pediatria
April 26, 2017 | Author: Mimmo Colella | Category: N/A
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dispensa di pediatria sviluppata da studenti...
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Pediatria I gruppi di età utilizzati sono definiti come segue • neonato, dalla nascita a 1 mese di vita; • lattante, da 1 mese a 1 anno; • prima infanzia, da 1 a 4 anni; • seconda infanzia, da 5 a 10 anni; • adolescenza, da 11 a 17 anni.
Fonti: www.msd-italia.it; Pediatria di Zappulla, Pediatria di Nelson e appunti delle lezioni. I diritti relativi rimangono dei legittimi proprietari; qualsiasi uso a scopo di lucro è contro la legge.
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Sommario
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1. Neonatologia
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IL NEONATO SANO Fisiologia perinatale CLASSIFICAZIONE SECONDO L’ETÀ GESTAZIONALE • PRETERMINE: < 37 settimane di EG • TERMINE: 37-41 settimane di EG • POST-TERMINE: > 41 settimane di EG CLASSIFICAZIONE
SECONDO
IL
PESO,
IN
RAPPORTO
ALL’ETÀ
GESTAZIONALE
•
•
•
SGA (Small for gestational age): peso 90° percentile (può essere dovuto a cause materne quali il diabete o cause fetali quali gigantismo costituzionale o Sd di BeckwithWiedemann)
VENTILAZIONE E FUNZIONE POLMONARE Durante il periodo fetale, la placenta provvede agli scambi di O2 e CO2. Lo sviluppo dei polmoni fetali si realizza durante tutta la gestazione e, a partire dalla 25a sett., sono presenti alveoli quasi completamente maturi. I polmoni fetali producono continuamente un liquido, costituito in parte da trasudato dei capillari polmonari e in parte dal surfactante polmonare secreto dagli pneumociti di tipo II. Il liquido polmonare si muove lungo l'albero tracheobronchiale e contribuisce a formare il liquido amniotico; per valutare la maturità del polmone fetale si può calcolare il rapporto lecitina/sfingomielina del liquido amniotico: se è >2 il polmone è maturo, tra 1 e 2 è immaturo e c’è la possibilità che si instauri una malattia a membrane ialine. I movimenti respiratori fetali si verificano intermittentemente, di solito in circa 1/3 del tempo, durante la fase di sonno con movimenti oculari rapidi (REM). I movimenti respiratori fetali sembrano essere essenziali per lo sviluppo polmonare e per il controllo neuromuscolare del respiro di cui il neonato ha bisogno per sopravvivere. Affinché alla nascita si verifichi un normale scambio gassoso, è necessaria una pronta rimozione del liquido interstiziale polmonare e del liquido alveolare. Ciò si può verificare attraverso due meccanismi. (1) Al momento del parto vaginale, la compressione del torace fetale provoca l'eliminazione di una parte di liquido polmonare. Nel momento in cui il torace viene espulso si verifica un rimbalzo elastico delle costole che richiama aria nell'albero respiratorio. Il primo forte sforzo inspiratorio riempie ulteriormente gli alveoli di aria. (2) I livelli fetali di adrenalina e noradrenalina aumentano durante il travaglio e incrementano l'assorbimento attivo di sodio e acqua, attraverso l'epitelio respiratorio, mediante i canali epiteliali del sodio. La sindrome del polmone umido neonatale Fonti: www.msd-italia.it; Pediatria di Zappulla, Pediatria di Nelson e appunti delle lezioni. I diritti relativi rimangono dei legittimi proprietari; qualsiasi uso a scopo di lucro è contro la legge.
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(tachipnea transitoria del neonato) è probabilmente causata da un ritardato riassorbimento attivo di sodio e liquido polmonare fetali attraverso i canali epiteliali del sodio. Poiché gli alveoli polmonari fetali sono ripieni di liquido, la tensione superficiale non rappresenta un problema per i movimenti respiratori fetali. A seguito del primo respiro, dopo la nascita, gli alveoli contengono aria e si formano allora interfacce aria/liquido, poiché uno strato di liquido riveste la superficie alveolare. Il surfactante polmonare (una complessa miscela costituita da fosfolipidi, inclusi fosfatidilcolina, fosfatidilglicerolo, fosfatidilinositolo, grassi neutri e tre proteine attive di superficie) è in gran parte contenuto in inclusioni lamellari negli pneumociti di tipo II ed è rilasciato in grandi quantità al momento del primo atto respiratorio. Entro le 34-35 sett. di gestazione viene solitamente prodotta una sufficiente quantità di surfactante per prevenire diffuse atelettasie, che rappresentano il principale problema nella sindrome del distress respiratorio. CIRCOLAZIONE Durante la circolazione fetale le resistenze arteriolari polmonari sono così elevate che il flusso ematico polmonare è ridotto (soltanto il 5-10% della gittata cardiaca). Al contrario, nella circolazione sistemica la resistenza al flusso ematico è bassa, specialmente a causa della bassa resistenza al flusso ematico attraverso la placenta. La bassa PaO2 sistemica fetale (circa 25 mm Hg) insieme con la produzione locale di prostaglandine mantiene pervio il dotto arterioso fetale. A causa delle elevate resistenze polmonari, il sangue proveniente dal ventricolo destro scorre da destra a sinistra, dall'arteria polmonare attraverso il dotto arterioso nell'aorta. Un altro shunt destro-sinistro si verifica attraverso il forame ovale pervio. Nel feto la pressione atriale sinistra è bassa a causa del ridotto ritorno ematico polmonare, mentre la pressione atriale destra è relativamente alta per il notevole ritorno ematico dalla placenta. La differenza di pressione esistente fra i due atri mantiene pervio il forame ovale e permette al sangue di passare dall'atrio destro al sinistro. Dopo i primi atti respiratori, che determinano l'aumento del flusso ematico polmonare e la chiusura del forame ovale, si verifica una profonda modificazione a livello della circolazione. Le resistenze arteriolari polmonari cadono improvvisamente come risultato della vasodilatazione derivante dall'espansione polmonare, dall'aumentata PaO2 e dalla ridotta PaCO2. Inoltre l'introduzione di aria determina, a livello alveolare, un'interfaccia aria-liquido che favorisce il collasso alveolare (v. sopra); queste forze sono contrastate dalle forze elastiche delle costole e della parete toracica. Di conseguenza, cade la pressione interstiziale polmonare, determinando un ulteriore aumento del flusso ematico attraverso i capillari polmonari. Quando il flusso ematico polmonare si stabilizza, il ritorno venoso polmonare aumenta e la pressione in atrio sinistro si innalza. L'introduzione d'aria fa aumentare la Pa O2, determinando la costrizione delle arterie ombelicali. Il flusso ematico placentare si riduce o cessa del tutto e si riduce il ritorno ematico all'atrio destro. In questo modo, la pressione atriale destra diminuisce mentre la pressione atriale sinistra aumenta; il risultato è la chiusura del forame ovale. Subito dopo la nascita le resistenze sistemiche superano quelle polmonari e si ha un'inversione dalla situazione fetale. Quindi, la direzione del flusso ematico attraverso il dotto arterioso pervio si inverte, creando uno shunt ematico sinistro-destro (denominato circolazione di transizione). Questa situazione persiste da subito dopo la nascita (quando aumenta il flusso ematico polmonare e si verifica la chiusura funzionale del forame ovale) fino a circa 24 h di vita, quando si ha la chiusura del dotto arterioso. Il sangue proveniente dall'aorta che entra nel dotto arterioso e nei suoi vasa vasorum ha un'alta PO 2 che, insieme alle variazioni nel metabolismo delle prostaglandine, determina una vasocostrizione e la chiusura del dotto arterioso. Al momento della chiusura del dotto arterioso si instaura la circolazione di tipo adulto. I due ventricoli adesso pompano in serie e non esistono shunt maggiori tra le circolazioni polmonare e sistemica. Durante i primi giorni di vita, in caso di distress neonatale, si può avere il ritorno a una circolazione di tipo fetale. L'asfissia, con ipossia e ipercapnia, causa la vasocostrizione delle arteriole polmonari e la dilatazione del dotto arterioso, con inversione dei processi sopra descritti e con la realizzazione di uno shunt destro-sinistro attraverso il dotto arterioso nuovamente pervio e/o il forame ovale riaperto. Di conseguenza, il neonato presenta una grave ipossiemia, condizione, questa, denominata ipertensione polmonare persistente o circolazione fetale persistente (naturalmente non c'è la circolazione placentare). Il trattamento si propone di rimuovere le condizioni che determinano la vasocostrizione polmonare. ESCREZIONE DELLA BILIRUBINA Questo processo inizia durante la vita fetale. Le emazie vecchie o danneggiate vengono rimosse dal circolo tramite le cellule reticoloendoteliali, che, in seguito, convertono l'eme in bilirubina (1 g di Hb produce 34 mg di bilirubina). Questa bilirubina non coniugata, che è legata all'albumina sierica, viene Fonti: www.msd-italia.it; Pediatria di Zappulla, Pediatria di Nelson e appunti delle lezioni. I diritti relativi rimangono dei legittimi proprietari; qualsiasi uso a scopo di lucro è contro la legge.
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quindi trasportata mediante la circolazione al fegato. Gli epatociti fetali, contenenti proteine leganti, captano dal sangue la bilirubina libera nei sinusoidi epatici. In seguito l'enzima glicuronil-transferasi coniuga la bilirubina con l'acido uridindifosfoglicuronico (UDPGA), formando bilirubina diglicuronide (bilirubina coniugata) che è secreta attivamente nei canalicoli biliari. La bilirubina diglicuronide raggiunge il meconio nel tratto GI, ma non può essere eliminata dall'organismo, perché il feto normalmente non elimina le feci. L'enzima b-glicuronidasi, presente nell'orletto a spazzola della mucosa dell'intestino tenue fetale, viene rilasciato nel lume intestinale, dove rimuove il legame bilirubina-glicuronide; la bilirubina libera (non coniugata) viene poi riassorbita a livello intestinale e rientra nella circolazione fetale. La bilirubina fetale viene allontanata dal circolo mediante il passaggio transplacentare nel plasma materno secondo gradiente di concentrazione. Il fegato materno poi coniuga ed elimina la bilirubina fetale. Alla nascita viene a mancare la placenta per cui il fegato del neonato deve efficacemente captare, coniugare e secernere la bilirubina nella bile, in modo che possa essere eliminata con le feci. Tuttavia, nel neonato mancano i batteri intestinali in grado di ossidare nell'intestino la bilirubina in urobilinogeno; di conseguenza, la bilirubina, escreta come tale nelle feci, conferisce loro un caratteristico colore giallo vivo. L'apparato GI del neonato (come quello fetale) contiene b-glicuronidasi che deconiuga parte della bilirubina, che può così essere riassorbita e ritornare in circolo dal lume intestinale come bilirubina non coniugata (circolo enteroepatico della bilirubina), contribuendo alla determinazione dell'iperbilirubinemia fisiologica e dell'ittero fisiologico. L'alimentazione produce il riflesso gastro-colico e la bilirubina viene dunque eliminata con le feci prima che la gran parte di essa venga deconiugata e riassorbita. EMOGLOBINA FETALE A causa dell'elevata affinità dell'Hb fetale per l'O2, viene mantenuto attraverso la placenta un elevato gradiente di concentrazione dell'O2, determinando un abbondante passaggio di O2 dalla circolazione materna a quella fetale. Questa aumentata affinità per l'O2 è meno utile dopo la nascita, poiché l'Hb fetale rilascia meno facilmente O2 ai tessuti; ciò può essere molto dannoso se coesiste una grave affezione respiratoria o cardiaca. Il passaggio dall'Hb fetale a quella adulta inizia prima della nascita. Il brusco aumento della PaO2, da circa 25-30 mm Hg nel feto a 90-95 mm Hg nel neonato normale, determina una caduta dei livelli sierici di eritropoietina, che spiega la ridotta produzione di GR che si verifica normalmente alla nascita e persiste per 6-8 sett. Questa ridotta attività del midollo osseo determina un'anemia fisiologica, soprattutto nei neonati prematuri in cui la massa corporea e il volume ematico sono in rapido aumento. Tuttavia, la diminuzione dell'Hb induce, alla fine, una ridotta tensione di O2 tissutale e quindi un'aumentata increzione di eritropoietina, che stimola il midollo osseo a produrre nuovi GR. L'eritropoietina può rivelarsi efficace nel trattamento dell'anemia del prematuro (da non confondere con l'anemia da carenza di ferro, che di solito non si verifica prima dei 4-6 mesi di vita). SITUAZIONE IMMUNOLOGICA DEL FETO Alla nascita la maggior parte dei meccanismi immunitari presenta una funzionalità direttamente proporzionale all'età gestazionale, ma anche nel nato a termine, essa è minore rispetto agli adulti. Ne deriva che, il neonato e il lattante (specialmente nel periodo di età compreso fra 3 e 12 mesi) presentano una immunodeficienza transitoria significativa, che coinvolge tutte le componenti del sistema immunitario, esponendo il neonato al rischio di gravi infezioni. Tale rischio può essere incrementato dalla prematurità, da un parto distocico, dalla presenza di malattie materne, da sofferenza neonatale e da farmaci (p. es., immunosoppressori e anticonvulsivanti). La ridotta risposta infiammatoria del neonato contribuisce all'aumento della suscettibilità alle infezioni e può spiegare la mancanza di segni clinici di localizzazione (p. es., febbre o meningismo), diversamente da ciò che succede nei bambini più grandi durante un processo infettivo. FAGOCITOSI: nel feto, le cellule deputate alla fagocitosi, già presenti nello stadio di sviluppo del sacco vitellino, sono importanti per la risposta infiammatoria nei confronti di infezioni batteriche e micotiche. I granulociti e i monociti compaiono rispettivamente durante il 2o e 4o mese di gestazione. La loro attività funzionale aumenta con l'aumentare dell'età gestazionale, ma è ancora bassa nel nato a termine. Il monocita circolante è il precursore del macrofago fisso tissutale, che è in grado di effettuare la fagocitosi in utero e ha una bassa o normale attività microbicida nel nato a termine. I macrofagi degli alveoli polmonari raggiungono la loro sede al momento della nascita e aiutano a liberare gli alveoli dai detriti del liquido amniotico e dai microrganismi. Questi e altri macrofagi tissutali, come quelli della milza, hanno una ridotta attività fagocitica.
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Alla nascita, l'ultrastruttura dei neutrofili è normale, ma sono ridotte la deformabilità di membrana e l'adesività, il che può condizionare funzioni cellulari quali la chemiotassi e la fagocitosi. L'attività fagocitica e microbicida dei neutrofili e dei monociti è di solito normale nel neonato sano dopo 12 h di vita; è ridotta, invece, nel neonato di basso peso alla nascita o nel nato a termine asfittico. Nella maggior parte dei neonati, la chemiotassi dei neutrofili e dei monociti è ridotta a causa di un'anomalia intrinseca della locomozione cellulare e dell'adesività alle superfici. Quest'ultima può essere attribuita all'incapacità di aumentare l'espressione di superficie delle glicoproteine di adesione e alla riduzione della fibronectina. Il siero neonatale possiede inoltre una ridotta capacità di produrre fattori chemiotattici (sostanze che attraggono i fagociti nei luoghi di invasione microbica). La ridotta chemiotassi dei monociti neonatali può contribuire all'instaurarsi dell'anergia cutanea, tipica del neonato. La chemiotassi raggiunge i livelli dell'adulto dopo diversi anni dalla nascita. L'opsonizzazione è necessaria per un'efficiente fagocitosi di molti microrganismi. I fattori opsonizzanti del siero comprendono gli anticorpi di classe IgG e IgM (termostabili) e il complemento (termolabile). A differenza delle IgG, le IgM e le frazioni del complemento non attraversano la placenta. Le IgM opsonizzano i batteri gram - più efficacemente di quanto non facciano le IgG, ma, per un'attività opsonizzante sierica ottimale, è necessario il complemento. La sintesi dei fattori del complemento inizia fin dalle 5 sett. di gestazione, ma i livelli della maggior parte dei componenti della via classica e della via alternativa raggiunge, entro il termine della gestazione, solamente il 50-75% dei livelli dell'adulto. I leucociti del neonato hanno recettori Fc e C3 normali per entrambi i gruppi di opsonine, ma i recettori C3 subiscono lentamente, dopo stimolazione, un aumento di espressione sulla superficie cellulare. L'attività opsonizzante del siero varia con l'età gestazionale, essendo ridotta nei lattanti di basso peso alla nascita nei confronti di tutti i microrganismi testati e nei neonati a termine è solitamente ridotta nei confronti di alcuni germi, in particolare i batteri gram -. La diminuita attività opsonizzante sierica è responsabile, almeno in parte, della ridotta efficienza alla nascita del sistema reticoloendoteliale. IMMUNITÀ CELLULARE (CELLULE T): alla 6a sett. circa di gestazione, il timo inizia a svilupparsi dall'epitelio della 3a e 4a tasca faringea. A 8 sett., il timo si sviluppa rapidamente; entro le 12 sett., si sono sviluppate le aree corticale e midollare. Entro le 14 sett., sono presenti nel timo le maggiori sottoclassi timocitiche (timociti a tripla marcatura: CD3-, CD4-, CD8-; timociti a doppia marcatura: CD4+, CD8+; timociti a marcatura singola: CD4+ o CD8+). Già a 14 sett., sono presenti nel fegato e nella milza fetali cellule T CD4+ e CD8+, il che indica che, a questa età gestazionale, sono presenti negli organi linfatici periferici cellule T mature. Il timo è particolarmente attivo durante lo sviluppo fetale e nel primo periodo di vita postnatale. Esso cresce rapidamente in utero e si può facilmente evidenziare, nel neonato normale, in una radiografia del torace; raggiunge le massime dimensioni a 10 anni di vita e regredisce poi, gradualmente, nel corso di molti anni. Si ritiene che il timo, durante il periodo fetale e quello perinatale, sia il mediatore della tolleranza verso gli antigeni "self" e che sia essenziale per lo sviluppo e la maturazione del tessuto linfoide periferico. Gli elementi epiteliali del timo producono sostanze, come le citochine, che sono importanti per la differenziazione e la maturazione delle cellule T. Il numero di cellule T nella circolazione fetale aumenta gradualmente durante il secondo trimestre di gestazione e raggiunge valori quasi normali entro le 30-32 sett. di gestazione. Alla nascita, il neonato, rispetto all'adulto, presenta una linfocitosi relativa, con un aumentato rapporto CD4 +/CD8+, che riflette una percentuale di cellule T CD8+ relativamente bassa. Dopo la nascita, nel compartimento T-cellulare periferico avvengono variazioni nelle sottoclassi linfocitiche. Tuttavia, a differenza di quanto accade negli adulti, il compartimento T-cellulare del neonato contiene soprattutto cellule T CD4 + immature, che esprimono il CD45RA e bassi livelli di CD29. Invece, i linfociti del sangue periferico dell'adulto sono soprattutto cellule T CD4+ di memoria che esprimono il CD45RO e livelli relativamente elevati di CD29. Il significato di tale differenza nei marker di membrana delle cellule T può essere correlato alle differenze nella capacità di rispondere ad antigeni e di produrre citochine delle diverse sottopopolazioni T-cellulari. Per esempio, le cellule T neonatali sono di scarso aiuto per le cellule B nella sintesi delle immunoglobuline. Mentre sembra essere adeguata la secrezione di interleuchina (IL)-2 da parte delle cellule T neonatali, la produzione di molte altre citochine, come, interferone-g, IL-4, IL-5 e IL-3 è deficitaria, se comparata a quella delle cellule T dell'adulto in risposta a vari stimoli. Alla nascita, l'attività citotossica, includendo la natural-killer, quella anticorpo-dipendente e quella delle cellule T killer è considerevolmente ridotta rispetto a quella dei linfociti degli adulti. Inoltre, l'attività delle cellule T suppressor è notevolmente aumentata, a seconda dello stimolo, il che può essere messo in relazione al fenotipo poco elaborato delle cellule T CD4+ del neonato. Il risultato finale è una parziale immunodeficienza T-cellulare che può determinare un'aumentata suscettibilità alle infezioni e, in rare circostanze, l'attecchimento di linfociti materni o trasfusi. Numerosi fattori, come infezioni virali,
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iperbilirubinemia e assunzione materna di farmaci verso la fine della gravidanza, possono deprimere la funzionalità dei linfociti T del neonato. Le risposte ai test cutanei che valutano l'ipersensibilità ritardata, sono ridotte fino a circa 1 anno di vita. La persistenza di linfociti materni e la malattia del trapianto contro l'ospite sono rare nei nati a termine e ciò indica che la funzionalità T-cellulare è adeguata nei neonati a termine. IMMUNITÀ ANTICORPALE: i linfociti B sono presenti nel midollo osseo, nel sangue, nel fegato e nella milza del feto entro la 12a sett. di gestazione. Tracce di IgM e IgG sono sintetizzate entro la 20a sett. e tracce di IgA entro la 30a sett. Tuttavia, poiché il feto normalmente si trova in un ambiente privo di antigeni, vengono prodotte in utero soltanto piccole quantità di immunoglobuline (specialmente IgM). Livelli elevati di IgM nel sangue cordonale (> 20 mg/dl) indicano un'esposizione in utero ad antigeni, di solito per una infezione congenita. Quasi tutte le IgG sono di derivazione materna, per passaggio transplacentare. Dopo 22 settimane di gestazione, il passaggio transplacentare di IgG aumenta per raggiungere, al termine della gestazione, i valori materni o valori maggiori. Le IgG2 passano attraverso la placenta in minor quantità rispetto alle altre sottoclassi di IgG (IgG1 > IgG3 > IgG4 > IgG2). Nei prematuri i livelli di IgG alla nascita sono ridotti proporzionalmente all'età gestazionale. Dopo la nascita, il catabolismo delle IgG di origine materna, che hanno un'emivita di circa 25 giorni, determina, nel periodo di vita tra i 2 e i 6 mesi, una ipogammaglobulinemia fisiologica, che inizia a migliorare dopo il 6o mese, quando il tasso di IgG prodotte dal bambino supera la quota di anticorpi di derivazione materna distrutti. Il prematuro, in particolare, può diventare profondamente ipogammaglobulinemico durante i primi 6 mesi di vita. Entro 1 anno di vita i livelli di IgG sono circa il 70% dei livelli medi dell'adulto. Le IgA, IgM, IgD e IgE non attraversano la placenta. I loro livelli aumentano lentamente; da valori molto bassi raggiungono circa il 30% di quelli dell'adulto entro 1 anno di vita. Le immunoglobuline raggiungono i livelli dell'adulto approssimativamente come segue: a 1 anno le IgM, a 8 anni le IgG e a 11 anni le IgA. Le IgA secretorie sono scarse o assenti nelle secrezioni salivari e gastrointestinali del neonato a termine fino a circa 1 mese dopo la nascita. Il neonato presenta una risposta anticorpale insufficiente nei confronti di molti antigeni, inclusi quelli vaccinali. Le risposte anticorpali agli antigeni polisaccaridici come quelli dell'Haemophilus e dello pneumococco sono ridotte nei primi 2 anni di vita, a meno che non siano coniugate all'anatossina difterica. Quando si verifica una risposta nei confronti di questi batteri, durante un'infezione, di solito è caratterizzata da una risposta prolungata di tipo IgM e ridotta di tipo IgG. I nati a termine sono protetti, grazie agli anticorpi materni acquisiti passivamente, nei confronti della maggior parte dei potenziali patogeni. I neonati di peso molto basso alla nascita non sono così protetti poiché le più basse quantità di anticorpi materni scompaiono entro 2-4 mesi di vita. Tuttavia, nei prematuri si può avere una risposta ai vaccini, p. es., difterite-pertosse-tetano e polio, sebbene non efficace come nei neonati a termine. Il trasferimento passivo dell'immunità materna, tramite anticorpi di tipo IgG transplacentari e fattori immunitari contenuti nel latte materno, aiuta a compensare l'immaturità del sistema immunitario del neonato e determina una immunocompetenza nei confronti di molte infezioni batteriche gravi (p. es., da pneumococco, Haemophilus, meningococco) e virali (p. es., morbillo, varicella). D'altra parte, le IgG acquisite passivamente possono, a volte, inibire la risposta del neonato nei confronti della vaccinazione contro virus come il morbillo o la rosolia. Il latte materno contiene molti fattori antibatterici (p. es., IgG, IgA secretorie, GB, frazioni del complemento, lisozima e lattoferrina) che vanno a rivestire il tubo digerente e le vie respiratorie superiori, prevenendo la colonizzazione delle mucose da parte di germi patogeni per il tratto respiratorio o enterico. L'allattamento al seno è particolarmente importante nei casi in cui l'acqua può essere inquinata. Nonostante l'uso di antibiotici e i tentativi fatti per potenziare l'immaturo sistema immunitario del neonato, la morbilità e la mortalità legate alle infezioni neonatali rimangono significative. Studi recenti hanno suggerito il possibile impiego di gammaglobuline immuni o iperimmuni nel trattamento di alcune infezioni neonatali (p. es., infezioni da streptococco di gruppo B e da virus respiratorio sinciziale). Sebbene i dati sulla loro efficacia siano controversi, trasfusioni di leucociti a dosi adeguate possono essere utili nel trattamento della sepsi neonatale. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per stabilire le indicazioni all'utilizzo di tali trasfusioni.
