MIMESIS: La rappresentazione del realismo nella letteratura occidentale, Erich Auerbach
April 13, 2017 | Author: sonam | Category: N/A
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MIMESIS: La rappresentazione del realismo nella letteratura occidentale, Erich Auerbach Auerbach, Erich Filologo e storico della cultura (Berlino 1892 - New Haven, Connecticut, 1957). Dopo avere insegnato in universita` tedesche, dalle persecuzioni naziste fu costretto a emigrare prima in Turchia, infine negli USA. La sua opera più famosa è Mimesis (1946), nella quale propone un’interpretazione delle tendenze realistiche nelle letterature europee fondata sull’analisi stilistico-linguistica dei testi. Mimesis, scritta durante la seconda guerra mondiale quando l’autore si trovava ad Istanbul, senza avere a disposizione biblioteche e testi critici, e` uscita per la prima volta nel 1946 e eventualmente tradotta e pubblicata in italiano nel 1956. Nei suoi venti capitoli prende in esame testi fondamentali della letteratura europea dal punto di vista dell’interpretazione della realtà`: Dall’antichità biblica e classica fino al Medioevo, al Rinascimento e, attraverso Dante e Montaigne, Shakespeare e Cervantes, il realismo francese del XIX secolo, arriva fino ad autori moderni come Woolf, Proust, Joyce e Mann, giungendo a una storia del realismo attraverso una metodologia stilistica. Nel saggio ’Romanticismo e realismo’, pubblicato da Auerbach nel 1933 e ora tradotto sul numero 56 di ’Allegoria’, si capisce che lo spunto iniziale di Mimesis era offerto dalle radici romantiche (e non positiviste) del realismo. In particolare si distinguono epoche in cui viene rigidamente osservata una distinzione di stili e di contenuti, ed epoche in cui si vede una libera mescolanza. Ogni capitolo si apre con un brano in lingua originale (tranne il primo capitolo in cui i brani sono parafrasati), e dal commento al brano scelto si traggono le considerazioni sull’autore e l’epoca che rappresenta. Dice Auerbach stesso nella conclusione (pag. 342 del vol. II) che il metodo adottato da lui di presentare un certo numero di testi per ogni epoca, introduce immediatamente l'argomento principale al lettore e di che cosa si tratta ancor prima di imporci una teoria di analisi. La parte che ci riguarda immediatamente comprende i primi due capitoli: Il primo capitolo, La cicatrice d'Ulisse, commenta il passo del XIX dell'Odissea in cui Euriclea riconosce il padrone lavandogli i piedi. Il passo è messo a confronto con il racconto biblico del sacrificio d'Isacco. Dal paragone fra i due diversi stili emerge la differenza nella concezione dei personaggi, la loro consistenza d'uomini, la loro collocazione in una storia. Il secondo capitolo, Fortunata, prende spunto dal Satyricon, di cui è riporta una parte delle conversazioni alla tavola di Trimalcione; un passo degli Annali (I, 16) e l'episodio della negazione di Pietro nel Vangelo di Marco sono messi a confronto.
