Pierre Klossowski, il segno unico e la moneta vivente

April 13, 2017 | Author: massimonahi | Category: N/A
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Autore: Massimo Scatizzi e-mail: [email protected] cell.: 331.7620263

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MASSIMO SCATIZZI

PIERRE KLOSSOWSKI, IL SEGNO UNICO E LA MONETA VIVENTE

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deus ipse

Nemo contra deum nisi

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L’ EVENTO COME DESTINO

Dinamica degli affetti La coppia - Incomunicabilità definitiva, scollatura, fine della comunità, selezione naturale

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1.La trasgressione della poesia La coppia contaminazione e intangibilità forma un doppio movimento di attrazione e repulsione degli esseri che si trova all’origine della percettività cosmogonica e tramite il quale tutto è reversibile. Ciò che resta dell’efficacia fisiologica di un’intuizione dell’istante viene espresso soltanto dalla letteratura, dal linguaggio 9

nel quale è approdata alla fine la filosofia. Supposto che ogni scrittura sia la condizione visibile di un impulso di riscrittura (la fine della deterministica espressa dalla catena di causa-effetto rilevabile nella tradizione di pensiero che lega gli Stoici a Nietzsche), l’atto di Bataille usa la risultanza del metodo come uno strumento per liberare (o riprodurre) il fantasma della riscrittura: liquidare l’usante ridotto all’usato in quanto soggetti nella dissimulazione profonda del moto dell’io all’interno del linguaggio: puro evento, per l’economia klossowskiana. Nella stretta connessione tra riscrittura e fantasma si colloca tutta la vertigine dell’Eterno Ritorno. Il rapporto che unisce Bataille e Nietzsche dà luogo a un fantasma di pensiero: il bibliotecario che “rifà” il filosofo della volontà di potenza percepisce sé stesso come scissiparo. Se una parte di sé va al solitario di SilsMaria, l’altra, subendo la sorte di ogni sillogismo disgiuntivo, si reversibilizza nello scarto ai danni del pensiero maggiore. La subalternità che Bataille 10

denuncia è in questo caso la sovranità minore della ripetizione differita, la formula immediata dell’odio della poesia. Non parlare di Nietzsche ma parlare per bocca di Nietzsche, far passare attraverso la propria bocca quella dell’altro come un soggetto, esserne posseduti, dimostra già l’impossibile dell’origine in un gesto originale: che tutto resti al suo posto, inutile sviluppare, importa soltanto l’intensità del differente. Sospensione strategica per cui “nel corso di questa ripetizione uno spostamento appena percettibile scardina tutte le articolazioni e intacca tutte le saldature del discorso che viene imitato” (Derrida, “Dall’economia ristretta all’ economia generale”, pag. 336 - in “La scrittura e la differenza”) - nella quale l’attenzione slitta, scivola, come l’occhio sopra una cascata fissa: questo è il movimento della scrittura-linguaggio di Bataille nella forma segreta dell’operazione (Tun). L’istanza soggettiva si sviluppa al di fuori della sfera del soggetto, l’immagine del sé delinea il tracciato che la lega in quanto identità, ma introducendo una scollatura 11

preclude definitivamente ogni accesso immediato al momento sovrano rigettando l’individuo nelle pastoie del progetto. Tuttavia, la scrittura rivela la sua natura, inassimilabile proprio nell’edificazione di un mondo pensato, solo (seul) in quanto tale, e che non ritrova che la propria assenza. E’ necessario trovare il momento in cui, fatalmente, l’opera rifluisce nell’evento e reversibilizza la scrittura in un gesto di carne. La seduzione alla quale rispondiamo con la scrittura è solo apparentemente un atto perverso, senza altro soggetto che l’io: la scrittura si fa carne velandoci gli occhi - quando guardiamo coloro che amiamo, lo sguardo osserva da un baratro accessibile che mostra quanto lo scrivere sia comunicazione pura anche quando nessuno lo legge. La profonda dissimulazione dell’opera nelle pieghe della vita quotidiana è tanto più efficace quanto il segregarla, il celarla, si spingono a stadi maniacali (il parlarne stesso può nasconderla ancora di più). Per sua natura, la lingua batailliana è “riproduttrice”. Si assume il compito di 12

agire efficacemente sulla percezione affettiva del lettore, di fornirgli sensazioni precise, cercate febbrilmente, costanti nella loro essenza, sotto l’apparenza di un ruolo servile, “comunicativo”. Ma il nulla dell’identità e della morte che se ne ottiene non comunica, appunto, nulla al di fuori di sé. In qualche modo è come se la spinta risultasse troppo forte, accedendo di colpo, come una tipica proiezione sessuale, al limite della comunicazione e del soggetto: questo è il movimento della sessualità contemporanea descritto da Foucault, l’ultima spiaggia del discorso trasgressivo davanti a cui tutto si arresta. Applicato alla ripetizione di Nietzsche o di Hegel, che ritornano identici eppure irriconoscibili, il discorso mimetico di Bataille dimostra il legame sotterraneo che unisce la scrittura alla nozione di “Moneta Vivente” klossowskiana come scrittura già di per sé dal momento che le sensazioni sono letteratura in quanto fantasmi. Il fantasma ha bisogno di venire raccontato, narrato, dalle “filosofe” sadiane che esprimono una teoria della “potenzialità” assoluta: generare simulacri 13

da applicare alla vita per produrre concatenazioni e corrispondenze perverse, sviate paradossalmente dalla riproduzione genetica, scissipare. Economia sistematica delle passioni, per la quale l’artista si fa creatore e provocatore, sperimentatore di fantasmi senza riferimenti, senza origine. L’arte è un “riflesso” in atto da sempre rispetto alle potenzialità del Versucher, un gesto sovrano nella misura in cui non ha mai parlato in nome del principio di realtà e dell’istinto di conservazione della specie. Si oppone alla sussistenza creando luoghi nei quali la vita è impossibile finché li limita in sé. Le grandi idee, la complessità apparente del problema, non sono altro che la dilatazione oscena del visibile che si concede, e che diventa così vasto per colpa nostra: tutto è rapportabile a un punto minuscolo, scentrato, celato, la cui vista è insicura. Se lo eludiamo, attirati dalle sue mille somiglianze, creiamo la vita - se ci avviciniamo troppo, la morte è certa, ma non è l’ultima cosa. Il “grande uno”, l’impulso sovrano, differisce dal costume cristallizzato che 14

forma il comportamento dell’individuo nella società gregaria avversata da Nietzsche. La vita affettiva non viene dall’essere ma gli è stata imposta, e egli deve farla rendere il più possibile. La vita affettiva attinge alla propria unità quando la debolezza vince sulle forze centrifughe e discordanti della vita affettiva originaria, le quali sono potenzialmente un pericolo per la conservazione della specie. L’impulso sovrano non differisce mai dalla perversione. Non è scambiabile e non ha prezzo perché non partecipa al “compimento dell’unità individuale” (“La moneta vivente”, pag. 52), ossia alla gregarietà denunciata da Nietzsche. Si incarna in colui che lo emette, che ne viene insufflato, ma non gli appartiene perché l’essere, come vedremo, si trova in ritardo costante, e “costitutivamente”, rispetto a ciò che crede di possedere: movimento di possessione e spossessamento continui, in cui il corpo è pura materia conduttrice, strumento. L’individuo non controlla e non è padrone di questo passaggio, resta “attivamente passivo” in quanto nulla può togliergli lo stato esclusivo di “foro” del percorso che 15

lo rende il veicolo dell’esistere stesso. Nella misura in cui la letteratura non accede mai alla verità, è un surrogato servile - tuttavia, ciò che è sovrano non si distingue dal minore in quanto si colloca in un mondo totalmente a parte, e mai nel mondo. Il mondo per eccellenza non è quello della realtà, della necessità, ma quello della gregarietà, della dialettica, che ha bisogno del plurale e dello specchio: l’assoluto batailliano, là dove si può parlare di scienza, non sta in un sapere nuovo o in un non-sapere, nel negativo senza riscontro, ma nella chiusura concettuale della scienza che mantiene del concetto generale le movenze, ma non le sviluppa e non le elimina: la pura virtualità batailliana è la forma segreta del suo pensiero che accoglie le istanze del soggetto cognitivo senza riserve, ma le esaurisce in sé stesse, mancando non solo della sintesi, ma anche dell’antitesi. Atto vero e proprio, mostra di un pensiero nella quale l’attenzione concentrata sull’unico vaga, scivola, in una visibilità pura. Il metodo non appartiene alla scienza più di quanto 16

il positivo non appartenga al negativo – invece la complementarietà che permette la sensazione nasconde la maschera di un divorzio irreversibile tra i principi. La confusione, il virtuale che permette lo slittamento da un termine all’altro, e che dimostra la preesistenza dell’io, di un io che è già la scelta di un destino all’interno di una forma ancora indeterminata, è lo scatto dal quale procede la selezione naturale che è la scelta tra i molti possibili, ovvero caduta d’energia, specializzazione: forma costitutiva del rilancio, della risposta, dell’unica comunicazione che sia tale. L’atto mediato della scrittura non lo è in sé, ma necessariamente rispetto all’essere. Il disprezzo in cui Bataille lo tiene non riguarda il valore o l’efficacia, ma la colpa che assume e che vuole il sentimento corrispondente: distribuire le passioni al di fuori delle gerarchie è un buon modo per frantumare la morale senza disconoscere l’interdetto. L’alto e il basso sussistono, invariati fino in fondo, irriducibili quanto complementari poiché qualsiasi cedimento da una parte o dall’altra non sarebbe che un gesto in cui 17

la debolezza di un’origine comune non vorrà altro che la fine del discorso nella sua natura di sospensione. Così, la scrittura è un luogo all’opera nel mondo, i cui effetti producono intensità passionali senza impiego, scollanti, tipiche incrinature, bordi che non sono mai né interni né esterni, indecidibili. Allo stesso modo dell’uomo che, secondo Bataille, non si sa da che parte inizia (a differenza degli animali, che cominciano dalla bocca), il linguaggio non rimanda a un’origine, non riflette, non decanta, ma si consuma, è un bene d’uso non scambiabile. In questo modo sottrae ciò che dà, poiché non prevede risposta ma la totale articolazione della domanda la quale, in un punto, eccede la necessità stessa di una risposta. Dispiegamento in cui non ci si spiega mai, visibile che salva il segreto in un movimento paradossale, contrario all’apparenza, dove il surplus, la densità, assumono il circolare solido dell’anello di Moebius. Il ritorno non implica l’assenza anche temporanea, ma la gamma intera delle visibilità all’interno della quale la morte non precede e non segue, ma passa, strappando nel salto 18

l’unico segno irriducibile, estraneo, che risistema la vita degli altri e la rende possibile in quel punto in cui la morte fa apparire il mondo fuori del torpore in cui la vita lo costringe. Così è necessario non equivocare sul significato da attribuire alla risposta: è comunicazione, caduta d’energia, falla, ma resta sconosciuta, affidata, è l’evento. La chance non fa acquisire la vita nella sua potenza effettiva, ma al contrario la limita, la impoverisce, per una mancanza: la gioia del manque è questa, riorganizzare l’esistenza sull’ultima immagine che gli occhi hanno visto, qualunque essa sia. La divaricazione dei principi, l’impossibilità di riconciliarli, rivela solo apparentemente uno stato senza ritorno, catastrofico, prodotto finale di una decadenza colpevole. In realtà, non è vero, non esiste. Ciò che comunica non si distingue da ciò che è messo in gioco e che passa attraverso la ferita, la fèlure che spande. Tale possibilità è rara, il resto della vita scorre nella lenta ricerca rituale dell’istante. Gran parte della teoria seduttiva trova un limite nel pericolo impercettibile del lampo: l’esistenza di 19

una realtà forte opposta all’apparenza non è una certezza se non come sogno che essa fa di sé stessa, tuttavia la seduzione sembra incontrare la sua forma proprio nella necessità di una durata, di un tempo costante nel quale lo scintillio del fantasma, per quanto fuggevole ed effimero, accede a una storia articolata, risultato di una reverie ancestrale, prodotto della ricerca immemorabile, accumulata per mancanza. Di qualunque natura si rivelerà l’immagine desiderata, essa resta contro ogni aspettativa il prodotto del desiderio, dunque il contrario della sovranità. Ma il lampo, ciò che rivela le possibilità della vita fino al limite estremo, è proprio l’opposto, l’opposizione, il non-cercato, il non-supposto, il tradimento definitivo della vocazione, la sua interruzione. Non è la felicità, bensì il discontinuo delle molte facce: la gratificazione è la morte, l’evento, ma anche la vita, la scelta, l’altezza potente della risposta - il lampo, la divisione, è invece la vertigine del continuum di cui si può parlare, ma su cui nessuna opera può venire costruita. 20

Elusione della materia, della questione, è lo scarto. L’ultima immagine ci determina irrevocabilmente nella sua eterofinalità.

II. La coppia come sillogismo disgiuntivo 21

Fobia della contaminazione e mania dell’intangibilità che sfociano in una specie di estasi. Ma quest’estasi, ben lungi dall’essere gioiosa, è invece la maschera di una vergogna fondata sull’intimità di un segreto. Quando parlo dunque di vergogna, in qualunque modo si manifesti la collego immediatamente al patto sordido di una complicità colpevole e insensata, ultima chance di un rapporto divenuto impossibile. Di fatto, i corpi crollano, non si dà più ragione di sorta né legittimità storica a un contratto incapace di andare oltre sé stesso, di realizzarsi in una superiore sintesi di convivenza generale: la scollatura della comunità è così grande che l’avventura, il racconto, si ritraggono per lasciare il posto alla falsificazione. Non c’è più nulla per cui valga la pena di essersi fedeli e dunque di tradirsi, l’estraneità come unica differenza non prelude che all’oblio senza memoria, che a un segreto vissuto come attesa di una morte che resta subita, e determinata: in tal modo l’altalena perversa di contaminazione e intangibilità riflette la condizione di un non-detto che 22

non si fonda più sul Sacro ma su un simulacro del Crimine. L’estasi degradata che ne deriva è l’attuale iconografia dell’Osceno. La scrittura non marca più il corpo, con una torsione senza oggetto slitta sulla superficie dell’immagine del corpo falsificato (trionfo della letteratura) è la riflessione klossowskiana. Klossowski è profondamente osceno perché la sua istanza di corpo-linguaggio fondata sulla deriva delle pulsioni se da un lato liquida definitivamente l’origine e la Storia, dall’altro reintroduce come estremo paradosso il corpo purgato di Dio, il corpo che dunque non c’è più, nelle cose le quali, come apparenze, lo fanno riapparire cancellandolo. La risposta alla domanda: è possibile tradire contemporaneamente due campi mantenendo e accettando gioiosamente il segreto?, pare trovare una risposta nella condizione particolare in cui viene a trovarsi l’essere che vive tacendo sé stesso facendosi parlare dai segni dell’ambiente, ma in un modo che il “falso” che è lo smascheri come “vero”. E’ così spiegabile tutto il processo di "ristrutturazione" del Segreto, nel quale 23

