Paul Watzlawick - Giorgio Nardone - L'Arte Del Cambiamento

April 16, 2017 | Author: melampo987 | Category: N/A
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L'ARTE DEL CAMBIAMENTO La soluzione dei problemi psicologici personali e interpersonal in tempi brevi

PONTE ALLE GRAZIE

Chapter one of this work, originall entitled If You Desire to See, Learn How to Act (Se vuoi vedere, impara ad agire), translated by Giorgio Nardone, is reprinted with permission from Brunner/Mazel, Inc., New York.

Prima edizione: marzo 1990 Prima ristampa: aprile 1991 Seconda edizione: marzo 1996 Terza edizione: giugno 1999 Prima ristampa: gennaio 2002 Seconda ristampa: aprile 2003 © 1990, 1996, 1999 Ponte alle Grazie srl - Milano ISBN 88-7928-465-7 www.ponteallegrazie.it ==Sommario

p. 8 Nota dell'editore 9 Introduzione 13 Capitolo primo. Se vuoi vedere, impara ad agire 30 Capitolo secondo. Le «eresie» dell'approccio strategico alla terapia: caratteristiche generali della terapia strategica 31, Prima eresia. 34, Seconda eresia. 36, Terza eresia. 43, Quarta eresia. 47 Capitolo terzo. Breve storia evolutiva dell'approccio strategico. 47, Origini dell'approccio strategico alla terapia. 51, La rivoluzione sistemica in psicoterapia. 57, Dalla terapia familiare alla terapia strategica. 63 Capitolo quarto. La prassi clinica in terapia strategica: pro-cessualità e procedure 64, La processualità e le procedure della terapia. 66, Primo incontro e costruzione della relazione terapeutica. 67, Definizione del problema. 70, Accordo sugli obbiettivi della terapia. 71, Individuazione del sistema percettivo-reatti-vo che mantiene il problema. 73, Programmazione terapeutica e strategie di cambiamento. 99, La conclusione del trattamento. ==101 Capitolo quinto. Due modelli di trattamento specifico 100, II trattamento dei disturbi fobici. 116, II trattamento dei disturbi ossessivi. 130 Capitolo sesto. Esempi di trattamento inusuale 131, Caso 1. La terapia senza il luogo della terapia. 134, Caso 2. Ristrutturare l'importanza di essere fratelli. 142, Caso 3. Dell'utilità dell'errore: l'invenzione della «formula magica». 147, Caso 4. Dichiarare il perturbante segreto. 152 Capitolo settimo. La ricerca valutativa 154, Criteri metodologici. 154, II concetto di efficacia della terapia. 159, II concetto di efficienza della terapia. 161, II campione. 163, Riflessioni sui risultati. 166 Bibliografia

==Ciò che alla fine va ristretto Deve prima essere esteso Ciò che va indebolito Deve all'inizio essere rafforzato Ciò che va rovesciato Deve all'inizio essere drizzato Colui che vuol prendere Deve cominciare a dare. Lao Tzu, Too Te Ching

Nota dell'editore

Il libro di Giorgio Nardone e Paul Watzlawick che qui si ripresenta in una nuova edizione è stato tradotto in tutte le maggiori lingue straniere ed è il classico della terapia breve e del 'problem solving strategico che in questi anni ha trovato vasta applicazione in campo psicologico ed in altri contesti come quello manageriale, educativo, sociale. Esso ha avuto grande successo in quanto propone un approccio che risulta essere il più efficace e rapido per la soluzione di problemi psicologici di varia natura, quali fobie, ossessioni, panico, disordini alimentari. ==Introduzione

Mi è grato scrivere questa introduzione ad un libro che ritengo essere un'opera fondamentale di quella che ormai si chiama terapia strategica, ossia la moderna evoluzione dell'approccio sistemico ed ericksoniano alla psicoterapia. È altresì mio piacere aver contribuito, e lavorato assieme a Giorgio Nardone, a questa importante opera. Ulteriore piacere, inoltre, è stato rilevare come egli, sulla base della formazione sistemica acquisita con i miei colleghi e con me presso l'MRI di Palo Alto, abbia saputo sviluppare idee e mettere a punto strategie spesso del tutto originali, incorporando il nostro modello sistemico all'interno del suo personale lavoro. Il libro è un vero e proprio manuale dell'approccio strategico alla psicoterapia, nel senso che offre un'approfondita e dettagliata esposizione che prende avvio con le premesse teoriche ed i fondamenti epistemologici di tale modello, si sviluppa nella sistematica presentazione di numerose strategie finalizzate al cambiamento delle situazioni umane, e si conclude con una rigorosa ricerca valutativa sui risultati ottenuti con l'applicazione del modello di terapia esposto. Ciò sta a significare che questa opera non è un semplice cook-book con la superficiale descrizione di ricette pronte per l'uso dei terapeuti, ma una complessa esposizione sia teorica che applicativa di questo emergente approccio alla soluzione dei problemi umani. In dettaglio, il volume si apre con il mio saggio introdutti==INTRODUZIONE

vo alla moderna evoluzione della psicoterapia al quale segue la definizione delle caratteristiche teoriche ed applicative che distinguono l'approccio strategico dalle altre forme di psicoterapia. Questo grazie alla esposizione delle quattro fondamentali prerogative concettuali tipiche di questo modello (le quattro «eresie», eresie perché non in accordo con le presunte «verità» tradizionali della psicoterapia): la sua base teorica sistemico-costruttivista, il suo riferirsi ad una specifica teoria della persistenza e del cambiamento e la conseguente concet-tualizzazione relativa alla formazione e la soluzione dei problemi umani. Il terzo capitolo offre una panoramica storico-evolutiva che evidenzia la matrice ericksoniana e sistemica della terapia strategica. In questa sede vengono anche delineate alcune differenziazioni concettuali attualmente presenti nelle formulazioni dei principali autori strategici. Il più voluminoso dei capitoli, il quarto, è dedicato alla esposizione della usuale «processualità» terapeutica dall'inizio alla fine della terapia, e alla esplicitazione delle principali «procedure» (strategie) utilizzate per sbloccare e risolvere i problemi umani. Questa esplicitazione non si limita alla mera descrizione del processo e delle strategie della terapia, ma affronta anche la dimostrazione della loro efficacia nel cambiare il comportamento e le concezioni delle persone, riferendo ricerche, esperimenti ed esempi propri anche di ambiti scientifici e contesti diversi dalla psicoterapia. Nel capitolo successivo vengono presentati due originali ed innovativi protocolli di trattamento specifico, uno relativo alle forme gravi di disturbi fobici, l'altro relativo a disturbi di tipo ossessivo. I due tipi di trattamento sono esposti sistematicamente mediante l'analisi puntuale della terapia suddivisa in quattro stadi con specifici obiettivi da raggiungere e specifiche strategie per ottenere tali risultati. Ambedue i protocolli hanno dimostrato nella loro applicazione una notevole efficacia e una sorprendente efficienza. Perciò rappresentano due esempi di come la terapia possa essere un rapido e ben programmato viaggio nel quale si cerca di prevedere, oltre alla partenza, i passaggi, il punto di arrivo e la durata del viaggio. ==INTRODUZIONE

Al contrario della tradizionale concezione della psicoterapia come un viaggio al buio del quale si conosce solo il punto di partenza, senza poter prevedere né le tappe del percorso né il punto di arrivo, né tanto meno la durata del viaggio. Dopo l'esposizione di questi due modelli di trattamento specifico, composti da una sequenza programmata di azioni prefissate, che fa risaltare la sistematicità e la correttezza metodologica del lavoro, nel sesto capitolo vengono presentati quattro inusuali e simpatici casi di trattamento. Esempi che mostrano come, nel procedere alla soluzione focale delle diverse situazioni problematiche umane, sia indispensabile da parte del terapeuta una sintesi personale tra la tecnica sistematica, l'inventiva e l'elasticità mentale. Poiché, a volte, egli deve, per trovare nuove ed efficaci soluzioni ad un problema, rompere i propri schemi concettuali ed il proprio sistema percettivo e reattivo nei confronti del paziente, cambiando rapidamente le sue inefficaci soluzioni tentate sino ad allora. L'esposizione relativa agli aspetti applicativi del modello, per evidenziare la sostanziale differenza tra il comportamento del terapeuta che fa riferimento a questa concezione rispetto a quello della tradizionale figura dello psicoterapeuta, si regge sull'analogia tra approccio strategico alla terapia e gioco degli scacchi.

Perciò, come in un manuale di scacchi, prima vengono descritte le regole del gioco e l'usuale processualità dell'apertura dello scacco matto. Poi viene descritta una serie di efficaci mosse e strategie da utilizzare, alle quali segue l'esposizione di due tipi di scacco matto da eseguire in poche mosse per specifiche partite. Infine, vengono proposte alcune partite inusuali che mostrano come nella interazione di mosse e contromosse il gioco diventi estremamente complesso e con una gamma inestimabile di possibili tattiche di gioco. Ma grazie a questa analogia viene anche evidenziato come la terapia, al contrario degli scacchi, sia un gioco a somma diversa da 0, nel quale non esistono un vinto ed un vincitore, ma la partita finisce o con la vittoria di entrambi i giocatori, terapeuta e paziente, o con la loro congiunta sconfitta. Ciò conduce a pensare che qualunque mezzo il terapeuta possa utilizzare per ==INTRODUZIONE

vincere la partita, anche quando questo appare come deliberatamente manipolatorio, assume un profondo valore etico, poiché è finalizzato alla rapida ed effettiva risoluzione dei problemi di cui il paziente soffre. Tutto questo sgombra il campo dalle frequenti accuse rivolte ai terapeuti strategici, da parte dei tradizionali psicoterapeuti, di essere degli sleali manipolatori di persone. Il volume si chiude con una cosa rara per il nostro settore di lavoro, ossia con la presentazione di una sistematica e rigorosa ricerca valutativa relativa ai risultati dell'applicazione del modello di terapia esposto ad un numeroso e differenziato campione di soggetti nell'arco di due anni. I dati mostrano come tale approccio risulti decisamente efficace, vale a dire capace di risolvere effettivamente i problemi a cui si applica; così come estremamente efficiente, vale a dire capace di ottenere tali risultati in tempi molto ridotti rispetto agli usuali tempi psicoterapeutici. Ritengo basilare la lettura di questa opera per tutte quelle figure professionali interessate alla psicoterapia basata sui concetti sistemici ed ericksoniani, ma ritengo altresì decisamente auspicabile questa lettura per tutti coloro che sono interessati alla formazione e alla soluzione dei problemi umani poiché, per quanto specialistico, il libro è di piacevole ed accessibile lettura e le strategie in esso descritte sono applicabili non solo alla psicoterapia ma anche ad altri più usuali e non clinici contesti interpersonali. Paul Watzlawick Palo Alto, novembre 1989 ==Capitolo primo

Se vuoi vedere, impara ad agire

II titolo di questo capitolo è ripreso da un saggio del famoso cibernetico Heinz von Foerster, che lo definisce il proprio imperativo estetico. Benché postulato in un contesto differente (von Foerster 1973), esso esprime comunque quello che io considero un aspetto importante dell'evoluzione della terapia (l'omissione del prefisso psico prima della parola terapia non è una svista, come spero di spiegare nel corso della mia esposizione). Non so come possa essere avvenuto che l'esatto contrario dell'imperativo di von Foerster - l'idea che per agire differentemente si debba prima imparare a vedere il mondo in modo differente - sia sorto ed abbia poi assunto valore dogmatico nel nostro campo. Per quanto differenti e persino contraddittorie possano essere tra di loro le scuole classiche e le filosofie della psicoterapia, una delle convinzioni che decisamente condividono è che la conoscenza dell'origine e dell'evoluzione di un problema nel passato sia la precondizione per la sua soluzione nel presente. Senza dubbio, una motivazione irresistibile per questa prospettiva è costituita dal fatto che essa è impressa nel modello del pensiero e della ricerca scientifica lineare, un modello al quale si deve attribuire il vertiginoso progresso della scienza negli ultimi trecento anni. Fino alla metà del nostro secolo, erano relativamente in pochi a mettere in dubbio la presunta validità definitiva di una

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concezione scientifica del mondo basata sulla causalità strettamente deterministica, lineare. Freud, per esempio, non vide motivo per metterla in dubbio. «Almeno nelle più vecchie e più mature scienze, c'è persino oggi un solido fondamento che va solo modificato e migliorato, ma non demolito» (Freud 1964). Questa affermazione non riveste solo un interesse storico. Vista dalla prospettiva del 1989, ci rende coscienti dell'evanescenza dei paradigmi scientifici, che si sia letto Kuhn (1970) o no. Si potrebbe credere ingenuamente che basterebbe considerare la storia del XX secolo per non avere alcun dubbio sulle conseguenze terribili prodotte dall'illusione di aver trovato la verità definitiva e dunque la soluzione finale. Ma l'evoluzione nel nostro campo, di norma in ritardo d'una trentina d'anni, non è affatto giunta a questa constatazione. Ore innumerevoli di discussioni «scientifiche» e decine di migliaia di pagine di libri e pubblicazioni scientifiche sono tuttora sprecate per mostrare che, siccome il proprio modo di vedere la realtà è quello giusto e vero, chiunque veda la realtà in modo differente ha necessariamente torto. Un buon esempio di tale errore è il libro di Edward Glover Freud o Jung (1978), in cui l'eminente autore impiega circa duecento pagine per dire ciò che si potrebbe dire in una sola frase, cioè che Jung aveva torto perché era in disaccordo con Freud. Questo, per l'appunto, è ciò che Glover stesso infine afferma a p. 190, scrivendo: «Come abbiamo visto, la tendenza più consistente della psicologia junghiana è la sua negazione di ogni aspetto importante della teoria freudiana.» Chiaramente, scrivere un libro simile dovrebbe essere considerato una perdita di tempo, a meno che l'autore ed i suoi lettori non siano convinti che il loro punto di vista sia giusto e che perciò ogni altro sia sbagliato. C'è qualcos'altro che l'evoluzione della nostra professione non ci deve far trascurare. L'assunto dogmatico che la scoperta delle cause reali del problema attuale sia una conditio sine qua non per cambiare, crea ciò che Karl Popper ha chiamato una preposizione autoimmunizzante, cioè un'ipotesi che si legittima sia con il proprio successo che con il proprio falli14

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mento, e che così diviene non falsificabile. In termini pratici, se il miglioramento di un paziente è il risultato di ciò che nella teoria classica si chiama insight, ciò è la prova della correttezza dell'ipotesi per cui è necessario trovare nell'inconscio le cause represse, dimenticate. Se il paziente non migliora, ciò prova che la ricerca di queste cause non si è spinta nel passato con sufficiente profondità. L'ipotesi vince in ogni caso. Una conseguenza correlata alla convinzione di possedere la verità ultima, è la facilità con cui chi lo crede può rifiutare ogni evidenza contraria. Il meccanismo qui coinvolto è ben noto ai filosofi della scienza, ma di solito non ai clinici. Un buon esempio è la recensione ad un libro che tratta della terapia comportamentale delle fobie: questa culmina nell'affermazione, da parte del recensore, che l'autore del libro definisca le fobie «in modo accettabile solo per i teorici del condizionamento e non soddisfi i criteri della definizione psichiatrica di questo disturbo. Dunque le sue affermazioni non si applicherebbero alle fobie, ma a qualche altra condizione.» (Salzman 1968,476) La conclusione è inevitabile: una fobia che migliora per effetto della terapia comportamentale è, per questa ragione, una non-fobia. Si ha la sensazione che talvolta sembri più importante salvare la teoria piuttosto che il paziente, e ritorna in mente il detto di Hegel: «Se i fatti non si adeguano alla teoria, tanto peggio per i fatti» (Hegel era probabilmente una mente troppo superiore per non fare un'affermazione del genere se non in senso ironico. Ma io posso essere in errore. Il marxismo hegeliano certamente la prende tragicamente sul serio). Infine, non possiamo più a lungo permetterci di rimanere ciechi rispetto a un altro errore epistemologico, come lo avrebbe chiamato Gregory Bateson. Fin troppo spesso scopriamo che i limiti inerenti a una data ipotesi sono attribuiti al fenomeno che l'ipotesi si suppone dovrebbe chiarire. Per esempio, all'interno della struttura della teoria psicodinamica, la rimozione del sintomo dovrebbe condurre necessariamente alla sostituzione ed all'aggravamento del sintomo stesso non perché questa complicazione sia in qualche modo inerente alla 1=;

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natura della mente umana, ma perché essa si impone logicamente e necessariamente a partire dalle premesse di quella teoria. Nel bel mezzo di tali complicati pensieri, ci può anche capitare di essere preda di una fantasia sconvolgente: e se quel famoso omino verde di Marte arrivasse e ci chiedesse di spiegare le nostre tecniche per provocare dei cambiamenti negli uomini, e noi gliele esponessimo, non si gratterebbe la testa (o il suo equivalente) per l'incredulità, e non ci chiederebbe perché siamo arrivati a teorie così complicate, astruse e poco concludenti, piuttosto che, prima di tutto, investigare su come il cambiamento, nell'uomo, avvenga naturalmente, spontaneamente, e su basi quotidiane? Io vorrei tentare di indicargli almeno chi siano stati alcuni antesignani storici di quella idea tanto ragionevole e pratica che von Foerster così bene ha riassunto nel suo imperativo estetico. Uno di questi è Franz Alexander, cui dobbiamo l'importante concetto di esperienza emozionale correttiva; egli spiega (1946): «Non è necessario durante il corso del trattamento -né è possibile richiamare ogni sentimento che sia stato represso. Si possono raggiungere risultati terapeutici senza che il paziente richiami tutti i particolari importanti della sua storia passata; in realtà, si sono avuti buoni risultati terapeutici anche in casi in cui non sia stato riportato alla superficie un singolo ricordo dimenticato. Ferenczi e Rank furono tra i primi a riconoscere questo principio e ad applicarlo in terapia. Comunque la vecchia convinzione che il paziente soffra per i ricordi ha così profondamente colpito e penetrato le menti degli analisti che anche oggi è difficile per molti riconoscere che il paziente stia soffrendo non tanto per i propri ricordi quanto per la sua incapacità di fronteggiare i problemi reali del momento. Gli eventi passati hanno ovviamente preparato la strada alle difficoltà del presente, ma infine ogni reazione della persona è dipendente dai modelli di comportamento assunti nel passato.» Un po' più oltre egli afferma che «questa nuova esperienza correttiva può essere fornita dalla relazione di transfert, da nuove esperienze di vita, o da entrambe» (Alexander e Fren==SE VUOI VEDERE, IMPARA AD AGIRE

eh 1946, 22). Mentre Alexander attribuisce un'importanza molto maggiore alle esperienze del paziente nelle situazioni di transfert (perché questi non sono eventi casuali, ma indotti dal rifiuto dell'analista a lasciarsi imporre un ruolo parentale), egli è tuttavia cosciente di quanto sia il mondo esterno a fornire quegli eventi fortuiti che possano provocare un cambiamento profondo e duraturo. Infatti, nel suo Psychoanalysis and Psy-choterapy (Alexander 1956, 92) egli afferma specificatamente che «tali intense e rivelatone esperienze emozionali, ci danno la chiave per la comprensione di quei risultati terapeutici enigmatici ottenuti in un tempo considerevolmente più breve di quanto sia usuale in psicoanalisi.» In relazione a ciò, Alexander (Alexander e French 1946, 68-70) fa riferimento al famoso racconto di Victor Hugo su Jean Valjean nei Miserabili. Valjean, un violento criminale, al suo rilascio dopo una lunga permanenza in carcere che lo ha reso ancora più brutale, è sorpreso a rubare l'argenteria della diocesi. Viene condotto davanti al vescovo; ma invece di giudicarlo un ladro, il vescovo gli chiede con molta gentilezza perché abbia dimenticato due candelieri d'argento che facevano parte del dono che egli gli aveva fatto. Questa gentilezza cambia totalmente il modo di vedere di Valjean; ancora sotto l'effetto del turbamento causato dalla 'ristrutturazione' della situazione operata dal vescovo, Valjean incontra un ragazzo, Gervais, che gioca con le sue monete, e perde un pezzo da quaranta sous. Valjean mette il piede sulla moneta impedendo a Gervais di riprenderla. Il ragazzo piange, invoca disperatamente la restituzione della sua moneta, e alla fine scappa via. Solo allora Valjean si rende conto di quanto il suo comportamento, che solo un'ora prima sarebbe stato per lui ovvio, alla luce della generosità del vescovo appaia invece orrendamente crudele. Corre dietro a Gervais, ma non riesce a trovarlo. Hugo spiega: «Egli avvertì vagamente che la comprensione del prelato era l'assalto più formidabile da cui fosse mai stato colpito; che la sua durezza sarebbe perdurata se avesse resistito alla sua clemenza; che se egli avesse ceduto, avrebbe dovuto rinunciare a quell'odio col quale le azioni degli altri avevano riempito la sua anima per così tanti anni e che gli piaceva: 17

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che questa volta doveva vincere o essere vinto e che questa lotta, una lotta enorme e definitiva, era cominciata tra la sua malvagità e la bontà di quell'uomo. Una cosa che non sospettava era certa, comunque: che egli non fosse più lo stesso uomo; tutto era cambiato in lui, e non era più in suo potere sbarazzarsi del fatto che il vescovo gli avesse parlato e preso la mano.» Dobbiamo tenere in mente che / Miserabili fu scritto nel 1862, mezzo secolo prima dell'avvento della

teoria psicoanalitica, e che sarebbe un po' ridicolo affermare che il vescovo fosse semplicemente un antesignano analista. Piuttosto, ciò che Hugo mostra, è la perenne esperienza umana del cambiamento profondo che emerge dall'azione inaspettata e imprevedibile di qualcuno. Non so se un altro eminente psichiatra e studioso, Michael Balint, abbia esplicitamente assunto nel suo lavoro il concetto di Alexander dell'esperienza emozionale correttiva. Comunque, nel suo libro The Basic Fault (1968, 128-129) egli menziona il classico 'incidente' della capovolta che fornisce un'eccellente illustrazione di tale esperienza. Egli stava lavorando con una paziente, «una ragazza attraente, vivace, piuttosto civettuola, sulla trentina, il cui principale cruccio era l'incapacità di raggiungere qualsiasi obiettivo». Ciò era dovuto, in parte, alla sua «paralizzante paura ed insicurezza dalle quali era assalita quando doveva correre qualche rischio, come prendere una decisione». Balint descrive come dopo due anni di trattamento psicoanalitico «... le fu data la spiegazione che apparentemente la cosa più importante per lei era mantenere un portamento ben eretto, con i piedi ben piantati in terra. In risposta, ella disse che mai, sin dalla sua prima infanzia, era stata in grado di fare una capovolta; benché molte volte nel corso della sua vita avesse tentato disperatamente di farla. Così dissi: 'E adesso?'; allora si alzò dal divano e, con sua grande sorpresa, fece una perfetta capovolta senza alcuna difficoltà. Questa si dimostrò una vera breccia. A ciò seguirono molti cambiamenti, nella sua vita emozionale, sociale e professionale, tutti nel senso di una maggiore libertà ed elasticità. In più, 18

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ella fu in grado di affrontare e superare un esame professionale di specializzazione molto difficile, si fidanzò e si sposò.» Balint procede poi per un paio di pagine cercando di dimostrare come questo immediato cambiamento significativo fosse, dopotutto, non in contraddizione con la teoria delle relazioni oggettuali. «Desidero sottolineare - conclude - che la soddisfazione non ha sostituito l'interpretazione, ma vi è stata aggiunta» (p. 134). Il primo notevole scarto nell'evoluzione della nostra comprensione del mutare dell'uomo avvenne sin dal 1937, quando Jean Piaget pubblicò la fondamentale opera, La construction du réel chez l'enfant, che fu tradotta in italiano nel 1973 con il titolo La costruzione del reale nel bambino. Qui Piaget dimostra, sulla base di accurate osservazioni, che il bambino letteralmente costruisce la sua realtà mediante azioni esplorative, invece di formarsi un'immagine del mondo mediante le sue percezioni e poi agire di conseguenza. Si possono qui riportare solo pochi passi del suo enorme, dettagliato lavoro per sostenere questa tesi. In ciò che Piaget chiama il terzo stadio dello sviluppo del concetto di oggetto, tra i tre ed i sei mesi di età, «il bambino inizia ad afferrare ciò che vede, a portarsi davanti agli occhi gli oggetti che tocca, in breve a coordinare il suo universo visuale con quello tattile.» (Piaget 1973, 13) In seguito, nello stesso capitolo, Piaget afferma che queste azioni portano ad un grado maggiore della supposta permanenza dell'oggetto. «Il bambino comincia ad attribuire un grado più elevato di permanenza alle immagini svanite, poiché si aspetta di trovarle di nuovo non solo nello stesso luogo dove erano state lasciate, ma anche all'interno dell'estensione della loro traiettoria (reazione al cadere, prensione interrotta ecc). Ma nel comparare questo stadio a quelli successivi, dimostriamo che questa permanenza rimane esclusivamente connessa all'azione in corso e non implica ancora l'idea di una permanenza sostanziale indipendente dalla sfera dell'attività dell'organismo. Tutto ciò che il bambino suppone è che continuando a girare la testa o ad abbassarla egli vedrà una certa immagine che è appena scomparsa, che abbassando la sua mano 1Q

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egli troverà di nuovo l'impressione tattile sperimentata poco prima ecc.» Ed ancora, più avanti (pp. 42-43): «In effetti in questo stadio il bambino non conosce il meccanismo delle proprie azioni, e quindi non le dissocia dalle cose stesse; conosce solo il loro schema totale ed indifferenziato (che noi abbiamo chiamato schema di assimilazione) comprendendo in un singolo atto i dati della percezione esterna, così come le impressioni interne, che sono affettive e kinestetiche ecc, in natura. [...] L'universo del bambino è ancora solamente una totalità di figure che emergono dal nulla nel momento dell'azione, per ritornare al nulla nel momento in cui l'azione è finita. Si aggiunge ad essa solo la

circostanza che le immagini persistono più a lungo di prima, perché il bambino cerca di far durare queste azioni più a lungo di prima; estendendole, o riscopre le immagini svanite, o suppone che esse siano a disposizione nella stessa situazione in cui l'azione che si svolge è cominciata.» L'importanza delle scoperte di Piaget per il nostro lavoro può essere difficilmente sopravvalutata. Nel graduale rivelarsi dei risultati delle sue ricerche, Piaget mostra come non solo l'idea di un mondo 'esterno', indipendente da sé, sia la conseguenza di azioni esplorative; ma anche lo sviluppo di concetti di base come la causalità, il tempo, e, infine, come lui la chiama, Xelaborazione dell'universo. Se è così, allora, ovviamente, differenti azioni possono condurre alla costruzione di differenti 'realtà'. Comunque, prima di arrivare a questo argomento, si deve menzionare qualche altra pietra miliare del cammino evolutivo della terapia. Può sembrare troppo ricercato che per risalire a questo punto io torni al tempo in cui Blaise Pascal, nel suo Pensée 223, sviluppò quella argomentazione che oggi è nota come la scommessa di Pascal.È interessante per noi terapeuti perché, benché di formulazione teologica, tratta di un problema molto vicino al nostro campo. Pascal esamina l'antica domanda di come un non credente possa arrivare, per mezzo o attraverso se stesso, alla fede. Il suggerimento è interessante: comportati come se tu già credessi, per esempio, pregando, usando ==SE VUOI VEDERE, IMPARA AD AGIRE

l'acqua santa, partecipando ai sacramenti e così via. La fede, poi, seguirà a causa di queste azioni. E poiché c'è almeno una probabilità che Dio esista, per non parlare dei potenziali benefici (pace della mente e salvezza finale), la posta in questo gioco è piccola. «Cosa avete da perdere?», egli chiede retoricamente. La scommessa di Pascal diede spunto ad innumerevoli argomentazioni, speculazioni e trattati. Permettetemi di menzionarne uno. Nel suo affascinante libro Ulisse e le sirene, il filosofo norvegese Jon Elster (1983, 47-54) raccoglie il pensiero di Pascal e lo spinge oltre per evidenziare il fatto che non si può decide re di credere in qualcosa senza la necessità di dimenticare la decisione: «L'implicazione di questa affermazione è che la decisione di credere si può portare avanti con successo solo se accompagnata dalla decisione di dimenticare, cioè la decisione di dimenticare la decisione di credere. Questo, comunque, è altrettanto paradossale quanto la decisione di credere [...]. La procedura più efficace sarebbe iniziare un singolo processo causale con il doppio effetto di indurre a credere e di far sì di dimenticare che esso sia mai cominciato. Chiedere di essere ipnotizzato è uno di tali meccanismi [...].» (p. 50) Ciò appare cruciale per il mio tema. Dimenticare di proposito è qualcosa di impossibile. Ma fare qualcosa perché la ragione, l'impulso o la suggestione per questa azione provenga dall'esterno, sia come risultato di un evento casuale più che di una deliberata azione o suggestione altrui - in altre parole nell'interazione comunicativa con un'altra persona - è una cosa diversa. A questo punto devo prendere in considerazione l'evoluzione della moderna terapia sistemica, che non chiede più: «Perché il paziente designato si comporta in questo modo bizzarro, irrazionale?», ma piuttosto: «In quale tipo di 'sistema' umano questo comportamento assume un senso ed è forse l'unico comportamento possibile?»; e «Quale tipo di soluzione questo 'sistema' ha sinora tentato?». Ma queste considerazioni renderebbero smisurato il mio discorso. Mi limito solo a sottolineare che a questo punto la terapia ha poco o niente a ==SE VUOI VEDERE, IMPARA AD AGIRE

che fare con concetti espressi da termini che iniziano con il prefisso psico, come psicologia, psicopatologia, psicoterapia. Poiché non è più soltanto la psiche individuale, monadica, che qui entra in gioco, ma quelle strutture superindividuali che nascono dalle interazioni tra individui. Ciò che intendo affermare è il fatto che, nella grande maggioranza, i problemi che vogliamo risolvere mediante il loro cambiamento non sono problemi correlati alle proprietà degli oggetti o delle situazioni alla realtà di primo ordine come è stato proposto di chiamarla (Watzlawick 1976, 140-142) - ma sono correlati al significato, al senso ed al valore che noi siamo giunti ad attribuire a questi oggetti o situazioni (la loro realtà di secondo ordine). «Non sono le cose in sé che ci preoccupano, ma le opinioni che noi abbiamo di quelle cose», diceva Epitteto circa 1900 anni or sono. Quasi tutti conosciamo la risposta al quesito sulla differenza tra un ottimista ed un pessimista: di una bottiglia di vino a metà l'ottimista dice che è mezza piena; il pessimista afferma che è mezza vuota. La stessa realtà di primo ordine - una bottiglia contenente del vino -ma due realtà di secondo ordine assai differenti che infatti sono due mondi diversi. Da questo punto di vista, si può dire che tutta la terapia consista nelT operare dei cambiamenti nelle modalità con le quali le persone hanno costruito le loro realtà di secondo ordine (realtà che essi sono

totalmente convinti essere la vera). Nella psicoterapia tradizionale si tenta di raggiungere questo risultato tramite l'uso del linguaggio indicativo, cioè il linguaggio della descrizione, della spiegazione, del confronto, della interpretazione e così via. Questo è il linguaggio della scienza classica e della causalità lineare. Tuttavia questo linguaggio non si presta molto bene alla descrizione dei fenomeni non lineari, sistemici (per esempio, le relazioni umane); e si presta ancor meno alla comunicazione di nuove esperienze e percezioni per le quali il passato non fornisce possibilità di comprensione e che si trovano al di fuori della costruzione della realtà di una data persona. Ma quale altro linguaggio esiste? La risposta viene data per esempio da George Spencer Brown (1973) nel suo libro Laws ==SE VUOI VEDERE, IMPARA AD AGIRE

of form, dove, quasi tra le righe, egli definisce il concetto di linguaggio ingiuntivo. Prendendo la comunicazione matematica come punto di partenza, scrive (p. 77): «Può essere di aiuto a questo stadio constatare che la forma primaria della comunicazione matematica non è la descrizione, ma l'ingiunzione. In questo senso si può fare un paragone con 'arti' pratiche come la cucina, dove il gusto di un dolce, benché a parole indescrivibile, può essere comunicato al lettore in forma di un insieme di istruzioni chiamato ricetta. La musica è una forma artistica simile: il compositore non tenta neanche di descrivere l'insieme di suoni che ha in mente, e ancora meno l'insieme dei sentimenti per mezzo loro originati, ma scrive un complesso di comandi che, se seguiti dal lettore, possono condurre il lettore stesso alla riproduzione dell'esperienza originale del compositore.» E più avanti (p. 78) egli commenta il ruolo del linguaggio ingiuntivo nella formazione dello scienziato: «Persino la scienza naturale appare più dipendente dall'ingiunzione di quanto siamo disposti ad ammettere. L'iniziazione dell'uomo di scienza consiste non tanto nella lettura di testi appropriati, quanto nelTobbedire alle ingiunzioni come: 'guarda in quel microscopio'. Ma non è fuori della norma per l'uomo di scienza, dopo aver guardatonel microscopio, descrivere ad un altro scienziato e discutere con lui cosa hanno visto e scrivere riviste e testi con tale descrizione.» In altre parole, se riusciamo a motivare qualcuno a intraprendere un'azione, di per se stessa sempre possibile, ma che quel qualcuno non ha compiuto perché nella sua realtà di secondo ordine non trovava né senso né ragione di portarla a compimento, allora tramite la stessa realizzazione di questa azione egli esperirà qualcosa che mai nessuna spiegazione e interpretazione avrebbe potuto indurlo a vedere ed esperire. E con ciò siamo arrivati a Heinz von Foerster e al suo imperativo: Se vuoi vedere, impara ad agire. Inutile dire che si può strenuamente resistere alla richiesta di compiere una tale azione. Un classico esempio sono i contemporanei di Galileo, quando rifiutarono di guardare nel suo telescopio perché essi sapevano, pur senza guardare, che ciò ==SE VUOI VEDERE, IMPARA AD AGIRE

che egli affermava di vedere non poteva essere compreso entro i limiti della loro realtà di secondo ordine, cioè la geocentricità. Ricorda: «Se i fatti non si adeguano alla teoria, tanto peggio per i fatti.» Per chi conosca il lavoro di Milton Erickson, il concetto di linguaggio ingiuntivo, se non la designazione, non rappresenta niente di nuovo. Nella seconda metà della sua carriera professionale, Erickson utilizzò sempre più, al fine di raggiungere un cambiamento terapeutico, le prescrizioni di comportamento diretto al di fuori degli stati di trance. Essendo un vero maestro nell'aggirare la resistenza, ci fornì una regola importante: «Impara ed usa il linguaggio del paziente.» Anche questo rappresenta un allontanamento radicale dalla psicoterapia classica, dove una grande quantità di tempo negli stadi iniziali del trattamento è impiegata nel tentativo di insegnare al paziente una nuova «lingua», cioè le concettualizza-zioni della scuola particolare di terapia cui il terapeuta aderisce. Solo quando il paziente ha iniziato a pensare nei termini di questa epistemologia, per vedere se stesso, i suoi problemi, la sua vita da questa prospettiva, può ottenere, all'interno di questa struttura di lavoro, il cambiamento terapeutico. Inutile a dirsi, questo processo può richiedere molto tempo. Nella ipnoterapia ha luogo il contrario; è il terapeuta che impara il linguaggio del paziente, la sua costruzione della realtà (come la potremmo chiamare oggi) e poi impartisce le sue suggestioni in questa stessa lingua, minimizzando così la resistenza (ed il tempo). Al di fuori delle sue applicazioni terapeutiche, lo studio del linguaggio ingiuntivo ebbe le sue origini nel lavoro del filosofo austriaco Ernst Mally. Nel suo libro Grundgesetze des Sollens (1926), Mally ha sviluppato una teoria dei desideri e delle ingiunzioni che chiamò logica «deontica».