Nell’antichità, come visto in tutte nell’opera di Omero e Petronio, la separazione degli stili è molto forte, per il quale la realtà “bassa” è trattata comicamente e la realtà “alta” è trattata tragicamente: in ciò sta il limite del realismo antico. Gli individui possono o adattarsi alla società o isolarsene, ma l’ambiente sebbene rappresentata in modo vivace, resta sempre uno sfondo immutabile nel quale si svolge una vicenda. Ciò è dovuto al fatto che per la letteratura antica la società non esiste come problema storico ma moralistico dell’individuo. Questo dipende dal fatto che all’autore antico non interessano la storicità delle circostanze e la rappresentazione delle forze storiche, ma solamente l’immutabilità della sorte e della società stessa. La scelta del brano della rinnegazione di san Pietro dal vangelo di Marco dimostra come qui non si attui la separazione degli stili, per cui una situazione estremamente realistica e personaggi tutti di bassa condizione sociale siano trattati in modo problematico e addirittura tragico. La mescolanza degli stili nei vangeli è resa ancora più forte dall’incarnazione del divino in un’umanità umile e dalla diffusione di questi testi nei tempi posteriori. La miscela da spazio a una nuova concezione del tragico in cui le figure tragiche oscillano tra debolezza e forza rendendola inconciliabile con lo stile illustre della letteratura antica. Più avanti, nel settimo capitolo, il Mystère d’Adam che è una delle opere più antiche in lingua volgare e che racconta il peccato originale, riprende la particolarità associata agli scritti sacri; La particolare grandezza della Scrittura Sacra sta nel fatto che ha creato un genere del tutto nuovo, dello stile sublime che non esclude, ma comprende l’umile cosicché` si realizza un immediato congiungimento del più basso con più alto. La diversità stilistica, inoltre, fra gli scritti antichi e i primi scritti cristiani poggia sul fatto che sono stati scritti da punti di vista diversi e per altri uomini. Nei testi evangelici, come nei testi antichi, non c’è una visione razionalmente ordinata dall’alto né si ha intenzione d’arte: essi sono rivolti a tutti e in particolare ai pagani, per cui l’uso dell’interpretazione simbolica dei testi sacri permette a ognuno di ascendere dal più semplice al divino; cosi l’evento cristiano in se si carica di diversi punti di vista e di eventuali significati. Il realismo antico, invece, non è mai così problematico, ma è sempre sicuro della propria esistenza sensibile, per cui non c’è mai uno scontro fra fenomeno sensibile e significazione, che invece è propria della realtà cristiana. Auerbach ponendo la questione sui limiti del realismo antico che non sa rappresentare la realtà quotidiana né problematicamente né storicamente, afferma che il limite riguarda di più la coscienza storica che il realismo stesso; il moralismo e la tradizione retorica sono aspetti distintivi della storiografia antica che portano l’effetto drammatico che le era richiesto senza conciliarsi con la concezione delle forze dinamiche sociali e storiche.
L'idea fondamentale, quindi, è che la letteratura cristiana, trattando anche il quotidiano in modo sublime (a partire dalla vita e dalla passione di Cristo), ha spezzato la distinzione classica fra gli stili. E` solo all’inizio del secolo XIII appare in Italia una figura che personifica in modo esemplare la fusione di sublimitas e humilitas, l’unione estatica, solenne con Dio, e la realtà concreta universale, senza che sia più possibile separare l’azione e l’espressione, il contenuto e la forma: San Francesco d’Assisi. Il realismo grossolano del tardo Medioevo si riallaccia alla vita e all’azione dei francescani; il loro influsso in questo senso si può rintracciare fino nel pieno Rinascimento. D’altra parte il vigore espressivo francescano ha portato a una rappresentazione ancora più immediata e calda di fatti umani; manifestata nella poesia popolare religiosa che nel secolo XIII sotto l’influsso del movimento francescano e di altri movimenti popolari-estatici, dà forma drammatica viva e umana particolarmente alla scena della Passione: l’opera più celebre è quella di Jacopone da Todi pur appartenendo all’ordine francescano, non ha quasi più nulla dell’affascinante, chiara freschezza del Mystère d’Adamo; ma è più calda, più immediata e più tragica. Sarebbe un po’ troppo dire che la liberta d’espressione dell’italiano è dovuta a San Francesco ma ha evocato per primo le forze drammatiche del sentimento italiano e della lingua italiana.
