Pageat Patric - Cani Si Nasce, Padroni Si Diventa

April 7, 2017 | Author: Marika Ferrante | Category: N/A
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Introduzione

L

'uomo e il cane: formano una bella coppia quasi come il creatore e la sua creatura. Sembra possibile poter dire di tutto sulla loro relazione, come attesta il numero impressionante di pubblicazioni dedicate a questo quadrupede in generale e a tutte le razze conosciute. Anche i media e gli opuscoli pubblicati dai club di appassionati forniscono parecchie informazioni sul modo di allevarli e addestrarli. Non solo, ma è difficile trovare qualcuno che non abbia un'opinione in proposito, che non affermi di sapere quello che bisogna o non bisogna fare con un cane. Anche se mai, durante gli studi che possiamo aver fatto, ci è stato spiegato come "funziona" un cane e come dobbiamo interagire con lui, tutti diamo per scontato di possedere tale competenza, come se si trattasse di una dote innata. Cosicché chi incontra difficoltà nel rapporto con il proprio animale è assai restio a parlarne, quasi se ne vergognasse. Questo disagio è paragonabile a quello dei genitori che, a un certo punto, si sentono incapaci di stabilire un rapporto con il figlio. In entrambi i casi si pensa che un padre o una madre, o il proprietario di un animale domestico, debba essere naturalmente competente e si copra di ridicolo in caso di insuccesso. Eppure il cane è un animale, un essere diverso da noi, e obbedisce a regole e motivazioni che spesso non hanno nulla a che vedere con le nostre. Perché, allora, dovremmo conoscerlo così bene? Chi ha la pretesa di svelare segreti, di suggerire metodi per risolvere tutti i problemi della coabitazione, possiede davvero le conoscenze che rivendica? Chiamando in causa le "tare", la consanguineità o la specializzazione di una razza, dissimula la propria ignoranza: il cane di cui parla non ha alcun rapporto con la lealtà, e i suoi discorsi, invece di aiutare i padroni degli animali, rischiano solo di generare nuovi dubbi. Ritratti di cani e padroni Riga è una cagna di quattro anni, nata da un incrocio con un pastore tedesco. La sua padrona si lamenta del fatto che la morde sempre più spesso, in particolare quando si scambia tenerezze con il marito, quando fa scendere Riga dal divano o cerca di pulirle le zampe al ritorno dalle passeggiate. Uno psicologo per animali ha decretato che Riga è caratteriale. Secondo la famiglia del marito, invece, un cane che ha assaggiato il sangue diventa feroce. Altri ancora sostengono che ha delle "tare". In breve, tutti hanno un'opinione diversa sulla questione. In realtà, il quadro è piuttosto semplice: durante la sua educazione nella famiglia, Riga ha progressivamente ottenuto un ruolo dominante. In altre parole, senza rendersene conto i suoi proprietari l'hanno indotta a considerarsi la padrona. A questo è dovuto il suo rapporto privilegiato con il padrone di casa (poiché Riga si considera la femmina dominante) e la volontà di conservare tale ruolo (morde quando si tenta di farla scendere dal divano). Dopo due settimane di terapia associata a un trattamento farmacologico, Riga ha smesso di mordere. Nimbus, un siberian husky di sedici mesi, ha letteralmente demolito tutto il mobilio di casa. Da quando ha sei mesi, ogni volta che la padrona esce per andare al lavoro o si assenta per altre ragioni, distrugge i mobili, squarcia tende e indumenti, sventra materassi e divani, fa a pezzi libri e oggetti, e così via. Oltre a questo, urina e defeca dappertutto in casa. Due addestratori hanno tentato di rimediare e hanno attribuito l'insuccesso al fatto che, secondo loro, gli husky sono cani impossibili da educare. Nimbus mi viene portato per una visita: la sua padrona sta seriamente pensando di abbandonarlo. Il suo problema verrà risolto dieci settimane più tardi: si trattava di un'ansia dovuta alla separazione. Nimbus, insomma, si comportava come un cane "infantile", ed era così dipendente dalla proprietaria che non sopportava di viverle lontano neppure un istante. Peter ha dieci mesi. Questo meraviglioso golden retriever fa disperare i suoi padroni perché sporca dappertutto. Sebbene siano ricorsi a tutti i metodi suggeriti dagli opuscoli, dai vicini, dagli amici, dalla

famiglia, dall'allevatore e dai libri, Peter fa i suoi bisogni solo in casa. Inoltre si nasconde per urinare e defecare. Il problema, in realtà, è legato al fatto che l'animale esce solo con estrema difficoltà fin dal primo giorno. Non sopporta i rumori del traffico né la gente, e sembra in preda al panico ogni volta che si trova fuori: si appiattisce per terra e rifiuta di avanzare. Si calma solo dentro casa: è per questo motivo che lì riesce a fare i suoi bisogni. Peter è nato in aperta campagna, in un allevamento dove i cuccioli vivono in un canile isolato per ragioni sanitarie. Il cane ha passato i primi tre mesi della sua vita lontano dall'animazione e dal chiasso della vita ordinaria. Non è "geneticamente" pauroso o sporco: soffre invece di quella che viene definita "sindrome da privazione". Imparerà a non sporcare solo quando questo disturbo sarà stato risolto. Bart è un boxer di otto anni. Fa i suoi bisogni nella cesta da due mesi e sveglia tutta la casa con i suoi pianti e guaiti. Hanno pensato che stesse diventando capriccioso e l'hanno punito e rinchiuso, aggravando la situazione. Si tratta invece di una depressione involutiva che ha potuto essere stabilizzata con un trattamento medicamentoso; questo ha permesso il reinserimento del cane. Seguendo il ciclo della vita canina vedremo in che modo le conoscenze scientifiche attuali ci permettano di capire simili disturbi. Le difficoltà nei rapporti fra l'uomo e il cane sono spesso di natura benigna e possono essere prevenute e risolte con un accorgimento semplicissimo: basta comprendere com'è fatto il cane. Lo sviluppo del cucciolo 1 1 La durata di questi periodi è approssimativa e varia a seconda delle razze. Età Periodo neonatale 0 giorni Assenza di corteccia cerebrale. Sistema nervoso incompleto. Riflessi caratteristici "Rooting reflex": il cucciolo si rifugia contro tutte le superfici calde e morbide. Riflesso labiale: il cucciolo succhia quando gli vengono stimolate le labbra. Riflesso perineale: il cucciolo urina e defeca quando la madre gli lecca il perineo. Comportamento Il cucciolo cerca le superfici morbide e calde: risponde alle sollecitazioni tattili. Sviluppo fisico 0 giorni Perfezionamento degli apparati di controllo degli sfinteri: controllo urinario e fecale. Riflessi caratteristici Il cucciolo comincia a defecare e urinare volontariamente. Fine del riflesso perineale. Periodo di transizione Età 2 settimane Inizio della corticalizzazione. Apertura degli occhi. Riflessi caratteristici Fine del "rooting reflex": il cucciolo si muove grazie alla vista. Fine del riflesso labiale, salvo nei cuccioli sottoalimentati. Comportamento Inizio del comportamento esploratorio. Età 3 settimane Sviluppo fisico Corticalizzazione temporale: apparizione dell'udito. Riflessi caratteristici Riflesso del sobbalzo: il cucciolo sussulta quando si battono le mani. Comportamento Il cucciolo segue con lo sguardo una persona o un animale che si muove, e striscia in quella direzione. Età 4 settimane Comportamento II cucciolo scodinzola quando sta bene. Età 5 settimane Riflessi caratteristici Identificazione delle diverse specie amiche. Comportamento Apprendimento della inibizione del morso. Età 6-8 settimane Sviluppo fisico Svezzamento.

Comportamento Gerarchizzazione alimentare Età 9 settimane Riflessi caratteristici A partire da ora, ogni nuovo essere vivente incontrato provoca una reazione di paura. Comportamento Acquisizione dei sistemi di comunicazione. Età 3-6 mesi Sviluppo fisico Apparizione delle secrezioni degli ormoni sessuali.

1 - La vita del cane agli inizi Per molto tempo si è pensato che le caratteristiche comportamentali di un cucciolo si formassero solo dopo la nascita; persino i primi 15-20 giorni di vita sembravano una sorta di esistenza vegetativa. Oggi tutto ciò è rimesso in discussione: il cucciolo possiede competenze già nel ventre della madre. E questo ci porterà a formulare certe osservazioni e raccomandazioni circa le condizioni di allevamento. Nel ventre della madre Se il periodo successivo alla nascita è considerato importante, si è constatata anche l'esistenza di un periodo prenatale, fase durante la quale il piccolo, ancora nell'utero materno, comincia a interagire con l'ambiente. Il tatto Nonostante i progressi compiuti dall'ecografia, non siamo ancora in grado di descrivere i comportamenti più complessi del feto; tutte le osservazioni compiute tendono semplicemente a suggerire un certo numero di ipotesi e le loro conseguenze pratiche. Per prima cosa il feto, ventiquattro, venticinque giorni circa prima di nascere, possiede una competenza tattile, ovvero il suo apparato tattile diventa ricettivo. È quindi capace di rispondere a uno stimolo quando si accarezza il ventre della madre. È interessante constatare che, come tutti i piccoli mammiferi, entra in contatto con la parete uterina della madre attraverso la regione dorsale. Anche se vi sono le sacche fetali a separare questa regione della schiena e la parete dell'utero, il feto è in grado di sentire, in particolare, le contrazioni uterine della madre. Del resto, la competenza tattile parte dal centro della regione dorsale e si estende poco a poco nelle zone circostanti. Quali sono le conseguenze pratiche di tale competenza tattile? Ci si è accorti che, quando la madre è sottoposta a uno stress di qualunque tipo (negli studi sperimentali si ricorre spesso ai petardi), presenta contrazioni in diverse

parti dei visceri: nell'intestino, naturalmente (si sa quanto la reazione intestinale sia importante anche nell'uomo), ma anche nell'utero, che subisce contrazioni violente. In quel momento, se si osservano le reazioni del cucciolo durante la risposta allo stress da parte della madre, ci si accorge di un'agitazione che prima non c'era, manifestata con movimenti dall'alto al basso e rotazioni. Si notano inoltre, a partire dalla quinta, sesta settimana di gestazione, movimenti di suzione di una zampa e del cordone ombelicale. Questo è piuttosto interessante perché, nel cane adulto, mordicchiarsi la pelle permette di calmare la tensione emotiva anche se, evidentemente, non tutti i soggetti con un problema d'ansia si mettono a leccarsi e a ferirsi. Sarebbe utile scoprire se quelli che più tardi si leccheranno nelle situazioni ansiogene sono animali che all'inizio, in utero, avevano la tendenza a reagire a eventi stressanti succhiandosi una zampa o il cordone: oggi è difficile determinarlo perché bisognerebbe riuscire a riconoscere l'individuo nell'utero ed essere sicuri di poterlo individuare alla nascita. In un'altra specie di carnivori che conosciamo bene, i gatti, è stato dimostrato che questa sensibilità tattile è determinante. Per dimostrarlo, si confronta il comportamento di due gruppi di micini, della stessa razza, nati contemporaneamente; alla madre di alcuni di loro è stato massaggiato delicatamente l'addome tutti i giorni per poter entrare in contatto con l'utero e quindi stimolare i feti. Se si paragona la tolleranza alla manipolazione dopo la nascita con quella di micini la cui madre non è stata massaggiata, ci si accorge che quelli stimolati dalle carezze in utero sopportano maggiormente di essere toccati. È per questo che si suggerisce sempre più spesso, nella terza e ultima parte della gestazione, di accarezzare con dolcezza, naturalmente - e di massaggiare il ventre della cagna per cominciare a stimolare anche i cuccioli. Il gusto La seconda osservazione a proposito dei carnivori, e in particolare dei cani, è che apparentemente è possibile stimolare il gusto del cucciolo durante il periodo di vita intrauterina. Diverse sostanze presenti nell'alimentazione sono in grado di superare la barriera della placenta e di trovarsi in soluzione nel liquido amniotico. Nella misura in cui il cucciolo, come tutti i feti, continua a ingerire e a risputare liquido amniotico, tali sostanze produrranno in lui una stimolazione di tipo gustativo. A questo proposito è stato effettuato un esperimento: alla cagna, durante la gestazione, è stata proposta una dieta arricchita di essenza di timo, aroma in genere assente dall'alimentazione canina classica. Dopo la nascita dei cuccioli, si è spalmata su un capezzolo la stessa essenza di timo e si confrontano due gruppi di soggetti, quelli la cui madre ha mangiato essenza di timo durante la gestazione e i piccoli di cagne che non ne hanno consumato. Si osserva quindi verso quale mammella si dirigono spontaneamente i cuccioli. Ci si è accorti che i primi si orientano volontariamente verso le mammelle coperte di timo, mentre gli altri in genere le evitano o, nel migliore dei casi, optano per l'una o l'altra indifferentemente. In ogni caso c'è una differenza altamente significativa tra i due gruppi, e i cuccioli stimolati in utero con l'essenza di timo, che supera facilmente la barriera della placenta, ne sono attratti e sono predisposti, grazie all'influenza materna, nei confronti di quello stimolo gustativo. Non c'è da stupirsi, poiché anche sull'uomo sono stati effettuali diversi studi e osservazioni: molto tempo fa gli ostetrici indiani avevano notato che i bambini nascevano con la pelle odorante di curry e apprezzavano particolarmente la mammella strofinata con quella spezia. In un luogo geograficamente più vicino a noi, studi condotti nella regione di Marsiglia indicano che i neonati di madri grandi consumatrici d'aglio sono decisamente attratti dal seno si strofinato con uno spicchio, a differenza degli altri bambini. Si sono osservati fenomeni simili anche negli insetti. Gli scambi per via ormonale Esistono altri tipi di scambi tra la madre e i feti, che avvengono manifestamente per via ormonale.

IN CHE MODO LO STRESS DELLA MADRE SI RIPERCUOTE SUL FETO Nel sangue circola una certa quantità di ormoni, variabile a seconda del grado di stress, che interviene a modificare la tendenza reattiva del piccolo, e in particolare la probabilità che reagisca con emozioni forti, come il panico o l'ansia, a stimoli violenti. Che conclusioni sono state raggiunte? Sono stati effettuati studi, inizialmente sui topi, che hanno dato il seguente esito: quando si confronta lo sviluppo comportamentale dei topolini la cui madre è stata sistematicamente aggredita dagli studiosi durante la gestazione con quello di altri soggetti la cui madre è stata curata, protetta e nutrita, si osserva che i primi presentano reazioni emotive estremamente forti che disturbano il loro comportamento esploratorio. Del resto, nell'esame psicometrico che è possibile effettuare su quella specie animale, ci si accorge che la loro performance è scadente. Si rileva agevolmente il risultato opposto nei topolini la cui madre non è stata sottoposta a tensione ma ha vissuto in condizioni ottimali: questi soggetti avranno un comportamento esploratorio più ricco, un rendimento decisamente migliore nei test e una minore frequenza di reazioni di stress. L'IMPORTANZA DELLE CONDIZIONI DI ALLEVAMENTO Si tratta di un punto interessante perché si è scoperto che il tipo di allevamento riveste un ruolo determinante per l'equilibrio e le performance del cucciolo che nascerà. Che si tratti di informazioni tattili o dello scambio di dati per via ormonale tra il feto e la madre, si può affermare che condizioni poco appropriate di allevamento - per esempio stressanti o prive di stimoli - tenderanno a disturbare lo sviluppo del cucciolo. Ovviamente certi sistemi, come quello della batteria che purtroppo ci è capitato di vedere in questi ultimi anni, sarebbero da bandire: esistono in particolare allevamenti di razze di piccola taglia in cui le madri vivono in vaschette di plastica accatastate in locali spesso ai limiti dell'insalubrità. Queste cagne sfornano due cucciolate all'anno finché non crollano. I cuccioli nascono in quelle specie di scatole, da cui spesso escono solo per manipolazioni mediche realizzate da persone incompetenti che tagliano loro la coda e le orecchie senza alcuna precauzione. I cuccioli di madri sottoposte a forti tensioni, a rumori continui, sono animali che, fin dalla nascita, presentano un comportamento già orientato verso uno stato di stress cronico. Per questo si raccomanda di impostare l'allevamento cercando di preservare al massimo l'equilibrio emotivo della cagna. I CUCCIOLI DI MADRI ANSIOSE Le osservazioni sulla trasmissione dello stress dalla madre al cucciolo hanno portato a un'altra scoperta. Se la cagna soffre lei stessa di disturbi ansiosi, avrà la tendenza non genetica, ma congenita a influenzare il futuro comportamento dei suoi piccoli. Questo dato di fatto sembrerebbe persino confermare l'ipotesi della trasmissione genetica del carattere perché, effettivamente, tale influenza si verifica prima della nascita. Ma l'ansia non si trova nei cromosomi: si imprime, invece, in qualche modo nella struttura cerebrale. L'orientamento verso certi tipi di reazioni piuttosto che altri è dovuto a questi scambi tra madre e feto. È evidente che, se si impedisce a quelle cagne di riprodursi, la popolazione di animali ansiosi nell'allevamento diminuirà, ma, se si vuole essere rigorosi, non si deve parlare di trasmissione genetica. Prima della nascita: come favorire lo sviluppo del futuro cucciolo - Bisogna stimolare i feti massaggiando e accarezzando l'addome della cagna durante le ultime due settimane di gestazione. - Se l'alimentazione della madre è monotona, basata su un solo tipo di alimenti industriali - scelta legata a ragioni dietetiche -, i cuccioli non riceveranno gli stimoli che permetterebbero loro più tardi di ricercare cibi meglio caratterizzati. Questo, se da una parte li rende più tolleranti nei confronti di un'alimentazione di tipo industriale, dall'altra riduce la loro adattabilità alimentare. -- Fate in modo che la cagna viva in un ambiente protetto, lontana dallo stress, affinché lo stato emotivo e il comportamento esploratorio del cucciolo che nascerà siano ottimali.

Domande sulle caratteristiche del feto "La ripartizione di maschi e femmine, nell'utero ha un'influenza sul comportamento del cucciolo?" In certe specie, in particolare nel ratto e nel topo, si sa che si possono verificare cambiamenti nel comportamento nelle femmine che, nel ventre materno, si trovano tra due maschi. Si è osservato che all'inizio i maschi -- in particolare quelli giovani - avevano un comportamento decisamente più aggressivo di quello delle femmine. In seguito ci si è accorti che, se si seguiva lo sviluppo delle femmine che, allo stadio fetale, si trovavano tra due maschi (nel ratto è assai facile contrassegnare i piccoli in utero per poterli riconoscere più tardi), queste avevano un comportamento aggressivo quasi quanto quello dei maschi, e comunque più aggressivo di quello degli altri ratti di sesso femminile . Certi autori si sono sbilanciati affermando che lo stesso avveniva probabilmente nel cane. In realtà, il fenomeno appena descritto è possibile nei ratti solo perché la placenta ha una struttura particolare e perché si verificano contatti a livello sanguigno tra i feti. Nella specie canina la placenta è del tutto diversa e, a priori, vi sono scarse probabilità che scambi del genere esistano. "Il feto è in grado di udire suoni nell'utero della cagna?" Quello che si sta cercando di scoprire, anche se per il momento questo aspetto non è stato studiato, è l'eventuale influenza od organizzazione legata al suono. Bisogna premettere che alla nascita lo sviluppo delle aree cerebrali destinate ad analizzare le informazioni uditive non è completato: per questo il cucciolo nasce sordo. Non sembra dunque che abbia una particolare sensibilità agli stimoli sonori in utero e ancora meno che sia capace, per esempio, di riconoscere la voce della madre come invece accade in altre specie. Anche se l'ambiente uterino del cucciolo si presterebbe perfettamente alla trasmissione dei suoni poiché il feto si trova immerso nel liquido, l'udito si sviluppa completamente solo al termine del periodo di transizione, quindi nei cuccioli che hanno due settimane e mezzo o tre. Dalla nascita all'apertura degli occhi Viene definito "periodo neonatale" quello che comincia alla nascita e si conclude con l'apertura degli occhi. Durante questi primi quindici-venti giorni di vita, il cucciolo ha possibilità estremamente limitate: può solo vivere in un luogo ben protetto costituito dal "nido" organizzato dalla madre. Il cucciolo dipende interamente dalla madre II piccolo nasce sordo e cieco. Per interpretare correttamente la natura delle sue azioni bisogna sapere che, durante questo periodo, quella che viene considerata la parte del cervello adibita al controllo superiore, la corteccia cerebrale, non è completamente formata. In questa fase sono essenzialmente le parti inferiori del cervello che funzionano e lo fanno reagire. Il cucciolo ha quindi le cosiddette reazioni primarie o comportamenti primitivi. Si tratta di riflessi che gli permettono di sopravvivere e di realizzare ciò che è più importante per lui: trovare una fonte di calore e una fonte di nutrimento. COME SI ORIENTA IL CUCCIOLO Nel corso delle prime due settimane di vita, il sistema di orientamento principale è di due tipi: - tattile: toccando con le zampe o il naso il cucciolo riesce a orientarsi; -- termica: il cucciolo si avvicina sistematicamente alle fonti di calore. Verso la fine di questo periodo comincerà a percepire sensazioni olfattive nel vero senso della parola, cioè non i feromoni (di cui parleremo a lungo più avanti, da pagina 122 a 129), ma odori che gli consentiranno di orientarsi. Per il momento, però, alla nascita, sono essenzialmente il tatto e la ricerca di calore che gli permettono di interagire con il mondo. IL CUCCIOLO NON RIESCE A RISCALDARSI DA SOLO Perché il piccolo ha bisogno di trovare una fonte di calore? È un'altra caratteristica importante di questo periodo: le parti del suo cervello che

dovrebbero regolare la temperatura corporea e aumentarla quando fuori fa freddo o, al contrario, abbassarla quando fa più caldo non funzionano. Il cucciolo dipende quindi da una fonte di calore esterna per potersi riscaldare. In teoria è la madre a provvedere, ma quando è assente, per un motivo o per l'altro, bisogna tenere al caldo il cucciolo: in genere si ricorre a lampade a infrarossi. IL CUCCIOLO NON È IN GRADO DI FARE I SUOI BISOGNI DA SOLO La stessa mancanza di competenza si ritrova nell'ambito degli sfinteri. Il cucciolo non è capace di eliminare da solo gli escrementi e l'urina. Le strutture nervose che gli permetterebbero di sentire che la vescica o il retto sono pieni, e di provocare la defecazione o la minzione, non funzionano ancora. È grazie al cosiddetto "riflesso perineale" che il piccolo procederà all'eliminazione. Durante il periodo neonatale, cioè nelle prime due settimane di vita e praticamente fino a un mese d'età quindi, anche dopo la fine del periodo neonatale propriamente detto -- il cucciolo fa i suoi bisogni ogni volta che viene stimolata la regione del perineo. È quello che fa la madre durante le prime settimane: con la lingua stimola la zona perineale, cioè la regione tra l'ano e l'apparato genitale e, anche se può sembrare poco poetico, ingerisce sistematicamente l'urina e gli escrementi dei cuccioli. Ci sono casi in cui una cagna non può occuparsi dei figli perché costituisce un pericolo per i cuccioli, perché è morta o se un piccolo appena nato è stato abbandonato. Se, in questo caso, decidete di farne le veci, sappiate che dovrete effettuare voi stessi la stimolazione. In pratica, si tratta di procurarvi una spugnetta umida o dei dischetti di cotone per eliminare il trucco, per esempio, e di stimolare la zona solleticandola con insistenza: vedrete allora uscire urina o escrementi, a seconda di ciò che è presente nella vescica o nel retto del cane. Questo è essenziale per la sua sopravvivenza: se non elimina le scorie, infatti, muore. L'operazione è da eseguire vicino ai pasti, quindi ogni due ore e mezzo, tre ore. La cagna possiede sicuramente altre informazioni, probabilmente di origine olfattiva, che le permettono di individuare il momento giusto. Dal momento che noi non le abbiamo, però, siamo obbligati a ripetere la procedura sistematicamente. IL CUCCIOLO È QUASI INCAPACE DI SPOSTARSI II cucciolo non è autonomo sul piano motorio. Non è capace di sollevarsi sulle zampe perché appena nato attraversa, in successione, due fasi molto particolari:  innanzitutto un periodo durante il quale sono i muscoli flessori a predominare: il cucciolo ha le vie nervose per contrarsi ma non per estendersi. Invece, per sollevarsi sugli arti bisogna trovare un equilibrio tra estensione e flessione;  in seguito c'è un periodo durante il quale predominano i muscoli estensori su quelli flessori. Deve superare tutte queste tappe per poter cominciare progressivamente, alla fine del periodo neonatale e all'inizio di quello di transizione, a sollevarsi sulle zampe anteriori. Il solo modo per spostarsi è quindi la reptazione: il cucciolo striscia. Del resto, gli basta per i piccoli spostamenti che gli risultano necessari. Con il passare dei giorni i cuccioli strisciano sempre meglio: poco a poco si assiste a un'armonizzazione del controllo dei muscoli, e i piccoli imparano a percorrere distanze relativamente grandi rispetto al loro mezzo di locomozione e alla loro dimensione: si tratta di qualche decina di centimetri attorno al punto centrale del nido. In ogni caso, la madre non permette loro di allontanarsi: appena ce n'è uno che mostra la tendenza ad andarsene per conto suo, la cagna lo riporta nel gruppo. Il cane costituisce un esempio tipico delle cosiddette "specie nidicole", ovvero le specie i cui piccoli sono estremamente dipendenti dalla madre dal momento che non sono in grado di nutrirsi, scaldarsi e fare i loro bisogni da soli. Quindi, se il cucciolo non è assistito da qualcuno, muore. Attenzione! A meno che non siate estremamente disponibili e non possediate una grande competenza tecnica sullo sviluppo del cane, non dovete occuparvi di un cucciolo non svezzato: questo equivarrebbe a trasformarsi in mamma cane, con rischi enormi sul piano comportamentale. Le competenze del neonato PERCHÉ È IMPORTANTE TOCCARE IL CUCCIOLO Si è osservato che durante questo periodo si svolge un processo molto importante, iniziato già nell'epoca

prenatale: i neuroni, e quindi le cellule nervose, hanno un enorme potenziale d'interconnessione, ovvero generano prolungamenti per connettersi con la cellula vicina e stabilire una moltitudine di circuiti. Non tutti sopravviveranno: solo quelli che vengono stimolati continueranno a esistere. Perciò è importante che, in questo periodo, il cucciolo trovi intorno a sé tutti i tipi d'informazione di cui ha bisogno, in particolare le informazioni tattili più diverse. Si ripresenta quindi (come nella fase prenatale) la necessità di manipolare i cuccioli, accarezzarli, toccarli. In effetti, gli stimoli tattili procurati dalla mano dell'uomo non assomigliano affatto a quelli che la mamma pratica con la lingua. Dato che il cane dovrà vivere e interagire con gli esseri umani, deve abituarsi alla manipolazione. Spesso si crede che non si debba toccare un piccolo appena nato. È assolutamente falso! La cagna passa il suo tempo a spingere i cuccioli con il naso, a leccarli, a volte persino a stringerli delicatamente con i denti per farli muovere; se li deve spostare, può prenderli in bocca. Tutti questi stimoli sono essenziali per il piccolo. Se sono assenti, quando per esempio il cucciolo è abbandonato o separato dalla madre per un qualche motivo, soffrirà di disturbi comportamentali e, in particolare, sarà caratterizzato da un quadro clinico grave che si chiama "depressione da distacco precoce". È per questo che bisogna stimolare il cucciolo, se gli si fa da madre, soprattutto se è solo o se ha soltanto un paio di fratelli o sorelle. Nel caso di una cucciolata numerosa, infatti, intervengono stimoli reciproci tra fratelli quando succhiano il latte o si addormentano, gli uni appoggiati agli altri. Come manipolare i cuccioli  La manipolazione dev'essere estremamente delicata, non risultare dolorosa né indurre il cucciolo a ritrarsi o a bloccarsi. Bisogna accarezzarlo con i polpastrelli, con dolcezza, e preferibilmente, almeno all'inizio, nel senso del pelo.  Innanzitutto, se la madre è socievole con l'uomo e gli permette di avvicinarsi, si raccomanda di cominciare a manipolare i cuccioli quando succhiano il seno o sono stretti contro la madre. Spesso, quando li si accarezza in quella posizione, la madre fa lo stesso con la lingua, e questo è ottimo perché permette di associare la manipolazione umana a una stimolazione positiva da parte della cagna.  In seguito si può decidere di prenderli in mano e di cominciare progressivamente a manipolarli.  Poiché il piccolo è dipendente dal punto di vista termico, non bisogna mai appoggiarlo su una superficie fredda. I veterinari lo sanno bene, perché a volte si trovano a dover condurre un esame neurologico precoce - in particolare per le razze predisposte a soffrire di certe anomalie neurologiche - per accertarsi che non sia presente una malattia congenita. Se si posa il cucciolo su un tavolo di metallo freddo, l'animale si immobilizza e, in breve tempo, cade in una specie di torpore perché, dal punto di vista termico, si trova in una situazione pericolosa. Quando si accudisce un cucciolo che presenta un qualunque problema e che necessita di cure, è necessario posarlo su una superficie morbida e tiepida, e mai su piastrelle, inox o su un piano che potrebbe essere freddo. Non c'è da preoccuparsi se il piccolo reagisce alla stimolazione molto in ritardo rispetto al momento in cui lo toccate. Si verifica infatti un fenomeno particolare: nel sistema nervoso l'informazione circola sotto forma di onda elettrica. Questa, per muoversi velocemente, "salta" lungo le fibre nervose che sono circondate da uno strato isolante, la "guaina mielinica" che, a intervalli regolari, presenta degli strozzamenti in cui scompare: lì la fibra nervosa è quasi scoperta. In effetti, l'influsso nervoso salta da un punto non isolato all'altro, e questa capacità gli permette di spostarsi a grande velocità. Alla nascita, però, questo sistema non è ancora ultimato. Solo qualche fibra nervosa ha la mielina: tutto il resto è scoperto, quindi l'influsso nervoso procede lentamente. Ecco perché, tra il momento in cui si stimola il cucciolo e il momento in cui reagirà, passa molto più tempo di quello che si osserva per il cane adulto o semplicemente per un cucciolo con tre mesi in più. "Il cucciolo riconosce la madre?" Durante il periodo neonatale il cucciolo vive sempre nel nido preparato dalla madre; i piccoli, del resto, hanno la tendenza a raggrupparsi tra loro e dormire tutti contro la cagna, al caldo. Sembra effettivamente che la madre, in questa fase, dimostri un certo attaccamento ai piccoli. Questi, invece, non riconoscono la madre; in altre parole, tutto ciò che è morbido e caldo e che contiene latte riesce a farli stare bene. Gli allevatori lo sanno perfettamente: quando la cagna è assente, utilizzano una lampada a infrarossi o una borsa dell'acqua calda avvolta in un tessuto morbido, in modo che i cuccioli possano stringersi contro qualcosa di tiepido per calmarsi e crescere senza problemi.

LA FUTURA POSIZIONE DI SOTTOMISSIONE DEL CANE In questo periodo si osserva un fenomeno interessante, legato alla situazione di dipendenza del cucciolo e al riflesso perineale di eliminazione. Come abbiamo già visto, a intervalli regolari la cagna colpisce con il naso il fianco dei cuccioli per farli voltare; in genere i piccoli, in questa circostanza, emettono flebili vocalizzi, e la madre lecca la loro regione perineale per provocare l'eliminazione di urina ed escrementi. Ci si è accorti che quest'interazione tra la madre e il piccolo costituisce la base per la futura posizione di sottomissione del cane adulto. Per verificarlo si è condotto il seguente esperimento: ad alcuni cuccioli ha fatto da madre un essere umano invece di una cagna. Si sono messi poi a confronto dei piccoli che venivano voltati perché facessero i loro bisogni ad altri che rimanevano coricati sulla pancia per urinare e defecare. Si è constatato che, nella fase della socializzazione, questi ultimi adottavano una posizione di sottomissione immobilizzandosi con il ventre a terra, mentre gli altri cani si giravano sul fianco. Quando un cane assume la posizione di sottomissione, soprattutto se si trova di fronte un suo simile che ringhia minacciosamente o un essere umano arrabbiato, emette spesso un po' di urina. In effetti, questa reazione - che spesso mette in collera i padroni, obbligati a pulire - è considerata un residuo di quell'interazione. È sempre la stessa tematica a riproporsi e, per calmare un dominante, il modo migliore consiste nell'adottare un comportamento di accettazione sessuale - con cui il cane sottomesso permette all'altro di salirgli sopra -- o un atteggiamento infantile analogo alla posizione di stimolazione perineale. Questo risulta particolarmente interessante perché permette di vedere quanto un comportamento primitivo come quello diventi in seguito un elemento molto importante nella comunicazione del cane adulto. IL RIFLESSO DEL "FOUISSEMENT" I veterinari cercano sempre di verificare nei cuccioli la presenza di alcuni riflessi, soprattutto in alcune razze in cui certe anomalie possono essere individuate precocemente. In particolare ci riferiamo al riflesso del "fouissement" o "rooting reflex", che illustra perfettamente il doppio orientamento del cucciolo, tattile e termico. Il piccolo nella fase neonatale ha la tendenza a rannicchiarsi contro tutte le superfici calde e morbide. In realtà, questo riflesso gli permette di sprofondarsi tra le mammelle della cagna e di cercare il capezzolo. La reazione del piccolo è facilmente osservabile con un sistema semplice: mettendogli i pugni chiusi davanti al naso e lasciando libero solo uno stretto varco tra le dita proprio in corrispondenza con il naso dell'animale, si ha l'impressione che il cucciolo strisci per cercare di infilarsi nella mano. Questo riflesso scomparirà non appena il cucciolo sarà in grado di orientarsi grazie agli organi visivi, pochi giorni dopo l'apertura degli occhi, all'inizio del cosiddetto "periodo di transizione". A partire da quel momento i cuccioli entrano in un altro mondo, ricco di maggiori stimoli sensoriali, e si aprono all'ambiente esterno.

IL RIFLESSO LABIALE Un altro riflesso spesso studiato, soprattutto per la sua eventuale persistenza anche dopo il periodo neonatale, è quello labiale. Nella fase neonatale, non appena qualcosa di morbido o arrotondato tocca le labbra del cucciolo, questo reagisce succhiando. Anch'esso scomparirà, nei casi normali, qualche giorno dopo l'apertura degli occhi, a partire dal momento in cui la vista diventa funzionale, eccezion fatta per gli animali che hanno subito gravi carenze proteiche. Si tratta generalmente di cuccioli le cui madri sono spesso in uno stato di carenza fisiologica, con un latte di qualità scadente e nessun supplemento. Possono soffrire di ritardi nello sviluppo, che si manifestano con la persistenza del riflesso labiale appena descritto. Si vedono cuccioli di un mese che succhiano ancora quando si toccano loro le labbra. Nei soggetti normali, invece, una simile reazione è ormai scomparsa. I PROBLEMI In certe razze possono manifestarsi problemi particolari legati ad anomalie cerebrali: ci riferiamo specialmente all'idrocefalia. Alcune hanno una vera e propria predisposizione, soprattutto quelle caratterizzate da una scatola cranica piuttosto rotonda, come molti piccoli cani da compagnia tipo chihuahua, yorkshire, carlini, bulldog, bassotti tedeschi e barboncini nani. Nella maggioranza dei casi gli idrocefali si riconoscono facilmente perché hanno effettivamente il cranio più grosso. In alcune circostanze, però, non è così facile capirlo perché, come abbiamo detto, si tratta di cani che hanno per natura il cranio tondeggiante. L'idrocefalia si manifesta in diversi modi: quasi sempre è legata a un ritardo nello sviluppo, e quindi alla persistenza di riflessi primari che, nei soggetti normali, sono già scomparsi. Vi sono poi altri disturbi, che possono non manifestarsi nel periodo neonatale e di transizione: è durante la fase di socializzazione che si effettua la diagnosi, dato che prima la compressione era ridotta e quindi non provocava la distruzione dei tessuti nervosi. Per causare danni del genere è necessario che la pressione duri un certo periodo: è anche possibile che lo schiacciamento progressivo alteri alcune strutture che si riveleranno danneggiate solo quando l'animale saprà adottare comportamenti più sofisticati. Bisogna quindi usare la massima prudenza di fronte a rischi del genere. Esistono altri problemi che toccano parti più periferiche del sistema nervoso, in particolare nelle razze che vengono definite anure, ovvero prive di coda. Un esempio è costituito da alcuni bobtail. In linea di massima la coda viene tagliata alla maggior parte di loro, ma alcuni ne nascono privi. Questo è vero in particolare per gli schipperke, piccoli cani di sette, otto chili, dal pelo nero semilungo, testa piccola da pastore, orecchie dritte, che in origine erano gli animali di chi abitava sulle chiatte nei Paesi Bassi. Servivano contemporaneamente da cani da guardia, da compagnia e davano anche la caccia ai topi per proteggere la merce che veniva trasportata. Gli schipperke sono una razza senza coda; il problema è che lo sviluppo delle parti posteriori delle grandi radici nervose del midollo spinale avviene contemporaneamente a quello delle gemme embrionali che daranno luogo alla coda. In certi casi vi può essere un'anomalia che compromette gravemente lo sviluppo del midollo. Ne risultano animali che non hanno un'innervazione corretta, specialmente dell'ano, del collo della vescica, e in cui il riflesso perineale sarà aberrante. In certi casi si assiste persino a una perdita continua di urina e di escrementi ma, soprattutto, alla persistenza del riflesso perineale. Il periodo neonatale si conclude con l'apertura degli occhi e l'inizio del periodo di transizione, caratterizzato dalla completa maturazione del sistema nervoso centrale e dalla vera e propria apertura al mondo esterno. 2 - Il cucciolo si apre al mondo II periodo di transizione comincia con l'apertura degli occhi e termina quando il cucciolo è in grado di udire i suoni. E una fase molto corta (da quattordici a ventuno giorni per le razze piccole e medie, da diciotto a trentadue giorni per quelle più grandi) ma determinante perché, nello spazio di quei pochi giorni, si verificano avvenimenti importantissimi.

Lo sviluppo degli organi sensoriali Durante il periodo di transizione tutta la vita del cucciolo cambia perché si modifica il suo rapporto con il mondo. In effetti, grazie alle nuove competenze sensoriali, l'animale acquisisce la capacità di percepire quanto accade lontano da lui, prima con la vista e in seguito con l'udito. Nel frattempo, a mano a mano che la sua capacità di spostarsi aumenta, compie movimenti più ampi. Si instaura quindi già a questo punto una logica di esplorazione attiva del mondo e di acquisizione di indipendenza. Il primo grande evento a livello sensoriale è, a partire dall'apertura degli occhi, la comparsa della capacità visiva. La vista VEDERE PER ANTICIPARE Fino ad allora, come abbiamo già detto (vedi pagina 27), i cuccioli si orientavano in modo tattile: era il tatto che permetteva loro di sapere dove andavano. Evidentemente questo sistema presentava un grosso inconveniente: il piccolo è costretto a mantenersi vicino a ciò che esplora, e non può quindi fare nulla a distanza. E soprattutto - particolare molto importante, che ritroveremo durante tutta la fase di sviluppo del cane e della sua educazione - è incapace di anticipare. Questo significa che l'informazione gli arriva nel momento in cui stabilisce il contatto, mentre nel caso di un dato colto grazie alla vista può prevedere gli eventi perché studia l'ambiente circostante da lontano, ed è quindi in grado di modificare il comportamento a seconda di ciò che percepisce. L'apparizione della vista modifica evidentemente il rapporto con gli altri: permette di stabilire una forma di comunicazione più complessa perché il cucciolo vede l'altro da lontano e può prevedere, grazie a molteplici segnali, cosa accadrà quando entrerà in contatto diretto con lui. La capacità di scoprire e conoscere con lo sguardo modifica in modo radicale i comportamenti. Bisogna tuttavia precisare che la vista non è del tutto funzionale al momento dell'apertura degli occhi: è ancora necessario qualche giorno perché la retina diventi completamente efficace. Nel momento in cui gli occhi si aprono non si sono ancora attivati tutti i riflessi chiamati "fotomotori", che consentono l'adattamento del diametro della pupilla a seconda della luce. VISTA E ATTACCAMENTO ALLA MADRE Dopo qualche giorno il cucciolo comincia a ricevere informazioni di tipo visivo. A parte i dati topografici, cioè riguardanti il luogo in cui si trova, l'aspetto che ha, la sua organizzazione eccetera, la vista gli permette di vivere un evento fondamentale, una delle esperienze più importanti del periodo di transizione. Fino ad allora coglieva un certo numero di informazioni che gli consentivano di farsi un'idea solo parziale dell'essere che si occupa di lui, in generale la madre biologica. Adesso, grazie alle capacità visive, potrà identificarla in modo completo. In altre parole: la madre non è più solo un oggetto caldo contenente del latte in cui il cucciolo trova le sostanze indispensabili, ma è anche un essere con caratteristiche sufficientemente precise per permettere al piccolo di distinguerla dagli altri. Solo a questo punto può apparire la fase di sviluppo caratterizzata da attaccamento e "impregnazione" che descriveremo più dettagliatamente a pagina 55. ESSERE STIMOLATI PER VEDERE MEGLIO Una parte dello sviluppo è geneticamente programmata, ma un'altra parte dipende dagli stimoli forniti dall'ambiente. Questo significa che, perché si metta in funzione una vista completa, bisogna che il cucciolo evolva in un ambiente dove ci sono oggetti diversi da vedere, con varie forme ed elementi in tutte le direzioni dello spazio, orizzontali e verticali. Certi esperimenti, che ora sono relativamente antiquati e possono sembrare persino un po' barbari, mettono perfettamente in evidenza l'importanza di questi stimoli. L'esperimento seguente è stato praticato sul gatto: consiste nel far crescere i micini in un ambiente caratterizzato solo da linee orizzontali, senza alcun contrasto verticale. Ci si è accorti che, quando si prelevano gli animali da quell'ambiente "orizzontale" per inserirli in un altro caratterizzato da linee di ogni sorta, risultano in un certo senso ciechi: per esempio, quando incontrano sul loro percorso sbarre verticali non le vedono e ci finiscono contro. Se si analizza il loro sistema nervoso, si nota che una parte delle fibre nervose che trasmettono le informazioni dall'occhio alle zone del cervello incaricate di interpretare le informazioni è atrofizzata, non si è potuta sviluppare. Così, perché le capacità visive di un cucciolo funzionino al meglio, bisogna stimolarle. Da cui l'importanza, durante il periodo di transizione, di arricchire l'ambiente visivo dell'animale se si vogliono evitare anomalie nello sviluppo della vista.

Per questo bisogna evitare una pratica "tradizionale" basata sulla convinzione che il cane appena nato abbia bisogno di una grande calma, dell'ambiente meno disturbato possibile. Si arriva persino a situazioni grottesche di cagne che vengono relegate con i piccoli in un angolo di fienile o in una baracca semibuia. Molti credono che sia il modo migliore per garantire ai cuccioli uno sviluppo completo, invece è proprio il contrario. Del resto, questo tipo di isolamento è del tutto nefasto perché provoca quelle che vengono definite "situazioni di deprivazione sensoriale" (vedi pagina 96). Non bisogna poi dimenticare che il cane nella maggioranza dei casi vivrà in stretto contatto con l'uomo, e quindi in un ambiente complesso, caratterizzato da oggetti di ogni sorta. Più è stato stimolato all'inizio da esperienze sensoriali varie, più sarà preparato per crescere in quel mondo. Per concludere, il vostro compito non è per nulla complicato, basta che evitiate a ogni costo d'isolare l'animale dall'ambiente in cui vivete ogni giorno. Dove e come sistemare una cagna con i cuccioli Se volete creare un ambiente visivo stimolante per la cagna e i cuccioli: - Trasferiteli presso di voi, nella casa o nell'appartamento che abitate, sempre che, naturalmente, questo sia compatibile con il vostro modo di vita, perché è vero che il cucciolo entra in un periodo in cui sporca dappertutto e preferirete forse limitare la zona a sua disposizione per le esplorazioni. Ripetiamolo ancora: bisogna evitare di creare il vuoto attorno ai piccoli; - potete collocare nel loro spazio vari oggetti, e giochi infantili purché non pericolosi e impossibili da ridurre in brandelli che il cucciolo mangerebbe. Si tratta, in effetti, del momento dell'esplorazione orale e bisogna impedire al piccolo di mangiare di tutto. In pratica, si riveleranno perfetti palloni, grossi cubi, pezzi di corda; - assicuratevi che vi sia un'illuminazione sufficiente durante il giorno: dev'esserci chiaro e, se la luce naturale non basta, non esitate ad accendere una lampadina. Non lasciate assolutamente gli animali in luoghi bui e vuoti. IL CUCCIOLO CIECO Esiste un'altra prova del ruolo fondamentale della vista: basta osservare i cuccioli che presentano anomalie anatomiche spesso ereditarie (a volte si tratta di complicazioni congenite) e che sono ciechi, anche se gli occhi hanno un aspetto normale. Si tratta di animali che continueranno il loro sviluppo senza la vista. Che cosa succede? Innanzitutto questo handicap induce il cane fin da subito a tenersi in disparte: i cuccioli hanno reazioni esagerate a ciò che succede attorno a loro, perché il sistema nervoso riceve le informazioni ma non ha alcuna possibilità di anticipare (vedi pagina 109). Sono quindi assaliti dagli stimoli in modo brutale e si trovano improvvisamente a contatto di altri esseri viventi di cui non si erano accorti. Si potrebbe pensare che l'odorato canino riesca a sopperire all'handicap della cecità, ma il fiuto non è un sistema d'informazioni che permetta di effettuare la stessa valutazione del passaggio del tempo. Se si paragona la vista (un individuo che osserviamo avvicinarsi) e la percezione olfattiva (un individuo di cui sentiamo l'odore quando si avvicina) possiamo dire che quest'ultima non consente di valutare il diminuire della distanza a mano a mano che l'individuo viene verso di noi. In pratica, il fiuto non permette di apprezzare l'aspetto progressivo, capace di procurare molteplici informazioni, come fa invece la vista. I cuccioli che si sviluppano senza avere competenze visive normali saranno cani con reazioni brutali e violente in occasione dei contatti fisici: il loro proprietario dovrà imparare a parlare prima di toccarli, evitando così l'effetto sorpresa. Questo rende necessaria tutta un'educazione particolare. Del resto questi animali hanno numerosi problemi anche con i loro simili perché non sono in grado di rispondere ai segnali posturali che normalmente accompagnano il momento del contatto fisico, e hanno la tendenza a reagire in ritardo. I cani, poi, hanno raramente la tolleranza e adattabilità dell'essere umano, per cui questa risposta incomprensibile scatenerà negli altri animali tutta una serie di comportamenti più o meno aggressivi. Ciò tende ad aumentare, poco a poco, il carattere timoroso del cucciolo cieco. Per questo è importante individuare la cecità del piccolo al più presto. Bisogna porsi una domanda: è eticamente giusto permettere a un cucciolo di svilupparsi, sapendo a quali difficoltà si troverà davanti nella sua vita futura? Diagnosticare una cecità è anche molto importante in termini di prevenzione. In effetti, se il problema è di origine ereditaria, bisogna dar prova di buonsenso chiedendosi se sia opportuno permettere a quella cagna o al maschio che l'ha montata di riprodursi.

Come individuare la cecità nel cucciolo Non bisogna esitare, se la vostra cagna ha avuto dei piccoli, a verificare subito la presenza di un'eventuale cecità. Anche solo pochi giorni dopo l'apertura degli occhi, verificate con una lampada tascabile se il diametro della pupilla si restringe quando dirigete il fascio luminoso verso gli occhi del cucciolo. Bisogna anche assicurarsi che il cagnolino segua con lo sguardo qualcosa che gli si muove davanti agli occhi; scegliete un oggetto capace di attirare l'attenzione ma, evidentemente, privo di odore. Non agitategli davanti un biscotto o una crocchetta, altrimenti non saprete se si orienta seguendo l'odore del cibo o il movimento dell'oggetto; usate invece una pallina colorata o una piccola fonte di luce. COME VEDE IL CANE? "E' vero che il cane vede in bianco e nero?" Sulla questione della vista canina tutti hanno detto la loro: per lungo tempo, per esempio, si è sentito dire che questi animali vedevano in bianco e nero. Il proliferare di opinioni divergenti era dovuto a una conoscenza assai limitata della struttura della retina canina; oltretutto, erano stati praticati test piuttosto approssimativi per l'identificazione dei colori, e sembravano concludere che il cane non si interessasse alle diverse tonalità. Quest'opinione è ridicola; anche se è evidente che la percezione canina dei colori è totalmente diversa dalla nostra: le sfumature che percepiscono sono molto meno numerose di quelle colte dall'occhio umano. Non possiamo quindi chiedere a un cane di distinguere tra cinque rosa, dieci arancione e diversi giallo. Tuttavia, è in grado di percepire i diversi colori. "Si dice anche che il cane vede male. E' vero?" Il cane non riesce a distinguere i dettagli con una definizione elevata quanto la nostra. A volte si suggerisce un'immagine che può venire male interpretata: si dice che, per avere un'idea della vista di un cane, bisogna immaginare un paesaggio visto da un miope, ovvero sfocato e dai contorni indefiniti. Bisogna evidentemente essere prudenti con descrizioni del genere, perché pochi sono i resoconti forniti dai cani stessi! Abbiamo però informazioni di tipo ottico che permettono di affermare che, effettivamente, il cane ha una cattiva definizione dei dettagli degli oggetti immobili. In compenso, come avviene per molti predatori, può contare su un'ottima definizione visiva del movimento. Gli occhi canini sono fatti per cogliere lo spostamento, ovvero, nel suo comportamento di predazione, ha bisogno di movimento per essere stimolato; i piccoli scatti, per esempio, suscitano in lui un comportamento di predazione (il che non vuol dire che non possa mangiare oggetti immobili ... ). La tattica adottata spontaneamente dal cane che caccia consiste nel pattugliare, nell'esplorare e nell'andare a curiosare un po' dappertutto finché qualcosa non comincia a muoversi. Da ciò deriva la tecnica difensiva di numerose prede, che di fronte al cane e ad altri animali cacciatori, si immobilizzano: è uno dei modi migliori per scongiurare il pericolo di essere inseguiti. "Il cane ci vede di notte?" Evidentemente possiede una buona visione notturna, anche se è meno sviluppata di quella felina. La sua retina ha una struttura particolare che le permette di funzionare anche quando c'è poca luce. Del resto, lo sanno tutti: quando si è in macchina, con i fari accesi, e si illuminano gli occhi di un cane sulla strada, questi appaiono di un colore giallo-verdastro e brillanti: si tratta del cosiddetto "tappeto" della retina, il cui nome scientifico è tapetum. Tale particolare ci interessa da vicino perché vedremo che in situazioni minacciose o in certe turbe del comportamento -- tipo disturbi dell'umore -- che assomigliano agli stati maniacali dell'uomo, i cani presentano una dilatazione della pupilla (chiamata midriasi), e si ha l'impressione che gli occhi cambino colore diventando verdi. Nell'immaginario popolare questo ha dato vita a tutta una serie di interpretazioni assurde come "l'occhiata assassina", l'occhio da pazzo" e così via. Durante le visite sento regolarmente commenti come: "So che il mio cane sta diventando matto, glielo leggo negli occhi che gli diventano verdi in quei momenti. .." Questo fenomeno ha effettivamente un parallelo negli uomini, in particolare negli individui che soffrono di disturbi maniacali o maniacodepressivi sfocianti in episodi maniacali. Si sente parlare, ad esempio, dell '"occhio nero del maniaco": la persona non dorme più, tiene discorsi megalomaniaci, profferisce orrori di ogni sorta e soprattutto, nelle nostre società consumistiche, si dedica ad acquisti frenetici (certi possono comprare quattro auto o venticinque cappotti in un solo giorno, con tutte le conseguenze sociali e legali del caso). Nel cane, quando la pupilla si dilata profondamente, come avviene di notte (dal momento che le sue dimensioni aumentano quando non c'è luce), si vede il tapetum riflesso. Tutto dipende dalla posizione che assumete: in pieno giorno, davanti a un cane con le pupille dilatate, riuscirete a vederlo con maggiore facilità se vi

mettete di lato e gli guardate gli occhi in modo obliquo. L'udito L'orecchio del cucciolo, all'inizio del periodo di transizione, ha già subito le trasformazioni necessarie: il condotto auditivo, che prima era semichiuso, adesso è aperto, e il timpano con le altre parti dell'orecchio sono perfettamente funzionanti. Non si sono però ancora stabilite le connessioni tra l'orecchio, organo di ricezione delle informazioni sonore, e la parte del cervello chiamata corteccia temporale, che deve entrare in contatto con quelle strutture. In pratica, la relazione tra l'organo di senso e la struttura d'interpretazione non è ancora operativa. Queste interconnessioni si ultimano durante il periodo di transizione: ciò significa che il cucciolo è ancora sordo, ma che si stanno compiendo i progressi che gli consentiranno di udire. Del resto, nel momento in cui sarà capace di percepire i suoni, terminerà il periodo di transizione per entrare nella grande avventura della socializzazione. IL RIFLESSO DEL SOBBALZO La capacità uditiva si manifesta con un riflesso che si osserva quando il piccolo ha circa tre settimane e mezzo o quattro: si tratta del riflesso del sobbalzo. In generale il cucciolo deve trovarsi appoggiato sul ventre, e quindi nella sua posizione naturale, su una superficie morbida. Bisogna ricordarsene quando si esamina un cane: evitate i piani d'appoggio duri o freddi perché, anche se i cuccioli sono ormai autonomi dal punto di vista della temperatura, avranno la tendenza a rimanere sorpresi e il risultato del test sarebbe quindi poco affidabile. L'esaminatore tiene le mani a cinque, dieci centimetri sopra la testa del cane e le batte. A quel punto il cucciolo, nei casi normali, si solleva sulle zampe anteriori e si lascia ricadere. Da qui il nome di "sobbalzo". Se ha questo riflesso si dice che il test è positivo e che l'apparato uditivo è quasi giunto a maturazione: il cucciolo termina quindi il periodo di transizione. UN AMBIENTE SONORO STIMOLANTE Non si sa ancora se, nonostante l'immaturità dell'apparato uditivo, la ricchezza di stimoli intervenga o meno nel suo sviluppo. Si potrebbe crederlo, per analogia con quello che accade a livello della vista, descritto a pagina 33. Come l'isolamento visivo, quello sonoro è estremamente negativo perché il cucciolo, che più tardi vivrà in un ambiente popolato da uomini, e quindi estremamente ricco di stimoli acustici, sarà impreparato. Non bisogna dimenticare che gli esseri umani si servono molto del suono: innanzitutto parlano - già questo molto importante -, e producono innumerevoli attività sonore, che si tratti di musica o di rumori legati ai nostri diversi apparecchi, veicoli, telefoni, elettrodomestici, televisori, sveglie, radio, giochi infantili eccetera. È quindi necessario che il cucciolo sia immerso in un ambiente sonoro sufficientemente stimolante. Come creare attorno al cucciolo un ambiente sonoro stimolante Si consiglia talvolta di collocare non lontano dalla cagna e dai piccoli una radio sempre accesa, in modo che i cuccioli possano ricevere stimoli diversi. E' ovvio che è preferibile se il piccolo, nella casa del suo proprietario, può assistere all'attività umana quotidiana. L'adattamento ai suoni si rivelerà ancora più facile se anche la madre è cresciuta in mezzo agli esseri umani: infatti, grazie a queste nuove informazioni sonore, il cucciolo, ormai in grado di vedere, potrà percepire le reazioni della madre e avrà la tendenza a imitarle. "Cosa fare se la madre ha paura dei rumori provocati dell'uomo?" Se la madre è una cagna paurosa, che ha sempre vissuto all'aperto e mal sopporta la presenza umana, è certo che il cucciolo avrà la tendenza a considerare i rumori, percepiti attraverso il filtro materno, come un fattore stressante. Per questo è importante cercare, fin dove è possibile, non di separare madre e piccolo, ma di fare in modo che altri cani senza problemi del genere siano presenti, o cominciare a intervenire in un certo senso come madre supplementare. Questo significa che assumerete un atteggiamento rassicurante alla comparsa delle nuove informazioni sonore. Facciamo un esempio concreto: il cucciolo può sentirsi in pericolo se il telefono si mette a squillare, perché la madre è presa dal panico quando sente quel suono. Sta a voi, allora, rassicurarlo. IL CUCCIOLO SORDO Purtroppo, come nel caso della vista, certi cuccioli soffrono di anomalie o di malformazioni dell'apparato

auditivo. In particolare alcune razze sono colpite con maggiore frequenza da questi disturbi: quelle a cui bisogna prestare maggiore attenzione sono il dalmata e il dogo argentino. Alcuni cuccioli di queste razze presentano una sordità genetica che causa tutta una serie di difficoltà. Questo handicap in effetti non è troppo limitante quando il cane vive in mezzo ai suoi simili, perché in un mondo di cani se la può cavare benissimo senza l'udito. L'unico particolare che si osserva è che i cani sordi fanno spesso dei vocalizzi, ovvero quando abbaiano emettono suoni troppo forti, mal strutturati e privi delle normali sfumature che caratterizzano il motivo del latrato. Le difficoltà si manifestano quando il cane abita con l'uomo, perché questi parla all'animale e cerca di stabilire un contatto con la voce. Capita spesso di vedere, durante le visite, cuccioli di dalmata che vengono portati dal veterinario perché sono ineducabili (almeno secondo il padrone) o perché hanno morso il proprietario: in effetti, a forza di chiamare il cane senza mai avere una risposta, ha finito per perdere la pazienza e per punire l'animale. Ma la punizione (avremo l'occasione di insistere a lungo su questo punto), se non è associabile a un errore che il cane sa di aver commesso e viene per di più inflitta "a caldo", impulsivamente, non solo è priva di un qualsivoglia effetto educativo, ma risulta anche pericolosa. Cosa succede? Il cane che viene punito ha tendenza a sottomettersi, ovvero assume posizioni di sottomissione: si appiattisce a terra, piange. Il proprietario, esasperato, continua a strapazzare l'animale che non capisce il motivo della sanzione. Per questo ha una reazione di paura e c'è il rischio che morda. "Se si possiede un dogo argentino o un dalmata come si mette alla prova il suo udito? " È molto importante, se siete proprietari di un dogo argentino o di un dalmata, che vi informiate nei limiti del possibile sui suoi antenati e collaterali per sapere se ci sono casi di sordità. L'ideale sarebbe di riuscire a ottenere informazioni sul padre e la madre perché si tratta di razze molto particolari e i cani spesso vengono fatti accoppiare con un individuo della stessa discendenza, in molti casi dotato di pedigree. Non sempre è facile informarsi, perché gli allevatori non fanno pubblicità a problemi del genere, ma quando se ne ha notizia bisogna evitare la riproduzione, in particolare tra due individui potenzialmente portatori di anomalie. In ogni caso, visto che probabilmente non riuscirete a ottenere tutti i dati necessari, bisognerà procedere all'età di tre settimane al test del riflesso del "sobbalzo" descritto a pagina 46. Se a quattro settimane questo non si manifesta ancora è il caso di preoccuparsi. Consultate allora un veterinario per determinare se il cucciolo è sordo, perché in questo caso esistono soluzioni. Si tratta di impartirgli un'educazione particolare e prima si comincia, più risulterà facile. "In che cosa consiste l'educazione di un cucciolo sordo?" Da una parte si insegna al cucciolo a interessarsi sistematicamente alle azioni del padrone, dall'altra si invita il proprietario ad adottare sistemi di comunicazione gestuali, con posizioni molto accentuate. Per esempio, dal momento che il cane non può reagire quando lo si chiama per nome dovete trovare un altro sistema per richiamarlo: potete flettere le gambe e battervi sopra con la mano, e accarezzare l'animale quando viene da voi. Tutta questa comunicazione gestuale deve instaurarsi per gli ordini di "seduto", "a terra" eccetera, e poco a poco insegnerete all'animale a prestare attenzione ai gesti delle mani. Questo genere di educazione è particolare perché comporta la creazione di codici personali, e ognuno adotta i segnali che gli sono più congeniali. È per questo motivo che non desideriamo proporre un codice prestabilito: non esiste un linguaggio internazionale per comunicare con cani sordi. È invece interessante porsi il problema in questi termini: devo comunicare con il mio cane a gesti. Quest'ottica cambia completamente la vita quotidiana: durante la passeggiata senza guinzaglio, per esempio, il proprietario è obbligato ad anticipare perché, se vuole riuscire a fermare il cane, è costretto a rendersi continuamente interessante a distanza: solo così l'animale lo guarda, vede le sue posizioni di richiamo e torna sui suoi passi al momento di effettuare un attraversamento pericoloso. L'altro aspetto positivo di questo tipo di educazione è che si evita che il cane soffra di disturbi comportamentali legati a punizioni incomprensibili, come abbiamo già visto. A volte, infatti, si arriva a vere e proprie "fobie sociali", cioè per alcuni cani le interazioni con il padrone diventano fonte di angoscia permanente perché sono inintelligibili; il padrone continua a urlare, comportamento che per il cane non significa nulla, e questa incomprensione reciproca sfocia in un'aggressione. È spesso a partire da quel momento che si finisce in un circolo vizioso di fobie: il proprietario non si fida dell'animale perché ha paura, e il cane che non comprende più i segnali emessi dal padrone è ansioso. Si instaura quindi un vero e proprio dialogo tra sordi che peggiora rapidamente la relazione.

