Matematica

March 10, 2017 | Author: Antonio Bevilacqua | Category: N/A
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matematica...

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M AT E M AT I C A 1 dipartimento di matematica

ITIS V.Volterra San Donà di Piave Versione [09/2008.1][S-All]

INDICE

i algebra 1 1 algebra0 2 1.1 Introduzione 2 1.2 Insiemi numerici 2 1.3 Operazioni e proprietà. Terminologia 2 1.4 Potenze ad esponente naturale ed intero 4 1.5 Massimo comun divisore e minimo comune multiplo tra numeri naturali 5 1.6 Espressioni aritmetiche 5 1.7 Esercizi riepilogativi 9 2 insiemi 11 2.1 Introduzione 11 2.2 Rappresentazioni 11 2.2.1 Rappresentazione per elencazione 11 2.2.2 Rappresentazione per proprietà caratteristica 12 2.2.3 Rappresentazione grafica di Eulero-Venn 14 2.3 Sottoinsiemi 15 2.4 Operazioni 17 2.4.1 Intersezione 17 2.4.2 Unione 18 2.4.3 Differenza 18 2.4.4 Differenza simmetrica 19 2.4.5 Complementare 20 2.4.6 Prodotto cartesiano 21 2.5 Esercizi riepilogativi 24 3 monomi 27 3.1 Introduzione 27 3.2 Monomi 27 3.3 Operazioni tra monomi 29 4 polinomi 31 4.1 Polinomi 31 4.2 Operazioni 32 4.3 Prodotti notevoli 33 4.4 Divisione 36 4.5 Divisione con la Regola di Ruffini 39 4.6 Esercizi riepilogativi 42 5 scomposizioni 45 5.1 Scomposizioni 45 5.2 Sintesi 53 5.3 Massimo comun divisore e minimo comune multiplo di polinomi 54 5.4 Esercizi riepilogativi 55 6 frazioni algebriche 57 6.1 Frazioni algebriche 57 6.2 Operazioni 58 6.3 Esercizi riepilogativi 63 7 equazioni 65 7.1 Introduzione 65 7.2 Risoluzione di equazioni in una incognita 67 7.3 Equazioni di primo grado 71 7.4 Particolari equazioni riconducibili a quelle di primo grado 76

ii

indice

7.5 7.6

Problemi di primo grado 79 Esercizi riepilogativi 82

ii geometria 85 8 logica elementare 86 8.1 Concetti primitivi e definizioni 87 8.2 Postulati e teoremi 88 9 postulati di appartenenza 90 10 postulati dell’ordine 93 10.1 Postulato della relazione di precedenza 93 10.2 Postulato di densità della retta 93 10.3 Postulato di illimitatezza della retta 95 10.4 Postulato di partizione del piano 96 11 postulati di congruenza 97 11.1 Il movimento rigido e la congruenza tra figure 97 11.2 Postulati di congruenza 97 12 i criteri di congruenza per i triangoli 106 12.1 Definizione e classificazione dei triangoli 106 12.2 I criteri di congruenza dei triangoli 108 12.3 Esercizi 110 13 teoremi di caratterizzazione dei triangoli isosceli 13.1 Il primo teorema dell’angolo esterno 113 13.2 Teoremi sulla disuguaglianza triangolare 114 13.3 Le simmetrie centrale e assiale 116 13.4 Esercizi 119 14 perpendicolarità 120 14.1 Definizioni e prime applicazioni 120 14.2 Ulteriori proprietà dei triangoli isosceli 121 14.3 Costruzioni con riga e compasso 124 14.4 Luoghi geometrici 127 15 parallelismo 131 15.1 Definizioni e V postulato di Euclide 131 15.2 Rette tagliate da una trasversale 132 15.3 Criteri di parallelismo 133 15.4 Teorema degli angoli interni di un triangolo 136 15.5 Esercizi 138 16 quadrilateri notevoli 139 16.1 Il trapezio 139 16.2 Il parallelogramma 141 16.3 Il rombo 146 16.4 Il rettangolo 148 16.5 Il quadrato 150 16.6 I teoremi dei punti medi 151 16.7 Esercizi 154 iii contributi

156

111

iii

ELENCO DELLE FIGURE

E L E N C O D E L L E TA B E L L E

iv

Parte I ALGEBRA

1

ALGEBRA0

1.1

introduzione

In questo capitolo vengono richiamati e sintetizzati i principali argomenti di aritmetica affrontati alla scuola media, prerequisiti indispensabili per affrontare il nuovo corso di studi. 1.2

insiemi numerici

Distinguiamo i seguenti insiemi numerici le cui notazioni e rappresentazioni saranno sviluppate nel capitolo sugli insiemi. Insieme dei numeri naturali: N = {0, 1, 2, 3, ··} Insieme dei numeri interi: Z = {0, 1, −1, 2, −2, ··} Insieme dei numeri razionali: Q = {frazioni con denominatore diverso da zero} Osservazione 1.2.1. • Ogni numero intero è anche un razionale in quanto si può pensare come una frazione con denominatore uno. • Ogni numero razionale può essere scritto in forma decimale esegendo la divisione tra numeratore e denominatore. Viceversa, un numero decimale finito o illimitato periodico può essere scritto sotto forma di frazione(frazione generatrice) utilizzando le regole studiate alla scuola media che vengono proposte nei seguenti esempi: 235 47 2, 35 = = 100 20 12 3 0, 012 = = 1000 250 531 59 536 − 5 5, 36 = = = 99 99 11 1328 − 132 1196 598 13, 28 = = = 90 90 45 19 − 1 18 = = 2 (!) 1, 9 = 9 2 1.3

operazioni e proprietà. terminologia

Le operazioni tra numeri e le relative proprietà possono essere riassunte nella seguente tabella:

2

1.3 operazioni e proprietà. terminologia

3

OPERAZIONI

TERMINI

RISULTATO

PROPRIETA’ PRINCIPALI

addizione

addendi

somma

commutativa, associativa

sottrazione

minuendo/sottraendo

differenza

moltiplicazione

fattori

prodotto

commutativa, associativa, distributiva, legge di annullamento del prodotto *

divisione

dividendo/divisore

quoziente

distributiva

*Legge di annullamento del prodotto: il prodotto di fattori è nullo se e solo se è nullo almeno uno di essi. Osservazione 1.3.1. In una divisione il divisore deve essere diverso da zero; se ciò non accade l’operazione è priva di significato. E’ opportuno ricordare che, oltre alla divisione il cui quoziente è un numero decimale, esiste anche la divisione euclidea (la prima incontrata alle scuole elementari), così definita: Definizione 1.3.1. Eseguire la divisione P : D significa determinare due numeri Q (quoziente) ed R (resto) tali che P = D·Q+R

con

R m

• (an )m = an·m • an · bn = (ab)n • an : bn = (a : b)n

con b 6= 0

Per convenzione si assume a0 = 1 purchè a 6= 0; ciò estende la seconda proprietà al caso n = m infatti a0 = an−n = an : an = 1 1 Per convenzione si assume che a−n = n purchè a 6= 0; ciò, oltre che dare a significato alle potenze con esponente intero, è compatibile con le proprietà ed 1 estende la seconda al caso n < m infatti: a−n = a0−n = a0 : an = 1 : an = n a Esempio 1.4.2. • 2−3 =

1 1 = 8 23

 −2 3 1 1 49 • − =  2 = = 9 7 9 3 − 49 7  −3  3 3 2 8 • − = − =− 2 3 27  −1 6 13 • = 13 6 Osservazione 1.4.1. • Dalla definizione di potenza e dalle convenzioni assunte si deduce che la potenza 00 è priva di significato. • La potenza di un numero diverso da zero con esponente pari è sempre positiva, quella con esponente dispari mantiene il segno della base.

4

1.5 massimo comun divisore e minimo comune multiplo tra numeri naturali

1.5

massimo comun divisore e minimo comune multiplo tra numeri naturali

Definizione 1.5.1. Un numero naturale si dice primo se è diverso da 1 ed è divisibile solo per se stesso e per 1. Definizione 1.5.2. Un numero naturale si dice scomposto in fattori primi se è scritto come prodotto di potenze di numeri primi. Esempio 1.5.1. Il numero 360 si può scrivere, come prodotto di fattori, in più modi: 23 · 32 · 5 4 · 2 · 32 · 5 360 = 23 · 3 · 15 ..... solo 23 · 32 · 5 è la scomposizione in fattori primi di 360 perchè le altre scritture contengono anche numeri non primi (rispettivamente 4 e 15). E’ possibile dimostrare che la scomposizione in fattori primi di un numero è unica (ciò non sarebbe vero se anche l’1 venisse annoverato tra i numeri primi). Definizione 1.5.3. Si dice massimo comun divisore (M.C.D.) tra numeri naturali, il più grande divisore comune. Per calcolare il M.C.D. è sufficiente scomporre in fattori primi i numeri dati e moltiplicare i fattori comuni con il minimo esponente. Definizione 1.5.4. Si dice minimo comune multiplo (m.c.m.) tra numeri naturali, il più piccolo multiplo comune, diverso da zero. Per calcolare il m.c.m. è sufficiente scomporre in fattori primi i numeri dati e moltiplicare i fattori comuni e non comuni con il massimo esponente. Esempio 1.5.2. • M.C.D.(8, 12, 4) = 22 = 4

m.c.m.(8, 12, 4) = 23 · 3 = 24

essendo 8 = 23 , 12 = 22 · 3, 4 = 22 • M.C.D.(50, 63) = 1

m.c.m.(50, 63) = 2 · 32 · 52 · 7 = 3150

essendo 50 = 2 · 52 , 63 = 32 · 7 Definizione 1.5.5. Due numeri naturali a e b si dicono primi tra loro (coprimi) se M.C.D.(a, b) = 1 Osservazione 1.5.1. Due numeri primi sono primi tra loro, ma due numeri primi tra loro non sono necessariamente numeri primi (50 e 63 sono primi tra loro, ma non primi) 1.6

espressioni aritmetiche

In una espressione aritmetica le operazioni devono essere svolte nel seguente ordine: -potenze -moltiplicazioni e divisioni (nell’ordine sinistra destra) -addizioni e sottrazioni Nel caso si intenda eseguire le operazioni in ordine diverso è necessario utilizzare le parentesi.

5

1.6 espressioni aritmetiche

Esempio 1.6.1. • 23 · 5 − 6 · 7 : 3 + 4 = 8 · 5 − 42 : 3 + 4 = 40 − 14 + 4 = 30 • 23 · 5 − 6 · 7 : (3 + 4) = 8 · 5 − 42 : 7 = 40 − 6 = 34 Proponiamo alcuni esercizi svolti riguardanti la semplificazione di espressioni aritmetiche: Esempio 1.6.2.         3 1 3 3 7 1 2 1 2 3 · · 5− : − : · 2+ − 1+ = 4 4 2 4 16 4 2 2       2  2 12 − 3 7 3 3 7 5 : : · − = · 16 2 16 4 2 2    21 7 25 9 9 = : · : − 32 16 4 4 4  7 1  7 25   1 6 2 1 9   · = : · − 3 22  4 4 4 93   1 1 4 25 9 7   = · · − 6 71 41 4 25 9 = − 6 4 50 − 27 = 12 23 = 12



Esempio 1.6.3. 

 2  −4 −1 13 1 1 1 2 0, 5 + 2, 3 (0, 5 + 0, 4) : − + + − = 2 2 5 10 5       −4 −1 5 − 0 23 − 2 5 4 13 5+2+1 2 2 = + + : − − 9 9 10 10 2 10 5   −1 2  −4   2 5 21 9 2 84 − = + · − 1 05 9 9 10 13  5   −1 2  −4 2 62  91  21 4 2  · · − − = 1 05  1 31 5 5 91      −4 −1 2 4 2 2 = − − 5 5 5     −1 2 2 2 −4 = − − 5 5   −1 2 −2 = − 5 2 2 = − 5 4 = 25 

6

1.6 espressioni aritmetiche

Esempio 1.6.4.  −3  2  −2  −3 5 7 5 7 : − · : − = 7 5 5 7  −3  −2  2  −3 5 5 5 5 : · : − = 7 7 7 7  −3+2+2  −3 5 5 = : − 7 7  1 "  −3 # 5 5 : − = 7 7  1+3 5 =− 7  4 5 =− 7 Esempio 1.6.5. "  #−3  −4 1 2 1 − : 2−3 · − : 211 = 2 2  −6 1 : 2−3 · (−2)4 : 211 = − 2 = 26 : 2−3 · 24 : 211 = 26+3+4−11 = 22 = 4 Esempio 1.6.6.  2  2  3 14 4 2 : − +1 = 7 5 5  2  3 1 42 2  4 · = : − +1 5 5 71   2  3 4 4 = : − +1 5 5  2−3 4 =− +1 5  −1 4 =− +1 5 5 = − +1 4 1 =− 4

7

1.6 espressioni aritmetiche

Esempio 1.6.7.  −7  3  3 3 2 9 − : = 3 2 4  4  −7  −3 " −2 #3 2 2 2 2 − : = 3 3 3 3  4  −7  −3  −6 2 2 2 2 =− : 3 3 3 3  4−7−3+6 2 =− 3  0 2 =− = −1 3

16 81

8

1.7 esercizi riepilogativi

1.7

esercizi riepilogativi 

1 3 1 + −1+ 3 4 2



1 +1 3

1.

2.

     3 5 9 3 1 : + +1− + + 4 2 8 25 3

     1 1 3 7 : + − + 6 4 10 10



16 25





11 5





1 81



3.

"  #3 "  #2  4 5 2 2 3 1 · : 6 15 9

4.

 2  2 " 2 #3 " 3 #2 2 1 1 7 · · : 4 7 2 2

  1 4

5.

 −2  −3   5 5 −6 5 · : − 4 4 4

  5 4

6.

"   −3 #2 1 1 −2 4 ·2 : · 215 2 2



7.

8.

9.

10.

 8   3, 5 − 2, 05 + 0, 1 : + 6 − 0, 8 · 1, 3 : 0, 6 − (2 + 1, 3) 2 − 0, 6 5



[4]

        3 4 1 1 7 3 14 2 − −2 2− − − −1 + + 5 6 3 3 2 2 5 7

  5 − 6

  "  #0 "       #3  1 2 3 −2 1 1 −2  1 −2 −2 4− +2+ : : −3  2  2 2 2 3

  1 2

"  #2 "   #     91 1 2 1 2 2 1+ − 2 −1 : +1 1+ 2−   3 2 3 2

  4 3

 11.

221

3 − 0, 4 5



3 9 + 2, 3 − 0, 5 − 2 5



3 1 · 0, 3 + 4 3



3 − 0, 05 7

  7 0, 83 − 9 0, 27 + 1, 6 + 0, 39

  3 2

 0, 1 + 0, 27 : 12.

[3]

13.

          3 2 1 2 1 1 3 1 2− 1+ : − + − : − 2 3 3 2 2

14.

"    #3 1 2 1 2 36 1− : 12 1+ 2 2 2

15.

"    #−1 "    #−2 3 −2 2 3 3 −3 2 2 : − − : − − 4 4 3 3

16.

"     2 # "   # 2 −5 2 3 1 1 −3 − − − − +1 : (−1)−1 − + 2 (−3)−2 5 5 2 6

  1 4 

17.

" # 2 2 2 2 · (−0, 5)2 − (−0, 5) · − 1 + (−0, 4 + 0, 5) : (0, 1) + 3 (−3)2 2

 −

13 12



[1]

 −



1 3



31 36



9

1.7 esercizi riepilogativi

18.

"   3 # " 2    2 #   3 3 1 3 1 4 1 2 1 + + : − + : 2+ 1− − 2 2 3 2 2 3 9 3 4 

19.

20.

22.

       9 7 1 4 14 : − : − − 11 9 3 3 11

h i3 (−2) (−1 + 2)3 − (−1) −1 − 2 (2)1 − 2 [−2 − (2)]3  

21.

7 1 − 6 2



" −

 3  #2 3 3 1 : −  10 5

2 3 − 10 5

"   #−1 6   1 1 −2 : −  10  5

   6 7 7 4 : + (2)3 3 3 7 3 + 4 "    #   3 4 3 1 3 2 : − − 2 2 2 3

25.

" #2      1 2 1 3 1 2 2 1− : − : 2− − 2 2 9 3

26.

      2 1 1 1 −2 + 0, 3 1 + + − − 0, 2 2 2 5 3    1 4 2, 5 − 8 − 1− 4 5 h

353

28.



3 : 2

−2

: 72

1 9



[0]

[−1]

−3 i−3

54



2 h −2 3 i−4 : 153 : 3−2 : 52

        3 9 3 3 8 2 −3 + − − : − − + : − −2 2 8 4 2 5 3 



"  # 1 45 3

34 : 37

27.



[257 ]

"    #3   1 3 1 5 1 7 : · 3 9 27 24.

  1 4

[−1]

4 85 · 23 : 4 4 85 : 162

23.

10

 7 1 : (−8) + 1− 9 5     · 7 1 7 : 1+ −3 3− 5 3 8

29.

11 + 3   3 11 − − 2 5

30.

     2   1 2 3 1 1 1 1 2− 4− + − −2 3− + 2 4 2 2 2 4   1 2 1+ 2

1 4 1 5

1 3





1 2







[1]   1 − 10

[impossibile]

[1]

2

INSIEMI

2.1

introduzione

Il concetto di insieme è un concetto primitivo; scegliamo dunque di non darne una definizione esplicita. Con il termine insieme intendiamo intuitivamente un raggruppamento o una collezione di oggetti, di natura qualsiasi, detti elementi. Un insieme si dice ben definito cioè ‘Insieme da un punto di vista matematico’ se si può stabilire con ‘assoluta certezza’ se un oggetto gli appartiene o no. Esempio 2.1.1. 1. L’insieme degli insegnanti di matematica dell’ITIS è un insieme ben definito. 2. L’insieme degli insegnanti di matematica simpatici dell’ITIS non è ben definito perchè uno stesso insegnante può risultare simpatico ad alcuni alunni e non ad altri. Esercizio 2.1.1. Stabilire quali dei seguenti è un insieme da un punto di vista matemetico: 1. L’insieme degli alunni dell’ITIS ‘Volterra’. 2. L’insieme delle alunne più belle dell’ITIS ‘Volterra’. 3. L’insieme dei numeri grandi. 4. L’insieme dei divisori di 10. 5. L’insieme dei calciatori che hanno realizzato pochi goals. 6. L’insieme dei calciatori che hanno realizzato almeno un goal.

2.2

rappresentazioni

Per rappresentare un insieme si utilizzano diverse simbologie: 2.2.1

Rappresentazione per elencazione

La rappresentazione per elencazione consiste nello scrivere entro parentesi graffe tutti gli elementi dell’insieme separati da ‘,’ o da ‘;’ Esempio 2.2.1. {3, 7, 9} è la rappresentazione per elencazione dell’insieme delle cifre del numero 9373

Osservazione 2.2.1. Un oggetto che compare più volte non va ripetuto. Gli insiemi vengono solitamente etichettati utilizzando le prime lettere dell’alfabeto maiuscolo. Rifacendoci all’esempio 2.2.1 si può scrivere A = {3, 7, 9}. Per indicare che un elemento appartiene ad un insieme useremo il simbolo ∈; in caso contrario il simbolo ∈. / Con riferimento all’esempio 2.2.1 si scrive: 7 ∈ {3, 7, 9}

oppure 7 ∈ A

(si noti la convenienza dell’etichetta A usata) 5∈ /A Se vogliamo rappresentare l’insieme delle lettere dell’alfabeto si conviene di scrivere: B = {a, b, c, d, . . . , z} per evitare di elencare tutti gli elementi. (maggiore è il numero di elementi dell’insieme e più è evidente l’utilità di una tale convenzione).

11

2.2 rappresentazioni

Esempio 2.2.2. Dato C = {a, 1, {2, ∗}} possiamo notare che ad esso appartengono 3 elementi e dunque scriviamo a∈C,

1∈C,

{2, ∗} ∈ C

Osservazione 2.2.2. Gli elementi di un insieme non sono necessariamente dello stesso ‘tipo’ e tra essi vi può essere anche un insieme. Nell’esempio 2.2.2 all’insieme C appartiene l’insieme {2, ∗}. Si nota perciò che 2 ∈ / C ma 2 appartiene ad un elemento di C. Definizione 2.2.1. Si dice insieme vuoto un insieme privo di elementi. La rappresentazione per elencazione dell’insieme vuoto è {}, esso viene etichettato con il simbolo ∅ Definizione 2.2.2. Si dice cardinalità di un insieme A il numero degli elementi che gli appartengono. Essa si indica con |A|. Se il numero degli elementi di un insieme è finito si dice che l’insieme ha cardinalità finita, in caso contrario che ha cardinalità infinita. In riferimento all’esempio 2.2.2 si scrive |C| = 3 (la cardinalità di un insieme finito è un numero!) Due esempi importanti di insiemi numerici di cardinalità infinita sono l’insieme dei numeri naturali N = {0, 1, 2, 3, . . . } e l’insieme dei numeri interi Z = {0, +1, −1, +2, −2, . . . }. Esercizio 2.2.1. Scrivere la rappresentazione per elencazione dei seguenti insiemi: 1. L’insieme dei numeri interi compresi tra −2 escluso e 3 compreso. 2. L’insieme dei numeri naturali compresi tra −2 incluso e 3 escluso. 3. L’insieme dei numeri naturali multipli di 3. 4. L’insieme dei numeri naturali minori di 100 che sono potenze di 5. 5. L’insieme dei numeri interi il cui quadrato è minore di 16. 6. L’insieme dei numeri interi il cui valore assoluto è 7 oppure 5. 7. L’insieme dei numeri naturali maggiori di 10.

2.2.2

Rappresentazione per proprietà caratteristica

La rappresentazione per proprietà caratteristica consiste nell’esplicitare una proprietà che caratterizza tutti e soli gli elementi dell’insieme. Esempio 2.2.3. Utilizzando la rappresentazione per caratteristica, l’insieme D = {1, 2, 4, 8} può essere scritto come D = {x tale che x è un divisore naturale di 8} dove x indica un elemento generico dell’insieme. Possiamo notare che la proprietà caratteristica individuata non è l’unica. L’insieme D può, infatti, essere scritto anche D = {x tale che x è una potenza naturale di 2 minore o uguale ad 8} o usando il simbolismo matematico D = {x | x = 2n , n ∈ N , 1 6 x 6 8}

Osservazione 2.2.3. Per determinare la proprietà caratteristica di un insieme non è sufficiente individuare una proprietà di cui godono tutti gli elementi di un insieme perchè potrebbero non essere i soli ad averla.

12

2.2 rappresentazioni

Esempio 2.2.4. Dato l’insieme E = {0, 2, 4, 6, 8, 10, 12} se scrivessimo E = {x | x = 2n, n ∈ N} non avremmo individuato la proprietà caratteristica perchè con tale scrittura anche il numero 16 apparterrebbe all’insieme e ciò è palesemente errato. La scrittura corretta è invece: E = {x | x = 2n , n ∈ N , x 6 12} oppure E = {x | x = 2n , n ∈ N , n 6 6} dove è chiaramente esplicitato che gli elementi di E sono tutti e soli i multipli naturali di 2 minori o uguali di 12.

Un ulteriore importante esempio di insieme numerico è l’insieme dei numeri razionali Q = {x | x =

p , p, q ∈ Z , q 6= 0} q

In N e in Z è possibile definire il concetto di precedente e successivo di un elemento x, rispettivamente x − 1 e x + 1, in quanto tra x − 1 ed x ( così come tra x e x + 1 ) non esistono altri elementi di tali insiemi.(E’ bene precisare che in N il precedente di x è definito solo se x 6= 0) Diversamente in Q non è possibile parlare di precedente o di successivo di un elemento infatti: Teorema 2.2.1. Dati 2 elementi qualunque di Q diversi tra loro, esiste un terzo elemento di Q, compreso tra essi. Usando la simbologia matematica : ∀x1 , x2 ∈ Q, x1 < x2 | {z }

∃x3 ∈ Q | x1 < x3 < x2 | {z } | {z } | {z } Tesi 1

Ipotesi

Dim. Siano x1 , x2 ∈ Q x1 =

e

x2 =

x1 + x2 2

p2 , q2

quindi x3 ∈ Q (Tesi 1) Essendo per ipotesi x1 < x2 allora denominatore) p1 q2 p q < 2 1 q1 q2 q2 q1

x3 =

p1 , p2 , q1 , q2 ∈ Z q1 6= 0, q2 6= 0

allora

p1 p + 2 p q + p2 q1 q1 q2 x3 = = 1 2 2 2q1 q2

x3 =

Tesi 3

con x1 < x2 allora

p1 ; q1

Consideriamo x3 =

Tesi 2

con

p1 q2 + p2 q1 ∈ Z

e 0 6= 2q1 q2 ∈ Z

p1 p < 2 dunque (portando le frazioni allo stesso q1 q2

(2.1)

      per (2.1) 1 1 p1 q2 + p2 q1 p q p q p1 q2 + p2 q1 1 p1 q2 p1 q2 = = + 2 1 > + 1 2 = 2q1 q2 2 q1 q2 2 q1 q2 q1 q2 2 q1 q2 q1 q2   1 p q p = 2 1 2 = 1 = x1 cioè x3 > x1 (Tesi 2 ) 2 q1 q2 q1       per (2.1) 1 p1 q2 + p2 q1 1 p1 q2 + p2 q1 1 p1 q2 p q p2 q1 p q = + 2 1 + 2 1 = = < 2q1 q2 2 q1 q2 2 q1 q2 q1 q2 2 q1 q2 q1 q2   1 p q p = 2 2 1 = 2 = x2 cioè x3 < x2 (Tesi 3 ) 2 q1 q2 q2

13

2.2 rappresentazioni

Corollario 2.2.1. Dati due elementi x1 e x2 di Q , con x1 6= x2 , esistono infiniti elementi di Q compresi tra loro. Dimostrazione. Per il teorema 2.1 ∃ x3 ∈ Q | x1 < x3 < x2 Ora, considerando x1 e x3 , per il teorema 2.1 ∃ x4 ∈ Q | x1 < x4 < x3 E’ facile convincerci che, ripetendo tale ragionamento si avrà : x1 < . . . . . . < x5 < x4 < x3 < x2

Esercizio 2.2.2. Determinare la rappresentazione per elencazione dei seguenti insiemi: A = {x ∈ Z | −3 6 x < 2}

B = {x | x = 7n , n ∈ N , n 6 3}

C = {x ∈ N | −2 < x 6 1}

D = {x | x = MCD(36, 40, 54)}

E = {x | x = 3 , n ∈ N, n > 2}

F = {x ∈ N | x < 10}

G = {x | x = 3k − 2 , k ∈ N , k 6 3}

H = {x | x = 2n + 1 , n ∈ N}  −k+2 1 L = {x | x = , k ∈ Z , −1 6 k 6 3} 3

n

I = {x | x = 5k , k ∈ Z , −2 6 k 6 1}

Esercizio 2.2.3. Determinare la rappresentazione per proprietà caratteristica dei seguenti insiemi: A = {−3, −2, −1, 0, 1}

B = {0, 2, 4, 6, . . .}

C = {2, 3, 4, 5, . . . , 99}

D = {0, 3, −3, 6, −6, 9, −9 . . .}

E = {1, 4, 16, 64, . . .}

1 F = { , 1, 2, 4} 2

H = {6, 12, 18, 24, 30}

I = {2, 6, 10, 14, . . .}

G = {1,

1 1 1 1 , , ,..., } 2 3 4 20

Esercizio 2.2.4. Determinare la cardinalità di A = {1, {2, 3}, 4, 5, {6}} e stabilire se i seguenti elementi appartengono ad A: 1, 2, 4, {2, 3}, {5}, 6

2.2.3

Rappresentazione grafica di Eulero-Venn

La rappresentazione grafica di Eulero-Venn consiste nel delimitare con una linea chiusa una regione di piano all’interno della quale vanno collocati gli elementi dell’insieme. Esempio 2.2.5. L’insieme D = {x | x = 2n , n ∈ N , 1 6 x 6 8} sarà con la rappresentazione grafica: D ·4 ·8 ·1 ·2

·16

pertanto 1 ∈ D,

4 ∈ D,

16 ∈ /D

Esercizio 2.2.5. Rappresentare per elencazione e con i diagrammi di Eulero-Venn i seguenti insiemi: A = {x ∈ Z | −3 6 x < 2} B = {x ∈ N | 4 < x 6 10} C = {x ∈ N | −3 6 x < 1} 5 3 −3} D = {x ∈ Z | −

A questo punto notiamo l’impossibilità di rappresentare per elencazione e con i diagrammi di Eulero-Venn l’insieme F = {x ∈ Q | −1 6 x < 2} in quanto, non potendo parlare di successivo nell’insieme Q, la scelta degli elementi da scrivere dopo −1 è arbitraria, il ‘così via’ indicato dai puntini è privo di significato e non esiste un ‘ultimo’ elemento dell’insieme perchè non esiste in

14

2.3 sottoinsiemi

Q il precedente di 2. Per questo genere di insiemi può essere utile un nuovo tipo di rappresentazione grafica : −1 2

A





◦ rapdove i punti del segmento • presentano tutti i numeri razionali tra -1 incluso e 2 escluso (si conviene di indicare con • valore incluso e con ◦ valore escluso). Osservazione 2.2.4. La retta orientata sistema di ascisse utilizzata in questa rappresentazione comprende in realtà, oltre a tutti i numeri razionali, altri numeri come ad esempio √ 2 = 1, 4142 . . . già incontrati alla scuola media. A rigore il segmento che rappresenta F non dovrebbe essere continuo, ma presentare dei buchi (interruzioni) in corrispondenza dei numeri non razionali. Conveniamo tuttavia di mantenere la notazione descritta in tale tipo di rappresentazione grafica. 2.3

sottoinsiemi

Definizione 2.3.1. Dati due insiemi A e B si dice che B è sottoinsieme o una parte di A se ogni elemento di B appartiene all’insieme A. Si scrive B ⊆ A e si legge B è sottoinsieme di A (o B è contenuto in A) oppure A ⊇ B e si legge A contiene B. Usando il simbolismo matematico: B⊆A

significa

∀x ∈ B



x∈A

Dalla definizione si ricava che B può anche essere eventualmente coincidente con A. Tra i sottoinsiemi di A, dunque, c’è anche A stesso detto sottoinsieme improprio o banale. Anche l’insieme vuoto è sottoinsieme di tutti gli insiemi e anch’esso viene chiamato sottoinsieme improprio o banale. Ogni insieme non vuoto ha, dunque, due sottoinsiemi impropri; gli altri eventuali sottoinsiemi si dicono propri. Se vogliamo indicare che B è sottoinsieme di A non coincidente con A stesso, scriviamo B ⊂ A (oppure A ⊃ B). Esempio 2.3.1. Dato A = {1, 2, 3, 4} l’insieme B = {3, 4} è un suo sottoinsieme proprio di cardinalità 2. Esempio 2.3.2. Dato A = {1, 2, {3, 4}} l’ insieme : B = {1, 2} C = {2}

è un suo sottoinsieme proprio di cardinalità 2 è un suo sottoinsieme proprio di cardinalità 1

D = {3, 4} E = {{3, 4}}

non è un suo sottoinsieme proprio infatti 3 ∈ D ma 3 ∈ /A è un suo sottoinsieme proprio di cardinalità 1

Definizione 2.3.2. Due insiemi A e B si dicono uguali e si scrive A = B se A ⊆ B e A ⊇ B In tal caso, dunque, i due insiemi contengono gli stessi elementi. Esempio 2.3.3. Dati A = {x ∈ N | x è multiplo di 2}

e

B = {x ∈ N | x è divisibile per 2}

allora A⊆B perchè se x ∈ A, x è multiplo di 2 dunque è divisibile per 2 perciò x ∈ B, inoltre A⊇B perchè se x ∈ B, x è divisibile per 2 dunque esso è multiplo di 2 perciò x ∈ A. In conclusione: A = B.

15

2.3 sottoinsiemi

Definizione 2.3.3. Dato un insieme A se si considerano tutti i suoi sottoinsiemi ( propri e impropri) possiamo formare un nuovo insieme chiamato insieme dei sottoinsiemi di A o, più spesso, insieme delle parti di A. Esso si indica con P(A), quindi P(A) = {B | B ⊆ A} Esempio 2.3.4. Dato A = {a, b} sarà P(A) = {{}, {a}, {b}, {a, b}}

Osservazione 2.3.1. E’ bene ricordare, in riferimento all’esempio appena fatto che: a∈A

ma

{a} ∈ P(A) {a}

a∈ / P(A) {a} ∈ /A

ma

non è sottoinsieme di

P(A)

ma

{a} ⊆ A

e facciamo notare che le scritture {a} ⊆ A e {a} ∈ P(A) sono equivalenti. Teorema 2.3.1. Se |A| = n allora |P(A)| = 2n Dim. Consideriamo la sequenza: A0 = {} cioè |A0 | = 0 =⇒ P(A0 ) = ∅ ⇒ |P(A0 )| = 1 = 20 A1 = {∗} cioè |A1 | = 1 =⇒ P(A1 ) = {∅, {∗}} ⇒ |P(A1 )| = 2 = 21 A2 = {∗, •} cioè |A2 | = 2 =⇒ P(A2 ) = {∅, {∗}, {•}, {∗, •}} ⇒ |P(A2 )| = 4 = 22 .. .

.. .

.. .

.. .

E’ sufficiente notare che ogni volta che si aggiunge un elemento x ad A, la cardinalità di P(A) raddoppia in quanto a P(A) apparterranno tutti i ‘vecchi’ sottoinsiemi di A non contenenti x e altrettanti di ‘nuovi’ ottenuti dai precedenti con l’inserimento dell’elemento x. Possiamo allora affermare che procedendo nella sequenza: |A3 | = 3

=⇒ |P(A3 )| = 2|P(A2 )|

= 2 · 4 = 2 · 22 = 23

.. .

.. .

|An−1 | = n − 1

=⇒ |P(An−1 )|

= 2n−1

|An | = n

=⇒ |P(An )| = 2|P(An−1 )|

= 2 · 2n−1 = 2n

Osservazione 2.3.2. Se vogliamo determinare A tale che |P(A)| = 16 è sufficiente scrivere un qualunque insieme di cardinalità 4 come può essere {a, b, c, d}. Non è possibile, invece, determinare alcun insieme A tale che |P(A)| = 9 perchè 9 non è una potenza di 2. Esercizio 2.3.1. Determinare l’insieme delle parti di A = {−2, 0, 4} e di B = {2, {0, 1}} Esercizio 2.3.2. Determinare i sottoinsiemi propri di C = {−1,

2 , 3} 5

Esercizio 2.3.3. Spiegare perchè non esiste alcun insieme A per cui P(A) = ∅ Esercizio 2.3.4. Determinare le cardinalità di P(A) e di P(P(A)) sapendo che la cardinalità di A è 3 Esercizio 2.3.5. Determinare |P(P(A))| nei casi in cui |A| = 2 e |A| = 11 Esercizio 2.3.6. Stabilire quali tra i seguenti insiemi sono uguali: A = {−2, −1, 0, 1} D = {x | x ∈ Z, −3 < x < 2}

B = {x | x = 3k, k ∈ N, k < 4} E = {x | x = 3k, k ∈ N}

C = {0, 3, 6, 9}

F = {x | x = 3k, k ∈ N, −2 6 k 6 3}

16

2.4 operazioni

2.4

operazioni

2.4.1

Intersezione

Definizione 2.4.1. Si definisce intersezione tra due insiemi A e B l’insieme, indicato con A ∩ B, degli elementi appartenenti ad entrambi. In simboli: 1. con la rappresentazione per proprietà caratteristica A ∩ B = {x | x ∈ A

e

x ∈ B}

2. con la rappresentazione di Eulero-Venn A

B

Esempio 2.4.1. Dati A = {1, 2, 3, 4} e B = {2, 4, 6} sarà A ∩ B = {2, 4} Dati C = {1, {2, 3}, 4} e D = {2, 4, 6} sarà C ∩ D = {4}

Definizione 2.4.2. Due insiemi A e B si dicono disgiunti se A ∩ B = ∅ La rappresentazione grafica di Eulero-Venn di due insiemi disgiunti è: A B

Osservazione 2.4.1. : ∀A

A∩A = A

∀A, B

∀A

;

A∩B = B∩A

A∩∅ = ∅

(proprietà commutativa)

B ⊆ A ⇒ A∩B = B Per determinare l’intersezione tra due sottoinsiemi di Q, può essere utile la rappresentazione grafica rispetto ad un sistema di ascisse. Esempio 2.4.2. Dati A = {x ∈ Q | − grafica:

1 6 x < 5} e B = {x ∈ Q | x > 0} dalla loro rappresentazione 2

− 12 0 A



5 ◦

B



si ricava A ∩ B





cioè, con la rappresentazione per caratteristica: A ∩ B = {x ∈ Q | 0 6 x < 5} Esercizio 2.4.1. Dopo aver dato la rappresentazione per elencazione degli insiemi 1 3 A = {x ∈ Z | − 6 x < 4} e B = {x ∈ N | x > } determinare A ∩ B. 2 2 Esercizio 2.4.2. Determinare C ∩ D con C = {x ∈ Q | −3 6 x < D = {x ∈ Q | x < −4 oppure x > −1}

1 }e 2

17

2.4 operazioni

2.4.2

Unione

Definizione 2.4.3. Si definisce unione tra due insiemi A e B l’insieme, indicato con A ∪ B, degli elementi appartenenti ad almeno uno di essi. In simboli: 1. con la rappresentazione per proprietà caratteristica A ∪ B = {x | x ∈ A

oppure

x ∈ B}

2. con la rappresentazione di Eulero-Venn A

B

Con riferimento all’esempio 4.1 sarà: A ∪ B = {1, 2, 3, 4, 6} C ∪ D = {1, 2, {2, 3}, 4, 6} e con riferimento all’ esempio 4.2 sarà: − 12 0 •

A

5 ◦



B •

si ricava A ∪ B

1 cioè A ∪ B = {x ∈ Q | x > − } 2

Osservazione 2.4.2. : ∀A

A∪A = A

∀A, B

;

∀A

A∪B = B∪A

A∪∅ = A

(proprietà commutativa)

B ⊆ A ⇒ A∪B = A Esercizio 2.4.3. Dopo aver dato la rappresentazione per elencazione degli insiemi A = {x | x = |2k − 3|, k ∈ N, k 6 4} e B = {x | x = 2n + 1, n ∈ N, n 6 4} determinare A ∪ B e darne la rappresentazione per caratteristica. "  #0 3 2 Esercizio 2.4.4. Determinare C ∪ D con C = {x ∈ Q | x < − } e D = {x ∈ Q | 5  −1  −2 1 1 − 16} e CN (B) = {x | x = 2n, n ∈ N}

20

2.4 operazioni

Esempio 2.4.5. Dato A = {x ∈ Q∗ | −3 < x 6

A

si ricava CQ (A)

5 } rispetto all’insieme universo Q si avrà : 2

−3

0

5 2







◦ •





cioè CQ (A) = {x ∈ Q | x 6 −3

o x>

5 2

21

o

x = 0}

Osservazione 2.4.5. CU (U) = ∅

;

CU (∅) = U

∀A ⇒ CU (CU (A)) = A Esercizio 2.4.9. Per ciascuno dei seguenti insiemi determina due possibili insiemi 1 1 universo: A = {5, 10, 15, 20, 25, 30} , B = { , , 1, 3, 9, 27} 9 3 1 C = {x ∈ Q∗ | x > − }, D = {x ∈ Z | x2 6 24} 2 Esercizio 2.4.10. Dati A = {x ∈ N | x > 10} ,B = {x ∈ N∗ | x 6 19} e 3 C = {x ∈ Q | x 6 −5 o x > } determinare : 2 CN (A), CN (B), CN (A ∩ B), CN (A ∪ B), CZ (A), CZ (B), CQ (C)

2.4.6

Prodotto cartesiano

Definizione 2.4.8. Si definisce prodotto cartesiano tra due insiemi A e B l’insieme, indicato con A × B, di tutte le coppie ordinate aventi il primo elemento appartenente ad A ed il secondo appartenente a B. In simboli : A × B = {(x, y) | x ∈ A

e

y ∈ B}

Esempio 2.4.6. Dati A = {1, 2, 3} e B = {2, 4} si avrà A × B = {(1, 2), (1, 4), (2, 2), (2, 4), (3, 2), (3, 4)}

Gli elementi appartenenti ad A × B non appartengono nè ad A, nè a B. Essi sono infatti di ‘nuova natura’: la coppia costituisce una nuova entità. Con riferimento all’esempio 4.6, 1 ∈ / A × B, 4 ∈ / A × B invece (1, 4) ∈ A × B; (4, 1) ∈ / A × B e ciò dimostra l’importanza dell’ordine all’interno della coppia. Si raccomanda di non confondere la coppia (1,4) con {1, 4} che invece è un insieme. Nel caso B = A si conviene di indicare A × A con A2 Osservazione 2.4.6. ∀A ⇒ A × ∅ = ∅ e ∅ × A = ∅ Anche per questa operazione non vale la proprietà commutativa, infatti, controesempio: dati A = {1, 2} e B = {1} sarà A × B = {(1, 1), (2, 1)} 6= {(1, 1), (1, 2)} = B × A Facciamo notare che la nuova natura degli elementi di A × B non permette una sua rappresentazione con i diagrammi di Eulero-Venn, a partire da quella di A e B. Si introduce tuttavia, nel caso in cui A e B siano insiemi numerici, una nuova rappresentazione grafica utilizzando il piano cartesiano nel quale ogni coppia ordinata è individuata da un punto.

2.4 operazioni

Esempio 2.4.7. Dati A = {−2, −1, 0, 1} e B = {−2, 0, 1} la rappresentazione nel piano cartesiano di A × B sarà:

























Teorema 2.4.1. Se |A| = n e |B| = m allora |A × B| = n · m Dimostrazione. |A| = n ⇒ A = {a1 , a2 , a3 , . . . , an } |B| = m ⇒ B = {b1 , b2 , . . . , bm } Le coppie con primo elemento a1 sono m, infatti esse sono: (a1 , b1 ), (a1 , b2 ), . . . , (a1 , bm ) Le coppie con primo elemento a2 sono ancora m, infatti esse sono: (a2 , b1 ), (a2 , b2 ), . . . , (a2 , bm ) Procedendo con questo ragionamento possiamo affermare che con ogni elemento di A si ottengono m coppie. Quindi in tutto m {z. . . + m} coppie, cioè n · m | +m+ n volte

coppie.

Esercizio 2.4.11. Determinare A × B e B × A per elencazione e graficamente nel piano cartesiano essendo: A = {x ∈ Z | −1 6 x 6 2} ,B = {x ∈ Z | |x| 6 1} Esercizio 2.4.12. Dati A = {0,

1 3 , 1, } e B = {−1, 0, 2, 3, 4} determinare la cardinalità di P (A × B) 2 2

Il teorema 2.4.1 ci permette di calcolare la cardinalità di A × B se sono note le cardinalità di A e B anche se non ne conosciamo gli elementi. Questo non è invece possibile per le altre operazioni tra A e B, infatti, non possiamo calcolare |A ∪ B|, |A ∩ B|,|A\B|, |B\A|, |A4B| perchè, non conoscendo gli elementi dei due insiemi non sappiamo quali e quanti sono comuni ad entrambi. Possiamo però individuare quali sono i valori minimi e massimi che possono assumere pensando alle situazioni ‘estreme’ nelle quali gli insiemi sono disgiunti oppure uno è sottoinsieme dell’altro. Quindi se, per esempio, |A| = 5 e |B| = 3 allora |A ∪ B| come valore minimo assume valore 5 (caso in cui B ⊆ A) e come valore massimo assume valore 8 (caso in cui A ∩ B = ∅), scriviamo dunque 5 6 |A ∪ B| 6 8 Analogamente si determina : 6 |A ∩ B| 6

0 |{z} quandoA∩B=∅

0 |{z} quandoB⊆A

6 |B\A| 6

;

3 |{z} quandoB⊆A

3 |{z} quandoA∩B=∅

6 |A\B| 6

2 |{z} quandoB⊆A

;

2 |{z} quandoB⊆A

6 |A4B| 6

5 |{z} quandoA∩B=∅

8 |{z} quandoA∩B=∅

Un’attenta analisi delle cardinalità degli insiemi può esserci d’aiuto nell’affrontare problemi la cui risoluzione può essere svolta utilizzando una rappresentazione insiemistica.

22

2.4 operazioni

Esempio 2.4.8. Nella mensa di una azienda con 110 operai : i)

40 mangiano almeno il primo piatto

ii) 53 mangiano solo il secondo piatto iii) 13 mangiano sia il primo che il secondo piatto. Quanti operai a) non mangiano? b) mangiano solo il primo piatto? c) mangiano solo un piatto? d) non mangiano il secondo piatto? Se indichiamo con O l’insieme degli operai (in tale contesto insieme universo) P ed S rispettivamente l’insieme degli operai che mangiano il primo piatto e l’insieme di quelli che mangiano il secondo piatto, per rispondere alle domande dovremo calcolare nell’ordine : |CO (P ∪ S)| ; |P \ S| ; |P4S| ; |CO (S)| Può essere utile allo scopo dare una rappresentazione grafica del problema, con i diagrammi di Eulero-Venn, convenendo di indicare non gli elementi appartenenti agli insiemi, ma le rispettive cardinalità. O

P

S

Dall’ipotesi ii) possiamo ricavare |S \ P| = 53 cioè O

P

S

53

Dall’ipotesi iii) possiamo ricavare |P ∩ S| = 13 cioè O

P

S

13

53

e dunque, utilizzando l’ulteriore ipotesi i) cioè |P| = 40 ricaviamo che |P \ S| = |P| − |P ∩ S| = 40 − 13 = 27 cioè

23

2.5 esercizi riepilogativi

O

P

S

27

13

53

Sapendo infine che gli operai sono 110 si ricava |CO (P ∪ S)| = |O| − |P ∪ S| = 110 − 93 = 17 cioè O

P

S

27

13

53

17 Dall’esame attento della rappresentazione finale possiamo rispondere alle domande: a)|CO (P ∪ S)| = 17

2.5

b)|P \ S| = 27

c)|P4S| = 80

d)|CO (S)| = 44

esercizi riepilogativi

Esercizio 2.5.1. Determinare la rappresentazione per proprietà caratteristica degli insiemi: 1 1 1 1 A={ , , , , . . .} 5 10 15 20 1 2 3 4 5 C={ , , , , . . .} 4 9 16 25 36 E = {1, 3, 6, 11, 20, 37, 70, . . .}

B = {1, −2, 4, −8, 16, −32, 64} D = {1, 4, 7, 10, 13, . . .}

Esercizio 2.5.2. Dati gli insiemi : A = {x ∈ Z∗ | −3 6 x < 2} B = {x ∈ N | −1 6 x 6 3} determinare : A ∪ B,

A ∩ B,

B \ A,

A4B,

A × (A ∩ B) ,

P (B \ A)

Esercizio 2.5.3. Siano " #   # "  2 18 9 2 4 2 2 3 1 · − + 1− : 1− + } A = {x ∈ Q | − 6 x < 2 3 5 5 25 5 25 " #     3   5 1 2 1 2 3 1 B = {x ∈ Q | x > − 5− : − 1+ } 6 3 2 2 2 determinare : A ∪ B,

A ∩ B,

B \ A,

CQ (A) ,

CQ (B)

Esercizio 2.5.4. Dati gli insiemi :  3  2 "      # 2 5 1 5 1 −2 1 −6 − : − · − + (−13)0 } 5 2 2 2 2   2   1 1 1 −3 B = {x ∈ Q | −2 < x 6 3 − − 1 − (−3)2 − − + 2} 2 5 2

A = {x ∈ Q | x 6

determinare: A ∪ B,

A ∩ B,

B \ A,

BQ ,

A4B

24

2.5 esercizi riepilogativi

Esercizio 2.5.5. Siano A = {x ∈ N | −4 6 x 6 1

o

5 < x 6 7}



B = {x ∈ Z | −2 < x < 4} determinare: A ∪ B,

B \ A,

A ∩ B,

P (B \ A) ,

A × (A ∩ B)

Esercizio 2.5.6. Dati gli insiemi: A = {x ∈ Q | x > E1 ) B = {x ∈ Q | E2 6 x < 2.05 }

con

   −1 4 2 2 4 3 2     · − +   − + 4 −2 2 4 −3 2 3 5 3 5   : − + E1 =   − − +  6   3 5 3 5 2 4 − + 3 5           1 1 1 1 1 1 1 19 1 2 E2 = −1 − : 2− − − : + · − : 1− 2 2 3 3 3 2 4 9 3 

determinare : A ∪ B, Si chiede infine se C = {x ∈ Q | x >

A ∩ B,

AQ ,

BQ ,

B \ AQ

37 } è disgiunto da B. 18

Esercizio 2.5.7. Dati A = {{2}, {0}, {3}, {1, 2}, {0, 1, 2}} e B = {0, 1, 2} determinare: P (B) ∪ A, P (B) ∩ A, A \ P (B) , P (B) \ A Esercizio 2.5.8. Siano A e B due insiemi tali che : A × B = {(−1, 1) , (0, 1) , (1, 1) , (−1, 2) , (0, 2) , (1, 2)} determinare : A ∪ B ,

A ∩ B,

C = (A × B) \ A2 ,

P (C)

Esercizio 2.5.9. Siano A e B due insiemi con |A| = 20 1. |A ∪ B|,

|A ∩ B|,

2. |A ∪ B| e

|B \ A|,

|A × B|,

e

|B| = 8, determinare:

|P (B) |

|A \ B| sapendo che |A ∩ B| = 3

Esercizio 2.5.10. Se |A| = 8 e |B| = 7, determinare le cardinalità di : A ∪ B,

A ∩ B,

A \ B,

B \ A, P (A) ,

Esercizio 2.5.11. Siano A e B due insiemi disgiunti con |A| = 10 |A ∪ B|,

|A ∩ B|,

|A \ B|,

|A × B|,

B×A e

|B| = 7, determinare :

|P (B) |

Esercizio 2.5.12. Individuare la relazione tra A e B nei seguenti casi: 1. A ∩ B = A 2. A ∪ B = A 3. A \ B = ∅ 4. AB = B Esercizio 2.5.13. Per ciascuna delle seguenti affermazioni false fornisci un controesempio: 1. A ∪ B = A 2. se |A| = 3

e

|B| = 5 ⇒ |A ∩ B| = 3

3. A ∩ B = ∅ ⇒ A = ∅ 4. se x è multiplo di 3 è anche multiplo di 6 Esercizio 2.5.14. Determinare una scrittura più semplice per i seguenti insiemi: 1. (A ∩ B) ∪ (B \ A) 2. (A \ B) ∩ (B \ A) 3. (A ∪ B) \ (B \ A)

25

2.5 esercizi riepilogativi

4. (B \ A) ∪ A Esercizio 2.5.15. In una scuola con 150 alunni ci sono: • 23 studenti che frequentano lo sportello di matematica • 41 studenti che frequentano solo lo sportello di chimica • 3 studenti che frequentano sia lo sportello di chimica che quello di matematica Quanti sono gli studenti che: 1. frequentano solo lo sportello di matematica? 2. non frequentano sportelli? Esercizio 2.5.16. In un pomeriggio assolato 20 alunni dovrebbero studiare inglese e matematica ; 8 non studiano inglese,10 studiano matematica e 4 non studiano niente. Quanti allievi studiano entrambe le materie? Esercizio 2.5.17. In una classe di 20 studenti ,18 hanno visitato Venezia, 14 Roma e 5 Firenze. Sapendo che 3 soli hanno visitato le 3 città, 5 sia Firenze che Venezia, 3 esclusivamente Venezia, determina quanti hanno visitato : 1. solo Firenze 2. Firenze e Roma 3. nessuna delle tre città 4. non hanno visitato Roma

26

3

MONOMI

3.1

introduzione

Per rispondere alla domanda su quale sia il triplo del successivo del numero 7 si esegue il seguente calcolo: 3 · (7 + 1) ottenendo come risultato il numero 24 Definizione 3.1.1. Si dice espressione aritmetica un’espressione che si ottiene mediante operazioni tra numeri. L’espressione sopra calcolata è un esempio di espressione aritmetica. Se ora volessimo determinare il triplo del successivo di un generico numero naturale n useremmo la scrittura: 3 · (n + 1) Definizione 3.1.2. Si dice espressione algebrica un’espressione che si ottiene mediante operazioni tra numeri e lettere. Quindi 3 · (n + 1) è un esempio di espressione algebrica. Sono esempi di espressioni algebriche: 2 · (a + 3b) (a + 7x) · x 2a + 3b + 5c : (y − 2) 2 Cominciamo a studiare le espressioni algebriche introducendo le più semplici tra esse. 3.2

monomi

Definizione 3.2.1. Si dice monomio un’espressione algebrica contenente solo l’operazione di moltiplicazione. Sono monomi le espressioni algebriche: 3·a·b·b non lo sono 3·a : b

,

3 2 ·a· ·b 5 3

,

3 a+b 5

,

2

ab c

,

4−a

Definizione 3.2.2. Un monomio si dice ridotto a forma normale quando contiene un solo fattore numerico, detto coefficiente, ed una parte letterale in cui ogni lettera figura una sola volta con l’esponente ottenuto utilizzando la definizione di potenza. 3·a·b·b 3 2 ·a· ·b 5 3

in forma normale si scrive in forma normale si scrive

3ab2 2 ab 5

Altri esempi di monomi scritti in forma normale sono: 2 − a2 b5 c , 2x3 y6 7 D’ora in poi quando parleremo di monomi li intenderemo già scritti in forma normale.

27

3.2 monomi

Non è un monomio l’espressione 2a3 bc−2 perchè una sua 2a3 b scrittura equivalente è nella quale compare anche l’operazione di divisione. c2 Qualora il coefficiente sia 1 si conviene di scrivere la sola parte letterale: osservazione:

1a2 b = a2 b

,

1x2 y3 z = x2 y3 z

Analogamente la scrittura −a2 b indica un monomio con coefficiente −1 e parte letterale a2 b Definizione 3.2.3. Si dice monomio nullo un monomio con coefficiente uguale a zero. Definizione 3.2.4. Si dice grado relativo ad una lettera di un monomio l’esponente con cui tale lettera compare nel monomio. Esempio 3.2.1. Il grado del monomo 3a3 b2 c relativo aè3 bè2 cè1 d è 0 perchè 3a3 b2 c = 3a3 b2 c · 1 = 3a3 b2 c · d0

alla lettera

eè0 .......... ..........

Definizione 3.2.5. Si dice grado assoluto di un monomio la somma dei gradi relativi. Esempio 3.2.2. Il grado assoluto di 3a3 b2 c è 6, quello di −2xy è 2.

osservazione: Ogni numero diverso da zero è un monomio di grado assoluto zero (ovviamente è zero anche il grado relativo ad ogni lettera). Conveniamo di non attribuire alcun grado al monomio nullo in quanto qualunque valore sarebbe corretto, infatti: 0x0 0=

0xyz3 .....

Definizione 3.2.6. Due monomi si dicono simili quando hanno la stessa parte letterale. Definizione 3.2.7. Due monomi si dicono opposti quando sono simili e hanno coefficienti opposti. Esempio 3.2.3. 2ab

,

−3ab

sono simili ma non opposti

7 2 7 a b , − a2 b sono opposti 2 2 2 3 a , a , sono simili ma non opposti 3 2 − 5a , 5a2 non sono simili

28

3.3 operazioni tra monomi

3.3

operazioni tra monomi

Definizione 3.3.1. La somma algebrica di monomi simili è un monomio simile ad essi ed avente per coefficiente la somma algebrica dei coefficienti. Esempio 3.3.1. 2a2 b + 3a2 b = 5a2 b − 3xy3 − 2xy3 + xy3 = −4xy3 1 2 3 1 x a + x2 a − x2 a = x2 a 2 4 4

osservazione: 3a2 b + 2ab non dà come risultato un monomio (non essendo simili i monomi) ma un’espressione algebrica che definiremo in seguito. Definizione 3.3.2. Il prodotto di monomi è un monomio avente per coefficiente il prodotto dei coefficienti e per parte letterale il prodotto delle parti letterali (applicando le proprietà delle potenze). Esempio 3.3.2. − 2a2 b3 · (−3abc) = 6a3 b4 c   2 3 15 5 3 x y· − x = − x8 y 5 4 2

Definizione 3.3.3. La potenza di un monomio è un monomio avente per coefficiente la potenza del coefficiente e per parte letterale la potenza della parte letterale (applicando le proprietà delle potenze). Esempio 3.3.3.  3 2 8 3 6 − ab2 a b =− 3 27 (−a2 b3 c)2 = a4 b6 c2 h i2 h i2 h i2 (3ab2 )3 − 20a3 b6 = 27a3 b6 − 20a3 b6 = 7a3 b6 = 49a6 b12

Definizione 3.3.4. Il quoziente tra due monomi è una espressione algebrica che si ottiene dividendo tra loro i coefficienti e le parti letterali. Esempio 3.3.4. 15x3 y4 z : (−3x2 z) = −5xy4   5 5 2 15 5 2 a b : a b = b 2 4 3

osservazione: Da 10x3 y2 : 2x5 y si ottiene 5x−2 y che non è un monomio. Il quoziente tra due monomi è dunque un monomio solo se il dividendo contiene almeno tutte le lettere del divisore con grado relativo non minore. Quando il quoziente tra due monomi è un monomio il dividendo si dice divisibile per il divisore e il divisore si dice fattore del dividendo. Esempio 3.3.5. "  3  2  #  2 5 3 3 6 3 1 1 1 2 2 2 3 a b c − − ab c − ab − ab c : − ab2 c = 4 4 2 16 4         1 3 6 3 1 2 4 1 25 2 4 2 3 3 6 3 a b c − − a b c − a b − ab2 c3 : a b c = 64 4   16 16 4  3 3 6 3 1 3 6 3 1 3 6 3 25 2 4 2 a b c + a b c + a b c : a b c = 64 16 4  64   25 3 6 3 25 2 4 2 a b c : a b c = 32 16 1 ab2 c 2 Esercizio 3.3.1. Semplifica le seguenti espressioni:

29

3.3 operazioni tra monomi     3 2xy2 − x2 − xy2 + 2xy2 − 4xy2 2 #  2 "  2  1 2 3 5 4 1 1 3 2 • − x y − − x x y : xy − 3x y 2 2 2 3    7  0 2 2 1 2 • − x3 y : − + (−3x) + x2 − x2 y : y + 5 5 5 3 3   2 1 3 7 • (x + x)3 (−y)5 − − xy − xy + xy xy2 − 6xy2 3 5 10 •

• a5n−1 : an−2 : an+3 + a3n−2 + 3a3n : a2 con n > 2 Esercizio 3.3.2. Calcola il valore delle seguenti espressioni attribuendo alle lettere i valori a fianco indicati:   2 1 1 1 (−2ab) (−ab) − · 3a2 (−2b2 ) − 2a2 b2 + 5a(ab2 ) per a = • − a3 b2 + e 3 4 2 2 b = −3  0   1 5 4 • 2a3 : (−8a3 ) a + (−a2 )2 : a3 − 2a8 − a2 (−a2 )3 per a = 4 2 3 Esercizio 3.3.3. Dopo aver stabilito il grado relativo ed assoluto dei monomi: 3 15xy4 z; −10x3 t; xz3 ; y3 z2 ; z stabilire quali dividono 40x3 y4 z2 2

Definizione 3.3.5. Si dice massimo comun divisore (M.C.D.) di monomi un monomio di grado massimo che è un fattore (o divisore) di tutti i monomi dati. Per calcolare il M.C.D. tra monomi è sufficiente scegliere un qualunque monomio avente per parte letterale il prodotto di tutte le lettere comuni prese con l’esponente minore (questo affinchè il monomio ottenuto sia un fattore comune). Vista l’arbitrarietà del coefficiente del M.C.D. si conviene di assegnare ad esso il M.C.D. tra i coefficienti, qualora questi siano interi, il numero 1 se almeno uno di essi è frazionario. Esempio 3.3.6. M.C.D.(30a2 b3 , −18a3 c, 24a4 b5 c) = 6a2 (oppure − 6a2 )   21 3 2 7 M.C.D. a b , − ab5 , 5ab4 c = ±ab2 13 8 M.C.D.(12ab5 , −20x) = ±4 M.C.D.(5x2 z, 9y4 ) = ±1

Definizione 3.3.6. Si dice minimo comune multiplo (m.c.m.) di monomi un monomio di grado minimo che è divisibile per tutti i monomi dati (o multiplo dei monomi dati). Per calcolare il m.c.m. tra monomi è sufficiente scegliere un qualunque monomio avente per parte letterale il prodotto di tutte le lettere comuni e non comuni prese con l’esponente maggiore (questo affinchè il monomio ottenuto sia un multiplo comune). Vista l’arbitrarietà del coefficiente del m.c.m. si conviene di assegnare ad esso il m.c.m. tra i coefficienti, qualora questi siano interi, il numero 1 se almeno uno di essi è frazionario. Esempio 3.3.7. m.c.m.(30a2 b3 , −18a3 c, 24a4 b5 c) = 360a4 b5 c(oppure − 360a4 b5 c)   21 3 2 7 a b , − ab5 , 5ab4 c = ±a3 b5 c m.c.m. 13 8 m.c.m.(12ab5 , −20x) = ±60ab5 x m.c.m.(5x2 z, 9y4 ) = ±45x2 y4 z Esercizio 3.3.4. Determinare M.C.D. e m.c.m. tra i seguenti gruppi di monomi: • 15x2 yz3 •

10ab4

20y3 6a3

10xy2

12yz5

15b2

2 6 y 3 3 2 2 • 27a b − 81a b 9ab3 18b4 5 7 3 3 • − a6 b2 c4 a c − 2ab 3 3 • 2a2n 4an b 6an b2 con n > 0

• 4x3 y2

− 12x5 y

30

4

POLINOMI

4.1

polinomi

Definizione 4.1.1. Si dice polinomio un’espressione ottenuta dalla somma algebrica di monomi. Esempio 4.1.1. Sono polinomi le seguenti espressioni: − 2ab + 3a2 − 2b + 1 1 2 a + 3 − 2a + 5 − a 2

All’occorrenza un polinomio può essere ‘etichettato’ utilizzando una lettera maiuscola seguita da una parentesi tonda contenente le lettere presenti nel polinomio; con riferimento all’esempio scriveremo: P(a, b) = −2ab + 3a2 − 2b + 1 1 Q(a) = a2 + 3 − 2a + 5 − a 2 Definizione 4.1.2. Un polinomio si dice ridotto a forma normale se non contiene monomi simili. Relativamente all’esempio precedente il polinomio P(a, b) è già in forma 1 normale; la forma normale del polinomio Q(a) è a2 + 8 − 3a 2 D’ora in poi, quando parleremo di polinomi, li intenderemo ridotti a forma normale. osservazione: Ogni monomio è un particolare polinomio in quanto si può ottenere come somma di monomi simili. Ricorrendo alla terminologia insiemistica possiamo affermare che l’insieme Q è un sottoinsieme dell’insieme dei monomi M che a sua volta è sottoinsieme dell’insieme dei polinomi P.

