Nuovo Manuale Di Storia Del Teatro Alonge

February 24, 2017 | Author: Federico Cupellini | Category: N/A
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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET IL TEATRO GRECO Origine del teatro: Aristotele (384-322 a.C.) nella sua poetica ci dice che la tragedia nascerebbe “da coloro che intonano il ditirambo”, il canto in onore di Dioniso, dio del vino. Il teatri nasce cioè in connessione con la religione, al culto di Dioniso e forse ad ancora più primitivi riti di fecondità. Ad Atene gli spettacoli sono inseriti durante le feste in onore di Dioniso ma nelle tragedie la persona di Dioniso non è particolarmente presente. Si ipotizza un progressivo allargamento tematico per giungere ai personaggi che dominano il teatro del quinto secolo a.C. (quelli omerici, Teseo, Ippolito, Ercole, Edipo, Fedra, Medea, ecc.) La parola “tragedia”: dovrebbe voler dire “canto del capro” forse in riferimento agli uominicapro, satiri, cui era affidata la celebrazione dorale del dio Dioniso. In origine c’è il Coro che canta da cui successivamente si stacca il Corifeo (capo del coro), cominciando a dialogare con il Coro, diventando un personaggio autonomo. Questo spiega l’ampio spazio che ha il Coro nei 32 testi tragici che ci sono rimasti. In particolare in quelli più arcaici di Eschilo (525-456 a.C.) Significato della parola teatro: l’evento teatrale è soprattutto uno spettacolo, come mostra l’etimologia della parola teatro, dal verbo “theáomai”, “guardare”. C’è teatro nel momento in cui qualcuno guarda e qualcuno è guardato, se c’è lo spettatore e se c’è l’attore. L’edificio teatrale greco: vedi appunti Sinisi-Innamorati Lo spazio di azione del coro e gli attori: il Coro danza e canta mentre l’attore recita anche se sono possibili sezioni della tragedia in cui l’attore canta e il Coro recita. Secondo le ipotesi sia il coro che gli attori agivano nello spazio tra l’orchestra e la skenè, senza separazioni. Almeno nel quinto secolo gli attori non stanno sul palcoscenico, nemmeno su una pedana bassa, ma operano allo stesso livello-terra in cui opera il Coro. Il coro: composto prima da 12 poi da 15 persone (coreuti) si pone, soprattutto nelle stagione più antica, come un vero e proprio personaggio e non si limita a commentare la vicenda (vedi Persiani di Eschilo) L’attore: inizialmente c’è un solo attore; Eschilo avrebbe introdotto il secondo attore e a Sofocle (circa 496-406) è atrribuito l’inserimento del terzo utilizzato anche da Eschilo nelle sue ultime opere. Sono sempre maschi, secondo un pregiudizio antifemminista, e sarà così – con qualche eccezione – sino alla scena elisabettiana e a Shakesperare. In greco l’attore è chiamato hypokrités, “colui che risponde”, colui che risponde al coro, ma nelle lingue neo-latine diventa “ipocrita” cioè qualcuno che mente, che dice le parole di un altro, che assume falsamente le sembianze di un altro. La maschera: una caratteristica del teatro greco è data dalla presenza della maschera (posta sul volto degli attori e dei coreuti). Essa ha sicuramente un legame con l’origine religiosa della tragedia. Nelle società primitive alla maschera compete una funzione rituale, consente di diventare altro da sé (animale, mostro, dio, eroe). La maschera ha tuttavia anche funzione pratica: - facilita l’identificazione dell’attore con il personaggio, necessaria in un teatro che raggiungeva sicuramente i 15.000 spettatori; - consentiva al numero ridotto degli attori (al massimo tre) di sostenere più parti, complessivamente anche una decina. Il perché di un numero così limitato di attori potrebbe Riassunto a cura di Dario Apicella 1 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET essere spiegato dal fatto che era lo Stato a pagare gli attori, e dunque, mene erano, meglio era. Senza contare che dovevano possedere abilità diverse (dal canto alla recitazione), non facili da rintracciare in numerosi individui. Non abbiamo documentazione su come doveveno essere le maschere del quinto secolo, ma non coincidono di certo con quelle dell’epoca ellenistica (calcolata a partire dalla morte di Alessandro Magno, 323 a.C.) e romana, caratterizzate da grandi bocche spalancate, atteggiate in modo caricato a rappresentare dolore, o gioia nel caso delle maschere della commedia. L’autore: i primi autori erano anche attori, oltre che registi dello spettacolo per usare un termine improprio. Sofocle dovette rinunciare presto alla carriera di attore a causa della sua scarsa emissione vocale. Di qui probabilmente la mancanza di didascalie nei testi greci, a differenza di oggi: l’autore, contemporaneamente regista, non ha bisogno di segnalare didascalie funzionali alla messa in scena, anche perché in origine le tragedie venivano rappresentate una volta sola. I costumi: le raffigurazioni vascolari del quinto secolo attestano la mancanza di imbottiture artificiose o di coturni, calzari, che appartengono all’epopca ellenistica. I costumi quindi, in origine, non sono molto differenti da quelli in uso normalmente dalla gente, con un ovvio margine di stilizzazione (riduzione all’essenziale). Effetti scenici prodotti da specifici artifici: vedi appunti Sinisi-Innamoratio. - “Deus ex machina” intervento risolutore del dio che compare per mezzo di un marchingegno. Medea di Euripide (circa 480-406) la protagonista fugge alla fine con i cadaveri dei figli su un carro volante messo a disposizione dal Sole (mechanè, una sorta di gru che solleva gli attori) - Ekkùklema, macchina che doveva proiettare all’esterno l’esito di un’azione svolstasi all’interno, dentro il palazzo o la casa, mostrando per esempio i cadaveri (da escludere la sua esistenza nel quinto secolo). Il senso del teatro per i greci: non si tratta di una forma di professionismo teatrale, di un’impresa commerciale. - In quanto feste religiose cittadine, le Grandi Dionisie erano organizzate direttamente dallo Stato ateniese, che provvedeva a pagare autori e attori. - Le spese del Coro erano assunte da ricchi cittadini privati (come forma di tassazione sulle persone abbienti, non essendo previste tassazioni sulle proprietà). - Il biglietto d’ingresso era rimborsato dallo stato ai cittadini che ne facevano domanda. - Lo stato quindi si assumeva il peso dell’iniziativa culturale, ovviamente in perdita, perché riconosceva la funzione civile del teatro, come modo di cementare la comunità che si reca a teatro nella sua pienezza: cittadini, servi, uomini e donne (marginalizzate nella vita quotidiana della civiltà greca). - A teatro la comunità vede riflessi i miti del proprio patrimonio culturale e mitologico. Le gare a premio: gli spettacoli teatrali si inserivano in una struttura agonale fra tre autori, ciascuno dei quali faceva rappresentare, in un giorno, una tetralogia, composta da tre tragedie e da un dramma satiresco (forma burlesca, che prevedeva la presenza dei satiri, con funzione di alleggerimento. Il Ciclope di Euripide e l’unico dramma satiresco che ci sia pervenuto. Ci è giunta una sola trilogia tragica, l’Orestea di Eschilo, che presenta una concatenazione organica: - Agamennone tratta l’uccisione di A. ad opera di sua moglie Clitemestra o Clitemnestra; - Coefore che presenta l’omicidio di Clitemnestra e del suo amante ad opera di Oreste, figlio di Agamennone; Riassunto a cura di Dario Apicella 2 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET - Eumenidi che si concludono con l’assoluzione di Oreste dal peso di aver ucciso la propria madre. Non sempre le trilogie erano così organicamente concatenata, potevano ridursi a tre distinte e diverse tragedie. Non sappiamo quanto durasse la rappresentazione di una tetralogia, forse abbastanza per giustificare gli intervalli necessaria ai cambi di scena e l’altra della tetralogia o all’interno di una stessa tragedia. Erano previsti premi al miglio autore, al miglior attore, al miglio Coro. Le regole aristoteliche dell’unità di tempo e di luogo: la ripresa classicista che si ha con il Rinascimento italiano, ci ha abituati a pensare alle regole aristoteliche, frutto di uno sforzo di codificazione (ridurre a legge, norma) da parte dei teorici del Cinquecento. In realtà nella sua Poetica, Aristotele non detta delle norme; si limita a prendere atto di ciò che nei fatti accadeva belle tragedie che leggeva (molte di più delle 32 giunte fino a noi). Nella maggior parte di esse la vicenda si svolgeva in un luogo fisso, senza cambiamenti di scena; e si svolgeva “entro un solo volgere del sole” (da intendere come lassi di 24 o più probabilmente 12 ore). Nei fatti non sempre avviene in questo modo. I teorici del Cinquecento trasformano quella che in Aristotele era una semplice constatazione (con eccezioni) in obbligo, in criteri normativi e rigidi, validi sia per la tragedia che per la commedia, sopravvissuti in Italia e Francia sino alla rivoluzione romantica. Anche la divisione in cinque atti della tragedia non risale ad Aristotele. Le tragedie del quinto secolo non presentavano struttura regolare di scansione di parti o atti tra attori e coro. La codificazione dei cinque atti sembra imporsi in ambito ellenistico. Il poeta latino Orazio (65 a.C.-8 a.C.) nella sua Ars poetica prescrive che “non sia più breve né più lungo di cinque atti il dramma (fabula) che vuole essere richiesto e messo in scena per una seconda volta”. La scansione in cinque atti è implicita in Plauto e Terenzio e diventa esplicita nella teorizzazione classica del Rinascimento italiano. I contenuti della tragedia. - Tutti e tre i grandi tragici attingono allo stesso materiale drammaturgico, al patrimonio culturale degli eroi e delle eroine. - La società greca del quinto secolo partecipa vivamente al rito poiché in esso ritrova un momento di consonanza profonda, marcando con forza la propria identità. - Soltanto il mondo greco, così laico, privo cioè della fede in una giustizia divina che assicuri nell’aldilà premi e castighi (civiltà ebraico-cristiana) poteva inventare la tragedia, che ha al centro il tema del dolore e della sofferenza, come conseguenza di una colpa o anche solo di un errore, o comunque di un destino imperscrutabile chiamato fato. Edipo fa di tutto per sfuggire alla profezia che lo vuole uccisore del padre e marito di sua madre, ma non riesce a sottrarsi all’evento terrifico e soccombe ad esso. Aristotele individua come modello di tragedia perfetta Edipo re di Sofocle. - I personaggi tragici si collocano ad “un alto livello di fama e prosperità” per dirla come Aristotele: uomini famosi, aristocratici. Egli dice che la tragedia mette in scena uomini “superiori” a quelli della realtà, e la commedia uomini “inferiori” Dal punto di vista sociologico i protagonisti della tragedia sono tutti re, principi, condottieri, nettamente al di sopra del livello di popolani, artigiani, mercanti che costituiscono il nerbo della democratica società ateniese che sancisce il trionfo della forma-tragedia. - Aristotele definisce la tragedia come “imitazione di un’azione di carattere elevato e completo”, “in un linguaggio condito di ornamenti”, “che si svolge attraverso persone che agiscono e non attraverso una narrazione”, “che produce mediante pietà e terrore, la catarsi di questi Riassunto a cura di Dario Apicella 3 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET sentimenti”. Il termine catarsi viene spesso usato da Aristotele nel senso medico-fisiologico di purificazione. La catarsi di cui parla Aristotele è relativa unicamente alle due passioni citate, pietà e terrore, e solo a quello. Non si dice affatto che la tragedia abbia funzioni liberatoria o di purificazione delle passioni, con tutte le connotazioni morali e religiose alla ricerca di una giustificazione morale della tragedia. La catarsi è per un verso il motore della crisi, per l’altro l’elemento risolutore della crisi stessa. La tragedia induce pietà e terrore dinanzi alle sventure che colpiscono i protagonisti in cui ci immedesimiamo, perché in qualche modi ci assomigliano, ma quel protagonista è comunque avvertito come appartenente a un’altra razza di uomini, a una razza superiore, che si può concedere degli eccessi, delle trasgressioni. Tutti gli intrecci delle tragedie che ci sono pervenute trattano vicende estreme. La civile e democratica società ateniese è segretamente e inconfessabilmente affascinata da queste storie di eccessi, di violenza all’interno della famiglia, di incesti, di brutalità. La tragedia è essenzialmente il prodotto di una cultura specificamente ateniese che ha inventato e praticato un regime di governo democratico. Fra pubblico ateniese e protagonisti del patrimonio tragico (aristocratici o di stirpe regale) c’è distanza, ma la distanza giusta che consente il transfert, la proiezione. I personaggi aristocratici delle tragedie sono la proiezione di desideri trasgressivi che i membri della società ordinata, civile, democratica, possono solo sognare, e che non possono consentirsi di praticare. Una lunga tradizione critica ha ritenuto di vedere in Aristotele il fermo difensore del valore letterario del testo teatrale, come se per lui contasse essenzialmente il testo teatrale e non già la sua messinscena. Dobbiamo tenere conto che la Poetica è stata scritta tra il 334 e il 330 a.C. nello stesso periodo in cui Licurgo fa preparare un’edizione canonica dei tragici in cui si raccoglie il meglio dei massimi autori per arginare le troppe libere interpretazioni degli attori. Se infatti originariamente le tragedie erano recitate solo una volta, al momento del concorso tragico, in seguito furono replicate generando invadenze attoriche. E’ necessario avere presente questa specie di supremazia della dimensione spettacolare rispetto a quella letteraria per capire il senso della poetica di Aristotele il quale riconosce chiaramente le qualità di fascinazione del teatro, intendendo per teatro la sua realtà integrale e complessa e molteplice fatta di testo, attori, danzatori, musicanti e scenografi. Egli ci informa che è stato Sofocle a introdurre per primo skenografian “la decorazione della scena”. Aristotele enumera le sei parti costitutive della tragedia: favola, caratteri, elocuzione, pensiero, musica e ópsis (rappresentazione scenica, vista…) che contiene gli altri cinque. Aristotele parla anche di ordine della rappresentazione scenica, lo spettacolo è insomma una macchina ordinata.

Euripide: nel più giovane e più moderno (per così dire) dei tre tragici, Euripide si avverte un clima in parte cambiato, più disincantato rispetto agli antichi valori. Euripide è in anticipo sui tempi e in qualche modo dissacrante. - In E. la presenza della divinità è un fatto formale. I - l suo interesse si concentra sulla figura umana, sulle motivazioni psicologiche, sentimentali, del suo agire. Ci sono forze oscure che si annidano dentro l’animo umano. - Fedra tenta disperatamente di reprimere le pulsione profonda che la lega al figliastro Ippolito e si uccide per testimoniare la propria resistenza. - In altri casi Euripide sperimenta il lieto fine, che non prevede la tradizionale conclusione luttuosa. - Ifigenia in Aulide, fra le ultime opere dell’autore, dove il protagonista è il solito Agamennone ma presentato come inadeguato al proprio ruolo di condottiero… (vedi analisi di Alonge da pag.11 a pag 17). Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET La commedia. Non meno della tragedia esprime lo spirito profondo della società ateniese anche se il suo pieno affermarsi è delle seconda metà del quinto secolo. Accanto alle Grandi dionisie, dedicate alla tragedia, abbiamo le feste minori delle Lenee, sempre in onore di Dioniso, collocabili verso fine gennaio, riservate alla commedia le cui origini vanno di nuovo ricercate nelle cerimonie di fertilità del mondo arcaico che deve assicurarsi la sopravvivenza attraverso la moltiplicazione di animali e messi. Il termine commedia discenderebbe da kómos, corteo festivo. Per la Poetica la commedia deriva “da coloro che guidano le processioni falliche”. Il legame tra sessualità e abbondanza e facilmente percepito dalla mentalità primitiva. La comunità crede di influire sul ciclo naturale con rituali che esaltano il fallo, simbolo di fertilità, tra scherni e risa grossolane. La commedia è divisa in “antica” rappresentata da Aristofane (circa 450-385 a.C.), “di mezzo” e “nuova” del tardo quarto secolo rappresentata da Menandro (circa 342/341-293/292 a.C.). - La commedia di Aristofane presenta trame molto vaghe, quasi inesistenti: un semplice filo intorno al quale si annoda tutta una serie di spunti satirici, spesso pesantemente scurrili, i quali colpiscono i temi dell’attualità (politica, sociale, culturale…). Gli attori non impersonano ciò che solitamente intendiamo come personaggi, come caratteri, ma piuttosto delle figure buffonesche. Siamo più vicini alla nostra rivista di qualche decennio fa che alla nostra commedia. - Di Menandro ci è rimasta una sola commedia completa, “Il misantropo”, IL TEATRO LATINO La commedia. Menandro è stato largamente ripreso dai latini: - Plauto (circa 255-184 a.C.) in cui si riscontra una vivacità farsesca e una duttilità satirica notevole. - In Terenzio (circa 190/185-159 a.C.) c’è maggior raffinatezza psicologica dei personaggi, che risultano meno schematici di quelli plautini. - Essi definiscono un modello che si esalta nella commedia italiana del Rinascimento e che arriva sino al settecentesco Barbiere di Siviglia. - Dominante è la dimensione domestica, urbana con al centro la storia d’amore di un protagonista giovane, contrastato dai genitori. - Alla fine scatta il meccanismo della agnizione, cioè del riconoscimento (padri che ritrovano figli rapiti; fanciulle di origine incerta che scoprono di essere di ottima famiglia). - Sostanzialmente il teatro latino ripete i modi e i contenuti del teatro greco, ma con un margine di estraneità. Il teatro era legato per i Greci ai valori dell’intera comunità. Pere i Romani non ebbe mai questo rapporto di profonda adesione alla vita sociale, fu un fenomeno di importazione che interessava un’élite culturalmente più raffinata e sensibile al fascino della civiltà greca. - Non a caso la tragedia, la cui struttura drammaturgica è più connessa alla matrice religiosa, fu praticamente trascurata dai Romani. - Una certa fortuna ebbe invece la commedia, per il suo taglio di rappresentazione comica della vita e dei costumi.

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La tragedia. Un posto a parte merita Seneca (circa 5 a.C. – 65 d.C.) filosofo e autore di una serie di tragedie letterarie, scritte cioè per essere lette piuttosto che recitate (sebbene non manchino studiosi convinti che fossero anche recitate). Ritornano i temi della tragedia greca, ma con Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET un’angolazione nuova, esasperata, che attinge al macabro, al mostruoso (Seneca morirà suicida per ordine di Nerone). Il teatro classico, quello greco soprattutto, fonda un modello di drammaturgia che resta decisivo nella storia dello spettacolo occidentale. Oggi assistiamo ad una riscoperta polemica della gestualità contro il teatro di parola, ma è appunto con i Greci che nasce questo teatro che privilegia il dialogo, il racconto (piuttosto dell’azione). Altri elementi come la semplicità della trama. Il numero limitato di personaggi, la separazione degli stili (tragico-comico), le unità di tempo e di luogo, esercitano invece la loro influenza sul filone europeo italiano e francese più legato alla tradizione classica. LA SCENA MEDIOEVALE Un’epoca senza teatro. Con la dissoluzione dell’impero romano viene meno l’assetto culturale della società, gli edifici teatrali vanno in rovina e con loro l’idea di teatro che viene distrutta non solo dalla disgregazione delle forme culturali ma anche da una durissima campagna contro il teatro e contro lo spettacolo messa in atto dai Padri della Chiesa e poi dalla Chiesa ufficiale per tutto il Medioevo e oltre. Gli edifici teatrali vengono abbandonati ma resta una spettacolarità di strada costituita dalle modeste performance di “mimi” e “histriones” ovvero acrobati, giocolieri, musici, danzatori, addestratori di animali. In un epoca considerata senza teatro sono loro, e successivamente i “giullari” medioevali, a mantenere in vita una qualche forma di spettacolarità che tuttavia non si fonda sul personaggio e sul concetto di rappresentazione. Il giullare - sa usare il proprio corpo in maniera acrobatica, sa raccontare una storia affascinando il pubblico, ma poco più di questo. - Il giullare è un affabulatore, è in grado di raccontare una storia, anche di drammatizzarla, prestando la sua voce a questo o a quell’interlocutore, ma non rappresenta, cioè non scompare dietro ai personaggi come fa solitamente l’attore. E’ ragionevole supporre che il giullare, monologando arriva a drammatizzare storie che appartengono alla cultura del tempo (vite dei santi, episodi biblici, chansons de geste ecc.) in riferimento ad una memoria orale e non tanto a un testo scritto. - E anche quando si può parlare di un testo scritto e chiaro che non si tratta di un copione, in senso moderno. Il processo non è quello che porta dal teatro scritto alla sua rappresentazione. Il processo è quello di una performance che può implicare anche dati scritti rielaborati però dall’interprete. Esattamente come avverrà con la Commedia dell’Arte, che non ignora canovacci e generici, ma tutti riporta alla capacità attoriale de comico. L’ostilità della Chiesa. - Si assiste ad una perdita dell’idea di teatro a cui contribuisce in maniera decisiva l’attacco violento che la Chiesa cattolica, attraverso i padri della chiesa (scrittori e teologi vissuti fino al nono secolo) porta al teatro negli ultimi secoli della romanità, quando la dimensione spettacolare si è peraltro ridotta a combattimenti fra gladiatori o fra questi e animali feroci. - Tertulliano (160-220 circa) sottolinea il legame fra spettacolo e divinità pagane (forma di idolatria) ma più specificamente il legame fra teatro e Venere che influenza le arti sceniche. Ciò che si riferisce al gesto, alla flessione del corpo, consacra la dissolutezza a Venere. Gli attori sono paragonati alle prostitute perché fanno mercimonio del proprio corpo. Riassunto a cura di Dario Apicella 6 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET I padri della chiesa mettono a fuoco il rapporto di seduzione che lo spettacolo intrattiene con il pubblico. Il vizio colpisce l’anima attraverso i cinque sensi e quindi anche attraverso la vista. C’è in certi scritti una vera e propria ossessione dello sguardo. Lattanzio (250-324 circa) polemizza contro “gli istrioni” che con i loro effeminati corpi, in abiti e comportamenti rammolliti, simulano femmine impudiche con gesti disonesti”. Peggio ancora avviene a proposito dei “mimi” che nel modo romano, unico caso nell’antichità, vedono la presenza sulla scena di mimi-donne che procedono a veri e propri strip-tease. Lo spettacolo ha grandi potenzialità di fascinazione e tocca in profondità l’anima dello spettatore. Per la Chiesa è la radice stessa del teatro ad essere diabolica. L’attore è, per definizione, colui che mente, che ammalia per la sua abilità di essere quello che non è, e trasformarsi in altro da se. Egli falsifica la voce, il sesso, l’età, finge amore, ira, gemiti, lacrime. Secondo Tertulliano “Ciò che è naturale è opera di Dio, per cui ciò che è fatto artificiosamente è affare del diavolo”. Il diavolo stesso si è posto come il primo attore dell’umanità camuffandosi da serpente per tentare Eva. Ciò non toglie che la Chiesa si renda conto, a poco a poco, dell’importanza del pieno possesso e dell’uso di certe tecniche giullaresche. Si raccomanda ai predicatori di non comportarsi come giullari; ai monaci di pregare con attitudine religiosa e non con gusto dello spettacolo. Ma predicatori e monaci vanno assumendo abilità e tecniche spettacolari perché hanno capito che esse posseggono una grande forza di attrazione rispetto al pubblico dei fedeli e sono evidenti i segni di una spettacolarizzazione delle predicazioni.. Lo stresso Francesco d’Assisi (11811226) si fa “giullare di Dio”. Per la cultura cristiana medioevale non c’è la nozione di teatro ma il riconoscimento di una nozione di spettacolo riconosciuto utile come mezzo comunicativo, strumento di educazione e cattura dei fedeli. La gente non colta può essere meglio raggiunta mostrando le cose più che con la forza della parola. Gli affreschi nelle chiese obbediscono allo stesso principio.

La nascita del Quem quaeritis. Avvenuta secondo gli studiosi all’interno dei monasteri benedettini nella prima metà del X secolo. In un luogo in cui c’è assenza di pubblico. Il processo avviene a partire dalla liturgia: l’uffizio pasquale viene dilatato in un brevissimo dialogo di pochi, in latino, versi fra l’angelo, rappresentato dal monaco, che veglia sul sepolcro di Cristo risorto e le pie donne, impersonate dai religiosi, che sono venute alla tomba. A - Chi cercate nel sepolcro, o donne cristiane? D – Gesù nazareno che è stato crocifisso, o spiriti celesti. A - Non è più qui, è risorto come aveva predetto. Andate e annunziate che egli è risorto dal sepolcro. Il nucleo originario da cui si fa discendere tutta la tradizione del dramma sacro non sarebbe quindi nato con funzione catechetica, cioè con l’intento di istruire le masse, attraverso una forma spettacolare. La drammatizzazione dell’ufficio liturgico nel tempo si estende e passa dal latino ai diversi volgari e lingue nazionali emergenti in Europa dal ceppo latino. Il processo fu lungo e portò ad una completa emancipazione dalla matrice rituale. La rappresentazione passa dall’interno della chiesa al sagrato della chiesa, per finire in piazza, nello spazio autonomo della città medioevale. La gestione di questi drammi sacri passa dai religiosi alle confraternite o sodalizi laici. Jeu d’Adame (vedi Sinisi – innamorati) Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Il teatro religioso medioevale si prolunga per tutto il Quattrocento e oltre, ha una molteplicità di espressioni: - I mystères francesi - I miracle plays inglesi - Gli autos sacramentales spagnoli - La Lauda e la Sacra Rappresentazione in Italia. Dal modello della Passione di Cristo, nucleo ricorrente, sono composte poi varie vicende sacre che prendono per oggetto la vita dei santi (imitatio Christi) a imitazione di Cristo fino al martirio. -

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Si definisce una esemplarità tragica sconosciuta al mondo antico.Per la spiritualità cristiana non c’è separazione fra gli stili: il sublime, il tragico, l’umile o il comico si contaminano. Cristo rappresenta la contaminazione piena degli stili: è il massimo del sublime in quanto figlio di Dio e sperimenta le brutture e le ignominie del mondo. L’eroe della tragedia greca cade ma conserva intatta la sua dignità; Cristo è l’esempio di un eroe non tragico, ma di un eroe bastonato. Il gusto della mescolanza stilistica spiega l’inserirsi, all’interno della vicenda religiosa, di intermezzi comici: i pastori prima di andare ad adorare Cristo nella capanna espongono racconti spiritosi circa la propria condizione di vita economicamente dolorosa. Effetti ancor più buffoneschi sono ottenuti quando sono inseriti i contadini (“villani”) presentati sempre come imbroglioni e ladri. Cambia totalmente la prospettiva e anche la scena teatrale si rinnova. La vicenda umana di Cristo ha una durata temporale che si sviluppa e conclude, un’estensione spaziale che passa attraverso una serie di tappe dette “stazioni” nella Via Crucis). Le unità di tempo e luogo sono improponibili. La scena medioevale è multipla, presenta allineati uno accanto all’all’altro, si spazi predeterminati in cui gli attori si spostano via via. Le due estremità a destra e a sinistra erano rispettivamente l’inferno e il paradiso, margini dei luoghi che rappresentavano il mondo intero. I vari luoghi sono predisposti con un minimo di arredo e attrezzeria utile alla scena o designati convenzionalmente, per questo si chiamano “luoghi deputati”. Gli attori erano, soprattutto nel primo periodo, semplici fedeli che recitavano come dilettanti, per puro spirito religioso (i maschi assumevano anche le parti femminili). Ancora una volta il teatro nasce in rapporto con la religione, coinvolge l’intera collettività e non degli strati sociali ristretti, come avverrà per il teatro rinascimentale. Il teatro medioevale e caratterizzato dalla non costruzione di luoghi teatrali specifici quali edifici teatrali: il teatro è fatto in piazza e in varia luoghi della città seguendo un determinato percorso o con scene montate su carri (teatro inglese o spagnolo). Il non costruire teatri è di fatto un modo per non riconoscere la realtà teatrale osteggiata per secoli. La chiesa si riappropria di uno strumento che ha contrastato, il teatro, solo non riconoscendo come tale. Il teatro religioso del Medioevo ha prodotto frutti solo secondari nel processo di rinascita del teatro moderno producendo semmai un serbatoio di suggestioni per la sperimentazione del teatro contemporaneo. La mescolanza degli stili (tragico e comico), la non unitarietà delle scene sono elementi che si ritrovano anche nel teatro de secoli successivi, specie in quelle culture che non hanno vissuto la frattura della stagione classicistica (Inghilterra e Spagna). Si può inoltre dire che il teatro del XVI secolo in Italia e del XVII in Francia nasce proprio da una discontinuità con questa tipologia di spettacolo rispetto ai temi, alla struttura dello spazio, ai meccanismi di fruizione, al ruolo sociale affidato al teatro, alla tipologia dell’attività attoriale.

Il teatro moderno deve di più al teatro profano che verso la fine del Medioevo comincia a trovare una propria forma dentro i meccanismi della festa. E’ nella farsa e nei testi goliardici legati al mondo dell’Università , in questo teatro comico che rielabora fonti e forme di spettacolarità giullaresca che si possono trovare i germi di una rivoluzione che attraverso: Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET - La ritrovata centralità della scrittura drammaturgica - La funzione dell’attore-interprete. Condurrà alle strutture del teatro moderno. IL PRIMO CINQUECENTO: IL RINASCIMENTO. -

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In Italia nl corso del Quattrocento, a differenza di quanto accade nel resto d’Europa dove domina largamente il modello del dramma sacro, si va riscoprendo la cultura classica a opera dei cosiddetti umanisti. L’intero patrimonio culturale del mondo antico, greco e latino, viene rimesso in circolazione, e con esso anche il teatro. Siamo all’invenzione del teatro moderno: inventio nel senso etimologico della parola significa ritrovamento, riscoperta della classicità. Le accademie sono i primi centri di rielaborazione. Docenti e studenti studiano e mettono in scena tragedie e commedie anche nella lingua originale, il latino (accademia di Pomponio Leto a Roma che allestisce Plauto, Terenzio, Seneca). Il motore autentico di questo processo saranno però le corti principesche diffuse nell’Italia centro-settentrionale: Este a Ferrara, Gonzaga a Mantova, Montefeltro ad Urbino, i papi a Roma. Esse si circondano di artisti (architetti, scultori, pittori…) che abbelliscono le città e di intellettuali che lavorano all’interno della corte, come segretari del Principe.

Il teatro dentro la festa e la privatizzazione del teatro. - A partire dal carnevale del 1486 (Menaechmi di Plauto) la corte di Ferrara promuove le realizzazioni plautine e terenziane. La soluzione del cortile si alterna a quella delle recite allestire al chiuso di una grande sala del palazzo principesco. Il teatro è solo uno dei tanti eventi che caratterizzano una ricorrenza festiva (carnevale, matrimoni, nascite di potenti, passaggio in città di sovrani) che prevede banchetti, danze, musiche, giostre, tornei… - Il pubblico degli spettatori coincide con il pubblico degli invitati. - Il teatro rinascimentale, a differenza del teatro medioevale che riguarda l’intera comunità dei fedeli (ricchi e poveri) il teatro rinascimentale che si sviluppa nelle corti si riferisce ad un’élite. Il committente coincide con il fruitore. Siamo di fronte al fenomeno nuovo della privatizzazione del teatro. - Il teatro diventa uno status symbol, serve cioè a contrassegnare il potere delle nuove classi dirigenti, la borghesia, che ha come riferimento la città e non più lo spazio della campagna e del castello come era per l’aristocrazia feudale. All’interno del Palazzo del Principe si presentano commedie e tragedie di stampo classico mentre, al di fuori, nelle piazze della città il popolo continua ad assistere alle tradizionali Sacre Rappresentazioni. La differenza tra le due tipologie non sta unicamente nei contenuti (laico o religioso) o nel diverso pubblico (comunitario o elitario) ma anche nella veste scenografica: - La scenografia medioevale presenta in successione tutti i luoghi in cui si svolge l’azione secondo uno schema circolare o dispersi nella piazza. - La scenografia rinascimentale al contrario unifica il luogo dello spettacolo in un quadro solo che rappresenta uno spicchio di città alle spalle degli attori. Si tratta di una città astratta, che riveste importanza ideologica nel passaggio dal feudalesimo all’età mercantile, con edifici generici, non peculiari di una singola città (vedi prologo della Mandragola). Si tratta poi di una città ideale che riproduce palazzi sempre sontuosi, in marmo e non, come poteva accadere nella realtà, con case ancora in legno. Il principe, seduto in prima fila in posizione centrale, guarda sé stesso guardando la città dipinta. Nella scena prospettica c’è un unico fuoco, cioè un unico unto centrale dal quale si dipartono in successione (in fuga) tutte le linee della prospettiva. Così come la città ha un unico centro di potere, quello del Principe. Ciò che conta non è tanto la vicenda (la Riassunto a cura di Dario Apicella 9 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET commedia cambia, è l’effimero) ma l’esaltazione del vivere urbano (la scenografia è il durevole) che ha nel Principe l’autorità politica. Ciò che viene esaltato non è tanto la commedia quanto “l’apparato”, ovvero le trasformazioni che la sala ha dovuto subire per diventare spazio teatrale, la scenografia e i quattro intermezzi. La commedia è di fatto un semplice momento della festa principesca e i cinque atti sono diluiti da intermezzi e moresche (danze a carattere spettacolare, danze di fertilità che si configurano come combattimenti tra mori e cristiani) finalizzati a rilassare gli spettatori e a distrarli dalle operazioni di riordino e sistemazione del palco e dei lumi con rinnovo delle candele consumate) che di fatto diventano l’oggetto principale dell’attenzione dello spettatore. Il teatro Rinascimentale è dominato da una componente visionaria, è il teatro della visione. Non sarà così per il teatro elisabettiano e spagnolo del Cinquecento e Seicento che daranno meno importanza alla scenografia. mireranno a coinvolgere maggiormente lo spettatore, cercheranno di non creare distacco tra gli attori e gli spettatori favorendone il coinvolgimento. Stessa cosa varrà per la Commedia dell’Arte che metterà al centro il corpo dell’attore e non avrà bisogno di scenografia. Tuttavia ciò che ha prevalso nella visione occidentale è la visione frontale che separa nettamente attori e spettatori (scena all’italiana, teatro all’italiana). Il principe è il committente, gli attori non sono professionisti ma dilettanti, cortigiani che recitano per piacere e per far piacere al principe (interpreti maschili che sostenevano anche parti femminili). Il teatro resta sempre, nel quadro generale del Rinascimento, attività marginale anche quando si tratta dei grandi o delle grandi commedie: Ariosto, Macchiavelli, La Calandria del Bibbiena (1470-1520). E questo vale anche per le scenografie e per i musicanti che sono definiti come “familiari” o persone al servizio del Principe; per cui se il creatore è familiare o proprietà del principe anche il frutto del suo ingegno sarà esso pure proprietà del principe. La festa è celebrata per significare il potere del principe e per esibirlo, essa nasce all’insegna dello spreco, dell’esibizione del lusso. C’è lo spettacolo ma non ci sono ancora le professioni dello spettacolo. I principi respingono l’edificio teatrale e conservano gelosamente la consuetudine del luogo teatrale, la sala o il cortile dedicato solo occasionalmente allo spettacolo, nonostante gli umanisti chiedano la creazione di teatri stabili, cittadini, in grado di accogliere e ricomporre la comunità.

