Milionari in 2 Anni e 7 Mesi - Alfio Bardolla Lorenzo Ait
April 2, 2017 | Author: Antonello Pira | Category: N/A
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ALFIO BARDOLLA LORENZO AIT
MILIONARI IN 2 ANNI E 7 MESI
Sperling & Kupfer
MILIONARI IN 2 ANNI E 7 MESI Proprietà Letteraria Riservata © 2010 Sperling & Kupfer Editori S.p.A.
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I LIBRI DI ALFIO BARDOLLA I SOLDI FANNO LA FELICITÀ L’ARTE DELLA RICCHEZZA
I LIBRI DI LORENZO AIT IDIOZIE GENIALI
Indice
Introduzione Primo Pilastro Ambiente Secondo Pilastro Abitudini Terzo Pilastro Quarto Pilastro Strumenti Quinto Pilastro Spiritualità Conclusioni Ringraziamenti Bibliografia Per proseguire il viaggio Gli autori
Attenzione! Questo non è un generico libro sulla ricchezza. Questo libro contiene una ricetta, una ricetta che, una volta applicata, può farvi diventare milionari entro 2 anni e 7 mesi. 2 anni e 7 mesi a partire da oggi. La domanda non è se ce la farete, la domanda è se vi applicherete oppure no. Se avete intenzione di applicarvi, se pensate che ne valga la pena leggete questo libro e mettetelo in pratica.
Introduzione
Perché entro 2 anni e 7 mesi? Se state sfogliando questo libro, magari incuriositi dal titolo o dalla copertina, mentre siete ancora di fronte agli scaffali della libreria, potreste benissimo chiedervi: Domanda n. 1: «Come mai tutta questa ossessione sul diventare ricchi? Non posso semplicemente appartenere alla classe media e decidere di interessarmi alle cose davvero importanti della vita, quali per esempio l’amore, il divertimento, l’arte o la spiritualità?...» Domanda n. 2: «… e poi, come mai proprio entro 2 anni e 7 mesi?» La risposta* alla seconda domanda è che... veramente non esiste un tempo minimo né un tempo massimo per diventare ricchi. Da una piccola ricerca che abbiamo effettuato ci sono arrivati significativi riscontri sui tempi medi in cui diverse persone che si sono impegnate «sulla via della ricchezza» hanno raggiunto l’obiettivo del milione di euro. E il tempo è proprio vicino ai 3 anni! Abbiamo quindi concepito un programma che ha come standard
minimo quello di eguagliare un record, perché vi abituiate fin da subito a porvi obiettivi sopra la media. La risposta alla prima domanda è: no. Purtroppo la cattiva notizia è che non potete. La verità è che viviamo in un’epoca particolare: un momento di passaggio che vedrà crescere il divario tra poveri e ricchi a livelli mai visti prima nell’epoca postindustriale. A oggi esistono tre classi sociali: i poveri, la classe media, i ricchi. Tuttavia la classe media si sta assottigliando sempre di più: le stime portano a pensare che sarà quasi sparita nel giro di un decennio. Non ci sarà più l’assistenza sociale e neppure potremo contare, come è stato per i nostri genitori, sulla certezza della pensione, che probabilmente sparirà o sarà sensibilmente ridotta a causa della mancanza di risorse. Rimarranno solo due classi: voi a quale delle due volete appartenere? Volete far parte di coloro che necessiteranno sempre più di aiuti economici o volete essere tra quelli che potranno aiutare i propri cari, amici e famigliari? Dovete decidere adesso, perché fra qualche anno sarà troppo tardi. La generazione degli attuali trentenni è la prima nella storia ad avere aspettative economiche inferiori a quelle della generazione che l’ha preceduta e prima o poi i Governi troveranno il coraggio di comunicare ufficialmente alle Nazioni che i sistemi pensionistici sono insostenibili e obsoleti. Dovete decidere ora e cominciare a giocare al gioco dei ricchi subito, perché la Cina ha già iniziato a muoversi, sostituendo i grattacieli alle biciclette, e il resto del mondo sta allungando il passo; ogni mese, in India, le università sfornano migliaia di nuovi laureati con un curriculum scolastico di prim’ordine e una padronanza perfetta della lingua inglese.
Dovete decidere ora il vostro futuro, perché se non scegliete subito quale sarà il vostro posto, qualcuno deciderà per voi e potrebbe non piacervi il ruolo che vi verrà assegnato. Decidete di decidere ora, affinché in futuro anche i vostri figli possano decidere per loro stessi. Scegliete di non scegliere adesso e priverete anche loro di quella scelta. Decidete ora. Non vi occorre altro tempo. I futuri milionari, a questo punto, hanno già deciso! P.S. Una caratteristica fondamentale dei milionari è saper decidere in fretta senza rimandare scelte importanti! Dalla scrivania di Alfio... Quali sono le abilità per diventare ricchi? Ogni anno migliaia di persone frequentano i miei corsi sulla libertà finanziaria e acquisiscono gli strumenti per investire in attività remunerative, creare rendite economiche o acquistare e rivendere immobili partendo da zero. Solo una parte di quei corsisti utilizza appieno gli insegnamenti diventando effettivamente ricca; il resto di loro si accontenta di ricavare qualche guadagno extra, magari per ripagarsi l’investimento del seminario con gli interessi, ma non si applica veramente per mettere in pratica le strategie apprese in aula. Eppure quelle strategie funzionano, e lo dimostrano le migliaia di partecipanti che nel corso degli anni sono passati dal lavorare per uno stipendio
mensile al «non dover lavorare per vivere». Che cosa differenzia gli individui che ottengono risultati e raggiungono l’indipendenza finanziaria da quelli che si limitano a sapere tutto su come raggiungerla, ma la sognano solamente? Non certo le informazioni in loro possesso, dato che entrambi ricevono da me la stessa lezione. Non certo l’entusiasmo né la volontà, dal momento che, quelle stesse persone, hanno avuto entusiasmo e volontà a sufficienza per decidere di migliorare loro stessi, investendo il proprio tempo e il proprio denaro per frequentare un corso. Allora perché solo alcuni riescono? Se avessi a disposizione una sola giornata per insegnare a mia figlia tutto quello che so sul denaro e quali sono le caratteristiche principali per diventare ricco, non mi concentrerei sulle nozioni di economia finanziaria, anzi: le direi che non bastano le conoscenze e che dovrebbe lavorare ed eccellere imparando cinque specifiche abilità. Sono anni che le persone vengono da me e sperano di trovare la formula magica per diventare ricche. In realtà la formula esiste e consiste nel diventare abili nelle cinque caratteristiche che illustreremo in questo libro. Come usare questo libro Questo libro, scritto a due mani da Alfio e Lorenzo, si concentra sulle caratteristiche dei ricchi e, principalmente, sulle cinque abilità che separano gli «esperti della teoria», che sanno tutto su come diventare milionari, da coloro che lo diventano realmente. Abbiamo individuato i cinque fattori chiave, le cinque peculiarità in grado di trasformare
le informazioni ricevute in azioni capaci di generare risultati tangibili, che vi permetteranno di diventare milionari partendo da zero o mantenere e incrementare la vostra situazione economica, se già lo siete. Abbiamo battezzato queste abilità i 5 Pilastri della Ricchezza. I Pilastri rappresentano le abilità che dovete avere: l’acquisizione o la mancanza di queste abilità determineranno a quale delle due categorie apparterrete, se a coloro che diventano milionari o a chi lo sogna solamente. Il nostro intento è mettere in condizione tanto chi ha già frequentato corsi sulla ricchezza quanto chi è digiuno di queste materie, di iniziare subito a ottenere risultati pratici, aumentando sia le proprie conoscenze sia il proprio conto in banca. In quanto lettori è vostro diritto saltare le pagine, ma vi consigliamo di non farlo. Considerate la cosa come una prova di carattere; alla stregua di un test. Conoscere le corrette informazioni non vi servirà a nulla, se prima non avrete imparato a padroneggiare le abilità che le precedono: ricordate che più avrete fretta di arricchirvi, più vi risulterà difficile farlo in fretta. Siamo convinti che diventare ricchi sia un’abitudine, un atteggiamento, un modo di pensare e di vedere il mondo: usate meglio che potete le informazioni di questo manuale e approfondite soprattutto quelle pagine che sfidano le vostre certezze e mettono in crisi il vostro sistema di credenze. Sappiate che alcune regole base del «corretto scrivere accademico» non verranno rispettate: ci interessa la concretezza e vogliamo che questo libro diventi per voi uno strumento pratico e non una dimostrazione della nostra bravura letteraria. Buona lettura,
Alfio e Lorenzo
* C’è anche un altro motivo, a dire il vero, che prevede l’attuazione di questo programma nei prossimi 2 anni, ma lo illustreremo a tempo debito, entro la fine del primo capitolo, dopo alcune doverose premesse.
Primo Pilastro Ambiente
Parliamo di cifre In Europa il 90% degli adulti vive con meno di 34.000 euro. Il 50% ha entrate pari o inferiori a 26.000 euro annui. Viene considerato ricco chi ha entrate annue oltre 91.000 euro. Statisticamente, su 100 individui che hanno iniziato a lavorare all’età di venticinque anni, il 29% non raggiungerà l’età della pensione, mentre il 63% di essi vivrà a carico dell’assistenza sociale, di amici o famigliari. Quindi, per assurdo, negli Stati più ricchi del mondo, il 92% della popolazione sarà morto entro i sessantacinque anni o vivrà una vecchiaia «da povero». Del restante 8%, il 3% starà ancora lavorando, solo il 4% avrà messo da parte un opportuno gruzzoletto per vivere agiatamente la terza età e appena l’1% sarà veramente «ricco». Riuscite a comprendere le conseguenze implicite di queste considerazioni? Viviamo in un ambiente dove il 96% delle persone è destinato a essere povero. Viviamo in una società retta dal presupposto che molti lavorino e pochi controllino il
flusso di soldi e potere. Non appena comincerete a ragionare e comportarvi come persone ricche, il 96% delle persone attorno a voi non vi capirà, vi contesterà, vi disapproverà o, semplicemente, la penserà diversamente da voi. Affinché il meccanismo funzioni occorre che gli «ingranaggi della società» (guarda caso, definiti in gergo dagli economisti «la massa senza soldi») non abbiano consapevolezza né della funzione che svolgono né della propria condizione: se continueranno a ignorare quale sia il gioco, continueranno a giocare (e a perdere) sprovvisti delle regole. Vi piacerebbe appartenere a quel 4% che guadagna più di 91.000 euro annui, cominciare a «lavorare veramente»,* invece di svolgere semplicemente una professione, e andare in pensione «da ricchi», magari dopo solo 5 anni?
Siete disposti a fissarvi questo obiettivo? Siete pronti a impegnarvi? Siete convinti di essere pronti a cambiare? Lasciare i vecchi modelli «costa» tanta fatica, ma se avete risposto «sì» a tutte e tre le domande, per prima cosa dovete prendervi cura del vostro ambiente. PER PRIMA COSA CAMBIATE IL VOSTRO AMBIENTE
Se volete cambiare la vostra vita, dovete cambiare la percezione che avete del mondo. Gli uomini più ricchi di Babilonia Chi studia la filosofia del denaro si interessa alle strategie per diventare ricco o considera la libertà finanziaria un cammino di crescita verso l’automiglioramento, probabilmente ha già letto molto sull’argomento. Uno dei classici motivazionali sul benessere finanziario è il bestseller internazionale intitolato L’uomo più ricco di Babilonia, di George Clason. Tradizionalmente, l’antica città di Babilonia viene ricordata come il luogo in cui ebbero origine i fondamenti dell’economia: i Babilonesi vengono indicati come gli inventori della moneta e si può dire che l’utilizzo delle tavolette di argilla per incidere i loro documenti diede effettivamente vita alle prime cambiali e ai titoli scritti di proprietà. Ed è proprio a Babilonia che Clason, consulente finanziario e conoscitore dei meccanismi finanziari, ambienta il suo libro, basandone gli insegnamenti sugli antichi principi babilonesi, ritenuti fondamentali per impostare una corretta gestione finanziaria. Tali principi risultano attuali anche ai giorni nostri e possono essere riassunti in tre punti essenziali: • indipendentemente dall’entità delle entrate annuali, il 10% del proprio reddito va accantonato come risparmio; • il 70% del guadagno deve essere destinato al proprio mantenimento; • il 20% dovrà essere utilizzato per restituire ai propri creditori le somme dovute (se si
hanno debiti) oppure investito in attività che creino profitto (in modo oculato). A questi «segreti», in verità regole semplici ma efficaci, il protagonista della storia aggiunge il suo ultimo consiglio: «ho appreso le leggi che governano lo sviluppo del denaro e le ho osservate». Nel libro di Clason, dunque, il segreto finale è l’esortazione ad applicare i principi letti, non limitandosi a conoscerli e comprenderli. Ovviamente, non possiamo che essere d’accordo. Dalla scrivania di Alfio... Durante i miei corsi spesso mi informo su chi, tra i presenti, ha letto il libro di Clason e di solito, come è prevedibile, più della metà dei partecipanti alza la mano. Fiducioso, a quel punto domando quante persone in sala conoscono comunque i consigli del protagonista, e quasi tre quarti delle persone si ritrovano con il braccio alzato. Poi, cerco fra il mio pubblico chi è d’accordo con quei suggerimenti e li giudica ottimi accorgimenti finanziari: nessuna mano si abbassa e qualcuna si aggiunge alle altre; quasi la totalità dei corsisti a questo punto ha il braccio alzato. Come quesito finale chiedo chi ha l’abitudine di risparmiare regolarmente il 10% del proprio stipendio: quasi tutte le mani crollano in un sol colpo! Nella sala rimaniamo solo io, pochi corsisti e alcuni dei miei collaboratori, con il braccio ancora alzato: i pochi sopravvissuti alla domanda finale! Eppure avevamo appena constatato che si trattava di consigli semplici, conosciuti dalla maggior parte dei presenti e da tutti ritenuti validi e sensati. Come mai, allora, pur essendo condivisi da quasi tutti i partecipanti, non vengono seguiti?
«Chi diventerà ricco, alzi la mano…» È molto semplice: tanto tempo fa, abbiamo imparato molto bene come non occuparci del nostro benessere finanziario. E abbiamo imparato a disprezzare chi se ne occupa: il pregiudizio ci porta a vedere come malandrini i grandi uomini d’affari e consideriamo volgare parlare di soldi in pubblico. Mai, nel corso della nostra vita, abbiamo appreso così a fondo una lezione. Devono avercela insegnata proprio molto bene… Partiamo dall’inizio Tutti i bambini sono pieni di curiosità e voglia di sperimentare. Da zero a tre anni apprendiamo più cose che in tutto il resto della nostra vita. La curiosità ci guida, le novità ci rendono felici e consideriamo un nostro diritto chiedere e ottenere risposte e spiegazioni dagli adulti che ci stanno attorno. Poi, qualcosa dentro di noi si trasforma, e i cambiamenti iniziano a spaventarci: cominciamo ad aver paura di commettere errori e del giudizio degli altri, come se da questo dipendesse la nostra felicità o il nostro diritto a essere amati. Alcuni di noi, per non affrontare quei timori, hanno imparato a resistere al cambiamento, convivendo con situazioni poco soddisfacenti, senza tentare di cambiarle. Altri, al contrario, hanno imparato a compiere delle magie: si sono ricordati ciò che avevano imparato da bambini, cioè che ogni fallimento porta con sé l’opportunità di imparare qualcosa. Ma ci ricordiamo di quando abbiamo imparato ad andare in bicicletta? Non si perdeva il tempo a cercare giustificazioni, scuse o eventuali colpevoli delle nostre cadute, ma ostinatamente si
risaliva in sella senza domande quali «come mai gli altri riescono a starci sopra?», «qual è il trucco?» e si provava, si provava e si provava ancora. Poi, a un certo punto, abbiamo iniziato a pedalare in perfetto equilibrio e si è aperto davanti ai nostri occhi un mondo nuovo di possibilità! Una magia. Fa lo stesso effetto imparare a leggere un rendiconto finanziario, oppure scoprire i segreti del mercato azionario o gestire e sfruttare l’OPM (Other People’s Money). Il problema delle persone povere e di ceto medio è la tendenza generale a evitare proprio quegli errori dai quali imparare qualcosa di nuovo. Limitano loro stesse nello sperimentare nuove conoscenze, acquisire nuove abilità, e tutto per paura di sbagliare. Solitamente c’è il terrore degli errori finanziari: ecco lo sbaglio. Si sente dire: «investi in modo sicuro», o «non assumerti i rischi». In realtà seguire un consiglio del genere è esattamente il motivo per cui la stragrande maggioranza delle persone continua ad avere difficoltà finanziarie: il problema con gli investimenti non è quello di sceglierne uno più o meno rischioso, ma quello di essere in grado di gestire il rischio che ne potrebbe derivare. Bisogna solo imparare a conoscere e affrontare i rischi: quanta gente ha investito in Parmalat o in Cirio, senza sapere che il rischio connesso a quel tipo di operazione fosse di perdere tutto il capitale investito? Il primo modo per gestire il rischio è riconoscerlo! Evitando di commettere errori, non ci abituiamo ad affrontarli, non impariamo a riconoscerli e veniamo messi in crisi anche da quelli minori. E, allo stesso modo, diventa impossibile individuare le straordinarie opportunità che ci passano sotto il naso.
Investire senza essere disposti a commettere errori
è come voler imparare a pattinare senza voler rischiare di cadere: proprio perché sono caduto tante volte, sono un ottimo pattinatore! Alfio Bardolla, giocatore di hockey su ghiaccio Programmati per essere poveri La società, la religione e la nostra famiglia ci hanno abituati, nel corso degli anni, a pensare al denaro in un determinato modo. Chi proviene da un ambiente benestante ha, molto probabilmente, una concezione positiva del denaro, altri un po’ meno, altri ancora lo considerano «la radice di tutti i mali». Se siete abituati a pensare che avere soldi non sia una cosa positiva, ma un «un male necessario», a livello inconscio quella convinzione vi ostacolerà nel vostro tentativo di raggiungere la libertà finanziaria. Per iniziare a porre le basi della nostra libertà finanziaria e poter costruire «il tempio» della nostra ricchezza, è importante fare tabula rasa di tutte le cattive abitudini e le convinzioni negative che fin dall’infanzia ci vengono inculcate sui ricchi e la ricchezza. Affinché le fondamenta siano solide, infatti, occorrerà sgomberare l’area ove sorgeranno le mura. E la funzione di questo primo Pilastro consiste nel preparare il terreno ove erigeremo la costruzione. Quando abbiamo a che fare con delle convinzioni limitanti, ciò che è davvero pericoloso non è quello che abbiamo sperimentato nella nostra esistenza, ma quello che «crediamo di
sapere», perché spesso questo ci incastra in una vita dove il cambiamento sembra impossibile e ci impedisce di avere una visione aperta e diversa della situazione che stiamo vivendo. Specialmente riguardo al denaro, quasi tutto quello che pensiamo è profondamente radicato in noi, perché ci è stato «inculcato» fin da piccoli. Sono cose che abbiamo sentito ripetere come un mantra, o abbiamo visto mettere in atto, oppure ci sono proprio state insegnate. Qui di seguito vi presentiamo alcuni tipici messaggi che ci vengono trasmessi e che, a nostra volta, trasmettiamo ai nostri cari, senza rendercene conto. Chi si accontenta gode! Spesso, ancora oggi, capita di ascoltare l’ammonimento: «Chi si accontenta gode». È un consiglio di quei genitori che dicono ai ragazzi di non mirare troppo in alto, di restare «con i piedi per terra» e raccomandano loro di non sognare cose impossibili. Presi singolarmente e nel contesto adatto, sono suggerimenti giusti e sensati, persino condivisibili; tuttavia, elargiti a dosi massicce rischiano di creare la mentalità tipica della «massa senza soldi», cioè di coloro che vivono la vita sulla difensiva, cercando di evitare di soffrire anziché ricercare i momenti di piacere. Il rischio più grande, nell’ottica di ciò che definiamo «intelligenza finanziaria», è di trasmettere la visione di un mondo «a risorse limitate». Invece di insegnare ai propri figli come gestire gli errori, alcuni genitori insegnano a evitarli, rischiando di far commettere loro l’errore più grande: non rischiare (e non imparare) abbastanza. Il motivo per cui i ragazzi amano i campioni non è per la fama e il denaro. È perché non hanno rinunciato ai loro sogni. Il denaro è una cosa sporca!
I bambini molto piccoli sperimentano le «cose del mondo» in modo fisico e, non potendo concettualizzare in astratto, le loro esperienze si limitano al tatto e agli altri sensi. Nei primi 18 mesi di vita i bambini attraversano uno stadio definito «fase orale», cioè mettono in bocca tutto quello con cui entrano in contatto. Avete mai sentito una mamma intimare al figlio che ha preso in mano delle monete o delle banconote di posarle subito, perché sono sporche? È comprensibile: il denaro, per sua natura, ha una funzione di scambio, se non passa di mano e resta fermo è inutile e perde di valore, quindi è normale che raccolga lo sporco delle mani con le quali entra in contatto. Tuttavia vi invitiamo a riflettere sul fatto che molti altri oggetti sono dei veri e propri ricettacoli di germi. Lasciamo giocare i nostri figli sul tappeto che calpestiamo con le stesse scarpe con cui camminiamo per strada, li facciamo gattonare per la casa, tenere in braccio da estranei (sono le stesse mani con le quali «sporcano» il denaro!) eppure in quel caso il livello di sporcizia sembra accettabile. Non ci sogneremmo mai di proibire a un bambino di toccare la mano che ha appena maneggiato dei soldi, mentre ci preoccupiamo di non fargli toccare il denaro, perché quello sì che è sporco! La verità è che i soldi non sono più sudici di molti altri oggetti e quello che trasmettiamo ai nostri bimbi (perché è stato trasmesso a noi) è molto più di un’indicazione igienica, è un pregiudizio culturale che rischia di diventare giudizio morale. Il denaro è lo sterco del diavolo! Conoscete il passo della Bibbia che recita: «È più facile per un cammello passare nella cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno dei cieli»? È un passo molto noto, la cui interpretazione più ovvia riguarda l’impossibilità che per un ricco si schiudano le porte del paradiso. Nulla da eccepire: un cammello è molto grande, la cruna di un ago è uno spazio piccolissimo, sembrerebbe inconcepibile per un cammello, pur con tutta la buona volontà e
la fede che si possano avere, attraversare quella fessura. Ma sono in molti ad affermare che quella traduzione non sia corretta. Una delle possibili altre versioni dice che, in realtà, «cruna di un ago» si riferisse a delle strette porte tipiche delle città fortificate attraverso le quali potevano passare i cavalieri sui loro cavalli o cammelli, ma soltanto uno alla volta e rigorosamente in fila indiana, facendo attenzione a non sbattere fra le pareti e la volta e limitando la propria velocità. Insomma, per passare attraverso quelle porte a dorso di cammello occorreva fare molta attenzione, molta più di quanta non ne servisse a piedi. Quelle fessure erano infatti un sistema di difesa dagli attacchi improvvisi di una cavalleria organizzata o dalle incursioni di predoni a cavallo. Ecco che il significato del passo citato diventa: «un ricco deve fare più attenzione di un povero per poter avere accesso al regno dei cieli». Ovvio, perché il denaro amplifica le nostre inclinazioni. I ricchi sono cattive persone! Il denaro in sé non è né buono né cattivo, è neutro. Il denaro è soltanto uno strumento che rappresenta energia e che può essere usato per distruggere, ma anche per creare. È un amplificatore. Se siete generosi, con più denaro diventerete più generosi, se siete avidi diventerete più avidi, perché il denaro ha il potere di amplificare la visibilità delle persone e la portata delle loro azioni, quindi il giudizio di altri su di loro: un automobilista che «sgomma» a bordo di una Ferrari non è più sbruffone di chi lo fa su una Fiat Panda, è solo più visibile. Il denaro non cambia le persone, amplifica solo pregi e difetti. Quali difetti avete che verrebbero amplificati diventando ricchi? I ricchi ostentano la loro ricchezza… Alcuni ricchi ostentano la propria ricchezza, è vero. I locali dove una pizza margherita
dopo la mezzanotte costa intorno ai 100 euro basano il proprio marketing proprio su questo atteggiamento. Tuttavia esistono degli aspetti in questo tipo di comportamento che chi limita le proprie fonti di informazioni esclusivamente alle riviste di gossip e paparazzi (omettendo dai propri interessi il marketing relazionale e virale), non può notare. Per esempio, per la soubrette o il personaggio dello spettacolo, mangiare in quel locale in compagnia di determinate persone può rivelarsi un’accorta operazione di self marketing; così come per l’industriale emergente, l’artista di grido o l’investitore di turno. La verità è che i ricchi amano le buone trattorie e la cucina semplice tanto quanto la classe media e quella meno abbiente, ma spesso il loro lavoro consiste nell’incontrare persone in situazioni, contesti e ambienti diversi da quelli strettamente professionali e frequentemente il luogo di lavoro di un ricco coincide con il posto dove altri si divertono.
Dalla scrivania di Alfio... Durante gli anni dell’università ho avuto diversi amici milionari. Si trattava di figli di famiglie ricche da generazioni, i cui nomi compaiono spesso nelle cronache finanziarie e che possiedono tuttora immense proprietà. Mi ha sempre stupito che quei ragazzi non avessero delle abitudini di spesa tanto differenti dalle mie: un semplice studente universitario che per di più, all’epoca, si manteneva a fatica. La sensazione che i milionari non avessero uno stile di vita molto diverso dalle «persone comuni» mi fu confermata in seguito da uno studio americano, poi divenuto libro con il titolo The Millionaire Next Door (Il milionario della porta accanto). Si tratta di uno studio condotto
su diversi soggetti con un patrimonio superiore a un milione di dollari. Alcuni erano riusciti ad accumularlo grazie al proprio lavoro, altri, invece, lo avevano ereditato. Sono state comparate le abitudini di acquisto di questi individui con quelle di un acquirente tipo e si è scoperto che un milionario non spende mediamente più di 399 dollari in abiti, 140 dollari per un paio di scarpe e 235 dollari per un orologio. Alla maggior parte dei ricchi non importava avere un vestito o un orologio particolarmente costosi, cose che invece caratterizzano gli acquisti dei non milionari. Solo il 10% del campione studiato si cimentava in «spese pazze». L’industria delle scarpe di lusso, del resto, ha sempre puntato «anche» sui milionari, ma per ognuno di essi che spendeva più di 300 dollari per un paio di scarpe, vi erano ben 8 «persone comuni» abituate a pagarle cifre maggiori. Per far soldi ci vogliono soldi! Parecchi anni fa negli Stati Uniti è stato pubblicato un volume intitolato Everything Men Know About Women (Tutto quello che gli uomini sanno delle donne), del dottor Alan Francis, lo pseudonimo dietro cui si nascondeva Cindy Cashman, un’abile imprenditrice. Si tratta di un libro di 128 pagine che costava 3 dollari e 95 centesimi. La cosa particolare è che quel libro era completamente bianco: non vi era una sola pagina scritta. Ha venduto milioni di copie. Tutte le donne lo compravano per regalarlo agli amici, ai fidanzati o ai colleghi. Una copia di quel «trattato» è sempre sulla scrivania di Alfio, a ricordargli che per far soldi non ci vogliono soldi! Conoscete Alex Tew? Lo studente americano che aveva bisogno di soldi per pagarsi l’università e si è inventato un sito, la «MillionDollarHomePage.com»? Un’unica pagina 1.000 x 1.000 pixel, dove ogni pixel era venduto a un dollaro cadauno. Dopo aver suscitato l’interesse dei giornali e della tv alcune aziende e qualche privato hanno trovato
«simpatico» investire nella pagina pochi dollari in cambio di un ritorno di immagine rilevante. Il risultato? Un milione di dollari in soli sei mesi. Niente in confronto alla storia di Kyle MacDonald: alla faccia di chi dice «per fare soldi, ci vogliono i soldi», è diventato celebre per essere riuscito, baratto dopo baratto, a scambiare una graffetta rossa con una casa e ora tenta di ripetere l’impresa con i profitti di One Red Paperclip, il libro in cui spiega come ha fatto (www.oneredpaperclip.com). Avete mai sentito la storiella secondo la quale i russi erano in vantaggio sul programma spaziale perché gli scienziati americani stavano lavorando a una penna che scrivesse in assenza di gravità? Ebbene il vantaggio consisteva in un unico, semplicissimo accorgimento: gli astronauti dell’Unione Sovietica usavano le matite! Questa storiella è una bufala, ma chi l’ha inventata ha poi effettivamente commercializzato la «matita ufficiale del programma spaziale sovietico», una normalissima matita venduta a dieci volte il suo prezzo in virtù della storia che raccontava. Esistono centinaia di episodi come questi, realmente accaduti e documentati. Basta un’idea semplice, associata a un buon marketing, per far soldi anche senza soldi.
Dalla scrivania di Alfio... Ci sono migliaia di modi per generare un milione di euro. Nei miei corsi insegno a vendere opzioni su azioni che non si possiedono: una cosa del tutto normale per chi investe in Borsa; oppure insegno ad acquistare e rivendere immobili guadagnandoci, senza sborsare un soldo. Esattamente ciò che fa la maggior parte dei ricchi, che non
acquista col proprio denaro ma sfrutta la leva finanziaria, concetto sconosciuto a chi non ha mai studiato come funziona il debito, letto un libro o frequentato un corso sulla ricchezza. Al ricco basta trovare l’opportunità. Se è veramente buona e voi siete pronti, i soldi non sono mai un problema. Per diventare ricchi occorre tanta, tanta fortuna! Sono molte le persone che non studiano come funzionano il debito o il flusso di cassa, non si preoccupano di sapere che cosa sia un business plan e cambiano canale quando la tv comincia a parlare del Nasdaq o dell’indice Dow Jones. Eppure, quegli stessi individui, segretamente vivono la loro vita con la speranza di vincere una lotteria, anche se consapevoli che la probabilità è una su quattordici milioni... ma non importa! Spendono comunque i loro soldi tutte le settimane definendo quella spesa «investimento». Un investimento la cui aspettativa media di guadagno è una ogni 657.000 anni e le aspettative di perdere tutto quello che si è investito è più del 99,9999%. Chi studia le materie finanziarie, invece, rischia raramente più del 10% di quanto ha investito e, quando investe, dedica la maggior parte delle attenzioni a studiare le strategie più adatte a contenere le eventuali, possibili, perdite; inoltre, per queste persone, il rendimento medio di un buon investimento non è mai inferiore al 25% annuo. Ovviamente non stiamo parlando degli investimenti che vi propone la vostra banca, ma di quelli che la vostra banca fa coi soldi che voi le prestate. Chi nutre dei dubbi sul fatto che investendo si possa ottenere un rendimento simile, lo fa perché finora ha ascoltato solo i consigli di chi non è ricco e non è neppure sulla strada per diventarlo! Ricordate il consiglio che vi abbiamo già dato: cambiate il vostro ambiente! Iniziate a parlare con dei milionari, leggete libri scritti da milionari e cominciate a pensare come un milionario. Scoprirete, per esempio, che il parametro minimo di guadagno, per gli
investimenti in campo immobiliare, è di almeno il 30%. Ma ritorniamo agli scommettitori. Poniamo il caso che invece di «investire» ogni settimana in biglietti della lotteria uno di loro decidesse di dedicare un fine settimana a studiare come funzionano gli investimenti. Facciamo l’ipotesi che non si tratti proprio di uno studente modello e che, quindi, il nostro «ripetente» impari a far fruttare quello che investe solo al 10% annuo (che è comunque più di ciò che offre mediamente una banca). Se egli mettesse da parte 1 euro al giorno per 58 anni, accumulerebbe un milione di euro in contanti. Se gli euro fossero 2 gli basterebbero 51 anni, se ne risparmiasse 3 al giorno, di anni ne occorrerebbero solo 47. (Nella tabella alla pagina seguente vi illustriamo in dettaglio come ciò avvenga.) Insomma, risparmiando qualche euro al giorno per il resto della vita, con un po’ di disciplina e la magia degli interessi composti, il nostro investitore in erba arriverebbe senza fatica a possedere una bella cifra che, assieme alla pensione, gli permetterebbe di poter vivere serenamente. Ma quanti pensionati conoscete che hanno un milione di euro in contanti? Noi pochissimi. Conosciamo invece moltissime persone che dopo aver letto questo passaggio protestano dicendo che è impossibile far fruttare tanto i propri soldi. Diventar ricchi non è una fortuna, è un’abitudine. Un modo di vivere e di vedere il mondo, di investire i propri soldi e il proprio tempo. Certo, senza «intelligenza finanziaria» e conoscenza tecnica è impossibile… Importo Interesse Anni Risultato 1 euro al giorno 10% annuo 58 1.000.000 2 euro al giorno 10% annuo 51 1.000.000 3 euro al giorno 10% annuo 47 1.000.000
Anni 1 euro al giorno 1 365 10% 402 2 767 10% 843 3 1.208 10% 1.329 4 1.694 10% 1.863 5 2.228 10% 2.451 6 2.816 10% 3.098 7 3.463 10% 3.809 8 4.174 10% 4.592 9 4.957 10% 5.452 10 5.817 10% 6.399 *** 42 196.238 10% 215.861 43 216.226 10% 237.849 44 238.214 10% 262.035 45 262.400 10% 288.640 46 289.005 10% 317.906 47 318.271 10% 350.098 48 350.463 10% 385.509 49 385.874 10% 424.462 50 424.827 10% 467.309 51 467.674 10% 514.442 52 514.807 10% 566.287 53 566.652 10% 623.318 54 623.683 10% 686.051 55 686.416 10% 755.057 56 755.422 10% 830.965
2 euro al giorno 730 10% 803 1.533 10% 1.686 2.416 10% 2.658 3.388 10% 3.727 4.457 10% 4.902 5.632 10% 6.196 6.926 10% 7.618 8.348 10% 9.183 9.913 10% 10.904 11.634 10% 12.798
3 euro al giorno 1.095 10% 1.205 2.300 10% 2.529 3.624 10% 3.987 5.082 10% 5.590 6.685 10% 7.354 8.449 10% 9.293 10.388 10% 11.427 12.522 10% 13.775 14.870 10% 16.356 17.451 10% 19.197
392.475 10% 431.723 588.713 10% 647.584 432.453 10% 475.698 648.679 10% 713.547 476.428 10% 524.071 714.642 10% 786.106 524.801 10% 577.281 787.201 10% 865.921 578.011 10% 635.812 867.016 10% 953.717 636.542 10% 700.196 954.812 10% 1.050.294 700.926 10% 771.018 10% 771.748 10% 848.923 10% 849.653 10% 934.619 10% 10% 935.349 10% 1.028.883 10% 10% 10% 10% 10% 10% 10% 10% 10% 10%
57 58
831.330 10% 914.463 914.828 10% 1.006.310
10% 10%
10% 10%
Diventare ricchi è stressante! La verità è che diventare ricchi è molto più noioso di quanto non si possa pensare! C’è un libro interessante di James O’Shaughnessy intitolato What works on Wall Street - A guide to the Best-Performing Investment Strategies of All Time, che tratta degli investimenti alla Borsa di New York e compara le migliori strategie di investimento di ogni epoca. L’autore, studiando come gli speculatori prendono decisioni, ha distinto due metodi di investimento: 1. il metodo intuitivo, basato sulle conoscenze e sull’esperienza degli investitori; 2. il metodo quantitativo o attuariale, basato sulle analogie riscontrate tra un grande numero di esempi del passato e quelli odierni. L’autore ha scoperto che la maggior parte degli investimenti viene fatta su base intuitiva, perché chi gestisce i soldi, anche come professione, pensa di avere una conoscenza, un’intelligenza e un’abilità superiori agli altri per individuare le azioni più redditizie. La cosa curiosa è che ben l’80% dei sistemi che seguono una routine (ovvero sono «sistematici») ha delle performance superiori agli indici azionari basati sui ragionamenti e le valutazioni degli specialisti del settore. Da questo si evince che chi non conosce nulla del mercato azionario, ma segue un metodo meccanico, batte sistematicamente le schiere di professionisti dell’investimento! Volete capire la differenza tra un ragionamento intuitivo e uno analitico? Eccola: se acquisto un caffè e un cioccolatino pagando in tutto 1,10 euro e il caffè costa un euro in più del cioccolatino, quanto costa il cioccolatino?
Non continuate a leggere, rispondete: Costo del cioccolatino pari a ___ centesimi Se avete risposto 10 centesimi, l’approccio che avete utilizzato è di tipo intuitivo, ed è errato. Se invece vi siete basati sul metodo analitico, vi sarete resi conto che il prezzo del cioccolatino è pari a 5 centesimi (perché il caffè costa un euro in più del cioccolatino, quindi il cioccolatino costa 5 centesimi mentre il caffè costa 1,05 per un totale di 1,10 euro). La maggior parte delle persone che negli investimenti fa troppo affidamento all’intuito si dimentica spesso di fare i doverosi, seppur a volte noiosi, calcoli analitici (o, come diciamo nel gergo degli investitori, «i compiti a casa»). Non ho bisogno di investire perché sono un grande risparmiatore… Come ha scritto Alfio nel suo secondo libro, L’arte della ricchezza, risparmiare è un consiglio obsoleto. Dal 1971 in poi, da quando cioè l’allora presidente Usa Richard Nixon soppresse la parità aurea del dollaro (col conseguente decadimento del valore della moneta e la crescita dell’inflazione), limitarsi a risparmiare senza investire è un suicidio finanziario. In realtà, oggi, anche investire a un basso tasso di interesse non è più un valido suggerimento. Se l’inflazione è al 3%, infatti, un rendimento annuo del 2,5% contiene in parte l’erosione del vostro capitale, ma non la elimina. Il che vuol dire che, ogni anno, perdete parte dei soldi che avete in banca o sotto il materasso (questi ultimi più velocemente). Ovviamente, questo ragionamento è valido solo se ci limitiamo a considerare l’inflazione secondo il dato ufficiale che ci comunica lo Stato. In realtà sappiamo bene che a incidere sul nostro portafogli è la nostra inflazione, cioè l’aumento reale del costo dei beni
di consumo che noi acquistiamo. Il potere d’acquisto di uno stipendio medio, per esempio, con il passaggio dalla lira all’euro, è quasi dimezzato; nonostante l’inflazione, secondo le stime ufficiali, incidesse, all’epoca del passaggio all’euro, meno del 5%. Imparare a investire non è la mia priorità in questo momento… La maggior parte degli aspetti della nostra vita può cambiare in un istante: ci vuole un attimo per incontrare la persona che ameremo tutta la vita, possiamo decidere di darci nuove regole di comportamento, di cambiare vecchie abitudini, di frequentare persone diverse, di modificare la nostra alimentazione e il nostro sistema di allenamento. Diventare ricchi è diverso: occorre tempo, oltre che disciplina. Quindi, a prescindere da quali sono le priorità della vostra vita, se fra queste c’è il diventare ricco, mettetela ai primi posti. Sapete come ce l’hanno fatta tutti coloro che hanno avuto successo? Non hanno rimandato! La procrastinazione è nemica della ricchezza. Supponiamo che riusciate con costanza a risparmiare 200 euro al mese per i prossimi 20 anni. Con 200 euro al mese per 20 anni e un rendimento annuo del 20% otterrete 540.000 euro. Cioè circa un miliardo di vecchie lire. Ma supponiamo che iniziate con un anno di ritardo: rifacendo i conti, per 19 anni al posto di 20, vi ritrovereste con circa 440.000 euro al posto di 540.000 euro, cioè circa 100.000 euro in meno! Ecco il costo della procrastinazione: 100.000 euro in un anno, se non iniziate oggi. Ma c’è di più: ritardare gli investimenti costa carissimo. Ogni giorno di ritardo vi costerebbe quasi 300 euro. Infatti, dividendo 100.000 euro per 365 vi ritroverete con un mancato guadagno superiore a 273 euro per ogni giorno di ritardo (cioè circa 12 euro all’ora nell’arco delle 24 ore e ben 34 euro all’ora contando una giornata lavorativa di 8 ore!). La procrastinazione può far la differenza tra una vita misera e una vita eccezionale, mentre per una persona della classe media risparmiare o spendere il 15% del reddito
cambia ben poco il suo stile di vita. Ricordate: soprattutto se avete un reddito medio basso, risparmiare modeste somme per investire sul vostro futuro equivale alla rinuncia di piccole cose, che non cambiano sostanzialmente la qualità della vita, ma che invece vi consentirebbero di avere un beneficio enorme nel futuro! Per diventare ricchi in modo onesto, occorre lavorare troppo duramente
Pensate che i milionari lavorino cento volte più duramente degli altri? NO
Pensate che lavorino cento volte più intelligentemente degli altri? Assolutamente NO I ricchi giocano conoscendo bene le regole del gioco. E si tratta dello stesso gioco al quale giochiamo tutti. Fare soldi è un gioco. Un gioco molto importante. In questo gioco la ricchezza viene quando, con poco sforzo, si creano grandi risultati; mentre la povertà viene quando, con grandi sforzi, si producono scarsi risultati. Ovviamente, se non si conoscono le regole non si potrà mai vincere la partita e conoscere le regole dei ricchi equivale a poter
scegliere di percorrere la strada che vogliamo, in qualunque momento, a prescindere dalla nostra condizione economica. Quali sono queste regole? La prima, come abbiamo già detto, è fare tabula rasa di tutte le convinzioni limitanti con questo primo Pilastro, per le altre, vi esortiamo ad allenare la virtù della pazienza procedendo con ordine. È il sistema economico che non va… Forse è vero: il sistema economico basato sulla moneta potrebbe non essere il più giusto; tuttavia è in questo sistema che dobbiamo vivere: o ci diamo da fare per cambiarlo o impariamo a farci i conti. Ciò non toglie che, in qualunque altro sistema, i ricchi sarebbero comunque ricchi e i poveri altrettanto. Chi è ricco non lo è per condizione (o non resterebbe tale), ma per conseguenza. Avete mai sentito qualcuno lamentarsi di come va il mondo, dare tutta la colpa all’economia e auspicare una redistribuzione delle risorse? Una teoria della fine dell’Ottocento recita: «Distribuite equamente la ricchezza a tutti gli abitanti della Terra e ben presto questa ricchezza ritornerà nelle mani di chi l’ha sempre posseduta». La maggior parte di chi ha vinto somme astronomiche alla lotteria si trova d’accordo con questa affermazione: statisticamente, infatti, chi diventa «Paperon de’ Paperoni» grazie al biglietto fortunato si ritrova solo con il ricordo della vincita nell’arco di una manciata di anni. Secondo voi, perché? Perché se non si è capaci di gestire prima i centesimi, non si riescono poi a gestire i milioni! Vi diamo una buona notizia e una cattiva. La buona è che più di un milione di euro passa tra le mani di una persona media nel corso della sua vita. Quella brutta è che il 97% delle persone, dopo una vita di lavoro, non ha accumulato abbastanza ricchezza per vivere senza il supporto della pensione. Pur avendo lavorato duramente tutta la vita, non hanno praticamente niente. Eppure il 3% dei lavoratori con uno stipendio medio ha accumulato
fortune per più di quel milione di euro. Come hanno fatto? Sono entrati in contatto con le giuste informazioni (come sta capitando a voi leggendo questo libro) e poi hanno agito! Hanno deciso di seguire la strada che porta alla ricchezza. Una strada, lenta ma sicura, che richiede di fissare degli obiettivi e pagarne il prezzo. È necessario avere una specializzazione, un’area in cui si eccelle, una missione. Bisogna essere creativi, sviluppare una strategia vincente di business, utilizzare un marketing efficace, essere venditori straordinari, negoziatori e leader eccellenti, conoscere il mondo finanziario, gestire il proprio tempo e la propria vita in modo assolutamente efficace. Mettete in pratica i consigli di questi capitoli, non limitatevi a leggerli solamente! Ma se è così semplice, perché non siamo tutti milionari? Purtroppo esiste una seconda strada, più facile. Viene scelta da milioni di persone che dalla loro vita otterranno il nulla, i milioni di persone per cui la vita è semplicemente un altro giorno o un altro euro, i milioni di individui che accettano di essere nati in un mondo di basse aspettative e di risultati mediocri. Persone che lasciano la scuola, l’università; qualcuno ottiene un lavoro, fortunato abbastanza da avere un paio di promozioni per poi ritirarsi con una pensione che gli permette di arrivare appena a fine mese e lasciare ai figli solo il denaro per pagare il conto del funerale. Si tratta di individui rispettabili, capaci, intelligenti e tuttavia queste persone hanno utilizzato solo il 2% delle loro capacità intellettive per quel che riguarda il denaro. Sapete perché? Perché è quello che gli è stato insegnato! O meglio, perché nessuno ha insegnato loro null’altro che lavorare tutta la vita, sognare in piccolo, difendersi per evitare delusione e frustrazione. Crescendo hanno ritenuto che lavorare per vivere fosse l’unica strada percorribile e che fosse impossibile diventare ricchi se non trasformandosi in individui cinici, egoisti o, peggio, disonesti. Insomma, è
come se queste persone avessero frequentato – a cura di genitori e conoscenti – un corso di studi per «classe media». La maggior parte delle persone intraprende la strada «della rinuncia» perché è apparentemente la più semplice: non ci sono obiettivi da raggiungere, prezzi da pagare, studi da compiere, non c’è competizione né fatica per sviluppare conoscenze di marketing. Questo percorso non richiede creatività, strategia, abilità di vendita, di negoziazione o di leadership, e neppure conoscenze finanziarie, gestione del tempo o della propria vita. Chiunque segua questa strada potrà permettersi di essere pigro, male informato, egoista, avaro, impaziente, irresponsabile, inaffidabile e perditempo. (Ci perdoni chi, per errore, ha aperto questo libro e si è ritrovato in questa descrizione.) Sulla strada del «nulla» non ci sono corsi da seguire né informazioni da cercare, nessun libro da leggere né azioni da intraprendere, niente sfide né successi. Siete sicuri di volere questa vita? Sì ma… c’è la crisi economica! L’ideogramma giapponese che indica la parola crisi è lo stesso utilizzato per significare opportunità. Siamo pronti a scommettere che, se leggete spesso libri di formazione, avete già sentito questa frase! Sapevate che non è vera?! È una bufala: l’ideogramma di crisi e quello di opportunità non sono proprio lo stesso. Tuttavia non è che si tratti esattamente di una bugia, è piuttosto una «verità approssimativa», un po’ forzata, in modo che risulti «di effetto» per la maggior parte delle persone. Sapete: a volte la verità dei fatti dipende da cosa vuole evidenziare chi riporta le notizie. Ecco, per esempio, un’altra bufala: in questo periodo si fa un gran parlare della «crisi» economica, il nostro consiglio finanziario, a questo proposito, è:
Non date retta ai giornali! O almeno fatelo con cognizione di causa. Purtroppo i media sono orientati alle brutte notizie: attirano più audience; dei buoni investimenti non si parla, quelli cattivi fanno più notizia. Qualche anno fa è andata in onda una trasmissione, si intitolava Scappati con la cassa, e si occupava di persone truffate da sedicenti affaristi i quali proponevano investimenti, amministravano denaro o si occupavano di affari in genere. Il programma era ben fatto e molto curato, così come lo sono successi quali Mi manda Rai Tre e il suo antesignano Mi manda Lubrano. Programmi come questi forniscono un utile servizio di informazione e indagine giornalistica, tuttavia contribuiscono a creare diffidenza nei confronti di investimenti privati. Non esistono infatti trasmissioni in cui si raccontano storie di investimenti di successo che farebbero probabilmente meno audience, forse perché il telespettatore medio preferisce sentirsi «più intelligente» dell’uomo comune, o forse perché non vediamo di buon occhio gli imprenditori che spiegano i propri successi. Ci è capitato spesso di intervenire, in qualità di «esperti», in trasmissioni televisive e radiofoniche o di rilasciare interviste ai giornali: quasi sempre le tematiche di carattere finanziario venivano trattate in chiave di «emergenza». Eravamo chiamati a dispensare consigli a chi si trovava in difficoltà; non c’è nulla di male in questo, il problema è l’equità di una controparte: sono molto rari i servizi giornalistici in cui ci chiedono come far stare meglio chi già se la passa bene. Intendiamoci: ci fa piacere spiegare come affrontare la crisi, ma preferiremmo insegnare come prevenirla o, meglio ancora, come sfruttarla a proprio vantaggio. Vorremmo fare con voi un gioco, sotto forma di test a risposta multipla: segnate con una crocetta le affermazioni che in quest’ultimo periodo avete sentito reiterare dai mass media:
□ L’economia è malata. □ I politici discutono su una linea comune per affrontare la crisi. □ Il prezzo del petrolio oscilla. □ La situazione mediorientale minaccia la nostra sicurezza. □ Per i laureati odierni non c’è lavoro. Tutte queste affermazioni sono tratte da testate giornalistiche rinomate e stimate. Gli articoli ai quali facciamo riferimento risalgono tuttavia agli anni Settanta, Ottanta e Novanta. Non sembrano argomentazioni e notizie più che attuali oggi? Si continua a parlare a rotazione degli stessi argomenti da decenni, ecco la bufala! Ed ecco il punto: se ne parla a rotazione perché in economia la crisi è ciclica, prevedibile e passeggera, sono i media che amano il sensazionalismo. I giornali hanno bisogno di vendere e un buon modo di farlo è far sembrare che il mondo stia crollando. È un gioco basato sulla paura e ci siamo cascati di nuovo come polli! Volete conoscere il «segreto dei ricchi» su questo argomento? Ecco come la pensano milionari o futuri tali in proposito: non esiste «l’economia», esiste solo «la vostra economia». Lo ripetiamo e, questa volta, separeremo il concetto dal resto, per sicurezza:
Non esiste «l’economia», esiste solo «la vostra economia» Il gioco dei media (altra bufala) è farci credere che siamo «tutti sulla stessa barca»
durante i periodi di crisi: ma allora come si spiega che dalla Grande Depressione del 1929 siano usciti più milionari che in qualsiasi altro momento della storia americana? Personaggi come Sir John Templeton, che nacque povero e divenne miliardario come pioniere dei fondi globali di investimento; Sam Walton, considerato il più grande businessman della storia, che creò da zero il suo impero proprio durante la Depressione; Benjamin Graham, che nel 1931 creò l’idea di value investing diventando milionario. Non solo: nello stesso periodo insegnarono anche a molte altre persone come diventare milionari: tanti altri gettarono le fondamenta della propria ricchezza e prosperarono durante la Grande Depressione. Qual è stato il loro segreto? La risposta è semplice. Non hanno lasciato che i media dicessero loro come ragionare. Hanno rifiutato il comune modo di pensare. Hanno compreso le semplici e potenti verità dei soldi: hanno capito l’importanza di avere una forma mentale orientata alla loro «economia interna». Ricordate che esiste solo «la vostra economia». E se non sta andando bene è perché non sapete come reagire bene a ciò che succede ciclicamente nell’economia. I prossimi 2 anni* determineranno il vostro futuro finanziario. Quando affrontarono la Grande Depressione, Sir Templeton, Sam Walton e «Ben» Graham sapevano una cosa sola: il loro comportamento negli anni a venire avrebbe determinato il resto della loro vita dal punto di vista finanziario. Era questione di farcela o affogare! E adesso voi state affrontando la stessa situazione.
Nei prossimi 2 anni si decide il vostro futuro finanziario: potete farcela o affogare!
Non vogliamo spaventarvi, ma le cose andranno molto peggio di quanto non vadano ora. Storicamente i media annunciano la fine di una crisi finanziaria e la ripresa del sistema economico dopo il suo primo picco: nel 1929 è successo questo, e siamo pronti a scommettere che si ripeterà anche adesso. Così come è stato per gli anni successivi alla Grande Depressione, che cominciò con la crisi del 1929, ma gli anni successivi, il 1930 e 1931, furono il periodo peggiore, enormi fortune si distruggeranno nei prossimi 2 anni. Altre si creeranno.
Ricordate: ciò che per qualcuno è una pietra senza valore, per chi la sa riconoscere è un diamante Osservate il grafico dei primi anni dopo la Grande Depressione: non sembrava esserci molta speranza per l’economia mondiale.
Ma se spostiamo lo sguardo qualche altro anno avanti, è evidente che la Grande Depressione è stata terreno fertile per nuove opportunità di crescita.
Le opportunità nate dalla Grande Depressione si svilupparono immensamente nei decenni successivi per arrivare fino a oggi.
Oggi viviamo sulla nostra pelle una caduta dell’economia: una caduta simile a quella del 1929 quando il PIL delle Nazioni si dimezzò quasi dal giorno alla notte. Ma la storia si ripeterà: oggi c’è il terreno fertile per la costruzione della vostra fortuna, per ricavare il vostro posto nella nuova economia che si creerà. Un’infinità di persone sta per sperimentare una ricchezza senza precedenti. L’uso dei cinque Pilastri descritti in questo libro, nei prossimi 2 anni vi permetterà di sfruttare questo momento unico per creare ricchezza e libertà finanziaria. Sono attività semplici che chiunque può mettere in pratica: non servono abilità fuori dell’ordinario, ma applicandole otterrete risultati straordinari. Peccato, perché in molti non prenderanno realmente in considerazione i nostri consigli e non si metteranno davvero in gioco!
Il primo consiglio, ve lo ripetiamo, consiste semplicemente in questo accorgimento:
Assumetevi la responsabilità dell’ambiente in cui vivete! Un principio della sociologia applicata recita: «Difficilmente un individuo otterrà risultati molto diversi dall’aspettativa che ha su di lui il suo gruppo dei pari». Per «gruppo dei pari» nel nostro caso si intende «adulti significativi», cioè persone il cui parere conta per noi, che riconosciamo come nostri riferimenti e che stimiamo al nostro livello, vale a dire la maggior parte (si spera) dei nostri cari, amici e famigliari. Ciò significa che sarà molto difficile ottenere un risultato diverso da quello che l’ambiente circostante si aspetta da noi e che tenderemo a diventare come le persone che frequentiamo. Quanti milionari conoscete? Quanti milionari frequentano abitualmente il vostro ambiente? Quanto spesso frequentate, alla pari, ambienti in cui ci sono dei milionari? Ogni luogo della Terra ha la sua cultura: per un egiziano è del tutto normale pensare che un uomo possa avere più di una moglie, mentre per un italiano è un’idea inconcepibile. È del tutto normale sentirsi tristi per la morte di una persona cara, ma se fossimo nati nell’isola di Bali ci sentiremmo al contrario felici e festeggeremmo il trapasso con una festa tra amici: qual è la prima cosa che pensereste se una giovane vedova organizzasse un festino per il decesso dell’anziano, ricchissimo consorte? Analogamente, ogni gruppo sociale ha le proprie dinamiche, la propria cultura e i propri modelli di pensiero: con i ricchi è lo stesso.
