Pasolini empirismo-eretico
May 1, 2017 | Author: vallaevalla | Category: N/A
Short Description
Empirismo eretico...
Description
www.scribd.com/Cultura_in_Ita3
www.scribd.com/Cultura_in_Ita3
Pier Paolo Pasolini Empirismo eretico Prefazione di Guido Fink
GarZflnti
www.scribd.com/Cultura_in_Ita3
In questa collana Prima edizione: settembre 1991
ISBN 88-11-67521-9
© Garzanti Editore s.p.a., 1972, 1991 . Printed in Italy
www.scribd.com/Cultura_in_Ita3
Prefazione
www.scribd.com/Cultura_in_Ita3
Le parole contro la parola di Guido Fink
Sarebbe difficile dire, a distanza di quasi vent'anni dalla pubblicazione di questo libro - che fra l'altro è un compendio appassionato e appassionante di tutte le tensioni e di tutte le battaglie degli anni Sessanta - se e quanto Pasolini si sia reso conto di avere affrontato in queste pagine un compito impossibile. Eroico a suo modo e suicida, il piano del lavoro denuncia la genesi non casuale o isolata dei singoli saggi, li suddivide in tre blocchi distinti, lingua letteratura cinema, consente intrecci equivalenze e rimandi, lascia intravedere una sorta di disegno provvidenziale o di happy end per cui i tanti orrori del nostro parlare e scrivere quotidiano o curiale potranno e dovranno riscattarsi scivolando in una visività silenziosa, un cinema che come ha scritto Siciliano - varrà da «fleboclisi» e da «rinnovamento del circolo del sangue». Ma quante parole erano necessarie per teorizzare questo silenzio, per tacitarne gli avversari, per prepararne l'avvento? Rifacendosi in parte al bilancio provvisorio di Passione e ideologia, Pasolini parte dalla constatazione della non esistenza di una lingua nazionale. Anche quando sappiamo di avere qualcosa di importante e di vitale da esprimere, non esistono grammatiche o prontuari in grado di fornircene gli strumenti: ecco a esempio Gramsci, con il suo cattivo commovente italiano imparato dai professori del liceo privato di Santu Lussurgiu, poi nobilitato e reso in realtà ancora più goffo dall'emigrazione piemontese e dagli influssi di certo socialismo enfatico e umanitario. Gli scrittori contemporanei, quelli che vivono e scrivono nella Roma degli anni Cinquanta e Sessanta e alcuni dei quali hanno accolto Pasolini come uno di loro, se la cavano come meglio possono: con la nostalgia delle ormai tramontate e dolci parole VII www.scribd.com/Cultura_in_Ita3
oneste dei padri borghesi (Bassani, Bertolucci), o fingendo che l'italiano ci sia e accettandolo come corpo mistico (Morante), o assumendo una sorta di distacco ironico (Calvino), o ancora trasformando il gergo usurato e inutilizzabile della tribù in una sorta di lingua europea neutrale (Moravia): c'è poi Gadda che tiene un occhio aperto e sornione sul registro alto delle feluche e dei manieristi raffinati, e al tempo stesso compie divertite incursioni nel magma dei dialetti e della subcultura, tracciando una irrequieta linea a serpentina tra le ascisse e le ordinate di questo schema minuzioso. All'orizzonte, intanto, si profila la lingua di un futuro già cominciato: è quella voluta dai tecnocrati, dai neocapitalisti, dal minaccioso «triangolo industriale» (già, erano anche gli anni del cosiddetto boom): le forze nefaste che sarebbero riuscite all'unificazione culturale del paese, là dove erano fallite l'EIAR e le scuole del Regno. Prevedibile l'esito conclusivo: la lingua orrenda del «paese dove l'esatto suona» vedrà la sostituzione vittoriosa della scienza al defunto latino degli umanisti, la definitiva eliminazione dello scrittore borghese e delle anime belle: e su tutto questo Pasolini... nel suo duplice rifiuto, non è certo disposto a commuoversi. E pronto, invece, a entrare in territorio nemico: a misurarsi con quelle nuove tecniche d'analisi e nuove discipline fino ad allora virtualmente ignorate dalla cultura idealista e da quella sinistra ufficiale che a ben vedere ne era soltanto un derivato falsamente alternativo: lo strutturalismo, la semiotica, l'antropologia. Senza abbracciarle acriticamente, ma anche senza esorcizzarle: si respirano anzi in queste pagine l'umiltà di chi si avventura in paesaggi sconosciuti e l'orgoglio di chi vi pianta le proprie bandiere. E non esiterà allora, il nemico del linguaggio troppo aridamente tecnico, a coniare mostruose parole portmanteall: i remi, i cinèmi, .. . l ntmeml. .. ~
Per fortuna ci sono anche le altre parole, quelle aurorali e non contaminate, che Pasolini ripesca dai ricordi vicini o lontani. La parola rosada, a esempio, colta per caso sulle labbra del «ragazzo dei vicini oltre la strada», una parola «mai scritta prima», che il Pasolini diciannovenne e «beatnik degli anni Quaranta» traduce in segno grafico e poi cancella, e a distanza di tempo ricorderà. Quell'altra parola addirittura inesistente, Teta Veleta, inventata da Pasolini bambino per indicare tutto quel che di seVIII www.scribd.com/Cultura_in_Ita3