L’uso della mescolanza degli stili introdotta dalla retorica cristiana, vede lo sviluppo del realismo popolare visto nelle opere religiose del XII secolo che avvia la sfioritura di uno stile medio nel secolo successivo. Questo secolo lo sviluppo del realismo con le opere più celebri di Dante e Boccaccio, La Divina Commedia e Il Decameron assume un altro valore a distanza dello stile antico e quello biblico: la rappresentazione variopinta della realtà che` è né comica né tragica. Nell’ottavo capitolo, siamo nel canto decimo dell’Inferno di Dante, dove camminando per uno stretto sentiero tra gli avelli ardenti e scoperchiati insieme con Virgilio incontra il padre del suo amico di gioventù`, Guido Cavalcanti e la Farinata degli Uberti, capo dei Ghibellini di Firenze. La scena descritta è solenne e piena di locuzioni interruttrici derivanti dallo stile illustre dell’antichità` e ispirata ai modelli medievali di volgare ma mai usate prima come le impiegava in un modo esatto, originario e proprio suo. Il modello dello stile illustre era fornito a Dante dagli antichi però il concetto che Dante ha del sublime, si distingue da quello dei suoi antichi modelli
soprattutto nella forma linguistica che offre nella Commedia. I personaggi, inoltre offrono una miscela di sublime e d’infimo: vengono rappresentati realisticamente e senza ritegni nella loro cerchia di vita umile. Le cose che non potevano assumere nessun valore sublime nel senso antico, lo diventano con lui per la prima volta attraverso il modo in cui le ordina e le da` forma e quindi contrapponendo le due tradizioni. A tal riferimento afferma Auerbach: “In nessun altro autore la mescolanza degli stili talmente si avvicina alla violazione di ogni stile.” Dante, inoltre, dichiara che la sua opera è di stile umile ed evita di chiamare il suo poema sublime nel senso antico; il mezzo espressivo non è l’italiano illustre ma il linguaggio comune e quotidiano del popolo: “La Commedia è, fra l’altro, un poema enciclopedico didascalico, in cui è presentato nel suo insieme tutto l’ordine universale fisico-cosmologico, etico e storico-politico; essa è inoltre un’opera d’arte imitatrice della realtà, in cui si affacciano tutte le possibili regioni del reale: passato e presente, sublime grandezza e spregevole bassezza, storia e leggenda, tragedia e commedia, uomini e paesi; ed è finalmente la storia dell’evoluzione e della salvezza d’un uomo singolo, di Dante, e come tale una figurazione della salvezza dell’umanità.” Andando avanti, si vede nel nono capitolo, il racconto di una delle novelle di Decameron (IV, 2) in cui Boccaccio usa delle forme stilistiche dell’origine antica pur rimanendo nel tono narrativo mediante la brevità delle frasi. Tale modo di raccontare non si è mai visto nell’arte narrativa anteriore come si verifica nell’opera di Boccaccio: uno stile estramemente raffinato e controllato per creare l’effetto che vuole creare per far divertire la classe sociale alla quale era indirizzata l’opera. Racconta la realtà in maniera leggera per farla diventare piacevole e divertente: descrive in maniera concreta tutti gli strati della società, le professioni e le condizioni del tempo. La distanza fra l’arte del fablel e quella del Boccaccio si rivela nello stile, i personaggi, il luogo e la condizione sociale: tutto è colto con molta precisione e ampiezza. Con la concezione della realtà nelle sue varie sfumature fa un passo avanti enorme implicando che la narrazione dei fatti realmente avvenuti può essere una fonte di divertimento di persone colte che “godono del giuoco dei sensi e possiedono spirito delicato, gusto e giudizio raffinati” e alla quale piaceva una visione variopinta della realtà`. Allo stesso momento, dice Auerbach, è anche vero che senza la Commedia di Dante, il Decameron non poteva esser scritto perché’ è il ricco mondo dantesco che è trasportato a un livello stilistico più basso: è Dante che ha posato lo sguardo sull’universale e molteplice realtà umana raggiungendo un’efficacia maggiore di quella raggiunta dal Boccaccio nella sua opera. Nel libro di Boccaccio non c’è la traccia della visione figurale-cristiana che riempiva la rappresentazione dantesca del mondo terreno e umano. I