l’apparenza delle delazioni e dei tradimenti non fa che infittire il complotto e la “trama” (il racconto): i rigori della legge, le persecuzioni e, a volte, la morte stessa, non sono “nulla” per coloro i quali vogliono che il Segreto resista (così come il suppliziato cinese, così come lo schiavo azteco). L’indefinibilità del traditore, potente creatore di doppi, sciamano moderno, tuttavia non riesce a nascondere del tutto il vuoto della fine della Storia, la vergogna della morte di Dio. In realtà, chi tradisce non tradisce più. Impossibilitato a tradire qualcosa di reale, il gesto continua ancora a mimare fedelmente l’apparenza di quello che è. La fedeltà risulta un’ulteriore falsificazione anch’essa tradita dal falso tradimento di una fede vera. Sembrare e essere non solo si scambiano, ma si distruggono a vicenda (Heidegger). Klossowski afferma la nuda apparenza delle cose e degli esseri introducendo l’oblio che è l’Eterno Ritorno come fondo “macchinistico” unico del Complotto. Il filosofo non sa che l’unico sistema che possiede è l’oblio costante di stare 24

dimenticando di complottare. La vicinanza fisica di un essere, parlarne per dargli un corpo: parlarne per farlo sparire? Grande esorcismo assassino, non-detto fondato sul Crimine come linguaggio puro opposto al silenzio impuro. La divaricazione tra Sacro e Crimine è qui prodotta dal senso sempre più parodico dell’azione, del delitto, rispetto alla Religione. La teologia è la scienza che studia il tradimento (“In origine era il tradimento...”), ossia il raddoppiarsi di Dio nelle creature. Di ciò si occupa il filosofo delle superfici. Il filosofo delle superfici è anche colui che fa della coppia l’itinerario stesso della sua speculazione. La prima è enunciata splendidamente da Deleuze: “Bisogna giungere a un punto segreto in cui la stessa cosa sia aneddoto della vita e aforisma del pensiero” (“Logica del senso”, pag. 116). E’ l’“esperienza dell’istante” batailliana, “l’istante - modo temporale dell’operazione sovrana - non è un punto di presenza piena e 25

incontaminata: si insinua e si “sottrae” tra due presenze; è la differenza come sottrazione affermativa della presenza” (Derrida, “La scrittura e la differenza”, pag. 341). Il ragionamento teologico di Klossowski parte dal corpo nella sua progressiva perdita di una “referenza forte”. Il corpo sessuale diviene il parossismo dei segni nel momento in cui sta per perderli tutti involvendosi nell’indistinto, nell’identico. Sede di un vuoto vertiginoso, sia pure della “morte di Dio”, esso è sempre più mascherata. La sfida della pornografia contemporanea non è solo lo svuotante dilagare di immagini che sgretolano ogni nozione di “sacro”, ma soprattutto quella di una letteratura sempre più “iperreale”: se, come pensa Klossowski, ormai non sussistiamo come “identità” se non in funzione delle parole, e il corpo non è che un riflesso del linguaggio, l’accettazione della pornografia risulta necessaria. La fabbrica dell’Osceno cela sé stessa sotto sé stessa: la nudità invocata da Bataille è la “spia” precisa di un disagio sempre crescente. Ma si tratta di una nudità come incrinatura, come lampo, castigata e più 26

colpevole dell’abito che assume la colpa di riflesso. Le sollecitazioni dell’ambiente esterno funzionano come stimoli potenti a comportamenti particolari: “nel fantasma non parlano le nostre pulsioni profonde, ma i segni dell’ambiente i quali non si stancano di dichiarare a noi stessi ciò che la pulsione può volere” (Perniola, “La società dei simulacri”). Dunque si tratta di una sfida doppia, contraddittoria, che se da un lato trova in una letteratura ormai fondata sulla struttura della perversione l’ultimo luogo di riscatto, dall’altro si apre ancora una volta sul segreto di un corpo reintrodotto di colpo ovunque perché “parlato”, cioè riflesso. E’ in effetti un “perdersi” nel sesso, e non un “ritrovarsi” secondo l’istanza morale dell’errore moderno. Tornare “indietro” non significa ritrovare uno stato felice e perduto, ma acquistare un passato nel futuro. “...ogni qualvolta, foss’anche per menzogna casuale, una cosa è trasfigurata, non senti quel richiamo che nulla in te lascia senza risposta?” (Bataille). La “menzogna”, che Bataille chiama “stupidità poetica”, introduce sempre e comunque il “desiderio” che non 27

può mentire: la sfida si basa ancora sul venir meno della chance. La chance che lo sguardo fisso di Bataille apre sull’esterno (l’espressione estatica del suppliziato cinese) è l’unica misura ben visibile dell’osceno, di cui non si può parlare se non indirettamente, di “riflesso”, sebbene questo “riflesso” non sia un simulacro ma l’esperienza stessa. La complicità necessaria nell’osceno implica un rapporto con l’essere amato simile alla violenza. Se la persona che è oggetto d’amore morisse, è probabile che l’infuriare dell’insufficienza che era stata la causa della passione si placherebbe in una maniera sovrana non dissimile dall’orgasmo, nel senso che il meccanismo dell’accordo e del riconoscimento che l’amato o l’amata rende manifesto lo esclude già, e dall’inizio, da ogni possibile sparizione. “Che cosa saremmo senza il linguaggio? Il linguaggio ci ha fatti quali siamo. Solo il linguaggio rivela, al limite, il momento sovrano in cui esso non ha più corso” (Bataille). Il linguaggio del ragionamento teologico 28

trova nella coppia la sua forma finale. L’esperienza è una storia vera che diventa aneddoto nello stesso momento in cui passa impercettibilmente nel pensiero come mito, cioè come ultima scena. L’esempio di una vita particolare in questo caso non differisce dall’aforisma o dal koan per il fatto che l’indovinellodomanda che pone è già come sempre corredato della risposta che fa parte integrante della sua forma: la coppia klossowskiana possiede questo movimento: L’uomo è tutta la profondità del coito vaginale. La donna è tutta la superficie del membro virile. Il nodo del coito è il silenzio dello sguardo, linguaggio muto, soppresso nelle parole, risolto nella anatomia della pura “visibilità” nuda, là dove gli organi ancora non sono che la virtualità stessa della specie. Una condanna pesa come gioco al rialzo: che la coppia si moltiplichi, estenda sé stessa nelle repliche infinite generare è forse in definitiva cedere alla seduzione dei segni? Oppure è uscirne, vanificarsi? La congiunzione delle serie in 29

un punto dato produce un altro anello (un essere) reversibile come tutta la catena di cui fa parte - non esiste caso, ciò che è determinato non potrebbe essere diverso, e il destino che lo fa è il destino stesso che esso accoglie: non si sfugge dall’essere figli di sé stessi. In questo senso, non esistono e non sono mai esistite né paternità né maternità. Figliarsi significa essere il prodotto letterale della regola, la fine del codice genetico. Essersi partoriti non è nulla, perché ciò che non è “fatto”, non è “prodotto”, non ha vista e non è in vista di niente: assolutamente cieco, senza domani, senza passato. Prototipo irrappresentabile, inabortibile, liquidato della madre, senza solitudine perché immediatamente diviso dagli assenti. La verità che non possiede rappresenta il suo unico interesse: le attira tutte, è il vuoto introdotto nello spazio simulato del potere. E’ già la morte. “La morte è un evento brutale e deve, per compiersi, passare per la seduzione, vale a dire per una complicità istantanea e indecifrabile per un segno, uno solo forse, che non sarà stato decifrato’’ (Baudrillard, “Della 30

seduzione”) . E’ la condizione della letteratura – l’indecifrabilità costringe il personaggio al tradimento, cioè alla forzatura della traduzione, all’illeggibile, a questa eterna impostura vertiginosa che è tutta la grandezza e tutta la miseria della scrittura, infinita parodia della comunicazione. Si tratta dello spettro del generare che pesa sulle apparenze come mostruosità della conseguenza, della scoperta di un segno in più, sconosciuto, che frantuma la catena credendo di allungarla, pensando aggiungendosi di raggiungere l’immortalità. Fatalità indistruttibile, il destino della specie e dell’anatomia funzionale non cessa di riportare la sessualità a sé stessa. Prigionieri del corpo-sesso, gli esseri umani non hanno via d’uscita - il desiderio pervertito (sviato) nell’atto sodomitico diventa fisso, pena la sua sovranità rispetto alla legge che detesta, e si dichiara senza ombra di dubbio: è sempre tutto visibile, e la mania dell’iterazione tradisce la volontà di un indeterminato richiesto invano dall’infinita monotonia numeraria dello “stesso”, la cui decantazione non fa che aggiungere non31

detto a ciò che si vorrebbe esaurire per eccesso. Nel doppio movimento che governa il rapporto fra gli esseri nella coppia, l’evento si colloca nello spazio che divide la contaminazione, cioè la confusione delle fessure, la comunicazione pura, dall’intangibilità, la chiusura, il celibato della profondità. L’evento si situa da un’altra parte rispetto ai due estremi, ma esso non è la vita che rivela una natura ibrida in cui mescola e rifonda queste tre tensioni attraverso una caduta di energia per il risistemarsi sincronico dell’equilibrio: sospensione che è perdita di competenza e di pretendenza, gregarietà, poiché ciò che è gregario è anche ciò che concilia la mancanza di competenza del singolo con la mancanza degli altri in un’unica competenza, la noncompetenza. Nella logica nietzscheana risulta evidente che la volontà di potenza comprende sia la competenza che la pretendenza, la “singolarità” non può venire confusa con la rigidità del soggetto, bensì, nella sua forza “sana”, si rivela, l’unico segno infallibile della “rappresentatività” comune quanto 32

particolare di una tensione sotterranea capace, nella fase attuale di decadenza, di incarnarsi solo eccezionalmente in un essere umano. Ora, l’evento è proprio la chance, non la vita, e si misura solo in proporzione alla sua capacità di eccederla. Tra il venir meno del soggetto e l’affermarsi della “singolarità”, è posta la nozione stoica del kairòs, la fine della causa. L’evento nella coppia è la domanda che liquida la risposta restando domanda. La coppia klossowskiana eccede il sesso, l’anatomia, non genera, comprendendo in sé già tutta la creazione nella forma divina del dualismo gnostico, in cui il “tre”, l’uomo, costituisce lo zimbello del diodoppio (Cristo/Anticristo). Non riconosce altra discendenza se non quella di essere figli dell’evento, degni del proprio destino. E’ questa l’apparenza pura. A ogni segno non attribuire alcuna profondità, alcun significato, ma la visione pura del suo esistere. Vanificazione totale dell’oggettivo, del “fatto”, affinché gli infiniti soggetti che brillano nelle cose, negli esseri, nelle pieghe delle parole, ritagliati nell’analogia del senso contiguo, 33

parlino e non smettano. Forzarli a rispondere con le loro stesse armi, se ci accolgono. Incorporati, opposti e dunque identici, scivoliamo negli interstizi come crepe. Il nostro compito, l’unico, consiste nel decifrare quel che è già del tutto evidente sotto gli occhi, e che avvereremo oltre la sua stessa ineluttabilità. Per saperne un po’ meno di ciò che ci suggerisce, e un po’ più di ciò che non saremo mai. Ricerca di un pensiero tormentato dalle biforcazioni, dai solecismi che fanno del pensabile l’irreale (Nietzsche che rovescia Parmenide). La superficie produce il “fantasma” come una coppia senza prole va oltre la trappola della sessualità riproduttiva. La sua chance sta nel moltiplicarsi, diventare il prodotto di un destino accettato, voluto. La struttura teologica del discorso è il campo della perversione, le entità non esistenti studiate da una teologia atea sono esitanti, ambigue, partecipando della doppia natura della scienza e del sogno. L’effetto di tradimento divino, del grande Designatore, colui che dà un nome privato nella persona, distruggerebbe ogni essere capace di 34

entrare “in competizione” con sé stesso, di divenire e restare “competente” senza cadere nel trucco del soggetto, dell’individualità di un Dio che non fa altro che incarnarsi in tutti per mantenere la propria identità distinta, potente, decaduta irrimediabilmente nell’umano. La caduta del dio incontra l’odio implacabile degli spiriti i quali non possono perdonare un’offesa nella misura in cui la sono essi stessi, responsabili di un atto celeste che ha spezzato l’isolamento di un Essere che prende gusto ad abbassarsi sempre più. Gli spiriti giocano Dio contro Dio, lo iperrealizzano, fanno meglio di lui. La loro è una gregarietà senza mediazione, piena di intenzioni le quali sono nello stesso tempo uniche una volta per tutte e tutte per tutte le volte. L’Anticristo, come afferma Deleuze, è il padrone reale del sillogismo disgiuntivo che è appunto l’intensità dell’unico nel differente (“il vero soggetto dell’eterno ritorno è l’intensità, la singolarità”, Deleuze, “Logica del senso”, pag. 263).

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III. Amor fati 36

E’ necessario dunque partire dall’effetto di superficie della scrittura klossowskiana. Operazione che riprende in pieno la struttura del complotto scoperto da Nietzsche. Klossowski accetta il ruolo di Versucher, di produttore di simulacri per una società. E’ l’intuizione di Sade, descritta in “Juliette” e per la quale l’artista diventa il mediatore riconosciuto fra la comunità umana e le sue passioni segrete. Si tratta di produrre oggetti (testi, immagini, utensili) in grado di valorizzare in quanto tali la ricchezza inerte del corpo. Lo scambio avviene tra due campi distinti e opera un rovesciamento radicale nella percezione passionale delle sensazioni: il corpo applicato al simulacro pone l’’emozione in sé stesso, e da sé stesso la sposta sull’oggetto nel quale si riflette in pieno. Un testo letterario agisce così nel reale come un corpo artificiale, un’aggiunta spropositata simile all’innesto di un pezzo anatomico sintetico su una parte anatomica di carne. L’ostentazione, l’esibizionismo coi quali si mostra non differiscono in niente da un segno (la 37

ferita di Bousquet) rivendicato come naturale, traccia che non appartiene più all’agente esterno, occasionale e casuale, ma che risulta ormai acquisita, costitutiva, fondante, sottratta alla chance contingente e rigiocata subito come scambio sostanziale. Naturalmente, l’essere del Versucher non può prescindere dall’opposizione totale nei confronti della riproduzione. Il destino della “virilità maledetta” di cui parla Klossowski a proposito della misoginia sadiana risulta insufficientemente spiegabile se non viene condotto fino alle sue estreme conseguenze logiche: lo stato eccezionale del Versucher, del produttore di simulacri, è quello di un essere condannato a una competenza totale, soffocante, che non gli permette di ignorare quasi nulla. La conoscenza, il sapere, lo si espia infatti nella misura in cui lo si possiede al massimo grado, nell’impossibilità di perderlo a cui conduce, anche quando una mancanza si offre, poiché non è tale se non per mostrare di sé la piena consapevolezza. Insomma, il privilegio per cui nulla viene negato al Versucher è il 38