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Assistenza alla nascita VALUTAZIONE DELLA VITALITÀ DEL NEONATO SCORE SEGNI La Dr.ssa Virginia Apgar ideò nel 1953 una scala di 0 1 valutazione basata sui seguenti parametri: Frequenza cardiaca Assente 38°C) Leucocitosi materna (>18.000/mmc) Tachicardia Fetale (>180 bat/min) Ipossia intrapartum Fattori di rischio comuni: Prematurità (2-3 sec.), ipo-ipertermia, letargia, disturbi di suzione, ittero. Nello specifico: • Apparato respiratorio: tachipnea, dispnea, apnea, gemito, rientramenti diaframmatici, intercostali, cianosi • Apparato cardiovascolare: pallore, cianosi, tachicardia o bradicardia, ipotensione, edema • Apparato emopoietico: petecchie, porpora, emorragie, splenomegalia • Apparato GI: distensione addominale, vomito, diarrea, ristagno gastrico, epatomegalia • SNC: ipotonia o ipertonia, tremori, convulsioni, fontanella tesa Diagnosi: l’emocromo mostra una leucocitosi con neutropenia (0,2 (ovvero con numerosi neutrofili immaturi, che presentano un numero di connessioni tra i segmenti nucleari superiore ad un terzo del numero dei lobi); c’è piastrinopenia. Si valuta il livello della PCR (si ricordi che ha un’emivita di 19 ore; la specificità del controllo singolo è limitata ma è un buon indice di progressione in caso di controlli seriati nel tempo) e delle citochine IL1, IL6 e TNF. Si effettuano colture di sangue, urine, aspirato bronchiale e\o faringeo, eventualmente dell’LCR; si effettua un Rx torace-addome. Terapia: antibiotici, eventualmente Ig umane, terapia di supporto. Complicanze: shock settico, CID, enterocolite necrotizzante, convulsioni, alterata secrezione di ADH, ipertensione polmonare persistente. CONGIUNTIVITE DEL NEONATO Le principali cause sono, in ordine decrescente, lesioni chimiche, infezioni batteriche e infezioni virali. La congiuntivite chimica è di solito secondaria all'instillazione di gocce di nitrato d'argento per la profilassi oculare. L'oftalmia da clamidia è causata dalla Chlamydia trachomatis acquisita durante il parto. Si verifica nel 2-4% dei nati e rappresenta il 30-50% delle congiuntiviti nei bambini di età inferiore o uguale a 4 sett. L'incidenza di infezioni da clamidia nella madre va dal 2 al 20%. Circa il 3040% dei bambini nati da donne affette sviluppa una congiuntivite e il 10-20% sviluppa una polmonite. Altri batteri, come lo S.pneumoniae e l'H.influenzae sono responsabili di un altro 15% dei casi di congiuntiviti neonatali. Negli USA, l'incidenza dell'oftalmia gonococcica (oftalmia neonatorum dovuta alla N. gonorrhoeae) è pari a 2-3 casi/10.000 nati vivi. Il principale agente virale che causa congiuntiviti neonatali è l'Herpes simplex tipo 1 e 2 (cheratocongiuntivite erpetica). Clinica: la congiuntivite chimica secondaria all'uso del nitrato d'argento, di solito compare entro 6-8 h dall'instillazione e scompare spontaneamente entro 24-48 h. L'oftalmia da clamidia di solito si ha a distanza di 5-14 giorni dalla nascita. Essa può andare da una congiuntivite lieve con minima secrezione mucopurulenta fino a un grave edema palpebrale con abbondante secrezione e formazione di pseudomembrane. L'oftalmia gonorroica produce una congiuntivite purulenta acuta che compare 2-5 giorni dopo la nascita o prima, se c'è stata rottura prematura delle membrane. Il bambino presenta un grave edema palpebrale seguito da chemosi e da un abbondante essudato purulento che può essere sotto pressione. Se non viene trattato, si può avere l'ulcerazione corneale. L'esordio della congiuntivite da altri batteri è estremamente variabile, variando da 4 giorni a 3 sett. La cheratocongiuntivite erpetica può aversi come una infezione isolata oppure in corso di infezioni disseminate o di infezioni del SNC. Può essere erroneamente diagnosticata come congiuntivite batterica o chimica, ma la presenza di cheratite dendritica è patognomonica. Fonti: www.msd-italia.it; Pediatria di Zappulla, Pediatria di Nelson e appunti delle lezioni. I diritti relativi rimangono dei legittimi proprietari; qualsiasi uso a scopo di lucro è contro la legge.
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Profilassi: l’uso routinario del nitrato d'argento all'1%, di pomate o colliri a base di eritromicina o di tetracicline applicati in ambedue gli occhi dopo la nascita è raccomandato, tuttavia nessuno di questi agenti sembra prevenire l'oftalmia da clamidia. Terapia: oftalmia da clamidia: eritromicina etilsuccinato alla dose di 50 mg/kg/die in dosi refratte q 6 o 8 h PO per 2 sett oftalmia gonorroica: bambino da ospedalizzare; 25-50 mg/kg di ceftriaxone IM fino alla dose massima di 125 mg (possono essere anche somministrati 100 mg/kg). L'irrigazione frequente dell'occhio con soluzione fisiologica previene la formazione di aderenze congiuntivite dovuta ad altri batteri: terapia topica con polimixina più bacitracina, eritromicina o tetracicline cheratocongiuntivite erpetica: acyclovir per via sistemica (30 mg/kg/die suddivisi in 3 dosi per 14-21 giorni; ai prematuri si somministrano 20 mg/kg/die suddivisi in 2 dosi) e gocce oftalmiche o pomate a base di tifluoridina o pomate a base di vidarabina 3% q 2-3 h mentre il bambino è sveglio, in associazione con pomata a base di idossiuridina prima di andare a dormire. La terapia sistemica nel neonato è importante, perché la malattia può diffondere al SNC e ad altri organi POLMONITE Esordio precoce (entro qualche ora dalla nascita): espressione polmonare di una sepsi; vedi sopra. Esordio tardivo (dopo 7gg di vita): correlata all’uso di supporti respiratori invasivi, è spesso dovuta allo stafilococco Met-resistente; altri patogeni chiamati in causa sono E. coli, Klebsiella, Pseudomonas, Proteus, e Serratia, come pure la Candida e altri funghi. Il trattamento si basa su vancomicina finché non sono disponibili i risultati dell’antibiogramma; la terapia di supporto è analoga a quella per la sepsi. Polmonite da clamidia: la contaminazione da clamidie durante il parto può evolvere in polmonite da clamidia a 2-6 sett di vita. I bambini sono tachipnoici, ma non si presentano in condizioni critiche e possono presentare una congiuntivite associata, causata dallo stesso organismo. Può essere presente eosinofilia e gli esami rx evidenziano infiltrati interstiziali. Il trattamento con eritromicina porta a una rapida risoluzione. MENINGITE La meningite neonatale si verifica in 2/10000 nati a termine e 2/1000 neonati di basso peso alla nascita (BPN); c'è una prevalenza nei maschi. Si verifica in circa il 25% dei neonati con sepsi neonatale. Eziologia: streptococco di Gruppo B (GBS, soprattutto tipo III), E.coli e Listeria monocytogenes provocano il 75% delle meningiti neonatali. Anche gli enterococchi, gli streptococchi non- enterici di Gruppo D, gli streptococchi a-emolitici e altri germi enterici gram - (p. es., Klebsiella sp, Enterobacter sp, Citrobacter diversus) sono patogeni importanti. H. influenzae tipo b, Neisseria meningitis, e S.pneumoniae sono stati riportati sempre più frequentemente come cause di meningite neonatale. La meningite neonatale nella maggior parte dei casi deriva da una precedente batteriemia associata a sepsi neonatale. La meningite può anche derivare da lesioni cutanee del cuoio capelluto che con uno sviluppo anomalo portano a un'apertura tra la superficie cutanea e l'area subaracnoidea. Raramente può verificarsi una propagazione diretta al SNC attraverso un vicino focolaio auricolare (p. es., otite media). La profilassi intrapartum per il GBS non previene l'infezione a esordio tardivo da GBS. Clinica: se associata alla sepsi, il quadro clinico è dominato dai segni di questa; se isolata, spesso non vi sono segni specifici di meningismo, salvo una tensione della fontanella, irritabilità ed eventualmente vomito da ipertensione endocranica. Prognosi: con la terapia, il tasso di mortalità della meningite neonatale da gram - è del 20-30%, per i gram + (p. es., GBS), del 10- 20%. Per i germi che provocano una meningite necrotizzante e un ascesso cerebrale, il tasso di mortalità si può avvicinare al 75%. Nel 20-50% dei bambini che sopravvivono a una meningite neonatale si sviluppano sequele neurologiche (p. es., idrocefalo, perdita dell'udito, ritardo mentale), con una prognosi peggiore quando gli agenti patogeni sono germi enterici gram -. La meningite da GBS ha un tasso di mortalità significativamente più basso rispetto alla sepsi a esordio precoce da GBS.
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PATOLOGIA RESPIRATORIA
Tachipnea transitoria Aspirazione di meconio Sindrome da distress respiratorio Pneumotorace Apnea Displasia broncopolmonare
TACHIPNEA TRANSITORIA (SINDROME DEL POLMONE UMIDO NEONATALE) Distress respiratorio benigno caratterizzato da tachipnea e ipossiemia, che colpisce l’1-2% dei nati, causato da un ritardato riassorbimento del liquido alveolare e che richiede un supplemento di O2. I neonati affetti sono spesso a termine. Di solito sono nati da parto cesareo e possono avere avuto un distress perinatale. Tale patologia può anche verificarsi in neonati prematuri con RDS. Respiri rapidi, gemiti e rientramenti iniziano appena dopo il parto e può svilupparsi una cianosi. La rx del torace mostra polmoni iperespansi con rinforzo della trama perilare, conferendo ai margini cardiaci un aspetto irsuto, mentre la periferia polmonare è pulita. Spesso è visibile liquido nelle scissure. Fattori di rischio: parto podalico macrosomia sesso maschile cesareo policitemia fetale sovraccarico di liquidi materno diabete fetale Terapia e prognosi: di solito la guarigione si verifica in 2-3 giorni. La terapia è di supporto e consiste nella somministrazione di O2 in tendina, controllando la concentrazione dei gas ematici con prelievi arteriosi o con monitoraggio transcutaneo e pulsiossimetria. Alcuni pazienti richiedono la CPAP e occasionalmente la ventilazione intermittente mandatoria. ASPIRAZIONE DI MECONIO Aspirazione di meconio da parte del feto, che determina dopo la nascita una polmonite chimica e una ostruzione meccanica dei bronchi. L’emissione del meconio in utero è un segnale di sofferenza fetale: in risposta a uno stress, il feto emette meconio e respira affannosamente, inalando così nei polmoni meconio misto a liquido amniotico; si verifica nel 18-20% dei parti e richiede un accurato monitoraggio. Non avviene mai prima delle 34 settimane; l’aspirazione è pertanto caratteristica del nato a termine o post-termine con asfissia perinatale. Clinica: può verificarsi un distress respiratorio da lieve a estremamente grave. Se avviene una completa ostruzione bronchiale si verifica un'atelettasia; un'ostruzione parziale determina un intrappolamento d'aria in espirazione, che determina iperespansione dei polmoni e intrappolamento d'aria nei polmoni (p. es., pneumomediastino, pneumotorace). L'intrappolamento d'aria causato dalla parziale ostruzione bronchiale da parte del meconio, o un pneumotorace iperteso secondario, possono singolarmente incrementare il diametro toracico antero-posteriore, conferendo al torace un aspetto a botte. Il neonato può apparire postmaturo e il cordone ombelicale e le unghie possono essere tinte di meconio. La rx del torace mostra un'insufflazione esagerata enfisematosa con aree variabili di atelettasia. Un intrappolamento d'aria progressivo può determinare un enfisema interstiziale polmonare, uno pneumomediastino o un pneumotorace. Può essere evidenziato del liquido a livello delle scissure polmonari o negli spazi pleurici. Fattori di rischio: pre eclampsia, eclampsia post-maturità ipertensione materna diabete materno aritmia cardiaca fetale
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IUGR oligoidramnios Complicanze: i neonati con SAM, soprattutto se post-termine, sono a rischio di sviluppare una ipertensione polmonare persistente del neonato, specie se il trattamento non riesce a correggere i valori ematici dei gas. Prevenzione e terapia: aspirazione immediata del meconio e delle secrezioni dalla bocca e dal nasofaringe, utilizzando un apparato di aspirazione DeLee, non appena la testa del bambino sia fuoriuscita. Si conviene che se è presente meconio il personale specializzato debba immediatamente intubare e iniziare l'aspirazione tracheale di tutti i bambini depressi. L'aspirazione è più efficace se effettuata prima che il bambino respiri e pianga, poiché, nel momento in cui lo fa, il meconio diffonde attraverso l'albero bronchiale. Se si sospetta una significativa SAM, il neonato viene trasferito presso una TIN per il trattamento. La terapia respiratoria viene effettuata in base alla gravità della polmonite; le richieste variano da una terapia di supporto con fisioterapia toracica, fino alla erogazione di O2 in tenda o alla ventilazione meccanica. Poiché il meconio può favorire la proliferazione batterica e una polmonite batterica è difficile da escludere, è necessario eseguire emocolture e colture dell'aspirato tracheale e iniziare una terapia antibiotica (ampicillina e un aminoglicoside). SINDROME DA DISTRESS RESPIRATORIO (MALATTIE DELLE MEMBRANE JALINE) Sindrome causata dal deficit di surfactante, che nel neonato prematuro si manifesta clinicamente con il distress respiratorio. Colpisce il 25% dei nati prima della 30° settimana, causando il 20% di tutte le morti neonatali. Patogenesi: la sintesi del surfactante ad opera degli pneumociti di II tipo inizia tra la 24° e la 28° settimana, raggiungendo livelli sufficienti intorno alla 34°. Il surfactante è comporto per il 75% di fosfolipidi e per il 10% di proteine, e ha lo scopo di ridurre la tensione superficiale mantenendo dilatati gli alveoli. Il prematuro ha poco surfactante, pertanto i suoi alveoli tendono a collassare; egli aumenta lo sforzo inspiratorio, ma per la eccessiva compliance della parete toracica immatura tale sforzo causa una rientranza costale e sternale piuttosto che una valida dilatazione alveolare. Ad aumentare l’inefficienza dell’attività respiratoria c’è l’incompleta rimozione del liquido alveolare dovuta sia al mancato ingresso d’aria negli alveoli, sia all’incompleta apertura del circolo vascolare del polmone il quale, si ricordi, necessita sia di atti respiratori validi che di elevata tensione d’ossigeno per mutare progressivamente da fetale ad adulto. In più l’ipossia impedisce la chiusura del dotto di Botallo e del forame ovale, con peggioramento della cianosi. Clinica: tachipnea, rientramenti costali, cianosi. Diagnosi: i parametri arteriosi dell'emogasanalisi mostrano un grado variabile di ipossiemia e ipercapnia ed acidosi. La rx del torace mostra un'atelettasia diffusa (classicamente descritta come aspetto a vetro smerigliato con broncogramma aereo) e si correla più o meno con la severità clinica della RDS. La RDS deve essere differenziata dalla polmonite a esordio precoce da streptococco di gruppo B e dalla sepsi, che possono apparire radiologicamente e clinicamente simili. La polmonite da streptococco di gruppo B è molto difficile da escludere completamente e così gli antibiotici vengono solitamente somministrati in attesa dei risultati colturali. Profilassi: a maturità polmonare fetale è indicata da un rapporto lecitina/sfingomielina > 2, insieme alla presenza di fosfatidilglicerolo. Quando un feto deve nascere prematuramente, la somministrazione alla madre per via sistemica di betametasone, per almeno 24 ore prima del parto, induce la produzione di surfactante da parte del feto e solitamente riduce il rischio di RDS o ne diminuisce la severità. Terapia: se la ventilazione del neonato è adeguatamente supportata, egli inizierà la produzione di surfactante e la RDS si risolverà in 4 o 5 giorni. La durata del ricovero viene accorciata grazie al trattamento con surfactante polmonare somministrato per via intratracheale. Nei neonati prematuri 50-70 mm Hg rappresenta un'accettabile PaO2; queste tensioni di O2 determinano una saturazione dell'Hb quasi completa poiché questi neonati hanno Hb fetale, che presenta una più elevata affinità per l'O2. Il mantenimento di una maggiore PaO2 può incrementare il rischio di retinopatia del prematuro. Come negli adulti, una normale PaCO2 è pari a 40-50 mm Hg. I bambini con una RDS lieve possono migliorare con supplementazioni di O2 mediante cappetta; i bambini con RDS più grave possono migliorare con la pressione positiva continua delle vie aeree (CPAP), mantenendo il bambino in respirazione spontanea; i bambini più gravi richiedono il supporto ventilatorio.