personaggi del Boccaccio vivono sulla terra e si vede solamente il mondo terreno perché’ l’opera, più che altro era mirata al divertimento delle “nobilissime donne”. Nel secondo volume del testo passiamo al cinquecento con un passo dal secondo romanzo popolare della seria Gargantua e Pantagruel scritto da Rabelais: l’opera racconta le avventure di due giganti, il padre Gargantua e suo figlio Pantagruel. Nel romanzo di Rabelais la realtà quotidiana è inserita nella fantasia più inverosimile, lo scherzo più grossolano è infarcito d’erudizione, e conclusioni filosofico-morali scaturiscono da parole e storie oscene. Lo stile cambia di volta in volta ma quello dominante è certamente lo stile comico-grottesco e basso con la mescolanza con un contenuto satirico o didattico, una cultura oscura del folklore e l’introduzione delle figure allegoriche: tutto quello che si poteva trovare nel tardo Medioevo ma mai in un modo che produce una mescolanza del genere. Mentre Rabelais può essere certamente chiamato popolaresco, per le opere erano destinato alle persone colte appartenenti a un ceto intellettuale eletto, e non il popolo: mentre le prediche erano fatte per esser subito pronunciate, gli scritti di Rabelais erano invece fatti per la stampa, dunque per la lettura, che in quell’epoca era accessibile a una minoranza. Rabelais dipinge, a modo suo, un mondo di possibilità nella bocca del gigante Pantagruel, il paese del quale si chiama Utopia, e invita i suoi lettori e ascoltatori a scoprire per se stessi quella fantastica ancora misteriosa ma non più inaccessibile “altra metà”: è questo il motivo del tutto nuovo, quello della scoperta d’un nuovo mondo, del mutamento dell’idea di mondo e uno dei grandi temi del Rinascimento e dei due secoli successivi. La rivalutazione boccacciana degli istinti si ritrova in Rabelais il cui realismo assume tuttavia un significato rivoluzionario rispetto a quello medievale, risolvendosi nel trionfo vitalistico dell'essere umano e delle sue funzioni e, viceversa, in una totale assenza della paura metafisica della morte. La disponibilità rabelaisiana a osare ogni esperienza reale diviene in Montaigne volontà d'introspezione della propria vita: e per la prima volta, nella letteratura occidentale, la vita qualunque di un uomo diventa problematica in senso moderno. Nel capitolo successivo si passa al passo del III libro degli Essais di Montaigne in cui parla dell’oggetto dei suoi saggi e del suo intento di rappresentare se stesso. Con lo studio della sua vita integrale d’uomo qualunque mira all’indagine della condizione umana stessa e con ciò rivela il principio euristico di cui ci serviamo quando ci sforziamo di comprendere e di giudicare le azioni di altri, sia di quelli che ci stanno vicino sia quelli politicamente e storicamente lontani. Secondo Auerbach Il contenuto anche
se è la “condition humaine” con tutti i suoi oneri, i suoi problemi, i suoi abissi, e con tutta la sua fondamentale incertezza, con tutti i vincoli creaturali, lo stile realistico è quasi della commedia antica, al sermo pedestre o humilis e senza dubbio non poteva esser pensabile senza la precedente rappresentazione cristiana e medievale: il legame così concreto fra lo spirito e il corpo è imparentato con la concezione cristiana dell’uomo benché` manchi la cornice in cui era nato. La mescolanza degli stili pur essendo connessa alla concezione cristiana è completamente il frutto della concezione Montaignesca della realtà`: “Nell’opera di Montaigne non è possibile imbattersi nel tragico; egli lo respinge da se`, è troppo negato al patetico, troppo ironico, troppo amante dei suoi comodi, se si può prendere questo termine in un senso dignitoso; egli vede se stesso troppo tranquillo nonostante ogni penetrante esame della propria instabilità`. Più consapevolmente aristocratico di Montaigne, Shakespeare introduce nel suo teatro personaggi di alto linguaggio (a eccezione di Shylock), presentando il popolo solo nello stile umile e non prendendo sul serio la realtà quotidiana e comune: il tragico shakespeariano non è dunque completamente realistico. E` realistica è la mescolanza del tragico con il comico e, realistica è soprattutto la concezione, antitetica a quella dantesca, secondo cui già nel mondo terreno i personaggi tragici consumano il loro destino, attori di un dramma il cui vero significato sfugge alla comprensione umana. Al livello stilistico, non