Mussolini Revisioniato

December 4, 2022 | Author: Anonymous | Category: N/A
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 Mussolini, revisionato e pronto per l’uso

I conti con Mussolini, sembrano non chiudersi mai. Non tanto sul piano storiografico, dove l’imponente biografia defeliciana (otto densi volumi, pubblicati tra il 1965 e il 1997) rappresenta un ineludibile riferimento per ulteriori ricerche, quanto sul piano della divulgazione giornalistica e televisiva. Su una parte della stampa d’opinione e sul web, infatti, il dittatore tiene banco con interpretazioni benevole e commenti agiografici. Quali le ragioni del persistente fascino? Come mai, a decenni dalla morte, Mussolini gode di significativi consensi dopo avere precipitato il Paese nella rovina?  Nel Novecento italiano il duce ha impersonato più di chiunque altro il volto, l’essenza e il carisma del potere, con relativo carico di seduzioni, ambizioni, delusioni e rimpianti. Il programma d’ordine mussoliniano proietta ancor’oggi richiami rassicuranti, cui sono sensibili non tanto i vecchi nostalgici (dileguatisi per ragioni anagrafiche con lo scorrere dei decenni), ma gruppi di giovani non necessariamente politicizzati, frequentatori degli stadi piuttosto che delle piazze della  politica. La rassicurante figura di grande padre, in grado di risolvere con certezza categorica qualsiasi problema, si staglia nell’attuale vuoto di valori della politica come un seducente riferimento. L’odierna vulgata riabilitatrice individua in Mussolini una quantità di pregi a fronte di due aspetti negativi, peraltro presentati interconnessi: la soggezione a Hitler e la legislazione razziale. Nulla da eccepire, invece, per la RSI, interpretata come «repubblica necessaria» per attenuare la furia teutonica e fronteggiare la barbarie  partigiana. La memoria selettiva del ventennio ricorda che il fascismo riscattò il concetto di Patria dall’infamia in cui l’avevano precipitata le sinistre filobolsceviche, fece marciare i treni in orario, bonificò le paludi Pontine, costruì città, istituì la  previdenza sociale, conciliò Stato e Chiesa, trasformò un Paese da operetta in una nazione temuta dalle grandi potenze; di contro, ne ignora il ruolo liberticida, il 1

 

colonialismo, la persecuzione razziale, i crimini di guerra, il disastro provocato col secondo conflitto mondiale... Per spiegare il persistente appeal del duce bisognerebbe scavare dentro la psicologia di massa e recuperare alcune suggestioni dell’oramai dimenticato Wilhelm Reich, ma anche analizzare come i mass-media ripropongono gli stereotipi mussoliniani nelle varie fasi della vita nazionale del secondo dopoguerra. E, soprattutto, riflettere sulle difficoltà con cui si formano e si sviluppano, in democrazia, la coscienza civica e la consapevolezza di cittadinanza. A lungo gli intellettuali antifascisti hanno demonizzato e ridicolizzato il duce, con atteggiamento inconsapevolmente scaramantico, senza fare davvero i conti col rilievo del personaggio e col ruolo da lui rivestito nella storia d’Italia (e non solo). Le stesse ingenerose stroncature dell’imponente opera defeliciana, senza avere la capacità di costruire un lavoro biografico di eguale spessore e di analogo supporto documentario, testimoniano la prevalenza dell’aspetto critico-ideologico sulla ricerca storiografica. D’altronde le pretese di ortodossia determinano e ravvivano, per inevitabile reazione,  pulsioni revisioniste.  Nelle rffigurazioni della dittatura si è trascurato l’originale ed efficace intreccio di repressione-consenso che ha rappresentato uno dei tratti più originali del mussolinismo, dalla conquista al consolidamento del potere. Per decenni si è avvalorata l’esistenza di un «popolo in catene», del ventennale servaggio imposto dal despotismo e riscattato da venti mesi di Resistenza. In questo modo si è occultata, dietro una facciata dai tratti politicamente corretti ma alla lunga insostenibile, la complessa realtà di un rapporto tra il duce e gli italiani assai più profondo di quanto non piaccia pensare. E non soltanto sotto forma di pulsioni nostalgiche e patetiche invocazioni al demiurgo fotografate da uno tra gli slogan più duraturi della destra, quel Ci vuole un uomo! che riecheggia in modo intermittente nella politica nazionale. La questione di fondo riguarda piuttosto la maturità democratica, il sentimento di cittadinanza e il rapporto con la classe politica e nello specifico la riemergente suggestione verso figure carismatiche e condottieri di popoli, di ieri e di oggi. 2

 

   – Mussolini buonuomo

I tratti fondamentali della vulgata buonista che oggi va per la maggiore sono stati elaborati nel primo quinquennio del dopoguerra, con alcuni fortunati volumi e una dovizia di articoli su periodici popolari. Da allora, con atteggiamento interpretabile come pigrizia intellettuale e/o volontà di sfruttare sino in fondo una ricca vena mineraria, aneddoti e commenti d’epoca vengono periodicamente riproposti, ovviamente senza l’indicazione delle fonti. Per la sedimentazione della figura del duce nell’immaginario collettivo hanno contato  più Paolo Pao lo Monelli Monel li e Indro Montanelli M ontanelli di una generazione di storici stori ci contemporaneisti. contemporanei sti. Monelli (classe 1891) e Montanelli (1909) occuparono nel fascismo una posizione strategica; protagonisti della vita giornalistica e interlocutori dei maggior gerarchi,  poterono osservare l’impalcatura l ’impalcatura del rregime egime da dietro le qui quinte. nte. Entrambi, dopo avere  posto la loro penna al servizio del dittatore, con la seconda guerra mondiale si staccarono dal fascismo e dal 1945 pubblicarono una serie di cronache giornalistiche e di volumi di estremo rilievo nella definizione dei caratteri fondamentali della vulgata «umanitaria» del duce. Indro Montanelli, con l’intuizione e l’acume che gli erano propri, ha individuato nella figura del dittatore deposto un soggetto cui una parte ragguardevole della popolazione si sente persistentemente avvinta da pulsioni, sia pure contraddittorie, e pertanto ne ha ricostruito, reinterpretato e riproposto la figura, con un rilevante successo editoriale che conferma l’esattezza delle sue valutazioni psicologiche e di mercato.  Nel 1946 Montanelli redige – con l’editore Leo Longanesi e il regista Stefano Vanzina – le  Memorie di un cameriere di Mussolini, costruite sulla falsariga del racconto di Quinto Navarra (autore «putativo» del libro). Il testo accreditato a  Navarra è il precursore di innumerevoli articoli e monografie in cui il dittatore è scrutato dal buco della serratura: sfilano dinanzi al lettore le abitudini inconfessate 3