Sebastiano Serlio (1475-1554) : (vedi Sinisi Innamorati) La commedia rinascimentale. Ludovico Ariosto con Cassaria (1508) e Suppositi (1509) si pone come l’inventore della commedia rinascimentale. Commedia che non si limita a tener presente il modello classico ma diventa punto di incontro tra la tradizione dei commediografi latini (Plauto e Terenzio) e la grande novità della cultura romanza (che usa le lingue neolatine) rappresentata in particolare del Decameron di Boccaccio, straripante di situazioni comiche fondate sul piacere della beffa e su trame erotiche. Vedi per esempio La Calandria, un tipo di marito sciocco, beffato e cornificato, che richiama il personaggio boccaciano di calandrino. La commedia riporta ai Meneaechmi di Plauto, basta allora la modifica del sesso dei due gemelli protagonisti (due maschi in Plauto, maschio e femmina nel Bibbiena) a conferire un accento più equivoco alla vicenda. Il gemello femmina va in giro vestito da maschio, i due sono presi in scambio e il gemello femmina può ritrovarsi nel letto con una donna. All’interno dell’ambiente di corte domina il gusto della varietà del contrasto. A fianco alla rappresentazione delle commedie latine e italiane troviamo anche mimi, buffoni, giocolieri, Riassunto a cura di Dario Apicella 10 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET danzatori che agiscono da soli o in gruppo inventando tal volta delle vere maschere teatrali (vedi il senese Niccolò Campani detto lo Strascino).Lacorte apprezza anche la spettacolarità bassa, accanto a quella alta. La commedia pastorale. Si tratta di un nuovo genere che si impone da subito nel Cinquecento come terzo genere, inedito, accanto alla commedia e alla tragedia della tradizione classica, che avrà il suo tardo capolavoro con L’Aminta di Torquato Tasso (1544-1595) rappresentata per la prima volta nel 1573. La commedia rusticana o “commedia alla villanesca” Nasce ne Medioevo, e si prolunga sino al Cinquecento, una violenta polemica contro i contadini (villani, abitanti della villa) che ha radici economiche che affondano nel contrasto cittàcampagna(dipendenza della città dalla campagna, concorrenza che la mano d’opera rurale fa a quella cittadina nel momento del suo inurbamento), da cui deriva una vasta produzione letteraria, in versi e in racconti, cui si da il nome di “satira antivillanesca”. L’area senese, fatta da piccoli intellettuali di modesto livello culturale che amano scrivere e recitare, si specializza nella definizione del personaggio teatrale del villano, presentato come grossolano, bestiale, maligno. L’esponente più rappresentativo è il Campani che si esibisce, solo, con successo alla corte del papa, a Mantova e presso altre corti. Egli possedeva, da quanto si apprende negli scritti scambiati fra le corti, una capacità imitativa e notevole qualità mimico caricaturali. La composizione scritta sembra essere solo un punto di partenza di una abilità tutta attorica che abbina alle capacità di imitatore quelle di mimo, improvvisatore, canterino musicante. A Venezia. - Non c’è una corte, il teatro è percepito come una potenzialità trasgressiva. - Il motore trainante è rappresentato dalle Compagnie della Calza (pantalone attillato che portavano i gentiluomini del tempo). C’erano diverse associazioni dai nomi scherzosi (Ortolani, Zardinieri, Immortali…) che organizzavano eventi ludici e feste per il carnevale o in occasione dell’arrivo a venezia di ospiti illustri. - Spesso a recitare sono i giovani patrizi, da dilettanti e come segno di distinzione e trasgressione. Accanto a questi troviamo giocolieri, buffoni, professionisti del teatro più impegnato culturalmente fra i quali si distingue Francesco Nobili detto Chera da un personaggio di Terenzio che lo aveva reso famoso, ed è grazie a lui che Venezia comincia a conoscere volgarizzazioni di Plauto e Terenzio. - L’industria tipografica veneziana è molto attiva dal punto di vista dell’edizione di testi teatrali. - La partecipazione agli eventi teatrali è sempre più ampia, sia su invito nelle case patrizie delle Compagnie della Calza, sia a pagamento, in altre sale aperte a un pubblico variegato. Angelo Beolco (1496-1542) Ruzante. E’ in questo ambiente che si impone Ruzante, amico e factotum del patrizio Alvise Cornaro, curioso personaggio che si era ritagliato nel padovano una sorta di piccola corte in qualche modo antagonista alla classe dirigente veneziana. Esempio più alto della commedia villanesca. - Beolco scrive in dialetto padovano (padovano antico) e recita i suoi testi spesso a Venezia. Si tratta di un borghese abbastanza agiato, dotato di una certa cultura, che conosce molto bene il mondo della campagna in quanto uomo di fiducia del ricco latifondista Cornaro cura contratti, pratiche notarili. - Egli dipinge il mondo contadino non in termini di immediata e piena simpatia. Nel Pastoral Il contadino viene dipinto un elemento di disturbo degli amori tra pastori e ninfe, molti tratti Riassunto a cura di Dario Apicella 11 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET ricordano la satira antivillanesca (il nome Ruzante rimanda al verbo “ruzare”, “giocare con le bestie”, ma con allusione implicita ai rapporti sessuali dei contadini con gli animali). La fame, che ricorre come motivo tipico del personaggio, non è una fame autentica ma una fame iperbolica, un’ingordigia che suscita il riso anziché la comprensione e il compatimento. Le prime due opere Pastoral e la Betìa sono scritte in versi, le restanti in prosa. Con Bilora e La Moscheta (1529-1530), forse anche in seguito alla terribile esperienza della carestia, la fame non è più l’ingordigia buffonesca, ma è fame autentica, tragica. Il contadino non è più strumento per una polemica ma diventa personaggio autonomo, protagonista. Il “dialogo”, sorta di atto unico, è la nuova struttura teatrale, inedita nel panorama della cultura alta del Cinquecento, fatta su misura per lui. Parlamento e Bilora sono i suoi capolavori. Il Parlamento consiste nella parlata del villano Ruzante che reduce dal campo di battaglia, è andato in guerra per sfuggire alla miseria e alla fame nella speranza di arricchirsi, torna più miserabile e stracciato di prima, pieno di pidocchi e di paura. La sua donna si è spostata in città per sopravvivere e sta con un “bravo”. La donna rifiuta di tornare a dividere la miseria con lui e l’arrivo del bravo cehlo bastona e se ne va con la donna ribadisce il destino di sconfitta e fristrazione del villano. Lo stesso tema viene ripreso nel “dialogo” Bilora in cui il contadino arriva in città per riprendersi la moglie Dina che è stata portata via da un vecchio mercante veneziano, messer Andronico. Anche Dina rifiuta le richieste del villano di tornare a vivere con lui di fame e stenti. La tensione teatrale si accende nel contrasto diretto fra i due uomini. Bilora, sotto l’effetto del vino, uccide Andronico. Bilora quindi non uccide perché è possessivo o per un senso dell’onore – egli sarebbe pronto a riprendersi pacificamente la moglie, magari con qualche soldi di indennizzo da parte del cittadino, ma uccide in modo involontario. Il Ruzante della Moscheta si avvicina ai giochi della commedia tradizionale, è un personaggio in qualche modo già integrato nella realtà cittadina (Padova), che messo ai margini dalla società vive di espedienti. Crede di essere più furbo degli altri, invece è più sciocco. Si traveste da scolaro e parla, anziché il dialetto, la “lingua moscheta”,la lingua fina (falsa imitazione dell’italiano), per non farsi riconoscere. Con i suoi cinque atti e il suo taglio da commedia regolare segna l’ultima fase della produzione beolchian, quella dichiaratamente classicheggiante. Il villano perde la sua pienezza umana e sociale e tende a trasformarsi nel servo astuto. Resta l’origine contadina, permane il dialetto, vengono meno la contrapposizione con i padroni e il contrasto città campagna. Ora per il personaggio villanesco meglio del pane ora sono le burle. Si arriva infine all’ultima fase, quella di una produzione originale del Beolco che entra in gara con quella di Ariosto e Bibbiena. Il Ruzante dell’Anconitana, al servizio di Sier Tomao è davvero il tipico servo della commedia cinquecentesca, vero motore della vicenda. In Ruzante compaiono i primi tratti di quella che sarà la maschera di Arlecchino, così come in Sier Tomao è facile ravvisare il futuro Pantalone, vecchio avaro e donnaiolo. Il villano si è irrigidito nella maschera del personaggio dell’Arte.

Siena e La Congrega dei Rozzi. - Si tratta di una associazione di attori-autori-dilettanti; artigiani che si ritrovano in occasione di momenti ludico-gastronomici in occasione dei quali oltre al gioco e ai pranzi a cui partecipano anche le donne dei rozzi, sono previsti momenti di lettura e commento di Boccaccio o Petrarca. - Grande attenzione è rivolta anche agli aspetti creativi. Chi intende entrare nella congrega dovrà possedere una certa virtù: scrivere commedie, suonare, recitare, cantare, ballare. Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Il centro unico dell’interesse drammaturgico dei Rozzi è il contadino, non con sguardo di simpatia, ma nell’alveo della satira antivillanesca. La debolezza economica di Siena impedisce l’inurbamento eccessivo e la classe artigiana si sente minacciata. Il villano tuttavia, pur presentato inizialmente in chiave negativa, diventa portavoce delle insofferenze dell’artigianato urbano verso la classe dirigente, responsabile dell’intervento spagnolo che cancellerà la repubblica senese. Il cartaio Salvestro, detto il Fumoso, è il più importante dei rozzi.

Firenze. - A Firenze non è possibile parlare di una corte principesca simile a quella che troviamo a Ferrara, Mantova, Urbino e Roma. I medici sono cacciati periodicamente e periodicamente ritornano. La Repubblica si alterna con i Medici. - Non si apre quella che abbiamo chiamato la scena cortigiana ma è forte il legame con l’associazionismo cittadino dei consorzi e delle corporazioni che promuovono banchetti festivi, spettacoli e cerimonie urbane caratterizzati da un teatro ancora informe fatto di cantari, frottole, esposizione di novelle prima ancora che di veri e propri testi drammaturgici. Il segno prevalente quindi non è la scrittura ma l’oralità. Giorgio Vasari (1511-1574) ricorda due delle cosiddette “compagnie di piacere” quella del Paiuolo e quella della Cazzuola. - Queste compagnie svolsero a Firenze una fondamentale opera di organizzazione e promozione teatrale, sostituendosi al vuoto di iniziative provocato dall’assenza della corte medicea, un po’ come la Compagnia della Calza a Venezia. E se a Venezia ad imporsi è la scena villanesca a Firenze sotto la spinta travolgente di quell’isolato ma autentico capolavoro che è la Mandragola di Niccolò Macchiavelli, (1469-1527) affiora il profilo di quella che potremmo chiamare la scena cittadina.

La Mandragola ( scritta probabilmente tra il 1518 e il 1520) e la Clizia (1525). Contenitore di un repertorio di temi, cultura, lingua e forme espressive della tradizione municipale. C’è nella Mandragola uno spessore di vita cittadina e borghese. Callimaco Guadgani di fronte al pericolo della guerra vende tutto, tranne la sua casa a Firenze, e si rincantuccia a Parigi spostando per prudenza i suoi capitali. Non vende la casa perché in essa sono le radici, il legame con il clan parentale, le viscere della razza dei mercanti fiorentini. A Parigi risulta inserito unicamente in un tessuto di relazioni sociali e amicali esclusivamente fiorentine, invita a pranzo solo fiorentini, si abbevera di pettegolezzi di compatrioti di passaggio. Qui risiederà per dieci anni dedicandosi agli studi, ai piaceri e alle faccende. Macchiavelli non insegue unicamente modelli plautini o modelli novellistico decameroniani ma porta avanti un discorso legato alla contemporaneità. La borghesia cittadina del suo tempo è divisa tra affari e sesso, fra pubbliche virtù e vizi privati. La Mandragola è la storia del faticoso percorso attraverso cui si perviene alla fondazione di una casata, si assicura la trasmissione del patrimonio, la continuità del capitale, nonostante la sterilità di messer Nicia. La follia, la beffa sono la superficie che occulta il conseguimento di un obiettivo serio, drammatico, la definizione di un ordine che garantisca la discendenza, la continuità del nome e del patrimonio. La Clizia, posteriore di qualche anno alla Mandragola, inizia dove quella finisce presupponendo l’ordinato viver civile di una famiglia, di una casata. La follia e la beffa sono qui rappresentati da ciò che rischia di mettere in crisi l’assetto della famiglia, ciò che è già consolidato. Il protagonista è un mercante dai solidi principi che per una follia d’amore per un attimo rischia di mettere a repentaglio il sistema dei valori antichi. Ludovico Ariosto (1474-1533) Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Corteggiando i modelli classici che tanto piacciono al pubblico di corte compone fra il 1508 e il 1509 la Cassaria e i Suppositi. Ma a partire dal 1928 anche alla corte di Ferrara il clima è cambiato. Ariosto da grande organizzatore teatrale di corte si preoccupa di aiutare Beolco nelle sue performances ferraresi, respira la nuova aria che circola, fa tesoro di ciò che vede e che legge di Beolco e Macchiavelli. Nel 1528 compone Lena. In essa c’è ancora l’intreccio plautino, la trama scontata del servo che imperversa per aiutare il giovane padrone, ma c’è anche il duro spaccato di una scena di città contemporanea: Pacifico, un marito inconcludente che vive di espedienti, spingendo la moglie a una sorta di prostituzione dissimulata, e una moglie Lena, che si offre come amante del vecchio padrone di casa, Fazio, in cambio della gratuità dell’affitto. Ariosto costruisce un ritratto credibile e realistico di una borghesia di mezza età, se non proprio di vecchio, che nutre una passione sessuale per la più giovane Lena, senza venir meno al proprio senso del risparmio. Lena ha uno scatto di dignità, davanti ad un vecchio che cerca di sfruttarla sessualmente pagandola il meno possibile, e si illude di andare ad abitare casomai in uno dei quartieri malfamati di Ferrara e di mettersi ad esercitare davvero la professione di prostituta. Ma all’ultimo le viene a mancare la solidarietà del marito che è schierato dalla parte del padrone, ruffiano e servile cornuto-contento. Il finale sembra quello innocuo della tradizione: Fazio invita Lena e Pacifico alle nozze e vuole che non solo Licinia, sua figlia, e Flavio siano sposi quella notte. Non è il lieto fine della commedia rinascimentale in cui anche la donna adulterina ritrova una provvisoria ricollocazione istituzionale, un tocco di amarezza spezza l’allegria della commedia. Ariosto si ricollega alla pensosità disincantata del Macchiavelli della Mandragola. La Veniexiana. (1535-37) Il frutto più maturo del realismo rinascimentale, applicato alla commedia cittadina, è l’anonima Veniexiana. Due nobildonne, Angela e Valeria, sono le protagoniste che si contendono l’amore del bel Iuilo, un forestiero milanese disinvolto e spegiudicato (la situazione forse prende spunto da un fatto di cronaca). La commedia è portatrice di novità: - Non c’è una struttura teatrale coerente e chiusa della commedia di fattura classica. Dopo un primo atto, una sorta di prologo di presentazione dei personaggi, composto da tante brevi scene separate, la commedia si spezza in due commedie minori legate dalla continuità fisica di Iulio che passa dalle braccia di Angela a quelle di Valeria. - la commedia è una rappresentazione aperta dell’esistenza, uno spaccato di vita vissuta, senza una conclusione, come la vita quotidiana, che non si conclude. - Insieme al finale essa rifiuta le canoniche unità di tempo e di luogo. La vicenda si svolge nel lasso di quattro giorni con un continuo spostarsi della scena dagli interni delle case delle due donne agli esterni delle calli e delle piazze veneziane, all’aperto. - L’autore si serve di questa libertà per dare ai personaggi uno spessore psicologico che manca alle stilizzate figure tradizionali della commedia cinquecentesca. - La percezione del tempo: per Iulio e per i servi il tempo è percepito con indifferenza, è una realtà esterna, neutra. Per le due donne il tempo è invece percepito con struggimento e angoscia: è il tempo che scandisce la durata del loro piacere. - La percezione dello spazio: lo spazio aperto è percorso incessantemente dai servi e da Iulio. E’ dissipazione, vuoto, è lo spazio dei servi, di coloro che si vendono (anche Iulio in un certo senso si vende; lo spazio chiuso è rappresentato dalle abitazioni delle due donne che compaiono unicamente qui, non si mostrano mai fuori di casa. E’ lo spazio del privilegio, la dimora signorile antro la quale si svolge il rito della celebrazione amorosa. L’eros come privilegio della classe borghese libera da avvilenti esigenze economiche. - Ma il rapporto erotico è destinato ad essere frustrante per le due donne. Iulio è un servo tutt’altro che docile che domina in realtà le due donne. Emblema del fallimento di una classe Riassunto a cura di Dario Apicella 14 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET dirigente fiaccata e prostrata dalle vicende belliche italiane del primo Cinquecento e colpita sriamente nei suoi interessi economici dalla pressione turca e dalla scoperta della via per le Indie. L’erotismo quale evasione individuale, soluzione ad una profonda crisi nei legami umani e sociali La Veniexiana rappresenterebbe la più bella commedia del Cinquecento per ricchezza di caratteri, complessità psicologica e verità umana, ma anche, accanto al teatro del Beolco, uno dei più significativi esempi di realismo del secolo, affresco della realtà umana e sociale del tempo.

IL SECONDO CINQUECENTO: LA COMMEDIA DELL’ARTE. - Alla fine degli anni Venti del Cinquecento è già stato prodotto, messo in scena, pubblicato, assimilato, quasi tutto il meglio del teatro Rinascimentale. - Una fioritura ricca ma di breve durata che volge verso un irrigidimento teorico e normalizzante quando, a partire dal 1548, ha inizio la codificazione aristotelica. - Prima di questa data i commediografi erano riusciti, in maniera autonoma e spontanea, il modo di assestare il proprio lavoro con la scansione in cinque atti del testo teatrale e l’accettazione delle unità di tempo e di luogo, così come nella scelta strategica della prosa rispetto al verso che resta invece in uso per la tragedia. - La tragedia tuttavia è poco rappresentata a corte, la classe dirigente è laica, edonistica, ama divertirsi e non interrogarsi sul significato profondo della vita. Questo non significa che mancasse il senso tragico nei più grandi intellettuali del Cinquecento (Macchiavelli, Tasso) ma non fu vissuto come sentimento di cui il poeta potesse farsi interprete per la società. - Merita di essere citato l’ebreo mantovano Leone de’Sommi (1526-1591/92) unico e autentico uomo di teatro del cinquecento, in mezzo a tanti letterati. Uomo dalla sensibilità pre-registica, grazie alla grande esperienza di organizzatore teatrale e di vero e proprio direttore di spettacoli. Il punto di vista privilegiato è per lui quello dello spettatore e non del lettore. Uno spettacolo bello sulla carta potrebbe non risultare tale sul palcoscenico, e viceversa. Egli chiede agli attori di essere obbedienti all’autore dello spettacolo e di accettare lunghe prove. Siamo sulla linea del professionismo teatrale nuova realtà imposta dai comici dell’Arte nella seconda metà del Cinquecento, opposta alla logica dei dilettanti di corte del primo Cinquecento. Il 25 febbraio del1545 otto uomini si presentarono davanti a un notaio di Padova per stipulare un contratto per la costituzione di una sorta di società per “recita commedie di loco in loco” al fine di “guadagnar denaro”. Staranno insieme per un anno, acquisteranno un cavallo per trasportare costumi e attrezzi di scena. Divideranno i guadagni in parti uguali dandosi aiuto in caso di incidenti e malattie. C’è uno spirito pratico, molto borghese, che ha inventato una nuova professione. Commedia dell’Arte rinvia alle Arti e Corporazioni del Medioevo, dunque arte come artigianato, mestiere. Il teatro piace e ci si può campare a condizione di fare pagare un biglietto e di essere itineranti per andarsi a cercare il pubblico di città in città. I comici dell’Arte (comici significa attori e non teatranti che recitano commedie) lavorano all’interno di compagnie, composte da non più di dodici elementi, nell’ambito delle quali definiscono specifiche modalità di lavoro: - I ruoli fissi: per cui ogni attore si specializza in un determinato personaggio. - I generi: ogni attore ha un suo bagaglio di monologhi, spezzoni di dialoghi, sentenze che manda a memoria e che come chiavi passepartout si adattano a diverse commedie. - I canovacci (detti anche scenari, soggetti o favole rappresentative) che in qualche modo sostituiscono il testo, sulla base dei quali gli attori improvvisano le battute (la commedia dell’Arte è detta anche Commedia all’Improvviso). Il termine canovaccio indica uno Riassunto a cura di Dario Apicella 15 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET strofinaccio da cucina a trama molto rada e in senso teatrale indica un riassunto dell’intreccio della commedia presentata a grandi linee. Nel primo Cinquecento non c’era un testo unitario: ogni attore aveva solo il testo della sua parte (in alcuni casi con l’ultima battuta del suo interlocutore), la cosiddetta parte levata o parte scannata. Era un sistema economico per non stare a ricopiare il testo. Il testo era diviso e distribuito tra gli attori e si ricomponeva solo nello spettacolo. L’imprivvisazione: è l’interazione tra ruoli fissi, generici e canovacci che consente il miracolo dell’improvvisazione. La maschera: di grande efficacia è la novità della maschera tratta dal folklore, dalle pratiche carnevalesche, dagli intrecci delle commedie del primo Cinquecento che ruotano sempre intorno ad una serie di tipi (il vecchio, il mercante, il servo astuto o sciocco. Le maschere attraggono l’attenzione del pubblico popolare e meno colto a partire dal secondo Cinquecento. 4 sono le maschere fisse: • Pantalone, mercante veneziano, ridicolo per le sue velleità sesuali • Graziano, il dottore bolognese che parla mezzo latino e mezzo dialetto bolognese • Arlecchino, servo sciocco, nato a Bergamo bassa. • Brighella servo astuto, nato a Bergamo alta dove l’aria è più fina. Il pluralismo linguistico. Lo spettacolo è reso più vario e attraente dal pluralismo linguistico, il dialetto che contrasta violentemente con l’italiano petrarcheggiante delle due coppie di Innamorati). Gestualità e recitazione: Caratteristica decisiva della commedia dell’Arte è però la forte sottolineatura della gestualità della recitazione, della piena valorizzazione del corpo, compresi salti, capriole e funambolismo vari. L’invenzione della donna: a partire dal 1570 la commedia dell’Arte porta la donna sul palcoscenico. Gli uomini di Chiesa, Gesuiti in prima fila, nel Seicento criticano aspramente la presenza femminile usata consapevolmente per allettare il pubblico. La donna allettatrice, lo spettacolo del corpo femminile alimenta l’industria dello spettacolo. Una micro-società dentro la società: gli ecclesiastici di fatto nei loro interventi non se la prendono tanto con ciò che avviene concretamente sul palcoscenico, ma su ciò che avviene prima e dopo lo spettacolo, ovvero sulle consuetudini della vita di attori e attrici. Gli attori sono considerati gaglioffi e balordi, le attrici tutte mezze prostitute che fanno la bella vita, viaggiano, soggiornano in albergo, mangiano al ristorante, sono riverite, corteggiate, omaggiate e finiscono nei letti dei potenti. Si tratta di una micro-società con regole e modalità esistenziali che risultano trasgressive rispetto alla moralità dominante. Ghettizzazione: la chiesa li marginalizza, li ghettizza, vieta che si accostino ai sacramenti e rifiuta di seppellirli in terra benedetta. La C.d.A. attira coloro che cercano una vita meno chiusa e repressiva. Durata: la commedia dell’Arte ha una durata lunga, un paio di secoli, da metà Cinquecento a metà Settecento, e il passare dei decenni accompagna il progressivo decadere del fenomeno. Nel 1740 gli attori non sono più in grado di scriversi i canovacci da soli, e Goldoni si avvicina al teatro proprio come compositore di canovacci, al servizio degli attori dell’Arte (poeta di compagnia). Si tratta di una realtà complessa fatta di poveri ciarlatani di piazza, compagni più consistenti e comici illustri contesi e coccolati dai sovrani di mezza Europa. Tra fine Cinquecento e primo Seicento si distinguono tre comici illustri: Isabella Andreini, Francesco Andreini e Flaminio Scala. Francesco Andreini pubblica nel 1607 le Bravure del Capitan Spavento, raccolta dei generici da lui elaborati e in parte utilizzati per dar vita alla figura del Capitano. Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Flaminio Scala che in arte sosteneva la parte dell’innamorato con il nome di Flavio pubblica invece, nel 1611, Il teatro delle favole rappresentative, una raccolta di cinquanta canovacci che costituisce un oggetto funzionale a cui attingere per ragioni professionali ma esprime anche la volontà di fare opera di scrittura. Da un lato ogni canovaccio presenta l’elenco delle robbe per la Commedia, cioè l’elenco degli oggetti che serviranno agli interpreti (ne Il ritratto: carte da gioco, lanterne, bastoni, un ritratto di donna piccolo…) con finalità pratiche; dall’altro ogni canovaccio è introdotto da un Argomento che non ha invece quasi nessun rapporto con il canovaccio e che obbedisce a un piacere di pura narrazione, quasi una micro-novella. Il ritratto: Proprio Il ritratto risulta un canovaccio prezioso perché una sorta di metateatro (teatro che riflette sul teatro di cui una articolazione è il teatro nel teatro), che ci offre una visione della realtà dei teatranti vista dal di dentro, ma curiosamente corrispondente con lo sguardo severo degli ecclesiastici. L’ambientazione è quella di una troupes dei comici illustri che, arrivando in una città, affittano uno stanzone dove si esibiscono a pagamento. Il canovaccio di Flaminio Scala non ci presenta il momento della messa in scena, bensì quello del fuori scena, della vita quotidiana dei comici. C’è Vittoria l’attrice protagonista presentata in tutto lo splendore del suo abbigliamento con perle e diamanti che si è conquistata non già con i suoi guadagni di interprete bensì con le sue abilità amatorie. Pantalone va a render visita alla prima attrice dopo lo spettacolo e qui scopre il ritratto della moglie che Orazio, amante della moglie di Pantalone, ha dato a Vittoria. Anche il dottor Graziano frequenta la stessa attrice. Vittoria chiede a Padrolino, servo di Pantalone, informazioni si Pantalone e su Graziano ed egli sta al gioco, rispondendo com’è giusto. Ella si comporta come una prostituta di alto bordo, fredda e professionale, attenta solo a monetizzare il suo fascino per assicurarsi una vecchiaia tranquilla. Il canovaccio dice con serenità ciò che gli ecclesiastici sostengono, ovvero che le attrici attirano gli uomini, disgregano l’unità familiare, suscitano liti e questioni fra spasimanti rivali. Il canovaccio non si apre mai alla rappresentazione della rappresentazione. Sappiamo solo che la rappresentazione si conclude con un dato sonoro, “un gran romore d’arme” proviene dalla stanza delle commedie. Lo spettacolo è finito in rissa, come tante volte denunciato dagli uomini di Chiesa. In un crescendo drammatico Vittoria finisce per essere vittima delle proprie arti seduttrici e viene sequestrata da alcuni gentiluomini e dai loro bravi, come prostituta da quattro soldi, con la quale ci si può consentire di tutto. Il ritratto è l’unico canovaccio di ambiente borgese dei cinquanta dello Scala che presenta in cui un adulterio, pienamente consumato e vissuto, si consuma in ambiente borghese tra Vittoria, Pantalone e Graziano sposati rispettivamente con Isabella e Flaminia che hanno da tempo una relazione con i giovani Orazio e Flavio che, approfittando dell’assenza dei rispettivi mariti, si godono una lunga sera d’amore. L’ultima pagina del canovaccio ci mostra l’arrivo a casa dei due che, accolti dalle loro mogli e dai giovani amanti che fingono di essere rimasti li a protezione delle donno le quali, esortano i loro mariti a lasciar perdere le commedie e a governare casa e mogli. E’ evidente che Scala può rappresentare così freddamente la macro società dei normali solo perché chi ha offerto una più spietata fotografia della micro-società dei trasgressivi comici intineranti. L’erranza rappresenta l’altra faccia della immoralità intrinseca agli attori.

LA SCENA ELISABETTIANA TRA CINQUECENTO E SEICENTO. Il Rinascimento italiano è caratterizzato da una rottura drastica rispetto al teatro medioevale: nelle piazze il popolo continua ad assistere a spettacoli religiosi e a corte il principe e un pubblico elitario assiste invece e spettacoli laici costruiti sui principi della teatralità classica (Plauto, Terenzio, tragedie greche). Delle altre nazioni europee soltanto la Francia subisce l’influsso del classicismo propagato dal Rinascimento Italiano, il Seicento Francese corrisponde al Cinquecento Italiano. Negli altri grandi paesi europei, come Inghilterra, Spagna e Germania, la storia teatrale prosegue la Riassunto a cura di Dario Apicella 17 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET tradizione del teatro medioevale. In queste nazioni il teatro registra una dimensione di massa ed ha un respiro popolare. -

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La contaminazione degli stili: Si impone naturalmente una mentalità moderna e i contenuti religiosi cedono il passo a contenuti laici: Shakespeare tratta conflitti di potere, eventi recenti della storia inglese, vicende d’amore e organizza gli intrecci ignorando le unità di luogo e di tempo senza porsi vincoli spazio-temporali, e mescolando gli stili favorendo la contaminazione fra tragico e comica, come per il teatro medioevale. In tragedie come Amleto, Otello e Macbeth, ad esempio, non mancano scene e situazioni comico-buffonesche. I testi sono scritti assecondando i gusti del pubblico: Shakespeare era in grado di leggere il latino ma segue i gusti semplici del suo pubblico adattando a questo le suggestioni della cultura classica. Piace Seneca e i tragici greci perché l’orrido e il tragico piacciono molto agli spettatori del tempo. La produzione commerciale: in una metropoli come Londra tutta protesa nei traffici e nell’arricchimento è tanta la sete di divertimento. Il bacino degli spettatori è molto ampio e il ruolo del teatro è paragonabile a quello della televisione oggi e chi scriveva per il teatro era inserito in un contesto di produzione commerciale su commissione da elaborare in tempi rapidi, spesso a più mani per far più in fretta, e di cui l’autore per primo si disinteressa una volta tratto il guadagno pattuito. I copioni di S. ci sono giunti in via fortunosa, con redazioni spesso diverse, aggiunte, interpolazioni. Aspetti contraddittori del quadro inglese: • a Londra si definiscono i primi tratti di quella che si chiamerà industria dello spettacolo. • Il teatro non è un privilegio per pochi ma c’è un pubblico di spettatori paganti fatto di popolani (che pagano un penny stando in piedi in platea) e di borghesi e aristocratici che a un prezzo più elevato siedono nei palchetti. • Proprio e solo in Inghilterra è eccezionalmente forte l’opposizione al principio stesso di teatro non solo da parte della Chiesa ma dai Puritani, quella parte di protestanti inglesi particolarmente rigoristi. Quando i Puritani di Cromwell prenderanno il potere, oltre a decapitare il re, imporranno la chiusura di tutti i teatri tra il 1642 e il 1660 Al tempo di Elisabetta I che regna tra il 1558 e il 1603 dominano comunque le City e questo spiega il fatto che i primi edifici teatrali siano costretti a nascere al di fuori delle City, sulla riva meridionale del Tamigi, dove si trovano bordelli e arene per i combattimenti degli animali, molto amati dagli inglesi. L’edificio teatrale: è simile all’arena da combattimento, di forma vagamente circolare, a cielo aperto, diverso dalle consuetudini del Rinascimento Italiano. (vedi Sinisi-Innamorati). Un teatro scenograficamente povero, senza effetti di luci visto che le recite sono diurne. Si è parlato di scenografia verbale per intendere che sono le parole dei personaggi a evocare il tipo di ambientazione (notte, alba, foresta, deserto). Anche le compagnie teatrali sono in qualche modo povere, cioè snelle, non più di una mezza dozzina di attori che riescono a recitare diverse parti (in Shakespeare ci sono anche venti o trenta personaggi). Il professionismo femminile: Mancano le attrici, e questo sempre a causa della forte pressione moralizzatrice dei Puritani, e i personaggi femminili sono recitati da giovanetti vestiti da donne, come nel teatro di corte italiano della prima metà del Cinquecento. Questo spiega perché il teatro elisabettiano sia a protagonismo maschile. L’invenzione della donna, come detto, è merito dei comici dell’Arte le cui tournées in Francia e Spagna valgono a incoraggiare la pratica del professionismo teatrale al femminile. In Inghilterra essi sono meno presenti, per ragioni geografiche ma anche per via dell’opposizione religiosa tra cattolici e anglicani. Le attrici Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET arriveranno solo con la riapertura dei teatri, con il ritorno del nuovo re Carlo II notoriamente amante nel teatro e delle attrici. Gli attori perseguitati dalla legge, perché equiparati a vagabondi, per sfuggire alla durezza della legge che prevede la frusta e persino l’impiccagione, sono costretti a mettersi sotto la protezione di qualche nobile indossando la livrea del loro padrone. Shakesperare lavora nella compagnia dei Lord Chamberlain’s Men, che diventa poi quella dei King’s Men, cioè servitori del Re. Il teatro è lo specchio fedele di una società, quella inglese, dinamica e pronta ad imporsi sulla scena mondiale, caotica, fatta di avventurieri, ribelli, uomini liberi e spregiudicati sul piano esistenziale, culturale e religioso. Le biografie di alcuni autori di teatro sono in tal senso significative.