c’è una netta separazione degli stili e la poetica di Shakespeare era il modello di tutti quei movimenti che si sono ribellati alla severa distinzione impiegata durante il classicismo. Il teatro elisabettiano, in confronto al teatro antico, anche se non si interessa a indagare la problematica dei rapporti sociali, è molto più consapevole della prospettiva storica e delle problematiche storiche. Questo si deve alle grandi scoperte nel secolo XVI che hanno allargato l’orizzonte geografico culturale e con ciò l’idea di possibili forme di vita umana. Le tragedie di Shakespeare, inoltre, offrono una concezione ampia e variegata del destino umano in confronto alle tragedie antiche; questo stile è radicato nella tradizione popolare, più precisamente nel dramma universale della storia di Cristo. Se la follia dell'Amleto shakespeariano è radicale e inguaribile, la pazzia del Don Chisciotte di Cervantes è solo uno smarrimento, derivante dallo scontro fra l'illusione e la realtà quotidiana: un tema tipicamente ariostesco (anche se Ariosto si colloca a metà strada tra idealismo e realismo) e scritto con un unico stile nel chiave comico - popolare. In Cervantes non c’è una critica all’epoca (se non quella sui romanzi cavallereschi) in cui è scritta, ma se ne vede solo una sua riflessione. La problematica` quotidiana è abbastanza chiara e i personaggi ai tutti i livelli sociali ci trovano spazio però allo stesso
livello manca la problematica sociale; la tragedia del uomo pazzo che vede la realtà a due livelli non si trasforma in una problematica che indaga sulle forze dinamiche sociali a diversi livelli. Al contrario la realtà è presentata come un gioco, dove c’è la possibilità di permeare i pensieri dei personaggi ma senza lasciarci la possibilità di giudicare a tutto quello che assistiamo. Moliere, dall’altra parte, concepisce la realtà non attraverso “tipi”, ma attraverso individui concreti, escludendo però una reale rappresentazione della vita del popolo. Il mondo di Moliere e' mondo stabilito di corte. Non c’è traccia di una rappresentazione della vita degli strati popolari e nemmeno l’accenno alla situazione politica, alla critica sociale o economica o alla ricerca dei fondamenti politici sociali economici della vita. La sua critica dei costumi è semplicemente moralistica; preferisce consentire al grottesco l’accesso al medio livello stilistico che consentirlo al realismo serio e problematico della vita politico-economica. Il suo realismo, nella misura in cui ha un lato serio e problematico, si limita alla psicologia moralistica. Solo al principio del sec. XVIII il tono serio e quello realistico comincia a riavvicinarsi; sparisce la tragica grandezza degli eroi, esaltata dal teatro di Corneille e di Racine (Soltanto con la prospettiva del tempo si spiega che nel secolo XVII l’arte di Racine fosse sentita non solamente come magistrale e affascinante ma anche ragionevole, sensata, naturale e verosimile; che inoltre le situazioni sentimentali e i conflitti in cui sono involti i personaggi di Racine sono d’una semplicità esemplare e universalmente valida.) e, in un'atmosfera sensibile non più al sublime, ma al grazioso e al sentimentale, fioriscono i generi letterari di livello medio come il romanzo in versi, mentre fra tragedia e commedia s'inserisce la commedia lacrimosa. Nell’illuminismo si afferma il romanzo filosofico che spiana la strada, in Germania, al romanzo borghese sentimentale e alla “tragedia borghese” di Schiller; l’insufficienza del realismo è innanzi tutto nello stesso genere della tragedia borghese; quale si era formato nel secolo XVIII. Questo genere era legato all’elemento personale, domestico, commovente e sentimentale, cui non poteva rinunciare, ma che si opponeva per il tono e per il livello stilistico a un allargamento dell’ambiente sociale e a un’inclusione dei problemi generali politici sociali. Un realismo energico e una problematica del tempo concepita tragicamente non s’incontrano mai. Ciò è tanto più notevole o, se si vuole, paradossale, in quanto era proprio lo spirito tedesco della seconda metà del secolo XVIII a creare i fondamenti estetici del realismo moderno, con ciò intendendo quello che negli ultimi tempi era indicato con il nome di storicismo. Si sviluppa pienamente in Germania durante la seconda metà del secolo XVIII. A dir vero si erano anche prima e altrove delle correnti che hanno preparato lo storicismo e hanno agitato sulla sua formazione; ma questa formazione