Non stiamo consigliandovi di frequentare locali esclusivi e alla moda (neanche di non farlo, se potete permettervelo e vi va: non c’è nulla di male), stiamo dicendo che vi sarà quasi impossibile diventare ricchi, se il vostro ambiente è contornato da persone con una mentalità da poveri! I ricchi tra loro conversano di tutto (non solo di denaro, affari e finanza), ma lo fanno con un linguaggio, un’energia e una mentalità di abbondanza. Al contrario, i poveri ragionano sulle stesse questioni in un’ottica di scarsità. Sappiamo che può sembrare un discorso snob, classista e molto approssimativo e forse è così: ma quello che ci interessa è che ne cogliate il succo! Qual è la prima cosa che pensate quando vi viene in mente un progetto? Usate espressioni come «sarebbe bello», «se solo…» («… avessi i soldi» «… fosse possibile» «… me lo lasciassero fare» eccetera). Se lo fate state utilizzando un linguaggio da poveri! Se attorno a voi ci sono persone che rinunciano ai loro progetti, obiettivi e a cose importanti per mancanza di risorse, vivete in un ambiente povero! E se adesso state pensando che la facciamo «troppo facile», che «è facile pensare da ricchi quando si hanno i soldi», che «il denaro non cresce sugli alberi» e che «alcuni sogni costano troppo», vi sbagliate di grosso! E l’errore più grave che fate è non rendervi conto che state ragionando da poveri. I ricchi non calcolano le loro possibilità in base ai soldi, semmai in base al tempo! E, qualora mancasse, troverebbero il modo di recuperare altrove anche quello! (Magari pagando qualcuno che svolga i compiti noiosi e ripetitivi al loro posto: è uno dei vantaggi del denaro.) Se qualcosa vale la pena di essere fatto, se un progetto è valido, se un business sta in
piedi, allora i soldi si trovano e questo è un modo di ragionare da ricchi! Obiettare che non è possibile realizzare un progetto significa essere destinati a rimanere poveri. Forza, ora è importante, anzi fondamentale, che abbandoniate i modelli di pensiero che vi rendono poveri! E lo faremo iniziando da voi, dal vostro ambiente, da ciò che vi riguarda personalmente! Non ha senso continuare a parlarne in modo generico, a voi interessano i vostri risultati, siete voi che volete diventare milionari: Alfio lo ha già fatto e Lorenzo si sta dando da fare per imitarlo! Veniamo a noi, anzi, a voi! Fin qui è stato facile! Se avete già letto i nostri libri, non abbiamo detto nulla di troppo rivoluzionario: sapevate già che essere ricchi è una predisposizione mentale piuttosto che una cifra su un conto in banca, e che non è neppure una questione di coincidenze, astrologia o casi fortuiti: la fortuna, quando c’è, aiuta le menti preparate che la sanno riconoscere. Probabilmente avete annuito leggendo qualche pagina e avete riconosciuto concetti a voi familiari. Ma allora perché non siete (ancora) ricchi? Come abbiamo detto, questo libro è diverso: non si basa sulla teoria, ma sulla pratica. Per cui, adesso tocca a voi mettere il primo ingrediente! Alla fine di ogni capitolo troverete una serie di consigli per compiere un «check» della vostra situazione e una lista di azioni da compiere velocemente. Eccovi la prima.
Piano d’azione Pilastro n. 1 - Ambiente Andate sul sito www.2Anni7Mesi.com e scaricate l’esercizio sulle convinzioni sul denaro. Check point ✓ Fate un elenco di tutte le vostre credenze sul denaro, sia quelle limitanti sia quelle potenzianti. ✓ Esaminate i problemi più frequenti che avete in relazione al denaro e confrontateli con la lista che avete appena stilato: riuscite a individuare delle relazioni significative? ✓ Ora analizzate i vostri punti di forza sul denaro: possono essere messi in relazione con le vostre convinzioni? ✓ Ora studiate il vostro gruppo dei pari: conoscete persone che guadagnano più o meno di voi? E quanti di questi sono milionari? «To do» list… ✓ Leggete almeno un classico sul benessere finanziario (a parte questo!). ✓ Scegliete tre milionari famosi e leggetene le biografie, se ne esistono, reperite informazioni su Internet e curiosità sul loro modo di pensare. ✓ Invitate a cena un milionario e fategli domande: cercate di capire le sue credenze sul denaro, come è diventato ciò che è e che cosa pensa in merito a lavoro e ricchezza.
Ricordate che l’obiettivo di questo manuale è quello di fornirvi una ricetta precisa: come per un libro di cucina, non lamentatevi delle difficoltà che incontrerete nel «reperire alcuni ingredienti», preoccupatevi di «rispettare le dosi consigliate» e i «tempi di cottura»! * Capirete in seguito che cosa intendiamo con «lavorare veramente». * Questa è la seconda motivazione che ci ha spinto a concepire un programma per la ricchezza da sviluppare in 2 anni e 7 mesi.
Secondo Pilastro Abitudini
Le cattive abitudini dei poveri La conoscenza è importante. La conoscenza è un veicolo di cambiamento ed è il potente motore delle nostre azioni, tuttavia l’essere umano al potere di cambiare antepone l’abitudine. E davanti alla forza di un’abitudine, la conoscenza può rivelarsi inutile, inutile come spiegare a un fumatore incallito i danni provocati dal tabacco: non sono le informazioni che gli mancano, ma è l’abitudine a rivelarsi più forte e ad alimentare finte giustificazioni. La nostra vita è guidata per il 95% dalle abitudini. Ma che cos’è un’abitudine? L’abitudine può essere definita una «risposta automatica» a diversi stimoli. E la cosa peggiore di queste «risposte» è che le conseguenze tendono a manifestarsi con un certo ritardo nella vita. Il fumo è un esempio perfetto: l’abitudine di fumare è negativa e tutti lo sanno perché aumenta il rischio di cancro di almeno il 30%; tuttavia, questo effetto negativo tende a manifestarsi molto lentamente: tanto in ritardo da permettere a chi si gusta «una bionda» di associare piacere a quell’assunzione di veleno. Un altro ottimo esempio è
l’attività fisica, o meglio, la sua assenza. Anche in questo caso è l’illusione di un piccolo beneficio immediato, per esempio il non stancarsi per andare a correre, che ci impedirà di godere di un beneficio più grande in seguito. Riportando questo concetto alla psicologia della ricchezza, non risparmiare una piccola parte delle proprie entrate è un’abitudine che avrà ripercussioni negative sul nostro futuro. Nei libri che si occupano di motivazione, di psicologia del cambiamento o del raggiungimento degli obiettivi, si trova spesso citata la frase: «Le persone di successo hanno abitudini di successo». A nostro avviso si tratta di un’espressione corretta, tuttavia riduttiva: la qualità di ogni singolo aspetto della nostra vita dipende dalle nostre abitudini, non solo il successo. Un’altra frase assai gettonata nel repertorio dei buoni consigli che tutti conoscono, ma pochi mettono in pratica, è: «Se continui a fare quello che hai sempre fatto, otterrai ciò che hai sempre ottenuto». Questa frase ci dà lo spunto per due considerazioni. La prima è che non possiamo ottenere risultati differenti continuando a fare le stesse cose: quindi se i vostri risultati non vi soddisfano, dovete accettare di cambiare tanto le azioni quanto il modo di pensare. La seconda è che quando qualcosa funziona non basta comprenderla o metterla in pratica sporadicamente: va reiterata nel tempo.
Dagli appunti di Lorenzo… Se metterete in pratica questo suggerimento, scoprirete quanto sia facile cedere alla tentazione di uscire dalla routine per «vivere un brivido»: chiedetelo a tutti quelli che investono in Borsa applicando un metodo e vengono improvvisamente colti dall’impulso
irrefrenabile di seguire «la dritta dell’amico» o «un buon presentimento». Anche il gettare tutto alle ortiche può diventare un’abitudine: conoscete persone con straordinarie capacità che nella vita smuovono molto, ma alla fine non «stringono» un granché? Io sì. Gli «iniziatori», che non raggiungono mai i risultati prefissi perché non portano a termine il proprio lavoro, persone che, qualunque cosa accada loro, si sentono costantemente infelici o poveri: questi individui hanno precise abitudini che li portano a essere quello che sono. Una volta anch’io ero così. Ma ho conosciuto anche individui che sono partiti in condizioni svantaggiose e hanno raggiunto, con costanza e passione, risultati straordinari. Alfio è uno di questi: chi lo conosce sa che la sua storia finanziaria è cominciata con centinaia di migliaia di euro di debiti. Buona o cattiva, un’abitudine è un’azione che mettiamo in atto semplicemente, naturalmente e senza sforzo. Un’abitudine radicata controlla i comportamenti e le risposte agli eventi quotidiani e i ricchi sono coloro che hanno imparato a formare le proprie abitudini, perché consapevoli che quelle abitudini, una volta formate, avrebbero formato loro. C’è un solo modo per acquisire una nuova abitudine: condizionarsi; ripeterla e ripeterla all’infinito, fino a che diverrà un comportamento naturale. In questo capitolo ne elencheremo sette. Le sette abitudini che vi permetteranno di diventare milionari. Ricordate il nostro patto: non basta comprenderle, occorre condizionarle: la conoscenza è potere soltanto se viene messa in pratica! Vi esortiamo quindi a mettere subito in pratica i nostri insegnamenti. Non c’è nulla di più inutile di una conoscenza senza pratica, che ha il solo risultato di bloccarci. Ricordate quando si impara a guidare un’auto? Inizialmente ci si sente impacciati ogni volta che si deve scalare la marcia, poi, man mano che l’abitudine crea gli automatismi, tutto diventa semplice e le abilità apprese diventano un vantaggio. Se non
aveste praticato, sareste rimasti al livello di «autista principiante» e ciò avrebbe reso le strade meno sicure... Per tutto ciò che vedremo in questo capitolo, vogliamo spingervi a comportarvi nello stesso modo: dovrete trasformare le abitudini in automatismi, in forma mentis, in «modelli di pensiero da milionari», per servirvene efficacemente.
Abitudine n. 1 Redigere il proprio cash flow mensile Iniziamo questa sezione ricordandovi che:
Per diventare ricchi bisogna possedere delle attività! No, non stiamo scherzando. Troppo spesso le persone non prestano attenzione alle proprie «attività», cioè a tutto ciò che porta soldi nelle tasche e alle «passività», cioè a tutto quello che i soldi li fa uscire. E fin qui è tutto facile. Se non si identificano le attività e le passività, ci si ritrova a lavorare tutta la vita per poi sopravvivere con la sola pensione. Per diventare ricchi, occorre imparare a capire i numeri (e a ragionare con essi); immaginatevi come foste un’azienda: con delle entrate e delle
uscite. Io Srl, tu Spa Le aziende sono obbligate a stilare un bilancio, ma voi avete mai redatto un conto economico e uno stato patrimoniale di voi stessi? Conosciamo commercialisti che tengono la contabilità e redigono bilanci per i loro clienti e non hanno mai pensato di farlo per loro stessi! È questa mancanza a impedirci di capire dove siamo e dove stiamo andando (… e, soprattutto, dove vogliamo arrivare!) finanziariamente parlando. Come potete valutare la vostra ricchezza? Semplice, facendo dei conti! Il primo indicatore da valutare è il «patrimonio netto» che è dato dalla differenza fra l’attivo, i beni che possediamo, e il passivo, i nostri debiti. Dunque, le attività della nostra «azienda personale» rappresentano, come per le vere aziende, i beni che fanno parte del nostro patrimonio; per esempio i soldi in banca, i titoli di stato, gli investimenti, gli immobili, le aziende possedute e tutto quanto può essere venduto sul mercato. Le passività rappresentano i debiti, per esempio il mutuo o altri debiti contratti per acquistare altri beni: l’automobile, l’arredamento, il cellulare. Compilate il vostro bilancio personale iniziando dallo stato patrimoniale e calcolate la differenza tra attività e passività: il risultato sarà il vostro patrimonio netto. Non spaventatevi se è negativo: lo era anche il nostro!
Il flusso di cassa Passiamo ora a considerare il conto economico, l’altra «faccia» del nostro bilancio e analizziamo la composizione delle entrate e delle uscite che andremo a segnalare al suo interno. Le entrate sono rappresentate principalmente da due voci: 1.entrate automatiche, ovvero entrate che non dipendono da attività lavorativa: affitti, interessi attivi, dividendi o utili da società; 2.entrate attive, che rappresentano tutte quelle entrate provenienti da attività che svolgiamo in modo costante, per esempio il nostro lavoro. Le uscite sono tipicamente di due tipi: 1.uscite ricorrenti: il cibo, gli abiti, le spese per la casa e tutte quelle con scadenze fisse e programmate;
2.uscite una tantum: cioè spese occasionali come un viaggio, una nuova automobile, un nuovo cellulare. La differenza tra le entrate e le uscite costituisce ciò che chiameremo «flusso di cassa». Per far comprendere quanto è importante saper compilare e gestire il cash flow, Alfio ha creato il gioco da tavolo Y€$, di cui vi proponiamo uno schema compilato a pagina 49. A fine capitolo troverete invece due modelli in bianco di conto economico e stato patrimoniale che vi serviranno per monitorare il vostro cash flow. I ricchi, come abbiamo detto, acquistano attività. I poveri e la classe media acquistano debiti, pensando che siano attività. Sapete come mai? Il motivo è che nessuno gli ha mai spiegato il funzionamento (e l’importanza) del «flusso di cassa». Non ci stancheremo mai di ripetervelo: i gioielli, l’arredamento o l’automobile non costituiscono delle attività, a meno che non compriate questi beni per rivenderli. Tutto ciò che vi costa, ovvero «toglie soldi dalle vostre tasche», è un debito. Il flusso di cassa è l’unica vera concezione di ricchezza che vi permetterà di generare denaro aggiuntivo; il nostro consiglio è di prestare particolare attenzione al cash flow compilando frequentemente lo schema del conto economico che vi proponiamo.
D’ora in poi misurerete la vostra ricchezza con la capacità di generare flusso di cassa!... e farete vostra una nuova definizione di ricchezza:
Si è ricchi quando le entrate automatiche sono maggiori delle spese correnti
Nel momento in cui avete delle entrate automatiche (ovvero entrate che non dipendono dal vostro lavoro) che superano le vostre spese correnti, potrete definirvi ricchi e non avrete bisogno di dover lavorare per poter vivere. Questo è un concetto fondamentale per cambiare la vostra situazione economica e deve tener conto di due aspetti: 1.focalizzatevi sull’incremento delle vostre entrate automatiche; 2.trasformate il vostro lavoro in una fonte di attività che generi ulteriori entrate. Per iniziare, calcolate le vostre entrate automatiche, ovvero gli affitti che ricevete al netto di tutte le spese, le entrate che ricevete al netto di tutti i vostri investimenti e tutte le attività che non richiedono il vostro tempo. Sommatele per ricavare il valore totale del vostro reddito automatico. Se non avete entrate automatiche, compilate ugualmente lo schema segnando uno «zero» alla voce «entrate automatiche». Non vi aiuterà a fare i calcoli, ma il disagio che sentirete, forse, vi servirà da sprone! Ora elencate tutte le spese correnti e sommatele. Poi dividete le vostre entrate automatiche per le spese correnti. Esempio: Entrate automatiche = 10.000 € Spese correnti = 50.000 € Risultato = 10.000/50.000 = 0,2 Mio risultato: __________
Qual è il vostro risultato? Se, come nell’esempio, è 0,2, vuol dire che le vostre entrate automatiche coprono solo il 20% delle vostre spese correnti.
E adesso? Il nostro obiettivo, se preferite il nostro lavoro d’ora in poi, sarà fare in modo che questo indicatore sia superiore a 1. Quando avrete raggiunto questo valore, avrete raggiunto anche la libertà finanziaria, ovvero la libertà di decidere di lavorare, perché vi piace. Questo vuol dire essere ricchi: avere entrate automatiche superiori alle spese correnti. Se volete aumentare le vostre spese, cambiando auto o casa o stile di vita, dovete prima cercare entrate automatiche che coprano quelle spese.
Abitudine n. 2 Vivere in affitto! Alla luce di quanto abbiamo appena discusso, rispondete a questa domanda: la casa è un’attività o una passività? Oppure, affrontiamo la domanda in un altro modo: conviene comprare casa o prenderla in affitto? ☐ Conviene comprare una casa. ☐ Conviene pagare l’affitto. La risposta della maggior parte degli italiani è che conviene comprare casa, magari accendendo un mutuo trentennale, invece di «buttare i soldi tutti i mesi» in un affitto! Il motivo per cui la maggior parte degli italiani ha problemi finanziari è proprio che
considera l’acquisto di un immobile di proprietà un investimento per il futuro. La casa è una passività: non solo costa molto ma bisogna provvedere alla sua manutenzione e, inoltre, sostenere tutte le spese a essa collegate. Un altro luogo comune da sfatare è il fatto che la casa acquistata per mezzo di un mutuo sia «di proprietà»; questa è un’illusione facilmente smentibile: cosa succederebbe alla vostra «proprietà» se smetteste di pagare la rata del mutuo? A chi «passerebbe» la proprietà? Gli italiani hanno una certa diffidenza verso questo tipo di ragionamenti, poiché sono condizionati da una cultura profondamente orientata alla proprietà (ovvero possedere dei beni intestati a proprio nome) e non al possesso (ovvero poter disporre liberamente di beni, anche non di proprietà). Possiamo dire che questa mentalità presenta anche degli aspetti positivi: infatti, se non si ha una adeguata cultura finanziaria e non si fa nulla per far fruttare il proprio denaro in modo significativo, l’acquisto di una casa consiste in un «bene rifugio» che permette, se non altro, di non perdere eccessivo denaro in operazioni finanziariamente insensate. Ciò che vi proponiamo è di seguire fino in fondo questo nostro ragionamento «per assurdo», in cui abbiamo la bizzarra idea di presentarvi l’acquisto di una casa non come un’attività, ma come l’acquisto di un debito. Poi, se deciderete di comprarne una invece di pagare un affitto, questa resterà una vostra legittima scelta consapevole. Come abbiamo detto, la casa può essere considerata un’attività o una passività e questa differenza di visione può radicalmente cambiare la vostra vita finanziaria. Probabilmente chi ritiene la casa un’attività, penserà che lo siano anche i gioielli, la macchina o i vestiti.
A questo punto potreste obiettare che quando non si ha un mutuo da pagare, la casa smette di essere una passività. Ma ricordate che un’attività è qualcosa che riempie di denaro le vostre tasche, mentre una passività è qualcosa che ve lo toglie: finché la vostra casa non è in vendita o in affitto (con un affitto superiore alle spese per mantenerla), rappresenta una passività. Qualcuno vi dirà che se il valore dell’abitazione cresce nel tempo e continua a crescere, quell’investimento diventa un’attività, ma non è così. Anche se il suo valore raddoppiasse di anno in anno, infatti, si tratterebbe in ogni caso di un valore potenziale: sono soldi ipotetici! Quindi, se comprate casa per andarci a vivere, sostanzialmente comprate un debito. Chiedetevi semplicemente: se acquistata con un mutuo, in quale direzione va il cash flow di casa vostra? Controllate la situazione di Massimo, uno dei personaggi del gioco Y€$, nella scheda qui riportata: il denaro, in questo schema, entra o esce dalle sue tasche?
Non vi stiamo dicendo di non comprar casa, ma sappiate che se lo fate e non siete sufficientemente forti dal punto di vista finanziario, fate una scelta sbagliata!
Dalla scrivania di Alfio... Ricordatevelo, comprando casa state acquistando un capriccio. Perché quel debito può essere usato per produrre altre entrate. Per esempio io al momento vivo in una casa per cui pago un affitto di 70.000 euro annuali. Soldi buttati? Considerate che quella casa vale circa 3.000.000 di euro. E se usassi quei soldi per indebitarmi e comprare una casa o una intera palazzina, ristrutturarla e rivenderla? Con un margine del 30%, otterrei un ottimo guadagno, ovvero circa 1.000.000 di euro contro 70.000 euro di affitto... Comprare casa è letteralmente ignoranza finanziaria, ma lo è anche non alienare una casa ricevuta in eredità che è meglio vendere per poi, eventualmente, entrarci in affitto. Attenzione: stiamo parlando di scelta sbagliata esclusivamente da un punto di vista finanziario, non da un punto di vista emozionale, questa valutazione spetta a voi: se nel comprare casa per abitarci realizzate un desiderio o appagate un bisogno, compratela pure… … magari procuratevi prima delle entrate automatiche aggiuntive, in modo che il mutuo si ripaghi da solo… … ovvero create delle entrate che non dipendano dalla vostra professione! Come? Lavorando, è ovvio! (Cosa che la maggior parte dei lettori non ha mai fatto!) Abitudine n. 3 Svolgere un lavoro, non una professione
Forse state pensando che ora vi consiglieremo di cominciare, vista la crisi di impieghi, col redigere un buon curriculum, che metta in evidenza le vostre ottime qualità per spedirlo poi a qualche destinatario mirato, secondo chissà quale bizzarro e originale criterio. Oppure, più semplicemente, è probabile che abbiate pensato intendessimo consigliarvi di svolgere la vostra professione in modo umile e serio: qualcosa come «il lavoro nobilita l’uomo». No, parleremo di altro, soprattutto di come lavorare. Perché, sappiatelo, svolgere una professione non significa lavorare.
Dagli appunti di Lorenzo… Spesso mi piace ripetere che «svolgo una professione che farei anche gratis», ed è vero; e questa affermazione è valida anche (e in particolar modo) per Alfio. Lui più di me ama il suo lavoro, perché non ha più bisogno di lavorare per vivere una vita agiata nel lusso: se lo volesse, potrebbe smettere di farlo ora e passare il resto dei suoi giorni in vacanza, sorseggiando latte di cocco sotto una palma! Perché non lo fa? Semplice! Perché… … gli piace la sua professione! … e adora il suo lavoro! No, non è una ripetizione. Se non cogliete la differenza tra queste due affermazioni è probabile che svolgiate la
vostra professione principalmente per mantenervi e, forse, tra qualche pagina penserete (… come è successo a me …) di non aver mai lavorato! (… fino a ora!). Che lavoro fate? «Qual è il vostro lavoro?» Scrivete la risposta qui sotto: Solitamente, a questa domanda siamo abituati a rispondere «avvocato», «notaio», «commercialista», «impiegato» e così via, ma quello non è il nostro lavoro: è la nostra professione. Il nostro lavoro è di generare attività e creare ricchezza per noi stessi! Per esempio, a che scopo sta correndo la coppia di «giovani criceti» della storia che vi raccontiamo adesso?
La ruota del criceto Immaginate un criceto in gabbia: entra nella sua ruota e incomincia a girare. Quel criceto nella ruota corre e corre senza una meta precisa. Per quanto continui a correre, non si ferma mai e non arriva da nessuna parte. Corre, si stanca, ma rimane nella ruota. Immaginate un ragazzo appena laureato che abbia trovato un buon lavoro grazie al quale essere finanziariamente indipendente: lasciare casa dei genitori e trovare un appartamento.
È giovane e a fine mese non mette da parte quasi nulla: ci troviamo nella classica situazione di un individuo finanziariamente povero; non proprio sul lastrico: ha di che vivere, ma le uscite sono pari alle entrate, quindi a fine mese in tasca non gli rimane nulla. Dopo un po’ il ragazzo conosce una ragazza e le chiede di andare a vivere insieme. Dal punto di vista finanziario, risparmiano in due quel tanto che basta per il vitto e il costo di un affitto. La casa non è né bella né grande, i due vorrebbero sposarsi, ma decidono di aspettare: contando su due entrate, non troppo alte, preferiscono focalizzarsi sulle proprie carriere. Il tempo passa, i due fanno carriera e ottengono promozioni: le entrate crescono così come le spese; con la differenza che ora si trovano con un bilancio di fine mese positivo: risparmiano mensilmente una cifra significativa. Producono una ricchezza aggiuntiva che possono accantonare, quindi cominciano ad avere quello che in economia si definisce un attivo. Avendo ricevuto entrambi un aumento di stipendio, si sposano, e accendono presso la loro banca di fiducia un mutuo a 30 anni per comprare una casa con una stanza in più: la coppia aspetta un bambino! Ed eccoli lì, rinchiusi nella trappola dei criceti che corrono nella ruota: ora che è nato il bambino, servono ancora più soldi per pagare l’asilo, il cibo, i pannolini e coprire le spese correlate. I due non possono più fermarsi: ci sono spese tutti i mesi e in più la rata del mutuo incombe. Sono entrati a far parte di quella schiera di onesti lavoratori che, tutte le mattine, si svegliano e corrono come dei criceti senza avere una meta finanziaria precisa e senza potersi fermare, altrimenti muoiono di fame. Se fate un bilancio, vedrete che i due ragazzi stanno lavorando per ripagare le banche e
non per loro stessi: corrono per pagare i prestiti, il mutuo, le rate. A suo tempo si sono «dimenticati» di pagare loro stessi: illudendosi di investire quando in realtà compravano debiti. Perché non si accorgono di correre in una ruota per criceti? Perché non conoscono la differenza tra lavoro e professione!
Dalla scrivania di Alfio… A volte i corsisti mi chiedono: «Alfio, entrambi lavoriamo e ti assicuro che io mi do da fare diciotto ore al giorno spaccandomi la schiena anche nei week end, come mai tu ti arricchisci e io no?» Allora li guardo con aria provocatoria e li scuoto con questa affermazione: «Vedi, è semplice: tu ti ammazzi di fatica da 30 anni, ma la verità è che non hai mai lavorato!» Alcuni replicano con proteste rabbiose, altri, invece, drizzano le antenne, desiderosi di capire cosa intenda. Certe persone hanno una vasta cultura e sono anche professionalmente di successo, ma dal punto di vista finanziario sono totalmente incompetenti. Lavorano sodo perché hanno imparato a fare così. Ma non hanno appreso come far lavorare il denaro per loro. Una persona inizia a diventare ricca quando esce dalla cosiddetta «ruota dei criceti». Che lavoro fanno i vostri soldi? Anche i vostri soldi devono lavorare per produrre ricchezza come fate voi stessi. Che lavoro fanno? Quanto stanno producendo? Che lavoro fanno i vostri soldi?
Chi sta lavorando più duramente, voi o il vostro denaro? Ricordate che, per diventare ricchi, non serve lavorare sodo, ma lavorare in modo intelligente. Ci sono persone che lavorano duramente «dal collo in giù». Altre che lavorano «dal collo in su». Altre ancora fanno entrambe le cose. Non è nostra intenzione dare giudizi su che cosa sia più nobile e lodevole, sappiate solo che i più ricchi appartengono alla categoria di chi lavora molto di testa e meno fisicamente.
Dalla scrivania di Alfio… Durante i miei corsi di Wellness Finanziario tanti mi chiedono: «Ci insegni a fare più soldi?» In realtà, anche se aumentassi le loro entrate, si troverebbero comunque in difficoltà economiche: ciò che davvero dovrebbero fare è modificare le loro abitudini finanziarie. Spesso mi trovo in contatto con persone di grande successo nel loro lavoro, che però sono deboli finanziariamente. Ho clienti che guadagnano centinaia di migliaia di euro l’anno e ciononostante sono poveri: sono persone con uno stile di vita elevatissimo, che lavorano sodo, ma sono costantemente a pochi mesi dal totale tracollo finanziario. Che cosa succederebbe a un capofamiglia con uno stipendio di 100.000 euro l’anno se, per qualche motivo, non potesse più svolgere la propria professione? Non dovete permettervi di trovarvi in questa situazione! Dove vi trovate? Esistono essenzialmente quattro modi di guadagnarsi da vivere nella nostra società:
dipendente, libero professionista, imprenditore, investitore. Segnate con una crocetta l’attività, o le attività, che portano attualmente soldi nelle vostre tasche: □ Dipendente □ Libero professionista □ Imprenditore □ Investitore Se avete spuntato una sola voce, non potete definirvi ricchi: infatti è quasi impossibile arricchirsi grazie a entrate derivanti esclusivamente dalla vostra professione. Se avete spuntato solo una delle prime due voci, sarà altrettanto difficile per voi raggiungere la libertà finanziaria: i ricchi sono imprenditori o investitori. Qualunque altra entrata attiva infatti non rende finanziariamente indipendenti, perché occorre continuare a svolgerla per percepire denaro: ogni volta che smettiamo di correre, la ruota smette di girare! Perché scegliere un lavoro da poveri? Per quale motivo le persone scelgono di rimanere dipendenti o piccoli professionisti piuttosto che diventare imprenditori o investitori? Vediamo in dettaglio i profili delle quattro diverse professionalità. Profilo del dipendente. Chi sceglie di fare il dipendente lo fa per non dover pensare a come procurarsi lo stipendio per il mese successivo: preferisce guadagnare meno, ma una cifra sicura tutti i mesi; sa di dover lavorare ogni giorno un determinato numero di ore e
poter contare su avanzamenti di carriera più o meno cadenzati nel tempo rispetto alla propria anzianità e al proprio curriculum. È attirato dall’illusione della sicurezza (e dalla dipendenza fisica) del 27 del mese che come una droga dà sollievo al conto corrente, quando arrivano la pensione o lo stipendio. Profilo del libero professionista. Chi preferisce diventare un libero professionista lo fa per gestire i propri impegni con relativa libertà: probabilmente ama quel pizzico di adrenalina che si prova nel gestire impegni e scadenze a breve termine. A volte si tratta di persone che hanno scelto il proprio lavoro come ripiego e che scambierebbero volentieri la propria condizione con uno stipendio fisso e certo, soprattutto se un po’ più alto del livello del loro guadagno mensile medio. Sono persone che hanno comunque imparato ad amare il proprio mestiere. Alcuni di loro hanno aperto una società e quindi si considerano imprenditori pur essendolo solo sulla carta: la maggior parte del loro lavoro consiste infatti nell’essere «dipendenti di loro stessi», perché ricoprono i ruoli di maggior responsabilità e non possono lasciare la propria azienda per qualche mese e ritrovarla più florida di prima. Sono essenzialmente degli «artigiani con partita Iva» con qualche dipendente e al massimo un piccolo studio di professionisti. Sono catturati dall’illusione del «come lo faccio io non lo fa nessuno». Non sono veri imprenditori, ma piccoli professionisti. Profilo dell’imprenditore. Chi percorre questa strada sa che un ricco non viene pagato in base al tempo, ma in base ai risultati: passa la maggior parte della giornata lavorativa (a volte poche ore, altre tutta la giornata e buona parte della notte) a risolvere «indovinelli», che altri definiscono «problemi», delegando quasi sempre la gestione della risoluzione pratica a persone di sua fiducia o che sta addestrando per divenire tali. Non è
eccessivamente competente della materia del suo business, ma ha dipendenti fidati che lo sono più di lui. Il suo lavoro principale è motivare le persone, farle sognare, delegare e supervisionare in modo che tutto venga svolto per il meglio. La sua giornata lavorativa non finisce mai: spesso i migliori affari li conclude in un momento rilassato, al tavolo di un ristorante o magari sul campo da golf, altre volte ha inviato email dal suo ufficio ai suoi collaboratori tra le due e le quattro del mattino. Si definisce imprenditore chi ha almeno 50 dipendenti o 20 milioni di euro di fatturato. L’obiettivo dell’imprenditore è rendersi inutile al business. Così Alfio ha creato una sua azienda. Profilo dell’investitore. Un investitore, invece di lavorare come gli altri, preferisce «stampare moneta». Lo fa affrontando ciò che terrorizza o in generale crea disagio alle altre persone: studia gli investimenti, evita di innamorarsi delle idee preferendo ragionare sui numeri, legge i business plan e punta sulle persone sfruttando la sua conoscenza dell’animo umano, abilità anch’essa appresa. Gestisce le proprie emozioni, soprattutto paura e frustrazione, e si prende la responsabilità dei propri fallimenti, che reputa inevitabili come i successi. Nessuna di queste scelte è migliore o peggiore: tutte queste soluzioni di reddito sono valide allo stesso modo dal punto di vista etico e morale. Anzi, frequentemente un ricco si trova a lavorare in tutti e quattro i ruoli, in attività differenti o nella stessa. Falsa sicurezza del lavoro da dipendente: soldi ogni mese, ore di lavoro prestabilite, avanzamento di carriera più o meno calendarizzato. Reale insicurezza del lavoro dipendente: possibilità di tagli aziendali, fallimento
dell’azienda, cassa integrazione; lavoro fatto per anni e zero esperienza del mondo reale, delle vendite e del marketing. Quanti dipendenti si trovano oggi in cattive acque perché illusi dal mito del posto fisso come sinonimo di sicurezza e stabilità per la vita? Falsa sicurezza del libero professionista: «decido io quanto (e quando) lavorare e quanto (e quando) guadagnare». Reale insicurezza del libero professionista: soldi variabili a seconda della propria capacità di marketing e della qualità effettiva del proprio servizio, incassi e cash flow legati a pagamenti e fatturazioni, attività dipendente dalla propria presenza e dal proprio stato di salute. Molti liberi professionisti, che non hanno oculatamente stipulato una assicurazione contro gli infortuni, si trovano a dover «stringere la cinghia» nei periodi in cui sono forzatamente costretti a non lavorare. Inoltre, quanti di loro si lamentano degli inevitabili «periodi di crisi» legati al proprio settore o ai crediti per mancati pagamenti? La vera sicurezza appartiene a imprenditori e investitori, perché la loro scelta si orienta sulla libertà: sono coscienti degli imprevisti e si preparano ad affrontarli prima che accadano. Non è necessaria la loro presenza in azienda, si avvalgono di collaboratori indipendenti e capaci, che hanno addestrato; diversificano le entrate, si «sporcano le mani» ma non per svolgere attività che richiedano la loro presenza stabile così da poter continuare a guadagnare anche quando non possono lavorare perché malati o non vogliono farlo perché sono in vacanza.
Dalla scrivania di Alfio… Produrre attività che generano cash flow. Solo questo è lavoro. Mio padre, pur svolgendo la sua professione, anche duramente, per 14 ore al giorno, non ha mai lavorato nella sua vita.
Abitudine n. 4 Investire il 30% dello stipendio Come abbiamo visto, l’attenzione dei ricchi (e la vostra se volete diventarlo!) è sul cash flow: se non avete un flusso di cassa positivo, il modo più semplice e immediato per ottenerlo consiste nel risparmiare parte delle entrate derivanti dallo stipendio. Non affidatevi al caso: quanto denaro mettete da parte? A meno che non vi troviate sulla soglia minima della povertà, il 30%. Vi renderete infatti conto, calcoli alla mano, che anche per chi ha uno stipendio mediobasso risparmiare il 30% delle proprie entrate significa operare delle piccole rinunce non sostanziali: si tratta di privazioni che non limitano in modo sensibile la qualità della nostra vita, ma che aumentano considerevolmente le nostre chance di raggiungere la libertà finanziaria. Dalla scrivania di Alfio… Voglio condividere con voi una storia vera divenuta ormai un classico del corso
«investire in immobili». I protagonisti di questa storia sono due ragazzi impiegati alla IBM . Siamo agli inizi degli anni Settanta. Il primo spende mediamente tutto ciò che guadagna, risparmiando di tanto in tanto, quando capita, e «rompendo il salvadanaio» per le «emergenze». L’altro nostro amico ha l’abitudine di mettere da parte, prima ancora di decidere come spendere lo stipendio, il 15% di quanto percepito. C’è differenza tra il loro stile di vita? Assolutamente no, è praticamente identico: al massimo, qualche volta, una birra in meno al pub o una colazione in meno al bar. Tuttavia, dopo circa 2 anni, nonostante abitino insieme nella stessa casa e frequentino gli stessi posti (sono anche amici), uno dei due si trova da parte un piccolo gruzzoletto. Un giorno vengono a sapere che la vicina di casa, che voleva tornare al suo paese d’origine per stare vicino alla madre ormai anziana, aveva fretta di vendere la propria abitazione. La comprò a un prezzo vantaggioso il ragazzo che stava risparmiando da tempo: bloccò l’immobile con una parte della sua liquidità e accese un finanziamento che coprì affittando l’immobile ad alcuni studenti. La rata dell’affitto copriva le spese del mutuo e in più avanzava anche qualcosa: le sue prime «entrate automatiche». A questo punto della storia i due amici non sono più allo stesso livello finanziario. Gli anni passano: i due fanno entrambi carriera, trovano una fidanzata e si sposano. Tuttavia, mentre l’amico (ricordate il criceto nella ruota?) fa un mutuo e si indebita per comprare una bella casa, l’altro va in affitto in un piccolo appartamento, sicuro che un giorno potrà comprare un’abitazione più grande. Nel frattempo però ha trovato un altro buon affare e la banca, considerandolo un buon cliente (visto che già possiede un appartamento di proprietà di cui ha pagato regolarmente tutte le rate del mutuo), gli presta i soldi per comprare una seconda casa, che affitta ad altri studenti. Ora, la differenza tra i due
amici è notevole, le entrate di uno sono il doppio di quelle dell’altro e, quel che più conta, la differenza tra i due deriva da rendite automatiche: se smettesse ora di lavorare percepirebbe la stessa cifra per la quale l’amico corre come un criceto nella ruota. Sono partiti dallo stesso livello, ma le piccole rinunce dei primi anni di lavoro permetterebbero ora al giovane uomo di lavorare solo per il gusto di farlo. Nel frattempo, gli immobili hanno acquisito più valore, e data l’alta inflazione i mutui sono diventati ormai poca cosa. Lui si è impegnato ad accrescere la sua conoscenza sugli investimenti immobiliari, con tutto ciò che ne concerne: prestiti bancari, notai, tassi di interesse, valore di mercato. Trent’anni dopo, entrambi sono diventati dirigenti e hanno un buon tenore di vita. Al momento di andare in pensione, però, il primo possiede 46 appartamenti che gli procurano ingenti entrate automatiche. Il secondo, se non avesse la pensione, non riuscirebbe a sopravvivere decentemente. Eppure avevano avuto lo stesso inquadramento e un identico stipendio per tutta la loro storia lavorativa. E, ricordate, si tratta di una storia vera. L’investitore «quasi» medio… Tempo fa una giornalista chiese ad Alfio: «Mi dia un consiglio per un investitore medio». La risposta, molto semplicemente, fu: «Non essere un investitore medio». A voi daremo lo stesso consiglio, leggermente più articolato: vi esortiamo a «risparmiare» (cioè a investire nei vecchi canoni dell’«investitore medio», non a «mettere i soldi sotto il materasso») solo una cifra che vi permetta di sopravvivere agilmente per 6-12 mesi, al vostro attuale tenore di vita, e di indirizzare il resto in operazioni che possano garantirvi un rendimento annuo pari almeno al 10%. Come? Imparando a investire in prima persona e non solo delegando
questo compito alla vostra banca (che lo fa coi vostri soldi, accollandosene il rischio ma lasciandovi le briciole). Dove investire il 10% ovvero PIP, PAC, BOT, CCT, BTP eccetera Un metodo oculato di risparmiare consiste nel dedicare parte dei propri risparmi a piani di accumulo o pensioni integrative. Questa tipologia di economia non deve interessare la totalità dei vostri risparmi, ma come abbiamo detto solo il 10% di essi fino a raggiungere (vi consigliamo) quel tanto che basta a riempire la vostra «cassaforte della sicurezza», cioè una cifra che vi permetta di vivere, per un periodo minimo di sei mesi, fino a un massimo di un anno, al vostro attuale tenore di vita. In modo che, anche ritrovandovi senza entrate, quell’unica risorsa vi permetterà di avere tutto il tempo a disposizione per risollevarvi da un eventuale momento difficile, potendo continuare a provvedere a voi stessi e alla vostra famiglia. Potete integrare i vostri risparmi anche con certificati di deposito, BOT, CCT, BTP : sono anch’essi attivi che generano interessi «mentre si dorme» e sono relativamente sicuri. Tuttavia, si tratta sempre di investire in totale il 10% degli utili per PIP (Piani individuali di previdenza) e PAC (Piani di accumulo di capitale): non fate convergere la totalità dei vostri risparmi in questi investimenti, la loro redditività non è quasi mai sufficiente a garantirvi la libertà finanziaria in tempi accettabili, neppure grazie al miracolo degli interessi composti. L’uso di piani di accumulo, pensioni integrative e prodotti bancari in genere, va comunque necessariamente pianificato con un promotore finanziario professionista. Ve ne sono molti capaci e degni di fiducia, scegliete quello che più fa al caso vostro. Tenete però presente che spesso il consulente è «un venditore di prodotti bancari»: studiate i meccanismi
finanziari e il mercato dei titoli e siate voi a decidere, dopo aver ricevuto il consiglio, su quale prodotto investire. Anche nel medio mercato. L’investitore «quasi» medio evolve… Come decidete i vostri investimenti? Come ne calcolate il rischio? E il rendimento? Sapete utilizzare a vostro vantaggio il rapporto fra questi due elementi? Dalla scrivania di Alfio… Alcuni dicono che investire è rischioso e mettono i loro soldi in titoli di stato, ritenendo che siano senza rischio. Questa è la loro realtà. La mia è che c’è sempre un rischio in tutto, anche investendo in titoli di stato. E, come abbiamo già discusso, abbiamo avuto gli spiacevoli casi dei titoli argentini o Parmalat. Al contrario, ho l’esempio di un amico che investe il 5% del suo patrimonio in una strategia che mediamente lo vede uscire perdente sette volte su dieci. È un folle? Niente affatto. Il suo rendimento medio, da ben oltre 4 anni, va al di là di qualsiasi fondo di investimento tradizionale, anzi sono rendimenti sempre a tre cifre. Non gli interessa il rischio. A lui interessa il rapporto rischio/rendimento dell’operazione. Proporzione rischio/rendimento Bisogna quindi imparare a pensare in termini di rischio/ rendimento e non solo di «rischio». Se le poche operazioni finanziarie che si concludono bene hanno un ritorno con un margine tanto alto da coprire le perdite delle altre operazioni, il rapporto rischio/rendimento è positivo. In economia, le persone che non vogliono perdere o che
vogliono guadagnare ogni volta hanno una strategia fallimentare a priori:
Una strategia vincente include le perdite! Una strategia vincente include le perdite, ed è proprio la capacità di gestire le perdite (o le potenziali perdite) che fa diventare ricchi. I veri perdenti in economia sono coloro per i quali perdere costituisce un’opzione inaccettabile. Sono quelli che non possono permetterselo e cercano di evitarlo a ogni costo e scommettono solo sulle cose sicure: su uno stipendio sicuro, su una pensione garantita, sugli interessi in banca praticamente inesistenti. I perdenti continuano a perdere e i vincenti continuano a vincere, semplicemente perché i vincitori sanno che perdere, paradossalmente, fa parte del vincere. L’investitore evoluto: la Borsa e i mercati finanziari Investire in Borsa e nei mercati finanziari può essere un sistema straordinario per creare entrate aggiuntive extrastipendio. È relativamente facile, veloce ed economico aprire un conto via Internet e cominciare a operare in qualunque mercato: in Italia o all’estero. Esistono molti sistemi per guadagnare: se il mercato sale, se il mercato scende o se il mercato è piatto. Potete investire in azioni oppure in opzioni (che è un metodo più evoluto di acquistare o rivendere strumenti finanziari). Le opzioni sono uno strumento veramente versatile e flessibile: occorre però utilizzarle con cognizione di causa e conoscendo le leggi del mercato; è fondamentale, dunque, investire anzitutto su se stessi e sulla propria cultura
finanziaria. Evitate un approccio basato sullo stile: «buy and pray», ovvero «compra e prega», che ricorda più il gioco d’azzardo. Avvicinatevi invece al mercato azionario con operazioni semplici, possibilmente sotto la guida di una persona più esperta di voi e non dimenticate mai di avere una chiara strategia di uscita. L’investitore evoluto diversifica: gli immobili Se riuscite a risparmiare abbastanza da permettervi l’acquisto di una casa, invece di utilizzarla come abitazione, potete diventare investitori immobiliari. Gli immobili si rivelano spesso non solo un buon investimento, ma il miglior tipo di investimento in assoluto. Vediamone alcuni aspetti peculiari. Acquistare per affittare. Acquistare un immobile per metterlo a reddito affittandolo è un metodo lineare per creare un’entrata automatica. Potete farlo in due modi: • Denaro contante: oltre a richiedere una liquidità importante, questo metodo d’acquisto immobilizza una cifra ingente del vostro patrimonio, e vi porta un reddito mensile pari a meno del 10% annuo. Sono pertanto preferibili, in termini di redditività, altre tipologie di investimento. È difficile che l’immobile renda almeno il 10%? Sì. È fattibile trovare un investimento di questo tipo? Assolutamente sì. Bastano denaro e conoscenze tecniche per ottenere il risultato (magari aggiungendo valore a un immobile che ne ha meno o frazionandolo). • Finanziato: è l’acquisto tramite mutuo. La banca finanzia una parte dell’acquisto e l’affitto dell’immobile ripaga la rata di mutuo. Questo investimento è consigliabile solo nel caso in cui la rata di affitto sia superiore a quella di mutuo poiché, come abbiamo specificato,
si tratta realmente di un attivo solo se il flusso di cassa è positivo. Acquistare per rivendere. L’attività per un investitore immobiliare evoluto consiste nell’acquistare per poi rivendere a una cifra ben superiore rispetto a quella investita. Trovare un buon affare segue la regola del 100-10-1. Ovvero: vedo 100 proprietà, faccio 10 offerte, ne acquisto una. È un tipo di investimento che richiede perseveranza, ma che si può fare nel tempo libero. Orientatevi su immobili in zone che conoscete bene e, inizialmente, state alla larga da terreni e immobili non abitativi. Diventate «esperti di zona»: sfogliate le riviste di annunci, verificate i prezzi al metro quadro, parlate con agenti immobiliari, aguzzate la vista alla ricerca di cartelli di vendita. Ricordate la regola numero uno sugli immobili: «I soldi si fanno quando si compra e non quando si vende». Il parametro attraverso cui muoversi è un minimo del 30% di sconto, ovvero la cifra alla quale acquistate deve essere inferiore del 30% al valore di mercato. È il 42% di ricarico (se vendo a 100.000 compro al massimo tutto compreso a 70.000. Ma 70.000 + 30% fa 91.000, non 100.000, per cui il ricarico minimo è il 42%). Ecco dove potrete trovare affari di questo tipo. • «Don’t wanters»: è il termine americano che identifica chi, per i più svariati motivi, deve vendere al più presto o non vuole più l’immobile. Tipicamente sono persone che hanno problemi di liquidità, o con la necessità di trasferirsi rapidamente in un’altra città, oppure coppie che stanno divorziando o soci che dividono una società. In alcuni casi si tratta di proprietari incorsi in problemi legali: non scoraggiatevi ma fatevi consigliare da un buon avvocato; potreste infatti imbattervi in grossi affari, proprio per la presenza di quei rischi aggiuntivi, da gestire con competenze specifiche. A volte può essere interessante
considerare le offerte di vendita per immobili fatiscenti. • Aste immobiliari: il mercato delle aste è, contrariamente all’immaginario collettivo, accessibile e immediato. Occorre però immobilizzare una cifra che oscilla dal 10 al 15% della base d’asta, per partecipare alla vendita. Il deposito va effettuato il giorno prima dell’asta e viene restituito il giorno stesso, se non ci si aggiudica l’immobile. Investire in immobili è un po’ come quando da bambini giocavamo a Monopoli: compravate quattro casette verdi e poi le cambiavate con un hotel rosso. Ci vuole pazienza e costanza ma è il metodo più veloce per accumulare ricchezza. Dalla scrivania di Alfio… Spesso mi chiedono: «Ho 50.000 euro, come posso investirli? Posso darli a te? Quanto sarà il mio ritorno?» La mia risposta standard a questa domanda è: «Hai un piano?» Al che seguono le proteste: «Non ho bisogno di un piano, dimmi solo dove devo mettere questi soldi!» Questo non è investire. Per investire ci vuole un piano finanziario e una coscienza ben precisa, altrimenti non state investendo: state «puntando» i vostri soldi su un business e sulla credibilità della persona che ve lo propone. Occorre conoscere gli strumenti finanziari, e saperli utilizzare per fissare dei corretti parametri di valutazione dei vostri investimenti. La prima cosa che chiedo a una persona che mi propone un investimento è quanto è il ROE e quanto il ROI. Se la risposta è stralunata, come spesso accade, vuol dire che quella persona non ha nessuna idea di quanto mi renderanno i miei soldi e quindi lascio perdere.
Come valutare gli investimenti: ROI e
ROE
In un investimento «l’idea» pesa per il 3%. Il 97% è «sistema». Un prodotto scarso con un sistema vincente funziona; prendete, per esempio, il sistema di McDonald’s per vendere panini: non è forse vero che chiunque sarebbe in grado di cucinare un hamburger migliore? Eppure il prodotto (o l’idea) non è ciò che fa la differenza. Per poter valutare un investimento sono necessari degli indicatori e noi possiamo avvalerci del ROI e del ROE. La redditività di un investimento viene espressa dal ROI, che si ottiene calcolando il quoziente tra il risultato operativo e il capitale investito. «Return On Investment», o ritorno dell’investimento, significa infatti «quanti soldi ti tornano rispetto a quelli investiti»: il ROI esprime la percentuale del rendimento offerto dal capitale investito nell’attività di compravendita degli immobili. Il ROI è calcolato come rapporto tra l’utile e l’investimento totale. Per esempio, se investite 120.000 euro in un immobile e lo rivendete a 160.000, il ROI dell’operazione è: 160.000 – 120.000 = 40.000 (utile) (40.000 / 120.000) x 100 = 30% (ROI) Il calcolo del ROI è particolarmente utile nelle situazioni in cui è utile valutare l’opportunità di effettuare investimenti aggiuntivi, che richiedono l’accensione di nuovi debiti. Se il tasso effettivo dei nuovi prestiti è inferiore alla misura che si ritiene assumerà il ROI in seguito ai nuovi investimenti effettuati, l’operazione darà risultati positivi in termini di redditività globale (ROE).
Qual è, per un ricco, un ROI soddisfacente? Beh, è essenziale calcolare il fattore tempo. Se per esempio un’operazione immobiliare viene completata in 6 mesi, il ROI sull’anno è del 50%: 30% / 6 mesi = X / 12 mesi = 60% (non composto) Avete guadagnato un 60% annuo: niente male. (In questo caso, semplificato, si tratta di un guadagno lordo: ipotizzando una tassa del 30% resterebbe comunque un discreto 42% netto all’anno.) Vi sembrano tanti? Beh, se confrontati con i rendimenti che le banche offrono al dettaglio alla «gente comune» (per esempio il 3% lordo), sono effettivamente molti soldi. Ma le persone ricche considerano il ROI almeno a due cifre! Ma non è questo quello che interessa a loro. La sigla ROE è l’acronimo di «Return On Equity» e indica il quoziente di massima sintesi dei propri soldi investiti. La formula è: ROE
= reddito netto / mezzi propri utilizzati x 100
Serve a segnalare, in percentuale, il grado di redditività del capitale proprio. Se, per esempio, avete un utile pari a 30.000 euro su un investimento di 60.000 euro, allora il vostro ROE è del 50%. Per evidenziare l’effetto leva dell’indebitamento finanziario, è opportuno esprimere il ROE secondo la formula: ROE
= [ROI + (ROI – i) x (D/PN)]
•ROI = ritorno dell’investimento • I = costo del capitale • D = debiti • PN = soldi propri • D/PN= debiti/soldi propri Se il ROI è superiore al costo del capitale, all’aumentare dell’indebitamento aumenta anche la redditività del capitale proprio. I l ROE è il cugino meno noto del ROI, ma è il più importante per un ricco in quanto consente di calcolare il guadagno di operazioni che permettono di rischiare soldi propri il meno possibile. Confusi? Ecco un esempio: Prendiamo l’operazione già proposta, solo che questa volta consideriamo che, dei 120.000 euro spesi, solo 10.000 siano vostri, mentre gli altri 110.000 sono della banca. In questo caso i costi saranno maggiori per via delle spese del mutuo: diciamo 5.500 euro, che sottrarremo all’utile finale. Ecco quindi i nuovi conti: 160.000 – 120.000 = 40.000 40.000 – 5.500 = 34.500 (34.500 / 120.000) x 100 = 28,75%* (*Ovvero, il ROI peggiore per l’aumento dei costi) È una cifra minore: sembrerebbe che fare un mutuo non convenga ma… ecco calcolato il
ROE:
↓ Profitto / Soldi propri = 34.500 / 10.000 x 100 = 345% Avete investito solo 10.000 euro e ne avete guadagnati 34.500, cioè avete avuto un rendimento pari al 345%. Ecco come diventa possibile ottenere ritorni a due, tre, quattro cifre! In caso di mutuo al 100%, l’investimento in termini di soldi «propri» è pari a zero: e quando il denominatore di quella equazione scende a zero, il ROE diventa infinito. Questi sono i conti che fanno i ricchi: questi sono i conti che anche voi dovete iniziare a fare per occuparvi della vostra libertà finanziaria. Ecco perché non bisognerebbe mai usare i propri soldi anche se se ne hanno!
Abitudine n. 5 Creare entrate multiple Il tempo dei ricchi Avete mai visto un milionario che viene pagato per il tempo che passa in ufficio? L’abilità di generare denaro è legata all’abilità di creare o aggiungere valore a se stessi, per poi realizzare un progetto o creare un’impresa. Il denaro non è la ricompensa del tempo che impiegate, ma è il valore per quello che sapete offrire. Ricordate:
Barattare tempo per denaro è la strada per la povertà Le persone che si arricchiscono hanno due caratteristiche in comune: • hanno un piano; • hanno entrate multiple, ovvero più entrate diversificate. Fino alla fine del paragrafo lo ripeteremo fino alla nausea: quante entrate diverse avete oltre allo stipendio? Se non ne avete, dovete cominciare a pianificarne alcune! Quante volte venite pagati per ogni ora di lavoro? Se la risposta è una sola, le vostre entrate sono «lineari». Un dentista, un medico guadagnano molto, ma in modo lineare, cioè non possono prestare il loro servizio a più pazienti contemporaneamente. Un ricco, al contrario, viene pagato più volte per la stessa unità di tempo. In altre parole, mentre svolge il proprio lavoro ha ulteriori entrate che gli fruttano. Se ha due aziende, riceve i soldi da due fonti diverse contemporaneamente e se affitta delle proprietà riceve delle entrate automatiche. Se ha investimenti, quelli fruttano a prescindere da ciò che sta facendo. Impiegate il tempo come fanno i ricchi: cominciate a costruirvi entrate residue. Quante? Almeno una all’anno, in modo che in pochi anni sarete liberi di decidere se continuare a lavorare. Per essere ricchi dovete poter contare almeno su tre entrate differenti. Le vostre entrate aggiuntive: il primo posto dove cercarle
Per creare nuove entrate vi abbiamo suggerito di accumulare e investire i vostri risparmi, ma ci sono altre risorse che potete decidere di investire. La soluzione più ovvia che possa venire in mente è di impiegare il proprio tempo libero in una seconda attività lavorativa. Dal momento che già lavorate (e il vostro primo lavoro occupa buona parte del vostro tempo), è consigliabile che i guadagni derivanti da un secondo lavoro non dipendano dal tempo dedicato, bensì dai risultati prodotti. In un secondo lavoro ideale, inoltre, i vostri risultati non dovrebbero dipendere da azioni dirette, ma dalla gestione di azioni di terzi. La migliore attività, da questo punto di vista, è il network marketing. Come avere un secondo lavoro, anche quando si ha poco tempo libero Anche se in Italia non gode delle giusta considerazione (genera diffidenza perché poco conosciuto e spesso scambiato per ciò che non è), il network marketing è un sistema eccellente per diventare imprenditori part-time. Inoltre, per chi è sprovvisto di basi, è anche un’ottima scuola di vendita e management. Si tratta di un sistema distributivo incentrato sulla vendita di prodotti o di servizi a dei clienti che in seguito possono diventare distributori dei prodotti acquistati, a fronte di una commissione. L’attività di networker consiste quindi nel coinvolgere persone che, a loro volta, possono coinvolgerne altre, affinché si creino delle strutture di distributori e voi possiate guadagnare entrate automatiche con le vendite effettuate dalle vostre «down-line» (cioè dalle persone gestite da voi e dalle persone gestite da chi si trova sotto di voi). È un sistema molto remunerativo: sia in Italia sia, soprattutto, negli Stati Uniti si possono trovare moltissimi milionari che lo sono diventati attraverso di esso.