suo supplizio, la costante presenza oscena del mediatore consumabile, svuotato e riempito, lasciato in balìa di una memoria obliosa quanto implacabile, eterna nel suo ritorno. Il non morire descritto dall’Apocalisse e ancora ricordato da Klossowski, assume, all’interno di un’ottica cristiana, tutta la responsabilità della necessità della produzione, dell’industria, conseguenza di un tempo storico che ha distrutto Dio per sostituirgli la noia, che per sventrare la prigione del corpo materno ha divelto le fondamenta stesse dell’origine. Senza più Dio, le cose finalmente raggiungono l’apoteosi. E’ necessario diventare una cosa fra tutte le altre, essere indistinguibile. Sade non desidera esercitare la sovranità di un re sulle cose (corpi, immagini, parole) che formano il mondo della sua delectatio morosa, bensì l’unico vero sforzo è tutto impiegato nel senso di una nullificazione della paternità stessa, del residuo divino rimasto, fino a ridurre sé stesso allo stato di "cosa" tra tutte le altre della messa in scena, là dove il ricominciare è eterno e insaziabile, meccanico, decantato infinitamente, 39

sereno e apatico (mostruoso) come quello dei suoi eroi. L’utilità, ciò che ha tutti i diritti su di noi, approda all’efficacia fabbricabile, all’industria, distruggendo però ogni necessità, ogni trascendenza, trasformando l’intero meccanismo del sociale in una macchina celibe nella quale la coppia si moltiplica nel suo divorzio, nella disgiunzione sempre più biforcante dei segni. Tutti gli oggetti si fanno simulacri per questa ragione, poiché rimandano a una procreazione impossibile, impensabile, senza più né madre né padre. Il ruolo sconsacrato non prelude a un’illusoria epifania generale di tutti i ruoli in uno solo, non spera nel recupero di una falsa unità perduta, della certezza divina di un destino elaborato, affidato dall’Essere Supremo per mezzo dell’anima non scambiabile - si tratta invece di un autorigenerarsi che torna “immediatamente a tutte le eventualità contenute nel nulla, preliminari alla vocazione dell’anima, a una pseudo eternità” (Klossowski – “Sade prossimo mio”, pagg, 171-172). Dunque, l’attesa opposta alla 40

propagazione non è altro che una propagazione che rifluisce in un’unica immagine che non è Dio ma la sua caricatura, là dove Dio è presenza e la sua negazione è un’assenza onnipotente quanto lui, è l’intuizione che lo riforma senza contemplarlo più, è il destino scelto all’altezza del vuoto che resta al posto dell’azione necessaria, ossia quel destino che è l’immediato senza origine, senza effetto. Prefigurazione straordinaria della modernità, il sistema sadiano descrive, attraverso il suo alter ego ottocentesco nietzscheano, la condizione che viviamo come morte di Dio (dell’io). L’amor fati è la disfatta della natura che crolla ogni volta che Sade sembra rivendicarla in quanto maestra della verità, poiché la natura non risulta essere altro che uno stato d’animo incostante che si riorganizza nei confronti delle sue stesse tensioni. La natura antropomorfizzata diventa il sostituto reale del soggetto a favore dell’individualità. Che Sade e Klossowski pongano in discredito la figura femminile come riproduttrice identificandola con l’asservimento della natura a fini di 41

conservazione estranei alla specie ma pertinenti solo i pregiudizi morali della religione, significa che entrambi possiedono della religione una visione atea, sebbene Sade rivendichi tale posizione mentre Klossowski si proclami credente. Si tratta di un pensiero unico, che non ha bisogno di Dio o della sua negazione per sussistere, e in questo Klossowski appartiene totalmente alla sua morte, ma che invece dimostra lo scarto e lo scatto prodottisi nella filosofia dopo Sade, là dove Dio diviene sempre più struttura, campo di esperimenti (Nietzsche, Bataille), utilizzabile da tutti: scarto di Dio, scatto del rango religioso dell’uomo, posizione mentale di cui la chiesa deve tenere conto e che apre al cristianesimo un avvenire sconosciuto. Vero e proprio passaggio, salto fisiologico, la mitologia della Vergine, del principio femminile, trova nel pensiero occidentale il nemico principale i cui ultimi esponenti, atei o credenti come Nietzsche e Klossowski, rappresentano l’ipoteca più grave e determinante che possediamo. Che la delectatio morosa, cioè l’attesa, sia colpevole e rappresenti il peccato più 42

grave, non sembra risultare problematico né per Sade né per Klossowski. Anzi, il punto principale consiste nello stabilire con certezza quando essa diventa realmente colpevole, dunque creatrice. Qui comincia la “Moneta Vivente”, che non è altro che l’espressione più palpabile della fantasticheria del Versucher, l’effetto fisico del suo lavoro, del suo intervento sui corpi. Investimento sadiano vero e proprio, essa gli appartiene in tutto, e trova in lui il primo teorico dei tempi nostri. Non c’è dubbio che l’esortazione di Nietzsche a mentire per allietare l’umanità rappresenti la forma più alta di una ambiguità terrificante del discorso in qualità di supporto di un pensiero vertiginoso fondato sull’intuizione dell’istante. La “Moneta Vivente” è l’opposto della Vergine e della femmina riproduttrice. Non ha sesso, così come non ha sesso Juliette secondo Klossowski. L’androginia tiene fermo il sesso ma ne confonde l’uso, è lontana da ogni “indecidibilità” sulla persona, si fonda invece sulla dissimulazione all’interno di un sistema forte di segni, la fa finita con l’innocenza 43

felice del desiderio: è selvaggiamente religiosa.

IV. La moneta societaria La moneta vivente unisce in sé il valore 44

d’uso e quello di scambio. E’ corpo ma anche spirito, sogno. Affascina in virtù della sua potenza seduttrice nella forma di un’assoluta disponibilità. Si piega non solo ai desideri fisici, ma anche alle rèveries dell’altro in funzione della sua adattabilità al desiderio. Una rete di relazioni di pura apparenza, molteplicità infinita dei ruoli che diventa essa stessa nella sua complessità il vero gioco al rialzo, la proliferazione delle combinazioni per la regola del gioco invariabile. Istanza senza senso, nella quale l’identità va in pezzi nelle chances infinite di identità, e, paradossalmente, l’unica è quella di una moneta vivente fra le altre, autonoma e identica, separata essendo centro, ma unita alla catena circolare irradiante. Moneta che vive, accetta la richiesta del gioco, la sfida che le viene avanzata, così come è libera di rifiutarla poiché, attraverso il diniego, assolve alla stessa funzione, ma inversa (reversibilità). E’ un viaggio senza fine, nel quale si ignora la destinazione. La fedeltà portata alla propria reverie non è altro che il 45

valore che la moneta porta in sé “costitutivamente” - anzi, non si tratta in realtà di un valore, poiché non lo riceve ma lo impone: “E’ così che essa (la moneta vivente) sarebbe ricchezza: nella misura in cui esclude ogni altra domanda, e non può valere come sostituto di un’altra cosa: estinzione del riporto, distruzione di tutto il resto” (Lyotard, “Economia libidinale”). Non abbiamo nessun’altra maniera di comunicare che non sia quella di venderci. Vendere il proprio corpo è solo la formula sintetica di un atto pieno di innumerevoli effetti: accettare la chance di diventare “qualcosa” per “qualcuno” implica la consapevolezza di non abdicare in nulla alla propria identità che resta intatta. Le modificazioni inevitabili che l’io subisce dalla scelta di darsi fanno parte integrante dell’unica direttiva non scambiabile. Ci si produce per gli altri, ci si vende agli altri, nella misura in cui gli altri ravvisano in noi una particolarità specifica rara, che ci rende oggetti limitatamente a sé stessa, e attraverso la quale ci usano. Vendendosi si diventa il proprio fantasma. Solo chi è ricco può vendersi, 46

dare la sua capacità multiforme agli altri senza costringerli a ricambiare e diventandone in questo modo il padrone assoluto. Sapendo che costoro non possono ricambiare adeguatamente, il gioco è autonomo e la reversibilità avviene a senso unico: il gioco segue una stessa logica separata, e, anzi, la reversibilità sta proprio nella disgiunzione del valore all’interno di un processo omogeneo. La comunicazione risulta altamente ritualizzata, del tutto priva di profondità. Il fantasma depriva, e produce miseria per il suo tensore. Il denaro è l’emozione che produce un uso specifico fra i molti possibili. L’emozione è costantemente diversificata ma immutabile nel suo fondo: la moneta non è mai uguale a sé stessa se non nella produzione della miseria che esercita all’interno di un’economia della sensazione legata all’anatomia la quale scompare al contatto di essa. La valutazione è proporzionale all’efficacia fabbricabile, cioè la natura viene soppiantata 47

dall’industria, dalla possibilità di creare nuove sensazioni rispetto a quelle naturali: ovvero, creazione degli oggetti, dei simulacri che non rimandano a nulla eccetto che a sé stessi, e che sono pezzi così come il corpo che ne deriva. In qualche modo si tratta della moltiplicazione di un godimento dilazionato su una materia senza referente, bruta, esperita e goduta come semplice rialzo di un gioco originario che non basta più e dal quale si vuole di più, fino al punto da dimenticarlo come originario e naturale. In questo il profitto dell’industria è solo una causa, anzi l’effetto che costituisce l’accrescimento del godimento non ha più bisogno di causa: la causa da attiva si decanta man mano che ci si allontana da ogni implicazione “utensilare” naturale, e l’imitazione di questa regola naturale prevede la cancellazione della natura sotto la forma della parodia. Movimento simile a quello batailliano dei rimandi, di ciò che “valendo per” cancella l’altro in sé stesso. Sperimentare ciò che è fabbricabile: 48

ossia fare la prova sulla carne stessa, esperimento nel quale gli esseri valgono in quanto non rispondono autonomamente e dove la comunicazione è negata. Non si comunica, si osserva soltanto. Il proprio destino sottopone a prove estreme, la più dura delle quali è il non-destino, questa specie di inerzia, di tradimento del destino stesso. Ci si apre all’amor fati totalmente ma questo si nega, “rimanda” come se la troppa facilità con cui lo accettiamo risultasse dannosa al suo stesso essere ineluttabile, e al nostro. La forma “societaria” assunta dall’atto del Versucher nell’uso della moneta vivente come materia reale di un’opera fantasmatica, stabilisce un rapporto estremamente complicato con l’agente che subisce la teoria (la moneta), rapporto non dissimile dalla natura di “coppia”. Risulta molto difficile stabilire quale dei due conduca il gioco: in effetti, al di là di ogni possibile investimento libidinale, il meccanismo di scambio dà luogo a un’economia come fenomeno antropomorfo in cui l’emozione provocata dalla sua rappresentazione artistica è quella che dà valore a quest’ultima, e ne 49

diventa il fantasma. Definibile così in quanto “sessualità scissa”, l’emozione voluttuosa preliminare all’atto procreativo all’interno della perversione, per la quale ogni impulso pervertito non è scambiabile e non ha prezzo perché non partecipa al “compimento gregario dell’unità individuale” (gregarietà), genera per scissione, rispetto all’istinto procreativo specifico, una scissiparità (forza pulsionale prelevata), ossia il fantasma che “assolve la funzione dell’oggetto fabbricato” (Klossowski). Lo sviamento dell’atto verso la sodomia, tema centrale in Sade e presente in Klossowski nella misura in cui la coppia senza figli usa il ragionamento sillogistico come ambiguità anagrammatica alla Bellmer, unito all’androginia conseguente (Juliette), all’odio per il ventre gravido, per la potenza immobilizzante e sfinita del femminile e del matriarcato (cfr. l’analisi che Klossowski fa di Bachofen), si rivela come l’intensità segreta della moneta vivente identificata con la donna, con la prostituta che la donna non può fare a meno di essere. La sospensione che si 50

opera tra il destino della procreazione e il non-destino della tribade, dell’androgino apatico e frigido che sorge da Juliette come da Roberte e da Simone, è dunque l’esperimento, la prova di una “società” il cui contratto non prevede sviluppi: il circolo vizioso nel quale ormai il numero è chiuso: tutto si rimescola in un ritorno eterno, e attraverso il quale la riscossa, la tremenda rivelazione di Nietzsche, appare con la stessa violenza irriducibile di un sole, e dice che il pensiero non può fare a meno di confluire ancora e di nuovo nell’intuizione stessa che lo forma e che non conosce che “il regno illimitato del Limite” (Foucault – “Scritti letterari”, pag. 57) .

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IL VERSUCHER

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Teoria societaria e comunicazione. L’utopia sadiana e fourierista.

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Dinamica del valore impulsionale

L’Eterno Ritorno 54

Il non-voluto, il non-controllabile, sono l’impulso sovrano non soggetto allo scambio, l’estraneità stessa, ciò che ci spiazza costantemente rispetto all’ultimo prodotto che siamo, ovvero rispetto all’immediato stato cosciente che abbiamo posseduto tramite l’uso della logica raziocinante che si compone nella cristallizzazione, nella morte. Disconoscendo l’immobilità gregaria del concetto, apre mediante la dottrina dell’Eterno Ritorno una chance buona per tutte le vite opposta alla “fissazione” con un ritardo della coscienza il quale ci salva rispetto a quel che crediamo di “fare”. L’inganno libera in sé i fantasmi non voluti, quelli che non appartengono al progetto di una vita articolata sui modi di un superiore simulacro di senso – l’istinto di conservazione della specie, il più forte secondo Nietzsche - sviandoli nella direzione antagonista di un fisiologismo biologico ancora da definire. L’utopia nietzscheana sembra non volersi emancipare dal metodo nella misura in cui non esclude il valore stesso dall’orizzonte dell’esistenza: le due cose procedono insieme di necessità come 55

sempre, e gli abbozzi di una pratica di addestramento sperimentale selettivo se, da un lato, liquidano l’istruzione e il gusto in quanto agenti specifici della semplificazione e della pianificazione impulsionale dell’individuo, dall’altro tengono ben fermo il ruolo del Trugbild - il simulacro - riferito all’essere di alcuni soggetti particolari in grado di guardare in faccia senza perire ciò che “non vogliono”, ossia di coloro i quali “accettano” e “vogliono” fare della loro vita un esperimento consistente nel condurla fino agli estremi del possibile. In definitiva, la vita come simulacro generalizzato nelle mani di una “singolarità” assolutamente definita, libera di farsi carico di tutti i fantasmi collettivi non-voluti. Il Versucher diventa il Trugbild stesso, non si distingue più: direttore di coscienza occulto, usabile come un oggetto capace di valorizzare il gesto dell’altro. La fluttuazione di intensità all’interno della coscienza è rilevabile nello “scambio più o meno disuguale tra le pulsioni e i segni del codice quotidiano” (Klossowski – “Nietzsche e il circolo vizioso”, pag. 69): 56

da ciò deriva la distinzione tra “volontà” cosciente e “non-volere”, che dell’incoscienza fa il presupposto felice dell’Eterno Ritorno. Oblio sistematico quanto “involontario”, distrugge la morale spezzando l’azione. Il Versucher diventato strumento vede di più di quanto non potrebbe con “l’esercizio manuale limitato nel suo contatto”. Inscindibile assenza/presenza dell’oggetto: sensazioni dell’udito che non vede, di orecchie che vedono sentendo, di mani che toccano senza toccare: l’intensa impulsionalità delle “passioni uditive” sadiane, i racconti delle filosofe nei quali si dipana il crimine morale che tocca i corpi anche quando chi lo ha concepito dorme o muore. L’“occhio che non vede” è un occhio che cessa di riflettere sé stesso nel reale e si volge in direzione del fantasma, eccedendo la limitazione dell’impiego manuale relegato alla superficie. La “ricostituzione” dei processi simulatori impulsivi che rendono possibile la sussistenza della specie conservandone la stabilità cristallizzandola in morale dei costumi, è il meccanismo comune a ogni “scienza”. L’uso che se ne può fare varia 57

però radicalmente a seconda del ruolo che la specie stessa, in quanto complesso societario di individui, valuta il prezzo della vita propria. La caduta d’energia riscontrabile nel mondo contemporaneo risulta essere talmente vertiginosa da bastare come dimostrazione autosufficiente, dunque “liquidatoria”, della fine di un ciclo dominato dal tempo “storico”. Ora, Klossowski lo dice con chiarezza: “non esiste nulla all’infuori degli impulsi essenzialmente generatori di fantasmi” (“Nietzsche e il circolo vizioso”, pag. 199). Ciò vuol dire che si apre un’era della simulazione totale, in cui vengono a cadere tutti i referenti che impedivano lo sviluppo libero delle passioni - poiché l’umanità è passata da un sistema impulsivo “riproduttivo” del “reale” ad un sistema direttamente “produttivo” dei fantasmi costituenti il reale scomparso. Il “salto” consiste nella “credenza”, nella “religione selvaggia”, cioè in una “fede” definibile, con le parole dello stesso Nietzsche, un “ipercristianesimo” (riferimento ai Gesuiti). La “credenza” è, ancora una volta, la “struttura” svuotata di senso, ma che conserva, quello di “essere 58

ciò che è”. Come tale, essa è il “gioco” di sé stessa, e esige la massima “fedeltà”: giocarla fino alle estreme conseguenze in vista di nessun fine trascendente (“un simulacro di scopo, di senso”), per vedere rivelandocele le chances infinite degli esseri.

