorintho·, in qua fons Pira ne, di­ versa duo u r i t prospettane, l x x x v h mill. pass. ad Corinthiacam watim trajectos est Patra* a

V. 4 · 11 Peloponneso, detto prima Apia e Pelasgia, è ana penisola, la quale non cede a paese alcuno di nobiltà, fra due mari l’ Egeo e Γ Ionio, simile alla foglia del platano per le angolose sue rivolte : gira, secondo Isidoro, cin­ quecento sessantatrè miglia. E la medesima per li golfi aggiagne quasi altrettanto. Lo stretto, donde procede, si chiama Istmo. In questo luogo vengono a percuoter da diverse parti i due mari già detti, da tramontana e levante, e divoran quivi tnlta la latitudine, insino a che per Topposito corso di tante acqoe lo ridooono di cinque miglia d’ intervallo, avendo roso di qaa e di là i lati, in modo che la EUade col soo collo stretto tocca il Peloponneso. Da una parte si chiama golfo di Corinto, dall'altra golfo Saronico: di qua è Lecbea, e di là Cenere·, termini dello stretto, con lungo e dubbioso circuito de* navili, i quali per la grandezza loro non si possono traghettar sai carri. Per la qoal cosa tentarono già di ta­ gliar questo stretto con navigabil canale, il re Demetrio, Giulio Cesare dittatore, Caligola imperadore e Domizio Nerone, niun de' quali (co­ me è manifesto ) condusse altrimenti a fine il •qo prindpio. Nel mezzo di questo Intervallo, che noi chiamammo Istmo, applicata al eolie s'abita Corinto colonia, prima detta Efira, loo-

C. PLINII SECUNDI

4°7

*0 »

Leacade. Patrae, colonia in longissimo promon­ torio Peloponnesi condita, ex adverso Aetoliae et flaminis Eveni, minas mill. pass. (ot dictam est) intervallo in ipsis faucibus, sinam Corinthiacam l x x x v millia pass. in longitudinem asque ad 1sthmon transmittunt.

tana dall'una e l'altra riviera da otto miglia; e dall’alta sua rocca, la qaale si chiama Acroco rin lo, nella quale è il fonte Pirene, scuopre i due mari diversi. Ottantasette miglia è da Leu­ cade a Patrasso per lo golfo di Corinto. La colo­ nia di Patrasso edificata nel lunghissimo promon­ torio del Peloponneso, all' incontro dell' Etolia e del fiume Eveno, con manco d'un miglio d 'in­ tervallo, come s 'è detto, in essa bocca, il golfo di Corinto ottantacinque miglia ia longitudine insino all' Istmo trapassa.

A ch a ja b.

D e l l ' A g a ia .

VI. 5. Achajae nomen provinciae ab Isthmo incipit; antea Aegialos vocabatur, propter orbes in litore per ordinem dispositas. Primae ibi, quas diximus, Lecheae, Corinthiorum portus. Mox Oluros, Pellenaeorum castellum. Oppida: Helice, Bura: in quae refugere, haustis prioribus, Si­ cyon, Aegira, Aegion, Erineos. lutus Cleonae, Hysise. Panhormus porlus, demonstratumqne jam Rhium : a quo promontorio quinque mpass. Absunt Patrae, quas supra memoravimus: locus Pherae. In Achaja, ix montium Scioessa notissi­ mus, fons Cymothoe. Ultra Patras oppidum Ole­ num, colonia Dyme: loca, Buprasium, Hyrmine: promontorium Araxum, Cyllenes sinus, promon­ torium Chelonates : unde Cyllenen quiuque u pass. castellum Phlius : quae regio ab Homero Araethyrea dicta, postea Asopis.

VI. 5.11 nome della provineia d 'Acaia inco­ mincia dall' Istmo : prima si chiamava Egialo, per rispetto delle città poste per ordine nella riviera. La prima quivi, che abbiamo detto, è Lecche porto de' Corintii. Poi Olaro castello de'Pellenei. Le città sono: Elice, Bura j dove rifuggirono, essendo inghiottite le prime, Sici». ne, Egira, Egione, Erineo. Fra terra v'è Cleone ed Isia. Panormo porto, e Rio già nominato, dal qual promontorio, lontano cinque miglia è Patrasso, da me di sopra ricordato. Il luogo di Fera. In Acaia, di nove monti Scioessa notissi­ mo, ed il fonte Cimotoe. Di là da Patrasso à la città d'Oleno, la colonia di Dime, i luoghi, Buprasio, lrmiuo, ed il promontorio d'Arasso : il golfo di Cilene, il promontorio di Cbelonate, ed il castello di Flio, lontano due miglia da Cillene : la qual regione da Omero fa chiamata Arelirea, poi Asopi. V' è poi il paese degli Elii, i qaali prima si chiamavano Epei. Evvi Elide fra terra, e lontana da Pilo dodici miglia. Più addentro vi è il tem­ pio di Giove Olimpio, il quale per la darità dei giuochi abbraccia i giorni sacri della Grecia. Pisa già citlà, dove passa il fiome Alfeo, e nella riviera il promontorio Itti. Il fiume Alfeo è navi­ gabile sei miglia appresso le città d'Aulone e Leprioue. 11 promontorio Platanode: tatti questi souo volli a ponente.

Inde Eliornm ager, qui antea Epei vocaban­ tur: ipsa Elis in mediterraneo, et a Pylo xn m passuum. Intus delubrum Olympii Jovis, ludo­ rum claritate fastos Graeciae complexum. Pi­ saeorum quondam oppidum praefluente Alpheo amne. At in ora promontorium lchlhys. Amnis Alpheus navigatur vi mill. pass. prope oppida, Aulone, et Leprion. Promontorium Platanodes; omnia haec ad occasum versa. * M e s s b h ia b .

D b l l a M bssb h ia .

VII. Ad meridiem autem Cyparissius sinus cum urbe Cyparissa l x x i i millium passunm cir­ cuitu. Oppida: Pylos, Metbone: locus Helos, promontorium Acritas : sinus Asinaeus, ab oppido Asine, Coronaeus a Corone. Finiuntur Taenaro promontorio. Ibi regio Messeuia duodeviginti -montium. Amnis Pamisus. lutus autem ipsa Mes­ sene, libarne, Oechalia, Arene, Pteleon, Thryon, .Dorion, Zancle, variis clara temporibus. Hujas sinas circuitus l x x x m pass., trajectus vero xxx v.

VII. Ma verso mezzodì è il golfo Ciporicao con la città Ciparissa di settantadue m igli· di circuito. Le citlà, Pilo e Modone: il laogo di Eia, il promontorio Aerila, il golfo Asineo,cosl dello dalla citlà d'Asine, ed il Coroneo da Corone : finiscono nel promontorio Tenaro. Quivi è la region Messenia che ha dieciotto monti. Il fiume Pamiso. Fra terra poi v' è Messene, Itome, Ecalia, Arene, Pteleone, Trione, Dorione, Zande, famosa in diversi tempi. 11 golfo d'essa ha ottanta migli· di circuito, ed il traghetto trenta miglia.

HISTORIARUM MUNDI LIB. IV.

*•9 L a c o k ia b .

D n u L a « omia .

VIII. Dehioc a Taenaro ager Laconica*, libe­ V ili. Dopo Tenaro v 'è il paese Laconico, rae gentis: el «inos cireaita cn ini 11., trajecta di popoli liberi ; ed il golfo di circuito dugento sei miglia, e di traghetto trentaoove. Le città xxxix mill. Oppida : Taenarum, Amyclae, Phe­ rae, Leuctra : et intaa Sparta, Theramne : atque sono: Tenaro, Araicla, Fera, Leutra: e più ad­ dentro, Sparla, Teranne; e dove già fu Cardaraile, abi faere Cardamele, Pilane, Antbane: Locus Pitane, Antane, il luogo di Tirea, Gerania. 11 Thyrea, Gerania. Mons Taygetus, amnis Euro­ monte Taigeto, il fiume Eurota, il golfo Egilodo, tas, sieus Aegilodes, oppidum Psammathus. Sinus Gytheates ab oppido: ex quo Cretam insulam la città di Psammato. Il golfo Giteate, donde è certissimo corso all' isola di Creta. E tutti questi certissimus cursus. Omnes autem Maleae pro­ montorio ioeluduntor. luoghi sono rinchiusi dal promontorio dalla Malea. A i &o l l d is .

D b l l ' A b g o l id b .

IX. Qoi sequitor sinus ad Scyllaeum, Argo­ IX. 11 golfo, che segue fino a Scilleo, si chia­ ma Argolico, di traghetto di cinquanta miglia, licos appellatur, trajectu quinquaginta i* pass. e di circuito di ceoto settantadue. Le città, Boea, ideai ambita c l x i i millium. Oppida: Boia, Epi­ d a u r u s limerà cognomine, Zarax, Cyphanla por­ Epidauro detto Limera, Zarax ed il porto Citas. Amnes : Inachus, Erasinus inter quos Argos fanta. I fiumi, 1* Inaco, lo Erasino, fra i quali i Hippium cognominatum, supra locum Lernen, Argo cognominato Ippio, sopra il lago di Lerna, a mariduobns m pass. novemqoe additis millibus, lontano due miglia dal mare, e più oltre nove Mycenae : et ubi fuisse Tiryntha tradunt : et lo­ miglia è Micene ; e dove si dice, che già fu Ticus Mantinea. Montes : Artemius,Apesantus,Aste­ rinta ; ed il luogo di Mautinea. I monti : Artemio, rion, Parparus, aliique undecim numero. Fonte* : Apesanto, Asterione, Parparo ed atiri, a numero Niobe, Amymone, Psamathe. A Scyllaeo ad Isth­ venti. I fonli : Niobe, Amimone, Psammale. Da mum cxxxfu m pass. Oppida : Hermione, TroeScilleo all* Istmo sono centosettantasette miglia. zen,Corypba*tum: appellatumque alias Inachium, Le città : Hermione, Treiene, Corifasio, ed Argo, alias Diasium Argos. Portus Schoeoitas, sinus chiamato quando Inachio, e quando Diasio. Il Saronkns olim qaerno nemore redimitus, unde porto Scenite, il golfo Saronico, ornato già d'un nomen, ila Graecia antiqua appellante quercum. bosco di quercia, ond'egli prese il nome, perchè In eo Epidaurum oppidum, Aesculapii delubro l'antica Grecia così chiamava la quercia. In esso celebre, Spiraetrm promontorium, portus Anthe­ è la città d* Epidauro, celebralo per lo tempio don, et Bucephalus: el quas supra dixeramus, d’ Esculapio, il promontorio Spireo, porto AnCenchreae, Isthmi pars altera cum delubro Neptu­ tedone, e Bucefalo ; e Cencrea, che dicemmo di ni quinquennalibus inclyto ludis. Tot sinus Pelo­ sopra, l'altra parte dell’ Istmo col tempio di Net­ ponnesi oram lancinant, tot maria adJatrant. Si tuno, illastre per i giuochi, che vi si fanno ogni quidem a septentrione Ionium irrumpit : ab occi­ cinque anni. Tanti golfi lacerano il Peloponneso, dente, Siculo palsatur : a meridie, Cretico urge­ e tanti mari lo intronano. Perciocché da tra­ tor : ab oriente brumali, Aegaeo : ab oriente sol­ montana v'entra il mare Ionio, da ponente è stitiali, Myrtoo, qnod a Megarico incipiens sino, bussato dal Siciliano, da mezzogiorno è stretto io tam Atticam adlait. dal Cretico, da levante di verno dalTOgeo, da levante di state dal Mirtoo, il quale incomin­ ciando dal golfo di Megara, bagna tutto il paese d 'Atene. A i o d u i *.

D bll ' Abcadia.

L 6. Mediterranea ejus Arcadia maxime tenet ,undiqoe a mari remota : initio Drymodes, mos Pelasgis appellata. Oppida ejas : Psophis, Mantinea, Stymphalum, Tegea, Antigonea, Or­ chomenum, Pheneum, Palantium, unde Palatiom Romae : Megalopolis, Gortyna, Bucolium, Car-

X. 6. Il suo paese fra terra è per la maggior parte 1*Arcadia, d'ogni parte discosto dal mare ; prima chiamata Drimode, e poi Pelasgi. Le città sue sono : Psofi, Mantinea, Stinfalo, Tegea, An­ tigonea, Orcomeno, Feneo, Palanzio, onde è detto Palazio in Roma : Megalopoli, Gortina, Bu-

C. PUNII SECUNDI

4“

nion, Parrhasie, Thdpusa, Melaenae, Herae·, Py­ lae, Pallene, Agrae, Epiam, Cynaetha, Lepreon Arcadiae, Partheniam, Alea, Methydriom, Enispe, Maciitum, Lampe, Clitoriam, Cleonae, io ter qnae dao oppida, regio Nemea, Bembinadia vo­ citata. Monica in Arcadia, Pholoé com oppido : item Cyllene, Lycaea a, ία quo Lycaei Jovis de· labrum : Maenalus, Artemisias, Parthenias, Lam­ pe at, Nonacris : praeterqoe, ignobiles octo. Am­ ne· : Ladon, e palodibas Phenei : Erymanthus e monte ejusdem nominis, ia Alpheam defluentes. Heliqaae civitates in Achaja dicendae, Afiphi· raei, A beatae, Pyrgenses,Paroreatae, Paragenitae, Tortoci, Typaaei, Thriasii, Tritienses. Coiveraae Achajae libertatem Domitias Nero dedit. Pelo­ ponnesus in latitudiae a promontorio Maleae, ad oppidam Aegiam Corinthiaci sinutexc m pass. pa­ tet At ia transversum ab Elide Epidaurum, cxxv M ab Olympia Argos per Arcadiam l u x mill. Ab eodem loco ad Phliunta dicta meoaura eat. Uoiirersa autem, velut pensante aequorum incursus natura, in montes vi atqoe l x x adtoUitar.

A t t ic a s .

4«#

colio, Caroione, Parrasia, Tdpusa, Melena, Erea, P ile, Pallena, Agrf, Epio, Cineta, Lepreone d'Arcadia, Partenio, Alea, Metidrio, Enispe, Madsto, Lampe, Clitorio, Cleooa, fra le quali due (òtti è. la regione Nemea, chiamata Bembi­ nadia. I monti d'Arcadia son queati : Foloe oso 1· citti del medesimo nome, Ottiene, Liceo, dov'è il tempio di Giove Lieeo: Menalo, Artemisio, Partenio, Lampeo, Nonacri ; oltre gli otto igno­ bili. 1 fiumi, il Ladone che viene dalle palndi di Feueo : l ' EHmanto dd monte del medesimo nome, ed amendue vanno nell' Alfeo. Le altre citti, che si posson dir· in Acaia, sono Alifi rea, Abeata, Pirgo, Parorea, Paragenita, Tortono, Ti pania, Triasio, Trita. Domixio Ne­ rone mise in liberti tutta l'Acaia. 11 Peloponneso i in latitudine da capo di Malea alla d iti di Leche del golfo di Corinto centonovanta miglia. Bla per traverso da Elide ad Epidauro oentoventicinque miglia. Da Olimpia ad Argo per l ' Ar­ cadia aeasaotanove miglia. Dal medesimo luogo a Flinnta v' è la detta misura ; e cosi tutto il Peloponneso, oome se la natura lo ri compensasse di qud trasoorrimenti di mari, eh· gli entrano oome in grembo, s 'innalza io settantasei monti.

Dux' A t t i c a .

7. Dallo stretto ddl' Istmo incomincia XI. 7. Ab Isthmi angustiis Hellas incipit, no­ XI. stris Graecia appellata. In ea prima Attica, anti­ l ’EUade, da' nostri chiamata la Grecia. In essa è quitus Acte vocat·. Adttogit Iathmum parte sui, prima l’ Attica, anticamente detta Atte. Ella quae appellatu» Megaris, a colonia Megara, e re­ tocca l ' Istmo eoo una sua parte, che si chiama gione Pagarum. Duo haec oppida excurente Pelo­ Megare, dalla colonia di Megara, dirimpetto a ponneso sita sunt, utraque ex parte velut in hu­ Pagaro. Queste due citti, scorrendo il Pelopon­ neso, sono poste dall'nna e l'altra parte, come meris Helladif. Pagaei, et amplias Aegosthenenses contributi Megarensibus. In ora autem, portas nelle spalle dell' Elade. 1 Pagei, e gli Egaatenmi, i quali sono contribuiti eo* Megaresi. In questa Schoenos. Oppida: Sidus, Cremmyon; Scironia riviera vi è porto Scheno. Le a tti, Sido e Gesaxa vi mill. longitudine, Geranea, Megara, Eleu­ sin. Fnere et Oenoa, Probalinthos : nunc sunt mioue : i sassi Sdronii di lungheua sd migli·, ab Isthmo l v millia pass. Piraeeus, et Phale­ Geranea, Megara, Eleusina. Vi furono anco gii, ra portus, quinque millia pass. maro -recedeoti· che oggi più non sono, Enoa e Probalinto: lon­ bas Athenis fanati. Libera haec civitas, nec indi­ tano dall' Istmo einquantadue miglia sono il Pireo e porto Falera, congiunti oen on muro ga ulli os praeconii amplius: tanta duritas super­ di cinque miglia con Atene, ehe si disoosta. fluit. Iu Attio· fontes, Cephissi·, Larine, Calli­ rhoe, Enneacrunot. Montes: Brilemas,Aegialeo*, Questa dttà è libera, e non ha più bisogno di Icaiiua,Hymettos, Lycabettus : locus Ilissos. A Pi­ lode alcuna, tanto è per sè stessa illustre. In At­ raeeo x l v mill. pass. Sunium promontorium, tica sono questi fonti, Cefis^, Larine, Calliroe, Thoricos promontorium. Potamos, Steria, Brau­ Enneacruni. Monti: Brilesso, Egialeo, Icario, ron, quondam oppida. Rhamnus pagus, locus MaImetto, Licabetto, la terra d* llisso. Lontano dal mthon, campos Thriasios, oppidam Melita, et Pireo qoarantadnque miglia è il promontorio Oropos, in confinio Boeotiae. Sunio ed il promontorio Torioo. Potamo, Steri·, prauron· gii dttà. Ramno villaggio, Maratona, la campagli· Triassa, la dttà di Mdita, ed Oropo a' confini di Beozia.

HISTORIARUM MONDI LIB IV.

4*5

* Bo io t u i ,

D e l l a B b o z ia ,

XII. Cujas Anthedon, Onchesto», Thespiae li­ beram oppidom, Lebadea : oec cedentes Athe­ nis claritate, quae cognominantur Boeotiae The­ bae, duorum numinum Liberi atque Herculis (ut volunt ) patria, bt Musis natale in nemore Heliconis adsignant. Datur et his Thebis saltus Cithaeron, amnis Ismenus. Praeterea fontes in Boeotia : Oedipodi», Psamathe, Dirce, Epierane, Arethusa, Hippocrene, Aganippe, Gargaphie. Montes extra -praedictos* Mycalessus, Hadylius, Aeontins. Reliqua oppida, inter Magaram «t The­ bas: Eleutherae, Haliartus, Plataeae, Pherae, Aspkdon, Hyle, Thisbe, Erylhrae,Gli*sas,Copae : juxta Cephissum amnem Larymna, et Anchoa : Medeon, Phlygone, Aeraephia, Coronea, Chaero­ nea. In ora autem infra Thebas: Ocalee, Heleon, Scolo*, Schoenos, Peteon, Hyrie, Mycalessus, Hileaioo, Pteleon, Olyros, Tanagra liber populus : et in ipsis faucibus Euripi, quem facit objectu insulae Euboeae, Aulis capaci nobilis portu. Boeo­ tos Hyantas antiquitus dixere. Locri deinde Epicnemidii cognominantur,olim Leleges appellati, per quos amnis Cephissus de­ fertur in mare. Oppida : Opus, unde et sinua Opuntius, Cynos. Phocidis in litore unum Da~ phrna. Introrsus in Locris, Elatea, et in ripa Cephissi ( ut diximes ) Lilaea, Delphosque ver­ sus , Coemis, et Hyampolis. Rursus Locrorum ora, in qua Larymna, Thronium, juxta quod Boa· frias amnis defertur ia mare. Oppida: Narycion, Alope, Scarphia. Postea Maliacus sinus ab incolis dictas : in qno oppida, Halcyona, Econie, Pha­ lara.

XII. Nella quale è Antedene, Onehealo, Tespia cittì libera, e Lebadea: e Tebe di Beozia, la quale non cede di splendore ad Ateoe, patria, come si dice, di due dei, Bacco ed Ercole. Asse­ gnano ancora il nascimento delle Muse nel bosco di Eliconia. Dassi patini ente a qoeata Tebe il bosco Citerone ed il fiume lsmeno. Oltre di d ò sono qaesti fonti in Beozia: Edipodia, Psamate, Dirce, Epierane, A retusa, Ippocrene, Aganippe e Gargafie. 1 monti olire ai già delti, Micalesao, Adilio, Aconzio. L 'altre citlà fra Megara e Tebe sono : Elenlera, Aliarlo, Platee, Fere, Aspledone, Ile, Tisbe, Eritra, Glissas, Copa : appresso il fiu­ me Cefiso, Larinna e Ancoa : Medeone, Fligone, Acrefia, Coronea, Cheronea. E odia riviera sot­ to Tebe: Ocale, Eleone, Scolo, Scheno, Peteone, Irie, Micalesso, Mestone, Pteleone, Olirò, Tana­ gra popolo franco ; e nelle foci del canale, il quale fa con l'opposizione dell’ isola Eobea, Au­ lide nobile per il porto, che ha capace. Furono t Beozii anticamente chiamati lauti. Dipoi i Locri cognominati Epicnemidii, già chiamati Lelegi, per H quali passa il fiume Cefi­ so, e va in mare. Le città loro sono : Opo, onde è dello il golfo Opnnlino, Cino. Nel lito di Foci­ de, Dafuo una. Fra terra in Locri, Eiatea, e nelle rive del Cefieo, come dicemmo, Lilea, e verso Delfo, Cnemi, e lampoli. Di nuovo la riviera dei Locri, nella quale è Larinna, Troeio, appresso il quale il fiume Boargio entra In mare. Le città, Naricione, Alope, Searfia. Dipoi il golfo di Malea così chiamato dagli uomini del paese, nel quale sono queste dttà : Aldone, Eeonia, Falara.

Doaiots.

D e l l a D o e id e .

XIII. Doris deinde, in qua Sperchios, Erineon, Boion, Pindo», Cytinum. Doridis a tergo mons est Oeta.

XIII. Ecci poi la Dorica, nella quale sono Sperchio Erineone, Boione, Pindo e Citino. Die­ tro alla Dorica i il monte Oeta.

P h t h i o t i d i s *.

D e l l a F t io t id b .

XIV. Sequitur mutali* saepe nominibus Aemo­ nia: eadem Pelasgicum Argos, Hellas, eadem Thessalia, el Dryopis seroper a regibus cognomi­ nata. Ibi genitus rex nomine Graecus, a quo Graeciaa : ibi Hellen, a qno HeUenes. Hos eosdem Homerus tribus nominibus appellavit, Myrmido­ nes, et HeUena*) et Achaeos.

XIV. Segue l ' Emonia che spesso ha mutato nomi, siccome quella eh* ora è stata detta Argo Pelasgico, Eliade, Tessaglia, e Driopi, sempre da1suoi re. Quivi nacque il re ch'ebbe nome Greco, da cui fa detta la Grecia : quivi EUen, da cui i Greci furon detti Elleni. Questi popoli furono chiamati da Omero con tre nomi, doé Mirmidoni, Elleni, e Achei. Fra questi, quei die abitano la Dorica si chiamano Ftioti. Le dttà loro sono, Echino

Ex his Phthiotae nominantur Dorida adcolentes. Eorum oppida, Echino» in faucibus Sperchii

C. PLINII SECONDI

4.5

flaminis, Thermopylarum angustiae : quo argu­ mento iv millia pass. inde Heraclea, Trachin dicta eat. Mona ibi Callidromus: oppida celebria, Ballai, Halos, Lamia, Phthia, Arne.

T h bssa lia b .

416

nella foce del fiame Sperchio, lo stretto delle Ter­ mopile : per lo quale argomento Eraclea quattro miglia discosto di 1& è detta Tranne. Quivi è il monte Callidromo : cittì illustri : Alla, Alo, Lamia, Ftia e Arne. -

D e l l a T e ssa g l ia .

XV. 8. In Thessalia autem Orchomenos, Mi· XV. 8. In Tessaglia è Orcomeno, detto prima nyeus antea dictas : et oppidum Alroon, ab aliis Minieo ; e la città d' Almone, da alcuni chiamata Salmon, Alrax, Pelinna : fons Hyperia. Oppida, Salmone, Atrace, Pelinna: la fonte Iperia. Le città Pherae, quarum a tergo Pieris ad Macedoniam sono : Fere, dietro la quale il Piero si distenda portenditur, Larissa, Gomphi, Thebae Thessaliae, verso la Macedonia, Larissa, Gonfi, Tebe, Tessa­ nemus Pteleon, sinus Pagasicas. Oppidum Pa­ glia, il bosco di Pteleone il golfo Pagasico. La gasae, idem postea Demetrias dictum, Tricca, città di Pagasa, detta poi Demetriade, Tricca, le Pharsalici campi cum civitate libera, Cranon, campagne di Farsaglia con la città libera, Cra­ llelia. Montes Phthiotidis, Nyrapheus, quodam none, Uezia. I monti di Ftiotide, il Ninfeo, già nobile per un certo topiario opera di maraviglioaa topiario naturae opere spectabilis : Buzigaeus, Donacesa, Bermius, Daphissa, Chimerion, Atha­ natura: Buzigeo, Donacesa, Bermio, Defissa, Chlmas, Stephane. In Thessalia sunt quatuor atque merione, Atamante, Slefane. Nella Tessaglia ne triginta, quorum nobilissimi, Cerceti, Olympus, sono trentaqualtro, fra i quali i nobilissimi sono: Cerceti, Olimpo, Piero e Ossa, a cui dirimpetto Pierus, Ossa : cujus ex adverso Pindus etOlhrys, Lapit harum sedes : hi ad occasum vergentes : ad sono Pindo e Otri, abitazione de’ Lapiti: questi ortus, Pelios : omnes theatrali modo inflexi, ca­ sono volti verso ponente: a levante, il Pelìo: tatti piegati a modo di teatro, e hanno avanti a veatis ante eos septuaginta qainque urbibus. Flu­ mina Thessaliae : Apidanus, Phoenix, ' Epineus, loro settantacinque città. 1 fiumi della Tessaglia Onochonus, Pamisus. Fons Messeis. Lacus Boe- sono: Apidano, Fenice, Enipeo, Onocono, Pamiso. beis. Et ante cunctos claritate Peneus, ortusjuxta 11 fonte Messei. Il lago Bebei. E il più illustre di Gomphos : interque Ossam et Olympum nemo­ tutti il Peneo, il qual nasce appresso a Gonfi, a rosa convalle defluens quingentis stadiis, dimidio dipoi passa fra Olimpo e Ossa per una valle piena ejus spatii navigabilis. In eo cursu Tempe vocan­ di boschi da sessanta miglia, ed è navigabile per tur quinque mill. pass. longitudine, et ferine la metà di quello spazio. In quel corso è Tempe sesquijugeri latitudine, ultra visum hominis ad- lungo cinque miglia, e largo quasi mezzo iugero; tollentibus se dextera laevaque leniter convexis tanto alto, che la vista dell’ uomo non t 1 aggiugne jugis. Intus sua luce viridanle adlabilur Peneus, da man ritta, e man manca. Per lo mezzo vi corre viridis calculo, amoenas circa ripas gramine, il fiume Peneo con la sua chiara luce, per la canorus avium concentu. Accipit amnem Orcon, gioia verde, e ameno intorno alle rive per l'erba nec recipit, sed olei modo supernatantem (ut fresca, e canoro per lo canto degli uccelli. dictum est Homero) brevi spatio portatum ab­ Questo fiume piglia il fiume Orco ; non però lo dicat : poenales aquas dirisque genitas, argenteis riceve, ma correndo sopra di lui a guisa 8' olio ( come dice Omero) portalo per breve spazio da snis misceri recusans. sè lo scaccia ; siccome quello, che rifiata di mescolar le torbide acque di quello con le sue, le quali paion proprio d’ argento.

M aom esiak .

D e l l a M a g n e sia .

XVI. 9. Thessaliae adnexa Magnesia est, cujas XVI. 9. Con la Tessaglia è attaccata la Ma­ fons Libethra. Oppida : Jolcus, Hormenium, gnesia, il cui fonte è Libetra. Le dttà sono : Iolco, Pyrrha, Melhone, Olizon. Promotorium Sepias. Ormenio, Pirra, Metone, Olizone. Il promontorio Oppida : Casthanaea, Spalathra. Promontorium Sepia. Le ci U à , Castanea, Spalatra. 11 promontorio Eanzio. Le città, Melibea, Rizo, Erinne. La foca Aeantium. Oppida: Moeliboea,Rhizus, Erymnae. Ostium Penei. Oppida : Homolium, Orthe, Thes­ del Peneo. Le città, Omolio, Orte, Tespie, Falanpiae, Phalanna, Thaumade, Gyrton, Cranon, na, Taumade, Girtone, Cranone, Acarae, Do­ ttane, Melitea, Filace. D dl’ Epiro, dell’ Acaia, Acharne, Dotion, Melitaea, Phylace. Porro Epiri,

HISTORIARUM MUNDI L 1B. IV.

8

Achajae, Atticae, Thessaliae in porrectum longitudo quadringentorum octoginta mill. pass, traditur, latitudo centum nonaginta septem millium,

dell'Attica, «Iella Tessaglia a dirittura è Ia longi­ ladine quattrocento ottanta miglia : cento no· vanta selle miglia la latitudine.

M a c e o o h ia e .

D e l l a M a c e d o n ia .

XVII. io. Meoedonia postea centnm quin­ XVII. io. Segue poi la Macedonia, di cento­ quaginta populorum, duobus inclyta regibus, cinquanta popoli, famosa gii per due re, e per qnondamque terrarum imperio, Emathìa antea Γ imperio ch'ebbe del mondo, prima detta Ema­ dicta. Haec ad Epiroticas gentes in solis occasum zia. Questa provincia da ponente volta verso recedens posi terga Magnesiae atque Thessaliae, I' Epiro dietro alle spalle della Magnesia e della infestatur a Dardanis. Partem ejus septemtriona- Tessaglia è travagliata da' Dardani. La parte sua settentrionale la guardano da’ Triballi la Peo­ leaa Paeouia ac Pelagonia protegunt a Triballis. Oppida: Aege, in quo mos sepeliri reges : Beroea; nie e la Pelagonia. Le sue città sono: Ege, dove et in regione quae Pieria appellatur a nemore, usano i re seppellirsi : Berea, e nella regioue, Aeginium. In ora Heraclea, flumen A pilas. Op­ che dal bosco che v’ è si chiama Pieria, Eginio. Alla riviera è Eraclea, il fiume Apila. Le città: pida: Pydna, Aloros. Amnis Aliacmon. Intus: Aloritae, Vallaci, Phylacaei, Cyrrbestae, 1’yrissei. Pidna, Aloro. Il fiume Aliacmone. Più addentro, Pella colonia. Oppidum Stobi civium Rom. Mox gli Aloriti, i Vaitei, i Filacei, i Cirresti, i Tiri ssei. Pella colonia. Stobi citlà di cittadini Romani. Antigonea, Europus ad Axium amnem,eodemque Dipoi Antigonea, Europo sul fiume Assio, e nomine, per quod Rhoedias fluit. Eordeae, Scyaltro del medesimo nome, per lo quale scorre dra, Mieza, Gordyniae. Mox in ora Ichnae: fluvius Axius. Ad hunc finem Dardani, Treres, la Redia. Eordea, Scidra, Mieza, Gordinia. Dipoi Pieres, Macedoniam adcolunt. Ab hoc amne Paeo­ nella rivièra lene: il fiume Assio. A questo confine i Dardani, i T reri, i Pieri abitano la niae gentes : Paroraei, Eordenses, Almopii, PelaMacedonia. E da questo fiume in là i Peonii, i gooes, Mygdones. Montes: Rhodope, Scopius, Parorei, gli Eordesi, gli Alinopii, i Pebgoni, e i Orbelus. Dein praejacente gremio terrarum, Migdoni. I monti sono: Rodope, Scopio e Orbelo. Arethusii, Antiochenses, ldomenenses, Doberi, Aestraeenses, AUautenses, Audarislenses, Morylli, Dipoi come nel grembo della terra, gli Aretùsii,gli Antiochesi, gli Idomenesi, i Doberi, gli Estreesi, G aresci, Lyncestae, Olhryonei, et liberi Amantini atqoe Orestae: coloniae, Bollidensis, et Diensis : gli Allantesi, gli Aadaristesi, i Morilli, i Garesci, i Lincesli, gli Otrionei, e gli Amantini e gli Xylopolitae, Scotussaei liberi, Heraclea Sintica, Oresti liberi: due colonie, la Bullidese, e la Diese: Tympheci, Toronaei. i Xilopoliti, gli Scutussei franchi, Eraclea Sinti­ ca, i Tinfei, e i Toranei. Nella riviera del golfo Macedonico è la città In ora sinus Macedonici, oppida Chalastra, et intus Phileros, Lete : medioqne flexu litoris Thes­ di Calastra, e fra terra Filerò, e Lete : e in mezzo salonica, liberae conditionis. Ad hanca Dyrrachio della piegatura del lito, Tessalonica, città franca. c c l x v u millia passaam. Terree. Iu Thermaico Da questa a Dnrazzo sono dugento sessantasette sinu oppida, Dicaea, Pydoa, Derrha, Scione. miglia. Terme. Nel golfo di Terme son queste Promontorium Canastraeum. Oppida : Pallene, città : Dicea, Pidna, Derra, Scione: il promonto­ Phlegra. Qua in regione montes, Hypsizorus, rio Canaslreo. Le città, Pallene e Fiegra. Nella E pi tus, Halcyone, Levomne. Oppida: Nyssos, qual regione son questi monti : Ipsizoro, Epito, Phinelon, Mandae : et in Pallenensi Isthmo quon­ Alcione, Levomne. Le città, Nisso, Finelodam Potidaea, nunc Cassandria colonia : Anthe- ne, Mende: e nell'Istmo di Pallene già Folidea, mus, Olophyxos : sinos Mecybernaeus. Oppida : ora colonia Cassandra: Antemo,01ofisso: il golfo Physcella, Ampelos, Torone, Singos: fretum, Meciberneo. Le città, Fiscella, Ampelo, Toro­ qoo montem Atbon Xerxes i*ex Persarum conti­ ne, Singo : lo stretto, dove Xerse re de* Persi nenti abscidit, in longitudine passuum mn. Mons spiccò il monte Ato da terraferraa in lunghezza ipse a planitie excurrit in mare l x x v mill. pass. d 'un miglio e mezzo. Esso monte dalla pianura Ambitus radicis centum quinquaginta mill. col­ ai distende in mare seltantacinque miglia. Il giro ligit. Oppidam in cacumine fuit Acrolhon, uunc dalla radice έ centocinquanta miglia. In sulla sunt Uranopolis, Palaeoriurn, Thysaus, Cleonae, cima vi fu già la citlà Acrolon : ora vi sono UraApollonia, cujus incolae Macrobii cognominan­ nopoli, Paleorio, Tisso, Cleone, Apollonia, i cui abitatori si chiamano Macrobii. La citlà di Cesse­ tur. Oppidum Casaera, feucesque alterae Isthmi, rà, e Γ Altra foce dell' Istmo, Acanto, Stagira, Acanthus, Stagira, Sithone, Heraclaea, el regio

4'9

G. PUNII SECUNDI

Mygdoniae subjacens, in qua recedente* a mari Apollouia, Arelhasa. In ora rarsus Poaidiam, et sinus cam oppido Cermoro, Amphipoli· liberam, gea* Bisaltae. Dein Macedoniae terminas amnis Strymon, ortns io Haemo : memorandam, in se­ ptem lacu* eam fandi, priusquam dirigat curtum.

Haec est Macedonia, lerraram imperio potita quondam: haec Asiam, Armeniam, lberiaro,Albauiam, Cappadociam, Syriam, Aegyptum, Taurum, Caucasum transgressa: haec ia Bactris, Medis, Persis dominata, toto Oriente possesso : haec etiam Indiae victrix, per vestigia Liberi patris atque Herculis vagata : haec eadem est Macedo­ nia, cujus uno die Paulus Aemilius imperator noster septuaginta duas urbes direptas vendi­ dit. Tantam differentiam sortis praestitere dao homines. T h b a c i a b : (* A b g a b i m a b i s *).

Sitone, Eraclea; ed evvi sotto il paese della Migdonia, dove lontano dal mare sono Apollonia, e Aretosa. Di naovo alla riviera sono, Posidio, il golfo con la città di Cermoro, Anfipoli città fran­ ca, e i Bisalti. Dipoi il Rame Strimene termine della Macedonia, che nasce nel monte Emo. Cosa meravigliosa di qaesto fiume : egli si sparge in sette laghi, prima che drizzi il suo corso. Questa è quella Macedonia ch'ebbe già l’impe­ rio del mondo, questa passò l'Asia, l'Armenia, Plberia, PAlbania, IaCappadocia, la Siria,l’Egitto, il monte Tauro e il Caocaso : questa signoreggiò i Battri, i Medi, i Persi, -e possedi tatto {Orien­ te: questa fa anco vincitrice dell’ India, vagando per li vestigii del padre Bacco e d'Èrcole : questa è quella Macedonia ancora, di coi Paolo Emilio nostro capitano vendè settanladae città saccheg­ giate. Tanta differenza di fortuna fecero dae uomini. D e l l a T i a c i a , b d b l m a b b E « co.

XV 11I. it. Thracia seqailur, inter validissiXVIII. i l . Viene appresso la Tracia, fra le mas Europae gentes, ia strategias quinquaginta fortissime nazioni dell* Europa, divisa in cin­ divisa. Populorum ejus, quos nominare non quanta strategie. De1 popoli suoi, quegli che pigeat, amnem Strymonem adcolunt dextro latere meritano di esser nominati, abitano sol fiume Denseletae et Medi, ad Bisaltas usque supra di­ Strimone dal lato destro i Denseleti e i Medi, cto* : laevo, Digeri Bessorumque multa nomina ad fino a’ Bisalti sopraddetti : dal manco i Digerì e Nestum amnem Pangaei montis ima ambientem, molti nomi de'Bessi insino al fiume Nesto, il inter Elethos, Diobessos, Carbilesos : inde Bry- qaal gira le radici del monte Pangeo, fra gH Eiesas, Sapaeos, Odomantes. Odrysarum gens fundit ti, i Diobessi, i Carbiiesi : e poi i Brisi, i Sapei e Hebrum, adcoleotibus Cabylelis, Pyrogeris, Drugli Odomanti. La nazione degli Odrisi infonde geris, Caenicis, Hypsaltis, Benis, Cor pili is, Bot- l'Ebro fiume a* Cabileti, a'Pirogeri, a’ Drugeri, tiaeis, Edonis. Eodem sunt in tractu Selletae, a’ Cenici, agli Iptalli, a'Beni, a’ Corpilli, a’ Bollici Priantae, Doloncae, Thyni, Coeletae majores e agli Edoni. Nel medesimo contorno sono i SelleHaemo, minore* Rhodopae subditi. Inter qaos ti, i Prianti, i Dolonci, i Tini, i Celeti maggiori Hebrus amnis : Oppidum sub Rhodope Ponero- posti sotto Γ Emo, i minori sotto Rodope. Fra polis antea, mox a conditore Philippopolis, none questi è il finme Ebro, e una città sotto il monte a sita Trimontium dicta. Haemi excelsitas sex Rodope, prima chiamata Poneropoli, poi FilippomilL pass. subitnr. Aversa ejus et in Istrum de­ poli da chi la edificò ; e ora dal sito è detta Trivexa Moesi, Getae, Aorsi, Gaudae, Clariaeqae, monzio. 11 monte Emo i alto sei miglia. Nella par­ et sub iis Arraei Sarmatae, quos Areatas vocant, te di quello, che volta verso V Istro, sono i Mesi, t Scy thaeque : et circa Ponti litora Moriseni, SilhoGeli, gli Aorsi, i Gaudi, e i Ciani, e sotto questi niique Orphaei vatis genitores oblinent, gli Arrei Sarmati, che sì chiamano Areati, e gli Sciti : e circa le riviere di Ponto i Moriseni, e i Sitonii, i quali furono padri del poeta Orfeo. Ita finit liter a septemtrione. Ab orlu Ponlas Cosi fioisce 1*lstro da tramontana. Da levan­ ac Propontis. A meridie Aegaeam mare, cajus in te è il Ponto, eia Propontide. Da mezzodì PEgeo, ora a Strymone, Apollonia, Oesyma, Neapolis, nella cui riviera da Strimone à Apollonia, Esima, Datos. Intus Philippi colonia, absunt a Dyrra­ Napoli e Dato. Fra terra, Filippi colonia, eh* è chio cccxxv mill. pass. Scotusa, Topiris, Nesti lontana da Durazzo trecento venticinque miglia. amni* ostium. Mons Pangaeus, Heraclea, Olyn­ Scotusa, Topiri, la foce del fiume Nesto. Il monte tho*. Abdera libera civitas, stagnum Bistonum Pangeo, Eraolea, Olinto. Abdera città libera, lo et gens. Oppidum fuit Tirida,. Diomedis equo­ stagno e popolo de1 Bistoni. Fuvvi già la città di rum stabulis dirum. Nunc suntDicaeae, lsmaron : Tirida,crudele per le stalle de’cavalli di Diomede. locus Parthenion, Phalesina, Maronea prius Or· Ora vi sono, Dioea, Ismaro, il luogo di Partenio,

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HISTORIARUM MUNDI LIB. IV.

legare· dieta: mons, Serrium et Zone: tum locas Doriscus decem mill. hominum capax. Ita Xer­ xes ibi dinumeravil exercilam. Os Hebri. Porlus Stentoris. Oppidam Aenos liberum cum Polydo· ri tomaio, Ciconum quondam regio. A Dorisco incurvatur ora ad Macroo Tichos centum viginti duorum mill. pass.. Circa quem locum fluvius Melas, a quo einns appellatur. Oppida : Cypsella, Bisanthe, Macron Tichos dictaro, qua a Propon­ tide ad Mdanem sinum inter duo maria porrectus murus procurrentem excludit Cherroneeum.

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Falesina, Maronea, prima detta Orlagurea. II monte Serrio, e Zone : e Dorisco luogo capace di centoventi mila uomini. Così Serse rassegnò quivi il suo esercito. La bocca dell* Ebro. Il porto di Stentore. La citlà d' Eno libera col sepolcro di Polidoro, già paese de' Ciconi. Da Dorisco si comincia a piegare il lito fino a Macron lico cento ventidue miglia. Circa il qual luogo è il fiume Mela, da cui si chiama il golfo. Le citi» sono: Cipsella, Bisanle, detta Macronlico, la quale divide il Cherroneso, che scorre dalla Propontide al golfo di Malea fra due mari con due alle mura. Perciocché la Tracia dall’altro lato, incomin­ Jaroque Thracia altero latere a Pontico li lore incipiens» ubi Ister amnis immergitur, vel pul­ ciando dalla riviera di Ponto, dove il fiume Istro cherrimas in ea parte urbes habet, Islropolin enlr.a in mare, ha iu quella parte bellissime città, Milesiorum, Tomos, Calatinque, quae antea Istro poli de' Milesii, Tomo, e Calati, che dianzi Acervetis vocabatur. Heracleam habuit, et Bizo> si chiamava Acerveti. Ebbe ancora Eraclea, e nem terrae hiatu raptam : nunc habet Dionyso- Bizone,che fu inghiottita dalla terra : ora ha Diopolin, Crunos antea dictam. Adluit Ziras amnis. nisopoli, già della Cruno. Bagnata il Huiue Zira. Totum eum tractum Scythae Aroleres cognomi­ Tutto quel tratto fu abitato dagli Sciti cognomi­ nati lenuere. Eorum oppida : Aphrodisias, Libi- nati Aroteri. Le città loro sono: Afrodisia,Libisto, slot, Zigere, Boreobe, Etimenia, Parthenopolis, Zigere, Borcobe, Eumenia, Pari eno poli, Gerania, Gerania, uhi Pygmaeorum gens fuisse proditur, dove si dice che già furono i popoli Pigmei, i Callusos Barbari vocant, creduntque a gruibus quali sono chiamali dai barbari Cattuzi, e creJesi fugatos. In ora a Dionysopoli est Odessus Mile­ che fossero cacciati dalle gru. Alla riviera dopo siorum. Flumen Panysus. Oppidum TelranauDionisopoli è Odesso de'Milesii. II fiume Palochus. Mons Haemus vasto jugo procumbens in niso. La citlà Telranauloco. 11 monte Emo, Pontum, oppidam habuit in vertice Aristaeum. che con uno altissimo giogo spinge nel Ponto, Nunc in ora Mesembria, Anchialum, ubi Messa ebbe nella sua cima una città chiamata Aristea. fuerat. Astice regio habuit oppidum Anlhium : Ora alla riviera Mesembria è Anchialo, dove nunc est Apollonia. Flumina: Panisa, Rira, era stata Messa. La regione d 'Astica ebbe una Tearas,Orosines. Oppida: Thynias, Halmydessos, città, che fu Anzio : ora v' è Apollonia. I fiumi : Develton cum slagno, quod nunc Deultum voca­ Pauissa, Rira, Te*ro, Orosine. Le citlà, Tinia, tur. Veteranorum Phinopolis, juxla quam Bos­ Almidesso, Develtone con uno stagno, eh' ora si porus. Ab Istri ostio ad os Ponti pass. d l v mill. chiama Deulto. Finopoli de' Veterani, presso la alii fecere. Agrippa adjecit l x . Inde ad .raurum quale è il Bosforo. Dalla foce dell' Istro alla bocca supra dictum centum quinquaginta : ab eo Cher- del Ponto alcuni fanno cinquecento cinquautaronesus cxxv mill. cinque passi, alcuni altri un miglio. Agrippa ve u'aggiunse sessanta. E di là al sopraddetto muro cento cinquanta : e da quello il Cherroneso cento venticinque miglia. Dopo il Bosforo è il golfo Caslene. Il porto Sed a Bosporo, sinus Caslhenes.· Portus Se­ nam : et alter, qui Mulierum cognominatur. de' Vecchi, e l'altro, che si chiama delle Donne, Promontorium Chrysoceras, in quo oppidom il promontorio Crisocera, dov' c la città di Bifiyzanlium liberae conditionis, antea Lygos di­ zanzio, città franca, delta prima Ligo. Egli é ctam. Abest a Dyrrachio septingentis undecim lontano da Durazzo settecento undici miglia. E millibus past. Tantum palet longitudo terrarum tanta è la longitudine della terra fra il mare inter Adriaticum mare et Propontidem. Amnes : Adriatico e la Propontide. 1 fiumi : Batinia, PiBathynias, Pydaras, tive Atyras. Oppida, Selym- dara, ovvero Atira. Le citlà, Selitnbria, e Perinlo bffia, Perinthus latitudine cc pedum continenti aggiunta a terraferma con una latitudine di ■daexa. Intus Bixya, arx regum Thraciae, a dugento passi. Fra terra è Bizia rocca dei re di le r c i nefasto crimine invisa hirundinibus. Regio Tracia, odiata dalle rondini per lo scellerato delitto di Tereo. La region Cenica, la colonia Caenica, colonia Flaviopolis, ubi antea Zela op­ Flaviopoli, dove prima si chiamava Zela città. E pidum vocabatur. Et a Byzia quinquaginta millia passuum Apros colonia, quae a Philippis abest lontana da Bizia cinquanta miglia Apro colonia, cenlnm octoginta octo mill. pass. At in ora amuis la quale è discosta da Filippo cento ottantaotlo

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C. PLINII SECUNDI

Erginus : oppidom fuit Ganos : deserilur et Lysimachia jam in Cherroneso. Alius namque ibi Isthmos angustia simili est, eodem nomine, et pari latitudine : illustrant duae urbes ntrinque li tora, quae haud dissimili modo tenuere, Pactye a Propontide, Cardia a Melane sinu, haec ex facie loci uomioe accepto : utraeque comprehen­ sae postea Lysimachia quinque mill. pass. a Longis muris. Cherronesos a Propontide habuit Tirislaain, Crilholem : Cissam flumini Aego ad· positam, nuoc habet a colonia Apro x x i i mill. passuum Resislon ex adverso coloniae Parianae. Et Hellespontus, septem (ut diximus) stadiis Europam ab Asia dividens, qualuor inter se contrarias urbes habet, io Europa Callipolin et Seston, et in Asia Lampsacum et Abydon. Dein promontorium Cherrouesi Mastusia adversum Sigeo, cujus in fronte obliqua Cynossema ; ita appellatur Hecubae tumulus, statio Achaeorum. Turris et delubrum Protesilai. Et in extrema Cherronesi fronte, quae vocatur Aeolium, oppi­ dum Elaeus. Dein petenti Melanem sinum, pbrtus Coelos, et Panhormns, et supra dicta Cardia.

Tertius Europae sinus ad hunc modum clau­ ditur. Montes extra praedictos Thraciae Edonus, Gigemoros, Meritus, Melamphyllos. Flumina in Hebrum cadentia, Bargus, Suemus. Macedoniae, Thraciae, Hellesponti longitudo est supra dicta. Quidam septingentorum viginti millium faciunt. Latitudo c c l x x x i v millium est. Aegaeo mari r.oraen dedit scopulus inter Tenum et Chium verius, quam insula, Aex no­ mine a specie caprae, quae ita Graecis appella­ tur, repente e medio mari exsiliens. Cernunt eum a dextra parte Andrura navigantes ab Achaja, dirum ac pestiferum. Aegaei pars Myrtoo datur : appellatur ab insula parva, quae cer­ nitur Macedoniam a Geraesto petentibus, haud procul Euboeae Carysto. Romani omnia haec maria duobus nominibus appellant: Macedoni­ cam, quacumque Macedoniam aut Thraciam adtingit: Graeciense, qua Graeciam adinit. Nam Graeci et Jonium dividunt in Sicntam, ac Creti­ cum, ah insulis. Item Icarium, quod est inter Samum et Myconum. Cetera nomina sinus de­ dare, quos diximus. Et maria quidem genlesque in tertio Europae sin· ad hanc modam se habent.

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miglia. Alla riviera è il fiome Ergino, e già vi fti anco là citlà di Gaq? ; abbandonasi anco oggi mai Lisimachia nel Cherroneao. Perciocché quivi è un altro Istmo e di simile strettura, del mede­ simo nome, e di pari latitudine. Due città illu­ strano di qua e di là i liti,coi tennero già per simi! modo, Paltie dalla Propontide, e Cardia dal golfo di Melana, la quale ha preso il nome dalla forma del luogo : e l’una e l’altra fa poi compresa nel nome di Lisimachia, cinque miglia lontana dai Lunghi muri. 11 Cherroneso ebbe dalla Propon­ tide Tiristasi, Cri tot e , Cissa posta sul fiume Ego : ora ha Resisto, lontaoa dalla colonia Apro trentadue miglia, dirimpetto alla colonia Pariana. L’ Ellesponto, il qoale, siccome io dissi, parte 1*Europa dall' Asia con selle «Itavi di miglio, ha quivi quattro città contraria fra loro. In Europa Gallipoli e Sesto: in Asia Lampeaco e Abido. Dipoi v* è Mastusi* promontorio del Cbarroneso dirimpetto a SigeO, nella cui torta fronte è Ciao·· sema ; cosi si chiama la sepoltura d* Ecoha, stanza degli Achei. La torre e il tempio di Protesilao. Nell'estrema fronte del Cherroneso, che si chia­ ma Eolio, ò la città d’ Eleo. Andando poi verso il golfo di Melane »’ è porto Celo, e Panormo, e la sopraddetta Cardia. Il terzo golfo d 'Europa si chiude in questo modo. 1 monti oltre i già detti della Tracia tatto Edono, Gigemoro, Merito, Melanfillooe. 1 fiumi, che mettono nell’ Ebro, Bargo e Sverno. La sopraddetta è la longitudine della Macedo­ nia della Tracia, e dell* Ellesponto. Alcuni la fanno di settecento venti miglia. La latitudine è dugento ottantaqualtro miglia. Il mare Egeo prese il nome da uno scoglio piuttosto che isola, il quale è fra Teno e Chio, chiamato Ex, dalla figura di capra, che cosi la dicono i Greci, la quale subito salta in messo il mare. Coloro che navicano in Andro, trovanlo a man ri Ila di verso Γ Achaia, crudele e pestifero. Parte del mare Egeo si dà al mar Mirloo ; che così si chiama una isoletta, la quale si vede da quegli, che da Geresto vanno in Maoedooia presso a Carisio d’ Eubea. 1 Romani chiamano tatti questi mari c to due nomi : Macedonico latto qaello che tocca la Macedonia, o la Tracia, e Greco, dove egit bagna la Grecia. Perciocché i Greci dividono anch’ essi Γ Ionio in Sieolo e C re­ tico dall’ isole. E così icario, quel eh’ è tra Santo e Micoao. Tatti gli altri nomi gli danno i golfi, i quali abbiamo delti : e in questo modo, ataona i mari e i popoli nel temo seno d’ Europa.

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HISTORIARUM MUNDI LIB. IV.

I k D U K D N ASTB l i ) TERRAS.

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D b L L * 1SOLB DI FACCIA A QCBLLB TBRRB.

XIX. ia. Insulae autem ex adverso Thespro­ XIX. ia. L 'isole, che sono alPinconlro dì Tetiae, Corcyra a Bulhrolo duodecim millia pas­ sprozia, sono: Corciralontana daButrintododici suum : eadem ab Acrocerauniis quinquaginta miglia, da' monti Acrocerauni cinquanta, con la mill. cam urbe ejusdem nominisCorcyra, liberae ■città del medesimo nome Corcira, cittì libera ; e civitatis, el oppido Cassiope, temploque Cassii Cassiope, e il tempio di Giove Cassio, la quale Jovis, passuum nonaginta septem millia in longi­ isola è lunga novantasette miglia,detta da Omero tudinem patens: Homero dicta Scheria et Phaea­ Scheria e Feacia, e da Callimaco ancora Dre­ cia, Callimacho etiam Drepane. Circa eam aliquol, pane. D’ intorno a essa sono alcune isole,ma volta sed ad Italiam vergens Thoronos: ad Leucadiam verso Italia è Torono,verso Leucadia le due Paxe, Paxae duae quinque m discretae a Corcyra. Nec discoste cinque miglia da Corcira : e poco lonta­ procol ab iis ante Corcyram E ricusa, Marathe, no da esse dinanzi a Corcira sono Ericusa, Ma­ Elaphusa, Mallhace, Trachie, Pylhionia, Plychia, rate, Elafnsa, Mallace, Trachie, Pitionia, Plichia, Tarachie. Et a Phaiaero Corcyrae promontorio Tarachie. E da Falacro, promontorio di Corcira, scopulus, in qoem rootaiam Ulyssis navem a è uno scoglio, nel quale, secondo le favole, per­ simili specie fabula est Ante Leucimnam, Sybota. chè n’ ha forma, dicono cjie fu mutata la nave Inter Leucadiam aolem et Achajam permultae, d 'Ulisse. Dinanzi a Lencinna è Sibota. Fra Leu­ quarum Teleboides eaedemque Taphiae, ab in- cadia e l’ Acaia ve ne sono molte, fra le quali colis ante Leucadiam appellantor, Taphias, Osono le Teleboide, dette ancora Tafie da quegli xiae, Prinoéssa; et ante Aetoliam Echinades, che abitano avanti a Leucadia, Tafia, Ossia, Pri­ Aegialia, Co tonis, Thyatira, Geoaris, Dionysia, noessa ; e innanzi all* Etolia, l ' Echiuade, EgiaCyrnus, Chalcis, Pi naca, Mysios. lia, Cotoni, Tialira, Geoari, Dionisia, Ci i no, Calcide, Pinaca e Misto. Ante eas in alto Cephalenia, Zacynthus, Dinanzi a esse in alto mare è Cefalonia, Zautraque libera : Ithaca, Dulichiam, Same, Crocinto, amendue libere, Itaca, Dulichio, Same, cylea. A Paio Cephalenia, quondam Melaena Crocilea. Da Paxo Cefalonia, gii detta Melena, è dicta, nodecim millibus pass. abest, circuitu patet discosto undici miglia, e gira novantatrè mi­ xciii. Same diruta a Romanis, adhuc tamen op­ glia. Seme fu minata da’ Romani; ma nondi­ pida tria habet. Inter hanc et Achajam, cam meno ha ancora tre citlà. Fra questa e 1* Ach'aia, oppido magnifica et fertilitate praecipua, Zacyn­ con cittì magnifica, e di gran fertilitì, èZacinlo, thus, aliquando appellata Hyrie, Cephaleniae a chiamata alcuna volta Irie, lontana dalla parte meridiana parte xxv millia abest. Mons Elatus ibi meridiana di Cefalonia venticinque miglia. Quivi nobilis. Ipsa circuitu colligit xxxv millia. Ab ea è il nobil monte Elato. Essa ha di circuito trentacinque miglia. Loutano da essa quindici miglia è Ithaca xv millia distat, in qua mons Neritus. Tota Itaca,nella quale è il monte Nerito. Gira tutta ven­ vero circuitu patet xxv mill. pass. Ab ea Araxam ticinque miglia. Discosto dodici miglia da questa Peloponnesi promontorium xn mill. pass. Ante è Araxo promontorio del Peloponneso. Dinanzi hanc in alto Asteris, Prote : ante Zacynthum x x x t mill. pass. in Eurum ventum Strophades a essa in alto mare è Asteri e Prote: diuanzi a Zacinto trentacinque miglia, verso il vento Euro, duae, ab aliis Plotae dictae. Ante Cephaleniam Letoia. Ante Pylum tres Sphagiae : et totidem sono le due Strofade, da altri dette Piote. Dinan­ ante Messenen Oenussae. zi a Cefalonia è Letoia. Dinanzi a Pilo le tre Sfagie, e dinanzi a Messene altrettante Enusse. In Asinaeo sinu, tres Thyrides : in Laconico, Nel golfo Asineo sono le tre Tiride : nel La­ Teganosa, Cothon, Cythera cum oppido, antea conico Teganusa, Cotone, Citerà con la cittì pri­ Porphyris appellata. Haec sita est a Maleae ma chiamata Porfiride. Questa è posta lontano promontorio v millia pass. ancipiti propter an­ dal Capo di Malea cinque miglia, pericoloso ai gustia· ibi navium ambitu. In Argolico, Pityusa, navili per le stretture. Nel golfo Argolico è Pi­ liusa, Irine, Efire : contra il paese Ermionio, Titrine, Ephyre : contra Hermioninm agrum Tipapareno, Eperopia, Coloni, Aristera : contra il renus, Aperopia, Coloni·, Aristera : contra Troe· xenium Calantia, quingentos passus distans Trezenio, Calauria, lontana mezzo miglio da Pla­ Plateis: Belbina, Lasia, Baucidias. Contra Epi­ tea : Belbiua, Lasia e Baucidia. Contra Epidauro, daurum, Cccryphalos, Pityonesos vi millibus Cecrifalo, Pilioneso sei miglia discosto da terra passaam · continente. Ab hac Aegina liberae ferma. Da questa Egina di condizion libera ha

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C. PLINII SECUNDI

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conditionis x n millia pass. praeternavigatio est. Eadem aulem a Piraeeo Atheniensium porta xxx mill. pass. abest, ante Oenone voci Lata. Spiraeo promontorio objacent Eleusa, Adendros, Craugiae duae, Caeciae duae, Selachusa, Cenchreis, Aspis. Sunt et in Megarico sinu Methurides qua· tuor. Aegila autem xv mill. pass. a Cythera, eademque a Cretae Phalasarna oppido xxv mill.

sedici miglia di navigazione : ed essa anopra è lontana dal Pireo, porto degli Ateniesi, dodici miglia, prima chian|ata Enone. All'incontro del promontorio Spireo sono Eieusa, Adendro, due Craugie, due Cecie , Selacusa, Ceneri, Aspi. E nel golfo di Megara le quattro Meturide. Egila è lontana quindici miglia da Citerà, e da Falasarna citti di Creta, venticinque miglia. .

C lB T A B .

Di C ebta..

Creta volta da un lato verso mezzodì, XX. Ipsa Creta allero lalere ad austrum, XX. e da un’ altro a tramontana, si distende fra le­ altero ad septemtrionem versa, inter ortum oc· vante e ponente, chiara per la fama di cento casumque porrigitor, centum urbium clara fama. Dtfsiades eam a Crete nympha : Hesperidis filia, citti. Dosiade volle che ella fosse così chiamata Anaximander : a rege Curetum, Philislides da Creta ninfa : dalla figliuola d'Esperide, Anasimandro: da un rede'Cureti, Filistide Mallote; e Mallotes : Crates primum Aeriam dictam : dein­ Crate ritiene, che prima si chiamasse Aeria, di­ de postea Curetin, et Macaron nonnulli tempe­ rie coeli appellatam existimaverant. Latitudine poi Cureti, e alcuni che Macaron dalla temperie dell' aria. Ella non è larga in alcun luogo più nusquam quinquaginta millia pass. excedens, et circa mediam sui partem maxime patens, lon­ che cinquanta miglia, e circa il suo mezzo è molto larga, e lunga.dugenlosettanta miglia, e gira cingitudinem implet c c l x x millium passuum, cir­ quecent'ottantauove, e piegasi nel mare Cretico cuitum d l x x x i x , fleclensque se in Creticum pelagus ab ea dictum, qua longissima est ad così detto da lei : dove è più lunga a levante ha il promontorio Sammonio dirimpetto a Rodi,e ver­ orientem Sammonium promontorium adversum so ponente, Criumetopon incontro a Cirene. Le Rhodo : ad occidentem Criumetopon Cyrenas citli sue notabili sono, Falasarne, Etea, Cisamo, versus expellit. Oppida ejus insignia, Phalasarne, Etea, Cysamum, Pergamum, Cydon, Minoum, Pergamo,Cidone,Minoo^ Apterone, Pantomalrio, Aafimalla, Riliona, Panormo, Citeo, Apollonia, Apteron, Pan tornatrium, Amphimalla, Rhilhymna, Panborraum, Cytaeum, Apollonia, Matium, Malio, Eraclea, Mileto, Ampelo, lerapitna, Lebe­ Heradaea, Miletos, Ampelos, Hierapytna, Lebena, na, Ierapoli ; e fra terra, Gorlina, Feslo, Gnosso, Hierapolis : et in mediterraneo, Gortyna, Phae­ Polirrenio, Mirina, Licasto, Ranno, Lillo, Dio, stum, Gnossus, PoJyrrhenium, Myryna,Lycastus, Aso, Piloro, Rilion, Elatos, Fara, Olopisso, Laso, Rhamnus, Lyctus, Dium, Asum, Pyloros, Rhy- Eleuterna, Terapne, Maralusa, Cilisso : edei me­ moria ancora di intorno a sessanta altre citlà. I tion, Elatos, Pharae, Holopyxos, Lasos, Eleuthernae, Therapne, Marathusa, Cylissos : et alio­ monti sono, Cadislo, Ideo, Ditlinneo e Corico. rum circiter l x oppidorum memoria exstat. Essa è lontana col suo promontorio, che si chiama Criumetopon, siccome scrive Agrippa, da Ficunte Montes: Cadistus, Idaeos, Dictymnaeus, Corycus. Ipsa abest promontorio suo, quod vocatur Criu- promontorio di Cirene, dugento venticinque mi­ melopon, ut prodit Agrippa, a Cyrenarum pro­ glia : medesimamente da Malea del Peloponneso montorio Phycunte, ccxxv milia passuum. Item a Cadislo, settantacinque miglia. Dall'isola di Cadisto a Malea Peloponnesi l x x v . A Carpatho Carpalo al promontorio Sammonio, sessanta mi­ glia, verso il vento Favonio. Questa isola è ia insula, promontorio Saroraonio l x mill. in Fa­ vonium ventum. Haec inter eam et Rhodum mezzo fra essa e Rodi. interjacet. Le altre intorno ad essa, avanti alla More·, Reliquae circa eam ante Peloponnesum duae due Corice e due Mile : e dal lato di tramontana, Coricae, totidem Mylae : et latere septemtrionali, dextra Cretam habenti contra Cydoniam Leuce, a chi ha Creta a man rilta contra Cidonia è Leoce et duae Budroae. Contra Matium, Dia. Contra e due Budroe. All' incontro di Matio, Dia. AU'iaItanum promontorium, Onisia, Leuce : contra contro del promontorio ltano è Onisia e Leuce : Hierapytnam, Chrysa, Gaudos. Eodem tractu, contra lerapitna è Crisa e Gando. Nel medesimo tratto è Ofiutsa, Butoa e Arado: e girando at­ Ophiussa, Butoa, Aradus : circumvectisque Criu­ metopon, tres Musagores appellatae. Ante Sam­ torno Criumetoppn, si trovano le tre isole chiama­ nioD ium promontorium, Phoce, Plaliae, Sirnides, te Musagore. Dinanzi al promontorio Sammonio •sono : Foce, Pialle, Sirnide, Nauloco, Armedone Naulochos, Armedon, Zephyre. e Zefire..

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HISTORIARUM MUNDI LIB. IV.

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At in Hellade, eliamnura in Aegaeo, Licbades, Scarphia, Caresa, Phocaria, comphiresque aliae ex adverso Atticae «ine oppidis, et ideo ignobi­ les. Sed contra Eleusina, clara Salamis: ante eam Psytalia : aSnnio vero Helene quinque mill. pass. distans. Dein Ceos ab ea totidem, quam nostri quidam dixere Ceam, Graeci et Hydrussam. Avulsa Euboeae, quingentis longa stadiis fnit quondam : mox quatuor fere partibus, quae ad Boeotiam vergebsnt, eodem mari devoratis, oppida habet reliqua, Iulida, Carthaeam : inter­ cidere Coressus, Poeeessa. Ex hac profectam delicatiorem feminis vestem, anclor est Varro.

E obobab.

Ma in Eliade, ed ancora neU'Egeo sono, Licade, Scarfia, Caresa, Focaria, e molte altre all*incontro dell*Attica, senza città, e perciò igoobili. Ma all* incontro d* Eleusina è la nobil Salamina : innanzi essa Psilalia : e discosto da Sunio cinque miglia è Elene. Dipoi Cea, lontana da quella altrettanto, la quale alcuni de*nostri chiamarono Cea, ed i Greci Idrussa. Spiccata dall* Eubea, fu già lunga d’ intorno a sessanta miglia : dipoi essendone stale inghiottite dal medesimo mare quasi le quattro parti che guar­ davano verso Beozia, quelle che vi restano son due città, lulida e Carteia. Sono perite Coresso e Peeessa. Scrive Varrone, che da questa isola eb­ bero le donne una sorte di veste molto dilicata. D b l l * E cbba.

XXI. Euboea* et ipsa avulsa Boeotiae, tam XXI. L*Eubea anch'essa fu spiccata dalla Beo­ modico interflnente Euripo, ut ponte jungatur : zia, essendovi in mezzo un così piccol canale, che a meridie promontoriis duobus, Geraesto ad At­ congiungesi con essa per un ponte. Ha due pro­ ticam vergente, ad Hellespontum Caphareo in­ montorii da mezzodì, Geresto, che guarda verso signis : a septemtrione, Cenaeo : nusquam latitu­ l*Altica,e Cafareo verso l*Ellesponto : da tramon­ dinem ultra i l millia passuum extendit, nusquam tana Ceneo ; e non ì in alcun luogo pià larga di intra duo millia contrahit : sed in longitudinem quaranta miglia, nè manco di due. La lunghezza universae Boeotiae, ab Attica Thessaliam usque, di tutta la Beozia, distesa dall*Attica fino in Tes­ praetenta in c l mill. pass., circuitu vero trecenta saglia, è centocinquanta miglia, ma di circuito sexaginta quinque. Abest ab Hellesponto parte trecento sessantacinque. È lontana dall* Elle­ sponto dalla parte di Cafareo dugento venticin· Capharei, ccxxv mill. passuum, nrbibus clara que miglia, illustre già per queste città, Pirra, quondam, Pyrrha, Porthmo, Neso, Cerintho, Portino, Neso, Cerinto, Orio, Dio, Edepso, Oreo, Dio, Aedepso, Ocha, Oechalia, nunc Chal­ cide, cujus ex adverso in continenti Aulis est ; Oca, Ecalia, ora Calcide, all'incontro della quale Geraesto, Eretria, Carysto, Oritano, Artemisio, in terraferma è Aulide; Geresto, Eretria, Cari­ fonte Arethusa, flumine Lelanto, aquisque cali­ ato, Oritano, Artemisio, il fonte Aretusa, il fiume dis, quae Ellopiae vocaotur, nobilis: notior Lelanto, e nobile ancora per li bagni di Etiopia, tamen marmore Carystio. Antea vocitata est ma molto più illustre per il marmo Caristio. Già Chalcodotis, aut Macris, ut Dionysius et Epho­ fu chiamata Calcodote, ovvero Macri, siccome rus tradunt: ut Aristides, Macra : ut Callidemus, scrivono Dionisio ed Eforo: secondo Aristide Chalcis, aere ibi primum reperto: ut Menaechmus, chiamasi Magra, e secondo Callidemo Calcide, essendo trovato quivi la prima volta il rame : Abantias : ut poetae vulgo, Asopis. come vuol Menecmo, è detta Abanzia, e volgar­ mente, secondo i poeti, Asopi. CYCLADUM.

XXII. Extra eam in Myrtoo multae, sed ma­ xime illustres Glauconoesos et Aegilia. Et a promontorio Geraesto, circa Delum in orbem sitae ( unde et nomen traxere) Cyclades. Prima earum Andrus cum oppido, abest a Geraesto x mill. pass., a Ceo xxxix mill. Ipsam Myrsilus Cauron, deinde Antandron cognominatam tra­ dit : Callimachus Lasiam,alii Nonagriam,Hydrussam, Epagrin. Patet circuitu xcvi mill. pass. Ab eadem Andro passus mille, et a Delo quindecim mill. Tenos, cum oppido in xv mill. pass. por·

D b l l b C ic l a d i.

XXII. Oltre a questa molte altre ne sono nel mar Mirtoo, ma le più illustri sono Glaoconneso ed Egilia. E dal promontorio Geresto, quelle che sono poste in cerchio intorno a Deio, ond*elle presero anco il nome, le Ciclade. La prima d*esse chiamata Andro con la città è lon­ tana da Geresto dieci miglia, da Ceo trentanove. Scrive Mirsilo, ch*ella si chiamò Cauro, dipoi fu detta Antandro : Callimaco vuole ch'ella si chia­ masse Lasia, altri Nonagria, Idrussa, Epagri. Ha di circuito novantasei miglia. È lontano da questa

C PLINII SECUNDI

431

recta, qaam propter aquaram abundantiam, Aristotele* Hydrussam appellatam ait, aliqui Ophiussam. Ceterae : Myconos cum monte Dimaslo, « Delo quindecim mill. passoum. Siphnus, ante Meropi*, et Acis appellata, circuitu viginti octo mill. pass. Seriphus xt. Prepesinthus, Cylhnos. Ipsaque longe clarissima, et Cydadum media, ac templo Apollinis et mercatu celebrata, Delo* : qnae diu fla c U ia la , ut proditur, sola mo­ tum terrae nou sensit ad M. Varronis aetatem. Mucianus prodidit bis concussam. Hanc Aristo­ teles ita appellatam prodidit, quoniam repente apparoerit enata. Aegioslhenes Cynthiam, alii Ortygiam, Asteriam, Lagiaro, Chlamydiam, Pyrpilem igne ibi primum reperto.Cingitur quinque mill. passuum : adsurgit Cynthio monte. Proxima ei Rhene,quam Anticlides Celadussam vocal: item Artemin Hellanicus. Syros, qnam circuitu patere viginli millia pass. prodidere veteres, Mucianus oentum sexaginta. Oliaros, Paros cura oppido, ab Delo xxxrni mill. marmore nobilis, quam primo Platean, postea Minoida vocaruót. Ab ea septem mill. quingentis Naxus ; a Delo xvm cum oppido, quam Strongylen,dein Dian, mox Dionysiada a vinearum fertilitate, alii Siciliam mino­ rem, aat CalHpolin appellarunt. Patet circuitu septuaginta quinque mill. pass., dimidioque ma­ jor est qoam Paros.

S po ra d u m .

XXJll. Et hactenus quidem Cycladas servant : teleras, quae sequuntur, Sporadas. Suat .autem Helene, Phacussa, Nicasia, Schinussa, Pholegandros: et a Naxo xxxvm mill. passuum, Icàros; quae nomen mari dedit, tantumdem ipsa in longitudinem patens, cum oppidis duobus, tertio amisso: ante vocata Doliche, et Macris, et lchlhyoessa. Sita est ab exortu solstitiali Deli, lii mill. pass. Eadem a Samo triginta quinque mill. Inter Euboeam et Andrum decem mill. freto, ab ea Geraestum centum duodecim nuli, quingenti pass. Nec deinde servari potest ordo. Acervatim ergo ponentur reliquae. Scyros : los a Naxo viginti quatuor mill. pass. Homeri sepulcro veneranda, longitudinis viginti quinque mill. ante Phoenice appellata. Odia, Letandros, Gyaro* cum oppido, circuitu duode­ cim mill. passuum^ Abest ab Andro sexaginta duobus mill. pass. Ab ea Syrnos octoginta mill. pass. Cynaethus : Teios unguento nobilis, a Cai* limacbo Agathussa appellata. Donusa, Patmo*

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Andro un miglio, e 4 « Delo quindici è Teno con la d iti, la quale è per longitudine quindici miglia, la quale per l ' abbondanza deir acqua dice Aristotile, ehe fu chiamata ld russa, ed al­ cuni Ofiussa. Le altre sono : M icooo, col monte Dimas to, da Deio qnindid miglia. Sifno, prima detta Meropia ed Ad, di circuito vent'otto mi­ glia. Serifb di quindici, Prepesinlo, Ci ino. La piò illustre di tutti, che 4 nel mezzo delle altre Cidadi, celebrata per lo tempio d 'Apolline, e.per lo mercato, è Deio, la quale aveudo lungo tempo ondeggialo, come si dice, sola non sentì mai terremoto fino all'età di M. Varrone. Mudano scrive, ch'ella tremò due volte. Dice Aristotele, ch'ella fu chiamata così, perchè in un tratto ap­ parve nata. Eglostene la nomò Cinzia, alcuni-altri Ortigia, Asteria, Lagia, Clamidia, Pirpile, es­ sendoti trovato qoivi la prima volta il fuoco. Ha cinque miglia di circuito^ ed ha il monte Cinto. Vicina ad essa è Rene, la quale Antidide chiama Celadussa, ed Ellenico Artemi. Siro, la quale secondo gli antichi ha venti miglia di d r­ enilo, secondo Muziaoo centosessanta. Olearo, Paro con la citti lontana da Delo trent'ollo miglia, nobile per la cava del marmo, la quale prima fu detta Platea, dipoi Minoida. Lontano da quella sette miglia e mezzo è Naxo, da Deio dieiotto, con la dttà, che alcuni chiamarono Strongile, poi Dia, finalmente Dionìsiada dalla fertili là del­ le vigne, altri Sidlia minore, ovver Callipoli. Ha di circuito seltanlacinque miglia, ed è la metà maggior di Paro. D ell · S p o b a d i.

XXIII. E queste sono le Cidadi : l'altre, che seguono, son le Sporadi. E sono : Elene, Facussa, Nicasia, Schinussa, Folegandro, e trentotto mi­ glia discosto da Naxo, Icaro, la qual diede il nome al mare, essendo anch'essa tanto di longi­ tudine, con due città, essendosi perduta la terza: prima si chiamava Dolica, e Macri, ed Iclioessa. È situala da levante solstiziale cinquanladue mi­ glia lontano da Deio, e da Samo trentacinque. Fra Eubea ed Andro v 'è dieci miglia di stretto. Lontana da essa è Geresto cento dodici miglia. Nè dipoi si può servare ordine. L'altre dunque si porranno alla rinfusa. Sciro: Io da Naxo ventiquattro migli·, vene­ rabile per la sepoltura d’ Omero, lunga venti­ cinque miglia, prima chiamata Fenice. Odia, Lelandro, Giaro con la città, di circuito dodid miglia. È lontana da Andro sessanladue miglia. Da essa è lungi Sirno ottanta miglia. Cineto: Tdo nobile per l'unguento, chiamata da Callimaco Agalusaa. Donusa, Palmos, di circuito trenta

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H1STORIARCM MONDI LIB. IV.

circuitu triginta mill. pass. Corasiae, Lebinlhus, Leros, Cinara : Sicinus, quae antea Oenoe : Hieracia, quae Onus ; Casus, quae Astrabe : Cimolus, quae Echinussa : Melos cum oppido, quam Ari­ stides Byblida appellat, Aristotoles Zephyriam, Callimachos Mimallida, Heraclides Siphnuro, el Acytou. Haec insularum rotundissima esi. Post Machia : Hypere, quondam Patage, ut alii Platage, none Amorgos : Polyaegos, Phyle, Thera, quum primum emersit, Calliste dicla. Ex ea avulsa po­ stea Th orasia : atque inter duas enata mox Auto­ mate, eadem Hiera : et in nostro aevo Thia juxta eamdem Hieram nata. Distat los a Thera viginti quinque mill. pass. Sequantur Lea, Ascania, Anaphe, Hippuris. Astypalaea liberae civitatis, circuitu lxxxix mill. passuum : abest a Cadisto Cretae cxxv mill. Ab ea Platea sexaginta mill. Unde Camina triginta octo mill. Azibinlha, Lanise, Tragi·, Pharmacu­ sa, Techedia, Chalcia : Calydna, in qua oppidum Coos : Calymna, a qua Carpathum, quae nomen Carpathio mari dedit, xxv mill. passuum. Inde Rhodum Africo vento quinquaginta ai pass. A Carpatho Cason vii m . A Caso Sammonium Cre­ tae promontorium xxx mill. In Euripo autem Euboico, primo fere introitu, Petatiae quatuor insulae, et in exitu Atalante. Cyclades, et Spo­ rades, ab oriente litoribus Icariis Asiae, ab occi­ dente Myrtois Atticae, a septemtrione Aegaeo mari, a meridie Cretico et Carpathio inclusae, per d c c ■in longitudinem, et per cc in latitudi­ nem jacent Pagasicus sinus ante se habet Elitychiam, Cicynethum, et Scyrum supradictam, sed Cycla­ dum et Sporadum extima : Gerontiam, Scandilam : Thermaeus, Irrhesiam, Solimniam Eudemiam, Neam, quae Minervae sacra est Athos ante se quatuor : Peparethum cnm oppido, quondam Evoenum dictam, novem mill. pass. Sciathum xv mill. Imbrum cum oppido lxxxviii mill. pass. Ea­ dem abest a Mastusia Cherronesi, xxv mill. pass. Ipsa circuì Iu lxxii mill. pass. perfunditur amne Uisso. Ab ea Lemnos viginti duo mill. quae ab Atho lxxxvii mill. pass. Circuitu patet cxn ■d pass. Oppida habet, Hephaestiam, el Myrinam, in cujus forum solstitio Athos ejaculatur umbram. A b ea Thassos libera quinque mill. pass., olim Aeria, vel Aethria dicta. Inde Abdera continen­ tis, xx» mill. passuum. Athos sexaginta duo mill. o. Tanlumdem ad insulam Samothraccn, quae libera, ante Hebrum, ab Imbro xu mill., a Lem­ no viginti duo m d , a Thraciae ora Iriginta octo mill., circuitu Iriginta du· mill. adtollitur mon­ te Saoce decem mill. passuum altitudinis, vel importuosissima omnium. Callimachus eam anti-

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miglia. Corasia, Lebinlo, Lero, Cinara, Sicino, che prima si chiamava Euoe, Erasia, chVra detta Onus ; Casus, che fu delta Astrabe, e Cimolo delta Echinussa. Melos con h città, che Aristi­ de chiama Biblide, Aristotile Zefiria, Callimaco Mimallida, Eraclide Sifoo ed Acilo. Questa è la più tonda isola che si truovi. Evvi poi Macchia: lpere, già delta Patage, secondo alcuni Platage, ora Araorgos: Poliego, File, Tera, quando prima apparve, delta Calliste. Da quesla si spiccò poi Torasla, e fra le due nacque Automate, che è anco della Iera, e a' tempi nostri l'ia nata appres­ so la medesima Iera. E lontano da Tera venti­ cinque miglia. Seguono Lea, Ascania, Anafe, Ippuri. Astipalea città libera, di circuito ottantanove miglia, è discosto da Cadisto di Creta centoventicinque miglia. Da essa Platea sessanta miglia. Onde Ca­ mina treni’ olto miglia. Azibinta, Lanise, Tragia, Farmacusa, Techedia, Calcia, Calidna, nel­ la quale è la città di Coo : Calinna, dalla quale è discosto Carpato, che diede nome al mar Carpazio, venticinque miglia. Quindi fino a Rodi per vento Africo cinquanta miglia. Da Carpato a Caso sette miglia. Da Caso a Sammonio pro­ montorio di Creta trenta miglia. Poi nel ca­ nale d’ Eubea quasi nella prima entrata sono le quattro isole Petalie, e nell'uscita Atlante. Sono le Cicladi e le Sporadi rinchiuse verso levante da' liti Icarii d'Asia, da ponente da'Mir­ tei dell'Altica, da tramontana dal mare Egeo, da mezzogiorno dal Cretico e Carpazio, per dugento miglia in lunghezza. Il golfo Pagasico ha dinanzi a sè Eutichia, Cicineto e Sciro sopraddetta, ma l'ultima delle Ci­ cladi e delle Sporadi: Geronzia, Scendila, Termeo, Irresia, Solimnia, Eudemia, Nea, la quale i con­ secrata a Minerva. Alo n'ha dinanzi a sè quattro : Pepareto con la citlà già detta Eveno, nove mi­ glia. Sciato quindici miglia, imbro con la città ottant'otto miglia. La medesima è lontana da Mastusia del Cherroneso venticinque miglia. Essa ha di circuito settantadue miglia : ed è bagnata dal fiume llisso. Lontano da essa ventidue miglia èLemno, dalla quale ad Ato sono ottantasette miglia. Ha di circuito centododici miglia e mezzo. Ha due ciltà, Efeslia e Mirina, nella cui piazza per lo solstizio il monte Ato fa ombra. Da essa a Tasso città libera sono cinque miglia, già detta Aeria, ovvero Etria. Dipoi Abdera di terraferma ventiduo miglia. Alo sessantadue miglia e mezzo. Altrettanto fino all'isola Samotrace libera, prima detta Ebro, da Imbro dodici miglia, da Lemno ventidue miglia e mezzo, dal lito della Tracia trentotto miglia, con circuito di trentadue mi­ glia : innalzasi per il monte Saoce dieci miglia,

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G. PLINII SECONDI

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qao nomine Dardaniam vocat. lnler Cherrone•nm el Samothracen, ulrinqae fere qaindecim mill. Halonesos : altea Getbone, Lamponia, Alopeconuesus, haud procul a Coelo, Cherronesi porta, et quaedam ignobile·. Deteri is qooqne reddantur in hoc sinu, quarum modo inveniri potuere nomina : Destico·, Lar nos, Cyssiros, CarbruM, Cala Ihosa, Syha, Draconon, Arconesus, Dietbuaa, Scapos, Capheris, Mesate, Aeanlion, Pateria, Calathe, Neriphus, Polendo·.

H iu u ro s T i,

M a b o t io is .

ed è al tutto sensa porto. Callimaco col nome antico la chiama Dardania. Fra il Cherroneso e Samotraee, dall'uno e l'altro lato quasi quindici miglia è discosto Aloaeio. Dipoi Gelone, Lampo­ nia, Alopeconneso poco lontano da Celo, porto del Cherroneso, ed alcune altre ignobili. Di quelle, che sono abbandonale in questo golfo, delle quali solamen le si son potuti trovare i nomi, ì Dcstioo, Larno, Cissiro, Carbrusa, Calata··, Siila, Draconone, Arconeso, Die tosa, Scapo, Caferi, Mesate, Eanzione, Pateria, Calate, Nerifo, Polendo. D b l l ' E llbspohto, e d il l a

Mi o t i d b .

II quarto golfo de'grandi di Europa, XXIV. Quartus e magni* Europae sinus ab XXIV. incominciando dall'Ellesponto, finisce nella foce . Hellesponto incipiens, Maeotidis ostio finitur. della Meotide. Ma io abbraccerò brevemente Sed totius Ponti forma breviter amplectenda est, nt facilius partes noscantur. Vastum mare prae­ la forma di tutto il Ponto, acciò le parti più facilmente sieno conosciute. Il gran mare, che jacens Asiae, et ab Europa porrecto Cherronesi litore expulsam, angusto meato irrumpit in bagna l'A sia, spinto dall'Europa per il lito terras, septem stadiorum, ut dictum est, inter­ del Cherroneso, che in là si distende per pieeoi vallo Eurcfpam auferens Aaiae. P ri osa* angustias corso, entra nella terra con intervallo di sette Hellespontum vocant. Hao Xerxes rex, constrato ottavi di un miglio, come s'è detto, levando in navibu* ponte, duxit exercitum. Porrigitur l ' Europa dall' Asia. Il primo stretto » chiama Ellesponto. Per di qui Serse re de' Persi avendo inde tenuis Euripus l x x x v i mill. pasa. spatio ad Priapum urbem Asiae, quam magnus Alexander fatto un ponte di navi, menò il suo esercito. Distende·! poi uno stretto canale di sessanta«ei transcendit Inde exspatiatur aequor, rursusque in arctum coit : laxitas Propontis appellatur : miglia fino a Priapo città dell'Asia, dove passò Alessandro Magno. Quindi s'allarga il mare, e angustiae, Thracius Bosporus, latitudine d pas­ suum, qua Darius pater Xerxis copias ponte di nuovo la larghezza d'esso si viene a restrin­ gere. Questa si chiama la Propontide. Lo stretto transvexit. Tota ab Hellesponto longitudo ccxxxix è detto Bosforo Tracio largo mezzo miglio, dove m pass. Dein vastum mare, Pontus Euxinus, qui Dario padre di Serse passò l’esercito sopra il quondam Axenus, longe refugientes occupat ter­ ponte. Tutta la lunghezza dell' Ellesponto è du­ ras, magnoque litorum flexu, retro curvatas ia corona, ab hi* utrinque porrigitur, ut sit plane gento trentanove miglia. V' è poi il gran mare, arcus scytbici forma. Medio flexa jungitur ostio il Ponto Easino, che già fu detto Asseno, il quale Moeotici laeus.Cimmeriu* Bosporus id os vocatur, occupa la terra, che rifugge, e con gran ripie-1 ii mill. n pass. latitudine. At inter duos Bosporos gatura de' liti, ripiegato addietro in corni, da qoesti di qua e di là si distende, di maniera Thracium et Cimmeriam directo cursu, ut auctor che somiglia un arco scitico. Nel mezzo detta sua est Polybius, n u pass. intersunt. piegatura si congionge con la foce del lago Meo­ lico. Chiamasi quella bocca il Bosforo Cimmerio, largo due miglia e mezzo. Ma fra questi due Bosfori il Tracio e Cimmerio, per diritto corso, come scrive Polibio, d sona cinquecento miglia. Circuitu vero totius Ponti vicies semel cen­ Ed il circoito di tntto il Ponto due mila cento­ tena quinquaginta m, ut auctor est Varro, el fere cinquanta miglia, secondo Varrone, e quasi tutti veteres. Nepos Cornelius trecenta quinquaginta gli antichi, Cornelio Nipote v'aggiugn· trecenlo­ millia adjicit. Artemidorus vicies novie* centena cinquanta miglia. Artemidoro lo fa due mila no­ xix a facit : Agrippa xxm siexaginta mill. Mucia­ vecento diciannove. Agrippa dae mila trecentonus xxiv xxv mill. Simili modo de Europae latere, sessanta miglia. Muziano due mila quattrocentomensuram alii qualuordecies centena l x x v i i i μ o venticinque miglia. Per simil modo, dal lato determinavere: alii undecies centena sepluagiuta dell'Europa, allri Canno la misura mille qnaltroduo millia. M. Varro ad hunc modum metitur. centose ttanl'otto miglia, altri mille cenlosettnoAb ostio Ponti Apolloniam c l x x x v i i u o pass. tadue. M. Varrone misura per questo Modo. Calatin tantumdem. Ad ostium Istri cxxv. Ad Dalla foce del Ponto in Apollonia cent'ottanU-

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HISTORIARUM MUNDI LIB. IV.

Borysthenem exi. Cherronesum Heraeleotarum oppidom c c c l x x v m pass. Ad Panlicapaeurn, quod aliqui Bosporum vocant, extremam in Europae o r a , ccxu m o , quae l a m m i efficit χ π ι x x x v i i m d . Agrippa a Byuotio ad flamen Istrum, d l x . Inde Panticapaeam ocxxxv. Lacus ipse Maeotis, Ta­ nain amnem ex Riphaeis montibos defluentem accipiens, novissimam inter Earopam Asiamque finem, χιν τι a circuitu patere traditur. Ab aliis xi xxv m. Ab ostio ejus ab Tanais ostium dire­ cto cursu c c c l x x x v ■pass. esse lstropolim usque constat. Accolae sinus, in meotione Thraciae dicti sunt. Inde ostia Istri.

Ortas hic in Germaniae jugis montis Abno­ bae, ex adverso Raurici Galliae oppidi, multis ultra Alpes millibus, ac per innumeras lapsas gentes Danubii nomine, immenso aquaram au­ cta, et ande primam Illyricam adlait, Ister ap­ pellatus, sexaginta amnibus receptis, medio ferme numero eorum navigabili, in Pontum va­ stis sex flaminibus evolvitar. Primum ostium Peuces : mox ipsa Peuce insala, a qua proximas alveus appellatas, xix millia pass. magna palade sorbetor. Ex eodem alveo et saper lstropolim lacus gignitur l x i i i m pass. ambita : Halmyrin vocant. Secuadum ostium Naracastoma appella­ tur. Tertiam Calonstoma, juxta insulam Sarma­ ticam. Qaarlum PseaJostomoo, et in insula Gooopoo diabasis : postea Boreostoma et Spireostoma. Singula aatem ora tanta sunt, ut prodatur io quadraginta millia passuum, longitudinis viod mare, dulcemque intelligi haastum.

D a c u b , S a r m a t ia e .

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sette miglia e mezzo. A Calasi altrettanto. Alla foce dell’ Islro centoventicinque. Al Boristene centoquaranta. A Cherroneso città degli Eracleoti trecentosettantacinque miglia. A Panlicapeo, che alcuni chiamano Bosforo, ultimo nella riviera d 'Europa, dugentododici miglia e mezzo, la qaal somma fa mille trecentotrentasetle miglia e mezzo. Agrippa da Bisanzio al fiume Istrp cinquecentosessanta, lodi a Panlicapeo seicentotrenlaànque. Quindi il lago Meolico, il qual riceve il fiume Tanai, che viene de' monti Rifei, si dice che mette l'ultimo fine tra l ' Europa e l'Asia, quattordici e sei miglia. Secondo altri è ondici e venticinque miglia. Dalla foce di quello alla foce della Taua per diritlo corso sono treceniosetlantacinque mi* glia. Gli abitatori di quel golfo sono stati ricordati facendosi menzione della Tracia sino ad Istropoli. Dipoi la foce dell' Islro. Questo fiume nasceudo ne' gioghi dell' Abnobe monte di Lamagna, dirimpetto a Raurico città della Gallia, e scorrendo di molte miglia dalle Alpi e per infinite nazioni con nome di Danubio, mollo grosso d'acqua, e donde prima bagna la Schiavonia,chiamato Islro, ricevuti in sè sessanta fiami, quasi per mezzo del numero loro è navigabile, e cosi se ne va nel mar maggiore con sei fiami grandi. La prima foce d’esso è Peace, dipoi Γ isola Peace ; dalla qaale il pros­ simo golfo ha preso il nome, che è inghiottito da una gran palade di diciannove miglia. Dal medesi­ mo lei lo, e sopra btropoli nasce un lago di circuilo sessantatrè miglia, che si chiama Almiri. La seconda bocca è delta Naracastoma. La terza Calostoma appresso Γ isola Sarmatica. La quarta Pseudostoma e Conopon isola diabasi, dipoi Bo­ reostoma e Spireosloma. E ciascuna di queste foci è sì grande, che si dice, come ben quaranta miglia fra mare vincono l'acqua salsa, e tengono Pacqaa dolce. D a c ia e S a i m a z i a .

Da questo fiume in là del tatto certo XXV. Ab eo in plenam qaidem omnes Scy> XXV. son popoli Sciti, ma sono diversi che abitano tharum sunt gentes : variae tamen litori adposita tepuere : alias Getae, Daci Romanis dicti : alias le parli vicine al mare. Alcnna volta son chiamati Geli, da'Romani Daci, e quando Sarmali, dai Sarmatae, Graecis Sauromatae, eoramqae Hamaxobii, aut Aorsi : alias Scythae degeneres et a Greci Sauromali : e di loro gli Amaxobii, o gli Aorsi, altrimenti Sciti tralignati, e nati da' servi •ervis orti, aut Troglodytae : mox Alani, et Rho0 Trogloditi, dipoi Alani e Roxalani. Ma le parti xalani. Bupenoca autem inter Danubium et di aopra fra il Danubio ed il monte Ercinio, per­ Hercynium saltum, usque ad Pannonica hiberna fino a’ Pannoni, sono abitate da Carnunti, e Carnunti, Germanoramque ibi confinium, cam­ pos et plana Jaiyges Sarmatae ; montes vero et quivi sono i confini di Lamagna : gli Iaxigi ed 1 Sarmati abitano le campagne e le pianure, ma saltus polsi ah his Daci ad Palhyssum amoem. A Maro, sive Duria est, a Suevis regnoque Vanta­ i Daei cacciati da questi abitante i monti e i bo­ schi, dal Maro o Daria che si chiami, parten­ no dirimens eos, adversa Basternae tenent, aliidoli dagli Svevi e dal regno Vaniano. La parte que inde Germani. Agrippa totum eum tractum

C. PUNII SECUNDI

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ab Istro ad Oceanum bis ad decies centena mill. pass, in longitudinem, qnatnor millibus et quadriogentis in latitudinem ad flumen Vistulam a desertis Sarmatiae, prodidit. Scytharum nomen usquequaque transit in Sarmatas atqne Germa­ nos. Nec aliis prisca illa duravit appellatio, quam qui extremi gentium harum ignoti prope celeris mortalibus degunt.

opposila è posseduta da'Basterai e da altri popoli Germani. Scrive Agrippa, che tatto qoel tratto dal Danubio all'Oceano è lungo da doe mille miglia, e dove meno largo, quattromila e quat­ trocento passi, da'deserti della Sarmaiia al fiume Vistola. Il nome degli Sciti passa fino a’ Sarma ti, ed a' Germani. Nè in altri è duralo quel nome antico, che in quegli, ϊ qaali aitimi di queste genti vivono quasi incogniti agli altri uomini.

S cythub .

S a z i a.

XXVI. Dopo P Istro sono queste città: CremXXVI. Verum ab Istro oppida, Creraniscos, Aepolium : montes Macrocremnii, clarus amnis nisco, Epolio : i monti Macrocremnii, la Tira Tyra, oppido nomen imponens, ubi antea Ophiu­ fiume illustre, il quale mette il nome alla città, sa dicebatur. In eodem iusulam spatiosam inco­ dove ella si chiamava prima Oiiusa. Nel medesi­ lunt Tyragetae. Abest a Pseudostomo Islri ostio mo luogo abitano i Tirageti una isola molto centum triginta millibus passuum. Mox Axiacae grande, la quale è lontana da Pseudosiomo, foce cognomines flumini, ultra quos Grobyzi : flumen delP Istro, centotrenta miglia. Sono dipoi gli Rhode, sinus Sagaricus, portus Ordesus. Et a Axiaci, cognominati dal fiume, oltre i quali sono Tyra centum viginti millibus passuum flumen i Crobisi, il fiume Rode, il golfo Sagarico ed il Borysthenes, lacuique et gens eodem nomine, et porto Ordeso. E da l'ira centoventi miglia è oppidum a mari recedens xv millibus passuum : il fiume Boristene, e un lago, ed an popolo del medesimo nome, ed ana cilli discosta quindici OlbiQpolis, et Miletopolis, antiquis nominibus. Rursus in litore portus Achaeorum. Insula Achil­ miglia dal mare: Olbiopoli e MUetopoli oo’nomi lis, tnmuloejus viri clara. Et ab ea cxxv millibus antichi. E nella riviera ancora è il porto degli passuum peniusula, ad formam gladii in trans­ Achei. L ’ isola d'Achille, illastre per la sua se­ versum porrecta, exercitatione ejusdem cogno­ poltura : e da quella lontano centoventidnque minata Dromos Achilleos, cujus longitudinem miglia una penisola distesa per traverso in guisa di coltello, chiamata il Dromo d'Achille, percioc­ octoginta millium passuum Iradit Agrippa. To­ tum eum tractum 'lauri Scythae, el Siraei te­ ché egli vi si soleva esercitare, la quale seoondo nent. Inde silvestris regio Hylaeum mare, quo Agrippa è lunga ottanta miglia. Tatto quel con­ adluilur, cognominavit: Enaecadloae vocantur torno è abitalo da' Tauri, Scili e Sarmati. Dipoi incolae. Ultra Panticapes amnis, qui Noma das quella region piena di selve diede il nome al et Georgos disterminat : mox Acesinus. Quidam mare Ileo, che la bagna : Enecadloi si chiamano Panlicapen confluere infra Olbiam cum Bory­ gli uomini del paese. Pià là è il fiome Panlicape, sthene tradunt : diligenliores Hypanin ; tanto il qual divide i Nomadi e i Georgi; dipoi l'Aceerrore eorum, qui ilium in Asiae parte pro­ sino. Alcuni tengono che il Panlicape corra sotto Olbia col Boristene : i pià diligenti dicono, che didere. egli è Ipani ; con tanto errore di coloro, i qaali 1’ hanpo messo in una parte dell' Asia. 11 mare dipoi torna addietro, intanto che Mare subit vasto recessa, donec quinque millium passaum intervallo absit a Maeotide, per ispazio di cinque miglia egli è discosto dalla vasta ambiens spatia, maliasque gentes. Sinus Meotide, grandi spazii, e molti popoli abbrac­ Garciniles appellatur, flumen Pacyris. Oppida : ciando. Chiamasi golfo Carcinite, il fiume Pa­ Naubarum, Carcine : a tergo lacus Buges fossa dri. Città : Naubaro e Carcine. Dietro è il lago emissas in mare. Ipse Buges a Coreto, Maeotis Buge, che per ana fossa entra in mare. Esso lacus sina, petroso discluditur dorso. Recipit Buge da Coreto, golfo della palude Meotide, è amnes Bugem, Gerrhum, Hypanin, ex diverso separato con una costa pietrosa. Esso riceve que­ venienles tractu. Nam Gerrhus Basilidas, et No­ sti fiumi, cioè Buge, Gerro ed Ipani, i qaali made» separat. Hypaois per Nomadas et Hylaeos vengono da diversi luoghi. Perciocché il Gerro flluit mana facjto alveo in Bugen, naturali in separa i Basilidi ed i Nomadi. L* Ipani passa per Coretam. Regio Scylhia Sendica nominatur. lo paese de' Nomadi e degl' Ilei, con un canale Callo a roano nel Bage, e col naturale nel Coreto. La region di Scizia si chiama Sendica.

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HISTORIARUM MUNDI LIB. IV.

Sed a Carcinite Taurica incipit, quondam mari circumfusa et ipsa, quaqua nunc jacent campi. Deinde vastis adlollitur jugis. Triginta sunt eorum populi. Ex iis mediterranei, xxiv. Sex oppida : Orgocyni, Chara ceni, Lagyrani, Tra­ ctari, Archilachitae, Caliordi. Jugum ipsum Scythotauri tenent. Clauduntur ab oiae-cubitales, in ludiae vero Nysa monte, xxiv jb ieogitudiaau pedum, colore fulvi, aut poni«ei,- as t caerulei.

LX. Le lucertole sono inimicissiine alle chioc­ ciole, e dicesi che non vivono più che sei mesi. In Arabia sono lunghe un braccio. In India nel monte Nisa son lunghe ventiquattro piedi: e sonvi delle gialle, delie rosse, e delle verdi.

G i r a r m tvbjtb. E x bu vla t o m

N atoua m i casi.

c ib c a d o m ib o s

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QDI n O B L t O B W GAVSA C A S U HABtXBBIBT.

Esaurii

m n n u i lobo ie u o

I PADBOUl. C o i OSÒ SCU1BBB DI CASI I I U B BA1V T A G LI*.

LXI. 40. E x ds quoque atrimilibas, quaenobiscnm degunt, multa sunt cògnita dìgna: fidefluiuiumque abte omnia homini eanis, atque equns. Pugnasse adverras latrones canem pro dòmino accepimus,oonfoctumque plagis acorpore t M r>oessisse,wlncrce et feras abigentem. Ab alio i a Epire agnitum iu conventu percussorem domi­ ni, lauiatuque, et latratu eoactntn M iri seduè. Garamantum regem canes ducenti ab exsilio re­ duxere, proeKati contra resistentes. Propter bella Colophonii, ftetuque Caatabalenscs, cohortes ca­ vam Imbuere 1 hae primae dlmieabant In acie nunquam detrectantes: haee erant fiddieslma -atftflia, neo stipendiorum indiga. Ganea defendere Gfatbri» eaesis domus eorum plaustris impositae. J€èirie Jasone Lycio interfecto, elbum capere ttotait* 4ae tict. Gloriasi 1'.Africa dei puledri loro, i qnafi chiamano lalieioni. Trovasi nell’ istorie degli Ateniesi, che on mulo visse ottanta anni. E reilegraronsi, però che quando essi focevano il tem­ pio nella rocca, essendo stato abbandonato per vecchio, esso il meglio che poteva inanimava i giumenti a salirvi su, accompagnandoli e spin­ gendoli : onde gli Ateniesi fecero un decreto, « che i granaiuoli non lo potessero cacciare da' vagli. » D ei

buoi , b lobo gbhbbaziobb .

LXX. 45. Dicono che i buoi di India sono alti qnanto i cammelli, e ehe hanno le corna larghe quattro braccia. Nel* Europe sono in presto i boet Epirotici, dappoi che il re Pirro, come ai dice, ne ebbe cura. Egli ottenne d ò, per nbn gti tirare al parlo innanzi al quarto anno. Riuscirono dunque molto grandi,ed oggi c’è ancora di qudla

βο9

HISTORIARUM MUNDI LIB. VIII.

fecondi talem poscantur,UOerantius tamen U iu k te tri generationem, quadrimi. Implent singuli deo as «odea « d u o . Ttodont antea», si.post coi. I m ad dextram partem abeant tauri, generatos B u t t e m : ei in laevam, femina·. Conceptio ano inita peragitor : qoae ai forte pererravit, vige· •imam post diem marem femina repetit. Pariant mente deeimo: qnidqoid anle genitam, inolile «st. Sant auctores, Ipso compiente decimam mèosem die parere. Gignant raro-geminos. Coi­ te# a Delphini exorto a. d. pridie nonas Januaria·, «liebo· triginta; aliquibus et «atumno : gentibas quidem, qaae laete vivunt, Ha dispeosatus, nt omni tempore anni superdtid alimentam. Tanri a o · saepiae, quem bi· die, ineant Boves anima· lana soli, et retro ambulantes pascantar : apadf GaramanUt qaidem baud aliter. Vita feminis, qaìadems autii longissima. : maribus, vicenis. Robor in qoiaquennata. Lavatione calidae aqoae traduntor pinguescere, et si quis incisa cate spiritam arundine in viscera adigat. Non degenere· • « •rimandi etiam minas laudalo aspecta. Piari* mnm lactis AJ’pinis, qaibas minimam corpori*, plarimam laboris, capite, non cervice, {unctis. Syriacis non sunt-palearia, sed gibber in dorso. Cariei quòque in parte Asiae foedi visu, tabere •operorrnm a «esvidbo· eminente, laxatu corni» bos, excellentes in opere narrantor : celero nigri coloris candidivi ad laborem damnantor. Tauris minora, qokm babos eornqa, tenoioraque. Domitara boom in trimatu : postéa sera, ante jtraema· tura. Optim» étm domito juvencus imbuitur. Socium enim laboris agriqaC voltane babemas boa animal, tantae apad priores eurae, ot sit joUr exempla damnatas a popolo Romano, die dicta^ qai concnbiiio procaci rore dmasom edisse se negante, occiderat bovem,*cloaqoe «exsiliam , tamquam'colono a » interempto.

Tanri· in aspecto generositas, torva fronte, aoribos setosi·, cornibos in procinto dimicatio* nem poscentibus. Sed tota comminatio prioribus in pedibu». Stat ira gKscente alternos replicans, spargensque in alvum arenam, et solus animatiom eo stimulo ardescens. Vidimo· ex imperi· dtmi-

8e6

razza. Ma ora le vaeehe di ono anno si pigliano per figliare ; nondimeno di doe anni sarebbe (46 da comportare. 1 tori di quattro anni son buoni per ingenerare, e a eiascun toro ai danno dieci vacche il medesimo anno. E se dopo che hanno osato i tori vanno a man ritta, hanno generati maschi ; se a man manca, femmine. Le vacche impregnano in ooa volta, le quali se per sorte non ingravidano alla prima, di là a venti giorni on’altra volta vanoo al toro. Partoriscono il decimo mese, e ciò ehe nasce prima, non è boono. Sono autori che.dicono, che ella figlia quel giorno' appunto, che finisce il decimo mese. Di ra ne fanno due. Vanno in amore nd nascere del Delfino insino ai quattro di Gennaio, per trenta giorni | e alcool ancora ndrao tuono ; essendo cosi compartita questa figliatione fra le genti che vivono di latte, acciocché di ogni tempo ddl’anoo possano avere di questo dimenio. I tori non montano più che doe volle il giorno. Soli i buoi fra gli altri animali pascono anche camminando all' indietro, e appresso dei Garamanti non mai altrimenti. La vita delle femmine la più langa è qaindid anni, qudla dd maschi venti. La lor fortezza è nei cinque anni. Dicesi che elle in­ grassano col lavarsi con l'acqua calda, e ancora, se alcuno foracchiala la pelle con un bucduolo di canna,spinga lor aria internamente. Non sono sti­ mati vili quegli, che sono di meno lodato aspetto. Hanno di molto latte qod che sono nell* Alpi, > qoali hanno minor corpo, durano più fatica, se m congiungono per il capo, e non per il collo· In Soria non hanno la giogaia, ma uno scrigno solla schiena. In Caria, eh* è parte dell’Asia sono di bratto aspetto, e sulle spalle hanno uno scri­ gno, che pende dd oollo, · le corna distese : però •ono utili d lavoro: gli altri di color nero, o bianco* non sono buoni ebe da fatica. 1 tori hanno le corna minori, e piò sottili, che i buoi. Di tre anni i buoi si domano : dopo I tre anni, è tardi ; innanxi, è troppo tetto. Ottimamente d viene ad ammaestrare il giovenco col bue domo. Qoedo animde è nostro compagno alla fatica, a d governo ddla terra. Fo di tanto rispetto ap­ presto gli andebi, che d legge come fa condan­ nato uno accasato dal popolo Romano, perch’egli uccise aa boe per fcr mangiare ddla trippa ad un eoo vicino di villa ehe sosteneva di non averne mangiato md. Fu dunque condannato, e confi­ nalo, com’egli avesse morto il suo^colono. 1 tori sono di aspetto generoso, con la fronte minacciosa, gli orecchi setolati, e con le corna apparecchiate alla saffa. Ma tutte le minacce stanno ne* pie dinanzi : e qaando gli monta la stizza, pesta or con qaesto or con qaello, e man­ da la rena in aria : e solo fra tutti gli animali per

G. PLINII SECONDI canterei ideo jnonstratos,rotari, cornibus «den­ tei excipi, iteramqae resurgere, modo jacentes m homo lolla, bigarumque etiam corra citato, T«|et aarigas, insistere. Thessalorum gentis inTentum est, equo juxta quadrupedante corna insorta cervice (aaros necare : primus id specta» onlumdtditRomae Caesar dictator. Hinc victima* opimae, et lautissima deorum placatio. Hnic tan­ tum animali omnium, quibus procerior cauda, non statim nato consummatae, ut celeris, mensu­ rae ; crescit uni donec ad vestigia ima perveniat. Quamobrem victimarum probatio in vitulo, ul articulum suffraginis contingat : breviore non litant. Hoc quoque notatam, vitulos ad aras hu­ meris hominis allatos non fere litare, sicut nec claudicante, nec aliena hostia deos placari, nec trahente se ab eris. Est frequens in prodigiis priscorum, bovem locutum : quo nuntiato, senatam sub dio haberi solitum. . .

Aris i n Aegypto. LXXI. 4^· Bos ia Aegypto etiam nominis vice cajatur, Apim vocant. Insigne ei, in dextro latere candicans macula, -cornibus lunae crescere i aci* piantis. Nodus sub lingua, quem oantharum ap­ pellant. Non est fa« eum certos vitae excedere anoos, mersumque in sacerdotum fonte enecant, quaesituri .luctu alium, quem substituant : et donec invenerint, moerent, derasis etiam capttibus : nec tamen umquam diu quaeritur. Inventus deducitur Memphim a sacerdotibus. Delubra ei gemina, quae vocant thalamos, auguria populoram. Alteritm intrasse laetum est, in altero dira portendit. Responsa privis dat, e mauu oonsblentiam cibum capiendo. Germanici Caesaris manam •versatas est, haud multo postea extineti. Cetero secretus, quum se proripuit in coetus, incedit submotu lictorum, grexque puerorum comitatur, carmen honori ejus canentium : intelligere vide­ tur, et adorari velle. Hi greges repente lymphati fatura praecinunt. Femina bos semel ei anno ostenditur, suis et ipsa insignibus, quamquam aliis : semperque eodem die et inveniri eam, et extingui tradunt. Memphi est locus in Nilo, quem a figura vocant Phialam : omnibus annis ibi auream pateram argenleamqae mergunt iis die­ bus, quos habent natales Apis : septem hi sunt, mirumque neminem per eos a crocodilis attingi c octavo post horam diei sextam, redire belluae feritatem.

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quello stimolo s 'accende in ira. Abbiamo veduto questi animali combatter» la maggioranza fra loro, epperò aggirarsi, difendersi cadendo con le corna, e di nuovo risorgere, o giacendo per terra erigersi alla pugna, e star saldi ancora nelle carrette velocissime, come s’essi ne fossero i car­ rettieri. È stata invenzione de1 Tessali, cavalcan­ do intorno al toro, amazzarlo, pigliandolo pel corno, e torcendogli il collo ; e il primo che desse a Roma tale spettacolo, fu Cesare dittatore. Di qui sono le vittime grasse, e i dilicatissimi si­ eri fici i degli dei. A questo anima) solo non subito oh’ egli è nato, ma a poco a poco cresce la coda,' fin che gli arriva a’ piedi. Però il vitello si dice essere allora atto al sacrificio, quando la coda gli tocca i garetti : e Y è piò corta, non si sacri­ fica. Questo ancora s 'è osservato, che il vitello portato all'altare sulle spfclle dell’ uomo, rade volte placa, siccome ancora non placa s 'è zoppo, s 'è vittima d' altri, s’ e’ fugge dall' altare.Trova­ si spesso ne' prodigii degli antichi, che il bue ha favellato ; il che quando s 'intende, il fenato usa di tannarsi allo scoperto. D el

bob

A n ur

E g it t o .

L U I . 46. Adorasi ancora in Egitto il hue in luogo di dio, e chiamasi Api. Egli ha- dal lato ritto una macchia bianca, e ha le corna suriili · quelle deUa luna, quando ella comincia « cre­ scere. Ha un nodo sotto la lingua, eh' essi chia­ mano cantaro. Non è lecito eh1 e' viva" più che un certo tempo, perchè tuffandolo nella fonte de' sacerdoti, quivi Precidono,* e poi piangendo cercano d'ano altro in iscambio, e cosi stanno d i mala voglia fin che-1’ hanno trovato, radendosi anco il capo ; nè penano· però molto a trovarlo. Trovato eh' egli è, i sacerdoti lo menano a Menfi. Quivi sono due tejnpli a lui consacrati, che si chiaman talami, e quindi i popoli pigliano i loro augurii. Perciocché entrando nell'uno significa allegrezza, entrando nell' altro infeliciti. Dà le risposte a'privati, pigliando il mangiare dalle mani di coloro, che gli domandano delle cose a Venire. Fuggì la roano di Germanico Cesare, che poco dopo morì. Quando esce in pubblico, va senza strepito di littori, ed è accompagnato da un numero grande di fanciulli, i quali canta­ no versi in suo onore ; e pare ch'egli intenda, e voglia essere adorato. E questi branchi di fan­ ciulli subito infuriati predicono le cose a venire. Mostrassegli una volta Γ anno la vacta, la quale ancora essa ha le sue insegne, benché sien diverse} e dicono sempre il medesimo dì trovarsi, e mo­ rire. A Menfi è on luogo nel Nilo, il quale dalia figura, eh’ egli ha, si chiama Fiala : quivi ogni

HISTORIARUM NUOTI UB. Vili.

810

a m o tu Sano-una I n u d ’ e ro · ^ a r g e n t o n e*d i natali # A p i, i quali

sodo

«ette : ed è gran n a t i ·

TigKa, che ia qoe’ g io rn i nessuno non eia a f f é * da’ crocodili : nell* ottavo giorn o dop o le te i arcr del d i la bestia ritorn a a nuocer·*

P lO O U l SATURA, ET OBKBBATIO RORUU.

D blla « atuba

s e l l e pecore , b l o m a r i » -

RAZIOBE.

LXXU. 47· Magna et pecori gratia, vel in placamenti* deorum, vel in usa velleram. Ut bo­ ve* victam hominum excolunt, ita corporum tutela pecori debetor. Generatio biaais utrimque ad novenos annos : quibusdam et ad decimum. Primiparis minores fetus. Coitus omnibus ad Arcturi oceasum, id est, a tertio idus Majas, ad Aquila· occasam in x kal. Aug. Gerunt partum diebus centum quinquaginta: postea concepti invalidi. Cordos vocabant antiqui post id tempas natos. Multi hibernos agnos praeferunt vernis, quoniam magia intersit ante solstitium, quam ante brumam, firmos esse, eolumque hoc animal utiliter bruma nasci, Arieti naturale agnas fasti* dire* senectam ovium consectari : et ipse senecta melior, illis quoque utilior. Ferocia ejus co­ hibetur, cornu juxta aurem terebrato. Dextro teste praeligato feminas generat, laevo mares. Tonitrua solitariis ovibus abortus inferunt, fiemedium est congregar· eas, ut coetu juventur. Aquilonis ‘flatu mares concipi dicunt, Austri fe­ minas : atque in eo genere arietum maxime spe· ctantur ora: quia cujus coloris sub lingua habue­ re venas, éjus et lanicium est in fetu : variumque, si plures fuere: et mutatio aquarum potusque variat. Ovium summa genera duo, tectum et co­ lonicum : illud mollius, hoc in pascuo delicatius, quippe qaam tectum rubis vescatur. Operimenta ei ex Arabicis praecipua.

G e r ir à

la n a· bt c o u i d i .

LXXIII. 4^. Lana autem laudatissima Apula, et quae in Italia Graeci pecoris appellatur, alibi Italica. Tertium locum ..Milesiae ovea obtinent. Apulae breves villo, nec nisi paenalis celebfes. Circa Tarentum Cannsiumque summam nobili-

LXXII. 47* Gran merito ha la pecora, * nel placar gli dei, · nell’ oso della lana. E coma l· buoi procurano il viver degli uomini, m i noi siamo debitori alle pecore dd eoprimento de’cor* pi. Il maschio e hi femmina generano da' dae anni fino a nove, · alcun· fino a dieci. Le prime ehe nascono, sono minori. Tutte vanno ie m s ·' re dal tramontar d’ Arture, cioè dagli andici-di Maggio, infino a dle l’ Aquila va sotto, cioè fin· a’ ventitré di Luglio. Portano il parto eentoeinquanta giorni ; e se più olire, non è buono. Gli antichi chiamavano Cordi quei die nascevano dopo questo tempo. Molti hanno per migliori gli agnelli nati il verno,’ che qaei della primavera, perchè torna assai meglio che sieno in età per­ fetta innanxi la state, che innanii al verno ; · solo questo animale nasce utilmeote il verno. È cosa naturale al montone avere in odio 1· agnel­ le, e seguitare le vecchie ; ed esso ancora è miglior vecchio, e più util loro. La sua ferocità si mèliga, se gli si fora il corno appresso aU’orecchi· ; · s · gli si lega il testicolo ritto, genera feaamine j ea il manco, maschi. 1 tuoni fanno sconciar le pe­ core, s’ elle son solitarie. Il rimedio dunque è raunarle insieme, acciocché le guardi da d ò la compagnia. Dieesi che soffiando il vento di tra­ montana, ingravidano di maschio, e soffiando mezzodì, di femmine : e in questo genere si pon molto cura alla bocca de’ montoni} perchè di qud colore, eh’ essi haano le veae sotto la liagua, è dipoi la lana d·’ parti suoi ; · ae furono più, è di più colori : e anco la mutazione dell’ acqua e del bere varia le lane. Due sono le specie delle pecore, ona. chiamata tetta, e l’ altra ooloniea : quelle sono più morbide, · quest· più dilicate nel pascere, perehè le lette si pascono di prani per le siepi. Le coperte, che s’ hanno da queste, sono eccellenti, specialmente qaelle ddl’Arabia. S fbcib

d i b a h b d i colo bi .