Un sistema semplice: ci si associa tramite un distributore/consumatore, si trovano altri che si associano e consumano i prodotti commercializzati. Questi a loro volta vendono e consumano prodotti e si guadagna una percentuale da ognuno, di solito per sempre. Per identificare la società giusta, orientatevi su ottimi prodotti, con un track record di successo (nel mercato italiano) e un business consolidato da anni: non avrete molte difficoltà a trovarne. Poiché dovrete sia gestire persone sia vendere, la società di network marketing per la quale lavorerete vi fornirà una formazione ai massimi livelli, sia di tipo manageriale sia sulla vendita e la gestione del tempo. Quindi l’ulteriore vantaggio di questo sistema è che vi consente di accedere a un know how di valore in cambio di un basso investimento; ciò vi consentirà di acquisire abilità di marketing e management, indispensabili e applicabili poi in qualunque tipologia di azienda, anche quelle che creerete voi stessi. Il network marketing è un vero lavoro nella parte di reclutamento perché, una volta
formate, le persone poi producono reddito indipendentemente da voi. Non siate ottusi, non confondete il network marketing con le catene di sant’Antonio. La gran parte delle società di network marketing hanno dimensioni maggiori delle più grandi aziende italiane e hanno milioni di consumatori in tutto il mondo, con un fatturato di miliardi di euro, e sono quotate alle Borse mondiali. Al momento una parte delle entrate automatiche di Alfio deriva proprio dalle attività di network marketing. Royalties Un sistema «vecchio stile» consiste nel diritto di autore o nei diritti percepiti per un brevetto. Avete qualcosa in casa che funziona a batterie? Se possedete un oggetto di questo tipo, è possibile che abbiate finanziato indirettamente l’inventore che ha brevettato l’indicatore di carica: questa persona guadagna solo pochi centesimi su ogni pila venduta (ma poiché vengono venduti milioni di pile, tutti i giorni, in ogni parte del mondo, potete facilmente immaginare l’entità delle sue entrate quotidiane). Tempo fa è comparsa su un noto settimanale un’intervista a Gianni Boncompagni: l’autore dichiarava che le maggiori entrate del suo patrimonio erano dovute ancora oggi a diritti di diffusione per alcune sue canzoni, composte anni fa, che continuavano a generare entrate continue, senza alcun intervento ulteriore da parte sua. Se avete delle competenze particolari, scrivere un libro o produrre del materiale artistico-culturale può costituire un’ottima fonte di entrate automatiche. Tuttavia, come abbiamo detto, si tratta di un sistema vecchio stile e potrebbe risultare assai lento o poco remunerativo nella società attuale, come sistema di guadagno: il guadagno per i diritti di questo libro potrebbe essere decisamente maggiore se decidessimo di commercializzarlo via Internet. Inoltre ciò ci esenterebbe dall’affrontare le lungaggini
burocratiche tipiche dell’editoria tradizionale.* Una valida alternativa ai vecchi sistemi è la rete web: tutto ciò di cui avete bisogno è del materiale informativo di qualità e una piattaforma attraverso la quale distribuirlo. Web-imprenditoria Internet è un mezzo formidabile, che vi permette di vendere prodotti in tutto il mondo in tempo reale. È semplice da creare, facile da testare, economico da produrre, veloce da inventare. In più possono essere commercializzati anche prodotti di terzi o vecchi oggetti di uso comune che non utilizziamo più. Il costo di partenza non varia molto se si ha una grande azienda o una piccola impresa: in partenza è basso, in mantenimento bassissimo. Avete degli hobby? Coltivate interessi di nicchia? Siete esperti in un argomento particolare? Molti passano il tempo libero a guardare la tv, in altri casi invece il tempo libero è stato il biglietto di ingresso nel business per molti imprenditori. Se possedete informazioni specifiche e particolari, potete diventare un «infoimprenditore»: si tratta del principale mercato sviluppabile in rete. Può trattarsi di materiale video, audio o formato e-book (che in questo periodo vanno per la maggiore). Ha un valore percepito altissimo, si trasporta facilmente, può essere «linkato» attraverso delle semplici email in pochi minuti e raggiunge chiunque, in qualsiasi parte del mondo, in modo automatico e a costo zero. Una volta che la pubblicità del vostro «infoprodotto» arriva al cliente (attraverso campagne specifiche di semplice ideazione), questi decide se acquistarlo o meno,versando direttamente sul vostro conto corrente la cifra stabilita. A questo punto il vostro sito Internet non fa altro che inviare automaticamente una email o il link attraverso cui scaricare dei file. Si tratta di un’attività che, una volta impostata, genera utili a qualsiasi
ora del giorno o della notte e senza impegno di tempo da parte vostra. Un’altra nuova frontiera della web-imprenditoria consiste nello sviluppare applicazioni per prodotti come iPhone, iPad o simili. Non è necessario essere dei «geni» del computer: moltissime aziende sono disponibili a investire nello sviluppo di applicazioni, ideate da chi ha interessi particolari o competenze di nicchia. A seconda del contratto stabilito, si percepiscono poi degli utili, ogni volta che viene scaricata l’applicazione. Nel caso dell’iPhone, inoltre, sono gli stessi Apple Store che si occupano di distribuire il prodotto. Non fatevi assumere da un’azienda: assumetela voi! Se non avete talenti particolari o inclinazioni artistiche di qualche genere, un altro passaggio consiste nell’investire il denaro risparmiato per acquistare attivi che generino interessi sul mercato finanziario, ovvero investire in aziende che generino utili distribuendo i propri dividendi. Pensate come sarebbe bello poter tornare indietro nel tempo e comprare quote di colossi come Microsoft, quando ancora si trattava di piccole aziende con sede in uffici striminziti! Esistono investitori che l’hanno fatto e ora sono miliardari. L’episodio più famoso riguarda un manager di Intel che diede un po’ di liquidità e qualche garanzia personale alla banca, per far partire una società dall’interno di un garage. Quella società si chiamava Apple Computer. Potete trovare questo tipo di investimenti, ad alto rischio ma altissimo rendimento (cioè con un buon rapporto rischio/rendimento), attraverso contatti personali o studi professionali, come quelli di un commercialista o di un buon avvocato. Nel prossimo Pilastro ci dedicheremo a questo tipo di attività; tuttavia, invece di esserne la parte investitrice, saremo coloro che propongono l’investimento: ci impegneremo a trovare denaro per le nostre iniziative, quando non disponiamo di risorse economiche.
I «giocattoli» dei grandi Come abbiamo visto, la differenza tra un ricco e un povero molto spesso non è nel sapere generare denaro, ma nella capacità di spenderlo correttamente e saperlo investire. La classe media spende mediamente tutto quello che guadagna e, quando le entrate aumentano, aumentano in proporzione anche le spese, talvolta i risparmi, raramente gli investimenti. Solitamente, all’aumentare dello stipendio, per la classe media crescono in proporzione anche i debiti perché aumentano i loro standard: vogliono (a buon diritto) comprare una casa più grande (come abbiamo già visto, ai ricchi al più interessa «possederla», che è ben diverso) e una macchina più potente, perché considerano queste cose uno status symbol. I ricchi, invece, definiscono case e macchine un «giocattolo da grandi». Vestiti e beni di lusso aumentano le spese, lasciando sempre meno possibilità e tempo per programmare investimenti redditizi. I ricchi hanno un «focus» totalmente diverso: concentrano i loro sforzi non sul lavoro, ma su come avere, acquistare, fondare attività che portano denaro nelle loro tasche. E non sono interessati ad acquistare «giocattoli», preferiscono «possederli» (non ci stancheremo mai di ripeterlo). Per un ricco non è importante essere proprietario di auto, beni di lusso o in generale di ciò che rende più piacevole e divertente la vita: in gergo si chiamano appunto «giocattoli da grandi» proprio perché sono l’equivalente dei balocchi dei bambini e ai ricchi interessa solo la facoltà di disporne liberamente. I poveri acquistano, i ricchi possiedono!
Avete presente quelle splendide imbarcazioni che si vedono ormeggiate nei moli delle più esclusive località marittime, con a bordo persone sorridenti? Vi siete mai chiesti come possano permettersi un tale bene di lusso?* Nove volte su dieci la risposta è che non possono! Sapete chi può acquistarle per loro? La società che possiedono! E se la società che possedete diventa proprietaria di una bella barca a vela, voi possedete la barca, cioè ve la godete, senza esserne i proprietari. Troppo veloce? Proviamo in questo modo. Anche se l’abbiamo già anticipata, l’obiezione più comune che potete aver espresso è:
Ok, ma se non ho soldi, non posso creare entrate automatiche! Ecco la credenza limitante vista nel primo capitolo! Ricordate?
«Non servono soldi per far soldi!» Per spiegarvi il concetto, evidenziamo un passaggio di poco fa:
«(I ricchi) non sono interessati ad acquistare giocattoli» ma «preferiscono possederli» Mentre leggete il prossimo brano, ricordatevi di queste parole...
Dagli appunti di Lorenzo… «I giocattoli di Alfio» (Caro Diario) Poco tempo fa Alfio ha creato un’attività molto divertente: comperare auto da sogno e noleggiarle ad aziende e privati. Come sua abitudine ha stilato un business plan e ha proposto ad alcuni amici e conoscenti di investire nella società comprando alcune quote. Ovviamente lo ha proposto anche a me. L’aspetto divertente dell’affare era che, contemporaneamente all’investimento per creare la società, si possedevano anche «quote tempo» delle autovetture. E così potevi ritrovarti al volante di costosissime auto da sogno: Ferrari, Porsche, Maserati, Lamborghini, Aston Martin, Bentley, le quali però, in linea con gli insegnamenti dei corsi di Alfio, non erano costate un euro (l’esborso economico è in realtà un investimento) e invece di sottrarre denaro dalle tue tasche lo aggiungevano. Dal momento che questo tipo di «giocattoli» non è nei miei interessi in questa fase della mia vita (mi piace descrivermi come uno che «passa sotto il livello dei
radar»), decisi di investire lo stesso denaro in un altro ramo a me più affine: l’immobiliare, in cui misi i proventi di alcune operazioni derivate da aste giudiziarie. A tutt’oggi non mi fa molto effetto, quando passo a trovare Alfio a Milano, scendere nel parcheggio sotto i suoi uffici e vederlo scegliere tra auto da sogno. Mi fa, al contrario, molto più effetto constatare che spesso, per motivi pratici, prendiamo la mia auto, che è una semplice (ma adorabile!) Fiat 500. Confesso tuttavia che veder arrivare i miei amici, alcuni dei quali guadagnano meno di me, al volante di una Bentley o di una Ferrari, mi dà una strana sensazione. Questo piccolo «gioco letterario» (non si tratta ovviamente della pagina di un diario!) è fatto per spiegare in modo semplice il concetto di «attività» creata «in leva finanziaria» (spiegheremo più avanti il significato di questa espressione). L’aspetto più importante di questa vicenda è che Alfio può tranquillamente acquistare per sé qualunque tipo di auto o bene di lusso; il motivo per cui non lo fa è lo stesso che gli permette di farlo: invece di spendere soldi per acquistare giocattoli, preferisce utilizzare il denaro di terzi per possedere giocattoli, creando un’attività che generi ulteriori utili, che vanno ad aggiungersi a quelli correnti. Questo esempio evidenzia come «possedere» qualcosa, cioè godersela, sia ben diverso dall’acquistarla, cioè pagarla. Voi siete già ricchi Tutto parte dal niente. Arriviamo al mondo nudi e ignoranti. E anche quando i ricchi creano un nuovo progetto lo fanno partendo da zero, nel senso che
puntano a crearlo senza intaccare le proprie finanze. Questo capitolo prevede due check: uno ha a che vedere con un bilancio delle vostre risorse materiali, l’altro con quelle immateriali. Sono entrambi importanti anche se, forse, il secondo lo è anche più del primo. Cominciamo con ordine. Se avete seguito le istruzioni di questo capitolo, vi siete trovati a fare un bilancio delle vostre attività e delle passività. Consideratelo il check materiale. Proprio come in un’azienda, le vostre attività sono costituite dalla cassa, dagli investimenti liquidi, dagli immobili e da tutti i beni strumentali che per un’azienda sono i macchinari. Le passività sono i debiti e i mutui. Quando sottraiamo i debiti dalle attività, abbiamo la vostra ricchezza reale (come quella della società). Quel valore è il vostro bilancio materiale. Ma esiste anche un bilancio di attività che non sono visibili e che costituiscono la vera sorgente della ricchezza. A quali attività ci riferiamo? Nel caso specifico di una «persona/azienda» sono la creatività, l’immaginazione, la generosità, il coraggio, la costanza, l’integrità, la capacità di vendita e di persuasione, il marketing, le relazioni e la gestione del tempo. Purtroppo abbiamo anche le passività non visibili: come la paura, la rabbia, l’ansia, le esitazioni, la pigrizia, una cattiva reputazione, una scarsa organizzazione.
In aggiunta, tutte le ulteriori risorse di cui abbiamo necessità, tangibili o intangibili, sono possedute da qualcuno, in qualche posto, in questo momento. Sono ciò che chiamiamo gli asset immateriali. Dopo aver valutato le vostre risorse materiali, incominciate a valutare anche i vostri asset immateriali, perché nel prossimo Pilastro impareremo come utilizzarli per «sollevare» il denaro che ci occorre.
Abitudine n. 6 Investire in formazione In molti si lamentano perché, pur avendo 10 anni di esperienza in un determinato settore, non vengono retribuiti di conseguenza. La verità è che spesso, pur lavorando effettivamente da una decina d’anni, non hanno realmente «10 anni di esperienza», ma solo l’esperienza di un anno ripetuta dieci volte. Non hanno mai frequentato un singolo corso per migliorare la loro situazione e non hanno mai letto spontaneamente più di un libro sul loro lavoro; spesso, pur volendo guadagnare di più, non hanno mai pensato di partecipare a un seminario specifico sul denaro o la ricchezza. Il segreto è:
Non si vale di più con il passare del tempo, si vale di più
solo se abbiamo incrementato il nostro valore! Le nostre entrate difficilmente superano il livello del nostro sviluppo personale. Per valere di più, ottenere di più e fare di più, dobbiamo cambiare. Se rimaniamo come siamo oggi, rimarremo fermi per sempre. Continuare a imparare è il requisito minimo per aver successo in ogni settore della vita. Se non cambiamo noi stessi, se non miglioriamo, avremo soltanto quello che abbiamo sempre ottenuto. È il valore che fa la differenza: non possiamo creare più tempo, ma possiamo aumentare il valore per unità dello stesso tempo ed essere pagati per questo nostro valore. Non rientrate nella media! Il mercato paga in modo straordinario per performance straordinarie. Il vostro obiettivo non può essere quello di diventare una persona «media» o «appena al di sopra della media». Il vostro obiettivo deve essere quello di diventare un esperto nel vostro settore, qualunque esso sia. Pensate ai migliori sportivi: che cosa fanno per essere ai massimi livelli? Semplice: si allenano più e meglio di altri, con costanza e abnegazione. Il vostro allenamento si chiama studio, la vostra palestra, formazione. Se siete dei manager, impegnatevi a diventare dei manager eccezionali! Se siete un imprenditore, studiate gli imprenditori di successo e le strategie che hanno usato; se siete dei commerciali, continuate per tutta la vita a essere studenti del processo di vendita: il 20% dei migliori venditori guadagna in media ben 16 volte in più dell’80% degli altri (e il 10% di quel 20%, anche molto di più!). Siate proattivi e propositivi: sforzatevi di creare una nuova idea al giorno su come potreste fare per migliorare ogni aspetto del vostro business.
La mente è come un muscolo che si sviluppa se lo si utilizza e l’apprendimento continuo è uno dei requisiti base del ventunesimo secolo. Nella vita ci sono due modi per imparare: • apprendere dalle proprie esperienze; • apprendere dalle esperienze degli altri. Gli eventi della vostra vita sono la miglior fonte di informazione: non fate che scorrano senza lasciare traccia! Alla fine della giornata prendetevi qualche minuto di riflessione per rivedere ciò che vi è successo, cosa avete fatto durante la giornata, in che direzione vi siete mossi, chi avete incontrato. Valutate le decisioni prese e quelle che avete evitato di prendere. Riflettete su ciò che avete o non avete realizzato e su quello che avreste dovuto o voluto fare. Alla fine della settimana, prendetevi un paio d’ore per riflettere su come è andata e progettate la settimana successiva. Alla fine di ogni mese prendetevi mezza giornata per riflettere sul mese trascorso e pianificare dettagliatamente il prossimo. Fate lo stesso a fine anno, ma dedicate un’intera giornata a esaminare l’anno che è appena trascorso e a programmare l’anno che verrà. Imparare dal nostro passato è il modo più veloce per decidere la strada migliore da imboccare nel nostro futuro. Un altro modo per imparare è studiare l’esempio di altri: Jim Rohn afferma che tutti i leader sono dei lettori, cioè persone che studiano e si informano in continuazione in campi anche diversi da quello in cui sono specializzati. Leggete le biografie di coloro che hanno ottenuto ciò che volevano, ne trarrete suggerimenti su come hanno ottenuto risultati straordinari e scoprirete gli errori che hanno commesso e quali insegnamenti ne hanno tratto. George Fontanills, uno dei maggiori trader al mondo, ha letto tutto sui top trader esistenti e
sa citare a memoria tutti i libri scritti sull’argomento (ha letto anche i libri di Alfio: un suo commento in proposito è riportato sulla quarta di copertina de I soldi fanno la felicità). Che cosa potrebbe accadere se leggeste un nuovo libro a settimana, riguardante il vostro settore? In un anno avreste letto ben 52 libri sull’argomento e apparterreste a quella fascia di individui che possiedono conoscenze specifiche sopra la media! Pensateci: questa piccola, piacevole abitudine, da sola, aggiungerebbe un valore incredibile alle vostre competenze! Ma non basta:
«Rubate» con occhi e orecchi! Se volete aver successo nella vita, dovrete essere più di un buon lavoratore/lettore: dovrete diventare un buon ascoltatore e osservatore. Notate quello che fanno le persone di successo. Perché? Perché il successo lascia traccia! Informatevi su come organizzano il loro tempo: quali sono le loro abitudini. Vi accorgerete che per aver successo, ognuno di noi crea degli schemi di comportamento che si ripetono giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese. Osservate quello che fanno le persone ricche: seguite seminari tenuti da persone di successo, notate il loro linguaggio del corpo e chiedetevi quali sono le loro convinzioni. La ricerca della conoscenza è la strategia primaria per diventare ricchi nella propria vita. Ricordate:
Una educazione nella media ha l’obiettivo di farvi ottenere risultati nella media, una educazione fuori dall’ordinario ha lo scopo di farvi ottenere risultati straordinari Dalla scrivania di Alfio… Abbiamo assistito tutti al decollo del mercato finanziario e al suo tracollo. All’inizio dell’era Internet tutti erano diventati investitori. La verità è che queste persone hanno giocato a un gioco senza conoscerne le regole. E hanno perso. Ho dei clienti che nell’era Internet hanno perso oltre l’80% del loro patrimonio. Persone che erano abituate ad avere milioni di euro in banca si sono ritrovate col loro patrimonio distrutto. Mentre il mercato crollava, io non ho mai guadagnato così tanto. Come mai? Perché mi sono preso la responsabilità dei miei soldi e li ho investiti con oculatezza, conoscendo gli strumenti e investendo molto denaro in corsi di formazione. Sono appena tornato da Orlando, in Florida, dove ho frequentato un corso avanzato di opzioni con i migliori trader al mondo. E indovinate un po’ quanti italiani c’erano? Solo io! Effettivamente il corso era un po’ costoso, circa 5.000 dollari, escludendo le spese di viaggio e soggiorno. Però, prima di partire un mio amico era venuto da me a chiedermi dei consigli sulla sua situazione finanziaria. Aveva perso circa 160.000 euro in Borsa e gliene rimanevano solo 40.000. Gli dissi che il migliore investimento che poteva fare era venire con me a frequentare
quel corso e imparare dai migliori investitori al mondo. Sapete cosa mi ha risposto? Troppo costoso! Io invece credo che non conoscere le regole del gioco per lui sia stato molto più costoso. Frequentate corsi di valore! Lo so, siamo gli autori di questo libro, teniamo corsi di formazione e ora vi stiamo consigliando di frequentare dei corsi: sembra una televendita a metà del film! Siete liberi di pensarlo, se lo volete: la verità è che non mostreremmo il fianco a una critica così facile, se non credessimo tanto nella formazione. I corsi costano. I corsi di valore, dal vivo, tenuti da formatori d’eccellenza, costano ancora di più. Sommando gli studi di entrambi, abbiamo speso per la nostra formazione personale centinaia di migliaia di euro: abbiamo frequentato corsi e studiato con i più grandi trainer del mondo; nomi come Robert Kiyosaki, Brian Tracy, Robert Allen, George Fontanills, Donald Trump, Harv Eker, Jack Canfield, Jay Abraham, Bob Circosta, Richard Bandler, John Grinder, Anthony Robbins, Robert Dilts, John La Valle, David Gordon. Eppure non si tratta di una spesa, ma di un investimento. Chi ci chiede quanto abbiamo speso per frequentare un corso ci fa una domanda sbagliata. La domanda corretta che tutti dovrebbero porsi non è «quanto costa quel corso», bensì «quanto vale quel corso». Investire in formazione è come assumere nuove persone: bisognerebbe considerarle non per quanto costano, ma per quanto valgono come collaboratori. Se partecipare a un seminario costa 6.000 euro, ma impariamo a investire guadagnando un altissimo tasso di rendimento, quanto vale quell’investimento?
Tuttavia, alcuni sono diffidenti a priori con questo tipo di consigli, specie se arrivano da chi, come noi, di mestiere tiene proprio quei corsi. A volte, nella vita, bisogna rischiare. Specie quando si tratta di investire su noi stessi. Frequentate corsi di valore: non necessariamente i nostri.
Abitudine n. 7 Gestire il tempo pianificando obiettivi Indovinate quali sono i corsi più richiesti nelle aziende. Sono «time management» e «goal setting». È un dato, questo, che ci dà molto da pensare: come mai le aziende che investono su professionisti in carriera si concentrano proprio su questi due aspetti? Stiamo parlando di quadri aziendali che ricoprono qualifiche dirigenziali o manageriali e che «dovrebbero» aver già dimostrato di saper pianificare tempo e obiettivi in modo da conseguire i secondi ottimizzando il primo. Come mai, allora, avvertono l’esigenza di continuare a studiare? Riteniamo che la ragione sia da ricercare nell’argomento di cui abbiamo parlato nel primo Pilastro della ricchezza: l’ambiente. Viviamo in un ambiente culturalmente poco propenso alla pianificazione degli obiettivi. Neppure il sistema scolastico ci prepara adeguatamente al loro raggiungimento: dalle elementari al diploma apprendiamo da un «controllore» che ci assegna «compiti a casa» (l’equivalente lavorativo delle procedure da svolgere) e ci esamina con dei «compiti in classe» (che, rapportati al mondo aziendale, assomigliano a «verifiche di produttività»).
Siamo molto preparati sulla teoria: sappiamo tutti quanto sia importante pianificare gli impegni ma, nella pratica, gestiamo al meglio quasi esclusivamente le scadenze: mai i desideri. Urgenza o importanza? Nella gestione del tempo, ogni nostra azione può essere vagliata secondo parametri di urgenza e importanza e rientrare in una di queste quattro aree: • area della dispersione; • area della distrazione; • area della pressione; • area della proattività. L’urgenza è riferita a cosa è importante «per noi» (non «in generale»), secondo i nostri valori personali: il sistema di riferimento è soggettivo. L’importanza fa riferimento al tempo: tutte le scadenze e gli impegni con limiti temporali. L’area della dispersione è costituita da tutte quelle faccende non urgenti e non importanti che svolgiamo nella vita. Sono tutte quelle attività che ci «anestetizzano»: guardare la tv per ore, mangiare quando non abbiamo fame, rimbambirci davanti ai videogiochi. Sono tutte occupazioni utili, se svolte per poco tempo e con lo scopo di rilassarci, ma diventano deleterie se protratte nel lungo periodo. Ovviamente, nessuna di queste attività era urgente e, dopo averle fatte, non provate soddisfazione: è tempo buttato. Lo stato d’animo provato più frequentemente da chi passa molto tempo in quest’area è l’insoddisfazione.
L’area della distrazione è composta da attività urgenti che non sono importanti per noi: tutte le scadenze, le bollette, gli impegni che svolgiamo al posto di altri. Gli impegni di quest’area spesso, per il loro carattere di urgenza, vengono anteposti alle attività davvero importanti. A volte lo facciamo per convenienza: sentirci «affaccendati» in mille occupazioni, infatti, ci evita di essere «impegnati» in cose che ci costerebbero uno sforzo mentale più grande. È il caso tipico di chi non affronta i propri problemi, pur avendone la soluzione, anteponendo come scusa la mancanza di tempo. Lo stato d’animo prevalente in quest’area è il senso di delusione. L’area della pressione comprende impegni per noi importanti, che svolgiamo in urgenza. È la dimensione dello stress: a fine giornata ci sentiamo stanchi ma appagati. Spesso in quest’area «vivono» i piccoli imprenditori, alle prese con la loro azienda. L’area della proattività è quella di chi delega, ha alleati, anticipa i problemi. Lo stato d’animo di quest’area è la soddisfazione. Vivere in quest’area permette di controllare più attività contemporaneamente, gestire più aziende e controllare più investimenti. Ora che avete preso visione delle differenti aree, controllate l’agenda e passate in rassegna i vostri impegni stabilendo a quali categorie appartengono. In quale area vivete più spesso? Vi appuntate solo impegni con una scadenza? In questo caso vi sarà molto difficile vivere nell’area della proattività: segnate i risultati che volete raggiungere per voi stessi e date loro una scadenza decisa da voi! In questo modo sarete in grado di scegliere a quali impegni lavorare e potrete portarvi avanti nella realizzazione di cose che generano soddisfazione a voi stessi, non agli altri. Se scoprite di vivere la maggior parte del tempo nell’area della proattività, non rallegratevi troppo: è possibile che stiate chiedendo troppo poco a voi
stessi e che abbiate abbassato i vostri standard. L’equilibrio ideale consiste nel bilanciare l’area della pressione e quella della proattività, indugiando il meno possibile in quella della distrazione e senza scivolare mai in quella della dispersione.
Dalla scrivania di Alfio… Una sera, mentre mi trovavo in Messico per frequentare un corso, incontrai nella veranda dell’albergo John, il mio trainer. Avevamo appena cominciato a chiacchierare quando, a un certo punto, John mi interruppe e mi disse: «Alfio, la cosa migliore che io posso fare per te non è darti più informazioni, ma lavorare un po’ sulla lista dei tuoi obiettivi. Vai a prenderla!» Io gli risposi: «No… ma non ce l’ho...» «Allora vai a prenderla in camera», mi disse. «No, non ce l’ho neanche in camera.» «Allora vai a prenderla in macchina.» A quel punto confessai: «Sai, veramente non l’ho mai scritta». Mi guardò dritto negli occhi e disse: «Capisco! Scommetto che ti sono rimasti pochi dollari sul conto corrente, o che tu sia pieno di debiti. Vero?» Ma come faceva John a sapere che non avevo soldi? Anzi, che ero proprio in bolletta e avevo usato gli ultimi soldi rimasti sulla mia carta di credito per iscrivermi a quel corso? John aggiunse: «Come fai a essere finanziariamente libero se non l’hai progettato? Come fai a sapere a che punto sei finanziariamente se non lo controlli?» È da quel giorno che ho cominciato a capire che se avessi voluto diventare finanziariamente libero e ottenere qualcosa nella vita, avrei dovuto avere un buon piano.
Si è leader se si ha una meta! Che cosa significa essere leader o avere leadership? È importante capirlo, perché coloro che sono diventati ricchi, e la maggior parte di chi ha conservato il patrimonio di famiglia, hanno fatto leva sull’ingrediente fondamentale e imprescindibile della leadership. Ma per guidare qualcuno o voi stessi verso una meta, bisogna avere prima di tutto una chiara idea di quale sia il punto d’arrivo. Un leader è tale in quanto ha una direzione, una destinazione, un obiettivo: non sempre conosce la strada, a volte non sa come raggiungerla, ma un leader ha sempre una meta! La prima cosa da fare per acquisire leadership è confrontarsi con un risultato, un obiettivo da raggiungere. Fissate subito il vostro o rischierete di ritrovarvi a correre senza una meta precisa.
Dalla scrivania di Alfio… Tra le lezioni impartitemi da John quella sera, ci fu una frase che non dimenticherò mai: «Se non hai un progetto e degli obiettivi per la tua vita, qualcun altro li avrà per te». Ho frequentato centinaia di corsi da allora, ma questa resta una delle frasi che più mi hanno colpito. Inorridisco all’idea che qualcun altro abbia un progetto per la mia vita: voglio essere io a progettarla e a viverla! Quello che ho appreso, nel mio percorso da uomo pieno di debiti a multimilionario, è che non è importante da dove vieni, ciò che conta davvero è sapere dove vuoi andare. Senza obiettivi, la vita è come se ci scorresse addosso. Vivere senza obiettivi precisi è come tendere l’arco e accorgersi solo dopo aver
scagliato la freccia di non avere un bersaglio al quale puntare. Questione di S.A.R. è l’acronimo di «sistema di attivazione reticolare». Durante questo processo la mente si attiva alla ricerca di opportunità utili, permettendo al cervello di porre l’attenzione su determinati aspetti, tralasciandone altri. Un po’ come quando decidiamo di acquistare un certo modello di automobile e cominciamo a vederla dovunque: abbiamo dato al nostro cervello l’istruzione di tararsi su ciò che cerchiamo e incominciamo a notare quell’autovettura dappertutto. Se sono orientato a cercare una cosa, prima o poi la troverò; allo stesso modo, se ci immaginiamo già ricchi, faremo caso automaticamente a tutte le nuove possibilità e si apriranno nuove strade che magari, semplicemente, prima non vedevamo. Immaginate quanto possa incidere nella nostra vita attivare il nostro «sistema di attivazione reticolare» sulle opportunità o sui limiti che si presentano attorno a noi. Ci sono persone che si domandano: «Come faccio ad arrivare a fine mese?» «Come mai ho così pochi soldi da parte?» Continuando a porsi questo tipo di domande, molto difficilmente si noteranno delle opportunità redditizie. Al contrario domande del tipo: «Come posso aggiungere un’entrata automatica al mio reddito?» oppure: «Come posso guadagnare tale cifra in tale tempo?» o ancora: «Come posso diventare finanziariamente libero entro questa data?» spostano totalmente la nostra attenzione e ci mettono in uno stato mentale totalmente diverso. S.A.R.
Le 4 fasi chiave di un obiettivo Scegliere l’obiettivo è fondamentale, ma si tratta della parte più facile o, per dirla in un
modo più affascinante, una cosa è conoscere la via, un’altra imboccarla. Che cosa implica darsi un obiettivo? 1 . Osservatevi onestamente allo specchio. Siate onesti sulla vostra attuale condizione. Non mentite a voi stessi. Prendersi la responsabilità di formulare consapevolmente i propri obiettivi significa in primo luogo preoccuparsi di vedere «dove siamo» rispetto ai nostri progetti (personali e professionali), per capire davvero se siamo disposti a pagare il prezzo necessario per raggiungerli. Se vogliamo avere il controllo della nostra vita, dobbiamo sapere che cosa vogliamo e dove intendiamo arrivare. Ponetevi domande dirette: «Che cosa voglio essere tra cinque, dieci, vent’anni? Che significato voglio dare alla mia vita? Dove voglio arrivare professionalmente? Che cosa voglio diventare in quanto persona?» 2. Datevi una scadenza. Sapete qual è la differenza tra un sogno e un obiettivo? Il sogno non ha scadenza, l’obiettivo sì. Per cui, ciò che dovete fare per realizzare i vostri sogni è dare loro una data entro la quale li avrete raggiunti o li metterete da parte: per esperienza vi garantiamo che la maggior parte di voi resterà sorpresa da quanti sogni tenuti fino a ora nel cassetto si avvereranno; o, nel caso peggiore, almeno smetterete di vivere un presente reso sopportabile solo da un carico di illusioni su un improbabile futuro. 3. Impostate il percorso. Avete un piano d’azione o sperate semplicemente che, in qualche modo, le cose migliorino da sole? Preoccupatevi di identificare le azioni necessarie per raggiungere i vostri obiettivi! Domandatevi semplicemente: «Sono più vicino al mio scopo, rispetto a un mese fa? Sto lavorando concretamente affinché si realizzi? L’anno prossimo sarò più vicino alla meta rispetto ad adesso? In che modo?» Perché i nostri obiettivi possano divenire reali e non rimanere castelli in aria, dobbiamo crederci e
assumerci la responsabilità di delineare passo per passo questo cammino! Il successo in questo mondo è di chi compie questo sforzo. Si tratta di stabilire il prezzo e pagarlo; senza la seconda parte della frase, la prima è mera conversazione. 4 . Continuate a muovervi. Winston Churchill fu invitato a tenere un discorso ad alcuni neodiplomati. Gli studenti aspettavano con impazienza, ansiosi di apprendere da quel grande statista che cosa lo rendesse tanto straordinario. Churchill guardò i ragazzi e tuonò: «Mai, mai, mai, mai, mai, mai, mai, mai, rinunciare!» Poi tornò a sedersi senza dire altro.
Dalla scrivania di Alfio… Spesso mi dicono che io ho il pregio di «partire» non appena mi viene in mente un’idea. Io sono della «filosofia Microsoft», faccio e poi correggo strada facendo. Di solito quando ho un’idea inizio raccontando il progetto a tutti e piano piano trovo alleati che mi aiutano a raggiungere i miei obiettivi. È stato così con la catena di caffetterie americane Arnold Coffee. È così in questo momento con la mia nuova società di acqua minerale. In pochi sperimentano l’ebbrezza che si prova nel fissare i propri obiettivi: averli davanti agli occhi ogni mattina al risveglio e la sera prima di addormentarsi. Al contrario i più, leggendo queste parole, avranno avvertito un senso di pesantezza allo stomaco. Lo ripetiamo:
È inebriante fissarsi nuovi obiettivi! Vi siete mai svegliati con una «magnifica ossessione» davanti agli occhi? A che livello gestite il tempo? Spesso si sente dire (da persone che milionarie non sono): «Ci vuole tutta una vita per diventare milionari». Anthony Robbins, il famoso formatore statunitense, considerato uno dei cento intellettuali più ricchi e influenti del pianeta, afferma: «La maggior parte delle persone sopravvaluta quello che può fare in un anno e sottovaluta enormemente ciò che si può compiere in dieci anni». Siamo assolutamente d’accordo con lui: avete mai conosciuto persone che all’inizio dell’anno stilano una lista di buone intenzioni? Leggendo quella lista la loro vita dovrebbe cambiare nel giro di 12 mesi eppure ogni anno le voci su quell’elenco restano sempre le stesse: come mai? Perché pretendono di cambiare tutto nel giro di poco tempo e non riuscendo a passare da zero a cento in qualche mese perdono di entusiasmo e rinunciano! A questo proposito vogliamo condividere con voi uno schema di autovalutazione molto interessante sui «6 livelli di gestione del tempo» appreso da Lorenzo nel periodo in cui collaborava con il nostro collega Roberto Re: ☐ 1° Livello - Abilità di gestire l’area delle azioni singole : per esempio fare la spesa, pagare le bollette, passare alla posta, fare una telefonata. ☐ 2° Livello -Abilità di gestire un obiettivo articolato: stilare un piano d’azione, iniziarlo e portarlo a termine. Per esempio seguire una dieta, pagare le rate di un mutuo o accumulare un piano pensionistico.
☐3° Livello -Abilità di gestire un progetto : un progetto è definito come una serie di obiettivi i cui risultati, sommati, conducono verso un risultato finale più grande, verso una meta precisa. Per esempio l’analisi di un investimento, il reperimento di mezzi e risorse per realizzarlo e la sua attuazione. ☐4° Livello -Abilità di gestire una categoria di miglioramento: a livello personale queste categorie sono: salute, finanze,emozioni, relazioni. A livello professionale sono: vendita, amministrazione, marketing, contabilità. Sapercene occupare significa avere più progetti per ciascuna area e saperli gestire contemporaneamente. ☐5° Livello -Abilità di gestire un’area manageriale : personale, professionale o imprenditoriale, ognuna composta da varie categorie di miglioramento. Chi opera una gestione del tempo a questo livello è in grado di gestire efficacemente un’area e le categorie che la compongono. ☐6° Livello -Abilità di gestire aree multiple di management : cioè saper gestire le aree precedenti, quando sono più di una e i cui progetti, obiettivi e sotto-obiettivi si intersecano fra loro. Come avrete notato, i livelli sono 6: dal più improvvisato e privo di organizzazione a quello più evoluto: a quale livello siete in grado di vivere? Dove spendete le vostre energie? Segnate con una «X» la vostra posizione. Fissate la meta, assicuratevi che quella che state percorrendo sia la VOSTRA strada e, se così non fosse, date una svolta decisiva alla vostra vita. Adesso. E non fermatevi più! Non date la caccia ai topi, ma neppure ai dinosauri!
James Carville e Paul Begala, autori del libro Buck Up, Suck Up and Come Back When You Foul Up , usano la seguente analogia per illustrare la ragione per la quale la maggior parte delle persone fallisce nel raggiungere il livello di successo che vorrebbe ottenere: Immaginate un leone in cerca di cibo nella savana africana. Se rincorresse un topo di campagna, le energie che utilizzerebbe per catturare la preda sarebbero maggiori di quelle che ne ricaverebbe mangiandola. Se dovesse rincorrere un’antilope, anche impiegando molte più energie per la caccia, sarebbe poi in grado di vivere bene per molte settimane, grazie ai frutti del proprio successo. Il significato di questa metafora è il seguente: considerando che inevitabilmente dovrete impiegare una parte del vostro tempo alla conquista di qualcosa, dovreste quantomeno cercare di ottenere «un premio» per cui valga la pena investire del tempo, invece che qualcosa di insignificante. Vogliamo aggiungere qualcosa a questa metafora: nel corso degli anni abbiamo avuto modo di constatare che alcuni individui mirano troppo in basso con i propri sogni, progetti e obiettivi, mentre altri si sbilanciano eccessivamente pensando: Bene, se un’antilope è più soddisfacente di un topo di campagna, perché non utilizzare le mie energie per inseguire il mostro di Loch Ness? Dopotutto, devo solo catturarlo una volta e non dovrò andare a caccia mai più! Sono le persone che tentano di guadagnare un milione di euro in 30 giorni, anche se non hanno mai guadagnato più di 10.000 euro in un anno, oppure si aspettano di diventare una star del cinema dopo una settimana a Hollywood. A questi lettori vorremmo consigliare di procedere gradatamente: iniziate per esempio a porvi l’obiettivo di raddoppiare le vostre
attuali rendite e, dopo averlo fatto, provate a duplicarle nuovamente. In economia si possono coprire in poco tempo lunghe distanze, a patto che siate disposti a compiere un passo alla volta. Una dieta a base di un topo di campagna o del mostro di Loch Ness potrebbe condurre a un decesso prematuro del vostro business, della vostra carriera o del vostro progetto. Al contrario, una dieta «a base di antilope» vi potrà far raggiungere la libertà finanziaria molto più velocemente. Fare il dipendente è un progetto da «topo», non a caso gli americani la definiscono rat race: la corsa del topo. Creare una propria azienda, partecipare a un network marketing, imparare l’Internet marketing è un obiettivo A (Antilope). Cercare di vendere un castello da 30.000.000 di euro senza avere capacità ed esperienza è un progetto MDL (Mostro di Loch Ness). Piano d’azione Pilastro n. 2 - Abitudini Check point ✓ Fate un bilancio mensile, con tanto di calcolo del flusso di cassa: fatelo ora! ✓Calcolate la vostra «cassaforte della sicurezza», cioè la cifra con la quale potrete vivere agevolmente mantenendo il vostro attuale tenore di vita per un periodo da 6 a 12 mesi. ✓ Individuate a che «livello di gestione del tempo» operate. ✓ Stilate un piano d’azione annuale, mensile, settimanale e giornaliero; utilizzate un’agenda.
✓Elencate tutti i progetti sui quali state lavorando attualmente. Accanto a ogni voce dell’elenco, scrivete una A se si riferisce a un progetto Antilope (qualcosa con una ricompensa sostanziale), una T se si riferisce a un progetto Topo di campagna (qualcosa che richiede un grande sforzo in cambio di una piccola ricompensa), oppure una MDL se è relativo a un progetto Mostro di Loch Ness (per esempio «non dover lavorare per vivere entro le prossime 2 settimane» se attualmente non avete entrate). «To do» list… ✓Leggete 4 libri al mese sulla vostra crescita personale. ✓Frequentate 4 corsi l’anno sul denaro, la ricchezza e la crescita personale in genere. ✓Seguite il vostro piano di obiettivi quinquennale - annuale - mensile - settimanale giornaliero cominciando dagli impegni che avete contrassegnato con la lettera «A». ✓ Se vivete in una casa di proprietà, affittatela o mettetela in vendita. ✓ Accantonate il 30% delle vostre entrate mensili: il 10% investitelo da «investitori medi» fino a riempire la vostra «cassaforte della sicurezza»; il 20% investitelo in modo «evoluto». ✓Create un’entrata multipla al semestre e/o incrementate in modo sensibile quelle già in essere. Dovete arrivare ad avere minimo 3 entrate multiple.
* Naturalmente, stiamo analizzando la remuneratività lineare diretta: i vantaggi in visibilità e prestigio, nel pubblicare con una casa editrice rinomata, ripagano enormemente gli sforzi e il mancato guadagno di una commercializzazione diretta tramite web. * Per dovere di precisione occorre specificare che in molti casi non si tratta di beni di lusso; tali oggetti del desiderio sono infatti talmente elitari da superare questa definizione e rientrare in una categoria superiore: i «beni inaccessibili». Cioè impossibili da possedere per le persone comuni.
Terzo Pilastro Abilità
Abilità n. 1 Relazionarsi Diventare ricchi è un gioco di squadra: non si possono accumulare milioni in solitudine. Per creare la squadra della quale avrete bisogno, dovrete sviluppare alcune delle caratteristiche fondamentali dei milionari: carisma, piacevolezza, charme, acutezza sensoriale, riunite da una capacità comunicativa d’eccellenza; queste caratteristiche possono apparirvi qualità innate ma in realtà si tratta di abilità che, in quanto tali, possono essere coltivate e apprese. Uno dei falsi miti sui grandi comunicatori, infatti, è che nascano tali, mentre al contrario i più grandi lo sono divenuti nonostante siano partiti anche da situazioni svantaggiate. Un grande comunicatore è un grande ascoltatore L’altro falso mito sui grandi comunicatori è che lo siano in quanto grandi oratori. In
alcuni casi ciò risponde a verità, ma l’abilità di incidere sui comportamenti e le decisioni altrui ha ben poco a che vedere con le parole: un grande comunicatore è innanzitutto un acuto «ascoltatore». L’arte di ascoltare è l’abilità più importante per relazionarsi efficacemente: in primo luogo perché chi si sente ascoltato, compreso e capito, si trova a proprio agio e disposto a condividere con noi informazioni importanti. In secondo luogo, perché ascoltarlo ci permette di «decifrare la sua mappa interna», cioè arrivare a capire ciò che è più importante per lui. Troppo spesso, durante transazioni di affari e nella nostra vita privata, non ascoltiamo veramente, attendiamo solo il nostro turno per parlare. Ascoltare è la prima regola della comunicazione relazionale: la base di rapporti e affari destinati a durare, di amicizie profonde e di relazioni appaganti. Dean Rusk, che fu segretario di Stato durante la presidenza Kennedy, affermava: «Uno dei modi di persuadere gli altri è con le orecchie, ascoltandoli». Aveva ragione: siamo stati creati con due occhi, due orecchi e una sola bocca affinché li usassimo in proporzione, ascoltare e osservare il doppio di quanto parliamo; la natura e chi comunica per la ricchezza conoscono questo segreto. I presupposti della comunicazione Prendiamo alcuni spunti fondamentali dalla Programmazione neurolinguistica. Questi principi, noti come «presupposti della comunicazione», hanno il pregio di fornire un punto di vista «proattivo» all’approccio comunicativo. • La mappa non è il territorio. Che cosa significa? Immaginiamo che la realtà sia un territorio in cui sono riportati gli eventi e le circostanze in cui ci imbattiamo. Ogni pensiero segue un percorso diverso per orientarsi in questa realtà, che viene percepita
diversamente da ognuno di noi, creando dei personali schemi mentali. Di conseguenza, ognuno di noi, con le proprie connessioni neuronali, ha una sua personale «mappa» per orientarsi. Chi ha una «mappa della realtà» più specifica o particolareggiata può percepire con maggiore varietà le sfumature dei comportamenti e degli stati d’animo. Vantaggi che gli permetteranno di essere più flessibile nell’adattarsi ai «cambiamenti di rotta» e nel raggiungere i propri obiettivi. La nostra prima preoccupazione sarà quindi di considerare la nostra mappa un «sistema di riferimento modificabile», per poter cambiare approccio con maggiore facilità qualora i risultati ottenuti non fossero in linea con i nostri desideri. • Non si può non comunicare. Comunichiamo attraverso il linguaggio sia verbale sia non verbale e praticamente tutto ciò che facciamo può essere considerato comunicazione; che si tratti di un discorso, di uno sguardo o di una semplice stretta di mano, capire che cosa trasmettiamo, e «lo strumento» che utilizziamo per farlo, sarà la seconda materia del nostro «piano di studi». • Non è importante ciò che parte, ma ciò che arriva. Questo bizzarro modo di dire serve a ricordarci che lo scopo della comunicazione sta nella risposta che otteniamo. La comunicazione è uno scambio di informazioni che opera in un sistema di interazione tra emittente e ricevente. All’interno di quel sistema la risposta del ricevente è condizionata dall’efficacia o dall’inefficacia del nostro messaggio, ovvero dell’emittente. Quindi, un buon comunicatore si relaziona con gli altri ritenendo che la responsabilità della comunicazione sia in chi comunica e non in chi riceve il messaggio. Se la persona con la quale avete voluto comunicare non svolge il compito che gli è stato assegnato o se uno dei vostri famigliari non vi capisce, la responsabilità è vostra e non loro. Anche quando
non è del tutto vero, ragionare con quest’ottica di responsabilità del risultato ci dona il potere propositivo di cambiare la situazione. 7% - 38% - 55% Se un individuo trafelato e con lo sguardo spaventato entrasse nella stanza e, interrompendo i discorsi dei presenti, chiedesse: «Sapete che cosa è successo?» pensereste che si tratti di un evento piacevole o spiacevole? Molto probabilmente spiacevole. Al contrario, se entrasse una persona sorridente, visibilmente gioiosa, con lo sguardo felice, e ci interrompesse con la medesima domanda, ipotizzeremmo un evento piacevole. Eppure le parole sono esattamente le stesse: quello che abbiamo cambiato è la descrizione della comunicazione «non verbale». Possiamo individuare tre distinti canali di comunicazione: 1. comunicazione verbale, cioè attraverso la parola; 2. comunicazione paraverbale ovvero le caratteristiche che hanno a che fare con la voce e più specificatamente il volume, il ritmo, il timbro, il tono; 3. comunicazione non verbale ovvero i gesti, la postura, il movimento, le espressioni facciali eccetera. Uno studio dell’americano Albert Mehrabian conferma che nella comunicazione «empatica» le parole incidono solo per il 7%. Per il 38% incide la parte paraverbale, mentre la comunicazione non verbale impatta per ben il 55%. In una normale comunicazione, l’incidenza della parte verbale, cioè del contenuto linguistico, ovviamente aumenta d’importanza, anche se il non verbale è comunque un fattore da tenere in grande considerazione: determina sempre almeno il 50% del significato della nostra
comunicazione. In una situazione di vendita telefonica, per esempio (dove potremmo pensare che il linguaggio del corpo potrebbe non essere importante), è proprio la postura a influenzare tono, timbro, ritmo e volume. Durante un esperimento con delle operatrici di un call center, è stato riscontrato che le ragazze potevano rilevare la postura delle persone con le quali stavano parlando, semplicemente facendo caso alla loro voce e capire se erano sdraiate, concentrate, svogliate o se stavano sorridendo. Utilizzando queste informazioni, quelle professioniste hanno potuto conseguire un notevole miglioramento delle loro vendite. Creare rapport Le ricerche nel campo della comunicazione hanno dimostrato che professionisti in grado di ottenere risultati eccellenti nei rispettivi campi d’occupazione sono contraddistinti dalla caratteristica comune di riuscire a creare empatia da subito: sanno farsi apprezzare velocemente e mantengono nel tempo un rapporto di stima. Per entrare in sintonia con gli altri, bisogna mettersi sulla loro lunghezza d’onda, cioè creare rapporto o, tecnicamente in inglese, rapport. Il rapport è la capacità di creare empatia, cioè «connessione», armonia e fiducia, tra noi e gli altri. In qualunque situazione di vita lavorativa o privata, è molto importante il tipo di relazione che si instaura con le altre persone e, come abbiamo visto, nel creare rapport gli elementi della parte paraverbale sono più importanti del verbale. Per dirla in parole semplici, «come» diciamo qualcosa è molto più importante di quello che diciamo; tuttavia resta da capire che cosa possiamo fare affinché il nostro «come» risulti più efficace. A questo scopo esistono degli approcci derivati dalle discipline terapeutiche e utilizzate allo scopo di entrare in sintonia con i pazienti, che sono state poi riadattate al mondo del business, per creare rapport con i propri clienti.
Mirroring: nota anche come tecnica di rispecchiamento, consiste nel comportarsi come se fossimo lo specchio di qualcuno. I nostri comportamenti finiscono per diventare sostanzialmente quelli dell’altra persona e risulta facile capire, se è vero che ognuno si sente a proprio agio con ciò che trova familiare, come questa tecnica produca un ottimo rapport. Si tratta di replicare ciò che normalmente avviene in natura e che facciamo abitualmente senza accorgercene; due fidanzatini seduti al ristorante, così come un’intera fila di estranei seduti in platea, assumono naturalmente posizioni di rispecchiamento reciproco: osservando la loro postura riconosceremo frequentemente aspetti simili, se non identici, e al cambiare di posizione di uno seguiranno aggiustamenti corrispondenti negli altri. Questo «mirroring spontaneo» è un fenomeno normalissimo, ma per quale motivo avviene? Perché, come abbiamo già detto, consapevolmente o meno, in ogni momento stiamo comunicando e nel momento in cui assumiamo la medesima postura, attiviamo le stesse aree della corteccia cerebrale. Quando adopererete efficacemente il mirroring, la persona «rispecchiata» finirà per rispecchiarvi a sua volta, cioè comincerete a «guidarla»: potrete quindi portarla ad assumere posizioni di maggiore apertura e predisposizione nei vostri confronti, più utili alla vostra comunicazione. Ricordate che fare mirroring non significa scimmiottare una persona, e che esiste una miriade di particolari nel comportamento di una persona, che costituiscono validissimi elementi «rispecchiabili»: un dondolio del piede, un movimento della testa, la posizione delle mani, il modo di stare seduti. Se vi colpisce un particolare ritmo di voce o un modo di respirare, ricalcate quello anziché la postura. La voce è del resto uno dei modi più sottili per rispecchiare gli altri; anche le espressioni facciali e la respirazione sono accorgimenti assolutamente eleganti per rispecchiare una persona. È possibile che inizialmente vi sentiate un po’ impacciati, ma con
la pratica vi accorgerete di quanto sia del tutto naturale e spontaneo applicare questa tecnica. Perché il mirroring funziona? Perché andiamo a sollecitare le medesime aree del cervello utilizzate dal nostro interlocutore e quindi siamo in grado di percepire i suoi stati d’animo e, a volte, avere «intuizioni» sui suoi pensieri proprio perché le aree del cervello responsabili di quelle emozioni vengono «toccate» dall’impostazione fisica del nostro corpo e dalle microtensioni che esso esprime. Matching: avere la capacità di stabilire rapport con questa tecnica è un’arte e, come tale, va appresa e praticata, per farla diventare un automatismo. La tecnica del matching è molto simile a quella del rispecchiamento, ma più elaborata. Si tratta di creare rapport con una persona integrando un movimento del nostro interlocutore con un nostro movimento. Per esempio potremmo battere il piede allo stesso ritmo della sua respirazione o picchiettare il dito sul tavolo al ritmo del suo battito di palpebra. Il matching si propone lo scopo di trovare un’azione che crei un legame con il nostro interlocutore. Potete fare un esperimento divertente: se vi trovate a letto con il vostro partner e se sta già dormendo, cominciate a respirare al suo stesso ritmo e, una volta portati all’unisono, cambiate il ritmo della vostra respirazione. Scoprirete che il vostro partner comincerà a respirare alla vostra stessa velocità. Durante una trattativa commerciale o durante una relazione, respirare allo stesso ritmo di chi vi sta di fronte è il modo più sottile e meno percettibile per entrare in sintonia con lui. Ricordate: entrare in rapporto è qualcosa che può avvenire naturalmente o per scelta, sta a voi decidere di assumervene la responsabilità. Ma non si tratta di una manipolazione? Assolutamente no. Si tratta di favorire il terreno per una relazione proficua. Non ariamo il terreno per poi seminarlo?