"In che misura un cane sordo è veramente handicappato?" In un mondo in cui i cani vivono a contatto con gli uomini, la sordità è effettivamente un handicap piuttosto fastidioso: può anche rivelarsi pericolosa per il cane, per cui è fortemente sconsigliato portarlo a spasso senza guinzaglio in zone con molto traffico. La comunicazione si basa sul presupposto che il cane guardi il padrone; per aumentare l'interesse dell'animale nei suoi confronti, quando è ancora molto giovane - quando cioè il legame tra il proprietario e il cucciolo è ancora assai forte -, si chiede al padrone di portare a spasso il cane, per esempio, in un bosco, di lasciarlo esplorare da solo e di nascondersi. Quando il cucciolo si accorge di essere isolato ha una gran paura: a quell'età la dipendenza è molto forte. Ci sarà dunque un momento di grande sconforto, di pianti, e a quel punto il padrone ricompare furtivamente e consola il cucciolo. Bisogna riprodurre questa sequenza diverse volte di seguito, tenendo presente però che si rischia di creare uno stato di dipendenza da eliminare in seguito, perché non bisogna che il legame con l'uomo si tramuti in un attaccamento eccessivo. Lo scopo è semplicemente quello di indurre il cucciolo a guardarsi continuamente intorno per sapere dove si trova il padrone. Una volta che il cane avrà imparato questo, sarà molto più facile per il proprietario inviargli i segnali visivi, che si tratti di chiamarlo o di farlo coricare. In realtà, la gravità di questo handicap dipende dalla capacità del proprietario di gestire la sordità dell'animale. L'assenza di olfatto, invece - che si chiama anosmia ed è molto rara - è l'anomalia più intollerabile per il cane. Si può addirittura considerare che sia impossibile per lui condurre la sua esistenza. I "vocalizzi" COME COMUNICA IL CANE CON LA VOCE Si definiscono "vocalizzi" tutti i suoni emessi dal cane grazie alle corde vocali. Parlare di latrati è in effetti restrittivo: abbaiare significa semplicemente fare bau bau mentre il cane può anche ringhiare, gemere, brontolare e così via. Esistono poi altri tipi di emissioni sonore che non si basano sull'uso delle corde vocali, osservabili per esempio quando l'animale batte tra loro i denti o li digrigna (vedi anche le pagine da 116 a 121). Detto questo il cane, pur dotato di corde vocali, chiaramente non è capace di parlare, non solo perché la struttura della sua laringe non glielo permette, ma anche, e soprattutto, perché gli mancano alcune strutture cerebrali necessarie per fare uso del linguaggio. COME SONO STRUTTURATI I VOCALIZZI Nel periodo di transizione, i vocalizzi emessi dal cucciolo cominciano a strutturarsi. Si fanno sentire i primi latrati e ringhi; sono elementi che, sembra logico pensarlo, entrano a far parte della comunicazione quando questa comincia ad avvenire a distanza. Il cane abbaia, per esempio, quando è in stato di allarme per quanto gli avviene intorno, e quindi non può farlo se non quando comincia a percepire gli eventi distanti tramite la vista. Alla nascita, i gemiti emessi dal cucciolo si assomigliano tutti. Invece, a partire dalla seconda settimana di vita si comincia a notare una differenziazione nel tipo di messaggio: vi sono i gemiti con cui chiede da mangiare, altri con cui manifesta sconforto quando la madre è lontana, e che possono essere legati non solo alla paura ma anche al freddo. I VOCALIZZI, UN CAMPO DA ESPLORARE Esistono numerosi studi ben documentati sul canto degli uccelli, persino delle specie più difficili da avvicinare, che ci forniscono informazioni di una precisione estrema, quasi linguistica, e permettono di distinguere una popolazione vivente in un certo luogo, con un accento particolare, da un'altra che abita in una regione lontana e ha un accento diverso. Invece per il cane non esistono studi di decodifica dei "vocalizzi"; oggi, anche se alcuni esperti si sono effettivamente lanciati nella descrizione dei diversi latrati esistenti, non ci si è spinti oltre. Si sa semplicemente che si tratta di un sistema complesso, come dimostra il caso assai particolare della caccia alla corsa: in questa circostanza i cani emettono "vocalizzi" che variano a seconda degli avvenimenti. Per esempio, quando la muta segue un cervo lancia regolarmente un certo tipo di "vocalizzo"; quando insegue una cerva (cosa proibita, dato che nella caccia alla corsa la preda è solo il maschio) i "vocalizzi" si modificano, e i cacciatori esperti, che li riconoscono, sono quindi in grado di trasmettere a loro volta informazioni alla muta: grazie al corno riuniscono i cani perché lascino stare la cerva. Si può allora affermare che sono i "vocalizzi" a costituire l'unico mezzo di comunicazione perché, la maggior parte delle volte, cani e cacciatori non si vedono, e che questi versi sono abbastanza strutturati da consentire all'orecchio umano esperto di interpretarli. Purtroppo, sul piano scientifico non è stato compiuto alcuno studio per permetterci di saperne

di più. Il cucciolo diventa autonomo Alternanza veglia/sonno Sul piano dello sviluppo sensoriale il periodo di transizione è, come abbiamo visto, determinante; si verifica però un altro cambiamento che trasforma la vita del cucciolo e determina la sua capacità di intraprendere nuove attività. La prima condizione per essere attivi è restare svegli. Il piccolo, durante le prime due settimane di vita, dorme tantissimo, il sonno è la sua occupazione principale. Nel corso del periodo di transizione si operano alcune trasformazioni nell'alternanza veglia/sonno che cambieranno il ritmo di vita dell'animale. Fino a quel momento, la struttura del sonno del cucciolo non era ancora organizzata. Il sonno normale si compone di cicli, ciascuno dei quali comprende due grandi fasi che si susseguono: - quella chiamata "sonno profondo" o "lento", perché l'attività cerebrale rallenta; -- al termine di questa prima fase, si instaura quella del "sonno paradossale" o "rapido". È definito "rapido" perché l'attività cerebrale che lo caratterizza è rapida, e "paradossale" perché, sebbene l'individuo stia effettivamente dormendo, il cervello presenta un'attività elettrica simile a quella dello stato di veglia: è il momento dei sogni, per gli uomini ma anche per i cani. Nel cane adulto i cicli assomigliano decisamente a quelli umani, ovvero durano in media all'incirca due ore (anche se esistono notevoli differenze individuali), con circa un'ora e mezza di sonno profondo e trenta minuti di sonno paradossale. All'inizio della vita, il cucciolo ha periodi di sonno paradossale molto lunghi (che rappresentano il 70 percento circa dei cicli del sonno): sogna molto, è l'attività preponderante nei periodi in cui riposa. Successivamente, poco per volta, il tempo del sonno paradossale si abbrevia e, al momento del periodo di transizione, la struttura del sonno comincia ad assomigliare a quella dell'adulto. Si cominciano anche a osservare raggruppamenti dei periodi di sonno. Nel cucciolo, le fasi di veglia sono strettamente legate alla necessità di nutrirsi e in generale, una volta placata la fame, il piccolo si riaddormenta (secondo un ritmo simile, del resto, a quello dei neonati). A mano a mano che i periodi di riposo si raggruppano per lasciare il posto a momenti di attività più consistenti, il cucciolo non si risveglia più solo per mangiare. Tuttavia il suo ritmo di vita non è ancora sincronizzato sul ritmo sociale umano (sociale perché anche l'uomo avrebbe spontaneamente la tendenza a distribuire le ore di sonno nell'arco delle ventiquattr'ore). I momenti di riposo, per il cucciolo, sono ancora disseminati nell'arco del giorno e della notte (non come nel gatto, la cui fisiologia è decisamente notturna). Le prime "uscite" del cucciolo L'altro punto importante sono le nuove possibilità del piccolo sul piano motorio. Prima non era in grado di sollevarsi sulle quattro zampe contemporaneamente, ma solo sulle due anteriori o le due posteriori, mentre adesso ne è capace. Il sistema nervoso, che continua la sua maturazione, gli permette quindi di avanzare non proprio camminando ma neppure strisciando: si tratta di uno spostamento con momenti curiosi in cui il cucciolo cade e rotola sul fianco. È ancora privo di coordinazione, ma questo nuovo modo di procedere gli permette di spingersi più lontano, e di effettuare quindi delle sortite sempre più frequenti dal "nido". Prima aveva la tendenza a restare dove la madre lo metteva, ovvero nella cesta se la cagna viveva con l'uomo o in una buca che lei stessa aveva scavato nel terreno se era randagia. Se i cuccioli non si avventuravano fuori dal "nido" era perché la reptazione non glielo permetteva. Adesso che sono in grado di spostarsi e di tentare le prime uscite, la madre è costretta a riportarli continuamente al nido. Tale possibilità motoria è evidentemente associata a un miglior controllo dell'apparato muscolare, e non solo dei muscoli degli arti ma anche di quelli del muso e della coda. Questo vuoi dire che il cucciolo comincia pian piano ad acquisire gli elementi di base per il vocabolario della comunicazione gestuale. Si mette a muovere la bocca, le orecchie e la coda, insomma a controllare le parti del corpo che gli permetteranno, durante il periodo di socializzazione, di dialogare con i suoi simili. A questo proposito, il periodo di transizione è anche quello in cui finiscono di formarsi tutti gli elementi necessari all'acquisizione delle competenze sociali, particolarmente in termini di comunicazione. Poppata e altre attività La poppata è uno dei primi campi in cui si esercitano le nuove competenze: fino al periodo di transizione, il

cucciolo succhiava il latte quando aveva fame, si avvaleva di un riflesso tattile per trovare la madre (come abbiamo visto a pagina 27), e stimolava la mammella come poteva, con le zampe e la suzione; adesso, invece, riesce a incitare la cagna a lasciarlo poppare. Vi sarà quindi una sollecitazione più strutturata che costituisce un inizio di comunicazione: il cucciolo si esprime sempre con piccoli guaiti, ma comincia anche, poco a poco, a emettere segnali posturali associati a una mimica facciale. Inoltre, durante la fase di transizione, inizia a voltarsi da solo sul fianco nel momento in cui la madre gli provoca il riflesso di urinare e defecare (vedi pagine 27-28). Il cucciolo si lascia dunque alle spalle il periodo di semipassività per entrare in una fase di relazioni più attive con il mondo circostante. II cucciolo si affeziona alla madre e apprende di essere un cane II periodo di transizione non si limita all'acquisizione degli ultimi elementi sensoriali, che pure sono importanti per lo sviluppo del cane nella sua struttura anatomica e fisiologica: è anche e soprattutto il momento in cui il cucciolo si affeziona alla madre e scopre di essere un cane, secondo un processo che viene definito "d'impregnazione". Cos'è il processo di "impregnazione"? Quando si parla di "impregnazione", cosa si intende? Questo processo è diventato celebre grazie ai primi etologi, in particolare a Konrad Lorenz che utilizza piuttosto il termine "imprinting". Per molto tempo si è creduto che gli animali appartenenti a una medesima specie sapessero di farne parte e basta; nessuno si era mai posto il problema di come un'anatra sapesse di esserlo e perché cercasse un volatile della stessa specie per accoppiarsi... L'etologia trovò la sua ragion d'essere quando ci si accorse che gli animali (si trattava, nella fattispecie, di uccelli, oche e anatre), al momento della nascita, non si interessano a una mucca più che a un'oca o a un'otaria: sono invece attratti dal primo oggetto in movimento che vedono. Questo diventa per loro l'elemento rassicurante e il punto di riferimento a cui si considerano identici. Si tratta quindi di un apprendimento indelebile e specifico. Per designare questo processo Konrad Lorenz scelse il termine tedesco Prägung che significa "impronta". In effetti, è come se con un timbro o un sigillo si imprimesse nella cera un marchio definitivo. Fu un errore di manipolazione a permettere a Konrad Lorenz di condurre l'esperimento: era per caso presente al momento in cui le uova d'oca si stavano schiudendo nell'incubatrice. Il primo oggetto in movimento che i pulcini videro fu proprio lo scienziato. I piccoli si misero da quel momento a seguirlo dappertutto. Qualche settimana dopo, raggiunta l'età adulta, invece di interessarsi alle altre oche per avere rapporti sessuali e perpetuare la specie, cercavano di accoppiarsi con Konrad Lorenz o gli altri esseri umani che incontravano. Questa scoperta si è rivelata straordinaria, perché tale meccanismo di apprendimento mostra che la predestinazione genetica attribuita agli animali non ha alcun fondamento: quando si è animali non si nasce sapendo già cosa si è e a che specie si appartiene. Bisogna impararlo. Nei mammiferi certe specie seguono più o meno questo modello: è il caso, per esempio, degli erbivori, i cui piccoli hanno fin dalla nascita una grande autonomia, analogamente ai piccoli volatili come oca, anatra o gallina. Ma per altri mammiferi i cui piccoli sono molto più dipendenti (come i piccoli carnivori, i giovani primati nel loro complesso e le piccole scimmie) le cose sembrano essere molto più caotiche, ed è possibile che questo meccanismo venga profondamente modificato. Non accenno neppure all'essere umano, in cui il processo in questione è assai più lungo e facile da alterare. Per quanto riguarda il cane ci si è accorti che il fenomeno ha una durata piuttosto lunga: è per questo che certi specialisti preferiscono il termine di "impregnazione", che sottolinea l'idea di durata nel tempo. L'attaccamento alla madre Parallelamente all '"impregnazione" si verifica l'attaccamento alla madre. Alcuni associano i due processi sostenendo che, nei mammiferi, è preferibile parlare di attaccamento piuttosto che di imprinting o di "impregnazione". Per quanto mi riguarda, penso che esistano davvero due meccanismi diversi e che la particolarità dei mammiferi come i cani sia proprio il fenomeno dell'attaccamento, condizione necessaria per il buon sviluppo del processo di "impregnazione". IN CHE MODO IL CUCCIOLO SI AFFEZIONA ALLA MADRE Sembra che il piccolo, durante il periodo di transizione, identifichi con

precisione l'essere che gli fornisce gli elementi vitali: cibo, calore e possibilità di eliminare urina e feci (dal momento che, come abbiamo visto a pagina 27, il cucciolo appena nato non è capace di farlo da solo). Durante questo lasso di tempo si scopre un altro elemento nel dialogo tra il piccolo e la madre, dovuto alla presenza di sostanze particolari: i feromoni. Si tratta di sostanze che ritroveremo spesso nella vita del cane (vedi pagine 122-129). Limitiamoci per il momento a osservare che il vocabolo "feromone" è spesso confuso con quello di "ormone", confusione comprensibile dal momento che negli anni Cinquanta, quando il termine venne coniato, si parlava addirittura di "ferormoni". Più tardi, per facilitarne la pronuncia, si passò a "feromoni". : II termine di "feromone" deriva dal greco ferein che significa "portare", "condurre lontano", e da ormao che vuoi dire "eccitare, stimolare". I feromoni sono quindi materiali che percorrono grandi distanze e che hanno un effetto eccitante. Ci si è accorti che, fin dalla nascita del cucciolo, la madre viene stimolata da feromoni d'adozione che si ritrovano in molti altri mammiferi e hanno una durata apparentemente brevissima (solo due o tre giorni nei cani); queste sostanze contribuiscono allo sviluppo del sentimento materno della cagna. Questa a sua volta secerne dalle mammelle un feromone calmante necessario allo sviluppo del cucciolo. Per questo diventa un essere rassicurante che il piccolo vedrà come un individuo ben preciso, con tutte le sue caratteristiche di forma, odore, gusto eccetera. Da quel momento in poi il cucciolo si attaccherà alla madre che ha imparato a identificare, e a lei sola. A partire da adesso non si può più proporgli un'altra cagna, neppure se ha il latte e se accetta di occuparsi di lui. Il piccolo non riuscirebbe a considerarla come una presenza rassicurante, capace di calmarlo e consolarlo per l'assenza della madre. "Cosa succede se in quel momento, nella fase il transizione, il cucciolo viene separate dalla madre?" Nel momento in cui il piccolo comincia a prendere le distanze dal suo ambiente di partenza (il nido), ha bisogno di un individuo preciso, di sua madre e non di un altro essere. Se non la trova, cade in uno stato di terribile sofferenza che, nel giro di poche ore, diventa quasi irreversibile e scatena tutta una serie di problemi, immunitari e fisiologici, perché lo porta persino a rifiutare il cibo. Anche se il termine di "cristallizzazione" ha un'accezione un po' troppo psicologica, da un'idea piuttosto precisa del processo che si instaura: per il cucciolo, tutto si concentra in effetti su un soggetto ben preciso (la madre), che si rivela essere l'unico punto di riferimento rassicurante. Un nuovo comportamento: l'esplorazione a stella Non appena si stabilisce l'attaccamento alla madre, la struttura del comportamento esploratorio del cucciolo si modifica e si amplia, il piccolo adotta infatti un comportamento che si chiama "esplorazione a stella". Si allontana e poi torna sistematicamente verso l'essere a cui è attaccato, la madre, per ristabilire un contatto fisico con lei: la lecca, le si strofina contro, le si attacca al seno se ha fame e, ovviamente, la madre risponde leccandolo a sua volta e prendendoselo accanto. IN CHE MODO L'ATTACCAMENTO ALLA MADRE DETERMINA IL PROCESSO DI "IMPREGNAZIONE" Questo legame è indispensabile perché il cucciolo possa continuare a svilupparsi e a socializzare. Gli studiosi dei disturbi del comportamento sostengono sempre più spesso, basandosi sulle loro osservazioni cliniche, che questo essere a cui il cucciolo è affezionato sia indispensabile per permettergli di identificare i suoi simili: in un certo senso, è in relazione a questo individuo che si attua 1 '"impregnazione" . Negli anni Sessanta Fox, che lavorò parecchio con i cani, tentò negli Stati Uniti il seguente esperimento: provocò separazioni molto precoci togliendo i cuccioli alla madre subito dopo la nascita, e li nutrì con il biberon. All'età di tre o quattro mesi li rimise in un recinto con altri cani per cercare di reinserirli nel branco. Ma i cuccioli precipitarono in uno stato di panico totale e, incapaci com'erano di adattarsi al nuovo ambiente, vennero rapidamente rifiutati dagli altri. In generale l'esperimento si fermava lì e i cuccioli venivano rapidamente sottratti al branco perché non succedesse loro nulla di male. Ma indipendentemente dal periodo che trascorrevano insieme agli altri cani non riuscivano a convivere con gli altri, com'è caratteristico di un animale che non ha potuto usufruire dell'impregnazione" da parte di un rappresentante della propria specie. L'esperimento ha fornito altri dati: alcuni cuccioli - scelti in modo del tutto casuale, certo perché si erano conquistati la simpatia di alcuni studenti di Fox - - hanno goduto di una maggiore attenzione. Invece di metterli sotto la lampada e di nutrirli in modo "neutro", gli studenti hanno stabilito rapporti affettivi con loro, li hanno in un certo senso "adottati", per cui si è sviluppato in questi animali un attaccamento nei confronti

dell'uomo. Anche se non si sono attaccati fin dalla nascita a un loro simile, sono stati capaci di adattarsi al mondo canino: una volta introdotti nel branco, anche molto tempo dopo, in un primo periodo sono rimasti in disparte, non sapendo come comportarsi, ma dopo qualche giorno sono riusciti a comunicare con gli altri e a inserirsi nel gruppo. Conclusione: evidentemente, purché il cucciolo sperimenti un processo di attaccamento, anche se non si verifica nei confronti dei suoi simili e se ha caratteristiche che non sembrano predisporlo all'integrazione nel gruppo di appartenenza, gli sarà possibile recuperare il tempo perduto. Quest'osservazione tende a provare l'esistenza di un doppio meccanismo: l'attaccamento, che permette di avere un punto di riferimento fisso e rassicurante quando l'animale comincia a sviluppare l'esplorazione a distanza e ad avere contatti più ampi con il mondo esterno, e poi, a partire da questa relazione di attaccamento, il fenomeno del '"impregnazione". Le conseguenze del processo di "impregnazione" sul comportamento sociale e sessuale del cane L"'impregnazione" è indispensabile perché consente la corretta identificazione del proprio simile in età adulta: in altri termini, il cane avrà la tendenza a cercare, come partner sessuale, un individuo appartenente alla stessa specie dell'essere nei cui confronti c'è stato l'attaccamento. Oggi si trovano molti cani adulti, maschi o femmine, che non dimostrano il minimo interesse per i loro simili. Il caso limite si osserva quando il maschio adulto percepisce i feromoni di una cagna in calore, reagisce in un certo senso suo malgrado ma, quando vede la cagna, se ne disinteressa. Esistono numerosi esempi, nei laboratori dove si pratica l'inseminazione artificiale nei cani, di maschi che snobbano le loro simili ma che in compenso circondano di attenzioni le signore presenti. È un fenomeno classico nei cani di entrambi i sessi, per i quali l"'impregnazione" è avvenuta con la razza umana: anche le cagne vengono sedotte da tutto ciò che è legato alla presenza di un maschio, come l'odore della sua urina, ma non si lasciano montare. In compenso, sono assai sollecite nei confronti del loro padrone o di qualunque altro uomo. Si capisce quindi che il processo d"'impregnazione" è determinante per il comportamento sessuale canino. Per questo, nel caso in cui si è verificato un fenomeno di attaccamento e di "impregnazione" nei confronti dell'uomo, se si lascia abbastanza a lungo il cane in un branco, questo finisce per interessarsi alle sue simili, pur continuando a mantenere un certo interesse per il genere umano. A questo titolo il cane, così come il gatto e forse - la questione è controversa - altri animali, appartiene a una specie capace di avere un doppio imprinting, una doppia "impregnazione". Del resto si potrebbe pensare che questa capacità li predisponga a essere animali di compagnia, molto legati all'uomo: grazie al doppio imprinting, il cane e il gatto hanno una doppia socializzazione. "Che rischi comporta l'attaccamento precoce di un cucciolo a un essere umano?" Non bisogna esagerare: per molto tempo si è pensato che non fosse opportuno portarsi in casa un cucciolo troppo giovane perché si temeva di favorirne l '"impregnazione" con gli esseri umani e di renderlo, quindi, incapace di riprodursi e di coabitare con i suoi simili. Si immaginava che potesse divenire un mostro, non un cane a tutti gli effetti. In realtà, la comprensione della dualità di attaccamento e "impregnazione" mostra che questo processo è ben più adattabile, e che l'unico fenomeno davvero grave e quasi irreversibile è la mancanza di un legame di attaccamento. Se la vostra cagna ha partorito e, sfortunatamente, è incapace di occuparsi dei piccoli quando giungono al periodo di transizione (cioè quando aprono gli occhi), o perché è malata e bisogna allontanarla dai cuccioli (a causa di un'infezione alle mammelle, per esempio), o perché rifiuta di occuparsene, dovete essere consapevoli del fatto che non basta somministrare il giusto numero di biberon o tenere al caldo i piccoli. In casi del genere bisogna invece stabilire un legame personale con i cuccioli: lasciatevi guidare dal vostro istinto materno. Anche se doveste esagerare, non preoccupatevi, perché sarà sempre possibile rimediare più tardi. Bisogna però a tutti i costi che si crei una relazione abbastanza forte da permettere al cucciolo di sviluppare l'attaccamento nei vostri confronti; per tutto il resto esiste una soluzione. Al contrario, se l'attaccamento non si verifica, si osserva l'apparizione di disturbi comportamentali acquisiti (che tengo a distinguere da quelli che possono avere un'origine più endogena); il più grave e più difficile da curare è l'assenza di attaccamento. Se la madre non è quindi in grado di occuparsi dei cuccioli non è drammatico, basta che qualcun altro in casa sia in grado di sostituirla. "Concretamente come si può aiutare la madre a occuparsi dei piccoli? " Per prima cosa non bisogna trattenersi dal toccare i cuccioli temendo di favorire la doppia impregnazione (vedi pagina 82). E poi, il piccolo soffrirà molto meno e saprà adattarsi meglio se dovrà più tardi cambiare casa. Non dimenticate che l'animale è destinato non a vivere con la madre fino alla fine dei suoi giorni, ma più probabilmente a lasciarla per entrare in un altro ambiente. Aiutatela anche ad allattare i piccoli. In effetti, la madre non si occupa da sola dei cuccioli, dato che in genere, nell'ambito del branco, non è la sola ad allattarli. Questo è vero in particolar modo se si tratta di una femmina "dominante": in questo caso ci sono femmine in posizione gerarchicamente inferiore che hanno la

lattazione contemporaneamente a lei -- pur non avendo partorito - per contribuire ad allattare i piccoli altrui. Potete quindi darle una mano anche voi. Prendiamo il caso di una cagna di razza assai prolifica, come labrador o setter, in cui possono nascere in una volta sola sette, otto o persino dodici piccoli. Sappiate che se, durante la prima settimana, la cagna produce abbastanza latte perché i cuccioli sono ancora piccoli (durante i primi giorni, del resto, si tratta di un latte speciale, il colostro, particolarmente ricco di anticorpi), in seguito è incapace di nutrirli tutti a sufficienza. Bisogna quindi aiutarla integrando l'alimentazione dei cagnolini con latte maternizzato, che berranno dal biberon dato che in genere, fino a tre o quattro settimane di vita, non sono in grado di assumerlo in altro modo. Dal veterinario o in farmacia potrete trovare diversi tipi di latte, in polvere o liquido, oltre a biberon specifici, con tettarelle di diverse dimensioni. I cuccioli si autoregolano esattamente come i nostri neonati, ovvero a un certo punto rigurgitano un po' di latte e smettono di poppare. I rigurgiti sono ancora più frequenti con il biberon perché, rispetto alla mammella della cagna, con la tettarella è più facile ingerire aria e fare ruttini. Sono particolari che chi ha avuto dei figli conosce bene, e in generale tutto procede per il meglio se si seguono le stesse regole igieniche adottate per i biberon dei bambini. Al termine del periodo di transizione il controllo della motricità e la vista permetteranno al cucciolo di imparare a bere in una ciotola: potrete quindi smettere di allattarlo con il biberon. Questo non vi esime, però, dall'occuparvi dei piccoli: dovete passare diverso tempo con loro andandoli a trovare spesso, sedervi in mezzo a loro, permettere loro di venirvi in braccio in modo che si crei un doppio attaccamento e una doppia "impregnazione". Il sonno e il processo di "impregnazione" Abbiamo già parlato (vedi pagina 52) del sonno e della sua struttura. Si dà il caso che nei mammiferi vi sia una stretta relazione tra la lunghezza e complessità del periodo di "impregnazione" e la struttura del sonno. Questo significa che le specie definite "nidicole" - quelle i cui piccoli dipendono a lungo dalla madre o dal gruppo sociale (bisogna precisarlo, dal momento che in certe specie, come nei cani, non è solo la cagna a occuparsi dei cuccioli) - hanno una struttura del sonno caratterizzata da una grossa quantità di sonno paradossale. Si tratta spesso di carnivori o di onnivori molto amanti della carne, in cui l'attaccamento si verifica lungo un arco di tempo più consistente. Volendo assumere una prospettiva finalista, si potrebbe dire che sono le specie con una tendenza predatrice a potersi permettere il lusso del pericolo rappresentato dal sonno paradossale. Perché si tratta di un lusso? Perché questa fase, in cui il tono muscolare è annientato a eccezione dei muscoli respiratori e motori degli occhi, comporta quindi una grande vulnerabilità. Ci si è accorti che il processo del sonno lento è possibile solo in questi animali. Negli erbivori, al contrario, che spesso sono svantaggiati e costituiscono nella maggior parte dei casi la preda, il sonno paradossale è estremamente rischioso; in effetti, mettersi a sognare tra le erbe alte della savana può rivelarsi mortale. Analogamente, avere piccoli estremamente dipendenti che impiegheranno molto tempo per imparare a correre, per esempio, è uno svantaggio. In ogni caso, negli erbivori l'imprinting avviene in un tempo estremamente breve (per la maggior parte di loro è sufficiente qualche ora), e l'autonomia dei piccoli è significativa. La situazione è quindi analoga a quella descritta per i volatili, ovvero un fenomeno di imprinting rapido e, successivamente, un'autonomia assai precoce. 3 -- Il cucciolo impara a vivere con gli altri Il periodo della "socializzazione" comincia quando il cane inizia a sviluppare l'udito (tra i ventuno e i ventotto giorni) e si conclude con la pubertà (tra i sei e i diciotto mesi). Si tratta di una tappa molto importante, durante la quale l'animale impara a vivere con gli altri. La si potrebbe persino definire pericolosa, dato che segna il momento in cui il cucciolo si separa dalla madre ed è quindi soggetto a una serie di rivolgimenti nella sua vita. Gran parte dei problemi nel rapporto fra l'uomo e il cane si decide proprio in quella fase L'educazione e l'addestramento del cucciolo È evidente che descrivere lo sviluppo del cucciolo basandosi su quanto accade all'interno di un branco non corrisponde affatto alla vita del cane di oggi, a eccezione dei cani da muta (utilizzati per la caccia alla corsa) e, in misura minore, dei cani da slitta. Nella maggior parte dei casi, quello che viene definito "periodo di socializzazione" si realizza, in totalità o in parte, in mezzo agli uomini. Questa socializzazione ha inizio già a contatto con i consimili e grazie all'educazione impartita dalla madre. In teoria, il cucciolo dovrebbe averla cominciata in condizioni ottimali dall'allevatore prima di arrivare dal proprietario, ma i metodi discutibili di

allevamento spesso ostacolano una buona socializzazione che quindi, in molti casi, inizierà solo nella nuova casa. Il cucciolo deve trovare in voi una famiglia adottiva, nel senso educativo del termine, per cavarsela. Cosa significa allora educare un cane? Educazione e addestramento sono sinonimi? La differenza tra educazione e addestramento Oggi, contrariamente a quello che succedeva una ventina d'anni fa, il termine di addestramento o ammaestramento ha una connotazione peggiorativa: fa pensare a un uomo in calzoni di traliccio, armato di frustino e stivaloni e dotato di una voce sonora, oppure a un domatore da circo, con un cerchio in una mano e una frusta nell'altra. L'addestramento, invece, è tutt'altra cosa, e si compie in relazione e in associazione a quella che viene definita l '"educazione". L'educazione, per il cane, è l'insieme dei meccanismi di acquisizione indispensabili all'adozione di un comportamento tipicamente canino, una volta che sarà diventato adulto. In altri termini educare un cucciolo significa inculcargli tutto quello che deve sapere per essere un bravo cane in un mondo di cani. Come abbiamo visto, però, oggi il cane è anche una "creazione" dell'uomo, e deve quindi essere capace di integrarsi in un mondo umano capendolo nel miglior modo possibile, senza tuttavia che gli si debba affidare nessuna funzione particolare: si tratta semplicemente di permettergli di interpretare tutto ciò che avviene e di controllare le sue reazioni in modo da non farsi rifiutare. Si può affermare che questa definizione di educazione presenti analogie con quella del bambino. L'addestramento consiste nel fargli acquisire alcune capacità che non hanno nessuno significato per il cane, perché in un mondo canino non servono, ma si rivelano utili per l'uomo. Si tratta quindi di un ammaestramento basilare, che consiste nell'insegnargli a rispondere alla chiamata dell'uomo, a sedersi, a sdraiarsi, ma più specifico quando è diretto ai cani da caccia, ai cani guida, ai cani da tartufo o a quelli utilizzati per la ricerca degli esplosivi. Per continuare con la nostra analogia, si potrebbe dire che l'addestramento corrisponde alla parte più intellettuale degli studi di un individuo e, in seguito, della vita professionale. Si tratta dell'acquisizione di ciò che non è indispensabile alla sopravvivenza in un ambiente "naturale". Un calendario dell'educazione Non sono tuttavia gli stessi meccanismi a intervenire. In altri termini, perché l'educazione venga coronata da successo bisogna che segua un certo progetto legato alle capacità d'acquisizione del cucciolo: certe competenze (come la pulizia) sono facili da imparare per l'animale di una certa età, mentre si farà più fatica a insegnargliele più tardi, e in ogni caso non potrà assimilarle con gli stessi meccanismi. Esiste un'età in cui l'apprendimento della cosiddetta "inibizione del morso" (vedi pagina 74), che fa parte del controllo motorio, dev'essere assimilata. Se ciò non avviene, si è obbligati a ricorrere a una terapia (vedi pagina 87) e a utilizzare mezzi d'acquisizione particolari spesso associati a farmaci. Esiste quindi una sorta di calendario che si snoda inesorabilmente, caratterizzato da momenti in cui il cucciolo ha, nel suo sistema nervoso, una maggiore capacità di apprendimento: sono le fasi di maturazione di certe strutture neurologiche che vengono per abitudine chiamate "periodi critici", in cui un cambiamento e un adattamento particolari nell'organismo e nelle funzioni psichiche suggeriscono di approfittarne. Descrivendo il periodo della socializzazione, bisognerà quindi spiegare il percorso normale di un cucciolo nel mondo canino e determinarne i periodi critici, per cercare di dedurne un progetto educativo adatto ai suoi nuovi genitori bipedi. Il ruolo dell'ambiente nell'educazione del cane o i miti della genetica Paradossalmente, l'uomo considera il cane un essere che capisce tutto (pur senza saper parlare) e insieme un animale le cui caratteristiche comportamentali sono geneticamente determinate come il colore del pelo, la lunghezza delle orecchie o della coda... Alcune persone, che utilizzano metodi di addestramento assai duri e un severo condizionamento, fanno discorsi del tutto contraddittori: da una parte descrivono con sicurezza quale sarà il carattere di un cane di una certa razza, dall'altra vi chiedono di fare attenzione a quello che dite davanti all'animale perché capisce il linguaggio umano. È completamente assurdo: anche se oggi le scienze del comportamento possono vantarsi di raggiungere risultati esatti, non ci si può permettere di affermare che una specie è capace di afferrare quanto vi è di più sottile, il linguaggio, e insieme sostenere che è geneticamente programmata per intero (è anche vero che, per alcuni, persino il comportamento umano è geneticamente programmato). Tutto ciò è assolutamente falso, anche se ci farebbe comodo crederlo: il patrimonio genetico interviene per

codificare certe caratteristiche specifiche ma non tutte e, in ogni caso, non la struttura più dettagliata del comportamento. Nella descrizione del carattere delle diverse razze si trova scritto, per esempio, che il labrador è un cane dolce e calmo, qualità che fanno di lui un ottimo cane guida. Vengono invece a consultarmi padroni presi dal panico perché il loro labrador è diverso; alcuni chiamano addirittura in causa la consanguineità, le tare genetiche... In realtà non ce n'è bisogno: si può semplicemente dire che il cane è il risultato di una serie di errori nell'organizzazione delle sue condizioni di sviluppo. In realtà, è vero che esistono elementi geneticamente codificati, tra cui probabilmente la suscettibilità emotiva o la propensione a sviluppare disturbi dell'umore, la tendenza a utilizzare maggiormente i segnali facciali o corporali (spesso, del resto, per ragioni neurologiche). Il boxer, per esempio, che ha una mobilità facciale leggermente ridotta rispetto a quella di un cane tipo pastore tedesco, accentua le posture corporali. Basta aver visto il rituale impiegato da un boxer per accogliere chi arriva: una vera e propria danza in cui assume quasi una posizione ad accento circonflesso con la parte posteriore del corpo che si muove. Un pastore tedesco impegnato nello stesso rituale utilizzerà molti movimenti del muso e delle orecchie; agiterà vorticosamente la coda, che peraltro è intera, e il corpo rimarrà molto meno espressivo. Queste differenze esistono, ma ciò non significa che tutti i barboncini siano nati per installarsi sulle ginocchia delle vecchiette e farsi accarezzare, o che i labrador siano destinati a guidare i non vedenti o a restare accucciati davanti al camino insieme a una famiglia amante del proprio nido. Convinzioni del genere sono assolutamente infondate e non tengono conto della realtà. Esiste effettivamente una promessa genetica, ma l'ambiente gioca un ruolo determinante e può persino riuscire ad annullare tali predisposizioni. Attualmente si considera che il determinismo genetico intervenga per un 20 percento nello sviluppo comportamentale. Si tratta evidentemente di una questione che solleva molte polemiche, e ne riparleremo più dettagliatamente alle pagine 278-280. È importante però accennarvi qui dato che, quando affronteremo l'argomento della patologia, giungeremo alla conclusione che in fin dei conti i vincoli genetici, per fortuna, non sono poi così forti. Del resto è per questo motivo che si possono risolvere molti di questi problemi: se fossero di ordine genetico, non saremmo in grado di farlo. Quando cominciai a occuparmi dei disturbi del comportamento si sentiva spesso dire che non valeva la pena di curarli perché comunque il cane era portatore di una tara, e l'unico trattamento possibile era l'eutanasia. Il mito del gene della paura del fucile Si trova in molti testi la descrizione del gene della paura del fucile o del bastone. Il primo pone però un enorme problema teorico: la natura dev'essere stata molto previdente a immaginare che un giorno l'uomo avrebbe inventato la polvere da sparo! È difficile immaginare il DNA che prefigura l'esistenza delle armi da fuoco... oppure si entra nel campo della teologia e non più in quello della biologia. Scherzi a parte, però, molti cani sono stati eliminati perché considerati portatori di un gene che li rendeva inadatti alla riproduzione. Oggi esiste, nell'ambito delle prove di qualificazione per i cani da difesa, il cosiddetto TAN, test d'attitudine naturale, che presuppone evidentemente capacità innate. Nel corso di questo esame i cani subiscono una prova di reazione a uno sparo. Se il cane ha paura è considerato un difetto gravissimo e l'animale ottiene un punteggio decisamente scadente. Il TAN, se non lo sapete, è stato creato da alcuni allevatori; e proprio gli allevatori vi spiegheranno tranquillamente che, se un cane riceve un brutto voto, è stato preparato male per la prova. Questo è perlomeno sorprendente: o si tratta effettivamente di capacità naturali e il cane è come è, oppure si tratta di un esame che l'animale supera dopo l'addestramento in cui da prova delle abilità apprese, il che significa semplicemente che il gene della paura del colpo di fucile non può esistere. Nel periodo di socializzazione, fra le tre, quattro settimane e le sei, sette, c'è un lasso di tempo in cui non avviene nulla di straordinario, se non l'accentuazione di quanto si è visto nel periodo di transizione: il cucciolo cammina, accelera un po', emette dei segnali posturali (anche se disorganizzati), ma sta affrontando progressivamente il cambiamento d'alimentazione e immagazzinando le informazioni sull'ambiente che lo circonda. L'inserimento nel gruppo Le regole sociali riguardanti il cibo H periodo di socializzazione è l'età dello svezzamento. L'aspetto per noi più interessante nel cambiamento di alimentazione è che, fino ad allora, non esisteva per il cucciolo una gerarchia alimentare; ora dovrà invece apprendere questo nuovo elemento della vita canina.

IL MITO DELLA GERARCHIA ALLA MAMMELLA Si è spesso sentito dire che il cucciolo più veloce ad attaccarsi al seno è quello "dominante", ma questa convinzione fa parte dei miti da sfatare. Dai tempi di Konrad Lorenz che aveva descritto il fenomeno, in particolare per le scimmie, gli etologi sono giunti alla conclusione che esiste una dissociazione tra il ruolo di dominante e i tratti dell'individuo. Questo significa che essere dominante non è una caratteristica individuale intrinseca. Diciamolo più semplicemente: se un cane ha il pelo lungo o marrone, si tratta di una caratteristica individuale intrinseca. In compenso essere dominante è insieme una funzione e una qualità transitoria che si può attribuirà un animale in un particolare contesto. È una nozione strettamente legata all'ambiente del soggetto: un individuo è dominante solo perché gli altri accettano di essere sottomessi. Perché questo concetto assume una grande importanza? Semplicemente perché certe persone credono che, se riescono a individuare i cuccioli dominanti in anticipo potranno evitare diversi problemi. In realtà si sbagliano di grosso. Quando i cagnolini succhiano il latte materno non ci sono dominanti, è una vera lotta: tutti i piccoli hanno fame, cercano di afferrare una mammella e in generale, quando arriva il periodo in cui certe mammelle non danno più molto latte (in particolare quelle toraciche, la cui ghiandola è più piccola) tutto dipende dall'energia, dalla forza fisica e dal peso. Sottolineiamo quindi che la qualità di dominante consiste proprio nel non imporsi con la forza aggredendo l'altro: è quest'ultimo che evita di costituire un ostacolo alla volontà del primo. Per quanto riguarda il cibo, quando si crea un rapporto dominante/dominato (lo vedremo quando il cucciolo avrà davvero acquisito un meccanismo gerarchico), l'animale sottomesso esercita una forma di autoinibizione per lasciar mangiare il dominante: cerca, assumendo tutta una serie di posture rassicuranti, di sapere se potrà avere un po' di cibo, ma non ci sarà nessun combattimento per determinare chi, essendo il più forte, si guadagna il diritto di mangiare. È proprio per evitare questo genere di scontri che esistono tali meccanismi, e in particolare l'autoinibizione dell'individuo che si mette in disparte. IN CHE MODO IL CUCCIOLO IMPARA LA GERARCHIA ALIMENTARE Per il momento, quindi, i cuccioli non conoscono alcuna gerarchia; dovranno impararla grazie a questo cambiamento alimentare. Fino ad allora c'erano le mammelle, e ora, all'improvviso, devono mangiare lo stesso cibo della madre o degli altri cani, se hanno la fortuna di essere allevati insieme ai loro simili. Ragionano ancora in modo primitivo: "ho fame, ecco il cibo, devo mangiare", ma si rendono conto che le cose non sono più tanto semplici perché ci sono gli adulti, e questi, madre compresa, ringhiano quando i piccoli si avvicinano al cibo per primi. Da subito i piccoli cominciano a ricevere colpi intimidatori; non si verificano lesioni fisiche, il messaggio si limita spesso a colpetti dati con la testa e a ringhi. A volte, però, può esserci anche una sanzione fisica, come nelle razze morfologicamente più vicine al lupo, le più primitive, in particolare i cani da slitta o certe razze asiatiche (chow-chow, akata inu), e in quelle di tipo morfologico spitz, con la coda arricciata sulla schiena. Si trova in queste razze un comportamento tipico del lupo: l'adulto si infila tutta la testa del cucciolo in bocca (i proprietari in genere si spaventano e mettono loro stessi i piccoli in pericolo cominciando a urlare), il cucciolo si rilassa completamente, per dimostrare sottomissione, si getta all'indietro, accetta il dominio dell'adulto e la smette. In qualche giorno il piccolo impara che l'approccio al cibo è caratterizzato da regole, come quella che suggerisce di mangiare rapidamente, per esempio, perché se si è dominati e si mangia lentamente si rischia in ogni istante di vedere apparire un dominante che divora la totalità o una parte del proprio pasto. IL CANE DELINQUENTE O IL CUCCIOLO CHE NON HA IMPARATO LA GERARCHIA ALIMENTARE Durante questo periodo, nel momento dello svezzamento, nei cuccioli si esacerba l'aggressività: più tardi l'acquisizione della gerarchia alimentare permette di far regredire tale aggressività. Questo significa che, se tale acquisizione non si verifica in quella fase, come accade quando i cuccioli vivono solo tra di loro (dal momento che parecchi allevatori hanno paura a lasciarli in compagnia degli adulti perché interpretano in modo erroneo le sanzioni inflitte da questi ultimi), lo sviluppo alimentare non si struttura nel modo appena descritto. Ne risultano animali che conserveranno un comportamento primario di competizione nei confronti del cibo e un atteggiamento violento. È un fenomeno diffuso: un cucciolo di due mesi che ringhia non appena ci si avvicina al suo cibo, capace di mordere se ci si accosta troppo, assai irritabile nei momenti che precedono il pasto, o un piccolo che ruba il cibo rendendo assai arduo recuperare il bottino non sono certo casi isolati.

Questi cuccioli sono portati a sviluppare disturbi che vengono raggruppati sotto il nome di "dissocializzazione primaria", disturbo grave che renderà l'animale, potremmo dire, un "delinquente". L'atteggiamento di questi animali assomiglia infatti parecchio a quello che si osserva negli uomini psicopatici: reagiscono in modo estremamente rudimentale, vedono qualcosa che li attira (esiste quindi una motivazione) e se ne impossessano. Questo produce situazioni invivibili come quelle che mi sono state più volte illustrate nel corso di una visita. Pasto domenicale in famiglia. Ci si appresta a sedersi a tavola per mangiare un pollo o un arrosto e, all'improvviso, il cane salta sul tavolo, addenta il pezzo di carne. È impensabile cercare di strapparglielo, a meno dì non essere molto più forti di lui e di volersi azzuffare: l'animale non si sottometterà, bisognerà fargli male per costringerlo a mollare la presa. In casi del genere, ì morsi che infligge possono essere molto pericolosi, perché il cane morde con tutta la forza che ha. È quindi impossibile recuperare il cibo preso. Questa situazione è ben diversa da quella in cui il cane cerca di compiere il furto ma, se tutta la famiglia si oppone, se ne va con atteggiamenti di sottomissione. Quando il cucciolo arriva dalla famiglia verso le quattro, cinque o sei settimane di età e il processo di gerarchia alimentare non si è ancora verificato (è il caso dei piccoli acquistati nei negozi di animali) o è appena iniziato, i proprietari pensano che quel "povero piccolo" abbia fame perché spesso stabiliscono automaticamente un parallelo con i neonati: un cucciolo di due mesi è l'equivalente di un bambino della stessa età, e così via. Quindi, poiché non si sognerebbero mai di regolamentare i pasti di un bambino di due mesi, danno da mangiare al cane non appena questi lo chiede. Risultato: in fatto di alimentazione il cucciolo ha la precedenza, riceve da mangiare ogni volta che lo domanda, e non beneficia dell'effetto strutturante e formativo del processo della gerarchia alimentare. Come dare i pasti al cucciolo Ci sono due tecniche, a seconda di come è organizzata la vostra vita. * Prima tecnica, secondo la logica del branco - Il cucciolo assiste ai pasti dei padroni (colazione, pranzo e cena) e non riceve niente da parte loro per tutta la durata del pasto. Questo è importante anche da un punto di vista dietetico, dato che le esigenze dei cani non sono le stesse degli esseri umani; è quindi un ottimo principio quello di non elargire agli animali lo stesso cibo che si consuma a tavola. - Quando avete finito di mangiare date all'animale la sua scodella in un luogo (ne riparleremo a lungo, vedi pagina 182) in cui non resterete. Non bisogna infatti assistere al pasto del cane. - Gli lasciate la ciotola per un tempo prestabilito allo scadere del quale, anche se non ha mangiato tutto quello che c'era dentro, gliela levate. Bisogna procedere in questo modo per tutti e tre i pasti. * Seconda tecnica, secondo la logica del self-service Bisogna ammettere che la maggior parte di voi ha raramente la possibilità di consumare i tre pasti in casa. Non solo, ma probabilmente all'ora della colazione non avete voglia di manipolare il cibo per cani (e non c'è ragione di costringersi a farlo). Potete quindi associare due sistemi. - Mantenete il principio del pasto del padrone, ovvero, nel pasto più lungo che consumate a casa mangiate davanti al cane (è molto importante) senza dargli nulla. - Contemporaneamente applicate anche la logica del self-service, ovvero il cane ha la sua ciotola di crocchette in un qualche punto della casa, dove non potete vederlo; preferibilmente anche la ciotola con l'acqua è accanto alla prima, e l'animale si nutre quando ha fame. In quest'ultimo caso, l'animale è escluso dalle abitudini alimentari del gruppo. Ma attenzione, questo sistema è da mettere in atto subito, all'arrivo del cucciolo a casa vostra, perché gli animali con cui si passa dall'oggi al domani al sistema self-service sono completamente sfasati: ingrassano di parecchi chili e non capiscono più niente. È della massima importanza che il cane assista ai pasti dei padroni senza che gli si venga dato da mangiare. È una delle prime abitudini da inculcare all'arrivo del cucciolo in casa: non solo è semplice, ma risulta anche udissimo perché permette di evitare numerosi problemi. Imparare a controllarsi IMPARARE A CONTROLLARE IL MORSO: IL "MORSO INIBITO" Prima il cucciolo non aveva denti. Adesso, verso le cinque, sei settimane, cominciano a spuntargli e, a partire da questo momento, il piccolo ha la tendenza a far male agli altri cuccioli mentre giocano o durante la poppata. In effetti, quando i cani mordicchiano, la pressione che esercitano è direttamente legata alla loro eccitazione: non esiste altra forma di controllo.

Cosa succede allora? Se un cucciolo morde il fratello quest'ultimo piange, e il pianto suscita una reazione della madre che interviene ringhiando nei confronti del responsabile. Rapidamente si instaura quindi un sistema di questo tipo: il cucciolo che mordicchia allenta la presa quando l'altro piange, secondo un meccanismo facile da comprendere, dato che il piccolo teme l'intervento della madre. In questo modo impara a controllare la pressione dei denti a seconda delle reazioni dell'avversario: si tratta del "morso inibito". L'inibizione del morso assolve anche altre funzioni fondamentali. Controllare il morso durante i combattimenti II morso inibito interviene in modo determinante nel corso delle aggressioni. In effetti, quando due cani si scontrano per un qualunque motivo, quello che ha la meglio afferra con i denti l'altro per controllarne le reazioni, ma lo lascia non appena l'avversario assume una posizione di sottomissione. Questo significa che, man mano che il cane perdente si sottomette, il vincitore allenta la presa. Se l'altro si muove, la stretta aumenta. Per questo motivo, salvo incidenti gravi dovuti in generale a problemi comportamentali o a condizioni di vita disturbate dall'uomo, non vi sono combattimenti mortali fra i cani. L'uso del morso inibito si combina, del resto, a tutta una serie di innocui giochi di combattimento nei quali i cuccioli si afferrano e imparano contemporaneamente ad azzuffarsi. Contrariamente a quello che si crede, infatti, i cani non si battono in modo casuale. Viene elaborata una strategia: bisogna afferrare l'altro per la collottola per tirarlo verso il basso e farlo voltare, oppure prendergli la giogaia (la pelle del collo che pende verso il basso) e tirargliela verso l'alto per far girare l'avversario sulla schiena. Queste schermaglie senza conseguenze gravi sono rese possibili dal controllo del morso. Il morso inibito o il punto di partenza del controllo motorio La madre insegna ai piccoli a controllare i morsi quando gioca con loro: fa capire che non sopporta più di essere addentata e spesso, dopo aver ringhiato, schiaccia il cucciolo a terra. A parte il vero e proprio controllo dei morsi di cui abbiamo appena parlato, le lezioni materne servono anche a favorire il controllo motorio, ovvero la capacità del cucciolo di dominare la sua motricità. In effetti, quando entra nel periodo di transizione, il piccolo tende a essere instancabile: gioca, gioca e gioca ancora fino a crollare dal sonno. Afferra le orecchie, la coda e ogni altra parte della madre che riesce a mordicchiare; a un certo punto la cagna lo prende con i denti, ringhia forte e lo tiene in quella posizione finché il piccolo non smette di muoversi. Appena si ferma, la madre lo lascia andare. Questa tappa è importantissima: ci si è accorti che i cuccioli che non attraversano questo periodo di maturazione sviluppano in seguito un quadro clinico grave e particolarmente difficile da controllare, la "sindrome da ipersensibilità-iperattività", tipica dei cani che reagiscono al minimo rumore e hanno una motricità assolutamente priva di coordinazione (vedi anche le pagine 85-91). Quando si vede arrivare in ambulatorio un cane ipersensibile e iperattivo si rimane esterrefatti: è un uragano inarrestabile. Il padrone stesso ha rinunciato presto a giocare con lui e, spesso, reca tracce di morsi sulle braccia. Anche se non si tratta di morsi aggressivi, hanno comunque prodotto ferite dato che l'animale non ha imparato a controllarne la forza. I bambini, solitamente, non vogliono più avere nulla a che fare con il cucciolo. In strada è sempre causa potenziale di problemi perché afferra tutto quello che può: se un lembo di cappotto gli passa all'altezza del muso se ne impossessa e tira. Questi cuccioli sono impossibili da educare nella misura in cui sono incapaci di concentrarsi su qualsiasi cosa: per loro, tutto è importante. Si è costretti a intervenire pesantemente, a livello anche farmacologico, per guarirli. Del resto questi cani assomigliano in modo impressionante ai bambini ipercinetici e sono trattati farmacologicamente nello stesso modo: si usano gli psicotropi che intervengono sul medesimo spettro di attività. Se si analizza la questione da un punto di vista etologico e non psicanalitico, ci si accorge di essere in presenza di fattori molto simili. Infatti, anche se non si può negare la presenza molto probabile di fattori di vulnerabilità genetica, le condizioni di allevamento e di educazione favoriscono questo stato. Prendiamo l'esempio del labrador, in cui si sommano due problemi:  primo problema: le cucciolate sono generalmente molto numerose, il che significa che la madre non può esercitare la sua azione educativa su tutti i cuccioli, soprattutto negli allevamenti dove spesso, purtroppo, è sola a occuparsi dei numerosi figli;  secondo problema: la moda del labrador. In effetti, per aumentare la produzione di questi cuccioli assai richiesti, si sono fatte riprodurre troppo precocemente cagne che erano molto immature. Ancora peggio, quando si tratta di una cagna che partecipa alle mostre l'allevatore, per evitare che le si rovinino le mammelle,

le toglie i piccoli quando compiono quattro settimane: i dieci o dodici cuccioli si ritrovano allora soli in un ambiente isolato senza alcun elemento regolatore. Questo problema è estremamente diffuso: quando si è cercato di addestrare soggetti del genere come cani guida, il risultato è stato disastroso ! E' una scoperta drammatica per la persona che acquista il cane persuasa che si tratti di un animale calmo, dato che è un labrador (pregiudizio assai radicato). Certi arrivano persino a chiedersi se si tratta davvero di un labrador ! IMPARARE LA PULIZIA Per un cane essere pulito ha un significato limitato: consiste nel non fare i propri bisogni nel luogo dove dorme. La pulizia come l'intende l'uomo è invece superflua nel mondo canino. Quest'educazione è tuttavia indispensabile in un ambiente umano e causa spesso qualche preoccupazione ai proprietari. Quando bisogna insegnare a un cucciolo a essere pulito? Ricordiamo che la pulizia implica un livello di controllo dello sfintere che all'inizio è possibile solo di giorno, proprio come avviene nei bambini che l'imparano solo progressivamente. Per dare un'idea, diciamo che un cucciolo di otto settimane può imparare a non sporcare in giro di giorno in tre o quattro settimane e che estenderà questa capacità anche al periodo notturno solo a partire dal quarto mese. Non bisogna quindi avere fretta ma dimostrare pazienza. Come insegnare. la pulizia al cucciolo? L'apprendimento sarà tanto più solido quanto più sarà positivo: in altre parole, meglio insegnare al cane quello che deve fare e rafforzare i buoni comportamenti piuttosto che punire gli errori. Concretamente, ecco come bisogna procedere.  II cucciolo prova il bisogno di orinare e defecare nei minuti che seguono il pasto o il risveglio. Dovete quindi approfittare di quei periodi per portarlo fuori, nel punto in cui desiderate che faccia i suoi bisogni. Se non è ancora stato vaccinato, scegliete un luogo privo di altre deiezioni per evitare le contaminazioni.  Altro punto importante: dovete restare vicini al cane, perché la vostra presenza lo stabilizza. Aspettate

che abbia fatto i suoi bisogni e, quando ha finito, ricompensatelo. Evitate i premi di tipo alimentare e preferite una carezza unita a un elogio formulato in modo chiaro e positivo. E poi, dato che la passeggiata rappresenta per il cucciolo un momento piacevole, non rientrate subito. Il metodo del foglio di giornale: un errore Molti pensano che il metodo migliore consista nel fargli fare i suoi bisogni su un foglio di giornale (o uno straccio): è un errore classico. Così facendo, create una zona di eliminazione all'interno della casa, e incitate in un certo senso il cane a orinare e defecare nel luogo dove abitate. Inoltre, se lo punite provocate dei disturbi ansiosi simili a nevrosi. Come reagire se il cucciolo fa pipì in casa? Si possono presentare due situazioni. Ecco come reagire in ciascuno dei due casi.  Siete presenti quando il cane orina. Intervenite il più presto possibile, quando il cucciolo gira su se stesso o quando sta facendo pipì. Afferratelo delicatamente per la collottola dicendo "no" - il che spesso lo fa smettere -e portatelo fuori; se lì termina di fare i suoi bisogni, elogiatelo nel modo già descritto. • Siete assenti quando il cane ha fatto i suoi bisogni. In questo caso ci sono alcuni errori da evitare. - Prima regola d'oro: non punitelo. Una punizione dev'essere inflitta nell'istante che segue l'errore, altrimenti non viene associata allo sbaglio stesso. Risultato: il cane nasconde gli escrementi o li mangia. - Non ficcate il naso del cane negli escrementi: è una punizione poco chiara per lui. E poi, non è certo che per l'animale rappresenti qualcosa di sgradevole. - Non pulite in sua presenza, per esempio inginocchiandovi con lo straccio in mano: creereste così una sequenza di gioco contraria ai vostri obiettivi. - Non lavate con candeggina o ammoniaca perché quei prodotti creano un punto di fissaggio della traccia olfattiva degli escrementi. L'apprendimento della pulizia in poche regole - Un cucciolo non può essere perfettamente in grado di fare i suoi bisogni dove volete voi prima dei quattro mesi. -- Il vostro ruolo consiste nel rafforzare i suoi comportamenti corretti piuttosto che nel punire gli errori.

- Portate fuori il cane appena si sveglia e nei minuti che seguono il pasto. - Restategli accanto finché non ha finito, poi elogiatelo calorosamente. - Se il cucciolo fa pipì in casa sotto i vostri occhi, afferratelo delicatamente per la collottola dicendo "no", e portatelo fuori. - Se scoprite i bisogni a cose fatte, non punitelo, non dite niente e pulite quando il cucciolo si trova in un'altra stanza. IMPARARE IL RICHIAMO Premettiamo innanzitutto un concetto fondamentale: quando chiamate il vostro cane, non viene perché risponde al suo nome, ma perché associa il suono che costituisce il suo nome con un momento di comunicazione positivo. Quando si chiama un cucciolo che si è appena acquistato, l'animale non ha alcuna ragione di venire: vi si avvicina solo se vi sono altri elementi che lo attirano. Bisogna quindi che la vostra gestualità sia attraente per lui. Questo ci porta naturalmente a parlare della comunicazione non verbale tra il padrone e l'animale. Quando quest'ultimo vuole invitare a giocare un suo simile, tra le posizioni che può adottare c'è quella con la parte anteriore del corpo appiattita a terra e quella posteriore sollevata: nel frattempo scodinzola effettuando piccoli sobbalzi ed emettendo dei guaiti per incitare l'altro a giocare. Ci si è accorti che l'essere umano, per stabilire un contatto con il cane, abbassa anche lui la parte superiore del corpo. Poi, in generale, si da dei colpetti sui polpacci e accompagna questa mimica con schiocchi di lingua e altri suoni non verbali. Il cane interpreta perfettamente questo messaggio, che rappresenta per lui un invito a giocare. È uno degli aspetti affascinanti della comunicazione tra l'uomo e l'animale. INVITO AL GIOCO Per stabilire il contatto, l'essere umano adotta spontaneamente un atteggiamento analogo a quello con cui il cane incita al gioco i suoi simili. Di conseguenza, quando volete insegnare al cucciolo ad avvicinarsi al vostro richiamo, dovete: - accentuare la posizione di invito al gioco perché il piccolo sia invogliato ad avvicinarsi, - ripetere il suo nome in modo ritmato, - quando vi raggiunge, accarezzarlo e giocare con lui e, cosa estremamente importante, lasciarlo sempre tornare a giocare: il richiamo non dev'essere associato a una cattura. Il nome del cane Non si può affermare che vi siano nomi più o meno graditi ai cani ma, dato che dovete creare nel cucciolo un condizionamento legato a un suono, bisogna scegliere un nome che sia: -- corto: quelli di una o due sillabe sono di più facile apprendimento; - con sillabe ben distinte e non soggetto a interpretazioni ambigue. - In questi ultimi anni si sono visti apparire parecchi nomi bizzarri che finiscono sempre per essere accorciati o semplificati, quando ci si accorge che altrimenti il cane non risponde al richiamo. Bisogna quindi dare prova di buonsenso e non farsi influenzare dalla simpatia per un certo nome. Quando il cane è ancora così piccolo non è possibile utilizzare la forma più completa di richiamo che ci permette di controllare l'animale a distanza, in ogni situazione. Vedremo più avanti (pagine da 134 a 138) come renderlo più efficace. A questo punto possiamo semplicemente instaurare il meccanismo per cui il cucciolo, quando sente pronunciare il suo nome, ha la tendenza ad avvicinarsi. In ogni caso non si riconosce nel suo nome perché non è in grado di acquisire la coscienza di sé. Quando chiamate per nome vostro figlio e non viene, è perché non desidera farlo. Il cucciolo, invece, a priori non ha motivo di avvicinarsi. È per questo che bisogna a ogni costo mantenere la calma. Consigli per insegnare al cucciolo a rispondere al richiamo - Scegliete un nome semplice, composto di una o due sillabe, facile da riconoscere e memorizzare. -- Il tono della voce, durante il richiamo, dev'essere associato a uno stato positivo: evitate tutto quello che potrebbe tradire la vostra impazienza o un eccesso di autoritarismo. - Anche se il piccolo ci impiega parecchio a venire e siete esasperati perché siete costretti a chiamarlo cinque o sei volte, dovete accoglierlo in modo caloroso e, lo ripetiamo, positivo: rimanete calmi e sorridete. - È inutile e antieducativo chiamare un cucciolo che si sta dedicando a un'attività molto stimolante. Evitate, per esempio, si sgolarvi se il cane è assorbito dal gioco in giardino e sta curiosando in giro: non ha senso creare voi stessi i presupposti per un insuccesso. In alternativa potete avvicinarvi, iniziare voi stessi un'attività

(per esempio grattate il terreno) e approfittarne per chiamarlo. - Una volta che il cucciolo vi è venuto vicino, lasciatelo tornare ai suoi giochi: il richiamo non deve significare una costrizione. L'attaccamento all'uomo A quell'età il richiamo è facilitato dal fatto che il cucciolo, quando arriva nella nuova famiglia umana, ha appena concluso il periodo di transizione durante il quale aveva cominciato ad attaccarsi alla madre (vedi pagina 56). Questo legame, assolutamente vitale, è improvvisamente spezzato quando il piccolo viene separato dalla cagna per entrare nel nucleo familiare umano. Attraversa allora una breve crisi che tutti i proprietari di cani conoscono bene, caratterizzata da pianti e lamenti. Durante questo periodo è indispensabile che trovi un essere a cui legarsi per poter continuare a svilupparsi. Questi, un membro della famiglia, gli permetterà di ritrovare un punto di riferimento rassicurante e faciliterà la socializzazione nei confronti del genere umano. IN CHE MODO IL CUCCIOLO SI AFFEZIONA ALL'UOMO Poco a poco, il cucciolo si calma e stabilisce un legame con un membro della famiglia: in genere si tratta della persona che gli porta da mangiare, si occupa di lui eccetera. Questa persona sostituisce la madre e ha talvolta la tendenza spontanea a spingere all'estremo questo attaccamento, per esempio permettendo al cane di dormirle accanto. Molti sono convinti che non si debba far dormire l'animale nella stanza del padrone, e lo collocano altrove, anche se ulula. Invece, consentendo al piccolo di trascorrere la notte accanto alla persona a cui si è affezionato di più si rafforza il loro legame e si permette al cagnolino di addormentarsi più rapidamente. Il cucciolo può dormire nella stanza del suo padrone? Contrariamente a quello che si sente dire in giro, non c'è nulla di sbagliato nel far dormire il cucciolo accanto a sé. Questo sistema ha il vantaggio di rafforzare il vincolo che lo unisce al proprietario e di permettere all'animale di dormire meglio. Di conseguenza è più calmo e impara prima a non sporcare in giro la notte. In effetti, il cane che dorme tranquillamente non fa nient'altro, mentre quello isolato in una stanza avrà attività notturne che faciliteranno l'eliminazione di urina ed escrementi in casa. IN CHE MODO L'ATTACCAMENTO ALL'UOMO FACILITA L'APPRENDIMENTO DEL RICHIAMO Esiste un nesso evidente tra l'attaccamento e il richiamo, nel senso che la persona a cui risulta più facile farsi obbedire è quella a cui il cane tende ad affezionarsi di più. Il cucciolo la riconosce facilmente, dato che organizza tutta la sua esistenza intorno a lei: la segue dappertutto, la lecca non appena la sfiora eccetera. Questa persona potrà quindi insegnare rapidamente al cucciolo i rudimenti del richiamo. È un vantaggio che va sfruttato ma anche controllato, perché la difficoltà maggiore consiste nel capire se il cucciolo risponde davvero al richiamo o se invece si avvicina solo perché si tratta della persona preferita: effettivamente possiede ancora quello che è stato definito comportamento di "esplorazione a stella" (vedi pagina 58), e la sua attività converge sempre verso l'individuo a cui si sente più legato. Bisogna, quindi, servirsi di quest'attaccamento per aiutare gli altri membri della famiglia a richiamare il cane. Si può cominciare a farlo in due, poi, poco per volta, l'individuo più amato dal cucciolo si allontana. Bisogna insomma che questa seconda persona susciti lo stesso interesse del padrone, e per riuscirci dovrà imparare a imitarne la posizione marcata (vedi a pagina 80), i suoni e quant'altro serve a stimolare il desiderio del cane di avvicinarsi. PERSONA AMATA O PADRONE? Si sente spesso dire che il cane ha un solo padrone. Bisogna però evitare di fare confusione: quello di "proprietario" non è un concetto che il cane possa capire. L'animale, da parte sua, prova un attaccamento nei confronti di una certa persona. Vedremo più tardi che questo legame si rompe quando il cane raggiunge l'età adulta. Tale relazione è molto importante perché, come abbiamo già spiegato a pagina 58, sono 1'"impregnazione" e l'attaccamento che permettono lo sviluppo comportamentale descritto fin dalle prime pagine. È il rapporto particolarmente sentito con un essere umano che consente al cane di completare la socializzazione. L'animale può così comunicare nel modo più perfezionato possibile con l'ambiente circostante. Fin dai tempi più antichi, a quanto pare, la relazione uomo/cane si basa su questo scambio e su questo legame.