Christoper Marlowe (1564-1593), laico, blasfemo, omosessuale, collaboratore dei servizi segreti morirà, nemmeno trentenne, in seguito ad una rissa in una taverna londinese. Riscuoterà un grande successo popolare con Tamerlano il grande, mitico condottiero asiatico del trecento, esempio per le impetuose individualità eroiche di una Inghilterra lanciata alla conquista dei mari. Nel Doctor Faustus (1593) attinge a un best seller tedesco del 1587 da cui verrà il più celebre Faust di Goethe. Ne L’ebreo di malta, registra le tensioni anti ebraiche della società europea, fornendo un indubbio modello al Mercante di Venezia di S. Thomas Kyd (1558-1594) amico e delatore di Marlowe verrà arrestato e sospettato di ateismo. La tragedia spagnola è un bell’esempio di tragedia della vendetta che avrà larga diffusione nella civiltà elisabettiana insieme ad altri ingredienti tipici come la follia simulata, il malvagio macchiavellico, la presenza dei fantasmi. Solo Ben Jonson (1572-1637) è attento ai precetti classici ma ciò non impedisce che dal suo Volpone (1606) venga fuori un lucido realismo che fotografa implacabilmente la durezza e il cinismo della società del tempo. In questo quadro generale giganteggia William Shakespeare (1564-1616) della cui vita poco sappiamo. Sposato con figli ma anche aperto ad una sorta di bisessualità non infrequente nel suo tempo. - Artisticamente non rappresenta un miracoloso fiore solitario ma il punto più alto di un ricco panorama di scrittori e di geniali mestieranti della penna. I - l suo modo di operare è quello di tutti gli altri: un lavoro di scrittura artigianale fatto spesso di adattamenti di testi già scritti da altri, con segmenti dialogici sistemati approssimativamente, interpolazioni che gli attori fanno durante la rappresentazione (l’Amleto è quasi sicuramente una ripresa di un precedente Amleto scritto da Kyd). Altre fonti di ispirazione sono le Chronicles di Raphael Holinshed che gli servono per le sue histories, drammi storici su sovrani inglesi. Ma usa anche la tradizione delle Vite parallele di Plutarco per costruire Giulio Cesare o Coriolano o Antonio e Cleopatra. - Egli è un attore influente, manager di compagnia ma non propriamente grande interprete (sceglieva per se le parti secondarie). Il suo impegno principale era quello di fornitore di copioni scritti parte in versi e parte in prosa. Il blank verse è un verso sciolto, non rimato, il cui ritmo si avvicina al ritmo del parlato inglese. Amleto Ricavato da un antico racconto popolare scandinavo. Il re di Danimarca è morto, la regina è convolata rapidamente a seconde nozze con il cognato. Lo spettro del morto sovrano appare al figlio Riassunto a cura di Dario Apicella 19 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Amleto e gli rivela che è stato in realtà avvelenato dal proprio fratello Claudio. Amleto indugia per tutto il tempo della tragedia, e solo alla fine, realizza la vendetta dovuta uccidendo lo zio e morendo egli stesso. Molte sono le interpretazioni: - Amleto visto come l’eroe del dubbio, l’intellettuale riflessivo il cui eccesso di riflessione frena e impedisce il passaggio all’azione. A. è presentato come studente dell’università tedesca di Wiyyenberg (quella di Lutero ma anche del Faustus di Marlowe). - Freud spiega invece la lunga esitazione di Amleto a vendicare il padre morto con un oscuro senso di colpa, cioè con il complesso edipico: in fondo Amleto si identifica nello zio, che ha realizzato i suoi desideri inconsci di uccidere il padre e sposare la madre. Uccidere lo zia sarebbe come uccidere se stesso. - Il critico polacco Jan Kott allarga l’obiettivo dal personaggio all’intera tragedia: C’è del marcio in Danimarca”, “la Danimarca è una prigione”, piccole isolate battute che Kott riconduce ad un clima di sospetti, spionaggi, inquisizioni (Polonio fa spiare il figlio che studia in Francia e fa spiare Amleto, il re fa spiare Amleto…). Ne viene fuori in Amleto letto in chiave politica che traduce bene le angosce della società dell’Est europeo sotto il comunismo. - Non è in realtà fondata l’immagine di un Amleto dubbioso, che sfugge continuamente all’azione. Amleto rinvia e prende tempo perché è alle prese con un semplice sospetto di omicidio, e comunque il suo informatore è uno spettro, e prima di uccidere (e di uccidere un re, massima autorità umana) si preoccupa di capire se non si tratti di una invenzione diabolica, di “uno spettro dannato”. - Per altro in alcuni passaggi della tragedia si mostra risoluto e sicuro: manda a morte con uno stratagemma due individui che il re gli ha messo alle costole per ucciderlo e uccide egli stesso con la spada Polonio che si è nascosto dietro ad un arazzo per origliare il dialogo di A. con la madre. E sempre nel terzo atto A. estrae la spada dal fodero” per uccidere Claudio inginocchiato a pregare, ma lo risparmia per evitare che la sua anima risulti salvata. - In quanto a Freud va considerato che quando Amleto uccide Polonio che si è nascosto dietro una tenda, trafiggendolo con la spada, egli subito domanda e spera che il morto sia il Re. Amleto colpisce quindi credendo proprio di trafiggere il Re. La scena si svolge infatti in una stanza degli appartamenti della Regina il cui accesso è riservato soltanto al Re. - Meglio stare rigorosamente alla lettera del testo. Prima dell’incontro sconvolgente con lo spettro emergono il dolore e la sofferenza di S. difronte ad una madre che si è risposata a suolo due mesi dalla morte del marito. Nella scena dell’incoronazione del re, Amleto compare vestito a lutto, in nero, per marcare il suo dissenso. Claudio interpreta in termini di potere, come una forma di protesta per una sorta di usurpazione. La madre lo invita a spogliarsi degli abiti di lutto ma A. si scusa e assicura che non è questione solo di apparenze, di cose che sembrano, di vestiti neri che devono simboleggiare il dolore. Il dolore c’è, è dentro il suo cuore, nel profondo dell’anima. - Il discorso metateatrale: Amleto fin dall’inizio accenna a quello che sarà un tema importante, il discorso metateatrale, il teatro dentro il teatro, la forma teatrale della tragedia che si fa occasione di riflessione sul teatro. - L’incontro con lo spettro: per Amleto costituisce una folgorazione estatica, un incontro con il nume, il dio, l’oltre. Da questo punto in avanti Amleto è risucchiato dal commandment del padre, sostantivo tipico delle Sacre Scritture. La piattaforma del castello di Elsinore, su cui appare lo spettro, è il Monte Sinai dove Amleto riceve le tavole della legge che Amleto promette di appuntarsi sul suo taccuino impegnandosi non solo alla vendetta ma ad un rinnovamento esistenziale che azzeri pratiche di vita banali, prive di senso, tra cui l’eros, e dunque Ofelia. La rivelazione dello spettro apre un abisso fra Amleto e la donna, l’universo femminile. L’omicidio di Claudio ricade su Gertrude considerata come quasi complice e su Riassunto a cura di Dario Apicella 20 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Ofelia che sarà oggetto di allusioni sessuali da parte di Amleto. Nella scena quarta A. rinfaccia alla madre la decisione di legarsi a Claudio accennando appena che suo padre è stato ucciso da Claudio in quanto non c’è bisogno di rivelarle ciò che ella già sa. Gertrude e Ofelia diventano un’immagine universale del negativo, di un femminile percepito come oggetto di aggressione sessuale. Alla corte di Danimarca arrivano casualmente degli attori girovaghi e Amleto chiede loro di rappresentare la vicenda del Duca Gonzago, avvelenato nel giardino dal nipote che si impossessa così della corona, sposando la vedova. Una storia che fa da specchio a quanto avvenuto nel regno di Danimarca. Il re Claudio che si illude che il teatro possa essere uno svago per distogliere Amleto dall’ostilità nei suoi confronti, assistendo alla rappresentazione vede, e sente Amleto incitare l’attore perché incomincia a parlare, smettendola con le sue pantomime (le tue maledette smorfie). Da notare che gli attori prima mimano e poi recitano (con le battute) la scena dell’uccisione del re. Claudio resta indifferente, per nulla turbato, entra in crisi solo nel punto in cui l’attore che impersona l’assassino comincia a parlare: è una grande metafora sull’idea di teatro che sta alla base della tradizione dell’Occidente: il teatro non è gesto, movimento, danza e nemmeno racconto; il teatro è parola, parola agita dall’attore, e solo con le parole il teatro funziona come specchio, coinvolge gli spettatori, li spiazza, lo sconvolge esprimendo fino in fondo tutto il proprio potenziale catartico, purificatore.

Otello - Nella tradizione scenica di Otello spesso l’attore che interpreta Otello, a sere alterne, interpreta la parte di Iago. Segno che il personaggio di Iago è più intrigante, anche se è Otello a dare il nome alla tragedia. Non per nulla è Iago ad avere un numero superiore di battute e ad aprire la tragedia. - C’è una regola antica nella vita militare per cui la progressione di carriera si fonda sul valore, sull’esperienza e sull’anzianità. Otello stesso, il moro, accettato come capo militare di una potenza occidentale, è la dimostrazione della bontà di questa regola. Il merito supera anche i pregiudizi raziali. Otello ha contravvenuto a questa regola mostrandosi accondiscendente alla prassi delle raccomandazioni a cui sia Cassio che Iago hanno fatto ricorso. Ha prevalso Cassio che ha svolto una parte importante nella storia d’amore tra Otello e la giovane Desdemona. - Desdemona: S. mette bene a fuoco il personaggio femminile. Figlia unica di un importante senatore di Venezia, Brabanzio, vedovo e pari per carisma politico allo stesso Doge. Desdemona, che ha rifiutato le molte richieste di matrimonio avanzate dai giovani dell’aristocrazia veneziana, sotto l’ombra del padre ha sostituito in qualche modo l’immagine della madre morta. Si lascia incantare dal Moro, anche lui immagine paterna in quanto uomo di età avanzata, e passa da un padre all’altro. Otello deve partire per difendere Cipro minacciata dai Turchi e Desdemona insiste per seguirlo. Decide di sottrarsi a una vita in fusione con un uomo di potere, il padre, optando per un’altra vita in fusione con un altro uomo di potere, Otello. Brabanzio vive la fuga come un tradimento d’amore: la maledice e muore di dolore. Per Otello il matrimonio con Desdemona non sembra fondato sulla spinta dell’eros, lui stesso dirà che gli ardori giovanili sono il lui spenti, ma su esigenze che restano inesplicate. Desdemona vive in fusione con l’uomo del cuore e si orienta secondo quelli che sono i desideri del suo uomo. - Incongruenze: La vicenda si sposta a Cipro e S. non si preoccupa dell’unità di luogo e di tempo e nemmeno della verosimiglianza del fluire temporale. La vicenda sembra svilupparsi in un lasso di tempo di sole 36 ore concatenate. Ma come detto S. rifinisce sommariamente i suoi prodotti, e il pubblico è di bocca buona e non si preoccupa della scena povera o delle piccole incongruità. Così anche il complotto di Iago per convincere Otello che Desdemona lo tradisce è Riassunto a cura di Dario Apicella 21 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET molto grossolano, poco verosimile. Ma Otello è un primitivo, anche lui di bocca buona. I suoi sospetti crescono quando D. chiede con insistenza di reintegrare nel grado Cassio, allontanato da Otello per una grave mancanza militare. La gelosia di Otello per Cassio: Cassio è un uomo di cultura, conosce il codice d’amore, ha belle maniere con le donne. E’ stato il mezzano d’amore, ha tradotto il sentimento d’amore (rozzo) di Otello nel linguaggio dell’amor cortese. Gli ha fatto da traduttore e qualche volta da avvocato. La gelosia per Cassio ha senso proprio perché Cassio ha esattamente le tre cose che non ha Otello: è bianco, è un abile conversatore, è giovane. Comprendiamo a questo punto perché Otello ha scelto Cassio e non Iago, con il quale ha condiviso tante battaglie; confondendo pubblico e privato ha voluto ricompensare Cassio per i servigi che ha avuto da lui per il corteggiamento di D. Cassio non è affatto affidabile come uomo d’armi, non regge il vino ma si lascia indurre facilmente a bere e a farsi trascinare in una rissa in un territorio ostile come Cipro, terra turca, in cui Venezia ha solo una guarnigione e i veneziani sono percepiti come invasori. L’insistenza di Desdemona: Stanislavskij nel suo studio per la messa in scena della tragedia chiarisce bene il perché dell’insistenza che Otello perdoni Cassio: a Cipro Otello deve dividersi fra doveri militari e doveri maritali in una situazione, come già detto, molto difficile su un’isola circondato dalle flotte turche che vorrebbero liberararla. Desdemona si sente trascurata e investe psicologicamente nell’affare Cassio che ha per lei un valori simbolico: se Otello esaudirà il suo desiderio vorrà dire che lei è sempre in cima ai suoi pensieri. Il fazzoletto: c’è in D. una vena di risentimento mai confessata nei confronti di Otello. Il primo regalo che questi le fa è un fazzoletto, appartenuto alla di lui madre, chiedendole di portarlo sempre con se. Ma D. nonostante il suo amore infinito per Otello lo ha lasciato cadere, spia di inconfessata insofferenza della donna verso il marito che si è irrigidito sulla questione del perdono a Cassio. Normalmente si traduce che il fazzoletto le è caduto per distrazione ma Emilia, moglie di Iago, e fedele dama di compagnia di D., dice nella versione inglese che lo ha perso per negligenza. Emilia, che denuncerà il marito Iago e verrà da lui uccisa per questo, ha raccolto il fazzoletto: non lo ha rubato, ma nemmeno subito restituito. Conta di farne prima una copia perché suo marito le ha chiesto insistentemente di rubarlo. Emilia: è una figura complessa, fedele alla propria padrona ma anche legata al marito di cui pur coglie un’ombra di ambiguità. A Emilia sfugge il senso della richiesta del marito di rubare il fazzoletto ma è disposta ad assecondarlo per naturale subordinazione. Un marito che forse lei ha tradito in qualche occasione. Un personaggio ricco, complesso, con luci e ombre che alla fine si innalza ad un livello eroico La mescolanza degli stili: per gli elisabettiani i copioni sono prodotti per la scena, per il teatro materiale. Anche S. con mentalità da artigiano sistema, aggiusta, rappezza, secondo le esigenze e le richieste del pubblico. Un concerto di passaggi sublimi e di frasi di basso livello che servono a soddisfare i bassi istinti volgari degli strati più bassi del pubblico teatrale. In una scena del secondo atto in cui si attende l’approdo della nave di Otello, Iago fa una serie di battute pesanti con allusioni sessuali e D. gli tiene testa ribattendo sulla stessa lunghezza d’onda. Vi sono puoi altre cadute di stile e riferimenti volgari tesi a suscitare unicamente il riso del popolino volgare. Il senso profondo del dramma: non è riconducibile al tema della gelosia ma all’amore di Otello per Venezia. Questo segreto S. lo custodisce bene svelandolo solo alla fine della tragedia quando Otello ha ucciso Desdemona, Iago è stato scoperto e il Moro, sottrattosi all’arresto, sta per suicidarsi. Qui Otello pronuncia un discorso che si apre con una breve prologo in cui O. ricorda di aver reso servigi allo stato di Venezia. C’è poi un accenno a Desdemona, nemmeno ricordata per nome: dice di averla amata non saggiamente ma all’eccesso, di averla uccisa come Riassunto a cura di Dario Apicella 22 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET un barbaro indiano che getta via la perla più preziosa e di aver versato lacrime abbondanti pur non essendo abituato a piangere. Nell’epilogo Otello indugia sul ricordo di Aleppo, in Siria, dove i mercanti veneziani andavano a caricare le merci da commerciare in tutta Europa: un turco, o forse un ebreo convertito all’Islam, sta bastonando un mercante veneziano e sta calunniando lo stato di Venezia. Otello ricorda di averlo afferrato alla gola e ucciso. Concluso il racconto si pugnala. Questo ci fa capire improvvisamente, sorprendentemente, che il vero amore di Otello non è Desdemona ma Venezia. La fragilità psicologica di Otello: anche se non se ne è reso ben conto, Desdemona ha rappresentato per Otello un sogno di integrazione, un vistosissimo status symbol. Il nero sposa la bianca, figlia del più importante senatore di Venezia. Otello si è già fatto cristiano, è apprezzato per le sue virtù militari dalla classe dirigente a cui si integra sposando D. Essere da lei tradito significa la sconfitta, il totale annientamento. Scoprire poi di non essere stato tradito e di aver rovinato tutto con le proprie mani lo obbliga a riconoscere la propria irrimediabile inferiorità razziale. Si paragona infatti ad un Indiano, a un primitivo e si punisce esattamente come ha punito il turco, tagliandosi la gola. E canta, prima di morire, il suo sogno di essere riconosciuto e accettato dalla civiltà superiore di Venezia.

Macbeth - Con M. Shakespeare inventa il suo primo grande personaggio femminile. - Macbeth è la storia di una tentazione dell’anima. S. non parla di tentazione ma di suggestione, suggerimento, proposta che, come tale può essere accolta o respinta. - I generali Macbeth e Banquo sono reduci da una battaglia in cui si sono conti di gloria e incontrano tre streghe che salutano il primo quale “barone di Cawdor” e futuro re, il secondo come “inferiore a Macbeth, e più grande” che non sarà re, ma sarà “padre di re”. Poco dopo M. è insignito dal proprio re, per riconoscimento delle prodezze belliche, Barone di Cawdor e pensa che se si è avverata la prima profezia potrebbe avverarsi anche la seconda. Banquo è prudente e cerca di mettere in guardia M.: le streghe, strumenti delle tenebre, potrebbero aver detto solo verità parziali per tentarlo e per metterlo alla prova. La prima conclusione di M è saggia e prudente: se il caso lo vuole avere re, questo avverrà senza che egli debba muoversi. - La lettera alla moglie: Il problema di M. è di essere un uomo senza desiderio; il suo desiderio è il desiderio della moglie. M. è in procinto di giungere al castello, ma sente il bisogno di farsi precedere da una lettera per raccontare alla moglie ciò che è avvenuto. Se M. sarà Re, lo dice egli stesso, lo sarà per la grandezza della Regina, per la gloria di lei prima ancora che per la sua. Egli non vuole agire, non vuole muoversi, ma delega alla moglie le scelta di intervenire, di operare per secondare gli eventi. Lady M. deve avere il tempo di riflettere da sola, M. conosce perfettamente la sua viltà caratteriale, non vuole nemmeno essere coinvolto nel dialogo risolutivo con la moglie. Sarà lei a risolvere, da sola, sulla base della lettera. Lady M. conosce la natura del marito e aspetta con ansia il suo ritorno affinché, come ella stessa dirà, “io possa versare il mio coraggio nel tuo orecchio” (vedi Amleto dove Claudio versa il veleno nell’orecchio del fratello re). Fin dall’inizio la donna è consapevole che sarà lei a dover fare il lavoro sporco. Terribile sarà il lavoro che ella dovrà fare per vincere le resistenze del marito da cui accetterà la delega ad operare l’omicidio. - L’arrivo del re: il re sta arrivando al castello e si tratta di decidere come farlo fuori dando la colpa alle guardie personali del re, opportunamente indotte all’ubriachezza. Durante la cena M. esce, inseguito dalla Lady, poiché si sente incapace di agire e dice alla moglie che non procederanno oltre in quell’affare. Ecco quindi che Lady M. si impone con un ricatto d’amore: M. deve ora dimostrarle l’amore che ha sempre dichiarato di nutrire per lei, ma prima di tutto deve dimostrare di essere uomo. Lady M. gli da del codardo, egli ribatte che può fare solo tutto Riassunto a cura di Dario Apicella 23 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET ciò che è degno di un “uomo”. Jan Kott scrive “in questa coppia senza figli, o i cui figli sono morti, l’uomo è lei. Esige da M. il compimento dei delitti come una prova di virilità, quasi come un atto d’amore”. Il limite di Lady M.: M. si arrende e accetta la sfida ed è lui dunque ad uccidere. Lady dichiarerà che l’avrebbe fatto anche lei, se il re, mentre dormiva, non avesse assomigliato a suo padre. C’è un limite anche per lei, un margine di umanità oltre il quale non puà andare. Ecco una prima precoce traccia, dentro l’atmosfera delirante ed esaltata dell’omicidio, che spiega il cedimento finale della donna che rosa dai rimorsi giunge ad una morte espiatrice. Folle, durante la scena del sonnambulismo, si frega continuamente le mani per cancellare le macchie del sangue versato e non fa che citare continuamente le vicende trascorse. Si suiciderà. Macbeth è riuscito per un attimo ad elevarsi al di sopra di sé ma per ripiombare subito nella depressione e nell’angoscia. Per lui sarà un calvario di ossessioni e incubi, sino alla scena del banchetto durante il quale vede, o crede di vedere, lo spettro di Banquo, da lui fatto uccidere insieme ad altri. Lady M. ha retto e guidato la coppia nei primi tre atti, negli ultimi due non c’è più, le sopravvive il marito, ed è come se avesse trasfuso in lui la sua energia, il dinamismo e il coraggio che gli erano mancati nei primi tre atti. Un duo diabolico, le due facce della stessa medaglia. Nel tempo lungo della tragedia M. è maturato, imparando a fare a meno della moglie. Nel secondo incontro con le Streghe apprenderà che sarà sconfitto solo quando il bosco di Birnan muoverà contro il castello di Dunsiname, e comunque potrà essere ucciso solo da un uomo non nato da donna. Rimasto solo da quando i nervi di lei hanno ceduto, il personaggio si ritrova nella pratica militare in cui è vissuto professionalmente. M. intende morire come è sempre vissuto, da combattente, con indosso l’armatura.

John Ford (1586-1640 circa) Se pur cronologicamente al di fuori dell’arco temporale del regno di Elisabetta, con lui si chiude l’epopea elisabettiana, di cui riassume i caratteri. - Il suo capolavoro è Pensavo che fosse una sgualdrina, quadro implacabile di una società cinica e crudele, ambientato in un Italia cinquecentesca e ritratti di ecclesiastici cattolici perversi, contro cui si staglia una storia di amori incestuosi tra fratello e sorella, Giovanni e Annabella, due adolescenti in qualche modo candidi, che scoprono l’amore per la prima volta nella reciproca attrazione. - Orfani di madre vivono in una ricca casa borghese con un padre assente perché impegnato a fare soldi. Si confessano il reciproco amore e scoprono insieme, per la prima volta, i piaceri dell’amore. - Annabella resta incinta e il trauma la predispone al pentimento. Si confessa con il Frate che la convince a sposare Soranzo che da tempo l’ha chiesta in moglie. - Soranzo, dopo il matrimonio, comprende che il figlio non è suo e insulta Annabella che non nasconde la verità ma cela il nome dell’amante. - Annabella attende il momento in cui il marito vorrà ucciderla ma pensa anche a salvare il fratello dalla morte fisica ma anche da quella spirituale, dalla dannazione eterna. Dalla finestra butta una lettera per Giovanni al Frate, invitandolo a pentirsi. - Soranzo organizza una festa in casa sua per fa ammazzare dai sicari Giovanni il quale intuisce e si dirige prima nella camera della sorella, la uccide con il pugnale e, in stile elisabettiano, entra nella sala del banchetto con un cuore infilzato sulla punta del pugnale. E’ l’inizio di ammazzamenti vari tra cui l’uccisione di Soranzo e di Giovanni. - Annabella giunge al pentimento. Giovanni resta l’eroe trasgressivo e maledetto, ribelle agli uomini e a Dio. Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET LA SCENA SPAGNOLA TRA CINQUECENTO E SEICENTO I teatri che fiorirono nella Spagna rinascimentale sorsero all’incirca nello stesso periodo dei teatri elisabettiani, nel decennio tra il 1570 e il 1580 ed ebbero una forma simile. Entrambi i teatri nascono da una matrice comune, quella della scena medioevale (interrotta e spezzata dall’avvento del classicismo italiano sul finire del Quattrocento, poi imitato e ripreso nella Francia del Seicento.). La Spagna, a differenza dell’Inghilterra che è in piena espansione, dopo aver toccato il proprio apogeo con Carlo V vive una fase decadente. La cacciata dei mori e degli ebrei che non si convertivano al cristianesimo determina una perdita di competenze e risorse economiche non indifferenti. Nel corso del Quattrocento sotto la guida di Ferdinando re di Aragona e di sua moglie Isabella di Castiglia culmina il processo di Riconquista. La religione ha dato la spinta per la liberazione e l’unificazione del paese e si configura come collante, elemento identitario per la popolazione esprimendosi attraverso un fondamentalismo religioso che sente il bisogno di marcare la differenza con il diverso. Nel secondo Cinquecento, dopo la Riforma protestante, la Controriforma produce le guerre di religione fra cattolici e protestanti e vede la Spagna in prima fila nella difesa dell’ortodossia cattolica. Nasce la Compagnia di Gesù, fondata da S. Ignazio di Loyola, nobile spagnolo, militare di carriera che sottolinea un nuovo spirito guerriero che deve operare all’interno della Chiesa. Tutto ciò non può non riversarsi anche nella storia del teatro. Non è un caso che tutti i personaggi più significativi della scena spagnola siano fortemente coinvolti nel discorso religioso. Tirso da Molina è un frate che prende i voti a vent’anni, Calderón de la Barca abbraccia la carriera ecclesiastica a cinquant’anni, così Lope de Vega. Da notare che tutti questi compongono alternativamente testi di teatro profano e testi di carattere religioso. Ferdinando de Rojas è un ebreo convertito al cattolicesimo autore di una sola opera a fronte delle 317 attribuite a Lope de Vega e ai circa 200 testi lasciatici da Calderón e ai 70 di Tirso da Molina. Gli autos sacramentales. Continua a vivere, di intensa vitalità sconosciuta al resto d’Europa, la tematica a carattere sacro, con commedie che attingono a personaggi e figure della Bibbia, della vita dei santi. Con gli autos sacramentales troviamo personificazioni allegoriche come il Mondo, la Morte, la Bellezza, la Superbia, la Grazia, la Prudenza… che si rifanno alla tradizione del teatro sacro medioevale. Ciò non toglie che gli strati più rigidi del potere religioso e politico guardino al mondo teatrale con diffidenza. Ampia diffusione e richiesta di spettacoli teatrali. L’interesse per il teatro e la richiesta di spettacolo e però enorme, da parte di un pubblico interclassista, con forte presenza popolare. E’ stato calcolato che i testi prodotti dalla scena elisabettiana siano circa millecinquecento, in Spagna superano i diecimila. Numeri imponenti che si spiegano con il fatto che non esiste solo la scena della capitale (come a Londra e Parigi) ma un ampio ventaglio di vivaci centri urbani su tutto il territorio. Il corral. Al centro della scena spagnola c’è il corral, un “recinto” cortile costituito dalle pareti di case contigue con il palcoscenico impiantato a una estremità dello spazion (vedi Sinisi – Innamorati). La presenza dei comici dell’Arte. A partire dal 1574 contribuisce ad accelerare il processo di trasformazione della scena teatrale in senso professionistico. La loro influenza consente di fa accettare la presenza delle donne come attrici ma non incide sulla drammaturgia spagnola che resta legata alla tradizione medioevale. Riassunto a cura di Dario Apicella 25 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Lope de Vega (1562-1635) Inventa la comedia nueva riproponendo i moduli più significativi della tradizione medioevale: - piena libertà spazio temporale, - dispregio delle cosiddette regole aristoteliche, - superamento della distinzione dei generi con mescolanza di comico e tragico che da vita ad una struttura chiamata deliberatamente tragicommedia; - presenza quasi sistematica della figura del gracioso, sorta di buffone, spesso alter ego ironico del protagonista. Accanto agli elementi di continuità ci sono naturalmente delle innovazioni: - una decisa attenzione alla problematica contemporanea con moltiplicazione di commedie di genere avventuroso, le cosiddette commedia di capa y espada che mettono a fuoco la tematica della vendetta e dell’onore, cui è particolarmente sensibile la mentalità guerriera della società spagnola. - I cinque atti della tradizione classicistica lasciano il posto a una scansione in tre atti. - Lope riconosce la centralità del pubblico che è il vero committente-pagatore del drammaturgo, il quale deve dunque mettersi in sintonia con le predilezioni, e anche i limiti culturali, dei suo spettatori, sacrificando Aristotele e la tradizione classica riproposte con forza dalla cultura italiana seguita da quella francese. Ideologia conservatrice e religiosa del teatro spagnolo del Seicento: Nel teatro spagnolo del Seicento, si respira, a differenza di quanto è possibile apprezzare nell’opera di Shakesperare e in Francia in quella di Racine e Molière, si respira il clima della Controriforma con manifestazioni di zelo eccessivo da parte di qualche autore, e una sorta di immobilità ideologica, un ancoramento fortissimo ai valori dell’autorità politica e al conservatorismo sociale. Fuente Ovejuna: è il testo più famoso di Lope, nome di un villaggio contadino abbandonato alle soverchierie di un signorotto feudale, il Commendator Gómez, che si diletta a razziare e violentare le donne del territorio. L’indignazione spinge la popolazione alla rivolta e il tiranno viene ucciso. L’inchiesta giudiziaria non riesce a scoprire il colpevole: sottoposti a tortura, tutti gli abitanti, (persino i bambini di dieci anni) rispondono che il responsabile è Fuente Ovejuna, intendendo che si è trattato di una responsabilità collettiva e solidale di fronte alla mostruosità del potere locale. Lope incastona la vicenda all’interno di un preciso conflitto politico dinastico. Il Commendatore si è schierato contro i sovrani Ferdinando e Isabella, presenti in scene come personaggi, che devono vincere una serie di resistenze interne, prima di poter imporre la propria egemonia. Il perdono finale dei sovrani, a un villaggio che si è comunque macchiato di un grave reato contro un rappresentante statale, è giustificato solo e soltanto dal fatto che quel tale rappresentante si è macchiato a sua volta di tradimento rispetto alla monarchia. Il componimento di Lope diventa un momento di esaltazione del potere monarchico in guerra contro la tradizionale anarchia feudale con l’appoggio non solo della borghesia cittadina ma anche dei contadini ricchi. Il governo diretto del re e preferibile alle angherie dell’amministrazione dei signorotti locali. Fernando Rojas (1465-1541) - Autore di una sola opera, uno strano testo, stampato anonimo, del 1499, Comedia de Calisto y Melibea, opera che oggi è conosciuta con il titolo La Celestina. - Si tratta di un’opera in prosa che in una prima stesura è composta da sedici atti, che diventeranno addirittura ventuno. Un testo teatrale da leggere che rivela profondi legami con il Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET mondo medioevale. L’autore ha una buona cultura umanistica, conosce anche Petrarca e Boccaccio. Calisto è un giovane aristocratico, tutto dentro i valori dell’amor cortese, che si accende di passione alla semplice vista di Melibea e scala le mura del palazzo della nobile dama per fare l’amore con lei, come in tante novelle ispirate all’ideologia cortese del Decameron. La novità è nella mescolanza di questo livello alto con il livello basso della ruffiana Celestina, che per denaro favorisce l’amore del giovane. Due servi di Calisto pretendono che Celestina divida con loro il denaro che ha ricevuto da Calisto, e difronte al suo rifiuto l’uccidono, salvo essere immediatamente condannati a morte dalla giustizia. Certamente medioevale è l’impianto moralistico della costruzione narrativa: muoiono i personaggi negativi di Celestina e i due servi, troppo avidi di denaro; ma muore anche Calisto, cadendo per errore dalla scala di corda utilizzata per penetrare nella casa dell’amata; e muore suicidandosi Melibea, gettandosi a capofitto dalla torre del palazzo, per ritrovarsi con Calisto nello stesso tipo di morte. Tutto suscita immediatamente l’idea di una punizione. Celestina: nel momento in cui viene uccisa, esclama: “Confessione”. Il che sta a significare che l’ignobile ruffiana conserva comunque la consapevolezza del destino eterno dell’anima. Calisto: è vivamente tormentato dalla tragica morte dei propri uomini e il rimorso lo travaglia. Lo scorteranno due nuovi servi, Sosia e il giovane paggio Tristano. Ed è proprio nel tentativo di soccorrere i servi che Calisto, credendoli in pericolo, durante l’ultimo incontro amoroso si slancerà di corsa lungo la scala di corda con tale impeto che di fatto sarà causa dell’incdente. Anche Callisto, nel momento in cui sta sfracellandosi, invoca la confessione. Malibea: si suicida offrendo fiduciosamente la sua anima a Dio, è l’unica a non invocare il perdono divino. Figura complessa. Respinge duramente le avances di Calisto, quando lo incontra casualmente per la prima volta. In verità è rimasta colpita da lui ma ha bisogno di tempo per confessare a se stessa, prima ancora che a Celestina, che si è innamorata di lui. La loro è semplicemente la storia della scoperta adolescenziale dell’eros, divorante e assoluto, che non ha tempo di essere legalizzato e legittimato dal consenso delle famiglie. Non c’è nessuna barriera sociale a impedire un possibile matrimonio, ma le nozze non stanno all’interno dell’orizzonte della coppia. C’è la pulsione dei sensi che la fa da padrona e Malibea vive lo scontro tra l’educazione ricevuta e la voce del corpo. Malibea cerca di tenere a bada Calisto, vorrebbe parlar d’amore, ragionar d’amore – secondo l’ideologia cortese – ma si abbandona alla frenesia d’amore vivendo continuamente il trauma dello strappo, della trasgressione. Da un lato piange per la verginità perduta, subito dopo essersi abbandonata fra le braccia del giovane, dall’altro difronte alla sua morte, piange per non aver fatto abbastanza l’amore con lui.

Tirso da Molina (1579-1648) Degno di memoria per il testo fondatore del mito secolare di Don Giovanni “l’ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra” del 1630, reso celebre dalla ripresa di Molière e dalla tradizione musicale di Mozart. - Da un lato c’è l’uomo che vive di inganni e che arriva alla burla di invitare a cena la statua dell’uomo che ha ucciso; dall’altro lato c’è il convitato di pietra che al termine del banchetto stringe la mano di Don Juan e così lo arde e uccide dannandolo per l’eternità. L’impianto moralistico è evidente. - Don Juan è un gentiluomo nipote dell’ambasciatore spagnolo a Napoli, figlio del favorito del re di Spagna il cui piacere sta nell’ingannare le donne. Non tanto il gusto dell’eros, il desiderio carnale, ma piuttosto un perverso desiderio cerebrale, un frigido compiacimento a cogliere il fiore della verginità della donna illibata per disonorarla riducendola al destino della sedotta e Riassunto a cura di Dario Apicella 27 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET abbandonata. Il suo intento è lasciarla senza onore, e per la società spagnola del tempo l’onore è un valore fondamentale. Inoltre Don Juan risulta immiserito dalla pratica che lo vede forte con i deboli, e debole con i forti. Tirso costruisce una macchina drammaturgica assai accurata, bilanciata sulla cadenza di quattro avventure in alternanza sapiente di classi sociali: la duchessa Isabella, la pescatrice Tisbea, poi Donna Anna figliadel nobile don Gonzalo il convitato di pietra, e infine la contadinella Aminta. • A Don Juan risulta facile sedurre le donne del popolo, operando a viso scoperto e giocando sul fascino della propria condizione e illudendo le malcapitate con la falsa promessa di un matrimonio garante di scalata sociale. • Con le gentildonne egli opera invece di notte e a viso coperto essendo l’aristocratica più scaltra e meno suggestionabile della donna del popolo. Il suo carisma non è infatti sufficiente a suscitare amore e Don Juan ricorre al subdolo inganno di travestirsi con i panni degli innamorati di Isabella e Donna Anna. Il buio della notte è la condizione necessaria, ma non sufficiente, per infilarsi nel letto della dama e rubarne la purezza. Non c’è grandezza nel Don Juan di Tirso, nemmeno difronte alla morte e all’eterno. Il personaggi non mette in discussione l’esistenza di Dio e nemmeno il rischio della dannazione eterna. Si limita a rimandare il problema calcolando che la morte per il momento non lo riguarda. E quando la morte giunge, inaspettata, prima del tempo, il nostro eroe rivela tutte le sue insicurezze e la fragilità del piccolo uomo. Quando il Commendatore gli afferra la mano e comincia a trasmettergli il fuoco fatale, Don Juan confessa di non essere riuscito a cogliere la verginità della figlia Donna Anna, perché questa si era accorta per tempo che si trattavi di un inganno, e implora l’aiuto religioso: pretende la confessione, l’assoluzione, vuole la certezza di essere salvato. Don Juan non è un ero del male, non è figura infernale, diabolica. Confronto con il Don Giovanni di Molière del 1665, che segue a trentacinque anni di distanza: prima dell’appuntamento con la morte è invitato a pentirsi da alcune apparizioni che minacciano la dannazione eterna. Ma il Don Giovanni di Molière non può pentirsi per il semplice fatto che non crede in Dio. Per Tirso, che è un frate e vive dentro il tempo della Controriforma, non è immaginabile un Don Juan ateo. Molière è un attore, libertino come quasi tutti gli attori, e vive in una società comunque aperta: Don Giovanni diventa un ero del male che si ribella a Dio in nome dei valori terreni della civiltà laica. Uno spirito libero e libertino che si è emancipato dai dogmi religiosi, spregiudicato sul piano della pratica sessuale. A differenza del Don Giovanni di Tirso quello di M. è autenticamente interessato al piacere istintuale dei molteplici rapporti con le donne, non c’è in lui il gusto perverso di ingannarle e disonorarle.

Pedro Calderón de la Barca (1600-1681) - Il suo capolavoro è La vita è sogno del 1635. - Basilio re di Polonia ha fatto incarcerare in una torre il proprio figlio unico Sigismondo, sin dalla nascita, in seguito ai nefasti auspici circa la sua natura malvagia, ma un’insurrezione popolare sconfigge il re e attribuisce la corona al legittimo erede che accorderà il perdono al padre. Sigismondo dovrà regnare perché figlio ed erede legittimo di re Basilo, e non già perché messo sul trono dal popolo. Questo è anche il senso del perdono accordato al padre. La legittimazione del padre è anche la legittimazione del figlio. - Basilo è tormentato, gli sembra di aver letto nelle stelle la natura sanguinaria del figlio, e per questo l’ha fatto crescere in prigione, carico di catene e vestito di pelli, bene educato culturalmente e civilmente dal custode Clotaldo. - Ma Basilio che ha incarcerato il figlio per timore della sua natura violenta, decide di lasciargli la possibilità di una prova. Sigismondo viene narcotizzato e trasportato dalla torre alla corte: Riassunto a cura di Dario Apicella 28 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET esplodono subito le sue pulsioni maligne, uccide un servo e tenta di violentare Rosaura, viene nuovamente narcotizzato e rispedito nella torre. Il ricorso al sonnifero è una misura prudenziale che Basilio adotta perché il figlio, in caso di fallimento della prova, abbia meno a soffrire: grazie al sedativo Sigismondo potrà pensare di aver semplicemente sognato la vita di re che ha condotto per un giorno solo. Sigismondo, risvegliatisi nella torre, si interroga su cosa sia vita e cosa sogno. La prigione o la reggia? E soprattutto come continuare a vivere se in qualunque momento ci si può risvegliare nella torre dopo aver governato da re? Il giovane prende atto che la vita e breve e su di essa non abbiamo nessun controllo. Questa considerazione lo porta a una maturazione, lo trasforma e lo spinge ad inibire i propri impulsi irrazionali ancor prima che la rivolta lo riporti sul trono. E ottenuta la liberta la sua scelta è chiara e definitiva: operare bene, che sia realtà o sogno. “Se è realtà perché lo è; se no per guadagnare amici, per quando dovessimo risvegliarci”. Egli è rinchiuso dalla nascita in un carcere spaventoso e ne ignora il motivo. Attraverso la sofferenza senza giustificazione ha scoperto il volto crudele del mondo. Dare la vita è l’azione più nobile del mondo, dice S. in un dialogo col padre, ma il dare per ritogliere è la maggior bassezza. Ma se teniamo conto che l’intreccio del dramma è una continua metafora dell’esistenza allora è consentito leggere anche l’afflitta meditazione intorno al destino dell’uomo, il lamento per una vita umana che è data per essere tolta attraverso il passaggio della morte cui nessuno può sfuggire. Quasi ad apertura di sipario il personaggio piange insistendo sul tema che la nascita stessa è un delitto e dunque l’esistenza è male, castigo.

