Pedagogia Musicale
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Panoramica sulla pedagogia e sul concetto della pedagogia musicale...
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Pedagogia Musicale: problematiche generali e definizioni1) Definizioni di Pedagogia2) Spiegare il connubio pedagogia-musica3) Pedagogia come scienza di confine4) Rapporti tra pedagogia, psicologia e didattica? Ricadute psicologiche in alcune teorie della psicologia. Pensiero narrativo, funzioni di Propp e il concetto d’identità
5) Bruner e il pensiero narrativo, la narrazione come strumento pedagogico.6) Perché la dimensione narrativa si dedica subito alle nostre vite più di altri discorsi accademici?7) Cosa accade quando inventiamo un racconto? E’ possibile escludere proiezioni della nostra identità
? (concetto identità
)8)Perché la narrazione è importante per la costruzione dell’identità
?Musica, narrazione e identità
9) Che ruolo svolge la musica in questo contesto?10) Sarebbe possibile provare le stesse emozioni con la stessa intensità
senza la musica?Identità
musicali e condotte musicali11) In che modo forniamo la nostra identità
(individuale o collettiva)12) A cosa serve costruirci un’identità
? Qual è il ruolo degli altri?13) Identità
unica o molteplice?14) Siamo sempre motivati a dare agli altri un’immagine positiva di noi oppure no?16) Quali possono essere la modalità
con cui formiamo la nostra identità
? (dimensione individuale, collettiva, aspetti positivi e negativi)Da decenni gli studiosi provano a capire in che campo relegare la
pedagogia. Molti la considerano come un ramo della sfera umanistica, soprattutto la filosofia, altri sono ben lontani da questo accostamento, considerandola una vera e propria scienza.Ma innanzitutto cos’è la pedagogia?La definizione - dall’enciclopedia Rizzoli Editore Milano - è quella di “disciplina che si occupa dei problemi educativi.” Infatti, pedagogia deriva da Paidagogia, dove paidos vuol dire fanciullo e agein vuol dire condurre/guidare. Il Pedagògo, nel periodo greco, era uno schiavo di casa al quale veniva affidato l’educazione del fanciullo di casa, da quando andava a scuola fino alla giovinezza. Il compito era quello di accompagnarlo a scuola e di osservarne la condotta. In età
romana, era uso affidare ad uno schiavo greco l’educazione dei bambini, affinché quest’ultimi imparassero anche il greco. Dicevamo del come collocare la disciplina pedagogica. Chi considera quest’ultima come una scienza ( o quasi), la colloca tra psicologia, sociologia e didattica come un momento di passaggio, quasi come una metodologia di apprendimento che viene “impartita” nella primissima fascia di età
. Però, nascono dei problemi. L’opposizione umanistica nasce, in quanto, il processo educativo non è una scienza esatta, ma varia sempre attraverso le varie ideologie e le tendenze culturali di un’epoca. L’enciclopedia Rizzoli, a riguardo, propone diversi esempi: nell’epoca romana l’educazione puntava alla fedeltà
alla patria dell’individuo nel bene e nel male; ad esempio, nell’età
ellenistica e nella Roma imperiale si affermarono tendenze più individualistiche, umanitarie e cosmopolitiche (Seneca e Marco Aurelio); nella cultura medievale, con il dispotismo cristiano, viene proposto l’ideale ascetico del santo per la “nobiltà
”, per i poveri il modello di cavaliere. Su questa linea, personalmente, mi viene da pensare all’epoca romana e al “mos maiorum” che era il nucleo della moralità
tradizionale romana e si basava sul senso civico, la pietas (rispetto verso i genitori, i parenti, gli dèi e la patria), il valore militare, l’austerità
dei comportamenti ed il rispetto delle leggi. Oppure si potrebbe pensare a Socrate, Platone, Aristotele, Gorgia, Pitagora,
Protagora, Seneca fino a Lorenzo de Medici che educavano secondo le loro conoscenze e competenze, non sempre asservendo alle volontà
“imperiali”. O ancora, nel periodo illuminista l’educazione girava intorno a modelli quali Montesquieu, Voltaire, Rousseau e tutto quanto tendeva al progresso ed alla razionalità
