M.nicoll - L_Uomo Nuovo

September 26, 2017 | Author: SalvatoreMarioGiugliano | Category: Truth, Jesus, Homo Sapiens, Knowledge, Thought
Share Embed Donate


Short Description

M.nicoll - L_Uomo Nuovo...

Description

Maurice Nicoll L’Uomo Nuovo. Interpretazione di alcune parabole e di alcuni miracoli di Cristo. Titolo originale: The New Man: An Interpretation of Some Parables and Miracles of Christ (Stuart & Richards, Londra, 1950). Trad. it. Clara e Teresio Spagnolini. Revisione di Luciano Rosso. Libreria Editrice Psiche, Torino, 1989.

1

INDICE

Note sull’autore I - Il linguaggio delle Parabole II - L’idea della tentazione nei Vangeli III - Le nozze di Cana IV - L’idea del Bene è al di sopra della Verità V - L’idea di Giustizia nei Vangeli VI - L’idea di Sapienza nei Vangeli VII - Simon Pietro nei Vangeli VIII - L’idea della Preghiera IX - Il Discorso della Montagna X - La Fede XI - Il Regno dei Cieli XII - Giuda Iscariota Appendice

2

NOTE SULL’AUTORE Maurice Nicoll, figlio del famoso letterato William Robertson Nicoll, nacque in Scozia nel 1884. Da giovane conobbe molti uomini famosi durante gli incontri e le riunioni che si tenevano in casa di suo padre a Hampstead. Fra questi Lloyd George, Asquith, James Barrie, il giovane Winston ChurchilI e Lord Riddel, nei cui diari abbiamo i resoconti delle conversazioni tenute in questa casa. Si laureò in Scienze al Caius College di Cambridge e si specializzò in medicina al Bart’s Hospital. Dopo aver studiato a Parigi, Berlino e Vienna, iniziò la sua carriera di specialista nell’ospedale di Harley Street. Partecipò alla prima guerra mondiale come capitano medico e fu destinato all’ospedale da campo di Gallipoli. Egli ha descritto la sua esperienza bellica nel libro “In Mesopotamia”, pubblicato a Londra nel 1917 con lo pseudonimo di “Martin Swayne”. Sempre nel 1917 Nicoll scrisse un altro libro, “Psicologia del sogno”, in cui riconosceva di essere debitore alle teorie di Jung, con il quale aveva studiato a Zurigo. Finita la guerra (1918), Nicoll ritornò all’ospedale di Harley Street affiancandosi all’anziano dr. George Riddoch all’Empire Hospital, il cui personale annoverava molti uomini illustri. Egli diventò un pioniere della medicina psicologica e pubblicò molti saggi di psicologia medica, spesso citati da William McDougall. nei suoi volumi di neuropsicologia. Nel 1922 frequentò per un anno l’Istituto per lo Sviluppo Armonico dell’Uomo che G.I. Gurdjieff aveva fondato nel Prieuré di Avon, vicino a Fontainebleau. Nel 1921 aveva conosciuto Ouspensky, che nel volume “Frammenti di un insegnamento sconosciuto” aveva divulgato gli insegnamenti e la figura di Gurdjieff. Fino al 1940 Ouspensky tenne delle conferenze a Londra e già nel 1931 aveva autorizzato Nicoll a seguire dei gruppi per lo studio del pensiero di Gurdjieff, cosa che egli continuò a fare fino alla morte. Nicoll ha scritto un Commentario in cinque volumi sull’insegnamento di Gurdjieff e Ouspensky. Il tempo libero Nicoll lo dedicava all’edilizia, alla musica, alla letteratura, al teatro drammatico. Dipingeva ad olio e ad acquerello. Il 3

suo primo libro “In Mesopotamia” lo illustrò lui stesso con gli acquerelli. Del proprio insegnamento Nicoll diceva: “Come oggi riscoprono diversi prodotti chimici, come i sulfamidici, la penicillina, la streptomicina, così si deve progredire nello studio dei veleni della mente e delle emozioni: i Vangeli nascondono l’antidoto”. Per Nicoll lo scopo dell’Uomo Nuovo è “quello di evidenziare come tutta la dottrina evangelica, così come molte altre dottrine tradizionali e moderne, sia orientata verso il superamento della violenza, tanto evidente nel mondo contemporaneo. Superamento possibile con lo sviluppo di un essere diverso, superiore alla violenza”.

4

I - IL LINGUAGGIO DELLE PARABOLE PARTE PRIMA La Sacra Scrittura ha un senso essoterico e un senso esoterico. Dietro al senso letterale c’è un altro senso, un’altra forma di conoscenza. Secondo un’antica tradizione, l’Uomo, una volta, conosceva profondamente, interiormente. Ci sono molti episodi nel Vecchio Testamento che presumono un’altra conoscenza, un significato del tutto diverso da quello che si ricava dal senso letterale delle parole. Il racconto dell’Arca, quello del servo del Faraone e del fornaio, quello della Torre di Babele, il racconto di Giacobbe ed Esaù e il piatto di lenticchie e molti altri contengono un significato psicologico interiore ben più profondo di quello letterale. E nei Vangeli la parabola viene usata in modo analogo. Nei Vangeli si fa largo uso delle Parabole. Così come sono, considerandone solo il senso letterale, esse si riferiscono in apparenza a vigne, a capifamiglia, ad amministratori, a figli prodighi, all’olio, all’acqua e al vino, ai semi, ai seminatori, ai campi ed a molte altre cose. Questo è ciò che si ricava da una lettura superficiale. Il linguaggio delle parabole è difficile da capire così come, generalmente, è difficile da capire il linguaggio di ogni scritto sacro. Visti in modo letterale sia il Vecchio che il Nuovo Testamento non sono solo contradditori, ma molto crudeli e ripugnanti. Il problema è: perché questi scritti Sacri si presentano tanto disorientanti? Perché questi scritti Sacri non spiegano chiaramente ciò che vogliono esprimere? Se i racconti di Giacobbe ed Esaù, od ancora, della Torre di Babele o dell’Arca che galleggiava durante il diluvio non sono veri se interpretati solo in modo letterale, ma possono invece avere un significato più profondo, perché tutto questo non è stato scritto in modo evidente? Allora perché si fa uso delle parabole nei Vangeli? Perché non dire chiaramente il significato? Chi pensa così potrebbe chiedersi perché il racconto della Creazione nella Genesi, che non può essere inteso solo in senso letterale, possa significare anche qualcos’altro, qualcosa di nascosto che dà il vero senso, al di là di ciò che esprimono le parole prese alla lettera. Allora egli potrebbe giustamente concludere che le cosiddette Sacre Scritture non sono altro che un inganno senza un contenuto da comprendere e da 5

svelare. Se tutti questi racconti, tutte queste storie, allegorie, miti, similitudini e parabole nelle Sacre Scritture vogliono esprimere qualcos’altro, perché non si può stabilire chiaramente dall’inizio ciò che vogliono dire di modo che tutti possano comprendere? Perché velare ogni cosa? Perché tutto questo mistero, tutta questa oscurità? L’idea nascosta dietro ad ogni scritto sacro è quella di trasmettere un significato più elevato di quello contenuto nelle parole nel loro significato letterale, e la verità di quanto è trasmesso deve essere verificata dall’Uomo internamente. Questo significato più elevato, nascosto, interiore od esoterico, adombrato dalle parole e dalle immagini quotidiane, può essere solo intuito; da qui la difficoltà, per l’uomo, di dare alla realtà un senso superiore. Il livello di comprensione letterale di una persona non è necessariamente uguale al suo livello di comprensione del significato psicologico. Capire in modo letterale è una cosa, capire psicologicamente un’altra. Facciamo alcuni esempi. Il comandamento dice: “Non ucciderai”. Questo è il livello letterale. Ma il significato psicologico è “Non commetterai omicidio nel tuo cuore”. Il primo significato è letterale, il secondo è psicologico ed è specificato chiaramente nel Levitico. Un altro comandamento: “Non commetterai adulterio” è il significato letterale, ma il significato psicologico, che va più in là, si riferisce all’insiemismo dottrinale. Per questo spesso è detto che la gente cominciò a prostituirsi seguendo altri dèi e così via. Ancora, il significato letterale del comandamento: “Non ruberai” è ovvio, ma il significato interiore è molto più profondo. Rubare, dal punto di vista psicologico, significa pensare che si possa fare tutto con le proprie forze, da soli, non comprendendo che io non so chi sono, cosa penso, come sento e forse neppure come orientarmi. È come pensare che tutto ci sia dovuto e attribuire a se stessi ogni merito. Invece è solo una possibilità. Ma se si dicesse direttamente questo ad un uomo, egli non capirebbe. Così il significato rimane nascosto, perché, se fosse spiegato, nessuno ci crederebbe, e tutti lo considererebbero un’assurdità. L’idea non solo non sarebbe capita, ma anzi sarebbe considerata ridicola. La conoscenza superiore, il significato superiore, se viene portato al livello ordinario di comprensione, sembrerà un’assurdità e non sarà compreso. Diverrà allora una cosa inutile e dannosa. Il significato superiore può essere dato solo a coloro che sono vicini a comprenderne il senso giusto. 6

Questa è una delle ragioni per cui il vero senso di tutti gli scritti sacri deve essere nascosto, così come è, dall’involucro esterno dell’espressione letterale. Non si tratta di ingannare la gente, ma di una questione legata alla necessità di salvaguardare questo significato e di evitare che venga frainteso e banalizzato, distruggendo il suo senso profondo. La gente pensa talvolta di poter comprendere ogni cosa, quando la sente. Ma ciò è assolutamente errato. Lo sviluppo della comprensione, la visione delle differenze è un processo lungo. Tutti sanno che non si può trasmettere la conoscenza della vita ai bimbi piccoli perché la loro comprensione è limitata. Ancora, è certo che ci sono taluni argomenti, anche nella vita ordinaria, che non possono essere compresi senza una lunga preparazione, come per esempio alcune branche delle scienze, dove non è sufficiente soltanto sapere di cosa trattino. Il fine di tutti gli scritti sacri è di trasferire un senso superiore ed una conoscenza superiore partendo inizialmente da una conoscenza ordinaria. Le parabole hanno un senso ordinario. Il fine delle parabole è di dare all’uomo un significato superiore partendo da un senso ordinario inferiore di modo che egli possa intendere da solo oppure no. La parabola serve proprio a questo. Può succedere che un uomo la prenda alla lettera o che invece incominci a pensare; essa lo invita a pensare. Un uomo prima di tutto capisce ciò che per lui è ordinario, ciò che è al suo livello naturale. Prima di astrarre(vederne i molteplici sottintesi) egli parte da questo punto naturale. Questa è la situazione da cui un uomo parte, prima di impossessarsi di un insegnamento. Ma la parabola ha un significato che va al di là del senso letterale o naturale. Essa è stata deliberatamente congegnata per colpire prima i sensi e poi per lavorare sulla mente al fine di elevare il livello naturale di comprensione ad un altro livello. Da questo punto di vista la parabola è, riguardo alla comprensione, uno strumento di trasformazione. Come vedremo più avanti la parabola è anche un tramite tra un livello banale ed uno superiore nello sviluppo della comprensione.

7

PARTE SECONDA I Vangeli parlano principalmente di un’evoluzione interiore possibile che viene chiamata ri-nascita. Questa è la loro idea centrica. Cominciamo con il considerare l’evoluzione interiore come espressione di uno sviluppo della comprensione. I Vangeli insegnano che un uomo che vive su questa terra è in grado di sviluppare un’evoluzione interiore definita, ammesso che giunga a contatto con un insegnamento appropriato. Per questa ragione, Cristo disse: “lo sono la via, la verità e la vita” (Gv.XIV,6). Questa evoluzione interiore è psicologica. Divenire una persona più attenta costituisce uno sviluppo psicologico. La persona si fonda sui sensi, pensieri, azioni, sentimenti, cioè sulla comprensione. Un uomo è ciò che capisce. Se si vuol vedere ciò che un uomo È, e non ciò che appare, si osservi il livello della sua comprensione. I Vangeli parlano, a questo punto, di una psicologia reale basata sul presupposto che l’Uomo sulla terra è capace di raggiungere un grado più profondo di comprensione. I Vangeli si incentrano tutti, dall’inizio alla fine, su questa possibile auto-evoluzione. Sono dei documenti psicologici focalizzati e incentrati sulla psicologia di questa possibile evoluzione interiore cioè, su ciò che un uomo deve pensare, sentire e fare per raggiungere un nuovo livello di comprensione. I Vangeli non trattano delle banalità della vita, se non indirettamente, ma di questa idea centrale - cioè che l’Uomo, nel profondo, è un seme capace di una sicura crescita. Un Uomo è come un seme in grado di svilupparsi. Così com’è, l’Uomo è incompleto, incompiuto. Un uomo può realizzare la propria evoluzione, il suo compimento, individualmente. Se non lo desidera, non ne ha bisogno. Allora viene chiamato gramigna che viene bruciata perché inutile. Ma questo insegnamento non può essere dato né per costrizione né per necessità. Prima di poterlo ricevere un uomo deve cominciare a comprendere da solo. Non si può costringere nessuno a comprendere per forza, con la legge. Ma perché questo insegnamento non può essere dato direttamente? Ritorniamo ancora mia volta alla questione: perché un significato più elevato non può essere dato in termini chiari? Perché tutta questa oscurità? Perché tutte queste favole?’ Perché queste parabole, ecc. Ognuno ha una facciata esteriore che è andata sviluppandosi a contatto con la vita ed una interiore che rimane vaga, 8

incerta, indeterminata. L’insegnamento circa la ri-nascita e l’evoluzione interiore non rientra nella facciata esteriore di un uomo sviluppata dalla vita. Alcuni capiscono che la vita non li soddisfa e per questa ragione iniziano a guardare in altre direzioni e a cercar di dare ad essa un senso diverso prima di poter sentire un qualche insegnamento simile a quello dei Vangeli. Il lato esteriore di un uomo è organizzato dalla necessità della vita e si accorda con la sua posizione e con le sue capacità. In definitiva è artificiale: è una cosa acquisita. Ma è solo il lato interiore non organizzato di un uomo che è in grado di autoevolversi, proprio come fa un seme crescendo. Per questo motivo l’insegnamento riguardante l’evoluzione interiore deve essere strutturato in modo tale da non essere recepito unicamente dal lato esteriore di un uomo. Prima si rivolge all’esterno, ma dev’essere in grado di penetrare molto più profondamente e di risvegliare poi l’uomo stesso - l’uomo interiore - non ancora organizzatosi. Un uomo si sviluppa internamente attraverso una riflessione più profonda, non attraverso il suo lato esteriore controllato dalla vita. Si sviluppa tramite lo spirito della sua personale comprensione e con l’assenso interiore a ciò che egli vede come verità. Il significato psicologico dell’insegnamento apparentemente frammentario dei Vangeli si riferisce a questo lato più profondo, interiore, di ognuno. Se si riesce a capire che un uomo si può sviluppare solo attraverso una crescita della sua propria, individuale comprensione, quindi solo attraverso la sua comprensione interiore, si capisce anche un insegnamento vero sul significato dell’evoluzione interiore: se invece quest’insegnamento è unicamente esteriore, allora gli apparirà inutile e assurdo. Quest’insegnamento può essere distrutto se cade in un posto sbagliato, sugli affari mondani. Allora egli lo calpesterà. Questo è il significato del commento di Cristo: “Non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe ... “ (Mt. VIII, 6). “Davanti” significa il lato esteriore della vita di un uomo, il lato più inferiore della sua comprensione, il lato che crede solo a ciò che i suoi sensi gli mostrano, la parte della mente che è attaccata alla “terra”, come lo sono i piedi. Questa parte non può ricevere l’insegnamento di un’evoluzione interiore poiché è rivolta verso l’esterno e non verso l’interno. Dunque questa parte non può capire nulla della ri-nascita. 9

Ovviamente ognuno nasce. Ogni insegnamento esoterico afferma che egli può ri-nascere. Ma questa ri-nascita o seconda nascita appartiene all’uomo interiore e non a quello mondano che ama l’esteriorità e l’apparenza. È internamente. È l’uomo interiore che può ri-nascere. Nell’insegnamento psicologico dei Vangeli un uomo non viene considerato come ciò che appare, ma come ciò che È. Questa è una delle ragioni per cui Cristo attaccò i Farisei: essi erano apparenze. Essi apparivano come buoni, giusti, religiosi, ecc. Attaccando i Farisei egli intendeva attaccare l’uomo che crede nelle apparenze, ma che interiormente è profondamente corrotto. Il Fariseo, nel senso psicologico, non è altro che il lato esteriore di un uomo che pretende di essere buono, virtuoso e così via. È quel lato di ognuno di noi. Questo è il Fariseo in ogni uomo e questo è il suo significato psicologico. Tutto quello che è detto nei Vangeli, anche se rappresentato sotto forma di parabola, miracolo o discorso, ha un significato psicologico indipendentemente dal senso letterale delle parole. Quindi il significato psicologico dei Farisei non si riferisce a persone vissute tanto tempo fa, ma ad uno vivente ora - al Fariseo che è in noi, alla nostra insincerità che non ci permette di accettare nessun insegnamento psicologico vero e genuino senza trasformarlo a nostro proprio vantaggio. Più avanti esamineremo più ampiamente il significato del termine Fariseo.

10

PARTE TERZA Dal momento che tutte le scritture sacre contengono un significato sia letterale che psicologico, esse possono raggiungere la mente in un duplice modo. Se l’Uomo non fosse in grado di un ulteriore sviluppo questo non avrebbe alcun senso. Ed è proprio perché egli è capace di un’ulteriore e individuale evoluzione che le parabole esistono. L’idea “sacra” sull’Uomo - cioè l’idea esoterica o interiore - è che egli ha un livello più elevato mai adoperato di comprensione e che il suo sviluppo reale consiste nel raggiungimento di questo possibile livello superiore. Per questo tutti gli scritti sacri che contengono delle parabole hanno un doppio significato poiché hanno un significato letterale a “livello d’uomo” e contemporaneamente essi possono giungere a un livello superiore che è potenzialmente presente in lui. Una parabola è strutturata con un senso tradizionale. Una parabola nei Vangeli è data attraverso un linguaggio tradizionale ora desueto. Ci fu un tempo in cui il linguaggio delle parabole poteva essere inteso. Questo linguaggio - il linguaggio della parabola, dell’allegoria e del miracolo - è andato perduto nel mondo moderno, ma rimangono ancora delle fonti che ci mettono in grado di venire a conoscenza di qualcosa di questo significato primitivo. Dal momento che il fine della parabola è quello di riunire significati superiori con altri ordinari, essa può essere pensata come un ponte tra due livelli, un collegamento tra il senso letterale e quello psicologico. E, come vedremo, una volta ciò era noto ed in questo doppio senso essa era capita, anzi venivano usati certi termini e certe parole che avevano volutamente dei doppi sensi. Con questo linguaggio tradizionale si creò un nesso tra il senso superiore e inferiore o - se si vuole – tra la parte più elevata e quella meno elevata di un uomo. Noi inizialmente siamo delle cellule e poi ci evolviamo in uomini. Rinascere, nascere una seconda volta significa svilupparsi ad un livello psicologico superiore, ad un possibile livello più elevato di pensiero. Questo è il fine supremo dell’Uomo, secondo l’insegnamento di tutte le Scritture antiche in cui l’Uomo è considerato psicologicamente come un seme non ancora sviluppato. E questo è un insegnamento esoterico. Questo livello può essere raggiunto solo con una nuova conoscenza, un nuovo sentimento e un nuovo orientamento; e la conoscenza che dà ad 11

un uomo questa possibilità è talvolta chiamata, nei Vangeli, Verità, o talvolta il Verbo; non è però una verità ordinaria, o una conoscenza ordinaria: è una conoscenza che prepara ogni interiore sviluppo. Cerchiamo di capire questo linguaggio tradizionale delle parabole con un significato bivalente. Cominciamo con l’esaminare come viene rappresentata la Verità. Nel linguaggio tradizionale le cose visibili rappresentano cose invisibili. La vita esteriore, quella dei sensi, assume un altro livello di significato. La Verità, non essendo un oggetto visibile, è stata rappresentata in modo possibile con le parabole. Una parabola è piena di raffigurazioni di oggetti visibili e sensibili. Ma ciascuna immagine visiva rappresenta qualcosa di appartenente ad un livello psicologico di pensiero - distinto dall’immagine impiegata. Nei Vangeli viene spesso usata la parola acqua. Che significato assume questa parola nel linguaggio tradizionale? Nel senso letterale della parola indica la sostanza fisica definita acqua, ma psicologicamente, ad un livello di pensiero più elevato, essa ha un senso diverso. Acqua non vuol dire semplicemente acqua. Cristo, parlando a Nicodemo della ri-nascita, dice che un uomo deve essere nato dall’acqua e dallo spirito: “Se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio”. (Gv. III, 5). Ma allora cosa significa acqua? Deve avere un altro significato, un riferimento psicologico più elevato. Potremmo arrivare a pensare, forse, che lo “Spirito” significhi probabilmente la “volontà” la parte più interiore di un uomo, la più reale; e potremmo allora capire che ri-nascere non significa rientrare nel ventre della madre, come credeva Nicodemo - un uomo in grado di pensare solo in modo letterale. Qualsiasi cosa noi possiamo pensare circa il significato di “Spirito”, non possiamo immaginare, con la nostra normale comprensione, cosa voglia dire “acqua” in questo antico linguaggio bisenso, in cui le cose sensibili rimandano ad un significato diverso. Non si riesce a trovare il bandolo della matassa. Dire che un uomo deve rinascere con l’acqua, nel senso materiale, fisico, è pura assurdità. E allora cosa significa acqua dal punto di vista psicologico? Possiamo trovare, tramite altri passaggi della Bibbia, cosa rappresenta questa immagine fisica a un livello psicologico. Si potrebbero citare centinaia di esempi. Prendiamone uno 12

dai Vangeli. Cristo parlò alla Samaritana vicino al pozzo e le disse che avrebbe potuto darle “acqua viva”; Cristo le dice: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò, diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv. IV, 13-14). È evidente che il termine “acqua” viene usato in senso particolare, che è proprio di questo antico linguaggio dimenticato. Ancora nel Vecchio Testamento, nel Libro di Geremia, è detto: “Perché il mio popolo ha commesso due iniquità: essi hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne, cisterne screpolate, che non tengono l’acqua” (Ger. II, 13). Ma allora cos’è quest’acqua viva? Nel linguaggio tradizionale “acqua” significa “verità”. Ma una Verità tutta particolare, una forma speciale di conoscenza detta “Verità viva”. È Verità viva perché rende un uomo vivo in se stesso e non morto, una volta che la conoscenza di questa verità sia accettata e praticata. Nell’insegnamento esoterico - cioè nell’insegnamento dell’evoluzione interiore - è definito “morto” l’uomo che non sa nulla di tutto ciò. Vi è conoscenza esoterica se ci si riferisce a questa conoscenza. Vi è conoscenza superiore se l’uomo capisce, sente, vuole, agisce, per raggiungere il livello successivo di sviluppo. Non è una verità esteriore riguardante cose esteriori o oggetti esteriori, ma una Verità interiore sull’uomo stesso, su ciò ch’egli è, e su come possa trasformarsi. È verità esoterica (esoterico vuol dire interiore) o Verità (riferita a quello sviluppo interiore e a quella nuova manifestazione) che conduce a un ulteriore e reale progresso. Nessuno può cambiare, divenire diverso, nessuno può evolversi e raggiungere questo livello superiore possibile e così ri-nascere se non conosce, ascolta e segue un insegnamento appropriato. Se egli crede di conoscere la verità da solo allora è come coloro di cui Geremia parla sopra che “abbandonarono le acque vive e che scavarono cisterne, cisterne screpolate, che non possono contenere acqua”. L’idea è chiara. Esiste un insegnamento - ed è sempre esistito - che conduce a uno sviluppo superiore. Questo insegnamento è il vero insegnamento psicologico sull’uomo e sul possibile sviluppo dell’uomo nuovo. L’uomo non può inventarlo da solo. Egli, infatti, può scavare cisterne 13

per sé, ma esse non contengono acqua - cioè la Verità. Quando non c’è una Verità di quest’ordine, lo stato dell’uomo è come quello della sete. “I miseri e i poveri cercano acqua ma non ce n’è, la loro lingua è riarsa per la sete.” (ls. XLI, 17). Anche quando la gente segue una falsa verità, si fa talvolta un paragone con la bevuta di acque amare e con acqua non potabile o inquinata. Applichiamo ora quest’idea dell’acqua (la Verità) nel linguaggio tradizionale a una delle frasi di Cristo e capiamo così quale sia il suo significato psicologico, totalmente diverso dal significato letterale. Cristo disse: “E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa” (Mt. X, 42). Qui una persona di mentalità ristretta crederà che tutto ciò che occorra è dare un bicchiere di acqua fresca a un bambino. Ma se acqua vuol dire verità, allora si riferisce al diffondere la Verità, anche se in modo inadeguato. “Piccolo” in greco qui non significa bambino, ma una persona di limitata capacità di comprensione. Notiamo che, per ricevere Verità, la mente deve essere come un bicchiere, ovvero, deve essere riempita. Un uomo deve essere pronto, in modo che la sua mente sia come una coppa pronta a ricevere l’insegnamento. Così la frase “dare un bicchiere d’acqua”, significa sia ricevere la verità, sia, darla agli altri. Tutto ciò non può essere espresso logicamente, ma può essere compreso psicologicamente. Ed è proprio questo lo scopo del linguaggio tradizionale che abbiamo cominciato a studiare.

14

PARTE QUARTA In luogo di Verità, vengono usate altre parole negli scritti esoterici del Vecchio e del Nuovo Testamento. L’acqua non è l’unica immagine usata per rappresentare il tipo di Verità che stiamo studiando. Nel linguaggio tradizionale, pietra e vino sono usate entrambe come immagini per rappresentare questa forma di Verità, che ha significati diversi. La pietra rappresenta la forma più esteriore e letterale della Verità esoterica, ovvero la Verità esoterica intesa in modo rigido. I comandamenti furono scritti su tavole di pietra. Si deve capire che per coloro, che non sono in grado di scorgervi alcun significato più profondo, la Verità verso un’evoluzione superiore deve fondarsi su solide basi. Consideriamo brevemente lo straordinario racconto della Torre di Babele narrato nella Genesi. L’idea madre di questo racconto si riferisce all’Uomo che tenta di raggiungere un livello di sviluppo più elevato per mezzo della sua conoscenza ordinaria. Questo è il significato della torre costruita dall’Uomo. Ma da quanto si è detto finora, si può comprendere che un uomo singolo o il genere Umano, per raggiungere un livello superiore, deve conoscere e seguire l’insegnamento necessario per questo ulteriore passo. L’uomo non può accrescere la sua statura “nutrendosi di pensiero” - cioè, le sue idee, i suoi pensieri non possono innalzarlo a un nuovo livello di evoluzione. Egli si deve sottomettere a un insegnamento. I suoi sforzi si devono basare su questa Verità che stiamo studiando. E questa conoscenza superiore o Verità esoterica, nel suo livello più basso di comprensione, è detta pietra. Vedremo con che cosa era costruita la Torre di Babele, confrontandola con questa conoscenza necessaria chiamata Verità. Non era pietra, ed è detto espressamente: il materiale non proveniva da un tipo superiore d’Uomo, ovvero da coloro che erano divenuti Uomini Nuovi. Il racconto della Torre di Babele è molto strano ed è poco importante se preso alla lettera. Inizia col raccontare che molto tempo fa, dopo Noè e il diluvio, tutti i popoli avevano una lingua comune. “Tutta la terra aveva una sola lingua e usava le stesse parole” (Gn. XI, I). 15

Si dice ancora che essi vennero “dall’est” (cioè lontani dalla Verità), giunsero a una pianura e cominciarono a pensare di costruire una torre per raggiungere il cielo. Si noti come poi continui il racconto: “E si servirono di mattoni invece che di pietre e di fango in luogo di calce.” E dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome...”. Si noti che essi avevano viaggiato venendo dall’Est e che avevano mattoni - fabbricati dall’uomo - e non pietre. L’Est rappresenta, nel linguaggio tradizionale delle parabole, il luogo d’origine della Verità esoterica. Essi raggiunsero una pianura - cioè scesero da un livello superiore - e dopo cominciarono a pensare di poter fare qualcosa da soli, indipendentemente da quella conoscenza della Verità che avevano ottenuto “nell’Est”. Così essi cominciarono a costruire una torre, cioè pensarono di poter raggiungere, con le loro sole capacità e con i loro pensieri, un livello più alto, qui chiamato “cielo” proprio come nel Vangelo. “Cielo” significa un tipo superiore di uomo e “terra” significa un uomo ordinario, naturale. Essi cominciarono a costruire per sé, ma si noti che è espressamente detto come essi, non solo usarono mattoni al posto delle pietre, ma anche fango al posto della calce. Un ordine superiore non può essere capito da un ordine inferiore. Un uomo a un livello superiore non può essere compreso da un uomo che si trova a un livello inferiore. L’Uomo non può salire a un livello superiore, a meno che non giunga ad una conoscenza (la Verità) che lo elevi a quel livello. La torre fu così un fallimento. Nello strano modo in cui questo linguaggio tradizionale evidenzia l’azione, sembra che “Dio” li volesse disperdere per gelosia. Ma si deve guardare più in profondità per capire questo linguaggio. La colpa era dell’uomo, non di “Dio”. L’uomo tentò di innalzare se stesso con la sua sola forza cognitiva, definita qui “mattone” e “fango”, ed è così che fu distrutto. “Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole.” Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura del paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: “Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco”. Il mattone servì loro da pietra e il fango da cemento. Poi dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderei su tutta 16

la terra”. Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora, quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”. Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. “Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra” (Gn. XI, 1-9). È molto difficile capire il linguaggio tradizionale, prendendolo alla lettera. Possiamo capire che se un ingegnere costruisce una parte di un motore in modo sproporzionato e con un materiale scadente, il motore non sarà buono. Egli può dire: “È colpa di Dio”. Non è affatto così: la domanda è sbagliata, per cui lo sarà anche la risposta. La risposta sarà conforme alla qualità della domanda. E questa è “Dio” o, se volete, 1’ ” Universo” che la scienza studia. A domanda sbagliata risposta sbagliata. Non è, che la risposta sia proprio sbagliata, ma è una risposta conforme al tipo di domanda. La parabola della Torre di Babele lo dimostra. L’uomo costruì una torre con mattoni e fango invece che con pietre e calce. E “Dio” - cioè, la risposta alla domanda - disse: “È impossibile”. Prendiamo ora in considerazione altri esempi di pietra che è la parola che designa, nel linguaggio tradizionale, la Verità che s’incontra in uno stadio superiore. Per raggiungere uno stadio superiore, un uomo deve fare domande giuste e perché questo avvenga un uomo deve conoscere che cosa chiedere. Cristo dice: “Chiedete e vi sarà dato”. Ma se non si sa qualcosa a proposito del senso di pietra o di acqua nella conoscenza esoterica, come possiamo sapere che cosa chiedere? Cristo non dice di chiedere cose mondane, ma un aiuto nell’evoluzione interiore e nella conoscenza. Nel Padre Nostro si chiedono talune cose. Esse sono cose giuste. Lo vedremo in seguito. Per adesso esaminiamo il fatto, che Cristo abbia dato un nuovo nome a Simone. Simone significa “colui che esaudisce le preghiere”, ma Cristo diede a Simone il nome di Pietro, che in greco vuol dire pietra. Cristo, naturalmente, rappresenta la Verità di cui stiamo parlando. Egli definì se stesso “la Verità”. 17

Egli parlò della possibilità, per ciascun uomo, di raggiungere uno stadio elevato di evoluzione. Egli insegnò i metodi per raggiungerlo: Egli, insegnò la “ri-nascita”. Ora, chiamandolo Pietro in luogo di Simone, egli si riferì all’aspetto letterale del suo insegnamento. Cristo disse a Simone: “E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli...” (Mt. XVI, 18-19). A Simon Pietro furono date le “chiavi del regno dei cieli”. Il Cielo significa, dal punto di vista spirituale, questo livello superiore di sviluppo, intrinsecamente possibile per l’uomo. Ma Cristo ha dato a Pietro, come Pietra, soltanto le chiavi. I Comandamenti scritti sulla pietra sono anch’essi delle chiavi. Ma, se presi alla lettera, essi non bastano. Essi aprono la via al senso spirituale e hanno un significato profondo. La Verità esoterica sotto forma di pietra non è sufficientemente flessibile per portare a un reale sviluppo interiore: essa deve essere compresa, non semplicemente seguita ciecamente. Si dice nella Genesi che Giacobbe fece rotolare via la pietra dal pozzo. La pietra posta sul pozzo significa, nel linguaggio tradizionale, che la Verità letterale ne blocca la comprensione spirituale. La pietra fu fatta rotolare indietro e il gregge si abbeverò: l’acqua non è altro che la conoscenza spirituale della Verità esoterica letterale, chiamata pietra. Allo stesso modo va compreso il passo seguente: “Giacobbe si mise in cammino e andò nel paese degli orientali. Vide nella campagna un pozzo e tre greggi di piccolo bestiame, accovacciati vicino, perché a quel pozzo si abbeveravano i greggi, ma la pietra sulla bocca del pozzo era grande. Quando tutti i greggi si erano radunati là. i pastori rotolavano la pietra dalla bocca del pozzo e abbeveravano il bestiame” (On. XXIX, 1-3). La pietra che blocca il pozzo vuol dire che la gente ha preso la Verità esoterica alla lettera, in modo estrinseco. Essa preferisce le cose di questo tipo, tanto “non uccidono”, ma intanto non vedono che sono i loro cuori a morirne. Cristo stesso che rappresentava la Verità esoterica o “La Via” o il “Verbo”, fu “la pietra scartata dai costruttori”. Nei Salmi si dice: “La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo”. (Sal. 118, 22) 18

Che strana frase! Chi sono i costruttori? Di cosa? Di questo mondo? Certamente l’insegnamento di Cristo si manifestava in un mondo pieno di violenza, in un mondo in cui tutti pensavano che solo la violenza sia il segno del progresso. Ma quando Cristo è chiamato la “pietra”, ciò significa che fondamentalmente lo era. Tutto il suo insegnamento, tuttavia, mirava a trasformare la pietra in acqua e per ultimo l’acqua in vino. Gli Ebrei interpretarono tutto ciò letteralmente, come pietra comune. Cristo, invece, trasformava il significato letterale in quello spirituale. Lo si può vedere in uno dei “miracoli”, che in realtà sono dei miracoli psicologici, cioè, costituiscono il passaggio da un concetto letterale ad una conoscenza spirituale. Un uomo che consideri in modo letterale la verità superiore può autodistruggersi. Questo, forse, spiega come mai talune persone religiose sembrano essere distrutte dal contatto con la religione e sono diventate peggiori, di quanto la vita li avrebbe resi. Tutto ciò è evidenziato nel quinto capitolo del Vangelo di Marco, dove si parla di quell’uomo che aveva uno spirito immondo e che uscì dalle tombe; di lui si dice che continuamente “si tagliava con le pietre”. Le pietre, cioè la Verità superiore abbassata a un livello inferiore, lo tagliavano e lo rendevano immondo. Dal momento che Gesù rappresentava, per ora diciamo così, una comprensione superiore della Verità letterale, l’uomo gli gridò: “Che cosa ho a che fare con te, o Gesù?” E Gesù disse: “Esci, spirito immondo, da quest’uomo”. Uomo significa la conoscenza dell’uomo ovvero dell’uomo vero. Ma questa è solo un’idea molto vaga del senso di questa parabola - miracolo. Essa si riferisce al grado di conoscenza dell’uomo nei confronti dell’insegnamento superiore. Di fatto l’uomo “si tagliava con le pietre” - cioè ha considerato la verità superiore a un livello letterale, ecco perché era immondo. E la sua immondezza doveva trasferirsi nel maiale. Ma forse, in seguito, potremo capire un po’ meglio il senso di tutto ciò. Gesù rappresentava sempre la conoscenza non formale o rituale della Verità superiore. Gli Ebrei nei Vangeli rappresentano non un popolo vero e proprio, ma un certo modo letterale di considerare la Verità superiore. Ognuno è ebreo, cioè incapace di passare dal senso letterale al senso spirituale. Gli Ebrei volevano lapidare Cristo. Quando Cristo disse: “Io e il Padre siamo un’unica cosa”, gli Ebrei 19

presero delle pietre per lapidarlo, perché le loro menti letterali pensarono che le sue parole fossero blasfeme. Il vero senso profondo del racconto è che la gente che si trova a un livello di conoscenza letterale, rituale e formale, cerca di trasferire questi sensi sulle persone che sono a uno stadio superiore. Si può essere anche lapidati da ciò che una volta si era capito in modo letterale e che ora si capisce in modo diverso. E si può sempre lapidare un uomo con le proprie interpretazioni letterali e superficiali, senza lasciare spazio a ciò che egli ha voluto dire. E le leggi dei codici e dei tribunali sono e devono essere basati sulle pietre, cioè su ciò che si è detto effettivamente e non su ciò che si voleva dire.

PARTE QUINTA Parliamo per un momento del vino usato come simbolo della Verità. In seguito esamineremo il significato della Verità esoterica, quando l’uomo ha raggiunto, nella sua conoscenza, lo stadio del vino. Ma al momento dobbiamo capire che la pietra è la forma esteriore della Verità esoterica, che l’acqua si riferisce a un altro modo di comprendere la stessa Verità e che il vino è la forma di comprensione più elevata per conoscerla. Nel miracolo riportato nel secondo capitolo del Vangelo di Giovanni, Cristo cambiò l’acqua in vino. Nella narrazione si dice che egli chiese ai servitori di “riempire le giare di pietra con acqua ed egli la trasformò in vino”. Qui ci sono i tre stadi del rapporto dell’uomo con la Verità e quindi i tre stadi nella conoscenza della Verità esoterica. 20

PARTE SESTA L’idea del vino conduce naturalmente all’idea delle vigne che producono il vino. Prima di poter continuare in modo più completo lo studio del linguaggio tradizionale delle parabole dobbiamo soffermarci sul concetto di vigna e cercare di formarci qualche idea sul suo significato. In seguito bisognerà parlare di questa Verità che si riferisce allo sviluppo interiore dell’uomo e alla crescita della conoscenza. Questa Verità non è una verità ordinaria. Essa è nascosta come un seme. Cristo, per esempio, insegnò questo particolare tipo di Verità. Nel discorso della Montagna ne ha evidenziato taluni aspetti; taluni, perché gli aspetti più profondi della verità li ha celati sotto forma di parabole. L’uomo non può costruirsela questa Verità: lo abbiamo già visto nell’episodio della Torre di Babele in cui gli uomini pensavano di poter raggiungere il Cielo con “mattoni e fango” in luogo di pietre e calce. La Verità superiore, cioè quella Verità che conduce a un livello superiore di auto evoluzione, non ci viene data dalla vita, ma da coloro che hanno già raggiunto questo livello superiore. Molti l’hanno raggiunto, ma la storia ne ricorda solo pochi. Ma restiamo a Cristo. Egli insegnò questa Verità superiore e disse molte cose sull’instaurazione di quest’ordine speciale della Verità sulla terra; per questo fine egli usò l’immagine della vigna. Una scuola iniziatica fondata su una Verità di quest’ordine egli l’ha chiamata vigna, il cui scopo era di fruttificare. Se non fruttificava essa veniva abbattuta. Cristo afferma di essere la vite e dice ai suoi discepoli: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv. XV, 5). Cristo racconta la seguente parabola a proposito della Vigna. “Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: Padrone, lasciali ancora quest’anno, finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai” (Le. XIII, 6-9). Da questo punto di vista l’Uomo è stato considerato capace di una crescita speciale, di uno speciale sviluppo interiore in modo speciale, e le “vigne” sono state fondate per rendere possibile questo sviluppo. 21

Ovviamente non si trattava delle vigne in senso stretto, ma erano le scuole iniziatiche. Che cosa insegnavano? Prima di tutto esse insegnavano quella conoscenza che, se praticata, poteva guidare l’uomo verso quel livello superiore di sviluppo che gli è proprio. Insegnavano all’uomo che egli era un singolo irripetibile e che poteva raggiungere un livello superiore individuale. L’uomo, lui, il singolo, aveva quest’unico senso, il solo in grado di soddisfare profondamente il suo essere. Esse incominciavano con l’insegnare questa Verità - ovvero la conoscenza di questa speciale Verità - ma conducevano ben più lontano; dalla Verità a un punto fermo, da dove l’uomo potesse agire non più sotto l’egida di quella Verità che lo aveva portato a raggiungere quel grado, ma in funzione del grado raggiunto. Questo grado è stato anche definito il bene. Ogni Verità ha lo scopo di condurre a un certo grado di bene. Era questa l’idea insita nella parola “vigna”. Si fece il vino. Un uomo ha incominciato ad agire spinto dal Bene, non dalla Verità: così è diventato un Uomo Nuovo.