Un altro importante contributo a questo argomento lo si può trovare nel lavoro del filosofo britannico John L. Austin (1987). Nelle sue famose conferenze di Harvard (1955) egli identificò una particolare forma di comunicazione che definì «atti linguistici performativi» {Performative speech acts) o «enunciazioni performative» {Performative sentences). «Il ter24 ==SE VUOI VEDERE, IMPARA AD AGIRE

mine performativo può essere usato in una vasta gamma di modi e costruzioni affini, altrettanto come il termine imperativo. Il termine deriva, naturalmente, da perform, il verbo che accompagna usualmente il sostantivo action: esso indica che l'emissione di una parola è essa stessa l'effettuazione di un'azione, e non, come normalmente si ritiene, il semplice dire qualcosa.» (p. 6) Per esempio, se io dico «egli mi promette di rendermi il libro domani», io descrivo (nel linguaggio indicativo) un'azione, un 'atto orale' {speech act) eseguito da quella persona. Ma se io dico «io prometto di rendere il libro domani», l'affermazione «io prometto» è essa stessa la promessa, l'azione. Nella terminologia di Austin il primo esempio (la descrizione) è definito una 'constatazione' mentre il secondo è un atto verbale 'esecutivo'. Nella quarta lezione, Austin sottolinea la differenza tra le affermazioni «io corro» e «mi scuso». La prima è il semplice rapporto verbale di un'azione; la seconda è essa stessa l'azione, è la scusa. Altri esempi tratti dalla vita quotidiana possono essere: «io prendo questa donna come legittima moglie», «battezzo questa nave Queen Elisabeth», «lascio in eredità questo orologio a mio fratello». In tutti questi ed in innumerevoli altri analoghi atti verbali si raggiunge un risultato concreto, mentre il dire «sta arrivando l'inverno» non fa arrivare davvero l'inverno. Naturalmente, perché un atto verbale «performativo» si realizzi e sia efficace si devono concretizzare molte precondizioni. Per esempio, delusioni e bugie del passato possono farmi dubitare della promessa; la scusa non deve essere offerta in tono di voce sarcastico, derisorio; la cerimonia di battesimo di una nave deve costituire una procedura accettata in una data cultura. Ma se e quando queste precondizioni siano realizzate, tramite l'espressione performativa si crea letteralmente una realtà, e chiunque in seguito si riferisca a quella nave come alla Giuseppe Stalin sarebbe considerato in qualche modo al di fuori della norma. Con queste considerazioni ho appena scalfito la superficie del lavoro di Austin in questa area specialistica della linguistica, cioè ho appena accennato alla sua idea su «come fare le cose con le parole». Ma spero che anche queste brevi citazio==SE VUOI VEDERE, IMPARA AD AGIRE

ni abbiano messo in evidenza la loro fertilità e la loro rilevanza per il nostro lavoro. Di effetto particolarmente sorprendente per la mente umana sono le cosiddette «profezie che si autorealizzano», note ai terapeuti non ortodossi ed agli agenti di borsa, ma non a coloro che redigono le previsioni meteorologiche: effetti immaginati producono cause concrete; il futuro (non il passato) determina il presente; la profezia dell'evento porta al realizzarsi della profezia (Watzlawick 1988). Sono convinto che il linguaggio ingiuntivo acquisterà un ruolo centrale all'interno della struttura delle tecniche tera-peutiche moderne. Naturalmente ha sempre occupato questo posto di rilievo nella ipnoterapia. Infatti, cos'è una suggestione ipnotica se non una ingiunzione a comportarsi «come se» qualcosa fosse il 'caso', qualcosa che diventa il caso (cioè diventa reale) come risultato dell'essere stato eseguito? Ma questo è equivalente a dire che le ingiunzioni possono letteralmente costruire delle realtà, e che, proprio come degli eventi casuali, possono avere questo effetto non solo sulle vite umane, lo possono avere anche nella evoluzione cosmica come in quella biologica. Riguardo a ciò, moltissimo rimarrebbe da dire sulle questioni di auto-organizzazione, o ciò che Prigogi-ne (1980) chiama strutture dissipative; ma si tratta di un soggetto che oltrepassa i limiti della mia competenza e dello spazio di questo saggio. Ma perché esiste una differenza così sostanziale tra qualcosa che si è originata in me stesso ed un impulso che viene dall'esterno? Possono essere date diverse risposte, ma nessuna sembra convincente. Che sia così, non è un segreto. Nella nostra stessa vita ci può capitare di creare gli stessi disagi che i nostri cosiddetti pazienti creano nella loro. Comunque, per ritornare a Pascal, ci sono due parole della sua norma di comportamento che meritano attenzione. «Comportati come se tu già credessi». Esse provano chiaramente la natura per cosi dire fittizia della parte iniziale di questa tipo- ■ logia di interventi. Ed è questo carattere fittizio che provoca dubbi. L'obiezione comunque è che, se anche hanno successo, i loro effetti non possano essere duraturi. Dopotutto, sono solamente finzioni. Prima o poi, probabilmente prima, essi ==SE VUOI VEDERE, IMPARA AD AGIRE

devono scontrarsi con i duri fatti della realtà ed essere sconfìtti. Ecco l'argomentazione contraria: l'idea di introdurre un'ipotesi «come se» dentro una situazione, e arrivare a risultati concreti, è niente affatto recente. Essa risale almeno all'anno 1911, quando il filosofo tedesco Hans Vaihinger pubblicò il suo Die Philosophie des Als-Ob, il cui titolo tradotto è La filosofia del come-se. Se non ci fosse stato il riconoscimento da parte di Alfred Adler (e, ad un grado più basso, di Freud) dell'importanza di queste idee, la loro applicazione al nostro campo potrebbe essere chiamata la terapia del come-se, o la terapia degli «eventi casuali pianificati». Ciò che Vaihinger presenta in poco meno di ottocento pagine è una sbalorditiva quantità di esempi, tratti sia da tutti i rami della scienza che dalla vita quotidiana, i quali mostrano che noi operiamo sempre mediante assunti non provati e non provabili i quali, tuttavia, conducono a risultati concreti, pratici. Non c'è e non ci sarà mai alcuna prova che l'uomo sia veramente dotato di libero arbitrio e quindi responsabile delle sue azioni. Comunque non conosco società, cultura o civiltà, passata o presente, in cui gli uomini non si comportino come se il caso fosse questo, perché senza questo pratico assunto fit-tizio sarebbe impossibile lo stesso ordine sociale. L'idea della radice quadrata di -1 è totalmente fittizia. Non solo è intellettualmente inimmaginabile, ma viola anche i principi basilari dell'aritmetica; e tuttavia, i matematici, i fisici, gli ingegneri, i programmatori di computer ed altri hanno incluso senza troppe preoccupazioni questa finzione nelle loro equazioni giungendo a risultati molto concreti, come la moderna elettronica. Le regole e i modelli di interazione che un terapeuta familiare o dei sistemi crede di osservare sono da lui ovviamente piuttosto letti nei fenomeni osservati - non sono veramente presenti -; eppure, condurre la terapia come se questi modelli esistessero può portare a risultati concreti e rapidi. Così, la domanda non è più «quale scuola terapeutica ha ragione?»; ma è «quale assunto come se produce migliori risultati concreti?». ==SE VUOI VEDERE, IMPARA AD AGIRE

Forse siamo vicini al declino del dogma. Forse no. Comunque, ciò che si può dire - come modalità prospettica sull'evoluzione del nostro campo - è che questo modo di concettualizzare e di tentare di risolvere i problemi umani sta guadagnando attenzione in quanto le tecniche tradizionali della risoluzione dei problemi sembrano aver raggiunto i limiti della loro utilità. Stiamo iniziando ad applicare questi metodi anche a quelle che si possono definire le specifiche patologie dei grandi sistemi. Non sembra totalmente utopistico immaginare la loro applicazione anche ad alcuni dei più pressanti e minacciosi problemi del nostro pianeta, come il mantenimento della pace, o la buona conservazione della biosfera. Comunque, questi tentativi sono troppo spesso scanditi dagli stessi errori di base che provocano la rovina del lavoro clinico, cioè l'assunto che, essendo i problemi di enormi proporzioni, solo una soluzione altrettanto enorme e trascendente abbia una qualche possibilità di successo. Il caso sembra essere l'opposto. Se guardiamo alla storia degli ultimi secoli, cominciando dalla Rivoluzione Francese o anche dall'Inquisizione, vediamo che invariabilmente e senza eccezioni le peggiori atrocità sono state il diretto risultato di grandiosi ed utopistici tentativi di migliorare il mondo. Ciò che Karl Popper chiama la politica dei piccoli passi è inaccettabile per gli idealisti e gli ideologi. Ricordate l'aforisma che citava spesso Gregory Bateson: «Chi vuol far del bene, deve farlo nei piccoli particolari. Il bene generale è l'alibi dei patrioti, dei politici e dei furfanti.» Per convincerci, non dobbiamo che osservare la natura. I grandi cambiamenti sono sempre catastrofici. La neghentropia (o anotropia, come il mio amico ateniese George Vassiliou preferisce chiamarla per evitare la doppia negazione) lavora pazientemente, silenziosamente, a piccoli passi; tuttavia, è la forza che sottintende l'evoluzione, l'au-to-organizzazione, e la sempre più grande complessità nell'universo. Io penso che se noi, come terapeuti, iniziassimo a considerarci come «servitori della neghentropia», svolgeremmo in miglior modo la nostra funzione, meglio di quanto fac28 ==SE VUOI VEDERE, IMPARA AD AGIRE

damo come presunti perfezionatori del mondo o guru. Heinz von Foerster (1973) definì questa funzione nel suo imperativo etico: «Agisci sempre in modo da aumentare il numero delle scelte.» Molti secoli fa questo stesso modo di vedere fu espresso in un affascinante racconto: dopo la sua morte,

il sufi Abu Bakr Shibli apparve in sogno ad uno dei suoi amici. «Come ti ha trattato Dio?», domandò l'amico; il sufi rispose: «Appena mi trovai davanti al Suo trono mi chiese: 'Sai perché ti perdono?'; ed io dissi: 'A causa delle mie buone azioni?'; e Dio disse: 'No, non per quelle'. Io chiesi: 'Per la mia sincera adorazione?'; e Dio disse: 'No'. Allora io dissi: 'A causa dei miei pellegrinaggi e dei miei viaggi per acquistare conoscenze ed illuminare gli altri?'; e Dio di nuovo rispose: 'No, non per tutto questo'. Così io gli chiesi: 'Oh, Signore, perché allora mi hai perdonato?'. Ed Egli rispose: 'Ti ricordi come in una gelida giornata invernale stavi passeggiando nelle strade di Baghdad, e vedesti un gattino affamato che disperatamente cercava riparo dal vento ghiacciato, e tu avesti pietà di lui e lo raccogliesti, lo mettesti nella tua pelliccia, e lo portasti nella tua casa?'; Io dissi, 'Sì, mio Signore, ricordo'. E Dio disse: 'Poiché tu sei stato gentile con quel gattino, Abu Bakr, perciò ti ho perdonato'.» (Schimmel 1983, 16) ==Capitolo secondo Le «eresie» dell'approccio strategico alla terapia: caratteristiche generali della terapia strategica

Regola aurea, non si devono giudicare gli uomini dalle loro opinioni, ma da ciò che queste opinioni fanno di loro G.C. Lichtenberg, Libretto di consolazione II vero mistero del mondo è ciò che si vede, e non l'invisibile O.Wilde, Aforismi

A questo punto crediamo che al lettore sia già apparso chiaro come quanto espresso sin qui entri in diretta collisione con il concetto tradizionale di psicoterapia, e come chi si richiami alle idee e prospettive teoriche presentate sia un vero e proprio «eretico» nei confronti delle classiche teorie e prassi in campo psicoterapeutico. Ebbene sì, anche noi crediamo che l'approccio strategico alla terapia dei disturbi psichici e comportamentali sia un'«eresia» rispetto alla gran parte dei modelli di psicoterapia. A tal riguardo si ritiene indispensabile, prima di inoltrarci in una dettagliata esposizione, tracciare distintamente una mappa dei punti di maggiore differenziazione di questo pensiero «eretico» in rapporto alle ortodossie teorico-applicative presenti nell'attuale panorama della psicoterapia. ==LE «EFESIE» DELL'APPROCCIO STRATEGICO ALLA TERAPIA 1. Prima eresia

f

Per conoscere la verità bisogna immaginarsi una miriade di falsità Perché cosa è la verità ? Ver la reliione è semplicemente una opinione sopravvissuta 'er la scienza, è V ultima scoperta sensazionale Per l'arte, è il nostro ultimo stato d'animo O Wilde, Aforismi

II terapeuta che fa suo l'approccio strategico ai problemi umani può essere considerato, a ragione, l'«eretico» della psicoterapia (eretico nel senso etimologico del termine, ossia «colui che ha possibilità di scelta»), in quanto egli non si lascia ingabbiare né all'interno di un modello rigido di interpretazione della «natura umana», né all'interno di una rigida e ortodossa modellizzazione psicologica e psichiatrica. L'approccio strategico alla terapia, richiamandosi direttamente alla moderna filosofia della conoscenza costruttivista (Bannister 1977; Elster 1979; von Glasersfeld 1979, 1984; von Foerster 1970, 1973, 1974, 1987; Kelly 1955, Maturana 1978; Piaget 1970, 1971, 1973; Riedl 1980; Stolzenberg 1978; Varela 1975, 1979, e in Watzlawick 1981; Watzlawick 1976, 1981), si fonda sulla constatazione della impossibilità, da parte di qualunque scienza, di offrire una spiegazione assolutamente «vera» e «definitiva» della realtà, e su come la realtà sia, invece, determinata dal punto di osservazione del ricercatore/soggetto. Non esiste una sola realtà ma tante realtà a seconda dei punti di osservazione e degli strumenti utilizzati per osservare. Da questa pro1

A tal riguardo è utile ricordare al letto-ma originario non può generare o dimore che: «dal 1931, anno in cui Godei strare, ed essi stessi sono a loro volta pubblicò il suo famoso teorema sulladimostrabili soltanto ricorrendo a una indecidibilità [41], usando come base i struttura ancora più ampia, e così di Principia Mathematica, abbiamo dovuto seguito in una catena infinitamente abbandonare la speranza che qualsivo-regrediente di metasistemi, metametasi- glia sistema, abbastanza complesso da stemi, eccetera. In accordo con i postula- includere l'aritmetica (o, come Tarsiati di base dei Principia Mathematica qua- [88] ha dimostrato, qualsiasi linguaggio lunque

asserzione su una collezione (e la di qualche complessità), riesca mai adimostrazione della coerenza è un'âSSer- dimostrare /a sua coerenza dentro la pro-zione del genere) presuppone tutti gli pria struttura. Questa dimostrazione può elementi della collezione e quindi non venire soltanto dall'esterno ed esserepuò, non deve, essere un termine di fondata su assiomi, premesse, concetti, essa.» (Watzlawick et al. 1974, 38) paragoni, ecc. supplementari, che il siste-

==LE «ERESIE» DELL APPROCCIO STRATEGICO ALLA TERAPIA

spettiva epistemologica ogni modello interpretativo ed espla-natorio in senso assolutistico della natura e del comportamento umano viene rifiutato, poiché qualunque modello di questo tipo cade ineluttabilmente nella trappola della «autoreferen-zialità» (darsi da soli il nome, autogiustificarsi). Con le parole dell'epistemologo Popper, nessuna teoria può trovare la sua conferma al suo interno e per mezzo dei propri strumenti senza evitare la «non falsificabilità».' Egli, inoltre, esprime elegantemente con la definizione di «teorie o preposizioni autoimmunizzanti» il fenomeno relativo a quei modelli teorici che si immunizzano dalla possibilità di falsificazione. Teorie che sono veri e propri sistemi chiusi onnicomprensivi, all'interno dei quali si può trovare la spiegazione di tutto. Ma proprio per questa loro caratteristica, tali teorie assurgono al ruolo di concezioni « religiose » e non di modelli di conoscenza scientifica. Come osservava Bateson (1984), «la scienza è un modo per percepire, organizzare e dare significato all'osservazione costruendo teorie soggettive il cui valore non sia definitivo». Le teorie devono essere, per il clinico, non verità irrefutabili, ma ipotesi per rapportarsi al mondo, punti di vista parziali, utili per descrivere e organizzare i dati osservabili, per riprodurre successi terapeutici; da correggere di fronte agli insuccessi. A tal riguardo è utile ricordare che «proprio dagli psicologi dediti allo studio di come conosciamo viene la nozione che gli esseri umani, in quanto 'organismi pensanti', non operano direttamente sulla realtà che incontrano ma sulle trasformazioni percettive che formano le loro esperienze del mondo. Per cui, 'categorizzazioni', 'schemi', 'attribuzioni', 'inferenze', 'euristiche' e linguaggi costituiscono i sistemi rap-presentazionali attraverso cui possiamo realizzare diverse configurazioni e spiegazioni del mondo. Nella stessa maniera in cui - sia accettato l'esempio - un telescopio e un radiotelescopio, offrono rappresentazioni diverse degli stessi corpi celesti e delle loro proprietà.» (Salvini in Fiora et al. 1988, 7) II pensiero strategico non si basa su di una teoria che, descrivendo la «natura umana», prescrive di conseguenza i concetti di «sanità» o «normalità» comportamentale e psichi==LE «ERESIE» DELL'APPROCCIO STRATEGICO ALLA TERAPIA

ca in opposizione a quelli di patologia, come è il caso delle tradizionali teorie della psicoterapia. Il pensiero strategico, invece, si interessa della funzionalità del comportamento umano di fronte ai problemi dell'esistenza e della convivenza tra gli individui, in termini di percezione e relazione che ogni individuo vive con se stesso, con gli altri e con il mondo. Non si interessa degli oggetti/soggetti «in sé», ma degli oggetti/soggetti «in relazione» poiché siamo convinti dell'impossibilità di estrapolare un soggetto dal suo contesto interattivo. Richiamandosi a una famosa metafora di von Glasersfeld: di fronte ad una serratura, ciò che interessa non è la serratura «in sé», la sua natura e costituzione intrinseca, ma solo il riuscire a trovare la chiave che la apre. Il focus dell'attenzione del terapeuta strategico è la relazione o meglio le relazioni interdipendenti che ognuno vive con se stesso, con gli altri e con il mondo. L'obiettivo è il loro buon funzionamento, non in termini generali e assoluti di normalità; ma in termini di realtà del tutto personali e diverse da individuo ad individuo, e da contesto a contesto. In modo tale da adattare sempre le strategie alla situazione e non la situazione alle proprie teorie. Quindi 1'«eresia» è il passaggio da sistemi teorici «chiusi» a sistemi teorici «aperti», dal concetto di «verità scientifica» a quello di «probabilità»; dalla deterministica «causalità lineare» alla elastica «causalità circolare»; dalla «ortodossia» al «dubbio metodologico». In altre parole, a nostro parere, si passa dall'atteggiamento fideista del credente, all'atteggiamento disilluso del ricercatore, nella convinzione che il fondamentale criterio di validazione e verifica di un modello terapeutico non sia la sua «architettura teorica» o la «profondità» delle analisi in esso espresse, ma il suo valore euristico e la sua capacità di intervento reale, misurati in termini di efficacia ed efficienza nella risoluzione dei problemi a cui si applica. ==LE «EFESIE» DELL'APPROCCIO STRATEGICO ALLA TERAPIA 2. Seconda eresta L'uomo è cosi perfettibile e corruttibile che può divenire pazzo mediante la ragione G C Lichtenberg, Libretto di consolazione

Da questa prospettiva (altra eresia) il compito del terapeuta si focalizza non sull'analisi del «profondo» e sulla ricerca delle cause del problema sino alla estrapolazione delle verità nascoste, ma sul come funziona e sul come si può cambiare la situazione di disagio di un soggetto, coppia o famiglia. Il passaggio è dai contenuti ai processi, un sapere come fare piuttosto che un sapere perché. In altri termini, il ruolo del terapeuta è quello di aiutare il paziente a risolvere il suo problema e ad acquisire attraverso questa esperienza la capacità di affrontare adeguatamente i nuovi problemi nei quali può incorrere. Prima si rompe un «incantesimo», poi si insegna alla persona a costruirsi la capacità personale di non ricadere in altri «incantesimi» o sistemi di percezione ed azione disfunzionali. A tal fine l'interesse specifico è rivolto agli studi e teorie relativi al «cambiamento», a come questo può avvenire spontaneamente ed a come si può provocarlo deliberatamente (Watzlawick et al. 1967, 1974). Perciò, particolare attenzione è stata data alla nostra percezione della realtà e agli aspetti pragmatici del nostro rapporto con tale realtà, a come, mediante questi processi, si costituiscano situazioni problematiche, ed infine a come, attraverso questi stessi processi, è possibile risolvere tali situazioni problematiche. Si parte dalla convinzione che il disturbo psichico e comportamentale sia determinato dalla percezione della realtà da parte del soggetto; ossia dal suo punto di osservazione che fa sì che egli percepisca (o meglio costruisca) una realtà alla quale egli reagisce con un comportamento disfunzionale, o cosiddetto «psicopatologico». Il comportamento disfunzionale, spesso, è la reazione migliore che il soggetto crede di poter esercitare su una determinata situazione. Ciò sta a significare che, frequentemente, proprio le «ten■>>A

==LE «ERESIE» DELL'APPROCCIO STRATEGICO ALLA TERAPIA

tate soluzioni» mantengono o aggravano il problema (Watzlawick et al. 1974). L'intervento terapeutico è rappresentato dallo spostamento del punto di osservazione del soggetto, dalla sua originaria rigida e disfunzionale posizione percettiva-reattiva ad una prospettiva elastica, non rigida e con più possibilità percettive-reattive. (Torna qui 1'«imperativo etico» costruttivista di von Foerster: «Comportati sempre in modo da aumentare il numero delle possibilità di scelta»). Il cambiamento di prospettiva produce un cambiamento nella percezione della realtà che cambia la realtà stessa, determinando, di conseguenza, il cambiamento di tutta la situazione e delle reazioni ad essa. Tutto questo significa rendere elastica, non assolutistica, la percezione-reazione dei soggetti, in maniera tale da metterli in grado di affrontare le situazioni problematiche senza rigidità e perseverazione nell'errore. In altre parole, il soggetto acquisisce la capacità di fronteggiare un problema mettendo a punto un ventaglio di diverse possibili strategie risolutive, cominciando con l'applicare quella che appare più idonea ad essere nella disponibilità a cambiarla con un'altra se non funziona, sino a giungere all'applicazione della soluzione al determinato problema. Come già ben sapeva Nietzsche, molti decenni or sono, «tutto ciò che è assoluto appartiene alla patologia», per cui anche una soluzione che si è dimostrata in una determinata situazione buona e risolutiva può divenire, applicata ad una nuova situazione, una complicazione del problema. Infatti, il sistema percettivo-reattivo rigido di una persona problematica si esprime spesso nella ostinata perseverazione ad utilizzare una strategia che apparentemente può essere produttiva di risoluzione del problema, o che nel suo passato ha funzionato per risolvere un problema simile, ma che, nella attuale situazione, funziona come vero e proprio riverberatore del problema stesso. Oppure tale sistema percettivo-reattivo rigido può esprimersi nell'utilizzo di una o più «buone soluzioni» che vengono indistintamente applicate a problemi diversi, con l'evidente risultato della non soluzione dei problemi complicata anche ==LE «ERESIE» DELL'APPROCCIO STRATEGICO ALLA TERAPIA

dalla crescente sfiducia nella possibilità di modificare la situazione. Può apparire strano e paradossale ma, spesso, proprio gli sforzi per cambiare mantengono la situazione immutata, o rafforzata nella sua problematicità. In tutti e due i casi la persona si comporta come il protagonista del seguente aneddoto: «Un ubriaco sta cercando sotto un lampione la chiave che ha perduto: un passante soccorrevole si offre di aiutare il povero ubriaco a ritrovare l'oggetto perduto. Dopo un bel po' che i due stanno cercando senza successo la chiave sotto il lampione, il signore soccorrevole, un po' scocciato, rivolgendosi all'ubriaco chiede: 'Ma è proprio sicuro di averla perduta qui?' e l'altro replica: 'Certo che no, ma là dove l'ho

perduta è troppo buio per cercarla'.» (Nardone 1988, 154) «È sempre con le migliori intenzioni che si son prodotte le opere peggiori» scriveva Oscar Wilde. Appare chiaro, sulla base di quanto espresso sin qui, come la prima azione terapeutica da eseguire sia la rottura del sistema percettivo-reattivo «rigido» del soggetto attraverso la rottura del meccanismo contorto di «tentate soluzioni» che mantengono il problema, e del groviglio di retroazioni interperso-nali che si vengono a costruire su questa base. Per poi giungere, dopo questo cambiamento, ad una ridefinizione cognitiva della situazione e dell'esperienza. E a questo punto, in relazione alle procedure e alla proces-sualità terapeutica e/o di cambiamento, giungiamo alla ulteriore «eresia» nei confronti delle ortodossie teorico-applicative in psicoterapia. 3. Terza eresia Per mettere la realtà alla prova bisogna farla camminare su una corda tesa e la si può giudicare solo quando è diventata acrobatica O Wilde, Aforismi

È evidente che, ove ci sia una teoria relativa alla persistenza e al cambiamento dei problemi umani radicalmente diversa dalle classiche concezioni psicologiche e psichiatriche, anche le ==LE «ERESIE» DELL'APPROCCIO STRATEGICO ALLA TERAPIA

conseguenti procedure (strategie deputate a provocare il cambiamento) e la processualità (fasi evolutive del cambiamento) vengono ad essere qualcosa di completamente diverso dalle classiche forme di psicoterapia. La diversità poggia sul fatto, che a livello di procedure e di processualità della terapia, l'approccio strategico è il frutto dell'applicazione al campo clinico dei principi matematici della teoria dei tipi logici (Whitehead, Russell 1910-13) della teoria dei sistemi e della moderna cibernetica (Wiener 1947 Ashby 1954, 1971; Bateson 1956, 1964, 1967, 1972; von Foerster 1974) e si basa su concezioni di causalità circolare, di retroazione tra causa ed effetto e sul principio di discontinuità del cambiamento e della crescita. Da questa prospettiva, che qui per limiti di spazio non possiamo certo riassumere,? appare assurda lj convinzione, usuale, che problemi o disagi maturati lungo un arco di tempo molto esteso necessitino obbligatoriamente, per essere risolti, di un altrettanto lungo trattamento terapeutico. O che problemi umani di grande sofferenza e complicazione debbano richiedere un'altrettanto complicata e sofferta risoluzione. Cosi come si è convinti che un sistema non può trovare la soluzione di un problema al suo interno, senza incorrere nella ricorsività, e provocando solo un cambiamento di tipo 1 e non certo il cambiamento di tipo 2,' che rappresenta la concreta soluzione. Quest'ultimo, infatti, richiede la fuoriuscita dal sistema, un salto di livello impossibile a farsi all'interno dello 2

Si rimanda alla lettura di P Watzlawick et al, Pragmatica della comumenzione umana, \%bl là, Change, 1974 G Bateson, Mente e natura, 1980 v_. i,a , 3 «Ci sono due tipi diversi di cam blamente uno che si verifica dentro un dato sistema il quale resta immutato, mentre l'altro - quando si verifica - cambia il sistema stesso Facciamo un esem pio di tale distinzione m termini più comportamentistici Una persona che ha un incubo può fare molte cose nel suo sogno correre, nascondersi, lottare,

strillare, saltare da un dirupo, ecc, ma n sun « cambiamento da uno qualunque ^^poium^u.mtopomb b e ma l f l n e . ^ mcu , b o ° o r a f P o t ? riferiremo a questo tipo di cambiamento come d cambiamento 1 L'unico modo di usclr f"0" *» un *>6n° '™P llca d ,cam; blamente, dal sognare ali essere desu L esser desti, evidentemente, non fa pm P*"e del s°gn0'.ma e un cambiamento a uno stato completamente diverso D ora f »anz> « riferiremo a questo tipo di cam blamente come al cambiamento 2 » (Watzlawick et al 191 A, 27)

==LE «ERESIE» DELL'APPROCCIO STRATEGICO ALLA TERAPIA

stesso sistema dove il problema è operante. A questo punto, per chiarire questo concentrato di concetti e riferimenti e cosa intendiamo con il termine di cambiamento in terapia, si richiede, a rischio di ripetizione, una citazione da Change di Watzlawick, Weakland, Fisch 1974; opera che, tra l'altro, rappresenta il testo base del nostro approccio strategico alla terapia e alla lettura del quale si rimanda per maggiori approfondimenti teorici. Infatti, crediamo che non esista miglior esempio di approccio strategico, alla soluzione dei problemi, e della sua fondamentale differenza dalle altre forme di psicoterapia, di quello rappresentato dal «problema

dei nove punti». Enunciato: i nove punti che si vedono alla figura 1 devono essere collegati da quattro linee rette senza sollevare la matita dal foglio. Il lettore che non abbia mai affrontato questo problema prenda un foglio di carta e cerchi di risolvere tale problema prima di continuare la lettura e soprattutto prima di guardare la soluzione (fig. 2). Figura 1







«Quasi tutti quelli che tentano per la prima volta di risolvere questo problema introducono, come parte della loro soluzione del problema, una ipotesi che invece rende impossibile la soluzione. L'ipotesi è che i punti formino un quadrato e che la soluzione si debba trovare dentro tale quadrato, una condizione autoimposta che non viene certo data nelle istruzioni.» Tale quadrato fa parte solo dello schema logico rigido del soggetto che racchiude il sistema delle possibili soluzioni all'interno del quadrato. «Le ragioni dell'insuccesso non vanno dunque cercate nell'impossibilità del compito, ma piuttosto nella soluzione adottata per risolverlo. Una volta creato il problema, quale che sia l'ordine o la disposizione con cui le linee vengono tracciate, alla fine ci sarà sempre almeno un punto che resta non collegato. Ciò significa che si può percorrere tutta la gamma delle possibilità del cambiamento 1 38 ==LE «ERESIE» DELL APPROCCIO STRATEGICO ALLA TERAPIA

esistenti dentro il quadrato, ma non si riuscirà mai a risolvere il compito. La soluzione è un cambiamento 2 e consiste nel-l'abbandonare il campo: la soluzione non può essere dentro se stessa perché, nel linguaggio dei Principia Mathematica, presuppone tutti gli elementi di una collezione e non può quindi farne parte.» (Watzlawick et al. 1914, 39). Il soggetto, per risolvere il problema dei nove punti, deve uscire dal proprio schema logico che lo ingabbia all'interno del quadrato autoimposto. «Sono pochissime le persone che riescono a risolvere il problema dei nove punti da sole. Quelli che non ci riescono e si arrendono di solito sono sorpresi dalla semplicità della solu-