Se esiste un solo individuo nei cui confronti l'animale manifesta un vero e proprio attaccamento, questo non significa che debba essere l'unico responsabile della sua educazione: in un branco diversi soggetti possono partecipare alla formazione dei cuccioli, anche se ce n'è uno solo capace di rassicurare e calmare il cane nei momenti di tensione. Consigli per un buon inserimento del cucciolo nella famiglia • Se ha meno di tre mesi - Favorite il suo attaccamento a un membro della famiglia (il suo giaciglio dovrebbe essere impregnato dell'odore di quella persona). - Arricchite l'ambiente del cane dandogli dei giochi, mettendolo a contatto con altre persone e portandolo a passeggiare all'aperto. - Addestratelo all'autocontrollo nel corso dei giochi: imponete pause nel corso delle attività ludiche, smorzate l'eccitazione manifestando indifferenza, punite il cane quando mordicchia. - Obbligate il cucciolo ad aspettare che abbiate consumato il vostro pasto prima di mangiare. - Verso i quattro mesi, cominciate il processo del distacco (vedi pagina 151): respingete i tentativi di avvicinamento del cane, allontanate da voi la cuccia dove dorme e toglietegli l'oggetto impregnato dell'odore della persona preferita. * Se ha più di tre mesi - Cominciate al più presto il distacco valorizzando solo i contatti con l'insieme del gruppo: tutti si occupano del cucciolo. - Tutte le altre regole sopraelencate si applicano anche all'animale di più di tre mesi. Le conseguenze di un cattivo inserimento Nello sviluppo che abbiamo appena analizzato possono insorgere anomalie che producono disturbi. In effetti si osservano tre quadri clinici, tre affezioni comportamentali quando viene turbato questo periodo di sviluppo: si tratta da una parte della sindrome da ipersensibilità-iperattività, dall'altra della dissocializzazione primaria (tipica dei cani che abbiamo definito "delinquenti") e infine della sindrome da deprivazione sensoriale, situazione clinica estremamente frequente che è importante individuare quando si diventa proprietari di un cucciolo. IL CANE IPERSENSIBILE E IPERATTIVO Cos'è un cane ipersensibile e iperattivo? Si sarebbe tentati di definirlo ammirevole, perché è un animale che non sta mai fermo: sembra capace di giocare fino allo sfinimento. Si interessa a tutto quello che gli avviene intorno, e risulta impossibile indurlo a concentrare l'attenzione ai fini educativi: se, nel momento in cui cercate di insegnargli il richiamo, sta frugando tra le foglie secche, non verrà, qualunque cosa facciate. Tutti gli eventi hanno pari importanza, per lui, e lo sollecitano in modo identico. Lo stesso vale per l'apprendimento della pulizia: quando si porta a spasso un cane iperattivo, è talmente stimolato da tutto quello che avviene all'esterno che dimentica di fare i suoi bisogni. Viene quindi considerato incapace di apprendere la pulizia perché orina e defeca appena si trova in un ambiente meno stimolante, che spesso coincide con la casa. Infine è un animale pericoloso perché mal controlla i suoi movimenti: quando gioca dà zampate, morde e così via. Con la crescita le cose si complicano: spicca dei salti di cui non controlla la forza, mordicchia le mani di chi lo circonda senza rendersi conto della pressione che esercita, cerca di afferrare tutto quello che si muove. Insomma, è in uno stato di sovreccitazione permanente. Si possono distinguere due casi: - Il primo stadio, in cui si osserva solo questo stato di iperattività e ipersensibilità: si tratta di cani difficili, ma che dormono e hanno periodi di calma. - Il secondo stadio, purtroppo molto frequente, in cui si trova questo stesso quadro clinico estremamente violento accompagnato in più da un'assenza di sonno. Questi sono animali che arrivano a dormire solo da tre a sei ore su ventiquattro e che sono molto agitati, in particolare nottetempo. Sono capacissimi di saltare sul letto del padrone nel cuore della notte con una palla tra i denti per incitarlo a giocare. Questo comportamento è caratterizzato inoltre dalla mancanza di sazietà: il cane mangia finché ha a disposizione del cibo, fino al rigurgito; ingoia di tutto, ma non si tratta di una vera e propria bulimia, bensì della cosiddetta "iperfagia". Non si manifesta in lui il segnale che l'induce a smettere, mentre il bulimico mangia e si placa. La sindrome da

ipersensibilità-iperattività deriva dall'incapacità di interrompere un comportamento anche quando ha già sortito il risultato voluto: è come se l'animale che ne soffre non avesse assimilato quello che viene definito "segnale di arresto". Questi cani pongono problemi molto gravi ai loro proprietari, soprattutto quando sono di grosse dimensioni, come il labrador (che spesso ne è affetto). Non vanno poi dimenticati i problemi dei danni materiali e i morsi, che non sono dovuti ad aggressioni ma provocati dall'impulsività dell'animale. Un giovane labrador di quattordici mesi mi viene portato in ambulatorio da una signora che ha le braccia coperte di segni di morsi. Ha consultato diversi addestratori, concordi nell'affermare che il cane è portatore di tare irrimediabili. L'animale rompe tutto in casa, che sia in compagnia di qualcuno o da solo. I proprietari non ce la fanno più. E' il tipico caso del secondo stadio della sindrome da ipersensibilità e iperattività. Il soggetto viene da una cucciolata di dieci piccoli; la cagna, che partecipava a mostre canine, è stata separata dai figli alla fine della quarta settimana d'allattamento perché non le si rovinassero le mammelle. Quando hanno acquistato il cane, i padroni hanno effettivamente notato che i cuccioli, abbandonati a loro stessi, erano chiusi in un unico recinto dove regnava un clima di grande vivacità, con giochi incessanti, ma lo avevano interpretato come un buon segno. Volevano un cucciolo decisamente tonico, persuasi che questa caratteristica fosse un segnale di buona salute, e hanno quindi scelto il più attivo, che si è effettivamente rivelato più dinamico di quanto si erano aspettati. Appena arrivato a casa si è messo a mordicchiare tutto: l'orlo dei pantaloni, i mobili, le mani e così via. A un certo punto, i bambini non volevano più giocare con lui a causa dei continui morsi, talvolta dolorosi, e quando la proprietaria ha chiesto spiegazioni all'allevatore, quest'ultimo ha risposto che il cane stava mettendo i denti! La padrona ha allora pensato che, come si fa con i bambini, bisognasse calmare il fastidio alle gengive e, invece di rimproverare il cucciolo, ha acquistato una confezione di sciroppo. Ogni volta che il cane la mordicchiava, gli massaggiava le gengive con lo sciroppo dolciastro solitamente usato per i bambini che mettono i denti. Così, grazie alle indicazioni dell'allevatore, non solo non ha esercitato la necessaria funzione educativa, ma ha anche incitato il cane a mordere. Quando l'ho visitato, l'animale pesava circa quaranta chili ma, nonostante la forza dovuta al peso, continuava a usare i denti come un cucciolo. È evidente che, a questo stadio, si può arrivare a prendere in considerazione l'eutanasia. Il cane in questione, però, ha potuto essere sottoposto a un trattamento ed è migliorato. Come si cura un cane iperattivo? Oggi è possibile intervenire perché si possono utilizzare due trattamenti efficaci.  I farmaci Da una parte si cerca, grazie ai farmaci, di stimolare certe strutture cerebrali che intervengono nel controllo della motricità: non gli vengono somministrati sedativi, che lo intontirebbero, ma prodotti che, al contrario, contribuiscono a stimolare la capacità di controllo dei movimenti. Tale trattamento chimico costituisce la prima fase della cura dei sintomi dell'iperattività: si aiuta in questo modo il cane a prestare più attenzione alla gestualità del suo proprietario; bisogna che impari a concentrarsi su quello che fa il padrone, anche se per un lasso di tempo breve.  La terapia Quando il cane comincia a fare progressi, si può iniziare la terapia che permetterà di risolvere la mancanza di autocontrollo. Si tratta, com'è ovvio, di un lavoro lungo che comporta una disponibilità non tanto in termini di tempo, quanto di impegno; a questo proposito, è molto importante che la persona decisa a intraprenderlo ne sia consapevole, perché nessuno potrà farlo al posto suo. Non sarà il veterinario a effettuare la terapia: questi prescriverà i farmaci e imposterà la cura controllandone lo svolgimento, ma è assolutamente necessario che la famiglia partecipi attivamente. Lo scopo è portare l'animale ad autoregolarsi; purtroppo spesso i cani vengono trattati troppo tardi, quando hanno raggiunto la pubertà o l'età adulta, e questo impedisce di utilizzare i metodi impiegati dalla madre quando alleva i cuccioli, per esempio schiacciare a terra il piccolo (in genere le dimensioni raggiunte dall'animale non lo consentono). Bisogna quindi far capire al cane che solo quando pratica l'autocontrollo riesce a funzionare correttamente all'interno del gruppo. Per riuscirci si ricorre in genere al gioco: si provoca il cane con un bastone o una palla (o un altro oggetto che gli interessa) e lo si lancia: invariabilmente reagisce correndo verso l'oggetto e afferrandolo tra i denti. Prima di essere sottoposto al trattamento è incapace di mollare la presa perché più è eccitato, più stringe. Il trucco consiste quindi nell'ignorarlo completamente finché tiene stretto l'oggetto in questione. Evitate di afferrare il

giocattolo o di tirarlo, fingete indifferenza e non guardate neppure l'animale. Dal momento che il gioco l'ha eccitato verrà a incitarvi con dei colpi di testa, di zampa, e si metterà ad abbaiare; imperturbabili, dovrete fingere di non vedere niente. Quando smetterete di interagire con lui il giocattolo cesserà di essere importante ai suoi occhi e lo lascerà cadere. A quel punto impossessatevi dell'oggetto dimostrandogli grande interesse, e attirate in questo modo il cane. Lanciatelo di nuovo e continuate così, sempre rispettando il seguente principio: finché non lo lascia andare, vi disinteressate a lui. È un esercizio apparentemente molto semplice ma che mette a dura prova la pazienza del proprietario, dato che inizialmente avrete l'impressione che il cane non capisca nulla. Poi arriva un momento in cui, grazie all'interazione dei farmaci e della terapia, vedrete (dopo due o tre settimane) un cambiamento: l'animale avrà imparato a lasciare andare la palla. Questo sforzo mette però il cane in uno stato di estrema tensione: vorrà gettarsi sopra il giocattolo appena accennerete a dirigervi verso di esso, ma avrà comunque acquisito la capacità di posarlo. In questo modo gli insegnerete contemporaneamente a regolare la forza dei morsi e a trovare l'autocontrollo sufficiente per vincere lo stato di eccitazione e lasciar cadere la palla. In generale si combina quest'attività con altri giochi, sempre legati al lancio di un oggetto, che vi permetteranno di stimolare il cane: questo si metterà a correre in tutte le direzioni, trascurando completamente l'obiettivo del gioco, che consiste nell'afferrare qualcosa. In casi del genere bisogna evitare un comportamento spesso adottato, che consiste nell'incoraggiare l'entusiasmo del cane con la voce, pensando che si stia sfogando. Al contrario, non appena vi accorgerete che perde il controllo della propria motricità ed è incapace di partecipare correttamente al gioco dovrete ignorarlo, voltargli le spalle e fingere di andarvene. Lo stesso comportamento va seguito anche ogni volta che cercate di stabilire un contatto con l'animale: se, quando lo chiamate, salta dappertutto e fa il matto, ignoratelo. Appena si calma e si siede perché entra in una fase di aspettativa e non sa più cosa fare per attirare la vostra attenzione, interessatevi a lui. Bisogna valorizzare tutte le situazioni in cui il cane è calmo per indurlo a controllarsi in modo da ricreare lo stesso contesto. Questo trattamento non gode di grande popolarità perché è difficile non reagire. Per questo si insiste sull'opportunità di effettuare una terapia per tappe e di coinvolgere diverse persone negli esercizi, in modo che l'intero processo non venga affidato a un solo individuo, che non può chiaramente essere infallibile. I pericoli della terapia selvaggia Anche se siete quasi sicuri che il vostro cane sia affetto da una sindrome da ipersensibilità-iperattività, è evidente che non potete curarlo da soli. Non bisogna illudersi, la guarigione si ottiene solo con l'associazione di farmaci e terapia. Inoltre, anche se quest'ultima assomiglia a una normale educazione, si tratta in realtà di un programma particolare che dev'essere adattato ai singoli casi ed è sottoposto a continui aggiustamenti e valutazioni nel corso del trattamento. La mancanza di tempestività e di supervisione è pericolosa per chi vive con il cane e compromette gravemente le probabilità di riuscita. L'età in cui si effettua il trattamento è determinante: per questo si cerca di individuare i segni precursori (vedi il box seguente) per dare inizio alla terapia il più presto possibile. I cuccioli che vengono trattati prima della pubertà hanno grandi probabilità di recupero: tra il 75 e 80 percento di loro possono guarire e, dopo la cura, sono capaci di assumere un comportamento soddisfacente. In quelli che vengono trattati dopo la pubertà, invece, si osserveranno gli strascichi della sindrome, che si manifestano con comportamenti particolarmente impulsivi. È superfluo ricordare che, per gli animali di grandi dimensioni, questo tipo di disturbo può costituire una minaccia e un pericolo, in particolare per i bambini piccoli, perché emettono o provocano rumori, fanno movimenti bruschi e hanno dei comportamenti che stimolano il cane e lo inducono a reagire in modo violento. È bene quindi preoccuparsi quando nel cucciolo si osservano i primi segnali caratteristici della sindrome da ipersensibilitàiperattività. Cani iperattivi: quando è il caso di preoccuparsi? -- Il primo elemento che dovrebbe preoccupare e persino sconsigliare l'acquisizione del cane in questione è la separazione dei cuccioli dagli adulti nell'allevamento. -- Nel caso che non abbiate visto l'allevamento (come spesso avviene quando effettuate l'acquisto in un negozio di animali o presso allevatori che presentano i cuccioli fuori dal loro ambiente abituale) dovrete basarvi su quello che vedrete quando il piccolo arriverà da voi. Se dopo due o tre giorni, durante i giochi, il cane continua a mordere anche quando urlate e non molla la presa neppure quando gli mostrate che vi fa male, significa che non gli è stato insegnato a controllare la forza dei

morsi (vedi pagina 74). Si tratta di un segnale "eccellente" e la prova che uno dei principali sintomi della sindrome da ipersensibilità-iperattività è presente. - Altra cosa da osservare: se il cucciolo non si sa regolare sul piano alimentare, cioè se, in uno stato di sovreccitazione totale, inghiotte tutto il contenuto della sua ciotola e sembra pronto a mangiarne un'altra porzione (come potrete verificare offrendogli altro cibo), sappiate che la mancanza di sazietà è anch'essa un segnale precursore importante. - L'ultimo indizio, che segnala tra l'altro il secondo stadio della sindrome, è la scarsità del tempo dedicato al sonno. Come abbiamo già detto, l'animale, durante la prima infanzia, dorme tra dodici e sedici ore su ventiquattro (le razze più grandi dormono più di quelle nane). Se il vostro cucciolo riposa meno di sei ore su ventiquattro, potete essere certi che si trova in uno stato patologico; se il cane non dorme ed è molto attivo di notte, bisogna consultare un veterinario il più presto possibile. "Cosa bisognerebbe fare quando si individua la sindrome da ipersensibilitàiperattività? " Bisogna che i membri della famiglia riflettano su quello che desiderano davvero: possono chiedere all'allevatore di essere rimborsati e riportargli il cucciolo a causa dei suoi difetti, oppure decidere di intraprendere una terapia. Dovete però ricordare che, se avete appena acquistato un cucciolo di due mesi affetto da questo disturbo, il trattamento durerà da tre a quattro mesi e che, nel 20, 25 percento dei casi, lascerà strascichi o si risolverà in un fallimento. Non bisogna avere paura di ammettere che non ci si sente in grado di accogliere in casa quell'animale, soprattutto in presenza di bambini di meno di cinque anni, per i quali rappresenterebbe un pericolo. IL CANE "DELINQUENTE" O LA DISSOCIALIZZAZIONE PRIMAIA Cos'è un cane"delinquente? " Si tratta di un animale che non riesce a controllare i desideri e le motivazioni. Ha fame e si impossessa di tutto il cibo disponibile; vede un giocattolo e lo afferra. Tutto quello che si oppone alla realizzazione dei suoi desideri del momento lo spinge a mordere. Non si tratta di aggressioni organizzate, ma di morsi diretti e senza intenzioni minacciose. Questi soggetti sono inoltre incapaci di interagire con i loro simili. Hanno con loro gli stessi problemi che incontrano con gli esseri umani ma, in più, non rispettano le regole abituali del mondo canino: nel corso di un conflitto tra due cani, per esempio, sono incapaci di controllare la forza dei morsi - in questo senso, il disturbo assomiglia un po' alla sindrome da iperattività - e, soprattutto, non interrompono l'aggressione neanche quando hanno la meglio e l'avversario è stato sottomesso. All'origine di questo comportamento ci sono disturbi apparsi durante l'acquisizione delle varie forme di autocontrollo. Si osserva in questi soggetti un grave deficit delle regole gerarchiche, che si potrebbe riassumere nella formula lo voglio, quindi lo prendo. Questo tipo di cane è estremamente pericoloso perché il suo comportamento è assolutamente inconciliabile con le restrizioni della vita quotidiana della famiglia che lo ospita. Spesso le prime vittime sono i bambini, che a volte subiscono incidenti gravissimi solo perché, magari, hanno insistito un po' troppo per recuperare un giocattolo. Episodi banali come questi hanno come conseguenze delle ferite al viso a cui si aggiunge, oltre a sofferenze fisiche e conseguenze estetiche e quindi psicologiche a lungo termine, un grande disagio dei più piccoli nei confronti del cane perché non riescono a capirlo. Nel corso della visita, se un bambino la cui famiglia è tormentata da un animale simile ha l'opportunità di esprimersi, dirà che è un cane cattivo, che vuole sempre aggredirlo per prendergli la sua roba. I bambini mal sopportano questa situazione perché si tratta di un comportamento esattamente agli antipodi rispetto a quello che si aspettano dall'animale. Ecco perché è molto importante accorgersi al più presto dell'eventuale dissocializzazione primaria del cane. Un cucciolo di pastore belga femmina viene acquistato in un allevamento da una famiglia in cui il padre aveva la passione dell'addestramento canino. Gli avevano consigliato di scegliere quella razza che risulta la più dinamica in quel genere di esercizi. La famiglia comprende inoltre un ragazzino di tredici anni, anche lui desideroso di addestrare il cane, e una bambina di due anni e mezzo che, come tutti i bambini di quell'età, è entusiasta della presenza di un cucciolo in casa. Il cucciolo di cinque mesi mi è stato portato in ambulatorio su consiglio del pronto soccorso di un ospedale,

dopo che aveva morso la bambina al viso. È la seconda volta che l'aggredisce e, questa volta, la ferita è stata decisamente più grave; in base alle leggi esistenti in materia, però, non è stato possibile procedere direttamente all'eutanasia del cane, come la madre avrebbe voluto. Anche padre e figlio sono stati morsi, ma entrambi hanno considerato l'atto come una manifestazione del carattere peculiare dell'animale che si sarebbe dimostrato ideale per l'addestramento. Hanno però cominciato a preoccuparsi quando si sono accorti di non essere assolutamente in grado di tenere sotto controllo il cucciolo: quando sono andati in un circolo di addestramento la situazione è precipitata, a tal punto che i responsabili del circolo hanno rifiutato il cane. Si tratta circa delle stesse condizioni di allevamento viste nel caso precedente (vedi pagina 86): la madre partecipava a gare, ma in questo caso l'allevatore non l'ha separata dai cuccioli per motivi estetici, ma perché si è accorto che aveva la tendenza a morderli crudelmente quando le davano fastidio e che, verso la quarta settimana, cominciava a diventare sempre più violenta. La cagnolina che mi è stata portata era stata acquistata a nove settimane, e presenta un quadro clinico tipico di una dissocializzazione primaria. Bisogna trattarla al più presto e in modo energico oppure decidere con buonsenso e decidere di proteggere innanzitutto la famiglia piuttosto che il cane. Al termine della visita è stata presa la decisione, di comune accordo con l'allevatore, di praticare l'eutanasia: personalmente mi sono rifiutato di prendere in cura l'animale dal momento che la bambina era profondamente turbata dalla presenza del cane e che, tenuto conto degli orari dei genitori, la piccola si sarebbe trovata da sola in casa con il fratello e il cane; non era quindi eticamente possibile concludere che esistevano le condizioni favorevoli per intraprendere un trattamento. In seguito vi sono state discussioni tra il proprietario e l'allevatore. Cosa fare? Più si aspetta a intervenire, più i cani hanno imparato che mordendo ottengono ciò che vogliono nelle situazioni conflittuali. D'altra parte è evidente che, più il tempo passa, più i proprietari hanno paura dell'animale e non osano contrariarlo, cosicché quest'ultimo risulta sempre vincitore. Bisogna considerare diversi parametri: -- uno dei fattori prognostici importanti è la dimensione del cane adulto: oltre i dieci chili si comincia a mettere in dubbio l'opportunità di un trattamento perché i rischi sono evidentemente maggiori; -- il secondo fattore è la presenza di bambini al di sotto di dieci anni. Quando nella famiglia vi sono figli piccoli, si tratta il cucciolo solo se ha meno di tre mesi, altrimenti si è reticenti perché il bambino farà molta fatica a rispettare gli obblighi legati alla terapia. Questo non significa che non si possano curare i cani delinquenti; oggi si può contare su una cura che associa farmaci e terapia.  I farmaci Sono sostanze che non hanno assolutamente l'obiettivo di annientare le capacità del cane (non sono neurolettici né sedativi); riescono invece a stimolare la trasmissione di una sostanza cerebrale, la "serotonina", che ha l'effetto di aumentare l'inibizione sociale. Questi farmaci sono spesso usati per curare la depressione nell'uomo; a dosi elevate, però, sono utili per regolare nel cane questi problemi di dissocializzazione. Il farmaco, somministrato in dosi elevate, provocherà una vera e propria reazione d'inibizione. In altre parole l'animale, che fino ad allora agiva impulsivamente, comincia poco a poco a dimostrare un indebolimento della motivazione: inclina la testa di lato, ritrae la coda sotto il ventre, tiene le orecchie basse. Diventa più esitante, comincia a guardarsi attorno prima di gettarsi sul cibo, per esempio. Una volta raggiunto questo stadio si può iniziare la terapia.  La terapia II punto centrale di questa terapia è la creazione della gerarchizzazione alimentare. Uno degli esercizi più noti consiste nel preparare il pasto del cane in sua presenza, con tutta calma: l'animale si dimostra impaziente e, in generale, è meglio essere in diversi intorno alla ciotola per obbligarlo ad aspettare finché non la si è posata per terra. In seguito bisogna costringere il cane ad attendere che ci si sia allontanati prima di avvicinarsi al cibo. Una volta che si è riusciti a tenerlo tranquillo davanti al cibo, si mette in atto lo stesso programma terapeutico utilizzato per i cani che vivono un conflitto gerarchico con il padrone (i cosiddetti cani sociopatici). Si tratta di un programma che descriveremo più tardi (vedi pagina 185), che si basa, come abbiamo già detto, sull'instaurazione della gerarchizzazione alimentare e spaziale. Attenzione! Inutile precisare che questa terapia può rivelarsi molto pericolosa se non è accompagnata da un trattamento

chimico adeguato. Non bisogna assolutamente effettuarla con un cane che si ritiene affetto da dissocializzazione primaria senza che sia stata precedentemente effettuata una terapia sotto il controllo di un veterinario; infatti, se si tratta di un'autentica dissocializzazione e intraprendete la terapia da soli, senza nessuna precauzione, vi esponete ad attacchi che possono rivelarsi estremamente gravi. Non bisogna mai dimenticare che il cane è incapace di controllarsi quando soffre di questo disturbo. Si utilizza anche un'altra tecnica meno diffusa perché richiede condizioni particolari: una volta che si è riusciti a instaurare la gerarchizzazione alimentare, bisogna inserire il cucciolo in un branco correttamente strutturato in cui il gruppo è equilibrato. Il piccolo si troverà presto in opposizione con il leader, il maschio dominante, che lo correggerà ma in modo controllato. Si procede a questa esperienza solo quando al cucciolo sono stati somministrati farmaci che gli permettono di controllarsi, altrimenti rischia di morire. In effetti, se non rispetta il dominante e non si sottomette, gli altri cani, sempre solidali con il leader, lo faranno a pezzi. Questa tecnica dà eccellenti risultati, ma si può mettere in atto solo sotto controllo medico e se, naturalmente, si conosce qualcuno disposto ad accettare il cucciolo nella propria muta. Oggi, quando si individua una sindrome di dissocializzazione in un cucciolo di due o tre mesi, si ha piuttosto la tendenza a riportarlo all'allevamento, anche perché gli specialisti del settore lo giudicano un buon sistema per fare capire agli allevatori che è importante cercare di prevenire tale disturbo. I CANI IN DIFFICOLTÀ IN UN MONDO INCOMPRENSIBILE Di che cosa si tratta? Questa sindrome si chiama "sindrome da deprivazione sensoriale", ed è conosciuta da tempo: negli anni Cinquanta (che hanno segnato il boom degli animali da compagnia nella nostra società) si è osservato un problema particolare, tipico dei cani provenienti da un canile, al momento dell'inserimento in un ambiente umano. Alcuni soggetti, che vivevano negli allevamenti diffusi in quei tempi, trovavano difficoltà ad adattarsi al nuovo ruolo di cani da compagnia. Il nome che gli autori americani (i primi a studiare il fenomeno) diedero al disturbo sottolinea perfettamente la sua relazione con il canile, dal momento che lo chiamarono kennel syndrome (kennel in inglese significa "canile"). Proprio nello stesso periodo, un gruppo di ricercatori nel campo dell'etologia e della psicologia comparate analizzarono l'influenza della ricchezza dell'ambiente sullo sviluppo delle capacità sensoriali nei giovani mammiferi. Mi riferisco in particolare agli studi di Bateson che, tra l'altro, mostrano come un impoverimento sensoriale produca individui incapaci di integrarsi in un ambiente normalmente stimolante. Questa tecnica, basata su un approccio sperimentale, viene messa in atto in un laboratorio: si chiama "tecnica di deprivazione sensoriale". Evidentemente quanto viene realizzato in laboratorio dà risultati ben più drastici di quelli ottenuti in un ambiente normale, per esempio in un allevamento. Si procede facendo vivere il cucciolo in un recinto o in una gabbia isolata acusticamente, in cui nessun elemento viene messo in risalto: le mangiatoie sono dello stesso colore delle pareti, non vi sono forme né colori particolari, non si mostra mai nessun essere vivente, cane o uomo che sia. Sono, lo ripetiamo, esperimenti condotti in laboratorio, in condizioni assai più rigorose ed estreme di quelle reperibili in un allevamento. Anche se possono sembrare barbari, hanno il vantaggio di mostrare che effettivamente l'animale in seguito è incapace di adattarsi e sviluppa disturbi gravi con manifestazioni ansiose e comportamenti che denotano un ripiegamento su di sé (l'animale si lecca, si mordicchia, si dondola). Questi esperimenti sono anche stati approfonditi con uno studio dei tessuti cerebrali: dopo la deprivazione sensoriale si sono osservate meno connessioni tra le cellule nervose rispetto agli individui della stessa specie ed età che si erano sviluppati in un ambiente normale. Il cervello, non dimentichiamolo, è una rete, e una rete si basa sulle interconnessioni che sviluppa. Una mancanza di stimoli ha quindi conseguenze gravi nello sviluppo della struttura cerebrale. Il cucciolo che cresce in un canile isolato, in aperta campagna, o che nasce in una casa dove la cagna abita con i piccoli in cantina, al buio, non raggiungerà mai uno stato di deprivazione sensoriale come quello osservato in laboratorio, ma soffrirà comunque del divario tra gli scarsi stimoli dell'infanzia e l'ambiente ben più eccitante dove vive il suo nuovo padrone. Anche se, in campagna, ha avuto modo di conoscere il canto degli uccelli o il fruscio del vento fra gli alberi, questo non ha nulla a che vedere con quanto si troverà davanti, per esempio, nel centro di una grande città. Si ritrova qui il problema dell'omeostasi sensoriale il cui punto di partenza è un livello di variazione

ambientale estremamente limitato. Di conseguenza l'animale che soffre di una sindrome da deprivazione (si è presa l'abitudine di parlare di "sindrome da deprivazione" invece di "deprivazione sensoriale") presenta disturbi che saranno tanto più gravi quanto più la differenza tra i due ambienti (il canile e la casa dei futuri proprietari) è significativa. Per questo si individuano tre stadi che producono quadri clinici assai diversi.  II cane pauroso (o primo stadio della sindrome da deprivazione)

Si parla in questo caso di "fobia ontogenetica" (l'ontogenesi indica lo sviluppo). Si tratta di animali che presentano reazioni di paura sistematiche davanti a stimoli precisi. È il caso dei cani che, fin dall'arrivo nel nuovo ambiente, non sopportano le auto o certi tipi di rumori, ma che per il resto se la cavano bene: per loro c'è solo una categoria di stimoli che risulta davvero insopportabile. Il problema di questo quadro clinico è che, a seconda del modo di vita delle persone, del loro savoir faire con l'animale, può risolversi spontaneamente senza trattamento alcuno oppure peggiorare. Alcune persone cercano infatti di far familiarizzare poco a poco il cane con quegli stimoli; in questo caso gli resterà sempre una certa fragilità emotiva, ma nel complesso guarirà bene. Altri, invece, hanno la tendenza a proteggere eccessivamente il cucciolo, a rassicurarlo quando ha paura. In realtà, ogni volta che credete di confortare un cane (ne riparleremo più avanti, a pagina 104), coccolandolo e parlandogli, fate qualcosa che gli risulta incomprensibile, o comunque il vostro gesto non è affatto interpretato come credete o vorreste voi. La rassicurazione risulta efficace perché chi ha paura capisce che chi lo conforta è in grado di mettersi al suo posto e di provare lo stesso sentimento. Il cane, invece, non sa compiere una simile operazione mentale: nulla ci conferma che ne sia capace, e tutti gli elementi in nostro possesso tendono invece a provare il contrario. L'animale sarà invece vittima di una sorta di contagio emotivo: se anche gli altri membri del gruppo agiscono allo stesso modo, questo avrà l'effetto di rafforzare lo stato di panico del cane, invece di calmarlo. L'animale diventa così sempre più insofferente ai tipi di stimoli che lo disturbano. È allora necessario un trattamento che descriveremo più avanti (pagina 102). "Se un cane ha paura di tutto, cosa bisogna fare?" La reazione migliore, se vedete che il vostro cane si fa prendere dal panico, consiste nell'ignorarlo: restate naturali e neutrali. Potete anche, se volete far coraggio all'animale che ha paura dell'aspirapolvere, per esempio, mostrargli che voi, invece, siete molto interessati all'oggetto che lo terrorizza e adottare segnali che gli indicheranno il carattere positivo dell'apparecchio in questione - vi potete sedere accanto all'elettrodomestico, usare un tono di voce che esprime soddisfazione -, ma in ogni caso non rassicurate il cane. Questo disturbo, anche al primo stadio, è certo invalidante, ma in fondo non è particolarmente grave.  II cane ansioso (o secondo stadio della sindrome da deprivazione) A partire dal secondo stadio compaiono disturbi che non guariscono spontaneamente. L'assenza di trattamento provocherà un peggioramento irrimediabile del comportamento e comprometterà del tutto la guarigione. A questo stadio si incontrano problemi estremamente invalidanti: non si tratta più di fobia, ma di qualcosa di ben più grave. In un certo senso, si potrebbe affermare che questi cuccioli si comportano nel loro ambiente come se tutto fosse drammatico e costituisse una forma di aggressione. Quando arrivano nella nuova dimora, stupiscono i proprietari correndo immediatamente a nascondersi da qualche parte. Spesso per diversi giorni si mostrano poco: si rintanano in un angolo e, secondo le testimonianze mangiano di notte, quando in casa non c'è più nessuno in giro e non si sentono rumori. Dopo qualche giorno cominciano a essere più attivi. Del resto, solitamente sono capaci di stabilizzarsi dentro casa (se si tratta di un luogo relativamente calmo). Uno dei sintomi più evidenti è la memorizzazione precisa di tutte le caratteristiche dell'ambiente circostante. Per questo, la minima variazione rimette tutto in questione: il cane presenta un'intolleranza totale nei confronti del cambiamento, in particolare quando a essere alterata è la struttura spaziale. Prendiamo un esempio tipico che lascia sempre sbalorditi, anche quando lo si è visto in centinaia di soggetti: avete appena fatto la spesa e, una volta rientrati, lasciate per qualche minuto i sacchetti in corridoio: da quel momento in poi il cane non passerà più da lì e gli ci vorranno diversi giorni per ricominciare a mostrarsi in quella parte della casa. Avrete lo stesso problema all'esterno: per i cani affetti da questo disturbo, infatti, le uscite in città rappresentano un vero e proprio dramma. Le famiglie descrivono sempre la stessa scena: quando cercano di portarlo fuori il cane si mette a ululare e fa di tutto per tornare in casa, oppure, se è al guinzaglio, si corica per terra rifiutando di muoversi. Evidentemente a questi cani risulta impossibile fare i propri bisogni all'aperto, il che pone grossi problemi quanto all'apprendimento della pulizia: si riducono a orinare e defecare dentro casa perché si tratta dell'unico luogo in cui riescono a rimanere calmi. Quando i padroni sono persone serene che non commettono errori, alla fine l'animale riesce a uscire: anche

così, però, dopo mesi di tentativi, i proprietari vivono situazioni del tutto allucinanti. Riescono a portar fuori il cane solo tra le quattro e le cinque di mattina o tra le undici e mezzanotte, preferibilmente in strade deserte. E poi, un bel giorno, appare il sintomo appena descritto, quando in strada succede qualcosa di insolito. Gli esempi possono essere numerosi: il portinaio porta fuori le immondizie più presto o più tardi del solito, accanto al cassonetto c'è un cartone che prima non c'era. A quel punto la fragile costruzione va in frantumi, il cane si immobilizza e ci vorranno diversi giorni prima che accetti di nuovo di uscire. Nei casi estremi si osserva anche una suscettibilità ai cambiamenti d'orario, che provocano il panico se il padrone rientra un po' più tardi del normale; queste crisi sono spesso accompagnate da danni materiali che possono assomigliare a quelli provocati dall'ansia da separazione (di cui parleremo alle pagine 153-164) ma che hanno un'altra origine. Né la sintomatologia né il trattamento sono gli stessi. La sindrome da deprivazione si accompagna a posizioni caratteristiche, l '"esplorazione statica" e la "posizione da aspettativa". La posizione d'esplorazione statica è tipica di un cane affetto da sindrome da deprivazione al secondo stadio. L'ESPLORAZIONE STATICA IN UN CANE ANSIOSO 1. Il cane vede un oggetto sconosciuto che lo preoccupa. 2. Si blocca a distanza. 3. Protende la testa verso l'oggetto, con le orecchie all'indietro e la coda sotto il ventre. 4. Dopo averlo annusato, volta la testa. Quando si trova davanti a un ambiente da scoprire, invece di entrare in contatto con gli oggetti, avvicinandosi direttamente, come fanno gli altri cani, il soggetto ansioso si blocca a distanza; in generale ha la tendenza a raccogliere il più possibile le membra tra loro, e tende il collo e la testa verso l'oggetto con le orecchie all'indietro e la coda sotto la pancia, tutti segnali di paura e inibizione. Poi fiuta l'oggetto e, in generale, finisce per distogliere lo sguardo voltando la testa. Tutti questi movimenti sono di solito estremamente lenti: si ha veramente l'impressione che il cane agisca a rallentatore. A volte, dopo avere voltato le spalle all'oggetto, trema, poi si trascina di nuovo verso ciò che lo spaventa. La posizione d'aspettativa appare evidente a un occhio clinico, ma è più difficile da identificare per i meno esperti. Nel corso degli spostamenti il cane, invece di muoversi normalmente, ha alcune pause. Si parla di posizione d'aspettativa perché ricorda l'atteggiamento di chi aspetta qualcosa senza sapere che cosa. Storie di cani in difficoltà in un mondo incomprensibile.  II cane fobico (o primo stadio della sindrome da deprivazione sensoriale) Lucky è un cucciolo di spaniel bretone, acquistato come cane da compagnia e da caccia. È stato comprato in campagna, da un allevatore che vive in una fattoria: si tratta di un luogo isolato ed estremamente calmo, con pochissimi rumori di auto. Il cane ha faticato ad abituarsi al frastuono della città: i proprietari, tra l'altro, abitano proprio a Parigi. In compenso l'animale non ha avuto problemi con i rumori della casa, perché abitava in cucina con la madre e gli altri cuccioli. Il cucciolo è stato curato senza farmaci, perché in questo genere di disturbi è possibile farlo. Il proprietario, del resto, era assai restio a ricorrere agli psicotropi, che riteneva ingiustificati. Si è utilizzata una tecnica che viene definita "di contro condizionamento", ovvero si suscita nell'animale un'emozione incompatibile con quella che prova abitualmente quando è in presenza dello stimolo che gli fa paura. In che cosa consiste questa tecnica? Prima di uscire in strada con il cucciolo, si gioca con una palla o un pupazzetto di gomma che piace al cane, si eccita il cucciolo il più possibile, poi gli si mette il guinzaglio e si esce, sempre continuando a giocare con l'oggetto per cui va matto. Una volta fuori, se ci sono delle auto bisogna seguitare a stimolare il cane distraendolo con il giocattolo. Lo scopo di questo controcondizionamento consiste nel fargli perdere il riflesso automatico "auto = pericolo --- " panico". Tale tecnica ha permesso, nel giro di sei settimane, di portare il cane in giro per la città a eccezione delle zone vicino all'autostrada. Si è a quel punto associata questa con un'altra tecnica di contro-condizionamento facendo salire l'animale in auto (già da prima il cucciolo associava la macchina al fatto di andare in campagna, quindi a qualcosa di positivo). I padroni portavano il cane a fare un giro sulla tangenziale facendolo giocare dentro l'abitacolo, mostrandogli piccoli oggetti che lo divertivano in modo da neutralizzare le sue reazioni ai diversi rumori del traffico. Dopo due mesi erano in grado di portare il cucciolo praticamente dappertutto in città. Ci sono volute dieci-dodici settimane perché il risultato raggiunto fosse stabile. Da allora in poi, nessun altro trattamento si è reso necessario.  II cane ansioso (o secondo stadio della sindrome da deprivazione sensoriale) Soquette è una cagnolina nata da un incrocio con un golden retriever. Ha due mesi e mezzo quando viene adottata e, da quando si trova nella casa dei nuovi padroni, cioè da due settimane, non è uscita dall'armadio. Ci si è rifugiata al suo arrivo, e

dorme quasi sempre in una scatola da scarpe che si trova in fondo all'armadio. I proprietari le fanno trovare il cibo lì vicino in modo che mangi qualcosa. In ambulatorio il cucciolo assume posizioni di aspettativa e di esplorazione statica caratteristiche (vedi pagina 100). Da qualche tempo ha cominciato a uscire in corridoio e ad avventurarsi persino in cucina, ma il progresso non è durato perché, un giorno, le sedie non si trovavano al solito posto. Risultato: sono tre giorni che non ricompare e che se ne sta rintanata in fondo all'armadio. I padroni me l'hanno portata dopo che, durante una visita dal veterinario per una vaccinazione, questi ha loro suggerito di trattare al più presto il problema. Questa volta il trattamento ha comportato farmaci, antidepressivi che aumentano l'attività di esplorazione del cane. Così il cucciolo è stato indotto a scoprire spontaneamente l'ambiente circostante, e le sostanze assunte limitavano la violenza delle sue reazioni emotive. In un primo tempo si è permesso al cucciolo di farsi le proprie esperienze, ovvero si aspettava di vedere i risultati dell'esplorazione più vasta possibile e si è domandato ai padroni di non rassicurarlo mai. Questa fase è durata circa tre settimane. Inevitabilmente, nel corso delle sue esplorazioni, la cagnolina si è trovata in luoghi mai visti prima. Gli antidepressivi sono stati utili perché non hanno annullato le sue reazioni di paura. Un giorno, per esempio, l'animale è entrato in cucina mentre il motore del frigorifero si metteva in modo: terrorizzato, è fuggito urlando. In casi come questi, non bisogna fare nulla. A partire dal momento in cui la cagnolina ha cominciato a trascorrere più tempo in giro per la casa, sono state create per lei attività ludiche utilizzando, anche in questo caso, il contro-condizionamento, per indurla a passare periodi più lunghi nelle diverse stanze dell'abitazione. Si è cercato anche di sfruttare il legame estremamente forte creatosi con i padroni per portarla all'aperto. Una volta fuori, si è ricorso a una tecnica dimostratasi estremamente efficace: l'utilizzazione di un cane terapeuta. In questo caso si è trattato del cane dei vicini, un simpatico bastardino equilibrato che ha sempre vissuto in città. Si è fatto in modo che i due animali giocassero insieme, in modo che il bastardo facesse da modello e che la cagnolina lo seguisse per imitarlo. Il risultato è stato estremamente soddisfacente, perché si è potuto iniziare il trattamento precocemente, con un cucciolo che, per via dell'età, aveva capacità di assimilazione enormi. Dopo un po' più di due mesi e mezzo di trattamento, la cagnolina riusciva ad avventurarsi in tutta la casa e persino in strada, salvo nel caso di eventi eccezionali. Per esempio, un giorno c'era una manifestazione e, nonostante psicotropi e terapia, l'animale non ha voluto uscire; era comunque visibile un buon segno prognostico, cioè l'assenza di posizione d'aspettativa e di esplorazione statica. Nel periodo successivo, si sono moltiplicate le passeggiate utilizzando quella che viene chiamata tecnica di "desensibilizzazione". Questo prevede l'esposizione dell'animale a situazioni stressanti per periodi crescenti di tempo, ma sempre rispettando una regola: si studiano continuamente le sue reazioni (per la cagnolina in questione, si è osservato che cominciava ad ansimare quando aveva paura). Come si procede concretamente? Il padrone porta il cane in luoghi sempre più rumorosi e per periodi sempre più lunghi e, appena comincia ad ansimare, senza dar l'impressione di fuggire e senza accelerare il passo, si dirige verso un luogo più tranquillo per consentirgli di calmarsi. Quindi ritornerà verso la zona rumorosa e ricomincerà nello stesso modo. Evidentemente è una tecnica un po' fastidiosa ma spesso efficace perché il padrone viene incoraggiato dalla rapidità dei progressi. Dopo altre sei settimane la cagna non presentava più grossi problemi. L'importanza di un trattamento precoce - Nella sindrome da deprivazione, così come per quella da ipersensibilitàiperattività, l'evoluzione degli animali dipende in larga misura dal fatto che siano stati trattati prima o dopo la pubertà. Prima della pubertà si riescono a ottenere guarigioni quasi complete, come nel caso della cagnolina. Dopo la pubertà, invece, i miglioramenti sono limitati, e tutte le situazioni diverse dalla norma (per esempio una festa di compleanno a casa vostra, la visita di amici che parlano a voce alta, una discussione accompagnata da gesti un po' troppo ampi) mettono a disagio l'animale, che avrà la tendenza a restare in disparte. - Il più grave errore (commesso sovente nel caso della sindrome da deprivazione, anche dagli stessi veterinari) consiste nel dire: "Sì, certo, il suo cane è pauroso, ma migliorerà con il tempo". La situazione, invece, non migliora mai. Per questo è fondamentale un'individuazione precoce del disturbo per poterlo trattare al più presto. "Cosa fare se si acquista un cane fobico o ansioso?" Se avete comprato un cane affetto dalla sindrome da deprivazione sensoriale, avete la possibilità di

ricorrere ad armi legali, almeno in Francia: la pretura di Montbrison ha condannato un allevatore che aveva venduto un cane colpito dalla sindrome da deprivazione al secondo stadio. Il veterinario ha il dovere di informare il proprietario delle varie soluzioni possibili, ben sapendo che, nell'ambito di quello che viene chiamato "vizio nascosto", la legge impone un termine per poter fare causa; si tratta di un termine ravvicinato, il che vuoi dire che non potete individuare il disturbo e dirvi che forse, l'anno prossimo, farete qualcosa. Bisogna decidere rapidamente di fare causa una volta stabilita la diagnosi. Per delle ragioni affettive è preferibile prendere una decisione il più presto possibile, dato che è più facile reagire quando si è vissuti poco tempo con il cane. Il futuro di questi animali, se sono stati acquistati per scopi pratici, è incerto dato che conserveranno sempre una vulnerabilità emotiva che costituirà un handicap. Non intendo fornire esempi di deprivazione al terzo stadio perché, purtroppo, si tratta di casi così gravi da rendere inutile ogni sorta di trattamento. Precisiamo semplicemente che tale stato depressivo comporta forti ritardi nello sviluppo sensoriale e motorio. Cuccioli fobici e ansiosi: quando bisogna preoccuparsi? - Per il cane fobico (primo stadio) dovete preoccuparvi quando il cucciolo, appena arrivato a casa vostra, mostra segni di panico in presenza di certi avvenimenti e se, al termine della prima settimana, è ancora incapace di sopportare eventi ricorrenti nella vita dei suoi padroni (telefono, visite eccetera). Bisogna però aspettare un'altra settimana per essere sicuri che si tratti di un vero disturbo fobico e non, invece, dello stato normale del cucciolo che si sente sperduto dopo aver lasciato la madre e l'ambiente che conosce. - Per il secondo stadio, dovete essere messi in allarme da un cucciolo che si nasconde e mangia quando tutti gli abitanti della casa sono andati a dormire. Naturalmente bisogna anche tenere d'occhio comportamenti che possono assomigliare all'esplorazione statica e alla posizione d'aspettativa (vedi pagina 100); l'intolleranza ai cambiamenti, in generale, è un vero segno rivelatore. - Quanto al terzo stadio, caratterizza un cucciolo che ha l'aria malata, vive nascosto, rifiuta di mangiare, geme spesso e le sue fasi di sonno sono molto agitate. Può anche svegliarsi urlando e fare ripetutamente i suoi bisogni nella cuccia, cosa estremamente rara per un cane in buona salute (tale disturbo è di origine organica o legato a gravi problemi psichici). In casi del genere è inutile tentare qualsiasi trattamento. Inoltre, cercando di curarlo non fareste un favore a nessuno, e non certo agli altri cani perché, se tutti i possibili proprietari stanno all'erta per cogliere disturbi simili, gli allevatori saranno obbligati a fare più attenzione. Le conseguenze di metodi di addestramento o educazione inadeguati Attualmente si vedono spesso cani delle razze di utilità -- solitamente impiegati per fare la guardia o da difesa sottoposti a metodi di educazione o addestramento coercitivi, basati su punizioni talvolta molto severe e sistematiche. Si osserva inoltre la tendenza ad adottare questi metodi su animali sempre più giovani: alcuni vengono sottoposti all'addestramento a partire da sei o sette mesi. In questi animali si nota l'insorgenza di due tipi di disturbi. Il primo è definito "enuresi dei cani giovani". IL CANE GIOVANE INCONTINENTE Si assiste quasi sempre alla stessa scena: il cane comincia l'addestramento e, dopo qualche giorno o qualche settimana, a seconda della severità dei metodi usati, durante il sonno urina nel punto dove dorme o lì vicino. Questo provoca purtroppo punizioni da parte dei padroni, che considerano il fenomeno come una prova di cattiva educazione. Rapidamente questi animali possono cominciare a soffrire di problemi ansiosi ben più gravi. Bisogna quindi considerarlo un segnale d'allarme che dovrebbe rimettere in questione il metodo educativo utilizzato e che, in casi rari, potrebbe giustificare il ricorso a trattamenti. Oggi, infatti, è possibile curarlo perfettamente. I MOVIMENTI AUTOMATICI E INCONTROLLATI Un altro disturbo ben più serio e invalidante, che può rapidamente sfociare in problemi gravi, è quello delle stereotipie da costrizione. Si tratta di movimenti automatici incontrollati osservabili nei cani addestrati con metodi coercitivi o obbligati a restare in luoghi angusti, come un cortiletto davanti a casa in cui l'animale è continuamente sottoposto agli stimoli provenienti dalla strada. Colpiti da questo problema sono spesso anche gli animali addetti alla vigilanza, costretti a restare nei passaggi tra due recinti per aggredire ogni intruso che passa. Questi cani presentano talvolta dei comportamenti caratterizzati da stereotipie, tra cui le più diffuse sono le

seguenti:  il cane cammina lungo un percorso fisso e ripetitivo. Il comportamento dell'animale appare anomalo perché compie sempre lo stesso tragitto tanto che, persino nell'ambulatorio, quando ha a disposizione uno spazio più vasto, continua a percorrere lo stesso tratto prima di tornare sui suoi passi, mentre potrebbe proseguire dritto.  il cane gira su se stesso. Oggi si vedono, in particolare nei canili militari o in quelli delle società di sorveglianza, animali che manifestano questo disturbo in modo grave, tanto che i padroni sono costretti a mettere la moquette per terra per evitare che si consumino i cuscinetti plantari. La particolarità di questo movimento in tondo è che, almeno all'inizio, è facile da interrompere: basta distrarre il cane con qualcosa d'altro. Con il passare del tempo, però, tende a estendersi e, appena il soggetto è stressato, si mette a girare su se stesso, si morde la coda e può ferirsi. Purtroppo talvolta si cerca di risolvere il problema tagliando la coda al cane, ma in questo caso non si risolve nulla, perché l'animale continua a girare in tondo, anche per inseguire solo un moncone di coda. COME EVITARE O CURARE QUESTI PROBLEMI Fondamentalmente, la soluzione consiste nel non ricorrere a metodi basati esclusivamente sulla punizione. Quando è necessario punire bisogna farlo nel modo giusto, nel momento stesso in cui si manifesta un comportamento scorretto; e non in seguito. Per gli animali che devono, a causa della funzione che rivestono, restare in luoghi chiusi, provvedete al cosiddetto "arricchimento ambientale", ormai obbligatorio per gli ospiti dei giardini zoologici ma non per i cani. Per esempio, cercate di nascondere il cibo in modo che l'animale debba mettersi a cercarlo, o fornitegli giocattoli perché abbia qualcosa da mordicchiare. Evidentemente l'ideale sarebbe di lasciare al cane uno spazio privato in cui possa, se lo vuole, sottrarsi allo sguardo degli intrusi: per questo è utile il ricorso a una cuccia la cui entrata è nascosta. Questi elementi permettono all'animale di controllare lui stesso la quantità di stimoli che riceve. Se tali precauzioni non vengono prese, si rischiano disturbi cronici che possono richiedere diversi mesi di trattamento. Una buona comunicazione Come comunica il cane Progressivamente, durante la fase di socializzazione, fa la sua comparsa un elemento particolarmente importante in un animale sociale come il cane: un sistema di comunicazione, composto da quattro forme diverse. - Tramite l'olfatto si stabilisce la comunicazione chimica che avviene tramite i feromoni e quelli che vengono chiamati "odori sociali" (la capacità di cogliere i feromoni non è appresa ma innata, al contrario degli odori sociali che sono acquisiti durante le prime esperienze dell'animale). - Il canale visivo è essenziale: è da qui che passeranno tutti i segnali posturali e le mimiche. - Il terzo canale è acustico: si tratta della comunicazione tramite vocalizzi. -- Il quarto è quello della comunicazione tattile, troppo spesso dimenticato. Le conoscenze attuali su questi diversi sistemi sono piuttosto diseguali. Quello meglio conosciuto è il canale visivo; l'organizzazione delle posizioni e della mimica è ormai stata chiarita; la comunicazione chimica comincia a essere meglio compresa, ma restano grandi incognite (per esempio, non si sa perché l'uomo non abbia la capacità naturale di percepire questi segnali); la comunicazione per vocalizzi è poco nota perché, come abbiamo già visto a pagina 51, non sono stati condotti studi scientifici sull'argomento, e gli elementi a nostra disposizione sono quindi solo quelli ottenuti tramite l'osservazione diretta. La comunicazione tattile è stata presa in considerazione solo negli ultimi tempi; viene spesso considerata insieme a quella posturale, dato che rappresenta spesso l'elemento conclusivo di uno scambio di questo tipo. Lo sviluppo di questi sistemi comunicativi è assai diverso. La comunicazione tramite feromoni non viene appresa, la loro apparizione è legata a un periodo ben preciso dello stato fisiologico del cane. Quanto agli odori sociali, la loro origine risulta più oscura; non si sa quando il cane cominci a conoscerli, pur tenendo presente che l'olfatto è funzionale molto presto: c'è sicuramente un'identificazione precoce della madre prima dell'apertura degli occhi grazie a elementi olfattivi. COMUNICAZIONE ATTRAVERSO LA VISTA Si parla di comunicazione visiva nella misura in cui un certo numero di segnali emessi dal cane, le posizioni, le mimiche, vengono recepiti tramite gli occhi. Si potrebbero paragonare questi segnali a un codice con cui

l'animale, compiendo un gesto, variandolo grazie alla velocità di esecuzione e alla sua ripetizione, può modificare il valore del messaggio. Si tratta di un codice di grande precisione e di una complessità stupefacente. Come nascono questi elementi gestuali, e come fanno i cuccioli a imparare ad associarli? Come si crea tale codice? È uno dei fenomeni più affascinanti del periodo di socializzazione. Che origine, hanno le diverse posizioni e mimiche del cane? Tutti gli elementi dei segnali di comunicazione visiva sono presenti già alla fine del periodo di transizione. Si dividono in tre categorie.  La comunicazione posturale si fonda su una serie di elementi motori, all'inizio estremamente primitivi ma necessari per la vita stessa del cucciolo. Per esempio la richiesta di cibo mordicchiando il muso dell'adulto: al momento dello svezzamento, il cucciolo può chiedere all'adulto di rigurgitare del cibo predigerito semplicemente mordicchiandogli le labbra. È un gesto molto semplice che all'inizio ha una funzione precisa. In altri casi, invece, i movimenti possono essere estremamente sofisticati e complicati. Per esempio, la madre fa voltare il piccolo per favorirne l'evacuazione degli escrementi; abbiamo già detto che, durante il periodo neonatale (vedi pagina 28), la cagna fa girare i cuccioli, dà loro un colpetto con il naso e lecca la regione perineale per provocare l'eliminazione di urina e feci. Questo gesto e la produzione di rifiuti organici sono i punti di partenza su cui si basa la posizione di sottomissione nell'animale adulto. I diversi elementi legati alla vita vegetativa del cucciolo sono i moduli fondamentali dei segnali di comunicazione del cane.  Nei segnali comunicativi, in particolare nei settori della sottomissione e della rassicurazione, si ritrovano

ugualmente gli elementi quali l'invito al gioco, caratterizzati soprattutto dal movimento delle zampe. In effetti, all'inizio del periodo di socializzazione, uno dei modi per incitare al gioco un altro cucciolo consiste nel sollevare una zampa anteriore e nell'agitarla in direzione del proprio muso. L'INVITO AL GIOCO NEL CUCCIOLO II cucciolo solleva una delle zampe anteriori in direzione del muso. Questo movimento servirà di base per trasmettere segnali rassicuranti destinati a un cane dominante e a evitare così un'aggressione.  I segnali sessuali intervengono anch'essi nella comunicazione sociale per esprimere la sottomissione e la rassicurazione: quando un cane lascia che un suo simile gli salga sulla schiena, gesto che riproduce la reazione tipica della cagna al momento dell'ovulazione, intende rassicurare un dominante ed evitare quindi le aggressioni. In che modo i diversi elementi riescono a produrre un sistema di comunicazione. Nel mondo animale si assiste a un meccanismo descritto da Huxley e Lorenz, che si chiama "ritualizzazione". È un fenomeno che si sviluppa nell'arco di tutta l'evoluzione, su periodi estremamente lunghi, per cui in certe specie un comportamento primitivo legato alla sopravvivenza, un modo di richiedere cibo o un certo comportamento sessuale, possono perdere poco a poco la loro funzione iniziale per acquisire una funzione comunicativa perché sono associati ad altri elementi gestuali e, soprattutto, perché vengono intensificati dalla ripetizione ritmica del gesto in situazioni ben precise. È questa ripetizione che produce un rituale: negli uccelli se ne conoscono diversi, che fanno parte delle esibizioni precedenti l'accoppiamento. Il termine di ritualizzazione designa fenomeni rafforzati dall'evoluzione e che si producono su lunghi periodi. Un numero sempre maggiore di specialisti ritiene che, nei mammiferi superiori, esistano fenomeni di ritualizzazione che si instaurano in modo molto più rapido, cioè nel corso della vita dell'animale. Il fenomeno di ritualizzazione ha un grande impatto sulla maturazione della comunicazione nel cucciolo. L'attività fondamentale per favorire lo sviluppo rapido di questi rituali è il gioco. Come abbiamo già visto, i cuccioli si mettono a giocare alla fine del periodo di transizione. Nell'uomo, la specie che ha maggiormente sviluppato l'aspetto ludico, la nozione di gioco è piuttosto scontata. Nel cane, invece, la definizione è più complessa. In effetti, nel mondo canino si definiscono giocose tutte le attività che non hanno uno scopo preciso per il cane e con cui non si ottiene un particolare risultato (procurarsi il cibo, trasmettere un messaggio eccetera). Poco a poco le attività motorie del cucciolo si strutturano, dopo un primo periodo caratterizzato da grande disordine, e il piccolo si dedica ai cosiddetti "giochi di lotta". In realtà la definizione è dubbia perché niente sta a indicare che si tratti di una forma di lotta: il cane si limita ad afferrare le membra di fratelli e sorelle. Quando cominciano a crescergli i denti, provoca reazioni di dolore che si riveleranno di importanza fondamentale per l'acquisizione delle diverse forme di autocontrollo (vedi pagina 74), e che imporranno di organizzare il gioco con sistemi per interrompere lo scambio. Poco a poco, nel corso delle interazioni ludiche, il cucciolo si accorge che le sue reazioni, inizialmente casuali, hanno un certo effetto.

Per esempio, l'animale che è stato rovesciato da un altro piccolo o da un adulto presenta spesso le stesse reazioni di quando la madre lo induce a girarsi per fare i suoi bisogni; del resto quando, nel corso dei giochi, un altro cane avvicina il muso alla regione degli organi sessuali, ne fuoriesce qualche goccia d'urina. Perché il cucciolo impari la posizione di sottomissione è necessario che sia vissuto a contatto con la madre e sia stato leccato da lei, e che in seguito l'adozione di questo comportamento nei confronti di un adulto si sia rivelato capace di scongiurarne l'aggressione. Forse è perché la reazione del piccolo, in questo contesto, produce un comportamento diverso dalla minaccia? O invece la ragione è che ci si trova di fronte alla cosiddetta "memoria della specie" per cui, con il succedersi delle generazioni, questo atteggiamento canino inibisce sistematicamente l'aggressione? Comunque sia, in poco tempo il cucciolo si accorge che, mettendosi sulla schiena e lasciando uscire qualche goccia di urina, riesce a calmare i potenziali aggressori. Quando un cane giovane è minacciato da un adulto, ha spesso la tendenza ad appoggiare il fianco contro il fianco dell'altro, a tendere la testa verso il muso dell'adulto e a mordicchiargli le labbra come per domandare cibo rigurgitato. Spesso piega le orecchie all'indietro, emette gemiti e affonda i denti sempre più forte, mentre l'adulto dominante ringhia. Appena questi si calma, il cucciolo si acquatta a terra. Così si mette in atto il rituale di rassicurazione: l'atto motorio che consiste nel mordicchiare il muso e che serve a domandare del cibo cambia di funzione per diventare un segnale rassicurante, atto a evitare le aggressioni. È quindi a partire da elementi motori conosciuti e semplici, che gli consentivano la sopravvivenza, che l'animale costruirà progressivamente altri segnali con una funzione sociale diversa. I giochi sono fondamentali perché nel corso del loro svolgimento il cucciolo sarà maltrattato e persino aggredito: imparerà così a strutturare tutta una serie di scambi e capirà meglio quello che succede nel gruppo. Ecco perché questi comportamenti, oltre alla funzione comunicativa, hanno anche quella di favorire la coesione sociale. La comunicazione possiede una funzione ansiolitica, ovvero fa sparire ogni fonte d'angoscia nel senso che chiarisce il contesto nelle situazioni critiche. È indispensabile alla sopravvivenza del gruppo e limita l'insorgere dei conflitti destabilizzatori, riducendo quindi al minimo il rischio biologico rappresentato dalle situazioni estreme. Quando il cane imita l'uomo e l'uomo imita il cane. Il cucciolo impara molto per imitazione: che si tratti di cani o uomini adulti, è grazie al contatto con loro che apprende progressivamente una serie di atti elementari. Esistono numerose analogie tra le specie sociali particolarmente sviluppate, come l'uomo e il cane: si osservano similitudini nel modo di usare il corpo come mezzo di comunicazione. Anche se apparentemente questo può sembrare difficile, dal momento che uno è bipede e l'altro quadrupede, vi sono analogie importanti nel modo di utilizzare le diverse parti del corpo che renderanno possibili le interazioni tra uomo e cane. L'uomo, in altre parole, è capace di adattare i suoi messaggi per essere compreso dal cane e viceversa. Si tratta di un adattamento spontaneo, non di un'azione compiuta in ambito terapeutico; è uno scambio che esiste da secoli. Hediger, autore importante e spesso considerato atipico perché ha studiato gli animali da circo o dello zoo, si è interessato spesso ai rapporti fra l'uomo e l'animale e al loro funzionamento. A questo proposito ha sviluppato il concetto di "tendenza all'assimilazione". Si è accorto che alcune specie, in particolare quelle appartenenti ai mammiferi superiori, hanno la capacità di assimilare certi elementi di comunicazione di altre specie e quindi di modificare i propri rituali per renderli poco a poco comprensibili all'altro, anche se questo significa mutarne completamente la funzione. Quando è l'animale a modificare il suo rituale per renderlo più simile ai segnali di comunicazione umani, Hediger parla di antropomorfismo, e quando è l'uomo a incorporare elementi comunicativi tipici degli animali per capirli meglio parla di zoomorfismo: i termini impiegati dallo studioso possono dare adito a confusione perché vengono spesso impiegati in senso contrario nella lingua corrente. Ecco due esempi curiosi, il primo di antropomorfismo e il secondo di zoomorfismo. Nel cane si è già parlato della risposta posturale che consiste nel sollevare la zampa anteriore verso il naso, o per invitare al gioco, o per tranquillizzare un dominante (vedi pagina 110); nei bambini e nei grandi primati superiori esiste un comportamento non verbale che permette di scambiare degli oggetti. I bambini piccoli - lo si osserva facilmente negli asili nido -, per passarsi dei giocattoli, per esempio, inclinano la testa di lato e tendono la mano con il palmo rivolto verso l'alto. Le scimmie, gli scimpanzè, gli oranghi e i gorilla ricorrono anch'essi a questo sistema per scambiare tra loro gli oggetti più diversi. Nel cane che vive con una famiglia umana in cui si è perfettamente integrato - come avviene facilmente quando ci sono dei bambini piccoli -, il sollevamento della zampa si modifica, con un'inclinazione della testa e

un tentativo di supinazione, ovvero di rotazione verso l'alto, sebbene la forma anatomica del gomito non gli consenta di effettuarne la rotazione completa, e tende l'arto anteriore verso l'alto e in avanti per ottenere qualcosa. Facciamo un esempio: se prendete l'aperitivo intorno a un tavolino carico di stuzzichini, quasi invariabilmente il cane si avvicina, inclina la testa, tende la zampa e tutti i presenti reagiscono nello stesso modo, dicendosi che l'animale chiede da mangiare e, inevitabilmente, gliene danno. Questo sistema di comunicazione funziona molto bene, soprattutto tra cani e bambini, tanto che si può assistere a scambi parecchio divertenti, per esempio, al momento della merenda. Nell'uomo abbiamo già descritto un esempio di zoomorfismo nell'invito al gioco: proprio come, spontaneamente, per chiamare un bambino e stabilire un contatto con lui ci si accovaccia e si aprono le braccia, i proprietari di un cane imparano ad accoccolarsi facendo dei movimenti ritmici dall'alto verso il basso, si danno dei colpetti sulle gambe o sul collo del piede. L'uomo insomma riproduce, adattandola al suo corpo, la posizione di invito al gioco tipica del cane, accompagnandola con vocalizzi, brevi richiami, un'intonazione allegra e degli schiocchi di lingua (vedi illustrazione a pagina 80). È un buon esempio di zoomorfismo in cui l'uomo si rivolge al cane modificando un elemento posturale tipicamente umano per mescolarlo a elementi canini e creare così la propria posizione di invito al gioco, perfettamente comprensibile per l'animale. Ciò che l'uomo "dice" al cane con il corpo L'uomo comunica con il cane con le parole, l'intonazione, la prosodia ma anche con elementi corporali che l'animale decodifica perfettamente. • La posizione del torso - L'uomo tiene il torso: - inclinato in avanti: l'animale interpreta questo approccio come una posizione dominante; -- verticale: sinonimo per il cane di neutralità; - inclinato all'indietro: il cane l'associa a una posizione da sottomesso. * La velocità degli spostamenti - Uno spostamento rapido costituisce per il cane un segnale d'aggressione. - Una velocità media costante è interpretata come un approccio neutro o dominante. -- Un movimento incostante, inframmezzato da soste è associato a un atteggiamento da dominato. * La traiettoria Può essere diretta o indiretta a seconda del sentimento che l'uomo nutre nei confronti dell'animale (inquietudine o sicurezza). - Se l'uomo si dirige verso la testa o il fianco del cane, questo lo considera un approccio da dominante. - Se aggira l'animale e cerca di avvicinarlo da dietro, il cane lo giudica un approccio da sottomesso. * Lo sguardo Entrano in gioco due parametri: la direzione e la persistenza. La direzione - Sguardo negli occhi: provocazione al combattimento. - Sguardo sulla schiena: atteggiamento da dominante. -- Sguardo di lato: neutro o dominato. -- La persistenza - Sguardo continuo: approccio dominante o ricerca del combattimento. - Sguardo interrotto: rassicurazione o sottomissione. Un dialetto tipico di ogni gruppo I rituali qui sopra elencati sono comuni a tutti i cani che vivono con l'uomo. E interessante però osservare che, all'interno di ogni branco e, in particolare, del "branco famiglia" che accoglie il cucciolo - nel cane le regole di funzionamento sono quelle del branco e nell'uomo quelle del nucleo familiare: da qui il nome -, esistono rituali specifici. È come se ci fosse una lingua canina che si differenzia in un'infinità di dialetti. La presenza di rituali propri a un gruppo specifico è un concetto importantissimo. Lorenz ritiene che essi costituiscano il "cemento affettivo" con cui l'individuo si attacca al gruppo; in altre parole, una volta raggiunta l'età adulta il cane avrà stabilito un legame molto forte con il suo branco, canino o umano, semplicemente perché questi piccoli rituali contribuiscono a migliorare considerevolmente il grado di comunicazione e quindi a creare un nucleo rassicurante. Ancora più notevole è il fatto che, quando il cane adulto viene escluso da tali rituali, può soffrire di disturbi