 

del capo di una nazione, la sequela delle donne, le credenze superstiziose, gli aneddoti su cibo e vestiario... Considerato che Quinto Navarra non scrisse una sola riga di quel testo, e che accettò a malavoglia di confidare i suoi ricordi, suona davvero curiosa l’avvertenza editoriale: «Il Navarra ha voluto pubblicare questo libro  per porre termine ai numerosi e leggendari leg gendari racconti che hanno germogliato sul conto di Mussolini, riportando fedelmente tutto ciò che ebbe modo di osservare durante il suo servizio, fuori da ogni influenza di parte». 1   Giovanni Ansaldo, aggiornato da Montanelli e Longanesi sul progetto, avendone scorso le bozze lo valutò un testo discutibile sul piano dell’attendibilità fattuale ma suggestivo per l’interpretazione  psicologica del personaggio; un libro collocato «su di una linea di prudente attesa di quella rivalutazione dell’uomo, che un giorno verrà». 2   Giornalista di fiuto, nonché mussoliniano deluso ma non pentito, Ansaldo colse nel segno non tanto nel  prevederne il successo (l’ultima riedizione è fresca d’inchiostro), ma perché il reale successo dell’operazione si misura col fatto che le memorie del cameriere di Mussolini hanno costituito una miniera aurea per gazzettieri e per improvvisati  biografi del duce, che hanno generosamente attinto a quel profluvio di curiosità e di notizie, senza curarsi di citarla. La trasformazione in moduli narrativamente accattivanti dei ricordi di Navarra è servita a Montanelli per entrare nelle pieghe del personaggio, cui ha dedicato nel 1947  Il buonuomo Mussolini, “monumentalizzazione” in stile minimalista del dittatore. L’autore è ricorso all’ingegnoso espediente del «testamento ritrovato» (già utilizzato nel precedente romanzo Qui non riposano), grazie al quale il duce si rivolge direttamente al lettore in limine mortis. Con la sincerità di chi ha un piede nella tomba, Mussolini spiega le proprie scelte come passi obbligati per migliorare l’Italia e gli italiani; se poi i risultati non sono stati quelli sperati, la provvida sventura temprerà il nostro popolo – sottoposto a prove ardue – più di quanto non lo farebbe una sfilza di successi. Con questa narrazione «verosimile» (il verosimile è la cifra 1

 Citazione dall’edizione Longanesi del 1983, p. 9, con una presentazione di Montanelli nella quale questi rievoca le  pressioni esercitate per strappare strappare al riluttante Navarra ghiotte confidenze sulla vita con Mussolini. Mussolini. 2  G. ANSALDO, Anni freddi. Diari 1946-1950, Bologna, il Mulino, 2003, p. 78.

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stilistica di Montanelli) la grande firma del giornalismo nazionale veicola la propria interpretazione del fascismo come regime tutto sommato accettabile, la cui caduta si deve unicamente alla cospirazione interna dei gerarchi, con buona pace degli antifascisti illusi e ininfluenti. L’autoassoluzione del Mussolini buonuomo non è soltanto il frutto di un animo generoso e incline al perdono, ma – e qui entra in gioco il vissuto di Montanelli 3  – rappresenta l’autoassoluzione dell’entourage del dittatore: dai gerarchi che in buona fede avevano costruito il piedistallo al duce sino ai milioni di italiani sedotti dall’uomo di Predappio. Tesi tutt’altro che controcorrente, come dimostra lo straordinario successo arriso al volume: stampato a metà marzo 1947, a fine aprile era giunto alla decima edizione. La ristampa più recente risale al 2003, in edizione tascabile Rizzoli, nel cofanetto con altri due libri di Montanelli –  Mio marito Carlo Marx  e  Addio, Wanda!  –

emblematici del suo eclettismo e della sua visuale

«privata». Positivi riscontri editoriali premiano anche  Mussolini piccolo borghese, il testo di Paolo Monelli che nel 1950 riprende e sviluppa l’operazione compiuta tre anni prima da Montanelli: classico long-seller, nel 1972 è alla 9 a  edizione. Abile scenografo, Monelli scandisce con i titoli di capitoli e paragrafi le tappe della vita del duce in chiave romanzata e con tecnica cinematografica. Più che addentrarci nelle pieghe della narrazione, minuziosamente descrittiva e caratterizzata da discutibili analisi  psicologiche, conviene stralciare alcuni esempi dell’efficace titolazione, che restituiscono approccio e orizzonte dell’autore: «Un monello irrequieto e manesco – Sassate ai bambini della dottrina – Maestro supplente e dongiovanni – Per poco non emigrò in America – Soldato disciplinato e volonteroso – Prima l’Augusta, poi la Rachele – Rivoluzionario di provincia – In carcere a Forlì – Le forbici di Margherita Sarfatti – L’adunata a piazza del Sepolcro – Gli squadristi gli prendono la mano – La marcia su Roma non la voleva – Le prime ghette bianche – Primi passi in società – La Regina Madre lo proteggeva – Scolaretto che vuol farsi onore – Fa bastonare Gobetti 3

 La più attendibile e completa biografia del giornalista toscano è costituita dai due volumi di S. GERBI e R. LIUCCI, Torino, Einaudi 2006 e 2009: soprattutto al primo cui si rimanda per l’approfondimento del controverso rapporto di Montanelli con la figura di Mussolini.

 Lo stregone  e  Montanelli l’anarchico borghese,

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 – Primi fumi dell’adulazione – L’uccisione di Matteotti – La nascita del tiranno – Apoteosi dell’Anno decimo – Dalla realtà al mito, dall’uomo al semidio – A Stra Hitler gli sembrò matto – Fondatore dell’Impero – Non gli piacevano le barzellette – Impaziente di nuove avventure – Frettoloso in amore – Entra la Claretta – L’appartamento degli amori pomeridiani – Asse, parola fatale – Prende la cotta per Hitler, inventa il passo romano e comincia a perseguitare gli ebrei – La dichiarazione di guerra – Barchette di carta sul sangue – Solitudine triste – Scenate e lacrime – Lo sbarco in Sicilia – La rivolta dei gerarchi – Non aveva capito niente – I 600 giorni – Prigioniero a Gargnano – Umiliato ai piedi dell’arcivescovo – Braccato dai partigiani  – L’inutile travestimento – La Claretta volle morire accanto a lui». Ecco dunque squinternata, nei suoi punti-cardine, una biografia con pretese di fedeltà storica: «Di tutti gli aneddoti che racconto, dei fatti esposti, delle citazioni di parole o di scritti di lui, posso garantire, se non sempre l’autenticità, la verisimiglianza per averne avuta esperienza diretta o per aver attinto a documenti originali o a fonti per un modo o per l’altro attendibili». Eppure, cinque anni prima di scrivere questo volume (presentato come «la più completa, precisa, curiosa biografia del romanzesco  personaggio che dominò l’Italia»), Monelli aveva pubblicato  Roma 1943 19 43, poi riedito da Einaudi con una prefazione di Lucio Villari, ammirato per l’«opera di grande giornalismo e di intensa testimonianza morale». 4  Il Monelli che nel 1944 descrive le disgrazie della capitale martoriata, con plauso di pubblico e di critica, è ben diverso dal Monelli che nel giro di qualche anno – quando l’opinione pubblica ha mutato orientamento e le rovine belliche sono un ricordo del passato e non la realtà quotidiana – pubblica una biografia mussoliniana superficiale e voyeuristica, ma ancora una volta allineata ai gusti predominanti.  Mussolini piccolo borghese è, come accennato, un lusinghiero successo: tre edizioni nel solo anno d’uscita, seguite da

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 In effetti la lettura di  Roma 1943 lascia l’impressione di un’efficace testimonianza morale. É probabile che Monelli abbia attraversato un profondo rivolgimento interiore, dopo la deposizione di Mussolini, considerato che ancora nel giugno del 1943 firmava sul «Corriere della Sera» articoli bellicisti, di esecrazione degli inglesi e dei partigiani di Tito. A meno che il giornalista avesse una straordinaria capacità di adattarsi ai tempi e di interiorizzarne lo spirito, per poi rifonderlo nei suoi articoli e nei suoi libri.