Figura 2. Soluzione

zione (si veda la fig. 2). Ci pare evidente l'analogia con molte situazioni della vita reale. Ci siamo trovati tutti 'ingabbiati' in situazioni simili e qui ha poca importanza se abbiamo cercato di trovare la soluzione con calma e ragionevolezza, o, come è più probabile, se abbiamo finito col girare freneticamente in tondo. Ma, come si è già accennato, è soltanto da dentro la 'gabbia', nella prospettiva del cambiamento 1, che la soluzione appare un 'illuminazione improvvisa, sorprendente e incontrollabile. Nella prospettiva del cambiamento 2, la soluzione consiste semplicemente nel cambiare un insieme di premesse in un altro insieme dello stesso tipo logico. Il primo include la regola che il problema deve essere risolto dentro il presunto quadrato; il secondo invece non la include. In altre parole, la soluzione si trova esaminando le ipotesi sui punti e non i punti stessi. O, per usare termini più filosofici, è evidente che non è la stessa cosa se ci consideriamo pedine di un gioco le cui regole chiamiamo realtà oppure giocatori del gioco di cui sap==LE «ERESIE» DELL'APPROCCIO STRATEGICO ALLA TERAPIA

piamo che le regole sono 'reali' soltanto nella misura in cui le abbiamo stabilite e accettate - oltre a sapere che possiamo cambiarle.» (Watzlawick et al.1974, 39). A questo punto può essere ora utile confrontare questo tipo di cambiamento e di soluzione dei problemi con le ipotesi avanzate dalle scuole psicoterapeutiche classiche. «In genere si ritiene che il cambiamento si verifichi grazie all' insight delle cause che in passato hanno determinato il disturbo

presente. Ma, come abbiamo illustrato con il problema dei nove punti, non c'è alcuna ragione valida per compiere questa escursione nel passato; la genesi dell'ipotesi - con cui il soggetto si mette fuori strada precludendosi la possibilità di trovare la soluzione - è del tutto irrilevante; il problema si risolve qui ed ora uscendo fuori dalla 'gabbia'. A quanto pare i cli-nici sono sempre più consapevoli del fatto che se Y insight può fornire spiegazioni molto raffinate su un sistema, serve però ben poco a migliorarlo. Il che pone un'importante questione epistemologica. Si sa che i limiti di tutte le teorie derivano dalle premesse su cui le teorie si fondano. Nelle teorie psi-chiatriche il più delle volte tali limiti vengono attribuiti alla natura umana. Per esempio, nella struttura psicoanalitica l'eliminazione del sintomo, senza la soluzione del conflitto ad esso sotteso e da cui il sintomo è determinato, deve portare alla sostituzione del sintomo. E non perché tale complicazione è insita nella natura della mente umana, ma nella natura della teoria, cioè nelle conclusioni logiche che vengono tratte dalle premesse teoriche.» (Watzlawick et al. 1974, 40). Quindi dall'ottica strategica i problemi umani possono essere risolti mediante strategie focali che rompono il sistema circolare di retroazioni che mantiene il problema operante. Da questa rottura di un equilibrio disfunzionale deriverà il cambiamento del comportamento e delle concezioni del soggetto, ingabbiato nella situazione problematica. E questo perché il cambiamento dipende dalla modifica del sistema per-cettivo-reattivo, o punto di osservazione della realtà, mantenuto attivo dalle «tentate soluzioni» operate dallo stesso soggetto per risolvere tale situazione di disagio. Si deve «costringere» il paziente ad uscire dalla rigidità di ==LE «ERESIE» DELL'APPROCCIO STRATEGICO ALLA TERAPIA

prospettiva conducendolo ad altre possibili prospettive che determineranno nuove realtà e nuove soluzioni come nel problema dei nove punti. Per ottenere ciò, dunque, non è necessario il lungo e faticoso scavo nel profondo alla ricerca di un presupposto - sempre confermatorio - «trauma originario», causa della situazione problematica, rimosso il quale i problemi del paziente dovrebbero scomparire. E non è indispensabile nemmeno un lento e progressivo processo di acquisizione deWinsight alla ricerca di un ipotetico stadio di suprema coscienza di sé, risoluzione ultima di tutti i problemi. Queste sono procedure basate su concezioni di causalità lineare, di deterministico rapporto tra causa ed effetto, concezioni e convinzioni, tra l'altro, ormai superate in tutte le scienze avanzate, dalla biologia alla fisica. Occorrono, invece, prescrizioni dirette o indirette di comportamento, paradossi, trabocchetti comportamentali, suggestioni e ristrutturazioni che, rompendo la rigidità del sistema relazionale e cognitivo che mantiene la situazione problematica, facciano compiere il salto di livello logico indispensabile all'apertura di nuove vie di cambiamento, con conseguente crescita personale e nuovo equilibrio psicologico. Come afferma Milton Erickson (1973 in Watzlavick et al. 1974, 7), «la psicoterapia non si pone come obbiettivo primario di far luce sul passato, che è immutabile, ma è mossa piuttosto dall'insoddisfazione per lo stato in cui attualmente versano le cose e dal desiderio di offrire un futuro migliore. Quale debba essere la portata e la direzione del cambiamento non può saperlo né il paziente né il terapeuta. Si sa però che la situazione presente va cambiata e una volta effettuato un cambiamento, per quanto piccolo, si rendono necessari altri cambiamenti di minor importanza il cui effetto a catena provoca altri cambiamenti più importanti a seconda del potenziale del paziente. E di vitale importanza per capire il proprio comportamento e quello degli altri stabilire se si tratta di cambiamenti transito-ri, oppure di cambiamenti stabili, o di fenomeni che possono ancora evolversi dando luogo ad ulteriori cambiamenti. Gran parte del mio lavoro io l'ho considerato un modo-per facilita== M KA1 JU KAJ ALLA i J

re le correnti di cambiamento già in fermento all'interno di una persona o di una famiglia - ma sono correnti che necessitano di una spinta 'inattesa', 'illogica', 'repentina'; se si vuol farle sfociare in un risultato concreto.» La conseguenza di questa prospettiva (assoluta eresia) è che il terapeuta si assume la responsabilità di influenzare direttamente il comportamento e le concezioni del soggetto che chiede aiuto. A questo fine, nell'interesse del paziente, egli utilizza le strategie comunicative e i mezzi più efficaci per ottenere il cambiamento delle situazioni problematiche presentate. Su questo argomento ci soffermeremo puntualmente nel capitolo quarto. Tuttavia è necessario chiarire già da adesso che: A. In terapia strategica il terapeuta mantiene l'iniziativa in tutto quello che si verifica durante il trattamento e studia una tecnica particolare per affrontare ogni singolo problema. Per lui l'interrogativo primario nella pratica deve essere: quale strategia funziona meglio in un dato caso? (Haley 1976, 1). B. Si è convinti che, se una terapia funziona, certi indicatori di cambiamento debbano apparire

rapidamente, sin dalle prime battute della cura. Se ciò non avviene, molto probabilmente la strategia terapeutica utilizzata non funziona e si rende necessario cambiarla con un'altra che appaia più funzionale. C. Si richiede al terapeuta una grande elasticità mentale unita al possesso di un repertorio ampio di strategie e tecniche di intervento terapeutico che, come vedremo, provengono da settori applicativi diversi dalla classica psicoterapia. Ciò deve permettere di cambiare rotta, quando i dati fanno rilevare che si è fuori dalla direzione desiderata, e di studiare strategie ad hoc per il caso modificando, a volte, con creatività, tecniche già utilizzate con successo in altri casi simili. Come dicevamo: adattare la cura al paziente, e non il paziente alla cura.

42 ==LE «ERESIE» DELL APPROCCIO STRATEGICO ALLA TERAPIA

4. Quarta eresia È molto più difficile parlare di una cosa, che farla.

O. Wilde, Aforismi

Un'altra grande «eresia» a livello di strategie e processi di cambiamento sta nel fatto che la maggior parte delle psicoterapie, imbevute dall'idea del «cogito-centrismo» (centralità del pensiero rispetto alle azioni), partono dal presupposto che l'agire segue il pensare; di conseguenza per cambiare un comportamento distorto o una situazione problematica, sf deve prima cambiare il pensare del paziente e solo dopo si può cambiare il suo agire. Di qui la necessità dell'insight, di procedimenti di analisi della psiche, e di tutte quelle tecniche tese alla «coscientizzazione» e «razionalizzazione» dell'agire. Dal punto di vista strategico, che è poi quello del costruttivismo radicale, tale processo viene invertito. Ossia, si parte dalla convinzione che per cambiare una situazione problematica, prima si deve cambiare l'agire e di conseguenza il pensare del paziente, o meglio il punto di osservazione, o «cornice» della realtà. Qui torna alla mente von Foerster ed il suo imperativo estetico. Quando noi facciamo riferimento a nuovi apprendimenti, è proprio l'esperienza concreta che determina il cambiamento del nostro modo di percepire e reagire nei confronti della realtà. Su questo punto crediamo che l'intera opera, già citata, di Jean Piaget dimostri chiaramente come l'acquisizione di nuovi apprendimenti avvenga con un processo che va dall'esperienza alla cognizione. Solo dopo che si è prodotto il cambiamento, o il nuovo apprendimento, la cognizione permette di ripeterlo e riapplicarlo con consapevolezza. Dunque non si vuole certo negare l'influenza del pensiero e della cognizione sul!'agire, ma si sostiene che il cambiamento di una situazione percettiva-reattiva debba passare prima dalla fase dell'esperienza concreta e solo successivamente divenire bagaglio cognitivo. Naturalmente per esperienza non si intende certamente il riduttivo concetto fisicalista di azione sensorio-motoria, ma tutto ciò che noi esperiamo nella nostra 43 ==LE «ERESIE» DELL'WPROCCIO STRATEGICO ALLA TERAPIA

relazione con gli altri e il mondo. Una forte emozione determinata dalla relazione/comunicazione con un'altra persona, è ad esempio una nuova esperienza concreta, che può far spostare il punto di osservazione della realtà del paziente. Un casuale incidente nella nostra usuale routine, o una forte suggestione, possono essere altri esempi di esperienze concrete che cambiano il nostro frame di realtà, ossia la percezione-reazione a quella determinata situazione. Dunque, il terapeuta strategico è orientato pragmaticamen-te all'azione e alla prioritaria rottura del sistema di retroazione disfunzionale che il paziente vive con se stesso, con gli altri e con il mondo, mirando a questo attraverso il far vivere concretamente al paziente nuove esperienze percettive-reattive. Prima si cerca di produrre modifiche effettive nel percepi-re-agire del soggetto, per poi passare alla ridefinizione, a livello cognitivo, di ciò che è stato esperito, in una sintesi pragmatica tra influenza personale del terapeuta e

continuo incentivo all'autonomia personale del paziente. Da questa prospettiva Xinsight o i procedimenti di consapevolizzazione nei riguardi del disturbo e delle cause del problema, viene considerato, nelle prime battute della terapia, una manovra controproducente in quanto aumenta la resistenza al cambiamento. Ogni sistema, per il principio dell'omeostasi, resiste al suo cambiamento. Il renderlo consapevole del cambiamento, prima che questo avvenga, significa mettere in guardia il sistema. Perciò, come vedremo in seguito, la rottura del sistema percettivo -reattivo e delle tentate soluzioni deve avvenire di solito senza che il paziente se ne renda conto o se ne dia una spiegazione, questo al fine di aggirare la resistenza. Solo dopo aver prodotto questo cambiamento si possono spiegare e rendere consapevoli i «trabocchetti comportamentali» o i «benefici imbrogli» utilizzati. Per rendere più chiara la differenza di «procedura» e «pro-cessualità» tra la terapia strategica e gli altri approcci alla psicoterapia, è bene ricorrere ad un esempio clinico: di fronte ad un paziente agorafobico, secondo l'ottica tradizionale della psicoterapia, si procede alla esplorazione intrapsichica della paura e le sue cause nel passato; dopo di che, si spinge gra==LE

«ERESIE» DELL'APPROCCIO STRATEGICO ALLA TERAPIA

dualmente il soggetto, mediante razionalizzazioni e spiegazioni, ad affrontare completamente la paura e le situazioni scatenanti. Di solito, mediante questa processualità, si impiegano molti mesi, a volte anni, perché un soggetto si schiodi dalla sua infelice situazione. Secondo l'ottica strategica, invece, a tale paziente potrebbe essere prescritto di eseguire, in concomitanza degli attacchi di ansia o panico, un compito imbarazzante e decisamente ansiogeno; col risultato che, di solito, la persona torna al successivo appuntamento con il senso di colpa per non aver eseguito il compito assegnatogli, ma riferendo che stranamente non ha sofferto in quei giorni del sintomo per cui si era presentata in terapia. Mediante un «benefico imbroglio», che ha costretto la persona a comportarsi diversamente, si è infranto il sistema rigido di percezione della realtà che la costringeva alla risposta sintomatica. Da quel punto in avanti la persona, che lo abbia fatto consapevolmente o no, ha esperito che può dominare quella che sembrava indomabile paura e la terapia diventa rapida e subito efficace nel ridurre il sintomo. Attraverso un'esperienza concreta egli ha acquisito fiducia nella possibilità di modificare la sua personale situazione. Tornando al concetto iniziale, è l'agire o l'esperienza che produce il cambiamento, che va poi rafforzato e reso consapevole. La terapia strategica è come una partita a scacchi tra il terapeuta e il paziente con i suoi problemi, un susseguirsi di mosse tese a produrre effetti specifici. Dopo ogni «cambiamento», o risultato ottenuto, si procede ad una ridefìnizione del cambiamento stesso e della situazione in evoluzione. Il programma terapeutico si sviluppa strategia dopo strategia sulla base degli obiettivi preposti, e deve essere riorientato sulla base degli effetti osservati nell'intento di focalizzare ed applicare la strategia che può essere efficace per il determinato problema o determinato momento della terapia. Come nel gioco degli scacchi esistono particolari combinazioni di mosse nei confronti di una determinata apertura dell'avversario, nella terapia esistono particolari programmi di ==LE «ERESIE» DELL'APPROCCIO STRATEGICO ALLA TERAPIA

strategia per specifici tipi di problemi presentati dai pazienti (nel capitolo quinto vedremo due esempi). Così come esistono in ambedue i «giochi» - gli scacchi e la terapia - particolari strategie con cui reagire alle mosse dell'avversario, mosse e contromosse. Ma spesso la creatività del giocatore/terapeuta deve modificare il sistema di mosse prevedibili, per trovare nuove, inaspettate, ed apparentemente illogiche, soluzioni stra-tegiche vincenti all'interno dell'infinita gamma di combinazioni possibili in una interazione comunicativa tra due o più persone, in modo tale che la complessità del gioco e la gamma delle possibilità si amplifica e diviene enorme. Questo dovrebbe far ulteriormente riflettere il lettore sul fatto che l'approccio strategico non è una semplice serie di «ricette» efficaci, ma una prospettiva nei confronti dei problemi umani che non si interessa della definitiva estinzione di tutti i problemi della vita del paziente (chi ci riesce crediamo non appartenga alla specie umana), ma della soluzione focale dei problemi che volta per volta le persone possono incontrare nel loro cammino esistenziale. Ciò non è applicare delle semplici ricette o trucchi da prestigiatore, ma adattare creativamente ad ogni particolare individuo e contesto principi logici di formazione e soluzione dei problemi. La «processualità» della terapia si chiude con lo «scacco matto» al problema presentato all'inizio di essa, e con l'acquisizione da parte del paziente delle «procedure» per giocare e vincere autonomamente quel determinato tipo di partita. Del resto, come diceva Bateson (1972), la vita è giocare «un gioco il cui scopo è scoprire le regole, regole che cambiano sempre e non si possono mai scoprire».

46 ==Capitolo terzo

Breve storia evolutiva dell'approccio strategico

1. Origini dell'approccio strategico alla terapia Per osservare le più semplici, ma vere relazioni fra le cose sono necessarie conoscenze molto profonde. E non è strano che solo uomini straordinari tacciano quelle scoperte, che poi appaiono così facili e semplici. G.C. Lichtenberg, Libretto di consolazione

Se vogliamo risalire alle matrici dell'approccio strategico in psicoterapia possiamo scegliere tra due possibilità. La prima possibilità è quella di rifarsi non solo alla specifica ars curarteli ma di richiamarsi alla tradizione di pensiero «strategico» che ha radici molto più lontane nella storia umana. Per pensiero strategico intendiamo non una specifica scuola filosofica, ma un approccio di pensiero {liberai thinking) basato su di una irriducibile «elasticità» che nega qualunque forma di «assoluto» o di «verità» indiscutibile e che su questa base si interessa del funzionamento delle cose con atteggiamento disilluso e pragmatico. Questo è ciò a cui ci si riferisce con il termine «costruttivismo radicale». I precursori di tale stile di pensiero possiamo trovarli nell'ambito della filosofia greca dai presocratici ai sofisti e ad Epicuro, così come nel mondo orientale in alcuni dettami comportamentali del Buddismo e dello Zen. Questa corrente di pensiero ha attraversato, mediante la voce e la personalità di molti pensatori, tutta Ja storia culturale dell'umanità dai primordi ai giorni nostri. Tale prospettiva storica e filosofica sarebbe, senza dubbio, meritevole di un dotto approfondimento, ma tutto ciò esula dai fini del volume e dalla competenza degli autori. ==BREVE STORIA EVOLUTIVA DELL APPROCCIO STRATEGICO

La seconda possibilità è quella di prendere avvio direttamente dalle più recenti applicazioni specifiche al campo dei disturbi psichici e comportamentali del pensiero «strategico» o «costruttivista» relativo alla «natura umana» ed ai suoi problemi. Da questa prospettiva appare evidente che il padre della terapia strategica è, senza ombra di dubbio, Milton Erickson. Egli, durante la sua strabiliante carriera di ipnoterapeuta e psicoterapeuta durata più di quarantanni, ha messo a punto una miriade di strategie e tecniche di intervento per la risoluzione in tempi brevi delle problematiche di ordine psichico e comportamentale. Erickson, che è stato riconosciuto come la massima autorità nel campo dello studio e dell'applicazione dell'ipnosi, ha con genialità trasferito al settore di applicazione clinica le sue scoperte ed osservazioni relative ai fenomeni dell'ipnosi e della suggestione; soprattutto in relazione al particolare potere di certe tipologie di linguaggio o comunicazione terapeutica che assumono un vero e proprio ruolo di suggestioni ipnotiche capaci di condurre i pazienti a rapidi ed effettivi cambiamenti. Del lavoro di Erickson, ciò che era fino a poco tempo fa meno noto è l'approccio strategico da lui elaborato per il trattamento di pazienti singoli, di coppie e di famiglie, senza ricorrere all'uso formale dell'ipnosi; ma con uno stile sempre profondamente legato alla sua concezione dell'ipnosi come fenomeno relazionale e psicosociale, libero dunque da quella aura di mistero e «rituale magico», concezione che si esprime in un particolare stile di comunicazione terapeutica basato su raffinate forme di linguaggio verbale e non verbale. Egli non ha formulato una teoria sulla «natura umana», o meglio sulla personalità, in quanto credeva che ogni soggetto rappresentasse un essere irripetibile, con esperienze personali e con maniere di percepire ed elaborare la realtà del tutto individuali. Di conseguenza, dal suo punto di vista, anche lo studio clinico di un soggetto deve tener conto di ciò; e le strategie di intervento devono essere sempre adatte alla singola personalità del soggetto, al suo contesto relazionale ed alle sue esperienze di vita. ==BREVE STORIA EVOLUTIVA DELL APPROCCIO STRATEGICO

«La terapia strategica non è una concezione o una teoria particolare, ma un nome per quei tipi di intervento terapeutico nei quali lo psicoterapeuta si assume la responsabilità di influenzare direttamente

le persone». (Haley 1972, 8). Dalla prospettiva strategica ericksoniana non esistono pregiudizi di tipo teorico o chiusure in sistemi rigidi che pretendano di descrivere esaurientemente la natura umana, anche se appare chiaro che tale approccio alla terapia è strettamente connesso con la formulazione della teoria della comunicazione, ed in particolare con la terapia della famiglia ad indirizzo sistemico. Erickson, non essendo un teorico ma una persona decisamente pragmatica, non ha lasciato nessuno scritto relativo al suo modello personale di psicoterapia, anche se questo può essere ricavato mediante la lettura della enorme mole di articoli e studi specifici da lui pubblicati sull'ipnosi e su svariati casi cli-nici. Le sue tecniche e strategie, o se vogliamo il suo atteggiamento personale nel far terapia, rappresentano la migliore espressione dimostrativa di approccio strategico nella cura dei disagi psichici e comportamentali. Molti sono gli autori che hanno tentato di formalizzare il suo approccio terapeutico a livello teorico-applicativo. Probabilmente, però, tutti questi autori (Bandler e Grinder 1975; Bergman 1985; Haley 1967, 1973, 1985; Lankton 1983; Rabkin 1977; Ritterman 1983; Rosen 1982; Erickson, Rossi 1979,1982; Simon et al. 1985; Watzlawick 1977, 1985; Zeig 1980,1985, 1987) hanno inquadrato il lavoro di Erickson all'interno delle loro personali concezioni teorico-applicative. Di conseguenza sarebbe bene parlare di approcci alla terapia di ispirazione ericksoniana e non di una terapia di Erickson in senso stretto. In questa sede ci preme chiarire che del lavoro di Erickson viene abbracciata la formulazione e la sistematizzazione da una prospettiva interazionista o di pragmatica della comunicazione. Poiché è a questa che qui facciamo riferimento con la definizione di terapia strategica. Il modello strategico, infatti, nasce da una sintesi evolutiva tra le teorie sistemiche, lo studio sulla famiglia e sulla comunicazione operato dal gruppo di Palo Alto capeggiato da ==BREVE STORIA EVOLUTIVA DELL APPROCCIO STRATEGICO

Bateson e Jackson, e il lavoro clinico e lo studio del fenomeno ipnosi operato da Milton Erickson. Come sostiene il cibernetico von Foerster (1987), la rivoluzione copernicana degli anni cinquanta in psicologia e in psichiatria, rappresentata dalla formulazione interazionale-siste-mica, non è dovuta soltanto al lavoro di gruppo di psicologi clinici, ma è frutto dell'incrocio di scoperte innovative in varie discipline scientifiche: l'antropologia, con gli studi sulla comunicazione di Bateson, la cibernetica e la fisica con le teorie di Ashby e von Foerster ed altri, e lo studio della ipnosi clinica di Erickson. Erickson, come afferma Haley (1973), oltre ad essere il padre della terapia strategica, è stato l'ispiratore tecnico di molte delle procedure terapeutiche proprie della terapia familiare sistemica. Mentre Bateson è il padre teorico della prospettiva interazionale-sistemica in psicologia ed in psichiatria, Erickson rappresenta il maestro a cui rifarsi per le strategie di applicazione clinica e per la modifica in tempi brevi delle situazioni disfunzionali. Il suo lavoro è stato, come riferito sopra, una continua ricerca ed applicazione clinica di idee ed intuizioni che lo hanno portato a mettere a punto una messe copiosa di tecniche di intervento terapeutico che ricorrentemente vengono utilizzate in terapia strategica. Quindi in termini di formulazione teorica il modello psicologico qui presentato può essere anche definito sistemico-strategico, in quanto riteniamo decisamente complementari l'approccio alla terapia sistemica di Palo Alto e le procedure operative di Erickson. Infatti sulla base delle citate innovative scoperte ed esperienze, si sviluppò una nuova concezione nei confronti della realtà e della sua percezione da parte degli individui, e di conseguenza venne a crearsi un nuovo modo di vedere le problematiche di ordine psicologico e psichiatrico, in relazione soprattutto alla formazione e alla risoluzione dei disturbi. In questa sede faremo riferimento, per motivi di spazio, soltanto ad alcuni punti della suddetta voluminosa formulazione teorico-applicativa, analizzando in particolare la sua evoluzione sino all'attuale modellizzazione di approccio strategico alla terapia. ==BREVESTORIA EVOLUTIVA DELL'APPROCCIO STRATEGICO

2. La rivoluzione sistemica in psicoterapia Alla base della formulazione sistemica e della conseguente prassi applicativa in psicoterapia, sta la riflessione relativa al fatto che, come altre concettualizzazioni scientifiche, le classiche teorie psicologiche e psichiatriche sono imbevute dell'epistemologia del loro tempo e possiedono tutte «l'inconfondibile caratteristica di una teoria fondata sulla prima legge della termodinamica per la loro attenzione quasi esclusiva ai fenomeni di conservazione e trasformazione di energia. Il concetto di causalità sotteso a tali modelli è necessariamente di tipo lineare, unidirezionale» (Watzlawick 1976, 7) per cui un evento A determina un evento B, e B produrrà C e così in avanti dal passato, al presente, al futuro. In modo tale che da questa prospettiva teorica ogni tipo di spiegazione o indagine su di un evento dovrà ricorrere

all'analisi del passato, in quanto questo rappresenta la causa del presente. Solo la comprensione del passato, secondo questo tipo di teorie, può condurre alla comprensione e all'eventuale modifica del presente. Ma all'inarca intorno agli anni cinquanta una epistemologia diversa ha guadagnato sempre più consensi all'interno della comunità scientifica. Questa, «piuttosto che basarsi sul concetto di energia e sulla conseguente causalità unidirezionale, è fondata sul concetto di informazione cioè di ordine, modello, entropia negativa, in questo senso sulla seconda legge della termodinamica. I suoi principi sono cibernetici, la sua causalità è di tipo circolare, di natura retroattiva, e nel momento in cui l'informazione ne costituisce l'elemento centrale, è rivolta a processi comunicativi di sistemi intesi in senso più ampio e pertanto anche sistemi umani, ad esempio famiglie, vaste organizzazioni e perfino relazioni internazionali.» (Watzlawick 1976, 8). Se si osserva il comportamento di un individuo in termini sistemici e cibernetici, vale a dire considerando le entità personali non oggetti a sé stanti, dotati di un proprio «determinato» schema evolutivo e comportamentale, ma entità che interagiscono all'interno di un sistema di relazioni o contesto, connotato da un continuo e reciproco scambio di informazio==BREVE STORIA EVOLUTIVA DELL'APPROCCIO STRATEGICO

ni tra le singole entità che si influenzano vicendevolmente, si modifica completamente la prospettiva classica di studio della personalità e del comportamento umano. L'analisi della persona, in sé, non in funzione delle sue relazioni con le altre persone e con il contesto situazionale, appare insostenibile. Come in matematica un numero esiste solo in rapporto alla sua funzione in un contesto operazionale e nella sua relazione con altri numeri, così la singola persona esprime se stessa ed il suo comportamento in funzione delle sue interazioni con altre persone e con l'ambiente che lo circonda. A questa considerazione di ordine generale dobbiamo aggiungere il concetto di retroazione, ossia la peculiarità di tutti gli esseri viventi all'interno di un sistema di comunicazione di non essere meri emittenti o bersagli di informazione, ma di dare e ricevere sempre una retroazione (feedback) nei confronti del messaggio emesso o ricevuto. La retroazione è quel messaggio di ritorno all'emittente che stabilisce un gioco circolare di informazioni ed influenze reciproche tra emittente e ricevente del primo messaggio. In modo tale che viene a prodursi una forma di causalità circolare all'interno della quale non esiste un mero rapporto di causa ed effetto tra il primo emittente del messaggio ed il ricevente, ma una forma più complessa di causazione reciproca tra le variabili in gioco in una relazione. Si supera così il deterministico concetto di uni-direzionalità e causalità lineare, che può essere espresso graficamente come segue: B favore di una concezione non deterministica in accordo con le teorie epistemologiche contemporanee di causalità circolare, che può essere espressa ancora graficamente come segue: nella quale il processo assume una forma circolare di riverbeD

==BREVE STORIA EVOLUTIVA DELL'APPROCCIO STRATEGICO

razione mediante le reciproche retroazioni tra le variabili. Una volta innescato tale processo circolare, non esiste più un inizio ed una fine ma solo un sistema di reciproca influenza tra le variabili. Da qui l'esigenza di studiare il fenomeno nella sua globalità, tenendo sempre presente che ogni variabile si esprime in funzione del suo rapporto con le altre variabili ed il contesto situazionale. Ne consegue la constatazione che la somma delle singole parti non è uguale all'insieme. E che l'isolamento di una singola variabile per lo studio delle sue caratteristiche conduce inesorabilmente ad un riduttivismo e a distorsioni conoscitive, che non possono rappresentare interamente le prerogative della singola variabile, né può portare alla ricostruzione dell'intero processo relazionale. Quindi si ha l'esigenza di studiare i fenomeni interattivi, poiché sono essi che determinano, insieme alla peculiarità delle variabili, l'esprimersi del processo in corso e l'espressione di ogni singola variabile. È solo mediante la rilevazione di questa dinamica interattiva e delle regole che la governano che si può ottenere una rappresentazione corretta dei singoli fenomeni e della loro matrice. Da questi riferimenti teorici appare evidente la prospettiva innovativa e alternativa della teorizzazione sistemica rispetto alle classiche concezioni psicologiche e psichiatriche, tutte orientate verso l'analisi dell'intrapsichico e del passato remoto come cause deterministiche ed unidirezionali del comportamento presente di una persona. In tal modo si passò ad un modo di concettualizzare gli eventi completamente nuovo, anzi

rivoluzionario rispetto alle vecchie concezioni. Ciò, come riferito, avvenne all'interno di diverse discipline scientifiche e grazie a questo si giunse ad un alternativo ed innovativo modo di concettualizzare i problemi umani, che trovò la sua espressione in psicoterapia nella terapia familiare-sistemica. Modello di intervento terapeutico, questo, in cui l'attenzione principale è rivolta alla comunicazione e al momento attuale del suo esprimersi e non più diretto all'analisi delle cause del passato. ==BREVE STORIA EVOLUTIVA DELL'APPROCCIO STRATEGICO

Colui che fu senza dubbio l'ispiratore di questa nuova con-cettualizzazione fu Gregory Bateson, il quale, insieme al suo gruppo di ricerca ed in collaborazione con D. D. Jackson, formulò e applicò tali tesi al campo applicativo psicologico e psichiatrico. Questa équipe trasferì i principi cibernetici e antropologici allo studio delle famiglie con un componente emotivamente disturbato. Nacque così, da rilevazioni empiriche e da uno spostamento di prospettiva teorica (dalla classica ottica psichiatrica che inquadra il comportamento disfunzionale all'interno dei quadri clinici, alla prospettiva antropologica che cerca di spiegare la funzione ed il funzionamento di quel comportamento nel suo contesto specifico), l'ipotesi poi divenuta teoria che alla base del disturbo «psichico» vi fosse la comunicazione disfunzionale tra il soggetto disturbato e gli altri membri del suo gruppo di riferimento primario. In tal modo si spostò l'attenzione dal singolo, considerato come struttura a sé, all'individuo visto come sistema, interagente con gli altri sistemi, all'interno di un sistema di relazioni più complesso e strutturante («il comportamento psicopatologico non esiste nell'individuo isolato, ma è solo un tipo di interazione patologica tra individui» [Watzlawick et al. 1967]). In maniera tale che in psicoterapia si passò dall' intrapsichico al relazionale. Dalle analisi a ritroso del passato allo studio delle regole che governano l'interazione nel qui ed ora, dalla domanda relativa ai perché del problema a quella relativa al cos'è e al come modificare il problema presente, dalla estrema passività del terapeuta all'attivismo e all'uso dell'influenza personale nella prassi clinica di cambiamento di una situazione problematica. Quindi la terapia viene intesa come uno studio attento della comunicazione interpersonale volto a modificare, attraverso azioni o prescrizioni dirette a volte paradossali, o apparentemente illogiche, il sistema relazionale disfunzionale operante in quel gruppo di persone. «È possibile, studiando la comunicazione, individuare delle 'patologie' della comunicazione e dimostrare che sono esse a produrre interazioni patologiche. Può capitare ad un indivi==BREVE STOMA EVOLUTIVA DELL'APPROCCIO STRATEGICO

duo di trovarsi sottoposto a due ordini contraddittori convogliati attraverso lo stesso messaggio: un messaggio paradossale. Se la persona non può svincolarsi da questo doppio legame, la sua risposta sarà un comportamento interattivo patologico.» (Watzlawick et al. 1967) È questo l'esempio tipico del famoso costrutto di double bind che proprio il gruppo di Bateson aveva rilevato presente come forma di comunicazione disfunzionale in quelle famiglie a transazione psicopatologica. Un soggetto imprigionato all'interno di un tale sistema di comunicazione, in qualunque modo risponda alla ingiunzione, entra comunque in stato di dissonanza e colpa; in quanto la struttura del messaggio ricevuto non gli da la possibilità di trovare una via di uscita non ansiogena o non colpevolizzante. Questo costrutto che sta alla base della concettualizzazione della terapia familiare sistemica ha dimostrato di possedere, come Giannattasio, Nencini (1983) riferiscono, un grande ed effettivo potere euristico, ossia un significato predittivo e non solo confermatorio a posteriori come molti altri concetti in psicoterapia. Oltre a questo famoso costrutto, il gruppo capeggiato da Bateson e Jackson - quest'ultimo fondatore e primo direttore dell' MRI di Palo Alto - rilevò molte altre tipologie interattive con effetti simili al double bind: tattiche, giochi, simmetrie ed altri meccanismi di comunicazione che inducono un soggetto, di solito il più fragile del gruppo, alla strutturazione di un comportamento psicopatologico. Da queste osservazioni empiriche e dalla loro formulazione teorica derivò il modello di trattamento familiare che si basa proprio su interventi terapeutici mirati a sbloccare le situazioni di continua riverberazione di un sistema di comunicazione disfunzionale. Tali interventi si basavano spesso sull'utilizzo di messaggi paradossali, come la «prescrizione del sintomo» ed altri procedimenti, come i doppi legami terapeutici ecc. Una delle innovazioni rivoluzionarie portate dalla terapia sistemica nella prassi clinica rispetto alle altre forme di psicoterapia è rappresentata, inoltre, dall'uso dello specchio unidirezionale e dalla videoregistrazione delle sedute. Queste due caratteristiche ci offrono la possibilità di sottolineare ancora

