Pensiero Rivelato

September 20, 2017 | Author: Lorenzo Levati | Category: Nonverbal Communication, Facial Expression, Emotions, Self-Improvement, Cognitive Science
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Pensiero rivelato...

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Dott.ssa Michela Baroni. Laureata in Odontoiatria all‟università di Roma “Tor Vergata”. Esclusivista in ortognatodonzia, svolge la libera professione in Roma.

Dott. Giuseppe Ranaldo. Laureato in Odontoiatria all‟università di Roma “Tor Vergata”. Appassionato di comunicazione, emozioni, Pnl, linguaggio del corpo e ipnosi. Libero professionista in Roma.

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PREFAZIONE………………………………………………………………….pag. 4 INTRODUZIONE……………………………………………………………...pag. 6

I.

AL CORPO NON SI COMANDA…………………………………………pag. 10          

II.

IL VISO NON MENTE……………………………………………………….pag. 25           

III.

Le espressioni facciali La tristezza La rabbia La sorpresa La paura Il disgusto Il disprezzo La felicità Il dolore Il comportamento emotivo Per riassumere…

IL POTERE DELLA PNL……………………………………………………pag. 40     

IV.

Il modo di stare seduti e le gambe Le mani e le braccia La testa e il collo Gli occhi La bocca Atti di rifiuto Atti di scarico della tensione La prossemica L‟odontoiatra di famiglia Per riassumere…

I sistemi rappresentazionali Il rapport Il ricalco La guida Per riassumere…

LA MAGIA DELLE PAROLE………………………………………………pag. 50       

Il paziente: esperienza e linguaggio Il metamodello Le generalizzazioni Le cancellazioni Le distorsioni Il Milton Model La psicolinguistica

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 Per riassumere…

V.

L‟INCANTESIMO DELLA PERSUASIONE (prima parte)…………..pag. 68       

VI.

L‟arte della persuasione di Aristotele Attenzione, prego L‟Ascolto attivo Il tavolo delle trattative Le obiezioni I metaprogrammi Per riassumere…

L‟INCANTESIMO DELLA PERSUASIONE (seconda parte)……….pag. 82        

Reciprocità o regola del contraccambio Simpatia Impegno e coerenza Riprova sociale Autorità Scarsità Le nostre scelte Per riassumere…

CONCLUSIONE………………………………………………………………pag. 94 APPENDICE A: LA VOCE…………………………………………………...pag. 97 APPENDICE B: LA VISUALIZZAZIONE…………………………………...pag. 102

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PREFAZIONE Negli ultimi anni il cinema e la televisione hanno proposto frequentemente storie di personaggi accattivanti e al contempo affascinanti esperti della mente umana. In serie tv come “Dr house”, “The mentalist” e “Lie to me” i protagonisti non sono più semplici medici, detective o psicologi ma uomini capaci di interpretare e manipolare il comportamento dei loro pazienti, indagati, testimoni e clienti. Il crescente successo di questi serial ha portato all‟attenzione del grande pubblico una figura particolare che fa della mente umana il fulcro del suo lavoro: il mentalista. Il mentalismo, nell‟accezione classica, è stato praticato per anni esclusivamente nell‟ambito dell‟illusionismo, rimanendo strettamente correlato con l'arte magica e con i misteri e i prodigi della mente. Gli illusionisti mentalisti utilizzano i cinque sensi per creare l'illusione di possederne un sesto grazie al quale intrattengono il pubblico con numeri in cui sono in grado di leggere il pensiero (telepatia), percepire qualcosa che è ignoto a chiunque altro (chiaroveggenza), sapere qualcosa prima che accada (precognizione) e dimostrare il potere della mente sulla materia (psicocinesi). In tempi recenti il mentalismo si è distaccato dalla magia classica ed è divenuto una disciplina che si avvicina molto alla psicologia e sfrutta tecniche di comunicazione subliminale. Il mentalista moderno è colui che usando attentamente l‟osservazione, l‟acutezza mentale e la suggestione riesce a manipolare le scelte della persona che ha di fronte. Fulcro di queste capacità sono lo studio approfondito della psicologia cognitiva, dell'ipnosi, del condizionamento inconscio, delle emozioni e del linguaggio del corpo coadiuvate da tecniche di comunicazione e persuasione. Fra tutte le attività comunicative e persuasive a cui l‟uomo si dedica, la magia resta probabilmente la più complessa. Il mago deve innanzitutto conquistare e poi controllare l‟attenzione del pubblico, capire che tipo di persona ha di fronte e arricchire lo spettacolo con un po‟ di umorismo per sdrammatizzare e allontanare la tensione. Al contempo deve saper ascoltare con attenzione e usare le parole giuste, fare in modo che gli altri ricordino ciò che lui vuole e soprattutto ottenere la fiducia del suo pubblico affinché sia ben disposto nei suoi confronti. Tutto questo per convincere lo spettatore a vincere l‟incredulità e a lasciarsi intrattenere. Se vogliamo anche il rapporto medico-paziente segue un iter molto simile. Per ottenere la fiducia dell‟assistito, esporre le varie soluzioni terapeutiche e farsi seguire 4

nel percorso di cura l‟odontoiatra deve prima capire che tipo di persona ha di fronte, poi conquistare la sua attenzione attraverso le parole ed infine aiutarla a vincere le sue paure. E se il mentalismo aiuta il mago ad intrattenere il suo pubblico, può giovare anche all‟odontoiatra per curare i suoi pazienti?

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INTRODUZIONE Mai come nell‟attuale contesto storico il nostro Paese vive in uno stato di profondo disagio. La professione odontoiatrica, al pari e forse più di altre, è costretta a “navigare” in un mare perennemente agitato. La crisi economica ha portato un ridimensionamento

massiccio

delle

aspettative

lavorative

ed

economiche

del

professionista. I giovani hanno sempre maggiori difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro. I grossi centri low cost, sfruttando un uso serrato del marketing e della pubblicità, hanno invaso il mercato della sanità privata con un abbattimento dei costi delle prestazioni e calo della qualità. La piaga dell‟abusivismo, nonostante gli sforzi delle associazioni di categoria, non è ancora completamente debellata e la diffidenza del cittadino verso il professionista sanitario è in continuo aumento (basti pensare alla crescita esponenziale delle cause civili). Tutti questi fattori hanno portato ad un lento e preoccupante inaridimento intellettuale e psicologico della nostra figura e a un declassamento dell‟odontoiatra da medico a “tecnico” della bocca. Dobbiamo dunque riappropriarci della dignità che contraddistingue la nostra professione, finalizzata a curare la persona andando oltre la mera tecnica: in quanto intellettuali, possiamo e dobbiamo essere dei cultori del paziente prima di tutto come uomo. Spinto da questa idea mi sono avvicinato allo studio della mente e delle emozioni e ho scritto queste pagine perchè credo fermamente che possa condurci alla risoluzione di alcune problematiche che affliggono la disciplina a cui ho dedicato con passione anni di studio e di lavoro. Il Dentista Mentalista è un nuovo modo di concepire la professione in cui è il “paziente nella sua totalità” ad essere messo al centro dell‟attenzione. Attraverso discipline come la PNL, la Linguistica, la Comunicazione Non Verbale (CNV), le Microespressioni, l‟Ipnosi e le Tecniche di persuasione possiamo scandagliare ogni particolare comportamento del malato e portarlo verso la consapevolezza della propria situazione. Molto spesso a determinare la collaborazione, la fiducia e quindi la soddisfazione del paziente è proprio la cura che rivolgiamo alla comunicazione. La capacità di stabilire un‟interazione comunicativa chiara e diretta è l‟unico sistema veramente efficace per ottenere l‟attenzione e la disponibilità necessarie a garantire la riuscita di un

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trattamento. Il paziente vuole essere capito e trattato come un individuo con le sue specifiche peculiarità e difficoltà che lo contraddistinguono dalle altre persone. Questo testo si pone quindi tre obiettivi: Capire, Comunicare, Convincere. I primi due capitoli ti aiuteranno infatti a CAPIRE il tuo paziente. Il capitolo 1 tratta del linguaggio del corpo: l‟unico linguaggio universale, scevro da condizionamenti e assolutamente veritiero. Leggere i piccoli gesti involontari ci dà modo di conoscere la personalità e i lati nascosti degli altri. Grazie a questa capacità puoi migliorare o cambiare il rapporto con i tuoi assistiti. Il capitolo 2 affronta un aspetto particolare della comunicazione non verbale: le espressioni facciali. Negli ultimi 40 anni, la psicologia delle espressioni umane è stata un campo di ricerca molto attivo ed è grazie a queste ricerche che oggi puoi riconoscere le emozioni provate dall‟interlocutore semplicemente “leggendo” il suo viso, a volte ancor prima che ne sia cosciente. Il terzo ed il quarto capitolo ti serviranno invece per COMUNICARE efficacemente con il tuo paziente. Il capitolo 3 riguarda la PNL: un insieme di tecniche psicologiche, a cavallo tra comunicazione e trasformazione, nate negli anni 70 dallo studio di come i più grandi psicoterapeuti del periodo riuscissero a entrare in sintonia con i propri pazienti, inducendo in loro cambiamenti profondi e duraturi. Il capitolo 4 si focalizza sulla linguistica: un argomento fondamentale per il libero professionista continuamente a contatto con le persone. Verrà analizzato il forte impatto che le parole hanno sugli altri e il modo di usarle per migliorare la comunicazione. I capitoli 5 e 6 ti serviranno invece per CONVINCERE il paziente. Essi approfondiscono

infatti

la

persuasione:

un

argomento

fondamentale

per

un

professionista come l‟odontoiatra che, nel suo studio, oltre a essere un operatore sanitario è anche manager di se stesso e capo della sua attività. Vengono analizzate quindi tecniche di negoziazione e persuasione prese in prestito dalla sociologia, dall‟economia e dal marketing, adattate al tuo contesto di “piccola impresa” odontoiatrica. Nel rapporto tra medico e paziente, i modi e i contenuti della comunicazione hanno una delicatezza e un peso maggiore rispetto a quanto avviene in quasi tutte le altre interazioni comunicative di tipo professionale. Qualsiasi azienda con un alto livello di profitto dedica tempo e risorse alla formazione del personale nelle abilità di relazione.

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La stessa attenzione viene dedicata anche da tutti coloro che lavorano nel campo della televisione, della radio, del cinema e dello spettacolo: si dà per scontato che le capacità comunicative di chi si “espone” ad un pubblico debbano essere sviluppate e raffinate. Non appare però altrettanto scontato che anche i professionisti della salute debbano venir formati in queste abilità con il malato. Gli odontoiatri, nel corso della loro professione, si trovano a dover interagire con pazienti e familiari, a rivolgere loro numerose domande ed a formulare altrettante risposte, a fornire indicazioni ed a relazionarsi con colleghi, assistenti, tecnici e rappresentanti. E l‟oggetto della loro comunicazione non sono chiarimenti su “servizi e prodotti”, come avviene in un qualsiasi negozio, ma piuttosto informazioni sullo stato di salute, sulle possibilità di guarigione, sul decorso di malattie più o meno dolorose o gravi. Nell‟ambito medico quindi, più che in qualunque altro settore professionale, la capacità di comunicare una diagnosi o un percorso di cura senza provocare traumi e sofferenze inutili dovrebbe diventare un‟ arte alla portata di tutti.

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Capitolo I

AL CORPO NON SI COMANDA

“Dalle unghie di un uomo, dalle maniche della sua giacca, dai suoi stivali, dai calli sulle mani, dai polsini della camicia, dalla sua espressione, dai suoi movimenti, da tutte queste cose si capisce l’occupazione di una persona. E’ pressochè inconcepibile che, tutte insieme, non riescano a illuminare un investigatore esperto.”(Sherlock Holmes)

La lingua elementare, quella che tutti conoscono senza averla mai realmente imparata, è la comunicazione non verbale. Sguardi, espressioni del viso, movimenti delle mani, posizione delle gambe, inflessione della voce sono mezzi di comunicazione spesso più efficaci delle parole stesse. Ci trasmettono molte informazioni relative all‟atteggiamento interiore, allo stato d‟animo, ai sentimenti e alle intenzioni di chi ci sta di fronte. La comunicazione non verbale (CNV) comprende: la paralinguistica, o “Sistema vocale non verbale”, cioè l'insieme dei suoni emessi nella comunicazione verbale, indipendentemente dal significato delle parole (APPENDICE A); la cinestetica, ossia gli atti comunicativi espressi dai movimenti del corpo quali il contatto visivo (movimenti oculari), la mimica e le espressioni facciali, i gesti (in primo luogo quelli compiuti con le mani) e la postura;

la prossemica, ovvero il modo in cui le persone tendono ad

occupare lo spazio e a disporsi in esso; l‟aptica, cioè i messaggi comunicativi espressi tramite il contatto fisico (la stretta di mano, il bacio sulle guance come saluto tra amici e parenti, l‟abbraccio, la pacca sulla spalla). Un vero professionista dovrebbe sempre rivolgere la sua attenzione, non solo al racconto del paziente, ma anche ai suoi segnali non verbali, che possono essere indizi di ansie, paure, bugie e reticenze che risultano molto utili nell‟approfondimento del colloquio e nella determinazione del trattamento. La sensibilità verso questo linguaggio si traduce in una reazione positiva da parte del malato che incrementerà la stima e la fiducia nei confronti del medico.

La comunicazione non verbale è quella parte della comunicazione che comprende tutti gli aspetti di uno scambio comunicativo che non riguardano il livello puramente semantico del messaggio.

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Uno studio condotto nel 1972 da Albert Mehrabian ha mostrato che ciò che viene percepito di un messaggio è costituito per il 55% dal linguaggio del corpo (cinestetica, prossemica ed aptica), per il 38% dall‟aspetto vocale (paralinguistica) e solo per il 7% dall‟aspetto puramente verbale (parole). L‟efficacia di un messaggio dipende quindi in minima parte dal significato letterale di ciò che viene detto, mentre è influenzato pesantemente dai fattori di comunicazione non verbale che risultano così più attendibili.

COMUNICAZIONE VERBALE

7%

PARALINGUISTICA 38%

LINGUAGGIO DEL CORPO 55 %

La comunicazione non verbale veicola il 93 % del significato complessivo del messaggio che vogliamo trasmettere.

Può accadere però che ciò che vediamo e sentiamo non rispecchi necessariamente il vero stato d‟animo delle persone. Per evitare fraintendimenti è necessario considerare sempre il Complesso, la Coerenza e il Contesto dei segnali che leggiamo nell‟interlocutore (regola delle 3 C). Innanzitutto leggi i segnali non verbali nel COMPLESSO. I gesti rappresentano le “parole” del linguaggio corporeo e come queste possono avere più significati. Solo quando si combinano insieme compongono delle “frasi” che svelano i veri sentimenti delle persone. E‟ indispensabile osservare i gesti nel loro insieme: la regola generale per poter estrapolare un significato attendibile dalla CNV di una persona, senza cadere 11

in errore, è considerare almeno tre segnali congruenti, che abbiano cioè un significato simile. Il secondo presupposto fondamentale per poter interpretare correttamente i vari segnali è la COERENZA. Verifica che il messaggio verbale, ovvero ciò che dice l‟interlocutore, sia coerente con il messaggio del corpo e in caso di mancata corrispondenza puoi dare maggior peso alla CNV. Tutti i gesti infine devono essere valutati nel CONTESTO in cui vengono effettuati. Cerca di interpretare l‟atteggiamento assunto dall‟interlocutore tenendo conto dei fattori esterni che possono condizionarlo. Non necessariamente ad esempio una postura di chiusura denota rigidità nei tuoi confronti, dato che potrebbe essere una posizione scelta per comodità o abitudine. Ricorda quindi di escludere sempre tutte le alternative e di non trarre conclusioni frettolose da pochi indizi. Ricorda la regola delle 3C per interpretare la CNV: Complesso + Coerenza + Contesto

Tieni a mente un altro concetto molto importante: il linguaggio del corpo è un sistema bidirezionale. Alcuni atteggiamenti e stati d‟animo si esprimono inconsciamente attraverso determinate posture e movimenti; allo stesso tempo assumere certe posture o fare certi movimenti può condizionare di riflesso il nostro stato interiore. Il tuo obiettivo è quello di interrompere questo circolo vizioso quando comporta un atteggiamento sfavorevole dell‟interlocutore, oppure mantenerlo quando ne implica uno favorevole. Per esempio di fronte a un paziente che mostra un atteggiamento di chiusura devi cercare di portarlo verso una posizione di apertura e rilassatezza, che non ostacoli i tuoi tentativi di approccio. Allo stesso tempo dovrai stare attento a calibrare la tua CNV: evita i gesti che generano sentimenti negativi e di sfiducia e prediligi invece quelli che suscitano sicurezza e padronanza della situazione, che invitano allo scambio, e che sono utili per creare rapport con il paziente. Il linguaggio del corpo è un sistema bidirezionale: lo stato d’animo influenza il corpo e il corpo influenza lo stato d’animo.

Vediamo ora come il corpo ci parla attraverso la postura e i movimenti, concentrandoci dapprima sulle gambe, quindi sulle braccia e sulle mani, ed infine sul

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collo e sulla testa con particolare riferimento agli occhi e alla bocca, che sono le parti più espressive del corpo.

IL MODO DI STARE SEDUTI E LE GAMBE Lo stare seduti consente al corpo di rilassarsi e di alleggerire la tensione. Tuttavia possiamo cogliere molti indizi utili guardando una persona seduta, specialmente se non si sente osservata. In questo senso, la sala d‟attesa è una fonte preziosa di segnali genuini che i pazienti involontariamente lanciano, e che possono essere colti solo da personale esperto o quanto meno informato a riguardo. Ecco alcuni esempi dei segnali più significativi. Una persona che prende posto con tutto il peso del proprio corpo ed occupa l‟intera superficie della sedia è generalmente ferma sulle sue posizioni, si trattiene e non si lascia congedare facilmente. Al contrario un paziente che si limita a sedersi cautamente sul bordo, con il baricentro spostato in avanti ed in linea con le piante dei piedi, si trova in una posizione che gli permette di alzarsi in qualsiasi momento. Questa posizione puo‟ avere un duplice significato: può indicare una persona in procinto di andarsene e pronta quindi a chiudere qualsiasi discorso, oppure pronta ad essere utile in qualsiasi momento verso l‟interlocutore e a rimettersi ai suoi desideri. Chi si affloscia in poltrona è una persona che manca di tenuta e stabilità interiori, di direzionalità e di volontà. Un breve sollevarsi e risistemarsi sulla poltrona invece esprime disagio e desiderio di andarsene. La posizione della parte superiore del corpo, da seduti così come in piedi, può indicare vitalità se ci si mantiene dritti oppure passività se si rimane piegati su se stessi. O ancora interesse se ci si inclina verso l‟interlocutore oppure distacco se si resta appoggiati all‟indietro. Le gambe e i piedi sono una parte cruciale nella CNV in quanto sono difficili da controllare volontoriamente e quindi trasmettono molti più segnali rispetto al resto del corpo. Una persona seduta che incrocia i piedi all‟altezza del malleolo probabilmente sta trattenendo un sentimento negativo, ma se li avvinghia alle gambe della sedia, siginifica che resterà ancorata alle sue posizioni e difficilmente cambierà idea. Da una ricerca condotta su 319 pazienti odontoiatrici risulta che l‟88% incrocia le caviglie non appena si siede sulla poltrona. Quelli che devono fare solo un visita di controllo le

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incrociano nel 68% dei casi, ma la percentuale sale al 98% nel caso di pazienti che devono essere sottoposti a un‟iniezione. Quando una persona incrocia le gambe o le braccia (o entrambi) ci sta inviando un chiaro segnale di chiusura e probabilmete si sta ritirando dalla conversazione da un punto di vista emotivo. Quelle appena citate sono infatti tutte posizioni di protezione: le braccia chiuse proteggono il cuore, le gambe proteggono i genitali. Da uno studio è emerso che chi siede in questa posizione usa frasi più brevi, rifiuta più proposte e ricorda meno particolari di una discussione. Una variante delle gambe incrociate è la posizione del quattro americano in cui il malleolo di una gamba poggia sul ginocchio dell‟altra, e denota un atteggiamento competitivo e polemico, con la tibia di traverso che funge da barriera di protezione. Una postura tipica dei liberi professionisti (medici, avvocati, commercialisti) che si ritengono superiori, dominanti e sicuri di se è lo stare seduti con le mani dietro la testa e i gomiti puntati verso l‟esterno. Chi la usa vuole dimostrare quanto è bravo e competente ma ha l‟effetto negativo di indispettire, e a volte intimorire, l‟interlocutore. Infine quando una persona è in ansia o si sente in colpa o semplicemente vuole andar via dirige le gambe e i piedi verso una potenziale via di fuga, come una porta, un atrio e perfino una finestra. Se invece è interessata ad un argomento o situazione dirige le gambe verso l‟oggetto dell‟interesse. Osserva una persona seduta: l’inclinazione della testa, l’orientamento del busto, la posizione delle gambe e dei piedi ti svelano la sua disposizione interiore.

LE MANI E LE BRACCIA Attraverso le mani tocchiamo il mondo e ne abbiamo una rappresentazione più precisa. E‟ scientificamente provato che il cervello ha più connessioni nervose con le mani che con qualsiasi altra parte del corpo; ma al contempo sono (insieme alle gambe) la parte del nostro corpo più lontana dal sistema nervoso centrale e quindi la più difficile da controllare. Pertanto i gesti e le posizioni delle mani ci rivelano molte informazioni sullo stato emozionale di una persona. Generalmente una posizione rigida delle braccia e delle mani costringe a un‟inibizione del vissuto e riduce lo scambio di relazioni con l‟ambiente.

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La mano aperta, cioè che mostra il palmo, denota fiducia e disponibilità ad agire pacificamente e con buone intenzioni. Chi porge un‟ argomentazione o una proposta con la mano aperta invita sempre allo scambio e lascia all‟altro la facoltà di scegliere liberamente. Al contrario la mano coperta, cioè che mostra il dorso, è indice di autorità, ma anche di chiusura emotiva dovuta magari ad insicurezza oppure al tentativo di nascondere qualcosa. Le mani giunte con le dita incrociate tra loro esprimono un atteggiamento controllato, ansioso e negativo. E‟ una posizione assunta da chi si accorge di non essere convincente o da chi ritiene che sta perdendo fiducia e credibilità verso l‟interlocutore. La mani a guglia, con i polpastrelli poggiati gli uni sugli altri, indicano superiorità e sicurezza di se ma allo stesso tempo anche che si è disponibili a trovare un punto di contatto. I pugni chiusi, a prescindere dal tono della voce e dalle parole del discorso, tradiscono l‟aggressività dell‟interlocutore. La mano chiusa col dito puntato viene usata simbolicamente come “mazza” per bacchettare e sottomettere gli ascoltatori. Inutile dire che, a livello inconscio, suscitano solo sentimenti negativi.

Le mani sono l’estensione della mente e aiutano a descrivere il mondo. Comunica con le mani aperte e mostrane il palmo per trasmettere fiducia.

Anche le braccia hanno un loro codice. Quando l‟interlocutore le mantiene incrociate al petto sta inviando un classico segnale di chiusura: non ha intenzione di aprirsi nè di lasciarsi avvicinare. La posizione di chiusura può essere rinforzata dai pugni chiusi che manifestano inoltre ostilità e atteggiamento difensivo. A volte però può accadere che l‟interlocutore mantenga le braccia incrociate, mentre il resto del corpo denota rilassatezza e apertura. Questo non vuol dire che si sta chiudendo verso di te, ma solamente che sta tenendo a freno la propria attività per ascoltarti con più attenzione. Rimarrà in questa posizione di ascolto finché non vorrà o non dovrà prendere lui stesso una posizione. Una variante delle braccia incrociate è la posizione presa delle braccia dove il soggetto si afferra entrambi gli arti superiori per sostenersi e coprire la parte anteriore del corpo. Questa posizione, che simula un abbraccio, è un modo con cui l‟interessato si chiude e si autoconforta. Secondo uno studio afferrarsi le braccia è comune tra i 15

pazienti nelle sale di attesa di medici e dentisti: è un gesto che suggerisce un atteggiamento controllato e negativo. Un leggero contatto fisico volontario può tornarci utile quando vogliamo far arrivare un messaggio di fiducia al nostro paziente: durante una conversazione toccare lievemente qualcuno sul gomito può infatti triplicare la probabilità di ottenere ciò che si desidera. Questo accade poiché un tocco leggero genera un legame momentaneo tra due persone, creando quindi una sensazione inconscia molto forte. Il contatto però deve essere lieve, deve avvenire in una zona neutra e poco intima (come il gomito) e non deve durare più di tre secondi per non creare disagio. Quindi, quando si saluta qualcuno dandogli la mano, è buona cosa toccarlo lievemente con il braccio sinistro e ripetere il suo nome per dimostrare di averlo capito: questo trucco serve a far sentire importante l‟interlocutore, ad aumentare l‟influenza su di lui e a generare un‟impressione positiva. Le braccia possono essere usate come barriere di difesa psicologica. Se riesci a far sciogliere le braccia incrociate a una persona riusciarai più facilmente anche a scioglierne i dubbi.

LA TESTA E IL COLLO Il cenno col capo è il gesto più comune di assenso ed è una sorta di piccolo inchino. Gran parte delle persone non considera il potere di persuasione insito in tale atto: da alcuni studi emerge che quando l‟ascoltatore annuisce, facendo 3 o più cenni del capo di fila, l‟interlocuotre tende a parlare 3-4 volte più a lungo del solito. Inoltre se i cenni del capo sono lenti vuol dire che l‟interlocutore è interessato al discorso, se invece sono rapidi significa che ha ascoltato abbastanza e desidera terminare il discorso oppure prendere la parola. E‟ buona cosa quindi annuire lentamente e più spesso del solito, evitando quei movimenti inconsci, come scuotere la testa, che vengono percepiti come negazione e rifiuto. Se una persona ti guarda con la testa dritta vuol dire che è per lo più neutrale al tuo discorso. Quando la testa viene sollevata di più e il mento è sporgente, la persona sembra “guardare tutti dall‟alto in basso” e diventa impavida e arrogante. Il mento abbassato, con la testa china, indica un atteggiamento negativo, critico o aggressivo. 16

Se invece inclina la testa di lato, espone collo e gola: questo atto di sottomissione, che fa sembrare la persona più piccola e meno minacciosa, dimostra fiducia e disponibilità ad accogliere ciò che stai dicendo. Se vuoi far parlare di più un paziente e farlo sentire a suo agio, inclina la testa verso di lui e annuisci.