22

CAPITOLO II L’IDEA DELLA TENTAZIONE NEI VANGELI PARTE PRIMA Nel prossimo capitolo esamineremo il Miracolo della Trasformazione dell’Acqua in Vino, che nel senso interiore o psicologico rappresenta uno stadio preciso raggiunto da Gesù nella sua evoluzione individuale, poco tempo prima che egli cominciasse il suo insegnamento pubblico. Ora esaminiamo le tentazioni di Gesù e il senso generale che ha la tentazione nel contesto evangelico. È necessario avere ben chiara una cosa che non viene generalmente compresa. Ciò che bisogna aver capito è che Gesù dovette sottoporsi alla tentazione per ottenere una crescita e un’evoluzione interiori. Egli non nacque perfetto. Se fosse stato perfetto, egli non sarebbe stato soggetto alla tentazione o non avrebbe sperimentato che cos’è la disperazione. Molti credenti sbagliano pensando che Cristo, fin da principio, avesse un potere divino e onnipotente. In realtà è Gesù stesso che evidenzia la difficoltà di riuscire a guarire un certo tipo di malattie e dice che occorrono molte preghiere e digiuni prima di riuscirci. In seguito vedremo alcuni di questi episodi, ma possiamo dire fin d’ora che esistono le visioni più disparate sulle forze illimitate che Gesù aveva sulla terra tanto che la gente si chiede: perché, se egli era il Figlio di Dio, non guariva tutte le malattie e non convertiva il mondo intero? Queste stesse considerazioni si fanno quando si dice: se c’è un Dio, perché ci sono sulla terra dolori, malattie, sofferenze, guerre, ecc.? Il punto di partenza di entrambi i discorsi è sbagliato. Non si è capito il senso della vita sulla terra, perché non si è capita l’idea centrale dei Vangeli, cioè l’idea della evoluzione individuale e della ri-nascita. *** Ripetiamo le parole citate sopra per fare maggiore chiarezza: Gesù dovette sottoporsi alla tentazione per ottenere la crescita e un’evoluzione interiori. Esaminiamo bene il problema. Cristo non nacque perfetto, come un Uomo completamente sviluppato ed evoluto. Al contrario, egli nacque imperfetto per portare a termine un 23

determinato compito da tanto tempo profetizzato. Egli doveva ristabilire, in un periodo critico nella storia umana, un collegamento tra due livelli che nei Vangeli sono chiamati “terra” e “cielo”, e questo prima doveva attuarsi in lui, non solo per riaprire la possibilità di attrazione proveniente da un livello superiore dell’Universo dell’Essere Totale (che si estende attraverso gradi differenti dell’Essere Divino fino all’Essere Assoluto) che raggiungesse l’Umanità sulla terra e desse all’Uomo la possibilità di uno sviluppo interiore, ma anche per l’esistenza della cultura umana in un determinato periodo o ciclo storico. A proposito di questo periodo Gesù si chiede se si troverà ancora la fede alla fine dei tempi. “Quando verrà il Figlio dell’Uomo, troverà la fede sulla terra?”. Tali sono le parole di Cristo che ci dicono ch’egli dubitava che si trovasse ancora la fede sulla terra alla fine dei tempi. Gesù dovette unire in sé l’umano e il divino e ristabilire in questo modo un collegamento tra il cielo e la terra. Dovette sopportare tutte le difficoltà di un’evoluzione interiore dell’umanità che era in lui, di modo che questo umano si sottomettesse al livello superiore o “divino”. Egli dovette superare tutte le tappe di questa evoluzione in se stesso, prima che questa evoluzione fosse perfetta; non solo prove ed errori, ma anche tentazioni interiori senza fine, di cui noi possiamo avere solo una vaga idea. Tutto questo avvenne durante un lungo periodo di cui sappiamo qualcosa dall’insegnamento che egli diede solamente durante l’ultima parte della sua vita; questo periodo terminò nell’umiliazione finale e nella cosiddetta catastrofe della crocifissione; conosciamo poco della sua vita iniziale e nulla della parte intermedia, cronologicamente la più lunga. Qui c’è silenzio. Noi non sappiamo dove Gesù fu istruito durante questo periodo né da chi ricevette le direttive per il dramma finale che doveva recitare e il cui annuncio fu fatto da Giovanni il Battista (che non lo conosceva personalmente) e alla cui conclusione predestinata fa sovente riferimento Gesù stesso, in modo particolare nel miracolo della Trasformazione dell’Acqua in Vino, con quelle parole ch’egli disse a sua madre: “La mia ora non è ancora giunta”. (Egli non dice “madre”, ma donna). Molti devoti pensano che Gesù fu crocifisso per colpa di Pilato, così, per puro caso. Tutto ciò è assurdo. Pilato dovette recitare la parte a lui assegnata, ma tutto era prestabilito. 24

Ora nei riferimenti del primo periodo dello sviluppo di Gesù si dice che faceva progressi in saggezza e statura. Gesù progrediva per gradi. In Luca si dice: “E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Le. II, 52). Luca - che non conobbe mai Gesù - riporta anche le sue parole quando fu trovato nel tempio all’età di dodici anni da suo padre e da sua madre che lo cercavano da tre giorni. Sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Notiamo la distinzione tra “padre terreno” e “Padre celeste”, cioè tra l’idea della prima nascita terrena e della seconda nascita, superiore, che era l’oggetto dell’insegnamento di Cristo. Anche all’età di dodici anni coloro che lo ascoltavano nel Tempio erano “stupiti della sua saggezza e delle sue risposte”. Quindi Gesù ha piena coscienza di procedere sulla via della saggezza. Ed è chiaro che passò un lungo periodo prima che egli progredisse fino a raggiungere quel livello interiore completo e il suo supremo sviluppo, chiamato nei Vangeli il momento della sua glorificazione. L’apice di questo sviluppo incominciò quando Giuda uscì nella notte per “tradirlo” (come si dice) e quando Gesù disse ai rimanenti discepoli: “Ora il Figlio dell’Uomo è glorificato”. Glorificazione che fino allora non aveva ancora raggiunto, perché ovviamente avrebbe dovuto sopportare due ulteriori ed estremamente severe tentazioni: la tentazione nell’orto dei Getsemani, dove egli pregò così: “O Padre mio, se è possibile, fai che questo calice passi lontano da me: però non la mia ma la tua volontà sia fatta”; e la tentazione sulla croce quando gridò: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Qui si deve sottolineare il fatto che Cristo cominciò ad insegnare tre anni prima di raggiungere la glorificazione, cioè prima del suo massimo sviluppo. Chiediamoci: come si raggiunge l’evoluzione interiore? Ogni sviluppo interiore è possibile solo passando attraverso la tentazione interiore. Le tre tentazioni di Cristo da parte del diavolo sono dettagliatamente descritte nelle prime parti del Vangelo di Matteo e di Luca e solo brevemente in Marco, con le parole “bestie feroci”. Nulla si dice in Giovanni, ma il Miracolo dell’Acqua trasformata in Vino è posto come punto di partenza dell’insegnamento e dei miracoli di Gesù. Esaminiamo ora le tre prime tentazioni descritte da Luca e ci 25

renderemo conto che Gesù doveva progredire e per raggiungere questo progresso doveva superare la tentazione e quindi passare attraverso i gradi della crescita interiore, con un’auto-conquista interiore. Dobbiamo in primo luogo ricordare che l’Umanità, nel suo stato di sopore così com’era concepita nei Vangeli, è sotto il potere del male, il che viene rappresentato dall’idea che l’Uomo è come infestato da spiriti cattivi. Cioè, l’Uomo è sotto il potere di stati d’animo, di impulsi e pensieri cattivi che sono personificati da spiriti maligni, il cui scopo è la distruzione del singolo e dell’umanità. La concezione dei Vangeli è che l’Uomo è continuamente trascinato verso il basso da forze malvagie, che sono in lui, non fuori da lui, e, a cui egli obbedisce. Obbedendo a queste forze che sono in lui, l’uomo s’impedisce il progresso della vita umana. Le forze cattive sono nell’Uomo, nella sua stessa natura, nella natura stessa del suo egoismo, nel suo egotismo, nella sua ignoranza, nella sua stupidità, nella sua malizia, nella sua vanità, nel pensare solo attraverso i sensi, nel considerare che il mondo visibile e le apparenze esteriori della vita siano l’unica realtà. Tutto ciò si chiama globalmente il male, chiamato il diavolo, vale a dire quella terribile forza d’ignoranza profonda che un Uomo non iniziato ha; quella forza incapace di sistemare in modo giusto ogni cosa. Il diavolo è la sintesi di tutte queste lacune, di tutte queste forze incapaci di capire l’uomo; il diavolo è la sintesi di tutte queste incomprensioni. Per questo il diavolo è chiamato il calunniatore o il creatore di scandali, da un certo punto di vista, e l’accusatore, da un altro punto di vista. Ma vedremo più chiaramente che cosa significa diavolo quando cominceremo a comprendere cosa significa realmente la tentazione. Luca, nel racconto della tentazione di Cristo da parte del diavolo, dice che Gesù rimase quaranta giorni nel deserto, “tentato dal diavolo”. Il numero quaranta appare nel racconto del Diluvio, dove la pioggia cadde per quaranta giorni e quaranta notti, nonché nel racconto allegorico dei Figli di Israele vaganti nel deserto per quaranta anni; anche di Mosè si dice che egli digiunò per quaranta giorni e quaranta notti prima di ricevere i Comandamenti scritti su tavole di pietra. In Luca i quaranta giorni del deserto sono direttamente collegati all’idea di tentazione. 26

“Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni; ma quando furono terminati ebbe fame” (Le: IV, 1-2). Segue poi una descrizione della prima tentazione che è rappresentata nel modo seguente: “Allora il diavolo gli disse - Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane” (Le. IV, 3). Consideriamo il significato superficiale, letterale o di primo livello. Cristo ebbe fame ed il diavolo suggerì di trasformare una pietra in pane. Gesù gli rispose: “Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo” (Le. IV, 4). A livello letterale è proprio così come appare, una tentazione fisica. Ad ogni modo, si noti che si dice che Gesù fu nel deserto per quaranta giorni “tentato dal diavolo”. Se noi supponiamo che il deserto sia letteralmente il deserto fisico, materiale, perché non si dice nulla a proposito del modo in cui egli fu tentato per tutto questo tempo? Si potrebbe dire semplicemente che egli stava morendo di fame. Ma, tenendo presente lo sviluppo interiore, si deve considerare il termine deserto come uno stato della mente, uno stato interiore generale, paragonabile con un deserto letterale, cioè con uno stato in cui non vi è nulla che guidi un uomo, in cui egli non si trova più fra cose comuni. Per questo è nel deserto, cioè in uno stato di angustia, di smarrimento e di disorientamento, in cui egli è lasciato interamente a se stesso, provato, senza sapere in quale direzione andare, né se c’è una direzione. La direzione stessa è una tentazione, perché per tutto quel tempo egli era come disorientato. Perché un uomo dovrebbe lasciare ciò che è ordinario per andare in un deserto? Egli ha fame di pane - non di pane comune - ma di quel pane che noi chiediamo nel Padre Nostro, così mal tradotto con pane “quotidiano”, e cioè: di guida, di pane transustanziale, di pane per il domani, di pane per sviluppare le nostre vite non come sono oggi, ma come possono divenire, di pane necessario per aiutare la nostra crescita, di pane per i successivi e necessari gradi di comprensione (Infatti il Padre Nostro è una preghiera concernente l’evoluzione interiore ed il pane che si chiede è quello che serve a capire). In un tale stato la tentazione è quella di farsi del pane cioè, seguire le proprie idee, la propria volontà - come i costruttori della “Torre di Babele” che usarono mattoni e fango invece di pietre e calce. 27

Essi pensarono di potersi fare un nuovo mondo ricavandolo dalle loro stesse idee. Perché non ci si dovrebbe fidare di se stessi e della vita invece di aspettarsi qualcosa che sembra aleatorio? In Matteo la risposta di Cristo a questa tentazione è: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (ML IV, 4). Si noti come il diavolo avesse chiesto a Cristo di fare del pane da sé per alleviare il suo stato e quindi per non continuare ad attendere la Parola di Dio. Il diavolo dice: “Se tu sei Figlio di Dio di’ a questa pietra che diventi pane”. Cioè: alimentati con le tue proprie forze ed idee. Ma la missione di Cristo, che incominciò subito dopo le tentazioni nel deserto, non era quella di costruire verità e concetti suoi, ma di comprendere e di insegnare la Verità ed il significato della Parola di Dio, cioè il significato di un livello superiore di valori. La prova era tra la sua volontà e la volontà di un livello superiore. Egli doveva fare la volontà di “Dio”, non la sua. Egli doveva portare il suo livello umano inferiore a sottomettersi alla volontà di un livello superiore o divino. Qui è il livello umano che è tentato, perché Gesù nacque da una madre umana. Scambiare l’inferiore con il superiore rappresenta l’annichilimento di un uomo, perché egli attribuirà a se stesso ciò che non è suo. Un uomo sarà allora tentato di dire: “Io sono Dio” e non “Dio è l’Io”. Se egli dice: “Io sono Dio”, egli identifica se stesso con Dio partendo da un livello inferiore. Ciò lo annichilisce. Se egli dice: “Dio è l’Io”, egli abbandona la sua volontà e compie quella del Dio “Io” in lui e, in questo modo è al di sotto di Dio e ubbidisce ad un livello superiore. Si noti come il diavolo si rivolga a Gesù: “Se tu sei il Figlio di Dio...” e capisca che Gesù può fare come vuole, essendo al livello di Dio. Questo livello era in Gesù; avvenne nel suo intimo. E sebbene questa tentazione possa essere considerata solo come un superamento degli appetiti, in questo caso della fame, è chiaro che significati ben più profondi si trovano dietro il senso letterale e che essi riguardano l’egoismo, la potenza, la violenza in cui la natura umana è radicata. Gesù aveva una natura umana che gli derivava dalla donna, da sua madre. Lo scopo era quello, di trasformarla. Questo appare chiaro nella seconda tentazione, in cui a Cristo venne offerto tutto il potere sul mondo visibile. Il diavolo è qui rappresentato mentre 28

trasporta Cristo su un “luogo elevato” per mostrargli in un istante i regni del mondo: “Il diavolo lo condusse in alto, e mostrandogli in un istante tutti i regni della terra, gli disse: - Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani ed io la do a chi voglio. Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo” (Le. IV, 5-7). Questa tentazione è quella del potere terreno e della vanità profonda che c’è in ognuno di noi. È rivolta all’egoismo. Include l’amore per il mondo e per il suo dominio. Il diavolo darà a Cristo il mondo. L’amore per il potere (l’autorità) e l’amore per il dominio sono due aspetti dell’egoismo. Qui il livello umano in Cristo è soggetto alla più tremenda e inimmaginabile tentazione per i beni terreni e per il potere incondizionato. La tentazione è descritta in modo tale da evidenziare tutto ciò chiaramente: il mondo intero è presentato a Gesù “in un istante”, cioè tutto insieme. Gesù risponde: “Sta scritto: Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai”; cioè: non al mondo e al suo dominio. La risposta viene da quella stessa conoscenza manifestata nella prima tentazione. C’è qualcosa d’indipendente dal mondo e dalla brama di possederlo. C’è qualcos’altro che l’Uomo deve possedere. Questo livello superiore, possibile o reale in un uomo, è la vera meta a cui deve tendere la sua volontà di potenza e di gloria. Ma anche se un uomo sa ed è assolutamente certo di questa direzione, può ancora maggiormente essere tentato. Altrimenti Cristo non sarebbe stato tentato in questo modo. Il suo lato umano era ancora scoperto a questa tentazione. Non è soltanto l’effetto prevalente dei sensi e l’appello immediato al proprio interesse e alla propria vanità che devono essere propriamente pensati, ma forse quei falsi sillogismi che fanno pensare di poter aiutare l’umanità con mezzi terreni, poteri esteriori e autorità, diventando un re sulla terra. Sappiamo che i discepoli pensavano che Gesù stesse diventando un re terreno che avrebbe posseduto il mondo intero e che avrebbe dato loro delle ricompense terrene. Essi pensavano a cose di un livello superiore, avendo però un livello inferiore. Subito essi non potevano capire ciò di cui stava parlando Gesù, e cioè il raggiungimento di un livello superiore o interiore che non ha nulla a che fare con il livello inferiore o esteriore della vita. Ricordiamoci che il sentiero che Cristo doveva seguire conduceva a un apparente 29

insuccesso nella vita esteriore, a un’impotenza esteriore, a una morte riservata solo ai peggiori criminali. Solo pochi lo seguirono fino alla fine. Sembrava che tutto fosse stato inutile. Certamente noi non capiremo mai tutto ciò, se non capiamo in profondità il senso dei due livelli. Ma di ciò parleremo più diffusamente in seguito; qui ci limitiamo a dire che la tentazione, in senso stretto, è relativa a questi due livelli e si riferisce al passaggio da uno all’altro. Se Gesù fosse nato perfetto, sarebbe stato al di là, di ogni tentazione. Egli non avrebbe rappresentato l’uomo nuovo o la Via verso di esso. Egli si definì la via: “lo sono la Via”. Proprio per questo motivo.

30

PARTE SECONDA Ci sono modi diversi di essere tentati e vie diverse che ci inducono in tentazione. Parliamo della tentazione in generale. Ogni tentazione (se vera) implica in un uomo una lotta tra due cose che vogliono entrambe prevalere. Questa lotta si presenta sotto due forme. Avviene sempre tra il vero e il falso oppure tra il bene o il male. Tutto il dramma interiore della vita di un Uomo e la sua risoluzione verso uno sviluppo interiore risiede in questa lotta interiore fra la Verità e la menzogna, fra il bene e il male. E, in effetti, sono queste le cose che ognuno di noi pensa sempre e su cui si dibatte nell’intimità della sua mente e del suo cuore. La mente serve per pensare ciò che è vero e il cuore per intuire ciò che è bene. Qual è la prima tentazione nei confronti della Verità? Si trova nella vita intellettuale di una persona. Ognuno considera vere talune cose. La conoscenza non è la Verità, poiché non conosciamo molte cose, ma non le consideriamo tutte necessariamente vere o siamo indifferenti, verso di esse. Indipendentemente dalle cose che conosciamo talune le riteniamo vere. Ciò rappresenta la nostra verità personale e appartiene alla nostra vita personale e intellettuale, dal momento, che la conoscenza e la Verità sono proprie della mente. Ora la vita intellettuale di un uomo altro non è se non ciò che egli crede essere vero e quando questo viene in qualche modo messo in dubbio, egli è preso dall’ansia. Quanto più egli valuta ciò che crede essere vero, tanto più ansioso si sentirà quando il dubbio si insinua nella sua mente. Questo è uno stato di tentazione, moderato, nel quale un uomo deve pensare a ciò che crede e valuta come Verità da cui partire per combattere i suoi dubbi. Occorre capire che nessuno può essere tentato su ciò che per lui non ha valore; può essere tentato solo su cose che per lui hanno un valore. Il significato della tentazione è quello, di rafforzare tutto ciò che un uomo valuta come verità. Nei Vangeli l’idea è chiara; è l’idea dell’uomo che deve lottare e combattere dentro di sé. I Vangeli si riferiscono allo sviluppo e all’evoluzione interiore di un uomo. Tutto ciò richiede una lotta interiore, cioè la necessità della tentazione. Ma la gente è talvolta scandalizzata all’idea di dover combattere per la Verità e subire delle tentazioni contro di lei 31

medesima. Ma è necessario combattere per la conoscenza come pure contro se stessi. Parliamo ora della tentazione riguardo al Bene. Questa tentazione non è intellettuale ma emotiva; è propria della volontà umana e non del suo pensiero. Un uomo vuole ciò che egli sente come bene. Ognuno vuole e agisce secondo ciò che egli sente che è bene e tutto ciò che un uomo vuole appartiene alla sua vita cosciente. Nulla rende la vita cosciente a un uomo se non ciò che egli considera dentro di sé come bene. Se ciò che egli ritiene Bene gli fosse tolto, la sua vita cosciente cesserebbe, così come cesserebbe la sua vita intellettuale se tutto ciò che egli crede essere la verità gli fosse tolto. Ora nei Vangeli tutta la Verità riguarda la conoscenza dell’insegnamento di Cristo e tutto il Bene riguardo all’amore di Dio e all’amore del prossimo. Ora un uomo ama ciò che reputa buono e ciò che reputa buono egli lo vuole e lo segue. Se egli ama solo se stesso, allora è un uomo per cui il bene rappresenta solo il proprio bene e considererà male ciò che non è bene per lui. La volontà si sviluppa sviluppando l’amore e lo sviluppo dell’amore avviene a spese dell’egoismo. Ora, dal momento che l’uomo può essere tentato solo intellettualmente attraverso ciò che egli considera come Verità, egli può essere tentato nella sua volontà e nel suo agire solo attraverso ciò che egli ama. Dal momento che ogni tentazione è sulla realtà della Verità del Verbo - cioè dell’insegnamento dei Vangeli - e sul Bene del Verbo, la tentazione sul Bene prima e sulla Verità poi inizia solo quando l’uomo incomincia a superare il livello dell’egoismo e a passare a quello della carità o amore del prossimo e riesce a pensare Dio come sorgente di amore. Le tentazioni sulla Verità iniziano necessariamente molto prima delle tentazioni sul Bene, ma se in un uomo non c’è una briciola di carità naturale, sarà tentato molto poco sulla Verità. La Verità deve entrare e crescere in un uomo, prima che egli possa cambiare l’orientamento della sua volontà, cioè prima che i suoi sentimenti su ciò che è bene possano cambiare. Quando egli incomincia a “sentire” il nuovo Bene entrare in lui, due sentimenti si intrecceranno: sentirà una lotta tra il nuovo Bene e quello che in precedenza credeva il Bene. Da questo momento egli potrebbe anche star saldo nella Verità, ma fallire nei confronti del Bene. L’uomo è effettivamente fra due livelli, superiore e inferiore e ogni vera tentazione inizia solo ora poiché il livello inferiore lo attrae ed egli 32

deve trovare una via tra i due livelli. In realtà egli un po’ si solleva e un po’ cade proprio come un ubriaco che cerca di rialzarsi dal pavimento. Ma se la tentazione contro il Bene inizia solo ora, comunque vada, l’uomo non deve mai permettere che un insuccesso vero o un’apparente sconfitta dichiarino guerra alla Verità su cui egli poggia. Se lo farà, con ogni insuccesso perderà anche un po’ del senso della Verità. Chiunque sia e qualsiasi cosa faccia, egli deve star saldo nella Verità che ha ricevuto e farla vivere in lui.

33

PARTE TERZA Nella terza tentazione di Cristo, ancora una volta il diavolo inizia dicendo: “Se tu sei Figlio di Dio...”; Cristo dovette combattere contro l’egoismo in tutte le sue forme e in tutte le sue manifestazioni di amore terreno, da cui tutto deriva, e dovette vincere ogni sentimento di autopotenza, che gli derivava dal suo livello umano, per innalzarlo al livello superiore. In un uomo la tentazione, in senso stretto, è la relazione che esiste tra il livello inferiore e ogni altro possibile livello superiore. Ricordiamoci bene che l’idea centrale dei Vangeli è che un uomo dovrebbe passare da un livello inferiore a uno superiore e che questo costituisce l’evoluzione interiore o la Rinascita. Dal momento, che la “Parola di Dio” insegna quali sono i mezzi necessari per questa evoluzione interiore, ogni tentazione intellettuale nei Vangeli ha come oggetto i pensieri soggettivi di un uomo nei confronti della Verità della parola; la verità esteriore e ogni tentazione sui propri sentimenti hanno per oggetto l’egoismo e l’amore di Dio. Naturalmente c’è un contrasto tra il livello inferiore e quello superiore, come c’è, ad esempio, un contrasto tra un seme e la pianta. Si potrebbe dire che un seme può vivere da solo ed essere pieno del suo egoismo o può consegnare se stesso e la sua volontà personale a influenze superiori che cercano di operare su di esso, in modo da farlo diventare, trasformandolo, una pianta. La terza tentazione è descritta così da Luca: “Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul pinnacolo del tempio e gli disse: “Se tu sei Figlio di Dio, buttati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordine per te, perché essi ti custodiscano; e anche: Essi ti sosterranno con le mani, perché il tuo piede non inciampi in una pietra”. Gesù gli rispose: “È stato detto: Non tenterai il Signore Dio tuo” (Le. IV, 9-12). Si sa che l’egoismo è il culto della propria personalità, un’auto divinazione: ciò che è inferiore crede di essere superiore e così tenta Dio. Questo egoismo non può percepire la sua nullità e quindi si gonfia fino al cielo; dopodiché, inebriato dalla sua divinità, nella follia dell’auto-illusione, esso può tentare l’impossibile e auto-distruggersi. Nei racconti della tentazione da parte del diavolo si dice che Cristo fu portato dallo Spirito nel deserto. Secondo Luca, egli fu “condotto 34

dallo Spirito nel deserto per quaranta giorni e tentato dal diavolo”. In Marco l’espressione è più forte “Subito dopo, lo Spirito, lo sospinse nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da satana; egli stava con le fiere e gli angeli lo servivano” (Me. I, 12-13). E in Matteo: “Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo” (Mt. IV, I): Le tentazioni nel deserto, in ogni Vangelo in cui sono descritte, sono fatte seguire al battesimo di Gesù da parte di Giovanni. Sarebbe strano se Cristo fosse stato tentato dallo stesso spirito di illuminazione interiore di cui egli era pieno. Ma Cristo insegnò che un uomo deve rinascere nello spirito: e senza tentazioni non vi è trasmutazione. Lo spirito è il tramite fra il superiore e l’inferiore. L’umano in Cristo doveva essere trasformato ed elevato fino al livello divino. Lo spirito è il trascinatore che adegua il livello inferiore a quello superiore ed è compito suo quello di portare un uomo nel deserto - anzi nel totale disorientamento - e di sottoporlo alla tentazione totale, di modo che tutto ciò che è inutile per il suo auto-sviluppo venga abbandonato e tutto ciò che può farlo crescere e maturare venga afferrato. Il diavolo rappresenta tutto ciò che in un uomo non è in grado di svilupparsi, la sua staticità, il suo odio per ogni idea di evoluzione interiore: tutto ciò che egli vuole, è solo calunniare e mistificare per i propri fini. Tutto questo deve essere gradualmente abbandonato da chi ricerca un vero sviluppo interiore e non vuole farsi manipolare e dominare. Ciò che deve cambiare in un uomo è l’ordine delle cose: ciò che è al primo posto deve passare all’ultimo. Non per nulla Cristo dice al diavolo: “Va de retro, Satana!”. Questo nuovo ordine interiore, che si realizza in un uomo con la tentazione, non si instaura subito e ciò appare chiaramente in Luca là dove dice che le tentazioni di Cristo non erano finite. “Il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato” (Le. IV, 13).

35

CAPITOLO III LE NOZZE DI CANA Chi erano gli sposi? Non si sa nulla né della sposa né dello sposo. Gesù e sua Madre esteriormente sono Madre e Figlio; in senso psicologico Gesù rappresenta l’unità di natura e spirito. Perché allora il Maestro di Cerimonia non si rende conto di ciò che è accaduto? Perché gli fu impossibile comprendere, tanto che i servi non cercarono neanche di informarlo, sebbene essi fossero molto probabilmente agli ordini del Maestro di Cerimonia? Perché era apparso un nuovo Maestro - quasi segretamente - e si noti che questo nuovo Maestro non dice nulla al Maestro di Cerimonia, che noi possiamo definire il vecchio Maestro. Quando l’Uomo modifica globalmente la sua psicologia in un modo così profondo, il primo Maestro non la controlla più, ma appare un secondo Maestro più grande. Con una perfetta conoscenza della sua natura - rappresentata dalla Madre - Gesù raggiunse uno stadio in cui il vecchio Maestro non aveva più alcun potere e quindi non sapeva ancora che cosa fosse successo. Gesù non è il Maestro di Cerimonia, ma nessuno dice al primo Maestro che cosa è capitato. Sono tutti silenziosi. Non c’è nessuna rivalità; c’è solo silenzio. Effettivamente è avvenuta la trasformazione dell’acqua in vino, ma nulla è avvenuto con violenza. In tutti i miracoli di Gesù non c’è mai stata violenza o rivalità; c’è sempre stato silenzio. Gesù disse a Pilato che se fosse stato necessario egli avrebbe potuto usare i suoi poteri che lo avrebbero liberato, ma non li usò. Violenza genera violenza. Non è sempre facile riflettere sulla vera natura del Maestro che è in noi, su come sopraffarlo o allontanarlo. Per non ostacolarlo o annientarlo dobbiamo tacere. Pilato poté scorgere qualcosa in Gesù; e il Maestro di Cerimonia poté apprezzare un buon vino, ma non v’è dubbio che quest’ultimo sarebbe stato un fatto difficile da interpretare, se il miracolo gli fosse stato spiegato dai servi e fosse stata messa in discussione l’autorità del Maestro. Nei Vangeli si parla di questo silenzio interiore che viene messo in relazione al cambiamento interiore: il silenzio è chiesto a tutti. “Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra” (Mt. VI, 3). Non si vince il 36

potere di questo mondo reagendo violentemente. Si può reagire violentemente con il proprio padre. Quanti consumano il meglio di se stessi opponendosi violentemente al potere? Anzi, col tempo, arrivano perfino a odiarlo. Il cambiamento interiore non si ottiene in questo modo; qui, in queste nozze simboliche, il potere della Madre di Gesù non viene rappresentato come una reazione, ma una realizzazione di un certo ordine interiore, per cui il significato che ad esso attribuisce, Maria non lo distrugge, ma lo esalta: è lei che rende possibile la realizzazione del miracolo dicendo ai “servi” di obbedire a ciò che Gesù aveva detto loro di fare. E poiché egli doveva a Maria la sua natura umana o naturale è chiaro come, al livello che aveva raggiunto, egli avesse messo in una giusta relazione il lato umano con quello spirituale; così Maria - il lato umano o naturale - ubbidì a lui - il lato spirituale. Ci sono delle discipline in cui questo lato “naturale” è considerato come qualcosa da dominare totalmente per permettere al solo pensiero spirituale di dirigerei. Questa spaccatura dell’essere non può essere considerata un’armonia di tutte le note che risuonano nel nostro Essere. Gesù, nato da Maria, era un uomo. Il suo compito era di collegare l’Uomo con Dio - la natura con lo spirito - e non di creare uno iato che non c’è; ci sono solo livelli diversi. Ora il lato “naturale” di un uomo e quello interiore o spirituale si potrebbero paragonare a due immagini, a due stanze, l’una dentro l’altra, o a due sommità, una superiore e l’altra inferiore, o a due città o in molti altri modi. Le immagini da sole non dicono nulla. Il significato è tutto, poiché là c’è l’interpretazione. Non è l’immagine che spiega la parabola né le parole dette che la interpretano. Alcuni sogni sono perfette parabole, come alcuni miti o favole. Ma la cosa più importante è il significato che queste parabole, questi miti, questi sogni, queste fiabe racchiudono. Al livello naturale della mente esse appaiono senza un significato, salvo quello letterale. Ma il significato rituale, psicologico, non può essere comunicato direttamente al livello naturale con le parole. E questa è la ragione per cui da sempre è esistito un altro linguaggio. Un linguaggio verbale può essere compreso solo da quelli che lo capiscono, ma una parabola rappresentata visivamente può anche essere compresa da gente che non parla lo stesso linguaggio verbale. Ci 37

sono due linguaggi: essi corrispondono a due profondità o livelli dell’Uomo. Così nel linguaggio esoterico viene usato un termine che da sempre vuol dire che un certo sviluppo è stato raggiunto. Questo termine è di tipo numerico. Il numero tre indica la pienezza. In questo simbolo della trasformazione dell’acqua in vino, è detto all’inizio che il terzo giorno ci furono le nozze. L’inizio, la metà e la fine costituiscono la realizzazione di uno stadio. Quindi nel linguaggio esoterico il numero tre è sì la fine di qualcosa, ma anche l’inizio di qualcos’altro. Quando uno stadio psicologico è stato realizzato, ne comincia uno nuovo. Questo è “il terzo giorno”. Il vecchio non c’è più e inizia il nuovo, cioè il livello superiore sta cominciando a divenire attivo e il livello precedente comincia a obbedire a questo nuovo livello superiore. Il numero tre è usato per rappresentare questo passaggio, come per esempio quando Cristo esaurì agli inferi il suo tempo e poi risorse il terzo giorno. Ci sono molti esempi, nei libri allegorici della Bibbia, dell’uso del numero tre. Giona rimase tre giorni nel ventre della balena. Pietro rinnega Cristo tre volte, cioè completamente. Cristo chiede tre volte a Pietro se lo ama. Il fico che non produceva frutti da tre anni fu abbattuto. Ci sono molti altri esempi del numero tre usato col significato di pienezza; pienezza sia nel senso di un nuovo inizio che nel senso del compimento di una cosa. Ora tutto il simbolismo del cambiamento dell’acqua in vino rappresenta lo stadio che Gesù raggiunse nello sviluppo del suo lato umano. Ecco perché inizia con “il terzo giorno. “Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino”. E Gesù rispose: “Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora”. La madre dice ai servi: “Fate quello che vi dirà”. Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: “Riempite d’acqua le giare”; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: “Ora attingete e portatene al maestro di tavola”. Ed essi gliene portarono. E come ebbero assaggiato l’acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva da dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l’acqua), chiamò lo sposo e gli disse: “Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello 38

meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono”. Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (Gv. II, 1-2). La Madre di Gesù è presente e rappresenta il suo livello precedente, con cui egli è ancora in contatto, ma con cui non ha più nulla a che fare. È partendo dal livello precedente che egli dice: “Donna, che ho a che fare con te?”. Per comprendere questi modi un po’ sgarbati nei confronti di sua Madre, è necessario prendere in esame altri passi dei Vangeli. Supponiamo che un uomo raggiunga un livello in cui l’autocompassione - tutto ciò che di patetico c’è in lui - sia stata distrutta. Molti considerano Cristo una figura patetica, un Cristo malato. Questa concezione su Cristo potrebbe accordarsi con il fatto che egli fu trattato brutalmente e messo in croce. I Vangeli, però, dimostrano esattamente il contrario. I Vangeli dimostrano che egli soffrì deliberatamente sulla croce; predisse la sua crocefissione; disse ai suoi discepoli che egli avrebbe dovuto adempiere a questo compito con la sua morte. E sebbene pregasse, nell’agonia del Getsemani, che il finale cambiasse il calice che egli avrebbe dovuto bere - disse: “Ciononostante, non la mia ma la tua volontà sia fatta”. Considerarlo come una figura patetica è fuori luogo. Il Cristo sentimentale è un’invenzione. È vero: fu duro con gli altri, offese molti e fu duro con se stesso. Davanti a Pilato si vede che, se avesse seguito la sua volontà, avrebbe potuto fuggire. Egli dice a Pilato: “Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse dato dall’alto” (Gv. XIX, II). Ma egli recita a puntino e fino alla fine la parte che gli è stata assegnata, perché questo era il compito che gli era stato affidato, come egli stesso aveva sovente detto. I suoi discepoli non compresero, e solo più tardi alcuni di loro afferrarono l’idea dell’intero dramma di Cristo rappresentato davanti ai loro occhi, vale a dire l’inevitabile crocifissione del livello superiore della Verità da parte di coloro che si trovavano a un livello inferiore: la distruzione della Verità psicologica per mano della verità letterale è il dramma eterno della vita umana. *** Gesù dice a sua Madre: “Donna, che ho da fare con te? Non è ancora giunta la mia ora”. Questo suggerisce che alla fine egli sarà distrutto da ciò che la “Madre” rappresenta per il genere umano. Escludiamo 39

categoricamente ogni senso letterale e retorico. Gesù aveva raggiunto un punto, nella sua evoluzione e nella sua tentazione, in cui il livello della “Madre”, cioè quel certo livello simboleggiato dalla “Madre” che egli chiama donna, aveva ben poco a che fare con lui. Non aveva più potere, ovvero ne aveva, ma subordinatamente. Perciò Gesù cambia l’acqua in vino e per ciò dà il primo segno del livello di sviluppo interiore che egli ha raggiunto. Le sue idee sono collegate: egli si solleva dal livello della “Madre” e quindi ha il potere di cambiare “l’acqua” in “vino”. Risulta chiaro dal racconto del convito nuziale che è una rappresentazione psicologica - che sebbene Gesù avesse raggiunto questo nuovo stadio, totalmente diverso da quello precedente, tuttavia il vecchio stadio esisteva ancora in lui e poteva ancora agire. Egli lo controlla di modo che la “Madre” sa che deve obbedire. Ecco perché ella ordina ai “servi” di obbedire a ciò che Gesù comanda. In Gesù ci sono quindi tre livelli. Il più basso è rappresentato dai “servi”, che obbediscono alla “Madre”; il medio dalla “Madre”; il più alto dal nuovo livello o stadio di Gesù, dove la “Madre” obbedisce. Questi tre stadi sono come tre linee orizzontali tracciate una sopra l’altra e tra loro parallele. La linea mediana è la mediatrice tra la linea superiore e la linea inferiore. In altre parole, ci sono tre livelli così ordinati: il più alto, il medio e il più basso. Lo status raggiunto da Gesù, e che segna l’inizio della sua autorità d’insegnamento, viene psicologicamente rappresentato come un matrimonio, cioè un’unità interiore totalmente diversa dall’unità Madre-Figlio: ecco il perché della trasformazione dell’acqua in vino. Che cosa rappresenta il matrimonio dal punto di vista psicologico? Quale elemento di Gesù si era unito con un altro elemento determinando che l’acqua diventasse vino, dando così il primo segno della sua evoluzione interiore? Nella Bibbia le prime Verità sull’essere e sull’agire - cioè i Comandamenti - furono scritte su tavole di pietra, come abbiamo già detto. Dobbiamo però ricordare che cosa accadde nella trasmissione di queste Verità da Dio a Mosè: Mosè lanciò a terra le tavole originali, “scritte da Dio”, e le spezzò quando scoprì che mentre lui era sul monte Sinai il suo popolo aveva cominciato ad adorare un vitello d’oro che aveva innalzato. “Mosè ritornò e scese dalla montagna con in mano le due tavole della Testimonianza, tavole scritte sui due lati, da una parte e dall’altra. Le tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio, scolpita sulle 40

tavole...”. “Quando si fu avvicinato all’accampamento, vide il vitello e le danze. Allora l’ira di Mosè si accese: egli scagliò via le tavole spezzandole ai piedi della montagna” (Es. XXXII, 15-16-19). Allora Mosè ricevette da Dio l’ordine di costruire altre due tavole di pietra con le sue stesse mani. “Mosè tagliò due tavole di pietra come le prime” (Es. XXXIV, 4). Ogni Verità, proveniente da coloro che sono giunti ad un livello di comprensione molto superiore al nostro, non può essere trasmessa direttamente. Noi non siamo in grado di riceverla restando fermi al nostro livello di comprensione della Verità, a convenzioni giuridiche, a esteriorità, ecc. La Verità superiore ci vien data come una Verità inferiore, rigida, letterale; è come un adulto che parla ad un bambino: è impossibile trasmetterne il significato completo. Proprio come i Dieci Comandamenti hanno dovuto essere scritti su tavole di pietra in modo che i Figli di Israele potessero riceverli, così la Verità esistente – l’acqua, in questa parabola - viene versata in sei giare di pietra, quelle usate “per i riti di purificazione dei Giudei”. Questo suggerisce che la Verità si fondava sulle credenze e sulle usanze antiche dei Giudei. Sei, nell’allegoria antica, è il numero della Creazione, o, a livelli differenti, il numero che prepara ogni compimento. “Per sei giorni durante la settimana noi ci prepariamo al Sabato; un servo giudeo doveva servire per sei anni prima di ottenere la propria libertà; una vigna doveva essere potata per sei anni; la terra doveva essere seminata per sei anni, ma il settimo anno era sempre un sabato di riposo solenne per la terra”. Questa era la legge data da Mosè. Allo stesso modo vi erano sei giardini sino al trono di Salomone. Per cui le sei giare di pietra rappresenterebbero un periodo di preparazione durante il quale la Verità, sotto forma di acqua, è stata ricevuta e mantenuta dai Giudei ed ha assunto una forma corrispondente alla loro antica Fede, in attesa di trasformarsi alla Venuta di Cristo. Così, in questa parabola, “l’acqua”, dopo essere stata versata nelle giare di “pietra”, diventa “vino”. Abbiamo già parlato di questi tre stadi della Verità: pietra, acqua, vino. La pietra rappresenta la Verità letterale, e possiamo comprendere i successivi cambiamenti di significato nei livelli differenti di Verità. Ciò che ci è stato insegnato sulle ginocchia di nostra madre potrà essere verità, ma non è la nostra 41

Verità, anche se obbediamo a essa. Dio è si rito, la “Madre” no. L’autorità non è ancora sua, ma è esteriore. È detto altrove, che Gesù insegnava come uno che aveva autorità. Vedere la Verità della verità non è sufficiente e qui si capisce bene. Si parla di un lato ulteriore - e dobbiamo cercare di trovare il senso della parola Bene per capirne il significato. Pietra, acqua, vino, indicano tre livelli di Verità, ma dove possiamo trovare una parola che esprima il Bene? La troviamo alla fine di questa rappresentazione dinamica. Il Maestro di Tavola, gustando l’acqua trasformata in vino, sottolinea che l’usanza di tutti, ad un convito nuziale, è quella di dare all’inizio il vino buono ed in seguito il vino più scadente. Ecco le sue parole: “E come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l’acqua), chiamò lo sposo e gli disse: “Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono”. Ora la “Madre” aveva detto ai servi di obbedire a “Cristo”. Notiamo che i servi sapevano - e la “Madre” sapeva - che era stato loro ordinato di versare acqua nelle giare di pietra vuote. Essi avevano accesso all’acqua - cioè, a quella parte di Gesù che essi capivano. Gesù usò indirettamente quel livello inferiore. Lo usò con la mediazione del livello medio, quel livello che è chiamato “Madre”. Questa è vera psicologia, di quella che è andata persa a lungo. Ma la mente deve astrarre dai sensi – il livello del senso letterale - per afferrare l’intensità del significato psicologico interiore che si trova in questa prima manifestazione dello sviluppo interiore di Gesù raccontato in termini fantastici chiaramente falsi. Prendiamo solo per un attimo in esame la possibilità che queste immagini visive possano essere interpretate in modo letterale. Perché Gesù avrebbe dovuto trasformare più di 500 litri di acqua in vino? In un piccolo villaggio, come Caana di Galilea, ciò sarebbe stato assurdo. Non può voler significare che una tale quantità d’acqua fu trasformata miracolosamente in vino, verso la fine della festa locale. Appunto perché il significato non può essere letterale, si può cominciare a cercarne un altro: quello psicologico. La rappresentazione del senso psicologico con immagini fisiche, come in un disegno animato, è già qualcosa, ma usare il senso psicologico al 42

posto di quello fisico è un processo alla rovescia che continuamente avviene in ogni tentativo di trasmettere un significato superiore. Quindi Cristo - come significato psicologico - continua ad essere crocifisso da coloro che possono capire solo il significato letterale, materiale. Costoro credono che il Pane ed il Vino usati nella celebrazione dell’ultima Cena devono essere presi alla lettera. Il senso letterale in questioni tanto elevate è, ed è sempre stato, la nostra rovina attraverso i secoli. Un uomo può prendere alla lettera la frase: “Non ucciderai”, ed obbedire. Se, però, egli guarda più profondamente e capisce che potrebbe anche uccidere gli altri psicologicamente, nei loro pensieri e nei loro sentimenti, allora comincerà a passare a un altro livello di comprensione di questo comandamento ed a rendersi conto del suo significato più interiore e completo. Ciò che gli è stato insegnato esteriormente incomincia a fare breccia in lui ed il suo significato subisce una trasformazione interiore, paragonabile inizialmente a quella della pietra in acqua; quando, così, egli si rende conto del Bene contenuto nel comandamento e prova quella compassione che è propria della Bontà, allora egli si trasforma da acqua in vino. Tramite questa interiorizzazione egli si evolverà e capirà. L’evoluzione individuale è possibile solo trasformando la comprensione, perché un uomo è solo ciò che capisce e quindi ciò che vuole. Un uomo non materia. Solo psicologicamente ognuno può maturare individualmente nel senso dei Vangeli. Quando. un uomo ha visto in sé il valore di ciò che gli è stato insegnato come puro comando o Verità esteriore, allora il suo lato emotivo si è evoluto all’altezza di qualsiasi tipo di conoscenza della Verità che egli possiede: egli cerca di fare ciò che conosce con la sua volontà, il suo sentimento e il suo assenso; diventa un altro uomo, un uomo in sviluppo, un uomo che sta raggiungendo lo stadio del vino, un uomo nuovo. *** Uno degli insegnamenti più profondi dell’esoterismo è quello dell’unione materia-forma nell’uomo. Nell’insegnamento esoterico dei Greci, rappresentato da Socrate, questa è l’idea guida sull’uomo, una creatura incompiuta, ma in grado di elevarsi. Platone chiama quest’unione Conoscenza ed Essere. Egli dice: “Il vero amante della 43

conoscenza si sforza sempre di raggiungere l’essere”; e ancora: “Quando essa (l’anima) ha vegliato su ciò che risplende di verità ed essenza, comprende e conosce e si vede aver ragione ... allora questo che impartisce verità alle cose che sono conosciute e il potere del conoscere al conoscitore, è quello che vorrei che tu definissi idea del bene... Si può dire che il bene sia non solo l’autore della conoscenza di tutte le cose conosciute, ma del loro essere e della loro essenza” (Repubblica, 508-509). Un uomo deve prima avere l’essere per conoscere in modo giusto. L’educazione dell’essere e l’educazione della conoscenza fu il compito più grande di Platone nelle sue ultime opere. Come educare la gente in modo giusto, come dare a essa la conoscenza, quando darla: ecco il problema di cui si occupò sempre. Dare a persone mediocri una conoscenza che userebbe solo male, fu uno dei pericoli che Platone vide chiaramente. Ogni conoscenza a tutti per Platone era un crimine. Egli vide con chiarezza che molte discipline, prima di essere studiate, devono passare al vaglio del carattere dell’essere, perché si riceva il benestare per la conoscenza. Egli giunse alla conclusione che, perché a uno venga insegnata la vera conoscenza, si deve addestrarlo in tutti gli esercizi e le discipline della vita fino a che non abbia raggiunto un’età non più giovane. Nelle scuole esoteriche, di cui possiamo trovare tracce nella letteratura antica, c’erano delle discipline molto severe prima che un candidato potesse ricevere la conoscenza esoterica. Questi doveva restare in una situazione di sudditanza servile per molti anni, ed era sottoposto ad insulti tali da forgiare il suo essere. Se egli superava queste prove con successo e sviluppava in se stesso forza e pazienza, gli era permesso di ricevere un’ulteriore conoscenza. Ma se egli falliva, se si compativa e si lagnava, se era debole nel suo essere, se mentiva, se si comportava ambiguamente, se si approfittava degli altri, egli non riceveva alcuna conoscenza. Questo significava che il suo essere era messo alla prova, prima che gli venisse data la conoscenza. Al giorno d’oggi la situazione è opposta. Tutti ricevono la conoscenza senza distinzione e c’è un crescente numero di letterati che richiama l’attenzione su questo punto, senza però aver capito che il fattore più importante è l’idea dello sviluppo dell’essere. 44

*** Perché un uomo riceva una Conoscenza Superiore deve avere un buon Essere che crei del sale in lui. Se consideriamo la conoscenza come doro e l’essere come sodio, allora, a meno che un uomo non abbia in se stesso sodio a sufficienza da combinare con il doro che egli riceve dall’esterno, egli non avrà sale in lui. Allora il doro lo avvelena. Il potere velenoso della sola conoscenza senza un buon terreno per riceverla, quello di cui spesso parlano i Vangeli, può produrre solo un veleno mondano. In un tale caso l’acquisizione della conoscenza può produrre soltanto i peggiori risultati. Ma il mistero è più profondo. L’insegnamento esoterico sulla conoscenza e sull’essere si fonda sul fatto che la conoscenza non può essere compresa a meno che non vi sia uno sviluppo corrispondente dell’essere. Un uomo può sapere molte cose, ma non-comprendere nulla, poiché il suo essere non è uguale alla sua conoscenza. Di conseguenza non c’è un’unione interiore tra il suo essere e la sua conoscenza. Noi vediamo oggi un numero straordinario di libri pieni di nozioni, ma senza comprensione. La scienza viene banalizzata. L’uomo con un piccolo essere e una grande conoscenza può produrre soltanto materiale privo di significato che non porta da nessuna parte. Non solo, ma egli può soltanto complicare ogni cosa e renderla inintelligibile. E così la scienza oggi complica ogni cosa e non conduce da nessuna parte. Innumerevoli scienziati continuano a scrivere opere che nessuno comprende, neppure loro. La ragione di tutto ciò sta nel fatto che le condizioni della conoscenza non sono più comprese, e ciò perché s’ignora l’essere. L’esoterismo ha sempre compreso le condizioni della conoscenza; esso ha sempre capito che la conoscenza dovrebbe sempre portare alla comprensione e che la comprensione è possibile solo con un corrispondente sviluppo dell’essere. Questa è l’idea più profonda, riguardo alla psicologia umana, per cui c’è un’unione che porta a un’evoluzione interiore. In questo matrimonio, o unione, il significato della conoscenza si unisce all’essere della persona e porta alla sua evoluzione interiore. È proprio questo la parabola dell’Acqua trasformata in vino: significa che Cristo unì la sua conoscenza al Bene 45

del suo essere. La conoscenza e la bontà del suo essere divennero un’unica cosa. Ripetiamo ciò che abbiamo già evidenziato, cioè che il Maestro di Tavola parla a proposito del vino buono e che il Bene venne per ultimo. Prima di tutto, a un uomo bisogna insegnare la Verità o conoscenza; la Bontà verrà dopo. In realtà il Bene deve anche precedere la conoscenza, ma di questo parleremo in seguito. Ciò che è bene precede ogni Verità, ma temporalmente è come se la conoscenza venisse prima. Il fine ultimo della vita è il Bene. Se noi diciamo che al vertice delle cose c’è il Bene, allora esso è prima di ogni altra cosa, è il primo nella scala, ma sembra che la conoscenza lo preceda. Ogni conoscenza dovrebbe portare al Bene. Quindi il Bene è il primo nell’ordine, sebbene ai nostri sensi, che vivono nel tempo e che vedono unicamente una sezione di tutta l’esistenza, ovvero il presente, appaia in un’altra posizione. Per un’idea parallela vedere l’appendice.