==BREVE STORIA EVOLUTIVA DELL'APPROCCIO STRATEGICO

una volta la correttezza metodologica ed epistemologica dell'approccio sistemico, sia a livello di ricerca che a livello delle procedure di intervento terapeutico. Il gruppo di Palo Alto, sin dallo studio preliminare delle famiglie a transazione psicopatologica, aveva utilizzato, nello stile antropologico di Bateson, la ripresa filmata e lo studio attento delle interazioni da parte dell'intero gruppo dei ricercatori. Nel mettere poi a punto la strategia di intervento terapeutico sulla famiglia, questo gruppo aggiunse la tecnica dello specchio unidirezionale abitudine alla registrazione filmata per studiare bene i fenomeni in questione, in modo tale che il gruppo dei ricercatori poteva osservare direttamente lo svolgersi della seduta e suggerire al terapeuta strategie o prescrizioni mediante un interfono. Cosicché la seduta è condotta, in pratica, non solo dal terapeuta che vive in prima persona l'interazione terapeutica, ma dall'intera équipe composta dallo stesso terapeuta e il gruppo seduto dietro lo specchio. Tutto ciò garantisce senza dubbio una prassi terapeutica più sistematica e controllata, che poggia il suo esprimersi sul lavoro di un gruppo. Inoltre la videoregistrazione permette lo studio a posteriori dell'interazione clinica con la possibilità di avere sottomano il materiale reale e obiettivo, per la messa a punto delle strategie di intervento. Si può capire bene come questa prassi metodologica, sia in terapia che in ricerca clinica, si distingua nettamente da tutte le altre forme di prassi tipiche di altri modelli di psicoterapia nei quali è assolutamente vietato entrare nel setting, tipi di terapia nei quali, per saperne di più, ci si deve accontentare del resoconto del terapeuta. Il quale, per quanto onesto, metterà in risalto nella sua relazione i particolari rilevati nel suo lavoro, ma perderà gran parte delle informazioni che si possono trarre dall'osservazione diretta dell'interazione terapeutica. In modo tale che verrà dato peso solo ad una parte del lavoro considerando poco il resto, e la parte considerata sarà probabilmente quella più in assonanza con la teoria psicologica a cui il terapeuta fa riferimento. Chi ha pratica di ricerca osservativa, sa bene quanto sia difficile raccogliere dati, in modo obiettivo, anche osservando ==BREVE STORIA EVOLUTIVA DELL'APPROCCIO STRATEGICO

una situazione dal di fuori di essa; immaginiamo quindi quanto sia particolarmente difficile operare allorché l'osservatore sia completamente coinvolto nell'interazione terapeutica; con il risultato che quest'ultima forma di «osservazione partecipante» conduce molto spesso a notevoli distorsioni nella rilevazione dei dati, e il più delle volte alla conferma delle ipotesi teoriche del terapeuta. Come diceva Einstein, «è la teoria che determina ciò che osserviamo». Le affermazioni teorico-applicative del modello sistemico, invece, si basano su studi empirici dell'interazione familiare e di quella terapeutica eseguiti mediante le procedure sopra descritte. Di conseguenza si può affermare che tale formulazione è costruita su dei criteri epistemologici rigorosi rispetto alle recenti evoluzioni della filosofia della scienza. Così come si può dire che essa si basa, nella sua procedura di studio e ricerca, su strumenti e metodologie attendibili e verificabili; e ciò a differenza della maggior parte degli altri modelli psicologici e psichiatrici. 3. Dalla terapia familiare alla terapia strategica

Dopo questo succinto riferimento alla nascita e all'evoluzione della terapia sistemica, il lettore può meglio capire come queste teorie e prassi applicative si incrocino con gli studi sull'ipnosi e la prassi clinica di Milton Erickson. E come dicevamo sopra, a riguardo delle strategie di cambiamento, si abbia un connubio tra il lavoro del grande ipnotista e la formulazione teorico-applicativa del gruppo di Palo Alto. A questo riguardo è da ricordare che, all'interno del famoso progetto sullo studio della comunicazione di Gregory Bateson, Jay Haley e John Weakland studiarono a lungo il tipo di comunicazione terapeutica di Erickson, le sue strategie terapeutiche, nonché le sue idee riguardo alle problematiche psicologiche e psichiatriche. Erickson, in quegli anni, era nella fase culminante della sua carriera di ipnotista e psicoterapeuta, ma soprattutto era famoso per le sue quasi miracolose terapie, che si basavano su strategie non comuni e decisamente in contrasto con le classiche procedure psicoterapeutiche, dalle ==BREVE STORIA EVOLUTIVA DELL'APPROCCIO STRATEGICO

quali si distinguevano non solo per originalità operativa, ma anche per efficacia ed efficienza. Queste

caratteristiche del suo modo di praticare terapia gli avevano creato attorno una fama quasi di mago, che gli attirò addosso le ire e le accuse da parte della tradizionale medicina e psichiatria americana di quel periodo, la quale probabilmente lo considerava una presenza «perturbante». Il modo di praticare psicoterapia di Erickson rappresentò per il gruppo fondatore della prospettiva sistemica un materiale clinico fondamentale. Fu rilevato, infatti, che il grande terapeuta aveva, a livello intuitivo ed empirico, messo a punto ed utilizzato strategie terapeutiche che rappresentavano l'applicazione diretta e antecedente di molte delle formulazioni teorico-applicative che il gruppo di Bateson e Jackson aveva formalizzato a livello di modello. Ad esempio venne osservato che Erickson, basandosi sulla sua esperienza di ipnotista, utilizzava in terapia forme di azioni e prescrizioni paradossali mettendo in atto da grande maestro forme di «doppio legame» terapeutico; che usava la sorpresa e Y utilizzazione della resistenza come tecniche terapeutiche; e che, come un grande illusionista, metteva il paziente in una situazione tale in cui l'unica via possibile era il superamento del problema presentato. Dunque egli, attraverso l'uso dell'ipnosi, era giunto ad esprimere in modo eccezionale e personalizzato una forma di psicoterapia in completa assonanza con la formulazione teorica interazionale e sistemica. Un approccio che gli permetteva di curare con successo, e in tempi brevi, singoli individui, coppie e famiglie. Su tali basi e su esperienze decennali di applicazione terapeutica delle riferite teorie della comunicazione, l'approccio strategico alla terapia è venuto a consolidarsi gradualmente come una specifica prospettiva teorica-applicativa che rappresenta un'evoluzione della terapia familiare. Rispetto alla classica terapia familiare-sistemica, la differenza risiede nella maggiore focalizzazione dell'attenzione sul problema presentato, su ciò che lo mantiene e su come modificare rapidamente la situazione, piuttosto che sull'interazione familiare e sulla riorganizzazione di tale sistema relazionale. ==B REVESTOR IA EVOLUTIV A DELL'APPROCCIO STRA TEGICO

Ma ovviamente le due prospettive si intersecano spesso e risultano complementari. Infatti, di solito, mediante la risoluzione del problema presentato dal paziente/i l'interazione familiare viene a modificarsi così come, modificando il sistema relazionale, si può risolvere lo specifico problema. L'interrogativo fondamentale per il terapeuta deve essere: quale strategia può funzionare meglio per il determinato problema? Su questa base deciderà se incontrare il singolo paziente o la famiglia, se intervenire direttamente sul sistema familiare o lavorare solo sul soggetto, dopo aver compreso il funzionamento dell'intero sistema. Detto ciò, si deve anche chiarire che non esiste un unico modello di terapia strategica; infatti, nell'ambito dell'approccio strategico alla terapia, si sono evoluti modelli differenti di intervento terapeutico. Tuttavia, operando un raggruppamento sintetico, i due modelli più consolidati e che hanno influenzato maggiormente il pensiero e il lavoro degli autori strategici, sono quello di Haley (1967, 1973, 1976; Montalvo e Haley 1973; Madanes 1981) ed il modello MRI di Palo Alto (Weakland, Fisch, Watzlawick, Bodin 1974; Watzlawick, Weakland, Fisch 1974; Watzlawick 1977; Herr e Weakland 1979; Fisch, Weakland, Segai 1982). Ambedue i modelli emergono dalle esperienze di autori che hanno fatto parte dell'originario gruppo Bateson per lo studio della comunicazione, e che hanno avuto uno stretto e collaborativo contatto con Milton Erickson; autori che sulla scorta di queste esperienze e sulla base del loro personale lavoro di terapeuti e ricercatori hanno formalizzato due approcci strategici che risultano essere per molti aspetti in assonanza ma differenziati per alcune peculiarità teorico-applicative che cercheremo di riassumere brevemente in questa sede. Per Haley e il suo gruppo il problema è determinato soprattutto dall'incongruenza gerarchica all'interno della famiglia e dalle conseguenti sequenze disfunzionali di atti connotati da alleanze e giochi di potere. Il sintomo è ritenuto una metafora del problema e ne rappresenta anche la soluzione, sebbene insoddisfacente, operata dal soggetto. La terapia si incentra sulla gestione del potere (i sintomi ==BREVE STORIA EVOLUTIVA DELL APPROCCIO STRATEGICO

stessi sono considerati strumenti di potere) mediante la riorganizzazione delle gerarchie all'interno del sistema familiare. Il terapeuta si inserisce direttamente all'interno del gioco di potere familiare e cerca deliberatamente di riorganizzarlo in maniera più funzionale (Haley 1976, 80). «Un modo di concepire l'approccio è quello di impartire direttive che puntino direttamente alla meta, come, ad esempio, quella di accompagnare a scuola il bambino riluttante. Per quelle famiglie in cui l'intervento diretto non dovesse sortire alcun effetto, il terapeuta ripiega su un progetto alternativo che motiverà la famiglia al raggiungimento dell'obbiettivo. Se anche questo non dovesse produrre l'effetto desiderato, egli tenterà ancora una strada.» (Madanes 1987, 40)

Lo stile terapeutico è marcatamente direttivo. Questo approccio considera fondamentale «il superamento delle crisi di passaggio situate a vari stadi della vita familiare». «Haley (1973) ha individuato sei stadi successivi: a. il periodo del corteggiamento; b. il periodo iniziale del matrimonio; e. la nascita e il rapporto con il figlio; d. il periodo intermedio del matrimonio; e. il distacco dei genitori dai figli; f. il pensionamento e la vecchiaia. Di particolare interesse per questo approccio è il momento in cui un giovane abbandona la casa paterna (Haley 1980). Si reputa che i gravi fenomeni patologici (schizofrenia, delinquenza, tossicodipendenza ecc.) che frequentemente si verificano in questa fase siano il frutto delle difficoltà che l'essere umano incontra nel momento in cui considera chiuso uno stadio nel ciclo della propria esistenza. Infatti tutte le categorie diagnostiche tradizionali, considerate nel contesto della situazione familiare dell'individuo, vengono ridefinite in termini di difficoltà nel progredire da una fase all'altra del ciclo vitale.» (Madanes 1987, 35) I problemi o sintomi sono visti come modalità comunicative tra individui all'interno di un determinato contesto sociale, i sistemi patologici vengono descritti in termini di gerarchie malfunzionanti che devono essere riorganizzate in un assetto ==BREVE STORIA EVOLUTIVA DELL APPROCCIO STRATEGICO

funzionale. Dalla prospettiva dell'MRl, il problema è determinato dal meccanismo di azioni e retroazioni innescato e mantenuto dalle «tentate soluzioni» utilizzate dal paziente/i nel fronteggiare i disturbi o sintomi presenti. Il focus terapeutico è rivolto all'osservabile ciclo di interazioni ripetute nel tempo che mantengono e rinforzano il problema. Il terapeuta deve interrompere questi pattern ridondanti di interazione disfunzionale e sostituirli con pattern funzionali. Da questa ottica è ritenuta fondamentale la concettualizzazione che ha il paziente/i del suo problema e cosa egli ha tentato di fare, su questa base concettuale, per risolvere tale problema. In altri termini, il terapeuta deve ottenere una chiara descrizione del problema o delle «tentate soluzioni» e delle reazioni ad esso. Dopo di che egli studierà la strategia di intervento sulla base di tali dati «diagnostici» ed in accordo con le idiosincrasie del soggetto/i in trattamento. L'intervento, nella maggior parte dei casi basato su prescrizioni di comportamento, deve interrompere e alterare il ciclo ripetitivo di perpetuazione del problema. Secondo il gruppo dell'MRl, anche il minimo cambiamento all'interno di un sistema rigido produce una reazione a catena che finisce con il modificare l'intero sistema. Da questa prospettiva, nel costruire il programma terapeutico e le strategie si deve essere orientati su obiettivi apparentemente minimi. Ciò offre il vantaggio di ridurre notevolmente la resistenza al cambiamento del paziente/i. Come ha descritto la Hoffman (1981), il modello Brief Therapy dell'MRl è connotato da un'economia e parsimonia elegante di intervento. «Se il terapeuta identifica bene la sequenza all'interno della quale il sintomo è una parte vitale, un piccolo cambiamento accuratamente studiato può essere abbastanza da produrre un grande effetto». (1981, 213) La direttività del terapeuta è molto sottile e mascherata, basata su di una apparente non-direttività e one-down position. Anche le prescrizioni e direttive terapeutiche sono nella maggior parte dei casi mascherate o coperte, apparentemente orientate ad un banale effetto; ma in realtà finalizzate ad un ==BREVE STOMA EVOLUTIVA DELL'APPROCCIO STRATEGICO

reale e concreto cambiamento della situazione problematica. In sintesi conclusiva possiamo affermare che, nei due modelli, le stesse procedure terapeutiche tipiche dell'approccio strategico alla terapia molto spesso vengono orientate verso differenti focus determinati dalle differenti concezioni degli autori riguardo a ciò che mantiene operante il problema. Il modello di terapia esposto nel presente volume è inteso, alla luce degli oltre venti anni di applicazione delle suddette formulazioni e grazie agli apporti più recenti della ricerca in campo terapeutico (soprattutto riguardo all'efficacia ed efficienza delle strategie orientate al cambiamento delle situazioni problematiche), come una sintesi evolutiva dell'approccio strategico alla terapia. ==Capitolo quarto ha prassi clinica in terapia strategica: processualità e procedure

Non posso certo dire se sarà meglio, quando sarà diverso, ma posso dire è necessario che cambi, se deve migliorare G.C Lichtenberg, Libretto di consolazione

Prima di inoltrarci nell'esposizione della prassi clinica, è bene ribadire alcuni basilari concetti del nostro approccio alla terapia. La relazione tra terapeuta e paziente, in terapia strategica, non è una sorta di «amicizia a pagamento», né tanto meno è un rapporto di «consolazione» o di «confessione», ma è una sorta di partita a scacchi tra il terapeuta ed il paziente con i suoi problemi. Come nel gioco degli scacchi ci sono: un sistema di regole del gioco, un processo di fasi evolutive ed una serie di consolidate strategie per specifiche situazioni al fine di portare a conclusione con successo la partita. In questo capitolo verrà esposta, puntualmente, in analogia con i manuali di scacchi, la usuale «processualità» della terapia, dal primo incontro tra terapeuta e paziente alla conclusione del trattamento. All'interno di tale presentazione saranno anche presentate in dettaglio una serie di consolidate strategie e specifiche tecniche terapeutiche, ossia saranno esposte le usuali procedure dall'apertura della partita allo scacco matto conclusivo. Certamente non vogliamo con ciò essere esaustivi riguardo al repertorio delle possibili strategie applicative, in quanto le combinazioni di mosse e contromosse in una partita sono illimitate e dipendono dalla interazione tra i due giocatori, terapeuta e paziente nel nostro caso. Bisogna però ricordare che esiste un'importante dimensione per la quale l'analogia tra terapia e gioco degli scacchi non è sostenibile, per la quale addirittura si entra in una stridente imparagonabilità; questa è rappresentata dalla fondamentale ==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

caratteristica dei due tipi di «gioco». Gli scacchi sono un gioco a «somma uguale a 0» (von Neumann 1944), ossia un gioco che prevede obbligatoriamente un vincitore e un vinto; mentre la terapia è un gioco «a somma diversa da 0», ossia un gioco nel quale non esistono vincitori e vinti, ma obbligatoriamente vincono o perdono entrambi i giocatori. Infatti, se il terapeuta riesce a risolvere i problemi del paziente, aggirando la sua resistenza al cambiamento, entrambi ne escono vincenti; il terapeuta soddisfatto di sé professionalmente ed il paziente contento per essersi liberato dei suoi problemi. Se la terapia fallisce ed egli perde la partita, entrambi sono perdenti in quanto il paziente si tiene i suoi problemi irrisolti ed il terapeuta la frustrazione e la delusione professionale. Perciò riteniamo che, qualunque strategia il terapeuta utilizzi per vincere il più rapidamente possibile la sua partita con i problemi del paziente, anche quando utilizza forme manipolative, ciniche ad apparentemente disumane di strategia, questa assuma un profondo valore etico. La processualità e le procedure della terapia

La terapia strategica è un intervento terapeutico usualmente breve, 4 orientato all'estinzione dei sintomi e alla risoluzione del problema/i presentato dal paziente/i. Questo approccio non è una terapia comportamentista ma una ristrutturazione e modifica del modo di percepire la realtà e le derivanti reazioni comportamentali del paziente/i. I terapeuti strategici partono dalla convinzione che la risoluzione del problema richieda la rottura del sistema circolare di retroazioni che mantiene la situazione problematica, la ridefinizione della situazione e la conseguente modifica delle percezioni e delle concezioni del mondo che costringono la persona alle risposte disfunzionali. Da questa prospettiva, il ricorso a notizie o informazioni sul Per terapia breve intendiamo qui un

intervento con durata sotto le venti sedute.

==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

passato o sulla cosiddetta «storia clinica» del soggetto rappresenta solo un mezzo per poter mettere a punto le migliori strategie di risoluzione degli attuali problemi, e non una procedura terapeutica come in psicoanalisi. Il terapeuta, sin dal primo incontro con il paziente, invece che studiare il suo passato focalizza l'attenzione e la valutazione su:

a. cosa avviene all'interno dei tre tipi di interazione interdipendenti che il soggetto vive con se stesso, con gli altri e con il mondo; b. come il problema presentato funziona all'interno di tale sistema relazionale; e. come il soggetto ha cercato sino ad ora di combattere o risolvere il problema (tentate soluzioni); d. come è possibile cambiare tale situazione problematica nella maniera più rapida ed efficace. Dopo aver costruito una o più ipotesi sui punti citati, e dopo aver concordato con il paziente/i gli obiettivi della terapia, mette a punto e applica le strategie per la risoluzione del problema presentato. Se il trattamento funziona si osserva, di solito, una netta riduzione sintomatica, sin dalle prime battute della cura, ed un progressivo cambiamento nel paziente nelle maniere di percepire se stesso, gli altri e il mondo. Ciò sta a significare che il suo punto di osservazione della realtà gradualmente si sposterà dalla rigidità, tipica del sistema percettivo-relazionale che manteneva la situazione problematica, verso un'elasticità di percezione e disposizione nei confronti della realtà, con un progressivo innalzamento dell'autonomia personale e dell'au-tostima dovuta alla constatazione della possibilità di risoluzione del problema. A questo punto, passando alla trattazione stadio per stadio della terapia, per meglio esporre la processualità, possiamo schematizzare le sue fasi come segue: Scheda riassuntiva delle fasi del trattamento' 5

Questa scheda è una rielaborazione

to da Weakland et al 1974 e da Nardone delle fasi del trattamento strategico trat-

1988.

==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

1.primo contatto e costruzione della relazione terapeutica; 2.definizione del problema (sintomi, disturbi, conflitti); 3.accordo sugli obiettivi della terapia; 4.individuazione del sistema percettivo-reattivo che mantiene il problema; 5.programmazione terapeutica e strategie di cambiamento; 6.conclusione del trattamento. Qui di seguito tratteremo per esteso ognuna di queste sei fasi della terapia; per una diretta esplicitazione rimandiamo all'esposizione dei casi clinici. 1. Primo incontro e costruzione della relazione terapeutica II primo contatto con il paziente è un momento molto importante del trattamento - già Aristotele diceva che un buon inizio è metà del lavoro. In questa fase di apertura della terapia l'obiettivo primario è quello di creare una relazione interper-sonale connotata da contatto, fiducia e suggestione positiva, all'interno della quale condurre l'indagine diagnostica e le prime manovre di acquisizione di potere di intervento. A questo fine la strategia fondamentale è quella di osservare, imparare e parlare il linguaggio del paziente. In altre parole, il terapeuta deve entrare in sintonia con le modalità rappresentazio-nali della persona che sta chiedendo aiuto. Ciò significa che deve adattare il proprio linguaggio e le proprie azioni alle «immagini del mondo» e allo stile comunicativo del paziente. Ad esempio, se quest'ultimo è una persona razionale e fortemente legata a categorie logiche, il terapeuta dovrà parlare e agire in termini estremamente logici e razionali, senza alcun volo pindarico; se invece si trova davanti una persona fantasiosa e poetica dovrà parlare e agire in termini fantasiosi, creativi e poco legati a categorie rigidamente logiche. Come si può ben capire, questa manovra iniziale è il contrario di ciò che avviene usualmente in psicoanalisi, dove è il paziente che deve apprendere il linguaggio e le teorie psicoanalitiche per essere introdotto e procedere nella cura. Dalla nostra prospettiva, questa prima mossa è fondamentale perché è mediante l'accettazione di ciò che il paziente ci ==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

offre e parlando il suo stesso linguaggio che si stabilisce quel clima di contatto interpersonale e quella suggestione positiva che rende possibile «manipolare» e dirottare le sue azioni: in altre parole, assumere potere terapeutico ed aggirare la resistenza al cambiamento. Come quando un buon venditore, per riuscire a far acquistare la sua merce, accetta tranquillamente ogni affermazione del cliente, lo segue con disponibilità nelle sue pretese senza contraddirlo, fino a condurlo con pazienza ad acquistare, tramite una sorta di persuasione passiva, la sua merce, utilizzando questa tecnica con il deprecabile fine di abbindolare le persone. Un buon terapeuta, nel primo contatto con il paziente, deve fare più o meno la

stessa cosa ma con il fine positivo di indurlo ad acquistare grande motivazione e fiducia, dargli suggestione positiva e condurlo senza negare le sue convinzioni ad eseguire nel prosieguo della terapia azioni anche completamente contrarie alle sue attuali concezioni. Per una più approfondita trattazione di questa strategia comunicativa in terapia si rimanda a p. 76, mentre in questa sede procediamo alla descrizione della seconda fase del trattamento che è, tra l'altro, contemporanea e si interseca con la prima. 2. Definizione del problema Nel procedere nella maniera sopradescritta, ai fini di un'indagine focale delle problematiche presentate dal paziente, è fondamentale chiarire in maniera concreta il problema ed il sistema interattivo disfunzionale che lo mantiene. Sin dalla prima seduta il terapeuta deve focalizzare le problematiche, basandosi sull'osservazione della persona e sull'esplicazione da parte di questa del suo disturbo nel modo più chiaro e definito possibile, in modo da identificare concretamente le matrici pragmatiche del presente problema. A volte questa operazione non risulta facile da eseguire in tempi brevi, le persone spesso sono vaghe nel descrivere i loro problemi ed è necessario approfondire bene la conoscenza della realtà che il soggetto vive, prima di poter definire insieme a lui il problema e passare alla fase più attiva del trattamento. Ma questo non deve ==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

far entrare in crisi il terapeuta, perché le sedute di chiarificazione del problema, se eseguite seguendo la tecnica sopracitata del «ricalco»6 dello stile comunicativo della persona in trattamento, sono già vere e proprie forme di intervento terapeutico, e non è raro osservare già in questa prima fase esplorativa dei miglioramenti sintomatici. A tal riguardo, è utile ricordare ai clinici il famoso «effetto Hawthorne»/ fenomeno che gli psicologi sociali conoscono bene, per riflettere su come il solo fatto di sapere che qualcuno si sta prendendo cura di noi possa influenzare positivamente la nostra situazione. Inoltre, una volta avuta una immagine più chiara e concreta del problema, sarà molto più agevole trovare la soluzione più rapida ed efficace; quindi il tempo apparentemente perduto nella fase cosiddetta diagnostica verrà recuperato nella fase prettamente operativa. Riguardo alla definizione e valutazione del problema presentato, il terapeuta deve tener conto di alcune caratteristiche generali dei problemi umani che permettono di analizzare e di inquadrare meglio la specifica situazione che egli si trova a fronteggiare. Secondo Greenberg (1980), esistono tre categorie generali di problematiche nelle quali le persone si dibattono: a. l'interazione tra il soggetto e se stesso; b. l'interazione tra il soggetto e gli altri. A queste due categorie generali noi aggiungiamo una terza categoria di problematiche: e. l'interazione tra il soggetto e il mondo. Intendendo per mondo l'ambiente sociale, i valori e le norme che regolano il contesto nel quale il soggetto vive. A nostro parere, se anche una sola di queste tre categorie di interazione non funziona bene, anche le altre vengono ad 6

Bandler e Grinder (1975) hanno così pubblicata nel 1933. In questo lavoro gli definito la strategia comunicativa del autori hanno dimostrato l'effetto strabi- parlare il linguaggio del paziente. Vedi p. liante che può avere l'aspettativa creata 76. da chi si propone come colui che miglio7 II cosiddetto effetto Hawthorne è il rerà la situazione degli utenti del suo frutto di una ricerca svolta nella città di intervento. Hawthorne nel 1927 da Elton Mayo,

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essere non pienamente funzionanti. Infatti, le tre aree di relazione, componenti ineluttabili dell'esistenza di ogni individuo, sono interagenti e si influenzano reciprocamente, in una forma circolare di interdipendenza. Ciò che appare importante nella prospettiva di una terapia focale dei problemi presentati, è rilevare come questa circolante di interdipendenza funzioni e se una delle tre dimensioni sia più direttamente sentita dal paziente, perché in quel caso questa sarà la prima area di intervento attraverso la quale modificare tutto il sistema percettivo-reattivo, tipico della situazione problematica del paziente stesso. A tal fine, nel definire concretamente il problema, il terapeuta deve trovare la risposta alla serie delle

seguenti domande che riteniamo una succinta linea guida di indagine diagnostica strategica: Quali sono gli osservabili pattern di comportamento usuali del paziente? Che cosa il paziente identifica come problema? In quale modo il problema si manifesta? Con chi il problema appare, peggiora o si maschera o non appare? Quando, di solito, si manifesta? Dove e in quali situazioni? Con quale frequenza ed intensità si manifesta? In quale contesto/i appare? Cosa è stato fatto e cosa viene correttamente fatto (sia da solo che con altri) per risolvere il problema? Che equilibrio regge il problema? A cosa serve? Qual è la sua funzione? A chi o cosa porta benefici? Chi potrebbe essere danneggiato dalla risoluzione del problema? Crediamo, in termini di efficienza terapeutica, che una volta conosciuti e chiariti tali interrogativi il terapeuta sia già in grado di programmare e mettere in atto con successo le strategie orientate alla rottura del circolo vizioso di azioni e retroazioni che mantiene il problema. ==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

3. Accordo sugli obbiettivi della terapia La definizione degli obbiettivi della terapia, che può apparire a prima vista una cosa ovvia, a nostro parere rappresenta un'esigenza pragmatica importante che ha una duplice funzione: a. da una parte questa è una buona forma di guida metodologica per il terapeuta, in quanto rappresenta una focalizzazione della programmazione terapeutica verso una direzione precisa, con una serie di obiettivi graduali da raggiungere che garantiscono una progressiva verifica e controllo del lavoro; b. dall'altra parte, la definizione degli obbiettivi rappresenta per il paziente una suggestione positiva, in quanto la negoziazione e l'accordo sulla durata e sui fini della cura possiedono il potere di rinforzare e di aumentare la sua collaborazione e fiducia nell'esito terapeutico. Egli si sente parte attiva del progetto di cambiamento e ha l'impressione di essere lui a controllare lo sviluppo della terapia. Inoltre, se il terapeuta concorda l'obbiettivo da raggiungere, egli trasmette al paziente il messaggio: «Io credo che tu abbia la possibilità e le capacità di raggiungere lo scopo che ci prefiggiamo» oppure: «Io credo che tu ce la farai a risolvere i tuoi problemi.» Questo tipo di messaggio è una forte suggestione nella direzione del cambiamento e mobilita, usualmente, nel paziente forti reazioni positive di collaborazione. A questo riguardo gli esperimenti di Rosenthal8 sull'effetto che ha l'aspettativa dello sperimentatore sul comportamento dei soggetti dell'esperimento, dimostrano l'enorme potere che può avere l'aspettativa che una persona trasmette ad un'altra in relazione al suo comportamento e alle sue possibilità. Tali esperimenti dimostrano anche che se questa aspettativa è positiva e fiduciosa può migliorare di parecchio la performance del soggetto nelTeseguire le prove richieste. Del resto, in ipnoterapia, è da sempre risaputo che più l'ipnotista esprime 8

Rosenthal (1966), nei suoi famosissimi esperimenti, ha dimostrato inequivocabilmente l'influenza dello sperimentatore sull'esperimento che conduce. O

meglio come egli influenzi, attraverso le sue aspettative, il comportamento e rendimento dei soggetti sperimentali, sia che essi siano topolini o esseri umani.