GLI OCCHI In molti casi gli occhi sono la parte anatomica più indicativa e affidabile in tema di linguaggio corporeo, sia perché rappresentano un punto focale del corpo sia perché le pupille non sono controllabili a livello conscio. Il contatto visivo è quindi un fattore determinante in una conversazione. Quando un individuo si trova in uno stato d‟animo positivo le pupille sono dilatate 4 volte più del normale; viceversa se è permeato da uno stato negativo si contraggono a “capocchia di spillo”. Quando una persona sgrana gli occhi richiede probabilmente maggiori informazioni, o perché non ha capito bene o perché ha udito qualche cosa che esula dall‟ordinario e si è incuriosito. Anche gli occhi a fessura segnalano una richiesta di informazioni, ma approfondite e particolareggiate: in questa maniera ci si concentra su un punto e si restringe il focus dell‟attenzione. Quando l‟interlocutore distoglie lo sguardo per parecchio tempo oppure compie un battito palpebrale prolungato tenta inconsciamente di escludere qualcuno dalla propria visuale per noia o disinteresse e sarà quindi infruttuoso proseguire lo scambio di opinioni. I movimenti delle palpebre acelerati indicano che la persona si trova sotto pressione, oppure in uno stato di disagio. Se noti questi movimenti è il momento di cambiare l‟argomento della conversazione.

Il contatto visivo è un fattore determinante per stabilire intesa e fiducia con i tuoi pazienti.

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LA BOCCA Con la bocca parliamo, ingeriamo cibo, veicoliamo emozioni positive e negative. Attraverso la bocca esprimiamo il segnale sociale più usato ma anche sottovalutato dalle persone: il sorriso. Se sorridiamo, gli altri quasi sempre ricambieranno: il riso genera infatti sentimenti positivi in entrambe le parti. Alcuni studi dimostrano inoltre che, quando si ride e sorride regolarmente, gran parte degli incontri avviene in un clima più rilassato, dura più a lungo e ha esito più positivo, oltre a favorire l‟instaurarsi di buone relazioni sociali. Secondo gli studi del neurologo H. Rubenstein, riso e sorriso rafforzano inoltre il sistema immunitario, proteggono il corpo dalle malattie, lo curano, aiutano a far accettare un‟idea, a insegnare meglio e allungano la vita.

Il sorriso è contagioso, distende gli animi e predispone alla collaborazione.

ATTI DI RIFIUTO I segnali di rifiuto sono gesti che una persona esegue inconsciamente per esprimere disaccordo verso l‟interlocutore o verso il discorso che si sta intrattenendo. Vediamone alcuni esempi:  Sfregamento del naso da parte del dito indice con movimento orizzontale. Il soggetto rifiuta l'argomento, il segno, il gesto, il comportamento espresso dall'operatore.  Sfregamento del naso da parte del dito indice con movimento verticale. Il movimento viene eseguito dal basso in alto, a "stappare" le narici come se il soggetto volesse "prendere fiato": l'operatore è stato troppo incalzante.  Spostamento di oggetti lontano da sé. Lo spostamento riguarda piccoli oggetti vicini, generalmente posti sul tavolo o sulla scrivania: il soggetto risponde negativamente ad argomenti, parole, gesti o comportamenti. Se l'oggetto era stato toccato qualche istante prima dall' operatore, allora è questi ad essere giudicato, al momento, come negativo.  Atto dello "spolverare" o "spazzare via" qualcosa da una superficie. Rifiuto istintivo del discorso che il soggetto sta ascoltando. Rifiuto del gesto o del segno espresso dall'operatore.

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 Atto del ripulirsi o spolverarsi. Il discorso dell'operatore è simbolicamente scartato, rifiutato, buttato via. Il soggetto registra come negativa la fonte di stimolazione o l'oggetto della comunicazione.  Raschiamento della gola. Il raschiamento rappresenta un tentativo di espellere od allontanare simbolicamente un argomento, un gesto, un segno, una parola, un fatto, un evento, una persona.  Braccia conserte e gambe accavallate. Tipico atteggiamento di chiusura del soggetto. Tale postura indica una chiusura nei confronti dell'operatore o dell'argomento trattato. La chiusura può nascere da un rapporto mal impostato da parte dell'operatore: occorre infatti cambiare atteggiamento in funzione della tipologia comportamentale del cliente.  Variazione della postura del corpo o del tronco all'indietro. L‟intelocutore si allontana dalla fonte del suo fastidio.

Gli atti di rifiuto sono dei micromovimenti involontari che lasciano trasparire sfiducia e disapprovazione.

ATTI DI SCARICO DELLA TENSIONE Attraverso gli atti di scarico tensionale il paziente ti informa, indirettamente e in tempo reale, in merito alla quantità di tensione accumulata. Consistono nella manipolazione di diverse zonee corporee, correlate in maniera specifica all‟entità della tensione provata. Ad esempio il naso è collegato direttamente con la zona del cervello che governa le emozioni. I pruriti in questa zona quindi esprimono il massimo carico microtensionale, mentre il prurito accusato in zone del corpo sempre più distanti indica una tensione via via minore. Le altre azioni di scarico, come le variazioni posturali, la deglutizione o altre, rivelano la quantità di tensione accumulata solo con una certa approssimazione. E‟ possibile ordinare gli atti di scarico secondo una percentuale decrescente della tensione subita dal soggetto:  Pressione esercitata in prossimità delle narici 100%  Grattamento verticale del naso 100%  Grattamento zona maxillofacciale Vicino al naso 100% - Lontano dal naso 80%  Grattamento zona sopracciliare o palpebrale 40%  Grattamento zona lacrimale 35% 19

 Grattamento frontale 30%  Grattamento occipitale 25%  Grattamento retroauricolare 25%  Grattamento auricolare 20%  Grattamento parietale 20%  Pruriti e grattamento in altri distretti Collo 10% Braccio o spalla 5% Zona sterno-mastoidea 10% Polso 5% Dorso della mano 10% Zona scapolare 5%  Contrazioni muscolari del volto Deglutizione salivare 100% Irrigidimento mascellare 30%-90% Fuga dello sguardo 10%-40%  Suoni del corpo Riduzione del tono della voce fino all'afonia 20-100% Veloce inspirazione o espirazione nasale 30%  Variazioni di postura Dondolio (il soggetto ondeggia, generalmente da seduto) Variazione del baricentro (il soggetto in piedi si appoggia prima su un piede, poi sull'altro cambiando posizione).

I segnali di scarico tensionale costituiscono una vera e propria mappa operativa capace di indicarti quali parole, temi o situazioni causano tensione al paziente.

LA PROSSEMICA La prossemica è una disciplina nata negli anni sessanta, che studia lo spazio e le distanze tra gli individui. Il suo fondatore, l‟antropologo E. Hall, ha osservato che la vicinanza emotiva alle persone con cui comunichiamo è correlata con la distanza fisica che manteniamo da esse ed ha quindi definito quattro "zone" specifiche:

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la distanza intima (0-45 cm) delinea lo spazio personale più importante, quasi come fosse di nostra proprietà, in cui possono entrare solo le persone a noi più vicine da un punto di vista emotivo come innamorati, genitori, coniugi, parenti ed amici intimi;



la distanza personale (45-120 cm) è quella che teniamo rispetto agli amici e ai conoscenti nelle funzioni sociali;



la distanza sociale (1,2-3,5 metri) definisce la distanza che manteniamo quando abbiamo a che fare in prima persona con un estraneo o con tutte quelle persone che non conosciamo molto bene;



la distanza pubblica (oltre i 3,5 metri) rappresenta quella a cui ci collochiamo per sentirci a nostro agio ogni volta che ci troviamo in un folto gruppo di persone.

La distanza fisica che manteniamo dalle persone è proporzionale alla vicinanza emotiva nei loro riguardi.

Nel libro "La dimensione nascosta", Hall osserva che la distanza alla quale ci si sente a proprio agio con le altre persone dipende dalla propria cultura (i sauditi, i norvegesi, gli italiani e i giapponesi hanno infatti diverse concezioni di vicinanza) e dal sesso (i maschi si trovano più a loro agio a lato di una persona, le femmine di fronte). Quando una persona cerca il proprio spazio personale (in palestra, in biblioteca, al cinema) generalmente lo fa in modo prevedibile: cerca di solito lo spazio più ampio disponibile tra quelli già occupati e ne sceglie la parte centrale. Ogni forma di intrusione contro la nostra volontà nello spazio personale rappresenta una violazione territoriale. Gli unici estranei autorizzati ad entrare nella zona intima di un soggetto sono i medici, gli odontoiatri e altre categorie professionali (fisioterapisti, parrucchieri etc.) che possono farlo in quanto non rappresentano una minaccia. Anche in questi casi però, molte persone possono reagire inconsciamente alla violazione della loro zona intima con variazioni fisiologiche importanti che preparano l‟organismo alla reazione del “combatti o fuggi” (sudorazione, agitazione, tachicardia, irrequietezza). A questo punto è importante capire come ogni individuo che si siede sulla tua poltrona risponda a tale “invasione”. Come vedremo nel capitolo III alcuni tipi di persone non amano particolarmente essere avvicinate, mentre per altri la vicinanza e il contatto sono fondamentali. Inoltre le donne, con un medico del loro stesso sesso, amano stare più vicine, guardarsi in faccia ed avere contatti fisici più di quanto facciano gli uomini tra loro. L‟odontoiatra lavora costantemente sul paziente ad una distanza molto ravvicinata

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ed entra inevitabilmente nel suo spazio intimo. Dovresti pertanto cercare di dare al paziente la minima sensazione di invasione, lasciando il più possibile libera la sua visuale. A tal proposito può essere di particolare aiuto posizionarsi dietro la poltrona e sfruttare gli occhiali ingrandenti per lavorare a una distanza (30-40 cm) che è al limite della zona intima. L’odontoiatra inevitabilmente entra nello spazio intimo del paziente e deve perciò ridurre al minimo la sensazione di invasione lasciandogli libera la visuale.

I principi base della prossemica possono essere applicati anche quando ricevi qualcuno nel tuo studio. Quando un paziente entra, per evitargli un possibile disagio o imbarazzo, alzati e vagli incontro cordialmente. Aggiungi pure alla stretta di mano una frase per accoglierlo nel tuo territorio come “benvenuto signor …”. Se, invece di andargli incontro, rimani fra la sedia e il riunito, stai scegliendo di mantenere un atteggiamento di tipo ufficiale: gli oggetti fra i quali ti muovi sono i segni della tua posizione e del tuo ruolo e il tuo atteggiamento insiste su di essi. Se invece abbandoni questa protezione e avanzi leggermente, rendi sicuramente il saluto più personale. Se infine l‟ospite ti è caro, o riveste un ruolo superiore al tuo, vagli incontro sollecito e “scortalo” al luogo dell‟incontro.

L’ODONTOIATRA DI FAMIGLIA Qualsiasi paziente vorrebbe trovare nel proprio odontoiatra una versione del vecchio, caro medico di famiglia: uno specialista esperto e scrupoloso, ma prima di tutto un uomo caloroso, amichevole, e magari anche psicologo. Si tratta di una figura mitica, che ormai ci tramanda solo la tradizione popolare, la cui umanità e capacità non riuscirebbero ad essere emulate nemmeno dal professionista mosso dalle migliori intenzioni. L‟attuale rapporto medico-paziente infatti si risolve spesso in una visita sbrigativa, non più personalizzata, che può risultare insoddisfacente sia per il malato, che non si sente capito, sia per il sanitario, che vede i suoi sforzi terapeutici vanificati dalla scarsità

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di collaborazione. Il problema principale risiede in realtà nella mancanza di comunicazione (nel senso più ampio del termine) tra le due parti, che in effetti va a discapito di entrambi. Il paziente, in materia di salute, vive spesso il responso con ansia, paura e preoccupazione. Lo studio odontoiatrico è un luogo in cui egli tenta consciamente di trattenersi emotivamente, anche se inconsciamente il suo corpo non può fare a meno di esprimere questo turbinio interiore. Per il malato trovarsi di fronte qualcuno che sembra non capirlo o non cogliere le sue esigenze emozionali può rendere il consulto un‟esperienza molto frustrante. L‟odontoiatra odontostomatologica

d‟altro

canto

si

concentra

molto

sulla

problematica

tralasciando spesso quei dettagli rivelatori provenienti dal

linguaggio non verbale, che dicono molto più di quello che il malato racconta. Se impari a riconosce un “segnale problematico”, puoi decidere di rallentare il discorso, di essere più esplicativo e rassicurante, di chiedere un parere al tuo paziente per prevenire atteggiamenti negativi ed ostruzionistici che possono condizionare profondamente il vostro rapporto.

PER RIASSUMERE… 

La comunicazione non verbale è quella parte della comunicazione che comprende tutti gli aspetti di uno scambio comunicativo che non riguardano il livello puramente semantico del messaggio.



La comunicazione non verbale veicola il 93 % del significato complessivo del messaggio che vogliamo trasmettere.



Ricorda la regola delle 3C per interpretare la CNV: Complesso + Coerenza + Contesto.



Il linguaggio del corpo è un sistema bidirezionale: lo stato d’animo influenza il corpo e il corpo influenza lo stato d’animo.



Osserva una persona seduta: l’inclinazione della testa, l’orientamento del busto, la posizione delle gambe e dei piedi ti svelano la sua disposizione interiore.



Le mani sono l’estensione della mente e aiutano a descrivere il mondo. Comunica con le mani aperte e mostrane il palmo per trasmettere fiducia.

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Le braccia possono essere usate come barriere di difesa psicologica. Se riesci a far sciogliere le braccia incrociate a una persona riusciarai più facilmente anche a scioglierne i dubbi..



Se vuoi far parlare di più un paziente e farlo sentire a suo agio, inclina la testa verso di lui e annuisci.



Il contatto visivo è un fattore determinante per stabilire intesa e fiducia con i tuoi pazienti.



Il sorriso è contagioso, distende gli animi e predispone alla collaborazione.



Gli atti di rifiuto sono dei micromovimenti involontari che lasciano trasparire sfiducia e disapprovazione.



I segnali di scarico tensionale costituiscono una vera e propria mappa operativa capace di indicarti quali parole, temi o situazioni causano tensione al paziente.



La distanza fisica che manteniamo dalle persone è proporzionale alla vicinanza emotiva nei loro riguardi.



L’odontoiatra inevitabilmente entra nello spazio intimo del paziente e deve perciò ridurre al minimo la sensazione di invasione lasciandogli libera la visuale.

PER APPROFONDIRE… Borg J. “Il linguaggio del corpo”. Tecniche nuove, 2009. Molcho S. “I linguaggi del corpo”. Red, 2007. Navarro J. “Non mi freghi!”. Sonzogno, 2009. Pease A, Pease B. “Perché mentiamo con gli occhi e ci vergognamo con i piedi?”. Bur, 2005. Pacori M. “Come interpretare i messaggi del corpo”. Sperling & Kupfer, 2010. Pacori M. “I segreti del linguaggio del corpo”. Sperling & Kupfer, 2010.

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Capitolo II

IL VISO NON MENTE

“Quando desidero scoprire quanto sia saggia, stupida, buona o malvagia una persona, o cosa stia pensando in un dato momento, atteggio il mio volto, con la maggiore accuratezza possibile, nella stessa sua espressione, quindi aspetto di vedere quali pensieri o sentimenti sorgono nella mia mente o nel mio cuore, complementari o corrispondenti all’espressione.” (Edgar Allan Poe)

Quando un‟emozione nasce, dentro di noi si attivano una serie di cambiamenti fisiologici e comportamentali per gestire la situazione che l‟ha prodotta, con l‟unico scopo di garantire il nostro benessere psicofisico. Le emozioni infatti si sono evolute proprio per aiutarci a controllare con rapidità gli eventi più vitali per la nostra esistenza, cioè tutte quelle situazioni in cui una valutazione razionale sarebbe lenta e quindi inutile ai fini della sopravvivenza. Ogni

emozione

genera

delle

sensazioni

fisiche

caratteristiche

ed

è

accompagnata da segnali specifici involontari nella voce e nel corpo. Per quanto una persona possa essere poco espressiva, le emozioni non restano mai invisibili nè silenziose: chi ci guarda e ci ascolta è in grado di dire come ci sentiamo, a meno che non ci impegniamo consapevolmente a reprimere la nostra emotività. Ma anche in questi casi qualche traccia di essa traspare ed è comunque individuabile. Far capire a chi ci sta intorno cosa stiamo provando è un ulteriore retaggio evolutivo: presumibilmente la capacità dell‟uomo di riconoscere gli stati d‟animo altrui è stato fondamentale per la sopravvivenza della specie. L’emozione è una forma particolare di valutazione automatica con la quale si attivano una serie di cambiamenti fisiologici e comportamentali atti a gestire, rapidamente, una situazione importante per il nostro benessere psicofisico.

I segnali emozionali a sè stanti però non indicano mai la fonte dell‟emozione: a volte potresti configurarla dal contesto immediato, altre dovrai considerare le possibili alternative evitando di saltare alle conclusioni.

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LE ESPRESSIONI FACCIALI Il volto, costituito da 22 muscoli mimici bilaterali, è la parte più espressiva del corpo ed emette il maggior numero di segnali emozionali. Non a caso rivolgiamo naturalmente lo sguardo verso di esso nelle interazioni con gli altri. Imparare a leggere i segnali delle emozioni sul volto delle persone può aiutarti a riconoscerne gli stati d‟animo e quindi a gestirle. Lo psicologo americano Paul Ekman è uno dei pionieri dello studio e della catalogazione delle espressioni ed è considerato uno dei massimi esperti di mimica facciale. Le sue ricerche, condotte tra popolazioni indigene culturalmente isolate, hanno dimostrato che le espressioni del viso sono segnali involontari che rappresentano dei veri e propri vocaboli di un linguaggio innato ed universale. A conferma delle teorie darwiniane, è‟ ormai un dato di fatto che non differiscono da cultura a cultura e non sono frutto di un apprendimento. Le espressioni facciali sono segnali involontari, innati e universali.

Paul Ekman e il suo collega Wally Friesen hanno individuato sette emozioni di base universalmente diffuse (gioia, sorpresa, dolore, paura, disprezzo, disgusto e rabbia) di cui hanno isolato le espressioni caratteristiche. Dopo sette anni di ricerche hanno stilato un sistema di codifica delle espressioni facciali: il Facial Action Coding System (FACS) che rappresenta il primo e unico atlante anatomico del volto, standard di riferimento per tutti coloro che si occupano di mimica. Si tratta di un metodo scientifico atto a misurare ciascun movimento facciale relativo ad una determinata espressione, scomponendolo nelle sue componenti (Action Units) fondamentali. I due pscicologi hanno inoltre dedicato molto tempo allo studio del rapporto reciproco tra mimica ed emozioni. L‟esito del loro lavoro conferma che se da una parte le emozioni sono in grado di condizionare la mimica facciale è anche vero che le espressioni del viso possono influenzare a loro volta lo stato d‟animo. Dopo aver passato giorni seduti l‟uno di fronte all‟altro a provare espressioni di collera e sofferenza, infatti i due studiosi si sentivano effettivamente più pessimisti e di cattivo umore alla fine della giornata. Come abbiamo già visto, la mente non è una strada a senso unico: il modo di muoversi, il portamento e quindi anche le espressioni facciali influenzano i pensieri e le emozioni allo stesso modo in cui questi agiscono sul corpo.

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Le emozioni condizionano la mimica facciale e viceversa le espressioni del viso influenzano lo stato d’animo.

Le espressioni facciali delle emozioni non si esprimono sempre nella stessa maniera ma variano per grandezza, intensità e velocità. Le espressioni manifestate più frequentemente sono le MACROESPRESSIONI, che durano da 0,5 a 4 secondi, coinvolgono l‟intera faccia e usualmente sono coerenti con gli altri segnali della CNV dato che l‟interlocutore non cerca di nascondere nulla. Le ESPRESSIONI SOTTILI invece sono quelle per così dire “incomplete”, cioè che coinvolgono un solo distretto del volto (sopracciglia, occhi o bocca). Sono molto veloci e possono

indicare

un‟emozione

celata

o

di

bassa

intensità.

Infine

le

MICROESPRESSIONI sono espressioni velocissime che coinvolgono l‟intera faccia ma durano da 1/25 a 2/25 di secondo e sono molto difficili da cogliere ad occhio nudo. Le microespressioni sono fughe di informazioni quando si tenta di reprimere un‟emozione sia inconsapevolmente che deliberatamente e sono usate come possibili rivelatori di menzogna. Sul sito www.paulekman.com sono presenti due programmi interattivi che ti aiutano a riconoscere i segnali sottili delle emozioni e le microespressioni sul volto delle persone :il Subtle Expression Training Tool (SETT) e il Micro Expression Trainig Tool (METT). In base a grandezza, velocità e intensità le espressioni facciali si dividono in: Macroespressioni, Microespressioni ed Espressioni sottili.

Esiste comunque un'altra categoria di espressioni: le cosiddette ESPRESSIONI FALSE, che servono a nascondere ciò che si prova veramente o a mostrare qualcosa che non si sente, indossando volontariamente una “maschera”. Generalmente è più facile fingere emozioni positive piuttosto che negative: per questo motivo usiamo spesso un sorriso di circostanza per nascondere il nostro vero stato d‟animo. Secondo Ekman

la falsa mimica facciale

viene

smascherata

principalmente

da

due

caratteristiche: la durata dell‟espressione e la sua collocazione nel discorso. L‟espressione relativa a un‟emozione che appare dopo averla manifestata verbalmente e che dura più di 10 secondi probabilmente è falsa. Come regola generale vale l'assunto che le espressioni non sincronizzate con i movimenti del corpo costituiscono probabili indizi di menzogna.

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Le espressioni false durano più di 10 secondi, si sviluppano dopo che l’emozione è stata espressa verbalmente e non sono sincronizzate con il resto della CNV.

Analizziamo quindi la mimica delle emozioni di base, considerando per ciascuna il tema fondamentale (trigger) in grado di innescarla, la sua funzione e i segnali del volto caratteristici.

LA TRISTEZZA Il tema fondamentale che innesca la tristezza è la perdita sotto varie forme: perdere un amico o un familiare, essere respinti da un innamorato, perdere l‟autostima a seguito di un fallimento sul lavoro, perdere la salute o perdere un oggetto tenuto in gran conto. Le

espressioni

facciali

della

tristezza

possiedono

la

funzione,

legata

all‟evoluzione, di richiamare l‟aiuto degli altri: hanno il compito di far si che chi le vede si senta toccato e desideri offrire conforto, di chiedere aiuto, di imporre la propria sofferenza agli occhi degli altri, in modo che qualcuno venga a sostenerci. Va detto però che non tutti vogliono essere aiutati nella tristezza: alcuni individui desiderano ritirarsi, stare da soli, non essere visti, soprattutto se le tradizioni culturali, l‟educazione ricevuta e il temperamento favoriscono questo atteggiamento nei confronti di tali sentimenti. La tristezza però anche se repressa non lo è mai totalmente: se potessimo eliminarne completamente i segni in modo da non lasciarne più traccia sul volto, nella voce o nel corpo dovremmo considerarli inaffidabili quanto le parole che pronunciamo. Nella tristezza i segnali più caratteristici sono riscontrabili nella voce e nel volto. La voce diventa più flebile e bassa ma sono soprattutto le espressioni facciali a lanciare i segnali più forti. 

Sopracciglia: sono degli indicatori molto affidabili per la tristezza, poiché assumono una posizione caratteristica che poche persone sanno produrre volontariamente: le sole estremità interne delle sopracciglia si sollevano convergendo verso l’alto (sopracciglio obliquo). Anche quando si cerca di nascondere tale emozione l‟attivazione di questo movimento non può essere inibita e la linea obliqua delle sopracciglia lascia trasparire i veri sentimenti. Il movimento delle sopracciglia imprime una forma a triangolo anche alle palpebre superiori: talvolta questo può 28

essere l‟unico segno della tristezza. Bisogna stare però attenti che se le sopracciglia sono solo convergenti, senza sollevarsi nella porzione interna, delineano semplicemente perplessità o concentrazione. 

Occhi: lo sguardo è rivolto verso il basso e le palpebre sono abbassate. Il movimento verso il basso degli occhi ha molteplici significati ma diviene un indicatore di tristezza solo se è accompagnato dal movimento delle sopracciglia. Le lacrime invece non sono dei segnali strettamente indicativi dato che la loro espressione può essere legata ad un fattore culturale e possono comparire anche durante un‟intensa gioia o negli eccessi di riso.



Bocca: gli angoli sono tirati verso il basso, il labbro inferiore è teso e spinto verso l‟alto e può tremare. La pelle fra il mento e il labbro inferiore viene corrugata e spinta in l‟alto dal muscolo mentoniero, che se agisce da solo produce il caratteristico broncio. L‟abbassamento degli angoli della bocca, da solo, non è sempre indice di tristezza: se il movimento è lieve può esprimere un‟ emozione leggera o un tentativo di nasconderla ma se diviene marcato, e non è accompagnato da altri segnali, potrebbe indicare semplicemente scetticismo o negazione. Quando ci si trattiene dal piangere ad alta voce inoltre, le labbra possono restare serrate. Le sole labbra comunque possono non essere indicative di tristezza.



Guance: le guance vengono sollevate e tirate verso l‟alto e rappresentano un‟altra componente di una piena manifestazione di questa emozione. Questo movimento contrasta quello delle labbra e crea una tensione tra le guance tirate verso l‟alto e gli angoli della bocca rivolti in basso, producendo dei solchi (naso-labiali) che dai lati delle narici proseguono oltre gli angoli della bocca. I muscoli delle guance spingono verso l‟alto anche la pelle sotto gli occhi, che dunque si assottigliano.

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LA RABBIA Il trigger della rabbia è l‟interferenza: ci arrabbiamo quando qualcuno o qualcosa interferisce con ciò che siamo intenti a fare. Possiamo arrabbiarci quando qualcuno cerca di farci del male fisicamente oppure quando ci insulta e denigra il nostro aspetto o le nostre prestazioni. Inoltre possiamo inquietarci perché siamo stati delusi dalle azioni di qualcuno (specialmente se è una persona a cui teniamo particolarmente) oppure con chi rivendica azioni o convinzioni che ci offendono (anche se è un totale sconosciuto). Le espressioni facciali della rabbia servono per comunicare il desiderio di far allontanare la fonte della rabbia o addirittura di farle del male. A tal proposito alcuni antropologi sostengono che l‟espressione chiusa e corrugata della rabbia serva appunto a proteggere il viso da eventuali attacchi. La rabbia è un emozione pericolosa perché genera altra rabbia in un circolo vizioso che diventa spesso un‟ escalation. Comunque raramente da sola dura a lungo, ma perlopiù è associata ad altre emozioni come la paura (di perdere il controllo o di nuocere all‟altro), il disgusto (repulsione verso l‟obiettivo o verso se stessi) o la colpa e vergogna (per i sentimenti negativi provati). I segnali facciali caratteristici della rabbia sono i seguenti: 

Sopracciglia e occhi: le sopracciglia sono abbassate e convergenti (formando delle rughe verticali caratteristiche sopra il naso), lo sguardo è fisso con le palpebre superiori e inferiori tese. Queste due caratteristiche insieme definiscono “l‟occhiataccia” tipica di un soggetto arrabbiato. Se sono presenti solo le sopracciglia abbassate probabilmente si tratta di perplessità, confusione, concentrazione o determinazione.