46

CAPITOLO IV L’IDEA DEL BENE È AL DI SOPRA DELLA VERITÀ PARTE PRIMA Nei Vangeli si narra spesso che Cristo scandalizzò i Farisei violando il sabato. Questo li indignò particolarmente, perché pareva loro che fare il bene di sabato fosse proibito dalle loro leggi religiose e dai loro scrupoli. Il termine Fariseo si riferisce allo stadio interiore di un uomo che agisce solo secondo le leggi e le proibizioni esteriori, per paura delle apparenze, e si sente meritevole se le rispetta e si oppone a chi fa il bene per il bene. Questa differenza è evidenziata in molti luoghi dei Vangeli, come nel caso del Buon Samaritano che ebbe compassione del ferito che era stato attaccato dai ladroni, mentre il sacerdote e il levita passarono senza fermarsi. Viene data particolare rilevanza a questa differenza laddove si evidenzia l’atteggiamento dei Farisei nei confronti del Sabato. Nella sinagoga Cristo guarì di sabato la mano destra inaridita di un uomo. Si parla di mano destra, perché nell’antico linguaggio delle parabole, essa rappresenta il potere di fare, quindi anche il potere di fare il bene. L’Immagine è usata per rappresentare gli stessi Farisei; il loro potere di fare il bene era privo di vita. Prima di guarire l’uomo, Cristo si guardò intorno e disse agli astanti: “Io vi chiedo se è lecito far del bene di sabato”. L’atteggiamento dei Farisei era che le leggi religiose dovevano essere rispettate alla lettera. Si noti che qui Cristo non sta parlando della Verità, ma del Bene. Quale dei due deve venire prima? Ecco cosa scrive Luca: “Un altro sabato egli entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. Ora c’era là un uomo che aveva la mano destra inaridita. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva di sabato, allo scopo di trovare un capo di accusa contro di lui. Ma Gesù era a conoscenza dei loro pensieri e disse all’uomo che aveva la mano inaridita: “Alzati e Mettiti nel mezzo!”. L’uomo, alzatosi, si mise nel punto indicato. Poi Gesù disse loro: “Domando a voi: È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o perderla?’ ‘. E volgendo tutt’intorno lo sguardo su di loro, disse all’uomo: “Stendi la mano!”. 47

Egli lo fece e la mano guarì. Ma essi furono pieni di rabbia e discutevano fra di loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù” (Le. VI, 6-II). È chiaro il fatto che bisogna agire partendo da ciò che è bene, a prescindere da ogni altra considerazione. Cristo sta ponendo il Bene al di sopra della Verità. Per i Farisei la Verità era la legge di Mosè e i comandamenti che, presi alla lettera, proibiscono il lavoro di sabato: “ ... per sei giorni lavorerai e farai tutto il tuo lavoro; ma il settimo è il sabato del Signore tuo Dio; in esso tu non farai lavoro di alcun genere... .” I Farisei ponevano la Verità sopra il Bene. In questo caso, come dobbiamo orientarci? Quali grandi questioni si trovano dietro questa narrazione? Sappiamo dalla storia che tutte le contese e le persecuzioni religiose sono nate da questioni dottrinali, cioè sulla Verità, sulla conoscenza e sulle opinioni. Se tutto il genere umano fosse stato caritatevole, se tutti avessero agito secondo il Bene, non sarebbero sorte tante dispute e persecuzioni. Se ognuno amasse il suo prossimo come se stesso, nessuno, avendo come guida l’amore per Dio come sorgente del Bene supremo, ucciderebbe, ruberebbe, testimonierebbe il falso, ecc. In effetti, il decalogo di Mosè - i dieci comandamenti scritti sulle tavole di pietra non avrebbe nessun significato. I Farisei vivevano secondo la legge, ma non comprendevano nulla: ciò che era scritto superava ogni altro significato. Se l’uomo fosse totalmente buono, non sarebbero stati necessari comandamenti o leggi e non avrebbe avuto bisogno di imparare delle verità o di conoscere. Non gli sarebbe stato possibile commettere omicidi, perché dal Bene avrebbe saputo che ciò era impossibile. Come si può fare del bene al prossimo uccidendolo? Come è possibile fargli del bene derubandolo? Gli ultimi cinque comandamenti riguardano la conoscenza del Bene. Il fine di ogni conoscenza è: che cosa è il Bene? Non c’è alcun altro fine o significato nella conoscenza, se non la ricerca del Bene. Nel mondo moderno questo fine è dimenticato e la gente crede che la conoscenza sia fine a se stessa. Ciò è sbagliato. Ogni conoscenza dovrebbe condurre al Bene. La conoscenza pura dove sta conducendo l’umanità? Ora, se ci si chiedesse perché la Verità è assolutamente necessaria, la risposta sarebbe che l’uomo non è buono, cioè che il livello del Bene è molto basso. C’è un unico modo per far salire il livello del Bene in un uomo. 48

Il livello del Bene in un uomo può essere alzato solo con la conoscenza della verità sul bene. Per innalzare se stesso egli deve apprendere la Verità. Quale Verità? Egli deve imparare a conoscere e praticare la conoscenza della Verità propria di un Bene che è superiore al Bene dell’uomo. Ogni persona ha in sé un certo livello di Bene. Per ottenere un nuovo livello di Bene si deve innanzi tutto progredire nella conoscenza, cioè conoscendo la Verità su come raggiungere un livello superiore di Bene e considerandola sua. Se l’uomo tenta sinceramente di agire seguendola, egli raggiunge un nuovo livello di sé. Nel momento in cui egli raggiunge questo livello, in cui il Bene di tutto ciò che egli ha appreso come conoscenza diviene attivo, allora non deve più sostare sui gradini di quella conoscenza che l’ha portato allo stadio che ha raggiunto. Usando una metafora approssimativa si può dire che un uomo durante una scalata deve usare le sue conoscenze sulla scalata stessa. Una volta che ha raggiunto la vetta, vede ogni cosa in un modo diverso. Egli vede la correlazione di ogni cosa dall’altezza che ha raggiunto e non gli è necessario pensare a quali mezzi ha dovuto far ricorso per arrivare a quel punto. La Legge di Mosè o, sinteticamente, i dieci comandamenti, sono istruzioni della Verità, cioè su come raggiungere un livello del Bene, raggiunto il quale, essendo comandamenti, essi non hanno altro significato; se si considerano come fine, e non come mezzo per un fine, essi sono di ostacolo. Quindi Cristo, nel passo citato sopra, parla secondo il Bene e non secondo la Verità letterale. I Farisei lo condannano e lo odiano perché sono attaccati alla Verità letterale. Si può ritenere la Verità relativa a un livello superiore come quella Verità propria del livello del bene a cui un uomo è, cioè al suo livello. Allora un uomo vede questa Verità, destinata a portare a un livello del Bene, come il livello del Bene in cui egli è. Se il suo livello di Bene consiste nell’interesse personale e nell’egoismo, egli riesce a travisare la Verità superiore per adattarla alla sua vanità, come fanno i Farisei di sempre. Riesce cioè a fraintendere completamente il suo significato. Quella che nei Vangeli viene chiamata la Parola di Dio è la Verità riguardante ciò che è necessario per raggiungere un livello superiore del Bene, cioè, ciò che è necessario per l’evoluzione interiore, dal momento che ogni evoluzione interiore consiste nel raggiungere un Bene superiore attraverso la conoscenza. In questo modo il rapporto della relazione tra Verità e 49

Bene diventa più chiaro. Nell’Uomo non è possibile raggiungere direttamente un nuovo livello del Bene. Lo si può raggiungere solo seguendo l’insegnamento sul come raggiungerlo e l’insegnamento deve assumere la forma di Verità del livello superiore del Bene. Cioè, prima di tutto, deve giungere nella forma di conoscenza che l’uomo deve apprendere e applicare nella sua vita. La conoscenza del Bene superiore deve giungere prima come insegnamento. Quando l’insegnamento ha raggiunto il suo scopo, quando un uomo con la conoscenza della Verità cerca di raggiungere un livello superiore del Bene e lo raggiunge tentando poi di viverlo sinceramente con una tensione interiore, allora questa Verità o conoscenza, che veniva prima, è sostituita dallo stesso Bene che ne è derivato. Dopodiché la Verità, o la conoscenza che l’ha portato a questo nuovo stato, assume il secondo posto, avendo adempiuto al suo compito di guida verso un livello superiore. Cioè, ciò che era primo diventa secondo e ciò che era secondo diventa primo. Avviene un’inversione. Dapprima la Verità prende il posto del Bene ed in seguito il Bene prende il posto della Verità. I sei giorni di lavoro nella Genesi di un uomo ed il settimo di riposo simboleggiano sei stadi di conoscenza seguiti dal raggiungimento del Bene stesso che viene chiamato Sabato. Molto è stato detto, sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento, a proposito di questa inversione di ordine, oppure del primo che diventerà ultimo e dell’ultimo che diventerà primo ed è sorprendente che tutto ciò non sia stato compreso in senso più ampio, in quel senso psicologico, implicito in ogni vero insegnamento sull’uomo e sulla sua evoluzione interiore. La gente, però, considera la Verità come un fine e così affiorano differenze dottrinali, politiche o religiose. Nel Vecchio Testamento Giacobbe si sostituisce a Esau, per citare un esempio di Verità che prende il posto del Bene. Giacobbe impersonificò Esau mettendosi delle pelli di capra sulle mani e sul collo, perché suo fratello era peloso. Egli andò dal padre Isacco, che era quasi cieco, con un’offerta di selvaggina e disse: “Io sono Esau, il tuo primogenito. Ho fatto come tu mi hai ordinato. Alzati dunque, siediti e mangia la mia selvaggina, perché tu mi benedica”. E Isacco diede a lui la benedizione che spettava al figlio maggiore, Esau. Il Bene è realmente primo, perché Dio stesso è definito solo come Bene. Cosicché il Bene è il primogenito. Per raggiungere il Bene, deve esserci prima la Verità, per questo Giacobbe prende il posto di Esau. C’è poi 50

anche la curiosa storia di Perez e Zerach, figli gemelli di Giuda, la cui nascita viene descritta così: “Durante il parto, uno di essi mise fuori una mano e la levatrice prese un filo scarlatto e lo legò attorno a quella mano, dicendo: “Questi è uscito per primo”. Ma, quando questi tirò la mano, ecco uscì suo fratello. Allora essa disse: “Come ti sei aperta una breccia?” E lo si chiamò Perez. Poi uscì suo fratello, che aveva il filo scarlatto alla mano, e lo chiamò Zerach” (Gn. XXXVIII, 28-30). Perché mai avrebbe dovuto essere narrato questo fatto se non perché ha un qualche significato più profondo? E ancora: c’è la strana storia di Manasse, il primogenito, e di Efraim, il secondogenito: due figli gemelli di Giuseppe, che furono portati da Giacobbe per essere benedetti: “Allora Giuseppe li ritirò dalle sue ginocchia e si prostrò con la faccia a terra. Li prese tutti e due, Efraim con la sua destra, alla sinistra di Israele, e Manasse con la sua sinistra, alla destra di Israele, e li avvicinò a lui. Ma Israele stese la mano destra e la pose sul capo di Efraim, che pure era il più giovane, e la sua sinistra sul capo di Manasse, incrociando le braccia, benché Manasse fosse il primogenito. Giuseppe disse al padre: “Non così, padre mio: questo è il primogenito, posa la destra sul suo capo!” Ma il padre ricusò ... “ (Gn. XLVIII, 1319). In questo episodio c’è un incrocio o un’inversione di mani. Se si capisce che in ogni sviluppo interiore prima la Verità precede e il Bene ne è una conseguenza, ma poi il Bene viene prima e la Verità la segue, si capirà anche questo incrocio delle mani. Tutte queste allegorie si riferiscono alla situazione psicologica dell’Uomo qui sulla terra e alla sua possibile evoluzione. All’Uomo sulla terra non si può insegnare direttamente il Bene: egli è però in grado di ricevere l’insegnamento del Bene attraverso la conoscenza della verità.

51

PARTE SECONDA Il genere umano ha mai agito secondo il Bene? Si è già citata l’antica allegoria della Genesi, dove si dice che “Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole”. Questa allegoria si riferisce ad un’epoca in cui gli uomini agivano secondo il Bene, perché solo il Bene può dare un linguaggio comune o creare l’armonia. Ci fu un tempo in cui gli uomini agivano non in base a teorie sulla giustizia e sull’ingiustizia, a differenti idee della Verità, a differenti dottrine, ad aspetti differenti della conoscenza. Agivano con la consapevolezza interiore di ciò che era il Bene. Il Bene li univa tutti, poiché il Bene è l’unica forza in grado di unire. Ogni armonia proviene dal Bene. Poiché il Bene era al primo posto, tutto il resto non aveva importanza. Un uomo poteva avere questa o quell’idea, come più gli piaceva, ma ponendo Dio al primo posto era in accordo con tutti gli altri che ponevano il Bene al primo posto. Il fatto che il Genere Umano una volta parlasse un unico linguaggio evidenzia che esisteva uno stadio dell’Uomo in cui il Bene era posto al primo posto e quindi tutti parlavano un unico linguaggio. Seguì uno stadio di degenerazione, cioè la costruzione della Torre di Babele per raggiungere il Cielo: “Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura del paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo” (Gn. XI, 1-4). Segue quindi una descrizione allegorica di come cominciarono a non capirsi più e ciò è simboleggiato dal fatto che essi parlavano linguaggi differenti e dalla loro diaspora. Il primo verso: “Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole” significa che un tempo il Genere Umano aveva raggiunto sulla terra un certo stato di unità. Il secondo verso: “Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono” significa che essi cominciarono a separarsi, cioè “Emigrarono dall’oriente”. Essi si allontanarono dalla fonte dell’unità e così allo stesso tempo diminuirono il livello del loro essere, cioè “capitarono in una pianura e vi si stabilirono”. Quindi cominciarono a crearsi opinioni autonome, non essendo più in contatto con la sorgente originale, cioè “Venite, facciamoci mattoni... e si servirono di mattoni 52

invece che di pietre, e di fango in luogo di calce”. La pietra, come abbiamo visto, simboleggia la Verità. Non possedevano più la Verità: “E si servirono di mattoni invece che di pietre”, cioè di qualcosa costruito dall’Uomo invece che della Parola di Dio. Si servirono di mattoni invece che di pietre. Avendo perso la pietra cioè le verità originariamente insegnate - cuociono mattoni per sé e costruiscono per sé. Essi usarono fango al posto di calce, cioè qualcosa di cattivo invece di qualcosa di buono. Costruiscono una torre che si erge fino al cielo, cioè vogliono mettersi al livello di Dio. Tutto ciò che si fonda sull’egoismo vuole ampliarsi, perché l’egoismo cerca unicamente il possesso e il potere su tutto. Desidera esaltare se stesso, ecco il perché della torre nella parabola. Tutto questo e quello che segue, significa che l’Uomo cominciò a pensare che lui stesso fosse la fonte del Bene, non Dio. Commise quell’atto spirituale, chiamato furto, di cui è scritto nell’ottavo comandamento: “Non ruberai”. Egli attribuì a se stesso ciò che non era suo e di cui non era l’autore. E questo furto psicologico è continuato fino ad oggi, raggiungendo un notevole sviluppo, tanto che ci si reputa tacitamente creatori di ogni cosa, anche della vita. Il risultato di questo furto originale fu che il Genere Umano non parlò più la stessa lingua. Avvenne la “confusione delle lingue”. Non ci fu più un linguaggio comune, cioè, l’uomo non comprese più il suo prossimo, anche perché non esisteva più quella base comune di comprensione che solo una percezione universale del Bene può dare. Babele si sostituì all’unità. Questa è la situazione attuale nel mondo: l’Uomo attribuisce tutto a se stesso e non concepisce nessun’altra visione dell’Universo o del senso dell’esistenza del Genere Umano sulla terra. Tutto è suo: la mente, il pensiero, la coscienza, il sentimento, la volontà, la vita, ecc. anche se è e resta incapace di spiegare anche solo una cosa. L’unica spiegazione che egli dà dell’Universo è che esso nacque per caso e che quindi non ha alcun senso.

53

IL MIRACOLO DELLA PISCINA DI BETZATA Solo il Vangelo di Giovanni parla di questo miracolo. Il linguaggio di questo Vangelo è appassionante. È un Vangelo veramente non comune. È assolutamente errato pensare di poterlo comprendere leggendolo semplicemente una o due volte. Nessuno sa con sicurezza chi sia l’autore o quando fu scritto. Qui il ritratto di Gesù Cristo è diverso da quello dei primi tre Vangeli, cosiddetti sinottici. Sono chiamati sinottici, non perché scritti da testimoni oculari - Luca e Marco non videro mai Cristo - ma perché, grosso modo, le loro narrazioni storiche sembrano oculari. Quando però esaminiamo il Vangelo di Giovanni non si riesce a seguire una narrazione cronologica del ministero terreno di Cristo. Chi era questo Giovanni, il cui nome è legato a questo Vangelo? Quando fu scritto? Nessuno può rispondere con certezza a queste domande. L’autore di questo Vangelo era veramente quel Giovanni, il discepolo prediletto da Gesù? È impossibile dirlo. L’intero linguaggio di questo Vangelo è fuori dal comune e in un certo senso la figura di Gesù Cristo appare in una luce non comune. Anche i pochissimi miracoli ivi riportati, cominciando dalla Trasformazione dell’Acqua in Vino - di cui solo Giovanni parla sono tutti originali e vengono riportati nei minimi particolari. Tra l’altro i miracoli sono caratterizzati dall’uso del linguaggio dei numeri. Cominciamo col prendere in esame la lunga narrazione del miracolo compiuto da Gesù alla Piscina di Betzata. Questo miracolo, narrato solo qui, è il terzo riportato da Giovanni, ed è preceduto dalla Trasformazione dell’Acqua in Vino e dalla guarigione del figlio d’un dignitario a Cafarnao. “Vi fu poi una festa per i Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. V’è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzata, con cinque portici, sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. (Un angelo, infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l’acqua; il primo ad entrarvi dopo l’agitazione dell’acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto). Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo disteso e sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: 54

“Vuoi guarire?”. Gli rispose il malato: “Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me”. Gesù gli disse: “Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina”. E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all’uomo guarito: “È sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio”. Ma egli rispose loro: “Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina”. Gli chiesero allora: “Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina?”. Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo. Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: “Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio”. Quell’uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato” (Gv. V, 1-16). Noterete che questo miracolo è diviso in due parti. La prima concerne il miracolo vero e proprio e la seconda parte riguarda la reazione dei Giudei al miracolo. Ma la prima parte è divisa in altre due parti. Gesù dice: “Vuoi guarire?” e dopo dice: “Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina”. Ora osserviamo le varie cose che vengono dette prima che il miracolo avvenga, poiché si può essere proprio sicuri, conformemente al linguaggio tradizionale delle parabole, che tutto ciò che si dice ha un significato particolare. Una moltitudine di infermi è in quel posto chiamato “porta delle pecore” e questo luogo ha cinque portici. In questi cinque portici c’è una moltitudine di “infermi, ciechi, zoppi, e paralitici”. Sappiamo che nel linguaggio delle parabole, gli infermi, gli zoppi, i paralitici, ecc. rappresentano degli stati psicologici. Ora, nei miracoli riportati nel Vangelo di Giovanni, il numero cinque compare di nuovo con la Samaritana, che aveva cinque mariti, e alla quale Cristo parlò al pozzo. Le disse che aveva avuto cinque mariti e che quello attuale non era in realtà suo marito: e dopo le parlò dell’“acqua viva”, cioè della Verità vivente che, bevuta, estingue per sempre la sete. Ed ella rispose: “Signore, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua” (Gv. IV, 15). Quando si riceve un insegnamento non mondano - cioè non 55

quello dei cinque sensi, che interpretano il mondo esterno, il mondo visibile - accettarlo è molto difficile. Anche accettandolo si continuerebbe ancora a condurre una vita legata ai cinque sensi, cioè rimarremmo ancorati a tutte le idee del mondo esterno che ci vengono trasmesse dai sensi e che noi chiamiamo realtà. I sensi ci danno la percezione del tempo e dello spazio e noi pensiamo in termini di tempo e di spazio e non possiamo andare più in là di questo pensiero basato sui sensi. Il nostro pensiero più profondo va al di là del tempo e dello spazio. Ma il nostro pensiero ordinario è come se fosse costituito temporalmente e spazialmente e noi non sappiamo come pensare in un modo nuovo, prescindendo da queste categorie sensibili. Anche se accettiamo l’idea di eternità, dove non ci sono tempo e spazio, noi non la capiamo. Anche se sentiamo un insegnamento non basato sulle categorie tempo-spazio, noi non possiamo capire il suo significato eterno, poiché non siamo in grado di pensare in termini atemporali o aspaziali. Così siamo legati ai cinque portici dei sensi e, anche conoscendo un altro tipo di insegnamento e pur vedendone la Verità, tuttavia non siamo in grado di liberarci dal potere del mondo esteriore e dalla sua realtà sensibile. Qui si trova la moltitudine di coloro che sono entrati per la porta delle Pecore ed è legata ai portici dei cinque sensi. Essi sono incompiuti, non essendo né in un mondo né nell’altro. Per questo essi sono infermi, ciechi, zoppi e paralitici, perché non sono psicologicamente liberi di spostarsi né in un senso né in un altro. I loro occhi sono fissi sulle acque miracolose della piscina, che a volte chiamano alla vita, ed essi sono guariti uno alla volta secondo il loro potere di entrare nella vasca, quando l’angelo agita le acque. La piscina, cioè le acque, nel linguaggio delle parabole significano sempre la Verità del Verbo. Tutta questa gente riunita intorno alla Verità del Verbo di Dio non riesce a penetrarvi nel modo giusto. È gente troppo legata alle realtà della vita, all’apparenza visibile delle cose, cioè al pensiero legato ai sensi. Noi siamo come la moltitudine di coloro che, durante il miracolo, si trovano sotto i cinque portici, aspettando qualcosa che muova la loro fede verso un senso più vivificante: si trovano anche tutti coloro che hanno accettato la Verità di un ordine superiore che postula un nuovo modo di pensare; essi, però, sono ancora legati al loro modo 56

ordinario di pensare; essi hanno accettato il Verbo, la Verità sull’evoluzione interiore e sulla ri-nascita, ma non sono in grado di realizzarla. Così essi si trovano legati alla verità naturale e osservano la Verità: quella dei cinque sensi e quella del Verbo di Dio. Ecco perché l’uomo di cui si parla nel miracolo è rappresentato mentre giace in un letto. Il senso psicologico è: un uomo resta fermo nelle sue condizioni e nelle sue opinioni. L’uomo è nella Verità che ha ricevuto, ma non sa camminare, cioè non riesce a viverla e a vivificarla. Cristo dice: “Prendi il tuo letto e cammina”. Cristo qui rappresenta la forza che un uomo può ricevere, per camminare, per vivere, per fare ciò che egli sa essere la Verità. Gesù prende il posto dell’angelo che agita l’acqua della Verità, rendendola viva. Nei miracoli Gesù simboleggia sempre la forza del Bene che agisce sulla Verità, per vivificarla. Un uomo può vivificare la Verità solo se vede che è il Bene e, se percepisce il Bene della Verità che gli è stata insegnata, allora egli agisce spontaneamente, di propria volontà. Interiormente un uomo è sia la sua Verità che la sua volontà. Un uomo, come Verità, agisce lentamente secondo la Verità. Ma se egli vede il Bene della sua Verità, allora agisce subito secondo la sua volontà poiché essa passa in ciò che egli percepisce come il Bene, mentre è tiepido nel passare in ciò che vede solo come Verità. La totalità dell’uomo - la sua Verità e la sua volontà - passano nel suo Bene. Questo è il motivo per cui l’uomo della Piscina di Betzata dice a Gesù, che gli chiedeva se voleva guarire: “Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me”. Egli descrive la sua malattia che lo rende psicologicamente zoppo, storpio e paralitico. Egli è sempre troppo lento: è sempre secondo, mai primo. Un uomo che agisce unicamente secondo la Verità agisce seguendo ciò che è in lui. Se egli agisce secondo la sua volontà, allora in lui agisce ciò che in lui è primo. Gesù dà a lui la forza di agire secondo la sua volontà, cioè la forza di prendere il letto della Verità su cui giace, e di camminare, cioè di realizzarla e di viverla. Gesù lo separa dal mondo, dal potere dei sensi e gli fa vedere in modo vivo la Verità che gli è stata insegnata. In questo modo l’uomo guarisce dalla malattia psicologica - poiché la Verità superiore era come paralizzata dalla verità inferiore. Tutto questo fu fatto di sabato, cioè in un giorno che nel linguaggio delle 57

parabole significa separazione completa dal mondo e dalle sue preoccupazioni.

58

PARTE SECONDA Le parole Cristo e Gesù hanno significati differenti nei Vangeli. Si può essere assolutamente certi che ogni parola usata nei Vangeli ha un suo significato particolare in relazione al linguaggio tradizionale delle parabole. Gesù ha un significato, Cristo ne ha un altro. Il termine Gesù Cristo è usato solo due volte nei Vangeli, in tutt’e due i casi da Giovanni; negli altri casi viene usato il nome Gesù o la parola Cristo. Orbene, Cristo è la Verità del Verbo di Dio, cioè la Verità che può sempre guidare un uomo al Bene della verità. Nelle parabole di Giovanni il Bene e la Verità sono riunite in Gesù Cristo: “La grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo” (Gv. I, 17). Il Vangelo di Giovanni è scritto partendo dal Bene ovvero dall’unione del Bene con la Verità. Per questa ragione proprio all’inizio del Vangelo di Giovanni la grazia e la verità di Gesù Cristo sono messe in contrasto con la Verità (la “legge di Mosè”) simboleggiata da Giovanni il Battista e quasi subito dopo segue la festa nuziale di Cana di Galilea con il miracolo della Trasformazione dell’Acqua in Vino. Nella parabola del miracolato alla Piscina di Betzata, si dice che Gesù gli parlò. È il Bene della conoscenza, che quell’uomo aveva interiormente, a parlargli. Ogni insegnamento, rivolto al livello superiore dell’Uomo, deve cominciare partendo dalla Verità ancora prima che ci si renda conto del Bene che essa contiene. Qui Gesù agisce come il Bene insito nell’insegnamento sull’auto-evoluzione e che quell’uomo conosceva, trovandosi il medesimo non del tutto assorbito dalla vita esteriore, ma in una posizione di emarginato, cioè in mezzo ai cinque portici ad osservare con impazienza le acque miracolose che possono guidarlo. Gesù dà a quell’uomo la volontà di fare ciò che egli già conosce come Verità e gli fa vedere il Bene di essa. Poiché tutta la Verità deve evidenziare il Bene che essa ha in quanto Verità - e questo avviene per gradi, passo dopo passo, fino a che la comprensione della Verità non porta a tutto il Bene che essa possiede - ecco allora che Gesù, che è la realizzazione ultima del Bene e della Verità, guarisce nell’ultimo o settimo giorno. Così Gesù, il Bene dell’insegnamento di Cristo, guarisce di Sabato. Ecco allora apparire i Giudei che hanno molte opposizioni da fare ed una di queste è che essi sono persone che seguono solo la Verità e non si curano del 59

Bene che essa porta con sé. In effetti non sono solo i Giudei che seguono le leggi di Mosè prese alla lettera. Qui c’è molto di più. Ci sono tutti coloro che non sanno andare al di là della pura conoscenza, disputano e discutono sulla Verità, su dottrine e teorie, ma non si preoccupano per niente del Bene in se stesso. Il Bene della conoscenza, il Bene della Verità è uno stadio molto difficile da raggiungere da tutti. Ma una volta che lo si raggiunge, allora si comincia ad agire proprio dal finale della Verità e dallo stadio iniziale del Bene, allorché il significato, il senso interiore e i nessi di tutto ciò che è stato insegnato passo per passo si attivano e la Verità diventa il Bene di essa. L’uomo ora non pensa più agli stadi della Verità che l’hanno portato a questo livello superiore del Bene ovvero a questa chiara percezione interiore di ciò che è il Bene di tutto ciò che ha imparato. Ora egli agirà subito con il sentimento del Bene. Non dovrà più riferirsi alla Verità. Se la Verità, se la conoscenza non conducono alla Bontà o al suo uso per quale motivo dovremmo cercare di studiare una qualsiasi Verità o conoscenza? La conoscenza non finisce mai a meno che raggiunga il suo scopo, che è la sua bontà. Il Bene è il vertice della Verità. Per cui Gesù, in quanto il Bene, è al vertice della Verità, là dove essa si trasforma nella percezione del Bene di essa e con essa si unisce. In quanto il Bene, Gesù opera sempre dei miracoli che trasformano la Verità nel Bene: allora egli cura gli zoppi, gli storpi, i paralitici e i ciechi: tutti coloro che sono solo nella Verità, ma non riescono a vedere che, per avere un senso, ogni dottrina, ogni Verità, ogni conoscenza, deve condurre al Bene. Seguendo la conoscenza per la conoscenza, non solo si fraintende il senso della vita e di sé, ma anche dell’Universo. L’Universo, inteso psicologicamente, è sia la Verità che il Bene delle cose. Quando un uomo agisce seguendo il Bene di qualsiasi Verità che egli conosce, egli agisce direttamente secondo la propria volontà, secondo ciò che egli vuole - perché il Bene noi lo vogliamo, ma la Verità la pensiamo. Nel Miracolo della piscina di Betzata l’uomo, avendo solo la percezione della Verità di un insegnamento ultramondano, non era in grado di portare la sua volontà o percezione del bene ad agire per prima. Egli giace a terra legato ai sensi, al senso letterale del Verbo di Dio. Anche se è attento al senso miracoloso - l’acqua agitata dall’angelo - egli non può capire. Egli è nella Verità, ma non può penetrarla. Gesù, essendo 60

il Bene della Verità che l’uomo ha dentro, riesce ad elevarlo. L’uomo vede il Bene di tutto ciò che egli ha conosciuto puramente come Verità. Quindi la sua volontà, i suoi desideri si trasformano in tutto ciò che egli conosce, ed egli comincia a vivere la Verità come Bene. Prima c’era la Verità, perché così doveva essere. Un uomo prima deve conoscere la Verità, ma il Bene della Verità precede la Verità, perché tutta la Verità può venire unicamente dal Bene, quindi la Verità segue il Bene. Ma nella condizione umana si deve apprendere ogni cosa al contrario: si apprende prima la Verità e poi si percepisce e si raggiunge il Bene della Verità. Un uomo che è nella Verità vicino al bordo della piscina di Betzata anteponeva sempre la Verità e per questo era sempre secondo, sempre in ritardo. Egli era secondo perché metteva la Verità al primo posto. Gesù, come realizzazione del Bene della Verità, lo guarì. Quell’uomo quindi antepose il Bene alla Verità e fu guarito. Il miracolo è su questa profonda questione: il primo e il secondo posto e la loro inversione. E l’inversione mette il Bene al primo posto e la Verità al secondo. Quindi l’uomo è riempito, poiché la pienezza della Verità sta proprio nella consapevolezza del Bene di questa. Il miracolo vuol dire che, per quanto un uomo conosca la Verità, con la sua volontà non può agire secondo questa Verità se in essa non vede il Bene: questo è l’ultimo stadio della Verità che si chiama sabato, nel quale il Bene è al primo posto. Allora egli pecca, è fermo solo alla Verità e la mette al primo posto. Egli manca il bersaglio, considerando la Verità come un fine e mette la Verità al primo posto e non la considera una via per la bontà. Ecco perché Gesù gli dice: “Non peccare più”. Questo in greco suona: “Non mancare il bersaglio”. Ogni peccato (traduciamo così) in greco significa mancare il bersaglio ed in questa parabola o miracolo “mancare il bersaglio” ovvero “peccare” significa mettere al primo posto la Verità e non vedere che essa è un mezzo e non un fine; il fine è la bontà della Verità e la pratica della Verità, seguendo quella bontà che conduce alla Verità e non una Verità teorica. Infatti un uomo che agisca unicamente secondo una Verità, una dottrina, un rituale, pecca, cioè non capisce nella sua globalità l’idea dell’insegnamento sull’evoluzione interiore, sulla ri-nascita, sulla rigenerazione: egli non ha capito nulla dei Vangeli. 61

Consideriamo per un momento tutti coloro che nel corso della storia hanno agito secondo la Verità e non secondo la bontà. Consideriamo la storia della religione, i suoi orrori, i suoi odi. E dopo pensiamo che il vero significato di peccare è mancare il bersaglio. Gesù guarì l’uomo alla Piscina di Betzata (che significa Casa della Misericordia). Quando il Bene viene prima, un uomo agisce secondo la misericordia e la grazia e allora diventa completo. Quando egli è completo, allora non manca più il bersaglio. Gesù, quando si separa dall’uomo che aveva guarito, gli dice: “Ecco, sei stato completato; non peccare più”.

62

IL BUON SAMARITANO In un certo senso ognuno chiede il Bene come quando, se fa freddo, si aggiunge un altro pezzo di carbone sul fuoco. Non ci si aspetta nessuna ricompensa se non il Bene che da questa azione deriva. Non c’è nulla di più difficile da capire di ciò che vuol dire agire secondo il Bene nel senso evangelico, sebbene il significato sia pratico e non sentimentale, proprio come aggiungere un pezzo di carbone, se fa freddo. Agire secondo la verità e secondo la conoscenza, questo lo capiamo. Ma la Verità da sola è crudele e coloro che agiscono solo secondo Verità sono in grado di arrecare gravi danni agli altri. Esaminiamo la parabola del Buon Samaritano che, forse, ha colpito maggiormente il genere umano più di altre parabole. È la più conosciuta. Può essere capita così com’è. In realtà nessun’altra parabola è così conosciuta come questa. Essa evidenzia l’agire secondo il Bene e non secondo la Verità. Un giudeo giace ferito sulla strada pericolosa che conduce da Gerusalemme a Gerico. Un sacerdote giudeo ed un levita gli passano vicino e non lo aiutano. Passa anche un Samaritano e, sebbene Giudei e Samaritani non avessero punti comuni sulla Verità, si ferma e fascia le ferite di quell’uomo percosso. La parabola segue quella del dottore della legge che, per tentare Cristo, gli aveva chiesto cosa doveva fare per ottenere la vita eterna. “Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: “Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?” Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella legge? Che cosa vi leggi?”. Costui rispose: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso”. E Gesù: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai”. Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: “E chi è il mio prossimo?”. Gesù riprese: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per la medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece 63

vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui, che è incappato nei briganti?”. Quegli rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso” (Le. X, 25-37). ” Agire per compassione, agire per misericordia è agire per il Bene stesso e non per una qualche idea di ricompensa. La Verità da sola non ha nulla a che fare con la compassione, niente a che vedere con la misericordia. Gli atti più crudeli e atroci sono stati compiuti nel nome della Verità. La Verità separata dal Bene non ha in sé nulla di vero. Non ha niente che la controlli, niente che la unisca e che dia ad essa un’esistenza vera.