P M Q

E’ consuetudine chiamare binomio, trinomio, e quadrinomio rispettivamente un polinomio con due, tre, quattro monomi. Definizione 4.1.3. Si dice grado relativo ( assoluto) di un polinomio il grado relativo (assoluto) del monomio componente di grado maggiore. Esempio 4.1.2. Dato il polinomio: 3b4 − 2ab3 c +

31

1 ac3 − 5a2 b2 il grado relativo 2

4.2 operazioni

a è 2 ed è dato dal monomio −5a2 b2 b è 4 ed è dato dal monomio 3b4 c è 3 ed è dato dal monomio

alla lettera

1 ac3 2

dè0 ..........

e il grado assoluto è 5 ed è dato dal monomio −2ab3 c. Esempio 4.1.3. Dato il polinomio: x3 y −

3 2 2 x y − 2y2 il grado relativo 5 x è 3 ed è dato dal monomio x3 y

alla lettera 3 y è 2 ed è dato indifferentemente da − x2 y2 e −2y2 5

3 e il grado assoluto è 4 ed è dato indifferentemente da x3 y e − x2 y2 . 5

Dato un polinomio, con riferimento ad una lettera, si dice termine noto il monomio di grado zero. Qualora il polinomio contenga una sola lettera si dice coefficiente direttivo il coefficiente del monomio di grado maggiore. Definizione 4.1.4. Un polinomio si dice omogeneo quando tutti i monomi che lo compongono hanno lo stesso grado assoluto. Definizione 4.1.5. Un polinomio si dice ordinato rispetto ad una lettera quando i monomi componenti sono scritti secondo le potenze crescenti o decrescenti di quella lettera. Generalmente si preferisce ordinare secondo le potenze decrescenti della lettera. Definizione 4.1.6. Un polinomio si dice completo rispetto ad una lettera quando contiene tutte le potenze di quella lettera dal grado relativo fino a zero. Esercizio 4.1.1. Stabilire grado assoluto e relativo dei seguenti polinomi e ordinarli rispetto a ciascuna lettera: • x2 y3 + x5 − 2xy4 − 3x3 y2 + 9y5 • 2a3 b − a4 + b4 + 8a2 b2

4.2

operazioni

Definizione 4.2.1. La somma tra polinomi è il polinomio che si ottiene sommando i monomi di tutti i polinomi. Esempio 4.2.1.   (3a − 5ab + 2) + −2a2 + 3 + 2ab = 3a − 3ab + 5 − 2a2

Definizione 4.2.2. La differenza tra due polinomi è il polinomio che si ottiene sommando ai monomi del primo polinomio gli opposti del secondo. Esempio 4.2.2.   (3a − 5ab + 2) − −2a2 + 3 + 2ab   = (3a − 5ab + 2) + +2a2 − 3 − 2ab = 2a2 − 7ab + 3a − 1

32

4.3 prodotti notevoli

In generale l’addizione algebrica tra polinomi si esegue togliendo le parentesi ai polinomi e cambiando il segno a quelli preceduti dal segno meno. Esempio 4.2.3. (x − 1) + (x − 2y + 3) − (2x + 2 − 5y) = x − 1 + x − 2y + 3 − 2x − 2 + 5y = 3y Esercizio 4.2.1. • (a2 + ab + 3b2 ) − (a2 − 2ab + 3b2 ) • (2x − y − z) − (3x + 2y − 3z) − (y + 4x − z) + (5x − 4z + 4y)

Definizione 4.2.3. Il prodotto tra due polinomi è il polinomio che si ottiene moltiplicando ogni monomio del primo polinomio per tutti quelli del secondo. Esempio 4.2.4. (3x2 − xy4 ) · (−2x + y4 ) = −6x3 + 3x2 y4 + 2x2 y4 − xy8 = −6x3 + 5x2 y4 − xy8 Esercizio 4.2.2.  1 y + 5x 2    1 1 • 2a2 + b − + b − 2a2 2 2 

• (2x − 3y)

• (3a2 − 1)(2a + 1)(a2 − a + 3)

Un esempio di una espressione algebrica contenente le operazioni sin qui definite è il seguente: Esempio 4.2.5. (x + 2y)(2x − y + 3) − 2(x2 − y2 ) + (x − y)(y − 3) = 2x2 − xy + 3x + 4xy − 2y2 + 6y − 2x2 + 2y2 + xy − 3x − y2 + 3y = −y2 + 4xy + 9y Esercizio 4.2.3. 3(x − 1) − (2x − 2)(x + 2) + (2 − y)(x2 − 4) − (4y − x2 y)

4.3

prodotti notevoli

Nel calcolo di una espressione algebrica polinomiale sono spesso presenti particolari moltiplicazioni tra polinomi, anche sotto forma di potenza.Tali prodotti, detti prodotti notevoli, si possono determinare mediante regole pratiche che permettono di snellire i calcoli. 1. Somma per differenza (A + B)(A − B) = A2 − B2 infatti (A + B)(A − B) = A2 − AB + AB − B2 = A2 − B2 Esempio 4.3.1. (2x + 3y2 )(2x − 3y2 )

= |{z}

(2x)2 − (3y2 )2 = 4x2 − 9y4

con A=2x e B=3y2

(7x2

− 1)(7x2

+ 1) = 49x4 − 1

(−2x2 + 3y)(−2x2 − 3y) = 4x4 − 9y2 (5a + 2b)(2b − 5a) = 4b2 − 25a2

Dagli esempi si nota che: il prodotto tra la somma di due termini e la loro differenza si ottiene facendo il quadrato del termine che mantiene il segno, meno il quadrato di quello che cambia di segno. Esercizio 4.3.1. • (−4x + 3y2 )(−4x − 3y2 )

33

4.3 prodotti notevoli

34

 1 3 a + 5b 2    2 2 2 • x y + 7y4 7y4 − x2 y 3 3 



1 3 a − 5b 2



2. Quadrato di binomio (A + B)2 = A2 + 2AB + B2 infatti (A + B)2 = (A + B)(A + B) = A2 + AB + AB + B2 = A2 + 2AB + B2 Esempio 4.3.2. (2x − 7)2 = (2x)2 + 2(2x)(−7) + (−7)2 = 4x2 − 28x + 49 (y3 + 5xy)2 = y6 + 10xy4 + 25x2 y2  2 2 4 4 − + x2 = − x2 + x4 3 9 3  2 1 1 − a − 3b = a2 + 3ab + 9b2 2 4 (x − 2y + 3)(x − 2y − 3) = (x − 2y)2 − 32 = x2 − 4xy + 4y2 − 9

Riassumendo possiamo memorizzare che: il quadrato di un binomio si ottiene sommando il quadrato del primo termine, il doppio prodotto dei due termini e il quadrato del secondo termine. Esercizio 4.3.2. (3x2 − xy)2 ;

(−2x − y2 )2 ;



1 3 x +4 2

2 ;

(y2 + 3x + 4)(y2 − 3x − 4)

3. Quadrato di trinomio (A + B + C)2 = A2 + B2 + C2 + 2AB + 2AC + 2BC infatti

(A + B + C)2 = = (A + B + C)(A + B + C) = A2 + AB + AC + AB + B2 + BC + AC + BC + C2 = A2 + B2 + C2 + 2AB + 2AC + 2BC Esempio 4.3.3. (2x − y2 + 1)2 = 4x2 + y4 + 1 − 4xy2 + 4x − 2y2  2 3 9 − xy + y2 = + x2 y2 + y4 − 3xy + 3y2 − 2xy3 2 4

Riassumendo possiamo memorizzare che: il quadrato di un trinomio si ottiene sommando i quadrati dei tre termini e i doppi prodotti dei termini presi a due a due. Analogamente il quadrato di un polinomio si ottiene sommando i quadrati di tutti i termini e i doppi prodotti dei termini presi a due a due. Esempio 4.3.4.

(x − 2y + 5xy − 1)2 = x2 + 4y2 + 25x2 y2 + 1 − 4xy + 10x2 y − 2x − 20xy2 + 4y − 10xy = x2 + 4y2 + 25x2 y2 + 1 − 14xy + 10x2 y − 2x − 20xy2 + 4y

4.3 prodotti notevoli

Esercizio 4.3.3. (2a + 3b2 − 5)2 ;

  1 2 x2 − xy + ; 3

(−3x + 2xy − 2y + 1)2

4. Cubo di binomio (A + B)3 = A3 + 3A2 B + 3AB2 + B3 infatti (A + B)3 = (A + B)(A + B)2 = (A + B)(A2 + 2AB + B2 ) = A3 + 2A2 B + AB2 + A2 B + 2AB2 + B3 = A3 + 3A2 B + 3AB2 + B3 Esempio 4.3.5. (2x + 3)3 = (2x)3 + 3(2x)2 3 + 3(2x)32 + 33 = 8x3 + 36x2 + 54x + 27 (x − 5y2 )3 = x3 − 15x2 y2 + 75xy4 − 125y6 3  1 6 2 5 1 =− x + x − 4x4 + 8x3 − x2 + 2x 3 27 3  3 1 3 3 3 2 1 3 3 −a − ab = −a3 − a3 b − a b − a b 4 4 16 64

Riassumendo possiamo memorizzare che: il cubo di un binomio si ottiene sommando il cubo del primo termine, il triplo prodotto del quadrato del primo termine per il secondo, il triplo prodotto del quadrato del secondo termine per il primo e il cubo del secondo termine. Esercizio 4.3.4. 3  3 x + 4 ; (x2 − 3)3 ; 4

 3 1 −xy − x 2

Abbiamo sinora imparato a calcolare la potenza di un binomio fino al terzo grado. Riscrivendo i risultati ottenuti: (A + B)0 = 1 (A + B)1 = A + B (A + B)2 = A2 + 2AB + B2 (A + B)3 = A3 + 3A2 B + 3AB2 + B3 possiamo notare che il risultato è formalmente sempre un polinomio omogeneo, ordinato e completo in A e B con grado uguale a quello della potenza che stiamo calcolando. Osserviamo inoltre, che il primo e l’ultimo coefficiente di ogni polinomio risultato (nell’ordine in cui è stato scritto) sono uguali ad 1, mentre gli altri sono la somma dei due coefficienti ‘vicini’ della potenza precedente. Si potrebbe dimostrare, con strumenti matematici che ancora non possediamo, che quanto osservato si può generalizzare per calcolare una qualsiasi potenza di binomio. Continuando quindi l’elenco delle potenze avremo: (A + B)3 =

1A3 + 3A2 B + 3AB2 + 1B3 &. & . & . (A + B)4 = 1A4 + 4A3 B + 6A2 B2 + 4AB3 + 1B4 &. & . & . & . .. .. .. .. che ci permette di enunciare la seguente regola pratica: la potenza n-esima di un binomio è un polinomio omogeneo, ordinato e completo di grado n i cui coefficienti si ricavano dalla seguente tabella (detta Triangolo di

35

4.4 divisione

Tartaglia) nella quale ogni numero è la somma dei due numeri ‘vicini’ sopra ad esso: 1 1 1 1 1 1

2 3

4 ..

1 1 3 6

..

1 4

..

1 ..

1

Esempio 4.3.6. (2x − y2 )5 = (2x)5 + 5(2x)4 (−y2 ) + 10(2x)3 (−y2 )2 + 10(2x)2 (−y2 )3 + + 5(2x)(−y2 )4 + (−y2 )5 = 32x5 − 80x4 y2 + 80x3 y4 − 40x2 y6 + 10xy8 − y10 Esercizio 4.3.5. (3x − x2 )4 ;

(x + 2y)6

Vediamo ora due esempi di espressioni algebriche contenenti le operazioni e i prodotti notevoli tra polinomi: Esempio 4.3.7. [(y2 + 1)(y − 1)(y + 1) − (y2 + 4)2 + (2 + y)(y − 2) + (−4y)2 + 8(3 − y2 )]3 − (3y2 − 1)2 − 26 = [(y2 + 1)(y2 − 1) − (y4 + 8y2 + 16) + y2 − 4 + 16y2 + 24 − 8y2 ]3 − (9y4 − 6y2 + 1) − 26 = [y4 − 1 − y4 − 8y2 − 16 + y2 − 4 + 16y2 + 24 − 8y2 ]3 − 9y4 + 6y2 − 1 − 26 = [y2 + 3]3 − 9y4 + 6y2 − 27 = y6 + 9y4 + 27y2 + 27 − 9y4 + 6y2 − 27 = y6 + 33y2 Esempio 4.3.8. (x + 2y − 1)(x + 2y + 1) − (x + 2y + 1)2 + 2(2y + x) = (x + 2y)2 − 1 − x2 − 4y2 − 1 − 4xy − 2x − 4y + 4y + 2x = x2 + 4xy + 4y2 − x2 − 4y2 − 4xy − 2 = −2 Esercizio 4.3.6. • (a + 3b)2 (a − 3b)2 − (−3b)4 − (1 − a2 )2 + (a + b)(a − b) + 2(−3ab)2 • (x2 − 3x + 2)2 + x2 (x + 2)(x − 3) + 2x(x − 1)3 + x(x2 − x + 10)

4.4

divisione

Per dividere un polinomio per un monomio non nullo è sufficiente dividere ogni suo termine per il monomio. L’espressione algebrica ottenuta è un polinomio solo quando il monomio divisore è un fattore di tutti i termini componenti il polinomio dividendo. Esempio 4.4.1.  5 (−6x2 y3 + 4xy2 − 5xy4 ) : 2xy2 = −3xy + 2 − y2 2     3 1 1 Esercizio 4.4.1. xy3 z2 − xyz + x2 y2 z : xyz 2 2 2

Vogliamo ora definire ed imparare ad eseguire la divisione tra due polinomi. Definizione 4.4.1. Dati due polinomi P e D (rispettivamente dividendo e divisore) il quoziente Q e il resto R della divisione tra P e D sono due polinomi tali che P = D · Q + R ove il grado di R è minore del grado di D

36

4.4 divisione

Per imparare ad eseguire la divisione tra due polinomi procediamo con un esempio: data la divisione (x − 6x3 + 2x4 − 1) : (x2 − 2) ordiniamo dividendo P e divisore D e otteniamo: (2x4 − 6x3 + x − 1) : (x2 − 2) Dividiamo il monomio di grado massimo di P per quello di grado massimo di D (essi sono ovviamente i primi monomi di P e D essendo questi ultimi ordinati). Il risultato ottenuto, Q1 = 2x2 , è il primo candidato quoziente mentre il primo candidato resto si ottiene calcolando R1 = P − D · Q1 = 2x4 − 6x3 + x − 1 − (x2 − 2) · 2x2 = 2x4 − 6x3 + x − 1 − 2x4 + 4x2 = −6x3 + 4x2 + x − 1 Poichè il grado di R1 non è minore del grado di D, ripetiamo il procedimento per la divisione R1 : D ed otteniamo Q2 = −6x e R2 = R1 − D · Q2 = −6x3 + 4x2 + x − 1 − (x2 − 2)(−6x) = −6x3 + 4x2 + x − 1 + 6x3 − 12x = 4x2 − 11x − 1 Poichè ancora il grado di R2 non è minore del grado di D, continuiamo con R2 : D ottenendo Q3 = 4 e R3 = R2 − D · Q3 = 4x2 − 11x − 1 − (x2 − 2) · 4 = −11x + 7 Poichè finalmente il grado di R3 è minore del grado di D, possiamo scrivere (riassumendo il procedimento svolto) P = D · Q1 + R1 = D · Q1 + D · Q2 + R2 = D · Q1 + D · Q2 + D · Q3 + R3 =

(proprietà distrubutiva)

= D · (Q1 + Q2 + Q3 ) + R3 con riferimento al nostro esempio abbiamo: 2x4 − 6x3 + x − 1 = (x2 − 2) · (2x2 − 6x + 4) + (−11x + 7) e quindi possiamo dire che il quoziente Q è 2x2 − 6x + 4 e il resto R è −11x + 7 Il procedimento appena illustrato viene sintetizzato con la seguente regola pratica: P → 2x4 − 6x3 + 0x2 + x − 1 −D · Q1 → −2x4

+ 4x2

R1 → // − 6x3 + 4x2 + x − 1 −D · Q2 → +6x3

x2 − 2 ← D 2x2 − 6x + 4 ← Q ↑ ↑ ↑ Q1 Q2 Q3

− 12x

R2 → // + 4x2 − 11x − 1 −D · Q3 → −4x2

+8

R = R3 → // − 11x + 7 Osserviamo che: 1. nella precedente ‘tabella di divisione’ è stato necessario completare formalmente il polinomio dividendo P diversamente da quanto fatto per il divisore D. 2. il grado del quoziente Q è determinato dal monomio Q1 e quindi esso è la differenza tra il grado del dividendo P e quello del divisore D. 3. dalla definizione di divisione sappiamo che il grado del resto è minore di quello del divisore e infatti nell’esempio svolto è

37

4.4 divisione

gr(R) = 1 < 2 = gr(D). E’ importante non commettere l’errore di pensare che il grado del resto sia sempre inferiore di uno a quello del divisore come si può verificare con la seguente divisione (4x3 − 5x + 16) : (2x2 − 3x + 2) nella quale il resto ha grado zero.

Esercizio 4.4.2. • (x5 − 3x3 + 2x + x2 − 2) : (x2 − x) • (−10x3 − 6 + 9x2 ) : (2 − 5x2 − 3x)

Proponiamoci di eseguire una divisione tra polinomi in cui compare più di una lettera: (x3 − 4y3 + 2xy2 ) : (x2 + y2 − 3xy) Per utilizzare il procedimento imparato è necessario stabilire rispetto a quale lettera ordinare i polinomi. 1. divisione rispetto ad x: x3 + 0x2 + 2xy2 − 4y3 −x3 + 3x2 y − xy2

x2 − 3xy + y2 x + 3y

// + 3x2 y + xy2 − 4y3 −3x2 y + 9xy2 − 3y3 10xy2 − 7y3 2. divisione rispetto ad y: −4y3

+ 2xy2 + 0y + x3

+4y3 − 12xy2 + 4x2 y

y2 − 3xy + x2 −4y − 10x

// − 10xy2 + 4x2 y + x3 +10xy2 − 30x2 y + 10x3 −26x2 y + 11x3 Osservando che i quozienti e i resti ottenuti con le due divisioni sono diversi, conveniamo di indicarli con Q(x) ed R(x) o Q(y) ed R(y) se sono stati ottenuti rispettivamente rispetto ad x o ad y e quindi: Q(x) = x + 3y e R(x) = 10xy2 − 7y3 Q(y) = −4y − 10x e R(y) = −26x2 y + 11x3

Osservazioni:

38

4.5 divisione con la regola di ruffini

1. Nel caso particolare in cui il grado del dividendo P sia minore di quello del divisore D, possiamo affermare che il quoziente Q è il polinomio nullo ed il resto R è proprio il dividendo P infatti possiamo scrivere la seguente uguaglianza: P = D · 0 + P con gr(P) < gr(D) 2. Qualora il resto sia nullo, il divisore D della divisione si dice fattore (o divisore) del polinomio dividendo, infatti: P = D·Q+0

da cui P = D · Q

Ovviamente anche Q sarà un fattore o divisore di P ed è facile convincerci che in tal caso P:Q=D 3. Nelle divisioni tra polinomi in più lettere, se il resto è nullo, i quozienti ottenuti rispetto a ciascuna lettera sono uguali tra loro. Esercizio 4.4.3. • (3a5 − 4a4 b − 10a2 b3 + 4a3 b2 + ab4 ) : (a2 + b2 )     5 4 2 3 7 5 1 • x y − x3 y2 + x3 y − x2 y3 − x2 y2 + xy4 − 6xy3 : x− y+2 8 3 2 3 6 3

4.5

divisione con la regola di ruffini

Per eseguire la divisione quando il divisore è un polinomio di primo grado con coefficiente direttivo unitario rispetto ad una lettera esiste una regola, detta Regola di Ruffini, che consente di determinare quoziente e resto in modo più rapido ed elegante. Scegliamo di illustrare il nuovo procedimento mediante degli esempi. Data la divisione (x3 − 5x2 + 3) : (x − 2), disponiamo tutti i coefficienti del dividendo, ordinato e formalmente completo, all’interno di una ‘tabella’: 1

−5

0

3

Scriviamo l’opposto del termine noto del divisore nella ‘tabella’: 1

−5

0

3

+2 Trascriviamo il coefficiente direttivo sotto la linea orizzontale : 1

−5

0

3

+2 1 Moltiplichiamo quest’ultimo per l’opposto del termine noto (+2) e scriviamo il prodotto nella colonna successiva (quella del −5) sulla riga del 2: 1 +2

−5

0

3

2 1

Sommiamo −5 e 2 riportando il risultato sotto la linea orizzontale:

39

4.5 divisione con la regola di ruffini

1

−5

1

2 −3

+2

0

3

Ripetiamo lo stesso procedimento moltiplicando −3 e 2, riportando nella colonna successiva il prodotto e calcolando infine la somma: 1

−5

0

1

2 −3

−6 −6

+2

3

Iterando ancora una volta otteniamo: 1

−5

0

1

2 −3

−6 −6

+2

3 −12 −9

L’ultima riga contiene in modo ordinato rispettivamente i coefficienti del quoziente ed il resto. Il quoziente, che sappiamo essere un polinomio di grado due, (uno in meno del dividendo essendo il divisore di grado uno) è dunque x2 − 3x − 6. Il resto, che sappiamo essere un polinomio di grado zero, è −9. Un ulteriore esempio è la seguente divisione (2a2 x2 − 3x3 + a4 x − 4a6 ) : (x + 2a2 ) Il calcolo con la regola di Ruffini è: −3 −2a2 −3

2a2

a4

−4a6

6a2 − 16a4

30a6

8a2 − 15a4

26a6

Il quoziente ed il resto risultano rispettivamente: Q(x) = −3x2 + 8a2 x − 15a4 , R = 26a6 Se avessimo voluto eseguire la divisione rispetto alla lettera a non avremmo potuto usare la nuova regola (non avendo il divisore grado 1 rispetto ad a) e con il metodo generale di divisione avremmo ottenuto: 3 1 13 Q(a) = −2a4 + a2 x + x2 , R = − x3 2 4 4 Osservazione 4.5.1. Se il coefficiente direttivo non è unitario è possibile adattare la regola di Ruffini per eseguire la divisione. In questo caso, però, il procedimento risulta appesantito perdendo in parte la sua rapidità esecutiva; si consiglia, dunque, di eseguire la divisione con il metodo tradizionale. Esercizio 4.5.1. • (x3 − 13x + 12) : (x + 1)   1 2 • x3 − x2 + x − 1 : (x − 3) 3 3 • (x2 y + 4xy2 + 3y3 ) : (2x + y)

Nel caso in cui il divisore sia un polinomio di primo grado con coefficiente direttivo unitario è possibile determinare il resto senza eseguire la divisione utilizzando il seguente: Teorema 4.5.1 (Teorema del resto). Il resto della divisione tra P(x) e (x − k) si ottiene sostituendo l’opposto del termine noto del divisore alla lettera del dividendo cioè: R = P(k).

40

4.5 divisione con la regola di ruffini

Dim. Per definizione di divisione P(x) = (x − k) · Q(x) + R sostituendo k alla x si ottiene: P(k) = (k − k) · Q(k) + R quindi: P(k) = 0 · Q(k) + R cioè P(k) = R

Esempio 4.5.1. Il resto della divisione: (2x4 + x − 5) : (x − 1) è R = P(1) = 2 · 14 + 1 − 5 = 2 + 1 − 5 = −2 Il resto della divisione: (x2 + x − 2) : (x + 2) è R = P(−2) = (−2)2 + (−2) − 2 = 0

In quest’ultimo esempio, poichè il resto è nullo, il divisore (x + 2) è un fattore del polinomio x2 + x − 2 Più in generale per controllare se un polinomio del tipo (x − k) è un fattore di P(x) è sufficiente calcolare il resto (e quindi P(k)) e vedere se esso è nullo; si può enunciare, infatti il seguente teorema: Teorema 4.5.2 (Teorema di Ruffini). Se un polinomio P(x) si annulla per x uguale a k, un suo fattore è (x − k), e viceversa. Dim. (⇒) P(x) = (x − k) · Q(x) + R poichè per ipotesi R = P(k) = 0 allora P(x) = (x − k) · Q(x) dunque (x − k) è un fattore di P(x) (⇐) se (x − k) è un fattore di P(x) allora P(x) = (x − k) · Q(x) dunque P(k) = (k − k) · Q(x) = 0 Esempio 4.5.2. Stabilire quale dei seguenti polinomi è un divisore di x3 + 3x2 − 4x − 12: x + 1;

x − 2;

x+3

P(−1) = −1 + 3 + 4 − 12 6= 0 ⇒ x + 1 non è un fattore P(+2) = 8 + 12 − 8 − 12 = 0 ⇒ x − 2 è un fattore P(−3) = −27 + 27 + 12 − 12 = 0 ⇒ x + 3 è un fattore Esempio 4.5.3. Determinare il valore da attribuire alla lettera t affinchè x − 1 sia un fattore del polinomio x2 − 3x + t + 4 Calcoliamo P(1) = 1 − 3 + t + 4 = t + 2 dovrà essere R = 0 cioè t + 2 = 0 dunque t = −2 Esempio 4.5.4. Determinare un divisore di x2 + 2x − 15 Con il teorema di Ruffini siamo in grado di determinare i divisori del tipo (x − k) Infatti calcolando P(1), P(−1), P(2), P(−2), . . . . . . otteniamo i resti della divisione rispettivamente per (x − 1), (x + 1), (x − 2), (x + 2), . . . . . . P(1) = −13, P(−1) = −16, P(2) = −7, P(−2) = −15, P(3) = 0 ⇒ (x − 3) è un divisore (fattore) del polinomio.

41

4.6 esercizi riepilogativi

osservazione: Per determinare un fattore di un polinomio P(x), come nell’ultimo esempio, non è necessario sostituire alla x tutti i numeri interi finchè si ottiene zero, ma solo i divisori del termine noto del dividendo. Infatti dall’uguaglianza: P(x) = (x − k) · Q(x) si deduce che il termine noto di P(x) è il prodotto tra il termine noto di Q(x) (indichiamolo con q) e quello di (x − k), dunque esso é −k · q e quindi k risulta un fattore del termine noto di P(x). Se vogliamo ora cercare un fattore di x3 − 4x2 − 25 i numeri da sostituire a x saranno i divisori di 25 ovvero ± 1, ±5, ±25. Poichè P(1) 6= 0, P(−1) 6= 0 ma P(5) = 0 possiamo concludere che (x − 5) è un fattore del polinomio. E’ opportuno far notare che non sempre un polinomio ha fattori del tipo (x − k) come è il caso di x2 + 5x + 2 per il quale P(1) 6= 0, P(−1) 6= 0, P(2) 6= 0, P(−2) 6= 0. Esercizio 4.5.2. • Calcolare il resto della divisione: (3x4 + 6x2 + x − 3) :

  2 x+ 3

• Stabilire quale dei seguenti binomi è un fattore di x3 − 5x2 + 3x − 15: (x − 1); (x − 2); (x − 4); (x − 5); (x + 6) • Determinare due fattori di primo grado di x4 − x3 − x2 − 5x − 30 • Determinare il valore di k affinchè (y + 1) sia un fattore di y3 + 2ky2 − 5ky − 6k − 2 • Determinare k in modo che il resto della divisione: (2x4 − 3x2 + kx − k) : (x + 2) sia 17

4.6

esercizi riepilogativi

Esercizio 4.6.1. Calcola il valore delle seguenti espressioni: 2     3 3 3 3 − a − a(a − 3) + 2a − + 2a − b2 1. 2 2 2 2 [4a2 −

3 2 b ] 2

2. (a − b)(a + b)3 − (a + b)(a − b)3 − 4ab(a2 − 2b2 ) [4ab3 ] 3. (x2 − 3xy + 2y2 )2 − x(x − 3y)3 − 3xy(x2 + 5y2 ) [4y4 − 14x2 y2 ] 4. 8(y − 1)3 + 4(y − 1)2 + (y2 − 4y + 2)2 − y2 (y2 − 1) [y2 ] 5. (2x − y − 1)(2x + y + 1) − (2x + 1)(2x − 3) + (y − 2)(y + 2) [4x − 2y − 2]   5 6. (x2 − 2y)2 + (x + 2y)3 − (x − y)3 − 3y 3y2 + x2 − 4y2 3 [x4 + 9xy2 ] 7. (x + 2y − 1)2 + (x2 − x − 2y)(x2 + x + 2y) + (x2 − 2)3 + 5(x2 − 1)(x2 + 1) + 2(x + 2y − 6x2 ) [x6 − 12]  2  2 1 1 8. 2(ab − 1)(ab + 1) + a2 − ab − b2 − ab + b2 − a2 (a − b)2 2 2 [−2] " 9.

1 ab − 2



1 a+b 4

2

  #  3   1 1 1 3 + b+ a − a + b a + b + a − b2 a+b 4 4 2 2

42

4.6 esercizi riepilogativi 3 [ a2 b] 4 10. (x − 1)(x + 3) − (x + 1)2 − (x − 2)2 + 2(x + 3)2 − (x + 2 − y)2 − 2y(x + 2 −

1 y) 2

[12x + 6]   1 2 1 11. [(3x − 1) (3x + 1)]2 − 9x2 − + 2 4 [−9x2 + 1] h i2  12. x(x − 2y)3 − (x + 2y)2 − (2x + y)2 + 2xy 3x2 + 4y2 − 15xy + 9y4 [−8x4 ] 13. (xn+1 − x2 )(xn+1 + x2 ) − x2 (xn + x)2 [−2xn+3 − 2x4 ] Esercizio 4.6.2. Calcola quoziente e resto delle seguenti divisioni: 1. (4x3 − 5x + 16) : (2x2 − 3x + 2) [Q(x) = 2x + 3, R(x) = 10]  2.

   1 4 1 2 x − x2 y2 + 6xy3 − 6y4 : x + xy − 3y2 4 2 [Q(x) = [Q(y) = 2y2 −

1 2 x − xy + 3y2 , R(x) = 3y4 ] , 2

4 2 1 3 5 4 xy + x2 , R(y) = − x y+ x ] 3 9 18 36

3. (2x3 + 3x2 − 2x + 2) : (x + 2) [Q(x) = 2x2 − x, R = 2] 4. (2a5 − 15a3 b2 − 25ab4 − b5 ) : (a − 3b) rispetto alla lettera a [Q(a) = 2a4 + 6a3 b + 3a2 b2 + 9ab3 + 2b4 , R(a) = 5b5 ]   10 4 1 a − 3a2 + : (a + 3) 5. a5 + 3 2 [Q(a) = a4 +

1 1 3 a − a2 , R = ] 3 2

6. (64x6 − y6 ) : (16x4 + 4x2 y2 + y4 ) [Q(x) = Q(y) = 4x2 − y2 , R(x) = R(y) = 0] 7. (2a4 − 6a2 + 3) : (a2 − 3a − 1) [Q(a) = 2a2 + 6a + 14, R(a) = 48a + 17] 8.

    1 3 9 x4 − x3 − x − : x− 8 4 2 [Q(x) = x3 +

1 2 3 1 x + x, R = − ] 2 4 4

9. (2x3 − x2 − 8x + 4) : (2x − 1) [Q(x) = x2 − 4, R = 0] Esercizio 4.6.3. Calcola il valore delle seguenti espressioni contenenti divisioni tra polinomi 1.



 2 2x4 + x3 − 3x2 + x : (x2 + x − 1) + x − 4x4 [0]

2. (x − 4)2 +



    x2 − 16 : (4 − x) · 2x2 − 13x + 20 : (2x − 5) 

[−8x + 32] Esercizio 4.6.4. Stabilisci per quale valore di a la divisione (2x2 − ax + 3) : (x + 1) dà resto 5

43

4.6 esercizi riepilogativi

[a = 0] Esercizio 4.6.5. Stabilisci per quale valore di k il polinomio P(x) = 2x3 − x2 + kx + 1 − 3k è divisibile per x + 2 [k = −

19 ] 5

Esercizio 4.6.6. Stabilisci per quale valore di k la divisione (2x2 + 3x + k − 2) : (x − 1) è esatta [k = −3] Esercizio 4.6.7. Dati i polinomi : A(x) = x3 + 2x2 − x + 3k + 2 e B(x) = kx2 − (3k − 1)x + k determina k in modo che i due polinomi, divisi entrambi per x + 1 abbiano lo stesso resto [k =

5 ] 2

Esercizio 4.6.8. Verifica che il polinomio x4 − x2 + 12x − 36 è divisibile per i binomi (x − 2) e (x + 3) utilizzando il teorema di Ruffini. Successivamente, utilizzando la divisione, verifica che è divisibile per il loro prodotto. Esercizio 4.6.9. Stabilisci per quale valore di a le divisioni: (x2 + ax − 3a) : (x + 6) e (x2 + x − (a + 2)) : (x + 3) danno lo stesso resto [a = 4]

44

5

SCOMPOSIZIONI

5.1

scomposizioni

Nei capitoli precedenti abbiamo imparato a semplificare le espressioni algebriche contenenti operazioni tra polinomi; nella maggior parte dei casi la semplificazione consisteva nell’eseguire la moltiplicazione (o lo sviluppo di una potenza) di polinomi per ottenere come risultato un polinomio. In questo capitolo ci proponiamo di affrontare il problema inverso, cioè scrivere un polinomio, se possibile, come prodotto di altri polinomi. Esempio 5.1.1. Dato P(x) = x3 + x2 − 4x − 4 si può facilmente verificare che P(x) = (x2 − 4)(x + 1) ma anche P(x) = (x − 2)(x2 + 3x + 2) oppure P(x) = (x − 2)(x + 2)(x + 1)

Definizione 5.1.1. Un polinomio si dice riducibile (scomponibile) se può essere scritto come prodotto di due o più polinomi (detti fattori) di grado maggiore di zero. In caso contrario esso si dirà irriducibile. Osservazione 5.1.1. Dalla definizione si deduce banalmente che: • un polinomio di primo grado è irriducibile; • un polinomio di grado n può essere scritto come prodotto di al più n fattori di primo grado. Definizione 5.1.2. Si chiama scomposizione in fattori di un polinomio la sua scrittura come prodotto di fattori irriducibili Con riferimento all’esempio la scrittura (x2 − 4)(x + 1) non è la scomposizione in fattori di P(x) in quanto x2 − 4 non è un polinomio irriducibile. La scomposizione in fattori di P(x) è invece (x − 2)(x + 2)(x + 1) essendo ciascuno dei tre fattori un polinomio di primo grado. Osservazione 5.1.2. La riducibilità o irriducibilità di un polinomio è legata all’insieme numerico al quale appartengno i suoi coefficienti; pertanto alcuni polinomi che sono irriducibili in quanto operiamo con coefficienti razionali (Q), potranno diventare riducibili se i loro coefficienti saranno considerati nell’insieme R dei numeri reali (che contiene √ oltre a tutti i razionali anche altri numeri, incontrati alla scuola media, come ad esempio 2 e π) Un esempio di quanto osservato è il polinomio x2 − 2, irriducibile in Q, riducibile in R in quanto: (x +

√ √ √ √ √ 2)(x − 2) = x2 − x · 2 + 2 · x − ( 2)2 = x2 − 2

Per scomporre un polinomio non esistono metodi generali, ma particolari strategie da applicare a determinate tipologie di polinomi. Una strategia già a nostra disposizione è l’applicazione del Teorema di Ruffini che permette di determinare i fattori di primo gardo di un polinomio. Esempio 5.1.2. Dato P(x) = x2 − 25 si ottiene P(1) 6= 0 6= P(−1), P(5) = 0 quindi x − 5 è un fattore di x2 − 25. L’altro fattore, cioè x + 5, si ottiene eseguendo la divisione (x2 − 25) : (x − 5). Essendo P(x) = D(x) · Q(x) si ha x2 − 25 = (x − 5)(x + 5)

Alla tecnica di scomposizione che utilizza il Teorema di Ruffini, pur efficace e generale, si preferiscono metodi più snelli adatti ciascuno ad un particolare tipo di polinomio. Illustriamo ora i principali metodi di scomposizione.

45

5.1 scomposizioni

1. Raccoglimento a fattor comune Consiste nell’applicare la proprietà distributiva della moltiplicazione ‘evidenziando’ come primo fattore il M.C.D. tra i monomi del polinomio e come secondo fattore il quoziente tra il polinomio e il M.C.D. In simboli: A · B + A · C + A · D = A · (B + C + D) Esempio 5.1.3. • 2xy + 4x2 − 6x3 y = 2x(y + 2x − 3x2 y) • a2 b3 c − 5ab2 c2 = ab2 c(ab − 5c) • 7xa2 − 7a2 = 7a2 (x − 1) •

2 4 2 1 2 3 a b + a b c − 3a3 b4 c2 = a2 b2 3 5



2 2 1 a + bc − 3ab2 c2 3 5



• −12x2 − 15xy = −3x(4x + 5y) meglio di 3x(−4x − 5y) • xn+2 − 5xn = xn (x2 − 5), (n ∈ N)

osservazioni: (a) Quando i coefficienti sono frazionari abbiamo stabilito che il coefficiente del M.C.D. è 1. E’ opportuno tuttavia raccogliere, in alcuni casi, anche un coefficiente non unitario come dimostrano i seguenti esempi:   4 2 5 4 6 4 5 4 4 5 a b − ab = ab (a − b) preferibile a ab a− b 5 5 5 5 5   6 3 3 2 2 3 1 xy + x − 9x = 3x y + x−3 7 5 7 5 1 2 3 1 b c − c = c(2b2 − 3) 2 4 4 (b) Qualora il M.C.D. che raccogliamo sia un monomio di grado zero, quella che otteniamo non è una scomposizione in base alla definizione data, tuttavia la scrittura ottenuta è spesso utile per poter continuare con la scomposizione come mostra il seguente esempio: 3x2 − 75 = 3(x2 − 25)

= |{z}

3(x − 5)(x + 5)

vedi es.3.1.2

(c) La scomposizione mediante raccoglimento a fattor comune può essere estesa anche ad espressioni i cui addendi contengono uno stesso polinomio come fattore; vediamone alcuni esempi: 3(x + y) − 2a(x + y) − x(x + y) = (x + y)(3 − 2a − x) (b − a)2 − (b − a)(2 − a) = (b − a)[(b − a) − (2 − a)] = (b − a)(b − a − 2 + a) = (b − a)(b − 2) 2x(x − y) + 5y(y − x) = 2x(x − y) − 5y(−y + x) = 2x(x − y) − 5y(x − y) = (x − y)(2x − 5y) Esercizio 5.1.1. • 4a2 b + 16a2 c • 25a3 b4 − 5a2 b3 + 5a2 b2 1 3 3 2 2 4 • a b + a b 9 3 • 3xn+1 ym + 2xn ym+2 • (a − b)2 + 2(a − b) − (a − b)ab • 3x(a − 1) + x2 (−a + 1)

2. Raccoglimento parziale Consiste nell’applicare il raccoglimento a fattor comune a gruppi di monomi e successivamente effettuare il raccoglimento a fattor comune nell’intera espressione ottenuta.

46

5.1 scomposizioni

47

Esempio 5.1.4. • 2x + 4y + ax + 2ay = 2(x + 2y) + a(x + 2y) avendo raccolto il fattore 2 nel gruppo dei primi due monomi ed a nel gruppo dei rimanenti = (x + 2y)(2 + a) avendo raccolto a fattor comune (x + 2y) Allo stesso risultato si può pervenire raccogliendo parzialmete tra il primo e il terzo monomio e tra il secondo e il quarto: x(2 + a) + 2y(2 + a) = (2 + a)(x + 2y) • 9x2 − 3x − 3xy + y = 3x(3x − 1) − y(3x − 1) = (3x − 1)(3x − y) = a(5b2 − 2a) − 3(−2a + 5b2 ) = (5b2 − 2a)(a − 3) • 5ab2 − 2a2 + 6a − 15b2 = = 5b2 (a − 3) − 2a(a − 3) = (a − 3)(5b2 − 2a) • 11x2 − 22xy + x − 2y = 11x(x − 2y) + 1(x − 2y) = (x − 2y)(11x + 1) • 12a2 x2 + 6ax2 y − 4a2 b − 2aby = 2a(6ax2 + 3x2 y − 2ab − by) = 2a[3x2 (2a + y) − b(2a + y)] = 2a(2a + y)(3x2 − b) = a(x + 1) − b(x + 1) − 2c(x + 1) = (x + 1)(a − b − 2c) • ax + a − bx − b − 2cx − 2c = = x(a − b − 2c) + 1(a − b − 2c) = (a − b − 2c)(x + 1)

Dagli esempi svolti è facile convincerci che affinchè si possa applicare il raccoglimento parziale è necessario che i gruppi di monomi individuati contengano lo stesso numero di termini. Esercizio 5.1.2. • a4 − a3 − 2a + 2 • y2 − 3x3 + xy − 3x2 y • 10p2 − 4pq − 15p + 6q • 2x2 − 3xy + xz − 2ax + 3ay − az

3. Scomposizione mediante riconoscimento di prodotti notevoli Consiste nell’applicare la proprietà simmetrica dell’uguaglianza alle formule studiate relativamente ai prodotti notevoli. Si avrà quindi: a) Differenza tra due quadrati Ricordando che (A + B)(A − B) = A2 − B2 si ricava A2 − B2 = (A + B)(A − B) Esempio 5.1.5. • 9 − 4x2 = (3)2 − (2x)2 = (3 + 2x)(3 − 2x)    1 1 1 2 • x −1 = x+1 x−1 4 2 2    9 3 3 • 25a2 b4 − y6 = 5ab2 + y3 5ab2 − y3 16 4 4 • −16 + 25x2 = (5x + 4)(5x − 4) • (2x − 3a)2 − (x + a)2 = (2x − 3a + x + a)(2x − 3a − x − a) = (3x − 2a)(x − 4a) Esercizio 5.1.3. • a2 − 9b2 25 2 a −1 • 16 • x2n − y4 • (2a − 1)2 − (1 − a)2

5.1 scomposizioni

b) Sviluppo del quadrato di un binomio Ricordando che (A + B)2 = A2 + 2AB + B2 si ricava A2 + 2AB + B2 = (A + B)2 Esempio 5.1.6. • x2 + 6x + 9 = (x)2 + 2 · 3 · x + (3)2 = (x + 3)2 • x4 y2 + 2x2 y + 1 = (x2 y + 1)2 • 9x2 − 12xy2 + 4y4 = (3x − 2y2 )2  2 25 2 5 • a − 5ab + b2 = a−b 4 2  2 1 2 2 1 • x y + 1 − xy = xy − 1 osserva che non sempre il doppio prodotto è il 4 2 monomio centrale Esercizio 5.1.4. • 49a2 − 14ab + b2 1 2 1 2 1 x + y − xy • 4 9 3 1 2 2 4 • + x +x 25 5 • 4y2n − 12yn + 9

c) Sviluppo del quadrato di un trinomio Ricordando che (A + B + C)2 = A2 + B2 + C2 + 2AB + 2AC + 2BC si ricava A2 + B2 + C2 + 2AB + 2AC + 2BC = (A + B + C)2 Esempio 5.1.7. • x2 + 4y2 + 1 + 4xy + 2x + 4y = (x)2 + (2y)2 + (1)2 + 2 · (x) · (2y) + 2 · (x) · (1) + 2 · (2y) · (1) = (x + 2y + 1)2 • 9x4 + a2 + 16 − 6x2 a + 24x2 − 8a = (3x2 − a + 4)2 • x2 y2 − 6xy − 14x2 y + 9 + 49x2 + 42x = (xy − 3 − 7x)2 anche in questo caso osserva che i monomi possono presentarsi in ordine sparso. Esercizio 5.1.5. • a2 + 4x2 + 9 + 4ax − 6a − 12x • 16x2 + 9x4 y2 − 24x3 y − 12x2 y3 + 4y4 + 16xy2

d) Sviluppo del cubo di un binomio Ricordando che (A + B)3 = A3 + 3A2 B + 3AB2 + B3 si ricava A3 + 3A2 B + 3AB2 + B3 = (A + B)3 Esempio 5.1.8. • x3 + 6x2 + 12x + 8 = (x)3 + 3 · (x)2 · (2) + 3 · (x) · (2)2 + (2)3 = (x + 2)3 • 125x6 − 75x4 y + 15x2 y2 − y3 = (5x2 − y)3  3 1 3 3 2 2 2 3 1 • a b − a b x + 4abx6 − 8x9 = ab − 2x3 27 3 3

48

5.1 scomposizioni

Esercizio 5.1.6. • 27x3 − 27x2 y + 9xy2 − y3 •

8 3 9 27 a − 2a2 + a − 27 2 8

• a3n + 3a2n + 3an + 1

Vediamo ora alcuni esempi in cui per scomporre un polinomio è necessario utilizzare più di un metodo tra quelli illustrati. Esempio 5.1.9. • 50x5 − 2x3 y4 = 2x3 (25x2 − y4 ) = 2x3 (5x − y2 )(5x + y2 ) {z } {z } | | racc. f. c.

diff. quad.

• a4 − 8a2 + 16 = ( a2 − 4 )2 = [(a − 2)(a + 2)]2 = (a − 2)2 (a + 2)2 | {z } | {z } quad. bin.

diff. quad.

• (x2 − 9y2 )24a3 + (x2 − 9y2 )36a2 + (x2 − 9y2 )18a + 3(x2 − 9y2 ) {z } | racc. f.c.

= 3(x2 − 9y2 )(8a3 + 12a2 + 6a + 1) = 3(x − 3y)(x + 3y)(2a + 1)3 {z } | {z } | cubo bin.

diff. quad.

• x4 − a2 x2 − 4x2 + 4a2 = x2 (x2 − a2 ) − 4(x2 − a2 ) = ( x2 − a2 )( x2 − 4 ) = {z } | {z } | | {z } racc. parz.

diff. quad.

diff. quad.

(x − a)(x + a)(x − 2)(x + 2) •

1 1 1 3 y − 4y2 + 8y = y(y2 − 8y + 16) = y(y − 4)2 {z } | 2 2 2 | {z } quad. bin.

racc. f.c.

3

2

• 3x − 9x + 12 = {z } |

3(x3

− 3x2 + 4) poichè il polinomio P(x) = x3 − 3x2 + 4 non

racc. f.c.

è riconducibile ad alcun prodotto notevole, dobbiamo cercare un suo fattore utilizzando il Teorema di Ruffini. P(1) = 1 − 3 + 4 6= 0 , P(−1) = −1 − 3 + 4 = 0 ⇒ (x + 1) è un fattore di P(x); l’altro fattore lo otteniamo eseguendo la divisione: 1 −1 1 Q(x) = Quindi

x2

3x3

−3

0

4

−1

4

−4

−4

4

0

− 4x + 4 − 9x2 + 12 = 3(x3 − 3x2 + 4) = 3(x + 1)(x2 − 4x + 4) = 3(x + {z } | {z } | Ruffini

1)(x − 2)2 Esercizio 5.1.7. • x5 + xy4 − 2x3 y2 • 192a8 b7 − 3a2 b • a2 x2 − a2 y2 + abx2 − aby2 • x4 + x3 − 3x2 − 4x − 4 • 24x − 36x2 − 4 • (a + 2)x2 − 6(a + 2)x + 9(a + 2) • (3x − 1)3 − (3x − 1) • x3 y − 2x3 − 3x2 y + 6x2 + 3xy − 6x − y + 2 • 2ax4 − 162ay4 • (2a − 5)2 − (a + 2)2

4. Scomposizione di particolari binomi e trinomi

quad. bin.

49

5.1 scomposizioni

a) Somma di due cubi A3 + B3 = (A + B)(A2 − AB + B2 ) infatti posto P(A) = A3 + B3 , per il Teorema di Ruffini, essendo P(−B) = 0, un suo fattore è A + B, l’altro si otterrà dalla divisione: 1 −B

0

−B 1 −B

0

B3

B2 B2

−B3 0

Q(A) = A2 − AB + B2 quindi A3 + B3 = (A + B)(A2 − AB + B2 ) Esempio 5.1.10. 8x3 + 27 = (2x)3 + (3)3 = (2x + 3)(4x2 − 6x + 9)

b) Differenza di due cubi A3 − B3 = (A − B)(A2 + AB + B2 ) (la dimostrazione è analoga a quella precedente) Esempio 5.1.11. a3 − 125b6 = (a)3 − (5b2 )3 = (a − 5b2 )(a2 + 5ab2 + 25b4 )

Osservazione 5.1.3. I trinomi A2 ± AB + B2 vengono chiamati falsi quadrati e, come verrà dimostrato in seguito, se di secondo grado, sono irriducibili.(I falsi quadrati di grado superiore al secondo sono riducibili, ma con tecniche che esulano da questo corso di studi) Esercizio 5.1.8. • x6 + 1 • 27x3 y3 + z9 • 125a3 − x6 1 • −64 + y3 8

c) Somma o differenza di due potenze ennesime Qualora per scomporre la somma o la differenza di due potenze ennesime non sia possibile ricondursi ai casi finora esaminati, è possibile dimostrare che valgono le seguenti uguaglianze: An + Bn = (A + B)(An−1 − An−2 B + An−3 B2 − · · · − ABn−2 + Bn−1 ) con n naturale dispari. Qualora n sia pari dimostreremo che il binomio, se di secondo grado, è irriducibile (se di grado superiore è riducibile, ma non sempre con tecniche elementari) An − Bn = (A − B)(An−1 + An−2 B + An−3 B2 + · · · + ABn−2 + Bn−1 ) qualunque sia n naturale Esempio 5.1.12. • x5 − 32 = (x − 2)(x4 + 2x3 + 4x2 + 8x + 16) • 1 + x7 = (1 + x)(1 − x + x2 − x3 + x4 − x5 + x6 ) • y6 − x6 = (y3 − x3 )(y3 + x3 ) = (y − x)(y2 + xy + x2 )(y + x)(y2 − xy + x2 ) (è preferibile riconoscere la differenza di quadrati)

5. Regola ‘somma-prodotto’ per trinomi Consideriamo il trinomio di secondo grado con coefficiente direttivo unitario del tipo x2 + sx + p e supponiamo che il coefficiente s e il termine noto p siano rispettivamente la somma e il prodotto di due numeri a e b ossia s = a + b , p = a · b. Possiamo scrivere :

50

5.1 scomposizioni

x2 + sx + p = x2 + (a + b)x + a · b = x2 + ax + bx + ab = x(x + a) + b(x + a) = (x + a)(x + b) Otteniamo dunque la seguente regola : x2 + sx + p = (x + a)(x + b) con s = a + b e p = a · b Per la determinazione dei numeri a e b consigliamo operativamente di individuare i fattori di p e tra questi scegliere quelli che hanno la somma s desiderata. Esempio 5.1.13. • x2 + 5x + 6 = (x + 2)(x + 3) •

x2

− x − 12 = (x − 4)(x + 3)



x2

− 7xy + 10y2

s = +5 = +2 + 3, p = +6 = (+2) · (+3) s = −1 = −4 + 3, p = −12 = (−4) · (+3)

= (x − 5y)(x − 2y)

s = −7y = −5y − 2y, p = 10y2 =

(−5y) · (−2y) • 3x2 − 33x − 36 = 3(x2 − 11x − 12) = 3(x − 12)(x + 1)

Nell’ultimo esempio, pur non avendo il polinomio coefficiente direttivo unitario, è stato possibile ricondurci alla regola ‘somma-prodotto’ perchè abbiamo potuto operare il raccoglimante a fattor comune. Nei casi in cui il coefficiente direttivo rimanga diverso da 1 è possibile una generalizzazione come nel seguente esempio: dato il polinomio 6x2 − 11x + 3, cerchiamo due numeri la cui somma sia ancora il coefficiente di x cioè −11 e il cui prodotto sia il prodotto tra il coefficiente direttivo e il termine noto, cioè 6 · 3 = 18. Individuati tali valori in −9 e −2 trasformiamo il trinomio nel quadrinomio 6x2 − 2x − 9x + 3 e lo scomponiamo mediante raccoglimento parziale: 6x2 − 11x + 3 = 6x2 − 2x − 9x + 3 = 2x(3x − 1) − 3(3x − 1) = (3x − 1)(2x − 3) La regola ‘somma -prodotto’ e la sua generalizzazione possono essere estese anche a polinomi di grado maggiore di due del tipo ax2n + bxn + c in quanto tale polinomio può essere pensato come ay2 + by + c avendo posto y = xn Esempio 5.1.14. • x4 − 5x2 + 4 |{z} = y2 − 5y + 4 = (y − 4)(y − 1) |{z} = (x2 − 4)(x2 − 1) = (x − x2 =y

y=x2

2)(x + 2)(x − 1)(x + 1) • 2x6 − 10x3 − 48 = 2(x6 − 5x3 − 24) = 2(x3 − 8)(x3 + 3) = 2(x − 2)(x2 + 2x + 4)(x3 + 3) • 2x8 + 3x4 + 1 = 2x8 + 2x4 + x4 + 1 = 2x4 (x4 + 1) + 1(x4 + 1) = (x4 + 1)(2x4 + 1) • x4 − 3x2 y2 − 4y4 = (x2 − 4y2 )(x2 + y2 ) = (x − 2y)(x + 2y)(x2 + y2 ) Esercizio 5.1.9. • x2 − 11x + 24 • x2 − 6ax − 55a2 • x4 − 13x2 + 36 • x2 + 10x + 9 • a2 − −2ab − 15b2 • a6 + 2a3 − 15 • y10 + 2xy5 − 80x2 • 9x2 − 3x − 2 • 6x2 + 7x − 10 • 21x2 − xy − 10y2 • 3x2 − 8xy2 + 5y4 • 15x2 + 8xy2 + y4

51

5.1 scomposizioni

52

6. Scomposizione non standard Qualora il polinomio non sia scomponibile con alcuno dei metodi illustrati può essere, in alcuni casi, possibile ricondurci ad essi, dopo aver opportunamente scomposto alcune parti del polinomio, come dimostrano i seguenti esempi. Esempio 5.1.15. • x2 − 4xy + 4y2 −25 = (x − 2y)2 − 25 = (x − 2y + 5)(x − 2y + 5) | {z } | {z } quad. bin.



diff. quad.

x2 − 9 + 2xy − 6y = (x − 3)(x + 3) + 2y(x − 3) = (x − 3)(x + 3 + 2y) | {z } | {z } | {z }

diff. quad.

racc. f.c.

racc.f.c.

2

• x − 7x + 6 −ax + a = (x − 6)(x − 1) − a(x − 1) = (x − 1)(x − 6 − a) | {z } | {z } | {z } s. p.



x4

+

x3

racc. f.c.

racc.f.c. 4

+ 2x − 4 =

x − 4 + x3 + 2x = (x2 − 2)(x2 + 2) + x(x2 + 2) = | {z } | {z } | {z }

diff. quad.

racc. f.c.

racc.f.c.

(x2 + 2)(x2 − 2 + x) = (x2 + 2)(x2 + x − 2) = (x2 + 2)(x + 2)(x − 1) | {z } s. p

Quest’ultimo polinomio poteva essere scomposto anche ricorrendo al Teorema di Ruffini, ma il procedimento, seppur corretto, sarebbe risultato meno veloce ed elegante. • 4a2 − 4a + 1 −y2 + 2xy − x2 = (2a − 1)2 − (y2 − 2xy + x2 ) = (2a − 1)2 − (y − x)2 = | {z }| {z } {z } | quad. bin.

opposto quad. bin.

diff.quad.

(2a − 1 + y − x)(2a − 1 − y + x) • 27 + 8a3 + 12a2 b + 6ab2 + b3 = 27 + (2a + b)3 = (3 + 2a + b)[9 − 3(2a + | {z } | {z } cubo bin.

somma cubi

b) + (2a + b)2 ] = (3 + 2a + b)(9 − 6a − 3b + 4a2 + 4ab + b2 ) 4x4 + 1 | {z }



somma quad.non 2° grado

= 4x4 + 1 + 4x2 −4x2 = (2x2 + 1)2 − 4x2 = (2x2 + 1 − | {z } {z } | quad. bin.

diff. quad.

2x)(2x2 + 1 + 2x) • ( x2 − y2 )(x − y) − x2 (x + y) = (x − y)(x + y)(x − y) − x2 (x + y) = (x + | {z } | {z } diff. quad.

racc. f.c.

y)[(x − y)2 − x2 ] = (x + y)(x − y − x)(x − y + x) = −y(x + y)(2x − y) {z } | diff. quad.



4

x + x2 y2 + y4 | {z }

= x4 + x2 y2 + y4 + x2 y2 − x2 y2 = x4 + 2x2 y2 + y4 − x2 y2 = | {z }

falso quad.non 2° grado

(x2 + y2 )2 − x2 y2 = (x2 + y2 − xy)(x2 + y2 + xy) | {z } diff. quad.

Esercizio 5.1.10. • x4 − y6 + 6y3 − 9 • x2 + xy + y2 + x3 − y3 • y2 − 3y + 2 + xy − 2x • a2 − 4a2 x + 4a2 x2 − (1 − 2x)2 • y3 + x3 + 6x2 + 12x + 8 • 4x2 − 9 + 4ax2 + 12ax + 9a

quad. bin

5.2 sintesi

5.2

sintesi

Per facilitare la memorizzazione e l’applicazione delle tecniche di scomposizione, possiamo riassumerle e schematizzarle nel modo seguente: • Raccoglimento a fattor comune • Binomio: 1. differenza di quadrati 2. somma o differenza di cubi 3. somma o differenza di due potenze ennesime(n > 3) • Trinomio: 1. sviluppo del quadrato di binomio 2. regola ‘somma-prodotto’ • Quadrinomio: 1. sviluppo del cubo di binomio 2. raccoglimento parziale • Polinomio con sei termini: 1. sviluppo del quadrato di trinomio 2. raccoglimento parziale • Scomposizioni non standard • Scomposizioni con la Regola di Ruffini

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5.3 massimo comun divisore e minimo comune multiplo di polinomi

5.3

massimo comun divisore e minimo comune multiplo di polinomi

Definizione 5.3.1. Si dice massimo comun divisore (M.C.D.) di polinomi, il polinomio di grado massimo che è fattore di tutti i polinomi dati. Definizione 5.3.2. Si dice minimo comune multiplo (m.c.m.) di polinomi, il polinomio di grado minimo che è multiplo di tutti i polinomi dati. Dalle definizioni risulta evidente che per calcolare il M.C.D. e il m.c.m. di polinomi è necessario determinare i fattori irriducibili di ognuno di essi. Scomposti quindi in fattori tutti i polinomi: il M.C.D. sarà il prodotto dei soli fattori comuni con il minimo esponente; il m.c.m. sarà il prodotto di tutti i fattori comuni e non comuni con il massimo esponente. osservazione: Poichè un polinomio non cambia grado e rimane un fattore di un altro polinomio se lo si moltiplica per una costante non nulla, a rigore (come già sottolineato per i monomi ) dovremmo parlare di un M.C.D. (m.c.m.) anzichè del M.C.D. (m.c.m.). Adottiamo anche in questo caso la stessa convenzione introdotta per il coefficiente del M.C.D. e m.c.m. di monomi. Esempio 5.3.1. • P1 (x) = 18x2 − 54x , P2 (x) = 2x2 − 18 , P3 (x) = 2x2 − 12x + 18 Dopo aver determinato le scomposizioni: P1 (x) = 18x(x − 3) , P2 (x) = 2(x + 3)(x − 3) , P3 (x) = 2(x − 3)2 sarà: M.C.D.(P1 (x),P2 (x),P3 (x))=±2(x − 3) m.c.m.(P1 (x),P2 (x),P3 (x))=±18x(x − 3)2 (x + 3) • P1 (x) = x2 − 5x + 6 = (x − 2)(x − 3) , P2 (x) = 2x2 + 2x − 12 = 2(x + 3)(x − 2) , P3 (x) = 5x2 − 20 = 5(x − 2)(x + 2) M.C.D.(P1 (x),P2 (x),P3 (x))=±(x − 2) m.c.m.(P1 (x),P2 (x),P3 (x))=±10(x − 2)(x + 2)(x − 3)(x + 3) • P1 (x, y) = 8x3 − y3 = (2x − y)(4x2 + 2xy + y2 ) , P2 (x, y) = 4x2 + 4xy + y2 = (2x + y)2 , M.C.D.(P1 (x, y),P2 (x, y))=±1 m.c.m.(P1 (x, y),P2 (x, y))=±(2x − y)(2x + y)2 (4x2 + 2xy + y2 ) • P1 (x, y) = 3x2 − 30x + 75 = 3(x − 5)2 , P2 (x, y) = 5y + 10 − xy − 2x = (5 − x)(y + 2) Così come sono scritti non si riconoscono fattori comuni. Possiamo però scrivere P2 (x, y) = −(x − 5)(y + 2) e quindi M.C.D.(P1 (x, y),P2 (x, y))=±(x − 5) m.c.m.(P1 (x, y),P2 (x, y))=±3(x − 5)2 (y + 2) Avremmo potuto anche cambiare segno a P1 (x, y) anzichè a P2 (x, y) ottenendo P1 (x, y) = 3[−(−x + 5)]2 = 3(5 − x)2 e quindi M.C.D.(P1 (x, y),P2 (x, y))=±(5 − x) m.c.m.(P1 (x, y),P2 (x, y))=±3(5 − x)2 )(y + 2) ottenendo lo stesso risultato. • P1 (x) = 8x3 − 36x2 + 54x − 27 = (2x − 3)3 , P2 (x) = 2x)2

9 12 4 1 − x + x2 = (3 − 5 5 5 5

Possiamo scegliere di cambiare P1 (x) in −(3 − 2x)3 oppure P2 (x) in in entrambi i casi : M.C.D.(P1 (x),P2 (x))=±(2x − 3)2 m.c.m.(P1 (x),P2 (x))=±(2x − 3)3 Esercizio 5.3.1. • a2 − 6a + 9

;

a2 − 8a + 15

;

a2 − 4a + 3

1 (2x − 3)2 ottenendo 5

54

5.4 esercizi riepilogativi

• 25 − x2

;

2x − 10

;

25 − 10x + x2

• x3 − 6x2 y + 12xy2 − 8y3

;

6x + 12y ;

• 4x3 − 4

;

6x2 − 6

;

2x2 − 4x + 2

• 10a − 10b − 6ax + 6bx

5.4

;

4a2 − 4b2

;

x2 − 4y2

18x2 − 60x + 50

esercizi riepilogativi

Esercizio 5.4.1. 1. a5 − a − 2 + 2a2 

(a + 2)(a2 + 1)(a + 1)(a − 1)



2. 6a2 x + 11ax + 3x [x(2a + 3)(3a + 1)] 3. 2x4 − 16xy3 

2x(x − 2y)(x2 + 2xy + 4y2



(x − 1)(x2 − x + 3)



4. x3 − 2x2 + 4x − 3  5.