avviene in Germania nel periodo goethiano. Nell'opera di Goethe (a parte il Wilhelm Meister che è un'opera di affascinante realismo) la realtà della vita sociale non è rappresentata dinamicamente e come nocciolo di situazioni future e in divenire. Le sue osservazioni della realtà sono basate sui giudizi più che sulla sfiducia e sulla ripulsa. Lo spezzamento e la limitazione della realtà restano le stesse anche nei suoi contemporanei più giovani e nelle generazioni successive; fino alla fine del secolo XIX le opere più importanti che tentano di trattare in modo serio gli argomenti della società contemporanea, rimangono in una ristretta cerchia locale; non danno un’immagine solamente ferma e quieta dell’economia, dei problemi sociali e della politica. Mentre Goethe tiene la realtà a rispettosa distanza, l'“egotista” Stendhal, è lo scrittore nella cui opera la moderna consapevolezza della realtà prende finalmente forma precisa dopo la scossa della Rivoluzione francese. In nessun romanzo precedente, e anzi in nessun’opera letteraria, fosse anche di quelle con espresso contenuto di satira politica, le condizioni politiche e sociali del tempo sono conteste con l’azione in modo così preciso e reale; costruire e sviluppare la tragica esistenza d’un uomo d’umile stato, come Julien Sorel (il protagonista del capolavoro Stendhaliano, Le Rouge et le Noir (1830)), traendone e sviluppandone le conseguenze e le ragioni fondamentali dalla più concreta storia del tempo, costituisce un fenomeno del tutto nuovo e d’enorme importanza. Appunto per le esperienze della sua vita, l’interesse di Stendhal non si rivolgeva alla struttura d’una società possibile, bensì ai mutamenti di quella in concreto esistente. Ha sempre davanti la prospettiva del tempo, il suo pensiero è dominato di continuo dalla rappresentazione di forme mutevoli di vita e di costume. Stendhal è il fondatore di quel moderno realismo serio che non può rappresentare l’uomo se non incluso entro una realtà politica e sociale ed economica continuamente evolventesi, come accade oggi in un qualunque romanzo o film. Gli avvenimenti che si svolgono in Francia appunto fra il 1789 e il 1815, e le loro ripercussioni nei decenni seguenti, hanno portato come conseguenza che fosse proprio la Francia a dar vita, per prima e con più forza, al moderno realismo contemporaneo. Accanto a Stendhal, il creatore del realismo moderno è Balzac, che non si limita a collocare i personaggi, come fa Stendhal, nella loro cornice storicosociale, ma intende il legame con la storia come una necessità, tramutando lo spazio in un'atmosfera di cui sono impregnati il carattere e i corpi stessi dei personaggi, come anche le case e i mobili e il paesaggio. Tale realismo atmosferico di Balzac è un prodotto della sua epoca; è esso stesso parte e prodotto di un’atmosfera. Quella stessa forma dello spirito - la forma romantica - che per prima aveva così acuto il senso dell’atmosfera e dello
stile delle epoche passate - ha prodotto anche la comprensione organica per la caratteristica atmosferica dell’epoca propria in tutte le sue molteplici forme. Infatti, molto più difficile è descrivere con una certa esattezza il sentimento da cui è dominato il particolare modo di rappresentazione di Balzac. In Balzac il quotidiano è lo spazio-tempo in cui si concentra e si incarna la totalità della vita. La fantasia romantica serve a descrivere ciò che esiste. Stendhal e Balzac usano un’immaginazione che non esclude niente di quanto concretamente accade. Fondano nella fisicità la vita interiore e inventano un nuovo tipo di eroe tragico, aldilà della separazione classicista fra sublime e comico. La realtà quotidiana è la sola autentica e viene perciò “presa sul serio”. Secondo Auerbach, l’irruzione nel realismo del serio “esistenziale” e tragico, quale abbiamo constatata in Stendhal e in Balzac, sta senza dubbio in legame strettissimo col movimento della mescolanza degli stili proclamato con la parola d’ordine “Shakespeare contro Racine”, e che la forma Stendhalbalzachiana, la mescolanza del serio e della realtà quotidiana, sia assai più decisiva, genuina e importante che non quella del