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ENFISEMA POLMONARE INTERSTIZIALE Infiltrazione di aria dagli alveoli nell'interstizio polmonare, nei linfatici o nello spazio subpleurico. Un enfisema polmonare interstiziale si verifica di solito in neonati con ridotta compliance polmonare, come quelli che presentano una RDS che sono trattati con ventilazione meccanica, ma a volte si può instaurare spontaneamente. Se l'intrappolamento d'aria è diffuso, la situazione respiratoria può acutamente peggiorare, poiché la compliance polmonare si riduce improvvisamente. Diagnosi: la rx del torace evidenzia nei campi polmonari un numero variabile di immagini radiotrasparenti cistiche o di strie lineari. Alcune immagini sono allungate; altre sembrano cisti subpleuriche e possono avere da pochi millimetri fino a vari centimetri di diametro. L'enfisema polmonare interstiziale si può risolvere drasticamente in 1 o 2 giorni o persistere alla rx per settimane. Alcuni pazienti con gravi disturbi respiratori ed enfisema polmonare interstiziale sviluppano una displasia broncopolmonare (DBP) e l'aspetto cistico dell'enfisema polmonare interstiziale si confonde poi con il quadro radiologico della DBP. Terapia: il trattamento mira a ridurre quanto più possibile la pressione inspiratoria fornita dal ventilatore, per permettere al polmone di guarire. Un'adeguata ossigenazione può spesso essere ottenuta aumentando la FiO2 mentre si riduce al minimo la pressione inspiratoria; questo approccio però può essere difficile o impossibile se i polmoni con enfisema polmonare interstiziale diffuso presentano una ridotta compliance. Se l'enfisema polmonare interstiziale è significativamente più grave in uno dei polmoni, il bambino deve giacere sul lato del polmone più gravemente colpito per aiutare a comprimerlo. Questa posizione può migliorare la ventilazione a livello dell'altro polmone (che si trova più in alto). PNEUMOTORACE Dissezione di aria nello spazio pleurico causata dalla rottura di una bolla subpleurica o da uno pneumomediastino. Viene facilitato dalle manovre assistenziali invasive quali l’intubazione, la ventilazione meccanica, la CPAP, l’aspirazione di meconio e la terapia con surfactante. Può però anche essere spontaneo. Diagnosi: la positività della transilluminazione di un emitorace con una sorgente di luce a fibre ottiche, eseguita in un ambiente buio, suggerisce fortemente la presenza di aria libera nel torace. L'esecuzione di una rx del torace, se le condizioni cliniche del bambino sono stabili, può confermare la diagnosi prima di iniziare il trattamento. Terapia: nei bambini con patologia polmonare o in ventilazione meccanica, bisogna effettuare un'aspirazione immediata dell'aria libera dal cavo pleurico. Nel bambino senza malattie polmonari concomitanti, il pneumotorace può determinare soltanto una lieve tachipnea o essere asintomatico. Se il bambino non presenta distress, può essere tenuto in stretta osservazione, in attesa della risoluzione spontanea. APNEA Assenza di flusso d’aria per >15’’ nel nato a termine, o >20’’ nel pretermine. È centrale se la causa è bulbare (non vi sono sforzi inspiratori), ostruttiva se è bassa (vi sono sforzi inspiratori), o mista. Colpisce il 55-65% dei pretermine, ed è nel 35% dei casi centrale, nel 5-10% ostruttiva e nel 15-20% mista. Spesso inizia 2-3 giorni dopo la nascita. L'incidenza è più elevata a età gestazionali più basse. Anche condizioni patologiche come ipoglicemia, ipocalcemia, sepsi, emorragia intracranica e, occasionalmente, reflusso gastroesofageo possono causare apnea; quindi, neonati prematuri che sviluppano apnea devono essere valutati per escludere queste condizioni sottostanti. Il respiro periodico (rapidi atti respiratori con pause brevi) è causato dall'immaturità dei centri di controllo del respiro troncoencefalici. Possono quindi verificarsi ipossiemia e bradicardia ed è richiesto un intervento di stimolazione della respirazione. L'ipossiemia stimola brevemente nel neonato l'attività respiratoria, ma, dopo pochi secondi, deprime la respirazione. Nei neonati di basso peso alla nascita a rischio di apnea devono essere monitorate la frequenza respiratoria e cardiaca. Molti bambini vengono anche monitorati con un pulsiossimetro per determinare gli episodi di desaturazione di O2. Terapia: per prevenire l'ostruzione delle vie aeree superiori può essere di aiuto porre il bambino con la testa sulla linea mediana e il collo in posizione neutrale o leggermente esteso. Se le crisi di apnea continuano, soprattutto se sono associate a cianosi o bradicardia, il neonato può essere trattato con aminofillina.
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DISPLASIA BRONCOPOLMONARE Patologia polmonare cronica che determina un distress respiratorio persistente, alterazioni caratteristiche alla rx del torace, con strie parenchimali e iperdistensione e una persistente necessità di ventilazione meccanica in neonati di età gestazionale corretta pari a 36 sett., che sono stati trattati per un distress respiratorio di qualunque origine con ventilazione intermittente mandatoria. Patogenesi: il danno polmonare deriva da una ripetuta iperdistensione degli alveoli e dei dotti alveolari dovuta alla ventilazione meccanica (volotrauma), elevate concentrazioni di inspirazione di O2 e intubazione endotracheale; essa è più comune nei bambini di bassa età gestazionale. È spesso sequela di una RDS e del suo trattamento e si sviluppa con maggiore probabilità quando si verifica un enfisema polmonare interstiziale. Negli stadi precoci di DBP, sono presenti infiammazione polmonare ed essudato. Più avanti, si verificano la rottura della parete alveolare e la cicatrizzazione. Alla rx del torace si alternano aree di enfisema con iperaereazione e aree di cicatrizzazione polmonare e atelettasia che conducono a un aspetto patologico, a bulletta di scarpa e a un aspetto cistico iperdisteso. Può anche essere presente una ipertrofia della muscolatura liscia peribronchiale e arteriolare e una metaplasia squamosa dell'epitelio bronchiale. Fattori di rischio: prematurità pervietà del dotto di Botallo sesso maschile deficit di vit.A sepsi Diagnosi: l'epitelio alveolare desquama e nell'aspirato tracheale si ritrovano i macrofagi, i neutrofili e i mediatori dell'infiammazione. Alla rx del torace può essere presente un diffuso opacamento dei campi polmonari dovuto all'accumulo di essudato. Più tardi, è presente un aspetto multicistico con molte strie grossolane e insufflazione esagerata. Profilassi: è importante divezzare i bambini fino ai più bassi parametri ventilatori tollerati e al più presto sospendere completamente la ventilazione meccanica. In un bambino con RDS che non può essere divezzato dal ventilatore nel tempo previsto, bisogna sospettare e trattare tempestivamente le possibili patologie sottostanti, come p. es., il dotto arterioso pervio, polmoniti da germi ospedalieri. Il trattamento precoce con aminofillina, come stimolante del centro del respiro, può aiutare a divezzare i neonati pretermine dalla IMV, così come il desametasone (con attenzione alle eventuali patologie infettive sottostanti, onde evitare di sopprimere l’immunità). Terapia e prognosi: si agisce per mantenere il bambino ad adeguati livelli di PaO 2 con i minimi livelli possibili di ossigeno, fino a svezzarlo. Per l’aumentato lavoro respiratorio questi piccoli necessitano di una nutrizione adeguata; eventualmente si usa tp diuretica per l’aumentato rischio di edema polmonare. Questi bambini sono a rischio, durante i primi anni, di infezioni delle basse vie respiratorie, specialmente infezioni virali (30% riospedalizzati nel primo anno); se sopraggiunge l'infezione, si può avere un rapido scompenso della funzionalità respiratoria. Aumenta anche il rischio di SIDS (sd della morte improvvisa del lattante)
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SD. IPOSSICO-ISCHEMICA Interessamento cerebrale a seguito di un insulto ipossico-ischemico (asfissia, distress respiratorio severo, shunt dx-sx, insufficienza cardiorespiratoria). Incidenza 2-4/1000 nei neonati a termine, con nel 10% dei casi sequele neurologiche gravi: Ritardo mentale Tetraparesi spastica Distonia (nuclei della base) Epilessia Deficit neurosensoriali (cecità, sordità) Patogenesi: l’ipossiemia causa innanzitutto una disfunzione miocardica che peggiora l’efficacia del circolo, con disregolazione del flusso ematico cerebrale ed ischemia. Il metabolismo encefalico diviene anaerobio con produzione di lattato e riduzione dell’energia prodotta: si ha un primo insulto neuronale con necrosi. Al ripristino del circolo, quindi all’arrivo dell’ossigeno, si ha la produzione di radicali liberi dell’ossigeno a causa della presenza delle cellule infiammatorie richiamate in loco dalla necrosi e dall’alterazione della permeabilità del circolo. Si ha così un secondo insulto neuronale con apoptosi. Il danno è maggiore nelle zone “watershed”, ovvero le zone di confine tra un sistema arterioso e l’altro che nel neonato a termine corrispondono alle aree parasagittali. Diagnosi: aEEG (elettroencefalogramma ad integrazione di ampiezza: il segnale EEG registrato da un singolo canale bi-parietale viene filtrato, rettificato, compresso e visualizzato in una scala semilogaritmica. La larghezza del tracciato aEEG riflette la massima e la minima variazione dell’ampiezza del segnale EEG registrato), spettroscopia di RM. Si valuta inoltre il neonato con la scala di Sarnat, che si basa su diversi parametri (tono, stato di coscienza, postura, riflessi primitivi, riflessi pupillari, frequenza cardiaca, respirazione). Trattamento: • mantenimento adeguata ossigenazione • mantenimento PA • mantenimento adeguata glicemia • terapia anticonvulsivante • Ipotermia (entro 6 ore dalla nascita e protratta per 72 ore): può essere sistemica (3334°C) o selettiva cerebrale mediante Cool-cap, moderata sistemica (34-35°C). Ha i seguenti effetti: o ↓ il metabolismo ed il consumo energetico o ↓ il rilascio di aminoacidi neuroeccitatori o ↓ il flusso di ioni a livello delle membrane o ↓permeabilità vascolare o iL 10 ad azione antiinfiammatoria
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GLI ITTERI L'iperbilirubinemia può essere fisiologica o legata a uno specifico disordine sottostante. Deve sempre essere ricercata una causa specifica di iperbilirubinemia neonatale, p. es., sepsi o atresia biliare extraepatica, perché queste richiederanno uno specifico trattamento. • Ittero fisiologico: compare nel 60% dei neonati tra 2° e 4° giorno di vita, ed è più frequente nell’allattato al seno. Il livello massimo di bilirubina, comunque inferiore a 13-14 mg/dl, si raggiunge in 3°-4° giornata, e l’ittero tende a scomparire intorno all’8°-9° giorno. L’accumulo di bilirubina segue un ordine cranio-caudale, perciò quando arrivano a colorarsi gli arti inferiori i livelli sono intorno a 20 mg/dl. L'esatta eziologia dell'iperbilirubinemia fisiologica non è conosciuta: da un lato c’è un aumento di produzione dovuto alla massiccia emolisi data dall’elevato numero di eritrociti e dalla loro breve vita, dall’aumento dell’attivita dell’emeossigenasi per il ridotto apporto alimentare e l’alto circolo entero-epatico per l’assenza di batteri nell’intestino; dall’altro la captazione della bilirubina da parte dell'epatocita è ridotta a causa della scarsità della ligandina, così come la capacità di coniugazione con l'acido glicuronico per la ridotta attività dell’UDP-glucuroniltrasferasi. • Ittero da latte materno: è una forma di iperbilirubinemia non coniugata neonatale che compare tra la prima e la seconda settimana di vita, e che raggiunge livelli più elevati della precedente. Il declino è più lento, potendo richiedere anche settimane o mesi. Tende a ripresentarsi nelle gravidanze successive. Il ritardo nell'iniziare l'alimentazione e le condizioni che impediscono l'alimentazione enterale (p. es., atresia intestinale) sono spesso accompagnati da una iperbilirubinemia non coniugata, perché la bglucuronidasi presente nel apparato GI del neonato attua una deconiugazione della bilirubinadiglicuronide, determinando il circolo enteroepatico della bilirubina quando il tempo di transito GI è prolungato. D’altra parte, poiché l'iperbilirubinemia neonatale può risultare da un'aumentata produzione di bilirubina (p. es., per aumentata concentrazione di Hb da ipertrasfusione, malattia emolitica da incompatibilità Rh o AB0, ematomi), una ridotta escrezione (p. es., ridotta attività di glicuroniltransferasi nel neonato prematuro, epatite, atresia biliare) o da entrambe, la comparsa di ittero può essere la spia di vari disturbi. L'iperbilirubinemia neonatale è generalmente di tipo non coniugato e l'eccessivo accumulo di bilirubina non coniugata può portare al kernittero o ittero nucleare (vd. poi). Diagnosi e complicanze: in ogni neonato un ittero che compare in prima giornata e un livello di bilirubinemia > 10 mg/dl (> 170 mmol/l) nel neonato prematuro o > 15 mg/ dl (>256 mmol/l) nel neonato a termine giustificano esami più approfonditi. L'ittero diventa visibile quando la bilirubinemia è circa 4-5 mg/dl (68-86 mmol/l). Con l'aumentare della bilirubinemia l'ittero cutaneo progredisce in senso cranio- caudale. Oltre a un'accurata anamnesi e un esame obiettivo, la valutazione include il test di Coombs diretto, la determinazione dell'Htc, lo striscio di sangue, la conta dei reticolociti, la determinazione della bilirubinemia totale e diretta e la determinazione del gruppo sanguigno del bambino e della madre. L'ittero da latte materno è diagnosticato per esclusione. Perciò, è importante per il medico valutare nel neonato altre possibili cause di iperbilirubinemia che possono necessitare di terapie specifiche. Profilassi: l’'alimentazione precoce e frequente riduce l'incidenza e la gravità dell'iperbilirubinemia, aumentando la motilità del tratto GI e la frequenza delle evacuazioni, riducendo quindi il circolo enteroepatico della bilirubina. Il tipo di alimentazione non sembra importante nell'aumentare l'escrezione della bilirubina. Terapia: l’ittero fisiologico solitamente non è clinicamente significativo e si risolve entro 1 sett. Nell'ittero da latte materno, se la bilirubina continua ad aumentare fino a 17-18 mg/dl, può essere corretto sostituire temporaneamente il latte materno con un latte artificiale; può essere indicata la fototerapia. Sospendere il latte materno è necessario solamente per 1 o 2 giorni e la madre deve essere incoraggiata a usare regolarmente il "tiralatte" in modo da rioffrire il suo latte al bambino, appena la bilirubinemia inizia a ridursi. Essa deve inoltre essere rassicurata dal fatto che l'iperbilirubinemia non ha causato alcun danno e che potrà tornare, senza correre rischi, all'allattamento materno. Fototerapia: l'effetto maggiore viene ottenuto esponendo il neonato a una luce visibile nell'intervallo del blu. Tuttavia, la luce blu non permette di evidenziare la cianosi e così spesso si preferisce in fototerapia l'uso di luce bianca ad ampio spettro. La fototerapia induce, a livello della cute e del sottocutaneo, la formazione di fotoisomeri dalla bilirubina maggiormente idrosolubili che possono
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essere escreti dal fegato senza glicuronoconiugazione. La fototerapia è controindicata in caso di ostruzione delle vie biliari o ostruzione intestinale, poiché non possono essere escreti i fotoisomeri. La fototerapia può aver inizio quando la bilirubina sierica raggiunge valori vicini di 3 o 4 mg/dl; il neonato deve essere bendato per prevenire il danno oculare. Exsanguinotrasfusione: quando si hanno livelli pericolosi di bilirubina, si esegue l'EXT mediante catetere posto in vena ombelicale. La mortalità totale è < 1% quando eseguita da personale esperto. Per identificare i neonati a rischio di kernittero da sottoporre a EXT si usa il diagramma a destra. Modalità di esecuzione: • Scambiate quote di 5-10 ml di sangue per volta, per un totale di 130-220 ml/kg. Monitoraggio cardiocircolatorio continuo. • Prelievo ed infusione eseguiti molto lentamente: un prelievo rapido comporta il rischio di collasso dei vasi mesenterici; una infusione rapida il rischio di ischemia intestinale e di enterocolite necrotizzante. • Ogni 100 ml di sangue infusione lenta di 2 ml di Ca gluconato 5%, in quanto il citrato lega il Ca. • Durante e dopo la procedura attenzione ad aritmie, segni di insufficienza cardiaca, tachipnea o distensione addominale. • Alimentazione enterale sospesa per 7 ore. • Antibioticoprofilassi fino alla rimozione del sondino ombelicale. Complicanze dell’EXT: • CARDIACHE: aritmia, sovraccarico di volume, scompenso congestizio, arresto cardiaco • EMATOLOGICHE: neutropenia, trombocitopenia, graft vs host • METABOLICHE: acidosi, ipocalcemia,ipoglicemia,ipercaliemia, ipernatriemia • VASCOLARI: embolizzazione, trombosi, perforazione dei vasi ombelicali, NEC • SISTEMICHE: ipotermia • INFETTIVE: batteriche, virali (CMV, HIV, epatiti) KERNITTERO Danno cerebrale dovuto alla deposizione di bilirubina nei gangli basali e nei nuclei del tronco. La bilirubina legata all'albumina sierica non può attraversare la barriera ematoencefalica; il rischio di ittero nucleare è perciò maggiore nei neonati che hanno una concentrazione alta di bilirubina, una bassa di albumina o sostanze nel siero che entrano in competizione con i siti dell'albumina, inclusi acidi grassi liberi, ioni idrogeno e alcuni farmaci come sulfisossazolo, ceftriaxone e aspirina. Le concentrazioni di albumina sierica sono più basse nei neonati prematuri e li espongono a rischi maggiori. Le molecole che entrano in competizione possono facilmente essere elevate nel siero di neonati a digiuno o settici o che hanno acidosi respiratoria o metabolica. Clinica: i segni precoci nel neonato a termine sono letargia, scarsa alimentazione e vomito. Possono seguire (dopo 3-7 gg) opistotono, deviazione degli occhi verso l'alto, convulsione e morte. Nei neonati prematuri, l'ittero nucleare può non dare segni clinici riconoscibili. L'ittero nucleare può determinare, più tardivamente nell'infanzia, ritardo mentale, paralisi cerebrale coreoatetosica, ipoacusia neurosensoriale e paralisi dello sguardo fisso verso l'alto.