LA SCENA FRANCESCE DEL SEICENTO -

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La Francia subisce maggiormente l’influsso della cultura classicista del Rinascimento italiano, data anche la vicinanza geografica. Dall’Italia provengono flussi ininterrotti di comici dall’Arte, sin dalla fine del Cinquecento, che si fissano a Parigi in pianta stabile a partire dal 1653 recitando in italiano in una sala vicina al Louvre, il Petit- Bourbon. Alla scuola dei comici dell’arte si pone in qualche modo Molière che, dopo aver a lungo girovagato per la provincia, alla testa della sua compagnia, si installa a Parigi nel 1658, dividendo proprio con gli italiani lo spazio del Petit-Bourbon. Alcune farse di M. sono chiaramente attinte al gusto dei comici dell’Arte. Dal punto di vista dello spazio teatrale, vale in Francia quella che si chiama appunto la sala all’italiana, con il pubblico disposto frontalmente agli attori che operano dinanzi a una scena prospettica. Bastano tre nomi in ordine cronologico - Corneille, Moliére, Racine - per dare il senso della pienezza artistica del Seicento francese, definito il Grande Secolo. Nel 1635 Richelieu, onnipotente ministro, fonda l’Académie Franḉaise, intrisa ovviamente di cultura classicheggiante, primo esempio di intervento statale nella gestione della cultura (il secondo sarà rappresentato dalla creazione, nel 1680, della Comèdie Franḉaise, esempio di teatro stabile sovvenzionato dallo stato. Il teatro è uno strumento nuovo nella storia culturale francese e nel corso del secolo si definisce come luogo privilegiato dei conflitti sociali, della contrapposizione di varie classi sociali: la borghesia, in ascesa, ambiziosa che tenta senza fortuna di accedere al potere politico; l’aristocrazia che, davanti al comando assoluto della monarchia francese, è irrequieta e sogna di riconquistare il vecchio potere feudale. Ed è l’aristocrazia a tentare di usare il teatro (tragico) come arma ideologica, per celebrare i valori che definiscono la propria superiorità di classe.

Pierre Corneille (1606-1684). Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Il Cid. - Trionfa con l’opera Le Cid, pubblicata per la prima volta con il sottotitolo di tragicommedia (genere a lieto fine, nuovo e di largo successo, caratterizzati tra l’altro da malintesi e falsa morte dell’eroe) e sottotitolata poi tragedia nella nuova versione. Vicenda ispirata alle cronache spagnole medioevali di lotta contri i Mori, all’epoca ancora dominanti nella penisola iberica, che valorizza un condottiero liberatore. Cid è l’ispanizzazione di Sid o Sidi, voce araba che significa Signore. La vicenda è ambientata a Siviglia, alla corte di Don Fernando, primo re di Castiglia. Don Diego (padre di Rodrigo) di età avanzata, e Don Gomez (padre di Chimène) nella piena maturità fisica sono due importanti uomini d’arme del re. Don Diego riceve dal re l’incarico di precettore dell’erede al trono e Don Gomes, ritenendosi più degno dell’incarico, insulta e schiaffeggia Don Diego il quale afferma che si deve rispetto al potere assoluto e che occorre non discutere quando un re ha deciso. Don Gomez invece ha un alta considerazione di se e ritiene che lo stati stia in piedi solo grazie al valore del suo braccio, se cade la sua testa cadrà anche la sua corona, e arriva a teorizzare che anche un re può sbagliare, come ogni essere umano. - I valori cavallereschi: siamo difronte al grande dibattito che appassiona la Francia di quegli anni fra assolutismo monarchico e anarchia feudale. Al centro ci sono i valori cavallereschimilitari in tutta la loro miope chiusura. Don Diego cerca di far capire a Don Gomez, compiaciuto dalla sua pienezza fisica, che c’è una legge di natura che un giorno varrà anche per lui “oggi voi siete quello ch’io sono stato un tempo”, ma lo schiaffo è un’umiliazione insopportabile alla luce del codice cavalleresco. Don Diego mette mano alla spada ma è troppo vecchio e un colpo efficace di Don Gomez gliele fa cadere. E’ il disonore per lui e per la sua stirpe, tanto vale che Gomez lo uccida perché non potrà sopravvivere alla vergogna. - Lo scontro fra Onore e Amore: il Cid è tutto innervato dal senso di razza, dall’esigenza di lavare nel sangue il disonore e l’obbligo di affidare ai familiari la vendetta. Rodrigo dovrà battersi contro il padre di Chimène. I due giovani si amano e il matrimonio era ben accetto dai rispettivi genitori, ma ora Onore combatte contro Amore – che è poi il grande tema del teatro di Corneille – ed è uno scontro ovviamente spettacolare e melodrammatico che spiega il grande successo di pubblico riscosso dall’opera. E i due giovani, imbevuti di tutti i valori e pregiudizi della classe aristocratica, non esitano a far prevalere l’Onore sull’Amore. Don Diego ordina al figlio “Muori o uccide” e Rodrigo, duro e implacabile, non solo vendica prontamente il proprio padre, uccidendo il padre di Chimène, ma davanti al dolore della ragazza non rinnega l’ omicidio dicendo che lo rifarebbe se dovesse. E la ragazza non rinuncia a chiedere giustizia al re per l’assassinio del padre. - Rodrigo soffre per aver ucciso il padre della sua amata e Don Diego per tutta risposta dice che l’onore e uno solo mentre le donne sono tante; l’amore non è che un piacere mentre l’onore è un dovere. Allo stesso modo ragionava Don Gomez, comunque ammirato nel vedere che l’onore prevale sulla passione sentimentale che egli nutre per la figlia. I due padri parlano la stessa lingua: l’amore è segno di rammollimento, cedimento, debolezza. La lingua dei giovani è invece più articolata, conosce le sfumature, si apre alle spinte contraddittorie del cuore. - L’intreccio è variegato e spettacolare. Il regno di Castiglia è ancora insidiato dai Mori che tenteranno nella notte di saccheggiare Siviglia. Il popolo ha paura, la corte è inquieta. Ecco allora che Don Diego consiglia al figlio di mettersi alla testa di un manipolo di cinquecento uomini per sconfiggere i Mori e guadagnarsi, forse, il perdono del re e di Chimène per l’omicidio di Don Gomes. Da notare che la Francia è anch’essa assai inquieta e impaurita a causa delle pressioni degli Asburgo a est, a nord degli spagnoli che controllano le Fiandre e a sud ancora degli spagnoli. Il pubblico non può non sentirsi coinvolto. Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Il mirabile successo militare di Rodrigo non può passare inosservato, il re non può punire colui che ha salvato la nazione da un assalto dei mori che la corte non ha saputo prevedere. Chimène continua a chiedere giustizia contro colui che è divenuto ormai eroe nazionale e dinanzi alle esitazioni del re offre la propria mano a quel cavaliere che, sfidando a duello Rodrigo, gli porterà la sua testa. Si tratta di un “antico costume” medioevale, ben vivo proprio nelle Francia di Richelieu, un’angoscia sociale che produce molte vittime a cui questi tenta di porre argine con alcuni editti. Il re concede, come soluzione di compromesso, che Chimène possa contare solo su un campione, Don Sancio, che viene indicato come “innamorato di C.”, opposto a Rodrigo che è amante di C.”. La lingua galante del Seicento – Settecento distingue fra l’amante (colui che ama riamato) e l’innamorato (colui che ama non riamato). Il re impone che Chimène sposi il vincitore. Si prepara il lieto fine visto che Rodrigo avrà ragione dell’inesperto rivale. Ma Corneille escogita un ultimo sorprendente effetto teatrale. Alla fine del quinto atto Don Sancio si presenta a Chimène con una spada in mano pronunciando queste parole “Obbligato a mettere ai vostri piedi questa spada…” Non può continuare il suo discorso perché Chimène lo copre di ingiurie, lo accusa di essere un assassino, si rifiuta di sposarlo e dice di volersi ritirare in convento. Solo quando C. arresta il diluvio verbale il povero giovine avrà modo di raccontare che è stato battuto e graziato dal meraviglioso Rodrigo, che lei a questo punto non può rifiutare di sposare. L’opera non rispetta le unità di tempo e di luogo aristoteliche, la vicenda si svolge in due giorni e l’ambientazione passa da scene in interno a scene in esterno. La caratteristica di C. è quella di adottare una doppia tattica: da un lato puntare sul consenso del pubblico mondano, anche incolto, e dall’altra cercare la legittimazione dei dotti sulla base dei successi conseguiti a livello popolare.

L’illusione teatrale (L’illusion comique) Ancora oggi messa in scena nei teatri, anche fuori dalla Francia, per il suo valore intrigantemente metateatrale, cioè di una commedia che parla del teatro, della condizione degli attori, della magia del palcoscenico e dei pregiudizi contro questa professione. Jean Racine (1639-1699) Autore di tragedie educato dalla severa tradizione del Giansenismo, che vede l’uomo inevitabilmente incline al male. Andromaca. - In una delle sue prime tragedie Andromaque, Oreste figlio di Agamennone in veste di ambasciatore giunge alla corte di Pirro, re dell’Epiro e figlio di Achille, come portavoce dell’intera Grecia preoccupata che Pirro non abbia ancora provveduto ad eliminare il piccolo Astianatte, figlio di Ettore, suo prigioniero. Tuttavia Oreste nasconde dietro l’incarico politico una mira personale. - Pirro è innamorato di Andromaca, vedova di Ettore e madre di Astianatte, formalmente sua schiava. Tuttavia, nonostante questo amore, Pirro è in procinto di sposare Ermione, figlia di Elena e di Menelao, di cui è innamorato Oreste il quale, non ricambiato, progetta a un certo punto di rapirla. Un po’ tutti i personaggi di Racine appaiono divorati dalla passione e dal desiderio amoroso in modo quasi nevrotico, sempre violenti pretendono di essere amati per forza e sono pronti a porre dei ricatti. - Pirro garantisce ad Andromaca che difenderà la vita di Astianatte ma chiede in cambio di essere amato da lei. In caso contrario non esiterà ad ucciderlo. Di fronte a una prima resistenza Riassunto a cura di Dario Apicella 31 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET di Andromaca, Pirro, decide di sposare Ermione ma appena vede Andromaca cambia parere e decide di sposare quest’ultima. Ermione naturalmente si risente. Nel primo atto da notare che Pirro si rifiuta di consegnare Astianatte ad Oreste ma, al termine del dialogo, lo invita ad andare a salutare Ermione, non ignorando il legame di parentela tra i due (sono cugini) e l’amore di Oreste per Ermione. Egli getta Oreste nelle braccia di Ermione appunto nella speranza di liberarsene per sfuggire ad un matrimonio che gli è stato imposto. Ci sono cadenze da autentica commedia, più che da tragedia, anche se preferiamo parlare di dramma pre-borgese che valorizza ed esalta personaggi che hanno perso ogni sentimento di grandezza, ogni senso del proprio grado aristocratico, del proprio ruolo pubblico. Oreste fa solo finta di essere al servizio della causa patriottica dei Greci; Pirro con trasparenza e sfrontatezza arriva a rinnegare i valori della stirpe e della nazione greca: promette ad Andromaca, in cambio del suo amore, che farà da padre a suo figlio e lo educherà a vendicare i troiani e a far risorgere Ilio di cui egli sarà re. Dichiarazione questa di alto tradimento, rinnegamento totale delle proprie radici che si consuma in prima battuta in ambiente ristretto fra i due personaggi ma verrà ribadita pubblicamente quando Pirro sposando Andromaca, ponendo il diadema regale sulla sua fronte, dirà: “Dichiaro nemici miei i suoi, e lo riconosco per re dei Troiani”. I Greci presenti alle nozze reagiranno uccidendolo come traditore della patria. La modernità di Racine, molto rappresentato sulla scena teatrale francese contemporanea, sta proprio nella sua capacità di scavare nella psicologia dei personaggi di illuminare l’inconscio tenebroso e inquietante dei suoi eroi e delle sue eroine. Racine ha una raffinata cultura classica, legge i tragici greci e fa tesoro della chiave interpretativa di Euripide nel trattare i personaggi della seconda generazione omerica, ovvero i figlio degli eroi che devono confrontarsi con modelli insuperabili. Non c’è dubbio che Pirro sembri ossessionato dall’urgenza di affermarsi segnando una contrapposizione con il padre glorioso Achille: Achille ha ucciso Ettore e Pirro intende spostarne la vedova; Achille ha organizzato, in accordo con Menelao, il matrimonio di Pirro con Ermione e proprio per questo Pirro non ha interesse per lei. Ermione (figlia di Elena) respinta e offesa dalle parole di rifiuti di Pirro aspira a vendicarsi grazie all’aiuto di Oreste (figlio di Agamennone), ma egli non è all’altezza della situazione. Racine ce lo presenta come un giovane immaturo e insicuri che tenta di resistere comicamente ai progetti omicidi di Ermione che, per farsi conquistare, vuole che Pirro muoia per mano di Oreste il quale è anche sfortunato poiché i Greci insorgono e uccidono Pirro all’istante prima che questi possa entrare in azione. E mentre Ermione si suicida sul cadavere dell’amato Pirro, Oreste dichiara la sua volontà di uccidersi, ma si limita a dar di matto. I tre figli di eroi ne usciranno sconfitti, unica a trionfare è la figura forte della straniera, Andromaca, che si presenta come figura austera, chiusa, raccolta nella memoria di Ettore e nell’amore del figlio Astianatte. Per Euripide , Andromaca è la concubina di Pirro da cui avrà un figlio chiamato Molosso. Euripide è realista e non ha paura di riprodurre i comportamenti reali degli uomini della società greca per cui un comandante vittorioso si porta tranquillamente a letto le schiave che gli sono toccate. Anzi, precisa che Andromaca era molto ambita fra i duci greci come bottina di guerra per la sua fama di moglie insuperabile. Racine impedisce azioni volgari e brutali: Pirro rispetta Andromaca e si guarda bene dall’usarle violenza, ma non potendo rappresentare la violenza materiale ci presenta la sconvolgente ferocia della violenza psicologica dei ricatti cui Pirro sottopone Andromaca costretta a scegliere fra la vita di Astianatte e il suo rifiuto di sposare Pirro. Andromaca non può sposarlo, è ancora troppo forte il trauma, la ferita della distruzione di troia, è troppo forte il ricordo di Pirro che si apre la strada sui cadaveri dei suoi fratelli. Tuttavia riapre il discorso, dopo il primo rifiuto, accetta di sposare Pirro sia pur ripromettendosi di uccidersi subito dopo la celebrazione delle nozze. Pirro viene ucciso dai Greci che si sentono in pericolo in quanto Andromaca è diventata regina e da ribelle Riassunto a cura di Dario Apicella 32 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET si trasforma in vedova fedele, ora che Pirro è morto, pronta a vendicare Ettore sotto la finzione di vendicare Pirro dai i suoi assassini. Fedra - Un grande personaggio femminile che ama incestuosamente Ippolito, figlio di primo letto del proprio marito Teseo. Un mito già trattato teatralmente da Euripide e da Seneca a cui Racine, allievo dei Giansesisti, aggiunge la dimensione del peccato, o meglio della fatalità del peccato, il senso di una sorta di predestinazione che spinge ineluttabilmente al male. E soprattutto ci aggiunge uno scavo psicologico accanito che mette a nudo l’anima della protagonista, scissa tra passione e senso morale. - A livello di intreccio Racine modifica la tradizione greco-latina nel senso che Ippolito non è più misogino cultore di Diana, dèa della caccia e della castità, ma ama la giovane Aricia. Questo accresce ulteriormente la pulsione di Fedra che soffre un tormento ignoto alle consorelle di Euripide e Seneca. - Ippolito apre la tragedia annunciando a Teramene la propria partenza ma non si capisce per dove. Da più di sei mesi Teseo è scomparso – dice - e lui vorrebbe andarne alla ricerca ma confessa di ignorare quale luogo possa nasconderlo. Teramene che ha già setacciato in lungo e il largo il territorio afferma cinicamente che non è il caso di preoccuparsi di Teseo, noto donnaiolo: se non da notizie è perché vuole stare in santa pace con qualche nuova amante. Ippolito è invece convinto che Fedra sia riuscita a placare l’incostanza di Teseo (Fedra discende da Minosse e Pasifae che si accoppiò con il toro e partorì il Minotauro). - Curiosamente Ippolito, per smarcarsi rispetto a suo padre, è innamorato di Aricia, principessa di sangue reale che vanta diritti sul trono di Atene i cui sei fratelli sono stati sterminati da Teseo che ha posto il veto a qualunque matrimonio della sorella superstite al fine di evitare che nasca un vendicatore. L’Ippolito di Racine si apre all’amore guarda caso, fra tutte le donne del mondo, proprio rivolgendo le sue attenzione verso Aricia. Una maniera per contrapporsi al padre e cercare una identità. Suo padre è scomparso da più di sei mesi ed egli ama Aricia da quasi sei mesi. Ippolito cresce cercando di opporsi al padre, ma ci riesce solo se il padre è lontano, possibilmente morto. Se Ippolito rifiuta l’ipotesi di Teramene è perché il suo inconscio punta all’ipotesi dell’annientamento di Teseo. Solo il suo annientamento libererà il figlio dal padre padrone. Ippolito vuol dunque partire alla ricerca del padre ma i suo progetti in realtà sono altri. L’amore di Ippolito è tutto cerebrale. Si illude di amare ma in realtà combatte la sua battaglia contro il padre. - Si sparge la falsa notizia della morte di Teseo. Ecco che Aricia si fa beffe del veto nuziale di Teseo ed è pronta ad accogliere l’amore di Ippolito. Aricia, più acuta e disincantata, si mostra innamorata del potere che ha scoperto di avere su un uomo e per lei la relazione con Ippolito è solo la prima mossa di una partita di potere politico che, solo, le interessa. Alla notizia della morte di Teseo, senza lacrime o pensieri commossi, Ippolito azzera immediatamente i comandi del padre e ridà la liberta personale ad Aricia offrendole il trono di Atene. Ed è propri ad Atene che Ippolito intende recarsi al fine di ricompattare la sua candidatura e quella di Aricia al trono contro altri candidati. Senza nemmeno parlarne a Fedra delibera che il fratellastro, figlio di Fedra e di Teseo, si potrà tenere ciò che appartiene a sua madre, il possedimento di Creta. - Ma Ippolito non fa neanche in tempo a partire che Atene ha scelto, come re, proprio il fratellastro di Ippolito - Teseo ritorna inaspettatamente e rimane sorpreso dalla freddezza del figlio e della moglie. Ippolito ha respinto tutte le avances di Fedra ma Enone, la nutrice-confidente, riporterà al padrone la falsa notizia del tentato stupro perpetrato da Ippolito su Fedra. Teseo riflettendo interpreterà come un atteggiamento di colpevolezza l’atteggiamento intimidito di Ippolito che Riassunto a cura di Dario Apicella 33 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET trema alla vista del padre perché si sente in colpa per aver sognato la morte del padre e per essersi dichiarato ad Aricia. Teseo invocherà a Nettuno la sua morte. Jean Baptiste Poquelin, detto Molière (1622-1673) - Figura nuova di attore-scrittore legato alla commedia con ascendenza nella commedia italiana e nella commedia dell’Arte. Non un semplice attore fra gli attori, come Shakespeare, ma leader indiscusso della sua compagnia teatrale. Autore di una serie di capolavori assoluti per i quali il titolo commedia è troppo riduttivo, benché non si possa parlare di tragedia. Si tratta di pièces che preparano alla lontana quello che sarà il cosiddetto dramma borghese che nascerà nel corso del Settecento e si imporrà in Europa alla fine dell’Ottocento. - Moliere scrive spesso in versi, e non sempre in prosa (come nelle commedie italiane del primo Cinquecento). - i suoi personaggi cominciano comunque a respirare vivamente lo status sociologico della condizione borghese anche se manca una definizione puntuale dell’habitat borghese. Non c’è ancora il salotto borghese, come cornice esaustiva (ossessiva e claustrofobica) dell’azione scenica. Le vicende si svolgono indifferentemente in interni e in esterni, e anche gli interni non sono molto precisati.

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Tartufo. La vicenda si svolge nella casa di un ricco mercante, Orgone. La didascalia dice che la scena è ambientata a Parigi. Per tutto il primo atto non è chiaro in quale stanza si svolga la vicenda. Giunti alla prima scena del secondo atto il luogo comincia da animarsi. Orgone si accinge a parlare segretamente alla figlia per imporle il matrimonio con Tartufo, ma prima di avviare il dialogo “guarda in uno stanzino” per controllare che nessuno sia li ad origliare. Ignoriamo ancora in quale spazio preciso della casa di orgone si svolga la vicenda ma sappiamo che c’è una petit cabinet, uno stanzino da cui è possibile origliare tutto ciò che viene detto in scena. Una prima importante indicazione viene fornita: nella casa di orgone si origlia molto. Tutti sono in tensione per la strana infatuazione che Orgone mostra di avere per Tartufo, lestofante che si finge anima pia e che Orgone si è messo in casa e con cui vuole persino imparentarsi, facendolo sposare con la figlia di primo letto, e dunque tutti sono in ascolto, origliano. Orgone ha appena il tempo di dichiarare la sua ferma volontà alla figlia che immediatamente compare la serva Dorina che ha già origliato e sa che siamo al punto decisivo ed è intenzionata ad opporsi al padrone. Damide figlio di Orgone nella prima scena del terzo atto si nascondo nello stanzino per origliare il discorso fra Tartufo ed Elmira, moglie in seconde nozze di Orgone, ma nel momento in cui Tartufo si fa audace con la matrigna e passa ad allungare le mani, con un colpo di scena, Damide salta fuori dal suo nascondiglio e dichiara di aver sentito tutto e di essere intenzionato a divulgare quanto ha udito. Molière, a differenza di Shakespeare, impianta il proprio teatro sulla base di un’attenzione maggiore alle tematiche dello spazio e alla dimensione della prossemica (rapporto di distanza o vicinanza che gli attori mantengono sulla scena). Elmira vuole smascherare Tartufo agli occhi del marito, fargli capire che si tratta di un avventuriero, di un ipocrita dal punto di vista morale, il quale vorrebbe anzi portarsi a letto la moglie del suo protettore, oltre che a sposarne la figlia. Oltre alla dimensione dell’ascoltare, dell’origliare, del sentire, si impone ora quella del vedere. Affinché Orgone possa vedere, il luogo ideale non è più lo stanzino, ma il tavolo sotto il quale si nasconderà Orgone. Elmira dirà “avviciniamo quella tavola, e mettetevi di sotto”. Una tavola quindi spostata in proscenio perché Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET sia in maggior luce per il pubblico che potrà vedere non solo il dialogo tra Elmira e Tartufo ma anche e contemporaneamente Orgone che assiste alla scena. Il marito accovacciato sotto la tavola è una gag che toglie violenza alla scena incriminata, un modo per rendere la sequenza più farsesca una scena tabù. Elmira insiste sul fatto che non si deve assolutamente ripetere una sorpresa come quella fatta da Damide. Non basterà dunque guardare dentro lo stanzino, ma occorrerà che Tartufo controlli dappertutto e soprattutto che chiuda la porta a chiave. La geografia della dimora di Orgone si dilata via via e si fa più intrigante e interessante, quasi misteriosa. Il capolavoro di Molière mette a fuoco una scena tabù, almeno per la coscienza del secolo, di tentativo di seduzione di una donna sposata, tanto più grave perché condotta nella casa medesima della donna, sotto gli occhi del marito, benefattore del potenziale adulterino. Non cisi scandalizza di un padre che pretende di far sposare la figlia ad un uomo da lei detestato ma ci si scandalizza della corruzione domestica di Tartufo ai danni di Elmira. Molière ripropone per ben due volte la scena del gioco di seduzione Elmira-Tartufo, e due volte ricorre all’artificio di un terzo personaggio che origlia. Tartufo gioca scoperto: tasta le dita di Elmira, le mette una mano sul ginocchio. Sarà poi Elmira a prendere l’iniziativa, e poco importa che ella finga. Forse, almeno inconsciamente, Elmira si vendica del marito che non vuole credere al corteggiamento di T. facendosi corteggiare da lui sulla testa di Orgone. E proprio perché ha preso l’iniziativa è ora prigioniera del contrattacco di Tartufo il quale pretende un bacio. Elmira tossisce per be tre volte, per segnalare al marito che Tartufo si sta spingendo oltre. Tartufo pretende di soddisfare il proprio piacere, ne vuole, ne esige il pagamento con la brutalità e la durezza di una tassa dovuta. Orgone che si è abbassato ad origliare la seduzione di sua moglie da parte del suo molto amato amico tartufo, ha difficoltà ad uscire fuori. Non bastano tre colpi di tosse e un pugno sul tavolo a fargli capire che è tempo che egli esca dal suo nascondiglio. Orgone è sordo ai segnali di Elmira perché non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Egli ama tartufo più di quanto ami sua moglie e sua figlia. Se questo è vero Orgone può anche accettare di vedere sua moglie sedotta dal suo amato tartufo. Infatti non uscirà da sotto al tavolo neanche al grido disperato di Elmira la quale rinuncia a chiedere aiuto al marito e manda Tartufo ad aprire la porta per controllare che Orgone non sia nel corridoio. Tartufo va a controllare e l’assenza di questi porta Orgone ad uscire da sotto al tavolo. Secondo un critico, Ferreyrolles, Orgone ama Tartufo più di sua moglie ma non può tollerare che T. ami sua moglie senza amare lui. Elmira sarebbe la sua rivale e non già Tartufo. Orgone sarebbe cioè innamorato di Tartufo. Ma la verità è più complicata. Il segreto dell’opera non è l’omosessualità fantasma di Orgone ma il triangolo. L’inconfessabile segreto di Orgone è questo: amare insieme, in due, una donna. Vedere l’altro che possiede la propria donna. Il peso della tradizione classica spinge Molière e Racine a posizionarsi sulle corsie opposte della commedia e della tragedia ma l’uno e l’altro autore, sia pure in maniere differenti, portano avanti uno scavo nell’io, un’indagine spietata dell’inconscio.

SETTECENTO: LA NASCITA DEL DRAMMA BORGHESE - Il teatro moderno nasce dalla riscoperta rinascimentale del teatro classico e conosce nel Cinquecento e Seicento solo gli antichi generi della “commedia” e della “tragedia” a cui si aggiunge il genere rinascimentale della “pastorale”. - Bisogna arrivare a metà del Settecento perché si definisca il nuovo genere del “dramma” che ancora oggi è alla base dello scrivere per il teatro. Genere nuovo inventato dalla borghesia europea di metà Settecento che imprime la propria drammaturgia facendo valere prima di tutto il proprio spazio, la propria casa, il salotto borghese. Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Affiora la richiesta di una drammaturgia capace di rendersi libera dai condizionamenti delle convenzioni letterarie e sceniche, la volontà di ospitare la società, che comincia ad essere egemonizzata dal ceto borghese, e i suoi autentici protagonisti. Siamo difronte ad una domanda molto forte di realismo, di massima coincidenza fra il dato della vita e il dato della scrittura, elemento fondante della cultura borghese. Denis Diderot. (1713-1784), fissa due punti basilari del nuovo discorso della cultura borghese: 1) il valore pedagogico del teatro, la sua capacità di fare “impressione” sugli spettatori; 2) ma anche la qualità dei contenuti drammaturgici, che non devono più essere attinti al grande repertorio della convenzione classicista, con i suoi miti, i suoi eroi, le sue vicende già tutte tipicizzate, ma vanno estratti dalla dimensione calda della vita vissuta. Lo spazio scenico diderotiano (Il padre di famiglia) è rappresentato dal salotto della casa borghese. Siamo insomma introdotti nel cuore della vita quotidiana di una casa borghese, con tutti i riscontri – estetici e di conforto – del vivere agiato. Il pubblico teatrale assiste al buio a una scena illuminata in cui operano gli attori, i quali, accecati a loro volta dalle luci della ribalta tendono di fatto a non vedere il pubblico reale seduto in platea. Accusato di aver tratto il suo Figlio naturale da Il vero amico di Carlo Goldoni. La fondazione del dramma borghese non si risolve però solo nell’individuazione di uno specifico spazio scenico, definito con i tratti dell’interno, del salotto borghese. Diderot nel suo Il figlio naturale salda la storia d’amore e la storia di soldi attraverso un isatnza di moralità dall’accento borghese. I personaggi parlano sempre di denaro, di “fortune” che diviene quindi il segno linguistico di una ossessione sociale. Il dramma è dunque, come detto, una trascrizione scenica di una storia vera. Non più “finzione” ma “verità”. Siamo ad una svolta capitale della storia del teatro. La borghesia si sente così egemone da osare di raccontare sé stessa: gli amori, i sentimenti, ma anche i soldi. I quali, a loro volta, generano e veicolano una precisa etica mercantile. Nel 1761, pochi anni dopo i due testi teatrali di D., Goldoni compone quella straordinaria Trilogia della villeggiatura che mescola genialmente dissipazione finanziaria a dissipazione amorosa. Dunque tra Diderot e Goldoni si definisce un filo destinato a portare alla piena individuazione del dramma borghese. Prima di arrivarci (e saremo alla fine dell’Ottocento) occorre vincere molte resistenze e passare attraverso un lunghi purgatori. Il teatro moderno nasce infatti come divertimento di corte, nel Rinascimento italiano, ma poi anche presso le grandi monarchie di Parigi e Londra, e la classe borghese si appropria dello strumento teatrale solo attraverso lacerazioni e psicodrammi di grande entità. C’è un ala conservatrice, rigorista della borghesia, che teme il teatro, che lo vede come piacere cortigiano, giocattolo nelle mani del potere aristocratico. La borghesia puritana di Cromwell, quando prende il potere in Inghilterra, non solo decapita il re ma impone anche per un ventennio la chiusura dei teatri. Il teatro resta l’affare di un settore minoritario della borghesia stessa che, per evidente subalternità sociale e culturale al mondo aristocratico, è bene lieta di condividere con i nobili questo culto della scena. Il problema è quello di assimilare il teatro al punto di vista borghese, sottraendolo alla sua dimensione di giocattolo di corte, per piegarlo a un uso di classe, per inserirlo pienamente nelle strategie della classe borghese. Jean-Baptiste d’Alembert (1717-1783) propone di togliere l’ostracismo (esiliare, allontanare) al teatro, che durava a Ginevra dal 1617, e che la città si dotasse di una compagnia teatrale liberando gli attori dalla condizione di “pensionati” del re (che vivono cioè di una sovvenzione elargita dal potere), da un lato, e dall’altro di oggetto di riprovazione e anatema da parte della Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Chiesa e da parte della borghesia. Egli teorizza con grande convinzione il valore pedagogico del teatro (nella formazione dell’uomo). Su questa linea si muove, un decennio più tardi, la pubblicazione periodica “Drammaturgia d’Amburgo” del tedesco Lessing (1729-1781). Un gruppo di cittadini influenti e di ricchi commercianti decide di dar vita al primo teatro stabile della scena tedesca, una specie di Teatro Nazionale, con una compagnia di attori fissi. Questo avviene non per nulla ad Amburgo, città mercantile, punto più avanzato e ricco della società tedesca del tempo. Lessing, assunto come drammaturgo e consulente, appoggia la stagione teatrale con la pubblicazione “Drammaturgia d’Amburgo”. Egli punterà ad una recitazione che escluda affettazioni e sguaiataggini farscesche. E’ un momento fondamentale anche per il consolidarsi della critica teatrale come professione nuova, nata con il diffondersi della carta stampata periodica, anche se un primo contributo importante è venuto dal giornale “The Spectator” di Richard Steele e Joseph Addison, padri fondatori del giornalismo inglese. Entrambi scrittori teatrali ma soprattutto intellettuali organici della classe borghese che dopo la rivoluzione di Cromwell ha fondato per la prima volta in Europa un modello di monarchia costituzionale. Il giornale si rivolge ad una new class: il commercio, le relazioni fra i sessi, le mode culturali, e il teatro sono al centro delle pagine del giornale. In Inghilterra, come detto, il teatro è legato alle logiche ludico-edonistiche dell’ambiente di corte, ma con l’inizio del Settecento aumena nei teatri londinesi la presenza dei citizens, abitanti della City (borghesi, artigiani, apprendisti) cui corrisponde l’avvento di una nuova dinastia reale poco interessata al teatro. Il percorso di impossessamento del teatro da parte della borghesia è insomma un percorso lento e accidentato. La riprova la offre la situazione italiana, in ritardo rispetto al panorama europeo più avanzato, anche prendendo come riferimento il territorio veneto, tradizionalmente uno dei più ricchi mercati librari d’Europa, dove non per nulla si diffonde per prima la pratica del giornalismo. Qui manca un sviluppo mercantile e lo spessore filosofico-letterario degli illuministi francesi. Giuseppe Baretti, intellettuale aperto, che viaggia e vive a lungo in Inghilterra, ha tuttavia un approccio al teatro arcaico, da puro letterato. Non capisce che il teatro può esistere anche senza drammaturghi ma non viceversa. Agiterà la sua frusta (“La frusta letteraria”) per colpire proprio Goldoni. Baretti gli rinfaccerà di aver composto sedici commedie nuove nell’arco di un solo anno. Egli non viene sfiorato dal dubbio che il testo teatrale sia scritto per la rappresentazione; pensa piuttosto che la rappresentazione sia un intralcio alla lettura diretta del testo. Gasparo Gozzi, animatore di due altri importanti periodici, assicura un appoggio convinto alla riforma goldoniana, ma le sue recensioni teatrali parlano quasi esclusivamente dei testi e non già degli allestimenti. La gracilità della critica italiana, ancor più nel confronto con le esperienze europee, è l’altra faccia della gracilità complessiva della scena italiana, del suo debole rapporto con una classe borghese incapace di diventare egemone. Addison dedica fior di interventi a mettere in ridicolo i limiti della costumistica degli attori tragici inglesi che impone agli attori rigidità. David Garrick (1717-1779) il maggior attore inglese del Settecento, responsabile della riforma della recitazione in stile più naturale e quotidiano non è ancora nato ma Addison opera per smantellare la recitazione istrionica, per favorire la razionalizzazione dei quadri scenici, la verosimiglianza e la naturalezza dell’impostazione attorica.