Comunicare in profondità Assimilare questa lezione significa cambiare l’approccio verso i vostri interlocutori, diventando più consapevoli dei loro schemi di comportamento, per aumentare la vostra capacità di influenza su di loro. Dovrete comunicare con l’intenzione di raccogliere informazioni sui loro modelli e, allo stesso tempo, essere più coscienti e consapevoli dei vostri. Una volta appreso, questo atteggiamento vi permetterà di facilitare l’intesa con le persone con cui vivete e lavorate e di migliorare il processo di comunicazione. Se non siete in grado di comunicare efficacemente, non sarete neppure in grado di ottenere una promozione soddisfacente sul lavoro: la qualità della nostra vita dipende dalla qualità della nostra comunicazione. Nello sport, gli atleti che raggiungono performance eccezionali devono sviluppare la capacità di comunicare profondamente non tanto verso l’esterno, quanto con se stessi. Analogamente nel business non esistono grandi imprenditori e manager che non abbiano la capacità di comunicare in profondità quando si relazionano con soci, partner e collaboratori. Per argomentare in modo più profondo, dovrete portare alla luce i valori, le regole e i bisogni del vostro interlocutore. Ecco gli elementi sui quali faremo luce: 1. i nostri valori; 2. i nostri bisogni e i nostri desideri; 3. i valori della controparte; 4. i bisogni e i desideri della controparte. È importante conoscere sia i propri valori sia quelli della controparte, perché i valori
guidano la nostra vita e ci motivano a ottenere ciò che vogliamo. Gerarchie di valori Uno dei più grandi strumenti che abbiamo a disposizione è la nostra capacità di determinare una gerarchia di valori. Ne esistono di due categorie: 1. valori relativi; 2. valori assoluti. Valori relativi sono le persone, le azioni, gli oggetti, per esempio: i figli, il matrimonio, lo sport, la casa, la macchina, il computer, il denaro. Valori assoluti sono invece le emozioni associate ai valori relativi: per esempio da una relazione potremmo desiderare sicurezza oppure amore, così come diventare milionari potrebbe essere un desiderio indotto da una ricerca di importanza o libertà. Il nostro compito è risalire dai secondi ai primi: dalle manifestazioni alle cause. Spesso, infatti, diamo per scontato che gli altri abbiano i nostri stessi valori, o meglio ancora, riteniamo che i nostri siano valori «universalmente validi»: questo porta a incomprensioni e a difficoltà di comunicazione. Strategie decisionali Lo scopo principale del processo di persuasione è quello di portare le persone ad agire come vogliamo. Il metodo più semplice per farlo è sapere in anticipo cosa spinge le persone a decidere: abbiamo delle strategie per innamorarci, per acquistare, per essere felici, per essere persuasi. Ma come fare a scoprirle? È molto semplice: basta chiedere! Contrariamente a come si potrebbe pensare, infatti, quando facciamo domande dirette in
una trattativa (e siamo in rapporto!), il più delle volte otterremo risposte altrettanto dirette e sincere. Provate a chiedere al vostro interlocutore che cosa è più importante… • … in una relazione; • … quando acquista una casa; • … quando fa un investimento. Se la persona che stiamo cercando di persuadere a investire su un nostro progetto ci dice che da un investimento cerca sicurezza, gli chiederemo quali condizioni dovrebbero verificarsi affinché ritenga soddisfatta questa sua esigenza. Dalla sua risposta saremo in grado di adattare la presentazione del nostro prodotto alle sue «regole», indugiando sugli aspetti più importanti per lui. Immaginiamo il classico esempio di un agente immobiliare alle prese con un potenziale acquirente: «Che genere di casa vuole esattamente?» «Beh... voglio una casa che sia carina, con due camere da letto, un garage e che sia ristrutturata.» «Qualcos’altro?» «Che abbia magari un giardinetto vicino per portarci i bambini e qualche negozio intorno.» «Mi dica: di tutto questo, qual è la cosa più importante in assoluto che vuole per questa casa?» «Che abbia due camere.»
«Bene! Mi ha detto che avete dei bambini?» «Sì, ne abbiamo due.» «C’è un altro fattore determinante per acquistarla?» «Il prezzo: che costi tra 100.000 e 120.000 euro, e che il mutuo non superi i 700 euro al mese.» «Che cosa vi aveva convinto ad affittare l’appartamento dove siete adesso?» «Ah, sentivo che era l’appartamento giusto.» «Che cosa, specificatamente, vi ha convinto a prenderlo?» «Quando sono entrato, ho immaginato subito la sensazione di calore che mi avrebbe dato il caminetto che si trovava in quella sala.» È evidente come dalla semplice informazione di predisposizione all’acquisto, in poche domande il nostro agente immobiliare abbia estrapolato molte utili informazioni ai fini della trattativa. Continuando nel processo sarà in grado di estrapolare tutte le strategie decisionali della controparte ottenendo un vantaggio importantissimo nella relazione. Si tratta inoltre di un vantaggio reciproco, poiché permette di soddisfare al meglio l’esigenza del proprio interlocutore, facendola coincidere con la propria. Ancora due parole… Le parole rappresentano solo una piccola parte del processo di comunicazione, tuttavia, se indirizzate correttamente, recitano un ruolo molto importante. La prima su cui vogliamo porre l’accento è «perché». Se è vero che le parole sono incantesimi, «perché» contiene la formula per una magia degna di Harry Potter! Helen Langer, una psicologa di Harvard,
condusse nel 1977 un esperimento dall’esito interessante; ad alcune persone in fila per usare una fotocopiatrice venne chiesto da un complice: «Per favore, ho cinque pagine, posso usare la fotocopiatrice, perché sono di corsa»? Il 94% delle persone permise all’avventore di passare in testa alla fila. La stessa frase, utilizzata senza l’utilizzo della parola «perché», fu efficace solo nel 60% dei tentativi. La cosa più singolare avvenne quando si ripeté l’esperimento chiedendo: «Scusate, ho cinque pagine, posso usare la fotocopiatrice, perché debbo fare delle copie?» Questa volta, senza alcuna ragione specifica (era evidente che tutti i presenti si trovassero lì per fare delle fotocopie), il 93% delle persone in coda concesse il piccolo favore. Quando conducete una trattativa, prima di presentare le ragioni della vostra proposta, ricordatevi sempre di introdurle con la parola «perché»: potrà sembrare un accorgimento superfluo, ma la mente reagisce agli stimoli e si predispone alle reazioni in modi talmente semplici e lineari che, talvolta, siamo portati a sottovalutarne gli effetti. La seconda parola che vogliamo spronarvi a utilizzare spesso è il nome della persona con la quale state parlando: domandateglielo e usatelo! Sin da bambini, siamo stati chiamati tante volte con il nostro nome e quasi ogni volta si trattava di situazioni emotivamente rilevanti, che hanno provocato in noi delle associazioni emozionali precise. Il nome di una persona è forse la parola più potente che potrete mai utilizzare per persuaderla: le ricerche hanno dimostrato che chi lo utilizza come prima o ultima parola di una frase accresce notevolmente la propria capacità di persuasione. Ricordate che, per ognuno di noi, il proprio nome è il suono più dolce e più importante che esiste sulla faccia della Terra. Usatelo: è gratis.
Abilità n. 2 Negoziare e vendere Siamo tutti venditori Ogni giorno vendiamo noi stessi, le nostre idee, i nostri progetti, speranze, sogni, desideri, passioni. Se voglio conquistare il mio partner dovrò «vendermi», cioè esaltare i miei punti di forza a discapito dei difetti. Tutti, in ogni momento, vendiamo qualcosa, consapevolmente o meno. Non dite: «Ma io non sono un venditore!» Vendere non vuole dire mettere il piede nella porta per convincere a tutti i costi qualcuno a comprare un aspirapolvere che non gli serve. Vendere ed essere un venditore è forse l’abilità più importante da sviluppare per passare a un altro livello di ricchezza. Studiate la vendita, leggete almeno venti libri sulla vendita. Saper vendere, nel ventunesimo secolo, è ciò che fa la differenza tra una vita di ricchezza e una di povertà.
Dagli appunti di Lorenzo... Quando in aula parlo di come vendersi al meglio, a volte capita che uno dei corsisti alzi la mano per inveire contro quelli che giudica «trucchi» per alterare la realtà. Se si tratta di una donna, mi limito a domandarle che marca di rossetto indossi e a farle notare come anche quello sia un «trucco per alterare la realtà» dell’aspetto al naturale delle
sue labbra. Poi si passa a molti altri esempi, si accende un minidibattito e, alla fine della «trattativa» (durante la quale ognuno cerca di «vendere» agli altri la propria idea), conveniamo che persino decidere quale film o quale ristorante scegliere sia, in senso lato, una vendita. Se siete dei dipendenti vi sarete «venduti» ai vostri capi per farvi assumere: succede spesso che persone meno capaci e meno intelligenti di noi abbiano stipendi più alti, se ciò avviene è perché si sono «vendute» meglio e hanno una migliore capacità di vendita. Seppure la maggior parte dei correntisti sottovaluti questo aspetto, si tratta di vendere anche quando si richiede un prestito oppure un’estensione di fido: alla banca, infatti, dovete riuscire a vendere la vostra capacità di ripagare il debito. Non si tratta di un’arte: vendere è una tecnica, cioè un modo di comunicare con le altre persone avendo uno scopo e una strategia definiti. Quando sentite commentare «Quel tizio è un venditore nato», siete di fronte alla più falsa delle credenze sul mondo della vendita: non si tratta di una dote ma di un’abilità acquisita che, come tale, si può apprendere e insegnare. Se un grande architetto non ha nessuna capacità di vendita, nessuno saprà mai che è un grande architetto.
Dalla scrivania di Alfio… Ero a cena con alcuni amici d’infanzia in Toscana, quando uno di questi si mostrò assai stupito del mio successo. Nonostante fossimo partiti tutti da una situazione simile,
io possedevo svariate attività che producevano reddito anche senza la mia presenza, mentre lui faceva l’operaio in una fabbrica di acciaio locale. Quella cena di pesce gli sarebbe costata circa il 10% dello stipendio. Incuriosito gli accennai dei miei corsi e di come, grazie a essi, anche una nostra conoscenza comune avesse ottenuto un discreto successo nel ramo immobiliare. Senza che potessi neppure terminare la frase, il mio amico mi interruppe dicendo: «No, vendere non fa per me! Non sono quel tipo di persona». Nell’udire quelle parole la mia mente cominciò a fare chiarezza sulla situazione: Ecco un argomento da inserire nel mio prossimo libro, mi dissi, ecco cosa gli impedisce di crescere ed ecco perché non si discosterà mai, nella sua vita, dai risultati ottenuti fino a ora: il problema non è amare o meno la vendita, il problema di quest’uomo è non sapere di essere anche lui un venditore. Guadagna poco perché è uno scarso venditore e vende un servizio (il suo lavoro di operaio) che ha uno scarso valore ed è facilmente sostituibile. Persuasione o manipolazione? Il termine persuasione è spesso frainteso con manipolazione. Facciamo un po’ di chiarezza: la persuasione è una forma di comunicazione che può essere utilizzata per manipolare il nostro interlocutore. Per quanto ci riguarda considereremo entrambi i termini «eticamente neutri», cioè scevri da giudizi moralistici. Uno degli assiomi base della comunicazione, infatti, è che in quanto tale essa sia di per sé manipolatoria. Se per esempio esprimiamo un giudizio positivo su uno spettacolo che ci è piaciuto particolarmente, potenzialmente stiamo persuadendo l’interlocutore ad andare a vederlo. Ci si riferisce alla manipolazione con accezione negativa nonostante anche un negoziatore della polizia ricorra
a un accorto lavoro di manipolazione per liberare degli ostaggi o convincere un aspirante suicida a non gettarsi dal cornicione. Ogni volta che utilizziamo consapevolmente una tecnica di persuasione, è l’uso che ne facciamo a determinare se sia etica o meno e a stabilirne la moralità. Ognuno secondo i propri valori profondi e la propria coscienza. Venditori di «felicità» Che relazione esiste tra l’abilità di vendere e la felicità? Essere felici non vuol dire solo trovare equilibrio in tutte le aree della nostra vita, ma anche saper «vendere» quell’equilibrio a noi stessi e agli altri. Zig Ziglar, grande trainer motivazionale americano, ricorda spesso come si possa «ottenere qualsiasi cosa nella vita, semplicemente aiutando gli altri ad avere quello che vogliono» ed è essenzialmente vero: non si vendono automobili; si vendono il prestigio e lo status che l’auto crea a chi la possiede e la guida. Non si vendono occhiali, ma una visione perfetta e un look alla moda. Non si vendono assicurazioni, bensì la sicurezza finanziaria o medica per la vostra famiglia. Quando conducete una vendita, ricordate che le persone non comprano prodotti, ma stati d’animo: uno stato d’animo è tutto ciò che vogliamo dalla vita. Non compriamo e vendiamo cose, compriamo e vendiamo emozioni. Quale emozione vuole il nostro interlocutore? Modello stimolo-risposta Analizziamo in primis ciò che permette, nel processo di persuasione orientata alla vendita, di prendere il controllo dell’interazione: in questo campo la pubblicità è una vera maestra. Pensate alla pasta Barilla o ai prodotti del Mulino Bianco. Quello che i pubblicitari sono riusciti a fare, è stato convincere la gente ad associare quei prodotti a stati
emotivi desiderati: felicità, gioia, amore, genuinità, salute. Per chi desidera una famiglia felice, dei bei bambini sani e una bella casa, il messaggio è chiaro: comprando i nostri prodotti, otterrete tutto questo. Il meccanismo dietro a questa forma di manipolazione segue il modello stimolo-risposta, che si fonda su due domande: 1. Che cosa volete ottenere? 2. Che cosa vuole ottenere il vostro interlocutore? Tutto ciò che dovete individuare è il desiderio del vostro «target di riferimento» (cioè la persona o il gruppo di persone con cui state comunicando). Fatto questo, potete facilmente persuadere chiunque indicandogli la strada per raggiungere il suo desiderio. Comunicare per obiettivi è l’abilità di visualizzare una meta precisa e di tenerla in mente, prima di cominciare il processo di comunicazione. Nel capitolo precedente avete appreso come ragionare per obiettivi: non potrete persuadere gli altri se non conoscete a priori che cosa volete. Partendo da queste solide basi, lo schema per una comunicazione persuasiva modello stimolo-risposta consiste nell’avere chiari i seguenti elementi: 1. Che cosa vogliamo specificatamente da questa comunicazione? 2. Che cosa vuole l’altra persona? Che cosa crede di volere? Che cosa non sa di volere? Che cos’altro potrebbe desiderare? 3. Qual è lo stato emozionale desiderato dall’altra persona? 4. Qual è il minimo risultato che possiamo accettare? 5. Quali problemi possono insorgere? 6. Come possiamo gestire questi problemi a beneficio nostro e dell’altra persona? 7. Come possiamo concludere il processo di comunicazione a vantaggio di entrambi?
Questa serie di domande costituisce un modello per la persuasione. Ogni volta che un processo di vendita (cioè di persuasione) va a buon fine, ciò avviene perché viene progressivamente fatta luce su questi sette elementi e noi invece di reagire a stimoli esterni manteniamo costantemente il focus sull’obiettivo da raggiungere. Facciamo un esempio: ricordate l’agente immobiliare di poco fa? Ecco come potrebbe impostare una trattativa seguendo il processo di comunicazione per obiettivi e domande. 1. Che cosa vogliamo specificatamente da questa comunicazione? L’agente immobiliare potrebbe volere, per esempio, il massimo delle provvigioni. Per ogni euro che vende guadagnare il 3%, vendere l’immobile ad almeno 100.000 euro e, magari, concludere oggi stesso la visita con una proposta di acquisto. 2. Che cosa vuole l’acquirente? Sicuramente il prezzo più basso possibile. Più altre variabili che dovremo sviscerare con un accorto uso delle domande. 3. Qual è lo stato emozionale desiderato dall’altra persona? Certo è solo un’ipotesi (non l’abbiamo ancora incontrato e non possiamo utilizzare quanto appreso nel secondo Pilastro, per estrapolare le informazioni che ci interessano), ma probabilmente il cliente vorrà essere rassicurato riguardo al fatto di aver concluso un buon affare. E ciò che più conta, sicuramente vorrà sentirsi felice grazie a quell’acquisto. 4. Qual è il minimo risultato che possiamo accettare? Si tratta di stabilire il risultato minimo oltre il quale non siamo disposti a trattare: il che, nel nostro caso, si traduce in una cifra e delle condizioni di pagamento. 5. Quali problemi possono insorgere nella trattativa?
Il cliente potrebbe incontrare problemi nella richiesta del mutuo. Potrebbe volerci pensare per giorni o per settimane. Potrebbe trovare qualcosa che non gli va nella casa. 6. Come posso gestire questi problemi a beneficio nostro e dell’altra persona? Se il cliente non riuscisse a ottenere il mutuo, potremmo risolvere il problema grazie alle nostre competenze: in questo modo ne risulterebbe arricchito anche il nostro servizio di consulenza, il che ci permetterebbe di trattare anche su un compenso più alto. Se la persona dovesse decidere di aver bisogno di tempo per riflettere, potremmo ricordargli che immobili come quello che ha appena visto si vendono molto velocemente, creando in lui uno stato d’urgenza. Se trovasse qualcosa che non va nella casa, potremmo coinvolgerlo nella trattativa per cercare di ottenere un ulteriore sconto dal venditore, facendo leva sul suo bisogno di importanza o sulla sua insicurezza. 7. Come possiamo concludere il processo di comunicazione a vantaggio di entrambi? Possiamo concludere, per esempio, facendo firmare oggi al compratore un’impegnativa al valore più alto possibile, a fronte del rispetto di tutti i punti stabiliti in comune. In questo modo sentirà di essere stato lui a dettare le condizioni, a condurre la trattativa e a decidere il prezzo, mentre in realtà ciò che è stato fatto è far coincidere le risposte da lui trovate alle nostre domande, orientando il focus sul nostro obiettivo di partenza. Naturalmente, l’esempio appena fatto è soltanto una semplificazione del processo di vendita, ma serve comunque a mettere in chiaro come persuadere consista nell’abilità di guidare le persone, influenzando i loro pensieri e le loro azioni, per uno scopo specifico. Quotidianamente ci imbattiamo in scambi di battute come: «Non voglio uscire stasera, sono troppo stanco».
Un buon persuasore (che utilizza questi principi senza neanche rendersene conto) sarà portato naturalmente a rispondere: «Proprio perché sei stanco, dovresti uscire, lavori troppo! Dai andiamo fuori a svagarci un po’». Questo scambio di battute non differisce molto dalla risoluzione delle obiezioni che si insegna in un tipico corso per assicuratori: «Non penso di potermi permettere questa polizza di assicurazione, non ho soldi». Un buon assicuratore risponderebbe: «Ed è proprio il motivo per cui dovresti farla! Se per disgrazia dovesse succederti qualcosa, chi proteggerebbe tua moglie e i tuoi figli?» Elementi della negoziazione Il «Program of negotiation» della Harvard Business School individua i quattro elementi coinvolti in ogni negoziazione. Le parti: sono gli attori coinvolti nella trattativa, cioè voi e i vostri interlocutori. È importante avere chiaro fin da subito chi sono le parti in causa, in quanto spesso molte trattative saltano proprio per l’intromissione di una parte non prevista al tavolo delle trattative. Le questioni: sono l’elemento di cui si discute esplicitamente durante la trattativa. Rappresentano la forma, ma non la sostanza della negoziazione e raramente corrispondono al reale motivo della trattativa. Le posizioni: sono i comportamenti che le parti coinvolte nella trattativa hanno deciso di adottare. Vedremo come suddividerle in tipologie, stili e strategie di negoziazione. Gli interessi: sono il reale scopo della trattativa. Possono variare per ognuna delle parti
in causa e sono la «sostanza» celata dalla «forma» delle questioni. Più si hanno chiari questi quattro elementi più si potrà definire efficacemente una strategia negoziale efficace. Che tipo di negoziazione state portando avanti? Negoziare non è un modo per «vincere o perdere» e una negoziazione efficace richiede la conoscenza di come la pensano gli altri e quindi il rispetto e la comprensione dei loro punti di vista. Come abbiamo già visto per la persuasione, anche la negoziazione è spesso associata a termini negativi, come per esempio inganno o astuzia: anche in questo caso, eliminate la convinzione per cui essere un negoziatore abile significhi diventare privo di scrupoli e di etica. Esistono due tipi di negoziazione. Ripartita: dove le parti competono nella distribuzione di un valore che viene considerato fisso e immutabile e per cui il guadagno di una parte avviene a discapito dell’altra. Anche chiamata negoziazione «a somma zero», in quanto si pensa che la torta da spartire sia unica e ciascuno cercherà di prendersi la parte più grande. Generativa: dove le parti collaborano per ottenere i massimi benefici possibili, attraverso l’integrazione dei rispettivi interessi, in un accordo reciprocamente soddisfacente e avendo come scopo comune quello di creare valore per ridistribuirlo. In questo secondo caso il valore viene aumentato attraverso la condivisione delle informazioni, a differenza del primo caso dove si tende a nasconderle. Cercate di impostare sempre il processo negoziale su parametri di collaborazione.
Dalla scrivania di Alfio... Un ottimo imprenditore mio amico, aveva aiutato un suo conoscente a uscire da un’operazione immobiliare sbagliata. Era riuscito ad «avere in tasca» non solo la possibilità di riavere dal venditore – un importante immobiliarista – la caparra, ma anche un cospicuo risarcimento già definito per legge per via di un errore degli avvocati della controparte. Il mio amico aveva davanti a sé una scelta: esercitare il diritto e richiedere una grossa somma di denaro, oppure... Infatti, quando si sedette al tavolo della trattativa cercò un altro modo per avere maggiori benefici per tutte le parti in causa. Ci riuscì e generò un business che diede profitti a tutti in misura dieci volte superiore alla somma pattuita come risarcimento. Ecco una vera negoziazione generativa! Stili di negoziazione Per le due tipologie di negoziazione descritte è possibile distinguere quattro diversi stili di relazione. 1. Win-Lose (Vincere-Perdere) È lo stile tipico di un rapporto conflittuale e competitivo, dove lo scopo è quello di sconfiggere il nostro avversario. Alcune scuole di pensiero sulla vendita orientate a questo stile suggeriscono di identificare il cliente come un antagonista, ma si rivela un atteggiamento poco efficace, specie nelle relazioni di lunga durata e in particolare se l’interlocutore è un nostro superiore. Può essere anche utilizzata nella gestione dei
dipendenti e collaboratori, ma presenta come conseguenze deleterie la mancata valorizzazione, che si riflette negativamente su motivazione e rendimento professionale. 2. Lose-Lose (Perdere-Perdere) Viene instaurato tra individui che hanno solitamente grossi conflitti interiori. L’obiettivo principale è «far perdere» la controparte, anche a costo di avere meno per sé. Questo stile potrebbe essere riassunto nel motto: «Quando nessuno vince, non è così vergognoso perdere». 3. Lose-Win (Perdere-Vincere) È tipico di coloro che «amano il quieto vivere» e covano emozioni represse; la risoluzione più frequente di queste trattative, nel lungo periodo, si traduce in eccessi d’ira con reazioni smisurate e colleriche durante la trattativa in corso, solitamente, l’ultima. 4. Win-Win (Vincere-Vincere) È lo stile di chi crea sinergie, sia in campo professionale sia personale, allo scopo di perseguire la reciproca soddisfazione. Solitamente si tratta dell’atteggiamento ottimale in ogni rapporto di comunicazione. In una trattativa dobbiamo anzitutto decidere lo stile che intendiamo adottare, per poi individuare lo stile scelto dalla controparte. Se i due stili non combaciano, possiamo seguire due strade: • utilizzare lo stile della controparte; • utilizzare la nostra abilità di relazionarci per portare la controparte ad adattarsi al nostro stile.
Strategie di negoziazione Una volta stabilito lo stile generale della negoziazione, occorre essere altrettanto consapevoli delle strategie adottate dalle parti. Gli psicologi hanno distinto cinque principali strategie, caratterizzate da un crescente sentimento di aggressività. Arrendevole: chi tende a eludere le situazioni di ostilità e a rifiutare il conflitto, anche a costo di accettare condizioni svantaggiose. Salomonica: chi tende a conservare relazioni costruttive, a interloquire, ad accettare un accordo svantaggioso per poter conservare una relazione vantaggiosa. Accomodante: chi risolve i conflitti cercando di trovare soluzioni ai problemi della controparte. Competitiva: chi ama dominare, chi non teme di rischiare di perdere pur di riuscire a vincere. Esordisce con richieste esagerate e lancia spesso ultimatum. Cooperativa: chi analizza tutti i potenziali problemi e gli interessi delle parti in gioco per trovare, tra le molteplici soluzioni, quella più vantaggiosa nel caso specifico. È la più elaborata e complessa da attuare. Analizzate voi stessi alle prese con trattative o negoziati e tentate di capire in tutta onestà a quale strategia ricorrete più spesso. Molti potrebbero essere tentati di riconoscersi con una strategia «cooperativa», ma la verità è che ricorriamo spesso a più di una strategia a seconda dei casi che ci coinvolgono. Quello che possiamo fare, quando ci accorgiamo che durante una negoziazione le cose non vanno nel verso desiderato, è far mente locale su quale delle quattro strategie stiamo mettendo in pratica e a quali risultati porterà. È possibile che,
in alcuni casi, gli arrendevoli o i competitivi paghino più dei salomonici e viceversa: siate consapevoli di ciò che accade dentro di voi. BATNA
è l’acronimo di «Best Alternative To a Negotiated Agreement» (la migliore alternativa a un accordo di negoziazione). Fu coniato da Roger Fisher, William Ury e Bruce Patton nel bestseller L’arte del negoziato e sta a indicare la migliore alternativa possibile nel caso in cui non doveste raggiungere un accordo con la vostra controparte. Più è efficace i l BATNA, più forti sarete durante l’attuazione delle vostre strategie di trattativa. Avere chiaro il BATNA prima ancora di iniziare, infatti, vi agevolerà nel caso in cui vi troviate nella condizione di dover abbandonare il tavolo della trattativa, creare o prolungare un momento di stallo, proporre una controfferta, bluffare, lanciare un ultimatum e via dicendo. Come ha riassunto efficacemente Roger Fisher: «È preferibile avere nella borsa una fantastica offerta di lavoro – piuttosto che una pistola – durante una trattativa con il proprio capo avente come oggetto la propria retribuzione». La condizione ideale, anche se non sempre possibile, è quella di individuare sia il proprio BATNA sia quello di tutte le parti coinvolte. BATNA
Chi è che decide? Negoziate sempre con chi ha potere decisionale. Chiedete semplicemente al vostro interlocutore: «Puoi prendere tu la decisione in merito?» Spesso, infatti, le trattative non vanno a buon fine perché si convince delle nostre tesi la persona sbagliata: che senso ha convincere il marito se in quella coppia è la moglie a prendere le decisioni? Ovviamente lo
stesso discorso vale in campo aziendale, con aspetti più articolati. Se parlate con la persona che deve riferire, non dovete convincerla, ma fornirle strumenti utili a convincere l’altro, cioè convincere il suo capo attraverso di lui. Spesso vi ritroverete a negoziare con chi decide attraverso un intermediario che vi farà da filtro: non state negoziando con lui ma «attraverso» di lui, con un’altra persona, a distanza. Preoccupandovi di aver creato prima il giusto rapport, chiedete al «portavoce» secondo quali parametri il suo capo deciderà, che cosa gli farà prendere la scelta, di cosa avrà bisogno per reputare quell’offerta irrifiutabile. Mettete in condizione la persona che andrà a riferire di presentare un’offerta che non potrà essere rispedita al mittente. E ricordate che, in ogni caso, negoziare con un portavoce, per quanto bene lo facciate, è un BATNA: significa che non siete stati comunicatori abbastanza efficaci da trovarvi di fronte a chi prende le decisioni.
Dalla scrivania di Alfio... Personalmente non negozio mai con chi non può decidere, mi limito a «vendere» alla controparte i motivi per cui deve incontrarmi. Le armi della persuasione Nel famoso saggio Le armi della persuasione vengono riassunti alcuni dei principi che agevolano il processo di negoziazione e convincimento. L’autore, Robert Cialdini, osserva il processo di negoziazione con lo stile di un antropologo, limitandosi a classificare alcune categorie nei comportamenti di gruppo e riassumendoli in alcuni principi.
Principio della reciprocità: quando riceviamo un dono di cui percepiamo il valore, immediatamente scatta in noi il desiderio di restituire qualcosa in cambio. Ogni Natale subiamo clamorosamente le conseguenze di questo principio, sentendoci in obbligo di comprare un regalo a qualcuno, solo perché sappiamo che farà lo stesso con noi. Gli avvocati sono maestri nell’arte della reciprocità: una concessione iniziale o una soluzione di ripiego proposta subito dopo un rifiuto sono espedienti tipici dell’arte forense. Tradotto in termini di rapporti quotidiani, cominciate col proporre un accordo che con ogni probabilità verrà rifiutato, per poi procedere con la richiesta di entità minore, vostro obiettivo fin dall’inizio. Principio del contrasto: la differenza tra due cose aumenta in proporzione al loro accostamento nel tempo e nello spazio. Se in un negozio dove tutti gli abiti costano 1.500 euro, improvvisamente la commessa ce ne mostra uno da 750, quella cifra ci apparrà bassa indipendentemente dal valore effettivo del vestito. L’acqua è calda o fredda a 25 gradi? Dipende. Dove avevate messo la mano prima? Se prima era nel ghiaccio, l’acqua vi parrà caldissima; se invece era nell’acqua a 36 gradi vi sembrerà fredda. Principio della coerenza: quando prendiamo posizione su qualcosa o ci impegniamo con qualcuno, tendiamo a difendere tale posizione anche contro i nostri interessi. È il caso degli impegni scritti, delle strette di mano, delle dichiarazioni pubbliche che in molte società di vendita i commerciali sono tenuti a prestare. Principio di scarsità: a disponibilità limitata corrisponde un aumento di valore. Le telepromozioni sfruttano da anni questo principio: la formula «Solo alle prime 50 telefonate…» è tuttora efficace, nonostante si tratti di una palese manovra di marketing. Principio della riprova sociale: tendiamo naturalmente a uniformarci al comportamento
del nostro gruppo di riferimento, anche se intimamente coviamo convinzioni e pareri differenti. Secondo gli studi di Kevin Hogan, noto psicologo americano, ciò è particolarmente vero per l’85% della popolazione, che risponde agli stimoli in modo conformista. Tuttavia, del restante 15%, ben due terzi ha un atteggiamento anticonformista, cioè reagisce agli stimoli contrari. È a quel 10% di target che è orientata la comunicazione cosiddetta a «psicologia inversa», dove viene esaltato un prodotto proprio per le sue divergenze culturali. È il caso di brand quali Diesel (con la sua recente campagna «Be Stupid») o Apple (con la campagna di culto «Think Different»). Il restante 5% della popolazione non rientra nelle dirette campagne marketing, ciononostante utilizza le informazioni di entrambi i gruppi (con preferenza per i conformisti) per trarne una scelta d’acquisto orientata al beneficio personale. Principio della simpatia: acconsentiamo più volentieri alle richieste di chi conosciamo, di chi troviamo simpatico, di chi troviamo attraente. È il caso delle campagne marketing, dello sponsor, del testimonial di rilievo: inconsciamente, si viene a creare un parallelismo tra il prodotto pubblicizzato e la celebrità che lo pubblicizza. Principio dell’autorità: in molti adulti è stata riscontrata una notevole disponibilità a seguire fino all’estremo gli ordini impartiti da un’autorità o da una fonte autorevole. È un principio utilizzato soprattutto in campo di management aziendale, quando messaggi netti e assertivi vengono comunicati dalla dirigenza durante convention a carattere ludico o riunioni appositamente dedicate. Ed è un modello della disciplina militare, dove il generale passa un ordine particolarmente gravoso al soldato semplice, saltando le gerarchie dirette. Napoleone era solito utilizzarlo con i soldati «in prima linea» alla vigilia di battaglie particolarmente ardue.
Oltre ai principi indicati da Cialdini, Alfio pone spesso l’accento su quelli che potremo considerare due ulteriori «principi» dell’arte della persuasione. Il primo è il principio dell’associazione. Come per il principio della simpatia, tendiamo a gradire prodotti, servizi, idee «associate» a (leggasi anche «consigliate da») persone che rispettiamo o, a volte, a cui ci piacerebbe assomigliare. Nella pubblicità questo accade tutti i giorni. Abbiamo tendenza a comprare un prodotto soprattutto se è nuovo, sponsorizzato da celebrità. Inconsciamente, si viene a creare un parallelismo tra prodotto pubblicizzato e il testimonial che lo utilizza. Il secondo è il principio dell’aspettativa. Quando si crede o ci si aspetta che le cose vadano in un certo modo, o che si raggiunga un certo risultato, si tenderà ad andare comunque verso il risultato atteso, positivo o negativo. Come abbiamo visto, credere qualcosa ci porta automaticamente a compiere azioni che tenderanno a confermare quello che crediamo. Nel caso della persuasione, l’aspettativa del nostro interlocutore lo porterà automaticamente a notare tutti quegli eventi che più confermano le sue convinzioni. Negoziatori inefficaci I parametri illustrati in questo capitolo agevolano di molto le vostre trattative, tuttavia, secondo gli esperti, il 68% delle negoziazioni si conclude con un accordo meno soddisfacente di quello che si sarebbe potuto raggiungere. Quel gap è determinato da una preparazione insufficiente sommata ad alcuni errori frequenti, commessi dai negoziatori. In un articolo intitolato «The Six Habits of Merely Effective Negotiators» («I sei errori del negoziatore inefficace», Harvard Business Review, aprile 2001), il professor James K. Sebenius classifica i sei più ricorrenti.
• Primo errore: trascurare i problemi della controparte. • Secondo errore: lasciare che l’interesse economico sovrasti gli altri interessi. • Terzo errore: focalizzare l’attenzione sulle posizioni invece che sugli interessi. • Quarto errore: insistere nel cercare una base comune. • Quinto errore: ignorare i BATNA. • Sesto errore: non riconoscere percezioni soggettive ed errori di attribuzione. Regole essenziali Ricapitolando: 1. Prima, durante e dopo la trattativa utilizzate gli strumenti appresi nel secondo Pilastro per estrapolare informazioni profonde sui vostri interlocutori: valori e regole di comportamento, motivazioni, strategie decisionali. 2. Individuate gli elementi della vostra negoziazione: le parti, le questioni, le posizioni, gli interessi. 3. Identificate la tipologia (ripartita o generativa). 4. Fate in modo che il vostro stile combaci con quello della controparte (possibilmente fate in modo che sia lui ad adattarsi a voi). 5. Decidete il vostro BATNA e quello della controparte. 6. Fate costanti check sulla vostra strategia di comportamento (arrendevole, salomonica, accomodante, competitiva, cooperativa) e se non porta al risultato desiderato, aggiustate il tiro. La verità è che avrete a che fare con la persuasione in ogni caso, quindi conoscerne le
tecniche è fondamentale, per essere persuasori o persuasi, in modo consapevole.
Abilità n. 3 Sfruttare la leva finanziaria Quanto costa il vostro sogno? Tante persone hanno grandi sogni segreti: camerieri che vogliono aprire un ristorante, impiegati che hanno progettato la loro futura azienda, persone colme di idee straordinarie in testa o milionarie sulla carta. La maggior parte delle volte, quei sogni rimangono riposti nel proverbiale cassetto finché i legittimi sognatori non li dimenticano o rinunciano a sognarli perché si convincono di essere diventati troppo vecchi o che i tempi non saranno mai maturi o che il momento magico è ormai passato. Il motivo principale per cui si smette di sognare, è che i sogni costano. Quel costo si misura in due aspetti. 1. Costo in termini emozionali. La paura che occorre affrontare per realizzare i sogni: di riuscire o di fallire, di perdere tutto, le emozioni da mettere in gioco, il tipo di persona che bisognerebbe diventare, tutti aspetti che affronteremo fra poco; per ora, concentriamoci sui costi «materiali» dei vostri progetti. 2. Costo in termini economici. Il denaro necessario a realizzare il sogno. È naturale che sia più facile realizzare i propri desideri se si hanno già soldi, perché il denaro, come abbiamo detto, è l’unità di misura della propria energia e influenza: ci permette di
acquistare la maggior parte delle «leve finanziarie» con le quali «sollevare» il nostro desiderio. I soldi dei ricchi I ricchi non necessariamente dispongono di più denaro dei poveri, ma posseggono immancabilmente più potere di acquisto. Se avete compreso appieno la differenza tra «acquistare» e «possedere», forse questa affermazione vi risulterà meno oscura, in caso contrario chiedetevi: se Berlusconi o Donald Trump perdessero tutti i loro soldi ora, godrebbero comunque verso le banche e verso i propri investitori di una credibilità ben maggiore rispetto a quella di un impiegato con un solido stipendio mensile? Se la vostra risposta a questa domanda dovesse essere un secco «No», vi invitiamo a leggere le biografie dei ricchi imprenditori: a Trump è già successo di doversi risollevare dal tracollo finanziario e di riuscire a farlo proprio grazie a ciò che abbiamo definito «asset immateriali». Non comprendere il potere di tale credibilità è il motivo per cui persone senza una cultura finanziaria di base, ritrovandosi al bar, commentino come i grandi imprenditori «cadano sempre in piedi».* L’aspetto fondamentale, nell’impostazione del business di un ricco, è la capacità di attrarre il denaro di terzi. Si tratta di una prassi talmente diffusa, che è addirittura istituzionalizzata: tutte le grosse società utilizzano denaro di terzi, quotandosi in Borsa. È quindi indispensabile riuscire a sfruttare anche questa importantissima leva finanziaria.
Dalla scrivania di Alfio…
Per quale motivo è più facile essere ricchi se si è imprenditori o investitori? La risposta è che si ha a disposizione molta più leva. Supponiamo che il nostro obiettivo sia di generare un milione di euro. Per sollevare questo masso occorre una leva. Noi siamo il fulcro, il punto di appoggio: più sarà lunga la leva, più contrappesi potremo utilizzare per bilanciarla e più sarà facile sollevare il masso. È normale che sia più agevole «sollevare» un milione di euro, quando se ne possiede già uno. In alternativa dobbiamo utilizzare altri contrappesi. Non necessariamente chi è in possesso di una laurea guadagna più di un diplomato, anzi, nella società odierna è sempre più frequente che dei laureati lavorino per persone che non lo sono; tuttavia, quando i genitori consigliano ai loro figli di «studiare sodo per trovare un lavoro sicuro e un buon stipendio» ** non fanno altro che consigliare di investire in un «contrappeso» chiamato istruzione scolastica;* come mai un giocatore di calcio viene pagato più di un insegnante di scuola elementare? Perché anche le persone che riusciamo a influenzare e coinvolgere sono «contrappesi». Un giocatore di calcio coinvolge milioni di persone: ciò significa che la sua capacità di leva è maggiore di quella di un insegnante, che si dedica solo a una ventina di bambini. Anche se il lavoro di un insegnante è estremamente più importante. Qual è il lavoro più pagato? È quello con più leva. Quello che dà un beneficio a più persone. Con che cosa si «tira su» un milione di euro? Se volete essere ricchi e mantenere la vostra ricchezza, dovete imparare il potere della leva. Nel mondo del lavoro odierno, chi non ha una leva lavora per chi ce l’ha. Anzi, per essere precisi: anche i primi sfruttano una leva; ma invece di usare la leva finanziaria usata
dai ricchi, tendono a servirsi di un’altra leva, quella fisica, cioè il duro lavoro. Il debito è la tipica leva dei ricchi. I poveri, al contrario, sono restii a prendere a prestito i soldi e tendono a ripagarli il prima possibile: per loro i debiti sono sconvenienti. Invece i ricchi sfruttano il debito come contrappeso, per sollevare il denaro che desiderano generare. Voi di quali leve disponete? Vi forniamo un elenco, suddiviso in leve interne e leve esterne. Le leve interne sono sotto il nostro diretto controllo: • la mente; • le persone che conosciamo; • il sistema; • la salute; • il tempo; • il tempo libero; • l’educazione; • la reputazione; • le abitudini; • l’esperienza. Le leve esterne sono al di fuori del nostro controllo diretto: • il denaro; • i soldi degli altri; • le conoscenze degli altri; • le esperienze degli altri;
• le idee degli altri; • il tempo degli altri; • la qualità del lavoro degli altri; • una guida saggia; • la tecnologia; • il team; • il debito. Potete approfondire questi concetti consultando il primo libro di Alfio, I soldi fanno la felicità. L’OPM
è l’acronimo di «Other People’s Money», cioè i «Soldi degli altri». È il modo cui, più frequentemente, i ricchi ricorrono per reperire risorse per i propri affari. La maggior parte degli imprenditori investe i propri soldi, ma non crea attività utilizzando il proprio denaro, bensì quello di terzi. E gli investitori sono ben felici di «prestare» questo denaro (anche correndo consapevolmente un rischio, ritenuto accettabile dopo accorte e opportune considerazioni) in cambio degli utili maturati. Come abbiamo già accennato, quando investiamo in attività, in fondo, facciamo lo stesso; le aziende che si quotano in Borsa lo fanno esattamente per questo: chiedere soldi a terzi. Quindi se non disponete dei soldi necessari al vostro business o se preferite impegnarli altrove, chiedeteli a terzi. Molti si spaventerebbero a richiedere un mutuo in banca per investire nella loro nuova attività, eppure non hanno problemi emotivi ad accenderlo per acquistare il loro debito più grande: la casa di proprietà. OPM
Create il vostro Team di professionisti Sappiate che, sia per investire sia per reperire denaro, bisogna imparare a stendere un piano economico finanziario, o business plan. Vi occorrerà inoltre un direttore di banca che vi sostenga nel reperimento delle risorse economico-finanziarie. Anche un commercialista dinamico, che vi consigli la migliore razionalizzazione del carico fiscale, dovrebbe far parte della vostra squadra. Inoltre sono indispensabili un avvocato, che curi gli aspetti legali dei vostri investimenti, e un broker assicurativo. Come abbiamo detto, il successo è un gioco di squadra: non una competizione. Se volete arricchirvi, dovete avere a disposizione un team di persone competenti nel proprio settore e non giocare la partita da soli. Il denaro in prestito si reperisce essenzialmente da due fonti: 1. istituzioni finanziarie (prevalentemente banche o affini); 2. investitori privati. Procedendo con ordine, ci occuperemo anzitutto della prima fonte, illustrandone i punti essenziali. Di seguito, affronteremo gli accorgimenti per il reperimento di denaro presso investitori privati. Ricorso al debito istituzionale Il metodo più semplice, per il ricorso al credito, è il sistema bancario. Nell’ultimo secolo le banche si sono trasformate da semplici casseforti dei risparmiatori in veri e propri negozi finanziari. Il numero di prodotti disponibili è aumentato notevolmente e questo ha portato
alla specializzazione di servizi, che oggi vengono generalmente divisi in tre macroaree, a seconda delle caratteristiche della clientela: • retail per tutto ciò che riguarda il privato; • corporate per le imprese; • private per la gestione dei grandi patrimoni privati. Usare il debito come leva Sono poche le aziende che crescono senza debiti, sani o non sani. Usare debiti sani è un metodo che permette di crescere a una velocità superiore rispetto a una crescita con soli mezzi propri. Se la cifra che abbiamo a disposizione è 100.000 euro e riusciamo a farla fruttare al 50%, a fine anno avremo 50.000 euro in più per un totale di 150.000 euro. Se invece utilizziamo il debito come leva e, partendo dagli stessi 100.000 euro, ce ne facciamo finanziare – per esempio – altri 400.000 dalla banca, i soldi che avremo a disposizione per la nostra attività saranno 500.000. Investiti al 50% diventeranno 750.000 in totale. Ecco che i nostri 100.000 euro iniziali sono cresciuti in un anno del 250%. Si tratta sempre del 50% di rendimento, ma costituisce un tasso di crescita assai differente rispetto a chi non utilizza il debito come leva. Nel settore privato si utilizza spesso la leva finanziaria con gli immobili: perché chi investe in immobili ha molta più leva? Perché gli immobili permettono di ottenere dei prestiti che possono essere a loro volta reinvestiti a un tasso superiore, il che consente di avere una doppia leva finanziaria. Il metodo più semplice di sfruttare una leva finanziaria è
il ricorso al mutuo (e più di uno se non siete investitori «retail»). Il mutuo Leggere il contratto di mutuo che vi redigerà la banca, se non siete avvocati o non vi intendete di «legalese», risulterà assai ostico. Vi indichiamo pertanto i punti essenziali, regolati dal codice, tentando di utilizzare un linguaggio il più possibile comprensibile a tutti. Come funziona un mutuo Tramite un mutuo, si riceve del denaro in cambio della restituzione a rate della cifra prestata più gli interessi pattuiti. Gli interessi non possono superare una certa soglia, stabilita per legge, oltre la quale chi presta il denaro incorre nel reato di usura. I mutui vengono solitamente concessi dalle banche (i mutui fra privati sono previsti per legge, ma rari) che, ovviamente, vogliono guadagnare da quel prestito. Il meccanismo è semplice: per la banca prestare soldi è rischioso, in quanto chi li riceve si obbliga a restituire a rate una cifra maggiore di quella prestata, ma non è detto che ci riesca. Considerate la banca alla stregua di un negoziante e avrete un quadro preciso della situazione: quando richiedete un mutuo, state acquistando a rate del denaro, in un negozio che vende soldi. Come per l’acquisto di un televisore (o di qualsiasi altro bene di consumo), ricevete subito la merce, ma alla fine dei conti la pagate un po’ più del suo valore: in cambio del vantaggio di goderne subito, infatti, la somma di tutte le rate è pari al prezzo della merce (in questo caso l’ammontare del prestito) più gli interessi. Dal momento che è la banca a correre il rischio più grande, l’istituto richiede delle garanzie di solvibilità al cliente, cioè vuole assicurarsi
che egli sia in grado di pagare le rate secondo i tempi e le modalità stabiliti. I documenti che la banca richiederà o potrebbe richiedervi sono: anagrafici (carta d’identità, codice fiscale, cittadinanza eccetera), di reddito (buste paga, partita Iva, dichiarazione dei redditi) e immobiliari (per esempio l’atto di provenienza o l’atto d’acquisto del bene in questione). Dopo la richiesta, la banca aprirà una pratica di mutuo per analizzarla. Ogni pratica di mutuo, in qualsiasi istituto di credito, viene analizzata con criteri identici. Analisi della persona. Attraverso le più sofisticate banche dati (come Crif, Cr, Experian e altre) è possibile risalire alla storia finanziaria di un cliente e vedere così se esistono segnalazioni negative di qualsiasi tipo. Per esempio: • protesti (mancato pagamento di assegni e cambiali); • sofferenze (debiti non pagati verso altre banche); • pignoramenti e ipoteche giudiziali (sottrazione da parte del giudice di un bene per poi metterlo all’asta); • ritardi nei pagamenti di mutui e prestiti (cattivo pagatore) o più semplicemente di finanziamenti in essere anche regolari e qualsiasi richiesta precedente anche non finalizzata. Analisi dei redditi. Dal reddito annuo dovranno essere detratti tutti gli impegni che il cliente sta attualmente pagando (rata finanziamento, alimenti, altri mutui eccetera) e che rimarranno in essere anche dopo l’accensione del nuovo mutuo. Il passaggio successivo consisterà nel raffrontare la rata richiesta con i redditi netti e verificare le proporzioni. Generalmente una banca considera accettabile un rapporto rata-reddito non superiore al
30%. Con alcune banche convenzionate è però possibile andare oltre. Quindi, se il guadagno è di 2.100 euro al mese la rata potrà essere di 700 euro (sempre se siete «retail» ovvero poveri). Analisi dell’immobile. Il terzo fattore preso in considerazione per portare a buon fine una richiesta di mutuo è la capienza dell’immobile. Il massimo importo finanziabile è pari all’80% del valore del bene da ipotecare. Alcune banche con l’integrazione di una «polizza fideiussoria» (sostanzialmente ulteriori garanzie da parte di terzi) si spingono a volte fino al 100% del valore immobiliare e oltre. Come negoziare con una banca La maggior parte delle persone in cerca di finanziamenti si arrende alle prime difficoltà. Molti si rivolgono, per comodità, agli istituti di credito vicino casa (pensando che «tanto siano tutti uguali»), non fanno ricerche (neppure in Internet senza muoversi di casa), non chiedono aiuto a chi ha già ottenuto prestiti per le proprie attività e spesso non si sforzano neppure di fare un brainstorming per capire se, tra le proprie conoscenze, vi è un direttore di banca o qualcuno che li possa aiutare. Chi ottiene finanziamenti, al contrario, non si limita ad attendere che la banca svolga tutti i controlli di rito, ma fornisce in primis documentazioni e «pezze d’appoggio» che lo facciano apparire finanziabile. Le banche prestano soldi a chi li ha o a chi è in grado di dimostrare di poterli restituire. Più è importante il contatto che avete con la banca, più il vostro interlocutore ha un ruolo elevato nella scala gerarchica, meno documentazioni e garanzie scritte sarà obbligato a richiedere e più si affiderà a parametri di valutazione
personale. In sostanza, come abbiamo suggerito nel paragrafo sulla negoziazione, cercate di trattare sempre con chi decide, non con un impiegato che ha bisogno del permesso di un superiore. Quando lo fate, ricordatevi che la cosa più importante per una banca è la vostra «storia finanziaria»: se avete già richiesto prestiti e avete ripagato le rate puntualmente, se avete dimostrato di essere affidabili e capaci, se il vostro conto non è mai andato in rosso e se siete clienti conosciuti da tempo, avrete la strada più agevole. Oltre alla vostra storia, inoltre, alla banca dovrete presentare il progetto per il quale richiedete il finanziamento. Oltre a voi, la banca valuterà infatti anche il vostro progetto: siate in grado di redigere pertanto una sintesi dettagliata che presenti al meglio l’operazione che intendete realizzare grazie a quel finanziamento. A questo proposito, più tardi analizzeremo la stesura di un business plan da presentare a istituti di credito e finanziatori privati. Vi sono inoltre altre strade percorribili che un buon alleato in banca saprà consigliarvi. Fideiussione. Le banche ragionano più sui numeri che sulle impressioni personali, è quindi possibile che non siano disposte a correre il rischio di finanziarvi perché non vi conoscono (cioè non avete una storia finanziaria), anche se siete persone oneste, affidabili, che hanno dimostrato più volte di tener fede agli impegni presi. Ragion per cui a volte dovrete rivolgervi ad amici e parenti che sono in grado di garantire per voi presso la banca. Ovviamente questi garanti dovranno essere finanziabili: la banca chiederà loro le vostre medesime garanzie. Quindi, nel caso in cui un istituto di credito non vi ritenga finanziabili (o le vostre garanzie personali non siano sufficienti a farvi apparire solidi), potete ricorrere a una «fideiussione», per mezzo della quale un’altra persona garantisce, coi propri beni e attraverso un «credito di firma», la restituzione del debito alla banca. Il fideiussore può essere indistintamente un parente (solitamente i genitori lo sono per i propri figli), un amico
o semplicemente un conoscente che si fida di voi. Ma cosa fare se tra le nostre conoscenze non troviamo nessuno disposto a «rischiare» per noi? No-Cash Investor. Se non avete qualcuno che garantisca per voi sulla base della vostra credibilità personale, potete trovare investitori disposti a farlo dopo aver esaminato (e ritenuto convincente) il vostro progetto di business. Il procedimento è lo stesso che utilizzerete per gli investitori privati, con la differenza che, in questo caso, non è necessario che il vostro investitore abbia del denaro, basta che egli venga ritenuto un buon garante per la banca. L’operazione è conveniente per un privato, perché si tratta di guadagnare senza sborsare denaro: è un modo di sfruttare la leva finanziaria della propria credibilità attraverso una «fideiussione», quindi tecnicamente è la banca che mette i soldi e il nostro investitore garantisce unicamente con la sua firma il rimborso da voi dovuto. È un procedimento particolarmente utile per l’investitore senza soldi, per esempio, quando si hanno 200.000 euro investiti in titoli di Stato e non si vuole utilizzare questo capitale (che comunque è in giacenza presso la banca). A quel punto si può proporre al nostro investitore un extrarendimento da quei titoli, semplicemente garantendo per voi. Un caso tipico sono le persone con una buona capacità di produrre reddito ma con pochissimi risparmi: le banche prestano volentieri del denaro garantito a queste persone perché, pur non avendo beni a garanzia, possono dimostrare di poter contare da anni su ottime entrate regolari con le quali ripagare il prestito. Leasing. Se non volete (o non potete) ricorrere a un mutuo, a fronte di un anticipo che può andare da una rata al 10% del valore di un immobile, è possibile acquistare immobili in
leasing. Il leasing immobiliare, per sua natura, nasce non per fare speculazioni, ma per detenere il bene e avere un risparmio importante sulle aliquote fiscali. Tipicamente, a fronte di un buon anticipo, la pratica per ottenere un leasing immobiliare è largamente più semplice rispetto a quella per ottenere un mutuo, perché la proprietà di un immobile è in capo alla società di leasing e non al debitore. Per altri beni l’anticipo del leasing può arrivare fino al 30%. Consorzi garanzia fidi. I consorzi garanzia fidi si propongono di prestare parte delle garanzie necessarie a società che potrebbero incontrare difficoltà all’accesso al credito presso le banche. Tipicamente, a fronte di una cifra rilasciata a garanzia dell’importo globale della fideiussione (tra il 5% e il 10%) prestano garanzie fino a un massimo del 80% di prestiti. È tipico per esempio nelle associazioni artigiani e industriali e può esservi quindi utile, se appartenete a queste categorie. Una garanzia di questo tipo facilita solitamente l’accesso al credito: chiedete alla vostra banca se hanno dei consorzi garanzia da consigliarvi oppure ricercate su Internet quelli che risiedono nella vostra provincia o regione.