Bocca: le labbra possono assumere due posizioni differenti: aperte, prendendo una forma quadrata o rettangolare; oppure serrate, con il bordo rosato che si assottiglia. Quest‟ultima è un azione difficilissima da inibire che tradisce rabbia anche quando non ve n‟è altro segno. E‟ anche uno dei segnali più precoci, già evidente quando ancora non ci si è accorti di essere in collera. Un altro segno comune è la mascella serrata e protesa.

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LA SORPRESA La sorpresa è la più breve di tutte le emozioni ed è innescata solamente da un evento improvviso e inaspettato. Dura al massimo pochi secondi, cioè l‟attimo in cui ci figuriamo cosa sta accadendo, dopodiché si mescola con la paura, la rabbia, il divertimento, il sollievo a seconda di cosa ha prodotto la sorpresa; oppure può non essere seguita da alcuna emozione. Per essere autentica deve apparire e scomparire molto velocemente e durare pochi secondi, giusto il tempo di prendere coscienza dell‟accaduto. L‟espressione di sorpresa non è nè positiva, nè negativa. E' il riflesso dell'elaborazione di un‟informazione completamente nuova per il cervello che prende tempo per interpretare la situazione e poi, se necessario, passare a un'altra emozione più funzionale per quella determinata situazione. Il viso manifesta sorpresa attraverso i seguenti movimenti: 

Sopracciglia e occhi: le sopracciglia sono sollevate contemporaneamente formando delle rughe orizzontali caratteristiche sulla fronte. Gli occhi sono sgranati con le palpebre superiori sollevate. Se le sopracciglia alzate sono l‟unico segno presente probabilmente si tratta di attenzione e interesse.



Bocca: nella sorpresa spesso la bocca è aperta con la cosiddetta “mascella che cade”. Quando al movimento delle palpebre si associa quello della bocca, quest‟emozione si può manifestare anche senza l‟intervento delle sopracciglia.

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LA PAURA Il tema della paura è il pericolo di un danno fisico o psicologico. Possiamo aver paura di pericoli reali come qualcosa che attraversa lo spazio a tutta velocità, la perdita improvvisa di un sostegno che ci fa cadere nel vuoto; oppure di pericoli immaginari come ad esempio il buio. Possiamo inoltre aver paura davanti alle minacce di dolore fisico, sebbene mentre lo si prova si possa non provare tale emozione, come ad esempio dal dentista. Le espressioni facciali della paura hanno la funzione di comunicare agli altri che è in pericolo l’incolumità del gruppo e quindi di richiedere aiuto. L‟evoluzione, durante uno stato di profonda paura, favorisce due azioni molto diverse: fuggire o combattere. Nel

momento

cruciale,

il

sangue

affluisce

ai

muscoli

larghi

delle

gambe,

predisponendoci a correre. Ciò non significa che correremo, ma solo che l‟evoluzione ci ha preparati a fare ciò che, nell‟adattamento della specie, si è rivelato più favorevole alla nostra preservazione. Se non fuggiamo, la reazione più probabile è arrabbiarci con ciò che ci minaccia. Questa emozione farà fluire il sangue ai muscoli dell‟addome e delle braccia facendoli contrarre come una corazza e preparandoci al combattimento. I segnali tipici della paura sono: 

Sopracciglia e occhi: le sopracciglia sono alzate come nella sorpresa ma, a differenza di essa, sono anche

convergenti. Gli occhi sono sgranati con la

palpebra superiore alzata (come nella sorpresa), mentre la palpebra inferiore è tesa.

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Bocca: le labbra sono tese e ritratte verso gli occhi. Quando al movimento delle palpebre si associa quello della bocca, quest‟emozione si può manifestare anche senza l‟intervento delle sopracciglia.

IL DISGUSTO Il tema scatenante del disgusto è l‟idea di incorporare oralmente qualcosa che è considerato ripugnante e contaminante. Si può provare questa emozione anche verso qualcosa che non è alimentare. Può essere un oggetto, un odore, un sapore o un pensiero, a volte solo il ricordo di ciò per cui si é provato disgusto può far riprovare questa sensazione. In tutte queste occasioni la prima reazione è quella di allontanarsi o liberarsi da ciò che ci infastidisce. L‟espressione facciale del disgusto un tempo possedeva la funzione sociale di comunicare che un determinato cibo non era commestibile. Al giorno d‟oggi indica anche che una persona, un‟ idea o un discorso non sono “commestibili” per il cervello. Ci sono casi però in cui possiamo sospendere il disgusto: ad esempio quando si stabilisce un‟intimità, segno di impegno personale, come avviene tra due amanti o tra madre e figlio coinvolti in attività fisiche che per chiunque altro sarebbero disgustose. I segnali tipici sono: 

Sopracciglia e occhi:

la parte superiore del viso non partecipa attivamente

all‟espressione del disgusto tranne quando l‟emozione diventa molto forte e si assiste ad un abbassamento delle sopracciglia simile a quello della rabbia. Ma se

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nella rabbia tipicamente le sopracciglia convergono e le palpebre superiori sono soillevate, questo non avviene invece nel disgusto.

 Bocca: il labbro superiore è sollevato il più possibile e le guance si alzano provocando l‟innalzamento delle palpebre inferiori. La ruga che da sopra le narici scende sotto l‟angolo delle labbra è profonda e ha la forma di una U rovesciata. Le narici sono dilatate.

IL DISPREZZO Il disprezzo, a differenza del disgusto, è un‟emozione rivolta esclusivamente verso le persone. Non si prova disprezzo nei confronti di oggetti od odori ma piuttosto verso situazioni ritenute immorali, che fanno provare superiorità rispetto a coloro che le hanno compiute. Si può provare disprezzo quando si vede maltrattare una donna, un bambino o anche un animale; quando il proprio consiglio o la propria opinione vengono contraddette o non ascoltate da qualcuno che occupa un grado superiore ma è ritenuto inferiore. E‟ difficile dire quale sia la funzione del disprezzo. Sicuramente rappresenta un‟affermazione di potere e di status con cui segnaliamo di essere superiori, e di non aver dunque bisogno di scendere a compromessi nè di impegnarci in qualcosa.

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Tra le emozioni di base, il disprezzo è l‟unica che si presenta in modo asimmetrico, ovvero su un solo lato del volto. Compare solo nella parte inferiore del viso dove un angolo la bocca si tende verso l‟esterno e verso l‟alto.

LA FELICITA’ Le emozioni piacevoli motivano la nostra vita: spingono a fare cose che in generale ci fanno bene e a cimentarci in attività necessarie per la sopravvivenza della specie, come le relazioni sessuali e la cura della prole. Esistono moltissime emozioni positive e la felicità fa parte di esse. La felicità è l‟emozione che tutti vogliono provare e sentire il più spesso possibile. E‟ l‟emozione più piacevole perché quando si prova si sta bene, tanto che si preferisce frequentare persone che ridono e sono felici piuttosto di altre che non lo sono. Esistono moltissimi temi universali per la felicità: ad esempio stare con le persone care, oppure la nascita di un figlio, o ancora i successi lavorativi e sportivi. Il sorriso è un segnale facciale spesso associato alla felicità (così come di tutte le altre emozioni piacevoli), ma non è caratteristico di questa emozione dato che può essere usato anche quando non si prova alcun piacere, ad esempio per educazione. Esistono però delle discriminanti per distinguere un sorriso vero da un sorriso di circostanza. Duchenne, il primo studioso del sorriso, ha scoperto che quando si sorride in maniera sincera, si attiva sia il muscolo zigomatico che tira gli angoli della bocca, sia il muscolo orbicularis oculi che crea delle leggere zampe di gallina attorno agli occhi e abbassa leggermente le soparacciglia. L‟obicularis oculi è un muscolo che difficilmente obbedisce alla volontà e per questo è usato come fattore discriminante tra un sorriso

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vero e un sorriso finto. Infine se il sorriso è frutto di un‟ emozione vera appare più velocemente e impiega più tempo a scomparire, a differenza di quello di circostanza che ha un‟evoluzione più irregolare.

Non bisogna dimenticare però che, proprio per il suo forte significato emotivo, il sorriso è anche la maschera maggiormente usata per dissimulare le vere emozioni. Esistono infatti diversi tipi di sorriso di non piacere (di paura, di disprezzo, di tristezza, di disgusto) che sono però facilmente riconoscibili poiché manifestandosi solo nella parte inferiore del viso, lasciano trasparire segnali sottili del vero stato d‟animo nella parte superiore.

IL DOLORE Il dolore non è un‟ emozione e non fa parte delle espressioni di base, ma è anch‟esso innato e universale. La mimica è caratteristica: il naso è arricciato e tirato verso l‟alto, le sopracciglia sono convergenti, gli occhi si costringono fino alla chiusura totale, il labbro superiore si alza, quello inferiore si abbassa e a volte anche la mandibola si abbassa. Come per il sorriso anche l‟espressione del dolore può essere reale o simulata. Ben Craig e collaboratori nel 1991 hanno messo a confronto le espressioni di dolore vero con quelle di dolore falso. Nelle false il soggetto

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tende a esagerare i movimenti stirando la bocca verso le orecchie oppure tirandone eccessivamente gli angoli verso l‟alto, quasi a sembrare una sorta di caricatura. Una espressione univoca del dolore è ovviamente importante nelle professioni sanitarie perché permette di discriminare quando il paziente prova realmente dolore oppure finge per paura.

IL COMPORTAMENTO EMOTIVO Quando siamo in preda a un‟emozione tutto l‟organismo ne subisce l‟effetto. Le espressioni facciali sono i segnali universali più facilmente accessibili ma anche quelli più facili da camuffare. Accanto ad essi riveste un ruolo fondamentale la voce: ogni volta che insorge un‟emozione c‟è un impulso ad emettere un suono. La voce raramente invia messaggi emozionali falsi poiché pochissime persone sanno simulare in modo convincente un‟emozione che non provano. La voce però rappresenta un sistema di segnalazione disattivabile, cioè facile da reprimere. Così come Paul Ekman è il riferimento per le espressioni facciali, Klaus Scherer lo è per i segnali vocali ed ha dimostrato che anche questi, come le espressioni, sono universali, e potrebbero essere specifici nel segnalare le singole emozioni (APPENDICE A). Nonostante l‟importanza dell‟argomento però si sa ancora poco data la scarsità di ricerche a riguardo. Quando un‟emozione cresce avvengono anche dei mutamenti biologici interni cioè dei cambiamenti del sistema nervoso autonomo che influenzano la respirazione, l‟attività cardiaca, la temperatura. Alcuni di essi rappresentano delle “azioni predefinite” per le singole emozioni: ad esempio l‟aumento della frequenza cardiaca nella rabbia e nella paura, che predispongono la persona a muoversi; l‟aumento del flusso sanguigno alle mani nella rabbia, che predispone a colpire o a entrare in contatto con l‟oggetto della rabbia; il maggiore flusso sanguigno alle gambe nella paura che prepara alla fuga; l‟aumentata sudorazione nella rabbia e nella paura intense; l‟aumento della respirazione nella rabbia, nella paura e nel tormento. Oltre ai mutamenti biologici interni le emozioni inducono anche dei cambiamenti interiori nel modo di pensare e interpretare il mondo circostante, che non si possono udire o vedere. Una ricerca ha dimostrato che vengono recuperati i ricordi collegati all‟emozione che stiamo provando e che valutiamo tutto ciò che sta accadendo in modo coerente con l‟emozione in corso, giustificando ed alimentando dunque l‟emozione stessa.

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Tutto il resto di quanto facciamo quando siamo in preda ad un‟emozione, come ci muoviamo e quello che diciamo, sono azioni apprese e non innate e sono probabilmente specifiche per ogni cultura o individuo. Una volta appresi però questi schemi d‟azione operano automaticamente, proprio come se fossero innati, ma possiamo sopprimerli o sostituirli con azioni differenti. Infatti abbiamo un controllo volontario eccellente sui muscoli scheletrici e sulla parola, ma non sui muscoli facciali o sulla regolazione del nostro apparato vocale. Proprio per questo è molto più facile impedirci un‟azione piuttosto che eliminare totalmente ogni segno dell‟emozione dal volto o dalla voce I sentimenti e le emozioni che provano i pazienti nei tuoi confronti e verso la terapia odontoiatrica saranno il più grande ostacolo che dovrai affrontare per aiutarli a curarsi. Grazie allo studio delle espressioni e della CNV ora hai un‟ arma in più per capirli, guidarli e rassicurarli e per farti vedere attento ed empatico nei confronti della loro emotività.

PER RIASSUMERE… 

L’emozione è una forma particolare di valutazione automatica con la quale si attivano una serie di cambiamenti fisiologici e comportamentali atti a gestire, rapidamente, una situazione importante per il nostro benessere psicofisico.



Le espressioni facciali sono segnali involontari, innati e universali.



Le emozioni condizionano la mimica facciale e viceversa le espressioni del viso influenzano lo stato d’animo.



In base a grandezza,velocità e intensità le espressioni facciali si dividono in: Macroespressioni, Microespressioni ed Espressioni sottili.



Le espressioni false durano più di 10 secondi, si sviluppano dopo che l’emozione è stata espressa verbalmente e non sono sincronizzate con il resto della CNV.



Tristezza: angoli interni delle sopracciglia alzati, angoli interni delle palpebre superiori alzati, angoli della bocca verso il basso.



Rabbia: sopracciglia abbassate e tendenti a riunirsi al centro, tensione delle palpebre superiori e inferiori, labbra serrate.



Sorpresa: sopracciglia alzate e curvate verso l’alto, occhi spalancati, bocca aperta.

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Paura: sopracciglia alzate e tendenti a riunirsi al centro, palpebre superiori alzate, palpebre inferiori tese, bocca aperta e labbra tese verso l’esterno.



Disgusto: naso arricciato e guance alzate, labbro superiore alzato.



Disprezzo: un solo angolo della bocca tirato verso l’alto o l’esterno.



Felicità: rughe attorno agli occhi, palpebre inferiori alzate e guance alte, angoli della bocca tesi verso l’alto.



Dolore: naso arricciato e tirato verso l’alto, sopracciglia convergenti, costringimento degli occhi, labbro superiore alzato, labbro inferiore abbassato e mandibola abbassata

PER APPROFONDIRE… Darwin C, Ekman P. “L‟espressione delle emozioni”. Bollati Boringhieri, 2008. Ekman P. “Te lo leggo in faccia”. Edizioni Amrita, 2008. Ekman P. “I volti della menzogna”. Giunti, 2011. Ekman P. “Giù la maschera”. Giunti, 2007. Ekman P, Rosenbergh E. “What the Face Reveals”. Oxford University Press, 2005. Romani W. “Scacco alle bugie”. Bruno editore, 2010.

39

Capitolo III

IL POTERE DELLA PNL “Cambia modo di vedere le cose e vedrai le cose cambiare” (Sun Tzu)

La programmazione neuro-linguistica o PNL è un modello di comunicazione interpersonale che aiuta a comprendere gli schemi di pensiero alla base del comportamento delle persone e a sviluppare una serie di abitudini/reazioni di successo, amplificando i comportamenti "potenzianti” ed efficaci e diminuendo quelli "limitanti". Come sintetizza l‟acronimo, la PNL si basa su una: 

Programmazione,

cioè

la

capacità

programmare

le

diverse

modalità

di

comportamento che funzionano in modo inconsapevole ed automatico; 

Neuro, ovvero i processi neurologici del comportamento umano, basati su come il sistema nervoso riceve gli stimoli dagli organi di senso e li rielabora come percezioni e rappresentazioni;



Linguistica, che definisce il sistema con cui i processi mentali umani sono codificati, organizzati e trasformati attraverso il linguaggio. L‟idea centrale della PNL è che ciascun individuo “filtra” la realtà attraverso i cinque

sensi creandone una rappresentazione soggettiva, chiamata mappa mentale, che utilizza per “muoversi” nel mondo circostante. La mappa mentale di ogni persona è unica ed è il risultato dell‟interazione tra genetica, cultura, ambiente nonché del vissuto e delle esperienze passate. La mappa mentale è quindi solo un “modello” che noi usiamo per interpretare il mondo che ci circonda. La PNL in definitiva è uno strumento per ampliare questo modello ed aiutare le persone ad avere vite migliori e più ricche. La Programmazione Neuro Linguistica (PNL) è un insieme di tecniche utili a influire sugli schemi comportamentali di una persona riprogrammando i suoi processi neurologici attraverso il linguaggio.

Usa le tecniche della Programmazione Neuro Linguistica per inquadrare l‟esperienza del tuo paziente attraverso i SISTEMI RAPPRESENTAZIONALI, per creare con lui RAPPORT e GUIDARLO poi verso il cambiamento e la guarigione. 40

I SISTEMI RAPPRESENTAZIONALI Gli esseri umani hanno esperienza di se stessi e dell‟ambiente che li circonda attraverso i cinque sensi. La vista, l‟udito, il tatto, l‟olfatto e il gusto rappresentano le modalità percettive attraverso le quali catturiamo e filtriamo le informazioni esterne. Bandler e Grinder, i fondatori della PNL, chiamano queste modalità percettive “sistemi rappresentazionali” e sostengono che “quando entriamo in contatto con una persona, questa probabilmente penserà in uno di tre sistemi rappresentazionali. Questo significa che, internamente, genererà certe immagini visive, oppure proverà certe sensazioni, oppure parlerà a se stessa udendo certi suoni”. Ciascuno di noi possiede un sistema rappresentazionale dominante o primario e lo utilizza in modo prevalente rispetto agli altri in un dato momento della sua vita, a seconda delle condizioni fisiche ed emotive in cui si trova e dell‟esperienza che sta facendo. Ogni persona vede, sente, percepisce e quindi organizza e decodifica la realtà in modo assolutamente individuale e peculiare secondo il suo sistema rappresentazionale preferito.

Anche il paziente dunque possiede una propria prospettiva della situazione e l‟impressione che ha si basa appunto sulla sua mappa mentale. Riconoscendo la sua modalità percettiva dominante ti sarà più semplice entrare nel suo mondo e far arrivare facilmente le informazioni che vuoi comunicare. Vediamo quindi i tre sistemi rappresentazionali definiti dalla PNL. -

SISTEMA RAPPRESENTAZIONALE VISIVO: le persone con un approccio visivo usano principalmente il senso della vista per conoscere e rapportarsi alla realtà circostante. Gli individui “visivi” vengono colpiti dalle immagini, che restano più facilmente nella loro memoria, mentre sono poco interessati ai suoni. Puoi riconoscere un soggetto “visivo” dalla comunicazione verbale: egli infatti ha la tendenza ad usare predicati visivi come “vedo la soluzione”, “mi è chiaro il concetto”, “il mio punto di vista è”, “ho avuto un illuminazione”, “focalizziamoci sui dettagli” . Parla inoltre velocemente, in tono più alto del normale, ed elabora rapidamente i propri pensieri durante la conversazione. Le persone “visive” tendono ad avere testa e corpo eretti lasciando così agli occhi la possibilità di vedere tutto ciò che li circonda. Quando sono seduti inoltre protendono

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in avanti con la sedia,

mantengono le spalle leggermente tese e sembrano

organizzate, ordinate e ben istruite. Spesso rievocano situazioni guardando verso l‟alto: questo accade perché possiedono una memoria principalmente visiva e vanno a ripescare le immagini rimaste impresse nella loro mente. Quando infatti cerchiamo di rievocare immagini visive tendiamo ad alzare gli occhi verso l‟alto: in particolare in alto a sinistra per quelle ricordate e in alto a destra per quelle costruite. Il paziente “visivo” inoltre è molto suscettibile all‟aspetto esteriore di ciò che lo circonda come ad esempio alla pulizia e ai colori dello studio oppure all‟aspetto estetico del personale. Puoi relazionarti con lui evitando di stargli troppo vicino, lasciandogli così libero il campo “visivo” e cercando di corredare la comunicazione con schemi o disegni mettendo da parte lunghi discorsi e spiegazioni interminabili. Il paziente visivo elebora il mondo attraverso le immagini. Tende a stare dritto con le spalle e con la testa, ha una respirazione di petto, parla velocemente con predicati “visivi” e tende a guardare verso l’alto.

-

SISTEMA RAPPRESENTAZIONALE AUDITIVO: possiedono un approccio auditivo quelle persone che usano principalmente il senso dell‟udito. L‟attenzione degli “uditivi” viene catturata soprattutto dai suoni dell‟ambiente circostante che possono quindi essere fonte di distrazione ma che rappresentano ciò di cui hanno più facilmente memoria. Questi individui imparano e ripetono facilmente le cose ascoltate, amano stare al telefono e parlano di solito tra sè e sè in modo silenzioso, talvolta muovendo le labbra. Nella comunicazione verbale preferiscono usare predicati uditivi come: “questa idea suona bene”, “sono tutto orecchi”, “presto orecchio ai suoi consigli”, “la seguo parola per parola” ecc. Questi soggetti assumono posture caratterizzate da una tensione muscolare relativamente uniforme con la tendenza a buttare indietro le spalle nella posizione cosiddetta “a sassofono” e ad inclinare la testa da un lato come per “prestare orecchio” all‟ascoltatore. Hanno inoltre un eloquio sonoro, ritmico, a volte musicale, supportato da una respirazione di diaframma che utilizza la parte centrale del petto. Quando accedono ai pensieri muovono lateralmente gli occhi ripescando i suoni impressi nella loro mente. tendiamo a

Infatti, quando cerchiamo di rievocare dei suoni,

spostare lateralmente gli occhi: nello specifico a sinistra per quelli

ricordati e a destra per quelli costruiti. 42

Ricordati che il paziente “uditivo” è suscettibile ai suoni e ai rumori dell' ambiente circostante (ad esempio il trapano o la musica di sottofondo) e che le parole tue e dei tuoi collaboratori acquistano per lui molta importanza. Prova quindi a spiegare le terapie da eseguire o il funzionamento di un farmaco parola per parola, accordando la tonalità, il ritmo, ed il volume della tua voce alla sua. Il paziente auditivo elebora il mondo attraverso i suoni. Tende ad assumere una posizione “a sassofono” e a porgere l’orecchio all’interlocutore. Ha una respirazione di diaframma, parla in maniera ritmica e musicale con predicati auditivi e tende a muovere lateralmente gli occhi. -

SISTEMA RAPPRESENTAZIONALE CENESTETICO: gli individui che prediligono l‟approccio cenestesico percepiscono e rievocano la realtà circostante attraverso le sensazioni tattili della pelle e le sensazioni viscerali. Proprio per questo “i cenestetici” si mostrano sensibili al contatto e agli approcci fisici. In una conversazione tendono ad avvicinarsi all‟interlocutore più di quanto facciano i visivi e a usare predicati cenestetici quali: “ho capito il senso di quello che intendi”, “sento che questa è una buona idea”, “non riesco ad afferrare questo concetto”, “questa è un idea solida” ecc. Inoltre parlano lentamente con frequenti pause tra una frase e l‟altra e sembrano elaborare pensieri e discorsi a rilento rispetto a un soggetto “visivo”. Usano una voce bassa, profonda e vellutata e respirano con la parte bassa dei polmoni. Questi soggetti assumono posture caratterizzate da un rilasciamento generale della muscolatura mantenendo la testa ben piantata sulle spalle, che tenderanno a curvarsi. Quando ricordano qualcosa lo fanno attraverso le sensazioni che una data situazione ha prodotto in loro e tendono a guardare in basso e a destra. Il paziente “cinestesico” è suscettibile al contatto fisico e alle sensazioni che l‟ambiente odontoiatrico suscita in lui. Puoi relazionarti con lui lasciandogli stabilire la distanza da tenere, il ritmo della conversazione e un eventuale contatto fisico.

Il paziente cenestetico elabora il mondo attraverso le sensazioni fisiche. Tende ad avere una postura rilassata con le spalle leggermente curvate. Ha una respirazione profonda, parla lentamente con pause frequenti e usa frequentemente predicati cenestetici.

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Predicati visivi

Predicati auditivi

Predicati cenestetici

Guardare

Annunciare

Toccare

Osservare

Dire

Afferrare

Ammirare

Affermare

Scorrere

Visualizzare

Articolare

Piegare

Esaminare

Parlare

Rompere

Mostrare

Proclamare

Colpire

Illustrare

Pronunciare

Scivolare

Apparire

Menzionare

Spingere

Focalizzarsi

Discutere

Forzare

Scena/Immagine

Ribattere

Movimento

Ombra/Buio/Luce

Chiedere

Pressione

Visione/Illusione

Interrogarsi

Peso

Oscuro/Annebbiato

Spiegare

Stress/Stressante

Chiaro/Brillante/Vivido

Intervistare

Tensione

Ascoltare

Supporto

Sentire

Concreto

Chiamare

Sensibile

Armonizzare

Strutturato

Tradurre

Comodo

Volume/Rumore/Silenzio

Caldo

Suono/Tono

Leggero/Pesante

Grido/Eco

Morbido/Duro

Risposta/Insulto/Richiesta

Appiccicoso

Melodioso/Armonioso

Liscio/Ruvido

Dissonante/Stonato

Sottile/Spesso Affaticato/Faticoso Emozionante

Dunque il messaggio è chiaro: per massimizzare la capacità di ascolto e quindi di risposta del tuo interlocutore è indispensabile riconoscere la modalità percettiva della persona che hai di fronte ed adeguarti al suo sistema rappresentazionale. Solo se riesci ad arrivare al paziente puoi comunicare con lui in maniera efficace. Alla luce di ciò una risposta non significativa o una reazione assente o eccessiva nei confronti di ciò che

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stai dicendo potrebbe dipendere dal fatto che non sei riuscito a comunicare in un modo che abbia un senso. Sviluppando le tue capacità di passare da una modalità percettiva all‟altra, puoi raggiungere più persone, ottenendo la loro collaborazione e il loro appoggio. Dall‟altra parte il paziente apprezzerà lo sforzo che hai fatto per scoprire come presentare al meglio le tue idee. Ovviamente all‟inizio servirà più impegno e fatica, ma lo sforzo sarà ripagato, poiché a lungo andare risparmierai tempo e riuscirai ad ottenere più spesso ciò che vuoi.

IL RAPPORT Quando due persone si incontrano entrano in moto meccanismi automatici, consci o inconsci, grazie ai quali l‟individuo avvia un processo di confronto e di identificazione con l‟altro. Se l‟esito di tale processo è giudicato complessivamente positivo tra i due interlocutori si instaura un rapport, inteso come il livello di empatia, comprensione e disponibilità che ciascun individuo instaura con gli altri. Quando le persone si trovano nello stato di rapport sono portate a rispondere più facilmente ai nostri stimoli, alle nostre proposte e alla nostra persona in generale. Una buona sintonia con il paziente genera fiducia e collaborazione, condizioni necessarie per ottenere uno scambio proficuo di pensieri e di idee. Il malato inoltre si rilassa molto prima e si rende disponibile a seguire la terapia arrivando velocemente al nocciolo della questione, tralasciando particolari irrilevanti e ottimizzando i tempi di trattamento. Il rapport quindi rappresenta un ottimo sistema per limitare o annullare lo sforzo che sei chiamato a compiere per ottenere le informazioni necessarie all‟elaborazione della diagnosi, alla messa in atto di un piano di cura adeguato e all‟individuazione di eventuali problemi o incomprensioni “sommerse”. Per creare tale sintonia è necessario porre molta attenzione al tipo di comunicazione (gesti, sguardo, tono della voce e parole usate) e adattare di conseguenza il proprio comportamento al tipo di paziente. Un buon rapport è la base della comunicazione medico-paziente.