comportamentali, come vedremo più avanti. Descriveremo le "ansie da deritualizzazione" (vedi pagina 152) nell'animale adulto, che possono raggiungere dimensioni drammatiche. Ogni volta che un cane cambia gruppo, per esempio quando viene abbandonato da una famiglia e adottato da un'altra, una parte dei segnali che condivideva con la prima non funzionano più in quella nuova, il che contribuisce a creare uno stato di grande stress, almeno nei primi tempi. Nel migliore dei casi si instaurano progressivamente nuovi rituali, ma se il cane non riesce a integrarsi il disagio può crescere fino a portare a un quadro clinico di ansia profonda. COMUNICAZIONE ATTRAVERSO L'UDITO La gamma dei suoni e delle vibrazioni emessi dal cane è estremamente varia e il suo studio approfondito richiederebbe mezzi che, finora, sono stati impiegati solo di rado. A mano a mano che la socializzazione procede e che l'animale impara ad assumere le posizioni già descritte, la frequenza e varietà delle emissioni sonore diminuisce. Tutto sta a indicare che, nell'adulto, i vocalizzi hanno la funzione di completare e sottolineare le posture. I suoni emessi dal cane I suoni che il cane emette grazie alla voce (i cosiddetti vocalizzi, per cui rimando anche alla pagina 50) sono il latrato, il ringhio, l'ululato, il grido acuto, il guaito, il miagolio, l'uggiolio e il tossicchiare. Lo schiocco dei denti e l'ansimare sono invece segnali non vocali. I vocalizzi sono legati a stati emotivi diversi. • Si pensa spesso che il cane abbai per esprimere la sua aggressività. In realtà, il latrato accompagna gli stati di allarme ed è associato a emozioni ambivalenti. • II ringhio a denti scoperti fa parte della fase intimidatoria che annuncia un'aggressione.  II ringhio, simile a un brontolio, a bocca chiusa, è spesso associato a uno stato di piacere.  I guaiti vengono emessi nelle situazioni sgradevoli (paura, dolore), o quando un cane si sta sottomettendo e sta accettando il dominante (in generale si assiste alla sequenza che comincia con l'emissione di un grido e prosegue con una serie di guaiti).  L'ululato è più complesso. Non tutte le razze di cani emettono questo suono, che si manifesta nelle situazioni più difficili come nel caso delle ansie da separazione. L'ululato dei cani da slitta rappresenta invece un fenomeno particolare, perché interviene nella comunicazione a grande distanza. Si osserva anche che, quando i padroni (parlano loro, spesso i cani emettono numerosi vocalizzi. "Si può impedire a un cane di abbaiare?" Diversi inventori si sono sbizzarriti con i metodi più originali: un collare elettrico che manda una scarica quando il cane abbaia, la voce del proprietario preregistrata, un collare che emette profumo di limoncina. La soluzione estrema è rappresentata da un'operazione chirurgica con ablazione delle corde vocali. Evidentemente non solo questi metodi sono inefficaci perché non intervengono sulla causa dei latrati, ma aggravano anche il problema dell'ansia. "Il cane capisce il linguaggio umano?" Il cane che vive tra gli esseri umani è immerso in un mondo che comunica prevalentemente attraverso il linguaggio. La domanda che tutti si fanno regolarmente da secoli è la seguente: il cane è in grado di decifrare il linguaggio degli uomini? In che misura? Si tratta di una questione di estrema importanza perché, quando si vive con un animale, sarebbe bene sapere quello che può capire. In effetti, un uomo persuaso che l'animale capisca perfettamente il suo linguaggio si sente autorizzato a punirlo severamente se non fa quanto gli viene chiesto; in realtà, se il cane non obbedisce è semplicemente perché non capisce cosa vuole da lui il padrone, e la punizione gli risulta quindi incomprensibile. Secondo un approccio etologico, il linguaggio è costituito: - dal suono emesso che è articolato e ha una struttura sonora ben definita; si tratta, in un certo senso, di una sorta di immagine acustica. -- dal significato associato a quest'unità sonora. La stessa parola può avere diversi significati, che ne costituiscono il cosiddetto "campo semantico": il termine "uomo" comprende nel suo campo semantico il concetto di specie umana ma anche quella di essere umano di sesso maschile. Al contrario, due parole o due gruppi di parole diversi possono avere un senso identico o analogo: se dite a un amico "siediti", "accomodati" o "puoi sederti", in ogni caso capirà che lo invitate a prendere posto su una sedia. Cosa succede con il cane? È in grado di sentire, quindi di scomporre le caratteristiche sonore della parola, ma tutti gli studi condotti finora confermano che, perché il vocabolo impiegato assuma un significato, bisogna che sia associato a un oggetto o a un gesto ben preciso. Per esempio, se voglio insegnare al mio cane a sedersi, devo spingere con la mano sulla sua grassella, che corrisponde al ginocchio, per fargli piegare gli arti, il che lo porterà ad avvicinare il posteriore a terra, e gli dirò articolando bene "seduto", insistendo diverse volte e accarezzandolo quando avrà assunto la posizione voluta. Se ho svolto bene il mio lavoro di

addestratore, se un attimo dopo ripeto "seduto", il cane si siederà. Se la volta dopo gli dico "ti vuoi sedere?", l'animale non prenderà la posizione desiderata perché per lui quella corrisponde solo alla parola "seduto": il resto non ha senso. In altri termini, il cane è prigioniero del suono inizialmente associato al gesto. In alcuni tipi di addestramento, dopo avergli insegnato "seduto" e "a terra" si chiede al cane di alzarsi dicendogli "alzati". Quando ha associato l'espressione "alzati" al fatto di alzarsi, se gli si ordina "in piedi" non capirà. Questo significa che, per il cane, è la sonorità a essere associata a un atto o un oggetto. La palla è la parola "palla", non il termine "gioco" né qualunque altro. Ricordiamolo ancora, è estremamente importante sapere in che modo il linguaggio umano è compreso dal cane perché altrimenti, ogni volta che si presenta una situazione difficile, l'uomo ha la tendenza a ripetere lo stesso concetto con altri termini: a lui sembra normale, se qualcuno non lo capisce, cercare di dirgli la stessa cosa con altre parole. Per tornare all'esempio del "seduto", spesso i padroni commettono un errore comune, che consiste nell'associare la parola "seduto" al gesto di premere sul posteriore del cane. - Per prima cosa, sappiate che in campo neurologico questo gesto provoca un riflesso di stimolo dei muscoli estensori; in altre parole, più premete, più il cane contrae gli estensori e cerca di raddrizzarsi (vedi anche a pagina 140 per l'insegnamento del comando "seduto"). - Secondo, dal momento che il proprietario dice "seduto" premendo sul posteriore del cane e non ottiene il risultato sperato, comincia a variare il comando: "ti vuoi sedere?", "siediti", "ti ho detto di sederti", e così via. Evidentemente, più continua, meno riesce nel suo intento, e più si innervosisce perché è convinto di avere fatto tutto il possibile per essere esplicito nei confronti del cane. Ho sentito io stesso frasi come: "Devi posare le natiche per terra...". Ovviamente, il cane non si è mosso. Come parlare a un cane - Utilizzate parole semplici, come avete fatto al momento della scelta del nome (vedi pagina 80), ovvero scegliete preferibilmente parole bisillabiche 0 monosillabiche: è meglio dire "al piede" o "piede", anche se ci può sembrare restrittivo, piuttosto che "vieni al piede". - Non dimenticatevi di associare il linguaggio alla gestualità, che risulta sempre più chiara al cane. -- Poiché il segnale sonoro che rappresenta la parola è completamente arbitrario - essendo di per sé privo di significato - l'apprendimento deve per forza basarsi su metodi di condizionamento, e in particolare sul "condizionamento positivo", che comporta l'elargizione di ricompense quando il cane esegue in modo più o meno corretto quello che gli è stato chiesto di fare. - Anche se vi spazientite, evitate a ogni costo di impartire l'ordine con parole diverse, perché creereste una situazione in cui non è più un unico segnale a provocare l'azione e compromettereste l'apprendimento. Alcuni vedono nel linguaggio puramente gestuale con il cane uno scambio troppo primitivo, e preferiscono servirsi delle parole. Si può allora arrivare a situazioni surrealiste con un padrone che spiega pacatamente all'animale, spesso con il minor numero possibile di gesti (nella nostra società, più si è civili, meno si emettono segnali esteriori, in particolare gesti atti a sottolineare una frase), come se il cane avesse una laurea in lettere e potesse capire, che "è una brutta cosa mordere, fare la pipì sul tappeto ... ". Nella maggior parte dei casi questo genera una situazione angosciante per il padrone, che ha l'impressione di essere stato estremamente chiaro e di avere scongiurato, con il suo comportamento, qualunque atteggiamento violento da parte del cane, mentre in realtà cane e proprietario si trovano davanti a un muro: quello che per l'uomo costituisce un messaggio non può essere ricevuto dal cane come tale. E ovviamente molto difficile sapere ciò che il quadrupede trae da quel messaggio, ma possiamo affermare che, nel migliore dei casi, reagisce con un'indifferenza totale, e nei peggiori il messaggio incompreso provoca in lui un'amplificazione dei comportamenti di minaccia. Tanto per peggiorare la situazione, la letteratura sui cani abbonda di descrizioni di animali che riescono ad "acquisire e memorizzare da duecento a trecento parole". Mi è capitato di leggere le dichiarazioni di certi scrittori secondo i quali un cane potrebbe avere un vocabolario più ricco di quello di un francese medio: è assolutamente falso. Un essere umano che usa duecento parole è padrone del suo campo semantico (forse non del tutto; dipende dal suo bagaglio culturale e dalla sua educazione); quando gli si chiede di sedersi, capisce che questo significa "posare il didietro su una superficie", mentre il cane non lo comprende. L'animale è capace di associare il suono "seduto" con l'atto di piegarsi e posare il posteriore per terra, ma non di capire che lo stesso comando è sinonimo di "posa il posteriore per terra". È fondamentale insistere su questo punto, perché è all'origine di malintesi che provocano situazioni difficili nella relazione tra il padrone e l'animale. Si può effettivamente essere portati a credere che il cane capisca il linguaggio umano perché, quando si

comunica con lui, manifesta una serie di reazioni emotive: si dimostra interessato, ascolta, gira la testa eccetera. In realtà, osservando le persone che sanno comunicare bene con i cani si è capito che il linguaggio ha un ruolo estremamente ridotto nei messaggi che l'animale riesce a decifrare. Perché il linguaggio umano ha un ruolo poco rilevante nella comunicazione uomo/cane II caso dei padroni di pastori tedeschi illustra in modo significativo il ruolo secondario del linguaggio umano nella comunicazione tra un uomo e il suo cane. Un tempo gli appassionati andavano a comprare il cane in Germania: volevano giovani adulti che fossero già stati sottoposti a un primo addestramento. Certi, preoccupati, venivano poi a consultarmi per chiedermi: "Questo cane è stato addestrato in tedesco: riusciremo a comunicare con lui?" Lo scambio tra uomo e cane, in realtà, si stabiliva senza alcun problema. Nonostante questo, c'era sempre qualcuno che si sforzava di impartire all'animale degli ordini in tedesco. In generale, tenendo conto della scarsa conoscenza della lingua, i suoni venivano comunque deformati. Però, le altre componenti della comunicazione bastavano perché il cane capisse quanto gli veniva chiesto, grazie al fatto che quelle persone avevano in compenso una buona gestualità. Se il cane non capisce il linguaggio umano ci sono invece altri animali che si pensa possano decodificarlo almeno in parte. Sembra effettivamente che il sistema particolare di simbolizzazione del linguaggio e la nozione di campo semantico siano compresi dagli scimpanzè. Quelli a cui è stato insegnato il linguaggio dei sordomuti sono in grado di effettuare ampliamenti di contesto; per esempio una delle femmine osservate, che conosceva la parola "uccello" e la parola "acqua", è riuscita a descrivere l '"anatra" come "un uccello che va sull'acqua". Lo stesso animale, reintrodotto in un gruppo di scimmie che non conosceva tale linguaggio, ha cominciato con il dire "buongiorno", il che le è valso una spacconata da parte di un dominante che non aveva capito il suo messaggio; lei gli ha dato allora della "sporca scimmia". Conosceva il termine "sporco" come contrario di "pulito", riferito a quando spargeva cibo dappertutto durante i pasti. Si tratta di prove aneddotiche che confermano l'ipotesi secondo cui lo scimpanzè riesce ad afferrare alcuni aspetti del linguaggio umano. A quanto pare il pappagallo, contrariamente alla gracola che è in grado solo di ripetere, nell'individuazione del contesto è di una precisione che supera di molto i risultati ottenuti in base alle probabilità. COMUNICAZIONE ATTRAVERSO L'ODORATO La comunicazione tramite gli odori fa parte di quella che viene definita "comunicazione chimica". Si basa sulla presenza di sostanze chimiche volatili, che si spostano quindi per via aerea, partendo dall'individuo che trasmette il messaggio e giungendo al destinatario. Inizialmente questa comunicazione comprende due grandi categorie di messaggi:  i feromoni, sostanze che agiscono un po' come gli ormoni o come i mediatori del sistema nervoso, con ricettori specifici. I feromoni funzionano comunque, indipendentemente dall'educazione ricevuta dall'animale; non richiedono alcun apprendimento, costituiscono un sistema biologico di una certa rigidità, perché in funzione del suo stato fisico ed emotivo l'individuo emette feromoni che vengono automaticamente ricevuti e decodificati da tutti gli animali della sua stessa specie. È una comunicazione quasi esclusivamente intraspecifica;  esiste poi un altro gruppo di mediatori chimici chiamati "odori sociali": sono le sostanze che acquistano un significato grazie all'apprendimento. Esse contribuiscono a creare l'odore di un gruppo: in altri termini, gli appartenenti a uno stesso branco hanno componenti odorose in comune, che consentono di riconoscere un altro cane che fa parte del gruppo. Questi odori, però, hanno senso solo in funzione di quello che l'animale ha appreso. È un po' come per gli esseri umani l'odore caratteristico di una famiglia, per esempio: quando ci si reca da qualcun altro avvertiamo odori che ci sorprendono o ci infastidiscono mentre siamo a nostro agio con quelli tipici del nostro nucleo familiare. I feromoni I feromoni intervengono assai presto nella vita di un cane, durante il periodo dell'attaccamento. Ne esistono altri la cui secrezione si sviluppa, molto tardivamente in alcuni, durante il periodo di socializzazione; è il caso, per esempio, dei feromoni sessuali che sono emessi contemporaneamente agli ormoni sessuali, durante la pubertà. Da un punto di vista funzionale, si distinguono due grandi tipi di feromoni: quelli incitatori, che facilitano l'apparizione di certi comportamenti (agiscono quasi solo sullo stato emotivo) e quelli definiti modificatori che intervengono sulla fisiologia e in particolare sulle secrezioni ormonali. Da dove vengono i feromoni e a cosa servono

I feromoni sono secreti da diversi tipi di ghiandole del corpo. Molti sono prodotti dell'epidermide attraverso le ghiandole sebacee (quelle che secernono la pellicola grassa che ricopre la pelle). Lo stesso fanno le ghiandole sebacee che fabbricano feromoni a livello delle orecchie. Si trovano anche alla base della coda o, nel maschio, vicino ai genitali, nella regione perineale (tra l'ano e l'apparato genitale) e a livello dei cuscinetti plantari. Per avere un esempio del modo in cui vengono utilizzati i feromoni, si può osservare l'aggressione territoriale: quando un cane vuole avvisare un intruso del fatto che non è disposto a tollerarne la presenza, emette innanzitutto una serie di segnali di minaccia (esibizione dei denti, pelo ritto nella regione dorsale eccetera), poi si mette a grattare il terreno con le zampe posteriori. Questo movimento gli consente di depositare i suoi feromoni. Se l'intruso continua a manifestare la volontà di avvicinarsi, l'altro solleva la zampa e, nello stesso punto in cui ha raspato il terreno, urina, depositando un altro tipo di feromoni. Il che ci porta alla seconda origine di queste sostanze: le secrezioni di origine mucosa. Quando si parla di secrezioni si pensa subito alla mucosa genitale, e in particolare al momento in cui la femmina va in calore. Vedremo però che non sono solo le secrezioni di origine vaginale a intervenire nella femmina. È possibile, anche se non è stato dimostrato, che la mucosa boccale sia in grado di intervenire nella fabbricazione dei feromoni che intervengono nella comunicazione gerarchica, ma la questione è ancora controversa. La mucosa dell'apparato urinario secerne anch'essa feromoni: evidentemente tutti conoscono il comportamento del cane che solleva la zampa per urinare, ma non bisogna dimenticare che questa tecnica non è appannaggio del solo maschio: anche le femmine possono adottare la stessa posizione. Lo fanno in momenti ben particolari, soprattutto nel periodo che precede e in quello che segue l'ovulazione; questa "marcatura" urinaria permette di deporre i feromoni che intervengono nella comunicazione sessuale e gerarchica. Precisiamo che la marcatura si effettua su un supporto verticale, quindi nel senso dell'altezza. C'è una grande differenza tra eliminare e marcare: nella marcatura, l'urina rappresenta il vettore del feromone liberato in quella circostanza. Esiste una terza fonte di feromoni particolarmente importante nei carnivori: è quella che viene chiamata genericamente (anche se il termine non è del tutto corretto da un punto di vista anatomico) l'insieme delle ghiandole anali. Queste esistono solo nei carnivori e permettono una comunicazione estremamente sofisticata. L'intera struttura periferica dell'ano, in particolare nel cane, è composta da una grande quantità di ghiandole. Si tratta di piccole strutture che si presentano come minuscole rientranze da entrambe le parti dell'ano: vengono chiamate "ghiandole perianali". Sono distribuite tutt'intorno all'ano e assomigliano molto alle ghiandole sudoripare, cioè a quelle che secernono il sudore in altre specie. Qui, invece, hanno l'unica funzione di intervenire nella comunicazione chimica. Tutto questo meccanismo è talmente complesso che non si è neppure riusciti, per il momento, a compiere l'inventario di tutte le ghiandole e delle loro secrezioni. Si sa che hanno un ruolo nella comunicazione sessuale, in quella gerarchica e anche nella fabbricazione dei feromoni d'allarme, che segnalano i luoghi dove c'è qualcosa di pericoloso. La marcatura gerarchica La marcatura urinaria si pratica su un supporto verticale, quindi in altezza. Il cane (ma anche la cagna) non si pongono l'obiettivo di urinare ma di "marcare": l' urina rappresenta solamente il vettore del feromone che viene liberato in quella circostanza. Allo stesso modo, ogni volta che il cane defeca e cerca di depositare gli escrementi in alto (su un paracarro o schiacciati contro un muro), intende partecipare alla comunicazione sociale e territoriale; non sono le feci in sé a intervenire, ma quello che vi viene deposto sopra, il contenuto dei sacchi anali. È per questo che, quando c'è un conflitto gerarchico tra il padrone e il cane, appena il proprietario si assenta l'animale ne approfitta per depositare le feci in un punto sopraelevato, per esempio su un mobile. Si tratta di una marcatura gerarchica evidente. Nel gruppo di ghiandole anali bisogna segnalare un apparato secretorio costituito da due sacchi che terminano in una coppia di orifizi ai due lati dell'ano (corrispondenti alle ore quattro e otto del quadrante di un orologio). Questi canali sono noti ai proprietari di cani perché possono subire infiammazioni od ostruzioni. Le ghiandole anali hanno un ruolo importante e ben riconoscibile nella comunicazione sessuale, territoriale ed emotiva, in particolare nelle reazioni di grande paura. La parete di questi sacchi comprende una serie di fibre muscolari che possono contrarsi violentemente in certe circostanze, facendo svuotare le ghiandole che liberano un contenuto estremamente maleodorante, composto da sostanze dai nomi di putrescina, cadaverina o indolo, insopportabili per il naso umano. Queste stesse sostanze, ancora più concentrate, si trovano anche in altre specie carnivore. Tutti conoscono, grazie a Walt Disney, la moffetta Flower: si tratta dell'animaletto bianco e nero amico di Bambi. In realtà, del fiore ha

solo il nome, perché questo animale possiede sacchi anali estremamente grossi delle dimensioni di un pugno umano ed è capace di proiettare le secrezioni molto lontano e in alto: è facile per una moffetta di cinque o sei chili schizzare le secrezioni in viso a un uomo in piedi. Tali sostanze sono talmente concentrate da poter provocare una serie di spasmi gastrointestinali nell'uomo che ne è vittima; nella moffetta sono dieci volte più potenti di quelle del cane, pure temibili. All'inizio, questi sacchi anali producono sostanze prive di odore, come le proteine o gli aminoacidi; sono i batteri che vivono in simbiosi con l'animale che ne degradano la struttura per produrre una materia destinata ad avere un ruolo nella comunicazione chimica. Questo significa che è necessaria l'associazione tra l'animale e i batteri perché il messaggio venga trasmesso. Di tanto in tanto, i sacchi anali possono infiammarsi, e di conseguenza la flora batterica si modifica. Il veterinario svuota allora le ghiandole che si sono ostruite, alleviando così le sofferenze del cane: si può persino giungere all'operazione chirurgica. Quando i cani vivono in branco, e uno di loro soffre di un'infiammazione dei sacchi anali, è vittima di aggressioni estremamente violente da parte degli altri animali, secondo modalità che vengono descritte in modo identico dai diversi proprietari: l'animale si siede e, appena si alza, gli altri cani vanno a fiutare l'odore che ha lasciato e gli si gettano sopra per attaccarlo. Oggi non siamo in grado di capire a fondo questo fenomeno, ma sappiamo che è la secrezione deposta ad alterare il comportamento. Appena si cura l'infezione le aggressioni cessano; se viene trattata troppo tardi si rende necessaria anche una terapia comportamentale per ripristinare la coesione del gruppo. In ogni caso, una semplice infiammazione dei sacchi anali può rendere insopportabile un cane che fino a quel momento era stato perfettamente accettato dal resto del gruppo. Un sistema di comunicazione molto complesso Ci è voluto parecchio tempo per capire questo aspetto della comunicazione nei mammiferi: in effetti si tratta di un fenomeno molto complesso, dato che le ghiandole produttrici di feromoni producono anche altre sostanze. Dal punto di vista funzionale, il cane arriva in un luogo e depone alcune gocce d'urina che contengono feromoni; le probabilità che un altro cane individui queste sostanze spontaneamente sono molto ridotte, a meno che non si accompagnino i segnali dei feromoni con altri (che vedremo tra poco), capaci di indurre il cane di passaggio a curiosare proprio da quelle parti. A quel punto, interessato da ciò che succede, l'animale adotta un comportamento caratteristico, il flehmen: spinge indietro le labbra e aspira l'aria con la bocca semiaperta, come se ansimasse. Se si comporta così, è perché i feromoni non sono individuabili grazie all'olfatto. Per percepirli il cane deve ricorrere a un piccolo organo che si chiama "organo vomeronasale", precedentemente chiamato "organo di Jacobson" dal nome del suo scopritore. L'ORGANO VOMERONASALE Quest'organo si trova al di sopra del palato, è formato da due canali all'interno delle cavità dei seni nasali e contiene i recettori specifici dei feromoni. Il messaggio risale allora al cervello grazie a un nervo specialmente destinato a questo compito: il nervo vomeronasale. L'animale che depone i feromoni produce diversi tipi di segnali per favorirne l'individuazione: - segnali olfattivi, che sono colti continuamente dal sistema olfattivo; - segnali visivi con cui avvisa che sta marcando proprio in quel momento: la posizione più evidente è quella del cane che solleva la zampa. A questo proposito è interessante osservare che un cane che si considera dominante solleva la zampa molto in alto. Ma di notte, quando gli altri dormono, urina praticamente accovacciato perché nessuno può vederlo e, quindi, il messaggio non ha più nessuna ragione di esistere. Quando l'animale gratta il terreno, con i cuscinetti sotto le zampe effettua, come abbiamo già detto, una marcatura: depone feromoni. Un altro segnale visivo è quando il dominante allarga le orecchie e permette così al sottomesso di venire a fiutarne le secrezioni. Queste posizioni particolari mettono in evidenza il momento in cui il cane secerne le sostanze in questione. Si osserva anche che se, per esempio, si gratta il suolo con un rastrello, il cane arriva subito a fiutare la zona. Allo stesso modo, le macchie umide su un supporto verticale provocano immediatamente il riflesso di venire ad annusare. Quindi, il deposito dei feromoni è sempre accompagnato da un segnale visivo, e la comprensione di questo messaggio dipende dall'apprendimento durante la socializzazione. Si è verificato che i cani privati molto precocemente del contatto con i loro simili e senza la possibilità di imparare questi segnali sviluppano un sistema di comunicazione ridotto: urinare sollevando la zampa è un comportamento che appare solo quando ha avuto luogo il distacco. Ecco perché, nei cani che soffrono di

ansia da separazione (vedi pagina 153), nella stragrande maggioranza dei casi tale comportamento non si è sviluppato. L'espressione classica che sento impiegare nel corso delle consultazioni è: "È strano, il mio cane fa la pipì come una femmina!" In termini di etologia comparata gli studiosi dei feromoni si chiedono se, nell'uomo, il fatto di orinare in piedi contro un muro non sia un residuo di marcatura... Certo non è facile verificarlo. Se questi segnali vengono appresi al momento della socializzazione, tramite i feromoni, invece, siamo nel campo della fisiologia "nuda e cruda", nel senso che il cane non può non percepirli. In che modo i ferotoni agiscono sul cane. C'è una grande differenza tra una farfalla notturna e un cane che percepiscono un feromone: quest'ultimo, infatti, ha un certo grado di libertà e non assume necessariamente tutti i comportamenti che tale sostanza gli "detta". Si può prendere l'esempio assai semplice di un cane che percepisce un feromone deposto da una cagna in calore. Effettivamente questa sostanza, succeda quel che succeda, provoca nel maschio uno stato di eccitazione sessuale, lo attrae, ma poi tutto dipende dalla situazione gerarchica: se il cane è un dominato e, soprattutto, se c'è un dominante nei paraggi, non manifesta la sua eccitazione ed effettua un'autoinibizione del comportamento sessuale. Al contrario, se è un dominante non ha esitazioni. Si verifica un combattimento fra cani solo se la situazione è gravemente perturbata, se il branco non è strutturato o c'è un essere umano che controlla il gruppo e cerca di instaurare un sistema all'insegna di "libertà, uguaglianza, fraternità", irrealizzabile nel mondo canino. In questi casi, i semplici segnali di minaccia e di scambi chimici non sono sufficienti a risolvere il problema, e si verificano zuffe prolungate perché nessuno dei rituali può giungere a compimento: si crea quindi una situazione aberrante. Ma, in condizioni normali, non ci sono problemi e tutto si risolve a volte con un semplice sguardo: da una parte, la sola presenza di un maschio dominante inibisce l'espressione dell'eccitazione sessuale di un dominato, e dall'altra le femmine si lasciano raramente avvicinare dai maschi sottomessi in pubblico, davanti a tutti gli altri cani; si assiste quindi a un doppio controllo che impone ai dominati di accontentarsi di una sessualità clandestina. Il sesso vissuto liberamente è privilegio dei dominanti.

Piccola storia dei feromoni L'idea che gli animali potessero comunicare a grande distanza grazie a un processo chimico risale a Fabre, alla fine del secolo scorso: fu lui il primo a dimostrare l'esistenza di tale fenomeno. Questa dimostrazione venne effettuata non su un mammifero ma su una farfalla: Fabre rinchiuse una femmina sessualmente matura in un colino da riso a forma di sfera. Quindi liberò alcuni maschi e si accorse che venivano da molto lontano per scovare la femmina. Nel maschio i recettori che gli permettono di trovare la compagna sono nelle antenne. Ma il primo feromone è stato scoperto negli anni Sessanta, anche in questo caso in una farfalla, il bombice. Nei mammiferi ne è stata confermata l'esistenza un po' più tardi, dapprima nelle pecore in cui si è osservato il cosiddetto "effetto ariete": la presenza dell'ariete contribuiva a sincronizzare l'ovulazione delle pecore. Secondo un approccio sociobiologico si potrebbe dire che si tratta di un grande vantaggio evolutivo perché permette al maschio di controllare meglio il suo harem. Dal momento che non sono sociobiologo, però, non mi dilungo su questa magnifica spiegazione e ne diffido persino un po', anche se bisogna riconoscere che una simile visione "finalista" può racchiudere qualche verità. Nell'essere umano sono i ginecologi che hanno cominciato ad accorgersi dell '"effetto collegio": il fatto che diverse ragazze vivano nello stesso dormitorio finisce per provocare una sincronizzazione delle loro mestruazioni. Precisiamo tra parentesi che alcuni anatomisti hanno cercato di dimostrare che nell'uomo l'organo di Jacobson non esiste, mentre invece lo possediamo anche noi. Gli odori sociali Sono quelli che conosciamo meno bene perché estremamente variabili: sono diverse decine le componenti chimiche, non tutte identificate, secrete dalle ghiandole sebacee o dalle mucose, che intervengono nel riconoscimento individuale e di gruppo. Ciò che è certo è che questi odori danno luogo a un processo di apprendimento, perché l'animale deve associare l'odore con un individuo. Gli odori sociali sembrano intervenire nell'identificazione della madre da parte dei cuccioli durante il periodo prenatale, neonatale e all'inizio del periodo di transizione, in cui i piccoli, ancora ciechi, cominciano a effettuare una preidentificazione tramite l'olfatto, che si completerà all'arrivo della vista. Gli odori sociali nella relazione uomo/cane Nei cani destinati a vivere con gli esseri umani gli odori sociali sono chiaramente un mezzo per identificare le diverse persone che formano il gruppo. Certi autori pensano che costituiscano il solo supporto della comunicazione chimica tra uomo e cane. In realtà, le cose sono più complesse. Come abbiamo già detto, i feromoni sono mediatori di comunicazione intraspecifìca, ovvero non possono funzionare se non nell'ambito di un'unica specie. È anche vero però che, nonostante tutto, esistono somiglianze chimiche notevoli tra feromoni di specie diverse. Ci sono due casi in cui si sa che i feromoni possono intervenire in modo incrociato. Primo caso: feromoni sessuali. I cani di sesso maschile sono estremamente sensibili sul piano comportamentale alle variazioni dello stato fisiologico della padrona. Nel caso di conflitti gerarchici cane/padrone, si osservano periodi di aggressività esacerbata ogni ventotto giorni, che corrispondono all'incirca all'intervallo tra le ovulazioni della padrona: sono i momenti in cui il cane non tollera più che i maschi della famiglia si avvicinino alla donna di casa. Secondo caso: è stato individuato e analizzato un feromone secreto nella zona del capezzolo dalle donne che sono diventate madri da poco. Nella cagna che ha appena avuto dei cuccioli, la stessa sostanza viene secreta nel solco che separa le due file di mammelle. L'unica differenza riguarda una componente chimica (minore, per giunta): tutto il resto è identico per le due specie. Ci possono quindi essere diverse influenze dirette dei feromoni emessi dall'essere umano sul cane e forse dei feromoni del cane sull'uomo. In ogni caso, senza addentrarci nei dettagli, bisogna restare prudenti, perché ci riferiamo solo alla parte chimicamente più semplice del feromone: in realtà

questi, per entrare in contatto con il loro recettore, si fissano su molecole complesse, proteine di trasporto che apparentemente sono specifiche, anche se esistono delle analogie. Il profumo e i cani II profumo pone un problema notevole nella comunicazione con gli animali in generale. In effetti, per produrre un aroma i fabbricanti si servono dei cosiddetti "agenti fissatori". Uno dei migliori fissatori è il muschio; questa sostanza, però, è secreta dalle ghiandole facciali di un piccolo animale appartenente ai Cervidi, il mosco moschifero. Quando vi mettete del profumo, applicate sulla vostra pelle una sostanza contenente dei feromoni. È evidente che questo può modificare le reazioni del cane, anche se non si sa ancora precisamente in che misura. È possibile, tra l'altro, che il muschio influisca anche sul modo in cui l'essere umano percepisce il profumo: le fragranze considerate più seducenti sono nella stragrande maggioranza dei casi quelle che contengono le maggiori quantità di muschio. Quando il cucciolo impara i diversi odori propri a ogni membro della famiglia, l'impiego del profumo può disturbarlo, soprattutto se l'aroma viene cambiato spesso. Tuttavia il suo sistema olfattivo è altamente sofisticato, e ne occorrono grandi quantità per infastidirlo. Tra l'altro, bisognerebbe fare un discorso a parte per ogni razza, dato che non sono tutte uguali in termini di mucosa olfattiva. Più la superficie che riceve gli odori è estesa e possiede pieghe, migliore è la ricezione dei messaggi. La quantità di pieghe è assai diversa a seconda delle razze: nei cani con una grande potenza olfattiva la si misura in metri quadrati, mentre nell'uomo è di qualche centimetro quadrato. Un bassotto tedesco può contare su un maggior numero di pieghe e su una maggiore superficie di mucosa olfattiva rispetto a un mastino tedesco. Se dovete addestrare un cane a seguire la traccia del sangue, cioè a ritrovare la pista della selvaggina ferita, non avrete problemi con un bassotto, mentre vi risulterà quasi impossibile con un mastino tedesco perché le sue capacità olfattive non glielo permettono. Il confronto è divertente perché si avrebbe la tendenza a pensare che il mastino abbia un olfatto migliore. Non bisogna però confondersi: non intendo infatti dire che tutti i cani di grandi dimensioni abbiano un odorato meno sviluppato. Il saint-hubert, per esempio, che possiede il miglior sistema olfattivo, pesa circa cinquanta chili. Il ruolo degli odori nella vita del cane Si potrebbe immaginare che il cane viva essenzialmente in un mondo di odori, cosa del tutto inconcepibile per un essere umano. Il concetto della durata di una presenza, per esempio, non è la stessa in un universo olfattivo e in uno visivo. Tuttavia, se l'universo canino è popolato di odori, è anche un mondo di immagini, soprattutto di immagini in movimento, perché quelle statiche sono meno facili da individuare, e un mondo di suoni, con un'estensione ben superiore a quella umana, a entrambe le estremità dello spettro sonoro. Si tratta quindi, per la natura stessa delle sue componenti, di una dimensione assai diversa dalla nostra. È tuttavia innegabile che la vita di un cane privato dell'odorato non abbia senso: non si tratta più di un animale, ma di un vegetale. Esiste una tecnica terribile, che veniva raccomandata una decina di anni fa per risolvere i problemi comportamentali di cani e gatti, che consiste nel sezionare una parte del cervello olfattivo, i "peduncoli olfattivi". L'operazione avrebbe dovuto ridurre i problemi di sporcizia e i comportamenti aggressivi. In realtà è un procedimento tremendo: assomiglia, in peggio, alle lobotomie frontali nell'uomo. Dico in peggio perché, per esempio, il gatto che ha subito questa operazione smette di mangiare; il cane può conservare un comportamento alimentare normale, ma diventa una creatura amorfa. COMUNICAZIONE TRAMITE IL TATTO II cane può anche utilizzare il tatto per comunicare. Questo scambio tattile costituisce il prolungamento della comunicazione visiva. Quando si verifica tutta una serie di segnali posturali, arriva un momento in cui i due protagonisti (uomo e cane o cani tra di loro) sono molto vicini l'uno all'altro: è allora che si attua la comunicazione tattile. Gli studi sull'argomento sono piuttosto scarsi, ma si possono comunque compiere alcune osservazioni di carattere eminentemente pratico. Esistono tre grandi categorie di contatti: -- i contatti di dominio; - i contatti di rassicurazione; - i contatti sessuali.

I contatti di dominio I primi contatti intervengono nell'instaurazione dei rapporti gerarchici: sono segnali tattili emessi dall'individuo che si considera dominante e che si concentrano sulla sommità della testa, sul garrese (il punto in cui si incontrano le due scapole) o sulla regione lombare. L'animale dominante può limitarsi a posare una zampa anteriore, oppure addirittura la testa, sulla zona del garrese o sulla parte bassa della schiena: in generale si tratta di un primo approccio per vedere come reagirà l'altro. Se questi scambi hanno buon esito, se l'animale sottomesso non si ribella dopo il primo contatto, in genere il dominante si solleva, posa la parte anteriore del corpo sul posteriore o sul garrese dell'altro animale, simulando un gesto di monta. Questo atto non ha alcun significato sessuale e può verificarsi tra due maschi o due femmine. Ne riparleremo, perché ha alimentato l'idea dell'omosessualità canina: molti padroni arrivano terrorizzati in ambulatorio perché prenda in cura il loro animale. Evidentemente, quello che comincia a essere accettato e tollerato nell'uomo è ancora oggetto di fastidio nel cane. Al termine dell'interazione il cane dominante posa il capo sull'altro e contemporaneamente lo mordicchia sulla sommità della testa con gli incisivi, quasi volesse spulciarlo. Tali gesti hanno un ruolo anche nella comunicazione tra uomo e cane: quest'ultimo stabilisce una serie di contatti tattili col padrone per affermare il suo dominio, appoggiandogli una zampa o la testa sulle ginocchia, sul torace oppure sulla spalla a seconda delle dimensioni. I contatti di rassicurazione L'altro tipo di comunicazione tattile serve a rassicurare e calmare l'altro (in questo caso, il cane che emette il segnale si considera dominato e cerca di tranquillizzare il dominante), oppure semplicemente a stabilire un contatto. Gli stimoli tattili possono intervenire dopo l'esecuzione di un approccio basso, con le zampe leggermente flesse e lo scodinzolio, che rappresentano segnali rassicuranti. Il cane strofina poi il torace contro quello dell'altro; vedere due cani che si sfregano torace contro torace è piuttosto comune, ma questo contatto si osserva anche con l'uomo quando l'animale si struscia, per esempio, contro la gamba del padrone. Ecco un ottimo esempio di quest'interazione: quando avete rimproverato il vostro cane, verrà verso di voi con le zampe un po' piegate, scodinzolando, e si strofinerà contro la vostra gamba: è la posizione tipica dell'animale che cerca di rabbonirvi. Se il contesto presenta una forte carica emotiva, questo gesto è spesso accompagnato da segnali tipo leccate e mordicchiamenti delicati che, quando avvengono tra cani, si concentrano sulla zona del collo, al di sotto della mandibola ed, eventualmente, all'interno delle orecchie (il che ha un rapporto con la comunicazione chimica). Con un essere umano, il cane da alcuni colpetti con la lingua sulle mani o sul collo, in particolare quando ha fatto qualcosa che sa essere proibito: vi si avvicina con le orecchie basse e si mette a leccarvi le mani, le orecchie e il collo per proseguire il suo rituale di riconciliazione. Per quanto riguarda gli elementi associati, questi segnali sono spesso accompagnati da vocalizzi tipo deboli guaiti: il cane associa infatti diversi moduli per mandare il suo messaggio. I contatti sessuali Della comunicazione tattile fanno parte, evidentemente, tutti gli scambi che riguardano il comportamento sessuale: il cane stabilisce una serie di contatti corporali, in particolare sul posteriore, all'attaccatura della coda, stimola con il naso la regione perineale, poi il maschio lecca la vulva della femmina e la femmina i genitali del maschio. I cani che hanno avuto un imprinting umano cercano di stabilire contatti dello stesso tipo, perché considerano l'uomo come un loro simile e, quindi, un potenziale partner sessuale. Faranno allora dei tentativi più o meno decisi per toccare con il naso la regione ano-genitale del loro padrone premendogli il naso tra le cosce; questo approccio è più accentuato se interviene anche la comunicazione chimica. Certi cani cercano di stimolarlo andandogli alle spalle e dandogli dei colpetti col naso o mordicchiandogli il fondoschiena. Questo è molto frequente nel cane maschio che si interessa alla padrona o alle altre donne adulte abitanti in casa. Nello stesso periodo prendono piede altri elementi importanti della comunicazione: mi riferisco in particolare ai maschi che attraversano la pubertà, come vedremo più avanti, a pagina 146. Comunicare e addestrare In materia di addestramento si possono fare parecchi progressi: non solo si rafforzano gli elementi insegnati nel periodo precedente, ma si può cominciare a introdurne di nuovi.

PERFEZIONARE IL RICHIAMO Abbiamo visto alle pagine 79-82 il lavoro da svolgere per effettuare il richiamo: per riassumere, si tratta di provocare nel cucciolo un condizionamento legato alla pronuncia del suo nome e di farlo avvicinare quando lo sente. In seguito si possono fare due esercizi molto semplici. Primo esercizio: rispondere al primo richiamo Recatevi in un posto privo di pericoli, quindi non in una strada trafficata ma su un terreno non edificato o in un bosco. 

Cominciate innanzitutto con qualche esercizio di richiamo con il cucciolo, simili a quelli che abbiamo già visto (pagina 81).  Successivamente lasciate che si sfoghi giocando come preferisce; potete anche, perché l'esercizio sia efficace, mettergli davanti alcuni oggetti interessanti come una pallina o giocattoli da mordicchiare, il che vuoi dire che, durante l'esercizio di richiamo, avrà a disposizione qualcosa di più stimolante del padrone. Il piccolo sarà allora concentrato sul gioco e avrà la tendenza a non rispondere al richiamo. L'obiettivo è insegnargli che quando sente il suo nome, deve assolutamente tornare se non vuole che gli succeda qualcosa di brutto.  Chiamate il cane tre volte al massimo e, se non viene ma continua a giocare, da accovacciati che siete alzatevi lentamente, con gesti armonici e composti, e dirigetevi tranquillamente verso il punto in cui il cane sta giocando. Arrivati lì afferratelo vigorosamente per la collottola e arrabbiatevi alzando la voce. Il cane si spaventa, e voi lo rimettete per terra e vi allontanate.  Accoccolatevi di nuovo e chiamate il cucciolo con un bel sorriso: quando l'animale arriva, accarezzatelo ed elogiatelo a lungo. Lo scopo dell'esercizio è insegnare al cane qualcosa che, in futuro, potrà salvargli la vita: non dovete spolmonarvi per chiamarlo, ma basta pronunciare il suo nome una o due volte e, se non torna, gli succede qualcosa di brutto. Se il cane non torna quando viene chiamato È l'uomo che deve andare verso il cucciolo per punirlo e per poi allontanarsi tranquillamente: non bisogna assolutamente continuare a chiamare il cane e rimproverarlo quando arriva perché ci ha impiegato troppo. Questo sarebbe un errore per due motivi: - il cucciolo impara e memorizza che, quando torna dal padrone, può essere punito; -- anche se il proprietario ha la pazienza di un santo si osserva sempre la stessa scena: comincia a chiamare il cane con un viso sorridente, come gli è stato suggerito, ma poi, al quinto richiamo infruttuoso, la mimica facciale e il tono di voce si modificano diventando più minacciose, così il cane comincia a reagire con inquietudine. Alla fine il proprietario si mette a sbraitare ed emette diversi segnali di minaccia, e l'animale non si avvicina. Anche se risulta sempre un po' azzardato, ci si può divertire a fare paragoni etologici osservando questo stesso fenomeno nei babbuini e nei macachi. Nei gruppi di babbuini, i grossi maschi responsabili della sicurezza del gruppo vegliano in modo attivo sui piccoli; quando ne vedono uno che esce dai limiti autorizzati, uno dei grossi maschi si precipita a punirlo con decisione e si allontana. A quel punto il piccolo gli corre in braccio e l'adulto lo accarezza e lo coccola. Anche in quel caso l'adulto insegna al piccolo un concetto essenziale: se si allontana oltre un certo limite, gli succede qualcosa di brutto, mentre se resta insieme al gruppo non gli può capitare nulla. Insisto sul fatto che si tratta di un elemento importante da insegnare in quel periodo, contrariamente a quanto sostengono gli addestratori; questi ultimi, infatti, non impartiscono tali insegnamenti fino agli otto o dieci mesi o persino un anno. Eppure, se si aspetta troppo a lungo sarà tutto molto più difficile, perché non si potrà sfruttare il tipo di meccanismo appena descritto e si sarà costretti a usare metodi del tutto artificiali, come il guinzaglio lungo che permette di esercitarsi al richiamo tenendo comunque il cane bloccato: questo potrà trarre in inganno l'uomo, ma non certo il cane! Questo esercizio può svolgersi due o tre volte alla settimana, frequenza ampiamente sufficiente. Bisogna evitare le sedute troppo lunghe, dicendosi per esempio: "Devo ammazzare il tempo per due ore, tanto vale che le passi ad addestrare il cucciolo". L'animale, infatti, è incapace di concentrarsi per due ore, quindi la performance del piccolo avrà la tendenza a peggiorare progressivamente; parallelamente la capacità di autocontrollo del padrone diminuirà, sfociando in reazioni sbagliate. Si assiste in questi casi a un lavoro controproducente: gli animali vengono puniti a torto, i padroni inviano segnali contraddittori perché chiamano il cucciolo trasmettendo contemporaneamente segnali di minaccia, e quindi non ottengono certo l'effetto desiderato. La durata più giusta per un esercizio del genere è di quindici, venti minuti, tenendo presente che bisogna permettere al cane di scorrazzare e rispondere agli inviti al gioco che non mancheranno quando l'avrete ricompensato. Potete effettuare questo addestramento regolarmente fino alla pubertà. Bisogna inculcargli bene tale

comportamento perché più cresce, più il cane riceve sollecitazioni frequenti e stimolanti che gli rendono difficile dare retta al padrone che lo chiama da lontano. Bisogna quindi cercare di abituarlo da piccolo con esercizi frequenti e ripetuti. Secondo esercizio: per non associare richiamo e fine della passeggiata È un'altra applicazione del principio del richiamo. L'esercizio consiste nell'andare a passeggiare in un luogo privo di pericoli, dove il cucciolo potrà curiosare dove vuole e dove il proprietario sa di poterlo chiamare in ogni momento. - Passeggiate con lui. - Chiamatelo all'improvviso e rimandatelo a giocare una volta che ha risposto. È molto importante procedere in questo modo perché, istintivamente, tutti i proprietari commettono lo stesso errore: appena il cane comincia a rispondere al richiamo lo portano a fare un giro, scendono dall'auto, fanno qualche metro con il cucciolo al guinzaglio o in braccio intanto che si allontanano dalla strada, lo liberano, cominciano la passeggiata vera e propria e lo richiamano solo quando è arrivato il momento di tornare a casa. In questo modo si ottiene però un'associazione catastrofica. In effetti, per il cane la passeggiata in libertà è estremamente positiva, ma quando gli insegnate che il richiamo coincide con il momento del guinzaglio e della salita in macchina, associa il suo ritorno presso di voi a un elemento poco piacevole: ecco perché bisogna chiamare il cucciolo diverse volte e in modo casuale durante la passeggiata, e permettergli di tornare a giocare dopo averlo coccolato per ricompensarlo della sua obbedienza. Si suggerisce anche di non aspettare di trovarsi a tre metri dall'auto per richiamare il cane, ma di farlo qualche minuto prima che la vettura sia in vista per mettergli il guinzaglio o per addestrarlo a camminarvi accanto. Questo perfezionerà l'apprendimento del richiamo. LA MARCIA "AL PIEDE" La marcia al piede senza guinzaglio può essere insegnata al cucciolo appena ha imparato il richiamo. È un esercizio molto importante perché costituisce la base a partire dalla quale la marcia con il guinzaglio si rivelerà di una semplicità estrema. Il modo più corretto per insegnare al cane a camminare accanto a voi consiste nel praticare esercizi di richiamo in un luogo calmo e privo di pericoli dove animale e padrone sono perfettamente rilassati. - Accovacciatevi, chiamate il cucciolo e accarezzatelo senza riserve quando arriva, ricompensandolo con coccole persino eccessive. -- Sollevatevi e datevi dei colpetti sul lato della coscia e del ginocchio con una mano; continuate a chiamare il cucciolo con schiocchi di lingua e altri suoni che gli risultano interessanti. -- Cominciate a camminare continuando a fare questi segnali. Non dovete avanzare lentamente, come se steste guardando le vetrine, ma con passi corti, variando la velocità e sempre chiamando l'animale battendovi sulla gamba per stimolarlo. Altro punto importante: non dovete seguire una traiettoria lineare, ma al contrario fate curve, cambiate velocità e senso di marcia: il cucciolo lo troverà divertente e si metterà sicuramente a seguirvi. Ripetete questa sorta di balletto diverse volte, tenendo presente che l'obiettivo è mantenere il contatto con il cucciolo che sarà a volte davanti, a volte dietro, a volte di fianco a voi, ma che quasi sempre vi salterà accanto alle gambe; l'importante è che resti sempre vicino. -- Appena il cucciolo si dimostra capace di seguirvi perché lo trova stimolante, potete aggiungere un altro elemento: cominciate a fare in modo che l'animale vi resti accanto, non dietro o davanti. Ogni volta che vi supera spingetelo delicatamente dicendo "no" con voce ferma. Poi comincerete a usare un segno molto efficace che consiste nel puntare con il dito verso terra e la mano all'altezza del ginocchio. Appena si è un po' allontanato, indicate il punto in cui dovrebbe trovarsi. Questo gesto ha la tendenza a provocare un leggero indietreggiamento nel cucciolo: bisogna quindi schioccare di nuovo la lingua e ricominciare a camminare senza indugi. Il piccolo capirà che può continuare a giocare seguendo il suo padrone, ma che non può più farlo camminando come vuole lui, senza regola. Questo esercizio si pratica allungando il tragitto della passeggiata, ma sempre con mutamenti di direzione in modo che il cane impari che, in qualsiasi momento, il padrone può cambiare strada: questo gli insegnerà a tenerlo sempre d'occhio. Durante l'esercizio dovete continuamente parlare al cane, dicendogli tutto quello che volete, qualunque cosa vi passi per la testa; l'essenziale è dirlo in tono allegro e vivace con variazioni di suono, onomatopee e utilizzando, quando il cucciolo cammina nel modo giusto, le espressioni a cui ricorrete abitualmente per congratularvi con lui (ciascuno ha le sue). Bisogna anche modificare continuamente la velocità della camminata perché il cane sia sempre all'erta. Questo esercizio dev'essere integrato nelle sedute di addestramento in cui farete un po' di richiamo, un po' di marcia al piede senza guinzaglio e altri esercizi che adesso illustrerò; il tutto non deve durare più di venti

minuti. Solo così si evita di portare il cane a saturazione; se le sedute di esercizi durano troppo, il padrone si stanca e non riesce più a stimolare il cucciolo che, alla minima traccia di odore o al minimo evento esterno, avrà la tendenza ad allontanarsi. INSEGNARE IL COMANDO "SEDUTO" Non si tratta di un numero da circo, ma al contrario di un esercizio che si rivela estremamente utile quando si porta il cane in giro. Di per sé il concetto di "seduto" non ha alcun senso per l'animale: acquista un significato solo se gli si insegna che risulta positivo per il suo rapporto con il padrone. In altre parole, per il cane sedersi quando sente dire al padrone "seduto" non è automatico. Bisogna quindi aiutarlo a stabilire l'associazione tra la parola pronunciata e la posizione corrispondente da assumere. Per questo esistono due metodi: - il metodo manuale -- il metodo del guinzaglio e del collare. Quest'ultimo non mi piace molto perché si serve di un elemento che per il cucciolo non è facile da tollerare: la trazione del guinzaglio. Ricordiamo che, più si complica la situazione per il piccolo, meno gli sarà facile imparare. Intendo comunque descrivere tale sistema perché ci sono cani ai quali si adatta bene, oppure perché vi sono padroni che, per ragioni di sicurezza o di legislazione, sono obbligati a tenere il cane al guinzaglio. Ne approfitterò anche per spiegare come fare accettare un collare al cucciolo, dato che per lui è una novità e all'inizio gli da fastidio. Il primo metodo si mette in atto senza guinzaglio né collare ed è quindi completamente manuale. Il metodo manuale Prima di cominciare con l'esercizio in questione suggerisco di effettuare qualche richiamo. - Lasciate il cucciolo libero di muoversi, chiamatelo, fategli i complimenti e aspettate che si calmi un po' tenendolo fermo senza stringere: accarezzatelo e, una volta che si è tranquillizzato, potete cominciare a insegnargli il comando "seduto". - Mettetegli una mano sulla parte alta del petto, dove questo si incontra con il collo, per impedirgli di avanzare (la mano è semplicemente appoggiata, non dovete afferrare il cane, mi raccomando), e posategli l'altra mano dietro la coscia, davanti a quella che viene chiamata "grassella". -- Con la seconda mano premete sulla grassella per fargli flettere la coscia. Il cucciolo si ritroverà con il posteriore per terra e, in quel momento, direte "seduto" e lo ripeterete più volte. Bisogna evitare di urlare come ufficiali dell'esercito, ma pronunciare la parola senza nessuna aggressività e con grande chiarezza: dovete assumere un tono imperativo ma non aggressivo. - Appena il cane si trova seduto accarezzatelo, elogiatelo e ricompensatelo. COME INSEGNARE IL COMANDO "SEDUTO" (metodo manuale) Una mano è appoggiata sul petto del cane. L'altra spinge sulla grassella per provocare la flessione della coscia. Contemporaneamente ripetete più volte "seduto". Ripeterete l'operazione diverse volte e, dopo un po', avrete appena il tempo di avvicinare la mano che il cucciolo avrà già cominciato a piegare gli arti posteriori. A partire da questo momento, ogni volta che il cucciolo fletterà da solo le cosce lo dovrete incoraggiare con tono allegro dicendo: "Sì, dai, dai, bravo" con segnali verbali e una prosodia associati a qualcosa di molto positivo. In ogni caso, anche se il cucciolo non fa che avvicinarsi al comportamento desiderato, dovete avere una voce piena di entusiasmo per incoraggiare l'animale che ha compiuto degli sforzi. Il fatto di ricompensare ogni piccolo progresso verso il comportamento ideale viene chiamato, con un termine inglese, "shaping" ("to shape" = modellare, plasmare). Il metodo del guinzaglio e del collare A volte si è obbligati a mettere il guinzaglio al cane. Il primo problema da risolvere (problema che, prima o poi, andrà affrontato) è l'imposizione di guinzaglio e collare. Quest'ultimo in particolare gli darà fastidio. Come fare accettare collare e guinzaglio a un cane -- Scegliete materiali semplici: evitate per i collari le catene metalliche e gli accessori eleganti ma troppo pesanti. Devono essere solidi ma il più possibile leggeri e sottili. - Perché il cucciolo accetti il collare, comincerete a metterglielo nella tranquillità dell'ambiente domestico: giocherete con lui a palla e, contemporaneamente, gli infilerete il collare. Il piccolo avrà inevitabilmente

una reazione infastidita: comincerà a dondolarsi, a guardare cosa gli succede alle spalle, si gratterà spesso ed emetterà deboli guaiti. Bisogna invece evitare a ogni costo che si metta a ululare cercando di togliersi il collare. Ecco perché è importante familiarizzarlo con quest'oggetto durante i periodi di gioco. In generale, nella stragrande maggioranza dei casi (eccezion fatta per i soggetti che soffrono di disturbi dello sviluppo) dopo due o tre sedute del genere si riesce a lasciare il collare a tempo pieno, senza che disturbi il cucciolo. - A partire dal momento in cui il collare viene accettato, introdurrete il guinzaglio nello stesso modo, ovvero in casa o in un luogo tranquillo e rassicurante: mentre giocate con il cucciolo, a un certo punto, senza dare nell'occhio, gli agganciate il guinzaglio al collare, ma lo lasciate pendere. Il cane si abituerà a quel prolungamento, ma perché questo avvenga bisogna tenerlo occupato giocando con lui per evitare che si faccia prendere dal panico. In generale, a partire dalla prima volta l'animale riesce a giocare con il guinzaglio anche se, di tanto in tanto, si volta per guardare cosa gli pende alle spalle.

- A partire da ora potete tenere l'altro capo del guinzaglio lasciandolo lento: assecondate cioè i movimenti del cane senza cercare di oppone resistenza (non gli state insegnando a camminare al guinzaglio, ma solo a sopportarne la presenza). Il guinzaglio non viene quindi tirato, e potete servirvene come elemento di trasmissione. In due o tre sedute il cucciolo imparerà a sopportarlo bene; l'unica cosa che non tollera, finché non gli viene insegnata la marcia al guinzaglio, sono i momenti in cui lo tende al massimo e rimane bloccato. Bisogna quindi evitare questo genere di situazioni per non provocare reazioni d'agitazione inutili. Una volta che questo oggetto è stato accettato, potete servirvene per insegnargli il comando "seduto": invece di appoggiargli una mano sul torace per impedirgli di avanzare esercitate, con il guinzaglio e il collare, una trazione sul collo all'indietro e verso l'alto (come se cercaste di sollevare il corpo del cane) mentre l'altra mano si comporta come nel metodo manuale, ovvero preme sulla grassella per far flettere la coscia. Questi gesti facilitano il passaggio nella posizione seduta e devono anch'essi essere accompagnati dalla parola "seduto". Non appena il cane si mette seduto, ovviamente, lo ricompenserete generosamente. L'inconveniente di questo metodo è che all'inizio certi cani si innervosiscono quando sentono la trazione, e ciò può complicare le cose. In compenso, il sistema ha un vantaggio: consente al cane di sedersi anche in assenza dell'ordine verbale, con la semplice trazione del guinzaglio verso l'alto e all'indietro, il che risulta decisamente pratico, in particolare in strada al momento di attraversare. L'inconveniente è che si sarà costretti, in seguito, a insegnargli a sedersi con il solo ordine verbale, in particolare quando lo si vuole far sedere in casa, dov'è lasciato libero. Ognuno dei due metodi ha i suoi vantaggi e svantaggi: bisogna scegliere in funzione dei propri bisogni ed, eventualmente, completare l'uno con certi elementi dell'altro. L'ALTRO MODO DI INSEGNARE AL CANE A SEDERSI (metodo guinzaglio-collare) Con il guinzaglio esercitate una trazione all'indietro e verso l'alto. L'altra mano preme sulla grassella per fare flettere la coscia, e nel frattempo ripetete "seduto". INSEGNARE IL COMANDO "A TERRA" Una volta superato lo scoglio della posizione seduta, sarà facile passare al comando " a terra ". Il mio metodo probabilmente non piacerà ai proprietari che iscrivono il cane a gare dove gli animali rispondono immediatamente all'ordine e il tempo di reazione viene cronometrato. Quando il padrone dice "a terra", questi soggetti devono sdraiarsi all'istante. Io, invece, parlo innanzitutto del cane da compagnia che nessuno cronometrerà mai; in questo caso, la sola esigenza del padrone è che l'animale si corichi quando glielo domanda. Per questo dovete partire dalla posizione seduta. Una volta che il cucciolo è seduto, infilate la mano sotto le sue zampe anteriori (anche in questo caso dev'essere un gesto molto delicato) per fargliele slittare in avanti. Il cane, che si trova ora con il tronco a terra, allungherà grazie al vostro intervento le zampe anteriori e si ritroverà il torace a diretto contatto con il terreno. Come per il comando "seduto", accompagnerete questo gesto con l'indicazione "a terra" e, naturalmente, lo ricompenserete appena si sarà sdraiato. Bisogna dare prova di grande dolcezza durante questo esercizio, perché altrimenti il cucciolo reagisce sistematicamente ribaltandosi sul fianco, in posizione di sottomissione. Mi è capitato di vederlo accadere con molti cani, e non è pratico, soprattutto all'aperto, quando il terreno è fangoso, per esempio. Bisogna prestare una grande attenzione alle reazioni dell'animale: se è nervoso perché gli si spostano le zampe anteriori, bisogna procedere delicatamente, cercando di calmarlo e accarezzandolo mentre lo si porta ad assumere la posizione voluta e, come sempre, lo si elogia e coccola quando è riuscito a sdraiarsi. Bisogna ricompensare adeguatamente ogni tappa dell'allungamento delle zampe verso terra. In ogni caso, come per il richiamo nel periodo precedente, si tratta di un inizio: è evidente che il comando si inculcherà meglio alla fine del periodo di socializzazione e durante la pubertà. A partire della posizione seduta, fate scivolare dolcemente le zampe anteriori del cane in avanti dicendo "a terra".

La pubertà, l'entrata del cucciolo nel mondo adulto La pubertà nei maschi A mano a mano che ci si avvicina al periodo della pubertà le vite dei cuccioli di sesso maschile e femminile si differenziano. Come nella maggior parte dei mammiferi sociali, compresi i primati, le madri hanno la tendenza a imporre le distanze ai piccoli di sesso maschile e non alle femmine. A partire dai quattro mesi (in media) la cagna tiene i figli lontano da sé: cerca di porre un limite ai loro approcci e, da un certo momento in poi, non li lascia più dormire contro di lei, mentre prima tutti i cuccioli si addormentavano gli uni sopra gli altri intorno alla madre. Si tratta di una questione importantissima in etologia, perché chiama in causa il tabù dell'incesto. Nell'uomo tale tabù esiste, anche se certi studi recenti tendono a metterlo in dubbio. Si è cercato di trovare le tracce della stessa proibizione nelle diverse specie animali. Il fatto che, in condizioni normali, solo i maschi dominanti abbiano la possibilità di avere relazioni sessuali sotto gli occhi degli altri membri del gruppo fa sì che i giovani maschi, i figli, abbiano scarse probabilità di restare vicino alla madre e quindi di accoppiarsi con lei. Nei cani che vivono in branco, questa distanza sembra dunque essere facilitata dall'intervento dei maschi dominanti che hanno la tendenza a monopolizzare le femmine appena sono in grado di essere fecondate. Non si può poi ignorare il fatto che, se questo allontanamento avviene verso i quattro o cinque mesi, si tratta anche del momento in cui la madre ricomincia ad andare in calore: è quindi legittimo chiedersi se le trasformazioni ormonali della cagna non influiscano anche sui suoi cambiamenti d'umore e sulle sue reazioni nei confronti dei cuccioli di sesso maschile. E vero che i piccoli sono ancora sessualmente immaturi, ma si può supporre che esistano diversi segnali, in particolare di tipo olfattivo, che permettono alla madre di distinguere i figli dalle figlie. Secondo un'altra ipotesi, è anche possibile che a quest'epoca i cuccioli emettano un certo numero di feromoni che agiscono sulla cagna e la inducono ad adottare il comportamento discriminatorio (il termine tecnico è "emarginazione") nei confronti dei maschi. Gli studiosi dei disturbi del comportamento canino si sono accorti che è sbagliato consigliare ai proprietari di non lasciare dormire il cucciolo appena acquistato nella loro camera (abbiamo visto a pagina 83 che, al contrario, è auspicabile che venga accolto nella stanza dei padroni). In compenso, quando l'animale comincia ad avvicinarsi a quest'età è estremamente importante, se è destinato a condividere la stanza dei padroni (perché a questi ultimi fa piacere, perché abitano in un monolocale o per qualsiasi altro motivo), che il giaciglio del primo e il letto dei secondi siano nettamente separati. Se è stato piacevole dormire accanto al cucciolo nelle settimane precedenti, adesso è necessario che questi, soprattutto se maschio, non si avvicini alla parte del letto dove dorme la padrona. Inoltre, se si osserva questa regola, si potrà prevenire l'apparizione del disturbo chiamato "ansia da separazione" (vedi pagina 153). Pur senza farne un'ossessione, è bene cominciare a stabilire gradatamente una maggiore distanza, che corrisponde a un allentamento dell'attaccamento. Come stabilire le distanze con un cucciolo maschio prossimo alla pubertà Ripetiamolo: è importante che il letto del padrone (o della padrona) e il giaciglio del cane siano tenuti separati. -- Predisponetegli una cuccia in una cesta e rimproveratelo ogni volta che cerca di avvicinarsi al vostro letto; non sarà necessariamente sistematico, basta semplicemente che siate un po' capricciosi nei confronti del cucciolo, con dei cambiamenti d'umore, in modo che sia già in un certo senso preparato. - Ditegli "no", rimettetelo nella cesta. Potete anche adottare segnali di minaccia (cambiamento di tono, inclinazione del tronco verso il basso eccetera ... ) senza però punirlo severamente perché, appena l'avrete deposto nella cuccia, in genere ritornerà dondolandosi, scodinzolando e piagnucolando. - In pratica, iniziate una fase transitoria in cui il cucciolo, che prima dormiva sul letto, adesso si raggomitola per terra su un cuscino che gli è stato destinato, vicino alla padrona. Si tratta di un periodo intermedio prima di un allontanamento più marcato all'altro capo della stanza o addirittura in un altro locale.

La pubertà nelle femmine II periodo della pubertà nelle femmine è un po' meno tumultuoso e, soprattutto, un po' più diluito nel tempo rispetto a quanto avviene per i maschi. Il distacco dalla madre è meno brutale: i due fenomeni, fase puberale e allontanamento, sono direttamente legati. Così le giovani femmine dormono più a lungo dei maschi vicino alla cagna: le accoglie ancora in grembo e se le tiene vicino per rassicurarle anche se è già stata fecondata di nuovo e aspetta altri cuccioli. Del resto, nei cani che non vivono insieme all'uomo, a volte le giovani femmine osservano il comportamento della madre esperta con i cuccioli appena nati, e sembra che questo abbia un ruolo nello sviluppo del loro futuro comportamento materno. La possibilità di continuare a vivere accanto alla madre à associata a un altro fenomeno: i primi calori di queste giovani femmine sono generalmente piuttosto discreti. Le manifestazioni fisiche della prima ovulazione sono poco appariscenti: una congestione della vulva piuttosto leggera, perdite poco abbondanti e un comportamento decisamente inibito nell'ambito del corteggiamento. Attualmente numerosi autori ipotizzano che la madre riesca a controllare l'espressione della sessualità delle figlie grazie ai feromoni (ovvero, la cagna emetterebbe dei feromoni inibitori) e che la sua sola presenza, in quanto individuo dominante rispetto alle figlie, basti a bloccare la manifestazione dei calori delle giovani cagne. Comunque sia, quando l'essere umano interviene a separare le giovani dalla madre non si rileva più questa discrezione, e i primi calori si manifestano in modo più appariscente. Questo fenomeno è interessante perché illustra ancora una volta la relazione che vedremo nell'adulto tra gerarchia e vita sessuale. È evidente che, nell'ambito del branco, durante il periodo seguente le figlie diventano rivali della madre e possono quindi minacciare la sua posizione gerarchica. 4.- Il cane adulto Due grandi avvenimenti caratterizzano la fine del cosiddetto "periodo di socializzazione": da una parte il distacco del cane (non più un cucciolo) dalla madre, dall'altra l'acquisizione delle regole gerarchiche riguardanti la sessualità. Questo significa che, a partire da adesso, è l'organizzazione gerarchica a regolare la sessualità del cane e l'utilizzazione dello spazio in cui vive il gruppo. Il distacco II distacco del giovane cane dalla madre è la condicio sine qua non per l'acquisizione delle regole gerarchiche che vedremo più avanti (pagina 180). In effetti lo si potrebbe definire il corollario obbligatorio dell'attaccamento. In che modo il cane si stacca dalla madre II distacco comincia quando la madre non permette più che i figli dormano gli uni contro gli altri vicino a lei. Quando vivono in branco, i maschi aiutano spesso le cagne ad allontanare i piccoli. Tale reazione di rigetto sarà, come abbiamo già spiegato, più marcata nei confronti dei figli di sesso maschile. La cagna tollera più a lungo la vicinanza delle femmine che quella dei maschi. Ben presto, durante la fase del distacco, i cuccioli cominciano a capire che non devono restare attaccati alla madre nella cuccia; in un secondo tempo le distanze si estendono anche a tutte le altre situazioni. Ogni qualvolta cercano di avvicinarsi, i piccoli vengono respinti in un modo che può apparire violento agli occhi dello spettatore umano, mentre in realtà la situazione è sotto controllo: a volte le madri ricorrono persino ai maschi adulti che si prestano a ringhiare per dar loro man forte. Progressivamente il piccolo impara ad avvicinarsi alla madre adottando le posizioni di sottomissione e rassicurazione, precauzione che prima non prendeva: non c'era infatti alcun tramite sociale tra la cagna e i cuccioli. Durante il processo del distacco, il cane abbandona un sistema di rapporti primitivo e privo di codici sociali per imparare le diverse posture: apprende così a osservare la reazione materna per individuare dei segnali di accettazione; senza questi, non ci può essere nessun contatto.