64

I VIGNAIOLI Più volte Cristo dice: “Molti che sono gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi”. Una volta Cristo dice queste parole dopo che i discepoli hanno manifestato che la loro idea del Regno dei Cieli era terrena, conforme all’apparenza delle cose a cui essi erano abituati sulla terra. Cristo parlava della difficoltà per un ricco di entrare nel Regno dei Cieli. Egli parla del ricco contrapponendolo allo stato dei fanciulli che sono innocenti perché non si sono ancora creati delle false idee su se stessi. I discepoli avevano preso le sue parole alla lettera. Pietro esclama: “Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito: che cosa avremo dunque?”. Ed è proprio questa la domanda che tutti quanti fanno e che sempre farà colui il quale non comprende ancora nulla. Che cosa avremo noi? chiedono, come se essi avessero già qualcosa, come se fossero già ricchi. Cristo risponde ai suoi discepoli in modo che lo capiscano: Egli promette loro che essi siederanno su troni a giudicare le tribù d’Israele. Lo dice quasi con ironia, ma l’ironia è simulata, in vista di ciò che egli sta per dire. Egli risponde: “In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele” (Mt. XIX, 28). E subito aggiunge, come riflessione: “Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi” (Mt. XIX, 30). Così dicendo Cristo sembra contraddire ciò che ha appena detto ai suoi discepoli, ma questo perché essi non comprendono ciò a cui è simile il Regno dei Cieli e a che cosa deve essere simile un uomo per ottenerlo. Sotto forma di parabola egli mostra loro come tutte le idee terrene di predominio, di ricompensa, di ciò che noi chiamiamo giustizia, di priorità, non sono per nulla in grado di capire che cosa è il Regno dei Cieli: “Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi” (Mt. XIX, 30). “Il Regno dei Cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre 65

e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ognuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi e i primi gli ultimi” (Mt. XX, 1-16). Questa parabola è la vera risposta alla domanda di Pietro: “Che cosa avremo dunque noi?” Il Regno dei Cieli, dice Cristo, non è come voi pensate ed è impossibile pensarlo come una proprietà. Non è un qualcosa a cui si possa pensare in termini di ricompense, così come le intendono gli uomini. Pensare ad esso come ad un luogo in cui un uomo avrà un trono, il potere e l’autorità sugli altri, come ricompensa per qualsiasi cosa egli abbia abbandonato in questa vita, è totalmente sbagliato. Il Regno è diverso da tutto ciò che c’è sulla terra, diverso da tutto ciò che i sensi di un uomo possono fargli vedere, diverso da tutto ciò che egli può pensare. Ci vuole un modo nuovo di capire, un modo che l’Uomo al livello della “Terra” non possiede. Per questo motivo Cristo inizia sempre con: “Il Regno dei Cieli è simile a ... “. In ogni parabola c’è un’idea nuova, un’idea che nessuno su questa terra sarebbe in grado di elaborare o anche solo di supporre. Quando l’uomo da un livello di comprensione, tecnicamente definito nei Vangeli “Terra”, passa a un livello chiamato “Cielo”, allora deve cambiare radicalmente il suo modo di pensare. Nessuno può cambiare i suoi pensieri a meno di avere idee nuove, poiché è partendo da queste che si pensa. Nessuno può pensare in modo nuovo con idee vecchie. E non vi può essere nessun cambiamento di modo di mentalità, nessun 66

“pentimento”, se le idee di un uomo rimangono al livello della “Terra”, dove le sue idee sono basate su apparenze, su cose che si vedono. Per comprendere qualcosa del Regno dei Cieli, l’uomo deve lasciare le idee naturali o, meglio, trascenderle. Con le sue idee naturali egli riesce a comprendere il mondo e i suoi regni, ma non riesce a comprendere il livello superiore rappresentato dal Regno dei Cieli. Egli non è in grado neppure di cominciare a capire anche solo una cosa di questo Regno, perché il livello inferiore non può comprendere quello superiore. Qual è l’idea centrale della difficile parabola dei Vignaioli? Essa è del tutto nuova e straordinaria e non corrisponde alle nostre idee naturali. E’ l’apparente ingiustizia della parabola a colpire il nostro livello di comprensione. Secondo il nostro modo di pensare, coloro che hanno lavorato più a lungo avrebbero dovuto ovviamente avere una ricompensa maggiore. E non vi è dubbio che qualcuno dei discepoli pensava in cuor suo la stessa cosa, dal momento che proprio loro erano stati i primi ad essere chiamati a lavorare nella vigna, simboleggiata dall’insegnamento di Cristo sulla terra. L’insegnamento era stato dato in primo luogo ai giudei e in particolare ai discepoli. Questi ultimi si aspettavano naturalmente la ricompensa maggiore. Era un’idea naturale. Per capire il significato psicologico della parabola si deve afferrarne l’idea centrale, perché la parabola contiene sempre un’idea che non è naturale, anzi un’idea tale che può anche contraddire ogni nostra idea naturale. È facile capire l’idea dei discepoli sul Regno dei Cieli: lo pensavano naturale, visibile. Cristo lo sapeva quando raccontò loro che si sarebbero seduti sui troni per giudicare gli altri. Ma la parabola che seguì non ha proprio niente di naturale. Le nostre idee naturali di giustizia e d’Ingiustizia sono tra le più forti che noi possediamo. Esse ci provocano più di ogni altra cosa. E il punto di vista umano è presentato nella parabola sotto la forma dei Vignaioli che sono stati chiamati per primi e che si aspettavano di ricevere di più e mormorarono contro il padrone di casa, dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Il padrone risponde: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro?”. Senza dubbio essi direbbero: “Sì, ma non sapevamo ciò che sarebbe successo. E’ una grande ingiustizia”. 67

Qual è la chiave per interpretare questa parabola? Si trova sia nei passi precedenti sia nella parabola stessa. Essa è contenuta nella definizione data dal padrone di casa nelle cui vigne i Vignaioli sono chiamati di volta in volta. Chi è il padrone di casa a cui tutto fa capo? È il Bene. Egli viene definito come: “lo sono buono”. Il padrone di casa dice: “Non posso fare del mio quello che voglio?”, ovvero “il tuo occhio è maligno perché io sono buono?”. L’intera parabola si riferisce all’azione propria del Bene e non della ricompensa. Infatti, se un uomo agisce secondo il Bene stesso, egli non cerca una ricompensa perché non agisce più per egoismo o per merito. L’agire per il Bene rende tutti uguali coloro che lo fanno. Agire seguendo il Bene di ciò che si fa, non può produrre nessun sentimento di rivalità o di invidia, né può creare il sentimento che ci si debba aspettare una ricompensa, poiché agire secondo il Bene è già una ricompensa di per se stessa. Agire nel bene di ciò che si fa, non ha nulla a che fare con l’anzianità di servizio o con qualsiasi lasso di tempo, poiché il Bene è al di sopra del tempo. Infatti Dio è chiamato buono e Dio è al di fuori di ogni tempo. La sorgente del Bene è al di fuori del tempo: è nell’eternità. La parabola si riferisce a valori eterni: non si riferisce al tempo. Non ha nulla a che fare con le nostre idee naturali sul tempo e sull’eternità, In un passo che precede, un ricco si avvicina a Cristo e gli dice: “Maestro, quanto bene dovrò fare per ottenere la vita eterna?” Cristo risponde: “Perché mi chiedi ciò che è buono? Uno solo è buono”. Solo Dio è buono. Nessun uomo è buono. Ogni bontà, ogni cosa buona, la bontà di ogni cosa, qualunque essa sia, deriva da Dio. Quel ricco è ricco perché sente di aver osservato tutti i comandamenti, sente di avere dei meriti, si sente giustificato - e per questo, ricco - per aver agito secondo la Verità, per aver osservato tutti i comandamenti: però ha dei dubbi e comincia a fare domande sul Bene e su come agire secondo il Bene. “Quale bene dovrò compiere?”. Gesù lo guardò e lo amò. Prima la Verità e poi il Bene, ma seguendo il Bene, esso viene prima e la Verità dopo: il ricco si sente dire di “vendere” tutto ciò che ha e di seguire Gesù. Per agire secondo il Bene e non soltanto secondo Verità un uomo deve vendere ogni suo sentimento di merito, di autoconsiderazione, ogni sensazione di essere buono, ogni sensazione di essere il primo. Se egli pensa di essere buono, agirà seguendo se 68

stesso, il suo egoismo. Ecco perché si dice che solo Dio è buono. Luca dice: “Nessun è buono, se non uno solo, Dio” (Le. XVIII, 19). Tutto il Bene viene da Dio, non dall’Uomo. Se un uomo pensa di essere buono inevitabilmente cercherà una ricompensa per ogni cosa che fa, perché attribuirà a se stesso l’essere buono. Non vedrà il bene come una forza che passa attraverso ogni cosa. Sentirà che è stato lui ad aver agito bene; specialmente se ha rinunciato a qualcosa per compiere una buona azione. Sarà come Pietro che dice: “Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito: che cosa dunque avremo noi?”. Pensando alla parabola dei Vignaioli è chiaro da ciò che segue che i discepoli non capirono che cosa significava il Regno di Dio, perché pochi versi dopo, quando la parabola era già stata detta e i discepoli l’avevano ascoltata, essi si indignarono perché la madre dei figli di Zebedeo si avvicina per chiedere a Gesù se essi possono sedere alla sua destra e alla sua sinistra nel Regno dei Cieli. I discepoli pensano ancora in termini di ricompensa e di potere. Cristo chiama i discepoli e dice: “I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo” (Mt.XX, 25-27). Ed egli ha già spiegato che cosa significhi questo: se un uomo comincia ad agire secondo il Bene di ciò che fa per l’amore del Bene in sé, egli servirà e seguirà il Bene. Ogni idea di autorità, di posizione sociale, di superiorità sugli altri, di antagonismo, d’invidia personale, di gelosia, di giustizia e ingiustizia umane sarà in lui inesistente. Il Bene non è una persona. Agire, vedendo e gioendo del Bene di ciò che si fa, è agire in modo altruistico.

69

CAPITOLO V L’IDEA DI GIUSTIZIA NEI VANGELI PARTE PRIMA Esaminiamo nei Vangeli alcuni esempi dell’insegnamento di Cristo; essi riguardano ciò che è necessario fare per avvicinarsi a un livello superiore di Uomo e contemporaneamente cerchiamo di dare un senso, a una o due frasi usate da Cristo e che non sono completamente chiare. Cristo dice: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei Cieli” (Mt. V, 20). È un’affermazione precisa con un significato preciso. Cos’è la giustizia e cosa vuol dire che la giustizia di un uomo deve superare quella degli scribi e dei farisei? La parola che nel passo precedente è stata tradotta “superare” etimologicamente significa “essere al di sopra e al di là”, e quindi “non comune e mutevole”. Non è la giustizia degli Scribi e dei Farisei che si deve accrescere. Un uomo deve avere un altro notevole o insolito genere di giustizia che superi, che sia al di sopra e al di là, la giustizia comune. La parola giustizia, in origine, veniva usata per un uomo ligio alle norme e ai costumi della società in cui viveva. Un uomo era giusto se osservava le leggi. Per i Giudei la giustizia era l’osservanza minuziosa della legge levitica con tutti i suoi riti, le decime, le purificazioni esteriori, ecc. Questa giustizia formale fu attaccata da Cristo in parecchie occasioni. Era una giustizia falsa paragonata con ciò che Gesù stava insegnando, perché era una giustizia “umana”. Essa mirava solo ad apparire giusti esteriormente, davanti agli uomini. Cristo disse: “Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei Cieli. Quando dunque fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina 70

resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt. VI, 1-4). Cristo dice che la pratica di questa forma di giustizia esteriore lascia un uomo dove si trova, nella sua vanità e nel suo narcisismo. Cristo insegna come un uomo può elevarsi, come può diventare un Uomo Nuovo. Attaccando la forma di giustizia propria degli Scribi e dei Farisei, egli attacca il livello di un uomo che agisce per avere dei meriti e non per la giustizia in sé. Un uomo del genere si giustifica con azioni e comportamenti esteriori. Giustificarsi significa far credere di essere innocenti. In ognuno c’è un processo mentale molto complesso, in continuo movimento e il cui scopo è quello, di fargli sentire che egli ha ragione, cioè che è innocente. Se uno non ha acquistato una consapevolezza maggiore di quella del conformismo ai costumi e alle norme esteriori, alla salvezza delle apparenze, al “non perdere la faccia”, allora egli non considera ciò che ha veramente fatto. Egli si giustificherà, così la sua giustizia esteriore resterà immutata agli occhi del mondo, cioè “davanti agli uomini”: ciò lo mantiene a un certo livello di sviluppo. Cristo attacca questo modo di aver ragione. Il fine dell’insegnamento dei Vangeli è l’evoluzione interiore dell’uomo e il raggiungimento di un livello superiore. Per questa ragione si dice che se la giustizia di un uomo non supererà quella degli Scribi e dei Farisei, non raggiungerà questo livello superiore, cioè il Regno dei Cieli, dove Cielo vuol sempre dire questo stato o livello interiore elevato che un uomo può raggiungere. I Vangeli parlano solamente di un’evoluzione interiore che è possibile per l’Uomo. Gli Scribi e i Farisei esistono ancora oggi e appartengono a quel livello che attribuisce a sé il merito di tutto ciò che fa, si auto compiace e si ama più di chiunque altro. Nel loro sviluppo emotivo essi sono solo “egoisti” e non amano il “prossimo”. Ogni egoismo disprezza gli altri. Essere contento che un altro abbia un’esistenza vera e autonoma è cominciare a porsi al di là del livello dello sviluppo emotivo, dell’egoismo. Cosa significa che la giustizia dell’uomo deve superare quella degli Scribi e dei Farisei? La risposta dipenderà da come egli si giustifica. Dipenderà da come egli cerca di vivere, cioè quale ordine di Verità cerca di seguire. Se si giustifica unicamente di fronte al mondo, lo farà anche interiormente. 71

La Verità insegnata nei Vangeli è diversa da quella del mondo e delle realtà dei sensi. C’erano sempre molte dispute tra coloro che ascoltavano Cristo. Un esempio è riportato in Giovanni: “Alcuni dicevano: egli è un uomo buono”; altri dicevano: “Non è buono perché fuorvia la moltitudine”. La verità è che Gesù offendeva la maggioranza della gente che lo ascoltava. Le sue parole, non solo non erano comuni, ma anche troppo forti da accettare: per questo si offendevano. Chiunque si offende, quando gli si toglie la giustificazione. Cristo insegnava un altro tipo di Verità, un modo diverso da quello di sentirsi interiormente giusto. Cristo parlava del passaggio dell’uomo da un livello a un altro. Egli parlava sempre di questo livello superiore: il Regno dei Cieli. Tuttavia anche i suoi discepoli pensavano che egli parlasse del mondo e di un regno terreno. Per cui, quando Cristo disse che la giustizia di un uomo deve essere totalmente diversa da quella degli Scribi e dei Farisei, parlava del senso della giustizia a quel livello superiore e del modo in cui un uomo si deve comportare nei confronti della medesima. Un uomo, trovandosi a questo livello superiore, non potrebbe più comportarsi allo stesso modo o ricercare la sua ricompensa dalla medesima sorgente né sentirsi innocente allo stesso modo. L’uomo doveva capire che nell’ottica del Regno dei Cieli tutta la sua auto-giustizia era inutile e non conduceva a niente. Un uomo, quando riceve l’insegnamento sull’evoluzione interiore, non può più giustificarsi come prima. Egli non può più fingere con la sua autogiustificazione nei confronti di ciò che egli è in realtà, alla luce del nuovo ordine di Verità che ha appreso. Nel brano citato si dice: “Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra”. Tutto ciò si riferisce a quest’altro genere di giustizia ed è unicamente attraverso questa che è possibile entrare nel Regno dei Cieli. Cosa significa? Nel verso precedente viene sottolineato che una persona non deve fare elemosina “per essere vista dagli uomini”; così fanno gli Scribi e i Farisei. Elemosina è ciò che faccio per misericordia e non solo opere di carità; è il perdono interiore, la remissione interiore dei debiti nei confronti del prossimo. Nel linguaggio tradizionale delle parabole la mano sinistra indica il male e la mano destra il bene. Nella parabola della Separazione delle Pecore e delle Capre, alla fine dei tempi (non alla fine del mondo), si dice che le pecore sono messe alla 72

destra e le capre alla sinistra. Nel passaggio precedente “non lasciare che la sinistra sappia ciò che fa la destra” si riferisce ai due livelli presenti nell’Uomo e che devono essere tenuti distinti. Si noti che non si deve far sapere alla sinistra ciò che fa la destra, non il contrario. L’uomo al suo livello ordinario è “male”, è immerso nel suo egoismo e nella sua vanità, in balìa dei sensi. I sensi sono il mondo. La mano destra indica un livello superiore di comprensione o il suo inizio. Egli non deve confondere questi due livelli, cioè non deve far sapere alla mano sinistra quello che fa la mano destra. La mano sinistra è il livello più basso, dominato dall’egoismo. Ciò che un uomo fa dal livello superiore non deve essere confuso con il livello inferiore. Negli atti della misericordia interiore, nel fare l’elemosina, un uomo non deve agire per averne una ricompensa; se lo fa agisce secondo quel livello “gli Scribi e i Farisei” - il livello del mondo - il livello inferiore. Egli deve agire trascendendo questo livello, fare il bene per il bene e non deve permettere che ciò ce egli ha fatto di bene diventi una questione di encomio che alimenti la sua vanità, il suo egoismo e la sua ipocrisia. Al contrario egli non deve neppure pensare a ciò che ha fatto né discuterne con se stesso o congratularsi del suo nobile comportamento, altrimenti ciò che ha si trasformerà nel sentimento di averne merito e anche se nessuno ne sa nulla, egli cadrà in basso, in quel livello che c’è dentro di lui. Egli comincerà a compiacersi e a ricadere nel suo merito. Egli deve sapere cosa vuol dire far silenzio entro di sé. Non deve discutere con se stesso di ciò che ha fatto. Ma, di regola, quando un uomo fa del bene di qualsiasi genere, muore dalla voglia di farlo sapere agli altri e così non fa silenzio né con sé né con gli altri, agisce come davanti ad un uditorio interno ed esterno. Cristo in primo luogo dice di non agire di fronte ad un uditorio esterno e poi di non agire di fronte ad un uditorio interno, cioè “la mano sinistra”, che è il suo livello inferiore o la sua vita. Una volta che capiamo che tutto ciò che è detto nei Vangeli, si riferisce alla possibilità per l’uomo di raggiungere un livello superiore, diventa chiaro il significato di sinistra e destra. La sinistra è il livello inferiore, la destra, il superiore. Un uomo al livello inferiore che agisce con la mano sinistra, si sente meritevole e desidera giustificarsi con le sue opere di carità, per ottenere la sua ricompensa. Questa è una forma di giustizia. Quando, però, un uomo inizia a comportarsi secondo un livello 73

superiore, con la destra, non cerca ricompensa alcuna poiché agisce secondo ciò che egli vede intrinsecamente buono e per amore del bene in sé e così non ricerca nessuna ricompensa né interiore né esteriore e perviene a una giustizia superiore a quella degli “Scribi e dei Farisei”. Egli non dice agli altri ciò che ha fatto né dice a se stesso che si è comportato bene. Egli è esteriormente e interiormente in silenzio. Questo significa la frase “se la vostra giustizia non supererà quella degli Scribi e dei Farisei, non entrerete nel Regno dei Cieli”. Se la giustizia di un uomo non la supera da questo punto di vista, allora egli è inevitabilmente relegato al proprio livello inferiore. Questo insegnamento, visto alla luce del livello superiore e inferiore di un uomo, ha un senso pratico così come ce l’hanno la mano sinistra e destra. Ed è forse anche possibile comprendere abbastanza di ciò che si intende, quando si dice che si può ricevere un altro tipo di ricompensa, una ricompensa “segreta”, di cui si parla nel Vangelo “e il Padre tuo che vede nel segreto, ti ricompenserà segretamente”. In talune traduzioni si trova un’incredibile incomprensione del significato di queste parole di Gesù laddove si dice “e il Padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà palesemente”. È ovvio che l’amanuense che alterò le parole durante la trascrizione non aveva alcuna idea del suo significato e non comprendeva il motivo di fare l’“elemosina” in segreto, se non c’era una ricompensa esterna, un premio, un compiacimento: ecco perché non poté fare a meno di aggiungere che l’elemosina fatta in segreto sarebbe stata ricompensata palesemente. E forse, a questo punto, potremmo tentare di comprendere il perché avviene così spesso che la gente, non percependo che i Vangeli parlano della ri-nascita di un livello superiore dell’Uomo, considera ciò che vi si dice, al loro proprio livello, confondendo in questo modo due ordini o livelli di verità. Considerare i Vangeli prescindendo dalla loro idea centrale di ri-nascita, cioè da un’evoluzione interiore che implica l’esistenza di un livello superiore, vuol dire non capire niente del loro significato reale. La gente penserà ad auto-giustificarsi, ad accettare il mondo come essa lo concepisce, senza capire che si richiede un’altra rinascita individuale, una nuova forma, non semplicemente un accrescimento di ciò che si è già. Nonostante che il Regno dei Cieli - il livello più alto possibile per un uomo - sia dentro e rappresenti l’oggetto del risultato finale, tuttavia si 74

pensa che ci si riferisca a uno stato dopo la morte, di là da venire, e non a uno stato raggiungibile o almeno ricercabile in questa vita sulla terra: un nuovo stato di sé che esiste già come possibilità ora, come un qualcosa al di sopra di ciò che si è, come una stanza al piano superiore di questa casa che siamo noi stessi e a cui tante volte si fa riferimento nelle parabole. Come conseguenza di questo fraintendimento la gente non riesce a separare la mano sinistra dalla destra, e ne risulta che tutto ciò che essa fa converge nel piano inferiore, assumendo una forma sbagliata; e spesso questa è la causa degli esempi assurdi, dolorosi o anche cattivi della vita religiosa, dovuti al fatto di attribuire ciò che è superiore a ciò che è inferiore, alla confusione dei due ordini d’idee. È come una ghianda che tiene per sé tutto l’insegnamento su una quercia e che immagini di essere essa stessa una quercia. ….Ci rendiamo conto che nessuno può continuare a giustificarsi come ha sempre fatto e aspettarsi di diventare un altro, un Uomo Nuovo. Deve cambiare il modo di sentire questa sua giustizia perché, fintanto che egli si sente giusto così com’è, egli non può cambiare. l’Uomo deve cambiare per intero la sua idea di ciò che significa essere giusto, perché è proprio il sentirsi giusto, di essere nel giusto, che impedisce alla gente di cambiare. Ci si sente soddisfatti di sé. Sono solo gli altri che sbagliano, non noi. Credere di essere già giusti e nel giusto determina una forma speciale di giustificazione. Ecco allora la convinzione di valere e di essere meritevoli e perciò ci si indispettisce e ci si sente offesi più facilmente. C’è niente di più facile che offendersi e offendere? Questa è la condizione umana. L’insegnamento straordinariamente duro dei Vangeli serve a rompere questa convinzione di merito e di compiacenza a cui ognuno apertamente o segretamente rimane attaccato; allora ci si sente offesi. Alla luce dell’idea del Regno dei Cieli e della possibile evoluzione interiore, di un livello superiore, un uomo deve convincersi che egli non vale quasi niente così com’è e che tutta la vanità, il merito, la presunzione, l’autoconsiderazione, il compiacimento, l’auto-soddisfazione e l’egoismo e tutto ciò che immagina di se stesso sono praticamente un’illusione. In realtà è possibile comprendere quell’insegnamento duro dì Cristo solo se si guarda il fine: infrangere l’intera psicologia dell’uomo - dell’uomo così come la vita l’ha fatto, dell’uomo come lui spesso si considera - e costringerlo a pensare, a sentire e ad agire in modo nuovo, in modo tale 75

che egli cominci a dirigersi verso un livello superiore, verso un altro stato di sé che è già in lui come possibilità. Per passare da un livello all’altro, dalla ghianda all’albero, tutto va rivisto e riconsiderato. L’uomo deve modificare tutti i normali rapporti del suo modo di essere. Deve cambiare l’intera struttura del suo essere. Tutto l’uomo deve cambiare. Ecco perché Cristo dice: “Non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa” (Mt. X, 34-36). Tutto ciò non ha un significato esteriore, letterale. Significa un terremoto interiore, un cambiamento totale della psicologia umana, del concetto di “padre”, “madre”, “figlia”, “nuora”, “suocera”, ecc. Tutte le relazioni con se stessi devono cambiare e questo significa che tutte le idee e il sentimento di sé devono cambiare. La casa di un uomo significa che tutto ciò che c’è nell’uomo - non il suo corpo, ma la sua psicologia, la casa di tutti i diversi aspetti di se stessi, tutte le idee, il modo di concepire il “padre” o la “madre” nei suoi pensieri, il modo di vedere e di giudicare, di dedurre, devono cambiare seguendo la spada, che è la forza della verità propria di un ordine superiore. Incontrando quest’ordine superiore di verità un uomo non può rimanere in pace con se stesso, così com’è. Egli deve pensare in un modo nuovo e nessuno può pensare in un modo nuovo aggiungendo solo qualche nozione a ciò che già pensa. Tutto l’uomo deve cambiare, in primo luogo tutto il suo pensiero deve cambiare e prima di ogni altra cosa. Questa parabola si riferisce al punto iniziale dell’insegnamento di Gesù, alla metanoia, a un uomo che incomincia a pensare in modo opposto di come ha sempre pensato, in un modo totalmente nuovo su di sé, sul suo senso e sul suo fine. Non è un pentimento, come viene tradotto, ma un modo nuovo di pensare, più in alto e al di sopra di tutto ciò che egli ha pensato prima. Allo stesso modo la giustizia di cui Cristo parla è più in alto, al di sopra e al di là di tutto ciò con cui un uomo si è giustificato e che ha considerato essere la sua giustizia, la propria idea di essere giusto. La nuova giustizia è al di là, di questa vecchia giustizia.

76

PARTE SECONDA In tutto il Discorso della Montagna Cristo parla di ciò che unisce un uomo con un altro ordine di vita e come la potenza o beatitudine che emanano da esso possano giungere fino a lui. In una delle Beatitudini Cristo dice: “Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati”. Essere beati significa raggiungere la beatitudine. Significa che si può raggiungere uno stato reale e non generico o un punteggio nella contabilità morale. La parola, nel suo significato originario, venne usata dai Greci per descrivere lo stato degli dèi, Qui, aver fame e sete di giustizia, si riferisce ad una giustizia diversa dall’ipocrisia che bada solo a se stessa ed ai propri fini. Per trovare quest’altra giustizia un uomo deve “perdersi”, cioè abbandonare le idee su di sé, sul suo valore, sui suoi meriti. Esaminiamo bene il senso di “perdersi”. Cristo lo dice quando si rivolge a Pietro e lo considera uno scandalo, perché egli considerava sempre in modo mondano ciò che gli veniva detto. Pietro confondeva cose che erano a livelli diversi. Pietro non capiva che senso aveva, il fatto che la destra non sapesse quello che faceva la sinistra. Nella sua mente egli confondeva la Verità dell’insegnamento di Cristo con le “cose degli uomini”. Quando Gesù parla ai suoi discepoli dell’avvicinarsi della sua morte, Pietro dice: “Non è possibile, Signore; questo non ti accadrà mai”. Cristo gli risponde: “Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”. Qui si capisce bene perché Pietro è chiamato satana. In questo passo c’è una delle definizioni di ciò che Satana significa nei Vangeli. Satana è “confondere differenti livelli di pensiero”, perché ragionare significa pensare. E prosegue: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt. XVI, 24-25). “Vita” qui significa “Anima”, nel testo originale. Un uomo deve perdere la sua anima. Quando si dice che un uomo deve perdere la sua vita, s’intende qualcosa di più complesso della morte fisica. In Giovanni, Gesù dice: “Nessun uomo ama di più di colui che sacrifica la sua vita per i suoi amici”. 77

Nel testo originale si trova “anima” non “vita”. Un uomo deve sacrificare la sua anima: e questa è la definizione suprema dell’amore cosciente. Egli deve considerare i suoi amici (letteralmente, in greco, coloro che egli ama) al di là, di se stesso o al posto suo. Cristo qui ci dice che cosa significa obbedire a ciò che egli insegna. Un servo, aggiunge Cristo, obbedisce al suo padrone, anche se non capisce quel che egli vuole. Amico è invece colui che capisce ed obbedisce capendo. Per questo Cristo dice: “Vi chiamo amici”. Essi sono suoi amici se obbediscono all’ordine della Verità di cui Cristo parlava. Obbedire significa agire al di là dei propri interessi, mettere sopra ad essi qualcosa di più grande. Un uomo non può perdere la sua anima se si preoccupa unicamente delle cose degli uomini. L’anima, in un uomo, si può riferire a un livello inferiore o superiore. Un uomo deve perdere la sua anima nei confronti del suo livello inferiore e ciò per ritrovarla a un livello superiore. È solo comprendendo il doppio senso di “perdere l’anima” che si può capire il vero senso di “anima” nei Vangeli. Così: “Che giova a un uomo guadagnare il mondo intero e perdere la propria anima?” Guadagnare il mondo intero, preoccupandosi unicamente delle cose degli uomini, è perdere la propria anima nei confronti di una propria possibile evoluzione interiore. Nei Vangeli tutto si riferisce a un’evoluzione interiore il cui esito è il raggiungimento del Regno dei Cieli. L’anima di un bruco non è quella di una farfalla e per questo esso deve perdere la propria anima per ritrovarla. Rimanendo un bruco esso salva la sua anima da bruco, ma perde la sua anima in un altro senso, cioè perde la possibilità di una trasformazione e, restando se stesso, perde tutto ciò che è proprio di ciò che può divenire. L’Uomo è in grado di trasformarsi o ri-nascere, ecco perché la sua anima è anche doppia. Egli può conservarla e rimanere così com’è ma, conservandola, la perde davvero, fallendo il vero scopo per cui essa esiste. Egli può perderla, però “trasformandosi” e allora la ritroverà a un altro livello della sua evoluzione interiore. Per questo l’anima è una potenzialità, cioè non è una cosa statica, ma è dinamica: è ciò che un uomo è e ciò che può diventare. Tradurre “anima”, con “vita” come nella frase: “Nessuno può amare più di colui che sacrifica la propria vita per i suoi amici”, è corretto se s’intende la parola “vita” non come vita fisica, la vita del 78

corpo, ma come “vita” a quel livello superiore di sé. La vita di un uomo non è la vita fisica esteriore, ma è tutto ciò che egli pensa, desidera e ama. Questa è la vita di un uomo e questa è la sua anima. L’anima è l’immagine della vita. Ma un uomo può cominciare a vivere in modo differente “dentro”. Può cominciare a pensare, a sentire, a desiderare e ad amare in modo differente. Il rapporto con se stesso può modificarsi così come può modificarsi tutto ciò che guidava i suoi pensieri, soddisfaceva i suoi desideri, tutto ciò che una volta pensava essere vero e percepiva essere buono. Se questo avviene, l’uomo ha un altro rapporto con se stesso, “dentro”. La sua vita “dentro” comincia a modificarsi. È questo che Cristo intendeva quando disse: “Non sono venuto a portare la pace, ma la spada. Sono venuto a mettere il figlio contro il padre ... e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa”. Un uomo, con l’insegnamento della Parola, cioè con un altro ordine di Verità che appartiene a un livello superiore, comincia a pensare, a sentire, a vedere il proprio fine e il suo proprio senso in modo nuovo e non può più approvare tutto ciò che pensava, sentiva, desiderava, vedeva come fine: ciò a cui un uomo dà il suo consenso “dentro” è la sua vera vita e la sua vera vita è la sua anima. La sua casa - cioè lui stesso - subisce un terremoto. Egli non riesce più a essere in pace con se stesso. Egli deve perdere il suo precedente rapporto con se stesso, cioè deve perdere la sua anima, poiché l’anima è la vita dell’uomo nella sua globalità, la vita stessa dell’uomo. L’anima è ciò che è legato indissolubilmente a lui, è ciò che egli crede vero e giusto e a cui acconsente perché desiderabile, ciò che egli serve dentro di sé, ciò che egli pensa giusto, ciò che egli sente buono. Allora si capisce che “perdere la propria vita” significa cessare di vivere come si è vissuto e cominciare a vivere in un altro modo; non significa essere uccisi. Significa proprio il contrario: cominciare a vivere. Contemporaneamente significa che si deve perdere l’anima, altrimenti la trasformazione non è possibile. L’anima è ciò a cui l’uomo si è legato nella mente, nel cuore, cioè a se stesso. Cristo, parlando ai suoi discepoli delle sofferenze che essi avrebbero dovuto sopportare insegnando il Verbo, disse: “Con la pazienza vincerete le vostre anime”. In greco “pazienza” significa “stare indietro”, cioè non seguire 79

i propri desideri, se stessi. Con la “pazienza” un uomo può perdere la propria anima ad un livello e ritrovarla ad un livello superiore. Adesso capiamo che l’anima in un uomo può essere potenzialmente cioè con le sue potenze - inserita a un livello inferiore o superiore di sé. Un uomo per passare da un livello inferiore a un livello superiore dentro di sé, deve cambiare l’anima di ciò che si riferisce all’uomo stesso. Se l’uomo cambia la sua condizione dentro se stesso, cambia anche il rapporto con sé, cambia anche la sua anima. Possiamo incominciare a renderci conto che l’anima in un uomo non è qualcosa di bell’e pronto, ma qualcosa che si forma secondo come lui vive e che essa è veramente tutta la sua vita, l’immagine di tutto ciò che ha pensato, sentito, fatto.

80

CAPITOLO VI L’IDEA DI SAPIENZA NEI VANGELI In molte delle parabole e dei detti di Cristo viene usata una parola che è tradotta con astuto. Per esempio, Cristo disse una volta ai suoi discepoli: “Siate astuti come serpenti e candidi come colombe”. “Candido” significa “innocuo”, “che non reca danno” e non ha il significato morale e sentimentale occidentale di “non saper nulla”; sarebbe in verità impossibile essere astuti ed allo stesso tempo essere all’oscuro di tutto. La parola, tradotta come “astuto”, non vuol dire esattamente “scaltro” nel senso di “abile” o “intelligente”. La parola greca è fronimos che nella sua accezione originale significava “essere nelle piene facoltà mentali” e quindi avere presenza di spirito oppure essere nel pieno possesso delle proprie facoltà. Cristo dice in un passo; “I figli di questo mondo sono più astuti, nella loro generazione, dei figli della luce”, e questo passo esprime forse in modo più chiaro che altrove il significato della parola. La gente mondana, nel suo genere o al suo livello, è più pratica, più perspicace e con un senso degli affari maggiore, più sagace e alla moda verso ciò che vuole, di quanto non lo siano i “figli della luce” nei confronti di ciò a cui tendono. Essi hanno più presenza di spirito e nel trattare con la vita non sono così sciocchi e stupidi. Sapere come fare e fare realmente la cosa giusta al momento giusto è essere fronimos. Ricorderete che “L’Amministratore di Ingiustizia” (erroneamente tradotto con L’Amministratore Ingiusto) fu chiamato “astuto” - cioè fronimos - e fu lodato dal proprio signore poiché vide cosa doveva fare in una situazione molto difficile e agì con grande presenza di spirito. Questa parola, fronimos, ha per ciò stesso un significato forte, vigoroso, pratico. È usata nei Vangeli per definire l’azione giusta di un uomo intelligente che sta cercando un livello superiore di sé con l’evoluzione interiore. Cristo parla di coloro che sono inconsistenti a questo riguardo. Egli li paragona al sale che ha perso il suo sapore e che non è adatto neppure per concimare: “Il sale è buono, ma se anche il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si salerà? Non serve né per la terra né per il concime e così lo buttano via (Le. XIV, 34-35). E qui la parola tradotta 81

con “perdesse il sapore”, significa letteralmente “fosse stolto”. Il concime è la vita. La gente che immagina che credere sentimentalmente nei Vangeli sia il massimo, è stolta. Essi sono come lo “stolto” che costruiva la propria casa sulla sabbia, mentre l’uomo “astuto”, fronimos, - costruì, cioè edificò, per sé la sua casa sulla roccia, e “non cadde” poiché era basata sulla roccia. Ciò significa che l’uomo era fronimos, poiché si basava sull’insegnamento permanente dell’evoluzione interiore, nei Vangeli definita il Verbo, e lavorava per edificare se stesso, la sua casa, la casa di sé, su queste fondamenta. Egli fece il Verbo e con lui agì. Applicava alla sua vita ciò che aveva compreso. In questo modo egli si fondava sulla roccia della Verità più che sulle sabbie mobili della vita. Esaminiamo in proposito la parabola delle dieci vergini, cinque delle quali erano astute, fronimos, e cinque stolte o stupide. È una parabola che riguarda il raggiungimento di un livello superiore con l’evoluzione interiore, qui chiamata, senza mezzi termini, il Regno dei Cieli. “Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano per comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora” (Mt. XXV, 1-13). • “Le vergini astute si distinguono dalle vergini stolte perché hanno dell’olio nelle loro lampade. Esse rifiutano di dare il proprio olio alle altre, ma dicono loro di andarlo a comperare nella vita. Tutte avevano 82

le lampade, ma solo la metà con l’olio dentro; queste sono chiamate “furbe”. Esse sono pratiche. Si sono rese conto di ciò che era necessario per raggiungere questo livello superiore, chiamato, qui, lo sposo. Cosa significa che esse avevano olio? Esse sono coloro che, in relazione alla dottrina di Cristo, hanno compreso qualcosa che le altre non hanno compreso e questo viene rappresentato dall’avere olio nelle lampade. La parabola non ha proprio niente del senso letterale. Una lampada serve a dare luce. Psicologicamente qui significa un qualcosa che può dare luce, non in senso fisico, ma nel senso di luce così com’è intesa nei Vangeli: luce che risplende nelle tenebre della mente, la luce della comprensione nuova proveniente dal Verbo. Cristo venne per dare la luce agli esseri umani, descritti come viventi nelle tenebre di questa terra. Essi vivono alla luce del sole, ma questa è tenebra in paragone a quest’altra luce che solo la comprensione può capire. Cristo si definì la luce del mondo. Egli intendeva quella luce diversa che può cadere sulla mente e illuminare la comprensione. Un uomo quando vive unicamente secondo i sensi e considera lo spettacolo della vita esteriore, illuminata dal sole, come suo unico scopo, allora è nelle tenebre. Giovanni dice che le tenebre non comprendono la luce; il livello inferiore non comprende quello superiore. Un uomo quando si accorge di essere interiormente incompleto e perduto e che il senso pieno della sua esistenza è di sperimentare un cambiamento, un’evoluzione interiore, già comincia a vedere questa luce, questo senso vero della sua creazione. Il Verbo è questo senso vero, questa luce. Cristo insegnava il Verbo e così egli è la luce. Il Verbo è l’insegnamento su come raggiungere un nuovo livello in cui è diffusa questa luce e che è posta al di sopra e al di là dell’uomo, ma anche dentro di lui. Dal momento che il Regno dei Cieli è nell’uomo, egli può sperimentarlo internamente. La Via è in lui, non fuori. Egli può sperimentare i bagliori di un’altra consapevolezza, i momenti di un significato totalmente nuovo, che mostrano come esista in lui un livello superiore. Sono momenti di questa luce. Ma, per raggiungere permanentemente questo livello, a un uomo si deve prima insegnare il Verbo attraverso i sensi. Egli lo deve ascoltare: non solo letteralmente, ma incominciare anche a comprenderlo, a sentirlo con la sua mente, a 83

ponderarlo, a pensare al suo senso, a farlo coscientemente suo e a vedersi alla luce di ciò che esso gli insegna. Infatti, la sua mente deve essere preparata gradatamente a cambiare, poiché questo livello superiore è diverso da quello inferiore e così i pensieri di un livello inferiore non sono dello stesso ordine di quelli di un livello superiore. Nella sua mente si deve formare qualcosa di nuovo per ricevere “la luce”, per cui egli deve giungere gradualmente a “pensare in modo nuovo” (o, com’è stato tradotto erroneamente, a “pentirsi”). Questo cambiamento graduale nel pensare crea in lui la lampada e avviene con l’insegnamento del Verbo. Ma la lampada da sola non è sufficiente. Da sola non dà luce, ma è necessaria, è una tappa dell’evoluzione interiore. Il secondo stadio in questa parabola, è quello dell’avere olio nella lampada. Ciò significa che l’uomo deve mettere in pratica ciò che sa e vede come nuova Verità. Cristo dice: “Chiunque ascolti queste mie parole e le pratichi, sarà paragonato a un uomo astuto ... e chiunque ascolti queste mie parole e non le pratichi sarà paragonato a uno stolto”. Qui le parole Astuto e stolto hanno lo stesso senso della parabola delle vergini astute e stolte. Agire interiormente secondo l’insegnamento di Cristo, cominciare a praticarlo, ad agire capendone il senso, ad applicarlo anche a sé: ecco cos’è essere astuti. Usare del Verbo in modo intelligente, questo è essere scaltri. Tutto ciò è olio e alimenta la nostra lampada individuale. Si può accettare la Verità di quest’ordine superiore e tuttavia continuare ad agire unicamente secondo il livello della vita; allora non si obbedisce interiormente alla nuova Verità, alla nuova conoscenza che si è appresa e che proviene da un livello superiore: nel momento decisivo si continua a obbedire alla vita e al suo bene. Si hanno lampade, ma non olio. Questi sono i veri stolti, essi che devono andare a comprare l’olio da coloro che lo vendono. Questo significa che debbono continuare a cercare un tipo d’olio rimediato con azioni meritorie e che considerano come l’unico Bere. “Coloro che lo vendono”, sono coloro che vi dicono cosa è meritorio, che cosa è più redditizio. Agire secondo il merito e il premio produce un certo tipo d’olio. Agire secondo l’insegnamento del Verbo e secondo la comprensione del suo significato interiore, secondo un livello superiore a quello della vita e 84

per niente conforme alla vita superiore, vi ricompenserà per tali azioni. Le vergini stolte con le lampade senz’olio sono coloro, che sono a un livello di Verità e di conoscenza intellettuale, a un livello superiore, ma vivono e agiscono secondo un altro livello. Conoscono una cosa e vivono facendone un’altra. Costoro, stando così le cose, si precludono da soli il Regno dei Cieli, cioè il raggiungimento di questo possibile livello superiore per l’Uomo e che fonda il vero senso dell’uomo stesso. Non è che si chiuda loro la porta. La porta non è chiusa; sono loro a chiuderla. Il tipo d’olio che essi hanno comprato e venduto, l’olio del merito, non è quello richiesto per entrare in un altro livello di umanità. Essi non sono “scaltri”. Essi non sono scaltri perché non capiscono che è a loro, a come sono, che si rivolge l’insegnamento di Cristo. Essi non devono semplicemente pensare in modo nuovo, con le idee del Verbo, ma devono diventare persone diverse. Possono conoscere e anche credere nella Verità che c’è a un livello superiore, ma contemporaneamente vivere in un altro livello non applicando la Verità a sé. Questo è il loro vero problema: le loro vite, così come sono, non sono governate dalla loro conoscenza. Essi conoscono una cosa e ne vogliono un’altra. In questa parabola, le vergini sagge sono quelle che cercano effettivamente di vivere secondo la comprensione di ciò che è stato loro insegnato e cercano il Bene di ciò che è stato loro insegnato praticando, attuando volontariamente su di sé quella conoscenza. Le stolte, invece, pur conoscendo l’insegnamento, continuano a cercare il proprio Bene nella vita, nelle ricompense, nella reputazione, nel primeggiare, nel raggiungere posizioni sempre più alte, nell’avere maggiore considerazione dagli altri, nell’essere stimate di più, nell’osservanza formale delle leggi e degli stereotipi sociali. Interiormente, però, esse sono completamente diverse e piene di paure. Tutto ciò è l’unico Bene che esse conoscono e quindi devono seguirlo. Tutta la questione sta in ciò che un uomo considera il Bene e nell’agire seguendolo. Allora si dice loro di andare da ciò che esse considerano il Bene e procurarsi almeno quel tipo d’olio. Questo è tutto ciò che esse possono fare. Si dice loro di andare da coloro che comprano e vendono questo Bene. Queste vergini stolte ritornano, ma restano ancora fuori e viene detto loro: “In verità vi dico: non vi conosco”. Esse non concepiscono che si possa agire secondo una forma 85

di Bene che è al di là della vita, al di là di una ricompensa terrena, per amore di ciò che esse vedono come il Bene, alla luce di un insegnamento superiore su ciò che sono Verità e Bene. Si chiudono fuori da sole poiché confondono due livelli differenti di conoscenza, due livelli differenti di Bene. Se si osserva più da vicino, si capirà ciò che nei Vangeli significa il Bene. Abbassare l’insegnamento sul tipo superiore dell’Uomo e seguire l’idea di ciò che è il Bene con gli schemi della vita, delle ricompense, dei meriti, dei valori, della reputazione, delle apparenze esteriori, ecc., è chiudersi fuori dal Regno dei Cieli, poiché un uomo che inizia a raggiungere il livello del Regno dei Cieli fa il Bene senza aspettarsi nessuna ricompensa dalla vita, seguendo ciò che internamente vede come Bene alla luce della Verità del Verbo che gli è stato insegnato. Mondanamente noi non guadagniamo niente a conoscere questo tipo di Bene e ad agire per esso. Noi agiamo secondo la vita e il suo Bene, anche se pensiamo di conoscere tante cose. Per essere cristiano un uomo deve volere e fare ciò che Cristo ha insegnato. Se egli non riesce a vedere il Bene di ciò che gli è stato insegnato, non agirà conseguentemente. Non importa quanta conoscenza abbia e quanto vera essa sia: egli non agirà secondo quel Bene a meno che non veda, con la sua comprensione interiore, che esso è desiderabile e buono e cominci a volerne l’esistenza. Un uomo non è semplicemente la sua comprensione, ma ciò che egli vuole da essa; allora la segue: questo è l’uomo integrale. Il Verbo, cioè l’insegnamento psicologico nei Vangeli, serve a rendere un uomo diverso prima nel pensiero poi nell’essere, in modo che diventi un Uomo Nuovo. Conoscere il Verbo e procurarsi l’olio - il proprio Bene - dai vantaggi, dagli intrighi, dai meriti della vita è non avere l’olio della lampada di Cristo. Agire secondo il Verbo, secondo l’insegnamento riguardante l’evoluzione interiore, questo stato superiore dell’Uomo, cominciare a fare qualcosa alla luce delle parole di Cristo vedendo cosa esse significhino, amare le idee di Cristo e volerle, senza alcuna ricompensa, è tutt’altra cosa. Un’azione fatta con la volontà di seguire qualche verità appartenente all’ordine della dottrina chiamata il Verbo, eleverà per un momento un uomo, molto al di sopra del suo livello abituale. 86

In una tale azione non c’è nessun affare, niente “quanto?”, niente del “dove entro?”, niente di che gloriarsi - Una cosa del genere è fatta nella parte più pura della vostra comprensione, poiché ne vedete la necessità e la realtà e quindi il Bene; una cosa del genere, fatta con la volontà interiore, può cominciare il mettere in moto qualcosa, che fino ad allora era rimasto silenzioso e immobile. Il seme comincia a vivere. L’uomo, come un seme su cui il Verbo può cadere, comincia a risvegliarsi. La luce entra nelle sue tenebre interiori. La Verità è una cosa, lo spirito un’altra e l’uomo deve essere ri-generato dall’acqua e dallo spirito prima di diventare un Uomo Nuovo. L’Acqua è la Verità, la conoscenza e l’insegnamento riguardante un livello superiore; lo Spirito e la volontà dell’uomo che entra in questa conoscenza e che la unisce a lui, vedendone il Bene, il valore. Non è la mole dell’insegnamento esterno che comporterà questo risultato. Una persona può avere una lampada, ma è solo con la sua volontà più intima, il suo assenso più profondo, l’obbedienza segreta alla conoscenza che ha formato in lui questa lampada, che egli produrrà olio per essa. È proprio qui che ognuno è libero. È proprio qui che ognuno, attraverso un’azione interiore, riesce o non riesce a evolversi.