L’ Editto

I. Sade e Fourier Per Sade il mondo è semplice, sta a noi complicarlo. La più bella invenzione degli 59

uomini è la religione che è fatta apposta per sbeffeggiare Dio. I moti impulsionali descritti da “Les 120 journées de sodome” testimoniano, nel loro trascorrere dalla semplicità del riconoscimento umano delle passioni, opposto all’analogo naturale animale, verso il complesso meccanismo di un rituale perverso strutturato in funzione di un ritardo sempre più dilatato dell’atto procreativo, di un lento e irreversibile passaggio all’industria erotica perversa sotto il segno del divino. Il divino antropomorfo sadiano è la dignità inalienabile, non scambiabile e senza prezzo, dell’essere prostituito, cioè di tutti gli esseri emancipati dalla morte di Dio a suoi simulacri. La religione, in quanto insieme di norme praticabili derivate dalla “scienza teologica delle “entità non esistenti”, assume il ruolo di prova per negazione del progetto sadiano che intende instaurare un simulacro di valore all’interno dello spirito che, per definizione, è dono trascendente che fonda l’individualità, e dunque riconduce, nell’ottica teologica, il proprio fantasma a Dio. 60

Per Sade la comunicazione non si distingue dalla semplicità passionale impulsiva, non comunicabile per definizione, e che gioca sui vari piani complessi del fantasma in un’ottica di assoluto “solipsismo” mentale che lo mantiene nel suo essere costituendogli solo in tal modo l’identità. Sade, nella forma di supporto di sé stesso, non sfugge alla rappresentazione intuita da Nietzsche come la molla segreta dell’intenzionalità che ci fa volere “come siamo” limitandoci - tuttavia, chiunque si voglia come Sade, vuole anche l’estinzione di una specie che vuole essere nella misura in cui può non voler essere, poiché “la volontà di potenza è una formulazione affabulante, non nel senso di un soggettivismo, ma di un comportamento che oltrepassa l’umano” (Klossowski – “Nietzsche e il circolo vizioso”, pag. 207). L’ordine divino e l’ordine industriale compongono un mondo sempre “a venire”, mantenendo nella contiguità un antagonismo sospetto. Il segreto risiede nello scambio introdotto in modo costante tra i due piani del “gioco”: il sistema 61

teologico sadiano e quello ludico fourierista elaborano i moduli opposti riconciliati da Nietzsche tramite la nozione di Eterno Ritorno. La sua dottrina, diventata con Zarathustra la parodia del Cristianesimo, “spezza in due l’umanità” con la straordinaria intuizione che regge l’assurdità stessa di un tale pensiero: l’Eterno Ritorno appare come la conseguenza “fisica”, incomunicabile e irripetibile, di una vicenda assolutamente personale, unica. Inservibile, inattuabile, sembra, fatta apposta per essere rigettata, dissimulata, rirazionalizzata. Espressione estrema della sfida, testimonia che ciò che si può pensare al di fuori della volontà e del “fine” non può che far accedere all’enigma senza intenzione, lo stesso dell’evento. Il “singolo” che è Nietzsche si svincola per un momento sovrano dalla contingenza del pensiero, dall’immediato della mancanza che insidia il movimento stesso di ogni razionalizzazione umana. L’uscita da sé - estasi, illuminazione, rivelazione più o meno mistica - è indubbiamente il prodotto di uno sconvolgimento mentale ormai avanzato, 62

e tuttavia l’attimo che precede il lampo mostra il paesaggio notturno in tutta la sua estensione virtuale, in tutto ciò che in quanto “pensabile” diventa, da un lato, irreale, “impossibile”, e, dall’altro, evidente, fondante, fondato su una vita che rifiuta recisamente di negare il delirio. Ora, non si tratta di auspicare l’avvento di un’umanità totalmente pazza, capace di insidiare il “principio di realtà” tenendolo ben fermo - invece, il processo già possibile di un impiego dell’uso del “valore” diverso dalla scelta che ha determinato la nascita dell’uomo così come lo conosciamo, trova la sua definizione più precisa nella forma del “sacrificio” dell’evoluzione, della perdita progressiva dell’umanità di cui andiamo così fieri. Certo, Bataille lo dice ripetendo Nietzsche, senza le guerre, i tabù, la paura, noi non saremmo quello che siamo, e non potremmo neppure cercare di essere un’altra cosa, ma il passaggio alla fine dei referenti forti che hanno reso reale la sussistenza della specie evitando il pericolo di una perdita totale nelle tenebre del caso, passaggio irreversibile e evidente, può essere compiuto come un 63

atto legittimo, acquisito, la cui estraneità resta tale solo nella misura in cui, ancora oggi, ci rifiutiamo di riconoscere l’assoluta chiarezza del segreto. L’Eterno Ritorno insomma non è un’intuizione incomunicabile, o, meglio, lo è in quanto rappresenta il gesto di un essere chiamato Nietzsche, il quale lo ha compiuto come ha voluto: la sua scrittura, mimandolo infedelmente, ce lo restituisce intatto - la compiutezza del pensiero si chiude in uno scacco aprendosi amichevolmente su quella di tutti gli altri uomini. Ecco compiuto il crimine morale eterno di Sade. Il fantasma di Nietzsche, enorme, garantisce la sua potenza, l’eccesso che non riproduce più il reale ma lo produce. Nel mondo sono in atto pensieri (pseudo-pensieri) così forti e così celati da essere in grado di produrre simulandole le pulsioni non volute, gli scarti improvvisi dell’anima. Ritroviamo Nietzsche pensandolo, allo stesso punto in cui lui ha ceduto. L’Eterno Ritorno e il Crimine Morale sono la stessa cosa, Sade e Nietzsche portano l’esaltazione, la tonalità dell’anima, a un grado puro, letterale, della scala. L’intensità del gesto, 64

esprimibile come direzione, si ricombina nello spettro graduato della sensibilità umana in un punto qualsiasi: ciò significa che l’esperienza che descrivono non risulta efficace in base all’estremità del luogo raggiunto, bensì acquista valore solo rispetto all’omogeneità della scena. Non uscirne, mantenerla in sé, è l’unica regola. La scena, l’ultima, come ho già detto, costituisce la chiave di volta dei sistemi complementari di Sade e di Fourier. Ma prima di passare all’analisi del loro funzionamento, è necessario accennare al fondo fisio-biologico dell’investimento comune, il quale assume come posta e come sfida la scoperta di comportamenti deviati, sconosciuti, involontari, pertinenti alla percezione umana. Ossia, gli affetti senza un riscontro immediato, inutili, mostruosi, che comporrebbero la nuova tonalità dell’anima. In tal senso, la mostruosità integrale sadiana e l’oltre-uomo nietzscheano sono identici. Ancora una volta, è questione di valore. Se accettiamo come vera l’affermazione che vuole la conoscenza fondata sulla rappresentazione, sull’esteriorizzazione 65

del soggetto, insomma sull’assistersi, quale valore dovrà dare colui che scopre in sé stesso delle improvvise posizioni sconosciute, degli atteggiamenti, delle espressioni passionali corporee che non sembrano trovare un riscontro efficace con l’insieme delle pulsioni accettate, strutturanti, gregarie? Sotto quale ottica sarà necessario disporre volontariamente delle possibilità virtuali sconosciute a tutti eccetto che all’unico proprietario? Qui l’intelligenza assomiglia più a una rarità della nozione che a una applicazione generalizzata del concetto, e dimostrerebbe la naturalità innata dell’individuo destinato ad altro, tenendo ferma tuttavia l’istanza di una prova che è possibile fallire (liquidazione del pregiudizio di “razza”). Pensiamo, immaginiamo come una sfida il volto sconosciuto di Sade. Non esistono immagini che lo rappresentino, possediamo di lui descrizioni solo sommarie. Il viso umano, questo intrico di indecisioni sempre sospese, si rivela attraverso un insieme confuso di rimandi e di dilazioni che mostrano tutte le possibilità abortite che hanno finito per 66

dare luogo all’unica, all’espressione enigmatica dell’individuo compiuto, incomprensibile a tutti e a sé stesso. Ora, sul volto di questo essere compare una piega perversa, incongrua, imbarazzante, insopportabile e contagiosa letteralmente, per un attimo, chi ha visto, ha visto il suo sguardo trasfigurato nell’altro in un altro mondo. L’impossibile ha trovato l’immagine, la scena, nella carne di una creatura non dissimile da tutte le creature - così, la rivelazione del limite operata dalla metamorfosi è la metafora fisica del sommovimento dell’anima attraverso le sue tonalità. Il volto del suppliziato cinese, non c’è dubbio, appare il perno segreto di tutta l’opera batailliana, esempio nudo che sta al posto di tutte le parole. I volti di Nietzsche, di Sade, dei “sovrani”, sono quelli di animali ignoti, identici a tutti e che la specie riconosce, e che tuttavia, nella loro “indistinguibilità”, la sospendono sfidandola a scegliere, a provare. Non esiste contatto fra le esperienze che gli esseri superiori e la specie producono in comune, l’atto sadiano o nietzscheano decade ogni volta 67

che qualcuno lo sceglie in quanto prova dell’essere - vera e propria scena-limite, confronto estremo, non si può ripeterla che disattendendola. L’irriducibilità con la quale questi uomini hanno avuto il desiderio di andare fino in fondo al loro fantasma, facendo come se fosse vero e fosse creduto tale, riafferma la fedeltà al destino nella forma della risposta all’altezza dell’enigma che presuppone e che costoro rappresentarono ai propri occhi. Essere assolutamente conseguenti, per quanto il desiderio sia impossibile, fare come se l’insolvibilità della domanda bastasse già da sola a renderla irrinunciabile per tutta la specie umana. La necessità della scrittura giustifica una ricerca, legata all’essere amato come unica immagine capace di concentrare in sé quell’attenzione che racchiude il senso di un’esistenza limitata. La scena chiusa e conclusa, la topografia nota e quotidiana nelle quali ci muoviamo, hanno bisogno di un sentimento d’invenzione puerile, immediato, privo di ricerca. Sento una cosa, e, subito, mi lascio andare allo sviluppo di una tonalità dell’anima. Questo, in sintesi, il meccanismo di 68

creazione del “fantasma”, che non differisce in definitiva dalla nozione batailliana di piccola percezione, ossia di sensazione legata strettamente alla necessità contingente, sia essa affettiva, fisiologica o spirituale, la quale non è altro che la forma stessa dell’energia che varia, alternandola, la potenza della propria intensità, senza mai affermare né negare l’esterno (la realtà, la vita, l’essenza, ecc.). Limitandosi a usarle come stimoli di un disegno associativo interno, la scena fa di questi assoluti lo stimolo stesso piegandolo alla memoria che non dura, ridotta al luogo che la suscita, e al quale lega l’intera catena di cui dispone: una sorta di “mobilitazione generale” delle facoltà affettive convogliate nell’impulso semplice. Un modo di ricondurre l’ignoto al noto, ma non servilmente - in questo caso, la rirazionalizzazione serve come apertura sul possibile, sul “fatto”, limitando le derive caotiche al punto contingente definibile col termine di medio materialismo. La scrittura, in sintesi non può mai discostarsi da questo schema, si chiami essa Sade, o Nietzsche, o Fourier. Naturalmente, ben altro è ciò 69

che “descrive”, che riflette rappresentandoselo. L’essere amato svolge il ruolo dell’altro - come abbiamo già visto, è la “coppia” del pensatore delle superfici. La ricomposizione come posta non sempre risulta l’impulso primario (in quanto conoscenza. dell’incrinatura): la solitudine, in Sade, è, all’inverso, la condizione stessa del desiderio, l’effigie adorata, di un cervello androgino. L’insensibilità, l’apatia, la negazione di sé, la reclusione, sospendono lo stesso atto perverso nell’esserci negato a vantaggio dell’essere assoluto: evanescenza del luogo limitato (dunque variato) e trionfo della monotonia del “tutti i luoghi”. Il sistema sadiano si fonda sull’assenza dell’altro come sulla mancanza stessa del pensiero. Ciò che gira a vuoto nell’intelligenza sadica è esattamente il prossimo, la domanda se esista o meno un termine medio, il corpo come luogo di una comunicazione “reale”, al di là degli eccessi violenti che appaiono come gli unici mezzi in grado di liberarlo dall’illusione del linguaggio. Da qui scaturisce l’analisi klossowskiana 70

sul carattere perverso della domanda sadica, la quale dubita di tutto in proporzione alle certezze che enuncia attraverso quella logica stessa del linguaggio sospettato di falsità ontologica. Riassumiamo brevemente i termini nei quali il “meccanismo” si pone: il sistema “teologico” sadiano adombra e presente i processi industriali contemporanei tramite una costante trasposizione diretta del “corpo” inteso come metafora nascosta della “produzione” (dissimulazione delle pulsioni). Il campo, in Sade, è quello della “teologia” atea. L’espressione è costituita dalla scena del linguaggio, che possiamo chiamare anche Eterno Ritorno. A tutto ciò si oppone la ludicità fourierista, la quale, a differenza della fissità sadica, “sostiene la malleabilità, ossia la plasticità degli impulsi” (Klossowski – “La moneta vivente”, pag. 57) . La fissità, la non-comunicabilità del fantasma perverso, rende impossibile l’“unità organica e morale acquisita” (ibid., pag. 50), e nega in tal modo lo scambio dell’impulso inutile quanto sostitutivo, poiché “assolve la funzione dell’oggetto 71