Dalla scrivania di Alfio… Una delle esperienze più incredibili nella mia vita fu quella di conoscere Robert Allen, riconosciuto negli Stati Uniti come un «creatore di milionari». Robert è diventato famoso scommettendo con il Los Angeles Times che fosse possibile acquistare immobili senza
soldi. Fu inviato in un luogo che non conosceva a San Francisco, gli tolsero carte di credito e documenti lasciandolo con soli 100 dollari in tasca. Accompagnato da un cronista del giornale che lo seguiva ovunque, in appena 7 giorni riuscì ad acquistare ben 6 proprietà per oltre 700.000 dollari. Non avere soldi e non disporre di credito non è un problema: quando si ha un buon affare e si dispone della competenza necessaria per presentarlo, non è difficile trovare qualcuno pronto a investire e a dividere l’utile, sempre se si è in grado di comunicare e persuadere. Gli investitori privati Se avete per le mani un buon affare (come per esempio l’acquisto di un immobile, la commercializzazione di un prodotto straordinario e rivoluzionario o l’apertura di una nuova attività) ma non avete il denaro sufficiente per avviare il business e non riuscite (o non volete) ottenere il prestito da una banca, potete proporre a privati di investire denaro in cambio di utili. Ammettiamo infatti che vi specializziate nell’acquistare e rivendere immobili all’asta ma che non disponiate del denaro necessario per svolgere l’operazione (magari perché bloccati nell’acquisto di un altro immobile). Ciò che potete fare è proporre a chi dispone della liquidità necessaria di prestarvela per svolgere l’operazione in cambio del ritorno di lì a pochi mesi di una parte dei guadagni. Ovviamente, anche in questo caso come per la banca, dovrete essere percepiti credibili, dimostrare di avere le competenze necessarie e, possibilmente, uno storico di analoghe operazioni andate a buon fine. Alfio ha sfruttato questo tipo di accordo quando era agli inizi della sua attività immobiliare e non disponeva della liquidità necessaria per agire sul mercato delle aste in più operazioni alla volta; successivamente, crescendo in esperienza e finanziariamente, ha «procedurizzato» (ha
reso cioè automatici alcuni processi) questo sistema attraverso la fondazione di alcune società, costituite attraverso l’apporto di capitali privati per acquistare, ristrutturare e rivendere immobili provenienti dal mercato delle aste giudiziarie. Lo stesso Lorenzo è stato, all’inizio, un investitore di Alfio in una delle sue società immobiliari. Attenzione: il denaro «investito» non è in prestito! In questo tipo di finanziamento, occorre avere molto chiara la differenza esistente tra il «capitale di rischio», potenzialmente a fondo perduto in caso di insuccesso, e il prestito bancario, che dovrà invece essere restituito (a volte proprio quando se ne ha maggior bisogno!). La differenza più grande è che il capitale di rischio può essere sempre «perduto» mentre la banca ne pretende, come abbiamo detto, la restituzione con gli interessi. Fate in modo che i vostri investitori abbiano chiara la differenza. L’associazione in partecipazione Il meccanismo a cui ricorrerete per l’apporto di capitali privati prevederà quasi sempre un contratto di «associazione in partecipazione». Attraverso questo accordo un privato acquista il diritto di partecipare a un affare in cambio di una condivisione degli utili. Dal momento che si tratta di prestare e ricevere denaro, vi sarà molto utile il parere di un legale, in modo che tutto si svolga secondo i termini di legge. Per esigenze di tutela del commercio del lavoro (e dell’adempimento agli obblighi tributari) è ben diverso rivestire la qualifica di «imprenditore» rispetto a quella di «investitore occasionale» (e non professionale); è necessario, quindi, prestare particolare attenzione alla corretta qualificazione giuridica dell’affare che s’intende compiere, al fine di conformarsi agli obblighi di legge:
probabilmente dovrete creare delle società per gestire anche una singola operazione ed è molto importante che conosciate la differenza tra «impresa» e «affare». L’impresa è l’attività imprenditoriale da voi gestita, che può preesistere all’accordo di associazione in partecipazione oppure può nascere ad hoc. Per esempio una società di costruzione di immobili. L’affare è una singola operazione economica. Per esempio l’acquisto di un appartamento e la sua rivendita a maggior prezzo. Le differenze tra le due figure sono la presenza di un’organizzazione professionale nell’impresa che è invece assente nell’affare e la natura durevole dell’impresa che è invece occasionale nell’affare. In questo tipo di accordo siete voi a gestire l’operazione in piena autonomia, assumendovene tutti i rischi. Avrete dei diritti e dei doveri regolamentati dal codice e così li avranno anche i vostri associati che comunque, salvo patti contrari, non potranno mai perdere più di quanto investito. Dovrete dare conto periodicamente dei progressi del business ai vostri associati e ripartire gli utili secondo gli accordi. Un buon commercialista e un buono studio legale possono mettervi in contatto con una serie di persone interessate a questo genere di affari. L’identikit del vostro investitore tipo è quello di una persona con buone capacità finanziarie, che investe in operazioni di business allo scopo di ottenere un alto ritorno dall’investimento. Di solito investono dall’1% al 5% del proprio portafoglio in attività ad alto rischio, ma ad alto potenziale. Non dimenticate che parte di questi contatti potrebbero rivelarsi dei «no cash investors», ovvero persone che possono contribuire in modo importante al vostro business in termini di ulteriori contatti o di opportunità strategiche (oltre che, come già visto, aiutarvi in qualità di fideiussori).
Network di conoscenze personali Per creare «Rent a Dream Srl» (una società che noleggia auto di lusso), Alfio non ha fatto altro che stilare un business plan, contattare il proprio «network di conoscenze personali» e proporre loro di investire in quel business, cioè acquistare delle quote della società in cambio di partecipazioni a eventuali utili. Le vostre conoscenze, sommate a quelle di amici e colleghi, nel business sono un acceleratore di risultati incredibile e le relazioni personali o di lavoro sono il veicolo per accedere a conoscenze e possibilità economiche che richiederebbero altrimenti anni di impegno costante. Secondo la «Teoria dei sei gradi di separazione», siamo a sei persone di distanza da chiunque nel mondo. Il che significa che, tramite il passaggio di conoscenze tra voi e altre cinque persone, potete contattare chiunque desiderate. Secondo il nostro parere, nell’era di Internet questa separazione si è ridotta a tre-quattro individui al massimo: ne consegue che, se non conoscete qualcuno che abbia denaro a sufficienza o la giusta mentalità per poter finanziare il vostro business, probabilmente un vostro conoscente o un suo amico conosce la persona che fa al caso vostro. Comunque, con estrema probabilità avete già tutti gli investitori e i contatti di cui avete bisogno: solo che la maggior parte di voi non ci ha mai riflettuto seriamente. Vi accorgerete come spesso proprio il contatto «chiave» per la risoluzione dei vostri problemi sia qualcuno già all’interno della vostra sfera di influenza, ma che non sapevate di conoscere poiché non avete mai fatto ricorso a un serio brainstorming sul «listing». Lo «scotoma» e le risorse a voi vicine Siamo assolutamente convinti che l’uso della nostra mente e dei nostri stati d’animo
influenzi di gran lunga l’utilizzo che facciamo delle nostre risorse. A questo proposito c’è un fenomeno molto singolare, in alcuni casi divertente, che si verifica ogniqualvolta tendiamo a focalizzarci su un aspetto a discapito degli altri. Questo fenomeno si chiama «scotoma». Lo scotoma altro non è che l’istinto della mente a interpretare quello che vede in relazione a ciò che vogliamo vedere, escludendo il resto delle informazioni. Analogamente a quando siamo convinti di essere in ritardo e tardiamo ulteriormente per cercare le chiavi dell’auto o gli occhiali, senza renderci conto che stringiamo saldamente fra le mani le prime e che i secondi sono poggiati sulla nostra testa o riposti nella tasca della giacca controllata più volte! Questo fenomeno sarebbe divertente, se non fosse che, in alcuni casi, rappresenta un autosabotaggio inconscio. Immaginate infatti un lettore che, arrivato a questo punto del libro, sia convinto di non avere, fra le proprie conoscenze, alcun tipo di risorsa dalla quale attingere denaro. Ovviamente non può essere vero: se il business che avete progettato è solido e sta in piedi, non avrete problemi a reperire finanziatori estremamente motivati nell’investire sulle vostre proposte. Certo dovete poter contare sulle vostre competenze e capacità relazionali: in caso contrario anche la migliore delle invenzioni non interesserà a nessuno. Il mondo è pieno di proposte geniali che non sono state comprese: Van Gogh, nella sua vita, vendette un solo quadro e l’inventore del «mouse» per computer vide rifiutare la propria offerta con la motivazione che «nessun professionista avrebbe mai voluto un topo sulla scrivania». Ecco una lista di domande che vi aiuterà a orientare il vostro focus nel modo più produttivo. Parenti • Chi sono i membri della vostra famiglia che producono reddito?
• Chi sono i membri della famiglia del vostro coniuge che producono reddito? • Chi sono i membri della vostra famiglia «allargata» che producono reddito? • Chi sono i parenti che non volete ricordare in questa lista (perché vi sono antipatici)? Amici • Come si chiama il vostro migliore amico? • Come si chiama il vostro peggior nemico? • Come si chiama il migliore amico del vostro coniuge? • Come si chiama l’amante del vostro coniuge? (Scherziamo: ridere fa accedere a risorse di pensiero meno lineari!) • Come si chiamano i genitori degli amici dei vostri figli? • Con chi andreste a giocare a golf (o a sciare, o in barca)? • Con chi giochereste a pallone (o a tennis, o andreste in palestra)? • Con chi andate ai concerti (o al cinema, o a teatro, o a visitare gallerie o musei)? • Da chi avete ricevuto cartoline di Natale l’anno scorso? • A chi avete spedito cartoline di Natale l’anno scorso? Conoscenti • Chi sono i vostri vicini di casa? • Come si chiamano gli insegnanti (ma anche gli allenatori, i presidi eccetera) dei vostri figli? • Chi sono i vostri vecchi allenatori (o insegnanti o presidi eccetera) ancora in zona? • Chi sono i vostri compagni universitari/di collegio ancora in zona?
• Chi sono i vostri amici del cuore dell’università ancora in zona? • Chi sono i vostri vecchi commilitoni ancora in zona? • Come si chiamano i colleghi del vostro lavoro precedente? • Come si chiamano i vostri vicini di casa precedenti? • Come si chiamano i vecchi vicini di casa del vostro coniuge? • Come si chiamano i migliori amici dei vostri genitori? • Come si chiamano i colleghi di lavoro del vostro coniuge? • Con chi parlate quando portate fuori i vostri animali? • Chi conoscete dell’asilo nido o della scuola materna? • Chi è il proprietario del vostro ristorante preferito? • Chi vi serve di solito al vostro ristorante preferito? • Come si chiama il vostro barista preferito? • Chi incontrate di routine al vostro bar o pub preferito? Professionisti • Come si chiamano i vostri medici (generico, dentista, oculista eccetera)? • Come si chiama il vostro parrucchiere (… e l’ottico, il sarto, e qualunque altro tipo di negoziante)? • Chi vi ha venduto la vostra casa (… la macchina, le attività eccetera)? • Come si chiama il vostro cassiere di banca preferito? • Chi vi fa credito in banca? • Chi è il vostro agente di Borsa? • Chi è il vostro avvocato?
• Chi è il vostro consulente finanziario? • Chi è il vostro notaio? • Come si chiama l’agente che ha assicurato la vostra casa (o vi ha venduto l’assicurazione sulla vita, o si occupa della vostra assicurazione sulla salute, o si occupa della vostra assicurazione sull’auto)? • Chi prepara la vostra dichiarazione dei redditi? • Chi si occupa della vostra contabilità? • Chi chiamereste se aveste un problema con gli impianti di casa (idraulico, aria condizionata eccetera)? • Chi è il vostro veterinario (chi cura gli animali dei vicini)? Networker • Chi conoscete della vostra parrocchia? • Chi è il vostro farmacista? • Chi è il parroco della vostra parrocchia? • Chi conoscete di organizzazioni di servizio (pubblica assistenza, Croce Rossa)? • Chi conoscete in altre organizzazioni (Rotary Club, Opus Dei eccetera)? • Chi conoscete nelle organizzazioni sociali di cui siete soci? • Chi conoscete nelle associazioni commerciali o industriali alle quali appartenete? • Chi conoscete in politica? «Prime scelte» (da contattare subito!) • Chi vi deve denaro?
• A chi dovete denaro? • Chi sta attualmente cercando di vendervi qualcosa? • Chi vi presterebbe 1.000 euro con una telefonata? • A chi non proporreste mai un investimento? (Cominciate da questi!) La lista potrebbe protrarsi per decine e decine di pagine, ma non è necessario: queste domande servivano solo da spunto, altro non sono che un accenno del serio lavoro nascosto da una semplice operazione di «listing», ora sta a voi. Ovviamente, come abbiamo accennato, non c’è argomentazione né domanda che vi farà trovare le persone «giuste», se la vostra ferma convinzione (o segreta speranza) è di non averne o che non ce ne siano. La nostra convinzione è che ne conosciate già almeno due: Lorenzo e Alfio. Se vorrete proporci il vostro affare mandateci un business plan serio. Qualora riterremo che l’operazione stia in piedi, vi aiuteremo volentieri investendo direttamente nell’operazione o aiutandovi a trovare i finanziamenti necessari. Attenti alla famiglia, agli amici e ai parenti Famiglia, amici e parenti sono le persone più «delicate» alle quali chiedere denaro, ovviamente, perché ci influenzano emotivamente molto più di altri e tendono a fidarsi di noi al di là della ragione. Ricordate che per investire non occorre innamorarsi di un’idea, ma ragionare sui numeri! Nel momento in cui incominciamo a chiedere i soldi, dovremmo guardarci allo specchio e porci alcune domande. • Se chiedo denaro a queste persone, sarò poi in grado di continuare a incontrarle ogni giorno, ogni settimana, ogni mese, ogni festa famigliare e gestire la pressione del business
e delle loro aspettative nei miei confronti? • Come influenzerà la nostra relazione il fatto che io chieda loro del denaro? • Si sentiranno sotto pressione ad accettare o rifiutare? • Sarò in grado di gestire il loro «No»? • Possono veramente affrontare l’investimento? • Sono in grado di garantire il ritorno dell’investimento o di vivere con le conseguenze, qualora io non sia in grado di farlo? • Se non fossero famigliari, proporrei ugualmente l’investimento? Se siete in grado di rispondere serenamente a queste domande, potete andare avanti nell’individuare, all’interno della famiglia, le persone che meglio si adattano al ruolo di investitore. Siate chiari e onesti fin dal principio Quando proponete un business, è essenziale che le persone capiscano che cosa stanno firmando. Specie quando godete di grande credibilità (per esempio se avete già fatto concludere ottimi affari ai vostri investitori) chi ne è al corrente tenderà a volervi dare soldi, senza volere in cambio molte spiegazioni. Non accettate quel denaro! Ogni investimento presuppone un rischio, anche se molto raro, quindi, nel valutare l’investimento, considerate l’ottica più spiacevole possibile. I vostri potenziali investitori debbono avere chiara fin dal principio la peggiore delle situazioni possibili, per due motivi: 1 . altruistico: non devono rischiare di perdere più di quanto possano permettersi di perdere;
2 . egoistico: la vostra reputazione. Il prestito si basa sull’economia della credibilità. Un vecchio adagio recita: «Reputazione: una vita per costruirla, un attimo per perderla». Selezionate i vostri potenziali investitori in base ai seguenti parametri: • maturità ed esperienza: sono in grado di capire l’opportunità dell’affare oppure possono solo «giudicare» quello che state facendo? • situazione finanziaria: hanno una situazione finanziaria che gli permette l’investimento? • competenze particolari o contatti: hanno esperienze rilevanti nel business? Se così fosse non solo potrebbero aiutarvi investendo denaro, ma anche rivelandovi preziose informazioni e consigli; potreste addirittura optare per essere cointeressati e fornirvi un aiuto pratico. L’economia della credibilità Siamo nell’era della credibilità del business; più è alta la vostra reputazione, più ci saranno clienti propensi a fare degli affari con voi, più soci disposti a investire nei vostri progetti e più banche inclini a darvi credito. Il business di oggi dipende in gran parte dalla propria reputazione acquisita nel tempo. Anche se dipendenti e fornitori sono indispensabili per la crescita di un’azienda, migliore è la vostra reputazione, più verranno percepiti valido l’affare e solida la società. I meccanismi di credibilità Se avete lavorato bene, la lista che avete creato dovrebbe comprendere un centinaio di
persone. Una delle cose a cui dovete prepararvi è la resistenza di alcuni a investire in affari che escono dalle tradizionali istituzioni finanziarie; preparatevi quindi a sentirvi rispondere «no» e impegnatevi a essere percepiti come un imprenditore «credibile». Una cosa sorprendente sono i «meccanismi di credibilità», alcuni ricorrenti, altri che dipendono dalla situazione. Non sarete mai considerati credibili, se non vi adattate agli «standard di credibilità» del vostro interlocutore. Consideratela la regola numero uno: Non dite mai a qualcuno più di quanto è disposto a credere Sovente vi capiterà di stilare piani di business con previsione di utili troppo alti, e di doverli redigere nuovamente con previsione di profitti peggiorativi. Ci sono infatti persone disposte a investire una cifra per un ritorno del 50%, che non si sarebbero fidate se aveste proposto lo stesso business, le medesime garanzie, e un ritorno previsionale del 500%. Sembra assurdo, ma è solo irrazionale: un aspetto che ha a che fare con le emozioni. Le vostre idee, i vostri servizi o prodotti, possono anche essere i migliori del mondo, ma se il destinatario dell’informazione non è pronto a percepirlo, non riuscirete a realizzare il vostro business. La regola numero due è: Ricordatevi di specificare i rischi «Patti chiari, amicizia lunga», recita il vecchio adagio. Come abbiamo già visto, ci sono volte in cui dovrete essere disposti a sottolineare con veemenza gli aspetti negativi dei vostri servizi o dei vostri prodotti: anche questo, se ben argomentato, è un dettaglio che vi farà guadagnare credibilità. Potrete orientare in seguito il focus sui benefici che il
destinatario può ottenere da voi. Nel farlo, sappiate che la terza regola è: Fornite informazioni dettagliate Non stiamo consigliando di essere prolissi o perdersi nei particolari, tuttavia anche la precisione è un elemento che aumenta la credibilità: «Sono calato 9 chili e 300 grammi», suona più credibile del dire: «Ho perso una decina di chili». A volte, trovandovi a fornire informazioni, potreste incorrere nel rischio di rivelare informazioni riservate. In quel caso, quando è possibile, corretto e conveniente farlo, ricordatevi l’ultima regola: Il Top Secret funziona solo se corretto Quasi tutti amano conoscere segreti. Nel confidarne uno, se si tratta davvero di un’informazione riservata, acquisite maggiore credibilità e create con l’interlocutore un rapporto di esclusività: verrete percepiti come parte di un’élite. Naturalmente deve trattarsi di informazioni vere, non pericolose o dannose da rivelare e dosare al meglio: a nessuno piacciono gli spioni e, come ci ricorda Pulcinella, la maschera popolare della Commedia dell’Arte, si perde di credibilità quando si rivelano troppo spesso «segreti» che poi non sono tali (i segreti di Pulcinella, appunto). Creare un business plan Che cos’è un business plan? Il business plan è un progetto dettagliato, che prende in esame tutte le aree di attività di un’impresa. È una sorta di «carta d’identità» dell’azienda, attraverso la quale si mettono per iscritto tutte le componenti di un piano imprenditoriale: dall’analisi di mercato al progetto
finanziario, dal marketing alla gestione delle risorse umane. Più è dettagliato, più agevola la possibilità di utilizzare la propria leva del debito con istituti o privati, per chiedere fondi. Preparare il business plan richiede tempo e dedizione. Non si tratta di una semplice descrizione dell’attività che si intende avviare, né di un promemoria sulle principali spese da sostenere e sui fornitori da contattare. Il business plan è un progetto che getta le fondamenta della nuova impresa e le garantisce maggiori probabilità di sopravvivenza. È uno strumento importante per farsi conoscere prima, ed eventualmente finanziare poi. E non è tutto. Il business plan non è utile soltanto in fase di avviamento, ma ha un grande rilievo come strumento di gestione, perché consente di non perdere mai di vista quali sono gli obiettivi dell’azienda, la vision statement, la mission e di controllarne l’andamento. Stilare il business plan Nella redazione del business plan, dovrete scrivere in modo sintetico e utilizzare un linguaggio tecnico, ma non specialistico. I fattori da enfatizzare sono almeno tre: • gli obiettivi, motivanti per noi stessi e per i potenziali investitori; • la ricerca di mercato e il piano di marketing; • il conto economico con costi, ricavi e lo stato patrimoniale con la situazione di cash flow prevista. E inoltre: • la descrizione del progetto: l’idea imprenditoriale descritta in modo sintetico, con una definizione analitica di ogni prodotto e di ogni servizio che si intende offrire, le
caratteristiche tecniche, i materiali, i punti di forza e di debolezza, gli aspetti innovativi, il prezzo; • la forma giuridica della società; • la compagine sociale e l’organico dove vengono evidenziati il profilo dei soci con qualifiche ed esperienze. Vanno definiti i ruoli e i compiti: • l’analisi del mercato. Prima di avviare un’attività qualsiasi, è bene compiere un’accurata ricerca di mercato. Vanno evidenziati i risultati della ricerca di mercato, il target di riferimento, il trend di settore, la concorrenza, la struttura distributiva tradizionale del prodotto e del servizio che intendete offrire; • la strategia di marketing; • gli aspetti organizzativi della società; • il piano finanziario. Occorre in primo luogo un piano di start-up, con le fonti di finanziamento, i metodi e i tempi di rimborso. Ciò implicherà un piano di ammortamento, una previsione dei costi, dei flussi di cassa e i ricavi; • il piano marketing. L’analisi costi/benefici delle strategie di promozione; • la motivazione. Poche righe in cui l’imprenditore esprime sinteticamente le ragioni che lo spingono a intraprendere il business. Da questi elementi, un lettore esperto può giungere a una prima valutazione dell’idea imprenditoriale: all’aumentare della vostra esperienza, infatti, cresceranno le vostre competenze, sarete presto in grado di valutare le basi di un buon business, anche solo a partire dai presupposti su cui si fonda il business e di verificare se l’azienda avrà successo
o se tale successo sarà sostenibile. Da un corretto business plan, un lettore esperto deve poter estrapolare informazioni che gli permettano di giungere a una valutazione completa dell’idea imprenditoriale; redigendolo con questo intento sarà più facile trovare nuovi investitori e soci che partecipino al rischio della nuova attività. Saper fare un buon business plan non garantisce il successo dell’azienda, ma dimostra la stoffa dell’imprenditore che si presenta sia in banca sia sul mercato o a potenziali soci investitori. Inoltre, costituisce un ottimo promemoria del business. Ci sono tre cose che un investitore guarda principalmente in un business plan: 1. il ROI, ovvero il ritardo dell’investimento; 2. il ROE, ovvero il ritorno sul capitale; 3. la way out, ovvero come si esce dall’operazione con profitto. Molti business plan non hanno chiaro il terzo punto. Chi investe vuole poi liquidare!
Abilità n. 4 Gestire lo stato emotivo Che cosa vogliono i ricchi dal loro denaro? Perché scegliamo di guardare un film, fare un bagno caldo, uscire con gli amici, baciare la persona che amiamo? Perché lavoriamo sodo per un progetto, facciamo beneficenza,
cresciamo un bambino? Tutto quello che vogliamo dalla nostra vita è uno stato d’animo. Che cosa desiderate nella vita? Amore? Fiducia in voi stessi? Denaro? Sono tutti stati d’animo. Se credete che dei bigliettini di carta, raffiguranti personaggi famosi defunti o delle immagini di monumenti, siano il vostro reale scopo, state sbagliando di grosso: in realtà ciò che vi interessa è lo stato d’animo che il denaro può dare. La possibilità di regalarci una macchina di lusso non corrisponde all’esigenza di muoverci, ma piuttosto al desiderio di cambiare la percezione di noi stessi: per considerarci o essere considerati persone di successo. La chiave per raggiungere una vita felice, piena d’amore e di gioia, è legata alla capacità di poter creare lo stato d’animo che più desideriamo. Le 4 emozioni killer Le persone di successo sanno esattamente quello che vogliono e sono focalizzate nel raggiungerlo giorno dopo giorno, nonostante le emozioni negative che l’impegno a realizzare i propri desideri può comportare. Ecco gli «ostacoli emozionali» in cui vi imbatterete più frequentemente, nel sentiero verso la libertà finanziaria. 1.Frustrazione. Se non si prova frustrazione nel raggiungere i propri obiettivi significa che si è mirato troppo in basso. Pensateci: ci sono cose che possiamo raggiungere facilmente, gesti che siamo abituati a compiere, situazioni che sappiamo benissimo come affrontare. Avere solo obiettivi di questo tipo non significa crescere, ma tenersi occupati. Si possono paragonare all’attività svolta in palestra: se si interrompe l’allenamento appena si comincia a sudare o a sentire la stanchezza, meglio di niente, ma non è certo un buon training. Avete mai vissuto un momento di frustrazione apprendendo un concetto nuovo? Lo
avete fatto per forza, perché per apprendere occorre attraversare quel momento! All’inizio non capiamo, le cose non tornano, cominciamo a rimuginare e a riflettere poi, improvvisamente, tutto diventa chiaro e afferriamo il concetto. E quella nozione rimane in nostro possesso per tutta la vita: ci ha arricchito per sempre e siamo cresciuti, diventati qualcosa in più rispetto a ciò che eravamo. Imparate ad amare la frustrazione, ricercatela come un atleta cerca il momento di massimo sforzo del muscolo. Ricordate che il vostro miglior risultato di oggi non è il vostro meglio in assoluto! Facciamo un esempio pratico: mettetevi in posizione e provate a eseguire tutte le flessioni che vi è possibile sopportare. Stancatevi fino a essere esausti. Se è da molto tempo che non fate esercizio, probabilmente vi affaticherete dopo poche ripetizioni, ma è tutto ciò che potete fare? La risposta è no! Riposandovi qualche minuto, scoprireste di poterne fare ancora altre cinque. E passato un altro minuto potreste incrementare ancora quel numero. In fondo, per superare i nostri limiti, basta solo ripetere ciò che siamo capaci di fare abbastanza spesso e senza troppe pause. La frustrazione che proviamo nella vita è come la fatica nell’esempio anche se, culturalmente, con la frustrazione abbiamo un’abitudine diversa: siamo portati a mollare, a rinunciare, invece di attendere, prenderci un attimo di riposo e ricominciare a darci dentro. Ogni volta che vi stancate fino a essere sfiniti, riposatevi e ricominciate a darci dentro: in questo modo sposterete in avanti il limite delle vostre capacità. Iniziate con qualcosa di piccolo che vi fa sentire bene con voi stessi: anche con le piccole cose, con le piccole sfide, la vita dà grandi ricompense. L’abitudine a gestire le piccole sfide è l’allenamento per gestire quelle grandi! «Per ogni sforzo disciplinato esiste una miriade di ricompense», diceva Jim Rohn, a patto che non si lasci passar troppo tempo tra uno sforzo e l’altro. 2.Disapprovazione e rifiuto. Pensate al personaggio che per voi incarna le
caratteristiche di un leader. L’unica condizione alla vostra fantasia è che la persona in questione non sia più in vita. Ora, provate a contraddire le seguenti affermazioni sulla persona che avete scelto: • è stata fortemente contestata mentre era in vita; • è stata uccisa, oppure in molti hanno desiderato la sua morte. Solitamente, per più della metà dei modelli di leadership a cui si fa riferimento, le affermazioni riportate risultano corrette. I personaggi che siamo abituati a considerare universalmente positivi, come Martin Luther King, John Fitzgerald Kennedy, il Mahatma Gandhi, hanno affrontato contestazioni, rifiuti e disapprovazione oltre misura, sono stati uccisi per le loro idee. La verità è che i leader vengono inevitabilmente contestati e non c’è vero leader che non sia passato attraverso la disapprovazione. Possiamo prendere la politica a esempio: una vittoria schiacciante, un’elezione con risultati «bulgari», equivale a una preferenza del 51%. Vale a dire che un elettore su due ha votato per l’altro candidato! La maggior parte dei leader di partito ottiene ottimi risultati, quando il consenso dei propri colleghi va oltre il 20%: al contrario molti di noi si sentirebbero terribilmente a disagio nel sostenere le proprie argomentazioni, se queste si rivelassero contrarie al parere dell’80% dei presenti! Istintivamente cerchiamo con ogni mezzo di evitare il rifiuto: quello di una persona che ci piace, quello di un esaminatore dopo un colloquio di lavoro; rimandiamo il primo passo per realizzare il nostro «sogno nel cassetto» con la scusa di attendere «condizioni migliori». Una delle più grandi vittorie della vita consiste nell’imparare ad affrontare il rifiuto. Sapete come si fa? Si sviluppano anticorpi! Che cosa succederebbe a un ragazzo timido che
non riesce ad approcciare una ragazza se lo si costringesse ad abbordarne cento in un pomeriggio? Morirebbe di vergogna ai primi dieci tentativi, incasserebbe qualche due di picche, ma dopo un po’ quella che fino a qualche ora prima rappresentava una delle sue paure più grandi sarebbe in gran parte ridimensionato. La paura del rifiuto è un killer di sogni! La paura del rifiuto è il motivo per cui individui straordinari rinunciano alla propria autenticità per diventare la fotocopia sbiadita di loro stessi, uniformandosi a ciò che pensano essere una versione più «socialmente accettabile». Se c’è qualcosa di veramente autentico in voi, inevitabilmente vi scontrerete con la disapprovazione e il rifiuto da parte degli altri: poche persone riescono a dominare questa emozione, ma chi riesce a superare questo ostacolo solitamente viene ricompensato molto bene all’interno della società. Indipendentemente da ciò che si possa pensare di Silvio Berlusconi, sia come imprenditore sia come uomo politico, è incontestabile la sua capacità straordinaria della gestione della disapprovazione e del rifiuto. Tutti noi, istintivamente, tendiamo a controllare il modo in cui ci presentiamo e a giudicarci in base a esso. Ci piacerebbe apparire come persone di valore, che contano per gli altri e che «lasciano il segno». Questo sentimento è comune a tutti, anche se molti lasciano «spegnere la fiamma» perché troppo impauriti dal giudizio altrui. Al contrario è estremamente difficile fermare un individuo determinato che sa come gestire la disapprovazione e il rifiuto! In un certo senso, il rifiuto e la disapprovazione sono la chiave del successo: la strada per il raggiungimento della ricchezza e della felicità è tanto più breve e soddisfacente quanto più il rifiuto è disseminato lungo il percorso. Più rifiuti si ottengono e più ricchi si diventa. 3. Pressione. La carenza di denaro genera pressione, soprattutto nella cultura occidentale,
dove soldi e successo sembrano essere diventati gli unici parametri del valore individuale. A sentire maggiormente la pressione finanziaria sono tuttavia proprio i ricchi: più le entrate crescono, più aumenta questo peso. Un grosso generatore di pressione sono gli amici che improvvisamente si trovano in difficoltà finanziarie perché si sentono a disagio in quanto le loro entrate sono diminuite rispetto alle vostre: che differenza fa se per ritrovarsi sul luogo dell’appuntamento uno dei due ci arriva in Bentley e l’altro in utilitaria? Per chi non dà peso a queste cose, nessuna. Un altro fattore sono i conoscenti che mischiano denaro ed emozioni sottoponendoci affari, investimenti o piani di prestito che non stanno in piedi, ma che «in nome dell’amicizia» potremmo avere difficoltà a rifiutare: gestire una grande quantità di denaro ci costringe a imparare a dire quei «no» che non ci fa piacere dire. I ricchi, quando imparano ad affrontare la pressione del denaro, cominciano a ragionare diversamente: anziché pensare a che cosa possono fare con i soldi, pensano a che cosa le persone possono fare «attraverso» i soldi; invece di pensare solo a loro stessi e agli amici, si focalizzano sui servizi che possono compiere grazie al denaro e al modo di dare a chi sta loro a cuore gli insegnamenti per ottenere denaro. Chi è ricco sa che non è necessario essere un gran lavoratore per risolvere un problema, ma che è fondamentale cambiare la prospettiva con cui lo si affronta. È importante concentrarsi su quello che si può fare e non su ciò che si può ottenere. Gestire il denaro significa per prima cosa smettere di farsi governare da esso: chi è costretto a lavorare per vivere può farlo solo in parte, durante il tempo libero o trovandosi un lavoro che è felice di svolgere anche sotto pressione. Per i ricchi il denaro è un mezzo e non un fine: è solo uno strumento per poter essere liberi. 4.Autocompiacimento. Nella vita di chi amministra un’azienda o fa crescere un business, arriva un momento in cui il rischio più grande non consiste nel non aprire la porta a una
grande occasione, ma nell’aprirla all’occasione sbagliata. I ricchi imparano dai propri errori e sanno riconoscere il rischio, lo abbiamo detto in precedenza: l’errore più grande è non commetterne, il rischio maggiore non rischiare affatto. Ricordate che il secondo nemico della lucidità, dopo la paura, è la vanità. Stiamo parlando dell’autocompiacimento, del ritenerci sempre e comunque i migliori. Il problema, con questo tipo di emozione, è che, proprio come avviene ai giocatori d’azzardo,l’autocompiacimento ha l’effetto di una potente droga e, inconsciamente, tendiamo a «sfidare la sorte» non prendendo in considerazione tutti quei dettagli che percorrendo la strada per la ricchezza abbiamo imparato a non tralasciare! La soddisfazione è un bene, ma quando siamo troppo compiaciuti o troppo soddisfatti di noi stessi, rischiamo di distrarci e perdere la concentrazione. Ogni volta che Charles Darwin si imbatteva in qualche fatto che sembrava contraddire la sua teoria dell’evoluzione, lo annotava immediatamente, temendo che la sua memoria si rifiutasse di registrarlo (ricordate lo «scotoma»?). Chi crede di aver pensato a sufficienza e imparato abbastanza galoppa verso una sempre maggiore non-consapevolezza. Quando combattiamo un blocco, quello si inasprisce; se invece lo riconosciamo, lo viviamo e lo accettiamo esso comincia a sciogliersi. Quando avvertite «i primi sintomi» di questo processo, spostate l’asticella del vostro metro di giudizio: smettete di paragonarvi alle persone che vi circondano, e cominciate a raffrontarvi a persone che considerate più in gamba di voi. Se vi riesce difficile è solo perché il confronto è sul piano delle opinioni: spostatelo su quello dei fatti e paragonate le vostre capacità a quelle di chi ha realizzato qualcosa in più. Ciò che realmente appaga nella vita non è ciò che si riceve o ciò che si realizza, ma ciò che si diventa. Ricordarsi questa semplice formula è il segreto della lucidità di giudizio. Imparate a gestire le vostre emozioni
Abbiamo visto attraverso quali emozioni dovremo passare, ora occupiamoci di come farlo: troppo spesso ci sentiamo consigliare di «gestire le emozioni» quando il vero problema non è il non sapere «che cosa» fare, ma «come» riuscirci. Non è difficile imparare a modificare le proprie emozioni per raggiungere uno stato produttivo, al fine di ottenere i risultati che desideriamo: la cosa più difficile, spesso, è accettare che sia così facile. Mente e corpo I fattori che maggiormente influenzano il nostro stato emotivo sono: 1. il modo in cui utilizziamo il nostro corpo; 2. il modo in cui utilizziamo la nostra mente. Ricordate l’antico aforisma latino che recita: «Mens sana in corpore sano»? Funziona anche al contrario: la nostra tensione muscolare, il nostro modo di respirare e di usare il fisico incidono enormemente sul nostro stato emotivo. Assieme al corpo, la mente fa parte di un unico sistema. Ogni modifica a livello mentale inciderà sul nostro corpo così come ogni modifica del corpo influirà sulla nostra mente. Esistono numerosi metodi usati dagli yogi, dagli sportivi professionisti e dagli esperti di formazione. Ne descriveremo qualcuno, ma vi invitiamo a scoprirne altri e trovare le tecniche che più si adattano al vostro caso: PNL, training autogeno, EFT, NEI. Sappiate che una delle caratteristiche principali dei ricchi è la curiosità: ricercano e provano le discipline che vengono loro proposte e spesso sono i precursori delle novità in questo campo. Divertitevi a sperimentare! Vi aiuterà a sviluppare la vostra mentalità da ricchi!
Uno strumento con cui giocare Riflettiamo: normalmente cosa facciamo per modificare il nostro stato mentale? Mangiamo per il nervosismo, ingeriamo caffè per la stanchezza o la mancanza di lucidità (nonostante la caffeina sia un narcotico), fumiamo per calmarci (nonostante la nicotina sia un eccitante). Difficilmente vedremo un manager saltare e fare capriole o esultare dopo la chiusura di un contratto come farebbe un tennista dopo un match point. E la maggior parte di noi giudicherebbe «esaltato» un gruppo di persone che festeggia con cori e grida una vendita andata a buon fine, mentre definiremmo «normale» lo stesso comportamento riferito a una vittoria di undici (miliardari) conseguita su un campo di calcio. Ma, a ben vedere, che cosa influenza maggiormente la nostra vita e quella dei nostri cari? Una squadra di calcio o il buon esito di un lavoro importante? Mmh, forse è il momento di ristabilire delle priorità! E di ricominciare a utilizzare il corpo, che è il miglior strumento a nostra disposizione per gestire le emozioni: i bambini vivono liberamente le proprie emozioni proprio perché le vivono anche fisicamente. C’è una credenza particolarmente diffusa, un falso pudore che porta a identificare chi parla di «gestire il proprio stato d’animo» come un robot privo di emozioni; ma ovviamente non è così. Gestire il proprio stato emotivo significa esattamente l’opposto: vivere le emozioni senza farsi sopraffare dall’emotività legata agli eventi. Un esercizio molto efficace per cambiare in meglio lo stato d’animo attraverso l’uso della fisicità è il seguente:
Riportate alla mente una o più situazioni
in cui eravate nello stato d’animo positivo che volete richiamare a voi (per esempio coraggio, sicurezza o entusiasmo). Rientrate in quello stato (cioè ripensate a com’eravate in quella situazione) e notate come usavate la vostra fisiologia: com’era la posizione delle mani, dove era orientata la testa, come respiravate e quindi quali erano le sensazioni fisiche che avevate e dove le provavate. Nel riportarle alla mente, tentate di farlo in modo fisico, non intellettuale: rivivetele muovendovi nello spazio. Dopo qualche minuto di questo esercizio, verificate se il vostro stato d’animo è modificato Lo scopo di questo esercizio è di «ricreare lo stato», cioè passare da «come ci sentiamo» a «come vorremmo sentirci», inserendo le variabili che mancano. Per cambiare i risultati, spesso, è più importante modificare lo stato d’animo piuttosto che compiere azioni diverse, perché azioni identiche messe in atto in stati d’animo differenti portano risultati differenti. A volte è necessario modificare anche le nostre azioni, ma quasi sempre è necessario un diverso stato d’animo. Passando in rassegna quanto visto finora, possiamo renderci conto di
quanto la capacità di generare denaro sia influenzata dall’abilità di gestire lo stato d’animo di fronte agli investimenti, alle spese e alle scelte di lavoro: la mente, agendo come un sistema cibernetico, non fa altro che reagire ai comandi che le diamo; il nostro cervello svolge calcoli complicatissimi – di cui non siamo a volte neppure consapevoli – alla velocità della luce, ma è tramite le emozioni che impostiamo i dati dell’equazione, e la «cifra comportamentale» non può essere molto diversa dai «valori emotivi» che abbiamo inserito. Registi delle proprie emozioni A livello prettamente fisico, non esiste alcuna differenza tra un evento realmente accaduto e uno vividamente immaginato: pensare a una situazione eccitante provoca in noi una sensazione di eccitazione o veder masticare una fetta di limone fa aumentare la nostra salivazione; questa è la prova che i pensieri (e le emozioni che ne derivano) provocano reazioni fisiche altrettanto reali di quanto non facciano gli stimoli cosiddetti «esterni». La nostra mente vive le emozioni a livello sensoriale, sperimentandole attraverso i cinque sensi come si trattasse di un film, diretto da noi stessi e proiettato all’interno della nostra mente. Ecco gli strumenti del «regista»: • convinzioni; • linguaggio; • dialogo interno; • focus mentale; • immagini.
Tempo fa Rudolph Giuliani, ex sindaco di New York, si è trovato a premiare pubblicamente un vigile del fuoco che, in modo estremamente eroico, aveva salvato delle persone durante la tragedia del World Trade Center. La cosa curiosa della vicenda è che quel pompiere coraggioso, durante la cerimonia per la consegna della medaglia al valore, fu assalito dalla paura di parlare in pubblico. Gli si leggeva il terrore negli occhi. Come è possibile che una persona che ha il coraggio di buttarsi tra le fiamme non ne trovi per rilasciare delle interviste? Proviamo a rispondere usando questi elementi. Come sarà stata la fisiologia del pompiere mentre salvava delle persone da morte certa? La stessa rispetto a quando si trovava di fronte alla stampa? Improbabile: con una fisiologia depotenziante non sarebbe riuscito a salire sulle torri gemelle portandosi sulle spalle una bombola d’ossigeno e salvare tanta gente. E che dire delle immagini? Nel primo caso, probabilmente, vedeva se stesso nell’atto di salvare dalle fiamme persone in pericolo, nel secondo caso, invece, si vedeva piccolo nei confronti dei giornalisti, magari si vedeva commettere delle gaffe o coinvolto in qualche altro tipo di brutta figura. Il dialogo interno, come sarà stato? Nella prima situazione l’avrà spinto a dare il massimo, a correre per salvare quelle povere persone, una voce da condottiero, da eroe, nel parlare a se stesso. Nella seconda situazione avrà cominciato a porsi dubbi sulle sue capacità e il tono sarà stato negativo. Quale sarà stato il focus del pompiere nel primo caso? Orientato a salvare le persone, quindi totalmente focalizzato sul risultato da ottenere, o concentrato sui pericoli corsi? Nel caso dell’intervista, lo si leggeva nei suoi occhi, era focalizzato su tutte le cose che potevano andar male!
Quali saranno state le sue credenze riguardo alla capacità di salvare le persone? L’avranno messo in uno stato d’animo positivo oppure no? E le credenze riguardo alla sua capacità di rilasciare interviste o di parlare in pubblico? Naturalmente non possiamo conoscere la verità, ma è possibile farsene un’idea. Ognuno di noi ha avuto esperienza di momenti analoghi, in cui l’uso «spontaneo» di questi «strumenti» ha attivato risorse che gli hanno tagliato le gambe o fatto spuntare le ali. Ogni giorno entriamo e usciamo da stati negativi e positivi. Comprendere come ciò avvenga è la chiave per raggiungere il successo. Il nostro comportamento, quello che diciamo a noi stessi, il tono con cui lo diciamo, le immagini che vediamo, le cose che scegliamo di notare non sono il risultato dello stato d’animo in cui ci troviamo in quel momento, ma la causa. Ricordate: le decisioni prese con uno stato d’animo negativo sono spesso decisioni sbagliate.
Dalla scrivania di Alfio… La povertà è prima di tutto uno stato mentale! Come sapete, prima di diventare milionario, sono partito da una situazione difficile e avevo moltissimi debiti per via di alcune decisioni sbagliate. Se in questo momento siete in difficoltà finanziaria, so esattamente come vi sentite, perché ci sono passato anch’io. Voglio raccontarvi di un episodio accaduto in quel periodo. Una sera mi trovavo in ufficio e, stanco di lavorare, mi ero messo a leggere un libro di Jim Rohn, un grande formatore americano, ed ero arrivato al capitolo che spiegava come si raggiungevano i propri obiettivi. Mentre lo leggevo, pensavo che se lui era riuscito a trasformare la vita
di Anthony Robbins, un altro grande formatore, forse il suo libro poteva aiutare me. All’epoca ero già diventato abbastanza bravo con la PNL e aiutavo gli altri a ottenere dei risultati positivi in molti settori, perché allora non ero in grado di aiutare me stesso a uscire dal mio stato di povertà? Era tardi e mi era venuta fame. Uscii dall’ufficio per andare in una paninoteca a mangiare qualcosa. Avevo portato con me il mio diario. Mentre aspettavo un panino mi misi ad annotare i miei desideri per trasformarli in obiettivi. Mi accorsi allora che, stranamente, non mi sentivo bene all’idea di diventare ricco. Avevo associato così tanto dolore al denaro che non volevo più averne. A causa del mio problema, anche i miei genitori erano stati costretti ad affrontare una situazione difficile. Incominciai ad analizzare le mie credenze sul denaro e ne scoprii una stranamente buffa e inquietante: Se divento ricco, mio padre muore. Mio padre era appena andato in pensione, e avevo letto poco prima in un giornale che il più alto tasso di decessi nei pensionati avveniva nei primi anni successivi all’aver lasciato il lavoro. Tale fattore era da addebitarsi, secondo l’articolo, all’incapacità dei neopensionati di trovare nuove sfide e nuovi obiettivi, che li facessero sentire «vivi». La mia mente, nell’assimilare questa informazione, vi aveva associato il fatto che, se mio padre fosse rimasto sotto pressione a causa della mia situazione finanziaria disastrosa, sarebbe anche rimasto «attivo» e avrebbe continuato a vivere senza lasciarsi andare. Con questa mia credenza limitante, per ogni passo che facevo in avanti, ne facevo due indietro. Anche se consciamente credevo che fosse stupida, dentro sentivo che mi limitava. Ecco la consapevolezza che ha segnato il mio «punto di svolta»; l’intuizione chiave, quella che, col senno di poi, determinava i miei debiti e che, una volta modificata,
ha segnato il giro di boa per il futuro finanziario. Prima di decidere di uscire dal mondo della povertà che mi ero creato, ero costantemente preoccupato per i soldi, e mi focalizzavo sempre su come non essere povero. Mi creavo un’immagine povera della mia vita. Ogni volta che arrivava una bolletta ero sempre preoccupato perché non sapevo come pagarla. Immaginare sempre di non essere povero mi faceva inquadrare solo la povertà. Continuavo a rafforzare questo focus negativo pensando in modo «povero» e prendendo «decisioni da povero». Ho dovuto anche modificare il mio linguaggio sul denaro. Ricordate l’elenco delle false credenze sul denaro? Io ero uno di quei bambini ai quali la madre spesso gridava di «non mettere i soldi in bocca perché sono sporchi!» E, come abbiamo detto, un messaggio di questo tipo lascia una traccia importante. Vi piacerebbe avere in tasca qualcosa di sporco? Ho anche dovuto lottare contro la mia identità. Nel mio dialogo interno c’era una vocina che mi diceva «non ce la farai mai, tanto tu rimandi sempre le cose». Inoltre non riuscivo a immaginarmi con un cospicuo conto corrente in banca, e un tenore di vita da ricco. Ho dovuto lavorare molto per crearmi delle immagini positive di me con molto denaro a disposizione. Ho smesso di rassegnarmi con sottomissione alla mia situazione di allora e ho incominciato a prendermi la responsabilità di cambiarla. Invece di provare odio per il denaro e per il dolore che mi aveva causato, cominciai a realizzare che i soldi erano una cosa buona. Ho definito i miei obiettivi e ho incominciato a dedicare più tempo per andare dove volevo, piuttosto che rincorrere attività di scarso valore. Ora ho sempre con me un taccuino dove tutti i giorni scrivo i miei obiettivi e dedico 3 minuti ovunque mi trovi per focalizzarmi su quello che voglio ottenere. Da dove cominciare
Per prima cosa, quando siete impegnati a generare denaro, analizzate le vostre credenze, il focus, il dialogo interno e le immagini che associate ai concetti di denaro o ricchezza e controllate che tutti questi fattori siano congruenti con ciò che desiderate. Analizzate il linguaggio col quale vi riferite ai soldi: vi riferite a essi con un certo disprezzo o esprimete amore e rispetto per l’abbondanza? Le parole possono infiammare le folle o distruggere le relazioni, e hanno anche la capacità di creare amore o di far cambiare il mondo intorno a noi. Possono eliminare paure, modificare convinzioni, abitudini. Com’è il vostro dialogo interno nel momento in cui decidete un investimento? Esprime dubbio o sicurezza? È orientato ai problemi o alle soluzioni? Nel momento in cui commettete degli errori, la prima sensazione è quella di rabbia e di sconforto? Qual è il vostro focus sul denaro? Ponete l’attenzione su ciò che c’è di buono nella vostra vita o su ciò che non va? Che cosa pensate di ottenere avendo più denaro? Che cosa pensate vi possa dare il denaro, che già non possedete? Molti credono che un conto in banca da nababbi porti con sé emozioni come sicurezza, felicità, potere: se così fosse Marilyn Monroe, Elvis Presley o John Belushi sarebbero ancora in vita e felici e contenti. Invece, pur essendo stati ricchi, non sono riusciti a trovare un giusto equilibrio nella loro vita. Gli stati d’animo, al contrario, possono essere generati dentro di noi, senza l’utilizzo del denaro. Dove siete focalizzati? Ricordate che il cambiamento di focus avviene solo ponendosi le domande giuste. Quali sono le domande che vi fate più spesso in relazione alla ricchezza e all’abbondanza finanziaria? Create per voi stessi un piano «finanziario emozionale» da subito! Migliorare, crescere, avere una vita equilibrata e appagante è una questione di scelte personali. È tutto nelle nostre mani: nessun altro può prendere questa decisione al nostro posto così come nessuno può farci sentire inferiori senza il nostro consenso. Ciò che ci
cambierà la vita, se decideremo di farlo, è accettare pienamente la responsabilità di noi stessi per ciò che siamo e diventeremo un domani. Accettare la propria responsabilità è la differenza che separa un leader dalla massa, la persona che si fa carico dei rischi da chi si nasconde dietro la «sfortuna». E dal momento che la responsabilità è un atteggiamento, cioè uno stato d’animo unito all’abitudine, possiamo utilizzare ancora una volta i cinque fattori chiave. Dialogo interno. Se volete davvero diventare ricchi, allora dovete accettare la piena e incondizionata responsabilità della vostra vita; ciò significa che da oggi in poi vi rifiuterete di raccontare a voi stessi che siete sfortunati, di lamentarvi del comportamento degli altri e di qualunque altra cosa che nella vostra vita non sia come voi vorreste. Significa rifiutarsi di incolpare gli altri per qualsiasi ragione o lagnarsi per cose successe nel passato. Essere responsabili significa eliminare dal proprio vocabolario espressioni come: «Se solo avessi…» «Se solo fossi…» «Che cosa sarebbe successo se…» e focalizzarvi soltanto su quello che voi volete realmente e su dove volete realmente andare. Accettare la responsabilità è la base del successo di ognuno di noi in qualsiasi attività. Da questo momento in avanti, qualunque cosa accada, vogliamo che diciate a voi stessi: Sono io il responsabile di questa situazione. Se non siete felice in un particolare settore della vostra esistenza, iniziate semplicemente a ripetervi: Sono io l’unico responsabile, e focalizzatevi per cambiare la vostra vita. Non vi chiediamo di assumervi la colpa di alcunché: vi stiamo consigliando di assumervene la responsabilità, cioè il potere di cambiare. Se qualcosa va male, accettate subito la vostra responsabilità e iniziate a cercare una soluzione. Se un ricco non è soddisfatto delle sue entrate finanziarie, così come è capitato a Donald Trump quando ha affrontato la bancarotta (momento in cui si definì «più povero del barbone che chiedeva
l’elemosina davanti alla Trump Tower»), ne accetta la responsabilità e incomincia a fare tutto il necessario per incrementarle. Linguaggio. Quali sono i presupposti nelle frasi tipiche dette da chi non si assume le proprie responsabilità? «Io sono così, sono fatto così e basta!...» «Lui mi fa arrabbiare!» «Non posso farlo, non ho il tempo!» «Se solo mio marito avesse un po’ di pazienza…» «Sono obbligato a farlo!» «Ma siamo sicuri che prima o poi le cose cambieranno!?» Se invece ci costringiamo ad adottare un linguaggio in cui il presupposto è che siamo noi l’unico responsabile della nostra condizione, qualunque essa sia, ci costringiamo a fare un’analisi della situazione e a porci domande così costruite: «Dove posso trovare i finanziamenti per il mio progetto?» «Come posso guadagnare un milione di euro quest’anno?» «Come posso smettere di lavorare entro tre anni?» Convinzioni. La verità è che non avete molta scelta: in fondo qual è l’alternativa? Siete comunque responsabili delle vostre azioni, solo che agite e vi sentite come se non aveste il controllo della vostra vita, il che vi dà il vantaggio secondario di non dover gestire gli stati d’animo e affrontare «pressione, frustrazione, autocompiacimento, disapprovazione e rifiuto» (cioè le quattro emozioni killer con cui fanno i conti i ricchi). Che cosa vi succede quando non vi assumete le vostre responsabilità? Incominciate a sentirvi delle vittime e a vedervi come tali. Diventate passivi e rassegnati, invece di sentirvi sicuri e proattivi. Non aspettate che arrivi quel momento prima di prendere in mano il controllo della vostra vita: il momento è adesso. Non potete cambiare le circostanze, le stagioni o il clima, ma potete cambiare voi stessi. Assumetevi la responsabilità di quello che leggete, delle abilità che sviluppate, dei corsi di formazione che fate. La responsabilità del vostro stipendio non è del
vostro capo o della società per la quale lavorate. È una vostra responsabilità. Il vostro capo non ha il controllo sul vostro valore professionale o su quello che valete economicamente. Voi potete scegliere di avere il controllo. Focus. Ognuno di noi ha la sua «serie» di problemi e preoccupazioni: salute, famiglia, lavoro, incertezza economica, degrado ambientale, minaccia di guerra e via discorrendo. Possiamo inserire le varie situazioni che ci preoccupano in tre grandi categorie: 1. situazioni sulle quali abbiamo il controllo diretto, cioè solo il nostro comportamento determina il risultato; 2. situazioni sulle quali non abbiamo il controllo diretto, perché altre persone sono coinvolte (possiamo modificare parzialmente il risultato influenzando il comportamento degli altri); 3. situazioni su cui non abbiamo né il controllo diretto né il controllo indiretto, ma ci coinvolgono (per esempio i problemi ambientali, le tasse, le politiche economiche mondiali o le oscillazioni del dollaro). I ricchi proiettano i propri sforzi esclusivamente su quelle aree che possono controllare o influenzare. Un vecchio adagio recita: «Se passi cinque minuti a lamentarti, hai sprecato cinque minuti». C’è gente che passa il tempo a lamentarsi delle difficoltà che incontra sul lavoro, dello scarso guadagno... e anche della pioggia. Fare qualcosa per risolvere la situazione, piuttosto che lamentarsi, fa parte della vostra sfera di influenza e di controllo. Commentare o pensare che qualcosa «costi troppo» fa parte della sfera di coinvolgimento, mentre guadagnare di più, accrescere la propria conoscenza delle imposte e quindi la
possibilità di ottimizzare il carico fiscale, fa parte della propria area di controllo. Lamentarsi del mercato finanziario che scende, piuttosto che assumersi la piena responsabilità dei propri risultati, ci fa sentire senza speranza e ci toglie potere. Accrescere la nostra formazione finanziaria è invece sotto il nostro controllo: focalizzatevi unicamente sulle aree dove potete avere, se non il totale controllo, almeno un’influenza diretta. Usate la paura per prepararvi Abbiamo già visto come funzionano gli stati d’animo e come possiamo scinderne la struttura in immagini, credenze, dialogo interno, linguaggio, focus e fisiologia. Qual è lo stato d’animo principale da combattere quando ci troviamo in una situazione delicata come quella di chiedere denaro ad altre persone? Essenzialmente la paura. Ma ciò che chiamiamo «paura» non esiste in natura: è solo uno stato mentale che viene generato dai nostri pensieri, una somma di sensazioni alla quale abbiamo dato un nome e un’identità, che abbiamo deciso di rendere riconoscibile ai nostri occhi. Come abbiamo visto, chi ha paura avrà un certo tipo di fisiologia, crederà in certe cose, avrà un determinato dialogo interno, avrà delle immagini che gli mostreranno i motivi della sua paura. Il nostro focus sarà orientato verso ciò che ci spaventa, e man mano che ci focalizziamo su questi fattori, entreremo sempre più in questo stato, perché mentalmente lo creiamo. Quali sono le paure che potremmo incontrare nel chiedere apporto di denaro a terzi? La più immediata è quella di non essere presi seriamente o di essere rifiutati. Tuttavia alcuni timori sono giustificabili e possono rivelarsi utili se ci permettono di gestire i rischi in modo approfondito, di studiare ogni possibile alternativa o prevenire
imprecisioni. Usate la paura per prepararvi, per controllare che tutto sia «ben fatto». Usatela per presentare l’affare in modo chiaro e particolareggiato; mettetevi nello stato d’animo della controparte e tentate di prevedere i suoi timori, anticipare le sue domande e trovare serenamente le risposte migliori. Chiedete consiglio a chi ha già chiesto e ottenuto denaro da terzi. Visualizzate la situazione che vorreste vivere, godendovi il processo e i vari passaggi che vi porteranno a ottenere il prestito richiesto. Avete detto una parola di troppo? Ogni volta che vi sorprenderete a pensare che investire è troppo rischioso sappiate che in quel pensiero c’è una parola di troppo! Ogni volta che non agirete per la paura di fallire e perdere tutti i vostri soldi, ricordatevi che fare errori è parte integrante del processo di sviluppo della vostra «mentalità milionaria». Non focalizzatevi su ciò che potreste perdere, ma piuttosto sull’opportunità di imparare come minimizzare il danno e gestirlo. I ricchi non evitano il rischio: lo controllano attraverso la conoscenza e la pratica in campo finanziario. Alfio ha spesso investito in affari che sembravano pericolosi a prima vista, ma che, grazie al rischio controllato, hanno reso più del 1000%. Tutto questo perché chi aveva concepito quelle operazioni sapeva valutare «i rischi a priori», aveva chiaro che cosa poteva andare male e aveva previsto un piano per uscirne. Volete conoscere un segreto? I ricchi danno sempre per scontato che una strategia possa essere sbagliata e hanno sempre un piano di azione per correggerla se necessario! Gli investitori non si arricchiscono perché fanno tanti soldi, ma perché in primo luogo sono bravi a non perderli. A nessuno piace fare errori, ma nella vita e ancor più in economia ci sono cose che non possono essere insegnate: possono
essere apprese solo facendone esperienza! Le avversità che vi mettono alla prova temprano il vostro carattere facendovi diventare ancora più forti. Niente come il denaro è così legato alla corretta psicologia: a volte ciò che impedisce di ottenere ciò che si vuole è proprio il pudore di desiderarlo! Piano d’azione Pilastro n. 3 - Abilità Check point ✓Date un voto da 1 a 10 alle vostre abilità comunicative. Confrontate il voto che vi siete appena attribuiti con i risultati che ottenete nella vita: se i due dati non corrispondono, avete molto su cui lavorare. ✓ Chiarite la vostra gerarchia di valori assoluti e relativi, sia in relazione alla ricchezza sia a ogni altro aspetto della vostra vita. ✓ Cercate di capire che «stile di negoziazione» utilizzate di solito. ✓Elencate i contatti di cui avrete bisogno per realizzare i vostri progetti; fate un accorto e dettagliato lavoro di «listing» su tutte le vostre conoscenze. Raffrontate le due liste. ✓ Fate un elenco delle emozioni che vi mettono in crisi. «To do» list… ✓Frequentate un corso, leggete 3 libri, ascoltate un audio corso o guardate un video su comunicazione e negoziazione. ✓Quando parlate con le persone, fate domande specifiche per individuare le loro
strategie decisionali. ✓La prossima volta che vi contatta un venditore, ascoltatelo e cercate di capire che «tecniche» usa. ✓ Negoziate o rinegoziate con una banca le condizioni del vostro mutuo o simulate questa negoziazione (preparando le varie argomentazioni e le documentazioni necessarie). ✓ Leggete due business plan a settimana e redigetene uno. Acquistate un libro su come si creano i business plan. ✓ Imparate almeno un approccio alla gestione delle emo zioni e applicatelo per gestire le vostre.