Per fare ciò è possibile sfruttare due tecniche che sono la base della PNL: il RICALCO e la GUIDA.

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IL RICALCO Il ricalco è la strategia più potente per creare rapport ed è stata introdotta dal famoso ipnoterapeuta americano Milton Erickson. Si tratta di una tecnica mediante la quale si assimilano ed emulano volutamente alcuni aspetti del comportamento del proprio interlocutore, riproducendo i suoi schemi di comunicazione (gestualità, postura, respirazione, parole ecc.), le sue convinzioni fino ad arrivare a tutta la sua esperienza fisica e mentale. Significa cioè confrontarsi con il suo modello del mondo e stare al passo con la sua esperienza. Questa tecnica avvicina le persone in senso sia reale che metaforico ed agevola la trasmissione e la comprensione di sentimenti e informazioni. Il fattore che la rende così potente è che, quando ricalchi qualcuno, questi per poterti rifiutare dovrebbe respingere il suo stesso modo d‟essere. La formula, semplificata al massimo, è questa: “se sono come te, ti piacerò; e se ti piacerò, ti fiderai di me e mi seguirai”. Nello specifico ricalcare gli stati d‟animo, gli atteggiamenti, i gesti, la mimica di un paziente vuol dire mettersi in sintonia con il suo stato emotivo, vedere le cose secondo la sua angolatura, condividere in qualche modo la sua esperienza o quanto meno il modo in cui la sperimenta. Per eseguire un ricalco infatti non è necessario interessarsi al contenuto dell‟esperienza altrui, è sufficiente soffermarsi sulla forma. Ad esempio per rispecchiare una persona che si sente triste non è necessario indagarne i motivi, specie se l‟altra persona non è disposta a parlarne, ma basterà ricalcare il modo in cui essa la vive. In questo modo il malato, osservandoti, trova rispecchiato in te il suo stato d‟animo, il suo modo di viversi: vede in te una persona vicina al suo modo di essere ed empatica nei suoi confronti. Il medico costruisce così un ponte di comunicazione con il suo paziente, entrando fisicamente e mentalmente nella sua esperienza e facendogli percepire il senso di una condivisione ad un livello più profondo. Il ricalco è una tecnica attraverso la quale puoi emulare volontariamente alcuni aspetti verbali e non verbali del tuo paziente per assimilarti al suo mondo.

E‟ stato osservato che le persone che hanno una relazione proficua e duratura tendono spesso, inconsapevolmente, ad agire in maniera speculare. Sfruttando ciò puoi imitare il non verbale del paziente in maniera molto sottile, ad esempio emulando il suo modo di stare seduto, la postura, i gesti di braccia e gambe, le espressioni facciali e persino la profondità del respiro. 46

E ancora puoi ricalcare le qualità vocali del tuo paziente come il volume, il tono, il timbro, la velocità ed il ritmo dell‟eloquio. Il rispecchiamento paraverbale può avere un impatto maggiore rispetto alle parole che pronunciamo e può rivelarsi molto utile quando non abbiamo accesso al linguaggio corporeo, come ad esempio al telefono. Un ulteriore campo che puoi emulare è la comunicazione verbale. Come abbiamo visto in precedenza ognuno di noi tende ad usare predicati ed espressioni che descrivono il nostro modo di decodificare la realtà, perciò il professionista puo adattarsi al sistema rappresentazionale del paziente e rispecchiarlo verbalmente. Inoltre puoi ricalcare i valori e le convinzioni del paziente, che vuol dire condividere con lui alcuni concetti generali, come ad esempio “la cortesia” e “l‟onestà”, che sono la base dei suoi processi decisionali. Infine, ad un livello ancora superiore, puoi rispecchiare l‟esperienza della persona che ti sta davanti cercando un terreno comune o una “somiglianza” per far sovrapporre le vostre “mappe mentali”: ad esempio può essere utile far notare al paziente la medesima terra d‟origine, la pratica di un hobby in comune oppure un percorso di studi o di vita affine ecc.. Il ricalco stimola il paziente a fidarsi di te perché ti sente partecipe ed empatico nei suoi confronti.

Più sarai flessibile in ciascuno di questi ambiti, maggiori diventano le possibilità di entrare in connessione con il paziente, perché maggiore è il numero delle scelte a tua disposizione. Ovviamente esisteranno sempre persone più difficili di altre: alcune metteranno puntualmente in dubbio la diagnosi, altre contesteranno qualsiasi affermazione con un atteggiamento supponente ed arrogante, altre ancora saranno restie a collaborare e saranno scostanti ad ogni appuntamento. L‟abilità sta nell‟adottare stili di comunicazione diversi a seconda di chi hai di fronte e nell‟attingere da un repertorio di comportamenti che eguagli o addirittura superi in numero ed efficacia quelli da lui adottati. Due sono gli elementi necessari in un‟interazione problematica: la consapevolezza da parte tua che l‟interlocutore accetti o meno le informazioni che sta ricevendo e la flessibilità di cambiare tattica più e più volte per trovare lo schema che piu‟ si adatti a quella circostanza specifica. Il ricalco ha effetti positivi anche su di te, poichè attraverso di esso distoglierai l‟attenzione da te stesso per focalizzarti sul malato, iniziando così il processo di immedesimazione. A questo punto, agendo come l‟interlocutore, inizierai a provare 47

molti dei suoi sentimenti e a sapere intuitivamente cosa suggerire e quando farlo. In questo modo raggiungerai un profondo livello di empatia e lo incoraggierai a seguire il tuo passo.

LA GUIDA Una volta che ti sei allineato al modello comunicativo del tuo interlocutore, e sarai riuscito a costruire con lui un solido rapporto di fiducia e di intesa, puoi GUIDARLO nella direzione che ritieni essere più funzionale. Da un determinato momento in poi dunque, sei in grado di promuovere dei cambiamenti poiché il paziente è diventato talmente fiducioso da adeguarsi lui stesso, spontaneamente, alle indicazioni impartitegli. Utile in questo senso potrebbe essere: guidare il paziente verso una migliore igiene orale, consigliargli controlli più assidui, indirizzarlo verso una determinata terapia magari più costosa ma più professionale, fargli accettare un preventivo ecc...

Prima ricalca il paziente andando al passo con la sua esperienza e poi guidalo verso una nuova visione del mondo.

Il modello del ricalco e della guida può essere schematizzato come segue:

il medico ricalca il paziente per creare rapport

il medico guida il paziente

Il paziente si oppone alla guida

Il paziente accetta la guida

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PER RIASSUMERE… 

La Programmazione Neuro Linguistica (PNL) è un insieme di tecniche utili a influire sugli schemi comportamentali di una persona riprogrammando i suoi processi neurologici attraverso il linguaggio.



Ogni persona vede, sente, percepisce, e quindi organizza e decodifica la realtà in modo assolutamente individuale e peculiare secondo il suo sistema rappresentazionale preferito.



Il paziente visivo elebora il mondo attraverso le immagini. Tende a stare dritto con le spalle e con la testa, ha una respirazione di petto, parla velocemente con predicati “visivi” e tende a guardare verso l’alto.



Il paziente auditivo elabora il mondo attraverso i suoni. Tende ad assumere una posizione “a sassofono” e a porgere l’orecchio all’interlocutore. Ha una respirazione di diaframma, parla in maniera ritmica e musicale con predicati auditivi e tende a muovere lateralmente gli occhi.



Il paziente cenestetico elebora il mondo attraverso le sensazioni fisiche. Tende ad avere una postura rilassata con le spalle leggermente curvate. Ha una respirazione profonda, parla lentamente con pause frequenti e usa frequentemente predicati cenestetici.



Un buon rapport è la base della comunicazione medico-paziente.



Il Ricalco è una tecnica attraverso la quale puoi emulare volontariamente alcuni aspetti verbali e non verbali del paziente per assimilarti al suo mondo.



Il ricalco stimola il paziente a fidarsi di te perché ti sente partecipe ed empatico nei suoi confronti.



Prima ricalca il paziente andando al passo con la sua esperienza e poi guidalo verso una nuova visione del mondo.

PER APPROFONDIRE… Alder H, Heather B. “PNL in 21 giorni”. Il punto di incontro, 2007. Richardson J. “Introduzione alla PNL”. Alessio Roberti editore (NLP Italy), 2004. Roberti A, Belotti C, Caterino L. “Comunicazione medico-paziente”. Alessio Roberti editore (NLP Italy), 2006.

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Capitolo IV

LA MAGIA DELLE PAROLE

“In principio parole e magia erano una sola cosa e perfino oggi il linguaggio conserva molto del suo potere magico. Le parole suscitano emozioni e sono il mezzo con cui generalmente influenziamo i nostri simili.” (Sigmund Freud)

Il linguaggio è una caratteristica unica della specie umana che ci distingue dalle altre creature. Esso rappresenta uno degli elementi chiave con cui ciascuno di noi costruisce i propri modelli mentali del mondo e che può influenzare enormemente il nostro modo di percepire la realtà e di rispondere ad essa. Questo capitolo tratta del potere delle parole, dell‟impatto che hanno su di noi e sui nostri interlocutori, della loro capacità di essere utili o dannose e quindi dei modelli linguistici mediante i quali possiamo trasformare le affermazioni dannose in affermazioni utili. I fondatori della PNL nel loro primo libro hanno cercato di stabilire alcuni principi per spiegare l‟apparente “magia” delle parole. Secondo Bandler e Grinder, il linguaggio rappresenta il mezzo mediante il quale rappresentiamo e trasmettiamo le nostre esperienze alle persone che abbiamo attorno. Come scrivono i due autori “Tutte le realizzazioni dell’umanità comportano l’uso del linguaggio. Noi esseri umani usiamo il linguaggio in due modi: uno per rappresentare la nostra esperienza (ragioniamo, pensiamo, fantastichiamo a parole); e l’altro per trasmetterci reciprocamente il nostro modello del mondo (discutiamo, scriviamo, cantiamo a parole)”. Le parole infatti sono il codice attraverso cui descriviamo sia le nostre esperienze personali sia le nostre strutture mentali. Inoltre il linguaggio non solo rivela le nostre percezioni, ma puo‟ letteralmente crearle o cambiarle. Proprio per questo suo potenziale “magico” è possibile sfruttare il linguaggio nel processo di cambiamento e di guarigione intrapreso dai tuoi pazienti.

IL PAZIENTE: ESPERIENZA E LINGUAGGIO Abbiamo già visto nel capitolo precedente come ognuno di noi raccoglie informazioni dall‟esterno attraverso i cinque sensi. Tali informazioni vengono filtrate, elaborate e rappresentate in una mappa mentale. Solo successivamente usiamo il 50

linguaggio per descrivere a noi stessi e agli altri questa nostra mappa interna . Praticamente le parole servono a dare un nome alle nostre esperienze sensoriali di cui creiamo dunque una rappresentazione linguistica. Le parole sono la rappresentazione linguistica delle nostre esperienze sensoriali. Le parole sono per loro natura descrittive, e quando le usiamo per raccontare un‟esperienza non facciamo altro che etichettare attraverso di esse ciò che ci circonda o che proviamo. Introduciamo così un fattore soggettivo che fa sì che quello di cui parliamo si avvicini alla realtà ma non la rappresenti completamente. Le parole quindi raccontano la realtà ma non sono la realtà. Infatti, durante l‟iter che traduce la mappa mentale nella sua rappresentazione linguistica, la cosiddetta “realtà interna” passa attraverso tre processi di impoverimento che la semplificano, dandone quindi una rappresentazione limitata: -

la generalizzazione

-

la cancellazione

-

la distorsione,

Questi tre processi sono necessari alla nostra mente per rendere la realtà più gestibile e condivisibile, ma allo stesso tempo la impoveriscono, travisandone molto spesso il significato e interpretandone il contenuto in maniera soggettiva. Prova a pensare allora al tuo paziente e a quanti processi di “semplificazione” e “limitazione” potrebbe aver sottoposto la sua realtà, nel momento in cui si presenta nel tuo studio.

Le parole impoveriscono e semplificano la realtà, di per sé troppo ricca di particolari per poter essere rappresentata linguisticamente, attraverso i processi di generalizzazione, cancellazione e distorsione.

Se vuoi arrivare alla realtà non semplificata del tuo paziente, risalendo a monte di ciò che egli semplificativamente racconta, può tornarti utile uno strumento molto potente usato dalla PNL per approfondire la mappa mentale delle persone: il METAMODELLO.

51

IL METAMODELLO Il metamodello o "linguaggio di precisione" è un insieme di domande tese a raccogliere informazioni altamente specifiche per approfondire l‟esperienza di una persona. Poiché non possiamo guidare una persona all'interno della propria mappa, che solo lei conosce, queste domande servono a stimolare l‟interlocutore a rivelare le generalizzazioni, le cancellazioni e le distorsioni che ha prodotto e risalire quindi all‟esperienza originaria della quale ha creato un modello linguistico. Accanirsi per cambiare la realtà oggettiva molto spesso non ha senso e per accedere a nuove alternative basta invece riorganizzare l'esperienza soggettiva effettuando alcune precise operazioni mentali, proprio attraverso il metamodello. Il fine ultimo è quello di aiutare il paziente a rendersi conto delle possibili soluzioni per i suoi problemi attraverso maggiore chiarezza e precisione delle informazioni. Per evitare però che le domande risultino troppo “inquisitorie”, e quindi poco apprezzate, impronta il colloquio su uno spirito di collaborazione, diretto alla ricerca delle cause dei problemi e di soluzioni efficaci. Usa il metamodello per aiutare il paziente a risalire all’esperienza sensoriale originaria di cui ha creato un proprio modello linguistico. E‟ chiaro dunque che, linguisticamente, tendiamo a impoverire la realtà attraverso le generalizzazioni, le cancellazioni e le distorsioni che ora approfondiremo singolarmente.

LE GENERALIZZAZIONI Le generalizzazioni sono affermazioni relative a ciò che le persone “possono “o “non possono” fare, “devono” o “non devono o dovrebbero” fare. Quando un paziente usa delle generalizzazioni, prende una parte di una sua esperienza e la utilizza per rappresentare un‟intera categoria. È ben immaginabile come tutto ciò possa portare ad un impoverimento della comunicazione con la perdita di dati potenzialmente decisivi per la diagnosi e la terapia. Sono generalizzazioni per esempio le affermazioni: “Le medicine (gli antibiotici) sono dannose”, “Il cambiamento è difficile; non posso modificare il mio stile di vita”, “Dal dentista provo sempre dolore”, “L’anestesia è sempre un rischio”, o ancora “Lo sanno tutti che i dentisti se ne approfittano”.

52

Le generalizzazioni consistono nel prendere parte di un’esperienza e utilizzarla per rappresentare un’intera categoria.

Le domande del metamodello sono volte quindi ad indagare la validità di tali affermazioni e portare alla luce riferimenti specifici di tempo, persone, luoghi e contesto. Servono

cioè

ad

uscire

dalla

generalizzazione

eseguita dal paziente e a

contestualizzare la singola esperienza. Le principali categorie delle generalizzazioni sono: i quantificatori universali, gli operatori modali e le performative perdute. I QUANTIFICATORI UNIVERSALI sono termini (tutti, ognuno, nessuno, chiunque) che sovra-generalizzano un‟ affermazione partendo da un caso particolare. Può essere un esempio di affermazione generalizzante la frase: “Non puoi fidarti dei dentisti”. L‟odontoiatra può affrontarle e metterle in dubbio innanzitutto puntualizzando sul quantificatore utilizzato, chiedendo ad esempio “Non ci si può fidare proprio di nessun dentista?”, “Lei si è mai fidato di un dentista?”, “Immagini una circostanza nella quale potrebbe fidarsi di un dentista”. Oppure può fornire un contro-esempio relativo all‟esperienza che si sta verificando nel momento stesso del colloquio, chiedendo al paziente: “Lei si fida di me in questo momento?”. O ancora può tentare un confronto evidenziando le differenze tra le due esperienze domandando “Cosa accadrebbe se lei si fidasse del dentista?”, “Cosa le impedisce di fidarsi?”, “Che differenza c’è tra un dentista di cui lei si fida e quello di cui non si può fidare?”, ”Cosa le permetterebbe di fidarsi di un dentista?”. Rispondendo in questo modo riesci a realizzare una ristrutturazione della conversazione e inviti il paziente a riesaminare la propria mappa, a metterla in collegamento con una più ampia gamma di esperienze, arricchendo così le possibili letture della realtà. Gli OPERATORI MODALI sono termini con i quali il paziente indica “in che modo” agisce nel mondo. Tra le possibili “modalità operative” esistono la necessità, il desiderio, la scelta, la possibilità o l‟impossibilità, la capacità o l‟incapacità. Per esempio un paziente che si presenta dicendo “Non posso iniziare questo lavoro” oppure “Non posso rinunciare a fumare” sta generalizzando mediante un operatore modale. Puoi quindi domandargli: “Cosa le impedisce di iniziare questo lavoro?” oppure “Cosa accadrebbe se fosse disposto a rinunciare a fumare?”. Anche in questo caso, quando risponde o cerca di rispondere, l‟interlocutore è portato a richiamare alla mente tutti gli elementi nella sua neurologia che riguardano l‟argomento in questione, e quindi ad arricchire la sua mappa e contemplare nuove possibilità. 53

Le PERFORMATIVE PERDUTE sono affermazioni attraverso le quali il paziente può esprimere giudizi sotto forma di generalizazioni, senza rendere espliciti nè i criteri utilizzati, nè coloro che li hanno espressi. Si presentano come affermazioni ovvie, universalmente applicabili, come verità assolute. Può essere un esempio l‟espressione “Non si può smettere di fumare tanto facilmente”, o anche “E’ difficile lavarsi i denti tre volte al giorno”. Una generalizzazione chiude l‟argomento, lo immobilizza, pone fine ad ogni domanda di approfondimento o di analisi. Anche in questo caso puoi intervenire nel processo attraverso le domande del metamodello chiedendo al tuo paziente “Chi lo dice?”, “Quando lo dice?”, “A chi?”, “A proposito di cosa?”, “In quale momento?”, “In quale circostanza?”,”In quale contesto?” . Queste domande ti permettono di recuperare le informazioni mancanti e di aggiungerle alla rappresentazione dell‟interlocutore arricchendo così la sua esperienza soggettiva.

LE CANCELLAZIONI Le cancellazioni sono dei processi, a volte inconsci, con cui il paziente seleziona gli elementi a cui prestare attenzione, tralasciandone altri. Tale processo da un lato lo protegge da una mole di stimoli eccessiva, dall‟altra però impoverisce la sua mappa mentale riducendola a proporzioni più “maneggevoli”. I processi di cancellazione riguardano soprattutto verbi, nomi, riferimenti e comparazioni che il paziente descrive in senso generale, in modo incompleto e poco circostanziato. Ne è un esempio l‟espressione: “Il dolore è insopportabile”. Ad una cancellazione come questa consegue una perdita parziale di informazioni che dovrai portare alla luce, con domande mirate, per riuscire ad arricchire il modello mentale del tuo assistito e moltiplicare la gamma delle sue possibili scelte comportamentali. Le domande del metamodello permettono di recuperare informazioni relative a chi, come, cosa, dove e quando. Puoi quindi estrapolare informazioni più specifiche dall‟esempio precedente chiedendogli: “Quale dolore è insopportabile?”, “Qual è la zona specifica interessata dal dolore?”, “Quando inizia il dolore?”, “Quanto dura?”, “Ci sono momenti i cui si attenua?”. Le cancellazioni sono dei processi con cui il paziente seleziona gli elementi a cui prestare attenzione tralasciandone altri. È possibile distinguere le cancellazioni in indici referenziali non specificati, cancellazioni semplici, cancellazioni comparative e superlative. 54

Gli INDICI REFERENZIALI NON SPECIFICATI in genere, coinvolgono i nomi che designano delle categorie come “i medici”, “le medicine”, ”la gente”, “le malattie”. È un esempio l‟espressione “le medicine mi fanno male”. Dovresti indagare sulla frase del paziente domandandogli: “Quale tipologia di medicine specificatamente le fanno male?”, “A cosa le fanno male?”, “Che tipo di disturbi le arrecano?”. Le CANCELLAZIONI SEMPLICI sono frequentemente nomi e verbi non specificati che il paziente cancella da una sua affermazione. Per esempio in un‟espressione quale “Mi hanno dato due tipi di antibiotici” il paziente sta cancellando il soggetto. Domanda allora “Chi specificatamente le ha dato gli antibiotici?” per ampliare le informazioni che il paziente ha eliminato. Le CANCELLAZIONI COMPARATATIVE E SUPERLATIVE vengono usate quando il paziente esprime una valutazione che confronta due esperienze (oggetti, persone ecc.) senza specificare il secondo termine di paragone, come nell‟affermazione “E’ molto più doloroso”, “L’intervento è troppo lungo e faticoso”, “La terapia è troppo costosa”. Per ricontestualizzare l‟esperienza che ha portato il paziente a questa conclusione potresti interrogarlo sul secondo termine di paragone mancante chiedendogli per esempio “Molto più doloroso rispetto a cosa?”, “Troppo lungo e faticoso rispetto a cosa?”, “Rispetto a cosa è troppo costosa?”.

LE DISTORSIONI Le persone operano continuamente delle distorsioni sia quando rappresentano la realtà nella propria mente, sia quando la raccontano agli altri. Distorciamo la realtà per rappresentarla sotto una nuova forma, ma allo stesso tempo ne limitiamo anche la ricchezza. Anche i tuoi pazienti possono fornire dei dati distorti che riducono l‟efficaca della vostra interazione. La realtà viene distorta nella nostra mente per essere rappresentata sotto una nuova forma.

Sono differenti tipi di distorsione le nominalizzazioni, la lettura del pensiero, la causa-effetto e le presupposizioni. Le NOMINALIZZAZIONI sono distorsioni che il paziente attua quando attribuisce dei nomi ad azioni o eventi. Per esempio quando un paziente dice “Non sopporto l’insensibilità delle assistenti” puoi mettere in discussione le nominalizzazioni 55

sciogliendo i sostantivi (nel caso specifico l‟insensibilità) in parole che ne esprimano l‟elemento di dinamismo e la possibilità di trasformazione. Potresti quindi chiedere “Cosa fanno, o non fanno, per farle pensare che siano insensibili?”. De-nominalizzare ti dà il potere di riconnetterti alle azioni e ai processi originari dell‟interlocutore e di riproporre gli stessi concetti appena espressi in formazione dinamica. La LETTURA DEL PENSIERO si riferisce alle affermazioni di un paziente che presume di conoscere il pensiero, le emozioni, i valori, le intenzioni di un'altra persona. Rientra in questa categoria la frase “So che lei dottore, pensa che il dente non si possa curare”. Anche se l‟odontoiatra non ha fatto nessuna affermazione in merito, il malato, magari scoraggiato e impaurito, gli attribuisce i propri pensieri. Anche in questo caso puoi evitare fraintendimenti e difficoltà relazionali sfruttando domande mirate come “Che cosa l’ha portata a questa conclusione?”, “In che modo è arrivato a farsi questa idea?”, “Dipende da qualcosa che ho detto o fatto?”. La CAUSA-EFFETTO è un tipo di distorsione che si verifica quando si mettono in relazione due esperienze, comunicando che una delle due determina l‟altra. Il punto è che i due eventi potrebbero essere in relazione tra loro per altre ragioni oppure non esserlo affatto. Ad esempio un paziente potrebbe sostenere “Dopo che mi ha fatto la terapia canalare ho avuto mal di testa tutto il giorno”. Anche in questo caso puoi evidenziare una concomitanza di più fattori in modo da allargare la prospettiva del malato chiedendo “Cosa le fa pensare che la terapia possa aver provocato il mal di testa”, oppure “Prima della terapia non le è mai capitato di provare mal di testa?”, ”In che modo la terapia canalare dovrebbe essere la causa del mal di testa?”. Le PRESUPPOSIZIONI sono delle condizioni che devono sussistere affinchè un enunciato sia vero. Molte volte i pazienti traggono delle conclusioni da queste affermazioni arbitrarie che ritengono vere e indiscutibili. Ad esempio se un paziente dice: “Temo che dopo l’estrazione la parte si gonfierà e mi farà male, come è accaduto anche a mia madre e mia sorella”, pressuppone implicitamente l‟idea che i consanguinei rispondano allo stesso modo a un problema di salute. Indaga con domande mirate sul motivo che porta il paziente ad avere queste convinzioni perché alle volte il malato stesso non sa che sono frutto di concetti presi per veri a priori e provenienti dalla famiglia, dal retaggio culturale e dalla società.

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IL MILTON MODEL Il Milton Model o “linguaggio vago”, è una serie di tecniche ispirate al modo di fare terapia dell‟ipnoterapeuta Milton Erickson e sfrutta (all‟opposto del Metamodello) generalizzazioni, distorsioni e cancellazioni, a vantaggio della comunicazione. È il tipo di linguaggio che viene utilizzato nel corso di induzioni ipnotiche, visualizzazioni guidate e altri processi di rilassamento. Il linguaggio ipnotico, che induce al rilassamento profondo e che permette di rilassare la mente conscia e di lavorare con la mente inconscia, risulta molto fluido, quasi ininterrotto, con una massiccia presenza di congiunzioni che uniscono le frasi e non spezzano il “flusso di rilassamento”. Proprio per questo suo potere “subliminale” il linguaggio vago è usato da politici, venditori e cartomanti per “influenzare” gli altri. Gli schemi linguistici del Milton Model sono stati catalogati da Richard Bandler il quale ha dimostrato che possono essere usati anche nella comunicazione giornaliera senza l‟uso della trance ipnotica. Il Milton Model è un linguaggio abilmente vago che consente di fornire istruzioni, e quindi di convincere e guidare una persona, senza il rischio di entrare in contrasto con la sua parte razionale.