87

CAPITOLO VII SIMON PIETRO NEI VANGELI Simon Pietro è uno dei pochi discepoli di cui si parla un po’ più dettagliatamente nei Vangeli. Il suo carattere è chiaramente delineato, anche se non sembrerebbe. Per capirlo bisogna comprendere il significato interiore di tutto ciò che si dice di lui. E per questo è necessaria una certa comprensione del linguaggio delle parabole. Il nome di Pietro originariamente era Simone. Lui e suo fratello Andrea furono i primi discepoli chiamati da Cristo. Ecco come avvenne la chiamata: “Passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti, pescatori. Gesù disse loro: “Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini”. E subito, lasciate le reti, lo seguirono” (Me, I, 16-18). Parleremo più tardi della frase “pescatori di uomini”. Diciamo che nel Vangelo di Luca la profezia che essi sarebbero diventati “pescatori di uomini” è maggiormente evidenziata. La profezia viene detta dopo che essi si erano affaticati tutta la notte sul mare senza pescare niente. Cristo ordinò a Simone di calare le reti e “presero una quantità tale di pesci che le reti si rompevano”. Gesù disse a Simone: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. È chiaro che esiste una qualche analogia tra i pesci e gli uomini nel linguaggio usato in questo episodio. Poco dopo Marco riporta la guarigione della suocera di Simone. Questo episodio, di per sé insignificante, ha un altro significato: “La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli” (Me, I, 30-31). Tutto ciò che è riferito in modo sintetico sull’insegnamento di Cristo, ha un significato tutto particolare. Nei Vangeli non c’è frase, non c’è parola, che non abbia un significato che trascende il significato letterale. Si noterà qui che Cristo “la sollevò”, perché era distesa, dopodiché “essa si mise a servirli”. Tutto questo ha un suo, proprio significato. “Giacere” nel linguaggio delle parabole significa “giacere mentalmente proni”, come addormentati; “stare in piedi” significa “cominciare a 88

risvegliarsi nella mente”. Si può pure indovinare la natura della “febbre” della suocera di Simone e che cosa significhi, il fatto che essa fu guarita e incominciò ad accettare l’insegnamento di Cristo. Quest’episodio ha un significato ancora più profondo che non ha niente a che fare con la suocera di Simone, poiché madre, padre, suocera, suocero, mogli, mariti, fratelli, sorelle, ecc. vanno interpretati psicologicamente e, nel linguaggio tradizionale delle parabole, evidenziano i vari aspetti di un uomo, i diversi affetti, i diversi rapporti interiori che ci sono in lui o che ha verso di sé, verso i suoi diversi livelli. Similmente un bambino appena nato o un fanciullo, nel linguaggio delle parabole, può rappresentare che c’è qualcosa di nuovo e di prezioso nell’uomo, una comprensione nuova, un modo di sentire e di pensare, qualcosa che sta nascendo in lui, qualcosa che non deve essere ferito, che non deve essere offeso. Ricordiamo che il linguaggio delle parabole si basa su oggetti, su cose fisiche, presenti nel mondo naturale e visibile dei sensi, ma il suo significato trascende gli oggetti e le cose che rappresenta in modo visibile e assume un significato psicologico, cioè un significato trascendente, il livello letterale. Marco dice che quando Gesù scelse i dodici discepoli, Simone lo soprannominò “Pietro”. Pietro in greco è pétros, roccia o pietra. Nel Vangelo di Matteo la scelta del nome Pietro è descritta in modo più completo. Simone ha riconosciuto Cristo come “il Figlio del Dio vivente” e Cristo gli dice: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei Cieli” (ML XVI, 18-19). A Pietro sono promesse le chiavi dei cieli, cioè il potere di comprendere l’insegnamento che Cristo dava al genere umano, cioè la possibile evoluzione interiore di un Uomo per raggiungere uno stato interiore chiamato cielo, diverso da quello della terra. Il potere dell’uomo è intellettuale e roccia o pietra si riferiscono unicamente alla conoscenza, la conoscenza della Verità che Cristo insegnava. Anche se ne è mentalmente capace, tuttavia la sua fede in Cristo è per Cristo, e non in se stesso. In questo senso l’uomo è paragonabile, nella parabola del Seminatore, al seme “caduto su un terreno roccioso”, cioè a chi 89

riceve con entusiasmo il Verbo del Regno - l’insegnamento di una possibile evoluzione interiore dell’Uomo - ma che non ha radici in se stesso e quindi cade sotto il peso delle tribolazioni. Riceve il Verbo intellettualmente, da qui il riferimento al terreno roccioso. Lo riceve come conoscenza. E questo è evidenziato anche dal fatto che, quando Pietro vide Cristo - che egli considerava come un re che avrebbe stabilito un regno sulla terra - portato via per essere crocifisso, lo rinnegò. Pietro è focoso, violento, per nulla controllato. Emozionalmente non capiva nulla, anche se sembrava aver compreso intellettualmente l’insegnamento. Ce lo figuriamo un uomo entusiasta e con un temperamento impetuoso; egli ascolta attentamente tutto ciò che Cristo insegnava ai discepoli privatamente e ricorda ciò che aveva detto a loro, ma è intollerante nei confronti degli altri, con tutta l’intera sua natura emozionale legata alla persona reale e visibile di Cristo. Credeva di avere una lealtà assoluta nei confronti di Cristo. Colse l’insegnamento di Cristo a un certo livello, ma non vide così profondamente come probabilmente altri videro. Frettoloso, rapido, intellettualmente brillante, violento, egoista, era un uomo che Cristo riconobbe sostanzialmente capace, dopo grandi sofferenze, di dare lui stesso un insegnamento. Cristo lo vide come un uomo senza radici in sé, ma in grado di avere radici profonde dopo i necessari shock alla sua natura. E lo shock della crocifissione fu per lui il più grande di tutti, ma anche per i discepoli. Immaginiamo ciò che essi provarono quando videro che Cristo stava per subire una morte ignominiosa riservata solo ai criminali! Quanti seguaci di Cristo dovettero sentire che non poteva esserci nessuna Verità o significato vero nell’insegnamento che essi avevano udito, se questo era il destino riservato al loro Maestro! Pietro, non essendo, cioè non avendo radici in se stesso, ma dipendendo dalle cose esteriori, fu da Cristo messo in guardia sulla sua incapacità di capire l’insegnamento separato dal maestro. Ciò avviene quando Cristo predice la propria morte: “Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno. Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: “Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai!”. Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: “Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, 90

perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!” (Mt. XVI, 2123). Tutti questi avvenimenti riguardanti Pietro hanno un loro senso nei confronti dell’“uomo” Pietro. Per un verso egli era come Nicodemo che poteva credere solo nei miracoli che vedeva e al quale Gesù disse che la totalità si trovava nel rinascere internamente e non nei fatti esteriori e sensibili. È vero: Pietro era di uno stampo maggiore di Nicodemo, ma Gesù gli dice espressamente che egli non ha una fede vera. “Simone, Simone, ecco, satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli”. E Pietro gli disse: “Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte”. Gli rispose: “Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi” (Le. XXII, ,31-34). Nel Vangelo di Giovanni il fatto è riferito in modo differente: “Simon Pietro gli dice: “Signore, dove vai?”. Gli rispose Gesù: “Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi”. Pietro disse: “Signore, perché non posso non seguirti ora? Darò la mia vita per te!”. Rispose Gesù: “Darai la tua vita per me? In verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte” (Gv. XIII, 36-38). Cristo predice il “cambiamento” di Pietro quando dice: “Mi seguirai più tardi”. Il gallo è il risveglio e tre volte il rinnegamento totale. Pietro non si sarebbe risvegliato se i suoi sentimenti nei confronti di Cristo non fossero stati distrutti. Quando si rese conto di come rinnegò Cristo, allora si risvegliò. Il gallo cantò. Luca dice che Pietro “pianse amaramente”, quando il gallo cantò e Cristo si voltò e “lo guardò”. Pianse perché in quel momento l’insegnamento di Cristo era divenuto emotivo dentro di lui: egli vedeva se stesso alla luce della conoscenza che gli era stata insegnata. Egli vedeva la distanza che c’era tra ciò che egli sapeva e ciò che egli era: alla semplice conoscenza subentrò la comprensione. Prima che questo accadesse, Pietro credeva solo attraverso Cristo. Finché un uomo crede attraverso un altro uomo, egli non ha fede poiché crede attraverso i suoi sensi e non attraverso la sua comprensione interiore, cioè in lui non ci sono radici. Se le cose vanno male, egli non crede più. Un uomo che creda come Pietro prima della 91

sua rigenerazione emotiva, può solo impedire agli altri di credere. Credere passionalmente e violentemente in qualcuno impedisce agli altri di comprendere. Una simile persona usa violentemente la sua Verità, la sua conoscenza della Verità e così impedisce a un’altra persona di capire. Questo capita perché lo stato emotivo dell’uomo, che possiede solo verità e conoscenza, è sbagliato. È un partigiano. In lui non vi è pazienza. Questo è uno dei significati del passo in cui Pietro taglia l’orecchio del servo del sommo sacerdote: “Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Gesù allora disse a Pietro: “Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?” (Gv. XVIII, 10-11). Luca dice che Cristo “Toccandogli l’orecchio, lo guarì” (Le. XXII, 51). La spada è la Verità che combatte e l’orecchio, nei Vangeli, è la comprensione emotiva, come in “Beati coloro che hanno orecchie per udire ...”, in cui “orecchie” significa, psicologicamente, la forza dell’ascolto emotivo. Gesù rimprovera Pietro, gli dice di rinfoderare la spada e rimette l’orecchio all’uomo. Tutto questo ha un senso che prescinde del tutto da quello letterale basato sui sensi. Per capire cose del genere si deve astrarre totalmente dalla sequenza narrativa e dalla rappresentazione momentanea degli avvenimenti che si svolgono nella descrizione. La descrizione storica è fatta per rappresentare il significato psicologico e non il contrario. L’intero dramma di Cristo rappresenta un altro significato e l’allestimento complessivo della narrazione storica avviene nell’ottica del significato psicologico. Quando si parla di queste cose, ci vuole tanto tempo per sfuggire alla mentalità letterale, naturale e aprirsi a un altro livello di comprensione. Pietro è l’uomo violento della conoscenza, in questo caso è l’uomo a cui viene insegnata la Verità sulla possibile evoluzione interiore dell’Uomo, ma l’accoglie solo come conoscenza e ne segue la logica. Non c’è nulla di più crudele della logica della sola Verità. Tutte le persecuzioni nella Chiesa avvennero per la sola verità, per qualche divergenza di pensiero, senza un minimo di pietà. Quando un uomo pensa intellettualmente, pensa logicamente; il pensiero emotivo è psicologico. Un uomo che pensa logicamente non ha pietà, poiché non capisce. È l’uomo del dogma. Nel campo scientifico egli è colui che usa la sua scienza per uccidere. Ricordiamoci che Cristo insegnò che 92

l’amore per Dio e l’amore per il prossimo sono la sintesi del suo insegnamento. “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti” (Mt. XXII, 37-40). Pietro, come uomo di conoscenza e non ancora emotivamente attento, non poteva perdonare. Il perdono è proprio dello sviluppo emotivo. Solo con uno sviluppo emotivo noi possiamo rimettere i debiti degli altri. Ogni sviluppo emotivo significa uno sviluppo che supera l’egoismo e tutti i suoi interessi, fino a raggiungere l’“amore per il prossimo”. È tipico di Pietro chiedere a Cristo: “Signore, quante volte dovrò perdonare a mio fratello che pecca nei miei confronti? Sette volte?” Gesù gli risponde: “Non sette volte ma settanta volte sette”. Rivoltosi poi a Pietro, Cristo aggiunge: “Il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di dieci mila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari, e afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito: Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi se non perdonerete di cuore al vostro fratello” (Mt. XVIII, 23-35). 93

Il perdono viene dal cuore, è emozionale. Quando un’uomo ha in sé l’amore della bontà, egli non giudica per amore della sola Verità. L’uomo della Verità è scontroso e cupo. Egli vede. Essi vengono chiamati “Figli di Dio” perché Dio è il Bene stesso, nel senso esatto con cui Cristo definì Dio, quando qualcuno chiamò Cristo “Buon Maestro” e Cristo rispose: “Perché mi dici buono? Nessuno è buono, se non uno solo, Dio” (Le. XVIII, 19). L’odio divide tutto; il bene unisce tutto e così è uno, cioè è Dio. Esaminiamo ora due altre Beatitudini che, per ciò che ci proponiamo, possono essere considerate insieme, dal momento che si riferiscono entrambe a ciò che significa agire oltre l’egoismo e oltre tutto ciò che è legato ad esso: “Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il Regno dei Cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Mt. V, 10-12). Luca dice: “Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli”. E la maledizione corrispondente è resa in questo modo: “Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi” (Le. VI, 22-23-26). Qui, come in tutte le Beatitudini, Cristo parla di un uomo che, dopo un lungo lavoro psicologico interiore su se stesso comincia a desiderare ciò che sta oltre il suo egoismo. Egli parla di un uomo che non è più incentrato sul suo egoismo, ma che cerca di sfuggire ad esso. Ed è proprio qui che si trova la barriera psicologica più difficile da superare. Cercare di vedere questa barriera, anche se non riusciamo a superarla, ha un valore immenso. Perché chi, conducendo una buona e rispettabile vita, e agendo secondo il livello d’insegnamento, diciamo di Giovanni il Battista, sarà in grado si sfuggire all’egoismo e di gioire quando gli uomini parlano male di lui? Un uomo, un uomo buono nella vita - e questo è ciò che il Battista insegnava e rappresenta il punto di partenza di tutto il resto - riesce molto bene a sentire che egli fa del suo meglio per comportarsi giustamente, per dividere le sue vesti, per cibare 94

chi non ha cibo, per non esigere più del dovuto, per non usare alcuna violenza, per non richiedere che ciò che è giusto e per contentarsi della sua paga. Ma come riuscirà a sfuggire al merito che alla fin fine si aspetta? Dove c’è egoismo, per quanto una persona sia buona secondo il livello dell’egoismo, che è il primo livello che c’è in ognuno, c’è anche un grande problema psicologico di cui Cristo parlò continuamente e un gran numero di coloro cui egli si rivolse, si sentì molto offeso. L’egoismo attribuisce tutto a se stesso e non può raggiungere il livello del regno. Nelle Beatitudini vediamo che cosa deve prima diventare un uomo, che cosa in primo luogo deve essere in sé, diverso dall’uomo dell’egoismo, del merito e della virtù, prima di incominciare a scorgere il Regno. Alla fine c’è la sintesi di tutto il senso delle Beatitudini con l’uso degli inconsueti termini sale, rendere salato, sale che perde il suo sapore. Cristo, che sta ancora parlando ai discepoli, continua così: “Voi siete il sale della terra, ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato? A null’altro serve che a essere gettato via e calpestato dagli uomini” (Mt. V, 13). Perdere il sapore letteralmente significa “diventare stolti”. Il sale, tecnicamente è la congiunzione di due cose, di due elementi diversi. È un’unione. Abbiamo già visto che tutta la conoscenza della Verità, tutta la Verità stessa, ha come fine il suo stesso Bene, ovvero l’uso del Bene come Verità. Ogni Verità cerca l’unione con il suo Bene. La Verità da sola è inutile. Anche il Bene senza la Verità è inutile. Le Beatitudini riguardano il raggiungimento di un certo stato interiore di desiderio che può condurre all’unione, poiché ogni desiderio cerca in tutti i modi, l’unione per realizzarsi. La Verità dell’insegnamento di Cristo o la conoscenza del Verbo di Dio o la Verità sull’evoluzione interiore dell’uomo, da sole non valgono nulla se non realizzano il loro scopo, che è il Bene a cui esse conducono: l’unione Verità-Bene è la beatitudine, non la felicità ordinaria che conosciamo nella vita e che presto può trasformarsi nel suo contrario. Questa beatitudine è uno stato che è completo e pieno in se stesso, è auto-creatore attraverso la sua stessa forza perché possiede uniti i due elementi: Verità e Bene. Questo stato è il banchetto nuziale dei Vangeli, il matrimonio delle due cose che, in un uomo, costituiscono tutta la sua vita interiore. È questa la trasformazione dell’acqua della 95

Verità in vino, alle nozze di Cana di Galilea. Un uomo, dal punto di vista interiore, prescindendo dal suo corpo esteriore e dal suo aspetto, è prima di tutto la sua conoscenza della Verità e il suo livello del Bene. Nella sua evoluzione, alla fine, egli stesso diventa le nozze fra i due, ovvero la loro unione. Solo allora egli ha quella che nei Vangeli è chiamata “la vita in se stesso”: da questa unione egli riceve la forza da un livello superiore. Allora possiamo forse capire che un uomo segua la via della Verità senza però desiderare che essa conduca in un luogo diverso dalla propria compiacenza. Egli non desidera che la sua Verità lo conduca al Bene che lo attende. Non desidera quest’unione, questo mistero interiore della congiunzione. Non vuole che ciò che egli conosce trasformi ciò che egli è e lo unisca allo stesso fine della Verità, cioè alla scoperta del Bene che c’è in lui e che appartiene al Bene stesso. Quest’uomo non ha sale. Agisce senza il giusto desiderio. Sta rendendo il sale stolto. Non capendo veramente ciò che sta facendo, confonderà facilmente quell’insegnamento che conosce con la sua vita ordinaria e con tutte le relazioni della sua vita ordinaria. Non vedendo dove conduce la Verità, qual è il fine della Verità, la considera solo al suo livello, come un fine in se stessa, una sorgente generatrice di antipatia, rivalità, gelosia e superiorità nei confronti degli altri; non solo, ma anche di crudeltà. Egli sarà cieco nei confronti dell’insegnamento che ha ricevuto e il cui fine era di condurlo al Bene. Ecco perché Cristo, rivolto ai suoi discepoli che avevano litigato riguardo a chi tra loro fosse il più grande, disse: “Buona cosa il sale; ma se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo salerete? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri” (Mc. IX, 50). I discepoli litigano perché sono egoisti ed hanno dimenticato il loro fine. Ed è proprio perché ci si dimentica di cercare di seguire l’insegnamento della Verità e non si desidera veramente essere diversi e capire un altro tipo di bontà e si mescolano insieme il vecchio e il nuovo, che Cristo dice: “Cercate prima di tutto il Regno dei Cieli e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù”.

96

CAPITOLO VIII L’IDEA DELLA PREGHIERA Nei Vangeli si parla spesso della preghiera. Cercheremo di esaminarne taluni aspetti per tentare di farci un’idea di ciò che Cristo insegnò sul significato della preghiera e sulle condizioni necessarie per ottenere una risposta. La preghiera è diretta a ciò che sta al di sopra dell’uomo, a ciò che è a un livello più elevato del suo. Abbiamo già visto che il linguaggio delle parabole, usato nel Vangelo, trasmette un messaggio da un livello superiore a uno inferiore. La preghiera trasmette un messaggio da un livello inferiore a uno superiore. Nel primo messaggio è il cielo che comunica con la terra; nel secondo è la terra che tenta di comunicare con il cielo. Abbiamo già rilevato la difficoltà di comunicazione dal superiore all’inferiore e quindi, non ci sorprenderemo più nel trovare che c’è la stessa difficoltà di comunicazione, dall’inferiore al superiore. I due livelli non sono in contatto. Ricordiamo ancora una volta che il fulcro della concezione dell’uomo nei Vangeli è che egli è una creazione incompiuta in grado di raggiungere un livello superiore con un’evoluzione precisa che deve incominciare con i suoi tentativi; inoltre, tutto l’insegnamento evangelico riguarda ciò che si deve fare perché tutto ciò si realizzi. In quest’ottica i Vangeli non sono nient’altro che una serie di istruzioni concernenti uno sviluppo psicologico possibile, già prestabilito, di cui l’Uomo è capace. Se l’uomo si prefigge di raggiungere questo sviluppo, allora è lo sviluppo stesso che gli apre gli occhi e gli fa vedere, dove trovare il senso profondo dell’esistenza. Ricordiamo ancora che l’uomo può raggiungere questo livello superiore chiamato nei Vangeli cielo o Regno dei Cieli: esso è dentro l’uomo, è una possibilità della sua stessa evoluzione interiore o ri-nascita personale. L’Uomo, al livello naturale, è assopito, incompiuto, è terra. Questi sono i due livelli, il superiore e l’inferiore, e le loro differenze sono abissali, come quelle tra un seme e un fiore. In questo modo la comunicazione tra questi due livelli è difficile. La missione di Cristo fu di far da ponte, di collegare, di far comunicare in sé questi due livelli, il divino e l’umano; di ciò parleremo in seguito. Possiamo però 97

anticipare che se qualcuno non fa questo collegamento a intervalli fissi, è impossibile ogni comunicazione con il livello superiore e l’Uomo è lasciato nell’ignoranza e senza quegli insegnamenti che possono elevarlo. Egli è lasciato ai suoi istinti, ai suoi tornaconti, alla sua violenza e ai suoi appetiti animali, senza alcun benefico influsso che lo possa sollevare al di là del livello della barbarie. LA NECESSITÀ DELLA PERSEVERANZA NELLA PREGHIERA

Considerate le difficoltà di comunicazione tra il livello inferiore e quello superiore, è possibile comprendere che il contatto diretto con Dio non è facile, come spesso credono le persone religiose. Le persone religiose spesso pensano di potersi mettere in contatto con un livello superiore, cioè con Dio, restando quello che sono. Esse non capiscono che, perché ciò avvenga, esse devono cambiare. Esaminiamo ciò che dicono i Vangeli in proposito della preghiera e della necessità della perseveranza nella preghiera stessa. Uno dei discepoli di Cristo gli chiede come pregare: “Signore insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli” (non c’è alcun accenno di come Giovanni insegnò ai suoi discepoli a pregare). Cristo risponde: “Quando pregare dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga Il tuo regno; dacci oggi il nostro pane quotidiano, e perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo a ogni nostro debitore, e non ci indurre in tentazione” (Le. XI, 2-4). Attenti a come Cristo continua. Egli dice: “Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli: Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio o non ho nulla da mettergli davanti; e se quegli dall’interno gli risponde: Non m’importunare, la porta è già chiusa e i miei bambini sono a letto con me, non posso alzarmi per darteli; vi dico che, se anche non si alzerà a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua insistenza” (Le. XI, 5-8). Cristo sottolinea che la perseveranza è necessaria, perché sembra che la preghiera sia rivolta ad uno che sente, ma non desidera essere disturbato. Egli è costretto a fare qualcosa solo se c’è una tenace perseveranza. 98

Cristo sottolinea, che si ottiene una risposta con una perseveranza incessante. La parola “insistenza” letteralmente significa “impudenza incessante”. La stessa idea, che cioè la preghiera non è facilmente esaudita, è riferita da Luca: “Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: “C’era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi”. (Le. XVIII, 1-5). Viene qui tracciato un parallelismo tra la vedova che chiede giustizia ad un giudice che agisce solo perché è costretto, per non essere infastidito, e l’uomo che prega Dio. Tutto ciò significa che la preghiera non è facilmente esaudita. Esistono dei diaframmi. Non si ottiene aiuto facilmente. In molte occasioni Cristo dice ai suoi discepoli di pregare continuamente, ma non dice loro che la preghiera è facilmente esaudita. Non è facile avere una risposta da un livello superiore a richieste provenienti da un livello inferiore. Solo la perseveranza e l’intensità possono provocare una risposta dal livello superiore. La difficoltà è pari a quella di riuscire a convincere un uomo che dorme ad alzarsi o un giudice ignavo a render giustizia a una vedova. Cristo insegnò che per la preghiera e per l’aiuto che essa dà, le cose vanno proprio come sulla terra, come quando un uomo chiede aiuto a persone che sono riluttanti a darglielo. Per la preghiera, però, in realtà non si tratta propriamente di riluttanza, ma di una difficoltà insita nella natura delle cose. Ciò che è inferiore non è in contatto con ciò che è superiore. Questo punto lo dobbiamo capire bene: ciò che è inferiore non è in contatto diretto con ciò che è superiore. Dio e un Uomo non sono sullo stesso livello. La visione globale dell’aspetto invisibile dell’Universo, o del mondo spirituale, implicito nell’insegnamento dei Vangeli, è che ci sono livelli superiori e inferiori che sono diversi fra loro e ciò perché quel mondo è in un ordine di realtà superiori e inferiori, cioè è diviso in livelli. L’inferiore non è a contatto diretto con il superiore, come il 99

piano terreno di una casa non è a contatto diretto con l’attico. Per raggiungere ciò che c’è sopra s’incontrano molte difficoltà, che fanno quasi sembrare il livello superiore riluttante a rispondere a quello inferiore. Non si tratta di riluttanza: è a noi che sembra così e quindi è così che Cristo ce lo rappresenta, per dimostrare come occorra uno sforzo non indifferente per ottenere una risposta alla preghiera. È come se un uomo pregasse con zelo e lanciasse qualcosa in alto fino a una certa altezza, con una certa convinzione, prima di farsi udire o di avere una risposta. Fallendo nell’impresa, nel formulare la domanda in modo giusto, non riuscendo a lanciarla verso un livello sufficientemente alto, l’uomo penserebbe che è inutile pregare e rivolgersi a chi si è dimostrato riluttante ad esaudirlo. Egli incomincerebbe a scoraggiarsi. Egli deve insistere e perseverare, anche se non riceve risposta: deve insistere continuamente. Cristo dice: “Deve pregare continuamente e non disperare”. “Non disperare” nel testo greco significa “non comportarsi male”. Deve pregare continuamente e non comportarsi male, anche se incontra tutte quelle difficoltà che sono insite nella preghiera. LA NECESSITÀ DELLA SINCERITÀ NELLA PREGHIERA Talvolta Cristo parla dell’atteggiamento dell’uomo di fronte alla preghiera. È inutile pregare con un atteggiamento sbagliato e quindi ci si deve guardare dentro e vedere da cosa si parte per pregare, perché non è possibile alcuna comunicazione con un livello superiore partendo da ciò che è insincero e falso. Solo ciò che è sincero e genuino può permettere all’uomo di venire a contatto con un livello superiore. Ogni traccia di vanità, stima di sé od arroganza impedisce la comunicazione con un livello superiore. Questo è il motivo per cui nei Vangeli s’insiste tanto sulla purificazione delle intenzioni. La più grande impurità in un uomo, quella che più è messa in risalto nelle parabole e nei detti di Cristo, deriva dai sentimenti di ipocrisia, di supremazia, di meritocrazia, di superiorità, ecc. Tutto ciò appare nella parabola che segue e che è rivolta a “coloro che si credono giusti e disprezzano gli altri”: “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 100

Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. lo vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” (Le. XVIII, 10-14). Per pregare - per entrare in contatto con un livello superiore - un uomo deve riconoscersi e sentirsi un nulla nei confronti di ciò che sta sopra di lui. Egli deve vedersi e non semplicemente sentirsi un nulla, come quando si guardano le stelle e si sente quanto è piccola la terra: egli deve sentirsi piccolo nei confronti di una grandezza psicologica. Se un uomo non sente di essere nulla, la preghiera è inutile, proprio come è inutile un fiammifero bagnato. Un uomo è emotivamente puro nella misura in cui egli sente la sua nullità, la sua ignoranza, la sua impotenza. È proprio questa l’idea di Cristo quando dice di fare le cose per sé e non per la propria vanità: “Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt. VI, 5-6). Entrare nella “tua camera e chiudere la porta” significa andare diritto nella casa del tu, nella stanza più interna, e, chiudere la porta a tutto ciò che sta fuori, significa pregare con quell’io interiore che non è servo del conformismo, di un qualche mito mistificatorio, di un plauso, di un successo, di un encomio servile. Si tratta di superare i legami con la vanità e con la presunzione. Nell’uomo è solo l’uomo interiore che può avere una risposta alla preghiera e comunicare con un livello superiore. Il lato esteriore e mondano di un uomo, l’uomo che finge, non sono capaci di pregare. Queste avvertenze e molte altre simili riguardano il 101

modo di trasmettere dei messaggi a un livello superiore. Sono istruzioni pratiche sul metodo di trasmissione, di telepatia: esse si seguono unicamente con emozioni vere. Solo le emozioni vere sono in grado di trasmettere; solo le emozioni vere sono telepatiche. Le emozioni false, vanitose, presuntuose, non sono in grado di trasmettere. Per avere una risposta alla preghiera, la medesima deve essere d’una certa qualità. Essa deve soddisfare talune condizioni e, una di queste, è che deve scaturire da un sentimento emotivo assolutamente puro e genuino, altrimenti non può giungere a destinazione. Quindi, un uomo deve purificare il suo io, purificarsi nella sua vita emotiva, cioè deve sviluppare le sue emozioni, cominciare ad amare il prossimo. Questo è il primo stadio di sviluppo emozionale che Cristo ha insegnato. Com’è difficile! Com’è difficile comportarsi consapevolmente con gli altri, anche con coloro che uno crede già di amare! Potete dire d’amare al di là del vostro egoismo? Solo le emozioni che superano l’egoismo e i propri sentimenti possono comunicare con un qualcosa che è al di là di sé. In effetti non potrebbe essere diversamente, se ci pensiamo bene. Come possono i propri sentimenti comunicare con gli altri? Essi comunicano solo con l’io, ecco perché s’insiste tanto sull’“amore per il prossimo”. RISPOSTA ALLA PREGHIERA Parlando della preghiera, Cristo dice: “Chiedete e vi sarà dato”. Ma un uomo deve conoscere che cosa significa chiedere. La preghiera è il mezzo per avere una risposta da un livello superiore dell’Universo, perché la sua influenza scenda ed entri per un attimo in ciò che è a un livello inferiore. Esaminiamo ciò che significa chiedere. L’Universo, visto correttamente, è la risposta alla domanda. Lo scienziato lavora con fiducia, nella speranza di avere una risposta dall’Universo fisico come conseguenza dei suoi esperimenti, delle sue teorie e dei suoi sforzi, che costituiscono appunto la sua domanda. Anche questa è una preghiera da un certo punto di vista. Lo scienziato ha una risposta se trova il modo giusto di chiedere, cioè se la sua domanda è formulata correttamente. Ma per trovare la forma corretta di una domanda ci 102

vogliono tempo, difficoltà, sforzi e non solo un’“insistenza continua”, ma anche un senso di fiducia nell’ignoto, cioè la fede. Lo scienziato, ad esempio, con le sue domande continue ha scoperto e messo in comunicazione con la vita umana le forze dell’elettricità e dell’elettromagnetismo che appartengono a un altro mondo, a un inframondo, il mondo degli elettroni. Questa è una risposta a una domanda. Questa è la comunicazione, in un certo senso, con un altro mondo. Ora percepiamo di vivere in un Universo che è molto complesso, molto al di là della nostra comprensione, eppure siamo sicuri che risponderà ai nostri sforzi. Questo è, di fatto, il nostro atteggiamento nei confronti dell’Universo e non lo mettiamo in dubbio. Siamo sicuri che se tentiamo di scoprire qualcosa, avremo un risultato. Quando si cucina, si ha una risposta del tutto conforme al tipo di domanda. Se i risultati non sono quelli che ci si aspettava e la risposta che si è avuta è sbagliata, non è perché l’Universo sbagli, ma perché la forma della domanda è sbagliata. Non si sa come chiedere in modo giusto e quindi bisogna imparare a cucinare meglio, cioè a chiedere meglio. Chiedere vuol dire domandare. Se noi non vivessimo in un Universo, visibile e invisibile, che desse una risposta alla domanda giusta (qualunque fosse la natura di questa risposta, buona o cattiva) né lo scienziato né l’uomo, che prega per ottenere un aiuto interiore, potrebbero aspettarsi di avere una risposta. Ciò non di meno ottenere una risposta non è sempre facile. Si devono soddisfare certe condizioni. La preghiera, come domanda, non deve essere meccanica o ripetitiva, pensando che “tante parole” daranno un risultato; non è la quantità, ma la qualità della preghiera che è importante. La ripetizione pura e semplice di parole è inutile. Cristo disse: “Pregando non usate inutili ripetizioni”. Come abbiamo già detto, occorre perseverare nella preghiera. Un uomo deve avere una qualche idea di ciò che sta chiedendo e deve altresì perseverare nella sua domanda, credendo che è possibile ottenere una risposta. Come uno scienziato, nel suo modo particolare di pregare l’Universo fisico, fa una domanda quando pensa di poter scoprire qualcosa, e sente che ciò è possibile e allora modifica continuamente la sua domanda con tentativi, errori e genialità, finché ottiene una risposta perché ha trovato la giusta domanda, così un uomo che prega l’Universo spirituale deve avere la stessa fede, pazienza, 103

intelligenza e capacità inventiva. Un uomo deve lavorare, sforzarsi, inventare per il proprio sviluppo come fa lo scienziato per una nuova scoperta. Lo scienziato avrà una risposta, se le cose si accordano con la sua domanda: l’uomo che prega avrà una risposta se la sua richiesta è giusta per sé. Ma egli deve riconoscersi e comprendere cosa chiedere. Chiedere qualcosa d’impossibile o chiedere ciò che ci danneggerà, è chiedere in modo sbagliato. LA DOMANDA NELLA PREGHIERA Che cosa si deve chiedere nella preghiera? Nella preghiera che Cristo formulò per i suoi discepoli, quando chiedevano come pregare, sono del tutto esclusi i desideri personali. Ma, dal momento che tutto, nei Vangeli, riguarda il raggiungimento di un livello superiore d’evoluzione interiore - il Regno dei Cieli - possibile per un Uomo, non deve sorprendere che questa preghiera abbia delle qualità non terrene. Eppure, per i suoi fini, essa non potrebbe essere più personale. Il Padre Nostro riguarda l’auto-evoluzione. La frase d’apertura sottolinea il livello superiore: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno”, cioè si possa stabilire una comunicazione tra il superiore e l’inferiore. Si chiede un collegamento tra la terra e il cielo. Questa è la prima domanda e si comprende che ciò significa raggiungere uno stato emozionale ben definito riguardo a queste parole, che vanno dette comprendendone l’intenso significato. In altre versioni c’è anche “Padre Nostro che sei nei Cieli”: un uomo potrebbe anche impiegare un minuto, un’ora o tutta la vita prima di raggiungere la percezione emozionale del significato racchiuso in queste parole, le quali devono essere pronunciate in modo cosciente. La domanda del pane quotidiano viene dopo, ma non significa pane in senso stretto ma pane transustanziale. Non si conosce il significato della parola originale, ma intenzionalmente essa significa pane o cibo “spirituale” che nutre la comprensione di un uomo nella lotta per elevarsi ad un livello superiore. Segue la domanda di essere perdonati, come noi perdoniamo agli altri, e ciò significa che per raggiungere un livello superiore è prima di tutto assolutamente necessario rimettere i debiti degli altri segnati nel libro dei conti che tutti noi conserviamo nella nostra memoria e che crediamo di dover saldare per il cattivo comportamento 104

degli altri, verso di noi e per la mancanza di riguardo nei nostri confronti. Non perdonare gli altri è restare in basso, legati alla “terra”. Ci creiamo una prigione, ci incateniamo, restiamo, dove siamo, se non riusciamo a rimettere i debiti; come noi perdoniamo gli altri così noi saremo perdonati per i nostri innumerevoli sbagli e i nostri innumerevoli fallimenti, sulla strada della crescita della nostra stessa comprensione, cioè della nostra evoluzione. Segue poi la non comune richiesta di non essere indotti in tentazione. Rendiamoci conto che nessun uomo può subire un’evoluzione e uno sviluppo interiore della comprensione senza la tentazione e che la natura di questo genere di tentazioni è diversa da ciò che generalmente la gente considera essere tale; non si tratta della carne e della sua debolezza. Per esempio noi siamo continuamente tentati di fraintendere o di comprendere in modo sbagliato. Un uomo, quando si pone sul cammino dello sviluppo indicato nei Vangeli, viene tentato da ogni sorta di dubbi, di incredulità, di straordinarie difficoltà interiori da superare e si trova su una strada dove le sue forze umane di ragionamento, fondate sull’evidenza dei sensi, gli vengono a mancare e solo la certezza che c’è qualcosa, la convinzione che la strada su cui si trova conduce da qualche parte, in breve solo la sua fede, lo può assistere. Poiché fede non significa solo certezza al di là, di ogni prova basata sui sensi, ma convinzione che esistono delle possibilità prima di potersene rendere conto. Per questo Cristo dice: “Qualunque cosa chiedete con la preghiera, abbiate fede di ottenerla e l’otterrete”. Si noti quindi che si deve avere una cosa prima di riceverla; si deve agire come se si avesse ciò che ancora non si ha e la si avrà. Questo sembra molto strano; ma tutto ciò che riguarda un rapporto con un livello superiore e tutte le istruzioni riguardanti la natura dello sforzo richiesto sembrano strane. Pensiamo: un seme non considererebbe strane le istruzioni per diventare un fiore? Passare da un livello, anche solo al primo gradino di un altro livello è passare attraverso tentazioni molto difficili di cui nessuno può farsi un’idea, se resta al livello in cui si trova. La chiave per comprendere il Padre Nostro è nella frase iniziale. È una preghiera per raggiungere un livello superiore. “Venga il tuo Regno”: che io possa entrare nel tuo Regno; che la volontà del Cielo, del livello superiore, si compia in me, che sono terra. 105

L’ultima domanda, quella di non essere indotti troppo in tentazione, oltre le proprie forze, si riferisce alla nostra resistenza, poiché molte cose s’infrappongono lungo la via e, come si vede nelle allegorie del Vecchio Testamento, Dio lotta con l’Uomo, cerca di sopraffarlo e anche di abbatterlo. È in questo modo che viene evidenziata la lotta per innalzarsi, dal livello in cui ci si trova, verso un nuovo livello. È come se proprio quella cosa, per cui si prega e che si desidera, diventasse un nemico che si oppone ad ogni passo che si fa. Se ci ricordiamo, però, che raggiungere un livello superiore significa una trasformazione e una ri-nascita di sé, l’idea diventa chiara. Un uomo così com’è non Può raggiungere un livello superiore, così com’è non può avvicinarsi a Dio. Il livello superiore si oppone a lui fintanto che egli rimane lo stesso tipo di uomo. Ora, tutte queste domande si riferiscono al raggiungimento di un altro stato. Il Padre Nostro è tutto teso verso questa méta. Non si riferisce alla vita. Mostra, sinteticamente, a prescindere da tutto ciò che è più estesamente detto nelle parabole o negli insegnamenti affini, che il significato della preghiera è essenzialmente quello di raggiungere un livello superiore e che tutte le preghiere dovrebbero indirizzarsi in questa direzione. Un uomo, pregando, dovrebbe pensare soprattutto a chiedere questo e domandare principalmente ciò che è necessario per ottenere questo livello superiore. Questo,è il fine supremo. Cristo lo definì così: “Cercate prima di tutto il Regno dei Cieli”, cioè il livello più alto possibile. Questo è ciò che si deve veramente chiedere nella preghiera; questo è il fine supremo della preghiera. Allora un uomo, pregando, dovrebbe riferire qualunque fine minore a questo fine supremo, che è poi il senso ultimo dell’Uomo e lo conduce a raggiungere il livello più alto possibile.

CAPITOLO IX 106

IL DISCORSO DELLA MONTAGNA INTRODUZIONE L’insegnamento che Cristo ci dà sui misteri del Regno dei Cieli, nel Discorso della Montagna, si può situare fra quello dell’insegnamento di Giovanni Battista e quello di Cristo nel linguaggio delle parabole. Tutt’e tre sono ordini d’insegnamento a livelli diversi. Il primo, il più esteriore, è quello di Giovanni Battista, di cui troviamo un frammento in Luca. Poi, in posizione intermedia, c’è l’insegnamento del Discorso della Montagna ed infine quello più interiore, delle parabole, riguardante il Regno dei Cieli. In questo capitolo esamineremo prima l’insegnamento di Giovanni il Battista, così come viene riportato in Luca (IlI, 3-18) e poi quello del Discorso della Montagna, riportato in Matteo (V, 3-12) e collegato al Discorso della Pianura, riportato in Luca (VI, 20-30).