. Nell’epoca neoclassica, c’era un’indirizzo più vicino al recupero di valori dell’epoca latina, ma senza dimenticare il recente passato. Per questo motivo, la pedagogia non può forse essere considerata una vera e propria scienza, ma al massimo una scienza di confine. Infatti, va considerato che la pedagogia attinge dalla psicologia per creare dei parametri, dalla filosofia come abbiamo già
detto, dall’antropologia (ovvero dallo studio dell’uomo), dalla biologia, inteso come darwinismo neuronale, ovvero il concetto secondo il quale il cervello è un muscolo che se non stimolato rischia di atrofizzarsi. Ma soprattutto bisogna fare chiarezza sui ruoli di Psicologia, Pedagogia e Didattica. La Psicologia, in modo molto sintetico, è lo studio scientifico del comportamento e dell’individuo. Se l’oggetto di studio è un bambino, la psicologia ci insegna il suo funzionamento mentale e affettivo, mentre la pedagogia indaga sul fatto educativo, preparando all’azione ed all’agire educativo. Infine la Didattica è la scienza della comunicazione e della relazione educativa, che punta a far accrescere l’allievo culturalmente ed individualmente. Per parlare di Pedagogia Musicale bisogna scindere bene i due termini. Se per la pedagogia abbiamo detto abbastanza, per il termine musica bisogna scindere il concetto accademico da quello “quotidiano”. Il termine musica, in questo caso, va esteso anche al concetto di suono e rumori. Per esempio, il bambino che fa cadere più volte uno stesso oggetto a terra, potrebbe avere la logica di volerne scoprire il suono, in ogni sua modalità
, completando il riferimento sonoro con quello educativo. Il concetto di Pedagogia Musicale rimanda inevitabilmente a concetti accademici, nel quale il bambino, attraverso dei giochi e degli studi, sviluppa al meglio i sensi tattili e uditivi e soprattutto, in alcuni casi, anche una prima indipendenza tra braccia e gambe. Nel novecento l’educazione musicale preferisce l’orientamento attivo e pratico, rispetto ad apprendimenti teorici e passivi. In questo caso hanno molta importanza la musica d’insieme, il canto, la ritmica ed in molti casi la danza. Questo tipo di orientamento è divenuto un “mantra” grazie alle metodologie sviluppate: da Dalcroze, che unì educazione musicale, fisica e movimento; da Kodà
ly prediligendo sistemi folklorici come filastrocche e canzoni infantili e sulla solmisazione (introdotta secoli prima da Guido D’Arezzo), che sussiste all’associazione di sillabe latine a note; il metodo Willems sviluppa l’orecchio a livello ritmico; il metodo Martenot unisce il gioco alla musica; il metodo Orff-Schulwerk che utilizza molti strumenti (inventati per il caso) e scale perlopiù pentatoniche; infine, il metodo Suzuki prettamente per strumenti ad arco.Queste sono direzioni diverse prese da musicisti diversi e da culture diverse. Ogni didatta di ogni epoca si riesce a rendere conto, a seconda dell’individuo o del collettivo, come intraprendere un percorso effettivo. Ma risulta
evidente che in ogni concetto di apprendimento il lato teorico è solo complementare al concetto pratico.Personalmente è ormai un anno e mezzo che faccio un percorso simile insieme a bambini che vanno dall’età
di 2 ai 5 anni. Ed ho notato man mano alcuni processi pedagogici, che hanno trovato conferma durante il corso ed alcuni studi. In altri casi non mi sono ritrovato d’accordo con alcune modalità
tipo come quella di Orff, ovvero quella degli strumenti “adatti” ai bambini. La stragrande maggioranza dei bambini coi quali ho avuto a che fare, non hanno avuto alcuna difficoltà
ad approcciarsi allo strumento. Basti pensare che la grandissima maggioranza dei musicisti più forti, attuali soprattutto, hanno iniziato tra i 2 ed i 3 anni. Non mi sono nemmeno ritrovato d’accordo con la modalità
di Kodà
ly di canzoni e/o filastrocche composte proprio per corsi con i bambini. Nelle diverse classi ho sperimentato diversi generi, dal blues, al jazz, dal rock, al pop, dal funky alla second line, e nessun bambino mi è sembrato triste o poco pronto all’ascolto di quel tipo di musica. Anzi, spesso notavo che, oltre a ballare come matti, alcuni bambini notavano all’interno dei brani delle frasi musicali che io non avevo notato!