Bind: BILIRUBIN INDUCED NEUROLOGIC DISFUNCTION index CLINICA Punti 1 Punti 2 Punti 3 Stato di Sonnolenza Letargia, irritabilità Stato stuporoso coscienza Suzione scarsa convulsioni Tono muscolare Leggermente diminuito Iper o ipotonia Marcata ipertonia o ipotonia, opistotono Inarcamento lieve Pianto Acuto Incostante Solo dopo stimolazione
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Profilassi e terapia: la prevenzione comprende il non raggiungimento di livelli di bilirubina pericolosamente elevati, come descritto sopra nel trattamento dell'iperbilirubinemia. L'exsanguinotrasfusione è eseguita ai livelli sierici di bilirubina stabiliti clinicamente (v. sopra) o più precocemente se appare un qualunque segno clinico suggestivo di kernittero precoce. Non esiste un trattamento risolutivo per il kernittero; il trattamento è sintomatico. L'iperbilirubinemia coniugata (iperbilirubinemia diretta) può occasionalmente verificarsi a causa della colestasi che complica l'alimentazione parenterale. Le patologie ostruttive si presentano con una iperbilirubinemia coniugata, ma la sepsi neonatale e l'eritroblastosi fetale grave possono presentarsi anch'esse con una iperbilirubinemia coniugata.
MALATTIA EMOLITICA NEONATALE Patologia acquisita che interessa specialmente il neonato prematuro o il neonato patologico, caratterizzata da una necrosi della mucosa o anche degli strati più profondi della parete intestinale, più comunemente è interessato l'ileo terminale, meno frequentemente il colon e il piccolo intestino prossimale. L'esecuzione sistematica dell' immunoprofilassi anti-Rh ha notevolmente diminuito l'incidenza della malattia emolitica del neonato, tuttavia questa si verifica ancora a causa di casi di immunizzazione non riconosciuta quali aborti misconosciuti, emorragie transplacentari o funicolo centesi, nonché per errori trasfusionali. Patogenesi: l’emolisi avviene per la presenza nel circolo materno di anticorpi IgG diretti contro antigeni del sangue fetale che passano attraverso la placenta raggiungendo il feto, e avviene nei casi di incompatibilità tra madre e figlio: o Rh (anti D, perlopiù) o AB0 (anti-A e anti-B in madre 0) o Anticorpi rari (anti-Kell, anti-Duffy, anti-Kidd) La maggior parte delle malattie emolitiche su base alloimmune è preceduta da una adeguata documentazione prenatale. Clinica: il neonato presenta i segni dell’anemia (pallore, tachipnea, tachicardia), quelli del distress respiratorio (RDS, versamento pleurico, ipoplasia polmonare), scompenso cardiaco (ipoperfusione, edema, idrope), epatosplenomegalia da eritropoiesi extramidollare (con conseguente riduzione della funzione epatica di sintesi dell’albumina e del catabolismo della bilirubina), c’è porpora a causa della trombocitopenia, ittero fino a segni di kernittero (per i fattori favorenti e la clinica si rimanda a pag 38). Terapia: la terapia dell’ittero è quella indicata in precedenza; il primo presidio è la fototerapia, si passa all’exsanguinotrasfusione se questa è inefficace o se l’anemia è severa (Hb3 mesi. I tre tipi di dolori addominali ricorrenti (DAR) (psicogeno, organico e funzionale) si differenziano in base alla causa sottostante. Incidenza: leggermente > 10%; il rapporto femmine:maschi è 4:3. I DAR sono rari prima dei 4-5 anni e sono più comuni tra 4 e 10 anni, con un secondo picco di incidenza nelle ragazze nella fase precoce dell'adolescenza. I DAR sono psicogeni nell'80-90% dei pazienti, essendo spesso associati ad enuresi e pavor nocturnus. I DAR organici e funzionali hanno più o meno la stessa incidenza (5-10%). Eziologia e patogenesi: si pensa che i DAR psicogeni derivino dallo stress, dall'ansia o dalla depressione. I DAR di per sé possono causare stress dando origine a nuovi problemi (p. es., assenteismo dalla scuola, isolamento dai coetanei), o aggiungendosi ad altri preesistenti (p. es., rivalità tra fratelli). I DAR organici sono dovuti a un disturbo organico, spesso alla malattia infiammatoria intestinale, all'appendicite cronica, all'ulcera peptica, all'infezione da Helicobacter pylori, a parassiti (soprattutto in aree endemiche), a uropatie e all'anemia falciforme. Nelle adolescenti, cause possibili sono la malattia infiammatoria pelvica e la presenza di una cisti ovarica. I DAR funzionali partono da un organo alterato o non malato ma funzionalmente alterato, essendo il risultato dell'interazione tra fattori costituzionali e fattori ambientali. Sintomi e segni: il dolore è in genere vago e mal definito ma talvolta è crampiforme o a colica o, raramente, pungente. Alcuni pazienti si svegliano presto per il disagio; eccezionalmente il paziente si sveglia di notte per il dolore. Il dolore è molto spesso periombelicale. I DAR organici sono comunemente descritti come costanti o ciclici (associati a certe attività o correlati alla dieta e al mangiare); sono ben localizzati, specialmente in aree diverse dalla regione periombelicale e possono irradiarsi al dorso. Essi frequentemente svegliano il bambino. I reperti clinici associati, che dipendono dalla patologia sottostante, comprendono febbre ricorrente o persistente, ittero, modificazioni della consistenza, del colore e della frequenza di eliminazione delle feci, presenza di sangue nelle feci, vomito, ematemesi, distensione addominale, sintomi articolari, alterazioni dell'appetito e perdita di peso. I DAR funzionali dipendono dalla causa sottostante: nel deficit di lattasi sono comuni crampi e meteorismo; è talora presente dolorabilità per 1 o 2 ore in caso di rottura di una cisti ovarica benigna. Diagnosi: la persistenza, la ricorrenza e la cronicità differenzia i DAR dal dolore di un addome acuto. L'anamnesi deve precisare il primo episodio di dolore e la frequenza degli attacchi, la natura e la localizzazione del dolore, le relazioni coi pasti, con la defecazione, le evacuazioni e i risultati ottenuti usando qualsiasi tipo di trattamento (p. es., variazioni di posizione, rimedi domestici, prodotti da banco e farmaci). La mancanza di importanti sintomi intestinali, di febbre, di perdita di peso o di ritardo dell'accrescimento fanno pensare ai DAR psicogeni; tuttavia, questi sintomi non sono patognomonici. Quelli comunemente associati comprendono cefalea, capogiri (non vertigini), pallore del viso e diaforesi. L'astenia, l'anoressia, la nausea e il vomito, la diarrea, la stipsi e i dolori agli arti sono meno frequenti nella forma psicogena che nei DAR organici o funzionali. I DAR organici, se sospettati, richiedono esami adeguati. L'ulcera peptica non viene spesso considerata perché la tipica relazione tra l'assunzione di cibo e dolore epigastrico negli adulti non è frequente nei bambini. Le IVU, che possono causare dolore addominale o pelvico senza nessuna irradiazione al fianco o all'uretra, verranno misconosciute se non ricercate con esami specifici. I DAR funzionali vengono diagnosticati soprattutto attraverso un'anamnesi accurata che ricerchi i sintomi associati o i fattori precipitanti. Le cause di DAR funzionali, da differenziare, comprendono una dieta inadeguata, un insufficiente addestramento all'uso della toilette e l'uso di un regolare vaso da toilette (che può essere troppo grande, facendo nascere nel bambino la paura di caderci dentro), cause che determinano stipsi o ritenzione fecale e incontinenza, la dismenorrea, l'ovulazione dolorosa e l'intolleranza al lattoso secondaria al fisiologico declino dell'attività della lattasi, che si verifica in molti pazienti tra i 10 e i 20 anni. L'intolleranza al lattoso può inizialmente non essere sospettata perché il dolore può non comparire fino a 2 ore dopo l'ingestione di latte o derivati. Prognosi e terapia: qualora vi sia una causa organica o funzionale essa andrà trattata; per quanto riguarda i DAR psicogeni invece il trattamento è più complesso e si basa sulla psicoterapia (strategie di coping, cognitivo comportamentale) estesa anche ai famigliari..
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INTOLLERANZA AI DISACCARIDI Intolleranza legata al deficit di lattasi, saccarasi, maltasi o isomaltasi. DEFICIT DI LATTASI (INTOLLERANZA AL LATTOSIO) • •
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Congenito: disordine autosomico recessivo (cromosoma 2) estremamente raro che porta ad una completa assenza di espressione della lattasi. Dell’accrescimento: l’attività lattasica è geneticamente programmata per diminuire intorno ai 2 anni di vita. I segni e sintomi in genere non divengono clinicamente apparenti fino all’età di 6-7 anni e possono restare inapparenti fino all’età adulta a seconda della quantità di lattosio ingerito nella dieta e della velocità di diminuzione della attività lattasica intestinale. L’attività enzimatica della lattasi è strettamente correlata con l’età, senza riguardo per i sintomi. Acquisito: fenomeno transitorio dovuto al danneggiamento della mucosa intestinale da parte di processi infettivi, allergici o infiammatori che si risolve quando la malattia di fondo viene curata e la guarigione della mucosa intestinale ripristina gli enzimi dell’orletto a spazzola. I più suscettibili sono in bambini al di sotto dei 2 anni di vita perché hanno un intestino molto sensibile agli agenti infettivi, hanno una bassa riserva di enzima per la più piccola superficie intestinale e dipendono quasi esclusivamente da una nutrizione basata su prodotti del latte.
Fisiologia: il lattosio, un disaccaride presente unicamente nel latte dei mammiferi, è idrolizzato nei monosaccaridi glucosio e galattosio sull’orletto a spazzola degli enterociti della sommità dei villi intestinali, dall’enzima lattasi (beta-D-galattosidasi). Nei nati prematuri che hanno una parziale deficienza di lattasi per l’immaturità intestinale, l’espressione enzimatica può essere indotta dall’ingestione di lattosio; ciò tuttavia non è possibile nei nati a termine né negli adulti in quanto la lattasi è un enzima non-inducibile. Il miglioramento della digestione di lattosio in un bambino o in un adulto precedentemente intollerante quindi non è causato da un processo di induzione enzimatica della lattasi, ma dallo sviluppo di batteri che digeriscono il lattosio. La scarsa attività lattasica nell’intestino tenue permette al lattosio di passare indigerito nel colon. Qui, lo zucchero viene fermentato dalla flora batterica intestinale fino a produrre idrogeno ed acidi organici. Il gas produce distensione addominale, crea la sensazione di gonfiore, crampi e dolori addominali. Gli acidi organici possono essere assorbiti, ma raramente la quantità prodotta può essere tale da causare sintomi sistemici o acidosi metabolica. Clinica Deficit congenito: scariche diarroiche a spruzzo che incominciano insieme all’alimentazione; il bambino è irrequieto per i dolori addominali ed ha i glutei arrossati per l’acidità delle feci dovuta alla fermentazione del lattosio in acido lattico (dispepsia fermentativa). Declino dell’attività: dolore addominale non specifico e non focale, crampi addominali diffusi, gonfiore e tensione intestinale, aumento della peristalsi con borborigmi facilmente auscultabili e con movimenti talora palpabili, meteorismo, flatulenza e diarrea con feci poltacee, acquose, acide, che insorgono da 1 a poche ore dopo l’ingestione di latte o latticini o comunque di alimenti contenenti lattosio. Deficit acquisito: clinica dominata dalle cause dell’alterazione alla mucosa, es. infezioni. Diagnosi: nel neonato con sospetto deficit congenito si effettua l’esame delle feci (acide), la prova del carico orale di lattosio (mancato aumento della glicemia) e si tenta di togliere il lattosio. Nel declino dell’attività è utile il Breath test all’idrogeno: il malassorbimento del lattosio porta alla fermentazione dello zucchero da parte della flora batterica intestinale con produzione di idrogeno che viene assorbito nel sangue ed eliminato attraverso i polmoni. Il malassorbimento del lattosio può quindi essere dimostrato dall’aumento della quantità di idrogeno esalato dopo un carico orale di 20 g di lattosio. Terapia: nel neonato sostituzione del latte con prodotti privati del lattosio; nel bambino più grande e nell’adulto eliminazione dalla dieta dei latticini, più o meno completa a seconda dell’attività residua dell’enzima.
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DEFICIT DI SACCARASI (INTOLLERANZA AL SACCAROSIO) La diarrea compare all’introduzione di amidi alla dieta, quindi immediatamente se l’allattamento è artificiale o nel periodo del divezzamento se l’allattamento è al seno. Le feci sono molto acide e ricche di saccarosio; con l’età la sintomatologia si attenua. DEFICIT DEL CARRIER DI GLUCOSIO E GALATTOSIO Forma molto rara di intolleranza a entrambi gli zucchderi che si manifesta già nel neonato; in commercio esistono alimenti contenenti solo fruttosio, il cui assorbimento è osmotico. INTOLLERANZA ALLE PROTEINE DEL LATTE Inclusa in questa sezione per i problemi di diagnosi differenziale con l’intolleranza al lattosio, questa intolleranza consiste in una risposta anomala alle proteine del latte vaccino, ed ha massima prevalenza nel primo anno di vita (5-6%). Colpisce perlopiù i bambini allattati artificialmente, oppure quelli allattati al seno attraverso l’assunzione materna di proteine del latte. Ha una famigliarità molto alta (75%) e la sensibilizzazione avviene per il passaggio di proteine del latte attraverso la mucosa con attivazione della risposta IgE mediata (shock) o IgA mediata (asma, orticaria) o cellulo-mediata (dermatite atopica). Clinica: turbe gastroenteriche con diarrea, vomito ma anche sindrome da malassorbimento, crisi coliche (gassose) con presenza di feci schiumose ricche d’aria, shock anafilattico, dermatite atopica o orticaria (soprattutto alle guance, alle ascelle, ai polsi). Diagnosi: test di eliminazione, dosaggio degli eosinofili nel sangue. Terapia: dieta di eliminazione per almeno un anno.
SD. DA MALASSORBIMENTO Disturbi cronici della nutrizione a diversa eziologia: 1. Anomalie della mucosa del tenue: • morfologiche: aspecifiche (morbo celiaco, infezioni croniche, malnutrizione, allergie, deficit immunitari) o specifiche (TBC, micosi, linfangectasia intestinale) • funzionali: primitive (deficit enzimatici), secondarie 2. Da alterazioni della fase endoluminale della digestione: • insufficienza esocrina del pancreas • alterazione della circolazione entero-epatica • alterazione della flora batterica del tenue 3. Da alterazioni anatomiche dell’intestino • congenite (mega- o dolico colon, duplicazioni, diverticolosi, sd. subocclusive) • acquisite (resezioni chirurgiche, fistole) 4. Da alterazioni funzionali del colom 5. Da alterazioni endocrino-metaboliche varie Sintomi: diarrea persistente, segni di carenza di vari nutrienti, turbe dell’accrescimento. Diagnosi: emocromo, esame delle feci completo, valutazione della funzionalità pancreatica, epatica e renale, valutazione metabolica completa, test del sudore (per la fibrosi cistica), test di provocazione, biopsia intestinale.
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MORBO CELIACO La celiachia è un'enteropatia cronica scatenata dall'ingestione di glutine (orzo, avena, frumento, segale) quale causa di malassorbimento generalizzato. Caratteristicamente si osserva una flogosi della mucosa con appiattimento e atrofia dei villi. Le alterazioni coinvolgono quasi sempre il duodeno e si estendono variabilmente in senso distale. Le componenti molecolari che inducono la risposta flogistica sono la gliadina e le prolammine componenti del glutine. Ha alta incidenza famigliare, predilezione per il sesso femminile e presenta due picchi di esordio: infanzia e 30-40 anni. Non è strettamente una patologia genetica, ma vi sono geni coinvolti: l’eterodimeto alfa/beta HLA-DQw2 è presente nel 90-95% dei pz; anche i fattori ambientali possono avere una rilevanza, si è infatti scoperta una possibile cross-reattività con un frammento della proteina E1b dell’adenovirus-12. Dovuta ad ipersensibilità al glutine; è causata dall’immunità cellulo-mediata: si osservano infiltrati di T-CD8+ nell’epitelio e CD4+ nella lamina propria. Morfologia: la mucosa può essere normale o appiattita, e alla biopsia si osserva atrofia dei villi con degenerazione vacuolare dell’epitelio e infiltrato linfocitario. Le cripte sono iperplastiche e allungate, così che a volte la mucosa, nonostante l’atrofia dei villi, appare di spessore normale. Nella lamina propria c’è infiltrato plasmacellulare; queste caratteristiche sono più marcate nei tratti prossimali (duodeno e digiuno) per via dell’alta concentrazione di glutine. Epidemiologia: la prevalenza è minima nelle razze nera e asiatica, mentre non è infrequente nella razza caucasica raggiungendo il picco di prevalenza nei paesi nordici. In Italia viene diagnosticata in 1 bambino su 200-300. Patogenesi: la patogenesi sembra essere autoimmune, dovuta alla quota (10%) di proteine non degradate assorbite dal lume per via intercellulare attraverso le tight junctions e presentate in forma immunogena dall'enterocita sul versante basale. La restante quota (90%) delle proteine è assorbita per via transcellulare e viene degradata nei lisosomi generando peptidi non immunogeni. Ci sono due ipotesi patogenetiche: • Ipotesi zonulinica: presuppone l'esistenza di un peptide detto zonulina che permeabilizza le giunzioni strette aumentando la quota di proteine assorbite in forma immunogena che scatenerebbero fenomeni autoimmuni più ampi del normale. • Ipotesi APC (Ag Presenting Cells): i genotipi predisponenti di HLA presentano in modo improprio il neo-antigene (gliadina combinata con tTG – transglutaminasi tessutale) attivando le cellule T della sottomucosa che mediano i danno autoimmune agli enterociti. Clinica: la celiachia può presentarsi sotto 3 forme cliniche che presentano lo stesso rischio di complicanze – la forma classica, la forma atipica e la forma silente (asintomatica): • Classica: esordio all'età di 6-18 mesi con diarrea, steatorrea, distensione addominale, astenia e anoressia. I segni obiettivi sono: accrescimento ritardato, ipotrofia muscolare, pallore cutaneo (colorito "di cera vecchia") ; la clinica si completa intorno al secondo anno di vita con presenza di addome globoso che contrasta con la magrezza del bambino, accrescimento rallentato e manifestazioni carenziali. • Atipica: non ci sono segni primari quali diarrea o distensione addominale oppure questi non sono i sintomi dominanti il quadro. La forma atipica si presenta con manifestazioni secondarie al malassorbimento, spesso in età più avanzata • Silente: le lesioni sono limitate al digiuno prossimale, i sintomi sono sopratutto sintomi comportamentali come depressione, irritabilità, facile affaticabilità. Possono coesistere dei segni come osteopenia, iposideremia con o senza anemia. Esami di laboratorio: ricerca degli Ac anti-gliadina (AGA; IgG hanno una buona sensibilità, IgA godono di una buona specificità) e Ac anti-tTG (ottime sensibilità e specificità): i livelli di questi anticorpi correlano con l'attività della malattia e sono perciò usati nel monitorare l'andamento e l'efficacia della terapia. L’unico esame che permette diagnosi di certezza è però la biopsia. Complicanze: Linfoma NH a cellule T: è la complicanza più importante della celiachia ed è più frequente nelle forme non trattate e nelle forme refrattarie. Adenocarcinomi dell'esofago, dello stomaco, dell'utero e dell'ovaio. Terapia: dieta aglutinata.