LXX 1I 1. 48. .La lana Pugliese è la più lodata dì tutte, e quella che in Italia si chiama lana di greggia Greca, altrove è detta lana Italiana. Le pecore di Mìleto ottengono il terzo luogo. Le Pugliesi hanno la lana corta, e non son buone se

C. PUNII SECONDI

6 ι»

S ia

tat·» habent hi Asia vero eodem genere Laodi­ non per fare schiavine. Intorno a Taranto e Ca­ ceae. Alba CùreanipadanU noHa praefertur, neo notto hanno gran fama, e in Asia del medesimo libra eentenòe nummo* ad hoc levi exoewit «Ila. pregio sono quelle df («aodicea. Nessuna avanza Otes non abiqoe tondentor : durat qoibtudam di bianchezza quelle, che seno intorno al Po, n i in lode vellendi mos: colorum plora genera: alcuna altra infioo all'età nostra s 'è venduta pià quippe qaura deiint etiam nomina eis. Quas oa- di cèoto nummi la libbra. Non in ogni luogo le tivai appellant, aliquot modis Hispania: nigri pecore si tosano, poichi in certi Inoghi dura velleris praecipuas habet Pollentia juxta Alpes : Γ usanza di sveller loro la lana. I colori sono di jam Asia rutili, quas Erythraeas vocant : item pià sorti, tanto che non ne abbiam o neppur Baetica : Canusium fulvi : Tarentum et suae pul­ tutti i nomi. Quelle che nomano native, son di liginis. Succidis omoibos medicata vis. Istriae varie specie di tinta odia Spagna: Pollenzia ap­ Liburniaeque pilo propior, qoam lanae, pexis presso le Alpi ha buonissime pecore di color nero: aliena vestibos, et qoam sola ar# scotolato texto l'Asia di rosta» e le chiamano Eritree : simi|ment« commendat in Lositania. Similis circa Piscenas la Betica.Canosio ha pecore che pendono in giallo, provinciae Narbonensis : similis et in Aegypto, e Taranto le ha del sno naturai brano. Tolte le ja. qoa vestis detrita oso pingitor, rorsosque lane non ancor purgate hanno virtù medicinale. aevo dorat Est et hirtae pilo crasso in tapetis . In Istria e in Liboraia hanno piuttosto pdo, dae antiqoissima gratia : jam certe prisco· iis usos, lana, ed i differente dalle vette di lana pettinata. Homeros aoctor esi, Atfter haec Galli piogont, In Lositauia Γ artifieio solo la fa piacere per la aliter Partborom gentes. Lanae et perse coactam tessitora Catta a1 fregi. Simile i quella de’dinlorni vestem faciunt : et si addator acetum, etiam ferro di Pisceoa nella Provenza : simile n*i in Egitto, resistant : immo vero etiam ignibus novismao e con essa dipingono le vesti logore dail'uo eoi sui porgamento, qoippe ahenis polientium ex­ lidi colorati ebe vi frappongono : vesti che poi tractae, in tomenti nsom veniont, GaHiarum, dorano long» tempo. Ed è antichissima grazio ot arbitror, invento : certe Gallicis hodie nomi­ nei tapetti fatti di lana di peli : Omero scrive, ebo nibus discernitor: nec facile dixerim, qoa id gli antichi gli usavano* 1 Galli gli dipingono a mi aetate coeperit. Antiquis enim toros e atramento modo, e i Parti a ano altro. Le lane par si ristrette erat, qualiter etiam none in eastri·. Gaoaapa pa­ fan panno, e se vi si aggingne aceto, aneora reg­ tris mei memoria eoepere : amphimalla, neatra : gono al ferro; e anco al fuoco, oltimo suo purga­ sicut villosa etiam ventralia : nam tonica lati da­ mento, perchè tratte delle caldaie di qnegli che vi, in modum gausapae texi none primam incipit le poliscono, vengono in uso di borra’ ; il che» Lanarum nigrae nullum colorem bibunt De re­ come io stimo, i invenzione ddla Gallia ; e certo liquarum infecta anie locis dieemoe, in conchyliis che oggi si distinguono eoi nomi Gallid : n i sa­ marinis, aot herbarum natura. prei ben dire in che tempo d ò cominciaste. Per­ che anticamente i letti si facevano di paglia segala e trita, oome ancora oggi negli eserciti sa osano. Al tempo di mio padre oomieciarono usarsi certe schiavine pilose : al presente se ne a sano, di pilose da amendoe i lati, come ancora i ven­ trali pilosi. Ed aneora *’ i cominciato a tessere la tonaca di làticlavo io modo di bernusso. Le lane nere non pigliano altro colore. Del modo di tignar V altre parleremo ai anoi luoghi, qoando tratteremo dei pesd, che fanno la porpora, e della natura dell* erbe. Gassa* vxsmni.

Sracia pi vxsrnuirri.

LXXIV. Scrive Marco Varroue, che la lana LXX 1V. Lanam in coTo et fnso Tanaquilis, quae eadem Caia Caecilia vocata est, in templo nella ròcca e nel fuso di Tanaquile, la qnale per Sangi durasse, prodenlc se» auctor est et H. Var­ altro nome si chiamò Caia Cedila, durò nel tem­ ro : factamque ab ea togam regiam ondolatam in pio di Saogo, mostrandola esso ; -e che 4a essa fa aede Fortunae, qoa Ser. Tnllios luerat osos. fiatta una veste reale a onde nd tempio dell· Por­ lode factam, at nabentes virgines comitaretur tone, la qoale Ser. Tallio avea portata. Di qot colus compta, et fasns cam-stamine. Ea prima te* - venne 1* usanze, che dietro alle fandoHe, qoando xnit rectam tunicam, quales cum toga para iiro- die andavano a marito, foste portata la rocca

8ι 3

HISTORIARUM MUNDI L1B. Vili.

ne* ind am tor, Mveeqae naptae. Undulata Tetti» prima e laudatissimis fait : inde sororieslata de­ fluxit. Toga* rasas Pbrygianasque, divi Augusti novissimis temporibus coepisse, scribit Fenestella. Crebrae papaveratae aatiquiorem habent origi­ nem, jam sub Lucilio poeta in Torqaato notatae. Praetexi·· apad Etruscos originem invenere. Trabeis usos accipio reges : pictas veste» jam apnd Homerum fuisse, and· triumphales naiae. Aea facere id Phryges invenerant, ideoqoe Phrygio· niM appellatae soni. AoroJni intexere in eadem A a·· b re a k Altatos réx : and· nomen. Attalicis. Colores diversos picturae intexer· Babylon maxi· n e celebravit, «t nomen imposuit Plurimi» vero licii· texere, qoae polymita appellant, Alexandri· instituit: soutolis dividere, Gallia. Metellas Sci­ pio tricliniaria Babylonie· sestertium octingenti· milbbus venisse jam tuqc, posuit in Catonis eri· minibus, quae Neroni principi quadragies neper •teiere. Servii Tullii praetextae, quH^us ssgunm Fortaoae ab eo dicatae coopertam erat, doMvere od Sejani exitam. Mirum que fuit nec -defluxisse eas, nec tiredidto injurias sensisse apnis d u . Vidimus jam et viventium vellera, purpura, eoo· eo, conchylio, sesquipedalibus libris infecta, velut illa sic nasci cogente huuria.

■ D · rscoatn a romiiA, e t d b « r a r o r a .

inconocchiata di lana, e il fuso col filat·. Essa fu la prima, che tessè la tonaca retta, la quale in­ sieme con la toga pura si vestono i giovani, e le spose novelle. La veste ondulata fu prima tenuta cosa delicatissima, me venne poi la sororiculata, la quale è veste di più colori. Scrive Fenestella, che le toghe rase, e Frigiane a’ osarono negli aitimi anni di Augusto imperadore. Le papaverate, che son pià spesse,sono pià sntiehe: perciocché Lueilio poeta le vitupera in Torquato. Le preteste furono trovate da1Toscani. E troovo che i re usavano I· trabee.Omero fa menzione delle vesti dÌpinte,onde vennero le trionfali. I Frigii furono quei, che tro­ varono il ricamare eoo Tago, e pereto tali vesti si chiamarono Frigionle. 11 re Aitalo in Asia trovò il tesservi Poro, e perciò farono chiamate vesti Attaiiche. Babilonia trovò P intessere vaiti colori alla pittore, e pose loro i nomi. Il tessere con piò Hcii, le qaali vesti n chiamano polimite, cioè di piò fili, fé trovato in Alessandria, e la Gallia trovò il distinguer· 1· vesti con iscudieciuoli. Metello Scipione pose fra i delitti di Capitone, i forni­ menti da letto Babilonici essersi venduti già allora ottocento mila sestertii, 1 quali costarono · Ne­ rone imperadore, non è molto, quaranta mila s e s t e rn i. Le preteste di Servio Tullio, dalle quali era coperta la statua della Fortuna, dedicata d · esso, doraróno fino alla morte di Seiano. E fa mtraviglie, che elle non si marcissero, nè fossero rose dalle tignuole iu cinquecento sessanta anni. E già abbiamo veduto i,velli delle pecore vive tinti di porpora di grana e di conchiglia con cortecce d*nn piede e mezzo, come se la pompa le avesse fatte nascere in quel modo.

DtUi m u

DBLLB PECOBB, B DBL MUSKOBB.

LXXV. Le pecore pià lodale sono quelle, che hanno le gambe corte, e la pancia vestit· : quelle che l’ hanno ignuda, si chiamavano apiche, e non erano stimate. Le pecore di Soria haono un braccio di coda, e in quella parte è assai lane. Non è buono castrare gli agnelli, se non hanno cinque mesi. • 49. È ancora in Spagna, e massimamente in 49. Est et in Hispania, sed maxime Corsica, non'maxime abstail· peeori, genas musmonum, Corsica, uno animale detto musinone, poco diffe­ caprino vHlo* qaam peeori» velleri, propini. .Qao*’. rente dalla pecora ; ma il vello è pià caprino rum e · generer et ovibus nato· prisci Umbro· che di pecora. Quegli che nascono di questi e voearunt Infirmissimum pecori caput ; quiynob· delle pecore, gli antichi gli chiamarono Umbri. Hanno il capo molto debole, e per questo si fanno rem aversam a sole pasci cogendum·. Quam stul­ tissima animaliam lanata, Qua timuere ingredi, pascere, avendo il sole di dietro. Stoltissimi di tutti gli animali son quei, che.hanno lana, perchè onum eorno raptum sequuntur. Vita* longissima •mai x, m Aethiopia· xin . Capris eodem loco xi, dove hanno paura a passare, se uno vi tira il oorno, tutti vapno appresso. La pià lunga vita in reliquo orbe plnrimtim octoni. Utfomqae ge­ loro è dieci anni, in Etiopia tredici. Le capre nel n a · intra quartum coitum impletur. medesimo luogo vivono undici anni, nelP altre LXXV. In ipsa ovi satis generositatis osten· éitar brevitate crarnqo, ventris vestita: qaibus nadus esset, ' apicas vo&bant, damnabantque. Syriae eubitaie* ovini» eaadae plurimamque in ea parte laeieti. Castrari agnos, nisi quinqueme­ stres, praematurum existimatur.

8.5

8 16

G. PUNII SECUNDI

parti del mondo «1 più vivono otto. E Γ ano e Γ altro genere di pecore e di capre non panano il quarto coito, che son pregne. C a fb aeo·

h a t u x à e t g e b b e a x io .

N atoea

e g b b e e a zio v d e l l e c a v e e .

LXXV 1. 5o. Le capre ne fanno ancora quattro, LXXV 1. 5o. Caprae pariant at queternos, sed roro admodum.' Ferant qainqae mensibus, ut ma ciò di rado. Portano, cinque mes},' come l e oves. Caprae pinguedine' sterilescunt. Ante tri- pecore. Le capire per la grasaezztf diventano H e­ mas minus utiliter generant, et in senecta altra rili. Di tre anni figliano, ma non con m olta quadriennium. Incipiunt septimo mense, adhuc utilità, e similménté nella vecchiaia,' dopo pas­ lactentes. Mutilnm in utroque sexu utilius. Pri­ sali i quattro anni. ·. Comincianò n e l‘settimo mus in die coitus non implet: sequeas efficacior, mese, quando àncora poppano* Sono migliori e ac deinde. Concipiunt Novembri mense, ut Mar­ maschi e femmine senza corna. Nd· primo coito tio pariant turgescentibus virgultis, aliquando del dì non impregnano : il seguente è migliore, e anniculae, sempre bimae, in trimatu utiles. Pa- di mano fermano.Ingravidano di Novembre, per riunt octonis. Abortus frigori obnoxius. Oculos figliar di Marzo, qnando gli alberi incominciano suffusos capra junci puncto sanguine exonerat, ca­ a mettere, alcuna volta di uno anno, ma per lo per rubi. Solertiam ejus animalis, Mucianus visam più di dne, e dj.tre meglio. Partoriscono insino in sibi prodidit in ponte praetenui, duabus obviis e ottQ annj. ll freddo à lor nocivo a farle scondaae. diverso : quum circumactum angustiae non cape­ La capra ai mèdica gli occhi dspi con-nna punta rent, nec reciprocationem longitudo in exilitate di giunco», sgravandosi 'di sangue, e il capro con caeca, torrente rapido minaciter subterfluenle, una {tanta di rovo/ Scrive Muciano, che egli vide alteram decubaisse, atque ita alteram proculcatae la solerzia grandissima di questo animale in un ponte strettissimo, dove essendosi incontrate due supergressam. Mares quam maxime simos, lougis auribus infraclisque, armis quam villosissimis capre s mezzo un ponte che non. potevano rivol­ probant. Feminarum generositatis insigne, laci­ gersi, uè polevavo anco tornare iudìetro, perchè niae corporibus a cervice biuae dependentes. il ponte era luogo e strettissimo,, con soltovi on Non omnibus cornua : sed quibus sunt, in his torrente di gran rapidità, per naturale industria trovarono un rimedio, e ciò fu, che un* si pose et indicia annorum per incrementa nodorum. Mutilis lactis major ubertas. Auribus eas spi­ a giacere, e l’altra le pajsò sulla schiena. I ma­ schi sono riputati migliori, quando son molto rare, non naribus, nec nmquam febri carere, camusi, ed hanno lunghi orecchi,* le spalle r i ­ Archebus auctor est: ideo fortassis anima his, cotte, e sono vellosi. 1 segni buttoi nelle femmi­ quam ovibus, ardenlior, calidioresque concubi­ ne sono, che P ultimo orlo della tana, che pende tus. Tradunt et noctu non minus cernere, quam loro dal corpo e dal collo, aia doppio. Tutte oon. in terdi u : ideo si caprinum jecur vescantur, re­ stitui vespertinam aciem his, quos njctalopas hanno corna , ma quelle capre che P hanoo, facilmente mostrano 1’ el$ loro · ai numero dd vocant. In Cilicia, drcaque Sjrtes villo tonsili nodi, che sono nelle corna. Quelle, che son. senza vestiuntur. Capras in occasam declivi sole, ia pascuis negant contueri inter sese ; sed aversas corna, hanno pitf latte. Scrive Archelao, che le jacere : reliquis autem horis adversas et inter capre alitano non per il nato, ma per gli orecchi, cognatioues, Dependet omnium mento villus, e non son mai senza febbre, e perciò hanno forse quem aruncum vocant : hoc si quis adprehensam Γ alilo più caldo, che le pecore,, e i loro coiti son ex grege unam trahat, ceterae stupentes spectant. più caldi. Dicesi, che (Uè veggono sì ben di nollè, Id etiam evenire, quum quamdam herbam aliqua come di giorno, e che perciò se si mangia il ex eis momorderit. Morsui earum arbori exitialis. fegato della capra, si restituisse il vedere della Olivam lambendo quoque sterilem laciunt, eague . iera*a colora, che si .chiamano nittalopi. In ex càtfta Minervae non immolantur. Cilicia, e intorno alle -Sirti si fanno vestiti di quello che si tosa · Dicono die le capre nd tramontar dd sole pascendo non si guardano l’ una Γ altra, ma giacciono volgendosi fra loro le reni, e ndl’ altre ore fanno il contrario, e •tanno fra le congiunte; Hpnno tutte al mento un fiocco -di velli, il qual si Chiama arunco, e se alcun piglia una capra per questo fiocco, e la tir» a sè, faUe.Paltre come in atto di maraviglia

HISTORIARUM MUNDI LIB. VIII. stanno a guardarlo. E ciò avviene aneora, quando alcona di esse morde una certa erba. II morso di questi animali fe gran danno agli alberi, · lec­ cando anoora fanno sterile 1* olivo ; e per questa cagione non si sacrificano a Minerva. Sura rrav. LXXV 1I . 5i. Sailli pecoru admissura · F « o nio ad aequinoctium vernum: aetai, octavo mense: quibusdam in locis eliam quarto, usque «d octa­ vum annum. Partus bis anno : tempus utero quatuor mensium : numerus fecunditatis ad vice­ nos : sed educare tam multos nequeunt. Diebus decem circa brumam statim dentatos nasci, Nigi­ dius tradit. Implentur u d o coito, qui et gemina­ tur propter facilitatem aboriendi. Remedium, ne prima subatione, ncque ante flaccidas aures coi· tus fiat. Mares non ultra trimatum generant. Feminae senectute fessae, cubantes coeunt. Co­ messe fetus bis, non est prodigium. Suis fetus sacrificio die quinto purus est, peooris die octavo, bovis tricesimo. Coruncanus ruminales hostias, donec bidentes fierent, puras negavit. Suem oculo amisso putant cito exstingui : alioqui vita ad quin­ decim anno·, quibusdam et vicenos. Verum effe· ranUur, el alia· obnoxium genus morbis, anginae maxime, et strumae. Index sui· invalidae, eruor in radice setae dorso evulsae, caput obliquum in in­ cessu. Penuriam lactis praepingues sentiunt, et primo fetu minus sunt numerosae. In luto volu­ tatio generi grata. Intorta cauda : id etiam nota­ tam , facilius litare, in dexteram quam in lae­ vam , detorta. Pinguescunt l x diebus, sed magis tridui inedia saginatione orsa. Animalium hoc maxime brutum, animamque ei pro sale datam non illepide existimabatur. Compertum agnitam vocem suarii furto abaetis,mersoque navigio incli­ natione lateris unios remeasse. Quin et duces in orbe forum nundinarium domosque petere di­ scunt : et feri sapiunt palude confundere urinam, fogam levare. Castrantur feminae quoque, sicuti cameli, post bidui inediam suspensae pernis prio­ ribus, vulva recisa : celerius ita pinguescunt.

S ia m .M m s

d b ' t o e c i.

LXXVI1. 5 i. 11 bestiame porcino va in amo­ re il verno, da che comincia il vento Favonio fino all1 equinozio della primavera, nella età di otto mesi, e in certi luoghi ancora da'quattro infino ai sette anni. Figliauo due volte l'anno, e portano quattro mesi, e ne fanno insino a venti, ma non ne possono già allevar tanti. Scrive Nigi­ dio, che per dieci giorni circa la bruma nascono subito co1 denti. Ingravidano in un coito, il quale anco si raddoppia per la facilità dello soondarsi. Il rimedio è, che nella prima volta non si faccia il coito, nè prima che abbiano floscii e abbassati gli orecchi. I maschi non generano passati i tre anni. Le femmine stanche per la vecchiaia usano il coito a giaoere. Non è prodigio in loro, ch'elle si man­ giano i figliuoli. La figliatura del porco è. pura 0 atta al sacrifizio il quinto dì, quella della peeora l'ottavo dì, e della vacca il trentesimo. Coruncaao scrive, che le ostie deU'animale, che roguma, non son pure insino a che non hanno doe denti. So il porco perde l'oochio, dicon che tosto muore ; ma naturalmente vive quindici anni, e talora venti. Questo animale però talvolta inferocisce, ed i soggetto a diverse infermità, massimamente a serratura di gola, e a scrofe. Segno che il porco sia ammalato è, che svegliando una setola del dosso, la sua radice sia sanguinosa, o che andando pieghi il capo. Quelle che son molto grasse hanno poco latte, e ndla prima figliatura fanno pochi figliuoli. Piace lor molto potersi voltolar nel fango. Hanno la coda torta, ed èssi posto mente, che pià facilmente si placan gli dei ne' lacrificii quando essa è a man ritta, che a man manca. Ingrassano in sessanta giorni, ma pià, se nel co­ minciar a ingrassare, stanno tre dì digiuni. Que­ sto animale è pià insensato d'ogni altro ; onde gentilmente s 'usava dire, che l ' anima gli è data per sale.È intervenuto, che avendo alquanti porci, eh' erano stati rubati, udita la voce dd porcaio, gettarono tutti alla banda del navilio, e fattolo affondare se ne ritornarono a lui. Alcuni si fan guida degli altri, e questi imparano andare per dttà al mercato, e tornare a casa : i cinghiali confondono la loro orina col fango per non la­ sciar vestigii di fuga. Castrensi le porche, come 1 cammdli, poiché sono state due giorni senza mangiare. Appiccansi per le gambe dinanzi, e prestamente si taglia dove bisogna : e così tosto ingrassano.

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C. PLINII SECUNDI

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Adhibetor et ars jecori feminarum, sicut anserum, inventam M. Apieii, fico arida saginati* ae latieM e nocetis «epente nraW pota dato. Neque alia es animal» numerosior materia ganeae : qainqaaginta prope sapores, com oeteris singoli. Hinc censoriarum legam paginae, interdictaque cenis abdomina, glandia, testiculi, vulvae, sinci­ pite verrina, ut taosen Publii mimorum poetae coene,postquam servitutem exuerat,nulla mernovetar sine abdomine, etiam vocabolo suminis ab eo imposito.

Db f b m s

subus.

Qdis

m i m u s v i v a r i a b e s t ia r u m

Usasi arte aneora a ingrassare il fegato delle porche, come si fa quello dell’oche. Fu inven­ zione di Marco Apicio l ' ingrassarle co' fichi sec­ chi, e ammazzarle quando han sazietà, dando lor subito a bere mulso, ciò i vin melato. Nè di alcuno altro animale si ha più materia per lo gola : perciocché di essi si fanno intorno a d òquanta vivande, tra le semplici e le mescolate eon altro. Di qai son nate le leggi ée’ceusori, nelle qoali sono proibiti nelle cene addottimi, gangole, testicoli, valve, e capi ; nondimeno che non si ricordi verno» cena di Publio, poeta do mimica, poi ch’egli era diventato libero, odia qoale oon ei fosse il suo addensine : fo egli ansi che gl' impose il nome di sumine. D bi PORCI CINGHIALI.

in s t it u it .

LXXV 11I. Plaooere aotem et feri sues. Jam Catonis Censorie orationes aprugnum exprobrant callum. In tres tamen partes diviso, media pone­ batur, lumbus aprugnus appellata.Solidum aprum Romanorum primus in epulis adposuit P. Servi· bos Rullus, pater ejus Rulli, qui Ciceronis con­ sulatu legem agrariam promulgavit. Tam propin­ qua origo nuuc quotidianae rei est. Et hoc An­ nales notarunt, horum scilicet ad emendationem morum i quibus non tota quidem coena, sed in principio, bini ternique pariter manduntur apri.

5a. Vivaria horum, ceterorumque silvestrium, primus togati generis invenit Fulvius Lupious, qui in Tarquiniensi feras pascere instituit. Nec dio imitatores defuere L. Lucullus et Q. Hor­ tensius.

Sues ferae semel anno gignunt. Maribus in coito plurima asperitas. Tunc ioter se dimicant, indurantes attritu arboram costas, lutoque se tergorantes. Feminae in partu asperiores, et fere similiter in omni genere bestiarum. Apris mari­ bus, nonoisi anniculis generatio. In India cubita­ les dentium flexus gemini ex rostro, totidem a fronte, ceu vituli cornua, exeunt. Pilus aereo si­ milis agrestibus, ceteris niger. At in Arabia suil­ lum genus non vivit.

D b sbmipbris animalibus.

LXX 1X. 53. In nullo genere aeque facilis mixtura cum fero, qualiter natos antiqui bybri*

Cm

PECE IL PRIMO SERBATOI

DI BESTIE.

LXX V ili. Piacquero aocora i porci cinghiati. Le orazioni di Caton Censorino rimproverano il callo del cinghiale. Nondimeno facendotene tre parti, in quella di mezzo si ponevo il lombo, chia­ mato aprogno. Publio Servilio Rollo, padre dà qoel Rullo,che nel consolato di Cioèrane pubblicò la legge agraria, fo il primo in Roma, ehe mettesse in tavola on cinghiale intero. Tanto è vicina Tori· gine d'ona cosa, che si fa ogni giorno. E evò hanno notato l’ istorie, e certo per correggete qoesti costui*), per li qoali non in tutta la cena, ma nel solo principio si mangiano due e tre cin­ ghiali insieme. 5a. Il primo ehe faceste serbatoi di qoesti e degli altri animali ealvatiehi fa Fulvio Lupino, uomo togato, il quale od territorio Tarquintese comioeiò a maotener le fiere. Nè loogo tempo andò che lo imitarono Lucio Locollo e Quinto Ortensio. Le porche cinghiali figliano ana volta Panno. 1 maschi al tempo del coito sono piò feroci. Al­ lora essi combattono fra loro, e indorano le co­ sto!e col fregarle agli alberi, e s* incrostano di loto la schiena. Le femmine sono piò fiere net tempo del parto, e lo stesso saccede quasi in ogni sorte di bestie. I cinghiali maschi non inge­ nerano se non d'un anno. In India hanno pieghi li denti, lunghi un braccio: due escono dd muso, e due dalla fronte come corna di vitelli. I salva­ tici» hanno il pelo del color di rame, gli altri Γ hanno nero. Ma in Arabia non vive alcuna sorte di porci. D tou

a n im a l i m ezzo f ib r b .

LXXIX. 53. Nessuna sorte d 'animali più fa­ cilmente si mescola co' salvatici», e quegli, ohe

HISTORIARUM MUNDI LIB. V ili.

8ai

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das vocabant, cen semiferos : ad homines quoque, ut In C. Antonium Ciceronis in consulatu colle­ gam, appellatione translata. Non in suibus au­ tem tantum, sed in omnibus quoque acimalibus, cujuscumque generis ullum est placidum* ejus­ dem invenitur et £orom, utpote quum hominum etiam silvestrium tot genera praedicta sint. Ca­ prae tamen in plurimas similitudines transfigu­ rantur. Sunt capreae, sunt rupicaprae, sunt ibioes pernicitatis mirandae, quamquam onerato capite vastis cornibus gladiorum que vaginis : in haec se librant, ut tormento aliquo rotati in petras, po­ tissimum e monte aliquo in alium transilire quae­ rentes, atque recusso pernicius, quo libuerit, ex­ sultant Sunt et oryges, soli quibusdam dicti con­ trario palo vestiri, el ad caput verso. Sunt et damae, et pygargi, et strepsicerotes, multaque alia haud dissimilia. Sed illa Alpes, haec transma­ rini sitas mittant.

nasoono di questi, dagli antichi si chiamavana ibridi, come a dire meno salvatichi : nome che per traslazione si riferisce agli uomini, come fu riferito a Caio Antonio, il quale Accompagno di Cicerone nel consolalo. Nè solamente ne’ porci, ma ancora negli animali d’ ogni sorte mai non ai truova alcun domestico, che del medesimo genere non si truovi il selvatico ; e già s’ i detto, che d son ancora tante sorti d'uomini salvatichi. Non­ dimeno le capre si trasfigurano in piò genera­ tioni. Sonci capre, rupicapre, ibid molto vdod, benché abbiano aggravato il capo di grandissime corna, use già adoperarsi per guaine di coltelli : su queste si appoggiano per dare I lor salti so pei sassi, roteandosi come se fossero scagliati da qualche macchina, massimamente quando vogtion saltare da un monte a un diro, e quando piace loro pià velocemente risdtano addietro. Sond ancora capre, ehe si chiamano orige, e queste sole, secondo che alcuni dicono, hanno il pelo al contrario, e rivolto verso il capo. Sond dame, pigargi, e sterpsioeroti, e molti dtri simili. Ma quelle nascono neU1Alpi, e queste oltre mare.

Da s u h i s .

D b l l b s c im ib .

LXXX. 54. Simiarum quoque geoera hominis figurae proximo, caudis inter se distinguuntur. H ka solertia : visco inungi, laqueisque calceari imitatione venantium tradunt Mucianus et latrooeolis lusisse, fictas oera icones usu distin­ guente : Ione cava tristes esse, quibus in eo gene­ re eauda sit, novam exsultatione adorare : nam defectam siderum et ceterae pavent quadrupedes. Simiarum generi praeeipua erga fetum adfectio. Gestant catulos, quae mansuefactae intra domos peperere, omnibus demonstrant, tractarique gau­ dent, gratulationem intelligentibus similes. Ita­ que magna ex parte complectendo necant Effe­ ratior cynocephalis natura, sicul satyris. Callitriehes toto paene aspecta differant : barba est in facie, cauda late fusa primori parte. Hoc animal negator vivere in alio qoam Aethiopiae, quo gignitor, coelo.

LXXX. 54. Le spede delle scimie, le quali somigliano molto all’ nomo, si distinguono nella coda. Dicesi che qoesti animali con mirabile in­ dustria s’ ungono col visco, e calum i con lacci, ad imitazione dei cacdatori. Scrive Mudano an­ cora, che giuocano a scacchi, avvezze a distin­ guer per uso le figure fatte di cera : stanno mal contente a luna vecchia quelle che in quel ge­ nere hanno la coda, e eon allegrezza l ' adorano quando dia è nuova; benché ancora gli altri animali quadrupedi spaventano all* oscurar dei pianeti. Le scimie portano grandissima affezione a' lor parti. Quella già addomesticate, che par­ torirono entro le case, si portano seco i lor piocoli figliuoli, mostrandogli a lotti, ed hanno a caro che sien tocchi, mostrando d’ intendere che qodlo sia uno allegrarsi con esso loro. E così per la maggior parte abbracciandoli gli ammaz­ zano. Pià efferati sono i dnocefeli e i «tiri. I callitrici» quasi in tutto l'aspetto sono differenti : hanno la barba nella feccia, e la coda molto larga nella parte superiore. Dicesi ehe questo animale non vive altrove, che in Etiopia, dove e’ nasce.

D b LBPOKUM GBBEBIBOS*

D b l l b s f b c ib d i l b * b i .

LXXXI. 55. E l leporom plura sunt genera : àa Alpibus candidi, quibus hibernis mensibus pro cibalo nivem credunt esse: certe Hquescente ea ratiksoont annis omnibus : el est aUoqui ani-

L X X X I.55. Molte spede d sono di lepri: ndl’Alpi son bianche, e credono alcuni ch’dle si pascano il verno di neve; e certo ogni anno, quando le nevi si struggono, le lepri diventan

6a3

C. PLINII SECUNDI

nui intolerandi rigori· damnum. Leporum ge­ neri· sani et qaos Hispania cunicnlos appellat, fecunditati· innumerae, famemque Balearibus insali·, popolati· messibus afferentes. Fetas ven­ tri exsectos, Tel aberibas ablatos, non repurgatis interaneis, gratissimo in cibatu habent : laurices vocant. Certum est, Balearicos adversus proven­ tum eorum auxilium militare a divo Augusto petiisse. Magna propter venatum eum viverris gratia est. lojiciuot eas in specus, qui sunt mul­ tifores in terra, unde et nomen animali t atque ita ejectos superne capiant. Archelaus auctor est, quot sint corporis cavernae ad excrementa lepori, totidem annos esse aetatis. Varius certe numerus reperitnr. Idem atram que vim singulis inesse, ac sine mare aeque gignere. Benigna circa boc na­ tura, innocua et esculenta animalia fecunda gene­ ravit. Lepus omnium praedae nascens, solus prae­ ter dasypodem superfetat, aliud educans, aliud in utero pilis vestitum, aliud implume, aliud inchoa­ tum gerens pariter. Nec non et vestes leporino pilo licere tentatam est, tactu non perinde molli, ut in ente, propter brevitatem pili dilabida·.

D*

n c K.ACIDM NEC YBBtS ANIMALIBUS.

LXXXII. 56. Hi mansuescant raro, cum feri dici jure non possint: complura namque sunt nec placida, nec fera, sed mediae inter utrum­ que naturae, ut io volucribus, hirundines, apes : in mari, delphini. 57. Quo in genere multi et hos incolas do­ muum posuere mures, haud spernendum in osten­ tis etiam poblicis animal. Adrosis Lavinii clypeis argenteis, Marsicum portendere bellum : Carboni imperatori apud Clusium (asciis, quibus in cal­ ceata utebatur, exitium. Plura eorum genera in Cyrenaica regione: alii lata fronte, alii acuta, alii herinaceorum genere pungentibus pilis. Theo­ phrastus auotor est, in Gyaro insula cum incolas fugassent, ferrum quoque rosisse eos. Constat id natura quadam et ad Cbalybas facere in ferrariis officinis. Aurariis quidem in metalli·, ob hoc al­ vos eoruln cxcidi, semperque fartum id depre­ hendi : tantam esse dulcedinem forandi. Venisse

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rouigne, e d'altra parte amano esse il freddo piò rigido. C’ è anco ona «orte di lepri, che la Spa­ gna chiama conigli, d’ incredibil feconditi, fi quali fanno carestia nell* isole Baleari, divoran­ dovi tolte le biade. Si tengon per ottimo cibo i ooniglini tratti di corpo alla madre, o tol­ tigli dalla poppa, mangiandogli con le budello piene : chiamangli laurici. Trovasi che gli nomioi di qoeste isole domandarono aiuto di gente d1arme ad Angusto contra i conigli, i quali em o moltiplicati troppo. Presso questi popoli sono i a molta graxia le viverre o faretti, per Taso ehe ne fanno. Le cacciano nelle caverne de* conigli, che hanno molte viuxze sotterra, onde venne il nome a quell’animale, e cosi cacciati di sopra gli pigliano. Sorive Archelao, che quante cavità han le lepri in corpo, dove sta lo sterco, tanti anni han esse di età: certo è ehe vario se oe trova il numero. Dice ancora che la lepre ha natura di maschio e di femmina, e die ingravi­ dano senza maschio. La natora in questo è stata molto benigna, poi che ella ha voluto che gli animali, che son buoni a mangiare, e non nuoeono a nulla, siano fecondi nd generare. La lepre adunque, la quale è preda a ogni animale, ingra­ vida sopra qudlo che è concetto, il che non fa ninno altro animde fuor ehe il daaipode; e uno gii nato ne alleva, ano ne porta in corpo gii ve­ stito di pdi, un senza peli, ano che non è ancora tntto formato. S’ i provato ancora a far vestiti di pelo di lepre, che non è però cosi morbido al toccare, come i nella pelle ; e perché il pelo è corto, il testato non dura. DEGLI ANIMALI N Ì SALVATICHI, N* DOMESTICI.

LXXXII. 56. Questi di rado s'addomesticano, e nullameno ragionevolmente non si possono chiamar salvatichi ; perciocché molti animali d ha, che non sono nè salvatichi, nè domestici, ma di natura media fra l’ uno e P altro, come fra gli uccegli le rondini e le pecchie, e in mare i delfini. 57. E in questo genere molli hanno posti i topi, che abitano nelle case, animale da non essere sprezzato ancora ne' pubblici augarii. Perchè avendo eglino rosi gli scudi d'argento in Lavinio, pronosticarono la guerra dei Marsi : e a Carbone capitano dell'esercito a Chiusi, rosero le fascie, che egli usava nel calzarsi, il ehe significò la sua rovina. Molte sorti sono di questi animali ndla regione Cirenaica; deuni hanno la fronte larga, alcuni aguzza, alcuni hanno i peli, che pungono come quelli degli spinosi. Scrive Teofrasto, che •vendo i topi nell'isola di Giaro cacdati gli aomin» dd paese, rosero aneora il ferro. È manifesto ehe fanno il medesimo per una certa lor natara anco

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HISTORIARUM MUNDI LIB. .VIII.

marem cc denariis, Casinam obsidente Hanniba­ le: eumqne qai vendiderat fame ioteriisse, em­ ptorem a perchè, nè subito

C. PLINII SECUNDI

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rosi rum «imam. Qua de e n s i nomen Simoni* omnes miro modo agnoscant, malantqne ita appellari.

Quos AMAVBRIHT. T 1II. Delphinus non homioi tantam amicam aaimal, verum et masicae arti, mulcetur sym­ phonia· eantu, et praecipue hydrauli sono. Ho­ minem non expavescit, at alienum : obviam navigiis venit, adludit exsultans, certat etiam, et quamvis plena praeterit vela. Divo Angusto prin­ cipe, Lucrinnm lacum iavectas, pauperis cnjusdam puerum, ex Bajano Puteolos in ludum literarium itanlem, quum meridiano immorans appellatum enm Simonis nomine saepius fragmen­ tis panis, quem ob id ferebat, adlexisset, miro •more dilexit. Pigeret referre, ni res Maecenatis et Fabiani, et Flavi Alfii, moltorumque esset literis mandata. Quocumque diei tempore incla­ matas a puero, quamvis occa Itus atqne abditus, ex imo advolabat ; pastasqae e mana praebebat •scensaro dorsum, pinnae aculeos velut vagiua condens: receptamqae Puteolos per magnam •equor in ludum ferebat, simili modo revehens pluribus annis: donec morbo exstincto puero, subinde ad consuetum locum ventitans, tristis et moerenti similis, ipse quoqae ( qaod nemo dabitaret ) desiderio exspiravit

Alias intra hos annos in Africo litore Hippo­ nis Diarrhyti, simili modo ex hominum mana vescens, praebensque se tractandum, et adludens natantibus, impoiitosque portans, nogueuto pe­ runctus a Flaviano proconsule Africae, et sopitus ( at apparuit ) odoris novitate , fluctuatusque •imilis exanimi, caruit hominum conversatione, nt injuria fugatus, per aliquot menses: mox reversus in eodem miraculo fuit. Injuriae potesta­ tum in hospitales, ad visendum venientium, Hipponenses in necem ejus compulerunt.

che l 'hanno tocca ai muoiono, ma molto più tosto muoiono turandosi loro la canna, per la qoale tirano l’ alito. Essi contra la natura degli altri animali d’ acqua, hanno la lingua mobile, corta e larga, poco differente da quella del porco, l a cambio di voce hanno un gemito simUe a quel dell’uomo, la schiena acrignata, il muso stiacciato. Laonde tolti maravigliosameote conoscono il no­ me Simooe, ed hanno caro d’ esser cosi chiamati. A

CHI ΑΒΒΙΑΗΟ POETATO AM Oftl.

VIII. È il delfino non solo amico delT aomo, ma ancora della musica, e sopra tutto sì dilette del suono degli organi d’ acqua. Non ha punto paura dell’ uomo, anzi va incontra a* navili, e in­ torno a essi giuoca e scherza. Combatte simil­ mente del correre, e passagli benché abbin le vele piene. Al tempo d* Augusto imperadore on del­ fino entrò nel lago Lucrioo, dove αα fanciuUo d’ un povero uomo, il quale andava ogni giorno da Baia a Pozzuolo alla scuola, veggendolo men­ tre sedeva al meriggio, il chiamava e allettava con minuzzoli di pane, che perciò recava seco, tanto che ripetuta sovente quella baia, il delfino gli pose grandissimo amore. Vergognereimi a par­ lare di questa cosa, s’ ella non fosse stata scritta da Mecenate, da Flaviano, da Flavio Alfio, e da molti altri. Da tutte 1* ore del giorno eh’ egli era chiamato da questo fanciullo, benché e’ fosse ascoso e riposto, di subito veniva, e mangiandogli in mano, poi gli porgeva la schiena perchè vi montasse, ascondendo le spine del dosso come se le rimettesse in una guaina. Il fanciullo mon­ tava sul delfino, il quale per lungo spazio di mare lo portava a Pozzuolo alla scuola, e simil­ mente lo riportava a casa ; e qoesto durò molti anni : alfine mortosi il fanciullo di malattia, il delfino venendo al luogo usato, simile a ua die si dolga e si rammarichi, ancora esso, il che nes­ suno dubita, morì di dolore. Un'altro ne fu a questi anni nel lido d’Africa d* lppone Diarrito, che per simil modo mangiava in mano all* uomo, e lasciavasi maneggiare, e scherzava con quei che nuotavano, e portava quei che gli salivano addosso. Dipoi essendo unto da Flaviano proconsolo d’ Africa con odoriferi pro­ fumi , e addormentato, come si vide, per la novità dell’ olezzo, e sbattuto dall'onde quasi che morto, fuggì della conversazione delle per­ sone, come fatto fuggir per ingiuria, per alcani mesi : dipoi ritornato continuò a fare le medesime maraviglie. Ma gli Ipponesi furono costretti uc­ ciderlo per li danni, che ricevevano quegli che alloggiavano i magistrati e uomini grandi, che venivano a vedere.

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HISTORIARUM MONDI LIB. IX.

Ante haee simili· die paero in lasso otrbe Memorantor, cujus amore speciatus loogo tem­ pore, dum a beantem in litas avide sequitur, in arenam invectos exspiravit. Puerum Alexander Magnos Babylone Neptuni sacerdotio praefecit, •morem illum numinis propitii fuisse interpreta­ tas. In eadem urbe lasso Hegesidemus scribit et aliam puerum Hermiam nomine, similiter maria perequitantem, quum repentinae procellae fluctibus exanimatus esset, relatum : delphioumque causam leti fatentem non reversum in maria, •tque in sicco exspirasse. Hoc idem et Naupacti accidisse Theophrastus tradit. Nec modus exem­ plorum. Eadem Amphilochiet Tarentini de pueris delphinisqne narrant. Quae faciunt, ut credatur Arionem quoque citharoedicae artis interficere oautis in mari parantibus, ad intercipiendos ejus quaestus, eblanditum, ut prius caneret cithara, congregatis cantu delphinis, quum se jecisset in mare, exceptum ab nno Taenarium in litus per­ rectam .

Qonus 19 l o c i · s o c i e t a t e riscean».

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Innanzi a qoesta si racconta una cosa simile avvenuta a un fanciullo nella ciltà di lasso, il quale era stato lungo tempo vagheggiato da «n delfino : poiché volendo il delfino seguitare con troppo desiderio il fanciullo, che se n'andava, scorso nell'arena mori. Alessandro Magno volle che quel fanciullo medesimo in Babilonia fosse fatto sacerdote di Nettuno, persuadendo*! che quello amore fosse segno che avesse propizio quel dio. Scrive Egesidemo, che nella medesima città di lasso fu un altro fanciullo, chiamato Ermia, che similmente cavalcava per mare un delfino ; il quale essendo morto per nna subita burrasca, il delfino lo riportò alla riva, e confessando di essere stato cagione della sua morte, non volle piò tornare in mare, ma mori in secco. Scrive Teofrasto ancora, che questo medesimo avvenne in Naupatie. Nè si finirebbe di recarne esempli. 11 medesimo raccontano gli Anfilochi e i Taren­ tini de' fanciulli e de1 delfini. Il che fa che noi crediamo esser vero quel che si dice d'Arione. Fu Arione gran musico, e avendo acquistato in Italia gran ricchezze per la sua arte, tornava in Grecia per mare : onde quei della nave fecero tra loro consiglio d'ucciderlo, e rubargli i denari. Di che avveggendosi Arione, domandò loro di grazi·, che innanzi che l'ammazzassero, lo lascias­ sero cantare sulla sua cetra: con quel canto e suono raunò intorno al uavilio più delfini, e get­ tatosi fra loro, fu ricevuto da uno e portalo • salvamento nel lito dell'isola di Tenaro. I a q o a l i s it i v is c a n t o ess i

in

c o m p a g n ia

DEGLI UOMINI.

E nella Provenza nel territorio di Nimes IX. Est protinciae Narbonensis et in Nemau- IX. uno slagno chiamato Later1», dove i delfìni pesca­ aiensi agro stagnum Latera appellatura, ubi cum no in compagnia degli uomini. Quivi una infi­ homine delphini sncietate piscantor. Innumera vis nita quantità di muggini a certo tempo dell'anno mugilum stato tempore angustis ftucibns stagni per le strette foci dello stagno entra in mare, ap­ in mare erumpit, observata aestus reciprocatioue. postando quando la corsia torna indietro. Però Qua de causa praetendi non queant retia, aeque non si possono tender le reti, perchè esse non molem ponderis nullo modo toleratura, eliamsi reggerebbero tanta mole di peso, quantunque non solertia insidietur tempori. Simili ratione in l ' industria non aspettasse questa occasione. Per •Itum protinus tendunt, quod vicino gurgite questo modo i muggini vanno subito nel prò. efficitur, locumqne solum pandendis retibus habi­ fondo del golfo vicino, affrettandosi di fuggire lem effugere festinant. Qaod ubi animadvertere piscantes (concurrit autem roultiludo temporis solo il luogo adatto a distendervi le reti. I pesca­ tori come ciò osservano (e ve ne accorre gran gnara, et magis eliam voluptatis hujus avida), copia che sa il tempo, e parte anche per godere totosque populus e litore quanto potest clamore cenciet Simonem ad spectaculi eventum. Celeriter di questa difettosa pesca), e tutto il popolo dal lido con quanto posson di voce gridan Simone, delphini exaudiant desideria, Aquilonum flatu perchè succeda lo spettacolo. 1 delfini subito sod­ vocem prosequente, Austro vero tardius ex ad­ disfanno a) desiderio loro, quando regna vento verso referente. Sed tum quoque improviso in auxilium advolant. Properare apparet acies, qoae di tramontana, perchè ei porta loro la voce, la protinus disponitur in loco, ubi conjectus est qaale odon più tardi quando tira ostro, perchè tira in direzione opposta. Ma pur anche allora pugnae: opponunt sese ab alto, trepidosque in

b^3

C. PLINII SECUNDI

vada urgent. Tum piscatores circumdant retia, furcisque sublevant : mugilum nihilomiuus velo· citas transilit. At illos excipiunt delphini, et occidisse ad praesens contenti, cibos in victoriam differunt. Opere proelium fervet, includique reti­ bus se fortissime urgentes gaudent: ac ae idipsum fugam hostium stimulet, inter navigia et Telia, natantesve homines, ita sensim elabuntur, ut exitum non aperiant. Saltu, quod est alias blan­ dissimum his, nullas conatur evadere, ni sub· mittantur sibi retia. Egressus protinus ante vallum proeliatur. Ita peracta captura, quos interemere, diripiant. Sed enixioris operae, qaam in unius diei praemium, conscii sibi, opperiuntur in posterum : nec piscibus tantum,* sed intrita panis e vino satiantur.

A l ia

circa bos m ira .

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sono a tempo, e volano subitamente in aiuto. Vedesi il loro affrettarsi, e lo schierarsi tosto dove ha da succedere la pugna: vengono dall'alto mare incontro ai muggini, e atterriti gli cacciano ne' sili guadosi. Allora i pescatori gli circondano con le reti, cui con le forche sollevano ; e non­ dimeno la velocità de'maggini le passa. Ma i del­ fini gli scontrano, e per allora basta loro uccider­ gli, riserbandosi a mangiargli dopo la vittori*. Quivi combattono valorosamente, e hanno caro d'esser rinchiusi nelle reti, dove gagliardamente stringono i pesci. E acciocché questo medesimo non istimoli alla fuga i nemici, fra i navili e le reti, e gli uomini che nuotano, si destramente passano, ché non mostrano ai nemici vie d'uscita. Nessuno si sfona d'uscirne col salto, il che è age­ volissimo loro, se non son loro abbassate le reti. E qaale è uscito delle reti, subito combatte in­ nanzi allo steccato. Così poi che hanno finita la preda tolgono quei ch'essi hanno ammazzato. Ma perchè essi conoscono, che la fatica che hanno fatta merita molto maggior premio, che il man­ giar d* un giorno, aspettano l ' altro dì, per essere non pur sazii di pesce, ma ancora di pane intriso nel vino. A l t e e £,0x 0 u a e a v ig li o s b cosa.

X. Qaae de eodem genere piscandi in Iassio X. Quel che scrive Muoiano della medesima sinu Mucianus tradit, hoc differunt, quod ultro, maniera di pescar nel golfo di lasso, è differente neque inclamati praesto sint, partesque e mani­ in questo, che i delfini vengon da sè senza esser bus accipiant, et suum quaeque cymba e delphinis chiamati, e la parte, che tocca loro della preda, socium habeat, quamvis noctu, et ad faces. Ipsis la pigliano dalle mani de' pescatori, e ciascuna quoque inter se publica est societas. Capto a rege barca ha per compagno un delfino, benché di Cariae, alligatoque in portu, ingens reliquorum notte, e a lume di facelline. Essi aneora hanno convenit multitodo,moestitia quadam quae posset fra loro una pubblica compagnia. Avendo il re intelligi, miserationem petens, donec dimitti rex di Caria preso e legato nel porto un delfino, una gran moltitudine di altri vi si raunò intor­ cum jussit. Quin «t parvos semper aliquis gran­ no, e con una certa manincttaia, la quale si po­ dior comitatur, ut custos. Conspectique sunt teva bene intendere, domandavano misericordia, jam defunctum portantes, ne laceraretur a belluis. insino a che il re comandò che fosse lasciato ire. C' è di piò, che sempre alcun de' più grandi ac­ compagna i piccoli come per guardia. E già si son veduti, che portavano un morto, perchè non fosse straziato dalle bestie. Db

t o b s io b ib u s .

Da* T orsi ohi.

XI. 9. Quegli, che chiamano torsioni, so­ XI. 9. Delphinorum similitudinem habent, qui vocantur tursiones. Distant et tristitia qui­ migliano a' delfini, ma sono differenti nell' au­ dem aspectus : abest enim illa lascivia, maxime sterità dell' aspetto, perciocché essi non hanno tamen rostris canicularum maleficentiae adsimu- quella vaga piacevolezza : nondimeno tengono molto delie caguuole nel muso e nella mordacità. lati.

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Ds

HISTORIARUM MUNDI UB. IX.

TBSTCDIK1B0S. Q l'A B GESEHA AQUÀT 1L 1BM TBSTODINCH, ET QOOUODO CAP1ABTOB.

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D b l l b t b s t o o o k t i . Q o a l i s p b c ib d i i b s w o g m i d ' a c q u a , b com b si h o u b o

.

io. Il mar d’ india prodoce testuggini XII. 10. Testudines tanta· magnitudines In­ XII. dicam nare emittit, ut singularum superfìcie di tanta grandezza, che con la superficie d'ana di esse si cuoprono le case abitabili, e fra Pisole habitabiles casas integant, atqae insulas Rubri del mar Bosso navigano con queste in luogo di praecipue maris his navigent cymbis. Capiuntur mallis quidem modis, sed maxime evectae io sum­ barche. Esse si pigliano in molti modi, ma sopra tutto quando presso al mezzogiorno vengono a ma pelagi antemeridiano tempore blandito, emi­ galla, stando sopra l'acqoa tranquilla con tutta nente toto dorso per tranquilla fluitantes : quae la schieua : il qual piacere di potere liberamente voluptas libere spirandi in tantum fallit oblitas spirare inganna le meschine dimenticate di lor sui, at solis vapore siccato cortice, oon queaut medesime, che riseccando il guscio loro per la for­ mergi, invitaeque fluitent, opportunae venanlum praedae. Feruot et pastum egressas noctu, avido- za dal sole, quando poi vogliono, non si posson tuffare, e lor malgrado galleggiaodo rimangono qne saturatas lassari: atque ut remeaverint ma­ in preda del pescatori. Dicesi ancora, eh* elle tutino, somma in aqoa obdormiscere : id prodi escono la notte in terra a pasturarsi, e quando stertentium sooitu; tamqoe leviter capi. Adnotare sono ben piene e satolle mancano di forze : e eoim siogulis ternos: a duobus in dorsum verti, a dipoi verso il dì tornando al mare s'addormen­ tertio laqueom injici supinae, atque ita e terra a tano stando a galla ; il che si conosce perch'elle pluribos trahi. In Phoenicio mari haad olla dif­ ficoltate capiootor, oltroque veniant stato tem­ russano forte. Allora si pigliano agevolmente, perciocché tre persone vanno nuotando intorno pore anni in amnem Eleotherum effusa multitu­ a una : due la volgono cou la schiena di sotto, dine. Dentes aon sunt testudini, sed rostri margi­ nes acuii, superna parte inferiorem daudenle il terzo le getta il capestro, e così supine più uomini che sono in terra, le tirano a sé. Nel mar pyxidom modo. In mari conchyliis vivant, tanta di Fenicia si pigliano senza alcona difficolti, poi­ oris duritia, at lapides comminuant : in terram ché da loro stesse vengono a certi tempi dell'anno egressae, herbis. Pariuot ova avium ovis similia, nel fiume Eleatero io gran numero. Le testuggioì ad centena numero : eaque defossa extra aqoas, noa hanno denti, ma Γ orlo del maio taglia co­ et cooperta terra, ac pavita pectore et compla­ me coltello, e la parte di sotto si chiude in quel­ nata, incobant noctibus. Educoot fetus aoooo spatio. Quidam oculis, spectandoqoe ova foveri la di sopra come si chiuderebbe una scallola. In ab iis potant : feminas coilom fugere, donec mas mare vivono d' ostriche, e hanno sì dura la booca, che romperebbon le pietre : uscendo in terra festucam aliquam imponat aversae. Troglodytae cornigeras habent, ut in lyra, adnexis cornibus vivono di erbe. Fanno uova simili a quelle degli uccelli, infioo a cento per volta. Infossante fuor latis, sed mobilibus, quorum in natando remigio dell'acqua, e le cuoprono con la terra : e poiché se adjuvant. Chelyon id vocatur, eximiae testu­ 1' hanno ben accozzate insieme e ripianate col dinis, sed rarae : namque scopuli praeacuti Chelonophagos terrent. Troglodytae autem, ad quos pelto, vi stanno sopra a covarle la notte. Allevano adnatant, at sacras, adorant. Sout et terrestres, i figliuoli in termine di un anno. Alcuni tengono ch'elle covino l'uova loro cogli occhi, solo a quae ob id ία operibus Chersinae vocantur, in Africae desertis, qua parte maxime sitientibus gaardarle. Dicono che le femmine fuggono il areuis squalent, roscido, ot creditur, humore coito, infin che il maschio non mette loro di die­ tro qualche fuscello. Nel paese de'Trogloditi «ono viventes. Neque aliud ibi animal provenit* cornute come una lira, cou larghe corna con­ giunte, ma mobili, cui nuotando adoperano per remi. Chelio si chiama la testuggine di questa specie, che é d’esimia qualità, ma rara. Percioc­ ché gli scogli mollo acuii spaventano i Chelonofagi, cioè quegli, che raangiauo le testuggini. 1 Trogloditi, ai quali elle nuotano, le adorano come sacre. Sono ancora tesluggiui terrestri, le quali per questo dagli artefici, che le adoperuno, son chiamate Chersine. Nascono ne'discrii d'A fri ca, massimamente in quella parte, dove le a t e u e

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c * PUNII SECONDI

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eoa più ardenti; evivono, per quel che si crede, di rugiada. Nè quivi nasce alcuno altro animale. Q u is

p e ih o s t e s t u d ii e i i s b c a r b ib s t i t u b r it .

C hi

f u i l p r im o c h e se g ò i l g u s c io d e l l a

TBSTUGGISE.

XIII. 11. Carvilio Pollione fu il primo, ch e XIII. i i . Teslndinum putamina secare in cominciò segare i gusci delle testuggini in piastre, laminas, lectosque et repositoria his vestire, Carvilius Pollio instituit, prodigi et sagacis ad per ornarne le lettiere e gli armadii. Fu costui uomo d’ ingegno prodigo e sagace a trovare g li luxuriae instrumeuta ingeuii. instrumenti delle delizie. D

D ig e s t io a q u a t i l i u m p e r s p e c ie s .

e g l i a c q u a t ic i o t s t ib t i p u

is p b o k .

XIV. ia. 1 copri menti degli animali di aequa XIV. ia. Aquatilium tegumenta plora sunt. son molti: altri son coperti di cuoio e d i peli, Alia corio et pilis integantur, at vituli et hippo­ potami. Alia corio tautam, at delphini ; cortioe, come i vitelli e gli ippopotami. Altri di cuoio solo, ut testudines ; silicum duritia, ut ostreae et come i delfini; altri di scorza, come le testuggini: alcuni di durezza di pietra, come I1 ostriche e i conchas ; crustis, ut locustae ; crustis et spinis, at nicchii ; di croste, come le locuste; di croste e di echini ; squamis, at pisces; aspera cate, ut sqaaspine, come i ricci marini ; di scaglie, come i tina, qua lignum et ebora poliuntur : molli, at pesci ; di pelle ruvida, come la squatina, eoo la muraenae : alia nulla, ut polypi» quale si pulisce il legno e l’ avorio : alcuni hanno la pelle morbida, come la murena ; altri non hanno pelle, come i polpi. Q u a · p il o v e s t ia n t u r , a u t c a r e a n t ; e t q u o m o d o PABIAHT.

De

VITO LIS MARINIS, SIVB PHOCIS.

Q

o a l i si vestan o d i p e l o , q u a l i i o

TORISCANO. D s ’ v i t e l l i

m a r in i ,

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co m e p a h

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OVVERO FOCHI.

XV. i 3. Quaepilo vestiuntur animai pariunt, XV. i 3. Quegli animali, che son vestiti di ut pristis, balaena, vitulas. Hic parit in terra pelo partoriscono animale, e non nova, come la pecadum more: secundas partu reddit. Inita pistrice, la balena, e il vecchio marino. Questo canam modo cohaeret : parit nonnumquam partorisce in terra, come gli animali terrestri, e geminis plures : educat mammis fetum. Non ante partorendo manda fuori la secondina, ovvero duodecimum diem deducit in mare, ex eo sub­ membrana che avvolge il parto nel ventre. Nel inde assuefaciens. Interficiuntur difficulter nisi coito rimane appiccato, come i cani : ne fa tal· capite eliso. Ipsis in tono mugitas: unde nomen volta piò che due, e gli allieva con le poppe. Non vituli. Accipiunt tamen disciplinam, voceque pa­ gli conduce al mare, se prima non hanno dodici riter el visu populum salutant : incondito fremitu, giorni, e dipoi ne gli comincia avvezzare. Diffi­ nomine vocati, respondent. Nullum animal gra­ cilmente s 'ammazzano, se non sono percossi nel viore somno premitor. Pinnis, quibus in mari capo. Questi animali mugghiano, e perciò furono uluniur, humi quoqne vice pedum serpunt. Pelles chiamati vitelli. Nondimeno s* ammaestrano, e eorum, eliam detractascorpori, sensura aequorum con la voce, e con la vista salutano il popolo ; relinere traduul,seroperqueacslu maris recedente e chiamati per nome rispondono con asprissimo inhorrescere: praeterea dextrae pinnae vim sopo­ urlo. Nessuno auiraale ha sonno più profondo. riferam inesse, somnosque allicere subditam Serpeggiano ancora in terra con le penne, le quali capiti. usano in mare. Le pelli loro ancora cavate dal corpo, dicesi che ritengono il senso del mare, e sempre, quando il mare scema, e la corsia ritorna indietro, s’arricciano. Dicono ancora, che le pen­ ne loro del lato ritto hanno forza d'addormen­ tare,e iucitauo il sonno a chi le tiene sotto il capo. 1 4 . F ilo c a re n tiu m d u o o m n in o a u im a l p a 14. D'animali, che non abbian pelo, due sola­ r iu n i, d e lib im i» «φ v ip e r a . mente sono, che partoriscouo nou uova, ma auimale, cioè il delfino e la vipera.

HISTORIARUM MUNDI LIB. IX.

84ο

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QtJOT OMBRA r a c n w .

Q u a r t i g b b e r i d i pesci c i h a .

X Y 1. Pisoium sant species septuaginta quatuor, praeter crustis ia tecta, quae inot triginta. De singulis alias dicemus. Nunc eoim oaturae «radantur insignium.

XVI. Settantaquattro sono le sorti de* pesci, senza quegli che son coperti di corteccia, i quali sono trenta. Di tutti ragioneremo un* altra volta; perciocché ora si tratta della natura dei più ec­ cellenti.

Q o i MAXIMI MSCES.

Q d a l i siano i p i ù g r a h d i .

XVII. i 5. Praecipua magnitudine thynni : XVII. i 5. Di singoiar grandezza sono i lonoi, invenimus talenta quidecim pependisse. Ejusdem de' quali alcuni si son trovati aver pesato quin­ caudae latitudinem duo cubita et palmum. Sunt dici talenti, e avere avuta la coda larga due brac­ et in quibusdam amnibus haud minores : silurus cia e uo palmo. Sono in alcuni fiumi pesci non in Nilo, esox in Rheno, attilos in Pido, inertia minori, come è il siluro ne] Nilo, l ' eso nel Reno, pinguescens, ad mille «liquando libras, catenato l’ aitila nel Po, il quale per pigrizia ingrassando, giugne alcuna volta al peso di mille libbre : picaptus hamo, nec nisi boum jugis extractus. Atqui honc minimus piscis appellatus clupea, venam glianlo con ami incatenati, nè si può trar fuori, se non a paia di buoi. C' è un picciol pesce, che si qoamdamejusin faucibus mira cupidine appetens, chiama dupea, il quale s'appicca avidamente a morsu exanimat. Silurus grassatur, ubicumque est, omne animal appetens, equos natantes saepe una certa vena, che Pattilo ha nella gola, e col demergens. Praecipue in Moeno Germaniae amne morso Γ uccide. 11 siluro va a divorare ogni ani­ male, dovuoque ne sia, e spesse volte lira a fondo protelis boum, el io Danubio marris extrahitur, poreulo marino simillimus : el iu Borystene me­ i cavalli che vi nuotino. Nel Meno fiume di Lamoratur praecipua magnitudo, nullis ossibus magoa si trae a lerra per forza di buoi, e nel Da­ kpinisve intersitis, carne praedulci. In. Gange nubio con le marre, un pesce mollo simile al porIndiae plalanislas vocant, rostro delphini et cau­ cello marino : e nel Boristene è an pesce molto da, magnitudine autem xv cubitorum. In eodem grande senza alcuno osso o spina, ed ha la carne dolcissima. Nel Gange fiume d 'India son pesci esse Statius Sebosus haud modico miraculo affert, vermes branchiis binis, sexsginta cubitorum, chiamati platanisti, che hanno il ceffo e la coda caeruleos, qui nomen a facie traxeruot. His tantas di delfino, e son grandi quindici braccia. Dice Stazio Sebos· che nel medesimo fiume, cosa che esse vires, ut elephaotos ad potum venientes, mordicus comprehensa manu eorum abstrahant. fa non poca maraviglia, sono vermi verdi eoa due branche, lunghi sessanta braccia, i quali hanno preso il nome dalla iorma ; e hanno tanta forza, che quando gli elefanti vanno a bere, col morso pigliano loro la mano, e tirangli nelΓ acqua. T H Y B in , QORDYLAE, KLAMIDES : m b m b b a t im b x h is salsura.

M e l a n d r y a , apo le ctj, c t b ia .

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TOITHI, CORDILI.!, PBLAMIDI.. TAG LIATI A PEZZI, $' IBSALABO *. MBLABDBIB, APOLETTI, C1BU.

XV 1I1. Thynni mares sub ventre non habent X V ili. 1 tonni maschi non hanno penne sotto pinnam. Intrant e magud*mari Pontum verno il ventre. Di primavera entrano a branchi dal mar grande nel Ponto, nè figliano altrove. I tempore grega tim, nec alibi lelificant. Cordyla figlinoli loro si chiamano cordille, » quali se­ appellantur partus, qui fetas redeuntes in mare autumno comitantur; limosae vero, aut e luto guono la madre che ritorna in mare nell'autun­ no. E perchè stanno nella mota, si cominciano pelamides incipiunt vocari : et quum annuum excessere tempus, thynni. Hi membratim caesi, a chiamar pelamide, e quando hanno passalo cervice et abdomine commendantur, alque clidio, l'anno, si chiamano tonni. Questi si tagliano recenti dumtaxat, et tum quoque gravi ruclu: in pezzi : sono tenuti per on buon mangiare il collo, il grasso, e le gangole solamente fresche, e cetera parte plenis pulpamentis sale adservanlur. Melandrya vocaolur, caesis quercus assulis anoo allora oon grave rutto; 1*altre parti con tulle le polpe s'insalano. Sono pesci che si simillima. Vilissima ex his, quae caudae proxima, quia pingui carent : probatissima, quae faucibus : chiaman melandrie, le qoali paiono appunto asse

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C. PLINII SECUNDI

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at in alio picce airca caudam exercitatissima. Pe­ lamides iu apoleclos parlieulatimque cousectae in genera cybiorum dispertiuntur.

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di quercia segate. Vilissime sono Concharum generi» et pinna est. Nascitor in limosis subrecta semper, nec nmquam aine comitet quem pinnoterem vocant, alii prnnopbylacem. Is est squilla parva : alibi cancer dapis adsectator. Pandit se pinna, luminibus orbum corpus intus minutis piscibus praebens. Adsultant illi protinus, et ubi licentia audacia crevit, im­ plent eam. Hoc tempus speculatus index, morsa levi significat. Illa compressu, quidquid inclusit, exanimat, partemque socio tribuit.

LXV 1. 49· La pinna anch'ella è una specie di nicchio. Nasce tra la belletta, e sta sempre elevala, nè va mai senza compagno, il quale alcuni chia­ mano pinnotere, altri pionofilace. Questo è come una piccola squilla, altrove grauchio, che segue il cibo. La pinna «' apre, e presenta il suo corpo, che dentro è privo di lume, a' pesci minuti. Que­ sti pesciolini corrono tosto, e come dalla appa­ rente sicurezza son falli audaci, entrano io essa, e la riempiono. La spia aveodo appostato questa cosa, con un morso leggiero gliele fa intendere, ed ella strignendo la bocca, uccide tulio quello, eh' ella rinchiuse, e oe dà la sua parte al com­ pagno.

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C. PLINII SECONDI D js s e n s u a q u a tiliu m : t o b f b d o , p a s tin a c a , SCOLOPENDRA, GLANIS : PB ÀS3BTB PICCE.

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STIITACA, SCOLOPBBDBA, OLANO : DBL PESCE MON­ TONE.

LXVII. Qoo magi· miror, quosdam existimas· K , aquitilibus nullum inesse sensum. Novii tor­ pedo vim suam, ipsa non torpens : mersaque ia limo se occultat, piscium qui securi supernatantes obtorpuere, corripiens. Hujus jecori teneritas nulla praefetur. Nec minor solertia ranae, qnae in mari piscatrix vocatur. Eminentia sub oculis cor­ nicula turbato limo exserit, adsultantes pisoicalos pertrahens, donec tam prope accadant, ut adsiliat. Simili modo squatina, et rhombus, abditi pinnas exsertas movent specie vermieolorum : itemque quae vocantur raiae. Nam pastinaca latrocinator ex occulto, transeuntes radio (quod telum est «i) figens. Argumenta solertiae hujus, quod tardis­ simi piscium hi, mugilem velocissimum omnium habentes iu ventre reperiuntur.

43. Scolopendre terrestribus similes, quas centipedes vocant,bamo devoratoomnia interanea evomunt, donec hamum egdrant, deinde resor­ bent. At T u lp e s marinae, simili in periculo glutiunt amplius usque ad infirma lineae, qnae facile praerodant. Cautius qui glanis vocatur : aversos mordet hamos, nee devorat, sed esca spoliat.

44· Grassatur aries, ut latro. Et nnne gran­ diorum navium in salo stantium occultatila umbra, si quem nandi voluptas invitet, exspectat : nuno elato extra aquam capite, piscantium cymbas spe­ culator, occullusque adnatana mergit.

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LXVUI. 45. Equidem et his inesse sensum arbitror, quae neque animalinm, neque fruticum, sed tertiam quamdam ex utroque naturam ha­ bent: urticis dico, et spongiis. Utricae noeta ▼agantur, noetnque mutant. Carnosae frondis his natura : et carne vescuntur. Vis pruritu mordax eademque quae terrestria urticae. Contrahit ergo se quam maxime rigens, ac praenaiante pisciculo

LXVI1. E perciò molto mi maraviglio, come alcuni abbiano creduto che gli aoimali d’ acqua nen abbiano alcun sentimento. Conosce la tor­ pedine la sua forca, non essendo però essa nè torpida nè addormentata, e tuffandosi nella mota si nasconde, e cosi piglia i pesci, che sicuri nuo­ tando sopra essa, ri rimanessero intorpiditi, o addormentati. Non e* è cosa veruna, pià tenera, che il fegato di questo pesce. E non è punto mi­ nore Γ astuzia della rana, che in mare si chiama pescalrioe. Questa bastinola, avendo prima intor­ bidata l'acqua, cara fuora le corna, ohe l’escono di sotto agli occhi, allettando i pesciolini, i qoali le vanno intorno, finché le tengono tanto ap­ presso, che salta loro addosso. A simil modo la squatinae il rombo ascosti muovon fuori le penne 0 de a guisa di vermioeHi: il medesimo fa la rana. La pastinaca sla in aguato, e a modo d*as~ sassioo assalta i pesd, che paesano, trafiggendogli con una punta, che ha per arme. E die ciò sia vero, ne è segno che questi sono i pià tardi pesd che siano, e trovand avere, in corpo il muggine, eh’ è il pià vdoee pesce che viva. 43. Le scolopendre simili a quelle di terra, che d chiamano centogambe, quando hanno in­ ghiottito l’ amo, redono tutte le interiora, finché mettano fuor 1* amo, dipoi le ringhio ttiscono. Ma le volpi marine che abbiano inghiottito l'amo, inghiottiscono ancora tanto che vengano al filo più sottile, il quale facilmente rodono. Però più accortamente fa il pesce che si chiama glano, il qude afferra l’amo a rovescio, nè lo inghiottisce allrimente, ma lo spoglia dell'esca. 44> H montone assalta i pesd come uno assas­ sino : talora s’asconde all’ombra de’navili grossi, 1 quali stanno fermi, e aspetta se alcuno ha voglia di nuotare; e ora alsando il capo fuor ddPacqoa, apposta le barchette de’ pescatori, e di nascose nuotando le mette a fondo. Di

q u b l l i, c k b h a n n o o n a t s b z a n a t u b a , d * a n im a l i b d ’ a l b b b i .

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LXVIII. 45. Io credo anoora ehe abbiane sentimenti quegli, che non sono aoimali, nè al­ beri, ma hanno una terza natura che partedpa dell’ uno e dell’altro, dico le ortiche e le spu­ gne. Le ortiche vanno attorno la notte, la notte molano dimora. Hanno foglie carnose, e pasconsi di carne. Pungono come le ortiche di terra. Ran­ nicchiasi dunque e sta tutta raccolta, e quando

HISTORIARUM MUNDI LIB. IX.

frondem eoam spargit, coraplectensqoe devorat. A lia· marceoli similis, et jactari ac passa flucta algae vice, contactos pisces, attrituque petrae scalpentes pruritum, invadit. Eadera noeta pecti· nea et echinos perquirit: dum admoveri sibi manam sentit, colorem mutat et contrahitur. Tacta uredinem mittit, paullumque si loit inter· T a lli, absconditor. Ora ei in radice esse tradontor, excrementa per somma tenni fistola reddi.

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LX 1X. Spongiarum tria genera accepimus: spissam ac praedaram et asperam, tragos id v o c a ­ tor : minas spissam et mollius, manon t teuae denramqae, ex qoo penicilli, achilleam. Nascuntor omnes in petris: alantur conchis, pisce, limo. Intellectam inesse his apparet, qnia obi avulsorem sensere, contractae, molto difficilius abstrahuntur. Hoc idem flacta pulsante faciant. Vivere eses, manifesto conchae minutae io his repertae osten­ dant. Circa Toronem vesci illis avulsas etiam ajant, et ex relictis radicibas recrescere. In petris era oris qaoqae inhaeret color, Africis praecipue, qoae generantor in Syfrtibus. Maxime fiunt manae, sed mollissimae, circa Lyciam. In profando aatem, tiec ventoso, molliores. In Hellesponto asperae, et densae circa Maleam. Putrescant in apricis locis: ideo optimae in gurgitibus. Viventibus idem,qai mandentibus, nigricans color.Adhaerent neo parte, nec totae: intersunt enim fistulae quaedam inanes, qaaternae fere aot quinae, per quas pasci existimantor. Sunt et aliae, sed superne concretae. Et sobesse membrana quaedam radici­ bas earum iotelligitor. Vivere constat longo tera· pore. Pessimam omnium genas est earum, qoae aplysiae vocantor, quia elni non possant, in qui­ bus utagnae sant fistulae, et reliqua densitas spiata.

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LXX. 4G. Canicularum maxime multitudo circa eas arinantes gravi periculo infestat. Ipsi

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passano i pesciolini, disleode lor sopra le sue frondi, e abbracciandoli gli divora. Alcooa volta come se fosse erba fracida, si lascia portare dal­ l'acqua come l'alga, e preda i pesci che riscontra per via, e che stanno fregandosi a* sassi quando lor prude la foia. La notte cerca de* pettini e degH echini, e quando si sente appressar mano, mata colore, e si rannicchia. Essendo tocca abbrucia come l’orlica terrestre, e se ha pure un poco di spazio, si nasconde. Dicesi ch'ella ha la bocca nella radice, e purgasi per canaluzzi, che sono nell’ estreme foglie. D

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LX 1X. Io trovo che ci son tre sorti di spugne, una spessa, dura e aspra, che si chiama tra­ gos : una spessa, ma pià delicata, detta manon : un’ altra sottile e densa, di cni si fanno i pen­ nelli, e si domanda achilleo. Nascono tutte nel­ le pietre, e pasconsi di nicchii, di pesce e di mota. Vedesi ch'elle hanno intelletto, perchè sì tosto che hanno sentito eoi ai, ehe le vaole spie­ care, ritirate e rannicchiate più difficilmente si staccano. Qaesto medesimo (anno, quando ella sono percosse dall'onde. 1 nicchii minuti, ehe si trovano in esse, mostrano chiaramente ch'elle vivono di esca. Dicesi che ne' dintorni di Torone si pasconp aneora eh' elle sieno spiccate da' sassi, e che ricrescono delle radici lasciate. Talor vedesi ancora il colore del lor sangue nelle pietre, e massimamente in Africa di quelle che nascono nelle Sirti. Qeelle della seconda specie divengono grandissime nei mari della Licia, ma son diKca» tissime : a dov' è più fondo, e che non aia luogo ventoso, sono on po'men delicate. Nell’ Ellespon­ to sono aspre, e dense circa la Malea. Infracidano ne' luoghi solatii, e perciò sono ottime ne' fondi. Vivendo e mangiando hanno un colore, che trae in a erà Stanno attaccate nè in tutto, nè in parte, perchè in più luoghi del corpo rimangon loro come certi canali vóti, quattro o cinque, per li qoali si tiene ch'elle pascano. Ne hanno ancora degli altri, ma riserrati di sopra, e vedesi sotto le lor radici essere nna certa pelle sottile. Trovasi cb’elle vivono lungo tempo. Le peggiori di tutte sono quelle, che si chiamano aplisie, le quali non si possono mai nettare e pulire : hanno grandi i sopraddetti tubi o canali, e nel resto son più deose d'ogni altra specie. D bllb

c a b ic o l b .

LXX. 46· Sono molto travagliati dalle canicole quegli che intorno di loro si tuffano. Essi dicono,

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C. PLINII SECUNDI

ferant, et nnbem quamdam crassescere saper capita, animaliom planornm pisciam similem, prementem eos, arcentemque a reciprocando : et ob id stilo* praeacutos lineis ad nexos habere «ese: quia nisi perfossae ita, non recedant : caliginis et pavoris, ut arbitror, opere. Nabem enim et nebu­ lam ( cujus nomine id malam appellant ) inter animalia haud ullam comperit quisquam. At curo caniculis atrox dimicatio. Inguina, et calces, omnemque candorem corporum appetant. Salus una in adversas eundi, ultroque terrendi. Pavet enim hominem aeque ac terret. Et sors aequa in gurgite : ut ad summa aquae ventam est, ibi peri­ culum anceps, adempta ratione contra eundi, dum conetur emergere: et salus omnis in sociis : funem illi religatum ab humeris ejas trahant: hunc dimicans, ut sit periculi signum, laeva quatit: dextra adprehenso stilo in pugna est : modious alias tractus. Ut prope carinam ventum est, nisi praeceleri vi repente rapiat, absumi spectant. Ac eaepe jam subducti, e manibus auferuntur, si non trahentium opem, conglobato corpore in pilae modum, ipsi adjuvere. Protendunt quidem tri­ dentes alii: sed monstro solertia est navigium subeundi, atque ita e tuto proeliandi. Omnis ergo cura ad speculandum hoc malum iusnmitar.

47· Certissima est securitas vidisse planos pisces : quia numquam sunt ubi maleficae bestiae: qua de causa urinantes sacros appellant eos.

Da BIS QUAB SILICEA TBSTA CLAUDUHTUE. QcAB SUTE SEXSU ULLO 18 MAXI. D b &BL1QDIS SORDIUM ABIMAUBOS.

LXXI. Silicea testa indnsis fatendum est nul­ lum esse sensum, ut ostreis. Multis eadem natutura, quae frutici, ut holothuriis, pulmonibus, stellis. Adeoque nihil non gignitur in mari, ut cauponarum etiam aestiva animalia, pernici mo­ lesta saltu, et quae capillus maxime celat, exsi­ stant, et circumglobata escae saepe extrahantur : quae causa somnum piscium in mari noctibus infestare existimatur. Quibusdam vero ipsis in­ nascantur, quo in numero chalcis accipitor.

che cresce alie canicule sopra il capo una certa n u ­ gola simile a’ pesci piani, la quale gli preme, e non gli lascia ribatter le onte ; e perciò hanno a lili acutissimi attaccati a legnuzxi ; perchè s'elle n on son pante, non si partono; ma credo che ciò avvenga per opera della caligine e della p u r a . Perciocché non c*è niuno ch'abbia trovato mai nè nugolo, nè nebbia, come altri la voglia domanda­ re, fra gli animali. Fassi una terribil battaglia con queste canicule, le quali volentieri s 'appiccano all'anguinaglia e a' piedi dell'uomo, e dovunque veggono bianco. Écci un rimedio solo contra queste bestie, ed è, andare loro incontro, e spa­ ventarle; percioochè esse spaventano l'uomo, e da lai ancora sono spaventate. Mentre che sono sotto acqua, la cosa va del pari, ma quando elle son ve­ nute a galla, quivi è il pericolo dubbioso, perchè l ' uomo non può ir loro incontra, volendo uscir fuori, e ogni salute sta ne'compagni. Costoro tengono in mano una fune legatagli alle spalle, onde colui che combatte, fa cenno del suo peri­ colo, dimenando con la man manca la fune, perchè con la ritta tieu lo stile, e combatte; e a poco a poco è tirato su. E come egli è venuto su presso alla nave, se non lo tirano su con prestezza, lo veggono consumare. E spesse volte ancora, quan­ do è già tratto fuora, è tolto loro delle mani, se esso non si ritira e ripiega oon tutto il corpo, raggomitolandosi, e facendosi in guisa di palla. Alcuni di essi distendono i tridenti, ma qaesto mostro ha ona astuzia di ricoverar sotto il naviilo, e cosi combattere al sicuro. Mettesi dunque ogni diligenza a spiar questa bestia. 47· Certissima sicurezza è il veder pesci pia­ ni, perch* essi non sono mai dove si trovano be­ stie malefiche, e per questa cagione i tuffatori gli chiamano pesci sacri. Di

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LXXI. Chiara cosa è, che quegli che hanno il guscio di pietra, come son l ' ostriche, non han­ no alcun sentimento. Molti hanno la medesima natura, che le piante, siccome sono gli oloturii, i pulmoni e le stelle. Ed è oerto ch'ogni cosa nasce in mare, infino a quegli animaluzzi da ta­ verna, che con veloce salto ci molestano la state, e quegli ancora, che stanno ascosi fra i capegli, i quali spesso, tirando fuora l'esca, vi sono aggo­ mitolati intorno: questa è la causa che alcuni pesci non possono dormir la notte in mare. In alcuni anche nascono naturalmente, fra i quali è la calce.

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HISTORIARUM MONDI LIB. IX. Db T in tu ra M aini.

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D b O LI ANIMALI VBLBI0SI DI HABE.

LXXII. 4«· Nec veneo* cessant dira, ni in lepore : qui in Indico mari eliam tacto pestilens, vomitam dissolotionemqae stomachi prolinos creat: in nostro offe informis, colore tantum lepori similis : in Indis, et magnitudine, et pilo, doriore tantnro: nec vivas ibi capitar. Aeqae pestiferam animal araneas, spinae in dorso acu­ leo noxias. Sed nnllum usquam exsecrabilius, qaam radias, saper caudam emioens trygonis, qoam nostris pastinscam adpellant, qoinconcisli magnitudine. Arbores infixos radici necat : arma, nt telam, perforat : vi ferri, et veneni malo.

LXXII. 48· Sono aneo veleni in mare, come si vede nella lepre marina, Ia quale nel mar d’ in­ dia nuoce ancora a toccarla, e sabito fa io altrui vomito e distemperamento di stomaco. Nel no­ stro mare è un pezzo di carne senza forma, e non somiglia la lepre in altro che nel colore. In India n* è simile di grandezza, e di pelo più duro : quivi non si piglia viva. Un altro animai velenoso è il regnatelo marino, il quale ha solla echieoa una punta velenosa. Ma non ve n’è poi ninno al mondo peggiore di quel che si chiama radio, il quale ha tre ponte sulla coda : i nostri lo chiamano pasti­ naca, di grandezza di cinque onde. Ficcandosi nelle radici fa seccar gli alberi, e fora Γ armi come una saetta : la sua ferita è velenosa, di maniera che nuoce come ferro, e come veleno.

Di MOXBIt VISCIDI!.

D b l l b m a l a t t i b d b ’ p e s c i.

LXX 1II. 49. Morbos universa genera pisciam, at cetera animalia etiam fera, non accipimus sentire. Verum aegrotare singulos, manifestum fadt aliqaorom mades, qaam in eodem geoere praepingues alii capiantur.

LXX 1II. 49· Noi non troviamo che ei pro­ vino le infermiti, come fumo gli altri animali, anche i fieri ; ma nondimeno dal vederne alcuni magri e smorti si conosce ehe anch* essi amma­ lano ; tanto più che della medesima sorte se ne pigliano de1molto grassi.

Dx GB1BBATI0BB ΒΟΒΟΜ.

LXX 1V. 5o. Quonam modo generent, desi­ derium et admiratio hominam differri non pali­ tar. Pisces attritu ventrium coeunt, tanta celeri­ tate «t visum fallant : delphini, et reliqua cete, simili modo, et paa|lo dialius. Femina piscis coitus tempore marem seqoitur, ventrem ejus rostro pulsans : sub partum mare· feminas simi­ liter, ova vescentes earum. Nec sati· est genera­ tioni per se coitus, nisi editis ovis, interverssndo inares vitale adsperserint viras. Non omaibus id contingit ovis in tanta multitudine : alioqoi re­ plerentur maria et stagna, qaam singoli uteri innumerabilia concipiant.

5 i. Piscium ova in mari crescunt, qoaedam summa celeritate, ut muraenarum : quaedam panilo tardius. P la n i pisciam quibus cauda non obest, acoleique, et testudines in ooitu superveniunt t po­ lypi crine uno feminae naribus adnexos sepiae et loligines linguis, componentes inter se bra­ chia, el io contrarium nantes : ore el pariant.

Dbl e s i n a

d b1 p is c i.

LXX 1V. 5o. II desiderio e la maraviglia de­ gli uomini non comporta che si prolunghi di dire in che modo iogenerano. I pesd usano insieme fregando il corpo l'un con l'altro, eon tanta pre­ stezza, che ingannano la vista. I delfini, e gli altri pesd grandi, per simil modo, ma oon più tempo. La femmina nei tempo che tono in amore, va dietro al maschio, e col muso gli percuote il ventre ; e nel tempo del parto simil­ mente il maschio sego*- la femmina, e le mangia l’ uova. Nè alla generazione basta il coito solo, se poi che son nate 1’ uova, il maschio e la fem­ mina voltolandole fra loro, non vi spargono nn cerio umor vitale. E dò non accade in tanto nu­ mero a tutte l’uova, altrimenti s’ empirebbono i mari e gli stagni, perciocché ciascun pesce nè produce infiniti. 5 i. L’uova de1pesci crescono in mare, alcune con gran prestezza, come quelle delle morene, alcune un poco più tardi. 1 pesd piaoi, che non hanno coda, e non aculeo, come le testuggini, si montano nel coi­ to : i polpi usano il coito con un crine congiunto al muso della femmina : le seppie e le loligini eon le liogue, componendo le bracchia fra loro,

G. PLINII SECUNDI 9*>J e nuotando a rovescio: queste partoriscono per Sed polypi in terram verto capile coeant. Reli­ qua mollium tergis, nt canes : item locustae, et bocca. Ma i polpi osano il coito col capo volto alla terra. Gli altri pesci teneri l'usano con le schiene, squillae : cancri, ore. Ranae superveniunt, prio­ ribus pedibus alas feminae mare adprebendente, come i cani : le locuste, le squille e i granchi oon posterioribus clunes. Pariunt miuimas carnes la bocca. Le rane montano, e il maschio piglia coi nigras, quas gyrinos vocant, oculis tantnm et piedi dinauzi le spalle della femmina, e con quei cauda insignes : mox pedes figurantur, cauda dietro la groppa. Partoriscono pezzolini di carne findente se in posteriores. Mirumque, semestri nera, i qnali si chiamano girini. Veggonst solo in vita resolventur in limum nullo cernente, et essi gli occhi e la coda; dipoi si formano i piedi, itarsus vernis aquis renascuntur quae fuere : na­ fendendosi la coda, e facendosi i piedi di dietro. turae perinde occulta ratione, quara omnibus Ed è gran maraviglia, che dopo che son vissute sei roeti, ti risolvono in fango, senza che persona annis id eveniat. le vegga, e di nuovo rinascono nell* acque della primavera quelle che furon nate; e certo eoo occulta ragione, perchè ciò avviene ogni anno. Et mituli et pectines sponte naturae in are­ 1 mituli e i pellini nascono da per loro nosis proveniunt. Quae durioris testae sunt, ut senza coito, prodotti dalla natura ne’ luoghi are­ murices, purpurae, salivario lentore ; sicut aces­ nosi. Quegli che hanno il guscio piò duro, come cente humore culices : apuae, spuma maris inca- le murici e le porpore, nascono di sciliva visco­ lescente, quum admissus est imber. Quae vero sa : le zanzare da umore acetoso, e le acciughe siliceo tegmine operiuntur, ut ostrea, putrescen­ dalla schiuma del mare, che si riscalda, essendovi te limo, aut spuma circa navigia diulius stan­ piovuto sopra. Quegli che hanno il guscio di tia, defixosque palos, et lignum maxime. Nu­ pietra, come 1' ostriche, nascono di mota putre­ per compertum in ostreariis, humorem iis fetifi­ fatta, o di schiuma, la quale sia stata un pezzo cum laciis modo effloere. Anguillae atterunt se intorno a’ navili, e pali fitti, e massimamente in­ scopulis : ea strigmenta vivescunt : nec alia eat torno al legno. Non è molto, che s’ è trovato earum procreatio. Piscium diversa genera non ne’ serbatori delle ostriche, uscir di quelle un coeunt, praeter squatinam et raiam : ex qoibus umore generativo a modo di latte. Le anguille nascitur priori parte raiae similis, et nomen ex si fregano agli scogli, e quello che rimane delle fregate, diventa vivo, nè altro è la loro genera­ utroque compositam apud Graeoos trahit. zione. Diverse sorti di pesci non vanno in frega, oltre la squatina e la raggia ; delle quali nasce una terza specie nelle parti dinanzi simile alla raggia, e appresso dei Greci ha un nome com­ posto dall’ uno e l’ altro. Alcuni nascono a certi tempi dell’ anno al in Quaedam tempore anni gignentur, et in hu­ more, ut in terra : vere peetines, limaces, hirun­ acqua e sì in terra. La primavera i pettini, le lu­ dines eodem tempore viviscunt. Piscium le­ mache, le rondini si fanno vive a un medesimo pos et trichias bit anno parit, et saxatiles omnes. tempo. De’ pesci, il lupo e la triglia figliaa due Malli ter, ut chalcis : cyprinus sexies, scorpiones volle l'anno ; così tulli i sassatili. I mulli tre vol­ b if, ac sargi vere et autumno. Ex planis squa­ te, come ancora le calce : il ciprino sei volte : gli tina bi/: sola autumno, occatu Vergiliarum. Plu­ scorpioni e i sargi doe volte, la primavera e rimi pisdum tribus mensibus, Aprili, Maio, Junio. l'autunoo. De’ pesci schiacciati sola la squatina Salpae autumno : sargi, torpedo, squali, circa figlia due volle, la primavera e nel tramontar aequinoctium: molles vere: sepia omnibus men­ delle Vergilie. Assaissimi pesci in questi tre mesi, tibus. Ova ejus glutino atramenti ad speciem l ' Aprile, il Maggio, il Giugno : le salpe l'autun­ uvae cohaerentia, masculas prosequitur adflatu, no : i sargi, la torpedine e gli squali circa l'equi­ alias sterilescunt. Polypi hieme coeunt, pariunt nozio. 1 teneri nella primavera. La seppia in vere ova tortili vibrata pampino, tanta fecundi­ tulli i mesi. L'uova sue stanno appiccate con tate, ut mollitudinem ovorum occisi non reci­ certa pania d'inchiostro a modo d 'u v a , e il piant cavo capitis, quo praegnantes tulere. Ea maschio soffiando le segue, altrimenti diventano excludunt quinquagesimo die, e qaibas multa sterili. I polpi vanno in amore il verno, e la pri­ propter numernminlercidunt. Locustae, et reli­ mavera fanno l'uova come attortigliate a un qua tenuioris crustae, ponant ova super ova, pampino ritorto, e con tanta fecondità, che non atque ita incubant. Polypus femina modo in ovis capirebbe nel eavo del capo di un polpo ucciso ■edet, modo cavernam cancellato brachiorum quella moltitudine che portò nel ventre una pre-

HISTORIARUM MUNDI LIB. IX.

implexa claudit. Sepia in tem no parit inter araodines, aat sicabi enata alga : excludit qaintodeeimo die. Loligine* ia alto conserta ora •dnnt, at sepiae. Purpurae, narice», ejusdemque generis, Tere pariant. Echini ova pleniluniis habent hiemo: et cochleae hiberno tempore nascuntor.

Qui

906

gnante. Partorisconle in capo a cinquanta giorni, e molte femmiue per il numero grande delle lor nova periscono. Le locuste, e gli altri pesci di più sottil corteccia, mettono uova sopra oova, e cosi le oovano. 11 polpo femmina ora siede sulle uova, ora con lo iotrecdar ddle braccia & caverna, e cosi le ritiene. La seppia figlia ancora io terra fra le canne, o in luogo dove sia aata alga, e partorisce in capo aquindid giorni. Le loligini in alto mare partoriscono le uova appiccate insieme, come le seppie. Le porpore, le murici, e altri simili par­ toriscono la primavera. 1 ned marini hanno le nova il verno a luna piena, e le chiocdole di mare nascono il verno. Q u a l i p a b t o x is c a h o k r t x o m sè

1ΒΤΒΑ SB OVA F A I IA UT, ST ABIMAL.

v o ta b

lb

l ’ a h im a l e .

LXXV. Torpedo octogenos fetas habens in· venitor : eaque io tra se parit ora praemollia, ia alium loeum uteri transferens, atqae ibi excla· dens. Simili modo omaia, qaae cartilaginea ap­ pellavimus. Ita fit, at sola piscium et animal pariant et ova coadpiaat. Silarus mas solus omnium edita custodit ova, saepe et quinquage· oia diebus, ne absumantur ab aliis. Ceterae femi­ nae in triduo exdadant, si mai attigit.

LXXV. La to r p e d in e

s i trn o T a

f ig lin o li, e p a r to r is c e e n t r o d i s im e , tr a s fe r e n d o le d o r è le fa n a s c e re .

in E

coi a t .

o tta n ta

u o ra

teneris­

n n a ltr o lu o g o d d c o r p o ,

p e s d , c h e n o i c h ia m ia m o c a r t ila g ia a t i.

Onde

v ie o e , c h e i p e s d

a n im a le ,

s o li p a r t o r is c o n o

av­

e

c o n c e p o n o n o v a . 11 s ilu r o m a s c h io s o lo d i t a t t i g l i a n im a li g u a r d a sp esso c in q u a n ta tr e d ì

ι ο ι τ α τ ο ι v x s t e x , d e ib

ehe h a

c o s ì fa n n o t u t t i g l i a l t r i

Γ u ova

le m a o d a n

p o i c h e so n n a te ,

g io r n i, p e r c h 1 e lle

m a n g ia te d a g li a l t r i p e s c i.

Qooxmi m f a b t u



L’ altre

f u o r i, s e i l m a s c h io

A* QUALI XXL ΡΑΧΤΟΒ1ΧΒ «I

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SPEZZI IL ΤΧΧΤΧΒ, X POI

SB BB BISALDI LA PIAGA.

LXXVI. Acus, sive belooe, ooaa pisdam dehisceate propter multitadiaem utero parit. A parta coalescit vulnus ; quod et in caecis serpen­ tibus tradunt. Mus marinus in terra scrobe ef­ fosso parit ova, et rursus obruit terra : tricesimo die refossa aperit, fetumque ia aquam dacit.

Q u i VOLTAS

h abeabt

:

q u i s b ip s i i m a i t

.

LXXV 1. Uo pesce, che si chiama ago ovvero belone, partorisce, aprendosegli il corpo per la moltitudine delle uova. Dopo che ha figliato, qudla piaga si risalda, e ciò dicono avvenire anco nei serpenti ciechi. 11 topo marino cava una fossa in terra, e quivi partorisce le nova, e di naovo le ricaopre di terra. In capo a trenta gior­ ni le scoopre, e condace il suo parto nell’ acqua. Q o a l i a b b ia n o m a t x ic i : q o a l i u sib o i l c o i t o f r a s i STESSI.

LXXV1I. 5a. Erythini et ehanae vulvas ha­ bere tradantar : qui trochos appdlatur a Grae­ cis, ipse se inire. Fetas omniam aqaatilwm inter initia visa carent.

Q

o a b l o b o is s im a v it a p is c iu h .

LXXVUI. 53. Aevi pisciam memorandam nuper exemplum acceptmas. Pausilypum villa est Campaniae, haud procal Neapoli ; in ea in

LXXV 1I. 5a. Dicesi ohe i pesd eritini, e le cane hanno le matrici. Quel che i Greci chiama­ no troco, asa il coito fra sè stesso. 1 parti di tatti gli aaimali di acqua mancaoo da prindpio di vista. Q

o a l e s ia l a p iù l d s g a v i t a d e i p i s c i .

LXXVIII. 53. Noi abbiamo poco tempo fa inteso uno esempio notabile della vita dei pesd. Pausilipo è una villa dì Campagna poco lontana da

9θβ

C. PLINII SECONDI

9 «?

Caesaris piscinis a Pollione Vedio conjectam plseem, sexagesimam posi annum exspirasse scribit Annaeas Seneca, doobas aliis aequalibus ejus ex eodem genere etiam Ione viventibus. Qaae men­ tio piscinarum admonet, at paullo plura dicamus hac de re, priusquam digrediamur ab aquati­ libus.

Q u is p a ia o s v iv a b ia o s t b b a iu m n rv E ra a iT .

LXXIX.54.0 strearum vivaria primus omnium Sergius Orata invenit in Bajauo, aetate L. Crassi oratoris, ante Marsicum bellum : nec gulae causa, sed avaritiae, magna vectigalia tali ex ingenio suo percipiens, ut qui primos pensiles invenerit balineas, ita mangonizatas viUas subinde ven­ dendo. Is primus optimam asporem ostreis Lu­ crinis adjudicavit, quando eadem aquatilium ge­ nera aliubi atque aliubi meliora, sient lupi pisces in Tiberi amne inter duos pontes, rhombos Ra­ vennae, maraena in Sicilia, elops Rhodi : et alia genera similiter, ne culinarum censura peraga­ tur. Nondum Rritannica serviebant litora, quum Orata Lncrina nobilitabat: postea visum tanti in extremam Italiam petere Brundisium ostreas: ac ne lis esset inter duos sapores, nuper excogi­ tatam, famem longae advectionis a Brundisio compascere in Lucrino.

Qois FBIHUS U U Q D O M M

PISCIUM VIVA1IA

in s t it u e r it .

LXXX. Eadem aetate prior Licinius Muraena, reliquorum piseium vivaria invenit: cujus deinde exemplum nobilitas secuta est, Philippi, Hortensii : Lucullus exciso etiam 'monte juxta Neapolim majore impendio, qoam villam exae­ dificaverat, euripum et maria admisit : qua de causa Magnus Pompejus Xerxen togatum eum appellabat. Quadragies H-S pisoinae a defuncto illo veniere pisces.

Quis « urabhabum

v iv a b ia ib s t h ^ b b it .

LXXXI. 55. Muraenarum vivarium privatim excogitavit C. Hirrins ante alios, qui cenis triumphalibus Caesaris dictatoris, sex millia nu­ mero muraenarum mutuo appendit Nam per­ mutare quidem pretio noluit, aliave merce. Hujus

Napoli : quivi nelle peschiere di Cesare fu gittato da Pollione Vedio nn pesce, il quale scrive Anneo Seneca che visse sessanta anni ; e due altri, eguali a quello e della medesima sorte, i quali erano ancora vivi. Questa menzione delle peschie­ re ci awertisce a dover dire alcuna altra cosa di questa materia, prima che noi ci partiamo dagli animali di acqua. Chi

usò

paino i

v iv a i d b l l b o s t r ic h e .

LXX 1X. 54. Segrio Orata fu il primo, che al tempo di Lucio Crasso oratore innanzi alla guer­ ra Marsica trovasse i vivai dell* ostriche a Baia, e non fe' ciò per conto di gola, ma per avarizia ; perchè egli cavava gran guadagno di questa sua industria, siccome quegli che fu il primo a tro­ vare i bagni sospesi in alto ; e cosi edificava le ville con simili stanze, e poi le vendeva. Questi fu il primo, che giudicò d1ottimo sapore le ostriche del lago Lucrino, perchè de* pesd son tenuti migliori in un luogo, che in un altro; siccome sono i lucci nel Tevere fra i due ponti, il rombo a Ravenna, le murene in Sicilia, P elo­ pe a Rodi ; e altre sorti simili, per non dare mi­ nutamente giudizio della cucina. Non ci serviva­ no ancora le riviere di Brettagna, quando Orata dava riputazione alle ostriche del lago Lucrino : dipoi ci è parato cosa degna di mandare per le ostriche fino a Brindisi,che è ai confini dell’Italia ; e perchè non fosse lite fra due sapori, nuova· mente si è pensato di coodurle affamale da Brin­ disi, e pascerle nel lago Lucrino. C h i p b im o o r d ir ò v iv a i p b g m a l t b i p e s c i .

- LXXX. In questo medesimo tempo Licinio Murena trovò i vivai degli altri pesci; il cui esempio è stato poi seguito dai Filippi, dagli O r­ tensi!, e dagli altri nobili. Lucullo anch’egli tagliò on monte appresso a Napoli, con maggiore spesa, che non gli era costa la villa, per farvi entrare nn canale di mare. Per la qnal cagione Pompeo Magno lo chiamava Serse togato. Dopo la morte di lui furono venduti i pesci di quel vivaio quat­ tro milioni di sesterni. C h i pbc b i v iv a i d b l l b h u r b h b .

LXXXI. 55. Gaio Irrio fo il primo, che trovò i vivai delle morene, il quale nelle cene trionfali di Cesare dittatore prestò sei mila murene, per­ chè non le volle vendere, nè cambiare ad altra mercanzia. Furono vendati i vivai di costei

HISTORIARUM MUNDI LIB. IX.

9°9

villam intra quam modicam quadragies piecim e vendiderunt. Invasit deinda singuloram piseinm amor. Aptad Battio· io parte Bajana piscinam habail Hortensias orator, in qua muraenam adeo diiexit, ol exanimatam flesse ere· datar. In eadem villa Antonia Drusi maraenae, qaam diligebat, inaures addidit : cajas propter fenum nonnulli Bauloa vivere concupiverant.

Quis ramos cocxuARim

v iv a m i ibstiturrit.

910

In nna piccolissima villa quattro milioni di sester­ tii. Venne poi messo affezione e amore a eiascun pesce. Aveva Ortensio oratore a Banli nel paese di Baia un vivaio, dove egli voleva tanto bene a nna murena, che quando ella mor) fu tenuto che la piangesse. Nella medesima villa, Antonia moglie di Druso mise i pendenti agli orecchi a nna murena, cui ella volea tutto il suo bene ; tanto che già mosse molte persone a venir a Bauli, solo per vederla.

Cnt FU

IL· PRIMO CHB OKDMASS& 1 VIVAI D U U CHIOCCIOLE.

LXXXII. 56. Cochlearum vivaria instituit Folvins Hirpinus in Tarquiniensi, panilo ante ci­ vile bellum, quod cum Pompejo Magno gestum est, distinctis quidem generibus earum, separatim at essent albae, quae in Reatino agro nascuntur : separatim Illyricae, quibus magnitudo praecipua : Africanae, quibus fecunditas : Solitanae, quibus nobilitas. Quin et saginam earum commentus est, sapa et ferre, aliisque geoeribus, ut cochleae quo­ que altiles ganeam implerent : cujus artis gloria in eam magnitudinem perducta sit, ut octoginta quadrantes caperent singularum calices. Auctor est M. Varro.

P isa · tirami. LXXXIli. 57. Pifdum genera etiamnnm a Theophrasto mira produntur: circa Babylonis rigua decedentibus fluviis, in cavernis aquas ha­ bentibus remanere. Quosdam inde exire ad pabola pinnulis gradientes, crebro caudae motu, contraqne venantes refugere in snas cavernas, et in iis adversos stare : capita eorum esse ranae ma­ rinae similia, reliquas partes gobionum, bran­ chias ut ceteris piscibus. Circa Heracleam, et Cromnam, et Lycum, et multifariam in Ponto anum geous esse, quod extremas fluminum aquas sectetur, cavernasque faciat sibi in terra, atque in his vivai, etiam reciprocis amnibus siccato li­ tore. Effodi ergo : motu demum corporum vivere eos adprobant. Circa Heracleam eamdem, eodemqne Lyco amne decedente, ovis relictis, in limo generari pisces, qui ad pabula petenda palpitent exiguis branchiis, quo fieri non indigos humoris: propter quod et anguillas diatius vivere exemplas aquis. Ova autem in sicco maturari, nt testudi­ num. Eadem in Ponti regione adprehendi glacie piscium maxime gobiones, non nisi patinarum calore vitalem motu fetente*. Est in his quidem,

LXXXII. 56. Fulvio Irpino fn quel che or­ dinò i vivai delle chiocciole nel territorio deTarquinii, pooo innanzi alla guerra civile, che fa fatta contra Pompeo Magno ; e P aveva distinte secondo le specie, sicché in un luogo eran le bianche, che nasoono nel territorio di Rieti; altrove quelle di Schiavonia, le quali son molto grandi ; in un' altro le Africane, che soo molto feconde ; altrove le Solitane, le quali sono più nobili. Inventò inoltre la pastura per ingrassarle, mescolando la sapa col farro, e eon altre cose, acciocché le chiocciole ancora accrescessero vi­ vande alla gola : e la gloria di questa arte crebbe tanto, che nn calice di chioccinole, come scrìve Marco Varrone, pigliava ottanta quadranti. P esci

t ir r b b i.

LXXX 111. 57. Teofrasto mette ancora diverse e maravigliose sorti di pesci, e racconta come ne* paesi di Babilonia, i quali sono talora rico­ perti dal fiume, rimangono Tacque nelle caverne; e di quivi escono a pascere certi pesci, i quali adoperano le penne in cambio de1piedi, movendo spesso la coda ; e quando veggono cbe alccno gli seguita, rifuggono nelle caverne, e quivi stanno rivolti alla bocca : il capo loro somiglia alla rana marina, e Γ altre parti a' gobii, e le branche agli altri pesci. Circa Eraclea e Cromna e il Lieo, e in molti luoghi in Ponto è una sorte di pesci, che segue P ultima acqua de’ fiumi, e si fa caverne in lerra, e in esse vive, ancor che rimanga secco il lido, quando il mare torna addietro. Cavangli adunque, e per lo moto del corpo si conosce che son vivi. Intorno alla medesima Eraclea, quando il fiume Lieo vien scemando, delle uova lasciate nella belletta nascono i pesci, i quali con le lor piccole branche camminano a mangiare, il che fanno per non aver bisogno d'amore; e per­ ciò dicono che le anguille ancora vivono lunga­ mente fuor dell* aoqua. Le uova poi si maturano

G. PLINII SECUNDI



tametsi mirabilis, tamen aliqua ratio. Idem tradit in Paphlagonia effodi pisces gratissimos cibis, terrenos, altis scrobibus, in his locis ubi nullae restagnent aqaae : miralusque et ipie gigni sine coito, humoris quidem vim aliam inesse, qaam puteis, arbitrator, cea vero in nallis reperiantar pisces. Qoidqaid est boe, certe minas admirabi­ lem talparom facit vitam subterranei animalia, nisi forte vermium terrenorum et his piscibas natara inest.

nel seoco, come quelle delle testuggini. Nd me­ desimo paese di Ponto si pigliano i pesci nel ghiaccio, massimamente i gobii, i quali non mo­ strano il lor moto vitale, se non per lo caldo delle padelle, quando ai friggono. 11 che, benché sia cosa mirabile, pure non è senza ragione. Scri­ ve il medesimo, che io Paflagonia ή cavano di profonde buche pesci terreni di gratissimo sapa»> re nei luoghi dove non istagoano acque ; e ma­ ravigliatosi anch1egli, come nascano senza coi­ to, porta opinione che siavi in qoelle buche uu certo amore d’ altra virtù ehe non è 1’ aoqua dei pozzi ; come se in veruno di questi non si ritro­ vassero pesci. Comonque sia, questo reode cer­ tamente meno meravigliosa la vita delle talpe, animale che vive sotterra, qaando per avventar» non avessero questi pesci la nalura stessa che i vermi di sotterra. Da’ t o p i

Da vuanvs nr N il o . LXXXIV. 58. Veram omnibus his fidem Nili inundatio, adfert, omnia excedente miraculo : quippe detegente eo musculi reperiuntnr inchoato opere genitalis aquae terraeque, jam parte corporis viventes, novissima effigie etiamnum terrena.

Q

u o m o d o c a p i a s t c * a b t b i a s p is c b s .

LXXXV. 59. Nec de anthia pisce sileri conve­ nit, qoae plerosque adverto credidisse. Chelido· nias insolas diximus Asiae, scopulosi maris, ante promontorium sitas: ibi freqoens hic piscis et ce­ leriter capitor uno genere. Parvo navigio, et concolori veste, eademqoe hora per aliqaot dies continuos piscator enavigat certo spatio, eicamque projicit. Quidquid ex eo mittitur, sospecta fraus praedae est : cavensque quod timuit, quum id saepe factum est, unus aliquando consoetudine invitatas anthias, escam adpelit. Notatur hic intentioAe diligenti, ut auctor spei, conciliatorque capturae. Neque enim est difficile, quum per ali· qoot dies solas accedere audeat. Tandem et ali* quos invenit, paullatimqoe comltatior; postremo greges addacit innumeros, jam vetustissimis quibosque adsoetis piscatorem agnoscere, et e manu cibam rapere. Tam ille paullam altra digitos in esca jaculatus hamum, singulos involat vertas qaam capit, ab umbra navis brevi conatu rapiens, ita ne ceteri sentiant, alio intus excipiente cento­ nibus raptum, ne palpitatio olla aut sonos ceteros abigat. Conciliatorem nosse ad hoc prodest, ne capiator, fugitaro in reliquum grege. Ferunt discordem socium duci insidiatam pulchre noto,

d b l Nilo .

LXXXIV. 58. Ma a tutte qaeste cose aggiu­ sta fede la inondazione del Nilo, la qoale pasta tolte le maraviglie. Perciocché qaando egli rece­ de dalla terra che inondò, si trovano alconi to­ polini, che cominciata già l’ opera dell’ acqoa e della terra genitale, in una parte del corpo vivo­ no, mentre l'ultima ha ancora forma terrena. Cova

n

p ig l i il

pasca

a h t ia .

LXXXV. 5g. Non è da tacere anco del pesce anlia, qoel eh’ io trovo che molti ne hanno cre­ dalo. Le Chelidonie sono isole dell’ Asia, d’ an mare pieno di scogli, poste ionanzi a uu promon­ torio : qoivi i assai di qaesto pesce, e facilmente si piglia, ed i tutto d’ uua sorte. 11 pescatore per alcuni di continua sempre di venire a ona medesima ora, con ana barchetta istessa, e tut­ tavia eo’ medesimi panni; e naviga foora per certo spazio, e getta una medesima esca, perchè qualonque cosa e’ matasse darebbe sospetto al pesce. Quando dunque egli ha fatto ciò piè volte, uoo di qoesti pesci antie, assicorato per l’ usanza, va a pigliar l’ esca. Il pescatore lo con­ sidera diligentemente per poterlo poi conoscere, perchè qoesto ha da essere qael che condaca gli altri. E non è molto difficile a conoscerlo, venen­ do per alquanti di solo. Egli comincia poi a me­ narne degli altri, e a poco a poco s’accompagna ; e finalmente ne meoa infioiti branchi, e già questi, che hanno continuato a venir piò giorni conoscono il pescatore, e pigliano l’ esca di sua maoo. Allora egli destramente ascondendo l’amo nell* esca, nn per volta al gentilmente ne piglia, anzi ne fora, che gli altri non se n’ accorgono.

9(3

HISTORIARUM MtJNDI LIB. IX.

cepweqse malefica voluntate: agnitam in ma­ cello a «odo, cajas iajaria erat : et damni formalam editam, condemoatamqae addidit Macianas aestimata lite decem libri*. Iidem anthiae, qaam .uaam hamo teneri fiderint, «pini·, qoa« io dorso •erratas habent, lineam secare tradaotar : eo qai tene lar, estendente, at praecidi po««it. At inter s»rgos, ipse qai teaetar, ad «copulo* lineam terit.

Da

s t e l l is

3 ,4

Porgeli di nascoso al compagno ; ed egli K mette in barca fra certe lenzuola, aoeioochè nel guizzare non facciano romore, · spaventino gli altri. Ma sopra tatto gli giova conoscer la guida, per non pigliarlo ; perchè egli se ne va in altri branchi, e dipoi similmente gli conduce. Dioono esser gii avvenuto, che venendo discordia tra pescatori, il compagno di quello che gli alletta, per fargli ingiuria e danno prese la guida ; ma avendola colui conosciuta nel mercato, chiamò in giudìzio il compagno, e accasollo d’ ingiuria fatta; ond'egli fu condannato. Maziano v’ aggiugne, che quella lite fu stimata dieci libbre. Questi pesci antie quando veggooo an di loro preso all* amo, con la spina, la quale hanno sulla schiena a oso di sega, tagliaoo il filo ; e quello eh’ è preso lo distende, acciocché si possa tagliare. Ma il sargo da sè medesimo s’ aiata, perciocché qoando egli è rimaso all' amo, frega tanto lo spago a una pietra, che lo rompe.

MAaiau.

D b llb stb llb n a m .

LXXXVI. 60. Praeter haec claro· sapientia •actores video mirari «tellam in mari : ea figara est : parva admodam caro intus, extra duriore callo. Huic tam igneam fervorem esse tradunt, ut omnia in mari contacta adarat, omnem cibam •tatim peragat. Quibus «it hoc cognilum experi· mentis, haud beile dixerim : multo memorabilia* dixerim id, cajas experiendi qaotidie occasio est.

LXXXVI. 60. Oltra di questo io veggo autori chiari per sapienza ammirar la steli·, oh* è in mare. Questa è un piccolo pesce, che di dentro è carne, e di fuori ha il callo molto doro. Dicooo che questo pesce è di sì focosa natura, ch'egli arde latte le cose che tocca in mare, e sabito smaltisce ogoi cibo. Io non saprei gii dire, come ciò si sia potuto sapere, ma dirò oosa più meravigliosa, e di coi si paò vedere ogni dì la praova.

D b d a c t t lo b u m w u c d u s .

D b* d a t t i l i , b l o b o m a & a v io u b .

LXXXVU. 61. Concharum e genere sunt da· ctyli ab humanoram angulum similitudine ap­ pellali. Hi* natura in tenebris remoto lamine, •lio fulgere claro, et quanto magis humorem ha· beant, lucere in ore mandentium, lucere in mani­ bus, atque eliam in solo ae veste, decidentibus guttis : ut procul dubio pateat, sucoi illam natu· ram esse, qaam miraremur etiam in corpore.

LXXXVII. 61 . 1 dattili sooo della specie delle conche, cosi chiamati dalla somiglianza, che haono con l ' unghie amane. La natura di qaesti è di rilucere al buio, qoando non v' è lame, e secondo che hanno più amore, rilacoao io bocca di coloro, che gli maogiano, rilucono io mano, e così anco in terra, e nelle vesti, e nelle gocciole che csggiono, in modo che senza alcun debbio si conosce tale essere la nator· di qoel sago, quale anoora ammiriamo nel corpo.

D i nrancmis i s t e · s b a q u a t iliu m , r r a m ic itiis .

Dbllb

a m ic izib b

miMicnu c h b u n o 1 Μβςι « b a lo b o .

LXXXV 1II. 62. Sunt et inimidtiarnm atque concordiae miracola. Mugil et lupas mutuo odio flagrant: conger et muraena, caudas inter se praerodentes. Polypum in tantum locusta pavet, ut si juxta vidit, omnino moriatur: locustam conger : rursos polypum congri lacerant. Nigi-

LX X X Vili. 6a. Sond anoora i miracoli dlnimidzia, e di coneordia fra i pesci. Il muggine e il lupo son nimici, il congro e la morena, i quali si rodono la coda fra loro. La locusta ha tanta paura del polpo, che s 'ella pur se lo vedo appresso, sabito muore. 1 congri han paura della

9»5

C. P U N II SECONDI HISTOR. MONDI U B . IX.

dìa· aaetor est, praerodere caudam mugili lopam, eosdemqae statis mensibat concordes esse. Omaes aatem vivere, qaibus caadae sic ampu­ tentur. At e contrario amicitiae exempla suol (praeter illos da quorum diximus societate) ba­ laena et musculus : quando praegravi supercilio­ rum pondere obrutis ejus oculis, infestaotia ma­ gnitudinem vada praenatans demonstrat, oculorumqae vice faogitur. Bine volacram natane dicenlar.

9»6

loeasta, e per opposito uccidono il polpo. Scrìve Nigidio, die il lupo rode la coda del muggine, e eh* eglioo in certi mesi dell1 aono sono insieme d'accordo; e che tatti i pesd vivono, ancora che fra loro s'abbiano mozza la coda. Per lo contrario d sono esempii d’amicizia, oltra qaegli, della coi compagnia abbiam ragionato, tra la balena e il topo marino, perciocché il topo guida la balena, e le insegna a schifar le secche, qaando talora le dglia aggravate ricaoprono P occhio, siech* dia non vede lame. Ora ragioneremo ddla natara degli uccelli.

C. PLINII SECUNDI

HISTORIARUM MUNDI LIBER X V O L U C R E M

N A T O R A E

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Db sT*cmocAMBz.o.

I. i. Dequitur nalura aviam, qnarom grandisaimi el paene bestiaram generis, struthiocameli A frici vel Aethiopici, altitudinem equitis iosiden* tis equo excedant, celeritatem vincant: ad hoc demam datis pennis, at carrentem adjavent: cetero non sont volucres, nec a terra tolluntor. Ungolae iis cervinis similes, quibus dimicant, bisulcae, et comprehendendis lapidibus utiles, qaos in faga contra seqnentes ingerant pedibus. Concoqueodi sioe delectu devorata mira natura : aed non minus stoliditas, in tanta reliqui corporis altitudine, qaam colla frutice occultaverunt, Ute­ re sese existimantium. Praemia ex iis ova, pro­ pter amplitudinem, pro quibusdam habita vasis, «onosque bellicos, el galeas adornantes pennae.

Da

PHOBBICB.

U. a. Aethiopes atque Indi, discolores maxime et inenarrabiles ierunt aves, et ante omnes nobi­ lem Arabia phoenicem, haud scio an fabulose, unam in toto orbe, nec visam magnopere. Aqui­ lae narratur magnitudine, auri folgore circa col­ la, cetero purpurea** caeruleam roseis caudam

D b llo

struzzo .

1. i. Seguita la natura degli uccelli, de*quali i grandissimi,e quasi della specie de’bruti, souo git struzzi, i quali nascono in Africa a in Etiopia, e sono pià alti che un uomo a cavallo, e più veloci ancora. Hanno le penne dalla natura non per volare, ma per aiotarli a correre ; per altro non sono uccelli, n i s’ alzano da terra. Hanno le unghie simili a quelle di cerva, con le quali combattono, ed avendole fesse, pigliano i sassi con ette, e fuggendo li tcagliano a chi corre lor dietro. Smaltitcono maravigliosamente ciò che mangiano, ma del pari sciocchi, perchè quando hanno ascoso il collo in qualche arbusto, credono di non esser veduti. Le uova di questi animali, per esser molto grandi, s 'adoperano a far certi vasi» e delle penne loro sì fanno pennacchi per mettere sogli elmi. D

e l l a febtcb.

II. a. In Etiopia e in India sono uccelli di varii colori, e incredibili : fra gli altri in Arabia è la fenice, la quale, non so se favolosamente, dicesi eh* è sola in tutto il mondo, e che di rado si vede. Dicono eh' è grande quante Γ aquila, che intorno al «olio è di color d* oro, il resto è por-

C. PLINII SECUNDI

9*9

pennia distinguentibus, cristi· fauces, capatque plumeo «pice honeslante. Primos atque diligentissimus togatbrum de eo prodidit Manilius, se· nator ille maximis nobilis doctrinis doclore nullo: neminem extitisse qui viderit vescentem : sacrum in Arabia aoli esse, vivere anni· quingentis sexa­ ginta, senescentem casiae thurisque surculis con­ struere nidam, replere odoribus, et superemori. Ex oscibus deinde et medallis ejus nasci primo ceu vermiculum : inde fieri pnllnm : prindpioque justa fonerà priori reddere, el totum deferre nidnm prope Panchaiam in solis urbem, et in ara ibi deponere. Cum hujus alitis vita magni conversionem anni fieri prodidit idem Manilius, iteramque significationes tempestalum et sideram easdem reverti. Hoc autem circa me­ ridiem indpere, quo die signum arietis sol intra­ verit. Et fuisse ejus conversionis annum prodenle se, P. Licinio, Cn. Cornelio coss. ducentesimum quintum decimum. Cornelius Valerianus phoeni­ cem devolavisse in Aegyptum tradidit, Q. Plau­ tio, Sex. Papinio coss. Allatus est et in Orbem, Clandii principis censura, anno Urbis occc, et in comitio propositos, qood actis testatum est, sed quem falsum esse nemo dubitaret.

Aquilaxcm

o u u a

.