Esistono 18 schemi linguistici nel Milton Model, tra i quali prendiamo in considerazione solo quelli più importanti: La tecnica degli YES SET consiste nel preparare il terreno con una serie di domande, a cui il paziente darà sicuramente una risposta affermativa, per poi porre sul finire una ultima domanda che svela le nostre vere intenzioni e a cui il paziente difficilmente riuscirà a rispondere negativamente. Se le domande hanno un nesso fra di loro la tecnica sfrutta egregiamente anche il principio di coerenza (discusso nel capitolo VI). Per capire meglio supponiamo che un paziente si presenta alla tua osservazione con un dolore a un dente e devi convincerlo a intraprendere una terapia endodontica-protesica che potrebbe non essere economicamente alla sua portata. Inizia a porgli delle domande alle quali risponderebbe sicuramente in maniera affermativa: “Lei ha preso appuntamento con me perché ha fastidio a un dente?” “SI” – “Vorebbe porre fine a questo fastidio?” “SI” – “Se è venuto da me, è convinto che possa toglierle il fastidio e consigliarla per il meglio per la sua salute orale?” “SI” – “Quindi lei tiene alla sua salute?” “SI”. Solo adesso sposta l‟attenzione verso il tuo obiettivo: “Poiché lei tiene alla sua salute e vuole far cessare il fastidio che ne dice di devitalizzare il dente?” “SI” - “E

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siccome si fida di me e sa che opero nei suoi interessi, che ne dice poi di incapsulare il dente per renderlo più resistente e rispristinare al meglio la sua funzionalità?” A questo punto è più facile che il paziente risponda positivamente alla tua proposta. Una tecnica simile allo Yes Set è quella dei TRUISMI, termine che viene dall‟inglese true (vero). Se qualcuno, in tono adeguatamente convincente, pronuncia una serie di affermazioni palesemente vere (truismi, appunto) e le fa seguire da un‟affermazione verosimile o poco credibile, il nostro sistema di controllo l‟accetta come se fosse assolutamente vera. Possiamo applicare questa tecnica all‟esempio precedente cambiando le domande in affermazioni (presumibilmente vere): “Lei ha preso appuntamento perché ha fastidio a un dente e vorrebbe far smettere questo dolore. Ha chiesto il mio parere professionale quindi si fida di me e pensa che possa curarla al meglio. Siccome è una persona che tiene alla sua salute, le consiglio di iniziare una terapia canalare per farle cessare immediatamente il fastidio mentre decidiamo insieme una riabilitazione protesica al fine di rinforzare il dente e ristabilirne la funzione”. Le congiunzioni in grassetto aiutano la mente a connettere i truismi come se avessero un filo logico, fino ad arrivare al tuo suggerimento. Gli “yes set” e “i truismi” sono tecniche linguistiche che puoi usare per creare il cosiddetto CAMPO AFFERMATIVO, cioè indurre il paziente a rispondere in maniera affermativa ai tuoi comandi.

Le MINORI STRUTTURE INCLUSE sono invece delle domande o dei comandi nascosti in una frase più ampia. Le domande nascoste hanno lo scopo di creare nel paziente una potenzialità di risposta senza porgli una richiesta esplicita. Ad esempio: “Mi domandavo se lei si sente meglio”,” Sono proprio curioso di sapere perchè ha deciso di venire a consultarmi e che cosa vuole veramente ottenere”, “Mi chiedo se lei è consapevole dell’importanza di intervenire immediatamente”. Puoi usare questa tecnica con le domande del metamodello per evitare di sembrare martellante. I comandi nascosti hanno lo scopo di far giungere indirettamente suggestioni al paziente rendendogli

in tal modo difficile qualsiasi tipo di resistenza. Ne sono un

esempio le seguenti affermazioni:” Vorrei che lei si renda conto che si è seduto su quella poltrona e si rilassa sempre di più”, “I pazienti riescono a seguire i miei consigli e a stare bene dopo l’intervento”. Puoi inoltre evidenziare, in maniera sottile, i comandi nascosti con un tono discendete della voce, quasi fossero degli imperativi.

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I suggerimenti diretti non funzionano perché la mente conscia è piena di scuse, perciò puoi bypassarla inserendo nelle frasi questi messaggi che spingono il paziente a fare ciò che ritieni opportuno. Le minori strutture incluse sono suggestioni che dai al paziente, abilmente nascoste nel linguaggio colloquiale. Le PRESUPPOSIZIONI sono il modello linguistico più potente quando vengono utilizzate da un professionista, che riesce a presupporre le cose che non vuole siano messe in discussione. Nel Milton Model, al contrario del metamodello, le userai cercando appunto di inserire nel discorso tutti i preconcetti che ritieni utili, senza renderne conto al paziente. Per creare delle presupposizioni mirate puoi aiutarti attraverso una serie di accorgimenti: -

Presupposizioni subordinate rette da clausole temporali: prima, dopo, durante, mentre, da quando....Una frase come "Siediti mentre decidi come vuoi pagare”, presuppone che la persona debba pagare, deve solo decidere se farlo in piedi o da seduta.

-

Numeri ordinali (primo, secondo, terzo ecc) che indicano un ordine di esecuzione di un‟azione o di un compito. Per esempio: ”Per prima cosa preoccupiamoci di togliere il dolore, poi cureremo il dente ”, presuppone che il paziente curerà il dente, dopo che gli sarà passato il dolore.

-

Uso della particella "oppure". Ad esempio dicendo: "Preferisci pagare in contanti oppure con assegno?", presupponi che l‟interlocutore debba pagare e gli dai solo la possibilità di scegliere come.

-

Predicati di consapevolezza. Parole quali sapere, essere consapevole, rendersi conto, notare, ecc. lasciano presupporre il resto della frase. Per esempio la frase: “Ti sei reso conto che stai già meglio?”, presuppone che il paziente sta meglio e che deve solo rendersene conto.

-

Puoi scegliere di inserire nel discorso dei commenti attraverso avverbi che commentano

una

frase:

fortunatamente,

chiaramente,

evidentemente,

ovviamente. "Fortunatamente sarà un intervento semplice". -

Puoi usare verbi e avverbi che indicano un cambiamento di tempo, come per esempio: cominciare, terminare, smettere di, continuare, procedere, già, tuttora, più, ecc. Se dici al paziente: "Sei tuttora interessato all’implantologia?", presupponi che la persona nel passato era interessata all‟implantologia.

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Più sono le cose presupposte, più è difficile districare la frase e mettere in discussione ciascuna proposizione per chi ascolta. Le presupposizioni sono il modello linguistico più potente quando sono utilizzate da un professionista che riesce a presupporre le cose che non vuole siano messe in discussione. I COMANDI NEGATIVI sono quelli che vengono introdotti dalla negazione NON che per la mente umana è una “non-parola”. Se chiedi a qualcuno di non fare qualcosa, evochi con la tua richiesta esattamente l‟immagine che vorresti evitare. Questo accade perché il “non” è sconosciuto al nostro inconscio. Ad esempio, alla nostra affermazione rassicurante “Non aver paura, non fa male” la mente del paziente si focalizzerà subito sulla paura e sul dolore, rendendoli a volte ancora più intensi. E‟ meglio dunque, proporre tutte le affermazioni in positivo riformulando come segue l‟affermazione precedente: “Stai tranquillo, è tutto a posto, dopo il trattamento starai meglio”. Ovviamente potresti usare questa tecnica anche in maniera più subdola sfruttando la negazione “non” per indirizzare la mente del paziente proprio verso il concetto che vuoi negare. Ad esempio puoi stuzzicare la curiosità del paziente con una semplice frase: “Non credo che lei possa essere interessato ad altre alternative”. La particella “non” è sconosciuta all’ inconscio.

Quando vuoi far arrivare un messaggio a qualcuno, RACCONTARE UNA STORIA che gli “insegni” qual è la decisione giusta da prendere può essere molto potente. Ne sono un esempio le favole che dietro un banale intreccio nascondono una morale ben precisa. Nel caso specifico, se viene una persona che deve fare un intervento particolare, puoi raccontarle di un altro tuo paziente che giusto poco tempo prima ha dovuto affrontare problematiche simili sottoponendosi allo stesso trattamento e uscendone infine molto soddisfatto. La storia che racconti non deve per forza ricalcare passo passo l‟attuale problema del paziente, basta che “metaforicamente” indichi un percorso da seguire. Raccontare (pseudo)storie accadute a terzi ti permette di lanciare il messaggio voluto in maniera subliminale e atraumatica in quanto il tuo interlocutore non si sentirà chiamato in causa, ma il suo subconscio processerà comunque tutte le informazioni che gli hai dato.

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Le storie hanno un potere ipnotico: ci fanno entrare in uno stato di trance in cui la parte critica del cervello abbassa le sue difese e permette al subconscio di capire esattamente come si sente il protagonista della storia e arrivare a sentire quello che prova.

Il linguaggio miltoniano tende a rilassare l‟ascoltatore, incoraggia il pensiero creativo e influenza a un livello profondo piuttosto che razionale. Spesso la gente guarda con sospetto alla “trance”, credendo che faccia “perdere il controllo”, o che un'altra persona prenda in mano la situazione. In realtà ciò che accade è che, pur essendo influenzati dal linguaggio, nello stato di trance si prendono delle decisioni e si agisce solamente in linea con i propri valori e desideri.

LA PSICOLINGUISTICA La psicolinguistica è una branca della psicologia che studia le modalità di interazione tra le capacità verbali e altre facoltà cognitive. Nei paragrafi precedenti hai visto come puoi usare il linguaggio per costruire un ponte di comunicazione con gli altri. Ora evidenzieremo gli effetti che le parole producono sulle mente e sulle emozioni umane e come puoi maniporarle per i tuoi fini. Una delle differenze principali tra comunicatori mediocri e comunicatori di grande successo è quanto parlano e il numero di DOMANDE che pongono. Si è scoperto che i grandi comunicatori pongono al loro pubblico, quasi il triplo delle domande e, sebbene possa sembrare sorprendente, parlano molto meno rispetto ai loro colleghi. I grandi comunicatori fanno dunque molte domande e poi lasciano che sia il loro pubblico a parlare. E‟ la persona che fa le domande che ha il controllo, non chi parla tutto il tempo. Attraverso di esse è possibile controllare e guidare la discussione, facendo però molta attenzione al modo in cui si pongono. Innanzitutto, in base a come sono formulate, le domande possono essere chiuse o aperte. Le domande chiuse sono elaborate in modo tale che l‟interlocutore è indotto a rispondere in modo breve e conciso, probabilmente con un si o un no. Alla domanda “Vuoi togliere il dente?” per esempio la persona che risponderà si focalizzerà solo sulla risposta specifica e non fornirà altre informazioni per inziare un approccio parsuasivo. Per ottenere una risposta più ampia e dettagliata è meglio usare le domande aperte iniziando al frase con : “Quando hai iniziato. . . ?Dove hai trovato. . . ? Che cosa ne pensi. . . ?Hai mai pensato. . . ?Come ti senti. . . ?”. Chiedendo ad esempio al paziente 61

“Che ne pensi di togliere il dente?” incoraggi la persona a parlare, a prendere in considerazione vari aspetti dell‟argomento palesando motivazioni e desideri, spesso nascosti, che potrai usare nel processo di persuasione. Un ulteriore accorgimento è quello di evitare di iniziare le domande con il classico “Perché?”. Questa parola implica che l‟interlocutore fornisca una spiegazione razionale al proprio comportamento, quando in realtà, spesso, non sa bene per quale ragione si comporta in un determinato modo. La domanda introdotta da “perché” suscita una reazione di chiusura in quanto induce l‟altro a giustificarsi anziché cercare possibili alternative per il futuro. Quindi piuttosto che chiedere: “Perché non vuole mettere gli impianti?” faresti meglio a riformulare il messaggio con ”Le avevo già parlato di quanto fosse importante rimettere i denti mancanti. Ha mai pensato/ha riflettuto/ cosa ne pensa di una terapia implantologica?”. Nota come, formulata in questo modo, la frase perde di intensità emotiva e passi dall‟aggredire il carattere di una persona a trovare con lui una soluzione. Fare domande con “cosa, quando, come, come, chi, dove” consente di aggirare questo ostacolo e rende più semplice entrare nella mente dell‟interlocutore, in quanto ti permette di analizzare parti specifiche dell‟argomento.

TECNICA DELLE DOMANDE

DOMANDE APERTE

Info generali DOMANDE CHIARIFICATRICI Info specifiche DOMANDE DI CONTROLLO Fatti, necessità

Conferma necessità

RIASSUNTO

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Fai sempre domande aperte per ricevere maggiori informazioni ed evita la locuzione “perché’”.

Gli studi sulla psicolinguistica dimostrano che le osservazioni troppo dirette (con l‟uso del pronome “tu”, “voi”, “lei” sottinteso o esplicito) possono produrre conseguenze negative ai fini della comunicazione. Frasi come: ”Deve sempre avere l’ ultima parola, vero?”, “Prende sempre un appuntamento e poi non si presenta”, “Deve lavarsi i denti” risvegliano sentimenti negativi nell‟interlocutore che quindi può chiudersi sulle sue posizioni. Se riformulate con uno stile più aperto danno maggiore autorevolezza al parlante e invogliano l‟altro ad ascoltare. Inoltre l‟enfasi dell‟affermazione si trasferisce sulla prima persona singolare “io” e risulta meno aggressiva. Ecco che le domande precedenti risultano meno ostili se presentate come segue: “Sembra proprio che le ultime parole debbano sempre venire da lei”, “La aspetto sempre per l’appuntamento, ma non viene mai”, “Secondo me/a mio parere/ mi sembra che lei debba porre maggior attenzione all’igiene orale”. Evita le osservazioni troppo dirette e riformulale in uno stile aperto spostando l’enfasi sulla prima persona singolare.

Un metodo di sicura efficacia per attirare l‟attenzione dell‟interlocutore è quello di ENTRARE IN CONFIDENZA con lui rendendolo partecipe di un‟esperienza o di un aneddoto personale inerente al tema della conversazione, che verrà percepito come un “segreto” confidato. Attraverso questo semplice espediente il paziente sente che ti stai aprendo a lui, percepisce l‟uomo dietro il professionista e ottieni facilmente il suo ascolto. Lo rendi così attento e più che lieto di seguirti nel discorso. Un altro modo sicuro per catturare l‟attenzione di qualcuno è quello di CHIAMARLO PER NOME. Il nostro cervello è impostato per rispondere automaticamente al suono del nostro nome anche se impegnato in altri compiti. Chiama quindi per nome il

tuo

paziente: oltre a farlo sentire “importante”, lo renderai partecipe in prima persona e riuscirai anche a tenerlo vigile e attento sul discorso che stai affrontando. Inoltre cerca di ricordare (o di annotare) più dettagli possibili della sua vita e delle conversazioni che avete intrapreso e trova i momenti giusti per “sfoggiare” questa tua capacità. Il nostro cervello è alla continua ricerca di completezza e tende inconsciamente a riempire i vuoti di informazioni rimpiazzandoli con concetti affini. Possiamo sfruttare

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questo escamotage finendo le nostre frasi con la parola “OPPURE”. Se poniamo alla fine di una frase la parola oppure, alzando il tono della nostra voce, l‟interlocutore la percepirà come fosse una domanda e tenderà a concludere da sé la frase. Per esempio alle domande “Vuole annullare l’appuntamento, oppure.....?”, ”Preferisce togliere il dente, oppure…..?” il cervello dell‟interlocutore tenderà a concludere automaticamente con “… Oppure no” ,poiché incosciamente ha già valutato l‟alternativa alla frase che ha appena sentito. Se poi vuoi aumentare ancora le possibilità di successo, basta associare al linguaggio verbale anche un messaggio analogico: cambia il tono di voce oppure annuisci o scrolla leggermente la testa se la logica dell‟affermazione vorrebbe concludere la frase rispettivamente con l‟accettazione o la negazione della tua richiesta. Può risutare molto utile argomentare un‟affermazione con perche‟, cioè fornire sempre una spiegazione per un comportamento, anziché lasciare che sia l‟interlocutore a trovarla. Nel momento in cui fornisci una spiegazione, privi l‟altra persona della possibilità di speculare in maniera erronea sui motivi specifici delle tue azioni. Dato che le aspettative individuali determinano l‟idea che uno si fa di una determinata situazione, argomenta tutto quello che fai e dici spiegandone il perché: eviterai così che il paziente rimurgini con supposizioni infondate e otterrai più facilmenteil suo consenso. Per aumentare la possibilità di successo nel dare delle istruzioni può essere efficace anche fornire INDICAZIONI COMPLESSE, cioè unire due comandi da una congiunzione “e”. Per esempio invece di dire “si sieda” e poi “ prendiamo un appuntamento” unisci il comando in un'unica affermazione come “per favore, si sieda e prendiamo un appuntamento”

in modo che il paziente riceva più informazioni da

elaborare. Infatti è più facile dire di no a una richiesta alla volta piuttosto che rifiutarne due insieme. Nella comunicazione risulta vantaggioso inserire anche le IPNO-WORD, cioè delle parole che creano uno stato emozionale piacevole e predispongono al consenso. Sono degli ancoraggi auditivi che, una volta attivati, provocano uno stato d‟animo positivo. Ogni persona ha decine di queste parole che usa spesso quando esprime pareri, giudizi e convinzioni. Se un paziente afferma ”il mio dentista deve essere disponibile e cortese” potresti ripetere in maniera sottile nei colloqui col tuo assistito le due ipnoword disponibilità e cortesia per catturarne la simpatia e la fiducia. Inoltre per aumentarne l‟effetto, metti in risalto ogni parola con un tono di voce più alto, con un cenno del capo o degli occhi, oppure piegandoti leggermente in avanti. Sono tutte

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“sottolineature” che vengono percepite inconsciamente dal cervello bypassando la parte razionale e arrivando direttamente a quella emozionale.

Chiama il paziente col proprio nome, usa in maniera appropiata la particella “oppure”, argomenta qualsiasi affermazione con “perché” e usa consapevolmente le ipno-word: sono accorgementi che migliorano la tua comunicazione.

Così come esistono parole consigliate per condizionare positivamente il paziente ne esistono anche altre da evitare perché possono influenzarlo negativamente. Le frasi con la parola VERAMENTE hanno sempre un retrogusto negativo in quanto l‟interlocutore riconosce in esse una “via di fuga”, intuisce che qualcosa non è come la si descrive e nel peggiore dei casi può diventare diffidente. La parola MAGARI è un altra via di fuga che esprime soltanto incertezza e manifesta la reale non volontà di chi la pronuncia. Anche le particelle MA/PERO’/TUTTAVIA generano resistenza nella comunicazione poiché unendo due affermazioni tendono ad escludere la prima e ad enfatizzare la seconda, che di solito esprime il concetto opposto. Per esempio a seguito dell‟affermazione di un paziente “Il mio dentista è bravo, ma ……” puoi manipolare il dialogo distogliendo l‟attenzione dell‟interlocutore dall‟espressione dopo il ma e approfondendo i motivi della sua bravura. Inoltre per non esprimere un giudizio è sempre meglio usare la congiunzione E poiché connette le due affermazioni senza lasciare intendere alcuna preferenza. Evita anche la formula “A ESSERE SINCERO DEVO DIRE” poichè viene percepita negativamente, in quanto presuppone che altre volte non lo sei stato e quindi non sei sempre degno di fiducia. Infine quando usi la particella pronominale “SI” nessuno si sente interpellato personalmente poiché il “si” è neutro e di per sè debole e quindi qualsiasi considerazione, di critica o di plauso, cade nel vuoto. Evita le particelle “ma/però/tuttavia”,“si”, le parole “magari” e “veramente” e la formula “a essere sincero” : impoveriscono la tua comunicazione.

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In conclusione quando le persone parlano utilizzano delle parole che non sono affatto scelte a caso ma anzi sono significative ad un livello personale. Infatti è vero che le espressioni hanno un significato condiviso dalla maggior parte delle persone, ma è altrettanto vero che ciascuno di noi ha una sua personale percezione di esse e soprattutto ad esse è collegata una diversa esperienza soggettiva.

Il significato di una comunicazione è dato dalla risposta che ottiene.

PER RIASSUMERE… 

Le parole sono la rappresentazione linguistica delle nostre esperienze sensoriali.



Le parole impoveriscono e semplificano la realtà, di per sé troppo ricca di particolari per poter essere rappresentata linguisticamente, attraverso i processi di generalizzazione, cancellazione e distorsione.



Usa il metamodello per aiutare il paziente a risalire all’esperienza sensoriale originaria di cui ha creato un proprio modello linguistico.



Le generalizzazioni consistono nel prendere parte di un’esperienza e utilizzarla per rappresentare un’intera categoria.



Le cancellazioni sono dei processi con cui il paziente seleziona gli elementi a cui prestare attenzione, tralasciandone altri.



La realtà viene distorta nella nostra mente per essere rappresentata sotto una nuova forma.



Il Milton Model è un linguaggio abilmente vago che consente di fornire istruzioni, e quindi di convincere e guidare una persona, senza il rischio di entrare in contrasto con la sua parte razionale.



Gli “yes set” e “i truismi” sono tecniche linguistiche che puoi usare per creare il cosiddetto CAMPO AFFERMATIVO, cioè indurre il paziente a rispondere in maniera affermativa ai tuoi suggerimenti.



Le minori strutture incluse sono suggestioni che dai al paziente, abilmente nascoste nel linguaggio colloquiale.



Le presupposizioni sono il modello linguistico più potente quando sono utilizzate da un professionista che riesce a presupporre le cose che non vuole siano messe in discussione.

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La particella “non” è sconosciuta all’ inconscio.



Le storie hanno un potere ipnotico: ci fanno entrare in uno stato di trance in cui la parte critica del cervello abbassa le sue difese e permette al subconscio di capire esattamente come si sente il protagonista della storia e arrivare a sentire quello che prova.



Fai sempre domande aperte per ricevere maggiori informazioni ed evita la locuzione “perché’”.



Evita le osservazioni troppo dirette e riformulale in uno stile aperto spostando l’enfasi sulla prima persona singolare.



Chiama il paziente col proprio nome, usa in maniera appropiata la particella “oppure”, argomenta qualsiasi affermazione con “perché” e usa consapevolmente le ipno-word: sono accorgementi che migliorano la tua comunicazione.



Evita le particelle “ma/però/tuttavia”,“si”, le parole “magari” e “veramente” e la formula “a essere sincero”: impoveriscono la tua comunicazione.



Il significato di una comunicazione è dato dalla risposta che ottiene.

PER APPROFONDIRE… Bandler R, Grinder J. “La struttura della magia”. Astrolabio, 1981. Bandler R, Grinder J.“I modelli della tecnica ipnotica di Milton Erikson”.Astrolabio, 1981. Dilts R. ”Il potere delle parole e della PNL”. Alessio Roberti editore (NLP Italy), 2004. Havener T. “So quel che pensi”. Tea pratica, 2011. Rampin M. “Al gusto di cioccolato”. Ponte delle grazie, 2005.

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Capitolo V

L’INCANTESIMO DELLA PERSUASIONE ( prima parte ) “Ci sono pochi persuasori nella vita, perché pochi sanno ascoltare.” (Robert Cialdini)

Come fanno alcuni professionisti con grande fascino e carisma a convincerci delle loro idee? Perché alcuni venditori riescono a spingere i propri clienti a comprare qualsiasi cosa? Sono forse a conoscenza di una formula magica che permette loro di manipolare le nostre menti? Probabilmente sì ma non è un incantesimo di maghi e fattucchiere, bensì qualcosa di molto più reale. Qualcosa che in realtà ognuno di noi, se istruito e allenato, può essere in grado di fare. Si tratta di un incantesimo affascinante chiamato Persuasione. La persuasione è la capacità di modificare il pensiero, l‟atteggiamento e il comportamento altrui attraverso uno scambio di idee. E‟ l‟arte del convincimento per mezzo delle parole e del linguaggio del corpo che consente al persuasore di dare una direzione al pensiero dell'interlocutore, di metterlo nello stato d'animo voluto e di indurlo ad agire in un modo predefinito. La persuasione rappresenta un potente mezzo non solo nel campo del marketing ma anche in tutte quelle situazioni in cui esiste un rapporto

contrattuale

tra

una

persona

che

fornisce

un

servizio

(venditore,

professionista) ed un‟altra che usufruisce del servizio (acquirente, cliente). In questa categoria rientra anche il rapporto medico - paziente, dove colui che fornisce il servizio è il medico, o nel nostro caso l‟odontoiatra, mentre colui che ne usufruisce è appunto il suo paziente. Qualcuno attribuisce al termine “persuasione” una serie di connotazioni negative legate all‟idea di “manipolazione occulta”. Quella discussa in questo capitolo è propriamente una persuasione “dolce”, cioè un insieme di tecniche accorte che, nel pieno rispetto della dignità della persona, agiscono sulla mente allo scopo esclusivo di generare risultati desiderabili per entrambi i soggetti dell‟interazione. Conoscere i principi che governano l‟arte della persuasione ti consentirà di presentare agli altri le tue proposte e raccomandazioni nel modo più efficace possibile massimizzando la possibilità che vengano accolte. Migliorerai il rapporto con le persone 68

evitando inutili conflitti e soprattutto acquisirai delle linee guida di comportamento chiare, univoche e sperimentate ogni volta che cercherai di convincere il tuo interlocutore.

L’ARTE DELLA PERSUASIONE DI ARISTOTELE La persuasione affonda le radici ai tempi di Aristotele, che duemila anni fa la definiva “l’arte di indurre le persone a compiere azioni che normalmente non compirebbero se non lo chiedessimo loro”. L‟uomo, in quanto animale sociale, è chiamato quasi quotidianamente a persuadere i propri simili con lo scopo di condurre l‟interlocutore da un punto di partenza ad un punto di arrivo. Per compiere questo percorso Aristotele individua tre capisaldi dell‟oratoria, ovvero tre fattori sui quali l‟oratore persuasivo può far leva per rendere convincente il suo discorso: 

Ethos



Pathos



Logos

L‟ethos è la forza morale che l‟oratore comunica. Il messaggio verbale è credibile soltanto se è credibile la fonte da cui proviene, e la fonte è credibile soltanto se l‟ascoltatore la percepisce come tale. Occorre, innanzitutto, che il medico guadagni credibilità agli occhi del suo paziente con impegno e costanza e soprattutto con un uso consapevole delle tecniche comunicative non verbali che ti ho presentato all‟inizio del testo. Infatti il linguaggio del corpo è universale ed è quello che partecipa maggiormente al significato del tuo messaggio. Un paziente particolarmente attento e sensibile potrebbe percepire inconsciamente delle incongruenze tra il parlato e la CNV e perdere quindi fiducia nell‟operatore che appare “insincero”. L‟ethos attiene quindi al soggetto della comunicazione e alla sincerità che egli sa trasmettere. Il pathos si riferisce alle emozioni provate dal pubblico. Secondo Aristotele il discorso può convincere l‟ascoltatore solo se suscita in lui delle emozioni. Tutti noi pensiamo che le persone siano fondamentalmente logiche e se diamo loro fatti, cifre e statistiche questa scelta lavorerà sempre a nostro favore. Certamente possediamo una parte logica, ma gli studi dimostrano che il subconscio e le emozioni sono fattori di enorme peso nelle nostre decisioni. Infatti fino al 95% di tutto ciò che ci influenza proviene da una leva subconscia. Ciò significa che affermazioni tipo “Mi sembra giusto”, “Mi sento bene”, o “Non mi fido di quel medico” sono tutte basate su reazioni emotive. 69

La nostra consapevolezza della realtà è quindi il risultato di una sensazione che bypassa completamente la parte razionale del nostro cervello. In sostanza devi essere in grado di produrre empatia e puoi farlo attraverso le tecniche di PNL precedentemente esposte. Il logos è il discorso verbale cioè le parole effettivamente pronunciate dall‟oratore per esprimere il loro contenuto e il messaggio voluto. Il filosofo sottolinea l‟importanza di costruire il discorso con le parole più appropriate e di renderlo funzionale al nostro scopo attraverso l‟uso della linguistica. Le tecniche descritte nei prossimi due capitoli quindi risultano utili per migliorare la relazione medico-paziente soltanto se usate come coadiuvanti delle doti fondamentali dell‟empatia e della sincerità: prese singolarmente non sono sufficienti a stabilire rapporti fecondi e riuscire nell‟intento di persuadere. Empatia + Sincerità = Persuasione (ESP) Questa formula è ciò che si avvicina di più alla dote speciale di quei maghi che illudono il pubblico di possedere una percezione extrasensoriale (ESP) e di essere in grado di esercitare la lettura del pensiero.