fabbricato” (ibid., pag. 51). E di seguito Klossowski aggiunge: “nella perversione... l’uso del fantasma da parte di una forza pulsionale fissa il prezzo dell’emozione che con quest’uso si confonde” (ibid., pag. 51). Il soggetto proposto in questo modo alla prostituzione mantiene e genera un valore nella misura in cui lo attribuisce a sé stesso. I principi morali derisi da Sade funzionano come potenti simulazioni di identità, all’interno delle quali il soggetto diviene l’agente principale - unico - della sussistenza del suo corpo: autogenerandosi in quanto oggetto, attuando una confusione fondamentale tra il corpo strumentale e il fantasma di cui diventa l’incarnazione, ogni individuo si costituisce come una cellula autonoma di un meccanismo industriale più vasto. L’inadattabilità ad altri fantasmi, dovuta in Sade alla rigidità della perversione, da un lato congela il soggetto nella ripetizione costante di un’emozione unica che lo rende simile al processo industriale del “consumo massiccio”, nel quale si assiste alla standardizzazione dello strumento e al prevalere della “sensazione” a scapito 72

dello strumento che, in una fase artigianale, essendo “raro”, assumeva su di sé tutto il valore tramite la facoltà di suggerirlo appunto in qualità di sensazione. Dall’altro lato, tuttavia, la generalizzazione dello strumento provoca una manualità comune e visibile, di riconoscimento immediato, per cui, paradossalmente, l’uso limitato, favorendo la specializzazione e il perfezionamento costanti che svuotano lo strumento della sua superiorità consuetudinaria legata al costume che un tempo gli dava lo stato di pegno, permettono uno sviamento ancor più vertiginoso delle pulsioni le quali, liberate definitivamente di ogni apparenza legata all’utilità societaria della conservazione e della propagazione, aprono le porte a un fantasma non prevedibile, riprodotto a sua volta come struttura nuda, senza referente, adattabile a ogni genere di impulso. Insomma, è il corpo a sparire, nel momento stesso in cui i sensi che compongono le modalità fantasmatiche della sensazione lasciano cadere ogni identità corporea in favore della simulazione soggettiva. L’organicità 73

dell’emozione, dato certo di un’unità individuale repressa impulsionalmente e dunque razionalizzatrice delle scelte, naturale, in grado di sperimentare ma solo in vista, ancora, del bene della natura, decade sotto l’irruzione violenta dell’eccesso senza impiego che nasce dallo scollamento del rapporto binario fra corpo e oggetto al quale si sostituisce lo strumento corporeo che comprende già in sé l’oggetto come uso proposto alla ripetizione neutra, generalizzata, simulatoria. Infatti, “la ripetizione perversa si effettua tramite il fantasma di una funzione vitale costrittiva in quanto inintelligibile” (Klossowski - “La moneta vivente”, pag. 62). Automatismo della sensibilità che ricalca da vicino l’apatia sadiana, il piacere superiore che il libertino incallito prova non sottoponendo le vittime al supplizio sotto la spinta puerile dell’esaltazione, bensì, asceticamente, con la coscienza di uniformarsi al movimento stesso dell’energia cosmica che per un attimo si concentra in lui quando ha eliminato da sé tutta la mediocrità della contingenza, della pietà gregaria della specie. L’amore 74

di Sade, di cui parla Bataille, è veramente la follia assoluta, la fusione dell’essere in ciò che più ha di materiale e di spirituale al di là delle identità, dei volti, del nome esecrabile. L’atto resta tale rispetto alla Quantità, il numero delle vittime, anche se si definisce come infinita variazione sul tema: molteplicità dei siti proposti al piacere, confusione e ridistribuzione degli organi, indifferenziazione finale. I bisogni subiscono in questo modo, come giustamente sottolinea Klossowski, una ipertrofizzazione dovuta alla simulazione propagatoria che si sostituisce lentamente ma irreversibilmente alla riproduzione sana: è il godimento sterile che diventa il fondamento stesso, la giustificazione morale, del lavoro, dello sforzo, ossia di una sussistenza della specie determinata non più da bisogni vitali, ma dal fantasma perverso di essi, per salvaguardare l’ombra di una scelta e di un desiderio attivi, volontari, opposti alla gratuità dell’emozione. Fourier si situa su un altro versante. La sua posizione mitiga la rigidità sadica attraverso la possibilità dello scambio, assente del tutto nell’altro sistema. Il suo 75

è un socialismo utopico il quale “si spinge a estendere la messa in comune di ogni bene agli oggetti viventi della voluttà” (ibid., pag. 55).

V k

Il lavoro è il perno del sistema fourierista nella misura in cui viene opposto, nella sua accezione bruta, costrittiva, alla gratuità ludica e allo scambio passionale. Tutto ciò che è gioco sottintende il reversibile, la corrispondenza societaria degli individui, anche all’interno della perversione che, per definizione sadiana, esige l’assenza assoluta della scambiabilità. Ora, mentre il 76

sadismo descrive “antiutopicamente” le possibilità estreme di una società, la nostra, che si sia liberata con uno sforzo supremo di lucidità degli ultimi cascami falsamente moralistici che la limitano per darsi in tutto alla perversione che la fonda, nel bene e soprattutto nel male, Fourier rigetta con forza il fondo stesso del mostro sadiano, la vendita senza riscontro, equiparando la sua nozione all’esorcismo stesso dell’aggressività inevitabile connaturata all’umano. Tra la rigidità sadica che riconosce l’abisso che separa la perversione dal gioco, e pone la prima come gioco “a parte”, incapace di svincolarsi dalla legge, e la malleabilità fourierista che pensa le pulsioni come mobili, e dunque ritiene il fantasma mutabile, ossia simulabile, c’è appunto una diversa concezione della “scena”: “la sua invenzione consiste interamente nel voler appagare le propensioni aggressive e l’aggressività voluttuosa in particolare, con un’organizzazione ludica di situazioni passionali, di per sé stesse non ludiche” (Klossowski – “La moneta vivente”, pag. 56). Alla monomania sadiana della scena il castello di Silling, il boudoir - teatro del 77

non-scambio, della non-vita, della reclusione coatta accettata felicemente (la Bastiglia come apoteosi del sistema sadico), si oppone la società in tutta la sua forza. Il crimine morale sadiano tiene conto dell’esterno solo come luogo di un esperimento che resta comunque la posta dello snaturamento, la riduzione a un unico luogo ripetuto nel quale non si dà casa, foresta, istituzione che non riveli il boudoir che maschera - invece in Fourier la non-ludicità, le situazioni passionali, sono semplicemente la metafora addolcita della necessità societaria essenziale alla specie, migliorabile ma immodificabile sostanzialmente, almeno nella sua agibilità. Così, l’intervento degli uomini sull’esterno tende a confondersi con l’esterno stesso, piegandolo a propria immagine, mentre l’immagine sadica è la cancellazione stessa dell’umano dal mondo, dell’umano in quanto gregarietà dello specifico. Lo specifico rappresenta il disgusto stesso di Sade, cioè il pensiero che tutti possano trovare un’espressione propria all’interno della società, dunque nel quadro di una debolezza generale che abdica ai capricci castrati degli esseri più 78

sciocchi. L’integralità decade in un movimento assolutamente opposto sia a Sade che a Nietzsche. Nonostante questo, il sistema di Fourier non è chiuso - il margine che lascia alla chance mantiene intatta la reversibilità senza eliminare la perversione. Gioco reversibile della vendita all’interno di un impulso perverso, di un impulso che tramite il simulacro comunica col fantasma dell’altro, adattando sé stesso alla sfida che riceve. “Il simulacro, infatti, riproduce la realtà del fantasma a livello di gioco, messinscena della realtà aggressiva. Fourier punta non tanto sulla libertà quanto sulla creazione liberatrice di una realtà: il gioco” (Klossowski – “La moneta vivente”, pag. 57). Lo sviamento di forze che il simulacro determina, secondo Klossowski, non sarebbe tuttavia sufficiente a far emergere quelle pulsioni non-volute di cui parla Nietzsche, e che, sole, possono far accedere l’uomo a una percettività superiore insomma, subentra nuovamente il problema della dottrina in quanto religione, cioè come avente necessariamente bisogno di discepoli fedeli, più o meno 79

condiscendenti, di una natura del tutto diversa da quella auspicata dal parodismo simulatorio di Zarathustra. Ora, sarebbe interessante indagare sul piacere sottile che scaturisce dal farsi plagiare, dal farsi asservire in tutto, da un pensiero esterno al quale rispondere con un fantasma adeguato, estraneo quanto perfetto. Il problema non è nuovo, e riguarda il rapporto che unisce la prostituta al protettore. Così, è in questo modo che si rivela la vicinanza vertiginosa quanto non ricomponibile - salvo forse in un punto che unisce la scena della prostituzione universale sadiana, nata dalla morte di Dio, alla scena della prostituzione coatta fourierista, nata dall’irrompere della perversione all’interno dell’esibizione spettacolare della merce. Ciò significa che il fantasma di Fourier rivela una perversione doppia, restando, da un lato, assolutamente fedele a sé stesso per potere, dall’altro, simulare con tutta la forza la natura simile ma inattingibile del fantasma dell’altro. Una specie di compromesso fondato sulla necessità di non estinguere la specie, di permettere il mantenersi e il prosperare di una 80

situazione economica in grado di fornire a tutti un tenore di vita accettabile e armonico, ma senza eliminare il fantasma perverso sul quale riposa, in gran segreto, il meccanismo stesso del contratto sociale. Detto questo, abbiamo buoni motivi per credere che l’attuale società farebbe bene a studiare Sade e Fourier come se fossero le intensità, distinte quanto inscindibili, di uno stesso pensiero. Due forze impulsionali simili a quelle descritte da Nietzsche, due tonalità dell’anima che sono la fluttuazione in cui “si produce lo scambio più o meno disuguale tra le pulsioni e i segni del codice quotidiano” (Klossowski – “Nietzsche e il circolo vizioso”, pag. 69). La gratuità dunque, all’interno dello scambio delle passioni, è successiva al prezzo stabilito dall’emozione voluttuosa che scaturisce solo dalla stima accordata al raro, al presente solo in un luogo dell’altro, e in tal modo agisce come tale proprio per rendere possibile una maggiore simulazione dello scambio, che non c’è, e che dunque “non ha prezzo”, unendo in sé così l’inscambiabilità del fantasma e la “gratuità”, intesa come 81

simulazione dell’atto, delle passioni. In effetti Fourier liquida la legge, non crede agli assoluti, siano essi quelli abissali e negativi di Sade; accetta la contingenza e la usa come propellente esplosivo delle passioni alle quali non applica gradi o valutazioni di sorta a differenza di Sade. Qualsiasi risulti l’intensità raggiunta, essa rientra nella forma di una società che diventa il vettore stesso, unico, di una passione generale, comunitaria, che da un lato lascia spazio all’individuo senza farne, come Sade, l’unico termine, e dall’altro tuttavia accetta la specializzazione, l’appartenenza esclusiva a orde distinte, a minuscole società segrete conviventi, diverse in tutto dalla “Società degli amici del Crimine” composta da esseri privi di ogni rapporto reale. La messa in comune falansteriana instaura così con gli oggetti un rapporto strettamente personale. Il lavoro, impensabile al di fuori di un progetto immediato di desiderio-pulsioneemozione, non conosce la perversione industriale che stiamo vivendo. Mentre il corpo-oggetto sussiste, non si confonde mai col resto della produzione. Lentamente, ci stiamo avvicinando alla 82

nozione di moneta-vivente introdotta da Klossowski.

II. Il fantasma e l’oggetto

La moneta-vivente si colloca in un modo ancora molto impreciso tra l’elaborazione perversa del fantasma e la fabbricazione dell’oggetto d’uso. La dicotomia che marca i due processi attraverso la scissione irriducibile “esterno/interno”, troverebbe nella moneta-vivente una ricomposizione che li cancellerebbe comunque in quanto momenti autonomi. Questo attrarrebbe la nozione di “uso” verso una dimensione del tutto originale. Infatti, il problema è appunto costituito dal valore da attribuire all’uso sempre presente, sia nel fantasma che nell’oggetto prodotto, pertinente alla 83

natura del rapporto che viene a instaurarsi col “mondo”. L’uso, che presuppone lo scambio, indica che in entrambi i casi esiste una costrizione, la quale funziona in rapporto all’unità individuale come compensazione di qualcosa: insomma, la necessità di una mediazione costante fra l’elaborazione rappresentativa di una realtà interna e l’applicazione di essa su un esterno che ne diventa il prodotto. Fin qui l’analisi klossowskiana, della quale ripetiamo il dilemma: “godi senza affermarti o affermati senza godere soltanto per sussistere” (ibid., pag. 73). Semplicemente, purtroppo, risulta chiaro a tutti e a Klossowski per primo che è possibile parlare del lavoro solo se lo si pensa come la conseguenza (l’equivalente) della “rinuncia alla costrizione interna”. Qual è il rapporto che lega il produttore al lavoro, se pensiamo appunto il lavoro come un’attività inintelligibile fondamentalmente, ossia nata da una costrizione la quale vale per sé stessa, e non riconosce altro impiego che la sua struttura separata dall’alienazione 84

dell’atto di cui è fatta, e, per meglio dire, riceve un compenso (compensazione) estraneo e non dipendente da ciò a cui rinuncia (ibid., pag. 74)? Si tratta appunto dello scambio riferibile a una propensione la quale, all’interno di un rapporto costante tra l’oggetto e il fantasma, opera una sintesi sviante che genera l’illusione di una propensione individuale sovrana. Insomma, il fantasma filtrato dal lavoro nella produzione dell’oggetto diventa l’utensile in grado di rendere efficace, al livello della realtà realizzabile, la propensione del soggetto. Tutto questo potrebbe venire interpretato come un tradimento snaturante rispetto al desiderio effettivo dell’unità individuale oppure non esiste altra maniera per rendere esplicita l’individualità, per fare in modo che venga percepita come tale dal diretto interessato, che questa? Klossowski risponde che è “essa stessa la finzione di una necessità incontrollabile quanto deliberata” (ibid., pag. 76). Dunque l’industria risulta essere l’unica garante dell’unità individuale, poiché, sola, fornisce la possibilità, mediante una vertiginosa torsione che passa per 85

l’oggetto, di rendere legittimo il fantasma della propensione individuale. Qui subentra la figura del “fabbricante di simulacri” – l’artista - il quale “pretende di arricchire la conoscenza con le sensazioni che procura” (ibid., pag. 77). Ora, ciò che è “utensilare” è efficace e dunque limitato, ristretto e compiuto, e non può avere nulla a che fare col mondo dei simulacri che permettono un uso sterile e dilatato - ma se il simulacro, l’opera d’arte, venisse usato, al livello degli impulsi, esattamente come un utensile (tesi nietzscheana sulla fine della riproduzione del reale il quale è già da ora la produzione che ne facciamo), si potrebbe affermare che “il simulacro dell’arte è un utensile delle passioni, e la sua simulazione” è "un’operazione efficace” (ibid., pag. 78). Gli attrezzi saranno invece “simulacri di nonsimulazione”, e serviranno all’affetto proprio in quanto utensili nella misura in cui racchiudono in sé una parte della vita affettiva, e la aiutano a svilupparsi compiutamente. Cioè, a investirsi nel futuro mediante la necessità della produzione che, sola, permette la 86