Carlo Goldoni (1701-1793)

Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Rappresenta la punta più moderna della scena italiana, che ha rotto con la tradizione dello scrittore chiuso nel proprio studio. Goldoni è un poeta di compagnia, vive accanto agli attori, è uno dei primi a guadagnarsi l’esistenza con la propria professione di scrittore teatrale. Non c’è in Goldoni il sapore della vita borgese vissuta, come in Diderot. Gli spazi delle sue commedie sono formalmente vuoti. - La Locandiera (1753) si svolge, come dice il titolo in maniera trasparente, in una locanda, luogo anonimo, quasi pubblico, pura zona di passaggio fra l’esterno e l’interno. Siamo in un periodo di passaggio tra l’esterno e l’interno, nell’individuazione di uno spazio chiuso che esalti la separazione fra pubblico e privato, con l’affermarsi delle tematiche della famiglia borghese. In Goldoni l’ambiente conserva ancora qualcosa di indeterminato di generico. Gl’innamorati sono collocati “in una stanza comune, in casa di Fabrizio”; il primo atto della Casa nova (1760) è in una “camera d’udienza”. Ma più spesso le indicazioni sono scarne e incerte. Goldoni è ancora insensibile al fascino dell’interno borghese. Le sue stanze sono generiche, prive di indicazioni significative. Lo spazio interno ancora informe di Goldoni si arricchisce qualche volta di una connotazione fondamentale, quella delle porte, luoghi di passaggio, che dovrebbero difendere l’intimità dell’interno e che invece si rivelano oggetto di violenza esterna. - Nel cuore della Locandiera scopriamo un’improvvisa didascalia meno generica del solito “camera con tre porte”. A partire da questo dato Goldoni costruisce un intenso e crudele balletto di militaresca asprezza. Mirandolina si rifugia nella stanza e si chiude a chiave dentro, perché inseguita dal Cavaliere di Ripafratta, deciso a prenderla anche con la forza, per antica pretensione nobiliare nei confronti delle ragazze di classi sociali inferiori. Egli batte e percuote la porta, deciso a “sforzarla”, in attesa di poter sforzare anche la padrona. Mirandolina fugge dalla parte opposta, lasciando al suo posto il fido servo Fabrizio, che riceve l’aiuto del Marchese e del Conte giunto dalla “porta di mezzo”, come è giusto che sia dal momento che sono per definizione coloro che si mettono in mezzo, cercxando formalmente di mediare fra il cavaliere da un lato e Mirandolina-Fabrizio dall’altro lato, ma in realtà schierandosi, per logica di classe, dalla parte del Cavaliere. Mirandolina si percepisce a giusta ragione perduta e si salva facendo l’unica cosa che non ha mai fatto per tutta la durata della commedia, prendere per marito il servo Fabrizio. - Nel 1761, pochi anni dopo i due testi teatrali di Diderot, Goldoni compone quella straordinaria Trilogia della villeggiatura che mescola genialmente dissipazione finanziaria a dissipazione amorosa. Giacinta, fidanzata di Leonardo, si innamora di Guglielmo, ma il suo disordine morale e l’altra faccia del disordine economico della propria casa e della casa di Leonardo. Leonardo vuole sposare Giacinta perché è pieno di debiti e conta sulla di lei dote, ma anche il padre di Giacinta, all’ultimo, deve scoprire amaramente di non avere in cassa gli ottomila scudi che ha promesso. Alla fine Giacinta è costretta a sposare senza amore Leonardo proprio perché non è possibile rifiutare a Leonardo il duplice frutto di una duplice promessa: gli ottomila scudi e il cuore di Giacinta. Giacinta è l’unico personaggio moderno della galleria goldoniana, il più passionale, in qualche modo anche preromantico, ma anche per il suo spessore sociologico. E’ la figlia di un mercante ma è anche la figlia non degenere di un padre degenere che si è mangiato il patrimonio in villeggiature e golosità e che è pronto a sacrificare la figlia rifilandola senza dote allo spiantato Leonardo. Il linguaggio di Giacinta rivela invece l’adesione automatica, convinta, ai valori del mercante. Non può rinnegare la parola data, tanto più se la parola data è una parola scritta. Il testo scritto è la materializzazione dell’ordine, nel sistema dei valori borghesi. La scrittura contabile fotografa gli andamenti finanziari della buona economia, e la scrittura matrimoniale i movimenti sentimentali della buona coppia. La scrittura matrimoniale coincide in qualche modo con la scrittura contabile. Sancisce l’impegno d’amore Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET di Giacinta per Leonardo, ma anche l’impegno finanziario del padre di Giacinta a consegnare a Leonardo ottomila scudi. L’INTERMEZZO CLASSICI-ROMANTICI - La strada per arrivare al completo trionfo del dramma borghese, definito da Diderot con il rinforzo teorico di Lessing, è lunga e accidentata. A metà del Settecento commedia e tragedia cominciano ad essere arnesi non più funzionali e sono sul punto di essere soppiantati dalla nuova forma teatrale del dramma (o dramma borghese). - Il francese Beaumarchais (1732-1799) sembra muoversi perfettamente dentro il solco del genere comico, di classica fattura, con Il Barbiere di Siviglia, ma il matrimonio di Figaro affianca a toni farseschi timbri nuovi, anche intensamente drammatici, che si aprono a una forte satira sociale contro il dispotismo della nobiltà e della magistratura del tempo. - La tragedia appare irrimediabilmente condannata, legata com’è all’ideologia aristocratica, messa in crisi prima dalle riflessioni degli intellettuali dell?illuminismo e poi dalla Rivoluzione Francese del 1789. Ma per tutto il Settecento e fino all’inizio dell’Ottocento, molti letterati continuarono a coltivare la tragedia classicistica, fondata sulle buone regole delle unità di tempo e di luogo. Esempio tipico è il francese Voltaire (1694-1778) che resta fedele alla forma canonica della tragedia, nonostante la curiosità intellettuale che lo spinge a cogliere la genialità di uno Shakespeare, così lontano dalla tradizione classicista.

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Vittorio Alfieri (1749-1803) In Italia l’autore più significativo in questo senso è Vittorio Alfieri che intraprende una lunga e accanita battaglia nella gara fra gli intellettuali per diventare sommo tragico, sulla scia del presunto primato della tragedia fra i generi letterari. Con zelo, nelle sue tragedie di contenuti greco-romani, si attiene alle regole aristoteliche e sfronda gli interlocutori, per ritrovare l’essenzialità dei pochi personaggi della tragedia greca: scompaiono i confidenti che normalmente circondavano i protagonisti (vedi Racine e teatro italiano e francese dei Seicento e Settecento). Siamo difronte a un disperato sforzo intellettualistico.

Antigone (1776-1777) - Con Antigone si rifà alla tradizione illustre di Sofocle: i figli di Edipo (Polinice ed Eteocle) si sono uccisi in battaglia, il secondo difendendo Tebe, il primo attaccandola. Creonte, cognato di Edipo, governa la città, e decreta che il cadavere di Polinice resti insepolto, per dare un segnale terrorizzante a chi attenta alla libertà della patria. Antigone, sorella dei due morti, disobbedisce al comando e seppellisce Polinice, salvo incorrere nell’ira di Creonte che la condanna a morte, nonostante il figlio Emone, ami Antigone. - Alfieri segue sostanzialmente la traccia fissata dalla tradizione tragica ma con timbri differenti: il Creonte di Alfieri vuol punire Antigone non tanto per dare una lezione politica, ma piuttosto per rafforzare il proprio potere. Egli si percepisce come un usurpatore ( ha approfittato di edipo che si è accecato e della morte dei due figli maschi) e Antigone non perde occasione per rinfacciarglielo. Il Creonte alfieriano è un piccolo Machiavelli, un tirannello domestico che pensa alla propria casa. Lavora per la prole, per l’unico figlio che gli è rimasto (il primogenito è morto per salvare Tebe). Non c’è ombra di moglie al suo fianco e la sorella Giocasta (per Alfieri a differenza di Sofocle) si è suicidata alla notizia della morte dei figli. Creonte vive tutto nella relazione con il figlio. Questo buon funzionario di stato, che per anni ha servito pensando al regno, tacendo e obbedendo alla stirpe di Edipo, si è finalmente realizzato. - Ma ora che tocca a lui, che è riuscito a riportare ordine e un minimo di serenità, per tutti i tebani, salendo sul trono che pensa destinato al figlio, ecco che il figlio non capisce, non Riassunto a cura di Dario Apicella 39 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET apprezza, non mostra gratitudine né letizia. Anzi, Enone rinfaccia al padre il suo interesse ossessivo per il potere. Per Emone il padre ha “rapito” il trono che spetta ad Antigone e il diviato di seppellire Polinice è solo un piano messo in atto affinché Antigone contravvenga all’interdetto. La sua repressione è preventiva e serve a sbarazzarsi della superstite legittima erede al trono. Ma quando nel terzo atto Creonte viene a conoscenza del sentimento che Emone nutre per Antigone, improvvisamente e sorprendentemente, mette da parte i suoi maneggi criminali ed è disponibile, non solo a perdonare Antigone, ma addirittura ad imparentarsi con lei, a farla regina, in quanto moglie di suo figlio. Era politicamente prudente uccidere Antigone, per rafforzare il trono destinato al figlio, ma se il trono si rafforza egualmente con il matrimonio anziché con l’omicidio, perché no? Creonte abituato a ragionare su fatti concreti, e non sugli stati d’animo e sulle pulsioni amorose, non ha dubbi, e nemmeno prende in esame i dubbi di Emone che vorrebbe dare tempo ad Antigone senza imporle la brutalità di un ricatto improvviso. Alfieri riprende il modello di Sofocle, ma innova su un punto capitale, immagina una alternativa (il matrimonio anziché la condanna) che mina alla base l’intreccio tragico. La tragedia è sul punto di trasformarsi in una commedia a lieto fine, basta che Antigone accetti. Eppure Antigone rifiuta. Anche se non dice subito no. Prima di rifiutare l’offerta si concede un margine di trattativa, vuole vedere le carte, vuole sapere cosa veramente conceda il tiranno. La mano di Emone non le interessa. Creonte che tutti siano come lui, interessati al potere. Ed è qui che sbaglia. Antigone non è propriamente insensibile al potere ma la cosa decisiva è il legame con il padre che Creonte ha cacciato in esilio. E Antigone, consapevole di essere la legittima erede al trono, è disposta a trattare. Accetta di mercanteggiare ma è lei a dettare le condizioni “se vuoi ch’io viva, / rendimi il padre”. Emone assiste esterrefatto a questo dialogo. Fin qui ha sempre parteggiato per Antigone, di contro al padre, ma questa volta bilancia accortamente le parole: il rifiuto di Antigone è “degno” di lei, ma anche lo sdegno di Creonte è “giusto”. Ma Emone non si ritrova in quella dinamica di potere. Si offre quindi come vittima innocente, apre il petto al pugnale di Antigone perché solo così sarà possibile rimotivare la logica del sangue: Creonte potrà uccidere a buon diritto Antigone, ma non per rafforzare il trono, bensì per vendetta del figlio ucciso per mano di lei. Antigone potrà vendicarsi di Creonte, ma non attraverso fumose scelte vittimistiche, bensì colpendo il tiranno nel suo risvolto paterno. Con questa doppia simmetrica dichiarazione, Emone ripropone i valori borghesi della famiglia, della paternità, dei legami domestici, di contro agli intrighi di potere e alle borie aristocratiche. Creonte ha appena sentenziato che Antigone non può accettare il matrimonio con Emone perché sarebbe un’unione troppo casta per una degna figlia di edipo, ed ecco che Emone, insapettatamente crudele, ribadisce l’irrisione citando nuovamente Edipo.

Il romanticismo. - Ma la tragedia di impianto classicistico non è solo insidiata da una vita sociale che è sempre più borghese e bottegaia, mercantile. Tra fine Settecento e primo Ottocento il classicismo è insidiato dal modello della tragedia romantica. - Se la Francia è la patria del dramma borghese, tedesco è il grande movimento culturale del romanticismo che ha nello Sturm un Drang (“Tempesta e assalto” fiorito intorno al 1770) la sua prima espressione di massima visibilità. I tedeschi Friederich Schiller (1759-1805) e Wolfgang Goethe (1749-1832) contrappongono al dramma diderottiano (ma anche alla tragedia classicista che da Corneille arriva a Voltaire e ad Alfieri) il modello del genio assoluto di Shakespeare, libero dagli impacci delle regole aristoteliche, pronto a mescolare tragico e comico, e soprattutto prontissimo a dare sfogo all’erompere della passione. Riassunto a cura di Dario Apicella 40 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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I romantici tedeschi: • ribadiscono la centralità della tragedia pura, come espressione dell’Io in rivolta contro la realtà esistente; puntano a distruggere l’ingessatura classicistica, soprattutto aristotelica, che da sempre blocca la forma tragica. • Così facendo definiscono una strategia che guarda verso il realismo e alla contemporaneità. • alla piattezza della prosa oppongono la poesia, il verso; • al controllo delle passioni l’esplosione delle passione; • alla strutturazione dei personaggi in un quadro per così dire corale il violento individualismo del protagonista assoluto; • allo spazio interno del salotto borghese gli spazi aperti. Luigi Allegri fa notare che anche la drammaturgia romantica è borghese, se non nell’ambientazione, certo nei valori che la fondano e nella rivendicazione della propria modernità. Il romanticismo esporta tensioni morali e teorie estetiche più che tipologie drammaturgiche. Né le tragedie manzoniane, né quelle di Hugo a ancor meno quelle dei romantici tedeschi – nonostante il successo de I masnadieri di Schiller – risultano in qualche modo vincenti. Il teatro romantico ha in Frnacia vita brevissima, non più di quindici anni. Il romanticismo italiano ha una struttura assai gracile e le due tragedie manzoniane non sono mai esistite come evento teatrale. Vince il dramma diderottiano, perché la borghesia, nel momento del suo consolidamento, ha più bisogno del teatro come strumento sociale, come luogo in cui rappresentare fedelmente e riconoscibilmente i propri valori.

Alessandro Manzoni (1785-1873) - Si concentra essenzialmente sul problema dell’unità di tempo e di luogo di aristotelica memoria e individua la duplice conseguenza negativa di quelle unità: una di ordine estetico: impediscono molte bellezze e producono molti inconvenienti di verosimiglianza. Una di ordine morale: Manzoni sottolinea il posto preponderante che il tema passionale-amoroso ha nel teatro tragico francese. E’ la predominanza di questo tema che fonda l’immoralità. L’amore costituisce il motivo principale di tutte le tragedie francesi percchè la passione d’amore è quella che meglio si presta, per sua stessa natura, a svolgersi nel giro ristretto delle canoniche dodici o ventiquattro ore. Così tutti gli altri sentimento dell’uomo che non siano l’amore, tutti i sentimenti che per nascere e svilupparsi hanno bisogno di un maggior lasso di tempo, vengono fatalmente esclusi dalla rappresentazione teatrale. Altri problemi, per l’uomo forse più importanti dell’amore, vengono a cadere fuori dallo stretto ambito concesso dalla tragedia classicamente imposta. - La ricerca del vero – il vero storico: il fondo autentico della poetica di Manzoni consiste in un bisogno di verità. Il vero è la sorgente della poesia. Un vero che coincide con il vero storico. Il Carmagnola e l’Adelchi sono tragedie storiche, ma l’una e l’altra sono poi, come è noto, un discorso sul presente, alludono alle difficoltà di un’Italia contemporanea divisa, che aspetta lo sforzo unitario del Risorgimento. - Il nazionalismo: per l’intera civiltà romantica il gusto della storia è solo un modo per capire il proprio passato, e dunque il proprio presente. Il culto romantico del Medioevo sorge dal fatto che nel Medioevo sono le radici degli stati nazionali. Il nazionalismo, che caratterizza il movimento romantico, è bisogno di riscoperta di sé, della propria identità, linguistica e politica. Alfred de Vigny (1797-1863) grande poeta romantico francese, allestisce Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Chatterton, sovraintendendo direttamente alla messa in scena. Si tratta di una vicenda ambientata a Londra, nel 1770, e Chatterton è il nome di un giovane povero poeta, che vive in affitto in casa del ricco borghese Jhon Bell, della cui moglie Catherine detta Kitti, il giovane è perdutamente innamorato. Ma si tratta di un amore romantico, reso impossibile dalla moralità della donna, che pur contraccambia il sentimento. Alla fine il giovane si avvelena mentre la donna muore letteralmente di dolore sul suo cadavere. Nobile affresco sul dissidio fra il poeta e la società capitalista, sul potere che uccide la fantasia e l’intelligenza, ma anche uno scavo sulla condizione della vita familiare della borghesia, sulle tensioni adulterine che serpeggiano nella vita di coppia. Jhon Bell è fra i quarantacinque e i cinquanta anni, sposato a Kitti che di anni ne ha ventidue circa. Ha una prima figlia di sei anni, questo vuol dire che è andata sposa a solo quindici, e che a sedici era già madre. Una bambina-madre, una bambina-moglie. Quasi una storia di pedofilia a voler esser cattivi. La povera giovane appare tremante al cospetto del marito che invece è uomo avaro e geloso, servile con gli aristocratici e insolente con i piccoli. Maschera del capitalismo nella fase dell’accumulazione originaria del capitale (nascita del capitalismo in Inghilterra). La vicenda di Chatterton si svolge nel “retrobottega” lussuoso e confortevole della casa di Bell. La casa del personaggio, situata in campagna, è anche bottega, sorta di ristorante bar, che dà da mangiare e da bere ai lord che vanno e tornano dalla caccia o dopo l’attività politica. Bell ricava profitto economico dal suo lavoro di ristoratore ma, soprattutto, intreccia conoscenze e amicizie su cui potrà contare in futuro. Davanti alle insinuazioni di Lord Talbot, in presenza del marito e di altri Lord, circa l’interesse di Chatterton per Kitty e nonostante il loro tentativo di reagire a queste malignità, il marito incassa in maniera formidabile, senza la minima protesta. Vigny mette in luce la psicologia ambigua e malsana di John Bell che sembra viscidamente pronto a tutto, pur di avvantaggiarsi di frequentazioni aristocratiche. Kitty Bell ne esce infangata, moralmente violentata. È percepita dagli altri come preda del desiderio erotico, animale da razziare, essere socialmente inferiore, borghesuccia che non potrà non piegarsi alle brame degli oziosi aristocratici, tanto più se incoraggiati da quel servilissimo marito che ella si ritrova. Kitty scopre che due Lord hanno addirittura scommesso sul successo di Lord Talbot nel portarsi a letto la giovane. Ha inoltre scoperto un’antica amicizia di studi tra Lord Talbot e Chatterton e questo le fa nascere il sospetto che Chatterton sia un cinico donnaiolo al pari degli altri e si sia finto povero andando a vivere in affitto da Jhon Bell semplicemente per corteggiarla e sedurla. Kitty lo ama di un amore spirituale e si sente sporcata nel suo amore casto. Soltanto il suicidio finale del poeta rassicurerà Kitty, e la morte, per lei e per lui, ricomporrà l’unione dei cuori, al di là di un amore impossibile.

Alexandre Dumas figlio (1824-1895) figlio del celebre autore de I tre moschettieri, sulla scia di una linea drammaturgica che intreccia sentimenti, passioni e barriere sociali, nel 1852 fa rappresentare La signora delle camelie, riduzione teatrale di un suo romanzo, ispirato ad una propria personale vicenda. Impasto sapiente di venature romantiche e melodrammatiche (una morte per tisi, l’amore impossibile tra il buon giovane e la prostituta, la donna perduta che si riscatta nel sacrificio) e di quadri sociali e di costume (la società mondana del tempo, la mentalità conservatrice di un padre). - E’ la storia di una prostituta di lusso, Marguerite Gautier, legata agli ambienti alto borghesi della speculazione finanziaria, che entra in contatto con un giovane di buona famiglia, Armand Duval, il quale rischia di rovinarsi economicamente per lei. Il padre del giovane convince la donna a rompere la relazione e la donna acconsente, nonostante sia per questo pubblicamente umiliata da Armand. Alla fine Marguerite muore di tisi ma papà Duval le conduce su letto di Riassunto a cura di Dario Apicella 42 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET morte il figlio: la donna muore facendosi promettere da Armand che sposerà una donna buona e onesta. Lo spettacolo ebbe un successo strepitoso che dimostra l’interesse della classe borghese verso rappresentazioni – più o meno realistiche con correzioni sentimentali – delle problematiche della vita quotidiana: la famiglia, la questione femminile, l’adulterio, il divorzio, ecc.

Il vaudeville Da voix de ville, voci dalla città è il genere lungamente dominante a Parigi fra metà anni trenta e metà anni quaranta dell’Ottocento, in epoca pienamente romantica. Si tratta di un prodotto industriale fatto in serie, a più mani, con una forza drammaturgica esile, in cui parti dialogate si alternano a canzonette. Con il tempo scompaiono le parti cantate, ma resta una struttura di teatro leggero, costituito da imprevisti e situazioni piccanti, sempre a base di sesso, ovviamente a lieto fine. Il vaudeville è il punto di partenza dei più popolari autori francesi, dominatori della scena parigina ed europea: Scribe, Labiche, Sardou, Feydeau. Ad esclusione di Sardou (che si impone anche con drammi come Tosca, poi musicato da Puccini nel 1900), sono tutti autori che trionfano con quella che si chiama la pièce bien faite, “l’opera ben fatta”, elaborata con grande perizia artigianale, sul filo di un ritmo sempre teso, talvolta indiavolato, in una girandola di comicità, intrighi complicati e storie di adulteri. Fine Ottocento tra Marx e Freud: LA GRANDE DRAMMATURGIA EUROPEA E LA PICCOLA DRAMMATURGIA ITALIANA. -

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La borghesia fatica ad assimilare il teatro, nato come giocattolo di corte, e poi gradualmente assimilato come elemento del proprio intrattenimento social-mondano (più che culturale). Il teatro come occasione di riflessione e autocritica da Ibsen a Pirandello: verso gli ultimi decenni dell’Ottocento, superato l’intermezzo romantico, si determina una divaricazione importante all’interno della borghesia: quella che contrappone il divertimento all’istruzione, lo svago alla riflessione intellettuale. Si tratta di una battaglia importante ingaggiata da un’ala minoritaria, ma intellettualmente agguerrita, della borghesia, determinata a investire il teatro di una funzione che storicamente la cultura borghese ottocentesca ha riservato semmai al romanzo, quella cioè di cogliere e di comunicare i segni profondi dei mutamenti epocali che il trionfo del capitalismo ha comportato a livello europeo. La popolazione di Londra, Parigi, Berlino, New York e Mosca aumenta e si creano condizioni assolutamente inedite per il mercato dello spettacolo. Gli edifici teatrali si moltiplicano nel tessuto cittadino e Parigi che in questi anni è la capitale d’Europa. Lo sviluppo delle reti ferroviaria da è per Parigi con se una più agevole circolazione delle merci e delle persone. Un flusso inaspettato di nuovi starti di spettatori si riversa su Parigi che vanta una ventina di spazi destinati specificamente alla prosa. Si tratta di un pubblico nuovo, eterogeneo, sicuramente meno acculturato, costituito da nuovi ricchi, donnine leggere, commercianti e mantenute con sete avida di denaro, di divertimento e sesso (situazione rispecchiata dalla drammaturgia francese come già accennato). Si affermano forme particolari di teatro come il cafè-chantant o cafè-concert, cioè un locale in cui i consumatori possono ascoltare musica ed esibizioni di canto. Sviluppo urbanistico e profitto commerciale vanno a braccetto. Nel corso della seconda metà dell’Ottocento Parigi conta centocinquanta locali del genere e la macchina spettacolare si fa più viva e articolata. All’inizio c’è solo una pedana per il cantante e un’orchestrina ridotta; poi si passa a piccoli palchi all’italiana in fondo alla sala con fossa d’orchestra e qualche ordine di palchi. A musicisti Riassunto a cura di Dario Apicella 43 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET e cantanti si affiancano comici, danzatori, acrobati, giocolieri, ventriloqui, fachiri, illusionisti, performance varie tra cui petomani. Uno spettacolo destinato a diventare con il tempo il vero e proprio teatro di varietà. Si assiste allo spettacolo fumando, bevendo, mangiando. Il dato artistico è degradato a semplice integrazione della consumazione, della chiacchiera. In un celebre caffè concerto parigino si ha agli inizi degli anni novanta il primo esempio di strip-tease, che mostra il lento spogliarsi, ancora non integrale, di una fanciulla prima di andare a dormire. D’altra parte tutto il teatro dell’Ottocento, sia maggiore che minore, è governato dalla logica del visuale, del piacere dell’occhio. Domina ovunque la sala all’italiana, l’architettura teatrale è a ferro di cavallo, con palchi. Il centro di gravità non è tuttavia il palco ma la platea. Lo spettacolo è nella sala, nei palchetti: gli spettatori sono attori che si offrono alla vista di altri spettatori. Le nuove risorse della chimica e della fisica mettono scenografi e macchinisti in condizione di realizzare effetti impressionanti come naufragi, inondazioni, incendi. Siamo nel regno della tela dipinta, ma si è andata perfezionando la tecnica della prospettiva e del trompe-l’oeil (inganna l’occhio) che consente di creare illusioni di oggetti in rilievo su superfici piane. Il gioco scenico dell’attore si adegua volentieri e rapidamente a questa scelta strategica di un teatro di visione. La produzione drammatica di un Ibsen, di Strindberg, di un Cechov e poi di Pirandello e di tanti altri autori impegnati del Novecento, rappresenta un piccolo settore della realtà effettiva del tempo, ma di grande importanza

Henrik Ibsen (1828-1906) - Il teatro del salotto borghese: Norvegese, principale rappresentante di un teatro che si pone come momento di alta e sofferta riflessione sulla condizione borghese. E’ l’inventore di quello che possiamo chiamare il teatro del salotto borghese. Con lui giunge al termine il lungo percorso di messa a fuoco della drammaturgia borghese iniziato con Diderot. - Le didascalie…diventano significative: con Diderot le didascalie iniziano ad infittirsi per definire meglio l’interno della casa (rispetto alle generiche indicazioni di uno Shakespeare, di un Molière ma anche di Goldoni contemporaneo di Diderot). Ed è con Ibsen queste didascalie diventano significative, cominciano a raccontare la vita dei personaggi prima ancora che i personaggi siano entrati in scena. I personaggi di shakespeare e di Molière possono muoversi e parlare ovunque, anche in uno spazio aperto, per così dire pubblico; i protagonisti di Ibsen possono solo stare nelleloro case, che sono connotate come le loro, con caratteristiche particolari, insostituibili, non intercambiabili. - Ibsen, il poeta delle porte socchiuse: Nel teatro di Ibsen si origlia moltissimo. Non sono tanto i servi ad origliare i padroni, ma i padroni ad origliare i padroni. In lui il tema dell’origliamento non è sempre esplicito ma solo genialmente alluso, accennato. - La discussione: con Ibsen il teatro diventa lo specchio critico della società, il luogo deputato a dibattere seriamente le grandi questioni della famiglia, del lavoro e della carriera. A differenza della pièce bien faite di fattura francese che consente alla classe borghese di rispecchiarsi a teatro in modo gradevole, comico possibilmente e di facile consumo. Ibsen sottrae al teatro la dose tradizionale di sentimentalità e di amore, e introduce la novità formale della discussione, della svolta determinata nel corso del dramma dall’attimo in cui uno dei personaggi dice “Sediamoci e parliamo” in cui si impone la riflessione, l’analisi del problema. - Nasce la tecnica analitica dei drammi ibseniani e di tutto il teatro moderno: Freud farà stendere i pazienti sul lettino, Ibsen si accontenta, per il momento, di farli sedere in poltrona o sul divano. Quando i personaggi sono comodi e rilassati, sono anche più disponibili a tirar fuori problemi e Riassunto a cura di Dario Apicella 44 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET confessioni. Lo scatto di Ibsen rispetto alla linea Diderot- Goldoni è proprio qui: non solo intrecci familiari, relazioni sentimentali, lavoro, soldi ma anche la potenza delle pulsioni vitali, degli stimoli profondi che si spalancano e si scatenano. I mostri dell’inconscio evocati sulla scena: i personaggi hanno scheletri dentro gli armadi e il dramma ibseniano si incarica di aprirli, di metterli allo scoperto. Rebekka di Rosmersholm, dama di compagnia della moglie di un ex pastore luterano, la spingerà al suicidio nel sogno delirante di prenderne il posto. Hedda Gabler ha un legame torbido con il defunto padre al punto di continuare a farsi chiamare con il nome del padre pur essendo ormai sposata a un marito che disprezza e che non ama. Il suo suicidio finale è leggibile in chiave di una turbata psicologia. Il costruttore Solness è dominato da pulsioni inconsce che non riesce a controllare. Massimo castri, uno dei più geniali registi del teatro italiano contemporaneo, parla di Ibsen come il “gemello” di Freud. La drammaturgia ibseniana nasce nell’Ottocento, come per altro la psicanalisi di Freud, ma come quella si prolunga ben oltre l’Ottocento gettando la sonda a uno stato profondo, inesplorato dell’animo umano.

Una casa di bambola (1879) - Si apre su una didascalia che parla di un salotto accogliente pieno di gusto ma arredato senza lusso e di una piccola biblioteca con libri rilegati splendidamente. E’ il salotto di gente che se ne intende, che ha classe. Purtroppo però, per il momento non può spendere come vorrebbe. Si attende il posto da direttore di banca di Torvald Helmer e i nuovi stipendi dirigenziali. Artefice della grazia e del calore di quel salotto è Nora, sua moglie. - Il terzo escluso: Ibsen inventa il personaggio funzionale alla felicità della coppia. L’amico di famiglia dottor Rank, scapolo, malato terminale, vorrebbe essere al posto di Torvald, godere del suo focolare (e della padrona di quello). L’amore per la donna dell’altro è anche l’amore per il focolare dell’altro. Il piacere della donna coincide con il piacere per lo spazio che questa donna gestisce, accudisce, cura. - Torvald è cinicamente cosciente del ruolo strumentale del terzo escluso. Si eccita maggiormente se la sua propietà privata è desiderata dall’amico di famiglia. Rank è un perfetto (ma innocuo) cavalier servente, che rinforza il matrimonio senza minacciarlo. Copre i buchi che Torvald lascia aperti nel suo ménage: è Rank che fa la conversazione, che parla con Nora, che la ascolta. Tutte cose che T. non può fare perché troppo occupato dal suo lavoro, dalla sua carriera, e comunque troppo occupato da sé stesso, dal proprio narcisismo. - Il salotto borghese: quando si dice che Ibsen è il maggior poeta del salotto borghese, vogliamo anche dire che questo spazio si dilata e si articola in molteplici tende, tappeti, portiere (tendaggi pesanti a protezione del freddo) che attutiscono i rumori, che attenuano la luce per definire un ambiente caldo, riservato, discreto offerto alla privacy dell’agiato borghese. Ma tutto ciò finisce anche per sollecitare travalicamenti, oltrepassamenti di spazi, origliamenti. Ciò che va tenuto celato può essere spiato. - Ibsen, il poeta delle porte socchiuse: la famiglia borghese dell’Ottocento si avvale di collaboratori come il cocchiere, la cameriera, la cuoca, una balia. Nora ha con se la cameriera e una vecchia balia. E’ ovvio che tutti questi esterni in casa aiutano, per un verso, ma per un altro turbano e minacciano l’intimità familiare. Nel teatro di Ibsen tuttavia non sono tanto i servi ad origliare i padroni, ma i padroni ad origliare i padroni. Nel teatro di Ibsen si origlia moltissimo. In lui il tema dell’origliamento non è sempre esplicito ma solo genialmente alluso, accennato. August Strindberg (1849-1912) I suoi primi capolavori, nel gusto del Naturalismo, risultano fortemente incentrati sul tema dello scontro dei sessi. Ne Il padre abbiamo un marito e una moglie che litigano per il tipo di Riassunto a cura di Dario Apicella 45 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET educazione da dare alla figlia, e la moglie – pur di avere il sopravvento – insinua nel coniuge il dubbio che non sia lui il padre carnale della ragazza, al punto da determinarne il crollo nervoso e da spingerlo verso la follia.

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Ne La signorina Julie la lotta dei sessi si intreccia con la lotta di classe. Nella notte di San Giovanni, 24 giugno occasione rituale di scatenamenti orgiastici, si confrontano la contessina Julie e il suo servitore Jean. Fuori impazza la danza popolare ma Julie – che ha rotto da poco con il proprio fidanzato – è eccitata e coinvolta dal clima di disordine e trasgressione che accompagna la magica ricorrenza. E’ lei a invitare a ballare il servitore, in spregio alla presenza di Kristin, la cuoca, che ha una storia d’amore con Jean. Strindberg ci fornisce un’informazione a prima vista gratuita, provocatoria, relativa al fatto che Julie ha le mestruazioni in corso. Un modo per sottolineare la carica passionale, instintuale, della sessualità della donna che provoca Jean e se lo porta a letto. All’alba, dopo la notte di furia erotica, la contessina non può accettare di continuare a vivere sotto quel tetto e vuole fuggire. Jean è ben disposto, si illude per un attimo di realizzare la scalata sociale che sogna da sempre: immagina di aprire un albergo per turisti di classe tra la Svizzera e l’Italia con i soldi che Julie deve rubare al conte-padre, fuori casa nella notte di San Giovanni. Ma la distanza sociale è troppa e l’attrazione fisica non riesce a prevalere sulle diverse sensibilità e sui risentimenti di classe che dividono i due, nonostante l’intimità che si è creata. Jean continua a darle del lei e riesce ad usare il tu solo nei momenti in cui si insultano, con devastante brutalità. Straordinaria è la potenza espressiva del finale del dramma. Julie si accinge a partire con Jean portandosi la gabbietta del suo amato uccellino. Ma il servo, spirito pratico, insensibile ai sentimentalismi di Julie si rifiuta di viaggiare tre giorni per l’Europa con quell’ingombro. Mette l’uccello sul ceppo della cucina (dove si svolge tutta la vicenda) e lo decapita con l’accetta. Julie a quel punto confessa chiaramente la sua fantasia di evirazione di Jean, a risarcimento di un rapporto che ella ha percepito comunque come violenza (violenza psicologica del servo che ribalta la gerarchia). Strindberg non esita a dichiarare che il linguaggio dell’eros è anche il linguaggio della violenza e non solo della tenerezza. Il sangue: motivo insistente che percorre da cima a fondo il testo: il sangue mestruale ricordato all’inizio, il sangue della decapitazione dell’uccellino ma anche della decapitazione di san Giovanni Battista di cui parla il Vangelo il 24 giugno e infine il sangue suggerito dal rasoio che Jean consegna alla fine a Julie perché si tagli la gola, unica soluzione all’impossibile fuga d’amore della contessina e del suo servo. Sangue come difficoltà di contatto fra i sessi (C’è sangue fra di noi” è il grido di Julie.

Anton Cechov (1860-1904) Russo, terzo grande rappresentante della drammaturgia europea, sembra operare una radicale trasformazione del dramma di fine Ottocento. - Il salotto borghese della tradizione - dall’aria vagamente asettica, luogo che esalta la civiltà borghese del conversare, in cui si parla e al massimo si gusta una tazza di tè – si degrada leggermente, perde la sua dimensione di luogo delimitato verso l’esterno, di zona privilegiata dell’intimità soggettiva e tende a porsi come una sorta di paradossale luogo pubblico in cui la gente circola liberamente. Nel salotto del quarto atto del Gabbiano c’è un divano alla turca che funge da letto, si vedono personaggi portare lenzuola, coperta, cuscino. Nel terzo atto del gabbiano siamo in una sala da pranzo e si vedrà Trigorin fare colazione. La materialità dei Riassunto a cura di Dario Apicella 46 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET bisogni fisiologici invade uno spazio in cui la borghesia era solita autorappresentarsi e autocelebrarsi nelle sue attitudini più nobili e spirituali. Anche la camera del protagonista di Zio Vanja presenta in primo piano un letto. La sua camera privata è in realtà un ufficio ed è un logo dal quale entrano ed escono continuamente i contadini. - Il salotto da interno si fa esterno perché Cechov sembra attratto dalla dimensione del fuori, dall’aperto. Il primo atto del Gabbiano è ambientato in una parte del parco della proprietà di Sorin; nel secondo atto siamo nello spiazzo per il croquet. Il primo atto di Zio Vanja è situato in un giardino, così l’atto finale delle Tre sorelle, mentre il secondo de Il giardino dei ciliegi ci trasporta in campagna. - Siamo difronte ad uno spazio dilatato in cui viene a situarsi un numero dilatato di personaggi. Strindberg può costruire La signorina Julie con solo tre personaggi; Ibsen Spettri con cinque; ,a Cechov ha sempre bisogno di una dozzina di figure. E non è questione di dati numerici. Qualche volta Ibsen può anche avere tanti personaggi quanti ne ha Cechov, ma c’è sempre un eroe, un protagonista, circondato da un coro di altri personaggi. In Cechov c’è un gruppo di personaggi privo di un centro. E’ sempre problematico individuare l’attore principale di un testo di Cechov. In uno spazio più vasto si muove una folla di persone che propende a dividersi in piccoli gruppi, negli angoli e negli anfratti del quadro della scena. - Anche la struttura del dialogo muta. Non più la prevalenza di duetti, ma scambi di battute limitati a pochi interlocutori, un’insistenza decisa sui concertati corali. Cechov, non meno di Ibsen e Strindberg, sembra appartenere alla civiltà del Naturalismo, ma appartiene invece, semmai, a quella del Simbolismo. Il Naturalismo, di cui Emil Zola è il massimo rappresentante, si preoccupa di cogliere la realtà come un approccio scientifico, fotografico, con particolare attenzione alla dimensione sociale dei rapporti umani. Il Simbolismo (sostanzialmente contemporaneo al Naturalismo) tende invece a cogliere una dimensione altra della realtà (sogno, inconscio, pulsioni spirituali, ecc).