ATTENZIONE, PREGO Se vuoi che il tuo messaggio sia ascoltato, devi innanzitutto suscitare nel tuo interlocutore un interesse sufficiente a mantenere desta la sua attenzione. Iniziamo col dire che è molto difficile ottenere un interesse costante ed il motivo è semplice: l‟arco di tempo nel quale riusciamo a mantenere la mente concentrata su un certo argomento è piuttosto breve. Il livello di attenzione, in una situazione ideale, dovrebbe crescere costantemente fino a raggiungere un livello massimo che viene mantenuto nel tempo. Questo nella realtà è pressoché impossibile da realizzarsi e il più delle volte si riscontra un andamento non costante con un continuo alternarsi di picchi positivi e negativi: comunemente infatti l‟attenzione nasce, aumenta, e poi cala per aumentare di nuovo e così via. Uno dei primi compiti di un bravo persuasore è quello di ridurre al minimo i cali di attenzione, comunicando solo quando la concentrazione dell‟interlocutore è alta. Per ridurre al minimo i picchi negativi durante un colloquio, devi cercare di limitare per quanto possibile le interferenze come ad esempio le telefonate o le interruzioni da parte 70

della segretaria, nonché la presenza di altre persone, come le assistenti che girano per la stanza mettendo in ordine. Infatti la decisione di accettare una qualunque proposta è strettamente influenzata dallo stato emotivo del paziente, il quale è direttamente proporzionale al livello di attenzione o interesse raggiunto. Se non è possibile ridurre le interruzioni e ti accorgi, grazie alla capacità maturata di leggere il linguaggio del corpo, che il paziente sta perdendo il filo del discorso offrigli un riassunto e ripeti i concetti più importanti. Grazie a questo piccolo espediente potrai catturare nuovamente la sua attenzione: la ricerca dimostra che memorizziamo soltanto circa il 40% circa di quello che ascoltiamo (in condizioni ottimali) quindi le ripetizioni aumentano sicuramente le probabilità che il tuo messaggio sia recepito. Mancanza di attenzione = Comunicazione inefficace = Mancanza di risultati

L’ASCOLTO ATTIVO Il termine ascolto attivo è stato coniato negli anni quaranta dallo psicologo Carl Rogers, che nel suo articolo “Barriere e vie d„accesso alla comunicazione” identifica nella tendenza a valutare e a giudicare le idee di un'altra persona la più grande barriera alla comunicazione efficace. Da quanto scrive l‟autore “la vera comunicazione ha luogo quando ascoltiamo in modo aperto ed evitiamo la tendenza a giudicare. Cosa significa? Significa vedere l’atteggiamento e l’idea espressi dal punto di vista dell’altra persona, capire come questa li sente, raggiungere la sua cornice di riferimento riguardo alla cosa di cui sta parlando. Questo modo “empatico” di comprendere è un approccio così efficace che può suscitare cambiamenti fondamentali della personalità”. Secondo Rogers per realizzare una comprensione empatica è necessario seguire una semplice regola: “Ciascuno può parlare ed esprimere la sua opinione solo dopo che ha esposto nuovamente e in modo fedele le idee e i sentimenti della persona che ha parlato prima, tanto che questa ne sia soddisfatta”. Ascoltare attivamente un'altra persona significa quindi imparare a vedere, ad ascoltare e a sentire nello stesso modo in cui vede e ascolta l‟altro. Nello specifico vuol dire non interrompere il paziente prima che abbia esaurito tutto ciò che ha da dire ed evitare di suggerirgli i termini da usare o eventuali risposte a questioni dubbie. L‟ascolto attivo rende molto più semplice ed efficace il rapporto terapeutico, perché il malato percepisce interesse e partecipazione alla propria condizione e quindi si rilassa, migliora la propria comunicazione in termini di dettagli significativi e contenuto ed è più

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disposto a collaborare. Puoi inoltre rinforzare l‟ascolto attivo conformando la tua comunicazione a quella del tuo interlocutore, individuando per esempio le sue modalità percettive e adattandoti ad esse come ti ho spiegato nel capitolo III. Una tecnica utile per realizzare l‟ascolto attivo è il BACKTRACKING che consiste nel parafrasare i concetti principali che il paziente ha appena terminato di esprimere utilizzando in massima parte le sue stesse parole. In questo modo riusciamo ad attivare i già citati truismi: poiché le nostre affermazioni riproducono quelle del paziente, questi non potrà che mostrarsi d‟accordo e sarà portato a dire di si più facilmente anche ad altre richieste successive. Impara ad ascoltare attivamente senza giudicare nè interrompere il paziente.

L‟ascolto attivo infine ti aiuta anche a non commettere una serie di piccoli “errori” che possono compromettere il rapport, in particolare: 

interrompere il paziente sia verbalmente che non verbalmente (ad esempio con un gesto);



vagare con lo sguardo nel vuoto ma piuttosto cercare di mantenere sempre un contatto visivo;



ascoltare solo quello che ci interessa e che conferma l‟opinione che ci siamo già fatti;



giudicare mentalmente l‟interlocutore appena apre bocca, pensando subito che si tratti dello scocciatore di turno;



obiettare mentalmente ancora prima che sia terminata l‟esposizione del suo punto di vista;



cercare di interpretare il pensiero dell‟interlocutore iniziando a costruire ipotesi su quello che potrebbe essere il vero senso dell‟obiezione da lui proposta o su ciò che egli intende asserire in maniera velata.

IL TAVOLO DELLE TRATTATIVE Dal punto di vista psicologico assume grande rilevanza anche la composizione del tavolo negoziale.

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Da alcune ricerche sappiamo che il tavolo ideale per promuovere un atmosfera “persuasiva” informale, rilassata e non conflittuale è il classico tavolo rotondo, intorno al quale tutti assumono pari dignità

e non si evidenzia una divisione

spaziale. Generalmente le scrivanie presenti all‟interno di uno studio medico o dentistico sono perlopiù rettangolari. In questo caso il posto in cui sediamo e la nostra disposizione rispetto all‟interlocutore possono essere usati per indurre negli altri specifiche emozioni e comportamenti.  Posizione di collaborazione: si realizza quando due persone si mettono dallo stesso lato del tavolo. È usata soprattutto tra persone alla pari o comunque da chi vuole mettersi alla pari del suo interlocutore, e viene sfruttata istintivamente per lavorare in gruppo.  Posizione competitiva o difensiva: si riferisce alla situazione in cui due interlocutori si fronteggiano faccia a faccia sedendo ai lati opposti del tavolo, che funziona da barriera

difensiva.

conversazione

E‟

anche

una se

posizione

adatta

l‟interlocutore

alla può

inconsciamente sentirsi intimorito e quindi chiudersi in un atteggiamento difensivo. Usa questa posizione solo dopo aver già instaurato un rapporto collaborativo con il paziente, preferibilmente non in prima seduta, per discutere di dettagli tecnici e organizzativi ma non personali.  Posizione della mediazione: è quella in cui due persone si posizionano l‟una di fronte all‟altra separate solo dall‟angolo del tavolo. Questa posizione evita un confronto diretto faccia a faccia grazie all‟interposizione dell‟angolo del tavolo, che costituisce una barriera parziale ma in grado di mantenere comunque possibile un buon contatto visivo. Sfruttala per creare un contatto più intimo e informale col paziente per esempio durante la discussione di una terapia o l‟accettazione di un preventivo. Con un

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semplice movimento della sedia, puoi eliminare le eventuali tensioni presenti e aumentare la probabilità che il colloquio abbia un esito positivo. A.G. White ha condotto un esperimento in alcuni ambulatori medici, dimostrando che la presenza o l‟assenza del tavolo è in grado di influenzare considerevolmente lo stato d‟animo del paziente: solo il 10% dei soggetti si sente a proprio agio quando nella stanza c‟è una scrivania e il medico vi siede dietro. La percentuale sale al 55% quando il tavolo non è presente. Il tavolo rotondo è l’ideale per creare un’atmosfera di collaborazione e persuasione. Su un tavolo rettangolare usa la posizione della mediazione per creare un contatto intimo e informale.

LE OBIEZIONI Per diventare abile nell‟arte della persuasione dovrai vedere le obiezioni dei pazienti in maniera diversa dagli altri. Ti renderai conto che quando le persone esprimono delle obiezioni, sono in realtà mentalmente interessate ed emotivamente coinvolte in tutto ciò che stai proponendo, anche se sono scettiche a riguardo. Può risultarti sorprendente, ma quando non vi sono repliche durante il processo di persuasione, il tasso di successo scende vorticosamente. È molto meglio avere contestazioni alla luce del sole piuttosto che lasciarle marcire. I grandi persuasori non considerano le obiezioni o i dubbi dell‟interlocutore come un‟opposizione, piuttosto le vedono come parte del complesso meccanismo della persuasione. Naturalmente il paziente potrebbe ritardare più o meno a lungo il momento della decisione, il momento in cui deve dire sì o no, ma questo stallo può essere usato a tuo vantaggio. Non importa quanto bravo tu sia: le critiche saranno sollevate e, se ben gestite, ti aiuteranno. La capacità di persuasione dipende molto da come si gestiscono i dissensi e le preoccupazioni, ed è possibile gestirle meglio se si sa quali sono quelle più comuni. Ci sono migliaia di scuse, potrai anche sentirle tutte, ma la realtà è che possono essere ridotte ad una o più di queste sette: 1. Paura di fallire: molte persone hanno paura di non riuscire a fare qualcosa, non hanno fiducia nelle loro capacità e hanno paura di quello che gli altri penseranno, se non ci riescono. 2. Mancanza di sostegno: alcuni pazienti non si sentono sostenuti dal coniuge, dai genitori o dagli amici e si sentono dire frasi del tipo “non ci riesci”, ”è una truffa”, “non funzionerà”.

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3. Non si può impegnare: spesso la gente non ha tempo per fare qualcosa o è in conflitto con obblighi esistenti come seguire i figli o il lavoro. 4. Motivazione: alcune volte il disagio della situazione attuale del potenziale cliente non è grande abbastanza per ispirare il cambiamento, dunque rimanda la risoluzione del problema. 5. Preoccupazioni funzionali:

certe persone sono in dubbio sull‟efficacia di un

trattamento e si chiedono “Funzionerà davvero? Riuscirà a risolvere il mio problema? C’è qualcosa di meglio? Saprà soddisfare le mie esigenze?”. 6. Meccanismo psicologico: a volte i pazienti semplicemente non ritengono giusto qualcosa e non sanno se fidarsi in base al loro intuito. Questa obiezione può conseguire a qualcosa di sbagliato che il medico ha fatto o detto. 7. Preoccupazioni finanziarie: la stragrande maggioranza dei pazienti teme di non potersi permettere un trattamento e sono estremamente preoccupati a livello economico, anche se stanno cercando di partecipare alla spesa. (“L’investimento vale la pena?” “Il rischio è maggiore della ricompensa?”). Una volta capito che tutte le obiezioni nascono da una o più di queste sette aree chiave, sarai più facilmente in grado di identificare la radice del disagio del tuo paziente. Potrai quindi affrontare le sue recriminazioni in modo professionale, con cura e in maniera non minacciosa. Più diventi bravo a maneggiare le obiezioni, più sarai convincente. La chiave dei grandi persuasori sta nell‟anticipare tutti i problemi, le critiche o le preoccupazioni prima che siano verbalizzati. In questo modo, blocchi qualsiasi potenziale resistenza prima che si verifichi ed eviti che grandi obiezioni vengano lasciate in sospeso per poter riemergere successivamente. Gli studi dimostrano che i persuasori hanno quattro volte più successo, quando gestiscono i dissensi durante il processo di persuasione, invece di aspettare fino alla fine. Inoltre, nulla è in grado di spegnere gli sforzi di persuasione più dei dubbi e delle preoccupazioni persistenti che rimangono irrisolti nella mente dell‟interlocutore. Solo il dialogo e lo scambio di idee sono in grado di creare rapporti a lungo termine.

Le obiezioni possono essere raggruppate in 7 categorie principali. Impara ad anticiparle e bIoccherai qualsiasi potenziale resistenza prima che accada.

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I METAPROGRAMMI I metaprogrammi, o “leve decisionali”, sono degli automatismi attraverso cui una persona prende decisioni nella vita di tutti i giorni. In altre parole sono schemi di comportamento standardizzati che possono cambiare con il tempo e soprattutto in base allo stato d‟animo del momento. I metaprogrammi sono scorciatoie di pensiero utili per “osservare” e conoscere in modo rapido il comportamento degli altri. Questi schemi possono aiutarti a prevedere le azioni delle persone con le quali ti relazioni.

I metaprogrammi sono stati introdotti da Carl Gustav Jung nel suo libro “Tipi psicologici” (1923). Successivamente Isabel Briggs Myers ha preso spunto dal lavoro di Jung per ideare il Myers-Briggs Type Indicator: il metodo per tracciare i profili psicologici più largamente usato negli USA per la selezione del personale. I metaprogammi attuali sono infine definiti sulla base della psicologia cognitiva e traggono spunto dal sistema elaborato da Richard Bandler e ulteriormente approfondito da Roger Bayley. Solitamente

per

prendere

delle

decisioni

le

persone

utilizzano

tanti

metaprogrammi contemporaneamente. Anche se generalmente vengono presentati raggruppandoli in serie di due, non devono essere considerati come alternative assolute e dicotomiche poiché il metaprogramma utilizzato può variare a seconda della circostanza e il suo grado di intensità è molto personale. Non serve inoltre indagare su tutti i metaprogrami in corso ma basta riconoscere quello critico per la persona in un dato momento, cioè il programma che ha maggiore influenza sul suo comportamento e che la rende meno elastica nella scelta, e sulla base di questo riprogrammare il tuo linguaggio. Esistono numerosi metaprogrammi differenti. Vediamo quelli più importanti e diffusi.  VERSO - VIA DA. Indica la direzione verso cui vanno prevalentemente le persone e cosa le motiva. Gli individui maggiormente "VERSO" sono orientati all‟obiettivo, sono motivati dai risultati e dal conseguimento di uno scopo. Spesso il loro modo di fare, agli occhi degli altri, risulta essere "superficiale" perché non si fermano a ragionare sugli eventuali rischi e problemi. Coloro che sono prevalentemente "VIA DA" vengono invece motivati dall'evitare qualcosa e quindi spesso dalla "paura" di cadere nei tranelli. Si attivano quando ci sono problemi e situazioni da eludere

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piuttosto che obiettivi da raggiungere. Risultano degli ottimi controllori e sono molto bravi a sottolineare "quello che non va", ma possono avere grossi problemi con il raggiungimento dei loro obiettivi e la gestione delle priorità. Ecco che alla domanda "Perché hai scelto questo lavoro?" una persona “VERSO” può rispondere con "Voglio diventare un libero professionista e comprarmi tutto quello che mi passa per la mente. Voglio far stare bene la mia famiglia e gestire la mia vita"; mentre una persona “VIA DA” può dire "Perché quello precedente non mi piaceva ed ho inoltre bisogno di dare delle sicurezze alla mia famiglia". Una persona “VERSO” utilizza frasi brevi e veloci, perché vuole raggiungere il suo obiettivo senza perdere tempo. Il linguaggio usato per ottenere la sua attenzione conterrà parole come avere, ottenere, conseguire, raggiungere, prendere, conquistare, permettere di... Una persona “VIA DA” sceglie frasi più complesse rivolte alla risoluzione o all'evitamento di un problema. Il linguaggio diviene più prolisso e contiene parole quali evitare, andare via, risolvere, non dover fare, prevenire, aggiustare, liberarsi da, non dover avere a che fare… Le persone “VERSO” sono motivate soprattutto dal desiderio di raggiungere determinati traguardi. Gli individui “VIA DA” focalizzano la propria attenzione sui rischi e agiscono preoccupandosi di evitare situazioni spiacevoli.  PROCESSO - OBIETTIVO. E‟ un filtro motivazionale che si riferisce a come le persone agiscono. I soggetti “OBIETTIVO” si attivano immediatamente di fronte ad uno stimolo e amano l‟immediatezza nell‟azione .Di fronte ad individui del genere mostrati attivo, immediato e diretto se devono prendere delle decisioni ed evita troppi ripensamenti e procedure mentali. Le persone “PROCESSO” invece hanno bisogno di compiere una serie di passaggi prima di agire. Chi usa questo metaprogramma ha bisogno di seguire i suoi schemi di pensiero: evita dunque di esercitare troppa pressione nel fargli prendere decisioni, segui i suoi ritmi senza forzarlo, spiega dettagli e procedure senza “saltare” direttamente alla conclusione. Per esempio nel motivare un paziente “PROCESSO” ad intraprendere una terapia è necessario fermarsi sui particolari, descrivere la sequenza operativa fase per fase, fare un resoconto completo di tutti gli appuntamenti e aspettare che lui metabolizzi ogni informazione. Un paziente “OBIETTIVO” invece non ha bisogno di tutti questi

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intermezzi quindi punta direttamente alla risoluzione del problema facendoti vedere risolutivo. Le persone “OBIETTIVO” agiscono immediatamente di fronte ad uno stimolo, mentre quelle “PROCESSO” hanno bisogno di compiere una serie di passaggi prima di agire.

 INTIME - THROUGHTIME. Indica come le persone programmano la propria vita. Chi ama vivere nel presente, ha un metaprogramma “INTIME”, viceversa, chi ama pianificare il futuro, ha un metaprogramma “THROUGHTIME”. Il paziente “IN TIME” ha più schemi di pensieri per volta, ama vivere il momento presente ed è centrato nel “Qui ed ora”. Non pianifica troppo il futuro e preferisce cogliere l‟attimo. Quando deve prendere delle decisioni non ama avere limiti di tempo in quanto predilige un‟esistenza più flessibile e non ordinaria. Con un individuo “IN TIME” cerca di relazionarti senza fare troppa pressione nel fargli prendere delle decisioni inerenti il futuro, limitandoti invece al momento presente. Un paziente del genere potrebbe essere problematico nel rispettare gli appuntamenti e nel portare avanti la terapia dato che difficilmente riesce a prendere impegni a lungo termine per mancanza di pianificazione. Al contrario la persona “THROUGH TIME” riesce ad avere un visione dettagliata del tempo futuro riuscendo a pianificarlo in maniera efficace: tende a condurre un‟esistenza

ordinata e pianificata. Asseconda un individuo “THROUGH TIME”

nella pianificazione e progettazione futura delle attività evitando di restare “fermo” nel momento presente e soprattutto di farlo aspettare perché sarà sempre puntuale. Un paziente di questa tipologia è quello che ha l‟agenda sempre in mano e che prende anche più appuntamenti insieme per avere un‟ organizzazione proiettata nel futuro. Chi vive nel presente, ha un metaprogramma ”INTIME”, viceversa, chi ama pianificare il futuro ha un metaprogramma “THROUGHTIME”.

 CHUNK UP - CHUNK DOWN: per chunk si intende un “pezzo” d‟informazione. Le persone “CHUNK DOWN” utilizzano informazioni più piccole e quindi interpretano la realtà e la raccontano con grande ricchezza di particolari e in modo molto dettagliato. Al contrario le persone “CHUNK UP” ragionano per informazioni più

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grossolane e mostrano una visione di insieme fatta di grandi blocchi fermandosi spesso alla superficie delle cose. Per esempio il paziente “CHUNK DOWN” parlando della sua vita entra minuziosamente nei dettagli, descrivendo dove, come e quando di ogni singolo problema e se deve affrontare un piano terapeutico entrerà nello specifico ogni volta che ce ne sarà bisogno. Il paziente “CHUNK UP” invece tralascia i dettagli per lui insignificanti e vuole andare subito al sodo: è il classico paziente con il quale devi fare un uso più accurato del metamodello in quanto tende per natura ad essere aspecifico nelle sue affermazioni.

Le persone “CHUNK UP” tendono a tralasciare i dettagli e vogliono andare subito al sodo, al contrario quelle “CHUNK DOWN” si soffermano molto sui particolari facendo lunghe e dettagliate premesse.

 EGOCENTRATO – ETEROCENTRATO. Le persone “ETEROCENTRATE” sono molto sensibili al giudizio altrui e ricercano continue conferme esterne di stima e apprezzamento alle loro azioni. Generalmente si affidano al giudizio di persone nelle quali identificano un‟ autorità (principio di Autorità Cap VI) e hanno bisogno di essere guidate e seguite continuamente. Di solito tutti noi tendiamo ad essere eterocentrati su argomenti che non consociamo affidandoci spesso al giudizio comune (Riprova sociale Cap VI). Per contro quelle “EGOCENTRATE” sono molto focalizzate su loro stesse e nessun giudizio può normalmente mutare la loro percezione che una cosa sia giusta o sbagliata: la conferma di ciò è solamente dentro di loro. Generalmente tutti noi quando ci sentiamo competenti su un argomento siamo egocentrati nei giudizi. Nello specifico i pazienti “EGOCENTRATI” potrebbero darti problemi con lavori (estetici soprattutto) in quanto sarà sempre loro l‟ultima parola sulla qualità del risultato finale, e molte volte non saranno soddisfatti. I pazienti “ETEROCENTRATI” invece vengono generalmente accompagnati per avere un “appoggio” nel momento del bisogno, chiedono sempre consiglio e i tuoi suggerimenti saranno sempre ben accetti.

Le persone ETEROCENTRATE hanno un indice di riferimento esterno, mentre le persone EGOCENTRATE ne hanno uno interno.

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 FAMILIARITÀ – NOVITÀ. Gli individui “NOVITÀ” sono maggiormente sensibili alle innovazioni, anzi le ricercano, mentre quelli “FAMILIARITÀ” preferiscono le cose che conoscono già e vanno sempre alla ricerca di similitudini con parti di esperienze già presenti nella loro neurologia. In maniera abbastanza intuibile il paziente “NOVITÀ” sarà colui al quale potrai proporre l‟ultima scoperta scientifica, forte della convinzione che l‟innovazione porta benessere. Di contro il paziente “FAMILIARITÀ” accetterà più facilmente trattamenti da lui già sperimentati direttamente o indirettamente in passato, dato che per lui le terapie collaudate sono quelle che nel lungo periodo danno maggiore affidabilità e predicibilità.

PER RIASSUMERE... 

Empatia + Sincerità = Persuasione (ESP)



Mancanza di attenzione = Comunicazione inefficace = Mancanza di risultati



Impara ad ascoltare attivamente senza giudicare nè interrompere il paziente.



Il tavolo rotondo è l’ideale per creare un’ atmosfera di collaborazione e persuasione. Su di un tavolo rettangolare usa la posizione di mediazione per creare un contatto intimo e informale.



Le obiezioni possono essere raggruppate in 7 categorie principali. Impara ad anticiparle e bloccherai qualsiasi potenziale resistenza prima che accada.



I metaprogrammi sono scorciatoie di pensiero utili per “osservare” e conoscere in modo rapido il comportamento degli altri. Questi schemi possono aiutarti a prevedere le azioni delle persone con le quali ti relazioni.



Le persone “VERSO” sono motivate soprattutto dal desiderio di raggiungere determinati traguardi. Gli individui “VIA DA” focalizzano la propria attenzione sui rischi e agiscono preoccupandosi di evitare situazioni spiacevoli.



Le persone “OBIETTIVO” agiscono immediatamente di fronte ad uno stimolo, mentre quelle “PROCESSO” hanno bisogno di compiere una serie di passaggi prima di agire.



Chi vive nel presente, ha un metaprogramma” INTIME”, viceversa, chi ama pianificare il futuro ha un metaprogramma “THROUGHTIME”.



Le persone “CHUNK UP” tendono a tralasciare i dettagli e vogliono andare subito al sodo, al contrario di quelle “CHUNK DOWN” che si soffermano molto sui particolari facendo lunghe e dettagliate premesse. 80



Le persone ETEROCENTRATE hanno un indice di riferimento esterno, mentre le persone EGOCENTRATE ne hanno uno interno.

PER APPROFONDIRE… Borg J. “Persuasione, l‟arte di convincere le persone”. Tecniche nuove, 2010. Bruno G.” Persuasione” (DVD). Bruno editore. Carnegie D. “Come trattare gli altri e farseli amici”. Bompiani, 1986. Mortensen K. “Capire come pensa il tuo pubblico” (ebook gratuito). Reiman T. “L‟arte della persuasione”. Sperling & Kupfer, 2011.

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Capitolo VI

L’INCANTESIMO DELLA PERSUASIONE (seconda parte)

Come si legge nel dizionario italiano quando si persuade qualcuno la parte con cui si sta interagendo inizialmente è di un parere differente, che viene modificato dopo l‟opera di “persuasione”. Oltre all‟atto specifico del persuadere quindi esiste anche un aspetto emotivo e relazionale della questione. Infatti non possiamo accontentarci di essere abbastanza bravi nel riuscire a persuadere qualcuno senza domandarci quali sentimenti prova il nostro interlocutore dopo essere stato persuaso. Se l‟azione persuasiva ha condotto a sentimenti positivi, il rapporto può mantenersi inalterato e persino migliorare; ma se ha suscitato sentimenti negativi il rapporto può essere compromesso e il nostro atto persuasivo diventerebbe decisamente un fallimento. Il persuasore è colui che riesce a muovere l’interlocutore nella sua direzione, senza cambiare le caratteristiche della proposta originale e mantenendo o addirittura migliorando il rapporto sociale.

In definitiva si tratta di un contratto win-win dove a vincere sono sia il “professionista” che “il cliente”. Studiare e conoscere i meccanismi della persuasione è utile per cambiare il modo in cui presentiamo agli altri le nostre proposte facendole apparire sotto una luce diversa e più appetibili. Lo psicologo sociale americano Robert Cialdini distingue le tattiche persuasive in sei categorie: 1. Reciprocità 2. Simpatia 3. Impegno e coerenza 4. Riprova sociale 5. Autorità 6. Scarsità La particolare efficacia di queste tattiche risiede nel far leva su alcuni principi psicologici che orientano e motivano il comportamento umano a livello inconscio. In altre parole si servono di alcuni comportamenti automatici della persona nel momento in cui deve prendere una decisione, la maggior parte delle volte senza che ne sia consapevole. Cialdini paragona queste tecniche all‟arte marziale del jujiztu che sfrutta la 82

forza fisica dell‟aggressore per poi utilizzarla contro di lui. Spesso nel prendere una decisione il potenziale acquirente "si fa guidare, non da un’analisi approfondita delle informazioni rilevanti nella situazione, bensì da poche indicazioni che provengono dallo stimolo e sollecitano un processo automatico di risposta”. Entriamo ora nel merito della questione descrivendo singolarmente le varie tattiche e i principi motivazionali a cui fanno ricorso.