sussistenza, la vita. E’ urgente produrre per mantenere costantemente in tensione la voluttà impulsiva, simulando la serietà del necessario per affermare il vitale del godimento futile e sterile. Una specie di circolo vizioso, nel quale il rilancio tra i due circuiti è costante e non può che giocare al rialzo, pena il crollo totale. L’irreversibile non conosce ritorno. Il “produttore” trova nella coazione a produrre la propria ripetizione rassicurante, la quale lo restituisce a sé stesso dopo averlo sottoposto a una metamorfosi che gli sottrae “qualcosa che non conosce”. L’illusione risulta duplice: da una parte, l’aggiornamento della voluttà gli assicura il senso del tempo, della permanenza della pulsione immutabile all’interno di un divenire sempre a venire, dall’altra, nel suo dislocarsi, tramite gli oggetti, costituisce una serie di simulacri che esorcizzano esteriorizzandola la dissoluzione della sua unità fittizia. La rinuncia all’impulso perverso interno diventa in questa maniera l’unico mezzo per ottenere dall’esterno un equivalente simulato che non è più né interno né esterno. “Non già 87

il capitalismo, né la classe operaia, né la scienza, bensì i metodi dettati dagli stessi oggetti, e i modi di produzione con le loro leggi di crescita e di consumo - insomma, il fenomeno industriale ha concretato la più malvagia caricatura della sua dottrina, e cioè il regime del Ritorno instaurato nell’esistenza produttiva degli uomini che non producono altro che un perpetuo stato di estraneità tra loro e la vita” (Klossowski – “Nietzsche e il circolo vizioso”, pag. 255). Qui l’irreversibilità del processo possiede infatti la proprietà stessa del circolo, il quale non conosce direzione né verso, ma mantiene tutto in un costante ricominciamento (nozione che sta agli antipodi di ogni equivoca interpretazione ciclica attribuita a Nietzsche), e in più, paradossalmente, opera in sé un’intensità anomala che tende a una “iperestremizzazione” forsennata nella quale la partenza eterna è la condanna stessa del ritorno fino alla luce bianca abbacinante e impersonale dell’apatia. Ma un’apatia generalizzata genererà appunto un torpore diffuso, irresponsabile, “una nuova forma totalmente amorale della gregarietà” 88

(ibid., pag. 255). Questa descrizione assomiglia molto da vicino a ciò che noi potremmo definire felicità, cioè il servaggio soddisfatto di sé. Senza più esterno né interno, l’uomo è Dio e non vuole più niente perché egli è “il meccanismo stesso della volontà” - sì, ma di quale? Appunto, della volontà gregaria della specie, dell’universale, il cui valore passa dal vuoto degli ideali decaduti al “pieno” del trionfo del caso generale (caso inteso come individualità), ossia, come abbiamo già detto, la formula della “supergregarietà”. Questo stato, per fortuna, ha il merito di liquidare definitivamente l’umanesimo, il quale è un mito teologico (Blanchot – “L’infinito intrattenimento”, pag. 334). L’uomo va in pezzi, non vuole toccare più niente che lo porti in sé o oltre sé - non c’è più fine, né mezzo, né giustificazione. In sintesi, l’uomo si sarà affrancato da sé stesso, si sarà compiuto, avrà chiuso il circolo. Ecco che dunque l’Eterno Ritorno si presenta come il “pensiero dei pensieri” proprio in quanto li sottrae a tutta l’umanità in sé stesso, spezzandola. Spezzarla, significa renderla “scissipara”, eccessiva e 89

eccedente, e perciò presa dalla necessità di usare le forze ancora incomprensibili che debordano da lei in direzioni sconosciute. Il corpo, che resta tuttavia il centro generatore del processo, dotato di prezzo oppure gratuito, rappresenta comunque il fantasma unico del valore. L’emozione voluttuosa è il “progetto mercantilizzatore” dell’industria e agisce su questo fantasma attraverso la diade “gratuità/prezzo”. Il ruolo dell’oggetto è svolto dal corpo stesso, proprio o altrui, che diventa l’espropriazione convertita in moneta. Infatti, il corpo, la vita, le emozioni voluttuose, nella misura in cui sono state date a tutti gratuitamente e naturalmente, in quanto sono suscettibili di essere percepite (provate) da tutti indifferentemente e con la stessa intensità (ciò costituisce almeno un’uguaglianza virtuale), non possiedono valore e dunque non hanno prezzo. Dargliene uno significa, nell’ottica dell’industria, dare un valore a ciò che non ne ha nessuno e dunque non interessa a nessuno, poiché ciò che attrae non è la gratuità immediata del comune, ma la rarità resa preziosa 90

dallo sforzo che richiede per essere tale. Lo sforzo costituisce esattamente la ricchezza, ossia l’in più che fa sì che il soggetto valorizzi sé stesso mediante un “dare” che incorpora il valore (l’emozione) rendendolo “padrone” dell’essere altrui, della sussistenza stessa altrui rispetto al mondo. Ma siccome il corpo ha bisogno di un equivalente per poter dissimulare meglio la sua circolazione impulsionale, subentra la moneta che rende provvisoriamente intelligibile, tramite la sua natura indifferente e simbolica, la “propensione oscura” (Klossowski – “La moneta vivente”, pag. 83) che determina gli impulsi.

III. Glossa su Roberte

Prima di iniziare l’analisi vera e propria 91

della nozione di moneta-vivente, almeno come è venuta delineandosi finora attraverso la mediazione dei sistemi sadiano, fourierista e klossowskiano, è necessario esaminare brevemente il significato che un personaggio come quello di Roberte assume all’interno del “progetto” di un’opera che vuole e rivendica il ruolo di “simulacro”, di “utensile”. Roberte si confonde con la seduzione, con la prostituzione, e forse con la moneta-vivente, senza decidersi mai per l’una o per l’altra, e forse a causa del fatto che tutte queste maschere sono la stessa cosa. Se ci è permesso pensare a Roberte come a una creatura di carne, ossia come a un essere che, deliberatamente, abbia scelto di essere “ciò che è”, di improntare la propria esistenza agli avvenimenti che fedelmente qualcuno riporta rappresentando uno “stato mentale e psichico” al quale sarebbe necessario uniformarsi poiché la sua domanda risulterebbe irriducibile, non differente dall’evento, dal destino, quest’atto assume la forma di una rivelazione che un uomo, Klossowski, ha vissuto con la 92

stessa intensità che con tutta probabilità ha afferrato Nietzsche davanti all’epifania dell’Eterno Ritorno. Roberte è l’unico? Sarebbe dunque questo? La resa, che esige l’unicità del desiderio, rivela all’essere amato il silenzio coerente in cui lo “teniamo”. La fedeltà che invita a seguirla in tutte le spirali della sua fisionomia, non è forse la costrizione a cui risponde docilmente, agendo su di essa come risposta costante, di dimostrazione? Dunque un’immagine pubblica, in tutto usabile, salvo nell’esclusività del nostro pensiero che costituisce il substrato dell’azione, del costume, ossia di un insegnamento vivente che piega alla sua scena l’esterno? Questa immagine indistruttibile e persistente (sovranamente persistente...) è il segreto stesso, che diventa tale solo quando lo si sia mostrato per quello che vale in tutta la limitatezza in cui si designa. Si tratta di un’esperienza propriamente al limite della follia, nella quale si esprime il segno (l’obbligo) che comunica, come dice Klossowski, il luogo e la scena dove si “formava allora la mia unica esperienza, il mio unico modo di vivere” (“Le leggi dell’ospitalità”, pag. 93

374). In quanto intensità, Roberte non ha diritto ad alcun rispetto. Facendone ciò che vogliamo, ripetendola, uniformiamo la nostra vita alla sua, non facciamo altro che spostare l’esistenza al livello della coscienza, dell’intelligenza, la quale, giorno dopo giorno, non tradisce più quel che il suo impulso associativo può volere. Questa è una regola., il costume nel quale alla fine ci perderemmo, indistinguibili, personaggi fra i personaggi della storia, del racconto. In questo modo, ciò che è divulgato è sovrano nella misura in cui esaurisce le possibilità all’atto stesso dell’enunciazione. Sorte comune a tutte le “leggi”, rigide in quanto limitate alla loro efficacia peculiare dimostrativa, “letteraria”, il nome di Roberte è il destino della sua visibilità usabile, del gesto che richiama pur senza specificarlo, della mozione (impulsionale, psichica) che enuncia senza limitarla: un equivalente, che mantiene il valore senza confondersi con esso, è moneta-vivente, cioè corpo liberato dall’idiosincrasia, pronto a tutto, non scambiabile quanto rappresentativo nell’immagine che compone in sé, ossia una moneta indifferenziata rispetto all’uso 94

che attribuisce al suo valore. Solo una scelta rende possibile la moneta-vivente, e la domanda immediata che si presenta: “che cosa ne faremmo?”, si rivela tanto più drammatica quanto presuppone necessariamente una costrizione impulsionale precisa, la quale concerne l’unicità individuale e il suo rapporto con la gratuità nata dallo sforzo esercitato in direzione di un irrazionale, cioè di un bisogno che farebbe a pezzi l’unità fittizia dell’essere umano (cfr. “La moneta vivente”, pagg. 79-80).

IV. Il Complotto

Cercheremo qui di dimostrare l’unità 95

sostanziale e operativa dei due concetti di “Versucher” e di “moneta-vivente”. Essi si compongono in un unico personaggio il cui ruolo, anche se dichiarato, si fonda sull’irriducibilità del suo segreto. Il segreto consiste nell’uso che ingenera di sé, in quanto unità vivente del proprio fantasma e del simulacro di esso. Questo è già l’oltre-uomo. Non distinguibile da ciò che sostituisce, come entità dispiega il suo valore in quanto costretto a vendersi, ovvero a dislocare, a pedinare tramite le sue particolarità esclusive la propria “domanda” riflessa negli altri. Ciò significa che esso “spia” il “linguaggio segreto dei segni corporei” (ibid., pag. 85) elaborando una strategia su un “materiale” che gli è “dovuto”. La pressione della domanda che nulla mai lascia senza risposta, cioè la frizione continua esercitata dalla richiesta del Versucher sul corpo che risponde con segni che mostrano un’altra cosa, con segni sviati dalla stessa fissità che conservano e che li rende permanenti nel gesto in preda al solecismo (quel che dà sottraendo), si esprime come l’equivalente stesso in denaro - in linguaggio, Sade. La moneta-vivente risulta essere il linguaggio 96

(la forma artistica) alla ricchezza applicata del suo tensore. Il commercio non fa più differenza fra l’utensile e il simulacro, come è stato già ampiamente dimostrato, e, in più, rivela una tendenza sempre maggiore verso il predominio o, meglio, verso la progressiva messa in subalternità esercitata dal primo su sé stesso a favore del secondo. Il simulacro rende possibile l’esistenza del denaro, mentre il contrario si fa prova del problematico rapporto derealizzante che unisce la conquista all’esistente. Ciò che non c’è costituisce ormai l’unico possibile, l’unico aggiornamento voluttuoso. Il linguaggio sadiano assolve a una “funzione mediatrice fra il mondo chiuso delle anomalie e il mondo delle norme istituzionali” (ibid., pag. 84), in cui il denaro permette appunto la scelta di “un” esistente fra infiniti, e così “chiama in causa il valore di ciò che esiste a favore di ciò che non esiste” (ibid., pag. 84). Nella società industriale assistiamo a un lento capovolgimento che, se da un lato ricalca fedelmente portandola alle conseguenze estreme la visione sadica, dall’altro la svuota della sua unicità 97

mostruosa - anche questo è stato già descritto, ma gli sviluppi a cui può dare luogo non sono ancora del tutto chiari. La forma che ci resta di Sade è il suo linguaggio, mentre decadono i moduli societari dell’utopia connessa: rimane dunque uno straordinario strumento d’indagine, un pensiero-utensile simile a quello nietzscheano, che “sonda” a diversi livelli il nuovo valore fra i molti possibili. Anzi, lo stabilisce, poiché si pone come unico riferimento rispetto alle nostre pulsioni - una sorta di “misuratore di intensità”, “crimine morale” senza paternità all’opera nel mondo. Il disconoscimento profondo del corpo come unità, come presenza, la sua revoca, chiama a raccolta tutti gli spiriti dell’invisibile, cioè del possibile, la cui assenza determina d’ora in poi la sussistenza stessa della carne, riducendola nello stesso tempo a utensile, a oggetto immanente. Crocevia di un linguaggio perverso, “parlato” da tutti, il corpo è l’unità monetaria di un denaro grammaticale: un gluteo di Roberte, un po’ di teologia di Octave, l’estensione prodigiosamente convessa del glande di 98

Victor, e subito ecco formarsi un altro corpo, il nostro, che proietta le immagini di parole all’esterno applicandole coi nostri occhi che ripetono, iterano. La “ludicità” che Klossowski associa alla vendita, all’autoprostituzione, facendo l’esempio di Verneuil e della d’Esterval (cfr., ibid., pag. 87), è interpretabile come un’altrettanta funzione imposta dal fantasma al suo tensore, al suo Versucher, cioè la necessità di ricostituire estendendola quella pulsione che forma il substrato immaginario della transustanziazione (ibid., pag. 87). Il problema infatti comporta la possibilità di un’estensione fantastica e efficace dell’impulsionalità rispetto al reale: colui che “fornisce” sé stesso, non possiede altra ricchezza dell’atto che lo determina come tale, non ha nulla eccetto il valore legato all’uso virtuale che fa balenare: è un pezzo. Tramite questa qualità, che diventa nel caso specifico l’unica, e mette le altre nel novero del gratuito essendo essa sterile, si innesta sull’esterno (sull’altro) mantenendo preclusa ogni comunicazione, ma dando via libera all’estensibilità del fantasma equivalente, 99

cioè un’azione, l’annichilimento totale del possibile sotto lo sforzo sterile dell’atto ripetuto. Diciamo che insiste al di fuori della sua esistenza, del suo essere e esserci. La condizione stessa che esige il linguaggio del corpo un linguaggio segreto, un sistema di segni costantemente sottratti all’uso immediato per una proroga infinita, stabilisce il suo valore. Per ottenere la risposta, che si presenta sempre e comunque non come una conoscenza - della quale il linguaggio della filosofia sadica è la parodia - ma come una “conferma”, è necessario sottostare alla ritualità fantasmatica e neutra del denaro, sia esso la parola o il contante. La particolarissima “maieutica” klossowskiana nasconde a malapena il meccanismo connaturato alla scrittura, che non scopre mai nulla eccetto sé stessa complicandosi, ritornandosi, viziosamente, e i cui effetti non hanno però nulla a che fare con la conoscenza. L’effusione si avvicina a definirla, là dove venga intesa come letterale sparpagliamento del corpo che è la conseguenza di ogni prostituzione: il narratore di “Le souffleur”, concedendosi 100