gruppo di Victor Hugo, che congiunge il sublime col grottesco. Un brusco contraccolpo si verifica con Flaubert, il cui realismo vuole essere impersonale e obiettivo: a differenza di Stendhal e Balzac, Flaubert non esprime mai la sua opinione sui fatti e sulle persone. Flaubert è riuscito a portare a maturazione linguistica il materiale offerto a lui e lo da la sua piena espressione soggettiva. Se questo modo di rappresentare viene confrontato con quello di Stendhal e di Balzac, si verificano anche qui le due fondamentali caratteristiche del realismo moderno: la presa sul serio dei fatti reali quotidiani d’uno stato sociale mediocre e il calare dei fatti in una determinata epoca storica contemporanea. E` qui che consiste la concordanza fra i tre scrittori, Stendhal, Balzac e Flaubert. Allo stesso tempo, la posizione di Flaubert è completamente diversa davanti al proprio oggetto: riesce a entrare nei pensieri e i loro fatti in maniera invisibile. I personaggi non sono esemplari come in Stendhal e Balzac, invece sono dei personaggi qualsiasi. Lo scrittore scompare nell’opera e la sua opinione sui fatti e sulle persone non si è mai espressa; i fatti parlano da soli. Ogni oggetto nella sua essenza contiene, davanti all’occhio di Dio, tanto il serio quanto il comico, tanto la dignità quanto la bassezza, e qualora venga riprodotto con giustezza e precisione, si raggiunge anche con giustezza e precisione il livello stilistico che gli s’addice: tutto deve nascere dalla rappresentazione dell’oggetto. Questo stile letterario potrebbe essere chiamato “serietà obiettiva” che cerca di penetrare fino in fondo alle passioni e ai grovigli dell’esistenza umana, senza però generare o per lo meno senza tradire questa eccitazione.
La lezione flaubertiana, inoltre, circola ampiamente nel naturalismo francese, dai Fratelli Goncourt a Zola: scrittori di diverso spessore artistico, ma accomunati dall'attrazione per una spietata analisi della miseria umana. La distinzione tra gli stili viene abolita e l’occhio che interpreta la realtà è totalmente imparziale. La rappresentazione della realtà è nuda e piatta e un prodotto della noia. Per i Goncourt si tratta dell’attrazione estetica per il brutto e il patologico. Con ciò non si vuole per niente negare il valore dell’ardito esperimento intrapreso dai Goncourt, quando hanno scritto e pubblicato Germinie Lacerteux; il loro esempio ha contribuito a ispirare e a incoraggiare altri, che non sono rimasti ingabbiati nell’estetica pura. Secondo Auerbach, si può affermare che anche Zola ha sentito e sfruttato la suggestione del brutto e del repellente; gli si può rimproverare pure che la fantasia un po’ grossolana e violenta l’abbia condotto a esagerazioni, a semplificazioni brutali, a una psicologia troppo materialista. Ma tutto questo non è però decisivo. Zola ha preso sul serio l’idea dello stile mescolato, ha superato il realismo puramente estetico della generazione precedente, è uno dei pochissimi scrittori del secolo che abbiano tratto la loro opera dai grandi problemi del tempo. In tal senso è comparabile solo a Balzac, che però scriveva in un tempo in cui ancora non erano avvenute o non erano conoscibili molte di quelle cose che Zola è riuscito a conoscere. Se Zola ha esagerato nella direzione sulla quale le cose già si erano messe, e se aveva una preferenza per il brutto, ne ha fatto l’uso più proficuo. Lo stile al quale possiamo attribuire il romanzo di Zola, Germinal (1888), è senza dubbio lo stile della grande tragedia storica, una mescolanza di umile e di sublime in cui a cagione del contenuto, il secondo prevale ed è l’unico il cui nome si imponga quando si parla della sua generazione a proposito di realismo serio. Accanto a Zola è da collocare Giovanni Verga che scopre la realtà, fino ad allora inesplorata in letteratura, del Meridione italiano. Nella comprensione della realtà contemporanea la letteratura francese del secolo XIX è molto più innanzi di tutti gli altri paesi europei. Anche negli altri paesi dell’Europa occidentale e meridionale il realismo non raggiunge nella seconda metà del secolo la forza autonoma e lo sviluppo conseguente di quello francese, e nemmeno inglese, quantunque fra i romanzieri inglesi si trovino realisti di molto valore. Più lento e tranquillo, senza aspre fratture, è lo sviluppo del realismo inglese a cui si aggiungono le varianti americane fino al cosiddetto “naturalismo americano”. La più lucida coscienza della crisi borghese trova la sua