RECIPROCITÀ O REGOLA DEL CONTRACCAMBIO Tale regola è comune a tutti i tipi di società umane e la si può annoverare tra gli schemi comportamentali istintivi della nostra razza. In genere l‟uomo avverte il bisogno di contraccambiare favori veri o presunti verso i quali si sente in debito. Ciò è comprensibile poiché, sin da tempi lontani, il sistema di reciprocità ha regolato lo scambio e la collaborazione tra individui, anche se in alcune circostanze questa legge comportamentale può essere utilizzata a fini tutt‟altro che morali (specie se si intende far sentire in debito l‟interlocutore imponendogli un favore non richiesto). L’uomo avverte il bisogno di contraccambiare favori veri o presunti verso i quali si sente in debito.

Come spiega Cialdini un‟applicazione della regola del contraccambio in campo commerciale può essere l'offerta di un campione gratuito (cibo, profumo o altro), la situazione del “soddisfatto o rimborsato” oppure i periodi di prova gratuiti proposti per alcuni prodotti. Anche nell‟amibito medico si può far leva su una tattica di influenza interpersonale diretta quale la regola del debito e del contraccambio. Per esempio puoi rivolgerti al paziente dicendo: "Lei non ha eseguito il compito che avevamo concordato nella scorsa seduta. Per questa volta ci passerò sopra, però nei prossimi giorni dovrà impegnarsi a portare a termine quest’altro incarico” (e si assegna un altro compito). Usa questo principio nel tuo studio dopo esserti messo in una posizione di “credito” verso il paziente facendogli piccoli favori come visite o piccoli interventi gratuiti, rendendoti reperibile in orari extra-lavorativi per particolari urgenze o qualsiasi situazione che possa farli sentire in “debito”. Successivamente potrai sfruttare questa leva psicologica per “persuadere” e “guidare” il paziente dove ritieni più opportuno. Attenzione però: secondo la studiosa di scienze sociali Ptiya Raghubir quando si propone un omaggio a un consumatore per

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indurlo a comprare qualche prodotto, il valore percepito e la desiderabilità dell‟omaggio, come bene in sé, rischiano di declinare bruscamente. Quindi, quando fai un qualsiasi tipo di “favore”, per prevenire che questo omaggio si riveli un boomerang, informa o ricorda al paziente il suo vero valore. Una variazione del principio di contraccambio è la cosiddetta tattica della "Porta in faccia", che dà all‟interlocutore l‟illusione di avergli fatto una concessione, facendo uso del Principio di contrasto. Un esperimento molto semplice chiarisce perfettamente questo principio. Prendiamo tre bacinelle d'acqua: una ripiena di acqua ghiacciata, una di acqua tiepida e una di acqua bollente. Immergiamo ora la mano sinistra nella prima e la destra nella terza, dopo un attimo caliamole tutte e due nella bacinella di mezzo. Malgrado l'oggettiva tiepidezza dell‟acqua, la mano sinistra avvertirà l'acqua calda, mentre per la destra sarà fredda. Come la percezione tattile della mano, anche i nostri giudizi sono influenzati dal contesto. Un abile persuasore è in grado di creare un contesto a lui favorevole, senza lasciare nulla al caso, facendo magari apparire migliore l‟alternativa da lui proposta. È possibile applicare questo semplice trucco psicologico avanzando dapprima una richiesta gravosa e successivamente, dopo averne ottenuto il rifiuto (“la porta in faccia”), avanzandone una minore che rappresenta quella effettivamente desiderata. Purchè le richieste siano formulate abilmente, l‟interlocutore dovrebbe vedere nella seconda una sorta di concessione e quindi sentirsi incline a ricambiare con un‟ altra concessione da parte sua. È ciò che succede anche in terapia quando il medico presenta un preventivo più alto e al rifiuto del paziente abbassa il tiro con una proposta più allettante. Attento però a non esagerare nel contrasto altrimenti le proposte appariranno palesemente caricaturali. Inoltre fai sempre credere al paziente che è stato lui a raggiungere tale accordo e che tu gli stai concedendo tale vantaggio.

SIMPATIA Abbiamo visto nel capitolo III che per ottenere la fiducia e la collaborazione da parte di un qualsiasi interlocutore, è indispensabile creare rapport, cioè instaurare con lui una particolare sintonia, meglio ancora empatia. È chiaro che due persone che si stimano o che si vogliono bene sono già naturalmente in uno stato di profondo rapport tra loro. Due amici per esempio oltre ad intendersi alla meraviglia sul piano verbale e del contenuto sono in sintonia anche sul piano non verbale: camminano in modo simile, assumono le stesse posture, si grattano nello stesso identico momento insomma si rispecchiano istintivamente l'uno nell'altro. 84

Maggiore è il feeling e maggiore è il rispecchiamento reciproco: questo è il concetto che si trova alla base della tattica della simpatia. Consapevole di questo particolare meccanismo, puoi sfruttarlo per istaurare immediatamente un rapporto di fiducia con il paziente ed entrare in breve tempo in simpatia con lui. Probabilmente la creazione di un legame empatico determina una stimolazione sincronizzata del sistema parasimpatico che viene percepita a livello inconscio. In tal modo il tuo interlocutore non si sente in pericolo e gli pare di essere veramente compreso ed ascoltato: a livello inconscio infatti ciò che ci somiglia ci è familiare e ciò che ci è familiare ci tranquillizza, facendoci abbassare le difese. La simpatia è uno degli elementi fondamentali per creare facilmente rapport ed ottenere la fiducia e la collaborazione dell’interlocutore. Ci sono alcuni fattori che influenzano la percezione della simpatia e fanno si che una persona ci sia più gradita di un'altra. Alcune ricerche dimostrano che uno di questi è la BELLEZZA. Tutti noi tendiamo ad attribuire automaticamente alle persone di bell‟aspetto ulteriori caratteristiche positive come il talento, la gentilezza, l‟onestà, l‟intelligenza e la professionalità, secondo quello che in psicologia sociale prende il nome di “effetto alone”. Di conseguenza un odontoiatra che cura l‟aspetto generale di se stesso, dei suoi collaboratori e dell‟ambiente di lavoro non fa altro che sfruttare questo principio. Anche la SOMIGLIANZA influisce positivamente sulla simpatia. Come già sai ci piacciono le persone che sono simili a noi e quindi più ti assimili alla “realtà” del paziente più risulti “simpatico”. Entrare nella vita degli altri, conoscere i particolari e le situazioni personali rende una persona più simpatica ai nostri occhi. Permetti ai tuoi pazienti di vedere uno spicchio della tua vita con foto di famiglia, hobby, situazioni sociali sparse per lo studio. Il paziente si vedrà subito simile a te e ti sentirà pù vicino e più amico. Anche i COMPLIMENTI sono un‟ottima arma di persuasione che puoi usare per generare simpatia. Siamo tutti di un‟ingenuità straordinaria davanti all‟adulazione: pur essendoci dei limiti, soprattutto quando abbiamo la certezza che l‟adulatore stia cercando di manipolarci, di regola tendiamo a credere alle lodi e ci piace chi ce le proprina. Puoi fare dei complimenti al tuo paziente relativamente alla sua dentatura, alla

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sua igiene o ai progressi fatti in una specifica terapia per far leva sulla sua vanità e quindi spingerlo a intraprendere (o continuare) la retta via. Infine puoi generare simpatia (o meglio familiarità) attraverso il CONTATTO. La regola è semplice: ci piacciono soprattutto le cose che ci sono familiari. Lo sanno bene i pubblicitari che bombardano il pubblico con la stessa reclame di un prodotto finchè per il consumatore non diventi abituale. Questo accade perché non ci accorgiamo affatto che il nostro atteggiamento verso una cosa è influenzato dal numero di volte che vi siamo stati esposti in passato. Con le persone accade lo stesso: più le frequentiamo, più ci sono familiari, più tendiamo a giudicarle favorevolmente. Aumenta quindi la fidelizzazione dei tuoi pazienti spendendo, soprattutto con quelli nuovi e indecisi, qualche appuntamento in più per aumentarne il contatto anche solo con brevi visite di controllo.

IMPEGNO E COERENZA Ogni volta che prendiamo una decisione o compiamo un‟azione sentiamo il bisogno di comportarci coerentemente con l'immagine che abbiamo dato di noi stessi. In altre parole il bisogno di coerenza con noi stessi, prima ancora che verso gli altri, ci spinge ad allineare le nostre convinzioni e percezioni con ciò che ormai abbiamo fatto o detto. Alcune volte per non dover fare dei passi indietro, per non contraddirci, per non dover riconoscere di aver avuto torto, sfoderiamo tutte le migliori armi retoriche pur di convincere noi stessi e gli altri che valeva la pena farlo. Questi processi sono stati ben studiati dalla psicologia cognitiva che ha individuato i modi che usiamo per ingannare noi stessi, tra cui la tecnica dell‟astrazione selettiva e quella dell‟inferenza arbitraria. Si parla di ASTRAZIONE SELETTIVA quando nel contesto di un‟esperienza focalizziamo l'attenzione solo su ciò che sembra confermare il nostro modello del mondo mentre mettiamo in atto una sorta di cancellazione di quelle parti che sono in disaccordo. A volte ne risulta colpita anche la memoria in quanto tendiamo a ricordare, di un particolare avvenimento, per lo più quello che ci era già familiare in accordo con la nostra mappa mentale e con ciò che per noi aveva un particolare significato emotivo. L‟INFERENZA ARBITRARIA invece consiste nel trarre una conclusione specifica senza prove a sostegno o addirittura di fronte a prove che la contraddicono, al fine di mantenere coerenza con se stessi eliminando in tal modo il disagio.

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L’essere umano sente sempre il bisogno di comportarsi coerentemente con l'immagine che ha o che dà di se stesso. Attraverso questo tattica, si può avere un controllo sottile del comportamento altrui ed arrivare persino a cambiare gli atteggiamenti degli altri. Il procedimento opera per gradi: il persuasore cerca di far dire o fare qualcosa di apparentemente innocuo e poco impegnativo all‟interlocutore, per legare logicamente tale comportamento a tutta un'altra serie di richieste una più gravosa dell'altra. Per aumentare ancora di più l‟effetto il persuasore fa mettere per iscritto l‟impegno del suo interlocutore e cerca il più possibile di fargli assumere questa posizione pubblicamente. È inoltre essenziale che il soggetto creda di essere arrivato senza coercizioni nè incentivi a una libera scelta. Un paziente che si percepice come una persona attenta alla sua salute (impegno) probabilmente seguirà più facilmente le indicazioni dell‟odontoiatra per mantenere fede all‟immagine che ha di se stesso (coerenza). Il punto fondamentale (nonché quello più difficile) è riuscire a cambiare “l‟identità” del paziente da “persona che non cura la sua bocca” a “persona che tiene alla propria salute orale”: questo cambio di identità avrà un effetto rivoluzionario su tutte le sue convinzioni e azioni che lo porteranno a curarsi sempre di più. Puoi sfruttare ancora il principio di coerenza ad esempio modificando le parole della segretaria durante la prenotazione degli appuntamenti da “Siete pregato di telefonare se intendete disdire” in “Sareste così gentile da telefonare qualora dovreste disdire?”. Naturalmente tutti i pazienti risponderanno SI alla domanda e grazie a questo piccolo cambiamento si sentiranno più propensi a tener fede all‟impegno (Greenwald et al. 1987). L‟impegno attivo ha un altro ruolo nella presa degli appuntamenti. Quando ne prendi uno, che sia per un controllo di routine o per un‟operazione di rilievo, di solito sei tu che annoti la data e l‟orario su un cartoncino: adottando questa prassi tuttavia il ruolo del paziente è passivo piuttosto che attivo. Al contrario,secondo un sondaggio del DDP (Developing Patient Partnership, 2006) chiedere ai pazienti di compilare il cartoncino loro stessi si rivela una strategia più efficace e a basso costo per ridurre la percentuale delle visite mancate. Un corollario del principio di coerenza è la labelling technicque o “tecnica dell‟etichettatura” che implica l‟assegnazione di una caratteristica, un atteggiamento, una credenza a una persona seguita da una richiesta coerente con l‟etichetta stessa. Ad esempio le assistenti e le segretarie in studio svolgono il loro lavoro in quanto 87

dipendenti; ma se cambi la loro etichetta definendole collaboratrici dai loro un‟identità positiva che le spinge verso un impegno attivo e quindi produttivo.

RIPROVA SOCIALE Questo principio può essere definito sinteticamente a partire dalle parole di Cialdini: "quanto maggiore è il numero di persone che trova giusta una qualunque idea, tanto più giusta è quell'idea". Ne parlava già anche Gustave Le Bon nel libro “Psicologia delle folle” (1895), in cui afferma che le idee, i sentimenti e le emozioni hanno un potere contagioso nella folla dato che l'uomo è un imitatore per natura e nella folla resta in preda all‟eccitazione reciproca. Questo principio è particolarmente potente soprattutto nelle situazioni nuove e sconcertanti dove c'è un notevole margine di dubbio, per cui la persona si trova confusa e non sa che fare: in mancanza di un modello comportamentale già pronto, un metodo facile e istintivo consiste proprio nell'imitazione del comportamento altrui. L'effetto imitazione lo si ritrova nelle epidemie di suicidi dopo che i media hanno cominciato a farne pubblicità, oppure nei suicidi collettivi delle sette religiose: l‟esempio di uno (o di pochi) istiga altre persone nella medesima situazione a comportarsi nella stessa maniera. L'uomo è per natura un imitatore del comportamento altrui.

Nell‟ ambito odontoiatrico un paziente si sente più fiducioso se si reca in uno studio odontoiatrico in cui un amico o un conoscente è già in terapia. Oppure una mamma che accompagna il proprio figlio per una visita troverà conferma sociale nel notare che nella sala d‟attesa altre mamme hanno portato i propri figli dallo stesso dentista. Ovviamente puoi usare questo fenomeno a tuo favore, magari concentrando determinate tipologie di pazienti (bambini, anziani) in giorni specifici, potendo così favorire la conferma della riprova sociale da parte dei tuoi pazienti e dei loro accompagnatori. Un‟ ulteriore applicazione di questo principio l‟hanno dimostrato Melamed e collaboratori nel 1978. Nel loro esperimento hanno riscontrato che, mostrando ai bambini un filmato rassicurante su una visita dentistica di un loro coetaneo, si attenuano ansia e paura grazie appunto alla riprova sociale. Bisogna specificare comunque che i

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risultati migliori si ottengono quando i protagonisti vedono nel filmato un loro coetaneo rispetto a quando il filmato riguarda un adulto o un bambino di diversa età.

AUTORITÀ Sin da piccoli siamo stati abituati che è bene obbedire all'autorità o ad una figura autoritaria e tutta la società è da sempre organizzata secondo un ordine gerarchico e legislativo. Sul principio di autorità fanno leva i capi carismatici, i guru che raccontano di detenere poteri straordinari, coloro che sfoggiando titoli altisonanti o che indossano una divisa cercando di mettere in soggezione gli altri. L'uomo si sente in dovere nei confronti di un’autorità o di una figura autorevole.

Diversi fattori contribuiscono a determinare l‟autorità di una persona. Innanzitutto l‟AUTORITA‟ APPARENTE. In realtà per sentirsi in dovere nei confronti di un‟autorità non è necessario che sia reale: basta infatti comportarsi e apparire come detentori di un‟autorità, per porsi in un ruolo di superiorità sul prossimo. Potremmo infatti dire che l‟effetto ottenuto è simile sia che la si possieda realmente, cioè si appartiene ad un livello gerarchico per cui si ha un certo potere di grado, sia che si possieda autorevolezza, ossia dei comportamenti, delle capacità o delle competenze che donano autorità agli occhi degli altri. Gli spot pubblicitari odontoiatrici sfruttano proprio questo principio presentando sempre un attore vestito da dentista che consiglia l'acquisto di un nuovo dentifricio antiplacca. Sulla base di ciò è anche facile capire come “finti professionisti” riescano, con abilità e sicurezza, a truffare ignari clienti. Anche i TITOLI, cioè le etichette che identificano il ruolo svolto da una persona, sono dei potenti fattori in grado di determinare l‟autorità di un individuo. Sicuramente tra tutti i simboli di autorità i titoli sono quelli più difficili da ottenere perché richiedono anni di impegno, ma per chi li possiede rappresentano quelli più facili da usare: per ottenere delle reazioni automatiche di influenzamento altrui basta esporre o nominare semplicemente il proprio titolo senza neanche dover inizialmente pensare al comportamento da adottare. Una volta Cialdini è stato avvicinato da un gruppo di fisioterapisti frustrati dalla non collaborazione dei pazienti che non praticavano gli esercizi anche dopo ripetute sollecitazioni. Dopo aver visto i loro ambulatori ha messo in pratica un piccolo cambiamento: ha fatto esporre le loro credenziali nei luoghi

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accessibili ai pazienti. Solo questo è bastato ad aumentare in maniera esponenziale lo spirito di collaborazione. Mostra senza boriosità diplomi, lauree, attestati, certificati e premi a coloro che vuoi persuadere: ti aiuteranno a conquistare la loro fiducia. Infine gli ABITI E ORNAMENTI sono un ulteriore incentivo all‟autorità: si può dire infatti che “l’abito fa il monaco” dato che in alcune circostanze esso può effettivamente influenzare l‟interlocutore. L‟uniforme (il camice del dentista) è forse uno di quegli indumenti che genera più facilmente acquiescenza, ma hanno lo stesso effetto anche i gioielli o le belle automobili, che possono rappresentare una forma più generica di autorevolezza quando serve a scopi ornamentali. Parlando di autorità inoltre, alcune ricerche hanno dimostrato che anche in questo caso si verifica l‟effetto alone. Cialdini descrive un divertente esperimento condotto presso l‟università in cui un visitatore viene presentato a differenti classi di volta in volta con qualifiche differenti: man mano che il visitatore viene introdotto come una figura appartenente a gradini sempre più alti della scala sociale, gli studenti percepiscono ed attribuiscono all‟ospite una statura sempre maggiore. Appare ovvio allora che nella figura del medico è insito il principio di autorità che il professionista dovrà però usare seguendo rigidi dettami etici e morali. Un ulteriore modo per aumentare la tua autorità agli occhi degli altri è un approccio che conferenzieri, performer e scrittori usano sistematicamente: affidare ad altri il compito di tessere le tue lodi (così da risparmiarti una palese autopromozione). Inoltre, in uno studio di Pfeffer e collaboratori del 2006, si è visto che il pubblico non tiene conto se l‟intermediario sia o meno coinvolto con il soggetto di cui decanta competenze e credenziali. Nel tuo caso istruisci la segretaria e le assistenti a dire ai pazienti la “parola giusta al momento giusto” per promuovere te e la tua attività (una nuova terapia, un nuovo apparecchio ecc..). Bisogna però tenere a mente che in ambito sanitario il principio di autorità ha un lato negativo chiamato captainitis. Questo fenomeno sta a indicare la passività mostrata dai membri di un gruppo quando il capo prende chiaramente una decisione sbagliata. Lo psicologo Charles Hofling nel 1966 ha verificato questo triste fenomeno in ambito ospedaliero dove 22 infermiere hanno messo da parte la loro considerevole esperienza e competenza solo perché un presunto medico (che neanche conoscevano) comandava loro di fare un‟ azione terapeutica palesemente sbagliata. La ragione di tutto ciò è abbastanza semplice: il medico ha la responsabilità e di conseguenza il

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potere di penalizzare i membri dello staff non compiacenti e, inoltre, possiede le competenze mediche superiori che inducono coloro che lo circondano a demandare le decisioni al suo status di esperto. Poiché nessuno è infallibile, istruisci le tue assistenti a farti notare in maniera riservata eventuali errori che stai commettendo: ne guadagnerete tu e i tuoi pazienti.

SCARSITÀ Spesso è facile rendere appetibile un bene o un servizio: basta renderlo scarso o poco disponibile, addirittura vietato o segreto, facendo in modo che non sia semplice ottenerlo e presentandolo come qualcosa di unico ed esclusivo. Su questo si basa il principio di scarsità, il cui potere risiede proprio in due caratteristiche: da una parte la nostra inclinazione per le scorciatoie e la consapevolezza che le cose difficili da ottenere sono di norma qualitativamente migliori di quelle facilmente accessibili; dall‟altra il fatto che quando le opportunità sono ristrette, perdiamo la libertà d‟azione di cui godiamo, che è qualcosa che non sopportiamo e che ci porta a desiderare sempre di più. Questo concetto, al centro della teoria della reattanza psicologica, è spiegato dallo psicologo Jack Brehm: quando le persone ritengono che la loro libertà di effettuare un dato comportamento sia minacciata, esperiscono una reattanza psicologica cioè uno stato motivazionale diretto alla ristabilizzazione della libertà minacciata o perduta. Poiché la scarsità interferisce effettivamente con la nostra libertà di accesso all‟oggetto del nostro interesse, reagiamo all‟interferenza desiderandolo più di prima e sforzandoci ancora di più per ottenerlo. Questo desiderio di opporsi a qualunque impedimento alla propria libertà viene espresso in molti campi del sociale. Vedi ad esempio le tecniche di marketing di cui siamo bersaglio tutti i giorni: le edizioni limitate, la commessa che ti dice “E‟ l‟ultimo pezzo!”, il televenditore che ti urla “solo per oggi!” oppure “solo alle prime 50 telefonate!”. Quando la libertà di scelta è limitata o minacciata, il bisogno di tale libertà ci porta a desiderare molto più di prima. Il medico, in tal senso, puo‟ dare la sottile impressione che un eventuale prodotto di qualità oppure una particolare concessione (come sconti od orari di appuntamento) non saranno sempre disponibli nel tempo e quindi stimolare il paziente ad usufruire prima degli altri del “bene in esaurimento”. 91

LE NOSTRE SCELTE A differenza di qualunque specie animale, l‟uomo ha una capacità superiore di elaborazione dell‟informazione, tuttavia a volte deve rinunciare a un più elaborato e lungo processo decisionale per sostituirlo con una più automatica e primitiva risposta basata su pochi elementi. Alcuni di questi dati parziali a cui facciamo riferimento, come il contraccambio, la coerenza con gli impegni presi, la riprova sociale, la simpatia, l‟autorità e la scarsità sono un‟indicazione attendibile per orientare la nostra risposta verso un si o un no. Il loro uso è tanto più probabile quanto più siamo in condizioni di fretta, stress, incertezza, indifferenza, distrazione o affaticamento, cioè in quelle condizioni in cui tendiamo a considerare solo una minore parte dell‟informazione accessibile. Il comportamento automatico e stereotipato predomina perché spesso è più efficiente o indispensabile: ogni giorno infatti ci troviamo di fronte a numerosi stimoli e per risparmiare tempo ed energia, o semplicemente perché non abbiamo la capacità di affrontarli, ricorriamo a delle scorciatoie. Persino quando queste soluzioni o questi stereotipi sono inadatti alla situazione, tendiamo a prediligerli perché non abbiamo altre possibilità di scelta. Attraverso gli schemi di azione fissi del contraccambio, della coerenza, della riprova sociale, della simpatia, dell’autorità e della scarsità riusciamo a prendere decisioni in un mondo saturo di informazioni, rinunciando però a un più eleborato e lungo processo decisionale.

La necessità di dover utilizzare sempre di più schemi d‟azione fissi, è una diretta conseguenza del fatto che le nostre azioni stanno via via trasformando il nostro ambiente in un complesso saturo di informazioni: oggi ci ritroviamo a vivere in un mondo dove la maggior parte dell‟informazione risale a meno di quindici anni prima e in cui le conoscenze sembrano raddoppiarsi nell‟arco di otto anni. E dato che l‟evoluzione della tecnica è molto più rapida dell‟evoluzione della specie, la nostra capacità naturale di elaborare l‟informazione rischia di diventare sempre più insufficiente nel maneggiare il sovraccarico di cambiamenti, di scelte e di novità che determina la complessità radicalmente maggiore della vita moderna. Di questo passo ci troveremo un giorno nella condizione degli animali inferiori che sono dotati di un apparato mentale non attrezzato per far fronte a tutto l‟ambiente esterno, così ricco e intricato. D‟altra parte l‟uso di questi schemi d‟azione fissi può tornare utile al medico professionista della persuasione per 92

migliorare la sua vita ma sopratutto per guidare in maniera moralmente ineccepibile i suoi pazienti, che molto spesso si mostrano confusi e impauriti dalla presenza di uno stato di salute alterato e quindi facilmente manipolabili in maniera eticamente corretta.

PER RIASSUMERE… 

Il persuasore è colui che riesce a muovere l’interlocutore nella sua direzione, senza cambiare le caratteristiche della proposta originale e mantenendo o addirittura migliorando il rapporto sociale.



L’uomo avverte il bisogno di contraccambiare favori veri o presunti per i quali si sente in debito.



La simpatia è uno degli elementi fondamentali per creare facilmente rapport ed ottenere la fiducia e la collaborazione dell’interlocutore.



L’essere umano sente sempre il bisogno di comportarsi coerentemente con l'immagine che ha o che dà di se stesso.



L'uomo è per natura un imitatore del comportamento altrui.



L'uomo si sente in dovere nei confronti di un’autorità o di una figura autorevole.



Quando la libertà di scelta è limitata o minacciata, il bisogno di tale libertà ci porta a desiderare molto più di prima.



Attraverso gli schemi di azione fissi del contraccambio, della coerenza, della riprova sociale, della simpatia, dell’autorità e della scarsità riusciamo a prendere decisioni in un mondo saturo di informazioni, rinunciando però a un più eleborato e lungo processo decisionale.

PER APPROFONDIRE… Cialdini R. “Le armi della persuasione”. Giunti, 2010. Cialdini R, Goldstein N, Matin S.“50 segreti della scienza della persuasione”. Tea, 2010. Germani M. “I meccanisimi della persuasione” (ebook). Bruno editore. Montague R. “Perché l‟hai fatto?”. Raffaello Cortina Editore, 2008.