==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

la sua sicurezza ed aspettativa riguardo al fatto di far entrare in trance il soggetto, tanto più facilmente il soggetto cade in trance. In conseguenza di queste riflessioni, l'accordo sugli obbiettivi della terapia non può più apparire una cosa ovvia su cui non perdere tempo. Infine, nel concordare gli obbiettivi e nel programmare la terapia, è molto importante anche che il terapeuta costruisca una scala graduale e progressiva di piccoli obiettivi, che facciano apparire al paziente il trattamento non troppo incalzante ed ansiogeno. Ciò perché non si deve far sentire al soggetto una spinta

eccessiva verso il cambiamento, ma si deve dare l'impressione di una prassi sistematica e precisa con obiettivi concreti da raggiungere che non sembrino eccessivamente impegnativi. Si rischia altrimenti, dando l'impressione di voler correre troppo, di far andare fuori strada il trattamento. Si è infatti rilevato che, chiedendo di andare piano, si ottiene paradossalmente una maggior velocità nella promozione di cambiamenti; mentre, se si pretende di accelerare troppo, si ottiene un irrigidimento della resistenza e un rallentamento nel processo di cambiamento o addirittura la fuga da una terapia che spaventa. 4. Individuazione del sistema percettivo-reattivo che mantiene il problema Dopo l'esecuzione delle prime tre fasi del trattamento sempre nel corso dei primi incontri, il terapeuta deve studiare attentamente la situazione presentata dal paziente e trovare quali sono i punti cardine sui quali questa si regge. Ossia trovare le leve più vantaggiose sulle quali premere per ottenere il cambiamento della situazione problematica. Quindi, oltre a definire chiaramente il problema sulla base di quanto espresso nella fase 2 (vedi paragrafo 2), è necessario rilevare con precisione come si mantiene il problema e quale dei fattori che lo mantengono può essere individuato come quello su cui intervenire con maggiore probabilità di successo. Dall'esperienza clinica ci viene l'indicazione che molto ==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

spesso sono proprio i tentativi di risolvere il problema che lo mantengono. Il vero problema diventa la soluzione, ripetutamente tentata, del problema iniziale. In pratica, come nell'aneddoto già citato dell'ubriaco che cerca la chiave perduta, ciò che rende la situazione problematica, al di là dell'evento dello smarrimento della chiave che di per sé non è un fatto «patologico», è la soluzione messa in atto dall'ubriaco: ossia il cercare la chiave sotto il lampione, dove egli, tra l'altro, sa di non averla perduta. L'ostinata persevera-zione in tale risposta al problema conduce alla manifestazione psicopatologica. Di solito poi lo stesso tipo di soluzione viene generalizzato e trasferito ad altre situazioni che così diventeranno anch'esse problematiche. In questi casi, per produrre rapidamente il cambiamento, si deve intervenire sulle soluzioni disfunzionali utilizzate dal paziente per risolvere il proprio problema. A tal fine il terapeuta deve individuare qual è la soluzione fondamentale e ridondante utilizzata dal paziente, ed intervenire direttamente su di essa. Un altro importante focus della valutazione, in questa fase della terapia, è rappresentato dall'attenta valutazione delle interazioni sociali che possono influenzare le soluzioni tentate dal paziente o addizionarsi ad esse. Questo è importante per capire se è il caso di intervenire direttamente su queste sequenze interpersonali oltre che sulle tentate soluzioni, o se addirittura sia vantaggioso intervenire soltanto sulla riorganizzazione di tale sistema relazionale, lasciando da parte le tentate soluzioni del singolo che verrebbero influenzate dal cambiamento dell'intero sistema. Per essere più chiari, con ciò si intende dire che il terapeuta deve valutare attentamente caso per caso se è più efficace alterare il sistema percettivo-reattivo disfunzionale del singolo paziente intervenendo direttamente su di esso e producendo per reazione a catena la modifica di tutto il suo sistema relazionale interpersonale. Oppure se è più efficace intervenire sul sistema di relazioni interpersonali familiari, allargando la terapia a più soggetti, in modo che, come conseguenza del cambiamento delle sequenze interattive di più persone, cambi il sistema percettivo-reattivo della singola persona problematica. 72 ==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

Come riferito in precedenza, è necessario rilevare quale delle tre aree di relazione, quella con se stesso, quella con gli altri o quella con il mondo, offra i maggiori vantaggi come primo focus dell'intervento terapeutico per poi, sulla base di questa rilevazione, scegliere il trattamento individuale, indirettamente sistemico, o il trattamento direttamente sistemico che coinvolge la risoluzione dei sintomi del singolo. Dunque, ci preme ribadirlo ancora una volta, invece che indagare su presupposti fattori intrapsichici o su presunti «traumi originari» nel passato, il terapeuta si interessa delle azioni concrete della persona nel suo presente e delle retroazioni interpersonali e sociali che egli riceve. È evidente che le azioni di un soggetto derivano in gran parte dalle sue disposizioni emozionali e concezioni rispetto alla realtà, ma si è convinti, come già chiarito in precedenza, che anch'esse si modifichino effettivamente solo mediante esperienze vissute in maniera concreta. Perciò, nella individuazione di ciò che mantiene il problema, e nella successiva predisposizione di strategie di cambiamento, si deve tener presente che l'intervento

terapeutico deve essere qualcosa che produce una concreta esperienza di cambiamento. Riteniamo che il terapeuta, se ha seguito correttamente le fasi sin qui esposte del trattamento, sia in grado di trovare le più vantaggiose leve per il cambiamento e di predisporre su queste le strategie ad hoc per il caso. 5. Programmazione terapeutica e strategie di cambiamento Prima di trattare le specifiche procedure che di solito vengono utilizzate in terapia, è bene chiarire che, secondo la nostra ottica, non è possibile dividere nettamente le specifiche strategie terapeutiche da tutto il resto del trattamento. Questo perché la comunicazione ed interazione paziente-terapeuta rappresenta comunque un contributo al cambiamento. Infatti, a volte, il solo comunicare tra paziente e terapeuta, nelle modalità descritte in precedenza, può produrre effetti terapeutici. Inoltre la processualità stessa della terapia, così come è pre==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

disposta, è una strategia terapeutica. Quindi la presente distinzione tra processualità e procedure è una sorta di distinzione esplicativa, ma in realtà le due componenti del processo terapeutico formano un sistema indivisibile nella pratica clinica. Dopo questo doveroso chiarimento, si possono presentare alcune delle più consolidate strategie utilizzate in terapia, ma prima di fare ciò è indispensabile ribadire quello che è un presupposto fondamentale dell'approccio strategico alla terapia. Ossia: è la terapia che deve adattarsi al paziente e non il paziente alla terapia. Su questa base, il terapeuta, nel mettere a punto le strategie, si richiamerà alle tecniche già utilizzate con successo su quello specifico tipo di problema ma, basandosi sulle peculiari caratteristiche della persona problematica, sceglierà, o costruirà ex novo, le procedure ad hoc per quel determinato caso. Ad esempio la stessa generale strategia cambierà radicalmente se applicata a un soggetto/i appartenente ad un gruppo sociale o culturale di basso livello, oppure se utilizzata con soggetto/i di alta levatura sociale e culturale. Non solo, ma sarà diversa se applicata ad una persona estremamente fantasiosa e poetica o ad una persona marcatamente iperrazionale. Come dicevamo in precedenza, è necessario imparare il linguaggio del paziente e presentare l'intervento in tale lingua o sistema rappresentazionale. In modo tale che lo stesso intervento non sia mai precisamente lo stesso, in quanto viene modificato in base alle peculiari prerogative percettive e comunicative di ogni diversa persona. Inoltre, se una strategia non funziona, verrà rapidamente sostituita o addizionata con altre mosse terapeutiche. Un'altra importante riflessione preliminare, per ciò che riguarda la predisposizione delle tattiche per produrre il cambiamento, è quella relativa al fatto che si è notato come sia molto produttivo focalizzare l'attenzione del paziente su cambiamenti apparentemente banali, su piccoli particolari della situazione. Questo al fine di non far sentire al paziente di essere sottoposto a richieste esagerate rispetto alla percezione delle proprie risorse personali ed aggirare così la sua resisten==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STARTEGICA

za al cambiamento. In effetti, quelle azioni minime, selezionate dal terapeuta, devono essere strategie indirette o coperte per produrre un cambiamento molto più grande di quello che il paziente possa prevedere: poiché, all'interno di un sistema, anche il cambiamento di un piccolo particolare produce, per le leggi proprie della teoria dei sistemi, uno squilibrio e una modifica all'interno dell'intero sistema. Il piccolo cambiamento, infatti, innesca una reazione a catena di modificazioni all'interno del sistema che hanno il fine di riequilibrare il sistema stesso. Ciò significa che cambiamenti minimi, o apparentemente banali e innocui, possiedono un potere dirompente, potere che deve essere utilizzato a pieno titolo in terapia. Quando, mediante una progressione di piccoli cambiamenti, il terapeuta ha condotto la persona alla modifica delle sue azioni disfunzionali e delle sue «immagini del mondo», la terapia avrà raggiunto il suo obbiettivo. Infine, prima di esporre direttamente le procedure tera-peutiche, è fondamentale anche chiarire che la loro efficacia dipende, oltre che dalla loro specifica validità per particolari sintomatologie o problemi, soprattutto dall'influenza personale o carisma del terapeuta. Fattore, questo, che noi riteniamo determinante in terapia. In altre parole, l'efficacia di una strategia dipende molto dalla cornice di suggestione all'interno della quale viene presentata al paziente in modo da indurlo ad una grande, e a volte

involontaria, collaborazione terapeutica, ossia ad una propensione al cambiamento. Per creare questa cornice di suggestione e carisma, il terapeuta deve imparare ad utilizzare ciò a cui abbiamo fatto riferimento in apertura del volume con i concetti di «linguaggio ingiuntivo» nella definizione di Spencer Brown, e di «atti verbali perfor-mativi» nella accezione di Austin (vedi p. 23 ss.). Questo tipo di comunicazione terapeutica, della quale l'approccio ipnotico alla terapia di Erickson è stata la più grande lezione, è una delle fondamentali prerogative della terapia strategica. Tale particolare forma suggestiva di comunicazione è ciò che definiamo ipnoterapia senza trance. Con il deliberato ricorso a questa, il terapeuta si assume, nell'interesse del paziente, la ==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

responsabilità di utilizzare le procedure di suggestione ipnotica efficaci ed efficienti per influenzare e cambiare rapidamente la situazione problematica presentata. Dopo questa necessaria premessa, possiamo passare alla descrizione di alcune delle più ricorrenti procedure terapeuti-che utilizzate nel nostro approccio ai problemi umani. Le strategie deputate alla soluzione di tali problemi possono essere suddivise in due grandi categorie di intervento: a. Azioni e comunicazione terapeutica b. Prescrizioni di comportamento. 5.a. Azioni e comunicazione terapeutica? 5.a.l. Imparare e parlare il linguaggio del paziente La prima procedura da trattare nella categoria delle azioni che il terapeuta deve eseguire durante le sedute è certamente quella che rappresenta uno stile di comunicazione fondamentale in terapia strategica, già ripetutamente citata nella nostra esposizione. Ossia: imparare ed usare il linguaggio del paziente. Questa fondamentale tecnica di comunicazione proviene, nella sua versione applicata alla psicoterapia, dalla ipnosi ericksoniana. Il grande ipnotista trasferì al linguaggio terapeutico modalità comunicative da lui utilizzate per le induzioni di trance. Infatti, nell'induzione ipnotica, si asseconda lo stile percettivo e comunicativo del soggetto, assumendone lentamente e progressivamente il controllo sino ad indurlo a lasciarsi andare e cadere in trance. Bandler e Grinder (1975) definiscono questa strategia comunicativa la tecnica del ricalco. Essi avevano studiato questa forma di comunicazione nel comportamento terapeutico di Milton Erickson. Avevano rilevato che egli adottava nei primi contatti con i suoi pazienti il loro stesso linguaggio e le loro stesse forme di rappresentazione della realtà. Non solo,

9

Con questa categoria di interventi ci si durante la seduta. In pratica a tutto ciò riferisce alle manovre terapeutiche e alla dentro la seduta, comunicazione tra terapeuta e paziente

che succede

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ma nel suo stile di ipnotista imitava perfino il linguaggio non verbale dei suoi pazienti, in maniera tale da metterli completamente a proprio agio ed assumere gradualmente il potere di influenzarli con le sue suggestioni e prescrizioni. Ma il potere e l'efficacia di questa tecnica di persuasione non è una scoperta di Erickson, in quanto essa era già ben conosciuta nella retorica classica. Aristotele ad esempio nella sua Retorica ad Alessandro, affermava, in assonanza con i sofisti, che se si vuol persuadere qualcuno lo si deve fare attraverso le sue stesse argomentazioni. Inoltre la psicologia sperimentale ha dimostrato da tempo la predisposizione degli esseri umani ad essere attratti e a subire l'influenza delle cose che appaiono simili o familiari a se stessi. Tale conoscenza è utilizzata in maniera massiccia e con finalità non certo nobili, come quella di aiutare la persona a risolvere i propri problemi, dai professionisti della persuasione di massa. Robert Cialdini, psicologo sociale, dedito da anni allo studio delle strategie di persuasione, in una ricerca condotta sulla vendita di contratti assicurativi ha rilevato sperimentalmente che «i clienti tendono più facilmente a stipulare il contratto quando il venditore presenta con loro una somiglianza in qualche campo: età, religione, idee, linguaggio ecc.» (Cialdini 1989, 137) senza rendersi conto che gli assicuratori sono addestrati ad assecondare e ricalcare il linguaggio e le idee del cliente, per trovare quei punti di contatto interpersonale utili ad ottenere la firma del contratto. Lo stesso ricercatore ha indagato, con risultati positivi, sull'uso di tale tecnica comunicativa al fine di ottenere la simpatia delle persone. Cialdini illustra anche come alcune pubblicità di grande successo siano costruite ricalcando l'immagine sociale e l'usuale

linguaggio del fruitore del messaggio. Sulla scorta di tali dati, è evidente come in psicoterapia sia importante utilizzare una tecnica comunicativa che permetta di essere rapidamente in grado di influenzare il comportamento altrui. I pazienti chiedono di essere influenzati per cambiare la loro attuale situazione problematica, ma di solito oppongono inconsapevolmente resistenza al cambiamento Con questa strategia di comunicazione tale resistenza viene ==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

ridotta. Tuttavia, il prerequisito per cui questa procedura comunicativa produca tali effetti è che venga eseguita con grande naturalezza e senza che appaia come un'artificiosa manovra, altrimenti può produrre l'effetto contrario a quello desiderato, perché le persone si sentono prese in giro e si irrigidiscono di più. A tal fine il terapeuta deve essere bene addestrato ad utilizzare questa tecnica di pragmatica della comunicazione. Tale apprendimento tecnico ricorda molto l'addestramento di un attore in quanto il terapeuta deve imparare a gestire il proprio stile comunicativo e le proprie caratteristiche espressive in modo da adattarle con naturalezza ai diversi contesti relazionali che si vengono a creare nelle interazioni con i diversi pazienti. In questa direzione, è indispensabile un buon training che preveda l'osservazione e lo studio di situazioni terapeutiche simulate, l'utilizzo del videoregistratore per poter riosservare se stessi: sino a far divenire tale tecnica una forma spontanea di comunicazione interpersonale. Riteniamo questo lavoro formativo alla pragmatica comunicativa anche un ottimo esercizio per l'elasticità mentale in quanto, se una persona apprende ad adattare il suo linguaggio a diverse situazioni, contesti e stili personali, impara anche a spostare continuamente il suo punto di vista della realtà. Prerogativa, quest'ultima, essenziale per poter essere in grado di risolvere i tanti diversi tipi di problemi umani. 5.a.2. La ristrutturazione La ristrutturazione è una delle più sottili tecniche di persuasione. Ristrutturare significa ricodificare la percezione della realtà di una persona senza cambiare il significato delle cose ma cambiando la loro struttura. Non si cambia il valore semantico di ciò che la persona esprime, ma si cambiano le cornici all'interno delle quali inserire tale significato. Ovviamente, cambiando la cornice, si cambia in maniera indiretta il significato stesso. Questo perché, ponendo uno stesso evento all'interno di diversi contesti e guardandolo da prospettive diverse, questo cambia completamente il suo valore. ==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

La realtà, abbiamo ripetuto molte volte nel corso dell'esposizione, è determinata dal punto di osservazione da cui il soggetto la guarda; se si cambia tale punto di osservazione, la realtà stessa cambia. Nel ristrutturare un'idea o concezione di una persona, non si mette in discussione l'idea o la concezione ma si propongono diversi percorsi logici e diverse prospettive di approccio a tali idee e concezioni. Non si cambia il contenuto del quadro ma solo la cornice, però, cambiando la cornice, si altera il contenuto stesso del quadro. Per chiarire la struttura e l'efficacia persuasiva di tale procedura, facciamo un esempio storico. Durante il XV secolo, il potere imperante della Chiesa cattolica si trovò di fronte al problema del culto pagano delle acque che veniva praticato nelle campagne toscane. La gente del luogo professava e praticava particolari culti rivolti alle divinità delle acque di alcune sorgenti alle quali venivano attribuiti poteri soprannaturali.10 Le autorità ecclesiastiche intervennero in maniera decisa, reprimendo violentemente tali credenze e distruggendo i luoghi di culto pagano sorti presso le sorgenti miracolose. Ad esempio, si narra che San Bernardino da Siena, ali'incirca nel 1425, fece distruggere dai soldati un tempio pagano, che era sorto sul luogo in cui si trova l'antica chiesa di Santa Maria delle Grazie di Arezzo, dopo che le sue predicazioni contro tale culto pagano non avevano ottenuto alcun risultato. Ma nemmeno il ricorso alla violenta repressione servì ad eliminare il culto delle divinità delle acque. A questo punto il santo e altri uomini di chiesa, ricordandosi, forse, ciò che aveva fatto San Gregorio Magno qualche secolo prima trovarono la soluzione del problema, e attuarono la mossa risolutiva. Fecero costruire sulle rovine dei templi pagani, dedicati alle divinità delle sorgenti di acqua miracolosa, chiese consacrate al culto della Madonna (come appunto Santa Maria delle Grazie, nei pressi di Arezzo, o la chiesetta della

'"Tale culto delle acque, come oggi sap- tradizioni sacrali popolari legate alla fon-piamo da ricostruzioni antropologiche damentale

importanza dell'acqua nel (Dini 1980), derivava da antichissime

ciclo vitale della natura e degli uomini.

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Madonna del Parto a Monterchi). E cominciarono essi stessi ad incentivare il culto di quei luoghi, affermando che le sorgenti possedevano virtù miracolose per effetto della presenza della Vergine. Essi in pratica ristrutturarono, in maniera veramente geniale, la percezione religiosa e le credenze popolari, conducendo le popolazioni al culto cristiano della Madonna. Analizziamo questa manovra. In una situazione nella quale non avevano prodotto alcun risultato né le prediche né la violenta repressione, ha avuto successo una mossa strategica che ha assecondato le credenze e i culti popolari, ma che ha inserito in essi una variabile nuova che ha cambiato totalmente la prospettiva di percezione dei fenomeni motivo di culto. In maniera tale che è venuto a modificarsi completamente il tipo di culto, mutatosi da pagano in cristiano. Un esempio clinico di tale manovra può essere la ristrutturazione della percezione dell'aiuto e del sostegno da parte di un paziente fobico.11 A tale tipo di paziente viene dichiarato che, senza dubbio, egli adesso ha bisogno e non può fare a meno dell'aiuto e del sostegno delle persone intorno a lui. Ma si dichiara anche, mediante una dissertazione sui doppi messaggi all'interno della comunicazione interpersonale, come tale sostegno, apparentemente utile, possa far aggravare le sue sintomatologie. In pratica, si dirotta la forza della paura che lo conduce a chiedere aiuto nella direzione della cessazione di tale comportamento di richiesta di sostegno. Le ristrutturazioni possono essere atti comunicativi puramente verbali, oppure anche determinate azioni del terapeuta che conducono la persona ad uno spostamento di prospettiva. Così come effetti di ristrutturazione possono essere prodotti mediante prescrizioni di comportamento, delle quali ci occuperemo più avanti. La ristrutturazione, inoltre, può avere vari livelli di complessità. Si va da semplici ridefinizioni cognitive di un'idea o di un comportamento, all'uso di metafore e suggestioni evocative,

11

Tale manovra sarà dettagliatamente

zione del protocollo di trattamento dei discussa nel capitolo quarto nell'esposi-

disturbi fobici.

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sino a complicate ristrutturazioni paradossali. Potremmo anche affermare, in senso generale, che ognuna delle strategie terapeutiche presentate in questo paragrafo, rappresenta una forma di ristrutturazione in quanto tutte tendono, mediante procedure diverse, a modificare il punto di vista e il comportamento del paziente. C'è, poi, chi afferma (Simon et al. 1985, 286), che la ristrutturazione, nella sua verbale forma di dialogo, sia la manovra principe di tutte le forme di psicoterapia, in quanto il fatto di dover cambiare la «mappa mentale» del soggetto in cura è ciò che accomuna tutti gli interventi psicoterapeutici. Per quanto ci riguarda, crediamo che la ristrutturazione non abbia niente a che vedere con le interpretazioni della realtà, o con il lavoro di attribuzione di significato alle emozioni. Questa strategia persuasiva non lavora direttamente e prioritariamente sugli aspetti semantici della rappresentazione della realtà, ma sulla sua struttura percettiva, sulla quale si basano poi le rappresentazioni ed i comportamenti soggettivi. Il terapeuta strategico, a livello semantico, non offre spiegazioni rassicuranti sul significato delle cose, non offre certezze interpretative, ma al contrario utilizza la sottile arma del dubbio. Nelle manovre verbali di ristrutturazioni, infatti, si devono suscitare dubbi che spostino l'usuale rigidità percettiva-reattiva dei pazienti, aprendo delle falle nei loro sistemi cognitivi e comportamentali. Il maggior potere del dubbio rispetto alla logica spiegazione razionale, in qualità di elemento che scardina le rigide posizioni mentali, è ben espresso da Newton Da Costa,12 emerito studioso di logica all'Università di San Paolo in Brasile. Egli sostiene che, per far cambiare opinione ad una persona, è di gran lunga più efficace inserire dei dubbi nella sua logica, piuttosto che dimostrare in maniera completa e logico-razionale la non esattezza o non funzionalità delle sue idee o comportamenti.

12

Comunicazione personale, maggio 1989.

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II dubbio è un tarlo, una volta immesso, lavora da solo e lentamente cresce divorando lo spazio delle preesistenti logiche. Il dubbio mobilita l'entropia del sistema, produce una lenta ma devastante reazione a catena, che può condurre al cambiamento del sistema stesso. Quindi riteniamo, in accordo con Simon et al. (1985), che la ristrutturazione della «mappa mentale» del paziente sia il fine di ogni psicoterapia; ma riteniamo anche che la ristrutturazione, come tecnica utilizzata nell'approccio strategico, sia qualcosa di completamente diverso dalla ricerca ddl'insight tipica di altri approcci terapeutici. L'arte della ristrutturazione come tecnica di persuasione, inoltre, non è certamente una scoperta nuova e nemmeno propria dell'ambito terapeutico; infatti, anche questa arma oratoria era ben conosciuta nell'ambito della retorica classica e praticata soprattutto dai sofisti che erano i maestri di tale manovra verbale persuasiva. Tuttavia, tornando più vicini al nostro tempo, la dimostrazione di come si possano cambiare le percezioni-reazioni di un soggetto senza lavorare direttamente sul significato razionale che egli attribuisce alle cose, ma utilizzando forme di ristrutturazione, ci proviene dalla ricerca psicologica sociale. È dimostrato sperimentalmente, ad esempio, che esporre una merce in vetrina ad un prezzo basso e vantaggioso rispetto al suo reale valore commerciale, utilizzare quindi come arma di persuasione una razionale dimostrazione logica, è di gran lunga meno efficace, per la vendita, dell'esporla con un prezzo decisamente superiore al suo valore reale (Cialdini 1984). Ossia è più vantaggioso utilizzare come arma di persuasione, al posto della logica razionale, l'apparente non logica del «se costa tanto deve assolutamente possedere qualche virtù nascosta in più rispetto a quella che costa meno». Ma ciò non è altro che un'efficace ristrutturazione, attraverso il rialzo del prezzo, della percezione che il compratore ha di tale merce. Ma la dimostrazione sperimentale più efficace di come, in effetti, certe suggestioni comunicative possiedano una forza ==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

dirompente di cambiamento ci proviene da un esperimento di E. Langer, psicologa dell'Università della California. In una coda di attesa per fare fotocopie in biblioteca la richiesta di un favore da parte di una studentessa, quella di non rispettare l'ordine della fila, produce differenti effetti a seconda della sua formulazione: «'Scusi, ho cinque pagine. Posso usare la fotocopiatrice, perché ho una gran fretta?' L'efficacia di questa richiesta - con - spiegazione è stata quasi totale: il 95% degli interpellati l'ha lasciata passare avanti nella fila. Si confronti questa percentuale di successi con i risultati ottenuti con la semplice richiesta: 'Scusi, ho cinque pagine. Posso usare la fotocopiatrice?' In questa situazione acconsentiva solo il 60%. A prima vista sembra che la differenza decisiva fra le due formule sia l'informazione aggiuntiva contenuta nelle parole 'perché ho una gran fretta'. Ma una terza formula sperimentata dalla Langer ha dimostrato che le cose non stanno esattamente così. A quanto pare, a far differenza non era la serie intera di parole di senso compiuto, ma solo la prima 'perché'. Invece di fornire una vera ragione per giustificare la richiesta, la terza formula si limitava a usare il 'perché' senza aggiungere nulla di nuovo: 'Scusi, ho cinque pagine. Posso usare la fotocopiatrice, perché devo fare delle copie?' Il risultato fu che ancora una volta quasi tutti (il 93%) acconsentirono, anche se non c'era nessuna informazione nuova che spiegasse la loro condiscendenza. Come il 'cip-cip' dei pulcini mette in moto la risposta automatica della mamma tacchina, anche se proviene da una puzzola impagliata, così la parola 'perché' faceva scattare una risposta automatica di acquiescenza da parte dei soggetti della Langer, anche se dopo il 'perché' non veniva nessuna ragione particolarmente decisiva.» (Cialdini 1989, 12) Questo esperimento mostra chiaramente come si possano modificare le reazioni di persone mediante una ristrutturazione della situazione per nulla logica né ragionevole, e anche il potere proprio di certe forme suggestive di comunicazione di aggirare le resistenze e convinzioni logico-razionali. La ristrutturazione non è dunque un modo diretto di attribuire significati, ma una tecnica di scardinamento della rigida ==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

logica di un soggetto. Essa apre nuovi orizzonti e possibilità di cambiamento all'apparente immutabilità delle cose ingabbiate nella logica preesistente. Il terapeuta, quando ristruttura una realtà, deve, assecondando le modalità rappresentazionali del paziente, condurlo a vedere le cose da punti di vista diversi da quelli utilizzati in precedenza. Per fare ciò,

utilizza tecniche di suggestione, armi retoriche classiche e paradossi logici. Tutte tecniche capaci, se ben utilizzate, di alterare, anche solo momentaneamente, la percezione della realtà del soggetto, in modo tale da aprire nuove vie percettive e nuove possibilità di reazione nei confronti di tale realtà. 5.a.3. Evitare le forme linguistiche negative La terza strategia di comunicazione terapeutica che andiamo ad esporre è direttamente connessa alla prima e alla seconda, anzi possiamo dire che ne è una puntualizzazione. La pratica clinica ha fatto evidenziare che l'utilizzo di affermazioni negative nei confronti del comportamento o delle idee del paziente tende a colpevolizzarlo e a promuovere reazioni di irrigidimento e rifiuto. Anche nella pratica dell'ipnosi si è notato che le formule negative producono l'irrigidimento e la resistenza dell'ipnotizzando, ed infatti, durante un'induzione di trance, si tende sempre a ricodificare ogni ingiunzione negativa in forma positiva. Su questa base, in terapia, invece che criticare e negare l'operato del paziente, anche se questo è assolutamente errato o disfunzionale, troviamo di gran lunga più produttivo gratificare la persona e, mediante tale gratificazione, dare delle ingiunzioni per la modifica del suo comportamento. Facciamo un esempio: nei confronti di due genitori estremamente iper-protettivi, che con le loro cure familiari castranti hanno indotto il figlio all'insicurezza e alla labilità psicologica, la manovra del terapeuta sarà quella di complimentarsi con loro e di gratificar/i per i grandi sforzi compiuti nel! 'accudire un figlio così problematico, e per i loro grandi sacrifici vissuti nel proteggerlo da tutti i possibili pericoli di questo mondo. «E siccome ==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

siete stati così bravi fino ad ora, adesso dovrete esserlo ancora di più, e sono sicuro che sarete molto bravi nel fare in modo che egli ora si assuma le sue responsabilità» e qui il terapeuta prescriverà azioni e comportamenti decisamente contrari al loro precedente comportamento genitoriale. In questo modo, invece che colpevolizzare i due genitori per il loro errore educativo e per la loro castrante iperprotezione e dire loro: non fate questo, non fate quest'altro, avete sbagliato questo e quest'altro ecc, si utilizza la loro carica interventista trasformandola, mediante una ricodificazione in forma positiva e una prescrizione diretta, nel corretto e funzionale comportamento educativo che condurrà alla risoluzione del problema presentato. In questo esempio la procedura terapeutica miscela tre tecniche diverse: evitare le forme negative, la ristrutturazione, la prescrizione. Di solito tale manovra promuove una partecipazione ed una collaborazione in direzione del cambiamento anche di soggetti estremamente diffidenti o irrigiditi nelle loro posizioni, e soprattutto non incorre nelle reazioni negative prodotte dalla colpevolizzazione del paziente rispetto alle proprie azioni. Il fatto che le sue azioni siano disfunzionali è un implicito della sua richiesta di aiuto, non ha alcun bisogno di essere sottolineato dal terapeuta. Anche questa tecnica di pragmatica della comunicazione viene utilizzata largamente nella persuasione di massa e di vendita. Infatti, ogni venditore professionista conosce bene la regola del «non contraddire mai il cliente» o del non dire assolutamente «che egli ha torto o che si sbaglia». Ma sa che deve fare in modo invece che il cliente si senta sempre nel giusto e nella ragione anche quando, grazie all'attento lavoro del venditore, si comporta in maniera opposta a quella dichiarata in precedenza. Questo, al pari di altri esempi citati, mostra come uno strumento di persuasione possa divenire una terribile arma nelle mani di chi lo usi a fini di manipolazione fraudolenta. Del resto, ogni efficace strumento può essere usato nel bene e nel male; sta all'uomo farne l'uso migliore. 5.a.4. L'uso del paradosso e la comunicazione paradossale ==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

Riteniamo che il ricorso al paradosso in terapia rappresenti una chiave di volta, spesso straordinariamente efficace, per situazioni percettive-reattive rigide e connotate dalla presenza di ridondanti sintomatologie comportamentali. Per questo suo potere, questa procedura terapeutica ricopre un fondamentale ruolo nell'approccio strategico. Il paradosso, come al lettore è ben noto, è quel tipo di trabocchetto logico nel quale cade tutta la logica razionalista classica.13 Esso, infatti, scardina la logica aristotelica del «vero o falso», e l'ottica manicheista delle coppie di opposti (bianco/nero, bello/brutto, giusto/sbagliato) utilizzate come categorie per descrivere la realtà. Nell'ambito della filosofia della conoscenza il paradosso logico ha fatto crollare ogni rassicurante tentativo di ingabbiare la realtà all'interno di un sistema logico assoluto di descrizione o

interpretazione. Applicato allo specifico contesto terapeutico, il paradosso possiede la proprietà di scardinare i circoli viziosi e ricorrenti di «tentate soluzioni» ostinatamente perserverate dal paziente/i, proprio perché mette in crisi il sistema preesistente di percezioni e reazioni nei confronti della realtà. Storicamente, il paradosso ha fatto il suo formale ingresso in terapia con Wiktor Frankl e la sua formulazione della «intenzione paradossale» (1960) come strategia terapeutica. Ma coloro che formularono sistematicamente la funzione del paradosso nella formazione e nella soluzione dei problemi sono Bateson e il suo gruppo (1956) che, come già riferito, rilevò come la comunicazione paradossale fosse alla base della costituzione di sintomatologie psichiatriche e come, mediante l'uso della stessa, si potesse intervenire efficacemente su tali

13 II paradosso logico è rappresentato da quei tipi di enunciati che risultano al tempo stesso veri e falsi, giusti e sbagliati ecc. Il classico esempio di paradosso è quello di Epimenide il cretese: «Io mento» (la premessa è che tutti i cretesi mentono). Con tale enunciato si è costruita la trappola logica, sia falso che

comunicazione interpersonale tale forma di trappola logica si consolida quando, all'interno di un asserto comunicativo, sono presenti due messaggi contraddittori, per cui chi riceve tale tipo di comunicazione si trova nella stessa condrzione di chi desidera capire se Epimenide dice il vero o il falso, vero, sia giusto che sbagliato ecc. Nella

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problematiche. In altre parole essi utilizzarono quello che è un antico sapere della medicina: «Similia similibus curantur». Esistono varie forme di utilizzazione del paradosso in terapia che vanno dalle prescrizioniparadossali, delle quali ci occuperemo esplicitamente in uno dei paragrafi successivi, alle forme di azioni e comunicazioni paradossali durante la seduta, delle quali ci occuperemo qui di seguito. Crediamo che i seguenti esempi chiariscano meglio di qualunque dissertazione questo tipo di azioni comunicative in terapia. Il primo esempio tratta del caso di un soggetto, definibile mediante i tradizionali quadri clinici psichiatrici «ossessivo -ipocondriaco», il quale manifesta ossessivamente il terrore di essere affetto da una gravissima ed incontrollabile malattia. A nulla sono serviti gli esami medici diagnostici negativi, egli continua ad essere convinto della sua grave malattia e trasforma qualunque segnale propriocettivo corporeo nel sintomo indicatore del suo misterioso male. Ovviamente egli è terrorizzato e cerca sostegno, aiuto e rassicurazione da tutti e in particolare dal terapeuta. Quella che segue è la trascrizione di un breve scambio di battute all'interno di un colloquio registrato durante un incontro con uno degli autori: Paziente Dottore sono a pezzi, io sto male!, sono terrorizzato! C'è un male dentro di me, lo sento crescere, io morirò presto! Nessuno mi vuole credere ma io sono gravemente malato. Sudo sempre, sento il cuore che mi batte forte. E poi sa, io l'ho detto a mia moglie, mi hanno fatto il «malocchio». Lei non ci crederà in queste cose, ma è vero, me lo ha detto la maga... Nessuno ci vuole credere ma mi mangia dentro. Terapeuta Uhm! {con atteggiamento serio e pensante) Io credo proprio che lei sia gravemente malato, anzi sono convinto che il suo morbo sia veramente oscuro. Sa, c'è malocchio e malocchio, probabilmente a lei hanno fatto il «malocchio a morte» {leggera pausa). Sì, credo proprio che lei starà veramente molto male, sempre peggio, addirittura, a guardarla bene, mi sembra proprio che lei stia cambiando aspetto proprio qui davanti a me. Lei sta male, vero, la vedo come se stesse per sentirsi molto male. Sa, questi malocchi sono terribili {leggero sorriso).