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almeno una dozzina di ristampe sino al 1983; il libro è tradotto in lingua inglese (1954), olandese (1954), francese (1955), spagnola (1968) e polacca (1973). Ai pionieristici volumi di Montanelli e Monelli farà riscontro un alluvione di testi scritti dai gerarchi di ogni ordine e grado (per citarne solo alcuni: Ottavio Dinale, Dino Grandi, Giovanni Giuriati, Asvero Gravelli, Giorgio Pini, Edoardo Susmel, Augusto Turati...), dalla servitù (il cameriere, il cuoco, l’autista...) e dai familiari (la vedova Rachele; i figli Edda, Bruno, Romano e Vittorio; la sorella Edvige...). Le testimonianze dei congiunti vengono presentate col suggello della verità, tasselli del mosaico romanzesco costruito attorno al capofamiglia sacrificatosi per il dovere: «Gli anni trascorsi hanno addolcito gli animi, le pagine scorrono lievi, anche le tragedie scoloriscono grazie alla dichiarata e affettuosa indulgenza dell’ultimo testimone», scrive la giornalista Barbara Palombelli per lanciare  Il duce mio padre, nel quale Romano Mussolini – secondo il risvolto di copertina – avrebbe tracciato un ritratto intimo in grado di svelare aspetti di rilievo: «Il capo del fascismo non racconta solo episodi cruciali e tragici della storia d’Italia, ma rivela anche se stesso, la propria solitudine e il proprio pessimismo di fronte ai voltafaccia e agli intrighi. Il versante  privato della parabola umana del dittatore». 5   Rachele Mussolini, sebbene illetterata e semialfabeta, risulta “autrice” di ben due libri:  La mia vita con Benito (1948) e  Benito il mio uomo (1958). Il primo, edito da Mondadori senza precisarne chi lo abbia effettivamente scritto, ha avvalorato la mitologia del Mussolini uomo di famiglia, che fa da contraltare al copione del focoso amante di Claretta Petacci e di innumerevoli altre. Il secondo, pubblicato da Rizzoli, è materialmente steso dalla pubblicista Anita Pensotti, che ricaverà altri tre libri da quel racconto di «donna Rachele». Che sia possibile occuparsi in modo serio e circostanziato dei risvolti personali del dittatore, lo dimostrano da ultimo un libro e un film sulla terribile vicenda della trentina Ida Dalser e di suo figlio Benito Albino, nato l’11 settembre 1915 dalla relazione con Mussolini. Madre e figlio, ingombranti testimonianze della vita 5

 Cfr. R. MUSSOLINI, Il Duce mio padre, Milano, Rizzoli, 2004.

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sregolata condotta dal futuro duce, durante il regime verranno rinchiusi in manicomio, dove «Benitino» morirà all’età di 27 anni. Forse per la scelta di affrontare un aspetto «sgradevole» del dittatore, con la rinunzia ai facili effetti, né il libro del giornalista Alfredo Pieroni ( Il  Il figlio segreto de Duce, Garzanti 2006) né la  pellicola di Marco Bellochio (Vincere, presentato nel maggio 2009 al Festival di Cannes) hanno raccolto il plauso di critica e di pubblico. In particolare, Vincere  è stato apprezzato dalla stampa internazionale ma non da quella italiana, probabilmente  perché – ha osservato un noto critico cinematografico – «ci sembra prediliga più la Storia della Passione». 6  

- Un dittatore a pillole e dispense

I settimanali popolari hanno contribuito in modo determinante a riplasmare la figura di Mussolini nel secondo dopoguerra. Per un ventennio l’immagine del duce è stata somministrata agli italiani a senso unico, secondo precise direttive ministeriali scandite dalle «veline» recapitate ai direttori di quotidiani e periodici, col risultato di inculcare nella popolazione una visione del dittatore destinata, almeno in parte, a sopravvivergli. 7  Col ristabilimento della libertà di stampa sono apparse una quantità di inchieste biografiche, particolarmente su riviste a grande tiratura che, con sfoggio di fotografie, presentano il dittatore con stilemi più affini alla tradizione del romanzo d’appendice che alla dimensione rigorosamente informativa. I settimanali di orientamento moderato «Oggi» e «Gente» si sono occupati in modo non occasionale di questo o quel risvolto di Mussolini, privilegiando la dimensione personale e la soggettività del dittatore, quasi a voler ricondurre la storia del fascismo e di un ventennio di vita nazionale alle vicissitudini e alla volontà del suo capo. L’efficacia 6

 P. MEREGHETTI, Più politica che passione. Bellocchio convince a metà, in «Corriere della Sera», 19 maggio 2009; si veda inoltre N. ASPESI, Il Duce di Bellocchio. Italiani tiepidi, all’estero piace, in «la Repubblica», 20 maggio 2009. Spicca, tra gli isolati giudizi positivi, quello dell’inserto domenicale del «Sole 24 Ore», che assegna al film quattro stelle sul massimo di cinque. 7   Sull’immagine di Mussolini cfr. S. LUZZATTO,  L’immagine del duce, Roma, Editori Riuniti, 2001; M. FRANZINELLI e E: V. MARINO, Il duce proibito, Milano, Oscar Mondadori, 2005.

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di questi servizi è testimoniata dalle rilevanti tirature dei due giornali, superiori al mezzo milione di copie, nonché dalla capacità di trasformare in senso comune le tesi ribadite anno dopo anno in articoli dal taglio volutamente divulgativo. Gli ingredienti della nostalgia e della «memoria indulgente», col massiccio utilizzo delle fotografie in funzione illustrativa e confermativa della narrazione, sono cucinati in lungi articoli in cui aspetti di dettaglio hanno spesso il sopravvento su valutazioni generali che  poco coinvolgerebbero il lettore medio, interessato più al retroscena e all’inedito (vero o presunto) che all’interpretazione storica o all’inquadramento politico. Ne emerge un dittatore risoluto ma bonario, disinteressato ad arricchirsi, capace di grande generosità verso i suoi nemici e i loro familiari: i due settimanali popolari ignorano o comunque trascurano – svalutandola – la repressione del dissenso, mentre vantano l’elargizione di aiuti o i gesti di grazia concessi a qualche oppositore. E documentano, con le fotografie scattate a suo tempo dai funzionari dell’apparato  propagandistico del regime, le dimensioni del consenso entusiasta assicurato dagli italiani al loro capo. 8 A firmare molti articoli su Mussolini sono giornalisti già ardenti fascisti, e che in diversi casi hanno mantenuto le loro opinioni, anche se le esprimono con accortezza e autocontrollo, per non inficiare l’effetto delle ricostruzioni «imparziali». Alcuni significativi servizi di «Oggi» sono scritti da Ivanoe Fossani, già promotore dello squadrismo mantovano, poi giornalista e confidente dell’Ovra. 9  Tra i collaboratori di «Gente» vi è Giorgio Pisanò, già volontario nelle forze armate della RSI. É evidente che né Fossani né Pisanò, come vari loro colleghi dagli analoghi trascorsi, siano i più indicati a ricostruire con un minimo d’imparzialità la vita del loro defunto condottiero... La popolarità (e l’efficacia) della biografia per immagini è all’origine di un’intelligente operazione editoriale varata dalla destra neofascista, che proprio 8

  Per un’accurata analisi di come, nel quindicennio postbellico, i rotocalchi popolari abbiano presentato il defunto regime, cfr. C. BALDASSINI, L’ombra di Mussolini, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008. 9  Su Ivanoe Fossani cfr. M. FRANZINELLI,  I tentacoli dell’Ovra. Agenti, collaboratori e vittime della polizia politica  fascista, Torino, Bollati Boringhieri, 2000, pp. 231 e 660, e Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascist a a,, Milano, Mondadori, 2003, pp. 217-18.