a tutti a pezzi, liquida la sua identità, e mediante questa perdita scopre (constata?) l’intensità del differente di cui parla Deleuze (“Logica del senso”, pag. 254) come la sua propria differenza, ossia la conferma dell’intuire possente che ha depositato negli altri riguardo a sé stesso, pur senza comunicare mai. Il gioco solitario, autonomo, è il fondo e la condizione di tutto il meccanismo. L’accordo sul segreto. L’altro resta eternamente inintelligibile. Dunque bisogna costruire questi dispiegamenti fantasmatici che permettono di godere del pezzo di carne, dell’oggetto, che nell’ebbrezza ognuno diventa. E’ questa la maniera giusta di intendere la proposizione batailliana secondo la quale due esseri possono comunicare soltanto se messi in gioco: significa che l’inattingibilità definisce il gioco stesso in ciò che la sua estremizzazione, il portarla al parossismo, costituisce di pericolosamente mortale per ognuno dei partner. L’arbitrarietà dell’emozione così, rispetto alla monetavivente che diventa qualunque essere che si metta in gioco nel modo che abbiamo appena descritto, si lega al 101

riconoscimento scaturito dal materializzarsi nell’essere amato del fantasma: si intenda bene questa apparente semplificazione sentimentale: la consapevolezza che richiede, sottintende una fedeltà straordinaria al manifestarsi improvviso del proprio destino che non mancherà di rivelarsi nella misura in cui si determina nella percezione degli altri, ossia all’altezza dell’evento che la nostra comparsa ingenera nell’essere amato. Ancora una volta, al di fuori di ogni comunicazione, va riaffermato l’accordo comune, “societario”, che un tale “stato psichico” (Klossowski - cfr. “La moneta vivente”, pag. 91) renderebbe irrinunciabile. Questa flessione fra corpo e linguaggio è l’utopia rappresentata costantemente dalla letteratura. La generalità di una simile pratica non potrebbe mai diventare istituzionale, a differenza della proposta sadiana, in quanto sposterebbe i suoi fini dalla voluttà repubblicana (Lyotard - cfr. “Economia libidinale”, pag. 105), cioè da una dimensione strettamente politica, e totalizzante, a una voluttà di coppia, molecolare e diffusa, nella quale 102

l’esperienza costituirebbe appunto il segreto, ovvero la differenza fondamentale tra il linguaggio insistente di Sade e il linguaggio assistente di Klossowski. Il post-sociale trova in quest’ultimo appunto il suo più lucido esegeta. La moneta-libidinale non ha nulla a che fare col politico, ma celebra i fasti del capitalismo impazzito (geniale?) che comincia a immaginare le vertiginose potenzialità che nasconde nel suo corpo anamorfico. L’inattingibilità, la dissimulazione senza speranza che costituisce l’unica chance dell’essere umano e che lo costringe ai fantasmi, non rimanda per fortuna a qualcosa di altro da sé: Klossowski lo dice chiaramente, il fondo inscambiabile non è nulla, e Bataille lo ripete - la chance non è nulla. La perversione che fa sì che l’essere abiti “il corpo altrui come se fosse il suo” (Klossowski – “La moneta vivente”, pag. 83), non permette (perché non esiste) nessuno sviluppo: è la grande evidenza davanti alla quale bisogna fermarsi. Il Versucher lo sa. Da qui sviluppa la sua vita in moneta. Moneta-miseria, ovvero, riprendendo l’intuizione di Sade per la 103

quale la prostituzione, la pratica di Juliette che è ricchissima, nasce proprio da questo suo stato eccessivo, in cui il fantasma, che le permette da un lato, tramite lo status sociale e l’avvenenza straordinaria, di ottenere compensi altissimi per le sue prestazioni, dall’altro la espropria incessantemente del suo corpo (cfr. I° e II° vol. di “Justine”, e “La moneta vivente”, pag. 87), rendendolo significante solo grazie alla sua presenza, e che tuttavia “è solo un fantasma che risponde a un fantasma” (ibid., pag. 88) così, senza potersi liberare della miseria, il Versucher vuole che il suo corpo valga (come simulacro, come utensile) per l’esclusività raggiunta a scapito dei “segni unici” altrui. La premeditazione della scrittura è legata all’oblio, essa instaura un movimento che retrocede e che “non tende ad alcuna intimità” (Foucault – “La prosa di Atteone”, prefazione a “Le leggi dell’ospitalità”, pag. XXI): in questo modo colui che suggerisce, che fa parlare e tenta, si insinua col proprio corpo nel corpo altrui. Se lo vuole, tuttavia non sa o non vuole sapere perché. In questo non104

sapere consisterebbe appunto l’esperienza peculiare del Versucher, che sarebbe la capacità di trasformare l’impulso in pensiero (cfr. “Nietzsche e il circolo vizioso”, pag. 380). Non c’è altra maniera per evitare lo spossessamento del pensiero di quella di resistere in esso, evitando di concettualizzarlo in una gregarietà gerarchica che non sarebbe altro che l’aggiornamento della voluttà riproduttrice, non-sviata. L’insistenza delle pulsioni definisce il tempo, il linguaggio, il mondo, in un’unica luce abbagliante, quella dell’euforia e dell’ebbrezza. La vita diventa realmente una creazione autonoma, che risponde in tutto ai nostri impulsi più profondi trasfigurandosi. Così, la moneta-vivente costituita dal Versucher è esattamente determinata solo dalla forza della propria intensità: ossia, dalla ripetizione riflettente che rende indissolubile il processo circolare che lega il gesto alla parola. E’ evidente che ci troviamo di fronte a una pratica delirante, che non può essere scelta senza aderire in tutto all’idea del disastro - tuttavia, possiamo farne anche un sistema per pensare, uno strumento servile che non 105

ha nulla a che fare con la vita salvo in quel punto in cui la scrittura compie il miracolo della trasfigurazione.

LA MONETA VIVENTE 106

DA BENJAMIN A KLOSSOWSKI

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Che cos’è la Moneta Vivente L’autore e il nuovo commercio

Per Benjamin lo scrittore, l’artista, che scelga di produrre per una classe sociale invece che per un’altra, non modifica sostanzialmente la sua funzione di fabbricante di oggetti capaci di generare 108

emozioni mediante la strumentazione attiva del simulacro corrispondente. Il problema è limitato dunque alla presunta “moralità” del destinatario, ovvero alla positività ricettiva idealizzata di un agente-committente in grado di fare buon “uso” dei prodotti. Se si pensa il proletariato come l’erede naturale della cultura nel suo commercio comunicativo, il cui ruolo sarà tuttavia quello di rappresentare proprio per questo una rottura senza ritorno con le sue leggi, poiché la proletarizzazione imminente del sistema sta per estendere a tutta l’umanità la sensibilità impulsiva di tale classe, è indubbio che all’inizio la produzione artistica proletarizzata porterà ancora la marca di un segno unico elitario nella misura in cui aderisce a una sensibilità limitata alle poche coscienze trainanti, e che dovranno divulgarla. Dunque, l’intensità della percezione risulta pienamente scentrata rispetto alla generalizzazione futura dell’uso. Inutile indicare ancora in questo fenomeno il ruolo dell’avanguardia, di cui Benjamin è consapevole in un modo che lo allontana in definitiva dalla lotta di classe in quanto 109

tale. La sua definizione di “giusta tendenza” applicata all’opera d’arte come espressione corretta politica che ingloba in sé la totalità di un’idea - in questo caso il monoteismo marxista - eccede le strettoie ideologiche a vantaggio di un substrato teorico occulto che percorre tutta l’opera e che deriva da Nietzsche. Il movimento sotterraneo destinato a trovare una luce piena nella sintesi klossowskiana, nel passaggio che all’abbaglio evidente della lotta di classe sostituisce la molecolarità delle pulsioni liquidando gli aggiustamenti hegeliani della dialettica, procede dalla progressiva vanificazione di tutti i referenti forti e della cosiddetta “realtà”, e si riassume nell’esortazione nietzschiana: “A noi i bei simulacri! Dobbiamo essere gli impostori che abbelliscono l’umanità! proprio questo è esser filosofi” (Klossowski, cit. in “Nietzsche e il circolo vizioso”, pag. 196). L’autonomia del produttore è un’illusione solo in quanto presuppone, secondo un’analisi marxista, la dipendenza più o meno nascosta e consapevole da un interesse che, nei 110

fatti, la determina in quanto tale attraverso tutti i gradi della sua efficacia o inefficacia. Una simile posizione, che scaturisce dalla mania concentrazionaria e dalla mancanza frustrante che un centro ipotetico produce sottraendosi a coloro che lo cercano con un’angoscia che si traduce oggi dappertutto nella fobia e nell’ossessione della manipolazione (Baudrillard, “Lo scambio simbolico e la morte”, pag. 128), non trova più un riscontro rispetto all’inconsistenza sostanziale dell’idea di “autonomia”: non c’è dipendenza né libertà in un organismo sociale fatto di rimandi senza origine, di decantazioni sfinite, in cui la morte risulta dalla vanificazione del prototipo attraverso il raddoppiamento degradato all’infinito di esso, là dove la rappresentazione mantenuta finisce per far “scomparire il modello” (Perniola, “L’iconoclasma erotico di Bataille”, pag. 15). Così, la riproduzione è pensabile soltanto a partire da una produzione originale dell’illusione: l’opera d’arte non imita più il fantasma, ma lo determina organizzandone la strumentazione. Il ruolo dell’autore come produttore 111

(fornitore) di simulacri, ovvero l’efficacia stessa dell’avanguardia in vista della generalizzazione futura dell’uso - il COSTUME - non si gioca sul piano della politica classista destinata ad acquisire il potere in nome di una “giusta tendenza”, bensì diventa il superamento dell’istanza economica in quanto è esso stesso ricchezza. Decadendo l’autonomia, il prodotto dell’artista che “orienta la sua attività secondo il criterio di ciò che è utile al proletariato nella lotta di classe” (Benjamin, “L’autore come produttore”, pag. 199) da un lato sembra diventare una funzione fra le tante del più vasto processo di spostamento della sensibilità produttiva verso un interesse sociale specifico - una “tendenza” non dissimile da un’altra - ma dall’uso conseguente risulta chiaro che l’originalità dell’atto si pone in una posizione di supremazia rispetto alla tendenza stessa, determinandola. Ciò è espresso da Benjamin con chiarezza quando afferma che “l’autorità letteraria non si fonda più sulla cultura specialistica ma su quella politecnica, e diventa così bene comune. 112

In breve, è la letterarizzazione dei rapporti vitali che riesce a dominare le altrimenti insolubili antinomie” (Benjamin – “L’autore come produttore”, pag. 204). Dunque l’impiego progressivo e sistematico del “commento”, dell’illustrazione della “storia”, assume un’importanza la cui portata si mostra ancora in modo imperfetto. A questo proposito vale la pena riportare estesamente un brano molto esplicativo di Pierre Klossowski: “Une scène décrite et la meme scène en tant que tableau sont deux modes d’appréhension aussi différents entre eux que leur objet mème semblerait identique. La description peut se développer en commentaires et en discussions implicites à la scène et cependant elle nous transporte ailleurs, sur d’autres plans qui n’ont rien de commun avec la scène telle qu’elle se présente sur le tableau, dùt-elle dissimuler les autres plans. Or le tableau ni ne commente ni n’énumère de détails puisqu’il les saisit d’emblée, dans leur opposition ou leur connexion, de telle sorte que celles-ci agissent avec d’autant plus de force qu’elles circonscrivent dans 113

toutes les parties du tableau le silence, soit l’absence du commentaire, ainsi refoulé. Et il en est ainsi de l’art dans sa function imitative parfaitement légitime: car cette “imitation” n’a jamais été documentaire, comme on a voulu le faire croire, pour des questions de métier et de technique, mais elle repose sur une science des stéréotypes telle que des maitres de différentes écoles l’ont pratiquée - de là le style - et que seul un public ignare devait compromettre par sa confusion des stéréotypes avec le “principe de réalité”. De nos jours, l’expulsion du motif revient justement à réintroduire l’écriture dans le graphique et le pictural, à assimiler les règles de la technique aux règles de la syntaxe, donc aussi à renouveler la technique conformément à une syntaxe désarticulée, afin que le tableau soit essentiellement un simulacre de réflexion (du tableau par le tableau lui-meme) sur sa situation déplacée dans le contexte industriel” (Pierre Klossowski – “Protase et apodose”, L’Arc n° 43 pagg. 15-16). L’invadenza della parola dimostra per Benjamin che “soltanto la 114

letterarizzazione di tutti i rapporti di vita che dà il giusto concetto dell’estensione di questo processo di fusione, così come la situazione e il livello della lotta di classe determina la temperatura alla quale esso si realizza (più o meno perfettamente)” (“L’autore come produttore”, pag. 210), possiede l’efficacia in grado di superare le barriere di competenza e di divisione fra lavoro intellettuale e lavoro manuale. Se parliamo di “invadenza” è perché il ruolo della scrittura si pone come sostegno irrinunciabile sia all’immagine sia alla musica, ne diventa il commento sotto forma di “parola solitaria”, di assoluto dotato di senso, più forte del discorso articolato nella misura in cui si pretenderebbe che alla sua “lapidarietà” presunta facesse da correttivo l’evidenza esplicativa delle immagini o delle note. Ma solo il contrario è vero, e l’analisi blanchotiana ha già dimostrato che viviamo in una società fatta ormai solo di parole, e che la potenza dell’immagine è un paravento dietro il quale si nasconde l’intrattenimento infinito di un brusio sommesso e continuo, anonimo, la voce di un corpo collettivo senza soggetto che 115

corrode il senso dispiegandolo senza dimostrarlo mai. Tuttavia, l’emozione contenuta nel commento e che agisce a livello impulsionale sui destinatari mediante una rielaborazione pilotata e prevista in anticipo, ma solo nei margini di una “tendenza” convenuta reciprocamente, produce ricchezza agendo sul fantasma corrispondente allo stimolo in causa e che si identifica sempre con l’efficacia della pulsione aggiornata (cfr. Klossowski – “La moneta vivente”, pagg. 78-79). Se l’opera d’arte risponde a un fantasma specifico del produttore, non necessariamente esige un riscontro univoco nel consumatore: ben lontano dall’essere un semplice strumento, l’oggetto prodotto trova il suo valore d’uso nel tramite del destinatario sul quale si articola organizzando una strumentazione complessiva dei suoi fantasmi. Il passaggio è uno slittamento continuo che diventa un costume condiviso, convenzionale, regolato, accettato sulla parola. Propriamente un gioco di società, il commercio pone i termini della comunicazione. “Mes vrais thèmes sont dictés par un ou 116

plusieurs instincts obsessionnels (ou de nature “obsidionale”) qui cherchent à se prononcer à la fois par une “action” et l’instrument propre à rendre le fait obsessionnel. C’est ainsi que les oeuvres d’imagination sont inséparables de leur instrumentation, tandis que les oeuvres “conceptuelles” sont à leur tour inséparables des premières dans la mesure où elles articulent l’instrument sur leur originalité meme” (Klossowski –“Protase et apodose”, L’Arc n° 43, pag. 10). Dall’uso impulsionale della parola al commento del fantasma suscitato attraverso la convergenza e la specularità delle scene spartite dalle varie arti, assistiamo a una ricostituzione costante e dilazionata dell’immagine stereotipa corrispondente al prodotto fornito. Una serie di modelli, aggiornati tramite l’impiego del progresso tecnico e scientifico, e dunque efficaci in quanto forniti dei requisiti richiesti dal bisogno temporaneo, producono l’effetto corrispondente nell’immediato dell’impiego. Supporti della tonalità dell’anima di cui sono il frutto, durano lo 117