Tre sorelle (1901) - Il sipario si apre e la prima battuta detta dalla sorella maggiore Olga, sorta di capofamiglia delle tre ragazze orfane di padre e di madre che ricorda che l’onomastico di Irina coincide con il giorno in cui è morto il loro padre, generale Prosòrov, il quale a sua volta è morto il giorno della morte di Napoleone. Non è un caso che sia così. Si tratta di modi di sottolineare la centralità dominante e ossessiva – nell’immaginario delle ragazze – di questo padre-generale affascinante e carismatico. - A ben vedere c’è lo stesso culto del padre e la stessa assenza della madre di Hedda Gabler di Ibsen, dove nulla viene detto della madre, come se fosse morta da sempre. Nelle tre sorelle sappiamo che è morta da almeno undici anni. Quando inizia la vicenda le tre sorelle hanno un’età compresa tra i venti e i trent’anni. Risulta evidente che tutte e tre le figlie sono cresciute sotto l’ala del padre. E tutte e tre, esattamente come H.G. non riescono ad avere una vita sentimentale soddisfacente perché tutte vittime del complesso edipico, come direbbe Freud, e nessun candidato al matrimonio più rivaleggiare con il modello paterno. Olga non si è sposata e nemmeno Irina ha tanta voglia di sposare il tenente Tùsenbach, che non è bello come dovrebbe sempre essere un militare e si è dimesso dall’esercito. - Solo la sorella mezzana, Mascia si è sposata con uno squallido professore di ginnasio (grigia copia del marito di H.G. professore di università) di cui soffre la grossolanità, la mancanza di delicatezza e gentilezza. Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Mascia si innamora a prima vista del tenente colonnello Vierscìnin perché si tratta di un militare (di grado anche alto), che in passato è stato agli ordini del generale P e che ora è giunto in quel luogoper uno scatto di carriera. Un profilo che si disegna all’interno del profilo del padre, anche lui giunto in quel paese per uno scatto di carriera. In lui non vi è nulla di affascinante, non fa che ripetere una serie di banalità e si rivela per quello che è: parte di una casta oziosa e parassitaria che non sa fare nessun lavoro, che non ha né arte né parte. Egli stesso dichiara di essere già quasi vecchio ma di sapere poco, tanto poco. Quadro sociale di insufficienza, presunzione e spocchia miste a facili dichiarazioni di buoni propositi, di una classe dirigente sull’orlo dell’abisso, a pochi anni dalla Rivoluzione Russa del 1917. Mascia ama Vierscinin perché è un miliare e Vierscinin ama Mascia perché è la figlia di un militare. Questi militari che non sanno nulla e non sanno far nulla, non hanno né arte né parte, ma sono dei perfetti cavalieri, sanno corteggiare e ragionar d’amore. Elite oziosa e parassitaria i cui amori stanno all’interno della casta militare. Cebutykin, il medico militare, è stato amante della madre delle tre sorelle ed è forse anche il padre naturale di Irina. Mascia si muove nel solco del padre ma anche nel solco della madre e vuole capire se Vierscinin è della stessa razza degli amanti fedeli, come Cebutykin che ha amato sua madre e della cui relazione lei è a conoscenza. Anche le donne non sono da meno. Olga insegna e diventa nel corso dei quattro atti che abbrancano un lasso di cinque anni) direttrice del ginnasio, ma non fa che lamentarsi per il troppo lavoro e per i continui mal di testa. Irina dice di aver capito tutto su come vivere, che l’uomo deve lavorare e sudare del suo lavoro ma in realtà, quando finalmente tocca a lei, di lavorare, non gliene va bene uno, di lavoro. Non trova soddisfazione, dimagrisce dalla sofferenza. A ben vedere le tre sorelle non fanno che sognare, esattamente come H.G., il tempo felice della loro vita con il padre (oziosa e fuori dall’ottica faticosa del lavoro) e le conversazioni colte nelle molte lingue straniere che conoscono quando c’erano gli attendenti per casa.

La piccola drammaturgia italiana. Di respiro corto, con scrittori spesso autori di un solo testo, senza capacità di fondare una linea di sviluppo, di dare continuità allo slancio creativo. Achille Torelli, Marco Praga, Giuseppe Giacosa. Giuseppe Giacosa Tristi amori 1887, tre anni prima che Antoine faccia conoscere alla Francia (e all’Europa) Ibsen mettendo in scena Spettri. - In Giacosa come in Ibsen ritroviamo la questione della famiglia, del rapporto uomo-donna che si mescola alla volontà di ascesa sociale, con la determinazione dei maschi a realizzarsi nel loro lavoro. - In Tristi amori l’avvocato Scarli è un self-made man che tiene uniti studio e domicilio familiare per vecchia sapienza risparmiatrice; la casa non esibisce un ricco salotto della tradizione ottocentesca, bensì un modesto tinello, dove è la stufa in terracotta e i panni della bambina ad asciugare. Anche la serva di casa ha introiettato il valore dell’economia. - Il guaio è che far coincidere spazio professionale e domestico il giovane avvocato Fabrizio, conte decaduto di padre scialacquatore e immorale, finisce per circolare per casa e diventare l’amante della moglie. Una brava moglie borghese che diviene adultera perché il marito non ha tempo per ascoltarla, perché il marito pensa solo e soltanto al lavoro e per via del fascino dell’aristocratico che fa presa sulla casalinga dalla formazione romantico-sognatrice, sposata a un villan rifatto . Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Un sapore sotterraneo di lotta di classe che mette insieme un borghese arrivato e un aristocratico spiantato. L’avvocato ha caro l’aristocratico ragazzi di studio, lo vezzeggia, lo protegge, se lo tiene in casa fuori dall’orario di lavoro per giocarci a carte. Godimento segreto e inconfessato di avere come subalterno, come aiutante, un antico nemico di classe, uno sporco aristocratico. Ma in ciò che fa fabrizio c’è un odio di classe inconscio, lo stesso che agisce nel proprio padre che falsifica le firme dell’avvocato Scarli su una cambiale. Il padre si appropria della firma dell’avvocato e il figlio della sua consorte.

Come le foglie (1900) - Giovanni Rosani, professionista che lavora in Borsa, ha fatto fallimento e il disastro spinge la moglie e il figlio a smarrirsi, incapaci di accettare il nuovo tenore di vita. Giovanni è un uomo onesto ma anche lui ha i suoi lati ambigui. Si inventa un secondo lavoro, che coltiva clandestinamente, per far fronte alle spese in eccesso. Si chiude nella sua solitudine di bue da lavoro, in fondo contento. Dà molto in fatica, in denaro perché non vuole dare nulla in attenzioni psicologica, umana, affettiva. Non ha nulla da dare alla famiglia, nulla da dire e da comunicare. E’ un padre che diserta e alla fine può essere più colpevole della moglie e del figlio. Responsabile anche del fallimento della figlia che sta per suicidarsi per la disperazione di non avere un punto di riferimento in quella casa sconquassata. IL TEATRO DEL GRANDE ATTORE tra fine Ottocento e primi Novecento. L’Ottocento dal punto di vista teatrale è un periodo molto complesso in cu si intrecciano fili diversi che si svolgono in contemporanea: - la drammaturgia (esaminata in precedenza) - gli attori e un modo di fare teatro fondato sugli attori che culmina nell’Ottocento e che ha radici nel fenomeno della Commedia dell’Arte. - la nuova figura del regista. Le compagnie italiane. I ruoli: - Risultano basate su un organico di ruoli: il primo attore, la prima attrice, il brillante, il caratterista, l’attor giovane, l’attrice giovane, la seconda donna, il promiscuo - Il generico: al di sotto di questi stanno i generici utilizzati in parti drammaturgicamente appena abbozzate, cioè generiche, tali che l’attore possa fungere indifferentemente in parti da giovane o da vecchio. - Il primo attore e la prima attrice ricoprono il ruolo di maggiore importanza anche se paradossalmente hanno diritto di scelta prioritaria sulle varie parti, qualunque esse siano, a condizione che non si discostino troppo dalle proprie possibilità artistiche. In una visione un po’ tradizionale il primo attore deve essere un bell’uomo, imponente, con voce potente. Tommaso Salvini, massimo interprete italiano del secondo Ottocento, è sicuramente il prototipo del primo attore ideale. Così alla prima attrice è richiesta figura maestosa, anche un po’ giunonica, voce non deficiente. Così era Adelaide Ristori, grande attrice del secondo Ottocento, cui segue la Duse che impone invece, con la sua genialità, la variante di un fisico più gracile e di una bellezza più irregolare. - Il brillante è sempre un ruolo maggiore che introduce una nota più leggera nei testi seri e che diventa determinante nei testi comici assumendo la funzione di motore dinamico della vicenda, spesso finendo per assorbire il ruolo del primo attore. Nel teatro del Novecento il brillante si Riassunto a cura di Dario Apicella 49 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET trasforma a poco a poco, raffinandosi sempre più, nella figura del raisonner, ironico e sottile, spesso portavoce dell’autore. Esempio tipico il Laudisi del pirandelliano Cosi è (se vi pare). Il caratterista è legato ai personaggi della drammaturgia molièriana e goldoniana sebbene la terminologia sia ottocentesca. Essenziale una corporatura un po’ obesa, volto paffuto che sottolinea gli elementi caricaturali del personaggio. Il Marchese di Forlipopoli della Locandiera di Goldoni è un esempio perfetto. Ci sono poi altre varianti più serie di caratterista: l’uomo o la donna di mezza età che sostengono parti di personaggi maturi o vecchi e che vengono pertanto denominati padre nobile e madre nobile. Un’altra variante di caratterista applicata al solo terreno della tragedia è il tiranno a cui è richiesta presenza fisica e voce tonante. All’attor giovane e all’attrice giovane spettano parti importanti ma di personaggi diovanili per età; si tratta di ruoli che riassorbono quelli cinque-secenteschi degli innamorati. La seconda donna è ovviamente la rivale della prima donna: nella drammaturgia ottocentesca è la donna maritata ma galante, oppure la vedova un po’ maliarda o l’avventuriera, l’amante. Deve avere doti fisiche analoghe a quelle della prima donna. Il promiscuo indica un ruolo capace di consentire il passaggio da personaggi patetici a personaggi comici. Si tratta di un ruolo minore ma di grande importanza, soprattutto nelle compagnie dialettali: Eduardo De Filippo è stato l’ultimo nostro grande promiscuo. I ruoli non sono categorie fisse. Attor e attrice giovane sono destinati a diventare i primi attori. Il primo attore invecchiando può diventare caratterista oppure continuare a fare il primo attore anche da vecchio: a sessant’anni Ermete Zacconi sarà il ventisettenne Osval di Spettri e Ernesto Rossi sarà Romeo. La prima attrice e la seconda donna sono destinati invece, con il passare degli anni, al ruolo di madre nobile. Il promiscuo potrà crescere di grado assumendo la funzione di caratterista. Non è così pacifico per tutti gli studiosi che la strutturazione dei ruoli discenda dalla Commedi dell’Arte. E’ chiaro che dal punto di vista dell’attore il massimo di specializzazione coincide con il massimo di resa professionale. Interpretando un ruolo l’attore si limita a ripetere uno stesso tipo di prestazione e ciò gli offre una più ampia possibilità di perfezionismo. Significativo è il fatto che l’attore fosse orientato verso un determinato ruolo prima di tutto dalla corrispondenza con le caratteristiche fisiche implicite in esso, quello che si dice possedere le physique du role. E’ la logica del minimo sforzo. Si può dire che fra Settecento e Ottocento l’articolazione dei ruoli svolge una funzione di mediazione fra il tramonto del vecchio modo di produzione, risalente alla Commedia dell’Arte, e la nuova situazione storico-culturale che si impone. L’abbandono della maschera a favore di nuovi moduli (commedia lacrimosa, dramma, dramma storico, dramma patetico sentimentale) ndrammaturgici non può fare a meno di mettere in evidenza una serie di personaggi riconducibili ad una definizione tipologica.

L’organizzazione, l’allestimento. - La compagnia capocomicale: la compagni ottocentesca dal punto di vista economico è di proprietà del capocomico (in genere primo attore o prima attrice). Il capocomico (o direttore della compagnia) assume la funzione di impresario, è lui a stipulare i contratti con gli attori, a sopportare le spese, a farsi carico delle paghe degli scritturati. - I contratti durano almeno un anno ma spesso sono stipulati per un triennio, con possibilità di rinnovo. Si tratta di una struttura molto instabile, per il suo incessante nomadismo, ma molto stabile per la coerenza e l’affiatamento degli interpreti. - L’anno teatrale per la prosa dura dalla prima domenica di Quaresima fino al giorno del successivo carnevale

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Il capocomico coordina il lavoro di tutti gli attori, sceglie il repertorio, tratta con gli autori o importatori di testi stranieri, distribuisce le parti, dirige le prove. Non è possibile parlare di regia, ma esiste una sorta di supervisione. Manca, in attesa della regia, l’idea di lunghi periodi di prova, prima a tavolino poi in piedi. Per il teatro comico la consuetudine teatrale arrivava a concedere non più di sette o otto giorni per imparare una nuova parte. Sono rare le repliche trattandosi di un pubblico di intenditori, habitués il che impone alla compagnia di avere una produzione amplissima. In media ogni compagnia in una stagione allestiva una trentina di testi differenti (di qui la necessità del suggeritore, non potendo imparare a memoria un numero così elevato di copioni) e gli attori non avevano il tempo per dedicarsi allo studio del proprio personaggio. Si tenga conto che a differenza di oggi, per una tradizione del Cinquecento, come già accennato, il singolo attore non aveva in mano l’intero copione entro cui stava la sua parte, ma unicamente la propria parte per così dire ritagliata dal contesto generale. Ogni attore interpretava dunque il proprio personaggio sulla base delle indicazioni fornite dal capocomico, isolatamente e senza il raccordo con gli altri personaggi di cui non conosceva bene le battute. Inutile dire che con grande disinvoltura il capocomico tagliava, spostava, aggiungeva. La scenografia: ancora al capocomico spetta la cura della scenografia, sommaria, fatta di carta o tela dipinta, la stoffa viene utilizzata dai primi del Novecento, funzionale ad una compagnia nomade che deve ripiegare facilmente le scene. Più avanti si arriverà alla scena in legno compensato. Ogni compagnia è dotata di una serie di scenografie generiche che permettono di recitare qualunque testo (salotti borghesi, giardino, bosco, campagna, strada povera…). Solo in alcuni casi si commissionavano scene nuove allo scenografo che lavorava sostanzialmente per conto suo, con un intesa molto schematica col capocomico. I mobili: la scena veniva poi arredata noleggiando mobili e utilizzando i fondi di magazzino dei teatri dove la compagnia andava a recitare. Si trattava spesso di mobili approssimativi, non coordinati in stile identici agli occhi degli spettatori ad ogni allestimento che arrivava in città. Il compito di predisporre questi arredi spettava al direttore di scena, solitamente un attore fallito. Accanto a lui il trovarobe che viaggiava con la compagnia trasportando nei suoi bauli cianfrusaglie utili ad arredare la scena, spesso tramandate di padre in figlio (quasi sempre tutto finto, di cartapesta, per pesare meno nel trasporto). I costumi: gli attori, per contratto, provvedevano a proprie spese agli abiti relativi al proprio ruolo ad eccezione dei costumi detti di carattere o stranieri forniti invece dalla compagnia. Di fatto i costumi finiscono per risultare approssimativi, stilisticamente disomogenei. La disponibilità finanziaria degli attiri è limitata, si ricorre a costumi di ripiego, spesso frutto di eredità familiari, soprattiutto nei figli d’arte. L’illuminazione: estremamente sommaria, si riduceva alle luci della ribalta e alla fila di lampadine in alto dette la bilancia. Un’illuminazione fissa che si limita a far vedere, che non ha funzione rappresentativa (notte, giorno…) e tanto meno valenza simbolica legata agli stati d’animo del personaggio. Solo verso la fine dell’Ottocento compariranno i proiettore elettrici e questo permetterà di creare un gioco di luci che colga parti diverse dello spazio scenico e che illumini questo e non quel personaggio. Lentamente si arriva all’idea di usare la luce come fattore di poesia scenica. In attesa l’attore è spinto a recitare in proscenio perché da fatto è l’unica parte illuminata. Il ritardo dell’illuminotecnica da un lato esalta il valore mimico del volto dell’attore come dato centrale della recitazione, dall’altro è evidente che l’arretratezza tecnologica nasce dalla concezione del teatro dell’attore in cui ciò che conta è la presenza viva dell’attore, gli altri aspetti del linguaggio scenico non vengono sviluppati. Da non dimenticare che se l’attore indietreggia troppo svela l’implacabile fragilità dell’illusione scenografica, per un difetto storico che risale alla scenografia prospettica del Cinquecento. Riassunto a cura di Dario Apicella 51 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET La condizione dell’attore: solo negli ultimissimi decenni dell’Ottocento si avvia un processo di sindacalizzazione dell’attore che riuscirà, gradatamente, a modificare le condizioni inizialmente assai pesanti. Si pensi ad esempio che per tutto l’Ottocento l’attore viaggia a proprie spese. Solo con il contratto unico del 1906 il capocomico si assume le spese di viaggio e trasporto bagagli. La novecentesca razionalizzazione del lavoro eliminerà le serate d’onore o serate di bebeficio per cui ciascun artista, da contratto, aveva diritto ad un certo numero di serate in suo onore, con una percentuale più o meno ampia sull’incasso a lui devoluta. All’attore spettava il diritto di scegliere il testo per la sua serata. La consuetudine comprendeva anche omaggi e regali da parte degli ammiratori, spesso anche di valore. Le compagnia: esistono le compagnie primarie che percorrono le capitali e le più prestigiose città della provincia, le secondarie che limitano i giri alle città meno importanti della provincia e ai grossi paesi, e le compagnie dette di terz’ordine, praticamente le compagnie di guitti operanti in paesini anche sperduti. Ed è questo un dato atipico rispetto al resto d’Europa. In Italia c’è infatti una straordinaria capacità di raggiungere capillarmente ogni più remota contrada ad un costo di biglietto bassissimo. Ermete Zacconi ed Eleonora Duse sono esempi di attori che hanno alle spalle la realtà un po’ infame del mondo dei guitti. Tutte queste compagnie sono itineranti. Le uniche legate al territorio sono quelle dialettali.

Gli attori. - Stanislavskij, il grande padre della regia, vede recitare Tommso Salvini (1829-1915) nell’Otello di Shakespeare in Russia e ne rimane estremamente colpito. Da notare che il pubblico straniero non sempre conosce l’italiano ma l’attore italiano è talmente geniale da riuscire a farsi capire prima di tutto con la gestualità, con la mimica, con i movimenti, con la potenza della voce. - Adelaide Ristori (1822-1906) diventa una celebrità internazionale rappresentando a Parigi, nel 1855, la Mirra di Alfieri tratta da Ovidio. Personaggio difficile di fanciulla innamorata del proprio padre che Alfieri trasforma in figura di grande pudore, che sa reprimere il proprio mostruoso sentimento. La Ristori, pur non cambiando nulla al testo, lavora con il proprio corpo, suggerisce movimenti, slanci d carnale passionalità, suscitando fremiti di turbamento nel pubblico parigino. Normalmente il grande attore non esitava ad intervenire anche pesantemente sul testo, tagliando, spostando, integrando a piacere. - Ermete Zacconi (1857-1948) a fine Ottocento diventa celebre per un’interpretazione di Spettri tutta incentrata su Osvald. - Vent’anni dopo Eleonora Duse (1858-1924) rovescia la chiave interpretativa e valorizza al massimo la centralità del dolore della madre di Osvald. - Cavallo di battaglia dei grandi attori e Shakespeare. Le moltissime parti minori sono sforbiciate senza pietà. Naturalmente non ci sono grandi personaggi femminili in S. ma la Ristori pretende che le si adatti il copione di Macbeth. Arrigo Boito compagno della duse per un certo numero di anni, prepara per l’attrice una traduzione –riduzione di Antonio e Cleopatra in cui emerge una maggiore centralità della figura femminile. S. è utilizzato perché fornisce grandi parti per grandi attori, non c’è negli interpreti italiani la scelta strategica di puntare esclusivamente su testi di alto valore culturale. A S. possono alternare tranquillamente mediocri testi perché comunque è l’arte del grande attore che rende un capolavoro anche il copione largamente insufficiente. E il pubblico è esattamente su questa linea; è un pubblico di intenditori che ama andare a teatro per vedere il lavoro dell’attore e non per vedere capolavori culturali a cui preferisce un repertorio più commerciale. Il teatro del grande attore non è una specificità italiana ma in esso si può ritrovare l’intero panorama europeo (L’inglese Henry Irving e la francese Sarah Bernhardt). L’individualismo attorico si spinge Riassunto a cura di Dario Apicella 52 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET alla soglia del divismo. Il grande attore con i suoi manierismi recitativi e le sue estrose eccentricità nella vita quotidiana, si pone come vettore della nascita e dell’esplosione dell’industria dello spettacolo. La rivoluzione Francese ha liberato l’attore dal peso dell’antica maledizione che lo vedeva come un reietto sociale, perseguitato dalla Chiesa che ne vieta la sepoltura in terra consacrata. L’attire diventa cittadino, titolare di diritti. Da quel momento la società borghese ribalta il suo destino di marginalità e gli spettatori danno vita a manifestazioni di ammirazione nei confronti degli artisti a cui le autorità politiche elargiscono premi e onorificenze. IL TEATRO DEL REGISTA tra fine Ottocento e primo Novecento. I due fenomeni del teatro del grande attore e del teatro del regista convivono occupando più o meno gli stessi anni tra fine Ottocento e primo Novecento. La regia nasce, almeno in parte, come reazione ai gusti del teatro fondato sull’attore. Giorgio II Meiningen (1837-1891) Solitamente si dice che dal piccolo ducato di Sassonia venga il primo impulso alla regia. Giorgio II è un appassionato di teatro il quale, insieme al regista Chronegk organizza una straordinaria compagnia, si base dilettantistica, chiamata “ I Meininger” attiva dal 1866 al 1874 nel ducato e poi in tournées in Europa e America fino al 1890. Per la compagnia fondamentale è - il rispetto del testo, - la pratica di prove lunghe e rigorose, - la verità quasi archeologica dei costumi e delle scene, - l’adozione di nuove tecniche di illuminazione elettrica, - la massima cura delle scene di massa che normalmente era la parte più inconsistente degli spettacoli teatrali dell’Ottocento. La compagnia era composta da una dozzina di attori e dunque, per motivi di risparmio economico, le comparse venivano assoldate nelle città dove ci si trovava a recitare, nel corso delle tournées. Le prove erano dunque minime e i risultati artistici pessimi. - La rotazione: il duca Meiningen poteva contare su una troupe di una settantina di persone, alle sue dirette dipendenze, pagate da lui, dove vigeva il criterio innovatore della rotazione nelle parti principali: gli attori di maggior valore non sempre recitavano da protagonisti. E quando erano liberi da impegni maggiori erano obbligati a recitare come comparse e coordinavano piccoli gruppi di comparse. I M. erano famosi e apprezzati proprio per queste scene corali, di massa. - Il controllo sull’attore: fatto di grande valore storico è l’imposizione di una disciplina (vedi anche l’imposizione della rotazione) e del controllo sull’attore. Lo stesso Mejerchol’d pur ostile ai M. accusati di fare un banele teatro-museo, riconosce tra gli altri meriti quello di aver creato la disciplina a teatro. André Antoine (1858-1943) Segue a Bruxelles delle rappresentazioni dei Meininger. Fonda nel 1887 il suo Théatre Libre. E’ anche lui un dilettante del teatro ma con una geniale capacità di innovazione. La sua è un’iniziativa fuori dal quadro commerciale di Parigi. Punto di riferimento è Zola, che dopo aver rinnovato il romanzo in senso naturalistico si impegna per sollecitare anche la scena in tal senso. - Quando il primo attore è parigrado agli altri e ciò che interessa di più è il rapporto tra il protagonista e tutti gli altri personaggi, la prospettiva cambia. Ciò che deve emergere è innanzitutto il quadro d’insieme, la totalità. - Il primo obiettivo è la riforma dell’impianto scenografico, sommario e casuale nel teatro del grande attore incentrato unicamente sul rapporto tra officiante e fedeli devoti. Lo spazio, la Riassunto a cura di Dario Apicella 53 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET scenografia, non sono più secondarie, trascurabili. Antoine recupera il discorso di Zolà circa la scenografia che spiega e determina i personaggi. Gli attori devono essere inseriti in uno spazio credibile, reale, non ridicolo. Con la scenografia prospettiva l’attore che indietreggiano sul palco risulta una marionetta gigantesca e sproporzionata. Con Antoine siamo a un tipo di piantazione che azzera la tela dipinta e gli effetti illusionistici. La scena è costruita e non dipinta; l’attore non recita davanti ma dentro alla scenografia e può muoversi girando le spalle e risalire verso il fondo. Il messaggio non passa più solo attraverso la voce e l’immagine del grande attore, ma all’interno di una composizione più complessa in cui anche gli oggetti diventano significativi. Il dilettantismo, la condizione puramente amatoriale degli attori del T.L. si trasforma in punto di forza in quanto non vi è il rischio di appoggiarsi alla tradizione recitativa accademica. Non posseggono voci da esibire ma sanno utilizzare lo spazio scenico , controllano i movimenti, la gestualità e più in generale il linguaggio corporeo.

Konstantin Stanislavskij (1863-1938) Padre della regia moderna fonda il Teatro d’Arte di Mosca nel 1897 in cui confluiscono un gruppo di dilettanti che S. aveva organizzato e i migliori allievi della scuola diretta dal socio Dancenko. - Viene dichiarata guerra a tutti i vizi dell’attore: ritardo, pigrizia, bizze, imperfetta conoscenza della parte. - Vengono abolite le gerarchie delle parti (come per i Meininger). - Vengono utilizzati attori dilettanti non condizionati dai tic del mestiere. - Viene intrapresa una battaglia contro il pathos, la declamazione affettata, la teatralità come sintomo di falsità scenica - Le scenografie erano raffazzonate, dipinte su tela, senza preoccupazione di verità e di prospettiva. - Anche in Russia i costumi teatrali erano sommari e inaffidabili in quanto a credibilità storica: Stanislavskij invece si dedica ad uno studio minuzioso e fanatico per le ambientazioni degli spettacoli attraverso documentazioni su libri, ricerche iconografiche nei musei, incursioni nei negozi di antiquariato. - Nel suo primo periodo il Teatro d’Arte da i suoi frutti migliori nella realizzazione di testi di carattere storico o di costume (Shakespeare, Tolstoj) come saldamente legato alla matrice naturalistica sebbene il percorso teorico e creativo di S. sia sinuoso e destinato a fare di lui un autentico operatore teatrale del Novecento. Una fase la prima di crescita e formazione se pur di relativa immaturità. Il nucleo centrale dell’evento è rappresentato dalle invenzioni registiche: scenari, costumi, mobilio, orchestrazione di luci e suoni. Il regista attirando su di sé l’attenzione difende gli interpreti inesperti, ne cela i difetti concedendo loro la possibilità di crescere e di perfezionarsi con tempi e ritmi giusti). Il fatto di recitare i passaggi cruciali di spalle al pubblico, nella penombra, serve a mascherare l’incertezza attoriale. Ma è anche in gioco un margine di incertezza del regista. S. arriverà presto a comprendere che la funzioine profonda del regista non è quella di sovrapporsi all’attore – ridotto a manichino – ma di secondarlo, di aiutarlo ad esprimersi, perché l’essenziale è nelle mani degli attori. - La strada intrapresa inizialmente da S. è quella del “realismo esteriore” perché la direzione registica non riesce a proporre che un approccio al lavoro creativo unicamente dall’esterno. Il passaggio ulteriore avverrà grazie all’incontro con Cechov, cioè con una drammaturgia completamente originale e diversa che lo spinge allo scandaglio di una sorta di “realismo interiore”, di ricerca di una verità più intima. Per una drammaturgia come quella di Cechov con personaggi praticamente statici in cui non succede mai nulla di decisivo occorre ricreare un’atmosfera, porgere le battute in modo diverso dallo stile enfatico e melodrammatico del tempo. Nasce una recitazione fatta di tonalità, sfumature, pause, silenzi. Non è possibile recitare Riassunto a cura di Dario Apicella 54 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET il personaggio Cechoviano dall’esterno, occorre ricrearne la vita interiore, a partire dal testo, ma in qualche modo anche autonomamente da esso. La scoperta della centralità dell’attore all’interno della macchina della scrittura scenica. Vera e propria rivoluzione copernicana che ribalta l’attenzione del regista dal testo all’attore. Da regista despota, sulla scia dei Meininger, S. adotta un nuovo metodo di preventiva considerazione dell’attore per cui la messa in scena nasce in accordo e in collaborazione con lui, anziché calarsi su di lui in maniera costrittiva. Si è soliti contrapporre Stanislawsij a Mejerchold’d cioè il suo allievo più geniale: il primo sarebbe fautore di un teatro di parola, del personaggio e della psicologia, il secondo rivoluzionario cantore del teatro del gesto, del corpo, delle acrobazie e abilità corporali (fondatore della cosiddetta Biomeccanica, sistema di addestramento dell’attore da lui inventato per far raggiungere all’attore pieno controllo del proprio corpo). Tutto questo è vero solo in parte. Accanto al Teatro d’Arte, grandioso monumento al Naturalismo, S. apre via via a partire dal 1913 una serie di studi collegati alla scena-madre ma sostanzialmente autonomi, in cui sperimenta le sue riflessioni sull’arte attorica. E’ qui che si definisce il Sistema (o “Metodo”) ovvero un codice recitativo che comincia ad essere conosciuto nei primi anni venti espresso nei libri Il lavoro dell’attore su se stesso e Il lavoro dell’attore sul personaggio. Si tratta di un insieme di proposte, suggerimenti, tecniche di allenamento, elaborate faticosamente, per mettere l’attore in condizione di grazia attraverso uno scavo interiore, attingendo al patrimonio del proprio vissuto, delle proprie emozioni reali o immaginarie. La Reviviscienza è il processo attraverso cui l’attore rievoca e rivive un’esperienza in qualche modo autobiografica, almeno analoga a quella del personaggio. Si può prendere in affitto un abito, dice S., ma non un sentimento. L’attore non può recitare un personaggio che non ha dentro di se, che non sente. Il maestro è ossessionato da un problema: come evitare che l’attore, replicando infinite volte la propria parte, non scada in interpretazioni esteriori, di clichés. Consapevole che l’ispirazione, lo stato di felicità creativa, è per l’attore qualcosa di sfuggente, resta convinto che la magia attorica, l’ispirazione autentica sorga solo se l’attore è intimamente commosso, se vive e si cala nel personaggio immedesimandosi, e non già se recita, se rappresenta la sua parte (Diderot nel suo Paradosso sull’attore steso nel 1773, aveva dichiarato che i grandi attori sono a suo avviso quelli di nessuna sensibilità, che lavorano con distacco e senso critico) Da notare che il “Sistema” non ha nessuna pretesa di sistematicità, non è che un prontuario normativo. Negli anni trenta S. rimette in discussione tutto in discussione e comincia a parlare di “metodo delle azioni fisiche”. Sempre operante l’intreccio spirito-corpo, nucleo fondamentale, ma il regista si è reso conto che il percorso dal sentimento alla dimensione mimico-gestuale è arduo ed è sempre problematico fissare i sentimenti che sono di per se instabili e capricciosi. Per l’inverso sembra più agevole fissare le azioni fisiche. Cambia così il modo di fissare il personaggio, non occorre nemmeno che gli attori a inizio prove sappiano a memoria la loro parte. Basta che conoscano l’intreccio, scena per scena, e, su questa base, devono improvvisare una serie di azioni fisiche inventando le battute. Solo quando la successione delle azioni fisiche sarà fissata le battute improvvisate potranno essere sostituite con quelle del testo drammaturgico. Permane il rapporto stretto tra spiritualità e fisico, ma è la dimensione fisica che stimola quella spirituale, e non viceversa come Stanislavskij pensava una volta.