* Ovviamente non stiamo parlando dei guai giudiziari, ma di come riescano a risollevarsi da grandi «disastri» economici. ** Non c’è bisogno di ribadire ulteriormente che si tratta di un consiglio ormai obsoleto… ma lo facciamo ugualmente: repetita iuvant. * L’errore non consiste nel consigliare di investire in istruzione, ma di investire principalmente in quella scolastica e non in quella finanziaria, se l’obiettivo è di raggiungere la solidità economica.
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Quarto Pilastro Strumenti
IN questo quarto Pilastro analizzeremo gli strumenti pratici utilizzati dai milionari per generare ricchezza. Sono sei e tutti ugualmente validi. Nei capitoli precedenti abbiamo visto come creare entrate multiple per essere pagati più volte per unità di tempo. Ora passeremo in rassegna i mezzi di guadagno e investimento più remunerativi e utili nella società attuale. Ognuno di questi sei strumenti costituisce una precisa area di specializzazione: non si tratta di «espedienti», ma di veri e propri mondi da esplorare. Ve ne daremo un assaggio, illustrandone peculiarità e caratteristiche sostanziali, fugando alcuni dubbi e, forse, qualche pregiudizio in merito ad argomenti poco conosciuti o che godono ingiustamente di cattiva fama. Ovviamente non potremo essere esaustivi; non considerate quindi i paragrafi che seguiranno come la fine di un viaggio, ma come l’inizio: scegliete gli strumenti che più fanno al caso vostro – o usateli tutti come ha fatto Alfio – e ingegnatevi a diventare sempre più bravi cercando di superarvi di volta in volta. Ognuno di questi campi è al contempo una scienza e un’arte: siatene dapprima apprendisti per divenirne in seguito maestri. Non accostatevi con timore a questi strumenti, tuttavia, come per il denaro, tributate a ognuno di questi metodi il giusto rispetto: se vi avvicinerete con serietà e rispetto e saprete scegliere
una guida che vi indirizzi alla pratica, i risultati e le soddisfazioni economiche non tarderanno a manifestarsi.
Strumento n. 1 Borsa Che cos’è la Borsa? La Borsa è il metodo di investimento più redditizio dell’ultimo secolo. Purtroppo, nella nostra società, viene guardata con timore, come forma di speculazione senza controllo, eccessivamente rischiosa, tanto che lo stesso termine «investire in Borsa» è stato sostituito, nel vocabolario comune, dalla parola «giocare», come ci si riferisse a un gioco d’azzardo. Il motivo di questa anomalia è da ricercarsi nel primo Pilastro: l’ambiente. Tutto ciò che sappiamo della Borsa ci viene trasmesso anzitutto in famiglia, dove vengono spesso raccontati aneddoti di parenti finiti in bancarotta o, molto più semplicemente, si cambia canale quando il telegiornale comincia a parlare del mercato dei titoli quasi fossero oscure manovre da cui tenersi alla larga; è, quest’ultima, una prassi talmente diffusa che l’argomento viene trattato dai Tg come ultimo servizio in agenda, in modo da permettere ai telespettatori non interessati di seguire le notizie del giorno e poter distogliere lo sguardo solo alla fine dal mercato dei titoli azionari, senza perdere cose che «li riguardano». La verità è che mai come per la Borsa vige un’ignoranza radicata e fortemente voluta da chi, grazie al mercato azionario, governa la nostra economia. Parlando delle abitudini dei ricchi,
e più precisamente consigliando ai lettori di investire una percentuale di ciò che guadagnano come farebbe un investitore medio, abbiamo anche detto che le banche investono il nostro denaro, tenendo per loro la maggior parte dei profitti e lasciandoci le briciole. Dove investono tali cifre? Principalmente in Borsa. Ecco la domanda: lo farebbero sistematicamente se fosse rischiosa anche solo la metà di quanto viene percepito? Probabilmente no: proviamo a capirne di più. Come nasce la Borsa? Le storie sulla nascita della Borsa sfumano nella leggenda. La più accreditata vuole che, nel XVI secolo, in una locanda delle Fiandre si riunissero commercianti di ritorno dalle fiere. La locanda era di proprietà di un giovane veneto chiamato Dalla Bora che aveva cambiato il suo nome in Van de Bourse. I mercanti utilizzavano la locanda per regolare i reciproci rapporti di debito e fissare il potere di acquisto delle monete correnti nei rispettivi Stati. Da allora «Bourse» è divenuto lessico comune per individuare il luogo in cui si riuniscono categorie di persone che compravendono merci, valori, servizi e prestazioni. In America, durante la Prima guerra di indipendenza il Governo emise titoli di debito pubblico per finanziare le spese militari. Per trattare tali titoli ci si riuniva nelle strade, in particolare un luogo era il favorito dai «broker»: una strada secondaria di New York, sotto il grande platano, al riparo da vento e intemperie e accanto a un piccolo caffè. Il nome di quella strada era Wall Street. Che cosa sono le Borse?
Le Borse Valori sono dei mercati regolamentati in cui è possibile acquistare le azioni delle società quotate in Borsa: possedere tali azioni permette di diventare proprietari dell’azienda. Il patrimonio aziendale di una società è infatti suddiviso in azioni, che rappresentano il titolo giuridico alla partecipazione societaria, cioè ne garantiscono la proprietà in proporzione al numero. Quando comprate un’azione di Microsoft, diventate soci di Bill Gates. Che cosa sono le azioni? Azione o stock è l’unità elementare del capitale sociale di un’azienda. Le azioni possono essere di diverse categorie: ordinarie, privilegiate e di risparmio. Le azioni ordinarie sono quelle preferite dagli investitori in quanto garantiscono maggiori diritti e subiscono il maggiore apprezzamento (o deprezzamento) al variare degli eventi societari e di mercato. Questo si riflette nel prezzo delle azioni di risparmio e privilegiate che solitamente trattano a sconto rispetto a quelle ordinarie. Ogni azione ordinaria conferisce il diritto a partecipare alla distribuzione degli utili aziendali in proporzione alla percentuale del capitale posseduto, alle decisioni aziendali sia ordinarie (relative all’amministrazione dell’attività) sia straordinarie (relative alla trasformazione dell’attività, mutamento della sede o liquidazione della società) e alla distribuzione delle attività societarie, nel caso la società sia liquidata (ma solo dopo aver pagato tutti i debiti). Le azioni privilegiate sono un ibrido tra un’azione ordinaria e un titolo di debito e, in quanto azioni, hanno il diritto di partecipare al riparto degli utili e delle attività residue in caso di liquidazione societaria prima di quelle ordinarie, ma in cambio non possono partecipare alle decisioni aziendali ordinarie e solo quindi a quelle di natura
straordinaria. Le azioni di risparmio sono le azioni che conferiscono un privilegio ai possessori nella distribuzione dei dividendi azionari. Ciò significa che viene pagato prima il dividendo agli azionisti di risparmio e dopo, nel caso l’utile del periodo lo consenta, vi è il riparto dei dividendi alle azioni privilegiate e ordinarie. Di solito parliamo di azioni ordinarie. Chi investe in Borsa? Le figure che investono in Borsa si chiamano in gergo «operatori», e si distinguono in due categorie: • operatori istituzionali; • operatori privati (detti anche pubblico o retail). Questa distinzione è fatta in funzione della professionalità e gestione patrimoniale.Gli investitori istituzionali sono infatti banche e operatori specializzati che investono per conto di terzi, gestendo ingenti patrimoni. Tra essi possiamo brevemente individuare le banche retail (che operano prevalentemente con il pubblico), le banche di investimento (che offrono servizi di quotazione o reperimento di fondi a titolo di debito per le imprese) e i broker (che intermediano titoli per terzi) e le società di gestione: fondi comuni, hegde fund, che gestiscono ingenti patrimoni di terzi. Gli investitori privati sono invece singoli individui che acquistano prevalentemente per proprio conto attraverso banche o broker. Come si investe in Borsa?
Per gli operatori esiste anche una distinzione in funzione dell’orizzonte temporale dell’investimento; si distinguono in traders (coloro che comprano e vendono azioni o opzioni frequentemente con l’obiettivo di massimizzare i propri utili e/o minimizzare le proprie perdite nel breve termine) e investitori (che investono con un orizzonte temporale a medio-lungo periodo ignorando in parte le fluttuazioni di prezzo di breve termine). Quest’ultima tipologia di investimento, della quale è un famoso esponente il magnate Warren Buffett, porta gli investitori a selezionare i titoli con fondamentali solidi e con aspettative di crescita stabile e duratura nel tempo. (In realtà Warren Buffett è anche un grande trader in opzioni a breve periodo!) Quanto vale un’azione? Il prezzo di un’azione non è formato dall’incontro tra la domanda e l’offerta, come viene erroneamente scritto in tanti libri, ma dal prezzo che massimizza gli scambi in quel momento (essendo le Borse stesse società che devono fare utili!). Come si verifica in qualsiasi transazione, il compratore offrirà di comprare la quantità voluta al minor prezzo possibile, mentre il venditore cercherà a sua volta di massimizzare il proprio guadagno vendendo al prezzo maggiore. Ciò determina che sul mercato ci sarà l’ultimo prezzo a cui si è verificata una transazione (last) e altre due quotazioni di prezzo diverse: • bid = il migliore prezzo offerto per l’acquisto; • ask = il prezzo minimo richiesto dal primo venditore. La differenza tra il prezzo «bid» e quello «ask» dà luogo allo «spread», ossia alla differenza che deve essere colmata dal venditore o compratore affinché la transazione abbia
luogo. Nell’immissione di un ordine di acquisto o di vendita, in corrispondenza del prezzo a cui sono disponibili ad acquistare o vendere, i singoli operatori inseriscono le quantità desiderate. Ciò dà luogo al cosiddetto «book», ossia il riepilogo delle migliori offerte in termini di prezzo/quantità dei migliori compratori e venditori. Il book può fornire indicazioni sulla variazione del prezzo del titolo nel brevissimo periodo. Osservando il book attentamente si può a volte prevedere facilmente l’oscillazione a breve del prezzo del titolo e prenderne vantaggio. Analizzando i volumi in acquisto (bid size) e in vendita (ask size) e i prezzi immessi nel book, si possono avere segnali su pressioni dal lato dell’offerta o dell’acquisto. Se si vende e si compra, vuol dire che quando qualcuno guadagna qualcun altro perde? In Borsa tutti possono guadagnare o tutti possono perdere: non è detto che se state guadagnando la vostra controparte stia a sua volta perdendo. Come per ogni altro tipo di investimento (ma in verità ancora di più) è importante ragionare in termini di rischio/rendimento. È infatti possibile che vendere a un dato prezzo (conveniente per chi in quel momento acquista) rientri in una strategia più ampia che permette al possessore delle azioni di guadagnare rispetto ad altri fattori (per esempio operazioni precedenti o successive legate alla transazione) che non influenzano invece i calcoli dell’acquirente. Quindi se avete remore morali sul far soldi sulle spalle degli altri, non è questo il caso! Che cosa sono le opzioni? Un’opzione (stock option) è un contratto tra due parti (compratore e venditore), che ha
per oggetto il diritto (e non l’obbligo), dietro il pagamento di un corrispettivo (premio), di comprare o vendere, entro una data scadenza (expiration date) al prezzo prefissato (strike price), un bene, che può essere un’azione, un futures, una merce o anche una casa. Qui noi facciamo riferimento alle opzioni sulle azioni e, in particolare, alle opzioni quotate sulle Borse Valori americane, che si differenziano da quelle europee per la possibilità di poter esercitare il vostro diritto per tutta la durata dell’opzione (ossia da quando acquistate il diritto fino al giorno della scadenza) e non solo alla scadenza, come per le opzioni europee. Esistono solo due tipi di opzioni sulle azioni USA: • call, che è il diritto, ma NON l’obbligo, di acquistare titoli a un prezzo stabilito entro una data stabilita. • put, che è il diritto, ma NON l’obbligo, di vendere titoli a un prezzo stabilito entro una data stabilita. Nella vita di tutti i giorni, di frequente, può capitare di acquistare dei contratti di opzione call anche senza rendercene conto. Un esempio può essere l’acquisto di una casa. Una volta individuato l’appartamento che desideriamo acquistare, siamo soliti stilare un compromesso con il venditore per l’acquisto e la successiva consegna dell’immobile. Il compromesso è proprio un contratto d’opzione in cui il compratore versa a titolo di caparra una somma di denaro (premio) per avere il diritto (e non l’obbligo, di solito) di acquistare l’immobile entro una data scadenza (scadenza del compromesso o expiration date dell’opzione) a un prezzo prefissato (strike price). Analogamente, molti possono essere le stipulazioni quotidiane di acquisto simili ai
contratti put. Un valido esempio può essere rappresentato dalla sottoscrizione di un’assicurazione per l’auto. La polizza di assicurazione non è altro che l’acquisto di un’opzione put, ossia si paga un premio per essere assicurati per un determinato periodo (scadenza opzione) e avere il diritto di avere una determinata somma di denaro nel caso in cui avvenga un evento (in questo caso un sinistro). È meglio investire in azioni o in opzioni? Rispetto alle semplici azioni, le opzioni forniscono una leva maggiore e, se consapevolmente gestite, minori rischi: investire in opzioni rispetto alle azioni potenzia i guadagni, e (cosa da non sottovalutare) permette di guadagnare anche se il mercato scende o «va laterale». Quindi, per Alfio, sono in assoluto molto meno rischiose e redditizie delle azioni. A differenza del trading in azioni, infatti, le opzioni permettono di poter trarre profitto e vantaggio non solo dalla direzione del mercato, ma anche dalla sua «volatilità» e dal passare del tempo. Gestendo in maniera corretta la nostra strategia e conoscendo a fondo le caratteristiche di questo affascinante e versatile strumento finanziario possiamo creare e modellare a nostro piacimento e secondo i nostri interessi l’operatività. Come si prevede l’andamento di un titolo? Per studiare il mercato esistono vari tipi di analisi. Lo studio dei bilanci annuali, trimestrali della produzione degli utili e del cash flow
compongono l’analisi fondamentale in cui si prendono in esame: gli elementi societari, le prospettive di crescita futura, le fusioni, le scissioni, le acquisizioni, gli split azionari, il cambio top management, il lancio di nuovi prodotti e le autorizzazioni alla commercializzazione di quest’ultimi (nel caso, per esempio, dei farmaceutici), i cambi di tecnologia che impongono nuovi standard dei prodotti/servizi o le nuove mode dei consumatori e gli eventi settoriali (le indicazioni dei principali competitor sul business futuro, sulle vendite attese, l’entrata di nuovi operatori, le acquisizioni nel settore che riducono la concorrenza). Lo studio dei movimenti delle variazioni delle condizioni macroeconomiche è oggetto dell’analisi macroeconomica: cambi di politica monetaria, fiscale; nuove normative; recessione o espansione dell’economia; aumento o riduzione dell’inflazione; variazione della fiducia dei consumatori (per il conseguente impatto sui consumi); espansione o meno del mercato del lavoro (in termini di variazione degli occupati e del reddito disponibile); deficit di bilancio statale (che può portare a tagli di spesa, penalizzando alcuni settori). Differente è invece l’analisi tecnica, cioè lo studio del comportamento passato dei mercati finanziari, per prevederne i comportamenti futuri. Essenzialmente svolgere un’analisi tecnica consiste nel raffrontare prezzi e volumi delle contrattazioni per identificare (o ancora meglio prevedere e anticipare) le tendenze del mercato. L’analisi tecnica, più che una scienza, è un’arte: non si basa su calcoli matematici ma, principalmente, sull’intuizione e sull’aspettativa nei riguardi di un comportamento generale. Per impostare tali ragionamenti gli strumenti principali dell’analisi tecnica sono gli «indicatori» e i grafici che servono per capire il momento più opportuno per vendere o comprare. Se, per esempio, un titolo scende oltre un certo limite «storico», si dice che
«rompe al ribasso»: quando questo avviene, aumentano gli investitori intenzionati a vendere che, pensando che il titolo scenda ancora se ne liberano e questo porta a nuovi «minimi storici». Viceversa quando un titolo sale oltre certi valori il movimento rialzista (gli investitori che acquistano sperando che il titolo salga) porta il titolo a nuovi «massimi storici». Il potere previsionale dell’analisi tecnica non è grande, però tende a risultare veritiero poiché le tendenze generali del mercato vengono assecondate dalle aspettative che la maggior parte degli analisti condivide. Tali tendenze generali derivano essenzialmente da tre regole generali: 1.non è necessario conoscere il «perché» di un prezzo di mercato: i prezzi sono lo specchio di tutti i fattori in gioco e di ogni informazione disponibile; 2.il comportamento psicologico si ripete storicamente: la massa degli investitori tende a muoversi (e a reagire alle fluttuazioni del mercato) in maniera simile in periodi analoghi; 3.i trend sono validi finché non cambiano: motivo per cui è essenziale analizzare i cicli economici per anticipare i possibili momenti di inversione. Come iniziare a operare in Borsa? Cominciate col leggere libri e studiare i grafici. Prendete l’abitudine di guardare i telegiornali «fino alla fine», cercando di capire le notizie di Borsa. Leggete gli articoli riguardanti l’andamento dei titoli e cercate raffronti con le notizie di cronaca (finanziaria e non) del giorno e dei giorni precedenti e successivi. Il nostro consiglio, prima di iniziare a operare in reale, è quello di esercitarvi per un certo periodo di tempo con il «trading
virtuale». In questo modo potrete apprendere direttamente dalle operazioni effettuate importanti nozioni che serviranno ad aumentare le vostre conoscenze, e quindi probabilità future di successo. Su moltissimi siti web è infatti possibile compiere simulazioni di «trading virtuale» su qualunque mercato, in particolare quello americano. Scegliete un sito in cui sia possibile operare anche realmente oltre che virtualmente e che fornisca un accesso gratuito a una piattaforma di grafici in tempo reale.
Strumento n. 2 Il mercato delle valute: Forex Che cos’è il trading sul Forex? Noi usiamo i soldi come mezzo di scambio per poter comprare beni e servizi. Tuttavia il denaro è di per sé qualcosa che ha un proprio valore intrinseco: infatti mettiamo da parte soldi credendo che nel futuro ci possano servire. Per disporre di denaro all’estero, dobbiamo prima cambiare i nostri soldi nella valuta del Paese corrispondente e solo successivamente potremo utilizzare il denaro in nostro possesso. L’essenza di questo ragionamento porta a una conclusione: considerando le valute come un qualcosa che ha un proprio valore intrinseco, possiamo comprarle e rivenderle proprio come una merce. Come probabilmente avrete già notato, i tassi di cambio delle valute cambiano costantemente: tali fluttuazioni determinano gli eventuali profitti o le perdite da questo nostro investimento. Con i giusti accorgimenti quella continua fluttuazione può essere gestita
a proprio vantaggio. Breve storia dei cambi valutari Per poter capire come fare trading sul Forex (Foreign Exchange Market), dobbiamo prima capire cosa siano i soldi e a cosa servano. Come certamente saprete, in antichità si utilizzava il baratto, ovvero si scambiavano beni e servizi in cambio di altri analoghi. Ciò comportava un notevole disagio: non sempre si poteva essere d’accordo sul tipo di merci da scambiarsi e inoltre era necessario scambiare qualcosa che avesse un valore proprio, per giunta riconosciuto da tutti. Nacque così la moneta, ovvero un oggetto dal valore intrinseco (dapprima erano in oro o materiali preziosi) con il quale poter acquistare beni e servizi. La moneta divenne molto popolare come mezzo di scambio: poteva facilmente essere data in cambio di merci e di qualsiasi cosa si avesse bisogno senza che fosse necessario accordarsi prima su quanto valesse. Successivamente nacquero le banconote, anch’esse con un preciso valore poiché, su richiesta, potevano essere convertite in oro. Tale sistema era chiamato «gold standard». Con il passare del tempo e fino ad arrivare alla seconda metà del ventesimo secolo, gli Stati e le aziende dei più svariati Paesi del mondo si trovarono a effettuare scambi, transazioni e a commerciare tra di loro creando un mondo con esigenze commerciali diverse, sempre più «globalizzato». Nacque così la necessità di poter cambiare la propria moneta con un’altra estera. Per poter effettuare questo tipo di cambio, si dovette trovare un «coefficiente» con il
quale una moneta poteva essere convertita con un’altra. Questo coefficiente è chiamato «tasso di cambio». Che cos’è il tasso di cambio? La definizione di tasso di cambio è il valore di una valuta espresso in termini e quantità di un’altra valuta ovvero il tasso al quale è possibile effettuare il cambio di un determinato ammontare di una valuta nell’ammontare equivalente di un’altra valuta. In parole povere, il tasso di cambio indica quanto vale una valuta nei confronti di un’altra. Se andiamo in vacanza all’estero, in aeroporto controlleremo quanto vale l’euro nei confronti della valuta del Paese nel quale ci stiamo recando. Quando andremo a «cambiare» i nostri soldi, negozieremo i nostri euro al tasso di cambio indicato e compreremo così la moneta del Paese in cui andremo in vacanza. Semplice. Il «pair» Tutte le valute vengono scambiate a coppie. Il che vuol dire che per fare un tasso di cambio servono due valute. Due valute messe in coppia si chiamano pair. Quando facciamo un’operazione di trading, in simultanea compriamo una valuta e ne vendiamo un’altra. Un pair compare sempre come un’abbreviazione, per esempio: EUR/USD (euro/dollari americani). L’ordine in cui le due valute sono disposte nella sigla del pair identifica la valuta di riferimento, la cosiddetta valuta base o base currency. La prima che compare è la valuta
base (EUR) e la seconda è la valuta secondaria (USD). Il tasso di cambio indica l’ammontare di valuta secondaria (USD) che serve per ottenere un’unità di valuta base (EUR). Vediamo l’esempio riportato qui di seguito.
L’accordo di Bretton Woods Nel 1944, con la Seconda guerra mondiale ancora in atto, i rappresentanti di 44 Paesi si riunirono a Bretton Woods e concordarono una politica monetaria che fissava il tasso di cambio della propria valuta nei confronti del dollaro (in modo da mantenerlo stabile). Il valore del dollaro americano fu fissato nei confronti dell’oro a 35 dollari per oncia. Da allora, fino al 1971, tutte le valute principali mondiali ebbero un preciso e stabile valore correlato con l’oro e i tassi di cambio rimasero praticamente sempre gli stessi. Nel 1971 il presidente americano Richard Nixon, pose fine al sistema di tasso di cambio fisso e interruppe la convertibilità della valuta statunitense in oro. Da quel momento il valore del dollaro cominciò a cambiare fluttuando nei confronti delle altre valute. La perdita del cambio fisso diede luogo alla nascita del mercato denominato Foreign Exchange. Da allora i valori delle valute e i tassi di cambio cominciarono a essere determinati dalle
forze di mercato, dalla domanda e offerta che naturalmente seguono l’andamento dell’economia. Nel 1973, il sistema gold standard che teneva i tassi di cambio fissi fu formalmente abolito. Il termine Forex è per l’appunto l’abbreviazione di «Foreign Exchange Market», cioè «mercato dei cambi valutari». Storia del mercato dei cambi valutari A partire dall’agosto del 1971 i tassi di cambio vennero stabiliti dall’acquisto e dalla vendita di valuta nel mercato. Le aziende, le multinazionali dovettero far fronte alla possibilità di incorrere nel cosiddetto «rischio di cambio», ovvero il rischio di dover affrontare per una transazione un pagamento più oneroso dovuto alla fluttuazione di una valuta. Nel 1972 il Chicago Mercantile Exchange cominciò a dare la possibilità di «tradare» contratti futures su sette valute differenti, di modo da poter dare la possibilità alle aziende di potersi «riparare» dal rischio di cambio. I futures sono contratti a termine su strumenti finanziari con cui le parti si obbligano a scambiarsi alla scadenza di tale contratto un certo quantitativo di determinate attività finanziarie a un prezzo stabilito.*Il vantaggio di tali operazioni è appunto mettersi al riparo da eventuali considerevoli oscillazioni. Da quel momento quasi tutte le maggiori aziende fecero ricorso a strumenti per minimizzare la loro esposizione al rischio cambi. La nascita dei «broker»
Negli anni Settanta comparvero i primi broker. Inizialmente erano «voice broker» ovvero persone sedute a un tavolo che costantemente comunicavano alle banche per telefono i continui cambiamenti di prezzo e gli ordini di valuta da eseguire. Le commissioni erano altissime: il lavoro di broker era altamente remunerativo. Le grandi banche fornivano i tassi di cambio (con il prezzo di offerta e di richiesta) ai broker, che in veste di agenti per le banche fornivano le quotazioni alle banche più piccole. Nei primi anni Novanta le quotazioni e le contrattazioni iniziarono a essere effettuate via Internet, dando luogo ai primi «Internet broker system». Ora, con la diffusione globale di Internet, il sistema si è decentralizzato: sono nati centinaia di broker (dietro i quali ce ne sono pochi grandi) e questo mercato, grazie all’uso libero della leva, è diventato un eccellente posto in cui trovare ottime opportunità di guadagno, anche con investimenti minimi. I vantaggi del Forex Trading Ora che abbiamo visto perché esiste il mercato Forex, come è nato e gli avvenimenti che ci hanno portato alla situazione di mercato attuale, vediamo assieme come mai è così vantaggioso fare trading sul Forex. Liquidità e volatilità del mercato. Il mercato Forex è in assoluto il più grande e liquido del mondo. I players di questo mercato sono importatori ed esportatori, multinazionali e compagnie, banche centrali, hedge funds, speculatori e retail trader. L’ammontare stimato di denaro che giornalmente transita in questo mercato è di circa 3.000 miliardi di dollari. Trading 24 ore su 24. La sessione di trading apre la domenica sera (in Italia) e chiude il
venerdì sera. Questo implica che dovunque siate c’è sempre qualcuno che quota prezzi e vi permette di operare, a qualunque ora del giorno e della notte. Leva finanziaria. Nel mercato Forex i broker permettono di utilizzare una leva fino a 1:500. Ciò significa che con un margine di deposito minimo possiamo acquistare o vendere un ammontare di valuta fino a 500 volte superiore rispetto a quello che potremmo permetterci. Naturalmente questo discorso vale anche al contrario: possiamo perdere con altrettanta velocità. Un buon trader che sa gestire il rischio e la leva è in grado di ottenere percentuali di profitto che in altri mercati si ottengono in molto tempo. Possibilità di elevati profitti in breve termine. Guardando un qualsiasi grafico di una valuta, noteremo come ci siano momenti in cui i prezzi si muovono in maniera molto brusca e decisa in pochi minuti o secondi. Questi movimenti sono molto spesso correlati all’uscita di una notizia importante o di un particolare dato economico. Il calendario, le date e le ore in cui queste notizie vengono comunicate è disponibile e accessibile a tutti. Con una piccola pianificazione settimanale è possibile ottenere ottime performance dedicando al trading solo qualche minuto del nostro tempo. Guadagnare l’800% in un’ora o perdere il 100% del proprio capitale, con il Forex è la norma. Per questo nei nostri seminari vi facciamo vedere, in tempo reale davanti ai vostri occhi, come non rischiare più del 2% del vostro capitale e avere ritorni importanti. Mercato in cui diversificare. Quando investiamo all’estero in azioni, bond, immobili, il tasso di interesse impatta generalmente in modo negativo sulla plusvalenza maturata dal nostro investimento. Possiamo così quindi anche coprirci dal rischio di cambio sia con opzioni sulla valuta sia «tradando» direttamente sui mercati Forex. Come si valutano le operazioni nel Forex?
Avvicinandoci al mondo delle valute, ci troviamo di fronte a un mercato in cui il bene di riferimento è uno degli elementi fondamentali dell’economia di un Paese. L’analisi fondamentale in questo caso consiste nell’avere una visione globale del mercato e dell’economia: ciò aumenterà la nostra conoscenza, migliorando nel tempo la nostra sensibilità e comprensione della psicologia del mercato. Capendo i fondamentali economici che stanno dietro a ogni Paese, possiamo trarre profitto da eventi e notizie per il trading di breve termine, facendoci anche capire come comportarci nel lungo periodo. L’idea è quella di avere, oltre a delle motivazioni tecniche, una forte opinione sorretta da una reale conoscenza di semplici leggi e fattori economici, attraverso i quali le valute si comportano e si muovono. Se una Nazione ha una valuta forte, un’inflazione tenuta sotto controllo e dei tassi di interesse alti, allora ha un’economia forte e sicuramente la sua valuta si apprezzerà nel tempo e il Paese diventerà più ricco e stabile. I 3 fattori fondamentali dell’economia Studi storici, statistici e notizie di attualità ci portano chiaramente a identificare i 3 fattori fondamentali che guidano la direzione di una valuta o il cambiamento di direzione della stessa. 1. Il mercato tiene costantemente sotto controllo attraverso report rilasciati su base mensile i dati riguardanti l’inflazione, i tassi d’interesse e degli indicatori macroeconomici. Noi possiamo quindi programmare l’attività di trading e intervenire nel momento esatto in cui
la notizia viene rilasciata. Quando un report inaspettatamente indica un valore positivo o negativo, il mercato reagirà di conseguenza facendo muovere il valore della moneta di conseguenza. 2. Avete notato la parola «inaspettatamente»? Il mercato ha una percezione di quello che può essere il valore del dato economico che verrà rilasciato. Quella percezione viene chiamata forecast (previsione). Ogni report porta con sé una previsione di quello che potrà essere il valore del dato economico in calendario. 3. Il mercato giudica il dato rilasciato in base alla previsione, quindi se la notizia è inaspettatamente buona o cattiva il mercato reagirà comprando o vendendo la valuta di riferimento. Questo ci permette di poter strutturare una strategia di trading che prevede di «tradare» la valuta negli orari in cui vengono pubblicati i report e quindi in quei momenti dove la liquidità nel mercato aumenta. Perché, se i tassi di interesse aumentano, aumenta anche il valore della moneta? Tutti coloro che fanno parte del mercato del Forex – banche, trader, hedge funds – considerano la valuta come un asset, ovvero come un bene, un qualcosa che ha un proprio valore. Il tasso d’interesse è il rendimento annuo dell’asset (che in questo caso è la valuta). Quando il rendimento (il tasso d’interesse) sull’asset (la valuta) sale, anche il valore dell’asset tende a salire. Semplice. È simile al comprare una casa per poi affittarla come investimento. Ci sono due possibilità:
1. aumento o diminuzione del valore della proprietà; 2. aumento o diminuzione dell’affitto. Cioè, se gli affitti aumentano, tipicamente anche il prezzo delle case aumenta (o è aumentato) di conseguenza: è così anche per le valute! Se compriamo una valuta e poi la mettiamo in una banca per lasciare maturare il tasso d’interesse datoci dalla banca, ci sono due possibilità: 1. aumento o diminuzione del valore della valuta; 2. aumento o diminuzione del tasso d’interesse. Cioè, se i tassi d’interesse aumentano, la domanda per quella valuta aumenta, e il valore della moneta aumenta di conseguenza. Vale anche il discorso inverso. Per esempio, quando l’affitto di una casa scende, probabilmente anche il valore della casa è sceso. Quando i tassi d’interesse scendono, la valuta rende di meno e così la domanda diminuisce. Nel trading sul Forex, quando eseguiamo un trade, noi stiamo comprando una valuta e vendendone un’altra. Se il nostro trade rimane aperto, a fine giornata, noi riceviamo il tasso d’interesse della valuta che abbiamo comprato e paghiamo il tasso d’interesse della valuta che abbiamo venduto. Il differenziale di tasso (il tasso d’interesse che incassiamo meno quello che paghiamo), se lasciato crescere giorno per giorno, può essere un amplificatore dei nostri profitti. Questo è quello che viene chiamato carry trade o trading istituzionale. Naturalmente se incassiamo un tasso d’interesse più basso di quello che paghiamo, ogni
giorno parte dei profitti del trade viene erosa dal differenziale dei tassi. Che cos’è l’inflazione? Le valute rimaste più stabili negli anni erano quelle direttamente convertibili in oro. Se una moneta non è direttamente convertibile in oro diventa infatti «inflazionata», ovvero il valore della moneta è influenzato dalla quantità di moneta in circolazione, dal prezzo di beni e servizi, dai tassi di interesse e dalla situazione economica generale. L’inflazione è l’incremento generalizzato e continuativo del livello dei prezzi dei beni e servizi di una Nazione. Come riferimento viene preso un paniere di prodotti come campione rappresentativo. Mantenendo stabile il valore dell’inflazione (normalmente sotto al 2%) i prezzi rimangono stabili e il potere d’acquisto rimane pressoché invariato. Se la quantità di denaro in circolazione rimane stabile, ci sarà equilibrio tra offerta e richiesta. Mentre troppo denaro in circolazione genera un aumento dei prezzi dovuto alla maggiore disponibilità economica delle persone. L’aumento dei prezzi continuo e a un livello troppo elevato determina una diminuzione del potere d’acquisto delle persone che non possono più permettersi lo stesso genere di beni e servizi a cui accedevano prima. Se l’inflazione non fosse tenuta sotto controllo, i prezzi continuerebbero a salire o scendere e il valore dei soldi si modificherebbe di conseguenza. Quello che si deve cercare è un equilibrio, in modo che la domanda e l’offerta siano bilanciate e di conseguenza anche l’economia. Ecco per quale motivo è così importante mantenere la stabilità dei prezzi. Il compito di
controllare l’inflazione è dato alla banca centrale. Che cos’è una banca centrale? Una banca centrale è la principale autorità monetaria di una Nazione. È la responsabile del controllo dei crediti e gestisce il tasso d’interesse a breve-medio termine. Le banche centrali aumentano il tasso d’interesse per far frenare l’economia quando è necessario (aumentare i tassi è un metodo per far sì che la gente spenda meno e ci sia in circolazione meno denaro) e quando l’inflazione è troppo alta. Diversamente, le banche centrali diminuiscono i tassi d’interesse per far ripartire l’economia e fare sì che la crescita controllata dell’inflazione riprenda. I tassi d’interesse bassi inducono la gente a spendere e quindi vi è in circolazione una maggiore quantità di denaro e viene evitato il pericolo di recessione. Il compito delle banche centrali Le banche centrali di tutti i maggiori Paesi industrializzati del mondo hanno lo stesso compito e la stessa regola: mantenere l’inflazione bassa e stabile. Questo è infatti il primo requisito di un’economia forte, sostenibile, stabile e duratura nel tempo. Per questa ragione i cambi nei tassi d’interesse sono strettamente correlati al livello di inflazione e quindi allo stato attuale dell’economia. I trader più esperti seguono con attenzione le dichiarazioni dei presidenti delle varie banche centrali del mondo, perché con le loro parole delineano l’intera politica economica di quel Paese.
La politica monetaria Con il termine politica monetaria indichiamo il processo attraverso il quale le banche centrali aggiustano il livello dei tassi di interesse per fare in modo che l’economia rimanga stabile e si sviluppi. Questo processo dipende direttamente dal livello di inflazione. Se l’inflazione è troppo alta, la banca centrale farà aumentare i tassi di interesse per far frenare l’economia. Ogni Forex trader deve prima analizzare il livello di inflazione, poi i tassi d’interesse e infine il valore della moneta. Navigate sui siti delle banche centrali. Noterete che ogni banca dà lo stesso tipo di messaggio: mantenere l’inflazione bassa e stabile. Il modo in cui le banche centrali assolvono questo compito è manipolando il prezzo del denaro (i tassi d’interesse). Se vogliamo sapere dove una valuta andrà, dobbiamo sapere che cosa pensa la banca centrale di riferimento, quali sono i target di inflazione che la banca si propone e capire in che tipo di situazione macroeconomica siamo. Ogni banca centrale ha un suo target d’inflazione. Normalmente questo livello si aggira sul 2% o, comunque, in un range tra l’1% e il 3%. Alcune banche hanno i loro target pubblicati nella loro home page, altre lo comunicano sempre attraverso i i loro portavoce ufficiali. Guardando il livello dell’inflazione, la rapidità con la quale sale, sapendo quali sono i target di inflazione che ogni banca centrale si propone e conoscendo le terminologie usate dalle banche, si possono anticipare i cambi nei tassi d’interesse ancora prima che vengano effettuati e prendere posizioni di lungo periodo sulla valuta. Spesso, quando un presidente di una banca centrale parla, dà molti indizi su dove i tassi di interesse si possano muovere e di conseguenza la valuta.
Politica monetaria «accomodante» Quando la banca centrale percepisce che l’economia è debole, c’è il rischio recessione, abbassa i tassi d’interesse per stimolare l’economia. Il processo di abbassare i tassi per aiutare un’economia debole si chiama politica accomodante. Quando il mercato sente che la banca centrale abbasserà i tassi, punirà la valuta addirittura in anticipo del taglio dei tassi d’interesse. Ricordate: bassi tassi d’interesse vogliono dire valuta debole. Per esempio, il dollaro americano stava ancora scontando lo scoppio della bolla speculativa di Internet quando ci fu l’attacco alle torri gemelle. La Federal Reserve Bank temette che l’economia potesse collassare in una profonda recessione, seguita da una forte depressione se non si fosse intervenuti subito. Quello che la Federal Reserve fece fu di abbassare i tassi d’interesse all’1% (livello mai raggiunto dall’inizio della Seconda guerra mondiale); il dollaro cominciò a scendere e l’economia, sempre debole, vide la propria inflazione abbassarsi. Così la situazione economica fu messa in grado di ripartire. Poi, con la ripresa economica, anche l’inflazione tornò ad alzarsi. La Federal Reserve decise quindi di alzare i tassi d’interesse per frenare l’inflazione applicando un processo di «ri-normalizzazione» dei tassi, che viene definito rimozione della politica accomodante. Una volta che il processo di aggiustamento dei tassi verso un valore «normale» fu completato, il mercato sentì che il processo era terminato in anticipo rispetto all’innalzamento dei tassi d’interesse, e rispose con l’incremento del dollaro. Politica monetaria neutrale
Se l’economia è sana e l’inflazione sotto controllo, non c’è necessità di metter mano ai tassi d’interesse. Quindi le banche centrali non intervengono e mantengono i tassi d’interesse a livelli tali che non influiscano direttamente sulla valuta. In questo caso si parla di politica monetaria neutrale. Politica monetaria restrittiva Quando l’economia è troppo forte, l’inflazione tende a salire molto rapidamente, così le banche centrali alzano i tassi d’interesse per frenare l’economia nel tentativo di tenere l’inflazione bassa e stabile. Questo processo viene definito politica monetaria restrittiva. Il mercato percepisce in anticipo questo tipo di cambiamento di politica monetaria in due modi: 1. il mercato compara il tasso d’interesse attuale con il livello d’inflazione e determina se la differenza tra i due è a livello storico alta o bassa. Per esempio, se il tasso d’interesse è generalmente dello 0,5% superiore al valore dell’inflazione e ora il livello dell’inflazione è sopra del 2% rispetto ai tassi d’interesse è prevedibile che la banca centrale alzerà i tassi d’interesse per frenare il livello d’inflazione; 2. il mercato ascolta il presidente della banca centrale. Se il presidente dice che ci sarà un alto livello d’inflazione, è normale che la banca centrale non lo permetterà aumentando così i tassi d’interesse. Come iniziare a operare col Forex?
Come abbiamo consigliato per le opzioni, anche per il Forex la cosa migliore è iniziare costruendosi una buona base teorica. Ci sono corsi dedicati ed esiste una letteratura specializzata sul Forex: ogni investitore che si rispetti ha una sua piccola libreria in merito. Regole generali per il trading Bisogna considerare il lavoro di trader al pari di ogni altro business: tutto parte da una pianificazione accurata e monitorata costantemente; bisogna redigere e aggiornare giornalmente il proprio «trading plan». Per svolgere efficacemente questa professione e avviarvi al successo, dovete porvi quotidianamente le seguenti domande. • Qual è il vostro stile* di trading? • In che mercato volete operare? • Che strategie utilizzerete? • Che tecniche di «entrata» userete? • Che tecniche di «uscita» userete? I soldi si fanno quando si chiudono le posizioni e si esce dal mercato: è quando si chiudono le posizioni che il nostro saldo aumenta o diminuisce. Sapere come uscire è la cosa più importante di tutto. I novellini del trading credono che sia l’entrata che conta. Sbagliato. L’uscita è il momento più importante. • Quanto siete disposti a perdere? I perdenti pensano a quanto possono guadagnare. I vincenti pensano a quanto rischiano. Questa è la domanda più importante di tutte. Quanto sei disposto a perdere? Un trader deve convivere con la perdita e una rigida gestione del rischio è la chiave di volta per essere un trader di successo. • Un consiglio importante: dedicate al massimo il 5% del vostro portafoglio a ogni
operazione. Non di più per conti piccoli e non più del 2% per conti grandi o oltre i 50.000 euro. Il trading è un business «facile» perché è semplice entrarci, «difficile» perché ci vuole una metodologia testata e disciplina.
Strumento n. 3 Immobili Perché gli italiani acquistano casa? Nelle pagine precedenti abbiamo compreso che acquistare casa per abitarci equivale ad acquistare un debito. Tuttavia un immobile abitativo, data la tradizionale capacità di conservazione del valore, costituisce ancora un’opzione di «investimento» particolarmente apprezzata dagli italiani. Nel nostro Paese la percentuale delle famiglie che abita in una casa di proprietà sfiora mediamente l’80%, mentre in Francia il 42% delle famiglie è in affitto e in Germania la percentuale sale addirittura al 60%. Questa «fissazione» di possedere la proprietà della propria abitazione fa sì che in Italia, indipendentemente dai vari momenti di mercato, si vengano a creare continuamente molteplici opportunità di investimento. Nel nostro mercato immobiliare, infatti, le motivazioni d’acquisto sono quasi esclusivamente emozionali: abitare vicino ai propri cari, acquistare casa per poi sposarsi serenamente…* una miriade di potenziali acquirenti o venditori, alle prese col mercato immobiliare, mossi da ragioni che, dal punto di vista finanziario, sono quantomeno antieconomiche.
Quanto rendono gli immobili? Secondo uno studio sui tassi medi di rendimento, dal 1992 al 2002, se aveste riposto 10.000 euro in fondi d’investimento oggi vi ritrovereste con 17.397 euro. Il 73,397% in 10 anni. Con la stessa cifra, avendo comprato un immobile da 100.000 euro, cioè con i 10.000 di anticipo e i 90.000 euro di mutuo, oggi l’immobile, dopo 10 anni, varrebbe 170.000 euro. Ciò vuol dire che 10.000 euro hanno generato 70.000 euro di ritorno. Ben il 700% in media in 10 anni, vuol dire oltre il 70% di ritorno dell’investimento all’anno.** Facciamo un altro esempio: supponiamo che abbiate 20.000 euro da investire. Avete due scelte: • investire in un fondo che rende in media il 5%, cosicché dopo 7 anni avreste 28.142 euro; • investire in un immobile da 200.000 euro con i vostri 20.000 euro e prendere a prestito 180.000 euro dalla banca. Supponiamo che l’affitto paghi solo le spese, senza neanche farvi guadagnare un euro. E che l’immobile si rivaluti di appena il 5% all’anno. Dopo 7 anni la proprietà varrebbe quindi 281.000 euro e quindi i vostri 20.000 euro iniziali varrebbero oggi ben 101.420 euro. Una bella differenza!
Dalla scrivania di Alfio… Credo che gli immobili non siano soltanto un buon impiego di denaro, ma siano molto meglio di qualunque altro tipo d’investimento e questo più di quanto parecchi possano pensare. Per esempio: con 100.000 euro, quanta ricchezza in azioni potete comprare? Se
avete 100.000 euro in contanti, potete comprare 100.000 euro di controvalore. Diciamo che, per un investitore medio che ignora «call» e «put», questa è la risposta più appropriata. Quanta ricchezza in immobili potete comprare con un investimento di 100.000 euro? Potete comprare una proprietà da 100.000 euro, ma potete anche comprare, sottoscrivendo un mutuo del 50%, una proprietà da 200.000 euro. Oppure, con un mutuo del 66%, una proprietà da 300.000 euro, o, con uno dell’80%, un immobile da 500.000 euro. Quando comprate una proprietà, la banca vi può dare il denaro che vi serve. Infatti, la banca non presta denaro per acquistare azioni o obbligazioni, ma presta denaro per acquistare immobili. Considerate una cosa: se le banche non pensassero che il business fosse sicuro, vi presterebbero i soldi al 3%? Se avete una azienda, sapete bene che le banche non vi prestano i soldi al 3%, ma a un tasso molto più elevato. Investendo in immobili il vantaggio della leva è abbastanza evidente. Se avete preso un immobile da 500.000 euro con un mutuo dell’80%, e il suo valore sale del 10%, cioè di 50.000 euro, il ritorno del vostro investimento iniziale di 100.000 euro, quello che vi è servito per ottenere il mutuo, è già del 50%. Invece, se le vostre azioni salgono del 10%, i vostri titoli passano da 100.000 euro a 110.000 euro, con un guadagno di soli 10.000 euro. È chiaro che la leva è in entrambe le direzioni, se tutto va giù del 10% avrò una perdita in entrambe le situazioni. Ma con gli immobili la possibilità che questo possa accadere è estremamente limitata! Investire in immobili è rischioso? Certo, come qualunque altra forma di investimento! Ma pensateci un attimo: se il perito non ritiene che l’immobile valga la cifra richiesta per
il mutuo, la banca accorderà l’operazione? Ovviamente no: ecco la ragione per cui è molto difficile acquistare con un mutuo al 100% un immobile che valga molto meno: lo scarto potrebbe esistere, ma sarà al più di qualche punto percentuale. Come valutare il valore di un immobile Un agente immobiliare vi dirà che esistono due criteri di stima: quella sintetica (che prende in esame il prezzo medio di zona) e quella analitica (cioè il calcolo del valore dei materiali, della costruzione e di ogni altro elemento che compone la costruzione). Il ragionamento che andrete a fare in quanto investitori, invece, prevede 6 elementi per determinare il valore di un immobile residenziale: 1. le motivazioni all’acquisto; 2. la dimensione e gli accessori; 3. le caratteristiche e gli accessori; 4. l’ubicazione; 5. lo stato di conservazione; 6. il mercato. Una volta individuato l’immobile, consultate le vetrine e i giornalini delle agenzie immobiliari, i giornali di annunci a pagamento e i siti Internet. Quando cercate per investire, trovate almeno tre immobili simili per tipologia e dimensione. Ricavate il prezzo a metro quadro facendo una media dei prezzi di zona: distinguete il nuovo o ristrutturato dall’usato o da ristrutturare. Stimate i costi di ristrutturazione per l’immobile. Valutate tutti i costi di acquisto: le imposte (prima o seconda casa) e altre spese e calcolate le imposte sugli utili o
plusvalenze. È estremamente importante accrescere continuamente la propria conoscenza del mercato immobiliare in termini di prezzi, tagli più interessanti per la vendita e tempi medi di vendita. Per tale motivo è utile iniziare a investire in zone facilmente accessibili in termini di vicinanza a casa per due ragioni fondamentali: 1. l’eventuale insorgenza di un problema in un immobile vicino permette una più rapida soluzione rispetto a un altro distante diversi chilometri,* con conseguente risparmio di tempo e costi di trasporto; 2. la prossimità all’immobile permette all’investitore di dotarsi di una maggiore conoscenza del mercato locale e delle sue dinamiche come variazioni di prezzo, aree maggiormente richieste, aree edificabili o cambi del piano regolatore eccetera. Considerate inoltre il momento di mercato e il tempo medio di vendita: ricordate che un agente immobiliare, un acquirente o un venditore, non debbono calcolare ROI e ROE, voi sì! Come si riconosce un affare immobiliare? L’affare immobiliare si compie all’atto dell’acquisto e non quando si vende: se acquistate un immobile ad almeno il 30% di sconto (cioè a un prezzo inferiore di almeno il 30% del suo valore di mercato), l’affare è quasi concluso: occorrerà solo rivenderlo. Calcolate pertanto il ritorno del capitale investito tenendo presente a priori: • il prezzo di vendita potenziale dell’immobile; • il prezzo di acquisto dell’immobile; • il profitto lordo atteso pari almeno al 30% (detrarre dal prezzo di vendita il prezzo
d’acquisto); • il reperimento dei fondi necessari per finanziare l’investimento (mutui, i suoi costi di accensione/estinzione e i tempi di erogazione); oppure senza soldi se sapete come fare! • gli oneri accessori relativi alle spese notarili, le tasse (di registro, ipotecarie e catastali, Iva, Ici e rifiuti) e le spese condominiali arretrate e future già preventivate; • il tempo medio previsto per la vendita dell’immobile che ci permette di calcolare il tempo di ritorno dell’investimento. Acquistare un immobile per poi rivenderlo con successo è un processo che richiede una certa conoscenza, così come saper gestire la parte legale relativa alla compravendita, le proprie emozioni e la propria capacità di negoziazione (sia al momento dell’acquisto sia al momento della vendita). E la crisi immobiliare? Ultimamente si fa un gran parlare di crisi del mercato immobiliare e sempre più spesso riceviamo telefonate di investitori preoccupati. La verità è che «la crisi» incide poco (se non in termini di aumento delle opportunità) su chi opera nel mercato immobiliare acquistando per rivendere, poiché il tempo medio di un’operazione è di 6 mesi: tutto inizia e si conclude in meno di un anno, mentre i tempi della crisi di mercato interessano tempistiche assai più lente. In parole povere, se il prezzo degli immobili scende è difficile che lo faccia dal giorno alla notte o da un mese all’altro: se acquistate e rivendete nel giro di 3-6 mesi, la crisi, per quanto impellente, può al massimo sfiorare il vostro budget. Tenete presente che anche in tempi di crisi parliamo sempre di oltre 1.000.000 di transazioni immobiliari
all’anno! Ma dove (cavolo) lo trovo un immobile in vendita a meno del suo valore? Per poter trovare immobili che presentano tale sconto di mercato, oltre a rivolgersi alle aste immobiliari, è possibile fare ricorso a: • acquisto da privati; • acquisto a stralcio. Acquisto da privati. Avete mai fatto caso agli annunci immobiliari che si ripetono nel tempo? Case in vendita da mesi di cui i proprietari non riescono a disfarsi? L’esigenza di vendere potrebbe essere dettata anche dal bisogno di liquidità per un acquisto ancor più vantaggioso: è il caso, per esempio, di chi «blocca» la casa dei propri sogni e non riesce a vendere all’avvicinarsi della data del rogito. La scelta tra perdere l’opportunità (e la caparra) potrebbe incidere parecchio sul prezzo di acquisto. Altri casi tipici sono le persone anziane o persone che si devono trasferire e desiderano vendere l’immobile al più presto, oppure gli immobili ricevuti in eredità che si vogliono dismettere il più in fretta possibile. Si trovano sempre offerte vantaggiose, basta cercarle nel modo giusto e con pazienza! Una piccola precisazione: l’immobile non deve necessariamente essere «in vendita» a meno del suo valore: potrebbe semplicemente trovarsi sul mercato al giusto prezzo ed essere voi a offrire una cifra pari al 70% del suo valore di mercato. Quella proposta potrà venire rifiutata oppure accettata in virtù, per esempio, delle condizioni di pagamento particolarmente vantaggiose o di altri fattori, per cui sarà necessario condurre al
meglio la trattativa.* Gli elementi fondamentali per una buona trattativa che possa portare ad acquistare bene o meglio presso privati sono: • l’esame delle motivazioni alla base della vendita del venditore; • «vendere» (al venditore) le emozioni correlate alla motivazione di disfarsi del bene; • trasmettere al venditore il concetto di abbondanza (esistono investimenti alternativi) ed eliminare il concetto di scarsità; • trasmettere al venditore il valore del proprio tempo dedicato all’affare, in modo da indurlo a chiudere in breve tempo; • controllare che l’immobile sia libero da ipoteche e trascrizioni pregiudiziali (sequestro conservativo) e che il vostro interlocutore sia l’effettivo proprietario; • scrivere il compromesso e anticipare una piccola somma di denaro a titolo di caparra per vincolare a voi il venditore solo dopo aver verificato il punto precedente; • verificare la regolarità catastale della piantina rispetto ai locali (ci sono tutti i bagni? I balconi? Le cantine?); • farsi dare la liberatoria della regolarità delle spese condominiali pagate negli anni precedenti e il preventivo di spesa di quelle per l’anno in corso (quali sono le spese ordinarie correnti e quali quelle straordinarie). In concomitanza della stesura del compromesso, chiedete il mutuo necessario all’acquisto della casa per velocizzare i tempi. In generale dovrete fare molte offerte, prima di vederne accettata una, ma la ricompensa finale ripagherà gli sforzi fatti.