1 + y2 + z2 − y + z − 2yz 4 "

6.

2 # 1 −y+z 2

1 3 1 2 x − x +x 2 2 

1 (x − 2)(x + 1) 2



7. x4 − x3 − 8x + 8  8. 5x3 y3 +

(x − 1)(x − 2)(x2 + 2x + 4)



625 8     25 5 5 5 xy + x2 y2 − xy + 2 2 4

9. 3ax + 3xy + 2a + 2y [(a + y)(3x + 2)] 10. a2 b − 9ab2 + 20b3 [b(a − 5b)8a − 4b)] 11. a8 − 2a4 + 1 

(a2 + 1)2 (a + 1)2 (a − 1)2



(x − 3)(x − 2)2



12. x3 − 7x2 + 16x − 12  13. ax + 2bx + 3ay + 6by [(a + 2b)(x + 3y)] 14. a4 (x2 + 1) − 10a4  15. 16a2 b −

a4 (x + 3)(x − 3)



1 b 9     1 1 4a + b 4a − 3 3

55

5.4 esercizi riepilogativi

16. −12x4 + 32x2 − 16  17. 8a3 b3 − 6a2 b2 +

−4(x2 − 2)(3x2 − 2)



3 1 ab − 2 8  2ab −

1 2



18. 70a4 + 51a2 b − 70b2 (10a2 − 7b)(7a2 + 10b)



(y − 2)(y2 + 2y + 4)(y − 1)(y2 + y + 1)



(x − 1)(2x + 1)3



 19. y6 − 7y3 − 8  20. 8x4 + 4x3 − 6x2 − 5x − 1



56

6

FRAZIONI ALGEBRICHE

6.1

frazioni algebriche

Definizione 6.1.1. Si dice frazione algebrica il rapporto tra due espressioni algebriche Sono esempi di frazioni algebriche: 3a − b 2x2 + 3x + 1 3ab2 , , , x2 − 2x (il denominatore è 1) a+2 x2 − 4 c5 In questo tipo di espressioni in generale non è possibile attribuire alle lettere un qualsiasi valore perchè, essendo frazioni, non possono avere zero al denominatore. E’ necessario, pertanto, determinare l’insieme dei valori che possono assumere le lettere; tale insieme viene chiamato campo di esistenza (C.E.) Per la frazione 3a − b dovendo imporre che il denominatore non sia zero, avremo la condizione a+2 a + 2 6= 0 cioè a 6= −2. Quindi il campo di esistenza è Q \ {−2}. 2x2 + 3x + 1 Relativamente alla frazione , dovrà essere x2 − 4 6= 0 cioè, scompox2 − 4 nendo e applicando la legge di annullamento di un prodotto (x − 2) · (x + 2) 6= 0 ovvero x − 2 6= 0 e x + 2 6= 0 quindi x 6= +2 e x 6= −2. Il campo di esistenza è dunque Q \ {−2, +2} E’ opportuno osservare che, diversamente dal denominatore, il numeratore può annullarsi, rendendo nulla la frazione; i valori per i quali è zero il numeratore, non essendo da escludere, non vanno perciò determinati. Una frazione algebrica può essere in alcuni casi semplificata trasformandola in un’altra equivalente applicando la proprietà invariantiva delle frazioni. x2 − 4 Data la frazione 2 per semplificarla procederemo nel modo seguente: x − 5x + 6  x2 − 4 (x − 2)(x + 2) x+2  = =  (x − 2)(x − 3) x−3 x2 − 5x + 6 

C.E.Q \ {+2, +3}

x+2 deve conservare il campo x−3 di esistenza della frazione iniziale anche se potrebbe essere calcolata per x = 2; le due frazioni sono perciò equivalenti solo per i valori delle lettere per i quali esistono entrambe. In generale l’equivalenza tra frazioni va sempre riferita al loro campo di esistenza. x(x + 1) x + 1 Ad esempio le frazioni e non sono equivalenti per x = 0 mentre 2x 2 lo sono per qualsiasi altro valore. E’ importante far notare che la frazione ottenuta

Esempio 6.1.1. Semplificare le seguenti frazioni:

3x2 − 9x a2 − ab 2x3 − 6x2 + 6x − 2 , 2 , 2 2 x −9 a − 2ab + b 2x2 + 2x − 4

 3x2 − 9x 3x (x − 3) 3x = C.E. Q \ {±3}  = x+3 2 (x + 3) (x − 3) x −9 (E’ consuetudine, anzichè scrivere il campo di esistenza, indicare le condizioni di esistenza (che continueremo ad abbreviare con C.E.) della frazione, nel modo seguente: x 6= +3 , x 6= −3 (oppure x 6= ±3)  a2 − ab a(a − b) a =  = C.E. a 6= b 2 2 a−b a − 2ab + b (a − b)2  2x3 − 6x2 + 6x − 2 2(x − 1)32 (x − 1)2 =  + 2) = x + 2 2 (x − 1)(x 2x2 + 2x − 4 Esercizio 6.1.1. Semplificare le seguenti frazioni: •

x3 − 3x2 + 2x x2 − x

57

C.E. x 6= +1 ; x 6= −2

6.2 operazioni

• • • •

6.2

xy + 3x + 4y + 12 y2 − 9 a3 − 8 − 3a − 2

2a2

4b3 − 4b2 2b3 − 4b2 + 2b x3

1 − x2 − 3x2 + 3x − 1



y2 − 3y + 2 y2 − y − 2



x2 − 10xy + 25y2 25x2 y2 − 10x3 y + x4

operazioni

Per operare con le frazioni algebriche si può procedere in modo analogo a quanto appreso con le frazioni numeriche tenendo presente che ora i fattori saranno quelli ottenuti attraverso la scomposizione dei polinomi. E’ quindi sufficiente illustrare le operazioni con degli esempi. 1. Addizione algebrica Esempio 6.2.1. 1 − a a2 − a − = C.E. a 6= −1 a+1 a+1 (1 − a) − (a2 − a) = a+1 1 − a − a2 + a = a+1 1 − a2 = a+1  (1 − a) (1 + a) = 1−a   a+ 1  x 18 x • 2 + = − x −9 x+3 x−3 18 x x − + = (x − 3)(x + 3) x + 3 x − 3 18 − x(x − 3) + x(x + 3) = (x − 3)(x + 3) •

C.E. x 6= ±3

18 − x2 + 3x + x2 + 3x 6x + 18 = = (x − 3)(x + 3) (x − 3)(x + 3)  6 (x + 3) =  (x − 3) (x + 3) 6 x−3 1 − xy x+y • 2 + −1 = x x + xy 1 − xy x+y + −1 = C.E. x 6= 0, x 6= −y x(x + y) x 1 − xy + (x + y)2 − x(x + y) = x(x + y) 1 − xy + x2 + 2xy + y2 − x2 − xy = x(x + y) 1 + y2 x(x + y)

58

6.2 operazioni

3 y = − 10 − 5y y2 − 4y + 4 3 y − C.E. y 6= 2 5(2 − y) (y − 2)2 poichè 2 − y e y − 2 sono fattori opposti, per calcolare il minimo comun denominatore è opportuno renderli uguali raccogliendo un segno ‘-’ in uno dei due.(Ciò serve per cambiarlo di segno).

• (Importante)

Abbiamo quindi due possibilità: y y 3 3 −3(y − 2) − 5y − − =− = = 2 2 −5(y − 2) (y − 2) 5(y − 2) (y − 2) 5(y − 2)2 −3y + 6 − 5y −8y + 6 = 2 5(y − 2) 5(y − 2)2

a)

y 3 y 3(2 − y) − 5y 3 − = − = = 2 2 5(2 − y) [−(2 − y)] 5(2 − y) (2 − y) 5(2 − y)2 6 − 3y − 5y −8y + 6 = 5(2 − y)2 5(2 − y)2

b)

Nei due casi abbiamo ovviamente ottenuto lo stesso risultato essendo (2 − y)2 = (y − 2)2 Dall’ultimo esempio ricaviamo la seguente regola pratica: qualora un fattore venga cambiato di segno dovrà essere cambiato il segno anche alla frazione che lo contiene solo se tale fattore figura con esponente dispari. Esercizio 6.2.1. Eseguire le seguenti addizioni algebriche: •

b−3 4 + b2 3b2 + 4 − 4 + 5 3 2 3 b −b b −b b − b4



1−x x x2 − 10 x+1 + − − 2 x−2 2x + 4 4 − 2x x −4



8x2 − 18y2 24xy 4x2 − 9y2 + − 4x2 − 12xy + 9y2 9y2 − 4x2 4x2 + 12xy + 9y2



3x + 3y 18xy 8x + 16y − 2 − 3 2x2 − 4xy + 8y2 x + 3xy + 2y2 x + 8y3

2. Moltiplicazione •



16x4 − 1 x2 − 6x · 3 = − 7x + 6 4x + 4x2 + x  + (4x2 + 1) (2x 1)(2x − 1) x (x − 6)  ·  =   (x − 1) (x − 6) x(2x + 1)2  1 0; x 6= − 2 (4x2 + 1)(2x − 1) (x − 1)(2x + 1) x2

2x − 4 y3 + 9y2 + 27y + 27 x2 · = · 2 xy + 3x 6y + 18 x − 4x + 4  2 (x − 2) (y + 3)3 x2  · · =    (y + 3) (x − 2)2 3 6 x (y + 3) 

C.E. x 6= 1; x 6= 6; x 6=

C.E.x 6= 0; x 6= 2; y 6= −3

x(y + 3) 3(x − 2) •

x2 − 49 1 · · (9x2 − 3x + 1) = 27x3 + 1 7 − x ( (x − 7)(x + 7) 1 ( ·( (9x −( 3x( + 1) = (2( (· ( (3x + 1)( (9x −( 3x( + 1) 7 − x (2( 1 − ; x 6= 7 3

C.E. x 6=

59

6.2 operazioni

60

per il fattore 9x2 − 3x + 1 non sono state indicate condizioni perchè, come dimostreremo in seguito, i fattori irriducibili (somme di quadrati e falsi quadrati) se in una lettera, non si annullano mai; se omogenei in due lettere si annullano solo quando esse sono contemporaneamente nulle.    1 x+7 (x − 7)(x + 7)  · −  =−   3x + 1) x−7 3x + 1 • a2 − b 2 · a2 + b 2



b a + a+b a−b

 =   (a − b)(a + b) a(a − b) + b(a + b) = · (a + b)(a − b) a2 + b2 (a − b)(a + b) a2 − ab + ab + b2 · (a − b)(a + b) a2 + b2        (a + b) (a − b) a2 + b2   = ·  =1 (a b) (a − b) a2 + b2   +  =

C.E. a, b non contemporaneamente nulli; a 6= −b; a 6= +b Esercizio 6.2.2. Eseguire le seguenti moltiplicazioni: •

x2 − x − 2 x2 + 5x x2 − x − 20 · · x+1 x2 + 2x − 8 x2 − 25

• 3x ·

x+y 2xy − x2 − y2 · 3 3x − 3y x + xy2 + 2x2 y



a3 + b3 2a4 − 2b4 1 · 2 · 2 2 4a + 4b a − ab + b2 a2 − b2



8x3 − 36x2 y + 54xy2 − 27y3 2x2 − 3xy + y2 · 2x2 + xy − y2 2x2 − 5xy + 3y2

3. Potenza  2 3 2x • = x+4

C.E.x 6= −4

8x6 (x + 4)3  4 5x2 − 9x − 2 = • 36x5 − 12x4 y + x3 y2   (5x + 1)(x − 2) 4 = x3 (6x − y)2

C.E.x 6= 0; y 6= 6x

(5x + 1)4 (x − 2)4 x12 (6x − y)8 2  y2 y 1 xy2 + 4xy + 4x • − + · = y3 + 8 y2 − 2y + 4 y + 2 x(y3 − 6y2 + 12y − 8)  2 2 y2 y 1 x(y  + 2) = · − + 3 (y + 2)(y2 − 2y + 4) y2 − 2y + 4 y + 2 x(y  − 2) C.E.y 6= −2 x 6= 0; y 6= 2  2 2 y − y2 − 2y + y2 − 2y + 4 (y + 2)2 · = (y + 2)(y2 − 2y + 4) (y − 2)3

6.2 operazioni



y2 − 4y + 4 (y + 2)(y2 − 2y + 4)

2

(y − 2)2 (y + 2)(y2 − 2y + 4)

2

·

(y + 2)2 = (y − 2)3

(y + 2)2 = (y − 2)3  (y − 2)4 (y + 2)2  · =   (y − 2)3 (y + 2)2 (y2 − 2y + 4)2   y−2 (y2 − 2y + 4)2



·

Esercizio 6.2.3. Eseguire le seguenti potenze:  3 2a + 2b • a2 + 2ab + b2 4  a2 b3 • − 2 1 − 2a + a  5 x2 − 2x • −1 2 x − 2x + 1 " # 2  ab2 (a + b)3 3  •   −2x (x − y)

4. Divisione •

a2 + 10a + 25 a3 + 15a2 + 75a + 125 : = a2 − 3a + 2 3a2 − 6a (a + 5)3 (a + 5)2 : = C.E.a 6= 1; a 6= 2; a 6= 0 (a − 1)(a − 2) 3a(a − 2)   (a + 5)2 3a (a − 2)  = ·   (a − 1) (a − 2) (a + 5)3

Poichè invertendo la frazione c’è un nuovo fattore a denominatore, è necessario aggiungere la condizione di esistenza a 6= −5.(avremmo potuto, già nel passaggio precedente, imporre a 6= −5 in quanto, in una divisione, il divisore deve essere sempre diverso da zero) 3a (a − 1)(a + 5) 3ax + 6bx − ay − 2by 2by + ay + 3ax + 6bx • : = 3 3 2 2 27x − y + 9xy − 27x y −y2 + 6xy − 9x2    + 2b) (y + 3x)(2b + a) −y)(a (3x 1  : = C.E.y = 6 3x; x = 6 y 3 −(y − 3x)2 (3x − y)32  (a + 2b) −(y − 3x)2  · C.E.y 6= −3x; a 6= −2b = 2 a) + (2b (3x − y) (y + 3x)   −y)2 1 − (3x · =   2 (y + 3x) −y) (3x  1 − y + 3x •

2x2 − x − 1 8x3 + 1 (x + 3)(4x2 − 2x + 1) : · = C.E.x 6= −3; x 6= 3 x+3 x−1 1 (2x + 1)(x − 1) (2x + 1)(4x2 − 2x + 1) (x + 3)(4x2 − 2x + 1) : · = 3 x+3 x−1 ( (  + (2x 1) (x − 1) x+3 (x + 3)( (4x −( 2x( + 1) (2(  · · = ( ( (   2   ( (  3 x − 1  (2x + 1)( (4x ( − 2x + 1)  C.E.x 6= 1 − 2

61

6.2 operazioni

(x + 3)2 3 a x + 2 2 x a • = C.E.a 6= 0; x 6= 0 1 1 1 − + a2 ax x2 a3 + x3 a2 x2 = x2 − ax + a2 a2 x2 (( 2− 2 x2 (( (ax (a + x)( (a( + x2 ) a  · 2 (( = 2 x2 x( −( ax(+ a2 ( a  a+x     1 + 2x 1 + 2x 2−x : 1− · = • x+ 1 + 2x 2x 2x − x2     1 + 2x 1 + 2x 2−x : 1− · x+ = 1 + 2x x(2 − x) 2x 0; x 6= 2

1 C.E. x 6= − ; x 6= 2

x + 2x2 + 2 − x 2x − x2 − 1 − 2x 1 + 2x : · = 1 + 2x x(2 − x) 2x 2x2 + 2 −x2 − 1 1 + 2x : · = 1 + 2x x(2 − x) 2x  2+  2x 2 (x 1) x(2 1+  − x) ·  = ·   −(x 2  2x 1+   + 1) 2x  ( non ci sono condizioni aggiunte perchè x2 + 1 è sempre diverso da zero)

−(2 − x) = x−2     1 1 2 a b 2   − : + 2b 2 b a b a = •  2    : 1− a+b b2 1 a 1 − + : b2 a2 b2 a2 0; a 6= −b  2 2   a − b2 a+b 2   : a + b − 2b 2 ab ab : = a+b a4 − b4 a2 + b2 : a2 b2 a2 b2   (a − b)(a + b) 2 (a + b)2   : a−b 2 ab a2 b2 : =  2+ 2 2 b b a+b a (a + b)(a − b) (a )  2 · 2  2 b a + b2  a 2   2 b (a − b)2 (a + b)2 a 2  ·  2 b (a + b)2 (a − b)2 a  2  : = (a + b)(a − b) (a + b)2  (a + b)2 (a − b)2  ·  − b) (a 2 =  (a + b)(a  − b)  a+b a−b Esercizio 6.2.4. Eseguire le seguenti divisioni:  x3 − 49x x2 − 14x + 49  • 2 : : −4x2 2 x + 14x + 49 2x − 98

C.E.b 6= 0; a 6=

C.E.a 6= b

62

6.3 esercizi riepilogativi



a2 + ab x3

:

+ x2 y + 2x2

a3 − ab2 + 4x + 4x2

x3

+ 2xy 2 + b2 − a2 b2 • : x ax2 + bx2  2  2 3 a−2 a −4 • : b−1 2b − 2 a6

6.3

− b6

a2

esercizi riepilogativi

Esercizio 6.3.1.      1 2a − 1 1 a + 2 + 2 : 2 + 9a 1. 2 a+1 5a − 3a − 2 a −1 a −1

 2.

x−1 1 − 3x − 2 2x2 + 5x + 3 x −1

 3.

x3

 4.

 ·



1 5a + 2





2x − 3 x−1





3x 4 − x2



4x2 − 9 7x − 2

x2 − 1 1 x−2 − · x x + x2 − 4x − 4

2 2 x+5 + − x+3 x+2 x2 + 5x + 6

 ·

2x3 + x2 2x2 − 3x − 2

2  :

1 x+2

3

[x + 2] " 5.

2  #  2   x x x 2x x +1 : −1 · −1 : +1 +2+ y y y y y "

6.

x+y y

  2   x3 + y3 2y 2xy 1+ : · 1− 2 x−y x + xy + y2 x3 − y3 

 7.

3x2 − 2 6x − 2 + x−1 x−3

 8.

2 #

1 1 + x−3 1−x



 ·

1 x + 13 − x−2 x−3

 x2 − 4x + 3 −

x−y x+y





x−1 2x − 3





x−1 3x − 1



2   x − 2 −3 · 1+ x−1



4 1 2 x2 − 2x + 1 · : 3x − 1 6 3x2 − 4x + 1

63

6.3 esercizi riepilogativi

 9. a +

a 4 + a+3 a+3

 " ·

2  2 2 #  2 2 + 3a + a2 2 −1+a : + a − 1 : a+1 a+1 a2 + 2a − 3 "

(a + 3) (a − 1)2

#

(a + 1)2  10.

m + 2n m (5n + m) 3m − n + + m+n m−n n 2 − m2

2  1−

2n m+n

−3





2 x + 3 x2 − 1

11.

9 (m + n) m−n



 1+

   1 9 1 1 + 3 + · x−1 x−1 x+1 x − x2   x2 1 2 3 − + 3x − 3 1−x x+1 x 

2x −1     1 1 6y − x 1 12y2 − 2x2 − 2xy − 2 : + 12. · x − x + 2y x − 2y 2y − x x + 4y2 + 4xy x2 − 4y2



x2

[1]  13.

 14.

 −1    1 + 4a − 8a3 4 2a 8a2 2 − 2a 2a + + − 2 : a − 1 + 2a 2a − 1 2a + 1 2a + 1 4a2 − 1   2a + 1 2a (3 − 2a)

2x + y x2 + 5xy − 2 x−y x − y2

3 :

x3

x6 + y6 − 2x3 y3 y−x + 2 2 + 3x2 y + 3xy2 + y3 x + xy + y2 [0]

" 15.

   #   2a −2 a 2a −1 b 1 a − 2 − 2 · 2 : : 2 2 a b −4 b b [2b]

" 16.

1 1 − x−2 3−x

 :

5 − 2x + x2 + 3 − 4x



#  # "  x−1 2 x − 2 −2 x−1 : − 2 1−x x−2 x − 4x + 4 

1 x−2



Esercizio 6.3.2. Calcolare il valore dell’espressione  seguente per x = 9:  −1 1 60 1 − 3 : x4 − 5x2 + 4 + 3 2 2 x + 4x + x − 6 x + 6x + 11x + 6 9 − x2   1 3 1 Esercizio 6.3.3. Calcolare il valore dell’espressione seguente per a = 1 e b = − : 6    2  a−b 2a b b − 3a2 + − −1 · 2 2 2 2 2 2 2 4a − b 2a + ab − b 2a + 3ab + b a [−6]

64

7

EQUAZIONI

7.1

introduzione

Definizione 7.1.1. Si dice equazione una uguaglianza tra due espressioni algebriche. Dette A e B le due espressioni algebriche, l’equazione si presenterà nella forma: A=B A e B si dicono rispettivamente primo e secondo membro dell’equazione. Sono esempi di equazioni: 1.

2x + 1 = x − 3

(A = 2x + 1, B = x − 3)

2.

x2 − 3 = 1

(A = x2 − 3, B = 1)

3.

1−x = 0

(A = 1 − x, B = 0)

4.

x = y+1

(A = x, B = y + 1)

5.

x2 + 2y = 5 − z

(A = x2 + 2y, B = 5 − z)

6.

2x + 3 1 = 1− x−1 x

(A =

2x + 3 1 ,B = 1− ) x−1 x

Se in una equazione sostituiamo alle lettere presenti dei numeri, i due membri assumono anch’essi valori numerici. Con riferimento all’esempio 1, se x = 1 otteniamo A = 2 · 1 + 1 = 3 e B = 1 − 3 = −2 dunque l’uguaglianza diventa 3 = −2 ovviamente falsa; se x = −4 otteniamo, invece −7 = −7 che è una vera uguaglianza. Con riferimento all’esempio 2 è facile constatare che l’uguaglianza risulta verificata per x = 2 e x = −2 mentre non lo è, ad esempio, per x = 0, x = 1, x = −1. Con riferimento all’esempio 4, per stabilire se l’uguaglianza è verificata, è necessario attribuire dei valori numerici ad entrambe le lettere presenti, cioè una coppia ordinata di numeri (l’ordine è generalmente quello alfabetico): se x = 1 e y = 2 ⇒ 1 = 3 ⇒la coppia (1, 2) non verifica l’uguaglianza se x = −5 e y = 0 ⇒ −5 = 1 ⇒la coppia (−5, 0) non verifica l’uguaglianza se x = 2 e y = 1 ⇒ 2 = 2 ⇒la coppia (2, 1) verifica l’uguaglianza se x = 0 e y = −1 ⇒ 0 = 0 ⇒la coppia (0, −1) verifica l’uguaglianza Analogamente, nell’esempio 5, per stabilire se l’uguaglianza è verificata dovremo scegliere delle terne di numeri. Definizione 7.1.2. Un numero (coppia, terna ... di numeri) si dice soluzione di una equazione se, sostituito nei due membri, rende vera l’uguaglianza. Definizione 7.1.3. Risolvere un’equazione significa determinare l’insieme di tutte le sue soluzioni. Poichè per risolvere le equazioni è necessario determinare dei particolari valori delle lettere, che inizialmente non conosciamo, attribuiamo ad esse il nome di incognite (solitamente vengono indicate con le ultime lettere dell’alfabeto). E’ opportuno osservare che:

65

7.1 introduzione

se in una equazione figura una incognita, ogni soluzione è un numero, se figurano due incognite (tre incognite,..) ogni soluzione è una coppia (terna,...) ordinata. Per determinare le soluzioni di una equazione è importante tenere presente l’insieme numerico al quale appartengono i valori che possono assumere le incognite. Se consideriamo l’equazione 3x3 − x2 = 12x − 4 con x ∈ Q si può verificare che sono soluzioni i valori 2, −2, 1/3; se diversamente si richiede che x ∈ N, delle tre soluzioni verificate, è accettabile solo il 2. Quando non è specificato l’insieme numerico al quale riferirsi, conveniamo che esso sia: Q se figura una sola incognita, Q × Q (Q × Q × Q,...) se figurano due incognite (tre incognite,...). Con riferimento all’insieme S delle soluzioni, è possibile classificare una equazione come segue: determinata ⇔ l’insieme S non è vuoto ed ha cardinalità finita (|S| ∈ N∗ ) impossibile ⇔ l’insieme S è vuoto (|S| = 0) indeterminata ⇔ l’insieme S ha cardinalità infinita identità ⇔ tutti i valori attribuibili alle incognite sono soluzioni Con riferimento alla forma algebrica nella quale si presenta, una equazione si dice: intera quando i suoi membri sono espressioni polinomiali fratta quando l’incognita figura al denominatore. Sono esempi di equazioni intere: x2 + 2x − 1 = (x − 1)(2x + 3) 2 5x + 1 x+ y = 3 6 Sono esempi di equazioni fratte: x+1 = 3+x x 1 x+3 = x−1 x+2 xy + 3 y = x−2 y+1 Talvolta in una equazione compaiono delle lettere che rappresentano dei numeri assegnati, anche se non esplicitamente precisati; esse non vengono considerate incognite e sono dette parametri (solitamente vengono indicate con le prime lettere dell’alfabeto). Con riferimento alle lettere presenti, un’equazione si dice: letterale o parametrica se in essa compare almeno un parametro oltre alle incognite numerica se non contiene altre lettere oltre alle incognite. Sono esempi di equazioni letterali: x + 3a = (x − 1)2 + 2ax + b (una incognita: x, due parametri: a, b) 2x + 5y = (k − 2)y + kx k−3 (due incognite: x, y, un parametro: k)

66

7.2 risoluzione di equazioni in una incognita

Definizione 7.1.4. Due equazioni si dicono equivalenti se hanno lo stesso insieme di soluzioni. Sono equivalenti le equazioni x − 3 = 0 e x − 1 = 2 in quanto è facile intuire che l’insieme delle soluzioni è S = {3} per entrambe. Non sono equivalenti le equazioni x2 − 9 = 0 e x − 3 = 0 pur avendo entrambe 3 come soluzione, infatti non hanno lo stesso insieme di soluzioni essendo −3 soluzione di x2 − 9 = 0, ma non di x − 3 = 0. Ci proponiamo ora di affrontare la risoluzione delle equazioni ed iniziamo con lo studio delle equazioni in una incognita. 7.2

risoluzione di equazioni in una incognita

Il metodo per risolvere una equazione consiste nell’individuare una equazione ad essa equivalente della quale sia immediato determinare quante e quali siano le soluzioni. Per arrivare a scrivere questa equazione equivalente ricorriamo ai principi di equivalenza. Teorema 7.2.1 (Primo principio di equivalenza). Aggiungendo o sottraendo ad entrambi i membri di una equazione una stessa espressione algebrica (purchè esista per gli stessi valori per i quali esistono i due membri) si ottiene una equazione equivalente a quella iniziale. In sintesi: A(x) = B(x) e A(x) + E(x) = B(x) + E(x) sono equivalenti Dimostrazione. Detti S1 l’insieme delle soluzioni di A(x) = B(x) e S2 l’insieme delle soluzioni di A(x) + E(x) = B(x) + E(x): si ha che: S1 ⊆ S2 infatti se x0 ∈ S1 ⇒ A(x0 ) = B(x0 ) ⇒ A(x0 ) + E(x0 ) = B(x0 ) + E(x0 ) perchè somma di numeri uguali a due a due. Dunque x0 ∈ S2 ma anche: S2 ⊆ S1 infatti se x0 ∈ S2 ⇒ A(x0 ) + E(x0 ) = B(x0 ) + E(x0 ) ⇒ A1 (x0 ) = B1 (x0 ) | {z } | {z } A1 (x0 )

B1 (x0 )

⇒ A1 (x0 ) − E(x0 ) = B1 (x0 ) − E(x0 ) per differenza di numeri uguali a due a due ⇒ A(x0 ) + E(x0 ) − E(x0 ) = B(x0 ) + E(x0 ) − E(x0 ) cioè A(x0 ) = B(x0 ) dunque x0 ∈ S1 . Poichè S1 ⊆ S2 e S2 ⊆ S1 allora S1 = S2 . Esempio 7.2.1. L’equazione: 3x + 2} = 2x − 1} | {z | {z A(x)

B(x)

applicando il primo principio è equivalente a: 3x + 2} + (−2x − 2) = 2x − 1 + (−2x − 2) | {z | {z } | {z } | {z } A(x)

E(x)

B(x)

E(x)

ossia: 3x + 2 − 2x − 2 = 2x − 1 − 2x − 2 eseguendo i calcoli algebrici essa diventa: x = −3

67

7.2 risoluzione di equazioni in una incognita

Poichè, in quest’ultima equazione, risulta evidente che l’insieme delle soluzioni è S = {−3}, possiamo concludere che S è l’insieme delle soluzioni anche dell’equazione di partenza. Esempio 7.2.2. L’equazione: x+2 = 8 applicando il primo principio è equivalente a: x + 2 + (−2) = 8 + (−2) eseguendo i calcoli algebrici essa diventa: x = 8−2 da cui: x=6

quindi S = {6}

Esempio 7.2.3. L’equazione: x − x2 + 1 = 5 − x2 applicando il primo principio è equivalente a: x − x2 + 1 + x2 − 1 = 5 − x2 + x2 − 1 eseguendo i calcoli algebrici essa diventa: x = 5−1 da cui: x=4

quindi S = {4}

Un’analisi attenta degli ultimi due esempi ci permette di osservare e generalizzare facilmente due conseguenze pratiche del primo principio di equivalenza. principio del trasporto: Si ottiene una equazione equivalente se si trasporta un termine da un membro all’altro cambiandolo di segno. principio di cancellazione Si ottiene una equazione equivalente se si elimina (cancella) uno stesso termine da entrambi i membri. Teorema 7.2.2 (Secondo principio di equivalenza). Moltiplicando o dividendo entrambi i membri di una equazione per una stessa espressione algebrica non nulla (purchè esista per gli stessi valori per i quali esistono i due membri) si ottiene una equazione equivalente a quella iniziale. In sintesi le uguaglianze: A(x) = B(x) A(x) · E(x) = B(x) · E(x) B(x) A(x) = E(x) E(x)

con E(x) 6= 0

sono equivalenti. E’ sufficiente dimostrare l’equivalenza tra le prime due scritture in quanto la divisione è riconducibile alla moltiplicazione per il reciproco.

68

7.2 risoluzione di equazioni in una incognita

Dimostrazione. Detti S1 l’insieme delle soluzioni di A(x) = B(x) e S2 l’insieme delle soluzioni di A(x) · E(x) = B(x) · E(x): si ha che: S1 ⊆ S2 infatti se x0 ∈ S1 allora A(x0 ) = B(x0 ) e moltiplicando numeri uguali a due a due A(x0 ) · E(x0 ) = B(x0 ) · E(x0 ) Dunque x0 ∈ S2 ma anche: S2 ⊆ S1 infatti se x0 ∈ S2 allora A(x0 ) · E(x0 ) = B(x0 ) · E(x0 ) applicando il principio del trasporto A(x0 ) · E(x0 ) − B(x0 ) · E(x0 ) = 0 . E(x0 ) · (A(x0 ) − B(x0 )) = 0 e poichè E(x0 ) 6= 0 per la legge di annullamento del prodotto deve essere A(x0 ) − B(x0 ) = 0 A(x0 ) = B(x0 ) dunque x0 ∈ S1 . Poichè S1 ⊆ S2 e S2 ⊆ S1 allora S1 = S2 . Esempio 7.2.4. L’equazione: 3x + 2 = x − 1 per il principio del trasporto è equivalente a: 3x − x = −1 − 2 eseguendo i calcoli algebrici diventa: 2x = |{z} −3 |{z} A(x)

B(x)

per il secondo principio è equivalente a: 2x ·

1 1 = −3 · 2 2 |{z} |{z} E(x)

E(x)

da cui si ottiene: x=−

3 2

quindi: S=

3 − 2

69

7.2 risoluzione di equazioni in una incognita

Esempio 7.2.5. L’equazione: 1 3 1 x− = x+1 2 4 3 può essere risolta in due modi: (a) applicando il principio del trasporto è equivalente a: 1 1 3 x− x = +1 2 3 4 eseguendo i calcoli algebrici diventa: 7 1 x= 6 4 applicando il secondo principio è equivalente a: 1 7 x· 6 = 2 · 63 6 4  da cui si ottiene: 21 x= 2 (b)

quindi S =



21 2

riducendo i due membri allo stesso denominatore diventa: 6x − 9 4x + 12 = 12 12 applicando il secondo principio è equivalente a: 4x + 12 6x − 9 = · 1 2  1 2 12   ossia:

1 2· 

6x − 9 = 4x + 12 applicando il principio del trasporto è equivalente a: 6x − 4x = 9 + 12 eseguendo i calcoli algebrici diventa: 2x = 21 applicando il secondo principio è equivalente a: 2x 21 = 2 2  da cui si ottiene: x=

21 2

(spesso si tralascia la scrittura insiemistica). Definizione 7.2.1. Un’ equazione si dice ridotta a forma normale quando si presenta nella forma: P(x) = 0 ove P(x) è un polinomio. Definizione 7.2.2. Il grado di una equazione è il grado del polinomio ottenuto dopo aver ridotto l’equazione a forma normale.

70

7.3 equazioni di primo grado

Esempio 7.2.6. • 20x − 1 = 5x + 3 portando tutti i termini a primo membro otteniamo la sua forma normale: 15x − 4 = 0 dalla quale deduciamo che è di primo grado. • 2x(x2 − 1) − 2 = x2 (2x − 3) semplificando e portando a primo membro otteniamo la forma normale: 3x2 − 2x − 2 = 0 dalla quale si deduce che il grado è due. Esercizio 7.2.1. Determinare il grado delle seguenti equazioni: • 3x(x − 1)2 − 5(6x + 5) = (2x + 1)(2x − 1) − (x + 3)2 x−4 x+4 • −x· = x+1 5 3

7.3

equazioni di primo grado

In questo paragrafo proponiamo la risoluzione, mediante alcuni esempi, di equazioni di primo grado: intere, fratte e letterali. Equazioni intere • L’equazione: (x − 2)3 − 3x(2 − x) = (x − 1)3 + 2 eseguendo i calcoli algebrici diventa: x3 − 6x2 + 12x − 8 − 6x + 3x2 = x3 − 3x2 + 3x − 1 + 2 applicando il principio di cancellazione e sommando i monomi simili si ottiene: −3x2 + 6x − 8 = −3x2 + 3x + 1 applicando il principio di cancellazione e del trasporto si ha: 6x − 3x = 8 + 1 da cui: 3x = 9 applicando il secondo principio di equivalenza si ottiene: 3x 93   = 3 3 ossia: x=3 L’equazione risolta ha una soluzione, è dunque determinata. Per controllare se la soluzione è corretta è sufficiente sostituire nel testo, all’incognita, il valore ottenuto constatando che l’equazione è verificata(questo controllo prende il nome di verifica): (3 − 2)2 − 3 · 3(2 − 3) = (3 − 1)3 + 2 13 − 9(−1) = 23 + 2 1+9 = 8+2 10 = 10

71

7.3 equazioni di primo grado

• 2(3x − 3) − (x + 3)(4x − 2) − 2 = (2x + 1)2 − (3x − 1)2 + (x − 1)(x + 2) 6x − 6 − 4x2 + 2x − 12x + 6 − 2 = 4x2 + 4x + 1 − 9x2 + 6x − 1 + x2 + 2x − x − 2 −4x2 − 6x = −4x2 + 9x −15x = 0 x = 0 equazione determinata   x−5 1 x+2 1 • − = x + (x + 1) 4 2 3 12 x+1 x−5 x+2 − = x+ 4 6 12 3x − 15 − 2x − 4 12x + x + 1 = 12 12 x − 19 = 13x + 1 x − 13x = 19 + 1 −12x = 20 2 05  x=− 3 1 2  5 x=− 3

equazione determinata

Osservazione 7.3.1. – Poichè il m.c.d. viene semplificato per il secondo principio di equivalenza, è possibile fare a meno di scriverlo. – Negli esempi finora esaminati abbiamo sempre isolato l’incognita trasportandola al primo membro. E’ preferibile tuttavia fare in modo che l’incognita isolata abbia coefficiente positivo e quindi trasportarla nel membro più opportuno. Riferendoci all’ultimo esempio: da x − 19 = 13x + 1 si ricava, portando l’incognita a secondo membro, −19 − 1 = 13x − x cioè −20 = 12x da cui, applicando la proprietà simmetrica dell’uguaglianza, 12x = −20 e quindi 5 x=− 3     1 1 2 7 • 2x(x + 1) + (x − 2) 2x − = 2x − − x 2 3 6 1 4 1 7 2x2 + 2x + 2x2 − x − 4x + 1 = 4x2 − x + − x 2 3 9 6 1 4 7 1 4x2 − 2x − x + 1 = 4x2 − x − x + 2 3 6 9 −36x − 9x + 18 = −24x − 21x + 2

m.c.d.=18

−45x + 18 = −45x + 2 0 = −16 Poichè l’uguaglianza ottenuta non è mai verificata (non esiste alcun valore dell’incognita che rende uguali i due membri) possiamo concludere che l’equazione è impossibile (∃ x ovvero S = ∅) •

2(x + 1)(1 − x) 1 = (1 − 2x)2 − 3(x − 1)2 − 3 + (17 − 5x2 ) − 2x 3 3 2 2 2 2(1 − x ) = 3(1 − 4x + 4x ) − 9(x − 2x + 1) − 9 + 17 − 5x2 − 6x 2 − 2x2 = 3 − 12x + 12x2 − 9x2 + 18x − 9 − 9 + 17 − 5x2 − 6x −2x2 + 2 = −2x2 + 2 0=0

m.c.d.=3

72

7.3 equazioni di primo grado

Poichè l’uguaglianza ottenuta è sempre verificata (qualsiasi valore dell’incognita rende uguali i due membri) possiamo concludere che l’equazione è una identità (∀x ovvero S = Q) •

2(x − 1)(x2 + x + 1) (x2 − x + 1)(x + 1) 11 − x3 = 3 − 2x + − 5 3 15 3 3 3 6(x − 1) = 45 − 30x + 5(x + 1) − 11 + x

m.c.d.=15

6x3 − 6 = 45 − 30x + 5x3 + 5 − 11 + x3 6x3 − 6 = 6x3 − 30x + 39 30x = 45 3 x = equazione determinata 2 Esercizio 7.3.1. • (x − 1)(x + 1) + 3 − 2x = 3x + (x − 1)2 • (x − 1)3 + (2x − 1)(2x + 1) − (x − 3)(x + 2) = x(x + 1)(x − 2) + (2x − 3)2 − 3x2 + 1 3 6 4 x−5 2x • x+ + x+2 = + 5 15 15 5 3 x+5 x 1 + 2x 2x − 35 2x + 3 + + −x = − • 4 6 2 8 24  2 2x + 1 (x − 1)(x − 2) x−2 1 • − = −2 x−1 7 2 2 2

Equazioni fratte •

1 2 = x−1 x−2 x − 2 = 2(x − 1)

m.c.d.=(x − 1)(x − 2) ;

C.E.x 6= 1, x 6= 2

x − 2 = 2x − 2 x=0 Nelle equazioni fratte bisogna controllare che la soluzione non contrasti le C.E. Nel nostro caso la soluzione è accettabile, dunque l’equazione è determinata. •

5−x x2 − 2 3−x − = 1+ x−1 x2 − 8x + 7 7 − x 2 x −2 5−x 3−x + = 1+ (x − 7)(x − 1) x − 7 x−1 7, x 6= 1

m.c.d.=(x − 7)(x − 1) ; C.E.x 6=

x2 − 2 + (5 − x)(x − 1) = (x − 7)(x − 1) + (3 − x)(x − 7) x2 − 2 + 5x − 5 − x2 + x = x2 − x − 7x + 7 + 3x − 21 − x2 + 7x 6x − 7 = 2x − 14 4x = −7 7 x = − accettabile ⇒ equazione determinata 4 •

2x + 1 x−3 x 6 − 2 = 2 + 2 x − 3x x + 3x x − 9 9x − x3 2x + 1 x−3 x 6 − = − m.c.d.=x(x − 3)(x + x(x − 3) x(x + 3) (x − 3)(x + 3) x(x − 3)(x + 3) 3) C.E.x 6= 0, x 6= ±3 (2x + 1)(x + 3) − (x − 3)2 = x2 − 6

73

7.3 equazioni di primo grado

2x2 + 6x + x + 3 − x2 + 6x − 9 = x2 − 6 x2 + 13x − 6 = x2 − 6 13x = 0 x = 0 non accettabile ⇒ equazione impossibile •

x 2 3 1 − − = x + 2 2x − 1 (x + 2)(2x2 + 3x − 2) x2 + 4x + 4 x 3 1 2 − = − m.c.d.=(x + 2)2 (2x − 1) x + 2 2x − 1 (x + 2)2 (2x − 1) (x + 2)2 C.E.x 6= −2, x 6= 1 2 x − 3(2x − 1) = (x + 2)(2x − 1) − 2(x + 2)2 x − 6x + 3 = 2x2 − x + 4x − 2 − 2x2 − 8x − 8 −5x + 3 = −5x − 10 0 = −13 equazione impossibile



5x2 − 6x + 1 x+1 1 − 2 = 3 2 2x −2 6x − 18x + 18x − 6 3x − 6x + 3 2 x+1 1 5x − 6x + 1 − = m.c.d.=6(x − 1)3 ; C.E.x 6= 1 3 2 2(x − 1) 6(x − 1) 3(x − 1) 5x2 − 6x + 1 − 2(x + 1)(x − 1) = 3(x − 1)2 5x2 − 6x + 1 − 2x2 + 2 = 3x2 − 6x + 3 3x2 + 3 = 3x2 + 3 0 = 0 l’equazione è una identità

E’ importante far notare che non tutti i razionali sono soluzioni, in quanto il numero 1 non è attribuibile all’incognita per le C.E.; per indicare le soluzioni dobbiamo scrivere quindi: ∀x 6= 1 ovvero S = Q − {1} Esercizio 7.3.2. 1 =1 x−1 2x − 5 1 2x + 1 + + 2 • =0 x+3 6−x x − 3x − 18 2 x−3 x+2 x − 18 • − + = 3 x 3x − 1 18x2 − 6x 5 x+2 5−x + = • 2 3−x x+5 x + 2x − 15 •



6x x3 + 8 + 3 =1 x2 + 4x + 4 x + 6x2 + 12x + 8

Equazioni letterali 1 • 6x − a + (2a − x)2 = 4(x + a) − (2a − x)(2a + x) + 8a(a − x) 2 2 2 2 2 2 6x − a + 4a − 4ax + x = 4x + 4a − 4a + x + 8a − 4ax 6x − a + 4a2 = 4x + 4a + 4a2 2x = 5a 5 x= a 2 L’equazione ha una unica soluzione che dipende dal valore assunto dal 1 parametro; se, ad esempio, a = 2 la soluzione è x = 5, se a = − la solu2 5 zione è x = − ,... In questo caso, attribuendo al parametro un qualunque 4

74

7.3 equazioni di primo grado

valore numerico, otteniamo sempre una equazione determinata; altre volte può accadere che, per alcuni valori del parametro, l’equazione non sia determinata e quindi sia necessario classificarla mediante una opportuna discussione. • 3x − 2k(1 + x) = x(1 + 2k) − 2x(k − 1) 3x − 2k − 2kx = x + 2kx − 2kx + 2x 3x − 2k − 2kx = 3x 2kx = −2k kx = −k per poter dividere per k applicando il secondo principio di equivalenza, k deve essere diverso da zero: k se k 6= 0 ⇒ x = − ⇒ x = −1 l’equazione è determinata. k Resta da esaminare il caso k = 0: sostituendo nell’equazione kx = −k otteniamo 0 = 0 ⇒ l’equazione è una identità. • 2 + 2x = 3ax + a − a2 x a2 x − 3ax + 2x = a − 2 x(a2 − 3a + 2) = a − 2 x(a − 2)(a − 1) = a − 2 a−2 1 ⇒x= equazione determinata (a − 2)(a − 1) a−1 se a = 2 ⇒ 0 = 0 identità se a 6= 2 e a 6= 1 ⇒ x =

se a = 1 ⇒ 0 = −1 impossibile • 3abx = ab(x + 1) + a 3abx = abx + ab + a 2abx = ab + a 2abx = a(b + 1) a(b + 1) b+1 ⇒x= equazione determinata 2ab 2b se a = 0 ⇒ 0 = 0 identità

se a 6= 0 e b 6= 0 ⇒ x =

se a = 0 ⇒ identità se b = 0 ⇒ 0 = a se a 6= 0 ⇒ impossibile • x − b = ax − 2 x − ax = b − 2 x(1 − a) = b − 2 se a 6= 1 ⇒ x =

b−2 equazione determinata 1−a se b = 2 ⇒ identità

se a = 1 ⇒ 0 = b − 2 se b 6= 2 ⇒ impossibile •

a − 2x x + 1 x x−a − + = 2 −1 a−1 a+1 a−1 a −1 a − 2x x + 1 x x−a − + = −1 m.c.d.(a − 1)(a + 1) a−1 a+1 a−1 (a − 1)(a + 1) a 6= ±1: questa non è una condizione di esistenza relativa all’incognita, da controllare per l’accettabilità della soluzione, essendo a un parametro. Per a = 1 o a = −1 l’equazione perde di significato.

75

7.4 particolari equazioni riconducibili a quelle di primo grado

(a − 2x)(a + 1) − (x + 1)(a − 1) + x(a + 1) = x − a − (a + 1)(a − 1) a2 + a − 2ax − 2x − ax − a + x + 1 + ax + x = x − a − a2 + 1 −x − 2ax + a2 + a = −a2 x + 2ax = 2a2 + a x(1 + 2a) = a(2a + 1) 1 a(2a + 1) ⇒ x = a equazione (e ovviamente a 6= ±1) ⇒ x = 2 1 + 2a determinata 1 se a = − ⇒ 0 = 0 identità. 2 se a 6= −



1 1 1 − + =0 m.c.d. (x − 1)(2a − 1) ; x − 1 2a − 1 (x − 1)(2a − 1) 1 1 C.E.x 6= 1, a 6= (per a = l’equazione perde di significato) 2 2 2a − 1 − x + 1 + 1 = 0 −x + 2a + 1 = 0 x = 2a + 1 perchè la soluzione sia accettabile deve essere 2a + 1 6= 1 ⇒ a 6= 0 1 Quindi se a 6= 0 (e ovviamente a 6= ) l’equazione è determinata; se a = 0 2 l’equazione è impossibile. Esercizio 7.3.3.

• (a − 3)x = a2 − 9 • ab(1 − x) + 2x = −3ax + (3a + 2)(3a − 2) − ab(x − 1)

7.4



1 1 1 (a + b)2 x = (2a − 2b) + x(a2 + b2 ) 2 2 2



x+1 4(a2 − 6) − 2 x−1 + = a−3 a−2 a2 − 5a + 6



x−a 3x + 2b 5b bx − a2 + − = 2 a−b a+b a+b a − b2



3x 3x2 a + =− x−1 x+1 1 − x2



2 1+b 2 1−b + − = x 1−b x 1+b

particolari equazioni riconducibili a quelle di primo grado

Nelle equazioni di primo grado l’obiettivo è stato quello di isolare l’incognita; nel caso in cui ciò sia stato possibile, ovvero l’equazione sia risultata determinata, abbiamo sempre ottenuto un’unica soluzione. Qualora l’equazione sia di grado superiore al primo una possibile strategia risolutiva consiste nel: - portare l’equazione a forma normale - scomporre in fattori il polinomio ottenuto - determinare i valori che annullano i singoli fattori (detti zeri del polinomio). Ciò permette di risolvere l’equazione in virtù della legge di annullamento di un prodotto. Esempio 7.4.1. x(x − 1) = 2 x2 − x = 2 x2 − x − 2 = 0 (x − 2)(x + 1) = 0 x−2 = 0 ⇒ x = 2 x + 1 = 0 ⇒ x = −1

76

7.4 particolari equazioni riconducibili a quelle di primo grado

Osservazione 7.4.1. Questa strategia risolutiva non è applicabile ad ogni equazione in quanto permette di determinare tutte le soluzioni solo se il polinomio della forma normale è scomponibile in fattori tutti di primo grado. Dell’equazione x3 − 2x − 1 = 0 possiamo determinare solo la soluzione x = −1 in quanto, scomponendo il polinomio, in (x + 1)(x2 − x − 1) non riusciamo, con le tecniche sinora a nostra disposizione, a determinare gli zeri di x2 − x − 1 Teorema 7.4.1. Una equazione di grado n, ha al massimo n soluzioni. Dimostrazione. Sia P(x) = 0 l’equazione ridotta a forma normale con P(x) di grado n per ipotesi. Se α è una soluzione dell’equazione, x − α è un fattore di primo grado di P(x) per il Teorema di Ruffini. Poichè P(x) ha al massimo n fattori di primo grado, l’equazione ha al massimo n soluzioni. Esempio 7.4.2. • 3x(x2 + 10) = 21x2 3x3 + 30x = 21x2 3x3 + 30x − 21x2 = 0 3x(x2 − 7x + 10) = 0 3x(x − 2)(x − 5) = 0 3x = 0 ⇒ x = 0 x−2 = 0 ⇒ x = 2 x−5 = 0 ⇒ x = 5 Quindi l’equazione ha tre soluzioni. • x4 = 16 x4 − 16 = 0 (x − 2)(x + 2)(x2 + 4) = 0 x−2 = 0 ⇒ x = 2 x + 2 = 0 ⇒ x = −2 x2 + 4 = 0 non ha soluzioni perchè somma di una quantità non negativa ed una positiva. Quindi l’equazione ha due soluzioni. Osservazione 7.4.2. Nell’ultimo esempio abbiamo visto che il fattore x2 + 4, che sappiamo essere irriducibile, non ha zeri. Questo risultato può essere esteso a tutti i polinomi irriducibili di grado superiore al primo (non abbiamo ancora gli strumenti per dimostrarlo). In particolare non hanno zeri i falsi quadrati e le somme di quadrati. • x2 (x + 1) − 4 = (x + 2)(x − 2) − 27 x3 + x2 − 4 = x2 − 4 − 27 x3 + 27 = 0 (x + 3)(x2 − 3x + 9) = 0 x + 3 = 0 ⇒ x = −3 x2 − 3x + 9 = 0 non ha soluzioni (x2 − 3x + 9 è un falso quadrato) Quindi l’equazione ha una soluzione.

77

7.4 particolari equazioni riconducibili a quelle di primo grado



2x − 1 4x − 2 3(x − 1) + 2 = x−1 3−x x − 4x + 3 2x − 1 4x − 2 3(x − 1) + = − x−1 (x − 1)(x − 3) x−3 1, x 6= 3

m.c.d.(x − 1)(x − 3) ; C.E.x 6=

(2x − 1)(x − 3) + 4x − 2 = −3(x − 1)2 2x2 − 6x − x + 3 + 4x − 2 = −3x2 + 6x − 3 2x2 − 3x + 1 = −3x2 + 6x − 3 5x2 − 9x + 4 = 0 (5x − 4)(x − 1) = 0 4 5x − 4 = 0 ⇒ x = 5 x − 1 = 0 ⇒ x = 1 non accettabile Quindi l’equazione ha una soluzione. • 4x + (4x − 1)(x + 2) = 4x(x + 3) + 1 4x + 4x2 + 8x − x − 2 = 4x3 + 12x2 + 1 4x2 + 11x − 2 = 4x3 + 12x2 + 1 4x3 + 8x2 − 11x + 3 = 0 (x + 3)(2x − 1)2 = 0 x + 3 = 0 ⇒ x = −3 1 2 1 2x − 1 = 0 ⇒ x = 2 2x − 1 = 0 ⇒ x = (2x − 1)2 = 0 ⇒ (2x − 1)(2x − 1) = 0 ⇒

Quindi l’equazione ha tre soluzioni delle quali due coincidono con il valore ovvero l’equazione ha due soluzioni distinte.

1 , 2

• (x − 2)3 (x2 + 1) = 2x(x − 2)3 (x − 2)3 (x2 + 1) − 2x(x − 2)3 = 0 (x − 2)3 (x2 + 1 − 2x) = 0 (x − 2)3 (x − 1)2 = 0 (x − 2)3 = 0 ⇒ x = 2 tre soluzioni coincidono con 2 in quanto: (x − 2)3 = (x − 2)(x − 2)(x − 2) (x − 1)2 = 0 ⇒ x = 1 due soluzioni coincidono con 1 in quanto: (x − 1)2 = (x − 1)(x − 1) Quindi l’equazione ha due soluzioni distinte delle quali tre coincidono con il valore 2 e due con il valore 1; in totale ha dunque cinque soluzioni. Definizione 7.4.1. Si dice che α, soluzione di una equazione, ha molteplicità m se il polinomio della forma normale dell’equazione ha come fattore (x − α)m . Se la molteplicità è uno , la soluzione si dice semplice. Esempio 7.4.3. • x2 (x + 7)(3x − 1)3 = 0 x2 = 0 ⇒ x = 0 con molteplicità due x + 7 = 0 ⇒ x = −7 soluzione semplice 1 (3x − 1)3 = 0 ⇒ x = con molteplicità tre. 3 Quindi l’equazione ha sei soluzioni delle quali tre distinte.

78

7.5 problemi di primo grado

3 3x − 3 3 = 2 + (x − 2)2 x − 4x + 4 2 − x 3 3x − 3 3 x(x + 1)3 + = − (x − 2)2 (x − 2)2 x − 2 2

• x(x + 1)3 +

m.c.d. (x − 2)2 ; C.E.x 6=

x(x + 1)3 (x − 2)2 + 3 = 3x − 3 − 3x + 6 x(x + 1)3 (x − 2)2 + 3 = 3 x(x + 1)3 (x − 2)2 = 0 x = 0 ⇒ x = 0 soluzione semplice (x + 1)3 = 0 ⇒ x = −1 con molteplicità tre (x − 2)2 = 0 ⇒ x = 2 con molteplicità due, non accettabile. Quindi l’equazione ha quattro soluzioni di cui due distinte. Esercizio 7.4.1. • x3 = 4x • (x + 1)(25x2 + 10x + 1) = 0 • 3x2 (8x3 + 12x2 + 6x + 1) = (7x − 2)(2x + 1)3 •

3x 4 16x − 2 + −2 = 2 x−2 x+3 x −6+x

(x2 − 6x + 9)(x − 1) 3x + 3 4x + 9 · 2 = x+1 x+1 x − 2x − 3 3 2x 10 • + = 2 x−1 x+3 x + 2x − 3



7.5

problemi di primo grado

1 x + 12, essa può essere interpretata come la 2 descrizione algebrica dell’affermazione: il doppio di un numero è pari alla sua metà aumentata di 12. Quest’ultima può essere la sintesi di un problema concreto quale ad esempio: determinare il peso di un sacco di farina sapendo che due sacchi pesano 12 chilogrammi in più di mezzo sacco. Per rispondere a questo problema è sufficiente risolvere l’equazione iniziale; ottenuta la soluzione x = 8 possiamo concludere che un sacco di farina pesa 8 chilogrammi. Una equazione, quindi, può essere interpretata come la descrizione algebrica di un problema. Ci proponiamo, in questo paragrafo, di partire, viceversa, da un problema per arrivare alla sua soluzione, determinando e risolvendo una equazione che ne sia la traduzione algebrica. Per fare questo è necessario, dopo aver letto con attenzione il testo del problema, individuare l’incognita (o le incognite) con le sue eventuali limitazioni (dette anche vincoli ) e utilizzare i dati per scrivere l’equazione ( o le equazioni ) risolvente. Proponiamo alcuni esempi di problemi risolvibili con una equazione ad una incognita di primo grado o di grado superiore, ma riconducibile al primo. Consideriamo l’equazione 2x =

1. Determinare due numeri naturali consecutivi la cui somma sia 31. Il problema chiede di determinare due incognite ( i due numeri naturali n1 , n2 ) tuttavia essi sono esprimibili con una sola incognita; infatti, posto n1 = x il minore, il suo consecutivo è n2 = x + 1. In questo caso come vincolo ricaviamo x ∈ N. L’ equazione risolvente è: x + (x + 1) = 31 che ha per soluzione x = 15 ed è accettabile perchè soddisfa il vincolo.

79

7.5 problemi di primo grado

Possiamo concludere che i numeri naturali richiesti sono n1 = 15, n2 = 16. (Alla stessa conclusione saremmo arrivati ponendo n2 = x ed n1 = x − 1, con il vincolo x ∈ N∗ ), ma in tal caso l’equazione risolvente avrebbe avuto come soluzione x = 16 ) 2. Determinare due numeri naturali pari consecutivi il cui prodotto è 168. n1 = x n2 = x + 2 x ∈ N (vincolo) x(x + 2) = 168 x2 + 2x = 168 x2 + 2x − 168 = 0 (x + 14)(x − 12) = 0 x + 14 = 0 ⇒ x = −14 non accettabile (vedi vincolo) x − 12 = 0 ⇒ x = 12 ⇒ n1 = 12, n2 = 14 3. Luca, Carlo e Anna sono tre fratelli. Carlo ha 10 anni più di Luca ed Anna ha il doppio dell’età di Luca. Determinare le loro età sapendo che il prodotto delle età dei maschi supera di 21 il prodotto delle età di Luca ed Anna. eL = x (x rappresenta l’età in anni) eC = x + 10 eA = 2x x ∈ N (vincolo) x(x + 10) = x · 2x + 21 x2 + 10x = 2x2 + 21 x2 − 10x + 21 = 0 (x − 3)(x − 7) = 0 x − 3 = 0 ⇒ x = 3 ⇒ eL = 3, eC = 13, eA = 6 x − 7 = 0 ⇒ x = 7 ⇒ eL = 7, eC = 17, eA = 14 Osserviamo che questo problema ha due soluzioni possibili. 4. Dividere il numero 13 in due parti in modo che la differenza dei loro quadrati, diminuita di 42 valga 23. n1 = x n2 = 13 − x 0 6 x 6 13 (vincolo) x2 − (13 − x)2 − 42 = 23 x2 − 169 + 26x − x2 − 42 = 23 26x − 211 = 23 26x = 234 x = 9 ⇒ n1 = 9, n2 = 4 5. Determinare un numero di due cifre aventi per somma 11, sapendo che il numero dato, diminuito di 5 è uguale al triplo del numero ottenuto invertendo le cifre. Indichiamo con Cd e Cu rispettivamente la cifra delle decine e la cifra delle unità del numero n da determinare; è dunque n = 10Cd + Cu . Cd = x

80

7.5 problemi di primo grado

Cu = 11 − x x ∈ N, 1 6 x 6 9 (vincolo) 10x + (11 − x) − 5 = 3[10(11 − x) + x] 10x + 11 − x − 5 = 330 − 30x + 3x 9x + 6 = 330 − 27x 36x = 324 x = 9 ⇒ Cd = 9, Cu = 2 Il numero richiesto è 92 Esercizio 7.5.1. • Determinare due numeri dispari consecutivi sapendo che la differenza dei loro quadrati è 56. • In una banca lavorano 52 persone. I diplomati sono 7 in più dei laureati, mentre quelli senza diploma sono la metà dei laureati. Calcola il numero di laureati, diplomati e non diplomati della banca. • Un animatore di un centro turistico vuole dividere un gruppo di 23 bambini in due squadre formate l’una dal doppio dei bambini dell’altra. Quanti bambini formano ogni squadra? • In un negozio si sono vendute 27 paia di calzini, alcuni di lana, altri di cotone. Un paio di calzini di lana costa 7, 5 euro, di cotone 6 euro. Se l’incasso totale è stato di 180 euro quante paia di calzini di ogni tipo si sono vendute? • Lucia raccoglie in un prato un mazzolino di trifogli e quadrifogli; sapendo che i trifogli sono 32 più del quintuplo dei quadrifogli e che in tutto ci sono 172 foglie, quanti sono i trifogli e i quadrifogli?

81

7.6 esercizi riepilogativi

82

7.6

esercizi riepilogativi

1.

(x + 2) (x + 5) − (x + 3)2 = (x + 2) (x − 1) − x (x + 1)

[−3]

2.

(x + 2)3 + x3 + 8x2 = [x + 2x(x + 4)](x + 3) − (x + 2)2

[impossibile]

3.

(2 − 3x)2 − 4x(2x − 5) − 4 = x(x + 4)

[0]

4.

2x + (x + 2)3 − (x − 1)3 = 9(x + 1)2 − 7x

[identità]

5.

2x − 3 2−x 3x + 4 2x − 1 3 + + = − 6 4 5 12 20

[−2]

6.

(x + 1)3 (x + 2)3 x3 − 4 + x2 (x − 1)(x2 + x + 1) − = + 4 9 12 18

7.

(x − 2)(x + 3) (x + 1)(x − 4) (x − 2)2 25x − 36 − 8x2 − =− − 9 6 2 18

8.

x−6 x − 24 5x − 144 x+4 − + = − 5 6 12 8

9.

3 1 x2 + 2 = x−2 x3 − 8 x + 2x + 4

[10]

10.

3 3x − 2 =0 x+3 x + 6x + 9

[impossibile]

11.

2x + 1 2 2x + = 1 − 2x 2x − 1 2x + 1

  3 2

12.

3x x (2x − 1)2 − 12 + = x−3 x−4 x2 − 7x + 12

[1]

13.

  3 (1 + 2x 2 1 − = 4 − + x2 − 1 (1 − x)2 x2 + 2x + 1 (x2 − 1)2

14.

x 3−x 2(x2 − 3 = − 2 x+2 x x + 2x

[impossibile]

15.

10 8 12(x + 5) = − 2x − 5 3x + 2 6x2 − 11x − 10

[0]

16.

3 2x + 5 x+5 − = 12 − 4x 2x − 3 8x2 − 36x + 36

[12]

17.

(3x − 10)2 + 36x − 189 = (2x − 6)2

[±5]

18.

x2 (x2 − 5) = −4

[±1 ± 2]

19.

x(x − 3)(x + 3) + 12x = 6x(x − 1)

[0 ; 3 con molt. due]

20.

5x − 2 3x + 4 x+2 + = 2 1−x (x − 1)2 x − 2x + 1

[0]

21.

3+x 34 1+x − + =0 1+x 15 3+x

[2 ; −6]

22.

(x2 − 6x + 8)(x2 − 12x + 35) = 0

[2 ; 4 ; 5 ; 7]



   3 5 x − 19 − x − 24 4 6

 −

3 7



[identità]

[36]

[identità x 6= ±1]

con

7.6 esercizi riepilogativi

23.

x4 − x3 − x + 1

24.