Considerazioni generali sull’avvento del regista: Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET E’ curioso come alle origini della regia ci siano sempre dei gruppi di origine dilettantistica (vedi Meininger, Antoine, Stanislavschij. Il regista si impone avendo di fronte degli attori non prestigiosi. Il grande attore pone una resistenza fortissima all’avvento della regia, questo spiega perché in italia la regia giunga in sostanza solo con la seconda guerra mondiale. Inoltre il regista si pone come servo d’Autore, interprete fedele del testo contro quell’interprete infedele che è l’attore. Il regista si nasconde dietro l’ombra dell’autore per giustificare il suo comando sull’attore. L’attore è più importante del regista ma meno importante dell’autore. Antoine era attore e regista dei suoi spettacoli e all’inizio non li firma, nei manifesti e nelle locandine, come regista ma compare come attore. Al culmine del proprio trionfo, in pieno Novecento, il regista taglia e modifica il testo come e più di quanto abbia fatto l’attore nel corso dei secoli. L’attore si sente inizialmente ridotto a rotella di un ingranaggio, represso nel suo slancio creativo, ma sui tempi lunghi il regista finirà per forgiarsi un attore nuovo, più accondiscendente Il regista ha l’urgenza di testi funzionali al progetti di riforma teatrale che sta andando avanti, Non è casuale che la regia e la grande drammaturgia europea nascano negli stessi anni, nell’ultimo trentennio del secolo. I registi anno bisogno di una struttura rispettosa dell’insieme, dell’interazione fra tutti i personaggi, anche minimi, attentissima allo sviluppo e all’approfondimento psicologico degli stessi. Non più squarci lirici attraverso i quali irrompe la recitazione del grande attore, non più intrighi e colpi di scena ben congegnati ma poco credibili anche se molto accattivanti per lo spettatore. Insomma una pièce a esposizione lenta e graduale che implica un pubblico culturalmente più maturo e critico. Regia e drammaturgia sono come due facce della luna, due metà che si cercano. Impossibile stabilire chi venga prima. I drammaturghi in qualche modo mimano il regista; si pensi ad un fenomeno tipico di questo periodo, ovvero all’ampliarsi notevolissimo delle didascalie che prefigurano un ipotetico allestimento. Il drammaturgo spesso lavora a stretto contatto con il palco puntando in alcuni casi a farsi animatore di teatro ed è il caso i Ibsen, Strindberg Il dibattuto scientifico circa la nascita della regia è assai vivace. Alcuni specialisti, per lo più italiani, la regia è un fenomeno tipicamente novecentesco che annovera una serie di padri fondatori tra cui registi e teorici come Adolphe Appia (1862-1928) che pubblico un’originale riflessione sulla messa in scena del dramma di Wagner ceh punta su scenografie e luci; e l’inglese Gordon Craig (1872-1966) che insiste sulla centralità del regista e propone provocatoriamente di liberare il teatro dagli attori sostituendoli con la supermarionetta. Tutti e due operarono anche come registi ma non ebbero la possibilità di realizzare molti allestimenti. Altri studiosi (Randi, Perrelli, Alonge) preferiscono cogliere nello sviluppo della regia tra Ottocento e Novecento non l’elemento di rottura ma quello della continuità. Fanno risalire la nascita della regia non con i Meininger (intoro al 1870) ma con il francese Adolphe Montigny (1805?-1880) direttore del Gymnase Dramatique di Parigi, attivo a partire dagli anni Cinquanta. Si potrebbe arretrare agli anni trenta, sempre a Parigi, quando Dumas padre, Victor Hugo e Alfred de Vigny scrivono testi che mettono in scena sotto la loro personale direzione con meticolosità e professionalità già pre-registica. La forza dello spettacolo del regista ottocentesco è fondata sul testo, sul rispetto rigoroso del testo (quasi sempre di un certi valore artistico) e il regista si pone come fedele servitore dell’Autore. Chi meglio dell’autore può servire l’autore? C’è quindi una spinta naturale che sembra guidare l’autore verso la funzione registica già a partire da Goethe e Schiller tra Settecento e Ottocento e ancor prima con Voltaire e Baumarchais. E’ sempre difficile parlare di nascita della regia. La regia si definisce prima di tutto come un mestiere, come un nuovo mestiere dell’industria dello spettacolo. Sin dagli anni 1827-28 sono pubblicati a Parigi i livrets de mise en scéne, una sorta di libretti di istruzione ad uso dei teatri della provincia perché possano ri-montare e riRiassunto a cura di Dario Apicella 56 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET allestire gli spettacoli che hanno avuto più successo e che hanno prodotto più guadagno a Parigi. In essi troviamo tutto ciò che serve: elenco personaggi, tipo di costumi, scenografie, mobili ma anche la disposizione degli attori sulla scena con la prescrizione precisa di entrate, uscite, dove andare, dove fermarsi. Manca solo il regista che è appunto colui che mette in esecuzione le istruzioni contenute nel libretto, un nuovo professionista che trova gli attori giusti, commissiona le scenografie e i costumi, coordina il lavoro degli attori sulla scena. In tal caso è colui che garantisce che lo spettacolo sia una copia il più possibile fedele all’originale. Egli non fa azione creativa, ma azione duplicativa. La storia della regia tra Ottocento e Novecento è la storia della trasformazione di questa pratica operativa: non più un mestiere ma un’arte. Non più un professionista che ha come obiettivo fare un duplicato ma un artista che realizza un prodotto originale, unico. In questo sta la creatività del regista-artista. PRIMO NOVECENTO: le Avanguardie Storiche e la centralità di Pirandello. Periodo di grande irrequietudine spirituale che sfocerà poi nel macello della Prima Guerra Mondiale (1914-1918). Molti intellettuali rimettono in discussione le certezze della cultura dominante e si impegnano in uno sperimentalismo accanito e instancabile dando vita a una serie di correnti (Futurismo, Dadaismo, Espressionismo, Surrealismo) che i manuali unificano sotto l’etichetta di Avanguardie Storiche per distinguerle dalle nuove Avanguardie della seconda metà del Novecento. Futurismo - Il manifesto del futurismo: pubblicato il 20 febbraio 1909 da Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944) sul parigino “Figaro”. Egli è il fondatore di un movimento che ha avuto risonanza internazionale e che si batte per adeguare la realtà artistica alla modernità del sistema economico (da cui il mito della macchina, della velocità, dell’industria che si impone nel primo Novecento), con parole d’ordine talvolta chiassose (a favore della distruzione di musei, biblioteche…) o nazionalistiche e guerrafondaie (esaltazione della guerra come igiene del mondo, militarismo, patriottismo) sicché non stupisce la confluenza del Futurismo nel Fascismo. Vi sono tuttavia spinte diverse anarcoidi e socialisteggianti che spiegano l’adesione dei futuristi russi alla Rivoluzione d’Ottobre. - Del 1911 è Il manifesto dei drammaturghi Futuristi: Marinetti sembra ignorare che la scena europea ha ormai assimilato la nuova figura del regista e continua tranquillamente a parlare di drammaturghi. - Il teatro di Varietà, altro manifesto firmato da Marinetti nel 1913 dedicato ad una forma di teatro minore, solitamente ignorato dagli intellettuali, che secondo Marinetti si deve aprire ad una pluralità di espressioni spettacolari (cinema, ballo, ginnastica, giochi di equilibrio) ma soprattutto a una interazione con il pubblico che non deve rimanere statico ma partecipare rumorosamente all’azione, cantare, accompagnare l’orchestra, comunicando con moti improvvisi e dialoghi bizzarri con gli attori. - La rottura della barriera palcoscenico/platea è il filo rosso che attraversa il variegato panorama delle Avanguardie Storiche. - Le serate Futuriste: il Futurismo italiano non lascia segni in ambito teatrale e letterario ma certo contribuisce a definire lo spettacolo moderno con l’invenzione delle serate futuriste capaci di coinvolgere e scatenare il pubblico che reagisce alle provocazioni dei teatranti che lo insultano con battute ad effetto. Qualche contatto con i F. ebbe Ettore Petrolini (1884-1936) geniale solita di varietà, autore di macchiette, lazzi, filastrocche, caratteri che irridono il sentimentalismo, le mode, l’idiozia umana. Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Dadaismo e Surrealismo. - Fondato a Zurigo nel 1916 dal poeta Tristan Tzara, originario della Romania, ma all’epoca studente. Dada si estende a livello internazionale. Zurigo era llora rifugio di molte figure irregolari (disertori, obiettori di coscienza, intellettuali, rivoluzionari in esilio) che fanno gruppo esprimendo il rifiuto della guerra ma più in generale di una società fondata sulle regole capitalistiche del profitto e del guadagno. - Il Dadaismo si caratterizza per una opposizione radicale e distruttiva che non risparmia nulla, nemmeno il concetto stesso di arte e di cultura. Il manifesto del fondatore dichiara che l’arte non è una cosa seria. Viene meno, forse per la prima volta nella storia della cultura occidentale, la fiducia sulla funzione positiva che l’arte e la cultura possono esercitare nella vita quotidiana. La leggenda vuole che il nome sia stato trovato casualmente tra le pagine del dizionario (dadà, accentato alla francese, significa cavallo, nella lingua infantile). In un manifesto si sentenzia che dada non significa nulla. - La pratica delle spettacolazioni dada: un curioso testo teatrale dadaista, S’il vous plait (Per favore, 1920), di Breton e Soupault e composto da tre atti unici in successione in cui il dialogo passa da un registro di apparente razionalità a stravolta incomprensibilità fra sorprese e colpi di scena che distruggono la coerenza del comportamento dei personaggi. Il quarto atto si presenta come un inaspettato intervento di discussione del pubblico sullo spettacolo. Il sipario si alza su una scena che raffigura un portone, due personaggi che passeggiano. Uno dei due fa appena in tempo a dire una qualsiasi battuta che ha inizio un flusso di incursioni dalla platea, dai palchi, in piedi sulla poltrona, mogli che si intromettono e trascinano via i marito che gridano insulti. Non siamo lontani da Marinetti e dal Pirandello di Ciascuno a suo modo. Gli attori che recitano i ruoli degli spettatori sono collocati e agiscono tra il pubblico entro lo spazio reale del luogo teatrale, la zona consacrato al pubblico. Finti spettatori collocati accanto ai veri. A livello teatrale gli autori del testo colgono le suggestioni delle tipiche serate dada caratterizzate da un incontro scontro fra pubblico e artisti. - Ben presto, proprio all’interno del Dada rinasce la richiesta di un discorso in positivo. Tzara entra in contraddizione con Andrè Breton. Tra il ’22 e il ’23 si esaurisce il movimento Dada e nel ’24 Breton firma il primo movimento Surrealista, che – sotto l’influsso della scoperta di Freud .- ripropone uno sguardo costruttivo, teso a scandagliare le profondità dell’io. - Dada non crede nella cultura e tanto meno nella diversificazione dei generi letterari e quindi nel genere teatrale; il Surrealismo è interressato allo scandaglio dell’io e si muove in una direzione lontana dalla struttura tearale. - Di fede inizialmente surrealista è Antonin Artaud (1896-1948) attore regista drammaturgo, dall’esistenza avventurosa e oscura, che lo condusse alla pazzia. Grande visionario teatrale, autore de Il teatro e il suo doppio, che contiene illuminazioni, non sistematiche, sul teatro. Artaud insiste sull’esigenza di uno spettacolo globale, capace di far parlare gesti, oggetti, suoni, spazio. Insomma un teatro totale capace di agire sui nervi e sulla pelle, un teatro che egli stesso definisce teatro della crudeltà. Artaud, il cui ruolo resta marginale nel contesto delle Avanguadrie Storiche, sarà un importantissimo punto di riferimento per l’avanguardia del secondo Novecento. -

Un accento positivo presentano anche le Avanguardie in terra sovietica. In Russia si registra una grandissima attivizzazione degli spettatori. Le Avanguardie Storiche puntano di fatto a valorizzare al massimo l’intervento del pubblico, a spingere per una irruzione della realtà, della vita nel campo dell’arte e della finzione. A decine di migliaia sorgono in tutta la Russia i circoli teatrali degli operai, dei contadini, dei soldati. Il teatro è ovunque, ogni luogo può diventare spazio scenico. Riassunto a cura di Dario Apicella 58 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET -

Il poeta e drammaturgo Majakovskij (1893-1930) sottolinea la necessità di abbattere questa assurda barriera: devono recitare sia gli attori che il pubblico; il teatro non si deve limitare a rispecchiare la vita ma deve irrompere nella vita. Nel terzo atto del suo Bagno introduce il teatro nel teatro. La scena rappresenta un prolungamento della platea. L’ottuso burocrate Pobiedonosikov, che nei primi due atti è oggetto di sarcasmo per aver negato ad un geniale scienziato i mezzi finanziari – si è riconosciuto nella vicenda cui ha assistito, come spettatore, e sale sul palcoscenico per gridare tutta la sua indignazione. Sale sul palco anche il Regista e polemizza con il burocrate che non vuole essere turbato ma pretende invece gli siano accarezzate le orecchie e lo sguardo. La volontà di usare il teatro come arma di critica si configura quale rottura dalla convenzione teatrale, come tentativo di attirare il pubblico, di coinvolgerlo direttamente.

Luigi Pirandello (1867-1936) - Si configura come il massimo drammaturgo del Novecento, pronto a percepire gli stimoli che circolano nell’aria e ad oltrepassare i limiti della sua formazione di letterato siciliano un po’ tradizionale. - Nel 1921 sfodera un testo-bomba, Sei personaggi in cerca di autore, che fa impazzire il pubblico e trasforma la prima romana in una serata futurista con gli spettatori che fischiano e all’uscita e lanciano monetine e insultano l’autore. In un colpo solo Pirandello ha distrutto la bicentenaria tradizione europea del teatro del salotto borghese. Il pubblico entra in teatro e trova…il teatro unicamente. Non c’è sipario, non c’è illusione teatrale; c’è il palco nudo e gli attori che fanno gli attori che stanno mettendo in prova uno spettacolo, poi arrivano sei tipi strani, quasi sei pazzi, che dicono di essere dei personaggi, dichiarando di voler recitare un dramma, ma pretendono che il Capocomico sia il loro autore. Il dramma infatti lo hanno in loro stessi; ma scritto, propriamente non c’è; e dovrà essere dunque il Capocomico a scriverlo, a mano a mano che essi lo vivranno sul palcoscenico. Storia strampalata da fare ammattire gli spettatori. Attori e personaggi entrano tutti dalla “porticina del palcoscenico” e tutto comunque si svolge rigidamente sul palcoscenico, senza invadere la platea a differenza di quanto accade nel testo sopra citato di Breton-Soupault. Pirandello si limita a mimare una rivoluzione scenica. - Stessa cosa avviene in Ciascuno a modo suo (1924) secondo pezzo della cosiddetta trilogia del teatro nel teatro: anche qui abbiamo una prolungata bagarre fra spettatori, o fra spettatori e attori (e personaggi del teatro), ma tutto si svolge sul palcoscenico. Per citare la didascalia “il palcoscenico rappresenta quella parte di corridojo del teatro che conduce ai palchi di platea, alle poltrone, alla sedie, e in fondo, al palcoscenico”. I finti spettatori pirandelliani non si confondono in alcun modo con i veri spettatori: i primi sul palco i secondi in platea, in modo opposto a Breton e Soupault. La commedia è immaginata da P. come ispirata ad un fatto di cronaca, i protagonisti del fatto di cronaca si riconoscono – in quanto spettatori di Ciascuno a modo suo – nell’intreccio teatrale, e saltano su a protestare la loro indignazione, esattamente come il burocrate del Bagno. Ma alla fine i personaggi della realtà si comportano come i personaggi della finzione. - In Majakovskij il teatro irrompe nella vita per cambiare la vita (o almeno per fare un tentativo); in Pirandello la vita irrompe nel teatro solo per riconoscere la superiorità del teatro, il suo decisivo valore meieutico. Non già l’arte che imita la vita, ma la vita che imita l’arte. L’arte che ha la capacità di intuire la dimensione profonda dell’uomo. Il teatro che funziona come una sorta di psicanalisi. La centralità di pirandello nel panorama del tempo è costituita proprio da questa sua capacità di raccogliere, depurare, rielaborare. Egli percepisce le rotture delle Avanguardie Storich, ma , stando all’interno del teatro tradizionale, dell’industria dello Riassunto a cura di Dario Apicella 59 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET spettacolo, non può che svolgere un lavoro di adattamento, e quindi di mediazione, rispetto alle spinte più estreme di cui pure ha conoscenza. Pirandello si tiene saldissimamente ancorato al valore dell’arte, alla sua autosufficienza. Le cose cominciano a cambiare (in modo limitato) soltanto con il 1925 data a partire dalla quale, per tre anni, dirige una sua compagnia, il Teatro d’Arte di Roma, che mette in scena prevalentemente suoi testi. Il letterato diffidente nei confronti degli uomini di teatro, si impratichisce del mondo della scena, impara ad apprezzarne le qualità, anche sotto l’influsso della sua prima attrice, Marta Abba di cui è disperatamente innamorato. Ripubblicando i suoi testi si apre a una più esplicita audacia avanguardistica, propone anche lui un effettivo superamento della frattura palcoscenico platea. Nei Sei personaggi riscritti i sei personaggi entrano dalla platea, e il Capocomico si muove continuamente, durante la rappresentazione, fra palcoscenico e platea. La seconda edizione di Ciascuno a suo modo del 1933 si arricchisce di una preziosa premessa che spezza la barriera del palcoscenico, chiedendo che lo spettacolo inizi presso il botteghino, ancor prima sulla strada, sullo spiazzo antistante l’edificio teatrale, mescolando spettatori finti e spettatori veri. Stessa cosa nell’ultimo segmento della trilogia, Questa sera si recita a soggetto (1930), scritto a Berlino, dove Pirandello vive ormai da un paio d’anni, tentando di far soldi come sceneggiatore della nuova industria cinematografica e dove, frequentando i teatri della più avanzata scena teatrale europea, cerca di imparare i segreti del mestiere per diventare ciò che non gli riuscirà mai di essere, un vero regista. Pirandello cuce copioni per il maggior attore del tempo, Ruggiero Ruggeri (1871-1953): da Il piacere dell’onestà a Il giuoco delle parti (1918) a Enrico IV è sempre il ritratto di un uomo solo, colto e fascinoso, a confronto con un coro ostile, fatto di meschini e rozzi, a contendere una donna che gli sfugge e che lo inquieta. Pirandello recupera la struttura del triangolo adulterino della drammaturgia francese, dominante fra Ottocento e primo Novecento, ma riscattandola dalla vacuità del teatro commerciale. L’immaginario pirandelliano evoca continuamente due figure di donne estreme: da un lato la madre siciliana, radicata negli archetipi della terra siciliana; e dall’altro lato la baldracca, per usare il termine dell’autore, la femmina che lusinga la sensualità del maschio, che però frusta al tempo stesso con la sua frivolezza. Dopo il ’25 a contatto con la musa Marta Abba costruirà un teatro al femminile che ripropone infinite varianti dell’enigmatica e sfuggente fanciulla, più giovane di tre anni di sua figlia, che lo affascina e lo attrae lasciando affiorare una pulsione incestuosa. Pirandello vive sulla propria pelle, tragicamente, la follia di una moglie pazza che delira intorno ai presunti desideri del marito per Lietta. Nel 1919 Pirandello è costretto a rinchiudere la moglie in manicomio, ma nel 1921 traduce la sua angoscia in quei Sei personaggi che significativamente ruotano intorno all’incesto sfiorato tra i principali dei sei personaggi, il Padre e la Figliastra. Il nucleo drammaturgico di Pirandello si ricollega misteriosamente a quello di Ibsen.

Al di fuori di Pirandello, in Italia, non c’è nulla che valga la pena di serbare memoria. Per qualche tempo Gabriele D’Annunzio (1863-1938) si illude di riuscire a realizzare un teatro di poesia, scritto in versi e non i prosa, che fallisce misteriosamente nonostante si appoggi alla più grande attrice di tutti i tempi, Eleonora Duse, sua compagna di vita per un certo numero di anni. Fa eccezione l’isolato capolavoro de La figlia di Iorio (1904) fulgido documento di una società patriarcale arcaica e dei suoi riti crudeli. Suggestiva Fedra (1909) che D’Annunzio compone in emulazione con la tradizione (Euripide, Seneca, Racine). Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET ANNI TRENTA/CINQUANTA: dal teatro politico al teatro dell’Assurdo. -

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L’avvento del cinema: che Pirandello, il maggiore scrittore di teatro del Novecento, cerchi di scrivere per il cinema, ci fa capire che il cinema ha vinto, ò diventato mezzo di comunicazione di massa ed ha marginalizzato il teatro. Dall’avvento del cinema sonoro, fine anni venti, il teatro diventa un’arte di nicchia che interessa solo uno strato sociale limitato di persone colte. Il teatro come arma politica: si tratta di una fiammata breve ma intensa di protagonismo sociale, Nei quindici anni successivi alla Rivoluzione Russa del ’17, il teatro si riscopre importante, strategico per la possibilità di essere utilizzato come un arma politica. La presenza dell’attore in carne ed ossa, a differenza del cinema, può avere una capacità di convincimento insospettata. Nasce il teatro agit-prop (agitazione e propaganda) che interviene in spazi non tradizionali come piazze, cortili, piccoli centri ad opera non di professionisti ma di operai, impiegati, militanti politici che utilizzano la chiave teatrale per sensibilizzare le masse ad una presa di coscienza sui problemi del giorno. Siamo dinanzi ad una intensa politicizzazione dell’intera vita sociale e culturale che non risparmia neppure il mondo dell’infanzia. Sorgono proprio nella Russia sovietica i primi esperimenti di teatro per bambini, orientato politicamente, che tende a diventare teatro dei bambini, coinvolgendoli come soggetti attivi del gioco teatrale. Molti intellettuali russi vivono il sogno di essere al tempo stesso artisti e militanti rivoluzionari. Il suicidio di Majakovskij segnala la difficoltà, l’impossibilità a restare fedeli allo sguardo critico sulla realtà contemporanea, libero da ogni condizionamento politico, nel momento in cui lo stalinismo dominante imponeva agli artisti di propagandare una visione acritica, ottimistica, della società sovietica. Esito ancor più tragico è quello di Majerchol’d (1874-1940). E’ il più geniale degli allievi di Stanislavskij. Il suo orizzonte culturale e dentro l’ambito delle Avanguardie Storiche: sperimentatore registico, inventore della Biomeccanica, sorta di training per forgiare attori in grado di controllare il proprio corpo, in una scelta strategica che valorizza la corporeità dell’attore contro il vecchio teatro di parola. Dopo il 1917 diventa un acceso fautore della Rivoluzione. La sua scelta non è opportunistica ma affonda in una sensibilità sociale genuina e documentata. Era diventato il fautore dell’Ottobre teatrale, equivalente artistico della Rivoluzione d’Ottobre. Morirà fucilato durante le purghe staliniste, dopo essere stato torturato perché si confessasse spia al soldo dell’Inghilterra e del Giappone, nonché seguace di Trotzkij (leader della Rivoluzione Russa, poi nemico di Stalin) e sabotatore antisovietico. Il teatro d’Arte era una istituzione privata, sostenuta dal mecenatismo degli industriali moscoviti tra cui la famiglia Alekseev, cui appartiene Stanislavskij. Lenin nazionalizza le industrie del padre del regista, ma decide di finanziare con i soldi dello Stato dei Soviet il Teatro d’Arte - a patto che resti neutrale e non faccia politica controrivoluzionaria - perché il pubblico proletario deve essere acculturato, imparando ad apprezzare il meglio della cultura borghese. Così l’apolitico S. può morire di vecchiaia nel suo letto, mentre il troppo rivoluzionario M. muore come abbiamo detto. Riguardo all’interpretazione del personaggio egli sostiene che “ è pericoloso entrare nella parte da capo a piedi, fino al punto di perdere il controllo di se stessi. Dobbiamo entrare nel personaggio, e con questa specie di travestimento assumere le caratteristiche positive e negative di un determinato individuo, ma nello stesso tempo non dobbiamo dimenticare noi stessi. Non avete il diritto di entrare nelle parte fino al punto di dimenticare voi stessi. Proprio in questo consiste tutto il segreto, nel fatto di non perdere di vista noi stessi quali portatori di una determinata concezione del mondo, poiché nei confronti di ogni personaggio dobbiamo assumere la veste di chi accusa e di chi difende”. Tra M. e S. c’è dissenso culturale. Per M. l’attore sovietico non è neutrale, non può essere apolitico, è comunque portatore di “una determinata concezione del mondo”, ed è propriamente questo sguardo politico che deve essere Riassunto a cura di Dario Apicella 61 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET rivolto al personaggio, soprattutto se si tratta di una “canaglia”. L’interprete deve riuscire a smascherare il personaggio, per impedire che lo spettatore si identifichi con il personaggio negativo. Bertolt Brecht (1896-1956) Da Majerchol’d riparte il tedesco Brecht nel tentativo di allargare l’onda rivoluzionaria dell’Ottobre partendo dal presupposto che il socialismo non avrebbe potuto sopravvivere, isolato in un solo paese, per di più arretrato economicamente. Il faro d’Ottobre si sarebbe spento se il movimento rivoluzionario non si fosse esteso almeno a una grande nazione a capitalismo avanzato. Anche in Germania, dove lo scontro di classe è durissimo, ritroviamo le stesse problematiche cui abbiamo accennato a proposito della Russia sovietica: anche qui compaiono le varie forme di teatro agit-prop, e anche qui si definisce la modalità di un teatro proletario per bambini. - Ed è qui, in questo spazio e in questi anni, che nasce il teatro politico, chiamato anche teatro epico, in una sorta di intercambiabilità tra i due termini. In verità l’aggettivo tedesco episch ha un senso essenzialmente tecnico, rinvia alla distinzione fissata da Aristotele nella poetica fra epico e drammatico. Nel poema epico (Iliade, Odissea) c’è un narratore che racconta, che guida il filo dell’intreccio, rivolgendosi al lettore, mediando dunque fra i personaggi e il lettire. Nella rappresentazione teatrale invece i personaggi si presentano da soli, direttamente in faccia allo spettatore, e non hanno bisogno del tramite di un narratore. Il teatro epico presuppone dunque una sorta di io epico, che è al centro dello spettacolo, che, anzi, organizza lo spettacolo. - Il regista tedesco Erwin Piscator (1893-1966), cui si deve il primo tentativo di teatro politico (o epico) allestisce nel 1925 una rappresentazione, Ad onta di tutto! Che è un grandioso montaggio di discorsi autentici, articoli di giornale, appelli, manifesti, fotografie, filmati della guerra e di scene storiche. - Se Piscator anticipa di qualche anno B. sul terreno del rinnovamento della vecchia struttura teatrale, è indubbio che B. innsiste maggiormente, e con più coerente radicalità, sul fatto che il teatro epico debba combattere l’aspetto psicologico-emozionale della comunicazione teatrale. B. si oppone con forza all’immedesimazione dell’attore nel personaggio (non polemizza con Stanislavskij perché non conosce ancora il “Sistema”. Se la prende piuttosto con Aristotele, responsabile di tale fatale processo. Secondo B. se l’attore si immedesima nel personaggio anche lo spettatore si immedesima. Occorre che l’attore conservi un margine di distacco rispetto al proprio personaggio; solo così potrà straniare (o estraniare) lo spettatore, renderlo cioè estraneo rispetto alla rappresentazione. B. usa il sostantivo “straniamento” che i francesi traducono distanciation e gli spagnoli distanciamiento. Il pubblico deve distanziare, allontanare l’oggetto della fruizione. Ovvero lontano dagli occhi, lontano dal cuore. B, gioca le ragioni della ragione contro le ragioni del cuore, del sentimento. E’ necessario che lo spettatore resti freddo, cogliendo così nell’accadimento teatrale l’occasione di una sua crescita intellettuale, di una sua consapevolezza maggiormente critica. Solo con la razionalità lo spettatore può comprendere la condizione umana come trasformabile, e da trasformare, ma da trasformare solo e soltanto attraverso la lotta politica. C’è una celebre tabella di confronto – che B. allestisce – fra teatro drammatico (definito anche teatro aristotelico) e teatro epico, che vale la pena di riportare almeno parzialmente. Forma drammatica del teatro Attiva Involge lo spettatore in un azione scenica Ne esaurisce l’attività Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Gli consente dei sentimenti delle emozioni L’uomo si presuppone noto L’uomo immutabile Forma epica del teatro Narrativa Fa dello spettatore un osservatore Ne stimola l’attività Lo costringe a decisioni a una visione generale l’uomo è oggetto di indagine L’uomo mutabile e modificatore. -

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L a simultaneità delle date fra Majerchol’d e la direttrice Piscator-Brecht dimostra che non c’è stata un’influenza di M. sulla scena tedesca, piuttosto il determinarsi di condizioni politiche analoghe, di scontro aspro con il sistema borghese, che spinge a soluzioni culturali analoghe. B. è perfettamente consapevole che il teatro epico non può nascere dappertutto ma solo nel quadro di una precisa battaglia politica. B. approfondisce e articola la riflessione sulla nuova tecnica dello straniamento lungo l’intero periodo della propria vita, dall’esilio negli anni del Nazismo al ritorno a Berlino Est a capo di un suo teatro, il Berliner Ensemble. In cui si svolge un’importante azione di regista tale da assorbire completamente l’energia creativa del drammaturgo, che infatti non compone sostanzialmente più drammi nell’ultimo periodo della sua esistenza. B. sistematizza la ricca strumentazione già utilizzata da Piscator, che vale a straniare la rappresentazione, appunto per riflettere criticamente su di essa: titoli e cartelli proiettati, con funzione di anticipazione delle scene; canzoni che spezzano il recitativo e commentano i personaggi e le loro vicende; fotografie, proiezioni di vario genere; visibilità delle fonti luminose e musicali. Tutto ciò serve a ricordare allo spettatore che si trova a teatro, a impedirgli l’illusione scenica, la magia dell’immedesimazione, e dunque a costringerlo a guardare con l’occhio critico. Il teatro brechtiano ha una grande diffusione, soprattutto in Europa nella stagione della Guerra Fredda fra mondo occidentale e mondo comunista, con un picco massimo intorno al ’68. Poi con il crollo del Muro di Berlino (1989) e la fine dei regimi comunisti dell’Est Europa, il capitalismo in qualche modo vince, viene meno il tempo delle ideologie, l’opposizione accanita alla civiltà occidentale (che sopravvive solo in strati minoritari della società europea). In questo clima la drammaturgia di B. risulta meno stimolante e tende a cadere nel dimenticatoio e cioè ad essere scarsamente rappresentata nei teatro d’oggi. Permane però la lezione della tecnica recitativa dello straniamento che l’attore post-brechtiano ha inserito una volta per sempre nella cassetta dei propri attrezzi da lavoro. Da integrare sapientemente con la tecnica di immedesimazione appresa dal maestro Stanislavskij: per poter stare contemporaneamente dentro e fuori il personaggio. Un attore moderno che si rispetti lavora operando su questi due pedali.

Il Teatro dell’Assurdo. Eugène Ionesco (1912-1994) romeno trapiantato a Parigi e Samuel Beckett (1906-1989) irlandese che scrive in inglese e in francese. Sono i nomi più famoso del cosiddetto Teatro dell’Assurdo che esprime il disagio di una civiltà occidentale che ha vinto il trauma di eventi storicamente prima inimmaginabili: dalla Shoah alla bomba atomica. Riassunto a cura di Dario Apicella 63 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Si tratta di artisti che evitando l’impegno politico della linea Piscator-Brecht si soffermano piuttosto sui grandi temi esistenziali: la falsità dei rapporti sociali, la solitudine, l’incomunicabilità, la mancanza di valori, l’insensatezza del vivere (l’assurdo appunto), il mistero della morte, la ferita irrimediabile che la morte rappresenta per tutti, e che tutti tendono a dimenticare, a rimuovere. La novità dei contenuti si accompagna però sempre a una ironica rimessa in discussione del linguaggio e alla destrutturazione/dissoluzione della forma teatrale. Nel 1950 è messa in scena La cantatrice calva di Ionesco, sottotitolata quale anti-piéce, cioè “anti-commedia”. Siamo nel salotto borghese dei coniugi Smith, stereotipati rappresentanti dello spirito inglese. Con l’arrivo di una seconda coppia, i coniugi Martin, e del Capitano dei Pompieri (depresso perché la scarsità di disgrazie o calamità naturali non lo fa sentire abbastanza utile alla comunità) non si fa che rinforzare la parodia dei luoghi comuni della comunicazione sociale, sino ad un vero e proprio delirio verbale. Nel 1953 la rivelazione di Beckett, con la messinscena di Apettando Godot (composto tra il 48 e il 49) ambientato in una strada di campagna, dove due vagabondi in bombetta, Estragone e Vladimiro, aspettano un misterioso Godot. Ma Godot non arriva e nei due atti del testo (esattamente come nelle undici scene della Cantatrice calva) non succede praticamente niente. Secondo alcuni l’attesa dei due straccioni è attesa di Dio (anche dalla radice del nome God che in inglese significa Dio), ma in verità ciò che emerge in primo piano non è tanto l’oggetto dell’attesa, ma proprio la condizione dell’attendere, l’inutilità e l’assurdo della esistenza umana, percepita come aspettazione senza scopo, lungo preludio delle morte. Da notare che l’attesa di Estragone e Vladimiro è interrotta nel primo atto dall’arrivo di un laido figuro, Pozzo, che tiene legato con una cordicella al collo, come una bestia o una specie di schiavo, Lucky. Il secondo (e ultimo) atto si svolge il giorno dopo, stessa ora e stesso posto. Ritornano Pozzo e Lucky, ma il primo è diventato cieco e il secondo è diventato muto. Vladimiro chiede con insistenza quando tutto ciò sia avvenuto, come è stata possibile questa doppia trasformazione – uno muto e l’altro cieco – nel lasso di un solo giorno. Straordinaria rivelazione del senso della vita, che è puro accidente (assurdo, appunto!) in base al quale si può diventare muto o cieco da un giorno all’altro. Ma esattamente come si può nascere o morire. Becket recupera, non inconsapevolmente, espressioni da La vita è sogno di Calderon de la Barca: un bel giorno mi sono svegliato, cieco come il destino.. Il significato di Aspettando Godot non riposa solo nell’attesa di Estragone e Vladimiro, ma sull’incrocio dei quattro personaggi: due che aspettano la fine della vita, ma due che subiscono la metamorfosi della vita. La lezione profonda del testo è nella somma delle due coppie. È in una vita che è attesa della fine, ma attesa intessuta di menomazioni progressive. Con il Teatro dell’Assurdo – soprattutto in Beckett, ma anche in Ionesco – l’atto unico o comunque la misura breve del testo smettono di essere forme drammatiche minori, meno impegnative e si pongono come scelta determinata, consapevole, alternativa al teatro tradizionale. L’atto unico è una concentrazione drammatica che coglie l’essenza di una condizione esistenziale. In Beckett peraltro, alla concentrazione temporale corrisponde un processo di restringimento spaziale. I personaggi di A.G. si muovono all’aperto, ma in altre opere risultano inibiti nei movimenti; In Finale di Partita (1956) Hamm è immobilizzato al centro della stanza, servito da Clov, mentre i genitori di Hamm sono immersi in due bidoni della spazzatura. In Giorni felici (1961) la protagonista è interrata, dapprima solo fino alla vita, dunque con la possibilità di ,muovere le mani e poi solo più con il volto che spunta al di sopra del terreno. Il teatro di B. costituisce una metafora lucida e implacabile dell’esistenza umana: un aspettare la fine della vita, contrassegnato però da una limitazione crescente delle possibilità di presa sul Riassunto a cura di Dario Apicella 64 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET reale, da una condizione di sempre maggiore handicap, in un quadro complessivo di perdita della parola fino al silenzio. Attesa, mutilazione, silenzio sono i tre vertici del teatro beckettiano. Forse c’è un afflato religioso, ma è una religiosità che percepiosce la divinità come un essere crudele, il quale, dà la vita per toglierla, per dirla come Sigismondo de La vita è sogno, e quel poco che dà lo carica di pene e sofferenze. Beckett cita due versi capitali de La vita è sogno in un saggio su Proust “poiché il delitto maggiore/dell’uomo è essere nato”. Tra gli anni venti /Trenta e gli anni Cinquanta si intersecano e sovrappongono due visioni diverse del teatro e del mondo: da un lato un poderoso utilizzo del teatro come arma per abbattere la società capitalistica, e dall’altro lato la dolorosa riflessione sull’assurda condizione umana. Il silenzio di Beckett sembra configurarsi come la metafora di una impasse: perdita di fiducia nella scrittura, cioè nella parola e nel pensiero; e ripiegamento nella riflessione sul limite della vita stessa.

SECONDO NOVECENTO ITALIANO: l’avvento (tardivo) della regia e tardi epigoni del Grande Attore. -

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C’è un ritardo storico della scena italiana rispetto all’Europa. La regia comincia a diffondersi a fine Ottocento. In Italia si può cominciare a parlare di regia, astretto rigore di termini, solo a partire dal 1932, quando Silvio D’Amico introduce la parola di nuovo conio “regista”. Fino a quel momento in Italia si diceva metteur en scène, in prestito dal francese. La regia si afferma con molta fatica, l’Italia è il paese del Grande Attore, della Commedia dell’Arte e la tradizione di protagonismo attorico è plurisecolare. La caratteristica dell’attore italiano è di tramandarsi di padre in figlio. Non c’è una scuola di teatro; è la bottega teatrale del o dei genitori che funziona da apprendistato. Va ricordato che la regia è l’altra faccia della grande drammaturgia di fine Ottocento: Ibsen, Strinddberg, Cechov si impongono perché si appoggiano alla nascente regia. In quegli anni la drammaturgia in Italia è gracile, con autori scarsamente autorevoli che non riescono a influenzare gli attori con cui lavorano. Per farsi valere l’autore, quando è carismatico, deve farsi egli stesso uomo di teatro, capocomico (che è il modo italiano di dire regista), pensiamo a Pirandello che nel suo esilio berlinese tenta di studiare da regista, restando essenzialmente uno scrittore.