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P. Dottore, ma che mi dice, allora io morirò! Ma allora è proprio vero! Sono gravemente malato! Ma, dottore, possibile che tutti gli esami medici che mi hanno fatto non abbiano trovato nulla! Ma lei è proprio convinto di quello che ha detto, che sono malato, che si vede che mi hanno fatto il malocchio? T. Certo, è evidente {sorridendo leggermente). P. Dottore, ma lei mi prende in giro, io qui adesso non sto mica male, anzi, parlando con lei, ora ho smesso anche di sudare e mi sento più calmo. Ma mi dica dottore, è possibile che a quarantanni il cervello ci faccia questi scherzi? L'esempio clinico mostra come in tali situazioni, nelle quali nessuna forma di rassicurazione logico-

razionale funziona, il ricorso al paradosso è efficace nel rompere il meccanismo ripetitivo delle fissazioni. Di solito si ottiene che il paziente prima si impressiona ed esprime sorpresa, rimanendo attonito di fronte a tali affermazioni che confermano il suo terrore, poi è lui che comincia a rassicurare il terapeuta sul proprio stato di salute ed afferma che gli esami medici dimostrano che non ha nulla. In alcuni casi, dopo tali reazioni, può mettersi a sorridere comprendendo il «benefico imbroglio» utilizzato dal terapeuta. Ma, ciò che è importante, in quel momento si è rotto il suo meccanismo ossessivo di percezione e reazione distorta e il paziente può cominciare a cambiare il suo punto di vista e le sue azioni nei riguardi del problema. La logica su cui si basa questo tipo di intervento paradossale viene chiarita bene dall'esempio del suo utilizzo su atti compulsivi irrefrenabili, dei quali si prescrive l'esecuzione. In tal modo si crea il paradosso di rendere volontario un sintomo che, per essere sintomo, deve essere qualcosa di incontrollato ed involontario. Con l'effetto dell'annullamento del sintomo stesso il quale, nel momento in cui diviene volontario, perde completamente il suo valore sintomatico. Nella comunicazione terapeutica, di fronte ad una situazione mentale ostinatamente rigida e ossessiva, invece che contrastarla la si asseconda conducendola nella sua escalation sino alla sua esasperazione e ad un punto tale che si annulla da ss

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sola. Il meccanismo è lo stesso presente nell'intervento di prescrizione del sintomo. Si mette in azione il potere destrutturante del paradosso incentivando deliberatamente, nel colloquio, i meccanismi distorti di percezione del paziente nei confronti della realtà. E così, come il tentativo di essere voluta-mente allegri genera depressione e lo sforzo di addormentarsi mantiene svegli, il condurre il paziente ad eseguire intenzionalmente, ed in maniera rafforzata dall'atteggiamento del terapeuta, quei processi mentali distorti e apparentemente incontrollabili, fa sì che questi, perdendo la loro spontaneità, perdano il valore sintomatico e scompaiano. Il secondo esempio esplicativo, non clinico, esprime una tipologia leggermente diversa di azione e comunicazione paradossale ma con lo stesso potere dirompente di cambiamento. Ciò riguarda quelle situazioni interpersonali dove, nell'interazione, un'azione e/o messaggio paradossale e imprevisto, perché illogico rispetto alla usuale prevedibilità degli eventi, sconvolge la situazione. Tale azione appare né vera né falsa, apparentemente inconciliabile con la situazione e costringe chi la riceve ad un cambiamento repentino dei suoi schemi comportamentali. L'enorme efficacia di tali manovre interpersonali è descritta bene da uno strano fatto accaduto ali'incirca alla fine degli anni trenta in Austria e del quale i giornali dell'epoca, vista la particolarità dell'evento, dettero ampia notizia. «Un individuo candidato al suicidio si buttò nel Danubio da un ponte; un gendarme, giunto sul luogo dell'efferato gesto attirato dalle grida delle persone presenti, imbracciò il fucile, lo puntò contro l'aspirante suicida gridando: 'Vieni fuori di lì altrimenti ti sparo'. Il giovane venne fuori dall'acqua rinunciando al suicidio.» In pratica con il gesto paradossale il gendarme ha messo l'aspirante suicida in una situazione nella quale gli schemi di previsione logica saltano. Questa indotta ristrutturazione della realtà lo conduce al cambiamento radicale del suo comportamento e dei suoi schemi mentali. Anche nell'attività clinica, come nella vita, tali tipi di mosse ==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

paradossali, apparentemente illogiche ed assolutamente impreviste dal paziente, producono rapidamente quel salto di livello logico indispensabile al cambiamento concreto delle situazioni. Sulla base di tali esempi e riflessioni appare evidente la funzione del paradosso quale elemento scardinante le situazioni irrigidite ed ossessive tipiche di molti pazienti. Per questa sua prerogativa il ricorso ad esso, nelle sue molteplici varianti, è estremamente efficace soprattutto nella fase primaria di un intervento terapeutico strategico,,quella nella quale si deve rompere il sistema di ridondanze, di percezioni, azioni e retroazioni che mantiene il problema operante. 5.a.5. Utilizzo della resistenza Una delle tecniche più raffinate tra quelle derivate dal paradosso e che ha trovato una grande applicazione

anche in terapia è lo sfruttuamento terapeutico della resistenza. Nei confronti della resistenza, al contrario della classica interpretazione psicoanalitica crediamo sia funzionale utilizzare la sua carica a scopi terapeutici. Ossia riteniamo vantaggioso che la resistenza stessa venga paradossalmente prescritta e poi manipolata. Si procede creando un «doppio legame» terapeutico, che si esprime nel mettere il paziente in una situazione paradossale nella quale la sua resistenza, o il suo irrigidimento verso il terapeuta, diventi una prescrizione e le sue reazioni un avanzamento nella terapia. In modo tale che la funzione prioritaria della resistenza venga annullata mentre viene utilizzata la sua forza per promuovere il cambiamento; la resistenza prescritta, infatti, cessa di essere resistenza e diviene adempimento, come nel seguente caso di un paziente difficile e sfiduciato al quale il terapeuta dice: «Vede, ci sarebbero delle buone possibilità per risolvere il suo problema, e ci sono delle specifiche tecniche che potremmo utilizzare. Ma visto le attuali circostanze e le sue caratteristiche personali io credo che lei non sia in grado di venirne fuori.» In questo modo il paziente che si opponeva alle cure del terapeuta è messo in una situazione paradossale. Di solito, la reazione del paziente è quella di una non espressa aggressività verso il tera90 ==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

peuta, che si manifesta nell'esecuzione di ciò che il terapeuta ha dichiarato che lui non è in grado di fare. Ma guarda caso, tutto ciò porta ad una promozione della collaborazione terapeutica e ad un annientamento della resistenza stessa. Come in alcune arti marziali orientali si utilizza, mediante uno studio attento delle leve e della forza di gravità, la forza dell'avversario per metterlo fuori combattimento, così in questa tecnica si dirotta la forza della resistenza al cambiamento in direzione del cambiamento stesso. Gli esperti ipnotisti esprimono bene questa strategia quando «ristrutturano» la resistenza del soggetto a lasciarsi andare in forma di suggestione all'approfondimento della trance. Ad esempio, nei confronti di un soggetto che esprime la resistenza ad andare in trance muovendo le dita di una mano o muovendo una gamba, l'esperto ipnotista risponderà: «Molto bene, la sua mano (o la sua gamba) risponde, adesso comincerà a muovere le dita sempre più veloci, sempre più veloci, sino a che sentirà tanta stanchezza, tanta voglia di riposo ecc.» In maniera tale da ridefinire la resistenza e orientare la sua forza in direzione della induzione di trance. 5.a.6. Uso di aneddoti, storie e linguaggio metaforico Un'altra importante modalità di comunicazione terapeutica è l'uso di metafore e il ricorso, durante il colloquio clinico, al racconto di aneddoti, storielle o episodi accaduti ad altre persone. Tale strategia comunicativa possiede la prerogativa di permettere la comunicazione di messaggi sfruttando la forma indiretta della proiezione ed identificazione che di solito una persona attua nei confronti di personaggi e situazioni di un racconto. Questa modalità di comunicazione terapeutica minimizza la resistenza, in quanto la persona non è sottoposta a dirette richieste o a dirette opinioni sul suo modo di pensare e comportarsi. Il messaggio giunge velato e sotto forma di metafora. Ad esempio, si può comunicare ad un soggetto fobico-ossessivo il funzionamento del meccanismo controproducente dello stare sempre ad ascoltarsi, incentivando così la propria ansia sino all'attacco di panico, narrando la storiella del mille==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

piedi «il quale, quando si fermò a pensare quant'è difficile camminare così bene ed elegantemente con mille piedi contemporaneamente, non riuscì più a camminare». Poi si può esortare il soggetto a provare questo esercizio: «Ora, quando esce di qui, faccia il millepiedi, mentre scende le scale si concentri su quanto è difficile camminare scendendo le scale, mantenere l'equilibrio passo dopo passo, mettere il piede nel posto giusto. Sa, di solito la persona comincia ad inciampare e a non sapere più camminare.» Questo tipo di messaggio evocativo è di gran lunga più efficace di qualunque precisa spiegazione scientifica nel produrre nel soggetto sensazioni ed emozioni che aprono un varco nella sua rigida percezione e reazione nei confronti della realtà. Utilizzando questa tecnica si «disseminano» suggestioni all'interno di un racconto o le si comunicano in forma metaforica, in modo da non coinvolgere direttamente il paziente, ma queste suggestioni, per il loro potere evocativo, sono vere e proprie bordate di cannone per il ridondante sistema concettuale e comportamentale del paziente. In termini strettamente linguistici, si sfrutta la funzione poetica del messaggio (Jacobson 1963), l'enfasi

è sul potere evocativo di queste forme di comunicazione. Tutti noi abbiamo provato tale effetto leggendo una poesia particolarmente toccante, o un testo narrativo che ci ha coinvolto oppure guardando un film. Abbiamo provato quella sensazione di essere proprio noi i protagonisti della poesia, del racconto o del film; pur essendo ben consapevoli che tutto ciò è finzione, ciò nonostante proviamo determinate emozioni evocate da quel tipo di comunicazione ricevuta, e mediante ciò viviamo una reale e concreta esperienza. Sul come provocare questo tipo di esperienza in terapia è stato ancora Erickson a indicare la strada; egli ha trasferito alla psicoterapia quello che è una vecchia conoscenza per gli ipnotisti. Infatti, per un ipnotista è usuale indurre alla trance un soggetto con narrazioni di storie evocative, come è anche usuale trasmettere suggestioni sotto forma di metafora. Ma senza nulla voler togliere alla genialità di Erickson, l'efficacia ed il potere di questa strategia di persuasione è una ==ï LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

conoscenza utilizzata da moltissimi secoli in vari contesti. Il linguaggio evocativo è da sempre il tipo di comunicazione preferito dai grandi leader religiosi, dai rivoluzionari e dai dittatori, nonché ovviamente da scrittori e poeti; basti pensare alle parabole di Cristo o agli aneddoti di Budda, o, più vicino a noi nel tempo, allo stile della propaganda di Mussolini e di Hitler. A chi lavora nel campo della pubblicità, per fare ancora un esempio del potere del linguaggio evocativo nell'indurre a concezioni e comportamenti nuovi, è noto come, nel lancio pubblicitario di un prodotto, la costruzione di uno slogan che evochi fantasie e sensazioni sia il primo fondamentale lavoro da eseguire. Ma se qualcuno può essere ancora scettico riguardo al potere che possiede tale tipo di linguaggio nell'indurre le persone a determinati comportamenti, avrà difficoltà a resistere alla rigorosa dimostrazione di ciò operata dal famoso sociologo David Phillips con la formulazione dell'«effetto Werther» (1974, 1979, 1980). Il fenomeno ha una storia lunga e interessante. La pubblicazione del romanzo di Goethe / dolori del giovane Werther, che narra la cocente delusione d'amore ed il suicidio del giovane protagonista, produsse un effetto sconvolgente. Oltre al grande successo per l'autore, la grande risonanza e divulgazione del libro provocò un'ondata di suicidi emulativi in tutta Europa. Tale effetto fu così potente che in diversi paesi le autorità vietarono la circolazione del libro. H lavoro di ricerca di Phillips segue le tracce dell'«effetto Werther» nei tempi moderni. La sua ricerca dimostra che, subito dopo un suicidio da prima pagina, aumenta vertiginosamente la frequenza di suicidi nelle zone dove il fatto ha avuto grande risonanza. Nelle statistiche relative ai suicidi negli Stati Uniti dal 1947 al 1968, nei due mesi successivi a un suicidio da prima pagina, in media si sono avuti 58 suicidi in più del normale andamento. Non solo, ma dai dati anagrafici e anamnestici, appare un'impressionante similarità tra la condizione del primo, famoso suicida e quella di coloro che si erano successivamen==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

te suicidati, ossia, se il suicida famoso era anziano, aumentavano i suicidi di anziani, se il suicida apparteneva a un certo ceto sociale o professione, aumentavano i suicidi in quei determinati ambienti. Ma Phillips non si è fermato a questa constatazione; egli infatti, procedendo alla stessa analisi di possibile «effetto Werther» non solo per i suicidi, ha dimostrato che tale effetto funziona anche per azioni diverse come atti di violenza o, al contrario, atti eroici. Il prerequisito è che siano pubblicizzati e che il ricevente sia una persona simile, o si senta tale, al protagonista dell'episodio narrato. Appare evidente, sulla scorta di tale ricerca, il potere evocativo del meccanismo di proiezione ed identificazione di cui abbiamo parlato in precedenza, e la sua efficacia nel provocare comportamenti emulativi da parte del fruitore del messaggio che si senta simile al protagonista dell'evento narrato. Siccome in psicoterapia ci si interessa del provocare il cambiamento del comportamento e delle concezioni del paziente, ci sembra di non dover trascurare il potere straordinario che può avere il narrare aneddoti, storielle o episodi realmente accaduti, e che calzino alla realtà problematica del paziente. Essi indurranno il soggetto, attraverso i meccanismi descritti, ad effettivi cambiamenti dei suoi schemi di azione nei confronti del problema i quali a loro volta condurranno al cambiamento consequenziale anche dei suoi schemi percettivi e cognitivi.

5.b. he prescrizioni di comportamento Le prescrizioni di comportamento, da seguire nella vita quotidiana al di fuori della seduta nell'intervallo di tempo tra un incontro e l'altro, ricoprono un ruolo fondamentale in terapia strategica. Come abbiamo esposto in precedenza per «cambiare» si deve passare attraverso esperienze concrete: le prescrizioni di comportamento ricoprono il ruolo di far vivere tali concrete esperienze di cambiamento, al di fuori del setting terapeutico. Quest'ultimo è un fattore che merita estrema attenzione, poiché il fatto che il paziente agisca attivamente, senza la diretta

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presenza del terapeuta e nella sua usuale attività giornaliera, è la migliore dimostrazione che egli può dare a se stesso riguardo alle proprie capacità di cambiare la situazione problematica. Che poi egli esegua certe cose inconsapevolmente per effetto dei «trabocchetti comportamentali» utilizzati dal terapeuta, non cambia tale constatazione in quanto, consapevole o non consapevole, egli ha eseguito qualcosa che prima era incapace di eseguire. Una volta vissuta, tale esperienza è la tangibile e ineluttabile prova, concreta e reale, della sua possibilità di superare le proprie difficoltà. Ciò conduce, ovviamente, all'apertura di nuove prospettive di percezione e reazione nei confronti della realtà problematica, in altre parole alla rottura del meccanismo di azioni, retroazioni e «tentate soluzioni» che mantengono la situazione problematica. Le prescrizioni di comportamento possono essere suddivise schematicamente in tre tipologie: b.l. dirette; b.2. indirette; b.3. paradossali. 5.b.l. Le prescrizioni dirette sono quel tipo di indicazioni dirette e chiare di azioni da eseguire tese alla risoluzione del problema presentato, o al raggiungimento di uno dei progressivi obiettivi del cambiamento. Questo tipo di intervento è utile nei casi di persone molto collaborative e che hanno una scarsa resistenza al cambiamento; alle quali è sufficiente dare la chiave di risoluzione del problema, prescrivendo loro come comportarsi di fronte alla situazione problematica in maniera da disinnescare i meccanismi che la mantengono operante. Prendiamo, ad esempio, il caso di una coppia di coniugi che litigano in continuazione e in cui appare chiaro che la matrice dei continui litigi è il fatto che, con le migliori intenzioni, ognuno dei due cerca di correggere i presunti errori comportamentali dell'altro. Si può capire bene come tale situazione conduca ad una formidabile escalation dei litigi. Infatti si stabilisce così il gioco senza fine di azioni e reazioni tese a correggersi a vicenda. In tale situazione, se uno dei coniugi appare più collaborativo, sarà sufficiente, per disinnescare il gioco senza fine delle correzioni e controcorrezioni, ==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

spiegare chiaramente la situazione a questa persona e dargli il compito di rompere la catena rimanendo senza reazioni oppo-sitive di fronte ai comportamenti correttivi del coniuge o dandogli addirittura ragione. L'altra usuale funzione delle prescrizioni dirette è quella di far consolidare, nella fase successiva alla rottura del sistema disfunzionale che regge il problema, attraverso progressive azioni consapevoli, le capacità del paziente di affrontare con successo le situazioni prima problematiche. A tal fine si prescrive direttamente ed esplicitamente al soggetto il compito da eseguire, e si chiarisce il programma evolutivo di prescrizioni dirette. 5.b.2. Le prescrizioni indirette sono quel tipo di ingiunzioni di comportamento che mascherano il loro vero obbiettivo. Ossia, si prescrive di fare qualcosa con il fine di produrre qualcosa di diverso da ciò che è dichiarato o prescritto. Questo tipo di prescrizione utilizza la tecnica ipnotica dello spostamento del sintomo, di solito si attira l'attenzione del paziente su qualche altra cosa problematica che riduca l'intensità del problema presentato. Per chiarire meglio questa tecnica si può ricorrere all'analogia con la tecnica del prestigiatore, il quale richiama l'attenzione del pubblico su alcuni suoi movimenti più evidenti, mentre esegue il trucco di nascosto, producendo così l'effetto spettacolare e apparentemente magico.

Ad esempio, il paziente fobico al quale viene prescritto di eseguire, in presenza del sintomo, un compito ansiogeno e imbarazzante come l'annotare dettagliatamente le sue sensazioni e pensieri in quel momento, per poi portarli in visione al terapeuta, di solito torna con un senso di colpa per non aver seguito l'imbarazzante prescrizione. Ma riferisce anche che stranamente, non si spiega come è successo, ma non ha avuto i sintomi fobici in quella settimana. Ovviamente è stato tanto l'imbarazzo o l'ansia di eseguire il compito assegnato, che egli non ha manifestato il sintomo in concomitanza del quale avrebbe dovuto eseguire il compito. In altre parole, l'attenzione si è spostata dal sintomo al ==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

compito producendo la neutralizzazione della manifestazione problematica mediante un «benefico imbroglio». Ma ciò che è più importante è che si è dimostrato, mediante un'esperienza concreta, che egli può controllare e annullare i suoi sintomi. Questi interventi, per la loro proprietà di aggirare la resistenza al cambiamento in quanto conducono le persone a fare qualcosa senza che, mentre lo fanno, se ne rendano conto, ricoprono un ruolo fondamentale nella prima fase di un trattamento strategico. Essi infatti permettono la rapida ed efficace rottura dell'irrigidita situazione di azioni e retroazioni disfunzionali. 5.b.3. Le prescrizioni paradossali derivano direttamente dalle osservazioni e riflessioni fatte in precedenza sulTutilizzo del paradosso in terapia. Nei confronti di un problema che si presenta come spontaneo ed irrefrenabile, ad esempio coazioni a ripetere, ossessioni o comportamenti ostinati, è molto efficace prescrivere il comportamento sintomatico stesso, poiché in questo modo si mette la persona nella situazione paradossale di dover eseguire volontariamente ciò che è involontario ed incontrollabile e che ha sempre tentato di evitare. Anche in questo caso l'esecuzione volontaria del sintomo annulla il sintomo stesso, che per essere sintomo deve essere qualcosa di spontaneo ed incontrollabile. Ad esempio, ad un paziente con manifestazione di rituali pre-notturni quali il dover controllare ripetutamente la chiusura dei rubinetti, dell'elettricità e del gas, e il dover aggiustare in una maniera sempre uguale ed esatta la posizione delle scarpe prima di dormire fu prescritto: a. eseguire tutte le sere, volontariamente e con estrema attenzione> il gesto della chiusura dei rubinetti e delle manopole del gas e dell'elettricità per un numero prefissato di volte con ognuna delle due mani; b. mettere le scarpe come le aveva sempre sistemate, ma invertire la direzione della punta. Con tale prescrizione, si ottenne, nel giro di due settimane, l'estinzione completa dei rituali pre-notturni. Le prescrizioni paradossali come quelle indirette possiedo-no un grande potere di evitamento della resistenza e perciò ==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

sono molto utili nella prioritaria fase di rottura del sistema che regge il problema. Affinchè le prescrizioni, in tutte le loro forme, siano effettuate e risultino efficaci, necessitano di essere studiate attentamente e presentate al paziente come veri e propri comandi ipnotici, ricorrendo alle tecniche di comunicazione terapeutica descritte nel precedente paragrafo. Come abbiamo avuto modo di affermare, infatti, riteniamo cruciale, al fine della sua efficacia in psicoterapia, l'utilizzo di un linguaggio ipnotico o ingiuntivo." Altrimenti i pazienti eseguono raramente le prescrizioni e in particolare quelle indirette e paradossali. Forse questo è il motivo per cui alcuni terapeuti lamentano la non efficacia dei metodi prescrittivi e paradossali. Quindi le prescrizioni devono essere ingiunte in linguaggio lento e scandito, ripetendo varie volte l'ingiunzione, e presentate al paziente negli ultimi minuti della seduta. È evidente l'analogia con la tecnica dell'induzione alla trance ipnotica. In effetti, come nell'induzione ipnotica, quanto più il terapeuta riesce a caricare di suggestione la prescrizione, tanto meglio questa sarà eseguita e maggiore sarà la sua efficacia. Per quanto concerne l'efficacia di questa strategia terapeutica e il suo funzionamento nel produrre i cambiamenti, crediamo che essa sia stata trattata ed evidenziata nella prima parte di questo lavoro e riteniamo inutile ripetersi. Riguardo poi alla sua efficacia come arma di persuasione in contesti diversi da quello terapeutico, essa possiede un'antichissima storia. Basti pensare ai rituali di iniziazione tribale e religiosa alle cerimonie di accettazione sociale che accompagnano da sempre la storia dell'umanità. Se dovessimo trattare del ricorso alle prescrizioni di comportamento nella storia della psicoterapia, l'esposizione ci porterebbe lontano e sarebbe necessario scrivere un altro volume, quindi soprassediamo.

Infine, in merito ad esemplifi-

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Per un maggior approfondimento di questo tema vedi Watzlawick (1980)



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cazioni ulteriori di questa strategia terapeutica e dei suoi effetti rimandiamo alla lettura del successivo capitolo del presente volume riguardante la casistica clinica. Tuttavia, prima di concludere, è molto importante chiarire che, dopo l'esecuzione di ogni prescrizione, si deve procedere sempre alla ridefinizione del risultato e alla gratificazione del paziente per le capacità dimostrate. Egli va reso consapevole del fatto che i problemi che gli sembravano invincibili possono essere superati in modo agevole, e che lui stesso lo ha dimostrato con le azioni eseguite. Le prescrizioni possono essere formulate in diverse modalità ed essere le azioni più diverse: semplici compiti da eseguire a casa, complicati rituali, o azioni che non hanno apparentemente nulla a che vedere con il problema presentato dal paziente. L'importante è che il terapeuta, nel dare prescrizioni, si sforzi di trovare, con inventiva e fantasia, la chiave giusta per aprire la porta blindata rappresentata dal sistema disfunzionale di azioni e retroazioni nel quale il paziente si trova. 6. La conclusione del trattamento L'ultimo incontro in una terapia strategica ricopre un ruolo molto importante, quello di essere l'ultima pennellata e la giusta cornice dell'opera compiuta. L'obiettivo è quello di consolidare definitivamente l'autonomia personale della persona curata. A questo fine si procede ad un riepilogo e ad una spiegazione dettagliata del processo terapeutico svolto e delle strategie utilizzate. In modo tale da offrire alla persona una chiara conoscenza anche di certe strane tecniche usate nel trattamento (ingiunzioni indirette, suggestioni, prescrizioni paradossali). Si ritiene indispensabile questa ridefinizione finale, al fine del raggiungimento da parte del soggetto della completa autonomia personale, nella convinzione che quest'ultima richiede, per essere consolidata, la consapevolezza che la realtà «psichica e comportamentale» è cambiata grazie ad un intervento sistematico e scientifico, e non a qualche forma di strana magia. ==LA PRASSI CLINICA IN TERAPIA STRATEGICA

Ma soprattutto si mette in risalto la capacità del soggetto nell'aver eseguito con costanza e tenacia il «duro» lavoro richiesto dalla soluzione del problema, e la sua acquisita capacità di superare da solo, adesso, altri eventuali problemi. Crediamo che sia fondamentale tale incentivo al mantenimento di una propria autonomia personale ed all'acquisizione di una corretta autostima, e pensiamo che assuma la forma di una suggestione positiva per il futuro. A questo fine è anche bene ricordare che nel corso del trattamento si cerca di non creare assolutamente dipendenza. Infatti, dopo ogni piccolo cambiamento ottenuto, si procede con cura a gratificare il paziente per il suo impegno e la sua capacità personale nel combattere il problema. Inoltre, il trattamento a breve termine induce sin dall'inizio il paziente all'assunzione delle sue responsabilità anche in merito all'esito della terapia. La manipolazione da parte del terapeuta della situazione e la sua influenza personale nei confronti del paziente sono rivolti al fare acquisire, nel modo più rapido possibile, la capacità di reagire correttamente nei confronti del problema presentato. Infine, si sottolinea che durante questo intervento sono state attivate caratteristiche e qualità già proprie del paziente, delle quali egli adesso è diventato consapevole ed in grado di utilizzarle. Nulla è stato aggiunto che egli già non avesse. Egli ha imparato a percepire la realtà ed a reagire nei confronti di essa, utilizzando positivamente le proprie doti personali, grazie ad esperienze guidate dal terapeuta, ma adesso è completamente in grado di fare da solo. ==Capitolo

quinto Due modelli di trattamento specifico

Tutto va imparato non per esibirlo, ma per utilizzarlo G.C. Lichtenberg, Libretto di consolazione

Dopo aver presentato e discusso la tipica prassi clinica strategica nella sua processualità e nelle sue più consolidate ed usuali procedure terapeutiche, appare utile ofïïre due esempi di trattamento specifico per determinati disturbi. Ossia due protocolli terapeutici costruiti ad hoc per due particolari tipologie di problemi. In altre parole, così come nei manuali di scacchi si trovano alcuni tipi di scacco matto, da mettere in atto in un numero ridotto di mosse, nei confronti di particolari aperture da parte dell'avversario, anche in terapia è possibile avere, per determinate tipologie di problemi, una serie pianificata di strategie che conducono alla soluzione di tali problemi. Ossia uno scacco matto specifico per determinate sintomatologie psicologiche. È evidente, tuttavia, a scanso di equivoci, che tale specifica programmazione terapeutica prevede sempre un adattamento delle stesse strategie alle diverse peculiarità personali di ogni soggetto e del suo contesto inter-personale. Qui di seguito verranno presentati i modelli specifici di trattamento di disturbi fobici quali gli attacchi di panico e agorafobia; di disturbi ossessivi quali i rituali compulsivi e le fissazioni ossessive. I due protocolli di trattamento sono stati messi a punto su base empirica, ossia sull'applicazione ad un gruppo di soggetti con tali disturbi di un'ipotesi di programma terapeutico e di specifiche strategie. Gli effetti di tale programma e di tali strategie sono quindi stati studiati e valutati e, sulla base di ciò, sono stati adattati o modificati sia il primo che le seconde. Lo stesso procedimento è stato ripetuto più volte, e lo stu==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

dio delle strategie è stato effettuato anche grazie alle videoregistrazioni delle sedute. Questa metodologia ha permesso di aggiustare progressivamente la mira, rispetto alle prime ipotesi di protocollo terapeutico, nel focalizzare le più efficaci ed efficienti strategie terapeutiche per tali disturbi e la loro più idonea processualità dalle prime mosse al definitivo «scacco matto» al problema. I due protocolli qui esposti sono la forma attualmente più scremata alla quale siamo giunti in questo nostro lavoro di ricerca, costruzione e affinamento di specifici piani strategici di trattamento. Tali programmi terapeutici, nella loro forma più avanzata, sono stati applicati al campione di soggetti che presentavano i due tipi di problematiche presi in analisi. I risultati ci sembrano decisamente soddisfacenti sia a livello di efficacia che di efficienza della terapia. Chiariti questi punti riguardo alla procedura di messa a punto dei protocolli, possiamo passare all'esposizione dei due modelli di trattamento, che saranno entrambi seguiti dalla presentazione dei dati di ricerca valutativa sul risultato ottenuto dalla loro applicazione al citato campione di specifici pazienti. L'esposizione è articolata in quattro fasi che corrispondono ai quattro stadi in cui sono stati suddivisi i due protocolli di trattamento; ogni stadio è caratterizzato da obbiettivi prefissati da raggiungere e da strategie utilizzate per ottenere tali effetti. I due programmi terapeutici prefissati sono stati seguiti in maniera invariante rispettivamente con tutti i soggetti fobici e con tutti i soggetti ossessivi. Ambedue i modelli di trattamento sono di tipo individuale, tale scelta è motivata dalla maggiore efficienza, emersa nel corso della nostra esperienza clinica, di tale approccio alla terapia delle due specifiche forme di disturbo trattato. 1. Il trattamento dei disturbi fobici l.a. Il problema presentato II tipo di disturbo presentato dai pazienti sottoposti al nostro protocollo terapeutico può essere suddiviso schematicamente in due categorie descrittive di problema, sulla base della severità della sintomatologia fobica. 102 ==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

La prima categoria di disturbi è rappresentata da forme severe di agorafobia e attacchi di panico, la seconda da forme meno gravi dello stesso quadro clinico, connotate comunque dalla presenza di forti crisi di ansia e paura. Per chiarire meglio il concetto di forme severe di agorafobia e attacchi di panico, si intende far riferimento a quel tipo di problema psicologico che potrebbe essere definito «paura della paura». Tutti i

soggetti trattati che manifestavano tale tipo di problema erano giunti, a causa della loro indomabile paura, all'abbandono di qualunque attività che richiedesse un minimo di impegno, responsabilità o esposizione personale ' (lavoro, sport, hobby, feste ecc). Erano incapaci di uscire da soli come erano incapaci di rimanere in casa da soli. Ogni minimo stimolo fisico ambientale veniva da loro trasformato in un segnale di allarme e scatenava terrore. Così come ogni stimolo propriocettivo o sensazione corporea veniva accusata come sintomo di una malattia e scatenava crisi di panico. La situazione era divenuta insostenibile sia per la singola persona che per le persone attorno a lei (coniuge, famiglia, amici ecc.) le quali dovevano provvedere a non abbandonare mai il soggetto e a sorbirsi le sue fissazioni fobiche. Le sintomatologie presentate dai soggetti della seconda categoria descrittiva erano situazioni decisamente meno gravi. I casi trattati non erano giunti, nella loro problematicità fobica, all'abbandono delle usuali attività lavorative, genitoriali o domestiche che i soggetti continuavano a svolgere, però con fatica e con un livello di produttività estremamente ridotto. Tutti questi casi manifestavano molto frequentemente attacchi di ansia e paura immobilizzanti che a volte non erano preceduti da nessuno stimolo apparentemente capace di scatenare tale reazione fobica. In questi determinati momenti le persone erano incapaci di fare alcunché per sbloccare la situazione. Inoltre, questa sintomatologia andava facendosi più pesante e più frequente negli ultimi tempi. l.b. Il protocollo di trattamento Al fine di rendere chiara la processualità e le procedure terapeutiche utilizzate in questo tipo di trattamento, riteniamo ==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

utile presentare una scheda riassuntiva del trattamento stesso. Il processo terapeutico è suddiviso in quattro stadi caratterizzati, come già accennato, da obbiettivi prefissati, da raggiungere prima di passare allo stadio successivo della terapia, e da specifiche strategie terapeutiche per ogni fase del trattamento. Scheda riassuntiva del trattamento Primo stadio: dalla prima alla terza seduta. Obbiettivi: a. ottenere fiducia e collaborazione; b. rompere il sistema rigido di percezione della realtà; e. dimostrare, in pratica, che il cambiamento è possibile. Strategie: 1. parlare il linguaggio del paziente; 2. ristrutturazione del problema; 3. prescrizione indiretta; 4. ridefinizione degli effetti e dei cambiamenti. Secondo stadio: dalla terza alla quinta seduta. Obbiettivi: a. rafforzamento delle capacità di cambiamento; b. cambiamento effettivo della situazione; e. ristrutturazione cognitiva. Strategie: 1. prescrizione paradossale; 2. ristrutturazione; 3. go slow technique. Terzo stadio: dalla quinta seduta in poi. Obbiettivi: a. far esperire direttamente alla persona situazioni di graduale superamento del problema; b. ridefinizione della percezione di sé, degli altri e del mondo. Strategie: 1. prescrizioni dirette di comportamento accompagnate da particolari suggestioni; 2. ridefinizione della situazione dopo ogni esecuzione di prescrizione. Quarto stadio: ultima seduta. Obbiettivi: a. definitivo incentivo all'autonomia personale e consolidamento di questa. Strategie: 1. spiegazione dettagliata del tipo di lavoro svolto insieme e delle tecniche utilizzate; 2. ridefinizione conclusiva delle capacità dimostrate nelT affrontare e risolvere il problema (suggestione positiva sul futuro). ==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

Primo stadio: dalla prima alla terza seduta La prima seduta rappresenta una fase estremamente importante nel trattamento dei soggetti fobici, in quanto tali persone hanno l'urgenza di trovare una possibilità di risoluzione del loro problema, e se non provano immediatamente la sensazione di aver trovato la strada giusta fuggono e vanno alla ricerca di altro. Perciò è fondamentale partire quanto prima con le focali manovre terapeutiche, impegnando rapidamente la persona all'interno del progetto di cambiamento. Sulla base di tale constatazione, nella prima seduta, dopo aver ascoltato attentamente la descrizione del problema e accordatisi sui fini della terapia, utilizzando in questa fase la citata tecnica del «ricalco» in modo da stabilire una funzionale collaborazione terapeutica, si è proceduto alla prima manovra terapeutica.