In che modo il cane si lega al gruppo sociale Non bisogna credere che l'allontanamento dalla sfera materna impedisca altri processi di attaccamento: i legami, infatti, non scompaiono ma semplicemente mutano. Se all'inizio il cucciolo era attaccato a un solo cane, la madre, adesso si sente legato al gruppo sociale. Il ruolo dei rituali in questo attaccamento II legame con il gruppo è rafforzato da rituali di comunicazione specifici che sottolineano continuamente i contesti relazionali. Del resto, un cane che abbandona improvvisamente un gruppo per inserirsi in un altro attraversa sempre un momento iniziale di crisi che può tramutarsi in ansia. Si tratta della cosiddetta "ansia da deritualizzazione": l'animale è turbato perché i rituali che aveva stabilito con il primo gruppo non sono più validi nel nuovo nucleo. I rituali nella relazione tra l'uomo e il cane Questo vale in particolare per il rapporto tra cane e padrone, dato che quest'ultimo compie spesso una serie di gesti specifici per segnalare il momento della passeggiata o altre informazioni. Prendiamo un tipico esempio di rituale di comunicazione: vivete con un cane e, quando gli vedete compiere passaggi sempre più rapidi, avanti e indietro, tra voi e la porta, saltellando e uggiolando, capite che ha voglia di uscire e lo portate a fare un giro. Immaginiamo adesso che il vostro animale venga adottato da un'altra famiglia per cui un cane che vuole uscire manifesta il suo desiderio andando a prendere il guinzaglio per mostrarlo al padrone. Il cane è disturbato dall'assenza di risposta al suo messaggio, senza contare che rischia di essere punito per i guaiti. Se si tratta solo di un rituale che sparisce non è grave, l'animale finirà per capire; ma quando i proprietari instaurano un rapporto molto diverso con il quadrupede, per ragioni culturali o perché si tratta del loro primo animale, la maggior parte del rituali cui era abituato si rivelano inutili: per questo in molti casi non riesce a sopportare la situazione e soffre di una grave crisi. Ciò dimostra che tutti i rituali tipici del gruppo rafforzano in un certo senso il legame di attaccamento al nucleo sociale, come i padri dell'etologia (Huxley e Lorenz) hanno messo in evidenza. Quando il cane rimane troppo dipendente dalla persona preferita Da un punto di vista funzionale il distacco ha un'altra conseguenza; promuovendo la socializzazione, favorisce l'espressione di tutti i comportamenti sociali adulti e dei vari aspetti della sessualità: monta per il maschio, accettazione della monta per la femmina con la posizione della schiena e lo spostamento della coda (anche in quelle a cui è stata amputata si osserva un accenno di movimento). Come si comporta un cane "infantile" Può succedere che l'animale resti in uno stato di attaccamento primario: è in tutto e per tutto dipendente dalla presenza dell'essere preferito e soffre di una sorta di infantilismo sociale. Quando incontra un altro cane è capace di emettere solo due segnali: quello di rassicurazione/sottomissione e quello di invito al gioco, mentre non è in grado di trasmettere altri messaggi, come quello di minaccia per esempio. Se viene messo in contatto con una cagna in calore, presenta, sul piano puramente fisiologico, uno stato di eccitazione con congestione pelvica e un inizio di erezione, ma si limita a giocare con la compagna. In ambulatorio arrivano spesso i proprietari di splendidi esemplari disperati perché l'animale, invece di montare le cagne, gioca con loro. Lo stesso avviene nelle femmine, che emettono feromoni nel periodo dell'ovulazione: quando i maschi si avvicinano giocano con loro ma non c'è verso di provocare una monta. Tutto ciò è direttamente legato alla persistenza di un legame di attaccamento primario. Ripetiamolo, il distacco è veramente la condicio sine qua non perché il cane diventi adulto. Perché il cane resta in questo stato di attaccamento primario Non esiste una sola cagna che mantenga i cuccioli in uno stato di attaccamento perenne e, quando il cane vive tra i suoi simili, il rischio che il distacco non avvenga è quasi inesistente. In compenso, nel mondo umano succede che il processo di allontanamento non si compia. In effetti, nei giorni che seguono il suo arrivo nella famiglia, il cucciolo trasferisce il legame preferenziale su un essere umano, il che è estremamente positivo, dal momento che consente la socializzazione con l'uomo. I piccoli giungono nella nuova famiglia a sei, otto settimane, ovvero nel periodo in cui hanno ancora bisogno di tale rapporto esclusivo: lo rinnovano quindi con un membro della famiglia. Il problema, però, è che questa persona dovrebbe provocare il distacco proprio come farebbe la cagna. In altre parole, quando l'animale raggiunge la pubertà (vero i sei mesi per i cani piccoli e diciotto per le razze

più grandi) dovrebbe "respingerlo", non permettergli di salirle sulle ginocchia a suo piacimento, e così via. Spesso, però, l'individuo in questione, che non è al corrente di questo processo, non lo favorisce affatto. Statisticamente, i cani più grandi restano meno spesso in uno stato di attaccamento primario per ovvie ragioni: dato che gli animali rimasti "infantili" cercano continuamente la vicinanza con l'essere preferito, a un cane di cinquanta chili insegnate al più presto a non salirvi in braccio, e contemporaneamente favorite il distacco; bisogna però ammettere che non è facile né piacevole allontanare un cane che viene a farvi le coccole. Le conseguenze di un attaccamento eccessivo Qualche anno fa una delle mie studentesse ha condotto uno studio alla società protettrice degli animali di Parigi sulla popolazione di cani di Gennevilliers: quasi il venticinque percento di loro erano stati abbandonati perché avevano letteralmente distrutto l'arredamento dei proprietari o i vicini avevano fatto una petizione contro i latrati. Convinti, a torto, che non esista soluzione (mentre in realtà il problema si risolve perfettamente), i padroni finiscono per disfarsi degli animali. La causa è rappresentata dalla cosiddetta "ansia da separazione", conseguenza di un attaccamento eccessivo del cane al proprietario o, perlomeno, di un distacco non completo. L'ansia da separazione viene considerata un fattore importante di mortalità e abbandono per i cani più giovani (tra i sei e gli otto mesi), e solo di recente ci si è soffermati seriamente sul problema. E strano, perché per altre malattie si sono trovate risorse considerevoli: quando, una ventina d'anni fa, c'è stata un'epidemia di gastroenterite emorragica, si è verificata una mobilitazione colossale per trovare un vaccino; invece, di fronte a un problema che tocca un terzo della popolazione canina e che è all'origine di molte morti e abbandoni, oggi nessuno reagisce in modo concreto e deciso. QUELLO CHE DOVETE FARE PER PROVOCARE IL DISTACCO II sistema migliore si basa su un'autentica conoscenza dei meccanismi di attaccamento e distacco. Allontanatelo durante la notte Come abbiamo già spiegato (pagina 83), non è affatto sbagliato lasciare dormire il cane nella propria stanza, ma al momento opportuno bisogna favorire il distacco. Possiamo dire che, per tutte le razze con un peso inferiore ai quindici, venti chili, quando il cucciolo compie cinque mesi dovete cominciare ad allontanarlo da voi durante la notte. Non è il caso che restiate svegli apposta per mandarlo via, ma, nei momenti in cui non dormite e vi accorgete che l'animale si è avvicinato, dovete manifestargli il vostro scontento. Questo non significa rivolgergli insulti urlando né picchiarlo, ma emettere una serie di segnali per dimostrargli che siete molto arrabbiati: fate come se qualcuno vi guardasse da dietro un vetro e, senza udire la vostra voce, dovesse capire dai vostri gesti che siete in collera. Potete provare a mettere il cane in un'altra stanza, ma attenzione: non crediate che, semplicemente chiudendo la porta, avrete risolto ogni problema: meglio lasciare la porta aperta ma essere certi che l'animale stia definitivamente alla larga e abbia capito perfettamente. Sta a voi cercare i contatti Bisogna anche insegnargli che non può più essere lui a stabilire un contatto fisico. In altre parole, non dovete più accettare le interazioni originate da lui, le richieste di carezze o il tentativo di avvicinarsi per sdraiarsi ai vostri piedi. Appena è lui a prendere l'iniziativa, dovete fingere di arrabbiarvi. In compenso, potete cercare voi stessi il contatto fisico ogni volta che volete; questo è molto importante perché, se di punto in bianco vi mettete a respingere il cane, provochereste altri disturbi. QUANDO L'ATTACCAMENTO DIVENTA PATOLOGICO Se il cucciolo è attaccato all'essere umano, anche questo può essersi affezionato al cane in modo talvolta esagerato. Si notano allora problemi di attaccamento più patologico, in cui l'animale diventa una specie di "cerotto" affettivo. In quest'ultimo caso è evidente che i consigli appena illustrati sono più difficili da mettere in pratica: quando il distacco non avviene (si parla, nel gergo della psichiatria canina, di persistenza del legame d'attaccamento primario), nel venti, trenta percento dei casi la ragione è una carenza affettiva del proprietario, che provoca una resistenza (termine utilizzato nella terapia familiare o sistemica) al momento dell'allontanamento.

Come si manifesta l'ansia da separazione Può dar luogo a quadri clinici estremamente gravi; i sintomi dell'ansia da separazione si osservano non appena il padrone esce per fare la spesa senza il cane o si reca al lavoro; al ritorno, i proprietari trovano la casa devastata, i vicini inferociti eccetera.  Atti distruttivi: il cucciolo è particolarmente attaccato agli oggetti che appartengono alla persona preferita e, in un primo tempo, si accanisce contro quelli impregnati del suo odore. Questo sconvolge molte persone: "Ma perché è così cattivo proprio con me, che gli dimostro tanto amore?" si dicono. I proprietari vengono a consultarmi perché non ce la fanno più a sopportare i danni causati dall'animale nell'ambiente domestico; in effetti, diversi milioni possono andare in fumo nel giro di una settimana. Divano, tende, vestiti, scarpe... tutto può essere distrutto.  Sporcizia: si ha l'impressione, rientrando a casa, che il cane abbia urinato e defecato - con diarree di origine emotiva - correndo in giro per l'appartamento.  Si aggiungono a tutto questo i vocalizzi: l'animale passa quasi tutto il tempo a ululare, in base ai filmati che sono stati girati.  Vi sono forme più rare in cui si provoca lesioni cutanee leccandosi, mordicchiandosi e succhiandosi in genere la parte sinistra del corpo.  Alcuni cani presentano anche un'ipersalivazione impressionante (conosco qualcuno che si è fratturato il femore scivolando sulla bava del cane!); alcune razze, come il cane da pastore della Brie, il beauceron e il cocker hanno una vera e propria predisposizione.  Certi soggetti hanno disturbi gastrici e vomitano appena sono soli. Per molto tempo si è pensato che il cane si vendicasse o si annoiasse, e le risposte "terapeutiche" usate erano inadeguate. Gli americani hanno cercato di risolvere il problema abituando l'animale ad assenze sempre più lunghe, il che costituisce però un grosso vincolo. Spesso hanno anche fatto ricorso alla gabbia (e lo fanno tuttora), ma gli europei hanno rifiutato da subito questo sistema: è vero che rappresenta il modo migliore per proteggere la casa, ma in compenso aumentano le ferite che i cani si autoinfliggono con la lingua o i denti, e i vocalizzi. Tutti i metodi seguenti, che possono sembrare atroci, sono stati impiegati anche nella psichiatria umana; non risolvono però il problema perché nella migliore delle ipotesi fanno scomparire i sintomi, ma non la causa. Ai cani che abbaiano o ululano tutto il giorno è stata talvolta praticata l'ablazione chirurgica delle corde vocali (il problema è che il cane continuerà a ululare con voce sorda); esistono collari elettrici o capaci di inviare uno stimolo che attira l'attenzione del cane (spesso un getto di limoncina); il trucco, però, non funziona a lungo... Tutti questi metodi orribili (come i tappeti elettrici che danno una scossa se sono calpestati e proteggono così i mobili più importanti) non hanno mai procurato un risultato definitivo. La confusione intorno all'ansia da separazione è stata causata da due sintomi:  come abbiamo già visto, il cucciolo prova il desiderio di distruggere in particolar modo ciò che appartiene alla persona preferita. Ma poiché la relazione tra ansia da separazione e persistenza del legame di attaccamento primario non era stata capita, spesso il padrone ragionava in termini di disobbedienza. • D'altra parte ci sono quelli che i proprietari descrivono come segnali di colpevolezza: all'inizio il cane tende a fare le feste al padrone, quando questi rientra alla sera, con manifestazioni di gioia che possono persino superare la durata abituale. In seguito, quando cominciano i primi disastri, il padrone punisce l'animale (com'è comprensibile, anche se si sa che non bisognerebbe: ma i danni possono essere così spaventosi ... ); in generale il cane assume allora un atteggiamento, con le orecchie basse e la coda tra le gambe, che il proprietario interpreta come un segnale di colpevolezza. Ragiona quindi in questo modo: "II mio cane sa di aver fatto qualcosa di male, quindi ho tutte le ragioni di punirlo". Si tratta purtroppo di un controsenso etologico drammatico, che avrà conseguenze molto gravi sull'evoluzione del disturbo, perché il cane sta semplicemente emettendo segnali di sottomissione e rassicurazione che di solito servono a calmare l'aggressività del dominante, ma il padrone reagisce in modo sbagliato e non farà che accrescere l'ansia dell'animale. La situazione peggiora ulteriormente con le sanzioni di tipo fisico, che rappresentano quasi sempre la vendetta di un individuo che perde il controllo. Perché non bisogna punire un cane che ha fatto danni in casa - È un errore credere che si senta colpevole perché tiene le orecchie basse e la coda tra le gambe: si tratta per lui di una posizione di sottomissione che adotta allo scopo di smorzare la vostra aggressività; se lo picchiate la sua angoscia aumenterà. - Le tecniche del tipo "ficcargli il naso negli escrementi sgridandolo" non sono né efficaci né appropriate. - In ogni caso, la punizione serve solo se viene inflitta pochi secondi dopo il comportamento sbagliato, perché il cane è incapace di collegare l'oggetto rovinato o distrutto che gli mostrate e i comportamenti che hanno prodotto tale risultato. L'unica associazione che fa è "oggetto + padrone = aggressione". Cattive soluzioni o buone idee sbagliate

Al momento di uscire di casa alcune persone cercano di calmare il cane ricorrendo ai cosiddetti "rituali di commiato". Si tratta di un atteggiamento che oscilla tra le blandizie e il gioco d'astuzia: pensano che, se riescono a conquistare la benevolenza dell'animale, possono partire tranquilli. Il sistema classico è quello di offrire cibo accompagnato da un lungo discorso. L'alternativa frequente sono le lunghe passeggiate mattutine che il padrone si sorbisce prima di lasciare il cane. Ci sono poi i veri e propri trucchi, come quelli di chi finge di non andarsene. Il padrone di un cane che mi è stato sottoposto si era accorto che, quando portava fuori la spazzatura, al piano inferiore, con i vestiti da casa l'animale non faceva danni. Aveva quindi deciso di vestirsi in auto (quattordici piani più in basso, nel garage!) per imbrogliare il cane: al mattino scendeva con il sacchetto dei rifiuti in mano e in pigiama. Ha presto rinunciato a quel trucchetto, però, quando si è dimostrato inutile. Appartengono a questa categoria anche le persone che lasciano radio o televisore accesi perché l'animale non si senta solo. C'è persino chi paga un dog-sitter perché tenga compagnia al cane. Come, guarire l'ansia da separazione, ovvero le terapie dirette Un giorno gli studiosi hanno smesso di concentrarsi sul padrone e si sono accorti che, sul piano funzionale, i cani non si comportavano in modo normale: da una parte stabilivano un rapporto preferenziale con un membro della famiglia, e avevano bisogno di un contatto fisico con quell'individuo. Inoltre adottavano le esplorazioni a stella (vedi pagina 58), sempre tenendo come punto centrale la persona preferita. Avevano poi un comportamento sociale assolutamente infantile, tanto che venivano considerati come i cani più simpatici del mondo finché restavano accanto alla persona che amavano di più. Si tratta di animali che moltiplicano gli inviti al gioco e, appena si alza il tono di voce, assumono delle posizioni di sottomissione e rassicurazione, mai di minaccia; inoltre si osserva in questi soggetti un'assenza assoluta di comportamento sessuale. La persistenza del comportamento infantile ha suggerito che persistesse anche l'attaccamento primario, e su questa ipotesi si è fondata una terapia, che si prefigge non tanto di abituare l'animale a restare da solo, ma di eliminare l'attaccamento eccessivo utilizzando la stessa procedura descritta per la prevenzione (vedi pagina 152). Sono state impiegate le telecamere per vedere che cosa succedeva quando il cane restava solo: si sono osservate manifestazioni ansiose molto violente, un comportamento esploratorio esacerbato che costituisce la causa dei danni perché, in realtà, l'animale non smette di cercare il padrone: non si tratta assolutamente, quindi, di una distruzione organizzata. La terapia viene associata a un trattamento contro l'ansia per facilitare la guarigione dell'animale e la vita dei proprietari: grazie agli psicotropi, infatti, si dimezza la durata del trattamento. Nella stragrande maggioranza dei casi (70-80 percento) si risolve definitivamente il problema in due o tre mesi, a meno che il proprietario non sia lui stesso uno dei maggiori fattori scatenanti della sindrome (vedi sotto). I risultati ottenuti in Europa sono decisamente migliori di quelli osservabili negli Stati Uniti, dove si continua a considerare il problema come frutto di un'educazione sbagliata. Trattando l'animale si modifica radicalmente il suo comportamento: la guarigione non si limita a evitare i danni materiali (che con gli psicotropi si ottiene rapidamente), ma favorisce l'instaurazione di un comportamento sociale adulto. I segnali di guarigione, o come capire che un cane è diventato adulto Esistono tre segnali visibili: - un giorno, mentre passeggiate, per la prima volta vedrete il pelo del cane che gli si rizza sulla schiena, al passaggio di un suo simile; in genere si preannuncia ai padroni l'imminente apparizione del fenomeno per evitare che lo attribuiscano a un peggioramento del carattere; -- secondo segno (meno facile da individuare negli Stati Uniti, dove tutti i cani sono castrati): la presenza di un comportamento sessuale che si associa quasi sempre, per i maschi, al gesto di sollevare la zampa per orinare; -- il terzo segnale clinico è l'instaurazione di un modo di comunicazione adulto: il cane smette di succhiare gli oggetti e di adottare un comportamento di esplorazione a stella. Anche in questo caso bisogna avvertire i padroni perché il quadrupede, che fino a quel momento, per via dell'attaccamento eccessivo, camminava sempre al loro fianco, adesso non considera più il proprietario come unico centro d'interesse. - È quindi arrivato il momento di insegnargli a rispondere al richiamo (vedi pagina 75). Alla fine del trattamento si rende quindi necessaria una procedura di educazione. Le terapie strategiche adottate quando gli esseri umani oppongono resistenza

II 20-30 percento delle persone sono incapaci di imporre al cane questa terapia perché implica una riorganizzazione radicale del loro rapporto con l'animale e non sono in grado di sopportarlo. Spesso (preciso che ci si sforza sempre di avere tutta la famiglia riunita durante la prima consultazione) la persona a cui il cane è più attaccato si sente colpevolizzata e messa alla gogna dagli altri; si cerca quindi innanzitutto di impedire l'instaurazione di una simile dinamica. Ci si è poi accorti che la terapia è assolutamente inefficace con alcune persone: anche se i farmaci danno rapidamente risultati, dal momento che non si utilizzano sedativi l'animale continua a fare sciocchezze anche se in misura minore. Nei casi più difficili lavoro insieme a psichiatri, in particolare Antoine Alaméda, specializzati in terapia sistemica e familiare per affrontare il problema da un'altra angolazione. Insieme abbiamo capito la necessità di appoggiarci alla dinamica della relazione invece di proporre una soluzione dall'esterno: abbiamo cercato, insomma, di portare progressivamente il sistema relazionale a evolvere nella direzione voluta. L'elasticità comportamentale del cane è enorme rispetto a quella di altri animali, ma nei confronti di quella umana è ridotta; siamo in una situazione analoga a quella della neuropsichiatria infantile, ma ancora "peggiore", perché uno dei membri del sistema esercita un'influenza alla quale non si può sfuggire. Si sono quindi elaborate terapie di tipo strategico. • La prescrizione del sintomo: spesso, quando descrive la sua relazione con il cane, il proprietario parla ripetutamente di un punto che gli pare molto importante e che giustifica le sue manifestazioni d'affetto nei confronti dell'animale. Se si opta per la terapia diretta gli si spiega che il suo comportamento è sbagliato e va modificato radicalmente. Quando, però, si è in presenza di un attaccamento patologico, la resistenza si manifesta proprio a quel livello, e la persona continuerà come prima, ignorando del tutto la prescrizione del terapeuta. La strategia, dunque, consiste nel consigliarle di aumentare l'attaccamento per farlo diventare insostenibile: il padrone troverà allora lui stesso un modo per modificarlo. Un giorno una signora di una settantina d'anni viene a consultarmi: aveva acquistato un cocker che era "il cane della sua vita". I vicini cominciavano a lamentarsi degli ululati dell'animale ogni volta che la padrona usciva. Tra l'altro combinava anche qualche guaio in casa e, quando lei rientrava, trovava urine e feci in giro per l'appartamento. Spiego alla signora le ragioni del comportamento del cane e lei replica: "Capisco perfettamente quello che succede e quello che sta per suggerirmi di fare, ma le dico subito che non è possibile: sono molto sola e ho bisogno del contatto con il mio cane". Durante tutta la visita, tra parentesi, continua ad attirare la mia attenzione sul modo in cui l'animale la guarda: è vero che lo sguardo di un cocker. .. Insomma, al termine della consultazione capisco che, se le impongo la mia terapia, l'anziana signora non la seguirà, come già mi aveva detto. Allora la elogio per il rapporto stretto che era riuscita a stabilire con il cane. Poi le confermo che, in effetti, quando la guarda in quel modo significa che cerca di stabilire un contatto con lei. Le suggerisco quindi di prenderlo in braccio ogni volta che la guarda. Lei mi sembra stupita, ma accetta. Le prometto: "Vedrà, in questo modo riuscirà a rassicurarlo". Parallelamente comincio a somministrargli i farmaci. La signora mi chiama otto giorni dopo per dirmi che ci sono ancora problemi ma che l'animale sembra molto più rilassato. Effetto iniziale della terapia: il cane viene regolarmente rassicurato, visto che riceve una coccola a ogni sguardo. E poi, il fatto di stabilire un sistema di rituali fissi ha sempre un effetto ansiolitico: il rapporto padrona/cocker va quindi a gonfie vele. Grazie alle registrazioni su audiocassette ci si è accorti che, effettivamente, ci impiega più tempo a spaventarsi e a mettersi a ululare. Altra telefonata quindici giorni dopo la prescrizione per dirmi che va tutto piuttosto bene ma che deve confessare di avere apportato una modifica. Mi spiega che ha cambiato la regola: adesso è quando lei guarda il cane che lo prende in braccio, le dico che lo trovo molto interessante e che non ho niente in contrario. In questo modo si è adeguata poco a poco alla terapia che avrei voluto suggerirle. C'è voluto un mese di più, ma è riuscita a stabilire un rapporto in cui è lei a dare inizio ai contatti. • In un secondo tempo si attua la prescrizione della ricaduta che permette ai padroni di non mollare. In questo caso, invece di comportarsi nel modo più logico per un medico, cioè invece di rallegrarsi per i progressi compiuti, si adotta l'atteggiamento contrario: quando il padrone viene per dei controlli si cerca di fargli capire che, anche se apparentemente le cose vanno meglio, la nostra esperienza insegna che quei miglioramenti sono sempre seguiti da un nuovo peggioramento. Lo scopo non è quello di martirizzare la famiglia in questione o di infliggere frustrazioni per il piacere di farlo, ma spingere il nucleo familiare a lottare contro quella ricaduta. Solo così si arriva a conservare il risultato finché il nostro obiettivo clinico non viene

ottenuto, ovvero finché il cane non adotta un comportamento adulto: a quel punto siamo sicuri che non ci saranno ricadute. Queste due tecniche (terapia indiretta e diretta) sono le più classiche, le più frequenti, anche se ne esistono altre. Anche nell'80 percento dei casi che guariscono con una terapia diretta bisogna rimodellare il rapporto senza comprometterne la qualità, grande timore di tutti i proprietari. Bisogna aiutare il cane a portare a termine il suo sviluppo con l'aiuto della famiglia: è l'unico sistema per ottenere guarigioni definitive. Perché l'ansia da separazione va guarita Una volta curata, questa entità clinica sparisce completamente: non c'è alcun rischio di ricadute dal momento che, con l'ansia da separazione, la crescita dell'animale si arresta al periodo prepubere e, una volta che questo blocco viene eliminato, non ci sono altri problemi, il cane supera definitivamente lo scoglio. È importante sottolinearlo, perché si tratta di una malattia estremamente diffusa: tutti conoscono almeno un cane che ne soffre. C'è però un divario enorme tra la gravita dei sintomi e la prognosi, che è complessivamente molto buona. Oggi è inaccettabile la scelta dell'eutanasia dal momento che, con una terapia appropriata, la percentuale di guarigione è molto elevata. Prima si interviene, naturalmente, più è facile curare l'animale. Le regole sociali riguardanti lo spazio e la sessualità In che modo il cane trova il suo posto IL POSTO DEL CANE NEL TERRITORIO DEL BRANCO Quando un cane vive con i suoi simili, sceglie la posizione da occupare nel territorio del gruppo in base alla posizione gerarchica. Più questa è elevata, più ha la possibilità di accedere alle parti più centrali ed elevate sul piano topografico. Fondamentale per l'animale è la possibilità di trovare un posto per ritirarsi, dormire o isolarsi, e le posizioni centrali sono quelle da cui è possibile sorvegliare i movimenti degli altri membri del branco. Nel cane non c'è un territorio individuale, ma solo quello del branco. Si potrebbe dire, metaforicamente, che questo è strutturato come le nostre città: un posto non vale l'altro, e la collocazione si definisce a seconda della condizione sociale. Spazio e gerarchia sono strettamente legati: se riesce a conquistarsi un luogo ambito, la sua posizione gerarchica migliora. Questo si vede chiaramente in un recinto dove vive una muta di cani da caccia: quando ci sono luoghi un po' elevati, strategicamente importanti, subito alcuni gruppi vi si installano con il loro leader, che appare immediatamente come il soggetto a capo della muta. IL POSTO DEL CANE NELLO SPAZIO UMANO Quando il cane vive con l'uomo si presenta la stessa situazione e, anche in questo caso, si osservano numerosi controsensi etologici. Quando l'etologia si è volgarizzata, qualcuno ne ha tratto spunto per sviluppare una visione quasi caricaturale del comportamento canino, sostenendo ad esempio che "il cane dominante dorme sul letto". Si tratta di una definizione estremamente riduttiva, a volte persino erronea dato che spesso i cani che dormono sul letto sono animali che soffrono di ansia da separazione, in stato di iperattaccamento primario e per i quali il concetto di dominante non ha alcun significato: In compenso, quelli che dormono in corridoio sono considerati a torto come sottomessi, mentre sono spesso dominanti, dato che sono riusciti a conquistarsi un punto cruciale di passaggio. Quando si studia la propensione di un cane ad atteggiamenti aggressivi gerarchici o comportamenti alimentari da dominanti (mangiare lentamente in presenza degli altri e avere diritto a nutrirsi per primo), ci si accorge che è riuscito a stabilirsi in un punto strategico, che gli consente di controllare i movimenti altrui: si tratta, per esempio, di un angolo del divano o di una poltrona da cui è sicuro di poter sorvegliare i principali assi di circolazione. Questo animale quindi tiene d'occhio le entrate e le uscite: può opporsi all'ingresso di un estraneo, ma è anche in grado di permettere o meno la partenza di qualcuno della famiglia. Uno degli esempi più caratteristici nel conflitto gerarchico è quando il cane impedisce al padrone di andarsene. Molte persone venute a consultarmi si lamentano di non poter più uscire senza l'animale perché altrimenti rischiano di essere morso. SCEGLIERE LA COLLOCAZIONE DELLA CUCCIA L'importanza della collocazione spaziale ci porta, al fine di prevenire i conflitti gerarchici (le cosiddette "sociopatie", vedi pagine da 180 a 187), a prendere un provvedimento molto semplice, utile anche per

prevenire l'ansia da separazione (vedi pagina 155): quando allontanate il cane dal giaciglio abituale e gli spostate la cuccia in un altro punto, dovete ragionare come se foste architetti e chiedervi se la nuova posizione da voi scelta gli permette di controllare le vie di passaggio della casa. In realtà si tratta perlopiù di apparenza, come spiego a chi abita in un monolocale senza separazioni interne: spesso, il solo fatto di collocare una pianta o una sedia tra la cuccia e il resto dell'appartamento è sufficiente per far perdere al giaciglio il suo valore gerarchico. Nel corso della terapia si adotta spesso questo sistema: i padroni scelgono di mettere il cane nell'ingresso frapponendo tra l'entrata e il resto dell'abitazione un oggetto per isolare l'animale. Non si tratta, infatti, solo del luogo in cui dorme: bisogna anche spedircelo quando si comporta male. Si tratta della punizione migliore che possiate infliggergli: estrometterlo dalla vita del gruppo o della famiglia. È quello che, in gergo, viene definito "campo d'isolamento". Quando il cane è nel suo campo d'isolamento, non si ha però il diritto di continuare ad aggredirlo verbalmente o fisicamente. Bisogna spiegarlo anche ai bambini: è importante mettere bene in chiaro che, quando l'animale si ritira "a casa sua", bisogna lasciarlo in pace. Se vogliono giocare con lui devono chiamarlo per farlo avvicinare, ma non toccarlo per richiamare la sua attenzione. Il vantaggio è non soltanto che avete un luogo dove mandarlo per punizione quando ha commesso uno sbaglio, ma anche che il castigo è meglio tollerato dal cane proprio in virtù del fatto che quel luogo è rispettato dagli altri abitanti della casa. Il controllo della cuccia e la sua buona utilizzazione da parte della famiglia evitano molti morsi ai bambini. La cuccia del cane e i bambini La cuccia (cesta o altro) è un luogo riservato al cane: gli serve per dormire ma anche per isolarsi. Quando ha combinato un guaio rimproveratelo e mandatecelo. Quando si trova lì, però, bisogna lasciarlo tranquillo e smettere di sgridarlo. I cani che non hanno un luogo solo per loro sono "rintracciabili" dappertutto, in particolare da parte dei bambini che desiderano toccarli. Per evitare i morsi è veramente fondamentale spiegare ai vostri figli che non devono toccare il cane o andarlo a cercare quando si trova nella sua cuccia: per giocare con lui lo devono chiamare. Come si organizza la gerarchia sessuale DOMINANTI E SOTTOMESSI DI FRONTE ALLA SESSUALITÀ Nel branco la gerarchia sessuale si basa, come le regole riguardanti il cibo, su principi semplici. Si tratta anche di norme legate alla posizione sociale, nel senso che solo i dominanti hanno un comportamento sessuale esplicito davanti ai loro simili. Quando le cagne del branco sono in calore questo comportamento sessuale pubblico è esacerbato al punto che, in certi periodi, i dominanti non hanno più rapporti veri e propri ma continuano a mimare le monte (del resto, vista la frequenza degli accoppiamenti, la concentrazione di spermatozoi è molto ridotta). Precisiamo a questo punto che non c'è un dominante, ma si parla di gruppo dominante: tutta la dinamica della gerarchia si attua grazie alle alleanze. Bisogna sfatare la visione romantica di due maschi che si affrontano: tra gli individui di sesso maschile c'è un leader che costituisce il punto di riferimento per una coalizione di quattro o cinque soggetti. Questo fenomeno si basa su un continuo processo di reclutamento, perché i vecchi dominanti sono sostituiti dal nuovo leader, aiutato da altri giovani dominanti. All'inizio, l'alleanza può nascere con una semplice coalizione durante un conflitto, se un individuo si accosta a un altro per minacciare un terzo. Per analogia con quanto accade nei maschi dominati tra i lupi, spesso si è parlato, in termini eccessivi, di castrazione sociale. La definizione è discutibile perché anche nel lupo i dominati hanno, nonostante tutto, un comportamento sessuale non appena i dominanti voltano loro la schiena. Si pensa persino che l'iniziativa dei dominati permetta di evitare una certa monotonia genetica, nella misura in cui da origine a un rinnovamento. Lo stesso atteggiamento si manifesta anche nelle femmine che, quando sono sottomesse, non esprimono il loro comportamento di corteggiamento se non in presenza dei dominanti. perché non ha senso parlare di società patriarcale nei cani. Le femmine hanno un sistema gerarchico identico a quello maschile a eccezione di un particolare: assumono il potere nell'ambito del gruppo stabilendo una relazione con i maschi dominanti e, soprattutto, partorendo: avere cuccioli significa fare parte dei leader. Le femmine dominanti hanno la tendenza a inibire la sessualità delle altre anche nel campo dei feromoni; ci si IL SISTEMA GERARCHICO NELLE FEMMINE Esistono due gerarchie parallele, quella dei maschi e quella delle femmine; ecco

è infatti accorti che le cagne sottomesse hanno calori meno appariscenti, e sintomi fisiologici meno marcati. È raro che vi siano conflitti gerarchici tra individui di sesso diverso, salvo in situazioni estreme, tipo mancanza di cibo o sovrappopolazione, quindi in casi di patologia di gruppo. C'è poi la situazione di una femmina in calore che reagisce con violenza ai tentativi di monta da parte del maschio. I maschi sembrano esercitare un controllo maggiore sulle uscite, mentre le femmine appaiono più attente alle intrusioni nel territorio del gruppo. Sembra che siano loro a identificare gli intrusi ed, eventualmente, a chiedere aiuto ai maschi per cacciarli. L'INFLUENZA DELLA GERARCHIA QUANDO IL CANE VIVE IN FAMIGLIA Tenendo presente quanto abbiamo già detto, il cane che vive insieme agli esseri umani cambierà comportamento quando uno dei membri della famiglia mostra una qualche debolezza; cercherà allora di assumere il predominio nell'ambito della famiglia. Prendiamo il caso di cane e padrone dello stesso sesso: il proprietario si assenta spesso per lavoro, e il resto della famiglia soffre per la sua lontananza per ragioni diverse: spesso è il cane ad approfittare della situazione accentrando l'attività intorno a sé. Un bel giorno, quando il marito/ padre torna a casa, trova l'animale sulla sua poltrona preferita e nasce una situazione conflittuale. La moglie e i bambini si precipitano a "rassicurare" il cane, e il conflitto ne risulta esacerbato. Il ruolo del cane acquista un ulteriore rilievo quando si assiste a un conflitto tra marito e moglie: il quadrupede diventa allora uno strumento di violenza coniugale, la cagna contro la padrona e il maschio contro il padrone. Paprika viene portata in ambulatorio perché è la quarta volta che morde la signora J. La cagna viene tenuta dal signor ]., che, tra l'altro, mette in dubbio le parole della moglie. Secondo lui, se lei "fosse meno incapace con la cagna, le cose andrebbero meglio". Il signor J. è molto sportivo e appena può va a correre con l'animale; tra loro due, va tutto bene. Quasi subito la signora comincia a lamentarsi, chiedendosi cosa ci sta a fare con il marito; durante la consultazione si instaura un clima di aggressività. Il signor J. finisce per spiegare che sua moglie "è una rompiscatole ed è normale che la cagna se ne accorga"; infine, quando l'animale mostra i denti alla moglie, il signor J. non sembra affatto turbato e la accarezza. In questo caso, come in neuropsichiatria infantile, si osserva il ricorso a un terzo come strumento di violenza all'interno della coppia. Vi sono anche casi estremi in cui uno dei membri della famiglia strumentalizza il cane e se ne serve contro il resto del gruppo; il cane, insomma, diventa un complice suo malgrado. E qui sta la difficoltà del terapeuta: una volta fatta la diagnosi, deve trovare il sistema per risolvere il problema. Ci sono persone molto motivate, ma ne esistono altre che, invece, consapevolmente o meno, sono perfettamente soddisfatte della situazione. In certi casi il cane protegge quasi spontaneamente il bambino dai genitori: è frequente vedere figli in fase preadolescenziale allearsi con il cane (e ancora più spesso con la cagna). I genitori non possono più nemmeno alzare la voce, in particolare le madri, che si vedono continuamente private del loro ruolo dall'intervento sistematico dell'animale. I bambini sanno sfruttare perfettamente questo fenomeno. IL CANE DURANTE LA PUBERTÀ DEI FIGLI Una delle immagini più chiare della gerarchizzazione si ha al momento della pubertà dei figli. Ciò significa che, soprattutto quando il cane è di sesso maschile, è lui il primo ad accorgersi di questa trasformazione in una ragazza. Sull'argomento sono stati condotti diversi studi, secondo cui il periodo della pubertà nelle ragazze è associato a un rinnovato interesse nei confronti dell'animale: lo accarezzano più spesso, lo coccolano, si sdraiano per terra accanto a lui. È un momento di complicità in cui il cane si reca spesso nella stanza della ragazza. E poi, un bel giorno, ci si accorge che al padre non è più consentito entrarci. In genere, le figlie sono estremamente divertite quando vedono il cane sdraiato di traverso davanti alla loro porta che ringhia quando il padre cerca di varcarne la soglia... finché, un giorno, si portano a casa il primo ragazzo. L'intrusione del nuovo arrivato è tollerata ancora meno dal cane. È questo fenomeno, in genere, che fa scattare nelle ragazze la voglia di collaborare: era divertente vedere papa sconfitto, mentre le fa ridere molto meno una simile ostilità nei confronti del ragazzo che, soprattutto se l'animale è grosso, non tenterà di venire una seconda volta. Per i cani maschi adulti che vivono con adolescenti di sesso maschile si osserva invece un altro problema. Prima che il bambino raggiunga la pubertà può fare tutto ciò che vuole all'animale: tirargli la coda, rubargli la palla, schiacciarlo a terra durante i giochi eccetera. Ma un bel giorno il cane reagisce male e si mette a ringhiare: questo avviene di solito fra i dodici e i quattordici anni. Tra l'altro, si tratta di un periodo in cui il ragazzino cerca di esercitare il suo potere e, per lui, risulta sempre più

facile misurarsi con un animale che con gli adulti. Si arriva allora a situazioni conflittuali che sono però facilissime da risolvere se i genitori hanno il buonsenso di venire a chiedere aiuto tempestivamente. Sono i feromoni o gli odori sessuali che intervengono per avvertire il cane della pubertà dei figli? Per il momento non si sa. In questo periodo, però, non bisogna trascurare i segnali comportamentali, come un calo delle attività ludiche spontanee; il cane, cioè, cerca di misurarsi con gli altri e di esercitare il suo potere, vivendo una situazione molto più tesa di prima. La vita sessuale del cane La vita sessuale costituisce un punto d'incontro degli aspetti comportamentali e fisiologici. In linea di massima, ogni cagna ha due periodi di ovulazione all'anno. Si tratta di un'approssimazione, perché la frequenza varia a seconda delle razze: certe ne hanno effettivamente due (molte razze classiche nei nostri paesi), ma quelle giganti una e mezzo (un anno ne hanno due, l'anno seguente una). Citiamo a questo proposito la femmina del mastino del Tibet, che ha una sola ovulazione all'anno. Agli occhi di noi umani, in base alla nostra concezione della sessualità animale che consideriamo puramente legata alla riproduzione, è nel momento in cui la cagna entra nel periodo dell'ovulazione che i maschi cominciano a interessarsi a lei. I CALORI DELLA FEMMINA Senza entrare in particolari fisiologici, schematicamente si può dire che:  c'è un primo periodo in cui l'ovaia si prepara a rilasciare gli ovuli; è il cosiddetto "proestro". Da questo momento in poi la cagna comincia ad attirare i maschi ma non accetta l'approccio diretto; spesso adotta persino dei comportamenti aggressivi nei confronti dei corteggiatori un po' troppo intraprendenti; del resto, i maschi lo diventano rapidamente, perché sono attirati dalle diverse secrezioni di cui parlerò più tardi;  poi comincia il periodo durante il quale la cagna ha l'ovulazione: si tratta dell '"estro". Adesso accetta la monta;  l'estro è seguito da una fase particolarmente lunga, all'origine di qualche fastidio per le nostre cagnoline da compagnia: si tratta del metaestro. E' in questo periodo che la cicatrice del punto di emissione dell'ovulo diventa il "corpo luteo". Mentre nelle donne, in circostanze normali, rimane solo se c'è stata fecondazione, nelle cagne persiste per diverse settimane, e spiega il particolare fenomeno della "lattazione da pseudogravidanza" (vedi riquadro qui sotto);  infine si entra nel grande periodo chiamato "anestro" in cui non accade più nulla e che si prolunga fino al ciclo successivo. La lattazione da pseudogravidanza o "gravidanza nervosa" Esistono alcune cagne che presentano, otto settimane dopo il periodo dell'ovulazione, proprio come se fossero state fecondate, una lattazione con fenomeni più o meno marcati. Alcune adottano un comportamento materno: preparano un nido nel quale portano un oggetto "adottato" (un giocattolo, una pantofola, una pallina di carta ... ). Sono generalmente in uno stato di grande malessere, piagnucolano spesso, gemono, hanno latte, a volte in grandi quantità; altre hanno invece una forma più lieve, manifestano semplicemente il comportamento di nidificazione e di guardia attorno a esso, ma hanno una lattazione scarsa seguita dalla produzione di siero, però presentano sempre mammelle parecchio congestionate. Tutto questo si spiega con la persistenza del corpo luteo. Il nome di "gravidanza nervosa" è improprio perché, in effetti, la cagna non appare incinta: si manifesta in lei solo il fenomeno della lattazione. Il termine di pseudogravidanza è quindi un antropomorfismo (perché questo disturbo si rileva nella donna). L'ECCITAZIONE DEI MASCHI I maschi cominciano a essere eccitati fin dal proestro: sono stimolati dalla presenza della cagna persino nella fase iniziale del metaestro. Classicamente si considera che il periodo dei calori duri da due a tre settimane. Durante tale fase, i maschi percepiscono la presenza della femmina anche a grandi distanze perché questa emette feromoni sessuali che provengono tanto dalle ghiandole distribuite intorno all'ano (non solo quelle dei sacchi anali, ma anche le più piccole in zona perianale), quanto dall'apparato genitale che diffonde i feromoni con le urine. I maschi entrano in uno stato di eccitazione piuttosto evidente al solo contatto con tali secrezioni. Il quadro clinico è perfettamente noto a chi ha avuto l'occasione di trovarsi con un maschio in prossimità di femmine: in genere il soggetto si disinteressa completamente al cibo; è pronto a demolire tutte le porte che lo separano

dall'oggetto del suo desiderio ed, evidentemente, cerca in ogni modo di scappare per seguire la pista della femmina. I proprietari di cagne in calore sanno che, in quelle settimane, possono ritrovarsi parecchi maschi in giardino o sul pianerottolo; ciò comporta non solo rumore, ma anche ulteriori inconvenienti tipo porte graffiate e altri danni commessi dal cane per entrare, associati a comportamenti di marcatura urinaria: l'animale fa pipì, sollevando la zampa, intorno agli ostacoli che lo separano dalla femmina. L'ATTO SESSUALE Nell'ambito della vita in branco, dal momento in cui il cane è al cospetto della femmina la sua possibilità di passare all'atto sessuale è direttamente legata alla sua posizione gerarchica: solo i dominanti possono montarla in presenza di altri cani, mentre i sottomessi devono limitarsi, nel migliore dei casi, a un rapporto consumato di nascosto. LA VITA SESSUALE AL DI FUORI DELLA RIPRODUZIONE Tutto quello che abbiamo descritto (calori, eccitazione, accoppiamento) corrisponde all'idea convenzionale del normale comportamento sessuale canino. In realtà la vita sessuale del nostro amico quadrupede non si limita a questo, come dimostrano gli studi etologici che analizzano il comportamento degli esseri viventi senza idee preconcette. Nel cane, così come nei primati, si osservano giochi sessuali precoci, persino nei cuccioli in età prepubere. Questi sono essenzialmente costituiti da autostimolazioni o stimolazioni reciproche con la lingua della regione genitale, tra individui di sesso diverso o dello stesso sesso, e si tratta indubbiamente di un comportamento di tipo sessuale. Esiste l'omosessualità nel cane? Non bisogna confondersi con la "monta gerarchica", che costituisce un rituale di dominio e ha indotto qualcuno, in passato, a parlare di omosessualità canina. Possono esistere in effetti giochi sessuali tra due maschi o due femmine, ma non si osservano comportamenti esclusivamente omosessuali come nell'essere umano. Queste monte non hanno nulla di sessuale: la sequenza di esecuzione non è la stessa e non si concludono mai con l'eiaculazione. La vita sessuale del cane, quindi, può esulare dai fini riproduttivi, il che provoca talvolta conflitti tra l'animale e il suo proprietario. Chi possiede due esemplari a volte mal sopporta effusioni del genere davanti ai bambini; si tratta però, lo ricordiamo, di manifestazioni normali che pongono meno problemi ai figli se i genitori non si scandalizzano regolarmente. Simili giochi possono durare molto a lungo: per parecchie decine di minuti i cani si leccano, si stimolano reciprocamente anche in periodi non fecondi. Evidentemente, nel corso della coabitazione con l'uomo, i soggetti che hanno avuto un forte imprinting umano tenteranno approcci del genere anche con i padroni. Gli esseri umani non tollerano che il cane ficchi il naso nelle loro parti intime, ma per l'animale si tratta di gesti banali che permettono la comunicazione sociale. È evidente che, durante i conflitti gerarchici nelle sociopatie, spesso il cane cerca di stabilire tale forma di interazione con il proprietario del sesso opposto, in particolare se il rivale è presente, perché ciò lo fa aumentare di grado nella gerarchia. In base a quanto ci raccontano le famiglie, questo tentativo è piuttosto frequente. Camminare al guinzaglio Abbiamo già parlato (pagina 142) dell'imposizione di guinzaglio e collare al cucciolo, insistendo sul fatto che tale iniziazione debba conservare un aspetto ludico. Dopo la pubertà, a partire dall'età adulta, si possono avere esigenze più importanti. Se non volete commettere errori, rispettate le regole che seguono. Capire la marcia al guinzaglio  La prima regola consiste nel capire che il guinzaglio non è un sistema per attaccare il cane a una sorta di paletto vivente, rappresentato da chi lo regge. Va invece considerato come una specie di linea telefonica tra l'uomo e il cane: appena lo si tocca, lo si allenta o lo si tira, si trasmette un messaggio: gli strattoni devono essere sempre brevi e seguiti da un allentamento. Solamente se il cane non obbedisce tirate di nuovo, ma con più decisione, questa volta, per insistere sul fatto che si tratta di un ordine. È uno strumento di trasmissione, e per trasmettere è necessario che abbia una lunghezza adeguata. Indipendentemente dalle dimensioni del cane, anche se è molto grosso e la sua schiena vi arriva all'altezza della mano, il guinzaglio dev'essere lungo

da novanta centimetri a un metro. Quelli cortissimi (trenta, quaranta centimetri) sono un vero disastro, perché l'animale è continuamente in tensione di fianco al padrone.  La seconda regola consiste nel ricordarsi che nessun cane al mondo vede il motivo di camminarvi accanto senza tirare; bisognerà quindi insegnargli a farlo. Qualunque cosa accada, quando cammina al guinzaglio non è mai completamente rilassato.  Da ciò emana la terza regola: quando intendete fare una passeggiata che gli risulti distensiva e piacevole dovete lasciarlo libero perché, a partire dal momento in cui gli mettete il guinzaglio, è ai vostri ordini. I DIVERSI COLLARI E GUINZAGLI Sono utili i guinzagli avvolgibili? Se si riflette su quello che abbiamo appena detto, è evidente che questi modelli assomigliano più a delle canne da pesca a mulinello che a degli strumenti di controllo del cane, e sono quindi fortemente sconsigliati. Si tratta di un accessorio da dimenticare, perché il guinzaglio deve avere una lunghezza costante, indipendentemente dalle dimensioni dell'animale. Perché si dice che il cane deve camminare a sinistra? E' vero che in certi casi sono state fissate convenzioni, come per i cani guida. Nei circoli di addestramento si insegna effettivamente ai padroni a far camminare l'animale alla propria sinistra. Per quest'ultimo, però, la questione non ha alcuna importanza. Semplicemente, dato che i collari da addestramento sono scorrevoli e si muovono in direzione della persona che tiene il guinzaglio, bisogna infilarglielo correttamente a seconda che vi cammini a sinistra o a destra. Non si può continuare a cambiare mano perché, altrimenti, il collare invece di scorrere si blocca. L'apprendimento della marcia al guinzaglio Modificate il percorso Dovete evitare i lunghi tragitti rettilinei e monotoni: scegliete un luogo come un parco dovete potete camminare intorno agli alberi e divertitevi a girare intorno alle piante. Non stancatevi di "imbrogliare" il cane: non deve poter indovinare in che direzione andrà, così sarà costretto a concentrare su di voi l'attenzione. Solo in questo modo imparerà a non tirare. Finché vi rimane al fianco fategli i complimenti; appena vi supera dategli un "colpo di clacson" (tirate il guinzaglio) che significa "no". Poi potete dirgli con dolcezza "al piede"; l'importante, in ogni caso, è non continuare a cambiare vocabolario senza sosta, e proseguire con la passeggiata. Variate la velocità di marcia Ricordatevi di variare, durante la fase di educazione, la velocità di marcia, tenendo presente che è il cane a dover adattare il suo ritmo a quello del padrone. Così, non solo l'animale non sa quale direzione imboccherete, ma neppure se avete intenzione di accelerare o rallentare. Creando questa incertezza lo frastornerete e lo obbligherete a stare attento. Attirate la sua attenzione Destate la sua attenzione con piccoli rumori (schiocchi di lingua) o parlandogli (ricorrete a tutte le parole onomatopeiche a cui l'avete abituato) in modo che non si distragga. All'inizio praticate esercizi brevi (un quarto d'ora, venti minuti), semplicemente per far capire al cane che, quando si infilano collare e guinzaglio, il padrone dirige la passeggiata ed esige certi comportamenti. Insegnategli a sedersi sul bordo del marciapiede Ci si può spingere oltre nell'addestramento insegnandogli a sedersi sul bordo del marciapiede: è un esercizio che si fa sistematicamente con i cani guida (ci si ferma, il cane si siede e aspetta l'ordine per attraversare). Questo ha salvato la vita a molti cani: il giorno in cui si trovano da soli, se hanno imparato sistematicamente a sedersi dove finisce il marciapiede, sanno che si attraversa solo quando non passa nessuno. In questo modo si evitano anche problemi quando sono i bambini a portarlo a spasso: non c'è il rischio che questi decida improvvisamente di attraversare trascinandosi dietro i vostri figli.

I casi particolari A volte può succedere che persone anziane acquistino un cane per la prima volta o che scelgano un animale che pesa più di loro: queste due situazioni spesso generano una certa apprensione. Esiste però un trucco utilissimo che consiste nel far passare il guinzaglio dietro la schiena. Se l'animale vi cammina a sinistra, infilatevi il guinzaglio sul polso destro, facendolo passare dietro la schiena, ed esercitate trazioni e variazioni di tensione con la mano sinistra con cui potete, di tanto in tanto, darvi dei colpetti sulla gamba o accarezzare il cane. Il vantaggio è che se l'animale, all'inizio dell'educazione, parte in quinta perché ha visto un suo simile qualche metro più in là o ha sentito un odore interessante, non rischiate di finire a terra perché sarà la totalità del vostro corpo a reagire dicendo "no" e a opporsi con tutto il peso alle intenzioni del cane. Questa tecnica, tra l'altro, permette di evitare le fratture del collo del femore nelle persone anziane. E poi, si tratta di un posizione rassicurante che aiuta a sentirsi a proprio agio. Perché la marcia al guinzaglio non è una passeggiata rilassante per il cane Non dimenticate mai che la marcia al guinzaglio è una sorta di lezione per il cane, durante la quale è sempre il padrone a controllare l'animale. Ecco perché certe passeggiate possono risultare ingrate ai cani come ai proprietari: il giretto per guardare le vetrine non è molto interessante per i primi e diventa penoso per i secondi che li tengono al guinzaglio. In effetti, se guardate i negozi di una grande strada affollata smettete di comunicare con il vostro amico a quattro zampe, che viene allora attratto da altre cose: comincia ad annusare la pipì degli altri cani, ciò che trova per terra... I due soggetti che passeggiano insieme hanno dunque motivazioni diverse, e da questo nascono le difficoltà: il cane tira, il padrone è infastidito perché vorrebbe guardare qualcosa. Si tratta, insomma, della tipica situazione da evitare, salvo per le persone che sono obbligate a farlo, come gli handicappati (ma in questo caso il cane è appositamente addestrato). Le passeggiate rilassanti devono svolgersi in mezzo alla natura e, preferibilmente, senza guinzaglio. Quando le regole sociali sono state male apprese II cane che morde, ovvero i conflitti gerarchici uomo/cane Da quando il cane vive con l'uomo, per quest'ultimo l'idea di un eventuale morso risulta intollerabile, risveglia paure ancestrali legate al ruolo di preda. Inoltre circola spesso la convinzione, soprattutto fra gli amatori di certe razze, che il quadrupede in questione debba essere completamente sottomesso all'uomo e che si debba arrivare a situazioni di aberrazione totale perché si ribelli. Una ventina di anni fa, quando gli americani cercarono di codificare i problemi comportamentali canini, elaborarono i concetti di psicosi e nevrosi (parapsicosi e paranevrosi in Francia). La psicosi per eccellenza era rappresentata dal morso all'uomo: secondo questa teoria il morso a un essere umano era motivato solo da pazzia, e non aveva nessun'altra spiegazione. Fortunatamente alcuni studiosi hanno imboccato il cammino inverso -- anch'essi, tuttavia, con esagerazioni -, e hanno concluso che alla base dell'aggressione c'è necessariamente un problema di dominio o di paura. Questa teoria si basa sull'idea che un cane possa nascere intrinsecamente dominante. Campbell ha quindi cercato di individuare il soggetto leader tra i cuccioli ancora attaccati al seno materno, con l'idea che essere dominante fosse una caratteristica come il pelo di un certo colore. Il motivo, naturalmente, era per eliminare i dominanti e liberarsi del problema alla radice. Un simile approccio è stato rifiutato in tronco dalle scuole francesi o inglesi, secondo cui la leadership va considerata in un contesto dinamico; non si vuole negare che alcuni cani abbiano più facilità di altri a diventare dominanti, ma non esiste un gene del dominio. Ogni aggressione, che comporta numerose fasi, corrisponde a situazioni funzionali diverse. Un soggetto che morde per migliorare la sua posizione gerarchica nei confronti del cibo si comporterà diversamente da uno che attacca perché ha paura o si sente minacciato. Si possono quindi individuare e classificare le diverse forme di aggressione.  Quasi tutti i morsi che mi capita di vedere in ambulatorio si verificano anche all'interno del branco, e corrispondono a situazioni di conflitto gerarchico. Sono attacchi legati alla cuccia, al cibo o anche, spesso, al tentativo di proteggere un individuo dell'altro sesso dall'avvicinamento di un terzo. Si osserva che le vittime sono sempre adulti (o puberi) dello stesso sesso del cane.  Vi sono poi le aggressioni del cane irritato, provocate da un contatto fisico diretto o da una manipolazione che risulta dolorosa per l'animale.  Infine si osservano quelle di tipo territoriale: il cane controlla gli spostamenti di tutti i membri della famiglia e dei visitatori, che a volte non riescono più ad andarsene. La sequenza classica è la seguente: il cane è seduto, lo si sta accarezzando o toccando e, improvvisamente, si irrigidisce, le orecchie si sollevano ed emette un ringhio sordo e breve. Poi gli si rizza il pelo sulla schiena e, come spesso i testimoni osservano, gli si dilata la pupilla: si riesce a vedere il tappeto della retina, che conferisce allo sguardo una colorazione verde (vedi pagine 45 e 230). A quel punto dà un morso e si rimette subito a minacciare. Ciò accade in particolare quando lo grattate sulla testa o sul collo (punti in cui solo i dominanti possono toccare i sottomessi) mentre sta coricato ai vostri piedi. La gente crede che sia pazzo a

mordere chi lo accarezza; in realtà non è pazzo, ha semplicemente controllato, in quanto dominante, la durata del contatto fisico. PERCHÉ VI SONO CONFLITTI GERARCHICI TRA L'UOMO E IL CANE Essere dominante non è una malattia per il cane, ricordatelo. Se avete un animale leader, effettivamente a volte il rapporto può risultare difficile, ma non significa certo che i morsi sono inevitabili: il dominante è aggressivo e morde solo quando avviene una trasgressione, evenienza piuttosto rara. Il problema dell'uomo è che non permette mai all'animale di essere completamente dominante: gli concede, per negligenza o per affetto, alcune prerogative da leader ma, in ultima analisi, desidera mantenerlo sotto il proprio controllo. Il quadrupede si trova allora in una situazione assolutamente ambivalente che non capisce: per questo sta sempre sul chi vive. Uno dei sintomi più evidenti è l'ipervigilanza: i padroni hanno l'impressione di essere continuamente sorvegliati. Di notte, per esempio, quando il cane dorme in corridoio, non si può più andare in bagno. Nel corso della terapia non si tratta, come abbiamo già detto (pagina 177) di constatare che un membro del gruppo familiare ha sbagliato o è malato; semplicemente, si osserva una sofferenza del gruppo nel suo complesso, che funziona male. Ecco perché si parla di sociopatia: il cane non è l'unico interessato, e non si può intervenire solo su di lui; bisogna invece modificare l'intero sistema relazionale. Nonostante tutto, non è detto che il cane non soffra. All'inizio si ha una situazione di caos in cui l'animale riceve informazioni contraddittorie sul cibo, lo spazio e così via. Vive in un contesto che, secondo la sua interpretazione, può controllare, ma a volte accade il contrario: è il padrone a essere dominante. Tale ambivalenza cronica è estremamente ansiogena: la prima conseguenza è lo stato di ipervigilanza di cui abbiamo già parlato. Se non si prendono provvedimenti e non si interviene con un trattamento (spesso le famiglie vivono molto a lungo in una situazione difficile, escogitando sistemi pazzeschi per limitare i rischi senza nulla cambiare nella sostanza), il cane svilupperà manifestazioni ansiose molto gravi con sintomi organici, digestivi, urinari, cardiovascolari, ma anche bulimia o lesioni provocate a forza di leccarsi, e talvolta comincerà a bere litri e litri d'acqua, con le conseguenze sgradevoli che ne derivano. Il primo stadio di aggressività Prima di arrivare a questo stadio o all'autentica iperaggressività, in cui l'animale si accorge che l'unico sistema per risolvere in modo efficace qualsiasi problema consiste nel mordere (come spiego a pagina 183), non si può affermare che il cane sia malato. Al contrario, per molto tempo reagisce normalmente pur trovandosi in una situazione aberrante. Poi fanno la loro comparsa i sintomi rivelatori più espliciti della "triade" della sociopatia: aggressione per irritazione, gerarchica e territoriale. Non tutti i cani soffrono però delle tre forme, tanto più che il disturbo non si manifesta unicamente con il comportamento aggressivo. Alcuni padroni al primo ringhio puniscono il cane che, così, impara a non aggredire la gente, senza che però la sociopatia venga curata. La malattia si esprime allora in altro modo: la mancanza di igiene, per esempio: l'animale cerca di affermare la sua posizione di potenziale dominante grazie ai feromoni. Solleva allora la zampa contro i muri di casa, depone gli escrementi bene in vista e sempre in una posizione elevata, per esempio sui mobili. Si potrebbe essere tentati di confondere il disturbo con l'ansia da separazione (vedi pagina 153). La differenza principale è che, in questa situazione, gli escrementi sono deposti in bella vista e in un punto sopraelevato. Di solito, le feci si trovano sul primo mobile che si vede entrando. Nelle sociopatie il conflitto si concentra in particolar modo sul padrone che se ne va, abbandonando il cane da solo: spesso, i danni sono raggruppati nelle zone d'uscita (porte, finestre, tende ... ). È proprio questo che consente di differenziare il problema da quello delle ansie da separazione. Oltretutto, nelle sociopatie in genere l'animale ringhia invece di ululare, e i vocalizzi sono più brevi. Abbaia poi in momenti inopportuni, tipo quando si è al telefono o si incontra un conoscente per strada. Purtroppo i proprietari tentano spesso di curare il cane a modo loro pur possedendo solo informazioni limitate sull'argomento: ho visto persone somministrare ansiolitici a soggetti affetti da ansia da separazione. Se i farmaci non sono quelli corretti, però, rischiano di disinibire il cane, che così diventa aggressivo. E' quindi fondamentale fare una diagnosi precisa. Lo stadio dell'aggressività e il cane pericoloso II disturbo può evolvere e raggiungere "il secondo stadio" o stadio d'iperaggressività. Si osserva nei cani che, fin dall'inizio, manifestano clinicamente la sociopatia con episodi aggressivi. In questo contesto l'animale si accorge che, quando morde, la situazione evolve a suo vantaggio; si verifica allora un rafforzamento positivo del morso e il quadrupede impara che si tratta di un comportamento efficace. In seguito sparisce la struttura

della sequenza comportamentale - minacce, morsi e atti di rassicurazione - e, poco a poco, resta solo la fase dell'aggressione fisica senza nessun controllo, e il cane non allenta la presa neppure quando l'avversario si sottomette. Generalmente a questo stadio l'animale morde tutti in casa e, sul piano terapeutico, si osservano diverse conseguenze importanti. Innanzitutto accade spesso-sopratutopericanidigrandidimensioninfamiglieconbambini-chesioptiperl'eutanasia.Inalternativa,iltratamentopuòcominciaresolo quando il cane viene ricoverato, perché altrimenti sarebbe troppo pericoloso. Di solito i farmaci sono necessari per un periodo di cinque, sei mesi. In situazioni normali, come viene insegnato ai veterinari, si suggerisce ai padroni di far curare l'animale; in alcune circostanze, però, per ragioni di sicurezza, si consiglia l'eutanasia, anche se non si ha il potere di imporre l'allontanamento o l'uccisione del cane. Se i proprietari esigono a tutti i costi la terapia, ci rifiutiamo e inviamo loro una raccomandata con ricevuta di ritorno in cui spieghiamo le ragioni del rifiuto: riteniamo sia un buon sistema per aiutarli a ritrovare il buonsenso che possono aver smarrito per ragioni affettive. Altri escludono categoricamente la possibilità di somministrare farmaci all'animale. Purtroppo, però, siamo costretti a ricorrere agli psicotropi anche se hanno, è innegabile, effetti secondari come un calo dell'appetito e dell'interesse. Anche se i farmaci non sono necessariamente impiegati per tutto il trattamento, siamo obbligati a usarli all'inizio, prima di dare il via al processo educativo. Nel caso dell'aggressione gerarchica si osserva una sequenza tipica:  innanzitutto c'è la fase di minaccia con ringhi, esibizione dei denti, pelo che si rizza eccetera;  poi, se l'altro non cede, il cane lo morde (il modo in cui infligge questo morso è della massima importanza perché permette di capire come si considera rispetto all'avversario);  di solito l'attacco provoca l'indietreggiamento e la sottomissione della vittima, e a quel punto il cane si mette a rassicurare l'uomo: può appoggiargli una zampa sulle ginocchia o tutt'e due gli arti anteriori sulle spalle, e persino dare colpetti di lingua sulla ferita. Il problema, però, è che la gente interpreta questi gesti (utilizzati anche dai cani tra di loro) come una richiesta di perdono. Tollerandoli, invece, si dimostra la propria disponibilità a sottomettersi, e all'aggressione successiva sarà ancora più difficile tener testa all'animale. Rifiutare la "rassicurazione" Quando si è stati morsi e il cane si appresta a iniziare la fase di rassicurazione - viene cioè a posarvi la zampa o la testa sulle ginocchia (o sul torace) e vi lecca persino la ferita - dovete alzarvi e non partecipare alla sequenza. Se interpretate questi segnali come una richiesta di perdono e li tollerate, dimostrate al quadrupede la vostra volontà di sottomissione. IL TRATTAMENTO Si riesce quasi sempre a guarire un cane dominante con una terapia diretta: si procede con la "regressione sociale guidata", diminuendo la sua posizione gerarchica in modo controllato (non lo si priva di tutto il potere in un colpo solo); gli si tolgono alcune prerogative osservate durante la consultazione come il controllo di entrate e uscite, la gestione dei contatti con gli individui, in particolare con quelli dell'altro sesso. Si tratta, come abbiamo già visto, di urna patologia relazionale (anche quando non vi sono problemi affettivi importanti). Ecco perché, se una famiglia concede due importanti prerogative da dominante al cane, congedandola con due pagine di prescrizioni si può star certi che le indicazioni del terapeuta non verranno seguite. Si pratica allora piuttosto una "terapia degli obbiettivi" senza mai dimenticare che, in un sistema di grande complessità come questo, appena si tocca un piccolo elemento si altera tutto il sistema. Nella maggior parte dei casi si prescrive un solo cambiamento per volta: modificare i pasti, per esempio. I pasti Concretamente si domanda ai proprietari di cenare prima del cane e in sua presenza. Quando hanno terminato di mangiare, e solo allora, gli riempiono la scodella; ovviamente non bisogna dargli nulla mentre si è a tavola. Quando arriva il turno del quadrupede non sono obbligati a restare: possono lasciarlo mangiare tranquillamente accordandogli cinque o dieci minuti, dopodiché gli tolgono la ciotola. Sul piano comportamentale si ottiene lo scopo prefissato e, dal momento che si procede per gradi, il cane non protesta.