4x − 13 =

83

[1 con molt. due] 

13x − 4 x2

−1 ;

1 ;4 4



Esercizio 7.6.1 (Equazioni letterali). 1. a(a − 5)x + a(a + 1) = −6(x − 1)  a+3 a 6= 2, 3 x = 3−a

;

a=2

2. (a + b)(x − 2) + 3a − 2b = 2b(x − 1)  2b − a a 6= b x = ; a=b=0 a−b

identità

identità ;

a=3

 impossibile

a = b 6= 0

 impossibile

;

3. (x + a)2 − (x − a)2 + (a − 4)(a + 4) = a2  a 6= 0

x=

4 a

;

a=0

 impossibile

4. x(x + 2) + 3ax = b + x2  a 6= −

2 3

x=

b 2 + 3a

;

a=−

2 eb=0 3

identità

5. (x − a)2 + b(2b + 1) = (x − 2a)2 + b − 3a2  b2 a 6= 0 x = − ; a = 0 e b = 0 identità a 6.

a 6= ±3 e a 6= −2

x=

9.

2 e b 6= 0 3

a = 0 e b 6= 0

 impossibile

 impossibile

 a+2 ; a = 3 identità ; a = −3 impossibile ; a = −2 perde di significato a+3

x−2 4 x + = 2 a−2 a+2 a −4 [a 6= ±2 e a 6= 0

8.

;

a=−

a2 − 9 = a−3 a+2 

7.

;

x 1 + =1 x−a x+a  a 6= 0 e a 6= −1

x = 1 ; a = 0 identità ; a = ±2 perde di significato]

x=−

 a(a − 1) ; a = 0 oppure a = −1 impossibile a+1

4 19 3 +1 = + 3a − 2 2x(2a − 5) 2  a 6= ±

2 5 e a 6= 3 2

x=−

3a − 2 2 5 2 ; a = oppure a = impossibile ; a = − identità 2a − 5 3 2 3



7.6 esercizi riepilogativi

Esercizio 7.6.2 (Problemi di primo grado). 1. Un cane cresce ogni mese di era alto appena nato?

1 della sua altezza. Se dopo 3 mesi dalla nascita è alto 64 cm, quanto 3 [27 cm]

2. La massa di una botte colma di vino è di 192 kg mentre se la botte è riempita di vino per un terzo la sua massa è di 74 kg. Trovare la massa della botte vuota. [15 kg] 3. Carlo e Luigi percorrono in auto, a velocità costante un percorso di 400 chilometri ma in senso opposto. Sapendo che partono alla stessa ora dagli estremi del percorso e che Carlo corre a 120 km/h mentre Luigi viaggia a 80 km/h, calcolare dopo quanto tempo si incontrano. [2 ore] 4. Un fiorista ordina dei vasi di stelle di Natale che pensa di rivendere a 12 euro al vaso con un guadagno complessivo di 320 euro. Le piantine però sono più piccole del previsto, per questo è costretto a rivendere ogni vaso a 7 euro rimettendoci complessivamente 80 euro. Quanti sono i vasi comprati dal fiorista? [80] 5. Un contadino possiede 25 tra galline e conigli; determinare il loro numero sapendo che in tutto hanno 70 zampe. [15 galline e 10 conigli] 6. Un commerciante di mele e pere carica nel suo autocarro 130 casse di frutta per un peso totale di 23, 5 quintali. Sapendo che ogni cassa di pere e mele pesa rispettivamente 20 kg e 15 kg, determinare il numero di casse per ogni tipo caricate. [80 pere e 50 mele] 7. Determina due numeri uno triplo dell’altro sapendo che dividendo il primo aumentato di 60 per il secondo diminuito di 20 si ottiene 5. [240 ; 80 ] 8. Un quinto di uno sciame di api si posa su una rosa, un terzo su una margherita. Tre volte la differenza dei due numeri vola sui fiori di pesco, e rimane una sola ape che si libra qua e là nell’aria. Quante sono le api dello sciame? [15] 9. Per organizzare un viaggio di 540 persone un’agenzia si serve di 12 autobus, alcuni con 40 posti a sedere e altri con 52; quanti sono gli autobus di ciascun tipo? [7 autobus da 40 posti e 5 da 52] 10. Il papà di Paola ha venti volte l’età che lei avrà tra due anni e la mamma, cinque anni più giovane del marito, ha la metà dell’età che avrà quest’ultimo fra venticinque anni; dove si trova Paola oggi?

84

Parte II GEOMETRIA

8

L O G I C A E L E M E N TA R E

In questo paragrafo introduttivo esporremo alcuni concetti fondamentali che saranno diffusamente utilizzati nel seguito di questo corso di geometria. In particolare, cercheremo di connotare il concetto di proposizione logica e dei principi fondamentali della cosiddetta logica aristotelica, senza la pretesa di esaurire tale argomento in modo rigoroso. Nel seguito supporremo di aver fissato una volta per tutte un linguaggio qualsiasi, come, ad esempio, l’italiano, o la teoria degli insiemi, oppure il linguaggio matematico in generale. Di tali linguaggi converremo di utilizzare solo frasi sintatticamente corrette e di senso compiuto, che chiameremo frasi ben formate. Tutte le frasi ben formate non saranno ulteriormente studiate da un punto di vista sintattico, bensì verranno interpretate in base alla loro verità o falsità. I valori vero e falso non verranno esplicitamente definiti, ma saranno intesi come nozioni primitive che supporremo di essere sempre in grado di esplicitare in modo oggettivo, cioè non condizionate dal giudizio soggettivo del singolo individuo. In base a tali premesse possiamo dare la seguente Definizione 8.0.1. Si definisce proposizione logica una frase ben formata per cui ha significato chiedersi se è vera o falsa. Le proposizioni logiche, o semplicemente proposizioni, devono soddisfare i principi della logica aristotelica, di seguito enunciati. 1. Principio di non-contraddizione: una proposizione non può essere contemporaneamente vera e falsa. 2. Principio del terzo escluso: una proposizione deve essere o vera o falsa, non esiste una terza possibilità. Indicheremo le proposizioni con le lettere maiuscole dell’alfabeto: P, Q, R, e così via. Le proposizioni possono essere: • proposizioni elementari o atomiche: esse sono le proposizioni più semplici, le quali non possono essere scomposte in proposizioni di livello più semplice; • proposizioni composte o molecolari: esse si ricavano dalla composizione di proposizioni atomiche. Per legare le proposizioni atomiche in modo da ottenere le proposizioni molecolari si utilizzano i connettivi logici. Definiremo ora i connettivi logici che utilizzeremo diffusamente nel testo. Definizione 8.0.2. Data la proposizione P, si definisce negazione di P la proposizione che assume valore di verità opposto rispetto a P. Notazione: P, e si legge P negato. Definizione 8.0.3. Date le proposizioni P e Q, si definisce disgiunzione inclusiva di P e Q la proposizione che risulta falsa solo nel caso in cui P e Q sono entrambe false, vera negli altri casi. Notazione: P ∨ Q, e si legge P vel Q. Definizione 8.0.4. Date le proposizioni P e Q, si definisce disgiunzione esclusiva di P e Q la proposizione che risulta vera nel caso in cui P e Q hanno valore di verità opposto, ˙ falsa negli altri casi. Notazione: P∨Q, e si legge P aut Q.

86

8.1 concetti primitivi e definizioni

Definizione 8.0.5. Date le proposizioni P e Q, si definisce congiunzione di P e Q la proposizione che risulta vera solo nel caso in cui P e Q sono entrambe vere, falsa negli altri casi. Notazione: P ∧ Q, e si legge P et Q. Definizione 8.0.6. Date le proposizioni P e Q, si definisce implicazione materiale da P a Q la proposizione che risulta falsa solo nel caso in cui P è vera e Q è falsa, vera negli altri casi. Notazione: P =⇒ Q, e si legge se P, allora Q. La proposizione P si dice premessa, mentre la proposizione Q si dice conclusione. Nel seguito, riguardo l’implicazione materiale, saremo interessati solo al caso in cui sia P che Q sono entrambe proposizioni vere, e parleremo di deduzione logica che indicheremo ancora col simbolo =⇒. La premessa verrà detta ipotesi, mentre la conclusione verrà detta tesi. Diremo altresì che P è condizione sufficiente per P =⇒ Q, mentre Q è condizione necessaria per P =⇒ Q. Definizione 8.0.7. Date le proposizioni P e Q, si definisce equivalenza logica di P e Q la proposizione che risulta vera nel caso in cui sia P che Q hanno lo stesso valore di verità, falsa negli altri casi. Notazione: P ⇐⇒ Q, e si legge P se, e solo se, Q. L’equivalenza logica è, pertanto, una doppia implicazione e si può intendere come la proposizione P =⇒ Q ∧ Q =⇒ P. Si possono ripetere le stesse considerazioni della deduzione logica, in quanto nel seguito studieremo solo il caso in cui sia P che Q sono vere. Entrambe le proposizioni sono sia condizione necessaria che sufficiente. 8.1

concetti primitivi e definizioni

Gli oggetti di studio della geometria piana sono ovviamente le figure geometriche piane, quali le rette, i triangoli, i quadrati, e così via. Le figure geometriche, prima ancora di essere studiate, vanno descritte precisamente. Però non è possibile definire esplicitamente ogni oggetto allorché si voglia costruire un linguaggio rigoroso come quello matematico. Alcune figure geometriche, pertanto, non saranno definite esplicitamente, costituendo i cosiddetti enti primitivi, o figure primitive, della geometria. Assumeremo che gli enti primitivi della geometria piana siano • piano • retta • punto. Come si può osservare, la scelta delle figure che sono enti primitivi è caduta su oggetti particolarmente semplici e ben fissati nella nostra mente dall’intuizione. Attraverso essi sarà possibile definire esplicitamente le altre figure geometriche, dalle più semplici a quelle via via più complesse. Quando definiremo esplicitamente una nuova figura geometrica seguiremo i seguenti criteri: 1. descriveremo rigorosamente e nel modo più semplice la nuova figura geometrica a partire dagli enti primitivi o da altre figure già definite; 2. assegneremo ad essa un nome. Vediamo alcuni esempi. Definizione 8.1.1. Due rette aventi un punto in comune si dicono incidenti. La precedente è un esempio di definizione in cui vengono direttamente coinvolti gli enti primitivi retta e punto.

87

8.2 postulati e teoremi

Definizione 8.1.2. Si definisce parallelogramma un quadrilatero avente i lati opposti a due a due paralleli. In questa seconda definizione vengono coinvolti oggetti più complessi, i quadrilateri. Inoltre, si fa uso della relazione di parallelismo tra rette. Entrambi i concetti devono essere stati definiti in precedenza. 8.2

postulati e teoremi

Una volta definita una figura geometrica si procede allo studio delle sue proprietà attraverso enunciati, che naturalmente speriamo essere veri. Per gli enti primitivi, non definiti esplicitamente, si enunceranno delle proposizioni particolari che verranno considerate come autoevidenti senza richiedere una verifica esplicita. Tali proposizioni sono i postulati o assiomi della geometria piana. Un postulato è un enunciato della geometria che si assume identicamente vero senza che venga richiesta una verifica diretta. Attraverso i postulati 1. elenchiamo le proprietà degli enti primitivi (non definiti esplicitamente), per cui alcuni postulati costituiscono delle definizioni implicite degli enti primitivi stessi; oppure 2. esprimiamo regole precise che ci aiuteranno a sviluppare la nostra teoria in modo rigoroso; 3. deduciamo le proprietà delle altre figure geometriche, ponendo altresì delle intrinseche limitazioni alle costruzioni geometriche possibili. Il numero e la scelta dei postulati devono soddisfare le seguenti proprietà: 1. coerenza: non si possono enunciare postulati in contraddizione tra loro; inoltre, se da essi si deduce la proposizione P, non si può dedurre anche la proposizione P, cioè la negazione di P; 2. indipendenza: un postulato non si deve dedurre da altri postulati; 3. completezza: il numero dei postulati deve essere adeguato affinché si possano dedurre le proprietà delle figure geometriche oggetto di studio. Le proprietà delle figure geometriche definite esplicitamente andranno dedotte e verificate rigorosamente, dando vita ai teoremi. Un teorema è un enunciato la cui validità è sancita da una sequenza di deduzioni detta dimostrazione. Dall’enunciato si distinguono 1. le ipotesi, proposizioni vere che costituiscono le premesse da cui partire; 2. le tesi, le proposizioni che vogliamo dedurre a partire dalle ipotesi. La dimostrazione di un teorema è una sequenza ordinata di proposizioni, l’ultima delle quali è proprio la tesi. Ciascuna proposizione della dimostrazione si deduce logicamente o dai postulati, o dalle definizioni, o da teoremi precedentemente dimostrati. In questo corso le dimostrazioni verranno condotte come segue. Intanto verranno esplicitate ipotesi e tesi in modo preciso e completo, in relazione ad una figura costruita con estrema cura. Il blocco relativo alla vera e propria dimostrazione è suddiviso nelle seguenti tre colonne: • la prima colonna riporterà un numero progressivo per ogni passo; • la seconda colonna conterrà una certa proposizione;

88

8.2 postulati e teoremi

• la terza colonna la giustificazione rigorosa della validità della proposizione, con eventuali riferimenti a righe precedenti, definizioni, assiomi, teoremi precedentemente dimostrati, regole pratiche. Alle volte, però, le dimostrazioni verranno condotte in modo discorsivo perché non si prestano al tipo di esposizione descritto in precedenza. Vediamo un esempio esplicativo, senza avere la pretesa di una immediata comprensione Teorema 8.2.1. In ogni triangolo, la somma degli angoli esterni è congruente a due angoli piatti. C

A

B

D

b angolo esterno triangolo ABC Hp: DBC ∼ ACB b b + BAC b Th: DBC = Dimostrazione. Prolunghiamo il lato AB dalla parte di B. ∼π b + ABC b = angoli adiacenti 1. DBC 2. 3.

∼π b + ACB b + BAC b = ABC ∼ ACB b = b + BAC b DBC

teorema degli angoli interni 1., 2., supplementari di uno stesso angolo

Come si può notare la fine di una dimostrazione è indicata da un quadratino vuoto sulla destra. La struttura della dimostrazione illustrata in precedenza è quella di una dimostrazione detta diretta: a partire dalle ipotesi, in modo diretto, attraverso tutti i passaggi descritti, si giunge alla verifica delle tesi. Esiste, però, anche una dimostrazione indiretta, detta dimostrazione per assurdo, la quale si può descrivere nel modo seguente. Indichiamo con Hp le ipotesi e con Th la tesi del nostro teorema. Supponiamo ora di negare la validità della tesi e procediamo ad analizzare le conseguenze logiche di tale assunzione. In generale esse porteranno ad uno dei seguenti casi: • un postulato risulta falso; • le Hp risultano false; • un teorema precedentemente dimostrato risulta falso. Evidentemente ciò non è possibile per il principio di non contraddizione, in quanto una proposizione non può essere contemporaneamente vera e falsa. Pertanto le conseguente dell’assunzione che Th è falsa ci portanto ad una contraddizione, o come altrimenti si dice, ad un assurdo. L’assurdo è nato dall’aver supposto la tesi falsa, quindi, per il principio del terzo escluso, essa dovrà essere vera, concludendo in questo modo la dimostrazione del teorema.

89

9

P O S T U L AT I D I A P PA R T E N E N Z A

In questa sezione iniziamo ad enunciare i postulati della Geometria euclidea. Lo studio dei postulati è di fondamentale importanza per la comprensione dello sviluppo che daremo all’intero corso. Essi, come già sottolineato nella precedente sezione, stabiliscono in modo preciso le proprietà degli enti primitivi, e, con le regole logiche elementari, permettono di dare un fondamento rigoroso alle proprietà delle figure geometriche che studieremo e dimostreremo rigorosamente. Tutte le figure geometriche saranno sempre intese come insiemi di punti. Postulato 1. Per due punti distinti passa una ed una sola retta. r B

A

Il postulato asserisce che una retta è univocamente determinata da due punti. Essa è, intuitivamente, come l’avete sempre immaginata, vale a dire come un oggetto geometrico rappresentabile attraverso l’uso di un righello. Postulato 2. Ogni retta contiene almeno due punti.

r B

A

P

In effetti dedurremo che la retta contiene infiniti punti. I punti che appartengono ad una retta si dicono allineati. Dal primo postulato si deduce che due punti sono sempre allineati. Postulato 3. Esistono almeno tre punti non allineati. Pettanto, considerata una retta r, esiste sicuramente un punto P ∈ / r. Teorema 9.0.2. Due rette distinte r ed s hanno al massimo un punto in comune. Hp: r 6= s Th: r ∩ s = {P}

˙ r∩s = ∨ r P

s

Dimostrazione. Se le due rette non hanno punti in comune, allora segue immediatamente la tesi. Supponiamo che r ∩ s 6= .

90

91

1.

Per assurdo r ∩ s = {P, Q}

2.

P∈r



P∈s

1., definizione intersezione

3.

Q∈r



Q∈s

1., definizione intersezione

4.

r=s

2., 3., postulato di appartenenza della retta

5.

r 6= s

Hp

6.

Contraddizione

4., 5.

7.

r ∩ s = {P}

6.

Definizione 9.0.1. Due rette aventi un punto in comune si dicono incidenti. Postulato 4. Per tre punti distinti e non allineati passa uno ed un solo piano. Il piano è, pertanto, univocamente determinato da tre punti distinti, purché non appartengano alla stessa retta. Postulato 5. Se una retta ha due punti in comune col piano, allora è interamente contenuta nel piano. Dai postulati di appartenenza si deducono i seguenti risultati. Teorema 9.0.3. Una retta r ed un punto A ∈ / r individuano univocamente un piano α.

α

A C r

B

Hp: r, A tali che A ∈ /r Th: esiste α unico Dimostrazione. . 1.

r, A tali che A ∈ /r

Hp

2.

esistono B, C ∈ rdistinti

postulato di appartenenza della retta

3.

A, B, C tre punti didtinti e non allineati

1., 2.

4.

esiste α unico

3., postulato di appartenenza del piano

Teorema 9.0.4. Due rette distinte r ed s individuano univocamente un piano α.

α

C A r

B s

92

Hp: r 6= s Th: esiste α

unico

Dimostrazione. Dimostremo il teorema solo nel caso r ∩ s = {A}. 1.

r ∩ s = {A}

Hp

2.

esistono B, A ∈ r distinti

postulato di appartenenza della retta

3.

esistono C, A ∈ s distinti

postulato di appartenenza della retta

4.

A, B, C tre punti distinti e non allineati

2., 3.

5.

esiste α unico

3., postulato di appartenenza del piano

10

P O S T U L AT I D E L L’ O R D I N E

10.1

postulato della relazione di precedenza

Intuitivamente possiamo pensare di stabilire un verso di percorrenza sulla retta, in modo tale che resti definita una relazione di precedenza tra punti. Questa operazione ricorda quella di ordinamento dei numeri. Il seguente postulato chiarisce la situazione ed enuncia le proprietà della relazione così costruita. Postulato 6. Su una retta è possibile prefissare due orientamenti opposti. Una volta fissato uno dei due versi, resta definita una relazione di precedenza tra punti, denotata col simbolo ≺ o col simbolo , di modo che A ≺ B significa A precede B, mentre B  A significa B segue A. La scelta del verso è arbitraria. La relazione di precedenza gode delle seguenti proprietà, qualunque siano i punti A, B e C della retta:

r C B A

1. Proprietà di tricotomia: una sola tra le seguenti è vera A≡B

A≺B

B≺A

2. Proprietà transitiva A≺B 10.2



B≺C

=⇒

A≺C

postulato di densità della retta

In questo paragrafo cominceremo a definire i sottoinsiemi della retta. Definizione 10.2.1. Siano r una retta orientata, A ≺ B due suoi punti. Si definisce segmento di estremi A e B la parte di retta costituita da tutti i punti P ∈ r tali che A ≺ P ≺ B, oppure P ≡ A, oppure P ≡ B. Se A ≡ B, il segmento si dice nullo, ed è costituito da un unico punto.

r A

B

Il segmento di estremi A e B si denota col simbolo AB o BA indifferentemente. La retta che contiene il segmento si chiama sostegno. Definizione 10.2.2. Due segmenti si dicono consecutivi se hanno un estremo in comune. Due segmenti si dicono adiacenti se sono consecutivi e se hanno lo stesso sostegno, cioé giacciono sulla stessa retta. Definizione 10.2.3. Siano dati n punti P1 , P2 , ..., Pi , Pi+1 , ..., Pn−1 , Pn . Si definisce linea spezzata o poligonale l’unione di due o più segmenti P1 P2 , P2 P3 ,...,Pn−1 Pn tali che P1 P2 e P2 P3 sono consecutivi, P2 P3 e P3 P4 sono consecutivi, e così via. I punti P1 , P2 , ..., Pi , Pi+1 , ..., Pn−1 , Pn si dicono vertici, i segmenti P1 P2 , P2 P3 ,...,Pn−1 Pn si dicono lati della poligonale. Se i punti P1 (iniziale) e Pn (finale) sono distinti la poligonale si dice aperta, se P1 ≡ Pn la poligonale si dice chiusa o poligono.

93

10.2 postulato di densità della retta

A2

B2 A3

B3 A4

A1

B1 B4 A5

B5

Nel seguito, intenderemo (con abuso di linguaggio) poligono di n lati la parte di piano limitata i cui confini sono stabiliti dagli n lati del poligono, lati compresi. La parte che non include i punti dei lati sarà la sua parte interna. Postulato 7. Sia r una retta orientata e siano A e B due suoi punti distinti, con A ≺ B. Allora esiste un punto P ∈ r, distinto da A e B, tale che A ≺ P ≺ B .

A

P

r

B

Corollario 10.2.1. Sia AB un segmento non nullo. Allora esso contiene infiniti punti.

A ··· P

B r

Dimostrazione. Siano A e B gli estremi distinti del segmento con A ≺ B. Dall’assioma di densità, esiste un punto C diverso dagli estremi tale che A ≺ C ≺ B; applicando ancora l’assioma di densità, tra A e C esiste il punto D, distinto da essi, tale che A ≺ D ≺ C; e così via, applicando ripetutamente il postulato di densità. Pertanto, un segmento o contiene un unico punto (segmento nullo) o contiene infiniti punti. Inoltre, il fatto che ogni segmento ha sempre una retta come sostegno conduce al seguente Corollario 10.2.2. La retta è un insieme infinito di punti. Dimostrazione. Ogni segmento non nullo è un sottoinsieme di una retta (sostegno). Poiché esso è un insieme infinito di punti, segue la tesi. Teorema 10.2.1. Per un punto A del piano passano infinite rette.

α

A C r B

Dimostrazione. Il piano è univocamente determinato da un punto A e da una retta r tale che A ∈ / r. La retta r contiene infiniti punti tutti distinti da A, per cui è possibile costruire infinite rette passanti per A e per ciascun punto di r, in base al postulato di appartenenza della retta.

94

10.3 postulato di illimitatezza della retta

Definizione 10.2.4. Sia C un punto del piano, l’insieme delle infinite rette passanti per C si dice fascio proprio di rette di centro C. Teorema 10.2.2. Il piano contiene infiniti punti e infinite rette.

B

α

P2 C

A P1

Dimostrazione. Basterà dimostrare che il piano contiene infinite rette. Il piano è univocamente determinato da tre punti distinti e non allineati A, B e C, in base al postulato di appartenenza del piano. I punti A e B individuano univocamente la retta AB, la quale giace completamente sul piano perché ha i punti A e B in comune con esso. Ciascuna retta (sono infinite) individuata da un qualunque punto P ∈ AB e dal punto C giace completamente nel piano perché ha in comune con esso i punti P e C. Contenendo il piano infinite rette, esso contiene anche infiniti punti in quanto ogni retta contiene infiniti punti. Introduciamo ora un altro sottoinsieme della retta. Definizione 10.2.5. Sia r una retta orientata e sia P un suo punto. Si definisce semiretta di origine P ciascuna parte in cui il punto P suddivide la retta. L’origine P appartiene ad entrambe le semirette, le quali si dicono semirette opposte.

r P

Le semirette verranno denotate con le lettere minuscole dell’alfabeto; altre volte si indicheranno come AB dove la prima lettera A indica l’origine della semiretta, mentre la seconda indica un qualunque punto della semiretta diverso dall’origine. Corollario 10.2.3. La semiretta è un insieme infinito di punti. Dimostrazione. Lasciata per esercizio. 10.3

postulato di illimitatezza della retta

Postulato 8. Sia r una retta orientata e sia P un suo qualsiasi punto. Allora esiste un punto A ∈ r tale che A ≺ P, ed esiste un punto B ∈ r tale che P ≺ B.

B A

r P

95

10.4 postulato di partizione del piano

Il postulato di illimitatezza esprime la seguente idea intuitiva: la retta non ha né un inizio né una fine. Diremo che essa è un insieme illimitato di punti. Osserviamo che la proprietà di essere un insieme illimitato è più forte di quella di essere un insieme infinito. Infatti, il segmento è un insieme infinito di punti ma non è un insieme illimitato di punti. Schematicamente illimitato

=⇒

infinito

 illimitato infinito  =⇒ 10.4

postulato di partizione del piano

Postulato 9. Siano dati il piano α e la retta r contenuta in esso. Allora la retta r suddivide il piano α in due parti α1 e α2 aventi le seguenti proprietà: / r, il segmento AB è interamente • per ogni coppia di punti A, B ∈ α1 tali che A, B ∈ contenuto in α1 e AB ∩ r = ; • per ogni coppia di punti A ∈ α1 e B ∈ α2 tali che A, B ∈ / r, il segmento AB ha intersezione non vuota con la retta r. Definizione 10.4.1. Le parti α1 e α2 dell’assioma precedente si dicono semipiani. La retta r, parte comune dei due semipiani, si dice origine dei semipiani. Si deduce facilmente che anche i semipiani sono insiemi infiniti di punti. Inoltre, essi sono da una parte limitati dalla propria origine, mentre dall’altra sono illimitati.

96

11

P O S T U L AT I D I C O N G R U E N Z A

11.1

il movimento rigido e la congruenza tra figure

In matematica è opportuno utilizzare il simbolo di uguaglianza ‘=’ con molta attenzione. Abbiamo in precedenza convenuto di pensare le figure geometriche come insiemi di punti, ragion per cui bisogna essere coerenti col linguaggio della teoria degli insiemi. In particolare, richiamiamo la seguente definizione. Definizione 11.1.1. Due insiemi A e B si dicono uguali se hanno gli stessi elementi. Nella geometria intuitiva si è soliti considerare uguali due figure che hanno le stesse dimensioni, anche se sono costituite da punti diversi del piano. Tutto ciò non è in accordo con la definizione data in precedenza, se vogliamo procedere con rigore. Definizione 11.1.2. Un movimento rigido è una procedura ideale che porta una figura geometrica da una posizione del piano ad un’altra senza che ne vengano modificate le dimensioni. Due figure = e = 0 che si corrispondono mediante un movimento rigido sono ∼ = 0. dette congruenti o isometriche e si scrive = =

A0

C

C0

B B0

A

Si deduce che due figure geometriche uguali sono congruenti, ma due figure congruenti non sono necessariamente uguali. Tutto ciò è riassunto dallo schema = = =0

=⇒

∼ =0 ==

∼ =0   = = =0 == =⇒ 11.2

postulati di congruenza

I postulati di congruenza sanciscono le proprietà della relazione di congruenza, nonché stabiliscono regole sulla composizione di figure geometriche di base, quali segmenti e angoli. Postulato 10. Siano dati un segmento AB ed una semiretta orientata a di origine C. ∼ CD. Allora esiste un unico punto D ∈ a tale che AB = A

B

C

D ∼ CD AB =

Il postulato stabilisce una regola per il confronto tra segmenti. Da esso si deduce che

97

11.2 postulati di congruenza

1. se il punto E è tale che C ≺ E ≺ D, allora CE è minore di AB, notazione CE < AB;

A

B

C

ED

2. se il punto E è tale che C ≺ D ≺ E, allora CE è maggiore di AB, notazione CA > AB.

A

B

C

DE

∼ CD e CD = ∼ EF, allora Postulato 11. Ogni segmento è congruente a sé stesso. Se AB = ∼ AB = EF. Il postulato asserisce semplicemente che la relazione di congruenza tra segmenti gode delle proprietà riflessiva e transitiva. Inoltre, evidentemente, le due scritture ∼ CD e CD = ∼ AB sono equivalenti, per cui la relazione di congruenza tra AB = segmenti gode dell’ulteriore proprietà simmetrica. Definizione 11.2.1. Si definisce punto medio di un segmento non nullo il punto in∼ MB. Ogni retta del fascio proprio di centro M diversa dal sostegno terno M tale AM = AB si dice mediana del segmento AB.

A

M

B

∼ MB AM =

Possiamo ora esporre come costruire in modo effettivo l’unione o somma di due segmenti, in sintonia con i postulati di congruenza enunciati in precedenza. Siano AB e CD due segmenti. Con un movimento rigido trasportiamo il secondo segmento in modo tale che C ≡ B e si ottengano due segmenti adiacenti. Il segmento AD così ottenuto si dice il segmento somma di AB e CD. Resta così definita l’operazione di addizione tra segmenti, la quale gode delle usuali proprietà, vale a dire associativa, commutativa, dell’elemento neutro (il segmento nullo).

D

A

B≡C ∼ AB + CD AD =

D C

98

11.2 postulati di congruenza

Possiamo ora esporre come costruire in modo effettivo l’unione o somma di due segmenti, in sintonia con i postulati di congruenza enunciati in precedenza. Siano AB e CD due segmenti. Con un movimento rigido trasportiamo il secondo segmento in modo tale che C ≡ B e si ottengano due segmenti adiacenti. Il segmento AD così ottenuto si dice il segmento somma di AB e CD. Resta così definita l’operazione di addizione tra segmenti, la quale gode delle usuali proprietà, vale a dire associativa, commutativa, dell’elemento neutro (il segmento nullo). La differenza AB − CD di segmenti verrà definita a patto che non si verifichi la condizione AB < CD. Consideriamo, pertanto, tali segmenti con la condizione posta: ∼ CD, allora si conviene di assumere che la differenza AB − CD sia • se AB = il semento nullo; • se AB > CD, allora con un movimento rigido trasportiamo il secondo segmento in modo tale che C ≡ A e i due segmenti abbiano lo stesso sostegno; per l’ipotesi fatta risulta A ≺ D ≺ B. Il segmento DB è il segmento differenza di AB e CD. Resta così definita un’operazione di sottrazione tra segmenti, con la ipotizzata limitazione. Postulato 12. Siano A, B, e C tre punti della retta orientata r tali che A ≺ B ≺ C, ∼ DE e e siano D, E, e F tre punti della retta orientata s tali che D ≺ E ≺ F. Se AB = ∼ EF, allora AC = ∼ DF. Inoltre, se AC = ∼ DF e AB = ∼ DE, allora BC = ∼ EF. BC = Il postulato asserisce che segmenti che sono somma o differenza di segmenti congruenti sono a loro volta congruenti. Definizione 11.2.2. Siano a e b due semirette orientate aventi la stessa origine V. Si definisce angolo ciascuna parte in cui le semirette dividono il piano. Il punto V si chiama vertice e le semirette lati dell’ angolo, i cui punti sono comuni alle due parti.

V

Con riferimento alla definizione precedente, siano dati i punti A ∈ a e B ∈ b. Si converrà di orientare i due angoli individuati in senso antiorario. b B α

β V

A a

In base alla figura, l’angolo α avrà come primo lato a e come secondo lato b, di contro l’angolo β avrà come primo lato b e come secondo lato a. Essi verranno b purché non sorgano dubbi, dal contesto, a quale denotati entrambi con AVB, angolo ci si riferisca. Per parte interna di un angolo intenderemo i punti dell’angolo che non appartengono ai suoi lati. Per parte esterna dell’angolo intenderemo i punti che non appartengono all’angolo.

99

11.2 postulati di congruenza

Definizione 11.2.3. Si definisce angolo convesso l’angolo la cui parte interna non contiene i prolungamenti dei lati. L’angolo la cui parte interna contiene i prolungamenti dei lati si dice angolo concavo.

concavo

convesso V

Definizione 11.2.4. Un poligono si dice convesso se i prolungamenti di tutti i suoi lati non passano al suo interno, altrimenti si dice concavo.

b ed una semiretta orientata UD di origine U. Postulato 13. Siano dati un angolo AVB ∼ CUD. b = b Allora esiste un’unica semiretta orientata UC di origine U tale che AVB

D

B

C V U A b = b ∼ CUD AVB

Il postulato stabilisce una regola per il confronto tra angoli. Da esso si deduce che b allora l’angolo CUD b è minore 1. se la semiretta UD è interna all’angolo AVB, b b b dell’angolo AVB, notazione CUD < AVB;

D

b < AVB b CUD B U≡V

D

U C

A≡C

b allora l’angolo CUD b è mag2. se la semiretta UD è esterna all’angolo AVB, b b b giore dell’angolo AVB, notazione CUD > AVB

100

11.2 postulati di congruenza

D b > AVB b CUD D U≡V

B

U C

A≡C

∼β Postulato 14. Ogni angolo è congruente a sé stesso. Dati tre angoli α, β e γ: se α = ∼ ∼ e β = γ, allora α = γ. Definizione 11.2.5. Due angoli si dicono consecutivi se hanno il vertice ed un lato in comune. Cominciamo ora a definire alcuni angoli particolari. Definizione 11.2.6. Si definisce angolo giro l’angolo avente come lati due semirette coincidenti.

V

a≡b

I punti delle due semirette sovrapposte individuano il cosiddetto angolo nullo, il quale è l’unico angolo che ha parte interna vuota. In base alla definizione l’angolo giro è costituito da tutti i punti del piano. Possiamo ora esporre come costruire in modo effettivo l’unione o somma di due angoli, in sintonia con i postulati di congruenza enunciati in precedenza. Siano α un angolo di primo lato a e secondo lato b con vertice V (indicato b con aVb), β un angolo di primo lato c e secondo lato d con vertice W(indicato c con cWd). Con un movimento rigido trasportiamo il secondo angolo in modo tale che V ≡ W e c ≡ b; si ottiene così un angolo γ di vertice V, primo lato a e b detto angolo somma di α e β, a patto che non secondo lato b (indicato con aVd), sia maggiore di un angolo giro. Resta così definita un’operazione di addizione tra angoli per cui valgono le usuali proprietà, vale a dire associativa, commutativa, proprietà dell’elemento neutro (angolo nullo). Si scriverà γ = α + β. La differenza α − β di angoli verrà definita a patto che non si verifichi la condizione α < β. Facendo riferimento alle notazioni precedenti ∼ β, allora α − β è congruente all’angolo nullo; • se α = • se α > β, allora con un un movimento rigido trasportiamo il secondo angolo in modo tale che V ≡ W e c ≡ a, per cui sicuramente la semiretta d è interna all’angolo α; si considera così l’angolo δ di vertice V, primo lato c b detto angolo differenza di α e β. e secondo lato b (indicato con cVb), Resta così definita un’operazione di sottrazione tra angoli, con la ipotizzata limitazione.

101

11.2 postulati di congruenza

∼ α0 e β = ∼ β 0 , allora α + β = ∼ α 0 + β 0. Postulato 15. Dati gli angoli α, β, α 0 e β 0 , se α = 0 0 0 0 0 0 ∼ ∼ ∼ Se α CAB, CBD > ACB b > ACB. b Costruzione: ConsideDimostrazione. Dimostriamo dapprima che CBD riamo il punto medio M del lato BC, conduciamo la semiretta AM, di origine ∼ MF, per cui F è interno A, e su di essa individuiamo il punto F tale che AM = b Congiungiamo F con B. all’angolo esterno CBD. 1.

b > CBF b CBD

b F interno a CBD

2.

Consideriamo i triangoli ACM e BFM ∼ MB CM =

per costruzione

3. 4. 5.

∼ MF AM = ∼ BMF c = c AMC

per costruzione angoli opposti al vertice

7.

∼ BFM ACM = ∼ ACB b = b MBF

6., si oppongono a lati congruenti

8.

b > ACB b CBD

1., 7.

6.

3., 4., 5., 1° c. c.

C

A

B M

E

F

b > CAB. b Costruzione: Consideriamo il punto Dimostriamo, infine, che ABE medio M del lato AB, conduciamo la semiretta CM, di origine C, e su di essa

113

13.2 teoremi sulla disuguaglianza triangolare

∼ MF, per cui F è interno all’angolo esterno individuiamo il punto F tale che CM = b ABE. Congiungiamo F con B. 1.

b > ABF b ABE

b F interno a ABE

2.

Consideriamo i triangoli ACM e BFM ∼ MB AM =

per costruzione

3. 4. 5.

∼ MF CM = ∼ BMF c c AMC =

per costruzione angoli opposti al vertice

7.

∼ BFM ACM = ∼ CAB b = b MBF

6., si oppongono a lati congruenti

8.

b > CAB b ABE

1., 7.

6.

13.2

3., 4., 5., 1° c. c.

teoremi sulla disuguaglianza triangolare

Nel precedente paragrafo abbiamo dedotto che in un triangolo isoscele a lati congruenti si oppongono angoli congruenti, e viceversa. Ci chiediamo ora se è possibile determinare una relazione tra un lato e l’angolo opposto in un triangolo scaleno. La risposta è affermativa ed è stabilita dai seguenti teoremi. Teorema 13.2.1. Consideriamo un triangolo che abbia due lati non congruenti. Allora a lato maggiore si oppone angolo maggiore.

C

A

B

D

Hp: AC < AB b < ACB b Th: ABC Dimostrazione. Poiché AC < AB, si considera un punto D interno al segmento ∼ AD. AB tale che AC = 1.

b < ACB b ACD

2.

Consideriamo il triangolo ACD ∼ AD AC =

3.

b CD interno all’angolo ACB, per costruzione costruzione 3., def. triangolo isoscele

5.

ACD isoscele ∼ ADC b = b ACD

6.

b < ACB b ADC

1., 5.

7. 8.

Consideriamo il triangolo BCD b > ABC b ADC

1° teorema dell’angolo esterno

9.

b < ACB b ABC

6., 8., proprietà transitiva del <

4.

4., teorema diretto triangoli isosceli

Le proprietà che seguono sono i noti teoremi della disuguaglianza triangolare, già studiati in maniera intuitiva durante la scuola media.

114

13.2 teoremi sulla disuguaglianza triangolare

Teorema 13.2.2 (Primo Teorema della disuguaglianza triangolare). In ogni triangolo, un lato qualunque è minore della somma degli altri due.

D

C

A

B

Hp: ABC triangolo, AB lato qualunque Th: AB < AC + BC Dimostrazione. Costruzione: prolunghiamo il lato BC, dalla parte di C, di un ∼ AC; congiungiamo D con A. segmento CD = 1. 2.

Per assurdo AB > AC + BC ∼ CD AC =

costruzione

4.

ACD isoscele ∼ DAC b = b ADC

3., teorema diretto triangoli isosceli

5.

AB > CD + BC

1., 2.

6.

AB > BD

5., somma segmenti adiacenti

7.

Consideriamo ABD b > DAB b ADB

3.

8.

2., definizione triangolo isoscele

6., a lato maggiore si oppone angolo maggiore

10.

∼ DAC b = b + CAB b DAB b < DAB b ADB

11.

Contraddizione

8., 10.

12.

AB < AC + BC

11.

9.

unione di angoli consecutivi 9.

Teorema 13.2.3 (Secondo Teorema della disuguaglianza triangolare). In ogni triangolo, un lato è maggiore della differenza degli altri due, qualora quest’ultima abbia significato. Hp: ABC triangolo, AB lato qualunque, BC > AC Th: AB > BC − AC Dimostrazione. Con riferimento alla dimostrazione e alla figura del primo teorema della disuguaglianza triangolare 1.

BC < AB + AC

2.

∼ AC AC =

primo teorema disuguaglianza triangolare proprietà riflessiva

3.

BC − AC < AB + AC − AC

compatibilità di < con −

4.

BC − AC < AB

3.

Vale anche il viceversa del teorema 13.2.1

115

13.3 le simmetrie centrale e assiale

Teorema 13.2.4. Consideriamo un triangolo che abbia due angoli non congruenti. Allora ad angolo maggiore si oppone lato maggiore.

C

A

D

B

b < ACB b Hp: ABC Th: AC < AB b < ACB, b conduciamo la semiretta di oriDimostrazione. Costruzione: Poiché ABC ∼ ABC. b = b gine C, che incontra AB in D, tale che DCB 1. 2.

Consideriamo BCD ∼ ABC b = b DCB

4.

BCD isoscele ∼ BD CD =

5.

Consideriamo ADC

6.

AC < AD + CD

3.

8.

∼ AD + DB AB = ∼ AD + CD AB =

9.

AC < AB

7.

13.3

costruzione 2., teorema inverso triangoli isosceli 3., definizione triangolo isoscele primo teorema disuguaglianza triangolare somma segmenti adiacenti 4., 7., 6., 8.

le simmetrie centrale e assiale

Lo studio delle simmetrie è molto importante in Geometria. In questo paragrafo studieremo le rappresentazioni delle simmetrie centrale e assiale e le definizioni che daremo saranno operative, vale a dire stabiliranno una procedura precisa per cui, a partire da una data figura, sarà possibile costruire, con riga e compasso, la figura simmetrica. Proveremo che le simmetrie centrale e assiale sono isometrie, cioé conservano le dimensioni. Diamo intanto la seguente Definizione 13.3.1. Sia O un punto del piano; si definisce circonferenza di centro O l’insieme dei punti del piano P equidistanti da O. Ciascuno dei segmenti OP, al variare di P sulla cironferenza, si chiama raggio della circonferenza. Studieremo in modo approfondito la circonferenza nel secondo anno di corso. Definizione 13.3.2. Siano dati un punto O, detto centro di simmetria, ed un punto qualsiasi P del piano. Si definisce simmetrico di P rispetto a O il punto Q ottenuto come segue: 1° si traccia la retta OP 2° si descrive la circonferenza di centro O e raggio OP 3° si individua l’intersezione Q della circonferenza con la retta OP, dalla parte opposta a P rispetto a O. In una simmetria centrale, il centro di simmetria è l’unico punto del piano che ha come simmetrico sé stesso.

116

13.3 le simmetrie centrale e assiale

osservazione: Per costruire il simmetrico di un segmento AB si determinano i simmetrici dei due estremi A e B ottenendo, rispettivamente, A 0 e B 0 , quindi A 0 B 0 è il simmetrico del segmento dato. Per un qualunque poligono di n lati si procede in modo analogo determinando il simmetrico di ogni singolo vertice ottenendo così il poligono simmetrico. Stabiliamo la seguente notazione. In generale, per denotare che la figura geometrica G è simmetrica della figura F rispetto al centro di simmetria O, si scrive σO (F) = G. É evidente che, in base alla definizione operativa, risulta σO (G) = F, cioè la figura simmetrica di G rispetto ad O è la figura F. É fondamentale la seguente proprietà. Teorema 13.3.1. La simmetria centrale è un’isometria, cioé il simmetrico di un segmento è un segmento congruente al primo.

B A0 A

O B0

∼ OA 0 ∧ BO = ∼ OB 0 Hp: AO = 0 0 ∼ Th: AB = A B Dimostrazione. La figura precedente illustra la costruzione del simmetrico di AB rispetto ad O. 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Consideriamo i triangoli AOB e A 0 OB 0 ∼ OA 0 AO = ∼ OB 0 BO = ∼ A 0 OB b = b 0 AOB ∼ AOB = ∼ AB = A 0 B 0

A 0 OB 0

Hp Hp angoli opposti al vertice 2., 3., 4., 1° c. c. 5., si oppongono ad angoli congruenti

Nella sezione sul parallelismo dimostreremo che i due segmenti sono anche paralleli. In generale, in una simmetria centrale ad ogni retta corrisponde una retta parallela alla prima. Vediamo ora la definizione operativa di simmetria assiale. Definizione 13.3.3. Siano dati una retta a, detta asse di simmetria, ed un punto qualsiasi P del piano. Si definisce simmetrico di P rispetto ad a il punto Q ottenuto come segue: 1° si traccia la retta r perpendicolare ad a e passante per P 2° si individua l’intersezione a ∩ r = {C} 3° si determina il simmetrico Q di P rispetto a C. In una simmetria assiale, ogni punto dell’asse di simmetria ha come simmetrico sé stesso. Le argomentazioni dell’osservazione precedente valgono anche per la simmetria assiale.

117

13.3 le simmetrie centrale e assiale

Stabiliamo la seguente notazione. In generale, per denotare che la figura geometrica G è simmetrica della figura F rispetto all’asse di simmetria a, si scrive Σa (F) = G. É evidente che, in base alla definizione operativa, risulta Σa (G) = F, cioè la figura simmetrica di G rispetto ad a è la figura F. Teorema 13.3.2. La simmetria assiale è un’isometria, cioé il simmetrico di un segmento è un segmento congruente al primo.

B

A

a D

B0

C

A0

∼ DA 0 ∧ BC = ∼ CB 0 Hp: AD = 0 0 ∼ Th: AB = A B Dimostrazione. Costruiamo il simmetrico A 0 B 0 di AB rispetto all’asse a. Siano C e D i punti d’intersezione rispettivamente con le perpendicolari per B e A all’asse. Tracciamo i segmenti AC e A 0 C. 1.

Consideriamo i triangoli ACD e A 0 CD

2.

CD

3. 4.

in comune

∼ DA 0 AD = ∼ A 0 DC ∼ b = b = ADC

6.

∼ ACD = ∼ A 0C AC =

7.

∼ A 0 CD b = b ACD

5.

Hp π 2

A 0 CD

Hp 2., 3., 4., 1° c. c. 5., si oppongono ad angoli congruenti 5., si oppongono a lati congruenti

Consideriamo i triangoli ACB e A 0 CB 0 ∼ CB 0 9. BC = ∼ B 0 CD ∼ π b = b = 10. BCD

8.

12.

∼ A 0 CB b = b 0 ACB ∼ A 0 CB 0 ACB =

13.

∼ A 0B 0 AB =

11.

2

Hp Hp 10., 7., differenza di angoli congruenti 6., 9., 11., 1° c. c. 12., si oppongono ad angoli congruenti

Definizione 13.3.4. Una figura geometrica F è dotata di centro di simmetria O se risulta σO (F) = F, cioè la figura simmetrica rispetto ad O di F è F stessa. Definizione 13.3.5. Una figura geometrica F è dotata di asse di simmetria a se risulta Σa (F) = F, cioè la figura simmetrica rispetto ad a di F è F stessa.

118

13.4 esercizi

13.4

esercizi

1. Nel triangolo isoscele ABC, di base AB, prolunga i lati CA e CB dalla parte b incontra il prolundella base. La bisettrice dell’angolo supplementare di A gamento del lato BC nel punto E. La bisettrice dell’angolo supplementare b incontra il prolungamento del lato AC nel punto F. Dimostra che di B ∼ ABE. ABF = 2. Disegna un triangolo isoscele ABC in modo che la base AB sia minore del lato obliquo. Prolunga il lato CA, dalla parte di A, di un segmento AE congruente alla differenza fra il lato obliquo e la base. Prolunga poi la base ∼ AE. Congiungi F con C ed E. AB, dalla parte di B, di un segmento BF = ∼ Dimostra che CF = EF. 3. Sui lati congruenti del triangolo isoscele ABC, di vertice C, disegna due segmenti congruenti CE e CF. Congiungi E con B, poi A con F; indica con D il loro punto d’intersezione. Dimostra che anche il triangolo ABD è isoscele. 4. Sui due lati obliqui del triangolo isoscele ABC, di base AB, disegna, esternamente al triangolo, i triangoli equilateri BCD e ACE. Congiungi A con D e B con E, poi indica con F il punto intersezione dei segmenti ottenuti. Dimostra che ∼ BE a) AD = b b) CF è bisettrice di ACB. b acuto. Traccia 5. Disegna un triangolo isoscele ABC, di base BC e l’angolo A le altezze BH e CK relative, rispettivamente, ai lati AC e AB e prolunga tali ∼ BH e KC 0 = ∼ CK. Sia A 0 il altezze, dalla parte di H e K, dei segmenti HB 0 = 0 0 punto d’intersezione della retta BC con la retta B C. Dimostra che ∼ AC 0 B = ∼ AB 0 C a) ABC = b) il triangolo A 0 B 0 C 0 è isoscele.

119

14

P E R P E N D I C O L A R I TÀ

14.1

definizioni e prime applicazioni

In questa sezione definiremo la relazione di perpendicolarità tra rette. Essa è fondamentale per le procedure di costruzione con riga e compasso, quindi per la costruzione di una vasta categoria di figure geometriche. Definizione 14.1.1. Due rette incidenti r ed s si dicono perpendicolari se dividono il piano in quattro angoli congruenti. Notazione: r⊥s. Il punto d’intersezione si chiamma piede.

r

s

Si deduce immediatamente che i quattro angoli congruenti sono retti. La relazione di perpendicolarità tra rette gode solo della seguente proprietà: r⊥s ⇐⇒ s⊥r detta proprietà simmetrica, essendo r ed s rette del piano. Estendiamo ora il concetto di perpendicolarità a semirette e segmenti. Definizione 14.1.2. Due semiretterette si dicono perpendicolari se le le loro rette sostegno sono perpendicolari. Allo stesso modo, due segmenti si dicono perpendicolari se le le loro rette sostegno sono perpendicolari. Teorema 14.1.1. Sia data una retta r e sia P un punto, su di essa o esterno; allora è unica la retta s passante per P e perpendicolare a r.

s

P

C

B

A

Hp: P ∈ / r ∧ P ∈ s ∧ r⊥s Th: s unica

120

r

14.2 ulteriori proprietà dei triangoli isosceli

Dimostrazione. Dimostreremo il teorema solo nel caso specificato nelle ipotesi, cioé P ∈ / r. Costruzione: sia A il punto d’incontro della retta s con la retta r. Tracciamo per P una retta t che incontra r in B. 1. 2. 3. 4.

Per assurdo t 6= s con t⊥r ∼ π/2 b = PAB

Hp

∼ π/2 b = PBC ∼ PBC b = b PAB

1. 2., 3., proprietà transitiva

6.

Consideriamo il triangolo BAP b > PAB b PBC

1° teorema dell’angolo esterno

7.

Contraddizione

3., 6.

8.

s unica

5.

Ciascun lato di un triangolo può essere riguardato come base del triangolo stesso. Ha senso, pertanto, la seguente Definizione 14.1.3. In un triangolo, si definisce altezza relativa ad un lato (base), il segmento perpendicolare alla base condotto ad essa dal vertice opposto, il cui secondo estremo è il piede della perpendicolare stessa. Ogni triangolo ha tre altezze, ciascuna relativa ad un lato. Solo nel caso dei triangoli ottusangoli le altezze relative ai due lati dell’angolo ottuso si costruiscono esternamente ad esso, utilizzando i prolungamenti dei lati stessi. Inoltre, proveremo che le tre altezze si incontrano in un punto, esterno al triangolo solo per i triangoli ottusangoli, interno per tutti gli altri.

C0

C

A

D

B

D0

A0

B0

In un triangolo rettangolo, i cateti sono perpendicolari e ciascuno di essi è altezza relativa dell’altro. La terza altezza è denominata altezza relativa all’ipotenusa. Per i triangoli rettangoli è possibile enunciare i criteri di congruenza in modo semplificato, poiché essi hanno la caratteristica di avere un angolo retto. Teorema 14.1.2. (Criteri di congruenza dei triangoli rettangoli) Se due triangoli rettangoli hanno ordinatamente congruenti due lati qualunque, oppure un lato qualunque e un angolo diverso da quello retto, allora essi sono congruenti. Dimostrazione. Esplicitarla come esercizio nei seguenti semplici casi: due cateti ordinatamente congruenti, un lato qualunque ed un angolo acuto ordinatamente congruenti. 14.2

ulteriori proprietà dei triangoli isosceli

Ritorniamo ad occuparci dei triangoli isosceli, enunciando importanti proprietà che giustificano un gran numero di costruzioni geometriche. Teorema 14.2.1. In ogni triangolo isoscele, l’altezza relativa alla base, la mediana della base e la bisettrice dell’angolo al vertice coincidono.

121

14.2 ulteriori proprietà dei triangoli isosceli

C

A

B

H

∼ BC ∧ CH⊥AB Hp: AC = ∼ ∼ BCH b = b Th: AH = HB ∧ ACH Dimostrazione. . Consideriamo i triangoli AHC e BHC ∼ BHC ∼ π/2 b = b = AHC

Hp

4.

CH in comune ∼ BC AC =

Hp

5.

∼ BHC AHC =

1. 2. 3.

6. 7.

∼ HB AH = ∼ BCH b = b ACH

figura 2., 3., 4., criterio di congruenza dei triangoli rettangoli 5., terzi lati 5., 6., si oppongono a lati congruenti

∼ BC ∧ AH = ∼ HB Hp: AC = ∼ BCH b = b Th: CH⊥AB ∧ ACH Dimostrazione. . 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Consideriamo i triangoli AHC e BHC ∼ HB AH = CH in comune ∼ BC AC = ∼ BHC AHC = ∼ BCH b = b ACH

Hp figura Hp 2., 3., 4., 3° c.c. 5., si oppongono a lati congruenti

8.

∼ BHC b = b AHC ∼π b b AHC + BHC =

9.

∼ BHC ∼ π/2 b = b = AHC

7., 8.

CH⊥AB

9.

7.

10.

∼ BC ∧ ACH ∼ BCH b = b Hp: AC = ∼ Th: CH⊥AB ∧ AH = HB Dimostrazione. . 1.

Consideriamo i triangoli AHC e BHC

5., si oppongono a lati congruenti angoli adiacenti

122

14.2 ulteriori proprietà dei triangoli isosceli

2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.

CH in comune ∼ BC AC =

figura Hp

∼ BCH b = b ACH ∼ BHC AHC =

Hp 2., 3., 4., 1° c.c.

∼ HB AH = ∼ BHC b = b AHC

5., si oppongono ad angoli congruenti 5., si oppongono a lati congruenti

∼π b + BHC b = AHC ∼ BHC ∼ π/2 b = b = AHC

angoli adiacenti 7., 8.

CH⊥AB

9.

Vale anche il viceversa. Teorema 14.2.2. Se in un triangolo ABC 1. l’altezza relativa ad AB e la mediana di AB coincidono, oppure b coincidono, oppure 2. l’altezza relativa ad AB e la bisettrice dell’angolo C b e la mediana di AB coincidono 3. la bisettrice dell’angolo C allora il triangolo è isoscele di base AB.

C

A

H

B

D

∼ HB ∧ ACH ∼ BCH b = b Hp: AH = Th: ABC triangolo isoscele Dimostrazione. Le dimostrazioni dei primi due asserti sono semplici esercizi, ragion per cui dimostreremo solo il terzo. Costruzione: con riferimento alla figura precedente, prolunghiamo la bisettrice CH, dalla parte di H, di un segmento ∼ CH, quindi congiungiamo A con D. HD =

123

14.3 costruzioni con riga e compasso

1. 2. 3. 4. 5. 6.

Consideriamo i triangoli AHD e BHC ∼ HB AH = ∼ HD CH = ∼ BHC b = b AHD ∼ BHC AHD = ∼ BCH b = b ADH

8.

∼ AD BC = ∼ BCH b = b ACH

9.

∼ ACH b = b ADH

7.

Hp costruzione angoli opposti al vertice 2., 3., 4., 1° c.c. 5., si oppongono a lati congruenti 5., si oppongono ad angoli congruenti Hp 6., 8., proprietà transitiva

11.

ADC triangolo isoscele ∼ AD AC =

12.

∼ BC AC =

7., 11., proprietà transitiva

13.

ABC triangolo isocele

12., def. triangololo isoscele

10.

9., teorema inverso triangoli isosceli 10., def. triangolo isoscele

Da queste caratterizzazioni dei triangoli isosceli discende immediatamente che gli unici triangoli dotati di asse di simmetria sono proprio i triangoli isosceli. In particolare, i triangoli equilateri sono dotati di tre assi di simmetria. 14.3

costruzioni con riga e compasso

In questo paragrafo esporremo le procedure operative per effettuare alcune costruzioni con riga e compasso. Con la riga sarà consentito solo tracciare linee, ma non effettuare misure. Evisentemente una circonferenza è univocamente determinata dal suo centro e dal suo raggio. Circonferenze con raggi congruenti sono congruenti. Problema 14.3.1. Data la retta r e dato il punto P, costruire la retta s perpendicolare ad r e passante per P. • 1° caso: P ∈ r 1. Si punta il compasso in P e con apertura arbitraria si descrive una circonferenza; 2. si individuano i punti d’intersezione A e B della retta r con la circonferenza; 3. si punta il compasso in A e con apertura AB si descrive una circonferenza; 4. si punta il compasso in B e con apertura BA si descrive una circonferenza; 5. si individuano i punti d’intersezione C e D delle due circonferenze; 6. si conduce la retta CD: essa è la retta s perpendicolare ad r e passante per P.

124

14.3 costruzioni con riga e compasso

s C

A

P

B

r

D

• 2° caso: P ∈ /r 1. Si punta il compasso in P e si descrive una circonferenza che incontra la retta r nei punti didtinti A e B; si ripetono i passi 3., 4., 5., 6., del caso precedente. Problema 14.3.2. Data la retta r e dato il punto P, costruire la retta s parallela ad r e passante per P. • 1° caso: P ∈ r. Non si descrive alcuna costruzione in quanto s = r. • 2° caso: P ∈ /r 1. Si costruisce la retta t perpendicolare ad r utilizzando la costruzione del problema precedente (2° caso); 2. si costruisce la retta s perpendicolare ad r utilizzando la costruzione del problema precedente (1° caso); la retta s così costruita è parallela alla retta r di partenza. Dimostreremo nel capitolo sul parallelismo la proprietà: due rette perpendicolari ad una stessa retta sono tra loro parallele. Problema 14.3.3. Dato il segmento non nullo AB, costruire il suo punto medio M. 1. Si punta il compasso in A con apertura AB e si descrive una circonferenza; 2. si punta il compasso in B con apertura BA e si descrive una circonferenza; 3. siano C e D i punti d’intersezione delle due circonferenze; 4. si conduce ls retta CD; 5. si determina il punto d’intersezione M tra il segmento AB e la retta CD: esso è il punto medio del segmento.

C

A

M

D

B

125

14.3 costruzioni con riga e compasso

Nella costruzione precedente, la retta CD è anche asse del segmento AB. Pertanto è gia risolto il seguente Problema 14.3.4. Dato il segmento non nullo AB, costruire il suo asse. Infine, analizziamo una costruzione che riguarda gli angoli. b costruire la sua bisettrice. Problema 14.3.5. Dato l’angolo aVb, 1. Si punta il compasso nel vertice V e si descrive una circonferenza di raggio arbitrario; 2. si individuano i punti d’intersezione A e B della circonferenza rispettivamente con i lati dell’angolo a e b; 3. si conduce il segmento AB; 4. si costruisce il punto medio M del segmento AB; 5. si conduce la semiretta VM di origine V: essa è la bisettrice dell’angolo b aVb. Siamo ora in grado di definire il concetto di proiezione ortogonale. Definizione 14.3.1. Siano assegnati un punto P ed una retta r. Si definisce proiezione ortogonale di P su r il piede della retta perpendicolare ad r condotta da P.

P

P0

r

La proiezione ortogonale di un punto è sempre un punto. Se P ∈ r, allora la proiezione ortogonale di P è il punto stesso. Definizione 14.3.2. Siano assegnati un segmento AB ed una retta r. Si definisce proiezione ortogonale di AB su r il segmento contenuto in r i cui estremi sono i piedi delle rette perpendicolari ad r condotte da A e B.

A

B

A0

B0

r

126

14.4 luoghi geometrici

Se il segmento è tale che il suo sostegno non è incidente la retta, allora la sua proiezione ortogonale è un segmento ad esso congruente. Se il segmento è perpendicolare alla retta, allora la sua proiezione ortogonale è un punto della retta. Se il segmento è contenuto nella, allora esso e la sua proiezione coincidono.

A

B

C

D

A0

14.4

B0

C0

r

s

luoghi geometrici

Esistono figure geometriche che si possono descrivere attraverso una proprietà comune a tutti i loro punti. Definizione 14.4.1. Si definisce luogo geometrico l’insieme di tutti e soli i punti del piano che soddisfano una data proprietà. I luoghi geometrici che caratterizzeremo in questo paragrafo sono l’asse di un segmento e la bisettrice di un angolo. Teorema 14.4.1. Siano AB un segmento e a il suo asse. Allora un punto P è sull’asse a se, e solo se, è eqidistante dagli estremi A e B del segmento. In altre parole: l’asse di un segmento è il luogo geometrico dei punti equidistanti dagli estremi del segmento.

a

P

A

Hp: a asse di AB

M

∧ P∈a

∼ PB Th: PA = Dimostrazione. Sia M il punto medio di AB.

B

127

14.4 luoghi geometrici

1.

Consideriamo il triangolo ABP

2.

PM mediana di AB

Hp, a asse di AB

3.

PM⊥AB

Hp, a asse di AB

4.

PM altezza relativa ad AB

3.

5.

ABP triangolo isoscele di base AB

2., 4., teorema di caratterizzazione triangoli isosceli

6.

∼ PB PA =

5., def. triangolo isoscele

a

P

A

Hp: P ∈ a



M

B

∼ PB PA =

Th: a asse di AB Dimostrazione. Sia M il punto medio di AB.

2.

Consideriamo il triangolo ABP ∼ PB PA =

Hp

3.

ABP triangolo isoscele di base AB

2., def. triangolo isoscele

4.

PM mediana di AB

M punto medio di AB

5.

PM altezza relativa ad AB

3., 4., teorema caratterizzazione triangoli isosceli

6.

PM⊥AB

Hp, 5.

7.

a asse di AB

4., 6., def. di asse di un segmento

1.

b un angolo e c la sua bisettrice. Allora un punto P è sulla Teorema 14.4.2. Siano aVb bisettrice c se, e solo se esso è eqidistante dai lati a e b dell’angolo. In altre parole: la bisettrice di un angolo è il luogo geometrico dei punti equidistanti dai lati dell’angolo.

128

14.4 luoghi geometrici

b B

V P

c

A a

b Hp: c bisettrice di aVb ∧ P∈c Th: P equidistante da a e b Dimostrazione. Costruzione: Da P ∈ c conduciamo le perpendicoari ai lati a e b dell’angolo rispettivamente in A e in B.

2.

Consideriamo i triangoli AVP e BVP ∼ V AP ∼ π b = b = V BP

costruzione

3.

AVP e BVP triangoli rettangoli

2., def. triangolo rettangolo

4.

figura

5.

VP in comune ∼ BVP b = b AVP

6.

∼ BVP AVP =

7.

∼ BP AP =

6., si oppongono ad angoli congruenti

8.

P equidistante da a e b

7.

1.

2

b Hp, c bisettrice di AVB 3., 4., 5., criterio di congruenza triangoli rettangoli

b B

V P

c

A a

Hp: P ∈ c equidistante da a e b b Th: c bisettrice di aVb Dimostrazione. Costruzione: identica alla prima parte della dimostrazione.

129

14.4 luoghi geometrici

1. 2.

Consideriamo i triangoli AVP e BVP ∼ V AP ∼ π b = b = V BP 2

costruzione

AVP e BVP triangoli rettangoli ∼ BP AP =

2., def. triangolo rettangolo figura

6.