PARTE PRIMA Di tutte le singolari figure che appaiono nei Vangeli, Giovanni Battista è una delle più singolari. Forse è la figura meglio definita, più di chiunque altra. Per esempio Cristo lo definì come l’uomo più grande fra i nati da donna, ma aggiunse che il più piccolo nel Regno dei Cieli era più grande di lui. Qual è il simbolo di Giovanni Battista e che cosa egli rappresenta nei Vangeli? Perché insegna prima di Cristo? Esaminiamo il suo insegnamento in modo da essere in grado di confrontarlo con quello successivo di Cristo nel Discorso della Montagna. Giovanni insegnò la conversione (il pentimento) e il Regno dei Cieli. Egli gridava: “Pentitevi, perché il Regno dei Cieli è vicino” (Mt. IlI, 2). Conosceva la natura del cambiamento interiore che deve aver luogo nella mente di un uomo, anzi nella totalità dell’uomo, prima di arrivare al Regno dei Cieli? Sembra di no, dal momento, che Cristo dice che Giovanni non apparteneva al Regno dei Cieli. I frammenti dell’insegnamento di Giovanni Battista ce li fornisce Luca (IlI, 3-18). Una moltitudine si presentava a lui per essere battezzata. Dobbiamo 107

raffigurarcelo rivestito della sua ruvida veste di pelle, mentre si rivolge alla gente con le seguenti parole: “Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire all’ira imminente? Fate dunque opere degne della conversione e non cominciate a dire in voi stessi: Abbiamo Abramo per padre! Perché io vi dico che Dio può far nascere figli ad Abramo anche da queste pietre” (Le. lII, 7-8). Si noti come il Battista dice agli astanti che cosa intende per conversione. Egli dice loro di non pensare di avere Abramo “per padre”. Dopo averli apostrofati tutti in questo modo, la gente allora gli chiede che cosa debba fare: “Le folle lo interrogavano: “Che cosa dobbiamo fare?” Rispondeva: “Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”. Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare, e gli chiesero: “Maestro, che dobbiamo fare?”. Ed egli disse loro: “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”. Lo interrogavano anche alcuni soldati: “E noi che dobbiamo fare?”. Rispose: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe” (Le. m, 10-14). Si noti che la domanda cosa dobbiamo fare viene fatta per tre volte. Giovanni Battista sentendo l’inadeguatezza delle sue risposte e la sua incapacità di dire loro cosa fare e non capendo, sia il Regno dei Cieli sia la vera conversione a questo Regno, prosegue il suo discorso dicendo che verrà un altro molto più grande di lui: “Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: “Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non sono degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula la brucerà con fuoco inestinguibile”. Con molte altre esortazioni annunziava al popolo la buona novella” (Le. I1I, 15-18). Cristo nel Discorso della Montagna comincia dicendo ai suoi discepoli non cosa fare, ma cosa essere prima di potersi guadagnare il Regno dei Cieli. Il Discorso si apre con le parole: “Beati i poveri di spirito, perché loro è il Regno dei Cieli “. Cristo sta parlando di ciò che un uomo deve essere, cosa deve innanzitutto diventare “dentro”: egli deve cambiare completamente “dentro” per raggiungere il Regno. Deve 108

cambiare mentalità, trasformarsi e diventare “povero di spirito”, non importa con quali conseguenze. Tutto questo contrasta con l’insegnamento del Battista. Giovanni insegna doveri esteriori, la bontà civica. Cristo parla di una trasformazione interiore. Giovanni tuona sugli astanti e dice di pentirsi. Cristo parla di che cosa significa questo incredibile cambiamento interiore. Giovanni dice che cosa fare; Cristo che cosa essere. Giovanni Battista, che si atteneva alla parte esteriore dell’insegnamento della Parola di Dio - l’insegnamento sulla possibile evoluzione interiore dell’Uomo - è incline a considerare in modo letterale ogni cosa. La Parola di Dio non può essere considerata solo letteralmente, perché in un uomo essa rappresenta un collegamento tra il livello chiamato “terra” ed il livello chiamato “cielo”, che egli può potenzialmente raggiungere. Il “senso terreno” della Parola di Dio è completamente diverso dal suo “senso celeste” e se il senso terreno non cresce e non si sviluppa in un senso nuovo e in concetti nuovi, questa Parola non può collegarsi con il livello superiore e così muore. L’uomo letterale, l’uomo che vive con i suoi sensi, l’uomo che capisce solo i sensi esterni, ma per nulla quelli interni e che, se è religioso, segue solamente le pratiche e le regole esteriori della sua setta, non può proprio svilupparsi. Se Giovanni Battista non apparteneva al Regno, come dice Cristo esplicitamente, allora cosa significa essere vicini al Regno? Riusciremo a capirlo se capiremo perché l’insegnamento di Giovanni il Battista non era l’insegnamento del Regno. Essere vicino al Regno è una questione di comprensione interiore; il Vangelo riporta il senso di questo Regno. Esaminiamolo prima di parlare delle Beatitudini. Uno degli Scribi chiese a Gesù quale fosse il primo dei comandamenti. Gesù rispose: “Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Allora lo scriba gli disse: “Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli è unico e non v’è altro all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore e con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come te stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici”. Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, gli disse: “Non sei lontano dal Regno di Dio”. E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo (Me. XII, 29-34). 109

Capiamo, perché lo scriba è vicino al Regno? Ci sono sempre stati coloro che nella religione danno molto più valore alle forme esteriori, all’osservanza, alla disciplina. Abbiamo detto che il Battista restò sconcertato quando venne a sapere che Cristo e i suoi discepoli mangiavano e bevevano e non digiunavano. E non v’è dubbio che avrebbe avuto da obiettare ai discepoli che coglievano le spighe di grano di sabato o a Cristo che guariva di sabato: tutto ciò era contro la Legge di Mosè. Pare che alla fine, della sua vita (ma non è certo) il Battista nutrisse dei dubbi su Cristo. Anche dalla prigione mandò a Cristo un messaggio che diceva: “Sei tu colui che viene, o dobbiamo aspettare un altro?” (Le. VII, 19). Quale fu la risposta di Cristo? Cristo rispose in modo che Giovanni il Battista potesse capire dal punto di vista letterale: “Andate e dite a Giovanni le cose che avete visto e sentito; i ciechi ritornano a vedere, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati e i sordi sentono, i morti sono risuscitati”. Giovanni il Battista non poteva capire che si trattava di sordi, ciechi, ecc. dal punto di vista psicologico. Questo livello di comprensione letterale è sempre esistito nella religione: capire solo la cruda e letterale verità è proprio dell’uomo esteriore, il quale considera l’insegnamento della Parola di Dio solo su un piano terreno e, così facendo, distrugge non solo la bellezza, ma anche il vero significato della Parola, come si può distruggere una creatura alata tagliandole le ali. Il Battista rappresenta quella vasta schiera d’interpreti letterali che sostiene che bisogna difendere Cristo, difendendo il Battista stesso: entrambi, dicono, sono alla base di ogni sviluppo. Costoro ne parlano con tanta e tale dovizia come se il problema Cristo-il Battista fosse difficile da risolvere. Il Battista credeva in Cristo quando lo incontrò, ma, come si è detto, verso la fine dubitò. E questo è il reale quadro psicologico di coloro che, legati all’aspetto esteriore dell’insegnamento della Parola e al suo duro significato letterale, anche quando il significato è interiore o superiore, non sono in grado di comprenderlo e cadono nel dubbio; in realtà si sentono offesi perché non possono più sentirsi meritevoli né migliori degli altri. Tuttavia costoro continuano a difendere il senso letterale della Parola di Dio. PARTE SECONDA 110

La prima Beatitudine è rivolta, come le altre otto, ai discepoli di Cristo, e, così parrebbe, non alla moltitudine. Il quinto capitolo di Matteo si apre con queste parole: “Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo: Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt. V, 1-3). Luca riporta una versione abbreviata e con qualche sfumatura diversa delle Beatitudini, poiché ne cita solo quattro; e questo dopo che Cristo ha scelto i dodici apostoli sul monte ed è disceso nella pianura. La prima di queste quattro Beatitudini è: “Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio” (Le. VI, 20). Dal momento che in Luca si parla solo di poveri, molti hanno pensato che si volessero intendere i poveri in senso stretto. Matteo dice: “Beati i poveri di spirito: perché di essi è il regno dei cieli”, e nessuno può credere che i poveri in senso stretto non siano orgogliosi, se si interpreta “poveri” in questo senso. Allora come dobbiamo rettamente interpretare l’espressione “poveri di spirito”? La traduzione letterale non è “poveri di spirito” ma “mendicanti di spirito”. Cosa significa essere un mendicante dello spirito? Non vuole certo dire essere mendicante o povero in senso stretto. Vi è un’altra parola nei Vangeli che viene tradotta con povero e che letteralmente significa “essere povero”, come nel caso dell’obolo della vedova, in cui la vedova è una donna che è veramente povera e dà più soldi degli altri. In questo caso la parola “povero” ha un significato ancora inferiore. Si riferisce a uno che si piega tremante, come un mendicante orientale che chiede l’elemosina agli angoli delle strade, e perciò ha un significato psicologico più forte. In Luca, in cui, come si è detto, vengono riportate solo quattro Beatitudini, vengono riferite quattro maledizioni, diametralmente opposte. La maledizione corrispondente alla breve formula “beati voi poveri” è “ma guai a voi che siete ricchi, perché avete ricevuto la vostra consolazione”. Ora, dal momento che Matteo dice poveri di spirito, il significato di ricco in Luca non può essere che ricco di spirito, cioè è ricco chi non chiede l’elemosina nel suo spirito, ma si sente ricco dentro, per niente mendicante e riceve la sua consolazione. Un uomo che attribuisca tutto a sé, che è ricco della sua 111

auto-compiacenza, della sua auto-considerazione, che segue il suo egoismo, la sua vanità e il credersi migliore degli altri, è ricco di spirito. Un trionfo su di un rivale, una posizione migliore, una ricompensa, un buon affare: ecco le sue consolazioni. Se un uomo sente nel suo essere profondo di non sapere nulla, di non essere nulla, di non meritare nulla, di desiderare ardentemente di comprendere di più e di cambiare, di essere veramente qualcosa, se effettivamente nella sua mente, nel suo spirito, nella sua comprensione egli sente la sua ignoranza, la sua nullità, allora è “povero di spirito”. È vuoto e quindi può essere riempito; conosce la sua ignoranza e quindi può udire l’insegnamento del Regno. Ma se è pieno di sé come può udire qualcosa? Egli ode sempre se stesso. Egli ode tutte le interminabili voci dei lamenti della sua vanità, del suo egoismo compiaciuto o insoddisfatto. Quando Cristo attaccava i Farisei, attaccava questa ricchezza di spirito, e di loro diceva che avevano già ricevuto la loro ricompensa. Quando diceva al principe ricco di vendere tutto quello che aveva, non parlava certo dei suoi beni, ma dell’uomo che crede di essere migliore degli altri perché ha dei beni mentali, sociali e materiali. Ciò che fa sentire un uomo particolarmente ricco è l’egoismo gratificato, la vanità gratificata, il merito che gli offre la vita. In effetti, il piacere dell’egoismo gratificato è più forte di ogni altra cosa nella vita ed è sufficiente notarlo in noi stessi per vedere come ciò sia vero. In questo stato di equilibrio, generato dall’egoismo, che tanto facilmente si altera e facilmente si offende, perché dovremmo cercare qualcos’altro o scoprire di non essere “nulla”, di non avere in noi delle basi solide, di non “possedere” nulla? La risposta è: per il livello superiore del Regno. Cristo continua a parlare di ciò che un uomo deve essere, se si deve avvicinare al livello superiore di se stesso, cioè al Regno: “Beati coloro che piangono perché saranno consolati”. Un’idea che un uomo possa ricevere aiuto o consolazione andando contro se stesso, non è facile da afferrare. Eppure se c’è un livello superiore che dà la beatitudine e con cui è possibile comunicare, l’idea non è poi così eccezionale. “Beati coloro che piangono” significa che la beatitudine o la felicità può raggiungere una persona dal livello superiore del Regno se ella piange o se è povera di spirito. Un uomo deve andarsene in giro piangendo, lamentandosi apertamente o 112

logorandosi? Sicuramente no, se si considera ciò che Cristo insegna nel sesto capitolo di Matteo, in cui si dice che un uomo deve fare ogni cosa in segreto, fare l’elemosina in segreto, digiunare in segreto, ecc. e non fare nulla per amore dell’egoismo, della lode, del merito visibile. Qui si piangono veramente i morti. Sentire, però, che si è morti in sé, è piangere nel senso psicologico. Cristo dice molte cose a proposito dei morti, di coloro che sono morti, in senso psicologico, nella loro vera parte interiore, l’unica che può evolversi al livello dell’Uomo superiore. Essi però non lo conoscono e quindi non piangono. La terza Beatitudine: “Beati i mansueti, perché erediteranno la terra”. Nell’originale, la parola praos tradotta come mansueto è l’opposto della parola adirato, permaloso. Ha il significato di sottomettersi, come fa un animale prima selvatico. Ereditare la terra significa ereditare la terra data all’Uomo del Regno. Ha lo stesso senso di: “Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio” (Es. XX, 12). Gli Ebrei, che interpretavano tutto alla lettera, pensavano che la terra promessa fosse la regione di Canaan. Nel significato interiore questa terra è il Regno dei Cieli. La terra è quindi il Regno, e un uomo deve andare contro la sua permalosità naturale, le sue passioni, la sua ira, pur ereditaria. La quarta Beatitudine è: “Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati”. Si riferisce a coloro che desiderano ardentemente conoscere che cos’è quella bontà dell’essere e quella conoscenza della Verità che conduce al livello superiore. Sono coloro che, sentendo la loro nullità, la loro ignoranza, sentendosi morti nel loro essere interiore, desiderano ardentemente che sia loro insegnato quale Verità un Uomo superiore deve conoscere, per seguire che cos’è il Bene al livello del Regno dei Cieli. Essi hanno fame di Bene e sete di Verità. L’unione di tutt’e due genera in un uomo quell’armonia interiore chiamata giustizia. La quinta Beatitudine è: “Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia”. Un possibile significato è che se non perdoniamo i peccati degli altri, non possiamo aspettarci misericordia nei confronti della nostra stessa evoluzione. Aver misericordia è sapere e vedere che ciò che si 113

rimprovera agli altri è anche dentro di sé; è vedere la trave nel proprio occhio; è vedere se stessi negli altri e gli altri in se stessi. È questo uno dei fondamenti della misericordia pratica. Ci sono anche altri significati, come in tutto ciò che è detto nei Vangeli. Un altro significato è che un uomo deve sapere di che cosa aver misericordia verso di sé e di che cosa non averne affatto. La sesta Beatitudine è: “Beati i puri di cuore, perché essi vedranno Dio”. Essere puro di cuore vuol dire, alla lettera, essere purificati nel cuore, purificati per espiazione, ma essenzialmente vuol dire non essere ipocriti. In un uomo si riferisce alla coerenza tra l’interiore e l’esteriore. Si riferisce a uno stato emozionale che si può raggiungere e in cui la realtà dell’esistenza di Dio è vista direttamente dalla chiara visione della comprensione emotiva purificata, poiché noi non comprendiamo unicamente con la mente. Il lato emotivo di un uomo, quando è carico di sentimenti personali, e quindi di sentimenti cattivi o malvagi nei riguardi di coloro che non lo ammirano o quando prova autocompatimento, astio e desiderio di vendetta, ecc., è oscurato, è nelle tenebre, e non può adempiere alla sua giusta funzione di rispecchiare il livello superiore. Quando il lato emotivo è purificato, il cuore vede - cioè comprende - l’esistenza di un livello superiore, di Dio, della realtà dell’insegnamento di Cristo. I Vangeli trattano sovente della purificazione delle emozioni. Se non ci fosse alcun livello superiore, non ci potrebbe essere alcuna purificazione di emozioni, se non di quelle personali. La settima Beatitudine è: “Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio”. Far pace in se stessi è essere liberi dalle disarmonie interiori, dalle perturbazioni interiori, dalle contraddizioni interiori. Essere in pace con gli altri vuol dire agire sempre secondo ciò che è Bene e non tener conto delle differenze d’opinione o discutere sui punti di vista differenti e sulle differenti teorie, che generano sempre disaccordi. Se gli uomini agissero mossi dal Bene e non dalla divergenza delle teorie e dei punti di vista, cioè secondo le loro diverse idee della Verità, essi sarebbero operatori di pace.

114

CAPITOLO X LA FEDE 115

PARTE PRIMA Che cos’è la fede? Si pensa di saperlo, ma la fede non è facile da capire; nei Vangeli è definita come un seme nella mente dell’uomo. Cristo dice: “Se avrete fede pari a un granellino di senape, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà”. Ed egli aggiunge queste strane parole: “E niente vi sarà impossibile”. Cristo disse queste parole ai suoi discepoli quando essi non erano riusciti a guarire il ragazzo epilettico e gli avevano chiesto perché non erano stati capaci. La prima risposta alla loro domanda è: “Per la vostra poca fede”. Ecco il fatto: “Appena ritornati presso la folla, si avvicinò a Gesù un uomo che, gettandosi in ginocchio, gli disse: “Signore, abbi pietà di mio figlio. Egli è epilettico e soffre molto; cade spesso nel fuoco e spesso anche nell’acqua; l’ho già portato dai tuoi discepoli, ma non hanno potuto guarirlo”. E Gesù rispose: “O generazione incredula e perversa! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portamelo qui”. E Gesù gli parlò severamente, e il demonio uscì da lui e da quel momento il ragazzo fu guarito. Allora i discepoli, accostatisi a Gesù in disparte, gli chiesero: “Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?” Ed egli rispose: “Per la vostra poca fede. In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senape, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile” (Mt. XVII, 14-20). A questi discepoli vien detto che hanno fallito perché avevano “poca fede” ma in alcune vecchie versioni dei Vangeli si dice che Cristo abbia risposto che avevano fallito perché non avevano nessuna fede. Molti commentatori dicono che le parole “poca fede” furono probabilmente sostituite interpretando più morbidamente le drastiche parole originali: “Perché non avete nessuna fede”. Nei Vangeli, tra le molte altre versioni, gli uomini sono anche divisi tra coloro che hanno fede e coloro che non hanno nessuna fede. Sembra un po’ strano che i discepoli che credevano in Cristo, che avevano abbandonato ogni cosa per seguirlo, siano proprio tra coloro che non hanno nessuna fede. Cerchiamo di capire di che cosa si tratta. La fede non è, come comunemente si crede, l’opinione. Nicodemo credeva in Cristo perché 116

egli operava miracoli, ma Cristo ignorò questo fatto e gli disse: “A meno che un uomo non nasca di nuovo, non può vedere il Regno di Dio’ ‘. La fede è qualcosa di più della semplice opinione. Cristo la definisce un seme, e un seme è qualcosa che è organizzato, ha la vita propria in se stesso, può crescere da solo. Se un uomo possiede un seme di fede in sé, allora è vivo esattamente come nella Parabola del Figliol Prodigo: “Perché questo mio figlio era morto e ora è vivo di nuovo”. Vi ricorderete che in questa parabola si dice che il figlio più giovane “ritornò in sé” e, cambiando opinione, cominciò a “ritornare da suo padre”, cioè a dirigersi verso qualcosa. Se l’idea di dirigersi verso qualcosa va collegata con il senso della fede, ci rendiamo immediatamente conto che non è facile capire il senso della fede. Quando Cristo sentì che i discepoli non erano riusciti a guarire il ragazzo epilettico, esclamò: “O generazione incredula e perversa!”. È molto importante capire queste parole, perché gettano la prima luce sul senso della fede. Cosa vuol dire perversa e perché è posta subito dopo la parola incredula? A prima vista non sembra esserci nessuna relazione tra questi due aggettivi. Questa generazione è chiamata incredula e perversa. Quale relazione c’è? In greco il significato della parola tradotta con “perverso” è “che si volge in molte direzioni”. Questo vuol dire che non aver nessuna fede, non possederne le qualità - quindi essere “senza fede” - è collegato al volgersi in molte e differenti direzioni, ovvero a non avere una direzione unica da seguire. Ciò che dice Cristo è: “O generazione senza fede e che si volge in tutte le direzioni”. Un uomo senza fede, senza direzione, è perverso in questo senso. Egli si volge in molte direzioni, senza sapere, dove va. E nella vita ordinaria la gente si volge sempre in direzioni differenti, credendo prima in una cosa o in una sensazione e dopo in un’altra cosa o in un’altra sensazione. Basta solo osservare se stessi per costatare che ciò è vero. Non si è forse nel vero dicendo che ci si volge in una direzione diversa ogni volta che si legge un libro, che si sente un’opinione, che cambiano le circostanze e le mode? E ogni sensazione non dipinge forse la vita di colori diversi? Eppure si crede di avere una stabilità interiore permanente ed è vero che, fin tanto che le condizioni generali della vita rimangono le stesse, si percepisce un certo tipo di stabilità. Tutto ciò è raramente dovuto a qualcosa che c’è 117

in noi. Basta leggere la storia per vedere come la vita, nel senso più profondo, non abbia un fine. Si parla del ragazzo epilettico e della sua mancata guarigione da parte dei discepoli - i quali non avevano alcuna fede - nel brano riportato immediatamente dopo la narrazione della Trasfigurazione di Cristo: “Sei giorni dopo, Gesù prese con sè Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un altro monte. E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce” (ML XVII, 1-2). E dopo essere discesi dal Monte della Trasfigurazione che cosa incontrarono? Incontrarono quel mondo, oscuro, cattivo e insano rappresentato dal fanciullo epilettico che si gettava ora nel fuoco ora nell’acqua, circondato da una moltitudine senza fede, la quale si volgeva in tutte le direzioni. Questo contrasto appare subito chiaro. Il genere umano, senza la fede, è come il ragazzo epilettico, che è in balia del potere della luna, perché, in greco, la parola tradotta con epilettico letteralmente significa “colpito dalla luna” e quindi “lunatico” o “insano”. Osserviamo, nella connessione degli eventi narrati e nelle parole di Cristo quando scende dalla Montagna della Trasfigurazione al livello della vita, un aspetto significativo del concetto di fede. Quando si dice che Cristo ascese al monte, su un alto monte, in disparte, e fu trasfigurato - ed in greco, letteralmente, si dice metamorfosi o trasformazione della forma, cioè oltre ogni forma ordinaria, proprio come metanoia significa andare oltre la propria mente ordinaria, le proprie forme ordinarie e di pensiero - si vuol dire che esiste, come possibilità, una forma superiore d’Uomo e che la fede è qualcosa che appartiene a questa idea d’Uomo, all’idea della possibile trasformazione di un Uomo. Cristo si trasformò davanti ai suoi tre discepoli e mostrò loro, in un modo impossibile da comprendere e descritto come un’ascesa su di un’alta montagna, che la trasformazione dell’Uomo è una realtà. Provò loro questa realtà in qualche modo come, non sappiamo - ma essi la capirono a malapena, si spaventarono solo, erano così addormentati da non riuscire a rendersi conto di nulla di ciò che accadeva, finché furono riportati in uno stato di completo risveglio. Luca lo dice abbastanza chiaramente: 118

“Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria ... “ (Le. IX, 32). Sarebbe un grave errore pensare che si tratti semplicemente di un sonno fisico. Era pieno giorno. Perché i discepoli avrebbero dovuto avere sonno in pieno giorno? Supponiamo che avessero sonno, ma allora perché mettere in evidenza questo particolare? Il sonno qui non è un sonno ordinario. Nei Vangeli molte parole che hanno un significato ordinario sono usate in modo non ordinario ed esprimono un concetto del tutto differente. Per esempio, la parola “morto” usata nei Vangeli non si riferisce necessariamente alla morte fisica. I morti, stando all’insegnamento evangelico sull’uomo, non sono nelle tombe, ma camminano intorno a noi. Quando Cristo dice: “Lascia i morti seppellire i loro morti” (Mt. VIII, 22), non si riferisce ovviamente ai morti in senso stretto. Com’è possibile che i morti seppelliscano altri morti? Gli uomini vengono divisi in morti e vivi con un senso ben preciso. “I vivi e i morti” si riferisce a coloro che hanno qualcosa di vivo in loro ed a coloro che non ce l’hanno e quindi sono già morti. Un uomo, tutto preso dalla vita e che non vede altro che gli interessi del mondo, del potere, del denaro, della posizione e della rivalità, è morto. Similmente gli uomini si dividono in addormentati e svegli. L’uomo che comincia a svegliarsi è in grado non solo di capire il senso della vita ordinaria, ma è anche certo che questo senso è reale. Capire, essere sicuri che c’è un senso oltre la vita e che la vita terrena non spiega l’Uomo, è cominciare a svegliarsi dal sonno. I discepoli non erano addormentati in senso stretto, ma in un altro senso. Erano addormentati nei confronti di un senso più grande. Erano mentalmente ed emozionalmente addormentati all’idea del senso ultimo della vita umana che Cristo rivelava loro con la sua trasfigurazione. Erano totalmente addormentati nei confronti dell’idea della trasformazione dell’Uomo. Anche altrove essi vengono rappresentati come coloro che credevano semplicemente che Cristo fosse il Messia liberatore di una nazione oppressa e pronto a fondare un magnifico regno sulla terra, dove essi avrebbero occupato le posizioni più alte, avrebbero avuto i più vasti possedimenti ed il potere più grande. Così, ciechi all’insegnamento di Cristo sul Regno dei Cieli e addormentati nei confronti di un’idea della trasformazione dell’Uomo, quando si trovarono in presenza della pura manifestazione del Regno 119

dei Cieli, furono come appesantiti dal sonno. La qualità delle loro menti, il loro grado di consapevolezza, il loro livello di comprensione, non poteva arrivare fino a tanto. Nessun uomo può rendersi conto di nulla o percepire l’esistenza di qualcosa che richieda uno stato mentale cosciente superiore. Un uomo è addormentato nei confronti di ciò che non comprende. La maggior parte della gente crede che non esista ciò che essa ignora e ironizza sulla possibilità che ciò esista. Questi fattori limitativi ordinari confinano il genere umano nel suo stato. Ci sono, però, anche dei fattori straordinari che limitano anche la parte più colta del genere umano. Sono i fattori qualitativi di comprensione e il grado della loro consapevolezza. La fede è collegata con l’idea della trasformazione e perciò non è semplice opinione; non è su un piano ordinario, come quando si può credere o non credere a qualcuno, secondo i casi. In seguito esamineremo un altro episodio, dove si evidenzia il vero significato della fede, quando si accenna alla conversazione del centurione con Cristo. La fede, nella sua essenza, indica una convinzione, una certezza dell’esistenza di un’interpretazione superiore della vita e, di conseguenza, che la trasformazione dell’Uomo è una possibilità. La qualità peculiare della fede si fonda sull’idea che la vita può essere compresa e chiarita solo dando un senso a qualcosa che è più alto dell’Uomo. L’uomo stesso ha questa possibilità di trasformarsi e di arrivare a una comprensione completa e nuova della propria vita sulla terra. L’essenza della fede è questa qualità peculiare ed è essa che la rende completamente differente da ciò che normalmente chiamiamo opinione. La fede, infatti, sgretola dalle fondamenta tutte le nostre opinioni ordinarie o naturali perché ci conduce lontano dall’opinione mondana e in una direzione che non può essere sostenuta dall’opinione naturale o dall’evidenza dei sensi. Per questo la fede è un seme nella mente dell’uomo; essa è una crescita potenziale nella mente dell’uomo e non può esserci in lui finché egli crede che la vita, così com’è, sia il fine dell’Uomo, e non un mezzo verso qualcos’altro. Se la vita è fine a se stessa, anzi è l’unico fine, non possiamo avere la fede, anzi non la vogliamo. Se nelle nostre menti si fa strada il pensiero che la vita non può essere fine a se stessa, ma deve essere un mezzo per raggiungere un altro fine - e spesso pensieri del genere passano per la testa di tutti 120

allora, proprio in quel momento di pensiero nuovo, c’è il preludio della fede. Cristo, quando si trasforma, rappresenta gli uomini a un livello superiore di se stessi; Cristo ha un livello di gran lunga superiore. La sua discesa dalla montagna rappresenta la discesa al piano della vita terrena ordinaria, a un livello di follia, alienazione, cioè a un livello governato dalla luna crescente o calante. Tutte queste idee sono drammatizzate nella scena del Monte della Trasfigurazione; molto più in basso c’era il ragazzo epilettico che i discepoli non riuscirono a guarire. PARTE SECONDA La fede è paragonata a un seme vivo e attivo presente in un uomo e non a una semplice opinione passiva. Per approfondire il senso della fede, vediamo quali risultati essa produce. Cristo dice: “Se avrete fede pari a un granellino si senape ... niente vi sarà impossibile”. La fede rende l’uomo capace di tutto. La fede rende possibile l’impossibile. In un altro passo - riportato nel nono capitolo di Marco - la frase suona così: “Tutte le cose sono possibili a colui che ha fede”. A prima vista si potrebbe pensare che se un uomo ha fede ha anche il potere di agire. Ma questo non è proprio ciò che si dice. Il possesso della fede rende le cose possibili, il che è diverso. A un uomo che abbia fede, diventano possibili le cose che altrimenti sarebbero impossibili. Non l’uomo, ma la fede che è in lui rende possibili le cose. A un uomo di fede ogni cosa è possibile e nulla è impossibile. La nostra idea della forza è più o meno collegata con quella della violenza. Per esempio, si può costringere a obbedire. L’idea della forza della fede è del tutto diversa. In presenza di un uomo che abbia veramente fede, come la intende Cristo, le cose diventano possibili. Quest’uomo ha la forza perché, con la fede, le cose perdono la loro forza propria e così diventano possibili per lui. Le cose sono spogliate della loro forza naturale ordinaria, specialmente di quella malefica. Quest’idea s’incontra spesso nel Nuovo Testamento e in un passo si legge: “E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono ... prenderanno in mano i serpenti e se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno”(Mc. XVI, 17-18). Con la fede si vede come le cose 121

perdano la loro forza naturale. Da questo punto di vista la fede è come la Verità. La Verità non ha alcun potere sulle menzogne, se non quello di svuotarle. Se un uomo lascia entrare la verità nella sua mente nel bel mezzo del suo essere menzognero, allora la menzogna perderà tutto il suo potere su di lui ed egli rinsavirà. I discepoli avevano fatto del loro meglio, ma non erano riusciti a curate il ragazzo epilettico. Avevano usato le loro forze, ma come dice a Cristo il padre del ragazzo: “Non ci sono riusciti” (Me. IX, 18). E Cristo subito esclama: “O generazione incredula e perversa!. .. Fino a quando dovrò sopportarvi?”. I discepoli gli chiedono in privato perché non erano riusciti. La risposta è: “Per la vostra poca fede”. La cosa era stata impossibile per loro benché non possedevano il più piccolo seme della fede. Eppure erano i discepoli di Cristo! Né avrebbero avuto la fede dopo aver visto il fanciullo epilettico guarito, poiché la fede non deriva dai miracoli visti e nel credere ad essi passivamente. Non avendo alcuna fede fu loro impossibile curare il fanciullo, e non avrebbero mai potuto farlo: mancava loro quel fattore necessario per produrre quella forza. Il padre del fanciullo dice a Cristo: “Se tu hai il potere, aiutaci”. Cristo esclama: “Se tu hai il potere! Tutte le cose sono possibili a colui che ha fede”. Il padre, disperandosi, grida: “Ho fede, aiuta la mia mancanza di fede”. Sia in Matteo che In Marco i racconti della guarigione servono per far piena luce sull’idea della fede e sul potere che ne deriva avendola. La fede - in greco pistis - è connessa con una certa forza - in greco dynamis - cioè ha una sua dinamica particolare. Il potere della fede non viene dall’esterno, dalla posizione sociale, dal potere terreno o comunque da qualcosa di esteriore. Neppure la fede è l’evidenza delle cose visibili; essa non deriva la sua forza da queste cose. Non nasce in quella parte esteriore della mente, quella che si occupa della vita, delle cose, dei doveri e delle preoccupazioni dell’esistenza umana. Non è su questo livello. La fede è a un livello della mente distaccata dalle cose visibili ordinarie. È come un punto dato a un uomo ed è al di sopra di lui. È come se egli riuscisse a mettersi in comunicazione con una stanza del piano superiore al suo e in cui si vive un’altra vita, della quale la sua forza di convinzione ha percepito e scoperto l’esistenza. L’idea della fede non può essere compresa se non si comprende l’idea che in un Uomo vi sono livelli differenti. L’Uomo non vive al livello più 122

elevato di se stesso. Un livello è lì ad attenderlo. L’Uomo non è Completo e può completarsi. Nulla di esteriore può completarlo, cioè condurlo al suo sviluppo più elevato. Egli deve convincersi che questa è la vera spiegazione del proprio esistere e la sua mente non deve chiudersi a questa possibilità, che è qualcosa di superiore. Ciò che è superiore è in lui; ma lui non lo sa, lo ignora. Quando si convince di questa possibilità allora ecco nascere in lui un senso nuovo. Una nuova nascita è possibile. Sono possibili altri livelli di pensiero, di sensazioni, di comprensione. Un Uomo Nuovo. In ogni uomo si nasconde un Uomo Nuovo. Per questo motivo i Vangeli non parlano né della vita né del suo miglioramento, ma di quest’uomo nuovo che si cela in ogni uomo. I Vangeli insegnano un livello superiore, cioè l’evoluzione di un uomo. Nei Vangeli non è marginale l’insegnamento dell’idea che un uomo può essere diverso. Quest’idea si trova in molti insegnamenti antichi. È l’unico vero fondamento di qualsiasi psicologia dell’uomo. La vera psicologia di una ghianda si deve fondare sul fatto che può diventare una quercia, altrimenti la sua esistenza può essere fraintesa ed erroneamente considerata. Nella struttura del sistema nervoso troviamo molti livelli, ben definiti e completamente distinti, uno sopra l’altro, in cui le cose sono sistemate e rappresentate in modi completamente diversi. Un livello inferiore non capisce un livello superiore; un livello inferiore deve obbedire a un livello superiore, poiché questo trasmette a quello la sua forza. Un uomo pensa di spostare il suo braccio e lo sposta. Tutti i livelli inferiori obbediscono al pensiero. Un uomo non può capire la fede lavorando con l’evidenza dei suoi sensi e pensando con quel livello mentale. La fede è già l’assoluta certezza di un livello superiore e quindi essa si apre ormai all’influenza di questo livello perché esso possa agire in un uomo. Consideriamo, di conseguenza, un’altra parabola riguardante il Centurione e che riguarda il senso della fede: “Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro giunti da Gesù lo pregavano con insistenza: “Egli merita che tu gli faccia questa grazia, dicevano, perché ama il nostro popolo, ed è stato lui a costruirci la sinagoga”. Gesù s’incamminò con loro. Non era 123

ormai molto distante dalla casa quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: “Signore, non stare a disturbarti, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te, ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io, infatti, sono uomo sottoposto a un’autorità, e ho sotto di me dei soldati; e dico all’uno: Va ed egli va, e a un altro: Vieni, ed egli viene, e al mio servo: Fa’ questo, ed egli lo fa”. All’udire questo Gesù restò ammirato e rivolgendosi alla folla che lo seguiva disse: “lo vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!”. E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito” (Le. VII, 2-10). Perché Cristo avrebbe dovuto dire di non aver mai incontrato una fede maggiore? Il centurione, con le sue parole, espresse l’idea essenziale della fede. Egli sa per esperienza, essendo soldato, che c’è un superiore e un inferiore, cioè ciò che sta sopra e ciò che sta sotto di lui. Con il proprio pensiero, partendo da queste considerazioni, egli deduce l’esistenza di “superiore” e “inferiore”, non solo nel mondo visibile esteriore. Il centurione dice: “Non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te”. Qui la parola degno in greco significa allo stesso livello. Il centurione capiva i livelli dell’Uomo. Egli capiva che per ogni cosa è questione di livelli, capiva cioè che superiore ed inferiore sono dei principi e sapeva che un livello inferiore deve obbedire ad uno superiore: è nella natura stessa delle cose. Sapeva, prima di tutto, che Cristo era a un livello superiore al suo. Si rendeva conto che tutto quello che Cristo diceva e faceva proveniva da un livello superiore al suo. In secondo luogo sapeva che anche Cristo obbediva a un livello superiore, proprio come lui, centurione, obbediva a chi stava sopra di lui e che aveva un’autorità maggiore della sua. In quanti passi evangelici Cristo indica più chiaramente che in questo passo l’obbedienza a ciò che è superiore? Egli non era libero, obbediva a un’altra volontà e da questa derivava il suo potere. Quale potere poteva avere il centurione se non obbediva a coloro che stavano sopra di lui? Obbedendo a coloro che stavano sopra di lui egli aveva il potere su coloro che stavano sotto di lui. Nessuno dei soldati sotto di lui gli avrebbe obbedito se lui stesso non avesse obbedito a coloro che stavano sopra di lui. Egli lo aveva capito, ecco perché capì anche la 124

fonte del potere di Cristo. Per questo Cristo esclama: “lo vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!”. L’idea della fede è connessa con il potere di far obbedire le cose ed è quindi anche chiaramente connessa con il potere che un uomo può avere su se stesso, nel senso di riuscire a farsi obbedire da tutto ciò che c’è in lui: tutti i suoi diversi desideri, le sue contrastanti volontà, i suoi vari pensieri, i suoi stati d’animo, ecc. Ubbidire a che cosa? A qualcosa che c’è in lui ed è di natura tale da privare tutte le forze negative di ogni potere su di lui. La traduzione greca di fede - pistis - viene dal verbo peitho, che significa persuadere, farsi obbedire. In un uomo, che cosa sarà in grado di sottomettere i diversi aspetti ch’egli ha in sé? Quale persuasione nella sua mente lo porterà in una posizione in cui ogni cosa che è in lui cederà a lui la sua forza? Un uomo, se riuscisse a scoprire questo segreto, sarebbe il maestro di se stesso, non direttamente, con la sua stessa forza, ma con il potere che gli viene dato dalla fede. È proprio qui che un uomo deve crearsi. Questo compito di autocreazione non può essere casuale, ma deve basarsi su idee che trascendono i concetti ordinari. Credere in ciò che possiamo vedere non ci “crea”. In tutto quello di cui siamo testimoni, noi possiamo trovare qualche cosa e crederlo Verità. Tale Verità, però, è esteriore e la sua fonte è nella vita visibile. La fonte della fede è nella vita invisibile. I discepoli non avevano nessuna fede perché erano impressionati solo dallo straordinario uomo Cristo e dai suoi miracoli. In un certo senso, finché Cristo era visibilmente tra loro, essi non potevano avere la fede e quindi non potevano crearsi. Ancora: Cristo li saggiava trattandoli con durezza. Cristo offendeva la gente da tutte le parti. Perfino i suoi discepoli, come molti altri che ascoltavano il suo insegnamento, temevano di fargli domande. Matteo dice che dopo che Cristo ebbe confuso i Farisei (che avevano detto che il Cristo era il figlio di Davide) con le parole: “Se Davide allora lo chiamava Signore, come può essere suo figlio?”, nessuno fu in grado di rispondergli e “nessun uomo da quel giorno in poi osava fargli altre domande”. Marco dice che perfino i discepoli, quando Cristo li stava istruendo sulla sua futura morte e risurrezione, “non comprendevano ciò che diceva e temevano di fargli domande”. Lo scopo era di fare in modo che essi credessero non per, ma nonostante tutto ciò che sarebbe 125

avvenuto; la crocifissione, la più disonorevole di tutte le forme di morte, era in se stessa una prova, se non se ne capiva il senso. In seguito, dopo che furono abbandonati e avendo solo ciò che era stato loro insegnato - idee non comuni, parabole, detti, e forse moltissime altre cose di cui non fu mai tentata una documentazione - essi dovettero trasformare tutto ciò che avevano visto e udito, tutto ciò che era stato assorbito dai canali dei sensi, in questo seme vivo, chiamato la “fede”. La fede non aveva più dei fondamenti esteriori, ma si fondò in loro su nuove basi secondo la promessa che Cristo aveva fatto loro: “Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto (Gv. XIV, 26). Si mette in discussione l’esistenza di Dio a causa delle cose orribili che accadono sulla terra, oppure si dice: se esiste qualcosa di superiore, perché non ci viene detto con esattezza che cos’è, cosa dobbiamo fare, ecc. Alla prima argomentazione è stata già data la risposta: si dice espressamente che la volontà di Dio non è fatta sulla Terra. Alla seconda, la risposta è che non ci si può evolvere, cioè giungere ad una nuova nascita di se stessi, solo con esempi esteriori e con qualche forma di pensiero o con idee basate sui sensi. La Verità che spinge un uomo a un cambiamento interiore può, anzi deve, essere seminata in lui partendo da questi canali. Questa Verità da sola, però, basandosi nella sua mente con riferimenti visibili cade “sul ciglio della strada” e viene distrutta. Un uomo deve udire e ricevere qualcosa che sia al di là, di se stesso, al di là di qualunque cosa egli abbia sperimentato con il contatto con la vita di ogni giorno, con i suoi problemi e le sue prove, al di là di ogni nozione ordinaria e delle sue limitate forze di comprensione, che egli ha ricevuto nel tempo e nello spazio. Tutto ciò che può rinnovarlo, rigenerarlo e cambiarlo deve essere posto al di là di quel livello, semplicemente perché la sua vera funzione è quella di aprire in lui un altro livello. È un livello iniziale e, anche se proviene dall’esterno, ha un destino superiore e appartiene a un grado superiore dell’uomo: è il primo di una serie d’idee associative e di pensieri, il primo fermento o lievito, che conduce a una comunicazione con quel livello superiore e a una trasformazione nella comprensione del significato della vita dell’uomo sulla terra. Se pensiamo all’evoluzione di un uomo come a 126

un collegamento interiore con una possibilità già esistente - proprio come una quercia costituisce una possibilità nei confronti di una ghianda, essendone un livello superiore - e se pensiamo che questo collegamento può attuarsi solo attraverso un’intensità crescente di intuizione e convinzione che rende l’uomo capace di spostare il suo equilibrio, dovunque si trovi, e di additargli una nuova direzione l’unica direzione di cui Cristo continuamente parla nelle metafore e nelle parabole - allora possiamo capire più facilmente che l’opinione passiva che abbiamo subìto dai sensi è inutile e che la fede deve essere qualcosa di vivo e costantemente al lavoro in un uomo per realizzare in lui la sua arte suprema, la sua alchimia: la creazione di un uomo nuovo in un uomo. In questo processo sono le leggi di un altro ordine superiore al suo che devono imporre la loro influenza e i loro effetti in un uomo: proprio come una ghianda che, per sperimentare la sua possibile latente trasformazione, deve cominciare a obbedire alle leggi delle querce e cessare gradualmente di essere ancora una ghianda.

PARTE TERZA

127

I discepoli dissero a Cristo: “Aumenta la nostra fede”. Quale risposta ricevettero e quale luce essa getta sul significato della parola fede, usata in modo così tecnico nei Vangeli e così difficile da capire, che si pensa che significhi “opinione”? L’occasione in cui i discepoli fecero questa domanda è riportata nel diciassettesimo capitolo di Luca. Cristo sta parlando delle difficoltà di vivere l’insegnamento. Le difficoltà erano inevitabili. Il fatto di cominciare a tentare di mettere in pratica l’insegnamento non eliminava tutte le sofferenze. Cristo dice ai discepoli: “Non è possibile che non si verifichino scandali, ma guai a colui che ne è la causa”. Sta parlando di difficoltà che devono sorgere tra coloro che seguivano il suo insegnamento. E probabilmente essi non riuscirono a capire che veniva insegnata loro una disciplina interiore. Egli continua: “Sarebbe meglio per lui che gli si mettesse una macina intorno al collo e che fosse gettato in mare, piuttosto che dover procurare scandalo a uno di questi piccoli”. Non si tratta di bambini piccoli, ma di coloro che stanno tentando di capire l’insegnamento di Cristo. Essi sono piccoli nella comprensione (in greco mikros = piccolo piccolo, microscopico, non ha nulla a che vedere con i bambini piccoli). I discepoli dovevano imparare a insegnare agli altri. Tutto ciò doveva sembrare strano se essi continuavano a pensare che seguire Cristo voleva dire seguire un futuro re terreno. Cristo dice: “State attenti!” - (letteralmente, prestate attenzione a voi stessi) “Se vostro fratello pecca, rimproveratelo: e se si pente, perdonatelo. E se pecca nei vostri confronti sette volte il giorno e sette volte torna da voi a dire: mi pento, dovete perdonarlo”. Cristo sta parlando di come si deve comportare un uomo nell’insegnamento. Si pensa in un modo e si agisce in un altro. Chi insegna agli altri deve comportarsi nei loro confronti in un certo modo. I discepoli forse hanno intuito che per comportarsi così era necessario aver fede, altrimenti sarebbe stato impossibile. Preso alla lettera, “perdonare a un uomo sette volte il giorno” non è facile, anche se uno si pente. I discepoli domandano: “E gli apostoli dissero al Signore: aumenta la nostra fede!” (letteralmente “ingrandisci la nostra fede”). Il modo per ingrandire o aumentare la fede non viene detto subito. Cristo risponde dicendo “se aveste fede” - quindi implicitamente non ce l’hanno - “se aveste fede come un granello di seme di senape, direste a questo albero 128

di gelso nero: tu sia sradicato e piantato nel mare; ed esso vi obbedirebbe”. Ogni ostacolo, ogni difficoltà naturale perde il suo potere e deve obbedire alla volontà che nasce da un altro livello e da un’altra fonte che la fede ha aperto in lui. Cristo descrive quindi il modo per incrementare la fede, con parole che non sembrano collegarsi direttamente con la domanda dei discepoli e che non sempre vengono considerate come la risposta. Egli dice: “Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: vieni subito e mettiti a tavola? Non gli dirà piuttosto: preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Le. XVII, 7-10). Qual è il significato che si cela dietro questa semplice risposta? Come fa a contenere la risposta alla domanda dei discepoli: “Aumenta la nostra fede”? Ci vuole un certo atteggiamento perché la fede esista e aumenti. Qual è la natura di quest’atteggiamento? Un uomo deve capire che è sottoposto all’autorità. Il centurione l’aveva capito, così capì da cosa dipendeva la fede e quindi, in un certo modo, che cos’è la fede. La fede è l’atto convinto e certo di un livello superiore a cui un uomo deve sottomettere ogni cosa. L’uomo non può fare ciò che gli piace. Nella vita ordinaria, invece, ognuno sente che può o potrebbe fare ciò che gli piace. Egli deve arrivare a obbedire a questo livello superiore che è in lui. Un uomo che ha la fede non è più un “singolo” come “l’uomo nella vita”, ma è due uomini. In lui è iniziata una separazione che lo divide in due. È un “uomo nella vita” e un uomo consapevole di “un’altra vita”: non di un’altra vita dopo la morte, ma di un’altra vita ora. C’è un aspetto esteriore di “vita” che guarda alla vita esteriore, al mondo sensibile, a tutte le sue ricompense, ma c’è anche un aspetto interiore che guarda a questo livello superiore, nella cui esistenza egli si sente ormai radicato e che egli sa e sente essere dentro di lui.