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ALLERGIE ALIMENTARI Uno dei problemi più frequenti in pediatria è rappresentato dalle allergie alimentari. Si tratta di manifestazioni che tendono a presentarsi sin dai primi mesi di vita. Una prima importante distinzione da fare è tra "allergia" e "intolleranza": la prima si manifesta di solito a breve distanza dall'ingestione di un alimento (da pochi minuti fino a un paio d'ore), indipendentemente dalla sua quantità, ed è dovuta alla sensibilizzazione immunitaria nei confronti dell’antigene alimentare: l’ingresso nell’organismo ne provoca l’opsonizzazione da parte delle IgE specifiche con attivazione dei mastociti e secrezione di istamina ed altri mediatori. L’intolleranza, pur dando luogo a sintomi molto simili, non comporta l'intervento del sistema immunitario ed è sempre legata all'entità dell'esposizione al componente responsabile: un esempio paradigmatico è l'intolleranza al lattosio, dovuta al deficit di un enzima, la lattasi, in grado di scindere questo zucchero. Clinica: i segni e sintomi sono a carico prevalentemente dei seguenti sistemi: • l'apparato digerente, nel quale i disturbi possono spaziare da prurito nella cavità orale e faringea a comparsa di vescicole nella mucosa della bocca, dal rigonfiamento (edema) delle labbra a diarrea, dolori addominali e vomito; • l'apparato respiratorio, che può andare incontro a un quadro di ostruzione di tipo asmatico, con sensazione di oppressione, fame d'aria e difficoltà respiratoria; l'asma può presentarsi anche dopo inalazione di alcuni alimenti come farina, soia, albume d'uovo e crostacei. Tale patologia può configurarsi come asma professionale nei pazienti addetti a queste lavorazioni; • la cute, sulla quale possono comparire chiazze arrossate e pruriginose, pomfi e manifestazioni tipiche dell'orticaria. Nei casi più gravi l'ingestione di un alimento può condurre allo shock anafilattico. Fattori responsabili: nel caso dei bambini le allergie alimentari più precoci sono legate alle proteine del latte e all'uovo, anche se teoricamente qualsiasi alimento introdotto ex novo con lo svezzamento può essere allergizzante. In effetti è bene fare due precisazioni: se il bambino ha una predisposizione familiare è facile che sviluppi sin dai primi mesi forme di allergia nei confronti di qualsiasi componente alimentare, anche quello apparentemente più innocuo. Diversamente un'introduzione troppo precoce di alcuni alimenti può facilitare la sensibilizzazione. In secondo luogo può verificarsi il fenomeno delle "reazioni crociate": questo significa che alcuni elementi possono essere presenti in più alimenti (per esempio è facile che un bambino allergico alle arance lo sia anche alla maggior parte degli altri agrumi) o addirittura in pollini o altri elementi ambientali. Anche molti farmaci, conservanti, coloranti e additivi possono essere alla base di allergie alimentari: o salicilati naturalmente presenti in alcuni alimenti (frutta secca, frutti di bosco, arance, albicocche, uva, olive, erbe aromatiche, vini, liquori). Possono essere causa di forme di orticaria cronica. o il giallo-tartrazina (E102), colorante che conferisce agli alimenti un piacevole colore giallo limone, presente in diverse bevande, sottaceti, salse confezionate, maionese, minestre in scatola, budini. Può essere causa di orticaria cronica e asma. o anidride solforosa (E220) che si può trovare in marmellate, succhi di frutta, vini e in macedonie e insalate trattate nei ristoranti con spray per mantenere un aspetto fresco. o solfiti, metabisolfiti, bisolfiti (E221,E222,E223,E224 ,E225,E226,E227) presenti nei prodotti preconfezionati a scopo conservante e antiossidante, pericolosi soprattutto per le persone asmatiche. o glutammati (E620,E621,E622,E623) che si trovano soprattutto nei croccantini al formaggio, patatine, ketchup, sughi pronti, riso e pasta liofilizzati, funghi secchi, insaccati, dadi per cucinare. Vengono addizionati molto spesso ai cibi per esaltarne il sapore ma possono anche essere presenti naturalmente in alcuni alimenti. La cucina cinese, ad esempio, utilizza grandi quantità di glutammato e la reazione che può far seguito all'ingestione di cibo contenente glutammato (malessere generale, mal di testa, arrossamento del viso) viene anche detta ''sindrome da ristorante cinesè'. o i nitrati addizionati agli insaccati e alle carni in scatola e la tiramina componente naturale di alcuni cibi come formaggi, cioccolato, banane, possono provocare emicranie anche a distanza di ore. Inoltre vi sono alimenti che hanno caratteristiche intrinsecamente allergizzanti, avendo la capacità di attivare la reazione indipendentemente dalla sensibilizzazione del sistema immunitario:
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alimenti che, con meccanismo ignoto, inducono liberazione di istamina nell'organismo e possono provocare orticaria: fra questi soprattutto cioccolato, fragole, ananas, frutti esotici, crostacei, albume d'uovo, formaggi fermentati, cavoli, pomodori, spinaci, spezie; o alimenti contenenti, per loro natura, elevate quantità di istamina come sarde, tonno, aringhe, sgombri, salmone, crostacei, alcuni formaggi (gorgonzola, emmenthal, camembert), salsicce, salame, coppa, pomodori, peperoni, banane, spinaci, alcuni vini (sia bianchi che rossi ), birra ecc. Anche questi alimenti possono dare luogo a orticaria; Va da sé che tutti gli alimenti e gli additivi sopra elencati devono essere per quanto possibile evitati nel lattante, ed andranno introdotti nella dieta il più tardi possibile e uno per volta, per identificare chiaramente le eventuali allergie. o
Diagnosi: prick test (o prove cutanee) orientata dal sospetto diagnostico. Non sempre tuttavia, soprattutto nei primi anni di vita, è possibile dimostrare il componente responsabile. In questo caso si rende opportuna una dieta di eliminazione, dalla quale, cioè, vengono di volta in volta esclusi sistematicamente i vari alimenti, per osservare se i sintomi accusati dal bambino si attenuano e scompaiono. La "controprova" si pratica con la reintroduzione singola degli alimenti, sotto stretto controllo del pediatra o, nel caso, dello specialista allergologo. Terapia: provvedimenti dietetici; non è comunque escluso che il bambino possa sviluppare col tempo una tolleranza nei confronti degli alimenti che gli avevano procurato disturbi.
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REFLUSSO GASTROESOFAGEO Risalita in esofago del materiale acido proveniente dallo stomaco. Nei neonati si manifesta con rigurgito ed emissione di saliva, muco e latte dalla bocca. In genere compare nei primi 10 mesi. Di solito è presente in forma lieve, e nella quasi totalità dei casi (circa il 95%), scompare spontaneamente entro 18-24 mesi. In qualche caso (circa il 30%) può durare fino ai 4 anni. Le complicanze nei bambini sono piuttosto rare (5% dei casi). Patogenesi: nella maggior parte dei casi, il reflusso nei neonati è dovuto al fatto che il primo tratto dell'apparato digestivo (esofago e giunzione gastroesofagea) non è ancora completamente sviluppato. La lunghezza dell'esofago nell'adulto è costante mentre nei bambini varia molto in funzione della crescita. Nei neonati l'esofago è molto corto, e continua a crescere e ad allungarsi per tutto il primo anno di vita. Il cardias e i meccanismi anti-reflusso non sono completamente formati, e terminano lo sviluppo verso il dodicesimo-diciottesimo mese. A causa della beanza parziale dei meccanismi di contenimento è relativamente frequente un reflusso di entità variabile. Altre cause del reflusso nei bambini sono: • Rilascio temporaneo del cardias: si verifica quando si hanno piccole variazioni di pressione in questa zona. Se la pressione diminuisce, la valvola si apre. • Disturbi della motilità esofagea • Rallentamento dello svuotamento dello stomaco Clinica: il reflusso nei bambini può avere caratteristiche diverse: 1. Il reflusso fisiologico è quello che viene a un bambino sano. Si presenta occasionalmente, quasi sempre dopo i pasti, e non influisce sulla crescita del bambino, che mangia con regolarità, non rifiuta il cibo e sta bene. Questo tipo di reflusso scompare da solo nel giro di qualche mese 2. Il reflusso funzionale o sintomatico si ha quando gli episodi di reflusso sono frequenti ma non influiscono sulla crescita e sullo stato di salute generale del bambino. La sua frequenza varia da 8 a 15 volte al giorno, in genere subito dopo la poppata o a qualche ora di distanza dal pasto. Non richiede esami. Nella maggior parte dei casi, scompare tra l'ottavo e il diciottesimo mese. 3. Il reflusso patologico si ha quando oltre al rigurgito sono presenti complicanze quali esofagite, apnea, broncospasmo con il relativo corredo sintomatologico e perdita di peso. 10% dei casi. La caratteristica più importante per distinguere il reflusso sintomatico da quello patologico è il peso del bambino. Se il neonato cresce regolarmente, il reflusso è di tipo sintomatico. Diagnosi: prevalentemente clinica, eventualmente si ricorre all’endoscopia o alla pH-metria se si sospettano complicanze. Terapia: Reflusso sintomatico: questo tipo di reflusso si cura con regole dietetiche e comportamentali: • Neonato: mettere a dormire il neonato a pancia in giù riduce i sintomi del reflusso. Questa posizione è però considerata a rischio per la morte improvvisa. Per questo, la maggior parte dei medici consiglia si mettere a dormire il bambino sulla schiena, sollevando il materassino di circa 25° sul piano orizzontale. Questa posizione aiuta a ridurre il reflusso. È inoltre utile usare un "latte ispessito", ovvero reso più denso da farine quali crema di riso, farina di carrube e amido di mais. Dopo l'allattamento, il bambino va tenuto per qualche minuto sollevato. • Lattante e bambino più grande: le regole sono le precedenti, e via via che il piccolo cresce le indicazioni dietetiche assomigliano a quelle per gli adulti (evitare cioccolato, pomodori, fritti, bevande gassate e non coricarsi subito dopo cena). Di solito non è necessario usare alcun farmaco. In genere i rigurgiti scompaiono a partire dall'ottavo mese. In qualche caso i sintomi del reflusso rimangono fino al diciottesimo mese ma senza causare la malattia da reflusso gastroesofageo. Reflusso patologico: se i sintomi sono leggeri, si possono usare gli alginati. Nei bambini si usano sotto forma di sospensione liquida. Vengono presi dopo i pasti (al termine della poppata o delle pappe). Eventualmente si associano procinetici. Malattia da reflusso gastroesofageo: se i sintomi sono gravi o atipici è necessario ricorrere a inibitori della pompa protonica. Nel 90% dei casi, l'abbinamento di regole dietetiche e comportamentali e farmaci risolve il problema; in casi molto rari può però essere necessario ricorrere all'intervento
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chirurgico. L'operazione si considera solo se i farmaci non hanno alcun effetto, se ci sono gravi complicanze e se il reflusso incide molto negativamente sulla vita del bambino.
3. Malattie dell’apparato respiratorio
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INFEZIONI DELLE VIE AEREE FARINGO-TONSILLITI ACUTE Infezioni causate nell’80% dei casi da virus (rinovirus, coronavirus, adenovirus, influenza e parainfluenza, VRS, coxsackievirus, EBV, herpes virus, morbillo, rosolia…) e nei restanti da batteri, tra i quali predomina S.pyogenes che rappresenta il 15-30% dei casi e colpisce perlopiù i bambini 5-15 anni nel periodo fine inverno-inizio primavera. Clinica: febbre, faringodinia, linfoadenomegalie; la mucosa appare iperemica con tonsille tumefatte e a volte ricoperte da un essudato muco-purulento che spesso indica una eziologia batterica. L’assenza di febbre e la concomitanza di sintomi addominali depongono per eziologia virale. Diagnosi: clinica; si può valutare la VES ed effettuare emocromo, coltura del tampone tonsillare, dosaggio TAS e streptozyme (positivizzano 10 giorni dopo l’esordio). La DD va posta con la mononucleosi infettiva, con la difterite (oggi quasi scomparsa) e con l’herpangina (presenza di vescicole chiare sulla mucosa, tipiche dell’herpesvirus). In realtà l’unica diagnosi importante è l’individuazione delle forme streptococciche che vanno ovviamente trattate con antibiotici anche per il rischio di complicanze (glomerulonefrite, malattia reumatica, endocardite): si ricordi che tali forme sono rare prima di 4 anni, hanno una forte stagionalità, il corredo sintomatologico è marcato ma si allevia in fretta con la somministrazione empirica di penicilline. Terapia: la forma streptococcica viene trattata con amoxicillina-acido clavulanico per os o ampicillina im; macrolidi negli allergici alle penicilline. Esistono portatori sani faringei dello streptococco: non vanno trattati salvo nei casi in cui vi siano famigliari soggetti a febbre reumatica o in caso di epidemie da streptococco. LARINGITI (CROUP) Il termine “croup” indica un evento infiammatorio acuto del laringe caratterizzato da disfonia, tosse e stridore (suono aspro, metallico inspiratorio dovuto all’ostruzione delle alte vie). Si suddivide in: - laringite epiglottica o epiglottidite - laringite ipoglottica 1. Laringite ipoglottica (pseudocroup) Colpisce perlopiù il bambino sotto i 3 anni per via del ridotto diametro delle vie e della maggior vascolarizzazione; è quasi esclusivamente virale (parainfluenza tipo 1), raramente dovuta a Mycoplasma pneumoniae. Clinica: disfonia, tosse abbaiante, stridore e dispnea inspirsatoria dovuti all’edema infiammatorio con stenosi laringea e spasmo delle corde vocali. Nelle forme gravi cianosi. L’assenza o quasi di febbre e la mancanza di scialorrea consentono DD con l’epiglottidite. Terapia: solo il 10% dei pz richiede l’ospedalizzazione; la tp si basa su idratazione, umidificazione dell’aria circostante fino a aerosol con cortisonici e adrenalina per i casi piò gravi. In caso di desaturazione O2-tp riscaldata e umidificata. Complicanze: tracheite batterica da sovrinfezione di S.aureus o H.influenzae tipo B; il bambino presenta uno stato tossico con ostruzione progressiva, secrezioni purulente e pseudomembrane. 2. Laringite acuta catarrale Sintomatologia analoga alla precedente ma è dovuta ad uno spasmo riflesso del laringe che avviene perlopiù di notte, durante il sonno, causato da infezione delle alte vie respiratorie. 3. Epiglottidite Rara ma molto più grave; dovuta a H.influenzae tipo B. Clinica: improvvisa con febbre elevata, dispnea insèpiratoria, disfonia, disfagia, scialorrea, prostrazione e assenza di tosse. Il bambino si presenta con il capo teso in avanti per facilitare la respirazione e può essere cianotico. Diagnosi: esame laringoscopico da effettuarsi in sala operatoria con assistenza anestesiologica per il forte rischio di spasmo laringeo; l’epiglottide è rosso ciliegia. Terapia: immediata ospedalizzazione con intubazione naso-tracheale, somministrazione e.v di ampicillina o meglio ceftriaxone. Complicanze: polmonite e artrite settica; molto rara la meningite.
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BRONCHIOLITE Malattia infettiva acuta con ostruzione delle piccole vie; frequente nella prima infanzia, spesso porta al ricovero. Si presenta in epidemie durante inverno/primavera. Sono particolarmente a rischio i prematuri, gli affetti da displasia broncopolmonare e i portatori di cardiopatie. È dovuta quasi sempre al virus respiratorio sinciziale, in rari casi ad altri virus o a Mycoplasma e Chlamidia. Fisiopatologia: il virus si localizza nelle ultime vie aeree con edema delle pareti, necrosi dell’apitelio, iniltrato cellulare di mononucleati, muco denso e detriti nel lume. L’ostruzione parziale del bronchiolo provoca intrappolamento d’aria a valle fino ad atelettasia al completamento dell’ostruzione: si ha quindi ipossiemia e solo tardivamente ipercapnia con acidosi. Si instaura polipnea direttamente proporzionale all’ipossiemia. Clinica: quasi sempre preceduta da sintomi alle alte vie quali rinorrea, tosse secca e febbre sui 38°C; compare poi la difficoltà respiratoria che si manifesta con polipnea, alitamento delle pinne nasali, tachicardia, rientramenti al giugulo e intercostali in inspirazione e il bambino appare pallido, prostrato e talora cianotico. Nei bambini di pochi mesi c’è il rischio di episodi di apnea. All’ascoltazione MV diminuito, rantoli crepitanti, fischi e sibili perlopiù espiatori. Diagnosi: il VRS può essere identificato mediante test agli Ac fluorescenti da tampone nasale; l’Rx mostra iperinflazione e spesso ispessimenti peribronchiali; possono esservi aree di consolidamento. Sono segnali di gravità una SaO270/min ed età inferiore ai 3 mesi: in questi casi è indicato il ricovero. Terapia: sostegno (a casa o in ospedale a seconda della gravità) con idratazione e O 2-tp tramite maschera, cannula, tenda o cappa di Hood. Il trattamento con broncodilatatori, adrenalina e corticosteroidi non è raccomandato; la ribavirina per aerosol è somministrata solo nei casi di grave distress respiratorio e gli antibiotici solo in caso di sovrinfezione batterica. POLMONITE Periodo neonatale: microrganismi presenti nelle vie genitali della madre quali S.agalactiae, E.coli, Chlamidia trachomatis oppure VRS. 3 mesi – 5 anni: S.pneumoniae e H.influenzae, raramente S.aureus >5anni: Mycoplasma pneumoniae, Chlamidia e S.pneumoniae; tra i virus Adenovirus Clinica: • polmonite tipica: insorgenza rapida con febbre con brivido, tosse produttiva, cianosi, tachipnea, tachicardia, compromissione dello stato generale e se c’è infiammazione pleurica anche dolore toracico. Nel bambino più piccolo i segni tipici possono mancare essendo presenti solo vomito, letargia, anoressia e disidratazione. • polmonite atipica: graduale con febbre modesta senza brivido, tosse secca, stizzosa e mucosite delle vie superiori; possono esservi cefalea, mialgia, artralgie e astenia. Diagnosi: • polmonite tipica ( batterica): all’Rx consolidazione e broncogramma aereo; infiltrati circolari nelle forme da pneumococco • polmonite atipica ( virale): infiltrati interstiziali, ispessimenti peribronchiali, atelettasie, sovra distensione, adenopatie ilari Terapia: il ricovero è consigliato 35 mV) attraverso l’epitelio nasale e la caduta di tale differenza con l’applicazione di amiloride topico nei soggetti affetti da FC. La diagnosi è di solito confermata nella prima o seconda infanzia, ma il 10% dei pazienti sfugge alla diagnosi fino all'adolescenza o all'inizio dell'età adulta. Prognosi: è ampiamente influenzata dal grado di interessamento polmonare. Il peggioramento è inevitabile, portando infine alla morte, dovuta di solito all'associazione di cuore polmonare e insufficienza respiratoria. La prognosi è molto migliorata negli ultimi 5 decenni, specialmente per l'attuazione di una terapia aggressiva prima dell'inizio dei danni polmonari irreversibili. La sopravvivenza media è di 31 anni. Una più lunga sopravvivenza si osserva in modo significativo nei pazienti senza insufficienza pancreatica. La colonizzazione precoce dello Pseudomonas mucoide, il sesso femminile, l'esordio con sintomi respiratori e l'iperreattività delle vie aeree sono associati a una prognosi talvolta peggiore. Il FEV1, adattato all'età e al sesso, è il miglior indice predittivo della mortalità. Terapia: lo scopo della terapia è quello di mantenere un adeguato stato nutrizionale, prevenire o trattare in modo aggressivo le complicanze polmonari e le altre, incoraggiare l'attività fisica e provvedere a un sostegno psichico e sociale adeguato.
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Si devono somministrare enzimi pancreatici a tutti i pasti, fornire adeguato apporto calorico ed eventualmente integrazione delle vitamine liposolubili; si deve mantenere una profilassi antibiotica per prevenire le infezioni respiratorie, effettuare i vaccini, trattare precocemente eventuali riacutizzazioni, fornire desossiribonucleasi ricombinante per aerosol che favorisce la rimozione dei secreti. Nei casi di FEV1 < 30% del teorico, PaO2 < 55 mmHg e PaCO2 > 50 mmHg è indicato il trapianto di polmone (sopravvivenza 60% a 3 anni).