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attorno alla biografia di Mussolini ha lanciato nel luglio 1951 il quindicinale «Meridiano d’Italia Illustrato», supplemento all’omonimo settimanale diretto dal giornalista missino Francesco Maria Servello (all’epoca consigliere comunale di Milano, poi parlamentare per dieci legislature dapprima col MSI e infine col Polo della Libertà). 10   Col gusto delle ricorrenze, il primo fascicolo porta la data del 25 luglio, il giorno del «tradimento». La vita del duce viene ripercorsa in venti fascicoli di 32 o di 64 pagine, riempiti quasi per intero da circa 2.500 fotografie corredate da didascalie discorsive, che spiegano e collegano le immagini. Una biografia visiva, insomma, che non esibisce i tratti militanti della destra revanscista, ma che attorno alla presunta oggettività del documento fotografico e alla figura di Mussolini costruisce un discorso apparentemente imparziale:

Per tutto il trentennio corre dal 1915 al É, 1945, sortiquanto d’Italiaavviene sono state nel bene o nel male, nella buona nella avversa fortuna, che a Benito Mussolini. del le resto, per legate, ogni paese in cui si eserciti a lungo unae dittatura: a un certo punto, la storia di quel paese si confonde e diventa una cosa sola con la storia personale del dittatore. Proprio per tale motivo ci è sembrato di grande interesse, prescindendo da ogni considerazione positiva e negativa, il fatto di poter presentare al pubblico una cronaca fotografica completa del trentennio [sic] mussoliniano. Riunendo e collegando fra loro questi documenti, per la maggior parte assolutamente inediti, ci sembra di mettere a disposizione di tutti gli italiani, per la prima volta, una specie specie di grande «album di famiglia», che mostri ad ognuno quella che fu, nei suoi aspetti multiformi, anche la «sua» storia. 11

  Siccome un’impostazione smaccatamente reducistico-nostalgica circoscriverebbe la diffusione dell’opera al ghetto neofascista e condannerebbe al fallimento l’operazione editoriale, il «Meridiano d’Italia Illustrato» adotta un approccio minimalista e apparentemente avalutativo, per ricondurre al presunto automatismo dei processi storici gli eventi che portarono Mussolini al potere e lo videro protagonista di un ventennio di vita pubblica. In realtà si tratta di un’operazione di facciata, meramente strumentale, agevolata dall’utilizzo dell’imponente selezione fotografica prodotta dal ministero della stampa e della propaganda, nel grandioso spettacolo dell’Italia del consenso. Il testo collocato in riquadri a inizio sezione presenta in un’ottica giustificatrice le scelte del demiurgo, di cui si vanta ad esempio il realismo in politica 10  Il nerbo dei collaboratori del «Meridiano d’Italia» era costituito da reduci della RSI: Giorgio Almirante, Emilio Canevari, Concetto Pettinato, Giorgio Pini... 11   Dalla premessa, non firmata, pubblicata a p. 2 del primo fascicolo monografico intitolato  Mussolini, «Meridiano d’Italia Illustrato», 25 luglio 1951.

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estera: «Che Mussolini si sia piegato alla guerra solo nei casi in cui gli parve impossibile seguire altra strada, è ormai provato definitivamente dai documenti venuti a conoscenza del grande pubblico». Questo commento introduce il paragrafo  Mussolini pacifico,

dove campeggiano diverse fotografie in posa serena e sorridente

nei più diversi contesti: familiare, popolare, politico. Secondo i canoni del culto della personalità, il duce giganteggia sopra ogni altro  personaggio; il ridottissimo spazio dedicato agli antifascisti ne pone in rilievo debolezze e contraddittorietà. Il delitto Matteotti occupa uno spazio minimo; dei sicari di Dumini, si tace la contiguità col duce e si commenta che «fornirono all’antifascismo italiano una delle sue armi migliori: l’uccisione di Matteotti fu un episodio di autentica stupidità politica, che diede origine a molte voci». La titolazione in rilievo dei paragrafi fornisce una vera e propria guida alla lettura. Ecco la scansione tematica dal 1922 al 1937: «Se prepara la rivoluzione – La conquista di Roma – Mussolini al governo – Il listone del 1924 – I Savoia amano Mussolini – L’Italia della Vittoria – Il Duce e l’uomo – Matteotti – Mantenere il potere – L’anno del 3 gennaio  – Richiamo ai combattenti combat tenti – Una grande politica – L’ala L’al a fascista – Il destino sul mare  – La grande Roma – Mussolini diplomatico – In Tripolitania – Difesa Dif esa della del la lira li ra – La folla – Capo della Nazione – Pace e lavoro – L’Italia è fascista? – Lo Stato corporativo – La potenza militare – L’Italia ufficiale – Mussolini pacifico – I patti del Laterano – Sì: 8.506.576 No: 136.198 – Costruire – L’Italia proletaria – Fascistizzare  – Le cento città d’Italia d’Ital ia – Vittoria Vi ttoria sulla palude – L’italiano L’ italiano nuovo – Lavoro fascista fascis ta – Certezza – Il premio di natalità – Mobilitazione – Il fondatore dell’Impero – Costruire un’altra Italia – La famiglia dei Mussolini – Assistenza sociale ed autarchia – L’Asse Roma-Berlino». Il fascicolo dedicato al 1938 ignora la legislazione antiebraica e titola su «L’impero del lavoro – L’avvenire è dei giovani – Dall’Africa alla Spagna – Alla vigilia della catastrofe – I confini si difendono». L’entrata in guerra viene data per scontata, alla stregua di un evento inevitabile, frutto del destino: «Intanto anche l’Italia è entrata nella competizione». Il progressivo e irreversibile disastro militare è ricondotto non 11

 

già al duce (ministro della Guerra e comandante delle forze armate) ma agli inetti collaboratori, nonché al sabotaggio e al tradimento dei generali e della monarchia... Le vicende dell’8 settembre 1943 sono sbrigativamente spiegate come il colpo inferto alla Patria da capi felloni, mentre la nascita della RSI è riassunta nella parola d’ordine «Per l’onore d’Italia». L’ultimo fascicolo è centrato sulle violenze partigiani: «contiene la più completa documentazione fin qui apparsa sulle stragi dell’aprile 1945», avverte la presentazione editoriale, che sollecita i lettori a richiedere i fascicoli mancanti. Quella di Mussolini sarebbe dunque – secondo il «Meridiano d’Italia Illustrato» – una storia di tutti.

Al modico prezzo di 100 lire a fascicolo (200 per i numeri doppi), il

lettore acquistava ratealmente le puntate della biografia, con la possibilità di farla poi rilegare, per sfogliarla con maggiore agio. La sottolineatura della completezza dell’apparato fotografico (probabilmente ricavato dagli archivi de “il Popolo d’Italia”), della presenza di inediti e del carattere di album di famiglia ritornerà decennio dopo decennio in operazioni editoriali costruite attorno all’immagine di Mussolini e insistentemente presentate come un’assoluta novità. Il più recente riciclaggio di questa formula risale all’estate 2009, su iniziativa di Vittorio Feltri, direttore di «Libero»,. L’iniziativa, beninteso, ha poco o nulla a che fare con improbabili trasporti del giornalista bergamasco verso l’Uomo di Pedappio. Di ben altro si tratta: qui, evidentemente, si è inteso occupare uno spazio di mercato. Al quotidiano milanese sono stati allegati gratuitamente una ventina di fascicoli intitolati  Mussolini «Io vi parlo di me», da raccogliere in un volume di 400 pagine. Il senso dell’operazione è consistita ovviamente nell’obbiettivo di massimizzare le vendite mediante l’effetto-traino del gadget.12   Emblematico che il direttore Vittorio Feltri abbia individuato nella biografia illustrata del duce lo strumento di rilancio del quotidiano milanese. Stralciamo dalla prefazione: Insieme ai suoi discorsi, in queste pagine, il lettore potrà trovare una documentazione fotografica eccezionale. Ecco quindi il Mascelluto intrattenere i curiosi sui suoi amori in riva al Po e sulle sue avventure (pericolose) come maestro 12

 Con esiti persino curiosi: ho chiesto in prestito la copia qui utilizzata a un amico che durante l’uscita del supplemento  pagava all’edicolante il prezzo di «Libero», ritirando ritirando il solo fascicolo...