9*0

porino ; e la coda, la qual è oernles, è distiate con penne di color di rose. La feccia e il capo ha ornato di cresta. 11 primo Roraaoo che dili­ gentemente scrivesse di questo uccello, fa Mani· lio senatore, quel che senza alcun maestro im­ parò molte dottrine. Dice costai, che nemoao vide mai la fenice mangiare, e che in Arabia è consacrata al sole, e ch'ella vive dnqneceoto ses­ santa anni, e che quando invecchia, si fa on nido di sprocchetli di cassia e d 'incenso, e riempielo d'odori, e poi vi maor sopra. Dipoi dell'ossa e delle midolle sne nasce prima come nn vermelto, che poscia si fa uccello. E prima fa l 'esequie alla g ii morta, e porta tutto il nido presso « Pancata nella ciltà del Sole, e quivi lo mette sull' altare. Dice Manilio ancora, che con la vita di questo uccello si fa la rivoluzione dell' anno grande, e che ritornano da capo le medesime significazioni de* tempi, e delle stelle ; e che questo comincia intorno al mezzodì, nel giorno che il sole entra nd segno delPAriete. Egli mo­ stra che Tanno di questa rivoluzione fu il ducen­ tesimo decimoqninto, essendo consoli Publio Licinio e Gneo Cornelio. Scrive Cornelio Valeria­ no, che la fenice volò in Egitto, essendo oonaoli Quinto Plauzio e Sesto Papinio. Fu portata an ­ co in Roma nella censura di Claudio impera­ dore, Γ anno ottocento dell* edificazione della città, e posta nel comizio, come fanno fede gli alti pubblici t ma niuoo è ohe dubiti dò esaer Calao. SPBCU DI AQOILB.

III. 3. Ex his qua· novimus, aquilae maximus III. 3. Di tutti gli uccelli, dd quali noi ab­ honos, maxima et vis. Sex earum genera : mela- biamo cognizione, grande è l'onore in che si ten­ naetos a Graecis diota, eademque Valeria, nimia gono le aquile, e grandissima la forza loro. S d magnitudine, viribus praecipua, colore nigricans : ne sono le spede, una da'Gred detta melaneto, sola aquilarum fetus suos alit: ceterae, ut dicemus, che anco si chiama Valeria, mollo piccola, ma di fugant: sola sine clangore, sine murmuralione. gran forza, e di color nero : sola essa fra Paqnile Conversatur autem in montibus. Secundi generis alleva i suoi figlinoli ; I* altre, come diremo, gH pygargus, in oppidi· mansitat et in campis, albi­ scacciano : sola non fa romore, nè strepito alcuno. cante cauda. Terlii morphnos, quam Homerus et Questa sta ne'monti. La seoonda spede è il pigarpercaon vocat, aliqui et clangam,et anatariam, se­ go, che abita nelle terre e aei piani, ed ha la eoda cunda magnitudineet vi: huicque vita circa lacus. bianca. La terza sorte si chiama morfho, die da PhemonoS Apollinis dicta filia,dentes ei esse pro­ Omero è detta anche percno : alcnni la doman­ didit, mutae alias, carentique lingua : eamdem a- dano e clanga e *uataria, di seconda grandezza quilarum nigerrimam, prominenliore cauda.Cou- e forza; e questa vive iutorno a'iaghi. Femonoe, aentit et Boens. Ingenium est ei, testudines raptas che fu tenuta figliudla d* A polline, scrìsse che e sublimi jadendo : qnae sors interemit poStam ella ha i denti, e che è mutula e senxa lin­ Aeschylum, praedictam fatis (ut ferunt) ejus diei gua, e che è più nera che 1* altre aquile, e ha ruinam secura coeli fide caventem. Quarti gene­ piò lunga la coda. Questo medesimo afferma Beo. Questa ha uno ingegno di pigliar le testug­ ris est percnopterus: eadem oripelargus, vultu­ gini, e portarle su in aria, poi farle cadere, e cosi rina specie, alis minimis, reliqua magnitudine anleeelleus, sed imbellis et degener, ut quam romperle : di questo modo ebbe morte Eeehilo verberei corvus. Eadem jejunae semper aviditatis, poeta, benché quel giorno egli a*avesae cara di

HISTORIARUM MUNDI L 1B. X.

9**

et querula· marmorationis. Sola aquilarum esa­ nima fert corpora: cetera·, quum occidere, oon· sidant. Haec facit, ut quintam fenus yriivm τοcelar, velut verum, solumque incorruptae ori­ ginis, medis magnitudine, oolore subrutilo, rarum conspectu. Superest haliaeetos, clarissima oculo­ rum acie, librans ex alto sese : visoqoe in mari pisce, praeceps in eum ruens, et discussis pectore aquis rapiens. Illa, quam tertiam fecimus, circa stagna aquaticas aves adpetit mergentes se subin­ do, donec sopitas lassatasque rapiat Spectanda dimicatio, ave ad perfugia litorum tendente, asaxime si oondenea arundo sit : aquila inde ictu abigente alae, et quum adpetit, in lacus cadente : nmbramque suam nanti sub aqua a litore esten­ dente : rusus ave in diverso, et ubi minime se credat exspectari, emergente. Haec causa gregatim avibus natandi, quia plures simal non infestan­ tur, respersu pennarum bostem obcaecantes. Saepe et aquilae ipsae non tolerantes poudus adprebensum, una merguntur. Haliaeetos tantum implumes etiamnum pullos suos percutiens, su­ binde cogit adversos intueri solis radios, et si con­ niventem bumectantemqae animadvertit, praeci­ pitat e nido, velut adnlterinnm atque degenerem: illum, cujus acies firma contra stetit, educat. Ha­ liaeeti suum genus non habent, sed ex diverso aquilarum coitu nascnnlur. Id quidem, quod ex iis natum est, in ossifragis genus habet, e quibas vultures progenerantur minores : et ex iis magni, q ai omnino non geoerant Quidam adjiciunt ge­ nas aquilae, quam barbatam vocant: Tosci vero ossifragam.

N ato* a

baio · .

IV .Tribas primis,et qainto equilarum generi inaedificator nido lapis aetiles, quem aliqui dixere gangitem : ad multa remedia utilis, nihil igne deperdens. Est aotem lapis iste praegnans, intus, qum quatias, alio velai in utero sonante. Sed vis illa medica non nisi nido direptis. Nidificant in petris et arboribus: pariunt etova terna: exdudant pullos binos; visi sunl et tres aliquando.

939

evitare quello inforlanio, predettogli, siccome di­ cono, dagl' indovini per sicuro indiiio del cielo. La quarta specie è il percnottero, nominalo anco oripelargo, che ha la forma di avoltoio, con ali picoole, ma che nella grandezza del corpo l'avanza : però è codardo e vile, siccome qnei che si lascia battere dal oorbo. È sempre ingordo, come se fosse digiuno, e tuttavia urla e stride : esso solo fra l ' aquile porta i corpi morti ; l’ altre oome hanno ammazzato, si fermano. Qaesta & che ls quinta specie si chiami gnesio, come v e n e sola di incorrotta origine: è di mezzana grandez­ za, di color rosso, e rade volte si vede. Rimane quella che si chiama alieeto, di ^acutissima vista. Questa pendendo in aere, e veduto il pesce in mare, precipitosamente vi cala, e fendendo col petto 1* acqua lo piglia. Quella, ehe noi femmo la terza specie, intorno agli stagni segue gli uc­ celli di acqua che continuamente si tuffano, in­ fino a che gli piglia per istraechi. Ed è bellissima soflè, degna di esser vista, perciocché l ' uccello si sforza di rifuggire alla riva, massimamente se vi son canoe folte, e Γ aquila col battere dell* ali lo risospigne di là ; e qaando lo uccello ritorna nel lago, l'aquila gli mostra Γ ombra soa dalla riva sotto acqua, e lo uccello di nuovo vien faori in luoghi diversi, e dove non crede essere aspet­ tato. Questa è la cagione, che gli uccelli nuotano in frotta, perchè qaando sou molti insieme non son travagliali, perciocché spargendo Tacque con le penne, tolgono la vista al nimico. E spesso ancora 1* aquila oon potendo sostenere il peso della preda si tuffa oon essa. Lo alieeto percotendo i figliuoli da principio innanzi che mettano le penne, gli costringe a guardare nei raggi del sole; e se alcuno abbaglia e umetta gli occhi, lo getta fuor del nido come non suo figliuolo, e quello che vi può tener gli occhi fermi, l ' allieva per suo. Gli alieeU non hanno propria specie, ma na­ scono del coito di diverse aquile. Quello che di lor nasce è della generazione degli ossifragi, dai qoali nascono gli avolloi minori ; e di questi poi naacooo i grandi, i quali non ingenerano altri­ menti. Alcuni vi aggiungono ona specie di aquila, la quale chiamano barbala, e i Toscani ossifraga. N atvba

lobo.

IV. Le prime tre sorti loro e la quinta fanno il nido con una pietra, ehe si chiama etite, la quale fu da alcuni detta gangite : è utile a molti rimedii, e non perde nulla nel fnooo. Questa pietra è pregna, e quando tu la diguazzi, pare che ne abbia in corpo un' altra. Ma ella non ha quella virtù medicinale, se non è tolta dd nido, Fanno il nido nelle pietre e negli alberi : parto-

G. PLINII SECONDI Alleram expellant taedio nutriendi. Qaippe eo tempore ipsis cibam negavit natura, prospiciens pe omnium ferarum fetus raperentar. Ungaes quoque earum io vertuntur diebus his, albescunt inedia penoae, ut merito partas saos oderint. Sed ejectos ab his cognatum genus ossifragi excipiant, et educant cam suis. Verum adultos quoque per­ sequitur parens, et longe fugat, aemulos scilicet rapinae. Et alioqui unum par aquilaram magno ad populandum tractu, ut satietur, indiget. De­ terminant ergo spatia, nec in proximo praedan­ tur. Rapta non protinus ferunt, sed primo depo­ nunt : expertaeque pondus, tunc demum abeunt. Oppetunt non senio, nec aegritudine, sed fame, in tantum superiore adcrescente rostro, ut adun­ citas aperiri non queat, A meridiano autem tem­ pore operantur, et volant: prioribus horis diei, donec impleantur hominum conventu fora, igna­ vae sedent. Aquilarum pennae mixtas reliquarum alitura pennas devorant. Negant uraquam solam hanc alitem fulmine exanimatam : ideo armige­ ram Jovis consuetudo judicavit.

QOAKDO LBGIOaUM SIGHA B3IB COEPSEINT.

9*4

riscono tre nova, onde nascono due, e talora anco tre. Talvolta ne cacciano quel terso per tedio di allevarlo, perchè in quel tempo la natara nega loro il cibo ; e cosi ha cara che oon rapissero i figliuoli di tutte le fiere. E similmente in quei giorni si rovesciano loro gli unghioni, e le penne s'imbiancano per la fame, tanto che meritamente hanno a noia fino ai lor figliuoli. Ma scacciati da queste, gli ossifragi che sono della loro spede, gli raccolgono e allevaoo coi lor figliuoli. E poi che son cresciuti, la madre gli perseguita ancora, e di loro la cacda, come concorrenti ddla pro­ da. E certo solo un paio di aquile ha bisogao di an grandissimo paese da predare, per cavarsi la fame. Dividono adanqae gli spaxii, per non pre­ dar Pana appresso Γ altra. Nè portano sabito via le oose che hanno rapite, ma prima le poogon già, e come hanno provato il peso, allora se ne vanno. Muoiono non di vecehiezxa, uè di malattia, ma di fame, perciocché cresce talmente loro il becco di sopra, che non lo possono aprire. Operano e volano nel mezzogiorno : ndle prime ore del di, infino a che i mercati e le piazze si empiono di uomini, stanno oziose. Divorano le penne dell'aquila, se elle si mescolano con qudle degli altri uccelli. Dicono che questo solo fra gli altri uccelli mai non fu morto dalla saetta, e per­ ciò fu detto, che ella porta Γ armi di Giove. Q u a b d o c o m ih c u r o h o o i ì u i co m e d e lle

n s io n

LBaioai.

V. 4· Romanis eam legionibus C. Mariae in V. 4· Gaio Mano nel suo secondo consolalo secundo consulatu suo proprie dicavit. Erat et dedicò propriamente l'aquila alle legioni Roma­ antea prima cum quatuor aliis: lupi, minolauri, ne. Era ancora innanzi la prima insegna, però eoa equi, apriqae singulos ordines anteibant. Paucis quattro altre, del lupo, del minotauro, del cavallo ante annis sola in aciem portari coepta erat : re­ e del dnghiale, e ciascuna di queste andava in­ liqua in castris relinquebantur. Marius in totam nanzi alla sua schiera ; ma non son molti anni, ea abdicavit. Ex eo notatam, non fere legioni· eh' ella si cominciò a portar sola, l ' altre inaegne araqyam hiberna esse castra, abi aquilaram non lasciandosi in campo. Mario le levò via adatto. «it jugam. Da quel tempo in qua s 'è notato, non aver quasi mai vernato legioni in campo, dove non sia an paio d 'aquile. Primo et secundo generi non minorata tan­ La prima e la seconda specie non solamente tum quadrupedum rapina, sed etiam cum cervis fanno preda degli animali piccoli, ma combat to­ proelia. Mullum pulverem volutata collectum, no ancora co' cervi. Questo uccello avendo solle­ insidens cornibus excutit in oculos, pennis ora vata molta polvere con l 'ali, mettendosegli fra verberans, donec praecipitet in rupes. Nec unus le corna, gliele scuote negli occhi, e con le penne hostis illi salis est: acrior est cum dracoae pu­ gli percuote la faccia, io fino a tanto che lo rnina gna, mulloque magis anceps, eliamsi in aere. in qualche balza. Nè gli basta an nimico solo, Ova hic conseciatur aquilae aviditate malefica : che molto più terribil battaglia fa col dragone, e at illa ob hoc rapit ubicumque visum. Ille mul­ molto più dubbiosa aucora, s* è in aria. La serpe tiplici nexu alas ligat, ila se implicans, ut simul seguita l ' oova dell'aquila con rabbiosa ingordi­ decidat. gia, ma Taqaila la rapisce perciò dovunque la vede. Ella eoo molti nodi le avviluppa Pali intri­ candosi in modo, che amendae vengono a un trailo a cadere.

9*5 D*

HISTORIARUM MUNDI L1B. X. aquila ,

QUAB iv

mooon viam us u

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9*G

Di r a ’ AQpiLA G B · OITTOSSt HBL &OGO DOVE ARDEVA VITA FANCIULLA.

VI. 5. Esi percelebris «pad Seston orbem VI. 5. Molto famosa è la gloria di on* aquila aquilae glorie : educatam e virgine retulisse gra­ appresso alla cittì di Sesto. Questa fo allevata tiam, aves primo, mox deinde venatos adgeda una faudulla, e gliene rese poi merito, perchè rentem, Defnoola postremo, in rogom accensum prima le portava degli uccelli eh' ella pigliava, ejus injecisse sese, et simol conflagrasse. Qoam dipoi delle sdvaggine. Finalmente essendo morta ob causam incolae, qood vocant Heroam in eo la fandulla, si gittò nel fuoco e abbrnciò insie­ loco fecere, appellatum Jovis et virginis, quoniam me con essolei. Per la qual cosa gli uomioi del illi deo ales adscribitur. paese edificarono in quel luogo un tempietto in onore dì Giove e della fanciulla, perchè quel­ lo uccello è consaorato a Giove. D* VOLTCH*.

D u i 1a v o l t o i o .

VII, 6. Vultorum praevalent nigri. Nidos VII. 6. Degli avo! toi i neri sono i migliori. nemo adtigit: ideo etiam fuere, qoi potarent Nessuno truova mal i lor nidi : e per questo an­ cora sono stali alcuni, i quali, benché falsamente, illos ex adverso orbe advolare, falso: nidificant enim in excelsissimis ropibos. Fetos qoidem saepe hanno creduto che vengono dall’ altro mondo. cernontor, fere bini. Umbricius aruspicato in Essi per verità fanno nidi in altissime ripe. Uranostro aevo peritissimos, parere tradit ova trede*· brido, il piA eccellente indovino dell’ eli nostra, dm : uno ex iis relique ova nidumque lustrare, dice ehe fanno tredid uova, e che con uno d’essi mox abjicere. Tridoo autem ante advolare eos, purgano l’ altre uova e il nido, e poi lo gellan obi cadavera fotora sunt. via ; e che doe o tre dì innanzi gli avoltoi votano dove hanno ad esser i corpi morti.

Saiqvaui a v is , n immssvLos.

Dst. s a b o u a u

■d b l l ’ n m c s s v L o .

VIII. 7. Sanqualem avem,atque immussolom, V ili. 7. L’ uccello sanguale e lo immussulo è augures Romani in magna quaestione habent. avuto dagli auguri Romani in gran dubbio. Al· Immossolam aliqui vulturis pullum arbitrantur cuoi tengono che l ' immussulo sia il figliuol esse, et sanqualera ossifragae. Massurius Sanqua­ piccolo dell* avoltoio, e il sanguale dell* ossifrago. lem ossifragum esse dicit, immnssulum autem Massurio dice, ehe il sanguale è 1*ossifrago, e che Γ immussulo è il figliuol dell* aquila, prima pullum aquilae, priusquam albicet cauda. Quidam post Modum angorem visos non esse Romae ch’ egli cominci a imbiancar la coda. Alcuni di· confirmavere : ego (qood veri similius) in desidia cono, che dopo Muzio augure qoesti uccelli non furono mai veduti a Roma ; ma io credo che in rerum omnium arbitror agnitos. tanta negligenzie di tutte le cose, qoanto è oggi, non sieno conosciuti ; e qoesto ha pià dd vero. A c c ip it » b * : BUTEO.

S f a iv is m : BUTEOire.

8. Noi troviamo esserci sedici sorti di IX . 8. Accipitrum genera sedeam invenimus : IX. ex ii* aegithum claudom altero pede prosperrimi sparvieri, de* qoali qud che si chiama egito, zoppo da on piede, è di fdidssimo augurio nelle augurii nuptialibus negotiis el pecuariae rei. Triorcbem a numero testium* cui principatum faccende delle nozze e de* bestiami. Qud che si in auguriis PheraonoS dedit: butonera hunc chiama triorehe, così detto, perchè ha tre orchi, appellant Romani, familia etiam ex eo cognomi­ doè tre testicoli, a coi Feraonoe diede il prin­ nata, quum prospero auspicio in dods navi sedis­ cipato negli aogorii, è chiamato da’ Romani bu­ teone, e da lui ha preso il nome ancora la famiglia set. Epileon Graed vocant, qui solus omni tem­ pore apparet: ceteri hieme abeunt. Distinctio de* Buteoni, perchè qoesto eccello si pose nella nave del capitano con felice augurio. 1 Greci chia­ generum ex'aviditate. Alii non nisi ex terra ra­ piunt avem: alii non nisi circa arbores volitantem: mano epileone, quello che solo da ogni tempo si vede; perocché gli altri si partono il verno. L’avialii sedentem in soblimi: aliqui volantem in

C. PLINII SECUNDI

9*7

aperto. Ilaqoe et columbae novere ex iU pericola, viioque considant, vel subvolant, contra nataram ejus auxiliantes sibi. In insala Africae Cerne in oceano accipitres totias Massaesyliae borni feti­ ficent : nec alibi nascentur, illi· adsoeti fentibot.

diti ne forma la distinxione delle speoie. Percioc­ ché aleoni non rapiscono Poecdlo «e non di terra, alcuni qoello che vola iotoroo agli alberi, aleoni qoello che s*è poeto io alto, aleoni qoello che vola 10 loogo aperto. Però le colombe conoscendo que­ sto, per fuggire il pericolo, come 1* hanno veda­ lo, o si fermano, o volano, e aiata osi eoo quello eh* è eoo tra la lor natara. In Cerne isola d’Africa, nel mare, gli sparvieri di tutta Massesilia fanno i nidi in terra ; nè nascono altrove, estendo av­ vero oon qaelle genti.

1 · QUIBUS LOCIS SOCIETATE A 0 C IN T U 1 ΒΤ R O m i S

In c h e

AUCOPBRTUa.

lu o g h i o u

s p a r v ie r i r g l i u o m ir i c o g r l -

LARO COR URA CERTA COMPAGRIA.

X. In Thraciae parte saper Amphipolim homi­ X. la ooa parte della Tracia sopra Anfipoli, nes atque accipitres societate quadam aacopan·· gli uomioi e gli sparvieri uccellano con una certa tur. Hi ex silvis et arondioeti· excitant ave·: compagnia. Gli nomini fanno levar gli eccelli illi supervolantes deprimant. Rorsos captas aoco- ftior delle selve e de* canneti, e gli sparvieri vo­ pes dividant cam iis. Traditum est, missas in lando lor di sopra gli spingono a terra ; e presi sublime sibi excipere eos : et qoum tempus sit ca­ che son gli uccelli gli dividono con esso loro. Di­ pturae, clangore ac volatas genere invitare ad cesi che frittati gli uccelli in alto, gli sparvieri se occasionem. Simile qoiddam lapi ad Meeo tino gli pigliano, e quando è il tempo di pigliare, col paludem laciunt. Nam nisi partem a piscantibus gracchiare e col volo invitano alla occasione. Una suam accepere,expaosa eoram retia lacerant. Acci­ certa cosa simile ftnno i Inpi sulla palude Meo­ pitres aviam non edant corda. Noctornus accipi­ tide. Perciocché se non hanno la parte loro dai ter cymindis vocator, raros etiam in silvis, inter­ pescatori, loro straedano le reti tese. Gli spar­ dia minas cernens. Bellum internednum gerit vieri non mangiano il coore degli ocoelli. Lo spar­ cam aquila, cohaerentesque saepe prehendantur. viere notturno si chiama dmindi, raro anoora nelle selve, e di giorno vede poco. Egli ha g u e r r a mortale con Γ aquila, e spesso sono presi appic­ cati insieme. Q

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QUAS AVIS SIRGULA OVA PARIAT.

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m or to d a q u r l l i d e l l a

SUA «P8CIS : QUALE FA U » UOVO SOLO.

XI. 9. Coccyx ex accipitre videtor fieri, tem­ XI. 9. Pare che Io sparviere diventi cuculio, pore anni figoram mutaos, quoniam tooc non motando figora in certo tempo dell* anno, per­ apparent rdiqui, nisi perquam paacis diebas: ciocché allora non appaiono gli altri, se non per ipse qooqae modico tempore aestati· visos, non pochissimi giorni ; ed esso ancora, che si vede cernitor postea. Est autem neqoe adaocis onper poco tempo della state, non si vede poi. .gaibas solas accipitrare, nec capite similis illis, Solo degli sparvieri non ha gli onghiooi oncinati, neqoe alio qoam eoiore, ac ricto colombi potias. né gli somiglia nel capo, né in altro che n d co­ Quin et sumitur ah accipitre, si qaando ana aplore, ed ha piottosto il becoo del colombo. Di paruere: sola omnium avis a sao geoere interem­ più, d vien morto dallo sparviere, se talora pta. Motat aotem et vocem: procedit vere, occul­ s*incontrano insieme, e questo solo di tatti gli tator Canicolae orto: semperqoe parit in alienis altri occdli è morto da qoegli della sua specie. nidis, maxime palumbium, majori ex parte sin­ Mata anco la voce: apparisce la primavera, e si gula ova, quod nulla alia avis : raro bina. Causa asconde nel nascere della Canicola, e partorisce subjiciendi pullos potator, qaod sciat se invisam sempre negli altrui nidi, massimamente in qoello cunctis avibus, nam minatae qooqae infestant: delle colombelle. Fa le pià volte aao novo solo, ita non fore tutam generi ano stirpem opinator, 11 che non fa alcuno altro accello ; di rado doe. ni fefellerit : quare nullam facit nidom, alioqoi La cagiooe, perché fa I* uova sue ne* nidi d* altri trepidum animal. Edocat ergo «obditam adulte­ si tiene che sia, perchè si conosce odiato da tutti rato feta nido. Ille avidus ex natura, praeripit gli uccelli ; perdocchè fino agli uccelli piccoli gli cibos reliqois poliis, itaque pinguescit, et nitidas danno noia ; e oosì pensa che la sua stirpe non

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HISTORIARUM MUNDI LIB. X.

g3o

in se natricem convertit: illa gaudet «jai specie, miraturqae sese ipsam, qood talem pepererit : m o s comparatione ejos damnat, nt alienos, absuaniqne etiam se i aspettante patitnr, donec corri­ piat ipsam quoque jam volandi potens. Nulla tane avium suavitate carnis comparatur illi.

sarebbe sicura, se non osasse 1* inganno: però egli non fa alcun nido, essendo animai pauroso. 11 suo figliuolo adunque i allevato da un* altra madre, avendo il cuculio adulterato il nido. Que­ sto ingordo per natura toglie il mangiare agli altri, e così ingrassa, e tutto bello e pingue rivol­ ge in sè la bélìa, la quale si rallegra ddla bdlesza d’esso, e maravigliasi di sè stessa, che abbia fililo tale uccello, e biasima i suoi a paragone di esso come strani, e patite· che se gli mangi in sua presenza, in fino che dia addosso a Id aneora, g ii fatto possente a volare. Allora la sua carne è riputata pià saporita, che quella degli altri uccelli.

M il v i .

Niran.

XU. 10. Milvi ex eodem accipitrum genere, magnitudiae differant. Notatum in his, rapacis­ simam et famelicam semper alitem nihil esculenti rapere nmquam ex fanorum ferculis, nec Olym­ piae ex ara. Ac ne ferentium quidem manibus, nisi lugubri municipiorum immolantium ostento, lidem videntur artem gubernandi docuisse cau­ dae flexibas : iu coelo monstrante natura, quod opus esset in profundo. Milvi et ipsi hibernis mensibus lateat, non tamen ante hirundinem abeuntes. Traduntur antem et a solstitiis adfid podagra.

XII. io. I nibbii, del medesimo genere de­ gli sparvieri, sono differenti di grandezza. S’ è posto mente, che benché sia uccdlo rapacissi­ mo e sempre affamato, nondimeno non piglia mai cosa alcuna da mangiare delle vivande de* mortorii, nè ddl* aliar di Olimpia ; ma nè anco dalle mani di coloro, che portano quelle vivande, se non con cattivo augurio ddle terre, che fanno sacrifizio. I medesimi uecdli pare che abbiano insegnata I*arte di governare i na­ vili col voltare ddla coda, mostrando la natura nell* aria quel che bisogoa fare nella acqua. I nibbii anco essi stanno ascosi il verno, ma non però innanzi, che le rondini ύ partano. Dieesi ancora, che nel solstizio hanno le gotte.

D igb stio i v n n m

Dist ra z io n a n i

e in u .

ΧΠΙ. i i . Volacram prima distinctio pedibus maxime constat. Ant enim aduncos ungues ha­ bent, aut digitos, aut palmipedum in genere snnt, uti anseres et aquaticae fere aves. Adancos un· gues habentia, carne tantum vescuntur ex parte magna. CoamcBs : i s a o s m c a t a b a v b s . Q c it o s aoir sirr in a u s p ic a t a * .

* n rs ro u s

v c o b ll i

ssc o r d o sroem.

XIII. i l . La prima distinzione degli nceelli consiste prindpalmente ne* piedi. Perdocchè ο essi hanno gli artigli, o hanno le dita, o hanno palma di piedi, come I* oche, e quasi tutti gli uccelli d*acqna. Quegli che hanno gli artigli, per la maggior parte si pascono solo di carne. CoaiTACCBu : U g c b l ii d i m i o a c o u e io . I · q u a l i HBSI MOV SIEVO DI MULO AUGCBIO.

XIV. is . Cornices et alio pabulo, ut quae XIV. ia. Le cornacchie oltre all* altro modo duritiam nude rostro repugnantem, volantes in di pascere, si alzano in aria volando, e le nod, altam in saxa tegnlasve jaciunt iterum ac saepius, che non possono rompere col becco, pià e pià donec quassatam perfringere qneant. Ipsa ales volte le gettano sopra i sassi, tanto che vengono est inauspicatae garrulitatis, a quibusdam tamen a spezzarle. Qaesto uccello col suo gracchiare laudata. Ab Arcturi sidere ad hirundinum adven­ porta cattivo augurio, ma nondimeno è lodato tum notatur eam in Minervae luds templisque da alcani. Èssi pósto mente, che da che nasce raro, alicubi omnino non aspid, sicut Athenis. la stella di Arturo sino a che vengono le ron­ Praeterea sola haec etiam volantes pullos aliqoan- dini, ella si vede di rado ne’ boschi e tempii di diu pasdt : inauspicatissima fetus tempore, hoc Minerva, e in alcuni luoghi non si vede mai, come in Atene. Oltlra di dò la cornacchia sola est, «post solstitium.

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*3a

G. PLINII SECUNDI

pasce per qualche tempo i suoi figli che pur vo­ lano : è di cattivo augurio nel tempo dal parto, cioè dopo il solstizio. Db

c o e v i ·.

D b' coavx.

XV. Tutti gli altri uccelli del medesimo XV. Ceterae omnes ex eodem geoere pellant genere cacciano i figliuoli del nido, e gli co­ nidis pullos, ac volare cogunt, sicut et corvi: qai et ipsi non carne tantum aluntur, sed robustos stringono a volare, siccome fanno i corbi, i qoali quoque fetus suos fugant longias. Ilaque parvis anch'essi non solamente si pascono di carne, ma ancora quando i figliuoli loro son gagliardi, gli in vicis non plus bina conjugia sunt : circa Cra­ nonem quidem Thessaliae singula perpetuo : cacciano discosti. Laonde ne' piccoli villaggi non genitores soboli loco cedunt. Diversa in hac, ac se ne veggono più che due paia, e circa Cranone di Tessaglia non mai pià che un paio : i padri supradicta alite quaedam. Corvi anle solstitium danno luogo a' figliuoli. Sono alcune cose con­ generant, iidem aegrescunt sexagenis diebus,siti maxime, antequam fici coquantur autumno. Cor­ trarie tra ii corbo e la cornacchia. I corbi gene­ nix ab eo tempore corripitur morbo. Corvi pa- rano innanzi il solstizio, e sono ammalaticci per riunt quum plurimum quinos. Ore eos parere sessanta giorni, massimamente per la sete, che aut coire vulgus arbitratur : ideoque gravidas, patiscono prima che i fichi si maturino nell' au­ si ederint corvinum ovum, per os parium red­ tunno : la cornacchia di quel tempo ammala. dere: atque in totum, difficulter parere, si tecto I corbi per lo pià ne fanno cinque. U volgo Inferantur. Aristoteles negat, non bercule magis, tiene eh* essi partoriscano, o usino il coito per quam in Aegypto ibim : sed illam exosculatio­ bocca; e perciò dicono «he la donna pregna, nem, quae saepe cernitur, qualem in columbis, s 'ella mangia uno uovo di corbo, partorisce per esse. Corvi in auspiciis soli videntor intellectum bocca ; e in tolto il parlo sostiene gran difficolti, habere significationum suarum. Nam quum Me­ solo che queste uova le sieno portate in casa. diae hospites occisi sunt, omnes e Peloponneso Aristotele dice, die ciò non è pià vero che non et Attica regione volaverunt. Pessima eorum si­ sia, che in Egitto si truovi l'uccdlo ibi; ma che gnificatio , quum glutiunt vocem velut stran­ qoel che spesso si vede, è on baciarsi, come fanno gulati. i colombi. Soli i corbi negli augurii pare che in­ tendano i loro significati, perciocché quando i forestieri di Media furono uccisi, lutti volarono fuori del Pdoponneso e del paese d 'Atene. Pes­ simo è il loro aogurio, quaudo essi inghiottiscono la voce, come se fossero strangolati. Db

bcbobb.

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b a b b a g ia n r i.

XVI. Uncos ungues et nocturnae aves habent, XVI. Gli uccelli di notte, siccome sono dut noctuae, bubo, ululae. Omnium horum he· vette, barbagianni e assiuoli, hanuo gli artigli. betes interdiu oculi. Bubo funebris, et maxime Tulli questi veggono poco il giorno. Il barba­ abominatus publicis praecipue auspiciis, deserta gianni è di pessimo augurio, massimameote nel­ incolit : nec tantum desolata, sed dira etiam et le cose pubbliche : abila in luoghi diserti, e inaccessa : noctis monstrum,'nec cantu aliquo massimamente in quegli che danno spavento, a vocalis, sed gemitu. Itaque in urbibus aut omni­ dove a fatica si può ire : egli è un mostro della not­ no in luce visus, dirum ostentum est. Privato­ te, e non cauta ma piange. Quando egli è veduto rum domibus insidentem plurimum scio non nelle città, o pur di gioruo, è di cattivo augurio. fuisse feralem. Volat numquam quo libuit, sed Quando si posò ndle case de' privati, non sempre transversus aufertur. Capitolii cellam ipsam in­ è stato di cattivo augurio. Egli non vola mai travit Sex. Palpelio Histro, L. Pedanio coss. dove vuole, ma è portalo a traverso. E g ii uno propter quod nonis Martiis urbs lustrata est eo n' entrò nella cella istessa del Capitolio, essen­ anno. do consoli Sesto Palpelio lstro e Ludo Peda­ nio, e perdo fu purgata la d iti quell'anno a' sette di Marzo.

HISTORIARUM MONDI LIB. X.

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A i » , QUARUM VITA AUT VOTITI A 1RTBRC1DIT.

U c c e l l i,

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l a c u i v it a b β ο π ζ ι α s o r s i s a p i ù .

XVII. i 3. Inauspicata est et incendiaria «t is , XVII. i 3. Di cattivo augurio ancora è Γ uc­ propter quam saepennmero lustratam urbem in cello detto incendiario, per lo quale si truova annalibus invenimus, sicut L. Cassio, C. Mario nell1 istorie che la città spesso fu purgata, come coss., quo anno et bubone viso lustrata est. Quae essendo consoli L. Cassio e C. Mario, nel quale sit avis ea, nec reperitur, nec traditnr. Quidam anno fu purgata ancora per essersi veduto un ita interpretantur, incendiariam esse quaecum- barbagianni. Non si trova, nè si sa chi sia que­ que apparuerit carbonem ferens ex aris vel al­ sto uccello. Alcuni intendono a qaesto modo, e taribus. Alii spinturnicem eam vocant : sed haec dicono, che incendiario è qual si voglia uccello, ipsa qoae esset inter aves, qui se scire diceret, che si vede portar carbone o fuoco dagli altari. non inveni. Altri Io chiamano spinturnice ; ma io non ho mai trovato chi sappia dir qoale uccello sia questo. 14. Io trovo ancora, che non si sa quello uc­ 14. Cliviam quoque avem ab antiqui· nomi* cello, che gli antichi chiamarono divia. Certi natam, animadverto ignorari. Quidam clamato­ riam dicunt, Labeo prohibitoriam. Et apud Ni­ lo chiamano clamatoria, Labeone proibitoria. E gidium subis appellatur avis, quae aquilarum appresso Nigidio si chiami sabe un uccello, che rompe 1’ uova dell’ aquile. ova frangat. 15. Sono oltre a d ò assaissimi uccelli dipinti 1 5. Sunt praeterea complura genera depicta in Etrusca disciplina, sed ulli non visa : quae nella disdplina Toscana, che non son noti a ve­ nane defecisse mirum est, quum abundent etiam runo : è maraviglia ora che sieno manchi, essendo tuttavia abbondanza di quegli, che la gola umana qaae gula humana populatur. divora. Q u A B A CAUDA VASCAVTU*.



q u a l i b scb p r im a h b l v a s c b b b l a p a b t b d blla coda.

XVIII. 16. Externorum de auguriis peritis­ XVIII. 16. È opinione che degli nomini stra­ nieri Ila abbia ecedlenlissimamente scritto degli sime scripsisse Hylas nomine putatur. Is tradit noctuam,bubonem, picum arbores cavantem, augurii. Costui dice che la civetta, il barba­ gianni, il picchio che cava gli arbori, il trigone trygonem, cornicem, a cauda de ovo exire: quo­ e la cornacchia escon dell’ uova mettendo foor niam pondere capitum perversa ova, posteriorem prima la parte della coda, perdocchè per lo peso partem corporum fovendam matri adplicent. dd capo l’ uova rivolte porgono alla madre la parte posteriore de’ corpi a covare. D

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b v o c t u is .

c iv b t t b .

XIX. 17. Noctuarum contra aves solers di­ XIX. 17. Sono le dvette molto astate a com­ battere con gli altri uccelli. Perciocché qaando micatio. Majore circumdatae multitudine, resu­ pinae pedibus repugnant, collectaeque in arctum, elle sono accerchiate da gran numero, s’ arroveostro et unguibus totae teguntur. Auxiliatur ac­ sdano e combattono co’ piedi, e restringendo» si cuoproo tutte coi piedi · col becco. Lo spar­ cipiter collegio quodam naturae, bellumque par­ viere Γ aiota per ana certa compagnia di natura, titur. Noctuas sexagenis diebus hiemis cubare, e con lei parte la zuffa. Scrive Nigidio che le et novem voces habere tradit Nigidius. dvette covano dae mesi di verno, e che hanno nove vod. D b neo M abtio .

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b l p ic c h io

M a x z io .

XX. 18. Sonci ancora alcuni uccelli piccoli X X. 18. Sunt et parvae aves uncorum angui­ con le ugna undnate, come il picchio, cognomi­ um, u t pici^Martio cognomine insignes, et in auspiciis magni. Quo in genere arborum cavato­ nato Marxio, di grande importanza negli augarii. In qaesto genere sono gli uccelli, che cavano gli res scandentes in sobreptnm feliam modo : illi

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G. PLINII SECUNDI

▼ero et rapini, percossi corlicis sono, pabolam sabesse intelligont. Pallos in c ifii edncant avium soli. Adactos cavernis eoram a pastore cuneos, admota quadam ab bis herba, elabi creditur Tolgo. Trebios auctor est, clavam cuneumve ada­ ctam, qaanta libeat vi, arbori in qua nidam ba· beat, statim exsilire, cum crepita arboris, quum insederit clavo aut cuneo. Ipsi principales Latio sunt in aaguriis, a rege, qui nomen buie avi deditr Unam eoram praescriptam transire non qoeo. In capite praetoris urbani Aelii Tuberonis, in foro fora pro tribanali reddentis, sedit ita pla­ cide, ut manu prehenderetur. Respondere vates, « exitium imperio portendi, si dimitteretur : at si exanimaretur, praetori. » Et ille avem protinus concerpsit : nec multo post implevit prodigium.

D · MU QOl ONO· OVOOBSIABUT.

alberi, i qaali salgono come le faine : qaesti ataodo supioi picchiano, e conoscono se v’ è esca sotto. Essi soli fra gli altri uccelli allevano i figlinoli nel­ le buche, che fanno negli alberi. Crede comu­ nemente il volgo, che quando i pastori hanno turale le buche loro con un conio, il picchio accostandovi certa erba lo faccia cadere. Scrive Trebio, che se un chiovo o conio si caccia con tutta forza nel buco, dov’ è il nido loro, subito salta fuori con istrepito dell'albero, quando il picchio vi si mette sopra. Questi ucoelli sono i prin­ cipali negli augurii appresso de'Latini, per rispet­ to del re loro, che diede il nome a questo occdlo. Io non posso passar oon silenzio uno augurio di esso. Erasi fermato un picchio sul capo di Lucio Tuberone pretore di Roma, il quale ren­ deva ragione in piazza a tribunale, Unto dome­ sticamente, che fu preso con mano. Dieserò gl1 indovini, che se quel picchio si lasciava ire, ne seguiva la ruina ddP imperio, e se s'ueddeva, la morte dd pretore. Ed egli «abile ammazzò lo uccello, e poco dipoi il prodigio ebbe effetto. Di

q obou c u

u n o V c o v a racuuxm.

XXI. 19. Vescuntur et glande in hoc genere, XXI. 19. Molli uccdli di questo genere man­ pomisque maltae, aed quae carne tantum non giano ghiande e frutti, ma son qud che ai pa­ vivnnt, excepto milvo : qaod ipsam in aaguriis scono non di sola carne : se ne eccettua il nib­ dirum est. Uncos uogoes habentes omnino non bio, il quale anch' esso i cattivo negli angoris. congregantor, et tibi quaeque praedantor. Snnt Gli uccelli, che hanno 1' unghie uncinate, non vanno io frotta, ma dascano preda per aè stesso. autem omnes fero altivolae, praeter nodor nas; et magia, majores. Omnibus alae grandes, corpus Volano qoasi tutti alto, fuor che le dvetU, e pià exiguam. Ambalaol difficulter. In petris raro allo i piè grandi. Tutti hanno grandi ale e piccol corpo. Camminano oon fatica. Rade volle ai oonnstont, curvatura unguium prohibento. fermano solle, pietre, per rispetto degli artigli, che son curvi. Da PAvonsos.

Db' r avo· ! .

XXII. ao. Nane de secando genere dicamus, XXII. ao. Parleremo ora del secondo ordine, qaod in duas dividitur species, oscines, et alites : il quale si divide in due spede, gli oscini e gli illaram generi cantus oris, his magnitudo diffe­ diti, che danno gli augurii o eoi canto, o eoi rentiam dedit: itaque praecedent et ordine: volo. Qoegli si differendone per lo canto ddla omnesqoe raliquas in his pavonum genas, quam bocca, e qoesti per la grandezza ; e così prece­ forma, tam intellectu ejus et gloria. deranno ancora per ordiue. Tra qaesti sono i pavoni, per la bellezza, per lo intelletto e per 1« gloria loro. Gemmantes landalosexpandit colores, adver­ Questo ucedlo, quando egli è lodato, dlarga so maxime sole, quia sic fulgentius radiant. Simul i suoi bellissimi colori, massimamente all' incon­ umbrae quosdam repercussus ceteris, qui et in tro del sole, perchè allora piò rilucono. Egli opaco clarios micant, conchata qaaerit cauda: cerca ancora con la coda concava certi ripercoti­ omnesque in acervum coutrabit pennarum, quos menti di ombre ad dtri colori, i quali risplendono spectari gaudet, oculos. Idem, caoda annuis meglio allo scoro ; e racooglie insieme tulli gli vicibus amissa cam foliis arborum, donec rena­ oochi ddle pene, rallegrandosi mollo che gli scatur i tarum eam flore, padibandas ao mae­ sieno gusrdati. Questo uccello ancora perdendo rens quaerit latebram. Vivit annis xxv. Coloro una volta Γ anno la coda i i i c y con le foglie

HISTORIARUM MUNDI UB. X.

937

iocipit fin d m in trimatu. Ab aoetoribos non gloriosum tantum animai hoc traditor, sed «t malevolum, sicut anser verecundum : quoniam ha· quoque quidam addiderant nota* inhia, band probata* mihi.

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XXIII. Pavonem cibi gratia Romae primo* oo> cidit oralor Hortensios, adì tù li eoena sacerdotii, Saginare primo* ioatiioit droa noviuimum pira­ ticam bellum M. Aufidius Larco, exqae eo qoae· a tu redito* sestertium sexagena millia babuiL

D b OA U .U ACBI*.

XXIV. t i . Proxime gloriam sentiunt et hi nostri vigile* nocturni, quo* excitandi* in opera «nortalibos, rompendoqae somno natara genuit. Norunt sidera, et ternas distiogaunt horas in· terdiu canta. Cara sole eaut cubitam, qaartaqae castrensi vigilia ad curas laboremque revocant. Nec solis ortom iacaatis patiuntur obrepere, diemque venientem nuntiant canta, ipsam vero cantam plausu laterum, imperitant suo generi, e t regnum in quacumqoe sant domo, exercent Dimicatione pariiur boc quoque inter ipsos, ve­ la t ideo tela agnata cruribus suis iotelligentes : nec finis saepe commorientibu*. Quod si palma contingit, statim in victoria canunt, seque ipsi principes testantur. Vietus occultatur silens, aegreque servitium patitur. Et plebs tamen ae­ que superba, graditur ardua cervice, cristis celsa: cnelumque sola volucram aspidt crebro, in su­ blime caudam quoqoe falcatam erigens : itaque terrori sunt etiam leonibus ferarum generosissi­ mis. Jam ex his quidam ad bella tantam et proelia assidua nascantur, quibus etiam patrias nobilitarunt, Rhodum, ac Tanagram. Secundus eat honos habitus Mdids, et Chalddicis,nt plane dignae aliti tantum honoris praebeat Romana parpura. Horam sunt tripudia solistima. Hi ma­ gistratus nostros quotidie regunt, domosqne ipsis suas claudant aut reserant : hi fasces romanos impellunt aut retinent, jubent acies aat prohi­ bent, victoriarum omnium toto orbe partarum auspice*: hi maxime (erraram imperio imperant, extis etiam fibrisque haud diter quam opimae victimae dii* grati. Habent ostenta et praepo­ steri eorum vesperlinique cantas. Namque totis noatibos canendo, Boeotiis nobilem illam adver-

*38

degli alberi, finché dia di nuovo gli rinaace eoi fiori, vergognoso e malcontento cerea di stani ascoso. Vive venticinque anui. Di tre anni co­ niinda a metter fuora i colori. Scrivono gli au­ tori, che questo animale non solo è borioso, ma maligno ancora, siccome Γ oca è vergognosa ; perchè certi hanuo aggiunte a sì fatti animali queste proprietà, che io punto non approvo. C u TU IL p a in o CHS UCCIDBSSB 1 PAVOMI PBE ■ABG1ABU. C hi OBD18Ò A MGBASSABM.

XX II I. Ortemio oratore fu il primo, che ammanò in Roma il pavone per mangiarlo nd lauto convito pontificale. Marco Aufidio Lurcone fu il primo che ordinò a ingrassargli, circa l'ulti­ ma guerra dd eorsdi; e di dò fece una entrata di sessanta mila sesterni. Dai

GALLI.

XXIV. ai. Dopo i pavoni i galli seno i pià vaghi uccelli: esd soa le nostre guardie not­ turne, prodotti ddla natura per destare gli ttomini alle opere, e per rompere il sonno. Essi conoscono le stdle, e il giorno cantano di tre ore in tre ore. Vanno a dormire insieme eoi sole, e nella quarta vigilia castrense richiamano alla cura e alle fatiche. Nè vogliono che il sole si levi, che noi non lo sappiamo, ma eel canto aonundano il giorno ebe viene, e innanxi che can­ tino dibattono con le d i. Comandano alla loro stirpe, e io ogni casa dove sono, hanno il lor regno. Combattono ancora per questo regno fra loro, quasi come se conoscessero che la na­ tura abbia per ciò posto loro le armi nelle gam­ be ; e spesse volle la xufia finisce con la morte. Colui che vince subito canta per la vittoria, dando segno della sua superiori li. Il vinto si nasconde e sta cheto, e malvolentieri sopporta la servilà. An­ che la plebe loro è del pari superba : vanno con la testa alta e con la cresta ritta, ed essi soli fra gli dtri uccelli guardano spesso il cielo, e ris­ iano ancora la coda in arco, e perciò spaven­ tano fino ai lioni, nobilissimi fra tutte le altre fiere. Alcuni di essi nascono solamente per far guerre e battaglie, con le quali anco banno nobilitato le patrie loro, Rodi e Tanagra. 11 se­ condo onore è dato a quegli di Mela e di Calcide, e molto onore fa a questo uccello la porpora Romana. Questi soli fanno il tripodio solistimo, ovvero Γ augurio che si traeva dal modo dd loro mangiare. Questi tutto il giorno reggono i nostri magistrati, e aprono e serrano le case loro : questi spingono, o ritengono i fasd Romani ; fanno ire le schiere in battaglia, o le rileogono,

C. PUNII SECUNDI

9*9

sai Lacedaemonios praesagivere victoriam, ita conjecta interpretatione, qooniam victa ale· illa non caneret.

Q

u om o do c a s t b b k t u b .

Da g a l l in a c e o

locu to.

94®

• sono auspici di tutte le vittorie acqoistate per tatto il mondo. Qaesti son quei, che reggono lo imperio del mondo ; e il fegato e le interiora loro sono grate agli dei, come si sieno le vittime opime. Hanno augurio i lor eanti fatti fuor di tempo, o suU’abbrunare. Certo cantando essi tutta la notte indovinarono quella nobil vittoria, che i Beotii ebbero eontra i Lacedemoni!, essendosi fatta conghiettura che qaesti eccelli non.avrebbon cantato se fossero stati vinti. C om e

s i c a s t b ib o .

Di

d i g a llo chb fa v e l l ò .

XXV. Desinant canere castrati : quod duo- XXV. Non cantano più, qoando son castrati ; bns fit modi· : lambis adostis candente ferro , il che si fa in due modi, o abbruciando loro i lom­ aat imi· craribas: mox hulcere oblito figlina bi con un ferro rovente, o abbruciando le parti creta : facilius ita pinguescunt. Pergami omniba· basse delle gambe : poscia · ’ impiastra il luogo anni· spectaculum gallorum publice editar, ceu con terra da stoviglie, e così più facilmente in­ gladiatorum. Invenitur in annalibus, in Arimi­ grassano. In Pargamo si fa ogni anno pubblica­ nensi agro, M. Lepido, Q. Catulo coss. in villa mente uno spettacolo di galli, come di gladiatori. Galerii locatum gallinaceum, semel, quod equi­ Trovasi nell* istorie, come nel territorio d* A ri­ dem sciara. mino, essendo consoli Marco Lepido e Quieto Catulo, nella villa di Galerio oo gallo favellò ano volta sola, eh1 io sappia. D bll'

D a AirsBBB.

oca.

XXVI. aa. Et anseri vigil cura, Capitolio XXVI. aa. Sogliono 1* oche ancora avere una testata defenso, per id tempus canam silentio pro· cura molto vigilante ; di che fa fede il Capitolio da lor difeso, essendo in quel tempo spacciate ditis rebus. Quam ob causam cibaria anserum cen•ores in primis locant. Quin et fama amoris, Aegii le cose per rispetto del silentio de'cani. Onde i dilecta forma pueri Olenii, et Glauces Ptolemaeo censori, la prima cosa che fanno, preizolan per­ regi cithara caoeotis, quam eodem tempore et sona che abbia da dar mangiare all* oche. Dicesi aries adamasse proditur. Potest et sapientiae vi­ anco che in Egio una oca s*innamorò g ii di un faodullo, che avea nome Oleno, e in Egitto deri intellectus bis esse. Ita comes perpetuo adhae­ sisse Lacydi philosopho dicitur, nusquam ab eo, un* altra s* innamorò di Glauce, che sonava la cetera al re Tolomeo, della quale in quel me­ non in publico, non in balneis, non noctu, non interdiu digressas. desimo Ιςιηρο era anco innamorato un montone. Si tiene che questo uccello abbia intelletto e sapere, perciocché si trovò gii uoa oca, la quale amò tanto Lacide filosofo, che non se gli partiva mai da lato in luogo alcuno, nè in pubblico, nè al bagno, nè di di, nè di notte.

Quis PBIMUM JECUR AVSSMVUM mSTITOTT.

C hi

f u i l f e im o c h b m a b o iò f e g a t o d * o c a .

XXVII. Nostri sapientiores, qui eos jecoris XXVII. Ma i nostri furono assai più savii, i bonitate novere. Fartilibus in magnam amplitu­ quali seppero conoscere la bonti del fegato loro : dinem crescit : exemplum quoque lacte mulso questo ingrassa molto tenendolo in istia, e cre­ sce ancora qoando tratto fuor d d corpo è mes­ augetur. Nec sine causa io qoaestione est, quis primas taotum bonum invenerit, Scipione Metel­ so nel latte e nel vin melato. E non senza cagio­ lus vir consularis, an M. Sejus eadem aetate eques ne si dubita chi fu il primo a trovar tanto bene, Rom. Sed (quod constat)Messalina· Cotta, Mes­ se Scipione Metello stato conso!o,oM.Seio in qoel salae oratoris filius, palmas pedum ex his torrere, medesimo tempo cavalier Romano. Ma questo si sa por certo, che Messalino Gotta, figlicelo di atque patinis com gallinaceorum cristis condire

HISTORIARUM MUNDI UB. X.

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repent Triboetnr enim a ma colini· cujosque palma cam fide. Miram in hac alite, a Morini· asqae Romam pedibas venire. Festi proferantur ad primos : ita celeri stipatione naturali propel· lunt eos. Candidorum alteram vectigal in pluma. Velluntur qaibusdam locis bis anno. Rursus plu­ migeri vestiuntur : mollior, quae corpori proxi­ ma : et e Germania laudatissima. Candidi ibi, verum minores, gantae vocantur. Pretium plu­ mae eorum, in librat denarii quini. Et inde cri­ mina plerumque auxiliorum praefectis, a vigili statione ad haec aucupia dimissis cohortibus totis. Eoque deliciae processerei sine hoc instrumento durare jam ne virorum quidem cervices possint.

Da c o m a g b b o . XXV II I. Aliud reperii Syriae pars, quae Comagene vocatur : adipem eorum vase aereo cum cinnamo nive malia obrutum, ac rigore gelido maceraturo, ad usum praeclari medicaminis, qaod ab gente dicilar Comagenum.

C h ebalofbcss , c b b h b b o tb s , t b t b a o b b s , o t id i» .

X XIX. Anserini generis sunt chenalopeees, et quibas lautiores epulas non novit Britannia, chenerotes, fere ansere minores. Decet tetraonas suus nitor, absolutaque nigritia, in superciliis cocci rubor. Alterum eorum genus valturum magnitudinem excedit, quorum et colorem red­ dit. Nec ulla ales, excepto struthiocamelo, majus corpore implens pondus, in tantum aucla, at in terra quoque immobilis prehendatur. Gignunt eos Alpes, et septemlrionali· regio. In aviarii· saporem perdunt. Moriuntur contumacia spirita revocato. Proximae eis sunt, qaas, Hispania aves tardas appellat, Graecia olidas, damnatas in ci­ bis. Emissa enim ossibu· medulla, odori· taedium extemplo sequitur.

G aobc.

94»

Messala oratore, fu il primo che cominciò arro­ stir le palme de* piedi, e acconciarle insieme con le creste de* polli ; perocché io non son per tor­ re a niuno 1* onore, che ·’ ha guadagnato nella cucina. Maravigliosa cosa è di que«to uccello, che se ne viene a piedi da* Morini fino a Roma. Quando alcuna è stanca, chi la conduce la porta fra le prime, perchè la lor natura è d* andar sì strette, che quelle dietro spingendo aiutano quel­ le dinanzi. Écci uno altro guadagno dell* oohe bianche nella piuma : pelansi in certi luoghi due volte l*anno, e di nuovo si vestono di piuma, ed è più delicata quella chf è più presso al cor­ po : la miglior viene di Lamagna. Quivi son bianche, ma piccole, e chiamansi gante. Vale la libbra di qoella piuma cinque denari; onde na­ sce il disordine ne* capi dei soldati, i quali ab­ bandonando spesso la notte il luogo delle guar­ die, vanno a questa uccellagione. E gii siamo venuti in tanta delicatezza, che Γ uomo non può posare il collo senza questo (strumento. D

bll* oca

C om agbba.

XXVIII. Un'altra gentilezza a* è trovata in Comagena, parte della Siria : tolgono il grasso d* oca in un vaso di rame col cinnamomo, e co­ pertolo di neve, lo fanno macerare dal freddo, e fannone un* ottimo medicarne, chiamato Co· mageno. ' C

h b b a l o p b c i , c h b b b b o t i , t e t b a o h i , o t id b .

XXIX. Di specie d 'oche sono i chenalopeci e i chenero li, i quali in Inghilterra son tenuti per le migliori vivande del paese, e son minori delle oche. Sono belle le telraooe, per la loro perfetta nerezza, la quale riluce, ed hanno le ciglia rosse, come di grana. Un* altra specie loro è maggiore degli avoltoi, e li somiglia anco nel colore. Nè si trova altro uccello di mag­ gior peso, fuor che lo struzzolo, e cresce in mo­ do che non si può muovere di terra, e baciasi pigliare. Nascono nell* Alpi e nel paese setten­ trionale. Perdono il sapore e la bontà loro nei serbatoi. Muoiono per tirar Palilo a sè con gran­ de ostinazione. Dopo questi sono quegli, che la Spagna chiama uccelli lardi, e la Grecia otide, i quali non eoo troppo buoni da mangiare. Per· ciocché la midolla dell* ossa loro uscendo foori, di subito ristucca e fa fastidio. D blt.b

gbd.

XXX. a 3. lnducia· habet gen· pygmaea ab­ XXX. a3.1 pigmei hanno tregua, quando le gru si partono da loro, come abbiam Hello di scessa gruum ( ut diximus ) cum iis dimicantium.

C PUNII SECUNDI

943

944

Immensos est tracia», qao veniant, ή qui» repu­ tet a nari Eoo. Qaando profidsaantor oon—otinnt : volant ad prospiciendum alte : dacem, qaen seqaaotar, «ligant: in extremo agmine per vice», qni todament, disposilo· habent, et qni gregem voce contineant. Excobias babent nocturnis temporibus, lapillum pede sustinen­ tes, qni laxatas sanino et decidens indiligentiam coarguat. Ceterae dormiant capite sabter alam «ondilo, alternis pedibus insistentes. Dux erecto providet collo, ac praedicit. Eaedem mansuefactae lasciviant, gyrosque quosdam indecoro cursa »d singulae peragant. Certam est, Pontum transvo­ laturas, primam omniam angustias petere, inter duo promontoria Criumetopoo, et Carambin : mox saburra stabiliri. Qaam mediam transierint, abjici lapillos e pedibus : qaam attigerint con­ tinentem, et e gettare arenam. Cornelius Nepos, qai divi Augusti principatu obiit, quum scribe· ret turdos paullo ante coeptos saginari, addidit, deonias magis placere, quam grues : quum haee none ales inter primas expetatar, illam nemo velit attigisse.

sopra, perehi combattono con essi. Immenso è il viaggio dal mare Orientale, onde partono, fio a dove vengono. Qaando si partono s’ aceordan tette, volano io alto, per veder di lontano, e ri eleggono una guida da seguitare, e tengono nella retroguardia alcooe d’esse, che gridano a vioenda, e eon la voce tengono a ordine la schiera. La notte hanno chi fa la guardia, e tengono alto o d piè, eon oo sassolino dentro, acciocché se s’addormen­ tassero, per lo romore che fa la pietra ascendo loro del piede, si vengano a destare. L’ altre dor­ mono col capo sotto l’ a le , fermandosi ora su an piede, or sull’ altro. La guida col collo ritto ή guarda intorno, e fa segno all’altre. Questi uccelli come sien domesticati, scherzano, e con goffo cor­ rere fanno certi giri. Dicesi che quando die hanno a passare il mar di Ponto, prima vanno dove è più stretto fra i due promontorii Criumetopo e Carambi, e quivi poi per volare eon pià fermezza s’ empiono il gozzo di rena. Quando hanno pas­ sato il mezzo, lasciano andare i sassolini, e qaan­ do toccano terra ferma, rigettano la rena. Cor­ nelio Nipote, il qual morì nel principato d’ Au­ gusto imperadore, scrivendo che poco prima s’ era cominciato a ingrassare i tordi, soggiunse ehe le cicogne piacevano pià che le grò ; e non­ dimeno ora la grò è posta fra i primi uccelli, e della cicogna non c* è pure ehi ne voglia assag» giare.

Os acomis.

D i l l i c ic o g h e .

Infioo ad ora oon s’ è potuto sapere, XXXI. Ciconiae qaoniam e loco veniant, aut XXXI. quo ae referant, incompertum adhuc est. E lon­ donde vengano le cicogne, mi dove elle vadano. ginquo venire non dubium, eodem quo grues Chiaro è, ch’ elle veogooo di diseosto, oome modo : illas hiemis, has aestatis advenas. Abitu­ fanno aoeo le grò, ma le grò il verno, queste la rae congregantur in loco certo : comitataeque eie, state. Quando eoo per partire, si rsooaoo ia oo ot nulla sui generis relinquatur, nisi captiva et laogo determinato, e cosi aoeompegnate ehe non serva, eeu lege priedieta die reeedent. Nemo vi­ ue rissane addietro aleena, se oon è presa, quasi dit agmen discedentium, quum discessurum ap­ per legge si partono il giorooordinato. Nessuno le vide mai partirsi, bench’ die siano apparecchiale pareat : nee venire, sed venisse cernimus : utrum­ que nocturnis ftt temporibus. Et quamvis ultra al partire ; nè anco le veggiamo venire, ma poi­ citrave pervolent, numquam tamen advenisse ché son venate ; ehè l’ ano e l’ altro fanno di usquam, nisi noeta, existimantur. Pythopos co­ uotte tempo. E benché elle volioo di qua e di rneo vocant io Asia patentibus eampis, ubi con­ li, nessuno perà le vede mai venire, se non che gregatae inter se commurmurant, eamque quae si stimano esser giunte di notte. Chiamasi in novissime advenit, lacerant, atque lia abeunt. Asia Pitooo oome il luogo d* ona campagna lar­ Notatum, post idos Aagastae non temere visas ga, dove minandosi pigolano fra loro, e l’ ulti­ ibi. Sunt qui cieoniis oon inesse lioguas confir­ ma ehe viene l’ ammazzano, e così se ne vanno. S’ è posto mente, che dopo i tredici d'Agosto ment, Honos io iis serpentium exitio tantus, ot io Thessalia capitale fuerit oeoidisse, eademqoe die non si veggono molto quivi. Alcuni tengo­ no che le cicogne non abbian lingua. Questi uc­ legibus poena, qoae in homicidam. celli sono tanto onorati in Tessaglia, perchè am­ massano le serpi, che c* è pena la vita a chi gli ammazza) pena ohe per legge si d i a chi uccide

HISTORIARUM MUNDI LIB. X.

94«



946 Da'

O LO I1ID I.

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XXXII. Simili ansere· qaoque et olore· ra­ XXXII. A questo modo anoora fanno pas­ tione commeant : sed horum volatus oernitur : saggio Γ oche e i ceceri, ma il partir di qaesti liboraiearom modo rostrato impeto feruntar, fa- uccelli si vede : vanno con la parte innanzi ap­ dlios ita findentes aera, quam ai recta fronte portata, a guisa di brigantini armati di rostro, impellerent: a tergo seosìm dilatante se cuneo feodeodo cosi pià facilmente l'aria, che s'elle porrigitur agmen, largeqae impellenti praebetor volassero con fronte distesa : -di dietro a poco a aerae. Colla imponant praecedeotibos : fesso· poco s'allargano, esseodo la loro schiera come daees ad terga recipiant. Ciconiae nidos eosdem un oonio, con la panta avanti, la quale vinoe in repetant : genitricam «enectam invicem educant. largo la resistenza dell'aria. Posano il eolio sopra Olorum morte narrator flebili· canius (falco, ut di quelle che vanno innanzi, e quando tono strac­ arbitror), aliqoot experimentis, lidem mutua che le gaide, le ricevono di dietro. Le cicogne tornano allo stesso lor nido, e nndriscono il padre carne vescuntor inter se. e la madre, quando son vecchi. Dicesi che i ceceri, quando giungono alla morte, fanno on lamentevol canto { la qual cosa è falsa per molti esperimenti. Questi uccelli si mangiano Pan l'altro. Db a via os pBuoaims « l o t t id s s ,

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COTC1 BI, GLOTl, OCBAMO, OTI.

XXX 11I. Veram haec commeantium per maria XXX II I. Ma questo lor passaggio per mare terraaque peregrinatio non patitor differriminores e per terra non patisce differire gli occelli mi­ quoque, quibas est natura similis: oteomqoe enim nori, che sono di simil natara ; perocché riguardo supradictas magnila Jo et vires corporum invitare a' sopraddetti, pare che la grandezza del corpo videri possint. Coturnices ante etiam semper-ad· e le forze gl' invitino a veoire a noi per si lunga veniant, quam grues : parva avis, et qoam ad via. Le cotornici sogliono venir prima ehe le gru : noe venit, terrestris potius, qoam sublimis. Ad­ è picciolo uccello, e qoando viene a noi, vola piut­ volant et hae simili modo, non sine periculo na­ tosto a terra,che in alto. Volano queste ancora nel vigantium, qaum adpropinqaavere terris. Quippe medesimo modo,e non senza pericolo de'navigan· veli· saepe incidunt, et hoc semper noctu, merti, qaando s'appressano alle terre. Perciocché guotqoe navigia. Iter est his per hospitia certa. spesse volte si fermano eolie vele, e questo sempre Anatro non volant, huroido scilicet et graviore di notte, e affondano i navili. Fanno il passaggio vento. Aura tamen vehi volont, propter pondos loro per alberghi osati. Non volano qoaodo è corporum, viresque parvas. Hinc volantium illa vento di mezzodì, che è veoto umido e grave. conquestio labore expressa. Aquilone ergo maxi­ Vogliono però aver vento per rispetto del peso me volant ortygometra dtice. Primam earum de' corpi e delle lor poche forze ; e di qui è, terrae adpropinquantem accipiter rapit. Semper qaando volano, quel lor rammariccbio pien di hinc remeantes comitatam sollicitant : abeontque fatica. Passano dunque volentieri, qaando è tra­ nna persuasae glottis, et otos, et ejehramus. montana, avendo per guida 1' orligometra. La prima di loro, che s'appressa a terra, è presa dal­ lo sparviere. Sempre che di qaa se ne ritornano, avvinano quegli occelli che hanno ad essere com­ pagni lorot onde le tre altre specie, del gloto, dell' oti e del eicramo partono nna con esse. Gioiti) praelongam exserit lingoam t onde ei Il gloto mette fuori una lingua mollo lunga, nomen. Hanc initio blandita peregrinatione avide onde n'ha preso il nome. Questo da principio per profectam, poenitentia in volatu, eom labore sci­ desiderio del passaggio ri parte volentieri, di poi licet, sabit : reverti incomitatam piget, et seqni : si pente, perchè volando si stanca ; ma non gli è nec oroqaam plus ano die pergit : in proximo meno grave il ritornarsene poi. solo,che non fosso hospitio deserit. Veram invenitor alia, anteoe? l ' ire innanzi : non seguita la schiera mai pià d'un dente anno relicta : simili modo in sioguloa dies. giorno,e lascia i compagni nel primo alloggiamen­ Cychramus perseveranlior festinat etiam perve­ to. Qui però ne trova on altro lasciato l'anno in­ n ire ad expetita· sibi terras. Itaque noctu is eaa nanzi} e per simil modo ogni altro giorno. Il

C. PUNII SECUNDI

Uy

exdtat, tdmoiietqm itineri*. Otus bubone minor « t, nociai* major, aaribus plumeis eminentibus: unde et nomea illi : qaidam latine asionem vo­ cant: imitatrix alias ari* ac parasita, et quodam genere saltatrix. Capitor hand difficulter, ot no· etoae, intenta in aliqno, circomennte alio. Qood *i ventus agmen adverso flata coeperit inhibere, pondascalis lapidum adpreheosia, aut gotture arena repleto, stabilitae volant. Coturnicibu· ve· neni semen gratissima* cibas : qoam ob causam eas damnavere mensae, simulque comitialem propter morbam despai saetam, quem solae ani­ malium sentiant, praeter hominem.

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deramo piò saldamente «'affretta di giugnere alle terre da lui bramate, e perciò sveglia i compagni la notte, e li sollecita al viaggio. L’oti è minore del barbagianni e maggiore che la dvetta : ha le orec­ chie grandi fornite di piume, onde prese il nome. Alcuoi in latino lo chiamano astone: qoesto è ano uccello, che contraili molto gli altri, ed è come lor buffone, contraffacendogli con varii ge­ sti. Pigliasi agevolmente come le civette, mentre che bada un altro, che gli va d’ intorno. Che se il vento comincia a soffiar incontra, pigliano certi sassolini ne’ piedi, o s’ empiono il gozzo di rena, e volaoo piò saldamente. Il seme velenoso è cibo gratissimo alle coturnici,e per questa capone si sono poco osate alle tavole, e anco per rispetto del mal caduco, al qual male, infuor che l'uomo, altro animale non i soggetto.

HraunuBt*.

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b o b d iv i .

XXXIV. 34. Abeant et hirundines hibernis XXXIV. Le rondini aneora sono di passag­ mensibus, sola carne vescens avis ex iis qaae gio il verno : questo uccello è solo di tutti quegli, aduncos ungaes non habent: sed in vicina che non hanno l’ unghione torto, che si pasca abeant,aprioos secutae montium recessas: inven- di carne ; ras vanno in luoghi vidni, seguendo taeque jam sunt ibi nndae atque deplames. The­ Je piagge solatie de’ monti, dove se ne sono g ii barum tecta subire negantur, quoniam urbs illa trovate ignude e senta piume. Dicesi ch’elle non saepius capta sit : nec Bizyae in Thracia, propter entrano nelle, case di Tebe, perchè qudla città scelera Terei. Caecina Volaterranus equestris più volte è stata presa; nè anco nella città di ordinis, quadrigarum dominus, comprehensas in Bizia in Tracia per rispetto delle scelleraggini urbem secum auferens, victoriae nuntias amicis di Tereo. Cecina Volterrano cavaliere, signore mittebat, in eumdem nidum remeantes, illito vi· delle carrette, le pigliava in Roma, e le portava ctoriae colore. Tradit et Fabius Pictor in anna­ seco, e qoaudo nel correr de* cavalli avea vit­ libus suis, quum obsideretur praesidium Roma­ toria, le rimandava, e così faceva sapere la vit­ num a Ligustinis, hirundinem a pullis ad se adtoria sua agli amici; perch’elle tornavano al pro­ latam : ut lino ad pedem ejas adligato nodis si­ prio nido del color della vittoria. Scrive Fabio gnificaret, quoto die adveniente auxilio eruptio Pittore ne* suoi annali, eh’ essendo assediato il fieri deberet. presidio Romano da’ Liguri, gli fu recata una rondine, la quale aveva il nido e i figliuoli in quella rocca, ed egli le legò on filo al piè, il qoale aveva tanti nodi, quanti dì egli avea a stare a potergli soccorrere, acciocché quel giorno essi s* apparecchiassero a far sortita. Ds a v ib c s w o s t b is q u a b d is c b d u h t , i t

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a r e p b b d o b o l b f iu m e in s i t i b b m i t t o b t o m a ,

LUMBBS. S t u BBOBUM BT HIBUBDIBUM VOLATUS.

COLOMBI SALVATICBI. V oLA B B D IG LI STO BH B LU B DBLLB BORDIVI.

XXXV. Abeontet merulae, turdique, et stur­ XXXV. Sono anoora di passaggio e i merli ni simili modo in vicina. Sed hi plamam non e i tordi e gli stornelli, ma in luoghi vidni. Però •mittunt, nec occultantur: visi saepe ibi, quo questi non perdono le piume, nè si nascondono, hibernum pabulum petunt : itaque in Germania ma sono sempre veduti quivi, dove pigliano il hieme maxime turdi cernuntur. Verius turtur cibo dal verno. E per qaesto in Lamagna il ver­ oecultatur, pennasque amittit. Abeunt et palum­ no sono di molti tordi. La tortora s’ asconde la bes, quonam et in iis incertum. Sturnorum generi primavera, e perde le penne. Vanno via ancora

HISTORIARUM BRINDI LIB. X.

949

propriam eatervatim volare, et quodam pHae orbe ctrcamagi, omnibas in mediam agmen tendenti· bai. Vblucrum toli birandini flexuosi volata· velox celent··: qaibu· ex causisneqae rapinae celeraram «litam obnoxia .est Ea demam «ola aviam nonnisi in volata pasdtar.

Quah a v iu m m m · , TBiMxrraxs :

q u a b sb m b s t e b s , q d a b

g a l o c l i,

n n u .

le colombelle, e non ή sa dove. Proprio degli •tornelli è di volare a «chiare, e avvolgersi per Paria come in una palla, sforzandosi tutti di esse· re nel mezzo. Sola la rondine fra gli uccelli ha il volo tortuoso, ma di grandissima prestezza : per queste cagioni non può esser preda degli altri uccelli. E questo solo uccello ancora si pasce vo­ lando. , Q o i U UCCELLI STIM O SEMFXB IV UBA B B G IO n , QUALI S II MISIf QOALI T U ! OOGOU, MJBOLB.

XXXVI. a5. Temporum magna differentia XXXVI. a5. Gran differenzia de* tempi è ne­ avibus. Perenne·, at colambae ; semestres, at hi- gli uccelli. Sono alcuni, che atanno sempre, eome randioes; Irimeitm, ak tardi el tartare·: et le colombe; alenai aei meai, coqae le rondini; qoae, qaam latam eduxere, abeant, at galguli, altri tre mesi, eome i tordi e le tortore ; e alcuni ancora ci tono, ehe quando hanno allevati i apapae. figlinoli ae ne vanno, come i gogoli e le bnbole. Mumomnss.

M in ora» .

XXXVII. a6. Aaetorea sunt, omnibas anni· XXXVII. 26. Scrivono aleoni, che ogni anno advolare Iliam ex Aethiopia aves, et confligere vengono uccelli a Troia d1 Etiopia, e che com­ •d Memnonis tamolam, qnas ob id memnonidas battono alla sepoltura di Mennone, i qoali per* vocant. Hoc idem quinto qooqae anno facere ea· ciò si chiamano Mennonidi ; e che Canno queato in Aethiopia circa regiam Memnonis, exploratum medesimo ancora ogni cinque anni in Etiopia, «ibi Cremutias tradit. intorno il palazzo di Mennone ; e questo dice Cremazio aver· per cosa certa. Mblkagxidbs.

Mbleagbidb.

XXXVIII. Simili modo pagnant mdeagrides XXXVIII. In questo medesimo modo com­ in Boeotia. Africae hoc est gallinarum genas,' battono le meleagride in Beozia. In Africa que­ gibberum, variis sparsum plumis: quae novisti* sta è una sorte di galline gobbe, sparse di varie jmae «unt peregrinarum avium in menaas rece­ piume : queste «on 1* altime degli uocelli fore­ ptae propter ingratum viros. Verum Meleagri stieri ricevute alle tavole, per rispetto del loro tumulus nobiles eas fecit. malvagio odore. La «epoltara di Meleagro le ha nobilitate. S blscodxs.

S b l b u c id i .

XXXIX. 27.Seleucidesaves vocantur, quarum X X X IX .27. Gli uccelli Seteuddi «i chiaman adventum ab Jove precibus impetrant Casii mon­ quegli, la coi venuta gti abitatori del monte Casio tis incolae, fruges eorum locustis vastantibus. impetrano da Giove con preghi, quando le lo­ Nee unde veniant, quoque abeant, compertum, custe guastano le lor biade. Non ai troova nè numqoam conspecti·, nisi qaam praesidio earum donde vengano, nè dove vadano, nè mai si son indigetur. veduti, se non qoando s'ha bisogno dell’ aiu­ to loro. b is .

I bi.

XL. 28. Invocant et Aegyptii ibes saas eon tra serpentium adventum : et Elei Myiagron deum, muscarum multitudine pestilentiam adforente : quae protinus intereant, qaam litatum est ei deo.

XL. 28. Invocano gli Egizii ancora le loro ibi eontra la venuta delle serpi, · gli Elei s'aocomandano al dio Miagro, per la pestilenza recala dalla gran qoanlità delle mosche; le quali muoio­ no subito quel giorno die a' è latto sacrifido · qud dio.

C. PLINII SECUNDI Q

QU ALI UCCBLLI IH QOALI LOOOBI « 0 « SIIBO.

u a b q v is u s l o c is a t u boh i i r t .

XLI. »9. Sed ra seeessu aviam el noctuae pano» diebus latere traduntur : quarum genas in Greta tarala non esi : etiam si qua invecta sit, emoritor. Nam baec quoque mira naturae diffe­ rentia : alia aliis locis negat : tamquam genera frugum fruticumve, sic et animalium, non nasci, translatitiom : invecta emori, mirum. Quid est illud uoius generis salati adversum f quaeveista naturae invidia ? aut qui terrarum dicti avibus termini f Rhodos aquilam non babet. Trauspadana Italia juxta Alpes Larium lacum appellat, amoenum arbusto agro, ad quem ciconiae non permeant : sicari nec octavam citra lapidem ab eo, immensa alioqui finitimo losubrium tractu examina graculorum aaonedolaromque, cui soli «vi furacitas argenti aurique praecipue mira est. Picus Martius in Tareutioo agro negatur esse. Nuper, ed adhuc tamen rara, ab A pennino ad orbem verras cerni doepere picarum genera, quae longa insigne· cauda variae appellantur. Pro­ prium bis calveseare omnibus annis, qaam serantar rapa. Perdices non transvolant Boeotiae fines in Attica : nee nlla avis io Ponto, iosula qua ap­ palta* est Achilles, sacratam ei aedem. In Fidenate agro jaxta urbem ciconiae nec pullos, nec nidam faciunt. At in agrum Volaterranum palumbium vis e mari quotannis advolat. Romae in aedem Herculis in foro Boario nec muscae, nec canes intrant. Malta praeterea similia, qnae prudens •ubinde omitto in singulis genaribos, fastidio par* cena : qnippe quum Theophrastus tradat inverti­ ti·· esse in Asiam etiam columbas, et pavones, et corvos, et in Cyrenaica vocale· tana·.

D s oscnron

g b b e h ib c s , b t q u a b m u ta w t c o lo & e k b t vocbm .

XLII. Alia admiratio circa oscioes: fere mu­ tant eoiorem vocemque tempore anni, ac repeute fiunt aliae 1 quod io grandiore alitum genere grues tantum : hae enim senectute nigrescunt. Merula ex nigra rufescit, canit aestate, bieme balbutit, àrea solstitium muta. Rostrum qnoque anniculi· in ebur transfigurator dumtaxat maribue. Tardi· color «estate circa cervicem varius, hieme concolor.

XLI. 09. Dicesi ohe nel ritirati· degli needli, anco le civette stauno ascose poehi giorni: non ve ne sono nell1 isola di Creta,e se alcuna v’è portata^ vi muore. E questa ancora è meravigliosa diffe­ renza di natura, perciocché ella a nn luogo nega ana cosa, a un altro uu’ altra ; siccome delle biade e degli alberi, e cosi & degli aoimali: non é nuovo che in qualche luogo alcuni animali non nascano, ben è maraviglia che vi muoiano se vi con trasportati. Or donde è mai questo impedimento alla vita d’alcuna specie f o qua­ le è quest· invidia della natura? o quai ter­ mini di paesi sono dedicati agli uccelli ? In Rodi non sono aquile. L’ Italia di lé dal Po appresso l’ Alpi ha il lago di Como, ameno per li campì pieni di arboscelli, dove non vanno mai le cico­ gne ; come nè anoo appresso a otto miglia sono mulacchie, essendone quantità grande nel terri­ torio vicino di Milano; accedo che si diletta molto di trafugar l’ oro e l’ argento. Dicasi che il picchio non si vide mai nel territorio di T a­ ranto. È da poco che si veggono dall’ Apennino a Roma le piche chiamate varie, che hanno la coda lunga ; però son molto rare. È naturale a questi uccelli di diventar calvi ogni anno, quan­ do si seminano le rape. Le starne nel territorio Attico non trapassano i confini della Beozia ; nè alcuno uccello in Ponto, nell* isola dov’ è sepolto Achille, non trapassa il tempio a lai dedicato. Nel territorio di Fidena, appresso la dttà, le «ìl­ eogoa non fbnno nido, nè figlinoli. Nd territorio di Volterra voi· ogni anno di mare gran quantità di eolombi salvatiobi. A Roma nè mosche nè coni non entrano nel tempio d’ Ercole, eh’ è nd foro Boario. Molte altre cose simili lascio addietro in pruova, per non venire a noia al lettore, p er­ ciocché Teofrasto dice che in Asia non sono colombi, pavooi e corbi, se non portati, e nel paese di Cirene rane che cantino. D

b l l b s f b c ib d e g l i o s c ib i , b q u a l i m u tin o c o lore

­

Jt VOCB.

XLU. Un’ altra maraviglia è circa quegli no* celli, che si chiamano oscini, i quali matauao colore e voce a certo tempo dell’ anno, e in nn •ubilo diventano altri uccdli, il che negli uccelli maggiori nou addiviene, se non nelle gru, le q o a li quando son vecchie diventan nere. Il merlo di nero si fa rossigno, «aula la aiate, il verno cin ­ guetta, e intorno al solstizio ammutolisce. 11 becco a’ soli maschi d’ un anno si fa come d’ avorio. 1 tordi la state tfanno il colore intorno al collo vario, il verno son tutti d’ on medesimi} modo*

HISTORIARUM MONDI UB. X. D b L u sa m .

XLU1. Lottimi* diebus ac noctibus continuis quindecim garrulas siae intermissa cantas, den­ tante se frondiam fermine, non in novissimum digna mirato «vis. Pritanm tanta vox tam parvo in corpuscolo, tam pertinax spirito». Deinde io ima perfecta nrasSeae scientia modulatos editar •o n » : et οαηά oontinao spirita trahitur in lon* gnm, nem variator inflexo, nane distinguitor eoociso,copulator intorto, promittitor revocato, infuscator ex inopinato ; iulerdam el secam ipse mnrmarat ; plenas, gravis, acatos, creber, exten» tas : ubi visura est, vibrans, summus, medius, imus. Breviterqne omnia tam parvuKs in fauci­ bus, qoae exquisitis tibiarum tormentis ars ho­ minum excogitavit: ut non sit dubium hanc sua­ vitatem praemonstratam efficaci auspicio, quum io ore Stesichori eednit infantis. Ac ne quis du­ bitet artis esse, plures singulis sunt cantus, nec iidem omnibas, sed sui cuique. Certant inter .se, palamqoe animosa contentio esfc Victa morte finit saepe vitam, spirilo prius deficiente, quam eant·. Meditantur aliae juveniores, versusque qoos imitentur accipiunt. Audit discipula inten­ tione magna, el reddit, vicibasqae reticens, Intelligitur emendatae correptio, et in docente quaedam reprehensio. Ergo servorum illis pretia sant, et quidem ampliora, quam quibus olim ar­ migeri parabantur. Scio se«tertiis sex, candidam alioquin, qood est prope invisitatum, venisse, qoae Agrippinae Claudii principis conjugi dono daretur. Visum jam saepe, jussas canere coepisse, et cum symphonia alternasse : sicut homines repertos, qai sonam earam, addita transversi m in os hafundine, tamquam foramine inspirantes, linguaeque parva aliqua opposita mora, indiscreta redderent similitudine. Sed eae tantae tamque artifice· argutiae a quindecim diebus paullatim desinunt, nec ut fatigatas possis dicere,aut satiatas. Mox aestu aucto in totum alia vox fit,nec modulala, aut varia. Mutatur et color. Postremo hieme ipsa 000 cernitur. Linguis earum tenuitas illa prima non est, qoae ceteris avibus. Pariant vere primo quam plarimum sena ova.

954 Dei

LDSCIOiVOLI.

XL 11I. I loidgnooli quindici giorni continui cantano senxa fermarsi mai, e questo è, quando le foglie degli alberi cominciano a farsi folle. È uccello veramente degno di maraviglia; prima, perehè tanta voce e sì ostinata lena si truova in così piccolo corpicello, dipoi perché il suo canto è secondo perfetta mosica aocordato ; ed ora con lungo fiato trae in lungo la voce, or la varia piegandola, or la interrompe a tratti, la lega gorgheggiando, l’allunga in ritornello, la infosca improvviso ; e talora anco fra sé stesso mor­ mora, pieno, grave, acuto, spesso, disteso, e quando gli pare move il canto allo, mediocre e basso. E a dir brevemente, in cos) piccola gola sono tutte le cose, che P arte degli uomini ha sapute trovare eon tanti esquisiti stramenti di pifferi e di flauti ; in modo ehe non c’ è dubbio deano, ehe questa soavità fu mostra con efficace augurio, qoando d cantò nella bocca di Stesicor· poeta, ancora bambino. Ed acciocché nessun dubiti che i canti loro sìeno artificiosi, ogni lu­ tei gnnolo ha piò canti, e tutti non fanno il me­ desimo verso, ma dascuno il suo. Fanno a gara tra loro di chi cauta meglio, e animosamente contendono insieme. Spesso il vinto la finisce, con la morte, mancandogli prima lo spirito, che il canto. Gli altri, che son piò giovani, im­ parano e imitano i versi che sentono. Sta il di­ scepolo a ndire con grande attenzione, e poi rende il canto, tacendo e cantando or P uno, or Peltro; in modo, che intende·! l'emenda che fa il discepolo, e la riprensione che gli fa il mae­ stro . Vendonsi dunque questi uccelli quanto un servo, e mollo più che già non si vende­ vano i paggi, che portavano l'armi, lo so che già ne fu venduto uno sei sesterzii, eh' era però bianco, il che è cosa-mollo rara: questo fu do­ nato ad Agrippina moglie di Claudio imperadore. Già pià volte s 'é visto, eh' essendo (or coman­ dato, cominciarono cantare, e si risposero in ac­ cordo · vicenda ; siccome anco si trovano degli uomini, che contraffanno quel v e r s o con canne che poogono alla bocca attraversate: vi soffiano nd foro, lenendo quieta la lingua, e suonano che non si disoerae il loro dal canto del lusciguuolo. Ma queste tante e così artificiose argu­ zie mancano in quindid giorni a poco a poco, in modo però che non si può dire che sieno faticali o salii. Quando è poi cresciuto il caldo, si fa del tutto un'altra voce, ebe non è tem­ perata, nè varia : molasi anco il colore, e final­ mente non si vede il verno. Le lingue loro non sono di quella sottigliezza, che hanno gli altri

C. PLINII SECUNDI

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ncoelii. Partoriscono la primavera, e k pià volte sei oov·. Db m b l a b c o r t fu s ,

bbith acis ,

raosiocctis.

XLIV. Alia ratio ficedulis : nam formam u · mal coloremque mutant: hoc nomen autumno : non habent poste* : mdancoryphi vocantor. Sic et erithacua hieme, idem phoenicuros aestate. Mutat et upupa, ut tradit Aeschylus poèta, ob* scoena alias pasto avis, crista visenda plicatili, contrahens eam subrigensque per longitudinem capitis.

O bhahthb,

Da* u u s o o u n ,

3o. Merulae circa Cyllenen Arcadiae, nec us­ quam diubi, candidae nascuntur. Ibis circa Pe­ lusium tantum nigty est, ceteris omnibus lods candida.

Tauros avium

g b v itu b a b .

XLV1. 3i. Oscines, praeter exceptas, non te­ mere fetus fadunt aote aequinoctium vernum, aut post autumnale : ante solstitium autem du­ bios, post solstitium vitales.

H alctobbs : d ibs

babum h avioabilks .

XLVII. iU. Eo maxime sunt insignes halcyo­ nes. Dies earum partus, maria, quique navigant, novere. Ipsa avis paullo amplior passere, colore cyaneo ex parte majore, tantum purpureis et can­ didis admixta pennis, collo gracili ac procero. Alterum genus earum magnitudine distinguitur -et cantu. Minores in arundinetis canunt. Halcyo­ nem vider· rarissimum est, neo nisi Vergiliarum occasu, et drca solstitia brumam ve, nave aliquan­ do circumvolata statina in latebras abeuntem. Fetificant bruma, qui dies halcyonides vocantor, pladdo mari per eoa et navigabili, Siculo maxi­ me. Fadunt autem septem ante brumam diebus nidos, et totidem sequentibus pariunt. Nidi ea­ rum admirationem habent pilae figura, paullum eminenti, ore per quam angusto, grandium spon­ giarum similitudine : ferro intercidi non queunt,

m tc u it.

XLIV. Altra maniera è quella ddle ficedole, perdocchè mutano a on tratto la forma e il co­ lore» Esse non hanno questo nome so non Γ au­ tunno, dipoi si chiamano mdancorie. Cosi fa 1*eritaco il verno, e il fenieuro la state Mutasi anco la bubola, come dice Eschilo poeta, eh· per altro nd pascersi è ucodio molto sporco, ma ha bella cresta con alcune pieghe : esse la ritira e rissa per h lunghezza del capo.

chlobio , v b b u l a i , ibis .

XLV. Oenanthe qaidem etiam statos latebrae dies habet, exoriente Sirio occultata, ab occasu ejusdem prodit: quod miremur, ipsis diebus ulrumque. Chlorion quoque, qui totus est luteus, hieme non visus, arca solstitia procedit.

b b ita o o ,

E v a v tb ,

c l o b io is , mbblt ,

m.

XLV. Anco I* d ocello detto enant· si sta per alcuni giorni asseoso, perchè riponedosi nd nascere ddla Canioola, esoe fuora quando dia tramonta ? ed è maraviglia, chè V ona e l'altra cosa succede negli stessi giorni. Il clorione anch· egli, il quale è tutto giallo, non si vede il verno, e comparisce iotoroo a mezza state. So. I merli intorno a Cillene d’ Arcadia, e non altrove, nascon bianchi. L'ibi solamente è di oolor nero appresso a Pdusio : In tatti gli altri looghi è di bianco. T

bmpo o b l f ig l ia b b o l i u ccelli.

XLVI. Si. Gli oscini, fuor che i sopraddetti, non sogliono figliare innanzi I*equioozio detta primavera, nè dopo qoel dell* autunno. Quegli che nascono ionanzi il solstizio hanno vita in­ certa, ma dopo il solstizio vivono. AtCWin, B GIOBBI LOBO HAVIOABILI. XLV1I. Sa. Ma molto pià illustri sono g li uccdli aldoni. Tutti coloro che navigano, san­ no i giorni, quando essi figliano. Questo uccello è poco maggiore della passera, di color azzurro la maggior parte, solo con alcune penne rosse e bianche mescolale, col collo sottile e lungo. Écd un* altra sorte d 'alcioni, differente da q u e­ sta di grandezza e di canto. I minori cantano ne* canneti. Gli aldoni si veggono di rado, fu o r che nel tramontar delle Vergilie, e intorno a’aolstizii, e di verno, perchè essi volano talora io t o r n o a* navili, e subito si nascondono. Figliano il verno, e quei giorni si chiamano alcionii, p e r­ docchè allora il mare è pladdo e quieto, masaimamente il Siciliano. Fanno il nido sette giorni innanzi la bruma, e in altrettanti dopo figliano. I nidi loro sono degni di maraviglia, perchè soa

HISTORIARUM MUNDI MB. X.

Φι

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franguntor icftì valido, ut «puma «rida nam . Nec onde eoofingantor, invenitur. Putant ex «pinis Mulcatis : piscibus enim vivunt. Subeunk et in n u m . Pariunl ova quina.

fiitli a guisa d’una palla, afequanto alta, eoo la en­ trata molto stretta, a similitudine delle spugne grandi: non si possono tagliar col ferro, ma ben si spezzerabbono con un gagliardo colpo, coma la schioma seoca del mare. Nè si truova di che cosa sien fatti. Credesi che sieno di spine di pesai apponiate, perciocché vivono di pesd. En­ trano ancora ne’ fiumi. Fanno dnqne nova.

D s BBL1QUO AQUAffKABB* OBHBBB.

D b l l b a l t b b so b t b d i u c c e l l i d ’ acqua .

XLV11I. Gaviae in petris nidificant : mergi el in arboribos. Pariunt plurimum terna : sed gaviae aestate, mergi incipiente vere.

XLV11I. Le gavie fanno il nido nelle pietre, e gli smerghi negli alberi. Fanno al pià tre uova j ma la gavie la state, gli smerghi al co­ minciar della primavera.



so m k tm

Av iv · n r m o is . H ib u b d ih c m o r s a a ■ ib a . R if a b ia b .

D e l l * a stu zia d b g u

Mn a b il i

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f a b b i r id i .

cosb c u f a b b o l b b o b d ib i .

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BOVD1BI DI miFA.

XLIX. S3. Halcyonum nidi figura, reliqua· rum quoque solerti»e admonet: neqoe alia parte ingenia avium magis admiranda sunt. Hirundines loto construunt, stramento roborant Si qoando inopia est loti, madefactae molta aqna pennis pulverem spargoot. Ipsum vero nidom mollibus plumis flocdsqoe consternunt tepefaciendis ovis, aimul ne durus sit infantibus pullis. In fetu sum­ ma aequitate alternant cibum. Notabili munditia egerunt excrementa pullorum : adultioresque circumagi doceut, et foris saturitatem emittere. Alterum genus hirundinum esi rusticarum et agresliom, quae raro in domibus,‘diversos figura, aed eadem materia confingunt nidos, totos supi­ nos, faucibus porrectis in angustum, utero capa­ ci : mirum qua peritia et occultandis habiles poliis, et substernendis molles. In Aegypti He­ racleotico ostio molem continuatione nidorum «vaganti Nilo inexpugnabilem opponunt stadii fere unius spatio : quod humano opere perfici non posset In eadem joxta oppidom Copton insula est sacra Isidi, quam ne laceret amnis idem, mu­ niunt opere, indpientibos vernis diebus, palea et stramento rostrnm ejus firmantes, continuatis per triduum noctibus tanto labore, ut mullas iu opere emori constet. Eaque militia illis cum anno redit semper. Tertium est earum g e n u s , quae ripas excavant, atque ita internidificant. Harom pulli ad dnerem ambusti, mortifero faucium malo, moltisque aliis morbis humani corporis medentur. Non faciunt hae nidos, migrantqiieaaoltis diebus ante, si fotorom est ul auctus amnis attingat.

XLIX. 33. La figura del nido degli alcioni d fa avvertiti ancora dell’ astuzia degli altri ; nè in altra parte sono gl’ ingegni degli uccelli de­ gni di maggior maraviglia. Le rondini fanno i nidi di fango, e gli fortificano con pagliuscole e fuscelli. E se talora non traevano fingo, si bagnano le penne con di molla acqua, e ne spruzzano la polvere e fanno fango. Acconciano il nido di dentro con piuma morbida, e altre cose simili, perchè l’ nova, slieuo pià calde, e dipoi i rondinini posino in soffice. In allevare i figliuoli han grande eqnttà, perché scambiando le volte, fanno che dascuno ha la sua parie dell’esca. Tengongli molto netti, cavando sempre del nido ogni bruttura, e quando son cresduli, gli guidano, e iosegnsno lor volare, e mandar fuori del nidolo sterco. Écci un’ altra sorte di rondini rusti­ che e selvatiche, le quali rade volte figliano per le case : queste fanno i nidi della medesima materia, ma di altra forma, i qoali son tutti volli all’ in­ giù, con entrale strette e con seno cajiace : cosa maravigliosa è a vedere con quanta maestria gli fanno accooci a nascondere i lor figliuoli, e morbidi per tenervigli ben riposati. In una delle sette bocche del Nilo, la quale si chiama Eracleotica, è ono argine inespugnabile, il qual ritiene il fiume che non trabocchi ed esca del suo luogo, la eoi lunghezza è 1’ ottavo d’ un miglio, ed è fitto d’ una continuazione di nidi di rondini ; la qual cosa con opera umana non si potrebbe fare. Nel medesimo Egitto appresso la città di Copto è uoa isola consacrata a Iside : acciocché non sia lacerata dal medesimo fiume, esse ne fortificano Γ argine con 1’ opera loro, incomindando ne* giorni di primavera, con pa­ glia e con fuscelli, per tre dì e tre notti conti-

C. PU N II SECUNDI

noe, con tanta fatica, c h e aaolU n n e muoiono lavoro. Esse tanno aempre questa impre­ sa nel tornar· dell* anno. Écci ooa lena «pecie di rondini, c h e cavano le ripe, e quivi Canno toc. nidi. 1 figlinoli di qoe«te rondini arsi e fatti c e n e r e medicano il mortifero male della gola, ovvero squinanzia, e molti altri mfli del oorpo u m a n o . Qoeste non fanno nidi, e partonsi molti g io r n i p rim a Se il fiome h a a crescer tanto, e h · egli aggiunga φ lor caverne. so l

A c a it h y l u s , e t c .

L. In genere vili parrarum eat, cai nidns ex musco arido ita absoluta perficitor pila, ot inve­ niri non posait aditu·, àcanthyllis appellator, eadem figura ex lino intexent. Picorum alieni auapenditur aarcalo primia in ramia cyathi modo, nt nulla quadrupea poaait accedere. Galgulo· qai­ dem ipio· dependentes pedibus commini capere confirmant, quia tntiorea ita ae aperent. Jam pu­ blicum quidem omnium eat tabulata ramorum anatinendo nido provide eligere, camerare ab imbri, aut fronde protegere denaa. In Arabia ciunamolgos avia appellator : oinnami aurculia nidi­ ficat. Plumbatis eoa sagittis decutiunt indigeoae, mercis gratia. In Scythis avis magnitudine otidis, binos partt, in leporina pelle semper in cacumi­ nibus ramorum snspensa. Picae quum diligentius visura ab homine nidum sensere, ova transgeruot alio. Hoc in hia avibua, quarum digiti non annt accommodati complectendis, tranafereudis» que ovis, miro traditur modo. Namque surculo •uper bfna ova imposito ac ferruminato alvi gin* tino, anbdita cervice medio, aequa olrimque libra deportant alio.

M b eo p s.

Db p b a d ic jio s .

LI. Nec vero ii· minor solerti·, qoae cana· buia in terra faciunt, corpori· gravitate prohibi­ tae sublime petere. Merops vocatur, genitore· suos reconditos paaeens, pallido intus colore pennarum, auperne cyaneo, primori aubrntilo. Nidificat in speco sex pednm defossa altitudine. Perdices spina et frutice «ic moniunt recepta­ culum, ut contra fera· abande vallentur. Ovis •tragulum molle pulvere contumulant, nec in

A cabtillb,

ecc .

L. Nel genere degli uccelli di ripa è qeell·, il quale fa il nido di musco secco io guisa di palla sì tonda, che non vi si poò trovar Γ en­ trala. Acantille ai chiama quello, che fa il nido di lino nella medesma forma. Soooci alcani picchi, i quali appiccano i lor nidi alla cima de* rami, fatti a modo di bicchieri, acciocché nessun quadrupede gli poaea aggiugnere. Alcuni tengono che i galguli dormono, pendeodo coi piedi dal ramo, al quale atanno attaccati, creden­ dosi così più sicuri. Gii è cosa chiara a ognuno, eh’ essi iudostriosameote scelgono que’rami che formano come un piano o tavolato per riporvi i loro nidi, e gli cuoprono di sopra con molte foglie a modo di camera, per difender» della pioggia. In Arabia è uno uccello, che si chiana cinnamolgo, il quale fa il nido con fuscelli di cin­ namomo. Gli uomini del paese con saette piom­ bate gli gettano giù per fame mercanzia. la Scizia è uno uccello grande quanto l'o lid e , che ne fa due, e sempre in pelle di lepre attaccala alla cima de* rami. Le gazinole, qnando ·*accor­ gono, che il nido loro «ia stato visto da persona, portano Toova altrove. Ora gli occelli che non hanno le dita accomodate ad abbracciare e tras­ ferir l'uova, tengono qaesto mirabil modo: posto un fuscello sopra due uova, oon l 'amor che loro esce del corpo, 1*appiccano : dipoi vi raettoo sotto il collo a mezzo il foscello, e portan via le uova, che così stauno sopra lor bilanciate. H s e o f b . D xllk p b m ic i.

LI. Nè ponto minore indostria hanno quegli, che faooo i nidi in terra, non potendo, per esser troppo gravi, aodar in alto. Un uccello, che si chiama merope, paace i auoi genitori ascosi : egli ha il di dentro della peuna di color pallido, di sopra azzurro, e la prima parte rossign·. Fa il nido in caverna addentro sei piedi. Le pernici, o starne, fortificano i lor nidi con pruni e sterpi, che resistono benissimo contra le fiere. Fauno un coprimento alTuova con polvere

HISTORIARUM MUNDI UB. X.

96 *

quo loco pepefere incubant : neve cui frequeotior conversatio sil suspecta, transferunt alio, lllte quidem et maritos suoi fallunt, quoniam intemperantia libidinis frangunt earum ova, ne incubando detineantur. Tone inter se dimicant inares desiderio feminarum : victum a)uut Venerem pati. Id qoidem el cotornices Trogus, et gallinaceos aliquando: perdices vero a domitis feros, et novos, aut victos, ioiri promiscae. Ca­ piantur quoqoe pognacitale ejusdem libidinis, contra «ucopis illicem exeoote in proelium duce totios gregis. Capto eo procedit alter, ac sub­ inde singuli. Rursus circa conceptum feminae capiontor, contra aocupum feminam exeuntes, a t rixando abigant eam. Neqoe in alio animali par opos libidinis. Si contra mares steterint fe­ minae, dora ab bis flante praegnantes fiant : hientes aatem exserta lingua per id tempus Mttusot. Coocipiunt et supervolantiom addato, aaepe -voce tantam audita masooli. Adeoque vin­ cit libido etiam fetus caritatem, ut illa furtim et in occolto incubans, quum sensit feminam aucupis accedentem ad marem, recanat revooetque, et ultro praebeat se libidini. Rabie quidem tanta ferantur, at in eapite aacopantiam saepe caecae metu sedeant. Si ad nidum is coepit accedere, procurrit ad pedes ejus feta, praegravem aut delumbem sese simulans, subitoque io procursu •n t brevi aliquo volato cadit, fracta aot ala aat pedibus : procarrit iteram, jam jam prebeysorum effugiens, spemque frustrans, donec in di­ versum abdocat a nidis. Eadem pavore libera ac materna vacans cura, in sulco resupina gleba •e terrae pedibns adprebensa operit. Perdicum vita ad sedecim annos dorare existimatur.

morbida, ma oon le covano dove le hanno fette; e acciocché il frequente ire e redire non sia sospet­ to, le portano altrove. Queste ingannano anco i lor mariti, perché essi per la furia della lussuria loro rompono P nova, acciocché le femmine non sieno occupate a covarle. Allora i maschi per amor della femmine combattono iosieme,e dicesi che il vinto si lascia calcar come femmiua. Scrive Trogo che le quaglie e i galli fanno talora il medesimo; ma le peroici, o sieoo fiere, o nuove, o vinte, si la­ sciano coprire mescolatamente da qoelle che han­ no già vinto. Sono prese anco per l’ ardor della lussuria loro, perché la guida di tutta la compa­ gnia si fe innanzi al limbello deir accecatore, e preso quello, vien l 'altro, e cosi a ono a uno. Similmente nel tempo della concezione si pigliano le femmine, perciocché mostrando Γ uccellatore ona femmina, qoelle le vanno incontra per cac­ ciarla. Nè in alcuno altro aoimale è maggior forza di lussuria. Se la femmina sta all'incontro del ma­ schio, e il fiato venga dal maschio verso lei, dicesi ch'ella impregna. Quando sono in amore, per lo caldo tengono la lìngua fuori. Ingravidano anco per l'alito del maschio, pur che voli sopra, e spesse volle anoora solamente a udir la voce del maschio. Anzi la lussuria ancora vioce talmente l'amoc dei figliuoli, che covando la femmina di nasooso, se Γ endice dell* uccellatore è la fem «ina e va verso il maschio, quella che cova, canta e chiama il ma­ schio e si congiunge seco. Sono anco spinte da tanta rabbia, che spesso cieche per paora, si po­ sano sol capo dell1uccellatore. Se alcuno s 'acco­ sta al nido, la madre si mostra grave o dilomba­ ta, dipoi finge volando di cadere, o d* aver rotto ala, o piede, e così se lo fa venir dietro eon (spe­ ranza di poterla pigliare, tanto ch’essa lo disoosti dal nido, e pigli altra via. Allora posta giù la paora de* figliuoli, si getta supina in terra, e coi piedi piglia aoa zolla e ricopresi. Credesi che la pernice viva d'intorno a sedici anni.

Dx COLUMBIS.

Dx1COLOMBI.

Lll. 34« Ab his columbarom maxime spectan­ tor simili ratione mores iidemi sed pudicitia illi· prima, et neutri nota adulteria. Conjugii fidem noo violaot, commonemqoe servant do­ mum. Nisi coelebs, aot vidoa, nidum non relin­ quit. E t imperiosos mares, sobinde etiam iniqoos ferant : quippe suspicio est adulterii, quamvis natura non sit. Tone plenom querela gattur, saeviqoe rostro icto·, mox in satisfactione exoscu­ latio, . et circa Veneris preces crebris pednm or­ bibus adulatio. Amor utrique sobolis aequalis : saepe et ex bac caosa castigatio, pigrios intrante femina ad pollos. Partorienti solatia et ministeria

Lll. 34· Simili costami hanno i colombi, ma i colombi osservano la castità ; nè Γ ano, nè l'altra non commette adulterio. Essi non rompono la fe­ de del matrimonio, e baono cura della casa comone. Se la femmina non è vedova, o non vive ca­ sta, mai non abbandona il nido. Sopportano Γ im­ perio del marito, benché sia difficile e strano, per­ ciocché il maschio è geloso,ancor che non bisogni. Allora ha egli la gola gonfiata e piena di querela, e le di di male pecciate ; dipoi per soddisfazione la bada, e volendo usar seco, se le aggira intor­ no con ispesse rivolte di piedi, come se la pregas­ se. Hanno eguale amor^ verso i lor figlinoli, ·



C. PLINII SECUNDI

ex mare. Pallis primo salsiorem lerram collectam gutture in ora inspuunt, praeparantes tempesti­ vitatem cibo. Propriam generis ejas et turturum, qaam bibant, oolla noo resupinare, largeque bi­ bere jumentorum modo.

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per questa cagione il maschio spesso gastiga la femmina, quando essa lentamente torna ai fi­ gliuoli. Mentre dia è nel figliare ha dal marito sollevo e servitù. Quando i figli son nati, sputau loro in booca terra alquanto salsa,che ·’ hanno ran­ nata n d gotto, apparecchiando il tempo conve­ nevole al cibo. È proprio di questi uccelli, a ddle tortore, quando beono, non bere poco alla volta, aitando il collo indietro, ma di bare largamente a un tratto, siccome fanno i giumenti. 35. Vivere palombe· ad xxx annum, aliquos 35. Scrivono gli autori, che le colombelle ad XL· habemus aoctore·, ano tantam incommo­ vivono trent' anni, e alcune quaranta, solamente do oogaiom, eodem et argomento senectae, qni con P incomodo delle onghie troppo lunghe, le citra peroiciem redduntur. Cantas omnibas si­ quali aooora fon seguo della vecchietta : nondi­ milis atque idem, trino confidtur versa, prae- meno ή possono tagliare senta loro danno. Il terqoe in clausola gemito : bieme motis, a vere canto Toro è sempremai ad nn modo, e si compie vocalibus. Nigidias potat, quum ova iocubet, sub in tre versi, ocoelto che finisce in un gemito: tecto nominatam palumbem relinquere nidos. di verno stan ebete, e la primavera cantano. Ni­ Pariant aatem post solstitium. Colambae et tor­ gidio tiene che quando la colombella cova l'uova, e deuno la nomina sotto U tetto, dia abbandoni tares octonis annis vivuot. l’uova. Figliano dopo il solstisio. Le colombe e le tortore vivono otto anni. 36. Contra passeri mioimam vitae, cai salaci­ 36. Per lo oootrario la passera ha corta vita, tas par. Mares negantor anoo diutios dorare, ar­ ma non ha manco lussuria. Dicesi che i maschi non gumento quia nolla veris initio appareat nigri­ vivono più d’un anno, e danno di dò qoesto se­ tudo in rostro, qoae ab aestate incipit. Feminis gno, che di primavera noo se ne vede nessuno longiusculam spatium. che abbia il becco nero, il che cominciano avere la state. Le femmine vivono un poco più. Verum columbis inest qoidam et gloriae in­ Sentono anch'essi i colombi on noo so che di tellectas. Nosse credas suos colores, varietatem- gloris. Pare che eooosoano l'ordinata varietà dd qoe dispositam : quin etiam ex volata quaeritor lor colori : anzi nel lor volare festeggiano per plaudere in coelo, varieque solcare. Qua in osten­ l'aere e lo solcano in diversi modi. In questa loro tatione, nt vinctae, praebentor accipitri, implica­ ostentazione cadono preda allo sparviere siccome tis strepita pennis, qai non nisi ipsis alarum vinti, perchè nel fare strepito, ehe nasce appunto humeris eliditnr : alioqui soloto volata in mal- dagli stessi omeri delle ali, intricano fra loro le tura velodores.Speculator occultus fronde latro, penne: che se volessero liberamente, son molto vdod.Sta ascosto l'assassioo sotto le foglie, e spia; et gaudentem in ipsa gloria rapit. e quando gli vede menar qoel vampo, se li preda. 37 . Con quest? dunque si paò metter Tuccd3ai T a u m m i ova paxiaht. Sbbpehtiu· GBffEBA.

Quali ammali tbrhbstbi vacciaho uova. Spbcib db’ sbbpbbti.

LXXX1I. 6 s. Rorsas in terrestribas ova pa­ riant serpentes: de quibus nondam dictam est Coeant complexa, adeo rireumvolotae sibi ipsae, ut una existimari biceps possit. Viperae mas ca­ put inserit in os, qaod illa abrodit voluptatis dulcedine. Terrestrium eadem sola intra se parit ova unius coloris et mollia, ut pisces. Tertia die intra oteram catulos excladit : deiode singulos singulis diebas parit, viginti fere numero. Itaqoe ceterae tarditatis impatientes, perrumpunt latera, occisa parente. Ceterae serpentes contexta ova in terra incabant, et fetum seqoente excluduot an­ no. Crocodili vidbos incubant, mas et femina. Sed reliquorum quoque terrestrium reddatur feneratio.

LXXXII. 6 a. Degli animali terrestri le serpi partoriscono nova, delle quali non s’ ì ancora ragionato. Usano il coito sì avviluppate insieme, che due paiono una con due capi. H maschio della vipera mette il capo io bocca alla femmina, *d ella per la dolcezza del diletto glielo rode. Essa sola degli animali terrestri partorisce dentro di sè l'oova di un colore e tenere, come i pesci. 11 terzo giorno entro al corpo manda foori dell’ute­ ro i viperioi, poi ne fa ogni dì ano, qassi fino a venti. E però gli altri, che non soffrono d’aspeltar tanto, le rodono i fianchi, e cosi uccidono la ma­ dre. L’altre serpi covano l’aova coperte io terra, e mandano foori il parto Tanno seguente. I cro­ codili covano a vicenda il maschio e la femmina. Ma egli è oggimai tempo che si ragioni ancora degli altri animali terrestri.

T n iu n ic i otamm

g e w e b a tio .

LXXX1II. 63. Bipedam solus homo animal gignit Homini tantom primi coitos poenitentia, angarium scilicet vitae a poenitenda origine. Ce­ teris animalibos stati per tempora anni concubi­ tas : homini ( ut dictum est ) omnibas horis die­ rum noctiumque. Celeris satietas io coitu,homini prope niilla. Messalina Claudii Caesaris coujux , regalem existimans palmam, elegit in id certa-

GbUBBAZIOITB DI TUTTI I TEBBESTEI. LXXX1II. 63. Degli animali di dae piedi solo l’ oomo genera animale. Solo l’ uomo dopo il coito si pente ; e ciò è segno, ehe a chi nascerà dee increscere d’aver tratta la vita da quella ori­ gine. Gli altri animali a certi tempi ordinati dell’ anno vanno in amore, ma l’ oomo, come s’è dello, a tutte l’ore del dì e della notte. Gli altri animali si saziano del coito» e l’ uomo non mai.

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C. PLINU SECUNDI

men nobilissimam e proitiiolìi ancillam mereestipi*, earaque nocie «e di· superavit quinto atque vicesimo conoabitu. In hominum geoere naribus diverticula Veneria excogitata, omnia scelere naturae; feminis vero abortus. Quantum in bac parte multo nocentiores quam ferae sumus ! Viro· avidiorea Veneris hieme, fe­ mina* aestate, Hesiodus prodidit. m iìm

Coitus aversis elephantis, eamelis, tigribus, lyncibus, rhinoceroti, leoni, dasypodi, cuniculis, quibus aversa genitalia. Cameli etiam solitudines, aut secreta certe petunt : neque intervenire da­ tur sine pernicie. Coitus tota die ; ét his tantum ex omnibus, quibus solida ungula. In quadrupe­ dum genere mares olfactas accendit Avertuntur et canes, phocae, lupi, in oaedioque coitu, invi* tique etiam cohaerent. Supra dictorum plerisque feminae priores superveniunt, reliqais mares. Ursi autem, ut dictum est, humanitus strati, he­ rinacei stantes ambo iuter se oomplexi : feles nare stante, femina subjacente: vulpes in latera projectae,maremque femina amplexa. Taurorum cervprumque feminae vim non tolerant : ea de causa ingrediuntur in oonceptu. Cervi vicissim ad alias transeunt et ad priores redeunt. Lacer­ tae, ut ea quae sine pedibas sunt, circumplexu Venerem novere.

Omnia animalia quo majora corpore, hoc mi­ nus fecunda sunt. Singulos gignunt elephanti, cameli, equi : acanthis duodenos, avis minima. Ocyssime pariunt, quae plurimos gignant Qao majus est animal, tanto diutius formator in «tero. Diutius gestantur, qoibus longiora sunt vitae spatia. Neque crescentium tempestiva ad gene­ randum aetas. Quae solidas habent ungulas, sin­ gulos: quae bisulcas, et geminos pariunt. Quo­ rum ia digitos pedum fissura divisa est, ea nu­ merosiora in fetu. Sed superiora omnia perfectos edunt partus,haec inchoatos: in quo sunt genere leaenae, ursae: et vulpes infermia etiam magis, quam supradicta, parit : rarumque est videre pa­ vientem. Postea lambendo calefaciunt fetus om­ nia ea, et figurant. Pariunt plarimom quaternos.

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Messaline, Mogli· di Claudio imperatore, stiman­ do che ciò fesse ana vittoria reale, elesse · questa pruova una delle più belle, ehe si concedessero a presso nel bordello, e in nn di e una notte P avanaò di venticinque volte nel coito. Hanno gli uomini trovati indiretti modi nei piaceri amorosi, eon scelleraggine della natura; e le donne hanno trovato lo sconciarsi. E in questa parte quanto siamo noi pià colpevoli che le fiere! Scri­ ve Esiodo, che gli nomini sono più inclinati alla lussuria il verno, e le donne la state. Usano insieme, volgendo la femmina le spalle al maschio, gli elefanti, i camelli, le tigri, i lupi cervieri, i rinoceronti, i lioni, i tassi, i conigli, i quali hanno le parti genitali di dietro. I camelli vanno alle solitudini, o a1 luoghi secreti, e cor­ resi pericolo a trovargli in simile atto. Stanno lotto il £ eooginnti insieme quegli animali, che hanno P unghia di nn pezzo. Negli animali da quattro piedi i maschi vanno in frega al fiuto. Usano il coito per le parti di dietro ancora i cani, le foche e i lupi, e nel mezzo del ooito e oontra lor volontà restano insieme attaccati. A molti dei sopraddetti animali sopravvengono prima le fem­ mine, agli altri 1 maschi. Gli orsi poi, come già si è detto, usano insieme nel modo che fa l 'uomo, stando a giacere ; gli spinosi ritti, alando amendue iosieme abbracciati ; le faine stando il ma­ schio in piè, e la femmina a giacere ; le volpi messesi per lato, avendo la femmina abbracciato il maschio. Le femmine del tori e dei cervi non sopportano la forza, e per questa cagione entra­ no nel ooito. 1 cervi scambievolmente vanno alle altre, e ritornano alle prime. Le lucertole, come qnei che sono senza piedi, con lo abbracciarsi usano insieme. Tatti gli animali quanto hanno maggior cor­ po, tanto aon manco fecondi. Gli elefanti, i ca­ melli e i cavalli non ne (anno più che uno, a Pacante, che è ano uccello piccolissimo, ne fe do­ dici. Partoriscono prestissimo quegli ammali, ehe ne fanno assai. Quanto maggiore è lo ani­ male, tanto pià lungamente si forma nel corpo. Pià lungamente si portano quegli, che hanno più lunga vita ; e quegli, che tuttavia crescono, non son buoni a ingenerare. Quegli, che hanno Γ unghia di un pezzo, ne fanno un per volta s quegli, che P hanno fessa, ne fanno sino a due. Quegli, che hanno la fessura dei piedi divisa ia dita, ne partoriscono più. I sopraddetti fanno i parti perfetti, ma questi ultimi solo abbottali, come le liooesse, le orse e le volpi. Anzi le volpi partoriscono aoimali pià deformi, che non fanno gli altri, e di rado st veggono partorire. Tutti questi leccando poscia riscaldano i parti e danno loro figura. Partoriscono le pià volte quattro.

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HISTORIARUM MUNDI LIB. X.

Caecos autem gignant cane·, lapi, pantherae, thoes. Canam plura genera. Lteonicae octavo mense atrimque generant. Ferant sexaginta die­ bus, el plarimum tribus. Ceterae cane· et seme­ stres coilnm patiuntur. Implentur omnes uno coitu. Quae ante justum tempus concepere, diu­ tius caecos habent catulos, nec omnes totidem «liebus. Existimantor in orioa attollere eros fere semestres: id est signum consummati virium ro­ boris: feminae hoc idem sidentes. Partus duode­ ni, quibus numerosissimi : cetero quini, seni, s d iq u a n d o singuli, quod prodigiosam potant, si­ cut omnes mares, aut omnes feminas gigni. Pri­ mos qooqae m e re s pariant : in ceteris alternant. Incantar a partu sexto mense. Octonos Laconicae pariunt. Propria in eo genere maribos labore aalacitas. Vivant Laconici annis denis, feminae duodenis: cetera genera quindenos annos, ali­ quando et vicenos : nec tota soa aetate generant, fere a doodecimo desinentes. Feliam et ichneamonam reliqua, ut canum. Vivunt annis senis.