VP in comune ∼ BVP AVP =

7.

∼ BVP b = b AVP

6., si oppongono a lati congruenti

8.

b c bisettrice di AVP

7., def. bisettrice di un angolo

3. 4. 5.

Hp 3., 4., 5., criterio di congruenza triangoli rettangoli

130

15

PA R A L L E L I S M O

In questa sezione studieremo uno dei concetti più affascinanti e controversi della geometria: il parallelismo. Esso ci introduce allo studio di figure geometriche di grande interesse, alla deduzione di proprietà generali utili allo studio di figure di ulteriore complessità, in particolare i quadrilateri notevoli. 15.1

definizioni e v postulato di euclide

Definizione 15.1.1. Due rette r e s si dicono parallele se si verifica una delle seguenti condizioni r≡s r∩s = Se r e s sono parallele, allora si scrive rks. Osservazione 15.1.1. Dalla definizione si intuisce che due rette parallele o sono coincidenti, oppure non hanno alcun punto in comune. Euclide, riguardo al parallelismo, introdusse nei suoi Elementi un postulato alquanto misterioso e tutt’altro che ovvio, che con linguaggio moderno è possibile enunciare nel modo seguente. Postulato 16 (V postulato di Euclide). Siano r una retta e P un punto esterno ad essa; allora esiste ed è unica la retta s parallela a r e passante per il punto P.

P s

r

Il V postulato di Euclide (denominato anche, significativamente, postulato delle parallele), esprime non solo l’esistenza della retta s, ma anche la sua unicità: ogni altra retta passante per P sarà incidente la retta r. Per circa duemila anni si è pensato che tale proprietà si potesse dedurre dagli altri postulati, ma a cavallo dei secoli XVIII e XIX si è finalmente provato che il postulato delle parallele è indipendente dagli altri assiomi. Si possono, però, costruire geometrie in cui questo postulato non vale, o per quanto attiene l’esistenza della retta parallela s o per la sua unicità. Queste geometrie vengono denominate geometrie noneuclidee. Di contro, la geometria che studiate in questo corso, per cui vale il V postulato di Euclide, è denominata geometria euclidea. Il seguente teorema esprime le proprietà della relazione di parallelismo tra rette. Teorema 15.1.1 (Proprietà del parallelismo). La relazione di parallelismo tra rette gode delle seguenti proprietà: R) rkr

proprietà riflessiva

S) rks ⇐⇒ skr T)

proprietà simmetrica

(rks ∧ skt) =⇒ rkt

proprietà transitiva

131

15.2 rette tagliate da una trasversale

Dimostrazione. R) La proprietà riflessiva discende direttamente dalla definizione di rette parallele, vale a dire: una retta è parallela a sé stessa. S) Supponiamo che le due rette siano distinte. Allora rks ⇐⇒ r ∩ s = ⇐⇒ s ∩ r = ⇐⇒ skr in quanto l’intersezione tra insiemi gode della proprietà commutativa. T) Supponiamo che le tre rette siano distinte. Per assurdo, sia r ∩ t = {P}; allora risulta sia P ∈ r che P ∈ t. Pertanto per il punto P esterno alla retta s passano due rette distinte r e t parallele ad essa, in contraddizione con il quinto postulato di Euclide. Si conclude che r ∩ t = , e quindi rks. Definizione 15.1.2. Si definisce fascio improprio di rette un insieme di rette tutte parallele tra loro.

É possibile estendere la nozione di parallelismo a semirette e segmenti, con la dovuta attenzione. Definizione 15.1.3. Due semirette si dicono parallele se le rette sostegno sono parallele. Due segmenti si dicono paralleli se le rette sostegno sono parallele. 15.2

rette tagliate da una trasversale

In questo paragrafo vogliamo studiare le figure che vengono a determinarsi quando consideriamo una coppia di rette qualsiasi r ed s che incontrano entrambe una terza retta t. Si parla di coppie di rette tagliate da una trasversale. Come è facile immaginare, tali rette individuano una serie di angoli i cui vertici sono i due punti d’intersezione della trasversale con ciascuna delle altre due rette. Tali angoli, a coppie, assumono una precisa denominazione. Osserviamo attentamente la seguente figura. t 8 6

7 5

s

4 3 2 1

r

Definizione 15.2.1. Siano date le rette r ed s tagliate dalla trasversale t come in figura. Esse individuano otto angoli che, a coppie, vengono denominati come segue: 1. le coppie di angoli (3, 6) e (4, 5) si dicono angoli alterni interni; 2. le coppie di angoli (1, 8) e (2, 7) si dicono angoli alterni esterni; 3. le coppie di angoli (3, 5) e (4, 6) si dicono angoli coniugati interni; 4. le coppie di angoli (1, 7) e (2, 8) si dicono angoli coniugati esterni; 5. le coppie di angoli (1, 5), (3, 7), (2, 6) e (4, 8) si dicono angoli corrispondenti.

132

15.3 criteri di parallelismo

15.3

criteri di parallelismo

Il nostro studio ora si concentra sull’analisi del seguente problema. Considerate due rette parallele r ed s tagliate dalla trasversale t ci chiediamo quali sono le condizioni che regolano le coppie di angoli della definizione 1.4. La risposta a tale quesito risiede nei seguenti teoremi. Teorema 15.3.1 (Teorema fondamentale). Siano date due rette r ed s tagliate dalla trasversale t. Se coppie di angoli alterni interni sono congruenti, allora le rette r ed s sono parallele.

t D

B s

P

A

r

C

∼ ABD b = b Hp: BAC Th: rks Dimostrazione. Dimostriamo il teorema per assurdo. 1.

Per assurdo r ∩ s = {P}

2. 3.

Consideriamo il triangolo ABP ∼ ABD b = b BAC

Hp

4.

b > ABD b BAC

1° teorema angolo esterno

5.

Contraddizione

3., 4.

6.

rks

5.

Dal teorema fondamentale seguono immediatamente i seguenti teoremi. Teorema 15.3.2. Siano date due rette r ed s tagliate dalla trasversale t. Se coppie di angoli alterni esterni sono congruenti, allora le rette r ed s sono parallele.

t G D

E s

B

A H

C F

r

133

15.3 criteri di parallelismo

∼ DBG b = b Hp: FAC Th: rks Dimostrazione. . 1. 2.

∼ DBG b = b FAC ∼ HAB b = b FAC

4.

∼ EBA b = b DBG ∼ EBA b = b HAB

5.

rks

3.

Hp angoli opposti al vertice angoli opposti al vertice 2., 3., transitività congruenza 4., teorema fondamentale

Teorema 15.3.3. Siano date due rette r ed s tagliate dalla trasversale t. Se coppie di angoli coniugati interni (rispettivamente esterni) sono supplementari, allora le rette r ed s sono parallele. ∼π b + ABE b = Hp: CAB Th: rks Dimostrazione. Dimostriamo il teorema utilizzando come ipotesi solo una coppia di angoli coniugati interni, riferendoci alla figura precedente.

2.

∼π b + ABE b = CAB ∼π b + CAB b = HAB

4.

∼ EBA b = b HAB

1., 2., differenza di angoli congruenti

5.

rks

4., teorema fondamentale

1.

Hp angoli adiacenti

Corollario 15.3.1. Se le rette r ed s sono entrambe perpendicolari ad una retta t, allora esse sono parallele.

t

s

r

rks

Dimostrazione. Gli angoli coniugati interni formati dalle rette r ed s tagliate dalla trasversale t sono entrambi retti, quindi supplementari. Teorema 15.3.4. Siano date due rette r ed s tagliate dalla trasversale t. Se coppie di angoli corrispondenti sono congruenti, allora le rette r ed s sono parallele. La dimostrazione è un semplice esercizio. Il fatto notevole è che vale il viceversa delle proposizioni precedentemente dimostrate. Teorema 15.3.5 (Teorema inverso del fondamentale). Siano date due rette parallele r ed s tagliate dalla trasversale t; allora coppie di angoli alterni interni sono congruenti.

134

15.3 criteri di parallelismo

t D

B s

A

E

r

C

u

Hp: rks ∼ ABD b = b Th: BAC Dimostrazione. Supponiamo per assurdo di negare la tesi, per cui possiamo pen∼ EBA. b < ABD. b Si conduca per B la semiretta u in modo che BAC b = b In sare BAC virtù del V postulato di Euclide la semiretta u non può essere parallela a r, per cui sia E il punto d’intersezione tra r e u. Considerato il triangolo ABE, risulta ∼ EBA b è un suo angolo esterno. La condizione BAC b = b contraddice il 1° che BAC ∼ b b teorema dell’angolo esterno. Conclusione: BAC = ABD. Corollario 15.3.2. Siano date due rette parallele r ed s tagliate dalla trasversale t; allora coppie di angoli alterni esterni sono congruenti. Corollario 15.3.3. Siano date due rette parallele r ed s tagliate dalla trasversale t; allora coppie di angoli coniugati interni ed esterni sono supplementari. Corollario 15.3.4. Siano date due rette parallele r ed s tagliate dalla trasversale t; allora coppie di angoli corrispondenti sono congruenti. Le dimostrazioni dei corollari sono semplici esercizi. Possiamo riassumere le proprietà viste nel modo seguente. Teorema 15.3.6 (Criteri di parallelismo). Siano date due rette r ed s tagliate dalla trasversale t; allora rks se, e solo se, si verifica una delle seguenti condizioni 1. coppie di angoli alterni interni sono congruenti; 2. coppie di angoli alterni esterni sono congruenti; 3. coppie di angoli coniugati interni ed esterni sono supplementari; 4. coppie di angoli corrispondenti sono congruenti. Teorema 15.3.7. Siano date due rette parallele r ed s. Allora tutti i segmenti aventi estremi sulle rette e ad esse perpendicolari sono congruenti. In altre parole, due rette parallele hanno tra loro distanza costante.

D

B s

A

C

r

135

15.4 teorema degli angoli interni di un triangolo

Hp: rks, AD⊥r, s ∼ BC Th: AD =

BC⊥r, s

Dimostrazione. Con riferimento alla figura precedente 1.

Conduciamo il segmento AB

2.

Consideriamo i triangoli ABC e ABD

3.

rks

4.

AD⊥r, s

5.

ABC e ABD triangoli rettangoli

4.

6.

AB in comune ∼ DBA b = b CAB

a.a.i. formati da rks e AB

7. 8. 9.

15.4

Hp Hp

BC⊥r, s

∼ ABD ABC = ∼ AD = BC

5., 6., 7., 2° c.c.g. 8., si oppongono ad angoli congruenti

teorema degli angoli interni di un triangolo

Vedremo in questo paragrafo diverse applicazioni importanti dei criteri di parallelismo. Cominciamo subito con uno dei più noti teoremi sui triangoli. Teorema 15.4.1. In ogni triangolo, la somma degli angoli interni è congruente ad un angolo piatto.

D

C

E r

A

B

Hp: ABC triangolo qualunque ∼π b + ACB b + BAC b = Th: ABC Dimostrazione. Conduciamo per C la retta r parallela al lato AB, che per il V postulato di Euclide è unica. 1. 2.

ABkr ∼ DCA b = b BAC

4.

∼ ECB b = b ABC ∼π b + ECB b + ACB b = DCA

5.

∼π b + ACB b + BAC b = ABC

3.

costruzione a.a.i. formati da ABkr e AC a.a.i. formati da ABkr e BC figura 2., 3., 4.

Pertanto, la conoscenza di due angoli di un triangolo individua univocamente il terzo angolo. Conseguenze immediate sono i seguenti corollari. Corollario 15.4.1 (Secondo criterio di congruenza generalizzato). Se due triangoli hanno ordinatamente congruenti due angoli e un lato qualunque, allora essi sono congruenti. Dimostrazione. In base al teorema degli angoli interni si può applicare il secondo criterio di congruenza.

136

15.4 teorema degli angoli interni di un triangolo

Corollario 15.4.2 (Secondo teorema dell’angolo esterno). In ogni triangolo, ciascun angolo esterno è congruente alla somma degli angoli interni ad esso non adiacenti.

C

A

B

D

b = b + BAC b ∼ ACB DBC

b angolo esterno triangolo ABC Hp: DBC ∼ ACB b b + BAC b Th: DBC = Dimostrazione. Prolunghiamo il lato AB dalla parte di B. ∼π b + ABC b = 1. DBC angoli adiacenti 2. 3.

∼π b + ACB b + BAC b = ABC ∼ ACB b = b + BAC b DBC

teorema degli angoli interni 1., 2., differenza di angoli congruenti

Corollario 15.4.3. In ogni triangolo, la somma degli angoli esterni è congruente a due angoli piatti.

E

C

A

B

D

F

b ACE, b BAF b angoli esterni triangolo ABC Hp: DBC, ∼ 2π b b b = Th: DBC + ACE + BAF Dimostrazione. Prolunghiamo i lati AB, dalla parte di B, BC, dalla parte di C, CA, dalla parte di A. ∼π b + ABC b = 1. DBC angoli adiacenti 2. 3. 4. 5. 6.

∼π b + ACB b = ACE ∼π b + CAB b = BAF b + ABC b + ACE b + ACB b + DBC ∼ b b +BAF + CAB = 3π ∼π b + ACB b + CAB b = ABC ∼ 2π b + ACE b + BAF b = DBC

angoli adiacenti angoli adiacenti 1., 2., 3., somma membro a membro teorema degli angoli interni 4., 5., differenza membro a membro

Teorema 15.4.2. La somma degli angoli interni di un poligono convesso di n lati è congruente a n − 2 angoli piatti.

137

15.5 esercizi

E D P

A

C

B

Hp: ABCDE... poligono convesso di n lati ∼ (n − 2) π b +B b+C b+D b +E b + ... = Th: A Dimostrazione. La figura precedente rappresenta un pentagono per fissare le idee, noi ragioniamo pensando che esso abbia n lati, con n > 3. Congiungiamo il punto interno P con i vertici del poligono, si vengono a determinare n triangoli. La somma degli angoli interni di tutti i triangoli è congruente a nπ; per ottenere la somma degli angoli interni del poligono dobbiamo sottrarre alla somma precedente l’angolo giro di vertice P. Si ottiene, pertanto, nπ − 2π, da cui la tesi. Applicando il teorema precedente, si ottiene che la somma degli angoli interni ∼ 2π, mentre per un di un qualunque quadrilatero è congruente a (4 − 2) π = ∼ 6π. ottagono convesso (8 − 2) π = Corollario 15.4.4. La somma degli angoli esterni di un qualunque poligono convesso è congruente a due angoli piatti. La dimostrazione è lasciata per esercizio. 15.5

esercizi

b Da un punto 1. Sia ABC un triangolo e sia CH la bisettrice dell’angolo C. D 6= H del lato AB si conduca la retta r parallela alla bisettrice CH. Si dimostri che la retta r interseca le rette AC e BC in due punti che hanno la stessa distanza dal vertice C. 2. Dato il triangolo ABC, sia D il punto d’intersezione delle bisettrici degli b e B. b Condurre per P la retta parallela al lato AB, che incontra i lati angoli A ∼ AE + BF. AC e BC nei punti E ed F rispettivamente. Dimostrare che EF = 3. Due segmenti AB e CD hanno il punto medio M in comune. Dimostrare che le rette AC e BD sono parallele. 4. Dagli estremi di un segmento AB, nello stesso semipiano individuato dalla retta AB,

138

16

Q U A D R I L AT E R I N O T E V O L I

In questa sezione affronteremo lo studio dei trapezi e dei parallelogrammi. Le proprietà di tali figure, note come quadrilateri notevoli, si deducono facilmente applicando i criteri di parallelismo studiati nel capitolo precedente. In particolare studieremo i parallelogrammi speciali, vale a dire rombo, rettangolo e quadrato. Classificheremo i parallelogrammi in base alla cosiddetta gerarchia dei parallelogrammi, procedendo dal generale al particolare nello spirito del sistema ipotetico-deduttivo. 16.1

il trapezio

Definizione 16.1.1. Si definisce trapezio ogni quadrilatero avente due lati opposti paralleli. I due lati paralleli si dicono rispettivamente base minore e base maggiore, gli altri due si dicono lati obliqui.

D

C

A

B

Teorema 16.1.1. In ogni trapezio, gli angoli adiacenti a ciascun lato obliquo sono supplementari. Esercizio 16.1.1. Dimostrare il teorema precedente. Come per i triangoli, esistono trapezi speciali, i quali hanno proprietà più interessanti dei trapezi generali. Definizione 16.1.2. Un trapezio si dice isoscele se ha i lati obliqui congruenti.

D

C

A

B

Le proprietà sugli angoli interni che enunceremo ricordano quelle relative ad un triangolo isoscele, con le ovvie differenze determinate dalla diversa forma geometrica. Teorema 16.1.2. In ogni trapezio isoscele, gli angoli adiacenti a ciascuna base sono congruenti. ∼ BC Hp: ABkCD AD = ∼ ∼ BCD b b b = b Th: DAB = ABC ADC

139

16.1 il trapezio

D

C

H

K

A

B

Dimostrazione. Costruzione: si conduca da D il segmento DH⊥AB e da C il segmento CK⊥AB.

2.

Consideriamo AHD e CKB ∼ BC AD =

3.

∼ CK DH =

1.

4. 5. 6. 7. 8. 9.

∼ BKC ∼ b = b = AHD ∼ CKB AHD =

Hp costruzione, distanza tra rette parallele costante

π 2

costruzione 2., 3., 4., c.c. triangoli rettangoli

∼ ABC b = b DAB ∼π b + ADC b = DAB

5., si oppongono a lati congruenti Hp, adiacenti ad AD

∼π b + BCD b = ABC ∼ BCD b = b ADC

Hp, adiacenti a BC 6., 7., 8., supplementari di angoli congruenti

Dal precedente teorema si deduce il seguente Corollario 16.1.1. In ogni trapezio isoscele, le diagonali sono congruenti. ∼ BC Hp: ABkCD AD = ∼ BD Th: AC =

D

C

A

B

Dimostrazione. Tracciamo le diagonali AC e BD. 1.

Consideriamo ABD e ABC

2.

AB in comune ∼ BC AD =

3.

5.

∼ ABC b = b DAB ∼ ABC ABD =

6.

∼ BD AC =

4.

figura Hp Hp, angoli alla base maggiore 2., 3., 4., 1° c.c. 5., si oppongono ad angoli congruenti

140

16.2 il parallelogramma

Le diagonali incontrandosi, supponiamo nel punto O, dividono il trapezio in quattro triangoli, a due a due opposti rispetto ad O, che soddisfano le seguenti proprietà. Teorema 16.1.3. Le diagonali di un trapezio isoscele, incontrandosi nel punto O, lo dividono in quattro triangoli, dei quali due triangoli sono isosceli e aventi gli angoli ordinatamente congruenti, mentre gli altri due triangoli sono congruenti.

D

C O

A

B

Più precisamente, osservando la figura, i triangoli AOB e COD sono isosceli e hanno gli angoli ordinatamente congruenti, mentre i triangoli AOD e BOC sono congruenti. Esercizio 16.1.2. Dimostrare il teorema 16.1.3. Con riferimento all’ultima figura, s’intuisce che un trapezio isoscele non è dotato di centro di simmetria, perché, in caso contrario, il punto O sarebbe punto medio di entrambe le diagonali. Però ci chiediamo se esso non sia dotato di asse di simmetria. Teorema 16.1.4. In ogni trapezio isoscele, l’asse comune delle due basi è asse di simmetria del trapezio. Tale asse passa per il punto d’intersezione delle diagonali. 16.2

il parallelogramma

Lo studio dei parallelogrammi è importante perché costituisce una solida premessa allo studio dei rombi, dei rettangoli e dei quadrati, figure geometriche dotate di forti proprietà che trovano applicazione in numerosi problemi di grande interesse. I rombi, i rettangoli e i quadrati sono dei particolari parallelogrammi, come sintetizzato dal seguente diagramma, che riproduce la gerarchia dei parallelogrammi. Parallelogrammi

Rombi

Quadrati Rettangoli

Definizione 16.2.1. Si definisce parallelogramma un quadrilatero avente i lati opposti a due a due paralleli.

141

16.2 il parallelogramma

D

C

A

B

Le proprietà dei parallelogrammi si deducono facilmente utilizzando i criteri di parallelismo. Teorema 16.2.1. In ogni parallelogramma, gli angoli adiacenti ad un lato sono supplementari. D

C

A

B

Hp: ABkCD BCkAD ∼π b +D b = Th: A Dimostrazione. Sono coppie di angoli coniugati interni. Esercizio 16.2.1. Sia ABCD un parallelogramma; si conducano le bisettrici degli angoli b e B, b adiacenti al lato AB, che s’incontrano nel punto E. Dimostrare che il triangolo A ABE è rettangolo. Teorema 16.2.2. In ogni parallelogramma, gli angoli opposti sono congruenti. Esercizio 16.2.2. Dimostrare il teorema precedente. Teorema 16.2.3. In ogni parallelogramma, ciascuna diagonale lo divide in due triangoli congruenti. D

A

C

B

Hp: ABkCD BCkAD ∼ ACD Th: ABC = Dimostrazione. . 1.

Consideriamo ABC e ACD

2.

AC in comune ∼ ADC b = b ABC

3. 4. 5.

∼ ACD b = b BAC ∼ ACD ABC =

figura angoli opposti parallelogramma a.a.i. formati da ABkCD e AC 2., 3., 4., 2° c.c.g.

142

16.2 il parallelogramma

Teorema 16.2.4. I lati opposti di un parallelogramma sono congruenti. Esercizio 16.2.3. Dimostrare il corollario. Il teorema che segue è di fondamentale importanza nella deduzione di una forte proprietà dei parallelogrammi. Teorema 16.2.5 (Teorema delle diagonali). In ogni parallelogramma, le diagonali hanno lo stesso punto medio.

D

C

O

A

B

Hp: ABkCD BCkAD ∼ OC ∧ BO = ∼ OD Th: AO = Dimostrazione. . 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Consideriamo ABO e CDO ∼ CD AB =

lati opposti parallelogramma

∼ CDO b = b ABO ∼ DCO b = b BAO ∼ ACD ABC = ∼ OC ∧ AO =

a.a.i. formati da ABkCD e BD a.a.i. formati da ABkCD e AC 2., 3., 4., 2° c.c. ∼ OD BO =

5., R2

Corollario 16.2.1. Ogni parallelogramma è dotato di centro di simmetria, esso è il punto d’incontro delle diagonali.

D

C

O

A

B

Hp: ABkCD BCkAD AC ∩ BD = {O} Th: O centro di simmetria ABCD Dimostrazione. Nella dimostrazione che segue si farà riferimento alla figura relativa al Teorema delle diagonali.

143

16.2 il parallelogramma

1.

Consideriamo ABCD

2.

AC ∩ BD = {O}

Hp

3.

2.

4.

O ∈ AC ∼ OC AO =

5.

σO (A) = C

def. operativa simmetria centrale

6.

O ∈ BD ∼ OD BO =

2.

7. 8.

σO (B) = D

def. operativa simmetria centrale

9.

σO (ABCD) = ABCD

4., 7., i parallelogrammi hanno gli stessi vertici

O centro di simmetria ABCD

9.

10.

Teorema delle diagonali

Teorema delle diagonali

Ci chiediamo, ora, quali sono le condizioni affinché un quadrilatero sia un parallelogramma. Vedremo che le condizioni necessarie enunciate in precedenza sono anche condizioni sufficienti. Prima di enunciarle, consideriamo la seguente proprietà. Teorema 16.2.6. Un quadrilatero avente gli angoli adiacenti ad uno stesso lato supplementari è un parallelogramma. Esercizio 16.2.4. Dimostrare il teorema precedente. Teorema 16.2.7. Un quadrilatero avente coppie di angoli opposti congruenti è un parallelogramma. Esercizio 16.2.5. Dimostrare il teorema precedente. Teorema 16.2.8. Un quadrilatero avente coppie di lati opposti congruenti è un parallelogramma.

D

A

C

B

∼ CD AD = ∼ BC Hp: AB = Th: ABCD parallelogramma Dimostrazione. Conduciamo la diagonale AC. 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Consideriamo ABC e ACD ∼ CD AB = AC in comune ∼ BC AD = ∼ ACD ABC = ∼ ADC b b ACB =

Hp figura Hp 2., 3., 4., 3° c.c. 5., si oppongono a lati congruenti 6., criterio di parallelismo

8.

ADkBC ∼ ACD b = b CAB

9.

ABkCD

8., criterio di parallelismo

ABCD parallelogramma

7., 9., def. parallelogramma

7.

10.

5., si oppongono a lati congruenti

144

16.2 il parallelogramma

Teorema 16.2.9. Sia ABCD un quadrilatero con le diagonali aventi lo stesso punto medio. Allora esso è un parallelogramma. D

C

O

A

B

∼ OC ∧ BO = ∼ OD Hp: AO = Th: ABCD parallelogramma Dimostrazione. Tracciamo le diagonali AC e BD che si incontrano in O. 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Consideriamo ABO e OCD ∼ CO AO = ∼ BO DO = ∼ COD b = b AOB

Hp Hp angoli opposti al vertice

∼ OCD ABO = ∼ OBA b = b ODC

2., 3., 4., 1° c.c. 5., si oppongono a lati congruenti 6., criterio di parallelismo

8.

ABkCD ∼ CD AB =

9.

ABCD parallelogramma

6., 7., due lati opposti paralleli e congruenti

7.

5., si oppongono ad angoli congruenti

Teorema 16.2.10. Un quadrilatero avente due lati opposti sia paralleli che congruenti è un parallelogramma. D

C

A

B

∼ CD Hp: ABkCD AB = Th: ABCD parallelogramma Dimostrazione. Conduciamo la diagonale AC. 1. 2. 3. 4.

Consideriamo ABC e ACD ∼ CD AB = AC in comune ∼ ACD b = b CAB

Hp figura ang. alt. int. formati da ABkCD e AC

6.

∼ ACD ABC = ∼ ADC b = b ACB

7.

ADkBC

6., criterio di parallelismo

8.

ABCD parallelogramma

Hp, 7., def. parallelogramma

5.

2., 3., 4., 1° c.c. 5., si oppongono a lati congruenti

145

16.3 il rombo

16.3

il rombo

Definizione 16.3.1. Si definisce rombo ogni quadrilatero equilatero. Pertanto, il rombo è un quadrilatero con tutti i lati congruenti. D

A

C

B

Si deduce immediatamente il seguente Corollario 16.3.1. Il rombo è un parallelogramma. Esercizio 16.3.1. Dimostrare il corollario precedente. Il rombo ha, pertanto, tutte le proprietà dei parallelogrammi. Corollario 16.3.2. In ogni rombo, ciascuna diagonale lo divide in due triangoli isosceli congruenti. D

A

C

B

Esercizio 16.3.2. Dimostrare il corollario precedente. Segue la seguente importante proprietà. Teorema 16.3.1. Le diagonali di un rombo sono perpendicolari e bisettrici degli angoli opposti. D

A

C

B

∼ BC = ∼ CD = ∼ DA Hp: AB = b e C, b BD bisettrice B beD b Th: AC⊥BD, AC bisettrice A

146

16.3 il rombo

Dimostrazione. Tracciamo le diagonali AC e BD che si incontrano in O. 1. 2. 3. 4.

Consideriamo ACD ∼ CD AD =

Hp

ACD triangolo isoscele ∼ CO AO =

2. Teorema delle diagonali

5.

DO mediana AC

4.

6.

DO altezza relativa AC

proprietà triangoli isosceli

7.

AC⊥BD

6.

b 8. DO bisettrice D proprietà triangoli isosceli Il completamento della dimostrazione è un semplice esercizio. Analizziamo la dimostrazione precedente. I triangoli isosceli congruenti ACD e ABC hanno la base AC in comune; tenuto conto che le rispettive altezze AO e BO sono contenute nella retta BD, i due triangoli hanno lo stesso asse di simmetria. Un ragionamento analogo può essere ripetuto per i triangoli isosceli congruenti ABD e BCD. Pertanto, segue il seguente Corollario 16.3.3. Le diagonali di un rombo sono suoi assi di simmetria. Vediamo quali sono le condizioni sufficienti affinché un quadrilatero sia un rombo. Teorema 16.3.2. Un parallelogramma con due lati consecutivi congruenti è un rombo.

D

A

C

B

∼ BC Hp: ABCD parallelogramma, AB = Th: ABCD rombo Dimostrazione. .

2.

∼ CD AB = ∼ BC AB =

3.

∼ DA ∼ CD = ∼ BC = AB =

1., 2., proprietà transitiva

4.

ABCD rombo

3., definizione rombo

1.



∼ AD BC =

Hp, lati opposti parallelogramma Hp

Esercizio 16.3.3. Dimostrare che un quadrilatero con le diagonali perpendicolari non è necessariamente un rombo. Teorema 16.3.3. Un parallelogramma con le diagonali perpendicolari è un rombo.

D

A

C

B

147

16.4 il rettangolo

Hp: ABCD parallelogramma, AC⊥BD Th: ABCD rombo Dimostrazione. Tracciamo le diagonali AC e BD che si incontrano in O. 1. 2. 3. 4.

Consideriamo AOB e AOD ∼ AOD ∼ π b = b = AOB AO in comune ∼ DO BO =

6.

∼ AOD AOB = ∼ AD AB =

7.

ABCD rombo

5.

Hp

2

figura Hp, Teorema delle diagonali 2., 3., 4., 1° c.c. 5., si oppongono ad angoli congruenti 5., Hp, lati consecutivi congruenti

Teorema 16.3.4. Un parallelogramma avente una diagonale bisettrice di un angolo è un rombo.

D

A

C

B

∼ CAB b b = Hp: ABCD parallelogramma, DAC Th: ABCD rombo Dimostrazione. Tracciamo la diagonale AC. 1. 2.

Consideriamo ACD ∼ CAB b = b DAC

4.

∼ DCB b = b DAB ∼ DCA b = b BAC

5.

∼ DCA b = b DAC

3.

Hp Hp, angoli opposti parallelogramma Hp, a.a.i. formati da ABkCD e AC 2.,4., proprietà transitiva 5., teorema inverso triangoli isosceli

7.

ACD isoscele ∼ DC AD =

8.

ABCD rombo

7., Hp, lati consecutivi congruenti

6.

16.4

6., definizione triangolo isoscele

il rettangolo

Definizione 16.4.1. Si definisce rettangolo ogni quadrilatero equiangolo. Poiché la somma degli angoli interni di un quadrilatero è congruente ad un angolo piatto, gli angoli di un rettangolo sono tutti retti. D

C

A

B

148

16.4 il rettangolo

Si deduce immediatamente il seguente Corollario 16.4.1. Il rettangolo è un parallelogramma. Esercizio 16.4.1. Dimostrare il corollario precedente. Il rettangolo ha, pertanto, tutte le proprietà dei parallelogrammi. Teorema 16.4.1. Le diagonali di un rettangolo sono congruenti.

D

C

A

B

Hp: ABCD rettangolo ∼ BD Th: AC = Dimostrazione. Tracciamo le diagonali AC e BD.

2.

Consideriamo DAB e ABC ∼ ABC b = b DAB

Hp, definizione rettangolo

3.

∼ BC AD =

lati opposti rettangolo

1.

5.

AB in comune ∼ ABC DAB =

6.

∼ BD AC =

4.

figura 2., 3., 4., 1° c.c. 5., si oppongono ad angoli congruenti

Consideriamo un rettangolo ABCD, le sue diagonali AC e BD s’incontrano nel punto O, centro di simmetria. L’asse del lato AB coincide ovviamente con l’asse del lato CD. Poiché un rettangolo è un parallelogramma, le diagonali si tagliano ∼ BO. scambievolmente a metà, pertanto, per il teorema precedente, si ha che AO = Si deduce che i due triangoli isosceli congruenti ABO e DOC hanno lo stesso asse di simmetria, che è l’asse di simmetria comune ai lati opposti del rettangolo AB e CD. Ripetendo argomentazione analoga per i lati opposti AD e BC, e i triangoli isosceli congruenti DAO e COB, si deducono le seguenti proprietà. Teorema 16.4.2. Siano ABCD un rettangolo, AC e BD le diagonali che s’incontrano nel punto O; siano, inoltre, M, N, P e Q rispettivamente i punti medi dei lati AB, BC, CD e DA; allora 1. i triangoli ABO e DOC sono triangoli isosceli congruenti; 2. i triangoli DAO e COB sono triangoli isosceli congruenti; 3. MP ∩ NQ = {O}; 4. le rette MP e NQ sono assi di simmetria del rettangolo. Un quadrilatero avente le diagonali congruenti non è necessariamente un rettangolo. L’alunno diligente non mancherà di verificarlo.

149

16.5 il quadrato

Teorema 16.4.3. Se un parallelogramma ha almeno un angolo retto, allora è un rettangolo. Dimostrazione. Semplice esercizio. Teorema 16.4.4. Se un parallelogramma ha le diagonali congruenti, allora è un rettangolo. D

C

A

B

∼ BD Hp: ABCD parallelogramma, AC = Th: ABCD rettangolo Dimostrazione. Tracciamo le diagonali AC e BD. 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Consideriamo DAB e ABC ∼ BC AD = AB in comune ∼ BD AC =

figura Hp

∼ ABC DAB = ∼ ABC b b = DAB

2., 3., 4., 3° c.c. 5. Si oppongono a lati congruenti

8.

∼π b + ABC b = DAB ∼ ABC ∼ π b = b = DAB

9.

ABCD rettangolo

7.

16.5

lati opposti parallelogramma

Hp, a.c.i. formati da ADkBC e AB 6., 7.

2

8., parallelogramma con almeno un angolo retto

il quadrato

Definizione 16.5.1. Si definisce quadrato ogni quadrilatero sia equilatero che equiangolo. Il quadrato è, pertanto, l’unico poligono regolare di quattro lati. Le sue proprietà sono il compendio di tutte le proprietà dei parallelogrammi studiati finora, con l’aggiunta di caratteristiche ancora più esclusive. D

C

A

B

Teorema 16.5.1. Il quadrato è sia parallelogramma, sia rombo, sia rettangolo. Esercizio 16.5.1. Dimostrare il corollario precedente. Facendo tesoro di quanto studiato nei precedenti tre paragrafi, i teoremi che enunceremo sono immediata conseguenza di proprietà già dimostrate. Pertanto, lo studente diligente non mancherà di esplicitarne completamente le dimostrazioni, lasciate per esercizio.

150

16.6 i teoremi dei punti medi

Corollario 16.5.1. Siano ABCD un quadrato, AC e BD le diagonali che s’incontrano nel punto O; siano, inoltre, M, N, P e Q rispettivamente i punti medi dei lati AB, BC, CD e DA; allora 1. le diagonali dividono il quadrato in quattro triangoli rettangoli isosceli congruenti; 2. il quadrato ha quattro assi di simmetria; essi sono le diagonali e le rette MP e NQ. Corollario 16.5.2. Un parallelogramma è un quadrato se ha 1. le diagonali congruenti e una di esse è bisettrice di un angolo; 2. le diagonali perpendicolari e congruenti. 16.6

i teoremi dei punti medi

In questo paragrafo dimostreremo importanti proprietà che riguardano i triangoli e i quadrilateri. Esse si deducono utilizzando le proprietà dei parallelogrammi. Teorema 16.6.1 (Dei punti medi per i triangoli). In ogni triangolo, la retta passante per i punti medi di due lati è parallela al terzo lato. Inoltre, il segmento staccato su di essa da tali punti medi è congruente alla metà del terzo lato.

C

N

D

M

A

B

∼ CM ∧ CN = ∼ BN Hp: ABC triangolo ∧ AM = ∼ 1 AB Th: MN k AB ∧ MN = 2 Dimostrazione. Costruzione: condotta la retta MN, si individua su di essa un ∼ ND; si congiunge, quindi, D con B. punto D tale che MN = 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

Consideriamo i triangoli MNC e BND ∼ BN CN = ∼ ND MN = ∼ BND b = b MNC

Hp costruzione angoli opposti al vertice

∼ BND MNC = ∼ BDN c = b CMN

2., 3., 4., 1◦ c.c.

AM k BD ∼ BD CM =

6., criteri parallelismo

5., si oppongono a lati congruenti 5.,si oppongono ad angoli congruenti

10.

∼ CM AM = ∼ BD AM =

11.

ABDM parallelogramma

7.,10., lati opposti paralleli e congruenti

12.

MN k AB ∼ AB MD =

11., definizione di parallelogramma

9.

13. 14. 15.

∼ 1 MD MN = 2 ∼ 1 AB MN = 2

Hp 8., 9.,proprietà transitiva

11., lati opposti parallelogramma costruzione 13.,14., proprietà transitiva

151

16.6 i teoremi dei punti medi

Vale anche il viceversa. Teorema 16.6.2. In ogni triangolo ABC, se la retta parallela al lato AB che incontra i ∼ 1 AB, allora M è punto medio di AC lati AC in M e BC in N stacca il segmento MN = 2 e N è punto medio di BC.

C

N

D

M

A

B

∼ 1 AB Hp: MN k AB ∧ MN = 2 ∼ ∼ Th: AM = MC ∧ BN = NC ∼ Dimostrazione. Costruzione: si individui sulla retta MN il punto D tale che MN = ND; quindi si congiunga D con B. 1. 2.

Consideriamo ABDM ∼ ND MN =

costruzione

4.

∼ MN = ∼ AB = MD

5.

MN k AB

Hp

6.

ABDM parallelogramma ∼ BD AM k BD ∧ AM =

4., 5., lati opposti paralleli e congruenti

3.

7. 8. 9. 10. 11.

1 2 AB

2., 3.

6., lati opposti parallelogramma

Consideriamo MNC e BDN ∼ DNB b = b MNC

angoli opposti al vertice

∼ NDB c = b CMN ∼ BDN MNC =

13.

∼ NC BN = ∼ BD MC =

14.

∼ MC AM =

12.

Hp

a.a.i. formati da AM k BD e MD 2.,9.,10., 2◦ c.c. 11., si oppongono ad angoli congruenti 11., si oppongono ad angoli congruenti 7.,13., proprietà transitiva

In modo analogo si dimostra la seguente proprietà: Teorema 16.6.3. In un triangolo , se la parallela ad un lato è condotta per il punto medio di un secondo lato, allora essa incontra il terzo lato nel suo punto medio. Esercizio 16.6.1. Dimostrare il teorema precedente. Teorema 16.6.4. In ogni trapezio, la retta passante per i punti medi dei lati obliqui è parallela alle basi. D

M

A

C

N

B

E

152

16.6 i teoremi dei punti medi

∼ MB ∧ BN = ∼ NC Hp: ABCD trapezio ∧ AM = Th: MNkAB Dimostrazione. Costruzione: conduciamo la semiretta DN che incontra la retta AB in E.

2.

Consideriamo i triangoli CDN e BEN ∼ NC BN =

Hp

3.

∼ BNE b b = CND

angoli opposti al vertice

1.

4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.

Hp, basi del trapezio

ABkCD ∼ NBE b = b DCN

angoli alterni interni formati da ABkCD e BC

∼ BEN CDN = ∼ NE DN =

2., 3., 5., 2° c.c. 6., si oppongono ad angoli congruenti

Consideriamo il triangolo AED ∼ MD AM =

Hp 2., 9., teorema dei punti medi per i triangoli

MNkAB

Allo stesso modo è possibile provare il seguente Teorema 16.6.5. In ogni parallelogramma, la retta passante per i punti medi di due lati opposti è parallela agli altri due lati. Passiamo ora a dimostrare una proprietà dei quadrilateri alquanto sorprendente. Teorema 16.6.6 (Dei punti medi per i quadrilateri). Il quadrilatero che si ottiene congiungendo i punti medi dei lati di un quadrilatero qualunque è un parallelogramma.

D P C Q N

A

M

B

∼ MB ∧ BN = ∼ NC ∧ CP = ∼ PD ∧ DQ = ∼ QA Hp: ABCD quadrilatero ∧ AM = Th: MNPQ parallelogramma Dimostrazione. Costruzione: si conduca la diagonale AC del quadrilatero ABCD.

153

16.7 esercizi

2.

Consideriamo il triangolo ABC ∼ MB AM =

Hp

3.

∼ NC BN =

Hp

4.

∼ 1 AC MN k AC ∧ MN = 2

1.,2., 3., teorema dei punti medi

6.

Consideriamo il triangolo ACD ∼ QD AQ =

Hp

7.

∼ PD CP =

Hp

8.

∼ QP k AC ∧ QP =

9.

∼ QP MN k QP ∧ MN =

1.

5.

10.

1 2 AC

MNPQ parallelogramma

5.,6.,7., teorema dei punti medi per i triangoli 4.,8., proprietà transitiva di parallelismo e congruenza 9., lati opposti paralleli e congruenti

Esercizio 16.6.2. Dimostrare che il parallelogramma che si ottiene congiungendo i punti medi dei lati di un rombo (rispettivamente un rettangolo) è un rettangolo (rispettivamente un rombo). Estendere il risultato ai quadrati. 16.7

esercizi

1. Dato un parallelogramma ABCD, dimostrare i vertici opposti B e D sono equidistanti dalla diagonale AC. 2. Sia ABCD un parallelogramma ed E il punto medio del lato AB. Le rette DE e BC si incontrano in T . Dimostrare che DBT A è un parallelogramma. 3. Dato un parallelogramma ABCD, si prendano sui lati opposti AB e CD due segmenti congruenti AE e CF. Dimostrare che DEBF è un parallelogramma. b eB b s’incontrano 4. Sia ABCD un parallelogramma; le bisettrici degli angoli A ∼ nel punto F ∈ CD. Dimostrare che AB = 2BC. 5. Nel trapezio ABCD le bisettrici degli angoli alla base maggiore si incontrano nel punto E della base minore. Dimostrare che la base minore è congruente alla somma dei lati obliqui. Supposto, infine, che il trapezio sia isoscele, dimostrare che E è punto medio della base minore. 6. Dimostrare che, se un parallelogramma ha le altezze relative a due lati consecutivi congruenti, allora esso è un rombo. 7. Dimostrare che, se in un trapezio le bisettrici degli angoli adiacenti alla base minore s’intersecano in un punto della base maggiore, allora la base maggiore è congruente alla somma dei lati obliqui. 8. Sia dato un rombo ABCD e sia O il punto d’intersezione delle diagonali. Prendiamo un punto E appartenente al segmento AO ed un punto F appartenente al segmento CO tali che i segmenti AE e CF siano congruenti. Dimostrare che il quadrilatero EBFD è un rombo. 9. Dato un trapezio isoscele ABCD con le diagonali perpendicolari, dimostrare che il quadrilatero che ha per vertici i punti medi dei lati del trapezio è un quadrato. b Sia P il punto 10. Sia dato un triangolo ABC e sia AL la bisettrice dell’angolo A. d’intersezione con il lato AC della retta per L parallela al lato AB e sia Q il punto d’intersezione con il lato AB della retta per L parallela al lato AC. dimostrare che il quadrilatero LPAQ è un rombo.

154

16.7 esercizi

11. Sia ABCD un parallelogramma ed E il punto medio del lato AB. Le rette DE e BC si incontrano in T . Dimostra che DBT A è un parallelogramma. 12. Sia ABC un trapezio isoscele di base maggiore AB e base minore CD; le diagonali AC e BD si intersecano in O. Dimostra che i triangoli AOB e DOC sono isosceli e che i triangoli ADO e COB sono congruenti. 13. Nel trapezio ABCD le bisettrici degli angoli alla base maggiore si incontrano nel punto E della base minore. Dimostra che la base minore è congruente alla somma dei lati obliqui. 14. Disegna un triangolo isoscele FAD di base FA. Prolunga il lato FD di un segmento DC congruente a FD, congiungi C con A. • Dimostra che il triangolo FAC è rettangolo. • Indica con M il punto medio di AC e congiungi M con D. Dimostra che DM è contenuto nell’asse del segmento AC. • Con centro in A e raggio AD traccia un arco che incontra il prolungamento di DM nel punto B. Dimostra che il quadrilatero ABCD è un rombo.

155

Parte III CONTRIBUTI

colophon Questo lavoro è stato realizzato conLATEX 2ε usando una rielaborazione dello stile ClassicThesis, di André Miede, ispirato al lavoro di Robert Bringhurst Gli Elementi dello Stile Tipografico [1992]. Lo stile è disponibile su CTAN. Il lavoro è composto con la famiglia di font Palatino, di Hermann Zapf. Le formule matematiche sono state composte con i font AMS Euler, di Hermann Zapf e Donald Knuth. Il font a larghezza fissa è il Bera Mono, originariamente sviluppato da Bitstream Inc. come Bitstream Vera. I font senza grazie sono gli Iwona, di Janusz M. Nowacki. Versione [09/2008.1][S-All]

CONTRIBUTI

Erica Boatto

Algebra - Insiemi

Beniamino Bortelli

Grafici

Roberto Carrer

Numeri - Funzioni - Coordinatore progetto

Morena De Poli

Laboratorio matematica

Piero Fantuzzi

Algebra - Insiemi

Carmen Granzotto

Funzioni

Franca Gressini

Funzioni

Beatrice Hittahler

Funzioni trascendenti - Geometria analitica

Lucia Perissinotto

Funzioni trascendenti - Geometria analitica

Pietro Sinico

Geometria I

Settembre 2008

Dipartimento di Matematica ITIS V.Volterra San Donà di Piave

M AT E M AT I C A 3 dipartimento di matematica

ITIS V.Volterra San Donà di Piave Versione [09/2008.0][S-All]

INDICE

i numeri e funzioni 1 1 numeri 3 1.1 Premessa 3 1.2 Tipi di numeri 3 1.3 Proprietà fondamentali 4 1.4 Uguaglianze e disuguaglianze 5 1.5 Equazioni e disequazioni 9 1.5.1 Equazioni algebriche 9 1.5.2 Una disgressione sui grafici 9 1.5.3 Disequazioni e sistemi di disequazioni algebriche 1.5.4 Equazioni e disequazioni con modulo 13 1.5.5 Equazioni e disequazioni irrazionali 20 1.5.6 Esercizi riassuntivi 25 2 appendici 26 2.1 Cosa e dove 26 2.2 Naturali e Interi 26 2.3 Reali 27 2.4 Numeri interi e calcolatori 27 2.5 Numeri reali e calcolatori 27 3 funzioni 28 3.1 Introduzione 28 3.2 Definizioni 30 3.3 Grafici 34 3.4 Tipi di funzioni 36 3.5 Operazioni 40 3.6 Proprietà notevoli 47

10

ii funzioni trascendenti 50 4 funzioni trascendenti 51 4.1 Introduzione 51 4.2 Funzioni esponenziali e logaritmiche 51 4.2.1 Potenze ad esponente naturale, intero e razionale 51 4.2.2 Potenze ad esponente reale 52 4.2.3 Funzione esponenziale elementare 53 4.2.4 Funzione logaritmica 53 4.2.5 Equazioni e disequazioni esponenziali e logaritmiche elementari 56 4.3 Funzioni goniometriche 59 4.3.1 Introduzione alla goniometria 59 4.3.2 Richiami geometrici 62 4.3.3 Archi associati (per seno e coseno) 63 4.3.4 Archi associati (per tangente e cotangente) 66 4.3.5 Funzioni inverse 66 4.3.6 Equazioni e disequazioni goniometriche elementari 67 4.3.7 Formule goniometriche 71 4.3.8 Formule di addizione e sottrazione 71 4.3.9 Formule di duplicazione 73 4.3.10 Formule di bisezione 74 4.3.11 Formule di prostaferesi 75 4.3.12 Formule di Werner 76 4.3.13 Formule razionali in tangente 76 4.3.14 Esercizi riassuntivi proposti 79

ii

indice

iii geometria analitica 81 5 introduzione 82 5.1 Introduzione 82 6 il piano cartesiano 83 6.1 Punti e segmenti 83 7 le rette 88 7.1 Equazioni lineari 88 7.2 Relazioni e formule 92 8 le trasformazioni 101 8.1 Simmetrie 101 8.2 Traslazioni 106 8.3 Cambio di scala 109 8.4 Rotazioni 117 9 le coniche 122 9.1 Introduzione 122 9.2 La parabola 122 9.3 La circonferenza 130 9.4 L’ellisse 137 9.5 L’iperbole 141 10 i vettori del piano 149 10.1 Segmenti orientati 149 10.2 R2 149 11 i numeri complessi 150 11.1 Forma algebrica 150 11.2 Forma trigonometrica ed esponenziale iv contributi

151

150

iii

ELENCO DELLE FIGURE

E L E N C O D E L L E TA B E L L E

iv

Parte I NUMERI E FUNZIONI

Elenco delle tabelle

Un elenco completo dei numeri reali:

1) 0,14159265358979323846264338327950288419716939937510582097494459230781640628620899 . . . 2) 0,86280348253421170679821480865132823066470938446095505822317253594081284811174502 . . . 3) 0,84102701938521105559644622948954930381964428810975665933446128475648233786783165 . . . 4) 0,27120190914564856692346034861045432664821339360726024914127372458700660631558817 . . . 5) 0,48815209209628292540917153643678925903600113305305488204665213841469519415116094. . . 6) 0,33057270365759591953092186117381932611793105118548074462379962749567351885752724. . . 7) 0,89122793818301194912983367336244065664308602139494639522473719070217986094370277. . . 8) 0,05392171762931767523846748184676694051320005681271452635608277857713427577896091. . . 9) 0,73637178721468440901224953430146549585371050792279689258923542019956112129021960. . . 10) 0,86403441815981362977477130996051870721134999999837297804995105973173281609631859 . . . 11) 0,50244594553469083026425223082533446850352619311881710100031378387528865875332083 . . . 12) 0,81420617177669147303598253490428755468731159562863882353787593751957781857780532 . . . 13) 0,17122680661300192787661119590921642019893809525720106548586327886593615338182796 . . . 14) 0,82303019520353018529689957736225994138912497217752834791315155748572424541506959 . . . 15) 0,50829533116861727855889075098381754637464939319255060400927701671139009848824012 . . . 16) 0,85836160356370766010471018194295559619894676783744944825537977472684710404753464 . . . 17) 0,62080466842590694912933136770289891521047521620569660240580381501935112533824300 . . . 18) 0,35587640247496473263914199272604269922796782354781636009341721641219924586315030. . . 19) 0,28618297455570674983850549458858692699569092721079750930295532116534498720275596 . . . 20) 0,02364806654991198818347977535663698074265425278625518184175746728909777727938000 . . . 21) 0,81647060016145249192173217214772350141441973568548161361157352552133475741849468 . . . 22) 0,43852332390739414333454776241686251898356948556209921922218427255025425688767179. . . 23) 0,04946016534668049886272327917860857843838279679766814541009538837863609506800642 . . . 24) 0,25125205117392984896084128488626945604241965285022210661186306744278622039194945 . . . 25) 0,04712371378696095636437191728746776465757396241389086583264599581339047802759009 . . . 26) 0,94657640789512694683983525957098258226205224894077267194782684826014769909026401 . . . 27) 0,36394437455305068203496252451749399651431429809190659250937221696461515709858387 . . . 28) 0,61515709858387410597885959772975498930161753928468138268683868942774155991855925 . . . 29)0,99725246808459872736446958486538367362226260991246080512438843904512441365497627 . . . 30) 0,80797715691435997700129616089441694868555848406353422072225828488648158456028506 . . . 31) 0,01684273945226746767889525213852254995466672782398645659611635488623057745649803 . . . 32) 0,5593634568174324112507606947945109659609402522887971089314566913686722874894051 . . . 33) 0,60101503308617928680920874760917824938589009714909675985261365549781893129784821 . . . 34) 0,68299894872265880485756401427047755513237964145152374623436454285844479526586782 . . . 35) 0,10511413547357395231134271661021359695362314429524849371871101457654035902799344 . . . 36) 0,03742007310578539062198387447808478489683321445713868751943506430218453191048481 . . . 37) 0,00537061468067491927819119793995206141966342875444064374512371819217999839101591 . . . 38) 0,95618146751426912397489409071864942319615679452080951465502252316038819301420937 . . . 39) 0,62137855956638937787083039069792077346722182562599661501421503068038447734549202 . . . 40) 0,60541466592520149744285073251866600213243408819071048633173464965145390579626856 . . . 41) 0,10055081066587969981635747363840525714591028970641401109712062804390397595156771. . . 42) 0,57700420337869936007230558763176359421873125147120532928191826186125867321579198 . . . 43) 0,41484882916447060957527069572209175671167229109816909152801735067127485832228718 . . . 44) 0,35209353965725121083579151369882091444210067510334671103141267111369908658516398. . . 45) 0,31501970165151168517143765761835155650884909989859982387345528331635507647918535 . . . 46) 0,89322618548963213293308985706420467525907091548141654985946163718027098199430992 . . . 47) 0,44889575712828905923233260972997120844335732654893823911932597463667305836041428 . . . 48) 0,13883032038249037589852437441702913276561809377344403070746921120191302033038019 . . . 49) 0,76211011004492932151608424448596376698389522868478312355265821314495768572624334 . . . 50) 0,37634668206531098965269186205647693125705863566201855810072936065987648611791045 . . . 51) 0,33488503461136576867532494416680396265797877185560845529654126654085306143444318. . . 52) 0,58676975145661406800700237877659134401712749470420562230538994561314071127000407 . . . 53) 0,85473326993908145466464588079727082668306343285878569830523580893306575740679545 . . . 54) 0,71637752542021149557615814002501262285941302164715509792592309907965473761255176. . . 55) 0,56751357517829666454779174501129961489030463994713296210734043751895735961458901. . . 56) 0,93897131117904297828564750320319869151402870808599048010941214722131794764777262. . . 57) 0,24142548545403321571853061422881375850430633217518297986622371721591607716692547 . . . 58) 0,48738986654949450114654062843366393790039769265672146385306736096571209180763832 . . . 59) 0,71664162748888007869256029022847210403172118608204190004229661711963779213375751 . . . . . .

2

1

NUMERI

1.1

premessa

Scopo di questo capitolo è di presentare le proprietà fondamentali dei numeri reali. Per capire bene la loro importanza e in cosa differiscono dagli altri numeri è necessario confrontarli tutti assieme e verificarne le proprietà. I numeri reali sono il fondamento su cui costruiremo la quasi totalità delle conoscenze matematiche del triennio. In questo e nel prossimo capitolo ci occuperemo delle proprietà fondamentali dei reali e della loro esistenza. Allo studente potrà sembrare strano che ci si debba preoccupare dell’esistenza di numeri che si usano in continuazione; in effetti l’argomento è delicato e riguarda un pò tutta la matematica; in fondo in questa disciplina si parla continuamente di oggetti che non hanno alcuna esistenza reale: sono pure costruzioni del pensiero; allora che senso può avere parlare di esistenza? ci occuperemo più estesamente di questo nel prossimo capitolo. 1.2

tipi di numeri

Sono noti dal biennio i numeri naturali indicati con N N = {0, 1, 2 . . . } i numeri interi indicati con Z (dal tedesco “Zahl”, numero) Z = {· · · − 2, −1, 0, 1, 2, . . . } i numeri razionali indicati con Q Q={

m | m, n ∈ Z, n 6= 0} n

si noti che non li abbiamo elencati ordinatamente come nel caso di N e Z anche se questo è possibile1 . I numeri reali indicati con R dei quali non possiamo dare una elencazione o una definizione precisa ora; ci accontentiamo - almeno per ora - di pensare che contengano tutti i numeri di cui abbiamo avuto la necessità di parlare come le radici2 o π. Possiamo pensare che questi insiemi numerici siano l’uno contenuto nell’altro come dire, inscatolati N⊂Z⊂Q⊂R poichè i positivi di Z coincidono con N e le frazioni del tipo m 1 coincidono con Z mentre R si può pensare come unione di Q e degli irrazionali. Matematicamente sarebbe più corretto dire che l’uno contiene una immagine dell’altro ma pensarli direttamente come sottoinsiemi non ha conseguenze decisive. Naturalmente questi insiemi sarebbero poco interessanti se non vi fossero definite anche le operazioni di somma e prodotto. Non parliamo delle operazioni di sottrazione e divisione poichè - come sappiamo - si possono pensare inglobate rispettivamente nella somma e nel prodotto. La sottrazione a − b la pensiamo come a una abbreviazione3 della somma a + (−b) e la divisione come abbreviazione4 b 1 del prodotto a . b 1 2 3 4

Appendice A. Alcuni studenti avranno già una nozione più precisa di numero reale. Avendo definito i numeri negativi. Avendo definito il reciproco.

3

1.3 proprietà fondamentali

1.3

proprietà fondamentali

Le proprietà più importanti delle operazioni sono le seguenti5 : Associativa della somma

(P.1)

Elemento neutro della somma

(P.2)

Esistenza opposto

(P.3)

a+b = b+a

Commutativa della somma

(P.4)

a(bc) = (ab)c

Associativa del prodotto

(P.5)

Elemento neutro del prodotto

(P.6)

Esistenza inverso

(P.7)

Commutativa del prodotto

(P.8)

Distributiva

(P.9)

a + (b + c) = (a + b) + c a+0 = 0+a = a a + (−a) = (−a) + a = 0

a1 = 1a −1

aa

=a

−1

a=1

ab = ba a(b + c) = ab + ac

Dove a, b, c sono numeri qualsiasi e a 6= 0 nel caso P.7; inoltre i numeri 0 e 1 sono unici6 . Queste prime 9 proprietà sono quelle che ci permettono di risolvere i problemi di natura algebrica cioè quelli legati alle equazioni o ai sistemi di equazioni. Per affrontare i problemi di natura analitica - di cui ci occuperemo nel seguito diventano altrettanto centrali le proprietà legate alle disuguaglianze (, 6, >). Indichiamo con P l’insieme dei numeri positivi, intendendo con ciò che possano essere naturali, interi, razionali o reali. Le proprietà che risultano centrali sono: Legge di tricotomia

(P10)

Per ogni numero a, vale una sola delle seguenti: a=0

(i)

a∈P

(ii)

−a ∈ P

(iii)

Se a ∈ P e b ∈ P, allora a + b ∈ P

Chiusura per la somma

(P11)

Se a ∈ P e b ∈ P, allora ab ∈ P

Chiusura per il prodotto

(P12)

Le proprietà sopraelencate non valgono tutte negli insiemi N, Z7 . Valgono però negli insiemi Q, R e questo ci dice che l’insieme di queste proprietà non è sufficiente per distinguere l’insieme Q dall’insieme R; in altre parole, per distinguere i razionali dai reali bisogna introdurre una ulteriore proprietà8 . Definiamo ora le relazioni di disuguaglianza: Definizione 1.3.1. a>b

se

a−b ∈ P

aa

a>b

se

a>b

o

a=b

a6b

se

a b è solo un’altro modo di dire che b < a e che possiamo usare a 6 b quando sappiamo che uno dei due a < b o a = b è vero ma non entrambi ecc. 5 Notiamo che - come d’abitudine - non si usa il puntino per indicare il prodotto. 6 Per chi ama le perversioni: il fatto che 0 6= 1 andrebbe esplicitamente asserito; non vi è modo di dimostrarlo usando le altre proprietà. 7 Per esercizio si scoprano quelle che non sono valide trovando dei controesempi. 8 L’ulteriore assioma sarà introdotto in un capitolo successivo.

4

1.4 uguaglianze e disuguaglianze

1.4

uguaglianze e disuguaglianze

Altre relazioni di uguaglianza importanti che non dobbiamo assumere come postulati ma che possiamo dimostrare: ∀x ∈ R

0x = x0 = 0

(1.1)

ab = 0 ⇔ a o b = 0

(1.2)

Legge annullamento del prodotto ∀a, b ∈ R Il significato di

0 0

(1.3)

∀a, b ∈ R

(−a)b = −(ab)

∀a ∈ R

1/(1/a) = a

(1.5)

1/(ab) = (1/a)(1/b)

(1.6)

1/(−a) = −(1/a)

(1.7)

a 6= 0

∀a, b ∈ R ∀a ∈ R

a, b 6= 0

a 6= 0

a(−b) = −(ab) (1.4)

Relazioni di disuguaglianza:

La relazione 6 (e anche la >) è un ordinamento totale Riflessiva

∀x ∈ R

Antisimmetrica

siano

x, y ∈ R se

Transitiva

siano

x, y, z ∈ R se

Totalità dell’ordine

x6y

oppure y 6 x

(1.8)

x6x x6y

e y 6 x allora x = y

x6y6z

allora

x6z

il termine totale che compare nella proprietà indica che tutti i numeri sono confrontabili e questo si deduce dalla P10 (Tricotomia). La relazione < (e naturalmente anche la >) è pure un ordinamento totale; in questo caso però bisogna sostituire la proprietà Riflessiva con la Irriflessiva: ∀x ∈ R x < x è falsa. Le relazioni 6, > si dicono disuguaglianze in senso debole mentre le si dicono disugaglianze in senso forte. Nel seguito useremo indifferentemente tutte le relazioni (, 6, >) secondo la convenienza del momento. Ulteriori proprietà e regole di calcolo con disuguaglianze: Proposizione 1.4.1. Siano x1 , x2 , y1 , y2 ∈ R. Se x1 6 y1 e x2 6 y2 allora x1 + x2 6 y1 + y2 . L’ultima disuguaglianza è forte se e solo se almeno una delle altre due lo è. La proposizione resta vera se sostituiamo la relazione 6 con una qualsiasi delle altre (naturalmente sempre la stessa). Dimostrazione. Per la definizione 1.3.1 da x1 6 y1 si ha y1 − x1 ∈ P oppure y1 − x1 = 0 e da x2 6 y2 si ha y2 − x2 ∈ P oppure y2 − x2 = 0. Per la proprietà P11 si ha y1 − x1 + y2 − x2 ∈ P cioè y1 + y2 − (x1 + x2 ) ∈ P oppure y1 + y2 − (x1 + x2 ) = 0 che per definizione significa x1 + x2 < y1 + y2 oppure x1 + x2 = y1 + y2 e quindi x1 + x2 6 y1 + y2 . Analogamente per le altre disuguaglianze.

Questa proposizione dice che le disuguaglianze dello stesso verso possono essere sommate membro a membro. La stessa cosa non si può dire per le moltiplicazioni: ad esempio da −2 6 −1 e −3 6 −1 si ottiene 6 6 1 evidentemente falsa. Il comportamento delle disuguaglianze rispetto alla moltiplicazione è riassunto nelle seguenti proposizioni: Proposizione 1.4.2. Siano x, y, z ∈ R. Se x 6 y e z > 0 allora xz 6 yz; se z < 0 allora xz > yz. Analogamente per i casi < e >.

5

1.4 uguaglianze e disuguaglianze

Dimostrazione. Se x 6 y e z > 0 allora z ∈ P e per la definizione 1.3.1 si ha y − x ∈ P oppure y − x = 0. Quindi per la proprietà P12 si ha (y − x)z = yz − xz ∈ P o yz − xz = 0 e quindi xz < yz o xz = yz da cui xz 6 yz. Se x 6 y e z < 0 allora −z ∈ P e si ha y − x ∈ P oppure y − x = 0. Quindi (y − x)(−z) = −(yz − xz) = xz − yz ∈ P o xz − yz = 0 (anche per 1.4). Perciò yz < xz o yz = xz e in definitiva yz 6 xz. Analogamente per le altre disuguaglianze.