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elementare con licenza di sed s edurre urre le ragazze del paese ospite. [...] Storie note, mi direte. Ma qui la differenza la fa il narratore: Benito Mussolini. 13

  Secondo Feltri, la novità dell’opera consisterebbe dunque nell’autobiografismo. Non è qui il caso di considerare che gli scritti di Mussolini sono da sempre disponibili in una quantità di edizioni, per ogni palato e per tutte le tasche; evidentemente, per il lettore di «Libero» ciò è irrilevante. In realtà il «Mussolini narratore di Mussolini» consiste in un’auto-apologia, come s’intuisce dai titoli di testa delle varie sezioni  biografiche: «C’è un condottiero tra i miei antenati – Così divenni il numero uno – Quante beghe! I miei sono troppo litigiosi – La gioventù d’Italia sfila davanti a me Signorina Claretta, venite a trovarmi – Hitler? Un matto di cui non mi fido – Avete vinto le paludi – Al pane ho dedicato una filastrocca - Oro alla Patria contro le “inique sanzioni” – Un’ora solenne sta per scoccare: in piedi! – L’antisemitismo? No, in Italia non esiste – Risorge l’Impero sui colli fatali di Roma – Nel deserto ricevo la spada dell’Islam – Solo le nostre sono le vere democrazie – Non ci credevo: il Fuhrer sorrideva! – Fu sempre tormentato dalle leggi razziali – Il patto col diavolo – Il Duce diffidava di Hitler – L’America ci blandiva, Hitler ci minacciava – I tuoi occhi sono incantati – La parola d’ordine è una sola: vincere! – Il mio organismo è come un motore – E adesso spezzeremo le reni alla Grecia – Senza mio figlio tutto si è oscurato – Hitler mi parlava con le lacrime agli occhi – Bruno, quando potrò riposare con te? – La caduta degli dei: “Piombo a chi tradisce” – I nemici del fascismo rialzarono la testa – Badoglio e Grandi ti remavano contro – “Duce, al vostro posto ora c’è Badoglio – Dal Gran Sasso l’ultima illusione – In carcere Claretta pensava solo a lui – Hitler: “Liberate subito l’erede di Cesare”». Stranamente, sono ignorati gli ultimi venti mesi di vita di Mussolini, con l’esperienza della RSI. La biografia di «Libero» nel 2009 non regge il confronto con quella pubblicata nel 1951 dal «Meridiano d’Italia Illustrato»: le foto dei fascicoli di Feltri, oltre ad essere di numero assai inferiore, appaiono sgranate e di scarsa qualità, con un fastidioso 13

 Mussolini.  Mussolini. «Io vi parlo di me», prefazione di V. Feltri, Milano, «Libero», 2009.

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«effetto nebbia». Ciò nonostante l’iniziativa ha presumibilmente sortito esiti positivi, in termini di vendite, tanto è vero che è stata subito replicata con la biografia a  puntate Berlusconi tale e quale, costruita con i medesimi ingredienti, come variazione sul tema dell’«uomo solo al comando».

- Predappio, la Betlemme nera  La cittadella della memoria nera si trova nel cuore della Romagna, nelle campagne di una vallata in provincia di Forlì, a Predappio. Sino alla metà degli anni Venti si trattava di una borgata agreste come tante altre, denominata Dovìa, finché – nel giro di un decennio, a partire dal 1925 – una serie di interventi straordinari studiati da rinomati architetti e progettisti hanno trasformato il vecchio rione nel prototipo della città fascista. L’edificio rurale in cui il 29 luglio 1883 è nato Benito Andrea Amilcare Mussolini è stato modificato con l’aggiunta di un’officina di fabbro (per valorizzare – sia pure con un falso architettonico – le radici familiari popolari) 14  e attorno ad esso si è costruita la cittadina di Predappio nuova, inaugurata il 30 agosto 1925 alla  presenza della moglie e del fratello del duce, nonché del segretario del Partito fascista Roberto Farinacci e del gerarca Italo Balbo. Un anno più tardi Benito Mussolini ispezionerà il cantiere e sarà prodigo di consigli su modifiche e integrazioni ai  progetti di sviluppo, svi luppo, proseguiti prosegui ti grazie gr azie a cospicui finanziamenti sino al 1942. Edificio Edifici o dopo edificio, sorge una città-modello, con la trasformazione di una borgata disagiata in moderna terra di culto: la Betlemme dell’Era Fascista. Vengono così edificati nel 1926 la scuola elementare e il palazzo comunale con la scenografica scalea d’accesso; nell’anno successivo, l’asilo e l’oratorio di Santa Rosa (in onore della madre del duce, Rosa Maltoni) con tanto di Madonna del Fascio; 15  nel 1931 la chiesa  parrocchiale; nel 1934 l’enorme casa del Fascio e dell’ospitalità, concepita come 14

 Cfr. R. BALZANI, La casa natale di Mussolini. Storia di un luogo e di un simbolo , in «Contemporanea», n, 1/1998.  Cfr. M. GORI (cur.),  Asilo e oratorio di S. Rosa: il restauro della Madonna del fascio, ed. Comune di Predappio, 2001. 15

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centro della vita politica e sociale; nel 1937 la casa della Gioventù italiana del littorio; l’imponente caserma dei carabinieri – completata nel 1942 – è la realizzazione finale di un cantiere incrementato per una dozzina d’anni per finalità d’immagine e necessità ideologiche.16 Attraverso una tambureggiante campagna di mitizzazione dei luoghi, Predappio nuova accoglie i pellegrinaggi di scolaresche e affiliati all’associazionismo fascista: è la «meta ideale di ogni italiano», come la magnifica la propaganda del regime. Tra le  personalità convenute nella città del duce figurano Vittorio Emanuele III, i segretari del PNF Augusto Turati e Achille Starace, i letterati Filippo Tommaso Marinetti e Alfredo Manzini, il musicista Pietro Mascagni... Il successo dell’iniziativa è tale che, alla fondazione dell’impero, si progetta la costruzione, nell’Africa Orientale Italiana, di Predappio d’Etiopia. Icona dell’identità nera negli anni del regime, col crollo del fascismo Predappio si è trasformata in simbolo negativo della memoria nazionale. Di questa ingombrante eredità sono consapevoli anzitutto gli orfani del duce: «Un’aria di tragedia e di sconforto domina questa Predappio piuttosto abbandonata, come se le dovessero rimproverare un’indicibile colpa»; tuttavia, nonostante tutto, «ormai Predappio si  porterà per generazioni il i l nome ed il ricordo di Lui: lo vogliano o no i suoi abitanti abi tanti e la gente che in Italia si interessa alle vicende della politica e degli uomini». 17  Dopo un quindicennio di ribalta, è dunque il momento del silenzio e della rimozione. Il 30 agosto 1957 la traslazione semi-clandestina della salma del duce nella cripta di famiglia – dopo avventurose peripezie 18  – del cimitero di San Cassiano, un paio di chilometri fuori Predappio, ha restituito alla cittadina, almeno agli occhi dei filofascisti, una sua centralità, non più col richiamo della culla, bensì della tomba di Benito Mussolini. L’inumazione, autorizzata dal presidente del Consiglio, il democristiano Adone Zoli, altro illustre predappiese, desta immaginabile scalpore 16