Dasypodes omni mense pariunt, et superfe­ tant, sicut lepores. A partu statim implenlar. Concipiunt, quamvis ubera siccante fetu. Pariunt vero caecos. Elephanti, at diximas, pariunt sin­ gulos, magnitudine vitali trimestris. Cameli doodecim mensibus ferunt : trimatu pariunt vere, ilernmqoe post annum implentur a partu. Equas autem post tertium diem, aut post unum ab eoixo utiliter admilli putant, coguotque invitas. Et mulier septimo die concipere facillime creditur. Equarom jubas tondere praecipiunt, at asinorum in coita patiantur harailitalem : comantes enim gloria superbire. A coito solae animalium cur­ ru ut ex adverso Aquilone Austrove, prout marem aot feminam concepere. Colorem illico motant rubriore pilo, vel quicumque sit, pleniore : hoc argumento desinunt admittere, eliam nolentes. Nec impedit partus quasdam ab opere, falluntque gravidae. Vicisse Olympia praegnantem Echecratidis Thessali invenimus. Equos, et canes, et soes initum matutinum adpetere, feminas autem post meridiem blandiri diligentiores tradunt. Equas domitas u diebus equire, antequàra gre­ gales : sues tantam coita spumam ore fundere : verrem subantis audita voce, nisi admittatur, ci­ bum non capere usque in maciem: femioas autem iu tantum efferari, ut hominem lacerent, candida maxime veste indutum. Rabies ea aceto mitiga­ tor naturae asperso. Aviditas coiUp putatur et cibis fieri : sicut viro eruca, pecori caepa. Quae ex feris mitigentur, non concipere, ut anseres ;

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I cani, i lupi, le pantere e 1 tei gli fanno cie­ chi. Sono molte sorti di cani. I Laconici ingene­ rano di otto mesi. Portano sessanta giorni, e al pià sessantrè. Le altre cagne anche di sei mesi im­ pregnano, e al primo coito. Quelle che ingravi­ dano innanzi il tempo giusto, più lungamente hanno i catellini ciechi ; nè tatti aprono gli occhi in an medesimo tempo. Stimasi che di sei mesi orinando alzioo la gamba, e questo è seguo che hanno perfette le furze : le femmine orinando si abbassano in terra. I parti loro, al più che pos­ sano essere, son dodici, e per lo ordinario cinque o sei, e talora ono, il che si tieoe per prodi· gio, come anco se nascono tolti maschi, o tolti feromioe. I primi che partoriscono la prima volta son maschi : le altre volle Canno or 1' ono, or Peltro, se sono coperte a tempo debito. Coopronsi sei mesi dopo che hanno figliato. Le Laconiche ne fanno otto per volta. In questa specie naturai mente i maschi si dilettaoo della fatica. Qaesti vivooo dieci anni, e le femmine dodici : le altre specie quiodici anni, e talora anco venti, ma dopo i dodici anni rade volle figliano. Le faine e gli icneumoni nel resto fanno come i cani. Vivono sei anni. I lassi figliano ogni mese, e le femmine ben· chè sieno pregne, impregnano di naovo, come le lepri. Subito che hanno figliato, ingravidano9 benché i già nati poppino. Partoriscono i figli ciechi. Gli elefanti ne fanno un per volta, grande quanto un vitello di tre mesi. I camelli portano dodici mesi, e partoriscono di primavera di tre in tre anni, impregnando un anno dopo che hanno figliato. Ma le cavalle dopo il terzo gior­ no del parto, o dopo uno, dicesi che utilmente si montano : spesso le fanno montare per for­ za. La donna facilmente si ingravida il setti­ mo di dopo il parto. Mozzano i crini alle cavalle, acciocché si degnino esser montate dall’asino, perchè quando hanno i crini se ne glo­ riano tanto, che insuperbiscono. Esse sole fra tutti gli altri animali, poich’ elle sono state mon­ tate corrono contra il vento di tramontana, o di mezzogiorno, secondo che son gravide di ma­ schio o di femmina. Mutano subito colore, e il pelo acquista il rossiguo, o qualche altro color più pieno ; onde i pastori ciò veggendo, non le lasciano più montare, ancora eh* elle volessero. Nè impedisce il parto che alcune non possano sopportare la fatica : alcune anche son gravide, che par tutto allro.Truovasi che ne’giuochi Olim­ pici noa cavalla d’Echecratide Tessalo pregoa vin* se. I cavalli, i cani e i porci desiderano il coito la mattina, ma le femmine dopo mezzodì più lusin­ gano i maschi, secondo che i più diligenti hanno considerat?. Le cavalle dome sessanta dì prima

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C. PLINII SECONDI

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apros vero tarde, et cervos, nec nisi ab infantia educatos, mirum est. Quadrupedum praegnantes Tenerem arcent, prater equam et suem. Sed su­ perfetant dasypus et lepus tantum.

die quelle ddle mandre vanno in amore : i pord solamente nel coito fanno schioma alla bocca. Se il verro ode il grido della troia, che sia in caldo, e non sia lasciato montare, dimagra tanto, che muore ; e le troie diventano si fiere, che sbraoano gli uomini, massimamente se son vestiti di bianco. Tal rabbia si mitiga bagnando loro la natura con aceto. Credesi eh’ elle vadano mol­ to in caldo, secondo la qualità de' cibi, siccome fa all1nomo la ruchetta, e la dpolla al bestiame. Quelle che di selvatiche s* addomesticano, non sogliono iogravidare, il che veggiamo nell' oche. 1 cioghiali e i cervi coucepono, se sono allevali da piccoli. Tutte le bestie da quattro piedi, quaudo son pregoe, fuggono il coito, in fuor che la cavalla e la troia. Ma non impregna di nuovo quella che è pregna, se non il tasso e la lepre.

Q oae s it arim alium ik u t e r is p o s it io .

Q dalb sia la p o s it u r a d e g l i a n im a l i b e l l ' u t er o .

LXXXIV. 64 . Quaecumque animai pariunt, io capita gignunt circumacto sub enixum fetu : alias in utero porrecto. Quadrupedes gestantur extensis ad longitudinem cruribus, et ad alvum suam applicatis : homo io semet conglobatus, ioter duo genua uaribus silis. Molas, de quibus ante diximus, gigni putant, ubi mulier non ex mare, verum cx seraetipsa tantum conceperit : ideo neo animari, quia non sit ex duobus : allricemque habere per se vitam illam, quae salis arboribusque contingat. 65. Ex omnibus, quae perfectos fetus, sues tantum ct numerosos eduut : item plures, contra naturam solidipcdutn, aut bisulcorum.

LXXXIV. 64 . Totli quegli, che partoriscono animale, lo fanoo col capo innanzi, perchè vi si volge nel tempo del parto : altrimenti sta disteso nell’ utero. Gli animali di quattro piedi tengono le gambe distese, e accoste al suo corpo : l 'uomo sta aggomitolalo io sè stesso col naso tra le gi­ nocchia. Le mole, delle quali dinanzi parlammo, nascono quando la donna ingravida di sè stessa, e non del maschio ; e per qoesto non si fanno vive, perchè non sono concette di doe, e sodo nutrite di quella vita, eh' è nelle piante. 65. Di tutti quegli, che fanno perfetti parti, soli i porci ne fanno assai, più che non comporta la natura di quegli, che hanoo Γ ugna d* un pezzo, o di due.

Q uorum anim alium o r ig o a d h c c in c e r t a s it .

LXXXV. Super cuncta est murium fetus, haud sine cunctatione dicendus, quamquam sub auctore Aristotele et Alexandri Magui militibus. Generatio eorum lambendo constare, non coitu, dicitur : ex una genitos cxx tradiderunt : apud Persas vero, praegnantes et in venire parentis repertas. Et salis gustatu fieri praegnantes opi­ nantur. Itaque desinit mirum esse, node vis tanta messes popolelur murium agrestium : in quibus illud quoque adhuc latet» quonam modo illa multitudo repente occidat. Nam nec exanimes reperiontur, neque exstat qui murem hieme in agro effoderit. Plurimi ita ad Troadem prove­ niant : et jam inde fugaverunt incolas. Proventus eorum siccitatibus: tradunt etiam obituris vermi­ culum in capile gigni. Aegyptiis muribus durus

Di QUALI

AMMALI SIA ASCORA III CERTA L* ORIGIIE.

LXXXV. Sopra tutti gli animali ì topi oe fanuo infiniti ; de'quali vuoisi parlare nou senza circospezione, benché con Γ autorità di Aristo· tele e de' soldati di Alessandro Magno. N ascono dal leccare, e non dall'usare insieme. Dissero che una femmina ne fece centoventi : in Persia si son trovatele femmine de'topi gravide nd corpo della madre. Tiensi ch'elle impregnino anche solo al gustar dal sale. Però non è da maravigliarsi, che tanta quantità di topi campestri guastino talora le ricolte ; e insino a qui ancora non ti truova iu che modo quella tanta moltitudine io uu tratto si muoia. Pcrciucch' essi nè si trovano morti, nè c* è alcuno che il verno lavorando la terra ne trovi nel campo. Assai così ne perven­ gono nella Troade, e già ve ne sono venuti tanti.

HISTORIARUM MUNDI LIB. X.

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pilas, sicut herinaceis. lidem bipedes ambulant, ceu Alpini qooqae. Qoam diversi generis coivere animali·, ita demam generant, si tempus nascen­ di par habent. Qaadrapednm ova gignentium lacertas ore parere (ot creditur vulgo) Aristoteles negat : neqoe incubant eaedem, oblitae quo sint in loco enixae, qaoniam huic animali nulla me­ moria. Itaqae per se catuli erumpunt.

che n' hanno cacciati gli uomini del paese. Di­ cesi che moltiplicano per lo secco, e che quando hanno a morire nasce a loro in capo un piccolo vermine. 1 topi d'Egitto hanno il pelo doro, come gli spinosi, e camminano in doe piedi, come quei dell' Alpi. Quando gli animali di di­ verse sorti s 'impacciano insieme, ingenerano, se Γ uno e l’ altro ha il medesimo tempo del parto· rire. Degli animali da qoattro piedi, che facciano nova, dice Aristotile, contra quel che tiene il volgo, che la lucertola non partorisce per bocca, ni anco cova altrimenti le sue uova, dimentican­ dosi dove 1*abbia fatte, perchè questo animale non ha memoria alcuna. 1 lucertolini dunque nascono da loro.

Db s a la m a r d b is .

D e l l e sa b a m a v d ib .

LXXXVI. 66 . Anguem ex medulla hominis spinae gigni, accipimus a multis. Pleraque enim occolta et caeca origine proveniunt, etiam in quadrupedam genere :

LXXXVI. 66 . Noi abbiamo inteso da mol­ ti, che della midolla della spina dell' nomo casco la serpe. Perciocché molte cose vengono da in­ certa e oscura origine, ancora negli animali qua­ drupedi : 67 . Siccome è la salamandra, animale simile alla lucertola, pieno di stelle, il quale non viene mai, se non a tempo di lunghe piogge, e per sereno manca. Questo animale è tanto freddo, che spegne il fuoco al tocco, non altrimenti che farebbe il ghiaccio. Escegli di bocca nno amore a guisa di latte, il quale toccando Γ uomo in qual­ sivoglia parte del corpo, gli fa cadere tntti i peli, e quella parte eh'è tocca, si muta di colore e rimane imperfetta.

6 7 . Sicut salamandra, animal lacerti 6 gora, stallatoli), oomqaam, nisi magnis imbribus, pro­ veniens, et serenitate deficiens.Huic tantus rigor, ut ignem tactu restinguat, non alio modo, quam glacies. Ejusdem sanie, qoae lactea ore vomitor, quacumque parte corporis humani contacta, toti defluunt pili : idque quod contactum est, colorem in vitiliginem mutat.

Q o a e b u sc a r t i» e x ro r g e r it is . Q cab r a t a r ih il GIGNAR : IR QUIBUS RBVTEB SBXCS SIT.

Q u a l i a n im a l i nascono d a ' bo r r a t i . Q o a l i e s ­ sendo

RATI, NULLA GBNB&ANO : IR QUALI ROR CI

HA NÈ L ' UNO NÈ L' ALTRO SBSSO.

LXXXVII.6 8 .Quaedam vero gignuntur ex non genitis, et sine ulla simili origine, ut supra dicta: et quaecomqoe aetas, aut ver, statutumque tem­ po· anni generat. E t iis quaedam nihil gignunt, ot salamandrae. Neque est iis genus masculinum femininumve : sicut neque io anguillis, omnibusqoe qoae nec animal, nec ovum ex sese generant. Neutram est et ostreis genus, et ceteris adhae­ rentibus vado vel saxo. Quae autem per se gene­ rantur, st in mares ac feminas descripta sunt, generant quidem aliquid coitu, sed imperfectam et dissimile, et ex quo nihil amplius gignatur, ut vermiculos muscae. Id magis declaravit natura eorum, qoae insecta dicantur, arduae explana­ tionis omnia, et privatim dicato opere narranda. Quapropter ingenium praedictorum, et reliqua subtexetur edissertatio.

LXXXVI1. 6 8 · Alcuni animali nascono dei non generati, e senza alcuna simile origine, coire i sopraddetti, e quei che son prodotti dalla state o dalla primavera, e da un tempo ordinato dell'anno. Di questi alcuni non generano nulla, come le salamandre. E questi non sono nè ma» schio nè femmina, siccome interviene nelle an­ guille, e in tutti gli animali che non figliano, nè fanno uova. L 'ostriche ancora non sono nè ma­ schi, nè femmine, e tutti quegli che stanno ap­ piccali ai sassi o al fondo. Ma quegli che si gene­ rano per sè stessi, e son distinti in maschi e in femmine, generano alcuna cosa per coito, ma imperfetta e diversa, nè di quello altri si genera, come sotto i vermini, che nascono delle mosche. Ciò si conosce meglio per la natura di quelli che si chiamano insetti, animali di somma dif­ ficoltà, a volerne discorrere, e da esser trattati

G. PUNII SECONDI

OOQ »w

IOOO

in una opera appartata. Però della natara dei predetti diffusamente ragioneremo altrove. T aCTOM OMNIBUS BSSB :

D bi sbbsi d e g l i a n im a li. C sb t u t t i b a b b o i l t a t ­

I T U GUSTATUM. QoIBUS VISUS PRAECIPUUS : QUI­

t o b i l g u s to . Q o a l i a b b ia b o p iù a c u t a v i s t a :

D b SBNSIBUS ABIMAUUM.

BUS ODORATUS : QOIBUS AUDITOS : DB TALPIS.

All

OSTRBIS AUDITUS.

LXXXVIII. 69 . Ex sensibos ante cetera homìui tactos, deio gustatus: reliqais snperatur a malti·. Aqailae clarius oernaot: vultures sagacia* odoraotar : liqaidias aadiuot talpae obrutae ter­ ra, tam denso atque «ardo natorae elemeoto. Praeterea voce omoiom io sublime teodente sermonem exaudiuot : et si de iis loqaare, intelligere etiam dicantur, et profugere. Aaditas cai hominam primo negatas est, buie et sermonis asas ablatas : nec sant naturaliter sardi, ut non iidem sint et moti. In marinis, ostreis aadiloro esse, non est verisimile : sed ad sonam mergere se dieantar solere. Ideo et silentium in mari piscantibas. Qui

b x p isc ib u s c la r is s im e a c d i a k t .

LXX XIX. 70. Pisces qoidem aaditusoec mem­ bra habent, nec foramina : audire tamen eos pa­ lam est : at patet, qaum plausu congregari feros ad eibum adsaetudine in qoibusdam vivariis spe­ ctetur : et in piscinis Caesaris genera piseium ad nomen venire, quosdamqoe siogolos. ltaqne pro­ da otar etiam clarissime aadire, mugil, lupus, salpa, chromis, et ideo in vado vivere. Qui b x

p is c ib u s h a x ik b o d o b b b tu t.

XC. Olfactam iis esse manifeste palei : qoippe non omnes eadem esca capiontar : et prius, quam adpetant, odoraotar. Quosdam et speluncis la­ tentes, salsamento illitis faucibus scopuli piscator expellit, veluli sui cadaveris agoitionem fugien­ tes. Conveniuotque ex alto etiam ad quosdam odores, ut sepiam ustam, et polypum : quae ideo conjiciantur in nassas. Sentiuae quidem navium odorem procol fugiunt: maxime tamen piscium sanguinem. Non potest petris avelli polypos: idem conila admota, ab odore protinus resilit. Purpurae quoque foetidis capiuntur. Nara de re­ liquo animaliom geoere qqis dubitet ? Cornus cervini odores serpeutes fugantur, sed maxime styracis : origani, aut calcis, aut sulphuris formi­ cae necantur. Culices acida petunt, ad dulcia non advolant.

q u a l i l ’o d o r a t o : q u a l i l 'u d i t o . D b l l b t a l p b .

Sb l ' o s t r i c h e a b b ia b o u d i t o .

LXXXVIII. 69.11 tatto e il gusto sono eccel­ lentissimi nell'uomo, che negli altri sentimenti è superalo da molti animali. L'aquile veggon me­ glio: gli avoltoi hanno maggiore odorato : le talpe rinchiuse nella terra, tanto denso e sodo elemento di nalura, odon meglio; e benché la voce vada in so, pure odono il parlar nostro, e se si ragiona di loro, si dice che intendono, e fuggono altrove. Ogni uomo, che da principio é privo ddl'odire, é anco privo del favellare, e non c' è sordo na­ turale, che parimente non sia mutolo. Non è verisimile, che le ostriche marine abbiano l'adito; ma pure si toffano, quando senton romore: però i pescatori sogliono star cheli. Q u a l i t e a 1 p b sc i o d a b o a s s a i d is tin ta m e b tb .

LXXX1X. 70 . 1 pesci non hanno membra, nè fori da potere udire, ma però è cosa certa che odono ; perché si vede, ch'essi a un certo suono si raunano ne'vivai a pigliar Pesca. E nelle pe­ schiere di Cesare si chiamano di per si tutte le sorte di pesci, che vi sono, e vengono, e alcani d'essi hanno nome proprio. Perciò si vede die odono benissimo il muggine, il lupo, la salpa, il cromi, e per qaesto vivono in poca acqua. Q u a l i s p e c ia l m e n t e abbiano o d o r a to .

XC. E similmente non è dubbio che hanno odorato, perciocché tulli non si pigliano a ana medesima esca, e la fiutano prima che la vogliano mangia re. Sogliono i pescatori, quando i pesd sono ascosi sotto qualche scoglio, ugnere la bocca della lana con qualche sai sume, e così i pesd fuggono, come se conoscessero quello essere odore di pesd morti. Vengono aucora fin di alto mare a certi odori, come a quello della seppia arrostita e dei polpi, e per questo si mettono nelle nasae. Alcuni fuggooo l’odor della seatina delle navi, e massimamente il sangue del pesce. Il polpo non si può spiccar ddle pietre; ma se vi si accosta di quella erba, che si chiama santoreggia, sabito si stacca, per fuggir quell'odore. Le porpore aacora si pigliano con le carogne. E non c'è dub­ bio alcuno degli altri auimali. Le serpi fuggono l'odore dd corno di cervo, ma molto più dello

loor

HISÌORIABUM MUNDI IJB. X.

71 . Taclu* Mnsu· oranibos est, eliam quibus nallas alias : nata et ostreis ; et terrestrium, ver­ mibus quoque.

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storace; e le formiche maoiono all'odore ddPorigano, o ddla calcina, o -del zolfo. Le zanzare T a n n o alle cose acetose, ma non alle dold. 71 . Tutti gli animali hanno il tatto, fino a quegli, che non hanno niuno diro sentimento ; perciocché lo hanno anoora le ostriche e i Termini della terra.

D ivbbsitas i m i u r a » *a*tu.

D lT U S lT À DI ARMALI QUARTO A VASTO.

XCI. Existimaverim omuibu* seusum et gu•tatù* esse : cur enim alio* alia sapore* adpetant? io quo vel praecipua naturae architectae vis. Alia dentibus praedantur, alia unguibus, alia rostri aduncitate carpunt, alia latitudine ruunt, alia acumine excavant, alia sugunt, alia lambunt, sor­ bent, manduut, voraut. Nec minor variela* in pedom ministerio, ut rapiant, distrahant,teneant, premant, pendeant, tellurem scabere non cessent.

XCI. lo credo che tutti abbiano ancora il senso dd gusto. Infatti, perchè appetisoono essi chi un sapore e chi un altro? nella qual cosa si poò T e d e re una maraTigliosa industria della na­ tura. Alcuni predano co*denti, altri c o n l'unghia; diri pigliano col becco aggav ig n a to , altri scor­ rono per la larghezza, altri c aT a n o , altri succiano, altri leccano, assorbono, masticano, d iT o ra u o . Nè hanno punto minor varieté ndl’ opera de’ piedi, perchè con essi rapiscono, straziano, tengono, premono, sospendono, e non rifinano di frugac­ chiare e scalfire la terra.

Q o u VBimms

vitamt.

Q u a l i t iv a r o d i t b l b v i .

XCII. 7 *. Venenis capreae, et coturnices (ut diximus) pinguescunt, placidissima animalia : at serpentes ovis, spectanda quidem draconum arte: aut enim solida hauriunt, si jam lances capiunt, quae deinde in semet convoluti frangunt intus, atque ila putamina extussiunt : aut si tenerior est catulis adhuc aetas, orbe adprehensa spirae, ita sensim vehementerque praestringunt, ut am­ putata parte, ceu ferro, reliquam quae amplexu tenetur sorbeant. Simili modo avibus devoratis «olidis» contentione plumam excitam revomunt.

XC1I. 72 . I capriuoli e le quaglie, come ab· biam detto, ingranano di veleni, e pur sono animdi molto p ia c e T o li: le serpi ingrassano di nova ; e qui s'ha da considerar l*arte delle serpi. Perciocché o esse le inghiottiscono sode, se lor possono entrare in gola, e allora rivolgendosi fra sè stesse le spezzano dentro, e così ne cavano qud tenero, e mandano fuori i gusci : o se la serpe è giovane, talché ella non possa inghiottire, diora s'avvolge intorno alPuovo, e a poco a poco lo stringe in modo, che levatone una parte, come s e facesse col ferro, inghiottisce P altra che tiene ristretta. E similmente quando hanno inghiottiti gli occelli interi, col divincolare e voltolarsi man­ dano fuor le piume e Possa.

Q u ab t b b ia : q u a e fa m b a o t s it i vov ιοτβββαιττ .

Q u a l i v iv a ro d i t b b b a : q u a l i r o h n u o t i l o DI FAME, u à DI SBTB.

XCIII. Scorpione* terra vivant. .Serpentes, quum occasio est, vinum praecipue adpetunt, quum alioqui exiguo indigeant potu. Eaedem minimo et paene nollo cibo, quum adservantur indusae : «culi aranei quoque, alioqui suctu vi­ ventes. Ideoque nullum interit fame aut «ili vene· natum. Nam neque calor his, neque sanguis, ne· que sudor, quae aviditatem naturali sale angent. In quo genere omnia magis exitialia, si snura genus edere, antequam noceant. Condit in the­ sauros maxillarum cibum sphingiorum et satyro­ rum genu* : mox inde sen*im ad mandendum

XCIII. Gli scorpioni vivono di terra. Le serpi, quando possono averne, beono volentieri del vi­ no, ancora che per altro abbian poco bisogno di bere: e anco non hanno quasi punto bisogno di mangiare, quando elle si tengono rinchiuse; come ancora i ragnateli, i qoali vivono di suc­ ciare. Per questo nessuno animai velenoso non muore nè di fame, nè di sete. Perciocché essi non hanno nè caldo, nè sangue, nè sudore, le quali cose col sale naturale accrescono la ingordigia loro. Nel qual genere più mortiferi sono, se s’ab­ battono aver mangiato alcuno animale della epe-

ιοο3

C. PUN II SECUNDI

manibus expromit : et qaod formici* in annum solemne est, his in dies vel horas.

73 . Unum animal digitos habentiam herba alitur, lepos : sed et froge solidipedes, et e bisol­ eis sues omni cibata et radidbus. Solidipedum volutatio propria. Serra toram dentium earnivora snot omnia. Ursi et froge, fronde, vindemia, pomis vivant, et apibus, cancris etiam, ac formi­ da. Lapi, ut diximus, et terra in fame. Pecus pota pingaescit : ideo sal illis aptissimus : ilem veterina, quamquam et fruge et herba : sed ot bibere, sic edunt. Ruminant praeter jam dicta, silvestrium cervi, quum a nobis alantur : omnia autem jacentia potius qaam stantia, et hierae magis qaam aestate, septenis fere mensibus. Pontid quoque mures simii modo remandant.

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d i v b b s i t a t b p o to s .

XC1V. In potu autem, quibus serrati dentes, lambant : at mares hi vulgares, quamvis ex alio genere sint. Quibus continui dentes, sorbent ; ut equi, boves. Neutrum ursi, sed aquam quoque morsa vorant. In Africa major pars ferarum aestate non bibunt inopia imbrium : qaam ob causam capti mares Libyci, si bibere moriuntur. Orygem perpetuo sitientia Africae generant, et natara loci potu carentem, et mirabili modo ad remedia sitientiam. Namque Gaetuli latrones eo durant auxilio, repertis in corpore eorum sala· berrimi liquoris vesids. Insidunt in eadem Africa .ardi condensa arbore, occultatique earum ramis, in praetereuntia desiliunt, atque e volucrum sede grassantur. Fdes qaidem quo silentio, qaatft levibus vestigiis obrepunt avibus, quam occolte speculatae in musculos exsiliunt! Excrementa sua effossa obruunt terra, intelligentes odorem illum indicem sui esse.

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de loro innanzi che naocaao. Le sfingi e i satiri nascondono il dbo in certe bache ddle raascdle, e dipoi a poco a poco lo cavano fuor con le mani per mangiare : e quello che le formiche ripongo­ no per un anno, questi lo conservano per où di, 0 per poche ore. 73 . Un solo animale di qud che hanno le dita, si pasce d'erba : qaesto è la lepre : e di qaei che hanno l'ugne fesse, i porci mangian d’ogni cosa, fin delle radici.'Jl voltolarsi è proprio di qaei che hanno i piè sodi. Tutti quegli che hanno 1 denti a modo di sega, mangiano carne. Gli orsi vivono di biade, di foglie, d'uva, di mele, di pec­ chie, di granchi e di formiche ancora. 1 lupi, come dicemmo, mangiano fin della terra, quando hanno fame. Le pecore ingrassano di bere, e per ciò il sale è loro utilissimo ; e ancora gli animali che portano, benché vivano di biade e d'erba ; ma come bevvero, così mangiano. Oltra gli ani­ mali già detti, de'salvatici rugumano i cervi, quando son pasciuti da noi ; e tatti pià tosto a giacere, che ritti, e piò di verno, che di state, quasi per sette mesi. I topi Pontid anch'essi rugumano nel medesimo modo. D e l l a d iv e r s it à d e l b b b b .

XC1V. Quei che hanno i denti a uso di sega, beendo leccano, e i nostri topi ancora, benché sieno di un'altra specie. Quei che hanno i den­ ti continuati, assorbono, come i cavalli e i buoi. Gli orsi non fanno nè l'uno, nè l'altro, ma divo­ rano l'acqua col morso. In Africa la maggior parte delle fiere non beono la state, per la care­ stia delle piogge. Per la qual cosa i topi di Libia quando son presi beendo muoiono. In Afriea, dove il paese ha sempre carestia d'acqua, naaca un animale, che si chiama orige, il qude seguen­ do la nalura del suolo, mai non ha bisogno di bere ; eppure è di mirabil bontà per rimedio di coloro che hanno sete. Perciocché gli assas­ sini di Getulia durano con qudlo aiuto contra -la sete, trovando nel corpo loro certe vesdche di saluberrimo licore. Posand nella medesima Africa i pardi fra le fronde degli alberi, e appiat­ tando» ne'rami loro saltano addosso agli animali che passano, e così predano da on sito che è proprio degli uccelli. Ma con qual silenzio e eon quanta destrezza i gatti assaltano gli uccelli, e co­ me segretamente appostano e ammazzano i topi ! Coprono lo sterco loro con la terra, conoscendo che l'odor d'esso gli scuopre.

HISTORIARUM MUNDI LIB. X.

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Q u ab i i m

sb d is sid b a b t .

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A m ic it ia m ahim a liu m

: BT AFFECTUS a b im a liu m .

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Q o a l i a m m a li u sin o f r a lo b o a v v e r s io n e . C he SI DÀ AMICIZIA PRA GLI ANIMALI : AFFETTI DI ESSI.

XCV. 74 . Ergo et alios quosdam sensos esse, quam supra dictos, haud difficulter apparet. Sunt enim quaedam his bella amicitiaeque, unde et affectus, praeter illa quae de quibusque eorum suis diximus locis. Dissident olores et aquilae : corvus et chloreus, noctu invicem ova exqui­ rentes. Simili modo corvus et milvus, illo praeri· piente huic cibos: cornices atque noctua : aquilae et trochilus (si credimus), quooiam rex appellatur avium : noctuae et ceterae minores aves. Rursus cnm terrestribus, mustela et cornix : turtur et pyralis, ichneumones vespae et phalangis. Ranae aquaticae, et gaviae. Harpe et triorches accipiter. Sorices ed ardeolae, invicem felibus insidiente·. Aegì thus avis minima cum asino. Spinetis enim se scabendi causa atterens, nidos ejus dissipat : quod adeo pavet, ut voce omnino rudentis audi­ ta, ova ejiciat, pulli ipsi metu cadant. Igitur ad­ volans ulcera ejus rostro excavat. Vulpes et Nili angues ; mustele, et sues. Aesakra vocator parva avis, ova corvi frangens, cujos pulli infestantur a vulpibus. Invicem baec catulos ejus ipsamque vellit. Quod ubi viderunt corvi, contra auxilian­ tur, velut adversus communem hostem. Et acan­ this in spinis vivit: idcirco asinosetipsa odit, flores spinae devorantes. Aegithum vero anlhus in tantam, ut sanguinem eorum credant non coire, multisque ob id veneficiis infament. Dissi­ dent thoes ac leones. Et minima aeque ac maxi­ ma. Formicosam arborem erucae cavent. Librat araneus se filo in caput serpentis porrectae sub umbra arboris suae, tantaque vi morsu cerebrum adprehendit, ut stridens subinde, ac vertigine rotata, ne filum quidem desuper pendentis rum­ pere, adeo non fugere queat : nec finis ante mor­ tem est.

XGV. 74· Facilmente dunque si vede, come negli animali ci sono degli altri sentimenti oltre a' già detti di sopra. Perciocché gli animali hanno Ira loro certe guerre, ed amicizie; onde vi ή veggono essere alcune affezioni, oltre · quelle cose, le quali dicemmo di ciascun d'essi ne'suoi luoghi. Ni mici sono i cigni e l'aquile : il corvo e il dorione di notte fra loro si vanno ricercando l'uova. Similmente il corbo e il nibbio, togliendo quello il cibo a questo; la cornacchia e la dvetta; l'aquila e il trochilo perchè si chiama (se lo cre­ diamo) re degli uccelli : le civette e gli dtri uc­ celli minori. Inoltre fra' terrestri, la donnola e la cornacchia; la tortora e il pirale, gl'icneu­ moni, le vespe e i falangi. Le rane d'aequa e le gavie. L'arpe e il triorco sparviere. 1 topi e l'ardeole, le quali per inganno s’ingegnano d'uoddere i figliuoli l'un dell'altro. L'egito uccello piccolissimo con l'asino, perocché fregandosi l'asino ndle siepi per grattarsi, gli guasta il nido ; dove questo uccello n' ha tanta paura, che solo a udire il ragghio dell'asino getta l'uova fuor del nido, e i figliuoli, se son nati, caggiono per pau­ ra. Però l'uccello, volandogli intorno gli rode col becco dove egli ha rolla la pdle. Le volpi e le serpi dd Nilo ; 1e donnole e i porci. Esalon si chiama un certo uocello piccolo, il quale rompe l'uova del corbo : i suoi figliuoli sono noiati dalle volpi, ma esso similmente combatte e la volpe e i figliuoli di ld. La qual cosa veggendo i corbi, aiutan la volpe, e cosi combattono conlra il nimico comune. L'acanto vive nelle spine, e perciò ha in odio anch'esso l'asino, perchè ei mangia i fiori ddla spina. L'anto poi vuol tanto male all’egito, che si tiene, che il sangue loro non si mescoli insieme, e per questo l'usano a molte malie. Sono nimici i toi e i lioni : e tra piccoli e grandi sono inimicizie ancora. I bruchi soglion fuggire gli alberi pieni di formiche. 11 regnatelo sceode giù per il suo filo sopra il capo della serpe, che giace sotto l'albero, e con tanta forza le morde il cervdlo, che la serpe si ridendo per il dolore s'aggira, e non che possa rompere il filo, che le penda sopra, ma non può pur fuggire, nè rimane di girare fin che si muore.

E x b m pla a ffe c t u s s b e f b b t id h .

E sRMFU DI AFFETTO KB' SBBPEJITI.

XGVI. Rnrsus amici pavoneset columbae; turtures et psittaci ; merulae et lurdi ; cornix et ardeolae; conlra vulpium genus communibus ini*

XCVI. Sono poi amid i pavoni e le colombe; le tortore e i pappagalli ; i merli ed i lordi ; la cornacchia e l'ardeole, e hanno inimicizia comune

C. PLINII SECUNDI

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micitiii. Harpe et milvas contra triorcbem.Quid, non et affectas indicia suat etiam ia serpentibus, immitissimo animalium genere f Dicta sunt, quae Arcadia narrat de domino a dracone s e r v a to , et agnito voce draconi. De aspide miraculum Philarcho reddatur: is enim auctor est, quum ad mensam cajusdam veuiens in Aegypto aleretur assidue, enixam catulos, quorum ab uno filium hospitis interemptum : illam reversam ad consue­ tudinem cibi, intellexisse culpam, et necem intu­ lisse catulo, nec postea in tectum id reversam.

contra le volpi : la arpe e il nibbio contra il tri­ oreo. £ di pià che ancora nella serpi, animali inimicissimi, souo segni defletto a d'amicizia. Noi abbiam gii detto quel che si dice che intervenne in Arcadia d'un signore, die fu salvato da uu dragone ; e oome e' conobbe la voce dell'uomo. Filarco scrive la maraviglia d 'un1 aspide, e dioe che un’aspide in Egitto soleva di continuo pascersi alla tavola d'un certo, e ch'ella fece due figliuoli, l'uno de* quali ammazzò il figliuolo del padrone della casa ; e ritornando ella poi a mangiare, e intendendo come era ita la cosa, uccise il suo proprio figliuolo, nè mai pià ritornò in quella casa.

D b s o n n o a b im a lid m .

D a i. SOBBO DBOU ABIH ALI.

XCV1I. 75 . Somni quaestio non obscuram conjectationem habet. In terrestribus, omnia qoae conniveant, dormire manifestum est. Aquatilia quoque exignnm qaidem, etiam qui de celeris dubitant; dormire tamen existimant : non ocu­ lorum argumento, quia non habent genas: verum ipsa quiete cernuntur placida, ceu soporata, nc­ que aliud quam caudas moventia, et ad tumul­ tum aliquem expavescentia. De thynnis confiden­ tius adfirmatur : juxta ripas enim aut petras dormiunt. Plaoi autem piscium in vado, ut manu saepe tollantur. Nam delphini, balaenaeque ster­ tentes etiam audiuntur. Iusecta quoque dormire silentio adparet, quia ne luminibus quidem ad­ motis excitentur.

XCVII. 75 . La quislione del sonno degli ani­ mali è cosa di non piccola considerazione. Fra gli animati terrestri tutti quei che serrano gli occhi certo è che dormono. Gli animali d'aoqua ancora comunemente si tiene che dormano, benché poco eziandio da coloro, che dubitano degli altri ; e non dall'argomento degli occhi, perciocch' essi non hanno palpebre ; mi perchè si veggono come addormentati con piacevoi riposo, che non di­ menano altro che la coda, e a ogni poco di stre­ pito si risentono, e hanno paura. De' tonai si tiene per cosa certa, perdocchè dormono appres­ so le ripe, o le pietre. 1 pesci piani dormono od poco fondo, talché spesse volte si pigliano con mano. 1 delfiui e le balene si sentono ancora russare. Vedesi similmente che gli animali insetti dormono, perciocché non si risentono anco con accostar loro i lumi.

Q u a b s o k k ib b t.

Q dau s o g b ib o .

XCV1II. Homo genitus premitur somno per aliquot menses : deinde longior in dies vigilia. Somniat statim infans : nam et pavore expergiadtur, et suctum imitatur. Quidam vero num­ quam : quibus mortiferum fuisse signum contra consuetudinem somnium, invenimus exempla. Magnus hic invitat locus, et diversis refertus do­ cumentis, uiruntue sint aliqua praescita animi quiescentis: qua fiant ratione, an fortuita resdt, ut pleraque. Et si exemplis agatur, profecto paria fiant. A vino et a cibis proxima, atque in redormitatione vana esse visa, prope convenit. Est autem somnus nihil aliud, quam animi in medium sese recessus. Praeter hominem somniare equos, canes, boves, pecora, capras, palam est. Ob hoc creditur et in omnibus quae animal pariant. De

XCV1II. L'uomo, come egli è generato, dor­ me assai per parecchi mesi, dipoi di giorno in giorno va scemando il dormir». Sogna il bam­ bino subito eh' egli è nato, perchè veggiamo che dormendo si spaventa, e contraffa il poppare. Alcuni nou sognano mai, e troviamo essere stato seguo mortale il sogno a chi non fu mai usato di sogoare. Nascemi qui un gran dubbio di voler sapere, se l'animo nel dormire vede le co*e av­ venire, e sognando indovina; e per che ragio­ ne ; o se tutto è a caso, come in molte cose veg­ giamo. E se vogliamo provare per esempii, certa­ mente saranno pari nell’una e nell'altra parte: pure quasi ognuno concede che i sogni, i quali si fanno poco dopo il mangiare e il bere, e nel ripigliarsi dd sonno, sieno vaui. 11 sonno non è

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HISTORIARUM MUNDI LIB. X.

iis qoae ova gignunt, incertam est : sed dormire es, certam. Veram ad insecta transeamus : baec namqae rsstant immensae subtilitatis animalia : qaando aliqui ea neqoe respirare, et sanguine etiam carere prodiderant.

IO IO

altro, se non an ritornar deU'snimo nel mezzo di sè «tesso. Oltra Puomo sognano ancora i ca­ valli, i cani, i buoi, le pecore e le capre. E però si tiene che sognino tutti gli altri, che partori­ scono animale. Di quegli che fanno uova, non si sa certo che sognino, ma non c’ è dubbio che dormano. Passiamo ora a ragionar degli insetti, i qaali sono animali di grandissima sottilità e con­ siderazione, perciocché molti hanno dello che non alitano, e che sono senza sangue.

C. PLM I SECONDI

HISTORIARUM MUNDI LIBER XI INSECTORUM

A N I MA L I U M GE NE R A.

SuBTILlTAS 1 · BIS RBBUS HÀTCBAE.

SOTTILITÀ DBLLA HATU&A. IH QUESTI IRSBTTT.

I. i. IU ulla haec el multigenera, terrestrium votucrumquae ▼ita. Alia pennata, ut apes : alia atroqae modo, nt formicae : aliqoa et pennis et pedibos carentia ; et jnre omnia insecta appellata •b incisuris, qoae nnne cervicum loco, nunc pe­ ctorum atque alvi, praecincta separant membra, tenui modo fistula cohaerentia. Aliquibus vero non tota incisura, eam ambiente ruga : sed in alvo, aut saperne tantum, imbricatis flexilibus vertebris, nusquam alibi spectatiore naturae re­ rum artificio.

.I. i. v j r r insetti sono molti, e di molte specie, ed hanno vita d1 animali di terra e d'uccelli. Alcuni haono le penne, come le pecchie : alcani sono oon ale e senta, come le formiche ; e alcuni altri non hanno ni penne, nè piedi. E merita­ mente tutti sono chiamati insetti, cioè tagliati, dalle riciditure, che ora in luogo di collottola, ora in luogo di petto o di ventre,separano le membra, che stanno fra loro appiccate solo per via di meati spongiosi. Alcuni non sono affatto ricisi, ma cir condati da rughe; solo però nel ventre e nel capo, dove hanoo raenature flessibilmente connesse: nò t ’ ha altrove più mirabile artifizio di natura. a. Ne1corpi grandi, o veramente ne'mag­ giori di questi, è piò fadl fabbrica, perdocchè quivi la materia ubbidisce e sì rende. Ma in que­ sti così piccoli, e quasi come nulla, che ragione, qual forza, e quanto inestricabile perfezione! Dove pose dia la natura tanti sentimenti in una zanzara ? e sono altre cose minori a dire. Or come le diede ella la vista? dove le accomodò il gusto ? dove le mise Γ odorato ? E dove le ingenerò quella voce aspra, e grande a propor­ zione del corpo? Con qual sottigliezza le attaccò le penne, e le allungò le gambe de’ piedi ? e con quale le dispose quella digiuna caverna del corpo ingorda di sangue, e sopra tutto di san­ gue umano ? Ccn che artificio poi le aguzzò lo

a. In magnis siquidem corporibus, aut certe majoribus, facilis officina sequaci materia foit. In his tam parvis, atque tam nullis, quae ratio, quanta vis, quam inextricabilis perfectio ! Ubi tot sensus collocavit in culice f et sunt alia dicla minora. Sed ubi visum in eo praetendit? Ubi gu­ statum adplicavit? ubi odoratum inseruit ? nbi vero truculentam illam et portione 'maximam vocem ingeneravit? qua subtilitate pennas adnexuit? praelongavit pedum crura? disposuit jejunam caveam, uti alvum ? avidam sanguinis, et potissimum humani, sitim accendit? Telum vero perfodiendo tergori, quo spiculavitingenio? Atque nt in capaci, qnam cerni non possit exili­ tas, iu reciproca generavit arte, nt fodiendo acu-

ιο ι5

C. PLINII SECUNDI

minatam pariter, sorbendoqae fistnlosum enet. Qaos teredini ad perforanda robora cum sono teste dente* adfixit, potissimumque e ligno ciba· tum fecit ? Sed turrigeros elephantorum miramur hameros, tauro rurnqne colla, et truces in sublime jactus: tigrium rapinas, leonum jubas, quum rerum natura nusquam magis, quam in minimis, tota sit. Quapropter quaeso, ne nostra legentes, quoniam ex bis spernunt multa, eliam relata fa­ stidio damneot, quam in contemplatione naturae nihil possit videri supervacuum.

Ar s p ib b h t ,

a · b a b b a iit s a b q v w m .

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11. 3. Insecta mulli negarunt spirare, idqoe ratione persuadentes, quoniam in viscera interiora nexos spirabilis noo inesset. Itaqoe vivere ut* fruges, arboresque: aed plurimam intereaae, spiret aliquid, an vivat. Eadem de eaum necaaoguinem iis esae, qui sit nullis careutibns oorde atque jecore. Sic nec spirare ea, quibus pulmo desit. Unde numerosa quaestionem series exori­ tor. lidem enim et vooem esse his negant, in lanio murmure apinm, cioadarum sono, et alii· quae suis aestimabantur locis. Nam mihi con­ tuenti se persuasit rerum natura, nihil incredibile existimare de ea. Nee video, cur magis poasint non trahere animam talia, et vivere, quam spi­ rare sine visceribus : quod etiam iu marinis do­ cuimus, quamvis arcenle spiratam densitate et altitudine humoris. Volare quidem aliqua, et ani­ matu carere in ipso spiritu viventia, habere sen­ sum victas, generationis, operi·, atque etiam de futuro curam : el quamvis non siul membra, quae vehit carina, sensos invehant, esse tamen his au­ ditum, olfactum, gustatum, eximia praeterea naturae dona, soleriiam, animum, artem, quis facile crediderit? Sanguinem non esse his fateor, sicut ne terrestribus quidem cunctis, verum simile quiddam. Ut sepiae in mari sanguinis vicem atra­ mentum obtinet, purpurarum generi infecior ille succos: sic et iuseclis quisquis est vkalis humor, hic «rit et sanguis, 4 o o m aestimatio ««a cuiqoe sit. Nobis propoùtom esi, usturas rerum manifestos indicare, noe cautas judicare dubias.

1016

spentone ; e beoch’ egli sia sottilissimo sicché bon si vede, nondimeno come se fosse capace, Γ ha Ì4 U 0 agusso per forar la pelle, e accanata­ lo per succiare il sangne ? Che denli, dei quali è testimonio il suono, ha dato al tarlo per fora· re ogni duro legno, e perchè ha dia volato che si pasca di legno ? Ma noi ci maravigliamo delle spalle degli elefanti, die vi portano le torri ; «lei colli dei tori, e come orribilmente gettino in aria alimi; delle rapine delle ligri, e dei crini dei lioni ; e nondimeno la natura mostra assai più tutto il suo sapere ndle cose minime, che nelle grandi. E però prego coloro che leg­ gono queste cose, benché molli di questi tali animali sieno in dispregio, nondimeno non vo­ gliano avere a noia le cose che riferiremo di essi, oon .ci essendo nulla di superchio a con­ templar la natura. Ss A U T O »

B ABBIA· SABGUB.

II. S. Molli hanno detto, che gl’ insetti noo hanno respiratione, e dò persuadono con ragio­ ne, perchè nelle viaeere interiori non hanno connesainnr di meati spirabili ; e perciò dicono ehe viftao nume le biade e gli alberi ; ma che e' è gran diloreau tra vivere e spirare. E però tengono sooora, che essi non abbian sangue, perohè chi non ha cuore e fegato, non ha san· go« ; e sosì quei che noo hanno polmone, non alitano. Di qui nasce un numero infinito di questioni. Perciocché questi medesimi dicono,che gl1inselli non hanno voce, mentre pur udiamo il ronzar delle pecchie, il canlar delle cicale, e altre cose, che si diranno al suo luogo. Perchè considerando io la natura delle cose, io son fur· iato a credere, che ella possa fare ogni cosa. Nè so vedere, perchè più tosto questi animali pos­ sano uoo trarre Palilo e vivere, che alitare sen­ za P interiora, il che dimostrammo negli ani­ mali di mare, benché il corpo denso detP acque e la lor profondila impedisca Γ alitare. Ma chi potrà credere che alcuni animali volino, e man­ chino di spirito, vivendo in esso spirito, cioè nelP aria, e abbiano seuso al vitto, al generare, all1 opera, e ancora abbiauo cura deiravvenire? e benché non abbiano i membri, i quali porlino i aeosi come carena, abbiauo però Pudito, Podoratn, il gnsto, ed oltracciò onorati doni di na­ to » , iodostrsa, animosità e arte? lo confesso eh* essi m b Jh h m sangue, come tutti gli altri animali terrestri, ma però hauno un certo ornare che gh somiglia. Come le seppie iu ma­ ce in cambi· di sangoe hanno inchiostro, e le porpore qnd sego, J i «ni si tingono i pao­ ni ; «od qnello amore viult, é t hanno questi

HISTORIARUM MUNDI LIB. XI.

animaluzzi, qaalanque e* si sia, è in luogo di sangue. Ma ciascuno creda quello che gli pare ; perchè l'inlenzion mia è di voler mostrare ia nalura manifesta delle cose, e non di giudicare le cagioni occulte. Db

g o iv o b b b o b c m .

UI. 4· Insecta, at intelligi possit, non viden­ tur nervos habere, nec ossa, nec spinas, nec car­ tilaginem, nec pingaia, nec carnes, ne crnstam qaidem fragilem, at quaedam marina, nec qaae jure dicatur cutis: sed mediae cajusdam inter omnia haec naturae corpus, arenti simile, nervo mollius, in reliquis partibas siccius vere, quam durius. Et boc solum his est, nec praeterea aliud. Nihil intus, nisi admodum paucis intestioum im­ plicatam. Itaque divulsis praecipua vivacitas, et partium singularum palpitatio. Quia quaecum­ que est ratio vitalis, illa non certis inest membris, sed toto in corpore, minime tamen capile, solumque non movetur, nisi cum pectore avulsum. In nullo genere plures sunt pedes* Et quibus ex his plurimi, diutias vivunt divalsa, ut in scolopendris videmus. Habent autem oculos, praeterque e sen­ sibus tactum atque gestatum : aliqua et odoratum, pauca et auditum.

Da

am b o s.

D b l l o b o co ev o .

III. 4· Questi insetti non pare che abbiano nè nervi, nè ossa, nè spine, nè cartilagine, nè grasso, nè carne, nè corteccia si agile, come certi animali di mare, nè pelle propriamente delta; ma hanno corpo d'una natura, la quale è in qoel mezzo di tutte queste cose, che pare secco e arido, ma è più morbido che se di nervo; nell’altre parti più secco, che duro ; e ciò solo hanno, senza altro. Dentro non haono nulla; se non se alcani pochi,che hanno un certo budello inviluppato. Ferò benché sieno divisi, vivono in tutte le parti, ancor che sieno separate, e muovonsi. Perciocché qualaoque si sia la rsgioa vitale, quella non è in oerti mem­ bri ma in lutto il corpo : ma però non solo nel capo, perchè esso solo non si muove, se non è spiccato col pello. Nessuna sorte d 'animali ci è, che abbia più piedi ; e quegli che più ne han­ no, vivono più lungamente se ne siau loro slac­ cali, come veggiamo in certi bacherozzoli, che si chiamano cento gambe. Hanno ben gli occhi, e dei sentimenti oltre il tallo e il gusto, alcuni hanno ancora lo odoralo, e pochi Γ udito. D b llb

p e c c h ie .

IV. 5. Sed inler omnia ea principatus apibas, IV. 5. Ma fra lutti questi le pecchie oltengoet jare praecipua admiratio, solis ex eo genere il principato, e merilamente sono in grandis­ hominum causa genitis, Mella contrahunt, sue- sima ammirazione, essenJo esse sole fra gl'insetti cumque dulcissimum afque subtilissimum, ac sa­ generate per cagion dell’ uomo. Esse fanno il luberrimum. Favos conitugunt el ceras, mille ad mele, licore dolcissimo, sotlilis»imo, e ulil mollo. usus vitae : laborem tolerant, opera conficiunt, Fabbricano i favi e la cera, utile a mille bisogni rempublicam bebent, consilia -privatim, ac duces della vita umana. Durano fatica, fanno opera, gregatim : et quod maxime mirum sit, mores hanno repubblica, privati consigli e guide delle babeot. Praeterea, quum sint ueque mansueti schiere, e quello ebe é molto più degno di mara­ generis, neque Crri, tamen lauta est ualura rerum, viglia, hanuo costumi, d ir a di ciò, ancor che elle ut prope ex ambra minimi animalis, incompara­ non sieno di genere nè domestico, nè salvalico, bile effecerit quiddam. Quos efficaciae induslriae- nondimeno è tanto grande la natura delle cose, que tantae comparemus nervos? quas vires? che quasi della ombra di un minimo animale ha quos ralioui medius fidius viros ? hoc cerle prae- fatto un certo che d 'incomparabile. Quai nervi stanlioribus, quod nihil novere, nisi commune. ritroveremo noi di tanta efficacia e industria ? Non sit de anima quaestio : cooslel et de sangui­ quai forze ? quali uomini per dio a comparane, quantulam tamen esse in tantulis potest ? ziooe di qoeste bcstiuole ? le quali io questo ve­ ramente gli avaozaoo di gran lunga, che non Aestimemus postea ingenium. hanuo nulla se nou comune. Non si disputi del* Γ anima, e sia pure ella di sangue ; nondimeno quanto poco ne può essere in questo animale sì picciolo ? Consideriamone poi lo ingegno.

C. PLINII SECUNDI

■019 Q v t* ORDO IB 0 VBBB BABVll.

loto

Q ua LB SIA l ’ OBDIBB DBL· LAVOEO CHB FABRO.

V. 6 . Le pecchie stanno riposte il verno; V. 6 . Hieme condantur *unde enim ad praiaas nivesqne, el Aquilonum flatui perferendos vires? perchè come potrebbono elle resistere alle nevi, Sane et insecta omnia : sed minus dia, quae pa­ ai ghiacci e ai venti ? E similmente tutti gli altri rietibus nostri· occultata, mature tepefiunt. Circa insetti, ma meno quegli, che sono sotto i nostri apes aut temporum locorumve ratio mutata est, tetti, perchì più tosto si riscaldano. Circa le aut erraverunt priores. Conduntur b Vergiliarum pecchie, o ·* è mutata la natara dei luoghi e dei occasu, sed latent ultra «ortum : adeo non ad tempi, o gli antichi hanno errato. Ripoogonsi veri· initium, ut dixere, nec quisquam in Italia nel tramontar delle Vergilie, e stanno nascose de alvis existimat. Ante fabas florentes exeunt più là che il nascimento delle già dette stelle, ad opera et labores, nullusque, quum per coelum tanto che dò non i al principio della prima­ licuit, olio perit dies. Primam favos construunt, vera, come dissero gli antichi, biasimati in Italia ceram fiogunt, hoc est, domo· cellasqae faciunt. da quanti han casse di pecchie. Innanzi che le Deinde sobolem, postea mella, ceram ex floribas, fave fioriscano elle escono a lavorare, e qaando melliginem e lacrymis arborum, quae glatinam hanno cominciato, nessuno dì, se il tempo oon le pariunt, salicis, ulmi, arundinis, succo, gummi, impedisce, passa ozioso. Prima dunque fanno i resina. His primum alveum ipsum intus totum, fiatoni e la cera, cioè fanno le case e le celle at quodam tectorio, illinunt, et aliis amarioribus loro. Dipoi gli sciami, e finalmente il mele : fan­ succis contra aliarum bestiolarum aviditates : id no la oera dei fiori: fanno il melligine delle •e facturas consciae, quod concupisci possit. His gocce glutinose degli arbori, oome a dire di sal­ dteinde fores quoque latiores circumstruant. ci, di olmi, di canne, del sugo loro, della gom­ ma, della ragia. Con queste cose prima tuli* la lor cast di dentro, come di uno intonico, ricuoprono, e con altri sughi più amari eontra la in­ gordigia di molte bestinole, e ciò fanno, sapendo che ve n’ ha che cercano il mele. Con qaesti an­ cora restringono le entrate troppo larghe. Q o iD SIT IB BO COVMOSIS, FISSOCBBOS, PB0F0L1S.

C h b s ia c o n o s i, fis s o ceno, p b o p o li.

VI. 7 . Prima fandamenla commosin vocant VI. 7 . La prima crosta o fondamento dei periti, secunda pissoceron, tertia propolin, inter fiatoni si chiama comosi, il seoondo pissoeero, coria cerasque : magni ad medicamina usus. Com­ il terzo propoli : questo è tra cuoio e oera, e di mosi· crusta est prima, saporis amari. Pissoceros molto utile nelle medicine. La prima crosta, o co­ super eam venit, picantium modo, ceu dilntior mosi, è di sapore amaro. Il pissocero vien sopra cera. E vitium, populorumque mitiore gummi a quella a foggia d’ impeciatura, ed è cera assai propolis, crassioris jam materiae, aridi lis floribus, molle e dilavata. La propoli è formala della nondum tamen cera, sed favorum stabilimentum, gomma più molle che gronda dalle viti e dai qua omnes frigoris aut injuriae aditus obstruun­ pioppi, ed è di materia più grossa, aggiuntovi i tur, odore el ipsa etiamnum gravi, ut qua pleri- fiori; non però ancora cera, ma stabilimento de' fialoni, con cui si serra la via al freddo, e que pro galbano utantur. a ogni cosa nociva : è d 'odor reo ; onde molti 1' osano in luogo di galbano. Q u id b b it h a c b , siv b saboabaca , s iv e c b b ib t h o s .

C hb s ia b b ita c b , o v v e b o s a n d a b a c a , o c b b i s t o .

VII. Praeter haec convehitur erithace, quam aliqui sandaracam, alii cerinthum vocant. Hic erit apium, dum operantnr, cibus, qui saepe in­ venitur in favorum inanitatibus sepositus, et ipse amari saporis.Gignitur autem rore verno,et arbo­ rum succo, gumraium modo, Africi minor, Austri flatu nigrior, Aquilonibus melior et rubens, plu-

VII. Oltra queste cose, le pecchie conducono ancora quella, che si chiama eri tace, che da al· cuni è detta sandaraca, e da altri cerinto. Que­ sto sarà il cibo delle pecchie, mentre che eli· lavorano, il quale spesso si trova riposto ne' ba­ chi de' fiatoni, ed anch' esso è amaro. Naaoe della rugiada della primavera e del sugo degli

ioaa

HISTORIARUM MONDI L1B. XI.

tosi

rima» io (ηοοίι nucibus. Menecrates florem «ne dicit, sed nemo praeter eam.

E x QOIIOI FLO M ID I O K U FIABT.

alberi a modo di gomma ; minore, soffiando ven­ to Africo, ed più nero al soffiar d’ Ostro : sof­ fiando Aquilone è maggiore, e rosseggia. Naaeeae assai nei nod greci, ovvero mandorli. Menecrate dice eh'egli è un fiorei ma niuno altro fuor di lui. Di q d h i

noni si f a c c ia n o ■l a v o r i

lo ro .

Vili. 8 . Le pecchie fanno cera de' fiori di VIII. 8 . Gerat ex omniam arboram satoromqae floribus confingant, exeepla ramice et echi- tatti gli alberi e sementi, eccetto la ramice e nopode. Herbarum baee genera. Falao excipitur l ' eehinopode. Queste son sorti d' erba. Falsa­ et spartnm, quippe qaam i i Hispania multa in mente se ne eccettua quella ch' i detta sparto ; spartariis mella herbam eam sapiant Falso et perciocché in lspagna molti meli fatti in luogo oleas excipi arbitror, quippe olivae protenta dov'è lo sparto, ritengono il sapore di quel-1 plurima examina gigni certum est. Fructibus l'erba. Falsamente ancora penso che se ne ec­ nullis nocetur. Mortuis ne floribus quidem, non cettui l ' olivo, perciocché quando è dovisia modo corporibus insidunt. Operantur intra sexa­ d'olive, nascono molti sdami. Non nuocono a ginta passus : et subinde consumptis io proximo frutto 1alcuno : non si posano sopra morti, non floribus,speculatores ad pabala ulteriora mittunt. solamente corpi, ma né ancora fiori. Operano Noeta deprehensae in expeditione excubant su­ per ispasio di sessanta passi all* intorno, e poi­ pinae, ut alias a rore protegant. ché hanno consumati i fiori, che erano dappres­ so, mandano innanzi le spie a cercar de' paschi. Se la notte le sopraggiugne alla campagna, dor­ mono supine, acciocché la rugiada non bagni loro le ali. Afic h s tu d io

cara.

DBGLI AKATOBl DBLLB VBCCUB.

IX. g. Ne quis miretur amore earum captos, IX. 9 . Non d maravigli dunque alcuno, che Aristomaohum Solentem duodesexaginta annis ni­ Aristomaco Solense innamorato delle pecchie, hil aliud egisse : Philiscum vero Thasium in de­ per ispasio di cinquanta otto anni non attendes­ sertis apes eolentem Agriam cognominatum ; qai se ad altro, e che Filisco Tasio, vivesse nei deserti ambo scripsere de his. per aver agio di coltivarle, onde fu chiamato Agrio, quasi selvatico. Araendue scrissero ddla natura ddle pecchie. R a t iio o p e r is .

X. 10. Ratio operis. Interdia statio ad portas more castrorum, noctn quies in matutinum, donec uua excitet gemino aut triplici bombo, ut buccino aliquo. Tnoc universae provolant, si dies mitis fatarus est. Praedivinant enim ventos imbresque, et se contineot tectis. Itaque temperie coeli (et hoe inter praescita habent), qaam agmen ad opera processit, aliae flores aggerunt pedibus, aliae aquam ore, guttasque lanugine totius corporis. Quibus est earum adolescentia, ad opera exennt, et supradicta convehunt : ae­ niores intus operantor. Quae flores comportant, prioribus pedibus femina onerant, propter id satura scabra, pedes priores rostro: totaeque onustae remeant sarcina pandatae. Excipiunt eas ternae, quaternaeque, et exonerant Sunt enim intus quoque officia divisa. Aliae struunt, aliae

D b l m odo

hi l a v o r a b b .

X. 10. Il modo del lor lavoro è questo. 11 giorno sono alcune di loro, le qudi fanno la guardia alle porte, come s'osa in campo : la not­ te riposano fino all’ alba, tanto che una le risve­ glia tutte, facendo due o tre volte romore, oome s'ella sonasse il corno. Allora tutte volano fuori, se il giorno è per essere quieto. Perdocchè elle indovinano quando ha ad essere vento o piog­ gia, e allora si stanno in casa. Qoando il di è temperato (poiché prevedono anche questo), se ne vanno in pastura, e d a rn e s 'appiccano i fiori d ie gambe,alcane portano acqua con la boc­ ca, · sui peti di tutto il corpo. Escono al trava­ glio e riportano le prefate cose qudle die son giovani : le vecchie rimangono denteo. Quelle che portano i fiori, ne tengono il carico sulle cosce dd piè dinanzi, perciò medesimo di lor

C. PLINII SECONDI

natura rostigliose, e sostengono quei piè stessi col rostro j e così onuste ritornano tutte curve per lo peso. Tre o qoaltro di quelle che rima­ sero nell' alveare se ne vanno intorno a una, e la scaricano ; poiché di dentro ancora gli ufficii sono compartiti. Alcune compongono, alcune ri­ puliscono, alcune porgono, alcune apparecchia· no il cibo delle cose che sono arrecate di fuori; perocché mangiano tutte insieme e ad un* ora, acciocché non oasca tra loro disuguagliane· di opera, di cibo e di tempo. Fanno dipoi la volta o concameratione, e intessono l'opera fino in som­ mo, ed aprono due viottoli per ogni via prind· pale, acciocché possano entrare per uno, e uscire per F altro. Stanno i fiatoni attaccati dalla parte disopra, e si tocoano anoor un poco da* lati, e pendono insieme. Non toccano la cassa, quando torti, e quando tondi, secondo che ricerca la qualità del luogo; e talora anco sono di due sorti, quando due sciami di diverso costarne stanno d 'accordo dentro a una cassa. Perchè li cera non ruini, le fanno sotto quasi pile di ponti ; in quel modo lasciano gli sparii, per li qaali possano ire a empiere i fiatoni. Lasciano vóti presso a poco i tre primi ordini per levare la comodità e 1*occasione a' ladri di rubare. Gli aitimi si riempiono tutti di mele, e perciòi Ba­ ioni si cavano fuori per lo contrario della cassa. Quelle che fanno 1' ufficio del portare, veggono d* andare a seconda ool vento. E se si leva bur­ rasca di vento, si bilanciano pigliando co'piedi aleuui sassolini. Alcuni dicono che se gli pon­ gono in sulle spalle, e volano presso a terra, qoando hanno il vento contrario, schivando tva via gli sterpi. Maravigliosa è la loro diligerne nel lavorare. Pongono mente a quelle, che si stanno, poi le gastigano e puniscono con b morte. Mirabile è ancora la nettezza loro. Leva­ no di mezzo dò che vi fosse, non volendo alcu­ na bruttura fra il lavoro. E più, che lo stereo di qoelle che lavorano dentro, per non portarlo troppo lontano, lo nonano tutto in on luogo, e ne* giorni piovosi e scuri, quando non ai poò lavorare, lo portan fuori. Quando si fa aera, a poco a poco comincia a scemare il romore nella cassa, fin che una vola attorno nel medesimo modo, come fa quando le risveglia eoi ronzare, quasi che ella comandasse loro ehe si riposas­ sero ; e questo a uso degli eserciti. Altera subito ·' aochetano tutte. ■i. Domos primum plebei exaedificant, dein­ ii. Fanno prima le case a'plebei, poi a 're , de regibus. Si speratur largior proventus,, adji­ e se si spera dovizia, fanno le case ancora a' fochi : ciuntur contubernia et fucis. Hae cellarum mini­ queste sono minori celle dell' altre, ma assi sono maggiori delle pecchie. mae, sed ipsi majores apibus.

poliant, «lite suggerant, aliae cibum comparant ex eo, qaod adlatum est. Neque enim separatim ▼escantur, ne inaequalitas operis et cibi fiat et temporis. Struunt orsae a coocameratione alvei, textumque vel usque ad summa tecta deducunt, limitibus binis circa singulos actus, ut aliis intrent, aliis exeant. Favi superiore parte adfixi, et paul)um etiam lateribos simul baerei)t, et petfdent una. Alveum non contingant, nunc obliqui, nunc rotandi, qualiter poposcit alveas : aliquando et duorum generum ; quum duo examina concor­ dibus populis dissimiles habaere ritus. Ruentes «eras fulciunt, pilarara intergerinis sic a solo fornicatis, ne desit aditas ad sarciendum. Primi fere tres versas inanes straootur, ne promptam •it quod invitet furantem. Novissimi maxime implentur meile : ideoqoe aversa alvo (avi exi· muntur. Gerulae secundos flatus captant. Si coo­ riatur procella, adprebensi pondusculo lapilli se librant. Qaidam in humeros eam imponi tra­ dunt. Juxta vero terram volant in adverso flatu vepribus evitatis. Mira observatio operis. Cessan· tinm iperliam notant, castigant mox, et pnniunt morte. Mira munditia. Amoliuntur omnia e me­ dio, nullaeque inter opera spurcitiae jacent. Quin et excrementa operantium iotus, ne longius rece­ dant, unum congesta in locum, turbidis diebus et operis otio egerunt. Quum advesperascit, in alveo strepunt minus ac minus, donec nna cir­ cumvolet eodem, qao excitavit, bombo, ceu quie­ tem capere imperans : et hoc castrorum more. Tunc repente omoes conticescunt.

historiarum mondi u b . xl

Db' vuod.

D b rv o » .

XI. Soni aatem fad, sine acato, velai imper- XL Sono i fochi aena· ago, come p«eebie im­ faclae apes, novissimaeque, · forni· et jam emeriti· perfette, « altima figliator« oomindata da qoelle inchoatae, serotino· foto·, el qtuw serviti· vera- eho ·οηο già vecchie « «tanche : d chiaman feti n m apiom: quamobrem imperant ii·, primocqne serotini, e son come servi ddle vere pecchie. Però ia opera expellant: tardante· aine dementia po- qoeste comandano loro, « gli cacciano i primi « niunLNeqo· in opere tantam,«ed io feto quoque lavorare; e puniscono qud che tardano sema com· •djav«nt e u , maltam ad cdorem conferente tor­ passione. Ni solamente i fochi «intano 1« pecchie ba. Certe qoo major eorum foit moltitado, hoo a lavorare, ma ancora « figliar·, perchè quanto è aujor fiet examinum provento·. Qoam mella maggior il nomero, tanto pià risodda, e n'escono coeperant matar«eoere, abigunt eo· ; maltaeque tanto maggiori sdaaai. Qaando il mele poi oomin· «ingoio· «dgraaae troddant. Nee id gena·, nid aia a maturare, esse gli caccian via, « molte di ▼ere, eonspidtor. Foca· «dempti· «li· in dvenm loro mettendo» incontro « uno, sà gli «mmaauMjectas, ipte «eteri· «dimit. no. Non d veggono se non n d b primavera. Sa il fooo, qoando egli h« perdute Γ ali, ricad· dentro, egli guata poi I*aH aH’ahre. Qu ii u t d u

« l u i.

QOtt t U

LA BATDBA DBL MBLB.

XII. RegW· imperatoribas fotori· in ima ΧΠ. à quegli che hanno « esser re, Anno lo parte alvd exstruant amplas, magnifica·, «epara> P abitadooi grandi, magnifiche « separate, e on tu , tabercolò eminente· : qaod d exprimetar, poco pià rilevate che l'altre con an certo oocnon gignuntor aoboles. Sesaogolae omnea oellae, eozzolo, perocché se non d sia re, non d generano aénguloram eae pedam opere. Nihil horam stato poi sdami. Tolte le odle sono fotte « mi angoli, tempore, sed rapiont dieta· aerenu mnnia. Et e ogni angolo è opera d’un piede, perchè le pecchie Belle ano dlerove ad sammum die ed i·· replent. n* hanno «ei. Niana di queste cose fonilo a tempo determinato, ma foono ogni com qaando è chiaro e sereno ; e in nn di, o in dne al pià, empiono Io lor celle di rode. 1«. Venit boc «x afre, et maxime sideram ia . Nasce il mde dell'aria, e matdmamente exortu, praedpoeqae ipso Sino exsplendeseente nel nascere ddle stelle, e sopra tatto nd tempo I ti nee omnino prius Vergiliarum exorto, sablo· ddU Canicola t nè md innanzi che le VergHie caois temporibus. Itaqae tum prima aorora folia nascano ; e viene drca l'alba. Però ndPaurora arborum meile rosdda inveniuntor : ao d qai le foglie degli alberi si traevano rugiadose di maluiino sub dio fuere, anctas liquore veste·, mde : e se alcuno stari all* aria scoperta in qneleapillomqae concretam sentiant. Sive ille est l 'ora, si troverà le vesti qnad come ante, e ! ca­ «odi ludor, sive quaedam sideram saliva, dv« pe gli impiastrati « viscod. E fora· il mele ò purgantis se afri· succus, atinamqae esse! et pa­ sudore del dd o , o noa oerta sciliva delle atelle, ra · «e liquida·, «t suae natorae, qoali· deflait o sago ddl' «ria che d purga ; e fosse par egli primo : none vero e tanta caden· dtltndine, mal- paro, liquido, e di saa natara quale egli da.printomque dom venit, sordescens, et obvio tem e dpio viene; ma intanto che cade da tanta dtezza, halita infectas, praeterea e fronde ac pabolis po­ ei d viene imbrattando mollo n^’vapori della ter­ tas, et in otrìcolo congestos «piom (ore enim eum ra, che se gli fanno incontra. Oltre a dò dalle fo­ vomoot) : ad haec sueco flornm corruptus, et glie e paschi bevalo, e rinchiuso ne'piccoli corpi alvds maceratus, totiesqoe molata·, magnam ddle pecchie (perdocchè esse lo mandano foorm tomen coelesti· nalarAe ▼olaptatem adfert. per la bocca), e corrotto anco dal sugo de* fiori, e macerato nelle casse, e tante volte matato, Ap­ porta però seco gran soavità della natara celeste. Q v ab o v t ih a * b l l a .

QuALB SIA IL MBLB HlOLIOBB.

Xlll. iS. Ibi optimus semper, abi optimorum XIII. tS. È sempre l'ottimo md« qaei che doliolis floram conditor. Atticae regionis hoc, et le pecchie traggono dal calice de' migliori fiori. Siculae, Hymetto, et Hjbla, ab locis: mox Cdydna Tale è nell* Attica e nella Sidli», nell'Inietto,

C. PLINII SECUNDI insala. Est autem initio mei, ut aqua, dilatum, et primis diebus fervet, at matta, seque purgat : vi* cesimo die crassescit, mox obducitor teooi mem­ brana, qua fervoris ipsius spuma concrescit. Sor­ betur optimum, et minime fronde infectam, e quercus, tiliae, arundinum foliis.

nell* Ibla e nell’ isola Calidna. Π mele da princi­ pio i, come acqua, stemperato e liquido, e nei primi giorni bolle come fa il mosto, e si porga : il ventesimo giorno ingrassa, poi si eoopre d* nna pelle sottile, la quale ingrossa per la schiuma dd ribollimento. Pigliasi ottimo, a non infetto ponto, dalle foglie dalla quercia, del tiglio e delle canne.

Q d AB GBKEIA MELLIS 111 SltTGULlS XOCIS.

Q o a l i spb c ib d i m blb in ciascun l u o g o .

XIV. r4. Somma qoidem booitatis natione XIV. 14 . La somma della bontà sua consiste constat (ot supra diximus), pluribus modis: aliobi nel luogo dov* ei nasca, come abbiam detto di enim favi cera Vectabiles gignantur, ut in Peli· aopra, per più modi. Perciocché in alcun luogo gnis, Sicilia: aliobi mellis copia, ot in Creta, i Baioni si fanno bellissimi per rispetto della oera, Cypro, Africa: aliobi magnitudine, ot in septem· come nelP Abruzzo e in Sicilia : altrove per la trionalibus, viso jam in Germania octo pedam quantità del mele, come in Creta, in Cipri e in longitadinis favo, in cava parte nigro. Africa : altrove per la grandezza, come nei paesi settentrionali, essendosi già visto in Lamagna un fiatone lungo otto piedi, e nero nella sua parte concava. In quocumque tamen tracta terna sunt mellit Ma nondimeno in ogni paese sono tre sorti genera. Vernum ex floribus constructo favo, quod di mele. Quello della primavera, i cui fiatoni ideo vocatur anthinum. Hoc quidam attingi ve­ son fatti di fiori, il quale perciò si chiama antant, ut largo alimento valida exeat soboles. Alii tino. Alcuni non vogliono che questo mele si ex nullo minus apibus relinquunt, quoniam magna tocchi, acciocché per rispetto dell* alimento co­ sequatur ubertas, magnorom siderum exortu. pioso, più abbondevolmente nascano le pecchie. Praeterea solstitio, quum tbymura et uva florere Altri di nessuno altro ne lasciano manco alle incipiunt, praecipua /cellarum materia. Est autem pecchie, perchè gran dovizia ne segue nel nascere in eximendis favis necessaria dispensatio, quoniam ielle stelle grandi. Inoltre si fa nel solstizio, inopia cibi desperant, moriunturque, aut diffu­ quando il timo e Γ uve cominciano a fiorire, il giunt: contra copia ignaviam adfert: ac jam meile, che è ottima materia a* fiatoni. Ma nel cavare i non erithace pascuntur. Ergo diiigentiores ex hac fialoni è necessario che s* usi discrezione, per­ vindemia duodecimam partem apibus relinquunt. ciocché te pecchie per carestia del cibo si dispe­ Dies status inchoandae, ut quadam lege naturae, rano, o muoiono, o faggono : d’ altra parte per si scire aut observare homines velint, tricesimus la dovizia diventano infingarde, e si pascono di ab educto examine: ferequeMajo mense includi­ mele, non d'eri tace. I piò diligenti dunqoe di tur haec vindemia. questa ricolta lasciano la duodecima parte alle pecchie. Il giorno ordinato per cominciare eon certa legge di najura, se gli uomini lo vogliono sapere, ovvero osservare, è il trentesimo di poi che gli sciami sono asciti, e questa vendemmia s’ interclude quasi nel mese di Maggio. AUerum genus est mellis aestivi, quo ideo Écd un’altra sorte di mele di state, il quale per vocatur eifetiov%a tempestivitate praecipua, ipso ciò si chiama oreo, perchè la stagione è più da ciò : Sirio exsplendescente post solstitium diebus tri­ si fa ne’ giorni canicolari, quasi trenta di dopo il cenis fere. Immensa circa hoc subtilitas naturae solstizio. La natara mostrò in qaesto mele an sot­ mortalibus patefacta est, nisi fraus hominum tilissimo provvedimento per P uomo, se rom ana cuncta pernicie corrumperet. Namque ab exortu frode non guastasse ogni cosa. Perciocché dopo sideris cujuscumque, sed nobiliom maxime, aut il nascimento di ciascuna stella, e massimamente coelestis arcus, si noa sequantur imbres, sed ros delle nobili, o d$JP arco celeste, se non seguono tepescat solis radiis, medicamenta, non mella, P’oggc? 108 la rugiada intiepidisca per li raggi gignuntur, oculis, ulceribus, internisque visceri- del sole, non nascono meli, ma medicine per gli bus, dona coelestia. Quod si servetur hoc Sirio occhi, e per le ulcere, e per le viscere, doni veraexorieute, casuque congruat in eumdem diem, ut menti celesti. Che se si conserva qaesto mele nel saepe, Veneris aut Jovis, Mcrcuriivc exortus, non nascimento della Canicola, e s 'abbatta, siccome

HISTORIARUM MUNDI LIB. XI.

1029

«Ik marita*, visqoe mortalium mali· a morte vooandis, qoam divini nectari·, fiat

Da m e a , uva n m u a , •iv· f lin v a .

Q oovooo raoaaBTDB.

•peno avviene, ebe in quel dì medesimo nasca ο Venere, o Giove, o Mercurio, noo c’ è altra de­ licatezza al mondo, nè miglior medicina per gua­ rir gii nomini d'ogni malattia, ebe questo divino nettare e licore. C on si novi.

D u x ’ sB ic a ,

onuo

ts t& a u c k ,

o sismo.

XV. i5. Mei plenilunio uberia· capitor, sere­ XV. i5. 11 mele si coglie più abbondante* na die pinguius. In omni meile, qood per se fluxit, mente a Iona piena, e più grasso nel dì sereno. at mostam oleumque, appellator aeetom. Maxime In ogni aorte di mele quello che per aè cola come laudabile est eliam omne rntilom, ot ulceribus mosto e olio, chiamasi aeeton. È sommamente aptissimam. In aestimato est e thymo, colori· pregevole eaiandio quello ebe rosseggia, siccome aorei, saporis gratissimi. Qood fit palam folioli·,, utilissimo a guarire le piaghe. Ottimo è tenuto pingue : marino e rore, spiasom. Qood concrescit qud di timo, ehe ha color d'oro, di gratissimo sa­ autem, minime laodator. Thymosam non coit, pore. Qoello che in qualunque sito si trae dalle et tacta praetenoia fila mittit: qood primam foglie del timo, è pingue : quello che dall* alito gravitati· argumentum est Abrumpi statim et del mare ne* siti litorali, è spesso. Quello che si resilire gotta· vilitatis indicium habetor. Se· rappiglia, non è molto stimato. Il limoso non si quens probatio, ot sit odoratam, et ex dald acre, rappiglia, e toccandolo ia fila sottili ; e ciò è il glutinosam, perlacidam. Aestiva mellatione deci­ primo segno ch'egli è grave. Ma quando le fila mam partem Cassio Dionysio apibus relioqai si rompono tosto, e la gocciola ritorna indietro, placet, si plenae foerint alvi : si minos, pro rata è segno che non vai nnlla. L’ altra pruova è, che portione: aot si inanes, omnino ooo attingi. Huic sìa odorifera, agro per troppa dolcezza, tenace e vindemiae Attici signum dedere initiom caprifid: chiaro. Dionisio Cassio vuole che del mele, che si alii diem Vulcano sacram. cava la state, si lasd la decima parte alle pecchie, se le cassette «on piene; se non sono piene, se ne lasd a proporzione ; e se son molto vote, che non se ne tocchi. Gli Ateniesi volsero che il segno di questa ricolta fosse il dì caprificale; altri il dì consacrato a Vulcano. 16. La terza sorte di mde è poeo lodata, per­ 16 . Tertiam genas mdlis, minime probatum, silvestre, qood ericaeam vocant Convehitor post chè è selvatico : chiamasi ericeo. Fessi dopo le primos autumni imbres, qoam erice sola floret prime piogge dell' antonno, qoando l 'erba erice in silvis,ob id arenoso simile. Gignitur id maxime •ola fiorisce ndle sdve, e perciò è arenoso. Ge­ Arctari exortu ex ante pridie idos Septembri·. nerasi nel nasdmento d 'Arturo, intorno a* doQuidam aestivam mellationem ad Arctori exor­ did di Settembre. Alcuni indugiano il mele della tam proferant, quoniam ad aeqaiooctiom autum­ •tate fino al nascere d 'Arturo, perchè da questo ni ab eo supersint dies qoatuordedm: et ab all’ equinozio dell* autunno tramezzano qoattoraequinoctio ad Vergiliarum occasam diebus x l v i i i did giorni, e dall' equinozio al tramontar delle plurima sit erice. Alheoienses tetralicem appd- Vergilie sono quarantotto, e allora si truova mol­ lant, Euboea sisirom; potantque apibus esse gra­ ta di questa erice. Gli Ateniesi la chiamano tetissimam, fortassis quia tunc nulla alia sit copia. tralice, e nell' Eubea è detta sisiro : tengono che H a e c ergo mellatio, fine vindemiae et Vergiliarum ella aia gratissima alle pecchie, forse perchè al­ oeeasu,idibus Novembris fere ineludi tar.ReHnqui lora non ci è dovizia d'altro. Questa raccolta ex ea duas partes apibus ratio persuadet, et scra­ dunque dal fine della vendemmie e tramontar per eas partes favorgm, qnae habeant erithaoen. delle Vergilie non passa i tredid di Novembre. A bruma ad Arcturi exortum diebo· l x somno La ragione persuade, ehe se ne lasd no alle peoalantur sine ullo dbo. Ab Arcturi exorta ad ae­ chie le due parti, e sempre quelle parti de'Saloni, quinoctium vernum tepidiore tractu jam vigilant: che hanno Γ eri tace. Dalla bruma al nascere di aed etiam lune alveo se continent, servatosqoe in Arturo si pascono di sonno per sessanta giorni id tempus dbo· repetunt. In Italia vero hoc idem senza mangiare. Dal nascimento d'Artaro al• Vergiliarum exortu fadunt: in eum dormiant l ' equinozio della primavera, essendo fatta l ' aria più tiepida, gii vegliano, ma nondimeno ancora si «tanno ndle cassette, e ripigliano i dhi serbati

ιοΝ

G. PLINII SECONDI

«o3f

Alvo* quidam in eximendo meile expendant) it· dirimentes quantam relinquent. Aequitas si­ quidem etiam in eis obstringitur: feruntque societate fraudata alvos mori» In primis ergo praecipitor nt loti, poriqoe eximaot mella. Et forem molieromque menses odere. Quum exi­ muntur mella, apes abigi fumo utilissimum» ne irsscaotar, aut ipsae avide voaent Fumo crebriore ejtiam ignavia earum excitatur ad opera. Nam nisi incubavere, favo· lividos faciunt Rursus nimio fumo inficiuntur : quarum iojuriam celer­ rime sentiunt mella, vel minimo contactu roris acescentia. Et ob id inter gener» servatur, quod acapnon vocant

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QOOOODO Ans OOBKMt.

per qaesto tempo. Ia Itali· fenno qaesto mede­ simo dal nascere delle Vergilie, e dormono fino a quello. Alcuni nel cavare il mele pesano le camelie» e tanto vi lasciano, quanto ne cavano; perchò ancor· in esse si richiede la equiti ; e dicono, che se sono ingannate, si muoiono. Prima eoa* dunque fi comanda, che quei che cavano il mele, sien lavati e netti. Le pecchie ancora hanno in odio il ladro, e i mestrui delle donne. Quando ai oev· il mele, i utilissimo caceiare le pecchie col fumo, acciocché non s' adirino, ed esse ingorde se Io mangino. Col fumo spesso si risvegli· an­ cora la pigrizia loro i,o pri­ XVIII. Tene ostenta faciont privat· ac pobli· XVIII. ca, uva depeodente io domibos templisve, saepe vati, quando stanoo appiccate insieme a guisa d'on expiata magni* eventibus. Sedare io ore infantia grappolo di uva, e pongonsi oelle case o ne' tem­ tom etiam Platonis, «navitatem illam praedulcis pii, i qaali sono per ciò stati spesse Tolte porgati. •loqnii portendentes. Sedare in castris Drnai im­ Posaronsi già eolia bocca di Platone, qaando egli para toris, qoam proaperrime pogoatum apod era bambioo, e ciò significò la soavità della dol­ Arbalonem eat, haud qoaqaam perpetua araspi- cissima eloquente, che aveva · essere in loi. Pocom conjectura,qai diram id oateotum existimant scroosi nell’ esercito di Droso imperadore, qaan­ aemper. Dnoe prehenso totam tenetur agmen : do egli fece giornata e vinse appresso Arbalone; amisso dilabitor, migratque ad alio·. Esse otiqn· ancora che in ciò gli iodovioi ooo a’ appooessosine rege non possnnt. Invitae autem interimant ro, i quali tengono sempre ciò per cattivo anga­ eos, quam piares (aere, potiusqae nascentium rio. Preso eh* è il re, lotte P altre si fermano ; e domos diruant, si proventae desperator : tunc se si perde, totto l ' esercito si risolve, e vanno a et fucos abigunt. Quamquam de iis video dubita­ trovare altri re, perchè Ooo possooo reggersi ri, propriuraque iis genas esse aliquos existimare, senza loro. Malvolentieri gli ammanano, quando sicut furibus grandissimis inter illas, sed nigris, son molti, e più tosto minano le case, dove han­ lataque alvo: ita appellatis, quia furtlm devorent no da nascere, se si teme di cattiva ricolta; allora mella. Certum est, ab apibua fucos interfici. Uti­ cacciano via ancora i fuchi. Nondimeno di qoesti que regem non habent. Sed quomodo sine aculeo veggo che si sta in dubbio, e alcuni tengono che nascantor, in quaestione est. essi sieno d'una propria specie, e sieno come ladri e assassini grandissimi fra le pecchie, ma neri, e col corpo largo; così chiamati, perchè di soppiat­ to roaagiano il mele. Però è certo che le pecchie occidooo 1 fuchi, e eh' essi ooo baooo re. Ben si debita, come oascaoo senza spuntone. Hnmido vere melior fletas : sicoo, mei copio­ Quando la primavera è umida, il parto loro è sius. Qaod si defecerit aliquas alvos «ibas, impe­ meglio ; ma s1ella va secca, c' è piè dovizia di tam in proximas faciant rapinae proposito. At mele. E se in alcuoa cassetta manca da mangiare, illae contra dirigoot aciem : et si eustos adsit, al­ assalgono le vicine con intenzione d* averne per terutra pars, qoae sibi favere seotit, ooo appetit forza. Ma quelle all' incontro si mettono in bat­ eam. Ex aliis quoque saepe dimicaot caosis, eas- taglia, e se il gaardiano v'è presente, quella parte, qoe acies contrarias doo imperatore· instruant, che lo vede favorir le sue, non gli dà punto noia, maxime rixa in convehendis floribus exorta, «t nè Toffende altri menti. Spesso combattono aneora suos quibusque evocantibus : qoae dimicatio in­ per altre cagioni, e due re ordinano qaelle schiere jectu polveri*, «ot fumo tot· diaeotitor. Reconci­ contrarie, ciascuno la soa ; e massime se osseo liatur vero lacte vel aqua mulsa. differenza nel portare i fiori, dove ciascuno «Ma­ rna i sooi in soccorso. La qoal battaglia si fermo gittando fra loro on poco di polvere, o fiaceodo forno. Rappatumaosi poi col latte, ο «on Γ aoqoa melata. G im i

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d b llb n e a n i .

XIX. 18 . Apea sunt et rusticae silvestresque, XIX. 18 . Soood anoora ddle pecchie rusti­ horridae aspecta, molto iracundiores, sed opere che e selvatiche, e spaventose da vedere, e molto •e labore praestanto*. Urbanarum doo geoera : più iraconde, ma odi* opera « nella fatica m m

HISTORIARUM MUNSI LIB. XI.

optimae b n re i, nriaeqoe, ei in rotanditatem compactile* : deteriore* longae, el qaibo* simili­ tudo v ap tru n : «damnum deterrimae ex ti* pi* losae. In Ponto sunt quaedam albae, qoae bi* in mense meile fadunt -Circa Thermodoontem ao· tam fluviam duo genera : diorum, quae in arbo­ ribus mellificant : aliarum, qoae sub terra, triplici cerarum ordine, uberrimi proventos. Aculeum apibus natura dedit ventri conser­ tam. Ad unam ictam boc infixo* qaidam eas sta­ dia amori putant. Aliqai non nisi in tantam ada­ cto, a t intestini quidpiam sequatur : sed fuoos postea esse, nec mella facere, velut castratis viri­ bus, pariterque et nocere et prodesse desinere. Est in exemplis, equos ab iis occisos.

Odere foedos odores, proculque fugiunt, sed et fictos. Itaqae angaenta redolentes infestant, ipsae plurimorum animaliora injuriis obnoxiae. Impugnant easnatorae ejusdem degeneres vespae, atque crabrones, eliam e culicum genere, qoi vo­ centur muliones: populantur birondincs, et quaedam aliae aves. Insidiantor aquaotibus ra­ nae, quae maxima earum est operatio tum, quum sobolera faciant. Nec hac tantum, quae stagna rivosque obsident, verum et rubetae veniunt ul­ tro, adrepentesqne foribus per eas sufflant : ad boc provolant, confestimque abripiantur. Nec sentire ietus apium ranae traduntur. Nec sentire ictus apiam ranae traduntur, loimieae et oves, difficile se a lanis earum explicantibus. Cancro­ rum eliam odore, si qais juxta coquat, exani­ mantur.

D i m ib u a.mu*.

ιο3β

eccellenti. Le Somatiche sono di due sorti, le migliori son le più eorte e varie, e quasi rotonde: le peggiori sono le lunghi», le quali somigliano la vespe; e fra esse le pesame son pilose. In Pon­ to ne sono alcune bianche, le quali fanno mela dae volte al mese. D’intorno al fiome Termodonte ne sono di doe sorti ; alcune, che fanno il mele negli alberi ; alcune altre sotterra, di grandissimo guadagno, perchè fanno tre ordini di cera. La natara diede Γ ago alle pecchia, inserto e appiccato nel ventre. Alenai dicono, che come qaesto ago è confitto a on tratto, die subito muoiono. Altri tengono, che dò non sia, se oon qaando egli è fitto tanto addentro, che tira seco il budello; ma che poi son fochi, e noo fanno pià mde, quasi ohe sieno state lor tolte le forse, e che noo possano pià nè nuocere, nè giovsre. Truovaà che qaeite tali hanno morto de’cavalli. Hanno a noia i cattivi odori,e foggongli disco­ sto, e qoegli ancqra che sono fittizii e contraffatti. Le pecchie dunque travagliano coloro, che hanno addosso profumi, soggette elle stesse alle ingiurie di diversi animali. Combattono contra di loro le vespe che son della medesima natura, ma imba­ stardite, e i calabroni, e certi del genere ddle zan­ zare, che si chiamano mulioni; non che le ron­ dini e alcuni dtri ueodli. Le rane fanno loro imboscate, quando elle vanno per acqua,la quale è una delle maggiori fatiche, qoando èlle fanno gli sciami. Nè solamente fsnno loro villania quel­ le, che stanno intorno a* rivi e agli stagni, ma le botte vanno anco alle lor casse,e aggrappandosi al­ le porte soffiano dentro; onde le peochie volano fuori a quél soffio, e subito son carpite. Dicesi che le rane non senton la puntura delle pecchie. Sono nimiche loro anco le pecore, perchè diffictimente si sviluppano dalle lor lane. Muoiono ezian­ dio per Γ odor de* granchi, se deuno ne cuoce loro appresso. Delle ran av rri D u ti pecchie.

Hanno ancora delle infermità di lor na­ XX. Quin et morbos suapte natura sentiant. XX. Index eoram tristiUa torpens, et quam ante fores tara.. Il che dimostrano qaando son tutte meste in leporem solis promotis aliae cibos ministrant, e manineoniche, e qoando standosi al sole innanzi qaam defunctas progerunt, funeralitiumque mo­ all’ entrata ricevono il dbo da altre, e quando ra oomitantar exsequias. Rage ea pesta consum­ portano faova le morte, ed accompagnano il cor­ pto maeret plebs igaavo dolore, non cibo* con­ po come in esequie. Ed essendo il re morto, la vehens, non procedens, tristi tantum murmure plebe sta mal contenta, e s’snnighittisce nel dolo­ glomeratur circa eorpu* ejus. Sobtrahitnr itaque re. Non portano i cibi, non vanno foori, e sola­ diducta multitudine: alias spectantes exanimem, mente oon tristo mormorio si raonano intorno laetum non minuunt l une quoque ni subvenia­ il corpo di taso. Oade è necessario leverto via, tur, fame moriuntur. Hilaritate igitur et nitor? fatta partire di là fa moltitudine ; altrimeuti veggsndolsi morto innanzi, non rifioano mai di do­ sanitas aesdmatar. lersi. E allora anco, se non sono aiutate, si rauo-

C. PUNII SECONDI

ιο$9

104·

ig. Soni et operis morbi : quam favos non «xpkot, deron vocant. Item blapsigoniam, si fetum non peragunt

tono di Cime. La saniti loro dunque d eonoson per I1allegrezza « «plendor ttil pan­ nicolo, e fortificalo dal muro delle costole e del petto, acciocchì prodoca la prioeipal cagione e origine della vita. Questo eotro di sè d i i primi domicilii all* anima e al sangue in sinnosa ca­ viti, che negli animali grandi è triplice, e in nessuno non è manco che doppia. Quivi abita la mente. Da questo fonie nascon doe gran vene, le qoali e nelle parti davanti e per lo dosso discor­ rono; e sparse per ordioe di rami con altre minori infondono il· sangue vitale a tutte le membra. Solo esso oon si guasta per alcun di· fello delle viscere, nè tira a sè i malori ; ma su­ bito che egli è offeso, adduce morte all’ animale. Quando Γ altre membra" son corrotte, la virtù vitale dura nel cuore.

Cu

ANIMALI BABBO OBABDUS1MO IL CUOBB, CHB

PICCIOLISSIMO ; c h b a m b i b b b a b b o d u b .

LXX. Animali broli son tenoti quegli che hanno il cuore rigido e doro : animosi quei che lo hanno piccolo : paurosi quei ohe lo hanno mollo grande. Grandissimo lo hanno secondo la proporzion loro, i topi, le lepri, lo asino, il cer­ vo, la paniera, la donaola, la iena, e tolti gli animali timidi, o malefici per la paora. In Paflagonia le starne hanno doe coori. Nel cuore dei cavalli e dei buoi si trovano alcuna volta dell’ossa. Gli Egizii, i qoali aogKooo conservare i corpi imbalsamati, dicono che il cnore nelPoomo ogni anno cresce due dramme di peso fino a cinquanta anni, e che poi nel medesimo modo va scemando ; e che perciò l’ nomo per mancamento del cnore non vive più di cento anni. Trovasi che alcnni uomioi nascono col cuor piloso, e che questi tali sono molto forti e industriosi, siccome fa Aristomene Messenio, il qoale ammaxzò trecento Lace­ demoni! ; ed egli essendo ferito e preso, si fuggì ona volta per le cave de*sassi, e per viottoli falli sotterra dalle volpi. Essendo poi preso di naovo, aspettò che i goardiaoi dormissero, e accostatosi al fuoco, arse i suoi legami con la carne dintorno. Finalmente preso la terza volla i Lacedemoni! lo spararono ancora vivo, e fa trovato ch'egli aveva il cuor piloso. Q uabdo si com ibciò ossbbvabb il c u o b b BBLLB ib t b b io b a .

LXX1. In corde summo pingnitndo est quaedam, laetis extis. Non semper antem in parte ex­ torum habitum est. L. Postumio Albino, rege sacroraro, post centesimam vicesimam sextam olympiadem, quum rex Pyrras ex Italia discessis-

LXX1. Quando nella cima del cuore è una certa grassezza, è di prospero augurio. Però non sempre s 'è annoverato fra le interiora da consul­ tare. Al tempo che Lacio Postumio Albino era re delle cose sacre, dopo l'olimpia cenlestfea ven-

iodi

C. PLINII SECUNDI

1093

set, cor in extis srnspices Inspicere coeperunt. Caesari dictatori, qoo die primam T e ste purpurea processit, atqoe io sella aorea sedit, sacrificanti bis io eslis defuit. Unde quaestio magna de di­ vinatione argnmentantibus, potueritne sine illo viscere hostia vivere, an ad tempos amiserit. Ne­ gatur cremari posse in iis, qui cardiaco morbo obierint ; negatur et veneno interemptis. Certe extat oratio Vitellii, qua reum Pisonem ejus sceleris coarguit, hoc usus argumento; palamque testatos, non potuisse ob venenum cor Germanici Caesaris cremari. Contra geuere morbi defensus est Piso.

tesiroa sesta, quando il re Pinro s’era partito d1 Italia, gl' indovini cominciarono a guardare U cuore nell’ interiora. Il primo giorno che Cesare dittatore comparve in pubblico vestito di por­ pora e sedè nella sedia d'oro, come dittatore, due volte che si sacrificò, non si trovò il cuore nelPanimale. Onde fu gran disputa fra gli auguri, se quello animale poteva vivere senza cuore, o ae pure l’avea perduto a qoel tempo. Dioono ehe il cuor di quegli che son morii di mal cordiaoo, o di veleno, non può ardere. Oude Vitellio nella sua orazione affermando che Germanioo Cesare era perito di veleno, in segno di questo allegò che il suo cuore non era potuto ardere ; nondi­ meno a favor di Pisone, che da Vitellio n'era dato per reo, fu dimostrato che questo era una sorte di malattia.

D b po lm o b b : b t q u ib u s m axim os , qu ibo * m ib i ­ mus : -q u ib u s m a iL a l iu d qoam pu l m o ib t u s :

D b l po lm o bb , b c b b a n im a li l *a bb ia bo m o lto

QOAE CAOSA VELOCITATIS ABTIMALIUM.

GBABDB, CHB ALTBI MOLTO PICCOLO, CHB ALTB1 • BOB ABBIANO DEBTBO SB BOB POLMOBB : QUAL SU LA CAOSA DBLLA VBLOCITA BEGLI ABIMALL.

LXX1|. Sub eo pulmo est, spirandique offici­ na, attrahens ac reddens animam, idcirco spon­ giosus, ac fistulis inanibus cavo. Panca enim ( ut dictum est) habent aquatilia. At cetera ova parientia exiguum, spumosum, nee sanguineum ; ideo non sitiunt. Eadem est causa, quare sub aqua diu ranae et phocae urinentur. Testudo qooque, quamvis praegrandem et sub toto tegumento ha­ beat, sioe sanguine tamen habet. Quanto minor hic corporibus, tanto velocitas major. Chamae­ leoni portione maximus, et nihil aliud intus.

D b jb c ir o b e , b t qo ibo s a b im a lib o s , b t ih

LXX1I. Sotto il cuore è il polmone, dove si forma il respiro, perciocché il polmone è quello che tira l'aria, e la rimanda fuori, e per questo è spugnoso e pieno di cannelle. Pochi animali d'acqua, oome s'è detto, hanno polmone, e quegli che fanno aova l'hanno piccolo e spumoso, e non sanguigno : questa è la cagione perchè 0 0 0 asse­ tano. Ciò medesimo è anche cagione, perchè le ranocchie e le foche stanno assai sotto acqua. La testuggine ancora, benché l'abbia molto grande, e sotto tatto il coperchio, Γ ha però sensa saogve. Quanto l'animale ha minor polmone, tanto piò è veloce. 11 camaleonte secondo la proporzione soa ha grandissimo polmone, nè altro ha in corpo. D b l p b o a to ,

e

q o a l i l o a b b ia b o , b d i c h e lu o g o

qu ibu s lo cis b ib a jb c o b a .

B QUALI ABUSALI ABBIABO DOS FEGATI.

LXXIII. Jecur in dextra parte est: in eo quod caput extorum vocant, magnae varietatis. M. Marcello circa mortem, qaam periit ab Hanni­ bale, defuit io extis. Sequenti deinde die geminum repertum est. Defait et C. Mario, quura immola­ ret Uticae: item Cajo priucipi kaleod. Januariis, quum iniret consulatum, quo anno interfectus est : Claudio successori ejus, quo mense interem­ ptus veneno. Divo Angusto Spoleti sacrificanti primo potestatis suae die, sex victimarum jecora replicata intrinsecus ab ima fibra reperta snnt : responsumque « dapficataram intra annom im­ perium. n Caput extorum tristis ostenti caesum quoque esi, praeterquam in sollicitudine ac me­ ta : Iqnc enim perimit curas. Bina jecora lepori-

LXXIU. Il fegato è nella parte ritta; ed esso, che si chiama il capo degli interiori, ha gran va­ rietà. Nel sacrificio, che fece Marco Marcello, innanzi ch'ei fosse morto da Annibaie, noo si trovò il fegato neU’animal sacrificato: il d ì se­ guente poi ve ne furon trovati due. Non lo trovò nè anche Caio Mario, quando e'sacrificò in Uti­ ca : nè ancora Caio Caligola qaando sacrificò nel di primo di Geonaio nel principio di qaei con­ solato, nel quale fu morto. 11 medesimo avvenne a Claudio suo successore, in qoel mese eh' ei fu morto di veleno. Quando Augusto sacrificava a Spoleto il primo dt della saa potesti, trovò sei fegati delle vittime ravviluppati dentro dall’ell»roa vena ; e gli auguri risposero, che quell’anno

HISTORIARUM MUNDI LIB. XI.

I 09 S

bus circa Brilelnm et Thatten, et in Chersoneso •d Propontidem. Miramque translatis alio interit alteram.

egli aveva a raddoppiar Γ imperio. È di cattivo augurio il capo delle interiora se è ferito dal col­ tello del sacrificatore, eccetto che in occasione di travaglio e paura, perchè allora significa che ba da cessare ogni affanno. Intorno a Brileto e Tarne, e nel Chersoneso sulla Propontide le lepri hanno due fegati. Ed è gran maraviglia, che quando son portate altrove, rimangono con on solo.

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b t ib q c ib o s g e m m o ·. Q u ib u s

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q u a i a b u s a l i l o a b b ia b o d o p ­

ABUSALI» BOB s i t : 8 T q c ib d s a l i b i q u a · ib

p io . Q u a l i b o b b e ab biam o, b q u a l i a l t e o v b

JECOU.

cbb b b l f e g a to .

LXX1V. In eodem est fel,non omnibas datam animalibus. In Eaboeae Chalcide nallam pecori. In Naxo praegrande geminumque, ut prodigii lo* co atram qae advenae. Equi, mali, asini, cerri, capreae, apri, cameli, delphini non habent. Mu­ rium aliqui habent. Hominam paucis non est, qaornm valetudo firmior, et vila longior. Sant qai equo non quidem in jecore esse, sed in alvo patent : et cervo in canda, ant intestinis. Ideo tantam habent amaritudinem, ut a canibus non attingantur. Est autem nihil aliad, qaam purga­ mentum pessimam sanguinis, et ideo amaram est. Certe jecur nulli est, nisi sauguinem heben­ tibus. Accipit hoc a corde,cui jungitur;funditque io venas.

LXXlY. Nel fegato è il fiele, coi non hanoo tutti gli aoimali. Io Calcide di Eobea nessuna pecora ha fiele. Nell' isola di Nasso P hanno gran­ dissimo e doppio, in modo che i forestieri se ne maravigliano come di cosa prodigiosa. I cavalli, i muli, gli asini, i cervi, le capre, i porci cinghiali, i cammelli e i delfini non hanno fiele. Alcuni topi Phanno. Pochi uomini non l'hanno, e questi son più sani, e di più langa vita. Alcuni tengono che il cavallo l'abbia non oel fegato, ma nel cor­ po, e il cervo nella coda o nell'interiora; perciò hanno tanta amaritudine, che non son tocchi da'cani ; ed è si amaro il fide, perchè è il peg­ giore escremento del sangue. E di vero, non hanno legato se non quegli animali che hanno sangue. 11 fegato riceve il sangue dal cuore, col qoale si congiuoge, e lo spande nelle vene.

Q uae Vis BIOS.

Q u a l e la v ie t ò d i a sso .

LXXY. Sed in felle nigro insaniae causa ho­ mini, morsque tolo reddito. Hinc et in mores crimen, bilis nomine. Adeo magnum est in hac parte virus, quam se fundit in animum. Quin et toto corpore vagum, colorem quoque oculis aufert : illad quidem redditum, etiam ahenis ; oigrescuntque contacta eo : ne quis miretur id venenum esse serpentium. Carent eo, qui absin­ thium vescantur in Ponto. Sed renibus et parte tantum altera intestino jungitur, in corvis, cotur­ nicibus, phasianis: quibusdam intestino tantum, u t columbis, accipitri, muraenis. Paucis aviam in jecore. Serpentibus portione maxime copiosum, e t pisciboa. Est autem plerisque toto intestino, «icat acdpilri, milvo. Praeterea in jecore est et cetis omnibas : vitalis qaidem marinis ad multa qooqae nobile. Taurorum Ielle aureas dacitur color. Aruspioes id Neptano a t humoris potandae dicavere : geminumque foit divo Augusto, quo die apad Actiam vicit.

LXXV. Ma nel fiele nero è la cagione onde l'oomo iofuria ; e se lo sparge tutto, si muore. Di qui ooi pecchiamo coatro a'costami, e piglia­ mo il nome di collerid ; tanto è grande il vdeno in questa parte, quando si sparge nell'animo. E di più, che soorrendo ancora per tutto il cor­ po, leva il colore agli occhi, e mandato foori lo leva ancora a* vasi di rame ; e diventa nera ogni cosa che è tocca da esso ; onde alcuno non si maraviglierè, nè crederà che ciò sia vdeno di serpi. Mancano di fiele quegli animali, che in Ponto mangiano assensio. Congiungesi cogli ar­ nioni, e solo da una parte con uno intestino, nei corbi, nelle starne e ne' fagiani : in alcuni ai con­ giugne solo con Γ intestino,come ne'colombi, negli sparvieri e ndle murene. Pochi uccdli l'hanno n d fegato. 1 serpi e i pesd in proporzione d d corpo loro l'hanno molto grande. E molti l'hanno per tutto l ' intestino, come lo sparviere è il nibbio. Oltra di ciò tutte le balene l ' hanno nel fegato ; e quel de' vecchi marini è utile a molte cose. Col fide d d toro si fa color d ' oro. Gli arospid lo dedicarono a Nettuno come d dio dell'attore, e

C. PLINII SECONDI Γ imperadore Augusto lo trovò doppio nel dì d ie fece giornata e vinse al promontorio di Azzio. ctm

s t d e cresca t ib c c k .

A CHE ABIMALl CBBSCA IL FEGATO CON LA LARA, O

A b d spicd m c ibca ba obsb bv a tio bbs , BT PBOD101A MIBA.

DBCBBSCA. OSSBBVAZIOBI DEGLI ABOSFId SO M A

LXXVI. Mariam jecoscalis fibrae ad namerom Ionie io mente congrnere dicantor, lotidemqae inveniri, qnotam lameo ejni ait: praeterea bruma increscere. Cooicolorum in Baetica saepe gemi­ nae reperiontur. Ranaram rubetarum altera fibra a formici* non attingitur, propter venenum, at arbitrantur. Jecor maxime vetustatis patiens, se­ ptenis durare annis, obsidionum exempla pro­ didere.

LXXVI. Nel fegato de* topi sono alcune venoline, le qoali dicono sempre esser taote a no­ vero, qaanti sono i dì della Iona, e che tante se ne trovano, quanti giorni ba il soo lame, e che oltra di ciò crescono nel verno. Gl* interiori dei conigli in Betica, regione della Spagoa, spesso si trovano esser doppii. L’una delle vene delle botte noo è mai tocca dalle formiche, secondo che si stima, per rispetto del veleno. Il fegato dora loogbissimo tempo ; e pegli esempii delle terre assediate s 'è veduto, ch’egfrè dorato sette anni.

P b a b c o b d ia . R isu s b a t o b a .

P b b c o b d u . N^a t c b a d b l b is o .

LXXY1I. Exta serpentibus et lacertis longa. Caecinae Volaterrano dracones emicuisse de extis laeto prodigio traditur : et profecto nibil incredi­ bile sit, existimantibus, Pyrrho regi, qoo die periit, praecisa hostiarum capita repsisse, sangui­ nem suum lambentia. Exta homini ab inferiore viscerum parte separantur membrana, quae prae­ cordia appellant, quia cordi pretenditur, qood Graeci appellaverunt . Omnia quidem principalia viscera membranis propriis, ac velut vaginis inclusit providens natara : in hac foit et peculiaris causa vicinitas alvi, ne cibo sopprimeretur animos, fiuic certe referiar accepta subti­ litas mentis : ideo nolla est ei caro, sed nervosa exilitas. Io eadem praecipua hilaritatis sedes, quod titillatu maxime intelligilur alarum, ad quas subit, non alibi tenuiore cote humana, ideo scabendi dolcedioe ibi proxima.Ob hoc in proeliis gladiatoromqoe spectaculis mortem cum risu tra­ jecta praecordia ad tulerunt.

LXXVI1. Gl* interiori delle serpi e delle lu­ certole son longhi. Dicesi che a Cecina Volterrano uscirono serpi degl’ interiori, e ciò fo tenuto a buooo aogurio. E verameote nessooa eoa· fia incredibile a qoegli che considerano, come il giorno che Pirro fu morto, i capi degli animali sacrificati andarono per terra leccando il lor saogue medesimo. Gl* ioteriori dell'uomo dalla parte ioferiore delle viscere si separano per al­ cool pannicoli, i qoali si chiamano precordi!, perchè s'acuoslano al caore : i Greci li chiamano frene. L'accorta natura ha rìochioso in certe membrane, come io propria guaina, tutti i visceri principali ; ma qoi ebbe rispetto alla vicinità del ventre, acciocché l’animo non fosse oppresso dai cibi. A qoesti s’attribuisce la sottilità della mente, e perciò non han pooto di carne, ma ooa sotti­ gliezza nervosa. Quivi è la principale residenza dell'allegrezza, e ciò massimamente si conosce nel solleticare sotto le braccia, alle qoali si acco­ stano ; e siccome, oltre alla vicinanza del sito, quivi la pelle dell'uomo è più sottile che altrove, perciò è più agevolmente sentita la dolcezza di quel solletico. Per questa cagiooe nelle battaglie e negli spettacoli i precordii feriti hanno arrecato morte con riso.

Q dibos c u i a i

lo b a

CIÒ, B MIBABILI PKODIGII.

D b v b b te b , b t q u ib u s m m .

D bl v b r t b b , b q u a i a n im a li h b s i a · s b b z a . Q uali

Q uAB SOLA VOMANT.

SOLI BBCIAHO.

LXXV11I. Subest venter stomachum haben­ tibus, ceteris simplex, ruminantibus geminus, sangoine carentibos nullos. Intestinus enim ab ore incipit) et quibusdam eodem reflectitor, ut

LXXVIII. Sotto allo stomaco, negli animali che l ' hanno, è il ventre : quegli che rugomano lo hanno doppio, gli altri lo hanno scempio ; e quelli che mancano di sangoe, mancano aneora

HISTORIARUM MUNDI LIB. XI.

1098

sepiae, polypo. Ia homine adnexus infimo sto­ macho, similis canino. His solis animalium infe­ riori parte augustior: itaque et sola vomant, quia repleto propter angnstias supprimitur cibo·: qaod accidere non potest iis, quorum spatiosa laxitas eum in inferiora transmittit.

di ventre. Perocché parte lor dalla bocca on in­ testino, il quale in alcuni si ripiega nel eorpo e ritorna ancora alla bocea, come alla seppia e al polpo. Nell1 uomo è attaccato alla parte bassa dello stomaco, simile a quello del cane. Questi soli 1*hanno pià stretto nella parte di sotto, e per questo essi soli recion», perchè essendo esso ripieno, per la sua strettezza preme il cibo dalla parte inferiore ; il che nou può avvenire a quegli altri, i quali avendo lo stomaco largo in fondo, facilmente mandano il cibo a basso.

L actbs , be ll a b, alvus , co lo r . Q ua &b q uasdam

L a c t i s , i l e , t b i t t e x , c o l o . P sa ca i a l c u n i a n im a li

INSATIABILIA AR1MALIA.

SIERO INSAZIABILI.

LXX1X. Ab hoc ventriculo laetes in homine et ove, per quas labitur cibus : io ceteris hillae a quibas capaciora iotestina ad alvam, bominique flexuosissimis orbibus. Idcirco magis avidi cibo­ rum , quibas, ab alvo longius spatium. Iidem mi­ nus solerte·, quibus obesissimas venter. Aves quoque gemino· sinus habeat quaedam : anum, qao mergantur recentia, ot guttur : alterum, io quem ex eo demittuot concoctione maturata : ut gallinae, palumbes, colombae, perdices. Ceterae fere carent eo ; sed gula patentiore utuntor: ut graculi, corvi, cornices. Q uedim neutro modo, sed venirem proximum habent, quibus praelonga colla et angosta, a t porphyrioni. Venter solipe· dum asper et durus.Terrestrium aliis denticulatae asperitatis, aliis cancellatim mordacis. Qoibus neqoe dentes utrimque, nec ruminatio, bic con­ fic iu n tu r cibi, bine io alvum delabuntur. Media haec umbilico adoexa in omnibus, in homine suillae infima parte similis, a Graecis appellator colon, ubi dolorum magna causa est. Augustissi­ ma canibus, qua decausa vehementi nisu, uee sine cruciatu, levant eam. Insatiabilia animalium, qoibus a ventre protinus secto intestino transe* ont cibi, ut lupis cervariir, et inter aves mergis. Ventres elephanto quatuor, cetera suibus similia: palmo quadruplo major bubulo. Avibus venter carnosus callosasque. In ventre hirundinum pul· lis lapilli candido aut rubenti colore, qui cheli­ donii vocantur, magicis narrati artibus, reperiontor. Et in juvencarum m undo ventre pUae rotunditate nigricans tofus, nullo pondere: sin­ gulare, ut potant, remediaro aegre parientibo·, si fellarem 000 attigerit.

LXX1X. Da questo ventricolo procedono quei che si chiamano lactes nell’ uomo e nella pecora, per li quali passa il cibo : negli altri animali si chiamano ile, dai quali insino al ventre sono più larghi intestini, e nell' oomo Canno intricatissimi cerchi. Perciò sono più ingordi de' cibi quegli che hanno più luogo apazio del corpo ; etmanco industriosi sono quei che hanno il corpo molto grasao. Alcuni uccelli similmente hanno due ven­ tri ; uno, per dove va il cibo freaco, e questo è il gozzo ; l ' altro è dove va il cibo smaltito ; sicco­ me sono galline, colombi salvatichi e domestichi, e starne. Gli altri p erlo p iù noo l'hanno, ma hanno la gola più larga, come sono mulacchie e corbi e cornacchie. Alcuni non hanno ventre nè a quel modo, nè a questo, ma hanno il ventre vicino, e ·οη quei ohe hanno il eolio loogo e stretto, come è il porfirione. Il ventre di quei che hanno 1*ugna d ' un pezzo, è sodo e duro. Dei terrealri alcuni hanno il ventre aspro e come addentellato, alcuni mordace e come a cancelli. Quegli che noo hanno denti da ogni lato, nè rugamaoo, tirano i cibi io questo loogo, e di qui li maodaoo nel ventre. Questo Γ hanno tutti at­ taccato al bellico : nell' uomo nella più bassa parte è stipile a qoello del porco, e chiamasi dai GaecE colo, dove è gran cagione di dolore. 1 cani l ' han­ no molto stretto, e perciò eoo grande sfono, nè senza grao cruciato lo sgravaoo. Insaziabili sono gli animali, ai qoali dal ventre subito paesano i cibi per dirilto budello, come i lupi cervieri e gli occelli smerghi. L 'elefante ha quattro ventri, nel reato è aimile al porco, ed ha il polmone qoattro volte maggiore che quello del bue. Gli occelli hanno il ventre carnoso e colloso. Nel ventre dei rondini sono alcune pietroline bian­ che, o ro se e , le quali si chiamano chelidonie, e soo nominate nell'arte magica. Nel aeoondo ven­ tre delle giovenche è un tufo nero, tondo come nna palla, e di niun peso; ottimo rimedio · qoelle donne che partoriscono con fatica, purché egli noo abbia tocco la lerra.

1 ιοο

C. PLINII SECONDI

,099

D b o m xbto , b t d b s flb k b , b t quibu s

D b l l * o m en to , i d i l l a m il z a , b cmb a n im a l i n o n

AR1MAL1UM ROR SIT.

LA ABBIAMO.

LXXX. Ventricolas atque ia testina piagai ac ienai omento integuntor, praeterquam ova gignentibus. Haic adncctitar lien in sinistra parte adversus jecori, cam qao locum aliqaando per­ mutat, sed prodigiose. Qoidam eotn potant inesse ova parienlibas, item serpentibas admodum exigaom : ita certe apparet in testudine, et croco­ dilo, et lacertis, et ranis. Aegocephalo avi non esse conslat, neque iis qoae careant sanguine. Pecnliare cursus impedimentum aliqaando in eo: quamobrem inuritur cursorum laborantibus. Et per vulnus etiam exemplo vivere atoiraalia tra­ dunt. Sunt qai putent adimi simol risum bomini; intemperantiamque ejus constare lienis magnitu­ dine. Asiae regio Scepsis appellator, in qua mini­ mos esse pecori tradunt, et inde ad lienem inventa remedia.

LXXX. 11 ventricolo e gl’ intestini sono co­ perti di ooa rete sottile, faor che a quegli ch e fanno aova. A questo s'attacca la milza nella parte manca dirimpetto al fegato, col qoale a lc a na volta cambia loogo ; ma questo è contro na­ tura, e s 'ha per prodigio. Atenni tengono che gli animali che fanno uova, abbiano anche esai la milza ; e le serpi ancora, benché molto piccola : certo ei c' è nella testuggine, nel crocodilo, n d le lucertole e nelle ranocchie. L 'uccello, che si chia­ ma egocefslo, non ha milza, n i l’ hanno ancora quegli animali che son senza sangue. Questa d ì talora grandissimo impedimento nel correre; e perciò i corrieri di piè se la fanno incendere. Di­ cono. ancora, che se ben la milza ì cavata per qualche ferita, gli animali però vivono. Sono di qoei che tengono, che cavandosi la milza all* no­ mo, se gli leva anco il riso, e che il rider molto procede dalla graodezza della milza. È un paese in Asia, che si chiama Scepsi, dove dicono che le pecore hanno pochissima milza ; e di lì ή son trovati i rimedii pei malori a cui va soggetta.

D b bbribu s , b t u b i q c a t e b n i a n im a libu s :

D b OLI ARNIONI, B DOIB SIBICl ABIMALI CHI

AB­

QtJIBUS RULLI.

BIANO q u a t t r o . Q u a l i nor r b abbiamo .

LXXXI. Al in Brileto et Tbarne quaterni re­ nes cervis : conlra pennatis, squamosisque nulli. Cetero summis adhaerent lombis.Dexter omnibus elatior, et minos pingois sicctorque. Ulrique autem pinguitudo e medio exit, praeterquam in vitulo marino. Animalia in renibas pinguissima : oves quidem letaliter circnm eos concreto pingui. Aliquando in eis inveniuntur lapilli. Renes habent omnia qoadrapedum, qoae animal generant : ova parieotium testudo «ola, qoae et alia omnia vi­ scera: sed ot homo, bubalis similes, velat e multis renibas compositos.

LXXXI. In Brilelo e in Tarne i cervi hanno quattro arnioni ; e allo incontro qnegli animali che hanno penne, o scaglie, non ne hanno alcano. Generalmente sono appiccati alla sommiti d à lombi. Il destro di tolti è più rilevato, e meno grasso e più asciutto. All' ano e all' altro esce grasso del mezzo, fuor che nel vecchio marino. Gli animali sono grassissimi negli arnioni ; e le pecore talvolta vi raunano tanto grasso, che elle si muoiono. Alcune volta si trovano in essi pietruzze. Tutti gli animali di quattro piedi, ohe generano animali, hanno gli arnioni ; di quegli che fanno nova, sola la testoggine, la qnale ba ancora tolte l ' altre viscere ; ma l’ uomo gli ba simili al bae, come composti di molte reai.

P ic t u s : 003TAB.

P i t t o : c o s t i.

LXXXII. Pectas, hoc est, ossa, praecordiis et vitalibus nator· circumdedit: at ventri, quem necesse erat increscere, ademit. Nulli animaliora circa ventrem ossa. Pectas homioi tantam latam, reliqais cariaatam, volacribas magis, et inter eas aqnaticis maxime. Costae homini tantum octonae, suibus denae, cornigeris tredecim, serpentibas triginta.

LXXX1I. La natura diede per riparo il petto, cioè le costole, ai precordi! e ai membri vitali ; ma tolsele al ventre, al qoale è necessario crescere e rigonfiare. Niooo animale ha ossa intorno al ven­ tre. Solo l ' uomo ha il petto largo, mentre gli altri animali l ' hanno in forma di carena, ma più gli uccelli, e massimamente qaei d 'acqaa. L 'no­ mo non ba più che otto costole ; i porci dieci ;

noi

HISTORIARUM MUNDI MB. XI.

noa

gli animali che hanno corna, tredici ; le serpi trenta. VSSICA : QOIBUS BOB SIT.

V b sc ic a :

q u a i a n im a l i b b s u b f b i t i .

LXXXΠ1. Infra alvum est a priore perle Te­ sto·, quae nolli ο τ· gignentiom, praeter testudi­ nem : nolli nisi sanguineum pnlmonem habenti : nnUi pedibos carentinm. In ter eam etalvom arte­ riae, ad pubem tendentes, qaae ilia sppellantar. In vesica lapi lapillo·, qai Syrites Toeator. Sed in hoaainum qaibosdam diro crociata subinde nascente· calcoli, et Mtarnm capillamenta. Vesica membrana constat, quae Talaerata cicatrice non solidescit: neque qua cerebrum, aat cor involvifa r : plora enim membranarum genera.