Non dare da mangiare al cane a tavola È fortemente sconsigliato elargire del cibo all'animale quando si è a tavola. In certi ambienti, soprattutto rurali, si tratta di una tradizione fortemente radicata. In questo caso il sistema migliore consiste nel mettere in tavola un piattino che servirà a ricevere l '"elemosina" di ciascun commensale: solo al termine del pasto si potranno dare al cane i bocconi raccolti. La cesta Dal punto di vista spaziale, si chiede ai padroni di disegnare la pianta dell'abitazione per capire bene quali sono gli assi della circolazione: in seguito si decide insieme a loro la collocazione della cuccia (come abbiamo già detto, se l'ambiente di per sé non consente di isolare il cane basta frapporre tra il giaciglio e il resto della casa un oggetto). Ripetiamolo ancora: non bisogna mai dimenticare che, quando il cane si comporta male, la famiglia deve coalizzarsi per mandarlo a cuccia e sistematicamente, quando vi si è ritirato, interrompere le minacce e lasciarlo in pace. Questo modo di procedere spaventa sempre un po' la gente, ma chi lo prova si rende subito conto della sua efficacia. In alcuni casi bisogna ricorrere ai farmaci, il che spesso è mal tollerato: ma se avete un mastino tedesco che pesa ottanta chili e avete già trascorso una settimana all'ospedale sarete sicuramente contenti di vedere che, con le medicine, il cane si calma. Non si somministrano mai sostanze che sopprimono completamente le manifestazioni aggressive: si cerca piuttosto un trattamento che impedisca il ricorso alle vie di fatto, cioè ai morsi. Non ci si propone di trasformare il cane in un vegetale, poiché questo demotiverebbe tutti quanti. I contatti con gli esseri umani dell'altro sesso Nella sociopatia sono i contatti con gli individui dell'altro sesso che vengono messi in causa; la prescrizione, in questo caso, assomiglia parecchio a quella descritta per l'ansia da separazione, con la differenza che si rivolge essenzialmente alle persone di sesso opposto: consiste nel rifiutare qualsiasi interazione iniziata dal cane, di qualunque natura (richiesta di carezze, invito al gioco eccetera), anche se siete stati voi a chiamarlo. Quando una persona non del vostro sesso entra nella stanza, respingete l'animale e avvicinatevi a lei in modo evidente. Questo comportamento risulterà perfettamente comprensibile per il cane: capirà che gli preferite l'altro. Tale strategia ha un senso solo nell'ambito di una terapia: non siete costretti a praticare questo gioco sgradevole con tutti i cani da compagnia. È invece un sistema prezioso per stabilire regole gerarchiche. Se è importante insegnargli a rispettare il vostro diritto di stabilire dei contatti, non è necessario allontanarsi dal cane ogni volta che arriva un'altra persona. Ci si è accorti che alcuni cani trattati per l'ansia da separazione diventavano sociopatici appena guariti; si può addirittura affermare che il miglior segno della guarigione del primo disturbo è l'apparizione del secondo! In effetti, questo significa che l'animale ha adottato un comportamento da adulto anche se, evidentemente, lo scopo della terapia non è certo una nuova patologia! Quasi il 70 percento delle famiglie con un cane affetto da ansia da separazione tendono più tardi a favorire l'insorgere di sociopatie perché si basano sul principio del "perdonargli tutto"; quando si cura un'ansia da separazione, allora, bisogna effettuare subito una prevenzione della sociopatia. La durata del trattamento II trattamento dura da due a quattro mesi. Anche in questo caso, però, entra in gioco la precocità: se arrivate con un cane di otto o nove mesi che ha ringhiato una volta contro il padrone e ha azzardato un solo approccio nei confronti della moglie, il problema potrà essere risolto in una decina di giorni. Più spesso, purtroppo, i proprietari aspettano di aver quindici punti di sutura per venire a consultarci: in questo caso, la cura può protrarsi anche molto a lungo. Ecco perché insisto: quando sono trattate precocemente, certe sociopatie possono essere guarite in otto giorni. È un peccato che la gente si vergogni di consultare uno specialista, così come avviene nel campo della neuropsichiatria infantile: un simile pudore è un freno all'efficacia del trattamento. Abbiamo insistito sull'apparizione del sintomo alla pubertà, ma è chiaro che qualsiasi crisi familiare può costituire un elemento scatenante. La perdita del lavoro rappresenta un buon esempio: il marito o la moglie restano più spesso a casa in compagnia del cane e, sentendosi giù di corda, possono usarlo come una specie di "cerotto" affettivo. La partenza dei figli o il divorzio sono altri possibili fattori. Quella del dominante non è una caratteristica intrinseca, ripetiamolo ancora, ma può essere innescata da qualsiasi alterazione nell'equilibrio del gruppo. La

prevenzione è quindi della massima importanza: quando si riesce a prevedere un avvenimento del genere, bisogna fare la lista delle situazioni che hanno un valore gerarchico per il cane e dimostrare severità quando si vede che l'animale rivendica certi privilegi. Come restare i padroni a casa propria Restare padroni a casa propria significa mantenere nei confronti del cane un ruolo dominante: ciò non significa che lo si debba sfidare a singolar tenzone. Osservate semplicemente qualche regola nella vita quotidiana.  I pasti del cane Dategli da mangiare quando avrete finito il pasto, mai contemporaneamente.  La cuccia Sistematela in un punto che non sia di passaggio (evitate corridoi e pianerottoli). Quando commette una sciocchezza, mandatelo nella cesta senza essere aggressivi, ma facendovi obbedire. Si tratta di un luogo che appartiene solo a lui: non bisogna obbligarlo a uscirne per coccolarlo né per punirlo. * Le carezze - Per i maschi: a partire dall'adolescenza la padrona deve respingere il cane se si dimostra troppo invadente. - Se si tratta di una femmina, il padrone cerchi di non rispondere troppo alle sue avance, soprattutto se l'animale è in calore. * Comunicare da dominanti Perché il cane vi consideri dei dominanti e obbedisca ai vostri ordini: - adottate un tono fermo (ma senza urlare), utilizzate parole brevi, evitate i lunghi discorsi; -- mantenete il corpo inclinato in avanti, con le spalle ben aperte e il torace in fuori; - non guardatelo negli occhi (gesto che verrebbe interpretato come un invito a combattere) ma sulla sua schiena. COSA AGGRAVA I CONFLITTI GERARCHICI UOMO/CANE Alcuni fattori umani possono aumentare la probabilità che si sviluppino tali conflitti o persino radicarli, rafforzarli e renderli, a seconda delle dimensioni del cane e della natura del problema familiare, buffi oppure drammatici . Esistono tre grandi tipi di situazioni capaci di favorire o complicare questi disturbi dell'animale. Il primo è quello dei conflitti di coppia, il secondo sono le grandi crisi del sistema familiare, mentre il terzo, rappresentato dai problemi sociali, ci costringe a parlare delle difficoltà economiche legate alla disoccupazione, specialmente di lunga durata. I conflitti di coppia Nei conflitti di coppia si può dire, per semplificare, che il cane diventa una sorta di strumento della violenza coniugale. Sistematicamente il veterinario comportamentalista vede arrivare in ambulatorio una persona con un cane del suo stesso sesso: in generale il marito porta il maschio, la moglie la femmina. Più raramente, nel corso della prima visita la coppia si presenta insieme per sottoporre il caso: la persona dello stesso sesso dell'animale descrive le aggressioni subite, l'altro reagisce subito minimizzando oppure negando il problema a voce alta e al cospetto del partner. Quest'ultimo è effettivamente stato morso, ma "era inevitabile che succedesse, visto come si comporta; qualunque altro cane avrebbe fatto lo stesso: è un problema di incompetenza". Talvolta l'incidente viene spiegato addirittura con la stupidità del marito o della moglie. In generale, la cosa più difficile per lo specialista è evitare un incontro di pugilato per decidere come si sono svolti i fatti. Vi sono anche situazioni di malessere più stagnante, più profondamente radicato, in cui la persona che ha strumentalizzato il cane cerca di guadagnarsi l'appoggio del veterinario spiegandogli che l'aggressione non si è verificata affatto, che non vale la pena di litigare per quello e che, forse, non è neanche il caso di occuparsi del cane. Quando l'animale è piccolo la situazione è già preoccupante, dato che non risulta mai piacevole farsi mordere, neanche se il cane pesa solo un chilo e mezzo. Ma è chiaro che le cose si aggravano se si tratta di cani di grossa taglia. La signora F., durante la visita, ammise che, in effetti, il cane aveva morso il marito, ma tentò di minimizzare l'incidente. A quell'epoca non avevo molta esperienza nel campo delle terapie familiari, e spiegai alla signora F. che si trattava di un conflitto gerarchico, che il cane la considerava la sua femmina e che il marito

rappresentava quindi, ai suoi occhi un concorrente diretto; i morsi costituivano allora il tentativo di liberarsi di un rivale inopportuno. Poi le comunicai senza mezzi termini che la situazione era grave perché, per il momento, i morsi erano ancora leggeri (era un cane che pesava 33 chili, quindi aveva la forza per infliggere ben altre ferite), ma che quel comportamento poteva risultare particolarmente pericoloso e sfociare in lesioni gravi o anche peggio: la signora mi rispose, con le pupille improvvisamente dilatate per l'interesse che tale ipotesi le suscitava; "Ah, sì? È davvero pericoloso? Allora può veramente costituire un problema...". Una situazione del genere implica tutta una serie di meccanismi incredibili: spesso si adottano comportamenti che ufficialmente servono a calmare il cane e rasserenare l'atmosfera, ma che in realtà esacerbano il conflitto. Per esempio, il maschio sembra intenzionato ad aggredire il padrone e la moglie si mette accanto all'animale, lo accarezza parlandogli con voce dolce, apparentemente per tranquillizzarlo, mentre questo gesto raddoppia l'aggressività del cane che vuole a ogni costo affermarsi come dominante. Queste dinamiche sono molto interessanti perché il cane rappresenta insieme l'indicatore della sofferenza della coppia e uno strumento attivo di violenza. Il lavoro del veterinario comportamentalista consiste non tanto nel salvare la coppia, prerogativa e funzione che non gli spettano, ma almeno nel fare in modo che l'animale non possa più venire utilizzato per uno scopo distruttivo. Oltretutto il quadrupede non si trova in una situazione positiva, perché chiaramente il proprietario che l'ha strumentalizzato non ha nessuna intenzione di vivere in un sistema dominato dal cane stesso. Il ruolo di quest'ultimo viene allora continuamente rimesso in questione e risulta ambiguo; l'animale sviluppa così in poco tempo, come si vede spesso nel caso dei conflitti gerarchici, certi problemi d'ansia (come abbiamo detto a pagina 180). Con le cagne si creano situazioni della stessa violenza aggravate da un altro problema. In effetti, due volte all'anno il conflitto si fa ancora più marcato: appena la femmina entra nel periodo dell'ovulazione, tutto diventa estremamente difficile. Un giorno ricevo in ambulatorio la signora O. con una bella bear-ded collie, un grazioso cane a pelo lungo che, nell'immaginario collettivo, è un animale piuttosto simpatico, quasi un orsacchiotto. La signora O. arriva con i figli e la madre; è in uno stato di grande fragilità emotiva, tanto che scoppia in lacrime più volte mentre mi spiega la situazione; inoltre si vergogna del problema che la turba. In poche parole, in casa loro la padrona è la cagna. La signora O. ha sempre avuto paura dei cani e, nel periodo di crisi coniugale, il marito le ha regalato il collie. Si trattava, secondo lui, di un dono per la figlia maggiore che all'epoca aveva otto anni, ma si sa bene che, in quei casi, è la madre a doversi occupare quotidianamente dell'animale. Il marito sa perfettamente che la moglie ha una vera e propria fobia per i cani, tanto che cambia strada pur di non incontrarne uno; un simile "regalo" la mette quindi in una situazione difficile, ma dal momento che il suo matrimonio sta fallendo si dice che l'animale farà un piacere immenso alla figlia e finisce per accettarlo. Al suo arrivo il collie è ancora un cucciolo minuscolo, e la signora O. riesce a superare la fobia. I problemi cominciano quando la cagna diventa adolescente. Il marito se n'è andato, la sentenza di divorzio è stata pronunciata e la signora si trova con una cagna che sta raggiungendo l'età adulta. È incapace di affrontare la situazione, innanzitutto perché vive male il divorzio e soffre di una grave depressione. E poi, dato che ha paura, la cagna ne approfitta per assumere prerogative da dominante. Durante la visita la signora O. mi spiega che, quando è a tavola, la cagna le proibisce di mangiare e divora il contenuto del piatto. Salta sul tavolo, si avvicina ringhiando e la signora si allontana, ha donna ha capito che se desidera mangiare - e qui si osserva un ribaltamento terribile ma assai significativo dei ruoli nell'ambito del comportamento alimentare - deve alzarsi e consumare il cibo in un angolo, rivolta verso il muro, a tutta velocità, e la cagna alle costole che cerca come può di impossessarsi del pasto. Lo si può considerare un esempio estremo di violenza postconiugale perché il signor O. è riuscito, in un certo senso, ad avvelenare ulteriormente la vita dell'ex-moglie nel periodo del divorzio. Le crisi familiari Esistono poi crisi più complesse che riguardano l'insieme del gruppo familiare; spesso si tratta di problemi legati al conflitto generazionale, in particolare tra genitori e figli adolescenti. Si osservano anche situazioni di conflitti gerarchici. Il cane è uno strumento di violenza non più coniugale, ma familiare; a volte i disturbi proliferano in un ambiente che la sofferenza collettiva rende "vuoto" anche in presenza di diversi individui, e nessuno riesce ad affermarsi nei confronti dell'animale. Prendiamo l'esempio di un san bernardo che mi portano, per una prima visita, il signor e la signora V. Il marito parla in modo assente: fatica a spiegarmi quello che succede, ha signora, invece, prende in mano la situazione e cerca di risolverla. Il cane aggredisce regolarmente il signor V. che non può, per esempio, baciare la moglie come vorrebbe; non accetta che il figlio di dieci anni in certe circostanze si avvicini al padre, lascia entrare e uscire solo chi vuole lui. L'unica a ribellarsi -- e la sua reazione ha prodotto disturbi ansiosi nel cane, che si lecca le zampe - è la signora V. Si è accorta che l'animale sta prendendo il sopravvento, ma non vuole disfarsene perché il figlio gli è molto affezionato. Viste le sue dimensioni e il peso (ottanta chili), il san bernardo costituisce però un enorme pericolo potenziale: ha attaccato alcune persone che erano state invitate e

volevano varcare il cancello della villetta. La signora V. riesce invece a uscire di casa; il cane ha ovviamente tentato di impedirglielo, ma lei, che ha sempre posseduto cani, gli ha affibbiato uno sberlone quando l'animale ha cercato di spaventarla. Non può fidarsi del cane ma arriva a tenergli testa perché non ha nessuna intenzione di lasciarsi dominare da lui. Prescrivo una terapia classica e rivedo la famiglia un mese dopo. Un fallimento quasi totale: non sono stati morsi perché la terapia farmacologica ha impedito all'animale di passare alle vie di fatto, ma nient'altro è cambiato. La tensione è quindi sempre elevata, sorgono difficoltà perché il signor V. non partecipa affatto alla terapia e la signora V. non crede di poter accettare i cambiamenti da me suggeriti. Consapevole del pericolo insisto sul fatto che, se non riesco a percepire una forte motivazione da parte di tutti, sarò costretto a proporre l'eutanasia o l'affidamento del cane ad altri: dato che è ancora giovane, vi sono speranze di miglioramento in un'altra famiglia. La signora V. finalmente si sbottona un po' e spiega che il cane serve a sostenere psicologicamente il figlio, reduce da diverse psicoterapie. Dal momento che la famiglia V. abita piuttosto lontano dal mio ambulatorio li indirizzo al loro veterinario per alcuni esami complementari e la signora V. finisce per parlare: mi rivela che la psicoterapia del ragazzino è legata al fatto che vorrebbe essere una ragazza. Si veste con abiti femminili appena può e possiede giocattoli da bambina. Il padre la considera la maledizione suprema: aveva sempre sognato un figlio maschio e adesso è vittima della peggiore sventura immaginabile. Si considera un fallito e un incapace: non si riconosce nel ruolo dominante, non reagisce, e a fronteggiare il cane non c'è più nessuno. Rimane solo la signora V. che, essendo donna, riveste un ruolo del tutto aberrante. In questo contesto si trova da una parte una difficoltà a stabilire il funzionamento del gruppo, dall'altra il vuoto. La sociopatia, il conflitto gerarchico sono qui legati all'esistenza di una grave crisi del sistema con l'aggiunta di un elemento che, come spesso avviene nelle crisi profonde, rimane segreto. Perché, ovviamente, si cerca di nascondere il tutto sotto una cappa di piombo. I problemi sociali Oggi si assiste all'apparizione di un altro tipo di problemi, legati in particolare alla disoccupazione di lunga durata. In queste situazioni si assiste a una rapida degenerazione dell'organizzazione del gruppo familiare, che finisce con il perdere una sua colonna portante. Esistono famiglie in cui cessano i legami quotidiani e le possibilità di alleanza tra i diversi membri: lo stress è talmente profondo che il gruppo si sminuisce da solo e non instaura più alcun legame di solidarietà. Quest'ultimo aspetto, invece, sarebbe di grande importanza: lo si usa spesso in terapia quando si diagnostica una sociopatia e l'animale ha assunto la leadership. Si spiega ai padroni che devono coalizzarsi contro il cane, ma i familiari faticano a capire. La situazione può diventare drammatica perché - sembra logico, ma vale comunque la pena di ricordarlo -- le dimensioni del cane sono determinanti. Il margine di manovra nei confronti di un barboncino nano di cinque chili non corrisponde a quello che si avrà con un mastino tedesco di settanta chili perché il rischio non è lo stesso. La difficoltà che deve risolvere un veterinario è la seguente: da una parte, quando il cane è di grosse dimensioni il medico ha una grande responsabilità, e, eticamente parlando, il suo lavoro non consiste certo nel mettere in pericolo gli esseri umani, mantenendo in vita l'animale. Dall'altra, però, non riuscire nella terapia significa aggiungere un insuccesso in più a una struttura che non ne ha certo bisogno. Aiutare la famiglia a cambiare la situazione è molto difficile, costituisce una grande sfida terapeutica. In compenso, quando si riesce a ristabilire l'equilibrio perduto, si prova una grande soddisfazione a vedere che le persone ritrovano, in questo modo, una certa fierezza. Altro caso particolare: la disoccupazione. Spesso la vittima è il padre che precedentemente aveva un buon lavoro. Il signor e la signora S. vengono un giorno a consultarmi con un magnifico cane da caccia. Questo, un maschio di cinque anni, per i primi quattro non ha causato alcun problema. Nel corso del quinto anno, però, ha cambiato radicalmente di comportamento. Il signor S. non può più permettersi di dirgli nulla: se commette l'errore di parlargli in tono un po' troppo secco, il cane lo aggredisce, ha signora S. certi giorni non può uscire di casa, se non riesce a eludere la sorveglianza dell'animale che trascorre le sue giornate in corridoio: non può fare la spesa, oppure deve portarlo con sé, ma questo crea non pochi disagi dal momento che molti negozi vietano l'ingresso ai cani. In ogni caso, in strada è quasi impossibile rivolgere la parola alla signora, in particolare se a farlo è un uomo: il cane si inserisce tra i due e minaccia il nuovo arrivato. Conclusione: è diventato un peso notevole. Oltretutto si è messo a effettuare una marcatura urinaria: appena ci sono ospiti entra nella stanza e solleva la zampa contro un mobile davanti a tutti: quello che prima era considerato un animale simpatico adesso è diventato un tormento. Nel corso della visita i discorsi si fanno inconcludenti: marito e moglie fanno affermazioni incompatibili, il che ci porta a tornare spesso su certi punti. La consultazione, nel caso delle patologie comportamentali, non vuole

essere un interrogatorio di polizia, ma l'animale ha il pregio di essere coerente e, quando le informazioni non permettono di spiegare la sua logica, si è costretti a riesaminare i fatti per cercare di capire cosa succede. Finalmente mi dicono che il signor S., uscito da una scuola prestigiosa, ha perso il lavoro; aveva un posto di dirigente molto importante, che consentiva alla famiglia di mantenere un tenore di vita elevato. La situazione è però peggiorata circa un anno fa, quando i sussidi di disoccupazione hanno iniziato a calare. Non ha ancora trovato un nuovo posto di lavoro e ha appena saputo che probabilmente dovrà effettuare una riqualificazione professionale. In realtà si tratta di una situazione in cui il capofamiglia si sminuisce da solo, aiutato in questo dai commenti dei figli ormai cresciuti. La struttura dell'autorità in casa si è completamente modificata, e il cane occupa ormai lo spazio che si sta liberando. Si assiste a un circolo vizioso: la persona si sente completamente priva di valore, la sua situazione precedente risulta cancellata, e si trova di fronte a un cane che sottolinea questa inadeguatezza. Più volte, nel corso della visita, il signor S. dice: "In ultima analisi sono un buono a nulla, non riesco neanche a impormi sul cane perché la mia famiglia possa vivere tranquillamente". Tali fattori umani hanno un ruolo rilevante nella nascita dei conflitti gerarchici. In situazioni del genere si incontrano i casi più gravi, mentre gli altri dipendono dalla cattiva conoscenza del cane. In molte circostanze si manifestano conflitti gerarchici proprio perché i padroni non conoscono né l'esistenza né il funzionamento di tali conflitti e non sanno cosa fare: da una parte amano l'animale e, poiché hanno sentito dire che ai cani che mordono si pratica l'eutanasia, non vogliono parlarne né intervenire perché hanno paura del responso del veterinario. Dall'altra, non possono restare con un animale pericoloso in casa, e sono costretti a trovare una soluzione. In base alla mia esperienza posso dire che, in proporzione crescente, tutte le situazioni di crisi delle strutture familiari e sociali consentono al cane di occupare un posto vacante, quello del leader. Infine, per concludere sulle conseguenze della disoccupazione e delle depressioni -- qualunque ne sia il motivo -, in certe circostanze la persona che soffre ha la tendenza a occuparsi più degli altri del cucciolo e instaura con lui un rapporto di attaccamento eccessivo reciproco (vedi pagina 153). Si ritrovano in questo caso le ansie da separazione più gravi con quadri clinici capaci di sorprendere veterinari inesperti, perché spesso i disturbi si rivelano tardivamente. C'è un periodo, infatti, durante il quale la persona senza lavoro - che può essere anche in cura per la depressione - resta a casa, e il cane le sta sempre accanto. È nel momento in cui l'individuo trova lavoro che inizia a liberarsi dalla depressione. Ma dato che ricomincia a uscire, per lavorare o perché ritrova il gusto della vita sociale, i disturbi del cane esplodono e questi comincia a distruggere la casa. Spesso il fatto di guarire dalla depressione o di ricominciare a lavorare non bastano a risolvere l'iperattaccamento nei confronti del cane. Per questo motivo risulta estremamente difficile fare accettare una terapia: gli individui in questione non desiderano rompere il legame formatosi. Il nostro lavoro consiste nell'aiutarli in questo senso senza però prenderli di petto, perché non servirebbe a niente. Non basta "scuotere" i padroni e dire loro "non avete il diritto di comportarvi così" per indurli a cambiare atteggiamento: il trucco sta nell'utilizzare tutte le tecniche di terapia sistemica per fare in modo che, poco a poco, le cose comincino a cambiare in un senso favorevole all'equilibrio del gruppo. I conflitti gerarchici tra cani Si è parlato dei conflitti gerarchici tra l'uomo e il cane, ma è ovvio che possono nascere conflitti anche tra due cani; il sintomo più chiaro sono le zuffe (non tutti i combattimenti tra cani sono imputabili a una sociopatia). Si osservano allora scontri per accaparrarsi il cibo o i favori del proprietario o di una cagna in calore (anche le femmine quando sono in calore hanno la tendenza a essere più litigiose). Non si riscontrano sociopatie spontanee tra cani: il disturbo in questione appare solo quando c'è una presenza umana (o condizioni di vita create dall'uomo). Nei cani da compagnia la grande difficoltà è dovuta al mito dell'uguaglianza: le persone fanno spesso paralleli pericolosi adottando con i cani lo stesso comportamento usato per i figli. Sento spesso dire durante le consultazioni: "Sa, io non faccio differenze tra loro: hanno gli stessi diritti ... ". Questo va benissimo per i bambini, ma non certo per i cani. Non potete chiedere al vostro animale di vivere in un sistema di parità: quando due cani si incontrano ci sarà per forza un dominato e un dominante. Se non intervenite può verificarsi qualche incidente (ringhiano, si afferrano per la collottola, si scuotono, si azzannano la gola, eccetera) e, in genere, il tutto dura pochi minuti. A partire da quel momento si stabilisce un primo rapporto gerarchico che potrà cambiare più avanti. Il problema è che scene del genere sono spaventose: i padroni vedono due cani che si azzuffano e sono letteralmente terrorizzati, anche perché il

combattimento dovrebbe finire con uno dei due contendenti schiacciato al suolo. Dato che il dominante afferra l'altro per il collo o la gola, sono convinti che voglia spezzargli le vertebre o tranciargli la carotide o la giugulare, idea del tutto errata. Anatomicamente, infatti, la natura ha previsto tutto: una pelle flaccida sulla gola che permette una facile presa e una trazione che rovescerà il soggetto per terra dove adotterà la posizione di sottomissione. Quando gli animali hanno avuto una socializzazione normale controllano la forza del morso, e se nessuno interviene novanta volte su cento non vi sono ferite, o almeno non gravi. Quando l'uomo decide di intervenire, però, il cane blocca tutti i sistemi di sottomissione e di "controllo" del combattimento. Si entra così in una situazione senza uscita in cui due cani in stato di ipervigilanza stanno in agguato e passano il tempo a spiarsi. Il risultato di questa atmosfera è che il minimo avvenimento, come la caduta di un cucchiaio a terra, provoca una zuffa. Alcuni credono di poter risolvere il problema mettendo i cani in stanze diverse, invece peggiorano la situazione. Aggiungiamo poi che molti padroni desiderano far mangiare gli animali alla stessa ora e intervengono, talvolta con conseguenze drammatiche. A partire da quel momento, tutto dipende dallo stadio, avanzato o meno, in cui si potrà avviare la terapia. Cosa fare quando due cani lottano Esiste una regola da rispettare: appena cominciano a ringhiare e hanno il pelo che si rizza, voltate loro le spalle e non guardate. È un po' come nelle zuffe tra ragazzi, che prendono proporzioni inquietanti se la gente si assiepa intorno. Non bisogna prestare attenzione a questi combattimenti, anche perché l'esito del primo determinerà gli avvenimenti successivi. Se ci si volta dall'altra parte, la zuffa si sgonfia subito. Nei cani da compagnia che vivono insieme in un appartamento, la quasi totalità delle scaramucce si verifica in presenza dei padroni, mai in loro assenza. Soluzione da evitare in quanto pericolosa è quella di rinchiuderli da qualche parte. Bisogna che il perdente possa sempre ritirarsi, altrimenti i combattimenti saranno frequenti; lo ripeto, lo sconfitto deve potersi allontanare. Tutto ciò vale per lo stadio dell'ipervigilanza, in cui i cani si tengono d'occhio senza però che succeda niente di grave, ma a partire dal momento in cui le situazioni vengono profondamente alterate, in particolare quando i soggetti sono tenuti lontani, pur restando nella stessa casa, per settimane intere, si deve ricorrere ai farmaci per diminuire lo stato d'ansia e aumentare il livello di controllo. Questo impedisce che passino all'azione aggredendosi a vicenda: non si tratta di sedativi, ma semplicemente di prodotti che aiutano gli animali a restare alla fase della minaccia senza spingersi oltre. In situazioni del genere è facile osservare che uno dei due mangia lentamente, per esempio. Grazie a simili particolari si riesce a identificare quello che si considerava dominante fin dall'inizio: si cerca allora di ripristinare il suo status di leader, È importante capire che in questo caso lo scopo è ristabilire un'interazione tra i due cani. Dopo, invece, ci si disinteresserà a loro: dovranno mangiare in un luogo dove non ci sarà nessuno a occuparsi dei loro rapporti, e potranno così imbastire una relazione gerarchica. La sola situazione difficile si presenta quando uno dei due soggetti muore: si consiglia quasi sempre ai proprietari di non acquistare un altro cane, non perché non si riescano a risolvere le difficoltà, ma perché, in seguito, l'interazione padrone/cane diventa così complessa che è meglio limitarla a un solo animale. È un peccato, perché in realtà casi del genere sono perfettamente risolvibili; ma è comprensibile che i padroni siano troppo turbati per iniziare una terapia. Le fobie sociali Fanno parte di quest'entità clinica le situazioni interattive del cane con un altro essere vivente (uomo o animale) che provocano reazioni emotive violente, come la fuga o l'aggressione. I due tipi d'interazione che creano problemi a certi cani sono: - gli approcci diretti degli esseri umani; - le situazioni di incontri diretti con altri cani, in strada, quasi sempre al guinzaglio. PERCHÉ IL CANE HA PAURA DELLE INTERAZIONI La reazione di ritirata è normale, la prima volta. Ma, nella fobia sociale, anche quando l'avvenimento si ripete il cane non fa progressi: è incapace di adattarsi. Anzi, si farà sempre più prendere dal panico e avrà reazioni sempre più violente. Peggiorano spesso la situazione (con questo, non sto cercando di colpevolizzarvi!) le iniziative poco felici dei padroni, che tendono ad anticipare l'eventuale paura dell'animale.

Tale atteggiamento è diffuso soprattutto per i cani di grandi dimensioni, la cui aggressività può spaventare: c'è spesso una correlazione tra le fobie sociali dell'animale e quelle del proprietario. Contrariamente a quanto si crede, non è affatto dimostrato che il cane fiuti la paura dell'uomo, ma se questi teme i contatti troppo ravvicinati o si spaventa se qualcuno li avvicina in strada, esercita una pressione sul collare, compie gesti nervosi o mette in guardia tutti coloro che desiderano avvicinarsi al cane. Di conseguenza il padrone trasmette al cane la sua tensione e, ciononostante, continua ad accarezzarlo. È un circolo vizioso: il proprietario anticipa un dramma ogni volta che incrocia qualcuno, e l'animale è sempre pronto ad attaccare con la benedizione dell'uomo che, credendo così di rassicurarlo, lo accarezza. IL TRATTAMENTO Si utilizzano quasi sempre farmaci che diminuiscono lo stato di allarme del cane e si propongono giochi per effettuare il controcondizionamento. Mettendo in atto una situazione ludica l'animale prova emozioni positive; a quel punto lo si inserisce in un contesto dove avviene l'incontro che gli causa ansia (qualcuno si dirige o si china verso di lui) per indurlo a non reagire più con paura e a non tentare di fuggire o di attaccare. Dello stesso disturbo soffrono alcuni cani nei confronti dei loro simili, in particolare quelli di piccole dimensioni, dal momento che molti padroni hanno il terrore degli incontri con cani più grossi. Procedono allora a quello che chiamo "sollevamento con l'argano": tirano su di colpo il cane per il guinzaglio e lo tengono in braccio. L'animale, però, non è in grado di capire che l'essere umano teme solo le eventuali azioni dell'altro quadrupede: per lui l'associazione è "si incontra un altro cane = stato di allarme". E, come sempre, per calmarlo il padrone lo accarezza, fortificando la sua ansia. Se non lo si cura, l'animale soffrirà di una vera e propria dissocializzazione, ovvero diventerà incapace di comportarsi normalmente con i suoi simili. Dal punto di vista terapeutico, esistono soluzioni molto semplici che associano terapia di controcondizionamento, terapie basate sul gioco e farmaci. La difficoltà maggiore che si incontra è la mancata richiesta di cure da parte dei proprietari di cani piccoli, perché la situazione li soddisfa così. Le fobie sociali, quando si fa un bilancio, sono sottorappresentate perché la gente ci consulta meno per problemi tra cani: vengono più volentieri quando sono loro stessi in pericolo. Cani e bambini: come prevenire gli incidenti? Per parlare della prevenzione degli incidenti è necessario fare qualche premessa. LE STATISTICHE: CHI VIENE MORSO? Se si osserva com'è distribuita la popolazione dei bambini morsi dai cani si constata che due sono le fasce d'età più spesso toccate (questo non significa che gli altri non rischino, ma solo che in quelle due fasce il pericolo è massimo). -- Primo gruppo: i bambini tra nove mesi e due anni (si può arrivare fino a tre anni). Si tratta dei più piccoli, che cominciano ad avere un'autonomia motoria, prima a quattro zampe e poi sui due piedi. -- Secondo gruppo: tra i dodici e i quindici anni. In queste due popolazioni, a parte l'età, intervengono elementi legati al sesso. - Tra i più piccoli sono più spesso i maschi che vengono morsi, anche se la differenza con le vittime di sesso femminile è limitata. - Nel secondo gruppo sono più spesso le ragazze. Altro fattore da considerare. - Gli appartenenti al primo gruppo vengono morsi di solito da un cane che appartiene alla famiglia in senso stretto o lato (i padroni sono i genitori del bambino o i nonni). Quindi si tratta di un animale che la vittima vede e frequenta spesso. - Per il secondo gruppo si tratta invece più spesso di morsi inflitti da cani sconosciuti incontrati per la strada. Quarta informazione epidemiologica, anche questa molto interessante. - Il primo gruppo presenta morsi principalmente al viso nei soggetti più piccoli, ancora incapaci di camminare correttamente. Appena sono un po' più grandi vengono colpite anche mani e braccia; - Nel secondo gruppo prevalgono i morsi al viso soprattutto nella zona della bocca, e raramente sulle mani. PREVENIRE I MORSI AI PIÙ PICCOLI Nei bambini in giovanissima età si tratta di morsi che, nella stragrande maggioranza dei casi, vengono inflitti sotto i mobili. Le descrizioni dell'incidente si assomigliano tutte: il bambino cerca di stabilire un'interazione con il cane, i parenti non se ne occupano e, a un certo punto, l'animale si infila sotto un mobile. Il bambino lo segue, e all'improvviso, ecco urla e morsi.

Sono stati realizzati alcuni studi da diverse équipe di psicologi ed etologi - in particolare dal gruppo di Besancon, una decina di anni fa -, che hanno mostrato l'incapacità, da parte dei bambini sotto i tre anni, di interpretare correttamente i segnali emessi dal cane, in particolare i segnali di minaccia. Come abbiamo già visto, a quell'età desiderano sempre entrare in contatto con l'animale; questo cerca, in diverse occasioni, di interrompere l'interazione inviando segnali di minaccia (mostra i denti, emette piccoli ringhi ... ) che il bambino non sa decodificare. L'incidente si verifica quando si rifugia in un angolo per nascondersi e il bimbo gli impone ugualmente il contatto senza che l'animale possa sottrarvisi. Simili incidenti sono sempre drammatici perché si svolgono in un luogo chiuso dove il cane aggredisce per paura o per irritazione: si tratta quindi di attacchi mal controllati, soprattutto nel primo caso. Dal momento che i bambini sono quasi sempre a quattro zampe, le lesioni vengono spesso inferte al viso. I genitori, naturalmente, si precipitano per risolvere il problema, il che, in un primo tempo, aggrava lo stato di tensione dell'animale: prima che riescano ad afferrare il figlio, questi ha spesso ricevuto altri morsi. Ripetiamolo, si tratta di lesioni sempre gravi, che causano grandi danni e, a volte, persino una vera e propria distruzione dei tessuti. Morsi a bambini piccoli: i casi in cui bisogna fare più attenzione Quali fattori predispongono al rischio di morsi? Come abbiamo già detto, il cane attacca perché non è riuscito a sottrarsi al contatto che un bambino cercava di stabilire. Diversi elementi favoriscono l'irritabilità dell'animale e lo rendono poco propenso alle interazioni: -- i disturbi della socializzazione nei confronti dell'uomo; -- gli stati d'ansia; - gli stati di dolore cronico: tutti gli animali che presentano una lesione dolorosa non curata, che si tratti di problemi articolari, d'otite (in particolare nel cocker che ne soffre spesso), tutte le patologie croniche nella zona dell'ano, particolarmente frequenti nel pastore tedesco che può soffrire di fistole anali croniche estremamente dolorose; - i disturbi agli organi di senso, ovvero qualsiasi alterazione della vista o dell'udito; - le situazioni croniche di conflitto gerarchico in cui il cane non riesce più a organizzarsi all'interno del gruppo: in questo caso le interazioni con i bambini possono costituire una situazione ansiogena per l'animale. L'aspetto preoccupante della faccenda è che, quando se ne discute con i genitori dopo l'incidente, ci si accorge che è stato preceduto da una lunga serie di piccoli incidenti scongiurati. Inoltre l'episodio si conclude quasi sempre con l'eutanasia, ma non subito, almeno in Francia, dove la legge prescrive un'attesa di quindici giorni: nell'ambito della protezione contro la rabbia, queste due settimane servono per vedere se l'animale presenta un peggioramento nello stato generale di salute o se muore. Se ha morso dopo aver contratto la rabbia morirà nel giro di quindici giorni. Tale periodo di sorveglianza si rende quindi necessario per proteggere le persone che gli vivono accanto e per iniziare un trattamento contro la malattia. Ciò significa che la famiglia, già traumatizzata dall'incidente drammatico, dovrà tenersi il cane in casa per quindici giorni, sapendo che al termine delle due settimane gli verrà praticata l'eutanasia. Molto spesso, però, rinunciano a questa possibilità: a caldo affermano di volerla, ma alla fine del periodo la situazione è già cambiata. Più il bambino è grande, cioè ha già un'età di due, tre anni, più l'eliminazione del cane risulterà difficile perché la prima cosa che vostro figlio farà una volta dimesso dall'ospedale sarà ricominciare ad accarezzare il suo cane. Più il bambino è capace di compiere associazioni e di capire cosa sta succedendo, meno sopporterà la sparizione dell'animale. Per tutti questi motivi in genere si preferisce prendere in cura il cane quando è possibile; è vero, però, che spesso si prova una sensazione di frustrazione e di delusione perché, se fosse stato trattato prima, quando aveva cominciato a ringhiare contro al bambino - allora i genitori si sono limitati a dare al massimo una sberla al cane o ad allontanare il figlio dicendogli "gli dai fastidio, è normale che ringhi" -- si sarebbe potuto evitare l'incidente. Attenzione! Il primo consiglio di prevenzione è il seguente: tutti i cani che ringhiano ripetutamente contro un bambino in giovane età -- o almeno un bambino propriamente detto, ovvero una persona in fase prepubere devono essere esaminati da un veterinario. Fortunatamente i genitori sono sempre più attenti, spingendo a volte l'apprensione all'eccesso. Ricordo di aver visto in ambulatorio un piccolo scottish terrier che aveva morso alla mano un bambino durante una

festa di compleanno. In realtà, il piccolo e i suoi amichetti avevano inseguito il cane per gioco per ore; a un certo punto, quando l'animale era stato agguantato per l'orecchio sentendo male, l'animale aveva reagito mordendo. Non si trattava di una brutta ferita, ma i genitori si erano molto spaventati. Durante la consultazione ho cercato di rassicurarli, suggerendo loro di insegnare ai figli a non comportarsi così. Purtroppo, si vedono i cani che hanno i problemi più gravi solo quando ormai il danno è fatto. Non lasciate mai un bambino solo con un cane In ogni caso, anche quando tutto è perfetto - soggetto sottomesso, socializzazione ottima, animale simpatico e socievole con tutti i bambini - non dovete mai prendere il cane per una baby-sitter. Prima dei dieci anni non lasciate mai un bambino da solo con un cane. Primo, il rischio è enorme perché, qualunque cosa accada, il cane è un predatore: è un animale anatomicamente equipaggiato per infliggere ferite e, anche se ha un livello di controllo delle reazioni molto evoluto e sofisticato, questo non sempre gli permette di trattenersi dall'intervenire. Secondo, lo si lascia con un piccolo essere umano che non ha ancora acquisito tutte le forme di controllo e che può essere tentato di adottare comportamenti mal tollerati dal cane, oppure che non è capace di interpretare i segnali inviatigli dall'animale: sono qui riuniti tutti gli ingredienti per un incidente. Nell'ambito delle precauzioni, quindi, meglio peccare per eccesso: bisogna che ci sia sempre un adulto presente. Senza diventare paranoici, è il caso di ricordare che il cane discende dal lupo. GLI ADOLESCENTI MORSI II secondo caso di morsi, inferti questa volta da cani sconosciuti, riguarda soprattutto adolescenti e preadolescenti. Di solito la scena si svolge così: incontrano un cane in strada o altrove, al guinzaglio oppure no: in quell'età hanno spesso voglia di baciarlo. L'adolescente si avvicina al cane per dargli un bacio e questo lo morde al viso. In questo caso la prevenzione non è incentrata tanto sul cane ma sui propri figli: il sistema migliore per evitare incidenti del genere consiste nello spiegare loro come ragionano e come si comportano i cani. Evitare i morsi: che cosa spiegare a bambini e adolescenti - Evitare di baciare i cani; il bacio non costituisce un'interazione nota a quella specie: il solo animale, al di fuori dell'uomo, che dia baci è una grossa scimmia che raramente viene utilizzata come animale da compagnia. * Privilegiare interazioni di altro tipo: chiamare il cane, che verrà lui stesso a stabilire un contatto. Oppure cominciare con carezze leggere prima di passare alle coccole vere e proprie, ma sempre tenendo d'occhio le reazioni dell'animale: se comincia a irrigidirsi, a ritrarsi, non insistere, soprattutto quando si tratta di un cane che non appartiene a qualcuno dei familiari. I CANI CHE ATTACCANO I BAMBINI L'ultimo caso che prenderò in esame è quello dei cani che adottano un comportamento predatorio nei confronti dei bambini. Tutti gli anni se ne registra qualche caso: episodi terribili di bimbi che tornano da scuola o che sono andati a giocare con gli amici. Incappano in due o tre cani che cominciano a correre, li attaccano e infliggono morsi in grande quantità (quando non provocano addirittura il decesso della vittima). Ricordo in particolare il caso di una bambina che, rientrando a casa da scuola, era stata attaccata da tre cani che l'avevano morsa dalla pianta dei piedi al cuoio capelluto. Purtroppo la vittima non può fare molto: è facile dire che non bisogna mettersi a correre quando si è braccati dall'animale e che si deve restare il più possibile immobili, ma in pratica è quasi impossibile riuscirci, persino per un adulto. La prevenzione deve quindi essere effettuata a livello sociale, trattandosi di cani non socializzati alla specie umana; spesso sono animali utilizzati per fare la guardia a una proprietà e, il giorno in cui riescono a fuggire, sono all'origine di incidenti gravi. Altro esempio drammatico: i comportamenti predatori dei cani contro i neonati. Alcuni cani da caccia, per esempio, vivono nel canile tutto l'anno e non godono mai di una socializzazione completa nei confronti del genere umano. Per loro, un neonato che gesticola nella culla è solo una grossa preda estremamente interessante. Vediamo regolarmente in ambulatorio genitori di bambini che cominciano a camminare a quattro zampe, proprietari di cani tipo fox-terrier a pelo liscio, jagdterrier o altre razze utilizzate per la caccia e raramente socializzate alla specie umana, a meno che l'allevatore non abbia insistito per adottarle come cani da

compagnia. Ci raccontano che l'animale presenta uno stato d'eccitazione particolarmente marcato in presenza del bambino, e che ha cominciato a saltare intorno al piccolo con le zampe anteriori tese o a dargli dei colpetti con le zampe. Ebbene, si tratta dell'allarme rosso. È un comportamento predatorio come quello che utilizza con un piccolo animale braccato: significa che il cane considera il bambino come una preda potenziale. Se non siete nei paraggi può capitare un incidente gravissimo. Oggi siamo incapaci di eliminare tali atteggiamenti predatori. Al massimo lo si può reintegrare in un gruppo di cani da caccia; se non ci sono altre soluzioni ci si deve rassegnare all'eutanasia, perché è impossibile tenere un bambino piccolo accanto a un animale con comportamenti del genere. Questo atteggiamento, tra l'altro, è tipico solo dei cani da caccia: ho ancora in mente l'esempio di un rottweiler che, all'arrivo del neonato a casa, ha cominciato a manifestare un'eccitazione incontenibile nella stanza dove si trovava la culla. Appena i genitori gli hanno voltato le spalle, si è gettato sul bambino per cercare di divorarlo. Le cagne possono rappresentare un pericolo per un neonato? Nel caso di conflitto gerarchico tra una donna e una cagna (vedi pagina 189) si possono presentare due casi all'arrivo di un neonato. - La cagna può cercare di accaparrarsi il bambino e impedire alla madre di avvicinarglisi; ciò genera situazioni assai complicate perché, più il bambino piange, soprattutto se ha fame, più la cagna è in stato di allerta e la madre ha minori possibilità di accostarsi. Purtroppo, all'inizio la gente è intenerita dal fatto che la cagna si sdrai accanto al neonato e cominci a regolamentare l'accesso alla culla lasciando avvicinare, di solito, solo il padrone. In realtà, si tratta di una situazione estremamente pericolosa. - In altri casi può attaccare il bambino, soprattutto se l'atteggiamento di sfida nei confronti della padrona è particolarmente marcato. Del resto, proprio come può aggredire i cuccioli di una rivale, allo stesso modo c'è il rischio che uccida un neonato. Se si vuole cercare di interpretare tale comportamento alla luce dei sentimenti umani lo si potrebbe spiegare con una specie di gelosia, ma la soppressione dei piccoli non è una prerogativa solo canina: anche nei leoni, quando un maschio

diventa dominante, uccide i discendenti del leader precedente, e non risparmia neppure la leonessa, se per caso cerca di impedirlo. Anche negli scimpanzè si osserva lo stesso fenomeno e in altre specie ancora. Evidentemente, nell'ambito della coabitazione di uomo e cane, si tratta di un comportamento particolarmente temibile. La prevenzione alla nascita di un bambino - Per una buona prevenzione all'arrivo di un neonato parlate con il veterinario, per assicurarvi che la cagna sia in una posizione gerarchica corretta per accettare l'arrivo del bambino. Se è sottomessa non ci sono problemi. La sola conseguenza che la nascita di un bambino può provocare in lei è una lattazione da pseudogravidanza (vedi pagina 172), che è possibile guarire. - Assicuratevi poi che la socializzazione del vostro animale nei confronti degli uomini sia completa e che non vi sia il rischio che consideri vostro figlio come una preda. 5. -- Il cane vecchio In questi ultimi anni si è osservato un aumento nella frequenza dei disturbi comportamentali nel cane vecchio. In effetti, come per l'uomo, anche per il cane la speranza di vita è aumentata: adesso è frequente vedere soggetti di quindici anni o più. Anche quelli di grandi dimensioni possono superare i dieci anni. Questa maggiore longevità causa però problemi di usura all'organo che nei mammiferi invecchia peggio: il cervello. Cosa succede durante l'invecchiamento? Con il passar del tempo la vita relazionale del cane si fa sempre più scarsa, e certi proprietari si chiedono se valga la pena di tenere in vita un animale che non intrattiene quasi più scambi con il mondo circostante. L'invecchiamento cerebrale preoccupa molto medici e veterinari perché, anche se il corpo funziona bene, le crescenti difficoltà nel campo dell'intercomunicazione generano problemi nelle relazioni e nella vita familiare. Le cellule II cervello è l'organo che tratta le informazioni destinate a passare da una cellula all'altra. Tali scambi di dati si verificano grazie a fenomeni chimici molto complessi che descriverò nel modo più semplice possibile per illustrarvi il processo dell'invecchiamento. Le sostanze che passano da una cellula all'altra sono chiamate mediatori e devono trovare all'interno delle cellule le strutture definite recettori. Le prime si potrebbero assimilare al messaggio, le seconde alla cassetta delle lettere destinata ad accoglierlo. Perché la trasmissione del messaggio si verifichi è necessario che l'insieme delle parti sia in condizioni perfette. La prima componente è la membrana, cioè l'involucro che ospita il contenuto della cellula, la sostanza gelatinosa chiamata citoplasma e il nucleo (che rappresenta la sua parte più complessa e importante). La membrana non è solamente una sorta di imballaggio, ma una struttura altamente sofisticata che consente lo scambio con l'ambiente esterno. È composta da un doppio strato di lipidi che hanno la funzione di separare l'interno della cellula dall'esterno. Questo rivestimento lipidico è formato a sua volta di sostanze che gli garantiscono una certa fluidità: ciò significa (e qui sta la sua particolarità) che tale sistema d'imballaggio è capace di cambiare forma. Si tratta di una proprietà di grande importanza perché i sensori dei messaggi cellulari (le proteine) devono poter scivolare sulla membrana. Immaginatevi un doppio letto di sfere: una superficie di base costituita dai lipidi e, al centro di quest'area omogenea, grosse masse che devono potersi spostare per raggiungere le parti della cellula che hanno bisogno di scambi particolari. È quindi un sistema fluido, dinamico e non omogeneo in superficie, perché i recettori destinati a captare le informazioni della cellula non sono ripartiti in modo regolare sulla sua parete. In effetti, si trovano sulle zone di contatto con un'altra cellula che trasmette un'informazione (nel linguaggio della fisiologia cellulare si parla di "microcampi"). Questo sistema è adattabile, ogni microcampo ha bisogno di un certo tipo di recettore in un momento preciso e quest'ultimo, quindi, deve potersi muovere.

I recettori possono effettuare simili spostamenti (avvicinamenti o allontanamenti rispetto a un microcampo) solo se la parte lipidica della pellicola è fluida. Durante l'invecchiamento invece questi involucri, come ogni struttura biologica, sono obbligati a rinnovare costantemente le loro componenti; invecchiando, la membrana incorpora lipidi particolari che le fanno perdere la fluidità e la rendono rigida. II fenomeno ha conseguenze analoghe sul piano comportamentale: l'invecchiamento è cioè caratterizzato da una perdita di adattabilità, da un "irrigidimento" comportamentale. A causa della minore fluidità la cellula è meno capace di affrontare le diverse situazioni di crisi o di stimoli violenti, e quindi di adattarsi. L'altra conseguenza è che, all'interno della struttura cellulare, tale alterazione disturba considerevolmente le funzioni di sopravvivenza e in particolare i neuroni, che hanno bisogno di molto ossigeno e glucosio per poter effettuare i rapidi scambi a livello della membrana e assicurare così le funzioni vitali. Nelle cellule nervose che invecchiano tutte le componenti funzionano meno bene, e alcune strutture cellulari accusano una sofferenza particolare mentre altre addirittura muoiono; purtroppo per il soggetto vecchio, certe parti del cervello sono più colpite di altre, anche se vi sono variazioni individuali (vedremo come certe razze sono più colpite). È importante ricordare, quando si parla di morte cellulare, che il neurone non è sostituibile. Può accadere invece che altre cellule limitrofe riescano a sostituire le connessioni, se ne hanno la capacità. Questo succede in particolare nella fase dello sviluppo, quando le cellule nervose stabiliscono numerosi legami reciproci: in effetti un tessuto nervoso è prezioso proprio per le sue connessioni, esattamente come un circuito elettronico. Tali fenomeni di sostituzione, che possono verificarsi durante tutta la vita, avvengono meno facilmente nel soggetto anziano. Un cane di tre o quattro anni che perde le cellule nervose ha possibilità di recupero funzionale non indifferenti, mentre se le perde a dieci anni è ben diverso. Il cervello Quanto abbiamo spiegato sulle cellule nervose è applicabile anche al resto del cervello, con tutta una serie di conseguenze funzionali. LE CONSEGUENZE DELL'INVECCHIAMENTO SUL FUNZIONAMENTO CEREBRALE Nel cervello esistono nuclei legati a funzioni particolari, che vanno dalle più elementari -- come il controllo del tono muscolare -- alle più complesse (come la gestione delle informazioni visive o uditive). Questi nuclei hanno la tendenza a utilizzare lo stesso sistema neurotrasmettitore. (Un neurotrasmettitore è una sostanza chimica che permette alle cellule di comunicare e che garantisce la circolazione dell'informazione), non si può dunque affermare che un neurotrasmettitore sia legato a una funzione comportamentale o cerebrale. In compenso, le cellule che utilizzano un neurotrasmettitore piuttosto che un altro sono più o meno associate a funzioni precise. Il rapporto dei neurotrasmettitori con le funzioni somatiche, corporali e fisiologiche o comportamentali ci permette di capire che cosa avviene durante l'invecchiamento. Purtroppo per il cane anziano, non tutte le strutture cerebrali si degradano allo stesso ritmo. In particolare sembra che in questo animale (ma gli studi attualmente in corso potranno chiarirlo meglio in futuro) uno dei sistemi neurotrasmettitori più danneggiato dal passare degli anni sia quello che utilizza una sostanza particolare: la dopamina. Il sistema dopaminergico interviene spesso: soprattutto nelle funzioni di controllo della motricità e di anticipazione, caratteristica che permette al cane, per esempio, di riconoscere i piccoli segnali che precedono la partenza dei padroni. Se tale sistema si degrada con l'invecchiamento, il quadrupede sarà meno abile nell'anticipare. Ecco perché i proprietari hanno sempre l'impressione che non si interessi più a nulla; in realtà si interessa a ciò che lo circonda, ma gli occorre un maggior numero di informazioni per reagire. Ha anche un minor controllo del tono muscolare, e sembra allora più maldestro. Tutti gli altri sistemi (la serotonina, la noradrenalina) sono colpiti in modo analogo nel corso dell'invecchiamento, ma la morte cellulare è più marcata nei nuclei che utilizzano la dopamina.

LE PLACCHE AMILOIDI A livello cerebrale può sorgere una situazione patologica quando si vedono apparire strutture che sono tristemente note nell'uomo: le placche amiloidi. Sono depositi di una sostanza (amiloide) sotto forma di placche che si osservano al microscopio sui tessuti nervosi. Tali formazioni si trovano, per esempio, nei pazienti affetti dal morbo di Alzheimer. Questa malattia fa parte delle cosiddette "demenze senili", patologie altamente invalidanti. Qualche anno fa alcuni ricercatori giapponesi e, più tardi, altri loro colleghi americani hanno messo in evidenza la presenza di placche amiloidi nel cane. Questi ricercatori erano specialisti d'istologia (lo studio dei tessuti), non avevano conoscenze sui cani e non furono in grado di associare la scoperta - effettuata nel corso di un'autopsia - con le anomalie comportamentali dell'animale. Più recentemente in Francia ci si è accorti che, se si confronta la presenza delle placche amiloidi con l'analisi del comportamento canino, si osserva che gli animali con placche hanno disturbi nel campo del trattamento dell'informazione e dei meccanismi legati all'apprendimento. All'inizio si può pensare che il cane sia sordo: non è più in grado di associare l'informazione uditiva con un comportamento da adottare. Oltre a ciò si rimette a fare i suoi bisogni dappertutto, come quando era cucciolo. La scoperta delle placche amiloidi nel cane ha immediatamente allertato i medici, sempre alla ricerca di modelli da studiare. È vero che hanno a disposizione, in laboratorio, dei topi anziani (selezionati, tra l'altro, in modo da invecchiare più rapidamente), ma in questi animali non si riesce a riprodurre ciò che accade nell'uomo anziano; non solo, ma l'ambiente di vita dei roditori è incomparabile con quello umano. Oltretutto, lo sviluppo della malattia nei topi è assai specifico e non fornisce informazioni particolarmente rilevanti. Ecco perché ha suscitato interesse la presenza di cani che sviluppano spontaneamente disturbi in presenza delle placche amiloidi. Il problema dell'uomo, ora che vediamo con un certo distacco i disturbi legati alla demenza senile, è che esiste una grossa differenza tra il quadro clinico e l'analisi istologica. I ricercatori si sono accorti che le placche amiloidi non sono identiche a quelle dei cani, e che si verifica inoltre una degradazione particolare apparentemente legata ai disturbi clinici: altre strutture delle cellule nervose si degradano oltre alle placche. Apriamo a questo punto una piccola parentesi tecnica: in una cellula nervosa si trova il corpo vero e proprio e tutti i prolungamenti che da esso hanno origine. Ne esistono di due tipi: quelli corti, che le permettono di connettersi ad altre cellule (sono i dendriti) e i quelli lunghi (che possono misurare più di un metro, come il nervo sciatico) chiamati "assoni" (il nervo è formato dalla riunione di diversi assoni). Una parte dello "scheletro cellulare" di assoni e dendriti è costituita da specie di minuscoli bastoncini, strutture tubolari (le neurofibrille) che danno vita a un vero e proprio sistema di rotaie capace di trasportare piccole vescicole contenenti i neurotrasmettitori. Questi ultimi sono fabbricati all'interno della cellula e scivolano, all'interno della vescicola, fino ai punti estremi della cellula stessa da cui verranno trasmesse le informazioni. Nel morbo di Alzheimer le neurofibrille subiscono una degenerazione carica di conseguenze, perché le informazioni non circolano più. Nel cane non siamo in grado di avere informazioni tanto precise sulla degenerazione delle neurofibrille. Per il momento sono state semplicemente individuate le placche amiloidi nel cervello (direttamente legate ai disturbi osservati da un punto di vista clinico nell'animale), in particolare nell'ippocampo, che ha un'importanza fondamentale nella funzione della memoria. In tale struttura che gestisce le informazioni memorizzate si trovano moltissime placche e questo, clinicamente, provoca nei cani grossi problemi d'interazione a livello mnemonico. Si trovano le placche amiloidi anche nelle strutture che utilizzano la dopamina e che intervengono ugualmente nel controllo dell'esecuzione dei comportamenti memorizzati. Poiché l'uomo dà raramente a certi animali la possibilità di invecchiare non sappiamo se, con l'età, anche una mucca svilupperebbe placche amiloidi. Anche il cavallo, nonostante la posizione privilegiata, ha poche possibilità di raggiungere un'età avanzata. I soli che condividono tale prerogativa con l'uomo sono cani e gatti. Nei felini non sono stati individuati fenomeni analoghi; solo nel cane si sono riscontrate alcune somiglianze.

Gli ormoni La degradazione dell'ipofisi e l'irregolarità delle ghiandole surrenali Sul piano ormonale l'avvenimento più importante e specifico del cane riguarda quello che chiamiamo "asse ipofiso-surrenale". Di che cosa si tratta? Alla base del cervello si trova una piccola ghiandola considerata il "centro di controllo" delle secrezioni ormonali: l'ipofisi. Essa immette un certo numero di ormoni nel sangue che stimoleranno a loro volta altre ghiandole, tra le quali due, di piccole dimensioni, che si trovano al di sopra dei reni: per questo motivo sono chiamate ghiandole surrenali (o capsule surrenali); hanno un ruolo molto importante nelle reazioni di stress e in tutto il campo emotivo. Secernono numerosi ormoni e hanno una struttura formata da una parte centrale e una periferica. La periferia secerne un ormone che conosciamo bene e che utilizziamo a volte fin troppo: il cortisolo (che con l'intervento dell'uomo diventa il cortisone). Tale sostanza interviene anch'essa in ogni sorta di reazione emotiva e nella regolazione dell'umore. Tutte queste secrezioni sono quindi governate dagli ormoni fabbricati dall'ipofisi. Come abbiamo visto, in età avanzata molte delle cellule che liberano la dopamina muoiono, in particolare quelle collocate nell'ipotalamo che comanda l'ipofisi immediatamente sottostante. Che cosa accade? Le cellule che invecchiano male svolgono meno bene la loro funzione, e non impediscono all'ipofisi di secernere l'ormone che stimola le ghiandole surrenali. Conseguenza: appena la ghiandola pituitaria libera un ormone (ACTH) senza alcuna limitazione, l'ACTH stimola le ghiandole surrenali che producono quindi del cortisolo. Inizia allora un circolo vizioso, e il cortisolo degrada tutta una serie di strutture cerebrali che intervengono nel ritmo veglia/sonno, nell'appetito, nell'umore. Ecco perché i cani vecchi soffrono di gravi disturbi: - problemi legati alla depressione, e in particolare una malattia chiamata "depressione involutiva"; -- problemi dermatologici: perdono il pelo e soffrono di infezioni cutanee per via delle conseguenze immunitarie; - i muscoli si riducono e questo causa problemi articolari; si ha l'impressione che abbiano gli arti quasi lussati; - bevono tantissimo e quindi urinano di conseguenza; - aumentano notevolmente di peso: nelle descrizioni mediche di una quarantina di anni fa il cane affetto da questi disturbi viene rappresentato come una botte appoggiata su quattro fiammiferi perché, mentre l'addome si gonfia e diventa molle (si parla, tra l'altro, di ventre da rana), i muscoli degli arti perdono gran parte del loro volume. Per molto tempo, prima di arrivare a questi stadi estremi, il quadro clinico del cane vecchio si limita alla depressione. È il momento in cui risulta ancora facile intervenire: se si aspetta troppo, i danni saranno tali da compromettere le possibilità di riuscita su un animale in età avanzata. LA TIROIDE L'altro grosso problema ormonale è quello legato alla tiroide, che ha anch'essa un ruolo molto importante nell'equilibrio emotivo, nello stato di vigilanza e nella sensibilità alle variazioni ambientali. La tiroide non subisce la stessa degenerazione delle ghiandole surrenali, ma perde la capacità di rinnovare regolarmente la produzione dell'ormone T4, la cui concentrazione nel sangue diminuisce. Non si può parlare di un vero ipotiroidismo (gli esami del sangue rivelano tassi non molto diversi da quelli di un soggetto giovane), ma nelle situazioni di stress, che richiedono un adeguamento dell'organismo e un maggiore impegno per reagire a un'aggressione, la tiroide non è più in grado di adattarsi. Il problema essenziale del cane vecchio è quello di tollerare ciò che gli succede intorno; la perdita di questa capacità aumenta da una parte i rischi di disordini cognitivi, dall'altra la tendenza a sviluppare disturbi emotivi, e in particolare ansia o depressioni. Le variazioni genetiche L'evoluzione dell'invecchiamento cambia enormemente da un soggetto all'altro, a seconda del passato medico, dell'assunzione o meno di certi farmaci (in particolare a base di corticoidi) o della razza.