 Cfr. M. PROLI, «Meta ideale di ogni italiano», in M. LODOVICI (cur.), Fascismi in Emilia Romagna, Forlì, Istituto  per la storia della Resistenza di Forlì-Cesena, 1998; U. TRAMONTI e L. PRATI, PRATI, La città progettata: Forlì, Predappio, Castrocaro, Forlì, Casma, 1999 e AA.VV.,  Il paese di Mussolini. Storia architettura città , ed. Comune di Predappio, 2003. 17  V. QUEREL, Il paese di Benito. Cronache di Predappio e dintorni, Roma, Corso, 1954. 18  Cfr. S. LUZZATTO, Il corpo del duce, Torino, Einaudi, 1998.

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nella cittadina romagnola, anche se il sindaco comunista Egidio Proli ostenta sicurezza e dichiara ai giornalisti affluiti in paese: «Non ci ha fatto paura da vivo, non ce la farà ora da morto!». L’arrivo della salma di «Lui» agevola la ripresa delle visite, in una dimensione funebre peraltro consona alla memoria neofascista, che ha spostato il calendario commemorativo predappiese dal 29 luglio al 28 aprile; è invece rimasto invariata la centralità del 28 ottobre. In questa fase il grosso dei pellegrini è costituito da nostalgici del regime e da reduci della Repubblica sociale. É significativo che un testo canonico dell’agiografia mussoliniana,  Il figlio del fabbro  di Mino Caudana (eteronimo di Anselmo Jona), inizi con la descrizione di una commossa visita alla tomba del duce, nel cimitero del paese natale: un viaggio in cui si ha la sensazione di ritrovare, almeno per un fuggevole istante, la gioventù perduta. 19 Dall’inizio degli anni Settanta si registra una sensibile ripresa di visitatori motivati ideologicamente. Per qualche tempo questo particolare afflusso irrita gli antifascisti, maggioritari nell’opinione pubblica (tanto è vero che nel dopoguerra la cittadina sarà sempre amministrata da giunte di sinistra o di centro-sinistra), che istituiscono un informale controllo della rete viaria, con stradini e volontari adibiti alla segnalazione di pullman e di automobili sospette; fermati i veicoli, li si rimanda indietro in caso di evidenti segnali «destrorsi» (camicie nere, gagliardetti...): nessuna ospitalità, a Predappio, per i nostalgici della «buonanima». 20   E avvengono pure due misteriosi attentati dimostrativi alla tomba di Mussolini. Negli anni Ottanta la situazione si è tranquillizzata e il turismo ha mutato connotati: da militante  a nostalgico. Lo spartiacque si colloca probabilmente nel 1983, con la celebrazione del centenario mussoliniano: quel 29 luglio il gotha del neofascismo italiano si ritrova in  pellegrinaggio al cimitero di Predappio, in un corteo aperto dal segretario del Movimento sociale Giorgio Almirante e dal suo erede designato Gianfranco Fini. Con questa cerimonia si conclude la marea montante del turismo nero. Segue una 19 Cfr.

M. CAUDANA,  Il figlio del fabbro, Roma, CEN, 1960. L’opera raccoglie in due densi volumi le 166 puntate  pubblicate nel 1958-59 sul quotidiano romano «il Tempo». 20  Ho raccolto le informazioni sulla Predappio del dopoguerra durante una visita alla cittadina romagnola: le debbo in  particolare all’amicizia all’amicizia di Vladimiro Flamigni, Flamigni, Massimo Lodovici e Mario P Proli. roli.

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nuova ondata di arrivi: un flusso di curiosi, forse definibili quali «voyeur della storia», con un livello di presenze attorno alle centomila visite annue, a sancire lo status privilegiato di luogo della memoria di un passato che continua a proiettarsi sul  presente. 21   Oggi Predappio vive una nuova fase, strettamente legata alle trasformazioni del Paese e in particolare della destra italiana. Il passaggio dal Movimento sociale ad Alleanza nazionale e la successiva confluenza nel berlusconiano Partito della Libertà hanno scontentato «i fedelissimi», indisponibili a rinunciare al mito del duce. Le simpatie verso il personaggio Mussolini hanno comunque perso l’aggancio partitico e sono contraddistinte dalla persistente affezione a livello individuale o di piccolo gruppo amicale-familiare.  Nelle due date canoniche del calendario nero, i giorni della marcia su Roma e dell’uccisione di Mussolini, alfa e omega del fascismo, giungono a Predappio migliaia di fans del duce, con una forte presenza di naziskin con magliette nere e abbigliamento paramilitare. Per qualche tempo nella cripta della famiglia Mussolini ha prestato servizio la cosiddetta Guardia d’onore, sotto forma di ausiliarie in divisa (camicia nera, mantello e basco dello stesso colore), imbalsamate in posa statuaria e assistite da nerboruti giovani in abbigliamento paramilitare e col capo rasato a zero. I visitatori possono firmare un registro, nel quale molti annotano commenti, slogan e auspici per l’avvenire di questa disgraziata nazione, immemore di chi tanto le giovò. Ultimamente le celebrazioni del 28 aprile, del 28 luglio e del 28 ottobre sono ravvivate dalla regia di un sacerdote di estrema destra, padre Giulio Tam (noto alle cronache per i saluti a mano tesa ai raduni di Forza Nuova), 22  che inscena processioni aperte da una gigantesca croce di legno portata a spalle da fanatici nerovestiti. Il folclore dei pellegrinaggi politici, individuali, familiari o di balde comitive è alimentato in loco da chi ha interesse a sfruttare un retroterra commerciale non 21

 Cfr. M. BAIONI, Predappio, in M. ISNENGHI (cur.),  I luoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia unita, RomaBari, Laterza, 1996, pp. 503-11. 22   Significativo il commento di un utente del sito internet di Forza Nuova sul forum del sodalizio neofascista: «Ho conosciuto e visto per la prima volta padre Tam quest’anno a ottobre. Grande persona innanzitutto, e poi immenso uomo di fede» (commento inserito il 17 dicembre 2008 da «cuorenero71»).