LXXX1U. Sotto il venire nella prima parte è la vescica, cui non ha ninno animale di quel­ li, che fanno uora, fuorché la testuggine; niu­ no, se non qaei che hanno il polmone sanguigno; ninno, che non abbia piedi. Tra eaea e il Tentre sono arterie, che vanno al membro genitale, le qoali si chiamano ilia, ovver lombi. Nella vescica del lopo è ona pietroua che si chiama sirite. In qaella dell’ uomo nascono talora pietre con gran­ dissimo di loi tormento, e certe setole ancora. l a vescica è (atta di un pannicolo, il quale qaando vien che si rompa, non salda pià, oome quello che caopre il cervello e il cuore; perciocché ci sono molle sorti di pannicoli.

D b v u l v i · : d b to m i t o l t a : d b iu h ir b .

D b l l b v u lv b : d b l l a v u l v a d b l l b t b o ib : d b l l a su o b a .

LXXXIV. Feminis eadem omnia : praeterque vesieae junctus otricolo·, unde dictos nterus: qaod alio nomine loco· appellant : hoc in reliqni· animàlibo· volvam. Haec viperae et intra se parienlibos, duplex: ova generantium adnexa praecordiis : et in moliere gemino· sino· ab otraqoe parie laterum habet: funebri·, qooties versa •piritom indosit. Bove· gravida· negant praeter­ quam dextero volvae «ino ferre, etiam quum ge­ minos ferant Valva ejecto parto melior, qoam edito. Ejeciilia vocator illa, haeo porcaria, pri­ miparae suis optima: contra eflèlss. A parta, praeterqaam eodem die soia occisae, livida ac macra. Nec novellarem «nam, praeter primipara· prdbatur :potiasqoe veteram, dum ne effetarum, nee biduo ante partam, aat po«t partam, aal qao ejecerint die. Proxima ejectitiae est, occisae uno die post partum. Hujus et somen optimnm, « modo feto· non haoserit: ejeetitiae deterrimam. Antiqai abdomen vocabant : priosqoam calleret, iocientes occidere qon adsueti.

LXXXIV. Le donne hanno tolte qoeste cose, e oltra ciò on ventricolo congiunto con la vesci­ ca, il qoale si chiama utero, e per altro nome looghi : negli altri animali è chiamato volva. Le vipere, e quelle femmine che partoriscono dentro a sé medesime, 1*hanno doppia : quelle che fanno «ova, I1banoo appiccata ai precordi!. Nella donna ha due rieelli da amendue i lati ; ed è mortale, qaando ella si rovescia, io modo che rinchioda 1’ aria e faccia soffocazione. Dicono che le vacche pregne non portano se non nel lato ritto della matrite, ancora che elle ne abbiano doe in c o rp o . La valva è migliore se abortisce, ehe se ella avesse partorito. Qaella si chiama eiettizia, e questa porcaria ; ed è ottima qoella della porca che non ha più figliato : quelle che hanno figlialo assai, l'hanno livida e magra, se la porca non i1uccide il di medesimo del parto. Nè punlo è migliore qoella delle porche giovani, se gii non s'ammas­ sano nel primo parto; e forse è da preferire quella delle vecchie, purché non sieno stanche, e vote per aver figliato troppo, e non sien morte due dì inuansi al parlo, o dopo il parto, o il medesi­ mo giorno. Dopo la eiettizia, migliore è quella della porca accisa on dì dopo il parto. La sogna di qoesta è ottima, se il parlo noo Γ ha contorna­ la : qoella della eiettixia è tristUsiiua. Gli antichi la chb mavano addomine, e la ripotavan migliore quando avesse indorilo e fallo il callo ; il perchè non usavano ammassar le femmine eh’ eran pregne.

C. PUNII SECUNDI

ιιο3

Q d ì I SBVOII BABEABT, QUAB ROS P1HGUBSCABT.

CHB ABUSALI ABB1ABO SBVO, B CHB ALTHI H O · IBGBASSIBO MAI.

LXXXV. Cornigera una parie dentata, et qnae in pedibus talos habeot, sevo pinguescunt. Bisulca, scissisve in digitos pedibus, et non cor­ nigera, adipe. Concretus hic, et qaam refrixit, fragilis : semperque in fine carnis. Conlra pingue inter carnem cutemque, succo liquidum. Quae­ dam non pinguescunt, ut lepus, perdiz. Steriliora cuncta pinguia, et in maribus, et in feminis ; senescunlque celerius praepinguia. Omnibus ani­ malibus est quoddam in oculis pingue. Adeps cunctis sine sensu : quia nec arterias habet, nec venas. Plerisque animalium est pinguitudo sine sensn : quam ob causam sues spirantes a muribus tradunt adrosos. Quin et L. Apronii consularis viri filio detractos adipes, levatnmque corpus immobili onere.

LXXXV. Gli animsli cornuti, e da una p a rte dentati, e che hanno i talloni ne'piedi, ingrassano di sevo. Quegli che non hanno corna e h aooo fesse Γ ugne, ovvero hanno dita, hanno sogna. Questa è rappresa, e quando è raffreddata diven­ ta fragile, ed è sempre in sull' estremo della carne. Per contrario il grasso è tra la carne e la cotenna, ed è umido e sugoso. Alcuni animali non ingrassano mai, come la lepre e la starna. Tulli gli sterili son grassi, cosi maschi, come femmine ; e quegli che son molto grassi rinvec­ c h ia n o piè presto. Tulli gli animali hanno oa cerio che di grasso negli occhi. Quegli che noo hanno arterie nè vene, hanno il sugnsccio senza sentimento, quale lo hanno la maggior parte degli animali ; perciò dicono che i topi rodono i porci, e gli uccidono che non sentono. E di più dicono, che al figliuolo di Lucio Apronio stato consolo furono traili i sugnacci, e allegerìto il corpo di quel peso insensato ed immobile.

Db m e d u llis , b t q u ib u s b o b s i b t .

D b l l b m id o l l e , b q u a i a b u sa l i b o b b ' ab b ia h o .

LXXXVI. Et medulla ex eodem videtor esse, in juventa rubens, et senecta albescens. Non nisi cavis haec ossibus : nec cruribus jumentorum, aot canum : quare fracta non ferruminantur, quod definente evenit medulla. Est autem pinguis iis, quibus adeps: sevosa, cornigeris: nervosa, et in spina tantum dorsi, ossa non habentibus, ut pi· sc iu m generi : ursis nulla: leoni in feminum et brachiornm ossibus paucis exigua admodum: cetera tanta duritia, ut ignis elidatur, velut e silice.

LXXXVI. Pare che anche la midolla sia della stessa qualità, rossa in giovanezza, e in vecchiezza bianca ; e questa non è se non nell' ossa locavate, e non è nelle gambe de' giumenti e de' cani ; e però quando son rotte, non si risaldano ; il che avviene qaando la midolla scorre. Hannola gras­ sa quegli animali, che han sugnacci, e sevosa quei che hanno corna ; e nervosa, e solamente nella spina della schiena, quei che non hanno ossa, siccome i pesci: gli orsi non hanno midolla, i lioni n' hanno pochissima in poche ossa delle ooscie e delle braccia : le altre ossa loro son tanto dure, che ne esce fuoco come di una pietra.

Da

ossibus b t s p ib is .

Q u ibu s rbc ossa, b bc s p ib a .

C a b t il a g ih k s .

LXXXV1I. His dura, quae non pinguescunt : asinorum ad tibias canora. Delphinis ossa, non spinae; animal enim pariunt : serpentibus spinae. Aquatilium mollibus, nulla : sed corpus circulis carnis vinctum, ut sepiae, alque loligini. Et inse­ ctis negatur esse ulls. Cartilaginea aquatilium habeot medullam in spina. Vituli marini cartila­ ginem, non ossa. Item omnium auriculae, ac nares, quae modo eminenl, flexili mollitia, natu­ rae providentia, ne frangerentur. Cartilago rupta non solidescit. Nec praecisa ossa recrescuut, prae­ terquam veterinis ab ungula ad suffraginem.Homo

D bl l b ossa b d b l l b sp ih b . Q u a l i b o b a b b u io b ì ossa ,

a à sPiBB. C a b t il a g im i .

LXXXVII. Le ossa son dure in quegli che non ingrassano. Quelle degli asini risuonano al suon delle tibie. I delfini hanno ossa, e non già spine, perciocché essi partoriscono animale : le serpi hanno spine. Degli animali d'acqua teneri nessuno ha spine, ma hanno il corpo circondato da'circoli di carne, come la seppia e la loligine. Ni anche gli animali insetti n* hanno veruna. Gli animali d 'acqua cartilaginosi hanno la midolla nella spi­ na. 1 vecchi marini hanno cartilagine, e non ossa. Similmente quelli, i cui orecchi e il muso pontano an poco in fuori, hanno un certo tenerume, che

HISTORIARUM MUNDI UB. XI. crescit ia longitudinem ed annos asque ter septe­ nos: tam deinde ed plenitudiaem. Maxime autem pubescens nodum quemdam solvere, et praecipue aegritudine, sentitur.

De

m m .

Q vab s im b b b v is .

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si piega, e ciò è stato previdenza di natara, perché non si rompessero. La cartilagine rotta non risal­ da. Nè Possa tagliate crescono, fuorché «gli animali da soma, dall’ ugna del piè fino al nodo del ginocchio. L’uomo cresce in lunghezza fino « vent’ono anno, e dipoi in grossezza. L massimamente cominciando a mettere i peli, si sente come sciogliere un nodo, e specialmente per via di qaalche malore. D ei b b b v i. Q oali s ib b m m di m v r .

LXXXVIII. Nervi orsi a corde, bubuloque etiam circumvoluti, similem naturam et causam habent, in omnibus kibrieis applicati osaibus : nodosque corporum, qai V o c e n tu r articuli, aliubi iuterventu, aliubi ambitu, aliubi trauiitu ligantes, hic teretes, illic lati, ut ia unoquoque poscit figuratio. Neque ii solidantur incisi ; miromque, vulneratis summas dolor; praesectis, nullus. Sine nervis suntquaedam animalia, at pisces : arteriis enim constant. Sed neque his molles piscium ge­ neris. Ubi sunt nervi, interiores conducant nem · bra, superiores revocant. Inter hos latent arteriae, id est, spiritus semitae. His innatant venae, id est, sanguinis rivi. Arteriarum pulsos, in cacumine maxime membrorum evidens, index fere morbo· raro, in modulos certos, legesque metricas, per aetates, stabilis, aat citatus, aut tardus, descriptus ab Herophilo medicinae vate, miranda arte, ni­ miam propter subtilitatem desertus, observatione tamen crebri eat languidi ictus, gubernacula vitee tem perat

LXXXVIII. I nervi, i qaali cominciano dal enore, e ne* buoi anche gli si aggirano intorno, hanno simile le natura e la causa : stanno appic­ cati in tutte le ossa lubriche, legando i nodi del corpo, che aneora si chiamano articoli, dove frapponendosi loro, deve circondandoli, dove pas­ sando lor sopra; e qaando sono rotondi, qaando larghi, come richiede la configurazione dell* ani­ male. Noa risaldano, quando son tagliati ; ed è gran maraviglia, che qaando son feriti danno estremo dolore, e se son tagliati, ninno. Alcani animali sono senza nervi, come i pesci, i quali hanno arterie t non però quegli che sono molliocichi. 1 nervi interiori, dove ce ne ha, distendono i membri, gli esteriori li ristringono. Fra i nervi stanno ascose le arterie, ciò sono i canaletti, onde scorre Paria vitale. In esse nuotano le vene, che sono i rivi del sangue. Il moto e polso delParterie massimamente nella sommità de1 membri dimo­ stra le malattie, secondo i suoi diversi movimenti, stabile, o frettoloso, o tardo, e sempre con certe regole e misure proporzionate alPetà dell’anima­ le ; il che è stato descritto da Crofilo poeta di medicioa coo mirabile arte, il quale tuttavia per la sua troppa sotti gliexia è stato lasciato da parte. Nondimeno Posservazione del polso veloce o tar­ do, tempera il governo della vita.

A e TBBIAB, VEBAB : QUAB BBC TEBAS, BBC ABTBB1AS

A b t b b ib , v b b b : q u a l i b o b abb ia bo b ì a b t b b ie ,

HABBBT. D e SABGU1BB BT SCDOEE.

LXXX1X. Arteriae careot sensu : nam et sangoine. Nec omnes vitalem continent spiritum : praecisisque torpescit tantum pars ea corporis. Aves nec venas nec arterias babent : item ser­ pentes, testudines, lacertae, minimamqae sangui­ nis. Venae in praetenues postremo fibras subter totam cutem dispersae, adeo in angustam subii* li latera tenuantur, ut penetrare sanguis non pos­ sit, aliud ve qaam exilis bomor ab illo, qai cacu­ minibus innumeris sudor appellator. Venarum in umbilico nodas ac coilas.

ai v b b b . D b l

sa b o o s b d b l su d o b b .

LXXXIX. L’arterie non hanno sentimento, perchè non hanno neppur aaague. Nè hanno tolte lo spirito vitale; e se si tagliano, si perde solamente quella parte del corpo. Gli uccelli non hanno nè vene, nè arterie ; cosi le serpi, le te­ stuggini e le lucertole, che anche hanno pochis­ simo sangue. Le vene disperse poscia in tenuis­ sime fibre disotto alla pelle, si riducono a tanta sottigliezza, che il sangue non può passare, nè altra cosa, se non un sottile umore, il quale uscen­ do oon infiuiti cocuzzoli si chiama sudore. Ne! bellico le veoe si coogiongono e avviluppano.

itoS

C. PLINII SECUNDI Q uoeum c b l b e b im e sahgois ip is s b t u r , quobum NON

D i QUAI ANIMALI IL SANGUE SI EAPPIGLl PBBSTU S I ­

COÉAT : QUIBUS CBASS1SSIMUS, QUIBUS TERUISSUfUSy

NO: d i q u a l i n o . Q u a l i lo abbia no g e o s s u s i m o :

QUIBUS RULLUS.

QUALI SOTTILISSIMO : QUALI NON NB ΑΒΒΙΑΗΟ.

XC. '38. Sanguis quibus multus et pingui·, iraconda: maribus, quam feminis, nigrior: et juventae magjc quam senio : et inferiore parte pinguior. Magna et in eo vitalitatis portio. Emis­ sas spirilnm secura trahit: tactam tamen non sentit. Animalium fortiora, quibus sanguis cras­ sior : sapientiora, quibus tenuior : timidiora, quibus minimus, aut nullus. Taurorum celerrime coit atque durescit, ideo pestifer potu maxime. Aprorum, ac cervorum, caprearumque, et bobaIorum omnium noo spissator. Pinguissimas asinis, bomini tenuissimus. His qaibus plus quaterni pedes, nullas. Obesis minas copiosas, quoniam absamitor pingui. Profluvium ejus uni fit in naribus homini, aliis nare alterutra, quibusdam per inferna, multis per ora stato tempore,ut nuper Macrino Visco viro praetorio: sed omnibus annis Volusio Saturnino urbis praefecto, qui nonagesi­ mum etiam excessit annam. Solum hoc in corpore temporarium sentit incrementum : siquidem ho­ stiae abundanliorem fundunt, si prius bibere.

QoiBUS CERTIS TEMPORIBUS ARNI BULLUI.

XC. 38. Quegli che hanno mollo saogne, e grasso, sono colerici : i maschi V hanno p iù n e ro che le femmine ; e più n’ hanno i giovani, c h e i vecchi ; ed è più grasso nella parte inferio re. In esso è gran parte della vitalità. Qaando egli è uscito, tira séco lo spirilo, e Γ animale si m u o re ; nondimeno tocco non sente. Quegli animali «on più forti che hanno il sangue più grosso : più savii quei che lo hanno più sottile ; più tim idi quei che ne hanno pochissimo, o che noo u 'han­ no punto. Il sangue dei tori prestissimo ai rappi­ glia, e indura ; e perciò è molto pestifero a bere. Quel dei porci cinghiali, de' cervi, delle capre e dei bafoli non si rappiglia. Gli asini lo hanno grassissimo, e l’ uomo sottilissimo. Quegli smi­ mali che hanno più di qoattro piedi, non hanno sangue. I grassi ne hanno manco degli altri, per­ chè egli è consumato dal grasso. Solamente all’ uomo esce il sangoe per lo naso, ad alcuni per uno dei buchi di esso, ad alcuni per tuttadue : ad alcuni viene il fiosso di sangue per disotto, e a molti per bocca a certo tempo ordinato, come non ha molto avvenne a Macrino Visco atato pretore, e ogni anno a Volusio Saturnino pre­ fetto di Roma, il quale visse ancora più di no* vanta anni. Solo questo ha temporario incre­ mento nel corpo, poiché si vede che gli animali che si sacrificano, ogni volta che hanno bevuto prima, ne mandano fuora maggior quantità. Q u AI Non NE ABBIANO SOLO IN CEETI TEMPI DELL’ ANNO.

XCI. Quaeanimalium latere certis temporibus diximus, non habent tunc sauguinem, praeter exiguas admodum circa corda guttas, miro opere naturae : sicut io homine, vim ejus ad minima momenta mutari, non morbo tantum in ore soffusa materia, verum ad singulos animi habitus, pudore, ira, metu : palloris pluribus modis, item ruboris. Alius enim irae, et alius verecundiae. Nam et in metu refugere, et nusquam esse certum est, mullisque nou transfluere transfossis: quod homini tantum evenit. Nam quae mutari dixi­ mus, colorem alienum accipiunt quodam reper· cusso : homo solus in se mutat. Morbi omnes morsque sanguinem absumunt.

XCI. Quegli animali, i quali dicemmo che in certi tempi stanno ascosi, non hanno allora san­ gue, fuorché alcune pochissime gocciole intono al cuore per maravigliosa opera della natura. Cosi veggiamo nelP uomo variare la sua fona a ogni piccolo movimento dell* animo, ricorren­ done più o meno sol volto non solamente per ma­ lattia, ma secondo cVegli è dominato da qualche passione, da vergogna, da ira, da timorei; e simil­ mente quando più o meno impallidisce, e qoando più o meno arrossa ; perocché altro rossore è quello dell* in , altro è quello della vergogna; dacché per la paura il sangue rifugge e non ù lascia trovare: onde si è veduto, che a molti, benché sieno feriti, non è uscito sangue; il die non avviene se non alPoomo. Perchè qaegli che noi dicemmo che sì mutano, pigliano colore per una certa riflessione estranea: l’ uomo solo lo mula in sè stesso. Tutte le infermità e la morte consumano il sangue.

uto

HISTORIARUM MUNDI LIB. XI

■ 109

A a m SAHGCIHE VBIBCIPATUS.

S b IL PBIBCIPATO b BEL· SAHGUE.

XCII. 39.Sont qai subtilitatem animi constare n o n tenuitate sangninis putent, sed cute operixnentisque corporum magis ant minus bruta esse, u t ostreas et testudines : boum terga, setas suum obstare tenuitati immaantis spiritus, nec purum liquidumque transmitti : sio et in homine, quum crassior callosiorve excludat cutis ; ceu vero non crocodili* et doritia tergoris tribuatur et solertia.

XCII. 39 . Sono alcuni che tengono, che la sottilità dell1animo non proceda dalla sotti­ gliezza del sangue, ma dalla pelle e dalla copri­ tura del eorpo, e per questo vogliono che gli animali sieno pià o meno insensati, come veggiamo V ostriche e le testuggini : il cuoio grosso dei buoi, e le setole del porco sono impedimento alla sottilità dello spirito loro, perchè non può passare liquido e puro. 11 medesimo avviene nel1*uomo, quando la pelle più grossa e più callosa l'esclude. Nondimeno ai crocodili che hanno durezza di cuoio si attribuisce pure ingegno a solerzia.

D b terg ore.

D b l tbbgo.

XCIII. Hippopotami corii crassitudo talis, ut inde tornentur hastae,et tamen quaedam ingenio medica diligentia. Elephantorum quoque tergort impenetrabiles setas habent, quum tamen omnium quadrupedum subtilitas animi praecipua perhi· beatur illis. Ergo cutis ipsa sensu caret, maxime in capite : ubicumque per se ac sine carne est, -vulnerata non coit, ut in bucca cilioque.

XCIII. L 'ippopotamo ha cosi grosso il cuoio, che con esso si puliscono l ' aste a torno ; e non­ dimeno l’ ingegno suo ha ana certa virtò medi­ cinale. Il cuoio dell’ elefante è si duro, che non ha setole, perchè non lo possono passare ; e non­ dimeno nessuno animale di quattro piedi è più ingegnoso di lui. La pelle dunque non ha senso, massimamente nel capo : dovunque essa è sem­ plice e seoza carne, non rammargina, se sia feri* ta, come veggiamo nelle gote e nelle palpebre.

Db p iu s

bt v e s t i t u tb b g o & is .

XCIV. Quae animal pariunt, pilos habent : qaae ova, pennas, aut squamas, aut corticem, ut testndines : aut cutem puram, ut serpentes.Pen­ narum caules omnium cavi : praecisae non ereacunt, evolsae renascuntur. Membranis volant fragilibus insecta, humentibus hirundines in n a ri, siccis inter tecta vespertilio. Horum alae quoque articulos habent. Pili a cute exeunt crassa hirti, feminis tenuiores, equis in juba largi, in armi· leoni : dasypodl et in buccis intus, et io pedibus, quae utraque Trogus et in lepore tradi­ dit : hoe exemplo libidinosiores hominum quo­ que hirtos colligens. Villosissimus aoimalium lepus. Pubescit homo solus, qood nisi contigit, sterilis in gignendo est, sen masculus, seu femi­ n i. Pili in homine partita simul, partim postea gignuntur. Congeoiti autem non desinunt, sicut nec feminis magnopere. Inventae tamen quedam defluvio capitis invalidae : ut et lanugines oris, qunm menstrui cursos stetere. Quibusdam post­ geniti viris sponte non gignantur. Quadrupe­ dibus pilum cadere atque subnasci, annuum est. Viris crescunt maxime in capillo, mox in barba. Recisi, non, a t herbae, ab ipsa incisura augentur,

Db1p e l i b c o p e i t c b a d e l tb b g o .

XCIV. Gli animali che partoriscono animale, hanno peli ; quei che Canno uova, hanno penne, o scaglia, o corteccia, come sono le testuggini, o la pelle pura, come le serpi. Il gambo di qua­ lunque penne è bugio. Tagliandole non cresco­ no; svegtiendole rimettono. Gli insetti hanno ale di pannicoli, amidi le rondini marine, asciutte i pipistrelli caserecci ; e le ale loro hanno anco i nodelli. Dalla pelle grossa escono ! peli aspri, alle femmine più sottili : i cavalli nel collo e i lioni nel­ le spalle gli hanno maggiori : i tassi gli hanno dentro nelle gote non che nei piedi, le quali due cose Trogo attribuisce ancora alla lepre, e cork questo esempio conchiude, che gli uomini pilosi son molto lussuriosi. La lepre è il più pilòso ani­ male che sia. Solo Γ uomo mette i peli D ell’ età atta a generare: e se ciò non è, dimostra sterilità così il maschio, come la femmina. I peli nell’uomo parte s'ingenerano insieme con lui, parte poi.Qoegli che sono insieme con loi generati, non man­ cano dipoi, come nè ancora mollo nelle donne. Sonsi trovate alcune, che quando gettano i capegli, diventano invalide, come anco la lanugine della facab) quando restarono i flussi menstrui.

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G PUNII SECONDI

sed ab radice exeunt. Crescuot et in quibusdam morbis, maxime phtbisi, et in seneeta : defuoctorum quoque corporibai. Libidinosis congeniti, malorias defluunt: agnati, celeria· crescunt. Quadrupedibus senectute crassescant laaaeqae rarescunt. Quadrupedam dorsa pilosa, ventres glabri. Boam coriis glutinum excoquitur, lauro­ rum qae praecipuum.

1112

Alcuni uomini poiché hanno fatti i peli, n o n g li rimettono più. Gli animali di quattro p ied i m u ­ tano i peli ogni anno. A’ maschi crescono a a n i nel capo, e poi nella barba. I peli tagliati n o n rimettono in sulla tagliatura, come rim e tto n o Γ erbe, ma escono infuori della radice. C reacono ancora in alcune malattie, massimamente n ella tisi, e in vecchiaia, e ne*corpi morti an co ra. Quegli, che nascono insieme con 1*uomo, e a f · giono più presto, s 'egli è lussurioso, m a > nati crescono più tosto. Gli animali di quattro p ied i ingrassano per la vecchiaia, ma le lane diventano loro più rade. Qaesti pure hanno la schiena pilosa, e il ventre senza pelo. De* cuoi boriili, cocendogli, si fa ottima colla, e massimamente di quelli de* tori.

D a MAMMIS, ET QUAB VOLUCEUM MAMMAS HABEANT.

DELLE POPPE, B QUALI UCCELLI LE ABBIAMO.

NoTABIUA ABIMALIUM IB 0BKE1BUS.

NOTABILI COSB EAPPOETO ALLE POPPE.

XCV. Mammas homo solos e maribus habet : celerà animalia mammarum notas tantum. Sed ne feminae quidem in pectore, nisi qaee possunt partus sao· attollere. Ova gignentium nulli:nec lac, nisi animal parienti : volucrum, vespertilioni tantum. Fabulosam enim arbitror de strigibus ubera eas infantium labris immulgere. Esse io maledictis jam antiquis strigem convenit: sed quae sit avium, constare non arbitror.

XCV. Solo di tutti gli animali maschi Γοοη» ha le poppe : negli altri animali i maschi hanno solo certi segni di poppe. Ma nè anco le donne hanno le poppe, se non qoelle che possono nu­ trire i figliuoli : qoegli, che fanno uova, non hanno poppe. Nessuno animale ha latte, se non quegli, che generano animale ; e fra gli uccelli solo il pipistrello. Perocché credo che sia favola ciò ehe si dice delle strigi, che mungano il latte a* bambini. Nelle esecrazioni antiche si trova qaesto nome di strige, ma non si sa che uccello si sia. 4 o. Alle asine dolgono le poppe dopo il par­ to, perciò svezzano 1*asinino il sesto mese, dove le cavalle danno poppa quasi tutto l’anno. T atti gli animali che hanno 1*ogna di un pezzo, ooa generano più che due per volta, e tutti hanno due poppe e 1*hanno nel pettignone. Nel mede· simo luogo 1*hanno quelli, che han I* ugna di dae pezzi, e son oornuti : le vaeche quattro, le pecore e le capre due. Quelle ehe partoriscono più che due, e che hanno le dita nei piedi, han­ no molte poppe per tutto il corpo in due filari, eome le troie, delle quali quelle di razza miglio­ re n* hanno dodici, le volgari due meno, e simil­ mente le cagne. Alcune n* hanno quattro ia mez­ zo del oorpo, come le pantere ; alcune dae, eoaae le lionease. L* elefantessa sola ha doe poppe ao^to gli omeri,cioè non nel petto, ma più sotto, e nasco­ ste ndle ascelle. Nessuna femmina, che abbia d ila no*piedi, h · poppe nel pettignone. I porcellini p ri­ ma nati succiano le prime poppe: queste son le più presso alfa bocca loro, e ciascun altro conosca le sue ia qadlo ordine* che è nato, e oon qudla si nutrisce, e non eon sllra. Subito ebe è levato u a

4o. Asinis a feto dolent : ideo sexto mense aroent partus, quum equae anno prope toto prae­ beant. Quibus solida ungula, nec supra geminos fetus, haee omnia binas habeat mammas, neo aliubi, quam in feminibus. Eodem loco bisulca el cornigera; bove· quaternas, ove· capraeque binas. Quae nuMMroso facunda partu, et quibus digiti in pedibus, haec plures habent, tolo ventre du­ plici ordine, ut sues, generosae duodenas, volga­ re · binis minus: similiter eanes. Alia ventre medio quaternas, ut pantherae : alia binas, ut leaenae. Elephas tantum sub armis duas : nec in pectore, sed citra in alis occultas. Nulli in femi­ nibus digitos habentium. Primogeniti in quoque partu suis primaa premunt : eae sunt faucibus proximae : suam quisque novit in feto quo geni­ tos est ordine, eaqne alitur, nec alia. Detracto ilia alumno suo sterilescit illico, ne resilit. Uno ▼ero ex omni turba relicto, sola munifex, quae genito fuerat adtributa descendit. Utsae mammas quaternas geriint. Delphini binas in ima alvo papillas tantam, nee evidentes, et paallum in obliquum portoci··. Neque aliud animal in corsa

HISTOBJARDB MUNDI UB. XI.

ItlJ

1114

lambitor. El balaena· aatem vitalique manmii nutriaot fetas.

porcellino dalla madre, la poppa che egli suc­ ciava, perde il latte, e rappianasi. E se di tutti non rimanesse se non un solo, similmente la sua «ola poppa rimane, e non più. LV>rse hanno qoat* tro poppe. 1 delfini hanno solamente due capessoli nou mollo evidenti, e dislesi alquanto per traverso. Niuno altro animale è poppato mentre che corre, fuor che il delfino. Anche le balene e i vecchi marini nutriscono i figliuoli con la poppa.

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XCVL 4>· Molieri ani· septimom meoaeaa profusala lae, inalile. Ab eo manie, quod vitales partus, salubre. Plerisque aatem totis memori», atqoe etiam alaraa sino flait. CameU lae habaot, donee iterai· gravescant SoavisstmOm hoc esitli* ina tur ad onam mensaram tribas aqase additis. Botante pertum noo babet. Ex primo semper a parlo colostra fiunb qaae, ni admìaeealor aqoa, in pomieis modum coeant daritia. Asinae praegnan­ tes cootlnoo lactescant. Pallis earam, obi piago· pabulum, bidao a parto materaom lae gustasse, letale est Genos mali vocatur colostra lio. Caseus non fit ex utrimque dentatis, quoniam eorum lac aon ooit. Tenuissimam camelis, mox equis: crassissimum asinae, ot qoo coaguli vice olaotur. C ubferre aliquid et candori io mulierum cote existimator. Poppaea certe Domitii Meronis eoo)ox, qaingentas secosa per omoia trahens fetas, balpearom etiam solio totam corpus illo laete macerabat, extendi qooqae catem credens. Omne autem igne spissator, frigore serescit. Bubulam caseo fertilius, qoam caprinum, ex eadem men­ sura paene altero tanto. Qaae plures quaternis mammas babent, caseo inutilia, et meliora quae binas. Coagulano hinnulei, leporis, boedi lauda­ tum. Praecipuum tamen dasypodis, quod et pro­ fluvio alvi medetur, unius utrimque dentatorum. Mirom barbaras gentes, qaae lacte vivant, igno­ rare aat spernere tot seculis casei dotem, deosantes id alioqui in acorem jurandum, et pingue butyrum : spuma id est lactis, coocretiorque, quam qood serum vocatar. Non omittendum in eo olei vim esse, et barbaros omnes infantesque nostros ita ungi.

CIB DBGLI ALIMENTI CHE SI FAUNO COL LATTB.

XCVI. 4>* U lette della donna innanzi il set* timo mese è inutile ; Bea da quel mese in li, per­ chè il parto è vitale, diventa,, buon·. Ad alcune donne gocciola il latte non dal solo capezzolo, ma da totta la poppa, e ancora da sotto le braeeia. Le caramelle haooo latte fioo a che impregni­ no di nuovo, ed è tenuto buonissimo, se si me­ scola coo tre tanti di aoqoa. La vacca non ha latte innansi al parto, e sempre del primo dopo il p ari· si fanno colostre, le quali si rassodano oo­ me pomice, se non vi ai mescola aequa. L’ asine pregne hanno sempre del latte. L* asisino muore, se dove è grassa pastura iofra due dì dopo il parlo gusla il latte della madre. Chiamasi questo male colostrazione. Non si fa cacio degli animali dentali da ogni lato, perchè il latte loro non si rappiglia. Sottilissimo latte hanno le cantinelle, e poi le cavalle : grossissimo è quello dell1asine, e perciò s* adopera in luogo di presame. Tiensi che e’ sia buono per far bianca e lucente la pelle alle donne. Onde Poppea moglie di Domizio Ne­ rone menava sempre seco cinquecento asine lat­ tanti, e nei bagni ammolliva tutto il corpo col latte di esse, credendo ancora di stender la pelle. Ogni latte si rassoda eoi fuoco, e col freddo va in siero. Il latte di vaeca fa pià cacio, che il ca­ prino, quasi altrettanto d1ona medesima misera. Quelle bestie, che hanno più di qaallro poppe non fanno cacio, e migliore lo fanno qoelle, che n’ hanno due. Il presame del cervietto, della le­ pre e del capretto è molto lodato ; ottimo non­ dimeno è quello del tasso, uno di quegli animali che hanno i denti di sotto e di sopra : esso rista­ gna anco il flusso del corpo. Maraviglia è che le nazioni barbare, le quali già tanti arini sono vi­ vono di latte, o non conoscano, o non istimino l’ utilità del cacio, e pare lo rappigliano, e piace lor mollo, quando è un poco forte, è ne fbnno eziandio butirro grasso, il quale è schioma di lat­ te, e più condensato che il siero; Non si vuole tacere eh* esso tien dalla virtù de!P olio, e che i barbari tatti e i fanciulli nostri se ne ungono.

C. PUNII SECUKDI

in 5

1116

G uE ll CASBOBUM.

S p e c ie d b i fo b m a g g i ,

XCVII. 4a. Lau* caseo Romae, ubi omnium gentium bona cominus judicantor ; e provinciis, Neraausensi praecipua, Lesorae Gabalidque pagi; sed brevis, ac mu*(eo tantam commendatio. Duobus Alpes generibus pabula sa· adprobant: Dalmaticae Doclealam mittant, Geatronicae Vatasicum. Numerosior Apennino. Gebanam hic e Ligaria mittit, ovium maxime laetis : Aesioatem ex Umbria : misloque Etruriae atque Liguriae confinio, Luaensem magnitudine conspicuam: quippe et ad singola millia pondo premi lar : proximam aatem Urbi Vestinam, eumqoe e Ce­ d ilo campo laadatissimom. E t caprarum gregi­ bus sua laus est, Agrigenti maxime, eam aagente gratiam famo: qualis in ipsa Urbe conficitor, cauclis praefereadas. Nam Galliarum sapor me­ dicamenti vim obtinet. Trans maria Tero Bithy­ nas fere ia gioria est. Inesse pabulis salem, etiam ubi non detur, ita maxime iatelligitar, omni in salem caseo senescente, quales redire in musteam saporem, aceto et thymo maceratos, certam est. Tradunt Zoroastrem ia desertis caseo vixisse an­ nis viginti, ita temperato, at vetastatem non sentiret

XCV1I. 4λ Vuoisi dar lode al cacio eh* è in Boma, dove si giudicano essere i beni di tutte le nazioni convicine. Delle province i lodato molto quello di Niroesa, che si & be’ due villaggi Lesura e Gabalico ; ma qaesto vanto è assai poco, e solamente qoando egli è fresco. Le Alpi si lo­ dano dei lor paschi, che ne danoo dae spede. La Dalmazia manda il cacio che si chiama Dodeata: il paese dei Centroai qoel che è chiamato Vatusico. Ma in maggior numero ne fa Γ Apennino. Di Ligaria viene il cacio Cebano, e massima­ mente di latte di pecore: di Umbria qael di Esi : e da1 confini della Toscana e ddla Liguria viene il cado di Ltonigiana, per la grandezza soa molto bdlo a vedere, perchè se ne fa fino a mille libbre di pesò per forma. Vidno a Roma è il cado Vestino, e ottimo i quello d d territorio Gedizio. È tenuto boono ancora il cado di capra, e massimamente d’ Agrigento, dove si rende pià grato coll* affumicarlo : qoal si fa quivi è da es­ ser messo innanzi a tulli. Perdocchè il sapore di quello ddla Gallia ha virtà medidnale. Olirà mare il cado di Bitinia i in grandissima riputa­ zione. Intendesi che nelle pasture i il sale, aneo­ ra dove non se ne trova, perchè ogni cacio l ’ in­ vecchia col sale : i cad tornano aneora nel sapore che aveano da freschi, qoando si tengono in ma­ cero ndl*aceto e nel timo. Dicono ehe Zoroastro visse venti anni n d deserto solamente di cado, temperato in modo, che non invecchiava mai.

D im in m u

r n i t o u n Hornum a bb liqu is

D n F B B n rz A d e i

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d e l l 1 con o d a g l i a l t b i

AHIMALISUS.

AMMALI.

XCVI1I. 43. Terrestrium solas homo bipes. Uni juguli, hameri, celeris armi: uni uloae. Quibas animalium manas sant, intus tantam carnosae : extra nervi· et cute constant

XCV11I. 43. L'uomo solo fra tutti gli animati terrestri ha doe piedi : esso solo ha gorgozzule, esso solo ha omeri, mentre gli altri hanno spalle: esso solo ha ulne, che è quel tanto delle braeda, che è dal gomito alle punte delle dita. Le mani in quegli animali che ne hanno, sono solamente di dentro carnose, e fuori sono di nervi e di pelle.

Da n o n u , na

beacmiis.

XC1X. Digiti quibusdam in manibns seni. C. ■Horatii ex patricia gente filias duas ob id Sedigitas appellatas accepimus, et Volcatiam 9edigilam, illustrem in poetica. Hominis digiti articulos habeat ternos, pollex biaos, et digitis adversas universis flectitor : per se vero in obliquum por­ rigitor, crassior ceteris. Haic minimas mensura par est : duo reUqai sibi, inter qaos medias Ion»

D

e l l e d it a

:

d e l l e b b a c c ia .

XC1X. Alcuni hanno sei dita nelle mani. C. Orazio, il quale fu patrizio, ebbe due figliuole, le quali furouo perciò chiamate Sedigite, e tale ancora fa Volcazio Sedigito, illastre in poesia. I diti dell* uomo hanno tre nodi, faor che il d ito grosso, il quale n* ha due. Qaesto si volge con­ tra latte 1*altre dita, ma per sè si porge per tra ­ verso, ed è più grosso degli altri. Il dito mignolo

niSTORIARDM MUNDI LIB. XI.

1H 7

gitante prolendilur. Quibas ex rapina victus quadrupedum, quìai digiti in prioribus pedibus, reliquis quaterni. Leones, lupi, canes, et pauca in posterioribus quoque quinos ungues habent, uno juxta eroris articulum dependeote : reliqua quae sunt minora, digitos quinos. Brachia non omnibus paria secum. Studioso Thraci in G. Caesaris ludo notam est dextram fuisse procerio­ rem. Animalium quaedam, ut manibus, aluntur priorum ministerio pedom : sedentque ad os illis admoventia cibos, ut soiuri.

De s im ia b u m

s im il it u d ib b .

C. 44· Nam simiarum genera perfectam homi­ nis imitatiouem contineat, facie, naribus,auribus, palpebris, quas solae quadrupedum et in inferiore habent gena. laro mammas in pectore, et brachia, et crnra in contrarium similiter flexa : in manibos angues, digitos, longioremque medium. Pedibus paallum differunt. Sunt enim ut manus, praelongi, sed vestigium palmae simile faciunt. Pollex quoque his, et articuli, ut homini, ac prae­ ter genitale, et hoc in maribus tantum, viscera etiam interiora omnia ad exemplar.

Da

u rg uxbo s.

Cl. 45. Ungues dansolae nervorum summae existimantur. Omnibus hi, quibus et digiti. Sed simiae imbricati, hominibus lati, et defuucto crescant, rapacibus unci : celeris recti, ul canibus, praeter eum qui a crure plerisque dependent. Omnia digitos habent, quae pedes, excepto ele­ phanto. Huic enim informes, numero quidem qainqae, sed indivisi, ac leviter discreti : ungalisque, haud ungaibus similes : et pedes majores priores. In posterioribus articoli breves. Idem poplites intus flectit hominis modo. Cetera ani­ malia, in diversam posterioribus articuli pedibus, qaam prioribus. Nam quae animal generant, ge­ nua ante se flectant, et suffraginam arlus in aversam.

è pari a qaesto : gli altri due sono pari fra loro, fra i quali è qoel di mesto, il quale è molto più lungo di tutti gli altri. Gli [animali di quattro piedi, che vivono di rapina, hanno cinque dila ne1 piedi dinanzi, negli altri quattro. 1 lioni, i lupi, i cani e pochi altri hanno cinque unghioni ancora nei piedi di dietro, uno, che pende presso il nodo della gamba : gli altri, che son minori, hanno cinque dita. Le braccia non sono pari ia ciascuno. Nei ginocbi di C. Cesare fu uno, che si chiamò Studioso di Tracia, il quale avea pià lungo il braccio ritto. Alcuni auimali adoperano i piedi dinanzi ad uso di mani, e seggono, met­ tendosi con essi i cibi in bocca, come fanno gli scoiattoli. D ella

s o m ig l ià n z à d b l l b s c im ib .

C. 44· Sono le scimie simili affatto alP uomo nella faccia, nel naso, negli orecchi e nelle pal­ pebre, cui esse sole degli animali quadrupedi hanno ancora nel coperchio di sotto delP occhio. Hanuo le poppe nel petto, e le braccia, e simil­ mente le gambe volte al contrario : P ugne nelle mani, le di la, e quel di mezzo piò lungo. I lor piedi sono un poco differenti, perchè sono lunghi come le mani, ma fanno P orma simile alla palma. Hanno anco il dito grosso, e i nodi nelle dita, come Puomo, e oltre il membro genitale, e que­ sto solamente ne' maschi, hanno anco simili tutte le viscere interiori a quelle dell* nomo. D

b l l b to tg h ib .

CL 45. L’anghie sono tenute Postreme clau­ sole de* nervi. Tutti gli animali, che hanno dita, hanno unghie, ma le scimie P hanno a modo di tegoli, gli nomini larghe, a cui crescono ancora poich’ egli è morto ; gli animali rapaci P hanno uncinate, gli altri ritte, come i cani, fuor che quella, che a molti pende dalla gamba di dietro. Tutti gli animali che hanno dila, hanno piedi, faor che Pelefaate, perciocch'esso ha cinque dila a novero, informi e appiccate insieme, e poco distinte, simili a quelle che sono d*un pezzo ; e i piedi dinanzi son maggiori : quei dietro hanno i nodelli più corti. Il medesimo piega il ginoc­ chio indentro a modo dell* uomo. Gli altri ani­ mali hanno al contrario, cioè i nodelli a* piedi di dietro, e non a quei dinanzi. Perciocché que­ gli che generano animale, piegano le ginoechia innanzi a sè, e la congiuntura delle coscie al con­ trario.

C PLINII SECUNDI

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CII. Homini genua et cnbila contrari» : iteto ursis, et simiarum generi, ob id minime per n iri­ bus. Ova parientibqs quadrupedum, crocodilo, lacerlis, priora genaa poit curvantur, posteriora io priorem partem.Sont autem crqra his obliqua, humani pollicis modo. Sic et multipedibus, prae­ terquam novissima salientibus, Aves, ut quadra* pedes, alas in priora curvant, suffragine* iu po­ steriora.

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CII. L 'uomo ba le ginoeohia e i gomiti pie* gali al eeatiurio : cosi gU orsi, e le settate, le quali perciò noe son punto teloei. Gli animati d i quattro piedi, che fanno ueva, come il croCod tlo e le lucertole, hanno le ginocohsa dinanzi piegate indietro, e quelle di dietro piegate immori ; e le gambe a traverso, cerne U dite grosso deH* no* mo. Simili sono quei che tanno molti piedi ; t a l* · quelli che saltano, i quali hanno Γ estremiti delle gambe piuttosto diritte. Gli uccelli, come gli animali di quattro piedi, piegano 1*ali nelle parti dinanzi, e le giuntqre della coscia nelle parti di dietro. In QUALI

UMBRA M I CORPO TOSAVO SlAUBOflB D I

SACBA BBLIGIO.

M tKUOBB.

Clll. Hominis genibus quaedam et religio inest, observatione gentium. Haee supplicet adtingunt : ad haec manus tenduat : haec, ut ara·» adorant : fortassis quia inest iis vitalitas. Namque in ipsa genu utriusque commissura, dextra laevaqee, a priore parte gemina quaedam bucoaruaa inanitas inest : qua perfossa, ceu fugalo, spiritus fogit. Inest i t aliis partibus quaedam religio: sicut dextra osculis aversa appetitur, in fide por· rifi tur. Antiquis Greciae in supplicando mentum adtingere mos erat. Est iu anre ima memoriae locus, quem tangentes attestamur. Est post aurem aeque dextram Nemesios (quae dea Iatinum no­ men ne in Capitolio quidem invenit), qno refe­ rimus tacto ore proximum a minimo digitum, veniamsermonis a diis ibi recondentes.

CHI. Nette ginocchia dell1 uomo ci ha ona certa religione, secondo che osservarono le genti. Per la qual cosa queste toccano quegli che umil­ mente si racoomandano, verso queste distendo· le mani : queste adorano come altari, forse perchè hanno in sè potenza vitale. Perciocché nella con­ giuntura dell* uno e I*altro giaocdkio, dalla parte dioanzi è un certo vacuo da ritta e da manca, come dentro alle gote ; e ae sS fora, come la canna della gola, l'uomo subito muore. Nell*altre parti ancora è una certa religione, perocché la man ritta riceve baci rovescia, e in pegno di fede si porge e si distende. Gli antichi Greci usavano, che chi supplicando chiedeva grazia, toccasse Π mento. Nella bassa parte deir orecchia risiede, o che pare, la memoria, e mostriamo di ciò credere quando la tocchiamo per rammentarci. Dopo l'orecchia destra è il cos) detto Nemesio, o luogo di Nemesi, e significa giusto sdegno (la qual dea non ha trovato nome latino non che altrove, ma nè ancora in Capitolio), dove, toccata la bocca, portiamo il dito eh* è presso al mignolo, quasi che ivi riponessimo H perdono chiesto agli dei di ciò che diciamo.

V a bica s .

V aaio .

C1V. Varices in cruribus viro lautum : inu­ beri raro. C. Mariam, qui septies consnl fuit, stantem sibi extrahi paisum unum hominum, Oppius anetor «st

C1V. Le varici nelle gambe vengono all* uo­ mo ; rade volte alla donna. Scrive Oppio, che Caio Mario, il quale fa sette volte consolo, stando ritto in piedi, solo di quanti mai furono, ebbe il coraggio di lasciarsene cavare.

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HISTORIARUM MUNDI UB. XI. Db e u m ,

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a n n u i.

CV. Omni· animalia a dextris partibus in­ cedant, sinistris incubant. Reliqua, at libitam «st, gradiantur. Leo tantam et camelas pedatim, hoc eat, a t ainiater pes non transeat dextram, •ed sabcequatur. Pede* homini maximi, femini· tenuioreis in omni genere. Sorae homini tantam, «t crara carnosa. Repetitur apad auctore· qoem· dam io Aegypto non habaisse sa ras. Vola homini tantam, exeepti· quibusdam. Namque et bine cognomina inventa Planci,Pianti, Pansae, Scaari: •icat a craribu· Vari, Variae, Vatinii : quae vitia e t in qoadrupedibo·. Solida· babent angui*·, qaae non ·αηΙ cornigera : igitor pro hi· telam ungula est ilKt. Nec talo· habent eadem. At quae bisulca eant, habeat : i idem digito· habeatiba* non aaat : neqae in prioribos pedibus omnino olli. Camelo tali similes bubali·, «ed minore· panilo. Eat enim bisulca· discrimine exigao pes im o·, vestigio carnoso, ot orsi : qua de caos· in longiore itinere sine calciata fatiscant.

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D b u 1 ANDABE, db * PIBDI, DBtiLK GAMBB.

CV. Tutti gli animali per lo piò vanno da man ritta, e da man manca giacciono : l'altre cose fan­ no, come più lor piaee. Solo il lione e il cammello -'▼anno a pii per piè, cioè, che il piè manco non passi il ritto, ma lo segua. 1 piedi degli uomini son grandi, quei delle femmine più piccoli in ogni genere. Solo I’ uomo ha le polpe nelle gam­ be, e le gambe carnose. Traovasi scritto appresso gli autori, che fo in Egitto nno, che non aveva le polpe delle gambe. L*uomo solo ha la palma della mano, eccetto alquanti. E di quindi forano an­ che inventati eerti soprannomi, come di Planco, di Pianto, di Pansa, di Scaoro ; siccome dalle gambe qaegli altri, di Varo, di Varia, di Vatinio ; i quali difetti sono ancora negli animali di quat­ tro piedi. Gli animali che non hanno corna, han­ no l’ agoe sode, e così in cambio delle corna hanno P ugoe per arme loro ; e questi medesimi non hanno anco talloni. Qaegli, che han l’ ogne di due peni, gli hanno ; non però qaegU, che hanno 1« dita : nondimeno nessuno gli ha nei piedi dinaoil. Il cammello ha i talloni rimili al bue, ma an poco minori ; perocché esso ha l'ugna divisa, sebben poco, nella cima del piede, il qoale di sotto è carnoso, come qoel degli orsi ; e per questa cagione a lungo viaggio, te non è calcato, •coppia. D b l l b TJGBE.

CVI. 46 . Uogake veterino tantam generi re­ nascuntor. Sae· in Illyrico qaibasdam locis soli­ dae babent ungala·. Cornigera fere bisulca. So­ lida ungula, et bicorne nullum. Unicorne asinus tantam Indieoa: unicorne et bisulcum, oryx. Ta­ los asinus Indicas anas aolidipedam habet. Nam •aes ex atroque genere existimantor, ideo ferun· tu r diversi earum fetas. Hominem qui existima­ ru n t habere, facile convicti. Lynx tantum digi­ to · habentium, simile quiddam talo habet: leo ctiamnum tortuosius. Talus autem recta· est in articulo pedis ventre eminens concavo, in verte­ bra ligatas.

CVL 46 · Le ogne rimettono solamente agli animali, die portano peri addotso. I porci in al­ dini luoghi di Schiavonia hanno P ngne sode. Quegli, die hanno le corna, qnasi tutti hanno Γ ugna fessa. Nessuno animale di due oorna ha 1*agna d’ un peno. Solo P asino d'india ha ao corno ; e similmente I* animale detto orice, ha an cornò, e Γ ugne fesse. Di tatti gli animali che hanno Γ ugne, solo I’ asino d’ India ha i talloni ; perchè i porci ri stimano dell* uno e Γ altro gènere, e perciò haoci diversità ne* figli loro. Que­ gli che hanno tenuto che Γ uomo gli abbia, fa­ cilmente sono stati convinti. Di quegli che hanno le dita, solo il lupo cerviere ha una certa cosa sìmile al tallone. 11 lioné 1*ha anch* egli, ma più torta. 11 tallone spunta dritto fuor della giuntu­ ra del piede, ha il mezto concavo, ed è legato con noddlo.

VoLCC&CM PEDES

PlBDI DEGLI UCCELLI.

CV1L 47· Avium aliae digitatae, aliae palmi­ pede·, aliae inter otrumqoe divisis digitis adjecta P lisio I. N.

CV1I. 4?· Degli uccelli alcuni hanno le dita, alcani le prime, alcani an ehe di messo, perebè

V

C. PUNII SECUNDI

latitudine. Sed omnibus quaterni digiti, Ire· in priore parte, unu* a calce. Hic deest quibuidam longa crura habentibus. Lynx sola utrimque bi· d o s babet. Eadem linguam serpentium similem in magnam longitndinem porrigit.Collum circum­ agit in aversum. Ungues ei grandes ceu gracu­ lis. Avium quibusdam gravioribus, in cruribu» additi radii : nulli uncos habentium ungues. Lon­ gipedes porrectis ad caudam cruribus volant: quibus breves, contractis ad medium. Qui negant volucrem ullam sine pedibus esse, confirmant et apodas habere, et oten et drepanin, in eis quae rarissime apparent. Visae jam eliam serpente· anserinis pedibus.

P b DSS ABIMAUUM, A I1 R U AD C U m U O S . D a poN iuom iDs.

CV1II. 48. Insectorum pedes primi longiores» duros habentibus ocnlos, ut subinde pedibus eos tergeant, ceu notamus in muscis. Quae ex his no­ vissimos habent longos, saliunt ; ut locustae. Qmnibua autem his seni pedes. Araneis quibus­ dam praelongi accedunt bini. Internodia singuli· terna. Octonos et marinis esse diximus, polypis, sepiis, loliginibus, cancri·, qui brachia in conlra· rium movent, pedes in orbem, aut in obliquum. Iisdem solis animalium rotundi. Cetera binos pedes doces habent : cancri tantum, quaternos. Qoae huoc numerum pedum excessere terrestria, nt pleriquo vermes, non infra duodeoos habent, aliqua vero et centenos. Numerus pedum impar ■ulli est. Solidipedom crura statim ju ta nascan­ tur meneara: postea exporrigentia ae verius, qaam crescentia. Itaque in infantia scabunt aures posterioribus, qaod addita aetata non queunt ; qaia longitudo superficiem oorpornm solam am· pliat. Hac de canae inter initia pasci, nisi submis­ sis genibus, non possunt : nee usque dum cervi· ad justa incrementa perveniat.

49 . Pumilionum genus in omnibus animali­ bus est, atqnc eliam inter volucres.

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g e h it a l ib u s

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h k x m a f h k o d it is .

C1X. Genitalia maribus quibus essent retro, salis diximus. Ossea suat lapis, vulpibus, muste­ lis, viverris : unde eliam calcalo humano remedia

na4

hanno le dita divise con una certa sorte di palma. Tutti però hanno quattro dita, tra dinanzi, · o n di dietro. Qoesto manca ad alcuni, che hanno le gambe lunghe. Solo il lupo cerviero ha doe dita da ogni parte, e la lingua come la serpe, eoi d i­ stende a gran lunghezza. Gira il collo verso gli omeri, e quando riposa, anche indietro. Ha Togae grandi, come le mulacchie. Certi degli uccelli più gravi hanno gli sproni nelle gambe, ma non alcu­ no che. abbia gli unghÌQni uncinali. Gli uccelli di lunghi piedi volano distendendoli verso la coda : quegli, che gli hanno torti, gli ritirano sotto mtà meuo. Coloro che dicono che non c 'è nratto uccello senza piedi, tengono che quegli ch« si chiamano apodi, gli abbiano, e ohe aneora gli uccelli delti ole e drepani, i qoali ai veggono di rarissimo. Sonsi travate serpi co’ piedi d 'oca. Piedi d k o li a b in a li, da d e i v ir o

a

carro.

Da* aAni. CVIII. 4^. Gli insetti, cioè animali aaulo», « quali hanno gU occhi dori, hanno i primi piedi più lunghi, acciocché con essi gli nettino, come veggiamo far le mosche. Quegli che hanno gli ultimi lunghi, saltano, come fanno le locuste ; e tutti questi hanno sei piedi. Alcuni regnateli ne hanno due lunghi per lato. Tutti hanno tre no­ delli. Noi dicemmo anco che i polpi, le seppie, le loligini e i granchi, che muovono le braccia per indietro, e le gambe io giro o a traverso, hanno otto piedi. Soli questi animali son tondi. Gli altri hanno due piedi, i quali sono guida agli altri quattro. 1 granchi n’ hanno solo qoattro. Qoegli che passano questo numero, che sono la maggior parte vermini terrestri, non n' hanno meno che dodici, e alcuni anco n'hanno cento. Nessuno animale ha i piedi in caffi». Gli animali ehe hanno l’ugna d’un pesto, nascono eoo le gambe lunghe quanto hanno a essere, sì che dipoi si distendono piuttosto, che non crescono. Nella loro faocìullezxa dunque si grattano gli orecchi 00’ piedi di dietro, il che qoando son cresciuti non poaaooo poi Ciré, perehè la lunghezza amplia Baiamente la super fide de'corpi. Per questa cagione da principio non possono pascere, se non piegano le ginocchia, nè infino a che il collo pervenga a sua giusta misura. 49 . De' nani ne sono in tutte le sorti degli animali, e tra gli uccelli ancora. D e l l e membra g e n it a l i ; d i g l i bem a fr o d itx .

CIX. Noi abbiamo già dettoabbaslauza di que­ gli animali ebe hanno la membra genitali di dietro. O’dmo I* hanno i lupi, le volpi, le donnole

na9

H1STOEIAEOM MONDI UB. XI.

praeeipoa. Or*o quoque simol atqae exspiraverit, oornescere ajant. Camelino arena intendere, OrieotM popoli* fidissimum. Nec oon «liqaa geo· tiu m quoque in boc discrimina, et saerorom •tiam, ci tra perniciem ampntantibo· matris de&m Gallis. Contra malie ram paneis prodigiosa assixnilatio : sicnt hermaphroditis ntriosqoe sexns : qood e tia m qoadrnpednm generi accidisse Nero­ nis prineipato primom arbitror. Ostentabat certa hermaphroditas snbjonetas carpento suo equas, in Tnverieo Galliae agre reperta· : eeo plane vi­ senda resem i, prineipem te r r a r n m insidere por­ tentis.

Da

T ssn av s.

T aira

obw bbum s tM iv ia i.

CX. Testes pecori armentoqne ad crura de­ cidui, sobos adnexi : delphino praelongi ultima conduntnr alvo, et elephanto oeculti. Ova parientium lumbis intus adhaerent : qualia ocissima In Venere. Piscibus serpentibusque nulli, sed eo­ rum vice binae ad genitalia a renibus venae. Bu­ teonibus terni. Homini tantum injuria, aut sponte naturae franguntur : idque tertium ab herma* pbroditls et spadonibus, semiviri genus habent, liares in omni genere fortiores, praeterquam in pantheris, et ursis.

Dk c a u d is . CXI. 5o. Caudae, praeter hominem, ac simias, omnibus fere aoimsl, et ova gignentibus, pro differentia corporum : nodae hirtis, ut apris : parvae villosis, ut ursis: praelongis setosae, nt equis. Amputatae lacertis et serpentibus renaaenntor. Pisciam meatus gubernacali modo re· gont : atque etiam in dextram atqne laevam mo­ tae, nt remigio qaodam impellunt. Lacertis inve­ niuntur et geminae. Boum caudis loogissimas caulis, atque in ima parte hirtus. Idem asinis lon­ gior quam equis, sed setosus veterinis. Leoni in­ fima parte, ot bobus et sorici : pantheris non item : vulpibus et lupis villosns, ot ovibus, qui­ bus procerior. Snes intorquent : canam degene­ res sab slvam reflectant.

e i furetti ; onde ci sono rimedii singolari al male della pietra dell’ uomo. Dicesi ancora, che si tosto che 1*orso c morto, il membro genitale gli diventa di corno. I popoli Orientali Canno gran uso nel tendere Parco oon quello del cammel­ lo. V 'ha eziandio Ara le nazioni ona certa diffe­ renza in questo membro, come anco fra i popoli consacrati, perciocché 1 sacerdoti della dea CTbele io Gallia se si tagliano via senza pericolo di morte. Per lo contrario poche’ donne han pro­ digiosa simiglianza di uomo, come gli ermafro­ diti dell* uno e Γaltro sasso; la qoal cosa anoora penso che avvenne agli animali di quattro piedi nel principato di Narone. Egli faceva mostra di dne cavalle ermafrodite, che tiravano la sua carretta, la qoali s’eran trovate nel territorio di Treviri in Gallia, qoasi se fosse una c o m molto bella e degna da vedersi, che ono imperador del mondo si posasse sopra mostri. Da' t e s t ic o l i .

M e z z i d o m iv i d i t u s f z c ib .

CX. 1 testicoli al bestiame pecorino e all' ar­ mento pendono fra le gambe : i porci gli hanno appiccali : i delfini gli hanno lunghissimi, e ri­ posti nell* ultima parta del corpo, e gU elefanti gli hanno ascosi. Qaei che fanno nova, gU hanno attaccati dentro a* lombi, e qoesti tali son velo­ cistin i nell* alto venereo. 1 pesci, e le serpi non haooo testicoli, ma in cambio d* essi hanno due vene che vanno dalle reni a* membri genitali. 1 buteoni n* hanno tre. Agli uomini solamente si schiacciano per qualche ingiuria fattavi, o per riparare qualche difetto di natura j e questa è la terza specie di mezzinomini, dopo gli ennochi e gli ermafroditi. I maschi in ogni genere son piè forti, fuorché nelle pantete e negli orsi. D&lli

cod b .

CXI. 5o. Fuor che Γ uomo e la sci mia, qoasi tutti gli altri animali haooo la coda, e quegli aacora che fanno 1*uova, secondo la differenza de* corpi. Gli animali setolali, siccome sono i porci cinghiali, le hanno ignnde : i pelosi, come gli orsi, l ' hanno piccole : quei che son lunghi, come i cavalli, 1*hanno setolute. Le lucertole e le serpi, s*elle son mozze loro, le rimettono. Quelle de* pesci reggono il lor viaggio a modo di timone, e movendole a man ritta e man manca, le adoperano a uso di remi. Trovanti delle lucertole, che hanno due code. La pannochia delle code de* buoi è lunghissima, e pilosa in cima : gli asini 1*hanno più lunga che i cavalli, ma gli animali da soma I*hanno setoluta. Il lione I* ha Citta in cima come i buoi e i topi, ma cosi

C. PLINII SECUNDI

>R*S

non Γ hanno le pantere; le volpi e i lupi Γ h a n n o pelota, come le pecore, ma più longa d 'esse. I porci U ritorcono, e i cani poltroni la rip ieg an o sotto la panda. De

VOCIBUS ANIMAUOM.

CX1I. 5 i. Vocem non habere, nisi qnae spi­ rent, Aristoteles pntat Idcirco et insectis sonasi esse, non vocem, intas metnie spiritu, et inclaso sonante. Alia mnrmur edere, ut apes. Alia con­ tritu stridorem, at cicadas. Recepto enim ot duobussub pectore cavis spirita, mobili occursaote membrana intas, attrita ejus sonare. Muscas, apes et similia cam volata et indpere audiri et desi­ nere. Sonam enim attrita et interiore aara, non anima reddi. Locastas pennarum et feminum attritu sonare, ereditar sane. Item aquatilium pe­ ctines stridere, quum volant: mollia, et crusta intecta, nec vocem nec sonum ullam habere. Sed et ceteri pisces, quamvis pulmone et arteria careant, non in totum sine ullo sono sunt. Strido· rem eum dentibus fieri cavillantor. Et is qui caper vocatur, in Acheloo amne, grunnitum habet, et alii de qaibas diximas. Ova parientibns sibilus, serpentibas longas, testudini abruptus. Ranis sonas sui generis, ut dictum est ( nisi si et in his « ferenda dubitatio est), qui mox in ore concipitur, non in pectore. Mullum tamen in iis refert el lo­ corum natura. Mutae in Macedonia traduntur, muti et apri. Avium loqaadores qoae minores, et circa coitus maxime. Aliis in pugna vox, ut cotarnidbas: aliis ante pugnaro, at perdicibus: aliis quam vicere, at gallinaceis. Iisdem saa ma­ ribus : aliis «ifcdem u t feminis : ut lusciniarum ge­ neri. Quaedam toto anno canunt, quaedam certis temporibus, ut in singulis dictum est. Elephas citra nares ore ipso, sternutamento similem elidit sonum : per nares autem, tubarum raudtati. Ru­ bus tantum feminis vox gravior : in omni alio genere exilior, quam maribus : in homine eliam castratis. Infantis in nascendo nulla auditur, an· tequam totus emergat utero. Primus sermo an­ niculo est. Semestris locutus est Croesi filius in crepundiis : quo prodigio lotum id concidit re­ gnum. Qui celerius fari coepere, tardius ingredi indpiunt. Vox roboratur quartodecimo anno. Eadem in senecta exilior : neque in alio anima­ lium saepius mutatur. Mira praeterea suut de vo­ ce digna diclu. In theatrorum orchestris, scobe aut arena superjecta devoratur, et in rudi parie­ tum circumjectu, doliis eliam inanibus : currit eadem concavo vel recto parietum spatio, quamvis levi sono dicta verba ad alterum caput perferens, si nulla inaequalitas impediat. Vox in homiue magnam vallas habet pariem. Agnosrimus eam

D*LLE T0C1 D M U ABUSALI.

CX1L 5i. Aristotele tiene che non ab b ian o voce, se non quegli animali, che hanno polm one e arterie; e perciò dice, che gPiosetti h anno suono, e noo voce, per rispetto d d l'a rie e b e dentro si muove, e rinchiusa risuona. Alcuni ronzano, come fanno le pecchie. Alcuni toccan­ doli stridono, siccome le cicale, nelle quali si sa come Γ aria entrando in due cavità, le qoali hanno sotto il petto, e incontrandosi ella io on pannicolo mobile dalla parte di dentro, per quello attrito le viscere vengono a risuona re. Altri ai odono quando incominciano a volare, eome le mosche e le pecchie, e rimili. Perciocché il soono nasce dallo stroppicciar dell1ali e dall* aria che han dentro, e non dal fiato. La locusta risaona per lo stroppicciar delle penne e delle cosde. T ra gli animali d'acqua i pettini stridono qaando vo­ lano. I molliccichi, e quegli che hanoo g u sc io , non hanno nè voce, nè suono. Ma eziandio gli altri pesd, benché non abbiano polmone e arteria, non però sono affatto senza alcun suono. Sono alcuni che tengono che questo strido nasca dai denti, ma s ' ingannano. Il pesce che ii chiama capro, nd fiume Acbeloo, grufola come fa il por­ co, e similmente altri animali, dei quali abbiamo già parlato. Gli animali che fanno uova, hanno il fischio ; le serpi lungo, la testuggine rotto. Le ranocchie hanno il soono della spede loro, come s'è detto (se già non è da dubitarne), il quale si forma nella bocca, e non n d petto. Ma però mollo imporla in loro anco la natara d d luoghi. Dicesi che in Macedonia son mutole, come ancora i cinghiali. Fra gli uccelli, i pià piccoli pià cicala­ no, e massimamente drca il coilo. Alcuni altri dan voce qyando combattono, come le coturnici : altri innanti la battaglia, come le starne : altri quando hauno vinto, come i galli. Questi hanno voce differente dalle galline : altri Γ hanno eguale a quella delle femmine, come i luscignuoli. Alcuni cantano tutto Γ aono, alcuni a certi tempi, come già si è detto di ciascuno. L'elefante ha suono sotto le nari, propriamente nella bocca, simile allo starnuto, e per lo uaso manda fuori un suono rauco simile a qudlo delle trombe. Le vacche hanno voce più grossa che i buoi : in tutti gli altri maschi è il contrario ; e tra gli uomini ancora i maschi castrali hanno maggior voce che le femmine. Del bambioo che nasce, noo s ' ode voce alcuna, se prima non è tolto fuori ; e non

HISTORIARUM MUNDI L1B. XL prios, qaam ceratami, oon alito qaam oenlis: totidemqae sant «a·, qaet in rertua natura mort*Us: el saa cniqne, sieut bcm. Hiac illa gen­ tium, tolqae linguanun, loto orbe divertita·: bine tot cantai et modali, flexionesque. Sed aate omnia explanatio animi, qaae no» distinxit a feria, inter ipso· quoque homines discrimen alteram aeqae fraude, qoam a bellois, fòoit.

Da

adowajcebtibcs membbis.

favelia, se non poi che egli ha fornito Γ anno. 11 figliuol di Creso favellò di sei mesi mentre bamboleggiava, e per tal prodigio rainò tutto quel regno. Qaegli, ohe pià tosto cominciano a favellare, penano pià a camminare. La voce s 'in­ grossa di qnattordioi anni, e in vecchietta s'assot­ tiglia ; e nessuno altro animale la muta più spesso che l'uomo. Molte altre cose meravigliose son da dire della voce. Nei teatri si perde U vooe ogni volta che dalla parte di sopra si getta polvere o rena, e cosi avviene fra le mura rotte, o se si ragiona basso dinanti a vasi vóti: che se le pareti Canno concavo spatio o diritto, per lungo che sia lo intervallo, le parole giungono intere e spedite fino all’ altro capo, se oon alcuno impedimento. La voce porta seco gran parte del viso dell'uomo, perciocché per essa noi conoscia­ mo altrui, prima che lo veggiamo, non altrimenti che se lo vedessimo; e tante sono le differente delle voci, quanti sono gli nomioi, perchè ciascuno ha la sua propria, come ha il suo volto. Di qai è nata tanta diversiti fra le genti di tutto il mondo: di qui sono tanti e diversi modi, forme e inflessioni di canto. Ma innaoti a ogni altra cosa c’è la dimostraiione dell'animo, la quale, avendone distinti dalle fiere, ne distinguo anche fra noi con non minore differenta di qaella, onde dalle fiere ne ha distinti. Db' m em bbi. s u p e b tl u i.

CX1H. 5a. Membra animalibns adgnala inu­ tilia sunt, sicut sextas homini semper digitus. Placuit in Aegypto nutrire portentum, biois et in aversa capitis parte oculis hominem, sed iis non cernentem.

CX11I. 5a. 1 membri, che nascono di più agH animali, sono sempre disutili, oome è sempre il sesto dito all’uomo. Nacque gii un mostro in Egitto, il qoale era un uomo, che aveva due occhi nella collottola, ma con essi non vedeva, e volsero che s' allevasse.

V ita l it a t u b t mobum b o t a i , ex mbmbhis

S e g b a l i d i lu h g a v it a b d b *c o s t o s i , CHB

BOXINOTI.

APPABISCOVO BBLLB MBMBBA DELL' UOMO.

CX1V. Miror qaidem Aristotelem non modo credidisse praescita vi lae esse aliqua in corpori­ bus ipsis, veram etiam prodidisse. Quae quam­ quam vana existimo, nec sine cunctatione profe­ renda, ne in se quisque et auguria anxie qnaeral: ad tingam tamen, qaae tantus vir io doclrina non sprevii. Igitur vitae brevis signa ponit ra­ ros dentes, praelongos digitos, plumbeum co­ lorem, pluresque in manu incisuras, nec per­ petuas. Contra longae esse vitae incurvos hume­ ris, et in manu ana duas incisaras longas haben­ tes, et plures quam xxxu dentes, auribus amplis. Nec universa haec ( ut arbitror ), sed singula observat, frivola ( ut reor ), et tolgo tamen nar­ rata. Addidit morum quoque aspectus simili m o -

CXIV. Maravigliomi che Aristotele non sola­ mente credesse, ma scrivesse ancora, che ne'corpi degli uomini fossero alcuni srgni della vita, lo però, sebbene stimi che sian vaoi, e da non doversi dire senta consideratione, nondimeno acciocché alcuno troppo curioMmenle non vada cercando in sè stesso gli augurii, toccherò qaegli che tanto nomo nelle dottrine non ha sprextati. Egli mette donque per segai di corta vita i denti radi, le dita molto lunghe, il color di piombo, molle tagliature e non continuate nella mano. Α1Γ incontro dice che sono inditii di lunga vita le spalle chine, e per ciascuna mano due taglia­ ture lunghe, e più di trentadue denti, e gli orecchi grandi. Nè, come stimo, osserva egli

nSi

C« PUNII SECONDI

do «pad nos Trogoe,*tipeaaaotor teverwiara·: quoa verbis ejus subjiciam : « Front «bi ost a t · gna, segnem animam tabette significat : qaibae parva, mobilem: quibat rotanda, iracundam, v d at hoe vestigio tamoris apparente. Superdlla quibus porrigantur in rectam, raollet significanti quibus juxta nasata fiexa sunt, aatterot : qaibas juxta tempora io/Iexa, derisoret : quibat in totum demitta, malevolos et ìnvidot. Ocali quibascumqae tant longi, malefico! ette indicant. Qai car­ n o s o s a naribat aagalot habent, malitiae notam praebent. Candida part extenta, notam impu­ dentiae habet: qai identidem operire soleat, inconstantiae. Auricularum magnitado loquaci­ tatis et stultitiae non est. » Hactenas Trogus.

D » AHIMA R

VICTU.

CXV. 53. Animae leonis viros grate, arti pestilens. Contacta halita ejus nolla fera adtingit : citiusqae putreacuntafflata reliquit. Hominit tantnm infici natura voloit ploribut modis, et ciborum «c dentium vitiis, ted maxime aenio. Dolorem sentire non poterat: tacta temaqae omni carebat, sine qaa nihil sentitor. Eadem commeabat, recens assidue, exitura supremo, et sola ex omnibas s a p e r f a lu r a . Denique haec tra­ hebatur e coelo. Hujos quoque tameo reperta poena ett, ut neque idtpsum, quo vivitur, in vita juvarét. Parthorum populis hoc praecipue, et a juventa, propter indiscretos cibos: namqne et vino foetent ora nimio. Sed sibi proceres meden­ tor grano Assyrii mali, cujos est suavitas praeci­ pua ia esculenta addito. Elephantorum anima serpentes extrahit, cervorum u rit Diximus hominam genera, qui venena serpentium suctu corporibus eximerent. Quin et subus serpentes in pabulo sani, et aliis venenum esL Quae insecta appellavimus, omnia olei aspersu necantur. Vulturea unguento qui fugantur, alios appetunt odores, scarabaei rosam. Quasdam serpentes scorpio occidit. Scythae sagittas tingunt viperina sanie, et humano sanguine: irremediabile id scelus, mortem illico affert levi tacta.

n 3 a

tatto queste cose Insieme, tua «Uscana per ti ; deboli, seoondo 11 mio vedere, ma narrate n e l volgo. Trogo appresso di not «ggiagne « n o o rn per sitali modo i segni de* costumi, autore a n d i' egli severissimo, i quali lo sogghignerà q a i con le tae parole : * La fronte grande sig n ifica animo pigro, la piccola mobile : chi Fha to n d a è colerico, come ae questo gonfiamentodhnostrasae qoello dell'animo. Le ciglia diritte significano uomini molli ; quelle ehe son piegate verso II naso, uomini austeri; quelle che son p ieg ate presto le tempie, schernitori; quelle che eoo in tutto basse, maligni e invidiosi. Gli occhi ta n g h i significano animo volto a far male. Qaando le lagrimatoie allato al naso sono carnose significano uomo malizioso. Quando il bianco dell' occhio è molto ditteto significa uomo slacciato. Quegli, che lo toglion coprire, hao legno di leggerezza. Gli orecchi grandi lignificano loquacità e p o li­ zia. » Fin qui Trogo. D bll'

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DSC. VITTO.

CXV. 53. L'alito del lione à grave lesso, quello dell'orso è pestilente. Però ninna fiera toc­ ca cosa, che prima aia ttata tocca dall'alito d'esso: tal cosa si corrompe più tosto che Paltre. Ha volu­ to la natura, che solamente l'alito dell'uomo di­ venti infetto per più modi, e per mali cibi e per guasto de' denti, ma molto pià per la vecchiaia. L'alito non poteva sentir dolore, perchè mancava del tatto, e d'ogni altro sentimento ; e nondi­ meno senza lai nalla si sente. Esso entrava in noi sempre nuovo, per non usare interamente che da sezzo ; la tola cota che ha da sopravvivere a tutte le altre. Finalmente questo si tirava dal­ l'aria. E nondimeno di questo ancora s 'è trovato la pena ; perciocché quello, per cui noi viviamo, spesso nella vita ci è molesto. I Parti da giova­ nezza sopra agli altri uomini lianoo qaesto ioco­ modo, per osare eglino molta confusione di cibi ; e ancora per lo troppo vino che beono potè loro fieramente la bocca. Ma i grandi rimediano a que­ sto alito mescolando i cibi loro con le granella della mela Assiria,cbe sono molto delicate. L'alito degli elefanti tira fuor le serpi ; e quello di cervi gli arde. Dissi come v'erano degli uomini, i quali succiando traevano il veleno del corpo umano punto dalle serpi. Le serpi ancora sono cibo det porci, come il veleno ad altri animali. Tatti gli insetti muoiono, te son unti con olio. Gli avoltoi, che fuggono i profumi, corrono agli altri odori. Gli scarafaggi amano le rote. Lo tcorpione uoride alcune terpi. Gli Sciti ungono il ferro delle tacite colla tanie della vipera, e col tangae amano ; e tal ribalderia non ha rimedio alcuno, perchè ogni poco che tocca, subito uccide.

Η1βΤΟ*ΙΑΒ0 ΙΙ MUNDI UB. XI. Q p a i vb**ho p a s ta m * poh m « m * b t « d i t a t a *BC4«r.

CXVL Quae « q M w p i w n i t e r veaeoo J iìiwm · Quaedam innocua, «Jìoqui, venenatis fotta uoxia fiant «t ippa* Apro» io Pamphylia et Ciliaiae « n u m i* , ν Ιμμι^ π ab hit devorata, qoi odore moriuntur. Nec est intellectus aUus ia odore, vel sapore ; et aqua vinomque iaterimit « h i»M>4 n ibi innortam tei ii oam ao biberit, «mde poletur : ita a rana, qqam rubetam v o tn t. Tantum insidiato» « t vitae ! Vespae ter peate avide vescuntor, qoo alimento mortifero· ictus faciunt. Ideoque magna differentia est victus : ut m tractu pisce viventium Theophrasto· prodit, boves quoque pisce veed, sed nou nisi vivente.

QUIBUS DE CADSU HOMO 1 0 1 C0BC0QUAT.

Di q u b o u

a b im a u

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c o a im y s l h i

m » n u -

SCOHO, MA AMMASSAVO CHI CIBA DI ISSI.

CXVL GU abbiamo ragionato di quegli ani­ mili, che si pascono di veleno. Alcuni, che per altro non son nocivi, pasciuti di cose velenose diventano anche essi nocivi. 1 cinghiali in Pan­ fili· e u«i luoghi montuosi di Cilicia mangiano le salamandre sensa elcuna offesa, ma gli uomini, che mangiano di essi cinghiali, si muoiono. Nè c'è Intendimento veruno nell'odore e nel sapore; e Pacqoa e il vino, dove sia morta la salamandra, ammassa altrui, o se si beva altra cosa, dov’essa abbia bevuto : il medesimo Ci la botta : tante in­ sidie son poste alla vita dell’ uomo! Le vespe mangiano volentieri delle serpi, e se poi puogon l'uomo, tal puntura è mortale. E perciò gran differenta è nel vitto, perchè come dice Teofrasto, dove parla di coloro die vivon di pesce, sonci ancore de'buoi che mangiano il pesce, ma solo quando egli è vivo. Pam q u a l i

c a u si l ' uomo hoh ism a l tisc a

IL· c ia o .

Ds BBMBDI1S CBUDITATUM.

Db' B1MBDII ALL* IRDIQBSTIOItB.

CXVI1. Homini cibus utilissimus simplex. Acervatio saporum pestifera, et condimento per­ niciosior. Difficulter autem preficiuntur omnia in cibis acria, nimia, et avide hausta : et aestate, quam hieme, difficilius; et in senecta, quam in juventa. Vomitiones homini ad haec in remedium excogitatae, frigidiora corpora faciunt, inimicae oculis maxime ac dentihus.

CXVII. 11cibo semplioe è utilissimo all’oomo ; ma la divertiti de'sapori è pestifera, « più dan­ nosi sono i condimenti. Difficilmente si smaltir scono lotte le cose agre nei cibi, le troppe, e quelle che ingordamente son prese; e piò difficil­ mente la state che il verno, e piò in vecchiaia che in giovanezza. Sonsi trovate dall’uomo per rime­ dio di queste cose le vomitazioni, ma die fanno i corpi molto freddi, e sono inimicissime agli occhi e a' denti.

Q ubm adm odum

ooxruuurmc o b t m o a t :

C ome si r o u i

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coefu lbbza :

QUOMODO MlffUATUm.

COMB SI SCEMI.

CXV1II. Somno concoquere corpulentiae, qaam firmitati utilius. Ideo athletas malunt cibo· ambulatione perficere. Pervigilio quidem praeci­ pue vincuntur cibi.

CXV11I. Smaltire eoi sonno è pià utile allo ingrassare, che a fsr gagliardo. E perdò i lotta­ tori vogiioo piuttosto smaltire i dbi col cam­ minare. Ma soprattutto con la vigilia i cibi si smaltiscono. 54· I corpi crescono coi dbi dold e grassi, e col bere ; dove all' incontro scemano con le cose secche e aride, e con le fredde, e con la sete. Alcuni animali e le pecore ancora in Africa beono ogni quattro giorni una volta. Trovasi che l'uomo può viver sette giorni sensa mangiare e bere; e s'è veduto ancora, che molti hanno passatigli undiri. L'uomo solo fra gli animali muore per la ingordigia d d mangiare sempre insaziabile.

54· Augeseunt corpora dulcibus, atqoe pin­ guibus, et potu : minuuntnr siccis et aridis, frigidisque, ac siti. Quaedam animalia, et pecudes qooque in Africa, quarto die bibunt : homini non utique septimo letale est inedias : durasse et ultra undecimum plerosque certum est. Mori esurien­ di semper inexplebili aviditate, animalium uni homini.

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G. P U m i SECUNDI HISTOH. MTODI UB. XI. Q ca*

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Di Q R u a ic o a c tt e n r i n o u «accuso LA 7 A 0 ■ la ta ra .

CXIX. Quaedam rare tu exigao gotta famem aesitim icdant, conservantqne vires, ntb atjram , hippace, glycyrrhiza. Perniciosissimam aatem in omni qaidem vita, qaod nimiam, praedpae ta­ men corpori : minoiqae, qaod gravet, qaolibet •modo atUius. Verum ad reliqaa natone transe­ amus.

CXIX. Sono aleone cose, ohe per poco ch e «e ne gotti, levano la Cune e k sete, e maot e r ­ gono le forse, siccome è il barro, il cacio di latte di cavalla, e nn’altra aorte di cacio teoero, eb e ai domanda glieirrisa. In ogni maniera di vivere perà i eempre dannosissimo qoel che è troppo, e massimamente al corpo; ed è piè utile diminuire qoello die aggrava per qoal modo si voglia. Ma passiamo aU'altre coae della natara.

C. PLINII SECUNDI

HISTORIARUM MONDI LIBER XII ARBORUM

NATURAE.

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HOHOA BA&UM.

DBLL'OHOAB DBGLI ALBERI.

1. ixuimalium. omnium, qaae nosci potuere,

1. Jje nature di. tutti gli animali, che si sono potuti conoscere generalmente e particolarmente stanno in questa modo. Rimane a dire di qoelle cose prodotte dalla terra, le quali hanno anima aoch’esse (poiché ninna cosa vive senza anima), acciocché di qai si venga a ragionare ancora delle cose, che si cavano di sotto terra, affine che non si taccia opera alcuna della natura. Lungo tempo sono stali ascosi i beneficii suoi ; e teneansi pel sommo dono che della terra potesse dar la natura, gli alberi e le selve. Quinci venne il pri­ mo alimento delle persone, e con la fronde d'essi si faceva più morbida la spelonca, e con la scorza le vesti. E sonci ancora oggi de' popoli, che vi­ vono in questo modo. Onde tanto maggiormeote è da maravigliarsi, che da qaesti principii il vivere sia scorso in tanta delicatezza, che si ta­ glino i monti per li marmi, e per li vestimenti si vada a1 popoli Seri, e che nel profondo del mar Rosso si cerchi delle perle, e degli smeraldi nelle viscere della terra. A questo fine s’ è trovato il forare degli orecchi, certo perch'era poco por­ tarle al collo e a'capegli, se ancora per portarle non si foracchiava il corpo. E però è ragionevol cosa seguitar l'ordine della vita, e la prima cosa parlare degli alberi, e così ridire i principii dei nostri costumi.

naturae gener»lina merobratiroque ita se habent. Restant neque ipsa anima carentia (quandoqui­ dem nihil sine ea vivit) terra edita, ut inde eruta dicantur, ac nullam sileatur naturae opus. Diu fuere occulta ejus beneficia, sumrouroque manus bomini datum, arbores, silvaeque inielligebantnr. Hinc primum alimenta, harum fronde mollior specus, libro vestis. Eliamnum gentes sic degù ot. Quo magis ac magis admirari fubit, ab iis prin­ cipiis caedi moutes in marmora, vestes ad Seras peti: unionem in Rubri maris profundo, smarag­ dum in ima tellure quaeri. Ad hoc excogitata sunt aurium vulnera : nimirum quoniam parum erat collo crinibusque gestari, nisi infoderentur etiam corpori. Quamobrera sequi par est ordinem vitae, et arbores ante alia 'licere, ac moribus pri­ mordia ingerere.

C. PLINII SECUNDI

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i t 4o

11. i. Haec fqere nuitiinum terapia, pvisooque II. i Negli alberi e dalle selve furono i templi rito simplicia rur» etiantnuacdeo pNeoéllettem degli dei, è stcoodo il dostume antico oggi aneora arborem dicant. Nec magis aoro fulgentia atqoe i semplici contadini dedicano agli dei gli alberi ebore «imolacra, qoam lucos,'et io iis silentia più belli e maggiori. Nè più adoriamo le statue ipsa adoramus. Arborum geoera numinibus suis ornale d'oro e d’avorio, che le selve agli dei dicata perpetuo sCrvantur : ut Jovi esculus, Apol­ oonsaerafé, e fino «dèlie gli stessi loro sflenio. lini laurus, Minervae olea, Teneri myrtus, Her­ Molte sorte d'alberi consacrali a'lo r dei io per­ culi populus. Quin et Sil va nos, Faunosque, et petuo si conservano ; siccome il leccio a Giove, dearum genera silvis, ac sua numina, tamquam et il lauro ad Apolline, l'olivo a Minerva, il mirto coelo, adtributa credimus. Arbores postea blan­ a Venere, e l'oppio ad Ercole. Oltre a ciò credia­ dioribus fruge succis hominem mitigavere. Ex mo che le selve abbiano i Fauni, i Silvani, e altri iis recreans membra olei liquor, viresque polus lor dei dati dal cielo. Gli alberi poscia eoo piò vini : tot denique sapores annui sponte venien­ soave sugo che non le biade mitigarono l'uomo; tes : et mensae (depugnetur lieet earum causa perciocché da essi è venuto l'olio, il qual licore cum feris, et pasti naufragorum corporibus pi­ ristora i membri ; e il vino, che ristora le forte: sces expetantur) etiamnum tamen secundae. Mille finalmente infiniti sapori vengono ogni anno dei praeterea sunt earum, sine quis vita degi non fruiti degli alberi, i quali fanno tuttavia le seconde possit. Arbore sulcamus maria terrasque admo­ tavole, beuchè si combatta per insino eoo le fiere vemus : arbore exaedificamus teqta : arbore et per averne cibo, e si corra in traccia di pesci, simulacra numinum fuere, nondum pretio exeo· i quali si pascono in mare de'nostri corpi. Molle gitalo bel luo rura cadaveri ; atque ut, a diis nato altre sono l'utilità degli alberi, senza le qual* jure luxuriae, eodem ebore nominum ora spe­ non si potrebbe vivere. Con l'albero noi solchia­ ctarentur, et mensarum pedes. Produnt Alpibus mo i mari e cerchiamo lontane terre : con gli coercitas, et tum inexsuperabili munimento Gal- alberi edifichiamo i tetti : degli alberi si fecero lias, hanc primum habuisse causam superfunden­ le statue degli dei, non si essendo ancor messo il di se Italiae, quod Helico ex Helvetiis civis earum, pregio a'corpi morti degli elefanti per fare dello fabrilem ob artem Romae commoratus, ficum stesso avorio e le statue loro e i piedi delle mense, siccam et uvam, oleique ac vini praemissa re­ come se il nostro lusso dovesse derivar dal cul­ means secum tulisset. Quapropter haec vel bello to che prestiamo agli dei. Dicono che gli alberi quaesisse venia sit. furono cagione, ehe i Galli divisi da noi da così aspre e insuperabili Alpi venissero iu Italia, es­ sendo stato un cerio Elicone abitatore della Alpi Elvexie, il quale, esercitata per molto tempo a Roma l'arte del fabbro, oel tornarsene a casa portò seco de*fichi secchi, dell'ava, dell'olio e del vino. E perciò perdonisi loro, che s'abbiano voluto acquistar queste cose eon la guerra. D e FEBEGB18IS ABBOBIBDS.

PtiTAJICS

QUAEIDO

D e g l i a l b b b i f o b b s t ib b i . Q oabdo l a r i m i volti

r a m e * » I t a l ia , b t o n » .

r e BECATO IL » LATA s o IH ITALIA, B d 'o B K .

IU. Sed quis non jure miretur, arborem um­ brae gratia tantum ex alieno petitam orbe? Platanus haec est, marre Jonium in Diomedis insutam ejusdem tumuli gratia primum invecta, inde in SiciRhm transgressa, atque inter primas donata Italiae, et jam ad Morinos usque pervecta, ac tributarium etiam detinens solum, ut gen­ tes vectigal et pro umbra pendant. Dionysius prior, Siciliae tyrannus, regiam in urbem transtu­ lit eas, domus suae miraculum, ubi postea factum gymnasium : nec potuisse in amplitudinem ado­ lescere, et alias fuisse in Italia, ac nominatim Hispania, apud,auctores invenitur.

III. Ma chi non si maraviglierà, che solo per averne l'ombra, di lontani paesi sieno stati coedotti i platani in Italia i Questo albero per W mare Ionio fu prima portato nell' isola di Dio­ mede per fare ombra alla sua sepoltura, dipoi condotto in Sicilia, e di là donato all* Italia fra i primi alberi stranieri, donde passò poscia ai Morini, tanto che s'è pagato ancora tributo del­ l ' o m b r a sua. Dionisio il vecchio, tiranno di Sici­ lia, gli trasportò nella città reale perchè avessero a essere di maraviglia nella sua casa, dove f u faUo poi il gtnuasio; e trovasi scritto eh'essi non po­ terono crescere, · ch’ai tre volte erano stati ■ Italia, e in Ispagna ancora.

HISTORIARUM MUNDI L1B XII. Νατολα « a io ·.

IV. Hoc actam circa oaptae Urbis aetaUm lanturaque postea honoris increvit, ut mero in­ fuso enutriantur: compertum id maxime prodesse radicibus : docuimusqu· etiam arbores viu» po­ tare.

U l U C O l i BX S IS .

N a t o · · d ig l i a l b s e i .

: IV. Questo fu ne' tempi, che Roma fo presa : crebbe questo albero poi in tanta riputazione, che si comiuciò a nutrirlo col riuo, essendosi trovato che ciò giova molto alle sue radici ; e cosi abbiamo fatto conoscere che gli alberi ancora beono il vino. M ir a c o l i

d e g l i a l b s b i.

V. Celebratae aunt primum in ambulatione Y. Furono prima celebrati qoesti alberi nella Academiae Athenis cubitorum χχχιιι a radice loggia deirAocademia d'Alene,dove crebbero in ramo· antecedente. Nuoc est clara in Lycia gelidi altezza più di trentatrè braccia. Ora è un bellis­ fontis aocia amoenitate, itineri opposila, domicilii simo platano iu Licia sulla strada sopra una fonte, modo, cava octoginta alque unius pedum speco, il quale a guisa d'abitazione fa spelonca d’ollantuo nemorosa vertice, et se vastis protegens ramis, piede, denso nella velia e fornito di molli rami, i arborum MMlar, agro· longis oblinet umbris : qoali p«iouo altrettanti alberi, e occupa 1 campi ae ne quid desit speluncae imagini, saxeae con lunghissima ombra ; e aociò che paia in tutto intus crepidini· corona muscosos complexa pu­ spelonca, ha sotto a sè un cerchio di sasso, che fa mices : tam digna miraculo, ui Licinius Mucia­ grotta, e abbraccia «li molli sassi carichi di mu­ nas ter ooasul, et nuper provinciae ejus lega­ schio. Ed è questo albero tanto degno di mara­ tos, prodendam etiam posteris putarit, epula­ viglia, che Licinio Muziano stato tre volle con­ tum intra eam se cum duodevicesimo comite : solo, e nuovamente legato di quella provincia, larga ipsa loros praebente fronde, ab ornai afflatu ha lasciato scritto, come egli mangiò sotto quello securam, optantem imbrium per folia crepitus, albero oon diciotto compagni, dove le firondi di laetiorem, quam marmorum nitore, picturae va­ esso gli rieoprivaa lutti dal sole e dal vento. E vi rietate, laquearium aaro, cubuisse in eadem. stette con piacere, aspettando che piovesse eo Aliod exemplum Caji principis, in Veliterno rure quelle foglie, per sentirle crepitare; assai più lieto mirati unius tabulata, laxeque ramorum trabibus e soddisfallo di quell'ombra, che dello splendor •eamna patula, et in · · epulati, quum ipse pars dei marmi, e della varietà della pittura, e de*palchi esaet ombrae, quindecim convivarum ac ministe­ indorali. Écci un altro esempio di Caio impera­ rii capace triclinio, quam coenam appellavit ille dore. Nel contado di Veletri era uu platano, che nidam. Est Gortynae in insula Creta juxta fontem porgeva i suoi rami di sopra a forma di tavolato, platano· ana, iasigois ulriusqne linguae monu­ e faceva coo quei di sotto come spaziosi sedili. mentis, numquam folia dimittens : statimque ei Quivi egli cenò, dove eiavano quindici persone, Graeciae fabulositas superfuit, Jovem sub ea cum con tulio il servigio, essendo ancora esso parte Europa concubuisse : ceu vero non alia ejusdem deU'ontbi'·; la qual cena egli ohiaaaò nido. A generis esset in Cypro. Sed ex ea primum in ipsa Gortina nell’ isola di Creta appresso una fonte Croia ( ut est natura hominum novitatis avida ) è un platano, notabile per iscrizioni in lingua Greca e Lalina, che mai pon perdè foglie. E su­ phtaui satae regeneravere vitium: quandoquidem commendatio arboris ejus non alia major est, bito la Grecia vi favoleggiò sopra, che Giove quam solem aestate arcere, hieme admittere. In­ sotto questo albero aveva usalo con Europa, de in Italiam quoque ac suburbana sna, Claudio come se in Cipri non ne fosse anco un altro di principe, Marcelli Aesernini libertus, sed qui se quella sorte. Ma intervenne che essendosi stra­ potentiae causa Caesaris libertus adoptasset, spado punti! ti da quello assai polloni (perchè la nalura Thessalicos praedives, ut merito dici posset is dell'uorao è sempre cupida di novità ), i novelli plataoi ritennero il vizio della pianta materna : qnoque Dionysius, tsnslulil id genus. Durantque etiam ia Italia portenta terrarum, praeter illa dico vizio, perchè la maggior virtù e qualità di quest'albero è difendere dal sole la state, e il seilicet, quae ipsa excogitavit Italia. verno ricevere il sole. Di là, al tempo di Claudio imperatoce, gli trasportò in Italia e nella ras villa un liberto di Marcello Esernioo, che per accrescersi riputazione si fece adottivo de* liberti di Cesare j ricchissimo eonuoo di Tassagli·, che

C. PLINII SECUNDI perciò a buon diritto potevasi dire un novello Dionisio. Ond'è che durano anche in Italia le maraviglie del mondo, oltre a quelle che per sè medesima ha ritrovate. C b a m a b v la ta v i. Q dis p e iv u n v ib id a e ia to n d k b b

C a b a l a t a v i . C hi t o s ò h i h a

i

g ia k d im .

ISSTITOBBIT.

VI. a. Namque et chamaeplatani vocantur VI. a Sonci i cameplatani, cioè platani terracoactae brevitatis : quoniam arborum etiam abor­ gnuoli, e fatti nani per fona ; perciocché sì tro­ tus invenimus. Hoc quoque ergo in genere, vano ancora delle sconciature degli alberi. Per» pumilionum infelicitas dicta erit. Fit aalem et tanto anche iu qnesta specie Tesser nano di ra s a ferendi genere, et recidendi. Primus C. Malius infelicità. Fassi platano nano nel piantarlo e nel ex equestri ordine, divi Augusti amicus, invenit potarlo. Gneo Maaio cavaliere, e aulico dell'im­ peradore Augusto, fu il primo che trovò il tosar nemora tonsilia intra bos l x u annos. gli alberi, e ridurgli bassi, non s o n o ancora ottanta anni. M a lum A ssybiom quoxo do s b e a t c b .

VII. 3. Peregrinae et cerasi, Persicaeque, omnes quarum Graeca nomina aut aliena : sed quae ex his incolarum numero esse coepere, dicentur inter frugiferas. In praesentia externas peraequemur, a salutari maxime orsi. Malus As­ syria, quam alii vocant Medicam, venenis mede­ tur. Folium ejus est unedonis, intercurrentibus spinis. Pomum ipsum alias non manditur : odore praecellit foliorum quoque, qui transit in vesles una conditus, arcetque animalium noxia. Arbor ipsa omnibus horis pomifera est, aliis cadentibus, aliis maturescentibus, aliis vero sobnascentibus. Tentavere gentes transferre ad sese propter re* medii praestantiam 6 ctilibus iu vasis, dato per cavernas radicibus spiramento : qualiter omnia transitura longius seri arctissime transferrique meminisse conveniet, ut semel quaeque dicantur. Sed nisi apud Medos, et Perside, nasci uoluit. Haec est aatem, cujus grana Parthorum proceres incoquere diximus esculentis, commendandi hali­ tus grati·. Nec alia arbor laudatur in Medis.

I n d ia i a r b o bb s .

CoMB SI VIANTI IL MELO d ’ AsBIBIA.

et VII. 3. Forestieri sono i ciriegi, e i peschi, e tulli quegli che hanno nomi Greci o atranieri; ma quegli che sono cominciati a esser de 1nostri, si metteranno ira i fruttiferi. 11 melo Assi rio, chiamato da alconi Medico, è buono contra i ▼eleni. La foglia sua è come quella del corbes· zolo, intramessevi alcune spine. 11 pomo suo ooa si mangia altrimenti, ma è di maraviglioso odore non meno che le sue foglie: caso si comunica ai vestimenti, con cui si ripone, e gli conserva dal­ le tignuole e altre bastinole nocive. L'albero istesso ba frutti d'ogoi tempo, perchè alenai cascano, altri maturano, e altri crescono di mano in mano. Hanno provalo molti popoli di voler trasferire a sè questo albero in vasi di terra, per l'ecoellenza del rimedio, dando spiraglio alle ra­ dici per certe forature, siccome bisogna che si piantino e si trasportino lutti gli alberi che hanno a ir lontano ; e questo precetto nna volta sia dato per tutte. Ma non ba voluto allignare se non in Media e in Persia. Qaesto è quel fratto, le cui granella dissi che i grandi della Partia cuocono fra le altre vivande, per farsi boooo alilo. Nè altro albero si loda hi Media. A l b b e i d e l l ' I k d ia .

VIII. 4· Linigeras Serum in mentione gentis Vili. 4· Abbiamo già toccato degli alberi ejas narravimus : itero Indiae arborum magnitn- laniferi de* Seri, quando ragionammo di quel po­ dinem. Unam e peculiaribus Indiae Virgilius polo ; e cosi pure della grandezza che hanno certi celebravit ebenum, nusquam alibi nasci professus. arbori delPludia. Virgilio tra i principali dell' IoHerodoto· eam Aethiopiae intelligi maluit, in dia celebrò l'ebano, del quale dice, che non nasce tributi vicem regibus Persidis e materie ejus altrove. Erodoto' volle piuttosto eh* ei sia in centenas phalangas tertio quoque anno pensitasse Etiopia, dicendo, come gli Etiopi ogni terzo Aethiopas, cum aoro et ebore prodendo. Non anno danno per tributo al re de* Persi cento fa­ omittendam id quoque : vicenos dentes elephan- langite di quel legno, con oro ed avorio. Dice

1*45

HISTORIARUM MUNDI UB. XII.

loram grandes, quoniam ita significavit, Aethio­ pes ea de causa pendere solitos. Tanta ebori auctoritas erat, Urbis nostrae trecentesimo deci­ mo anno : lune enim auctor ille historiam eam condidit Thuriis in Italia. Qao magis mirum est, qaod eidem credimus, qui Padum amnem vidis­ set, neminem ad id tempus Asiae Graeciaeque, aut sibi cognitum. Aethiopiae forma, ut diximus, nuper allata Neroui principi, raram arborem Meroen usque a Syene fine imperii, per d c c c x c t i m passuum, nullamque nisi palmarum generis esse docuit. Ideo fortassis in tributi auctoritate tertia res fuerit ebenus.

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ancora, che gli Ktiopi per la slessa cagion’ di tri­ buto sogliono lor pagare venti denti grandi' d’elefanti. Di tanta riputazione era l'avorio Pan­ no trecento dieci dalla edificazione di Roma, perciocché quello autore scrisse a quel tempo la sua storia in Turio d’ Italia. Oude t a n t o mag­ giormente è da meravigliarsi, che noi crediamo a costai, il quale asseriva, che niuno uè d'Asia nè di Grecia, ch'ei sapesse, aveva mai veduto « il fiume Po. Dalla descrizione dell' Etiopia, nou ha guari tempo presentala a Nerone, come di­ cemmo, si rileva che da Siene, eh'è sul confine dell'impero, fino a Meroe, vale un dire per jspa» zio di ottocento novantasei miglia, ci sono po­ chissimi alberi, e non d'allra sorte che delle palme. Questa forse è la ragione perchè nella prescrizione del tributo era compreso per terza cosa l'ebano. Q

u a n d o s i v i d e l a p r im a v o l t a l ' e b a n o a

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IX. Romae eam Magnus Pompeius in trium­ IX. Pompeo Magno mostrò l'ebano a Ro­ pho Milhridatico ostendit. Accendi Fabianus ne­ ma nel trionfo di Mitridate. Dice Fabiano che gat: uritur tamen odore jucundo. Duo geneia questo albero non s'accende; nondimeno arde ejus : rarum id, quod melius, arboreum, trunco con giocondo odore. Ce ne sono di due sorti : enodi, materie nigri splendoris, ae vel sine arie il raro, il quale è migliore; è albero, e ha il pe­ protinus jucundi : alternm fruticosum cytisi mo­ dale senza nocchi : il colore del suo legno è néro, ma lucido, e bellissimo ancora senza artificio aldo, el tota India dispersum est. cuuo. L'altro è piuttosto sterpo che albero, simile al citiso, e sparso per tutta l'india. S pu ta I n d ic a .

X. 5. Ibi et spina similis, sed deprehensa vel lucentia, igni protinus transiliente. Nunc eas «xponam, quas mirata est Alexandri Magni victo­ ria, orbe eo patefacio.

Ficos I n d i c a . XI. Ficus ibi exilia poma habet. Jpsa se sem­ per serens, vastis diffunditur ramis; quorum imi adeo in terram curvantur, ut annuo spatio infi­ gantur, novaraque sibi propaginem faciant circa parentem io orbem, quodam opere topiario. In­ ii* sepem eam aestivant pastores, opacam pari­ ter et munitam vallo arboris, decora specie subter intuenti, proculve, fornicalu ambitu. Su­ periores ejusdem rami in excelsum emicaut, sil­ vosa multitudine, vasto matris corpore, ut u passus plerique orbe colligant, umbra vero bina stadia operiant. Foliorum latitudo peltae effigiem Amaronicae habet : hac causa fructum iolegeos,

S p in a

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I n d ia .

X. 5. Simile è quivi la spina, utile a dar lume, perchè subito il fuoco vi si avventa. Ragionerò ora degli alberi avuti in maraviglia nella vittoria d'Alessandro Magno, essendoci per essa venuta in cognizione questa parte del moudo. Fico

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I n d ia .

XI. Quivi è il fico, il quale fa frutti molto piccoli, e sempre si pianta da sè stesso, percioc­ ché fa i rami sì lunghi, che si chinano in terra, e dentro l'anno barbicano, e così fanno un cer­ chio di propagini intorno alla madre,che pare una verdura condotta ad arte. Dentro a questa siepe stanno la state i pastori al fresco, perchè il luogo è ombroso, e chiuso iu modo di steccato. Ed è bellissimo a vedere sia da vicino, sia da lontano, come quello che ha aspetto di circolo ricoperto di arcale. 1 rami di sopra vanno alti, e sou tanti, che fanno una selva sul corpo della madre ; il quale è spesso sì ampio, che in molti ha sessanta

C. PLINII SECUNDI

•»4?

crescere prohibet. Rar usque esi, nec fabae ma­ gnitudinem excedens:sed per fui i· solibus co­ ctus praedulci sapore, «liguus miraculo arboris: giguiiar circa Acesineu maxime amnem.

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p i l a : ρ ο μ γ · a b ib n a .

. XII. 6 . Major alia: pomo el suavitate prae· cellentior, quo sapientes ludorum vivunt. Folium alas aviuin imitatur, longitudine Iriura cubito· ruro, latitudine duum. Fructum cortice mittit, admirabilem succi dulcedine, ut uno quaternos satiet. Arbori nomen palae, pomo arienae. Plu­ rima est in Sydracis, expeditionum Alexandri termino, lisi et alia similis hnic, dulcior pomo, sed interaneorum valetudini infesta. Edixerat Alexander, uc quis agminis sui id pomum attin­ geret.

IMDICABVM A BBOBtJ· ΡΟΒΜΛΒ SIHB ROMiaiBCS:

L ib ip b b a b I b d i a b ABBOBBS.

passi di giro, e con le ombre coopre Io spatio di un quarto di miglio. Le foglie sono grandi come uoa rotella, di quelle che portavano lo A asm ai; e per questa cagione veaeudo a coprire il (ratto, uol lasciano crescere. Esso è raro, e noci è mag­ giore ch’una fava ; ma se egli è eolio dal sole che potesse penetrare tra le foglie, è di dolcissimo sa pore, e degno della maraviglia di qoello albero. Truovansi molti di questi alberi presso il fidine Acesine. Dell'

albbbo pa la

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.

XII. 6 . Écci un sltro albero, che fa maggior frullo, e più dolce assai, dei quale vivono i savii d’ India. La foglia sua è simile all' ale degli uc­ celli, lunga tre braccia, e larga due. Manda fuori il fruito per la scoria, maraviglioso per la dol­ cezza del suo sugo, ma grande di maniera, che uno salterebbe quattro persone. L'albero si chiama pala, il fruito ariena. Molti di questi al­ beri sono nel paese di Sldraci, termine delle im­ prese d 'Alessandro. Écci uu altro albero simile a questo, il quale fa più dolce fruito, ma molto contrario alla sanità dell'interiora. Avera man­ dato un bando Alejsaodro, che oiuoo del suo esercito mangiasse di quel fi ut tu. fobm b d' a l t b i a lb b ei d e l l'

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I o d i a CHB POBTAJIO LUM».

XIII. Genera arbornm Macedones narravere, XIII. Raccontarono i Macedoni molte sorti majore ex parte sine nomiuibus. Est et terebintho d'alberi, la maggior parte senza nomi. Écci un similis cetera, pomo amygdalis, minore tantum altro albero simile al terebinto, ue' frutti al man­ magnitudine praecipuae suavitatis. In Bactris uti­ dorlo, se uon ch'egli è minore, e molto delicato. que haoc aliqui terebinthum esse proprii generis Nel paese de' Satiri alcuni hanno tenuto ch'ei sia potius, quam similein ei, putaverunt. Sed unde il vero terebinto, piuttosto die un simile ed essa. vestes lineas faciunt, foliis moro similis, calyce Ma ve n’ è un altro, onde tanno vestimenti di pomi, cynorrhodo. Serunt eam in campis, nec lino, che ba le foglie simili algelao, ed ha le boc· eie per frulli, come il rosaio salvatico. Essi lo est gratior villarum prospectus. piantano nelle campagne, e non ci è albero, che faccia più bella vista di questo. P lP B B K ABBOBBS. G e RBBA PIPEB1S : BBECBHA. ZlNGIBBBI, SIVB ZWPIBBBI.

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XIV. 7 . Oliva ludiae sterilis, praeterquam XIV. 7 . Gli ulivi iu India sono sterili, nè oleastri fructu. Passim vero quae piper gignunt, prodnoono altro frutto, che quello dell'ulivo juniperis nostris similes : quamquam in fronte aalvatioo. Tutti gli alberi che fanno il pepe, sono Caucasi solibus opposita gigni lautum eas aliqui simili a'nostri ginepri, aneora che situ ai dicano, tradidere. Semina a junipero distant parvulis sili­ eh'essi nascono solamente nella fronte del monte quis, quales in faseolis videmus. Hae, priusquam Caucaso, dove più batte il sole. Sono differenti dehiscant, decerptae, lostaeque sole, faciunt quod nel seme dal ginepro, e nascono iti piccoli bac­ vocatur piper longum : paullatim vero dehiscen­ celli, come i fagiuoli. Questi baccelli coiti p ru a tes maturitate, ostendunt candidum piper : quod che s'aprano, e abbronzali al sole fanno quello, deinde tostum solibus, colore rugisque mutatur. ebe si chiama pepe lungo; dipo! aprendosi s

H1ST0H1A&ÙM MONDI UB. XII. Veruna el iis sua isquria est,atqnecoeli intemperie carbunculantur, fioalqae semina c i m i et inania, qaod vocant brachine, aio 1odorum lingua significatile abortum. Hoc ex omni geoere asperrimna» est, levissimumque, et pallidum. Gratius nigrum: lenius utroque candidum.Non est hojus arbori· raiiix, ut aliqui existimavere, quod vocant zimpiberi, alii vero zingiberi, quamquam sapore simile. Id enim in Arabia atqoe Troglodytica in villis nascitur, parvae herbae, radice candida. Cderiler ea cariem «enlit, quamvis in lania ama­ ritudine. Pretium ejus in libras, vi. Piper longum facillime adnlleralur Alexandrino sinapi. Emitur in libras, x. xv. Album, x. vn ; nigrum, x. iv. Usum ejus adeo placuisse mirum est. In aliis quippe suavilas cepit, in aliis species invitavit : huic nec pomi nec baocae commendatio eat aliqua: sola placere amaritudine, ei hanc io Indos peti Quis illa primo· experiri cibit voluit? aut coi in appelenda avidi late esurire non fuit satis ? Ulrumque silvestre gentibus sais esi, et tamen pondere emitur, ut aurum vel argentum. Piperis arborem jam «t Italia habet majorem myrto, uec absimilem. Amaritudo grano eadem quae piperi musteo creditur esse. Deest tosta illa maturitas, itleoque et rugarum culorisquc similitudo. Adul­ teratur juniperi baceis mire vim trahentibus. In pondere quidem mullis modis.

C a b y o p s y l l o b . L y c iu x , siv b pi xa c a b vitto

Ciiaomux.

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poco a poco, per esser maturi, mostrano il pepe bianco, il quale poi riarso dal sole diventa nero e grimo. Ma questi baccelli ancora sentono i lor d«nni, poiché quando va cattiva stagione incarbonchiauo, e fanno le granella vane, e ciò si chiama brechma,che in lingua lodiana vuol dire sconciatura. Questo è il pià aspro e più leggeri, e pallido. Migliore è il nero, ma il bianco έ manco possente pel sapore che l'altre due specie. Quello, che alcuiii chiamano zimpiberi, e alcuni altri zingiberi, cioè gengiovo, uon è già la radice dell'albero *lel pepe, come molti credono, ben.chè lo somigli nel sapore. Perocch'esso nasce in Arabia e in Trogloditica ne' villaggi, ed è un'erba piccola, che ha la radice bianca ; la quale benché abbia così forte sapore, tosto intarla. Il pregio suo è sei danari la libbra. Il pepe Inngo facilmente si falsifica con la senapa Alessandrina. Comperasi qnlndici danari la libbra : il bianco selle, il nero quallro. E maraviglia che questo gengiovo s'adoperi, perciocché l ' altre cose c'in ­ vitano o coo la belletta, o coo la soavità loro, laddove questo non ha nè frullo nè coccola, che sia da vedere, e non piace per altro se non per conto del suo forte sapore, e vessi per esso fino In India. Chi fu adunque il primo, che lo ▼olle provar ne'cibi? o chi fu quello, a cui nel cercare appetito, non bastò la fame ? L'uno e l'altro è cosa selvatica nella sua patria, e nondi­ meno si compera a peso come l'oro e l'argento. Oggi in llalià l'albero del pepe è maggiore che la mortine, e la somiglia molto. II suo granello ha la medeaima amaritudine, che il pepe fresco, ma per non .essere abbronzato dal aolc, non è nè uero, nè grinzoso com; questo. Falsificasi con le coccole del ginepro, le quali maravigliosamente traggono a quel sapore. Nel peso ancora si con­ traili io molli modi. D el

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p is s a c a u t o

C h ib o rio .

In ludia ancora quel che si chiama gheXV. Est eliamnum in India piperis grani si­ XV. tuile. quod voeatur garyophylton, grandius fra- rofano somiglia il granello del pepe pià grande giliosque. Tradent in Indico Ineo id gigni. Adve- e più Ano. Dicono che nasce in utia selva India hilur odoris gratia. F*rt el in spinis piperis simi­ na. Portasi a noi per cagione del suo odore. La litudinem, praecipua amaritudine, foliis parvis spina ancora fa un frutto, che somiglia il pepe, densisque, cypri modo, ramis trium cubitorum, il quale è mollo amaro : ha piccole foglie e folle, cortice pallido, radice lata, lignosaque, buxei co­ come il cipro, i rami lunghi tre braccia, la scorza loris Hac in aqua com semine excepta in aereo pallida, la radice larga e legnosa, del color di vase medicamentum fit, qood vocatur lycion. Ea bossolo. Questa col seme messa nell'acqua in un «pina el in Pelio monte nascitur, adalieraique vaso di rame, fa una medicina che si chiama medicamentum. Item asphodeli radix, aut fel Itcion. Questa spina nasce ancora nel monte Pe­ bubulum, aat absinthiam, ve) thus, vel amurca. lio, e falsifica la deila medicina. E similmente Lycion aptissimum medicinae, qood est spuaao- la radice dello asfodelo, o il fiele dì bue, o l'as­ •em .lndi iantribqs camelorum aut rhinocerotum senzio , ο Γ incenso, o la morchiaw 11 lidon è

lib a

C. PUN II SECUNDI

ιι5 ι

id mittunt. Spinam ipiam in Goccia quidam pyxacauthum Cbironium vocant.

attissimo alla medicina, porcài i ιβ ο α ο » . Gli lodiaoi lo mettono in otri di euv>» di cammelli, o di rinoceronti. Qnesla spio* in Grecia t chiamati da alcuni pissacanto Chironio.

M a c ie .

Dsi MACH.

XVI, 8 . Et raacir ex lodia advehitor, cortex rubeos radicis magnae, nomioe arboris suae : qualis sit ea, incompertum habeo. Cortici» meile deeocli usus iu medicina ad dysenlericos praeci­ puus babetor.

XVI. 8 .11 n a d r anch'egli vico d'india, e ha la corteccia grossa, e gran radice, che porta il nome deli1 albero suo. lo non so troppo bene come sia fatto qoesto albero, ma la sua icona colta nel mele è molto medicinale a chi ha flusso di corpo.

Sacchabon.

D ello z o c c a a a o .

XVII. Saccharon ei Arabia feri, sed laudatio· ludia : e»l aulem mei io arundinibus collectum, gummium modo candidum dentibus fragile, am­ plissimum uucis avellanae magnitudine, ad medi­ cinae lautum usum.

XVII. Lo zucchero nasce in Arabia, ma molto migliore in lodia. Esso è mele collo nelle canne, caodido come gomma, che si rompe coi denti : il maggior granello è quanto una Doccinola, e si usa s^lo oelle medieioe.

A bbobbs A i u i a i g b b tis . Ite m G bdbom ab : ite m

Albbei

d e l pa ese

A b u so . A ltri

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G e d r o s ii :

a l t b i d e l l ’ Ircabla.

H n c iitii.

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XV11I. Contermina Indù gens Ariana appel­ XVIII. Confina eon 1*India an paese, che ai latur, cujus spina lacrymarum pretio··, myrrhae chiama Ariano, dove nasoe un prmio prezioso similis, accessu propter aculeos anxio. Ibi et per la gomma, che da esso stilla, simile alia mir­ frutex pestilens raphani, folio lauri, odore equos ra, la qnal difficilmente si coglie per le poni» invitante, qui paene eqnitalu orbavit Alexan­ del pruno. Quivi è ancora un arboscello pesti­ drum primo introitu : quod et in Gedrosis acci­ lente, detto rafano, con foglie di alloro, il cui dit. Item laurino folio et ibi spina tradita est, odore alletta i cavalli, di mauiera che a prima cujus liquor aspersus oculis, caecitatem infert giuuta egli privò quasi Alessandro di cavalleria ; omnibus animalibus. Necnon et herba praecipui il che gli avvenne ancora nel paese dei Gedrosii. odoris referta minutis serpeulibus, quarum ictu Quivi parimente è un altro pruno, che ha le fo­ protinus moriendum esset. Onesicritus tradit in glie simile all'alloro, il cui licore sparso negli Hyrcaniae convallibus ficis similes esse arbores, occhi acceca lutti gli animali. Ècd anco un'erba quae vocentur occhi, ex qoibos defluant mel^ di grandissimo odore, piena di minutissime serpi, e chi le tocca subito muore. Scrive Onesicrito, horis matutinis duabus. che nelle valli d'ircania sono alberi simili ai fichi, i quali si chiamano occhi, dai quali cola mele due ore fa matlina. I t e m B a c t b ia b . B o e l l iu m ,

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MALACHAM, SIVB MALDACON. SCOBDACTI. I n OMNI­

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B a t t b ia n i. B d e l l io ,

BBOGO, O SIA Mfi-ACA, OVVERO MALDACO.

BUS ODOEIBOS AUT CONDIMENTIS DICDNTOB ADOL-

d a t t i.

TBBATIONBS, EXPBBIMENTA, PRETIA.

DI TOTTI GLI ODORI B CONDITORE.

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a l s if ic a z io n i,

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ScO%prèzzi

XIX. 9 . Vicina el Bactriana, in qua bdellium XIX. g. Confina con questo il paese dei Batnominalissimum. Arbor nigra est, magnitudine triani, dove è il bdellio nominatissimo. Questo oleae, folio roboris, fructo caprifici naturaque. è nu albero nero, grande quanto lo ulivo, che Gummi alii brochon appellant, alii malacbam, ha le foglie di rovere, e il frutto è della n a t u r a del fico «atvalico. Fa gomma, la quale alcuni alii maldacou. Nigrum vero et in offas convolu­ tum, adrobolon. Esse aolem debet translocidom, chiamano broco, altri malaca e altri maldaco; simile cerae, odoratam, et quum fricatur, pingue, ma poi ohe è nera, e ridotta in massa, ai chiama 'gusto amarum citra acorem, ln-aacris vino pev- adrobolo. Debbe essere trasparente, M in ile alla

ιιΜ

HISTORIARUM MUNDI UB. XII.

fusum, odora li us. Nascitur el in Arabia, Ind iaque, ei Media, ac Babylone. Aliqui peraticum vocant ex Media a d v e c t u m . Fragilius hoc et cru­ stosius, amariusque: at Indicum humidius et gumminosum. Adulteratur amygd&la nuce. Ce­ tera ejus genera cortice «t scordacti. lia vocatur arbor-aeraulo gurami. Sed deprehenduutur (quod semel dixisse el in ceteros odores salis sil) odore, colore, pondere, gustu, igne. Bactriano nitor siccus, iD ii lti q u e candidi ungues. Praeterea suum pondus, quod gravius esse aut levius nou debeat. Preliuut sincero in libras x. terni.