In particolare dalla 1.4.2 con z = −1 si ottiene la regola: se si cambiano i segni ad ambo i membri di una disuguaglianza questa si inverte. Proposizione 1.4.3. Siano x1 , y1 , x2 , y2 ∈ R. Se 0 6 x1 6 y1 e 0 6 x2 6 y2 allora x1 x2 6 y1 y2 . Analogamente per i casi < e >. Dimostrazione. Primo caso: supponiamo x2 > 0. Allora per x1 6 y1 e la proposizione precedente si ha: x1 x2 6 y1 x2 ; e se y1 > 0 da x2 6 y2 si ottiene y1 x2 6 y1 y2 ; quindi x1 x2 6 y1 x2 = y1 x2 6 y1 y2 e per transitività (1.8) x1 x2 6 y1 x2 6 y1 y2 . Se invece y1 = 0 allora anche x1 = 0 (dimostrarlo) e quindi x1 x2 = 0 e y1 y2 = 0 da cui la tesi. Secondo caso: sia x2 = 0 allora anche x1 = 0 (dimostrarlo) e quindi x1 x2 = 0. Il prodotto y1 y2 è = 0 se uno dei due è = 0 (1.2), altrimenti è > 0: in ogni caso 0 = x1 x2 6 y1 y2 . Analogamente per le altre disuguaglianze.

Proposizione 1.4.4. Siano x, y ∈ R. Se 0 6 x e 0 6 y allora 0 6 xy. Se 0 < x e 0 < y allora 0 < xy. Se x < 0 e y < 0 allora 0 < xy. Se x < 0 e 0 < y allora xy < 0. osservazione: La proposizione 1.4.4 esprime la nota regola dei segni: ++ = +, −− = +, +− = −, −+ = −. Proposizione 1.4.5. ∀x ∈ R x2 > 0. Se x 6= 0 allora x2 > 0. I quadrati sono positivi. Proposizione 1.4.6. ∀x ∈ R se x > 0 allora 1/x > 0. Se x < 0 allora 1/x < 0. x

Definizione 1.4.1. Si dice valore assoluto di x ∈ R il

x≥0

|x| = −x

x≤0

Questa definizione sottolinea che −x > 0 se x < 0. Osserviamo anche che il valore assoluto ha significato solo se sono presenti numeri negativi e quindi gli opposti dei numeri (non in N) e che non ha il significato di numero senza segno, ma semplicemente il numero o il suo opposto. Utile sottolineare che |x| è sempre positivo salvo il caso x = 0. Il fatto più importante che riguarda il valore assoluto è: Teorema 1.4.1 (Disuguaglianza triangolare). ∀x, y ∈ R |x + y| 6 |x| + |y| Dimostrazione. Procediamo per casi: Caso x > 0, y > 0: allora abbiamo x + y > 0 e quindi, per definizione, |x + y| = x + y = |x| + |y| e vale proprio l’uguaglianza. Caso x 6 0, y 6 0: allora x + y 6 0 e quindi |x + y| = −(x + y) = (−x) + (−y) = |x| + |y| e di nuovo vale l’uguaglianza. Caso x > 0, y 6 0: in questo caso dobbiamo dimostrare che |x + y| 6 x − y. Si presentano due casi: se x + y > 0 allora dobbiamo far vedere che x + y 6 x − y cioè y 6 −y che sarà certamente vero perchè y 6 0 e quindi −y > 0. Nel secondo caso se x + y 6 0 dobbiamo dimostrare che −x − y 6 x − y cioè −x 6 x che è certamente vero dato che x > 0 e quindi −x 6 0. Caso x 6 0, y > 0: la dimostrazione è identica alla precedente scambiando i ruoli di x e y.

osservazione: Il teorema ci dice che il modulo della somma non è uguale alla somma dei moduli; dalla dimostrazione si vede che lo è solo nel caso che i numeri abbiano lo stesso segno: entrambi positivi o entrambi negativi. Negli altri casi vale la disuguaglianza stretta come si vede negli esempi seguenti.

6

1.4 uguaglianze e disuguaglianze

esempi. 1. |π + (−3)| = π − 3 < |π| + | − 3| = π + 3 √ √ √ √ 2. | 2 + (−1)| = 2 − 1 < | 2| + | − 1| = 2 + 1 √ √ √ 3. |1 + 3| = 1 + 3 = |1| + | 3| √ √ √ 4. | − 5 − 5| = 5 + 5 = | − 5| + | − 5| Il prodotto e il quoziente si comportano molto meglio: Proposizione 1.4.7. ∀x, y ∈ R si ha |xy| = |x||y| (il modulo del prodotto è uguale al |x| x prodotto dei moduli). Se y 6= 0 allora anche | | = (il modulo del quoziente è uguale al y |y| quoziente dei moduli). Terminiamo il capitolo con una considerazione generale: è sensato chiedersi perchè si dimostrano tutte queste proprietà dei numeri che sembrano (e sono) ovvie e perchè si è scelto di assumere come proprietà indimostrate (assiomi) le P.1 - P12 che sono altrettanto ovvie. La risposta non è semplice e coinvolge questioni molto complesse e profonde che non sono affrontabili in un corso di studi secondario; non in tutta generalità perlomeno. Lo studente impara a conoscere i numeri e a lavorarci sin dalle scuole elementari ma il problema di stabilire cosa i numeri veramente sono resta una questione incerta 9 . Anche in questo corso impareremo ad usare i numeri e a conoscerne ulteriori proprietà ma con una consapevolezza maggiore: ci renderemo conto che, anche non sapendo bene cosa sono i numeri, certamente dovranno avere le proprietà P.1 - P12. Vedremo anche che quelle proprietà non sono sufficienti per risolvere tutti i problemi che siamo in grado di porci e che dovremo estenderle in modo decisamente innovativo.

9 Come dice V.A.Zorich in Mathematical Analisys I: ‘I numeri in matematica sono come il tempo in fisica: tutti sanno cosa sono ma solo gli esperti li trovano difficili da capire.’

7

1.4 uguaglianze e disuguaglianze

esercizi Esercizio 1.4.1. Dimostrare le proprietà delle uguaglianze (1.4). Esercizio 1.4.2. Dimostrare le proprietà delle disuguaglianze (1.8). Esercizio 1.4.3. Dimostrare la proposizione 1.4.5. Esercizio 1.4.4. Dimostrare la proposizione 1.4.6. Esercizio 1.4.5. Dimostrare la proposizione 1.4.7.

8

1.5 equazioni e disequazioni

1.5

equazioni e disequazioni

In questo paragrafo useremo le proprietà e gli assiomi dei numeri razionali e reali per risolvere alcune equazioni e disequazioni algebriche, razionali, irrazionali e con moduli. Naturalmente, in alcuni casi, si tratterà di un ripasso di nozioni già viste nel biennio. 1.5.1

Equazioni algebriche

Esempio 1.5.1. esempio 1.5.2

Una disgressione sui grafici

Lo studente ha già usato i grafici per rappresentare le soluzioni delle disequazioni e dei sistemi di disequazioni algebriche incontrate nel biennio. Illustriamo le convenzioni che assumiamo nel tracciare i grafici. grafico di intersezione. Viene usato quando si risolve un sistema di disequazioni o quando la disequazione porta ad un sistema equivalente come nel caso delle frazionarie10 . O

1

4−

√ 3

4+

√ 3

7

Assumiamo di tracciare una linea che rappresenta l’asse delle x sulla quale fissiamo gli estremi degli intervalli calcolati. Tracciamo una linea continua (una per ogni disequazione) che rappresenta gli intervalli dove la singola disequazione è soddisfatta. Infine tratteggiamo l’area che rappresenta l’intersezione di tutte le soluzioni delle disequazioni. grafico dei segni. Viene usato quando si risolve una disequazione in cui compaiono prodotti o quozienti in cui il segno complessivo della disequazione dipende dai segni dei singoli fattori.

−7



−5

+

O



1

+

Assumiamo di tracciare una linea che rappresenta l’asse delle x sulla quale fissiamo gli estremi degli intervalli calcolati. Tracciamo una linea continua (una per ogni fattore) che rappresenta gli intervalli dove il fattore è positivo e una linea tratteggiata dove il fattore è negativo. Infine indichiamo, applicando la regola dei segni, con segni + e − le zone corrispondenti. Per maggiore chiarezza cerchiamo con un circoletto i segni nelle zone che rappresentano soluzioni della disequazione. In entrambi i tipi di grafico assumiamo di congiungere con linee verticali gli estremi degli intervalli ai corrispondenti valori sull’asse delle x: con linea continua se l’estremo è compreso, altrimenti con linea tratteggiata. Ricordiamo che, in molti casi, può essere necessario tracciare più grafici per la stessa disequazione o sistema e non è escluso che si debba tracciare, per lo stesso problema, grafici di entrambi i tipi. 10 O delle modulari e irrazionali come si vedrà presto.

9

1.5 equazioni e disequazioni

1.5.3

10

Disequazioni e sistemi di disequazioni algebriche

Ricordiamo che il polinomio di secondo grado ax2 + bx + c assume valori positivi o negativi in funzione del valore del discriminante ∆ = b2 − 4ac; per la precisione se a > 0, cosa a cui possiamo sempre ricondurci eventualmente cambiando tutti i segni, e ∆ > 0 allora il polinomio è positivo esternamente all’intervallo delle soluzioni e negativo internamente; se ∆ = 0 allora il polinomio è sempre positivo tranne nell’unica radice; se ∆ < 0 allora il polinomio è sempre positivo. Esempio 1.5.2. Risolvere la disequazione (3x − 2)2 + 3 < 5x − (2x − 1)2

9x2 − 12x + 4 + 3 − 5x + 4x2 − 4x + 1 < 0 13x2 − 21x + 8 < 0 ∆ = 441 − 416 = 25 > 0 √ 21 ± 25 x= x1 = 1 26 per quanto detto, le soluzioni sono:

8 13

x2 =

8 13

8 < x < 1, in intervalli: ] 13 , 1[.

Esempio 1.5.3. Risolvere il sistema di disequazioni         

2x(x + 5) > 3(x + 1)2 x2 + 4x + 3 > 3(x − 1)2 2x2 + x + 1 > 0

tutte le disequazioni sono di secondo grado, quindi semplifichiamo e calcoliamo i discriminanti         

    

2x2 + 10x > 3x2 + 6x + 3 x2

+ 4x + 3 >

3(x − 1)2

   

∆3 = 1 − 8 = −7 < 0

x2 − 4x + 3 < 0 x2

− 5x < 0

∆3 = 1 − 8 = −7 < 0

        

∆1 = 16 − 12 = 4 > 0 ∆2 = 25 > 0 ∆3 = 1 − 8 = −7 < 0

per quanto detto si ha         

x = 2±

√ 4−3 = 2±1

x(x − 5) < 0

    

formula ridotta

disequazione spuria

   

∀x ∈ R

x1 = 1

x2 = 3

x1 = 0

x2 = 5

∀x ∈ R

        

11 2 − 3x + 3) x(x  6x >0 x2 − 3x + 3

2 + 3x + 3 − x 2 + 3x − 3   x     >0 2

x 6= 0

x − 3x + 3

studiamo i segni di numeratore e denominatore. N > 0 per x > 0. D > 0: osserviamo che ∆ = 9 − 12 = −3 < 0 e quindi D > 0 ∀x ∈ R. Riportando in grafico dei segni

O



quindi le soluzioni sono: x > 0, in intervalli: ]0, +∞[.

12 T. del resto.

+

11

1.5 equazioni e disequazioni

esercizi      1.

         

2.

    

12

Alcuni esercizi su disequazioni e sistemi di disequazioni algebriche. 2x2 > 3(9 − x) x−5 64 x < 5x + 5 5 (x + 4)(2x + 5) > 0

(3 < x < 32)

x2 x + 1 + > −2 2 5 2 x−2 x −1 − 0

(x 6 −3

6.

2x + 1 x2 + 1 + > 5x 2x − 1 x

7.

x2 x + 6 3x x − 1 2x − 3

(0 6 x < 1

8.

9x4 − 46x2 + 5 6 0

√ (− 5 6 x 6 − 13

x > 3)



∪x > 2



−1 6 x 6 1



5 4

6x< ∪

1 3



3 2

x > 2)



6x6

x > 2) √ 5)

1.5 equazioni e disequazioni

1.5.4

Equazioni e disequazioni con modulo

Ricordiamo la definizione di modulo o valore assoluto di un numero reale: x≥0

x |x| = −x

equazioni.

x≤0

Ci proponiamo di risolvere l’equazione |f(x)| = k

con f(x) espressione nella variabile x e k ∈ R. Si presentano tre casi: • Se k < 0, allora l’equazione è impossibile, poiché, come già detto, |x| > 0, ∀x ∈ R. • Se k = 0, allora l’equazione con modulo è equivalente alle equazioni ±f(x) = 0 cioè alla f(x) = 0 • Se k > 0, allora l’equazione con modulo è equivalente alla coppia di equazioni ±f (x) = k che si risolvono separatamente. Esempio 1.5.6. Risolvere l’equazione |4x| = 5 Per quanto detto si ha 5 4

4x = 5

cioè

x=

−4x = 5

cioè

x=−

5 4

Osserviamo che l’equazione in esame è solo apparentemente di primo grado; se così fosse avrebbe una sola soluzione come ben noto. Se pensiamo ai possibili valori della espressione |4x|, cioè alla funzione13 f(x) = |4x| ci rendiamo conto che potrà assumere due volte il valore 5. y

f(x) = |4x| 5

− 54

13 Come si vedrà nel capitolo sulle funzioni.

5 4

x

13

1.5 equazioni e disequazioni

Consideriamo l’equazione con modulo più generale |f (x)| = g (x) con f (x) e g (x) espressioni nella variabile x. Essa è equivalente all’unione dei sistemi misti  f(x) 6 0 

 f(x) > 0





−f(x) = g(x)

f(x) = g(x)

Esempio 1.5.7. Risolvere l’equazione |x2 − 1| = x + 1 Per quanto detto si ha  x 2 − 1 6 0 

 x 2 − 1 > 0





−(x2 − 1) = x + 1

vale a dire  −1 6 x 6 1 



x2

+x = 0  −1 6 x 6 1 

x1 = 0

 x 6 −1 



x2 = −1

x2 − 1 = x + 1

x2



x>1

+x−2 = 0  x 6 −1 ∪ x > 1  x1 = 2 x2 = −1

Le soluzioni quindi sono x = −1 e x = 0. Il fatto che la soluzione x = −1 compaia in entrambi i sistemi (ma

osservazione:

nell’unione viene contata una sola volta) dipende dalla definizione di modulo che abbiamo dato: lo zero compare due volte, sia come numero positivo che come negativo; come sappiamo −0 = 0, l’opposto di 0 è 0 stesso e questo è l’unico numero che ha questa proprietà.

disequazioni.

Consideriamo la disequazione con modulo |f (x)| < k

con k ∈ R. Risulta • se k 6 0, la disequazione risulta impossibile; • se k > 0, allora la disequazione risulta equivalente al sistema di disequazioni  f (x) > −k  f (x) < k

Per la disequazione con modulo |f (x)| 6 k con k ∈ R, risulta • se k < 0, allora la disequazione è impossibile: • se k = 0, allora la disequazione è equivalente all’equazione f (x) = 0

14

1.5 equazioni e disequazioni

• se k > 0, allora la disequazione è equivalente a

−k 6 f(x) 6 k che è equivalente al sistema di disequazioni  f (x) > −k  f (x) 6 k Nel grafico abbiamo disegnato la f(x) completa e la parte negativa ridisegnata positiva in corrispondenza a −f(x). Si può constatare che i valori di x che soddisfano la |f(x)| 6 k sono quelli compresi fra l’asse x e la retta ad altezza k cioè quelli che, dopo aver esplicitato il modulo, sono compresi fra le rette ad altezza −k e k. y

−f(x)

f(x) k

x −k

Esempio 1.5.8. Risolvere la disequazione |x2 − 8x + 10| 6 3 Si ha −3 6 x2 − 8x + 10 6 3 vale a dire  x2 − 8x + 10 6 3 

 x2 − 8x + 7 6 0 

x2 − 8x + 10 > −3

 x = 7 x = 1 1 2 √ √  x1 = 4 + 3 x 2 = 4 − 3

 x = 4 ± √9 = 4 ± 3 

x = 4±

x2 − 8x + 13 > 0

√ √ 3 = 4± 3

 7 6 x 6 1 

4−

√ √ 3 6 x 6 4+ 3

Riportando in grafico di intersezione:

O

1

4−

√ 3

4+

√ 3

7

15

1.5 equazioni e disequazioni

Le √ soluzioni sono: 1 6 x 6 4 − 3, 7].

√ 3



4+

√ √ 3 6 x 6 7. In intervalli: [1, 4 − 3]



[4 +

Più in generale, le disequazioni con modulo |f (x)| < g (x)

e

|f (x)| 6 g (x)

sono equivalenti rispettivamente ai sistemi di disequazioni   f (x) > −g (x) f (x) > −g (x) e   f (x) 6 g (x) f (x) < g (x)

Esempio 1.5.9. Risolvere la disequazione x − 7 x + 5 < x Si ha −x <

x−7 −x x+5  x−7 x+5 < x Risolviamo la prima disequazione frazionaria: x − 7 + x2 + 5x >0 x+5

x−7 > −x x+5

x2 + 6x − 7 >0 x+5

√ Numeratore: x = −3 ± 16 = −3 ± 4 x1 = −7, x2 = 1. Quindi N > 0 per x < −7 ∪ x > 1. Denominatore: x + 5. Quindi D > 0 per x > −5. Riportando in grafico dei segni: −7



−5

O

+

Soluzioni: −7 < x < −5



1



+

x > 1.

Risolviamo la seconda disequazione frazionaria: x−7 −5. Riportando in grafico dei segni: −5



O

+

Soluzioni: x > −5. Riportiamo le soluzioni delle due disequazioni in un grafico di intersezione:

x2 + 4x + 7 >0 x+5

16

1.5 equazioni e disequazioni

−7

−5

O 1

Le soluzioni finali sono: x > 1. In intervalli: ]1, +∞[.

Sia data la disequazione con modulo |f (x)| > k con k ∈ R, risulta • se k < 0, allora è verificata per tutti i valori di x nel dominio di f (x); • se k = 0, allora è verificata per tutti i valori di x nel dominio di f (x), esclusi quelli per cui f (x) = 0; • se k > 0, allora la disequazione è equivalente a ∪

f (x) < −k

f (x) > k

Quest’ultimo caso si capisce bene se si tiene presente il grafico 1.5.4. Per la disequazione |f (x)| > k con k ∈ R, risulta • se k 6 0, allora è verificata per tutti i valori di x nel dominio di f (x); • se k > 0, allora la disequazione è equivalente a ∪

f (x) 6 −k

f (x) > k

Più in generale, le disequazioni |f (x)| > g (x)

e

|f (x)| > g (x)

sono equivalenti rispettivamente a f (x) < −g (x)



f (x) > g (x)

f (x) 6 −g (x)



f (x) > g (x)

Esempio 1.5.10. Risolvere la disequazione x2 − 2 x2 − 2

Per quanto detto risulta x − 4 > x2 − 2



x − 4 < 2 − x2

x2 − x + 2 < 0



∆ = 1−8 < 0



∃x 



∃x 



x2 + x − 6 < 0 √ −1 ± 5 −1 ± 25 x= = 2 2 3 x1 = − , x2 = 2 2 3 − 0

 0 6 x 6 1 

indeterminata

1=1

x=0





−x + 1 = 1 + x

2x = 0

 x > 1 

x−1 = 1+x



x=0

 x > 1 

−1 = 1

impossibile

∃ 

Soluzioni finali: x > 0, in intervalli: [0, +∞[ Esempio 1.5.12. Risolvere la disequazione |x − 1| < 1 + |x + 1| Riportiamo in grafico di segni i due moduli che compaiono nell’equazione: −1 O 1 |x + 1| |x − 1|

Come si vede le zone sono tre: x 6 −1, −1 6 x 6 1, x > 1; scriviamo i corrispondenti sistemi per le tre zone:  x 6 −1 



−x + 1 < 1 − x − 1

 x 6 −1 

11

1 Soluzioni finali: x > − , in intervalli: ] − 21 , +∞[ 2



 x > 1 

0 1 

x−1 < 1+x+1

18

1.5 equazioni e disequazioni

esercizi

19

Alcuni esercizi sui moduli.

1.

|5x − 4| = −3

2.

|x − 7| = x

3.

|2 − 5x| < 3

] − 51 , 1[

4.

|3x + 2| > 5

(x < − 73 ∪ x > 1

5.

3x + 2 > 5 x

(x 6= 0,

] − ∞, −1[∪] − 23 , 23 [∪]1, +∞[)

6.

3x − 4 6x x

(x 6= 0,

]0, 1] ∪ [4, +∞[)

7.

2 + |x + 1| < 1 x

8.

|x2 + 1| > x−1 x+1

9.

x − 2 < |x|

R

in intervalli: ] − ∞, − 73 [∪]1, ∞[)

1.5 equazioni e disequazioni

1.5.5

Equazioni e disequazioni irrazionali

Una equazione o disequazione si dice irrazionale se al suo interno l’incognita compare almeno una volta sotto il segno di radice n-esima. Particolare attenzione14 bisogna prestare, come vedremo, al caso in cui n è un intero pari. equazioni.

Consideriamo l’equazione irrazionale p n f (x) = g (x)

con n > 1 naturale, f (x) e g (x) funzioni algebriche nella variabile x. • Supponiamo n dispari, allora l’equazione irrazionale è equivalente all’equazione razionale f (x) = (g (x))n Non poniamo alcuna condizione su f(x) poichè la radice di indice dispari di un numero reale esiste sempre. • Supponiamo n pari, allora l’equazione irrazionale è equivalente al sistema misto razionale     f (x) > 0 g (x) > 0     f (x) = (g (x))n In caso di indice pari sappiamo che la radice esiste solo se il radicando è positivo, da cui la condizione su f(x); la condizione su g(x) si rende necessaria perchè la radice di un numero reale è sempre positiva o nulla. Esempio 1.5.13. Risolvere l’equazione p 3 2x3 − x2 + 2x − 1 = 2x − 1

2x3 − x2 + 2x − 1 = 8x3 − 12x2 + 6x − 1

6x3 − 11x2 + 4x = 0

x(6x2 − 11x + 4) = 0

applicando la legge di annullamento del prodotto x1 = 0



6x2 − 11x + 4 = 0

x1 = 0



x=

Soluzioni finali: x1 = 0

11 ± 5 12 1 4 x2 = x3 = 2 3

Esempio 1.5.14. Risolvere l’equazione p

2x2 + x + 5 = x +

√ 5

per quanto detto l’equazione risulta equivalente al sistema misto       2x2 + x + 5 > 0 ∆ 0 x>− 5       √ √  2  2 2 2x + x + 5 x + (1 − 2 5)x = 0  = x + 2 5x + 5        ∀x ∈ R ∀x ∈ R     √ √ x>− 5 x>− 5       √ √   x(x + 1 − 5) = 0 x1 = 0 x 2 = 2 5 − 1 √ √ considerando √che 2 5 − 1 > − 5, entrambe le soluzioni sono accettabili. Soluzioni finali: x1 = 0 x2 = 2 5 − 1. 14 Lo studente ne è cosciente se ha studiato i radicali nel biennio.

20

1.5 equazioni e disequazioni

disequazioni.

Sia data la disequazione irrazionale p n f (x) < g (x)

con n > 1 naturale, f (x) e g (x) funzioni algebriche nella variabile x. • Supponiamo n dispari, allora la disequazione irrazionale è equivalente alla disequazione razionale f (x) < (g (x))n • Supponiamo n pari, allora la disequazione irrazionale è equivalente al sistema di disequazioni razionali     f (x) > 0 g (x) > 0     f (x) < (g (x))n In caso di indice pari la condizione che f(x) > 0 è la condizione di esistenza della radice. La condizione su g(x) si impone perchè deve essere maggione di un numero positivo o nullo. Esempio 1.5.15. Risolvere la disequazione p 3 3x2 − 3x − 1 < 1 − x

3x2 − 3x − 1 < 1 − 3x + 3x2 − x3 x3 < 2 estraendo la radice cubica, le soluzioni sono: x < Esempio 1.5.16. Risolvere la disequazione r x−

√ 3 2

1 < x−1 x

per quanto detto la disequazione risulta equivalente al sistema    x − x1 > 0   x−1 > 0     x − x1 < x2 − 2x + 1  x2 −1    x >0  x>1     x3 −3x2 +x+1 x

 x2 −1    x >0  x>1     x2 −1−x3 +2x2 −x x

0

Non abbiamo evidenziato la condizione x 6= 0 perchè già contenuta nella condizione di esistenza della radice. Risolviamo la prima disequazione: x2 − 1 >0 x ∪

Segno del numeratore: N > 0 per x 6 −1 Passando al grafico dei segni:

x > 1. Segno del denominatore: D > 0 per x > 0.

−1 O



+

1



+

21

1.5 equazioni e disequazioni

Le soluzioni sono [−1, 0[ ∪ [1, +∞[. Risolviamo la terza disequazione: x3 − 3x2 + x + 1 >0 x Il numeratore è di terzo grado per cui sarà necessario scomporre il polinomio. Osservando che il esso si annulla per x = 1 sappiamo15 che è divisibile per x − 1, da cui si deduce che x3 − 3x2 + x + 1 = (x2 − 2x − 1)(x − 1). Non volendo usare la divisione si può osservare che x3 − 3x2 + x + 1 = x3 − x2 − 2x2 − x + 2x + 1 = x2 (x − 1) − 2x(x − 1) − (x − 1) = (x2 − 2x − 1)(x − 1) con lo stesso risultato. Siamo ricondotti alla (x2 − 2x − 1)(x − 1) >0 x Passando al grafico dei segni: 1−

√ 2O

+

Riassumendo    −1 6 x < 0   x>1    √  x < 1− 2



x>1



0 1+

√ 2

1+

√ 2

1

√ √ 2, in intervalli: ]1 + 2, +∞[.

Sia data la disequazione irrazionale p n

f (x) > g (x)

con n > 1 naturale, f (x) e g (x) funzioni algebriche nella variabile x. • Supponiamo n dispari, allora la disequazione irrazionale è equivalente alla disequazione razionale f (x) > (g (x))n • Supponiamo n pari, allora la disequazione irrazionale è equivalente all’unione dei sistemi di disequazioni razionali      f (x) > 0 f (x) > 0 ∪ g (x) > 0    g (x) < 0   f (x) > (g (x))n i due sistemi si spiegano osservando che possiamo avere soluzioni valide sia nel caso g(x) < 0 che nel caso g(x) > 0; nel primo caso basterà che la 15 Per il teorema di Ruffini.

22

1.5 equazioni e disequazioni

radice esista (f(x) > 0) e sarà ovviamente maggiore di un numero negativo; nel secondo caso, con entrambi i membri positivi o nulli bisognerà anche elevare alla n. Osserviamo che nel secondo sistema la condizione di esistenza f(x) > 0 è superflua dato che poi f(x) deve essere maggiore di una potenza pari. Quindi si avrà   f (x) > 0 g (x) > 0 ∪   g (x) < 0 f (x) > (g (x))n Esempio 1.5.17. Risolvere la disequazione p 2x2 − 1 > −2x − 1 per quanto detto la disequazione risulta equivalente ai sistemi  2x2 − 1 > 0 



−2x − 1 < 0

 x 2 > 1 2  2x > −1  √ x 6 − 2 2  x > − 12  √ x 6 − 2 2  x > − 12







 −2x − 1 > 0  2 2x − 1 > 4x2 + 4x + 1  x 6 − 1 

x>

√ 2 2

x>

√ 2 2

2

2x2 + 4x + 2 < 0  x 6 − 1 2 ∪  (x + 1)2 < 0

∃ 

Il secondo sistema non da soluzioni mentre per il primo usiamo un grafico d’intersezione



Soluzioni finali: x >

√ 2 2

− 12 O

√ √ 2 2 , in intervalli: [ , +∞[. 2 2

√ 2 2

23

1.5 equazioni e disequazioni

Alcuni esercizi su equazioni e disequazioni irrazionali.

esercizi 1.

√ 2x2 − 7x + 4 = 1

( 21 , 2)

2.

√ 3 3 x − x2 + x − 8 = x − 2

(0, 11 5 )

3.

√ x2 + 3x + 9 = x − 3

4.

√ √ 3x + 1 − 5x − 1 = 0

(1)

5.

√ x2 + 3 > 3x − 1

(x < 1)

6.

x−

7.

√ 4 − 9x2 > x + 2

8.

p

9.

√ 3 3 x +2 > x−1

10.

√ −x2 + 3x + 10 > x + 2

(−2 < x < 32 )

11.

√ −x2 + x + 2 > x − 4

(−1 6 x 6 2)

12.

√ √ √ x+2+ x−5 > 5−x

(5)

13.

√ x+1 >

(x >

14.

√ 25 − x2 > 7

3(x2 − 1) < 5 − x

√ x− x−1 x2 +2

√1 x−1

(− 25 < x < 0) (−7 < x 6 −1; 1 6 x < 2)

√ 2)

(x > 1)

>0

√ 15.

x−

x2 −2x−3 x2 −x

60

(x 6 −1)

24

1.5 equazioni e disequazioni

1.5.6

Esercizi riassuntivi

1.

√ √ 2 x+2+ x−2 > √ x+2

(x > 2)

2.

√ 3 3 x − 2x2 − 2x + 5 > x − 1

(x < 2

3.

1 − 1 − 1 > 2 x x2 + x

(−2 < x < 23 ;

4.

|x2 − 1| + |x| > 5

(x < −2



x > 2)

(x < −1



01 x+1

x|x − 1| >0 x+1



x > 1)

2

APPENDICI

2.1

cosa e dove

1

x

Dalla geometria è noto che un quadrato con lati di misura 1 ha diagonale di misura x che deve soddisfare il teorema di Pitagora, cioè x2 = 12 + 12 , vale a dire x2 = 2. Questa equazione di√secondo grado √ ha come soluzioni i numeri 2 e − 2 che non sono razionali.

= √ 2

Nell’insieme N possiamo risolvere equazioni ma solo entro certi limiti; ad esempio l’equazione 2x − 4 = 0 ha soluzione x = 2 ma l’equazione 2x + 4 = 0 ha soluzione x = −2 che non appartiene a N; un discorso analogo vale per Z considerando 3 le equazioni 2x + 4 = 0 e 2x + 3 = 0; quest’ultima ha soluzione − , un numero 2 razionale; in generale possiamo dire che l’equazione ax + b = 0 ha sempre soluzione solo se x può assumere valori in Q. E’ ragionevole chiedersi quali altri problemi possano richiedere l’introduzione di nuovi numeri.

1

Riportiamo per comodità la dimostrazione di questo fatto: √ Proposizione 2.1.1. Il numero 2 ∈ /Q Dim. Per assurdo. Supponiamo che esistano numeri interi m e n relativamente primi, tali che m2

√ m 2= . Elevando al n

dove m2 e n2 non hanno fattori comuni e - in particolare - non sono entrambi pari. Anche n2 m e n, di conseguenza, non sono entrambi pari perchè il quadrato di un numero dispari1 è dispari2 . Semplificando otteniamo 2n2 = m2 da cui si deduce che m2 è pari e così anche m, cioè 2n2 = (2k)2 = 4k2 da cui n2 = 2k2 . Allora anche n2 e n sono pari; questa è una contraddizione perchè avevamo stabilito che m e n non potevano essere entrambi pari. quadrato si ottiene 2 =

esercizi 2.2

naturali e interi

I numeri appartenenti ad N, chiamati comunemente numeri naturali, non soddisfano tutte le proprietà elencate nel paragrafo 1.2. La proprietà P.1 certamente vale ma la P.2 vale solo se consideriamo 0 ∈ N ed è quello che faremo3 . Quindi per noi N = {0, 1, 2, . . . } Le proprietà P.3 e P.7 certamente non valgono quindi considerando quanto detto nel paragrafo 2.1 e riflettendo sulle dimostrazioni delle regole elencate nel paragrafo 1.4, concludiamo che l’insieme N è molto povero algebricamente. Tuttavia questi numeri sono importanti per molti motivi non ultimo il fatto che gran parte della matematica si fonda su di essi4 e che li usiamo per contare, procedimento senza dubbio fra i più primitivi. Non è secondario il fatto che abbiano un ruolo centrale in molte questioni informatiche e algoritmiche5 . Lo strumento più importante che abbiamo a disposizione per fare dimostrazioni con i numeri naturali è il seguente: Cosa c’entrano i dispari? Dimostrare per esercizio Non tutti gli autori fanno questa scelta. Un famoso matematico, Kronecker, soleva dire che i numeri naturali sono creati da Dio, il resto è opera dell’uomo. 5 Si veda il paragrafo 2.4 e il documento “Laboratorio Matematica”. 1 2 3 4

26

2.3 reali

Principio 1 (Induzione matematica). Sia x ∈ N e P una certa proprietà dei naturali; indichiamo con P(x) il fatto che la proprietà P valga per il numero x. Allora il principio afferma che P(x) è vera per tutti gli x naturali se sono verificate le seguenti: P(0)

è vera

se P(k) è vera, allora P(k + 1) è vera

(1) (2)

Osservazione 2.2.1. L’enunciato sembra certamente strano e ancor più strano che lo si debba considerare un Principio. La sua utilità (anzi, indispensabilità) si potrà comprendere solo con molti esempi. Il principio è equivalente alla proprietà seguente: Principio 2 (Buon ordinamento). Sia A ⊆ N un insieme di numeri naturali non vuoto. Allora A ha un elemento minimo. L’equivalenza dei due principi si può facilmente dimostrare (vedere esercizi riassuntivi) e il Buon ordinamento sembra molto più evidente e facile da accettare. Si ricordi comunque che nessuno dei due è dimostrabile usando le proprietà P.1 . . . P12. Esercizio 2.2.1. Ogni numero naturale è pari o dispari6 . Ricordiamo che un numero si dice pari se è della forma 2k per un qualche intero (naturale) k e si dice dispari se è della forma 2k + 1. Buon ordinamento. Sia A l’insieme dei numeri naturali che non sono ne pari ne dispari. Dimostreremo che A è vuoto. Per assurdo: sia A non vuoto; allora per il Buon ordinamento sia m ∈ A minimo che non sia ne pari ne dispari; consideriamo m − 1, non può essere pari perchè se m − 1 = 2k allora m = 2k + 1 e sarebbe dispari e quindi m ∈ / A; analogamente m − 1 non può essere dispari perchè se m − 1 = 2k + 1 allora m = 2k + 2 = 2(k + 1) = 2k1 e sarebbe pari quindi m ∈ / A; concludiamo che m − 1 ∈ A non essendo ne pari ne dispari. Questo è assurdo perchè m − 1 < m ma m era il minimo di A. Induzione matematica. Sia P(x) la proprietà “essere pari o dispari”. Per il principio di induzione dobbiamo dimostrare che P(0) è vera: infatti 0 = 2 · 0 e quindi è pari. Dimostriamo ora la proprietà 2). Supponiamo che P(k) sia vera per un qualche valore k, dobbiamo far vedere che allora è vera anche P(k + 1). Siccome P(k) è vera, k sarà pari o dispari. Se k è pari allora k = 2h e k + 1 = 2h + 1 è dispari, quindi P(k + 1) è vera. Se Se k è dispari allora k = 2h + 1 e k + 1 = 2h + 2 = 2(h + 1) = 2h1 è pari, quindi P(k + 1) è vera. In ogni caso P(k + 1) è vera.

esercizi 2.3

reali

esercizi 2.4

numeri interi e calcolatori

esercizi 2.5

numeri reali e calcolatori

esercizi

6 Ma non è ovvio?, dirà lo studente.

27

3

FUNZIONI

3.1

introduzione

La nozione che vogliamo studiare è quella di funzione. Lo studente ha già incontrato questa nozione in precedenza ma la sua importanza è tale che si rende necessario riprenderla e approfondirla. In futuro le funzioni saranno riprese molte volte e ancora molte volte sarà necessario approfondire questo concetto; anzi, non crediamo di esagerare se diciamo che nei prossimi tre anni ci occupero sostanzialmente di funzioni. A scopo puramente illustrativo esaminiamo alcuni esempi di funzioni. Definizione 3.1.1 (Provvisoria). Una funzione è una regola che associa ad un certo numero un altro numero.

Esempio 3.1.1. la regola che associa ad ogni numero il suo quadrato. Esempio 3.1.2. la regola che associa ad un numero positivo la sua radice quadrata. Esempio 3.1.3. la regola che associa ad ogni numero x 6= 1 il numero

x3 + 3 . x−1

Esempio 3.1.4. la regola che associa ad ogni numero s che soddisfa −3 6 s 6 5 il numero Esempio 3.1.5. la regola che associa al numero 1 il numero 5, al numero 15 il numero numeri diversi dai precedenti il numero 16.

s . s2 + 1 12 π ,

a tutti i

Esempio 3.1.6. la regola che associa a tutti i numeri irrazionali il numero 0, a tutti i numeri razionali il numero 1. Esempio 3.1.7. la regola che associa ad un numero reale il numero 0 se nelle cifre decimali del numero compaiono un numero finito di cifre pari altrimenti 1.

Dagli esempi emergono le seguenti osservazioni: • Una funzione è una regola qualsiasi che associa numeri a numeri e non una regola per la quale esiste una espressione algebrica che la rappresenta. • Non è necessario che la regola si applichi a tutti i numeri noti. In qualche caso può essere anche poco chiaro a quali numeri la regola si applichi (per es. 3.1.7). • Sembra necessario dare un nome all’insieme dei numeri per i quali effettivamente si può calcolare il valore della funzione. Tale insieme si dirà dominio1 . • Le funzioni elencate sottolineano la necessità di usare una qualche notazione specifica per indicarle. In generale useremo le lettere f, g, ecc. per le funzioni e le lettere x, y ecc. per indicare i numeri. Il valore che la funzione associa al numero x si indicherà con f(x) che si legge ‘f di x’ e che si dice anche il valore di f in x o anche l’immagine di x.

1 Nel prossimo paragrafo tutte le definizioni saranno raccolte in modo ordinato.

28

3.1 introduzione

Un modo più ordinato per definire le funzioni precedenti è il seguente: f(x) = x2 per ogni x √ g(x) = x per ogni x > 0

(3.1) (3.2)

x3

+3 per ogni x 6= 1 (3.3) x−1 s r(s) = 2 per ogni numero s tale che − 3 6 s 6 5 (3.4) s +1   1 se x = 5    12 s(x) = 15 se x = (3.5)  π    16 ad ogni altro x  0 per ogni x irrazionale (3.6) t(x) =  1 per ogni x razionale  0 se nelle cifre decimali del numero x compaiono infinite cifre pari u(x) =  1 per ogni altro x (3.7) h(x) =

osservazione: spesso, nell’indicare funzioni, si potranno usare delle abbreviazioni come, ad esempio, la funzione v(t) =

t t−1

t 6= 1

potrà essere indicata come v(t) =

t t−1

senza specificare il dominio; in questo caso è ovvio che si intende come dominio l’insieme dei numeri per i quali ha senso calcolare la funzione. osservazione:

molta attenzione va prestata al seguente fatto: le due funzioni

x+1 x−1 y+1 t(y) = y + y−1 r(x) = x +

sono la stessa funzione. Anche se i nomi delle funzioni e delle lettere che indicano i numeri sono diverse. Invece nel caso noi scrivessimo: x+1 x−1 y+1 t(y) = y + y−1 r(x) = x +

−3 6 x 6 0

dovremmo considerare diverse le due funzioni dato che il dominio non coincide. osservazione: ricordiamo anche che, nonostante sia decisamente una perversione, l’uso delle lettere che abbiamo indicato rappresenta la consuetudine ma non un obbligo; quindi è perfettamente lecito definire una funzione in questo modo (e ci sono contesti in cui si fa): x(f) = f +

f+1 f−1

29

3.2 definizioni

in questo caso il nome della funzione è x mentre i numeri si sostituiscono alla lettera f. Prima di procedere ad una più precisa definizione di funzione è necessario capire bene cosa esattamente caratterizza la nozione di funzione. Nella definizione 3.1.1 provvisoria abbiamo parlato di regola qualsiasi che associa ad un numero un altro numero. Come precisiamo la nozione di regola? In effetti sarebbe troppo complicato restringere il significato della parola regola per ottenere l’esatto intendimento dei matematici quando pensano al concetto di funzione. Alla fine, come spesso succede in matematica, quello che conta è il risultato finale: che cos’è una funzione? per ogni elemento x del dominio dobbiamo conoscere l’elemento a cui viene associato cioè f(x) e quindi sostanzialmente una coppia ordinata2 (x, f(x)); una funzione diventa un’insieme di coppie che possiamo rappresentare, per esempio per f(x) = x3 , con una tabella: x

f(x) = x3

1

1

−1 √ 2 √ 3 2 √ 3 − 2

−1 √ 23 2 −2

π3 π oppure come elenco: √ p √ √ 3 3 f = {(1, 1), (−1, −1), ( 2, 23 ), ( 2, 2), (− 2, −2), (π, π3 ), . . . } Per trovare il numero associato al numero 1 basta scorrere l’elenco e trovare la coppia (1, 1) e così via. Supponiamo ora di avere una funzione definita dall’insieme: g = {(1, 3), (2, 5), (1, 6), (3, 5), . . . } chi sarà l’immagine del numero 1? Troviamo la coppia (1, 3) ma anche la coppia (1, 6) quindi non sarà possibile dire che g(1) = 3 e neanche che g(1) = 6); la funzione g non è ben definita: non è univoca. La condizione di univocità è la caratteristica più importante della nozione di funzione. Pensare alle funzioni come regole è più semplice che pensarle come insiemi di coppie ma quest’ultimo modo è più rigoroso e permette di condurre più facilmente le dimostrazioni: si tratta di una definizione più astratta. Naturalmente nessuno può vietarci di pensare alle funzioni come a delle regole. esercizi 3.2

definizioni

Definiamo il concetto di coppia. Definizione 3.2.1. Per coppia (a, b) si intende l’insieme ordinato dei due elementi a e b, non necessariamente distinti, in cui ha rilevanza l’ordine. osservazione: è evidente che la coppia (a, b) si distingue dall’insieme {a, b} perchè mentre {a, b} = {b, a} per le coppie si ha (a, b) 6= (b, a) cioè nelle coppie è rilevante l’ordine degli elementi. Inoltre, mentre la coppia (a, a) contiene effettivamente due elementi, l’insieme {a, a} si riduce ad {a}. Definizione 3.2.2. Si definisce Prodotto cartesiano di due insiemi A e B l’insieme di tutte le possibili coppie (a, b) con a ∈ A e b ∈ B e si scrive:  A × B = (a, b) | a ∈ A, b ∈ B 2 La definizione al prossimo paragrafo.

30

3.2 definizioni

Esempio 3.2.1. A = {1, 2, 3} B = {1, 2}  A × B = (1, 1), (1, 2), (2, 1), (2, 2), (3, 1), (3, 2)  B × A = (1, 1), (1, 2), (1, 3), (2, 1), (2, 2), (2, 3)  B × B = B2 = (1, 1), (1, 2), (2, 1), (2, 2)

Naturalmente A e B non necessariamente sono insiemi numerici: Esempio 3.2.2. A = {1, 2, 3} B = {r, t}  A × B = (1, r), (1, t), (2, r), (2, t), (3, r), (3, t) B×A = ···

 B × B = B2 = (r, r), (r, t), (t, r), (t, t)

E naturalmente A e B non necessariamente sono insiemi finiti: Esempio 3.2.3. A = {1, 2} B=N  A × B = (1, 0), (2, 0), (1, 1), (2, 1), (1, 3), (2, 3), . . . B×A = ···

 B × B = B2 = (0, 0), (0, 1), (1, 0), (2, 0), (1, 1), (0, 2), (0, 3), (1, 2), . . .

Definizione 3.2.3. Si chiama funzione un insieme di coppie di numeri tali che se due coppie hanno lo stesso primo elemento allora sono la stessa coppia (univocità). In simboli: se (a, b) e (a, c) appartengono alla funzione allora b = c. Definizione 3.2.4. Si chiama dominio di una funzione f l’insieme dei numeri a per i quali esiste un b tale che la coppia (a, b) appartiene a f. Per la definizione precedente è ovvio che tale b è unico e si indicherà con f(a) e si chiama immagine di a. In questo caso a si dice anche controimmagine o anche immagine inversa di b; è evidente che la controimmagine di un numero non è sempre unica e quindi si dirà spesso l’insieme delle controimmagini. Si chiama codominio qualsiasi insieme che contenga tutti i numeri b tali che (a, b) appartenga a f. osservazione: nella definizione 3.2.4 vi è una chiara asimmetria fra dominio e codominio. Il motivo risiede nella centralità della nozione di univocità che dipende solo dal dominio. osservazione: nella definizione 3.2.3 abbiamo parlato genericamente di numeri senza specificare di che tipo sono. Sottointendiamo che si tratta di numeri reali (R). Naturalmente nessuno vieta che per particolari funzioni il dominio sia limitato a sottoinsiemi di numeri quali i naturali (N) o gli interi (Z) o i razionali (Q) o qualche sottoinsieme degli stessi. osservazione: dalla definizione risulta chiaro che le nostre funzioni sono numeriche, vale a dire mandano numeri in numeri. Come lo studente già saprà, è possibile definire funzioni più astratte che associano tra loro oggetti che non sono numeri: per esempio possiamo pensare ad un procedimento che associa ad ogni studente di una classe il suo nome oppure il suo numero di telefono ecc. Queste associazioni si chiamano applicazioni o mappe e sono definibili fra insiemi di oggetti qualsiasi. Non studieremo questo argomento in questo contesto.

31

3.2 definizioni

Spesso useremo la seguente forma grafica per indicare una funzione: f : A −→ B x 7−→ f(x) • f indica la legge che definisce la funzione • l’insieme A è il dominio della funzione • l’insieme B è il codominio della funzione Spesso useremo anche il simbolo f(A) = {insieme delle immagini f(x) con x ∈ A} Come esempi di funzioni valgono quelli già esposti in 3.1; aggiungiamo qualche altro caso. Esempio 3.2.4. Sia A = {0, 1, 2, 3} e B = N. Consideriamo f : A −→ B x 7−→ 3x + 1 Abbiamo quindi f = {(0, 1), (1, 4), (2, 7), (3, 10)}. In questo caso f(A) = {1, 4, 7, 10} e naturalmente f(A) ⊆ B. Esempio 3.2.5. Sia f la funzione che esprime il volume V di un cubo in funzione della lunghezza l del suo lato. f : R+ −→ R+ l 7−→ V = f(l) = l3 Ricordiamo che R+ (ma anche R> ) indica l’insieme dei numeri reali positivi. Il domino di questa funzione potrebbe comprendere anche il numero 0 supponendo che anche il cubo di lato 0 abbia significato. Anche in questo caso abbiamo ovviamente f(R+ ) ⊆ R+ . Problema: ha senso porre f(R+ ) = R+ ? Esempio 3.2.6. Sia g la funzione che associa ad ogni numero pari la sua metà e ad ogni numero dispari la metà del numero precedente: g : N −→ N



n 7−→ g(n) =

n 2 n−1 2

se n è pari se n è dispari

Esempio 3.2.7. Sia h la funzione che esprime la frequenza percentuale di un certo gruppo di studenti suddivisi secondo classi di statura. Statura (cm)

Percentuale

150 6 x < 160

15.1

160 6 x < 170

20.3

170 6 x < 175

28.1

175 6 x 6 180

18.2

180 < x < 190

13.4

x > 190

5.9

In questo caso la funzione è definita mediante una tabella.

Problema: la funzione h è effettivamente una funzione? Come la descrivereste in termini di coppie?

32

3.2 definizioni

esercizi Esercizio 3.2.1. Stabilire se le seguenti relazioni di R in R sono funzioni:

f(x) =

g(x) =

 x + 1

se x > 0

 2 −x − 3 se x 6 0  x se x > 2 

2

2x + 1

se x 6 2

Esercizio 3.2.2. Determinare il dominio delle funzioni: f(x) =

k(x) =

x2

+ 3x

r

x+1 x−1

3

r

2 g(x) = 2 x + 3x r t(x) =

h(x) =

x−1 x

|x| − 1 x2 − 1

Esercizio 3.2.3. Data la funzione f(x) = − 23 x, calcolare: 1. le immagini tramite f di x1 = 3 e di x2 = − 72 2. le controimmagini di y1 = 8 e di y2 =

4 3

Esercizio 3.2.4. Date le funzioni f(x) = 2x + 1 e g(x) = 12 x − 4, determinare, se esistono, i valori di x per cui le due funzioni hanno la stessa immagine.

Esercizio 3.2.5. Analogamente per le funzioni f(x) =

x2 − 1 2x2 + 1 e g(x) = 2 4

33

3.3 grafici

3.3

grafici

La nozione di piano cartesiano si assume come già nota dal biennio. Ricordiamo che una coppia di numeri reali (a, b) rappresenta un punto del piano e che viceversa un punto del piano è rappresentato da una coppia di numeri reali. Riassumiamo in un disegno la struttura del piano cartesiano con le coordinate dei punti nei vari quadranti:

y

(0, b)

(a, b)

(−1, 1)

(1, 1) (0, 0)

(−1, −1)

(a, 0)

x

(1, −1)

E’ evidente che se una coppia di numeri rappresenta un punto, una funzione, che è un insieme di coppie, sarà rappresentabile mediante un insieme di punti. Infatti si può dare la seguente: Definizione 3.3.1. Sia f una funzione

f : A −→ B x 7−→ f(x) si chiama grafico della funzione f l’insieme dei punti del piano cartesiano: G(f) = {(x, f(x)) | x ∈ A} Ecco alcuni esempi di grafici di funzioni di cui abbiamo parlato: y

y

3

3 f(x) = x2

2

2 g(x) =

1

−2

−1 0 −1

1

2

√ x

3

1 h(x) =

x

−3

−2

−1 0 −1 −2 −3

1

1 x−1

2 x

34

3.3 grafici

y 3 f(s) =

2

s s2 + 1

−3 < s < 5

1 −4 −3 −2 −1 0 −1

1

2

3

4

5

6 x

Per costruire il grafico di una funzione sarà necessario procurarsi un certo numero di coppie che poi saranno disegnate sul piano cartesiano. Ovviamente sarà possibile calcolare e disegnare tutte le coppie appartenenti alla funzione solo se queste sono in numero finito. Nel caso di infinite coppie se ne disegneranno alcune3 e poi si congiungeranno i punti ottenuti mediante archi di curva che ragionevolmente rappresenteranno i punti mancanti. Esempio 3.3.1. Sia f la funzione f = {(1, 3), (−1, 5), (3, 4), ( 21 , −1)}

(−1, 5) y 3

(3, 4) (1, 3)

2 1 −2

0 −1

2 ( 12 , −1)

4

x

−2

Esempio 3.3.2. Sia g la funzione g : R −→ R x 7−→ 2x In questo caso sappiamo che la funzione è rappresentata da una retta e quindi basterà calcolare le coordinate di due soli punti: x = 1 da cui g(1) = 2 e x = 2 da cui g(2) = 4

y (2, 4)

4 2

−4

−2 0

(1, 2)

2

4

6 x

−2 −4 Esempio 3.3.3. Sia g la funzione h : R> −→ R 1 x 3 Nel corso di studi si vedranno molte altre tecniche per tracciare grafici di funzioni. x 7−→

35

3.4 tipi di funzioni

y

A(1, 1) B(2, 12 )

3

C(4, 14 )

A

−4

−2

0

B

C

2

4

6

x

−3

In questo esempio si vede come sia necessario congiungere i punti calcolati con archi di curva per avere un grafico realistico; naturalmente se si calcola un numero maggiore di punti si ha maggiore aderenza al grafico corretto.

esercizi Esercizio 3.3.1. Tracciare i grafici delle seguenti funzioni reali:

f(x) = 2x 1 g(x) = x − 2 3 h(x) = x2 − 1 r(s) = |x − 1| + 1  x + 1 se x < 2 s(x) = 1 2 x + 3 se x > 2 3.4

tipi di funzioni

Tra tutte le funzioni numeriche ne distinguiamo alcune classi4 particolarmente importanti. Una delle funzioni più importanti è certamente la funzione identica I : A −→ A x 7−→ x La funzione associa ad ogni numero x se stesso. E’ composta quindi dalle coppie (x, x). Notiamo che il dominio è identico al codominio. Funzioni polinomiali f : A −→ B x 7−→ an xn + an−1 xn−1 + . . . a1 x + a0 Sono i classici polinomi e il valore della funzione si calcola sostituendo alla x il numero a. Il grado n del polinomio è il grado della funzione. Un caso particolare di funzione polinomiale è la funzione costante 4 Il problema della classificazione delle funzioni non è particolarmente semplice ma questo, per fortuna, riguarda solo i matematici.

36

3.4 tipi di funzioni

f : A −→ B x 7−→ c che associa ad ogni elemento del dominio il numero c; si ottiene come polinomio di grado 0. Esempi: • f(x) = x2 • g(x) = x4 −

√ 2 2x + 1

• h(x) = πx5 − 1 Funzioni razionali f : A −→ B x 7−→

an xn + an−1 xn−1 + . . . a1 x + a0 bk xk + bk−1 xk−1 + . . . b1 x + b0

Sono quozienti di due polinomi e si richiede, naturalmente, che il polinomio bk xk + bk−1 xk−1 + . . . b1 x + b0 al denominatore non sia sempre nullo. Notare bene: non sia sempre nullo: questo significa che può valere 0 per qualche valore di x ma non per tutti. Esempi: • r1(x) =

x x−1

• r2(x) =

x4 − 1 x2 + 2

x2 − 3 1   3 se x > 1 • s(x) = x−1  1 se x 6 1 • r3(x) =

La stranezza della funzione r3(x) testimonia soltanto che le funzioni polinomiali possono essere considerate casi particolari delle funzioni razionali. Funzioni irrazionali x • u(x) = √ x−1 √ x2 − 1 • v(x) = 2 x +2 1 5 • z(x) = 5x− 2 = √ x

osservazione: spesso l’insieme delle funzioni razionali e irrazionali vengono indicate come funzioni algebriche cioè funzioni per le quali l’immagine si calcola con un numero finito di operazioni di somma, differenza, prodotto, quoziente ed estrazione di radice su un elemento del dominio; questa definizione non è strettamente rigorosa ma la useremo anche noi.

37

3.4 tipi di funzioni

osservazione: in tutti gli esempi precedenti non abbiamo specificato il dominio delle varie funzioni. Questa mancanza non deve essere considerata un errore ma semplicemente una scorciatoia. Significa che il dominio delle varie funzioni, dipendendo dalle operazioni algebriche che vi compaiono, deve essere considerato il più grande possibile. In altre parole: se in una funzione algebrica non compare esplicitamente il dominio, questo si intende composto da tutti i numeri per i quali le operazioni di calcolo della funzione hanno senso. Spesso questo insieme viene distinto dal dominio e chiamato campo di esistenza. Potremmo dire che il campo di esistenza di una funzione è il più grande dominio possibile. Per esempio la funzione r ha campo di esistenza R − {1} mentre la s e la t hanno campo di esistenza R. La funzione u ha campo di esistenza A = {x ∈ R | x > 1} poichè la radice quadrata esiste solo se il numero è > 0 e il denominatore della frazione non può essere nullo. La funzione v ha campo di esistenza A = {x ∈ R | x 6 −1 o x > 1 } per motivi analoghi. Funzioni goniometriche sin : R −→ [−1, 1] x 7−→ sin x cos : R −→ [−1, 1] x 7−→ cos x tan : A −→ R

A = R−{

π + kπ} 2

x 7−→ tan x Queste funzioni sono forse note ad alcuni studenti dal corso di fisica del biennio. In ogni caso saranno studiate a breve data la loro straordinaria importanza nelle applicazioni. Si tratta di funzioni periodiche, cioè i loro valori si ripetono infinite volte. y y

sin x

1

−π

cos x

π x

O −1

π 2

tan x

− π2

π x

O −1

y

O

−π

1

x

38

3.4 tipi di funzioni

esercizi Esercizio 3.4.1. Per ciascuna delle seguenti funzioni indicare se è razionale (intera o fratta) o irrazionale e determinarne il campo di esistenza: x3 − x 2x + 1 √ 7x + 1 g(x) = √2 h(x) = 3 x + 1 f(x) =

r(s) = 2πx s(x) = p

2 (x + 1)2

39

3.5 operazioni

3.5

operazioni

Sulle funzioni possiamo agire con operazioni che ci consentono di ottenere altre funzioni. Definizione 3.5.1. Siano f e g due funzioni. Per ogni valore di x per cui ha senso definiamo f + g e la chiamiamo somma, la funzione tale che (f + g)(x) = f(x) + g(x) e definiamo f · g e la chiamiamo prodotto, la funzione tale che (f · g)(x) = f(x) · g(x) osservazione: il dominio della funzione somma o prodotto è l’intersezione dei domini delle funzioni componenti (vedi esempi). Esempio 3.5.1. f(x) = x2

g(x) =

La funzione somma sarà: (f + g)(x) = x2 +

√ 1−x

√ 1−x

Il dominio (campo di esistenza) di f è R mentre quello di g è x 6 1; perciò il dominio di f + g sarà l’intersezione dei due, vale a dire x 6 1. Esempio 3.5.2. f(x) = x2

1 g(x) = √ 1−x

La funzione prodotto sarà: x2 (f · g)(x) = √ 1−x Il dominio (campo di esistenza) di f è R mentre quello di g è x < 1; perciò il dominio di f · g sarà l’intersezione dei due, vale a dire x < 1.

L’operazione di gran lunga più importante è la composizione o prodotto di composizione di funzioni: Definizione 3.5.2. Siano f e g due funzioni f : A −→ B

g : B −→ C

x 7−→ f(x)

x 7−→ g(x)

la funzione composta di g e f, detta anche g tondino f, è la funzione che manda ogni x di un opportuno dominio in (g ◦ f)(x) = g(f(x)), cioè g ◦ f : A −→ C x 7−→ g(f(x)) osservazione: il dominio di g ◦ f è composto da tutte le x del dominio di f tali che f(x) è contenuto nel dominio di g. Questo perché, per poter calcolare l’elemento g(f(x)), il numero f(x) deve appartenere al dominio di g. Il codominio di g ◦ f sarà C perché l’ultima funzione applicata è g. Un grafico può chiarire meglio la situazione: A

f

- B

g ◦f

g

-

? C

40

3.5 operazioni

osservazione: osserviamo anche che la funzione composta pone f alla destra di g quando apparentemente f dovrebbe comparire a sinistra. Il motivo risiede nel fatto che la f è la prima funzione che viene applicata e quindi nella notazione funzionale g(f(x)) deve essere posta vicino alla x, cioè a destra. Questo giustifica il fatto che è meglio dire g tondino f piuttosto che la funzione composta di f e g. Un altro motivo importante è che g ◦ f è diversa da f ◦ g come si vedrà dagli esempi. Esempio 3.5.3. f(x) = x2

g(x) =

√ 1−x

In questo caso (g ◦ f)(x) = g(f(x)) = g(x2 ) =

p

1 − x2

come si può notare il calcolo di (g ◦ f)(x) è semplice: si applica a x la funzione f ottenendo il numero f(x) che poi andrà sostituito nella funzione g al posto di x. Il campo di esistenza di f è R mentre quello di g è x 6 1. Il campo di esistenza della funzione g ◦ f si ottiene osservando che il codominio di f è R> ma solo i numeri x tali che x 6 1 appartengono al campo di esistenza di g; quindi solo i numeri x2 6 1, cioè −1 6 x 6 1, sono ammissibili nel campo di esitenza di √ g ◦ f. Lo stesso risultato si ottiene semplicemente osservando l’espressione algebrica di g ◦ f e cioè 1 − x2 ; la radice è calcolabile solamente per i valori del radicando > 0, cioè 1 − x2 > 0, x2 6 1, da cui il risultato già trovato. Osserviamo che la funzione composta f ◦ g è √ √ (f ◦ g)(x) = f(g(x)) = f( 1 − x) = ( 1 − x)2 conludiamo che la funzione (f ◦ g) è molto diversa dalla (g ◦ f). Il campo di esistenza della (f ◦ g) è x 6 1. Esempio 3.5.4. g(x) =

√ 1−x

Possiamo comporre la funzione g con se stessa √ (g ◦ g)(x) = g(g(x)) = g( 1 − x) =

q √ 1− 1−x

√ √ Il campo di esistenza di g è x 6 1 mentre quello di (g ◦ g) è: 1 − 1 − x > 0, 1 > 1 − x, 1 > 1 − x, x > 0; quindi finalmente 0 6 x 6 1. Notiamo che il campo di esistenza è ben diverso da quello di g. Esempio 3.5.5. La funzione q p f(x) = 3x 1 + x2 può essere pensata come la composizione delle funzioni

g(x) =

√ x

h(x) = 3x

p 1 + x2

mentre la funzione h può essere pensata come il prodotto delle funzioni

m(x) = 3x

n(x) =

p 1 + x2

e finalmente la funzione n è la composizione delle funzioni

p(x) =

√ 1+x

q(x) = x2

perciò abbiamo

f(x) = (g ◦ (m · (p ◦ q)))(x)

La nozione più importante legata a quella di composizione di funzioni è quella di funzione inversa.

41

3.5 operazioni

Definizione 3.5.3. Sia f una funzione f : A −→ B x 7−→ f(x) diciamo funzione inversa della f la funzione g (se esiste) tale che (g ◦ f)(x) = x ∀x ∈ A e (f ◦ g)(x) = x ∀x ∈ B nel caso la funzione g esista la si indica con f−1 e quindi (f−1 ◦ f)(x) = x ∀x ∈ A

(f ◦ f−1 )(x) = x ∀x ∈ B

Esempio 3.5.6. Sia f la funzione tale che f(x) = 2x, cioè f : R −→ R x 7−→ 2x x ; infatti 2 x x (f ◦ f−1 )(x) = f( ) = 2 = x ∀x ∈ R 2 2

allora f−1 =

e (f−1 ◦ f)(x) = f−1 (2x) =

2x = x ∀x ∈ R 2

y

y

f(x) = 2x

f(x) = 2x

4

4 2 f−1 (x) = 2

x

2

4

x 2

x

Osserviamo che la funzione inversa consente di tornare indietro, cioè partendo da x la f porta in f(x) e la f−1 riporta in x. Però vale anche il viceversa: se partiamo da x e applichiamo la f−1 questo ci porta in f−1 (x) e poi applicando la f ritorniamo in x. Nella seconda figura abbiamo disegnato entrambe le funzioni f e f−1 e possiamo osservare come il loro grafico sia simmetrico rispetto alla retta bisettrice del primo quadrante. Tale retta è il grafico della funzione f(x) = x come ci si dovrebbe aspettare. Questo fatto vale sempre: il grafico della funzione inversa è simmetrico di quello della funzione diretta, rispetto alla bisettrice del primo quadrante5 . 5 Lo studente virtuoso può cercare di dimostrarlo.