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indifferente. Un industriale della provincia di Lodi ha acquistato anni addietro Villa Carpena, residenza della famiglia Mussolini (e luogo delle mitiche trebbiature del duce-contadino) a una decina di chilometri da Predappio, trasformata in luogo della memoria privata con un proprio punto-vendita. Sul viale principale della cittadina lo sventolio di bandiere tricolori richiama i visitatori, che in due enormi supermarket del kitsch trovano un ragguardevole campionario di oggetti-simbolo: dall’immagine del ventennio, riprodotti in ogni formato e supporto (poster, busti, quadri, posacenere,  portachiavi, calendari, fazzoletti ecc.) alle pubblicazioni filofasciste e filonaziste. Interessi di bottega hanno contrapposto il gestore di Villa Carpena ai titolari del circuito turistico predappiese, per la divisione di un business che prosegue senza cedimenti e accomuna visitatori di ogni fascia d’età; le polemiche vengono talvolta riprese dalla stampa, in quanto coinvolgono e dividono pure gli eredi del duce. 23   L’abitazione natale di Mussolini appartiene allo Stato ed è gestita dal comune; ciò le ha sinora evitato di entrare a pieno titolo nel tour del circuito nostalgico. 24   In un salone spicca la bandiera rossa del 1913, con la scritta «Fate largo che passa il lavoro», dettata dal Mussolini prima maniera; il vessillo è stato tenuto nascosto per un ventennio dai vecchi socialisti per sottrarla al sequestro da parte delle camicie nere: la gloriosa bandiera tornerà a sventolare alla Liberazione della cittadina (avvenuta, ironia della sorte, il 28 ottobre 1944), quando una ventina di affiliati ricostituiscono la sezione del Partito socialista. Oggi Predappio è gemellata con due cittadine tedesche simbolo della resistenza al nazismo. Gli amministratori della località romagnola da tempo si propongono di trasformare il loro comune in luogo della memoria contemporanea e del confronto: da tempo è allo studio la costituzione di un centro studi sulla crisi della democrazia tra le due guerre, che tuttavia stenta a nascere a causa di persistenti ristrettezze finanziarie. Questa sovrapposizione di simboli e di memorie lascia intendere che Predappio – nonostante le apparenze e l’immagine pubblica – non è riducibile al monocromatismo nero. 23

 Cfr. V. MONTI, Il Duce a Roma? Vertice degli eredi, in «Corriere della Sera», 31 ottobre 2006.   Cfr. M. MARCHI (cur.), Storie di donne e di uomini. I primi 50 anni della Cooperativa ricreativo-culturale di Predappio, Predappio, Sapim, 2009.

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  - Tormentoni mussoliniani

Due questioni, tra gli argomenti ricorrenti del discorso su Mussolini, tornano regolarmente nelle cronache del dopoguerra: lo scoop sulle vere  circostanze della morte del duce e la (ri)scoperta dei diari autentici del dittatore. Il filone sulla morte del duce è già rigoglioso a pochi mesi dalle fucilazioni di Dongo e tra il maggio e il dicembre 1945 annovera una decina di monografie, i cui contenuti verranno riproposti con minime variazioni – e, soprattutto, senza significative nuove acquisizioni – sino ai nostri giorni: si possono citare, in questa produzione  pionieristica,  La verità sulla fine di Mussolini e della Petacci  (di Angelo Colleoni, Milano, ed. Lucchi), Come fu catturato e giustiziato Mussolini  (R. M., Roma, Velograf)  Le ultime giornate di Mussolini e di Claretta Petacci  (Storicus, Milano, Unione tipografica), Come fu arrestato e soppresso Mussolini (Carlo Cetti, Como, il Ginepro),  L’ultima ora di Mussolini  (Roma, Novissima). Anno dopo anno, i testi sulla soppressione del duce si ammonticchiano gli uni sugli altri e oggi, per contenerli tutti, servirebbe una capiente biblioteca. E, purtroppo, pochi sono quelli che contribuiscono all’avanzamento delle conoscenze. 25 Tra chi è rimasto ipnotizzato da questo scabroso e tragico tema vi è Giorgio Pisanò, che dopo il giovanile arruolamento nella RSI ha dedicato una vita alla rivalutazione del duce e del fascismo, finché – poco prima della morte – ha riassunto quarant’anni di ricerche nel volume Gli ultimi cinque secondi di Mussolini. L’indagine definitiva sul giallo più intricato di questo secolo. Il libro decontestualizza e isola le circostanze

della fucilazione di Mussolini, ridotte ad atto di barbarie spiegabile unicamente con la disumanità dei comunisti. Pisanò individua l’esecutore materiale nel dirigente del PCI Luigi Longo, interpretando discordanze e reticenze delle versioni fornite da Walter 25

  Tra le positive eccezioni si segnala la recente monografia di G. CAVALLERI, F. GIANNANTONI e M. J. CEREGHINO,  La fine: gli ultimi giorni di Benito Mussolini nei documenti dei servizi segreti americani, Milano, Garzanti, 2009.

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Audisio e dagli altri componenti il plotone d’esecuzione col deliberato intento di intorbidire le acque per coprire il vero «giustiziere». Una versione dal taglio volutamente politico, debitrice più all’ideologia del suo autore che non a dati di fatto, ma che – ad onta dell’inverosimiglianza – ha incontrato grande visibilità mediatica e successo editoriale: pubblicato nel 1996 da il Saggiatore, è rimasto a lungo nelle classifiche dei saggi più venduti, e da ultimo è stato ristampato in paperback nel 2009. La riproposizione a getto continuo di pretesi scoop sulle dinamiche dell’uccisione del duce – e la novità costituita dal giudizio negativo espresso da dirigenti della sinistra sull’uccisione di Mussolini 26  – si è accompagnata, tre anni addietro, alla richiesta di aprire un’inchiesta per l’accertamento delle responsabilità penali. Guido Mussolini (figlio di Vittorio e nipote di Benito), assistito da due avvocati e da tre consulenti, ha denunciato alla magistratura di Como i responsabili della morte del nonno, e ha chiesto la riesumazione della salma per raccogliere elementi di prova tramite l’esame autoptico. A suo sostegno è intervenuto il regista Renzo Martinelli, autore di numerose pellicole su personaggi storici, contemporanei e non: «Ho pronto il soggetto di un film scomodo che smentisce la versione ufficiale sulla morte del duce. L’eco mediatico di un film sulla morte di Mussolini sarebbe grandissima, tanto da  poter affascinare un pubblico internazionale». 27   Se, evidentemente, il regista pensa anzitutto alla cassetta, il nipote del dittatore è invece mosso – a giudicare dalle interviste da lui rilasciate – dal duplice intento di punire i fucilatori (peraltro tutti defunti) e di mettere sul banco d’accusa il movimento partigiano. La querela è stata archiviata, in quanto, secondo il procuratore della Repubblica, «il 22 giugno 1946 venne emanata l’amnistia Togliatti che ha cancellato tutti i reati». 28   Le successive tappe della polemica, con l’annunzio del ricorso in Cassazione, sono affondate senza 26

 Ha destato sensazione la condanna da parte di Massimo D’Alema dell’uccisione di Mussolini: «fa parte di quegli episodi che possono accadere nella ferocia della guerra civile, ma che non possiamo considerare accettabili»; a suo avviso, si sarebbe dovuta seguire la strada processuale. Di parere opposto lo storico Claudio Pavone, per il quale l’uccisione del tiranno serviva a chiudere definitivamente col fascismo. Cfr. S. BUZZANCA, «Un errore uccidere  Mussolini» e S. FIORI, Caro D’Alema era l’unica via, in «la Repubblica», 4 e 5 novembre 2005. 27  D. MESSINA, Renzo Martinelli in cerca del duce, in «Corriere della Sera», 9 settembre 2006. 28  Cfr. «Verità su Mussolini, riesumate la salma», in «Corriere della Sera» e R. B.,  Mussolini, no della procura alla riesumazione, in «la Repubblica», 5 e 6 settembre 2006.