Paaswis

ιι54

cera, odorifera, e quando «i stropiccia, grassa, al guslo, ma non già forte. Ne*sacrifi­ cii bagnata col vino b a migliore odore. Nasce ancora in Arabia, in India, in Media e in Ba­ bilonia. Alcuni chiamano peralico quello che viene di Media. Questo è più fragile, più ero· stoso e più amaro; ma Γ Indiano è più umido e più gommoso. Falsificasi col fratto del man­ dorlo, e le altre sorti sue con la corteccia, o gomma d’uu albero detto scordatti suo concor­ re n le. Si conoscono l'un dall'altro (e così aia detto di tutti gli altri odori) all'odore, al colore, al peso, al gusto e al fuoco. Il Baltriano ha un certo splendor secco, e molte particelle bianche. Oltre di questo ha il suo peso ancora, del qoale uon debbe essere o più grave, o più leggeri. Il prezzo di quello eh'è puro, è solamente tre da­ nari la libbra. a m a ra

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XX. Gentes supra dictas Persis attingit, Rubro XX. Con le sopraddette nationi confioa Ia mari ( qaod ibi Persicam vocavimus ) longe in Persia, dove il raar Bosso (che quivi chiamammo terra aestas agente, mira arborum natura. Nam­ Persico) spìnge la marea per gran tratta aopra que erosae sale, invectis dereliclisque similes, il terreno ; e quivi maravigliosa è la natara degli sicco lilore radicibus nudis polyporum modo alberi. Peroiocchè essendo essi rosi dalle onde amplexae steriles arenas spectantur. Eaedem mari hanno le radici scoperte, che par che il mare advenieute fluctibus pulsatae, resistunt immobi­ gli abbia giltati quivi, e poi lasciati, e a guisa les. Qoin et pleno aestu operiuntur totae : appa- di polpi si veggono abbracciare la sterile arena. retque rerum argumentis asperitate aquarum E benché s:.^no percossi dalla escrescenza del illas ali. Magnitudo miranda est, species similis mare, nondimeno resistono immobili. Anzi qaan­ unedoni, pomum amygdalisexlra, intus coulorlis do esso è molto gonfio ne vanno tutti coperti; e vedesi per manifesti segni, che l'asprezza del nucleis. mare gli nodrisce. Sono di maravigliosa gran­ dezza, e simili nella forma ai corbezzoli : il fratto di fuori è simile alle mandorle, il nocciuolo di dentro i inviluppato e torto. P

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G o s s im p ie o .

XXI. io. Nel medesimo sito i l'isola di Tilo XXI. io . Tylos insula iu eodem sinu esl, re· pietà silvis, qua spectat Orientem, quaque el piena di boschi dalla parte d i Levante, onde ipsa aestu maris perfunditur· Magnitudo singulis anch'ella è percossa dal mare. Ciascuno albero è arboribus fici,flos suavitati inenarrabili, pomum grande quanto un fico : il fiore ha una soavità incredibile; il fruito è simile allupino; e per lupino simile, propter asperitatem intactum omnibus animalibus. Ejusdem insulae excelsiore l'asprezza sua nessuno animale ne tocca. Nel più rilevalo luogo della medesima isola sono alberi, suggestu lanigerae arbores alio modo, quam Serum. His folia infecunda : qaae, ui minora che producono seia, ma in altro modo che que­ esseut, vitium poterant videri. Ferunt cotonei gli che sono tra i popoli Seri. Quesli alberi hanno mali amplitudine cucurbitas, quae maturitate le foglie sterili ; le quali se non fossero minori, ruptae ostendunt lanuginis pilas, ex quibus ve­ parrebbono di viti. Producono zucche grandi quanto una mela cotogna, le quali quando son stes pretioso liuteo faciunt. mature, s'apruno, e mostrano palle di seta, delle quali fannosi T e s t im e li li di grandissima valuta.

C. PLINII SECONDI Arbores vocant gossympfnos : fertiliore otiam Tylo minore, quae distai x x pass. ii.

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b ie r t b f ia r t .

XXII. Juba circa froticem lanugine* esse tradit, linteaque ea Indicis praestantiora. Arabiae aulem arbores, et quibus vestes faciant, cynas vocari, folio paknae simili. Sic ludos suae arbores vo> stiunt. In Tylis aulem et alia arbor floret albae violae specie, sed magnitudine quadruplici, sine odore, quod miremur in eo tractu.

Qoo

11 . Sono alcuni alberi, che si chiamano gospiupinf, molto più fertili ancora in nna isola minore che Tilo, la quale è lontana da essa dieci migli*.

XXII. Dice Giuba,che detti arbusti producono lanugine intorno la pianta, e che quelle tele sono assai pià fine, che le Indiane. Gli alberi d'Arabia, dei quali si fanno vestimenti, si chiamano cine, e hanno la foglia simile alla palma. E così gli Indiani si vestono degli alberi loro. In Tilo an­ cora è un altro albero, che ha fiori simili alla viola bianca, ma quattro volte maggiori, senza alcuno odore, che per essere fra tanti aromi odo­ rosi è una gran maraviglia. Ir

IR LOCO ÀBBOBUM ROLLA POLIA DBCIDART.

q u a l s it o r o r c a d a ro h a i l b f o g l ie

AGLI ALBBEI.

XXHI. Est et alla rimili», foliosior tamen, roseique floris : quem nocto comprimens, aperire incipit solis exortu, meridie expandit. lucolae dormire en m dicunt. Fert eadem insula et palmas, oleaique, ac vites, et cam reliquo pomorum ge­ nere ficos. Nulli arborum folia ibi decidunt. Rigaturque gelidis fontibas, et imbres accipit.

Q

u ib u s m o d is c o r s t b r t a b b o b u m f h u c t u s .

XXIII. In quel contorno è uno altro albero simile, ma pià frondoso, e di fiore di rosa, il qual fiore rinchiudendosi la notte, si comincia aprire nel levare del sole, e di mezzogiorno s'allarga. Gli nomini del paese dicono ch’ei dorme. Nella medesima isola nascono palme ancora, ulivi, e viti, e fichi, con altre sorti di frulli. Qai ri a nes­ so no albero cascano le foglie. Questa isola ba freschissimi fonti, e anco vi piove. Ir

q u a l i m o d i s t ib r o i f r u t t i d b g l i a l b e r i .

XXIV. Vicina his Arabia flagitat quamdam XXIV. L’Arabia, che confina con essa, ricerca generum distinctionem, quoniam fructus iis con­ che si parli distintamente delle specie de' suoi stat radice, frutice, cortice, succo, lacryma, ligno, alberi, perchè quivi si coglie fratto dalla radice, dal tronco, dalla scorza, dal sago, dalla lagrima, sarculo, flore, folio, pomo. dal legno, dalle marze, dal fiore, daHa foglia e dal frutto. Db

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c o s to .

c o s to .

XXV. ia. Radix et foliam indis est maximo XXV. ia. Hanno gl'indiani nna radice e fo­ pretio. Radix cosli gusto fervens, odore eximio, glia di grandissimo prezzo. La radice del costo frutice alias inutili. Primo statini introitu amnis ha sapor pungente, e grande odore ; ma il ano Indi in Palale insula, duo sunt ejus genera : ni­ sterpo è inutile. Nella foce del fiume lodo, ndgrum, et quod melius, candicans. Prelium in l ' isola di Patale, sono due sorti di costo; il nero, libras x. vi. e il bianco, il quale è migliore ; il prezzo suo è sei danari la libbra. Db

rabdo.

D if f e r e n t ia e

e ju s x i i .

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el rardo.

D o d ic i

d if f b r b r z b

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baso .

XXVI. De folio nardi plura dici par est, ut XXVI. Della foglia del nardo ss posso» dire principali in unguentis. Frutex est gravi et crassa molte cosc, come principale negli ungueuti. Que­ radice, sed brevi ac nigra, fragilique, quamvis sto è uno sterpo, che ha la radice grave e grossa,

HISTORIARUM MDND1 LIB. XII. piegai, si tura redolente al cyperi, aspero sapore, folio parvo deosoque. Cacumina in arista· se spargunt : ideo gemina dote nardi spicas ac foli· celebrant. Alteram ejus genas apud Gangem na­ scens, damnatur in tolum, ozaenitidis dòmine, virua redolens. Adulteratur et pseudonardo her­ ba, qaae abique nascitur crassiore atque laliore folio, et colore languido in candidam vergeute. Item saa radice permixta ponderis censa, at gum­ ini, «pomaque argenti, aut stibio, ac cypero, cyperive cortice. Sincerum qaidem levitate depre­ henditor, et colore rufo, odorisene suavitate, et gusta maxime siccaot os, sapore juoondo. Preliam spicae in libras x. c. Folii divisere annonam : ab ampli lodine hadroephaerum vocator majoribus foliis, x. i.. Quod minor· folio est, mesoephaerum appellator : emitur x. l x . Laudatissimum microsphaernm e minimis foliam : pretius ejusx. l x x v . Odoris gratia omnibus major recentibus. Nardo color qoi inveteraverit,'nigriori melior. In nostro orbe proxime laudatur Syriacum, mox Gallicam, tertio loco Creticam, quod aliqui agrium vocant, abi pbo, folio olusatri, caole cubitali, geniculato, in purpura albicante, radice obliqua villosaqoe, et imitante aviam pedes. Baccharis vocatur nardum rusticum, de quo dicemus inter flores. Sunt aatem ea omnia herbae praeter Indicam. Ex iis Galli­ cum et cum radice velli lur, ablui torque vino. Siccator in ambra, alligatur fascicnlis in charta, non multum ab Iodico di fifereas. Syriaco tamen levius. P retiam x. m. In his probatio una, ne sint fragilia, et arida polios, qoam sicca folia. Com Gallico nardo semper nascitor herba« quae hirculos vocatur, a gravitate odoris et similitu· dine, qua maxime adulteratur. Distat, qaod sine cauliculo est, et quod minoribos foliis, quodque radicis neqoe amarae, neqoe odoratae.

A sa b o b .

ma oorta, nera e fragile, benché grassa : ha odore come il cipari, ma sapore aspro, e foglia piccole e folta. La cima sua & spighe, talché il nardo ha doppia dote, cioè spighe e foglie. Un' altra sorte di nafdo nasce sul fiume Gange, il quale è cat­ tivo, perchè ha odore lezioso, detto ozenilide. Falsificasi con un'erba, che si chiama pseodonardo, la quale nasce per tulio, ed ha la foglia più grossa e più larga, e il color più smorto, che pende in bianco. Vi si mescola la sua radice, per rispetto del peso, con gomma, e schiuma di ar­ gento, o stibio, e cipari o scorza di cipari. 11 paro si conosce alla leggerezza, e al colore rossigno, e alla soavità dell'odore, ma soprattat&o al gusto, quando lascia ia bocca asciutta, ed ha sapore giocondo. II prezzo della spiga è cento danari la libbra. Le foglie ne fanno il prezzo diverao : si chiama adrosfero dalla grandezza, perchè ha mag­ giori foglie, e il prezzo soo è cinquanta danari la libbra. Quello che ha le foglie più piccole, si chiama mesosfero, e comperasi sessanta denari la libbra. 11 migliore di lutti è il microsfero, che ha le foglie piccolissime, e vale setlantacinque denari la libbra. Tutti hanno buono odore, ma il fresco Γ ha migliore. 11 nardo vecchio ha miglior colore, se egli è nero. In Italia ha maggior prezzo quello di Siria, poi qoel di Gallia, e ultimamente quello di Creta, il quale alcuni chiamano agrio, altri fu : ha foglia di olu­ satro, il torso di dae braccia con più nodi ; è porporino, e pende in bianco, con radice ritorta e pilosa, che somiglia i piedi degli uccelli. Baccari si chiama il nardo rustico, del quale ragioneremo tra'fiori. Talli questi però sono erbe, fuorché l ' Indiano. Il Gallico si sveglie con la radice, e lavasi col vino : seccasi al rezzo, e fessene mazzi rinvolti in carta : non è molto differente dall'In· diano, ma però è più leggeri che quello dr Siria. Il prezzo sao è tre denari la libbrar. La praova in questi è che le foglie non sieno fragili, ma piuttosto aride che secche. Col nardo Gallico nasce sempre un'erba, che si chiama irculo, per rispetto della gravità dell'odore e della somiglianza, per cui mollo si falsifica. £ solo differente in questo, che nou ha torso, e ha foglie minori, e la sua radice non è amara, nè ha odore. D e l i .' m i o .

XXVII. i3. Nardi vim habet et asarum: qaod XXV11. i3. L’ asaro anch' egli ha la virtù che et ipMtm aliqui silvestre nardom appellant. Est il nardo, onde da alcani è chiamalo nardo selva­ tico. Ha le foglie come l ' ellera, ma più tonde e aatem ederae foliis, rotandiorìbas tantum mollioribasqae, flore purpureo, radice Gallici oardi: più morbide ; il fiore è porporino, e la radice semen acinosum, saporis calidi ac vinosi. Monti- simile al nardo Gallico. Il seme è granelloso, di boa in ambrosie bis anno floret. Optimam in sapor caldo e vinoso. Ne' monti ombrosi fiorisce Ponto, proximam io Phrygia, tertium in Illyrico. due volte 1' anno. Ottimo è ip Pento, poi un

1160

C. P U N II SECONDI

ii5g

Foditur quum folta mittere incipit, et in sole siocatar, celeriter sitam trahens, ac senescens. Inventa nuper et in Thracia herba est, cujus folia nihil ab Indioo nardo dislant.

A h o m u m : AMOMIS.

poco meno in Frigia, e finalmente assai peggiore in Ischiavonia. Cavasi quando comincia a metter le foglie, e seccasi al sole, e subito acquista grave odore ed invecchisi. Hassi nuovamente trovata un’ erba in Tracia, che nelle foglie non è ponto differente dal nardo d ' India. D bll'

a m o m o : d e l l ’ a m o m id b .

XXVIII. Amomi uva in usu est, Indica vite XXVIII. L' uva d' amomo è in uso ; nasce ia labrusca : ut alii existimavere, frutice myrtuoso, lnd*a in vite labrusca. Alcuni tengono, ch'ella nasca in uno sterpo mirtuoso, allo un palmo: palmi altitadine : carpiturque cum radice mani· pulatim leniter componitur, pronilus fragile. pigliasi con la radice, e leggermente s' acconcia Laudatur quam maxime Punici mali foliis simile, in mazzetti, essendo molto fragile. Lodasi gran­ nec rugosis, colore rufo. Secunda boniias pallido. fiem eoi e quel ch' c molto simile nelle foglie al melagrano, non grinzoso, e di color rosso. Nel Herbaceam pejus, pessiraumqne candidum, quod secondo grado di bonlà è pallido. Il verde è peg­ et vetustate evenit. Pretium uvae in libras x. lx ; friato vero amomo x. x l v i i i . Nascitur et in Ar­ giore, e pessimo il candido, il che avviene per ri­ meniae parte, quae vocatur Otene, et in Media, spetto della vecchtezza.il prezzo dell’uva è sessanta et in Ponto. Adulteratur foliis Punicis, et gummi danari la libbra, e dell'amomo sfregolato quaran­ liquido, at cohaereat conrolvatqoe se in uvae totto. Nasce ancora in quella parte d'America, ehe modum. Est et quae vocatur amomis, minus ve­ si chiama Otene, e in Media, e in Ponto. Falsifi­ casi con le foglie del melagrano e con gomma nosa atque durior, ae minus odorata: quo appa­ liquida, acciocché s 'attacchi e rivoltisi in modo ret, aut aliud esse, aut colligi immaturum. d 'uva. V'è anche quella che si chiama amomide, manco venosa è pià dora e meno odorifera ; onde si conosce che o è altra cosa, o che si coglie acerba. CM VM OMm.

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cardamomo.

XXIX. Simile his et nomine et frutice carda- XXIX. Simile a questi e di nome e di sterpo momura semine oblongo. Metitor eodem modo è il cardamomo, ehe ha il seme lungo. Mielesi «t in Arabia. Quataor ejas genera : viridissimum nel medesimo modo anco in Arabia. V' è di ac pingue, acatis angulis, contomax frianti, qaod quattro sorta. Éccene del molto verde e grasso maxime laudatur ; proximam e rufo candicans : con angoli acuti che punge chi lo maneggia ; tertiam brevius atque nigrins. Pejus tamen va­ questo è grandemente stimato. Il prossimo a qae­ riam et facile trita, odorisqae parvi : qui verus, sto è il rosso che biancheggia : il terzo è pià breve costo vicinos esse debet. Hoc et apud Medos na­ e pià nero. Nondimeno assai peggiore è il vario, scitor. Pretium optimi in libras x. duodecim. facile a stritolarsi, e di pochiisimo odore. Quello eh’è vero, debbe essere di qualità vicino al co­ sto. Questo nasce ancora in Media. 11 prezzo «Μ­ Ι* ottimo vale dodici danari la libbra. D b THUBIFSBA BEOIOVE.

D F L PABSB CHE PRODUCE MC&KdO.

XXX. Cinnamomo proxima gentilitas erat, ni XXX. Ora si vorrebbe parlar del cinnamomo, prius Arabiae divitias indicari couveniret, causas- a voler seguitare a dire degli aromi, se non che que, qoae cognomen illi feliris ac beatae dedere. prima conviene dimostrasi le ricchezze d ' Arabia, Principalia ergo in illa thus, et myrrha : haec et e le cagioni che le hanno dato il sopra uooaae di beata e di feliee. Le principali cose dunque ia cam Troglodytis eoramunis. essa sono l’ incenso e la mirra, beaché questa è comune anco a* Trogloditi. 14 . Thura, praeter Arabiam, nullis, ao ne Ara­ 14 . L 'incenso eoo nasce se noe » Arabia, biae quidem universae. Id medio ejas fere sunt ma ni anco in tutta P Arabia. Quasi in meiao ad

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HISTORIARUM MONDI LIB. XII.

Atramitae, pagus Sehaeornm, capite regni Sabota, in monte excelso, · quo oeto mansionibus distet regio eoram thurifera, Saba appellata. (Hoc si· unificare Graeci mysterium dicunt). Spectat ortas solts aestivi, ondiqne rupibos invia, el a dextra mari scopnlis inaccesso. Id solam e rabro la­ cteam traditur. Silvarum longilodo est, schoe­ ni xx : latitudo dimidium ejue. Schoenus patet Eralosthenis ratione, stadia x l , hoc est, passuum quinque millibus: aliqai x x x i i stadia singulis schoenis dedere. Attolluntur colles alti, decurruntque el in plana arbores sponte natae. Terram argillosam esse convenit, raris fontibus ac nitro­ sis. Attingunt el Minaci, pagus alius, per qiios evehitur uno tramine angusto. Hi primi com­ merciane thuris fecere, maximeque exercent : a quibas et Minaeam dictum est. Nec praeterea Arabum alii thuris arborem vident, ac ne horam quidem omnes. Ferunt q u e m in η ο ιι amplius e sse familiarum, quae jus per successiones id sibi vin­ dicent. Sacros vocari ob id, nec ullo congressn ieminarum, funernmque, quum incidant eas ar­ bores aut metant, pollui : atque ita religione merces augeri. Quidam promiscuum jus iis po­ pulis esse tradunt in silvis : alii per vices eunorum dividi.

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arborei thus

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essa nel regno Sabeo sono le borgate degli Atra­ mili, la cui principale è Sabota, poita sopra un monte altissimo, dal quale otto giornate è lon­ tana la terra dove nasce lo incenso. Chiamasi Saba, che secondo i Gr«ci vuol tlire mistero : è volta a levante di stale, e d’ ogni parte ha diffìcile entrata per rispetto delle rupi che la circondano, e per li scogli di mare, che da man rilta non la­ sciano appressarvi. Il terreno dicono eh' è da rosso a l a t t a t o . La lunghetta delle selve è venti sebenì, la larghezza έ dicci. Lo scheno, secondo il conto di Eratostene, è uno spazio di quaranta stadii, ovvero cinque miglia : alcuni altri dicono, che ogni scheno è quattro miglia. Quivi s'innal­ zano i colli, dove da loro stesse nascono queste piante, che arborate le chine, discorrono ancora nelle pianure. U terra è tutta argilla, ed ha fonti radi, che tengono di nitro. Confina con questa I' altra borgata dei Minii, fra i queli si passa per nna via molto stretta. Que«ti furono i primi mer­ canti dell*incenso, e molli il sono pur tuttavia : da loro l1 iocenso è chiamato Mineo. Nè altri in Arabia, che costoro, veggono Γ albero dall' in­ censo, e nè anco questi tulli. Dicesi che sono tremila famiglie e non più, le quali successiva­ mente hanno quesla giurisdizione. Perciò sono chiamali sacri, e non usano con donne, nè si tra­ vagliano in mortorii, quando intaccano gli albe­ ri, o rioolgono I* incenso ; e cosi la religione ne accresce il prezzo. Alcuni dicono, che i detti po­ poli insieme lutti hanno qnesta possessione; al­ cuni altri dicono che tocca ogni anno a una parte di loro. Q

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Al.RKRI LO rRODCCAttO.

Non si sa come sia fallo questo albe­ XXXI. Nec arbori» ipsius quae sit facies, XXXI. ro. Noi abbiamo travagliato in Arabie, c Tarmi constat. Res in Arabia gessimus, et Romana arma Romane sono arrivate in gran parie d' essa, ed in magnam partem ejus penetravere: Gajuseliam Caesar, Augusti filius, inde gloriam petiit, neo anco Caio Cesare, figliuolo d ' Augusto di qui tamen ab ullo (quod equidem sciam) Latino ar­ s ' acquistò giuria, nè però alcun Latino (ch'io borum earum tradita facies. Graecorum exempla sappia) ha descritta mai la figura di questo albe­ variani. Alii folio p iri, minore dumtaxat, et ro. Gli esempli dei Greci variano. Alcuni hanno herbidi coloris prodidere. Alii lentisco similem detto, eh' egli ha la foglia come il pero, sola­ snbralilo. Quidam terebinthum esse, el hoc vi­ mente un poco più piccola e di >olor di erba. Al­ sam Antigono regi allato frutice. Juba rex iis cuni dicono eh' egli somiglia il lentisco, ed ha vokimibibus, quae scripsit ad C. Caesarem, Au­ foglia che rosseggia. Alcuni, eh' egli è terebinto, gusti filium, ardentem fama Arabiae, tradit con­ e che cosi parve al re Antigono, a cui ne fu por­ tata una pianta. Il re Giuba in quei libri eh' egli torli esse candicis, ramis aceris maxime Pontici, succum amygdalae modo emittere: talesque in scrisse a Caio Cesare figliuolo d 'Augusto, il Carmania apparere, et in Aegypto satas studio quale desiderava sapere le cose d ' Arabia, scrive, Ptolemaeorum regnantium. Cortice lanri esse che lo incenso ha il pedale ritorto, e i rami d 'aeoostat : quidam et folium simile dixere. Talis cero, massimamente come quello di Ponto, e che certe fini arbor Sardibus. Nam et Asiae reges manda fuori sugo, come le mandorle, e che tali serendi coram habuerant. Qui mea aetate legali sono in Carmania e in Egillo piantativi per dili­ ex Arabia venerunt, omnia incertiora fecerunt, genza dei re Tolomei. Chiaro è, che ha la cortec­ cia simile all' alloro : alcuui hanno dello ancora q o o d jure miremur, virgis etiam thuris ad nos

i»r>3

C. P U N II S&CUHDI

commeanlibas : quibus credi poiesl, malrcm quoque lcr«4e et cnodi fruticare tronco.

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g h ir b a .

ch’egli n’ ha rimile par la foglia. E certo tale albero fu in Sardi, perciocché anco i re d’Asia posero cura in piaolarlo. Gli ambascia lori d 'Arabia, i quali al tempo mio vennero a Roma, hanno fatto ogni cosa più inoerta ; di che molto mi maraviglio ; però le verghe di qaesto albero, le quali sono venute a Roma, dimostrano la madre avere il pedale tondo e senta nocchi. D b LLA WATCBA DBU.’ IBCBMO, B QUALI *B SIBVO LB SMCIB.

XXXII. Meli semel anno solebul, minore oc­ XXXII. Solevano gii ricorre Γ incenso uoa casione vendendi. Jam quaestus alleram vinde- volta l ' anno, perchè se ne vendeva meno ; ma il miam a fleri. Prior atqoe naluralis vindemia circa guadagno ha già introdotta una seconda ricolta. Canis orlom flagrantissimo aesto, iocidenlibus La prima e naturai vendemia è intorno al nasce­ qua maxime videatur esse praegnans, tenuissi- re della Canicola, ne’ piò ardenti caldi. Allora wusque lendi cortex. Laxator hic plaga, non adi­ intaccano Γ albero dove e’ pare pià pregno, e la mitur. Inde prosilit spuma pinguis. Haec con­ buccia pià sottile, e questa non che si levi, sola­ creta densatur, ubi loci*natura poscat, tegete mente, s’intacca e s’ incide. Dipoi n'esce una palmea excipienle, aliobi area circumpavita. Pa­ schioma grassa, la quale si spessa ecoagnla, dove rius illo modo, sed hoc ponderosius. Quod io il soffre la natara del sito, e cade sopra nna stooia arbore haesit, ferro depectilur, ideo corticosum. latta di canne, o anche sopra nn'aia ben pesta Silva divisa certis portionibus mutua innocen­ all’ iu to rn o . Nel primo modo ai raccoglie piè tia tuta est: neque ollus saucias arbores custo­ nello, nel secondo di maggior peso. Quello che dii: nemo furatur alteri. At Hercules Alexandriae, rimane appiccato all’ albero, si spicca col ferro, e obi thura interpolantur, nulla satis custodii di­ però è pià corteccioso. f

di queste empieva la inano, quando poteva cre­ scere con più agio, e non si avea tanto desiderio di ricorlo sì tosto. 1 Greci chiamano questa sta­ gonia e atomo ; la goccia minore chiamano orobia. 1 minuzzoli spiccati per iscuoterli si chiamano manna. Però ancora oggi si trovano pezzi, che pesano la terza parte d’utia mina, cioè ventisette danari. Leonide pedante d* Alessandro, veggendolo in sua fanciullezza usare senzà rispasmio alcuno lo incenso nei sacrilicii, gli disse che allora ne consumasse tanta quantità, quando egli avesse soggiogato il paese che lo produce. Perchè avendo egli aquistalo Γ Arabia, gli mandò un navilio carico d 'incenso, confortandolo, che largamente adorasse gli dei. L'incenso raccoltosi porta a Sabota sui cam­ melli, per una porla a ciò aperta ; e per legge è posta la pena della vita a chi esce fuor di strada. Quivi i sacerdoti pigliano le decime per Iu dio, eh' essi chiamano Sabi, a misura, non a peso ; nè prima si può comperarne per altri. Con questo si comportano le spese pubbliche, perciochè quel dio per certo numero di giorni pasce i forestieri. Non si può condurre,se non per lo paese de’Gebaniti, laonde anebe al re loro se ne paga la gabel­ la. Lor capitale è Tonna, lontana da Gaza più di quattromiUe quattrocento miglia, il qual viaggio è diviso in sessantaciuque giornate di cammelli. Dassene ancora certa parte ai sacerdoti e ai can­ cellieri dal re. Oltra questi ne colgono i custodi, i cagnotti, i portinai, i ministri ; perocché ovun­ que si viaggia, convien darne loro ora per l ' acqua, ora per il mangiare, ora per l ' albergo e per varii pedaggi, di maniera che ciascun cam­ mello ha di spesa insino al nostro lito seicento ottanta otto danari, e quivi paga ancora ai nostri doganieri e passaggieri. Vale dunque la libbra dell' ottimo incenso sei danari, del secondo cin­ que, del terzo tre. Falsificasi appresso di noi coo la ragia bianca, che lo somiglia molto ; ma conoscesi nei modi che s 'è detto. Pruovasi alla bianchetza, alla grandezza, alla fragilità, e se col carbone subito arde : e similmente vuoisi che non s 'attacchi al dente, ma piuttosto si triti in mmazzoli. D ill a a m a a.

XXXIII. iS. Alenai dicono che la mirra na­ sce nella medesima selva, mescolata con l ' albero dell'incenso : ma i più tengono eh' elfa nasca ap­ partatamente; perciocché nasce in molti luoghi d 'Arabia, come si vedrà ragionando delle sue specie. Portatene ancora dalle isole della buona, e i Sabei per mare là pattano dal paese dei Tro­ gloditi. Quella che si pianta è molto migliore

n

1168

η matura, se prima oon ή taglia in modo che n’ esca il latte. Ha il sapore di fico, e la grandezza di sorba. D e l l a s il iq u a c e r a u b ia .

XVI. 8 . Similis et quam Jones ceroniam vo­ cant : trunco et ipsa fertilis, sed pomo siliquae. Ob id quidam Aegyptiam ficum dixere, errore manifesto. Non enim in Aegypto nascitur, aed io Syria, Joniaque, et circa Guidum, atque in Rho­ do : semper comantibus foliis, flore candido, cum vehementia odoris: plantigera imis partibus, et ideo superficie flavescens, succum auferente soho· le. Pomo antecedentis anui circa Canis ortum detracto, atatim alterum parit : postea florem per Arcturum : hieme fetus enntriente.

XVI. 8 . La siliqua, la quale nella Ionia al chia­ ma ceronia, produce il frutto nel tronco suo, come il fico detto di sopra ; e per qaeato alcuni la chiamarono fico Egizio, pigliando ia ciò ma­ nifesto errore. Perciocch' ella non nasce in Egit­ to, ma nella Siria e nella Ionia, e intorno a Gui­ do, e in Rodi ; e ha sempre foglie, e fior bianco, coi\ grandissimo odore. Produce piante nel trou· co abasso, e perciò è gialla nella superficie, levan­ dole il sugo que' piantoni. Levatone il frottoddl'anno precedente intorno al nascer della Canìcola, subito ne fa un altro : dipoi nelPuscire di Arturo fa fiori, nutrendo il verno i suoi parti.

. P uS IC A ΑΒΒΟΚ C BT QUIBUS ABBOBIBUS

D e l l * a l b b b o p e b s ic o ; e a q u a l i a l b e r i b a s c a b o

SUBBASCABTUR FRUCTUS.

1 FRUTTI BELLA SCORZA.

XVII. 9 . Aegyptus et persicam arborem sui XVII. 44"

HISTORIABUM MUNDI LIB. XVI.

144«

internodio quum plurimam «lesinant vestire, procurobuntque. Latera arundini calamoque in rotunditate bina, super nodos alterno semper in­ guine, ut alterum ad dextra fiat, alterum supe­ riore geniculo ad laeva per vices. Inde exeunt aliquando rami, qui sunt calami tenues.

braceiano la canna fino a mezzo il bueciuolo, e quando lasciano di vestirla, pendono all’ ingiù. La canna e il calamo hanno come due fianchi spor­ genti, che son la parte ima delle foglie accer­ chienti il fusto, e sopra al nodo un germine, scam­ biando in forma che nell* uo nodo aia dalla parte destra, e nell'altro dalla sinistra. Di quivi talora escono rami, i quali sono calami sottili.

D b nsT C L A fom iis. D b O b c h o u b r ia a b u r d ib b , b t

D t QUELLI DA FAB SUFOLI. D b LLA CANNA O b COMBUIA,

AUCCPATOB1A, ET PISCATOBIA.

DI QtfBLLA DA UOCBLLABB, DI QUELLA DA PBSCABB.

LXV1. Plura autem genera. Alia spissior, densiorque geniculis, brevibus internodiis. Alia ra­ rior, majoribus: leuuiorque et ipsa. Calamus ve­ ro alios totns concavus, quem syringiam vocant, utilissimas fistulis, quoniam nihil est ei cartila­ ginis atqoe carnis. Orchomenius est conlinoo foramine pervius, qoem auleticam vocant : hie tibiis utilior, fistulis ille. Et alius crassiore ligno, et tenui foramine, liunc tolu·» fungosa replet medulla. Alios brevior, alios procerior, exilior, erassiorque. Fruticosissimus, qui vocatur donax, non nisi in aquaticis natus: quoniam et baee differentia est : mullam praelata arundine, quae in siccis proveniat. Soum genus sagittario cala­ mo, ut diximus : sed Cretico longissimi* inter­ nodiis, obseqoen lique, quo libeat flecti, calefa­ c to . Differentias faciunt et folia no» multitudine, verum robore et colore. Varia Laconicis, et ab Sma parte deosiora, qaales in totum circa stagna gigni putant, dissimiles amuicis, longisque vestiri tunicis, spatiosius a nodo scandente coroplexn. £st et obliqua arundo, non in excelsitatem naacens, sed juxta terram fruticis modo se spar­ gens, soavissima in teneritate animalibus. Voca­ tu r a quibusdam elegia. Est et in Italia naseens adarca nomine, palustris, cortice lantnm sub ipsa coma, utilissima dentibus, quoniam vis ea­ dem et quae sinapi.

De Orchomenii lacus arundinetis accuratius diei cogit admiratio antiqua. Characiam voca­ bant crassiorem firmioremqoe, plotian vero sub­ tiliorem1: hane in insulis fluitantibus natam, il­ lam in ripis exspatiantis lacus. Tertia arundo est tibialis calami, quem aalelicon dicebant: nono hic anno nascebatur. Nam et lacus incrementa hoc temporis spatio servabat : prodigiosus, m

LXVI. Sono di più sorti di canne ; perciocché alcuna ha i nodelli più spessi, e i bucciuoli corti ; alcuna gli ha più radi e maggiori, ed essa è più sottile. Ma dei calami alcuno è tatto voto, e que­ sto si chiama siriug», baono a fare sampogne, perchè non ha nè pannicolo, nè carne. Il calamo Orcomtnio è per tutto egualmente forato, e chia­ mali auletico : qnesto è bu^no a far sufoli, come quell'altro a far sampogne. Écci di nn1 altra sorte di calamo, che ha il legno più grosso, e per ciò più ristretti» di foro, e tutto pieno di midolla fungosa: alcun altro più corto, alcuno più lungo, più sottile o più grosso. Mollo germoglioso è quello che si chiama donax, il quale non nasce ye non nei luoghi acquatici : perciocché v' è que­ sta differenza ancora, essendo molto più stimate le canne che nascono ne1 luoghi secchi. Éeci ona propria sorte di calami, che è buona a far saette, come dicemmo, ma quel che nasce in Candia ha i bucciuoli lunghissimi, e riscaldato si lascia pie­ gare, come l’ nom vuole. Fanno differenza anco le foglie, non per moltitudine, ma per durezza e colore. 1 calami Laconici le hanno picchiettate, e nell'ima parte più folle, qaali stimano ehe nascano intorno agli stagni, diversi da quei che nascono ne* fiumi : sono vestili di lunghe foglie, le quali abbracciano il fusto per più lungo spazio sopra il nodello. Écci ona sorte di canne obblique, le quali non crescono molto in alto, ma a guisa di sterpo ii distendono per terra ; e questa canna per la sua tenerezza piace grandemente agli ani­ mali. Da alcuni si chiama elegia. Nasce ancora in Italia una canna, che si chiama adarca, palustre, che non ha se Aon la scorza appresso la pannoc­ chia, utilissima ai denti perchè ha la medesima forza che la senape. Dei canneti del lago Orcomenio P antica ma­ raviglia ci sforza a parlar più diligentemente. Caracia si chiamava la canna più grossa e più soda, e plozia la più sottile : questa dicono esser nata nell' isole che stavano a nuoto, e quella sulle rive di spazioso lago. La terza sorte è il calamo buono a fare sufoli, il quale si chiama anletioo. Questo nasceva ad ogni nono anno, perchè ere·

C. PLINII StCDKDl

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quando amplitudinem biennio extendisset: quod notatura ipud Chaeroniam infausto Athenien­ sium* et apuJ Lebaida saepe notatur influente Cephisso. Quum igilor anno permansit inunda­ tio, proficiunt in aucopatoriara quoque amplitudinem: vocabantur xeugitae. Contra borayciae* maturius reciproco, graciles : feminarum* latiore folio atque candidiore* modica lanugine : aot omnino nulla, spadonum nomine insiguibus. Hinc eraot armamenta ad inclusos cantus : non silen­ do et reliquo curae miraculo* ut venia sit* ar­ gento jam potius cani. Caedi solebant tempesti­ vae usque ad Autigenidem tibicinem* quum ad­ huc simplici musica uterentur* sub Arcturo : sic praeparatae aliquot post annos utile esse incipie­ bant. Tunc quoque multa domandae exercita­ tione* et canere tibiae ipsae docendae* compri­ mentibus se ligulis* quod erat illis theatrorum moribus utilius. Postquam varietas accessit, et cantus qnoque Inxuria* caedi ante solstitia coe­ ptae* et fieri utiles in Irimatu* apertioribus ea­ rum ligulis ad flectendos sonos* quae inde sunt el hodie. Sed tum ex sua quamque tantum arun­ dine congruere persuasum erat: el eam* quae radicem antecesserat* laevae tibiae convenire : quae cacumen * dextrae : immensum qnantum praelatis, quas ipse Cephissus abluisset. Nun^ sacrificae Tuscorum e buxo, ludicrae vero loto, ossibusque asininis, et argento fiunt. Aucupato­ ria arundo a Panhormo laudatissima : piscatoria Abaritana ex Africa.

Db v i b i t o b i a

a io s d ir i.

LXV11. Aruudinis Italiae usus ad viueas ma· xime. Caloseri eam jubelin humidis agris, bi­ palio subacto prius solo* oculis disposilia inter­ vallo ternorum pedum. Simul el corrudam* uude asparagi fiant: coucordaie enim amicitiam.

>444

scerà in quel tempo ancora il lago, ed era gran prodigio, se talvolta per troppe piogge rimane· pieno anche Γ anno seguente ; il che fa osser­ vato nella infelice giornata, che gli Ateniesi perderono a Cherooia, e spesse altre volle presso Lebaida per lo scaricar visi del fiume Cefiso. Quando dunque la inondazione durò od anno* le canne crescono in tanta lunghezza* che sou buone per uccellare: chiamavansi zeugite. Per contrario* se le acque tornano più tosto «1 luogo loro, si chiamano bombi eie, e sono sottili. Le femmine hanno più larga foglia e più bianca, e poca lana; e se non ue hanuo punto, sou notabili per essere chiamale spadoni. Di quindi facevansi gli stranienti ovvero sufoli pei canti da teatro o da stanza ; ma non è da tacere quel che v’ ha di maraviglia pur nella preparazio­ ne della canna da sufoli* acciocché si perdoni a chi vuole piuttosto sonare eon l’ argento. Il tempo conveniente a tagliar queste canne, fino all* età d'Antigene sonatore, quando s'usava anco­ ra la musica semplice* era intorno al nascimento d* Arturo ; e così preparate cominciavano a esser buone alcuni anni dipoi. Ma allor pure si doma­ vano oon molto esercizio* e gli stessi sufoli si facevano canori col serrarsi delle lingueUe fra sè ; il che era più utile a quelle usanze dei teatri. Ma poiché ne venne la varietà* e la lascivia del canto* si sono incominciate a tagliare inoanzi al solstizio* e a far buone il terzo anno* perché erano più aperte le linguelle loro a inflettere i suoni : tali si usano ancora oggi. Ma allora si te­ nera che ciascuna fosse buona solamente della sua canna* e che il bucciuolo vicino alla radice convenisse al sufolo sinistro* ovvero che si tene­ va con la mauciua e si soffiava col lato sinistro della bocca, e il vicino alla vetta al suiolo de­ stro ; ed è maraviglia dire quauto erano più stimale quelle cbe bagnava il fiume Cefiso. Oggi quelle che i Toscani usano ue' sacrificii, sono dì bosso; quelle che s'usano ne'giuochi, sono di loto* o d 'osso d' asiuo, o di argeulo. La canna da uccellare nasce ottima a Palermo, e quella da pescare vieueda Abarila citlà d 'Africa. D ella

u su a

cb e s' osa b e l l e

v ig b b .

LXV 11. In Italia le canne si adoperano mollo nelle vigue, e Catone vuole eh' elle si pongano uei luoghi umidi, ma che prima ai svolga il ter­ reno cou la vauga, e che fra uu occhio e l ' altro sia Γ intervallo di tre piedi, e che insieme si metta la corruda* della quale uascouo gli sparagi, perchè naturalmcute »i coufauuo tra loro.

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UlìtTOUIARUM MUNDI LID. XVI.

37. Salicem vero circa : qua nulla aquatica­ rum ulilidr, licet populi vitibus pliceant, et C*ecuba educent : licei alni sepibus muoiaiil, con* iraque erumpentium amnium impelus, riparum maro in tutela ruris excubent in aqua satae, caesaeque densius innumero herede propini.

>44«

37. Intorno vuoisi porre il salcio, che è il più utile di ttilti gli alberi d^acqas, benché gli oppi! piacciano molto alle viti, e sostengano il Cecubo,* benché gli ontani facciano siepi, e pian* tali in acqua quasi muro difendano le campa­ gne dalla furia de' fiumi, ed essendo tagliati ri­ mettano in maggior numero.

D « SALICE : GEN U A BJUS V ili.

D el s a l c i o : o t t o s p e c ie d i e s s o .

Γ*ΧVIII. Salicim stalìm plura genera. Nam­ que el io proceritatem magnam emittunt jugis vinearum perticas, pariuntque ballheo corticis vincala : et aliae virgas sequacia ad vincturas lentitiae. Alia· praetenues viminibus texendis spectabili subtilitate. Rursus aliae firmiores cor­ bi bu*., ac plurimae agricolarum supellectili: can­ didiores ablato cortice, tenique tractatu, mollio­ ribus vasis, quam ut e corio fiant: atque etiam supinarum in delicias cathedrarum aptissimae. Caedua salici fertilitas, densior tonsura, ex brevi puguo verius, quam ramo : nou, ul remur. in uovisaiiuis curanda arbore. Nullius quippe tatior est reditus, tniaorisve impendii, aat tempestatum securior.

LXV 1I1. Il salcio è di più sorti. Akani infatti crescono in allo, e fanno pali e pertiche alili alle viti, e cintole e legature, che si fanno della cor­ teccia loro : altri producono verghe buone a le­ gare per la loro somma flessibilità. Alcani fanno vermene sotliliuime per fare lessali di mirabile sottigliezza : alcuni grosse per far corde, e simili cose per bisogno dei contadini, le qaali scortec­ ciate son più bianche, e più lisce a toccare, e per far vasi più maneggevoli che se si facessero di cuoio, buonissime aucora a far seggiole deliziose. 11 salcio è albero mollo fertile, come quello che tosalo me Ile più rami dalla troncatura, che lime più sembianza di pugno o moncherino, che di vero ramo : laonde, a mio parere, non è da metter tra le ultime la sua coltivazione. N èv’ è nessun nitro albero di reodila più sicura, e di manco sposa, nè più sicuro dalle tempeste.

Q O A B PBAETEa S A LIC E» ALLIGANDO UT1LIA.

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SOR BUONE A F A · LEGATURE.

L X 1X. Terlium locum ei in aestimatione ra­ ris Calo adtribuit, prioremque quam olivetis, quamque frumento, aut pratis : nec quia desint alia vincala. Siquidem et genistae, et populi, et ulrai, et «anguinei frutice», et betullae, et arundo fissa, et arandinum folia, ut in Liguria, et viiis ipsa, reemsque aculeis rubi alligant, et intorta corylu f. Mirumque contuso ligno alicui majores ad vincula esse vires. Salici tamen praecipua dot. F in d itu r Graeca rubens : candidior Amerina, sed paullo fragilior, ideo solido ligat nexa. In Aain tria genera observaut. Nigram, utiliorem vim inibus : candidam, agricolarum usibus : ter­ tiam , qnae brevissima est, helicem vocant. Apud oos quoque multi totidem generibus nomina im­ p o n u n t : vimineam vocant, eamdemque purpu­ ream . Alteram nitelinam a colore, qaae ait te­ n u ior. Tertiam Gallicam, quae tenuissima.

LXIX. Catone gli assegna il terzo luogo nell ' agricoltura, e lo mette innanzi agli uliveti, a! grano, e ai prati ; nè già perchè manchino altre cose da legare, perciocché e le ginestre, e gli oppii, e gli olmi, e il sanguine, e la belolla, e la canna fessa, e le foglie delle canne, come nella riviera di Genova,e la vile stessa,e i rovi rimondati dalle lor punte, e i noccioli ritorti, son lutti buoni da le­ gare. Ed è cosa maravigliosa, come qualche legno, pesto che sia, ha maggior forza a legare ; non­ dimeno questa è peculiar dote del salcio. Fcndesi il salcio Greco, il quale è rosso : quel d’ Amelia è più bianco, e alquanto più fragile, e perciò lega più sodo. In Asia hanno Ire sorte di salcio. Il nero dicono essere utile per far vimini; il bian­ co per bisogno dei cootadini ; il terzo, eh1è cor· tissimo, chiamano elice. Molti ancora appresto di noi pongono i nomi ad altrettante specie: l ' uno chiamano vimine e porporino ; l ' altro ni­ telino dal colore eh* egli ha ; e questo è molto sottile ; il terzo Gallico, il quale è sottilissimo.

0 . PU N II SECUNDI

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Db SClBFIS, CA1TOBL1S,

CAUSIS, TSG0L1S.

D e ’ GlUHCttl, CARDELE, C I M I , COPEBCBl CHE I · H I FAVBO.

LXX. Neo in fruticum, nec in veprium cauliumve, neqoe ia herbarum, aut alio ullo, quam sao genere, numerentur jure scirpi fragiles palustresque, ad legulum, tegetesque : e quibus detracto cortice, candelae luminibus el faueribus serviunt. Firmior quibusdam in locis eorum ri­ gor. Namque iis velificaut non iu Pado tantum nautici, verum el in mari piscator Africus, prae­ postero more vela intra malos suspendens. Et mapalia sua Mauri legunt : proximeque aestiman* Ii hoc videantur esse, quo inferiore Nili part^ papjri sunt, usu.

De

sa m bu cis

:

d b io b is .

LXX1. Sed frutectosi generis sunt inler aqualices el rubi, atque sambuci fungosi generis: ali­ ter lamen, quam ferulae : quippe plus ligni uti­ que sambuco. Ex qua magis canoram bucciuam lubaroquc credit pastor, ibi caesa, ubi gallorum cantum frulex ille non exaudiat. Rubi mora ferunt ; et alio geuere similitudinem rosae, qui vocalur cyuosbatos. Tertium genui Idaeum vo­ cant Graeci a loco. Tenuius est quam cetera, minoribusqne spini», et minus aduncis. Flos ejus contra lippitudines illinitur ex meile : et igni sacro. Contra stomachi quoque vitia bibitur ex aqua. Sambuci acinos habeut nigros atqoe par­ vos, humoris lenti, inficiendo maxime capillo : qui et ipsi aqua decocti mandantur.

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e a b b o e o m socc is .

LXXII. 38. Humor et cortici arborum est, qui sanguis earum intelligi debet, non idem omnibus. Ficis lacteus : huic ad caseos figuran­ dos coaguli vis. Cerasis gumminosus, nimis sali­ vosos : lentus ac piuguis malis, vitibus ac piris aquosus. Vivaciora, quibus lentior. Atque in lo­ tum corpori arborum, ul reliquorum animalium, culis, sanguis, caro, nervi, veuae, ossa, medullae, pro cale cortex. Mirum: is in moro medicis succam quaerentibus, vere, hora diei secunda, lapi­ de incussus manat : altius fractus siccus videtur. Proximi plerisque adipe» : ii vocantur a colore elburnum: mollis ac pessima pars ligni, eliam in robore facile putresoens, teredini obnoxia : quare semper amputabitur. Subest huic caro, cui ossa : id est, materiae optimum. Alternant fructus, quibus siccius lignum, ut olea : magis qoam qui-

LXX. I giunchi di palude non sì possono do­ mandare ne' slerpr, ne' pruui, nè pur erbe, poi­ ché fanno specie da per sè : sono utili a fare stuoie e coperture, e «bucciali servono di candele per le lumiere e pei mortorii. In alcuni luoghi, perchè sono alquanto piò fotti, si adoperano per sostenere le vele, non solamente in Po, ma dai pescatori d' Africa aucora in mare, dove alΓ opposto che facciam noi, appiccano le vele tra gli alberi. In Barberia ue cuoprono le capanne; e chi vorrà ben considerare, troverà che questi giunchi prestano gli stessi usi che il papiro nella bassa parte del Nilo. D e'

sa h bo c h i

:

d e * b o v i.

LXXI. Fra gli alberi d* acqua cespugliosi sooo i roghi, e i sambuchi tra i fungosi, ma però altrimenli cbe le ferule, perchè il sambuco ha più legno. Il pastore ne fa tromba, o corno, e lieae che sia più sonoro quando è tagliato ia luogo, dove tal albero non possa sentire il canlo del gallo. 1 roghi fanuo le more, e un1 altra sorte di pruuo, che si chiama cinobatos, fa rose. Ij lena sorte è chiamala dai Greci Ideo dal luogo: queslo è più sottile, e di minori spini, e meno allucinati­ li suo fiore giova contra la cispa degli occhi, me­ scolandolo col mele,nouchecoulrail fuoco sacro. Beesi ancora cotto nell' acqua contro i dolori dello stomaco. I sambuchi hauuo gli acini neri e piccoli, di amor viscoso, buoni per tiguere i ca­ pelli; e questi ancorasi mangiano cotti uell' acqua. D b’

su g h i d ig l i

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LXX 1I. 38. Le scorze degli alberi hauoo sa­ go, il qual s’ inteude che sia il saugue loro, ma però non l*>tti Γ hanno ad un medesimo modo. Quello dei fichi è come latte, e ha forza di pre­ same per fare il cacio. I ciriegi Γattuo gommo», gli olmi salivoso : i meli grasso e viscoso : le vili e i pe· i acquoso. Sono più vivaci gli alberi, che Phauno più visooso. Anche in tutto il corpo degli alberi, come degli altri animali, v' ha pelle, san­ gue, carne, nervi, vene, ossa e midolle ; per le pelle serve la corteccia. Maraviglia è net mora, che quando i medici vogliono il sugo suo, lo intaccauo con una pietra, iuturno alle due ore di giorno di primavera, ed ei lo distilla ; ma se si lacesse più profonda in laccatura, non trasuda punto, che par che sia secco. L'adipe delPalbero alla mag­ gior parte è molto in pelle, e dal coloie si chiama

HISTORIARUM MUNDI UB. XVI.

•449

bus carnosam, ul ceraia*. Neo omnibus adipe· carnesve largae, aienti nee animalium acerrimi·. Neutram habeat buxos, cornus, olea : nec me­ dullam miniranraqne etiam sanguinis : sicut ossa non babent sorba, carnem sambuci (et pluri­ mam ambae medullam ) : nec arundines majore ex parte.



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s t p u l p is .

L X X 11I. Io quarumdam arboram carnibus pulpae venaeque suoi. Discrimen earum facile. Venae latiores eandidioresqae pulpae fissilibus Insunt. Ideo fit, ut aure ad caput trabis quam­ libet praelongae admota, ictus ab altero capite vel graphii sentiatur, penetrante reciis meatibus sono. Unde deprehenditur, an torta sit mate­ ries nodisque concisa. Quibus sunt tubera, sic sunt in carue glandia. In iis nec vena, nec pulpa, quodam callo carnis iti se convoluto. Hoc pre­ tiosissimum in citro, et acere. Cetera mensarum genera listis arboribus circinantur in pulpam : alioqui fragilis esset veua in orbem arboris caesa. Fagis pectines transversi in pulpa. Apud anti­ quos inde et vatis honos. Manius Curius juravit se ex praeda nihil attigisse, praeter guttum fa ginura, quo sacrificaret. Lignum in longitudinem fluctuatur : ut quae pars fuit ab radice, validius sidai. Quibusdam pulpa sine venis, mero slami­ ne et tenui coustat. Haec maxime fissilia. Alia frangi celeriora, quam findi, quibas pulpa non est : ut oleae, viles. Al e contrario totum e carne corpus fico. Tota ossea esi ilex, cornus, robur, eytiuss, morus, ebenus, lotos, el quae sine me­ dulla case diximus.

i45o

alburno: è morbido, e la pessima parte del legno, il qaale nel rovero ancora facilmente s* Infracida, e intarla ; però sempre si debbe tagliare. Sotto questo è la carne, e sotto la carne I’ ossa, cioè il meglio del legno. Quegli che hanno il legno pià secco, fanno fruito un anno sì, e Γ altro no, co­ me fa Pulivo, più che non fanno quegli che 1' hanno carnoso, come è il ciriegio. Nè tutti gli alberi hanno il grasso e la carne in abbondanza, come nè anco gli animali più robusti. Nè Puno nè P altra hanno il bosso, il corniolo e P olivo, i quali non hanno ancora midolli·, e poco sangue. 1 sorbi non hanno ossa, i sambuchi non carne (benché gli ani e gli altri han molta midolla); nè ancora la maggior parte delle canne. D b llb p o l p e b v b sb d b g l i a lb b b i.

LXX 11I. Alcuni alberi nelle lor carni han polpa e vene. Quali le abbiano, facilmente si co­ nosce. Tutti quelli ehe si fendono han vene motto larghe e polpe biancheggianti. Di qni viene, che accostando 1' orecchio al capo di una trave, sia lunga quanto esser si voglia, si sente il colpo dato nelP altro capo, perciocché il suono passa per quei diritti meati. Di qui si viene a co­ noscere, se quel legno è torto, e intersecato da no­ di. Alcuni alberi hanno nocchi, siccome gangole di animale : questi non hanno uè vena nè polpa, ma una cerla carne callosa ravviluppata in sè stessa. Questa è preziosissima cosa nel cedro e nell' acer. Degli altri alberi che si segano per fare i tondi delle tavole, se ne piglia la polpa in lunghezza; perchè altrimenti la vena sarebbe fra­ gile, se 1' albero si tagliasse orizzontalmente. Del faggio si fan pettini, prendendo la polpa per lo tra­ verso; e così gli antichi ne facevano anco bellissimi va»i. Man io Curio giurò di unii aver tocco nulla della preda che s 'era fetta, fnor che un vaso di faggio pei sacrificii. Il legno va ondeggiando per la sua lunghezza, di maniera che la parte più vi­ cina alla radice è più ferma. Alcuni hanno polpa senza vene, la quale è di stame puro e sottile. Questi molto facilmente si fendono. Alcuni altri che non han polpa sono più presti a rompersi, che a fendersi, come gli ulivi e le vili. Ma per eoutrario il fico ha tutto il corpo carnoso. Tatti ossei sono il leccio, il corniolo,il rovero, il citiso, il moro, P ebeno, il loto, e quegli che noi dicem­ mo che non hanno midolla. Gli altri hanno color nero. Il corniolo è gial­ Ceteris nigricans color. Fulva cornus, in veuabulis nitet, incisuris nodata propter decorem. lo ; gli spiedi che se ne fanno, risplendono, i quali per più bellezza si fregiano d'intagli. Il Cedrus, et larix, et juniperus rubent cedro, il larice, e il ginepro rosseggiano. 39. Larix femina habet, qaam Graeci vocant 39. Nel larice femmina, la parte più densa, che aegida, mellei eoiori·. Inventum est pictorum i Greci chiamano egida, è di colore di miele. Di

*45i

C. PUNII SECUNDI

tabellis immortale, nullisque fissile rimls, hoc lignum. Proximum medullae est. In abiele leuson Graeci vocant. Cedri quoque durissima, quae medullae proxima , ul in corpore ossa, deraso modo limo. Et sambuci interiora mire firma tra­ duntur. Namque qui venabula ex ea faciunt, praeierunt omuibus; constat enim ex cute et os­ sibus.

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questo legno i pittori fatino tavolette, le quali durano senza fine, e non si fendou mai. K il le­ gno più vicino alla midolla, e i Greci nell' abete lo chiamano lenson. Il cedro ancora è durissimo presso alla midolla, come Tossa nel corpo; ma vuoisi radere obbliquamente. Anche II sambuco dicesi esser molto sodo nelle parti interne; pe­ rocché gli spiedi che se ne fami», si preferiscou· a tutti, siccome quelli che son di pelle e d'osso. D e g li

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LXXIV. Quegli che s'hanno a scortecciare per usargli tondi nei tempii e per altri bisogni, si debbono tagliare «|uaudo germogliano ; altri­ menti non si può levare loro la buccia, e nascevi sol lo il tarlo, e il legno diventa nero. Le travi, e quei legni che s 'acconciano con la scure, si ta­ gliamo da metto Dicembre infinchè comincia il vento Favonio ; e se pur siamo sforzati farlo pri­ ma, nel tramoutar di Arturo, e innanzi a esso od tramontar della Lira, e per ultimo nel solstizio. Dei giorni di queste stelle ai ragionerà al sue luogo. Comunemente si tiene che gli alberi, i qaali Vulgo satis putant observare, ne qua dedo­ landa arbos sternatur ante editos s iio s fructus. s’ anno a piallare, n o n sieno da tagliarsi prima Kobur vere caesum , teredinem sentit : bruma che abbiano fatti i lo r fi ulti. 11 rovero tagliato autem, neque vitiatur, neque pandatur, alias la primavera, intarla; perchè non ai guasti aè si apra, vuoisi tagliarlo di vern, altrimenti si con­ obnoxium eliam ut torqueat sese findatqae: quod torce e si fende; il che interviene nei snvero, in subere tempestive quoque caeso evenit. Infi­ nitum refert et lunaris ratio : nec nisi a vicesima ancora che ei sia tagliato a teiop··. I giorni della luna importano assaissimo ; nè vogliono che si in tricesimam caedi vulunl. luter omnes vero convenit, utilissime in coitu ejus sterni, quem tagli, se non dal veutesimo giorno di essa lìoo diem alii interlunii, alii silentis lunae appellant. al trentesimo. Però tutti s' accordano, che sia Sic certe Tiberius Caesar concremato ponte Nau­ buonissimo tagliare i legni quel di che la looa si machiario, larices ad resti tuendum caedi in Rhae- congiunge c o l sole, il qual dì alcuni chiamano in­ terlunio, altri di luna silente. E cerio ehe Tiberis tia praefinivit. Quidam dicunt, ut in coitu et sub terra sit luna : quod fieri non potest nisi noctu. imperadore, essendo arso il ponte Neumaehiarìa, At si competant coitus in novissimum diem bru­ ossia fatto per combattimenti navali, volle che ia tal dì si tagliassero i larici di Rezia per rifarlo. Al­ mae , illa sit aeterna materies : proxime, curo supra dictis sideribus. Quidam et Cunis ortum cuni diconoche si debbono tagliare nella eongiuoaddunt, et sic caesas materies in forum Angu­ zione della luna, ma che ella sia sotterra ; il che stum. Nec novellae autem ad materiem, nec ve­ non si può fare se uon di notte. Ma a* egli avvieee teres utilissimae. Circumcisas quoque ad medul­ che la congiunzione sia Γ ultimo dì della brama, lam aliqui non inutiliter relinquunt, nt omnis quel legname sarà senza fiue. Alcuni a' soprad­ humor stantibus defluat. Mirum apud antiquos detti dì delle stelle aggiungono il nascimento primo Punico bello classem Duillii imperatoris della Canicola, nel qual tempo dicono che si ta­ ab arbore excisa l x die navigasse. Contra vero gliò il legname pel loro di Augusto. Gli alberi giovani non sono molto buoni per far legname, Hieronem regem ccxx naves effectas diebus x l v tradit L. Piso. Secundo quoque Punico bello, come nè anche i vecchi s o iio i più utili. Alenai tagliano gli alberi intorno (ino alla midolla* · la­ Scipionis classis x l die a securi navigavit. Tan­ tum tempestivitas eliam iu rapida celeritate pollet! sciatigli così ritti acciocché n' esca fuori ogai umor soverchio. Cosa meravigliosa è che la flotta di Duillio, nella prima guerra Cartaginese, na­ vigò il sessantesimo giorno, da che il legname era stato taglialo. Scrive Lucio Pisone che da-

LXXIV. Caedi tempestivum quae decorti­ centur, ut tereles, ad templa c e ie r a q u e usus cotinnii, quum germioani, alias cortice inextrica­ bili, et carie subnascente ei, inateriaque nigrescente. Tigna et quibus aufert securis corticem, a bruma ad Favonium : aut si praevenire coga­ mur, Arcturi occasu, et ante eum Fidiculae : no­ vissima ratione, solstitio. Dies siderum horum reddetur suo loco.

φ3

HISIOBIAHUM MUNDI LIB. XVI.

1454

gento venti navi contra G erone re di Sicilia fa­ rono fatte iu quarantacinque giorni. Oltra di ciò la flotta di Scipione, nella seconda guerra Car­ taginese, navigò in quaranta dì, da che fu al­ terrato il legname nella selva ; lauto è utile il tempo del tagliare, eziandio nella fretta ! C a t o n is

e a d b re p l a c it a .

LXXV. C a lu bomitium i u i d i d u i in ornui usu, de materiis haec adjicil : u Prelum e tapino alra polissimura facili» : ulnaenra , pineam , nuceam, kano atque aliam maleriam omuem quum effo­ dies, luna decrescente eximito post meridiem, sine veulo Austro. Tuuc ei il tempestiva, quum semen suum maturiim crii. Cavetoque ne per rorem Ira Ita», sul doles. » Idemque mox : ars a terra fuil, enodis est: haec, qua diximus ratione, fluviato decorticatur, atque ita sapinus vo ca tu r: superior pars nodosa, duriorque, fu­ sterna. in ipsis auteui arboribus robustiores Aquiloiiiae partes. El iu lotum deteriores ex huiui «Jis opacisque: spissiores ex apricis, ac diuturu«e. ltle o Romae iuferuas abies supernati prae­ fertur. lis i per geulium quoque regioues iu iis d iflereulia. Alpibus, Apeuuinoque laudatissimae: iu G allia, Jura, ac munte Vogeso^ ia Corsica, B ith yn ia, Poulo, Macedonia. Deterior Aenealica, e l A r c a d i c a . Pessimae Parnassia, el Euboica, «juouiani ramosae ibi el coulortae, pulreaceulesq u e facile. Al cedrus iu Creta, Africa, Syria lau­ da tiasiroa.' Cedri oleo peruncta materies, nec ti-

PBBCBTTI DI C a TOSB S0PBA1L TAGLIO DBOf.l ALBERI.

XXV. Calone uomo singolare io ogni cosa, aggiunge quello de' legnami: u Farai lo strettoio di sapino nero ; e quando taglierai olmo, piuo, nuce, o altro legname qualuuque, cavalo a luna sceiua dopo mezzodì, e senza venlo di Ostro. Al­ lora sarà il tempo da tagliare 1' albero, quando il suo seme sarà maturo. Guardali che non lo traini ancora segnato di rugiada, o che non lo pialli. » E poco dopo dice : u Non toccare il le­ gname, se non quando ia luna non ai vede ed è dimezzala: allora uou lo sverre, e non lo tagliare da terra. Ne' prossimi selle dì, quando la lima sia piena, lo lo puoi cavare utilmente. Guardati al tulio di non tagliare, nè toccar punto il legname che vuoi piallare, se prima ei non sia riseccalo ; 0 i'r«li è gelato o rugiadoso. » Tiberio anche per tagliare i capelli attendeva l'interlunio. Marco Varrone contra a' flussi vuole che si osservi il dì dopo che la luua è piena. D blla

grandezza

degli

a l b e r i.

D ella

natura

d b ’ l e g n a m i: d e l s a p in o .

LXX VI. Intaccando il larice e Γ abete, u* esce assai tempo l’ umore, e più dall'abete. Questi sono 1 più lunghi e più diritti alberi. Ma per gli alberi e per l ' an leu ne delle navi piuttosto si toglie 1' abele, perchè egli è più leggeri. Questi e il piuo hanno il discorso delle vene parlilo in quattro, u iu due, o in uuo. La midolla loro è buona a se­ gare : i legnaiuoli ne fanno di preziosi lavori. Il legname diviso per quattro vene, è migliore e più tenero degli altri ; e chi n' ha pratica, Io couosce alla scorza. Nell1 abete la parte che è di verso terra, uon ha nodi, e scortecciata nel modo che abbiam detto, si chiama sapiuo. La parie di so­ pra è nocchiosa, e più dura, e chiamasi fuslerua. Negli alberi stessi le parli volte verso tramontana sono più dure, e generalmente son peggiori nei luoghi umidi e ombrosi, ma ne’ solatii, più dure­ voli e più sode. E perciò in Roma gli alberi volli al mare di sotto, ovvero di Toscana, son riputali migliori di quei, che son volti al mare di sopra, ovvero Adriatico. C 'è dilTereuza ancora iu essi secoudo i paesi. Nell' Alpi e sull’ Apeuuino sono mollo buoni ; co»ì iu Francia, sul Mongiuevera e sul Vauge, iu Corsica, in Bilioia» iu Poulo e in

>455

C. PUNII SECUNDI

ueam, nec cariero sentii. Junipero eadem tirio·, quae cedro. Vasta haec in Hispania, maximeque Vaccaei» : medulla ejus ubicumque solidior etiam, quam cedrus. Publicum omnium vilium vocant spiras, ubi convolvere se venae atque uodi. In­ veniuntur in quibusdam, sicut in marmore, cen­ tra, i» est, duritia clavo similis, inimica serris. El quaedam forte accidunt, lapide coraprebeoso aut recepto in corpus, aut al Ieri us arboris ramo.

1456

Macedonia. Men buoni sono gli Eneatici e gli Ar­ cadici. Pessimi poi sono uel Parnaso e in Eubea, perchè vi sono torli, e pieni di rami, e marciscoe facilmente. Ottimo il cedro è in Candia, io Afri­ ca e in Siria. Se il cedro è unto eoo olio, non in­ tarla. Il ginepro ha la medesima virtù che il ce­ dro, ed è grande iu Ispagua, e specialmente nelle terre de' Vaccei. La sua midolla in ogni paese è loda anche più che il cedro. Il difetto a tulli co­ nouue si chiama spira, quando ai avviluppano io* sierae le vene e i nocchi. Trovausi 11» alcuni al­ beri, come ocl marmo, certe d o rm e simili a uso agulo mollo niraiche alle seghe. Queste talora a\vengono accidentalmente, qoaud» un albero abbia preso e incorporato qualche pietruna, ov­ vero un ramo di un altro albero. In Megara sulla piazza stette lungo tempo on Megaris diu slelil oleaster in foro, cui viri fortes adfixerant arma, quae cortice ambiente ulivo selvatico, al quale gli uomini valorosi aveva­ aetas longa occultaverat. Fuitque arbor illa fa­ no appiccate l ' anni loro, e la corteccia per {spa­ zio di lempo le aveva sormontale e ricoperte. talis excidio urbi» praemonitae oraculo, quum arbor arma peperisset : quod succiaae accidit, Fu questo albero fatale alla sua patri·, dicendo ocreis galeisque intus reperti». Ferunt lapides 1' oraculo, che quella città avea a rovinare, quan­ ila iu ventos, ad couliueiidos partus esse remedio. do un albero partorisse armi; e ciò avvenne, perchè sendo tagliato questo albero, vi si trova­ rono dentro schinieri ed elmetti. Dicooo che le pietre ritrovate negli alberi sono buooe a far ritenere il parto. Far lutti gli altri alberi iusino a questa 4o. Amplissima arborum ad hoc aevi existi­ 4o. età veduti a Roma, grandissimo si tiene cbe fosse matur Romae vis», quam propter miraculum Ti­ quello, il quale trasportato col reslo del legname, berius Caesar in eodem ponte Naumachiario ex­ fu posto per maraviglia da Tiberio imperadore posuerat adveclam cura reliqua materie : duravit ad Neronis principis amphitheatrum. Fuit aulem nel già detto ponte Naumachiario, e che dorò Irabs e larice, longa pedes cxx, bipedali crassi­ fino all1 anfiteatro di Nerone. Questa fa una tra­ tudine aequalis. Quo iulelligebalur vix credibilis ve di larice lunga cento veuti piedi, e grossa reliqua allitudo, fastigium ad cacumen aestimau- egualmente per lutto due piedi. Onde si cono­ tibus. Fuit memoria nostra et in porticibus Se­ sceva, come ella era- di uoa incredibil lunghezza ptorum a M. Agrippa relicta, aeque miraculi cau- a chi computava il reslo insino alla vetta. A*no­ stri tempi fu uu'allra Irave minore dieci piedi, sf, quae diribilorio superfuerat, xx pedibus bre­ lasciala da M. Agrippa per miraculo ne'portici vior, sesquipedali crassitudine. Abies admiratio­ dei Setti, grossa un piede e mezzo. Molto mera­ nis praecipuae visa est in navi, quae ex Aegypto viglioso ancora fu un abete nella nave, che per Caji principis jussu, obeliscum iu Vaticano circo statutum, quatuorque truucos lapidis ejusdem commissione di Caio Cesare condusse di Egitto quell' obelisco, il quale fu poslo nel circo Vati­ ad sustinendum eum adduxh : qua nave nihil ad­ cano, con quattro piedestalli della medesima pie­ mirabilius tisum in mari certam esi: cxx mmo­ tra, che sostenessero Γ obelisco : della qval nave dium lentis pro saburra ei fuere. Longitudo spa­ tium obtinuit magna ex parie 0»liensis portu» è cerio che la più maravigliosa non fu giammai latere laevo. Ibi namque demersa esi a Claudio veduta in mare. Ques'a nave portò allora cento venti mila moggia di lenii per zavorra. La sua principe, cum Iribus molibus, lurriom altitudi­ lunghezza in grau parie occopò lo spazio del ne in ea exaedificati* ob iter Puteolano pulvere porto d' Ostia dal lato · auco ; perciocché Clau­ advecto. Arboris ejus crassitudo quatuor ho­ minum ulnas complectentium implebat. Vulgo- dio imperatore la vi fece affondare per fonda­ mento a tre moli che v'edificò sopra, alte sic­ que auditur τχχχ nummum el pluris malos venuradari ad eos o s u s , rates vero connecli x l H-S come torri, e fatte di polvere Pozzolana, per faro ai navicatili. Era grosso quell* albero quan­ plerasque. At in Aegyplo el Syria reges inopia abielis cedro ad classe· feruntur usi. Maxima ea to quattro uomini potrebbono abbracciare. Diin Cypro traditur, ad andecircmem Demetrii cesi comunemente cbe ogni albero di nave si

Il ISTÒRIA RUM MUNDI LIB. XVI. succi», centum triginta pedom, crassitudinis reru ad trium homioum complexu a». Germaniae praedones «iuguli» arboribus cavatis navigant, quarum quaedam et triginta bomines feruul.

Spississima, ex omni materie, ideo et gravis­ sima, judicatur ebenus,et. buxus, graciles nalura: neutra iu aquis fluitat, nec suber, si dematur cor­ tex : nec larix. Ex reliqais siccissima lotos, qoae Romae ita appellatur. Deinde robos exalburna­ tum : et huic nigricaos color, magisque eliara cy­ tiso, quae proxime accedere ebenora videtor; quamquam uon desini, qui Syriacas terebinthos nigriores adfirment. Celebratur et Thericlee no­ mine, calices ex terebintho solitus facere torno, per quem probatur materies. Omnium haec sola angi vult, meliorque oleo fit. Colos mire adulte­ ratur juglande ac piro silvestri tinctis, atque in medicamine decoctis. Omnibus, qoae diximus, spissa firmitas. Ab bis proxima est coruus; quam­ quam non potest videri materies propter exili­ tatem, aed lignum nou alio paene, quam ad ra­ dios rotarum, utile: aut si quid cuneandum sit in ligno, clavisve figendum, ceo ferreis. Ilex itero, et oleaster, el olea, atque caslanea, carpinus, po­ pulei. Haec et crispa aceris modo, si ulla mate­ ries idonea esset ramis saepe deputatis: castratio illa est, adimitqoe vires. De celero plerisque eo­ rum, sed utique robori, tanta durilia est, ut te­ rebrari nisi madefactum non queat, et ne sic qui­ dem adactus avelli clavas. E diverso clavnm non tenet cedrus. Mollissima tilia : eadem videtur et calidisaiina : argumentum adierunt, quod citissi­ me ascias reluudat. Calidae et morus, laurus, edera, et omnes e quibas igniaria fiunt.

vende ottanta nummi, e più, e che un fodero le più volte si vende ben qoaranta sesterxii. Di­ cesi di più, che in Egitto e in Siria i re per carestia d 'abete si sono serviti del cedro a fa­ re le loro armale. Tagliossene uno per una ga­ lea dì Demetrio da undici banchi lungo cento trenta piedi, e grosso quanto tre uomini possono abbracciare. Gli assassini di Lamagna fanno navi di un legno solo, il quale scavano ; e alcune di esse portano trenta persone. L ' ebeno e il bosso «ou legname molto sodo, e perciò pesantissimo : sono di nalura sottili, e non islanuo a galla nell' acqua ; come nè anco il suvero, se gli si leva la corteccia, nè il la­ rice. 11 più secco di ta t t i gli altri alberi è quello che a Roma si domanda loto. Dipoi il rovero, col sia levata la parte bianca di sotto la scorza : aoche questo ha colore che pende in nero ; mi piò il citiso, il quale s'accosta molto all*ebeno; ancora che alcuni dicano che i terebinti di Siria sono molto più neri. E inolio celebralo un cerio Tericle, pei calici di terebiuto che soleva fare al tornio, per lo quale si conosce il legname. Solo qoesto albero vuole essere unto, e con Γ olio si fa migliore, il suo colore si contraffa .mirabil­ mente col· uoce e col pero salvalico, tinti e colli in una certa mistura. Tutti questi che abbiamo dello, sono mollo solidi e (orti. Dopo questi è il corniolo; quantunque il suo legname non può essere posto in mostra per rispetto della sua sotti­ gliezza ; tanto che non è quasi buono ad altro, che a far i raggi delle ruole, o conii da mettere in alcun altro legno, o chiodi da conficcare all’ uso di quei di ferro. Sono altrettali, il leccio, Γ ulivo salvalico e il domestico, il castagno, il carpino e l ' oppio. Questo anehe è crespo siccome Γ acero : ma il legn am e, qualunque sia, è poco buono, se spesso Γ.albero si tronca de' suoi rami ; perchè ciò è come una castratura che lo infievolisce. Nel resto molti di loro, e massimamente il rovero, sono tanto duri, che noo si posson forare, se non bagnati ; ma nè anco così si può cavare il chiodo, se egli è passalo addentro. Per lo coulrario il ce­ dro non riliene il chiodo. 11 tiglio è mollo tenero, e secondo che si dice, è caldissimo ancora ; di che ne danno questo segno, che tosto ingrossa il ta­ glio dell'ascia. Caldi pur sono il moro, P alloro, l 'ellera, e tutti quegli, di cui si fa battifuoco.

lOMABIA B LIGIO.

D bl lb o m o , o i m s i o b s t a f u o c o .

LXX.VII. Exploratorum hoc usus in castris, paslonamqae reperii, quoniam ad excudendum ignem non semper lapidis occasio est. Teritor ergo lignum ligno, iguemque concipit adlritu, excipiente materia aridi fomitis, fungi vel folio-

LXX VII. Hauno trovalo ciò coloro, che fanoo le guardie negli eseroili, e i pastori, i quali per­ chè non hanno sempre l ' occasione delle pietre focaie, stropicciano l’ un legno con l'allro e con quel fregare vengono. destando il fuoco, il quale

C. P U M I SECUNDI rum facillimo conceptu. Sed nihil edera praestan­ tius quae teratur, lauro quae Ierat. Probatur et vitis silvestri», alia quam labrusca, et ipsa edera· modo arborei* scandetis. Frigidissima qaaecumque aquatica: lentissima autem, el ideo scuti· fscieudis aptissima* quorum plaga contrahit se protinus, dafiditque suora vuluus, el ob id cootvraacius transmittit ferrum: in quo suot genere fici, salis, tilia, bdolla, sambucus, populus utraijue. Levissima ex bis ficus cl salia, ideoque uti­ lissimae. Omnes aulem ad «istas, quaeque flexili crate cooslaoL Habent et candorem, rigoremque, et in sculpturis facili la lem. Est lentitia platano, sed madida, sicut alno. Siccior eadem ulmo, fraxi· no, moro: ceraso, sed ponderosior. Rigorem fortissime servat ulmus: ob id cardinibus, crassa· mentisque portarum utilissima, quoniam minime torquetur : permutanda tantum sic, ut cacumen ab inferiore sit cardina, radix superior.

Palmae est mollis, et suberis materie· : spissae et malas, pirusque: neo non acer, sed fragile: «t quaecamque crispa. In omnibas silvestria et (na­ scala differentias cujaaque generis augent. Bt ia fecaoda firmiora fertilibus, nisi qno in genere mores ferunt, sicut cupressus, et cornus.

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facilasente s 'apprende in malaria aecca dilango o di foglie. Ma non c* è aaeglio deir dieta, ad essere stropicciata, oè dell* alloro a stropicci·re. Approvasi ancora per ciò uua vite selvatica, cke non è 1' abrostine, la quale saglie aoch* essa sai· l’ albero, come fa I1ellera. Ogni albero acquatico è frigidissimo, e molto agevole a piegarsi ; e per­ ciò buonissimo a fare scudi, perchè come è per­ cosso, subito si rilà e ripiglia il suo essere, e coaie è ferito, si rinchiude di bel uuovo ; onde noo dà che difficilmente passaggio alle arcai. Di quest· surlesouo il fico, il salcio, il tiglio, la betulla, Π sambuca, e Γ uno e l ' altro oppio. Leggerissimi sono alcuni di questi, come il fico e il salcio, e perciò utilissimi. Son poi tutti pieghevoli, e buoni a far fiscelle e altri vasi iatessoti. Haooo anche bianchezza, durezza, e soo facili a soolpire. Il platano è pieghevole, m a bagnalo, come Γ ο ο ι μ ο . E più secco Γ olmo, il frassino, il moro, e anche il cùriegio, ina questo è più pesaole. L* olmo noe non si torce punto, « perciò è buono a fare or­ dinali, e imposte di porlo; «olo s 'ba da por cam obesi pedale stia di sopra, « la vetta di sotto. È molle il legname della palma e del severo : deuso quel del meloe del pero, e anche quel ddPaoero,che però è più fragile t molle è poreogai legname crespo. In ogoi albero fmdifferenza Tes­ ser selvatico, e taasebio: gK sterili sono più sodi che i fèrtili, fuorché di quelle specie, di cui i ma­ schi producono, sieoooie sono il ap re··· e il corniolo. Q

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FENDABO.

LXX. V 111. Cariem vdustatemque uoa sentinat cupressus, cedrus, ebenus, lotos, buxus, taxus, juuiperus, oleaster,et olea: ex reliquis tardissime larix, robor, subsr, castanea, jnglaos. Rimam fisauramque non capit sponte cedrus, cupressus, olea, buxos.

IlisToBicA

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mrBToiTATB a&miiaDM.

LXX1X. Maxime aeterna putant ebenum, et copressum,cedrumqoe claro de omnibus materiis judici· ia templo Ephesiae Dianae : nt pote quum tota Asia «istruente quadringenti· annis peractum ait,convenit teclum ejus esse e cedrinis trabibus. De ipso simulacro deae ambigitur : ceteri ex. ebe­ no esse tradunt. Mucianus ter consul, ex his qui proxime viso eo scripsere, vitigineum, et num· quam mutatum seplies restitato templo. ttanc materiam elegisse Pandemico : eliam nomen arti­ ficis nuncupans: qood equidem miror, quam aotiqutovem Minerva quoque, uon modo Libero

LXX V ili. Noo intarlano, e noo invecchiano mai il cipresso, il cedro, Γ ebeno, il loto, il bosso, il lasso, il ginepro, Γ ulivo nlratico, oè il dome­ stico. Degli altri tardissimo intarlano il larice, il rovero, il suvero, il castagno e il noce. Kos si fendouo naturalmente Mstdij», il espressa, Poli­ vo, uè il bosso. CbHRI STOBICl SOLLA FBBFET01TÀ DEI I J 6 H B I

LXX 1X. Tiensi cbe sieno durevoli senza fiae Γ ebeno, il cipresso e il cedro, vedendosene chiaro argomento nel tempio di Diana Efesia, S quale col concorso di tutta Γ Asia fu edificalo in quattrocento anni. 11 tetto d 'esso, per parer di ognuno, è di travi di cedro. Della statua della dea si sta io dubbio : tutti gli scrittori dicono eh1ella è d’ ebeno, ma Mudano alalo tre valla consolo, ua« di quegli «he avendola vodota di fresco n' hanno scritto, dioe eh' è di vite, a che oco tutto ohe il tempio ai sia rifatto boa antte volte, non *’ è però mai malata» « che qoaslo k -

HISTORIARUM MONDI LIB. XVI. patre, vetustatem ei tribuat. Adjicit mullis fora­ minibus nardo rigari, at medicat» humor alat, teneatque juoclaras, quas et ipsas esse modico ad­ modum miror. Valvas em e cupresso, et j m qua* dringeatis prope ansis dorare materiem omnem novae similem. Id quoque notandum, valvas in dialisi· compage quadriennio faisse. Cupressus in eas electa, quoniam praeter eetera uno io ge­ nere materia· nitor maxime valeat aeternus. Noooe simulacrum Vejovis io aroe e cupresso durai, a coadita Orbe d c l x i anoo dieatnm? Me> inorabile et Oticae templum Apollinis, ubi Numi­ dicarum cedrorum trabes durant, ita nt positae fuere prima orbis t j a t origine, annis κ ιχ χ τ ιη . Et i» Hispania Sagunti ajant templum Dianae a Zacyntho advectae cum eoodi lori bos, annis docentis ante excidium Trojae, ot auetor est Bocchos, infraqoe oppidum ipsam id haberi. Cui peperei! religione indoctos Hannibal, juniperi trabi boa etiam anno dorantibos. Super omnia memoratur aedes in Aulide ejusdem deae, seculis aliquot anteTrojanum bellum exaedificata : qoonam gesiere materiae adeo lia obliterata, in pie­ ne·» dis» poiest, u lique quae odore praecellant, ea aetendtate praestate.

A praedietis morus proxime tandatur, qoae vetustate etiam nigrescit. Et quaedam tamen m aliis dintnrniora sunt usibns quam alia. Ulmus in perflatu firma, robur defossura, et in aquis quercus obrute. Eadem snpra terram rimosa fecit opera, torquendo sese. Larix in hem ore praecipe·, et alnus nigra. · Robur marina aqua corrumpitur. Non improbatur et fvgos in aqua, et juglans :'hae qaidem in his, qoae defodiuntur, vel principales, liem juniperus : eadem et subdi»· libut aptissima. Fagus et cerrus celeriter maroeseunt. Esculus quoque humoris impatiens.Contra adacta ha terram in palustribus alnus aeterna, onerisque quantilibet patiens : cerasus firma : almos et fraxinus leotae, sed fàcile pandantur: flexiles tamen, slantesque a circumcisura siccatae fideliores. Laricem in maritimis navibus obno­ xiam teredini tradunt : oraoiaque, praeterquam oleastrum et otesm. Quaedam enim in mari, quaedam in terra vitiis opportuniora.

gname fu eletto per ciò fare da Pandemione, in· dicando anche il nomed*ll*artefice: ma io molto mi'maraviglio, eh’ esso le attribuisca maggiore antichi ti, ebe noa solo a Bacco, ma ancora a Mi­ nerva. Àggiugne, che per melli buchi si bagna col nardo, acciocché tale umore nutrisea e ritenga le congiunture, le qaali non fo gran maraviglia che ci sieno. Dice che le porte son di cipresso, e che già quasi quattrocento anni son durate come nuove. E ciò anco è da considerare, che queste porte stettero ben quattro anni in mastice, per­ ché se ne saldassero le commessure. Fu eletto il espresso per esse, perchè non è alcun altre legna­ me, che conservi più tempo lo splendore e pu­ litezza sa». Or non dura ella ancora la statua di Giove infante di cipresso io Capitolio, dedieata nei principio di Roma, onde son oggi cinquecento sessanta» anno? Maravigliosa cosa è ancora il tempio d’ Apolline in D tki, dove durano te travi dei cedri di Numidia, cosi come eHe Inrono poste nella prima origine di qoella città, già mille cento settantotto anni. E · Sagunto in lspagna dieono essere il tempio di Diana portata quivi dell* isola di Zante dalla colonia che fondò qaella terra, du­ gento anni innanzi la mina di Troia, secondo che seri ve Bocco. Questo tempio è sotto la città,al quale mosso da religione non fé* guasto altrimenti An­ nibale : le travi di ginepro vi durano ancora oggi. Ma soprattutto è in fama il tempio della medesi­ ma dea in AoUde, edificato alami seooli innanzi alla guerra Troiana, di legname che oggi più non si conosce. Or si può dire generalmente, che gli alberi pià odorosi sono anche i piò durevoli. Dopo questi molto è loJato il moro, il quale per vecchiezza diventa nero. Alcani ia certe ope­ re dorano molto piò ebe gli altri. L1 olmo resista a* venti, e il rovero dura sotterrato. La quercia afioadata nell* aequa dura asaai, e foor dell' acqua si in d e e si ritorce; Il larice e Γ ootaao nero da­ ràno assai nelT omido. Il rovero si guasta nelΓ acqua marina. Il faggio e il noce aaeh* essi stan­ no bene eolio acqao, e sono de' principali chè si aiettono sotto terra; e cosà il ginepro, il qoale è però buono anco allo scoperto. Il faggio e il ceht> infracidano tosto. L 'ischio anch' esso ha lyacqua nemica. Per opposito Γ oaUno sotterrata in laogo paludose dura senza termine, e regge qualsivo­ glia pesa: il eiviegio anoh'esso afforza : 1* olmo · il frassino diventan pieghevoli e atti a fendersi $ però restan pieghievoli del pori a più corrispon­ dono al lavoro, se tagliati si lasciano ritti perché n* esca foori ogni umore. Dicesi che il larioe nelle navi è molto soggetto al tarlo, come tolti gli altri legni, fuor che Γ ulivo selvatico e il domestico. Perciocché alcuni alberi pià facilmente ai gua­ stano in mare, e alconi in terra.

C. PUN II SECUNDI T krbdisom genera. LXXX. 4 »· Infestantium quatuor genera. Te­ redines capile ad portionem grandissimo: rodunt dentibus. Hae tantum iu mari sentiuntur: nec aliam putant teredinem proprie dici. Terrestres, lineas vocant : culicibus tero similes, thripas. Quartum estel e vermiculorum genere: et eorum alii putrescente succo ipsa materie: alii pariuntur, sicul in arboribus, ex eo qui ceraste» vocatur. Quum tanlnm eroscrii, ut circumagat se, generat alium. Haec nasci prohibet in aliis amaritudo, ut cupresso; io aliis duritia, ut buxo. Tradunt et abietem circa germinationes decorticatam, qua diximus luna, aquis non corrumpi. Alexandri Magni comites prodideruut, in Tylo Rubri maris insula arbores esse, ex quibus naves fierent : quas cc aunis durantes invenias: et si mergeren­ tur, incorruptas. In eadem esse fruticem baculis lanium idoneae crassitudinis, varium tigrium maculis, ponderosum : et quum in spissiora deci* dat, vitri modo fragilem.

Db

m a t b r iis a r c h it b c t o r ic a .

LXXX 1. 4 >· Apud nos materiae finduntur aliquae sponte : ob id architecti eas fimo illitas siccari jubeat, ut adflatus non noceant. Pondus sustinere validae, abies, larix, eliam in transver­ sam positae. Robur et olea iucurvanlur, ceduutque ponderi. Illae reniluuLur, nec temere rum­ puntur : priosque carie, quam viribus deficiant. Ei palmae arbor valida ; in diversnm enim cur­ vatur, et populus. Cetera omnia inferiora pan­ dantur: palma e contrario fornicatim. Pinus et cupressus adversus cariem tineasque firmissimae. Facile pande lar juglans. fiuul enim et ex ea trabes. Frangi se praenuntiat strepitu: quod in Anlandro accidit, qaum e baluets territi sono profugerunt. Pinas, piceae, alni, ad aquarum ductus ia tabos cavaatar. Obrutae terra plurimis durant annis. Eaedem si non integantur, cito senescunt: mirum in modum fortiores, si humor extra quoque supersit.

'464 D b i .l b

s p e c ie d b ’ t a r l i .

LXXX. 4 ·· Quattro sono le sorti degli ani­ mali, che guastano gli alberi: il tarlo ovvero te­ redine; ha granitissimo capo in proporzione del corpo, e rode co'denti. Questo solo si sente in mare, e liensi comunemente che questo sia pro­ prio la teredine. Souci poi le tignoole terrestri, e le Iripe, simili alle zantare. Il quarto è uoa sorte di vermiui, de1 qaali alcuni nascono del sugo dello stesso legname fradicioso, ali ri nascono di quel verme che si chiama cerasta, il quale quando ha Unto roso l'albero che si possa muo­ vere, ne produce un altro. L 'amaritudine in al­ cuni alberi è cagione che questi animala»! non vi fiossou nascere, come nel cipresso ; e in alami la durezza, come nel bosso. Dicano ancora che l'abete scprlecciato al tempo che germ oglia, in quel |Minlo di luua che già dicemmo, non si può guastar nell*acqua. 1 soldati di Alessandro magno dissero, come ia Tilo, isola del mar Rosso, sono alberi di cui si faano navigli, i quali trovasi che sono durali per dagento anni, e affondando noo si sono mai guasti. Quivi è ancora ano sterpo che non ingrossa più che un bastone, pesante, e inda· natalo come le tigri, il quale se cade sopra cose dure, si rompe come vetro. D e'

legnam i d ' a r c h it e t t o .

LXXX 1. 4 >- Appresso di noi alcuni legnami si fendono da sè stessi, e per questo gli architetti li fanno seccare coprendoli di fango, a c c io c c h é i veoti non nuocano loro. L 'abete e il larice soo buoni a sostener peso, ancorché sieno posti attra­ verso. Il rovero e l'ulivo si piegano, e c e d o n o al peso. Quegli resistono, nè si rompouo: periscono per tarlo, prima che per mancamento di rigore. Anche la palma è albero posseule, perché si ri­ piega al contrario che gli altri: così fa aucora l'oppio. Gli altri alberi si curvanu per di sotto; la palma per opposto si curva iu arco. Il pino e il cipresso non sono offesi dalle liguuole. Il noce facilmente s'apre, giacché anche d ' e s s o si fan Iravi, e con lo strepito annunzia la sua frallura; il che avvenne iu Anlandro, dove alcuui sbi­ gottiti dallo scoppio fuggirouo fuor dei bagno. 1 pini, le picee e gli ontani si cavano, e votano per far doccie e coodutli, e durauo sotterra molli anni. Se uon si cuoprono tosto, marciscono ; e mirabilmente si f«n piò forti, se 1' umore li loco anche di fuori-

• 465

HISTORIARUM MUNDI UB. XVI. D e w a tb iiia , f ì b i i i m .

Di

146 G

q o b l l i da fa lego a n e .

LXXX 11. Firmissima »11 reehim abies. Kidem valvarum paginis, et a«l quaecumque libeat inte­ stina opera aplissima, sive Graeco, sive Campano, sive Siculo fabricae artis genere spectabilis: ra­ mentorum crinibus, pampinato semper orbe se volvens ad incilalos runcinae raplos. Eadem et c»rribu< maxime sociabilis glutino, in tantum, ul findatur ante, qua solida est.

LXXX 1I. L'àbete messo in opera diritto# saldissimo. È mollo ben alto a fare le stanghe degli uscii, e ogni altro lavoro uell* interno delle case, e riesce bellissimo lavoralo all'usanza Greca, o Campana, o Siciliana ; e sempre la sua raschia­ tura si volge in anelli sotto al veloce trailo della pialla. È ancora molto acconcio a congiugnersi col mastice nei carri, di maniera che piuttosto si fende altrove, che non si spicca nella congiuntura.

D b GLOTIHAlfDA MATBBIA.

C o k e s ' 1s c o l l i i l l e g r a h e .

LXXX 1II. 43. Magna antem et glutini ralio, propter ea quae sectilibus laminis, ac in alio ge­ nere operiuntur. Stamineam in hoc usu probant veoam, et vocant ferulaceam, argumento simili­ tudinis, quoniam laciniose crispa, in omni genere. Et glutinum abdicant quaedam el inter se et cum aliis insociabilia glutino, sicut robnr: 468

C. PLICHI SBCDKU1 Ex iisdem malleos, majoresque e pinn el ilice. Est hìs aulem major ad firmi talem cansa tempe­ stivae caesurae, qoam immaturae : quippe quum te ole«, durissimo ligno, cardines in foribus diu­ tius immoti, plautae modo germinaverint. Cato vecles aquifolios, laureos, ulmeos fieri jubet. Hy­ ginus manubria rasticis carpi nea, iligoa, cerrea.

Qine in laminas secantur, qoorumque opetiraento vestialur alia maleries, praecipua sunt citrum, terebinthus, aceris genera, buxum, pal­ ma, aquifolium, ilex, sambuci radix, populus. Dat et alnus, ut dictum est, tuber sectile, sicut citrum, acerque. Nec aliarum tubera in pretio. Media per* arborum crispior, et quo propior ra­ dici, minoribus magisque flexilibus maculis. Haec prima origo luxuriae, arborem ali» integi, el viliores ligno pretiosiores cortice iìeri. Ut una arbor saepias veniret, excogitatae sunt el ligni bracteae. Nec satis: coepere tingi animalium oornua, dentes secari : lignuroqae ebore distin­ gui, mox operiri. Placait deiude materiem et in mari qtoaeri. Testudo in hoc seeta. Nnperqoe portentosis ingeniis principatu Neroni· inventum, ut pigmentis perderet se, plurisqae veniret imi­ tala lignum. Sic lectis pretia quaeruntur: sic terebinthum vinci jubent, sic cilram pretiosius fiari, sio acer decipi. Modo luxuria non fuerat contenta ligno: jera lignum enim e testudine fecit.

A eboeum

d o b a r t iu m

v etusta » .

Ab

A fr ic a n o

PEIOER SATA. 1« r a i l RoMA D AMOROM ARBOR.

labili. Onde trovasi che si fanno i manichi de’sacchiellini di olivastro, di bosso, di laccio, di olmo e di frassino. De* medesimi si fan magli ; maggiori però sod quelli che si. faano di pino e di leccio. E a voler far queste eose più forti, bisogna ebe i legnami sieno tegliati, non acerbi, ma pià tasto ei lor tempi debiti} perché dell'ulivo, legno durissimo, durano assai i cardinali delle porte, par che le piante abbiano germogliato. Catone vuole che le stanghe si facciano di acquifoglio, di olmo, e di alloro. Igino vuole che i manichi degli utensili rurali si facciano di carpino, di leccio e ili cerro. * Di quelli che si segano in asserelli, e del coi coprrraenlo si veste un'altre materia, sono buonis­ simi il cedro, il terebinto, l'acero d'ogni specie, il bosso, la palma, l ' acquifoglio, l ' elee, la radice del sambuco, a Γ oppio. Produce l ' ontano, come si è detto, certi rigonfiamenti che si segano, come il cedro e l'aeero: nè altri gonfiamenti deie piante sono ponto stimati. La perla di Reetto degli alberi è più crespa, e quanto è più vicina elle re dice, he macchie più pieghevoli, e piè pic­ cole. Questa fu la prima origine della splendideEza, che l 'uno albero fosse coperto dell' altro, e che qne' legni, che sono di materia piò vile, ή facessero più pretiosi con la coperta d 'nitro le­ gno ; e Acciocché an albero si vendesse in pià volle s1è trovalo il segare il legno in piatire. Ma questo noo è abbastanza ; che si è cominciato a tinger le corna degli animali, e segarne i dent»,·· fornire il legno con l'avorio, e di poi coprirlo tallo. Piacque ancora cereame materia in mare ; e per­ ciò la testuggine fu segata. E nuovamente nell'im­ perio di Nerone si è trovato eoa mostruose in­ venzioni, come si svisasse con belletti e tinture, e si vendesse più caro, ridotta simile al legno. Così si cerca prezzo ai letti, così si vuole cbe il terebinto vince il colore della testuggine, che il cedro ne sia più prezioso, e che l ' acero sia con trafi ito. Poco fa la splendidezza non era contenta del legno, ed ora fa legno di testuggine. D

eli/ et à d e g l i a l b b e i.

Di

a l b e r i p ia n t a t i dal

MAGGIORE AvmCARO. A l »E E · U t ROMA CHE AVEA CINQUECENTO ANNI.

LXXXV. 44 ’ Viti arborum quarumdam im­ mensa credi potest, si quis profande mundi et saltas inueeessos cogitet. Verum ex his qaas me­ moria hominum custodit, durant in Liternino Africani prioris mana satae olivae. Item myrtus eodem loco conspieuse magnitndinis. Subest spe­ cus, in qno manes ejus custodire draco traditur. Romae vero lolos in Lueinee eres, anno qui fuit sine raegislratibns c c c l x x i x Urbis, aede condii·,

LXXXV. 44· vi1* «*i certi alberi si può creder che sia lunghissima, chi vorrà considerare i luoghi ripostissimi che vi sono al mondo, e le selve «love non si può ire. Ma di questi ehe la memoria degli uomini custodisce, durano ancora oggi in Lilerno gli ulivi piantali di mano del maggiore Africano, dove pere è ma mirto di me­ ravigliosa grandezza. Quivi sotto « nna spdonea, dove si dice che sta un dragone, il quale ha in

HISTORIARUM MONDI UB. XVI. incertum ipsa quanto vetustior. Esse quidem vetustiorem n oD «itM ium ,t|m n abeotuooLuciaa n o m in e t u r : {nee tr o u c circiter anuum o c c cl habet. Antiquior illa est, seti incerta ejus aetas, qaae capitiate dicatur, quoniam Vestalium virgi­ nale capiUas ad eam Jefertor.

Ab U r b e

guardia l* anima di lui. In Roma nella piazza del tempio di lancina, edificalo nell*anno che fa senza magistrati, trecento setttntanove dopo la edifica­ zione di Roma, c’ è uu loto che viveva pure al tempo di questa fabbrica, nè si · · quanto innanzi fosse piantato. Ma non è dubbio alcuno, èh'egli è pià aulico assai, perciocché dal bosco che quivi fu, prese il nome la detta Lucina, e questo avvenite già d'intorno a quattrocento cinquanta anni. Molto ptà antico di esso, ma di più incerta età, è quello che si chiama capillato, perchè a quello li porta la chioma dette vergini Vestali, quaudo per la loro consacrazione la si recidono. A l BBRI, LA COI VITA RISALE U RO ALLA Ft>M>AZI01ft

c o n d ita arb o b b s.

m R oma.

LXXXV 1. Verum ellera l o t o s in Vulcanali, quod Ramulus c o n s t i t u i t e x v i c t o r i a d e d e c u m i s , a e q u fc e v a Orbi i n t e l l i g i t u T , u t a u c t o r e s t Masu­ r i u s . Radices ejus i n f o r u m usque Caesari* p e r s t a t i o n e s m u n i c i p i o r u m p e n e t r a n t . Fuit c u m «a c u p r e s s u s « e q d v t i s ; circa s u p r e m a Neronis prin­ c i p is p r o l a p s a a t q u e n e g l e c t a .

V b t c s t i o b e s U rfb t e

LXXX VI. Un tltro luto è nel Vulcanale, pian­ tato quivi da Romolo per la vittoria delle decid­ ine, e «redesi che sia del medesimo tempo che Ih città, come scrive Masurio. Le sue radici arriva­ no fino alla piaiza di Cesare, passando per le stanze de* giovani municipali. Fu con esso un cipresso di pari età, il quale negli ultimi auui di Nerone ruiuò, e andò male. » A lberi

s c b o r b a n is .

b e' so b b u k g h i ancora p iù a n t ic h i.

LXXXV 1I. Vetustior autem Urbe in Vaticano Hex, in qua titulus aereis literis Etruscis, reli­ gione arborem jam tura dignam fuisse significat. Tiburles quoque originem multo ante urbem Romam habent. Apud eos exstaot ilices tres, etiam Tiburto conditore eorum vetustiores,-apud quas inaugnralus traditur. Fuisse autem eum tradunt fi Irem Amphiarai, qui apud Thebas obierit «na aetale ante Iliacum bellum.

LXXX VII Nel Vaticano è uu leccio assai più aulico di Roma, nel quale è un’iscrizione di rame in lettere Toscane, che dimostra, come qnesto •Iberoper religione era molto onorato fino a quel tempo. Tivoli ancora ha l'origiue sua molto in­ nanzi di Roma, eppur quivi sono tre lecci più antichi aucora di Tiburto, che edificò quella citlà, perchè si dice ch'egli presso quegli alberi prese gli augurii e fu incoronato. Dicono ehe egli fu figliuolo di Anfiarao, il qual mori sotto Tebe, uu’ elà iunauzi alla guerra di Troia.

Ab



A gahem nonb

sa ta k

aabo res

a

p h im o

anno

ALBKRI

p ia n t a t i da

Agamennone :

d ' a l t r i il

b e l l i T r o ja n i: ab I lii a p p e lla tio n e a rb o re s

PRIMO ANNO DELLA GUERRA TROIANA ’. D* ALTRI

a p u d T r o i a · a n tiq u io re s b e ll o T ro ja n o .

CHB BARBO NOME DA 1 (4 0 . ALBERI M ESSO TROIA PIÙ ANTICHI DELLA GUERRA TROIANA.

LXXXVIII. Sunt auctores et Delphicam pla­ tanum Agamemnonis manu satam : et alteram ia Caphyis Arcadiae luco. Sutot hodie ex adverso llteftsium urbis, juxta Hellespontum, iu Protesilai sepolcro arbores, quae omeri bos aevis quum in tantum aderevere, ut IKum aspiciant, inarescunt, rurstrsque adolescunt. Juxta urbem autem quer­ cus, in Hi tumulo tunc satae dicantur, quum coepit Ilium vocari.

LXXXVIII. Sonoalcuui autori che dicono, eome in Delfo è uh platano piantato per mano di Agamennoue, e nn altro in Callo bosco di Ar­ cadia. Sono oggi dirimpetto alla d ttà di Troia, presso all* Ellesponto, nel sepolcro di Protesilao aleniti alberi, i quali ad ogni grau tempo, dappoi che sono cresciuti tanto che veggono Troia, si seccane, e di nuovo T Ì f t g i o v a n i s e o a o \ « preavo alla città è uua quercia nella sepoltura d’ Ilo, ia quale dicono ehe fu piantata allora che si comin­ ciò a chiamare Ilio.

«4?»

G. PLINII SECUNDI

I t e m A i g u a b H b ic o li s a t a b . Ab A p o l u r b s a t a b . A b b o b a b tiq u io b qoam A tb b k a b .

LXXXIX. Ar |tis olea eliaronum dum re dici· lu r, ad quam lo iu vaccam mutatam Argus alligaverit. In Ponlo circa Heracleam arae sunt Jovis Stralli cognomine : ibi quercus duae ab Hercule salae. In eodem traclu purius Amyci est Bebryce rege interfecto clarus. Ejus tumulus a supremo die lauro legitur, quam insanam vocant: quoniam si quid ex ea decerptum iuferatur na­ vibus, jurgia fiant, donec abjiciatur. Regionem Aulocrenen diximus, per quam ab A pamia in Phrygiam itur : ibi plalauus osleuditur, ex qua pependerit Marsyas vicius ab Apolline, quae jam lura ma«nitudine electa est. Nec non palma Deli ab ejusdem dei aelale couspicilur. Olympiae oleaster, ex quo primus Hercules coroaalus esi, et ounc custoditur religiose. Athenis quoque olea durare tradilur in ccrtamiue edita a Minerva.

Q

D’ a l b b b i

A bbobbs

e x e v k r t u b o b il e s .

ib A b g o p i a n t a t i

TATI DA ÀPOLLO.

D' u b o

Di q u e g l i

: m fia b -

a lb e r i ch e d o r a r poco.

XC. Per contrario brevissima vita hanno i melagrani, i fichi e i meli, e fra questi vivono manco i primaticci che i serotini, i dolci che gli acuti ; e dei melagraui quei che son più dolci. 11 medesimo è utile vili, e massimamente nelle più fertili. Scrive Greciuo, che uua vite durò sessanta anni. Vedesi ancora che gli alberi aquatici man­ cano più tosto. Invecchiano mollo presto, ma rimettono dalle radici, l1 alloro, il melo e il me­ lagrano. Ben sono di lunghissima vita gli ulivi, poiché, secondo che gli autori s 'accordano, vi­ vono per insino a dugento anni. Di

q u e l l i c b e a c q u is t a r o n o o r o r e p e r q u a l ­ che

XCI. Est in suburbano Tusculani agri colle, qui Corne appellatur, lucua antiqua religione Dianae sacratus » l>atio, velut arte tonsili coma tagei nemori».· Iu hoc arborem eximiam aelale nostra adamavit Passieuus Crispus bis consul, orator : Agrippinae matrimonio et Nerone privi­ gno clarior postea : osculari complecliqae eam solitus, modo cubare sub ea, viaumque illi adfuudere. Viciua luco «st ilex, et ipsa nobilis xxxiv pedum ambitu caudicis, x arborea milieu» siugulas magnitudinis viaeudae : silvamque sola facit.

da b t c u u

p iù a r tic o c i c A tb b b .

LXXXIX. Dioesi che in Argo oggi aocora e un ulivo, al quale Argo legò lo mutata in vacca. In Ponto intorno ad Eraclea sono altari di Gio­ ve cognominato Strazio, dove pure due querae piaulale da Ercole. Nel medesimo paese è il porto, illustre per la morte che al re fiebrice diede Ami­ co. La sua sepoltura è coperta infino dal di della sua morie, da un alloro che si chiama furioso, perchè se da esso è colta alcuna cosa, subito uascono brighe fin ch'ella è gettala via. Noi abbia­ mo partalo del paese di Aulocrene, per lo quale si va d' Apamia in Frigia : quivi è un platano, ai quale fu impiccato Marsia vinto da Apollioe, elet­ to a ciò, perchè fino da allora egli era di conve­ niente graudezta. Vedesi aucora una palma ia Deio dell* età del medesimo dio. L’ ulivo salvalico d 'Olimpia, del quale il primo cbe s 'incoro­ nasse fu Ercole, oggi ancora religiosamente si guarda. In Alene dura ancora no « I m o , il quale si dice eh* è quello cbe.fu -fallo nascere da Mi­ nerva, quando ella venne a contesa con Nelluno.

uae g b n b b a arborum m im m e d u r e n t .

XC. E diverso brevissima vita est Punicia, fico, malis: ex his, praecocibus brevior quam serotinis, dulcibus quam aculis : et dulciori in Punicis, liem in vilibus, praecipueque fertiliori­ bus. Graecinus auctor esl,sexugenis anntrdura* se vites. Videntur el aquaticae celeriu* interire. Senecunt quidem velociter, sed e radicibus re­ pullulant, laurus, et mali, et Puuicae. Firmissi­ mae ergo ad vivendum oleae, ut quas durare aiuiis cc inler auctores conveniat.

i47a

fa tto .

XCI. In una villa del Tuaculano, ucl colle che si chiama Come, è uu bosco per aulica religione consacralo a Diana da lutto il Lazio, il quale pare che per industria uniasta abbia la chioma tosata a somiglianza dei faggi, iu questo bosco è un bel* lissimo moro, di coi fu innamorato Γ oratore Passieno Crispo slalp duevolle canaolo, il quale fu patrigno di Neroee, perchè ebbe per moglie Agrippina. Costui non solamente v» alava sol lo all’ ombra, ma li» baciava e abbracciava, e iaaffiavalo col vino. Presso al bosco è un leacio, il cui pedale gira Irentaqualtr· piedi ; etto n' ha pro­ dotto dieci altri, ciascuno di notabile grandezza, tanto che ei solo compone un· selva.

HISTORIARUM MUNDI LIB. I T I . Q oae «boem nascendi suam n o e habbant : q uae

D i ALCONB COSE CUB NON BARRO (ITO VBOPBIO A

m ABBOBIBD3 VITANT, SBC IS TBBBA BAtCI POS­

NASCBBB : ALCONB VIVONO NEGLI ALBBBt, B NOV

SINT. G m u b a babum ix . C a d t t a s : p o l t p o d io n :

POSSONO RASCBBB IR TBBBA. NoVBSPBCIB DI QUB-

riÀ O M S : H1PPOPHAKSTOH.

STE. EBBA CADITA: POLIPODIO j PAUHOj IPPOFBSTO.

XCII. Edera necari arbores cerlnm est. Simile qaidoam el in viseo : tametsi tardiorem earum tojuriim arbitrantur: namque et boc praeter fruetus agnoscitur oon in novissimis mirabile. Qnaedam enim in terra gigni non possunt, et in arboribus nascuntur. Namque quum suam sedem non habeant, in aliena vivunt, sicut viscum. Eat et in Syria herba quae vocatur cadytas, non tantum arboribus, sed ip s is etiam spinis circumvolvens s e s e : item circa Tempe Thessalica, quae polypodion vocatur, «t quae doiichos, ac serpyl­ lum. Oleastro quoque deputato quod gignalur, veeant phaunos. Quod vero in spina fullonia hippophaeston, capitulis inanibus, foliis parvis, radice alba, cujus succus ad detractiones iu comitiali morbo ultissimns habetur.

VlsCI TBlA GENERA. De VISCI BT SIMILIUM MATUBA*

XCII. È certa cosa che Γ ellera uccide gli al­ beri : il medesimo effetto fa il visco, ma in più lungo tempo ; perciocché anche in questo, oltre il frutto, v' ha un che di mirabile. E di vero, al­ cune cose sono, che non possono nascere in terra, e nascono negli alberi, poiché non avendo pro­ pria stanza, vivono in estrania, come il visco. Iu Siria ancora è un'erba, che si chiama cadila, la quale s'avviluppa non solamente intorno agli alberi, ma ancora alle spiue ; e intorno a Tempo di Tessaglia ve n’ è un'altra, che si dice polipodio, e un* altra che nomasi dolico, e serpillo. Quella che nasce nell' ulivo salvalico scapezzalo, é detta faunos, e qoella che nasce nei purghi, si chiama ippofeslon : fa piccoli gambi e vóti, piccole foglie e radice bianca : il suo sugo è ottimo a far e le diversioni nel morbo caduoo. T h e s p e c ie d i v is c o . D e l l a r a t u b a d e l

v is c o

E SIMILI.

XCIII. Visci tria g e n e r a . Naraqne in abiete ac larice stelin dicit Euboea nasci, hyphear àreadia. Viscum autem in quercu, robore, pruno silvestri, terebintho, nec aliis arboribus adnasei, plerique. Copiosissimum In quercn, quod dry os hyphear vocant. In omni arbore, excepta ilice et qnerott, differentiam facit odor virusque, et folium non jucundi odoris, utroque viici amaro et lento. Hyphear ed saginanda pecora utilius. Vitia modo p o r g a t primo: dein pinguefacit, quae suffecere ^argationi. Quibus sit aliqua tabes intus, negant durare. Ea medendi ratio, aeslatis quadragenis diebus. Adjiciunt discrimen, visco in hi» quae folia ammittant, et ipsi decidere : eon Ira inhae­ rere «ito in aeterna fronde. Omnino autem s i l t m a o llo modo nascitur, nee nisi per alvum •vhitn redditum, maxime palumbi* ae turdis. Baec est aatur·* a t nisi maturatum in ventre anriuia, non proveniat. Altitudo «jus non excedit cubitalem, aemper frutectosi ao viridis. Ma· forferaina sterilis. Aliquando non fert.

XCI1I. Tre sorti sono di visco. Perciocché in Eubea nell' abete e nel larice nasce lo steli, e in Arcadia lo ifear. Il viseo non nasce se non nella quercia, nel rovero, nel pruno salvalico e nel tere­ binto. Copiosissimo é quello della quercia, e si domanda drios ifear. In ogni albero, fuorché net1*elee e nella quercia, fa differenza l'odore, il sentore, e la foglia di sapor mal grato, che netl ' uno e nell' altro è amara e viscosa. Lo ifear i molto utile a ingrassare i bestiami : prima gli purga, poi ingrassa quegli che ressero alla pur­ gazione. Ma quei che hanno alcuna malattia den­ tro, non possobo du ravvi. Questo modo di medi­ rare dura quaranta giorni di stale. Aggiungono aneora questa differenza, che il visco nato fra quegli alberi che perdono le foglie, le perde an­ ch’ esso, e per contrario avviene che le ritenga se nasce fra alberi di perpetua fronde. Seminato non nasce a patto veruno, né in alcuno altro modo se oon iemali!to pel corpo degli uccelli, e massimamente de* colombi e dei tordi. Questa è la sua nalura, che non proviene, se aon maturato nel corpo degli uccelli. L 'altezza sua non passa un braccio, e sempre con molle messe é verde. Il maschio é fertile, la femmina sterile. Alcuna volta non produce.

>4τδ

C. PLINII J5ECDNDI HISTOB. MUNDI LIB. XVI. D*

De

D e l f a b e i l v isco .

VISCO FACIBRDO.

XC 1V. Viscum confit ex acinis qni colligantur -messium tempere immatori : nam si accessere •Imbres,amplitudine qaidem angentur, visco vero marcescunt. Siccantur deiode, ek aridi tunduntur, 4e conditi ia aqua putrescunt duodeni· fere Jiebas- Uoumqoe boc rerum putrescendo gnliim «ofemt: inde in profluente, rursus malleo tusi, amissis corticibus, interiore carne lentescunt. Hoc esi viscum pennis avium tactu ligandis, oleo -tpbactfim, qaam libeat ia si dias moliri.

XCIV. Fassi il visco degli acini che ή raccol­ gono acerbi a d tempo della mietUor·, perchè se sopravvengono le piogge crescono sì, ma marci­ scono il visco. Seccansi poi, e secchi si pestano, e dipoi si macerano nell* acqua per died, o dodici giorni. Questa è la sola cosa, che acquisti pregio dall' infracidare. Mettonsi poi di nuovo gli adai in acqua corrente, e con un mazzo si pestano, e spogliali che sieno della boccia si fauoo di dentro a poco a poco tenaci. Questo i il visco, die col toccare lega le penne degli uccelli, che però si concia con olio di noce, quando si vogliano pigliare.

v i s c o B isT o m ic* .

XCV.Non est omittenda in ac re et Galliarom admiratio. Nihil habent Druidae (ila suos appel­ lant magos ) visco, et arbore, in qua gignatar ( si modo sit robur ), sacratius. Jam per se robo* jrum eligunt lucos, nec ulla sacra sine ea fronde conficiant, U t inde appellati quoque interpreta­ tione Graeca possint Druidae videri. Enimvero fnidquid adnaseatar illis, e coelo missum putant, signnmque esse electa· ab ipso deo arboris. Est autem id rarum admodum invento, et repertum asgna religione petitur : et ante omnia sexta luna, qaae principia mensium anaorumque his iacit, et secoli post tricesimum annnra,quia jam virium abunde habeat, nec sit sui dimidia. Omnia sanantem appellantes suo vocabulo, sacrificiis epulisque rite sub arbore praeparatis, duos ad­ movent candidi coloris tauros, quorum corona tunc primam vineiantar. Sacerdos candida veste -cultos arborem aeandit : falce aurea demetit : «andido id excipitor sago. Tora deinde victimas immolant, precantes n t s o o m donum deus pro­ sperum faciat his qaibus dederit. Fecanditatera e o p o to dari cuicomqpe animaliam sterili arbi­ trantur: contra venena omnia esse remedio.Tanta ,gentium in rebus frivolis plerumque religio eat I

1*76

C enni s t o r i c i s o p r a i l v i s c o .

XCV. Io qoesta cosa non è da lasciarsi a die· una maraviglia di Francia. 1 Druidi, che «w chiamano essi i lor magi e sacerdoti, non hanoo cosa p© cominda a indurire. Questo è il segoo che sia tempo di tagliarla, e vogliono ch'ella si lavori appunto quando te vigne. Piantasi a traverso, e non molto sotto, e quanti sono gli occhi, tante sono le messe. Cavasi, e poi si ripianti in un

HISTORIARUM MUNDI LIB. XVII. crescente lana. Vineis anno siccata utilior, qaam viridis.

D

e c b t b b i s a d p b b t i c a s b t p a l o s c a b d o is .

solco d* un piè, sotterrando due occhi di maniera, che il terzo nodo tocchi la terra, e ne stia enrva la cima, acciocché non ritenga la rugiada. Ta­ gliasi a luna crescente, e per le viti è più olile secca, die verde. D bgli

a l t b i c h b si t a g l ia n o p b b f a b

o

p b b t ic h h ·

p a l i.

11 castagno è messo innanzi a ogni, XXXIV. Castane· pedamentis omnibus prae­ XXXIV. fertur facilitate tractatus, perdurandi pervicacia, altro legname per sostener vili o altro, perchè fa­ regerminatione eaedna vel salice laetior. Qnaeril cilmente s 'acconcia, dura assai, e rimetta in mag·. solum facile, neo tamen arenosum : rnaiimeque gior copia che il salcio. Ama il terreno facile, noi» sabulum bumidum, aut carbunculum, vel tofi però arenoso, e massimamente il sabbione umido, etiam farinam, quamlibet opaeo, septemtrionali- o il carbuncolo, o anche farina di tufo, in qualsi­ que et praefrigido situ, vel etiam declivi. Recusat voglia sito freddo e volto a tramontana, o anoha eadem glaream, rubricam, eretam, omnemque declive. Rifiuta il terreno ghiaieto, rosso, cretoso, terrae fecenditatem. Seri nuce diximus, sed nisi e ogni grassezsa di terra. Dicemmo che il nooe si ex maximis non provenit, nec nisi quinis acerva- pianta, ma non nasce se non delle noci grosse, e che tim sa tir. Perfringi solum debet supra, ex No­ sieno semioale cinque per posta. Debbesi romper· vembri mense in Februarium: qoo solutae sponte il terreno di sopra da Novembre fino a Febbraio, cadant ex arbore, atque subnascuntur. Intervalla perchè allora aprendosi da lor medesime caggiono iint pedalia, undique sulco dodrantali. Ex boc dall’ albero, e nascono di sotto. Lo spazio sia per Seminario transferuntur in aliud, bipedali inter­ tutto d’un piede, e il solco di un palmo. Da que­ vallo, plus biennio. Sunt et propagines, nulli qui­ sto scassio si traspongono in un altro, con ispazie dem faciliores. Nudata enim radice, tota in sulco di dne piedi, e più dopo due anni. Nessuno al­ prosternitur. Tum ex cacumine supra terram re­ bero ha più facili propagini, perchè scoperta la licto renascitur, et alia ab radice. Sed translata radice, tutto l'albero si piega giù nel solco. Allora liescit hospitari, pavetque novitatem. Biennio una ne rinasce dalla cima lasciata sópra la terra, fere poslea prosilit. Ideo nucibus potius, quam e un'altra dalla radice. Ma quando è traposta, non viviradicibus, plantaria caedua implentur. Cul­ sa alloggiare io loogo d’ altri, e teme la novità. tura non alia, quam supradictis, fodiendis supMette quasi doe anni dopo. Perciò i boschetti da ta­ putandisque per biennium sequens : de cetero gliare per far pali s’ empiono piuttosto di noci, ipsa se colit, umbra stolones supervacuos ene- che di alberi di viva radiee. Non s'ha a fare altra cante. Caeditur intra septimum annum. Sufficiunt coltura, che le dette di aopra, cioè di zappare · pedamenta jugeri unius vicenis vinearum juge­ potare per doe anni ; del resto dia da sè medesima ribus, quando etiam ea bifida stirpe fiunt, dosi coltiva, perciocché Γ ombra sua ammazza tutte fantque ultra alteram silvae suae caesuram. le messe superflue. Tagliasi in sette anni, e nn in· gero di queste piante dè pali che bastano a venti iugeri di vigne, perchè ancora si fendono in dne, e durano fino all* altra tagliatura della sua selva.! 4 L* ischio si taglia anch’ esso, ma tre anni più ' Esculus similiter provenit, caesura triennio tardi, ed è manco fastidioso a nascere. In qualun­ aenior, minus morosa nasci. In quacumque terra teritur, hascilur e balano, sed non nisi esculi : que terra si «emina, nasce delle sue ghiande, le fccrobe dodrantali, intervallis duorum pedum : quali si pongono un palmo sotterra, distanti seritor leviter qualer anno. Hoc pedamentum mi­ uoa dall’ altra due piedi : si semina quattro volta lii me putrescit, caesumqne maxime fruticat. Prae­ 1*anno. Questo palo non marcisce ponto, e s'egli te r haec, sunt eaedua quae diximus, fraxinus, è bene offeso, tuttavia germoglia. Oltra questi che lauros, Persica, corylus, malus, sed tardius nas­ abbiam detto, si tagliano ancora U frassino, l’ al·· cuntur : terramque defixa vix tolerant, non mo· loro, il pesco, il nocdoolo, il melo, ma nascono piò d o humorem. Sambucus contra firmissima ad pa­ tardi, e fitti comportano a mala pena la terra, noa lu m taleis seritur, nt populus: nam de oepresso che l’ umore. Per lo contrario il palo del sambuco è fermissimo, e piantasi per piantoni, come 1’op-. aatis diximus. pio: del cipresso abbiamo ragionato abbastanza.