ducente e di proibito si identifica con la Madre e con il sesso. O il grido inarticolato e la sorta di danza tribale di Ninetto che scopre la neve a Pescasseroli. O il «corpo parlante», gli occhi, i gesti di )oaquim, il ragazzo delle favelas visto sulla spiaggia di Barra sotto il Corcovado, e promosso a emblema vivente di una sorta di lingua dell'azione. Queste sono le parole che non disturbano, che sfuggono alle ascisse e alle ordinate, che nella loro assoluta oralità - qui violentata, d'accordo, ma per esigenze dimostrative e didattiche rimandano da un lato ai linguaggi dei popoli primitivi dall'altro al cinema: un cinema che Pasolini sottrae senza esitazioni alla sua genesi laboriosamente positivista e artigianale, legata a un'epoca di invenzioni e brevetti e magnifiche sorti, e riconsegna a una sorta di miracolosa immediatezza. Né il cinema né le lingue primitive ci diranno mai aridamente e genericamente «albero»: ci diranno pero, melo, sambuco... E tra le ipotesi apocalittiche di un libro che a suo tempo un critico doveva definire improntato a un «sentimento dolcemente catastrofico», le meno inquietanti sono quelle di un'«atomica che ci renda tutti muti e incapaci a scrivere, e ci costringa quindi a esprimerci, mettiamo, attraverso il cinema per stendere un atto notarile e chiedere al barista un tè»; oppure ci obblighi a limitarci al gesto mimico, e ci renda «tutti napoletani sordomuti». Anche Roland Barthes - che in quegli anni Pasolini doveva incrociare a Pesaro e più volte ricordare in queste pagine - immaginava un mondo senza linguaggio; dove il coito a tergo fra un uomo e una donna, o un impasto di acqua e pasta di frumento, non possono venire stigmatizzati come sodomia, adulterio, incesto, uso sacrilego dell'ostia consacrata; e sfuggono a queste accuse perché queste parole non esistono. Ma l'utopia non verbale di Barthes - ispirata ovviamente a quel Sade cui più tardi renderà omaggio anche Pasolini - è veramente un tableau neoclassico che non ci comunica nulla, che davvero riesce a non tradursi in nessun'altra lingua che non sia la materia di cui è eventualmente composto: mentre i napoletani sordomuti di Pasolini - e )oaquim, o il ragazzo che dice rosada o Ninetto sulla neve - sono tutti personaggi o comprimari di una sorta di romanzo il cui tema ossessivo è appunto quello dell'esprimere e IX www.scribd.com/Cultura_in_Ita3
•
dell'esprimersi, con qualunque mezzo escluso quello condannato della Parola. Essi fanno parte di quel vasto repertorio o rese11loir che è il mondo e che Pasolini, con un altro dei suoi neologismi non belli, chiama il Significando: appunto perché deve essere in qualche modo percepito e diffuso. Di queste e altre voci o presenze Pasolini parla infatti con gli altri, gli esperti, i colleghi, gli specialisti che ammira ma da cui talvolta dissente come Eco o Christian Metz. Ci sono poi gli autori che discute e prende in esame come Goldmann, LeviStrauss, lo Herczeg di quel testo che per lui sarà fondamentale sul libero indiretto; quelli con cui polemizza (Segre, Calvino, Arbasino), quelli con cui si arrabbia (Emanuelli, Barbato): non mancano, al di là di questa serie di dialoghi con «allegati assenti», dove ci è chiesto di indovinare le repliche come quando si assiste a una conversazione telefonica, interlocutori meno fisicamente identificabili ma pur sempre avvertibili come ben definite entità collettive: la neoavanguardia, il P.c.I., il Movimento Studentesco, a un certo punto, eh sì, persino la Pro Civitate Christiana. (Anche per la presenza-assenza di queste voci e di queste istanze Empirismo eretico ci consente, e non è che la più ovvia delle sue utilizzazioni, una sorta di total immersion negli anni Sessanta, al di fuori di tardive demonizzazioni o di facili nostalgie.)
In una piccola appendice in corsivo al saggio iniziale, si intravede, a malapena, una figura sgradevole e ostile, ben diversa dalle altre: in certo senso, la sola traccia visibile delle incredibili persecuzioni, anche giudiziarie, che Pasolini subiva in quegli anni, e su cui il libro glissa con una sorta di rassegnato stoicismo. Si tratta di poche righe che possono facilmente sfuggire, e che vale la pena di riportare per intero: Alla prima di un mio film un fascista, un giovanotto piuttosto emaciato per la verità, mi ha gridato pubblicamente un insulto in nome di tutta la sua bella gioventù: io ho perso la pazienza (me ne pento), l'ho schiaffeggiato e sbattuto per terra. La mia amica Laura Betti era presente, e ha visto quindi «coi suoi occhi» tutta la scena. Non so per quali calcoli, i giornali che hanno riportato l'episodio l'hanno rovesciato
x www.scribd.com/Cultura_in_Ita3
(corredandolo di fotografie false) in modo che il picchiato risultassi io. La cosa è stata ripetuta, ed è diventata di dominio pubblico: talmente di dominio pubblico che la Betti, nella sua aggressiva ingenuità, parlandone a me, benché avesse visto «coi suoi occhi» la scena, diceva: (
View more...
Comments