Acquisto a stralcio. Se venite a conoscenza di una situazione in cui un proprietario di un immobile non può permettersi di saldare regolarmente il mutuo presso la propria banca, prima che l’immobile vada all’asta, potete agire come segue: 1. informarvi sul valore dell’immobile; 2. informarvi sul debito generato presso la banca o altri creditori (per esempio il condominio); 3. farvi dare una procura a vendere e l’autorizzazione a transare i debiti dal proprietario dell’immobile; 4. contattare i creditori (le banche e il condominio) e proporgli di saldare il debito immediatamente a un valore inferiore del debito. I vantaggi sulla compravendita a stralcio sono: • da parte dell’acquirente, di diventare proprietario dell’immobile a un prezzo decisamente inferiore a quello di mercato; • da parte della banca o altro creditore, di ricevere il saldo del debito – anche se parziale – immediatamente. In questo caso, la banca evita i tempi e i rischi connessi con la procedura ipotecaria e copre la sua esposizione (che dura in media 7 anni); • da parte del proprietario dell’immobile, di vedere transato il debito completamente e magari avere qualche soldo per ricominciare. Stralciare crediti garantiti da ipoteche immobiliari non è semplice e immediato come la partecipazione a un’asta giudiziaria: è importante avere un buon livello di competenza, conoscere i termini di legge per eliminare le ipoteche prima dell’acquisto e farsi dare la
liberatoria dai creditori. Anche l’organizzazione dei tempi di vendita è uno dei punti cruciali del processo perché essa deve avvenire prima della cancellazione delle ipoteche e ciò può essere difficile per via dei pregiudizi eventuali da parte dei potenziali acquirenti.
Dalla scrivania di Alfio… Se acquistate 100.000 euro in azioni potete fare qualcosa personalmente per aumentare il loro valore? No, l’unica cosa che potete fare è pregare. Non potete fare niente per aumentare il valore delle azioni. Quando comprate un immobile del valore di 100.000 euro, potete fare personalmente qualcosa per aumentarne il valore? Certo che sì! Potete ridipingere la casa. Mi è capitato spesso di vedere case acquistate a 100.000 euro, ridipinte, e vendute a 130.000 euro. Ma come è possibile che 300 euro di vernice possano aumentare di 30.000 euro il valore della casa? Semplice, siamo una società dove vogliamo tutto e subito e spesso la gente è pigra e non si vuole occupare di determinate faccende. Ma potreste anche rifare l’impianto elettrico, cambiare il bagno, installare una porta blindata o un allarme, rifare i serramenti, lavare semplicemente la casa che messa come era messa si presentava male, o semplicemente sistemare il giardino. La gente compra emozioni, non cose! Come aumentare del 15% il valore di un immobile: l’home staging Chi cerca una casa a scopo di investimento, come abbiamo detto, ragiona sui numeri: è appetibile tutto ciò che ha un prezzo di acquisto di almeno il 30% inferiore al prezzo di
mercato. Al contrario, la maggior parte degli acquirenti compie acquisti su base «emozionale». Uno strumento utilissimo per valorizzare il vostro immobile consiste nell’«home staging». Sempre più immobili vengono pubblicizzati tramite fotografie; l’home staging consiste in uno staff di esperti che, in cambio di una spesa tra l’1% e il 2% del prezzo dell’immobile arrederà* e fotograferà professionalmente la proprietà. L’impatto e il conseguente valore percepito del «prezzo» in virtù di questo servizio, aumenta solitamente di una forbice tra il 10% e il 15% del valore di mercato. Comprare e rivendere un immobile senza denaro… Analizziamo, in due semplici passaggi, il caso di una «cessione di compromesso», cioè un’operazione di investimento immobiliare a costo zero e ROE tendente a infinito. 1. si blocca il prezzo di un immobile attraverso un «preliminare di compravendita», versando una cifra minima (o addirittura nulla, dipende dalle vostre capacità di negoziazione e se l’immobile è a stralcio), al momento della proposta; 2. successivamente (nel periodo di tempo tra l’avvenuta accettazione della proposta e il rogito notarile), si rivende il compromesso (che costituisce a tutti gli effetti un diritto di opzione sull’acquisto dell’immobile) a una cifra maggiore di quella stabilita dal preliminare di compravendita. Teniamo per noi la differenza, lasciando che il nostro acquirente si presenti a rogito notarile per intestarsi la casa. Otteniamo così lo stesso guadagno che avremmo spuntato acquistando l’immobile e poi rivendendolo a una cifra maggiore, ma molto più velocemente, con pochissimi passaggi e, quel che più conta, senza l’esborso di denaro. Si tratta di un’operazione poco utilizzata nel
piccolo ma normale nelle grandi operazioni, assolutamente legale e facilmente realizzabile, che tuttavia non verrebbe mai in mente alla maggior parte degli agenti immobiliari, i quali, spesso, rinunciano ad affari vantaggiosi per mancanza di liquidità (e ignoranza del sistema). Come cominciare a investire in immobili? Iniziate a investire in un immobile di piccole dimensioni, dove viene richiesta una somma modesta e c’è la possibilità di gestire l’investimento e gli eventuali imprevisti anche con un’esperienza minore. Una volta accresciuto il proprio know-how, allora si può procedere a effettuare investimenti di più ampio respiro sia in termini di capitale sia di risorse diverse (per esempio, geometri per la ristrutturazione o altro). Un consiglio è anche quello di fare passare una fase intermedia tra l’investimento in una piccola casa e l’investimento in un palazzo intero che privilegi l’investimento in tante piccole case, che possono essere un’adeguata diversificazione e garantire facilità di gestione.
Strumento n. 4 Il marketing multilivello Il multi-level marketing è un sistema straordinario di distribuzione, vendita e guadagno che offre enormi vantaggi sia alla società che lo utilizza per distribuire i propri prodotti sul mercato sia ai distributori, che sfruttano questo sistema come attività lavorativa principale o
secondaria. Anche chi usufruisce del prodotto distribuito ottiene enormi vantaggi in quanto solitamente si tratta di ottime offerte su prodotti con un notevole rapporto qualità/prezzo. Spesso, inoltre, entrare a far parte del sistema di network marketing (in questo caso solo come consumatore) è anche l’unico modo di accedere all’acquisto di tali prodotti in quanto non vengono distribuiti nelle normali catene. Abbiamo già analizzato alcuni aspetti del network marketing nel terzo capitolo, accennando al fatto che gode di una pessima reputazione, specie in Italia. Approfondiamone le dinamiche e la storia, cercando di capire da cosa derivi questa pessima fama. Il marketing multilivello è noto anche come «network marketing». Questo sistema di distribuzione e vendita, concepito nel 1934, fu reso celebre da Rich DeVos e Jay Van Andel dal 1949 in poi, quando permise in pochi anni la crescita esponenziale dell’azienda Nutrilite (successivamente incorporata dalla Amway) e l’arricchimento di molti dei suoi membri. Il sistema di distribuzione e guadagno è assai semplice, tanto che, seppur evoluto, nella sostanza non è cambiato negli anni: 1. acquistiamo da un venditore un prodotto; 2. cominciamo a utilizzare quel prodotto; 2b. se il prodotto in questione è un genere di consumo (per esempio una linea alimentare o cosmetica) in virtù del nostro codice identificativo, ogni qualvolta ripetiamo un ordine, chi ci ha venduto la prima volta il prodotto continua a guadagnare una provvigione sui nostri acquisti, virtualmente all’infinito (finché, cioè, continuiamo a utilizzare il prodotto);
3. veniamo informati circa la possibilità di diventare distributori del prodotto: noi guadagneremo dalle provvigioni di vendita, seguiti da colui che ci ha venduto il prodotto (che guadagnerà a sua volta una percentuale dal nostro venduto); 4. se recluteremo altre persone (come hanno fatto con noi), guadagneremo una percentuale dalle loro vendite proprio come chi ha «reclutato» noi fa con le nostre (quest’ultimo, inoltre, solitamente guadagnerà una percentuale anche dalle nostre «reclute» e sarà quindi ben felice di insegnarci a seguirle al meglio). Rispetto a un normale incarico di vendita, il vantaggio evidente del sistema di marketing multilivello è che sviluppando la propria downline (la linea di venditori da voi gestita), potrete guadagnare percentuali consistenti dalle loro vendite e da quelle dei loro distributori. Ne deriva che, più sviluppata e di qualità sarà la vostra squadra, maggiori saranno i vostri guadagni. Il sistema si ripete all’infinito e permette a un buon venditore di creare una rete vendita in breve tempo e con minime spese. Inoltre, come abbiamo detto in precedenza, le aziende di network marketing offrono una formazione di altissima qualità sia gratuita sia a pagamento; è quindi un ottimo sistema per apprendere abilità di management, negoziazione, vendita e gestione del personale, utilissime in ogni impresa. Ma come mai allora gode di una così pessima fama? Il primo motivo per cui non gode della fama che merita è che il network marketing è il tipico sistema in grado di rendere ricco chi lo sfrutta, ma anche di «sfruttare» (cioè di far
lavorare «a vuoto») chi pensa di «arricchirsi senza far nulla». L’errore di valutazione tipico di chi si avvicina a un sistema multilivello con la prospettiva di facili guadagni senza sforzi è quello di non capire che si tratta di un’attività in piena regola, con i suoi costi in termini di investimenti economici, di tempo ed energie e con il suo rischio d’impresa (seppur minimo). Ci si trova quindi a svolgere un lavoro vero e proprio, che prevede quattro aspetti: • vendere; • insegnare a vendere; • sviluppare la propria squadra; • insegnare a sviluppare la propria squadra. Ricordate: il network marketing è una vera attività e, in quanto tale, premia con ottimi risultati solo l’azione. Quindi l’accusa di «truffa» è sempre il fraintendimento di un pigro sprovveduto? Assolutamente no: in molti casi è un’accusa fondata e vi daremo gli strumenti per capirlo. Quello che abbiamo detto in proposito del network marketing, il fatto che spesso venga chiamato «truffa», semplicemente perché interpretato come sistema miracoloso invece che come seria e conveniente attività, potenzialmente assai remunerativa, non è sempre vero. Lo è nei casi di aziende solide, con una storia alle spalle e successi consolidati. Quello che abbiamo detto in proposito del network marketing, il fatto che spesso venga chiamato «truffa», semplicemente perché interpretato come sistema miracoloso invece che come seria e conveniente attività, potenzialmente assai remunerativa, non è sempre vero. Lo
è nei casi di aziende solide, con una storia alle spalle e successi consolidati. Il network marketing è un’attività legale regolamentata dal Codice* molto diversa, per esempio, dalle cosiddette «catene di sant’Antonio» vietate per legge. Che cos’è una catena di sant’Antonio e che differenza c’è con il network marketing? La cosiddetta catena di sant’Antonio (anche nota col termine di «aeroplano») è una truffa basata sull’affiliazione a pagamento a un presunto sistema di guadagno, che tuttavia non prevede la distribuzione di alcun prodotto, ma il guadagno su base provvigionale delle «tasse di iscrizione» delle proprie downline. In pratica si tratta di pagare una somma per «entrare» a far parte del sistema, per poi far pagare una somma equivalente a terze persone, guadagnandone una percentuale e così via. La truffa resta in piedi fino a che le downline continuano ad affiliare: nel momento in cui la «catena di produzione» si arresta, gli ultimi entrati restano truffati mentre le prime linee sono rientrate dell’investimento con gli interessi. Si tratta di una truffa semplicemente perché non esiste alcun servizio a fronte del pagamento di ingresso: l’organizzazione percepisce utili in cambio di nulla. Si tratta, in gergo, di un sistema «piramidale puro», che non dà formazione né fornisce precise strategie di vendita o sviluppo e dal quale è statisticamente appurato che l’88% delle persone coinvolte esca in perdita. Vi sono poi sistemi di truffa più evoluti, che sfruttano le piramidi finanziarie. Che cosa sono le «piramidi finanziarie»? Quando ci si riferisce a sistemi di marketing multilivello truffaldini, quasi sempre si sta
parlando di «piramidi finanziarie». Il sistema sul quale si basa questo tipo di truffa è il cosiddetto «schema Ponzi». Capirne il meccanismo vi aiuterà a distinguere, tra i vari sistemi di marketing multilivello coi quali entrerete in contatto, le proposte serie dalle truffe. Lo schema Ponzi. Charles Ponzi (al secolo Carlo Ponzi, 1882-1949) era un giovane italiano (ahinoi!) che, emigrato negli Stati Uniti, riuscì a diventare uno dei truffatori più famosi della storia grazie a un sistema da lui inventato e noto come «schema Ponzi». Tale metodo è tuttora utilizzato con successo per truffare onesti investitori. Ecco i passaggi della truffa: 1. viene proposto un «affare»: la straordinaria opportunità di un investimento garantito, con rendimenti molto alti e ritorni in tempi assai brevi. Pensateci: come reagiremmo noi a questo tipo di offerta? Molto probabilmente, vorremmo saperne di più e, se soddisfatti dalle informazioni ricevute e dalle impressioni personali sul conto di chi ce le riferisce, potremmo essere persuasi a fare una prova. Tuttavia non siamo degli sprovveduti e decidiamo quindi di investire una cifra minima nell’operazione. 2. Si restituisce all’investitore una parte della somma investita, tuttavia quel denaro viene spacciato per gli interessi generati dall’investimento. Qui c’è l’inghippo che dovrebbe far scattare campanelli di allarme: se davvero si trattasse di un investimento, perché mai restituire gli interessi trattenendo il capitale
versato? Il maggior guadagno del nostro «mago della finanza» si incrementerebbe proprio in virtù degli interessi composti,* che spariscono al momento della divisione degli utili parziali. 3. Alla soddisfazione del cliente segue la proposta di pubblicizzare le virtù dell’operazione, naturalmente in modo discreto, per non dare troppo nell’occhio. Ecco che entrano in gioco due elementi di persuasione molto importanti: da un lato la vanità (veniamo spinti a millantare il nostro presunto «fiuto per gli affari»), dall’altro l’importanza (ci suggeriscono di rivelare un segreto per concedere a pochi intimi di entrare a far parte di un gruppo ristretto, un’élite). Da notare come attuare questo passaggio ci renda complici inconsapevoli della truffa, con tutti gli aspetti legali e psicologici del caso, con l’aggravante che, vittime designate di tale sistema, siano proprio i nostri conoscenti e amici più cari (altro «pregio» di questo sistema, l’individuare candidati ideali naturalmente già esposti al raggiro della nostra buona fede in quanto si fidano di noi). 4. Gli interessi continuano a essere pagati con i capitali versati dai nuovi investitori: il ciclo si interrompe quando, impossibilitato a far fronte alle sempre maggiori richieste di «interessi», il banco salta per mancanza di nuove quote. Per far capire l’efficacia di questo sistema sappiate che Ponzi riuscì a persuadere circa 40.000 persone truffandole per un valore di circa 15 milioni di dollari del tempo (più di 140 milioni di dollari di oggi). Una truffa finanziaria a livello globale:
la piramide di Madoff L’ex presidente del Nasdaq Bernard Madoff utilizzò un sistema analogo allo schema Ponzi per una truffa ventennale su scala globale che fruttò capitali per circa 50 miliardi di dollari. Secondo lo stesso principio di Ponzi, Madoff fruttava mensilmente ai propri investitori, da oltre un decennio, circa l’1,5% del capitale investito. Come si può facilmente intuire, l’appeal di Madoff non era tanto nella mole di guadagni (di appena il 15%, perciò assai credibile), ma nella loro costanza: non si registrava mai una perdita. Per questo motivo capitalisti da ogni parte del mondo (ma anche società e banche), erano inclini a investire con Madoff. In verità gli investimenti di Madoff erano spesso in perdita: l’attestazione di quei risultati straordinari si doveva alla falsificazione di estratti conto (… e alla relativa corruzione di alcuni organi di controllo). Ecco che il consiglio dato nel capitolo tre sarebbe tornato molto utile agli investitori in questione: studiare gli investimenti e cercare di capire le operazioni che si fanno, in modo da essere noi a scegliere se e dove rischiare. Quando sopraggiunse la crisi finanziaria e i molti «clienti» chiesero la restituzione delle somme investite, il sistema messo in piedi da Madoff crollò per lo stesso motivo che lo aveva tenuto in piedi per anni: i soldi forniti dai nuovi investitori non furono più in grado di coprire i presunti «interessi» sui capitali amministrati: la truffa si rivelò tale dal giorno alla notte. Ricapitolando… L’interesse principale di una società che utilizza un sistema distributivo di marketing
multilivello è quello di costruirsi, in breve tempo e con spese contenute (grazie alla leva che questo strumento permette), una posizione solida sul mercato, puntando su un prodotto di qualità e sulla forza della propria rete commerciale. Una società che utilizza una piramide finanziaria ha invece come unico scopo quello di incentivare al massimo la rete vendita. La differenza principale è quindi nel prodotto e nelle strategie di sviluppo. Come cominciare a investire nel network marketing? Un buon prodotto e la qualità e competenza della rete commerciale, un sistema di ripartizione provviggionale equo e la garanzia di un servizio di qualità rendono una società solida e affidabile. L’assenza o la scarsa qualità di un prodotto e la filosofia del «prendi i soldi e scappa» sono invece tipici delle piramidi finanziarie: società tristemente famose per essersi sviluppate in brevissimo tempo, aver stabilito track record positivi ed essere fallite miseramente, spesso in seguito a denunce e condanne. Purtroppo, i casi negativi fanno più notizia di una presenza e un successo costanti nel tempo e per questo motivo la nomea del network marketing come sistema truffaldino è dura a morire. Prendete le giuste informazioni, non credete ai miracoli e alle facili promesse ma non siate nemmeno chiusi alle opportunità!
Strumento n. 5
Internet money Internet può essere uno strumento straordinario per generare rendite automatiche e inoltre si può avviare un’attività con pochissimi soldi e un investimento minimo di tempo perché, grazie alla rete, si può operare dovunque. Come non guadagnare in Internet… Prima di affrontare i principali sistemi di guadagno online, è opportuno premettere che non tutto il guadagno online è un buon sistema di guadagno! Nell’opinione comune è infatti considerato straordinario poter guadagnare da «un semplice clic» del proprio computer: non è assolutamente vero! Ma soprattutto questa erronea considerazione (erronea perché tiene conto dell’attività ma non del tempo) ha dato luogo a fenomeni sgradevoli che hanno alimentato la cattiva fama del guadagno online. In alcuni casi si tratta di vere e proprie truffe, come quasi sempre si rivelano i casinò online, che pagano (assai poco) non tanto le vincite, quanto la «sponsorizzazione» del sito, girando sul vostro conto una parte delle «perdite» dei giocatori da voi «convinti» a puntare. Non sempre si rivelano truffe, seppure in molti casi si tratti di siti illegali, che vengono chiusi in breve tempo poiché non dispongono delle licenze necessarie per operare. Il tipico specchietto per le allodole di questi sistemi sono quelle pagine web che pubblicizzano «metodi sicuri per vincere al casinò» e sulle quali lasciamo il giudizio al buon senso del lettore. Oltre alle truffe vi poi è il fenomeno del lavoro sottopagato, che si verifica quando la mole di lavoro non ricompensa adeguatamente gli sforzi.
L’equivoco è semplice: chi ritiene un’incredibile opportunità «poter guadagnare pochi euro (o pochi centesimi) in cambio di ore spese davanti al computer» non considera quel periodo per ciò che effettivamente è, ovvero «tempo lavorativo»: se per un’ora davanti al computer la ricompensa che si riceve è poco più di un euro, quel lavoro è sottopagato; qualunque sia il mezzo, anche se foste pagati per mangiare zucchero filato o giocare a un videogioco,* stanno pagando voi e il vostro tempo libero, non svendetevi! Le offerte tipiche di questo settore del «guadagno in rete» riguardano l’esposizione di banner pubblicitari (quando non prevedono un serio accordo di affiliate marketing, meccanismo che illustreremo fra poco) e le offerte per (ricevere, aprire e) leggere email pubblicitarie: accettando le quali si rischia di ritrovare la casella elettronica intasata per pochi centesimi (che percepiremo solo per le email effettivamente aperte). Leggermente più seri, ma comunque poco convenienti, sono i sondaggi di opinione: assolutamente legali, ma per i quali la paga non ricompensa, a nostro avviso, del tempo impiegato. Esistono sistemi migliori per guadagnare online, che illustreremo in questo paragrafo. Rendite automatiche o semiautomatiche? I lavori ai quali accennavamo poco fa non sono pagati in modo adeguato poiché non sfruttano le due leve principali di cui dispone chi opera nel web, vale a dire l’automazione e la rete. Automazione: una volta avviato un commercio in Internet, quasi tutto il lavoro è svolto (o dovrebbe essere svolto) in automatico dal vostro sito. Vale a dire che potrete guadagnare da una vendita senza dover interagire direttamente con l’acquirente, se non per mezzo della pagina web da voi creata precedentemente. Ciò significa che guadagnerete denaro mentre
svolgete altre attività: quando svolgete la vostra professione,* godete del tempo libero o, semplicemente, dormite. Rete: la forza di Internet è nel numero di persone che ne fanno uso. Non importa che il vostro prodotto riguardi una nicchia piccolissima: grazie alla rete si tratta come minimo di centinaia di migliaia di potenziali acquirenti in tutto il mondo. Vendere infoprodotti Abbiamo descritto questa fonte di guadagno parlando di rendite extra lavorative. In generale il sistema è sempre lo stesso e molto semplice: 1. si crea un prodotto informativo: un e-book, un audio o un video; 2. si crea un sito per pubblicizzarlo e da cui scaricarlo; 3. si apre un conto corrente (su PayPal per esempio) per permettere a chi visita il nostro sito di acquistare in tutta sicurezza; 4. si pubblicizza il prodotto in rete; 5. si monitorano di tanto in tanto l’andamento e la rendita dell’operazione; 6. si fanno eventuali correzioni sulla «pagina di vendita» o sulle campagne pubblicitarie in rete (dal momento che queste correzioni interessano anche altri sistemi, vedremo in seguito che cosa intendiamo e come procedere). E-commerce Il sistema più famoso e utilizzato per questo tipo di commercio è il sito eBay. Si tratta di un mercato mondiale di vendita fra privati, principalmente attraverso il meccanismo delle
aste online, in cui un oggetto viene pubblicizzato a un prezzo base e gli utenti fanno le proprie offerte entro un tempo limite. L’aggiudicazione spetta all’offerta maggiore allo scadere del tempo. Si tratta di uno dei migliori sistemi per pubblicizzare e vendere un prodotto «fisico» su Internet. Con gli infoprodotti perde la sua efficacia. Ha inoltre il vantaggio di poter essere utilizzato senza particolare esperienza di Internet marketing. Il parziale svantaggio di questo sistema è che permette di creare rendite semiautomatiche e non automatiche pure, poiché la merce va poi spedita fisicamente e ciò compone i tempi di spostamento e organizzazione della spedizione. È tuttavia un ottimo modo di creare rendite extra lavoro, magari disfandosi degli oggetti inutilizzati riposti in soffitta.* Dropshipping Se non si dispone di oggetti o se non ve ne volete disfare, un metodo simile di «spedizione e consegna» consiste nel cosiddetto «dropshipping». In questo caso si commerciano merci prodotte da un grossista in una qualsiasi parte del mondo (più è remota e inaccessibile, meglio è), il quale permette di promuovere i propri prodotti in rete. In poche parole lo schema è il seguente: 1. inserite in un qualsiasi motore di ricerca la parola dropshipping seguita da quella della merce che intendete commercializzare (per esempio «dropshipping watch»); 2. la ricerca produrrà vari «link»*ad altrettanti siti con proposte e condizioni; 3. scegliete la proposta più conveniente per voi e prendete accordi nella maniera indicata; 4. create un sito e pubblicizzate la merce: i visitatori dovranno poter effettuare l’ordine
direttamente dal vostro sito. Non è importante che la merce sia di nicchia, tuttavia essere uno dei pochi rivenditori presenti in rete (chiedetevi il perché: spesso la richiesta è pressoché inesistente) può facilitare il posizionamento delle vostre offerte. In questo caso voi (il vostro sito Internet o la vostra pagina web) siete esclusivamente l’interfaccia del cliente: quando gli utenti effettuano l’ordine, quest’ultimo arriva direttamente al produttore o al grossista di riferimento. È un metodo utile perché permette di commercializzare via Internet senza i classici problemi dell’ecommerce, vale a dire i problemi di magazzino, di spedizione e consegna merci e di pagamento. Affiliate marketing Con il dropshipping realizziamo una vendita dal nostro sito Internet. Al contrario l’affiliate marketing è un metodo che consiste nel guadagnare una commissione quando qualcuno passa dal nostro sito a quello di chi vende un prodotto. Si tratta di saltare un passaggio e indirizzare il cliente al grossista, senza neppure esserne il rivenditore. Fate conto di avere un accordo con un negozio in ragione del quale il commerciante vi storna una percentuale sugli acquisti dei clienti che si presentano a vostro nome: voi non effettuate la vendita, vi limitate a consigliare l’esercizio, la trattativa e la consegna sono compiti di cui si fa carico il negoziante. Ecco come si attua questo sistema: 1. ricercate in rete una società che propone questo tipo di sistema; 2. affiliatevi;
3. pubblicizzate i prodotti nel vostro sito tramite un link: cliccando quel link si andrà sul sito a cui siete affiliati e automaticamente, in virtù di un codice identificativo, a voi verrà pagata una commissione. Potete utilizzare questo sistema in modo molto efficace se disponete di una corposa mailing list: comunicando ai vostri contatti il link, anche a giorni di distanza, un acquisto effettuato tramite il vostro collegamento vi farà maturare compensi provvigionali. Supporto dei business non virtuali È la versione non virtuale del metodo precedente: consiste nel diventare un generatore di lead, cioè di contatti, per commerci già avviati. Potete creare delle campagne pubblicitarie per le vostre attività o per quelle di amici o conoscenti stipulando degli accordi commerciali. I metodi sono sostanzialmente due: 1. vi offrite di creare il sito o la pagina web ufficiale di un professionista o di un’azienda in cambio di una percentuale sull’e-commerce generato dal sito; 2. stilate un accordo con il professionista o l’azienda in questione (che hanno già un sito o una pagina ufficiali) per creare una campagna di web marketing dei loro prodotti/ servizi in cambio di una percentuale sugli utili generati da quest’ultima. Monitorare il vostro e-business I parametri da monitorare nel vostro business virtuale sono principalmente due. A seconda dei casi, infatti, avrete molti visitatori e pochi acquirenti (ergo il vostro sito non convince l’utente all’acquisto) oppure pochi visitatori (significa che il vostro link non
appare fra i primi risultati di chi effettua ricerche in rete). Per ovviare al primo inconveniente dovrete diventare bravi nel creare pagine di vendita, cioè pagine Internet che, oltre a informare, spingano l’utente all’acquisto. Per riparare al secondo intoppo occorre capire come gli utenti approdano al nostro sito. Come ci si pubblicizza in rete? Esistono sostanzialmente due metodi, uno gratuito e uno a pagamento, che consistono nel posizionamento e nelle campagne pubblicitarie. Posizionamento. Il principale motore di ricerca utilizzato in tutto il mondo è Google. Questo sistema sfrutta un algoritmo, chiamato «PageRank» (un gioco di parole col nome del suo inventore, il cofondatore di Google, Larry Page). Tale algoritmo determina l’ordine dei siti web visualizzati tramite una ricerca mirata secondo parametri sconosciuti ai più ma intuibili dai più esperti (per esempio il numero di link della vostra pagina su altri siti o la presenza di parole corrispondenti alla vostra ricerca, presenti nella pagina). Per garantire la qualità del servizio di ricerca, tale algoritmo viene aggiornato e tenuto segreto e Google «ripulito» di tutte le «astuzie» messe in atto dai proprietari di siti per indicizzare scorrettamente le proprie pagine web. Ciononostante, più diventerete esperti di questo sistema, meglio riuscirete a «indicizzare» le vostre pagine in modo che risultino le prime a venire visualizzate allo scopo di ottenere un maggiore traffico (e conseguenti maggior guadagni). Campagne pubblicitarie. In alternativa esiste il sistema a pagamento di Google, il Google AdWords ovvero gli annunci di Google. Quando fate una ricerca su qualsiasi parola, sulla sinistra della pagina web compaiono i risultati della ricerca organica, ovvero
«naturale», e cioè i siti effettivamente più visitati e pertinenti alla ricerca, secondo i dati di Google. Sulla destra compaiono invece gli annunci di AdWords, a pagamento, dietro i quali c’è un promotore (advertisor) che verserà a Google una cifra (stabilita per quell’annuncio mediante un meccanismo di offerte simile a un’«asta») per ogni utente che cliccherà su di esso. È il metodo più immediato per pubblicizzare la vostra pagina Internet: l’unica cosa da tenere in considerazione è il tasso di conversione. Dal momento che pagherete pochi centesimi per ogni «clic» sul vostro annuncio, dovete fare in modo che l’annuncio in questione «converta» utenti in acquirenti. Come cominciare a investire nel web marketing? Iscrivetevi a un corso di web imprenditoria; fate delle ricerche sui siti web di ecommerce ed evitate i sistemi di «pagine fotocopia» impostate tutte allo stesso modo e che pubblicizzano prodotti simili. Per gestire gli utili guadagnati affidatevi a consulenti qualificati: commercialisti e avvocati; ricordate che i proventi delle attività online vanno inseriti nel Modello Unico. Per aprire un sito di e-commerce dovete dare comunicazione in Comune, cosa che invece non occorre per tutti gli altri sistemi.
Strumento n. 6 Aziende Perché diventare imprenditori?
Se usata bene, l’azienda fornisce un’enorme leva finanziaria: è per questo che i ricchi sono spesso imprenditori. Accade di frequente che aziende con uno o due dipendenti e un investimento di poche migliaia di euro decollino nel giro di pochi anni fino a impiegare 100 o 200 persone e trasformarsi in imprese con un capitale di milioni di euro. Le aziende sono di gran lunga il sistema più veloce per fare tanti soldi, ma anche il più complesso. Infatti, un buon imprenditore deve avere capacità di marketing, legali e finanziarie, commerciali e di comunicazione, fuori del comune. Deve essere un leader, saper gestire altre persone e avere una visione dettagliata del futuro della sua azienda. Fortunatamente, come abbiamo visto, sono tutte abilità che possono essere apprese e sviluppate. Che lavoro fa un imprenditore? Un imprenditore è colui che «risolve problemi» di altri in cambio di profitto. La maggior parte di noi non desidera avere a che fare con i propri problemi, figuriamoci con quelli degli altri, ma pensateci un attimo: se veniste pagati in base al numero di problemi risolti, quanti ne vorreste avere?
Dalla scrivania di Alfio… Sono passati ormai quasi 20 anni da quando, terminate le scuole superiori, ho fondato la mia prima società di software. Ho costituito oltre 37 aziende da allora, in Italia e all’estero, e ho accumulato una certa esperienza nella creazione e gestione di aziende, specialmente nel farle partire. Sono anche diventato un esperto delle cose a cui bisogna
stare attenti nel momento in cui decidete di diventare un imprenditore: ho commesso centinaia di errori e continuerò probabilmente a farne, ma sono convinto che sia l’unico modo per imparare e portarsi a un livello sempre più alto. Il difficile di una società non è aprirla… Fondare una società è facile, persino in Italia, dove le complicazioni burocratiche e i costi di costituzione sono decisamente superiori a quelli di molti Paesi.* La cosa più difficile è evitarne la chiusura, specialmente nei primi anni di vita: secondo le statistiche, infatti, oltre l’80% delle società muore nei primi cinque anni di attività. Come nasce una società In estrema sintesi una società nasce dall’iniziativa di alcuni soci con delle idee da sviluppare e un capitale che qualcuno (non necessariamente tutti i soci, come abbiamo visto) è disposto a rischiare. Si possono sviluppare le più svariate idee: si va da quelle relativamente semplici nelle quali i neoimprenditori propongono servizi già diffusi sul mercato (magari da loro svolti precedentemente come dipendenti di altre società) fino alle iniziative relative a prodotti/servizi totalmente innovativi, per cui non esiste ancora neanche un mercato; inoltre, con l’incalzare della new economy, la possibilità di reperire e proporre nuove idee e di testarle prima ancora della loro commercializzazione è enormemente aumentata.
Dalla scrivania di Alfio…
Da anni le persone vengono da me a dirmi: «Dammi un milione di euro e ti do un’idea geniale». Al che io sorrido e ringrazio per l’offerta. L’idea geniale non esiste più o, se esiste, non è quella che fa sviluppare e crescere un’azienda. È la creazione del sistema. Una buona idea non fa la differenza! Come abbiamo accennato nel secondo capitolo siamo tutti in grado di fare hamburger migliori di McDonald’s, ma non tutti riescono a creare un’azienda in grado di venderne quotidianamente oltre un milione di pezzi. Perché non è il prodotto o «l’idea vincente» che determina l’esito di un business, ma il sistema nel quale l’idea si inserisce che ne fa scaturire il successo o l’insuccesso. L’errore tipico di tecnici, ingegneri e in generale delle persone con una formazione tecnico-scientifica che non hanno esperienza commerciale, è ritenere di avere avuto un’idea talmente brillante che il mercato sarà entusiasta nel recepirla. In realtà l’idea quasi sempre non è poi tanto geniale, e comunque anche se lo fosse non è detto che abbia automaticamente un successo commerciale. Bisogna sempre tener presente che le società che nascono per sfruttare idee innovative oltre alle normali difficoltà che devono superare nella fase iniziale dovranno superare anche i problemi legati alla creazione del mercato o quelli che si incontrano nella sostituzione di soluzioni vecchie, ma collaudate e funzionanti. Il prodotto, a nostro avviso, non è poi così importante come altri fattori. Come funziona un’impresa
Lo schema riportato descrive il corretto funzionamento di ogni piccola e media impresa di successo: un «leader» (cioè l’imprenditore) si preoccupa di reperire il denaro utile ad avviare l’attività; quel denaro è destinato a sviluppare delle iniziative di marketing che a loro volta hanno il compito di generare dei «lead», cioè dei nominativi e i relativi contatti. Tali contatti verranno utilizzati da una rete di commerciali che venderà il prodotto o il servizio dell’azienda. Solo come ultimo passaggio, entra in gioco il delivery, cioè la fornitura del prodotto/servizio acquistato, che dovrà trasformarsi in denaro. È solo in
quest’ultima fase che la qualità di quanto commercializzato dall’impresa fa la differenza; per questo motivo l’idea geniale in sé non determina l’esito di un business: perché si tratta solo del passaggio finale del ciclo imprenditoriale. Come abbiamo detto, troppo spesso chi crea un’azienda è tecnicamente preparato, ma anche il miglior prodotto incide solo per il 5%. Se la persona non sa come trovare i clienti e non ha nozioni delle vendite o della parte finanziaria dell’azienda come il budget, il cash plan, il bilancio e gli aspetti legali, la sua azienda chiuderà a prescindere dalla qualità dei suoi prodotti. La sindrome del fifty-fifty C’è un proverbio che dice che i soci di un’azienda dovrebbero essere un numero dispari inferiore a 3. Non siamo assolutamente d’accordo. Più soci capaci ci sono e più è facile che l’azienda possa avere successo. La società più difficile da gestire nella sua fase iniziale è costituita da due soci al 50%. Questa ripartizione comporta pericolosissime situazioni di stallo in caso di disaccordo. Ci riferiamo naturalmente a società direttamente gestite dai soci in prima persona. Diverso è il caso in cui una società, pur posseduta al 50% da due soci, è affidata per la gestione completamente ad altri. Naturalmente quote paritarie non sono una condanna a morte: possono tranquillamente sopravvivere società al 50%, ma solo se informalmente uno dei due soci prevale e si assume la leadership, facendola accettare all’altro socio. Le caratteristiche dei soci I soci operativi di una società ideale dovrebbero essere diversi nelle loro caratteristiche
personali, ma simili nella loro estrazione sociale e culturale. La società ideale è costituita da tre soci operativi che si spartiscono la gestione delle aree principali di ogni società: le vendite, la produzione e l’amministrazione. Il socio finanziario (quando esiste) è preferibile non sia operativo per non alterare gli equilibri interni tra i soci operativi e per non far valere il suo potere nelle decisioni, soprattutto all’inizio. Vediamo la divisione dei compiti. Chi vende. Deve essere portato al contatto umano, ottimista, capace di reagire positivamente agli inevitabili no (anche i migliori venditori ricevono più no che sì), capace di trattenersi dal fare ai clienti promesse che l’azienda non è poi in grado di mantenere. Deve avere un forte orientamento alla vendita e abilità di marketing. Importanti sono perciò la comunicativa personale e la capacità di pianificare attività di marketing. Ogni socio deve produrre dei KPI, ovvero dei Key performance indicator. L’azienda si regge solo sui numeri e alcuni sono comuni a tutte le aziende. 1. fatturato; 2. vendita media (fatturato/nr. clienti); 3. tasso di chiusura (nr. clienti/nr. clienti contattati). Il fatturato deriva da: Nr clienti contattati x Tasso di chiusura x Vendita media Ora abbiamo 4 fattori sui quali andare a intervenire:
1. quanti clienti visitiamo o contattiamo regolarmente? 2. quanto sono bravi i nostri commerciali o le nostre attività di marketing per convertire un lead? 3. quanto vendiamo in media a ogni cliente? 4. quanto ci costa trovare un cliente? Chi produce. Deve possedere spiccate capacità ed esperienze tecniche per poter gestire l’area della produzione, che si tratti di prodotti o di servizi. Deve saper gestire tempi e risorse e avere una buona leadership. Anche qui ci sono i KPI sul costo orario o per pezzo di produzione, i costi fissi aziendali, i costi di stoccaggio, i costi di magazzino. Chi controlla. Deve avere un’estrema attenzione nel mettere sempre a confronto i costi e i benefici di ogni attività dell’impresa. La sua funzione è spesso quella di frenare (ma non in modo miope) gli eccessivi entusiasmi e la propensione alle spese del responsabile commerciale. Qui è fondamentale il controllo. Bisogna avere sia un budget per fare le previsioni e per controllare quello che accadrà, sia avere un budget per la cassa (o cashplan). Molte aziende, infatti, soprattutto nei primi mesi di attività, «saltano» per mancanza di cassa. Per una impresa all’inizio della sua vita è indispensabile, nel momento in cui fa previsioni, ridurre del 50% il fatturato previsto e aumentare del 100% i costi. Questa strategia serve a valutare la cassa necessaria per far sopravvivere le aziende (non immobiliari, ma commerciali). Il margine di contribuzione è la cosa più importante dell’azienda. È quanto effettivamente
rimane da ogni prodotto/servizio che l’azienda vende. Aziende con alti margini di contribuzione crescono bene al crescere del fatturato perché, con l’incremento dei guadagni, possono coprire eventuali diseconomie di scala della crescita. Il margine di contribuzione è composto dai ricavi epurati dei costi diretti. Un’azienda sana e interessante sulla quale investire deve presentare uno schema simile a questo: Ricavi 100 Costi diretti 30 Margine di contribuzione 70 Ecco invece un’azienda in cui bisogna stare molto attenti ai ricavi e ai costi: Ricavi 100 Costi diretti 95 Margine di contribuzione 5 Il margine non è il solo valore cui prestare attenzione, ma è importante. Chiaramente lo sono anche i valori di produzione e il cashflow o flusso di cassa. Vediamo gli esempi di queste due aziende. La prima azienda con pagamenti a 180 giorni subisce un cashflow del tipo indicato nello schema riportato qui di seguito. Quindi, bisognerà avere 200 in cassa quando si inizia l’attività, o come mezzi propri o come finanziamenti.
Mese 1 Costi 30 diretti Costi 10 fissi Ricavi / Cashflow – 40 Cashflow – 40 cumulato
Mese 2
Mese 3
Mese 4
Mese 5
Mese 6
30
30
30
30
30
10
10
10
10
10
/ – 40
/ – 40
/ – 40
/ – 40
100 + 60
– 80
– 120
– 160
– 200
– 140
La seconda azienda, invece, produce cassa da subito e quindi si autofinanzia perché paga i fornitori a 120 giorni e incassa subito. Non si può ancora sapere fra le due aziende del nostro esempio quale sia la migliore perché dipende da molti fattori. È certo che una ha esigenze di cassa maggiori dell’altra. Mese 1 Ricavi 100 Costi / Cashflow 100 Cashflow 100 cumulato
Mese 2 100 / 100
Mese 3 100 / 100
Mese 4 100 95 5
Mese 5 100 95 5
Mese 6 100 95 5
200
300
305
310
315
La cassa è il fondamento dell’azienda: senza cassa non esiste l’azienda. Se siamo in grado di prevedere il cashflow, allora siamo in grado di prevedere anche se ci servirà e quindi cercare di: 1. mettere più soldi nostri;
2. mettere più soldi di soci; 3. chiedere i fidi in banca; 4. vendere proprietà o beni strumentali; 5. fare sconti ed eliminare il magazzino o fare offerte speciali per pagamenti anticipati. Mancanza di focus aziendale A volte all’inizio della vita della società le caratteristiche dei soci non sono né chiare né predefinite, ma l’esperienza derivante dai primi anni di attività indirizza i vari soci verso le attività a loro più congeniali. La correttezza e la serietà devono essere le caratteristiche comuni a tutti i soci, così come la reciproca stima e fiducia. È importante per ogni società individuare bene la missione. Spesso la società da poco costituita ha difficoltà ad acquisire clienti, motivo per cui tende a ottenere ordini non focalizzati sull’attività specifica dell’azienda. Questo non consente alla società di specializzarsi e accumulare know how che la renda più competitiva. Forza di vendita Ci sono mercati in cui, fino a poco tempo fa, bastava esistere per ricevere gli ordini e vendere prodotti e servizi perché si avevano dei vantaggi competitivi rispetto agli altri clienti o fornitori dati magari da un bel negozio e una bella esposizione. Oggi non è più così: qualunque tipo di business ha bisogno di avere una rete di vendita diretta e indiretta. Oggi il cliente si è evoluto, ricerca il prezzo, il servizio adeguato, la velocità di informazione ed è attento alla qualità di quello che riceve. La forza vendita deve fatturare e il fatturato scaturisce dai tre elementi che dobbiamo costantemente monitorare per
assicurare un futuro all’azienda e cioè: il numero dei contatti ai clienti, il tasso di conversione dei clienti e l’importo dell’acquisto medio. In particolare dobbiamo: • contattare il più alto numero di potenziali clienti con tutti i canali possibili; • convertire il potenziale cliente (prospect) in una vendita e sapere che per 10 possibili clienti si chiude 1 vendita (tasso di conversione 0.1); • avere chiaro l’acquisto medio del cliente. Moltiplicando questi 3 fattori abbiamo il fatturato dell’azienda. Se l’azienda non fattura dobbiamo assolutamente mettere mano o all’aumento del numero dei prospect o al miglioramento delle vendite dei nostri agenti o cercare di aumentare il fatturato per cliente, offrendogli magari nuovi servizi o prodotti. Oggi Internet ha aperto nuove frontiere alla vendita tradizionale ed è un mezzo importante per creare clienti potenziali o fatturato e quindi un imprenditore deve conoscere lo strumento e le potenzialità per metterlo al suo servizio. Valutare e assumere le persone giuste Molto spesso si dedica poco tempo alla selezione e alla formazione del personale e alla creazione della squadra che guiderà l’azienda. Si ha fretta di partire e si assumono persone senza testare la loro esperienza. Le persone giuste, poi, vanno pagate adeguatamente e possibilmente trattenute facendole partecipare come soci se si rivelano dei partner affidabili e seri. La squadra deve essere sempre motivata, avere obiettivi chiari e scritti ma soprattutto condivisi, ovvero le persone devono poter credere di raggiungerli. Inoltre
bisogna stare attenti all’inevitabile conflittualità che in ogni azienda si crea tra le persone in modo da poter eliminare, gestire o attenuare conflitti all’interno del team e creare un posto dove le persone sono contente di poter lavorare. La gestione degli uomini chiave Avere un’azienda dipendente da uno o due uomini chiave mette l’imprenditore in difficoltà che potrebbero tramutarsi anche in veri ricatti. È importante che tutti gli uomini siano utili, ma comunque sempre sostituibili senza avere un impatto grave sul fatturato dell’azienda. A volte si crea l’azienda attorno a uno specialista o tecnico cui non si delega solo la gestione dei lavori ma gli si concede anche la leadership senza comprendere che cosa fa e come lo fa e, soprattutto, senza chiedergli di creare un processo replicabile. Licenziate i dipendenti che se lo meritano! Una delle mansioni dell’imprenditore consiste nel licenziare le persone: compito sgradito ma a volte indispensabile. Una persona non motivata, che lavora poco e male trascina con sé le altre persone e abbassa la media di tutti. È giusto anche che la vostra azienda sia motivata a diventare eccezionale e non solo una buona azienda! Bisognerebbe avere un sistema di valutazione delle persone e licenziare ogni anno il 10% dei dipendenti o collaboratori meno performanti per lasciare spazio a persone con voglia di fare e di crescere. Attenti a troppa burocrazia L’azienda dovrebbe essere «snella» e l’imprenditore dovrebbe decidere velocemente,
delegando il più possibile le attività di scarsa importanza e focalizzandosi solo su quelle fondamentali. Quindi processi banali come i piccoli acquisti, se sottoposti a un iter troppo burocratico, anziché aumentare il controllo e diminuire i costi li fanno solo lievitare, demotivando nello stesso tempo i collaboratori. Ecco perché è necessario conoscere tutte le tecniche di lean management per la creazione, la gestione e il mantenimento di un’azienda snella. Capitale di rischio Costituire una società con un capitale iniziale insufficiente è uno degli errori più frequenti dei neoimprenditori. In generale, il capitale effettivamente necessario è pari a un multiplo del capitale inizialmente stanziato o comunque un capitale limitato è un pesante fattore negativo per lo sviluppo della società.
Dalla scrivania di Alfio… Ormai sono anni che provo a stimare il capitale necessario per avviare un’azienda.Di solito lo raddoppio rispetto ai calcoli che faccio (a meno che non sia un’azienda immobiliare di costruzioni alla quale aggiungo un 30%) e dimezzo il fatturato che credo di ottenere. Se con questi ragionamenti penso di aver ottenuto un buon business plan, allora procedo. La determinazione dei prezzi
Il margine di gestione è il migliore amico dell’imprenditore. Per i neoimprenditori spesso la strategia vincente sembra essere quella di presentare prezzi molto competitivi, a volte solo per perseguire una smodata voglia di crescere. Non sempre i prezzi bassi garantiscono la conquista di nuovi mercati, anche se in molti casi non si ha alternativa. Quando si opera con margini ridotti qualsiasi imprevisto porta in passivo la gestione e non sempre il capitale iniziale consente la copertura delle perdite. Il sistema di controllo di gestione è essenziale fin dalle prime fasi operative di una società per permettere all’imprenditore di conoscere lo stato di salute della sua società. Avere ben chiaro il cash flow e avere ben chiaro il costo globale del servizio/prodotto è fondamentale per l’imprenditore che di solito guarda solo alla marginalità (un prodotto comprato a 10 e venduto a 13 dà il 30% di margine) dimenticandosi di costi di struttura e fissi. Molto spesso margini alti con volumi bassi non garantiscono la sopravvivenza dell’azienda. Il budget Ragionare esclusivamente in termini di budget è un concetto obsoleto. Infatti il budget, specie se inteso come autorizzazione a spendere su base annua, sta perdendo rapidamente di significato, soprattutto per la difficoltà a fare previsioni attendibili in queste situazioni di mercato. Una mentalità troppo rigida di controllo budgetario rischia solo di far perdere alla società nuove opportunità di mercato che si presentano oggi e che solo pochi mesi prima non erano prevedibili. La perdita di nuove opportunità può anche voler dire restare esclusi dai segmenti di mercato più promettenti.
La spirale dei costi Frequentemente l’inserimento di una nuova funzione aziendale viene sottovalutato; infatti ai costi facilmente identificabili se ne aggiungono altri trascinati dagli stessi. Tali costi sono a volte di entità non elevata singolarmente, ma di impatto consistente nel loro complesso, come per esempio il pc, il costo delle licenze software che utilizza, lo spazio occupato in ufficio, il volume di telefonate aggiuntive o di servizi utilizzati. La crisi di crescita. È facile perdere il controllo dell’azienda quando si cresce troppo in fretta. Nelle aziende nuove, crescite superiori al 50% sono la regola. In tali situazioni con inserimenti di personale in una cultura aziendale non consolidata, perdere il controllo dei costi è molto facile ed è molto pericoloso, anche perché i periodi di crescita molto elevata sono frequentemente caratterizzati da bassi margini economici. L’obiettivo dell’azienda non deve essere crescere a tutti i costi, ma guadagnare a tutti i costi anche a discapito della crescita. Il pericolo delle tre C. Può capitare ai nuovi imprenditori che dispongono fin dall’inizio di capitali elevati di lasciarsi prendere la mano. Gli inglesi hanno battezzato tale atteggiamento come la malattia delle tre C, che stanno per: Caviale, Champagne e Concorde (quest’ultima C non più attuale, per la dismissione di quel tipo di aereo, ma facilmente sostituibile da First Class). Lasciarsi andare a spese eccessive ipotizzando vertiginosi profitti è un’attitudine molto pericolosa, specie fino a quando i vertiginosi profitti non si sono materializzati. L’inerzia del mercato
Spesso il neoimprenditore è molto ottimista sulla disponibilità dei clienti a sostituire i loro fornitori abituali. Specie nei servizi esiste un consolidato rapporto di fiducia tra fornitore e cliente, che rende difficile la sostituzione di un fornitore. I principali motivi che contrastano la sostituzione di un fornitore sono: • contratto di fornitura in vigore non rescindibile; • servizio ricevuto soddisfacente; • prezzi e tariffe richiesti superiori a quelli in essere; • cliente non sensibile a riduzione dei costi; • costi legati al cambiamento del fornitore troppo elevati; • gusti del cliente difficili da cambiare; • implementazioni di soluzioni efficaci ma che cambierebbero il modo di lavorare dell’azienda completamente e quindi resistenza al cambiamento del top management. Questo insieme di fattori rende il mercato molto più difficile di quanto previsto, soprattutto se si opera in un mercato saturo e molto concorrenziale. Trascurare i clienti acquisiti per focalizzarsi solo sui nuovi Spesso i commerciali o le aziende si focalizzano sulla ricerca del nuovo cliente e poco sulla gestione del cliente già acquisito, dimenticandosi che le statistiche dicono che è sette volte più costoso acquisire un nuovo cliente piuttosto che gestire i vecchi. Occhio alle balene! Un solo cliente con più del 30% dei ricavi: questa situazione è tipica di società nate da
«spinoff» sollecitati dai clienti ed è molto pericolosa in quanto l’attività aziendale è troppo legata alla volontà (o agli imprevisti) del cliente principale. Se il cliente fallisce, può trascinare nel fallimento anche la società di cui era un cliente troppo importante. Anche senza ipotizzare il fallimento del cliente, gravi difficoltà al fornitore possono derivare da: • crisi di mercato del cliente; • crisi aziendale del cliente; • ristrutturazione aziendale del cliente; • fusioni o acquisizioni effettuate dal cliente; • naturale conflittualità cliente-fornitore; • cambio dei vertici aziendali e fuoriuscita del nostro interlocutore. Il KPI (Key Performance Indicator) Spesso l’imprenditore è concentrato o a produrre o a vendere, andando a sensazione su tutto il resto e non avendo dei dati oggettivi su cui prendere le decisioni tempestivamente. Vede solo che il fatturato cala e pensa alla crisi, in realtà magari sono solo i venditori che telefonano di meno e fanno meno visite per fattori esterni alla crisi… quindi dovrebbero esserci dei sistemi di misurazione dei dati fondamentali dell’azienda, come il costo che ha trovare un nuovo cliente, i numeri di accesso al sito se l’azienda usa molto questo strumento per vendere, lo scontrino medio se è un negozio, numero di scontrini giornaliero, settimanale e mensile in modo da poter fare raffronti con periodi diversi degli anni successivi. Quindi oltre alla contabilità generale dovuta per legge è importante avere un sistema di
misurazione di molti altri dati: le percentuali di riacquisto dei clienti, i tassi di conversione dei venditori eccetera. Fare statistiche è come pilotare un aereo con il volo strumentale, senza di esse è come pilotare un aereo a vista. Fino a quando il tempo è bello si vola bene anche a vista, ma di notte, quando piove o c’è brutto tempo diventa impossibile volare. Le pubbliche relazioni Avere delle buone relazioni con clienti, fornitori e l’ambiente è indispensabile. Dobbiamo trasformarci in un opinion leader nel nostro settore, ovvero le persone devono guardare a noi come ai leader del mercato ed è indispensabile avere una buona relazione con i giornali del nostro settore, la stampa generalista, i siti web che parlano del nostro mercato e fare in modo di ottenere visibilità gratuitamente. A questo proposito può esserci utile un testimonial famoso che «venderà» la sua reputazione a nostro beneficio. Non si tratta necessariamente di personaggi pubblici: se vi rivolgete a un circolo ristretto, essere presentato da qualcuno che gode di ottima fama vi conferisce di riflesso la sua credibilità. Il brand Sviluppare la marca ovvero il brand dell’azienda dà all’imprenditore un vantaggio competitivo enorme. Se avete un buon business in mente e un solido business brand, potete trovare più facilmente capitale di terzi che senza le giuste manovre di marketing. Un buon investimento potrebbe consistere in un esperto di comunicazione strategica. Provate a pensare alla differenza tra un iPod e un qualunque altro lettore mp3. L’iPod è un marchio che la gente ama, che usa, che vuole possedere. E questo si traduce nella capacità dell’azienda di essere riconosciuta, di poter far pagare più cari i prodotti perché
riconosciuti con un valore percepito più alto e, quindi, avere dei migliori margini. Qualunque cosa facciate dovete sviluppare un marchio e comprendere quali sono le metodologie e le dinamiche per crearlo, mantenerlo e svilupparlo in modo che vi dia quella riconoscibilità in più nel lungo periodo. Avete notato il fatto che essere arancione crea una divisione e un marchio riconoscibile? Nuove tecnologie Oggi ci sono ancora aziende che non hanno un sito Internet e che non fanno marketing via web. Come possono creare, crescere e prosperare anche in altri mercati se non usano le nuove tecnologie? A volte l’imprenditore è talmente concentrato nel fare il suo business come l’ha sempre fatto, da non rendersi conto del cambiamento radicale del mercato e che senza tecnologie verrà spazzato via dalla prima piccola crisi. Prima dell’avvento di Internet in Italia c’erano 15.000 agenzie viaggi e oggi il numero si è ridotto a meno di 5.000. Oggi non serve una vetrina su strada, i clienti si contattano anche con email, sms, promozioni sui punti vendita e nei centri commerciali. Il rischio di anticipare i tempi È comune in ogni neoimprenditore l’idea che se non si è i primi a effettuare un nuovo servizio si perdano molte opportunità di avere successo. Non si può negare che, specie nella new economy, avere un vantaggio temporale sulla concorrenza può essere molto importante, ma si deve tener presente che essere un pioniere comporta molti svantaggi e rischi inutili. Una società, se gestita con notevole flessibilità e rapidità di cambiamento, trae maggiori vantaggi nel cogliere opportunità di mercato appena si manifestano, che non anticipando i
tempi.