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C. PLINII SECUNDI ViaiAK D M «ATIO KT AEEtiSTOBUM.

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ella

i5alo streUissiraamente, ma non così la vile. Gi delle specie delle viti, e in qual terreno e aeff ciascuna d 'esse s 'avesse a porre, abbiamo gnato, quando ragionammo delle nature loro « dei vini. Nel resto del governo diversi sono i pareri Perciocché molti vogliamo che U vigtta si lavoa

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HISTORIARUM MUNDI LIB. XV1L

jabent vineam. Alii velant gemmantem : decali enim oculos, traciaque intrantium deteri : et ob id arcendam procul omne quidem pecus, sed maxime lanatam, qaoniam facillime aaferat gem­ mas. Inimicos et pubescente nva rastros : satisqae esse vineam ter anno confodi, ab aequinoctio verno : ad Vergiliaram exortum, et Canis ortum, et nigrescente acino. Quidam ita determinant: veterem semel a vindemia ante brumam, quum alii ablaqueare et stercorare salia pulent. Iterum ab idibas Aprilia, antequam concipit, hoc est, in vi idus Majas. Deinde priua quam florere incipiat, et quum defloruerit, et variante se uva. Peritiores ad firmant, si justo saepius fodiatur, in tantum te­ nerascere acinos, ut rumpantur. Quae fodiantur, pute ferventes horas diei fodiendas convenit: siculi lutum neque arare, neque fodere. Fossione pulve­ rem excitatum contra soles nebulasque prodesse.

Pampinatio verna in confesso est, ab idibus Majis intra dies x ulique antequam florere inci­ piat : et eam infra jugum debere fieri. De sequente variani sententiae. Quam defloruerit,aliqui pam­ pinandum putant : alii sub ipsa maturitele. Sed de his Catouis praecepta decernent. Namque et putationum tradenda ratio est.

Protinus banc a vindemia, ubi coeli ftepor indulget, adoriuntur. Sed hoc fieri numquam debet ratione naturae ante Aquilae exortum, ut in siderum causis docebimus proximo volumine. Immo vero Favonio, quoniam anceps culpa sit praeproperae festinationis. Si saucias recenti me­ dicina mordeat quaedam hiemif ruminatio, cer­ tum est gemmas earum frigore hebetari, plrfgasque findi, et coeli vitio exuri oculos lacryma distillante. Nam gelu fragiles fieri quis nesciat? Operarum ista computatio est in latifundiis, non legitima naturae festinatio. Quo maturius putan­ tur aptis diebus, eo plus materiae fundunt : quo serias, eo fructum uberiorem. Quare macras prius conveoiat potare, validas novissime. Plagam omnem obliquaro fieri, ut facile decidant imbres : et ad terram verti quam levissima cicatrice acie falcis cxala, plagaque conlaevata.

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tutta la stale dopo ogni rugiada. Alcuni non vo­ gliono ch'ella si tocchi, com4 vien gemmando e germoglia, perchè gli occhi cascano, tocchi da chi v'entra; e per questo non vogliono cbe v' en­ tri mandra alcona, massimamente quelle che han­ no la lana, perchè facilmente levano via gli occhi. Tengono ancora, che le zappe sieno nimiche alla vite, qaando ella comincia a crescere, e che sia abbastanza che la vigna si lavori tre volte l'anno, dopo l ' equinozio di primavera, cioè presso al nascimento delle Vergilie, e dipoi quando nasce la Canicola, e la terza volta quando gli acini an­ neriscono. Alcuni vogliono piuttosto che la vigna vecchia si lavori uua volta dopo la vendemmia innanzi verno; benché altri tengano che basti scalzarla, e darle «lei litanie ; e dipoi dai tredici d' Aprile fino ai dieci di Maggio, o prima ch'ella concepisca; dipoi prima che ella cominci a fiorire, e quando è sfiorila, e quando 1' uva comincia a colorirsi. 1 più pratichi affermano, che se la vi­ gna si lavora più spesso che non si conviene, gli acini diventano tanto teneri, che si rompono. Le vigne che si lavorano s' hanno a lavorare innanzi all' ore calde del giorno, ma il loto non si vuole arare nè zappare. Dicono anco, che la polvere che si leva nel zappare, giova alle uve conlra il sole e contra la nebbia. Egli è parere d'ognnno, che la vigna si debba spampanare da' quindici di Maggio fra dieci di innanzi eh' ella fiorisca, e che ciò si faccia dal giogo in giù. Della seconda volta non s’ accor­ dano insieme, perchè alcuni vogliono che ciò si faccia quando la vigna è sfiorita, alcuni quando è sul maturare. Ma di ciò ci risolveranno i pre­ cetti di Catone ; perocché si ha da parlare anche circa la forma del potare. II potare, se il tepore dell'aria lo comporta, s 'incorninola dopo la vendemmia. Ma secondo la ragione della natura non si dovrebbe cominciare innanzi che nasca l'Aquila stella, come dimo­ streremo nel seguente libro, parlando delle cause delle stelle. Anzi piuttosto dovrebbesi in Favonio, perchè non fosse a dubitare che l'aver troppo affrettato fosse per produrre malo effetto. Se il verno già mitigato si torna inaspettatamente a incrudire, e perciò rimorde le vili già ferite per la recente potatura, certo è che le gemme loro perdono la forza per lo freddo, e le tagliatore si fendono, e gli occhi si bruciano per la lagrima che distilla. Perocché a cui non è notò che il gelo li rende fragili ? Questa fretta, non legittima ri­ guardo alla natura delle viti, nelle possessioni grandi vantaggia gli operai cbe non basterebbe­ ro al troppo lungo lavoro : nondimeno quanto più tosto si potano, ne' tempi convenienti, tanto meglio mettono, e quanto più tardi, più uve fan-

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C. PUNII SECUNDI

Reculi etileni semper inler duas gemmar, ne sil vulnus oculis in recisa parle. Nigram esse eam exislimaot, et donec ad sincera venia lar, reciden­ dam ; quoniam e vitioso materia nlilisnon exeat. Si macra vilis idoqeos palmites non habea», ad terram recidi eam, novosque elici utilissimum. In pampinatione non hos detrahere pampinos, qui cum uva sint : id etenim nves soppiantai, praeterquam in novella vinea. Inutiles judicantur in latere nati, non ab oculo : quippe etiam uva, quae nascatur e duro rigescente, ut nisi ferro detrahi nou possit. Pedamentum qaidem inter duas viles utilius putant statai : et facilius ahlaqneantar ita : melius· qu* est unijugae vineae, si lamen el ipsi jngo sint vires, nec flatu infesta regio. In qnadripartita quam proximum oneri adminiculum esse debet : ne tamen impedimentum sentiat ahlaqaeatio, cubito abesse non amplias : ablaqueari autem prius, quam putari, jubent.

Cato de omni cnllnra vitium ita praecipit: uQuam allissimam vioeam facito, alligatoqce recte, dum ne nimium constringas, hoc modo eam curato. Capila vitiam potata circumfodito, arare incipito. Ullro citroque sulcos perpetuos docilo. Viles teneras qnam primum propagato, veteres qnam minimum castrato. Potius, si opns erit, dejicito, biennioque post praecidito. Vitem novellam resecari tum erit tempus, ubi valebit. Si vinea ab vite calvata erit, sulcos interponito, ibique viviradicem serito. Umbram a sulcis re­ moveto, crebroqae fodito. In vinea vetere serito ocimum. Si macra erit, qood granum capit ne aerilo: et circum capita addito stercus, paleas, vinaceas, aat aliquid horumce.Uhi vinea frondere coeperit, pampinato. Vineas novellas alligato cre­ bro, ne caulis praefringatur. Et quae jam in perticam ibit, ejus pampinos teneros alligato leviter, porrigitoque. Ubi recte sleterint, ubi uva varia fieri coeperit, vites subligato, n

« Vilis insitio una est per ver, altera quum uva floret : ea optima est. Vineam veterem si in alium locum transferre voles, dumtaxat brachium crassum primam deputato. Binas gemmas nee amplius relinquito. Ex radicibus bene effodito. Et cave radices ne saucies. Ita uti fuerit, ponito in scrobe aat ia salto, operilòque, el bene oeeul-

no. Però bisogna potar prima le magre, e in ul­ timo le rigogliose. Ogni taglio si dee fare torlo, acciocché pià facilmente le piogge «corrano già, e volgerlo verso la terra con piccolissima taglia­ tura fatta con la ronca e ripulita all* intorno. Taglisi sempre fra i due occhi, acciocché nella parle ricisa il taglio non sia neirocchio. Stimano che tal parte sia nera, e che si debba tagliare insioo che si tniovi il legno sano, perchè legno vi­ lloso dà messe cattive. Se la vite magra non ha capi, fie bene tagliarla da' piedi, acciocché ella rimetta. Quando tn spampani, non levar quei tralci che hanno Γ uva, perchè ciò fa diffaltare le uve, fuorché nelle vili novelle. Inutili sono i tralci nati ne* fianchi, e non dell*occhio: perciocché ancora l*uva nata nel vecchio, è dura, nè si può spiccare se non col ferro. Alcuni tengono che sia meglio porre il palo fra due viti, che così più agevolmente si scattano; ed è meglio nella vigna di nn giogo, pare che esso stia forte, e il paese non sia travagliato dai venti. Nella vite divisa in quattro braccia il pelo debbe essere dove n* è maggiore il peso ; nondi­ meno acciocché non venga impedito lo scalzare, il palo dee porsi diicosto un braccio, e doo più. Vogliono ancora, chela vigna si scalzi prima che si poti. Catone intorno al lavorare delle viti di qoe­ sti precetti: u Riduci la vite molto alto, e legala di­ ritta; ma non la strignere troppo. Pota i capi delle viti, zappa intorno,e comincie ad arare. Di qaa e di là lira i solchi continuati. Propagina tosto I· viti tenere, e stralcia poro le vecchie ; e piuttosto bi­ sognando mettile giù, e dopo dae anni le taglia. Allora è tempo di tagliare la vite nuova, qaando ella è gagliarda. Se la Tigna sarà diradata di viti, favvi per entro delle fosse, e piantavi magliuoli con le rodici. Discosta 1* ombra dalle fosse, e la· voravi spes«o. Nella vigna vecchia seminerai «Wl’ ozzimo. S’ ella sarà magra, non vi seminare quello che fa il granello, e intorno ai capì metti lilame, paglia, vinaccia, e simili cose. Quando la vigna comincia a far le foglie, e lo la spam­ pana. Legherai spesso le vili novelle, icóocckt i tralci non si rompano; e leggermente lega i paropeni di quella, la qnale è già ita in sulla per­ tica, e distendigli. E quando saranno ben ritti, e 1* uva oominderà a prender colore, lega la vite di sotto, n u La vile s* annesta una volta di primavera, e un* altra quando l* uva fiorisce ; e qaesto è il miglior nesto. Se fa vorrai trasferire la vigna vecchia in altro luogo, pola solamente il bracci· grosso, e lasciale doe occhi, e non più. Cavale bene con le radici, e guarda che non le tagli ; e ponla nella fossa così come ella era, o nel soteo.

HISTORIARUM MUNDI LIB. XTII. cato. Eodemque modo vineam «talaito, alligato, flexatoque uti faerat,cr«broqae fodito.» Ocimum, quod ία vinea aeri jubet, antiqui uppellabant pabulum, umbrae patiens, quod celerrime pro­ veniat.

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e cuoprirla, e calcala bene ; e nel medesimo mo­ do rincalzala, legala, e allargala come ella era, e lavoravi spesso. « L ' ozzimo, che egli vuole che si semini nella vigna, è un*erba che gli anlicbi chiamano pabulo, la quale non teme Γ uggia, e prestissimo cresce. * 3 . Sequitur arbusti ratio* mirum in modum 23. Ora deesi toccare Γ usanza di mettere le damnata a Saserna patre filioque, celebrala Scrofae* viti sugli alberi, mollo biasimata da Saseroa pa­ vetustissimis po»t Catonem, peritissimisque : ac dre e figlio, ma lodata da Scrofa, che però non ne a Scrofa quidem, nisi Italiae, concessa : quum la fa comune altrimenti che alla sola Italia : que­ tam longo judicetur aevo* nobilia vina non nisi sti, dopo Catone, sono gli autori più antichi e più periti in fatto di coltivazione. E già io tanto in arbustis gigni, et in his quoque laudatiora summis, sicut uberiora imis: adeo excelsitate secolo s 'è potuto fare esperienza "che i migliori proficitur. Hac ratione et arbores religantur. viui naseouo appunto delle vili raccomandate agli Prima omnium ulmus, excepla propter nimiam alberi ; iu più copia, se gli alberi son bassi ; più frondem atinia. Deinde populus nigra eadem da generosi, se gli alberi sono alti ; tanto porla di causa, minus densa folio. Non spernunt plerique vantaggio 1’ altezza. Questa è la‘ sola circostanza et fraxinum, ficumque, eliam oleam, si non sit cbe gli alberi s 'abbiano a legare. Prima di ogni umbrosa ramis. Harum salus cullusque abunde altro si elegge Γ olmo, infuorebè P olmo attinia, tractatus est. Ante tricesimum sextum mensem che ba troppe foglie. Dipoi 1* oppio nero per attingi falce vetantur. Alterna servantur brachia: la medesima ragione, perchè ha poche figlie. alternis putantur annis : sexto aano maritantur. Molli uon rifiutano il frassino, il fico, e l'ulivo Transpadana Italia, praeter supra dictas, cornu, ancora, pure che egli non sia ombroso per troppi rami. Come questi si piantino e governino, ab­ populo, tilia, acere, orno, carpino, quercu, arbu­ stat agros : Venetia salice, propter uliginem soli. bastanza s'è ragionato altrove. Non vogliono che Et ulmus detruncata a medio in ramorum scamna si tocchino con la ronca, se non sono di tre anni : si potano un anno sì e I' altro no ; e recidonsi i digeritur, nulla fere xx pedum altiore arbore. rami lasciati loro nella potatura antecedente : il Tabulata earum ab octavo pede altitudinis dila­ sesto anno si maritano. L 'Italia oltra il Po, oltre tantur in collibus siccisque agris : a xii in cam· peslribus et humidis. Meridianam solem spectare gli alberi già detti, ina ne*campi il corniolo, palmae debent. Rami a projeetu digitorum modo Γ oppio, il tiglio, 1* acero, V orno, il carpino e la quercia. La Marca Trevigiana usa il salcio |κηγ subrigi, tonsili in his tenuium quoque virgultorispetto della umidezza del terreno. L* olmo sca­ rum barba, ne obumbrent. Intervallum juslura arborum, si aretur solum, quadrageni pedes in pezzato dal mezzo in su si comparte in ordini di terga frontemque, in latera viceni. Si non aretur, rami laterali; e quasi nessun albero usano più »llo hoc in omnes paries. Singulis denas saepe adnudi venti piedi. L' estensione*dei rami per largo triunt viles, damnato agricola minos ternis. comincia all* altezza di olio piedi ne’ poggi, e nei Maritare nisi validas, inimicum, enecanle veloci terreni asciutti ; e di dodici ne' piani, e nei luo­ vitium incremento. Serere tripedaneo scrobe ghi umidì. 1 capi delle viti debbono esser volli necessarium distantes inter sese arboremque sin­ a mezzo giorno. 1 rami già protesi in largo deb­ gulis pedibus. Nihil ibi malleolis atqoe pastina­ bono eriger le cime a guisa delle dita di mauo tioni, nulla fodiendi impendia : utpote quum concava, ed esser londuti de' loro sprocchelti, arbusti ratio hac peculiari dole praestet, quod io perchè non facciano soperchia ombria. Lo spazio eodem solo seri fruges et vitibus prodest. Super» giosto fra gli alberi, se il terreno s 'ara, sia di­ que, quod vindicans se altitado, non, ut in vinea, nanzi e dietro quaranta piedi, e da’ lati venti; ma ad arcendas animalium injurias pariete, vel sepe, se il terreno non s 'ara, sia venti per ogni parte. vel fossaram ulique impendio muniri se cogat. Spesse volle intorno a un albero allevano dieci viti, ed è biasimato il lavoratore, che ne alleva manco di tre. Non torna punto bene maritar gli alberi, se prima non son bene gagliardi, perchè le viti gli affogano. È necessario che le viti si piantino in fossa di tre piedi, e eh' esse sieno di­ scoste l ' nna dall' altra, e dall' albero, un piede. Quivi non magliuoli, non divelto, nè si spende a infossare, perciocché I' albero dà questo vantag­ gio, die seminare nel medesimo terreno le biadé

C. PLINII SECONDI

Ια arbusto e pri«lieiii sola viviradicum ralio, item propaginum, et ha«c gemina, ut diximas. Qualorum io ipse tabulato maxime probata, quo­ niam a pecore latissima est. Altera, deflexa vile vel palmite foxla suam arborem) aot circa proxi­ mam caelibem. Qaod supra terram est e matre, radi jubetur, ne fruticet. In terra non pauciores gemmae quatuor obruuntur ad radicem capien­ dam : extra in capite binae relinquuutur. Vitis io arbusto qualuor pedes in longo constat, omni sulco tres lato, alto duos cum semipede. Post an­ num propago inciditur ad medullam, ut paullatim radicibus suis adsuescat : caulis a capite ad duas gemmas reciditur : tertio tolu» mergus abscindi­ tur, reponiturque altius in terrram, ne ex reciso frondeat. Tolli viviradix a vindemia protinns debet.

Nuper repertum, draconem serere juxta ar­ borem: ita appellamus palmitem emeritum, pluribusque induraium annis. Hunc praecisum quam maxima amplitudine, iribus partibus longitudi­ nis deraso corlice, quatenus obruatur (nnde et rasilem vocant), deprimere sulco, reliqua parie ad arborem erecta : ocissimum in vite. Si gracilis sit vilis aut terra, usitatum est quam proxime solum decidi, donec firmetur radix : sicut neque roscidam seri, neque a septemlriouis flatu. Vites aquilonem spectare debent ipsae, palmiles autem earum meridiem. Non est festinandum ad putationem novellae : sed primo ia circulos materies colligeuda, nec nisi validae putatio admovenda : seriore fere anno ad fruclum arbusta vile, quam jugata. Sunt qui «maino putari vetant, priusquam arborum lon­ gitudinem aequaverit. Prima falce sex pedes a terra recidatur, flagello iafra relicto, et nasci coacto incurvatione materiae. Tres ei gemmae, non amplius, deputato supersint. Ex his emissi palmiles proximo anno imis iugerantur scamuis, ac per singulos annos ad superiora scandant, re­ licto semper duramento in singulis tabulatis, et emissario uno, qui subeat, usque qno placuerit. De celero putatione omni, flagella quae proxime tulerunt, recidantur : nova circumcisis undique capreolis spargantur in tabula lis. Vernacula pu­ te lio dejectis per ramos vilium criaibus circumvetiit arborem, crineeque ipsos uris : Gallica ia

torna utile alle viti. Le viti sagli alberi, guarentii· dall* altezza, hanno anche qaesto vantaggio, eh* non curano munirsi di mnro, di siepe, nè di fos­ sati contra le offese di veruno animale. Delle vili da albero ai traggono solamente i magliuoli con radice, e le due specie di propagini di cui $’ è ragionato. Qoella che si pone a radicar ne' vasi sopra i rami dell' albero, è più riputata, perchè non tocca dall* armento. L* altra ai fa pie­ gando in terra la vite o an sermento presso al sao albero, o al vicino non maritato : levansi alla madre gli occhi, che son fuor della terra, accioc­ ché non germogli. Sotto terra non si mettono meno di quattro occhi a far le radici, e di foori se ne lasciano due nella cima. Per far vite da al­ bero deesi curvare sotterra un tralcio di quattro piedi di lunghezza, in solco largo tre piedi e alto due e mezzo. Dopo 1* anno si taglia fino alla mi­ dolla nella parte esterna che si lega alla madre, acciocché a poco a poco s* avvezzi alle sue radiò, e della messa si taglia tutto il di più di dne occhi: nel terzo anno si taglia affatto, e ripiantasi piè sotto, perchè non frondeggi nella parte che fa recisa dalla madre : questo traspiantamento si dee fare subito dopo la vendemmia. Nuovamente s'è trovato di piantare appresso all* albero il dragone : cosi si chiama un tralcio indurato di più anni. Questo si taglia lunghissi­ mo : tre quarti della sua lunghezza si scorteccia­ no (onde e' si chiama anche rasile o liscio), e ti sotterrano nel solco : l ' altra parte si tien foori e s'addrizza all' albero : qaesto tralcio germoglia prestissimo. Se la vite è gracile, o il terreno è sottile, usasi di tagliarlo molto presso a terra, finché la radice si ferrai ; nè si dee piantar ru­ giadoso, nè dopo il vento di tramontana. Deb­ bono le vili esser volte a tramontana, e i capi loro a mezzogiorno. Non è d 'affrettarsi a polare la vite novella, ma da principio s'han da legare i sermenti in cer­ chio, e non potarla snella non sarà rigogliosa. Le viti di albero sono più tarde nn anno a £»r frutto, ohe non è la vite di palo. Alcuni non vo­ gliono ch'elle punto si potino, finché non ag­ giungano alla cima dell* albeto. La prima volta la vite si pola sei piedi sopra terra, lasciando di sotto un sermento, che si fa propagare curvan­ dolo verso l'albero suo. Esso non dee avere dopo la potatura che tre soli occhi. 1 tralci che escono da questi, l'anno che viene si mettano nella prima diramazione dell' albero, e dipoi ogni anno più su, lasciando sempre un braccio duro e annoso in ogni diramazione, e un tralcio che salga insino a quanto piacerà. Nel resto in ogni polazione si taglino i tralci chehan prodotto da ultimo : e i nuo­ vi capi,tagliandone da ogni parte i viticci, si disten-

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HISTORIARUM MUNDI UB. XVII.

traduce» porrigitur: Aemiliae viae in ridieta a linia rum ambilu, frondem earum fugient.

dano pe’ palchi dell1 albero. La potatione ordina­ ria, spargendo pei rami i crini delle viti, riveste l'albero, e i crini stessi di grappoli. In Gallia si ti­ rano i tralci dall'uno all'altro albero: nel tratto da Rimini a Placenta li distendono sopra a pa­ lanche in mezzo alle attinie, che per la densità delle lor foglie non piacciono ponto alle viti. Est quorumdam imperitia sub ramo vitem Sono alcuni ignoranti, che appiccano la vite vinculo suspendendi, suffocante injuria : conti· sotto il ramo con un legame ; ma non fanno che neri debet vimine, non arctari. Quin imrao affogarla, perchè la vite si debbe con la legatura etiam quibus salices supersunt, molliore boo ritenere, non distrignere» Ma Che più? anche vinculo facere malunt, herbaque, Siculi quam coloro che hanno salcio d 'avvantaggio, vogliono vocant ampelodesmop : Graecia vero universa piuttosto far ciò con un tenero legame, e con junco, cypero, ulva. Liberatam quoque vinculo nn' erba, che i Siciliani chiamano ampelodesper aliquot dies vagari, et inconditam spargi, mon ; ma tutta la Grecia osa giunco, cipero, e sa­ atque in terra, quam per totum annum specta·, la. Di più, scioltala del legaccio, la lasciano stare verit, recumbere. Namque ut veterina a jugo, et parecchi giorni sema altrimenti legarla, e disten­ canes a cursu volutatio juvat, ita tum et vitium dersi senza ordine in quel terreno, che guardò porrigi lumbos. Arbor quoque ipsa gaudet assi­ d ' alto per tutto l ' anno. Perchè siccome alle be­ duo levata onere, siiqilis respiranti. Nihilque est stie da soma cessando dal giogo, e a'cani ces­ in opere naturae, quod non exemplo dierum tendo dal corso, giova sdraiarli ravvoltolandosi, nocliumqne aliquas vices feriahira velit. Ob id così giova alle viti distendere i lombi loro. Gode protinus a vindemia putari, et lassas etiamnum Palbero incora d'essere alleggerito dal conti­ fructu edito, improbatur» Putatae rursus alligen­ nuo peso, e pare che in on cealo modo respiri. tur alio loco : namque orbitas vinculi sentiunt, Non v’ ha cosa nel magistero di natura, che, co­ vexatione non dnbia. me per noi il giorno è di travaglio e la notte di riposo, non voglia avere le sue pansé con nn* specie di alternativa. E per qdesto non è buono che le vili subito dopo la vendemmia sien pota­ te, essendo elleno ancora stanche dal peso, che hanno portato. Come sien potate, di nuovo si le­ ghino in on altro lor silo, perciocché senton be­ nissimo i segni della legatura, e non è dubbio al­ cuno che fa lor danno assai. Traduces Gallica cultura bini utrimque late­ 1 lavoratori della Gallia usano stendere dalla ribus, si pars quadrageno distet spatio: quaterni, vite all' albero due tralci da ambedue i lati, se ai viceno : inter se obvii miscentur, alliganlurque le viti sono distanti quaranta piedi, e se per ma­ una conciliati, virgultorum comitatu obiter rigo­ grezza di terreno distanno soli venti, stenderne rati qua deficiant : aut si brevitas non patiatur ben quattro : questi s 'incontrano iosieme, si raeipsorum, adalligato protenduntur in viduam ar­ schiano, si legano fra loro, e con le mutue lor borem unco. Traducem bimum praecidere sole­ messe si saldano dove sono più deboli ; o se la, bant. Oneratis enim vetustate melius donare brevità noi comporta, legati con uncini si disten­ tempus, ut transilem faciant, ni largiatur crassi­ dono fino all' albero che dee sostenerli. 11 tralcio tudo : alias utile loros futuri draconis pasci. da distendere s'usata potare di due anni nella madre, perchè se non era grosso abbastanza da poter essere disteso, il divenisse in quello spazio di tempo che se gli concedeva ; e d 'altra parte util cosa è che si dilazioni la potatura del tralcia che ha ad indurire, perchè vie più s'afforzi. Unum etiamnum genus est, medium inter Écci anco un' altra specie di mezzo fra que­ boc et propaginem, totas supplantandi in terram sto e la propagine, che si fa con sotterrare tutte le vites, cuneisque findendi et in sulcos plures si­ viti in terra, fendute con conii in tre o quat­ tro sezioni, e propagginarle in altrettanti sol­ mul ex una propagandi, gracilitate singularum chi, fortificando la sottigliezza di ciascuna con firmata circumligatis hastilibus, nec recisis qui vermene legate attorno, senza recidere la messa a lateribus excurrant pampinis. Novariensis agri­ cola traducum, turba non contentus, nec copia. che fanno dai lati. I contadini del paese di No-

C. PUNII SECONDI

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ramorura, imposi |ì* eliamnam patibulis palmite* circumvolvit. Itaqae praeter soli vitia, cultura quoque torva fiunt viaa. Alia colpa juxta Urbem Varracinis, quae alternis putantor anais, non quia id viti conducat, sed quia vilitate reditum impendia exsuperant. Medium temperamentum in Carsulano sequuntur : eariosasque tantum vitis partes, incipientesque inarescere deputando, ceteris ad uvam relictis, detracto onere superva­ cuo, pro nutrimento omni est raritas vulneris. Sed nisi pingui solo talis cultura degenerat in labruscam.

Arbusta arari qoam altissime desiderant, ta­ metsi frumenti ratio non exigit. Pampinari ea non est moris : et hoc compendium operae. De­ palantor cum vite pariter ioterlucata densi late ramorum qai sint supervacui, el absumaot ali­ menta. Plagas ad septemtriones, aot ad meridiem spectare vetuimus : melius, si neque in occaso solis. Diu dolent lalia quoque alcera, et difficile sanescunt, algendo nimis, aesluandove. Non ea­ dem in vite, qoae in arbastis, libertas : quoniam eerta latera est facilius abscondere, et detorquere, qon velis, pingas. In arborum tonsura supiniore velat calices faciendi, ne consistat humor.

Ns ovai u A iiu u ic s inrESTsrrca.

vara non contenti alla moltitudine de* tralci da stendere, nè alla copia de' rami, avvolgono anco­ ra i tralci a1bronconi postivi, e cosi olirà i di­ fetti del terreno, per tal modo di coltura i vini si fanno aspri. Fanno anco an altro errore ap­ presso a Roma nelle viti Varracine, le qoali po­ tano an anno sì, e l’altro· no, non perchè credano che ciò sia utile alle vite, ma perchè per la viltà del vino lespeseavanterebbono l'entrata. Nel pae­ se Carseolano tengono la via di mezzo, potando solo le parti della vite, che cominciano a intar­ lare e inaridire, e lasciando l ' altre parli a lare ove ; cosi ne levano il peso soverchio, e la rarità de1 tagli serve per nudrimento. Ma se il terreno non è grasso, la vite per tal cultura traligna in labrusca. Gli alberi, sui qaali si mandano le viti, ame­ no che vi si ari intorno profondamente anoora cbe le biade non ricerchino tanto. Non è costarne di spampanarli ; ma solo per risparmio di fatica. Potansi iosieme con la vite, diradando la den­ sità de' rami sove rchi, che coosomano l ' allinea­ to. Noi abbiamo già detto che le tagliatore non debbono esser volte a tramontana, nè a mezzo­ giorno ; ed è meglio ancora, eh* elle non guar­ dino a ponente, perchè così fatti tagli dolgouo lungo tempo, e difficilmente si saldano per ri­ spetto del troppo freddo, o del troppo caldo. Non s' usa nel potare le vili qoella medesima li­ bertà che nel polare gli alberi, poiché qui alarne parli vanno già nascoste, e le ferite si pouoao piegare a qual verso piò si vuole. Le tagliature si vogliono voltare io già, acdocchè non riten­ gono 1’ acqua. D el g

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DAGLI ACTUALI.

XXXVI. Viti adminicula addenda, quae scan­ dat adprehensa, si majora siot. »4 - Vitium generosarum pergulas qainquatribos palandas, et quarum servare ovas libeat, decrescente luna tradopt. Qaae vero interlunio sint putatae, nullis animalium obnoxias esse. Alia ratione plena luna noctu tondendas, quum sit ea in Leone, Scorpione, Sagittario, Tauro : atqoe in totam serendas plena, aut crescente utique, censeot. Sufficiant in Italia caltores deni in centena jogera vinearum.

Morbi

ααιοεο *.

XXXVI I. At abunde satu cultuque arborum tractato, quoniam de palmis ac cytiso in pere­

XXXVI. Alla vite si debbono mettere isoslegni, su per li quali salga appigliandosi, se gli alberi sieno molto alti. 24. Le pergole dell'ave eccellenti si debbono potare intorno a' venti di Marzo, e quelle, delle quali tif vorrai serbar Γ uve, a luna scema. Dico­ no ancora, che quelle viti, che si potano nel far della luna, non sono infestate da verono animale. Si usa anche potarle di notte, a luna piena, quan­ do ella è in Lione, Scorpione, Sagittario, e Taaro ; e quanto al piantarle, vuoisi attendere la luna piena, o crescente, lo Italia dieci lavoratori bastano a cento iugeri di vigne. D elle

ικ ρ ε ε μ ιτ α d e g l i a l b c e i.

XXXVII. Ma essendosi abbastanza trattato della piantagione e cultura degli alberi, giacché

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HISTORIARUM MUNDI LIB. XVII.

griui* arboribus adfatim diximus, oe quid desit, indicanda reliqua Datura est, magnopere perti­ nens ad omnia ea. Infestantur namque et arbo­ res morbis. Quid enim genitum caret his malis? Et silvestrium quidem perniciosos negant esse, vexarique tantum grandine in germinatione aut flore. Aduri quoque fervore, aut flatu frigidiore, praepostero die: quoniam suo frigora etiam pro· sunl, ut diximus. Quid ergo? non et vites algore intereunt? Hoc quidem est, quo deprehendatur soli vitium, quoniam non evenit nisi in frigido. Ilaque per hiemes coeli rigorem probamns, non soli. Nec infirmissimae arbores gelu periclitan­ tur, sed maximae : vexatisque ita cacumina pri­ ma inarescunt, quoniam praestrictus gelu non potuit eo penenire humor,

Arborum quidam commones morbi, quidam privali generum. Communis vermiculatio est, si­ deratio, ac dolor membrorum, unde partium de­ bilitas: societate nominum quoque com homi· nam miseriis. Trunca dicimas certe corpora, et oculos germinum exuslos, ac mulla simili sorte. Ilaque laborant et fame, et cruditate, qoae fiunt humoris quantitate. Aliquae vero et obesitate: nt omnia quae resinam ferunt, nimia plngoitu· dine in ledam mutantur : et quum radices quo­ que pinguescere coepere, intereunt, ot animalia, nimio adipe: aliquando et pestilentia per genera, sicut inter homines, nunc servitia, nunc plebs urbana, vel rustica.

Vermiculantur magis minusve quaedam,omnes tamen fere : idqoe avet cavi corticis sono expe­ riuntur. Jam quidem et hoc in luxuria esse coe­ pit : praegraodesque roborum delicatiore sunt in cibo: cossos vocant : atque eliam farina sagi­ nati, hi quoque alliles fiunt. Maxime autem ar­ borum hoc sentiunt piri, mali, fici : minus, quae amarae sunt et odoratae. Eorum qui in ficis exsistunt, alii nascuntur ex ipsis : alios parit, qui vocatur cerastes : omnes tamen in ceraslen figu­ ran tur, sonumque edunt parvuli stridorii. El sorbus arbor infestatili' vermiculis rufis, et pilo­ ti*, atque ita emoritur. Mespilus quoque in sene­ cta obnoxia ei morbo «st.

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copiosamente ancora abbiamo pariato della pal­ ma e del citiso degli alberi forestieri, acciocché noo manchi cosa alcuna, »* hanno a trattare le altre proprietà che appartengono alla natura loro. Anche gli alberi adunque hanno le lor malattie. E qoal cosa è nel mondo che non patisca di que­ sti danni ? Tuttavia dicono che le infermità degli alberi salvatichi non sono dannose, e che essi solamente sono travagliali dalla gragnoola, quan­ do germogliano, ovvero quando fioriscono. Riar­ dono gli alberi por per caldo-, o per vento più freddo che non comporta la stagione, perché an­ cora i freddi moderati ai lor tempi giovano, come abbiam detto. Or non muoiono anco le vili per freddo? Laonde questo é appunto ciò che fa co­ noscere il difetto del terreno, perchè quella mor­ talità non avviene se non nel freddo. Di verno donqoe approviamo il freddo dell' aria, ma non qoello del paese. Nè solamente gli alberi debili periscono per freddo, ma i piò robusti ancora ; ed essendo eglino di questo modo travagliali, seccano le prime cime, perchè 1* umore non può •ggin£nerc fino ®quelluoj(o ristretto dal ghiaccio. Alcune infermità sono comuni a tutti gli al­ beri, alcune particolari a certe loro specie. Co­ mune è lo inverminare, lo assiderare, e il dolor delle membra, onde la debolezza delle parti loro chiamiamo ancora coi medesimi nomi che le mi­ serie degli uomini, e diciamo i corpi loro essere tronchi, e gli occhi delle messe riarsi, e molte altre simili cose. Inoltre alcuni di essi patiscono ancora fame, alcuni son» crudi, cioè non ismaltiscono, e ciò avviene secondo la quantità dell'umo­ re, che è in loro. Alcuni sono troppo grassi, sic­ come sono quegli che fanno la ragi», i quali per troppa grassezza si mutano in leda ; e quando anco le radici hanno cominciato a ingrassare, P albero perisce, siccome fanno gli animali pel troppo grasso. Alcuna volta ancora entra la pe­ stilenza fra gli alberi, come Ira gli uomini, che ora ne patiscono gli schiavi, ora i cittadini, e ora la gente di contado. Quasi lutti gli alberi patiscon di vermini,alcuni però piò, e alcuni meno : ciò ben conoscono gli uccelli dal suono che rende la corteccia loro, se il verme l’ ha incavata di dentro.Ma ancora in questo s'è cominciato già usare splendidezza e magniGcenza; perciocché si mangiano certi vermini dei roveri molto grandi,i quali si chiamano cossi, e s ' in­ grassano con la farina. Ma piò che lutti gli altri alberi patiscono dei vermini i peri, i meli, i fichi, e meno quegli che sono amari e hanno più odore. I vermini che sono nei fichi, parte nascono in essi, parte son generati da quello che sì chiaroa ceraste, ovvero forfecchia ; ma però tutti riesco­ no in forfecchia, e fanno un suono di pochissimo

C. PLINII SECUNDI

Sideratio lota e coelo constat. Quapropter et grando in his causis intelligi debet: et carbun­ culatio, et quod pruinarum injuria evenit. Haeo enim verno lepore invitatis, et erumpere auden­ tibus salis mollibus insideus, adurit lactescentes germinum oculos, quod in flore carbunculum vocant. Pruinae perniciosior nalura, quoniam lapsa persidet, gelalque, ac ne aura quidem olla depellitur, quia non fìt nisi immoto aere et sere­ no, Proprium tamen siderationis est, sub ortu Canis siccitatum vapor, quum insitae ac novellae arbores moriuntur, praecipue ficus, et vites. Olea praeler vermiculationem, quam aeque ao ficus senlit, clavum eliam patitur, sive fungum placet dici, vel patellam. Haec est solis exustio. Nocere tradit Calo et muscum rubrum. Nocet plerum­ que vilibus atque oleis et nimia fertilitas. Scabies oommuois omnium est. Impetigo, et quae adnaaci solent, cochleae, peculiaria ficorum vilia : neo ubique: soot enim quaedam aegritudines et lo­ corum.

Verum ut homini nervorum cruciatus, sic et arbori, ac duobus aeque modis. Aut enim in pe­ des, hoc est, radices, irrumpit vis morbi : aut in articulos, hoc est, cacuminum digitos, qui lon­ gissime a toto corpore exeunl. luarescunt ergo ; et sunt apud Graecos sua nomina utrique vitio. Undique primo dolor, mox et macie? earum par* tium fragilis, postremo tabes, morsque, non intranle succo, aut non perveniente ; maximeque id fici seuliunt. Caprificus omnibus immunis esi, quae adhuc diximus^ Scabies gignitur roribus lentis post Vergilias. Nam si rariores fuere, per­ fundunt arborem, non scalpunt scabie. Et grossi cadunt, si vel imbres nimii (nere. Alio modo ficui laborat radicibus madidis.

Vitibus praeler vermiculationem et sidera­ tionem morbus peculiaris articulatio, tribus de causis: una, vi leoipestatum germinibus ablalis: altera, ut notavit Theophrastus, iu supinum ex­ cisis : terlM , culturae imperitia laesis. Omnes euim carum injuriae iu articulis sealiuutur. Si-

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romore. 11 sorbo anch' egli patisce di certi ver­ mini rossi e pilosi, e così si muore. Π nespolo an­ cora nella sua vecchiaia è soggetto a questa in­ fermiti. ' L’ assiderare procede lutto dall'aria, e perciò ancora la gragnuola si debbe porre tra le canee di quesl'eflello, e così lo incarbonchiare, e quanto avviene per ingiuria delle brine. Perciocché que­ sto insinuandosi nelle messe tenerissime, che la primavera col suo tepore invitò a sbocciare, riarde gli occhi laltegglanti, il che nel fiore si chiama carbonchio. Ma più dannosa assai è la brina, perché ella si ferma, e congela, e non è sdossa per aura alcuna, perciocché non vien mai se non quando è l'aria serena, e senza vento. Nondi­ meno quel che proprio fa assiderare è il vapore che esala la siccità intorno al nascimento della Canicola, quando i nesti e gli alberi novelli muoiono, e massimameale i fichi, e le viti. L'oli­ vo, olirà i vermini che egli patisce oome il fieo, sente ancora il mal del chiovo, o vogliam dire fungo, o padella. Questa è un' adustione di sole. Dice Catone che anche il muschio rosso gli nuoce. Speise volte anche la troppa fertilità nuoee alle viti e agli ulivi. La scabbia, ovver rogna, è co­ mune a latti gli alberi. Le impetigini, o vogliam dire volatiohe, fan danno ai fichi, come pure cerle chiocciole, le qoali nascono in essi ; ma non in ogni loogo ; perciocché- aloone infermiti tono proprie dei luoghi. Or siccome all* oomo vengono dolori ài ner­ vi, così all* albero egualmente, e eiò in dne modi. Perciocché la violenza del male alcuna volta gli esce nei piedi, cioè nelle radici, o negli articoli, cioè ne* nodi delle cime, i qoali escono molto lontano dal rimanente del corpo. Questi adunque seccanti : i Greci hannp i nomi proprii d* amendue questi mali. Prima nasca il dolore per lotto, e dipoi la magrezza e fragilità di qoelle parti, e finalmente la corruzione e la morte, perchè il sugo non v’ entra o non si propaga ; e di questo male principalmente patisce il fico. Il fico salva* tioo non sente alcuna di queste infermità, che abbiam delto. La scabbia s* ingenera di rugiade lente dopo il nascimento delle Vergilie, le quali, s 'elle son molto rare, non ammalano già l'albero di scabbia, anzi ne lo detergono, se n'avesse principio. Anche il frutto de* fichi vien cadeado, se sono troppo piogge. Di nn* altra maniera il fico ammala per le radici bagnate. Le viti oltra lo inverminare, e lo assiderar»» hanno un* altra infermila particolare eh* è l ' ar­ ticolazione. per tre cagioni. La prima, quando per la furia de* temporali caggiono loro le messe : la seconda, come Teofrasto scrisse, quando elle aeoo tagliate orizzontai mente : la te rz a, quando la

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HISTORIARUM MONDI LIB. XVII.

derationis genus est in hit deflorescentibus, ro­ ratio : aut qaum adai, priusquai erescant, de* coqauntur io callam. Aegrolant et qaam alsere, laesi* «redine attonsarnm oculis. Et calore hoe evenit intempestivo: qaoniam omnia modo con­ stant, certoque temperamento. Fiunt et cnlpa vi­ le* colentium, quum praestringantur, at dictam est : aat circumfossor injurioso icta verberavit : vel etiam subarator imprudens laxavit radices, corpus ve desquamavit. Est et qaaedam contusio falci* hebetioris. Quibas omnibus causis diffid­ ilo* tolerant frigora aat aestus : qaoniam ia aleas penetrat omnis a foris injuria.

Infirmissima vero malus, maximeque qaae duld* est. Qnibusdam debilitas sterilitatem, non necem, adfert : ut si qnis pino cacumen auferat, vel palmae: sterilescunt enim, nec moriuntur. Aegrotant aliquando et poma ipsa per «e sine ar­ bore, si necessarii* temporibas imbres aat tepo­ res vel adflatus defuere, aut contra abundavere : decidant enim, aut deteriora fiunt. Pessimum est inter omnia, qaam deflorescentem vitem et oleam percussit imber, quoniam simul defluit fructus.

Snnt ex eadem causa nascente* et erucae, di­ ram animal, eroduntque frondem, aliae florem, olivarum quoque, ut in Mileto : ac de pastam ar­ borem turpi facie relinquunt. Nascitur hoc ma­ lam tepore humido, et lento. Fil aliud ex eo­ dem, ή sol acrior insecutu* inussit ipsam vitium, ideoqae matavit. Est etiamnum peculiare olivis et vitibus (ara­ neum vocant), quum veluti telae involvunt fru­ ctum, et absumunt. Adorant et flatas qaidam ea* maxime, sed et alios fractas. Vermiculatio­ nem et poma ipsa per se quibusdam annis sen­ tiunt, mala, pira, mespila, Punica. In oliva anci­ piti eventu, quando sub cute nati fructum adi­ munt : augent, si in ipso nacleo fuere erodentes eum. Gigni illos prohibent pia viae, quae fiunt post Arcturum : eaedem si Austrinae fuere, gene­ rant, in drupis quoque, quae maturescentes tum sunt praecipue caducae. Id riguis magis evenit, etiamsi non cecidere, fastidiendis. Sunt et culi­ cum genera aliquibus molesta, ut glandibus, fico, qai videntur ex hutnore nasci, tunc dulci subdi­ to corticibus. Et aegrotatio quidem fere in his est.

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ignoranza del lavorare Γ offende. Tutte queste incomodità patiscono elle ne' nodi. Écci un'altra sorte di assiderazione ovvero Γ irrugiadezza in quelle che sfioriscono, o quando gli acini, prima che sieno ingrossati, s 'incuocono e fanno callo. Ammalano ancora, quando elle infreddano, ov­ vero se dopo la potatura gli occhi sono incotti dal freddo. Ammalano però anche per caldo troppo affrettato, perchè tutte le cose vogliono moderazione e un certo che di mezzo. È colpa dd lavoratori, qaando elle sono troppo strette, come già *’ è detto, ovvero quando colui che vi pastina intorno, dà loro di mala percossa, o qaando aran­ dovi alla sbadata sloga loro le radid, e sbocciane il corpo. La falce ancora le ammacca, qnando ella ha il taglio grosso. Per tutte queste cagioni più diffidlmente sopportano il freddo, o il caldo, perchè ogoi ingiuria, che vien di foori, trapela nella piaga. Debolissimo aneora è il melo, e massimamente quello che è dolce. La debolezza ne fa alcuni ste­ rili, nè però gli uedde, siccome è, se alcuno leva la dma al pino, o alla palma, perchè essi diven­ tano sterili, e pur non muoiono. Ammalano anco talora i frutti da per sè senza l'albero, se ai tempi necessarii mancano loro o le piogge, o i caldi, o i venti; e per lo contrario, se n' hanno troppo ; perciocché essi frolli caggiono, o si fanno peg­ giori. Pessimo è piò che tutti gli altri difetti, quando la pioggia viene che l ' nlivo e la vite sfio­ riscono, perchè cade il fratto insieme col fiore. Per la medesima cagione ancora nascono bru­ chi, i quali rodono le foglie e i fiori, anebe degli ulivi ; il che è cosa molto brutta a vedere, come avviene in Mileto. Nasce qaesto animale per un certo tepore umido e lento. Di esso ne nasce poi nn altro, ogni volta che viene appresso nn sole ardente che asciuga 1* umidità , e la muta in seccore. È peculiare ancora alle viti e agli ulivi quello che si chiama ragno, quando certe cose a guisa di tde avviluppano il fruito, e lo consumano. Certi venti anco abbruciano motto le uve e le ulive, non che altri frutti ancora. Similmente i frutti inverminan da loro stessi in certi anni, siccome sono mele, pere, nespole , e melagrane. Nell* ulive eon vario saccesso , poiché quando i vermini nati entrano nell* uliva, disperdono il fratto, ma se stanno nel nocciolo, rodendolo ac­ crescono il frullo. Ora le piogge ebe vengono dopo Arturo non lasciano nascere qaesli anima­ letti, e se le medesime piogge vengono co' venti di mezzo giorno, gli fanno nascere ancora nelle drupe, ovvero che comindano a molar colore, poiché essendo nel maturare sono ancora pià ca­ duche. Ciò principalmente avviene nei luoghi

C. « INII SECUNDI

Qaaedam temporum cautae, aut locorum non proprie dicuntor morbi, qaoniam protinos ne­ cant : sicut tabes qnara invasit arborem, aut uredo, vel flatas alicojus regioni· proprias, at est io Apolia Atabulus, in -Enboea Olympias. Hic enim, si flavit circa bramam, frigore exarit arefaciens, ot nullis postea solibus recreari possint. Hoc genere convalles et adposita flaminibus laborant, praecipueqne vitis, olea, fiou·. Qaod qaam venit, detegitor statim io germina­ tione: in oliva tardius: sed in omnibas sigsom est reviviscendi, si folia amisere : alioqui, quos putes praevaluisse, emoriuntur. Noonomqaam inarescant folia, eademqae revivescanL Aliae io septeratrionalibus, ut Ponto, Phrygia, frigore aut gela laborant, si post bramam continuave­ re x l diebus. Et ibi aatem, et in reliquis parti· bus, si protinus editis fruotibus gelatio magna consecuta est, etiam paucis diebus necat.

Quae injuria hominum constant, secandas habent causas. Pix, òleum, adeps, inimica prae­ cipue novellis. Cortice in orbem detracto necan­ tur, excepto subere, quod sic etiam juvatur: crassescens enim praestringit et strangulat. Nec adrachne offenditur, si non simul incidatur et corpus. AKoquin et cerasus, et lilia, et vili» cor­ ticem mittunt, sed non vitalem, nec proximum corpori : veram eum, qui subnascente alio expel­ litur. Quarumdam natura rimosus cortex, ut platanis. Tiliae renascitur paullo minus quam totus. Ergo his, quarum cicatricem trahit, me­ dentur luto fimoque. Et aliquando prosunt, si non vehemenlior frigorum aut calorum vis secuta est. Quaedam tardius ita moriuntur, ut robora et qnercus. Refert et tempas anni. Abieti enim et pino si quis detraxerit, sole Taurum vel Geminos transeunte qaum germinant, statim moriuntur. Eamdera injuriam hieme passae diutius tolerant. Similiter ilex, et robor, et quercus. Qaae ai an­ gusta decorticatio fuit, nihil nocetor supra dictis. Infirmiores non men­ tiuntur.

dubbioso. Catone vuole di più rapporto ai vicini, che si consideri in che modo essi stieno bene ac­ comodati ; « perchè, dice, nel paese buono slan bene accomodali. « Regolo Atilio, che fu due volte consolo nella guerra Cartaginese, usava di­ re, m che non si doveva acquistar possessione, do­ ve fosse cattiva aria, ancora eh' ella fosse in luo­ ghi fertilissimi, nè ancora dove I' aria fosse sana e salutifera, e il terreno sterile. « La sanità del luogo non si conosce sempre »1 colore degli abi­ tatori, perciocché al tri è avvezzo ancora ne’ luo­ ghi pestilenti. O lirà ciò sono alcuni luoghi sani a certe stagioni dell’ anno, ma non si può dir sano, chi non è tale per l ' anno intero. Cattivo terreno è quello, col quale il padrone ha da com­ battere. Catone per la prima cosa vuole che s'avvertisca, che il terreno sia fertile per sè stesso, secondo quella posizione che s’ è detto ; e ch'egli abbia appresso copia d 'o p e re e qualche terra grossa ; eh’ egli abbia comodità di portare per acqaa, o per terra, e che sia bene edificato e la­ vorato ; nella qual cosa veggio che molti pigliano errore. Perciocch' essi si danno a credere che la dappocaggine del primo padrone faccia per il comperalore. Non c’ è cosa di m aggior danno, che comperar terreno mal lavorato. Consiglia donque Catone, u che si comperi da diligente pa­ drone, e che non si disprezzi la disciplina altrui : la possessione esser come l ' uomo ; benché ap­ porli guadagno, se nondimeno è di spesa, n oa reca molto di avanzo. » E gli tiene che la vite sia di grandissimo guadagno nel campo, e ciò non indarno ; perchè innanzi ad ogoi altra cosa ebbe riguardo alla spesa. Dopo queste mette gli orli che s ' annacquano, e dice il vero, massimamente qnando sono appresso alla città; non che i prati, i quali dagli antichi furono detti parati. Il me­ desimo Catooe essendo domandato qual fosse il guadagno più sicuro, rispose che le buone pa­ sture. E quale dipoi ? le pasture mediocri. Ma la somma di tulli t precetti sta in questo, che si p re­ ferisca massimamente quel genere di frutto che fosse per costar meno a chi lo coltiva. Ma tale pre­ ferenza vuol essere data a quel genere che meglio s’accomodi ai diversi terreni. A qaesto medesimo proposito fa ancora quello che disse inoltre, a che il lavoratore dee esser facile a vendere : che nella giovanezza bisogna piantare il podere senza dimo­ ra ; e che non vi si debbe edificare, se non vi s'è piantato, ed anco allora lentamente : » ed è cosa ottima, come comunemente s'usa dire, u go­ dere la pazzia degli altri, n ma però in modo, che la tutela della villa non sia a gravezza, u Nondi­ meno colui che abita bene dover ire spesso alla villa, e la fronte del padrone giovare assai più che la collottola ; « e in questo non mentono.

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C. P U N I 9ECUNOI Os

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si dbbba e d i f i c ì b e l a v i l l a .

VII. 6. Buona regola è, cbe la viUa non deri­ VII. 6. Modus hic probator, o t neque fundas deri piò terreni, ovvero non sia troppo piccola villam quaerat, neque villa fandum. Non ut fe­ in confronto loro, e per opposito c h e i terreni cerant juxta diversis eadem aetale exemplis L; non desiderino villa maggiore. Il che p er contra­ Lucullus, et Q. Scaevola, quum villa Scaevolae rio modo- non osservarono L. L u cu llo e Q . Sci­ fundas careret, villa Luculli agro. Quo in genere vola, v iva ti contemporaneamente, p o ich é il po­ censoria castigai io erat minos arare, quam ver* dere di Scevola non aveva villa, e la villa di Lu­ rere. Nec hoc sine arte quadam est. Novissimos cullo non avea podere. E perciò era tassato dai villam in Misenensi posuit C. Marius septies coa­ censori chi aveva più da spazzare, che da arare. lu i, sed perilia castrametandi, sic ut comparatos Questo però non si fa senza un certo artificio. ei ceteros etiam Sulla Felix caecos foisse diceret. Caio Mario, stato sette vo lle consolo, edificò ona villa nel Miseno, ma con quella re go la, che egli usava fare gli alloggiam enti dell’ esercito ; talché anche Siila il Felice disse essere siati càcchi tatti gli altri messi in paragone con lai. Non farai la tua villa appreaso a p aludi,, nè Convenit nee juxta paludes ponendam esse, di rincontro al fiume. O m ero a tutta ragione aeque adverso amne : qoamqnam Homerus omni­ dice, che i venti cbe ionaozi d ì v en go ao dei fiami, no e flumioe semper antelucanas anras insalubres sono sempre malsani. Dee esser volta a setten­ verissime tradidit. Speotare in aestuosis locis septemtriones debet, meridiem in frigidis: in trione ne' luoghi caldi, a m ezzodi n e' freddi, e al temperatis exortam aequinoctialem. A gri ipsivs levigate equinoziale ne' temperati. E benché par· bonitas, quibos argumentis judicanda sit, quam ­ r i che noi abbiamo già ragionato abbastanza quam de terrae optimo genere disserentes abunde de' segni per conoscere un buon terreno, qoaado ne trattammo della qualità m igliore, ritocchere­ dixisse possumus videri, etiamnum tamen traditas notas subsignabimus, Catonis maxime verbis : mo qui i già delti segni, massimamente allegando Catone. L ’ ebbio, il susino selvatico, il prono Ebulum , vel pranus silvestris, vel robas, bolbus moraiuolo, i cipollini salvatichi, il trifoglio, l ’ er­ minutas, trifolium, herba pratensis, quercus, sil­ vestris pirus, raalusque, fraraentarii soli notae. ba pratese, la quercia, il pero sai va lico, e il melo Item nigra terra, et cinerei coloris. Omnis creta sono segai di terreno fertile « grano. E cosi la coquit, nisi permacra : sabulomque nisi id etiam terra nera, e di colore cenerognolo. O gn i creta perteone est : et m olto campestribus magis, qaam ■tatara, se non è molto magra. I) sabbione aneora, elivosis respondent eadem. se non è molto sottile; e tutte queste oose rispon­ Modam agri in primis servandam antiqai putavere : quippe ita censebant, w Satias esse minas serere, et melius arare : w qua in setoentia c t Virgilium fuisse video. Veram qoe confitentibus latifundia perdidere Italiam : jam vero et provinciae. Sex domini semissem Africae possi­ debant, quam interfecit eos Nero princeps : non fraudando magnitudine hac quoque sua Cn. Pom­ pejo, qui namquam agrum mercatas est conter­ minum. A gro empto domum vendendam, incle­ menter, atque non ex utilitate publici status Mago censui t, hoc exordio praecepta paodere ingressus, ut tamen appareat assiduitatem desideratam ab eo.

Dehinc peritia villicorum in cura habeoda est: mullaque de iis Cato praecepit. Nobis satis sit dixisse, quam proximum domino corde esse de­ bere, el tamen sibiraelipsi non videri. Coli rara

dono molto piò net piani, ohe n e’ poggi. Stimavanfo gli antichi che il pod ere dovesse aver mediocre estensione, giacché dicevano, «es­ ser meglio seminar poco, e arar bene: n delia qoale opinione veggo essere stato anche Virgilio. E a confessare il vero, le possessioni grandi hanno minata Γ Italia, e di già le p rovince ancora. Sei signori possedevano la metà d e ll' A frica, quando Nerone imperadore gli uccise; al quale proposito è da lodare auche questa m agnanim ità di Gneo Pompeo, che non comperò mai campo d i vicino. Magone fu di parere che fosse cosa c ru d e le , e contra r u tilila dello stato pubblico, vendere la casa quando s1 è comperato il p o d e r e , avendo con questo esordio cominciato a dar i suoi precetti» in modo però che si vede, come e g li ne accasava la frequenza. Hassi poi da aver cura che il fattore della villa sia intendente d'agricoltura, c intorno a qaesti lab Calone diede molli precetti. A uoi basterà aver dello, ch 'egli sia vicino al padrone di prudenza,

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HISTORIARUM ΜΟΝΟΙ U B . XVUI.

ab ergastulis pessimum est, et quidquid agitur a despexaulibus. Temerarium videatur unam vocem antiquorum posuisse, et fortassis incredibile pe­ nitus aestimetur : « Nihil minus expedire, quam agrum optime coiere, » L. Tarios Rufus infima natalium humilitate, consulatum militari indu­ stria meritus, antiquae alias parcimoniae, circiter inillies H-S liberalilate divi Augusti congestum, usque ad detrectationem heredis exhausit, agros in Piceno coemendo, colendoque iu gloriam. In­ ternecionem ergo famemque cessemus ΐ lm m o hercules, modum judicem rerum omnium utilis­ simum. Bene colere necessarium est: optime, damnosum, praeterquam so bole, suo colono, aul pascendis. A lioqui colente domino aliquas messes colligere non expedit, si oompntetur impendium Ceterae. Nec temere olivam : nec quasdam terrae diligenter colere, sicot in Sicilia, tradunt : itaque dccipi advenas.

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e nondimeno nun paia a sè stesso di esserlo. E g li è mollo mal fatto far lavorare le possessioni agli schiavi, o commettere altro a chi vi opera senza punto di speranza. Parrà forse temerario riferire un motto degli antichi, e sarà anche tenuto iocre­ dibile affatto; e questo è : a non esser cosa mnnco utile, che coltivar troppo spleudidamente il cam­ po. » Lucio Tario Rufo nato di vilissimo sangue, avendosi per industria militare ottenuto il con­ solato, uomo d ’ altronde parco all' antica, consu­ mò, perchè niuu retaggio ne riraanesseal figliuo­ lo, intorno a cento milioni di sesterxii che per la liberalità di Augusto aveva accumulalo, in compe­ rare di molle possessioni nella Marca di Ancona, e in farle lavorare più a gloria, che ad utilità. Ma che ? coltiverem o noi la ruina e la fame ? Veris­ simo è dunque che in ogni cosa utilissimo sia il giusto m e n u . 11 lavorar bene è cosa necessaria ; ma il lavorare a tulta splendidecza è di danno, se già il lavoratore non lo fa co’ figliuoli, o con altre persone, le quali in ogni modo egli ha da pascere. Altrim enti non mette conto ricogliere q u e 'fruiti, dove la spesa è più che il guadagno. Nè anco Γ uliva s’ ha da lavorare sconsigliatamente ; nè coltivare certe terre con troppa diligenza, come dicono in Sicilia ; perchè così ingannatisi i fo­ restieri. P r e c e t t i d e g l i a n t i c h i INTORNO a LAVORARE I

P b AECEPTA ANTIQUO&UU DB AGRO COLENDO.

V ili. Quonam igitur modo utilissime colun­ tu r a gri? ex oraculo scilicet, malis bonis. Sed defen di aequum est abavos, qui praeceptis suis prospexere vitae. Namque quum ilioerent malis, in telligere voluere vilissimos.Sammum providen­ tia e illorum fuit, ut quam minimum esset impen­ d ii. Praecipiebant enim ista, qui triumphales desias argenti libras in suppelleclile crimini d a ­ b a n t : qui mortuo villico relinquere victorias, et re v erti io sua rura postulabant : qoorom heredia colenda suscipiebat respublica, exercitusqoe do­ ceb an t, senalu illis villicante.

Inde illa reliqua oracula : « Nequam agrico­ la m esse, quisquis emeret, quod praestare ei fun­ d u s posset. Malum pai rem familias, qnisquis in­ te r d iu faceret, quod noctu posset, nisi in lempe s t a le coeli. Pejorem , qui profestis diebus ageret, q u o d feriatis deberet. Pessimum, qui sereno die s u b tecto potius operaretur, quam in agro. «

FODBR1.

V i l i . Com e si lavoreranno dunque utilissimamente i caotpi ? certo secondo l ’ oracolo che dic$, quanto costano meuo, e tanto son più buoni» Ma bene è cosa onesta difendere gli antichi, i quali coi precetti loro provvidero alla vita. Per-: ciocché dicendo eglino c a ttiv i, vollero inten­ dere vilissim i; perchè gran provvidenza fu 1* loro, che la spesa fosse pochissima. Questi erano i precetti di quegli antichi, i quali imputavano a peccalo, che uno, il quale avesse trionfato, avesse in sua masserizia dieci libbre di argento ; i quali iupr(o che era il fattore, domandavano di lasciare la vittorie, e ritornarsi alle lor ville ; i cui piccoli poderi la repubblica faceva lavorare, quando essi diventavano capitani degli eserciti, e il senato se ne faoeva fattore. Di qui vengono qaegli altri oracoli : « Catti­ vo lavoratore è colai, che compera quello che gli può dare il podere; e cattivo quel padre di fami­ glia, il quale fa di giorno ciò che potria far di notte, se oon quando è cattiva temperie: ma peggiore è quello, che nei giorni di lavorare fa qìò, ohe può fare ne1 giorni di rip oso; e pessimo quel­ lo, che quando è buon tempo piuttosto lavora al coperto, che nel campo. »

C. PLINII SECONDI Nequeo mihi tem perare, quominus unum exemplum antiquitatis adferam, ex quo iulelligi possit, apud populum eliam de culturis agendi morem fuisse, qualiterque defendi soliti sint illi viri. C. Furius Cresinus e servitute liberatus, quum in parvo admodum agello largiores utullo fructus perciperet, quam ex amplissimis vicinitas, in invidia magna erat, ceu fruge* alienas pellice­ ret veneficiis. Quamobrem a Sp. Albino curuli die dicta, metuens damnationem, quum in suffra­ gium iribus oporteret ire, instrumentum rusti­ cum orane in forum attulit, et adduxit filiam va­ lidam, atque (ut ait Piso) bene curatam ac vesti­ tam, ferramenta egregie facta, graves ligones, vo­ meres ponderosos, boves saturos. Postea dixit : u Veneficia mea, Quirites, haec sunt : nec possum vobis ostendere, aut in forum adducere lucubra­ tiones meas, vigiliasque, et sudores, n Omnium sententiis absolutus itaque est. Profeclo, opera, non impensa, cultura constat. E t ideo majores fertilissimum in agro oculum domini esse di­ xerunt.

Reliqua praecepta reddentur suis locis, quae propria generum singulorum erunt. Inierim com­ munia, quae succurrunt, non omittemus. E t in primis Catonis humanissimum ulilissimuraque : u Id agendum, ut diligant vicini, n Causas reddit ille: nos existimamus nnlliesse dubias. Inter pri­ ma idem cavet, ne familiae malae sint. Nihil sero faciendum in agricultura omnes censent, ileruraque suo quaeque tempore facienda.Ex tertio prae­ cepto, praetermissa frustra revocari. De lerra cariosa exsecratio Catonis abunde indicata est. Quamquam praedicere non cessat is: quidquid per asellum fieri poteit, vilissime constat. Filix biennio moritur, si frondem agere non patiaris. Id efficacissime contingit, germinantis ramis ba­ culo decussis. Succns enim ex ipsa defluens, necat radices. Ajunt et circa solstitium avulsus non re­ nasci, nec arundine sectas, aut exaratas vomeri arundine imposita. Similiter et arundinem exa ­ rari filice vomeri imposita praecipiunt. Juncosus ager verti pala debet : at in saxoso bidentibus. F ru t e t a igni optime tolluntur.Humidiorem agrum fossis concidi atque siccari, utilissimum est : fos­ sas aulem cretosis locis apertas relinqui : in solu· tiore lerra sepibus firmari, ne procidant: aut supinis lateribus procum bere: quasdam obcae· cari, et in alias dirigi majores pateutioresque : si sit occasio, silice vel glarea sterni. Ora aulem earum binis utrim que lapidibus statuminari, et alio superintegi. Silvae exstirpandae rationem

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Non mi posso tenere, che io non metta qni un esempio dell' antichità, acciocché si sappia cbe era usanza trattare dinanzi al popolo i processi in­ torno a cultura, e in che modo gli accusati si difen­ devano. C. Furio Cresino d isch ia vo che egli era. fatto franco, ricogliendo in nn campo m olto piccolo assai più che i suoi vicini nelle poasesaioni grandi, era m ollo odiato, come se per incanti e g li avesse tirata a sè le biade de’campi vicini. P e r la qual cosa essendo citato da Spurio A lbino edile curale, e accusato al popolo, e perciò tem endo di esser condannato, perciocché bisognava che le tribé mettessero il partito, oomparve in g iu d ià o , e portò quivi tutti i suoi ferram enti, co' quali egli lavorava, e menò una sua figlinola, molto robu­ sta, e (come dice Pisone) ben governata e vestita: ferramenti ben fatti, g ra v i m arroni, ponderasi vomeri, e buoi ben pasciuti ; e disse : u O citta­ dini Romani, i miei incantesimi sou qneali ; na non posso già, come io vi m ostro i m iei ferra­ menti, mostrarvi le vigilie, le fatiche, e i sudori miei, η C iò detto, fu assoluto con tu lli i suffragii. E veramente Γ agricoltura consiste n e ll' opera, e non nella spesa. E perciò i nostri antichi usavano dire, che l ' occhio del padrone era la grascia dd campo. Degli altri precetti ragioneremo al suo luogo, riferendogli iu quella sorte di cose, per cui fu­ rono dati. Al presente porrem o g li universali, e prima quello di Catone, il qual è umanissimo e utilissimo, cioè, che facciamo og n i cosa in modo, che i vicini ci vogliauo bene. Del che «gli n e ren­ de anche le cagioni, 1« quali io penso che sieno nota ad ognuno. Fra le prim e cose e* vuole che 1 servi nostri non sieno cattivi. È com une precetto di tu lli, che non et faccia nulla più lardi che eoa conviene, »,a sì ogni cosa a suo tem po. Il terzo precetto è, che le cose pretermesse è inutile che si rifacciano. Abbiam o d ello abbastanza, quanto Catone abbia a noia il terreno spugnoso, e quasi intarlalo ; benché egli uon mane* di ripeterlo: ciò cbe si può fare con I1 asinelio, è pochissima spesa. La felce muore in due anni, se non ae le lascia far la foglia ; il che si otlieue benissimo, se cou un bastone lu furai cascare i rami germ ogliali ; perciocché il sugo che ella perde ammazza le »ue radici. Dicono ancora, che s’ elle si sv d g o o o intorno il solstizio, non rinasoono, nè se aooo ta­ gliate cou la canna, o arate, m ettendo la causna sul vomero. Vogliono ancora che U canneto «Vari mettendo la felce sul vomero, a volere c h e la Idee uon vi nasca di m ezzo. Il campo pieno di gnauchi si dee volgere con la vanga, ma il m u o io si dee col beccastrino. 1 pruneti si levano benissimo col fuoco. 11 campo acquoso è cosa utilissima di­ viderlo e asciugarlo cou le fo sse . e lasciare le

i 6 og

HISTORIARUM MUNDI LIB. XVIII.

Democritus prodidit, lupini fiore io tacco d ca te e uao die macereto, aparsisqae n i iià b o i.

G i m i FBUGOB.

IX. 7. K t quoniam praeparatas est ager, na­ tura nunc in dicabitar frugain. Sant autem dao prima earam genera. Frnmenta, a t triticum, hor­ deum: et legumina, at faba, eicer. Differentia vero notior qaam a t indicari deceat.

N atura,

p i i genera, p r o b r t i .

X. Frumenti ipeius lotidem genera, per tem­ pora satu divisa. Hiberna, quae circa Vergilia­ rum occasum sata terra per hiemem nutriantur, at triticum, far, hórdeam. Aestiva, qaae aestate' aate Vergiliarum exortam serantur, ut milium,' panicOm, sesama, hotm m am , irio, Italiae dumta­ x at ritu. Alioqui in Graecia el Atia omnia Ver­ giliarum occasu serantur. Qaaedant aatem utro­ qu e tempore in Italia. Ex his quaedam et terlio, ▼eris scilicet. A liqai verna, miliom, panicum, lentem , elcer, alicam appellant. Sementiva aatem, triticu m , hordeum, fabam, napum, rapam. E t in tritici genere pars aliqua pabuli est quadrupedum cauta sali, ut farrago : et in leguminibus, ut vicia. A t commune qaadrapedam hominumque asui, lupinam .

Legum ina ompia singulas habent radices, p ra e te r fabam, easque surcalosas, quia non in m a lta dividuntur : alliesimas aatem cicer. F ra ­ n c a t a multis radicantur fibris, tine ramis. Erum ­ p it si p r is a · satu hordeum die septimo : legumina q u a r to , vel quam tardissime, septimo : fbba a xv ad x x . Legumina in Aegyplo tertio die. E x hor­ d e o a lte ra m caput grani in radicem exit, alteram in h e rb a m , qaae et prior floret. Radicem crassior p a i s gran i fundit, tenyior florem. Ceteris semi­ ti i b u s eadem pars, et radicem, et florem.

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fosse aperte ne' luoghi cretosi. Nella terra che più si risolve, debbono le fosse essere circoadate da siepi : i fianchi loro, acciocché le acque non li dilavino giù, deono essere pietrosi e di dolce declivio. Alcune voglionsi privare di uscita, ac­ ciocché mettano in altre maggiori e più eapaci ; e se v ’ è Γ occasione, è molto utile ripianare Γ al­ veo 'con sassi e con ciottoli. G li sbocchi loro si debbono fortificare con doe pietre di qua e di là, e con un' altra coprire di sopra. Per estirpare ana boscaglia ne insegna il modo Democrito, vo­ lendo che si maceri il fiore del lupino nel sago della cicala per un dì, e che se ne spargano le radici. D bllb'

specie d b l l b

bia d b .

IX . η. O ra, poscia che si è ordinato il campo, si ragionerà della natura delle biade. D ae so­ no le prime sorti di esse : frumenti, come grano e orzo ; e legam i, come fava e eeee. La diffe­ renza loro é tanto chiara, che non accade par­ larne, per volerla mostrare. N a t u r a d b l f r c m e h t o sec o nd o s p b c ib .

X. Del frumento stesso sono altrettante sorti, divise secondo i tempi da seminare. I vernerecd, i qnali essendo seminati intorno al tramontare d d le Vergilie, nel verno son on od rili dalla terra, come il grano, il farro, e l’orzo. Gli eslivi,i quali si teminano la state innanzi il nascimento delle Vergilie, come il m iglio, il panico, il sesam o, I’ ormino, e Γ irio ; però secondo il costume di lU li a , perchè in Grecia e in Asia si seminano tutti nel tramontare delle Vergilie. In Italia al­ cani si sem in an o pur nell' uno e l ' altro tempo ; e parte di essi ancora nel tempo di mezzo, cioè nella primavera. Alcuni appellano vernerecci il miglio, il panico, la lente, i ceci e Γ alica ; e se­ mentivi il grano, l'orzo, la fava, il napo e 1« rapa. Nella specie del grano ve n' ha una parie che semina per pastura de' bestiami, come è la farra­ g in e ; e similmente fra i legumi la veccia.il lupi· pino però é oomune agli uomini e alle bestie. 1 legami in generale, fuorché la fava, non han­ no più ohe una radice, la quale mette sorcoli per­ chè non si dirama in altre radici, salvo poche fibre tenuissime : il cece I' ha profondissima. 1 Tramenìi hanno certe come venoline in laogo di radice, e perciò non raettou sorcoli. L ’orzo nasca in selle giorni, le civaie iu quattro, o al più tardi in selle : le fave da quindici a venti giorni. L e civaie in Egitto nascono in tre giorni. Nell' orzo l'u n capo del granello fa i* radice, e l'a ll r o fa l’ erba la quale prima fiorisce. Il grauo fa la ra-

C. PLINII SECUNDI

Frumen U hieme in herba «aat : verno tera· pore fastigantur iu t t i f w l i a , qaae *unt hiberui generis : at milium et pantcitiu in calimi a genicuUluoa,et conca t u o , sesania veru io feralaceum. Om aium satorum fructui, aut spicis con li ne lar, at trilici, hordei ; raunilurque vallo arietaram quadruplici : aot iocloditur siliquis, ut legumi­ num : aut vasculis, ut sesamae, ac papaveris. Mi­ lium et panicum tantum pro indiviso et parvis avibus expositum est. Indefensa quippe membra­ nis continentur. Panicum a paniculis dictam, ca­ cumine languide nutaute, paullatim e ite o a a to culmo paene in surculum, praedensis acervatur granis, cum loegissiraa pedali phoba. Milii comae granum complexae fimbriato capillo curvantur. Sunt et panico geoera : mammosa, e pano parvis racemata paniculis, et cacumine gemino. Q u ia e t colore distinguitur : candido, nigro, rufo, etiam pur pareo. Pania multifarie et e milio fit, e paaico raras. Sed nullam frumen tura ponderatius est, a at quod coquendo magis crescat: l x pondo panis a modio reducunt, modiumque pultis ex Iribus sextariis madidis. Milium intra hoe decem annos ex India in Italiam iuvectum est, nigrom colore, amplum grano, arundineum colmo. Ado­ lescit ad pedes altitudine septem, praegrandibus culmis : lobat vocant : omnium frugum fertilissi­ mum. E x uno grano sextarii terni gignantur. Seri debet in bamidis.

Frumen Ia qaaedam in tertio genu spicam incipiant concipere, qaaedam in qnarto, sed etiarmnam opcaltam. Genicula aatem aant tritico quaterna, farri sena, hordeo octona. Sed non ante supradiclum geniculorum numerum conceptos est spicae: qui ut spem sui fecit, quatuor aat quinque tardissime diebus florere incipiant : totidemqae aot paullo pluribus deflorescunt. Hor­ dea vero quum tardissime septem. Varro quater novenis diebus fruges absolvi tradit, et mense nono meli. Fabae in folia exeant, ac deinde canlent emit­ tunt, nuHis distinctam internodiis. Reliqaa le­ gumina surculosa sant. E x his ramosa, cioer, ervom , liens. -Qaorumdam caules sparguntor in terram, si non habeant adminiealum, ut pisorum. Q uod si oon habuere, deteriora fient. Legum i­ num unicaulia faba sola, onus et lupinis : ceteris

dice dal grosso, e il Aere d a l lo ttile . Negli altri semi una medesima parte fa la radine e i fiori. 1 grani il verno sooo in erba, e la primavera fanno le cime eon istoppie, se sono vernerecei; ma il miglio e il pauico fan gam bo con cavo e inter­ secato da nodi, e il sesamo som igliante a quello delle ferule. T utte le cose seminale tengono il frutto o nelle spighe, come il gran o e 1' orzo, le quali spighe sono difese da qu attro ordini di re­ ste; o nei baccelli, come sono le fa re e » eeci ; o in vasi, come il sesamo e il papavero. S olo il miglio e il panico indiffereu temente rim angono in pre­ da ancora a piccoli uccelli ; perocché uon hanno altra difesa che d’ un pannicolo. 11 panico coti chiamalo p e rla pannocchia che fa, la quale lauguidameote oodojeggia, assottiglia il suo fasto di mano io maoo finché uella cima è sottilissimo : la pannocchia è folla di grani, e incappella H fu­ sto luughisiim o a guisa di chiom a. Questa chioma medesima cbe contiene il grano, nel m iglio iocurva i suoi crioi a m o 'd i frangia. II paaico ha pur esso le sue specie: v 'h a ii m am m oso,il quale da una specie d’ enfiatura mette piccole pannoc­ chie, che si scevrano in due vette. O ltra di ciò si distingue al colore, perché c ' è panico bianco, nero, rosso, e porporino ancora. Si fa pace in molti modi eziandio di m iglio, ma d i panico pià d i rado. Ma nessun frum ento è p iò pesante, o che coceudolo più-cresca, perchè di un moggio si ca­ vano sessanta lib b re di pane ; e il moggio della polta è d i tre aestarii bagnati. Il miglio da dia­ ci anni io qua è stato porlato d 'India ia Italia, nero di colore, grosso d i granello, e d i gamba come La canna. Cresce fino a eette piedi di altez­ za, con gran cima : lo chiamano loba, ed è ferti­ lissimo più ehe latte le biade. Di un granello ne nascono ire aestarii ; ma dehbesi sem inare in luo­ ghi umidi. Certi frum enti cominciano la re la spiga nel terzo nodo, certi nel quarto, ma aneora ascosa. 11 gran o ha quattro nodi, il farro sei, e l ' o n s otto. Ma la spiga non nasce innanzi al aopraddello nnmero di nodi ; la quale com e ha data speranza di sè, quattro o cinque gio rn i al più tardi comincia a fiorire, e iu altrettan ti, o poco p iù , sfiorisce ; e l ’ orzo al più tardi in sette. Dice Varrone che in trenta sei gio rn i le biade hanno la loro perfezione, e che e lle si tagliane in nove mesi. L e fave eseono in foglie, e poi m andano inori il gam be senza nodo alcuno. L ’ a ltre civ a ie fan­ no più sorcolù Ramasi sono il oeoe, la rnviglis, e la lente. I gambi di alcuni si spandono p e r ter­ ra, se non hanno sostegno, come i p iselli ; anzi se non l ' anno, diventano p eggiori. D e lie civaie, la fava e il lupino hanno un sol g a m b o : g li altri

HISTORIARUM MONDI LIB. XV11I.

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ramosus praetenui surculo : omnibus vero fistu­ lo s u s .

Folium quaedam ab radice mittunt, quaedam a cacumine. Frumentum vero et hordeum, viciaque, et quidquid in stipala est, in cacumine uoum folium habet. Sed hordeo scabra sunt, celeris laevia. Multiplicia contra fabae, ciceri, piso. F ru menlis folium arundinaceum, fabae rotundum, et magnae leguminum parli. Loogiora ervilia·, et piso. Faseolis venosa ; sesamae, et irioni sangui­ nea. Cadunt folia lupino tantum, et papaveri. Le­ gumina diutius florént, et ex his ervum ac cicer : sed dialissime fa b a x l diebus. Non autem sin­ guli scapi lamdia, quoniam alio desinente alius incipit ; nea tota seges, sicut frumenti, pariUr. Siliquantur vero omnia diversis diebus, et ab ima prim um parte, paulUlim flore aubeunte.

Fru m enta, quum defloruere, crassescunt, maturanltarque quum plurimum diebus quadraginta: item fa ba : paucissimis cicer. Id enim a semente diebus x i . perficitur. Milium, et panicum, e l sesa­ ma, e l omnia aestiva, x l diebus maturantur a flore, magna terrae coelique differentia. In A egy­ pto enim hordeum sexto a satu mense, frumenla septimo metuntur. In Hellade, hordeum. In Pe» loponneso octavo, et frumenla etiamnum tardius. G ran a in stipula crinito textu spicantur. In faba legum inibusque, alternis lateribus siliquantur. F o rtio ra contra hiemes f rumenta, legumina in cibo.

T u u ica e frumento plures. Hordeum maxime n u d u m , el arinca, sed praecipite avena. Calamus a liio r frum ento, quam hordeo. Arista mordacior h o rd eo . In area exlcrunlur trilicum , el siligo, el h o rd eu m . Sic et seruntur pura, qualiler m olen­ tur, q u ia tosta non sunt, L· diverso far, milium, panicum , purgari, nisi tosta, uou possunt. Ilaqu e baec cum suis folliculis seruntur cruda. E t far in vagin u lis suis servaot ad salus, atque noo to rre n t. Db

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» fuoco, lo spruzzano con un poco d ’acqua, e prima ro virentibus spicis decussum hordeum recens di macinarlo lo seccano. Alcuni a ltri, quaodo le purgant, madidumque in pila tundunt, alque in spighe sono aocora verdi, ne cavano l'o rzo fre­ corbibus eluunt, ac siccatum sole rursus tundunt, sco e lo purgano da polvere e altre brattate e et purgatum molunt. Quocum que autem genere bagnato Io pestano in m o rta io , e dip oi postolo praeparato, vicenis hordei libris, teraas seminis nei corbegli il dilavano, e secco al sole n a' altra lini, et coriandri selibram, salisque acetabulo, volta lo pestano, e purgato lo macinano. Cornea· torrentes ante omnia miscent in mola. Q ui diu­ que sia preparato, iu venti libbre d 'o r s o ne tol­ tius volunt servare, cura polline ac furfuribus gono tre di seme di lino, e mezza d i coriandoli, snis condunt novis fictilibus. Italia sine perfu­ e due incirca di sale, e abbronzando prim a tulle sione tostum in subtilem farinam molit, iisdem queste cose, le mescolano nella macina. Qoegli additis, atque etiam milio. Paoera ex hordeo an­ ehe 1» vogliono conservare più lungam ente, met­ tiquis usitatum vita damnavit, quadrupedum que tono in vasi di terra nuovi la sua farina e la sua fere cibus est. crusca· L ' Italia senza bagnarlo altrim en ti, aieodolo secco al fuoco, lo macina in farina sottile e v' aggiugne le medesime cose, e il m iglio per soprappiù. 11 pan d ' orzo usato dagli antichi oggi più non s ' usa, ma si dà agli animali. P tisa r a .

X V . Ptisanae inde usus validissimus saluberrimusque tantopere probatur. U nam laudibus «jus volumen dicavit Hippocrates e clarissimis medicinae scientia. Ptisanae bonitas praecipua Uticensi. In Aegypto vero est, quae fit ex hor­ deo, cui sunt bini anguli. In Baetica et Africa genus, ex quo fiat, h o rd ei, glabrum appellat Turranius. Idem olyram et oryzam eamdem esse existimat. Ptisanae conficiendae vulgata ratio est.

T kago.

D ella

ohzata.

X V . L 'o rz a ta fatta d 'esso è cosa u ltlissu u , tante che Ippocrate, il quale fu m edico eccdien* tissimo, compose uu libro delle lodi d ' essa. 1« m igliore orzata cbe si faccia, è tenuta quella di Utica ; e in Egitto quella che si fa d e ll' orzo, che ba la spiga a doe ordini. In G ra n a la e io Africa si fa d ' una specie di orzo che T o rran io chiama glabro. E gli tiene eziandio., che l ' olirà e V orna, o riso, sieno una cosa istessa. Il m odo di fare la orzata è notissima. D bl

teago.

XV I. Simili ipodo ex tritici semine tragom fit, in Campania dumtaxat et Aegypto.

X V I. Nel medesimo m odo col seaae di grano si fa il trago, solamente in Cam pagna e in Egitto.

A m ylo.

D b l l ' a m id o .

X V II. Amylum vero ex omni tritico ac sili· g in e , sed optimum e trimestri. Inventio e jm Chio insnlae debetur: et hodie laudatissimum inde est : appellatum ab eo, quod sine mola fiat: proxim um trimestri, quod e minime ponderoso

X V II. L 'a m id o si fa d'ogn i grano e d i segala, ma il migliore è il trimestrale. Dicesi che se n e dee l ' invenzione all’ isola di Scio, donde anche oggi viene eccellentissimo : è così chiamato perchè si fa senza macina. Dopo il grano trimestrale, è mi-

i6ai

HISTORIARUM MONDI LIB. XVUL

tritico. Madescit dolci aqua ligneis vasis, ita o t iu tegalu r, quinquies in die molala. Meliu· si et n octu, ita ut mieoeator pariter. Em olli Ioni, pria» quam acescat, linteo aut sportis saccatum, tegu­ lae infunditor illitae fermento, atqoe ita in sole densatur. Post Chinm maxime Undator C reti­ c a m , mox Aegyptium. Probatur autem laevore, e t levitate : atqoe ut receos sil : jam et Catoni d ictam apud noe.

gliore quello che pesa meno. S ' immolla entro a vasi di legno in tanta acqua dolce, eh' ei ne resti so tto; ma vuoisi mutarla cinque volte il d ì:.m egKo se anche di notte ; però vuoisi mescere del pari. Cosi ammollito, prima che rinforzi si fa co­ lare per sacchi di tela o per isporte su tegoli im­ piastrati di fermeoto, e cosi si rassoda al sole. Dopo quello di Scio è lodato molto il Candiotto, e poi PEgizio. Stimasi piò se è dilicato e leggeri, 0 se è fresco, come già disse anche Catone fra i nostri.

HoBDXI B iT O t A .

N atoba

d e l i .' o b z o .

X V III. Hordei farina et ad medendam utun­ X V III. La farina d ’orzo s'usa per medicare an­ cora. E d è maraviglia,come per servigio delle be­ t u r . Mirumque, in asa jumentorum, ignibus du· stie indurato col fuoco, e poi macinato e fattone r a to , ac postea molito, offitque ha mana manu dem issis in alvum , majores vires, torosqoe cor­ schiacciate, e applicatele con la mano al ventre, faccia loro maggiori forze, e muscoli più robnsti. p o r is fieri. Spicae qoaedam binos ordines habent, qn aedam plores usque ad senos. Grano ipsi ali·· Alcune spighe hanno due ordini, alcune più fino q u o t differentiae, longius, leviosqoe, aut bre­ a sei. Anche nel granello stesso ci sono più dif­ ferenze, per essere più longo, più c o rto , più v iu s, aut rotundius, caudidius, nigrius, vel coi tondo, più bianco, più nero, o per tenere di por­ p urpura est: ultim o ad polentam, contra tempe­ porino; e finalmente per esser più o men buono a states candido maxima infirmitas. Hordeum fru­ far polenta ; al che poco risponde il bianco, per­ gu m omnium mollissimum est : seri non vnlt, chè pei cattivi tempi facilmente perisce. L ' orzo n isi in sicca et solota lerra, ac nisi laeta. Palea ex 1 mollissimo più ebe lotte Γ altre biade : non si optim is : stramento vero nollum comparatur. può seminare se non in terreno secco, e trito, e H ordeooi ex omni frumento minime calamito* ingrassato. La soa paglia va tra le migliori, e lo sum , quia ante tollitur quam triticum occupet strame noo ha un eguale. L ’ orzo è meno danegrubigo. Itaque sapientes agricolae triticum ciba­ giato che gli altri grani, perchè si miete prim a riis tantum serant, llordeum sarcalo seri di­ che il grano incarbonchi. Però i lavoratori ac­ cu n t, propierea celerrime re d it: ferlilissimnmcorti seminano il grano solamente per mangiare, q u e, qnod in Hispaniae Carthagine A prili mense e l ' orzo dicono che seminano in terra legger* collectum est : hoc seritur eodem mense in Cel­ mente mossa col sarchiello, e che perciò vien to­ tib e r ia , eodemqoe anno bis nascitur. Rspitnr sto. Fertilissimo è quello che in Cartagine di om ne a prima statim maturitate festinantius, Spagna si raccoglie del mese d ' Aprile. Qaesto quam cetera. Fragili eoirn stipula et tenuissima medesimo ia Celtiberia regione di Spagna si se­ palea granum con linetur. Meliorem etiam polen­ mina dello stesso mese, e nasce due volte in un tam fieri tradont, si non excocta m atorilale tol­ medesimo anno. Mietesi ogni orzo subito eh' è latur. nella prima maturità, e coo più prestezza che l'a ltre biade, perchè ha gambo fragile e tiene il granello in sottilissima paglia. Dicono ancora ehe fa m iglior polenta, se non si lascia maturare af­ fatto. D s AtlICA, BT BEL1QD1S IR OB1BRTB GERBB1BCS.

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b l l ' a b ih c a b

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a l t b e s o b t i d i g b a r o c h b so r o

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evarte.

X IX . 8. Non sono in ogni luogo l e medesime X IX . 8. Frnm enti genera non eadem ubiqne: sorti di grano, e dove e' sono, non hanno il me­ nec ubi eadem sunt, iisdem nominibus. Vulga­ desimo nome. Vulgatissimi sono il farro, che gli tissima far, quod adoreum veteres appellavere, antiehi chiamarono adoreo, la segala e il grano. siligo, triticum. Haec plorimis terris commania. Questi sono comuni a molti paesi. L ’arinca è prò* Arinca Galliarnm propria, copiosa et Italiae est. pria della Francia, e abbonda io Italia aneora. Ma A egypto autem ac Syriae, Cilidaeque et Asiae, in E gilto , in Siria, in Cicilia, in Asia e in Grecia ac Graeciae peculiares, zea, olyra, liphe. Aegy-

C. PLINII SECUNDI plus similaginem conficit e tritico suo, nequa­ quam Italicae parem. Q ui zea utuntur, non ha­ bent far. Est et baec Italiae iu Campania maxi­ me, semenque appellatur. Hoc habet nomen res praeclara, ut mox docebim us: propter quam Ho­ merus άξουςa d ix it: non ut aliqui arbitrautur, quoniam vitam donaret. Amylum quo­ que ex ea fit, priore crassius. Haec sola differen­ tia est. E x omni genere durissimum far, et contra hiemes firmissimum. Patitur frigidissimos locos, et minus subactos, vel aestuosos, sitientesque. Primus antiquis Latio cibus, magno argumento in adoreae donis, sicuti diximus. Pulte autem, non pane, vixisse longo tempore Romanos mani­ festum, quoniam inde et pulmentaria hodieque dicuntur. E l Eunius antiquissimus vates obsi­ dionis famem exprimens, ofTam eripuisse ploranlibus liberis patres commemorat. E t hodie sacra prisca, atque natalium, pulle fritilla confi­ ciuntur : videlurque lam puls ignota Graeciae fuisse, quam Italiae poleula.

D b s il ig in e ; d b s ih il a g ir b .

aono peculiari la zea, 1' oltra e la tife. L* Egitto fa la similagine del suo grano, che non è p o sto pari alla Italiana. Quegli eh* usano la xea, non hanno il farro. Questa ancora è in Cam pagna d* Italia, e chiamasi seme. T ale è ii nom e cb e ha una cosa sì eccellente, come m ostrerem o poi, per la quale Om ero disse la terra vivifica, ooa, come vogliono alcuni, perchè ella desse la vita. Fassi ancora d* essa Γ amido più sodo d i quel dello prima. V* è sola questa differenza. . D ' ogni sorte è durissimo il farro, e fermis­ simo conlra il verno. Egli com porta lu ogh i fred­ dissimi, e manco coltivati, o caldi, e asciatti. Questo fu il primo cibo degli antichi in Italia, del cbe ne dà certa prova il dono c b e se ne fa­ ceva a quelli che avevauo riportalo vittoria, sic­ come abbiamo detto. Ed è cosa chiara, c h e i Ro­ mani vissero lungo tempo non di' pane, ma di pulii gli», perchè d*indi aucora o g g i ritengono il nome loro i pulmentarii. E nnio poeta antichis­ simo, descrivendo la fame di un assedio, dice che i padri tolsero uua focaccia a ' figliuoli die piangevano. Ed oggi pure i sacrificii antichi, e i natalizi! si fanno con pultiglia di farina fritta ; e pare che la pultiglia fosse tanto incognita alla Grecia, quaulo la polenta all* Italia. D ella

s b g a ij l

:

d b l l a s im il a g im

.

XX. Niuu seme e più ingordo di qoello del XX. T ritici semine avidius nullum est, nec grano, nè cbe tiri s sè più nutrimento, lo chia­ quod plus alimenti trahat. Siliginem proprie di­ xerim tritici delicias : candor est, et sine virtute, merei la segala propriamente delizia del grano: è bianca, benché non ba la v irtù nè il peso del graet sine pondere, conveniens humidis tractibus, uo : vien bene ne*luoghi um idi, quali sono in Ita­ quales Italiae sunt, et Galliae Comatae. Sed et trans Alpes in Allobrogum tantum Remorumlia, e massimamente in Lombardia. Ma di là da!· Γ Alpi solamente nel paese degli A llobrogi e dei que.agro pertinax : in ceteris ibi partibus bien­ Remi fa mollo bene. Negli a ltri paesi dintorno nio in triticum transit. Remedium, ut gravissi­ in due auni diventa grano. Il rim edio è, cbe si ma quaeque grana ejus serantur. seminino tulle le sue grauella più grandi. 9. Di segala si fa dilicatissimo paoe, e per 9. E siligine lautissimus panis, pislrinarummano de* ciambellai molto lodale delicature. È qoe opera laudatissima. Praecellit in Italia, si eccellente in Italia, se si mescola quella di Cam­ Campana Pisis nalae misceatur. Rufior illa, at pagna con quella che uasce a Pisa. Q uella è più Pisana candidior, ponderosiorque cretacea. Ju­ stum est e grano Campanae, quam vocant castrarossigna, ma la Pisana è più bianca, e la creta­ tara, e modio redire sextarios quatuor siligiois, cea è più grave. E certo che del granello di q u d ­ la di Cam pagna, la quale si chiama castrata, vel e gregali sine castratura sextarios quinque, praeterea floris semodium : et cibarii, quod se­ escono quattro sestarii di un m oggio, ma. della cundarium vocant, sextarios quatuor : furfuris, ordinaria senza castratura ciuque sestarii, e un sextarios totidem. E Pisana autem siliginis sex­ mezzo m oggio di fiore ; e della stacciatura, che tarios quinque : cetera paria sunt. Clusina, A resi chiama secondaria, quattro sestarii, e altret­ tanti di crusca. Della Pisana escono cin q u e sestalinaque etiamnum sextarios siliginis adsciscunt : in reliquis pares. Si vero pollinem facere libeat, rii di segala : le altre cose· son pari. Q u elle di xvi pondo panis redeunt, et cibarii tria, furfuChiusi e di Arezzo aggiungono un sesta rio di se­ rurnque semodius. Molae discrimine hoc constat. gala, e nel resto sono pari. E chi volesse Care fi oc Nam quae sicca moluntur, plus farinae reddunt: di farina, ne ricava sedici libbre di pene, e tee di quae salsa aqua sparsa, candidiorem medullam : stacciatura, e un mezzo m oggio di crusca. Qoe-

HISTORIARUM MUNDI LIB. XVIII. verum pia* retinent in farfare. Farinam a far re dictam nomine ipso apparet. Siligineae farinae roodiu* Gallicae x x u libra· pani· reddit, Italicae doabos tribosve am plio· in artopticio pane. Nam faroaceis binas adjiciunt libras in quocom qoe genere.

sta differenza viene dalla màcina. Perciocché le biade che si macinano secche, fanno più farina : quelle che si spruzzano con acqua salsa, imbian­ cano di piò internamente, ma lasciano più farina tra la eroica. La farina é cori chiamata dal farro, siccome mostra il nome. Il moggio della Carina di segala di Fraocia rende venti due libbre di pane, qoella d’ Italia due o Ire libbre più, e qaesto è nel pane che »’ arrostisce, perciocché nel forno in qual si voglia sorte sono di più due libbre. io . La similagine si fa eccellentissima di gra­ io. Similago e tritico fit laodalissiraa. E x no. D ’ an m oggio di quel d ' Africa n'esce mezzo ▲frico ju«tum eat e modii· redire semodios, et m oggio, e cinque sestarii di polline, ebe così si pollini· sextarios qainque. Ita aatem appellant chiama nel grano quello che fiore nella segala. in tritico, qaod floreia in siligine. Hoc aerariae Questo adoperano le fabbriche di rame e di car­ officinae charlariaeque atunlnr. Praeterea secunta. Oltra di ciò quattro sestarii dì secondario, e darii sextarios quatuor, farfurum que tantundem. quattro di crusca. Del moggio della similagine Panes vero e modio similagini· cx x n , e flori· escono cento ventidue pani, e del moggio di fiore modio cxvii. Preliam huic annona media in mo­ cento diciassette. Quando la vettovaglia oon é dios farinae, x l asaes : similagini castratae octo­ molto cara, la farina vale quaranta assi il m og­ nis assibus amplius, siligini castratae dapium. Est gio, la similagine caitrata olio dì più, e la siligi­ et alia distinctio similaginis, tempore L. Pauli ne castrala il doppio. Ér.ci anco uu' altra distin­ nata, prima x v u pondo panis reddere visa, se­ zione della similagine, introdotta al tempo di cunda xvm , tertia x ix curo triente : et secondaLucio Paolo, perocché si trovò che la prima dà rii pauis quinas selibras, totidem cibarii, et fur­ furum sextarios sex. diciassette libbre di paue, la seconda diciottn, la terza diciannove e quattr' once ; di più, dne libbre e mezzo di pane secondario, altrettanto di quello di stracciatura, e sei sestarii di crnsca. La segala non si malora mai insieme, nè al­ Siligo numqaam maturescit pariter, nec alia cuna altra sorte di biade patisce manco dilazione segetum minus dilationem patitar, propter tene­ che questa, per rispetto della soa tenerezza, poi­ ritatem , iis quae maturuere, protioas granum ché le spighe che son mature lasciano sabito dim ilteolibua. Sed minus, quam celera frumen­ cadere il granello. Ma questo ha di più, che ella ta, in stipula periclitatur, quoniam semper re­ ctam habet spicam : nec rorem continet, qui ro­ meno che gli altri grani si guasta nei gam bi, perchè ha sempre la spiga diritta, e non ritiene biginem faciat.. la rugiada, che la faccia iucarbonchiare. Della arinca si fa dolcissimo pane : ella è più E x arinca dulcissimas panis: ipsa spissior, spessa che il farro, e di m aggiore spiga, e più qa a m far, et major spica, eadem et ponderosior. grave ancora. Raro è che il moggio del grano R a ro modius grani non xvi libras implet. Exte­ non sia sedici libbre. In Grecia difficilmeule si r it o r in Graecia difficulter : ob id jumentis dari monda ; e per questo Omero dice che ella si dà a b Homero dicla. Haec enim est, qnara olyram vocat. Eadem in Aegypto facilis, fertilisque. Far sine arista est : itero siligo, excepta quae Laconi­ ca appellatur. A djiciuntur his genera, broraos, siligo excep titia, et tragos, externa omnia ab Orieote inve­ cta , oryzae similia. Tiphe et ipsa ejusdem est gen eris, ex qaa fit in nostro orbe oryza., A pad G raecos est zea. T rad u n lq ae eam ac lip h en , q u u m sint degeneres, redire ad fram enlam , si pistae serantur : nec protinas, sed tertio anno.

alle bestie. Pei ciocché questa è quella, che ei chiama olirà. La medesima in Egitto è facile, e fertile. Il farro è senza reste, e la segala ancora, fuorché qoella che si domanda Laconica. Aggiungonsi a queste alcane altre sorti, sic­ come sono il bromo, la siligine eccettizia, il tra­ go, tutte specie straoiere, portale di Levante, e simili al riso. La life anche essa è della medesi­ ma sorte, della qoale ne' nostri paesi si fa il riso. In Grecia è la zea. Dicono che essa e la tife, per­ ché tralignano, diventano grano, se si seminano peste, e ciò non subito, ma il terzo anno.

C. PLINII SECUNDI

D · f e r t il it a t e t r it ic i ir A p r ic a .

D b l l a f e r t il it à d b l o b a r o ih A m i c a .

X X I. T ritico nihil est fartilius: hoc t i natu­ X X I. Non c’ i cosa piò fertile c h e il grano, e ra triboit, qaoniam eo maxime alebat hominem : ciò gli ha conoesso la natara, p erch è d'esso più ehe utpote quum e a o d io , ti sit aplana solam, quale di altro, si nutrivano gli u o m in i; perocché del in Byzacio Africae camp», centeni quinquageni m oggio di esso, se egli è posto in b u o n terreno, come in Bixacio paese di A frica, n ascono cento modii reddantur. Misit ex eo loco divo Augusto cinquanta moggia. Il fattore deU 'im p erado re An­ procurator ejus ex uno grano (vix credibile d i· gusto mandò di quel luogo a R om a p o c o meno di cto) cccc paucis minas germina, exstaotque de quattrocento gambi di nn solo g r a n e llo , (che ap­ ea re epislolae. Misit et Neroni similiter c c c l x pena è credibile a dire) ; e ancora o g g i si conser­ stipulas ex uno grano. Cum centesimo quidem vano le lettere per d ò scritte. M an dò similmente a et Leootini Siciliae campi fundunt, aliique, et tota Baetica, et in primis Aegyptus. Fertilissima Nerone trecento sessanta gambi di un so lo granello. 1 campi Leo otiai di C id lia, e a ltri a n co ra reodo­ tritici genera, ramosum, aut quod eentigraninm vocant. Inventos est jam et scapus unus centum no il cento per ano : cosi fa ancora la t t a la Gra­ nata, e massimamente Γ E g itto . L e spede p ii fabis onustas. fertili sono, il graoo ramoso, o q u e llo cb e si ap­ pella centigranio. S ’ è anche tr o v a to nn gambo che portava cento fave. D b SJISAMA ; DB BRYSIMO SIVB IRIOIIB ; DB HOBJfffrO.

D e l l a s e s a x a : d e l l * e r is im o ,

ovvano

ib io b e :

d e l l ' o r m ir o .

X X II.

X X II. Abbiamo detto che i fru m en ti di state Aestiva frumenta diximus, sesamam, sono il sesamo, il miglio e il panico. U sesamo viene d ' India : di es*o si fa anche olio. Il soo colore è bianco. Simile a questo i a Asia e in Grecia è lo erisimo ; e non differente sarebbe, se non fosse piè grasso, q n d lo cbe noi chiamiamo irione, il quale è da essere pini tosto annoverato tra le medicioe, cbe tra le biade. D ella medesi­ ma natnra è quello che i G reci chiam ano ormi· no ; però è simile al cimino, e si sem ina eon la sesama: di questo e dell* irio n e , qu an d o son verdi, nessuno animale ue mangia.

milium, panicum. Sesama ab Indis venit : ex ea e l oleum faciunt: color ejus eandidns. Huic si­ mile est in Asia Graeciaque erysimum ; i dem que erat, nisi pinguius esset, quod apuJ nos vocant irionem, medicaminibus adnumerandom potias, quam frugibus. Ejusdem naturae el horminum, a Graecis dictum, sed cumino simile, seritur cum sesama : hoc, et irione, nullum animal vescitur virentibus.

Db

p is t u h is .

D e l l e m a c ir b.

X X III. Il mondargli non è agevole in totti. X X 111. Pistura non omnium facilis : quippe La Toscana batte le spighe del fa rro abbrustoli­ Etruria spicam tarris tosti pisente pilo praefer­ to eon pestello ferrato, dove sia nna cannella rato, fistula serrata, et stella intus denticulata, ut dentata, come sega, e una stella c o ' d en ti, e se nisi intenti pisant, concidantur grana, ferrumque chi pesta n o n isti attento, in fran ge le granel­ frangatur. Major pars Italiae ruido utitur p ilo : la. La maggior parte di Italia usa il p e std lo ru­ rotis etiam quas aqua verset obiter, et molat. De vido, e le macine ad acqua. Il parere d i Magone, ipsa ratione pisendi Magonis proponetur senten­ rapporto a questo, è, che il graoo p rim a si dee tia : triticum ante perfundi aqua multa jubet, bagnare con molta acqua, poi c rive lla re , dipoi postea evalli, deinde sole siccatnm pilo repeti. steccato al sole rimetterlo nella pila. E c o si si fa Simili modo hordeum. Hujus sextarios xx spargi dell’ o rto , di cui venti sestarii si sp ru zzan o con duobus sextariis aquae. Lentem torrere prius, due sestarii dì acqua. Le lenti prim a leggerm ente deinde cum for furi bos leviter pisi. Aut addito s* arrostiscono, dipoi eon la crusca si pestano ; in sextarios xx lateris crudi frusto, et arenae ovvero in venti sestarii si ipette a n p ezzo di semodio. ma U on crudo, e un mezzo m oggio di te rr a . Erviliam iisdem modis, quibus lentem : sesa­ mam in calida maceratam exporrigi: deinde con-

Il medesimo fassi della ru v ig lia , che ddla lente. 11 sesamo si macera nell’ acqua cald a, e poi

HISTOftlARUM MUNDI LIB. XVIII.

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fricari, e l frigida mergi, ut pakae fluctuent, »leramque exporrigi io sole super lintea : quod nisi festina lo peragatur, luri do colore mucescere. Ut ipsa autem, quae evalluntur, variam pisturarum rationem habeat. Acus vocatur, qoum per se pisilnr spica, tantam sorificuni ad usus. Si vero in area teritur cum stipula, palea, ut majore in terrarum parte, ad pabula jumentorum. Milii, et panici, et sesamae purgamenta apludam vocant, et alibi aliis nominibus.

si distende, dipoi si stropiccia, e tuffasi nella fredda, acciocché le mondiglie jreogano a galla ; e di nuovo si distende al sole sulle lenzuola ; ma dove ciò non si fa tosto, muffa, e piglia color li­ vido. E qaegli stessi, che si vegliano, macinansi in più modi. Ago si chiama, quando si batte la sola spiga ; e qaesto solamente usano gli orefici. Ma se si batte nell* aia col gambo, si chiama pa­ glia, ed é nella m aggior parte del mondo buona per le bestie. La mondiglia del miglio, del panico, e del sesamo, si chiama apluda, e altrove ha altri nomi.

D b m ilio .

D e l m ig l io .

X X IV . Milio Campania praecipue gaudet, X X IV . In Terra di Lavoro osano molto il pullem qoe candidam ex eo facit. F it et paois miglio, e fannone bianche poltiglie. Fasseoe an­ cora pan dolce. I Sarto a ti popoli di Scizia usano praedulcis. Sarmatarum quoque gentes hac ma­ xim e pulte a lu o to r,e t cruda etiam fariua, equino questa medesima pulliglia, e mangiano ancora lacie, vel sanguine e cruris venis admixto. A ethio­ questa fariua eroda, mescolandola con il latte pes uou aliam frugem, quam milii hordeique, delle cavalle, o col sangue trailo delle vene delle novere. lor gambe. Gli Etiopi non conoscono aitra sorte di biade, che di miglio e di orzo. Db

p a n ic o .

D e l pa n ic o .

X X V . Alcune parti della Francia, e massimaXXV. Panico e l Gailise quidem, praecipue mente la Gaascogna, usa il panico. Il medesimo Aquitania ulilur. Sed et Circumpadana Italia a d · dita faba, sine qua nihil conficiunt. Ponticae gen -' ancora fa quella parte d’ Italia, che è intoroo al Po, ma vi aggiungono la fava, senza la quale non les nullum panico praeferunt cibum. Celero aestifanno cosa alcuna. Le genti di Poeto hanno il ▼a frumenta riguis magis etiam, qaam imbribus gaudent. Milium et paoicum aquis minime, quum panico per la miglior vivanda che sia. 1 frumenti della stale amano più i luoghi annaffiati, che le in folia exeunt. Vetant ea inter vites arboresve frugiferas seri, terram emacrari hoc sata existi­ piogge. Il miglio e il panico non vogliono acqua, mantes. qaando melton le foglie. Non vogliono anco es­ ser seminali Ira le vili e gli alberi fruttiferi, per­ ché si crede che dim agrino le terre. Db

f b b m b h yis .

D el lie v it o .

X X V I. n . Milii praecipuas ad fermenta usus, X X V i. i l . La farina del miglio è ottima a fare il lievito : impastasi col mosto, e dora un e mosto sobacti in annuam tempus. Simile fit ex anno. Fassi similmente di minata e ottima cru­ tritici ipsius furfuribus minutis et optimis, e m o­ sca di grano, impastata col mosto bianco, e sec­ sto albo triduo matorato sobactis, ac sole siccatis. ca al sole. Dipoi per fare il pane ne stemperano Jnde pastillos iu pane faciendo dilutos, com sii tortelli con la similagine del seme, e fanooli roilagine seminis fervefaciant, atque ita farioae bollire, e dipoi mescolano con la farina, tenendo miscent, sic optimum panem fieri arbilranles. che questo sia ottimo pane. 1 Greci in un m og­ G raeci in binos semodios farinae satis esse besses gio di farina mettono otto on d e di fermento ; ferm enti constituere. Et haec qaidem genera vin­ ma ciò si fa solo per la vendemmia. Ma per gli dem iis tantam fiunt. Q ao libeat vero tempore, altri tempi si fanno di orzo e di acqua fbcaccie e x aqua hordeoque bilibres offae ferventi foco, di doe libbre, e sol focolare caldo, in una teggia v e l fictili patina torrentur cinere et carbone,nsque di terra tra le brage si tengono tanto che arros­ d o m rabeaot. Postea operiantur io vasis, donec siscano; dipoi si cuoprono in vasi tanto che ina­ acescant : hinc fermentum diluitur. Quum fieret cetiscano; e di queste si fa fermento. Quando si a u tem panis hordeaceas, ervi aat cicerculae fari­ faceva già pan di orzo, lo lievitavano mescolan­ u a ipse fermentabatur : justum erat, duae librae i n quinque semodios. Nunc fermeotum fit ex

dovi farina di ruviglie, o di cicerchie ; e due lib-

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C. P L IN II SECONDI

ipsa («rioi, quae subigitur prius quam addatur sal, ad pullis modum decocta, e l relicta donec acescat. Vulgo ?ero nec suffervefaciuul, sed lan­ ium pridie adservata m ateri· utuntur. Palamque est naturam acore fermentari : sicut et validiora esse corpora, quae fermentato pane aluntur : quippe quum apud veteres ponderosissimo cui­ que tritico praecipua salubritas perhibita sit.

bre bastavano in due moggi « m ezzo. O ra il lie­ vito si fa della medesima farina, ch e s ' impasta, prima che vi si metta il sale, e cuocesi in modo d i pultiglia, e lasciasi stare tanto c b e diventi forte. Comunemente questa materia non si fa bollire, ma si usa serbala del dì in n an zi. Ed è cosa chiara, cbe la natura si ferm enta p er Γ ace­ tosità, e che que’ oorpi son più g a glia rd i, che ή nutriscono di pan lievitato, aneora c h e gli anti­ chi stimassero che il grano fosse tanto p iù sana, quanto pià pesava.

P a r is f a c i e r d i r a t i o , e t o r i g o .

D e l m o d o d i f a r e i l p a r s , i o r i g i b b d i esso.

X X V II. Panis ipsius varia genera persequi supervacuum videtur : alias ab obsoniis appellati, ut ostrearii : alias a deliciis, ut artolagani : alias a festinatione, u t speustici : nec non a coquendi ratione, ut furnacei, vel arloplicii, aut in clibanis cocti : non pf idem etiam e Partais invectus, quem aquaticum vocant, quoniam aqua trahitur a tenui et spongiosa inanitate, alii Parthicum . Summa laus siliginis bonitate et cribri tenuitate constat. Quidam ex ovis aut lacte subigunt : butyro vero gentes etiam pacatae, ad operis pistorii genera trauseunte c u ra . D urat sua Piceno in panis in ­ ventione gratia, ex alicae materi*. Eum novem diebus macerant : decimo ad speciem traclae su­ bigunt uvae passae succo : postea in furnis, ollis inditum, quae rumpantur ibi, torrent : neque est ex eo cibus, nisi madefacio : quod fit lacte ma­ xime mulso.

Q c a r d o p is t o r u m in it io m R o m a e .

. X X V U l. Pistores Romae non fuere ad Persi­ cum usque bellum, annis ab Orbe condita super d l x x x . Ipsi pauem faciebant Qoirites, mulierumque id opus erat, sicut etiam nunc iu plurimis gentium. Artoptam Plautus appellat in fabula, qoam Aululariam, scripsit : magna ob id concer­ tatione eruditorum, an is versos poetae sit illius: certumque fit, Ateji Capitonis sententia, coquos tum panem lautioribus coquere solitos ; pistoresque tantum eos, qui far pisebant, nominatos. JNec coquos vero habebant in servitiis, eosqoe ex ma­ cello conducebant. C ribrorum genera Galli e selis equorum invenere, Hispani e lino excussoria et pollinaria, Aegyptus e papyro atque junco.

X X V II. Sono diverse sorti di pane, unto cbe sarebbe soverchio raccontarle, ben ch é talora pi­ glia il nome dalle vivande, com e ostreario, alta­ na volta dalle delizie, come artolagan o, alcuna volta dalla prestezza, come il pane speustico, e così dalla maniera del cuocere, come è il pane £ fornace, o l'artopticio, o il cotto nei forn i ; e noe è molto ancora che fu portato dal paese de* Par­ ti quello che si chiama acquatico, p erchè si di­ stende con l'acqua, e si fa sottile, vóto e spugooso, e alcuni lo chiamano Pertico. La suprem a sua lode consiste nella bontà della siligin e, e odia soltigliezza dello staccio. A lcuoi lo impastano con uova e con latte; e le genti pacifiche lo impastano col b u r r o , usurpandosi il mestiere de' ciambellai. Dura ancora in credito nella Mar­ ca di Anemia il pane di alica. Essi lo macera­ no per nove giorni, dipoi impastano con «ago d’ uva passa ; poi lo mettono nel forno in pento­ le, le quali si rompono quivi ; e così lo arrosti­ scono. Questo pane non si m a n g ia , se prima non s'im m o lla; e ciò si fa sop rattutto con latte melato. Q CARDO

PRIMA FORORO I PORRAI IR RoJU.

X X V ili. Non furono in Roma fornai fino al­ la guerra Persica, ciuquecento ottanta anni dopo cbe ella fu edificala. Gli stessi cittadin i Romani fa­ cevano il pane, ma era opera delle donne, come ancora oggi s'usa quasi in ogni paese. Plauto chia­ ma arlopta nella.commedia, che egli in tito lò Au­ lularia, un vaso, in che si coceva il pane artoptìcio ; e per questo gran differenza è tra g li uomini letterati, se questo sia verso di q u el poeta ; ed è certo, seeondo il parere di Ateio C ap iton e, che s' usava cuocere il paue solamente ai p ià deli­ cati, e quegli soli si chiamavano p istori, che pe­ stavano il farro. Non avevano neppure oaocfcs tra i servi loro, ma gli conducevano a presso dalla beccheria. In Francia trovarono Cace |K stacci da nettar la farina di setole di cavalli, e iu

HISTORIARUM MUNDI LIB. XVIII.

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Ispagna (anno stacci di lino per purgare la farina, e altri per sceverarne il fiore; e in E gitto di pa­ p iro « di giunco. Db

a l ic a .

D a u .'

a c ic a .

X X IX . Sed inter prima dicalur et alicae ra­ X X IX . Ma ragioniamo uu poco dell’ alice, tio , praestanlissiraae saluberrimaeque, quae pal­ una delle biade più eccellenti e salubri, la quale ma fragum indubitata Italiam contingit. F it sine in Italia tiene senza contrasto il primo luogo ia fra tutte. Nasce ancora in E g itto , ma non è da dubio et in A egypto, sed admodum spernenda. farne stima. In Italia viene in più luoghi, e massi» In Italia vero pluribus locis, sicut Veronensi Piinamente nel Veronese, e nel Pisano ; nondime» sanoque agro : in Campania tamen laudatissima. no in Terra di lavoro viene eccellentissima. Q u i­ Campus est subjacens montibus nimbosis, tolis vi è una pianura sotlo certi m onli piovosi di qua­ quidem x l m passuum planitie. T erra ejus (ut proranta miglia. La superficie di essa (per dichia­ tinus soli natura dicatur) pulverea sumrta, infe­ rarne tosto la qualità) è polverosa, e di sotto è rior bibula, et pumicis vice fistulosa : montium spugnosa quasi come pomioe : onde anche il di» quoque culpa io bonum cedit. C rebros enim im­ bres percolat atque transm ittit: nec dilui aut fello dei monti le torna in bene, perchè si bee e succia Γ acque che vengono da essi, nè vuol* madere voluit propter facilitatem culturae. Ea­ esser bagnala nè lavata, tanto è facile a coltivarsi. dem acceptum humorem nullis fontibus reddit, Essa adunque noo rigetta per verno fonte l'um ore #ed temperat, et concoquens intra se vice succi beato, ma il contempera, e cuocendolo entro a sè continet. Seritur toto anno, panico semel, bis lo si ritiene per sugo. Questa terra seminasi tu lle far re. E l tamen vere segetes, quae interquievere, l’ anno, una volta di panico, e due volte d i farro. fundunt rosam odoratiorem saliva : adeo terra E nondimeno a primavere, in quello spazio che le non cessat parere. Unde vulgo dictura, u Plus apud Campanos unguenti, quam apud ceteros terre rimangono senza seme, vi nascono rose di mi» olei fieri. » Quantum autem universas terras gli or odore, che le piantale ; tanto coolinuamente campus Campanus antecedit, tantum ipsum pars ella produce.Oode è in voga un proverbio,ache in «jus, quae Laboriae vocantur, quem Phlegraeum T erra di Lavoro nasce più unguento, che olio al­ Graeci appellant. F iniuntur Laboriae via ab u tro­ trove. η Anzi quanto il paese di Campagna vince qu e latere consulari, quae a Puteolis, et q u a· a gli altri terreni, tanto questa parte vantaggia il r i· C um is Capuam ducit. maneule di quella contrada che chiamasi terra Laboria, e dai G reci Flegreo.Questa contrada mede­ sima è termiuata da due vie consolari: da ona parte è la via, che va da Pozzuolo a Capova, e dall*altra è quella, che va da Cuma pure a Capova. Alica fit e zea, quam semen appellavimus. L ’ alica si fa di zea, la quale chiamammo se­ T u n d itu r granum ejus in pila lign ea: ne lapidis me. Il suo granello si monda in ana pila di le­ duritia conterat. Nobilius, ut notum est, pilo, gno ; perciocché la durezza della pietra lo infran­ gerebbe. È splendidezza farlo mondare-con pe­ 'vinclorum poenali opera. Primori inest pyxis fer­ stello da quei che sono in ceppi, i quali si forza­ rea. Excussis inde tunicis, iterum iisdem arma­ no a far questo lavoro per castigo. Da prima è mentis nudata conciditur medulla. Ita fiunt alicae un bossolo di ferro. Levali dunque i gusci dal «ria genera : minimum, ac secundarium : gran­ granello, si rimette esso granello nella medesima dissimum vero aphaerema appellant. Nondum habent candorem suum quo praecellunt : jam pila a rompere cogli stessi argomenti. E così si tamen Alexandrinae praeferantur. Postea (mirum fauno tre so rli d* alica, cioè minima, seconda, e dictu), admiscetur creta, quae transit in corpus, massima, la quale si chiama aferema. Non ancora coloreroque, et teneritatem adfert. Invenitur haec però hanno il loro color bianco, per lo qual sono preposte, ma pure così vanno innanzi alla Ales­ in ter Puteolos et Neapolim, in colle Leucogaeo appellato. Exslalque divi Augusti decretum, quo sandrina. Dipoi vi mescolano la creta ; ed è cosa annua vicena millia Neapolitanis pro eo numerari maravigliosa, che questa s'incorpora con quella, jussit e fisoo suo, coloniam deducens Capuam. e le dà tenerezza, e ancora il colore biauco. Que* A d jeci tque causam ad ferendi, quoniam negassent sta si truova fra Pozzuolo e Napoli iu un poggio* Cam pani alicam confici sine eo metallo posse. In che si chiama Leucogeo. Ed oggi ancora si tro­ eodem reperitur et sulphur : emicantque fontes va un decreto dell* imperadore Augusto, dove ordinò che dei suoi deuari si contassero per que­ A ra x i oculorum claritati, et vulnerum medicinae, sto venti mila scudi ai Napoletani, mandando «lenliuraque firmitati.