DISCINESIA CILIARE PRIMITIVA Disordine ereditario a trasmissione autosomica recessiva con prevalenza stimata nella popolazione è approssimativamente di 1/20.000 nati vivi. 50% sono affetti da situs inversus. Patogenesi: le cilia sono estroflessioni della superficie apicale della membrana plasmatica dell’epitelio della mucosa delle vie aeree (superiori ed inferiori) e partecipano ai meccanismi di difesa aspecifici dell’albero tracheobronchiale mediante la rimozione continua del materiale estraneo con la clearance muco-ciliare. Nella DCP si manifestano diverse alterazioni ciliari: • Assenza dei bracci di dineina • Assenza dei ponti radiali • Assenza dei ponti di nexina • Assenza dei microtubuli centrali con trasposizione centrale di una coppia periferica Clinica: può manifestarsi alla nascita con distress respiratorio neonatale, ma più spesso si rende evidente nelle prime settimane di vita con rinite mucopurulenta e tosse catarrale persistente. Nelle età successive si manifestano complicanze alle vie aeree superiori (otite media e sinusite cronica), inferiori (bronchite cronica e polmoniti ricorrenti) nonché bronchiectasie. Diagnosi: • Analisi ultrastrutturale delle ciglia in microscopia elettronica • Test alla saccarina (bambini collaboranti) • Valutazione diretta al microscopio ottico e videoregistrazione del battito ciliare Diagnosi differenziale: • Asma bronchiale • Reflusso gastro-esofageo • Fibrosi cistica • Deficit immunitari Terapia: evitare il ristagno di muco (fisioterapia respiratoria), trattamento antibiotico delle riacutizzazioni infettive, astensione dal fumo, vaccinazione antinfluenzale e antipneumococcica.
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ASMA BRONCHIALE L’asma è una malattia infiammatoria cronica caratterizzata da episodi ricorrenti o persistenti di broncospasmo che si manifestano con wheezing (respiro sibilante), dispnea, tachipnea, tosse particolarmente notturna o dopo esercizio fisico e senso di costrizione toracica; ostruzione bronchiale generalmente reversibile spontaneamente o dopo trattamento farmacologico; iperreattività bronchiale; infiltrazione di cellule infiammatorie, rilascio di mediatori e rimodellamento strutturale delle vie aeree. La gravità delle manifestazioni cliniche dell'asma é solitamente correlata all’entità dell'ostruzione bronchiale, ma può essere percepita in maniera differente da diversi individui o nelle diverse fasi della malattia. Epidemiologia: negli ultimi 20 anni la prevalenza di asma è aumentata considerevolmente soprattutto nei bambini in molti Paesi, anche se negli ultimi anni il trend dell’asma negli adulti non è in ulteriore aumento in parecchie nazioni (Inghilterra, Italia, Svizzera, Australia, Messico). Attualmente il trend è in diminuzione nei bambini (Inghilterra, Australia). Nella prima infanzia la prevalenza è maggiore tra i maschi per il minor calibro delle vie aeree, poi la tendenza si inverte. Patogenesi: l’insorgenza dell’asma è dovuta ad un insieme di fattori genetici legati all’iperresponsività bronchiale o ad una storia di atopia (predisposizione genetica a produrre IgE eccessive) ma anche a fattori quali lo status sociale, l’uso di farmaci, il fumo in famiglia, la vita in città e comunque l’esposizione ad allergeni inalatori o sostanze irritanti. Molti mediatori dell'infiammazione nelle secrezioni delle vie aeree dei pazienti asmatici contribuiscono alla broncocostrizione, alla secrezione di muco e allo stravaso nel microcircolo. Lo stravaso, una componente costante delle reazioni infiammatorie, porta a un edema della sottomucosa, aumenta la resistenza delle vie aeree e contribuisce all'iperreattività. I mediatori comprendono l'istamina e i prodotti del metabolismo dell'acido arachidonico (i leucotrieni e i trombossani, entrambi in grado di aumentare transitoriamente l'iperreattività delle vie aeree). I cisteinil-leucotrieni, il LTC4 e il LTD4, sono i più potenti broncocostrittori mai studiati nell'uomo. L'attivazione della risposta allergica da parte delle cellule T è un evento chiave. Le cellule T e i loro prodotti di secrezione (le citochine) mantengono l'infiammazione delle vie aeree. Le citochine prodotte da un gruppo specifico di linfociti, le cellule T CD4Th2 (helper), favoriscono la crescita e la differenziazione delle cellule, le attivano e le inducono a migrare nelle vie aeree, dove ne prolungano la sopravvivenza. Le principali citochine coinvolte comprendono l'interleuchina (IL)-4, che è necessaria per la produzione di IgE; l'IL-5, che è un fattore chemiotattico per gli eosinofili e il fattore stimolante le colonie di granulociti-macrofagi, simile all'IL-5 per i suoi effetti sugli eosinofili ma meno potente. Diagnosi: la diagnosi di asma è soprattutto clinica, suggerita da una storia di episodi ricorrenti di respiro sibilante, tosse e dispnea e avvalorata da una storia personale o familiare di malattia atopica (eczema, rinite o congiuntivite allergica, asma). Nel bambino in età prescolare il sintomo principale può essere rappresentato dalla sola tosse notturna. L’EO può essere negativo o mostrare sibili e fischi telespiratori o sia espiratori che inspiratori; può poi esservi il silenzio respiratorio. Le prove di funzionalità respiratoria confermano il sospetto diagnostico: in caso di ostruzione alla spirometria di effettuerà il test di reversibilità; in caso di negatività con forte sospetto si effettuerà il test di provocazione bronchiale aspecifico.
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In caso di conferma diagnostica si passerà a valutare i fattori di rischio tramite prove allergologiche, indagini per rilevare eventuale reflusso gastroesofageo e/o riniti per ridurre l’esposizione. Diagnosi differenziale: • sindrome da inalazione • corpo estraneo • displasia broncopolmonare • reflusso gastroesofageo • anelli vascolari – arco aortico destroposto • tracheobroncomalacia • disfunzione delle corde vocali • immunodeficienza primitiva • fibrosi cistica - discinesia ciliare primitiva • edema polmonare Terapia: innanzitutto è necessario ridurre la frequenza e la gravità degli attacchi riducendo dell’esposizione agli allergeni, al fumo, allo smog e prevenendo le infezioni delle vie respiratorie. I farmaci poi sono: 1. Farmaci per l’attacco acuto: ß2-agonisti inalatori a rapida azione: broncodilatatori con durata di azione di 4-6 ore, rilasciano la muscolatura liscia della parete bronchiale, aumentano la clearance mucociliare, riducono la permeabilità vascolare e possono inibire il rilascio di mediatori dai mastociti. Rappresentano il trattamento di scelta nelle riacutizzazioni d’asma e sono utilizzati per prevenire l’asma associata all’esercizio fisico. Glucocorticosteroidi sistemici Anticolinergici inalatori: sono broncodilatatori che bloccano gli effetti dell’acetilcolina rilasciata dalle vie efferenti postgangliari vagali e inducono broncodilatazione riducendo il tono intrinseco vagale nelle vie aeree, ma non hanno alcun effetto sull’infiammazione. Rispetto ai farmaci β2-agonisti per via inalatoria, gli anticolinergici hanno un minor effetto broncodilatatore ed agiscono più lentamente (effetto massimo dopo 30-60 minuti). Nel trattamento delle riacutizzazioni asmatiche avrebbe un’azione additiva quando nebulizzato insieme ai β2-agonisti a rapida insorgenza d’azione; si usa come farmaco broncodilatatore alternativo per i pazienti che lamentano effetti collaterali da assunzione di β2-agonisti a rapida insorgenza d’azione, come tachicardia, aritmia e tremori Metilxantine ad azione rapida (teofillina a breve durata d’azione): farmaco antiasmatico sintomatico usato come broncodilatatore aggiuntivo nell’ asma grave. L’insorgenza d’azione è più ritardata rispetto ai β2-agonisti a rapida insorgenza d’azione, sono utilizzati per mantenere la risposta ai SABA nell’intervallo tra le somministrazioni. 2. Farmaci di mantenimento Glucocorticosteroidi inalatori: sono i più potenti agenti antinfiammatori, attivi topicamente, poco assorbiti, e dunque meno in grado di causare effetti avversi. Riducono il bisogno degli steroidi sistemici e sono utilizzati per trattamenti a lungo termine per il controllo dei sintomi e soppressione dell’infiammazione (inibiscono la produzione di citochine, l’attivazione delle molecole di adesione, la migrazione ed attivazione delle cellule della flogosi). Bloccano la fase tardiva della risposta asmatica all’allergene e riducono l’iperreattività bronchiale ß-agonisti inalatori a lunga durata d’azione: broncodilatatori con durata d’azione superiore alle 12 ore. Prevenzione dell’asma notturna o associata all’esercizio fisico, utilizzati in associazione a glucocorticoidi per via inalatoria quando le dosi standard di steroidi per via inalatoria falliscono nel raggiungere il controllo dell’asma
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Antagonisti recettoriali dei leucotrieni (montelukast): modesto effetto antinfiammatorio, si usa in terapia aggiuntiva agli steroidi per via inalatoria e nella prevenzione dell’asma da sforzo. Glucocorticosteroidi orali: sono utilizzati sia nel controllo dell’asma grave persistente (terapia di fondo) che nel trattamento delle riacutizzazioni (terapia sintomatica). Sebbene come sintomatici l’azione non sia immediata (dopo 3-4 ore dalla somministrazione), sono egualmente importanti in quanto ne facilitano la risoluzione, prevengono le recidive, riducono il ricorso al ricovero e la mortalità. Metilxantine a lento rilascio (orali o parenterali): broncodilatatore che può avere effetti antinfiammatori. L’effetto broncodilatatore è legato alla inibizione della fosfodiesterasi ed è rilevabile ad alte concentrazioni mentre l’effetto antinfiammatorio è dovuto ad un meccanismo sconosciuto e si verifica a concentrazioni più basse. Sono utilizzati per la prevenzione e il controllo a lungo termine dei sintomi broncospastici, in particolare dell’asma notturno. Cromoni inalatori: bloccano la fase precoce e tardiva dell’asma; interferiscono con i canali del cloro, inibiscono il rilascio da parte dei mastociti di mediatori IgE-mediati, inibiscono l’attivazione e il rilascio dei mediatori dagli eosinofili e cellule epiteliali e la risposta acuta all’aria fredda ed all’esercizio fisico.
Nel trattamento dell’asma nell’infanzia si deve tenere conto che il piccolo che abbia respiro sibilante non sempre è asmatico: • transient early wheezers: prevalenti fino ai 3 anni, sono piccoli che spesso hanno avuto difficoltà respiratorie alla nascita, figli di madri giovani e fumatrici, prematuri e senza storia di atopia • non atopic wheezers: 3-6 anni, associati a infezione da VRS, il quadro similasmatico si risolve intorno ai 13 anni. Non hanno storia di atopia • atopic wheezers: sono i veri asmatici, in cui la patologia può esordire prima di 3 o dopo 3 anni; prima dei 3 anni sono comunque una minoranza tra i bambini che presentano respiro sibilante Attualmente, i glucocorticoidi per via inalatoria sono i farmaci di fondo più efficaci e sono raccomandati per l’asma persistente ad ogni livello di gravità: il trattamento a lungo termine con glucocorticoidi per via inalatoria riduce considerevolmente la frequenza e la gravità delle riacutizzazioni e non ha dimostrato alcuna associazione con l’aumento dell’osteoporosi o delle fratture ossee; studi condotti su più di 3500 bambini, trattati con glucocorticoidi per via inalatoria a dosaggi medio-bassi per periodi di 1-13 anni, non hanno dimostrato alcun effetto negativo sulla statura definitiva. Per la somministrazione si raccomanda • 6 anni: aerosol in bombolette pressurizzate con camera di espansione con boccaglio o erogatore di polvere Il salmeterolo è autorizzato dopo i 4 anni, il formoterolo dopo i 6. ATTACCO ACUTO DI ASMA 1. lieve: assente o lieve impegno dei muscoli accessori, normale capacità a parlare, saturazione di ossigeno >95% 2. medio: modesto uso dei muscoli accessori con rientramenti toracici, limitazione a parlare, saturazione di ossigeno tra 92-95% 3. severo: agitazione, notevole impegno dei muscoli accessori con marcati rientramenti, inabilità a parlare, frequenza respiratoria >30 atti/min (>50 atti/min nei bambini di età 120 battiti/min (>160 battiti/min nei lattanti), saturazione di ossigeno 92%, ß2 agonisti (salbutamolo), anticolinergici, steroidi, aminofillina.
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4. Malattie dell’apparato cardiovascolare
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CARDIOPATIE CONGENITE Le cardiopatie congenite sono cardiopatie malformative dovute ad anomalie strutturali semplici o complesse, isolate od associate ad altre malformazioni (extracardiache, si associano nel 20% dei casi circa). Le cardiopatie congenite hanno un'incidenza (con molte probabilità sottodimensionata) di 8 su 1.000 nati vivi. Grazie alle possibilità di diagnosi e terapia di queste condizioni il numero di questi pazienti che raggiungono l'età adulta sta aumentando continuamente. Le singole entità sono molte ma tra le più frequenti citiamo: Difetti interventricolari (DIV): sono le cardiopatie congenite più frequenti e rendono conto del 35% circa di tutte le alterazioni. Difetti interatriali (DIA): rappresentano il 7,5% di tutte le cardiopatie congenite Stenosi polmonare: 7% Dotto arterioso (di Botallo) pervio: 6,8% Tetralogia di Fallot: 5,2% ed è la cardiopatia cianogena più frequente Coartazione aortica: 4,8%, la forma infantile è più grave della forma adulta Altre Le anomalie strutturali delle cardiopatie congenite possono essere schematizzati come segue: Difetti di settazione Anomalie di connessione: delle vene agli atri, degli atri ai ventricoli e dei ventricoli alle arterie Ostruzione all'efflusso (polmonare o aortico) o all'afflusso (destro o sinistro) Associazioni delle precedenti Anomalie di situs viscero-atriale: malposizioni cardiache, spesso associate alle precedenti. Due delle molteplici classificazioni di queste patologie sono di utilità clinica e didattica: La classificazione clinica (detta anche "classica") distingue le cardiopatie in base alla presenza di cianosi e presenza di scompenso in: Cianogene Non cianogene Con scompenso Senza scompenso La classificazione fisiopatologica si focalizza sul flusso polmonare e divide le cardiopatie in: Con iperafflusso polmonare (difetti settali) Con ipoafflusso polmonare (ostruzioni all'efflusso associate a difetti settali, sono cianogene) Con normoflusso polmonare (coartazione, stenosi aortica o polmonare isolate) La manifestazione clinica della cardiopatia è variabile in quanto può essere: Urgenza neonatale: 20-30% dei casi in quanto la malformazione non è compatibile con la vita Manifestazioni nella prima infanzia Presentazione in età successive I segni clinici di queste patologie possono essere: cianosi, scompenso, toni, click, soffi e polsi arteriosi. I DIFETTI SETTALI I difetti di settazione compendono i difetti interatriali, gli interventricolari e vasali (come il dotto di Botallo pervio). Nei difetti settali isolati si crea uno shunt da sinistra a destra per il gradiente pressorio tra le cavità e quindi si viene asd avfere un iperafflusso polmonare. In difetti settali associati a ostruzioni all'efflusso destro (stenosi, atresia della tricuspide, stenosi o atresia polmonare, tetralogia di Fallot) il quadro pressorio inverte lo shunt che diventa da destra a sinistra che desatura il sangue sistemico e porta alla cianosi la cui entità è proporzionale al grado di ostruzione polmonare. Nelle stenosi polmonari severe e nella tetralogia di Fallot il flusso polmonare è supplito tramite il dotto di Botallo per cui queste patologie sono dette dotto-dipendenti. 1. DIFETTI INTERATRIALI In base alla localizzazione anatomica del difetto distinguiamo, in ordine di frequenza: DIA tipo ostium secundum (della fossa ovale) DIA tipo ostium primum: si associa a difetti valvolari e difetti atriventricolari DIA tipo seno venoso DIA tipo seno coronarico Fonti: www.msd-italia.it; Pediatria di Zappulla, Pediatria di Nelson e appunti delle lezioni. I diritti relativi rimangono dei legittimi proprietari; qualsiasi uso a scopo di lucro è contro la legge.
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All'esame obiettivo i difetti interatriali si possono presentare con: Asintomatico Soffio sistolico Fibrillazione atriale nell'adulto da iperafflusso destro In difetti tipo ostium primum (frequente nella sindrome di Down) si associa un'insufficienza mitralica. Il quadro radiografico dimostra un aumento della vascolarizzazione polmonare. L'ecocardiografia è il gold standard diagnostico in quanto visualizza il difetto e permette la quantificazione dei flussi dello shunt.
2. DIFETTI ATRIOVENTRICOLARI 3-5% delle cardiopatie congenite, possono essere definiti anche canale atrioventricolare o difetti dei cuscinetti. Il 50% circa degli affetti da sindrome di Down ha una cardiopatia congenita tra le quali la più frequente è il difetto tipo ostium primum, talora un canale completo (valvola atrioventricolare comune tra cuore destro e sinistro). Si suddividono in o completi: causano un quadro di scompenso infantile oppure di cianosi tardiva (sindrome di Eisenmenger, vd. dopo) o incompleti: è il quadro dell’ostium primum Se vi è aumento delle resistenze polmonari si avrà poco shunt sn-dx con un quadro di cianosi; se le resistenze polmonari invece rimangono vicine alla norma prevarrà il quadro dello scompenso per via dell’ampio shunt sn-dx. EO: o Scompenso: Vdx+ e peso--, epatomegalia; si rileva soffio olosistolico a livello di tutti i foci. o Ipertensione polmonare: Vdx++ e peso--, cianosi; il soffio è mesosistolico ai foci mediani. CAV completo Scompenso AE -60° -90° ECG Vdx+ e Vsn+ C/T>0,6 RX Iperafflusso ilare Eco-D Diagnostico Digitale, Terapia diuretici, (ACE inibitori) Chirurgia 6-8 mesi
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Ipertensione polmonare AE -60° -90° Vdx++ C/T>= MPV (v.n.7,2-11,1 fl) Morfologia Piastrinica: > Volume, > granulazione (P giovani), > aggregazione Anemia lieve in caso di diatesi emorragica importante (15%) Aspirato Midollare: Megacariopoiesi normale o aumentata (MK1>MK2) Anticorpi anti-piastrine IgG positivi nel 30-50% dei casi Altri tests: HIV, Coombs, Ab-Antinucleo, Rh0(D)
Terapia: innanzitutto va prescritta una limitazione motoria e proibito l’uso di ASA; si programmano controlli serrati per provvedere all’ospedalizzazione in caso di emorragie severe, quadro clinico sospetto o diminuzione 20.000: no terapia 200 s], che rappresenta l'intervallo di tempo oltre il quale lo strumento automatico passa al campione successivo); una concentrazione di fibrinogeno plasmatico marcatamente ridotta; un test paracoagulativo positivo alla protamina per la presenza dei monomeri di fibrina e un livello molto alto di D-dimero plasmatico e dei prodotti di degradazione della fibrina nel siero. Il dosaggio dei fattori della coagulazione rivelerà bassi livelli di più fattori della coagulazione, in particolare dei fattori V e VIII, che vengono inattivati poiché in corso di CID si forma proteina C attivata. La necrosi epatica massiva, può produrre anomalie di laboratorio simili a quelle della CID acuta; il livello di fattore VIII è elevato nella necrosi epatica, dato che esso è una proteina della fase acuta sintetizzata non solo dagli epatociti ma anche dalle cellule della milza e del rene; è ridotto nella CID. Terapia Il principio fondamentale nel trattamento è l'identificazione e la rapida correzione della causa di base, associata se necessario a supporto trasfusionale con plasma, piastrine e fattori concentrati.