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CONCLUSIONE Lo psicologo Daniel Goleman, professore all‟università di Harvard, con la pubblicazione di “Intelligenza emotiva” (1996), ha aperto un orizzonte quasi sconosciuto fino a qualche decennio prima. Il suo lavoro ha avuto il merito di divulgare, non solo nell‟ambiente accademico, l‟importanza delle emozioni e la necessità di collegarle con la parola e col pensiero. Precedentemente la psicologia scientifica concentrava i suoi studi su un tipo d‟intelligenza limitata, espressa dal quoziente d‟intelligenza tradizionale (Q.I.), che classifica gli individui in modo statico e che da solo non riesce a spiegare perché persone con un QI sopra la media non abbiano nella vita un successo proporzionalmente maggiore rispetto ad individui meno “intelligenti”. Secondo Goleman il “quid” che colma questa discrepanza è proprio l‟intelligenza emotiva, intesa come la capacità di relazionarsi con gli altri, di capire le loro emozioni e di aiutarli a gestirle. La medicina ha da sempre identificato la sua missione nella cura della patologia e del disturbo fisico trascurando però l‟esperienza umana della malattia. Medici e infermieri infatti pur prendendosi molta cura delle condizioni fisiche dei loro pazienti, ne ignorano a volte le reazioni emotive. L‟assistenza sanitaria moderna dunque è ancora carente di intelligenza emotiva, nonostante sembri che proprio lo stato emotivo assuma un ruolo di primo piano nella vulnerabilità dell‟individuo alla malattia e nel decorso della convalescenza. Alcuni studi dimostrano infatti che sia la collera che l‟ansia possono rendere l‟organismo più vulnerabile a tutta una serie di malattie, e che al contrario sentimenti positivi come la speranza o l‟ottimismo hanno un potere risanatore. Comunque si stanno muovendo i primi passi verso una medicina più umana basata su un semplice concetto: non è possibile considerare adeguata un’assistenza medica che trascuri i sentimenti dei pazienti che stanno combattendo la loro battaglia contro la malattia. Molti pazienti infatti possono trarre un grandissimo beneficio da un medico che si prende cura delle loro esigenze emotive assieme a quelle strettamente fisiche. A fronte di queste nuove teorie non basta più essere quindi dei professionisti ultra specialistici, ma bisogna prestare molta più attenzione alle emozioni e considerarle delle risorse da conoscere ed utilizzare per un miglior rendimento non solo nell‟ambito sanitario ma anche nella vita sociale, relazionale e affettiva. A tal proposito voglio citare un esperimento che il giornalista Malcolm Gladweel descrive nel suo libro “In un batter di ciglia”: Wendy Levinson, professore presso la University Health Network Toronto General Hospital, ha registrato centinaia di 94

conversazioni di pochi minuti fra un gruppo di medici e i loro pazienti per capire quale fosse il fattore critico che facesse scattare le denunce. Metà dei medici non aveva mai avuto problemi con cause civili, l’altra metà invece era stata coinvolta in almeno due cause. Da questa ricerca è emerso che, dalle sole conversazioni, esistevano nette differenze fra i due gruppi di professionisti: i medici che non erano mai stati citati in giudizio dedicavano a ogni paziente in media oltre tre minuti in più di quelli che erano stati citati. Inoltre il primo gruppo tendeva ad usare più facilmente parole di “orientamento”, cioè che aiutano i pazienti a farsi un’idea di quello che possono aspettarsi dalla visita e a sapere quando potranno fare le loro domande, usando frasi come “Prima la visito poi parleremo del problema”, oppure “Dopo chiederà quello che vuole”. I medici mai citati in giudizio inoltre stavano più facilmente ad ascoltare il loro paziente facendoglielo capire con frasi come “Sta dicendo che…mi spieghi meglio”, e più spesso ridevano o facevano delle battute di spirito durante la visita. La cosa interessante è che la quantità e la qualità delle informazioni che i due gruppi di medici davano ai loro pazienti erano le stesse e non capitava che i medici del primo gruppo offrissero più dettagli sulle cure o sulle condizioni dei pazienti. La differenza risiedeva soltanto nel modo in cui parlavano con loro. La psicologa Nalini Ambady ha approfondito ulteriormente questa prima analisi: per ogni chirurgo ha scelto due colloqui e da ognuno di essi ha estratto due frammenti, ciascuno della durata di dieci secondi, per un totale di quaranta secondi. In seguito ha filtrato gli spezzoni per eliminare i suoni ad alta frequenza, che permettevano di riconoscere le singole parole, rimanendo con un’accozzaglia di suoni che, della conversazione, conservava solo intonazioni, accenti e ritmi, ma non il contenuto. Infine ha fatto valutare questi “spezzoni senza parole” sulla base di qualità come calore, ostilità, arroganza, ansia, e ha scoperto che, basandosi unicamente su quelle valutazioni, era in grado di dire quali chirurghi avevano ricevuto citazioni in giudizio senza che i valutatori fossero a conoscenza del livello professionale del medico. In pratica se nella voce del medico, coglievano un senso di superiorità, era probabile che appartenesse al gruppo dei citati in giudizio; viceversa se la voce suonava meno arrogante e più partecipe, rientrava più facilmente fra i non citati. La negligenza professionale sembrerebbe, a sentire pazienti, avvocati e giudici, uno di quei problemi complessi dalle infinite sfaccettaure. Invece, come dimostra l‟esperimento menzionato, si riduce semplicemente alla mancanza di una serie di accortezze. Per comprendere quanto siano fondamentali certi accorgimenti è utile

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introdurre il principio della scarsità dei fattori. L‟economista italiano Vilfredo Pareto (1987), studiando la distribuzione dei redditi, dimostrò che in una data regione solo pochi individui (il 20%) possedevano la maggior parte della ricchezza (l‟80%). Questa osservazione ispirò la cosiddetta "legge 80/20" nota anche con il nome di principio di Pareto, sintetizzabile nell‟affermazione “la maggior parte degli effetti è dovuta ad un numero ristretto di cause”. Naturalmente i valori 80% e 20% sono ottenuti mediante osservazioni empiriche e sono solo indicativi, ma è interessante notare come numerosi fenomeni abbiano una distribuzione statistica in linea con questi valori. Ad esempio: in un‟azienda il 20% dei venditori esegue l'80% delle vendite; così come l'80% dei reclami proviene dal 20% dei clienti; o come l‟80% del contenuto di un libro si trova nel 20% delle parole, o ancora l'80% del deficit sanitario italiano è localizzato in un 20% di ASL sparse sul territorio e così via. Nel rapporto medico-paziente accade la stessa cosa: il 20% del tuo comportamento influenzerà l‟80% del risultato finale. Il “dentista mentalista” è proprio questo 20%. Sono i particolari che fanno la differenza: è il come dici le cose che indurrà gli altri a starti ad ascoltare, è il come le fai che produrrà in loro forti cambiamenti. Il “dentista mentalista” è appunto un esperto di intelligenza emotiva. Ogni tecnica descritta in queste pagine è un piccolo passo verso questo obiettivo; tutte insieme ti aprono un mondo finora inesplorato. Ma la tecnica, da sola, non è sufficiente: è indispensabile infatti “essere presenti”. Questo concetto è reso bene dalla parola tedesca Dasein che non ha un esatto corrispettivo in italiano. “Esserci” con il paziente vuol dire partecipare con il tuo atteggiamento e le tue intenzioni, e fare tutto il possibile per determinare un esito che sai nei migliori interessi sia per lui che per te. E se riuscirai ad entrare veramente all‟interno della sua realtà, a stare insieme a lui al suo stesso livello di esistenza, a condividere lo stesso Daisein, è probabile che riuscirete a produrre un risultato che sia reciprocamente gratificante e che dia soddisfazione ad entrambi. Thaddeus Golas

che

nel

suo

affascinante

volume

Guida

rapida

all’illuminazione, dice “l’amore è l’azione di essere nello stesso spazio insieme a un’altra persona”. In questo contesto l‟amore è entrare nella realtà di un'altra persona per condividerla con lei. È stare su un terreno comune. È un atto di comunicazione, che è comunione, cioè condivisione di ciò che si comprende e di cui si fa esperienza. È un posto in cui tu e l‟altro unite le vostre energie e vi muovete insieme verso un obiettivo comune. E‟ un luogo in cui siete in rapport. E dove c‟è rapport c‟è magia, e dove c‟è magia c‟è potere. Usalo saggiamente e sarai un medico migliore. Usalo saggiamente e sarai una persona migliore.

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APPENDICE A

LA VOCE La voce veicola il 38% del significato di un messaggio. La voce è il tuo biglietto da visita ed è in grado di connetterti o disconnetterti dal tuo paziente ad un livello subconscio. Ciascuno di noi infatti giudica e viene giudicato dalla voce risultando a volte arrogante, nervoso e debole altre volte fiducioso, coinvolgente e carismatico. Le voci persuasive hanno un volume rilassante, inflessioni piene di varietà, una buona articolazione e un tono piacevole; ma se diventano incerte e timide, la capacità di persuasione vacilla. Le persone carismatiche capiscono l'importanza di saper usare il linguaggio in modo che evochi pensieri intensi, sentimenti e azioni nel loro pubblico. Si chiama “linguaggio emotivo” e sfutta la multisensorialità, cioè il parlare coinvolgendo tutti i sensi dell‟interlocutore, con immagini vivide, suoni sensuali e sensazioni profonde. Grandi comunicatori come Steve Jobs usano alla perfezione il linguaggio emotivo evitando di focalizzarsi troppo sulle specifiche tecniche dei prodotti, evocando piuttosto nella platea l‟emozione che tali prodotti possono suscitare. Ciascuno di noi, oltre a conoscere le basi della propria lingua, dovrebbe anche sapere come utilizzarla a suo vantaggio poiché il modo in cui vengono presentate le parole e come vengono dette influenza gli atteggiamenti, le credenze e le emozioni della persona che le ascolta. Le parole ed il tono giusto infatti riescono ad affascinare, a creare energia ed entusiasmo e possono renderti più influente agli occhi del tuo interlocutore; mentre le parole sbagliate saranno capaci di distruggere o indebolire la connessione con lui instaurata. Sapere come impostare la propria presentazione verbale è di primaria importanza per diventare più flessibili e risultare facili da capire. Per creare un‟efficace presentazione verbale, è necessario comprendere i seguenti aspetti critici:  Scelta delle parole La linguistica (Cap IV) insegna che ogni parola ha un impatto sulla neurologia delle persone. Le parole aiutano a formare pensieri, sentimenti e atteggiamenti nei confronti di un soggetto, di un argomento o di una situazione. Padroneggiare l'uso delle parole ti aiuta a diventare più credibile e convincente, altrimenti potresti respingere le persone e 97

sembrare debole e inefficace. La parola giusta al momento giusto può essere indispensabile per disinnescare situazioni emotive, convincere la gente ad accettare un altro punto di vista e migliorare il proprio carisma. Le parole e il linguaggio adeguati ovviamente variano a seconda della situazione in cui ci si trova, da persona a persona e da un evento all'altro. Non è possibile usare la stessa dimensione per tutti poiché sarebbe una generalizzazione il più delle volte inefficace.  Il ritmo Il ritmo si riferisce alla velocità con cui parli. I discorsi pronunciati a velocità più elevate sono più influenti e reputati più carismatici di quelli a bassa velocità o anche moderati, poichè le persone che parlano più velocemente appaiono più competenti ed informate. Quando il ritmo complessivo è veloce, ma non eccessivamente, l‟interlocutore presta maggiore attenzione a quello che stai dicendo ed ha meno tempo per pensare ad altre cose. Bisogna comunque porre molta attenzione perché se il ritmo è sempre veloce e senza variazioni potresti essere giudicato poco sincero e piuttosto egocentrico. È buona regola diminuire il ritmo quando hai qualcosa di importante o di serio da dire o quando vuoi sembrare riflessivo ed aumentarlo invece quando desideri creare entusiasmo ed energia. La prima volta che incontri il paziente è altrettanto importante scegliere un ritmo di voce che imiti il suo per poi aumentarlo lentamente durante la presentazione.  I riempitori vocali I riempitori vocali, detti anche pause piene, sono delle locuzioni di uso comune come "uhm", "ehm", "uh" o anche "sai" che usiamo appunto per riempire le pause del discorso. Questo tipo di riempimento può interferire con la tua presentazione perchè danneggia la tua credibilità nonché infastidisce e irrita le persone. Ovviamente un riempimento sporadico non crea grande disturbo alla comunicazione, ma non esagerare per non sembrare impreparato sull‟argomento e a volte addirittura bugiardo.  Il tono e l’inflessione Il tono è il livello della frequenza della voce. E‟ la prima cosa che giudichiamo quando decidiamo se una voce è piacevole o irritante: un tono alto mostra nervosismo, eccitazione o vulnerabilità, mentre un tono basso tende a indicare più forza, fiducia e sicurezza. Una voce più bassa è di solito considerata più credibile, sincera e degna di fiducia. Variando l'intonazione puoi anche evitare di sembrare monotono e aiutare le persone a stare più vigili. L‟alterazione dell'intonazione o del tono della voce è detta inflessione. Solitamente le persone influenti usano l‟inflessione della voce per 98

trasmettere fiducia e autorità e al termine delle frasi spesso declinano verso il basso. Al contrario la maggior parte delle persone insicure o dubbiose tendono a declinare verso l'alto la fine delle loro frasi. Ascolta quindi la tua inflessione e cerca di modularla di conseguenza.  Il volume La voce di una persona può essere alta, bassa o media. Un volume basso rende molto difficile mantenere alta l‟attenzione e non ti aiuta ad essere particolarmente influente: quando le persone devono sforzarsi per riuscire a sentirti, spesso rinunciano a priori ad ascoltarti. D'altra parte, alcuni tendono ad urlare o usare un volume molto alto quando parlano: questa condizione provoca generalmente tensione ed esasperazione. Quando desideri che il tuo interlocutore si avvicini ed ascolti veramente, usa un volume medio-basso.

Alzare il volume per aumentare l‟influenza non è efficace quanto

abbassare il tono. È utile inoltre mantenere il volume calmo e fermo, al fine di essere considerato più credibile ed influente. E‟ buona cosa iniziare una conversazione imitando il volume della voce della persona che hai davanti.  L’articolazione Quando stai parlando con un paziente articola chiaramente ogni frase e parola. Un‟articolazione chiara e coerente esprime congruenza, competenza e credibilità, mentre un‟articolazione un po' sciatta suggerisce mancanza di educazione o pigrizia. Una buona enunciazione inoltre permette al tuo interlocutore di seguirti e capire molto più facilmente il discorso: la gente è più facilmente conquistata dal messaggio e sente maggiormente il tuo carisma.  La cadenza La cadenza indica come concludi le tue frasi. È possibile terminare le frasi di un discorso con una cadenza bassa oppure con una cadenza alta. Nel primo caso il risultato è una caduta dell‟attenzione, nel secondo è un aumento dell‟interesse poiché lascia presupporre che il discorso continui. Evita inoltre una cadenza interrogativa, specie se la domanda non esiste, perchè è sintomo di incoerenza e insicurezza; mentre se vuoi persuadere termina con una cadenza esclamativa, tale che ciò che dici assomigli ad un ordine. La fine e l‟inizio sono le parti più importanti di un discorso poiché sono quelle che l'ascoltatore maggiormente ricorda, e quindi quelle in cui è necessario convogliare le informazioni più importanti.

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 Il silenzio Anche il silenzio fa parte di una presentazione verbale e gioca un ruolo fondamentale poiché attraverso di esso l‟ascoltatore percepisce che qualcosa di importante sta per accadere. Una pausa ben posizionata può catturare l'attenzione in qualsiasi momento e con qualsiasi tipo di interlocutore. I silenzi infatti consentono di prepararsi mentalmente a qualcosa di grande interesse e permettono di sottolineare un punto rilevante del discorso. Usa intenzionalmente le pause per i temi che ritieni più importanti per creare enfasi e stati d'animo: una pausa non solo aumenta la comprensione del ricevente, ma ti aiuta anche a raccogliere i pensieri se ti senti un po‟ perso. Quando vuoi far passare un particolare messaggio nel tuo discorso è bene tenere il tono un po' alto, per creare suspense e costruire così uno slancio per la pausa successiva. Se il tono declina verso il basso si annulla l'obiettivo della pausa e fornisce una sensazione di risoluzione invece che di sospensione.  La voce emotiva La voce è considerata anche un segnalatore molto attendibile degli stati emotivi, ben riconosciuto dagli osservatori e poco manipolabile da chi parla. La relazione tra voce ed emozione è basata sull‟assunto che, le reazioni fisiologiche tipiche di uno stato emotivo, quali ad esempio la modificazione del respiro, della fonazione e dell‟articolazione dei suoni, producano delle variazioni apprezzabili negli indici acustici rilevabili nella produzione del discorso. Empiricamente sono emersi precisi e forti indicatori vocali per alcune emozioni. Dallo studio condotto in Italia da Anolli e Ciceri nel 1997 emerge, per esempio, che la voce della paura viene espressa con un timbro sottile, teso e stretto. La tristezza, invece, viene svelata da un tono mediamente basso, con la presenza di lunghe pause e un ritmo di articolazione rallentato. La gioia si esprime invece con una tonalità molto acuta e con un profilo di intonazione progressivo, con un aumento dell‟intensità e a volte con un‟accelerazione del ritmo di articolazione. Da ciò si evince che emozioni molto attivanti producono una parlata più rapida, con alte frequenze e un‟estensione della voce più ampia, mentre le emozioni a bassa attivazione si associano ad una voce più lenta con basse frequenze. Riuscire a controllare le emozioni vuol dire anche controllare la tua voce che risulterà quindi sempre chiara e coerente.

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Esempi di modulazione della voce durante le varie fasi della visita Presa di contatto e congedo

Tono caldo e gentile

Scoprire, sondare

Tono sicuro e diretto

Spiegare il trattamento

Suggestivo

Dubbi

Tranquillo

PER APPROFONDIRE… Marucci F. “L‟idea, la parola, la voce”. Bruno editore, 2011. Mortensen K. “Meccanismi subconsci”. (ebook gratuito).

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APPENDICE B

LA VISUALIZZAZIONE Se sei arrivato a leggere fin qui, probabilmente hai fatto tua l'idea che tra mente e corpo non ci sono confini e che sono in grado di influenzarsi a vicenda. La nostra mente non sa distinguere tra la realtà esterna (qualunque essa sia) e la realtà creata internamente; non fa differenza infatti tra gli avvenimenti concreti e quelli fittizzi. E' proprio grazie a questa "incapacità" del cervello che ciascuno di noi può creare la propria realtà solamente immaginandola o più appropriatamente visualizzandola. Quella della VISUALIZZAZIONE è una tecnica usata da performer di vario genere (artisti, sportivi, manager) per preparasi alla loro prestazione. Queste persone creano nella loro testa delle immagini mentali di come vogliono che vada esattamente la loro performance (uno spettacolo, una gara, una conferenza). Grazie a questo processo riescono a programmare la loro neurologia finalizzandola al raggiungimento dell‟obiettivo, la quale a sua volta plasmerà il corpo al momento opportuno. Insomma è proprio il caso di dire che la mens sana influisce sul corpore sano. Riportando la metafora all‟ambiente odontoiatrico, anche il tuo paziente deve affrontare una prova, nel caso specifico un intervento terapeutico. Molte persone sono ostacolate in questa performance da certi atteggiamenti mentali, come ad esempio l‟odontofobia, che non fanno altro che destabilizzarle: non sono rari i pazienti che, appena si siedono sulla poltrona, vengono presi da paure così intense da paralizzarsi e impedire così qualsiasi intervento. In situazioni come queste la tecnica della visualizzazione può tornare utile a te ma soprattutto al tuo paziente che sicuramente non vuole sentirsi invaso da questa serie di sensazioni negative anche quando deve sottoporsi a una semplice visita. Per dominare le paure e le sensazioni sgradevoli che ne conseguono può dunque essere molto utile far mettere comodo il paziente sulla poltrona e portarlo progressivamente a rilassarsi suggerendogli di chiudere gli occhi e chiedendogli di fare profondi respiri addominali. A questo punto digli di dividere ogni espirazione in tre tempi e piano piano, a ogni conteggio, di rilassare tutti i muscoli del corpo fino ad arrivare ad un piacevole stato di rilassatezza. Una volta che il paziente è giunto in questo stadio, chiedigli di immaginare un grande specchio con una spessa cornice nera e fagli quindi visualizzare tutte le sue paure “odontoiatriche” all‟interno della cornice, riempiendo lo specchio fino all'orlo. Appena ci è riuscito, digli di

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frantumare lo specchio con una martellata riducendo il vetro in migliaia di frammenti. Suggerisci ora al paziente di non visualizzare più questa scena, ma di immaginare un grande specchio con una cornice bianca, al cui interno dovrà riconoscere una situazione identica alla precedente, che avviene però senza paure e secondo i suoi desideri. È indispensabile fargli evocare ogni minimo dettaglio con la maggiore precisione possibile chiedendogli di rendere l'immagine luminosa, con i colori vividi e i particolari a fuoco e infine invitalo ad entrarci dentro per viverla in prima persona. Una volta finita la sequenza, nel caso fosse necessario, fagliela ripetere aumentando via via i dettagli e l'immedesimazione nella scena positiva fino a quando il paziente si sarà tranquillizzato completamente. Anche la PNL ha dedicato molto spazio alle tecniche di visualizzazione e cambiamento, concentrandosi sullo studio delle submodalità. Abbiamo già visto che tutti pensiamo all‟esperienza utilizzando delle rappresentazioni del sistema sensoriale come le immagini visive, i suoni auditivi e le sensazioni cenestetiche. Le submodalità sono quelle caratteristiche o dettagli che rendono tipica ogni immagine, suono o sensazione. Ad esempio un‟ immagine visiva può essere in bianco e nero o a colori, vicina o lontana, grande o piccola, sfocata o a fuoco, immobile o in movimento, associata o dissociata. Un suono può essere forte o piano, acuto o grave, veloce o lento, stereo o mono. Una sensazione cenestetica può variare invece per temperatura, pressione, durata, peso. Ognuno di noi usa un insieme di submodalità per caratterizzare e differenziare le esperienze positive da quelle negative: la conoscenza di queste diversità ci aiuta a trovare schemi di cambiamento e potenziamento rapidi e specifici. Molti pazienti ancora prima di arrivare presso il nostro studio si creano delle immagini mentali negative di quella che potrà essere la loro esperienza odontoiatrica. Queste immagini non fanno altro che predisporre la persona a vivere in maniera ancora più drammatica la situazione, facendo avverare le loro "fantasie" e innescando quindi un circolo vizioso di profezie auto-avveratasi. Puoi intervenire sostituendo questa immagine negativa con una positiva e reindirizzare l'esperienza del paziente. Per poterlo fare innanzitutto devi essere in grado di individuare il comportamento fobico del paziente, riconoscendo ad esempio un‟ eventuale paura per gli strumenti odontoiatrici. Dopodiché fai immaginare al paziente di essere seduto nella platea di un cinema e di vedere sullo schermo un‟immagine fissa in bianco e nero in cui c‟è lui stesso nella situazione appena precedente alla manifestazione fobica. Successivamente digli di innalzarsi in volo fuori dal suo corpo fino alla cabina di proiezione del cinema, in modo da potersi vedere mentre guarda se stesso: da quella posizione si vede nello stesso 103

momento sia in platea che sullo schermo cinematografico. Adesso chiedigli di trasformare l'immagine fissa sullo schermo in un film in bianco e nero, e di guardarlo dall'inizio fino al momento immediatamente successivo alla fine dell'esperienza spiacevole. Una volta sorpassata la reazione fobica, chiedigli di rifermare nuovamente il film in un‟ immagine fissa e quindi di entrare dentro lo schermo del cinema per vivere la scena in prima persona. Digli ora di riproiettare il film all'indietro: le persone si muoveranno al contrario e tutto succederà alla rovescia. Suggeriscigli inoltre di farlo tornare indietro a colori e molto rapidamente, in un paio di secondi circa, e di rivivere infine tutto il filmato a colori secondo i suoi desideri. Questa tecnica permette alla persona di dissociarsi dalla sua fobia (guardando dalla regia se stesso che guarda la reazione

indesiderata)

e

poi

di

riassociarsi

(entrando

dentro

l‟immagine

cinematografica) per rivivere la stessa situazione ma senza la sensazione di malessere. Un'altra tecnica di visualizzazione utile per reindirizzare i comportamenti limitanti delle persone è lo SWISH PATTERN. Questa tecnica funziona in modo molto simile alla configurazione picture in picture (cioè immagine nell‟immagine) di molti televisori che permette di avere contemporaneamente sullo schermo un‟immagine grande, a schermo pieno, e un‟immagine più piccola in uno degli angoli. Attraverso questo sistema è possibile sostituire l'immagine più piccola con quella più grande invertendone le posizioni, ogni volta che lo si desidera. Allo stesso modo lo swish pattern lavora sulla sostituzione di due immagini intercambiabili utili a modificare la reazione negativa di una persona ad una determinata situazione con una positiva e potenziante. Mi spiego meglio: se vuoi cambiare la reazione di un paziente che per esempio ha un esagerato riflesso del vomito, chiedigli di creare dapprima un‟immagine negativa della situazione immediatamente precedente al comportamento indesiderato e poi un‟immagine positiva del cambiamento desiderato (in questo caso l‟assenza del riflesso del vomito). È utile dire al paziente di modificare le submodalità di quest‟ultima immagine, cioè di cambiarne il movimento, la luminosità, il contrasto, la nitidezza e così via, affinchè diventi per lui l‟immagine più attraente possibile. Allo stesso tempo digli di rendere l‟immagine negativa scialba, sbiadita e più sfocata. A questo punto proponigli di collocare l‟immagine attraente nella finestra più piccola del suo schermo mentale e quella indesiderata in quella più grande. Ora fagli scambiare le due immagini in modo che quella piccola (lo stato desiderato), diventi grande e quella grande (lo stato indesiderato) diventi piccola. È necessario ripetere questo procedimento finché il paziente non riesce a compiere facilmente lo scambio.

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L‟utilità di queste tecniche risiede nel fatto che ogni volta che si usa la mente in questo modo, nel cervello si verificano dei veri e propri eventi elettrochimici che alterano permanentemente la prospettiva mentale, nella forma e nella composizione chimica. È possibile quindi usare questo fenomeno consciamente e positivamente per cambiare il modo di sentire del paziente e ristrutturare così alcune parti della sua vita.

Submodalità visive

Submodalità auditive

Submodalità cenestetiche

Numero dell immagini

Quantità di suoni

Posizione nel corpo

Ferma/In movimento

Volume

Velocità del respiro

A colori/Bianco e nero

Tempo

Velocità del battito cardiaco

Luminosa/Scura

Tono

Temperatura della pelle

A fuoco/Sfocata

Velocità

Peso

Con contorno/Senza contorno

Timbro

Pressione

Associato/Dissociato

Durata

Intesità

Dimensioni

Intensità

Sensazioni tattili

Forma

Direzione

Tridimensionale/Piatta

Ritmo

Distanza dell‟immagine

Armonia

(Vicina/Lontana) Localizzata/Panoramica

PER APPROFONDIRE… Bandler R. “Usare il Cervello per Cambiare”. Astrolabio. Bandler R, McDonald W. “Guida per l'esperto alle Submodalità”. Astrolabio.

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