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C. PLIN II SECUNDI

Alica adulterina fit maxime quidem e zea, qoae in Africa degen erat Latiores ejas spicae, ■igrioresque, et brevi stipola. Piaont cara arena, et tic quoque difficulter deterant utriculos, Atqoe dimidia nudi mensura. Posleaque gypsi pars quar­ ta inspargitor, atqoe ut cohaesit, farinario cribro aabcernunt. Quae in eo remansit, exceptitia ap­ pellatur, et grandissima est. Rnrsos qoae transit, arctiore cernitur, et aecundaria vocatur. Item cribraria, quae simili modo in tertio remansit cribro angustissimo, et tantum aranea transmittente. Alia ratio ubique adulterandi. Ex tritico candidissima et grandissima eligan t grana, ac semi­ cocta in ollis postea arefaciant sole ad initium, rorsosque leviter adspersa molis frangunt. E x Ma pulchrius,quara ex tritico, fit graneam, quamvis id alicae vitium sit. Candorem autem ei pro «reta lactis incocti mixtura confieri.

De

LKcoaniivs ; r u i .

ana colonia a Capova. V ' aggiunse anche la ca­ gione, perchè i Capovani avevano detto che l'alica non si poteva fare senza qaesto metallo. Nel medesimo luogo si traeva ancora il solfo; esonvi i fonti Arassi ottimi alla vista, a medicar la ferite, e a fermare i denti. I/ alica contraffatta si fa di «ea, la quale ia Africa traligna. L e sue spighe aono piò larghe, e più nere, e hanno gambo più corto. Si pesta eoa Γ arena, e pur così difficilmente se le rompono i gosci, e resta alla misura d* una metà più cbe sa fosse tutta sbucciata. Poi vi si sparge sopra la quarta parte di gesso, e qaando esso l ' ha impol­ verata, la vagliano con lo staccio.Qoella d ie rima­ ne, si chiama eccettizìa, ed è la più grossa. Questa si crivella on'altra volta in nno staccio p iù fìtto, e chiamasi secondaria ; e cribaria quella, ch e in **mil modo rimase nel terzo vaglio strettissimo, e che solamente lascia passare la arena. V 'h a an altro modo piò com une d i contrai· feria. T olgo n o le maggiori e p iò bian ch e gra­ nella del grano, e avendole m ezzo cotte nell· pentole, le seccano poi al sole ; e d ip o i di nuovo leggermente bagnandole le m acìnano.La zea fa piò bella pultiglia che il grano, ben ch é c iò sia difet­ to dell*alica; e il latte mescolato e incotto con essa, le dà biauebezza in luogo della creta. D b' l e g u m i : d r l l a f a v i .

XXX. ia. Segue la natura d e 'le g u m i, fra i XXX. ia . Sequitor natura leguminum inter quae maximus honos fabae : quippe ex qua len­ quali in grande onore sono le fave ; perciocché tatos f it etiam panis. Lom enlom appellatur ferina d'esse s'è già provato ancora far pane. Lomento si chiama la farina loro, e il peso s' a ggrava con ea, adgravalorqoe pondus illa, et omni legumine. essa e oon ogni legume. Vendesi ancora perpasco. Jam vero et pabulo venalis fabae multiplex usus La fava è buona in più modi a o g n i animale omnium quadrupedum generi, praecipue homini. quadrupede, ma molto più all' a o n o . Mescolasi Frum ento etiam miscetur apud plerasqne gentes, ancora col grano appresso a diverse nazioni, e et maxime panico solida, ac delicatius fracta. massimamente col panico, così soda, com e iafranQuin et prisco ritu fabata suae religionis diis in ta. Anzi «li antichi aucora usavano con essa far sacro est, praevalens pulmentari cibo, et hebetare le faverelle in sacrificio agli dei. È preferita nei aensns existimata, insomnia quoque facere. O b pulmentarii, e tiensi cbe ingrossi i sensi, e che haec Pythagoricae sententiae damoata : ut alii faccia sognare. Per questa ragione p er decreto di tradidere, quoniam mortuorum animae sint in Pitagora è vietata ; ovvero, com e hanno detto ea. Qua de causa parentando utique adsumitur. alcuni, perchè l ' anime dei m o rii stanno nelle V arro et ob haec flaminem ea non vesci tradit, fave. Per questo la usavano nei sacrificii, .che si et quoniam in flore ejus litterae lugubres repe­ fanno pei morti. Dice Varrone ancora, che per llantur. In eadem peculiaris religio : namque fa­ questo rispetto i sacerdoti non ne mangiavano, bam utique e frugibus referre mos est auspicii perchè nel fior delle fave sono certe lettere lut­ Causa, quae ideo referiva appellatur. E t auctio­ tuose. Nella fave ancora è peculiar re ligio n e, per­ nibus adhibere eam lucrosum putant. Sola certe chè s'usa portare a casa la fava su b ito che ella fruga m etiam exesa repletur cresceote luoa. ha fatto il grano per buono augu rio delle b iade; Aqoa marina, aliare salsa non percoqoitur. e per questo essa si chiama fava re friv a . Credesi aneora che sia goadagno averla nelle v en dite, chc si fauno a ll’ incanto. Certo essa sola fra Γ altre biade, ancora che sia mezzo ro sicch ia ta, a lana

HISTORIARUM MUNDI LIB. XVIII.

S erilu r ante Vergiliarum occatum leguminum p rim a, u l antecedat hiemem. Virgiliua eam per ▼er teri jubet. Circumpadanae Italiae ritu. Sed raajor par» m ainai fabalia maturae sationis, quam trim estrem fructum. Ejus namque siliquae caulesque gratissimo suoi pabulo pecori. Aquas in flore maxime concupiscit : quum vero defloruit, exiguas desiderat. Solum, in quo sata est, laeti­ ficat stercoris vice. Ideo circa Macedoniam, Thessaliamque quum florere coepit, vertun t arva. '

Nascitur et sua sponte plerisque in locis, *ient septemtrionalis oceani insulis, quas ob id no­ stri Fabarias appellant : itera in Mauritania sil­ vestris passim, sed praedura, el quae percoqui non possit. Nascitur in A egypto spinoso caule : qua de causa crocodili timentes refugiunt. Longitudo •capo quatuor cubitorum esi, amplissima cras­ situdo : nec genicula babet, molli calamo : «m ile caput papaveri, colore roseo : in eo fabae non supra tricenas : folia ampla : fructus ipse amarus e l od ore: aed radix perquam lauta incolarum e ib i·, cruda, et omnino decocta, arundinum ra­ dicibus similis. Nascitur et in Syria, Ciliciaque, e l i a Torone Chalcidis lacu.

L s irr s : riso.

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crescente si riempie. Con aequa m a ria ·, o con altra acqua salsa non si cuoce. Questo è il primo legume che si «emina in­ nanzi che le Vergilie tramontino, acciocché esso preceda il verno. Virgilio vuole c h 'e lla si semi­ ni di primavera, secondo I* usanza dell1 Italia intoroo il Po. Ma la maggior parte vogliono piuttosto i favuli maturi, che il frutto in tre mesi ; perciocché i baccelli e i gambi sono gra­ tissimo cibo alle bestie. Amano molto Tacque, quando sono in fiore ; ma quando sono «fiorile, ne voglion poca. Ingrassano il terreno, dove son seminate, a uso di lilame. E però in Macedouia 9 in T essagli·, quando fioriscono, arano il campo, e le cacciano sotto. Nascono aocora da loro stesse in più luoghi, come nell1 isole del mar settentrionale, le quali sono perciò da^ ostri chiamale Fabarie. In Mau­ ritania anco nascono selvatiche, ma molto dure, che non si possono cuocere. Nascono similmente in E gitto co1 gambi spi­ nosi ; e perciò i crocodili le fuggono, per non farsi male agli occhi. Il gambo loro é alto quat­ tro cubiti e m ollo grosso, ma é senza nodi ed ha la mollexza del calamo. Il capo è simile al papa­ vero, di colore di rosa, e in esso le fave non più ebe trenta. L e foglie sono grandi : il fruito è amaro all1 odore : fa gran radici, simili alle can­ ne ; e qaesto é il cibo che molto amano i paesani, crudo, e colto. Nasce anco in Siria, in Cilicia e in Torone, Iago di Chalcide. D e l l a le n te : d e l p is e l l o .

X X X I. E x leguminibus autem Novembri se­ X X X I. Delle civaie seminatisi di Novembre runtur lens, et in Graecia pisum. Lens amat so­ le lenii, e in Grecia i piselli. La lente ama il ter­ reno sottile, pioltosto che grasso, e l’ aria asciut­ lum lenue magis, quam pingue, coelum nlique siccum. Duo genera e ju · in A egyplo : alleram ta. In E gitto ne sono di due sorti, l1 una tonda, e più nera, Γ altra di sua figura. Onde pel vario rotundius nigriusque, alterum sua figura. Unde a io che se ne fa, le fu imposto il nome di lentivario usu translatum est in lenticulas nomen. In* cola. Io truovo appresso gli autori, che chi no venio apud auctores, aequanimitatem fieri ve­ mangia acquista moderazione di animo. II pisello scentibus ea. Pisum in apricis seri debet, frigo­ si debbe seminare a solatio, perché egli non può rum impalienlissimum. Ideo in Italia,et in auste* patire punto il freddo. E perciò in Italia, e dove riore coelo non nisi verno tempore, terra facili l’ aria é più fredda, non lo seminano «e non nel­ ac solula. la prim avera, e in terreno facile, e ben trito. C i c e e is G I I I U .

D e l l e s p e c ie d e l c e c e .

X X X II. La nalura de) cece é di nascere con X X X II. Ciceris natura est gigni cum «altilala salsedine, e perciò abbrucia il terreno. Non si f ine : ideo solum uriU Nec nisi madefactam pri­ debbe seminare, se non é bagnalo la sera innanzi. die, seri debet. Differentiae plures, magnitudine, L e differenze del cece «on molte, per grandezza, figura, c o lo r·, sapore. Est enim arietino capiti simile, unde ita appellant, album nigrumque,. Est per figura, per colore, e per sapore. Éccene di et columbinum, quod alii Venerium vocant, can­ una sorte lim ile al capo del montone, onde «i didum , rotu n d um , leve, arietino mio a s , qaod chiama arielino : è bianco e nero. Écci anco il

C PLIN II'SE C C K D i religio pervigiliis adbibet. Est et cicercula mi­ nuti ciceris, inacquali*, anguiosi, veluti pisam. Dulcissimam antem id, qood ervo simillimam : firraiusqu· qaod nigrum et rufam , quam qaod album.

colombino, il quale alcuni chiam ano Venerio, bianco, tondo, leggeri, m inore di quello chea simile al capo di montone, il q u ale la religione osa. nelle lunghe vigilie. Écci la cicerchia, specie di cece minuto, la qnale ha gli a n g o li ineguali, come il pisello. Dolcissimo è qu ello c h e è staila alla raviglia ; e p iù durevole q u e l ch e è nero « rossigno, che il biaoco.

F as b ol i.

D b* f a g i d o li .

X X X III. Siliquae rotandae ciceri, ceteris le­ guminum longae, et ad figuram seminis latae :

civaie gli hanno luughi, e larghi secon d o la figura

piso cylindratae : faseolorum cam ipsis roanduntu r granis. Serere eos qua velis terra licet ab idibus Octobris in kalendas Novembres. Legumina, quum maturescere coeperun t, rapienda su n t, quoniam cito exsiliunt,lalenlque quum decidere, sicut et lupinum : quamquam prios de rapis di­ xisse conveniat.

Ds

h a p is .

X X X IV . i 3. In transcursu ea attigere nostri, paullo diligentias Graeci, el ipsi tamen inter hor­ tensia : si justus ordo fìat, a frumento protinus aat certe faba dicendis, quando alii usus praestantior ab his non est. Ante omnia namque cooclis animalibus nascuntur, ncc in novissimis sa­ tiant ruris alitum quoque genera, magisque si decoquantur aqua. Quadrupedes et fronde eorum gaudent. E t bomini non minor rapaciorum suis horis gratia, quam cymarum : flavidorum quo­ que, et in horreis enecatorum, vel major quam virentium . Ipsa vero durant et in sua terra ser­ vata : et postea passa, paene ad alium proventura, famemque sentiri prohibent. A vino, atque mes­ ae, tertius hic Transpadanis fructus. Terram noo morose eligit, paene ubi nihil aliud seri possit. Nebulis, et pruinis, ac frigore ultro alunlur, am­ plitudine admirabili. Vidi x l libras excedentia. In cibis quidem nostris pluribus modis commen­ dantur : duranlque ad a lia , sinapis acrimonia do m ita , eliam coloribus picta , praeter suum , aex atiis, purpureo quoque : neqoe aliud in ci­ bis tingi decet.

Genera éorum Graeci duo prim a feccre, ma­ sculum, femininnmque, et ea serendi modo ex eodem semine: densiore enim statu masculescere, item in terra difficili. Semen praestantius, quo

X X X III. I baccelli del cece son to n d i: Paltre del aerae. Quei del pisello han form a di cilindro. Quei de' fagiuoli, si mangiano in siem e coi grani. Essi possonsi seminare in q u alsivoglia terreno dai quindici di Ottobre fino alle calende di Novembre. Le civaie, quando cominciano a nt ut orarti, soao da levare, perchè i granelli escono tosto foor dd guscio, e caduti sì stanno occulti, com e ancora il lupino ; ma prima si conviene ra g io n a r delle rape. D

slle h ape.

X X X IV . ι 3. I nostri ne p a rla ro n o coai di passaggio, e i Greci on poco p iù diligentemente, ma però essi ancora fra le cose degli o r li ; mentre, se si vuol pigliar 1* ordine d ovu to, se ne dee trat­ tar sabito dopo il grano, o alm eno dopo fa fava, perchè dopo esse non c’ è cosa pià stile d e ll· rape. Perciocché innanzi a tutto, queste nascono per tutti gli animali : nè son d e gli aitim i cibi campestri che saziano m olte sorti d i uccelli, e massimamente se sì cuocono con l ' acqu a. I qoadrupedi ancora amano le lor foglie. E appresso gli uomini noo sono men gustose ai tem pi loro le foglie dèlie rape, che i talli, e qu elle delle ap­ passite e morte nei granai piaeeiono pià e ie quelle delle verdi. Esse durano conservate aacora nella lor terra, e dipoi passe quaai fin o alle noo ve, tanto che non lasciano sentire fame. Dopo il via» e le biade sono le rape il terzo ric o lto degli uo­ mini di là dal Po. Amano il terreoo senza aleon fastidio, e quasi dove niente altro ai può semi­ nare. Nutrisconsi di nebbie e di b rin e , e per Io freddo crescono in m irabil gran dezza. Io n* ho veduto, che passavano qoaranta lib b re . N ei nostri cibi s’ adoperano in piò m odi, e durano fino alΓ altre, domandole con l’ amaro della senape, di­ pinte ancora eoo sei altri colori oltra il lo r p ro ­ prio, e ancora col verm iglio : è questa il so l· cibo che si usi tingere. I Greci delle prime ne Cecero du e sorti, cioè il maschio e la femmina, le qoali pigliano differenza dal modo di seminarle, con tuttoché nascano l*uao e l ’ altra del medesimo seme. Perciocché del k m

HISTORIARUM MONDI UB. XV11L

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subtilia·. Specie· vero omniam tres. Aut enim in latitudinem (ondi, «ut io rotunditatem globari. Tertiem speciem silvestrem appellavere, io lon­ gitudinem radice precorrente, raphani si ra ìli In­ d in e , et folio angoloso acabroque, socco acri: qoi circa meseem exceplns oculos p u rg e t, medealurque caligini, adm ixto lacte malieraro. Frigore dulciora fieri exisliraanlor et grandiora : tepore in folta exeuut. Palma in Nursino agro nascentibu·. T axatio in libra· sestertii singoli, et in penuria bini. Proxim a in Algido natia.

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n a v i ·.

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che si getti folto nascono i maschi, anche in terreno difficile. Il seme loro quanto è pià sottili*, tanto è m igliore. O r le specie lo ro souo tre ; perciocché 0 soo larghe e stiacciate, o tonde. La terza specie é detta selvatica : ha radici lunghe quasi come quella del rafano, e foglie can tonale e ruvidi, esugo agro, il quale pigliandosi intorno alla mie­ titura, purga gli occhi, e mescolato con latte dì donna é ottimo rim edio alle vertigin i. Diventano più dolci e maggiori per freddo ; e quando è tempo dolce, se ne vanno in foglie. Dassi il vanto alle rape di Norcia. Vagliono nn sesterzio la lib*· bra, e a tempo di carestia due. Dopo queste sono stimate qoelle che nascooo in Algido.

D b'

n a v o n i.

XXXV. Napi vero Amiternini, qnorum ea­ XXXV. 1 navoni d’ Amiterno, i quali sono dem fere natara, gaodent aeqoe frigidi·. Serun­ quasi di una medesima nalura, amano anche essi tu r et ante kalenda· M artia·, in jugero sextarii 1 luoghi freddi. Seminami innanzi a'calendi di quatuor. Diligentiores qainto solco napum «eri Marzo, qnatlro setlarii per iugero. 1 più diligenti jub en t, rapa quarto, utram que stercorato. Rapa seminano il navone nel qainto solco, 1« rapa nel quarto, e a ll'a n o e all’ altro danno il lilame. La laetiora f ie r i, si cum palea seminentur. Serere rapa diventa più grossa, se si semina con la pa­ nudum τοΙαηΙ, precantem tibi et vicini· serere •e. S ato · utrique generi ju s ta s, inter duorum glia. V ogliono che chi le semina sia nudo, e pre­ nnminam dies festos, Neplani atque Vulcani. ghi di seminarle per ai e per li vicini. L ’ uno e F erun tq ue subtili observatione, qnota lana p r e ­ 1* altro si semina bene fra le feste de’ dne del, cedente hieme nix prima ceciderit, si totidem cioè di N ettano e di Vulcano. E dicono dietro di­ luminum die intra praedictom temporis spatium ligente osservazione, che se si seminano nel dettò tempo in qnei giorno che avea la luna, quando serantar, mire provenire. S eran tu r et vere in c·» cadde la prima nevo nel verno che precesse, fan­ lidis atque humidis. no meraviglioso fro llo . Semtnansi ancora di pri­ mavera nei luoghi caldi e umidi. Db

lu p in o .

X X X V I . >4-Lupino est usu· proxim o·, quum ait homini, et quadrupedum generi ungula» ha­ b en ti, communi·. Remedium ejos, ne melentes fu gia t exsiliendo, ot ab imbre tollatur. Nec ullius, quae seruntor, natura adsensu terrae mirabilior eat. Prim um omoiom cum sole quotidie circoma(titur, horasque agricolis etiam nubilo demon­ strat. T e r praeterea floret: terram amat, terraqde op eriri non vult. E t anum hoc seritur non arato. Q u aerit m axim e sabulosa, et sioea, atque etiam •renosa. C oli utique non vult. Tellorem adeo amat, ut, quamvis frutectoso solo conjeclum in ­ te r folia Tepresqoe, ad terram tamen radice perv e s u t · Pinguescere hoc salu arva vineasque dix i­ mus. Itaque adeo non eget fimo, ot optimi vicem repraesentet. Nibilqoe aliud nallo impendio con­ stat, ut qaod ne serendi quidem gratia opus sit adferre. Protinus seritor ex arvo : ac ne spargi qu idem postulat decidens sponle.

D el

l u p in o .

X X X V I. 14. Dopo la rapa s’ asa il topino, es­ sendo egli comune all’ uomo, e a’ qondrupedi che hanno ugna. 11 rimedio perché e’ non salti via qaando si miete, é che si colga dopo la pioggia. Né alcuna altra cosa che si semini ha più mirabil na­ tura di qaesta. per la concondia eh’ essa ha con la terra. Primamente e’ Iatto il d) si volge insieme còl sole, di maniera che ancora che sia nuvolo,1m o­ stra l’ ora a’ contadini. O lirà di ciò tre volle fio­ risce : ama la terra, ma da essa non voole esser coperto. Solo asso si semina in lerra non arata, dove ella é molto sabbiooosa e secca, e arenosa. Non vuole esser lavorato. Ama tanto la lerra, che gittato su’ proni distende talmente le radici, eh* le ficca nella terra. Noi abbiamo già d e llo , come questa sementa fa ingrassare i campi e le vigne : non solamente dunque non ba bisogno di lilame, ma vale essa medesima in cambio del lilame più possente. Ne c’ é altra cosa, che si setnini con manco spesa di questa, perciocché il tapino cadau­ n o Della mietitura nasce poi da se stesso. ·

C. PLIN II SECUNDI Prim am que omnium seritor, novissimum tol·* Klur : ulruraque Septembri fere mense : quin ei oo n antecessit hiemem, frigoribus obnoxium e s t Impune praeteres jacel, vel derelictum etiam, si non protinus secuti obrusut imbres, ab omnibus animalibus amaritudine sua tutum. Plerumque tamen levi suteo integunt. E x densiore terra ru­ bricam maxime amat. A d hanc alendam post tertium florem verti debet, in sabulo post secun­ dum. Cretosa tanluto, limosaque o d it, e t in iis non provenit. Maceratum calida aqua homini quoque in cibo est. Nam bovem unum modii sin­ guli satiant, validumque praestant : quando etiam impositum puerorum ventribus, pro remedio est. Condi in fumo maxime convenit, quoniam in humido vermiculi umbilicum ejus in steriliUUem castra ut. Si depastum sit iu fronde, inarari proti­ nus solum opus est.

V ia s .

E gli è il prim o che si semina, e r u l l i n o ehe si coglie; le quali due oose ai fanno presso che di Set­ tembre ; perchè se la semina oon p reviene il verno, il freddo gli fa danno. O ltre di ciò, comunque si lasci, anche abbandonato, non soffre p u nto, se di subito non rompano piogge, e per la sna amariladine non è pur tocco dagli anim ali. Nondimaaeo talora si ricuopre con un piccolo solco. D ei terre­ ni grossi egli ama più il rosso. P e r ingrassar doaque questo terreno, si debbe cacciare so tto dopa il terzo fiore, e nel sabbione d op o il secondo. E g li ha a noia solamente il terreno cretoso, e fan­ goso, e in simili luoghi non fa beue. Macerato nell1 acqua calda è cibo pegli uom ini. Un moggio di lupini saxia un bue, e tienlo ga glia rd o, e posto ancora sul corpo a' f a n c i u l l i , è rim ed io al dolore. Riponsi al fumo, perciocché nell* u m id o i vermi lo castrano, e lo fanno sterile. Se si dà a pascere in erbs, subito bisogna arare la terra. D slla

v e c c ia .

XXX.VII. ì S .I campi ancora ingrassano eoa la X X X V ll. i 5. E t vicia pinguescant a rv a , nec veccia, la quale non è però di molta fatica ai conta­ ipsa agricolis operosa : uno sulco sata, non sardini,perchè seminata io un solco, non si sarchia,ai ritur, non stercoratur, nec aliud qoam deoccatur. se le dà litame, nè si fs altro che coprirla erpi­ Sationis ejus tria tempora: circa occasum Arctu­ cando. Ella si semina di tre tem pi, uno circa il ri, ut Decembri mense pascat : tone optime se­ tramontare della stella d* A r t u r o , acciocché si ritur in semen. Aeque namque fert depasta. Se­ cunda satio mense Januario est : novissima Mar­ pasca di D icem bre: allora ottim am ente si semina tio : tum ad frondem utilissima. Siccitatem e t per sem e, perchè essendo pasciuta parimente omnibus, quae seruntur, maxime amat : non as­ produce. U seconda sementa è del mese d i Gen­ pernatur etiam umbrosa. E x semine ejus, si lecta naio ; Γ ultima di Marzo ; e allora è utilissima io matura est, palea celeris praefertur. Vitibus prae­ erba. Ella ama il secco molto p iò che tutte le altre rip it succum : languescuntque, si in arbusto se­ cose che si seminano, ma non rifiuta ancora Tosaratur. bra. S’ ella è colta matura, la paglia del suo seme si prepone all* altre. Leva il su go a lle viti, e le fa appassire se si semina fra esse. E it d m .

D il l a

io s ig u a

.

X l X V I i l . Nec ervi operosa cura est. Hoc am­ plius, quam vicia, runcatnr : et ipsum medioami· nis vim obtinens. Quippe per ervum divum A u­ gustum curatam , epistolis ipsius memoria exstat. Sufficiunt singulis boum jugis m odii quini sati. Martio mense satum, noxium esse bubus ajuot, item autam no gravedinosum : innoxium autem fieri primo vere satum.

X X X V ili. Non molto gran faticasi mette a n o ·· ra nella robiglia. Questa ha per di p ià della veccia, ehe si sveglie, ed i cosa m edicinale. C erto c o · la robiglia fu medicalo lo im p eradore A ngusto, come si legge nelle sue lettere. A nn paio d i hnei bastano cinque m oggi d ’ esse sem inati. Q oando ella è seminata di Marso, dicono che fa anale ai buoi, e nell’ autunno aneora cagiona g r a v o s a e dolor di capo | ma se si semina di prim avera, è utile.

Sil ic is .

D e l l a s ilic ia .

X X X IX . 16. E t silicia, hoc est, feonm graeeum, scarificatione seritur, noo altiore quatuor digitorum sulco, qoantoque pejus tractatur, tau*

X X X IX . 16. La silicia an cora, c io è i l Bea greco, si semina in un solco non p ià a lto cbe qoa tiro di la ; e quanto peggio si tratta, tanto

iG4$

HISTORIARUM MUNDI LJB. XVIII.

Ip provenit melius. R tra m dieta, esse aliquid coi prosit negligentia. ld «utero quod secale, ac farragù’appella tur, occari tantum desiderai.

Se c a l i ,

s iv e a s ia .

X L . Secale Taurini sub Alpibus asiana vocant, deterrimum, et tantum ad arcendam famem : fecuoda , sed gracili stipula, nigritia triste, sed pondere praecipuum. Admiscetur huie f a r , ut m itiget amaritudinem e ju s: et tamen sic quoque ingratissimum ventri est. Nascitur qualicumqoe solo cum centesimo grano : ipsumque pro laeta­ mine est. F abbago ;

cracca .

X L I. F trrago ex recrementis farris praedensa seritur, admixta aliquando et vicia. Eadem iu A frica fìt ex bordeo. Omnia haec pabularia: degeoeransqne ex leguminibus quae vocatur cracca: in tantum columbis graia, ut pastas ea negent fu­ gitiva s illius loci fieri.

De

uctmo

;

e b v ilia .

X L II. Apud anliquoseral pabuli geou s,q uo d C a to ocym am vocat, quo sistebant alvum bubus. Id erat e pabulis, segete viridi desecta, antequam gelaret. Sura Mamilius id aliter interpretatur, et tr a d it fabae modios decem, viciae duos, tantum · d e m erviliae in jugero autumno misceri et seri solitum . Melius et avena graeca, cui non cadit sem en, admixta. Hoc vocitatum ocimum, boum q u e causa seri solitum. Varro appellatum a cele­ r ita te proveniendi, e graeco quod vW m dicunt.

M kdica .

X L 11I. Medica externa cliam Graeciae e s t, u t a Medis advecta per bella Persarum , quae Da­ r iu s intulit : sed vel in primis dicenda, tanta dos e ju s est: quum ex uno satu amplius quam tricenis • u n is duret. Similis est trifolio :, caule, foliisque geniculata : quidquid in caule a d su rg it, folia con trahu n tu r. Unum de ea et cytiso volumen A m ph ilochu s fecit con fusuro. Solum, in quo sera­ t u r , elapidatum purgatumque subigitur autumno: m o x aratum et occatum integitur crate iterum mc tertium, quinis diebus interpositis, et fimo »dè sit. Itaque iidem Floralia quarto kalendas easdem terribile, e preceduta dalla Canicola già tramonta­ instituerunt, Urbis anno d x v i ex oraculis Sibyl­ la. Così dunque ordinarono i F lorali ai ventolto, lae, ut omnia bene deflorescerent. Hunc diem nell'anno cinquecento sedeci dopo I' edificazione Varro determinat, sole Tauri partem quartamdi Roma, secondo gli oracoli della Sibilla, accioc­ decimam obtinente. Ergo si in hoc quatriduum ché tutte le cose fiorissero bene· V a rroo e deter­ inciderit plenilunium, fruges et omuia quae flo­ mina questo dì, quando il sole è n e' quattordici rebunt, laedi necesse erit. Vinalia priora, quae gradi del Tauro. Se egli avverrà d u n qu e che in ante hos dies sunt ix kalendas Maji degustandis questi quattro dì la luna sia piena, le biade e tulle vinis instituta, nihil ad fructus attinent: nec quae quelle cose che fioriranno, ne fieno offese. 1 sa­ adhuc diximus, ad viles oleasque, quoniam ea­ crificii Viuali primi, che suno innanzi a questi il rum conceptus exortu Vergiliarum incipit a. d. dì ventitré di Aprile,furono ordinati per assaggia­ viidus Maji, ut docuimus. Aliud hoc quatriduum re i vini di sacrificio a Giove, non appartenendo est, quod neque rore sordere velint: exhorrent nulla ai fruiti : nè alle viti e agli u livi apparten­ eaim frigidum sidus Arcturi postridie occidens : gono pur quelle cose che iofino a q u i abbiamo et multo minus pleniluuium incidere. delle , perchè la concezione loro com in cia nel nascimento delle Vergilie a' dieci di M aggio.

tinente hinc Aqaila, illinc Canicula. Ideo effectos utriosqae ad omnes fragi fera 1 perlinent terras : quoniam in his tantum locis solis terraeqae cen­ tra congruant. Igitur borum siderum diebus, si paras atque mitis aer genitalem illum lacleumque saccum transmiserit in terras, laeta adoles­ cunt sata. Si luna, qua dictum est ratione, rosci­ dum frigus adsperserit, admixta amaritudo, ut in lacte, puerperium necat. Modus in terris hujus injuriae, quem fecit in quacumque convexitate comitatus utriusque causae. E t ideo non pariter in toto orbe sentitur, ut nec dies. Aquilam d ix i­ mus in Italia exoriri a. d. x u i kalendas Januarii. Nec patitur ratio naturae quidquam in satis ante eum diem spei esse certae. Si vero interlunium incidat, omnes hibernos fructus et praecoces laedi necesse esL

>7»t

HISTORIARUM MUNDI UB. XVIII.

iv nona* Jani! iterum Aquila exoritor vesperi, decretorio die florentibus oleis vitibnsque, si pleniluninm in eum incidat. Equidem et solsti­ tium v m kalendas Julii simili causa duxerim, et Canis ortum post dies a solstitio x x m , sed inter­ lunio accidente ; quoniam vapore constat culpa, aciniqne praecoquuntur in callum. Rursus pleni­ lunium n ocete, d. iv nonas Julii, qaum A egyplo Canicula exo ritar: vel certe x vi kalendas A ugu­ sti, quum Ilalise. Item x m kalendas Augusti , quum Aquila occidit, usque in x kalendas easdem. Extra has causas sunt Vinalia altera, qaae agun­ tur a. d. xi? kalendas Septembris. Varro a Fidicola incipiente occidere mane, determinat, quod volt initium autumni esse, et bunc diem feslura tempestatibus leniendis iosiitulum. Nunc F id i­ culam occidere a. d. vi idus Augusti servatur.

Intra haec constat coelestis sterilitas. Neque negaverim posse eam permutari arbitrio legen­ tium, locorum aestimantium naturas. Sed a nobis rationem demonstratam esse sali* est : reliqua observatione cujusqae constabunt. Alterutrum quidem fore in causa, hoc est, plenilunium aut interlunium, non erit dubium. Et in hoc mirari benignitatem naturae succurrit : jam primum hanc injuriam omnibus aunis accidere nou posse, propter statos siderum cursus : nec nisi paucis noctibus anni : idque quando futurum sit, facile nosci. A c ne per omnes meuses timeretur, earum quoque lege divisuro, aestate interlunia praeter­ quam biduo secura esse, hieme plenilunia : nec nisi aestivis brevissimisque noctibus metui, die­ bus non idem valere. Praeterea tam facile intel­ ligi, ut formica minimum animal interlunio quie­ scat, plenilunio etiam noctibus operetur. Avem parram oriente S irio , ipso die non apparere, donec occidat. E diverso chlorionlem prodire ipso die solstitii. Neutrum vero lunae statum noxium esse, ne noctibus quidem, nisi serenis, et omni aura quiescente : quoniam neque in nube, neque in flatu cadant rores: sic quoque non sine remedio.

170*

come abbiamo dimostro. In questi altri quattro giorni non vogliono aver ru gia d a , perchè te­ mono la stella fredda di Arturo, la qoale tramonta il giorno dipoi, e molto manco la Iona piena. Ai due di Giugno nasce di nuovo l’ Aquila in sulla sera, giorno decisivo alle viti e agli ulivi che fioriscono, se in esso cade la luna piena. Dirò pure essere egualmente decisivo il solstizio, il quale è ai ventiquattro di Giugno, e il nascimento del Cane, il quale è ventitré giorni dopo il sol­ stizio, se però vi cade lo interlunio, perchè 1« colpa viene Jal caldo, e gli acini si ricuocono e diventano callosi. Di nuovo la luna piena nuoce a1 quattro di Luglio, quando la Canicola nasee in Egilto, o a' dicissette, quando nasce in Italia. Così aocora ai venti del medesimo, quando Γ A quila tramonta, fino ai ventitré del mese. Non son queste le cause della istituzione degli altri Vinali, 1 quali fanno ai venti di Agosto. Varrooe gli mette quando comincia la Lira a tramontare da mattina, il che vuole che sia il principio dell'aotunno; e questo giorno è stalo ordinato che sia festa per placar le tempeste. Ora s ' osserva che la Lira tramonta agli otto di Agosto. Da queste cose dipende la steriliti che procede dal cielo. Non nego però che essa si possa trovar differente dalle persone che l'avran n o qui letta, se vogliano considerar le nature dei luoghi. Ma basta per noi di averne mostro l'ordine : le altre cose staranno secondo l'osservazione di ciascuno. Quello che ci ha di certo è, che i tristi effetti prefali son prodotti dall* una o I' altra delle due cause, o dalla Iona piena, o dalla luna tra vecchi* e nuova. Anche in questo possiamo considerare la mirabile benignità della nalura ; perciocché questo danno non può intervenire ogni a n n o , p e r ii corsi ordinati delle stelle, nè se non per poche notti, che facilmente si conosce quando ha da essere. E acciocché non se ne temesse in tulli i mesi, ella ha posto legge che uella state gl' interlunii, fuor che due giorni, fossero sicari, e di verno i plenilunii ; e non si temesse, se non nelle nolli brevissime di stale, perchè n e 'g io rn i non influiscono. 11 che tanto più facilmente s'inlende, perchè la formica, animale piccolissimo, neU'interlunio si riposa, e nel plenilunio opera la nolteancora. L'uccello chiamalo parra quel gior­ no che nasce la Canicola s ' asconde, e non compa­ risce più fin ch 'ella nop tramonta. Per lo con­ trario il clorioute esce fuori il dì del solstizio. Ma nè 1' uno nè l'a ltro stato della luna è nocevole, neppur nelle n o tti, se non quando sono serene e che non è punto di vento, perchè quan­ do è nugolo, se anche non tira vento, non cag­ giono le rugiade. Così anche quando può nuocere vi ha riparo.

i7o 3

C. P U N II SECUNDI

170*

R e m e d ia .

R im b o ii .

L X X . Sarm enta, aut palearum acervos, et evalsas herbas fruticesque, per vineas caraposque, quum timebis, incendito : fumus medebitur. Hic t paleis et contra nebulas auxiliator, ubi nebulae nocent. Qaidam tres cancros vivos creraari jubent in arbustis, ut carbunculi non noceant. Alii siluri carnem leviter uri a vento, ut per totam vineam fumus dispergatur.

LX X . Qu«pdo tu temerai di qualche disor­ dine, tu potrai ardere sarmenti, o monti di pa­ glie, ed erbe svelte, e cespugli per le vign e e per li cam p i, e il fumo lo r o ' medicherà a tutto. 11 fumo della paglia giova ancora conti*· le nebbie, dov1 elle facessero danno. Alcuni insegnano cbe a* ardano tre granchi vivi fra le v iti appoggiate agli alberi, a volere ch 'e lle non inoarbonchino. Altri riardono lentamente la carne del pesce si­ luro al vento, acciocché il fumo ti sparga per tetta la vigna. Scrive Varrone, che se nel tram o n ta r Mia Lira, c h 'è il principio d e ll'a u tu n n o , si consacra uva dipinta fra le viti, i mali tem pi fan poca danno. Archibio scrisse ad A n tioco -re di Siria, cbe u se si sotterra n«l mexxo d elle biade eoa botta in un vaso nuovo di te r r a , i meli leepi non sono per far danno. »

Varro auctor est, si Fidiculae occasu, quod est initium autumni, uva picta consecretur inter v ite s, minus nocere tempestates. Archibius ad Antiochum Syriae regem scripsit : u Si fictili novo obruatur rubeta rana in media segete, non esse noxias tempestates, n

Q oae ▲

s o l s t it io f ie r i o p o k t e a t .

L X X I. Opera rustica hujus intervalli, terram iterare, arbores circumfodere : ubi aestuosa regio p oscat, adcumulare. Germ inantia, nisi in solo luxurioso, fodienda non sunt. Seminaria purgari sarculo. Messem hordeaceam fa c e re . Aream ad messem creta preparare, Catonis sententia amurca temperatam, Virgilii operosius. Majore ex parte aequant tantum ,et fimo bubulo dilutiore illinunt. Id satis ad pulveris remedium videtur.

Db

messibus .

L X X U . 3o. Messis ipsius ratio varia. Gallia» rum latifundiis valli praegrandes dentibus in margine infestis, duabus rotis per segetem im­ pelluntur, jumento in contrarium juncto: ita di­ reptae ia vallum cadunt spicae. Stipulae alibi mediae felce praeciduntur, atque inter duas mer­ gites «pica distringitur. Alibi ab radice vellunt: quique id faciunt, proscindi ab se obiter agrum interpretantur, quum extrahant succum. Diffe­ rentia haec : ubi stipula domos contegunt, quam longissimam servaut. Ubi feni inopia est, stra­ mento paleam quaerunt. Panici culmo non te­ gunt. Milii culmum fere inurunt. Hordei stipulam bubus gratissimam servant. Panicum et milium siogulatim pectine manuali legunt Galliae.

Chb

d ebba f a b s i d o po i l s o l s t iz io .

L X X 1. Le opere dei contadini in questo spa­ zio di tempo sono, rinovar l'a ra z io n e , lavorava intorno agli alberi, e accumulare la terre ai pe­ dali, dove il paese caldo lo ricerchi, non lavoran­ do punto intorno alle piante che germogliano^ ae uon in terreno molto grasso : nettare i seminarii col sarchiello, mietere l’ orzo, e acconciar Γ aia per la ricolta con la creta, o secondo V opintoae di Catone, con la morchia, perchè il modo inse­ gnato da Virgilio domanda troppa fatica. La mag­ gior parte solamente spianano P aia, e la impia­ strano con frterco di bue stemperato ; il che par che basti per rimedio alla polvere. D e l l e messi.

L X X 1I. 3 o. Vario è il modo di mietere. Nette gremii campagne di Francia operano pali ben grandi, forniti nell' estremità di de n ti looghi e incisivi ; i qoali da' giumenti che spingono io cambio di tirare son cacciali fra le biade sopra due ruote : cosi le spighe addeotale e recise ca­ dono sui pali stessi. Altrove col pennato si tagliano le paglie a mezzo, e dipoi si recide il c o v o o e tra la paglia e la spiga. In alcun luogo le svelgono dalla radice, e q u e 'che ciò fanno pensano cosi mietendo rompere la le r r a , mentre in v e c e ne cavano via il sugo. Écci questa diffe re n ra , cbe dove cuoprono le case con la paglia, la c o o a e rvano lunghissima ; e dove è carestia di fie n o , o sa ­ no la paglia in luogo di strame. Non c o o p r o o e mai le case co* gambi del panico, e a r d o n o per

*7°-5

HISTORIARUM MUNDI LIB. XVUI.

Minii ipsa alibi tribulis io «re«, «libi e q a n rum gressibus exteritur, alibi per licis flagellatur. Triticum , quo serius metitur, copiosius invenitur: qo o celerius vero, hoc speciosius ac robustius. L e x aptissima antequam granum indurescat, et q u am jam traxerit colorem. Oraculum vero, bi­ duo celerius messem facere potius, quam biduo serias. Siliginis et tritici etiam ratio iu area horre o q u ·. F ar, quia difficulter excutitor, convenit cum palea sua condi : et stipula tantum, et aristis liberator.

Palea plores gentiom pro feno utuntur. Melior ea, quae tenuior, m in u tiorqoe, et polveri pro­ p io r : ideo optima e milio, proxima ex hordeo, pessima ex tritico, praeterquam jumentis opere laborantibus. Culm um saxosis locis qoom inaruit, baculo fraogunt, substratu animalium. Si palea defecit, et culmus teritur. Ralio haec: maturius desectos, muria dio respersus, dehinc siccatus in manipulos convolvitur, atqoe ita pro feno bubus d a ta r. Sunt q a i accendant in arvo et stipolas, m agno Virgilii praeconio. Somma autem ejus ratio, ut herbarum semen exurant. Ritus diver­ sitatem magnitudo facit messiom, et caritas ope­ rariorum .

1706

lo più quei del miglio. La paglia dell1 orzo si conserva, per essere ella gratissima a* buoi. La Francia ricoglie il panico e il miglio a gambo a gambo col rastrello manuale. La ricolta stessa dove sì balte con le treggie, e dove col passarvi sopra delle cavalle, e in qual­ che luogo coi coreggiati. II grano quanto pià tardi si miete, tanto pià copioso si truova ; ma quanto pià presto, è pià bello e più forte. Il me­ glio che si possa fare è mietere il grano innanzi eh' egli indurisca, e qaando di già ha preso il colore ; e non è dubbio alcuno che piuttosto si debbe mietere doe giorni prima, che due d i di­ poi. Questo giova ancora alla segala e al grano nell1 aia e nel granaio. Il fa r r o , perchè difficil­ mente si eava delle spighe, conviene che si ri­ ponga con la sua paglia, levategli solamente le reste, e il velo della paglia. Molti paesi usano la paglia in cambio del fieno. Quella che è più sottile e più minuta e più vicina alla polvere è la migliore, e per ciò ottima è di miglio, dipoi d ' orzo, e pessima quella di grano, eccetto che alle bestie, le quali sono in continua fatica. Quando nei luoghi sassosi il gambo è secco, lo frangono eoo bastone per far letto alle bestie. C hi difetta di paglia pesta ezian­ dio i gambi. Il modo è questo : si tagliano per tempo, e si aspergono di morchia, poi seccati si aduuano in manipoli, e così si danno a' buoi in­ vece di fieno. Alcuni ardono oe' campi ancora le seccie; il che Virgilio molto loda. Questo si fa per ardere il seme dell' erbe. La grandezza della ricolta e i pochi mietitori fan diverse usanze.

D a FBDUBITO SBBVAtTDO.

D e l c on ser var e i l rau xBS T o.

L X X H I.C o n n ex ae st ratio frumenti servandi. H orrea operose tripedali crassitudine, pariele la te r itio , exaedificari jubeul aliqui. Praeterea sapern e impleri, nec adflatus admittere, aut fe­ nestras habere ullas. A lii ab exoriu tantum aestiv o , aut septerolriooe, eaque sine calce coustrui, quon iam sit frumento inimioissiroa : nam qoae d e amurca praeceperint, indicavimos. Alibi con­ tra suspendunt granaria lignea columnis, et per­ f la r i undique malunt, atque etiam a fundo. Alii om n ino pendente tabulato extenuari granum arbitra n tu r; e ts i tegulis subjaceat,confervescere. M u lti ventilari quoque Vetant : curculionem enim n o n descendere infra quatuor digitos, nec amplius periclitari. Columella et Favonium ventum coufe r r e frumento praecipit : quod miror equidem, siccissimum alioqui. Sunt qui rubeta rana in li­ m in e horrei pede e longioribus suspensa, inve­ h e r e jubeaot. Nobis referre plurimum tempesti­ v i u s condendi videbitur. Nam si parum tostum

L X X 1II. A questa cura è congiunta quella di conservar le biade. Alcuni vogliooo che H moro del granaio sia di mattoni, e grosso tre piedi, e sia senza usci o finestre ; ma coperto di so p ra , acciocché non v' entri alcuo vento. Alcuni fanno le finestre o da levante estivo, o da tramontana, e murano senza calcina, perciocch' ella è inimi­ cissima al grano. Quello che molti dicono della morchia, già l’ abbiamo dimostro. Alcool fanne i granai di legnami alti da terra sulle colonne, e vogliono che sentano il vento da ogni p a rte , e ancora di sotto. Altri si credono che il tavolato sovrapposto scemi il granello, e che ribollisca, se la coperta di sopra è di tegoli. Molli non voglio­ oo che il grano si muova per ventilarlo, dicendo che le tignuole non vanno più sotto che quattro dita, e sol quello è in pericolo. Columella scrive che il vento Favonio giova molto al grano, di che molto mi maraviglio, essendo egli secco affat­ to. Alcnoi poogono neUa soglia del granaio noa

C. PLINII SECUNDI

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atque robastam collectum sit, aol calidum con­ ditura, inimica io Diaci neeesse eat.

Diotornilalis causae plurea. Aat in ipaioa grani corio, qoum est uumeroaiua, ut milio : tot aucci pinguedine, qui pro humore aufficit tantum, ut aeaamae : aut amaritodine, ut lupino et cicer­ culae. Io tritico maxime oaacuotor aoimalia , quooiam spissiiale ava concalescit, et furfure craaao veslilur. Tenuior hordeo palea, ezilia et legqmini : ideo non generant. Faba craaaioribua Ionicis operitur, ob hoc effervescit. Quidam ipsum triticum diuluroitatis gratia adsperguot amurca, mille modios quadrantali. Alii Chalcidica aut Ca­ rica creta, aut etiam absinthio. Eat et Olynthi, ac Cerinthi Euboeae lerra, quae corrumpi non sìnat. Nec fere condita in apica laedunlnr.

Utilissime tameo serrantur in scrobibus, quoa airoa T o c a n t, ut in Cappadocia, et in Thracia. In Hiapania et Africa, ante omnia ut aicco solo fiant, carant : mox ut palea aobsternatur. Praeterea cam epica sua conduntor, lia frumenta si nullns apiritua peneirel, certum est nihil maleficum na­ sci. Varro auctor est, aie condilum trilienra du­ rare annis quinquaginta, milium vero centum. Fabam et legumina in oleariis cadie oblita cinerr, loogo tempore servari. Mero fabam a Pyrrhi re­ gis aetate, io quodam apecu Ambraciae osque ad piraticum Pompeji Magni bellum durasse, annis circiter centum viginti.

Ciceri tanlora nullae bestiolae iu horreis in­ nascantur. Sunt qui arceis cineri substratis, et illitis acetum habentibus, leguminum acervos «uperingerant, ita non nasci maleficia credentes. A lii.qui in salsamentariis cadis gypso illinant: alii qui lentem aceto laserpitiato respergant, siccatamque oleo inungant. Sed brevissima obser­ vatio, quod vitiis carere velis, interlunio legere. Quare plurimam refert, condere quis malit, an vendere. Crescente enim lana fraraenta gran­ descant.

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t i r d b i u , b t a v t v h b i o pbkibd b .

LXXIV. 3t. Seqaitur ex divisione temporum •alumnas t Fidicajae occasa ad aequinoctium,

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botta appiccala per ano dei piedi pià langbi. A me pare che tutta la importanza stia in ciò, che il grano si riponga al tempo debito ; perciocché a' egli si ricoglie poco secco o robusto, o se *i ripone caldo, ingenera senza dubbio chi lo rode. Molte sono le cause ond’ ei dar· : o 1· scorza del granello, quando ne ha più, come il miglio; o la graasezza del sago, il quale fa che non inari­ disca, come ha la sesama ; o 1' amaritodine, come nel lupino e nella cicerchia. Nel grano pià die in ogoi altra biada nascono gli animali inaelti, per­ ciocché egli si riscalda per la sua spessezza, e ve· stesi di grossa forfora. L' orzo ba la paglia piò sottile, e sottile le civaie : per qaesto noo ne ge­ nerano. La fava ha pià grossa buccia, e perciò ribolle. Alcuni per fare bastar pià il grano, lo spargono con la morchia, e un quadrantale basta per mille moggi. Altri pigliano creta Calàdio, o Carica , ovvero ancora assenzio. E anco ia Olinto e in Cerinlo di Eubea uoa terra, che noo lo lascia guastare. I grani riposti ancora nelle spighe oon hao quasi danno alcuno. Nondimeno si conservano utilissimamenle nelle fosse, le qoali si chiamano siri, come io Cappadocia e in Tracia, lo Africa e in ISpagna aopra ogni altra cosa curano che sien fatte in terreno asciutto, e che vi si metta di sotto la pa­ glia, ponendolo poi giù con la spiga intatta ; e se sono ben turale, sì che Γ aria non »’ entri, nes­ suno animale nocivo vi nasce. Scrive Varrone che il grano riposto a questo modo darà cinquanta anni, e il miglio cento ; e che le fave e Ve civaie messe in vasi da olio, e turale con la cenere, si mantengono lungo tempo. Egli medesimo scrive che in una spelonca in Ambracia si conservarono le fave dnlPelà del re Pirro fino al tempo della guerra di Pompeo contra i corsali, nel qoal mezzo corsero da cento venti anni. Solo il cece non genera alcuna bestioola. Al­ cuni pongooo sotto al monte delle civaie vasi di aceto, con soltovi pur cenere, e così credono cbe non vi nasca alcuna bestiuola nociva. Alcaoi le mettono in vasi, dove sia stalo salsome, impia­ strati di gesso. Altri spruzzano la leote eoa l'ace­ to, che ha sugo di laserpizio, e seccata la ungono con P olio. Ala egli è molto meglio, e di mioor fatica, cogliere quello che tu noo vuoi che ai guasti, fra la laoa vecchia e la nuova. Laonde è differenza grande, che alcuno voglia serbare, o vendere, perchè a lana crescente i grani in­ grossano. D ella v e r d u m i* b d bllb o pb e b d i a d t p · · · .

LXXIV. 3i. Dopo le altre stagioni resta a di­ re dell’ autunno, cioè dal tram ontar d d la Lira

HISTORIARUM MUNDI LIB. XV111. ac deinde Vergiliarum oocasum, initinmque hie­ mis . Io his intervallis significant, pridie idus Augusti Alticae Equus oriens vesperi : Aegypto et Caesari Delphinos occidens, xi kalendas Sep­ tembris Caesari et Assyriae stella, qua« Vindemi­ tor appellalur, exoriri mane incipit, vindemiae maturitatem promittens. Ejus argumentum erant acini colore mutati. Assyriae v kalendas et Sagitta occidit, et Etesiae desinunt. Vindemitor Aegypto nonis exoritur. Atticae Arcturus roatatioo, et Sagitta occidit mane. Quinto idus Septembris, Caesari Capella oritur vesperi. Arcturus vero medias pridie idus, vehemenlissimo significata terra raarique per dies quinque. Ratio eju« haec traditor : si Delphino occidente imbres fuerint, non fuluros per Arcturum. Signum orientis ejus sideris servetnr hirundinum abitus : namque de­ prehensae intereunt. Sextodecimo kalendas Octo­ bris, Aegypto Spica, quam tenet Virgo, exoritar matutino, Etesiaeque desinunt. Hoc idem Caesari xiv kalendas, xm Assyriae significant : et xi ka­ lendas Caesari commissura Piscium occidens, ipsam que aequinoctii sidas viii kalendas Octo­ bris. Deinde consentiunt ( qaod est rarum ) Phi­ lippos, Calippus, Dosilheus, Parmeniscus, Conon, Criton, Democritus, Eudoxus, iv kalendas Octo­ bris Capellam matutino exoriri, et m kalendas Hoedos. Sexto nonas Octobris Atticae Corona exoritur mane. Asiae et Caesari v kalendas He­ niochus occidit matutino. Tertio kalendas Cae­ sari Corona exoriri incipit; et postridie occidunt Hoedi vesperi, vm idus Octobris Caesari fulgens in Corona stella oritur. Et 111 idus Vergiliae ves­ peri. Idibus Corona loia. Sexto kalendas Novem­ bris Suculae vesperi exoriuntur cura sole. Qnarto ftonas Arcturus occidit vesperi. Quinto idus No­ vembris gladius Orionis occidere incipit. Dein 111 idus Vergiliae occidunt.

In his temporum intervallis opera rustica , napos, raphanos serere, quibus diebus diximus. Vulgus agreste el rapa post ciconiae discessum male seri putal. Nos omnino post Vulcanalia, et praecocia cura panico. A Fidiculae autem occasu viciam, faseolos, pabulum : hoc silente luoa seri jubent. El frondis praeparandae tempus hoc est Unus frondator quatuor froadarias fiscinas com-

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fino all'equinozio, e dipoi fino al tramontar delle Vergilie, e al principio del verno. In questi in­ tervalli di tempo si dimostra a'dodici d’ Agosto il Cavallo, che rispetto al paese d 'Alene nasce sul far della sera ; mentre all’ Egilto e a Cesare si dimostra il tramonto del Delfino. A’ ventidue Cesare e Γ Assiria nolano la Stella delta Vendem­ miatore, la quale comincia a nascere la mattina, e promette la maturità della vendemmia. Di ciò saranno segno gli acini mutati di colore. A’ yenlotto rispetto all' Assiria tramonta il Sagittario, e restano i venti da terra delti Etesie. Il Vendem­ miatore nell' Egitto nasce a’einque di Settembre. Rispetto al paese di Alene Artnro tramonta la di­ mane, e il Sagittario la matlina. A' nove di Set­ tembre Cesare nota il nascimento della Capra la sera, e mezzo Arluro *’ dodici, con grandissima influenza in terra e in mare per cinque giorni. L'ordine di ciò si dice esser questo : se tramon­ tando il Delfino saranno piogge, non saranno nell'Arluro. Il segno del nascimento di qnesta stella sarà la partita delle rondini, perchè se ne sono sopraggiunte, muoiono. A' sedici di Settem­ bre in Egitto nasce da matlina la Spiga, cui liene la Vergine; allora i venti da terra restano. Il medesimo avviene in lulia a' dici olio, e in Asti­ ria a diciannove. A' ventuno Cesare nota il tra­ montar de’ Pesci congiunti, e la stella dell'equi­ nozio a' venliqualtro di Settembre. S'accordano poi insieme, eh'è cosa rara, Filippo, Calippo, Dosileo, Parmenisco, Conone, Critone, Demo­ crito ed Eudosso, che a' ventotlo di Settembre la Capra nasca la mattina, e a' ventinove i Capretti. A* due di Ottobre risp etto al paese di Alene la Corona nasce da mallina. Rispetto all' Asia e all ' Italia a'ventisette Iramonta Knioco la maltina. A' ventinove in Italia nota Cesare il nascimento •Iella Corona, e l'allro giorno il tramonto dei Capretti la sera. Agli otto di Ottobre nasce per l'Italia la stella splendente nella Corona, a'tre­ dici le Vergilie-la sera ; e .1' quindici tutta la Co­ rona. A' ventisene di Ottobre le Sucule nascono la sera, e a' trentuno rispetto all'Italia tramonta Arluro, e le Sucule nascono insieme col sole. Ai due di Novembre Arluro tramonta la sera. A 'no­ ve di Novembre comincia a tramontare la spada di Orione. Dipoi agli undici tramontano le Ver­ g ili. In questi tempi le faccende dei contadini sono, seminare navoni e rafani in quei dì che abbia­ mo delti. 1 conladini comunemente tengono che sia male seminar le rape dopo la partita delle ci­ cogne. Noi le piantiamo dopo le feste di Vulcano, e le prima!iccie insieme col panico. Dopo il tra­ montare della Lirasi seminano le veccie,i fagiuoli, e la pastura, la quale vogliono che si semini

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C. PLINII SECUNDI

plere in die justum habet. Si decrescente lune praeparetur, non putrescit : aridam colligi non oportet.

Vindemiam antiqui nuraqoam existimavere mataram ante aequinoctium : jam passim rapi cerno. Quaraobrem et hujas tempora notis argo* mentisque signentur. Leges ita se habent : « Uvam calidam ne legito, boc est, in ejus siccitate, ao nisi imber intervenerit. Hanc ne legito rorulen­ tam, hoc est, si ros nocturnus fuerit, nec prius, quam sole discutiatur. Vindemiare incipito, quam ad palmitem pampinas procumbere coeperit, aat qaum exemplo acino ex densitate intervallum noo compleri apparuerit, aciuam non augeri. » Acinos plurimos fert, si contingat crescente luna vindemiare. Pressura una culeos xx implere de­ bet. Hic est pes Justas. Ad totidem culeos et lacus, xx jugeribus anum sufficit torculum. Premunt aliqni singulis, utilius binis, licet magna sit va­ stitas singulis. Longitodo in his refert, non cras­ situdo: spatiosa melius premunt. Antiqui funibus, vitlisque loreis ea detrahebant, et vectibus. Intra centum annos inventa Graecanica, mali rugis per cochleas bullantibus, palis ad fixa arbori stella, a palis arcas lapidum atlollente secura arbore : quod maxime probaiur. Intra viginli duos hos annos inventum, parvis prelis, et minori torculari, aedificio breviore et malo in medio decreto, tym­ pana imposita vinaceis superne toto pondere urgere, et super prela coustruere congeriem.

Hoc et poma colligendi tempus, et observatio, quam aliquod maturitate, non tempestate, deci­ derit: hoc et faeces exprimendi : hoc et defrutum coquendi silente luna noclu : »ul si interdiu, ple­ na : celeris diebus aut ante exortura lunae, aut post occasura. Nec de novella vite, aut palustri, nec nisi e matura uva, nec nisi foliis despuman­ dam : quia si ligno contingatur vas, adustum ac fumosum fieri putant. Justum vindemiae tempus ab aequinoctio ad Vergiliarum occasum dies x l i v . Ab eodem die oraculum occurrit, frigidum picari pro nihilo dacenlium. Sed jam el kalendis Ja­ nuarii, defectu vasorum, vindemiantes vidi, piscinisque musta condi, aut vina effundi priora, ut dubia reciperentur. Hoc tam saepe proventu nimio evenit, quam saevitia insidiantiam caritati civili.Sed aequi patris familias modus est, an-

qoando la lane è sotto terra. Qnesto è il tempo aneora di preparare le foglie. Uno «foglia lore co­ munemente empie in nn giorno qoattro corbe dì foglia. Se le foglie si preparano a luna scema, non marciscono mai: non bisogna corre le secche. Gli antichi non credevano che la vendemmi* non fosse mai matara innanzi I' equinozio, ma oggi veggo che ella per tatto s 'affretta. Per la qual cosa fie bene determinare con certi segni e argomenti questo tempo. Le leggi della ven­ demia soo queste : « Non vendemmiare l’ ava calda, cioè, s 'ella non ha prima la pioggia : oon la vendemmiare anco rugiadosa, cioè, se prima il sole non rasciuga la rugiada. Cominderai a vendemmiare qaando il pampano co mi oderà a giacere in sul tralcio, o quando rimosso nn acino del grappolo molto spesso, quel luogo non si riempie degli acini vicini, perchè non ingrossa­ no. * Giova molto all* acino, s'egli sì vendemmia a luna crescente. Una pigiatore debbe empiere venti culei, e questa è giusta misura. Per altret­ tanti cnlei e laghi in venti iugeri basta ano stret­ toio. Alcuni stringono con uno, ma molto meglio è con due, quantunque ciascuno fosae molto grande. In questi importa la lunghezza, e non la grossezza : in questi che sono spaziosi si pigi* assai meglio. Gli antichi usavano funi, e fascie di cnoio, e pali. Da cento anni in qna si sono inven­ tati gli strettoi Greci, i qnsli premono nel mezzo con un troncone cavato a chiocciola, per li cui solchi esce gorgogliando il liquore: al troncone è affissa una stella di pali, e sopravi una gran massa di pietre che s'alza e abbassa con la stella medesima ; il qnsl modo è molto lodato. Da ven­ tidue anni in qua, con minori stanghe, e mino­ re strettoio, e più breve edifìcio, e con l’ albero pur in mezzo hanno trovato premere disopra le vinaccie, le qoali sieno nelle gabbie con grosso peso di pietre sovrapposte allo strettoio. Questo è il tempo ancora da raccorre le mele, e il segno è, quando esse cominciano a cadere per maturità, e non per tempesta. Allora leverai an­ cora le feccia, allora cocerai la sapa di notte a Iona scema, o se fia di giorno, a luna piena : negli altri giorni, o innanzi il nascere della lana, o dopo l ' occaso, lisso non vuol essere di vite nuo­ va, o palustre, se non d’ uva matura, nè si vuole schiumare, se non con le foglie, perchè se il vaso si tocca col legno, tengono che pigli sapore adu­ sto e fumoso. Il tempo giusto della vendemmia è dalP equinozio al tramontar delle Vergilie per quarantaquattro giorni. Da quet giorno io poi corre il proverbio, eh' è mollo mal Catto lasciar che la stagione s 'affreddi innanzi che sieno bea preparati i vasi da contenere il vino. Ma io ho già veduto per carestia di vasi vendemmiare in

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HISTORIARUM MUNDI LIB. XVIII.

nona cujusque anni uti. Id peraeque etiam lu­ crosissimum.

Reliqaa de finis affanni dicta snnt. Item vindemia facta olivam esse rapiendam, et quae ad oleuio pertineut, quaeque ad Vergiliarum oc­ casum agi debent.

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hatio .

LXXV. 32. His, quae sunt necessaria adjicien­ tur de luna, ventisque, et praesagiis, ut sit tota sideralis ratio perfecta. Namque Virgilius etiam in numeros lunae digerenda quaedam putavit , Democriti secutus ostentationem . Nos legum utilitas, quae in toto opere, in hac quoque movet parte.

Omnia qoae caeduntur, carpuntur, condun­ tur, innocentius decrescente luna, quam crescente fiunt, u Stercus, nisi decrescente luoa, ne tangito. Maxime intermenstrua dimidiaqoe stercorato. Verre*, juvencos, arietes, hoedos, decrescente luna castrato. Ova luna nova supponito. Scrobes luit» plena noctu facito. Arborum radices luna plena operito. Ilumidis Incis interlunio serito, et circa interlunium q u a t r i d u o , w Ventilar! quoque frumenta ac legumina, et condi circa extremam luuam jubent: seminaria, quum luna supra ter­ ram sit, fieri: calcari musta, quum luna sub ter­ ra: item materias caedi, quaeque alia suis locis diximus. Neque facilior est observatio ac jam dicta a nobis secundo volumine : sed quod intelligere vel rustici possiul, quoties ab occidente sole cernetur, prioribusque noctis horis lucebit, crescens erit, et oculis dimidiata judicabitur: quum vero occidente sole orietur ex adverso, ita ut pariter aspiciantur, tum erit pleniluuium. Quo­ ties ab ortu solis orietur, prioribusque noctis horis detrahet lumen, et in diurnas extendet, «Iccresceus erit, iteruraque dimidia. Iu coitu vero ( quod interlunium vocant) quum apparere deaicrit. Supra terras autem erit, quaiudiu et sol, interlunio, et prima tota die: secunda, horae unius dextante sicilico: ac deinde tertia usque ad quinUm Jecimaiu, multiplicatis horarum iis­ dem portionibus: quintadecima lota supra terras uuclu erit, eademque sub terris tota die. Sexta-

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calende di Gennaio, e riporre i mosti nelle piscine, o cavare dei vasi i vini di prima, per mettervi i dubbii. E ciò avviene spesso, tanto per la troppa dovizia del vino, quanto per la malignità di co­ loro, che fanno venire in pruova la carestia. Ma il ragionevole padre di famiglia si dee contentar di usare la vettovaglia anno per anno ; chè ciò gli è anche di grandissimo guadagno. L'altre cose dei vini si son dette abbastanza ; come anche s'è detto il doversi corre le ulive dopo fatta la vendemmia, e quelle cose che ap­ partengono all* olio, e quelle che si debbono fare fino al tramontare delle Vergilie. D

e l i * h a g io se d e l l a l u » a.

LXXV. 3a. Λ queste cose che si son dette, aggiugneremo quelle che son necessarie a sapere rapporto alla luna, e a' venti, e a' presagii, accioc­ ché nulla manchi al trattato sulla debita osserva­ zione delle «Ielle; perocché pensò anch'egli Vir­ gilio, che alcune cose s 'abbiano da fare a numeri di luna, seguendo la dimostrazione di Democrito. Quanto a me, questa stessa utilità de' precetti che in tutta l'opera mi ha mosso, mi muove ancora in questa parte. Tutte le cose, le quali si tagliano, si colgono, e si ripongono, con men danno si fanoo a luna scema, che a luna crescente, u Non toccare il lita­ me se non a luna scema. Verri, giovenchi, mon­ toni e capretti castra a luna scema. Porrai l’ uova a covare a luna nuova. Fa le fosse la notte a luna piena. Cuopri le radici degli alberi a luna piena. Nei luoghi umidi semina fra la luna vecchia e la nuova, e per quattro giorni,o in quel torno. « II grano e le civaie si vogliono ventilare, e riporre al fin della luna. Facciansi i seminarii quando la luna è sopra lerra, e pigisi il mosto quando ella è sotto. Taglisi il legname, e l'altre cose, come abbiamo detto al suo luogo. Non c' è più facile osservazione, che quella che dicemmo nel secondo libro; ma acciocché i contadiui ancora la possano intendere, ogni volta che la luna si vede dove il sole tramonta, e riluce nelle prime ore della notte, allora è crescente, benché apparisca dimez­ zata. Ma se ella nasce da levante, quaudo il sole se ne va sotto, coti che si vegga e l'uno e l'altra, allora sarà luna piena. Quando ella nasce dopo la levata del sole, e non riluce nelle prime ore della notte, ma produce il lume nel dì, allora scema, e di nuovo diventa mezza. Sarà poi congiunta col sole (il che si chiama interlunio), quaudo ella noa si vede più. Sarà sopra terra fino a tanto che il sole, nell' interlunio, e per tutto il primo dì : uel secondo, cinquantini minuto di ora all* incirca mcuo, e dipoi il terzo, c gli altri tino al quiulo-

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C. PUNII SECUNDI

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decima ad pvtiue horae noelarnae dextaDtem sicilicum sub lerra aget, easdemque portiones ho· rarnm per siogulos dies adjiciet usque ad inler· lunium. Ei quantum primis partibas noclis de­ traxerit* qaod sub lerris agai, tantundem novis­ simis ex die adjiciet sapra terram. Allerois aolem mensibus xxx implebit numeros, allerois vero detrahet singulos. Haec erit ratio lunaris.

Y ta T o a cM

b a t io .

LXXVI. 33. Tentorum pauli o scrnpnlosior. Observato solis orto qoocumqoe libeat die, stan­ tibus hora diei sexta, sic ut ortum eam a sinistro humero habeant, contra mediam faciem meridies, a vertice seplemtrio erit. Qui ita limes per agrum currit, cardo appellatur. Circumagi deinde me­ lius est, ut umbram suam q u i s q u e cernat: alio· qui post hominem erit. Ergo permutatis lateribus, ui ortus illius diei a dextro humero fiat, occasus a sinistro, tunc erit hora sexta, quum minima umhra contra medium fiet hominem. Per hujus mediam longitudinem duci sarculo sulcum : vel cinere lineam, verbi gratia, pedam viginti con­ veniet: mediamque mensuram, hoc est, in deci­ mo pede, circumscribi circulo parvo, qui vocetur nmbilicus. Qaae pars fuerit a vertice umbrae, haec erit ventus septeratrionalis. Illo libi, puta­ tor, arborum plagae ne spectent, neve arbusta vineaeve, nisi in Africa, Cyrenis, Aegyplo. Illinc ilante ne arato, quaeqae alia praecipimus. Quae pars lineae fuerit a pedibus umbrae, meridiem spectans, haec ventura Austrum dabit, quem a Graecis N^tum diximus vocari. Illinc flatu ve­ niente, materiam vinearaque, agricola, ne tractes. Humidus aut aestuosus Italiae est. Africae qui­ dem incendia cura serenitate adfert. In hunc Ilar liae palmites specient, sed non plagae arborum vitiumve. Hunc oliveti metator Vergiliarum qua­ triduo, hunc caveat insitor calamis, gemmisqne inoculator. De ipsa regionis ejus hora praemo­ nuisse conveniet. Frondem media die, arborator, ne caedito. Quum meridiem adesse senties, pastor, aestate contrahente se umbra, pecudem a sole in opafca cogito. Quum aestate pasces, in occiden­ tem specta ante meridiem, post meridiem in orientem: aliter noxium, sicut hierae et vere, si in rorulentum duceres. Ne contra septemtriooem paveris supradictura. Clodunt ita, lippiuntve ab adflatu, et alvo cila pereunt. Qui feminas concipi voles, iu hunc ventum spectantes iniri cogito.

decimo, moltiplicando la medesima porzione deU P ore. La quintadecima è lotta sopra la lerra di notte, e di di lotta sottesso. La sestadecima sarà cioquantun minuto meno la prima ora di notte, e arrogerà ogni dì le medesime porzioni dell'ore fino allo interlunio. E quanto torrà alle prime parti della notte stando sotterra, altrettanto ag­ giornerà all’ ultime del dì standone sopra. E scambiando ona volta farà trenta dì, e un* altra ventino ve. E questa fia la ragione della luna.

D ella

b a g io k b d e i v e s t ì .

LXXVJ. 33. La ragione dei venti è un poco più malagevole. Osservato il levar del sole ia qualsivoglia .giorno, quegli che staranno nella sesta ora del giorno in modo che abbiano il na­ scer suo da man manca,avranno di faccia mezzodì, e di dietro settentrione. Il limile o via che così corre pel campo, si chiama cardine. Dipoi è ben volgerti al contrario, acciocché ciascuno vegga la sua ombra ; altrimenti sarà dietro all'uomo. Cam­ biati dunque i lati, in modo che il nascere di quel dì si faccia da man ritta, e Γ occaso da man man­ ca, allora sarà P ora sesta quando P ombra si fari piccolissima davanti all' uomo, che diventa medio tra quella ed il sole. Per mezzo dunque di questa longitudine si fa nn solco col sarchiello, o una linea con la cenere, la quale, per cagione d’ esem­ pio, si sia venti piedi ; e nel mezzo della misura, cioè nel decimo piede, si descrive intorno un p\ccol cerchio, che si chiama umbilico. Quella parie che corrisponde alla cima dell’ ombra sarà vento di tramontana. Adunque, tu che poli, fa chele tagliature non rìsguardino là, nè aocora gli ar­ busti, nè le vigne, se non in Africa, in Cirene e in Egitto. Quando il vento viene di là, non arare, nè fare ninna di quelle altre cose che t'abbiamo ordinato. Quella parte della linea, che fu da’ pie­ di dell' ombra, risguardando a mezzodì, darà il vento d'Ostro, il quale dicemmo che da’ Greci è chiamato Nolo. Qaando soffia questo vento, non trattare legname, nè vigna. In Italia è umido, o caldo. In Africa porta seco arsura e tempo sereno. A questo vento stanno ben volli i tralci in Itali·, ma non le tagliature degli alberi, nè delle vili. Questo riguardi chi pianta gli uliveti nei quattro dì delle Vergilie : a questo abbia enra chi annesta a marze, o ad occhi. Ma convieue anche star bene avvisali dell'ora meridiana, ch'è importantissi­ ma. Chi fa frondi, non tagli la fronde nel mezzo­ giorno. Quando il pastore sentirà essere mezzo­ giorno, allorché la state l ' ombra si accorcia, spinga il bestiame dal sole in luoghi freschi. Quando pascerai la state, fa che la greggia si» volta a ponente iuuautia mezzodì, dopo mezto-

HISTORIARUM MUNDI LIB. XVIII.

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dì a levante: al Iri mea ti è nocive, come se di verno, o di primavera t u menasti i bestiami a paschi rugiadosi. Nè pascerai verso tramontana detta di sopra ; perchè così facendo, le bestie chiuggono gli occhi, e diventano cispe da quel soffiare, e muoiono di flusso di corpo. Ma se tu vuoi che ingravidino di femmine, falle montare volte a questo vento. L t w t a t io

AtiRoatJii.

LXXV 1I. 34- Diximus at in media linea desi*· gnaretar umbilicus. Per hune mediam transversa currat alia. Haec erit ab exorta aequinoctiali ad occasuro aequinoctialem: et limes qui ita secabit agrum, decumanas vocabitur. Ducantnr deinde aliae duae lineae in decusses obliquae, ita ut a septem trionis dextra laevaque ad Austri dextram laevamqoe descendant. Omnes per eumdem cur­ rant umbilicum, omnes inter se pares sini, omniam intervalla paria. Quae ratio semel in quoque agro intunda erit: vel si saepius libeat uti e ligno facienda, regulis paribus in tympanum exiguum, sed circinatam adactis. Ratione qua doceo, occnrrendum ingeniis quoque imperito­ rum est. Meridiem exculi placet, quoniam semper est idem : sol aulem quotidie ex alio coeli mo­ mento, quam pridie, oritur: ne quis forte ad exortum capiendam putet lineam.

Del

t e r m in a r e d s ' c a m p i.

LXX VII. 34^ Noi abbiamo detto ehe nella linea di mezzo si disegnasse 1’ umbilico o gnomo­ ne. Un'altra linea corra a traverso per questo mezzo. Questa sarà da levante equinoziale fino a ponente equinoziale, e il termine, che così di­ vide il campo, si chiamerò deoumano.Tirinsi poi due altre linee oblique in risecAmenti a modo di dieci, di maniera che dalla destra e sinistra di settentrione discendano alla destra e sinistra di Ostro. Corrano tutte per lo medesimo umbilico, e tutte sieno pari tra loro, ed eguali gl'intervalli di tutte. Questa divisione si debbe fare an tratto in ciascun campo, o se più spesso vuoi usarla, si debbe fare uno strumento di legno, ovvero tavola piana e ben compassata ; e tirare le linee a se si* con la regola che s 'è detto. Con questo ripiego che io insegno è da supplire agl'ingegni rozzi degl' imperili. Bisogna che si ricerchi il mezzodì, perchè questo è sempre il medesimo, mentre non nascendo mai il sole nel medesimo luogo Γ un dì che l'altro, non si pnò pigliare la misura da qaella parte eh' ei nasce. Ita coeli exacta parte, qnod fuerit lineae ca­ Trovata dunque così la parte del cielo, i l put septemlrioni proximum a parte exortiva sol­ capo della linea, che è vicino al settentrione dalla stitialem habebit exortum, hoc est, longissimi parie di levante, avrà il levante solstiziale, cioè' diei, ventumque Aquilonem, Boream Graecis di più lunghi dì, e il vento Aquilone, chiamato dictum. In hunc ponito arbores vitesque. Sed dai Greci Borea. Verso questo metterai gli alberi hoc flante ne arato : frugem ne serito : semen ne e le viti. Ma quando egli trae, non arare, e non jacito. Praestringit enim atque percellit hic radi­ piantare, e non gittare seme, perch'egli risecca ces arborum, quas positurus adferes. Praedoctus le radici degli alberi, i quali tu V uoi piantare ; esto : alia robustis prosunt, alia infantibus. Nec ma abbi a mente, che altro giova alle piante ro­ sum oblitus, in hac parte ventura Graecis poni, buste, altro alle novelline. Io mi ricordo ancora quem Caeciara vocant. Sed idem Aristoteles, vir che i Greci in questa parte pongono nn vento,’ immensae subtilitatis, qui id ipsum fecit, ratio­ che chiamano Cecia. Ma il medesimo Aristotele, nem convexitatis mundi reddit, qua contrarius uomo di sottilissimo ineegno, il qoale questo Aquilo Africo flat. Nec tamen eum toto anno in medesimo fece, dice che la con vessi là del mondo praedictis timet agricola. Mollitur sidere aeslate- è causa per cui Aquilone spira opposto al vento media, mulatqae nomen. Etesias vocatur. Ergo d' Africa : nondimeno il contadino non in tutta quum frigidum senties, eaveto : ac quacumque l'anno lo teme riguardo alle cose prefate. Per­ Aquilo praedicitur, tanto perniciosior septemciocché la siale egli è mitigato dal calore della trio est. I11 hunc Asiae, Graeciae, Hispauiae, ma­ Canicola, e mutando nome è ehiamato Etesie. ritimae Italiae, Campaniae, Apuliae arbusla viQuando dunque tu lo senti freddo, guardatene : e da qualunque parte è detto Aquilone, tanto è neaeque spectent. Qui mares concipi voles, in più perniciosa la tramontana. A qaesto sono volto hunc pascito, ut sic ineuntem ineat. Ex adverso le T ig n e e gli arbusti d’ Asia, di Grecia, di SpaAquilonis ab occasa bramali Africus flabit, quem

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C. PUNII SECONDI

ι 7*α

tiru ci I>ib« vocant. Iri hunc a coi tu quom se pecua circumegerit, feminas conceptas esse scilo.

Terlis a septemlriooe linea, quam per lati­ tudinem umbrae duximus, et decumanam το ca­ vimus, exortum habebit aequinoctialem, ventumque Subsolanam, Graecis Apelioteu dictum. In hunc salubribus locis villae vineaeque spectent. Ipse leniter pluvius : tamen esi siccior Favonius, ex adverto ejus ab aeqoinoctiali occam, Zephy­ rus Graecis nominalo·. In honc spectare oliveta Cato jussit. Hic ver inchoat, aperitque terras tenui frigore salaber. Hic vites putandi, frugesque curandi, arbores serendi, poma inserendi, oleas tractandi jus dabit, adilataque nutritiam cxercebit. Quarta a septemtrione linea, eadem Austro ab exorliva parte proxima, brumalem habebit exortum, ventumque Vulturnum, Eorum Grae­ cis diclum, sicciorem et ipsam, tepidioremque. In hunc apiaria et vineae llaliae, Galliarumque, spectare debent. Ex adverso Volturni flabit Co­ rus, ab occasu solstitiali et occidentali latere seplemtrionis, Graecis dictas Argestes, ex frigi­ dissimis el ipse, sicat omnes qui a septemtrionis parte spirant. Hic et grandines infert, cavendus et ipse, non secus ac septemtrio. Vulturnus si a serena coeli parte coeperit flare, non durabit in noctem: al Subsolanus in raajorem partem noctis extenditur. Quisquis erit ventus, si fervidus senlietur, pluribus diebus permanebit. Aquilonem praenuntiat terra siccescens repente, Austrum humescens rore occulto. P e o o b o s t ic a : ▲ s o l e .

LXXVIII. 35. Elenim praedicta ventorum ratione, ne saepius eadem dicantur, transire Con­ venit ad reliqua tempestatum praesagia, quoniam et hoc placuisse Virgilio magnopere video. Si­ quidem in ipsa messe saepe concurrere proelia ventorum dautnosa imperitis refert. Tradunt eumdem Democritum meleute Ira tre ejus Da­ mato ardeulissimo aestu orasse, ut reliquae se­ geti parcerei, raperetque deserta sub lectum, paucis mox horis saevo imbre vaticinatione adprobata. Quin iromo et arundinem non nisi impeudeute pluvia seri jubent, et fruges insecuturo imbre. Quamobrem et haec breviter attingemus, scrutati maxime perlinentia.

gna, e delle maremme d' Italia, di Campagna, e di Puglia. Se vorrai far nascere maschi, volgi la greggia a pascere verso questo vento, e cosi la fa montare. All’ incontro d'Aquilone. dalla parie delP occaso brumale, è Africo, il quale da' Greci è chiamato Liba ; e quando il maschio smontando dal coito si volge a qaesto vento, sappi ch'egli ha ingravidato di femmina. La terxa linea di settentrione, la quale è ri­ tratta per la larghezza, e chiamasi decumana, avrà levante equinoziale, e il vento Subsolano, il quale i Greci chiamano Apeliote. Ne' luoghi sani le ville e le vigne hanno a essere volte a questo vento. Questo fa piogge leggeri : nondimeno è più secco Favonio, che gli sta d’ incontro dall ' occaso equinoziale, e da' Greci è dello Zefiro. A questo vento vuole Catooe che sieno volli gli uliveti. Egli dà principio alla primavera, e apra la terre, salubre per la sua moderata frescura. Esso dà copia di potar le viti, di nettar le biade, di piantare, d* innestare gli alberi e dì curare le ulive, e col suo soffio arreca nalrimenlo. La quarta linea dal settentrione, vicina a Ostro dalla parte di levante, ha il levante bra­ male, e il vento Vulturno, chiamato da'Greci Euro, il quale è anch'esso alquanto asciutto e tepido. A questo debbono esser volle le case delle pecchie, e le vigne d’ Italia e di Francia. All'in­ contro di Volturno è Coro dall'occidente solsliziale, e dalla parte occidentale di settentrione, chiamato da’ Greci Argeste, il quale è aoch' esso freddissimo, siccome sooo tutti quegli che ven­ gono da tramontana. Se Vulturno comincia a trarre dalla parte serena del cielo, non durerà fino a notte ; ma Subsolano darà la maggior parte della notte. Ogni vento che trarrà, se fia caldo, durerà pià giorni. Quando la terra si ra­ sciuga, prenunzia Aquilone ; se insensibilmente inumidisce, prenunzia Ostro. PaoifosTici

d a l so l

e.

LXXVIII. 35. Mostrata che abbiamo la ragio­ ne de' venti, tratteremo degli altri segni e pre­ sagii de* tempii, perchè io veggo che ciò mollo piacque anche a Virgilio, dicendo egli come spes­ se volte in sulla ricolta è accaduta agl' im p e riti subita procella. Dicono che mietendo Da ma so fratello di Democrito iu tempo molto caldo, De­ mocrito lo pregò che lasciasse di mietere, e subito portasse al coperto quel ch'era mietalo ; e poche ore dopo venne una crudel pioggia, la quale ap­ provò le sue parole. Vogliono ancora che i can­ neti non si pongano, nè le biade si seminino, se non quando è per piovere. E però brevemente ragioneremo di questi pronosticù

HISTORIARUM MUNDI MB. XVM. Prinoumqoe a sole captano» praesagia. Paru· orens, atque non fervens, serenum diem nuntiaU at hibernam pallidas grandinem. Si et occidit pridie serenus, f t oritor, tanto certior fides serenil a lis. Concavus orieos pluvias praedicit : idem ventos, quum ante exorientem eum nubes robe· scunt: quod si et nigrae rubentibus intervene­ rint, et pluvias. Quam orientis atqae occidentis radii rubent, coire pluvias. Si circa occidentem rubesennt nubes, serenitatem fu lorae diei spon­ dent. Si in exortu spargentur parlim ad Aostrum, parlim ad Aquilonem, pura circa eum serenitas sit licet, pluviam tamen ventosqne significabunt. Si in orto aut in occasu contracti cernentur radii, imbrem. Si in oceasu ejus plaet, aat rsdii in se nubem trahent, asperam in proximum diem tem­ pestatem significabant. Qaam oriente radii non illostres eminebant, quamvis circumdati nube non sint, pluviam portendent. Si ante exortum nubes globabantur, hiemem asperam denuntia­ bunt. Si ab orta repellentur, et ad occasam abi­ bunt, serenitatem. Si nabes solem circumcludent, quanto minus laminis relinquent, tanto turbidior tempestas erit : si vero etiam dnplex orbis fuerit, eo atrocior. Qaod si in exorta fiet, ita at rube­ scant nubes, maxima ostendetur tempestas. Si non ambibunt, sed incumbent, a quocumque vento fuerint, eum portendent. Si a meridie, et imbrem. Si oriens cingetur orbe, ex qna parte is se aperit, exspectetur ventos. Si totas deflaxerit aequaliter, sereoilalem dabit. Si in exorta longe radios per nubes porriget, et medias erit inanis, pluviam significabit. Si ante ortum radii se osten­ dent, aquam et ventura. Si circa occidentem can­ didus circulus erit, noclis levem tempestatem : si nebula, vehemenliorem ; si candente sole, ventum: si ater circulus fuerit, ex qua regione is ruperit se, ventum magnum.

A

lu & a .

LXX 1X. Proxima sint jure Innae praesagia. Quartam eam maxime observat Aegyptus. Si splendens exorta pnro ui lore fulsit, serenitatem : si rubicunda, ventos : si nigra, pluvias porten­ dere creditur. In quinta cornua ejns obtusa, plaviam: erecta et infesta ventos semper significant: quarta tamen maxime. Cornu ejusseptemtrionale acuminatum atque rigidum, illum praesagit ven­

tum ; inferius, Austrum : utraque recta, noctem

1753

Prima coro'meleremo dal sole. Quando e' ua#ce paro e non caldo, significa che q«tl giorno fia sereno : se sarà pallido, pronostica gragnuola. Se la-sera dinanzi tramonta, e il dì poi nasce sereno, tanto è più certo pronostico di serenità. Quando nascendo è concavo, minaccia pioggia. Se innauzi eh’ egli nasca i nuvoli rosseggiano, significa ven­ to ; e se Co' rossi si mescolano i neri, sarà vento e pioggia. Se i raggi suoi e qaando. nasce e quando tramonta rosseggiano, saranno piogge. Se intorno il tramontare i nuvoli arrossiscono, Γ altro di fia sereno; ma se nel nascimento suo i nuvoli si spargeranno parte a Ostro, e partea tramontana, benché d1 intorno a esso sia pure sereno, signifi­ cano pioggia e venti. Se o nel tramontare, o nel nascere avrà i suoi raggi corti, pronostica pioggia. Se nel tramontar piove, o i suoi raggi tirano a sè i nugoli, il dì segueole minaccia aspro tempo­ rale. Se quando nasce i snoi raggi non saranno chiarì, benché non sieno circondati da nuvoli, portende pioggia. Se innanzi eh1 egli nasca i nu­ voli s’ inviluppano, minacciano aspra tempesta. Se saranno cacciati dal levante, e andranno al ponente, promette sereno. Se le nuvole circon­ deranno il sole, quanto manco lame lasceranno, tanto sarà più torbida tempesta ; e se quel cer­ chio sia doppio, sarà ancora più terribile : che se oel suo nascere avverrà che le nngole rosseg­ gino, si dimostrerà gravissima tempesta. Se non gireranno, ma si poseranno, dimostrano aver a venire quel vento, presso al quale si riducono : se presso al mezzodì, annunziano ancora pioggia. Se nascendo il sole sarà cinto da un cerchio, da qaella parte donde s'apre, aspettisi vento; ma se sparisce tntto, aspettisi egualmente sereno. Se nascendo distende i raggi per le nugole discosto, e il mezzo ne fia senza, significa pioggia. Se in­ nanzi che e' nasca si dimostreranno i suoi raggi, significa pioggia e vento. Se intorno al ponent^ sarà bianco il cerchio, significa lieve tempesta della notte: se nebbia, più terribile. Se il sole sarà caldo, significa vento. Se il cerchio fia nero, da qaella parte da che si rompe, significa gran vento. D a l la l u n a .

TiXXIX. Prossimi sono a questi i pronostici della luna. L'Egitto osierva mollo il quarto dì di essa. S* ella nasce risplendendo con pura chiarez­ za, significa sereno; se rossa, venti; se nera, pioggia. Il quinto, s' ella ha i suoi corni ottusi, significa pioggia. Se gli ha eretti e appuntati sem­ pre, significa venti, e massimamente il quarto dì. Se ha il corno suo settentrionale bene appuntalo e rigido, predice vento di settentrione; se l’ altro,

C. PLINII SECONDI ventosam. Si qnartam orbis rotilo» cingit, ventos et imbres praemonebit. Apud Varronem il· est : Si qaarto die Inna' erit directa, magnam tempestatem in mari prae· sagiet, nisi si coronam circa se habebit, et eam sinceram : qnoniam illo modo non ante plenam lunam hiematuram ostendit. Si plenilunio per dimidium pura erit, dies serenos significabit : si rutila, ventos : nigrescens, imbres. Si caligo orbis nubem incluserit, ventos, qua se ruperit: si gemini orbes cinxerint, majorem tempestatem. Et magis, si Ires erunt, aut nigri, interrupti atque distracti. Nascens luna, si cornu superiore oba­ trato surget, pluvias decrescens dabit : si inferio­ re, ante plenilunium: si in media nigritia illa fuerit, imbrem in plenilunio. Si plena circa se habebit orbem, ex qua parte is maxime splende­ bit, ex ea ventum ostendet. Si in ortu cornua crassiora fuerint, horridam tempestatem. Si ante quartam non apparuerit, vento Favonio fla nte, hiemalis toto mense erit. Si sextadecima vehe­ mentius flammea apparuerit, asperas tempestates praesagiet. Sunt et ip«ius luiiae octo articuli, quo­ ties in angulos solis incidit, plerisque inter eos tantum observantibus praesagia ejos, hoc est, tertia, septima, undecima, quintadecima, nonadecima, vigesima terlia, vigesimaseptima, et inter­ lunium.

A STILLIS. LXXX. Tertio loco stellarum observationem esse oportet, Discurrere eae videntur interdum, ventique protinus sequuntur, in quorum parte ita praesagivere. Coelum quum aequaliter totum erit splendidum, articulis temporum, quos pro­ posuimus, autumnum serenum praesagibunt, et frigidum. Si ver et aestas non sine riguo aliqno transierint, autumnum serenum et densum, rainusque ventosum facient. Autumni serenitas ven­ tosam hiemem facit. Quum repente stellarum fulgor obscuratur, et id neque nubilo, neque ca­ ligine, pluvia aut graves denuntiantur tempesta­ tes. Si volitare plures stellae videbuntur, quo feruntur albescentes, ventos ex iis partibus nun­ tiabunt. Aut si cursitabunt, certos: si id in plu­ ribus partibus fiet, inconstantes ventos effundent. Si stellarum errantium aliquam orbes incluserint, imbres. Sunt in signo Cancri duae stellae parvae, Aselli appellatae, exiguum inter illas spatium obiinente nubecula, quam Praeiepia appellant. Haec quum coelo sereuo apparere dejierit, atrox

significa Ostro ; se ametidue rilevati, significa Ia notte ventosa. Se il qoarto dì sarà cìnta da un cerchio rosseggiante, mioaccia venti e pioggia. Varrone scrive così : Se il quarto fioro» la lana sarà diritta, minaccia gran fortuna in mare, se già non avesse ona corona chiara intorno a sè, perchè in tal modo dimostra che non ha ad essere tempesta innanxi alla lana piena. Se qaando la luna è tonda, sarà pura per la metà, significherà i di sereni ; se rosseggiante, venti ; se nera, piog­ ge. Se il suo discor fosse intenebrato da nabc, spirerà vento da quella parte, da cui essa si rom­ pe : se attorniato da due cerchi, verrà procella maggiore ; e molto pià se saranno tre, o negri, o interrotti. Se la luna nascendo verrà sa col cera® di sopra nereggiante, darà piogge scem an d o;e con quel di sotto, innanzi al plenilunio : se qudb nerezza fia nel mezzo, significa pioggia nel qointodecirao dì. Se piena avrà intorno un cerchio, dimostra vento da quella parte, dove più rispkaderà. Se nel suo nascimento avrà le oorna moli» grandi, minaccia aspra tempesta. Se innaozi il quarto dì non apparve, e tira vento Favoan, pioverà tutto quel mese. Se nel sedicesimo dt sarà molto infiammata, predice aspro tempo. Ha la luna anch' essa otto punti di tempo, e sooo qnei, ne' quali ricade negli angoli del sole. Alcani ne osservaoo i pronostici solamente in qoesti punti di tempo, che sono il terso dì di essa, il settimo, l'undecimo, il quindicesimo, il dicsaaao» vesimo, il veolitresimo, il ventisettesimo, e to interlunio.

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STXLLS.

LXXX. La terza oiservaxione bisogna ehe vm quella delle stelle. Esse alcuna volta pare cto scorrano, e subito seguono venti in quella parie» che hanoo dimostro. Qaando il cielo sarà edil­ mente tutto splendido, per gli articoli dc'ietapi che abbiamo proposto, prediranno Γ aatanno se­ reno e freddo. Se la primavera e la state saranno passate non senza alcuna umidità, faranno l ' au­ tunno sereno, e denso, e manco ventoso. L* aoluono sereno fa il verno ventoso. Quaudo in nn subito lo splendore delle stelle s 'oscura, e ciò aè per nugolo, nè per caligiue, minaccia pioggia, o gravi tempeste. Se parrà che più stelle volino, da quelle parli dove vanno, «ignificano v e n ti;· se parrà che corseggino, significano venti certi. Se ciò faranno in più parti, significano venti in­ costanti. Se alcuno de' pianeti avrà intorno a sè cerchio, significa pioggia. Sono nel segno dd Caocro due stelle piccole chiamate Asine Ili, e Ira loro è breve spazio occupato da un certo albore, a modo di nuvola, la quale chiamauo m l ' Egitto, se lo semina, perciocché eoa questo ar­ reca le mercanzie d' Arabia e d ' India : ma ooa così alla Gatlia, la quale non contenta d'avere le montagne opposte al mare, e dal lato delP Ocea­ no spazii vani, semina il lino per solcare anch’essa le onde. I popoli di Caors, di Calesse, di Rodes, di Burges, e i Morini riputali gli ultimi nomini del mondo, and (alla la Francia tesse le vele ; e quegli ancor*, che sono di là dal Reno. Nè altro più bel panno conoscono le loro donne. Il ehe mi riduce a mente ciò che scrive M. Vairone, che nella famiglia de' Sereni le donne per costu­ me gentilizio non osano vestimenti di Koo. li Larasgna esercitano qoeslà «rie sotterra. Stasi-

i^ 7

HlSTOMARtJM MONDI ·Μβ. XIX.

et in Aemilia via'FaventTna. Candore Alliani* semper cradis Paventine praeferuntur: Retovinis tenuitas summa densitasque, caixlor aeque ul Faventinis, sed lanugo nulla, quod apud alias gratiam, apud alios offensionem habet. Nervo­ sitas filo aequalior paene quam araneis, tinnitus* que, quam dente libeat experiri: ideo duplex* quam ceteris, pretium.

Et Hispania citerior habet splendorem lini praecipuum, torrentis in quo politur natura, qui adibit Tarraconem. Et tenuitas mira, ibi primum carbasis repertis. Non dudum ex eadem Hispania Zoelicum venit io Italiam, plagis utilissimum. Civitas ea Gallaeciae et Oceano propinqua. Est tua glori· el Cumano in Campania, ad piscium et alitum cftpturam. Eadem et plagis materia. Nc­ que enim minores cunctis animalibus insidias, quam nobismetipsis lino tendimus. Sed Cumanae plagae concidunt apros, et hi casses vel ferri aciem vincunt. Vidiransque jam tantae tenuitatis, ut anulum hominis cum epidromis transirent, ono portante multitudinem qua saltus cingerentur (nec id maxime mirum, sed singula earum st»* mina centeno quinqusgeno filo constare): sicat paulto ante Julio Lnpo, qni in praefectura Aegy­ pti obiit. Mirentur hoc ignorantes in Aegyplii quondam regis, quem Amasim vocant, thorace, io Rhodiorum insula ostendi in tempio Minervae, c c c l x v filis singula fila constare : qood ae exper­ turo nuper Romae prodidit Mocianus ter consul, parvasque jam reliquias ejas sa peresse hac expe* rien tiara injuria. Italia et Pelignis etiamnum lini» honorem habet, sed fullonum tantam in usu ; nullum est candidius, lanaeve similius: sicut io culcitis praecipuam gloriam Cadurci obtinent. Galliarora hoc, et' tomenta pariter, inventum. Italiae quidem mos eliam nunc durai iu appel» Utione atramenìi.

Aegyptio lino minimum firmitatis, plurimum lu c r i. Quatuor ibi genera : Taniticnm ac Pelu­ sia c u m , Bulicato, Tentyriticum, cam regionum oozuinibus, iu quibus nascantur. Superior pars A egyp ti in Arabiam vergens gignit fruticem, q u em aliqoi gossipion vocant. plures xylon, et id e o lina inde lacta xylina. Parvas est, similemq u e harbalae nucit defert fruclum, cujus ex iu-

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mtnie iu Italia iu quel di Allia tla i fiumi Ho e Ticino, dove dopo quello di Setabi il lino ha il terzo vanto in Europa; perciocché il secondo grado hanno i lini chiamati Retovini, nel paese vicino agli Alliani; e in Romagna ilini Faentini, i quali per rispetto della loro bianchezza sono messi innanzi a quelli degli Alliani, che Sona sempre crudi. I lini Retovini sono molto sottili; e folti, e bianchi come i Faentini, ma non hanno lanugine; la qual cosa a chi piace,e a chi no. 11 filo ha una nervosità eguale, e forse più, che le tele de' regnateli, e risuona, quando si tenta col den­ te; e per questo è di doppio prezzo che gli altri. Anche la Spagna citeriore ha un lino, che riluce molto, per la natura d' un fiume, dov'egli si pulisce, il quale bagna Tarraòona. E molto sottile ; e quivi furono prima trovati i carbasi, che son vele sottilissime. Non è gran tempo, che della medesima Spagna venne il lino Zoelico in Itali·, utilissimo' per far reti. Questa è città di Callida, e posta sblla marina. QueHo da Cum· in Ter tra di lavoro è' ottimo per far reti da pesci e da uccelli, e anco reti da cuccia. Perciocché noi non facciamo minori eguali col lino agli altri animali, ehe a noi stessi. Ma le reti Cumane reci­ dono i cinghiali, e vincono il taglio del ferro; Già ne abbiamo vedute di tanto sottili, che con l’ armadara sono passate per un anello d'uo*» mo; e un solo ne portava tante, che tutto uti bosco si circondava con esse. Nè ciò fu gran ma­ raviglia, ma sì bene che le cordelle loro fosserò di cento cinquanta fila, come ebbe Giulio Lupo, il quale morì governatóre d’ Egitto. Ma maraviglinsi di questo coloro, che non sanno che nell’ isoli di Rodi nel tempio di Minerva si mostra la coratza d* Ataaii re d’ Egittb, le cui fila sono di trecento seltantacinque fili minori. Il che dicè d'avere nuovamente veduto in Roma Mncianro stato tre volte consolo; e afferma ehe la detta corazza è già tetta logora, per tanti che la toccai rono per volerne avere certezza. In Italia sono ancora molto stimati ilini Abruzzesi, ma solar mente per uso de*purgatori. Non c 'è lino più bianco, nè più simile alla lana, di questo : sic­ come quello da Caors è molto lodato nelle col­ trici. Questo s’ è trovato in Fradicia, e similmen­ te le cimature. In Italia dura aucora 1' usanza di chiamarlo stramento. ' ' 11 lino d'Egitto è poco durabile, ma di molto guadagno. Quivi ne sono di quattro sorti : ilTanitico e Pelosiaco, il Bulico e Tentfrilico, che piglian nome dai paesi, dove e1 nascono. La parte diso­ pra dall’ Egitto che confina con Γ Arabia produ­ ce uno sterpo,‘ il quale alcuni chiamano gossi­ pio, molti silo,-e perciò siline le tele che si fanno «f taso, Questo flcrp? è piccete, c fa un fi uti?

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C. PUNII SECONDI

leriore bombyce lanego n«lar. Nec ulta aaok ei* candore molli tiara praeferenda. TeiUf inde sa­ cerdotibus Aegypti gratissimae. Quarlum geoas Orchomenium appellant. Fit e palustri Telai arundine, dumtaxat panicula ejus. Asia e genista faci! lina ad relia praecipua,io piscando durantia, frutice madefacto denis diebus. Aethiopes lodiqae e malis, Arabes cucurbitis, in arboribus, ut dixi­ mus, genitis.

Q co m o d o p e s f i c i à t c b .

«74«

simila alie nocciuote, il quale dentro ba uo bigatto che fa certa lanugine, Ia quale ai fila ; nè » truova cosa più bianca, nè pià morbida di qeesla. Di ciò i sacerdoti d' Egitto si (anno gratissi­ me resti. La quarta specie ai chiama Orcoaaeoio. Fassi delle pannocchie d' una certa pianta che nasce ne' paludi, simile alle canne. In Asia si fanno lini di ginestre, ottimi per reti da pescare, dopo aver tenute le ginestre in macero dieci gior­ ni. In Etiopia e in India fanno i lini di meli; e in Arabia di zucche nate negli alberi, come ab­ biamo detto. C o u si

COBDCCK.

UI. Appresso di noi si conosce il lino qesodo III. Apud uoa maturila· ejos duobua argot egli è maturo a due segni, quando il seme ri­ mentis intelligitur, intumescente semine, aut co­ lore flav?scente. Tum evulsum, et in fasciculo# gonfia, o quando ingialla. Allora ai svelle, e fat­ tine fascetli manuali, seccasi al sole con le radici manuales colligatum, siccatur io sole, pendens in su per un giorno ; poi altri cinque giorni sta conversis superne radicibus uno die, mox quia* volto al contrario, di maniera che le vette stieno que aliis, in cootrarium inter se versis fascium cacuminibus, ot semen ia medium cadat. Ipter insieme, e il seme caggia nel mezzo. Usasi par medicamina huic vis, et in quodam rustico ac medicina, e tra i contadini per cibo dolcissimo praedulci Italiae Transpadanae cibo, aed jam pri­ in Italia di li dal Po : ma già buon tempo è che dem sacrorum tantam gratia. Deinde poat mes­ Γ usano solo ne’ sacrificii. Poi che il grano è mie­ tuto, i gambi del lino si mettono in macero ndsem triticeam virgae ipsae merguntur in aquam Γ acqua riscaldata dal sole, e tf ngonsi sotto con solibus tepefactam, pondere aliquo depressae: nulli enim levitas major. Maceratas indicio es| qualche peso ; perchè non v* è cosa pià leggieri. roembraua laxatior. Iterumque inversae, ut prioa, 11 segno che sia macero è quando la buccia si sole siccantor : mox arefactae in saxo tunduntur spicca. Poi di nuovo rivolti, eome prima, ai sec­ itupario malleo. Quod proximum cortici fuit, cano al sole, e secchi si battono sulla pietra eoi atupa appellatur, deterioris lini, lucernarum fere mazzo. Quello ebe è presso alla scorza, ύ chiama luminibus aptior. Et ipsa tamen pectitur ferreis stoppia ; ed è men buooo, e solo atto a' lami del­ hamis, donec omnis membrana decorticetur. Me­ le lueerne. Nondimeno anch* essa ai «anm oa emt dullae numerosior distinctio, candore, mollitia. pettini di ferro, fin che tutta la buccia si aeorti» Linumque nere et viris decorum eat. Cortices chi. La midolla ha più numerosa distinzione, quoque decossi clibanis et furnis praebent usum· per bianehazta, e per morbidessa. Filar il liao Ars depectendi digerendique: justum e quinqua­ non si disdice anco agli uomloi. Le lische sono genis fascium libris quinasdeuaa carminari. Ite­ utili al forno. L'arte di pettinare il lino è, che rum deinde in filo politur, illisum crebro in silice di cinquanta libbre torni quindici : un'altra voi· ex aqua : texluraque rursas tunditur elavas, sem­ ta poi ai ripulisca nel filo percotee doto molte per injuria melina. spesso ralla pietra ; e ooperto di nuovo si ball· con mazzeranghe : quanto più si batte, tanto di* venta migliore. Db

ubo

ApaasTiBo.

D el

l ir o a s b e s t ik o .

Èssi trovato uoa sorte di lino,che non arde IV. Inventum jam est etiam, quod ignibus IV. non 'absumeretur. Vivum id vocant, ardentesque nel fuoco. Queste si chiama vivo ; e io ho vedu­ in focis conviviorum ex eo vidimus mappas, tor> to tovaglie fatte di questo Hno, levate da' conviti didus exustis, splendescentes igni magis, quam e gittate nel fuoco ardere le macchie, ed case ri­ possent aquis. Regum inde funebres tanicae, cor­ maner salve, e pià biaaehe, che se fossero alale pori· favillam ab reliquo aeparant cinere. Nasci­ messe in bucato. Di qoesto lino fannoai le veste tor in desertis adustfoque sole Indiae, uhi non a* re morti, perchè quando i corpi loro ardona, tali veste gli separano dall1 altra cenere. Nate· caduat imbres, inter diras serpentes : adsuescitque viver· ardendo, rarum tnteain» diCficib ne' deserit d’ India ani dal sole, e pieni di sec-

HISTORIARUM texta ptapler bretiletem. Rufus de cetero colo·, splendescit igni. Qoam ìotcoIi b ««t, aaqtiat pretia excellentiam margaritarum. Vocator au­ tem a Gsaecis asbestinum es argomento neturae. Aoaxiiaus auctor int, remedium est absinthii succos decocti in­ spersus, et sedi, quam aizouro vocant: genus hoc herbae diximus. Semen olerum si succo ejas ma* defactum seratur, olera nulli animaliora obnoxia futura tradunt. In tolura vero nec erucas, si pa­ lo imponantur in hortis ossa capitis ex eqoino genere, feminae domtaxat. Adversus erucas et cancrum fluviatilem in medio horto snspensum auxiliari narrant. Sunt qui sanguineis virgis tan­ gant ea, quae nolunt his obnoxia esse. lufestant culices hortos riguos praecipue si sint arboscolae aliquae. Hi galbano accenso fogantur.

LVI 1I. Il medesimo insegnò uo rimedio per ammazzare le formiche, le quali fan danno gran­ dissimo agli o rli, se essi non s’ adacquano ; e questo rimedio è di turare ilor buchi o con mo­ la di mare, o con cenere. Ma molto meglio s’ uc­ cidono con I’ erba, che si chiama girasole. Alcu­ ni tengono che sia lor mollo nimica l’acqua, dove sia stemperato un matton crudo. La medicina de’ navoni è seminare con essi te silique ; come il cece è medicina de’ cavoli, perchè ne leva i brachi. E se, per non essersi ciò fatto, essi fos­ sero gii nati, si vogliono sprozzolare col sugo dell’ assenzio colto, e della sempreviva, eh’ è della aizoo. Se il seme di cavoli si semina bagnato nel sugo d’ essa, dicono che a veruuo dei detti animali non potrò andare soggetto ; e se negli orli si ficca sopra un palo il teschio d’ una cavalla, non vi nascono bruchi. Dicono ancora, che un granchio di fiome appiccato nel mezzo dell’ or­ to, è rimedio cootra i bruchi. Alconi osano toc­ care con verghe di sanguine quelle erbe, che non vogliono che sieno danneggiate da questi aniraaluzzi. Le zanzare ancora fan danno agli orti che s'adacquano, massimamente se vi sono arboscelli. Queste bestiuole si cacciano abbruciandovi gal­ bano.

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C. P.LiNll SECUNDI

1804

ii. Naro quod ad permutationem seminum 11. Quanto appartiene alla mutazione de’ se­ allinet, quibusdam ex iis firmitas major est, ut mi, alcuni d’ essi hanno maggior fermezza, come coriandro, betae, porro, nasturtio, sinapi, eru> il coriandolo, la bietola, il porro, il nasturzio, la cae, cunilae, et fere acribus. Infirmiora aulem senape, la ruchetta, la cunila, e quasi lutti gli sunt atriplici, ocimo, cucurbitae, cucumi : et agrumi. Più deboli sono Γ atriplice, il basilico, aestiva omnia hibernis magis durant; minime la zucca e ii cocomero ; e lutti gli staterecci du­ aulem gelhyuro. Sed ex his quae sunt fortissima, rano più che i vernerecci, eccetto il gelio. Ha di nullum ultra quadrimatum utile est, dumtaxat quegli che sono più forti, nessuno è buono più serendo. Culinis et ultra tempestiva sunt. che quattro anni, ma solo a seminare. In cibo però son buoni più a lungo. Q

u ib u s s a l p a e a q u a e p r o s i n t .

LIX. Peculiaris medicina raphano, betae, ru­ tae, cunilae, in salsis aquis, qi^ae el alioqui plu­ rimum suavitati et fertilitati conferunt. Ceteris dulcium aquarum rigua prosunt. Utilissimae ex iis, quae frigidissimae, et quae potu suavissimae. Mimis utiles e stagno, et quas elices inducunt, quouiara herbarum semina invehunt. Praecipue tamen imbres alunt. Nam et bestiolae innascentes necantur.

R a t io

r ig a n d i h o r to s.

LX. 12. His horae rigandi, maluliua atque vespera , ne infervescat aqua sole. Ocimo tan­ tum et meridiana : etiam salum celerrime erum­ pere palant, inler initia ferventi aqua adspersum. Omnia aulem translata meliora grandioraque fiunt, maxime porri, napique. In trauslatione et medicina est, desinuulque sentire injurias, ut gelhyum, porrum, raphani, apiain, lactucae, rapae, cucumis. Omnia aulem silvestria fere sunt et foliis minora, el caulibus, succo acriora : sicut cunila, origanum, ruta. Solum vero ex omnibus lapathum silvestre melius : hoc in salivis rumex vocatur, nasci turque f o r t i s s i m u m : traditur certe semel salum durare, nec vinci umquam a terra, maxime juxta aquam. Usus ejus c u m plisana tantum in cibis leviorem gralioremque saporem praestant. Silvestre ad multa medicamina utile est. Adeoque nihil omisit cura, ut carmine quo­ que comprehensum reperiam, in fabis caprini fimi singulis cavatis, si porri, erucae, lactucae, apii, intubi, uasturlii seroiua inclusa serantur, mire provenire. Quae sunt silvestria, eadem in salivis sieciora inlelligunlur, et acriora.

A QUALI PIANTE GIOVINO LE ACQCE SALSE.

LIX. La medicina propria del rafano, della bietola,della ruta e della cunila consiste nell'acque salse, le quali giovano mollo alla soavità, e alla fertilità loro. All’ altre torna meglio adacquarle con Γ aque dolci. Di queste utilissime sono le più fredde, e quelle che son migliori da bere. Manco utili sono quelle dello staguo, e quelle che con­ ducono i solchi, perchè ne portano i semi dell’ erba. Ma sopra tutto Γ acque piovane son buo­ ne, perchè elle ammazzano le besliuole che vi nascono. M odo

di adacq uare g l i o r t i.

LX. 12. L’ ore del dar I' acqua sono la matti­ na, e la sera, acciocché essa non ribolla per lo sole. Solo il basilico s’ annaffia ancora da mezzo giorno; il quale, quando è seminato, /engouo che nasca tosto, se da principio s’ innaffia con l’ acqua bollita. Ogoi cosa che si traspone,diven­ ta maggiore e migliore, massimamente i porri e i navoni. Il trasporre è ancora medicina per al­ cuni erbaggi, i quali per ciò non vanno più sog­ getti ad ingiuria, come il gelio, il porro, i raftni, l’ appio, le lattughe, le rape e il cocomero. Tutti i salvatichi per lo più hanno minori foglie e gam­ bi, e ’souo più agri di sngo, siccome è la cunila, 1’ origano e la ruta, eccetto che il lapato salvatico, eh* è migliore deli’ ortolano. Questo tra i do­ mestichi si chiama romice, e nasce fortissimo ; e dicono che una volta seminato, dura, nè mai è vinto dal terreno, massimamente appresso l’ ac­ qua. Usato nell’ acqua d'orzo solamente ne’ cibi, fa più leggeri e più soave sapore. Il sabatico è buono a molte medicine. E la diligenza dell'uo­ mo è stata tanto grande, che io truovo trattato ancora in versi, come forando i globelli dello sterco della capra, e mettendo in ciascuno il seme del porro, della ruchetta, della lattuga, dell’ ap­ pio, dell’ indivia e del nasturzio, vengono mara­ vigliosamente. Gli erbaggi salvatichi, come sien seminati, sono più secchi e piò agri.

HISTORIARUM MUNDI LIB. XIX.

De s u c c i s

b t s a p o rib u s h o rte n s io ru m .

LXI. Namque et succorum saporumque di­ cenda differenlia esi, vel major ij» his quam po­ mis. Suot autem acres cunilae, origani, nasturtii, sinapis. Amari, absinthii, centaurei. Aquatiles, cucumeris, cucurbitae, lactucae. Acuti, thymi, cunilae. Acuti et odorati, apii, anethi, feniculi. Salsus lantnm e saporibus non nascitur, aliquan­ do extra insidit pulveris modo , ut cicerculis tanlum.

De p i p e r i t i d e ,

e t l i b a n o t i d e , e t sm y b h io .

De' s i o h i e s a p o r i

1806

d e l l ' e r b e ii ' o r t o . ‘

LXI. Abbiamo a ragionare ancora della diffe­ renza de' sughi, e de' sapori, la quale è maggiore in queste erbe, che ne' frulli. Agri sono adunque la cunila, Γ ungano, il nasturzio e la senape. Amari l’ assenzio e la centaurea. Acquatili, il co­ comero, la zucca, e la lattuga. Acuti il limo e la cunila. Acuti e odorali, l’ appio, l’ aneto e il finocchio . Solo il sapor salso nou nasce ; ma talora s'appicca di fuori a modo di polvere, come nelle cicerchie. D ella

p e p b b u o l a , d e l l ib a n o t o ,

DBL CAVOLO SMIBNIO.

LX 1I. Atque ut inlelligalur vana, ceu ple­ rumque, vitae persuasio : panax piperis saporem reddit, et magis etiam siliquastrum, ob id pipe­ ritidis nomine accepto. Libanotis odoreiu thuris, smyrnium myrrhae. De panace abunde dictura est. Libanotis locis putribus el macris ac roscidis seritur semine. Radicem habet olusatri, nihil a thure differeulen). Usus ejus post annum storna· ch'o saluberrimus. Quidam eam nomine alio ros­ marinum appellant. Et smyrnium olus seritur iisdem locis, myrrharaque radice resipit. Eadern et siliquastro s m I i o . Reliqua a ceteris et odore et sapore differunt, at ane thura. Tantaque est di­ versitas atque vis, ut non solam aliud alio mu­ tetur, sed etiam in lotum auferatur. Apio exi­ munt coqui obsoniis acetum : eodem cellarii in saccis odorem vino gravem.

Et hactenus hortensia dicta sint, ciborum gratia dumtaxat. Maximum quidem opus in iis­ dem naturae restat ; quoniam proventus tantum adhuc, summasque quasdam tractavimus. Vera aatem cujusque natura uon nisi medico effectu pernosci potest, opus ingens occultumque divini­ tatis, el quo nullum reperiri possit majus. Ne sin­ gulis id rebas coutexeremus, justa fecit ratio, quum ad alios medendi desideria pertineret, lon­ gis utriusque dilationibus futuris, si miscuisse­ mus. Nunc suis quaeqne partibus constabunt, poteruntque b voleotibus jungi.

LX 11. E acciocché s 'intenda esser vana, come il più delle volle, la persuasione degli uomini, la panace ha sapor-di pepe, ma molto più il siliqua­ stro, che perciò s' ha preso il nome di peperuola. 11 libanoto ha odore d'incenso, lo smirnio di mirra. Della panace s 'è ragionalo abbastanza, li libanoto si semina col seme in luoghi putridi, magri e rugiadosi. Ha la radice dell' olusastro, non punlo differente dall' incenso. L' uso d 'esso dopo nn anno è attissimo allo stomaco. Alcuni per altro nome lo chiamano ramerino. Il cavolo smirnio si semina ne'medesimi luoghi, e sa di mirra nella radice. Così si semina ancora il sili­ quastro. Gli altri erbaggi sono differenti fra loro e d' odore, e di sapore, come Γ aneto. E lauta è la diversità e la forza, che non solamente Γ uno sa­ pore sì cambia nell' altro, ma ancora si leva af­ fatto. 1 cuochi levano l’ acetoso alle vivande con I' appio ; e del medesimo modo i vinattieri coi secchi danno grave odore al vino. In fino a qui s'è ragionato degli erbaggi, sola­ mente per cagione de'cibi. Ma mollo maggiore opera dèlia natura resta a dire rapporto a' mede­ simi, perchè infino a qui abbiamo solamente trat­ talo del provento loro, e di certe cose superficiali. Ma la vera natura di ciascuna non si può cono­ scere, se non negli effetti della medicina ; il che è opera grande e segreta della divinità, e di cui non se ne può trovare alcuna altra maggiore. E se io non ho dimostralo la medicina, a cui è alta ciascuna erba, il feci per giusta e savia ragione, tra perchè la cura della medicina s 'aspetta ad al­ tri, e perché se v' avessi sempre inserito di quella scienza, avrei protratto la mia materia fuori di modo. Stieno adunque separate le cose della na­ tura dalla medicina, che già coloro che volessero, le potranno anche copgiungere insieme.

ΙΊΝΕ DEL PRIMO VOLUME

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