129

Quando un uomo è due, il suo atteggiamento nei confronti di se stesso e della vita cambia completamente: egli è consapevole che c’è in lui un livello superiore ed un livello inferiore. In precedenza tutto ciò che egli faceva, per quanto buono, era fatto seguendo il livello inferiore in lui ed egli restava a quel livello. In questo caso un uomo non può fare a meno di cercare il merito, la ricompensa di tutto ciò che fa e attribuisce a sé la bontà, la grandezza, la sopportazione. Non può fare a meno di agire così, né può fare a meno di aspettarsi una ricompensa per qualsiasi cosa che fa, per qualsiasi cosa che fa di utile, per ogni azione meritevole, per ogni sforzo che compie. Il suo Bene appartiene al mondo, cioè al principio dominante del livello d’evoluzione in cui si trova. Fa tutto in un certo modo. Ogni cosa è condizionata dal suo “io”, dalla meritocrazia, dalla virtù, dall’idea di una ricompensa. Questo è il livello del suo essere, il livello in cui egli vive, l’unico che conosce. Dal momento che egli non ha nessuna fede, non ha nessuna idea di un livello superiore. Non ha nessuna idea di un livello superiore di sé a cui cerchi di unirsi. Il suo essere, l’io, la sua auto-compiacenza, assorbiranno tutto. Nel suo cuore egli odierà le persone che non sono d’accordo con lui o che non lo apprezzano o che lo deridono, anche se riesce a mascherarlo per paura che la sua reputazione ne possa soffrire. Non troverà alcun rimedio a questa situazione, perché si accetta così com’è; quindi non può cambiare. Egli vuole sì essere migliore, ma non differente. Egli vuol essere lo stesso uomo, ma migliore; non un altro uomo, un uomo rinato. Tutto quello che Cristo insegnava riguardava un livello superiore, chiamato ri-nascita. Il suo insegnamento riguardava l’evoluzione; quest’evoluzione è possibile ed è lì ad aspettare l’uomo. L’insegnamento di Cristo non riguardava il mantenimento dello stesso uomo, con qualche leggera variante, ma riguardava l’avvenire di un Uomo Nuovo nato dall’acqua e dallo spirito”, cioè dalla fede e dalla verità di questa; tutto ciò può avvenire vivendo secondo lo spirito della fede, vivendola. Se esiste un altro livello in ogni uomo, lo si può raggiungere esaminando la conoscenza che esso dà all’Uomo ed il modo con cui egli la vive. Tutti i detti e le parabole dei Vangeli sono conoscenza di questo livello superiore, questo possibile e superiore 130

grado dell’uomo. Questo è il significato dei detti e delle parabole evangeliche. Questa conoscenza non è una conoscenza sensibile e quindi controllabile. Questa conoscenza deve essere compresa dalla mente: ecco che cos’è la fede. La fede non è credere nello straordinario, perché ci sono i miracoli; la fede è una percezione, un’interiorizzazione, una sicurezza che c’è un ordine di Verità extrasensibile. Questa verità i sensi non la danno direttamente, non la fondano. L’uomo deve partire al di là, di se stesso: il suo punto di partenza è la fede. È qui che acquista valore tutto ciò che egli ha pensato e compreso in silenzio, nella solitudine della sua stessa mente. Acquista valore tutto ciò di cui non sa parlare, tutto ciò che è veramente nel suo intimo e che supera la sua realtà esteriore dei sensi, che in lui sono come una macchina. I nuovi pensieri hanno una nuova conoscenza, cioè la fede, e sono dovuti al livello superiore o interiore: raggiungere questo livello è una vera evoluzione di sé e dare un senso alla molteplicità dell’esistenza. I pensieri, le speculazioni, gli schemi, le fantasie, le immaginazioni, le riflessioni che sembrano senza un fine e conducono alla riscoperta dell’infanzia e dell’innocenza, sono in verità la parte più profonda e veramente significativa di un uomo. Sono così solo perché possono essere un punto di partenza per la conoscenza, della fede. Anche se un uomo incontra la vera conoscenza, come la incontrarono i discepoli di Cristo, ciò che gli viene insegnato con i sensi esterni può combinarsi con lui solo se viene ponderato, pensato, meditato, immaginato ed infine assimilato da questo lato più profondo di sé. Cristo non si aspettava che i discepoli comprendessero ciò che egli diceva. Sapeva che essi non potevano ancora comprendere. Si crede di capire solo udendo. In effetti si sono udite molte cose fino dal principio del tempo. Molti sanno benissimo che, se pensano solo con stimoli esterni, non capiranno nulla. Pensare a se stessi in modo da cominciare a cambiare se stessi alla luce delle nuove idee, della nuova conoscenza, della nuova Verità e della nuova comprensione, non è cosa che tutti possono fare. Le persone si rivolgono le une alle altre per cercare le eventuali colpe, come se fosse facile cambiare subito. È inutile! Nessuno può cambiare né con le proprie idee né con la nuova 131

conoscenza. Si può cambiare solo con un consenso interiore che nasce da una percezione interiore intensa che avviene nel cuore e precede ogni tentativo, aprendo la via a una nuova comprensione. Nessuno può essere cambiato con la violenza. Nulla di ciò che è realizzato nei nuovi progetti del mondo, nei regolamenti, nei sistemi sociali, nelle normative e altro, ecc. può cambiare un uomo dentro. Solo lui, risvegliandosi alla Verità e vedendo la Verità alla luce della Verità e non più alla luce dell’interesse personale e della convenienza, può cominciare a cambiare. L’uomo può cambiare soltanto per ciò che egli ha visto valido per sé e mai per ciò che gli viene detto. *** Qual è allora il significato di quella parabola che si riferisce alla fede? Per aumentare la propria fede, un uomo deve avere la volontà di agire al di là, di sé. Ciò che egli fa è nulla. Per obbedire a quella conoscenza che gli deriva dalla fede, deve agire nella vita in modo diverso dagli altri. Come agisce nella vita un uomo comune? Egli conta su ciò che gli è dovuto e, se si accorge che fa più degli altri, allora protesta. La vita è così e tutti gli uomini sono così. Ognuno è geloso dell’altro. Ognuno pensa di essere trattato male o che dovrebbe avere un migliore riconoscimento. Questa è la vita umana. Un uomo, per comportarsi diversamente, deve avere un altro modo di sentire la vita e un altro modo di sentire se stesso. Alla luce di una nuova comprensione, tutto ciò che egli fa e tutti gli sforzi che compie devono sembrargli un nulla. Non ci sono né crediti né debiti. La Parabola del Servo Inutile, comunque, non riguarda solo la vita. Riguarda la vita, ma nell’ambito dell’insegnamento, nella scuola, che Cristo stava fondando. Nell’insegnamento di quella nuova scuola ogni cosa, che un uomo doveva fare, non valeva niente. Egli non ha nessun merito e compie solo il suo dovere. Provare un senso di merito sarebbe la distruzione della fede e significherebbe percepire solo il livello ordinario di sé, con i suoi concetti ordinari. Agendo con questi metodi nessuno potrebbe agire, cambiare, diventare diverso. Come può cambiare un uomo se ha sempre gli stessi 132

sentimenti, le stesse idee e gli stessi limiti dentro di sé? Per cambiare egli deve andare al di là, di se stesso e ciò che fa deve considerarlo un nulla. La fede è “sentire” la conoscenza, la consapevolezza di un qualcosa al di sopra di sé, la coscienza della propria indigenza e nullità, l’inutilità dei propri tentativi. Egli non si aspetta nessuna ricompensa, nessun merito. Da lui non ci si deve aspettare nessun reddito: è un servo inutile.

133

PARTE QUARTA Ci sono delle parabole sulla fede in cui i fatti narrati non sono immediatamente riferibili al senso della fede. Esaminiamo la parabola della donna peccatrice. Ne parla Luca: “Ed ecco una donna, non una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato e stando dietro, presso i suoi piedi, piangendo cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato. A quella vista il fariseo che l’aveva invitato pensò tra sé: “Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice”. Gesù allora gli disse: “Simone, ho una cosa da dirti”. Ed egli: “Maestro, di pure”. “Un creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?”. Simone rispose: “Suppongo quello a cui ha condonato di più”. Gli disse Gesù: “Hai giudicato bene”. E volgendosi verso la donna, disse a Simone: “Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco”. Poi disse a lei: “Ti sono perdonati i tuoi peccati”. Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: “Chi è quest’uomo che perdona anche i peccati?”. Ma egli disse alla donna: “La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!” (Le. VII, 3750). Nella parabola Simone è raffigurato come un certo tipo di uomo, che ama poco. La conseguenza è logica: dal momento che ama poco, gli si può perdonare poco. La donna, che era una peccatrice, viene contrapposta a lui. Poiché ella ama molto, le si può perdonare molto. Non è però ancora chiaro il collegamento con il concetto di fede. Simone era un fariseo. Egli, cioè, rappresentava quel tipo d’uomo che praticava la religione come mezzo d’ostentazione, di apparenza, di meritocrazia. Un uomo siffatto fa ogni cosa per egoismo, non per 134

amore di Dio o del prossimo”. Ogni cosa fatta per egoismo non esce dall’io, anzi ne aumenta il sentimento del merito. L’egoismo non è amore. Nei Vangeli il fariseo è sempre l’esemplificazione di tutti coloro che agiscono per egoismo, per attirare l’attenzione su di sé, per la propria reputazione. Essi, quindi, non possono fare nulla, anche le azioni più caritatevoli, se non ne colgono un merito. Se si fa qualcosa solo per essere elogiati, non si può fare a meno di credersi migliori degli altri e di aspettarsi una ricompensa per ciò che si fa. La donna, invece, agisce in base alla fede. La sua fede l’ha salvata e i suoi peccati le sono rimessi: agiva non per egoismo, ma per amore. Agire in base alla fede non vuoI dire agire in base all’egoismo e alle aspettative dell’egoismo, alla sensazione di superiorità, al sentirsi migliori degli altri. Questa parabola vuole dire questo, anche se ogni passo di essa ha anche un significato proprio. Agire in base alla fede è agire al di là di sé, dell’egoismo e delle aspettative dell’egoismo. La stessa cosa vale anche quando si pensa in base alla fede. Pensare in base alla conoscenza e alle idee della fede è pensare al di là della propria mente ordinaria, al di là di tutte le idee ordinarie e di tutti i modi ordinari del pensiero. Pensare in base alla fede è pensare in un modo nuovo; agire in base alla fede è agire in modo nuovo. In tutte le parabole riguardanti la fede, si evidenzia il fatto che l’approccio a Cristo - l’approccio, cioè, all’insegnamento riguardante la ri-nascita e l’evoluzione di sé - è impossibile con mezzi visibili o con pensieri ed emozioni ordinarie. È necessario un esercizio, uno sforzo che superi ciò che si pensa o si fa ordinariamente. L’ordine della Verità, appartenente alla categoria della “fede”, non ha nulla a che vedere con l’ordine della verità appartenente ai sensi o dimostrabile dai sensi. Quando Nicodemo vide i miracoli e in base a questi egli credette, gli fu detto chiaramente che tutto ciò era inutile. I miracoli visibili, in effetti, ostacolavano il suo cammino. Non potevano venire a contatto con quel livello della mente che può essere risvegliato solo con la fede e che solo la fede può risvegliare. Un uomo non arriva a quello stadio di comprensione interiore proprio della fede per mezzo di un qualcosa di esteriore o di visibile. Vivere sulla base di ciò che si vede è vivere su un tipo di livello di vita; vivere in base alla fede è cominciare a vivere su un altro livello. Quest’altro livello, quello della 135

ri-nascita di un uomo, quando è raggiunto, è definito, reale. Allora la possibilità diventa una realtà verso la quale converge la fede con la sua Verità e la sua conoscenza. Un livello superiore dell’uomo può essere raggiunto solo attraverso una categoria di conoscenza e di concetti che deve essere tenuta viva con uno sforzo continuo; questa categoria non ha un riscontro nella vita ordinaria. Un uomo deve estraniarsi dalla scena della vita per capirne il senso. La fede è così uno sforzo interiore continuo, una continua modificazione della mente, dei modi abituali di pensare, di considerare ogni cosa, delle reazioni abituali. Agire secondo la fede è agire al di là dei concetti e delle ragioni che il mondo sensibile ha costruito nella mente di ognuno. Sul piano dell’amore è volere agire al di là delle considerazioni naturali, alla luce di un paragone tra ciò che si è con ciò che sta al di sopra di noi, ciò che è possibile. Si tratta di andare verso un altro stadio dell’uomo e verso un altro livello di sé, verso un livello a cui la vita non riesce ad elevarlo. Con la fede l’atteggiamento verso la vita gradualmente si modificherà nell’uomo. Egli la vedrà non più come unico fine. Egli non agirà più per amore di quell’uomo che è, ma per l’Uomo Nuovo che lo sovrasta e per la nuova possibilità che è nascosta in lui. Nella parabola il fatto che Simone invitasse Cristo a cenare con lui di per se non significava nulla. Non ci si avvicinava a Cristo cenando con lui. Il fatto che Cristo fosse seduto al desco di Simone, a lui “visibile”, non era certo il mezzo per avvicinarsi a Cristo. Ci si poteva avvicinare a Cristo solo con la fede, non con la sua visione. Poteva essere solo un fatto interiore. La gente immagina che “mettersi in contatto” significhi principalmente essere in contatto visibile, sensibile, e pensa di poter capire tutto ciò che sente, persino le parole di Cristo, semplicemente per il fatto di sentirle pronunciare. Tutto ciò che Cristo rappresentava poteva essere avvicinato solo interiormente, con la fede. Simone è il ritratto di un uomo critico, di un uomo che potrebbe capire qualcosa, ma che teme di farlo, e di conseguenza è scontroso, irritabile. È ovvio che Simone pensasse che era gentile da parte sua chiedere a Cristo di cenare con lui. Si assumeva un certo rischio sociale nel farlo, però non osò neppure accogliere educatamente Cristo o fare gli usuali convenevoli. Simone volle evidenziare e criticare quelle che egli riteneva le manchevolezze di Cristo. Eppure rispose educatamente 136

quando Cristo gli fece una domanda. Simone capiva qualcosa, ma non era in grado di comportarsi giustamente e voleva invece ricercare ad ogni costo la colpa. Eppure Cristo cenò con lui. Ciò significa che questo tipo di uomo non è incapace di comprendere, sebbene il suo modo di valutare sia superficiale: “Egli ha amato poco”. Nei Vangeli vengono frequentemente tratteggiati molti tipi di uomini e donne, in riferimento alle loro attitudini e alle loro possibilità di comprensione. Nei Vangeli, per esempio, sono descritti tre tipi di donne: Maria, Marta e Maria Maddalena (cioè Maria di Magdala). Maria Maddalena può essere stata la donna che “ha molto amato”, fu perdonata e alla quale fu detto che la sua fede l’aveva salvata. Qual è il collegamento tra l’amore e la fede? La conoscenza della fede non può penetrare nella volontà a meno che questa fede non la si ami. Non è solo un cambiamento della mente a congiungere un uomo con ciò che è superiore a lui, ma è anche un cambiamento della volontà, cioè dell’amore, di ciò che si ama. Amare solo se stessi non può portare da nessuna parte. Ci sono molti tipi di amore, come ci sono molti tipi di conoscenza. Ogni tipo di conoscenza ha bisogno del proprio tipo di amore per fruttificare. L’insegnamento di Cristo rappresenta un certo ordine di conoscenza che a sua volta richiede un certo tipo di amore. L’approccio all’insegnamento di Cristo poteva avvenire solo con la fede. Non era possibile avvicinare Cristo in nessun altro modo. Il suo insegnamento non poteva essere considerato allo stesso modo di un insegnamento ordinario. Considerare l’insegnamento di Cristo allo stesso livello del tipo di insegnamento che si può avere a scuola è renderlo inutile. Il suo ordine di conoscenza poteva essere ricevuto solo dal punto di vista della fede. Per questo Cristo è rappresentato costantemente alla ricerca dei segni della fede nella gente, cioè, di quelle qualità di comprensione proprie della fede, che era poi la prima cosa necessaria. Nella gente Cristo cercava una qualità che corrispondesse alla fede, non una mente, un egoismo, ma un livello che potesse ricevere l’insegnamento e capirne il senso. Pochissime persone furono in grado di capire anche solo una cosa di tutto ciò che Cristo insegnava. Esse non riuscirono nè a “sentire” nè a “vedere” il senso. Esse interpretarono tutto a modo loro, secondo i propri interessi, secondo gli schemi che usavano nella loro vita quotidiana. Non 137

riuscirono a distinguere. Queste persone vollero trascinare l’insegnamento di Cristo riguardo alla trasformazione dell’Uomo verso il basso, verso il loro livello di pensiero. Così fece Nicodemo. Di pochi si dice che ebbero la qualità dell’amore necessario per quest’ordine d’insegnamento, pur senza capirlo. La donna ai piedi di Cristo nella casa di Simone ebbe questo genere di amore. Il suo amore seppe distinguere. Con la qualità del suo amore ella poté riconoscere il senso del Cristo e fu quel senso che la mise in contatto con Cristo. È raffigurata nell’atto di toccare i piedi di Cristo. Il suo approccio incominciò in quell’attimo, ma era già fede, e non un approccio fisico. I piedi di Cristo toccavano la terra del suo essere ed ella riconobbe l’essere inferiore e superiore in se stessa. Così il suo approccio con Cristo avvenne nella fede, non nella conoscenza che la fede esige, ma nell’amore che è necessario perché quella conoscenza cresca come un seme. Il fatto che ci fosse qualcosa di raro nella qualità del suo amore è rappresentato non solo dal vasetto di olio profumato, ma dal fatto che ella fu perdonata. Fu cancellato il suo passato, di modo che ella potesse ricominciare daccapo. Nessuno può ricominciare in un altro modo. Qual è la natura di questo livello di sviluppo a cui la fede conduce? Cos’è questa evoluzione, nascosta nell’uomo, di cui i Vangeli parlano continuamente? Per capire qualcosa del suo significato si devono esaminare le parabole che parlano del Regno dei Cieli.

138

CAPITOLO XI IL REGNO DEI CIELI PARTE PRIMA Sebbene nessuno possa capire il livello di vita proprio del Regno dei Cieli, tuttavia un uomo può capire a quale livello di vita egli si trova. Ognuno può vedere la natura o il livello della vita in questo mondo. Ognuno può vedere, con i suoi sensi esteriori, come agisce la gente che è a questo livello di vita; con i suoi sensi interiori può vedere come lui stesso agisce. Vedrà allora come sono la vita e lui stesso a questo livello. Né la vita né lui possono essere diversi a questo livello. Compreso interiormente, l’Universo è una scala di livelli e una cosa è ciò che è secondo la collocazione in questa scala. Nei Vangeli il livello al di sopra dell’uomo è chiamato il Regno dei Cieli o il Regno di Dio. In altri scritti esso ha altri nomi. Nei Vangeli si dice che il Regno dei Cieli è dentro. È a un livello superiore a quello dell’uomo. Per raggiungerlo un uomo deve raggiungere un livello superiore dentro di sé. Se ognuno lo facesse, il livello di vita su questa terra cambierebbe. Tutta la terra farebbe un passo in alto verso l’evoluzione. Questo passo, però, può essere fatto solo dal singolo. Un uomo può raggiungere un livello superiore dentro di sé pur continuando a vivere la vita di questa terra. Ciascuno accede al livello superiore interiormente, ma in modi differenti. È una possibilità, poiché un Uomo è un essere in grado di operare un’ulteriore evoluzione personale, ovvero, come è detto nei Vangeli, una ri-nascita. Non ci si deve aspettare di vedere visibilmente un regno ovvero il Regno dei Cieli. Cristo disse che il Regno dei Cieli non deve essere cercato in un modo esternamente visibile. “Ed essendo richiesto dai farisei quando sarebbe arrivato il Regno di Dio, rispose: Il Regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione e nessuno dirà: Eccolo qui! oppure eccolo è là perché il Regno di Dio è in mezzo a voi” (Le. XVII, 20). Il Regno dei Cieli è uno stato interiore, non un luogo esteriore; è uno stato interiore di sviluppo che un uomo può raggiungere. Non ha nulla a che vedere con il tempo e 139

con lo spazio, con un quando o con un dove, poiché è sempre al di sopra dell’uomo come una possibilità superiore di sé. Tra questi due livelli, “terra” e “cielo”, vi sono molti gradini intermedi. Vi sono gradini in “terra”, il più alto dei quali è inferiore al più basso scalino del “cielo”. Per esempio, Giovanni il Battista, araldo dell’insegnamento di Cristo, non era un uomo comune. Egli aveva ricevuto l’insegnamento. Riuniva intorno, a se discepoli che, sappiamo, praticavano il digiuno. Egli non aveva però ancora raggiunto il livello più basso del regno dei Cieli. Cristo dice espressamente che l’ultimo nel Regno del Cieli era più grande di lui: “Tra i nati di donna non c’è nessuno più grande di Giovanni; però il più piccolo nel Regno di Dio è più grande di lui” (Le. VII, 28). Giovanni il Battista svolse una parte molto difficile nella scena, dove recitava Cristo. Egli doveva predicare l’avvento di Cristo. Egli non conosceva Cristo quando questi venne da lui per sottoporsi al rito formale del Battesimo. Giovanni era riluttante a battezzarlo: “Io ho bisogno di essere battezzato da te, e sei tu a venire da me?”. Cristo gli disse: “Sopportalo ora, poiché in questo modo avviene che noi adempiamo ogni giustizia”. Cristo ricorda a Giovanni di recitare la sua parte. Allora Giovanni battezzò Cristo. Dopo di che Giovanni il Battista disse di Cristo: “Egli deve crescere e io invece diminuire. Colui che viene dall’alto è al di sopra di tutti” ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla della terra. “Colui che viene dal cielo è al di sopra di tutti” (Gv. III, 30-31). Più tardi Giovanni il Battista fu decapitato su richiesta della figlia di Erodiade. La morte di Giovanni fu voluta da Erodiade, il cui matrimonio con Erode, fratello di suo marito, Giovanni aveva condannato da un punto di vista legale. È chiaro che Giovanni il Battista era al corrente di cosa sarebbe successo. Tutto ciò può essere compreso solo alla luce di uno stadio finale che Giovanni poté raggiungere con lo assumersi deliberatamente questa parte difficile che, almeno nel senso fisico, fu dolorosa come quella vissuta da Gesù. È quindi chiaro che Giovanni il Battista fu istruito per svolgere un ruolo ben definito. Egli sapeva che Cristo doveva venire e lo riconobbe per mezzo di un segno non visto da altri. Ed egli parla effettivamente di qualcuno che lo aveva mandato a svolgere la parte che gli spettava. 140

Egli dice: “Non l’ho conosciuto (si riferisce a Cristo quando mise la prima volta gli occhi su di lui) ma colui che mi ha mandato a battezzare con l’acqua, mi disse: Su chiunque vedrai lo Spirito discendere e posarsi su di lui, quello è colui che battezza con lo Spirito Santo: “Chi mandò Giovanni? Non si sa. Cristo si riferisce a Giovanni il Battista come a un uomo nato da donna, cioè senza la ri-nascita insegnata da Cristo. Per questo era ancora della “terra”. Apparteneva al livello chiamato “terra”, al grado più elevato di essa, ma non ancora al grado più basso del Regno dei Cieli. Egli battezzava con acqua, cioè con la Verità, e insegnava a pentirsi, cioè a cambiare mentalità (questo è il senso della parola in greco), con l’annuncio della conoscenza o Verità. L’acqua significava proprio questo. Battesimo significa purificazione. Con la Verità su un livello superiore la mente è purificata dalle illusioni appartenenti ai sensi e all’egoismo. Giovanni il Battista insegnava una conoscenza, una Verità che, se accettata, poteva purificare la mente e portare un uomo a modificare il suo modo di pensare cioè a “pentirsi” ovvero a “cambiare mentalità”. Egli dice espressamente: “Io non sono il Cristo. Io sono stato mandato prima di lui”. Dice di se stesso di non essere ri-nato, di essere ancora al livello terreno e che Cristo è al di sopra di questo livello. Di Cristo egli dice: “Colui che viene dall’alto è al di sopra di tutto”. Di sé egli dice: “Colui che viene dalla terra appartiene alla terra e parla della terra”. E aggiunge, riferendosi ancora a Cristo: “Colui che viene dal cielo è al di sopra di tutti”. In tutto il passo, i due livelli di “terra” e “cielo” Sono tenuti distinti. Ma la distinzione è resa anche più profondamente, Ci sono livelli di “terra” e livelli di “cielo”. Parlando del livello della terra, Cristo dice di Giovanni il Battista: “Tra i nati da donna, nessuno, è più grande di lui”. Piccolezza e grandezza appartengono al livello di Sviluppo sia terreno sia superiore. Ancora più chiarezza è fatta da queste parole di Cristo. Ciò che è il più grande al livello terreno non si trasforma direttamente in ciò che è il più basso al livello del Regno dei Cieli. Per passare dallo stadio più alto di un livello basso, allo stadio più basso di un livello alto occorre una ri-nascita o una trasformazione di un uomo. Cristo insegnò il pentimento, la ri-nascita e il Regno dei cieli. Giovanni il Battista insegnò il pentimento e l’idea del Regno dei Cieli, ma non dice nulla a 141

proposito di una ri-nascita. Egli non era nato “dall’alto”. Le influenze appartenenti a questo livello superiore chiamato il Regno dei Cieli, non l’avevano ancora raggiunto. Non era “nato dallo Spirito”. Lo stato interiore di Giovanni è descritto ulteriormente nell’antico linguaggio delle parabole, dove si parla psicologicamente usando una terminologia fisica e si descrive ciò che egli mangiava: come e con cosa era vestito. Egli mangiava del miele grezzo. Era vestito di pelli e cinto da una cintura di cuoio. Il vestiario di un uomo rappresenta i suoi atteggiamenti, ciò che egli veste in senso psicologico, con quale Verità la sua mente si veste. La cintura raffigura ciò che psicologicamente lo unisce. Il cibo rappresenta le idee di cui si nutre. Giovanni si nutre di miele grezzo e di locuste. Le locuste divorano. Divorano ogni vita che cresce. Si dice qui una cosa molto interessante. Giovanni il Battista ammette di essere della “terra”. Può capire solo secondo il livello terreno e, sebbene avesse ricevuto un insegnamento, vedeva secondo il “livello terreno” o naturale della sua mente. Comprendeva il nuovo alla luce del vecchio. Cristo dice in una parabola, riferendosi direttamente a Giovanni e ai suoi discepoli: “Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per attaccarlo a un vestito vecchio; altrimenti egli strappa il nuovo, e la toppa presa dal nuovo non si adatta al vecchio. E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti. Il vino nuovo bisogna metterlo in otri nuovi. E nessuno che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: Il vecchio è buono!” (Le. V, 36-39). Per ricevere giustamente un nuovo insegnamento, un uomo non può assimilarlo con tutti i pregiudizi, gli atteggiamenti razziali o personali, tutti i punti di vista e le illusioni dei sensi che la vita ha formato in lui. Non può ricevere il vino nuovo dell’insegnamento in vecchie bottiglie. Il livello superiore non può essere ricevuto dall’inferiore, dal livello della terra. Il nuovo insegnamento non può essere semplicemente aggiunto a quello vecchio. Non può essere cucito con quello vecchio. “Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per attaccarlo a un vestito vecchio; altrimenti egli strappa il nuovo”. Prendendo una cosa dal nuovo e aggiungendola al vecchio, non si fa che danneggiare il nuovo. 142

Il vestito nuovo significa il nuovo insegnamento che un uomo deve indossare e portare. Il nuovo deve essere accettato integralmente e non imbastito sui vecchi punti di vista. Altrimenti non solo il nuovo sarà strappato, ma, dice Cristo: “La toppa presa dal nuovo non si adatta al vecchio”. Tutto questo è detto da Cristo con riferimento a Giovanni Battista e al suo livello di comprensione, dopo che i Farisei avevano assunto un atteggiamento sfavorevole verso i discepoli di Cristo in confronto a quelli di Giovanni. I Farisei dicevano che i discepoli di Giovanni digiunavano e facevano suppliche, mentre quelli di Cristo mangiavano e bevevano.

143

PARTE SECONDA Prima di cominciare a studiare le molte parabole usate da Cristo nella sua descrizione del livello superiore di sviluppo, cioè del Regno dei Cieli, esaminiamo la frase: “Il Regno dei Cieli è dentro di voi”, e tentiamo di comprendere la parola dentro. Il “Regno dei Cieli” è lo stato di evoluzione più elevato raggiungibile dall’Uomo. Per raggiungere un nuovo stato di sé un uomo deve cambiare interiormente. Egli deve diventare un Uomo Nuovo. È uno stato interiore. Il “Regno dei Cieli” è interiore. È uno stato che può essere raggiunto da un uomo interiormente, con un cambiamento interiore. Si può raggiungere questo stato senza un cambiamento interiore? Un cambiamento dello stato interiore può avvenire artificialmente, ma questa non è evoluzione interiore. Ciò che un uomo deve osservare in sé, è a cosa egli deve pensare, a cosa egli deve cominciare a dare valore e a tendere, ecc. Queste sono le cose che Cristo ha sempre detto essere i mezzi per un’evoluzione interiore, fino a raggiungere quel livello superiore chiamato il Regno dei Cieli. Il livello superiore è dentro l’uomo. Dire superiore o interiore è la stessa cosa, purché si capisca che uno stato superiore di un uomo esiste potenzialmente dentro di lui, proprio come uno stato interiore. Un uomo può essere migliore di com’è. Questo stato migliore è interiore o superiore nei confronti del suo stato attuale. Il Regno dei Cieli, lo stato più elevato per l’uomo, è quindi interiore in un uomo, cioè dentro 1’uomo così com’è; oppure è a un livello superiore, cioè al di sopra, dell’uomo così com’è. Il concetto è il medesimo. Ora un uomo dei sensi, sensuale, un uomo letterale, un uomo della terra, è un uomo di mentalità esteriore. Qui non c’è il Regno dei Cieli. Come abbiamo visto, Giovanni dice di appartenere alla terra, mentre parla di Cristo come di colui che viene “dall’alto”. Quando Giovanni dice ai suoi discepoli, che Cristo deve crescere mentre lui deve diminuire, prosegue: “Colui che viene dall’alto è al di sopra di tutti: colui che viene dal cielo è al di sopra di tutti” (Gv. III, 31). Altrove Cristo spiega a Nicodemo che un uomo deve nascere “dall’alto”.

144

“Se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il Regno di Dio” (Gv. IlI, 3). “Dall’alto” può essere reso come “interiormente”. Un uomo deve nascere interiormente, all’interno di ciò che egli è. Il Regno dei Cieli è interiore, dentro di voi, ed è anche al di sopra di voi. Al di sopra e dentro sono, da un punto di vista psicologico, la stessa cosa, nei Vangeli cioè l’interiore è il superiore. Insomma: per raggiungere un livello superiore di se stesso un uomo deve andare in una direzione interiore, dentro di sé, e così il superiore è interiore e l’inferiore è esteriore. Un livello inferiore è esteriore e si trova nell’uomo esteriore e un livello superiore è interiore e si trova nell’uomo interiore. Alla luce dell’idea secondo cui il Regno dei Cieli è dentro un uomo, cerchiamo ora di vedere perché Cristo attaccò i Farisei così a fondo e di capire quindi che cosa significa “fariseo” nei confronti della possibilità dell’evoluzione interiore. Per evolversi un uomo deve spostarsi verso l’interno. Deve, innanzitutto, guardarsi dall’esterno e vedere cosa sta facendo. Sappiamo che spostarsi in una direzione interiore vuol dire spostarsi verso un livello superiore. Possiamo anche capire qualcosa del significato della natura di questo spostamento interiore verso il Regno dei Cieli che è dentro di noi, se capiamo che cosa comporta questo itinerario. Che cosa può impedire a un uomo di spostarsi verso l’interno? Molte cose, ma una delle principali è il fariseo che c’è in lui e se si sposta verso l’interno si sente morire. Il fariseo è nell’esteriorità di un uomo e ama il plauso. I farisei capivano solo l’aspetto esteriore della loro religione. Il loro culto assumeva una forma letterale, esteriore e non veniva dal cuore. Il Bene è interno alla Verità, perché è superiore alla Verità. La Verità, se ben capita, conduce verso l’uomo interiore. La Verità, praticata come virtù esteriore, non può fare altrettanto. Cristo diceva spesso ai Farisei che essi non avevano nessuna autoconoscenza, nessuna introspezione, nessuna comprensione interiore. Cristo li rimproverava perché facevano ogni cosa in modo esteriore, per amore delle apparenze e rovinavano volutamente le menti degli uomini. Cristo usa un linguaggio molto forte parlando di questo culto esteriore che non permette a un uomo di entrare nel Regno dei Cieli, lo vincola alle esteriorità, al lato esteriore di sé. Cristo, parlando anche di questo 145

proselitismo che rovina le menti della gente, per tutto ciò che riguarda ogni futuro sviluppo interiore, dice: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il Regno dei Cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi” (Mt. XXIII, 13-15). Noterete che qui Cristo dice direttamente che i Farisei, non solo non entrano, ma impediscono agli altri di entrare nel Regno dei Cieli. Perché chiudono in faccia agli uomini le porte del Regno dei Cieli? Dal momento che il Regno dei Cieli è dentro un uomo e viene avvicinato con una comprensione più profonda e con lo sviluppo della sua mente interiore, il Fariseo che c’è in lui gli chiude la porta del Regno, perché rimane unicamente legato all’obbedienza rituale e letterale, cioè alla mente esteriore. Ai farisei bastava che un uomo si attenesse alla lettera della legge. Essi credevano, per esempio, che fosse vincolante giurare per l’oro del tempio, ma non per il tempio: “Guai a voi, guide cieche, che dite: se si giura per il tempio non vale, ma se si giura per l’oro del tempio si è obbligati. Stolti e ciechi: che cosa è più grande, l’oro o il tempio che rende sacro l’oro?” (Mt. XXIII, 16-17). I Farisei agivano totalmente al contrario. Pensavano che l’Uomo fosse fatto per il sabato e non il sabato per l’Uomo. Il senso spirituale avrebbe dovuto avere un valore di gran lunga superiore di quello letterale. Ecco perché essi, dando esclusivamente valore all’aspetto esteriore delle cose e nessuno a quello interiore, chiudevano davanti agli uomini la porta del Regno dei Cieli: essi non vi entravano né potevano sopportare che altri vi entrassero. La motivazione psicologica è chiara. Un uomo che vive di sensi esteriori e di cose letterali non procede, né può farlo, interiormente dentro di sé con concetti più profondi e infinitamente migliori, cioè verso nuove esperienze di pensiero. Si fissa nella parte più esteriore di sé, legata ai sensi, e allora sente e capisce solo in un modo. Ma il Regno dei Cieli è dentro un uomo; è nelle sue riflessioni, nelle sue nuove comprensioni, nei suoi nuovi pensieri. Il Regno dei Cieli non è su questo livello esterno o più 146

basso dell’Uomo, ma è interno e quindi al di sopra dell’Uomo. Cerchiamo di capire. Cristo attaccò i Farisei perché capivano il contrario di ciò che lui diceva. Nei Vangeli Cristo rappresenta l’uomo più evoluto, più elevato. Il Fariseo rappresenta l’uomo che non può evolversi perché respinge e si oppone a ciò che Cristo è. Il Fariseo vive nell’esteriorità, per il merito; egli ama le apparenze esteriori. Tutto questo significa, psicologicamente, che il fariseo che c’è in un uomo impedisce non solo a lui, ma anche a qualsiasi altra cosa, di entrare nel Regno. Tutto ciò che fate perché sia visto dagli uomini, e per nessun’altra ragione, è fatto dal Fariseo che è in voi: è il vostro uomo esteriore. Per Cristo il “Fariseo” non sono solo le opinioni religiose esteriori e cavillose, ma qualcosa di molto peggiore. Cristo dice molte cose sulla loro vanità, presunzione, giustificazione ma parla molto più aspramente soprattutto del loro peccato d’ipocrisia, che è quello che li condannava. Essi facevano ogni cosa esteriormente, per salvare la forma. Interiormente essi non credevano in nulla, ecco perché era loro preclusa la via a ciò che in loro è interiore: così si autocondannavano. Essi stessi erano la causa della loro perdizione. Era di loro che Cristo parlava quando chiarì che cosa era il peccato contro lo Spirito Santo. Capiamo adesso il caso di Giovanni il Battista, quando si dice che non ha raggiunto neppure il livello più basso del Regno dei cieli? Forse prima non lo capivamo. Anche Giovanni viveva l’aspetto esteriore e letterale della Verità religiosa ma, diversamente dai Farisei, era un uomo genuino e sincero. Egli è l’araldo di buone novelle. Rappresenta uno stadio di un uomo che si sposta verso il regno interiore, ma è ancora al di fuori di esso e lo guarda ancora dal livello della terra. Egli rappresenta un gradino nella comprensione. A questo gradino interiore il “vecchio” e il “nuovo” sono in conflitto. Capiamo che c’è un momento in cui la vecchia comprensione può distruggere quella nuova. Abbiamo già rilevato come le parabole del vino nuovo in otri vecchi e della toppa nuova su un abito vecchio siano state dette da Cristo immediatamente dopo che i Farisei avevano contrapposto i discepoli di Cristo, che essi biasimavano perché non digiunavano, ai discepoli di Giovanni il Battista che digiunavano. Che la comprensione di Giovanni si basasse su cose esteriori e significati letterali è evidenziato dal suo modo di vestire. Cristo lo associa a Elia. Un motivo è che Giovanni ed Elia rappresentavano degli stadi simili di 147

comprensione della Verità della Parola di Dio. Elia era vestito di abiti di crine; Giovanni il Battista indossava crine di cammello e una cintura di pelle. Nel secondo libro dei Re del profeta Elia si dice: “Era un uomo peloso; una cintura di cuoio gli cingeva i fianchi” (II Re I, 8). Giovanni il Battista è descritto come segue: “Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi” (Mt. 111, 4). . Nell’antico linguaggio delle parabole il vestito di un uomo rappresenta il vestito della sua mente. La mente di un uomo è vestita di ciò che egli considera come la Verità, sia essa una semplice opinione sia una credenza più profonda. Così la Verità è un vestito della mente e si accorda con ciò che l’uomo considera la Verità. La Verità è quindi la natura del vestito (habitus). La Verità può essere compresa esteriormente o interiormente. La verità insegnata da Cristo, la Parola di Dio, che riguarda l’evoluzione interiore, può essere compresa nel senso esteriore e letterale oppure nel significato più profondo, interiore. Se questa Parola viene compresa esteriormente, essa viene rappresentata come un vestito fatto di cose esterne. Crine e pelle sono cose esterne. Sono della pelle, di ciò che è più esterno. Le descrizioni dei vestiti di Elia e Giovanni il Battista sono simili e ciò significa, nel significato occulto delle parabole, che essi si trovavano nel medesimo livello nei confronti della loro comprensione della Verità. Era una comprensione esteriore, non interiore. Ciò che la sosteneva, la cintura, era di pelle. La Verità era sostenuta da qualcosa di esteriore non d’interiore. Per esempio, quando le opinioni di un uomo dipendono dal comportamento di qualcun altro, esse sono sostenute con mezzi esterni. Molte persone non crederebbero all’insegnamento di Cristo se si dimostrasse con prove sufficienti, che i dettagli storici sono imprecisi. La loro opinione è sostenuta da qualcosa di esteriore. Essi non vedono ancora il bene della verità che è stata loro insegnata. Giovanni il Battista non comprese il metodo d’insegnamento di Cristo. Cristo insegnava secondo il Bene. Giovanni rimase incerto su di lui. Giovanni, quando era in prigione, mandò a chiedere se Cristo fosse veramente il Cristo: “Sei tu colui che doveva venire o dobbiamo cercarne un altro?”. Se ora paragoniamo ciò che si dice del vestito indossato da Cristo con ciò che si dice del vestito di Giovanni, possiamo vedere che Cristo era vestito di Verità in un modo del tutto diverso da Giovanni. Quando i 148

soldati che avevano crocefisso Cristo si spartirono le sue vesti, è detto che “la tunica era senza cucitura tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo”(Gv. XIX, 23). Si noti che era stata tessuta dalla cima, cioè dall’alto. Abbiamo visto che alto e interiore vogliono dire la stessa cosa. Giovanni era nella Verità esteriore, Cristo in quella interiore. Un uomo, quando è nella sola Verità, quando agisce e giudica ogni cosa secondo la Verità, la dottrina, le regole, il concetto letterale è aspro, spesso senza pietà. Se tutti gli uomini agissero principalmente secondo il Bene, nessuna setta perseguiterebbe un’altra setta che sostenesse un punto di vista differente sulla Verità. È il bene che unifica la Verità in un tutt’uno vivente. È il bene che intesse il ricamo di tutti gli elementi distinti della Verità che hanno condotto a esso, li ammorbidisce e li amalgama in una relazione armoniosa. Giovanni era immerso nella durezza della Verità, di quella Verità che non lo aveva ancora completamente condotto a ciò che è propriamente il culmine di ogni Verità: una percezione nuova del bene, un livello nuovo del Bene. Questa è la ragione per cui Cristo disse che Giovanni il Battista non era vestito di quella morbida veste di coloro che sono nel Regno. Il suo vestito era ispido: crine di cammello e pelle. Cristo, parlando di Giovanni, disse: “Cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re!” (Mt. XI, 8). Giovanni il Battista rappresenta un aspetto della Verità senza la grazia; egli rappresenta la legge. Cristo è l’unione di Verità e Bene. Il Bene è al di sopra della Verità. Ogni Verità deve condurre al Bene. Ma, come abbiamo già visto, la Verità precede e il Bene segue; alla fine la Verità si unisce al suo Bene. Allora il Bene precede e la Verità segue. Quindi, nel Vangelo di Giovanni evangelista (non il Battista) nel primo capitolo si dice: “Giovanni (il Battista) gridò: Egli è quello di cui io dissi “Colui che viene dopo di me mi precede poiché Egli esisteva prima di me”. Il Bene precede la Verità, la legge. Dio è il Bene, quindi precede ogni Verità, ogni legge. E il testo prosegue: “La legge fu data tramite Mosè: ma la grazia e la Verità vengono da Gesù Cristo”. La Grazia (la carità o il Bene) si è unita alla Verità in Gesù Cristo. Cristo era nella pienezza, realizzava la Verità, cioè il Bene. Per questo era pieno di grazia e Verità. Queste parole di Giovanni evangelista sono la 149

chiave di questo Vangelo, che è scritto in modo diverso dai primi tre Vangeli e sa creare un’emozione diversa. Infatti è scritto secondo la grazia, secondo il Bene, della cui percezione emozionale Cristo era simbolo nel mondo. Cristo non era solo la Verità senza la grazia. Tutto il Vangelo giovanneo produce un’impressione diversa dell’insegnamento di Cristo e illumina diversi aspetti della comprensione.