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I PRINCIPALI TUMORI IN ETÀ PEDIATRICA Un bambino ogni 600 sviluppa un tumore nei primi 15 anni di vita: ogni anno in Italia vengono diagnosticati circa 1400 casi di tumori; un pediatra diagnostica nella sua vita professionale 1-5 casi di tumori maligni o di leucemie. LEUKAEMIA La frequenza dei vari tipi di tumore è: CNS TUMOURS 5% • leucemie 33% 11% NB 6% • tumori del SNC 23% 33% • linfomi 9% LYMPHOMA 5% • neuroblastoma 8% RENAL TUMOURS • sarcomi dei tessuti molli 6% STS 9% • neuroblastoma 5% 8% BONE TUMOURS 23% • tumori dell’osso 5% OTHER • altro 11% Eziologia: i fattori di rischio per lo sviluppo tumorale sono l’esposizione (anche in utero) a sostanze chimiche, radiazioni ionizzanti, inquinamento ambientale e farmaci antiblastici; anche i virus (HBV, HCV, HIV e EBV) aumentano il rischio. In età pediatrica tuttavia i tumori possono più di frequente che nell’adulto essere spia di alterazioni ereditarie: in particolare se sono bilaterali, vengono diagnosticati in età più precoce rispetto alla media e se c’è storia famigliare positiva. La quota di tumori ereditari è limitata (3-5%), tuttavia, i portatori di geni responsabili dello sviluppo di neoplasie ereditarie Carcinoma adrenocorticale hanno una probabilità di ammalare molto elevata (RB1: RR=1000). Glioma del chiasma La frazione di casi ereditari mostra grande variabilità tra i diversi tipi di tumori Retinoblastoma Le sindromi cromosomiche possono aumentare il rischio di tumori: trisomia 21 Feocromocitoma leucemia/linfoma RR 20, sd di Morris e Klinefelter aumento del rischio tumori Tumore di Wilms delle cellule germinali. Vi sono anche sindromi in cui lo sviluppo di un tipo di Leucemie tumore è parte integrante del quadro clinico: Tumori cerebrali • Sindrome WAGR: Aniridia, Anomalie Genitali, Ritardo Mentale e Tumore di Wilms: delezione 11p13, gene WT1. I bambini con aniridia sporadica devono essere sottoposti ad analisi cromosomica. • Sindrome di Denys-Drash: nefropatia congenita, tumore di Wilms e stati intersessuali (vd. sezione). AD, missense codon WT1; proposta di screening con eco addome ogni 4 mesi fino all’età di 5 anni. • Sindrome di Beckwith-Wiedermann: disomia uni parentale paterna 15q11; il 7% dei bambini affetti sviluppa un tumore nel primi 5 anni (tumore di Wilms, epatoblastoma, neuroblastoma) Le mutazioni a carico dei geni preposti al controllo della proliferazione (oncogeni od oncosoppressori) configurano quadri caratteristici in cui lo sviluppo di uno o più tumori è pressoché certo: • Retinoblastoma: mutazione del gene RB1 localizzato nella regione 13q14, interviene nel 40% dei retinoblastomi come mutazione germline (i restanti sono dovuti a mutazioni de novo). Il rischio di ricorrenza nei figli di genitori affetti da RB è del 45%, e c’è maggior rischio di tumori maligni secondari. È possibile la diagnosi prenatale, in più si monitorano i bambini a rischio con fundus ogni 2-3 mesi per 2 anni, poi ogni 4-6 mesi. • Sindrome di Li-Fraumeni: nel 65-80% mutazione germline di p53; gli individui affetti presentano sarcomi, tumori mammari premenopausa, leucemie e tumori cerebrali entro i 45 anni di vita. I portatori del gene sviluppano più tumori sincroni o metacroni non associati alle terapie (RR: 5.3). La mutazione è stata rilevata in oltre il 50% dei bambini con carcinoma adrenocorticale e nel 10% con osteosarcoma e rabdomiosarcoma. • Poliposi famigliare del colon: mutazione gene APC in 5p21.22; colpisce 1:8.000. I bambini delle famiglie FAP sono ad alto rischio di sviluppare un HB: 1 su 250 (RR 800); l’individuazione precoce dei bambini portatori è importante più che altro per impostare lo screening con rettosigmoidoscopia a partire da 8-10 anni. • Neurofibromatosi tipo 1: mutazione gene NF1 in 17q11.2. La frequenza nella popolazione generale è di 1:2500, con elevata % di mutazioni de novo. C’è un eccesso di tumori benigni (neurofibromi), gliomi del chiasma (15% dei bambini con NF1), tumori maligni delle guaine nervose, sarcomi, LNLA (LNLA:LLA 20:9 vs 1:4), feocromocitomi. Fonti: www.msd-italia.it; Pediatria di Zappulla, Pediatria di Nelson e appunti delle lezioni. I diritti relativi rimangono dei legittimi proprietari; qualsiasi uso a scopo di lucro è contro la legge.
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50% 45% 40% 25% 3-5% 2-5% 1-3%
• •
•
Neurofibromatosi tipo 2: mutazione gene NF2 sul cromosoma 22; predispone a meningiomi e gliomi del nervo acustico. Malattia di von Hippel-Lindau (VHL): mutazione gene 3p25-26, mutazione germline 100 %. È associata a emangioblastomi cerebellari, angiomi retinici, carcinomi renali e pancreatici e feocromocitomi. Screening con eco addome, fundus e catecolamine urinarie ogni anno. Ataxia-teleangectasia: gene ATM su 11q22-q23; eccesso di leucemie/linfomi e tumori (mammari) negli eterozigoti.
TUMORI DEL SNC 25-30% dei tumori in età pediatrica; sono i tumori solidi più frequenti e hanno picco tra 5 e 10 anni. Clinica: secondaria all’ipertensione endocranica; cefalea, vomito a getto, letargia. Possono esservi segni di interessamento focale quali diplopia, atassia, ritardo di crescita e alterazioni endocrine nei tumori sellari. Sotto i 2 anni si osserva irrequietezza, tensione della fontanella, occhi “a sole calante”. Localizzazione: sopratentoriali nel 40% (astrocitoma, ependimoma, glioblastoma, meningioma, adenoma pituitario, gliomi) e sottotentoriali nel 60% (medulloblastoma 25%, astrocitoma 18%, meningioma, astrocitoma, ependimoma, glioblastoma). Diagnosi: esame neurologico, oftalmoscopico, oculistico, TC con mdc, RMN con mdc, angiografia, EEG, esame del LCR, biopsia. Terapia: la chirurgia è fondamentale, associata o meno a radio- e chemioterapia. TUMORE DI WILMS Tumore embrionario maligno del rene, costituito da combinazioni variabili di elementi di blastomatosi, stromali ed epiteliali. Di solito si manifesta in bambini d'età < 5 anni, ma a volte anche in bambini più grandi e raramente in età adulta. In circa il 4% dei casi il tumore di Wilms compare contemporaneamente in entrambi i reni. Vedi sopra per le correlazioni genetiche. Clinica: massa addominale palpabile, dolore addominale, ematuria, febbre, anoressia, nausea e vomito. L'ematuria, che compare nel 15-20% dei casi, indica l'interessamento del sistema collettore. L'ipertensione può essere secondaria a ischemia da compressione del peduncolo o del parenchima. Diagnosi: ecografia addominale, TC addome, Rx torace e TC per escludere metastasi. Terapia: è indicata l'esplorazione chirurgica immediata della lesione, potenzialmente asportabile, e del rene controlaterale. La chemioterapia con actinomicina. D e vincristina, con o senza radioterapia, è subordinata allo stadio del tumore. I bambini con stadio avanzato sono trattati anche con doxorubicina. Prognosi: dipende dalle caratteristiche istologiche del tumore, dallo stadio di quest'ultimo al momento della diagnosi e dall'età del paziente (la prognosi è migliore se il paziente è più giovane). NEUROBLASTOMA Tumore maligno solido che origina di solito dalle ghiandole surrenali ma anche da qualsiasi altra parte della catena simpatica extra-surrenalica, compresa quella in sede retroperitoneale o toracica. 75% 25%.
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Prognosi: sono fattori favorevoli l’età tra 2 e 7 anni, il sesso femminile, una conta di GB all’esordio 20% di blasti midollari monoclonali. Si suddivide in M1M7. È analoga alla precedente per quanto riguarda clinica e quadro ematologico macroscopico; tuttavia i blasti mieloidi si caratterizzano per un positività alla reazione della mieloperossidasi che dev’essere presente in almeno il 3% per fare diagnosi di leucemia mieloide. Prognosi: nel 75-85% c’è remissione, ma a 5 anni sopravvivono solo il 50%. Hanno prognosi negativa soprattutto i sottotipo M4 e M5. Terapia: come la precedente. 3. LEUCEMIA CRONICA (NELL’INFANZIA SOLO MIELOIDE) Clinica: subdola; c’è compromissione dello stato generale. Diagnosi: all’emocromo >100.000 bianchi nell’80% dei casi, anemia modesta, piastrinosi e blasti circolanti 500/mmc. Neutropenia congenita grave Autosomica recessiva, esordisce nei primi mesi di vita e si pensa sia dovuto ad alterazione della trasduzione del segnale del G-CSF. Clinica: infezioni batteriche a livello di tutte le strutture. Terapia: trapianto di midollo; qualora non disponibile iniezioni s.c di G-CSF. Granulocitopenia ciclica Fasi di neutropenia di durata 3-10 gg, ogni 21 gg, per regolazione della differenziazione alterata. Clinica: da temere le infezioni da Clostridium. SINDROMI ASSOCIATE AD IMMUNODEFICIENZA Sindrome di DiGeorge (CATCH22) 1:20.000-70.000, microdelezione 22q11 presente nell’85% dei casi. Il disturbo è dovuto ad alterazione dello sviluppo della 3° e 4° tasca branchiale; il bambino presenta cardiopatia, facies tipica, labbro leporino, ipocalcemia da alterazione delle paratiroidi e ipoplasia timica, l’entità della quale influenza il quadro immunologico. Atassia telangectasia (Sd. di Luis-Barr) Autosomica recessiva, il danno è a carico degli enzimi riparatori del DNA. Esordisce con i sintomi cerebellari al momento in cui il bambino inizia a camminare, e compaiono poi disartria, ritardo mentale e miastenia associati a telanegctasie, degenerazione ipofisaria e infezioni che appaiono intorno a 5-6 anni. Aumenta il rischio di neoplasie (40%) soprattutto immunologiche. Sindrome di Wiskott-Aldrich X-linked recessiva, la mutazione è a carico di una proteina ricca in prolina e porta ad anomalie del citoscheletro che provocano difetto nella chemiotassi.
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Clinica: nel neonato e nel lattante compaiono porpora trombocitopenica, eczema, infezioni ricorrenti e neoplasie e linfomi 100 volte più frequenti. Terapia: trapianto di midollo. Sindrome di Chediak-Higashi Autosomica recessiva, dovuta ad un difetto di membrana che favorisce un’abnorme fusione dei granuli citoplasmatici: nei neutrofili vi sono granuli lisosomiali giganti. Clinica: albinismo, nistagmo, deficit dei fagociti. Entro i 10 anni c’è una massiva attivazione istiocita ria con febbre, epatosplenomegalia, linfoadenomegalia, carenza di tutte le componenti del sangue e decesso. Terapia: profilassi e trattamento delle infezioni; trapianto di midollo. Sindrome di Giobbe (iper IgE) Associazione di infezioni, dermatite cronica e alti livelli IgE ed eosinofilia con esordio entro i 2 mesi. Terapia: profilassi antibiotica e antimicotica, Ig endovena.
IMMUNODEFICIENZE ACQUISITE IMMUNODEFICIENZA SECONDARIA AD INFEZIONE Segue infezioni virali quali varicella e mononucleosi, ed è in genere transitoria. AIDS NELL’INFANZIA Infezione causata da uno dei 2 retrovirus (HIV-1 e HIV-2), che causa un progressivo deterioramento immunologico e infezioni opportunistiche e neoplasie associate; lo stadio terminale è l’AIDS. Il 67% dei casi di AIDS si verifica in Africa, il 17% in Sud America, l’8% in Asia, il 5% in Nord America e il 3% in Europa; ad oggi il virus HIV è causa del 2% di tutte le morti nel mondo, del 14% delle morti dovute a malattie infettive e del 20% delle disabilità. È la principale causa di morte in giovane età nel mondo. Si stimano 33 milioni di persone viventi con HIV, di cui 2,5 milioni 2 mesi in bambini > 6 mesi di età Cardiomiopatia Infezioni da Cytomegalovirus, con esordio prima di 1 mese di vita Diarrea, ricorrente o cronica Epatite Stomatite da Herpes simplex virus (HSV), ricorrente (più di due episodi in 1 anno) Bronchite, polmonite o esofagite da HSV con esordio prima di 1 mese di vita Herpes zoster (fuoco di S. Antonio), almeno due episodi distinti o coinvolgimento di più di un dermatomero Leiomiosarcoma Polmonite interstiziale linfoide o complesso iperplasia linfoide polmonare Nefropatia Nocardiosi Febbre persistente (durata > 1 mese) Toxoplasmosi, esordio prima di 1 mese di età Varicella disseminata (varicella complicata)
Categoria C: gravemente sintomatico (AIDS) Infezioni batteriche gravi, multiple o ricorrenti (2+ infezioni confermate da esami colturali in un intervallo di tempo di 2 anni) dei seguenti tipi: setticemia, polmonite, meningite, infezione ossea o articolare, o ascesso profondo (escluse otite media, ascessi cutanei superficiali o mucosi e infezioni da catetere) Candidiasi esofagea o polmonare (bronchi, trachea, polmoni) Coccidioidomicosi disseminata (in sedi diverse o associata a linfonodi polmonari, cervicali o ilari) Criptococcosi extrapolmonare Criptosporidiosi o isosporiasi con diarrea persistente > 1 mese Malattia da Cytomegalovirus con esordio dei sintomi a età > 1 mese (in sede diversa da fegato, milza o linfonodi) Encefalopatia (almeno uno dei seguenti reperti progressivi presente per almeno 2 mesi in assenza di malattia concomitante diversa da infezione da HIV che potrebbe spiegare i rilievi): (1) incapacità di conseguire o perdita di tappe dello sviluppo o perdita di capacità intellettuale, verificata mediante scale standard di sviluppo o test neuropsicologici; (2) compromissione della crescita cerebrale o microcefalia acquisita dimostrata mediante misurazioni della circonferenza del capo o atrofia cerebrale dimostrata alla TC o alla RMN (esecuzioni seriate sono necessarie per bambini < 2 anni); (3) deficit motorio simmetrico, acquisito, manifestato da due o più dei seguenti: paresi, riflessi patologici, atassia, disturbi della marcia Infezione da Herpes simplex virus che causa un’ulcera mucocutanea persistente > 1 mese; oppure bronchite, polmonite o esofagite di qualsiasi durata che colpisce un bambino > 1 mese di età Istoplasmosi disseminata (in sedi diverse da o in combinazione con, o associata a, linfonodi polmonari, cervicali o ilari) Sarcoma di Kaposi Linfoma primario cerebrale Linfoma a cellule piccole non fessurate (linfoma di Burkitt) o immunoblastico, o linfoma a grandi cellule B-cellulare Mycobacterium tuberculosis, disseminato o extrapolmonare Mycobacterium, altre specie o specie non identificate, disseminato Polmonite da Pneumocystis carinii Leucoencefalopatia progressiva multifocale Setticemia da Salmonella (non tifoide) ricorrente Toxoplasmosi cerebrale con esordio a > 1 mese di età Wasting syndrome in assenza di malattie concomitanti diverse dall’infezione da HIV che possano spiegare i seguenti reperti: (1) calo ponderale persistente > 10% del valore basale oppure (2) attraversamento in basso di almeno due delle linee percentili sul grafico peso X età in un bambino 1 anno di età oppure < 5° percentile su un grafico peso X età a due misurazioni consecutive 30 giorni di distanza in aggiunta a (1) diarrea cronica (cioè, almeno due scariche al giorno per >30 giorni) oppure (2) febbre documentata ( per >30 giorni, intermittente o costante) *Le categorie formano una gerarchia unidirezionale: un pz. che passi dalla A alla B rimarrà in tale categoria anche alla risoluzione del quadro che ha portato alla progressione.
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CLASSIFICAZIONE DELL' HIV PEDIATRICO PER BAMBINI DI ETA' < 13 ANNI Età < 12 MESI Categorie immunologiche
1-5 ANNI
Categorie cliniche*
6-12 ANNI
N: A: B: T-Cd4+ T-Cd4+ T-Cd4+ Linfociti Linfociti Linfociti Segni/ Segni/ Segni/ (cellule/ (cellule/ (cellule/ totali (%) totali (%) totali (%) sintomi sintomi sintomi ml) ml) ml) assenti lievi moderati†
C: Segni/ sintomi gravi†
1: Nessuna evidenza di soppressione
> 1500
> 25
> 1000
> 25
> 500
25
N1
A1
B1
C1
2: Evidenza di moderata soppressione
7501499
15-24
500999
15-24
200499
15-24
N2
A2
B2
C2
3: Severa soppressione
< 750
< 15
< 500
< 15
< 200
< 15
N3
A3
B3
C3
* I bambini, il cui stato di infezione da HIV non è confermato, sono identificati impiegando questo schema con una lettera E (per esposti nel periodo prenatale) prima dell’ appropriato codice classificativo (p.es., EN2) † La polmonite interstiziale linfoide nella categoria B, o qualsiasi condizione nella categoria C è denunciabile alle autorità sanitarie locali e statali come AIDS
I lattanti che hanno contratto l'infezione nel periodo perinatale solitamente sono asintomatici durante i primi mesi di vita. Sebbene l'età mediana di comparsa dei sintomi sia stimata essere di 3 anni, un numero crescente di bambini rimane asintomatico per più di 5 anni. Si possono distinguere due tipologie di infezione da HIV sulla base del periodo di incubazione e della progressione dei sintomi. Dal 10 al 15% circa dei bambini ha una rapida progressione di malattia con comparsa dei sintomi nel primo anno di vita e morte tra i 18 e i 36 mesi; si ritiene che questi bambini abbiano contratto in utero l'infezione da HIV più precocemente. La maggior parte dei bambini, tuttavia, probabilmente contrae l'infezione alla nascita o in prossimità della nascita e mostra una più lenta progressione di malattia, sopravvivendo oltre i 5 anni. Le più comuni manifestazioni dell'infezione da HIV nei bambini includono linfoadenopatia generalizzata, epatomegalia, splenomegalia, ritardo dell'accrescimento, candidiasi orale, diarrea ricorrente, parotite, cardiomiopatia, epatite, nefropatia, malattie del SNC (incluso ritardo dello sviluppo, che può essere progressivo), polmonite interstiziale linfoide, batteriemia ricorrente, infezioni opportunistiche e malattie neoplastiche. La polmonite da Pneumocystis carinii (Pneumocystis Carinii Pneumonia, PCP) è la più comune, grave infezione opportunistica nei bambini con infezione da HIV ed è associata a un'elevata mortalità. La PCP può verificarsi già a 4-6 sett., ma si verifica principalmente nei lattanti tra i 3 e i 6 mesi che hanno contratto l'infezione prima della nascita o alla nascita. I lattanti e i bambini con PCP sviluppano caratteristicamente una polmonite subacuta diffusa con dispnea a riposo, tachipnea, desaturazione ossiemoglobinica, tosse non produttiva e febbre (nei bambini e negli adulti immunocompromessi non affetti da infezione da HIV, l'esordio è spesso più acuto e fulminante). Altre comuni infezioni opportunistiche nel bambino includono esofagite da Candida, infezione da cytomegalovirus disseminata e infezioni croniche o disseminate da virus dell'herpes simplex e varicellazoster e, meno comunemente, da Mycobacterium tuberculosis, infezione da Mycobacterium avium, enterite cronica da Cryptosporidium o altri microrganismi e infezione criptococcica o da Toxoplasma gondii disseminata o localizzata a livello del SNC. Le neoplasie maligne sono relativamente insolite, ma i leiomiosarcomi e alcuni linfomi, inclusi i linfomi del SNC e i linfomi non-Hodgkin a cellule B (tipo di Burkitt), si verificano molto più frequentemente che nei bambini immunocompetenti. Il sarcoma di Kaposi è molto raro nei bambini. Esami di laboratorio e diagnosi Per i lattanti nati da donne sieropositive per HIV, i test di laboratorio preferibili sono la coltura del HIV e la PCR, che possono consentire la diagnosi nel 30-50% dei casi alla nascita e in quasi il 100% tra i 4 e i 6 mesi. Un test iniziale deve essere effettuato a circa 1 mese di vita e, se negativo, ripetuto tra i 4 e i 6 mesi di età. Un test positivo deve essere confermato impiegando lo stesso test o un altro. Il test modificato per la ricerca dell'antigene p24 è meno sensibile della coltura virale o della PCR e deve essere impiegato solo se queste ultime non sono disponibili. Un bambino con due test virologici negativi, effettuati a 1 e 4 mesi di età o successivamente, viene considerato esente da infezione in assenza di qualsivoglia malattia clinica e la profilassi contro infezioni opportuniste può essere interrotta.