Questa è una ristrutturazione del sistema di relazioni inter-personali che il paziente fobico vive. Di solito, questo tipo di persone vive una situazione relazionale connotata da un massiccio sostegno sociale da parte del coniuge, dei parenti, degli amici o da altre figure; queste figure servono a far sentire il soggetto fobico protetto e tranquillo in merito al loro pronto intervento non appena egli entra in crisi e richiede aiuto. La situazione è tale che questo tipo di supporto sociale funziona come una «tentata soluzione» che mantiene il problema. Ossia, invece di aiutare il soggetto a superare le proprie paure, questo atteggiamento e comportamento sociale alimenta la situazione problematica mantenendola attiva, in quanto mantiene il soggetto ingabbiato all'interno delle sue convinzioni di non potercela fare da solo a reagire positivamente nei confronti della paura. Da questa considerazione deriva che il primo passo della terapia dovrà essere la rottura di questo sistema interpersona-le di mantenimento del problema. Per ottenere ciò, il focus della prima mossa viene posto sul modo di percepire tale realtà da parte del singolo soggetto e sulle sue usuali reazioni. bi afferma che il suo problema, come del resto tutti i proble==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

mi, necessita senza dubbio dell'aiuto degli altri. Ma se vogliamo risolvere questa sua drammatica situazione, dobbiamo partire dalla constatazione che il supporto e l'aiuto che gli vengono dati non possono certo riuscire a mutare la sua condizione. Si continua dicendogli che non solo egli non può contare sul sostegno e sulla protezione degli altri come soluzione del problema, ma anzi deve cominciare a ritenere quell'aiuto pericoloso e dannoso perché può far aggravare il problema. Anche se per il momento è impossibile farne a meno. Continuando sullo stesso tono, si procede ad una sorta di suggestiva dissertazione teorica tesa alla spiegazione di come le persone intorno al paziente siano ormai parte integrante del sistema disfunzionale e di come, essendo così coinvolte, esse non possano fare nulla per cambiare la sua situazione. Ciò che esse producono, con il loro supporto ed aiuto, è solo la conferma della sua incapacità e della sua indipendenza da loro. E ciò funziona in maniera talmente sottile che la sua situazione non potrà che peggiorare sempre di più. Tuttavia si ribadisce che egli, per adesso, non può fare a meno dell'aiuto degli altri. Come il lettore avrà ben capito, questa prima ristrutturazione è tesa a canalizzare la paura del paziente, incentivandola verso la provocazione di reazioni che rompano il suo sistema di relazioni interpersonali che contribuisce a mantenere operante il problema della paura e della sua insicurezza. Infatti, ridefinendo il sostegno e J'aiuto degli altri come un qualcosa che fa aumentare i suoi sintomi, si sposta la prospettiva del paziente nel percepire la sua attuale vita relazionale. Egli può ora vederla non più come ancora di salvezza ma come qualcosa di dannoso e pericoloso. Inserire questa nuova percezione nella mente del paziente significa fargli scattare la paura di essere aiutato, perché essere aiutato vuol dire aggravare i propri sintomi. In pratica, si dirotta la forza del disturbo fobico nella direzione dell'annullamento della disfunzionale rete di sostegno. È molto importante, inoltre, sottolineare in questa ristrutturazione il fatto che, nonostante tutto quello che è stato affermato, riteniamo che il paziente non possa, inizialmente, fare a ==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

meno dell'aiuto degli altri. Questa è un'ingiunzione paradossale che di solito aumenta la recettività del paziente, il quale vorrà dimostrare al terapeuta che può fare subito a meno del dannoso aiuto e collaborare con lui alla risoluzione dei suoi problemi. Dopo questa prima azione terapeutica, che usualmente occupa gran parte della seduta, si è passati alla somministrazione della prima prescrizione di comportamento da eseguire nel contesto della vita di tutti i giorni, ma affermando che per il momento si è solo in una fase indagatoria e che il compito assegnato è solo una tecnica di indagine, che dovrà esser seguita alla lettera per permettere una migliore conoscenza della situazione. Questo al fine di evitare che il paziente, nel-l'eseguire il compito stia a misurare gli effetti, e si crei così quell'eccessiva attenzione nei confronti di tali effetti che potrebbe inibire l'efficacia della prescrizione. La quale, data come semplice tecnica diagnostica, non provoca tali aspettative e reazioni. La prescrizione viene presentata come segue: «Ogni volta, anche se le capita cento volte al giorno, che lei entra in crisi, che ha un momento di panico, che sente la sua ansia salire ecc, lei tirerà fuori dalla tasca questo 'diario di bordo', che le consegno, e annoterà tutto ciò che succede seguendo dettagliatamente le istruzioni e riempiendo ogni voce contemplata nel suddetto diario. La prossima seduta, mi lascerà le pagine relative alla settimana trascorsa ed io

le studierò.» Il «diario di bordo» è un blocchetto appositamente preparato che viene consegnato al paziente insieme alla prescrizione: si tratta di un noiosissimo formulario con circa dieci colonne relative alla data, al luogo, alla situazione, ai pensieri, alle azioni, ai sintomi ecc, che richiede, per essere compilato, circa cinque minuti ogni volta. In tutti i casi qui presentati, l'effetto della prescrizione è stato più o meno lo stesso. Alla seconda seduta la persona ha esordito dicendo: «Dottore, lei mi deve scusare, io non ho fatto il compito assegnato. Ma stranamente questa settimana r non ho avuto alcuna crisi.» Oppure: «Sa, dottore, stranamente sono stato decisamente meglio, ho avuto qualche momento ==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

critico, ma è eccezionale, non so spiegarlo, ma scrivendo l'ansia e la paura mi passa subito.» Cosa è successo? Come è possibile aver prodotto tale cambiamento? Il sistema rigido di percezione della realtà che costringeva la persona a determinate risposte disfunzionali è stato rotto. La rete controproducente di supporti sociali è stata annullata. L'«incantesimo» è stato infranto. La spiegazione più probabile di questo fenomeno ci sembra la seguente: il compito prescritto e la ristrutturazione, eseguita durante la seduta, costringono il paziente a non utilizzare le usuali «tentate soluzioni» che invece di risolvere il problema lo complicavano (ad esempio il cercare ad ogni costo di non pensare a ciò che si sente, o il cercare l'aiuto degli altri). Il dover annotare scrupolosamente gli eventi e i pensieri, inoltre, ha messo i pazienti in una situazione completamente diversa di reazione alla paura, in quanto essendo un compito imbarazzante da eseguire e da consegnare, il soggetto fobico sfugge a tale imbarazzo svincolandosi dalle originarie reazioni. In altre parole, un imbarazzo si sostituisce alla paura bloccandola: ancora una volta si utilizza la forza stessa del sintomo per annullare il sintomo stesso. Nella seconda seduta, dopo il resoconto del paziente su ciò che è accaduto durante la settimana, si è passati ad un'azione terapeutica che rafforza l'effetto delle precedenti manovre: la ridefinizione della situazione. Ossia: «Dunque il problema non è così grosso come sembra se è bastata una così banale prescrizione per modificare la situazione. Allora i suoi disturbi non sono così invincibili, non sono ineluttabili, lei può cambiare realmente, lo ha dimostrato in questa settimana.» E per tutta la seduta si insiste su questa ridefinizione del problema. Con questa, in aggiunta alla rottura del sistema rigido di risposte disfunzionali, si ottiene un immediato consolidamento della fiducia del paziente nelle proprie capacità. Ossia si comincia a spostare il suo consapevole punto di osservazione della realtà da una prospettiva disfunzionale ad una più funzionale. A questo punto, se la risposta alle prime azioni terapeutiche ==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

è stata ottimale, alla fine della seconda seduta si è passati al secondo stadio del programma terapeutico, altrimenti si è mantenuta la prescrizione per un'altra settimana per procedere, poi, a ripetere la ridefinizione nella terza seduta; in modo tale da giungere, anche in questi casi, all'effetto desiderato. Secondo stadio dalla terza alla quinta seduta Negli ultimi minuti della seconda o terza seduta si è proceduto con tutti i casi all'assegnazione di una nuova prescrizione di comportamento, per la precisione una prescrizione paradossale del tipo «sii spontaneo». Ossia: «Visto che lei è stato/a così bravo nelle settimane precedenti a combattere con il suo problema, adesso le do un compito che le apparirà ancora più strano ed assurdo di quello che ha eseguito sino ad ora. Ma, come siamo d'accordo, lei dovrà assolutamente eseguirlo. Del resto mi sembra di meritarmi un po' della sua fiducia, non crede? Dunque, suppongo che lei abbia una sveglia in casa, sa, di quelle che hanno quel trillo così antipatico. Bene, lei ogni giorno alla stessa ora, che adesso concorderemo, dovrà prendere questa sveglia a caricarla per farla suonare mezz'ora più tardi. In questa mezz'ora lei si chiuderà in una stanza della sua casa e, seduto su di una poltrona, si sforzerà di stare male, si concentrerà sulle peggiori fantasie rispetto al suo problema. Penserà alle peggiori paure sino a prodursi volontariamente una crisi di ansia e panico, rimanendo in questo stato per tutta la mezz'ora. Appena la sveglia suonerà, lei staccherà la suoneria e interromperà il compito, lasciando i pensieri, le sensazioni che si è provocato/a, e riprendendo la sua usuale attività giornaliera.» Gli effetti di questa prescrizione paradossale sono stati di due tipi. Il primo: «Dottore, non sono proprio riuscito a calarmi nella situazione, mi sono sforzato, ma tutto mi sembrava così buffo che mi veniva

persino da ridere.» Il secondo: «Dottore, sono riuscito così bene a fare il compito che ho provato le stesse sensazioni che provavo prima di venire da lei, ho sofferto tantissimo, poi per fortuna ha suonato la sveglia ed è finito tutto.» Da notare che, in ambedue i tipi di risposte, nel corso della ==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

giornata, al di fuori della mezz'ora durante la quale andava eseguito il compito, la maggior parte dei pazienti non aveva avuto alcun momento di crisi, alcuni solo qualche episodio sporadico di ansia facilmente domabile. Nella seduta successiva, dopo il resoconto del paziente sull'effetto della prescrizione, si è provveduto a ridefinire ancora la situazione. Nel caso di risposta del primo tipo alla prescrizione, la ridefinizione è stata: «Come ha potuto constatare, il suo problema può essere annullato proprio provocandolo volontariamente; è un paradosso ma sa, a volte la nostra mente funziona più per paradossi che per logica. Lei sta imparando a non cadere più nella trappola del suo disturbo e delle 'tentate soluzioni' che complicano i problemi invece che risolverli.» E su questo tono si è andati avanti per tutta la seduta. Nel caso di risposta del secondo tipo, la ridefinizione, invece, è stata: «Molto bene, lei sta imparando a modulare e gestire il suo disturbo; come è capace di provocare i sintomi volontariamente, lei è anche capace di ridurli ed annullarli.» E così avanti per tutta la seduta. Dunque, in ambedue le situazioni, la ridefinizione è stata centrata sul rafforzamento della consapevolezza e fiducia relative al cambiamento e alla risoluzione completa del problema. Il paziente ha avuto le incontrovertibili dimostrazioni concrete dell'efficacia del lavoro che sta svolgendo insieme allo specialista. Ciò lo conduce, da una parte, ad un'eccezionale collaborazione terapeutica, dall'altra, ad un progressivo, ulteriore cambiamento di percezione della propria realtà. Inoltre, si è stati attenti ad attribuire la responsabilità del cambiamento alle personali capacità del paziente, presentando il terapeuta come lo stratega che utilizza particolari tecniche per far emergere ciò che la persona possiede ma non sa utilizzare. Questa considerazione rende incredibilmente incentivato colui che si è sempre ritenuto un inetto, e che ha avuto conferma di ciò dal comportamento delle persone che lo circondano. Cosicché si focalizza l'attenzione sull'incremento della sua competenza personale e della sua autostima. A questo punto, a distanza di qualche settimana, la situazione è radicalmente mutata; in tutti i casi a cui ci si riferisce ==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

in questa esposizione i sintomi attanagliami ed immobilizzanti non sussistono più. Ma il paziente non può considerarsi guarito. In questa fase è estremamente importante ridurre l'euforia, mettendo in guardia la persona dalla pericolosità di un'eccessivamente rapida guarigione (go slow)." E perciò si ha la necessità di rallentare e pensare che, se si pigia troppo sull'acceleratore, è facile andare fuori strada e ricadere nel problema. L'importante, adesso, è consolidare ciò che si è ottenuto, e così si passa allo stadio successivo della terapia. Terzo stadio: dalla quinta seduta in poi Giunti a questa fase della terapia, il passo successivo è stato la programmazione di prescrizioni dirette di comportamento, costituite sulla base di una scala progressiva di situazioni ansiogene alle quali esporre gradualmente il paziente. Ciò presenta qualche analogia con quanto viene fatto nelle desensibilizzazioni sistematiche comportamentistiche, ma per ogni diretta prescrizione comportamentale viene aggiunta una suggestione che conduca inesorabilmente la persona ad eseguire il compito ansiogeno. Ad esempio, ad una donna di trentatré anni che a questo punto della terapia aveva scelto come primo diretto compito ansiogeno la guida dell'auto, venne richiesto di descrivere dettagliatamente un episodio di panico in auto che ricordasse molto bene. La donna narrò che una volta, tempo prima, guidando in una strada di campagna attorno ad Arezzo, ebbe una tale crisi di paura che dovette fermarsi e chiedere aiuto; fu soccorsa da un automobilista che l'accompagnò al più vicino pronto soccorso. Dopo quell'episodio le era stato impossibile uscire con l'auto dalle strade strettamente cittadine. La prescrizione diretta fu la seguente: «Bene, io credo che lei adesso, seguendo alla lettera le mie istruzioni, dopo ciò che è riuscita a fare nelle settimane precedenti, potrà sicuramente superare questa prima prova. Ma esegua, come al solito, per-

15

Go slow technique in Brief Therapy.

Vedi Fisch et al. 1982

111

==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

fettamente ciò che io le chiedo. Domani, dopo pranzo, scenda in garage, metta in moto l'auto, parta e vada a percorrere lo stesso tragitto di quella volta che mi ha narrato. Però, invece di farlo nello stesso senso, questa volta lei lo farà in senso inverso [prima suggestione]. Inoltre, mi lasci pensare. Lei sa sicuramente che, a circa metà del tragitto, c'è una breve deviazione che conduce a quel negozio dove vendono direttamente la frutta raccolta nei dintorni. Dunque, io sono ghiotto di mele, perciò lei prenderà quella deviazione e andrà a comprarmi la mela più grossa e più matura che troverà nel negozio. Dopo di che lei me la porterà immediatamente qui al mio studio. Io sarò occupato e non potrò riceverla, cosicché busserà alla mia porta e mi consegnerà la mela, poi ci rivedremo al prossimo appuntamento [seconda suggestione].» La donna, il giorno dopo, bussò alla mia porta radiosa e sorridente con un'enorme mela. All'appuntamento, la settimana successiva, ella riferì entusiasta che per tutta la settimana, ogni pomeriggio, era andata a fare un giro in auto avventurandosi sempre più lontano senza la minima paura, anzi divertendosi moltissimo. In pratica, alla paziente fu assegnato un compito ansiogeno incastrato tra due suggestioni, la prima relativa al compito stesso, la seconda relativa ad un compito indipendente ma che, per essere eseguito, prevedeva l'esecuzione del primo compito. In modo tale che l'attenzione della persona è stata focalizzata sul secondo compito e non sul primo realmente ansiogeno. Ma una volta eseguito il tutto, la persona si rende conto di aver superato realmente la paura. Ella capisce il trucco ma ha anche dimostrato a se stessa, con un'innegabile concreta azione, di poter superare realmente le proprie difficoltà. A differenza della classica desensibilizzazione di tipo comportamentistico che molte volte si blocca perché la persona si rifiuta di eseguire le dirette prescrizioni di comportamento, in questa maniera si riesce ad ottenere mediante un «benefico imbroglio» l'esecuzione anche di prescrizioni che, presentate da sole, sarebbe impossibile far eseguire. Come un prestigiatore o un illusionista sposta l'attenzione dell'osservatore, mentre esegue il trucco, così in questo tipo di manovra terapeuti11?

==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

ca si aggira il blocco ansioso. Nel terzo stadio, il trattamento si sviluppa con l'esecuzione delle dirette prescrizioni di comportamento relative alla scala di situazioni ansiogene concordate. È importante ricordare che, dopo ogni prescrizione, si è provveduto, come nelle prime fasi della terapia, alla ridefinizione delle reali capacità dimostrate dalla persona nel superare le situazioni che prima la avrebbero messa in crisi. Inoltre, man mano che si è andati avanti nel trattamento, le suggestioni che accompagnavano le prescrizioni sono calate fino a lasciare spazio solo alla diretta prescrizione di comportamento. Di solito, procedendo così, si è giunti ad un punto in cui è 10 stesso paziente ad affermare di sentirsi in grado di affrontare senza problemi qualunque, precedentemente ansiogena, situazione. Quello è il momento di passare all'ultima fase del trattamento: la conclusione. Quarto stadio: ultima seduta L'ultimo incontro, come abbiamo già chiarito, ricopre il ruolo di essere l'ultima pennellata e la giusta cornice dell'opera compiuta, con l'obiettivo di consolidare definitivamente l'autonomia personale del paziente. A tal riguardo, si è proceduto ad un riepilogo e ad una spiegazione dettagliata del processo terapeutico svolto e delle strategie utilizzate, spiegando bene il loro funzionamento. Ribadendo che il cambiamento è avvenuto grazie alle personali doti del paziente. Il terapeuta ha solo attivato queste già presenti caratteristiche personali, non ha aggiunto nulla, anche perché questo sarebbe impossibile. Sulla base di ciò, si è concluso affermando che egli, ormai, ha imparato ad utilizzare bene le proprie doti personali e che quindi adesso non ha più bisogno dell'aiuto del terapeuta. Ci si è accordati sulle modalità di follow-up e ci si è congedati definitivamente dalT ormai ex paziente. I.e. Efficacia ed efficienza del trattamento l.c.l. Campione

11protocollo di trattamento sin qui esposto è stato applicato a 41 soggetti, i quali presentavano tutti le descritte tipologie di ==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

disturbi fobici. Tale campione era composto da 24 donne e 17 uomini, età media 31 anni, a partire da un minimo di 18 anni per il soggetto più giovane ad un massimo di 71 anni per il soggetto più vecchio. Il ceto sociale di appartenenza dei soggetti era molto disomogeneo, così come le loro occupazioni professionali che andavano dall'insegnante, al professionista, al medico, sino all'operaio, alla casalinga e allo studente. Di conseguenza possiamo affermare che il campione era rappresentativo di realtà personali molto diverse assimilabili solo per la loro sintomatologia fobica, e significativo a livello statistico dato il numero dei casi trattati. l.c.2. Efficacia!6 L'efficacia è stata valutata considerando: a. la valutazione dell'esito finale della terapia; b. se a distanza di tempo i risultati ottenuti si sono mantenuti o al contrario se si sono presentate ricadute sintomatiche o l'apparizione di sintomi sostitutivi di quelli originari. Sulla base di tale criterio metodologico, i risultati del trattamento sono stati i seguenti: Trentadue casi completamente risolti. Ossia casi con completa risoluzione del problema alla fine della terapia e assenza di ricadute nell'arco di un anno. Sette casi molto migliorati. Ossia casi con remissione completa dei sintomi alla fine della terapia, che hanno dimostrato però ai follow-up la presenza di sporadiche e leggere crisi di ansia, crisi, tuttavia, rapidamente controllate. Due casi poco migliorati. Ossia casi con parziale riduzione della sintomatologia alla fine del trattamento, che hanno riferito ai follow-up la presenza di frequenti momenti critici di ansia e paura. Ma tali momenti critici sono stati definiti dai soggetti molto meno forti di quelli precedenti alla terapia. Nessun caso immutato. Nessun caso peggiorato. 16 Per un'estesa esplicitazione del con-

relativo alla ricerca valutativa, p. 152. certo di efficacia si rimanda al capitolo

114 ==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

Ciò significa che il trattamento ha ottenuto pieno successo con il 78% dei casi; successo alla fine del trattamento, ma con leggere ricadute nel tempo, con il 17% dei casi; scarso successo con il 5% dei casi sia alla fine del trattamento che in seguito. l.c.3. Efficienza17 La durata media del trattamento è stata di 15,6 sedute, da un minimo di 6 sedute per il trattamento più breve ad un massimo di 34 sedute per il trattamento più lungo. Per meglio valutare l'efficienza possiamo suddividere i trattamenti con esito positivo, ossia i casi risolti o molto migliorati, in quattro gruppi: le terapie durate da 6 a 10 sedute; da 11 a 20; da 21 a 30 e da 31 a 34 (vedi tabella riassuntiva dei risultati). Da questo tipo di ordinamento dei dati risulta che l'80% dei casi circa è stato trattato in meno di venti sedute. TAVOLA RIASSUNTIVA DEI RISULTATI TRATTAMENTO DEI DISTURBI

FOBICI

Efficacia

n.

%

Casi risolti

32

78

Casi molto migliorati

7

17

Casi poco migliorati

2

5

Casi immutati

-

-

Casi peggiorati

-

-

41

100

Totale casi trattati Efficienza. Durata media del trattamento:

sedute 15,6

Durata del trattamento

n. casi risolti o molto migliorati

n. casi%

Da 6 a 10 sedute

9

23

Da 11 a 20 sedute

22

57

Da 21 a 30 sedute

6

15

Da 31 a 34 sedute

2

5

17

Per un'estesa esplicitazione del con-

da al capitolo relativo alla ricerca valuta-cetto di efficienza della terapia, si riman-

riva a p. 159.

115 ==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

Riflessioni sui risultati I dati relativi ai risultati ottenuti con l'applicazione del nostro modello di terapia dei disturbi fobici dimostrano ampiamente la sua notevole efficacia. Infatti il 95% dei casi, alla fine del trattamento, ha raggiunto la remissione dei sintomi presenti, anche se poi in alcuni di questi, ovvero in 7 casi, si sono avute, in seguito, leggere e controllate ricadute. Da notare, quindi, che solo un 5% ha ottenuto scarsi risultati e che nessun caso è rimasto del tutto immutato o ha avuto dei peggioramenti a seguito del trattamento. Infine, il dato che a noi sembra ancora più distintivo di questo tipo di trattamento è la sua sorprendente efficienza. Infatti, se consideriamo che l'80% circa dei casi è stato trattato in meno di 20 sedute, ossia circa 4-5 mesi, e se compariamo tale tempo impiegato con gli usuali tempi psicoterapeutici, risulta evidente l'estrema capacità di questo protocollo di trattamento di produrre risultati effettivi in tempi brevi. 2. Il trattamento dei disturbi ossessivi 2.a. Il problema presentato I soggetti del campione a cui è stato applicato il tipo di trattamento che verrà qui descritto presentavano tutti forme piuttosto pesanti di nevrosi ossessiva con presenza di repertori di azioni compulsive. Le persone accusavano forti fissazioni e manie ed erano ossessionate dal dover ripetere in continuazione alcuni «rituali» o, in alcuni casi, dal dover ripetere e controllare più volte ogni azione eseguita per verificarne la dubbia correttezza. Il loro pensiero era continuamente rivolto al cercare di non avere queste strane idee in testa, ma più si impegnavano nel non fare certe cose e a non pensarci, più si ritrovavano ad eseguire le ripetizioni, i rituali e a pensare in maniera sempre più contorta. Ma sicuramente quache esempio può rendere meglio l'idea del tipo di problema presentato da questi soggetti: 1. un giovane ragioniere, che era costretto dalla sua fissazione ossessiva di sbagliare, a controllare e ricontrollare all'infinito i numeri progressivi delle fatture e di altro mate==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

riale di lavoro; sino a che è crollato ed ha dovuto lasciare temporaneamente il lavoro; 2. un giovane ossessionato dall'idea angosciosa di essere omosessuale, il quale si sottoponeva a maratone giornaliere di film e riviste pornografiche per misurare e verificare la sua eccitazione nei confronti del sesso femminile o di quello maschile; 3. una donna perseguitata dalla convinzione di aver investito un passante, la quale era costretta a tornare sul luogo del presunto «delitto» con un'altra persona che le confermasse che non era vero ciò che credeva; 4. un marito convinto, ossessivamente, che la moglie lo tradisse, il quale riusciva a trovare la contorta conferma di ciò in qualunque evento anche per nulla attinente a tale possibile realtà, e che era costretto a seguire dovunque la moglie e a controllarne tutte le mosse; 5. una ragazza che per poter dormire doveva eseguire, prima di andare a letto, il rituale controllo della chiusura di tutti i rubinetti, delle porte, delle finestre di casa, ripetendolo più volte. Poi, durante la notte si svegliava e doveva ricominciare da capo il rituale di controllo. In tutti i casi citati la situazione era divenuta insostenibile e molti dei soggetti del campione avevano dovuto interrompere le usuali attività lavorative. Le fissazioni ossessive, inoltre, erano giunte al punto da abbandonare raramente i pensieri di queste persone, si allentavano un po' solo dopo l'esecuzione dei repertori di azioni compulsive, ma tornavano prepotentemente alla ribalta dopo poco tempo.

2.b. Il protocollo di trattamento Per rendere chiara la processualità e le procedure terapeutiche utilizzate, riteniamo utile presentare (come nell'esposizione del trattamento delle fobie) una scheda riassuntiva del trattamento. Anche in questo caso il trattamento è suddiviso in quattro stadi progressivi caratterizzati da obbiettivi prefissati e da specifiche strategie terapeutiche. Scheda riassuntiva del trattamento Primo stadio: dalla prima alla terza seduta. Obbiettivi: a. ottenere fiducia e collaborazione; b. ==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

rompere la catena ossessiva di pensieri e azioni; e. produrre un primo piccolo concreto cambiamento. Strategie: 1. assecondare nelle ossessioni il paziente; 2. ristrutturazione paradossale e tecnica della confusione; 3. prescrizione del sintomo; 4. racconto di aneddoti e storielle. Secondo stadio: dalla quarta alla sesta seduta. Obbiettivi: a. incentivo e rafforzamento del primo piccolo, concreto cambiamento; b. spostamento .dell'attenzione dal sé agli altri; e. ulteriore progresso nel concreto cambiamento. Strategie: 1. paradosso del «vai piano»; 2. previsione paradossale di ricadute; 3. prescrizione dell'«antro-pologo». Terzo stadio: dalla sesta seduta in poi. Obbiettivi: a. consolidamento progressivo della capacità di non ricadere nelle ossessioni; b. ridefinizione della percezione di sé, degli altri e del mondo. Strategie: 1. ridefinizione dell'attuale situazione; 2. prescrizione della «formula magica» (in alcuni casi). Quarto stadio: ultima seduta. Obbiettivi: a. definitivo consolidamento delle capacità e dell'autonomia personale del paziente. Strategie: 1. spiegazione dettagliata del lavoro eseguito; 2. ridefinizione conclusiva della bravura e capacità dimostrate dal paziente. Primo stadio: dalla prima alla terza seduta II primo incontro con il paziente è stato come al solito centrato sull'acquisizione del potere di intervento mediante la costituzione di un'atmosfera di contatto ed accettazione interper-sonale. A questo fine, con i pazienti ossessivi, ancor più che con le altre tipologie di pazienti, è fondamentale l'assecondamento e la manifesta accettazione delle loro fissazioni e dei loro contorti procedimenti di pensiero. Altrimenti si produce immediatamente una relazione controproducente, infatti il terapeuta che cerca di convincere il paziente dell'assurdità delle sue 1 1S