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esito nelle pieghe della cronaca minuta. Che l’esecuzione di Mussolini, uno tra i massimi criminali della seconda guerra mondiale, si presti (a 61 anni di distanza) a una richiesta di punizione giudiziaria, è davvero allucinante, tanto più che essa venne attuata su ordine del Comitato nazionale di liberazione dell’Alta Italia. Il solo fatto che una richiesta così scombinata possa essere stata presentata con speranze di successo, e sia stata presa sul serio da tutta la stampa, è un segno eloquente dei tempi.  Nel 2007 è scoppiata per l’ennesima volta, con assordante clamore, la querelle sul ritrovamento dei diari del duce. Negli anni Trenta il dittatore annotò su alcune agende  brevi osservazioni, a mo’ di promemoria; solo di rado quelle note si diffondevano in giudizi su personaggi e episodi specifici. Così, almeno, hanno testimoniato le persone cui il duce mostrò o lesse alcune pagine. Le agende sono scomparse in Svizzera,  probabilmente distrutte nel rogo di documentazione segreta effettuato nell’agosto 1945 alla legazione nipponica nella Confederazione elvetica, cinque mesi dopo che Vittorio Mussolini le aveva consegnate su ordine del padre all’ambasciatore del Giappone a Salò, Shinrokuro Hidaka. Da quelle ceneri, novella araba fenice, i diari risorgono e si aggirano per mezza Europa, a ritmo intermittente e con straordinaria costanza. La prima versione, apparsa nel 1957 e venduta per l’allora ragguardevole somma di 50 milioni di lire, è frutto del certosino lavoro della vedova di un commissario di  polizia, la vercellese vercelles e Rosetta Panvini, e di sua figlia Amalia Amal ia che, dopo essersi studi studiate ate  per qualche anno la stampa s tampa del regime e la scrittura scr ittura del duce, hanno riempito ri empito migliaia di pagine con la cronaca delle giornate del dittatore. Le due geniali autodidatte hanno imitato alla perfezione la grafia mussoliniana ma hanno infiorettato il testo di svarioni, il che ne ha consentito lo smascheramento. Condannate nel 1962 dal Tribunale di Vercelli rispettivamente alla pena di due e di un anno di reclusione per falso e truffa, madre e figlia sono uscite di scena (Rosetta è morta nel 1968 all’età di 84 anni), ma il loro capolavoro ha continuato a circolare ed è stato addirittura considerato autentico dal figlio del duce, Vittorio Mussolini, che – come si è detto – è 21

 

stato l’ultimo italiano ad avere visto la documentazione originale. Ancora nel 1967 un gruppo editoriale inglese ha acquistato l’ingegnosa produzione delle due falsificatrici, mentre l’editore Rizzoli è stato più accorto e ha rifiutato l’infida offerta. Archiviato il diario di Rosetta e Amalia Panvini, è comparsa una seconda e più accurata imitazione delle celebri agende, che ha preso a circolare vorticosamente, sia  pure senza costrutto, in quanto è stata invano offerta nel 1980 al londinese «Time», nel 1991 alla casa d’aste Sotheby’s, nel 1992 all’editore Feltrinelli, nel 1994 al quotidiano britannico «Sunday Telegraph» (che ne annunciò incautamente la  pubblicazione), nel 2004 al settimanale «L’espresso» e al quotidiano «la Repubblica». La più recente e clamorosa riscoperta di questo materiale si deve a Marcello Dell’Utri, uomo politico e fine bibliofilo. Il senatore del Popolo della Libertà ha individuato presso un notaio di Bellinzona cinque agende del 1935-39, depositate dal figlio di un partigiano che se ne sarebbe impadronito a Dongo all’atto della cattura del duce. Agende autenticate da Romano Mussolini, che vi ha riconosciuto la grafia  paterna e la cronaca di eventi familiari. Dell’Utri De ll’Utri ha anticipato anticipat o nel 2007 l’importanza l’importa nza di quella documentazione, destinata a cambiare il giudizio della storia: «Di certo i diari chiariscono ulteriormente la volontà del duce di evitare la guerra. Il suo atteggiamento di fronte alla guerra, fino al 1939, è negativo: scrive chiaramente che non la vuole. Poi racconta di personaggi con tanto di nomi e cognomi e ci sono giudizi sorprendenti su alcuni gerarchi fascisti: giudizi negativi». Consonante l’impressione di Alessandra Mussolini, l’estroversa e loquace nipote del dittatore, lei  pure parlamentare par lamentare del centro-destra: «Abbiamo vi visto sto le l e cinque agende insieme ins ieme e non ho dubbi sull’autenticità. Da questi diari emergono tutti i tentativi fatti dal nonno per evitare la guerra. Inoltre intuiva che intorno a lui il regime stava franando. Sono documenti importanti, perché consentiranno di interpretare la figura di Mussolini con maggiore obbiettività». 29

 

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 P. PANZA, Annuncio di Dell’Utri: ecco i diari di Mussolini, in «Corriere della Sera», 11 febbraio 2007.

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Il senatore Dell’Utri è rimasto turbato dall’impatto con una documentazione così ragguardevole: «É un’emozione fortissima avere tra le mani questi diari, che fanno scoprire un’identità nuova di Mussolini». 30  Se ne ricaverebbe, a suo dire, l’immagine un duce nemico dei tedeschi e desideroso di tenere l’Italia fuori dalla guerra, un uomo capace di autocritica e insofferente delle pagliacciate del segretario del PNF Starace... Altra scoperta sconvolgente sarebbe l’intima contrarietà del duce alle leggi razziali, su cui il diario direbbe la parola decisiva, svelando finalmente il falso storico di un Mussolini persecutore degli ebrei. Versioni amplificate dalla popolare trasmissione televisiva di Bruno Vespa Porta a porta, con lo stesso Dell’Utri e Alessandra Mussolini in veste di testimoni autorevoli. In verità, la presunta identità inedita del dittatore tutto può essere definita, tranne che nuova: alla sua costruzione, infatti, sono stati dedicati nel corso degli anni innumerevoli articoli e inchieste, oltre a una vasta  produzione di opuscoli e libri. Un più attento esame evidenzierà nei diari cari a Dell’Utri una quantità di errori su date, persone e fatti. Gli storici Luciano Canfora e Emilio Gentile hanno impietosamente demolito le residue speranze di veridicità di quel materiale, in realtà  plasmato sulle cronache de «il Popolo d’Italia», il quotidiano fascista che dedicava largo spazio agli impegni giornalieri del dittatore. Il clamore si è finalmente sedato, in attesa della prossima riscoperta del vero Mussolini ...attraverso i suoi diari. Ad ogni  buon conto, Marcello Dell’Utri continua a credere autentiche le controverse agende, da lui commentate: «Nei suoi diari scrive che le leggi razziali devono essere blande. Mussolini, uomo straordinario e di grande cultura, ha perso la guerra perché era troppo buono: non era affatto un dittatore spietato come Stalin». 31 Al di là degli aspetti curiosi, la telenovela un suo senso ce l’ha: dimostra infatti quanto sia radicato il desiderio di credere in un Mussolini «umano», ragionevole e generoso, costretto dalle asprezze della politica e dagli infidi alleati a scelte sfortunate... L’opera di destoricizzazione sostituisce al tiranno il governante riottoso e l’uomo desideroso di normalità; a costo di ribaltare non soltanto la realtà dei fatti ma 30

 A. CAPORALE, Dell’Utri, «Ecco i diari di Mussolini», in «la Repubblica», 12 febbraio 2007.  C. LOPAPA, Dell’Utri: «Mussolini fu troppo buono», in «la Repubblica», 5 maggio 2009.

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 pure la costruzione del mito di se stesso, operazione cui il duce si applicò con impegno narcisistico. Un personaggio, il Mussolini evocato dagli scritti apocrifi e sognato dai suoi odierni estimatori, di cui l’Italia avrebbe disperato bisogno per uscire dall’attuale crisi di leadership: «Ci vuole un uomo!».

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