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Prognosi La maggior parte dei bambini, con infezione contratta nel periodo perinatale, sopravvive oltre i 5 anni di età. Circa il 10-15% muore prima dei 4 anni d'età, la maggior parte dei quali prima dei 18 mesi d'età. Comunque, nuove terapie stanno portando a sopravvivenze significativamente più prolungate. Infezioni opportunistiche, in particolare la PCP, interessamento neurologico progressivo, e grave deperimento, sono associati a una prognosi sfavorevole. Nella PCP, il tasso di mortalità varia dal 5 al 40% se trattata ed è quasi del 100% se non trattata. La prognosi è severa anche per quelli nei quali è identificabile precocemente il virus (p. es., dai 7 giorni di vita) o che sviluppano sintomi nel primo anno di vita. Prevenzione della trasmissione perinatale In caso di sieropositività materna si adotta il protocollo 076: zidovudina per os a partire dalla 14° settimana, che viene passata i.v al travaglio e somministrata per os al neonato per 4 settimane; inoltre si effettua il parto tramite un cesareo elettivo e si vieta l’allattamento al seno; la corretta applicazione delle procedure indicate riduce il rischio di trasmissione al 2%. L'allattamento deve essere scoraggiato nelle donne con infezione da HIV in quelle nazioni in cui fonti di nutrimento alternative sicure e di cui è sostenibile il costo sono prontamente disponibili. Tuttavia, nelle nazioni in cui le malattie infettive e la malnutrizione sono importanti cause di mortalità infantile precoce, l'OMS raccomanda che le madri allattino indipendentemente dalla sierologia per HIV. Prevenzione delle infezioni opportunistiche La profilassi contro la polmonite da P. carinii con cotrimoxazolo è indicata per la maggior parte dei pazienti con significativa immunocompromissione. Una chemoprofilassi per tutta la vita, indipendentemente dalla conta dei linfociti T CD4+, deve essere somministrata a chiunque abbia avuto la PCP. La profilassi è raccomandata per tutti i lattanti nati da madre con infezione da HIV a cominciare da 4-6 sett. di vita. Deve essere interrotta nei bambini in cui l'infezione da HIV è stata esclusa da PCR o colture virali sequenziali negative. I bambini il cui stato di infezione da HIV è indeterminato devono proseguire la profilassi per tutto il primo anno di vita. La profilassi deve essere continuata dopo il primo anno di età nei bambini con infezione da HIV che abbiano mostrato una qualsiasi precedente conta dei linfociti T CD4+ indicativa di grave immunosoppressione (cioè, conta totale < 750 cellule/ml o una percentuale di CD4+ dei linfociti totali circolanti < 15%). La profilassi può essere sospesa a 1 anno quando la conta dei linfociti T CD4+ è rimasta superiore a questi livelli soglia. Può essere giustificata una profilassi contro altre infezioni opportunistiche. Per la profilassi contro le infezioni da Mycobacterium avium nei bambini 6 anni con conte CD4+ < 50/ml (o nei bambini dai 2 ai 6 anni con conte CD4+ < 75/ml, da 1 a 2 anni < 500/ml, più piccoli di 1 anno < 750/ ml), l'azitromicina con cadenza settimanale o la claritromicina con cadenza quotidiana rappresentano il farmaco di scelta, e la rifabutina in somministrazione quotidiana rappresenta un'alternativa. I dati sull'impiego della profilassi per altre infezioni opportunistiche, come l'infezione da cytomegalovirus, micosi e l'encefalite da toxoplasma, sono limitate. Terapia Sulla base delle osservazioni condotte sugli adulti asintomatici, in cui la terapia riduce la concentrazione virale plasmatica e rallenta il calo della conta cellulare CD4+, la terapia deve essere fortemente considerata nei bambini asintomatici senza evidenza di immunosoppressione. La terapia deve essere somministrata a tutti i bambini clinicamente sintomatici (categorie A, B, C) e ai lattanti di età < 12 mesi con infezione, indipendentemente dalla categoria clinica o immunologica. Il monitoraggio clinico e laboratoristico è importante per identificare la tossicità del farmaco e l'insuccesso terapeutico. La terapia combinata con gli analoghi nucleosidici inibitori della transcriptasi inversa ZDV più didanosina o ZDV più lamivudina è superiore alla sola didanosina, soprattutto per i bambini di età < 3 anni. La ZDV da sola sembra essere meno efficace della didanosina da sola o della ZDV più didanosina. Per i bambini esistono meno dati, ma schemi terapeutici a due o tre farmaci che contengono un inibitore proteasico sembrano essere superiori a combinazioni di due farmaci con analoghi nucleosidici in termini di effetti immunologici e virologici nei bambini. Il regime terapeutico preferibile per i bambini deve probabilmente comprendere un inibitore proteasico e due analoghi nucleosidici inibitori della trancriptasi inversa, in modo simile all'adulto. Immunoglobuline per via endovenosa (IGEV), in combinazione con farmaci antivirali, possono essere somministrati a bambini con immunodeficienza umorale sintomatica (bassi livelli sierici di IgG e gravi infezioni batteriche ricorrenti o scarsa risposta sierologica alla vaccinazione).
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Raccomandazioni sull'immunizzazione Per bambini con infezione da HIV sintomatica: in generale, i vaccini con virus vivi (p. es., poliovirus orale, varicella) e batteri vivi (es, BCG) non devono essere somministrati a pazienti affetti da AIDS o altre manifestazioni di infezione da HIV indicative di immunosoppressione. Un'eccezione è il vaccino morbillo-parotite-rosolia nei pazienti che non sono gravemente immunocompromessi. Questo vaccino, per aumentare la probabilità di una risposta immunitaria, deve essere somministrato all'età di 12 mesi cioè, se possibile, prima che il sistema immunitario si deteriori. La seconda dose può essere somministrata già 4 sett. più tardi nel tentativo di indurre una sieroconversione nel più breve tempo possibile. Se il rischio di esposizione al morbillo è aumentato, come accade durante un'epidemia, il vaccino deve essere somministrato a un'età più precoce, ovvero 6-9 mesi. Altri vaccini, ovvero i tossoidi della difterite e del tetano combinati con il vaccino acellulare per la pertosse (DtaP-o tossoide della difterite e del tetano e vaccino contro la pertosse [DTP]), epatite B, Haemophilus influenzae di tipo b coniugato, e poliovirus inattivato (IPV), devono essere somministrati secondo l'usuale calendario vaccinale. Sono raccomandati anche il vaccino pneumococcico a 2 anni e la vaccinazione antiinfluenzale a cominciare dai 6 mesi. I bambini con infezione da HIV sintomatica generalmente hanno una scarsa risposta immunologica ai vaccini e, pertanto, quando sono esposti a malattie prevenibili con la vaccinazione come il morbillo o il tetano, devono essere considerati suscettibili, indipendentemente dalla storia di vaccinazione. Pertanto, se indicato, devono ricevere un'immunizzazione passiva con immunoglobuline. Le immunoglobuline devono inoltre essere somministrate a qualsiasi membro del nucleo familiare non immunizzato che sia esposto al morbillo. Per i bambini con infezione da HIV asintomatica: questi bambini devono ricevere i vaccini DTaP o DTP, IPV, Haemophilus influenzae tipo b coniugato, epatite B, e morbillo-parotite-rosolia, secondo l'usuale calendario vaccinale. Sebbene il vaccino orale contro la poliomielite (OPV) sia stato somministrato a questi pazienti senza effetti indesiderati, si raccomanda il IPV poiché sia il bambino che i familiari possono essere immunosoppressi come risultato dell'infezione da HIV e, pertanto, possono essere a rischio di poliomielite paralitica associata alla vaccinazione causata da infezione da virus vaccinico. Il vaccino contro la varicella è controindicato nelle persone con infezione nota da HIV (tranne che in studi clinici strettamente controllati), indipendentemente dalla stato sintomatologico correlato al HIV. I bambini HIV pos devono ricevere la vaccinazione pneumococcica ogni 3-5 anni, dai 2 anni in poi. Il vaccino antiinfluenzale deve essere somministrato ogni anno ai bambini >6 mesi con infezione da HIV. Per i bambini con infezione da HIV sintomatici o asintomatici è consigliabile l'immunizzazione passiva dopo esposizione a morbillo, tetano e varicella.
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ATOPIA Atopia: capacità geneticamente determinata di produrre IgE specifiche verso i comuni antigeni ambientali. 45% popolazione. Allergia: quadro clinico riflettente uno stato atopico. 30% popolazione; può tuttavia esservi allergia senza atopia, es. per determinati farmaci o veleno di imenotteri. La manifestazione clinica in risposta agli antigeni può sistemica (shock anafilattico) o locale: • cute: dermatite atopica, orticaria • occhio: congiuntivite • vie respiratorie: rinite, asma bronchiale • apparato GI: gastriti, enteriti • sangue: immunocitopenie da farmaci Le reazioni immunologiche responsabili del quadro sono classificate in 4 tipi (Gell e Coombs) I. IgE mediate: shock anafilattico, rinite allergica, asma bronchiale. II. IgG e IgM mediate: gli Ac si legano alla membrana delle cellule ematiche causandone la lisi III. da immunocomplessi (malattia da siero): la precipitazione degli IC e la conseguente attivazione del complemento provoca danno vascolare e tissutale IV. reazioni cellulo-mediate: il danno è causato dai linfociti T attivati. Si è verificato che il 60% degli individui con ambo i genitori allergici sviluppa allergia: deve esserci, pertanto, una base genetica; tuttavia, nella prevalenza Th2 sono molto rilevanti fattori ambientali quali la dieta occidentale, la vita urbana, l’esposizione ad allergeni di acari o scarafaggi. Sembrano invece essere protettivi i fratelli, il precoce contatto con altri bambini (asilo 3mm; si valuta fino a ++++ (>15mm). 2. Intradermoreazione: è 100-1000 x più sensibile dello SPT, con pochi falsi negativi; c’è però rischio di falsi positivi, e la metodica non è ben standardizzata. Causa maggior disagio al pz, con rischio di reazioni sistemiche. Viene limitato ad adulti con SPT negativo e storia convincente (specie con estratti poco immunogeni), in USA > Europa Sono entrambi controindicati nei casi di dermatite attiva, dermografismo, uso di steroidi o antistaminici, punture recenti, età 2 anni: si può presentare il quadro classico della cistite o della pielonefrite, sebbene fino al 40% delle IVU possano decorrere in modo asintomatico. I sintomi della cistite includono disuria, pollachiuria, ematuria, ritenzione urinaria, dolore in sede sovrapubica, prurito, incontinenza, urine maleodoranti, enuresi. I sintomi della pielonefrite possono includere quelli della cistite associati a febbre alta, brividi, dolore e dolorabilità costo-vertebrale. Diagnosi: esame delle urine (vi sono leucocituria, batteriuria, talvolta ematuria, cilindruria). Tutti i bambini con sospetta IVU devono anche essere attentamente visitati per evidenziare eventuali masse addominali, aumento di volume dei reni, anomalie uretrali, dolorabilità dell'angolo costovertebrale o segni di malformazioni del tratto lombo-sacrale della colonna. Una ridotta intensità del mitto urinario può essere il solo sintomo di ostruzione o di vescica neurogena. Devono essere sempre annotati PA, peso, altezza. Devono essere controllati l'Htc, l'azotemia e la creatininemia. Diagnostica per immagini del tratto urinario: le vie urinarie di tutti i bambini con una IVU accertata devono essere studiate mediante ecografia, scintigrafia o ureterografia endovenosa (UEV) per evidenziare malformazioni importanti, e mediante cistoureterografia minzionale (CUGM) per individuare un significativo reflusso, che si riscontra nel 20-50% dei bambini con IVU. Il reflusso di urine infette nella pelvi renale o la presenza di urine infette a monte di un'ostruzione può provocare una pielonefrite cronica, con cicatrici renali, scarso accrescimento del rene e insufficienza renale. L'urografia o l'ecografia possono essere eseguite in qualsiasi momento, ma si raccomanda di eseguirle
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entro la prima sett. dalla diagnosi di IVU nei bambini più piccoli. La CUGM di solito si ritarda di 36 sett. per permettere al reflusso transitorio di solito associato alla cistite di guarire, in modo da ottenere una migliore valutazione della funzionalità delle valvole ureterovescicali. L'ecografia è attualmente la procedura di scelta per seguire lo sviluppo renale nel bambino con reflusso accertato. Terapia: dopo il periodo neonatale, i bambini possono essere trattati con antibiotici per via orale a meno che non abbiano febbre alta, stato tossico o vomito, nel qual caso è consigliato il trattamento per via parenterale. Gli antibiotici iniziali di prima scelta sono ampicillina, amoxicillina, trimethoprimsulfametoxazolo (TMP-SMX) o una cefalosporina. La durata del trattamento per IVU è di 7-10 giorni.
REFLUSSO VESCICOURETERALE Il reflusso vescicoureterale è per lo più dovuto a sviluppo incompleto del tratto intramurale dell'uretere che provoca il mancato funzionamento del meccanismo a valvola della giunzione ureterovescicale e permette il reflusso di urina dalla vescica verso l'uretere e la pelvi renale. Il reflusso può riscontrarsi anche in presenza di un tunnel intramurale di calibro sufficiente, ma in condizioni di ostacolo all'efflusso vescicale, con aumento delle pressioni intravescicali o in presenza di vescica neurogena. Il reflusso di urina dalla vescica nell'uretere può determinare danno alle vie urinarie superiori per infezioni batteriche e talvolta per l'aumentata pressione idrostatica. I batteri del tratto urinario inferiore, in seguito al reflusso, possono facilmente contaminare il tratto urinario superiore, causando una infezione parenchimale con possibile evoluzione cicatriziale e perdita della funzione renale. Un riempimento vescicale, cronicamente elevato, o elevate pressioni di svuotamento (>40 cm H2O) determinano, nella maggior parte dei pazienti, un danno idrostatico progressivo ai reni anche in assenza di infezione o reflusso. Può essere classificato in gradi come stabilito dalla International Reflux Study Committee: • Grado I: sono coinvolti soltanto gli ureteri • Grado II: il reflusso raggiunge i calici • Grado III: l'uretere e la pelvi renale sono dilatati • Grado IV: la dilatazione è aumentata e l'angolo acuto a livello dei fornici è obliterato • Grado V: l'uretere, la pelvi, e i calici sono marcatamente dilatati, e le impronte papillari frequentemente sono assenti Clinica: dolore addominale o al fianco, infezione ricorrente o persistente delle vie urinarie, disuria o dolore al fianco durante la minzione, pollachiuria o segni di insufficienza renale possono essere tutti secondari al reflusso vescicoureterale. Si possono riscontrare piuria, ematuria, proteinuria e batteriuria. Diagnosi: la cistouretrografia in fase di riempimento e svuotamento documenta il reflusso e rappresenta il metodo migliore per diagnosticare un ostacolo all'efflusso vescicale, che può essere trattato chirurgicamente. La UEV può mostrare dilatazione dei calici renali, ureteri a "nastro" e ureterectasia con dilatazione del sistema collettore superiore. Il reflusso può anche essere diagnosticato mediante cistografia con radioisotopi. La compromissione infettiva o cicatriziale della corticale renale può essere individuata precisamente, se necessario, mediante scintigrafia renale statica con acido dimercaptosuccinico (DMSA). Terapia e prognosi: il reflusso vescico-ureterale è di solito da lieve a moderato (senza o con piccola dilatazione caliceale) e spesso si risolve spontaneamente entro un periodo che va da alcuni mesi a diversi anni. Fino alla sua scomparsa deve essere effettuata profilassi antibiotica giornaliera. Le infezioni ricorrenti, nonostante la profilassi o la presenza di esiti cicatriziali importanti o progressivi richiedono preferibilmente il reimpianto ureterale. Quando il reflusso è accompagnato da alte pressioni di riempimento o di svuotamento vescicale, è necessario ridurre tali pressioni mediante terapia farmacologica e/o presidi comportamentali. Talvolta il reflusso si risolve con questo trattamento ma in caso contrario, può essere indicato il reimpianto ureterale. Questa tecnica quasi sempre elimina il reflusso e minimizza il rischio di future pielonefriti, con riduzione della morbidità e della mortalità per malattia renale secondaria al reflusso e alle complicanze infettive a correlate.
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8. Sistema endocrino e malattie genetiche
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L’ACCRESCIMENTO E PATOLOGIE CORRELATE Per quanto riguarda l’accrescimento infantile si rimanda a pagina 14. L’inizio dell’accelerazione di crescita puberale si verifica a 12 ½ anni nel maschio e a 10 ½ - 11 anni nella fermmina, con acme nel maschio a 14 anni e nella femmina a 12. in seguito la velocità si riduce fino ad annullarsi nel giro di 2-3 anni. Con lo scatto puberale l’accrescimento staturale può raggiungere i 30 cm nel maschio e i 20 cm nella femmina. La statura segue nella popolazione generale una distribuzione gaussiana, con in Italia una media di statura diversa tra le varie aree della penisola: • Italia centro-settentrionale = 176 cm (U); 163,2 cm (D) • Italia meridionale-insulare = 174,2 cm (U); 160,8 cm (D) • Italia = 175 cm (U); 162 cm (D) Deviazione standard: indice che misura la dispersione dei dati intorno al valore della media; si calcola con la formula sotto indicata, e per quanto riguarda l’altezza 1 ds è pari a 6 cm. Si ricordi che sommando o sottraendo alla media 1ds si copre il 68,3% della popolazione, 2ds il 95,5% e 3ds il 99%.
È possibile predire l’altezza bersaglio di un bambino basandosi sull’altezza dei genitori: per un maschio sarà la media tra l’altezza del padre e l’(altezza della madre+13), mentre per una femmina sarà la media tra l’altezza della madre e l’(altezza del padre-13), entrambi ±6 (1ds). Un’ampia differenza in difetto rispetto al valore calcolato definirà la bassa statura, che può avere numerose cause: 1. esogene prenatali (immaturità placentare, anomalie uterine, tabagismo, etilismo, stupefacenti, infezioni materne) postnatali (nutrizione, fattori socio-economici, fattori psichici, clima, malattie) 2. endogene costituzionali (bassa statura famigliare, ritardo di crescita costituzionale) genetiche (sd. di Seckel, sd. di Rubistein Teybi) cromosomiche (sd. di Down, sd. di Turner, sd. di Prader Willi, sd. di Silver Russel) ossee (acondroplasia, displasia spondiloepifisaria, rachitismi resistenti) malattie croniche (cardiache, renali, intestinali, epatiche, asma, diabete, infezioni croniche) endocrine (eccesso di cortisolo, pubertà precoce, ipotiroidismo, deficit di GH) NANISMO IPOFISARIO Si intende per nanismo ipofisario una crescita abnormemente lenta e una statura bassa con proporzioni normali dovuta a ipofunzione dell'ipofisi anteriore. Il deficit di GH, in tutte le sue forme eziologiche, ha un prevalenza tra 1:4.000 e 1:10.000 nuovi nati; tra i soggetti iposomici 1:200. Patogenesi: l’ormone della crescita è sintetizzato nell’ipofisi anteriore; la sintesi e il rilascio sono stimolati da fattori endocrini (GHRH, ghrelina, catecolamine, dopamian, acetilcolina, serotonina, istamina, oppioidi, glucagone, ormoni tiroidei, testosterone, estrogeni, leptina) e fisiologici (sonno, cibo, attività fisica, stress). La maggior parte del GH circola libero ma il 40% of GH è legato a binding proteins (GHBP) che sono identiche al domain extracellulare del GHR. Il signaling del GH richiede la dimerizzazione di due recettori del GH (GHR); la principale azione biologica del GH è quella di indurre la sintesi dell’ insulin-like growth factor (IGF-I) che avviene essenzialmente nel fegato: questo ormone a livello dell'osso stimola la sintesi di aggrecano, collagene di
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tipo VI e IX, proteine di legame e la proliferazione cellulare; a livello di altri organi o tessuti stimola la sintesi proteica, la sintesi di DNA e RNA, l'aumento del numero e della dimensione cellulare. Diagnosi: □ altezza inferiore di almeno 3ds e velocità di crescita annua
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