==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

convinzioni e sulla base di ciò tenta di fargli cambiare modalità di azione, mette in atto ciò che tentano di fare nei confronti dei soggetti ossessivi, senza alcun successo, le persone spinte dal «buon senso comune», ossia utilizzare la logica del «buon senso» applicandola a cose che non funzionano sulla base di tale logica, con l'effetto di non produrre nel soggetto ossessivo alcun cambiamento ma solo la sensazione di non essere assolutamente compreso. Al contrario, l'atteggiamento che, è risultato nel nostro lavoro con tali soggetti, più produttivo è quello basato su di una logica paradossale, che si concretizza, nel primo incontro, nel dimostrare attivamente l'accettazione delle loro balzane fissazioni, prendendo in seria considerazione la possibile sensatezza delle loro assurde convinzioni e cercandone, addirittura, una sorta di giustificazione sulla base di una loro possibile utilità. In conseguenza di questa constatazione, nel definire il problema e nell'accordarsi sugli scopi del trattamento, si è utilizzata l'usuale strategia comunicativa del «ricalco», unita all'assoluto evitamento di affermazioni o pareri che potessero contraddire il punto di vista del paziente, anzi questo è stato assecondato e rafforzato, nel prosieguo della seduta, con una particolare ristrutturazione del problema. ^ Si è proceduto, infatti, nella parte finale della seduta, ad ,,i una elaborata, tortuosa, pedante e poco chiara ristrutturazio4 ne del disturbo presentato, con il ricorso a citazioni di fatti e r

pensieri, orientata alla dimostrazione del fatto che spesso tali ; disturbi possono ricoprire un ruolo importante o una funziofi ne determinante nella personalità umana. Possono essere una ^ dote in più, un dono riservato a pochi esseri più attenti e sensibili degli altri. E si è finito col suggerire di riflettere, durante la settimana, su tale possibile realtà. In pratica, si ridefinisce il sintomo presentato disseminando il dubbio che questo possa avere un ruolo positivo, che possieda uno scopo positivo sul quale indagare. Tutto ciò significa complicare, ancora di più, la già intricata rete di pensieri del paziente, condurla alla sua paradossale esasperazione, e nello stesso tempo orientare il soggetto verso una nuova, ==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

sorprendente prospettiva di analisi di tale realtà. Il creare confusione mentale nel paziente mediante ragionamenti più complicati ed elaborati dei suoi, ed inserire il dubbio assurdo della possibile positività delle sue sofferenze, ha prodotto i seguenti effetti. Alla seconda seduta i pazienti hanno riferito due tipi di reazione che possono essere chiariti mediante estratti di registrazioni: «Dottore, sa, ho pensato tutta la settimana a cosa servono queste mie idee e queste mie azioni strane, ma non ci ho capito niente. Però devo dire che sono stato con la mente più libera in questi giorni.» Oppure: « Dottore, credo di aver capito che queste mie azioni servono veramente a qualcosa, ma non saprei proprio a cosa, comunque devo dire che sono stato un pochino meglio, ho avuto meno fissazioni.» L'effetto della ristrutturazione paradossale è stato, quindi, quello di allentare, anche se di poco, la tensione ossessiva complicandola ancora di più ma orientandola nella sua complicazione verso un oscuro, misterioso e possibile senso positivo dei disturbi provati dal paziente. Ciò ha permesso di concentrare l'attenzione su qualcosa di diverso dall'usuale, si è fatto in modo che il soggetto, invece di cercare di non pensare e di non agire in maniera compulsiva sforzandosi di controllare tali spinte, abbia concentrato la sua attenzione sulla possibile utilità di questi suoi sintomi o disturbi. Ovviamente, tale inesistente utilità non è stata identificata, ma la complicata ricerca in tale direzione ha fatto allentare, per effetto del paradosso, il meccanismo ossessivo di «tentate soluzioni», quali il cercare di non pensare e per questo pensare ancora di più o il cercare di non agire in un certo modo e per questo farlo ancora di più. Come dicevamo in precedenza, il cercare volontariamente di fare qualcosa di spontaneo inibisce la spontaneità e rende impossibile eseguire ciò che si vorrebbe con ogni sforzo. Nelle persone ossessive il tentativo, ossessivo, "di controìlare^e ossessioni produce^ etìetto ììèl mantenimento e dell'incremento di queste. Il disinnescare, anche solo un poco, tale meccanismo produce un rapido allentamento della tensione. Nella seconda seduta, dopo il resoconto del paziente, si è ==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

proceduto al rafforzamento dell'ipotesi di un ruolo funzionale positivo dei sintomi per Ja personalità del paziente median» te un'ulteriore complicata, contorta serie di ragionamenti e supposizioni per giungere negli ultimi minuti della seduta ' all'assegnazione di una prescrizione di comportamento di tipo paradossale, finalizzata ad incidere direttamente sui comportamenti compulsivi. Per l'esattezza, una prescrizione del sintomo vero e proprio formulata come segue: «Bene, sulla base !j di ciò che abbiamo detto finora, io, adesso, le assegno un preciso compito che lei dovrà eseguire senza farmi domande o chiedere spiegazioni, perché questo la aiuterà a sciogliere i dubbi sul ruolo positivo del suo disturbo, perciò dovrà arrivarci da solo. Io le darò le mie spiegazioni solo in seguito. Dunque, io voglio che lei, ogniqualvolta si trovi a dover fare quelle determinate cose che si sente obbligato a fare, invece di resistere e non eseguirle, le ripeta volontariamente dieci volte, esattamente dieci volte! Né una volta di meno, né una volta di più! Esattamente dieci volte!» Tale prescrizione è stata ingiunta come una vera e propria suggestione ipnotica, con linguaggio lento, cadenzato, ripetuto e ridondante nello specificare esattamente il comportamento da eseguire. Per chiarire meglio il contenuto delle prescrizioni, ad esempio, nel caso del ragioniere che controllava in continuazione i numeri progressivi delle fatture, egli avrebbe dovuto controllarli ogni volta dieci volte: nel caso della signora dei rituali prenotturni, ella avrebbe dovuto ripeterli sempre dieci volte; oppure, nel caso del giovane ossessionato dalla paura dell'omosessualità, egli avrebbe dovuto guardare le foto e i fotogrammi più perturbanti di un film sempre per dieci volte. Infine, la signora terrorizzata dalla paura di aver investito qualcuno sarebbe dovuta ripassare dieci volte

dall'ipotetico «luogo del delitto» ogni volta che avesse avuto {L. torero eseguito con impegno û. suo compito, ma non riuscivo a fare dieci volte la stessa cosa, anzi qualche volta non l'ho fatto per nulla. Poi lei mi aveva detto che avrei capito l'utilità dei miei problemi, ma io continuo a non capirci nulla!» Alcuni hanno riferito, addirittura, di non essere mai stati capaci di ==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

ripetere le azioni o i rituali perché non si erano mai sentiti in dovere di farli e non avevano avuto voglia di farli volontariamente. Ma anche questi pazienti continuavano a non capire il ruolo positivo dei loro problemi. La manovra terapeutica è stata, dopo tali resoconti, di ribadire l'importanza di eseguire esattamente dieci volte quella determinata azione, altrimenti essi non avrebbero potuto chiarire il ruolo positivo di tali sintomi, ed assumerne il controllo. Perciò è stata mantenuta la prescrizione ancora per una settimana, sottolineando che si stava cominciando ad assumere il controllo della situazione. Alla fine della seduta, mentre sono stati accompagnati alla porta, ai pazienti è stata narrata questa storiella: «Si racconta in un'antica storiella che una volta una formica chiese ad un millepiedi, sa quegli animali che si muovono così bene ed elegantemente con mille piedi contemporaneamente: 'Mi vuoi dire come fai a camminare così bene con mille piedi insieme, mi spieghi come riesci a controllarli tutti contemporaneamente?' Il millepiedi cominciò a pensarci su e non riuscì più a muoversi e a camminare.» Dopo questa breve narrazione i pazienti sono stati salutati e invitati a riflettere sul significato di tale storiella. Secondo stadio, dalla quarta alla sesta seduta Alla quarta seduta la maggioranza dei pazienti ha riferito di sentirsi decisamente meglio, di aver avuto solo pochi episodi di ossessività e di ripetizione di azioni e che, ogniqualvolta sentivano l'impulso a fare quelle determinate cose, appena cominciavano ad eseguirle volontariamente non avevano più la spinta a farle. Inoltre, molte di queste persone hanno dichiarato di aver pensato molto al millepiedi e di aver capito che essi stessi erano caduti nella stessa trappola, ma non si spiegavano perché ora le cose stavano cambiando. Come era possibile che fossero diminuiti, o in alcuni casi scomparsi, gli impulsi irrefrenabili? A questo punto abbiamo ridefìnito la situazione, spiegando in linea di massima il trucco utilizzato e come il paradosso del «sii spontaneo» funzioni nel produrre problemi, ma possa ==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

essere utilizzato anche per scardinare alcuni altri problemi, nella fattispecie i loro. In particolare ci siamo soffermati sulla chiara possibilità di risoluzione di tale problema. Ma di seguito a tali affermazioni si è anche dichiarato che a quel punto era necessario rallentare il processo di cambiamento: «Se si pigia troppo sull'acceleratore, si va fuori strada.» E inoltre si è affermato: «Sa, io penso che sia prevedibile qualche ricaduta nelle prossime settimane, perché certi disturbi possono tornare prepotentemente dopo essere stati risolti. Anzi, le dirò che io credo che nei prossimi giorni lei avrà quasi sicuramente un bel ritorno di fiamma. E comunque continui a fare ciò che ha * imparato.» Come è possibile prevedere, la settimana successiva solo pochissimi hanno riferito la prescritta ricaduta, la maggioranj za è tornata affermando di non aver avuto ricadute ma di esse'< re stata ancora un po' meglio, con meno pensieri fissi e quasi ì senza repertori di azioni ripeture. In ambedue i casi di resoconto, la mossa successiva, dopo J| un'ulteriore ridefinizione della situazione e della manifesta ty possibilità di cambiamento e risoluzione del problema, è stata quella di prevedere, nel caso delle persone con ricaduta, un'altra ricaduta, ma ben più lieve; negli altri casi, invece, la ricaduta prevista non avvenuta la settimana precedente. A tutti poi è stata assegnata la seguente prescrizione: «Bene, adesso che abbiamo disinnescato quei meccanismi che lei sa, possiamo cominciare ad usare in senso positivo la sua sensibilità e la sua grande capacità di attenzione. Nei prossimi giorni io voglio che lei, quando va fuori, faccia quello che di solito fa un antropologo quando va a studiare una particolare cultura. Egli osserva attentamente il modo di comportarsi delle persone, come si muovono, come parlano, i modi di agire ecc. e sulla base di tali osservazioni cerca di

capire tali persone e le regole che governano il loro comportamento, la loro società, la loro cultura. Io voglio che lei faccia ciò osservando e studiando il comportamento delle persone che vede fuori, che incontra. Voglio che lei si sforzi di capire, dal loro modo di agire, che tipo di persone sono. Sono convinto che con la sua sensibilità e capacità di attenzione, scoprirà cose ==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

interessanti di cui mi parlerà alla prossima seduta.» Questa prescrizione, denominata «prescrizione dell'antropologo», ha l'obbiettivo di produrre lo spostamento dell'attenzione del soggetto dal sé agli altri. Ossia serve a far evitare alla persona di stare troppo attento a ciò che può accadere dentro di sé e alle proprie azioni, meccanismo, questo, che di solito funziona come una profezia che si autodetermina, spostando l'attenzione sull'osservazione e lo studio «antropologico» degli altri. Alla seduta successiva, la maggioranza dei pazienti ha riferito di non aver avuto alcuna ricaduta e ha descritto vivacemente molte tipologie di comportamento umano. È, talvolta, sorprendente la massa di informazioni e riflessioni che i pazienti riferiscono, dopo la «prescrizione dell'antropologo», in riferimento alla loro osservazione e studio del comportamento altrui. Alcuni hanno riferito, addirittura, di aver rilevato in altre persone dei comportamenti sintomatici e di aver scoperto che ci sono tante persone con problemi, cosa che non avrebbero mai creduto prima, pensando di essere loro i soli ad averne. La seduta è stata tutta spesa su riflessioni stimolate dal resoconto del paziente e sull'incentivo a continuare questa indagine conoscitiva degli altri, rafforzando con apprezzamenti le capacità dimostrate dal soggetto nell'eseguire questo non facile compito e ribadendo la grande utilità nell'interagi-re con gli altri che può avere questa sua capacità di indagine valutativa. Terzo stadio, dalla sesta seduta in poi In alcuni casi, alla seduta successiva, di solito la sesta o la settima, la situazione ossessiva era ridotta ai minimi termini, perciò si è proceduto ad una ridefinizione della situazione tesa a sottolineare le capacità dimostrate dal paziente nel combattere i propri problemi collaborando in maniera eccezionale con il terapeuta. In questi casi si è cominciato ad allungare il tempo che intercorreva tra una seduta e l'altra, con il chiaro intento di rafforzare l'autonomia personale e dimostrare di avere una maggiore fiducia nelle capacità acquisite dalla per194

==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

sona. Nelle successive sedute si è andati avanti con ulteriori ridefinizioni positive della situazione e del cambiamento ottenuto sino a giungere alla fine della terapia. Nella maggioranza dei casi, tuttavia, nella seduta successiva alla seconda settimana di «prescrizione dell'antropologo», la situazione si è presentata diversa. I soggetti avevano ridotto ai minimi termini i repertori di azioni ossessive e non erano più schiavi di fissazioni, ma continuavano ad avere la tendenza frequente a pensare troppo sulle cose, complicandole, rendendole difficili e perciò preoccupanti. Quindi, anche se non manifestavano comportamenti ossessivi, mantenevano un'inclinazione ossessiva nella loro analisi della realtà, con la propensione a pensare tanto e ad agire poco. Per tali situazioni è stata escogitata una particolare forma di intervento: la prescrizione della «formula magica» (a p. 142 ss. è riferito come è nata la prescrizione). In pratica è stato assegnato il compito di eseguire in concomitanza di ogni complicata riflessione la trascrizione, ripetuta cinque volte, di una frase in lingua inglese: «Think little and learn by doing!» (Pensa poco e impara da ciò che fai). Tale compito è stato assegnato senza spiegare il significato dell'enunciato. Alcuni soggetti conoscevano l'inglese e lo hanno capito immediatamente, agli altri è stato suggerito di farselo tradurre. Comunque la prescrizione è stata di scrivere cinque volte, su di un foglio loro consegnato dal terapeuta, la suddetta frase ogniqualvolta il paziente si fosse trovato nella condizione di pensare troppo ad una determinata cosa o situazione. Nessuno ha eseguito la prescrizione. Per questo l'abbiamo definita ironicamente la «formula magica». Quasi tutti hanno riferito che, al solo pensiero di dover scrivere tale frase, si sono sentiti liberati dal pensare e ripensare alle cose, cominciando ad agire con più disinvoltura e minori complicanti riflessioni a priori.

A noi sembra che il peso di tale intervento, nel dare la stoccata finale al meccanismo ossessivo di percezione e reazione nei confronti della realtà, si basi sull'ironico messaggio che esso trasmette, e sul fatto che la persona che voglia eseguire ==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

tale compito, dopo aver ottenuto nelle settimane precedenti notevoli successi nel combattere con i propri problemi, è messa nella condizione di fare dell'autoironia, che poi significa autodefinirsi un cretino. Nell'evitare ciò, la persona aggira anche i residui della sua ossessività. A questo punto, anche con questi casi, si è proceduto a progressive ridefinizioni positive del cambiamento concretizzato e delle capacità dimostrate nelT affrontare il problema, diluendo la scadenza delle sedute sino a giungere alla fine del trattamento. Quarto stadio: ultima seduta Nell'ultima seduta con i pazienti ossessivi, è stato fatto esattamente ciò che è stato riferito in merito ai pazienti fobici, quindi per evitare antipatiche ripetizioni si rimanda a p. 113. 2.e. Efficacia ed efficienza del trattamento 2.ci. Campione II protocollo di trattamento sin qui esposto è stato applicato a 24 soggetti, i quali presentavano le descritte tipologie di disturbi ossessivi. Tale campione era composto da 10 donne e 14 uomini, età media anni 29, a partire da un minimo di 17 anni per il soggetto più giovane ad un massimo di 51 anni per il soggetto più vecchio. Il ceto sociale di appartenenza dei soggetti era molto disomogeneo così come le loro occupazioni: impiegati, insegnanti, professionisti, medici, agenti di commercio, studenti ecc; una particolarità di questo campione è che non comprendeva alcun caso di casalinga. Tale campione, per quanto rappresentativo di realtà personali molto diverse accomunate da sintomatologie dello stesso tipo, non ci sembra ancora abbastanza significativo dal punto di vista statistico, in quanto il numero dei casi trattati non è ancora sufficientemente copioso. 2.c2. Efficacia Utilizzando gli stessi parametri impiegati per la valutazione dell'efficacia del protocollo di trattamento dei disturbi fobici, i risultati sono stati i seguenti: Diciassette casi completamente risolti. Ossia con completa ==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

risoluzione del problema alla fine della terapia e assenza di ricadute nell'arco di un anno. Nessun caso molto migliorato. Ossia casi con remissione completa dei sintomi alla fine della terapia che hanno però dichiarato la presenza di sporadiche e leggere ricadute ai follow-up. Sei casi poco migliorati. Ossia casi con parziale riduzione della sintomatologia alla fine del trattamento, che hanno riferito la presenza di momenti di ossessività, episodi piuttosto frequenti, tuttavia definiti dagli stessi soggetti come molto meno intensi e frequenti della sintomatologia precedente alla terapia. Un caso immutato. Ossia caso nel quale la terapia è stata interrotta dopo dieci sedute perché non aveva prodotto alcun cambiamento. Nessun caso peggiorato. Ossia casi che, a seguito del trattamento, hanno manifestato un peggioramento dei disturbi presentati all'inizio della terapia. < 2.C.3. Efficienza ,i La durata media del trattamento è stata di 16,1 sedute, da un { minimo di 7 sedute, per la terapia più breve, ad un massimo f di 31 sedute, per la terapia più lunga. Ma anche in questo con-i testo, per offrire una immagine più chiara dell'efficienza della terapia, possiamo suddividere nei soliti quattro gruppi i trat'i r tam enti eseg uiti ch e h anno avu to esito favo revo le (o ssia i casi fi risolti o m olto m iglio rati): trattam enti du rati da 7 a 10 sedute; ì: da 1 1 a 2 0; da 2 1 a 30 e fin o a 3 1 (ve di tabe lla ria ssun tiva '",'d adei ti). D a questo tipo di ordinam ento dei d==a t i r i s u l t a c h e i9l 4 % c irc a d e i c a si è s ta to tr attato in m e n o d i 2 0 s ed u te. ==DUE MODELLI DI TRATMMLNTO SPECIFICO

TAVOLA RIASSUNTIVA DEI RISULTATI

TRATTAMENTO DEI DISTURBI OSSESSIVI

Efficacia

n

Casi risolti

% 17

71

-

-

Casi poco migliorati

6

25

Casi immutati

1

4

24

100

Casi molto migliorati

Casi peggiorati

-

Totale casi trattati Efficienza Durata media del trattamento Durata del trattamento

sedute 16,1 n casi risotti o molto migliorati

n. casi %

Da 7 a 10 sedute

9

53

Da 11 a 20 sedute

7

41

Da 21 a 30 sedute

1

6

Fino a 31 sedute

-

-

Riflessioni sui risultati I dati relativi ai risultati ottenuti con l'applicazione del nostro modello di terapia dei disturbi ossessivi, mostrano una soddisfacente efficacia, infatti il 71 % dei casi trattati ha raggiunto la completa remissione dei sintomi presentati all'inizio della terapia e questi casi non hanno manifestato ricadute. Da notare una percentuale maggiore, rispetto al trattamento dei disturbi fobici, dei casi poco migliorati e la presenza di un caso completamente immutato. Mentre, per ciò che riguarda il tempo impiegato per ottenere tali risultati (efficienza), anche questo protocollo di trattamento, come il precedente, offre dei risultati decisamente sorprendenti, se comparati con gli usuali tempi psicoterapeutici per i disturbi in discussione. Infatti il 94% dei casi con esito positivo è stato trattato in meno di 20 sedute. In conclusione di questo capitolo, ci sembra importante riflettere sulla rilevanza epistemologica che ricopre in psicoterapia, come in qualunque altro tipo di intervento terapeutico, la necessità di studiare e mettere a punto un piano specifico di intervento per il problema presentato dal paziente. 128 ==DUE MODELLI DI TRATTAMENTO SPECIFICO

DeJ resto, qualunque disciplina che voglia assumere un minimo di scientificità, nella sua metodologia di ricerca, deve mettere a punto le sue tecniche di studio e di intervento in base agli obiettivi che si pone, e non certo adattare gli obbiettivi alle proprie teorie e tecniche. Da questo punto di vista appare assurda la convinzione, frequente tra gli psicoterapeuti, che le stesse immutabili tecniche psicoterapeutiche possano essere idonee a risolvere tutti i diversi tipi di problemi psichici e comportamentali. In conseguenza di ciò, appare indispensabile adattare al disturbo presentato la teoria e la tecnica del terapeuta. Su questa base, crediamo che si possano mettere a punto soltanto dei buoni piani specifici di trattamento idonei a determinati disturbi, e non certo panacee universali. Infine, crediamo anche che lo studio e la messa a punto di sempre più efficaci ed efficienti programmi specifici di trattamento debba essere una delle direzioni fondamentali della futura ricerca in psicoterapia. ==Capitolo sesto

Esempi di trattamento inusuale

Prima di biasimare si dovrebbe sempre tentare se non sia possibile dare una giustificazione

G.C. Lichtenberg, Libretto di consolazione

A questo punto, dopo aver presentato l'usuale prassi clinica strategica e due specifici modelli di trattamento applicati ad uno specifico campione di soggetti, riteniamo utile descrivere alcuni particolari tipi di intervento terapeutico eseguiti su soggetti che presentavano singolari tipi di problematiche. Questo per evidenziare come, oltre alle strategie e tecniche sin qui presentate, il campo dei possibili tipi di intervento sia vasto e aperto ai più disparati tipi di azione. E come in aggiunta a ciò, a volte, in tale contesto, più che la fredda tecnica possa essere il guizzo creativo a condurre ad inventare quella mossa inattesa ed imprevedibile che sconvolge il sistema rigido della patologia aprendolo al cambiamento. In analogia, ancora, con i manuali del gioco degli scacchi, dopo aver presentato le regole del gioco, le usuali strategie per ottenere lo scacco matto e vincere la partita, e due particolari serie di mosse da eseguire per ottenere lo scacco matto rapidamente in particolari tipi di partita appare necessario, al fine di una rappresentazione della formidabile gamma di possibilità di mosse e contromosse nell'interazione tra i due giocatori, presentare alcune particolari partite giocate, che evidenzi-no la creatività che a volte il gioco richiede. Tutto questo non è, a nostro parere, in contraddizione con quanto abbiamo affermato nel capitolo precedente, ma ne rappresenta un completamento. In quanto crediamo, come ==ESEMPI DI TRATTAMENTO INUSUALE

già chiarito in precedenza, che esistano all'interno della sfera dei problemi umani sia situazioni simili che, ferma restando l'originalità di ognuna, appaiono trattabili con un modello di terapia comune e piuttosto ben prefissato, sia situazioni assolutamente atipiche che richiedono per il loro trattamento interventi decisamente originali. Ma spesso è proprio sulla base di tali originali interventi che si mettono a punto strategie terapeutiche innovative, applicabili poi con gli adeguati adattamenti a diverse situazioni problematiche. Del resto, all'interno del processo di crescita di una disciplina scientifica è indispensabile la presenza sia del contesto della giustificazione che del contesto della scoperta. 1. Caso 1. La terapia senza il luogo della terapia Come primo particolare caso clinico, vogliamo presentare un intervento terapeutico davvero inusuale e che sicuramente provocherà qualche reazione tra i lettori fermamente convinti dell'assoluta esigenza in psicoterapia di un rigido setting. Ero stato invitato in una città del Nord Italia per tenere un ciclo di lezioni rivolte ad educatori. Al termine di una di queste lezioni, uno degli educatori chiese un colloquio privato. Era una giovane donna di ventiquattro anni, che mi supplicò ài occuparmi ài lei perché da circa due anni soffriva di frequenti attacchi di panico che producevano il blocco totale e a volte svenimenti. Raccontò che queste crisi erano iniziate a seguito di una serie di ansiogeni accertamenti medici, ai quali aveva dovuto sottoporsi per una sospetta grave malattia che poi risultò inesistente. Da allora aveva cominciato ad accusare crisi di panico. Queste stavano diventando sempre più forti e frequenti, tanto che da alcuni mesi aveva dovuto sospendere il lavoro. La prima risposta che fu data a questa persona fu che sarebbe stato difficile intervenire, in quanto la distanza tra le rispettive città di residenza era decisamente notevole. E ciò avrebbe reso difficile seguire bene il caso. Ma la signorina non demorse e affermò che sarebbe andata in capo al mondo per farsi curare. Reagii àicenào che avrei potuto offrirle àegli ==ESEMPI DI TRATTAMENTO INUSUALE

indirizzi di colleghi terapeuti più vicini, ma ella fu così insistente che così, quasi per gioco, presi la decisione di tentare qualcosa di inusuale. Le dissi: «Senta, io credo che potremmo risolvere i suoi problemi rapidamente e senza troppi viaggi da parte sua. Io dovrò venire, per le mie lezioni, ancora sei volte nella sua città. Bene, in queste sei occasioni, prima o dopo la lezione, noi ci vedremo, magari facendo uno spuntino, e porteremo avanti la terapia dei suoi problemi.» La giovane educatrice rimase attonita e sorpresa dalla disponibilità del relatore e dalla apparente assurdità dell'idea di svolgere un trattamento psicoterapeutico in tale inusuale situazione. E così fu avviato immediatamente, in quella sede (l'anticamera dell'aula per le lezioni), il trattamento dei problemi della giovane educatrice. In pratica, seguendo puntualmente il protocollo di trattamento dei disturbi fobici, presentato nel capitolo precedente, fu operata la prima ristrutturazione (paura dell'aiuto) e fu assegnata la prima prescrizione di comportamento (il «diario di bordo») (vedi pp. 107-109).

Il secondo incontro avvenne due settimane dopo, e si svolse in un ristorante durante la colazione. La donna riferì di aver eseguito la prescrizione del «diario di bordo» alcune volte (consegnando i fogli relativi alle annotazioni) in concomitanza con gli attacchi di panico, ma questi erano stati decisamente meno del solito; disse poi di essersi resa conto, annotando gli episodi, che scrivendo la sua ansia e paura si riducevano; infine affermò che si era imposta di non richiedere aiuto a nessuno, né ai familiari né al fidanzato. Si passò, quindi, a ridefinire nella usuale maniera la situazione (vedi p. 108) facendo leva soprattutto sul fatto che i problemi non apparivano più così invincibili ed ineluttabili come prima. Dopo di che fu prescritto: 1. mantenere ancora il compito del «diario di bordo»; 2. la prescrizione paradossale della mezz'ora giornaliera (vedi p. 111). Il terzo incontro si tenne nella saletta antistante l'aula delle lezioni, dopo circa dieci giorni. Ella riferì che aveva avuto solo ==ESEMPI DI TRATTAMENTO INUSUALE

due episodi di panico ma piuttosto leggeri e ridotti e controllati attraverso la trascrizione nel «diario di bordo». In merito alla mezz'ora, riferì che non era riuscita assolutamente a stare male e che dopo un po' che si sforzava a pensare alla malattia e alla paura di sentirsi male, la mente le andava da tutt'altra parte, addirittura si trovava a pensare a cose divertenti e ad episodi felici della sua vita. Si procedette, allora, all'ulteriore usuale ridefinizione del problema e degli effetti provocati dalle prescrizioni (vedi p. Ili ss.), e al rafforzamento della sua fiducia nella dimostrata, concreta possibilità di risolvere i suoi sintomi. Infine si mantennero ancora le due prescrizioni di comportamento. Il quarto incontro si svolse due settimane dopo, ancora in un ristorante durante la colazione. La giovane donna riferì che durante questo arco di tempo non aveva accusato alcun episodio critico di panico, solo qualche momento di ansia che non aveva nemmeno annotato perché le sembrava talmente lieve rispetto alle precedenti crisi da non meritare tale attenzione. Inoltre riferì che durante la mezz'ora giornaliera non riusciva assolutamente a farsi venire la paura, anzi le venivano in mente tutte cose positive che avrebbe avuto voglia di fare. A questo punto, dopo aver ridefinito, ancora nell'usuale modalità, la situazione come decisamente cambiata e aver fatto leva sulle sue dimostrate grandi capacità personali, si procedette a togliere le due precedenti prescrizioni e a suggerire alla giovane donna di rientrare al suo lavoro scolastico, assegnando il compito di eseguire la prescrizione dell'«antro-pologo» (vedi p. 124) sia a scuola con i colleghi e i bambini, che fuori con i parenti, gli amici e anche gli estranei che avrebbe avuto occasione di incontrare. Dopo due settimane circa si tenne l'ultimo incontro «terapeutico», ancora una volta al ristorante durante la colazione. La donna riferì di essere rientrata al lavoro senza alcun problema, anzi l'accudire i bambini, osservandoli e studiandoli, le aveva stimolato molte positive riflessioni, cosi come, nell'os-servare e studiare i suoi colleghi, aveva scoperto alcune coset-te strane in alcuni di loro, e ciò le aveva prodotto l'effetto positivo di non sentirsi più l'unica «bestia rara». ==ESEMPI DI TRATTAMENTO INUSUALE

A questo punto fu ridefinito il cambiamento radicale della situazione, fu operata l'usuale strategia dell'ultima seduta (vedi pp. 113-114). Fu solo chiesto alla donna di telefonare per informare della propria situazione un mese dopo. Ella, puntuale, telefonò dicendo di non avere più provato attacchi di panico e di sentirsi bene come poche volte era stata nella sua vita. E evidente che nessuna attendibile conclusione può essere tratta da un singolo caso trattato. Ma crediamo che quest'esempio debba far riflettere i terapeuti sul fatto che, per ottenere il cambiamento, non è così indispensabile il rigido setting tradizionale della psicoterapia con sedute a scadenza rigida, in una determinata stanza, con il lettino o la poltrona, Ja luce soffusa ecc. Del resto, ciò era stato mostrato dallo stesso Freud nella soluzione dei problemi psicosessuali di Mahler. Freud, infatti, curò i problemi di Mahler, che era un suo caro amico, in un'intera giornata passata insieme, andando a pranzo insieme e passeggiando per Vienna (Fachinelli 1983). In questo caso Freud ha contraddetto i suoi stessi dettami relativi al setting psicoanalitico, operando però, sicuramente, uno splendido intervento terapeutico breve e focale. 2. Caso 2. Ristrutturare l'importanza di essere fratelli Uno psichiatra, di non più giovane età, si rivolge al nostro Centro con la richiesta di entrare in training.

Dai colloqui preliminari emerge la sua situazione critica e la sua richiesta di formazione si trasforma in una richiesta di aiuto. La situazione era la seguente. Egli narrò di non essere sposato perché non aveva potuto mai farlo: la sua sottomissione morbosa, prima ad una madre castrante, poi ad una sorella maggiore zitella, la quale alla morte della madre aveva assunto tale ruolo di autorità familiare, non gli aveva permesso tale scelta di vita. Attualmente, poi, dopo la morte della sorella, egli viveva la stessa morbosa sottomissione nei confronti del fratello minore affetto da disturbi paranoidi. I due fratelli erano cresciuti con l'indiscutibile sottomissione e morbosa relazione con queste due figure femminili fami==ESEMPI DI TRATTAMENTO INUSUALE

liari. Ogni donna da loro avvicinata entrava in collisione con la loro situazione familiare perché o non reggeva il confronto con la sorella o altrimenti, se ne era all'altezza, prima o poi entrava in forti attriti con la donna di casa e aveva sempre la peggio. In poche parole, i due fratelli avevano vissuto nell'impossibilità di realizzare una propria vita affettiva. Inoltre, lo psichiatra dichiarò che il fratello era un «paranoico» (secondo i suoi quadri clinici psichiatrici) e presentava stati di delirio euforico e di onnipotenza contrapposti a stati di cupa depressione; tuttavia lo stato dominante era quello di esplosiva onnipotenza e iperattività. Al momento attuale, dopo la scomparsa dell'ultima donna di casa, la sorella morta da circa due anni, il fratello «paranoico» aveva assunto il ruolo della figura dominante familiare, sostituendosi in pieno alla sorella scomparsa, e intervenendo in maniera violenta ed esplosiva su ogni tentativo del fratello di costruirsi una relazione affettiva. Egli giustificava i suoi interventi contro le relazioni del fratello, affermando che le donne che il fratello aveva trovato non erano degne di lui. Le definiva donne senz'anima, superficiali, senza interiorità ed interessate solo al denaro e alla posizione del fratello. Per questo lui si sentiva in dovere di intervenire per evitare che il fratello si potesse trovare male. Negli ultimi anni lo psichiatra viveva una tormentata relazione con una donna, la quale aveva dovuto subire prima le angherie della sorella maggiore, che più volte l'aveva aggredita, e in seguito quelle del fratello il quale inveiva contro di lei e l'aveva aggredita in maniera violenta ogni volta che erano entrati in contatto. La situazione era giunta al punto in cui, come nelle precedenti storie affettive, il nostro paziente si trovava a dover scegliere tra il rimanere all'interno del suo morboso sistema familiare abbandonando la compagna o il rompere con il suo sistema familiare e gettarsi nella relazione affettiva. Ma adesso la situazione era complicata dal fatto che erano rimasti solo loro, i due fratelli, come nucleo familiare, ed inoltre lo psichiatra era ben consapevole dei problemi del fratello e temeva un suo grave tracollo psichico nel caso di una ==ESEMPI DI TRATTAMENTO INUSUALE

rottura o un abbandono da parte sua. In altre parole, egli si sentiva realmente crocefisso dalla situazione pseudoricattatoria in cui il fratello inconsapevolmente lo teneva. Del resto, però, lo psichiatra teneva molto alla relazione affettiva con la donna, che riteneva essere la sua ultima chance per costruirsi una famiglia, considerata la non più giovane età. Inoltre la donna premeva sul fatto che lui doveva scegliere se stare con lei definitivamente e sotto lo stesso tetto, o rimanere con il «fratellino» e interrompere il loro rapporto. Insomma, il nostro psichiatra si trovava nella classica situazione descritta dalla metafora dell'asino indeciso, il quale in mezzo al fiume con le bisacce piene di spugne rese sempre più pesanti dall'acqua che le impregna, non riesce a decidere se andare verso la sponda di fronte o tornare indietro, finché finisce travolto dalla corrente. Di fronte a tale dilemma e tale complicata situazione, la prima manovra terapeutica fu quella di valutare attentamente come si reggeva la relazione morbosa tra i due fratelli per individuare le eventuali leve di cambiamento. Lo psichiatra si prendeva farmacologicamente cura del fratello, il quale ovviamente non si era mai reso conto del proprio stato di malattia mentale, in maniera dimessa e assolutamente non autorevole subendo le sue manie ed il suo superattivismo, anche perché aveva sempre preferito non dichiarare al fratello la sua reale situazione. Il fratello, invece, nella sua travolgente euforia ed onnipotenza, gestiva completamente la loro /ita familiare e sociale, conducendo anche un'attività profes-ionale nel più completo caos e costellata di problemi che enivano puntualmente e silenziosamente appianati dal fratel-3 psichiatra. In pratica, la situazione appariva realmente para-ossale, in quanto il fratello «paranoide» era colui che posseèva il reale potere di gestire la loro vita e di ingerire, addirit-ira, nella vita affettiva e nella carriera

professionale del fra-llo psichiatra. Era lui che lo spingeva a seguire nuovi corsi di rmazione e a partecipare ai congressi. Era lui che intendeva >vare la compagna adatta al fratello. Era lui che, nel suo lirio di onnipotenza, assumeva dirompentemente il control-di qualunque attività sociale che ognuno di loro si trovava 136 ==- o - "A
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