Dalla scrivania di Alfio… Un mentore è qualcuno che ha già scalato la montagna. Che conosce il terreno, le scorciatoie, i dirupi e le strade senza uscita. Sa cosa state facendo, ma soprattutto sa quello che non si dovrebbe fare. Più è esperto e più andrete veloci, perché potrà spiegarvi quel piccolo trucco che può far la differenza per farvi risparmiare tempo e denaro. Il mentore non è emotivamente coinvolto nella situazione e, avendo già vissuto alcune vostre difficoltà, si troverà a guardare le cose da una certa distanza e potrà consigliarvi per il meglio. L’esperienza e il tempo gli danno la saggezza. Avendo già vissuto le vostre esperienze, i vostri errori, vi offre un vantaggio che vi farà risparmiare tempo e denaro. Fare il coach finanziario vuol dire spesso essere un mentore: consiglio alle persone che vengono da me come comprare e vendere immobili, condivido con loro i trucchi del mestiere, gli suggerisco di crearsi un team di persone utili, per iniziare li faccio assistere magari dal mio di team, se necessario, dal mio notaio, dal mio avvocato, dal mio commercialista. Se vi capita la fortuna di incontrare un milionario, invitatelo a pranzo e approfittatene per intervistarlo: come ha fatto il primo milione, quanto tempo ci ha impiegato, quali sono le lezioni più importanti che ha imparato. Il mentoring Il ricorso ai «mentor», questa nuova tipologia di professionisti, è divenuto a tal punto una
prassi in campo aziendale da aver dato luogo alla recente disciplina del «mentoring». Le consulenze sono considerate talmente importanti da essere ricompensate addirittura in stock option e percentuali sull’azienda. L’esperienza degli altri è fondamentale: non possiamo diventare esperti in tutto, mentre possiamo diventare esperti nel riconoscere validi collaboratori. Più ci circondiamo di gente con le conoscenze specialistiche del nostro settore, più ne otteniamo delle altre, grazie al loro network di conoscenze. Non si tratta solo di brevetti o nuove tecnologie ma anche di capacità organizzative o manageriali oppure di capacità di vendita. Specie quando siamo sprovvisti di competenze specifiche, è indispensabile trovare qualcuno che le abbia e sia disponibile a fornircele. Le azioni legali Qualunque affare vogliate portare a termine, dovrete farlo rispettando la legge. E in qualsiasi controversia è importante farsi consigliare da esperti del settore. Innanzitutto, quando si ritiene che esistano i presupposti per promuovere un’azione legale verso un cliente o un fornitore, bisogna chiedersi seriamente: «Che cosa ci guadagnerò?» Occorre sempre tener presente che nelle azioni legali i soli sicuri vincitori sono gli avvocati. Questo vale più o meno in tutti i Paesi del mondo, ma particolarmente in Italia, che è tra i Paesi occidentali con un sistema giudiziario tra i più complessi e costosi. Si commette spesso l’errore di prendere decisioni emotive o di farne questioni di principio. Vale la pena ricordare un proverbio francese che più o meno recita: «Meglio raggiungere subito un cattivo accordo che ottenere una sentenza favorevole». Quali nozioni è essenziale conoscere e da dove
cominciare? Chiunque si occupa del proprio denaro (che si tratti di generarlo, proteggerlo o investirlo) deve conoscere almeno le basi del diritto. Spesso, ciò che scoraggia o spaventa chi vuole «mettersi in affari» è proprio il disagio di dover studiare una materia apparentemente tanto ostica. Ecco una notizia poco piacevole, ma imprescindibilmente vera: per fare buoni affari, è necessario conoscere la legge. Le cose importanti da conoscere sono il Codice Civile, in particolare le persone giuridiche, le parti sulla proprietà, sulle obbligazioni in generale, sui contratti, sui titoli di credito, sulle società e sulle responsabilità patrimoniali. Leggere il Codice Civile non richiede più di qualche decina di ore, ma è importante per togliere dubbi anche sulle cose «per sentito dire». Inoltre se si fanno operazioni sulle aste giudiziarie bisogna sapere quali sono le norme di base e in quale Codice sono contenute (Codice di Procedura Civile ed Esecuzioni Immobiliari). Esistono molti diritti (quello Tributario, quello Societario, quello delle Assicurazioni, quello dei Marchi o Brevetti): non dobbiamo esserne esperti ma dobbiamo riconoscere gli esperti e parlare la loro stessa lingua. Infine è fondamentale per la nostra crescita finanziaria incominciare a fare i conti con i bilanci e i rendiconti finanziari. Qualche buon libro su come fare un business plan è una buona base di partenza per studiare i bilanci e come si costruiscono. Come rendere «vendibile» la vostra azienda Avere un’azienda che funziona solo grazie alla vostra gestione non significa essere un imprenditore, equivale piuttosto a essersi «comprati un impiego». Solitamente è la
condizione in cui si ritrova chi avvia un’azienda allo scopo di «non avere più un capo che ci dica cosa fare». Al contrario, una volta avviata l’azienda, avrete tre scelte di fronte a voi: • continuare a dirigerla; • delegarne la gestione; • vendere. Per avere questa libertà di scelta dovrete avere ben presente che le aziende sane non dipendono dall’imprenditore ma dal «sistema». In altre parole l’azienda deve funzionare indipendentemente da voi: avere procedure chiare (e scritte) per essere il più possibile «standardizzabile». Fate in modo che il vostro business sia controllabile dall’esterno senza la vostra presenza o esso controllerà voi: lavorate per la vostra azienda e non nella vostra azienda! Quando un’azienda funziona autonomamente dall’imprenditore che l’ha creata, è facilmente vendibile (o trasformabile in una entrata automatica). Importante! Scegliete almeno 3 aree di specializzazione In questo capitolo abbiamo analizzato i 6 più efficaci strumenti a nostra disposizione per generare ricchezza. Il nostro consiglio finale è di utilizzarne almeno 3: specializzatevi e utilizzate almeno 3 di questi 6 strumenti per generare ricchezza. Se vi affiderete a uno solo di questi sistemi, vi sarà difficile diversificare sforzi e investimenti, far fronte alle crisi di mercato e generare più fonti di entrate per unità di tempo.
Piano d’azione Pilastro n. 4 - Strumenti Check point ✓Scegliete almeno 3 dei 6 strumenti descritti nel capitolo da utilizzare e approfondire. ✓Individuate gli strumenti di approfondimento di quelle «materie di studio» (libri, cd, corsi, seminari). ✓Individuate uno o più mentori per ogni area e contattateli.
«To do» list… ✓Stilate un business plan dettagliato per ognuna delle tre attività, comprensivo dei tempi di ritorno dell’investimento (nel caso degli investimenti in Borsa stilate un «trading plan»). ✓Studiate il diritto privato e quello commerciale, cominciate, come suggerito nel capitolo, dalla lettura della Costituzione. ✓ Reperite i fondi necessari e avviate almeno uno dei vostri progetti nel prossimo mese.
* In questo caso si parla di financial futures o meglio di currency futures. * Siete un trader di lungo termine, un «intraday», o uno «scalper»? Bisogna sapere con precisione qual è il proprio stile operativo! Lavorate? Allora sarà intelligente pianificare un’attività di trading sulle news o ritagliarsi un’ora al giorno per lo scalping. Avete molto tempo a disposizione? Allora potrete permettervi strategie più profittevoli, ma che necessitano di più tempo davanti al monitor. Decidete lo stile di trading che più vi si addice in base al tempo a vostra disposizione e alla vostra capacità di sopportare lo stress. * Entrando così con passo spedito nella ruota del criceto! ** A vendita effettuata: ricordate che finché non vendete, non affittate o non ipotecate l’immobile per il suo valore, sono soldi ipotetici! * C’è chi ha iniziato a investire nel mercato immobiliare acquistando case all’estero: nulla da eccepire, ma vi consigliamo di avere un referente di fiducia sul posto, in modo da non dovervi spostare all’insorgere di eventuali necessità o problemi. * Ricorrete alle vostre abilità relazionali e di negoziazione oppure affidatevi a un esperto, un agente immobiliare per esempio, che tratti per voi. In quest’ultimo caso «ripagate» l’agente con la provvigione a prezzo pieno anche nel caso di un acquisto con considerevole sconto. * L’arredo è provvisorio: l’acquirente potrà decidere in seguito se acquistarlo a prezzi solitamente convenienti, in caso contrario la società che ha fornito il servizio di home staging lo rimuoverà prima del rogito. * Progetto di legge 3.322, successivamente Legge 173/2005. * Come accade nel caso delle banche. * Chi testa videogiochi di professione viene pagato, sullo zucchero filato non abbiamo dati certi. * Ricordate che lavoro e professione non sono la stessa cosa, vero? * Che una volta libera arrederete e affitterete per percepire un canone di locazione e trasformare finalmente la vostra casa di proprietà da debito ad attività! * Cioè collegamenti ad altre pagine web alle quali si accede cliccando, appunto, sul «link» (che in genere è quasi sempre un messaggio testuale o un’immagine). * Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, per esempio, si può addirittura aprire una società con una semplice telefonata a costi
estremamente contenuti.
Quinto Pilastro Spiritualità
ECCOCI arrivati all’ultima tappa del nostro cammino. Il primo Pilastro di questo percorso vi invitava a fare tabula rasa di tutti quei condizionamenti «ambientali» che inducono a vedere il denaro come qualcosa di intrinsecamente negativo, «sporco» o «poco nobile». Con quest’ultimo Pilastro indagheremo l’altro lato della medaglia: parleremo infatti di spiritualità. Il Dalai Lama, nella sua grande saggezza spirituale, ha detto: «Le persone oggi perdono la salute per accumulare denaro e poi perdono il denaro per ritrovare la salute». A rischio di rovinarvi la giornata (o la lettura), dobbiamo confessarvi di concordare con Sua Santità: il denaro non è uno «scopo» di vita sano. Ciononostante stiamo spendendo tempo ed energie percorrendo (e insegnando a percorrere) la via della libertà finanziaria: come spiegare questo che, apparentemente, sembra un paradosso? Le persone che pensano maggiormente ai soldi sono i poveri e non i ricchi. Se volete smettere di pensare al denaro e godere, assieme ai vostri cari, la vita al massimo, dovete diventare liberi finanziariamente. Semplice: in questo capitolo affronteremo le motivazioni profonde che ci spingono a
percorrere il cammino verso la libertà finanziaria. Lo faremo dandovi spunti personali su ciò che ci ha mosso e che, tuttora, sprona in noi la voglia di proseguire questo cammino; condivideremo aneddoti e storie che nascondono una profonda spiritualità. Vi invitiamo a utilizzare quest’ultimo Pilastro per interrogarvi, mettere a nudo le vostre motivazioni, e rivelare a voi stessi i significati più profondi della vostra «sete di ricchezza». Se lo farete, scoprirete quanto il cammino verso la libertà finanziaria faccia da specchio alla vostra evoluzione personale e quanto implicitamente vi spinga verso un accrescimento spirituale costante, piuttosto che al mero accumulo di beni o capitali. Ma cominciamo dal principio. Perché affaticarsi a diventare ricchi? Una mattina, un ricchissimo uomo d’affari stava passeggiando sul lungomare quando incontrò un pescatore comodamente sdraiato nella sua barca a prendere il sole. Vedendolo, il milionario chiese: «Il sole è già alto, amico mio, come mai non sei ancora a pescare?» Il pescatore rispose: «Ci sono già stato e ho preso pesce per quanto mi serviva». Allora il milionario rispose: «Capisco, ma se pescassi di più, guadagneresti di più». «A che scopo?» chiese il pescatore. «Beh, potresti permetterti un’altra barca», replicò il ricco. «A che scopo?» chiese nuovamente il pescatore. «Con un’altra barca potresti permetterti un aiuto e pescare ancora di più, guadagnando ancora di più, in poco creeresti una flotta da pesca», rispose il ricco. «A che scopo?» ripeté ancora una volta il pescatore. Il ricco, infastidito dall’indolenza di quest’ultimo, replicò con partecipe entusiasmo: «Sant’Iddio, potresti guadagnare tanto da ritirarti in pensione e goderti
questo bel sole per tutta la vita!» «È quello che faccio», concluse il pescatore. La storia che avete appena letto viene spesso raccontata per schernire chi compie sforzi per diventare ricco. Come diciamo nel gergo dei formatori, viene utilizzata da chi preferisce «buttar giù il tuo palazzo» piuttosto che costruirne uno per sé. In altre parole questa metafora viene utilizzata per sminuire gli sforzi di chi lavora da parte di chi non fa nulla per cambiare la propria condizione. Tuttavia, tralasciando lo scherno e le facili critiche che fanno sentire meglio chi non ha il coraggio di mettersi in gioco, questo aneddoto rivela in sé una profonda verità. Godersi la vita non ha nulla a che fare con la ricchezza: la vostra motivazione deve essere più profonda della semplice «comodità», del benessere o dell’opulenza. Si tratta di avere uno scopo più alto, che vi permetta di affrontare le «stagioni» che questa evoluzione porta con sé.
Dalla scrivania di Alfio… In che stagione vivete? Nella vita ci sono sempre degli inverni, dei momenti difficili. La cosa più importante è riuscire a resistere a questi inverni. Ci sono tanti tipi di inverno: economico, commerciale, fisico, sentimentale. Gli inverni capitano a tutti, la differenza sta in come li viviamo. Non serve a niente nascondere il calendario o strappare le pagine, per far finta che i giorni non esistano. L’inverno dovrebbe essere l’occasione per crescere. Perché dopo ogni inverno arriva sempre la primavera. Prima di capirlo, passavo i miei inverni aspettando l’estate. Non aspettate che le cose diventino
più semplici: acquisite nuove conoscenze e rafforzate quelle che avete. Evitando di sfuggire le sfide acquisirete più esperienza e più saggezza per affrontarle. Ancora oggi non posso onestamente dire che l’inverno sia il benvenuto, ma so che una primavera segue a ogni inverno, per quanto rigido sia. Le opportunità seguono le difficoltà. L’espansione segue puntualmente la recessione. La primavera è il periodo della semina, per poter raccogliere in estate. L’estate è una stagione meravigliosa, se prevenite la siccità e gli insetti. Una parte del successo è imparare a proteggere quello che avete creato e quello che avete accumulato, questa è la grande lezione che ci dà l’estate. L’autunno è il periodo in cui godrete di tutto quello che avete fatto in primavera e raccolto in estate. Avete potenzialmente capacità illimitate per imparare cose nuove e per migliorare in qualunque campo. Usatele. E vivete appieno la vostra stagione. A parte gli ostacoli dettati dagli imprevisti, dalla mancanza di motivazione o dalla fatica, potreste vivere dei momenti davvero difficili come individui impegnati a crescere, migliorare e creare abbondanza. In quei momenti bui sarete messi a dura prova e non saranno certo i soldi a darvi la necessaria fibra morale per risollevarvi: se ciò che vi spinge non è una motivazione profonda, non provateci neppure. Tuttavia una forte motivazione non basta, dovrete avere una precisa identità, una spiritualità, una fede e una missione che siano più forti e più grandi di qualunque ricchezza materiale. Ciò che fate dovrà avere un significato più grande del semplice diventare milionari. Cominciamo dal principio, rispondendo a una domanda all’apparenza scontata: Perché volete diventare milionari?
Dagli appunti di Lorenzo… Ho sempre lavorato sulla mia crescita personale. Oggi, se mi guardo indietro, la mia soddisfazione più grande non è quella di avere realizzato imprese straordinarie, ma piuttosto quella di essermi sempre «evoluto» nella varie aree della mia vita, di essere cresciuto, non solo anagraficamente, nel corso degli anni. Mi spaventerebbe sapere di essere rimasto allo stesso livello per tutta la vita, di non essere cresciuto, di non avere affrontato delle sfide. Questo è uno dei motivi più «alti» e profondi che mi spingono a darci dentro quando avrei voglia di mollare o «distrarmi» per rimandare situazioni scomode. Non è stato sempre così. Per molto tempo il mio limite più grande è stato il giudizio altrui. Ero una di quelle persone che volevano «piacere a tutti», con la conseguenza di diventare quello che pensavo volessero gli altri, invece di ciò che ero. Occupandomi della mia crescita finanziaria, sto mettendo a dura prova ciò che rimane di questo mio limite. Il denaro è uno di quegli argomenti che fa perdere la testa: di fronte ai soldi abbiamo convinzioni, giudizi morali, idee radicate e prese di posizione particolarmente nette. I ragionamenti di questo libro sfidano le convinzioni delle persone e, data l’importanza dell’argomento, spesso anche il modo in cui vivono la propria vita. Scrivere questo libro con Alfio rappresenta per me un traguardo e l’inizio di una nuova sfida alla mia crescita; so benissimo che mi esporrò alla critica più che in passato: basta fare una ricerca su Internet per trovare, accanto a mille testimonianze che osannano ciò che Alfio insegna, anche delle critiche feroci, spostate addirittura sul piano personale. Non entro nel merito della cosa, ma è ogni volta una piccola «doccia fredda alla mia coscienza» quando lo vedo affrontare le contestazioni come qualcosa di inevitabile e
ricordarmi che non c’è mai nulla di personale in chi vuole distruggere ciò che crei. Portare avanti le proprie convinzioni, quando non avete nessuno che la pensa come voi, quando tutti sono arrabbiati con voi (potrebbe succedere, ve lo assicuro), può impegnarvi moltissimo. Ma se quello è il vostro limite, è un investimento che vi ripagherà con gli interessi, su questo posso darvi ottime garanzie. Perché volete diventare milionari? La risposta dovrebbe essere scontata: per essere ricchi! Invece no. Quasi mai la ricompensa nel raggiungere un obiettivo, nella vita, sta nell’obiettivo raggiunto; quasi sempre, al contrario, la ricompensa consiste in ciò che diventiamo raggiungendolo. La società e i media ci hanno abituati a ragionare in questi termini: Avere Fare Essere Moltissime persone sono abituate a pensare e a ripetere a loro stesse e agli altri: Quando avrò… … allora sì che farò… … e in quel momento sarò… «Quando avrò quel lavoro, farò quella vita e sarò felice!» «Quando avrò quel partner, lo amerò e sarò innamorato!»
«Quando guadagnerò quella cifra, mi comprerò quei beni e sarò ricco!» Avete mai sentito ragionamenti di questo genere? Probabilmente sì. Ma la vita funziona in modo diverso e per diventare ricchi (che per ricchezza intendiate quella definita nelle pagine di questo libro o in qualunque altra accezione, compreso il senso spirituale) dovrete combinare in modo differente questi tre passaggi e più precisamente mutarli in: Fare, Essere, Avere oppure in: Essere, Fare, Avere In sintesi avete due approcci ugualmente validi fra cui scegliere: a) vi concentrate su che cosa potrete «fare» una volta milionari, e cominciate a farlo ora; oppure b) vi concentrate su come «sarete» una volta milionari, e cominciate a esserlo ora. Il passaggio finale, in entrambi i casi, non cambia. Dovete agire adesso. Trovate uno scopo più alto
Se ciò che vi spinge a diventare milionari è solo l’aspettativa di un tenore di vita più alto, grandi ricchezze, belle auto, abitazioni e vacanze da sogno, non dover più lavorare per vivere e passare la vita in vacanza, beh… indipendentemente dai soldi che avrete in banca sarete poveri. E questa è solo la prima buona notizia. Se la vostra motivazione profonda è la ricchezza materiale, con ogni probabilità non riuscirete a diventare ricchi. E questa è la seconda buona notizia. Se nonostante tutto sarete così fortunati da diventare ricchi, mossi unicamente dall’amore per il denaro, potrebbe venirvi un infarto a quarant’anni, e sarebbe la terza buona notizia. In caso contrario, infatti, scoprireste troppo tardi di essere diventati individui deprecabili e poco felici, senza neppure la speranza che i soldi possano cambiare ciò che siete. Sarete spacciati, ecco la cattiva notizia. Ma per tranquillizzarvi, sappiate che questa ultima ipotesi è assai remota: abbiamo intervistato decine di milionari in tutto il mondo e letto le biografie di moltissimi altri, e non abbiamo mai conosciuto, incontrato o visto agire una persona ricca, mossa esclusivamente dalla voglia di possedere beni materiali. Per questo motivo, chiunque studi la psicologia della ricchezza o abbia letto almeno un libro su questo argomento, sorride alla critica mossa da chi ingenuamente domanda: «Se è così ricco, perché non passa il resto della vita in vacanza?» Chi aspetta di avere abbastanza soldi per essere felice, non riuscirà a realizzare nessuno dei due propositi. Che cosa «farete» una volta milionari? La domanda che compone il titolo di questo paragrafo altro non è che un modo differente
di chiedervi «perché» volete diventare ricchi. Ecco alcune delle risposte più frequenti che riceviamo. ☑ Vivere un particolare stato d’animo (serenità, felicità, assenza di preoccupazioni eccetera). ☐ Comprare beni materiali. ☐ Non dover lavorare. ☐ Aiutare gli altri. Segnate quelle che vi riguardano e, se non sono fra queste, aggiungete le vostre risposte. ☐ ______________________________________ ☐ ______________________________________ ☐ ______________________________________ ☐ ______________________________________ ☐ ______________________________________ In realtà, come abbiamo visto quando abbiamo parlato di valori assoluti e relativi, tutte queste risposte altro non sono che uno stato d’animo; per questo motivo la prima voce della lista è già stata spuntata: è valida per chiunque, indipendentemente dalle altre risposte. Se non vi è chiaro lo ripetiamo: siete voi e non la quantità di denaro che avete a permettervi di essere come desiderate. L’immenso dono che vi riserverà questo cammino di crescita ancora non potete conoscerlo: dovrete prima percorrerlo. Ma per farlo occorrono solide basi e uno scopo preciso. Nessuno intraprenderebbe un cammino tanto intenso come quello per la ricchezza
spinto unicamente dal desiderio di «sorseggiare Cristal nella propria spiaggia privata», anche se comprendiamo benissimo come possa trattarsi di una visione piacevole. La prima cosa da scoprire sono le vostre motivazioni profonde, cioè quelle che date a voi stessi, quando vi immaginate milionari, dopo l’estasi delle prime risposte «sfiziose». Leggete le seguenti domande e, passata l’immediatezza del momento, continuate ad aggiungerne altre, vi accorgerete probabilmente, nel farlo, di avere ben altre ragioni a spingervi, che non spendere una vita a «caviale e champagne». • Che cosa significherebbe per voi essere ricchi? • Che cosa fareste avendo tantissimi soldi, da non poterli quasi spendere tutti? • Con chi condividereste la vostra ricchezza? • Se doveste spendere un’immensa ricchezza tutta in una volta, come lo fareste? • Se poteste insegnare una cosa sola sul denaro a vostro figlio, e quel messaggio lo segnasse a vita, che cosa gli direste? • Qual è la cosa migliore del denaro? • Che cosa significherebbe per voi essere poveri? • Qual è la cosa peggiore di non avere denaro? • Come cambierebbe la vostra vita, se diventaste ricchi ora? • Qual è la prima cosa che fareste se diventaste ricchi ora? • In ultima analisi, che cosa significa per voi essere ricchi? Scavare, per credere Il cammino verso la ricchezza non è necessariamente un cammino spirituale, ma può
diventarlo e vi esortiamo caldamente a far sì che ciò accada. Vogliamo condividere con voi un’antichissima favola orientale, che esprime con la semplicità dei racconti questo concetto. Probabilmente l’avrete sentita molte volte, perché è una storia araba, che è stata tramandata in molti modi e ha fatto la fortuna di romanzieri e musicisti,* senza che però ne venissero mutati il significato e la bellezza originale, anzi, di volta in volta accrescendoli. Ve la racconteremo in una forma che è la nostra, voi potete raccontarla nella vostra versione, ogni volta che volete: Yamir Youssef viveva al Cairo, e tutte le notti faceva lo stesso sogno. Sognava di un uomo che gli diceva: «Yamir, la tua fortuna è a Teheran. Tu devi partire, e andare a Teheran». Passò una settimana, un mese, un anno e sempre lo stesso sogno. Finalmente Yamir prese il fagottino e partì. Arrivò a Teheran sull’imbrunire, nello stesso momento in cui nella piazza dove si trovava arrivavano dei briganti. I briganti rapinarono tutti, lasciarono persino tre o quattro morti in giro e scapparono. Quando giunse la polizia c’era solo Yamir, come uno sciocco, in mezzo alla piazza. La polizia lo arrestò, lo prese a legnate per tre giorni, non lo fece mangiare; dopo una settimana arrivò il capitano per interrogarlo. Il capitano era comprensivo, ascoltò la storia di Yamir e disse: «È colpa del sogno, Yamir! Ma tu non devi credere ai sogni: i sogni sono delle falsità, delle bugie... pensa che io è un anno che sogno un giardino con una meridiana, e dietro la meridiana un pozzo, e dietro il pozzo un cespuglio, e dietro il cespuglio un immenso tesoro. Se avessi creduto a quel sogno, sarei partito a cercarlo, invece no: non devi pensarci. Ti vedo molto male: adesso ti faccio curare e poi ritorni a casa». Infatti, dopo una settimana Yamir, un po’ ritemprato tornò a casa. Andò subito nel suo giardino, e passò la meridiana, passò il pozzo, passò il cespuglio e trovò il tesoro.
Questa parabola ha molti significati. Uno di questi è che, a volte, siamo seduti sul nostro tesoro; ma abbiamo bisogno di intraprendere un viaggio alla ricerca di ciò che crediamo sia la vera ricchezza, per rendercene conto. E solo allora possiamo tornare a casa, scavare e trovare il vero tesoro che è dentro di noi. La costruzione della propria libertà finanziaria è uno splendido modo per percorrere quel cammino; per ricordarsi a volte che ciò che cerchiamo fuori da noi è già in nostro possesso ed è dentro di noi.
Dalla scrivania di Alfio… Oggi, dopo tanti anni, credo che uno dei motivi per cui faccio il coach finanziario derivi proprio dal fatto che nei momenti di crisi avrei voluto avere vicino qualcuno che mi potesse consigliare, che avesse le giuste capacità tecniche e finanziarie e che fosse in grado di guidarmi verso una strada che non riuscivo a trovare da solo. Un giorno venne in coaching da me una persona terrorizzata al solo pensiero di poter perdere tutti i propri soldi. Era un manager che aveva investito un’eccellente liquidazione in modo diciamo troppo «aggressivo». Decisi allora di spiegargli come rendere le sue operazioni meno rischiose e come avrebbe potuto controllarle meglio. Quello che mi colpì particolarmente fu il legame che aveva creato tra la paura di un eventuale fallimento economico, la sua identità e conseguentemente la sua autostima. Per me fu subito chiaro che, oltre alle informazioni tecniche, era importante fargli capire che valeva come persona, indipendentemente dai soldi posseduti; se anche fosse successo il peggio e avesse perso ogni cosa, avrebbe imparato qualcosa da quell’esperienza estremamente
importante, come del resto è accaduto anni fa anche a me. Quando scavai per trovare il motivo di tanta insicurezza, emerse come causa il timore di essere giudicato dal padre. Noi esistiamo e «siamo» indipendentemente dai soldi che possediamo. Il denaro è solamente il mezzo con cui esprimiamo noi stessi e la nostra personalità. La felicità si ha quando si è connessi con la nostra essenza e viviamo il nostro «adesso». Il cammino verso la libertà finanziaria è solo uno dei molti percorsi a nostra disposizione per crescere. Dagli appunti di Lorenzo… Amo troppo la vita, il divertirmi coi miei amici, l’arte, lo sport e la meditazione, per restarmene in ufficio fino a tardi solo per fare soldi. Attualmente sto gestendo alcune nuove aziende appena fondate. Qualunque imprenditore vi potrà raccontare di quanto siano difficili certi momenti in cui i problemi e i dubbi sembrano più grandi di noi: la responsabilità di sapere che gli stipendi di dipendenti, fornitori e investitori dipendono da noi e dalle nostre capacità personali, può rappresentare un peso enorme, un fardello pesantissimo da portare. Ogni imprenditore che si rispetti ha passato dei periodi particolarmente «sfidanti», con qualche pensiero un po’ meno piacevole di altri prima di addormentarsi. Questi momenti si affrontano grazie alle nostre motivazioni profonde, al senso più alto e spirituale che diamo alla ricchezza. Quei significati, per me, si traducono nel poter aiutare i miei cari, la mia famiglia e le persone che mi sono vicine. Un altro motivo che mi spinge, anche se è secondario, è la voglia di cambiare la mentalità del mio Paese: vedo l’Italia schiacciata tra due culture, quella della furbizia e del malaffare, contrapposta a quella del «diritto» in cui tutto è dovuto e la responsabilità
per la propria condizione diventa sempre una conseguenza delle colpe di altri. Credo che, nel suo piccolo (o nel suo grande), ognuno di noi sia tenuto a confrontarsi con personaggi come Gandhi o Mandela, che hanno pensato di poter cambiare le cose e, grazie a impegno massiccio e comportamento esemplare, ci sono riusciti. E voglio fare il possibile per vivere secondo questo principio. Io sono… Non c’è alcun modo giusto di completare la frase che avete appena letto. Non esiste neppure un modo sbagliato. L’unico sistema «corretto» di definire noi stessi è quello in cui decidiamo di credere. Nessuno può farci sentire in un determinato modo, senza il nostro consenso. Non esiste un modo in cui siamo «fatti», esiste solo una serie di comportamenti reiterati nel tempo, i nostri stati d’animo, i significati che attribuiamo agli eventi e le convinzioni che decidiamo di alimentare. Ciò che pensiamo di noi deriva dalle nostre esperienze, reali o immaginate che siano non ha importanza, e da ciò che ci hanno raccontato, cioè dalle esperienze che altri ci hanno riportato. Eppure si formano in noi delle precise identità, come mai? Perché alcune persone sono convinte di essere brave in matematica nonostante debbano sbagliare dieci volte prima di riuscire in un esercizio, mentre altre si arrendono al secondo tentativo concludendo di non essere portati per i calcoli? Semplice: comincia tutto da come nutriamo noi stessi.
Un vecchio capo indiano raccontava ai bambini davanti al fuoco: «Ci sono sempre due lupi in lotta dentro di me, uno è cupo, torvo e cattivo, l’altro è sereno, amabile e buono». A quel punto una bellissima bambina chiese: «Quale dei due lupi vincerà?» «Quello a cui darò da mangiare», rispose l’anziano capo. L’identità è una convinzione che abbiamo riguardante noi stessi. Abbiamo convinzioni circa le nostre «possibilità», ovvero ciò che possiamo o non possiamo fare, le nostre capacità o incapacità; e convinzioni riguardanti il nostro «essere», cioè come «siamo fatti». Ricordate quando, nel secondo Pilastro, abbiamo parlato delle abitudini dei ricchi? Abbiamo detto che gli esseri umani sono abitudinari, che imparano attraverso la ripetizione e rendono automatici e inconsci tali gesti. Qualunque cosa riteniate di saper fare, avete quella convinzione perché avete creato un’abitudine nel farla: cioè avete reiterato nel tempo abbastanza a lungo un dato comportamento da renderlo automatico e ciò porta la vostra mente a pensare che sia «naturale», ma in realtà non lo è: è qualcosa che avete acquisito. Tuttavia in voi si è creata una precisa convinzione proprio in merito alle vostre possibilità o su come siete fatti. Secondo un principio neurologico, alla vostra mente occorrono circa ventuno giorni per trasformare un comportamento in abitudine, cioè per creare una «traccia» tra le interconnessioni dei neuroni. Quando un comportamento produttivo, reiterato nel tempo, diventa abitudine si è in presenza di quel prezioso fenomeno denominato «apprendimento». Nasce in questo modo in noi la convinzione di essere in grado di fare quella determinata cosa. Purtroppo, quando avviene l’opposto e cioè quando il comportamento appreso è
improduttivo, il processo di apprendimento viene portato a termine comunque e nasce «l’incapacità appresa». Nasce cioè in noi un’identità precisa su che cosa non siamo (né «saremo mai») in grado di fare. È il tipico caso di tutti coloro che non si sentono «portati per qualcosa» pur avendo tutti gli strumenti per riuscire: persone che si credono «stonate» e non cantano in pubblico oppure che si definiscono «non portate per i computer» e si rifiutano persino di provare a inviare una semplice email. La buona notizia è che questo processo è del tutto naturale, quindi per cambiare una convinzione in merito a come siete o cosa siete o non siete in grado di fare non dovete fare altro che impegnarvi a modificare i vostri pensieri e il vostro comportamento nello stesso modo in cui l’avete creato. Il gesuita Anthony De Mello, nel suo famoso libro Messaggio per un’aquila che si crede un pollo (Piemme, 1996), riassume questo concetto con una storia alquanto bizzarra di aquile e polli… Un uomo trovò un uovo d’aquila e lo mise nel nido di una chioccia. L’uovo si schiuse contemporaneamente a quelle della covata e l’aquilotto crebbe insieme ai pulcini. Per tutta la vita l’aquila fece quel che facevano i polli nel cortile… convinta di essere uno di loro. Frugava il terreno in cerca di vermi e insetti, chiocciava e schiamazzava, scuoteva le ali alzandosi da terra solo pochi centimetri Trascorsero gli anni e l’aquila divenne molto vecchia. Un giorno vide sopra di sé, nel
cielo sgombro di nubi, uno splendido uccello che planava, maestoso ed elegante, in mezzo alle forti correnti d’aria, muovendo appena le robuste ali dorate dal sole. La vecchia aquila alzò lo sguardo stupita. «Chi è quello?» chiese. «È l’aquila, il re degli uccelli!» rispose il suo vicino. «Appartiene al cielo. Noi, invece, apparteniamo alla terra perché siamo polli!» E così l’aquila visse e morì come un pollo, perché pensava di essere tale. Tutti noi siamo aquile, potenzialmente. E possiamo decidere ora di sentirci aquile. Ma per essere aquile occorre volare in alto, spiegare le ali e accettare che potremmo cadere. Raccontarsi di essere un’aquila non basta, dobbiamo cominciare ora a creare la nostra identità di aquila, o di milionario, nel nostro caso. Volete diventare milionari per aiutare gli altri? Cominciate a farlo ora: non costa nulla. Fatelo coi piccoli gesti che non si notano, nel modo in cui ascoltate le persone, rispondete a un sorriso, giocate coi vostri figli o parlate col vostro partner anche se avreste tutta la voglia di fare altro, magari di riposarvi. Coltivate il milionario che è dentro di voi, anche se ancora non ha abbastanza soldi per realizzare le grandi differenze, insegnategli a cominciare dalle piccole cose. Se sognate di costruire un ospedale o scavare un pozzo per un villaggio in Africa (ci vuole molto meno denaro di quanto si pensi in realtà),* cominciate con l’adottare un bambino a distanza o a finanziare un capofamiglia. Non fate azioni sporadiche: se il vostro scopo più alto per la ricchezza è di poter aiutare gli altri, fatelo da ricchi! Create società trovando investitori che le finanzino: è lo stesso
procedimento che attuerete per i vostri progetti, cambierà solo (forse) il «core business».
Dalla scrivania di Alfio… Ho un caro amico, un imprenditore di successo, che ha trasformato in una «azienda» il processo di raccolta di fondi per aiutare migliaia di bambini. Lo ha potuto fare perché ha sviluppato identità da imprenditore e come imprenditore ha deciso di aiutare chi è nato in Paesi e in condizioni svantaggiate. Come abbiamo consigliato per i vostri risparmi, «investite» sistematicamente parte di ciò che guadagnate in opere di beneficenza: basta anche solo il 5% per fare la differenza. Informatevi sui ricchi: in proporzione donano molto di più di chi guadagna uno stipendio medio, studiatene la vita e scoprirete che è un’abitudine appresa quando ricchi non erano ancora. La generosità porta ricchezza, l’avarizia, povertà. Perché volete diventare ricchi? Scegliete il vostro significato più alto e mettetelo in pratica ora. Dagli appunti di Lorenzo… A volte, nella vita, ci troviamo a dover scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è conveniente e la decisione che prenderemo ci rivelerà ciò che siamo davvero: se persone di carattere o cinici calcolatori. Più avrete a che fare col denaro, più frequentemente vi troverete di fronte a situazioni che metteranno alla prova i vostri principi morali. Nessun
cammino, come quello costellato di ricchezze, rivela ciò che siamo veramente. È questo pensiero che dà un senso più alto a ciò che faccio.
Piano d’azione Pilastro n. 5 - Spiritualità Check point ✓ Passate in rassegna i precetti della vostra «spiritualità» legati al denaro: generano comportamenti di abbondanza o privazione? «To do» list… ✓Fate un esame di coscienza: datevi uno «scopo più alto» e agite per raggiungerlo. ✓ Donate almeno il 5% di ciò che guadagnate in beneficenza. A meno che non viviate sulla soglia della povertà, potrete permettervelo e si tratta di un investimento che vi ripagherà più di quanto crediate.
* L’Alchimista di Paolo Coelho ne è un esempio, mentre una versione splendida è contenuta nell’album Canzoni e cicogne di Roberto Vecchioni. * Il costo di costruzione di un pozzo nel deserto del Sinai, per esempio, oscilla dai 500 ai 5.000 euro.
Conclusioni
Ritratto delle persone che ignorano i 5 Pilastri Hanno problemi finanziari e li avranno sempre, indipendentemente da quanto guadagnano. Hanno smesso di sognare per non dover pagare il prezzo dei loro sogni. Si aspettano che accadano eventi negativi, credono nella fortuna e nella casualità e pensano che la loro vita sia controllata da forze che non dipendono da loro. Tentano a tutti i costi di evitare delusioni e fallimenti e siccome visualizzano disastri, mentalmente attirano disastri. Hanno la sensazione di fallire anche a livello emozionale, non hanno entusiasmo e si annoiano; si focalizzano su cose senza importanza e perdono tempo: sono vendicativi, accusano gli altri e prendono le cose a livello personale. Sono pigri, male informati, egoisti, avari, impazienti e vaghi; non si sforzano per raggiungere i loro obiettivi e procrastinano. Sono reattivi rispetto agli eventi: aspettano che le cose succedano e agiscono tardi; non pianificano e quando lo fanno lasciano per ultime le cose importanti. Non portano a termine quello che hanno iniziato. Utilizzano il tempo come scusa. Frequentano persone che vivono alla giornata o quasi, con le quali parlano di problemi e di guai, utilizzando un linguaggio vittimistico zeppo di espressioni che esprimono vaghezza come «ci provo» o «speriamo».
Hanno scarsa stima di sé e considerano poco importanti la salute e la ricchezza, e utilizzano droghe come le sigarette, l’alcol o il cibo per gestire i loro stati d’animo. Hanno credenze che li limitano, inoltre temono il cambiamento e lo combattono: non sono flessibili ma rigidi, si aggrappano alle loro credenze e giustificano il loro status quo. Hanno fermato il loro processo di apprendimento e di crescita ai tempi della scuola: non studiano, leggono meno di cinque libri l’anno, non hanno mai ascoltato un cd motivazionale e non frequentano corsi perché sono «americanate». La loro cultura e le loro informazioni derivano soprattutto dalla televisione, dalle notizie, specie sportive. Si rifiutano di chiedere aiuto e pensano di sapere ogni cosa. Non appena vengono a contatto con qualcosa che potrebbe cambiare in meglio la loro vita, si chiedono che cosa ci sia sotto o la criticano. Vogliono tutto e subito, senza sforzo. Ritratto delle persone che padroneggiano i 5 Pilastri Sono milionari o i futuri milionari. Sognano, identificano il prezzo da pagare per i loro sogni e lo pagano: immediatamente, senza rimpianti, scuse o esitazioni. Si focalizzano sui propri obiettivi: come bambini, visualizzano loro stessi felici e giudicano i loro risultati perfetti, così come i tentativi infruttuosi intrapresi per raggiungerli. Si aspettano che accadano eventi positivi e, proprio perché considerano inevitabili imprevisti e contrattempi, ritengono di avere il pieno controllo della loro vita gestendoli. Non avendo paura di pronunciare la parola «successo», visualizzandolo mentalmente, attirano il successo. Hanno la sensazione di ottenere risultati perfetti anche a livello emozionale: non hanno credenze che li limitano e continuano a imparare e crescere. Con gli amici e con loro stessi parlano di «sfide» e «opportunità»: non utilizzano un linguaggio vittimistico bensì motivante e
accettano il cambiamento come inevitabile. Utilizzano l’espressione «io sono» associata a definizioni positive e potenzianti. Pensano che ogni cosa accada per una ragione precisa e ne accettano tutta la responsabilità. Gestiscono il tempo efficacemente: pianificano azioni verso l’obiettivo, sono proattivi, fanno succedere le cose e agiscono ora. Fanno liste, non solo mentali, chiedono aiuto, ascoltano gli altri; sono flessibili e sanno adattarsi. Perdonano e dimenticano, specie perché non hanno tempo di rimuginare sul passato. Separano la situazione dalla persona, mettono in discussione le loro credenze, si sforzano di essere generosi, pazienti e comunicatori efficaci. Sono ben informati e studiano: leggono libri di crescita personale, frequentano corsi e ascoltano cd motivazionali, ma soprattutto frequentano persone di successo. Hanno alta stima di sé e perciò considerano la salute e la ricchezza fattori importantissimi nella loro vita. Sprizzano di energia, sono eccitati ed entusiasti. Fanno gli sforzi necessari per raggiungere i propri obiettivi, ma soprattutto compiono azioni mirate fissando priorità specifiche. Dove sarete? Rispondete semplicemente a queste domande. • Dove volete essere dal punto di vista economico e finanziario a 2 anni e 7 mesi da oggi? • In che situazione finanziaria vi trovate attualmente? Facendo riferimento agli schemi di questo libro, quali sono, attualmente, i vostri asset materiali e immateriali?
• In quali delle caratteristiche che formano i 5 Pilastri della ricchezza siete più carenti e quali avrete bisogno di incrementare per raggiungere i vostri obiettivi nei prossimi 31 mesi? ☐ Ambiente ☐ Abitudini ☐ Capacità ☐ Strumenti ☐ Spiritualità • A quanto ammonta, a oggi, il vostro bilancio patrimoniale? • Confrontatelo con i vostri obiettivi finanziari per i prossimi 2 anni e 7 mesi: a quanto corrisponde il gap?* • Quali strumenti per la ricchezza avete deciso di utilizzare per colmare questo gap? ☐ Investire in opzioni ☐ «Tradare nel mercato» Forex ☐ Investire in immobili ☐ Iniziare un’attività di network marketing ☐ Avviare business su Internet ☐ Avviare un’azienda
Avete capito perché non siete ancora ricchi? Prendetevi cinque minuti per una breve autovalutazione e compilate la tabella riportata qui a fianco. Assegnate un valore compreso tra 1 e 2 a ogni elemento indicato. Valgono, ovviamente, tutti i valori decimali dell’intervallo fra 1 e 2. N. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19
Elementi
Punteggio Vostro Alfio Lorenzo capacità di relazionarsi 1,8 1,8 capacità di negoziare 1,7 1,8 capacità di gestire paura e avidità 1,8 1,8 conoscenza del diritto 1,9 1,6 conoscenza dei bilanci 1,9 1,6 conoscenza di marketing o vendite 1,8 1,8 abitudine a investire in formazione 2 1,9 convinzioni potenzianti sul denaro 1,9 1,8 capacità di sfruttare la leva finanziaria 1,8 1,8 capacità di redigere e leggere business plan 2 1,7 abitudine e capacità di redigere il proprio cash flow mensile 1,7 1,7 disposizione a non possedere la casa di proprietà e a vivere in affitto 2 1,5 abitudine e capacità di creare entrate extralavorative 2 1,7 abilità nell’investire in Borsa 1,9 1,6 abilità nell’investire nel Forex 1,9 1,4 abilità nell’investire in immobili 1,9 1,8 abilità nel network marketing 1,6 1,7 abilità nell’Internet money 1,8 1,7 abilità imprenditoriali e aziendali 1,7 1,7
20
presenza di una spiritualità da «milionario illuminato» TOTALE =
1,7 1,9 190.072,72 45.886,77
Il totale si ottiene moltiplicando fra loro i venti punteggi che vi siete assegnati. Il totale delle vostre potenzialità ammonta a 1.048.576 (cioè 220 = il punteggio massimo di 2 moltiplicato per 20). Attualmente quanto state sfruttando di questo potenziale? Calcolatelo in questo modo. [Vostro punteggio totale / Potenzialità totali (1.048.576)] x 100 Ecco ottenuto, in percentuale, il rapporto fra le vostre capacità attuali e le potenzialità massime. Ciò che dovete fare è puntare al 100%, e colmare quel gap migliorando le aree più deboli. Come noterete, un miglioramento minimo, anche di 0,1, porta a un incremento geometrico e non lineare delle vostre abilità. Se siete sotto l’1% dovete lavorare seriamente e duramente su tutte queste aree. Ecco perché non siete ancora ricchi! * Cioè la differenza tra la situazione attuale e quella desiderata.
Ringraziamenti
NELL’ARCO della vita, quando una freccia viene spostata anche solo di un millimetro, questa freccia andrà in una direzione diversa, totalmente diversa. Ed è esattamente quello che è successo a noi. Abbiamo potuto realizzare questo libro perché siamo entrati in contatto con persone che ci hanno spronato a diventare migliori di come eravamo, a imparare di più, a non sentirci mai totalmente appagati, a pretendere da noi stessi il massimo.
Dalla scrivania di Alfio… Quando scrivi un libro ci sono molte persone da ringraziare perché sono state, nel bene e nel male, tra i tuoi maestri di vita. Ringrazio i nuovi componenti della mia squadra ABTC Srl e in particolare Pietro Geroni, direttore commerciale di ABTC Srl, e Federica Parigi. La mia assistente personale Mariangela Brussolo. Grazie a mia figlia Arianna e a Sara, che illuminano i miei momenti di serenità e sono fonte inesauribile di gioia. È da poco che sono diventato padre: mi sono reso conto che non sono i genitori a
far diventare adulti i figli ma i figli a far diventare adulti i genitori. Grazie a Lorenzo, che è riuscito a seguirmi nei miei mille impegni e ha contribuito in maniera sostanziale all’uscita del libro, e a Elena Maraschi ed Enrico Racca per il loro impegno e la dedizione all’uscita del libro.
Dagli appunti di Lorenzo… Grazie a mio padre, che mi ha sempre ripetuto che «la mia generazione il lavoro avrebbe dovuto inventarselo» e che «non importa ciò che fai, importa come lo fai»; grazie a mia madre, che mi ha insegnato a mettere amore in ogni cosa che faccio e che tratta ogni giorno con energumeni arrabbiati e a volte maleducati, rimettendoli a posto con un sorriso; grazie a mia sorella, che affronta le sfide di ogni giorno crescendo due bambini stupendi: come imprenditore, ho imparato molto da lei; grazie al mio socio Gianluca Massini Rosati, con cui ogni giorno condivido successi e «lezioni» che la vita ci riserva. Grazie a me stesso, perché se ripenso alla strada percorsa, se mi guardo indietro, mi piace quello che vedo. Grazie ad Alfio, che mi ha invitato a partecipare alla stesura di questo suo terzo libro. Un saluto finale In ultimo, vorremmo che vi ricordaste una cosa. Indipendentemente da quanto possiede, una persona che è grata di quello che ha, è sempre una persona felice.
Vorremmo che spendeste un secondo, adesso, prima di richiudere questo libro, per dedicare un pensiero a voi stessi. Quali sono le cose per cui siete veramente grati nella vostra vita? Quali sono le cose per le quali vi dovete ringraziare? Troppo spesso ci dimentichiamo di ringraziare noi stessi, travolti nella spirale degli eventi. Immaginate la fine di questo libro come l’inizio di una nuova avventura, come il ritorno a casa dopo essere stati in una terra sconosciuta: dopo aver letto tante informazioni, aver riflettuto, vorremmo che focalizzaste la vostra attenzione su quali sono stati i momenti magici nella vostra vita. Quando ci guardiamo indietro, dobbiamo ricordare soprattutto i momenti magici. Quali sono i momenti magici della vostra vita? Che cosa fate per creare momenti magici per voi stessi e per le persone che vi stanno accanto? Pensiamo che sia questo il più grande potere della ricchezza: poter creare momenti magici per gli altri. E il regalo più bello è quello di guardare negli occhi delle persone alle quali fate vivere quei momenti. Lo sforzo che una persona fa per raggiungere un risultato incredibile sparisce quando si ottiene un risultato ancora più grande. L’abilità di disciplinarsi, e di rimandare le piccole gratificazioni immediate in cambio di gratificazioni immensamente più grandi nel futuro. Vorremmo che prendeste del tempo per voi, ora, e cominciaste a programmare dei
momenti magici da vivere. Progettate momenti magici per la vostra vita e per quella delle persone che vi stanno a cuore. Cominciate ORA. Cominciate da VOI. E non smettete PIÙ. Alfio e Lorenzo
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Per proseguire il viaggio
ORA che sapete che cosa fare esattamente per rivoluzionare la vostra situazione, come pensate di proseguire il viaggio verso la Libertà Finanziaria™? Qual è il momento migliore per agire? La risposta è semplice: il momento migliore per agire è sempre adesso. Cominciate da subito ad applicare ciò che vi abbiamo spiegato, condizionate il vostro ambiente, trasformate gli stati d’animo legati al denaro, trovate nuove abitudini, appropriatevi degli strumenti e delle abilità che vi condurranno al successo. Per aiutarvi nel percorso, abbiamo preparato uno spazio esclusivo riservato ai nostri lettori, ricco di contenuti, esercizi pratici e aggiornamenti. Andate sul sito www.2Anni7Mesi.com, inserite il codice 2Anni7Mesi e scoprite il regalo che vi attende. Alla vostra Libertà Finanziaria! Alfio Bardolla e Lorenzo Ait
Gli autori
Alfio Bardolla - Fondatore e master trainer della Alfio Bardolla Training Company, è l’unico financial coach in Italia che guida i propri corsisti a pianificare e conseguire obiettivi finanziari ambiziosi, volti a raggiungere la Libertà Finanziaria™. I suoi corsi vertono sulla crescita personale finanziaria, sugli investimenti finanziari, immobiliari e sulla creazione di impresa. Ha applicato personalmente i concetti di gestione del denaro, diventando un investitore nel settore immobiliare e nel trading di opzioni, raggiungendo l’indipendenza finanziaria già a trentatré anni. Dopo la laurea in Economia Bancaria, Finanziaria e Assicurativa presso l’Università Cattolica di Milano, ha integrato le proprie conoscenze studiando con i più grandi trainer del mondo, quali Robert Kiyosaki, Brian Tracy, Robert Allen, George Fontanills, Donald Trump. Si è specializzato in Neuro Linguistic Programming studiando con i massimi esperti di questa disciplina. Per Sperling & Kupfer ha pubblicato I soldi fanno la felicità e L’arte della ricchezza, divenuti bestseller nel settore della finanza personale e la psicologia del denaro. Alfio Bardolla si dedica da anni e con passione alla professione di personal e financial
coach, seguendo personalmente centinaia di persone, tra cui imprenditori, manager e sportivi. Il suo sito è www.alfiobardolla.com Lorenzo Ait - Laureato in Scienze della Comunicazione, Master in PNL, ha approfondito i suoi studi con i maggiori esponenti internazionali nel campo della comunicazione interpersonale, collaborando direttamente con l’antropologa Cecilia Gatto Trocchi, nello studio delle sette e dei gruppi di pensiero e la loro influenza nella società. È coautore della prima trasmissione tv di self help nel panorama italiano. Formatore e personal coach, utilizza le sue conoscenze nel campo della comunicazione e della Programmazione Neurolinguistica per aiutare sportivi, manager, studenti, imprenditori e persone di ogni stampo e categoria sociale a ottenere nella propria vita maggiori risultati con più divertimento. La sua professione lo porta spesso a ricoprire ruoli differenti: è consulente aziendale, autore di saggistica e, parallelamente, si occupa di pianificazione e avviamento di start up aziendali. Per Sperling & Kupfer ha pubblicato Idiozie geniali. Il suo sito è www.lorenzoait.it
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