42

3.5 operazioni

43

Esempio 3.5.7. Sia f la funzione tale che f(x) = x2 , cioè f : R −→ R x 7−→ x2 in questo caso la funzione inversa non esiste; infatti per tornare indietro dopo aver quadrato un numero devo estrarre la radice quadrata, quindi la funzione inversa non può che essere √ x; ma allora si avrebbe: p (f−1 ◦ f)(x) = f−1 (x2 ) = x2 √ ma x2 > 0 mentre se noi partiamo con x < 0 non ritorniamo più nella stessa x; in pratica se x = −2 √ (f−1 ◦ f)(−2) = f−1 (4) = 4 = 2 che non va bene. Peggio ancora se tentiamo di comporre nel senso opposto: (f ◦ f−1 )(x) = √ f( x) ma non possiamo inserire alcun numero negativo nella composizione.

f(x) = x2

y 4

?

?

−2

2

x

L’ultimo esempio suggerisce che ci devono essere delle condizioni affinchè la funzione inversa possa esistere. Il primo problema è che nella funzione 3.5.7 compaiono coppie diverse - per l’esattezza due - con la stessa immagine: {(1, 1), (−1, 1), (2, 4), (−2, 4) . . . } e questo significa che quando torniamo indietro, cioè applichiamo la funzione inversa, abbiamo due numeri da associare a ciascuna immagine; dovremmo formare così le coppie: {(1, 1), (1, −1), (4, 2), (4, −2), . . . } e questo non è possibile per la definizione di funzione. f−1 (x)

f(x) 1

1

−1 −2

1

1

?

−1 4

2

Diamo perciò la seguente: Definizione 3.5.4. Sia f una funzione

−2

?

2

4

3.5 operazioni

f : A −→ B x 7−→ f(x) diciamo che la funzione è iniettiva se x1 6= x2 =⇒ f(x1 ) 6= f(x2 )

∀x1 , x2 ∈ A

La funzione dell’esercizio 3.5.7 non è iniettiva perché ad esempio x1 = 2 e x2 = −2, si ha x1 6= x2 ma f(x1 ) = f(2) = 4 = f(x2 ) = f(−2). La non iniettività non permette di tornare indietro univocamente mediante la funzione inversa e quindi quet’ultima non esiste. L’iniettività non è sufficiente per l’ivertibilità delle funzioni; infatti sempre nell’esempio 3.5.7 in cui il codominio è R, questo dovrebbe diventare dominio della funzione inversa; ma, come abbiamo osservato, l’inversa è la radice quadrata e questa non esiste per x < 0. Il problema è che l’insieme di tutte le immagini f(x), che indichiamo con f(A) (f(R) nel nostro esempio), non ricopre tutto il codominio e quindi, per alcuni valori di f(x) non possiamo tornare indietro. Diamo perciò la seguente: Definizione 3.5.5. Sia f una funzione

f : A −→ B x 7−→ f(x) diciamo che la funzione è suriettiva se f(A) = B in altri termini, se ∀y ∈ B (codominio di f) ∃x ∈ A (dominio di f) tale che y = f(x) Evidentemente la funzione 3.5.7 non è suriettiva mentre la funzione dell’esempio 3.5.6 è iniettiva e suriettiva e questo basta perchè sia invertibile. Mettendo assieme le due cose abbiamo: Definizione 3.5.6. Una una funzione f si dice biiettiva o biunivoca se è iniettiva e suriettiva. Per quanto detto, una funzione biiettiva è invertibile6 Esempio 3.5.8. Sia f la funzione tale che f(x) =

√ x2 + 1, cioè

f : R −→ R p x 7−→ x2 + 1 Il campo di esistenza √ della funzione è R poichè x2 + 1 è sempre positivo. Per calcolare l’immagine scriviamo l’equazione f(x) = x2 + 1, anzi sostituiamo f(x) con y per comodità di scrittura, p y = x2 + 1 Questa equazione ci dice che y non sarà mai negativo, anzi non sarà mai minore di 1 e quindi l’immagine f(R) 6= R e perciò la funzione non è suriettiva. Alla stessa conclusione si arriva osservando che se prendiamo un y ∈ R tale che y < 1 non ci sarà alcun x ∈ R tale che f(x) = y. La funzione non risulta invertibile perchè non biiettiva; però possiamo restringere il codominio in modo che lo sia; ridefiniamo la funzione in questo modo: 6 Questa affermazione andrebbe rigorosamente dimostrata ma ci accontentiamo della evidenza illustrata negli esempi.

44

3.5 operazioni

f : R −→ B p x 7−→ x2 + 1 √ con B = {x ∈ R | x > 1} Cerchiamo ora di risolvere l’equazione y = x2 + 1 rispetto a x; in altre parole cerchiamo i numeri x che hanno come immagine un particolare y. Se ne trovassimo uno solo allora la funzione sarebbe iniettiva; in caso fossero più d’uno non lo sarebbe.

y=

p

x2 + 1

y2 = x2 + 1

x2 = y2 − 1

e quindi x=±

p

y2 − 1

vale a dire x =

p y2 − 1

ex=−

p

y2 − 1

concludiamo che ogni y, cioè f(x), è immagine di due x distinti e quindi la funzione non è iniettiva e perciò non invertibile. Anche in questo caso possiamo modificare la definizione di f per renderla iniettiva, intervenendo, in questo caso, sul dominio: f : R> −→ B p x 7−→ x2 + 1 con B = {x ∈ R | x > 1}. Ricordiamo che con R> intendiamo i numeri reali positivip o nulli (si dice anche non negativi). La funzione diventa iniettiva poichè solo la soluzione x = y2 − 1 è ora accettabile. Quindi la funzione p inversa sarà f−1 (y) = y2 − 1. Dato che quest’ultima è una funzione a tutti gli effetti, possiamo √ cambiare le lettere per indicarla: f−1 (x) = x2 − 1, come già evidenziato nella definizione7 .

Osserviamo che con semplici restrizioni sul dominio e codominio di una funzione è possibile renderla biiettiva e quindi invertibile. Si tenga presente che ciò non è sempre possibile e neanche sempre facile. I motivi per cui le funzioni inverse sono importanti sarà chiarito più avanti quando si risolveranno alcuni particolari tipi di equazioni.

7 Questo punto risulta molto delicato per la comprensione dello studente: sembra infatti che il cambiamento di lettere sia del tutto arbitrario; in effetti lo è.

45

3.5 operazioni

esercizi Esercizio 3.5.1. Verificare che la funzione

f:

x∈R|x>−

1 1 −→ x ∈ R | x > 2 4

x 7−→ x2 + x è biunivoca. Determinarne la funzione inversa, verificando che f−1 ◦ f = I e che f ◦ f−1 = I, dove I è la funzione identica. Esercizio 3.5.2. Date le funzioni reali: f(x) = |2x − 1| g(x) = x2 + 2x 2 h(x) = x − 1 3 discuterne la invertibilità, eventualmente restringendo il dominio e/o il codominio per renderle invertibili. Determinarne le funzioni inverse, verificandone la correttezza e tracciarne il grafico. Esercizio 3.5.3. Date le funzioni :

f(x) = x − 2 g(x) = x2 h(x) = 3x + 2 restringerne il dominio all’insieme degli interi Z e quindi verificare che (f ◦ g) ◦ h = f ◦ (g ◦ h). Esercizio 3.5.4. Date le funzioni reali: f(x) = x3 g(x) = x − 4 determinare e confrontare f ◦ g e g ◦ f. Esercizio 3.5.5. Date le funzioni reali: √ x 1 g(x) = x f(x) =

determinare e confrontare f ◦ g e g ◦ f. Esercizio 3.5.6. Date le funzioni reali: 2x − 1 5 g(x) = x2 f(x) =

della funzione f determinarne l’invertibilità ed eventualmente l’inversa. Determinare e confrontare le funzioni f ◦ g e g ◦ f.

46

3.6 proprietà notevoli

3.6

proprietà notevoli

Definizione 3.6.1. Una funzione f si dice PARI se f(−x) = f(x)

∀x ∈ dominio di f

Esempio 3.6.1. | • | : R −→ R x 7−→ |x| La funzione valore assoluto è una funzione pari, infatti | − x| = |x| ∀x ∈ R y

f(x)

f(x)

x

−x

x

Osserviamo che il grafico di una funzione pari è simmetrico rispetto all’asse y. Definizione 3.6.2. Una funzione f si dice DISPARI se f(−x) = −f(x)

∀x ∈ dominio di f

Esempio 3.6.2. f : R −→ R x 7−→ x3 La funzione eleva al cubo è una funzione dispari, infatti (−x)3 = −x3

∀x ∈ R

y

f(x)

−x

x

x

f(−x) = −f(x)

Osserviamo che il grafico di una funzione dispari è simmetrico rispetto all’origine degli assi. Definizione 3.6.3. Una funzione f si dice crescente nell’insieme I se x1 6 x2 =⇒ f(x1 ) 6 f(x2 )

∀x1 , x2 ∈ I

Definizione 3.6.4. Una funzione f si dice strettamente crescente nell’insieme I se x1 < x2 =⇒ f(x1 ) < f(x2 )

∀x1 , x2 ∈ I

47

3.6 proprietà notevoli

Definizione 3.6.5. Una funzione f si dice decrescente nell’insieme I se x1 6 x2 =⇒ f(x1 ) > f(x2 )

∀x1 , x2 ∈ I

Definizione 3.6.6. Una funzione f si dice strettamente decrescente nell’insieme I se x1 < x2 =⇒ f(x1 ) > f(x2 )

∀x1 , x2 ∈ I

Tutto ciò si vede bene dai grafici: y Strettamente cres. f(x2 )

y Strettamente decr. f(x1 )

f(x1 )

f(x2 )

x1 x2

Crescente

x

x1 x2

y

x

Decrescente

y

f(x2 ) f(x1 )

f(x1 ) f(x2 ) x1

x2 x

x1

x2

x

Definizione 3.6.7. Una funzione f si dice periodica di periodo T se ∀x ∈ dominio di f

f(x + T ) = f(x)

Gli esempi più importanti di funzioni periodiche sono le funzioni goniometriche che si studieranno fra poco e i cui grafici potete osservare qui 3.4 Esempio 3.6.3. Onda quadra di periodo T = 4: f : R −→ R x 7−→ f(x) =

 2

per 4n 6 x < 2 + 4n

−2

per 2 + 4n 6 x < 4(n + 1)

n∈Z

y

3

−6

−3

0

3

−3 T =4

6

x

48

3.6 proprietà notevoli

esercizi Esercizio 3.6.1. Date le funzioni: f(x) = |x − 2| − 2 √  1 − x2 se − 1 < x < 1 g(x) =  2 x −1 se x 6 −1 o x > 1 h(x) = x − 2n

per n < x 6 2n + 1

∀n ∈ Z

1. indicarne il dominio e tracciarne il grafico 2. dal grafico dedurre gli intervalli di crescenza e decrescenza e l’eventuale periodicità 3. analizzare l’eventuale parità/diparità

49

Parte II FUNZIONI TRASCENDENTI

4

FUNZIONI TRASCENDENTI

4.1

introduzione

Le funzioni finora incontrate erano di tipo algebrico, cioè esprimibili attraverso un numero finito di operazioni algebriche su R (addizione, moltiplicazione, divisione, elevamento a potenza ed estrazione di radice). Sono algebriche, per esempio, le seguenti funzioni: f1 (x) = 2x3 − 4x2 + 5 2x + 1 f2 (x) = 2x − 3 √ f3 (x) = x − 2

(polinomiale) (razionale fratta) (irrazionale)

Vogliamo ora introdurre un nuovo tipo di funzioni, non esprimibile come le precedenti, che diremo funzioni trascendenti. Si tratta di funzioni dette esponenziali/logaritmiche e goniometriche. Con la teoria degli sviluppi in serie (somme infinite) vedremo, molto più in là, che anche le funzioni trascendenti si possono esprimere attraverso un numero, però infinito, di operazioni algebriche. Per questo, in generale, il calcolo del valore di tali funzioni in un punto assegnato può avvenire solo per approssimazioni. Vedremo che, per esempio, la funzione che chiameremo esponenziale in base e (numero di Nepero, con il quale prenderemo confidenza fra breve) f(x) = ex è esprimibile attraverso la seguente somma infinita ex = 1 + x +

x2 x3 xn + +...+ +... 2! 3! n!

x∈R

Quindi e ≈ 1+1 = 2 oppure e ≈ 1+1+

1 5 = 2 2

ma anche

1 1 8 + ≈ 2 6 3 e così via, a seconda del grado di precisione voluto. e ≈ 1+1+

4.2 4.2.1

funzioni esponenziali e logaritmiche Potenze ad esponente naturale, intero e razionale

Definizione 4.2.1. Sia a ∈ R ed n ∈ N∗ ; diremo potenza n-esima di base a, e scriveremo an , il prodotto di n fattori uguali ad a: an = a | · a{z. . . a} n volte

e assumeremo che a1 = a. Proprietà:

51

4.2 funzioni esponenziali e logaritmiche

P1 )

an · am = an+m

∀a ∈ R, ∀n, m ∈ N∗

P2 )

an : am = an−m

∀a ∈ R∗ , ∀n, m ∈ N∗ , n > m

P3 )

(an )m = anm

∀a ∈ R, ∀n, m ∈ N∗

P4 )

(an )(bn ) = (ab)n

∀a, b ∈ R, ∀n ∈ N∗

P5 )

(an ) : (bn ) = (a : b)n

∀a, b ∈ R, b 6= 0 ∀n ∈ N∗

Per convenzione si assume che a0 = 1

∀a ∈ R∗

così facendo la convenzione è compatibile con la seconda proprietà nel caso n = m ! Per convenzione si assume che a−n =

1 an

∀a ∈ R∗ , ∀n ∈ N

così facendo si è dato significato alle potenze ad esponente intero e la nuova definizione risulta compatibile con le proprietà su esposte. Per convenzione si assume che √ m n a n = am ∀a ∈ R> , ∀n ∈ N∗ , ∀m ∈ Z così facendo si è dato significato alle potenze con esponente razionale e la nuova definizione risulta compatibile con le proprietà su esposte. Nella pratica la scelta della base potrebbe anche essere meno restrittiva in relazione ai diversi esponenti. Esempio 4.2.1. 02/3 = di 0 !

√ √ 3 3 02 = 0 = 0 mentre 0−1/3 non esiste in R perchè non esiste il reciproco

√ √ 3 Esempio 4.2.2. (−2)1/3 = 3 −2 = − 2 mentre (−2)1/2 non esiste in R essendo negativo il radicando e pari l’indice di radice ! Esempio 4.2.3. La funzione y = x1/2 è definita ∀x ∈ R> mentre y = x1/3 è definita ∀x ∈ R, invece y = x−1/2 è definita ∀x ∈ R> , infine y = x−1/3 è definita ∀x ∈ R∗ .

4.2.2

Potenze ad esponente reale

Teorema 4.2.1 (Teorema di monotonia delle potenze). Le potenze di un numero reale maggiore di 1 crescono al crescere dell’esponente razionale e quelle di un numero reale compreso fra 0 e 1 decrescono al crescere dell’esponente razionale. ar > as ⇔ r > s ar < as ⇔ r > s

∀a ∈ R> , a > 1, ∀r, s ∈ Q ∀a ∈ R> , 0 < a < 1, ∀r, s ∈ Q

Definizione 4.2.2. Sia a ∈ R> e β ∈ R; si definisce potenza ad esponente reale aβ l’elemento di separazione delle 2 classi contigue di numeri A = {ar |r ∈ Q, r 6 β} e B = {as |s ∈ Q, s > β} . A e B sono separate e godono della proprietà dell’avvicinamento indefinito ( perciò ammettono un unico elemento di separazione, aβ , appunto). Valgono anche per le potenze ad esponente reale le consuete proprietà delle potenze ed anche il teorema di monotonia sopra citato.

52

4.2 funzioni esponenziali e logaritmiche

Funzione esponenziale elementare

4.2.3

Definizione 4.2.3. Sia a ∈ R> ; diremo funzione esponenziale la funzione definita ponendo expa : R −→ R x 7−→ y = ax il cui grafico in un sistema di riferimento cartesiano ortogonale risulta: y

y

0

x

0

y

x

0

x

Osserviamo che la funzione è: monotona decrescente

costante

monotona crescente

assume valori positivi

assume valore 1

assume valori positivi

passa per (0, 1)

passa per (0, 1)

asintotica al semiasse

asintotica al semiasse

positivo delle x

negativo delle x

è iniettiva

non è iniettiva

è iniettiva

diventa anche suriettiva

nè suriettiva

diventa anche suriettiva

restringendo il codominio a

R> ,

quindi invertibile

restringendo il codominio a R> , quindi invertibile

osservazione: particolarmente frequente risulta l’uso della funzione esponenziale in base e (detto numero di Nepero ); essendo e ≈ 2.7, la funzione esponenziale che ne risulta è crescente. Analogamente per la base 10, anche questa molto usata. 4.2.4

Funzione logaritmica

Definizione 4.2.4. Sia a ∈ R> , a 6= 1; diremo funzione inversa della funzione esponenziale o funzione logaritmica, la funzione definita ponendo > exp−1 a = loga : R −→ R

x 7−→ y = exp−1 a (x) = loga x il cui grafico in un sistema di riferimento cartesiano ortogonale risulta il simmetrico rispetto alla bisettrice del I e III quadrante dei grafici precedenti: y

y

0 0

x

x

53

4.2 funzioni esponenziali e logaritmiche

osservazione: particolarmente frequente risulta l’uso della funzione logaritmica in base e (detto numero di Nepero ); essendo e ≈ 2.7, la funzione logaritmica che ne risulta è crescente. Analogamente per la base 10, anche questa molto usata. Si conviene di indicare il logaritmo in base e di x con ln x e il logaritmo in base 10 di x con log x. Esempio 4.2.4. log2 8 = 3 poichè, essendo stata definita la funzione logaritmica come inversa di quella esponenziale, log2 8 è l’esponente da assegnare alla base 2 per ottenere l’argomento 8. Quindi deve risultare 23 = 8. Esempio 4.2.5. log3

1 27

= −3

infatti: 3−3 =

1 27 .

Esempio 4.2.6. loga 1 = 0

infatti: a0 = 1, ∀a ∈ R> , a 6= 1.

Esempio 4.2.7. loga a = 1

infatti: a1 = a, ∀a ∈ R> , a 6= 1.

Esempio 4.2.8. log2

√ 3 2=

1 3

1

infatti: 2 3 =

√ 3 2.

Dimostriamo ora alcune proprietà dei logaritmi richiamando alcune proprietà degli esponenziali: L1 )

loga mn = loga m + loga n m loga = loga m − loga n n loga my = y · loga m

L2 ) L3 )

∀a ∈ R> , a 6= 1, ∀n, m ∈ R> ∀a ∈ R> , a 6= 1, ∀n, m ∈ R> ∀a ∈ R> , a 6= 1, ∀m ∈ R> , y ∈ R

L4 )

logaα m = loga m

∀a ∈ R> , a 6= 1, ∀m ∈ R> , α ∈ R∗

L5 )

(loga b) · (logb c) = loga c

∀a, b, c ∈ R> , a, b 6= 1

α

Dim. L1 ) posto loga m = x

si ha

ax = m

posto loga n = y

si ha

ay = n

per la proprietà P1 ) risulta che

m · n = ax · ay = ax+y

quindi

x + y = loga mn

da cui

loga m + loga n = loga mn.

Dim. L2 ) ax = m

posto loga m = x

si ha

posto loga n = y

si ha ay = n m ax = y = ax−y n a m x − y = loga n

per la proprietà P2 ) risulta che quindi da cui

loga m − loga n = loga

m . n

54

4.2 funzioni esponenziali e logaritmiche

Dim. L3 ) posto loga m = x

si ha

ax = m

elevando ambo i membri alla y

si ha

(ax )y = my

per la proprietà P3 ) risulta che

axy = my

quindi

xy = loga my

da cui

y · loga m = loga my .

Dim. L4 ) posto loga m = x

si ha

ax = m

elevando ambo i membri alla α

si ha

(ax )α = mα

per la proprietà P3 ) risulta che

axα = (aα )x = mα

quindi

x = logaα mα

da cui

loga m = logaα mα .

Dim. L5 )

(Formula del cambiamento di base)

posto loga b = x

si ha

ax = b

posto logb c = y

si ha

by = c

per la proprietà P3 ) risulta che

c = by = (ax )y = axy

quindi

xy = loga c

da cui

(loga b) · (logb c) = loga c.

55

4.2 funzioni esponenziali e logaritmiche

4.2.5

Equazioni e disequazioni esponenziali e logaritmiche elementari

Si tratta di risolvere equazioni e disequazioni del tipo ax 6> b

loga x 6> b

ove a ∈ R> , a 6= 1

Vediamo come si risolvono attraverso alcuni esempi. Esercizio 4.2.1. 2x = 4 x

2 =2

esprimiamo 4 come potenza in base 2 2

essendo la funzione esponenziale iniettiva

x=2

Esercizio 4.2.2. 2x > 4 x

2 >2

esprimiamo 4 come potenza in base 2 2

essendo la funzione esponenziale monotona crescente

x>2

Esercizio 4.2.3. 2x < 4 x

2 ( )−3 3 3 x < −3

esprimiamo 27 come potenza in base

1 3

essendo la funzione esponenziale monotona decrescente

Esercizio 4.2.6. 1 ( )x < 27 3 1 1 ( )x < ( )−3 3 3 x > −3

esprimiamo 27 come potenza in base

1 3

essendo la funzione esponenziale monotona decrescente

x

56

4.2 funzioni esponenziali e logaritmiche y (−3, 27)

Dal punto di vista grafico è interessante osservare qual è l’interpretazione geometrica degli esempi fatti (le unità di misura per i due assi sono diverse). Si osserva che l’ascissa del punto P d’intersezione fra le curve di equazione y = ( 13 )x e y = 27 è proprio la soluzione dell’equazione. 0

Esercizio 4.2.7. 2x = 0 2x > 0

non possiamo esprimere 0 come potenza in base 2 ma ∀x

quindi l’equazione è impossibile

Esercizio 4.2.8. 2x = −8 x

2 >0

non possiamo esprimere − 8 come potenza in base 2 ma ∀x

quindi l’equazione è impossibile

Esercizio 4.2.9. 2x < 0 2x > 0

non possiamo esprimere 0 come potenza in base 2 ma ∀x

quindi la disequazione è impossibile

∀x

quindi la disequazione è impossibile

Esercizio 4.2.10. 2x 6 0 2x > 0

non possiamo esprimere 0 come potenza in base 2 ma

Esercizio 4.2.11. 2x > 0 x

2 >0

non possiamo esprimere 0 come potenza in base 2 ma ∀x

quindi la disequazione è sempre verificata

∀x

quindi la disequazione è sempre verificata

Esercizio 4.2.12. 2x > 0 2x > 0

non possiamo esprimere 0 come potenza in base 2 ma

Esercizio 4.2.13. 2x < −8 2x > 0

non possiamo esprimere − 8 come potenza in base 2 ma ∀x

quindi la disequazione è impossibile

Esercizio 4.2.14. 2x 6 −8 x

2 >0

non possiamo esprimere − 8 come potenza in base 2 ma ∀x

quindi la disequazione è impossibile

Esercizio 4.2.15. 2x > −8 x

2 >0

non possiamo esprimere − 8 come potenza in base 2 ma ∀x

quindi la disequazione è sempre verificata

Esercizio 4.2.16. 2x > −8 2x > 0

non possiamo esprimere − 8 come potenza in base 2 ma ∀x

quindi la disequazione è sempre verificata

x

57

4.2 funzioni esponenziali e logaritmiche

Esercizio 4.2.17. 2x = 7 x

2 =2

esprimiamo 7 come potenza in base 2 log2 7

essendo la funzione esponenziale iniettiva

x = log2 7

Esercizio 4.2.18. 2x < 3 x

2 5 3 1 log 1 1 x ( ) >( ) 3 3 3 x < log 1 5

esprimiamo 5 come potenza in base 5

1 3

essendo la funzione esponenziale monotona decrescente

3

Esercizio 4.2.20. e2x − 3ex − 4 6 0 poniamo ex = t ed otteniamo: t2 − 3t − 4 6 0 −1 6 t 6 4 da cui, ritornando alla variabile x, si ha: − 1 6 ex 6 4 ed infine, tenendo conto che ex > 0 per ogni x reale: x 6 ln 4.

Esercizio 4.2.21. C.E.: x > 0

log2 x = 3 log2 x = log2 2

3

avendo espresso 3 come logaritmo in base 2 soluzione accettabile

x=8

Esercizio 4.2.22. C.E.: x > 0

log3 x > −1 log3 x > log3 3

−1

1 x> 3 1 x> 3

avendo espresso − 1 come logaritmo in base 3 confrontando con le condizioni

Esercizio 4.2.23. log 1 x > 0 2

1 log 1 x > log 1 ( )0 2 2 2 x 0 avendo espresso 0 come logaritmo in base ma confrontando con le condizioni 0

risulta

0 0

poniamo ln x = t ed otteniamo: t2 − t − 2 > 0 t 6 −1, t > 2 da cui, ritornando alla variabile x, si ha: ln x 6 −1, ln x > 2 ed infine, intersecando con le condizioni di esistenza: 0 < x 6 e−1 , x > e2 .

4.3

funzioni goniometriche

π 2 2π 3

π 3



3 2

3π 4

π 4



2 2

5π 6

π 6

1 2





− π





2 2

2 2

− 21

3 2

− 5π 6

− 12





0

3 2

− π6



2 2



− 3π 4



1 2

− π4

3 2

− π3

− 2π 3 − π2

1

4.3.1

Introduzione alla goniometria

l3

Consideriamo le circonferenze concentriche in O di raggio ri > 0 ; l’angolo al centro α individua su ciascuna gli archi li .

l2 O

α r1

l1 r2

r3

Dalla geometria elementare sappiamo che gli insiemi 1 Figura trovata all’indirizzo: http://melusine.eu.org/syracuse/metapost/cours/gosse/trigo.html

59

4.3 funzioni goniometriche

R = {r1 , r2 , r3 , ...} e L = {l1 , l2 , l3 , ...} sono 2 classi di grandezze direttamente proporzionali. Pertanto si ha che: l1 : r1 = l2 : r2 = l3 : r3 = ... tale rapporto è costante ed origina la seguente Definizione 4.3.1. diremo misura in radianti di un angolo al centro di una circonferenza il rapporto (costante) fra l’arco da esso individuato e il raggio. α=

l r

osservazione: la misura in radianti, essendo rapporto di grandezze omogenee, risulta un numero puro. Determiniamo ora la misura in radianti di alcuni angoli notevoli. Dalla geometria elementare sappiamo che la lunghezza della circonferenza di raggio r è C = 2πr L’angolo giro, angolo al centro corrispondente a tale arco, misura in radianti l 2πr = = 2π r r Si ricavano quindi facilmente le misure in radianti dell’angolo piatto l πr = =π r r dell’angolo retto π r l π = 2 = r r 2 e, in generale, mediante la proporzione

α ÷ π = α◦ ÷ 180◦ si può ricavare la misura in radianti di un angolo, nota quella in gradi, o viceversa. osservazione: dalla teoria della misura è noto che il rapporto fra 2 grandezze omogenee è uguale al rapporto fra le relative misure rispetto a qualunque unità di misura A mis(A) = B mis(B)

60

4.3 funzioni goniometriche

α◦

α

0◦

0

30◦

π/6

45◦

π/4

60◦

π/3

90◦

π/2

120◦

2π/3

135◦

3π/4

150◦

5π/6

180◦

π

...

...

61

Dalle osservazioni fatte fin qui, non è restrittivo limitarsi a lavorare con la circonferenza di raggio r = 1. y

B(0, 1)

Definizione 4.3.2. Diremo circonferenza goniometrica la circonferenza di raggio unitario con centro nell’origine O di un sistema di riferimento cartesiano Oxy.

A0 (−1, 0)

A(1, 0) x

O

B 0 (0, −1)

Osservazione 4.3.1. Poichè α = rl , lavorando con la circonferenza goniometrica, angolo e arco hanno la stessa misura. Per posizionare un angolo α, misurato in radianti, al centro della circonferenza goniometrica, abbiamo bisogno di alcune convenzioni: 1. il primo lato dell’angolo coincide con il semiasse positivo delle x; 2. assumiamo come verso di percorrenza positivo degli archi quello antiorario. y

A è origine degli archi α=

π 6

π β= 4

B

A0

+

α β

O

B0

A

x



Detto P il punto di intersezione fra il secondo lato dell’angolo α e la circonferenza goniometrica, diamo le seguenti definizioni. y

Definizione 4.3.3. Diremo seno di un angolo α (al centro della circonferenza goniometrica), misurato in radianti, l’ordinata del punto P.

B P (cos α, sin α) A0

Definizione 4.3.4. Diremo coseno di un angolo α (al centro della circonferenza goniometrica), misurato in radianti, l’ascissa del punto P.

A

α O

H

B0

x

4.3 funzioni goniometriche

Teorema 4.3.1. Prima relazione fondamentale della goniometria sin2 α + cos2 α = 1,

∀α

Dimostrazione. Applichiamo il Teorema di Pitagora al triangolo rettangolo OPH: OH2 + PH2 = OP2 da cui la tesi. 4.3.2

Richiami geometrici

Ricordiamo alcune classiche applicazioni del Teorema di Pitagora. Consideriamo il triangolo rettangolo isoscele: P ∼P ∼ π/4 b= b= O ∼ π/2 b= H O

OP = 1

H

√ OP = OH 2 Consideriamo il triangolo rettangolo semi-equilatero: ∼ π/3 b= O P ∼ π/6 b= P ∼ π/2 b= H O

OP = 1

H

√ PH = OH 3 Consideriamo il triangolo rettangolo semi-equilatero: ∼ π/6 b= O ∼ π/3 b= P

P

∼ π/2 b= H O

H

OP = 1

√ OH = PH 3 Se i triangoli sopra considerati vengono ora riferiti alla circonferenza goniometrica in modo che OH si sovrapponga al semiasse positivo delle x e OP coincida con un suo raggio, si ottiene facilmente la seguente tabella di valori delle funzioni goniometriche seno e coseno di angoli notevoli: α

sin α

cos α

0

0

π/6 π/3

1/2 √ 2/2 √ 3/2

1 √ 3/2 √ 2/2

π/2

1

π/4

1/2 0

62

4.3 funzioni goniometriche

osservazione: sin(α + 2kπ) = sin α,

k∈Z

poichè il punto P di riferimento è lo stesso. Analogamente sarà: cos(α + 2kπ) = cos α,

k∈Z

Questa relazione ci consente di osservare che seno e coseno sono funzioni dell’angolo α, definite come segue: sin : R −→ R

cos : R −→ R

x 7−→ y = sin x

x 7−→ y = cos x

ove si è inteso essere x la misura in radianti dell’angolo x; diremo pertanto che tali funzioni godono della proprietà di periodicità con periodo T = 2π, esssendo questo il minimo dell’insieme {2kπ, k ∈ N∗ }. 4.3.3

Archi associati (per seno e coseno)

In questa sezione, mostreremo come il calcolo delle funzioni goniometriche seno e coseno di particolari archi sia riconducibile a conoscenze geometriche elementari. y

B

Consideriamo un angolo α e il punto P1 ad esso associato, il suo supplementare π − α associato a P2 , l’angolo π + α associato a P3 e l’esplementare di α associato a P4 .

P2

P1

A0

A

x

O P3

P4 B0

Dal grafico si deduce facilmente che: sin α = sin(π − α) = − sin(π + α) = − sin(−α) = − sin(2π − α) cos α = − cos(π − α) = − cos(π + α) = cos(−α) = cos(2π − α) y B

Consideriamo ora un angolo α e il punto P ad esso associato, il suo complementare π/2 − α associato a Q.

Q P

A0 O

A α K H

B0

Osserviamo che i triangoli OPH e OQK sono congruenti: ∼ OQ (raggi stessa circonferenza) 1. OP = ∼ OKQ ∼ π/2 b = b = 2. OHP ∼ OQK ∼α b = b = 3. HOP

x

63

4.3 funzioni goniometriche

Si deduce quindi che: sin(π/2 − α) = cos α cos(π/2 − α) = sin α Ciò giustifica il nome dato alla funzione goniometrica coseno che dal latino significa complementi sinus ( cioè seno del complementare). osservazione: sin(−α) = − sin α cos(−α) = cos α Queste proprietà ci consentono di concludere che le funzioni seno e coseno sono rispettivamente dispari e pari. Esamiamo ora i grafici delle funzioni seno e coseno detti rispettivamente sinusoide e cosinusoide. La periodicità delle funzioni ci permette di rappresentarle in un qualunque intervallo di ampiezza 2π e la loro simmetria ci suggerisce di scegliere [−π, π]. Grafici sinusoide e cosinusoide y

y

1

−π

1

π x

O

−π

π x

O

−1

−1

Detti P il punto di intersezione fra il secondo lato dell’angolo α e la circonferenza goniometrica, Q il punto di intersezione fra il secondo lato dell’angolo α o il suo prolungamento e la retta tangente alla circonferenza goniometrica nel punto A di coordinate (1, 0), R il punto di intersezione fra il secondo lato dell’angolo α o il suo prolungamento e la retta tangente alla circonferenza goniometrica nel punto B di coordinate (0, 1), diamo le seguenti definizioni. y

Definizione 4.3.5. Diremo tangente di un angolo α (al centro della circonferenza goniometrica), misurato in radianti, l’ordinata del punto Q.

B

s

P A0

Definizione 4.3.6. Diremo cotangente di un angolo α (al centro della circonferenza goniometrica), misurato in radianti, l’ascissa del punto R.

α O

P(cos α, sin α) Q(1, tan α) R(cot α, 1) Teorema 4.3.2 (Seconda relazione fondamentale della goniometria). tan α =

sin α , cos α

∀α 6=

R

π + kπ, k ∈ Z 2

H

B0

Q A

x

64

4.3 funzioni goniometriche

Dimostrazione. Consideriamo i triangoli rettangoli OHP e OAQ; essi sono simili: ∼ OAQ ∼ b = b = 1. OHP

π 2

∼ QOA ∼α b = b = 2. POH ∼ OQA ∼ b = b = 3. OPH

π 2

−α

pertanto i lati corrispondenti sono in proporzione: PH : OH = QA : OA da cui facilmente si ricava la tesi.

Teorema 4.3.3 (Terza relazione fondamentale della goniometria). cot α =

cos α , sin α

∀α 6= kπ, k ∈ Z

Dimostrazione. La dimostrazione è del tutto analoga alla precedente. osservazione:

dalle suddette relazioni si deduce che: tan α · cot α = 1,

π ∀α 6= k , k ∈ Z 2

α

sin α

cos α

tan α

cot α

0

0

π/6

0 √ 3/3

non esiste √ 3

π/3

1/2 √ 2/2 √ 3/2

1 √ 3/2 √ 2/2 1/2

1 √ 3

1 √ 3/3

π/2

1

0

non esiste

0

π/4

osservazione: tan(α + kπ) = tan α,

k∈Z

poichè il punto P di riferimento è lo stesso. Analogamente sarà: cot(α + kπ) = cot α,

k∈Z

Questa relazione ci consente di osservare che tangente e cotangente sono funzioni dell’angolo α, definite come segue: π tan : R r {k , k ∈ Z} −→ R 2 x 7−→ y = tan x cot : R r {kπ, k ∈ Z} −→ R x 7−→ y = cot x ove si è inteso essere x la misura in radianti dell’angolo x; diremo pertanto che tali funzioni godono della proprietà di periodicità con periodo T = π, esssendo questo il minimo dell’insieme {kπ, k ∈ N∗ }.

65

4.3 funzioni goniometriche

4.3.4

Archi associati (per tangente e cotangente)

In questa sezione, mostreremo come il calcolo delle funzioni goniometriche tangente e cotangente di particolari archi sia riconducibile a conoscenze geometriche e goniometriche elementari. Dalle relazioni fondamentali e dalle considerazioni sugli archi associati fatte su seno e coseno, si deduce facilmente che: tan α = − tan(π − α) = tan(π + α) = − tan(−α) = − tan(2π − α) cot α = − cot(π − α) = cot(π + α) = − cot(−α) = − cot(2π − α) Allo stesso modo, dalle relazioni fondamentali e dalle considerazioni sugli archi complementari fatte su seno e coseno, si deduce facilmente che: tan(π/2 − α) = cot α cot(π/2 − α) = tan α Ciò giustifica il nome dato alla funzione goniometrica cotangente che dal latino significa complementi tangens ( cioè tangente del complementare). osservazione: tan(−α) = − tan α cot(−α) = − cot α Queste proprietà ci consentono di concludere che le funzioni tangente e cotangente sono dispari. Esamiamo ora i grafici delle funzioni tangente e cotangente detti rispettivamente tangentoide e cotangentoide. La periodicità delle funzioni ci permette di rappresentarle in un qualunque intervallo di ampiezza π e la loro simmetria ci π suggerisce di scegliere [− π 2 , 2 ]. 4.3.5

Funzioni inverse

In questa sezione, renderemo biiettive le funzioni goniometriche e definiremo le loro inverse. Consideriamo quindi la seguente restrizione della funzione y = sin x. sin : [−π/2, π/2] −→ [−1, 1] x 7−→ y = sin x La funzione goniometrica y = sin x con le restrizioni operate sul dominio e sul codominio risulta biiettiva e quindi invertibile. Notiamo che essa è anche monotona crescente. y

Definizione 4.3.7. Diremo funzione inversa della funzione goniometrica y = sin x o funzione arcoseno, la funzione così definita

y=x

O

arcsin : [−1, 1] −→ [−π/2, π/2] x 7−→ y = arcsin x

Consideriamo quindi la seguente restrizione della funzione y = cos x. cos : [0, π] −→ [−1, 1] x 7−→ y = cos x

x

66

4.3 funzioni goniometriche

La funzione goniometrica y = cos x con le restrizioni operate sul dominio e sul codominio risulta biiettiva e quindi invertibile. Notiamo che essa è anche monotona decrescente. y

Definizione 4.3.8. Diremo funzione inversa della funzione goniometrica y = cos x o funzione arcocoseno, la funzione così definita

y=x

x

O

arccos : [−1, 1] −→ [0, π] x 7−→ y = arc cos x

Consideriamo quindi la seguente restrizione della funzione y = tan x. tan : ] − π/2, π/2[−→ R x 7−→ y = tan x La funzione goniometrica y = tan x con le restrizioni operate sul dominio e sul codominio risulta biiettiva e quindi invertibile. Notiamo che essa è anche monotona crescente. y

Definizione 4.3.9. Diremo funzione inversa della funzione goniometrica y = tan x o funzione arcotangente, la funzione così definita

π 2

y=x

x

O

arctan : R −→] − π/2, π/2[ x 7−→ y = arctan x

− π2

Consideriamo quindi la seguente restrizione della funzione y = cot x. cot : ]0, π[−→ R x 7−→ y = cot x La funzione goniometrica y = cot x con le restrizioni operate sul dominio e sul codominio risulta biiettiva e quindi invertibile. Notiamo che essa è anche monotona decrescente. y

Definizione 4.3.10. Diremo funzione inversa della funzione goniometrica y = cot x o funzione arcocotangente, la funzione così definita

π

π 2

arccot : R −→]0, π[ x 7−→ y = arccot x

4.3.6

0 x

Equazioni e disequazioni goniometriche elementari

Sono del tipo sin x 6> b e cos x 6> b. Per la loro risoluzione si proceda come negli esempi seguenti. 1 2 Riferiamoci alla circonferenza goniometrica come in figura

Esercizio 4.3.1. sin x =

67

4.3 funzioni goniometriche

y B π + 2kπ 6 5π x= + 2kπ 6 x=

1 2

5π 6

π 6

A0

A O

x

B0 1 2 Riferiamoci alla circonferenza goniometrica come in figura

Esercizio 4.3.2. sin x >

y B 5π 6

π 5π + 2kπ < x < + 2kπ 6 6

1 2

π 6

A0

A O

x

B0 1 2 Riferiamoci alla circonferenza goniometrica come in figura

Esercizio 4.3.3. sin x <

y B 5π 13π + 2kπ < x < + 2kπ 6 6 oppure:

5π 6

1 2

π 6

A0

A O

−7π π + 2kπ < x < + 2kπ 6 6

x

B0

la soluzione di una disequazione goniometrica è generalmente un’unione di intervalli limitati; la periodicità della funzione consente una scrittura sintetica mediante la scelta di uno qualunque di questi intervalli. √ 2 Esercizio 4.3.4. sin 2x = 2 Riferiamoci alla circonferenza goniometrica come in figura

osservazione:

y π + 2kπ, 4 3π 2x = + 2kπ, 4 2x =

cioè π x= + kπ, 8 3π + kπ x= 8

B

3π 4



π 4

2 2

A0

A O

B0

x

68

4.3 funzioni goniometriche

ove si intende che k ∈ Z (di seguito intenderemo senz’altro sottintesa tale posizione). √ π 3 Esercizio 4.3.5. sin(2x + ) = 3 2 Riferiamoci alla circonferenza goniometrica come in figura

y π π = + 2kπ, 3 3 π 2π 2x + = + 2kπ, 3 3 2x +

B

2π 3



π 3

3 2

A0

cioè

A O

x = kπ, π + kπ x= 6

x

B0

Esercizio 4.3.6. 2 sin2 x − sin x − 1 > 0 poniamo 2t2 − t − 1 > 0

sin x = t le soluzioni dell’equazione associata sono: t1 = −

1 2

e

t2 = 1

quindi la disequazione è verificata per: 1 t6− ; 2

t>1

per la posizione fatta 1 sin x 6 − ; 2 ovvero, vista la definizione di seno di un angolo 1 sin x 6 − ; 2

sin x > 1

sin x = 1

Riferiamoci alla circonferenza goniometrica come in figura

y B 7π 11π + 2kπ 6 x 6 + 2kπ 6 6 π x= + 2kπ 2

A0

A O

7π 6

− 12

B0 Esercizio 4.3.7. 2 cos2 x − cos x − 1 < 0 poniamo 2t2 − t − 1 < 0

cos x = t le soluzioni dell’equazione associata sono: t1 = −

1 2

e t2 = 1

quindi la disequazione è verificata per: −

1 0 1 2 cos x > 0

sin x > −

A0

A O

7π 6

− 12

x

11π 6

B0 le soluzioni sono: π π − + 2kπ 6 x < + 2kπ. 6 2 7π 3π + 2kπ 6 x < + 2kπ. 6 2  2 sin x + 1 > 0 Esercizio 4.3.9. cos x > 0 Riferiamoci alla circonferenza goniometrica come in figura e risolviamo separatamente le 2 disequazioni riportandone le soluzioni in un grafico di sistema

y B

2 sin x + 1 > 0 1 2 cos x > 0

sin x > −

A0

A O

7π 6

− 12

B0 le soluzioni sono:



π π + 2kπ 6 x < + 2kπ. 6 2

11π 6

x

70

4.3 funzioni goniometriche

Formule goniometriche

4.3.7

Dimostreremo di seguito alcune formule di particolare rilevanza per le molteplici applicazioni all’interno di equazioni e disequazioni goniometriche. Formule di addizione e sottrazione

4.3.8

1.

cos(α − β) = cos α cos β + sin α sin β

∀α, β ∈ R

2.

cos(α + β) = cos α cos β − sin α sin β

∀α, β ∈ R

3.

sin(α − β) = sin α cos β − sin β cos α

∀α, β ∈ R

4.

sin(α + β) = sin α cos β + sin β cos α

∀α, β ∈ R

Dim. (1.) Riferiamoci alla circonferenza goniometrica come in figura y B

R Q

α β

P α−β A

A0 O

A(1, 0) P(cos(α − β), sin(α − β)) x

Q(cos α, sin α) R(cos β, sin β)

B0

da considerazioni di geometria elementare si deduce che d(A, P) = d(Q, R) e ricordando la formula della distanza fra 2 punti del piano si ottiene: q q (cos(α − β) − 1)2 + sin2 (α − β) = (cos α − cos β)2 + (sin α − sin β)2 da cui cos2 (α − β) − 2 cos(α − β) + 1 + sin2 (α − β) = = cos2 α − 2 cos α cos β + cos2 β + sin2 α − 2 sin α sin β + sin2 β

cos2 (α − β) + sin2 (α − β) +1 − 2 cos(α − β) = | {z } 1 2

= |cos α {z + sin2 α} + cos2 β + sin2 β −2 cos α cos β − 2 sin α sin β | {z } 1

avendo usato la

1

1a

relazione fondamentale e semplificando

−2 cos(α − β) = −2 cos α cos β − 2 sin α sin β infine dividendo per −2 ambo i membri si ottiene la tesi, ovvero cos(α − β) = cos α cos β + sin α sin β

71

4.3 funzioni goniometriche

Dim. (2.) cos(α + β) = cos(α − (−β)) = = cos α cos(−β) + sin α sin(−β) = = cos α cos β − sin α sin β avendo usato la formula precedente, la parità della funzione coseno e la disparità della funzione seno. Dim. (3.) sin(α − β) = cos(π/2 − (α − β)) = cos((π/2 − α) + β) = = cos(π/2 − α) cos β − sin(π/2 − α) sin β = = sin α cos β − cos α sin β avendo usato le formule precedenti e le proprietà delle funzioni coseno e seno. Dim. (4.) sin(α + β) = cos(π/2 − (α + β)) = cos((π/2 − α) − β) = = cos(π/2 − α) cos β + sin(π/2 − α) sin β = = sin α cos β + cos α sin β avendo usato le formule precedenti e le proprietà delle funzioni coseno e seno. osservazione: le formule relative alle funzioni tangente e cotangente si ricavano usando le relazioni fondamentali: sin(α − β) sin α cos β − sin β cos α = = cos(α − β) cos α cos β + sin α sin β tan α − tan β , α, β, α − β 6= π/2 + kπ = 1 + tan α tan β

tan(α − β) =

avendo opportunamente diviso numeratore e denominatore per cos α cos β e posto le necessarie condizioni di esistenza. Analogamente si ricavano tutte le altre. Esercizio 4.3.10.

√ 3 sin x − cos x > 1

√ π 3 = tan e sostituiamo quindi nella disequazione: 3 π tan sin x − cos x > 1 3 π sin 3 π sin x − cos x > 1 cos 3 π 1 moltiplichiamo ambo i membri per cos = e otteniamo: 3 2 π 1 π sin x sin − cos x cos > 3 3 2 moltiplichiamo ambo i membri per −1 e utilizziamo la formula di addizione per il coseno: osserviamo che

π 1 ) 0 utilizziamo la 2a formula di prostaferesi e otteniamo: 2 cos 2x sin x > 0 come visto precedentemente, ci riferiamo alla circonferenza goniometrica come in figura e studiamo il segno dei fattori riportandolo in un grafico di segno:

75

4.3 funzioni goniometriche

y B cos 2x > 0 π π − + 2kπ 6 2x 6 + 2kπ 2 2 π π − + kπ 6 x 6 + kπ 4 4 sin x > 0

A0

A O

x

B0 le soluzioni sono: 2kπ < x <

π 3π 5π 7π + 2kπ; + 2kπ < x < π + 2kπ; + 2kπ < x < + 2kπ. 4 4 4 4

4.3.12 Formule di Werner Sono le formule inverse delle precedenti. 1.

sin α cos β = 1/2(sin(α + β) + sin(α − β))

∀α, β ∈ R

2.

cos α cos β = 1/2(cos(α + β) + cos(α − β))

∀α, β ∈ R

3.

sin α sin β = −1/2(cos(α + β) − cos(α − β))

∀α, β ∈ R

Dim. (1.2.3.) Si applicano le formule di prostaferesi al secondo membro. Si farà uso di tali formule prevalentemente nel calcolo integrale.

4.3.13 Formule razionali in tangente

2 tan 1.

2.

sin α =

α 2

α 2 α 2 1 − tan 2 cos α = α 1 + tan2 2 1 + tan2

∀α 6= π + 2kπ

∀α 6= π + 2kπ

Dim. (1.) α α cos 2 2 α α α α α 2 2 sin cos 2 sin cos cos α 2 2 = 2 2 = 2 sin α = sin 2 = α α α = 2 2 2 α 2 1 sin + cos sin + cos2 2 2 2 2 α cos2 2 2 sin

76

4.3 funzioni goniometriche

α α cos 2 2 α α 2 tan cos2 2 2 α = α 2 α 2 2 cos sin tan +1 2 + 2 2 α α cos2 cos2 2 2 2 sin

che è la tesi, con le dovute condizioni di esistenza.

Dim. (2.)

α − sin2 2 α α α α α cos2 − sin2 cos2 − sin2 cos2 α 2 2 = 2 2 2 cos α = cos 2 = α α α = 2 1 sin2 + cos2 sin2 + cos2 2 2 2 α cos2 2 α α cos2 cos2 2 2 α − α 2 α 2 cos sin 1 − tan2 2 2 = 2 α α 2 α 2 2 sin tan cos +1 2 + 2 2 α α cos2 cos2 2 2 cos2

α 2 α = 2

che è la tesi, con le dovute condizioni di esistenza.

Esercizio 4.3.14.

√ 3 sin x − cos x > 1

utilizziamo le formule razionali in tan stesse, otteniamo:

x e, sotto la condizione x 6= π + 2kπ cui è vincolato l’uso delle 2

x x 2 tan 1 − tan2 √ 2 2 3 x − x >1 1 + tan2 1 + tan2 2 2 x moltiplicando ambo i membri per 1 + tan2 si ha: 2 √ x x x 2 3 tan − 1 + tan2 > 1 + tan2 2 2 2 semplificando e razionalizzando otteniamo: tan

x 1 > √ 2 3

Riferiamoci ora alla circonferenza goniometrica come in figura

y π 2

t B

π x π + kπ < < + kπ 6 2 2 da cui

π 6

A0 π + 2kπ < x < π + 2kπ 3

A O

7π 6

3π 2

B0

x

77

4.3 funzioni goniometriche

non rimane ora che controllare se le condizioni aggiuntive poste per poter utilizzare le formule razionali costituiscono delle soluzioni. Sostituendo x = π + 2kπ nella disequazione data, si ottiene: 0 + 1 > 1 che è evidentemente assurda. Pertanto le soluzioni sono: π + 2kπ < x < π + 2kπ 3 che coincidono con quelle trovate utilizzando le formule di addizione. Proponiamo ora, per lo stesso esercizio, una ulteriore strategia risolutiva che richiede conoscenze elementari di geometria analitica. √ 3 sin x − cos x > 1 la disequazione risulta equivalente al sistema:  √ 3 sin x − cos x > 1 sin2 x + cos2 x = 1 ponendo sin x = Y e cos x = X e sostituendo nel sistema si ha:  √ 3Y − X > 1 Y 2 + X2 = 1 Riferiamoci ora alla circonferenza goniometrica come in figura I punti della circonferenza di equazione Y 2 + X2 = 1 comuni al √ semipiano di equazione 3Y − X > 1 sono tutti e soli quelli dell’arco PQ non passante per A; essendo infine i punti P e π Q associati agli angoli e π 3 rispettivamente, le soluzioni sono: π + 2kπ < x < π + 2kπ. 3

y √



3Y − X > 1 √ P ( 12 , 23 )

Q(−1, 0) O

A(1, 0) x

3Y − X = 1

78

4.3 funzioni goniometriche

4.3.14 Esercizi riassuntivi proposti 1 1 = 1−2x 51−2x 25

[x = 21 ]

1)

2−

2)

log2 log 1 (x − 3) > 0

[3 < x < 72 ]

3)

16 − 8x + x2 √ 60 3x − 3

[x < 21 , x = 4]

4)

2x+2 − 2x+1 − 2x − 2x−1 − 2x−2 = 1

[x = 2]

5)

log2

6)

9x − 4 · 3x + 3 >0 log 1 |x|

2

1+x +1 < 0 1−x

[−1 < x < − 13 ]

[−1 < x < 0]

3

7)

8) 9)

√   9−x2 1 < 32 2

[−3 6 x 6 3]

√   9−x2 1 < 32 2 2 3x − 81 < 0

[−3 6 x 6 3] [ 12 < x < 32 ]

1 − log2 (2x − 1) > 0 10)

log3 (x − 2) − log3 x + 1 < log3 (4 − x)

[2 < x < 3]

11)

2 log 1 (x + 2) 6 log 1 (4x + 7)

√ √ [− 47 < x 6 − 3, x > 3]

2

2

1 2

12)

log4 |x| · log|x| (x2 + 1) =

13)

1 + 2 log9 x2 6 log3 (x + 1) − log 1 (x + 2)

[− 21 6 x 6 2 ma x 6= 0]

14)

ln x − 2 logx e = 1

[x = e2 , x = 1e ]

15)

log2 (5x − x2 ) − 2

[{}]

3

x

3 x2 −4

>0

[1 6 x 6 4 ma x 6= 2]

16)

logx (2x − 1) > 1

[x >

1 2

17)

sin 5x − 1 = 0

[x =

π 10

18)

 √3 cos −x < 6 2

[− 5π 3 + 2kπ < x < 2kπ]

19)

√ 3 tan2 x − 2 3 tan x − 3 = 0

[x = − π 6 + kπ, x =

20)

sin 2x = 2 cos x

[x =



π 2

ma x 6= 1] +

2kπ 5 ]

+ kπ]

π 3

+ kπ]

79

4.3 funzioni goniometriche

21)

1 − 2 sin x 60 tan x − 1

22)

log √2 sin x > 1 2

π 5π [π 4 + 2kπ < x < 2 + 2kπ, 6 + 2kπ 6 5π π x < 4 + 2kπ, − 2 + 2kπ < x 6 π 6 + 2kπ]

[2kπ < x < 2kπ]

23)

sin 3x + sin x >0 2 sin2 x cos x

[kπ < x <

20)

2 sin x = sin 2x

[x = kπ]

21)

1 − 2 cos x 60 tan x

22)

log √3 cos x > 1 2

π 2

π 3π 4, 4

+ 2kπ < x < π +

+ kπ]

π [2kπ < x 66 π 3 + 2kπ, 2 + 2kπ < x < 5π π + 2kπ, 3π 2 + 2kπ < x 6 3 + 2kπ]

[π 6 + 2kπ < x < x < 11π 6 + 2kπ]

23)

cos2 x − sin2 x 0 y = |2x + 2| = −2x − 2 se 2x + 2 < 0 ossia y = |2x + 2| =

 2x + 2 −2x − 2

se

x > −1

se x < −1

Si tratta, quindi, di 2 semirette che possiamo disegnare utilizzando i grafici del precedente esercizio. y

y = −2x − 2

y = 2x + 2

1

B

x = −1

O

1

x

104

8.1 simmetrie

Il grafico della funzione assegnata è costituito dalle 2 semirette a tratto continuo. Osservazione 8.1.5. Dall’esempio proposto deduciamo che sarebbe bastato disegnare il grafico della funzione senza modulo, ossia y = 2x + 2, eliminare la parte di grafico collocata sotto l’asse delle x e sostituirla con la sua simmetrica rispetto allo stesso asse. y

y = |2x + 2|

1

B

O

x

1

2. Passiamo alla seconda parte dell’esercizio.  2x + 2 se x > 0 y = 2|x| + 2 = −2x + 2 se x < 0 Si tratta, quindi, di 2 semirette che possiamo disegnare utilizzando i grafici del precedente esercizio. y = −2x + 2

y

y = 2x + 2

A 1

O

1

x

Il grafico della funzione assegnata è costituito dalle 2 semirette a tratto continuo. Osservazione 8.1.6. Dall’esempio proposto deduciamo che sarebbe bastato disegnare il grafico della funzione senza modulo, ossia y = 2x + 2, eliminare la parte di grafico collocata a sinistra dell’asse delle y e simmetrizzare la parte restante rispetto all’asse delle y.

105

8.2 traslazioni y

y = 2|x| + 2

A 1

O

8.2

x

1

traslazioni

Sia P(x, y) un generico punto del piano; se operiamo una traslazione orizzontale otteniamo P1 (x + a, y); se operiamo una traslazione verticale otteniamo P2 (x, y + b); se operiamo una traslazione sia orizzontale che verticale otteniamo P3 (x + a, y + b). y

P2

P3

x

O P

P1

Osserviamo che se a > 0 la traslazione orizzontale è verso destra, se a < 0 la traslazione orizzontale è verso sinistra; se b > 0 la traslazione verticale è verso l’alto, se b < 0 la traslazione verticale è verso il basso. Esempio 8.2.1. Data la retta r di equazione y = 2x + 2 scrivere le equazioni della retta traslata verso destra di 2, di quella traslata verso il basso di 1 e di quella traslata sia verso destra di 2 che verso il basso di 1. 1. Dapprima rappresentiamo graficamente la retta data e quella traslata verso destra di 2. Determiniamo due punti di r, sostituendo alla variabile indipendente x due valori qualunque e ricavando i corrispondenti valori della variabile dipendente y: x

y

0

2

−1

0

Detti, rispettivamente, A e B tali punti di r, determiniamo i punti traslati verso destra di 2: x

y

2

2

1

0

Chiamiamo A1 e B1 tali punti.

106

8.2 traslazioni y = 2x + 2 y

A1

A 1 B1

B O

La retta passante per A1 e B1 ha equazione y−2 x−2 = 0−2 1−2 quindi l’equazione richiesta è y = 2x − 2.

1

x

x − xA1 y − yA 1 = ovvero y B 1 − yA 1 xB1 − xA1

Osservazione 8.2.1. Dall’esempio proposto deduciamo che sarebbe bastato sostituire x con x − 2 nell’equazione della retta r per ottenere l’equazione della retta cercata. Infatti dall’equazione y = 2x + 2, sostituendo x con x − 2, si ottiene y = 2(x − 2) + 2, da cui y = 2x − 4 + 2 ed infine y = 2x − 2. 2. Dapprima rappresentiamo graficamente la retta data e quella traslata verso il basso di 1. Determiniamo due punti di r, sostituendo alla variabile indipendente x due valori qualunque e ricavando i corrispondenti valori della variabile dipendente y: x

y

0

2

−1

0

Detti, rispettivamente, A e B tali punti di r, determiniamo i punti traslati verso il basso di 1: x

y

0

1

−1

−1

Chiamiamo A1 e B1 tali punti.

107

8.2 traslazioni y = 2x + 2 y

A 1

A1

B O

1

x

B1

La retta passante per A1 e B1 ha equazione y−1 x−0 = −1 − 1 −1 − 0 quindi l’equazione richiesta è y = 2x + 1.

x − xA1 y − yA 1 = ovvero y B 1 − yA 1 xB1 − xA1

Osservazione 8.2.2. Dall’esempio proposto deduciamo che sarebbe bastato sostituire y con y + 1 nell’equazione della retta r per ottenere l’equazione della retta cercata. Infatti dall’equazione y = 2x + 2, sostituendo y con y + 1, si ottiene y + 1 = 2x + 2, da cui y = 2x + 2 − 1 ed infine y = 2x + 1. 3. Dapprima rappresentiamo graficamente la retta data e quella traslata verso destra di 2 e verso il basso di 1. Determiniamo due punti di r, sostituendo alla variabile indipendente x due valori qualunque e ricavando i corrispondenti valori della variabile dipendente y: x

y

0

2

−1

0

Detti, rispettivamente, A e B tali punti di r, determiniamo i punti traslati verso destra di 2 e verso il basso di 1: x

y

2

1

1

−1

Chiamiamo A1 e B1 tali punti.

108

8.3 cambio di scala y = 2x + 2 y

A A1

1 B O

x

1 B1

La retta passante per A1 e B1 ha equazione y−1 x−2 = −1 − 1 1−2 quindi l’equazione richiesta è y = 2x − 3.

x − xA1 y − yA 1 = ovvero y B 1 − yA 1 xB1 − xA1

Osservazione 8.2.3. Dall’esempio proposto deduciamo che sarebbe bastato sostituire x con x − 2 e y con y + 1 nell’equazione della retta r per ottenere l’equazione della retta cercata. Infatti dall’equazione y = 2x + 2, sostituendo x con x − 2 e y con y + 1, si ottiene y + 1 = 2(x − 2) + 2, da cui y = 2x − 4 + 2 − 1 ed infine y = 2x − 3. Osservazione 8.2.4. In generale vale la seguente regola pratica: dati i numeri reali a e b, 1. per ottenere una traslazione orizzontale di a basta sostituire x con x − a nell’equazione della curva data (se a > 0 allora la traslazione è verso destra, se a < 0 allora la traslazione è verso sinistra); 2. per ottenere una traslazione verticale di b basta sostituire y con y − b nell’equazione della curva data (se b > 0 allora la traslazione è verso l’alto, se b < 0 allora la traslazione è verso il basso). Evidentemente i casi a = 0 e b = 0 corrispondono alle traslazioni nulle. 8.3

cambio di scala

Sia P(x, y) un generico punto del piano; se operiamo un cambio di scala rispetto alle ascisse otteniamo P1 (hx, y); se operiamo un cambio di scala rispetto alle ordinate otteniamo P2 (x, ky); se operiamo un cambio di scala sia rispetto alle ascisse che rispetto alle ordinate otteniamo P3 (hx, ky). Supponiamo h, k ∈ R∗ .

109

8.3 cambio di scala y

P2 P3

ky

P

P1

y O

x

x hx

Osserviamo che se h > 0 il trasformato P1 appartiene allo stesso quadrante; se h < 0 il trasformato del punto P appartiene al quadrante simmetrico rispetto all’asse delle y; in particolare, se h = 1 il punto P non varia, se h = −1 il punto P viene trasformato nel suo simmetrico rispetto all’asse delle y; se |h| < 1 la distanza dall’origine del trasformato è minore della distanza dall’origine di P (parleremo di contrazione); se |h| > 1 la distanza dall’origine del trasformato è maggiore della distanza dall’origine di P (parleremo di dilatazione). Osserviamo che se k > 0 il trasformato P2 appartiene allo stesso quadrante; se k < 0 il trasformato del punto P appartiene al quadrante simmetrico rispetto all’asse delle x; in particolare, se k = 1 il punto P non varia, se k = −1 il punto P viene trasformato nel suo simmetrico rispetto all’asse delle x; se |k| < 1 la distanza dall’origine del trasformato è minore della distanza dall’origine di P (parleremo di contrazione); se |k| > 1 la distanza dall’origine del trasformato è maggiore della distanza dall’origine di P (parleremo di dilatazione). Rappresentiamo in figura i trasformati di P rispetto alle ascisse con diversi valori di h. y

h = −2

h = −1 h = −

1 2

h=

1 2

h=1

h=2

P5

P3

P4

P1

P

P2

−4

−2

−1 O

1

2

4

x

Osservazione 8.3.1. Se h = k il cambio di scala rispetto ai due assi utilizza la stessa costante di proporzionalità e quindi O, P e il trasformato di P sono allineati. In tal caso parleremo di omotetia di rapporto h.