I FATTORI GENETICI Si rivela un'enorme disuguaglianza dal punto di vista genetico: in base ai dati statistici, si fa cominciare l'invecchiamento a sette anni, ma con differenze considerevoli in base alla razza. - Tutti i cani che appartengono ai molossoidi (testa grossa e un po' piatta: mastino tedesco, mastino del Tibet, san bernardo, bulldog, boxer,,,) hanno una mortalità assai precoce e manifestazioni dell'invecchiamento anticipate. Nel campo dei disturbi dell'umore e in quelli cognitivi si osservano quadri clinici piuttosto gravi. - Nelle razze di piccole dimensioni l'inizio del periodo dell'invecchiamento si colloca verso i dieci o gli undici anni. Si trovano poi grosse disparità all'interno di una stessa razza quanto al ritmo di invecchiamento. In certe stirpi di razza molossoide, alcuni cani cominciano ad invecchiare verso i cinque o sei anni con delle depressioni involutive e disturbi gravi o problemi di ipofisi/ghiandole surrenali di una certa entità a cinque anni. INVECCHIAMENTO DI MASCHI E FEMMINE Al fattore genetico bisogna aggiungere quello sessuale: non si sa perché, ma statisticamente ci si è accordi che lo sviluppo dei disturbi depressivi tocca più spesso le femmine che i maschi. La depressione involutiva, per esempio, colpisce sei femmine ogni quattro maschi. Nella cagna non c'è menopausa, anche se può esserci una riduzione della fecondità. Il ruolo particolare delle cagne come animali da compagnia (vanno in calore senza mai essere montate) potrebbe avere un qualche rapporto con il numero più frequente di depressioni. Cinicamente questo porta spesso a praticare, sulle femmine anziane, un'ablazione dell'apparato genitale per scongiurare il pericolo di infezioni; ciò potrebbe anche contribuire a spiegare la maggiore vulnerabilità di fronte alla minaccia dei disturbi comportamentali. Come si modifica il comportamento del cane anziano Statisticamente i tumori cerebrali si manifestano soprattutto nei cani vecchi, dopo i cinque o sette anni. Il quadro clinico di queste patologie è caratterizzato dalla depressione. Nel cane, contrariamente a quanto avviene nell'uomo, non vi sono neppure cambiamenti del fondo dell'occhio nel caso di tumori cerebrali: la radiografia non dà nessuna informazione, e bisogna quindi ricorrere allo scanner. Oggi, davanti a un cane maturo che presenta un quadro clinico di depressione, si tende a effettuare un esame clinico completo, naturalmente, e poi ad analizzare il suo comportamento. In seguito si pratica un'esplorazione ormonale per essere certi che non si tratti di un problema ipofiso-surrenale. L'ultima tappa consiste nel richiedere uno scanner. Dal momento che si tratta di esami costosi si procede per eliminazione, cominciando con l'escludere le patologie meno gravi per continuare con le più serie. Nel caso dei tumori si dispone oggi di trattamenti che danno risultati assolutamente soddisfacenti, nel caso in cui sia impossibile operare. Quando un cane raggiunge i sette anni, ogni modificazione del comportamento può e deve lasciar supporre che avvenga qualcosa sul piano organico: non bisogna insistere nel dire, come fanno molti, che l'alterazione in questione è normale perché l'animale è vecchio. L'unico cambiamento normale nel corso dell'invecchiamento è un allungamento del periodo di sonno: tutto il resto non lo è, e quindi bisogna reagire il più precocemente possibile. Il passato comportamentale del cane influisce sulla possibilità che sviluppi disturbi in questo campo. Gli animali che, da giovani o nell'età adulta, sono ansiosi, rischiano, se non curati, di sviluppare una depressione involutiva da vecchi. Quelli affetti da sindrome da deprivazione vanno sorvegliati con particolare attenzione quando raggiungono una certa età, in modo da poter essere curati ai primi segni di depressione involutiva. Nella categoria dei cosiddetti "cani da lavoro" (cani militari, da guardia, guida, da circo) molti presentano questi sintomi quando vengono messi a riposo: si potrebbe pensare che, poiché li si mette in pensione a causa dell'età, la cessazione dell'attività non abbia alcuna influenza, e che si tratti semplicemente di una depressione involutiva classica. Si è però effettuata

un'indagine su due gruppi di cani da lavoro, uno di soggetti che diventavano animali da salotto, l'altro di esemplari che, pur cessando l'attività a tempo pieno, ne effettuavano un'altra, di tipo sportivo o venatorio. Ci si è accorti di un'estrema disuguaglianza tra i due gruppi: i cani che continuavano a dedicarsi a un'occupazione sviluppavano la depressione quattro volte di meno. Conclusione: non bisogna mai interrompere brutalmente tutte le attività del cane. I disturbi depressivi Come si manifesta la depressione nel cane vecchio Si parla di depressione involutiva perché, in apparenza, si osserva una sorta di ritorno ai comportamenti infantili. È un'entità clinica che associa disturbi dell'umore e dell'apprendimento ed è caratterizzata dai seguenti sintomi:  l'animale non si interessa più a niente (né ai giochi, né agli eventi che prima lo coinvolgevano);  guaisce pur senza alcuna sofferenza fisiologica;  ha grosse irregolarità nell'appetito, alternativamente enorme e assente;  scompare il controllo dell'evacuazione: il cane si comporta come un cucciolo appena nato, fa i suoi bisogni quando ne sente la necessità, in qualsiasi luogo si trovi (nelle forme più tipiche, urina e defeca nel sonno);  adotta un comportamento esploratorio per via orale come a quattro mesi: lecca e mette in bocca tutto ciò che trova. Spesso è proprio questo che consente di diagnosticare la malattia, perché i soggetti sono portati al pronto soccorso a sette od otto anni per aver ingerito un corpo estraneo;  accusa gravi disturbi del sonno: il cane soffre di insonnie, poiché l'organizzazione del riposo non è più normale. Si assiste a un'anticipazione del sonno paradossale: questa fase - quella dei sogni - non comincia dopo novanta minuti, ma qualche minuto dopo l'assopimento. Il cane può svegliarsi ululando perché mentre dormiva ha provato emozioni molto forti: in breve tempo, è ovvio, l'insonnia dell'animale causa l'insonnia del padrone perché il cane va a cercare conforto dal proprietario. Un altro aspetto particolare è la crisi d'ansia che precede il sonno, come se avesse paura di addormentarsi;  a tutto questo si potrebbe aggiungere una vera e propria perdita delle capacità sociali nel gestire le interazioni tra cani. I padroni di soggetti d'età diversa constatano che l'animale maturo ha la tendenza a reagire in ritardo rispetto all'interazione appena avvenuta. Una posizione di minaccia o sottomissione a scoppio ritardato, però, può scontrarsi con l'incomprensione totale degli altri cani: da ciò nascono aggressioni e combattimenti mal controllati tra animali che prima convivevano in perfetta armonia. I padroni credono si tratti di un problema gerarchico, pensano che il cane più giovane cominci a mettere in dubbio l'autorità del più anziano e talvolta fanno curare il primo credendolo responsabile; non comprendendo la situazione reagiscono così in modo inadeguato. E' opportuno acquistare un cane più giovane per stimolarne uno vecchio? Molti padroni, quando il loro cane presenta i sintomi di apatia tipici delle depressioni involutive, credono opportuno acquistare un animale più giovane. È la classica buona idea che può sfociare in un vero dramma, a seconda della posizione gerarchica che occupava il cane più anziano prima dell'arrivo del giovane. Se era un soggetto con privilegi da dominante, tollera male l'arrivo del piccolo e precipita ancora più velocemente nella depressione. Per i soggetti sottomessi l'esito è assai variabile: certi ne traggono beneficio, in altri non solo non si vedono miglioramenti, ma il risultato sono le zuffe appena descritte causate dall'incomprensione tra i due animali (destinata a peggiorare al momento della pubertà del più giovane). Non è quindi possibile curare un cane mettendogli accanto un suo simile. Bisogna dapprima trattare il soggetto anziano; solo allora potrà effettivamente risultare simpatico comprarne un altro. COME CURARE IL CANE DEPRESSO Dal punto di vista terapeutico, se si dovesse fare un confronto tra la sociopatia (i comportamenti aggressivi del cane, vedi pagine da 179 a 188) e la depressione involutiva, si potrebbe dire che nel primo caso si riesce a trattare la maggior parte dei soggetti senza ricorrere ai farmaci, solo con una terapia comportamentale. Nella depressione involutiva, invece, ci troviamo quasi nel caso opposto, perché si tratta di una malattia strettamente legata al deterioramento biologico del sistema nervoso e ormonale, che la terapia non è in grado di guarire: i farmaci permetteranno quindi all'animale di uscire dalla depressione. I farmaci I farmaci attualmente disponibili permettono di agire con una grande precisione su alcuni aspetti dell'invecchiamento: per esempio, possiamo bloccare la fabbricazione di certe sostanze tossiche che

rappresentano gli scarti del metabolismo dei vecchi neuroni. Bisogna quindi effettuare un lavoro di prevenzione: i veterinari devono avvisare i proprietari di un'inevitabile ricaduta - anche se non immediata dopo il termine della cura (si cerca di rimandare il più possibile questa data). In altre parole, si deve far capire che gli si possono somministrare tutti i farmaci del mondo, ma il cane dovrà tenersi il suo vecchio cervello. Si trasmette allora ai padroni una lista dei sintomi probabilmente destinati a manifestarsi al momento della ricaduta, personalizzata in base alle condizioni del soggetto, e si chiede loro di aiutare i veterinari a individuare le avvisaglie del prossimo crollo, per ricominciare la terapia senza dover aspettare che l'intero quadro clinico si sia ripristinato. Qual è la prognosi? Nel 99 percento dei casi si arriva a riorganizzare un sonno corretto a partire dalla prima settimana di trattamento; sono invece necessari dieci, quindici giorni per arrivare a risultati soddisfacenti in materia di deiezioni. In compenso, se in due settimane si fanno scomparire gli inconvenienti più grossi, non si è però curata la depressione in senso stretto: per questo c'è bisogno di circa sei mesi di trattamento. Per ragioni economiche si ha la tendenza a diminuire la durata della cura, ma in questo caso sappiate che anche l'intervallo prima terapia/prima ricaduta diminuisce. La scelta del trattamento breve è motivata da due fattori: quelli di ordine economico (il prezzo dei farmaci aumenta all'aumentare delle dimensioni del cane) e il fatto che, una volta scomparsi i disturbi più fastidiosi, i padroni non capiscono la ragione di continuare la cura. Sta ai veterinari spiegarlo con chiarezza. Quando si trovano cause organiche alla depressione involutiva, come disturbi ipofiso-surrenali o tumori cerebrali, si aggiungerà un trattamento specifico. A volte il farmaco che cura il problema ormonale (come avviene nei disturbi ipofiso-surrenali) è anche un antidepressivo, il che diminuisce il numero di prodotti da somministrare. In generale, con un buon trattamento iniziato precocemente, si riesce ad allontanare la prima ricaduta. Se i padroni individuano subito i segni clinici preannunciati si può intervenire rapidamente, e con due mesi di trattamento si riesce a evitare l'inizio della ricaduta. Reinserimento del cane in famiglia La presenza di un trattamento farmacologico non significa l'assenza di una terapia: in questo caso si tratta principalmente del reinserimento dell'animale nel gruppo familiare. È una tappa necessaria perché, vista la portata dei sintomi della depressione, i proprietari confinano spesso il cane in una stanza facile da pulire e, visto che non si muove quasi più e non la smette di guaire, chiudere persino la porta. L'animale si trova quindi progressivamente escluso, e la depressione si aggrava. È essenziale capire che il cane non fa i suoi bisogni in salotto per dispetto; una volta che l'avrete compreso, la relazione migliorerà notevolmente. È poi indispensabile che riprendiate le attività con il cane: nonostante l'artrosi si divertirà a giocare, a seguire piste o a svolgere altre attività che favoriscono l'interazione con voi. Lo stesso vale per la caccia: senza imporgliela tutte le settimane, di tanto in tanto potete fargliene apprezzare ancora i piaceri. Si instaura un'ottima dinamica se accettate di partecipare, perché grazie al trattamento i risultati si vedono rapidamente. La sindrome confusionale o la demenza del cane vecchio Per molto tempo si è confusa la cosiddetta "sindrome confusionale" con la depressione involutiva, ma non si capiva perché i cani con disturbi cognitivi enormi non fossero affetti da depressione. Perché si parla di sindrome confusionale? In medicina si usa il termine sindrome quando il quadro clinico è omogeneo ma le cause eterogenee: si parla invece di malattia quando si tratta di un virus con un meccanismo unico da cui si viene colpiti solo se detto virus è presente. Per la sindrome, diversi tipi di fattori intervengono per generare un quadro clinico identico: si definisce questa sindrome "confusionale" perché, nel suo comportamento, il cane è confuso, incapace di organizzare la sua attività; risulta costantemente sfasato rispetto a ciò che gli succede intorno. COME SI MANIFESTA LA SINDROME CONFUSIONALE I sintomi appaiono in modo intermittente:  Di tanto in tanto il cane, per esempio, non risponde più agli ordini (non si tratta di una ribellione, semplicemente non reagisce). Poi, poco a poco, questi episodi diventano sempre più frequenti o cronici.  Incontra anche difficoltà di apprendimento, quindi problemi di pulizia.  Fatica a orientarsi nello spazio e manifesta due disturbi: da una parte è incapace di valutare le dimensioni spaziali, e quindi cerca di infilarsi in luoghi per lui impossibili da raggiungere, dall'altra ha vere e

proprie difficoltà di orientamento e si perde nell'appartamento; all'ora del pasto non riesce a trovare la sua ciotola. Spesso questi animali compiono a dieci anni la loro prima fuga! In realtà escono a fare l'abituale giretto intorno all'isolato e sulla via del ritorno si perdono, e non tornano a casa per diversi giorni. Questo ci ricorda un disturbo che purtroppo conosciamo bene nei pazienti umani colpiti dal morbo di Alzheimer: è diventato ormai normale dotarli di un'etichetta con nome e indirizzo per aiutarli a ritrovare la via di casa nel caso si smarrissero. 

Si aggiungono a questi, problemi di cognizione del tempo che hanno generato la confusione con i disturbi di depressione. Il cane perde il normale sistema di alternanza veglia/sonno: la quantità di riposo può rimanere immutata, vale a dire da dodici a sedici ore su ventiquattro nei soggetti anziani, ma si concentra sempre più di giorno mentre i soggetti restano attivi di notte. Non si tratta di insonnia ma di disorganizzazione, ed è piuttosto fastidioso, per il padrone, trovarsi il cane sul letto nel cuore della notte con una palla in bocca per giocare. Quello appena dipinto è un quadro di disorganizzazione cognitiva. Per quanto riguarda le interazioni sociali ci troviamo esattamente nella stessa situazione, con cani che diventano strani perché non rispettano più i rituali sociali abituali: anche qui c'è rischio di zuffe con altri cani, di incomprensioni reciproche tra il proprietario e l'animale. Ho saputo di un cane che faceva i suoi bisogni dappertutto. Ovviamente il padrone lo sgridava e, durante la ramanzina, il quadrupede scodinzolava: era del tutto sfasato rispetto all'ambiente circostante. Ecco perché si può parlare di demenza. Con i cani vecchi i veterinari usano una griglia di valutazione: si tratta dell'EVEC (scala di invecchiamento emotivo e cognitivo). I cani colpiti dalla sindrome confusionale hanno solo disturbi cognitivi mentre in ciò che riguarda emotività e umore tutto è perfetto. È in questi soggetti che si ritrovano le placche amiloidi (vedi pagina 214): per questo si riscontrano alcune analogie con i disturbi di demenza senile umana e, in particolare, con il morbo di Alzheimer. IL TRATTAMENTO L'opportunità di una terapia è maggiore o minore a seconda dell'apparizione più o meno recente dei sintomi: quando i problemi sono ancora intermittenti è possibile intervenire (con una percentuale di ricaduta del 100 percento, comunque, perché non si è in grado di guarire definitivamente l'animale). Appena i disturbi diventano cronici, però, si incontrano grosse difficoltà. L'ideale sarebbe iniziare il trattamento farmacologico senza più interromperlo, il che pone problemi economici, in particolare se il cane è di grossa taglia; spesso i padroni chiedono di fissare dei periodi senza farmaci. Queste soste impongono però un'estrema vigilanza perché, non appena ricompaiono le prime avvisaglie dei sintomi, bisogna ricominciare subito con i medicinali. Suggeriamo anche ai proprietari di scrivere sul collare dell'animale tutte le sue coordinate. Molti cani, purtroppo, si fanno investire o spariscono. Per riassumere: si opta per un trattamento essenzialmente farmacologico, tenendo presente che è sempre consigliabile continuare o riprendere le attività insieme al cane per stimolarlo e rendere più efficace la terapia. Se non avete il tempo, tendo spesso a consigliare una tecnica che si utilizza con gli animali selvatici o con i gatti, e che consiste nel nascondere il cibo, nell'evitare di presentarlo in modo accessibile: questo obbliga il cane ad agire per trovare da mangiare. L'iperaggressività del cane anziano Le sindromi finora descritte non danno problemi alla famiglia sul piano della sicurezza. Questo non vale per l'iperaggressività del cane anziano, caratterizzata essenzialmente da disturbi cognitivi ed emotivi e dall'apparizione di disturbi ansiosi. COME SI MANIFESTA L'IPERAGGRESSIVITÀ DEL CANE ANZIANO Clinicamente questo problema si manifesta improvvisamente in un soggetto che non aveva mai avuto disturbi del genere prima di allora.  D'un tratto l'animale comincia ad adottare comportamenti gerarchici del tutto incoerenti: può far pensare a una dissocializzazione primaria (vedi pagina 92) ma si manifesta dopo i sette anni. Per esempio: state mangiando tranquillamente, e il cane, che in genere resta al suo posto di dominato nell'ambito del gruppo sociale, improvvisamente si mette a esigere il vostro cibo e vi minaccia. Se la prende indifferentemente con adulti e bambini, uomini e donne, puberi o meno. Si azzuffa con i suoi simili. 

Questo disturbo si accompagna a una comunicazione sociale inadeguata e, in questo senso, possiamo dire che il cane non sa inserirsi nel contesto. Non è possibile confondersi con la sociopatia, perché nulla è

cambiato nell'organizzazione del gruppo: non si sono attribuite all'animale delle prerogative che prima non aveva. D'un tratto, però, in modo inizialmente episodico, il cane assume atteggiamenti stravaganti. Per esempio: la famiglia è seduta sul divano, il cane si avvicina come se volesse farsi coccolare e, senza preavviso, solleva la zampa e urina sul bracciolo. Per non correre rischi si sconsiglia di rimproverarlo in una situazione del genere perché c'è il rischio che vi morda.  C'è un'altra manifestazione specifica: le sequenze di aggressione hanno una struttura invertita. Il cane prima morde, poi ringhia, ovvero la fase di minaccia appare dopo l'attacco vero e proprio. COME CURARE L'AGGRESSIVITÀ NEL CANE ANZIANO Ci si propone di studiare meglio la regione frontale del cervello canino perché queste manifestazioni cliniche fanno pensare alle demenze frontali, in particolare alla malattia di Pick: questa, che è dovuta a lesioni della corteccia frontale, colpisce persone anziane che cominciano ad assumere comportamenti deliranti, volgari o provocatori in pubblico. Il problema nel caso del cane è che diventa effettivamente pericoloso ma, poiché prima di allora non si erano verificati incidenti, i padroni non si preoccupano e continuano ad avere fiducia in lui. Il rischio è particolarmente elevato in presenza di bambini, e oggi si è restii a suggerire un trattamento quando ci sono familiari di meno di sette, otto anni, età minima per partecipare alla terapia. In questo caso si consiglia l'eutanasia perché non ci si sente in grado di affermare una sicurezza immediata alla famiglia. Se invece in famiglia vi sono solo adulti, si inizia una terapia: il trattamento è quasi al cento percento farmacologico. L'atteggiamento terapeutico consiste nel cominciare la cura e nel continuarla finché l'animale è in vita. Non si hanno molte notizie su ciò che succede quando si interrompe il trattamento: per motivi etici si è reticenti a tentare esperimenti terapeutici in questo senso quando si è riusciti a stabilizzare l'animale con le cure. In una sindrome confusionale o in una depressione involutiva ci si può invece permettere di interrompere la cura per vedere l'evoluzione del disturbo. Nei pochi casi in cui i padroni hanno deciso di loro iniziativa di interrompere la somministrazione di farmaci si verifica una ricaduta e, allora, il cane non sfugge all'eutanasia. Come ho già detto, il peso dell'animale è essenziale, e la linea di demarcazione viene posta ai quindici chili. Questo limite può essere considerato eccessivamente prudente, ma per tenere sotto controllo un cane di quindici chili che entra in fase di aggressione ci vogliono almeno due persone che sappiano come bloccarlo e abbiano il coraggio di farlo. In questi casi la decisione dell'eutanasia viene presa per la sicurezza delle persone, mentre in casi di tumore, patologie renali o altre malattie organiche è motivata dal fatto che l'animale è incurabile e soffre. Ci si potrebbe giustificare dicendosi che un cane colpito da iperaggressività probabilmente soffre, dal momento che è sempre in uno stato di tensione, ma non è sicuro che sia così. L'alternativa sarebbe la creazione di ospedali psichiatrici per cani in cui gli animali verrebbero rinchiusi fino alla fine dei loro giorni, ma non sono certo che si tratterebbe di un progresso. La distimia del cane anziano Questa quarta entità clinica è essenzialmente un disturbo dell'umore che oscilla tra due poli: un'estrema irritabilità associata a un'insonnia totale (meno di sei ore di sonno su ventiquattro), insieme a periodi di comportamento normale: si tratta della "distimia unipolare". In seguito, nel corso dell'evoluzione clinica, diventa progressivamente bipolare, con oscillazione tra periodi di esagerata eccitabilità e fasi di depressione, inframmezzati da un periodo normale. Le fasi pericolose della malattia sono quelle in cui il cane diventa improvvisamente irritabile perché ha reazioni esplosive. D'un tratto si verifica in lui il fenomeno detto switch, con un'espressione impiegata anche per descrivere le turbe maniacali nell'uomo: è come un interruttore che si accende e si spegne. DESCRIZIONE  II cane è in uno stato di allarme permanente con meno di sei ore di sonno su ventiquattro (mentre, in condizioni normali, un esemplare adulto ne dorme raramente meno di dodici, come la maggior parte dei carnivori). Nei momenti più pericolosi qualsiasi particolare - un movimento, un rumore o altro - può provocare un'aggressione che è impossibile anticipare e di cui non si può prevedere il bersaglio. Ammettiamo che vi troviate in cucina con l'animale. La macchina del caffè, come ogni mattino, emette un leggero gorgoglio al momento del passaggio dell'acqua e, improvvisamente, il cane si scaglia contro di voi e vi morde; l'istante successivo può benissimo gettarsi sulla caffettiera e assalirla.  Vi sono poi fasi di immobilità: il cane fissa un oggetto, una parete o una persona, senza muoversi, anche per mezz'ora. Durante questi periodi dovete sperare che non accada nulla, altrimenti l'animale reagisce

aggredendo tutto ciò che gli capita a tiro. Nel momento dello switch si osserva un primo segno clinico che risulta prezioso per i proprietari, la midriasi, ovvero la dilatazione della pupilla. E facile da individuare perché fa pensare a uno "sguardo da folle". In seguito, allo stesso modo, dopo una fase di attacco rientra in un periodo normale con uguale rapidità. La fase di normalità può durare diversi giorni: poi, improvvisamente, si verifica un altro switch. Così si manifesta la distimia unipolare, con periodi di normalità e di irritabilità estrema durante i quali il cane può mordere chiunque e in qualsiasi momento (le aggressioni non sono affatto strutturate: l'animale morde a sangue e poi se ne va come se nulla fosse accaduto). I padroni hanno talvolta una pazienza estrema e tengono con sé un cane in questo stato; a un certo punto, però, la malattia evolve in distimia bipolare e allora, invece di ritornare allo stato normale dopo una crisi, l'animale entra in una fase depressiva con disturbi che assomigliano parecchio a quelli della depressione involutiva, ma senza il ritorno a un comportamento infantile. Si tratta di soggetti estremamente pericolosi per tutti, perché chiunque è esposto al rischio dei morsi; vi sono descrizioni cliniche allucinanti di persone obbligate a chiedere aiuto ai pompieri. Come il caso di una donna entrata nel locale dove il suo cane stava fissando la lavatrice; quando gli passò davanti l'animale le afferrò il piede ringhiando e glielo morse violentemente, poi improvvisamente mollò la presa. IL TRATTAMENTO Si riesce a trattare e a mantenere in uno stato normale un cane sofferente di distimia: il trattamento è completamente chimico, e non è affiancato da una terapia. Accanto alle distimie del cane anziano vi sono quelle che colpiscono il soggetto adulto, in particolare di razza cocker, e per trattarle si ricorre agli stessi farmaci impiegati per gli uomini con disturbi psico-maniaco-depressivi: si tratta di regolatori dell'umore a base di sali di litio. Sono medicinali che devono essere assunti sempre e sotto controllo medico (alcuni presentano una certa tossicità). Per esempio, con i sali di litio non bisogna cambiare il regime alimentare del cane una volta che si è riusciti a stabilizzare il trattamento perché sono farmaci eliminati per via renale; se si modifica la quantità di sale nell'alimentazione, l'equilibrio della cura viene alterato. Questo significa che l'animale evacua i farmaci in modo eccessivo o non li elimina più, rischiando l'iperdosaggio. Il trattamento è molto oneroso per i padroni; tra l'altro, dal 20 al 25 percento dei cani reagisce male ai tre tipi di farmaci disponibili. Anche in questo caso bisogna valutare con la famiglia se è il caso di intraprendere la cura oppure no. Rispetto agli altri disturbi del cane vecchio, sembra che qui vi sia una predisposizione di ordine genetico, legata non alla razza ma alla famiglia dell'animale. Bisogna tenere presente che ci troviamo di fronte a un trattamento a vita e che, dal mio punto di vista, questi soggetti sono proprio i più pericolosi. Quando non si è mai visto un cane del genere è difficile farsene un'idea. Un giorno ho incontrato un proprietario che mi detto: "Ho l'impressione di vivere con una bomba in casa!". Il difficile è determinare i diversi parametri del trattamento (la giusta dose, la riduzione degli effetti secondari e l'equilibrio del cane). In effetti, poiché le crisi possono essere parecchio distanziate (diversi mesi), non si sa mai se la cura è stabilizzata o se l'animale è in una fase di normalità. Il veterinario si prefigge allora di stabilire le dosi corrette di farmaci fin dall'inizio per non dover aspettare tre mesi per vedere se il cane è ancora aggressivo. Bisogna in questo caso avere la possibilità di ricoverare l'animale per poterlo tenere in osservazione senza che vi sia continuamente il rischio che qualcuno si faccia mordere. La morte II cane di fronte alla morte Molti si chiedono se il cane sente arrivare la morte e se ne ha una percezione particolare. Purtroppo, gli scienziati hanno sempre bisogno di prove misurabili prima di pronunciarsi; per questo è così difficile rispondere. In base alle mia esperienza, quando si assiste alla morte di un cane non si ha l'impressione che provi granché. È però molto difficile essere obiettivi perché quel momento ineluttabile è carico di importanti valenze relazionali e affettive. L'uomo di fronte alla morte del cane Anche se non esistono, per quanto ne so, statistiche sulla questione, sembra che attualmente, nella popolazione dei cani medicalizzati, un certo numero muoia quando e perché le persone più vicine l'hanno deciso. È nel momento in cui si opta per l'eutanasia che sorgono le questioni: ecco perché certi veterinari praticano

un'anestesia prima di iniettare il prodotto che provoca la morte del cane. I VETERINARI E L'EUTANASIA Oggi si hanno a disposizione per l'eutanasia prodotti quasi indolori ed estremamente rapidi, ma questo non cambia i sentimenti dei proprietari o di chi ha in mano la siringa. Effettivamente troppo spesso si pensa che il veterinario, solo perché si tratta del suo mestiere, viva l'avvenimento con serenità. Invece, secondo gli studi effettuati, è spesso turbato dall'atto che compie. La pratica dell'eutanasia è persino stata messa in relazione con il problema dei suicidi dei veterinari: tra gli individui che si tolgono la vita, infatti, questa categoria professionale è una delle più rappresentate da un punto di vista epidemiologico. E poi, avendo a disposizione tutti i prodotti necessari, riescono spesso nel loro intento: uno studio americano suggerisce che la prossimità con la morte e, soprattutto, il ruolo attivo nell'eliminazione dell'animale, potrebbero essere parzialmente responsabili dell'alto numero di suicidi commessi con gli stessi farmaci. A questo proposito ricordiamo, invece, che nel caso di lavoratori nei mattatoi le percentuali di suicidio sono nella media. Questi adottano comportamenti analoghi a quelli utilizzati in situazioni mostruose, come nei campi di sterminio nazisti o nell'ex Jugoslavia. Gli esecutori materiali del massacro (non gli istigatori, ma gli individui che sono costretti a obbedire e a rispettare gli ordini) hanno tutti comportamenti simili: cercano subito di snaturare e di trasformare in oggetto la vittima nel modo di parlarne, di trattarla e di "accoglierla". Nei mattatoi questo fenomeno è molto evidente: gli uomini compiono gesti di violenza gratuita, stabiliscono subito una distanza che permette loro di rendere "non vivente" ciò che stanno manipolando, e trattano gli animali come se fossero sacchi di grano. Nel caso dei veterinari, invece, si tratta di una morte accompagnata da gesti precisi e da un cerimoniale. L'essere che sta per essere soppresso "non è stato concepito per morire". COME VIVERE LA MORTE DEL CANE? La morte è una questione fondamentale di fronte alla quale, culturalmente, non tutti i paesi rispondono allo stesso modo. Negli Stati Uniti si creano gruppi di sostegno e vengono diffusi numeri telefonici di assistenza per le persone che hanno appena perso un cane: è difficile decidere se si tratta di un'operazione commerciale o di una costruzione culturale imperniata sulla morte, fatto sta che il veterinario abbraccia i proprietari al momento del decesso, invia loro un biglietto o fiori nell'anniversario del triste evento, pianta un albero insieme a loro e così via. Per riassumere, diverse persone hanno cercato di codificare il vissuto della morte. Evidentemente un atteggiamento simile non riscuote grande successo in Francia o nel resto dell'Europa, dove i veterinari sono estremamente reticenti a istituire rituali del genere. E' opportuno assistere alla morte del proprio cane oppure no? Due possono essere gli atteggiamenti del veterinario: alcuni chiedono sistematicamente ai proprietari del cane di restare, mentre altri preferiscono che non siano presenti nel momento in cui praticano l'eutanasia. Dal punto di vista del cane - parlo come etologo - è evidente che la presenza dei padroni costituisce un elemento di disturbo e complicazione (che comporta un aumento di stress per l'animale). Se non assistono all'iniezione (persino se si tratta solo dell'anestetico dato che molti veterinari, come abbiamo detto, lo usano prima dell'eutanasia anche se sono soli con il cane), la tensione diminuisce indubbiamente. Riassumiamo: per l'animale è meglio che i padroni non siano presenti. Ma attenzione: per portare il lutto nel modo migliore è necessario, nonostante tutto, che i proprietari vedano il loro animale morto. Secondo tutti gli autori che hanno studiato la questione, la perdita di un cane costituisce indubbiamente un motivo di lutto che non va negato. Avete quindi il diritto di comportarvi di conseguenza: potete piangere e sentirvi profondamente addolorati. Portare il lutto per il cane NON "NEGARE" LA MORTE DELL'ANIMALE Per accettarne la scomparsa è importante vederlo morto con i propri occhi: per ragioni di ordine legale, nella maggior parte dei casi i padroni non portano via con loro il cadavere dell'animale. Si può a volte assistere a situazioni estreme in cui la famiglia accompagna il cane nell'ambulatorio del veterinario, il personale viene a prelevarlo per portarlo nella sala in cui gli verrà praticata l'eutanasia, i proprietari firmano i documenti amministrativi e non rivedono più il loro beniamino. È evidente che questa ipermedicalizzazione della morte (osservata anche per gli esseri umani) disturba l'evoluzione del lutto: del resto con il cane è molto facile entrare in una dinamica di negazione del decesso, dal

momento che si può acquistare un animale identico. Lo vedremo meglio più tardi quando parleremo del "cane sostituto" (vedi pagina 236). I lutti patologici sono considerevolmente favoriti da questa struttura e da una simile organizzazione della morte dell'animale. NON AVER PAURA DI PIANGERE IL CANE Viviamo in una società in cui si dice spesso che "si esagera con gli animali", che "i padroni viziano troppo i cani", che il loro atteggiamento "non è ragionevole", eppure i padroni non osano manifestare il loro dolore per la morte del cane: si vergognano perché, socialmente, è considerato meno ammissibile della sofferenza per la perdita di una persona. Se analizziamo la questione a mente fredda e la consideriamo dal punto di vista della morale e di alcune religioni, a qualcuno può sembrare rivoltante mettere sullo stesso piano la morte di un animale e di una persona cara. Detto questo, nella realtà si constata che le due perdite vengono considerate sullo stesso piano, e l'ipermedicalizzazione della morte non fa che aumentare le somiglianze tra le due situazioni. I RITI Non illudetevi di poter trovare la "ricetta magica" per piangere nel modo più giusto la morte dell'animale. Non si può dire: "II cane è morto, fate questo o quello e tutto andrà bene ... " perché vi sono troppi casi diversi, compreso quello estremo di un animale che, con la sua scomparsa, lascia un vuoto affettivo enorme nella famiglia. L'unica cosa che si può fare è dare dei consigli per affrontare al meglio quel momento doloroso. Anche se si può restare sorpresi di fronte a gente che taglia un ciuffo di pelo dal cane morto o ne conserva il collare, bisogna capire che tali gesti costituiscono il primo passo verso il meccanismo del lutto e dell'accettazione. Lo stesso si può dire di una pratica attualmente in espansione: l'organizzazione del funerale del cane. Da sempre certi padroni provano il desiderio di far seppellire il proprio animale; esistono cimiteri per cani in Francia (per esempio ad Asnières, vicino a Parigi), alcuni dei quali, tra l'altro, sono monumenti nazionali: vi si trovano steli magnifiche o statue che rappresentano il cane defunto. Un altro cimitero del genere, di recente creazione, si trova a Villepinte, sempre nei pressi della capitale francese. Società private propongono, come per gli esseri umani, diverse cerimonie. Nei casi normali, infatti, il destino di un cane defunto è l'incinerazione collettiva; in seguito le ceneri sono disperse in luoghi appositi. Le cliniche veterinarie possono però mettere i padroni in contatto con certe imprese per recuperare le ceneri o celebrare veri e propri funerali nel corso dei quali il cane viene seppellito in una bara. Accanto a queste pratiche - che esistono, identiche, anche per l'uomo - esiste la tassidermia. L'imbalsamazione costituisce un aspetto importante del processo del lutto. Quando ero un giovane veterinario, andai a vaccinare a domicilio un volpino di Pomerania; sono cani con una voce molto acuta, e mi aspettavo quindi di sentirlo abbaiare e non sapevo che la casa era dotata di un giardinetto posteriore dove si trovava il cane. Vidi però dalla finestra il volpino sdraiato sul divano e lo trovai stranamente calmo: per forza! Era il cane precedente che la padrona aveva fatto imbalsamare e che metteva sul divano tutte le mattine! Tutti i tassidermisti riconoscono che, nella loro professione, l'imbalsamazione dei cani da compagnia ha una particolare rilevanza. In genere si chiede loro di mettere l'animale in una posizione ben definita, che ricorda qualcosa ai proprietari. Negli Stati Uniti c'è persino una società che liofilizza i cani ovvero ne disidrata completamente il corpo. Evidentemente c'è un'enorme differenza tra le persone che scelgono la fossa comune e quelle che ricorrono a pratiche del genere. Ricordiamo, a questo proposito, che sotterrare il cane in giardino può causare grossi problemi dal punto di vista sanitario. Infine, nelle riviste dedicate agli animali appaiono spesso annunci di professionisti che si offrono di ritrarre il vostro animale, perché possiate conservarne per sempre l'immagine. Sono tutti elementi sociologici appassionanti che, non costituendo l'oggetto del libro, non possiamo trattare approfonditamente. Quando un nuovo cane "rimpiazza" quello scomparso LA SINDROME DEL CANE SOSTITUTO Proprio come quando muore una persona cara, alla scomparsa del cane si entra in un periodo di lutto. In alcuni casi la situazione prende una brutta piega: il caso classico è quello in cui la famiglia (o uno dei suoi membri) si arresta alla fase di negazione, cioè rifiuta semplicemente la morte dell'animale. Come abbiamo già detto il cane, purtroppo, si presta perfettamente a tale negazione dal momento che i padroni potranno senza alcuna difficoltà trovarne uno identico.

Può dunque succedere che una famiglia, giorni o ore dopo aver perso il cane, ne acquisti un altro perfettamente identico al primo. E quando dico identico non intendo riferirmi solo al sesso, alla razza, al colore del manto: spesso si tratta di un esemplare che viene acquistato dallo stesso allevatore e proviene dalla stessa cucciolata. Questo animale praticamente uguale all'altro viene acquistato allo scopo di negare la morte del precedente. I padroni arrivano persino a dargli lo stesso nome, pratica che, purtroppo, talvolta si osserva anche nel caso dei bambini. Non appena arriva in famiglia, però, è messo a confronto con l'animale defunto che, naturalmente, viene idealizzato; i padroni se lo ricordano come più obbediente, più dolce, più intelligente eccetera. A differenza del bambino, il cane non è assolutamente consapevole dei continui paragoni a suo sfavore - per intenderci, non è certo in grado di vedersi sminuito -, ma percepisce segnali contraddittori nello scambio di messaggi con i padroni, che gli inviano sistematicamente segnali ambivalenti. Il quadrupede, in altre parole, viene criticato in ogni suo comportamento. Nel corso della comunicazione con i proprietari, poi, riceve risposte inadeguate. Quando si avvicina per fare le feste è considerato violento, e i padroni lo respingono anche se non sta facendo nulla di male; quando fa i suoi bisogni in giro, essendo ancora cucciolo, è una vera tragedia, perché l'altro cane, naturalmente, ha lasciato il ricordo di un'estrema precocità nell'apprendimento della pulizia. Ciò non significa che l'animale venga maltrattato, ma nel corso delle interazioni i proprietari gli inviano sempre segnali a doppio senso: per esempio, pratica veramente assurda, chiamano il cane sorridendo e lo respingono ogni volta che si avvicina perché è troppo brutale; per il cucciolo si tratta di un invito al contatto seguito da qualcosa che assomiglia più a una punizione che a un'accoglienza. Nel modo di accarezzarlo si nota che la posizione delle mani è modificata: non si stabilisce un contatto completo, il cane viene accarezzato non con l'intero palmo della mano ma solo con le sue parti più sporgenti. Sono carezze che respingono il cane e che non consentono una comunicazione completa. In generale, durante questo contatto il padrone non parla all'animale: non ci sono quindi i segnali verbali e non verbali che normalmente accompagnano uno scambio affettivo. Il povero animale riceve allora continuamente messaggi a doppio senso, che causano rapidamente uno stato d'ansia molto profonda accompagnato da gravi sintomi medici. Si tratta del quadro clinico d'ansia descritto a pagina 153 con la complicazione di disturbi organici, in particolare di origine dermatologica: si osservano spesso piodermiti, malattie cutanee in cui vi sono lesioni purulente dovute a stafilococchi e altri batteri. Sono molto diffusi anche i problemi digestivi, e i padroni si ritrovano spesso dal veterinario: questo rafforza in loro l'idea che, dopotutto, l'altro cane era davvero migliore. I problemi saranno più gravi se il cane si trova proprio nel periodo in cui si instaura la comunicazione (vedi pagine da 3 9 a 51 ). La sindrome del cane sostituto è oggi facilmente riconoscibile, e c'è la possibilità di intervenire terapeuticamente. Il caso che segue mi è stato sottoposto da un veterinario comportamentalista che vorrei citare, Claude Beata. Uno dei suoi clienti, nel sud della Francia, è appassionato di bracchi tedeschi. Ha acquistato uno di questi meravigliosi cani in un famoso allevamento in Alsazia. Fin dall'inizio l'arrivo dell'animale, molto atteso, ha un'enorme importanza sul piano affettivo. Appena il padrone lo mostra al veterinario gli dice: "Ha visto com'è bello? Discende proprio da una famiglia di campioni ... ". Per lui il cucciolo costituisce la settima meraviglia del mondo. II giorno dopo il piccolo sfugge alla sorveglianza del proprietario e si fa investire in strada. Non muore sul colpo ma viene portato in clinica e lì, purtroppo, decede. Il pomeriggio dello stesso giorno il padrone del bracco telefona all'allevatore che gli propone un fratello della stessa cucciolata. Si precipita in Alsazia la sera stessa e l'indomani Claude Beata ha la sorpresa di veder tornare lo stesso uomo con un cucciolo identico al fratello morto. Dal momento che l'anno di nascita è lo stesso fa modificare i documenti per dargli lo stesso nome. Nonostante quello, le sue prime parole quando posa il cucciolo sul tavolo del veterinario sono: "Non trova che sia molto meno bello?". Qualche settimana più tardi l'animale comincia a manifestare diversi disturbi: non è pulito, ha sintomi di ansia, soffre della "sindrome del colon irritabile", ha la diarrea e, qualche tempo dopo, ha una piodermite. Comincia allora la serie di visite dal veterinario e, ogni volta, il padrone spiega quanto quel cane sia inferiore al precedente, che non ha neppure avuto il tempo di conoscere. IL TRATTAMENTO II cane per fortuna verrà guarito, ma ci vorrà del tempo; bisogna innanzitutto curare l'ansia e i disturbi organici a essa associati. Questo comporta trattamenti che, ancora una volta, cercano di far reagire il soggetto più che isolarlo da ciò che gli succede intorno; si evitano gli ansiolitici a base di diazepam che provocano una sorta di anestesia emotiva, assolutamente controproducente in questo caso. Si cerca invece di stimolare le reazioni comportamentali del quadrupede. Bisogna anche dare inizio a una terapia che non riguarda solo il cane: si tratta della cosiddetta "terapia sistemica" o familiare il cui scopo è aiutare la famiglia a cambiare, o meglio accompagnarla in un cambiamento che i membri hanno deciso di compiere durante l'incontro con il veterinario. Evidentemente non si tratta di assegnare un programma di compiti da svolgere: al contrario, bisogna

sdrammatizzare la situazione permettendo alle persone di esprimere il loro dolore per la perdita del primo cane. Una delle cause della sindrome della sostituzione è che i padroni hanno l'impressione di non essere autorizzati a manifestare la sofferenza, il dolore e il senso di vuoto per la morte dell'animale scomparso. In altre parole, anche se tutti riconoscono che è doloroso perdere il proprio cane, è pure considerato indecente alludervi. Uno dei nostri primi compiti consiste nel parlare dell'animale morto: si cerca di organizzare la cicatrizzazione di quella ferita incoraggiando le persone a esprimere i pensieri che non osavano formulare. Il grande errore anche se sembrerebbe il passo più logico da compiere -- consiste nel compiere subito un bilancio sul nuovo cane per provare quanto è bravo. In realtà rappresenta uno sbaglio perché il sistema familiare tenterà in ogni modo di opporsi a questa ricostruzione e i padroni faranno di tutto per mettere in evidenza i difetti, talvolta obiettivi, dell'animale. Dal momento che spesso è molto difficile far accettare il nuovo cucciolo, ci accolliamo noi la descrizione di tutti i suoi difetti; la nostra tecnica consiste nel mostrare ai proprietari quanto l'animale sia una fonte di problemi. Dopo averne enumerato tutti i punti deboli si ottiene il risultato voluto: il nucleo familiare prende sistematicamente le difese del cane dicendo: "È vero che non è pulito, che ha dei problemi di salute, ma è così dolce, simpatico, e poi, anche con quei problemi di pelle, è bello lo stesso ... ". A partire da questo momento si opera il primo cambiamento aiutando la famiglia a prendere progressivamente coscienza dello stato reale del cane. Per fare questo ci si concentra su una delle sue ansie, provocate dalla patologia del cane sostituto, cercando di vedere insieme cosa si può fare per migliorarla. Si può cominciare con un programma per ripristinare la pulizia: si spiega ai padroni quello che il cane è in grado di capire sull'apprendimento di questa capacità (si tratta di ciò che abbiamo visto a pagina 77). Tale processo è della massima importanza perché, oltretutto, il trattamento prescritto favorisce l'iniziativa del cane e ne aumenta le facoltà di apprendimento. Si ottengono quindi buoni risultati con questo esercizio, che può sembrare inadeguato alla gravità dei disturbi del soggetto, ma che rafforza in realtà il lavoro svolto nel corso delle sedute dimostrando che, in effetti, l'animale è migliore di quello che sembra. Progressivamente è la famiglia che si occupa sempre più del cane; si tratta di una dinamica di terapia familiare in cui, poco a poco, ciascuno viene curato dal suo male. Mai si accenna al fatto, naturalmente, che l'animale sarebbe stato benissimo se non fosse stato sottoposto a simili tensioni. Dire: "Ma vi rendete conto delle sofferenze che causate al vostro cane? È perché vi siete negati il periodo di lutto per l'altro che questo si trova in uno stato simile" è probabilmente uno sfogo che farebbe sentire meglio il veterinario indignato, ma non allevierebbe in nessun modo la sofferenza del gruppo. Il malessere dell'animale in questione è sintomo di un disagio dell'insieme del gruppo familiare. Se si trascura questo aspetto non si guarisce nessuno, tenendo presente poi che il lavoro del veterinario non consiste nel curare la famiglia, ma nel fare in modo che l'animale stia meglio e abbia con i padroni un rapporto ideale, definito come tale dai proprietari stessi. COME EVITARE CHE UN CANE SERVA A RIMPIAZZARNE UNO MORTO Questi disturbi ci portano a parlare della prevenzione, che va effettuata evidentemente alla morte dell'animale precedente. Oggi esistono numerosi accorgimenti che permettono di accettare meglio la scomparsa di un cane. Innanzitutto, poiché tutti sono d'accordo nel riconoscere la relazione affettiva stabilita con il quadrupede, bisogna essere coerenti e avere il coraggio di ammettere che ci si sente tristi quando muore. Spesso ci sentiamo dire frasi come: "È terribile, capisce, perché sto male come quando sono morti mia madre o mio marito". Molti, come abbiamo già osservato, provano un senso di colpa nei confronti di una persona cara defunta; eppure non dovrebbe essere necessario stabilire una gerarchia del dolore quando scompare qualcuno a cui teniamo. Il lavoro del veterinario, spesso presente alla morte del cane, consiste, come abbiamo visto, nel permettere ai padroni di esprimere la loro sofferenza. Non bisogna poi cercare di rendere asettica la morte dell'animale: bisogna vedere il cadavere (e alcuni sentono persino il bisogno di toccarlo un'ultima volta). Non vedere il cane morto facilita la fase di negazione perché, se non si ha la conferma sensoriale della sua scomparsa, ci si può sempre illudere che non sia morto sul serio. Altro elemento di prevenzione: concedete a voi stessi il tempo necessario per il lutto, che non finisce qualche ora dopo l'uscita dall'ambulatorio del veterinario. Finché la ferita della morte del cane non si è cicatrizzata, non bisogna comprarne un altro. Volendo essere più severi si arriva persino a sconsigliare formalmente l'acquisto di un esemplare della stessa razza e sesso. Purtroppo, anche quando l'animale è morfologicamente assai diverso dal precedente, può soffrire di disturbi da cane sostituto perché, in fondo, è ancora più

facile rimproverargli di essere davvero diverso e, quindi, peggiore dell'animale scomparso. 6.- Che cos'è il cane? Da dove viene il cane, questo animale che accompagna il genere umano da tempo immemorabile? È un lupo addomesticato, modificato, o una specie del tutto diversa i cui antenati sarebbero scomparsi? L'uomo e il cane hanno in comune questo carattere di mistero: la loro origine è controversa. Da dove viene il cane? È un importante motivo di controversia tra zoologi, archeologi e paleontologi: in effetti, il cane è il primo animale addomesticato dall'uomo e, allo stesso tempo, quello che presenta la morfologia più varia. Le differenze tra forme e dimensioni sono talmente marcate che un osservatore inesperto potrebbe legittimamente chiedersi se si tratta della stessa specie, zoologicamente parlando. Tra cane e lupo Tale eterogeneità morfologica ha dato luogo a numerose teorie. Una delle più famose è quella di Konrad Lorenz che aveva immaginato l'esistenza di due tipi di cani: -- quelli discendenti dal lupo: si tratterebbe delle razze nordiche che Lorenz descrive come fiere, più facilmente aggressive ma molto fedeli al loro padrone; - quelli discendenti dallo sciacallo dorato: sarebbero cani dall'aspetto più mansueto, solitamente di dimensioni minori, con un comportamento meno aggressivo ma più incostanti in termini di fedeltà, considerati poco affidabili. Apparterrebbero a questa grande famiglia tutte le razze del Sud. Anche se Lorenz fu sicuramente un genio, quando si conoscono le sue amicizie e le sue opinioni politiche e sociologiche si capisce ancora una volta che si è servito del cane per parlare dell'uomo; del resto, si tratta di una tendenza a cui è difficile sottrarsi. Questo modello teorico, allora, è interessante perché illustra la contaminazione della scienza da parte dell'ideologia, ma non ha valore scientifico; oggi tra l'altro si riesce, grazie a sistemi di sonde genetiche, a sapere quali legami di parentela ci sono tra le specie, e il rapporto tra cane e sciacallo ha quindi potuto essere definitivamente escluso. Conclusione: attualmente, sul piano zoologico la controversia può essere considerata conclusa: il cane è un lupo. In realtà, molti altri erano arrivati alla stessa conclusione deducendola dall'interfecondità: in altre parole in Europa - e in particolare in Italia e Spagna -, nelle zone dove la popolazione di lupi è numerosa, si incontrano nelle fattorie animali nati dall'incrocio tra lupi e cani. Naturalmente esistono diverse sottospecie di lupi: nordamericani, europei, meridionali, asiatici. Particolarmente interessante è la tendenza di alcune popolazioni a conservare caratteristiche infantili: si tratta di quella che in biologia viene chiamata "neotenia". A seconda delle specie questa neotenia si accompagna a una morfologia più tondeggiante con la persistenza di caratteri giovanili, ma anche di una maggiore plasticità comportamentale. Si ritiene che nel lupo vi siano gruppi di individui che conservano tali caratteri infantili, e che questi abbiano attirato l'uomo. Detto ciò, è lecito porsi diverse domande tra cui la principale è questa: come mai alcuni lupi si sono messi a vivere con gli esseri umani? È un animale utile? Esistono due grandi spiegazioni sull'origine della relazione tra l'uomo e il cane. Certi autori hanno sviluppato addirittura la teoria seguente: i nostri antenati del paleolitico cacciavano in gruppo per cercare di avvicinarsi alla selvaggina; anche il lupo caccia in gruppo ricorrendo a una strategia elaborata quando la preda è di grosse dimensioni. Si potrebbe allora pensare che le due specie abbiano collaborato spontaneamente per catturare gli animali più grossi e che, alla fine, si siano spartiti il cibo. Il primo problema di questa ipotesi è che le tattiche utilizzate dal lupo, per quanto sofisticate, si basano sempre sullo stesso principio: questo predatore "stanca" la preda. Stancare è un termine che si usa spesso nell'ambito della caccia con i cani: consiste nell'incalzare la vittima finché è così stanca che si riesce a catturarla. Questa tecnica permette innanzitutto di operare una selezione: in generale, anche se cercano sempre di assalire un individuo o gruppo di individui più deboli, spesso sferrano l'attacco su un branco intero, per esempio, nelle zone più fredde, di renne. Spingono davanti a loro il gruppo di animali e, poco a poco, uno di loro viene lasciato indietro perché corre meno bene: è su di lui che i lupi si concentrano. Questo metodo però si basa sulla capacità di correre per sfinire la preda, e l'essere umano non ha una simile resistenza.

Secondo punto: se si osservano le tecniche venatorie più primitive, si constata l'uso di armi da getto dalla portata ridotta. In tempi più recenti sono stati realizzati degli studi sui bushmen dell'Africa del Sud: il loro metodo consiste principalmente nell'avvicinarsi il più possibile, in silenzio, alla preda per colpirla con una freccia. Questo sistema è però più felino che canino. Del resto i bushmen, che pure possiedono cani, non li portano mai con sé quando vanno a caccia perché ne sarebbero disturbati. Bisogna insomma aspettare che l'essere umano inventi armi da getto sufficientemente potenti e aumenti la velocità degli spostamenti grazie all'uso del cavallo perché inizi a utilizzare il cane durante la caccia. La teoria secondo cui l'amicizia tra uomo e cane nasce da una cooperazione in ambito venatorio non è quindi valida. È un animale da compagnia? Gli scavi archeologici hanno rivelato corpi umani seppelliti con vicino o in braccio cuccioli, o almeno piccoli canidi con lo scheletro che, in alcuni casi, si colloca tra quello del lupo classico e quello del cane. Ciò che è certo è che tenevano l'animale tra le braccia, atteggiamento che denota la presenza di un legame affettivo. Nelle popolazioni con modi di vita simili a quelli del neolitico - gli abitanti della Papuasia, della Nuova Guinea, gli Ainu o i Pigmei dell'Africa - di solito, quando una donna perde il suo bambino, le viene donato un piccolo animale a cui fa da madre. In certi casi può persino offrirgli il seno: negli Ainu per esempio è così che vengono allevati i cuccioli degli orsi; tra i Pigmei si tratta di maialini e in Papuasia Nuova Guinea di cani. Poco a poco, sommando gli elementi desunti dall'osservazione attuale e la presenza di cuccioli nelle tombe antiche,

si è cominciato a pensare che l'uomo sia stato attratto da animali appartenenti a popolazioni di lupi dal carattere particolarmente infantile e giocoso e li abbia utilizzati come sostituto affettivo. Anche se le due ipotesi non si escludono del tutto tra loro, anche se è possibile che vi sia stata una cooperazione durante la caccia tra l'uomo e il cane, è molto probabile che quest'ultimo, fin dall'inizio, si sia rivelato adatto a diventare un animale da compagnia; in ogni caso, il suo rapporto con l'uomo non era motivato solo da fini utilitaristici. Quest'osservazione assume oggi una particolare rilevanza perché invece, secondo qualcuno, da quando l'uomo ha introdotto il cane in ambito familiare (dalla fine degli anni cinquanta) e l'animale è diventato un membro a pieno titolo della famiglia occidentale, è stato completamente degradato e la sua esistenza ne è risultata irrimediabilmente disorganizzata: ha perduto la sua funzione lavorativa e, dal momento che l'ozio è il padre dei vizi, non c'è da stupirsi di tutti i problemi che incontriamo con i nostri amici a quattro zampe. Questi discorsi, però, con i loro propositi moralizzatoti e le proiezioni che li caratterizzano, non sono attendibili: significherebbe che, quando un cane ha problemi comportamentali, basterebbe farlo lavorare per curarlo. Se è un pastore tedesco gli si insegna a mordere, perché è questo il lavoro di tale razza (non si sa perché ma è così); se è un cane da caccia deve cacciare, se è un animale da slitta bisogna fargli tirare una slitta e così via. Nella seconda ipotesi, se il cane è stato fin da subito un sostituto affettivo si capisce meglio come mai, periodicamente, e in particolare nelle società più complesse e stressanti, l'uomo ricerchi intensamente questa relazione con un animale capace di confortarlo. I diversi "mestieri" del cane La relazione tra uomo e cane ha subito numerose evoluzioni, e si può affermare che quest'ultimo ha ricoperto tutti i ruoli, non ultimo uno di quelli considerati più antipatici per le nostre civiltà occidentali, ma che è esistito ed esiste ancora: al pari di tutti gli altri animali, è servito all'uomo come nutrimento. Dell'uso alimentare del cane si trovano tracce molto antiche: a partire dal momento in cui vi sono scheletri di animali simili al cane associati all'uomo, si rinvengono tracce che ne dimostrano il consumo, in certe zone del mondo più che in altre. Questa pratica è durata a lungo in alcune regioni; si pensa subito all'Asia, ma non dimenticate che in alcune macellerie tedesche e svizzere si trovava ancora carne di cane all'inizio del Novecento. In Asia è ancora considerato un cibo prelibato, ma ci sono razze più indicate di altre: è il caso del chow-chow, il cui destino assomiglia parecchio a quello delle nostre mucche; si tratta insieme di un animale da macello e da tiro, perché lo si attacca a carretti da trascinare. Vengono anche consumati cani le cui popolazioni non sono geneticamente stabilizzate ma che presentano all'incirca la stessa morfologia: tipo pastore con la coda arricciata sotto il posteriore. Nei nostri paesi costano molto anche se la moda è un po' passata; alludiamo per esempio allo sharpei, impiegato in Oriente come cane da combattimento e come alimento. Nel Sud-est asiatico solo il Giappone non consuma carne di cane. È curioso segnalare che in Asia, accanto ai cani che si mangiavano, ce n'erano altri che avevano una posizione aristocratica e persino un ruolo sacro: erano associati alla popolazione religiosa - come il terrier tibetano che viveva con i monaci - o all'imperatore della Cina, come i pechinesi shih-tzu nella città proibita. Si ritrovano nei pechinesi le stesse caratteristiche morfologiche presenti nelle grandi statue dei leoni: la razza, dunque, è stata selezionata perché assomigliava a tali felini. Si racconta che diplomatici britannici fecero uscire dal paese qualche pechinese per portarlo in Europa e farlo riprodurre; in effetti, si trattava di animali il cui commercio era proibito. Si consumava carne di cane anche in una civiltà ormai scomparsa che, però, ci ha lasciato testimonianze su diverse razze: gli Aztechi. Tutte le società che si sono susseguite nei territori oggi occupati da Messico e Guatemala mangiavano cani, in particolare due razze - che si fatica a credere commestibili! - considerate vere e proprie prelibatezze: il chihuahua e lo xoloizcuintle o xolo, cane senza pelo che richiedeva quindi meno preparativi. È un cane di medie dimensioni che si trova anche oggi nei nostri paesi occidentali, molto costoso.

Il cane come animale da traino Fino a poco tempo fa, e ancora oggi in certi paesi, il cane veniva utilizzato come animale da traino. Questa funzione, spesso trascurata, sembra piuttosto antica, anche se è difficile trovarne le tracce: probabilmente certi popoli hanno adibito l'animale al trasporto di oggetti o bambini. Presso gli Indiani del Nordamerica, in particolare nelle tribù delle pianure, i cani trainavano strutture costituite da due rami tra cui veniva tesa una pelle. Vi si appoggiavano sopra bambini soprattutto neonati ma anche merci e oggetti di uso comune. Si pensa evidentemente ai cani degli Eschimesi, ma anche in Europa fino all'inizio del Novecento si usavano questi quadrupedi per tirare piccole carrette. Su cartoline e fotografie dell'epoca sono immortalati esemplari in genere piuttosto grossi che tirano carretti con a bordo bambini: allora era del tutto normale. Il cane da caccia Uno dei "mestieri" più importanti e tradizionali per il cane è rappresentato dalla caccia, in cui svolge due attività principali. IL CANE UTILIZZATO COME PREDATORE Nel primo caso è il cane stesso che dà la caccia alla preda. La tecnica è la medesima utilizzata per tutte le razze di cani da muta: il predatore deve trovare la preda, farla correre e stancarla per bloccarla in un luogo dove l'uomo la possa uccidere. E il sistema utilizzato più spesso nella caccia al cervo, nella caccia alla volpe inglese o nelle battute senza cavalli in cui il cacciatore corre dietro ai cani finché non hanno sbarrato alla lepre ogni via di fuga, per esempio. Evidentemente da quando si è cominciato a utilizzare le armi, e particolarmente quelle da fuoco, si ricorre a un'altra tecnica: il cacciatore si apposta e cerca di anticipare il percorso della preda per abbatterla quando gli capita vicina. In campo venatorio si è sviluppato un sistema di comunicazione tra uomo e cane, in cui il primo riesce a decodificare i vocalizzi del secondo. Un bravo bracchiere (colui che si occupa della muta) è capace di identificare la voce di ognuno dei cani, cosa veramente difficile a distanza, e di sapere con precisione cosa sta accadendo per adattare il proprio comportamento alla situazione. Per esempio, è in grado di capire se stanno inseguendo una cerva o un cervo (questo perché si dà la caccia solo al maschio). Se stanno inseguendo una femmina, suona il corno per riunire la muta e indirizzarla verso il cervo. Sa anche individuare i momenti in cui i cani sono in una situazione difficile, perché sono confusi dal percorso tortuoso della preda. E al contrario, può capire se hanno visto il cervo e gli si stanno avvicinando, e suona il corno in modi diversi. E questo ci porta a parlare del secondo sistema di comunicazione: l'utilizzo del corno da parte dell'essere umano. Anche i cani associano perfettamente certi suoni a informazioni precise: per esempio, nel momento in cui si apre la porta del canile si potrebbe pensare che si disperdano nel più grande disordine, invece non è così; si riuniscono attorno al cavallo del bracchiere e aspettano che venga suonato il segnale di partenza. Regolarmente, durante la caccia, prestano attenzione alle informazioni trasmesse dal corno. I cavalli seguono sia i segnali dei cacciatori sia i vocalizzi dei cani: per chi non è mai stato a caccia, la tattica migliore consiste nel lasciar fare al cavallo, se è abituato. In caso contrario si rischia di trovarsi lontano dal centro dell'azione. Si potrebbe aggiungere a questi metodi venatori l'uso dei cani per stanare la selvaggina: vengono mandati nelle tane per attaccare la preda. Questo è possibile perché con la selezione si sono ridotte le dimensioni del lupo originario: il cane riuscirà quindi a introdursi in una tana di volpe, tasso o persino coniglio per le varietà di teckel più piccole come il Kaninchenteckel. IL CANE DA FERMA La funzione del cane da ferma si basa su un'evoluzione ulteriore. L'animale deve trovare la selvaggina e farla muovere ma restando fermo, in modo che il cacciatore possa tirare. La ferma è uno stato particolare su cui sono stati condotti finora ben pochi studi, perché non è semplice applicare gli elettrodi a un cane. Ciò che è certo, è che il cane si mette a braccare, ovvero, a seconda delle razze, tiene il naso per aria o a terra e trova qualcosa; al momento non si sa bene che cosa, ma di certo non solo l'odore dell'animale. In ogni caso, a un certo punto percepisce la presenza di una preda. A partire da quel momento comincia ad avvicinarsi con diverse tappe, a seconda delle razze: in alcuni momenti si mette addirittura a strisciare. Quando è pronto adotta la posizione di ferma: è una fase di immobilità assoluta, facilmente

riconoscibile da parte del cacciatore; i pointer, per esempio, fanno ferme davvero magnifiche, in cui assomigliano a statue. A quel punto, di solito, il cacciatore dà un ordine che fa ripartire il cane verso la preda: se è un uccello spicca il volo, se è una lepre o un coniglio scappa a tutta velocità e si può quindi sparare. In seguito il cane va a recuperare l'animale morto: è la seconda fase del suo lavoro. Sono state selezionate particolari razze per ottenere un comportamento di riporto ideale: si tratta dei retriever (labrador, golden retriever). In origine si impiegavano anche i barboncini - specialmente quelli più grossi, discendenti dallo spaniel -, specializzati nella caccia all'anatra; a questo è dovuta la loro particolare tosatura, che li protegge dal freddo e si asciuga rapidamente. In Portogallo esiste una razza molto particolare chiamata cão de agua: è un cane molto grosso che ricorda un leone e viene impiegato per la piccola selvaggina. In questa specialità venatoria si esige dall'animale un enorme controllo perché deve riportare la preda uccisa senza rovinarla, e la tendenza a mordicchiarla è considerata un difetto grave in un cane da caccia. I soggetti meglio educati sono quelli che riportano la selvaggina senza morderla. Un simile controllo, naturalmente, si impara ma è necessaria anche una certa predisposizione: per questo non si impone la ferma a un cane da muta. Analogamente, ed è la grande angoscia dei cacciatori puristi, non bisogna divertirsi a mettere un pointer in mezzo ai cani da muta: anche se ha la propensione naturale a effettuare la ferma, se non è stato addestrato in tale tecnica venatoria si metterà a correre come gli altri, e si creerà il caos. Per l'apprendimento di questa capacità è necessario un livello d'inibizione molto marcato perché, in tutte le fasi, il cane deve bloccare il proprio slancio: purtroppo un tempo si impiegavano metodi barbari, talvolta ancora oggi utilizzati benché proibiti dalle leggi per la protezione degli animali, come dei lacci di fil di ferro per bloccare l'animale. Ricordo un bracco adottato da persone di mia conoscenza. Sul pelo marrone aveva una sottile linea bianca intorno al collo perché la pelle era stata così profondamente ferita dal nodo scorsoio che, una volta ricresciuto, il pelo non era più pigmentato. Altro procedimento dello stesso tipo: l'utilizzazione dei pallini o di sale che vengono sparati contro il cane se comincia a muoversi troppo presto. Oggi si impiegano metodi non certo più raccomandabili ma che lasciano meno tracce, come il collare con scarica elettrica inviata a distanza. Spesso oggigiorno si ricorre a sistemi del genere, mentre una volta il cacciatore aveva la pazienza di educare il suo cane e viveva in prossimità del luogo di caccia: era un insieme culturale caratterizzato da un rapporto stretto tra uomo e animale. Purtroppo per certi cacciatori di oggi l'attività venatoria è un simbolo esteriore di prestigio sociale, e desiderano un cane che non si prendono la briga di formare loro stessi ma che fanno addestrare da altri, un po' perché il luogo dove abitano non lo consente, ma anche perché non ne avrebbero la capacità né la pazienza. Pagano dunque persone non sempre competenti e dotate di rigore morale, che procurano loro un cane meccanizzato, convinte di perpetuare una grande tradizione. Quando si leggono le memorie dei grandi cacciatori di un tempo o i vecchi testi sull'educazione dei cani da caccia, però, ci si accorge che i metodi violenti non venivano utilizzati. Sono stati adottati più tardi, proprio come gli speroni elettrici, le ghette con chiodi o trementina usati dai cavalieri per insegnare ai cavalli a non toccare la sbarra dell'ostacolo. Simili comportamenti gettano purtroppo il discredito sull'educazione dei cani nel suo complesso, anche se essa viene coltivata con grande professionalità da esperti in Francia e in altri paesi europei. IL CANE PER PISTE DI SANGUE Si tratta di una "specialità" che ci viene dalla Germania, dall'Alsazia e da qualche paese dell'Europa centrale, in cui le regole venatorie impediscono di lasciare un animale ferito senza abbatterlo. Si sono quindi addestrati i cani a seguire le tracce della preda dal punto in cui è stata ferita per ritrovarla, sopprimerla - evitandole così una lunga agonia - e recuperarla. Esistono razze più competenti e predisposte a tale esercizio, che richiede innanzitutto ottime capacità olfattive. Nelle grandi razze che si dedicano a questa specialità un posto d'onore merita il saint-hubert: questo grosso cane può pesare fino a quaranta, cinquanta chili, ha grandi orecchie ed è l'antenato di praticamente tutte le razze da muta (in un modo o nell'altro ha spesso partecipato per incrocio alla loro creazione). Anche il teckel si rivela eccellente, oltre al bruno di Jura e ad altre razze meno note in Francia che provengono da diverse regioni della Germania e sono chiamati chiens de rouge: sono animali con il pelo di un marrone rossiccio più o meno intenso, per i quali si effettua un addestramento speciale, creando piste artificiali con sangue di animali domestici, eventualmente mischiato con resti di selvaggina e frattaglie. Il lavoro del cane da caccia può per certi versi ricordare un altro impiego, quello dei cani da pastore, che non ha però

per obiettivo la morte dell'animale custodito. I cani da pastore II ruolo dei cani da pastore consiste nel riunire gli animali impedendo loro di allontanarsi dal gruppo. Si tratta di un comportamento spontaneamente adottato dai lupi quando danno la caccia ai branchi; ma quando si addestra un cane da pastore gli si insegna a mordere solo superficialmente gli animali che custodisce, in particolare quelli di piccole dimensioni come le pecore; in numerose circostanze, però, si osserva la tendenza di molti cani a effettuare "prelievi" sul gregge. Tra l'altro si possono distinguere due grandi tipologie: quelli che aiutano l'uomo a riunire e far spostare il gregge, e quelli che lo proteggono dai predatori. I CANI DA PASTORE ADIBITI A SPOSTARE GLI ANIMALI Oggi i cani sono stati sostituiti dai recinti elettrici e dal filo spinato, ma si tende a dimenticare che il nome di parecchie tra le razze favorite dall'uomo - - cane da pastore della Brie, beauceron (pastore della Beauce), pastore tedesco - ne sottolinea la funzione: questi cane custodivano mandrie di bovini e a volte greggi di pecore. Ancora oggi vi sono razze utilizzate a questo scopo, come il pastore dei Pirenei ma anche il border collie, una razza inglese assai apprezzata per la sua abilità, vincitrice di molti premi nei concorsi di raccolta di pecore oppure oche (dal momento che i cani venivano utilizzati anche per custodire questi volatili). Sono animali in grado di rispondere a segnali anche deboli inviati dal padrone a grande distanza: il minimo movimento del proprietario, un particolare modo di fischiare gli permettono di capire come comportarsi con gli animali che custodisce. IL CANE DA PASTORE CHE PROTEGGE GLI ANIMALI DAI PREDATORI In certe regioni, specialmente montane, l'uomo ha presto sentito la necessità di proteggere il gregge dai predatori, e quindi di avere cani capaci di battersi contro lupi, orsi e grandi felini, come la pantera delle nevi. Per questo gli servivano animali di grandi dimensioni con mandibole forti: se lui era assente o dormiva, il cane doveva impedire a predatori o ladri di impossessarsi di una pecora. Da noi la razza più celebre è quella del cane di montagna dei Pirenei, il grande animale bianco reso celebre da innumerevoli storie e illustrazioni, capace di scacciare lupi, orsi, cani randagi e briganti che potevano cercare di rubare una pecora. Per essere onesti, a rischio di mettere a repentaglio la buona reputazione di questa razza bisogna dire che, se alcune pecore scomparivano, era perché erano loro stessi a mangiarle. A volte avevano la tendenza a prelevare la "decima" sul gregge e i vecchi pastori, attivi nel periodo in cui questi cani erano indispensabili, affermano che si trattava di una ricompensa tollerata, innanzitutto perché si trattava di un prelievo ragionevole, e poi perché, in ogni caso, i cani non venivano nutriti e si procacciavano il cibo da soli. Era una relazione di coabitazione all'antica, in cui entrambi rispettavano l'equilibrio: il cane, insomma, veniva pagato in natura. Un altro cane particolare, considerato l'antenato di tutte le razze molossoidi, è il mastino del Tibet. Non mi dilungo sulle diverse varietà appartenenti a questa razza, perché si tratta di una popolazione ancora eterogenea. Questo grande animale prevalentemente nero con ciuffi rossi e talvolta una spruzzatina di bianco può raggiungere un peso considerevole. Viveva negli accampamenti dei nomadi: di giorno veniva tenuto a distanza mentre di notte lo si lasciava circolare liberamente perché attaccasse qualunque estraneo, che si trattasse di uomini, lupi o pantere delle nevi che potevano scendere tra le tende per prelevare una pecora o un giovane yak. Oltretutto a questi cani veniva infilato un voluminoso collare di crine tinto di rosso, che li rendeva ancora più spaventosi. Il cane da guardia Un impiego simile al precedente è quello del cane da guardia sul quale esprimiamo le maggiori riserve, soprattutto negli ultimi tempi. In principio l'uomo probabilmente apprezzava che i cani, soprattutto quando erano dominanti, lo avvertissero latrando dell'intrusione nel territorio del gruppo. È la stessa funzione svolta dalle famose oche del Campidoglio, poiché anche questi animali fanno rumore quando qualcuno si avvicina. Se inizialmente il cane serviva come sirena d'allarme, si è poi verificata un'evoluzione: l'animale non è più stato utilizzato solo per avvertire, ma anche per attaccare l'intruso. È qui che la situazione si complica, perché si è rapidamente diffusa l'idea - ancora oggi esistente - che i migliori cani da guardia siano quelli per cui l'essere umano non è più un interlocutore sociale normale. Da qui è nata la tendenza a crescerli ed educarli isolandoli dal resto della popolazione per abituarli ad accettare una sola persona: il padrone. Da qui hanno

probabilmente origine numerose leggende, in particolare quella del cane che avrebbe un solo padrone. COME SI ADDESTRA UN CANE DA GUARDIA In realtà cosa succede? Per effettuare questo tipo di addestramento si provoca nel cane uno stato di grande disagio, e questo "metodo" viene ancora oggi impiegato dalle forze militari di tutto il mondo. Per semplificare, diremo che si tratta di una specie di sindrome di Stoccolma per cani. L'animale viene rinchiuso, quasi senza cibo né acqua -- per farlo stare il peggio possibile -- e il primo individuo che vedrà e che gli darà da mangiare e da bere diventerà il suo padrone: a partire da quel momento sarà l'unico individuo che avrà la possibilità di aver a che fare con lui e l'addestrerà ad aggredire chiunque altro a un semplice ordine. Risultato: un cane da guardia che si può lasciare solo in un punto preciso e che attaccherà tutti coloro che ci passano. La forma estrema di questo addestramento si trova nelle strutture militari; durante la guerra fredda venivano disposti i cosiddetti "cani di corridoio"? intorno a strutture militari o su alcune frontiere. Molti si trovavano lungo la cortina di ferro: vivevano tra due enormi pareti di recinzione, in un corridoio, appunto,eataccavano-persinouccidendoli,seneavevanolapossibiltà-tutiglindividuichepassavanodilì.Almomentodelacadutadelmurodi Berlino tutti questi animali sono stati venduti o si sono dispersi, e il loro destino è inquietante dato che non hanno ricevuto alcuna socializzazione nei confronti del genere umano. Alcuni sono stati impiegati in società di vigilanza che li mettono a guardia di depositi di auto di lusso. Il pericolo, naturalmente, è che scappino: la loro sola reazione davanti a un essere umano, infatti, è l'aggressione. Eticamente ci si chiede se è giusto creare questo genere di situazioni. I CANI DA GUARDIA ADDESTRATI DAI PRIVATI Le informazioni sui pericoli delle grandi città e i furti negli appartamenti hanno spinto alcuni individui a educare il proprio cane per ottenere lo stesso risultato: si sono allora visti moltiplicare nei circoli cinofili i corsi di addestramento. Per rassicurare l'opinione pubblica si parla di "educazione specializzata", ma lo scopo è modificare profondamente il comportamento del cane per insegnargli a fare la guardia. Sappiate, tra l'altro, che qualunque animale bene integrato in gruppo familiare avrà la tendenza spontanea ad abbaiare quando succede qualcosa di strano, ma non per questo salterà alla gola di uno sconosciuto che entra nell'abitazione. Per fortuna, se si vuole trasformare un cane da compagnia in uno da guardia le percentuali di riuscita sono minime, perché bisogna dissocializzarlo mentre, nel corso dello sviluppo, i padroni ne avevano favorito la socializzazione. Il problema, però, è che, anche quando si ottengono risultati parziali, questi cani addestrati a fare la guardia adottano comportamenti aggressivi, spesso mal controllati dai proprietari, che sono destinati a sfociare in incidenti. Per questo oggi, in Francia e in quasi tutti i paesi europei, gli specialisti del comportamento caldeggiano la proibizione, per i privati, di sottoporre a tale addestramento il proprio cane. I cani da guerra Se si rimane nell'ambito degli impieghi "violenti", o comunque rivolti contro l'uomo, non si può evitare di parlare di una delle prime funzioni a cui il cane fu adibito, e che è descritta nei testi antichi: quella di strumento bellico. Il cane da guerra è l'antenato dell'odierno cane militare: in base alle antiche tecniche belliche veniva aizzato contro la fanteria nemica per seminarvi il panico ed, eventualmente, sfondare le linee ferendo o uccidendo qualche soldato. Per questo scopo si utilizzavano cani di grandi dimensioni, naturalmente, con mascelle possenti. Durante le grandi invasioni, gli Alamanni avevano colpito l'immaginazione delle truppe romane con enormi cani che oggi non esistono più, ma che sono all'origine di numerose razze attuali compreso il mastino tedesco, l'alano, che oggi viene piuttosto considerato un animale da compagnia, anche se incute una certa soggezione per la sua altezza e la mandibola marcata. Da parte loro i Romani avevano cani pesanti e forti dalle mascelle impressionanti, i cui discendenti sono i mastini napoletani. Anche nel sedicesimo secolo, durante le guerre di religione, si utilizzavano i cani da guerra per destabilizzare le truppe nemiche. Si tratta insieme di un'arma reale e psicologica perché, nell'immaginario umano, essere attaccati da un cane risulta spaventoso. Provate a immaginare come reagivano i fanti: nell'antichità indossavano solo un indumento di tela spessa, eventualmente una corazza leggera di cuoio bollito o di giunchi intrecciati, una protezione del tutto inadeguata contro gli attacchi di cani del genere. Spesso si trattava di soldati male addestrati che si vedevano assalire da un mastodonte di settanta o ottanta chili.