La pedagogia ha fatto passi in avanti nel tempo grazie ad una rivoluzione valutativa del pensiero. Fino a pochi decenni fa, la psicologia riconosceva come pensiero solo quello paradigmatico, o, come direbbe Bruner (rivoluzionario della materia), pensiero matematico, teorico-descrittivo ed esplicativo. Bruner invece ha rivalutato, o forse valutato per la prima volta, quello che è stato, inevitabilmente, la prima forma di pensiero: quello narrativo. Quest’ultimo è quello che punterebbe alla costruzione del significato, come se fosse la narrazione della propria storia che, man mano, infittisce la trama scontrandosi con la realtà
dei fatti. E sicuramente quest’ultima tipologia di pensiero è più efficace, rispetto a quello paradigmatico. Infatti, non è difficile immaginare, per esempio, che un concetto storico, sia più facile apprenderlo attraverso la lettura di un romanzo storico, rispetto ad un saggio, perché all’interno di un romanzo, il lettore, ed anche lo scrittore, si immergono, confondendo la propria identità
con quella dei personaggi, uniformandosi alla realtà
stessa del romanzo, assaporandone profumi, suoni e visioni. Inevitabilmente la propria identità
viene a mescolarsi con quella del protagonista o quella del narratore. Quando ho composto e musicato la favola, in entrambe le fasi della “creazione”, non avevo una vera idea di base. Man mano alcuni elementi iniziavano ad incastrarsi perfettamente tra loro, i nomi, i luoghi, i personaggi e gli eventi della favola venivano da sé, ed è stato incredibile, successivamente, appurare che in molte cose mi rivedevo con il protagonista. Quando ho iniziato a musicare la favola, ho fatto numerosi tentativi per trovare un giro armonico che potesse essere utilizzato sia in momenti di serenità
che di “tensione”. Anche lì, ho utilizzato delle tecniche lasciandomi guidare dall’istinto e da sé è uscita una cosa che inizialmente non avevo progettato. Quando scrivo, di solito, mi soffermo su un’immagine, su un qualcosa che mi è accaduto, oppure mi ritrovo a scrivere qualcosa senza averla progettata. Quando ho scritto la favola, ho
ritrovato una cosa che mi trovo a fare spesso, a volte giocosamente con qualche amico, altre volte in silenzio da solo. Mi sono sentito come se fossi su una panchina seduto ad osservare delle persone passare ed interpretare i loro dialoghi, la loro fisionomia, la loro espressione, la loro fretta ed il loro respiro. Quando ho scritto la favola mi sono sentito come se fossi seduto nel bosco ad osservare Macchia Bianca, Grande Lupo e Mamma Lupo. Propp a proposito di composizione narrativa creò, attraverso lo studio di diverse favole e fiabe, uno schema di 31 funzioni che avvengono, dopo la descrizione iniziale. Non necessariamente all’interno di una favola ci sono tutte le 31 funzioni, anzi, quasi mai. Questo schema può essere di aiuto quando non si ha un’idea di partenza, per lasciare libero sfogo all’ispirazione. L’ispirazione è quella che crea realmente, a mio parere, l’identità
di una persona. La formazione, le conoscenze e la cultura fanno da background, ma le sensazioni non cambiano. Spesso, però, credo che le confondiamo con la volontà
collettiva, con il bisogno di dover essere accettati, la paura di subire il giudizio e spesso modifichiamo il nostro essere. E’ così che nasce ogni forma di bullismo ed estremismo, politico o religioso che sia. I cosiddetti più deboli, che hanno schiacciato la loro vera natura, tormentati dalla continua paura di essere giudicati, si riuniscono con chi ha paura quanto loro, facendo i gradassi dinanzi a chi ha più paura di loro e abbassando la testa dinanzi a chi è più “coraggioso”. Ognuno di noi, dà
il meglio di sé se si ritrova in un contesto nel quale non deve dimostrare le sue qualità
a nessuno che conosce, magari in un luogo lontano dal quale vive.Il concetto di identità
si basa sul fatto che un individuo o un collettivo ha bisogno di dimostrare di esistere e di essere riconosciuti. Nel caso dell’individuo si cerca l’indipendenza da chiunque, pur restandone legati, cercando di essere unico nel proprio genere, grazie a determinati comportamenti che assume. C’è chi si isola, chi si allontana, chi invece tende ad essere sempre al centro dell’attenzione, mostrando una critica aprioristica, tesa ad aumentare il parere che possano avere gli altri di sé. Ma fortunatamente il vero essere esce sempre fuori. L’identità
collettiva basta osservarla nei gruppi estremisti. In tutti c’è un senso di appartenenza forte, che supera anche le conoscenze del gruppo stesso. Bisogno di essere riconosciuto all’interno, ma di essere difeso dal gruppo intero. Quindi, si può dire che ciò che chiarisce la personalità
e l’identità
di una persona o un collettivo, sono i sentimenti. A guidare questi sentimenti, sono gli eventi che sono spesso guidati dalla musica. Per musica si intende, come all’inizio, sia a livello accademico che in quanto suono. In quanto suono o rumore, si pensi al cigolare di una porta, al suono di uccelli, al vento che si infrange sugli alberi in montagna o le onde sugli scogli. Tutti questi suoni possono rievocare, in base alle persone, pace, spavento, gioia o dolore.A livello sonoro si può parlare anche di un libro. La scelta dei vocaboli, il come viene proposta, l’immagine com’è raccontata, il ritmo del racconto com’è, se ti rende attivo o passivo dinanzi a delle illustrazioni.A livello accademico, inteso come il suono inteso come colonna
sonora di un film, all’opera classica oppure un’opera teatrale, le musiche aumentano le sensazioni di chi osserva. La musica e i suoni più in generale, giocano un ruolo fondamentale. Una stessa scena musicata in modalità
diverse, crea sensazioni ed aspettative continuamente diverse.
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