espressione in Germania, nell'opera di Thomas Mann. Circa in quest’epoca, vale a dire fin dal 1880, si rivelano al pubblico europeo con opere realistiche i paesi scandinavi (il teatro di Ibsen) e soprattutto la Russia. Un contributo essenziale al realismo, accanto a quello francese, è venuto dalla letteratura russa: Gogol, Cechov e soprattutto Tolstoj e Dostoevskij. Occorre però dire che il realismo russo, fondato sopra l'idea patriarcale della dignità di ogni uomo, a qualsiasi condizione sociale appartenga, si ricollega più all'antico realismo cristiano che a quel moderno europeo: ed è noto che nei grandi romanzi russi è quasi inesistente la borghesia illuminata che sta alla base del realismo moderno in Europa. D'altra parte l'influsso di Tolstoj e ancor più di Dostoevskij è stato molto vasto nella letteratura realistica europea, percorsa dal presagio dell'imminente catastrofe. Il romanzo realista novecentesco del periodo fra le due guerre, infine, è caratterizzato dal molteplice riflettersi della crisi nella coscienza: dalla tecnica dei fatti apparentemente insignificanti nell'opera di Virginia Woolf allo specchio della storia irlandese ed europea nella giornata esteriormente banale del protagonista dell’Ulysses di Joyce; dalla ricerca della realtà perduta di Proust al dramma della “nausea” quotidiana in Sartre o dell'indifferenza e della noia in Moravia; dall'angoscia dell'identità della persona in Pirandello alla frattura tra le forme dell'esistenza comune e il mondo della coscienza in Svevo. La tecnica particolare di Virginia Woolf, come risulta dal nostro testo, To The Lighthouse, consiste in ciò, che la realtà esteriore obiettiva, rappresentata direttamente dall’autore, e che appare come un fatto sicuro, non è che un movente, anche se non del tutto occasionale; importante è solo quello che è provocato, che non è visto direttamente, ma di riflesso, e che non è legato al filo dell’azione esteriore. Una tecnica che viene seguita con coerenza nell’opera di Marcel Proust, la quale consiste nel ritrovare nel ricordo la realtà perduta, il quale ricordo è provocato da un fatto insignificante e apparentemente casuale. L’intento di avvicinarsi a una vera realtà obiettiva con l’aiuto di molte impressioni soggettive avute da molte persone (e in momenti diversi), è una caratteristica essenziale del procedimento moderno qui trattato, che si distingue così radicalmente dal soggettivismo unipersonale. In tutte queste caratteristiche del romanzo realista del periodo fra le due grandi guerre (rappresentazione pluripersonale della coscienza, stratificazione dei tempi, scioglimento dei rapporti nell’azione esteriore, cambio del punto d’osservazione) collegate fra di loro e difficilmente separabili, si manifestano, a nostro avviso, certe aspirazioni, tendenze e necessità, tanto degli autori quanto del pubblico.
In questi anni, in un’Europa priva di equilibrio, la tecnica per dissolvere la realtà, che passando per il prisma della coscienza si frange in aspetto e significati molteplici, era usata da molti scrittori. Non è difficile capire perché questa tecnica sia sorta proprio nel periodo in cui regnava la confusione e lo sbandamento. In tutte quelle opere si assiste a un’atmosfera di fine del mondo, soprattutto nell’Ulysses con il suo simbolismo che sfugge a ogni interpretazione, perché` anche l’analisi più esatta riesce solamente a cogliere il molteplice intreccio dei motivi ma non l’intento e il significato dell’opera. Auerbach, nel suo testo, ha affrontato il concetto del realismo, un tema vastissimo per definizione, in modo singulare: usando come pretesto la poca disponibilità di letture della biblioteca di Istanbul e ha tracciato una storia generale della rappresentazione realistica considerando solo una ventina di testi di base nella storia della letteratura. Allo stesso tempo, ci offre un ottimo punto di partenza nel suo capolavora della critica letteraria in cui si può cogliere all'opera l'acutezza di uno studioso che si rivela anche scrittore impegnato sugli autori piú famosi e sulle opere principali della civiltà europea.
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