Risale a quei tempi l'usanza di tagliare orecchie e coda agli animali: si cercava in questo modo di limitare i punti che l'avversario potesse afferrare e torcere (o mordere, nei combattimenti tra cani). I tagli di orecchie assomigliavano parecchio a quelli praticati ancora oggi (e proibiti in un numero crescente di paesi), con la differenza che ai giorni nostri lo scopo è estetico mentre in passato era esclusivamente tattico. Molti cani da guerra sono successivamente stati riutilizzati come animali da guardia o da difesa personale; mi riferisco in particolare a un cane oggi considerato il più grande esistente (misura novanta centimetri al garrese): si tratta dell'irish wolfhound (o levriere irlandese). È il grande quadrupede impiegato per la caccia al lupo ma anche come guardia del corpo dei re e dei grandi signori d'Irlanda. I cani da attacco Verso la fine dell'Ottocento e, soprattutto, all'inizio del Novecento, sono apparse le armi moderne, e la migliore conoscenza delle tecniche di insegnamento ha permesso di addestrare i cani all'attacco come lo si concepisce oggi. I DOBERMANN È stata certamente la Seconda guerra mondiale a fare di certi cani, nell'immaginario collettivo, animali spaventosi. Mi riferisco per esempio al dobermann e al pastore tedesco che sono stati impiegati in modo massiccio dall'esercito tedesco che li aizzava contro i nemici. Tale impiego violento esisteva già prima, ma era più sporadico: alcuni nobili possedevano cani da difesa. L'utilizzo sistematico e organizzato dei cani da attacco risale al secondo conflitto mondiale, e per questo certe razze, come i dobermann, sono associate alle forze naziste. Segnaliamo, per la cronaca, che il signor Doberman era collettore d'imposte, e creò tale razza di cani per evitare di farsi depredare. Il dobermann divenne in seguito il cane della Gestapo, e questo ha nuociuto non poco alla sua immagine. La sua perfezione estetica, il manto preferibilmente nero e rossiccio, la forma - orecchie piccole tagliate a punta - corrispondevano all'idea che ci si faceva delle SS e della Gestapo. Ancora oggi, appena si parla di dobermann la gente pensa che si tratti di un cane aggressivo. In quindici anni di esperienza ho trattato all'incirca dodicimila soggetti aggressivi, e solo una decina erano dobermann. In compenso, ne ho visti molti ansiosi o depressi: si tratta di animali emotivamente fragili piuttosto che sistematicamente aggressivi. I ROTTWEILER Oggi altre razze stanno soppiantando i dobermann, nell'immaginario collettivo, come cani pericolosi: i rottweiler e i pitbull di cui parleremo più avanti (pagina 259). Il rottweiler non è nato come animale da attacco: era un cane usato dai macellai che serviva a proteggere la cassa e a far avanzare i grossi bovini non sempre disposti a farsi abbattere. Il proprietario desiderava che fosse robusto, quindi lo nutriva bene. Certi macellai facevano scommesse sulla forza dei cani, ma si trattava soprattutto di un animale utile. Poco a poco è diventato un cane militare e, nell'epoca moderna, da difesa. È vero che si tratta di un autentico "carro d'assalto". I maschi raggiungono facilmente i quarantacinque, cinquantacinque chili, e vengono dotati di museruole speciali, rigide, che creano un vero e proprio guscio intorno al naso: l'animale impara a colpire l'avversario, e l'impatto è tale che quest'ultimo finisce a terra. IL CANE DA RING Insieme all'addestramento per la caccia, quello per il ring è il più teorizzato. Quando parliamo di "teorizzazione" intendiamo piuttosto la trascrizione delle diverse convinzioni e procedure utilizzate dagli allevatori che credono di aver trovato metodi particolarmente efficaci, non sottoposti però a una conferma scientifica né a una vera e propria discussione. Si tratta di tecniche peculiari che hanno dato luogo a discipline sportive, in particolare il ring. Il ring comprende una serie di prove in cui si chiede al cane di attaccare un volontario, chiamato "uomo d'attacco", vestito con indumenti rinforzati, per evitare di essere morso. È anche equipaggiato con una specie di manganello di bambù o legno con cui può colpire il cane senza rischiare di ferirlo: può così verificare se l'animale è abbastanza intraprendente da mordere anche una persona che tenta di difendersi, se gli è stato ordinato. Il problema è che tale disciplina è stata trasformata in sport senza per questo aver riflettuto sul suo significato. In base alle regole del ring, il cane deve attaccare su ordine del padrone saltando la fase di minaccia, e deve mordere senza mollare la presa finché non è il proprietario a ingiungergli di smettere. In questo modo si trasferiscono gli autocontrolli dell'animale su un individuo esterno, e per riuscirci bisogna inizialmente

smantellare tutto ciò che ha appreso nel corso della socializzazione. Abbiamo visto (pagine 66-81) che la socializzazione del cucciolo - nei confronti della propria specie o, più tardi, dell'uomo -- consiste nell'imparare a controllare l'aggressione e, in particolare, il morso con l'interposizione di una fase di minaccia che, la maggior parte delle volte, è sufficiente per mettere fine al conflitto. In questo "sport" si sopprime la fase di minaccia e il controllo fornito dall'inibizione del morso, dato che, in generale, il cucciolo aveva imparato a lasciar andare l'avversario quando questo si sottometteva. Qui, invece, finché il padrone non ordina di mollare la presa, il cane stringe i denti. Questa forma di addestramento deve essere effettuata da persone esperte e capaci che ne hanno capito alla perfezione il funzionamento, su cani perfettamente socializzati. E se oltre a ciò la pratica si svolge in condizioni assolutamente standardizzate (su un terreno particolare, in un momento particolare, con un individuo vestito in modo particolare) non vi sono rischi gravi: l'animale è in grado di capire benissimo la differenza tra le situazioni e sa essere un perfetto cane da ring per poi tornare a casa e giocare senza pericolo con i bambini. Il problema è che non sono stati fissati prerequisiti particolari per dedicarsi all'attività sul ring, e questa lacuna ha permesso diversi abusi. Mi è capitato di vedere in ambulatorio persone disperate, che avevano acquistato un cane di una razza da lavoro particolarmente interessante per il suo dinamismo e si sono trovate alle prese con un animale pericoloso. Ripenso in particolare a uno schnauzer gigante che mi era stato portato perché aveva morso gravemente i padroni a casa. Il cane presentava una dissocializzazione primaria: non aveva acquisito la socializzazione né all'interno della specie né nei confronti dell'uomo e non rispettava nessuna regola gerarchica. Non era capace di controllarsi, quindi attaccava senza preavviso appena veniva contrariato. Preoccupati, i proprietari hanno chiamato l'allevatore che ha decretato: "bisogna farlo addestrare per canalizzarne le energie". Si sono allora rivolti a un circolo specializzato, dove il cane è stato addestrato all '"obbedienza". Dal momento che non si vedevano progressi, l'allevatore ha avuto un'altra idea: "Gli insegneremo a mordere, così potrà sfogarsi". Il problema è che l'animale, che prima mordeva in modo "artigianale", è diventato così un vero professionista. I proprietari si sono ritrovati a non riuscirlo più a controllare. Il cane aggrediva i padroni come gli ospiti ed era ancora più difficile da rieducare dopo la parentesi dell'addestramento. Tutte queste osservazioni giustificano la posizione attuale della maggior parte dei veterinari comportamentalisti di tutto il mondo, che chiedono la pura e semplice proibizione della pratica del ring per i privati. I cani da combattimento Questo ci porta a parlare di un argomento spinoso, che ha indotto legislatori e governi di diversi paesi a prendere misure legali. La questione riguarda insieme i cani da attacco e quelli da combattimento. I COMBATTIMENTI CON ALTRI ANIMALI I cani, fin dai tempi dei giochi equestri nell'antica Roma, furono spesso destinati ai combattimenti contro diversi animali (oltre che con l'uomo): fiere, grandi felini, bovini (ne riparleremo a proposito degli incontri fra tori e cani che erano una particolarità del XIX secolo). Le arene hanno ospitato spettacoli anche più sorprendenti, per esempio cani contro ippopotami. Nel grande periodo della decadenza di Roma si faceva ogni sforzo perché i giochi fossero il più possibile originali e grandiosi e mostrassero, così, la potenza e immaginazione dell'organizzatore. È però anche vero che, in ogni tempo, nell'alta società così come negli ambienti rurali più poveri, si sono organizzati incontri fra cani. Se ne trovano esempi in ogni angolo del mondo, ma il popolo inglese è quello che li ha maggiormente sviluppati e teorizzati. Per questo sono state create alcune razze da adibire al combattimento contro altri cani oppure tori. Era una delle grandi attrazioni del XIX secolo: si facevano entrare in una sorta di recinto - che poteva essere una grossa gabbia o un'arena - un toro e uno o più cani. Si ritrovano tracce di questo passato in diverse razze, come il bull-terrier o il bulldog (bull in inglese significa "toro"), che all'epoca non avevano lo stesso aspetto di oggi: erano cani molossoidi, a mandibola corta, addestrati ad attaccare i tori in combattimenti su cui si scommetteva. Più tardi vennero utilizzati per incontri fra cani. Una leggenda narra che negli Stati Uniti, nei migliori allevamenti di bull-terrier da combattimento, quando un allevatore voleva mostrare il valore dei cani -- strettamente legato alla loro

aggressività,datochesul'esitodeloscontrovenivanofatescommesse-prendevauncucciolodiunanidiata,loincitavaamordereunaltroe,nel momento in cui il primo afferrava l'avversario con i denti gli tagliava la testa per mostrare che continuava a mordere anche con il capo mozzato. Anche se si tratta solo di una leggenda, fa capire i criteri giudicati importanti per valutare la qualità di questi esemplari. IL PITBULL Per tornare nelle nostre zone, il pitbull è frutto di questo passato di incontri. Rappresenta l'ottimizzazione del cane da combattimento ottenuta grazie a incroci tra diversi razze -- in particolare l'american staffordshire bullterrier, il bull-terrier - di cui nessuno ha seguito attentamente l'evoluzione. Morfologicamente non è omogeneo, e per questo in molti paesi non è una razza riconosciuta. Il pitbull rappresenta il meglio, per così dire, tra i cani da combattimento. All'inizio viene selezionato, sul piano della morfologia, con un braccio di leva terribile a livello della mandibola, e una muscolatura che lo rende, nella sua categoria di dimensioni e di peso, un animale possente. Contrariamente a ciò che si crede, però, se non si interviene in modo particolare il pitbull è un cane come gli altri. Si può non apprezzarlo sul piano estetico ma, per il resto, non ha niente di diverso dai suoi simili, è altrettanto tranquillo. L'unica caratteristica particolare è la forza fisica. Questa potenza legata alla sua morfologia fa sì che, se lo si educa in un certo modo, diventi l'animale terrificante che tutti conosciamo, con una percentuale di perdite molto elevata durante l'addestramento. Le testimonianze, in particolare quelle di un allevatore francese rinomato, sono effettivamente terribili. Ricordiamo che chi si reca in allevamenti del genere desidera acquistare un cane di una ferocia estrema. Per ottenere questo risultato l'allevatore francese in questione ha raccontato, davanti ai media, che sceglieva innanzitutto le cagne destinate a figliare: erano anch'esse addestrate per combattere. Venivano allevate in scantinati nel più completo isolamento. In generale non si poteva lasciare loro il cucciolo perché l'avrebbero aggredito: i piccoli venivano quindi riportati alla madre solo per le poppate. A tre o quattro settimane la separazione dalla cagna è completa e, a partire da quel momento, i cuccioli entrano a poco a poco in un ciclo educativo allucinante: appena sono in grado di spostarsi, hanno rapporti sistematicamente violenti con l'essere umano che li addestra. In altre parole vengono picchiati ogni volta che adottano dei comportamenti di sottomissione, e si blocca così il normale processo di socializzazione (quello che induce il cane a sottomettersi per fermare l'aggressione dell'avversario). Sono poi incoraggiati i combattimenti fra cuccioli, mentre in condizioni normali la madre li interrompe. Il cane passa quindi all'addestramento. Alcune inchieste effettuate negli allevamenti statunitensi - dove questa forma di addestramento esiste da più tempo - mostrano da una parte un allenamento fisico particolarmente impegnativo, con il ricorso sistematico al tapis roulant - si tratta quasi di body-building per cani -, e dall'altra un dispositivo ben noto in quegli ambienti: viene utilizzato un gatto vivo fissato a una grande ruota che gira sullo stesso asse di una ruota più piccola a cui è attaccato il cane. Si aizza il cane perché si getti sul felino e lo uccida. Infine l'allevatore racconta di organizzare una serie di combattimenti in un'arena dove i cani devono affrontare il suo esemplare più feroce: tutti quelli che si dimostrano timorosi vengono abbattuti. Al termine di questo addestramento, quindi, lo "scarto" è del cinquanta, sessanta percento. Oggi un pitbull utilizzabile come cane da combattimento e come animale da attacco contro l'uomo si vende in Francia a tre milioni e mezzo, quattro milioni e mezzo di lire. Questi animali vengono sistematicamente addestrati e si svolgono ancora combattimenti clandestini, perché nessuna nazione li autorizza. Le scommesse possono essere astronomiche, e i cani vincitori vengono talvolta venduti al termine dell'incontro. La maggior parte delle zuffe si conclude con la morte del perdente ma, se questo sopravvive, è abbandonato. I veterinari che hanno avuto l'occasione di curarne qualcuno perché un'anima sensibile l'ha trovato e portato in ambulatorio sanno in che condizioni abominevoli vengono ridotti. Negli Stati Uniti si è presto diffusa l'abitudine di servirsene per proteggersi dalle forze dell'ordine. In particolare, gli spacciatori infilano sacchetti di droga nel collare del cane. All'inizio prediligevano il pitbull, perché è di dimensioni ridotte e quindi adatto al piccolo traffico di stupefacenti; successivamente c'è stata un'escalation e si sono orientati verso razze con lo stesso potenziale ma più grosse: il boerboel, un cane dell'Africa del Sud, il dogo argentino, una razza perfettamente identificabile, il rottweiler e cani più esotici come il tosa giapponese. Il tosa è una sorta di pitbull di quaranta, sessanta chili, un animale formidabile che viene ricoperto di onori nei combattimenti giapponesi, dato che gli si attribuiscono praticamente le stesse decorazioni dei lottatori di sumo. Ho avuto l'occasione, durante un viaggio in Giappone, di vedere i collari dei tosa: sono vere e proprie

opere d'arte con dorature, motivi intrecciati e una sorta di grosso nodo che si mette intorno alla vita del vincitore proprio come sì fa con gli uomini. Si cominciano a vedere i tosa anche in Europa: sono molto apprezzati come cani "antipolizia". L'uso di questi animali contro le forze dell'ordine ha creato una specie di psicosi collettiva all'origine dei progetti di legge. Il primo paese europeo ad avere reagito è stata la Gran Bretagna con il "dog dangerous act", che impone la castrazione dei pitbull e la museruola a tutti i soggetti castrati: un pitbull trovato in strada senza museruola è subito presentato davanti a un tribunale - come prescrive il diritto britannico - e condannato a morte. Qualche tempo fa si è verificato un episodio che ha fatto scalpore: un pitbull perfettamente socializzato, conosciuto da tutti come animale simpatico e mansueto, si è ammalato di gastroenterite. Il padrone l'aveva portato ai giardini pubblici e, poiché il cane aveva un attacco di nausea, gli ha tolto la museruola per evitare che soffocasse. Un poliziotto ha visto il cane senza museruola, ha immediatamente arrestato animale e proprietario e il primo è stato condannato a morte. A quel punto è stata fatta una petizione per chiedere la grazia, dato che si trattava di una situazione particolare. È vero che questa legge comporta alcuni problemi: bisogna imporre al cane un trattamento abominevole per trasformarlo in una macchina da guerra, e si può immaginare che qualunque soggetto con le necessarie caratteristiche fisiche, ovvero una grande potenza mandibolare, si riveli adatto. Ecco perché le leggi che si fondano sull'unico criterio della razza sono destinate al fallimento, se non altro per un motivo banale: bisogna innanzitutto essere capaci di riconoscere il cane in questione. Ricordo di essermi recato una volta a un congresso in Inghilterra: davanti all'aeroporto di Birmingham il primo cane che ho visto sul marciapiede era un pitbull, una femmina i cui muscoli erano parzialmente camuffati dai chili di troppo. Era tenuta al guinzaglio da una signora dall'aspetto perbene, non da un individuo minaccioso, e non portava la museruola. Davanti all'aeroporto c'erano come sempre molti poliziotti, ma nessuno le ha chiesto nulla. È evidente che queste leggi non sono di facile applicazione perché, in realtà, chi adibisce a usi illegali i cani da attacco pratica lui stesso gli incroci, in modo da renderli più grossi, più forti e diversi di aspetto, quindi meno identificabili per le forze dell'ordine. Il cane da ricerca L'essere umano si è presto accorto dell'ottimo fiuto canino. Si è già descritta a pagina 254, in ambito venatorio, un'utilizzazione dell'olfatto per seguire la pista di sangue, ma il naso del cane è stato impiegato anche per altri scopi. IL TARTUFO Si pensa subito al tradizionale cane da tartufo, più facile da controllare rispetto al maiale: il suino, pur essendo molto abile, ha lo svantaggio di voler mangiare il tartufo, mentre il cane è meno interessato al prezioso fungo e gli si può quindi offrire altro come ricompensa. E poi è più facile trasportare in macchina un cane che un maiale di qualche centinaio di chili! LA DRO GA Accanto a questa funzione ne sono recentemente nate altre, come la ricerca di droga. Si è cominciato con l'hashish, dato che il cane lo riesce a individuare molto bene sul piano olfattivo. All'inizio si prediligevano le razze già impiegate dai militari o in dogana, come il pastore tedesco. Poi, dal momento in cui questo ha cominciato ad avere problemi medici a causa di una selezione sbagliata, si è ricorsi ad altre razze: labrador, pastore belga, cani da caccia e, più di recente, barboncini nani. Questi ultimi presentano l'enorme vantaggio della maneggevolezza, in particolare per cercare la droga nei bagagliai, dove sono meno impacciati degli altri cani. Lo svantaggio è che fanno più fatica a saltare sulle valigie che scorrono sul nastro trasportatore. Sono però preziosi quando l'ufficiale della dogana è una donna, in abiti civili, che passeggia così per l'aeroporto con al guinzaglio un animale che non da nell'occhio: se il barboncino comincia ad annusare con insistenza un bagaglio, è facile mettere le mani su un trafficante senza dargli il tempo di allarmarsi. Per molto tempo si è raccontato che si drogavano i cani per incitarli a trovare gli stupefacenti. Sembra che qualcuno abbia provato davvero, ma non funziona affatto. L'addestramento alla ricerca di droga è un condizionamento in cui si associa il fatto di trovare le sostanze illegali alla possibilità di svagarsi subito dopo. Si fa giocare il cane perché cercare la droga non è per lui motivante, dato che non emana un aroma interessante, contrariamente al tartufo in cui si trovano componenti di odori di diversi animali. In ogni caso gli animali non possono venire utilizzati per molte ore di seguito, perché anche la motivazione del gioco ha i suoi

GLI ESPLOSIVI

limiti. Spesso si è costretti a concedere loro lunghi periodi di riposo perché accettino di ricominciare a lavorare. Inoltre, i cani non sono in grado di riconoscere tutte le droghe: cocaina ed eroina sono veramente difficili da fiutare, e poi la prima si trova sempre più spesso sotto forme diverse, non necessariamente discernibili dall'animale. I cani possono essere addestrati a localizzare gli esplosivi; certi plastici, infatti, sono facilmente individuabili grazie al fiuto canino. Attualmente le squadre specializzate nella ricerca di bombe negli aeroporti vi ricorrono spesso, con le stesse difficoltà viste per i cani da droga, ovvero necessitano di lunghi periodi di riposo prima del lavoro. Dal momento, però, che può andare a curiosare in luoghi diversi, l'animale riesce a trovare il plastico in modo estremamente efficace. LE TERMITI Alcuni studi hanno rilevato che certe razze di bracchetti sono molto sensibili all'odore delle termiti e possono essere utilizzati per rintracciarle. Questi insetti che un tempo si trovavano solo in alcune regioni della Francia, in particolare nel bordolese, oggi sono un po' dappertutto: persino a Parigi per causa loro sono crollate diverse scale. Accanto ai metodi che localizzano i suoni particolari emessi dagli insetti e l'utilizzo di materiale elettronico, il cane potrebbe costituire un sistema alternativo. LE PERSONE La ricerca dei fuggiaschi Numerose leggende antiche raccontano la storia di cani che davano la caccia a essere umani. Il primo uomo vittima di una muta di cani che lo inseguivano fu, nella mitologia greco-romana, Acteone. Ma Artemide (Diana per i Romani) dovette prima trasformarlo in cervo per farlo divorare. Esistono però molte situazioni reali in cui i cani cercano i fuggiaschi: gli americani chiamano il saint-hubert bloodhound, ovvero cane da sangue, perché negli stati del Sud veniva adibito alla ricerca di schiavi fuggiti. Oggi esistono dei circoli per saint-hubert votati alla ricerca di persone scomparse, e la polizia continua a utilizzare questa razza negli Stati Uniti e in Canada per ritrovare prigionieri in fuga e altri individui. La ricerca di persone disperse Se è vero che, all'inizio, si cercavano soprattutto fuggiaschi di ogni sorta - prigionieri, delinquenti o, purtroppo, schiavi -, più recentemente, con lo sviluppo delle tecniche di soccorso, questi cani sono stati adibiti alla ricerca di persone in difficoltà. Oggi esistono sul territorio francese diversi gruppi di cani appartenenti alla polizia o alla protezione civile che sono stati addestrati per seguire la pista di esseri umani. Una situazione molto particolare è quella che avviene in caso di valanghe. Viene subito da pensare agli enormi san bernardo dei monaci dell'omonimo colle; enorme è proprio la parola giusta, perché alcuni esemplari possono raggiungere i centodieci chili. Oggi, però, i cani da valanga non sono più san bernardo per tutta una serie di ragioni. Innanzitutto è un cane difficile da trasportare: in genere giunge sul posto in elicottero ed è calato con un cavo insieme al padrone; l'idea di scendere con un mastodonte di cento chili non è delle più entusiasmanti. E poi il peso fa sì che, sulla neve molle e instabile, la loro performance non sia delle migliori. Si preferisce quindi ricorrere a razze più leggere, come il pastore tedesco. Purtroppo neanche questo è il cane ideale per via dei gravi problemi osteoarticolari di cui soffre, dovuti a errori di selezione, e per la facilità con cui sviluppa le "cheratiti pigmentose" (infiammazioni dell'occhio dovute ai raggi ultravioletti e al riverbero sulla neve). Si sono messe alla prova altre razze, e oggi si usano, oltre al pastore tedesco, il labrador, qualche cane da caccia e i pastori belgi. In ogni caso si rispettano sistematicamente certi limiti di peso, fissati a una trentina di chili: si cerca di non andare oltre perché sulla neve prodotta dalle valanghe questo potrebbe rappresentare un problema. Il freddo, naturalmente, può in alcuni casi disturbare il cane, ma la difficoltà è soprattutto un'altra: questi riesce a localizzare la vittima solo se è viva, perché è il suo calore corporeo a favorire l'esalazione delle informazioni olfattive. A partire dal momento in cui la persona entra in ipotermia profonda, o peggio, se muore, l'animale non riesce più a trovarla. Da questo è nata un'idea periodicamente proposta: accanto ai mezzi di segnalazione forniti con certi indumenti da sci e ai dispositivi suggeriti a chi si avventura fuori pista, qualcuno ha pensato alla possibilità di ricoprire la tuta da sci con una sostanza che i cani riescano a rintracciare in ogni circostanza. Una simile

sostanza, però, non è ancora stata trovata e pone ancora problemi tecnici: bisogna infatti che il prodotto sia resistente al lavaggio. I cani danno il loro contributo anche nella ricerca di persone rimaste prigioniere sotto le macerie. Anche in questo caso, dopo un terremoto, la performance canina può risultare limitata a seconda delle condizioni della zona: quando c'è molto fango o una fuga di gas, in città, è evidente che le facoltà olfattive del cane non funzionano al meglio e il suo rendimento si riduce. Nonostante questo, però, sono aiutanti preziosissimi. Così come durante la caccia, anche in queste circostanze non si sa esattamente cosa riconosca il cane. Mancano studi scientifici specifici e dal momento che, nella realtà, l'impiego di questi animali funziona, non si è cercato di dare risposta a questa domanda. In questi ultimi anni le conoscenze in materia di olfatto e di comunicazione chimica hanno fatto molti progressi, quindi un giorno si finirà per capire il meccanismo esatto. Solo allora si potrà ottimizzare l'uso del cane ed effettuare una migliore selezione degli individui con le capacità più adatte. Ci si accorge infatti che, nell'ambito di una stessa razza, ci sono individui più abili di altri in termini di discriminazione olfattiva. Si parlava prima dei bracchetti capaci di individuare le termiti: non tutti sono in grado di farlo. Alcune stirpi sono sensibili alla presenza di questi insetti, altre potrebbero vivere in una casa divorata dalle termiti senza reagire. Da un punto di vista estremo si potrebbe dire che non sappiamo neanche se si tratti di olfatto o di altro. Il cane d'assistenza Altro mestiere del cane: l'assistenza. Si tratta in primo luogo dei cani guida, una delle funzioni più riuscite oggigiorno. IL CANE GUIDA Anche se altri usi dell'animale cominciano a dare risultati soddisfacenti, l'uso del cane come accompagnatore per i non vedenti si è affermato progressivamente e, fin dalla metà del XX secolo, è progredito fino a diventare un sistema di grande affidabilità. Dato che si basa sull'impiego di un essere vivente è destinato a soffrire di qualche imperfezione, ma nonostante questo risulta preziosissimo per i ciechi, da una parte perché permette loro di diventare autonomi, dall'altra perché si crea un legame affettivo importante tra il cane e il suo padrone; avremo occasione di vedere che questo può provocare problemi, dato che la vita del primo è molto più breve dell'esistenza del secondo. La premessa indispensabile è che il cane resta un aiutante dell'uomo, e che per nessuna ragione va considerato come un individuo capace di assumersi la responsabilità del non vedente. Questo aiuta a capire diversi punti importanti.  Punto primo: le scuole per cani guida -- quelle competenti e responsabili, almeno -- subordinano l'acquisto dell'animale a una formazione psicomotoria particolare del non vedente, che dev'essere in grado, in certa misura, di orientarsi da solo. Non è concepibile, infatti, affidare un cieco a un cane guida dicendosi: "Ecco fatto, penserà a tutto l'animale". In realtà il rapporto tra i due funziona solo se la persona è capace di controllare il cane, nella vita quotidiana, a casa. Se non è così, se, in particolare, il non vedente è iperattaccato all'animale, nascono tutta una serie di disturbi comportamentali analoghi a quelli visti per i cani da compagnia. La difficoltà nasce dal fatto che il cane guida è insieme animale da compagnia e di utilità.  Punto secondo: durante il suo addestramento il cane ha imparato a camminare in un certo modo, a evitare gli ostacoli o a valutarne la distanza da terra perché, passandoci sotto, il non vedente non ci sbatta la testa, e questo non è facile, perché tali limiti inizialmente non hanno alcun valore per il cane. Gli si insegna anche a segnalare la fine del marciapiede, ovvero a fermarsi prima di attraversare la strada. Si cercano di sopprimere certi impulsi, in particolare quelli sessuali: ecco perché tutti i cani guida, maschi o femmine, sono castrati, in modo che non vi sia cambiamento di comportamento in funzione dell'eccitazione. Il problema è che, evidentemente, se la persona cieca è completamente dipendente e incapace di controllare il cane, quest'ultimo, essendo un essere vivente, può cedere a certi stimoli: una pattumiera dall'odore interessante, un altro cane dall'altra parte della strada eccetera. Un giorno o l'altro questa situazione è destinata a verificarsi: ma il rischio è minore se la persona ha perfettamente capito che il cane dev'essere educato costantemente: per esempio, il giorno che segnala male la fine del marciapiede bisogna richiamarlo all'ordine dicendo: "No, ti devi sedere". Il problema sorge con certi non vedenti troppo dipendenti e incapaci di controllare il cane, ma anche con quelli esperti, talmente abituati a compiere lo stesso percorso che non si preoccupano se un giorno l'animale, in una strada ben conosciuta, non segnala il bordo del marciapiede. È vero che questo implica una grande responsabilità da parte del non vedente e, spesso, le famiglie faticano a capire perché non

vogliamo, di fronte a una richiesta qualsiasi, rispondere subito: "Ecco, abbiamo un cane, ve lo diamo". Bisogna poi ricordare che un cane guida costa diversi milioni. Perché? Innanzitutto perché non tutti i soggetti si rivelano all'altezza del compito, e vi sono quindi perdite considerevoli che in questi ultimi anni, per fortuna, si è riusciti a limitare. In Francia sono state avviate collaborazioni tra la Federazione dei cani guida e i veterinari delle diverse specialità, in particolare quelli che si occupano dei problemi osteo articolari, perché, nelle razze con problemi di coxartrosi o artrosi delle anche a partire dai cinque, sei anni, il pensionamento è precoce e il periodo di utilizzazione troppo corto. Lo stesso problema si incontra con le razze particolarmente deboli dal punto di vista oftalmologico. Può sembrare tragicomico, ma nel labrador si riscontrano casi di cecità dovuti ad anomalie ereditarie della retina: si è quindi proceduto all'individuazione della malattia. Questo ha indotto progressivamente la Federazione a creare il proprio centro di allevamento di cani guida per avere la popolazione meglio selezionata, priva per quanto è possibile di tare genetiche. Sono anche state iniziate collaborazioni con veterinari comportamentalisti per capire meglio come allevare i cuccioli e seguirli durante il periodo che trascorrono nella famiglia di affidamento; per favorirne al massimo la socializzazione, infatti, non li si lascia nel canile ma li si affida a famiglie dove sono seguiti da istruttori di cani guida. Solo a partire dal momento in cui comincia l'apprendimento tornano a scuola e vi restano la maggior parte del tempo. Si tratta veramente di un lavoro enorme, che fa del cane guida un animale estremamente prezioso ma efficace solo se anche il suo utilizzatore ha ricevuto una corretta formazione. Spesso vengono impiegati i labrador perché ci si è accorti che questo cane ha un aspetto rassicurante: ai non vedenti che hanno un pastore tedesco vengono rivolte più spesso osservazioni e la richiesta della museruola. Può sembrare ridicolo, dato che i labrador mordono quanto i pastori tedeschi - se non di più -, ma, nell'immaginario collettivo, il labrador è buono; è vero però che si tratta di un cane tranquillo, dalle reazioni più lente rispetto a un pastore tedesco. Possiede buone capacità di apprendimento, minori di quelle del pastore tedesco ma sufficientemente affidabili; è un cane pratico, molto prolifico, che non richiede grande manutenzione. Si era pensato alla possibilità, tuttora non esclusa, di utilizzare il barboncino, ma almeno due volte all'anno bisogna farlo tosare, il che costituisce un grosso inconveniente. Il labrador ha il vantaggio di non lasciare peli sui tappeti a differenza, per esempio, del golden retriever, cane dal pelo semilungo che bisogna spazzolare (ma molti non vedenti, del resto, lo fanno con piacere). Si sono impiegate anche altre razze: il grifone, cane da caccia circa delle stesse dimensioni, il beauceron - anche se molti esemplari soffrono di ansia , il collie che, oltre a essere ansioso, ha molto pelo e necessita quindi di una cura maggiore. IL CANE DA ASSISTENZA ALLE PERSONE PARALIZZATE L'esperienza con i non vedenti è stata preziosa per la formazione di cani adibiti all'assistenza di persone paralizzate, in particolare bambini: finora sono stati ottenuti risultati interessanti. In passato sono stati effettuati tentativi con altri animali, nella fattispecie con scimmie, ma nascevano problemi di ordine etico: si trattava in effetti di sradicare specie selvatiche dal loro ambiente naturale. Tra l'altro, la coabitazione con le scimmie non è semplice perché sono animali che non imparano mai del tutto la pulizia, con i disagi che ne conseguono. E' vero che hanno le mani, ma quando si vede il modo in cui fanno mangiare gli handicappati e il prezzo a cui sono vendute, la soluzione del cane sembra preferibile. Un cane è capace di svolgere molte attività: aprire le porte, premere il bottone giusto in ascensore, portare la spesa, andare a prendere un oggetto e così via. L'assistenza agli handicappati è quindi un utilizzo che, pur non essendo nuovo (l'idea di addestrare a questo scopo il cane è sempre stata presente) solo oggi si sta diffondendo. IL CANE DA COMPAGNIA Oggi il mestiere più diffuso ma anche più complicato è quello del cane da compagnia: può forse sembrarvi strano, perché viene generalmente considerato un compito banale. In realtà, vivere insieme all'essere umano è terribilmente complesso e pericoloso. L'animale, come abbiamo già visto, assume un ruolo vitale all'interno della famiglia, dov'è soggetto all'influenza delle diverse tensioni affettive: per questo il mestiere di animale da compagnia richiede una solidità psichica incrollabile, che non tutti i cani - o gli esseri umani, del resto - possiedono. Si tratta di un'attività, insomma, che mette spesso il cane in difficoltà. A quanto pare, però, rappresenta l'utilizzazione primaria del quadrupede, come abbiamo visto alle pagine 247-248, anche se non è la sola. La storia ci tramanda l'immagine di un cane da compagnia legato all'aristocrazia; ne costituisce un esempio il cosiddetto "cane da manicotto", ovvero il piccolo quadrupede che si infilava nel manicotto per le mani. Lo si

ritrova nella pittura del XVII e XVIII secolo, in particolare in Velàzquez, oppure, in Francia, nei ritratti della corte di Luigi XVI. È vero che il fatto di nutrire un cane quando non a tutti era dato di mangiare regolarmente e, qualitativamente parlando, di riservargli parte della carne destinata alla famiglia, implicava un certo livello di vita. Quelli che si incontravano al di fuori dell'ambiente aristocratico erano quindi cani d'utilità che mangiavano poco e male: risale a quell'epoca la deleteria dieta a pane imbevuto d'acqua che i veterinari francesi hanno faticato molto a sradicare quando l'alimentazione canina ha cominciato a essere seguita meglio. Se il padrone non li nutriva abbastanza, si arrangiavano per trovare da soli il resto: per i cani nelle fattorie non era difficile, c'era sempre un pulcino, un topo o qualche altro animaletto da mettere sotto i denti. Meno facile risulta al cane di oggi che vive al quindicesimo piano e mangia crocchette o scatolette perfettamente equilibrate, il che evita non poche preoccupazioni. L'utilizzo come animale da compagnia si generalizza, democratizzandosi, nel corso del XX secolo. Per essere più precisi il fenomeno si osserva a partire dagli anni cinquanta, dopo la Seconda guerra mondiale, ed è legato alla prosperità. Una delle prove di quest'evoluzione è rappresentata dalla medicalizzazione degli animali da compagnia, e in particolare del cane. In effetti, prima di allora per i veterinari curare i carnivori, tra cui i cani, era un'attività assolutamente marginale al limite del ridicolo. La medicina veterinaria nobile era equina: curare i cavalli era considerato il massimo. Il resto del lavoro, come appare logico, consisteva nel guarire gli animali che si mangiavano: i bovini, le pecore, i maiali eccetera. Si castrava il gatto della moglie del fattore per farle un piacere, e senza anestesia generale. Ma del cane, nessuno si occupava. In Francia, uno dei primi a interessarsi della medicalizzazione - e in modo per così dire premonitorio - fu un veterinario, Fernand Méry: fu il primo a occuparsi dei cani a Parigi all'inizio del XX secolo, quando i suoi colleghi della capitale si dedicavano solo ai cavalli. Evidentemente era considerato un tipo bizzarro. Agli altri veterinari sembrava logico curare i cani solo quando avevano un'utilità o un valore - un levriere da corsa, un esemplare da caccia particolarmente abile -, ma in genere si trattava di un'occupazione episodica. A partire dagli anni cinquanta si osserva un fenomeno sociologico particolarmente interessante perché ne ricorda uno simile risalente all'inizio del XX secolo. Avere un animale da compagnia malato e non curarlo diventa una specie di scandalo: se gli si è affezionati si cerca di guarirlo. Questo atteggiamento ricorda quello adottato nei confronti dei bambini: fino all'inizio del XX secolo la mortalità infantile, anche se non faceva piacere a nessuno, era considerata una fatalità dell'esistenza da tollerare. Neppure le autorità prendevano provvedimenti gravi se non si curava un figlio malato. E poi, improvvisamente, un bambino sofferente o addirittura che muore diventa scandaloso, e si cominciano a caldeggiare le cure. Si osserva curiosamente un'evoluzione analoga per i cani negli anni sessanta, settanta, con l'apparizione nelle farmacie di prodotti vendibili senza ricetta medica: in questo modo i proprietari potevano curare da soli diversi piccoli malanni dell'animale. Le stesse case farmaceutiche lanciarono alcune campagne pubblicitarie focalizzate su un unico concetto: "se li amate, curateli". A partire da quel momento si assiste a un'esplosione della domanda e, quindi, la necessità da parte della medicina veterinaria di rispondere a tale esigenza con lo sviluppo di tecniche specifiche e la creazione di cliniche e di ospedali veterinari, che oggi potrebbero apparirci come conquiste banali. Si è trattato però, lo ripetiamo ancora, di un percorso assolutamente particolare, con una prima fase in cui si sono applicate all'animale le conoscenze acquisite sull'uomo, e una progressiva presa di coscienza delle differenze: si sono allora resi necessari materiali e tecniche specifiche, e oggi, nei paesi economicamente sviluppati, esistono specialisti di oftalmologia o cardiologia. Si può benissimo applicare un pace-maker a un cane, trapiantare un rene a un gatto o anche a un cane, operare per tumori cerebrali. Esistono oggi centri di radioterapia dotati di scanner, è possibile individuare i tumori e curarli. Si trovano ormai persino degli specialisti che curano i disturbi psichici dell'animale. Una delle attività economiche più importanti che si è consolidata nel frattempo è l'industria degli alimenti per animali da compagnia: si tratta di un business gigantesco. Altri fenomeni, altre esagerazioni hanno fatto la loro comparsa: alta moda per animali con relative sfilate, centri (in Giappone) dove si tengono corsi di yoga per cani e gatti, talassoterapia (con relativi impacchi di fango), ricevimenti per cani (negli Stati Uniti), matrimoni in bianco, fedi portate alla zampa o sulla coda, sfilate di corredini per cuccioli nel mese di settembre. Neppure l'Europa è stata risparmiata, dato che in Germania è stata pronunciata una sentenza di divorzio per colpa della moglie: il marito si lamentava per il fatto che, durante i vent'anni di matrimonio, la donna non aveva mai festeggiato il suo compleanno mentre organizzava regolarmente feste con i cani del quartiere per celebrare quello del cane. Si sono sempre verificati, durante i periodi sociologicamente complessi, degli eccessi del genere: si cita sempre il caso di Caligola che aveva invitato il suo cavallo a mangiare e l'aveva nominato senatore. Ma oggi lo sviluppo

economico fa sì che tali fenomeni abbiano assunto dimensioni stupefacenti: si parla persino di canali televisivi con programmi per cani. In che cosa consiste una trasmissione per cani? Difficile dirlo. Il principio si basa sul fatto che quasi tutti si dimostrano interessati ai versi di animali alla televisione e danno un'occhiata, anche se solo per un attimo: i cani, come i gatti e i bambini, amano ciò che si muove, che fa rumore e non dura a lungo. L'aspetto più interessante è la proiezione dei desideri del padrone sull'animale, per il quale vengono predisposte attività tipicamente umane. Altra trovata: le catene di alberghi per i proprietari di cani che vanno in vacanza. Prima esistevano pensioni per animali ma, chiaramente, era impossibile resistere alla tentazione di aumentare le tariffe per soddisfare le esigenze dei padroni e di sfruttare il loro senso di colpa. Sono nate allora alcune catene di hotel (in Corea o negli Stati Uniti) dove si può lasciare la tartaruga, il pesce rosso o anche il cavallo, in camere singole dove vengono serviti pasticcini all'ora del té (cosa, dal punto di vista nutrizionale, discutibile). I padroni lasciano insieme all'animale o inviano per posta cassette audio o video con la loro voce o immagine. Del resto basta vedere, nelle pensioni francesi serie, le raccomandazioni scritte lasciate a chi si occupa dell'animale (l'ora in cui deve mangiare, i cibi che bisogna dargli e quelli da evitare, le parole da utilizzare eccetera) per rendersi conto del livello d'angoscia raggiunto dai proprietari. Questo dà un'idea del ruolo affettivo sostenuto dall'animale e delle potenzialità per chi vuole sfruttare questa domanda. Le diverse razze di cani Immaginiamo un extraterrestre che sbarca sul nostro pianeta: si tratta di uno zoologo, e lo si accompagna a una mostra canina. Nello stesso edificio si trovano un chihuahua, un bulldog, un mastino tedesco, un bobtail, uno yorkshire, un san bernardo e via dicendo. A quel punto gli si annuncia che tutti quegli animali, zoologicamente parlando, appartengono alla stessa specie. Sarebbe senza dubbio stupito, per non dire incredulo ma, se le esaminasse a fondo, constaterebbe che è la verità. Se poi gli si mostrasse un lupo e gli si rivelasse che tutti quei cani discendono da lui, sarebbe ancora più sbalordito. le cui innumerevoli differenze sono imputabili all'uomo. Un giorno qualcuno ha pensato: "Mi piacerebbe avere un cane con la testa allungata, un corpo piatto lateralmente, grandi zampe e pelo lungo... " e ha creato il levriere afgano. Questa persona, sicuramente molto appassionata, si è detta: "Se faccio accoppiare, all'interno di una popolazione di cani, gli esemplari più simili a quello che vorrei, finirò con l'ottenere il cane che desidero". In questo modo sono nate, poco a poco, le diverse razze. La natura non c'entra per niente, è intervenuta solo in certi casi per favorire una bizzarra mutazione. Prendiamo l'esempio del bulldog. Esiste il suo equivalente in altre specie: nei bovini si trovano i cosiddetti "vitelli bulldog". Sono una calamità per gli allevatori perché, a causa della mascella appiattita e dell'enorme scatola cranica, la testa non può venire espulsa normalmente durante il parto, e si è quindi costretti a praticare il taglio cesareo. In seguito fanno fatica a poppare il latte materno e, di solito, non sopravvivono: ecco perché nessuno ha mai desiderato, in una specie che deve soddisfare determinate esigenze economiche, far proliferare i vitelli bulldog. Eppure esistono cani bulldog. Se si interrompesse l'inseminazione artificiale, se la madre non subisse il cesareo e se non ci si occupasse con particolare attenzione dei cuccioli, però, i bulldog inglesi scomparirebbero dalla faccia della terra. Lo stesso discorso vale per i cani con molto pelo, in particolare davanti agli occhi. Si sente spesso dire che la frangia di questi animali non va tagliata perché è frutto di una modificazione naturale che li protegge. E' falso: se si guardano le foto dei cani da pastore della Brie di cinquant'anni fa, quando si occupavano ancora delle mucche o delle pecore, si vedrà che non avevano pelo davanti agli occhi. In seguito sono stati sostituiti da recinzioni elettriche e, da quel momento in poi, le persone amanti della razza hanno deciso di selezionare gli esemplari con il pelo più folto. Nessun pastore, però, avrebbe mai voluto un cane con il pelo troppo lungo, che gli avrebbe causato solo problemi, oppure l'avrebbe tosato. Naturalmente oggi questi esemplari hanno fastidi: regolarmente alcuni pastori della Brie si mettono a mordere dopo la pubertà perché è quello il momento in cui il pelo comincia a crescere davanti agli occhi. Che cosa succede? H cane è terrorizzato perché si vede arrivare qualcosa addosso: si tratta solo del viso del suo padrone che si avvicina per baciarlo. Come risultato: l'animale si fa prendere dal panico e morde il viso del proprietario. Non è quindi in gioco solo la natura, ma anche i gusti umani, che non sono mai completamente gratuiti e risultano spesso legati all'utilizzazione del cane. I coloni inglesi hanno voluto creare un levriero per dare la caccia alle gazzelle; abitavano in Africa e si sono ispirati alla morfologia del ghepardo. I bichon, come altri cani da compagnia, sono cani da manicotto: si

assiste in questo caso al tentativo di rimpicciolire l'animale. Le sue minuscole proporzioni sono apprezzate perché producono un temperamento considerato affine all'immagine affettiva del quadrupede. La razza del cane ne determina il carattere? Il rapporto tra morfologia e carattere funziona in entrambi i sensi: non solo la modificazione della prima trasforma il secondo, ma le differenze morfologiche sono legate, nell'immaginario collettivo, ad alcuni aspetti del carattere. IN CHE MODO SI ATTRIBUISCE AL CANE UN CARATTERE A SECONDA DELLA MORFOLOGIA Se si mostrano a qualcuno le foto di un cane a testa rotonda, le reazioni sono sempre le stesse: "Che carino, verrebbe voglia di prenderlo in braccio!"; queste razze vengono descritte come amanti di neonati, bambini e altri animali. Per quelli a orecchie dritte, invece, è il contrario: sono visti come minacciosi, cattivi e sono considerati adatti alla protezione e alla sorveglianza. Addirittura, le razze generalmente utilizzate per la guardia subiscono il taglio delle orecchie durante un'operazione chirurgica. Il dobermann, il mastino tedesco o il pastore della Beauce sono cani con le orecchie che si piegano. Se andate a visitare una mostra canina in Gran Bretagna (paese dove da molto tempo è proibito effettuare tale operazione) vedrete gli stessi cani con le loro vere orecchie, che conferiscono un'aria molto meno temibile. Ricordo che, davanti alla richiesta di tagliare le orecchie a un dobermann o a un beauceron da guardia, non essendo molto amante di questa pratica cercavo di spiegare ai padroni che era inutile, ma mi veniva risposto che un cane da guardia non poteva avere le orecchie che ricadevano. Non dimenticate che esiste un legame molto stretto tra la morfologia di un cane e ciò che provoca nell'uomo sul piano affettivo. Si potrebbe dire che una galleria di ritratti canini costituisce una successione di "interruttori" fantasmatici. Quando si pensa al levriere come a un cane distante, questo giudizio si lega alla sua morfologia e al suo comportamento sociale particolare, povero di contatti diretti e di movimenti facciali espliciti. LE CAPACITÀ FISICHE A SECONDA DELLE RAZZE In teoria si potrebbe benissimo trasformare un barboncino in cane da guardia; le uniche difficoltà sono legate alle capacità fisiche di ogni razza. Ovviamente incute molto meno timore di un dobermann: si può immaginare che il malfattore incalzato da questo minuscolo animale abbia maggiori probabilità di fuggire. Vi sono altri esempi, come quello di una signora che amava molto i combattimenti e si era divertita ad addestrare il suo cocker come cane d'attacco. L'animale era giunto in finale nel campionato francese anche se, nel salto di una palizzata di due metri, risultava svantaggiato rispetto a un pastore tedesco o belga. Altre razze, poi, risulteranno migliori perché hanno la tendenza a essere più aggressive: è il caso del pastore belga, nel quale si è riusciti a produrre un tempo di reazione estremamente breve, così che l'animale è sempre sincronizzato rispetto agli ordini. Ma, nelle condizioni assai particolari dello sport canino, il cocker era assolutamente all'altezza. Si sa anche che il mastino tedesco, per esempio, ha meno cellule olfattive di altri cani; è quindi meglio evitare questa razza se si desidera un animale capace di seguire piste o trovare tartufi. Al contrario, il teckel è perfetto in ambito venatorio per la sua polivalenza: molti non lo immaginano, ma è stato creato per cacciare i grandi animali come il cervo, il cinghiale e, in certe regioni dell'Europa del Nord, persino l'alce. Può spingersi sotto terra per stanare le volpi o i tassi, può seguire le tracce di sangue per rintracciare un animale ferito. È anche un eccellente cane da tartufo e, come animale da compagnia, riscuote il successo che tutti conosciamo. Se per il ritrovamento di una pista vi affidate a un levriere non funzionerà, perché non caccia "a naso" ma "a vista". Esistono cani da caccia che cercano la selvaggina fiutando con il naso per aria, e hanno una morfologia speciale, diversa da quella dei segugi come il saint-hubert, che procede con il tartufo incollato a terra e si serve di tutti gli odori che ne raccoglie. Per quanto riguarda il "carattere", però, è stupefacente notare la stretta correlazione tra la reputazione caratteriale del cane e la sua morfologia. Oggi nei circoli di cinofili si parla di selezione sul carattere, e questo pone enormi problemi perché, purtroppo, i meccanismi di selezione utilizzati sembrano dare ragione a chi lo considera un elemento geneticamente programmato: se evitate di far riprodurre tutte le cagne sofferenti di ansia, effettivamente ci saranno sempre meno cuccioli ansiosi, ma solo perché una madre ansiosa ha reazioni più brusche e più tardi adotterà comportamenti di panico imitati dai piccoli (l'abbiamo

visto alle pagine 23-24). Da una parte, quindi, la genetica sembra avere un ruolo preponderante, dall'altra le stesse persone vi parlano per ore dell'intelligenza del cane assicurandovi che è in grado di capire tutto. Certi allevatori credono ciecamente allo stretto legame tra carattere e razza pur essendo convinti del fatto che l'animale comprenda il linguaggio umano (a torto, come abbiamo visto alle pagine 117-121). Si tratta di un atteggiamento del tutto contraddittorio.

Dove trovare un cucciolo? Per procurarvi un cane avete diverse possibilità. I rifugi Vi si trovano i cani che sono stati abbandonati. Anche se è lodevole il desiderio di compiere una buona azione, sappiate che rischiate di adottare un animale dal passato difficile, anche se la sua permanenza al rifugio è stata breve. Inoltre non è dato di sapere il motivo dell'abbandono, salvo nel caso dei soggetti che hanno morso bambini (che vengono affidati solo a famiglie senza figli). Se intendete comunque seguire questa via dovete procedere all'adozione in un momento in cui disponete di molto tempo per occuparvi dell'inserimento dell'animale in famiglia e non avete l'impegno di bambini piccoli (anche se progettate di averne in futuro). Nel caso che si tratti di un cucciolo, tra l'altro, il rischio è minore. I privati Viene spesso considerato il sistema migliore per procurarsi un cane, ma non si tratta di una regola assoluta: il padrone di una cagna rimasta incinta per sbaglio è capacissimo di relegare madre e cuccioli in un angolo isolato. Potreste quindi trovarvi con un cucciolo sofferente di deprivazione sensoriale (descritta nelle pagine 96-104) pur essendo nato in famiglia: ecco perché, se vedete che il piccolo non ha rapporti con il proprietario e i suoi familiari che dovrebbe conoscere dalla nascita, è meglio evitare di adottarlo. * Gli allevatori Per sapere se avete scelto l'allevatore giusto, leggete attentamente il riquadro successivo. Bisogna soprattutto evitare i falsi allevatori, persone che si procurano cani di diverse razze qua e là, a volte in batterie di allevamento, e li rivendono. Spesso hanno anche esemplari adulti che spacciano per madri. I negozi di animali Nessun veterinario comportamentalista è favorevole ai negozi di animali. Perché? Perché sono luoghi di vendita, con i relativi problemi di gestione delle scorte: per poter essere venduti gli animali arrivano molto giovani. Non sono nati lì, ma sono stati separati dalla madre quando si trovavano nel bel mezzo del periodo d'attaccamento, e sono stati portati altrove. Restano in una gabbia in vetrina per un certo tempo, il che è una pratica discutibile in termini di stress e di malattie infettive. Non solo, ma è difficile valutare il comportamento del cucciolo in un ambiente del genere. Conclusione: i genitori che vogliono procurarsi un cagnolino non devono visitare un negozio di animali con i figli, innanzitutto perché è talvolta difficile resistere alle implorazioni dei bambini, e poi perché è un luogo dove non si ha la possibilità di riflettere sull'acquisto. Il vantaggio dell'allevamento è che il cucciolo desiderato non è sempre disponibile quando lo si vuole, e questo concede un lasso di tempo per riflettere.

Scegliere il cane giusto significa scegliere l'allevamento giusto: per questo dovete prestare attenzione a diversi punti.  L'igiene Un allevamento di cani non deve necessariamente avere un cattivo odore: gli animali possono essere perfettamente puliti. Una volta individuato il luogo dove vi procurerete il cane fate una visita all'improvviso,

perché può essere lindo il giorno dell'appuntamento ma non la volta in cui arrivate inaspettatamente.  Le condizioni per lo sviluppo di un cucciolo equilibrato In altri casi potete trovare una struttura irreprensibile dal punto di vista igienico ma catastrofica in quanto a comportamento. Non bisogna dimenticare che il cucciolo ha bisogno di essere stimolato per svilupparsi: dovete allora accertarvi che il luogo preveda contatti continui dell'animale con l'essere umano. Questo significa che vanno evitati a ogni costo gli allevamenti dove i cuccioli vivono isolati in uno scantinato, in un edificio lontano da ogni attività umana, e soprattutto i grandi canili che sono vere e proprie fabbriche di piccoli, dove gli unici contatti con l'uomo sono quelli con gli inservienti che portano il cibo e azionano il getto d'acqua per pulire. Assomigliano agli allevamenti industriali di vitelli o maiali, ma non forniscono cani adattabili. Altro aspetto: dovete rifiutare categoricamente che il cucciolo vi venga presentato isolato dal suo gruppo, al di fuori del canile. Se non vi possono mostrare l'allevamento o la madre con il resto della cucciolata, non dovete comprare; potreste ritrovarvi con un cane che non ha acquisito le diverse forme di autocontrollo motorio (come l'inibizione del morso), difficile da educare e forse destinato a soffrire di disturbi fastidiosi. Se i cuccioli vengono sistematicamente separati dagli adulti, risalite in macchina e andatevene.

 L'età dell'animale

Se siete giovani e avete una buona conoscenza dei cani, perché ne avete già cresciuti voi senza incontrare problemi particolari o i vostri genitori ne avevano uno quando eravate bambini, potete prenderne uno di sette, nove settimane; ne farete un animale perfettamente socializzato nei confronti dell'uomo. Ripetiamo ancora una volta, però, che bisogna conoscere bene le tappe della maturazione del cucciolo per educarlo; senza esitare, al momento delle vaccinazioni, a chiedere consiglio al vostro veterinario per poter seguire nel modo migliore la crescita dell'animale. Se, invece, si tratta del vostro primo cane, meglio scegliere un cucciolo di dieci, dodici settimane, a cui la madre avrà già inculcato l'autocontrollo. Si tratta infatti di un processo difficile e delicato per chi non vi è abituato.  Stabilire un contatto con il cucciolo

Nel momento della scelta del cucciolo è assolutamente essenziale poter stabilire con lui un contatto in un luogo abbastanza spazioso. Fare conoscenza con un piccolo che vi viene messo in mano non è sufficiente. Bisogna avere tempo a disposizione: non necessariamente dovete ripartire con il cane quello stesso giorno. Due, in particolare, sono gli errori da evitare: - non scegliete l'individuo che rimane sdraiato in un angolo con l'aria triste: si tratta spesso di un animale che è malato dal punto di vista organico o comportamentale; - al contrario, quello che si precipita verso di voi a tutta velocità e vi mordicchia i vestiti è forse affetto dalla sindrome d'ipersensibilitàiperattività (vedi pagina 85) in fase di sviluppo. Un cucciolo equilibrato è un animale che reagisce ai vostri segnali di richiamo, al fatto che vi accovacciate, vi date dei colpetti sulla gamba e lo chiamate producendo piccoli rumori con la bocca: sarà lui, allora, che vi si avvicinerà per stabilire un contatto. A casa con il cucciolo: avete scelto bene? I disturbi comportamentali appaiono quindici, venti giorni dopo l'acquisto. Dovete quindi osservare con attenzione il cucciolo per vedere se resta in un angolo o esplora l'ambiente, oppure se è eccessivamente attivo. Se una di queste ipotesi viene confermata, insistete con il veterinario perché prenda atto delle difficoltà comportamentali del cane, dato che esistono delle soluzioni: - o lo fate curare e, in questo caso, bisogna cominciare il più presto possibile; - o, se i disturbi sono troppo gravi, potete fare causa all'allevatore per difetto nascosto o risolvere la questione in via amichevole, con una lettera raccomandata. Aggiungiamo che è meglio non temporeggiare perché, più si aspetta, più il legame con il cane si rafforza e diventa difficile prendere una decisione. Ecco perché il sistema migliore consiste nel sottoporre il cucciolo, due settimane al massimo dopo l'acquisto, a una visita di controllo dal veterinario per sapere se va tutto bene dal punto di vista medico e comportamentale.

Bibliografia ALAMEDA, A., Les Sept Péchés familiaux, Ed. Odile Jacob, Paris, 1998. BROWN, R.E. E MACDONALD, D.W., Social Odours in Mammals, Vol. 2, Clarendon Press, Oxford 1985, pagg. 619-722. CYRULNIK, B., Les Nourritures affectives, Ed. Odile Jacob, Paris, 1993. FlLLIATRE, J.-C. "Contribution à l'étude des systèmes de communication intra et interspécifiques chez un canidé Canis familiaris L.", tesi di dottorato in scienze biologiche, Besançon, 1986, 208 pagine. FOX, M.W., Canin Behavior, Charles C. Thomas Publisher, Springfield 1965. GAUTHIER, A., La Domestication: et l'homme crea l'animal..., Éditions Errance, Paris 1990, pagg. 99-126. LORENZ, K., E l'uomo incontrò il cane, Adelphi, Milano 1996. LORENZ, K., "Evolution de la ritualisation dans les domaines de la biologie et de la culture", in HUXLEY, J., Le Comportement rituel chez l'homme et l'animal, Gallimard Paris 1971, pagg. 45-95. PAGEAT, P., Pathologie du comportement du chien, seconda edizione, Ed. Le Point Vétérinaire, Paris 1998. SCOTT, J.P. E FULLER, J.L., Dog Behavior: The Genetic Basis, University of Chicago Press, Chicago 1965. SCOTT, J.P. E FULLER, J.L., Genetic and Social Behavior of the Dog, University of Chicago Press, Chicago 1

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