150

PARTE TERZA Il Seminatore Quando si comincia ad afferrare il concetto del Regno dei Cieli, si fa strada nella mente un significato della vita nuovo e stupefacente. La prima parabola di Cristo è quella del Seminatore. Essa riguarda il Regno dei Cieli. Per Cristo il Regno dei Cieli è la parabola per eccellenza e se non lo si capisce non si capiscono le parabole. Tutte le parabole evangeliche riguardano il Regno dei Cieli e la parabola del Seminatore è la prima dell’insegnamento di Cristo riguardo al mistero del Regno. Nel tredicesimo capitolo di Matteo, Cristo inizia a parlare alla moltitudine in parabole. Perché? Perché sta cominciando a parlare del Regno di Dio. I suoi discepoli gli chiedono perché abbia incominciato a usare le parabole. Cristo risponde: “Perché a voi è dato di conoscere il mistero del Regno dei Cieli, ma a loro non è dato. Così a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza, e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. Per questo parlo loro in parabole: perché pur vedendo non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono” (Mt. XIII, 11-13). Qual è il primo mistero che Cristo rivela sul Regno? Nella parabola del Seminatore il primo mistero che Cristo rivela è che l’uomo è seminato sulla terra ed è creato per il Regno dei Cieli. Dire che la parabola del Seminatore e del Seme non è esatta vuol dire che non si è compreso che il Seme è l’Uomo. In realtà non si parla del seme. In Matteo, è detto nella versione greca: “Ecco, il Seminatore uscì a seminare. E mentre seminava, una parte cadde sulla strada” (Mt. XIII, 3-4). La parola seme è aggiunta nelle traduzioni in lingua moderna di modo che si legge: “Ecco, il seminatore uscì a seminare. E mentre seminava, una parte del seme cadde sulla strada”. Che cosa significa? Che cosa seminava il seminatore? Egli seminava gli uomini. Questa è l’idea cardine della parabola. Gli uomini sono seminati sulla terra e creati per il Regno dei Cieli; alcuni lungo il lato della strada, altri su un terreno pietroso, altri ancora tra i rovi e su un terreno buono. Solo questi ultimi possono evolversi interiormente e raggiungere il livello del Regno. È chiaro che si parla di uomini, poiché Cristo quando 151

spiega privatamente la parabola ai suoi discepoli dice: “Tutte le volte che uno ascolta la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore; questo è colui che è seminato lungo la strada” (Mt XIII, 19). Continua parlando di “colui che è stato seminato su terreno pietroso”, di “colui che è stato seminato tra i rovi” e di “colui che è stato seminato su un terreno buono”. Secondo il Regno dei Cieli, allora, l’umanità sulla terra è un esperimento di evoluzione interiore. Dopo aver detto la parabola del Seminatore e la sua interpretazione, Cristo continua a parlare del Regno da un altro punto di vista. Prima ha dato il concetto del Regno come di esseri umani seminati sulla terra. Dopo parla dell’insegnamento che viene seminato su questi esseri umani e che può provocare il loro risveglio e la loro evoluzione. Un’altra parabola espose loro dicendo: “Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma mentre gli uomini dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? Ed egli, rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio” (Mt. XIII, 24-30). Questa parabola si riferisce alla Parola del Regno, cioè all’insegnamento che doveva essere dato sulla terra, che doveva esser ricevuto, capito e seguito, da quella parte dell’umanità in grado di evolversi in un dato momento. Il buon seme è la Parola del Regno. Il campo in cui è seminato è l’umanità sulla terra. Inevitabilmente, però, avviene qualcosa in questo insegnamento ogni qual volta viene seminato sulla terra. Si mescola a errori, a cose che “creano ostacoli”, In greco la parola tradotta con zizzania si riferisce alla pianta che assomiglia al grano quando comincia a crescere e che a prima vista non 152

può essere distinta dal grano. Perché avviene questo miscuglio di vero e falso? La ragione è data nella frase mentre gli uomini dormivano. Questo non significa naturalmente che una certa notte, quando la gente dormiva, venne il nemico e seminò zizzania. L’errore s’insinua inevitabilmente e contamina l’insegnamento originario, lo rende così inestricabile e non può essere separato dalla Verità. La ragione è che gli uomini dormono. Essi non possono rimanere svegli al significato completo dell’insegnamento che viene dato loro. I Vangeli parlano sovente del dormire e del vegliare: Spesso i discepoli sono descritti come addormentati, non in un sonno fisico. E vi sono molti riferimenti alla necessità di essere svegli allo scopo di comprendere la Parola del Regno. Cristo dice spesso “state svegli” che in greco significa “vigilate”, “Vigilate” (state svegli) dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all’improvviso, trovandovi addormentati” (Mc. XIII, 35). Tutto ciò si riferisce a uno stato di consapevolezza o veglia interiore nella propria essenza in un determinato momento critico. Quando un uomo e dominato dal mondo dei sensi, dalla vita apparente, dai fatti, dai doveri e dagli attriti dell’esistenza quotidiana, l’insegnamento riguardante l’evoluzione interiore e un livello superiore dell’Uomo sbiadisce nella sua mente, e l’insegnamento appare remoto e irreale. L’esteriore soffoca l’interiore. Allora egli è addormentato, nel senso evangelico; egli perde di vista o mescola con altri concetti ciò che aveva compreso quando era sveglio interiormente. Si capisce così come tutti gli insegnamenti riguardanti un livello superiore si possano alterare. La parabola della zizzania ci mostra che avviene una contaminazione della giusta comprensione con quella sbagliata, già all’inizio di ogni occasione in cui l’insegnamento del Regno superiore è seminato sul genere Umano. Così com’è, l’uomo non può rimanere sveglio e non è in grado di ricevere e di trasmettere l’insegnamento nella sua purezza originale. Quest’insegnamento si mescola con i suoi pregiudizi personali oppure egli stesso altera qualcosa che sembra così contraddire qualcos’altro o tralascia qualcosa a cui non riesce dare un senso. In questo modo, e in molti altri modi, molti errori e sbagli crescono fianco a fianco di ciò che è genuino e vero. Il grano della parabola è la forma vera, genuina 153

dell’insegnamento e la zizzania rappresenta gli errori che a essa inevitabilmente si mescolano, poiché l’uomo non può rimanere continuamente sveglio a quell’ordine della Verità che deriva da un livello di significato più elevato. Così si dice che mentre gli uomini dormivano venne il suo nemico e seminò zizzania in mezzo al grano. L’insegnamento che l’Uomo deve conoscere e mettere in pratica per conseguire la sua crescita interiore e la sua completezza con la quale egli può raggiungere il livello del significato e della comprensione (il Regno dei Cieli), non può quindi esistere sulla terra nella sua purezza originale, a causa del sonno degli uomini, e si mescola inevitabilmente con la falsità. Ricapitoliamo: l’Uomo è seminato sulla terra come materia prima e deve procedere nello sviluppo per raggiungere il Regno dei Cieli. Ma sorgono certe difficoltà. Non tutti sono seminati in luoghi favorevoli. L’Uomo deve anche avere una certa conoscenza. Anche la conoscenza di come raggiungere questo stato di sviluppo (il Regno) deve essere seminata - non sulla terra in quanto tale, ma sulla terra delle menti degli uomini. Ma sorgono nuove difficoltà. Si insinuano sempre degli errori nell’insegnamento sull’evoluzione interiore e su ciò che un uomo deve credere, pensare e fare per raggiungere un livello superiore della propria natura e comprensione. Questi errori non possono essere separati dalla Verità, senza il pericolo di danneggiare quest’ultima. A questa situazione non si può porre rimedio sulla terra, ma solo alla fine del mondo (ne parleremo in seguito).

154

PARTE QUARTA Abbiamo visto nella Parabola del Seminatore che l’Uomo è seminato sulla terra come materia prima per il Regno dei Cieli. Quindi abbiamo visto nella seconda parabola, quella del grano e della zizzania, che l’insegnamento del Regno è seminato sull’Uomo. Dapprima l’Uomo è seminato sulla terra, poi nell’Uomo sulla terra viene seminato l’insegnamento dell’evoluzione interiore. In riferimento a questa seconda semina, l’Uomo è egli stesso “terra”. L’Uomo stesso è “la terra” su cui viene seminato l’insegnamento di un livello superiore. Cerchiamo di esaminare il più chiaramente possibile questo concetto. Il Cielo semina l’Uomo sulla terra. Quindi l’Uomo è sulla terra, ma non tutti gli uomini si trovano nello stesso stato nei confronti del Regno. L’Uomo sulla terra è anche lui terra - una terra psicologica - come coloro che possono ricevere l’insegnamento seminato sulla terra di cui parla la seconda Parabola del Grano e della Zizzania. Dopo queste due parabole, quella del Seminatore dell’Uomo e quella della Semina dell’insegnamento riguardante la sua evoluzione, ci sono altre due parabole: la parabola dell’Uomo e del Granellino di Senape e la parabola della Donna e del Lievito. Queste due parabole seguono subito dopo quella del Grano e della Zizzania. “Un’altra parabola espose loro: “Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senape, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami”. “Un’altra parabola disse loro: “Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti” (Mt. XIII, 31-33). Cosa vogliono dire queste due parabole? Esse si riferiscono al possesso della Parola del Regno. Prima c’è la parabola della semina dell’Uomo sulla terra e dopo la parabola riguardante la semina o l’insegnamento sulla “terra” dell’Uomo stesso. Non stupisce quindi che seguano delle parabole che spiegano come l’Uomo, essendo “terra”, riceva o possieda l’insegnamento stesso. Si noti innanzitutto a proposito di queste due brevi parabole come in entrambe appaia l’idea del possesso. Possedere che cosa? Possedere 155

l’insegnamento seminato sull’Uomo. Sono parabole che spiegano come l’Uomo possa possedere l’insegnamento seminato in lui. Il possesso è la prima cosa necessaria. L’Uomo prende il seme, cioè deve possedere l’insegnamento del Regno. Prendere implica che egli metta le mani avanti, allo scopo di prendere, e mano nell’antico linguaggio delle parabole è il potere poiché, in senso fisico o letterale, con la mano un uomo è in grado di prendere ciò che vuole. Prendere, quindi, significa che l’uomo pensa e sceglie per sé: così da sé egli possiede l’insegnamento del Regno dei Cieli. Nella prima parabola l’uomo non solo prende, ma semina. Prende e semina il “più piccolo di tutti i semi”. Dove lo semina? Lo prende e lo semina nel suo campo ovvero in ciò che egli stesso è. Abbiamo un lato esterno che non è il nostro vero io e un lato interno che lo è. Luca dice: nel suo giardino. E quando ha fatto tutto questo, quando l’uomo da solo ha preso il suo seme e l’ha seminato nel suo giardino, il seme cresce fino a diventare un albero. In quale direzione cresce il seme? Dal livello della sua mente terrena esso raggiunge il livello della mente superiore, cioè il Regno dei Cieli. Allora l’Uomo comincia a sapere cosa significhi pensare da un livello superiore. I pensieri non gli vengono dalla terra, ma da una sottigliezza, da una pienezza e da una finezza di significato, di gran lunga superiore alla grezza natura del pensiero appartenente alla mente terrena che si fonda sui sensi. Questa è la vera crescita del significato e così è la mente nel suo reale sviluppo con le diverse ramificazioni del significato, proprio come avviene per un albero. Lo sviluppo della mente avviene attraverso la percezione di significati sempre più raffinati. La mente si sviluppa con la consapevolezza di distinzioni sempre più raffinate. Gli uccelli del cielo vengono ad annidarsi fra i rami di questo pensiero in evoluzione. Gli uccelli, nel linguaggio delle parabole, sono i pensieri. Qui gli uccelli sono i concetti più raffinati e i pensieri che sono propri del livello del Regno dei Cieli. Questo livello è paragonabile a una persona con una cattiva vista che, ricevendo occhi nuovi è penetranti, vede ogni cosa più profondamente. *** Cerchiamo ora di trovare il senso della seconda parabola. Notiamo che le immagini sono differenti. Non si parla di Uomo, di seme e di terreno, 156

ma di Donna, di lievito e di farina. Si dice anche che viene preso qualcosa. La donna prende il lievito e lo nasconde. Non lo prende e lo semina … Perché lo nasconde? Altrove Cristo parla del lievito dei Farisei. Egli mette in guardia i suoi discepoli da questo lievito e dice: “Guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei”. I discepoli non capiscono e pensano che parli del lievito in senso stretto. Egli li rimprovera perché prendono le sue parole alla lettera e pensano che egli parli del pane. “Allora essi compresero che egli non aveva detto che si guardassero dal lievito del pane, ma dalla dottrina dei farisei e dei sadducei” (Mt. XVI, 12). Perché questo lievito era cattivo? Forse che i Farisei nascondevano qualcosa? Al contrario: la religione per loro era tutta ostentazione e disprezzo. Era fatta “per essere vista dagli uomini”. Era tutta esteriorità, virtù e rispettabilità. Cristo chiamò tutto questo, adulterio, l’unione del vero con il falso. La donna nascondeva l’insegnamento del Regno nel suo cuore e agiva in segreto. Non aveva bisogno del pubblico. Ella vide il bene di questo insegnamento e ne fu totalmente coinvolta. Nel significato interiore, il numero tre significa la totalità. Nella parabola si dice che la donna nascose il lievito in tre misure di farina perché fermentasse tutta. Tre e tutta sono la stessa cosa. Se una persona agisce secondo la volontà, tutto ne viene influenzato. La donna nascose il lievito perché possedendolo, aveva mostrato di considerarlo veramente prezioso. Non si parla di ciò che è molto prezioso, ma di certo non si è trattato per lei di una crescita intellettuale. Piuttosto esso aveva agito su di lei con la sua valutazione emozionale, il suo sentimento, e quindi in modo nascosto. Il Regno dei Cieli agiva su di lei perché ella ne capiva il significato e attribuiva ad esso un valore tale da nasconderlo. La donna lo accolse nel suo cuore come un bene. L’azione del cuore è nascosta. Il Regno agiva sulla sua volontà, non sulla sua mente. Nell’altra parabola il Regno agiva sulla mente dell’uomo. Era il bene dell’insegnamento che ella possedeva, non la verità, come quell’uomo. Questi due modi di ricevere l’insegnamento del “Regno dei Cieli” sono esemplificati nelle due Parabole del Seme di Senape e del Lievito, cioè dell’uomo che l’aveva ricevuto nella mente come Verità e della donna che l’aveva ricevuto nel cuore come Bene. A prescindere da Uomo e Donna questi sono due modi per ricevere l’insegnamento del Regno dei 157

Cieli: uno è principalmente con il pensiero e l’altro con il sentimento. È in questo modo che si può dare un significato al possesso di queste due parabole, alla luce delle altre due che precedono. Si può comprendere che queste quattro parabole formano un quadro completo dell’idea del “Regno dei Cieli” nei confronti dell’Uomo sulla terra. Vediamo ora come Cristo interpreta la Parabola del Grano e della Zizzania. L’interpretazione viene dopo la parabola della Donna e del Lievito. In essa Cristo non fa alcun riferimento al sonno dell’uomo durante il quale vengono seminati errori, zizzania. Cristo ha già detto ai suoi discepoli perché insegna alla moltitudine con parabole e non apertamente, La Parabola del grano e della zizzania viene interpretata da Cristo in questo modo: “Colui che semina il seme buono è il Figlio dell’Uomo. Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del Regno; la zizzania sono i figli del maligno, e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’Uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi intenda” (ML XIII, 37-43). La spiegazione del significato di zizzania è chiara. In primo luogo sono gli errori, le cose che causano scandalo nei confronti dell’insegnamento del Regno o del livello superiore dello sviluppo dell’Uomo; e, in secondo luogo, causano scandalo tutti coloro che agiscono seguendo l’insegnamento in modo sbagliato. La zizzania è il seme del male. Essa rappresenta sia l’insegnamento sbagliato sia le conseguenze negative, che da esso derivano (a causa del sonno dell’Uomo). La stessa cosa vale per il seme del Regno, ovvero il grano, che è sia il giusto insegnamento che le conseguenze che da esso derivano a coloro che sono piantati su un buon terreno. La frase “fine del mondo” significa “consumazione dei tempi”. Non si tratta della distruzione fisica della terra. Finora, nel tentativo di comprendere qualcosa del Regno dei Cieli e del suo insegnamento, abbiamo visto che gli uomini sono seminati sulla terra in modo differente; che essi formano la materia prima del Regno; 158

che il vero insegnamento riguardante il Regno e come raggiungerlo che è a sua volta seminato sulla mente degli uomini - si mescola con opinioni false, proprio a causa del sonno dell’uomo. È una mescolanza così inestricabile che non si può fare nessuna separazione fino alla “fine del mondo”, cioè fino alla “consumazione dei tempi”. Che cosa significa tempo? È un periodo temporale caratterizzato da un particolare insegnamento riguardante l’evoluzione interiore o il livello del Regno dei Cieli. Quando esso finisce, allora viene seminata una nuova forma dello stesso insegnamento, secondo le condizioni del momento. Appare una nuova messe, ma sempre mescolata con la zizzania. Si fa una nuova mietitura e una nuova separazione e il processo si ripete ancora. Ogni forma d’insegnamento che riguarda il Regno, dall’inizio fino al suo culmine, è un tempo, un’epoca. Ogni azione dell’insegnamento è un’azione selettiva. Coloro che, in una determinata epoca, hanno ricevuto l’insegnamento riguardante l’evoluzione interiore e l’hanno seguito trenta, sessanta o cento volte, sono la messe e hanno la vita “eterna” al livello del Regno dei Cieli. Al proposito dobbiamo ricordarci delle parole di Cristo: “Nella casa del Padre mio vi sono molti posti” (Gv. XIV, 2).

159

PARTE QUINTA L’IDEA DELLA SELEZIONE L’insegnamento sul Regno dei Cieli e il suo rapporto con l’umanità sulla terra è descritto nel tredicesimo capitolo di Matteo a cui fanno seguito altre tre parabole dopo le quattro parabole che abbiamo esaminato. Queste tre parabole si riferiscono al concetto della selezione. Eccone una: “Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti” (Mt. XIII, 47-50). Esaminiamo questa parabola in rapporto con quei pensieri che sorgono nella mente riguardo all’iniquità ovvero all’ingiustizia. Tutto ciò che si dice riguardo al livello superiore del Regno, già dalla prima parabola, sembra ingiusto. È chiaro che il Regno dei Cieli non è raggiungibile da chiunque in un particolare ciclo di tempo. È altrettanto chiaro da altre parabole sul Regno, come quella del banchetto nuziale a cui quelli che furono invitati non vennero, che tra coloro che possono raggiungerlo ben pochi ci provano. Consideriamo la parabola della Rete e la separazione del buono e del cattivo. Qui c’è un chiaro concetto di selezione. I buoni sono posti in canestri e i cattivi buttati via. Lo stesso concetto di separazione del buono e del cattivo appare nella parabola della Zizzania. L’idea di selezione è ingiusta? È un’ingiustizia? Non è forse vero che nella vita ordinaria la selezione ha un ruolo più importante? Forse che le persone non vengono scelte per i loro particolari incarichi? La gente accetta il concetto di selezione sostenendo esami, ecc. e non considera ingiusto se alcuni passano ed altri no. Essi accettano perfino il concetto teorico di selezione naturale con la sopravvivenza dei più forti e tutto ciò non lo considerano ingiusto. Una cosa mangia l’altra: le erbacce combattono con le piante. Né ci si aspetta di certo che tutti i 160

semi che si seminano nella terra crescano. Se non crescono non pensate certo che tutto ciò sia ingiusto. Dove c’è vita c’è lotta. La gente ha possibilità diverse. In ogni forma di società umana opera la selezione. Alcuni sono capaci di fare una cosa, altri, un’altra. In ogni campo dell’abilità umana, qualcuno sarà migliore e qualcuno peggiore e si devono selezionare i migliori. Tutta l’educazione umana è basata sul principio della selezione dei migliori. Una scuola d’ingegneria non sceglie gli studenti peggiori e non li manda per il mondo considerandoli ottimi ingegneri. Se facesse così, essa farebbe non solo una cosa insensata, ma assolutamente ingiusta. Quando una cosa non è al suo posto, è una cosa ingiusta. In breve, non si può separare il concetto di giustizia da quello di selezione. Le altre due parabole trattano anch’esse della selezione, ma si riferiscono alla selezione interiore. Esse usano il concetto di compravendita. Comprare significa, su questo livello individuale, prendere, e vendere significa liberarsi. “Il Regno dei Cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il Regno dei Cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra” (Mt. XIII, 44-46). Queste due parabole si riferiscono al singolo. Parlano di ciò che ogni singolo uomo deve fare internamente, in se stesso, per raggiungere il livello del Regno dei Cieli. Egli deve diventare un buon mercante, sapere cosa comprare e cosa vendere. Ora, in particolare, di che cosa si deve liberare un uomo, che cosa deve vendere prima di poter comprare? Luca (XVIII, 22) riferisce che quando il principe ricco (la parola greca drkhon significa principe e non “notabile”) chiese a Cristo che cosa dovesse fare per ottenere la vita eterna, cioè per raggiungere il Regno dei Cieli ovvero il livello di un Uomo completamente sviluppato, Cristo gli disse: “Vendi tutto quello che hai”. E in un altro passo dello stesso Vangelo (Le. XII, 33) Cristo dice: “Vendete ciò che avete”. Cosa si deve vendere? Di che cosa ci si deve liberare? Con quest’ultima frase Cristo dice ai suoi discepoli che essi devono liberarsi 161

di una cosa: dell’ansietà. Cristo li avverte che essi non possono far nulla se si affannano (in greco: “Se hanno una mente divisa”). “Chi di voi, per quanto si affanni, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? Se dunque non avete potere neanche per la più piccola cosa, perché vi affannate del resto? ... Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta” (le cose per cui vi affannate) (Le. XII, 25-26, 31). Vediamo che un uomo deve vendere una cosa per comprare la perla o il tesoro. Egli deve vendere, liberarsi, di certi suoi atteggiamenti; vendendo questi suoi atteggiamenti, egli può guadagnare abbastanza per comprare ciò che ha veramente valore. Queste due parabole esprimono proprio quest’idea, ma l’idea può non essere chiara se non si comprende che per evolversi fino al livello del Regno dei Cieli un uomo deve prima di tutto liberarsi di certe cose che sono in lui. Egli deve venderle, cioè liberarsene definitivamente. Solo così egli può ospitare ciò che è nuovo; solo così egli può avere i mezzi per comprare, cioè per andare nel profondo del proprio io, liberandosi delle idee sbagliate, dei modi sbagliati di pensare e di sentire, degli affanni inutili, ecc. Un uomo, se vende tutto ciò, è in grado di comprare ciò che ha veramente valore. Egli non compra nulla di nuovo se prima non vende; vendendo egli ha il “denaro” per comprare. Nelle due parabole citate (Mt XIII, 44-46) il mercante e l’uomo che trova il tesoro vendono tutto ciò che hanno e comprano ciò che per loro ha veramente valore.

162

PARTE SESTA L’ultima parabola delle sette, che riguardano il significato del Regno dei Cieli e che sono riportate nel tredicesimo capitolo di Matteo, è quella della rete gettata nel mare e che aveva raccolto di tutto. Ma a riva i buoni furono divisi dai cattivi. Cristo chiede ai suoi discepoli se hanno capito ciò che è stato loro insegnato in queste sette parabole riguardanti il Regno dei Cieli e la sua connessione con l’Uomo sulla terra. Sorprendentemente i discepoli rispondono di sì. Ecco i fatti: dopo aver terminato la sua interpretazione della rete gettata in mare, Cristo dice ai suoi discepoli: “Avete capito tutto?”. Ed essi: “Sì”. La risposta è straordinaria. In che modo potevano comprendere tutto? Come fa un uomo a capire tutti i misteri del Regno dei Cieli, quando è già così difficile afferrare anche uno solo dei loro significati? Era particolarmente difficile per i discepoli capire il Regno in qualsiasi altro senso che non fosse quello da tanto atteso sulla terra. Essi cercavano un grande re che avrebbe governato su tutta la terra ed esaltato la loro nazione con un potere supremo, distruggendo tutte le altre nazioni. Questo era il sogno ebraico sul Messia promesso. Come potevano capire che il Regno dei Cieli era fondato sulla Verità e sulla giustizia interiore? Come potevano comprendere che il Regno si raggiungeva con un cambiamento interiore, con lo sviluppo dello spirito interiore di un uomo e che un uomo doveva formarsi per entrare in esso, in questa vita e nella futura, con un’evoluzione dell’intero uomo psichico, cioè, con un’evoluzione di tutta la sua mente, del suo amore, della sua volontà e della sua comprensione? È da questi cambiamenti interiori che è nato l’uomo del regno. Cristo insegnò questo. Ecco perché disse che un uomo deve essere ri-generato internamente prima di vedere il Regno. I discepoli pensavano che fosse un regno terreno quello di cui Cristo parlava, e che essi, come razza, fossero già “uomini del regno”. Essi pensavano che Cristo diventasse un grande e temibile re sulla terra e che presto l’avrebbe dimostrato. Come poterono quindi capire il significato delle prime sette parabole di Cristo che riguardavano i misteri del Regno? Come poteva il Regno soddisfare le loro ambizioni terrene? Eppure, alla domanda di Cristo se avessero capito tutto, essi risposero: “Sì”. Cristo 163

non li credette. Si noti cosa dice Cristo, dopo l’affermazione dei discepoli: “Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie” (Mt. XIII, 52). Con queste parole Cristo dimostra che essi non capiscono. È proprio per il loro sì che Cristo dice: “Per questo ogni scriba ... “. Essi hanno sentito parlare per la prima volta del Regno dei Cieli nel suo significato vero e spirituale ed essi pensano di capire, proprio come si pensa di poter capire una cosa che ci viene detta una volta. In effetti ciò che essi avevano appena udito sul regno era nuovo per loro. Il Regno non aveva nulla a che fare con le loro ambizioni terrene. Questo Regno, come viene loro insegnato da Cristo in queste sette parabole, era completamente nuovo per loro. Come potevano comprenderlo tutto? Era su un altro livello di significato. Non era un regno letterale, esterno, terreno, mondano. Il Regno dei Cieli era dentro di loro. Era sopra di loro, non nelle nuvole, ma al di sopra di loro come un gradino nella loro possibile evoluzione individuale, Potevano essi capire ciò? Come potevano capire subito, che il mistero del Regno è nella propria evoluzione interiore? Eppure risposero “Sì”, lo è: “Capiamo”. Così Cristo disse “per questo” - cioè proprio per la risposta che avete dato senza aver capito - “Per questo ogni scriba diventato discepolo del regno dei cieli è simile a un uomo che è un padrone di casa, che estrae dal suo tesoro (dai suoi magazzini) cose nuove e cose vecchie”. Si noti che i discepoli del Regno - cioè coloro che stanno imparando a capirlo - sono qui chiamati padroni di casa. In effetti tutti coloro che vengono istruiti sui misteri del Regno sono padroni di casa, sono, psicologicamente, padroni di casa. Sì, lo sono, ma mescolano insieme il NUOVO e il vecchio. Essi non capiscono totalmente l’insegnamento nuovo, ma lo mescolano con i vecchi punti di vista, con atteggiamenti e pensieri che le loro menti già hanno. La parola tradotta con “tesoro” significa alla lettera magazzini. Essi tirano fuori il nuovo e vecchio dai loro magazzini, Possiamo vedere un nesso con quelle parabole riguardanti il vino NUOVO in otri vecchi e la toppa nuova su un vestito vecchio. In queste parabole Cristo mostrò chiaramente che il nuovo non si poteva mescolare al vecchio. 164

“Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per attaccarlo a un vestito vecchio; altrimenti egli strappa il nuovo, e la toppa presa dal nuovo non si adatta al vecchio. E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spacca gli otri; si versa fuori e gli otri vanno perduti. Il vino nuovo bisogna metterlo in otri nuovi. E nessuno che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: Il vecchio è buono!” (Le. V, 36-39). Se un uomo mescola il nuovo al vecchio, il nuovo perde il suo potere su di lui. Le vecchie opinioni, i vecchi valori, le vecchie valutazioni e i vecchi punti di vista basati sulla vita quotidiana, sulla tradizione, sulle apparenze, sulla mente fuorviata, distruggono il nuovo insegnamento. Esso è forte perché è nuovo e perde il suo potere in presenza del vecchio orientamento. Per questa ragione è aggiunto, alla fine del tredicesimo capitolo di Matteo, il fatto notevole di come Cristo (che è il nuovo) non avesse alcun potere tra i suoi concittadini, i quali lo vedevano nell’ottica delle loro vecchie associazioni d’idee. Questo fatto si può capire solo alla luce delle valutazioni di Cristo verso i suoi discepoli. Questa è la ragione per cui esso viene introdotto a questo punto della narrazione. Coloro tra i quali era nato, vedevano Cristo collegato al vecchio mondo, come il figlio del falegname. Il racconto, dopo le osservazioni fatte ai discepoli sul padrone di casa che mescolava il nuovo e il vecchio, prosegue così: “Terminate queste parabole, Gesù partì di là e venuto nella sua patria insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: “Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?” E si scandalizzavano per causa sua. Ma Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua”. E non fece molti miracoli a causa della loro incredulità (ML XIII, 53-58). È chiaro che quando Cristo e tutto ciò che egli rappresentava (il “nuovo”) s’incontra con il “vecchio”, la forza del nuovo perdeva il suo potere. Si capisce che questo passo è una raffigurazione di ciò che Cristo aveva detto ai suoi discepoli: il vecchio non può ricevere il nuovo. Cristo stesso non poté manifestare il suo potere in mezzo ai suoi concittadini, tra i suoi. 165

Abbiamo adesso un orientamento sul tredicesimo capitolo di Matteo che ha un significato unitario. Infine la risposta “Sì” dei discepoli, che credevano di aver capito, dimostra che essi invece fraintesero e che una volta che il seme del Regno dei Cieli è seminato sull’Uomo si modifica, si falsifica, se si mescola con vecchi punti di vista e vecchi modi di pensare. “Così la zizzania è seminata con il grano”.

166

CAPITOLO XII GIUDA ISCARIOTA Nei Vangeli uno degli episodi più singolari è il tradimento di Cristo da parte di Giuda Iscariota. Così come avviene, è quasi inspiegabile. Cristo insegnava apertamente. Qualunque autorità, ebraica o romana, che volesse arrestarlo, poteva facilmente sapere dove Cristo si trovava. Più si studia questo episodio e i fatti a esso connessi più sembra ovvio che il tradimento rappresenta qualcosa, che di là dal fatto, c’è un significato interiore. In altre parole Cristo fu tradito da Giuda in un senso non materiale. È chiaro che Giuda rappresentava una sottovalutazione totale, un fraintendimento e, per ultimo, un tradimento dell’insegnamento di Cristo. Rivolto ai suoi discepoli Cristo dice: “Non ho forse scelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi è il diavolo!” (Gv. VI, 70). Si riferisce a Giuda Iscariota. Eppure è stato Cristo a scegliere Giuda. Giuda fallì con Cristo e così Simon Pietro, ma il fallimento di Simon Pietro è del tutto diverso da quello di Giuda Iscariota. Ma tutt’e due rappresentano qualcosa. Pietro rinnegò Cristo tre volte, cioè in definitiva completamente; eppure Cristo lo indica come simbolo della Chiesa. Giuda non rappresenta quella Chiesa che ha agito e combattuto per secoli nel mondo contro la violenza e la bestialità dell’Uomo sulla terra permettendo alla cultura di esistere. Il significato interiore dell’insegnamento sul Regno dei Cieli alla fine si perderà gradualmente in forme e rituali esteriori, in dispute sulle parole e in cose di questo genere. Cristo, che è il significato più puro e interiore dell’insegnamento stesso, sarà gradualmente rinnegato nel corso del tempo. A ogni insegnamento del livello superiore di evoluzione dell’uomo ne succede uno nuovo. L’insegnamento ritorna. Cristo parla della sua seconda venuta e chiede: “Ma il Figlio dell’Uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Le. XVIII, 8). Le tre volte che Pietro rinnega Cristo e il fallimento finale della fede sulla terra alla fine dei tempi, previsti nel passo appena citato, sono collegati. Ma c’è una cosa che non rientra in uno stadio finale del tempo. Questa cosa è “l’epoca” nella sua totalità, cioè la vita totale di una cosa, il giorno intero e non solo l’ultima ora di tenebre, gli ultimi 167

istanti. La Chiesa era stata fondata. Essa cresceva e vinceva il male. Pietro non rifiuta Cristo, ma lo rinnega, una, due, tre volte (cioè totalmente) di notte, alla fine del giorno, o meglio prima di un altro “giorno”, quando il gallo canta. Giuda Iscariota non rinnegò Cristo, ma lo rifiutò globalmente: Giuda pensa che Cristo sia un uomo comune ma innocente. Sappiamo che quando si “pentì” disse che Cristo era innocente. Ecco il passo di Matteo: “Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d’argento ai sommi sacerdoti e agli anziani dicendo: “Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente”. Ma quelli dissero: “Che ci riguarda? Veditela tu!”. Ed egli, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi” (Mt. XXVII, 3-5). Si dice in questo passo che Giuda “si pente”. Il suo pentimento non ha nulla a che fare con la parola greca metanoia, il cambiamento di mentalità, il pentimento, che Cristo aveva insegnato. Qui viene usata una parola greca che significa semplicemente “sentirsi responsabile”. Ma Giuda pensava veramente di aver peccato solo perché aveva tradito il “sangue innocente”, oppure sapeva veramente chi era Cristo? E se lo sapeva, perché lo tradì? C’era un motivo? Forse uno dei discepoli doveva rappresentare il ripudio di Cristo da parte dei Giudei, recitare questa parte difficile, come a suo tempo Giovanni Battista dovette recitare la difficile parte di araldo? Abbiamo visto che Giovanni Battista era informato, sapeva. Diceva: “Chi mi ha inviato, mi aveva detto: l’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo” (Gv. I, 33). C’è qualche indizio che Giuda fosse informato, sapesse? Sì, ci sono due brani che indicano che Giuda sapeva di Cristo. In Matteo (XXVI, 50) Giuda aveva baciato Cristo facendolo arrestare. Gesù gli disse: “Amico, per questo sei qui!”. In Giovanni le parole che Gesù rivolge a Giuda nell’Ultima Cena sono un ordine. I discepoli avevano chiesto a Cristo chi di loro lo avrebbe tradito. “Rispose allora Gesù: È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò. E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui, Gesù quindi gli disse: “Quello che devi fare fallo al più presto”. Nessuno dei 168

commensali capì perché gli aveva detto questo; alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: “Compra quello che ci occorre per la festa”, oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Preso il boccone, egli uscì subito. Ed era notte” (Gv. XIII, 26-30). Che cos’era questo boccone e che cosa conteneva, per dire espressamente: “Dopo quel boccone, satana entrò in lui?”. Forse conteneva qualche sostanza che permetteva a Giuda di eseguire quello che gli era stato ordinato di fare e che altrimenti non avrebbe potuto fare. Infatti, Gesù dice chiaramente che egli deve agire, ora. Egli dice: “Quello che devi fare fallo al più presto”. E il racconto sottolinea ancora l’importanza di questo boccone perché aggiunge: “Preso il boccone, egli uscì subito. Ed era notte”. Non dice che il boccone era un segnale per Giuda. Indica piuttosto che dopo il boccone, Giuda aveva il potere di fare il male; era cambiato. Poco dopo, nella conversazione con Pilato, Gesù dice che Pilato, se non fosse stato per Giuda, non avrebbe potuto avere alcun potere: “Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande” (Gv. XIX, 11). Giuda fu costretto ad agire così o agì inconsapevolmente, perché era fatto così? Oppure agì consapevolmente, recitando volutamente una parte? Di una cosa possiamo essere sicuramente certi: Giuda adempiva la Scrittura e, in questo senso, recitava una parte. Spesso nei Vangeli si dice che si facevano talune cose per adempiere le Scritture. Cristo dice ai suoi discepoli: “Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi”(Le. XXIV,44). Nei Vangeli è chiaro che Cristo agì consapevolmente e scelse i suoi discepoli, anche Giuda, secondo le parti che essi avrebbero dovuto recitare nel grande dramma che era stato previsto e preparato in ogni particolare. Il primo personaggio di questo dramma era Giovanni Battista che aveva già recitato la sua parte. Cristo disse ai suoi discepoli che egli doveva essere crocifisso. Giovanni dice che quando Andrea e Filippo gli vennero a dire che alcuni Greci erano venuti a parlargli, egli accetta il fatto come un segno che era giunta l’ora. “È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’Uomo” (Gv. XII, 23). 169

Porta i discepoli in un luogo appartato e li informa che egli dovrà morire. Egli non cerca di evitare il suo destino, ma dice: “È per questo che sono giunto a quest’ora”. Viene evidenziato il fatto che le Scritture devono compiersi in ogni dettaglio. Quando i soldati vengono per arrestare Gesù, egli rimprovera Pietro per aver tentato di fermarli e dice: “Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire? Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti” (Mt. XXVI, 53-54, 56). In questo dramma recitato consapevolmente e con un finale già previsto, Giuda Iscariota doveva recitare la parte più difficile. Vediamo come egli adempì le Scritture. Dopo aver gettato a terra nel tempio i trenta denari d’argento ed essere andato a impiccarsi, Matteo dice: “Ma i sommi sacerdoti raccolto quel denaro, dissero: “Non è lecito metterlo nel tesoro, perché è prezzo di sangue”. E, tenuto consiglio, comprarono con esso il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu denominato “Campo di sangue” fino al giorno d’oggi. Allora si adempì quanto era stato detto dal profeta Geremia: “E presero trenta denari d’argento, il prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano mercanteggiato, e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore” (Mt. XXVII, 6-10). È chiaro, quindi, che Giuda agì adempiendo le Scritture, cioè recitò la sua parte. Ma lo fece consapevolmente o no? Esaminiamo quella parte dell’Antico Testamento che egli doveva adempiere. Non è in Geremia, ma in Zaccaria. Il profeta descrive come il Signore insegni a nutrire un gregge cioè, in questo caso, il popolo ebraico. A questo scopo egli prende due bastoni, cioè insegna loro con due simboli del potere (il bastone rappresenta il potere); un bastone è la Bellezza e la Benevolenza, l’altro è il Vincolo o l’Unione. Questi bastoni sono il bene dell’insegnamento e la Verità che ne deriva. Egli dice: “Presi due bastoni: uno lo chiamai Benevolenza e l’altro Unione, condussi al pascolo le pecore. Nel volgere d’un sol mese eliminai tre 170

pastori. Ma io mi irritai contro di esse, perché anch’esse si erano tediate di me. Perciò io dissi: “Non sarò più il vostro pastore. Chi vuol morire muoia; chi vuol perire, perisca; quelle che rimangono si divorino pure fra di loro!” (Tutto ciò significa che l’insegnamento non fu accolto e morire è la conseguenza della perdita del bene). “Presi il bastone chiamato Benevolenza e lo spezzai: ruppi così l’alleanza da me stabilita con tutti i popoli. Lo ruppi in quel medesimo giorno; i mercanti di pecore che mi osservavano, riconobbero che quello era l’ordine del Signore. Poi dissi loro: “Se vi pare giusto, datemi la mia paga; se no, lasciate stare”. Essi allora pesarono trenta sicli d’argento come mia paga. (Il che significa che valutarono molto poco il suo insegnamento). “Ma il Signore mi disse: “Getta nel tesoro questa bella somma, con cui sono stato da loro valutato!”. Io presi i trenta sicli d’argento e li gettai nel tesoro della casa del Signore. Poi feci a pezzi il secondo bastone chiamato Unione per rompere così la fratellanza fra Giuda e Israele” (Zc. XI, 7-14). La connessione tra questo brano e la tragedia di Giuda è chiara: il profeta e Cristo sono valutati trenta monete d’argento. Il fatto che tutto ciò si riferisce all’insegnamento è chiaramente evidenziato nei versi precedenti. La frase “Il Signore disse: getta nel tesoro questa bella somma, con cui sono stato valutato” ha un senso sarcastico cioè “quel meraviglioso prezzo con cui sono stato valutato”. Giuda doveva fare tutte queste cose e simboleggiare, con il denaro, che quella valutazione di Cristo e del suo insegnamento era la medesima valutazione fatta da coloro che avevano ricevuto un insegnamento simile da parte del profeta Zaccaria. Se Giuda Iscariota fu un uomo malvagio, perché i discepoli non dicono nulla contro di lui? Egli era stato scelto da Cristo, ed era stato con lui tre anni, cioè per tutto il periodo dell’insegnamento di Cristo. Il numero tre non ha propriamente un significato storico, perché il tre ha sempre significato la pienezza. Nessuno dei primi tre evangelisti dice qualcosa contro Giuda. Quando Cristo, nell’Ultima Cena, dice ai suoi discepoli che uno di loro lo avrebbe tradito, nessuno sospetta di Giuda. Nel Vangelo di Marco si dice che, uno dopo l’altro, i discepoli chiesero a Cristo: “Sono forse io?”. Nel Vangelo di Giovanni si dice che “I discepoli si guardavano l’un l’altro senza sapere di chi parlava”. Anche 171

quando Giuda uscì nella notte, dopo aver mangiato il boccone e aver ascoltato l’ordine di Cristo, si evidenzia molto bene che “nessuno di quelli che stavano a tavola sapeva per quale motivo egli (Cristo) avesse parlato a lui in quel modo” (Gv. XIII, 28). Anche Giovanni evangelista non fa alcun commento.

172

APPENDICE MOLTI I CHIAMATI, POCHI GLI ELETTI L’uomo senza la veste nuziale raggiunge il Regno dei Cieli. Sì, egli sale, ma non dovrebbe. Come sale? Con una furba simulazione. La parabola si trova in Matteo: “Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze. Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade, e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l’abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz’abito? Ed egli ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti” (ML XXII, 2-14). Chi erano gli ospiti? Si noti che quegli ospiti furono trovati ai crocicchi delle strade. Uno di loro non ha la veste nuziale. Un uomo raggiunge una certa comprensione. Fino ad un certo punto egli comprende. Ha intenzione di seguire ciò che comprende? Egli giunge al crocicchio delle strade. Egli ha assimilato intellettualmente ciò che gli è stato insegnato, perché per raggiungere il “crocicchio delle strade”, egli deve pur aver ricevuto qualche insegnamento. Egli può aver predicato e influenzato migliaia di persone con la sua retorica. Ma credeva interiormente a ciò che insegnava esteriormente? Quest’uomo, senza la veste nuziale, non ha alcuna intenzione di credere in ciò che ha detto. 173

Senza dubbio egli appare buono, gentile, sofferente, caritatevole. Egli usa le parole giuste. Inganna chiunque. È in grado di scimmiottare qualsiasi virtù, ma interiormente non crede a nulla. È solo un attore. Quando entra nella forte luce di coloro, che sono molto più coscienti di lui, allora egli cessa di ingannare. La sua mancanza di orientamento è evidente. Interiormente egli è nudo. La veste nuziale è il desiderio dell’unione. Sposarsi significa unirsi con ciò che sta al di là di voi, non in voi. L’unione è possibile solo con l’uomo interiore che c’è in voi. Quest’uomo è egoismo, ostentazione, reputazione. Egli fa tutto per l’io. Non ama nessuno se non se stesso e quindi è senza spirito. L’io è il suo vertice. Ma egli recita bene; è un attore - upokrités - un ipocrita. Esteriormente sembra credere a ciò che dice. Interiormente egli non crede a nulla. È dentro che egli non ha alcun abito nuziale. Non vuole che il suo essere si sposi con ciò che egli insegna. Di fronte a coloro la cui visione è in grado di penetrare la simulazione esteriore, egli chiaramente non ha nessuna veste nuziale. Egli non desidera unirsi con ciò che insegna. Perché? Perché non c’è nessuna bontà in lui. Anche se ciò che egli insegna è la verità, egli non la sposerà.

FINE

174

View more...

Comments

Copyright ©2017 KUPDF Inc.
SUPPORT KUPDF