IL TEATRO DI REGIA -

Il vero innovatore della scena italiana è Silvio D’Amico (1887-1955), giornalista teatrale ma anche funzionario del Ministero della Pubblica Istruzione. Cattolico, politicamente nazionalista, non ostile al regime fascista da cui ottiene nel 1935 l’aiuto decisivo per fondare nel 1935 l’Accademia Nazionale di Arte Drammatica a lui oggi intitolata. D’Amico capisce che l’Italia per mettersi al passo con l’Europa ha bisogno di promuovere il teatro di regia e che il regista ha bisogno di ritrovarsi fra le mani un attore disciplinato, educato, in qualche modo anche represso, e che soltanto la scuola può forgiare questo attore nuovo. La scuola impone l’ordine, la disciplina, la sottomissione. Non più figli d’arte ma attori diplomati. In realtà D’Amico è un fautore moderato della regia che concepisce come attività di servizio all’autore. Diffida dalle licenze registiche troppo disinvolte. Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Luchino Visconti (1906-1976) oggi conosciuto essenzialmente come regista cinematografico è stato anche un grande regista teatrale, fondatore della nuova scuola italiana. Si qualifica subito per una nuova disciplina del lavoro attorico. E’ il primo ad eliminare il suggeritore, a imporre lunghe prove a tavolino (dieci quindici giorno) e una durata complessiva delle prove cge all’epoca risulta scandalosa (quaranta giorni). Nel 1946 si costituisce la compagnia di Rina Morelli e Paolo Stoppa, diretta da Visconti all’interno della quale crescono le giovani leve di quella che sarà la “Compagnia dei Giovani” (De Lullo, Rossella Falk, Romolo Valli) e si distingue Marcello Mastroianni. E’ Visconti a esaltare un talento come Vittorio Gasman in un Oreste provocatoriamente barocco, colmo di sete, merletti e piume che farà perdere la pazienza a Silvio D’Amico. La caratteristica dell’opera d’arte è proprio quella di contenere in se una pluralità di significati che la critica deve saper mettere a fuoco. Nel 1952 Visconti realizza La locandiera di Goldoni. Il realismo di Goldoni è una delle grandi conquiste degli studi goldoniani a partire dagli anni Sessanta ispirati proprio da Visconti il quale provvede ad ambientare tutto il primo atto de La Locandiera in esterni, nel cortile della locanda. Aria e luce penetrano improvvisamente e prepotentemente nella drammaturgia goldoniana, le cui vicende, da private, si fanno pubbliche, rinviano alla città reale che fa da sfondo. Uno spazio di cortile disadorno, quasi squallido, come si addice alla fabbrica dell’accumulazione capitalistica. Le scene e gli oggetti di scena sono essenziali. Candide tovaglie bianche disposte sui tavoli nello spazio del cortile. Nel terzo atto non c’è più un esterno, bensì un interno ancor più minaccioso: un capannone di cemento grigio, tetro con enormi finestre. In scena un armadio, con un’anta ben aperta, che lascia vedere quattro pile di candidissime lenzuola ben stirate, due corde tagliano orizzontalmente la stanza e reggono, ad asciugare, biancheria di vario genere con un visibilissimo mutandone da donna. Una enorme cesta al centro pieno di panni da stirare, un asse da stiro. Il messaggio che viene rimandato è di ordine, pulizia, efficienza gestionale. Siamo in una stireria dalla quale si intravede ancora il profilo della città. Le vicende di Mirandolina sono in relazione alla comunità. C’è una parola d’ordine che guida alla fondazione del teatro di regia in Italia ed è realismo, attenzione allo spessore sociologico dei testi che vengono messi in scena. Goldoni diventa una bandiera della grande regia italiana. Giorgio Strehler (1921-1997) nel 1947 fondatore del Piccolo Teatro di Milano comincia con uno spettacolo particolare, minore, di Goldoni, Arlecchino servitor di due padroni, che esalta piuttosto il gusto della corporeità, del funambolismo attorico della tradizione della Commedia dell’Arte. Siamo nel primo anno della fondazione del teatro pubblico e S. ha bisognio di valorizzare le radici del teatro italiano. Nel 1954 realizzerà la Trilogia della villeggiatura del 1954 S. si allinea alla linea di lettura storicista. Non più personaggi graziosi e delicati, in punta di minuetto settecentesco, bensì una sapiente ricostruzione del ceto borghese al tramonto, squassato da profonda crisi politica, morale e intellettuale. I personaggi di Goldoni dice S. appartengono tutti alla stagione che precede la Rivoluzione Francese. Goldoni fa effettivamente la caricatura di un ceto mercantile che diventa ozioso, che vuole scimmiottare le mode aristocratiche (villeggiatura in campagna, spese di rappresentanza, inviti a cena, giochi di carte…). Artista complesso, individualità inquieta, militante del Partito socialista riscopre alcuni capolavori del naturalismo dialettale ottocentesco, è tra i primi a farsi geniale divulgatore del teatro di Brecht con una memorabile vita di Galileo del ’63. Il realismo e l’impegno politico si accompagnano a una vena lirico-sentimentale. Il copione rappresenta un semplice punto di partenza che poi l’attore (insieme al regista) rielabora con i gesti nel momento in cui va in scena. Nel terzo atto, scena 2, delle Avventure della villeggiatura dove Giacinta, promessa sposa di Leonardo, si apparta seguita da Guglielmo che vuole sapere se lei lo ama oppure no, al sopraggiungere di Leonardo la ragazza, per giustificare il colloquio troppo intimo, dichiara che Riassunto a cura di Dario Apicella 66 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET sta organizzando il matrimonio di Guglielmo con Vittoria sorella di Leonardo, mettendo fine ad ogni possibile sviluppo del suo amore con Guglielmo. Nella messa in scena di S. il linguaggio si fa più melodrammatico. Mario Missiroli (1934) regista discontinuo ma autore di spettacoli memorabili negli anni in cui ha diretto il Teatro Stabile di Torino. Innova sempre i suoi spettacoli, come segno distintivo, radicalmente a livello di scenografia. Firma anche lui una Trilogia: nessuna ambientazione realistica, ma un palcoscenico circolare, praticamente vuoto, inclinato verso gli spettatori, dove i servi introducono qualche sedia. La stessa scene di cui si è parlato per Strehler viene riproposta da Missiroli in una versione in cui Guglielmo afferra Giacinta per un braccio e la spinge brutalmente contro l’inferriata di una cancellata esterna, che delimita la villa di campagna, con la faccia verso gli spettatori. Giacinta parla in quella posizione innaturale, con l’uomo addosso a lei, che la tiene, le artiglia le braccia. E’ una fotografia cruda che suggerisce un rapporto carnale ma brutale, bestiale. Quando per due volte dice “Vi amo” l’attrice di Missiroli grida le battute come se fossero gli istanti culminanti di un orgasmo. E Leonardo arriva, mentre la coppia è ancora bloccata in quella posizione, su una musica di gusto settecentesco, assai melodica, a far da contrasto alla violenza dell’ immagine. E’ un modo per straniare la crudeltà della scena nel momento in cui Leonardo prende coscienza delle proprie corna. Giacinta si sottrae a Guglielmo, apre il cancello che fa un rumore terrificante, non realistico, simbolico, come la porta di una prigione che si chiude…ed entra nello spazio domestico. Massimo Castri (1943-2013) che firma nel 1995-96 una Trilogia, in tre diverse serate, a differenza dei predecessori che concentrano tutto in una sola serata. Castri lavora sulla scenografia ma con minor senso di astrazione rispetto a Missiroli. Le mura che circondano la villa sono altissime a sottolineare l’idea di trovarsi nel cortile di una prigione e a indicare che i borghesi villeggianti sono prigionieri delle proprie manie e convenzioni sociali. In mezzo al cortile delle grandi lenzuola stese ad asciugare dietro le quali vanno ad amoreggiare due giovani che origlieranno il dialogo tra Giacinta e Guglielmo. Il regista vuole appunto dare subito l’idea di uno sguardo indiscreto. E anche Leonardo, nascosto dentro casa, si troverà ad origliare la scena. Castri applica a Goldoni la chiave interpretativa che solitamente utilizza per mettere in scena due suoi autori prediletti (Ibsen e Pirandello) dove la dimensione dell’origliamento è fondamentale. Il duetto d’amore è fortemente emozionale: non c’è la grazia un po’ fredda e settecentesca di Strehler, non c’è la brutalità dell’amplesso di Missiroli. Il Guglielmo di castri spinge Giacinta con le spalle al muro e la bacia passionalmente sulla bocca, ma Giacinta si sottrae e con dignità, sconvolta e spettinata, perché ha dato la sua parola, come in un contratto commerciale, e non può tirarsi indietro. Strehler è maggiormente fedele a Goldoni, gli altri due forzano il testo, fanno in modo, sia pure in maniera diversa, che Leonardo veda le sue corna. Leonardo ride amaro, nella versione di Castri, deve far finta di non sapere, perché è disperato, rovinato economicamente, e deve riuscire a sposare quella donna anche se lei non lo ama per nulla. Castri è attento al realismo, alla dimensione sociologica e scandaglia la psicologia dei personaggi. Cerca di far emergere lo strato profondo e nascosto del testo, quello che lui chiama il sottotesto. Luca Ronconi (1933) sembra meno coinvolto dal condizionamento della storia. Da sempre considerato un genio teatrale percorre instancabile e frenetico il cammino solitario di uno sperimentalismo ininterrotto e inesausto relativo soprattutto alla dimensione spazialecomunicativa. Nel 1969 adatta con il poeta Edoardo Sanguineti l’Orlando furioso di Ariosto con azioni orchestrate simultaneamente su molteplici palcoscenici e pubblico libero di spostarsi. Nel 1990 allestisce al Lingotto di Torino Gli ultimi giorni dell’umanità di Kraus con dispiegamento di treni e macchine belliche. Nel solco della tradizione italiana per Ronconi lo scandaglio del testo, suggestivo e a volte irritante, è soprattutto stimolo per una sua mise en espace, per la sua Riassunto a cura di Dario Apicella 67 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET collocazione in uno spazio inedito, imprevisto, indimenticabile. Nel 2007 realizza Il Ventaglio con scarso consenso della critica, opera tarda di Goldoni scritta in Francia, lontano dalle sue radici. Alla borghese Candida cade un ventaglio dal balcone e si rompe: il borghese Evaristo, suo innamorato, gliene compra un altro e chiede alla contadinella Giannina di porgerlo alla sua amata (per sfuggire al controllo di Gertrude, la zia con cui vive la giovane, orfana di genitori). Ma candida assiste alla scena e pensa che tra i due ci sia una tresca. Da qui una serie di equivoci che portano poi al lieto fine: i due si sposano e la contadinella sposa il suo amato calzolaio. I ricchi con i ricchi, i poveri con i poveri. Ronconi carica il contatto fisico in tutte le scene in cui Evaristo e Giannina vengono a contatto, quasi come se tra i due vi sia una pulsione erotica. Ronconi coglie perfettamente la qualità di simbolo erotico del ventaglio. Goldoni si lascia scappare una battuta laida nel momento in cui Giannina si pavoneggia con il ventaglio che Candida ingelosita ha rifiutato e che Evaristo le ha, per così dire, regalato. La bottegaia Susanna, che detesta la contadinella, dice “Gli hanno donato un ventaglio! Si farà fresco…la…così…Oh che ti venga del bene”. L’attrice di Ronconi seduta nella bottega, mima il gesto sottinteso, allarga le gambe e fa aria all’oscuro oggetto del desiderio. In Goldoni il ventaglio nasce essenzialmente da questa fantasia carnale, un po’ cruda: serve a sventagliare il sesso femminile per placare l’ardore. Candida lo lascia cadere perché ha davanti a se un corteggiatore troppo spirituale che scrive molti biglietti ma si sottrae al contatto. Lo lascia cadere quando Evaristo dichiara di andare a caccia da solo, visto che il suo ospite nella propria casa di campagna, il Barone, non ha voglia di andarci… e sa benissimo di avere nel Barone un rivale d’amore. Evaristo lascia la sua donna alla mercé delle avances del Barone e nel comunicare le sue intenzioni non sa dedicarsi a Candida ma è intento a preparare gli attrezzi per la caccia. Inoltre Evaristo manifesta una forma di inconscia attrazione per la contadinella che si manifesta nella istintiva compassione del signore per Giannina che è sorella del suo dipendente Moracchio. Prima della caduta del ventaglio Evaristo lo invita pubblicamente a non tormentare la sorella ed è qui che il Barone prova a coglie l’occasione per scalzarlo rivolgendo la sua attenzione a Candida la quale è risentita nel vedersi posposta ad una villanella. Il teatro di regia rappresenta la grande novità della scena italiana del secondo Novecento che si accompagna alla fondazione dei teatri pubblici (detti teatri stabili in opposizione alla tradizionale pratica itinerante delle compagnie private). Anche in Italia viene riconosciuto il valore culturale dello spettacolo che deve essere dunque incoraggiato e sostenuto dal denaro pubblico, dal momento che si tratta di una impresa commerciale di per se incapace di raggiungere il pareggio con le sole entrate dei biglietti. Curiosamente, ma non troppo, sono stati gli stati totalitari (Germania nazista, Italia fascista , Russia comunist) a investire per primi nella cultura e nel teatro che si rivela uno strumento notevole di promozione del consenso e di propaganda. Le nazioni democratiche e la loro fede liberale, liberistica in economia, preferiscono che lo stato resti neutrale. Infondo il teatro è un’attività commerciale e lo stato non deve intervenire a sostegno, come non interviene per sostenere il bottegaio in difficoltà. Ma dopo la crisi economica mondiale del 1929 la mentalità cambia e soprattutto dopo la seconda guerra mondiale si fa strada l’idea che la cultura vada comunque promossa e sostenuta finanziariamente. Si afferma la parola d’ordine di teatro come servizio pubblico, come l’acqua, il gas, la scuola, gli ospedali. Diritto dei cittadini il cui costo deve essere assunto direttamente dallo stato.

L’ANIMAZIONE TEATRALE - In campo teatrale il ’68 è caratterizzato dal fenomeno dell’animazione teatrale. La tensione para-rivoluzionaria ha riproposto la problematica del teatro per/dei bambini che abbiamo già visto fiorire dentro la stagione del teatro politico, prima sovietico e della Germania pre-nazista. Riassunto a cura di Dario Apicella 68 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET L’intento non è rivoluzionario ma riformistico, l’animazione teatrale all’interno delle scuole soprattutto del Centro-Nord viene utilizzata dagli insegnanti per sviluppare le potenzialità creative e critiche degli studenti. GRANDI ATTORI DEL NOVECENTO ITALIANO eredi della tradizione del grande attore ottocentesco: - Permangono nel panorama della scena italiana alcune espressioni della tradizione illustre del grande attore: Vittorio Gassman, frutto dell’Accademia d’Arte Drammatica, fra i primi interpreti di Visconti. Voce e corpo possenti risucchiato assai presto dal cinema. - Eduardo De Filippo, figlio d’arte, cioè figlio naturale dell’attore e autore Eduardo Scarpetta. Interprete e scrittore teatrale, inizialmente più attore. Lavora in palcoscenico, improvvisa, e si costruisce i testi come canovacci che crescono nel tempo per sedimentazione progressiva. Eduardo amplia il ventaglio della scena italiana bloccata sul primo piano del salotto pirandelliano, percorso da borghesi benestanti ma inquieti. Eduardo ci spalanca sotto gli occhi la vita materiale dei suoi popolani e dei suoi piccolo-borghesi partenopei collocati nel riquadro di una sgraziata camera da letto o nella miseria dolorosa di un basso, caratteristica abitazione napoletana. Ma ciò che resta indimenticabile è la maschera di Eduardo, la mimica della sua umanità sofferente. La sua produzione drammaturgica resta sul crinale del sentimentalismo buonista e qualche volta caramelloso. - Dario Fo (1926) scrive negli anni Sessanta commedie di moderata satira politico-sociale. A partire dal ’68 diventa il cantore ispirato di una lunga e intransigente battaglia politica, a sinistra del Partito Comunista e del sindacato, a giudizio di Fo entrambi un po’ troppo compromessi con il sistema capitalistico. Come per Eduardo la sua grandezza scenica prevale di gran lunga sulla qualità della scrittura, spesso retorica. Fo lavora non solo con la maschera facciale ma con tutto il corpo ed è un mimo straordinario. Ultimo erede dei grandi attori ottocenteschi non ha bisogno di compagni di scena, offre il meglio di se come attore solista. Il suo capolavoro assoluto è Mistero buffo del 1969. Nel 1999 gli è stato assegnato il Premio Nobel per la letteratura. La motivazione dell’Accademia Reale di Svezia precisa che l’onorificenza è stata attribuita “all’italiano Dario Fo che nella tradizione dei giullari medioevali fustiga il potere e riabilita la dignità degli umiliati”. - Carmelo Bene (1937-2002) massimo rappresentante della Neo Avanguardia italiana (teatro di ricerca-teatro di sperimentazione) degli anni Sessanta e Settanta. Va tenuto presente che il teatro di quegli anni, in Italia e all’estero, punta sul linguaggio non verbale, polemizza sulla centralità della parola e valorizza al massimo il corpo, il gesto, il suono, il colore, la scenografia (teatro immagine). Bene ha invece una potenza di voce straordinaria, una ricchezza di timbri eccezionale (urli acuti, spezzature, sussurri, gorgoglii), e porta avanti una sperimentazione sulla voce, sulla phoné, di notevole impegno utilizzando sistematicamente, a partire dagli anni ottanta, sofisticati impianti di amplificazione fonica. Rimane costante la sua attenzione per il testo poetico che egli ricrea come vero e proprio co-autore. Sono molti i suo spettacoli shakespeariani replicati più volte e presentati nelle locandine come da Shakespeare e non di Shakespeare.: Amleto, Riccardo III, Rome e Giulietta, Otello, Macbeth. Carmelo rielabora le scritture, sfronda violentemente i personaggi, “moderno erede della gloriosa tradizione del grande attore”. SCIAMANI E POETI DELLA SCENA In opposizione al processo di mercificazione che pone al centro il teatro come prodotto, si determina una reazione che tenta di recuperare il rapporto reale, di partecipazione e quasi di fusione, fra attori e pubblico, riproponendo in qualche modo la funzione rituale, cerimoniale dello Riassunto a cura di Dario Apicella 69 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET spettacolo che è alle origini della nascita dell’evento teatrale. Ciò che conta e dunque l’incontro fra attori e spettatori, lo sforzo di coinvolgere intimamente la platea, di abbattere il muro che divide platea e palco. - Gli happening: la prima e più dura espressione in tal senso avviene negli Stati Uniti, patria dell’industria dello spettacolo. Nel 1959 a N.Y ork viene presentato il primo happening termine che significa “avvenimento” e indica un tipo di spettacolo che rifiuta tanto l’idea di palco quanto l’idea che tutti gli spettatori vedano la stessa cosa. Non esiste un luogo deputato, qualsiasi spazio è adeguato, e ciò che vedono alcuni spettatori può essere quantitativamente e qualitativamente diverso da ciò che vedono gli altri. Anche i movimento degli artisti non sono prefissati rigorosamente (anche se non si tratta di uno spettacolo che può essere definito improvvisato). All’elemento dialogico viene sostituito quasi totalmente l’elemento visuale, gestuale e sonoro o al massimo del materiale pre-verbale (mormorii, gorgoglii, risate. Occorre cogliere lo stretto legame tra dimensione dell’incontro e dimensione dello spazio. Lo spazio teatrale tende ad essere uno spazio di relazione per l’attore ma anche per lo spettatore. Lo spazio non è più qualcosa che pre-esiste allo spettacolo, diventa una componente dello spettacolo, una sua articolazione. Ogni spettacolo avrà il suo spazio, sempre diverso, e sempre diverso sarà lo spettacolo: capannoni industriali, chiese sconsacrate, garages, palestre, abitazioni private, cantine, per strada. - Il Living Theater viene fondato nel 1947 da Judith Malina (attrice, regista) e Julian Beck (attore, scenografo). The Connection di Jack Gelber è il loro primo successo. Nello spettacolo The Brig allestito nel ’63 che rappresenta la prigione per marines indisciplinati dove vige la legge della violenza fisica e psicologica: pugni nello stomaco, insulti, umiliazioni, gli attori devono ogni sera scambiarsi le parti per evitare che siano sempre gli stessi ad essere percossi. Traumatico fu l’effetto sul pubblico. L’ideologia anarco - pacifista del Living si incrocia con l’onda lunga del ’68, operazione intellettualistica, elaborata, in cui entrano la cultura ebraica dei coniugi Beck, l’influenza delle religioni orientali, teorie Zen, tecniche yoga, psicanalisi. Il dato più clamoroso è la rottura autentica delle barriere e la trasformazione dello spettacolo in un grandioso happening, in cui gli spettatori recitano, o comunque intervengono, agiscono. Il risultato teatrale è comunque meno importante del fatto che un gruppo di persone sia riunito in una grande famiglia per fare teatro. Nasce una tribù apolide di uomini e donne che vivono, lavorano insieme e mettono al mondo figli, recitano, inventano testi drammatici, praticano esercizi spirituali. Una comunità che discute tutto ciò che incontra sul suo cammino e che è tale poiché la vita acquista per ciascuno di loro significato recitando. - Peter Brook (1925) un altro dei grandi sciamani della scena contemporanea. Regista inglese lavora con successo sia nel teatro commerciale sia nelle severe istituzioni culturali della Gran Bretagna, come la Royal Shakespeare Company. Mette in scena Shakespeare in maniera geniale, eclettica, senza una solida riflessione teorica sul teatro (riflessione estranea alla tradizione inglese, disattente ai massimi teorici della regia a cominciare da Stanislavskij). Per Brook è importante Artaud che scopre negli anni sessanta. Nel 1970 si trasferisce a Parigi e da vita al Centro Internazionale di Ricerca Teatrale. Inizia il suo progetto di allontanamento delle istituzioni teatrali. Si lega di amicizia con Grotowski da cui è profondamente attratto. Anche per lui diventano fondamentali il lavoro sulle radici del fenomeno teatrale, lo scavo sull’arte dell’attore (corpo, voce, tecniche di improvvisazione ecc.) Decisiva è la scelta di operare con una troup di attori di varia nazionalità, di differenti razze (bianchi, neri, orientali), che parlano lingue diverse e che rompono dunque la compiaciuta convenzione della dizione perfetta su cui si regge l’industria dello spettacolo. Per Brook resta però capitale il rapporto con il pubblico. Lo affascina la ricerca di un pubblico nuovo, in qualche modo vergine, che insegue sotto ogni latitudine. Interviene con il suo gruppo (con spettacoli o semplici improvvisazioni) in Iran, Riassunto a cura di Dario Apicella 70 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Africa, Stati Uniti: tra le rovine di Persepolis, nei più sperduti villaggi Africani, in garages americani, tra le panchine dei parchi cittadini, negli ospedali, con bambini sordi. Nel 1974 si installa in un vecchio teatro abbandonato di un quartiere popolare parigino, Les Bouffes du Nord, che viene lasciato volutamente nella sua apparenza degradata del tempo. Le edizioni dei classici teatrali lasciano via via più spazio a progetti costruiti sulla centralità attorica, sino a quel complesso e monumentale Mahabharata (1985), poema epico, summa del pensiero indù, che dura nove ore, e che pure non è immune dal sistema del mercato teatrale. Jerzy Grotowski (1933-1999) fondatore nel 1959 del celebre Teatro Laboratorio è il più ascetico e solido interprete di questo rinnovamento scenico. Parte da una riflessione sulla progressiva perdita di identità del teatro – nel corso del Novecento – rispetto al dispiegarsi del potere di cinema e tv. Riconosce francamente l’inferiorità tecnologica del teatro che deve ammettere i suoi limiti, evitando scenografie, effetti luminosi, sonori, costumi, trucco. Solo così accettandosi come teatro povero ritroverà la propria specificità. Rinunciando a tutto il teatro si scopre ricco di presenza viva, in carne e ossa, dell’attore: eliminando la musica registrata si scopre che le voci degli attori potevano organizzare un’altra musica; eliminando le scenografie si scopre che quando l’attore utilizza solo oggetti a cui si sente vicino, l’uso che ne fa è più forte davanti allo spettatore. Grotowki giunge per altre vie a comprendere che il teatro può esistere anche senza apparato tecnologico, anche senza testo. Gli spettacoli di G. sono costruiti a partire dal rapporto con l’attore e non dal testo. La regia nasce storicamente al servizio del testo, ma per la realtà teatrale che stiamo indagando ciò che conta non è affatto il testo, bensì l’incontro (fra regista e attore e poi fra attore e spettatore) che può scattare benissimo anche senza testo. G. è ossessionato dal problema spazio, ritiene indispensabile eliminare il palcoscenico, infrangere tutte le barriere affinché quanto vi è di più intenso “avvenga faccia a faccia con lo spettatore e che questi sia a portata di mano dell’attore, possa sentire il suo respiro e percepire il suo sudore”. Da qui la necessità di un teatro da camera”. Alle messinscena del Teatro Laboratorio, di regola, gli spettatori non sono più di una cinquantina (al massimo un centinaio) . La prospettiva antropologica mira alla concezione del teatro come esperienza di vita, che è lavoro su di sé. Veicolo di arricchimento spirituale in grado di trasformare chi fa e chi osserva. Si è parlato di un percorso iniziatico in G., di una sua vene gnostica (perfetta conoscenza del divino). Il capolavoro di G. rimane Il principe costante allestito per la prima volta nel 1965, adattamento di un testo di Calderon de la Barca riscritto dal poeta e autore del romanticismo polacco Slowacki. Un principe portoghese, Don Fernando, fatto prigioniero dai mori, preferisce la morte piuttosto che l’isola di Ceuta, dominio della cristianità, sia ceduta agli infedeli, secondo le condizioni del riscatto concordate da suo fratello. Il principe è costante nella propria fede, ma la realizzazione di G. elimina proprio questa connotazione storico-ideologica di contrasto tra cristiani e musulmani. Lo spettatore percepisce, semmai, il quadro di un contesto sociale intriso di violenza e di spirito di sopraffazione, cui si contrappone la disarmata resistenza di un individuo. G. inventa uno spazio rettangolare, circondato da alte pareti di legno. Gli sono oltre la staccionata e occupano tre lati ad esclusione di uno corto da cui entrano gli interpreti. E solo le loro teste emergono oltre il margine più alto della palizzata. All’interno dell’area sta una piccola pedana di legno tale da contenere un corpo. Quando si vuole suscitare il processo di immedesimazione del pubblico, bisogna allontanare il pubblico dall’attore anziché avvicinarlo. L’essenza dello spettacolo e nell’affinamento della ricerca sul corpo dell’attore protagonista, Ryszard Ciéslak, il più celebre degli attori di G la cui ricerca si basa sul regista e sull’attore (a differenza di Brook la cui ricerca è fondata su regista-attore-pubblico). G. ripete che per lui era stimolante il momento delle prove teatrali, non quello della realizzazione dello spettacolo. Proverà con Ciéslak soltanto per mesi e mesi, senza utilizzare copione, solo successivamente comincia a lavorare con i compagni e ad utilizzare il testo. Per i suoi attori inventa il training, Riassunto a cura di Dario Apicella 71 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET allenamento vocale e fisico (ginnastica, acrobazia) finalizzato a migliorare riflessi, controllo di movimenti e gesti, gradazione dei timbri vocali. Nel 1969 G. abbandona la regia e le scene ma per oltre trent’anni, fino alla morte, è oggetto di venerazione da una parte del mondo teatrale. G. a un certo punto smette di creare spettacoli, per lui il teatro è stato lo pseudonimo della vita come avventura, ma continua ad incontrare persone e a indagare l’azione psicofisica, in una lunga serie di esperimenti parateatrali per il lavoro su di sé. Eugenio Barba (1936) italiano emigrato in Scandinavia dove lavora come operaio e marinaio stidiando all’università di Oslo da cui riceve una borsa di studio per seguire per due anni, fra il 1962 e il 1964, l’attività di Grotowski. Nel ’64 fonda ad Oslo l’Odin Teatret, riunendo attori rifiutati dalle tradizionali accademie d’arte drammatica. Dal 1966 sposta sede e teatro nella città danese di Hostebro. Si tratta di un teatro che riesce ad imporsi partendo da una condizione di marginalità e di inferiorità: a Oslo non possiedono la dizione ottimale dei colleghi diplomati delle accademie; a Hostebro non posseggono nemmeno la lingua. Gli svantaggi di partenza vengono ribaltati in elementi di forza proponendo spettacoli non fondati principalmente sul tessuto dialogico. Il primo grande successo è Min Fars Hus che debutta nel 1972, quello che voleva essere un lavoro sulla biografia di Dostoevskij diventa di fatto l’incontro tra lo scritture russo e il gruppo dell’Odin. Gli attori , questo è il metodo di Barba sviluppato da Grotowski, creano delle improvvisazioni, durante lunghissimi periodi di prova, a partire da spunti che essi ritrovano studiando vita e opere di di Dostoevskij. Ne viene fuori una ricca partitura di azioni che solo in un secondo tempo il regista corregge, modifica e soprattutto sottopone a montaggio. Barba propone uno spazio scenico rettangolare, con una sola linea di panche, sui quattro lati. Qua e le delle pertiche che sorreggono un filare di lampadine da fiera paesana. Uno spettacolo senza parole, fatto soltanto di una partitura musicale e luminosa chiaroscurale. I musici armati di filastrocca e flauto, inquietamente intabarrati in neri cappottoni, lunghi silenzi si alternano a cantilene, canti, fonemi (sospiri, gorgheggi, trilli, urla…). Fiammiferi illuminano il volto degli attori. Lo spettacolo si conclude con una lapidazione a base di monete scagliate con violenza contro uno degli attori. In seguito a questa prima esperienza Barba attiva la pratica dei baratti, cioè degli interventi dell’Odin in territori marginali (Salento, Barbagia, Perù, ecc.). L’Odin offre i suoi spettacoli, le sue improvvisazioni, i giochi di strada, le sue danze e la gente del luogo contraccambia con canzoni, danze, narrazioni. In situazioni particolari come nell’America Latina, inteventi di questo tipo si caricano di un rilevante significato politico, in opposizione alle dure dittature dominanti. Nel 1976 è Barba a lanciare il manifesto del Terzo Teatro, un teatro fra il teatro di tradizione e l’industria dello spettacolo da una parte e il teatro d’avanguardia, chiuso su se stesso, dall’altra. Un teatro definito di gruppo. Ma il senso della creatività barbiana è tutto da cogliere all’interno della carica vitale prorompente, passionale a tratti selvaggia che ha essenzialmente una vocazione lirica, non drammaturgica. Gli spettacoli più riusciti di Barba sono frammenti poetici, che comunicano non attraverso il logos ma attraverso il fluire delle immagini e dei suoni. Un teatro prepotentemente musicale, giocato su contrasti sapientissimi di silenzi prolungati, accensioni subitanee, strazianti melodie. Un teatro intensamente cromatico che he negli occhi i paesaggi meridionali e accecanti del Salento, cui Barba appartiene per le sue origini. Suono i colori di una incontenibile, personalissima, autobiografica pulsione di vita, che sta agli estremi opposti del gusto della macerazione, della ascesi gnostica di G. Tadeusez Kantor (1915-1990), polacco, artista prima ancora che teatrante: pittore, scenografo legato alle avanguardie storiche, soprattutto al Dadaismo, organizzatore di happenings, di eventi sperimentali. Il successo europeo arriva solo tra gli anni Settanta e Ottanta con La classe morta e Wielopole-Wielopole. Non siamo più sulla linea evento, antropologia teatrale lavoro sull’attore Living-Brook-Grotowski-Barba ma entro la cornice di un impianto comunicativo classico, nella dimensione dello spettacolo, peraltro di alta qualità. Riassunto a cura di Dario Apicella 72 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET La struttura di Classe morta è semplice, una serie di vecchi banchi di legno corroso dal tempo, in fila uno dietro l’altro. Una scuola di campagna che pare affiorare dalla memoria. Sui banchi e intorno ad essi un coro di una quindicina di vecchi, vestiti di nero in abiti del primo Novecento, che incalzati dalle note del valzer Franḉois, melodioso e straziante, prendono vigore, si eccitano, tentano un brindisi, un gesto, una invocazione. Ma appena la musica cessa, eccoli bloccarsi, spegnersi, cedere alla fatica, alla morte. Dal valzer affiorano i ricordi, le immagini di un antica scolaresca con i suoi riti, i tic, gli scherzi, le pulsioni del sesso che l’età va scoprendo, le piccole oscenità. Ma la rammentazione privata si aspre e si salda con squarci di un’epica, di un’epopea storica. La donna delle pulizie legge su un giornale la notizia dell’attentato di Sarajevo che scatena la Prima Guerra Mondiale. Il bidello si alza a cantare l’inno patriottico degli Asburgo. Nel coro dei vecchi-bambini che anche lo stridente partito a combattere al fronte, che ripete i suoi assalti alla baionetta. I personaggi appaiono come dei vecchi, ma impegnati a trascinarsi addosso, a sorreggere, dei fantocci con il volto e le mani di cera, che è il volto di loro stessi bambini. La classe dei morti allievi convivono con i vivi di un tempo. L’attore vivo – ma con la faccia livida, biacca – reca impressa su di sé la maschera del tempo e della morte; e il manichino artificiale ha invece le fattezze dolci e aggraziate della vita e della giovinezza, in una mescolanza di giovane e di vecchio, di vita e di morte. Kantor trae dalla sua cultura avanguardistica, dalle letture di Kleist e Craig, teorizzatori della presenza del manichino in teatro e della marionetta quale, la scelta di definire il proprio attore come “bio-oggetto”, organismo unitario, sintesi del corpo dell’attore, del suo prolungamento materiale, in cui la realtà dell’oggetto vale a limitare l’attore, a privarlo della sua capacità emotiva, a impedirgli il processo di immedesimazione. L’attore costretto a con-vivere con una sorta di protesi del proprio corpo, a trascinarla come un fardello, finisce per assumere la rigidità dell’automa. Altro elemento che gioca in questa stessa prospettiva e l’intervento anomalo del regista sul palcoscenico. Anche lui vestito di nero ma di una foggia più moderna, più raffinata. Sta fra gli attori ma non è attore, si muove con naturalezza, mentre quelli hanno movimenti legnosi, burattineschi, da automi appunto. Si pone quasi mai frontalmente al pubblico, di tre quarti, di profilo, di schiena. Controlla il lavoro degli attori, corregge dei dettagli, sposta un manichino, l’inclinazione di un cappello. Sembra un servo di scena, a volte un direttore d’orchestra con movimenti secchi del braccio, della mano, anche solo dell’indice si rivolge attori e tecnici perché facciano partire la musica oppure la arrestino. Difficile spiegare il mistero della presenza del regista in scena. Ci sono altri esempi di registi che si esibiscono a vista al banco di regia tecnica ma il caso di Kantor è differente. Al momento degli applausi egli non esce perché non è né attore ne direttore d’orchestra. E’ qualcosa di altro che sfugge. Eglo ammette di amare la provocazione, la trasgressione e che ama stare sul palco perché questo è contro tutte le convenzioni. Soprattutto Kantor svela che intervenendo sul lavoro dell’attore, toccandolo, correggendolo, distrugge l’illusione, svela la finzione, impedisce all’attore di prendersi troppo sul serio, di recitare alla vacchia maniera lasciandosi trascinare dall’emozione. Kantor è il padrone di casa, La classe morta (ispirata a Tumor cervellosi del polacco Witkiewicz, non è una rappresentazione, ma come recita il sottotitolo della messinscena sulle locandine, una seduta drammatica di cui K. è l’autore-medium che materializza nel corso dello spettacolo i suoi fantasmi, i suoi ricordi. Il flusso memoriale è strettamente connesso alla dimensione sonora che precede il dialogo. La musica nasce dal silenzio, quasi a fatica, lentamente. Le immagini stesse non sono che un prolungamento della musica, non è la musica a supporto dell’immagine. Un teatro di memoria che si pone come un teatro di musica. Wielopole-Wielopole scritto direttamente da Kantor e di carattere autobiografico, è giocato sull’alterannza di quattro motivi: percussione di bastoni; il Salmo 110 (per la Vulgata è il 109 ma K. segue la numerazione ebraica); la marcia militare di Grigia Fanteria; la melodia natalizia della Notte della Vigilia dallo Riassunto a cura di Dario Apicella 73 Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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STORIA DEL TEATRO. Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio. R. Alonge UTET Scherzo in Si minore, op 20. di Chopin. Il salmo non è stato scelto a caso ma è ricco di metafore tratte dal mondo della guerra, e si lega bene con la marcia militare. Inoltre rinvia al tema delal Croce e della Passione centrale in W.W. Accusato di narcisismo, megalomania va detto che la presenza del regista sulla scena ha un valore simbolico fortissimo, evidenza la presenza risolutrice del regista nel teatro del Novecento, la sua presa di possesso del palcoscenico, il suo sottrarlo definitivamente agli attori. K è regista-autore di testi/spettacoli che discendono direttamente dalla sua biografia, esplicita e confessata è la nuova figura di artista-creatore, il regista La nascita della regia nella sua valenza più alta di esercizio artistico e pratica creativa (e con essa la nascita di un nuovo attore) è il tentativo di ristabilire un collegamento con l’antica radice divine che è nel testo. Il regista è l’instancabile sacerdote della religione del testo, che legge, rilegge, interpreta, adatta, aggiusta a suo modo sempre originale e poetico. Il teatro è il luogo della conoscenza del testo, della sua ri-creazione del testo. Il resista sembra così aver soppiantato il ruolo del drammaturgo, dello scrittore di teatro anche se è innegabile che nel Novecento esiste una imbarazzante penuria di testi teatrali di valore. Potremmo concludere che il regista non fa che occupare uno spazio vuoto ed è una spia della perdita di centarlità della scrittura nel Novecento. Questo inizio del terzo millennio rischia di accertare la crisi della regia, alle spalle dei registi maturi di sessanta e settanta anni non si registrano nuove leve di valore. Oggi in Italia accade il peggio poiché la figura del regista è fortemente burocratizzata, asservita al potere politico

Riassunto a cura di Dario Apicella Storia del teatro e dello spettacolo E. Buonaccorsi – Primo anno, D.a.m.s. (feb. – mag. 2013)

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