spazio della loro generalizzazione e preparano il terreno per un uso memorizzabile - consuetudinario -degli utensili in quanto oggetti. L’opera d’arte, composto di strumento e di azione, entra a far parte di un’esperienza che non trova riscontro nel mondo dei fenomeni se non in qualità di simulacro di essi - così, è in questo modo che i fenomeni supportano la modificazione percettiva di sé e ne assumono i segni. Non c’è dubbio che per Benjamin resta sempre l’irriducibile di un margine incolmabile, una scollatura, fra il reale e l’impiego dell’opera per trasformarlo. L’apparente coincidenza pragmatica, attiva, che sovrapporrebbe alla fine, in una specie di circolo legato da tanti parti scissipari, l’opera precedente all’azione con l’azione prodotta dall’opera sull’opera stessa, non si dà mai e in nessun caso in quanto il costume derivato non include l’opera che per caduta, come residuo improduttivo perennemente scentrato rispetto al tempo normale dell’uso. Non significa voler riservare a tutti i costi all’opera un luogo sovrano, a parte, il ruolo di una macchina provvidenziale, bensì essa è diventata, 118

per mezzo di una torsione completa, il sogno stesso dei suoi frutti. Coincidenza flagrante del mito, sia in Benjamin che in Klossowski, e fondo teologico comune. La concezione della Storia come ritorno a una verità perduta tramite la rivoluzione (il movimento a ritroso dell’angelo) si sintetizza nel salto della tigre nel passato (il movimento rivoluzionario benjaminiano), al quale fa eco l’idea di Bataille secondo il quale “l’atto sessuale è nel tempo ciò che la tigre è nello spazio” (Bataille — “La parte maledetta”, pag. 63). La dinamicità è solo superficiale, poiché si tratta del dispiegamento di un unico segno colto nello spazio e nel tempo come immobile, dunque senza verso come un tableau. I disegni di Klossowski, gli angeli di Klee, obbediscono alla stessa passione stereotipata che fa scrivere a Benjamin le due versioni di “Agesilaus Santander” e a Klossowski “Le leggi dell’ospitalità”. L’evidente “autobiografismo” di questi testi, i quali illustrano un fatto vissuto realmente - anche se bisogna fare molta attenzione nel voler sovrapporre tout court gli autori ai loro personaggi 119

(pongono infatti la legittimità del direttore di coscienza) - fa assurgere un’esperienza individuale allo stato di destino eccezionale, cioè all’idea nietzschiana del caso unico nel suo genere, realizzatosi per convergenze straordinarie, e da studiare in vista di una generalizzazione. Il segno unico sotto il cui imperativo Klossowski scrive, è lo stesso che spinge Benjamin a costruire un’opera labirintica e occulta, legata così strettamente all’esistenza travagliata della persona da mascherarla nella trasfigurazione della propria identità e di quella delle donne amate. Se decidiamo di leggere Benjamin solo attraverso la molla segreta del suo metodo, che sorte subiscono le sue “parole”? Supponiamo che Benjamin indichi con la nozione di “tecnica”, con cui ha designato “quel concetto che rende i prodotti letterari accessibili a un’analisi sociale diretta, e quindi materialistica” (“L’autore come produttore”, pag. 201), il corpo stesso dell’artista il quale impiega la sua sensibilità attraverso il filtro dei mezzi tecnici moderni che ha a disposizione: si tratterebbe insomma di 120

un terminale di “tendenza”, sintesi operativa e riproduttiva, capace di modificare il mezzo - inteso come insieme di stimoli esterni senza valore d’uso - in funzione delle pulsioni maggiori. In altre parole, la tendenza contenuta nella creazione dei “mezzi” verrebbe liberata scatenata - mediante i fantasmi che conteneva anteriormente in attesa di un uso efficace nel campo della produzione. La normalizzazione di tali intensità, ossia il canalizzarle in una tendenza qualsiasi, equivarrebbe alla strumentazione tecnica legata all’intermittenza dell’impulsionalità. All’interno di una pratica sociale, così come la concepisce Benjamin, l’azione operante presuppone l’esistenza di un substrato fantasmatico preesistente (la classe operaia) già formata in vista dell’apprendimento di una serie di “stereotipi” destinati a diventare il terreno necessario all’edificazione di un valore proletario. Il rinnovamento spirituale (ibid., pag. 207) auspicato dai fascisti e che Benjamin rifiuta a favore di “innovazioni tecniche” (ibid., pag. 207), non differisce in realtà dalla sua idea di autore come produttore 121

che nell’impiego del corpo di questo insomma, la nozione brechtiana di Erlebnisse (esperienze vissute), anteposta all’interiorità borghese tradizionale dell’artista, si mantiene solo a patto che l’azione del produttore converga e si sviluppi al di fuori della sua stanza da lavoro in un gesto pubblico, interno alle “istituzioni” produttive. In questo caso, appare chiaro che l’ambizione dell’artista borghese tocca qui il suo apice. Come coscienza, non si limita più alla critica, ma pretende anche di determinare le modalità materiali di questa. Il mondo diventa davvero un sogno, e il malinteso che rende sospetto l’attivismo brechtiano sta tutto nella pretesa di agire ancora su una realtà esterna per modificarla, mentre è proprio la cosiddetta realtà che, fin dalla stessa analisi di Benjamin, impone i suoi sogni - i fantasmi - negli strumenti che li producono, gli oggetti (l’arte). La strumentazione trova negli stereotipi i vari campi d’azione: il tableau, così centrale in Brecht, ne è in effetti l’espressione più chiara. Da una serie di immagini immobili, del tutto prive di dinamicità interna - insolubili - egli deriva 122

il movimento dialettico del suo pensiero: “il teatro epico - ha spiegato Brecht -non deve tanto sviluppare azioni quanto presentare situazioni. Egli ottiene queste situazioni (…) in quanto fa interrompere le azioni. ...Qui (e cioè nel principio dell’interruzione) il teatro epico adotta (…) un procedimento che negli ultimi anni il cinema e la radio, la stampa e la fotografia hanno reso (...) familiare. Parlo del procedimento del montaggio: il pezzo montato interrompe il contesto in cui viene montato” (ibid., pag. 213). Questa tecnica (indicheremo brevemente la notevole coincidenza col procedimento sadiano) definita “epica”, e che “tende sempre a impedire l’illusione da parte del pubblico” (ibid., pag. 213), si dimostra tuttavia limitata se la si vuole confinare soltanto alla sua funzione dialettica, ossia alla distanza che interpone tra sé e la realtà, mentre invece acquista una forza tutta nuova in quanto produzione di stereotipi verso i quali non è necessario assumere una posizione critica soltanto, ma soprattutto rende possibile, in quanto forza impulsionale appunto, l’estraniamento dalla sua stessa morale 123

didattica, fosse anche la sua mancanza, verso lo scatenamento effettivo delle pulsioni - dimostrando così come sia proprio dal temporaneo sonno della ragione e dell’esercizio (cfr. ibid., pag. 214), effetti costantemente ricercati dal teatro epico e da Brecht, che possono scaturire finalmente i mostri compensatori. Davvero qui si parla d’altro, si parla dell’impossibile. Ma i termini designati sono ben lontani da ogni tipo di metafisica o di trascendenza - se l’uomo resta ancora il centro di tutto, e tradisce il fondo teologico che l’Umanesimo traveste di carne nella sua propaggine estrema che è il marxismo, tuttavia quel che cade è in definitiva il valore, la consistenza dell’azione, l’efficacia attribuita al giudizio, dunque a un costume derivato dall’organizzazione statale, dalla morale. Di tutto ciò non resta traccia, e Benjamin lo avverte alla perfezione quando constata che “le vibrazioni del diaframma sogliono offrire al pensiero occasioni migliori di quelle dell’anima. Il teatro epico abbonda di una cosa sola - appunto di occasioni per il riso” (ibid., pagg. 214-215). Ecco la forza 124

propulsiva del teatro brechtiano, oltre la caducità già tutta consumata del velleitarismo politico. Stabilito dunque che la tecnica diventa la funzione dell’opera d’arte sul corpo stesso del produttore, cioè l’utensile mediante il quale le intermittenze impulsionali trovano una strumentazione nel campo dell’azione secondo il continuo aggiornamento della pulsione, l’obbedienza (la costrizione) al “segno unico” da parte dell’autore - là dove il segno unico non ha importanza per quel che nasconde ma solo per quel che è in sé - determina la generalizzazione degli stereotipi i quali non sono mai e non possono essere il risultato di un qualsiasi conflitto di classe. Essi fondano una società, un costume, senza derivare da moduli precedenti e senza modificarli se non nella misura in cui il commento di un testo modifica il testo stesso. La non comunicabilità stabilisce dunque l’unica relazione possibile fra il lavoro dell’autore e l’oggetto applicato al sociale, impiegato come stereotipo dimostrativo in vista di una sensibilità necessariamente esterna alla scena che descrive (il V-Effekt). La 125

parola dell’autore, dunque, “deve essere ancora e sempre spazio, e questo spazio della parola, nella parte che è quella della scena, è destinato non tanto a produrre, ma a raccontare la violenza dell’azione o la violenza inattiva del dialogo. (…) Quasi che la parola restasse un evento raro, meraviglioso e pericoloso, quasi che la parola teatrale fosse ancora a metà strada fra la silenziosa impassibilità degli dèi e l’attività parlante e sofferente degli uomini” (Blanchot –“L’infinito intrattenimento”, pagg. 488-489). Quel che si cela dietro il segno unico (di Benjamin, di qualunque altro autore) è ciò che parla al di là del soggetto, è realmente lo spossessamento comunicativo che assegna tutti i diritti alla tecnica, ovvero a quel “linguaggio quasi senza soggetto” (ibid., pag. 489) che liquida la paternità e la maternità in funzione del mito. Ma il mito è ormai, per Benjamin, l’acquisizione effettiva dei mezzi di produzione, della tecnica intesa come capacità collettiva di rispondere agli stimoli innumerevoli dei quali è in definitiva composta l’opera d’arte - tale tecnica è la “critica” stessa, l’analisi 126

materialistica del fenomeno, l’arma immediata (non-mediata) generalizzabile, un costume percettivo che deve trasformare ogni manifestazione culturale di massa in una “riunione politica”. Insomma, mito come interpretazione costante di un sociale in perpetua modificazione in funzione stessa del mito corpo autonomo collettivo produttore che riceve gli stimoli in quanto pulsioni ormai connaturate in un costume, cioè in quanto ricchezza che cementa il sociale per mezzo della persistenza del fantasma originario e unico. Il nuovo commercio è dunque quello degli stereotipi, delle immagini in quanto situazioni come scene-limite, tramite le quali è possibile comunicare gli stadi impulsionali collettivi con un linguaggio generalizzabile. La produzione di simili simulacri si avvale di un sapere politecnico assunto come tendenza, o, più semplicemente, come constatazione realista di uno stato diffuso (realista nella misura in cui è riconosciuto in presenza). Una società che assume i propri fantasmi come regole, ponendoli a fondamento del proprio meccanismo produttivo, non è l’utopia ma la 127

dimostrazione stessa, l’acquisizione di una tendenza già esistente e, in parte, fattiva. L’elasticità straordinaria del Capitalismo oggi assomiglia molto a questo quadro tracciato sotto l’apparenza di schemi classisti e marxisti (cfr. tutta l’opera baudrillardiana). D’altra parte, è evidente che la morale o una qualsiasi religione non trovano più posto in un organismo societario di questo genere. Il tramonto definitivo dell’impresa societaria a carattere religioso (cfr. Bataille – “La parte maledetta”) si dimostra come un dato acquisito. Il commercio dello stereotipo - la tecnica - trova il proprio uso strumentale nell’articolarsi su una serie limitata di situazioni riconosciute come maggiori. La società le elabora a partire dai propri fantasmi impulsionali, i quali rispecchiano i molteplici nodi delle massime preoccupazioni contemporanee, e riconosciuti i simulacri corrispondenti, stabilisce un valore d’uso delle emozioni relative. Lo studio dello stereotipo permette di riconoscere non solo le costanti ossessive di un gruppo sociale, ma anche e soprattutto i processi conseguenti sui quali tale gruppo - o 128

addirittura un intero popolo - costruisce il gusto. La non-coincidenza fra gli oggetti prodotti e i loro fantasmi è sintomatica e ineliminabile, e sta a indicare lo scarto, la fessura, che permettono il margine riservato alla risposta, cioè al gioco al rialzo insito nella regola. Il commercio contiene già in sé la ricchezza pur non essendola propriamente: in effetti, esso la rende possibile poiché provvede, con la promessa della sua immutabilità sostanziale, ad assicurare la tendenza al bisogno dei mezzi di produzione e di assistenza, ossia dei beni di sostentamento. La produzione industriale è il grande fantasma che sta al posto della macchina impulsionale, e la occulta profondamente nella misura in cui essa vi si dissimula. In questo quadro, il ruolo dell’autore come produttore acquista tutta la sua chiarezza innovatrice: esso permette al genere umano di avvicinarsi sempre più sensibilmente alla sua domanda fornendogli una risposta non richiesta - in altri termini, l’insistenza della domanda elimina ogni altra risposta, la provvidenzialità dello stato decade. L’atto 129

dell’autore resta ancora del tutto isolato forse anonimo - poiché accede infine a “l’automatisme des stéréotypes industriels” (Klossowski – “Protase et apodose”, L’Arc n° 43, pag. 16): infatti, la tecnica gli permette la disponibilità di una serie di scene che formano le azioni ossessive sulle quali può esercitare a piacimento gli strumenti della produzione. Da questo momento l’opera si consegna ai fruitori mediante la continuità del segno unico (la tendenza) generalizzato, diventato costume.

Opere citate Bataille - La parte maledetta Baudrillard - Della seduzione Lo scambio simbolico e la morte

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Benjamin - Agesilaus Santander L’autore come produttore Blanchot - L’infinito intrattenimento Deleuze - Logica del senso Derrida - La scrittura e la differenza Foucault - Scritti letterari Klossowski - La moneta vivente Le leggi dell’ospitalità Nietzsche e il circolo vizioso Protase et apodose Sade prossimo mio Perniola - La società dei simulacri L’iconoclasma erotico di Bataille INDICE L’EVENTO COME DESTINO pag. 7 I. La trasgressione della poesia 131

pag. 9 II. La coppia come sillogismo disgiuntivo pag. 18 III. Amor fati pag. 29 IV. La moneta societaria pag. 35 IL VERSUCHER pag. 41 Dinamica del valore impulsionale L’Eterno Ritorno pag. 43 L’Editto I. Sade e Fourier pag. 47 II. Il fantasma e l’oggetto pag. 64 III. Glossa su Roberte pag. 70 IV. Il Complotto pag. 73 LA MONETA VIVENTE DA BENJAMIN A KLOSSOWSKI pag. 81 Che cos’è la Moneta Vivente L’autore e il nuovo commercio pag. 83

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