110

8.3 cambio di scala y

P2 2 P 1 −4

−2

−1

P1

1 2

O P4

− 12 1 −1

2

x

4

P3 −2 P5

Esempio 8.3.1. Data la retta r di equazione y = 2x + 2 scrivere le equazioni della retta trasformata mediante dilatazione di rapporto 2 rispetto alle ascisse, di quella trasformata 1 mediante contrazione di rapporto rispetto alle ordinate, di quella trasformata contem2 1 poraneamente mediante dilatazione di 2 rispetto alle ascisse e contrazione di rispetto 2 alle ordinate e di quella trasformata mediante omotetia di rapporto −2. 1. Dapprima rappresentiamo graficamente la retta data e quella trasformata mediante dilatazione di rapporto 2 rispetto alle ascisse. Determiniamo due punti di r, sostituendo alla variabile indipendente x due valori qualunque e ricavando i corrispondenti valori della variabile dipendente y: x

y

0

2

−1

0

Detti, rispettivamente, A e B tali punti di r, determiniamo i punti trasformati: x

y

0

2

−2

0

Chiamiamo B1 il trasformato di B e osserviamo che il trasformato di A è A stesso. y = 2x + 2 y

A 1

B1

B

O

1

La retta passante per A e B1 ha equazione x−0 y−2 = 0−2 −2 − 0

x

y − yA x − xA = ovvero yB 1 − y A xB1 − xA

111

8.3 cambio di scala

quindi l’equazione richiesta è y = x + 2. Osservazione 8.3.2. Dall’esempio proposto deduciamo che sarebbe bastato sox stituire x con nell’equazione della retta r per ottenere l’equazione della ret2 x ta cercata. Infatti dall’equazione y = 2x + 2, sostituendo x con , si ottiene 2 x y=2 + 2 ed infine y = x + 2. 2 Osservazione 8.3.3. Dall’esempio proposto deduciamo che il segmento AB viene trasformato nel segmento AB1 che risulta chiaramente dilatato rispetto al precedente. 2. Dapprima rappresentiamo graficamente la retta data e quella trasformata mediante 1 contrazione di rapporto rispetto alle ordinate. 2 Determiniamo due punti di r, sostituendo alla variabile indipendente x due valori qualunque e ricavando i corrispondenti valori della variabile dipendente y: x

y

0

2

−1

0

Detti, rispettivamente, A e B tali punti di r, determiniamo i punti trasformati: x

y

0

1

−1

0

Chiamiamo A1 il trasformato di A e osserviamo che il trasformato di B è B stesso. y = 2x + 2 y

A 1

B

O

A1

1

La retta passante per A1 e B ha equazione y−1 x−0 = 0−1 −1 − 0 quindi l’equazione richiesta è y = x + 1.

x

y − yA1 x − xA1 = ovvero yB − y A 1 xB − xA1

Osservazione 8.3.4. Dall’esempio proposto deduciamo che sarebbe bastato sostituire y con 2y nell’equazione della retta r per ottenere l’equazione della retta cercata. Infatti dall’equazione y = 2x + 2, sostituendo y con 2y, si ottiene 2y = 2x + 2 ed infine y = x + 1. Osservazione 8.3.5. Dall’esempio proposto deduciamo che il segmento AB viene trasformato nel segmento A1 B che risulta chiaramente contratto rispetto al precedente.

112

8.3 cambio di scala

3. Dapprima rappresentiamo graficamente la retta data e quella trasformata contem1 poraneamente mediante dilatazione di 2 rispetto alle ascisse e contrazione di 2 rispetto alle ordinate. Determiniamo due punti di r, sostituendo alla variabile indipendente x due valori qualunque e ricavando i corrispondenti valori della variabile dipendente y: x

y

0

2

−1

0

Detti, rispettivamente, A e B tali punti di r, determiniamo i punti trasformati: x

y

0

1

−2 0 Chiamiamo A1 e B1 tali punti. y = 2x + 2 y

A 1

B1

B

A1

O

La retta passante per A1 e B1 ha equazione y−1 x−0 = 0−1 −2 − 0 quindi l’equazione richiesta è y =

1

x

y − yA 1 x − xA1 = ovvero y B 1 − yA 1 xB1 − xA1

x + 1. 2

Osservazione 8.3.6. Dall’esempio proposto deduciamo che sarebbe bastato sostix tuire x con e y con 2y nell’equazione della retta r per ottenere l’equazione della 2 x retta cercata. Infatti dall’equazione y = 2x + 2, sostituendo x con e y con 2y, 2 x x + 2, da cui 2y = x + 2 ed infine y = + 1. si ottiene 2y = 2 2 2 Osservazione 8.3.7. Dall’esempio proposto deduciamo che il segmento AB viene trasformato nel segmento A1 B1 che risulta contemporaneamente dilatato di 2 e 1 contratto di quindi congruente al precedente. 2 4. Dapprima rappresentiamo graficamente la retta data e quella trasformata mediante omotetia di rapporto −2. Determiniamo due punti di r, sostituendo alla variabile indipendente x due valori qualunque e ricavando i corrispondenti valori della variabile dipendente y: x

y

0

2

−1

0

Detti, rispettivamente, A e B tali punti di r, determiniamo i punti trasformati:

113

8.3 cambio di scala

x

y

0

−4

2

0

Chiamiamo A1 e B1 tali punti. y = 2x + 2 y

A 1

B

O

1

B1

x

A1

La retta passante per A1 e B1 ha equazione

y − yA 1 x − xA1 = ovvero y B 1 − yA 1 xB1 − xA1

y − (−4) x−0 = 0 − (−4) 2−0 quindi l’equazione richiesta è y = 2x − 4. Osservazione 8.3.8. Dall’esempio proposto deduciamo che sarebbe bastato sostix y tuire x con − e y con − nell’equazione della retta r per ottenere l’equazione 2 2 x della retta cercata. Infatti dall’equazione y = 2x + 2, sostituendo x con − e y con 2  x y y − , si ottiene − = 2 − + 2, da cui −y = −2x + 4 ed infine y = 2x − 4. 2 2 2 Osservazione 8.3.9. Dall’esempio proposto deduciamo che il segmento AB viene trasformato nel segmento A1 B1 che risulta chiaramente dilatato rispetto al precedente. Inoltre la retta r e la sua trasformata sono parallele e, come già noto dallo studio della geometria, i triangoli OAB e OA1 B1 sono simili. Osservazione 8.3.10. In generale vale la seguente regola pratica: dati i numeri reali non nulli h e k, 1. per ottenere un cambio di scala rispetto alle x di rapporto h basta sostituire x x con nell’equazione della curva data (se |h| > 1 allora si ha una dilatazione, se h |h| < 1 si ha una contrazione); 2. per ottenere un cambio di scala rispetto alle y di rapporto k basta sostituire y con y nell’equazione della curva data (se |k| > 1 allora si ha una dilatazione, se |k| < 1 k si ha una contrazione). Evidentemente i casi h = 1 e k = 1 si riducono alle identità; i casi h = −1 e k = −1, come precedentemente analizzato, si riducono alle simmetrie rispetto all’asse y e rispetto all’asse x.

114

8.3 cambio di scala

x − 2 − 1 . Esercizio 8.3.1. Rappresentare graficamente la curva di equazione y = 2 La curva richiesta si ottiene con l’applicazione successiva delle seguenti trasformazioni alla retta di equazione y = x: 1. una dilatazione di rapporto 2 rispetto alle ascisse (oppure, indifferentemente, una 1 contrazione di rapporto rispetto alle ordinate); 2 2. una traslazione verso destra di 2; 3. una simmetria della parte di grafico con ordinata negativa rispetto all’asse delle x lasciando invariata la rimanente; 4. una traslazione verso il basso di 1; 5. una simmetria della parte di grafico con ordinata negativa rispetto all’asse delle x lasciando invariata la rimanente. Infatti, si ha che: x 1. per operare la dilatazione richiesta è sufficiente sostituire x con nell’equazione 2 x y = x, ottenendo y = ; 2 y=x y

y=

B B1

x 2

1

O

x

1

A1 A

2. per operare la traslazione richiesta è sufficiente sostituire x con x − 2 nell’equazione x x−2 y = , ottenendo y = ; 2 2 y

y=

x 2

y= B1

B2

1

O

A1 A2

1

x

x−2 2

115

8.3 cambio di scala

3. per operare la simmetria richiesta è sufficiente applicare il valore assoluto al secon x − 2 x−2 ; do membro dell’equazione y = , ottenendo y = 2 2 y

y=

|x − 2| 2

y=

x−2 2

A3 B2 = B3 1

O

x

1

A2

4. per operare richiesta è sufficiente la traslazione sostituire y con y + 1 nell’equazio x − 2 x − 2 x − 2 , ottenendo y + 1 = ne y = 2 cioè y = 2 − 1; 2 y

|x − 2| 2 |x − 2| y= −1 2 y=

A3

B3

1 A4

B4 O

1

x

5. per operare la simmetria richiesta applicare il valore è sufficiente assoluto al secon x − 2 x − 2 − 1, ottenendo y = − 1 . do membro dell’equazione y = 2 2

116

8.4 rotazioni y

|x − 2| y = − 1 2 C5 A4 = A5

B4 = B5

1

O

x

1 C4

y=

8.4

|x − 2| −1 2

rotazioni

Sia P(x, y) un generico punto del piano; se operiamo una rotazione del segmento OP rispetto all’origine O di angolo β otteniamo P1 (x1 , y1 ); ci proponiamo di dimostrare che  x1 = xcosβ − ysenβ y1 = xsenβ + ycosβ y P1 P β α O

H1 H

x

Anteponiamo alla dimostrazione una definizione. Il punto P del piano è individuato univocamente dalle sue coordinate cartesiane (x, y) come visto all’inizio del capitolo. Alternativamente, è possibile individuarlo mediante coordinate polari (r, α), legate alle precedenti coordinate dalle relazioni  x = rcosα y = rsenα ove r ∈ R> e 0 6 α < 2π.

117

8.4 rotazioni y P

r

y α

O

x

H

x

Rinviamo per una trattazione più completa al capitolo Numeri complessi. Riprendiamo la dimostrazione, facendo riferimento alle figure e alla definizione precedenti ed alle formule di addizione e di sottrazione per il coseno e per il seno:  x1 = rcos(α + β) = r(cosαcosβ − senαsenβ) = xcosβ − ysenβ y1 = rsen(α + β) = r(senαcosβ + cosαsenβ) = xsenβ + ycosβ x − 1 scrivere l’equazione della Esempio 8.4.1. Data la retta r di equazione y = 4 π trasformata mediante rotazione rispetto all’origine di . 2 Dapprima rappresentiamo graficamente la retta data e quella trasformata mediante rotazione. Determiniamo due punti di r, sostituendo alla variabile indipendente x due valori qualunque e ricavando i corrispondenti valori della variabile dipendente y: x

y

4

0

−4 −2 Detti, rispettivamente, A e B tali punti di r, determiniamo i punti trasformati: x

y

0

4

2 −4 Chiamiamo A1 e B1 i trasformati di A e di B.

118

8.4 rotazioni y

A1

1

O

y=

A

1

x

B x −1 4

B1

La retta passante per A1 e B1 ha equazione

x − xA1 y − yA 1 y−4 = ovvero = yB 1 − y A 1 xB1 − xA1 −4 − 4

x−0 2−0 quindi l’equazione richiesta è y = −4x + 4.

Osservazione 8.4.1. Dalle formule di trasformazione, con β =

π , si ha 2

 x1 = −y y1 = x 

da cui

x = y1 y = −x1 y1 − 1 da cui y1 = 4 −4x1 + 4 che è effettivamente l’equazione della retta richiesta, naturalmente eliminando gli indici.

infine, sostituendo nell’equazione della retta r, otteniamo −x1 =

Osservazione 8.4.2. La retta r e la sua trasformata sono effettivamente perpendicolari,infatti i loro coefficienti angolari sono antireciproci. √ Esercizio 8.4.1. Data la retta r di equazione y = 3x scrivere l’equazione delle trasfor2π 2π mate mediante rotazione rispetto all’origine di e di − . 3 3 1. Dapprima rappresentiamo graficamente la retta data e quella trasformata mediante 2π rotazione di . 3 Determiniamo due punti di r, sostituendo alla variabile indipendente x due valori qualunque e ricavando i corrispondenti valori della variabile dipendente y: x

y

0

0 √ 3

1

Detti, rispettivamente, O e A tali punti di r, determiniamo i punti trasformati:

119

8.4 rotazioni

x

y

0

0

−2

0

Chiamiamo A1 il trasformato di A e osserviamo che il trasformato di O è O stesso. y y=



3x

A 1

A1

O

1

x

La retta passante per O e A1 ha equazione y = 0 essendo, evidentemente, coincidente con l’asse delle ascisse. Osservazione 8.4.3. In questo caso non è conveniente utilizzare le formule di trasformazione √    x1 = − 1 x − 3 y 2 √2   y = 3x − 1y 1 2 2 direttamente nell’equazione della retta r in quanto risulta laborioso ottenere le relazioni inverse. Osservazione 8.4.4. Una retta passante per l’origine viene trasformata in una retta anch’essa passante per l’origine. 2. Dapprima rappresentiamo graficamente la retta data e quella trasformata mediante 2π rotazione di − . 3 Determiniamo due punti di r, sostituendo alla variabile indipendente x due valori qualunque e ricavando i corrispondenti valori della variabile dipendente y: x

y

0

0 √ 3

1

Detti, rispettivamente, O e A tali punti di r, determiniamo i punti trasformati: x

y

0

0 √ − 3

1

Chiamiamo A1 il trasformato di A e osserviamo che il trasformato di O è O stesso.

120

8.4 rotazioni y y=



3x

A 1

O

1

x

A1

√ La retta passante per O e A1 ha equazione y = − 3x essendo, evidentemente, simmetrica della retta r rispetto all’asse x. Osservazione 8.4.5. Anche in questo caso non è conveniente utilizzare le formule di trasformazione √    x1 = − 1 x + 3 y 2√ 2   y = − 3x − 1y 1 2 2 direttamente nell’equazione della retta r in quanto risulta laborioso ottenere le relazioni inverse.

121

9

LE CONICHE

9.1

introduzione

In questo capitolo esamineremo alcune curve piane notevoli, chiamate sezioni coniche o più semplicemente coniche. Il nome deriva dal fatto che esse sono originate dall’intersezione fra una superficie conica indefinita a 2 falde e un piano non passante per il vertice del cono.

Ciascuna delle precedenti curve può essere anche definita come luogo geometrico di punti del piano come vedremo nel seguito. 9.2

la parabola

Definizione 9.2.1. Diremo parabola il luogo geometrico dei punti del piano equidistanti da un punto fisso F detto fuoco e da una retta fissa d detta direttrice.

P

F d

Osservazione 9.2.1. La parabola è una curva aperta, simmetrica rispetto alla retta passante per il fuoco e perpendicolare alla direttrice. Chiameremo vertice l’intersezione di tale asse di simmetria con la parabola stessa. Teorema 9.2.1. In un opportuno sistema di riferimento cartesiano ortogonale, siano F(0, p) il fuoco e d : y = −p la direttrice della parabola P. 1 Dimostriamo che l’equazione della parabola è y = ax2 ove a = . 4p Dimostrazione. Sia P(x, y) il generico punto del piano; P ∈ P se e solo se PF = PH essendo H la proiezione ortogonale di P su d.

122

9.2 la parabola

y P

F x

O y = −p

H

PF =

q

x2 + (y − p)2

PH = |y + p| uguagliando i secondi membri ed elevando al quadrato: q ( x2 + (y − p)2 )2 = (|y + p|)2 sviluppando i prodotti notevoli: x2 + y2 − 2py + p2 = y2 + 2py + p2 semplificando ed esplicitando rispetto ad y si ha: y= infine, ponendo a =

1 2 x 4p

1 si conclude. 4p

Osservazione 9.2.2. Il vertice della parabola considerata nella dimostrazione del teorema coincide con l’origine del sistema di riferimento e il suo asse di simmetria coincide con l’asse delle y. Osservazione 9.2.3. Quando risulta a > 0 cioè, equivalentemente, p > 0, il fuoco sta sopra la direttrice e diremo che la parabola volge la concavità verso l’alto. Quando risulta a < 0 cioè, equivalentemente, p < 0, il fuoco sta sotto la direttrice e diremo che la parabola volge la concavità verso il basso. Ovviamente, dalla posizione fatta, non potrà mai essere a = 0. Operiamo ora una traslazione della parabola in modo che il nuovo vertice sia V(xV , yV ). Come già visto nel capitolo delle trasformazioni del piano, è sufficiente sostituire x con x − xV e y con y − yV nell’equazione di P: y − yV = a(x − xV )2 sviluppando i calcoli ed esplicitando rispetto alla y risulta y = ax2 − 2axxV + ax2V + yV poniamo ora b = −2axV e c = ax2V + yV , ottenendo quindi la forma canonica o normale dell’equazione generica di una parabola con asse parallelo all’asse delle y: P : y = ax2 + bx + c b ∆ di vertice V(xV , yV ) essendo xV = − e yV = − . 2a 4a Infatti, dalle posizioni precedenti b = −2axV e c = ax2V + yV , ricaviamo b b xV = − , sostituiamo nella seconda relazione c = a(− )2 + yV , ottenendo 2a 2a b2 b2 − 4ac così anche yV = −a 2 + c = − da cui si conclude utilizzando la ben 4a 4a nota posizione ∆ = b2 − 4ac.

123

9.2 la parabola y

V

O

x

Osservazione 9.2.4. Il vertice è un punto della parabola ed è quindi preferibile, calcolatane l’ascissa, ottenerne l’ordinata per sostituzione. Esempio 9.2.1. Disegnare il grafico della parabola P di equazione y = x2 − x − 2.   1 9 Dapprima calcoliamo le coordinate del vertice: V ,− . 2 4 1 Ovviamente l’asse di simmetria della parabola ha equazione x = . 2 Osserviamo che, essendo a = 1 > 0, la concavità è rivolta verso l’alto e poichè l’ordinata del vertice è negativa, la parabola interseca sicuramente l’asse delle x in due punti distinti le coordinate.    A e B, di cui calcoliamo 2 2 x1,2 = h−1 x −x−2 = 0 y = x −x−2 2 y=0 y=0 y=0 I punti cercati sono, quindi, A(−1, 0) e B(2, 0). Osserviamo che, in generale, la parabola può intersecare l’asse delle x in 2 punti distinti o in 2 punti coincidenti o in nessun punto, come risulta evidente risolvendo l’equazione di 2◦ grado associata ax2 + bx + c = 0 . Determiniamo ora il punto C di intersezione con l’asse delle y, osservando che esso esiste   sempre. y = −2 y = x2 − x − 2 x=0 x=0 Il punto cercato è, quindi, C(0, −2). Osserviamo che, in generale, il punto di intersezione della parabola con l’asse delle y è C(0, c) . Calcoliamo anche le coordinate del punto D simmetrico di C rispetto all’asse della parabola: D(1, −2).

124

9.2 la parabola y

1 A

B O

x

1

C

D V

Esercizio 9.2.1. Determinare e rappresentare graficamente  laparabola P con asse paral5 7 lelo all’asse delle y passante per A(−1, 0), C(0, 3) e D . , 2 4 La parabola cercata ha equazione y = ax2 + bx + c ; imponiamo il passaggo per i punti dati: passaggio per A(−1, 0): 0 = a − b + c passaggio per C(0,  3): 3= c 7 25 5 5 7 , : = a+ b+c passaggio per D 2 4 4 4 2 mettendo a sistema le 3 condizioni:       a−b+c = 0    a − b = −3  a − b = −3   c=3 5a + 2b = −1   25a + 10b = −5     c=3  7 = 25 a + 5 b + c   c=3 4 4 2 la parabola ha equazione y = −x2 + 2x + 3

    a = −1 b=2    c=3

il suo vertice è V(1, 4) e l’asse ha equazione x = 1. Per rappresentare con maggior precisione la parabola richiesta, determiniamo anche le coordinate dei simmetrici  rispetto 1 7 all’asse dei punti dati: B(3, 0) è il simmetrico di A, E(2, 3) lo è di C e F − , di D. 2 4 y V

C

E

F

D 1

A

B O

1

x

125

9.2 la parabola

Esercizio 9.2.2. Determinare e rappresentare graficamente la parabola P con asse parallelo all’asse delle y di vertice V(0, −1) e passante per P(4, 3). La parabola cercata ha equazione y = ax2 + bx + c imponiamo il passaggo per i punti dati: passaggio per V(0, −1): −1 = c passaggio per P(4, 3): 3 = 16a + 4b + c b ricordiamo inoltre che l’ascissa del vertice è data dalla formula xV = − , da cui 2a b 0=− ; 2a mettendo a sistema le 3  condizioni:  1      c = −1  a= 4 16a + 4b + c = 3  b = 0     b=0  c = −1 la parabola ha equazione 1 y = x2 − 1 4 il suo asse coincide con l’asse delle y, i suoi punti di intersezione con l’asse delle x si determinano, come visto precedentemente, risolvendo l’equazione associata x2 − 4 = 0: A(−2, 0) e B(2, 0); il simmetrico di P è Q(−4, 3). y

Q

P

1

O

A

1

B

x

V

Esercizio 9.2.3. Data la parabola di base di equazione y = x2 , calcolare l’area del triangolo individuato dalle tangentialla parabola P, ottenuta traslando quella data verso  1 il basso di 1, condotte dal punto P , −1 e la secante nei punti di tangenza. 2 L’equazione della parabola P si ottiene sostituendo y + 1 ad y nell’equazione della parabola di base: y + 1 = x2 e quindi y = x2 − 1 .

 Il fascio di rette di centro P

1 , −1 2

 ha equazione

  1 F : y − (−1) = m x − 2 (manca, ovviamente, l’equazione della retta del fascio parallela all’asse delle y, che scrivia1 mo a parte: x = e che, comunque, essendo una retta verticale, non può essere tangente 2 alla parabola P).

126

9.2 la parabola

Mettiamo a sistema l’equazione della parabola P con l’equazione del fascio di rette di centro P:          1  1 1   − 1 y = m x −  y = m x−   y = m x − −1 −1 2   2 2 1 1     − 1 = x2 − 1  x2 − mx + m = 0  m x− y = x2 − 1 2 2 Le ascisse dei punti di intersezione fra P e la generica retta del fascio F si ottengono risolvendo la seconda equazione del sistema e sono reali e coincidenti (vale a dire la retta in questione è tangente) se il ∆ di tale equazione è nullo. Riacaviamo quindi ∆ ed imponiamo che sia 0: m2 − 2m = 0 da cui m1 = 0 ed m2 = 2; abbiamo così ricavato i coefficienti angolari delle due rette del fascio F che risultano essere tangenti a P; scriviamo ora le equazioni di tali rette tangenti: t1 : y = −1 t2 : y = 2x − 2 Determiniamo ora punti di tangenza fra P e t1 :   le coordinate dei  y = −1 y = −1 y = −1 y = x2 − 1 −1 = x2 − 1 x1 = x2 = 0 il punto di tangenza coincide con V(0, −1); determiniamo orale coordinate dei punti P e t2 :   di tangenza fra  y = 2x − 2 x2

y = 2x − 2

y = 2x − 2

y=0

x2

y= −1 2x − 2 = −1 x1 = x2 = 1 x1 = x2 = 1 il punto di tangenza è B(1, 0). L’area richiesta è quella del triangolo VPB, per calcolare la quale è conveniente prendere 1 come base VP e come altezza la distanza di B dalla retta di equazione y = −1: VP = , 2 BH = 1 quindi 1 ·1 1 = A= 2 2 4 . y

t2

1

A

B O

t1

1

V

P

x

H

Esercizio 9.2.4. Data la parabola P di equazione y = x2 − 2x, determinare le equazioni π π delle parabole P1 e P2 rispettivamente ruotate di e di − . 2 2

127

9.2 la parabola

π 1. Dalle formule di trasformazione, con β = , si ha 2  x1 = −y y1 = x 

da cui

x = y1 y = −x1 infine, sostituendo nell’equazione della parabola P, otteniamo: −x1 = (y1 )2 − 2y1 da cui x1 = −y21 + 2y1 che è l’equazione della parabola richiesta, naturalmente eliminando gli indici. P1 : x = −y2 + 2y Per rappresentare graficamente P e P1 , determiniamo alcuni punti notevoli della prima e i corrispondenti trasformati della seconda: x

y

1

−1

0

0

2

0

3

3

−1

3

chiamiamo tali punti rispettivamente V(1, −1) (il vertice), O(0, 0) e B(2, 0) (le intersezioni con l’asse x), C(3, 3) e D(−1, 3). x

y

1

1

0

0

0

2

−3

3

−3

−1

chiamiamo tali punti rispettivamente V1 (1, 1) (il vertice), O(0, 0) e B1 (0, 2) (le intersezioni con l’asse y), C1 (−3, 3) e D1 (−3, −1). Osservazione 9.2.5. La parabola P1 ha asse di simmetria parallelo all’asse delle x, la sua equazione è del tipo x = ay2 + by + c e si ottiene dalla generica equazione di una parabola con asse parallelo all’asse delle y semplicemente scambiando x con y. Tutte le formule precedenti sono riutilizzabili previo scambio dei ruoli delle due variabili. y

C1

D

C B1

1

O D1

V1

1 V

B

x

128

9.2 la parabola

π 2. Dalle formule di trasformazione, con β = − , si ha 2  x1 = y y1 = −x 

da cui

x = −y1 y = x1 infine, sostituendo nell’equazione della parabola P, otteniamo: x1 = (−y1 )2 − 2(−y1 ) da cui x1 = y21 + 2y1 che è l’equazione della parabola richiesta, naturalmente eliminando gli indici. P2 : x = y2 + 2y Per rappresentare graficamente P e P2 , riutilizziamo i punti notevoli della prima e i corrispondenti trasformati della seconda: x

y

1

−1

0

0

2

0

3

3

−1

3

chiamiamo tali punti rispettivamente V(1, −1) (il vertice), O(0, 0) e B(2, 0) (le intersezioni con l’asse x), C(3, 3) e D(−1, 3). x

y

−1

−1

0

0

0

−2

3

−3

3

1

chiamiamo tali punti rispettivamente V2 (−1, −1) (il vertice), O(0, 0) e B2 (0, −2) (le intersezioni con l’asse y), C2 (3, −3) e D2 (3, 1). y

D

C

1

O V2

D2 1

x

B

V B2 C2

129

9.3 la circonferenza

Esercizio 9.2.5. Disegnare il grafico della funzione di equazione y = x2 − 3|x| + 2.  2

y = x − 3|x| + 2 =

x2 − 3x + 2

se

x>0

x2

se

x 0 e il raggio r = α; pertanto le equazioni sono del tipo: (x − α)2 + (y − α)2 = α2 e, sviluppando i calcoli, si ha: x2 + y2 − 2αx − 2αy + α2 = 0 imponendo, ora, il passaggio per A(1, 2) si ottiene: 1 + 4 − 2α − 4α + α2 = 0 da cui α2 − 6α + 5 = 0 ed infine α1,2 = h15 otteniamo, quindi, le equazioni delle due circonferenze cercate: C1 : x2 + y2 − 2x − 2y + 1 = 0 C2 : x2 + y2 − 10x − 10y + 25 = 0 Per determinare l’ulteriore punto di intersezione fra C1 e C2 , mettiamo a sistema le 2 equazioni:  x2 + y2 − 2x − 2y + 1 = 0 x2 + y2 − 10x − 10y + 25 = 0 e sottraendo membro a membro si ha:   x+y−3 = 0 8x + 8y − 24 = 0 

x2

+ y2

x2

− 2x − 2y + 1 = 0  y = 3−x y = 3−x

+ y2

− 2x − 2y + 1 = 0  y = 3−x

 y = 3−x x2 + (3 − x)2 − 2x − 2(3 − x) + 1 = 0

x1,2 = h12  x1 = 1 Ritroviamo, naturalmente, le coordinate del punto A: y1 = 2  2x2 − 6x + 4 = 0

x2 − 3x + 2 = 0

ed inoltre le coordinate dell’ulteriore punto di intersezione B:

x2 = 2 y2 = 1

9.3 la circonferenza

136

y G

C2

H

F

A 1 D O

C1

B

E 1

x

K

Per determinare i punti di intersezione fra C1 e P, mettiamo a sistema le 2 equazioni:   2 2 2 x + y − 2x − 2y + 1 = 0 x + y2 − 2x − 2y + 1 = 0 y = −x2 + 2x + 1 x2 − 2x + y − 1 = 0 e sottraendo membro a membro si ha:   y2 − 3y + 2 = 0 y1,2 = h12 y = −x2 + 2x + 1 y = −x2 + 2x + 1 da y1 = 1, si ha:   cui, sostituendo prima y1 = 1

y1 = 1

−x2

x1,2 = h02

+ 2x = 0



abbiamo così ottenuto le coordinate del punto D:  e le coordinate del punto B già noto:

x1 = 0 y1 = 1

x2 = 2 y1 = 1

Sostituendo quindi y2 =2 si ha:  y2 = 2 y2 = 2 −x2 + 2x − 1 = 0

x3 = x4 = 1



abbiamo ottenuto le coordinate del punto A già noto con doppia molteplicità: y A

1 D

O

C1

E 1

B

x

x3 = x4 = 1 y2 = 2

9.4 l’ellisse

9.4

l’ellisse

Definizione 9.4.1. Diremo ellisse il luogo geometrico dei punti del piano per i quali è costante la somma delle distanze da due punti fissi F1 ed F2 detti fuochi. Tale somma costante sia k. P

F2

F1

Osservazione 9.4.1. L’ellisse è una curva chiusa, simmetrica rispetto alla retta passante per i fuochi e all’asse del segmento avente i fuochi per estremi. Chiameremo vertici le intersezioni di tali assi di simmetria con l’ellisse stessa. Teorema 9.4.1. In un opportuno sistema di riferimento cartesiano ortogonale, siano F1 (c, 0) ed F2 (−c, 0) (con c > 0) i fuochi dell’ellisse E. x2 y2 Dimostriamo che l’equazione dell’ellisse è 2 + 2 = 1 con 2a = k e b2 = a2 − c2 . a b Dimostrazione. Sia P(x, y) il generico punto del piano; P ∈ E se e solo se PF1 + PF2 = k. y

P

F2

PF1 = PF2 =

O

F1

q

(x − c)2 + y2

q

(x + c)2 + y2

x

quindi, ponendo k = 2a: q q (x − c)2 + y2 + (x + c)2 + y2 = 2a isolando la prima radice ed elevando al quadrato: q x2 − 2cx + c2 + y2 = 4a2 − 4a (x + c)2 + y2 + x2 + 2cx + c2 + y2

137

9.4 l’ellisse

semplificando ed isolando la radice: q a (x + c)2 + y2 = a2 + cx elevando al quadrato (la condizione di realtà è garantita dalla osservazione finale) e semplificando: (a2 − c2 )x2 + a2 y2 = a2 (a2 − c2 ) dividendo ambo i membri per a2 (a2 − c2 ) e ponendo a2 − c2 = b2 si conclude (si conviene di assumere anche b > 0). Osservazione 9.4.2. I vertici dell’ellisse considerata nella dimostrazione del teorema coincidono con le sue intersezioni con gli assi del sistema di riferimento e tali assi sono proprio anche gli assi di simmetria della curva. Osservazione 9.4.3. Quando i fuochi sono posizionati come nella dimostrazione del teorema si dice che l’asse focale coincide con l’asse delle x e l’ellisse è centrata nell’origine; risulta a > c ed anche a > b; l’ellisse si presenta schiacciata in orizzontale ed è collocata nel rettangolo delimitato dalle rette di equazioni x = ±a e y = ±b. y

B1 a

b F2

A2

F1

c O |

{z a

A1 }

x

B2

Analogamente, si prova che, quando l’asse focale coincide con l’asse delle y e l’ellisse è centrata nell’origine, risulta invece b > c ed anche b > a; l’ellisse si presenta schiacciata in verticale ed è collocata nel rettangolo delimitato dalle rette di equazioni x = ±a e y = ±b. y

{

B1

}|

F1 b

c z

A2

b a

A1 x

O

F2 B2

L’equazione dell’ellisse nella forma x2 y2 + =1 a2 b2

138

9.4 l’ellisse

è detta canonica o normale. I vertici sull’asse x sono A1 (a, 0) e A2 (−a, 0); i vertici sull’asse y sono B1 (0, b) e B2 (0, −b). Se l’asse focale coincide con l’asse x, i fuochi sono F1 (c, 0) e F2 (−c, 0) e c2 = 2 a − b2 ; se l’asse focale coincide con l’asse y, i fuochi sono F1 (0, c) e F2 (0, −c) e c2 = b2 − a2 . Esempio 9.4.1. Disegnare il grafico dell’ellisse E di equazione x2 + 4y2 = 1. Ci riconduciamo alla forma normale: x2 +

y2 =1 1 4

  1 i vertici sull’asse x sono A1 (1, 0) e A2 (−1, 0); i vertici sull’asse y sono B1 0, e 2   1 B2 0, − 2 y 1 B1 A2

A1 1

O

x

B2

Esercizio 9.4.1. Disegnare il grafico dell’ellisse E di equazione 4x2 + y2 = 4. Determinare, inoltre, le equazioni delle rette tangenti passanti per il punto P(0, 3). Ci riconduciamo alla forma normale x2 +

y2 =1 4

i vertici sull’asse x sono A1 (1, 0) e A2 (−1, 0); i vertici sull’asse y sono B1 (0, 2) e B2 (0, −2) Il fascio di rette di centro P(0, 3) ha equazione F : y − 3 = mx (manca, ovviamente, l’equazione della retta del fascio parallela all’asse delle y, in questo caso proprio l’asse y ma che evidentemente non può essere tangente all’ellisse E). Mettiamo a sistema l’equazione dell’ellisse E con l’equazione del fascio di rette di centro P:     y = mx + 3  y = mx + 3 y = mx + 3 2 2 2  x2 + y = 1  x2 + m x + 6mx + 9 = 1 (4 + m2 )x2 + 6mx + 5 = 0 4 4 Le ascisse dei punti di intersezione fra E e la generica retta del fascio F si ottengono risolvendo la seconda equazione del sistema e sono reali e coincidenti (vale a dire la retta ∆ in questione è tangente) se il ∆ (in questo caso il ) di tale equazione è nullo. Riacaviamo 4 ∆ quindi ed imponiamo che sia 0: 4 9m2 − 20 − 5m2 = 0

139

9.4 l’ellisse

4m2 − 20 = 0 m2 = 5 √ √ da cui m1 = − 5 ed m2 = 5 abbiamo così ricavato i coefficienti angolari delle due rette del fascio F che risultano essere tangenti a E; scriviamo ora le equazioni di tali rette tangenti: √ t1 : y = − 5x + 3 √ t2 : y = 5x + 3 y

P B1

1 A2

A1 O

x

1

t2

t1 B2



 3 , 0 e passante 2 √ per P(1, 1) e le sue intersezioni con la circonferenza C di centro l’origine e raggio r = 2.

Esercizio 9.4.2. Determinare l’equazione dell’ellisse E di vertice A1

L’ellisse cercata ha equazione x2 y2 + =1 a2 b2 imponiamo il passaggo   per i punti dati: 3 3 essendo A1 , 0 un vertice: a = 2 2 passaggio per P(1, 1): b2 + a2 = a2 b2 mettendo a sistema le 2condizioni:   3    a= 3  a=  a= 3 2 2 2  2  b = √3  5 b2 = 9  2 2 2  b +a = a b 4 4 5 L’ellisse cercata ha equazione x2 y2 + 9 =1 9 4

5

ossia E : 4x2 + 5y2 = 9 La circonferenza cercata ha equazione (x − 0)2 + (y − 0)2 = 2 ossia C : x2 + y2 = 2 Mettiamo ora a sistemale equazioni delle 2  curve:  2 2 2 2 4x + 5y = 9 4x + 5y = 9 4x2 + 5y2 = 9 x2 + y2 = 2 4x2 + 4y2 = 8 y2 = 1 da cui y1,2 = h−1 +1 e quindi, sostituendo nel sistema, si ottengono i punti richiesti: P(1, 1), Q(−1, 1), R(−1, −1) e S(1, −1).

140

9.5 l’iperbole y K Q

A2

B1

P

1

J

H O

R

A1 x

1

S

B2 L

9.5

l’iperbole

Definizione 9.5.1. Diremo iperbole il luogo geometrico dei punti del piano per i quali è costante il modulo della differenza delle distanze da due punti fissi F1 ed F2 detti fuochi. Tale differenza costante sia k.

P

F2

F1

Osservazione 9.5.1. L’iperbole è una curva costituita da due rami aperti, simmetrica rispetto alla retta passante per i fuochi e all’asse del segmento avente i fuochi per estremi. Chiameremo vertici le intersezioni della retta dei fuochi con l’iperbole stessa. Teorema 9.5.1. In un opportuno sistema di riferimento cartesiano ortogonale, siano F1 (c, 0) ed F2 (−c, 0) (con c > 0) i fuochi dell’iperbole I. x2 y2 Dimostriamo che l’equazione dell’iperbole è 2 − 2 = 1 con 2a = k e b2 = c2 − a2 . a b Dimostrazione. Sia P(x, y) il generico punto del piano; P ∈ I se e solo se |PF1 − PF2 | = k.

141

9.5 l’iperbole y

P

O

F2

PF1 = PF2 =

q

(x − c)2 + y2

q

(x + c)2 + y2

F1

x

quindi, ponendo k = 2a: q q | (x − c)2 − y2 − (x + c)2 + y2 | = 2a solo per una convenienza di calcolo, anzichè elevare direttamente al quadrato, è preferibile distinguere i casi PF2 > PF1 o PF1 > PF2 ; supponiamo dapprima che sia PF2 > PF1 : q q (x + c)2 − y2 − (x − c)2 + y2 = 2a isolando la prima radice ed elevando al quadrato: q x2 + 2cx + c2 + y2 = 4a2 + 4a (x − c)2 + y2 + x2 − 2cx + c2 + y2 semplificando ed isolando la radice: q a (x − c)2 + y2 = cx − a2 elevando al quadrato (la condizione di realtà è garantita dalla condizione finale) e semplificando: (c2 − a2 )x2 − a2 y2 = a2 (c2 − a2 ) dividendo ambo i membri per a2 (c2 − a2 ) e ponendo c2 − a2 = b2 si conclude (si conviene di assumere anche b > 0). In maniera del tutto analoga, se PF1 > PF2 si giunge allo stesso risultato. Osservazione 9.5.2. I vertici dell’iperbole considerata nella dimostrazione del teorema coincidono con le sue intersezioni con l’asse x del sistema di riferimento e gli assi coordinati sono proprio anche gli assi di simmetria della curva. Osservazione 9.5.3. Quando i fuochi sono posizionati come nella dimostrazione del teorema si dice che l’asse focale coincide con l’asse delle x e l’iperbole è centrata nell’origine; risulta c > a ed anche c > b e l’iperbole è collocata esternamente alla striscia delimitata dalle rette x = ±a.

142

9.5 l’iperbole y

c F2 A2

b

a O |

{z c

A1 F1 }

x

Analogamente, si prova che, quando l’asse focale coincide con l’asse delle y e l’iperbole è centrata nell’origine, risulta ancora c > b ed anche c > a e l’iperbole è collocata esternamente alla striscia delimitata dalle rette y = ±b e la sua equazione è del tipo x2 y2 − = −1 con 2b = k e a2 = c2 − b2 . a2 b2 y

{

F1 B1 a

}|

c

c

z

b

x

O

B2 F2

L’equazione dell’iperbole nelle forme x2 y2 − =1 a2 b2 x2 y2 − = −1 a2 b2

(1) (2)

è detta canonica o normale. Nella forma (1) i vertici sono A1 (a, 0) e A2 (−a, 0); nella forma (2) i vertici sono B1 (0, b) e B2 (0, −b). Se l’asse focale coincide con l’asse x, i fuochi sono F1 (c, 0) e F2 (−c, 0) e c2 = 2 a + b2 ; se l’asse focale coincide con l’asse y, i fuochi sono F1 (0, c) e F2 (0, −c) e c2 = b2 + a2 . Osservazione 9.5.4. L’iperbole è l’unica conica per la quale esistono 2 rette passanti per il centro di simmetria la cui distanza dal generico punto della curva tende a zero. Tali rette sono dette asintoti. Le equazioni degli asintoti sono: b y=± x a

143

9.5 l’iperbole

in entrambe le forme. La dimostrazione relativa trascende le attuali conoscenze necessitando della Teoria dei limiti. Risulta interessante notare che le equazioni degli asintoti sono ottenibili semplicemente annullando il complesso dei termini di secondo grado nelle equazioni canoniche (1) e (2). Osservazione 9.5.5. Qualora a = b nell’equazione canonica dell’iperbole, si dice che l’iperbole è equilatera. In tal caso gli asintoti coincidono con le bisettrici dei quadranti. Esempio 9.5.1. Determinare vertici, fuochi, asintoti dell’iperbole di equazione 16x2 − 9y2 = 144 e rappresentarla graficamente. Ripetere l’esercizio con l’equazione 16x2 − 9y2 = −144. Per la prima parte dell’esercizio ci riconduciamo alla forma (1) dividendo per 144 ambo i membri: x2 y2 − =1 9 16 4 gli asintoti dell’iperbole sono quindi le rette di equazione y = ± x; i vertici sono A1 (3, 0) 3 e A2 (−3, 0) e i fuochi F1 (5, 0) e F2 (−5, 0). y y=

y = 43 x

− 43 x

F2 A2

1 O

A1 F1 x

1

Per la seconda parte dell’esercizio ci riconduciamo alla forma (2) dividendo per 144 ambo i membri: x2 y2 − = −1 9 16 4 gli asintoti dell’iperbole sono quindi le rette di equazione y = ± x; i vertici sono B1 (0, 4) 3 e B2 (0, −4) e i fuochi F1 (0, 5) e F2 (0, −5). y y = − 43 x

y = 43 x F1 B1

1 O

1

B2 F2

x

144

9.5 l’iperbole

Esercizio 9.5.1 (NOTEVOLE). Data l’iperbole I di equazione x2 − y2 = 4, rappresentarla graficamente; determinare, quindi, l’equazione e la rappresentazione grafica π dell’iperbole I1 ruotata di . 4 Ci riconduciamo alla forma (1) dividendo per 4 ambo i membri: x2 y2 − =1 4 4 l’iperbole è, evidentemente, equilatera e i suoi asintoti sono quindi le bisettrici dei quadrtanti; i vertici sono A1 (2, 0) e A2 (−2, 0). y y = −x

y=x

1

A2

A1

O

x

1

π Applichiamo le formule relative alla rotazione con β = : 4 √ √     x1 = 2 x − 2 y x1 = xcosβ − ysenβ √2 √2 y1 = xsenβ + ycosβ   y = 2x + 2y 1 2 2 Sommando dapprima e, poi, sottraendo membro a membro si ha: x1 + y1  √   x= √ x1 + y1 = 2x 2 √ y1 − x1  x1 − y1 = − 2y  y = √ 2 sostituendo nell’equazione di I otteniamo: 

x1 + y1 √ 2

2

 −

y1 − x1 √ 2

2 =4

sviluppando i calcoli, semplificando ed eliminando gli indici, si ottiene infine I1 : xy = 2

145

9.5 l’iperbole y

P1

1 A2

A1 O

x

1

P2

x2 y2 − = 1 ovvero a2 a2 π x2 − y2 = a2 è sempre riconducibile, mediante una rotazione di , ad una iperbole 4 avente per asintoti gli assi cartesiani la cui equazione è Osservazione 9.5.6. L’iperbole equilatera di equazione generale

a2 2 π Naturalmente, se la rotazione è invece di − , l’iperbole equilatera ottenuta ha le stesse 4 caratteristiche della precedente e la sua equazione è xy =

xy = −

a2 2

a2 = k e quindi l’equazione di un’iperbole equilatera riferita 2 ai propri asintoti si presenta nella forma Generalmente si assume ±

xy = k

(3)

Osserviamo che se k > 0 i 2 rami di iperbole giacciono nel I e nel III quadrante; se k < 0 giacciono invece nel II e nel IV. y

k0

x

O

k>0

k |3x − 2|

3.

|x − |2x − 3|| < 4

3.

|x − |2x − 3|| < 4

x2 − 2x − 3 ≥0 9 − x2 9x2 + 6x + 1 5. ≤0 x4 + 16 x5 + 3 6. ≤0 1 − x8 −x2 − 10 0

(x < −6

;

−4 < x < −2

6.

 √  2x2 + x − 3 − x + 1 > 0 2x + 1 0 x4 + 3 + 4

( 1+6 13 < x ≤ 1

8.

|x − 1| − |x − 2| ≥0 |x2 − 9|

(x ≥

3.

√ 9.

√ x + 1 − x2 + 3x ≥0 |x|

r 10. 11.

4



3 2

;

ma x 6= 3)

(0 < x ≤ −1 +

(x ≤ −1

25 − x2 + x − 7 ≥ 0

(3 ≤ x ≤ 4)

;

12.

13 − x −

13.

√ 2x − x2 − 3x ≥0 x2 − 16

(−4 < x ≤ 0

14.

x2 − 4|x| + 3 < 0

(1 < |x| < 3)

15.

|x|3 − 27 9)

` di P. [09/10] ITIS V.Volterra San Dona

;

x > 4)

x ≥ 2)

;

x > 0)

Capitolo 2

Appendici

` di P. [09/10] ITIS V.Volterra San Dona

2.1 Naturali e interi

2.1

6

Naturali e interi

Esercizio 2.1.1. Per ogni intero n ≥ 1 dimostrare che 1 + 2 + 3 + ··· + n =

n(n + 1) 2

Esercizio 2.1.2. Per ogni intero n ≥ 1 dimostrare che 1 + 3 + 5 + · · · + (2n − 1) = n2 Esercizio 2.1.3. Per ogni intero n ≥ 1 dimostrare che 1 2 + 2 2 + 3 2 · · · + n2 =

1 n(n + 1)(2n + 1) 6

Esercizio 2.1.4. Per ogni intero n ≥ 1 dimostrare che 13 + 23 + 33 · · · + n3 =

n(n + 1) 2

2

` di P. [09/10] ITIS V.Volterra San Dona

Capitolo 3

Funzioni 3.1

Definizioni

Esercizio 3.1.1. Sia f (x) =

x |x|

definita per x 6= 0; calcolare f (1), f (−1), f (2), f (123). Cosa si deduce?

3.2

Grafici

Esercizio 3.2.1. Determinare il campo di esistenza delle seguenti funzioni. x +3 2

1.

f1 (x) =

3.

f3 (x) = −3x2 + 1

5.

f5 (x) =

7.

f7 (x) = |x| + x

9.

f9 (x) =

11.

f11 (x) =

13.

f13 (x) =



x

1 x+2 3 x (

( 15.

f15 (x) =

se x ≤ 0 se x > 0

0 1

x x

2

se x < 0 se x ≥ 0

2.

f2 (x) = 2x2 − 1

4.

f4 (x) = x3

6.

f6 (x) = x− 2

8.

f8 (x) = −|x| + x

10.

f10 (x) =

12.

f12 (x) =

14.

16.

1

1 x−2

x |x| ( 0 f14 (x) = 1

 3  x f16 (x) = 1   2 x

se x < 0 se x > 0 se x ≤ 0 se 0 < x < 2 se x ≥ 2

Esercizio 3.2.2. Disegnare un grafico approssimato delle funzioni dell’esercizio precedente, calcolandone anche alcune immagini per valori arbitrari del campo di esistenza.

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3.3 Tipi di funzioni

8

Esercizio 3.2.3. Data la funzione f : R → R, x 7→ −x2 − 4x la si rappresenti graficamente e si dica se `e biiettiva; in caso contrario , renderla tale per x ≥ −2 ed indicare con f1 la restrizione di f cos`ı trovata. Determinare l’inversa di f1 e rappresentarla graficamente. Infine, risolvere la disequazione √ −2 + 4 − x ≤ x. √ (f1−1 : {x ∈ R : x ≤ 4} → {y ∈ R : y ≥ −2} , x 7→ −2 + 4 − x; S : 0 ≤ x ≤ 4) Esercizio 3.2.4. Con riferimento all’esercizio precedente, rappresentare graficamente la funzione y = g(x) = −f (−x) e risolvere la disequazione g(|x|) > −3 anche per via grafica. (x < −3

;

−1 < x < 1

;

x > 3)

Esercizio 3.2.5. Rappresentare graficamente la curva di equazione y = f (x) = (x − 2)3 + 1 partendo dalla curva base y = x3 ; determinare, quindi, la funzione inversa f −1 e verificare che f ◦ f −1 `e la funzione identica. √ (f −1 (x) = 2 + 3 x − 1)

3.3

Tipi di funzioni

3.4

Operazioni

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3.5 Propriet` a notevoli

3.5

9

Propriet` a notevoli

Esercizio 3.5.1. Stabilire quali delle funzioni seguenti sono pari, dispari o nessuna delle due. E’ opportuno considerare prima il campo di esistenza. 1.

f1 (x) = x

2.

f2 (x) = 2x2

3.

f3 (x) = x2 − 1

4.

f4 (x) = x3

5.

f5 (x) =

x

6.

f6 (x) =

7.

f7 (x) = |x|

8.

f8 (x) = |x| + x



1 x

Esercizio 3.5.2 (*). Dimostrare che una funzione definita per tutti i numeri pu`o essere scritta come somma di una funzione pari e una funzione dispari. Suggerimento: considerare la funzione gp (x) =

f (x) + f (−x) 2

Esercizio 3.5.3. Dimostrare che la somma di funzioni dispari `e dispari e che la somma di funzioni pari `e pari. Esercizio 3.5.4. Stabilire nei casi elencati quale sia il tipo della funzione prodotto dimostrando il risultato: • prodotto di funzioni pari • prodotto di funzioni dispari • prodotto di una funzione pari per una funzione dispari

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Parte II

Funzioni Trascendenti

` di P. [09/10] ITIS V.Volterra San Dona

Capitolo 4

Funzioni trascendenti 4.1

Funzioni esponenziali e logaritmiche

Esercizio 4.1.1. Tracciare un grafico approssimato delle funzioni. 1.

y = 2|x|+1

2.

y = 2|x| + 1

3.

y = 2|x+1|

Esercizio 4.1.2. Risolvere le equazioni esponenziali. 1.

2(2x−1)(3x−2) 25−8x 4x(3x−1) = 162x (87+x )7−x

3.

298 2 x−1 5 + 5 · 5x − 5x+2 + =0 3 3 √ x x 8x + 4 · 2− 2 = 5 · 2 2

5.

2 · 3x−

2.



x2 −1

− 9x+1−



x2 −1

4. 9x+2 + 9x−2 = 82 6. 2|x| − 8 · 4|x|−1 + 1 = 0

+ 75 = 0

Esercizio 4.1.3. Risolvere le equazioni logaritmiche.  1 x

1.

3log3 x = 2 · log 13

3.

log21 3x + log 12 3x − 2 = 0 2

3

2. log2 (1 + x) − log2 (1 − x) = −1 4. log3 (x − 1) − log9 x2 + log√3

Esercizio 4.1.4. Risolvere le disequazioni logaritmiche-esponenziali.

` di P. [09/10] ITIS V.Volterra San Dona

x =0 2

4.1 Funzioni esponenziali e logaritmiche

12

1.

log6 (x − 1) + log6 (x − 2) < 1

(?)

2.

log 12 (x2 + 2) + log2 (x − 2) ≤ log 12 (x + 1)

(?)

3.

(log 21 x)2 + log 12 x − 2 ≥ 0

(?)

4.

| ln(3x − 2)| < 1

(?)

Esercizio 4.1.5. Risolvere le disequazioni logaritmiche-esponenziali. 1.

3x ≥ 81

(x ≥ 4)

2.

 x 2 7

(x > log4 7)

10.

3x+1 + 3x−1 = 4x + 22x−1

(x = log 34

11.

5 2

12.

3x − 81 < 0

13.

125x ≥

14.

 √9−x2 1 < 32 2

15.

2−

  x1  x+2 5 2 − >0 5 2 2

1

=

(x < 0) (−2 < x < 2)

25x 5

51−2x

9 20 )

(x ≥ −1)

1 251−2x

(−3 ≤ x ≤ 3) (x = 21 )

` di P. [09/10] ITIS V.Volterra San Dona

4.1 Funzioni esponenziali e logaritmiche

13

16.

e2x − 1 ≥0 ex

(x ≥ 0)

17.

2x+2 − 2x+1 − 2x − 2x−1 − 2x−2 = 1

(x = 2)

18.

32x − 4 · 3x + 3 ≥0 |x| − 1

(x < −1

;

x ≥ 0 ma x 6= 1)

19.

3x − 2  ≥0 1 x −3 5

(log 15 3 < x ≤ log3 2)

20.

log2 x ≥ x − 1

risolvi graficamente...

21.

log2 x + logx 2 =

22.

log2 log 12 (x − 3) = 1

23.

log3 x · logx 9 =

24.

log 21 (x2 − 4x + 3) − log 12 (x − 2) ≥ log 21 (x + 1)

(x > 3)

25.

log log(x2 − 15) < 0

(4 < |x| < 5)

26.

logx (2x − 1) > 1

(x >

17 4



(x = (x =

x+3

√ 4

2

;

24 )

13 4 )

(∅)

1 2

ma x 6= 1)

Esercizio 4.1.6. Risolvere le disequazioni logaritmiche-esponenziali. 1.

 logx2 x2 + 1 ≥ 0

(x < −1 ; x > 1)

2.

 2 p  log2 x2 2x + |x| ≤ 1

(∅)

3.

√ +1− x+1 22x − 5 · 2x + 4

(−1 ≤ x < 2 ma x 6= 0 ; x ≥ 3)

4.

(ex − 1)(e2x − 5ex + 3) ≤ 0

(x < ln 23 )

5.

log2

6.

ex −e−x 2

7.

ln x+ln 2 ln(15−4x)

≤2

(?)

8.

log2 (x2 − 3x + 3) > 0

(?)

x 3

x+1 x−1

− log

1 x2 −3x+2 2 x2 +1

>1

2 (−1 ≤ x < 2 ma x 6= 0 ; x > ln(1 +

` di P. [09/10] ITIS V.Volterra San Dona



2)

4.1 Funzioni esponenziali e logaritmiche

x+1 x−1

− log 21

(x+4)2 x2 −1

9.

log2

10.

|53x − 9| < 4

(?)

11.

| ln x| (ln x−1)2

(?)

12.

25x − 2log2 6−1 < 5x−1 √



|1−ex |−1 ex −4

0

(?)

15.

logx2 (2 + x) < 1

(?)

16.

(logx 2)(log2x 2)(log2 4x) > 1

(?)

17.

log3

13.

|x2 −4x|+3 x2 +|x−5|

≥0

(?)

` di P. [09/10] ITIS V.Volterra San Dona

4.2 Funzioni goniometriche

4.2

15

Funzioni goniometriche

Esercizio 4.2.1. Calcolare il valore delle espressioni. 1.

[cos( 32 π − α) sin(2π − α) − sin( π2 + α) cos(π + α)]2 tan α cot(π + α)

2.

cos π3 + sin π6 + 1 − cos π6 − sin π3 sin2



3−2 2

π 4

Esercizio 4.2.2. Tracciare un grafico approsimato delle funzioni. 1.

y = sin |2x| + 3

2.

y = 2 cos(

π − x) 4

3.

y = || tan x| − 1

Esercizio 4.2.3. Verificare le seguenti identit`a.

1. 3. 5.

cos4 α − sin4 α = 2 cos2 α − 1 1 sin α tan α + = sec α tan α sin α + 1 sin α = cot α 1 − sin α cot α sin α

7.

sin2 4α − sin2 2α = sin 6α sin 2α

9.

tan 4α =

4 tan α(1 − tan2 α) tan4 α − 6 tan2 α + 1

2.

sin3 α − cos3 α = 1 + sin α cos α sin α − cos α

4. cos2 α(tan α + cot α) = cot α 6.

tan2 α − 1 1 1 = (sin α − cos α)( + ) tan α cos α sin α

α−β α+β − sin2 = cos α cos β 2 2 1 − cot α tan(α − β) = tan β 10. cot α + tan(α − β) 8. cos2

` di P. [09/10] ITIS V.Volterra San Dona

4.2 Funzioni goniometriche

16

Esercizio 4.2.4. Risolvere le equazioni. 1.

sin 2x − cos x = 2 sin x − 1

3.

3 sin x −

5.

3 + 3 cos 2x − sin2

7.

x |sin | = 1 − cos x 2



√ 2. sin2 x − 2 sin x cos x − ( 3 + 3) cos2 x = 0 4. sin3 x + cos3 x = 0

3 cos x + 3 = 0 x =0 2

6. sin2 (

π − 3x) − sin2 2x = 0 4

8. sin2 3x + 2 cos2 3x + cos x = −6

Esercizio 4.2.5. Risolvere le disequazioni.

1.

2.

√ √ 4 sin2 x + 2(1 − 3) sin x − 3 0 ma x 6= π + 2kπ, k ∈ Z + )

ln(1 − sin2 x) |xesin x |

(x ∈ R∗ −

ln(| sin x + cos x|) 32 sin x − 4 · 3sin x + 3 r 1 p 2 3 x − 6x + 12 2 x +9 s f (x) = 2x + 1 3−x

π 2

+ kπ, k ∈ Z )

(x ∈ R ma x 6= − π4 + kπ, kπ, π2 + 2kπ con k ∈ Z)

 (x ∈ R − − 21 , 3 )

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Parte III

Contributi

` di P. [09/10] ITIS V.Volterra San Dona

Contributi e licenza Erica Boatto Beniamino Bortelli Roberto Carrer Morena De Poli Piero Fantuzzi Caterina Fregonese Carmen Granzotto Franca Gressini Beatrice Hittahler Lucia Perissinotto Pietro Sinico

Algebra I - Algebra II - Insiemi Grafici Numeri - Funzioni - Coordinatore progetto Laboratorio matematica Algebra I - Algebra II - Insiemi Analisi (Integrazione) - Esercizi Funzioni - Analisi (Integrazione) Funzioni Funzioni trascendenti - Geometria analitica Numeri complessi - Analisi Funzioni trascendenti - Geometria analitica Numeri complessi - Analisi Geometria I - Geometria II

La presente opera `e distribuita secondo le attribuzioni della Creative Commons. . La versione corrente `e la In particolare chi vuole redistribuire in qualsiasi modo l’opera, deve garantire la presenza della prima di copertina e della intera Parte Contributi composta dai paragrafi: Contributi e licenza.

Settembre 2009

Dipartimento di Matematica ITIS V.Volterra San Don`a di Piave

Matematica 4 Dipartimento di Matematica

ITIS V.Volterra San Don`a di Piave Versione [09/10.1][S-All]

Indice I

Calcolo differenziale

1

1 Numeri reali 1.1 Insiemi di numeri reali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Intorni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Completezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2 2 5 8

2 Successioni numeriche reali 10 2.1 Successioni numeriche reali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 3 Limiti e funzioni continue 3.1 Generalit` a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 Teoremi sui limiti . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3 Operazioni sui limiti . . . . . . . . . . . . . . . 3.4 Continuit` a delle funzioni reali di variabile reale 3.5 Continuit` a delle funzioni elementari . . . . . . 3.6 Limiti fondamentali . . . . . . . . . . . . . . . 3.7 Punti di discontinuit` a . . . . . . . . . . . . . . 3.7.1 Esercizi riassuntivi proposti . . . . . . .

. . . . . . . .

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. . . . . . . .

14 14 16 18 19 19 26 31 33

4 Derivate e funzioni derivabili 4.1 Definizione e significato geometrico 4.2 Calcolo e regole di derivazione . . . 4.3 Regola di De L’Hospital . . . . . . 4.4 Continuit` a e derivabilit` a . . . . . . 4.5 Teoremi del calcolo differenziale . . 4.5.1 Esercizi riassuntivi proposti

. . . . . .

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37 37 38 44 46 50 53

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. . . . . . .

. . . . . . .

57 57 59 60 63 66 71 80

di derivata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

5 Studio del grafico di una funzione reale 5.1 Campo di esistenza . . . . . . . . . . . . 5.2 Simmetrie e periodicit` a . . . . . . . . . 5.3 Segno della funzione . . . . . . . . . . . 5.4 Limiti e asintoti . . . . . . . . . . . . . . 5.5 Derivata prima e segno relativo . . . . . 5.6 Derivata seconda e segno relativo . . . . 5.6.1 Esercizi riassuntivi proposti . . .

. . . . . . .

. . . . . . .

. . . . . . .

. . . . . . .

6 Integrazione

82

II

83

Contributi ` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

Parte I

Calcolo differenziale

` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

Capitolo 1

Numeri reali 1.1

Insiemi di numeri reali

I concetti fondamentali dell’Analisi Matematica che ci apprestiamo a studiare – limiti, funzioni continue, derivate – si fondano sulle propriet` a dei numeri reali e, in particolare, sulle propriet`a degli insiemi di numeri reali ; per questo iniziamo con un paragrafo che ne definisce la sostanza e le propriet`a. Definizione 1.1.1. Siamo a, b numeri reali con a < b, allora chiamiamo intervalli limitati i seguenti: [a, b] = {x ∈ R | a ≤ x ≤ b}

intervallo chiuso

]a, b[ = {x ∈ R | a < x < b}

intervallo aperto

[a, b[ = {x ∈ R | a ≤ x < b} ]a, b] = {x ∈ R | a < x ≤ b} Definizione 1.1.2. Siano a un numero reale, allora chiamiamo intervalli illimitati i seguenti: [a, +∞[ = {x ∈ R | x ≥ a} ]a, +∞[ = {x ∈ R | x > a} ] − ∞, a] = {x ∈ R | x ≤ a} ] − ∞, a[ = {x ∈ R | x < a} Naturalmente possiamo definire ] − ∞, +∞[= R osservando che l’intero insieme dei reali pu`o essere considerato un intervallo. Useremo, anzi, abbiamo gi` a usato, tutti questi intervalli ma di particolare importanza risultano i primi due ai quali abbiamo dato un nome specifico. Esempio 1.1.1. Studiare il campo di esistenza della funzione f (x) = ln(1 − x2 ). Si tratta di risolvere la disequazione 1 − x2 > 0, che, dopo rapidi calcoli, fornisce la soluzione : ] − 1, 1[ cio` e un intervallo aperto. √ Esempio 1.1.2. Studiare il campo di esistenza della funzione g(x) = 1 − x2 . 2 Si tratta di risolvere la disequazione 1 − x ≥ 0, che, dopo rapidi calcoli, fornisce la soluzione : [−1, 1] cio` e un intervallo chiuso. r Esempio 1.1.3. Studiare il campo di esistenza della funzione h(x) = Si tratta di risolvere la disequazione

x+2 . x−1

x+2 ≥ 0, che, dopo rapidi calcoli, fornisce la soluzione : ] − ∞, −2] ∪ ]1, +∞[ cio` e x−1

l’unione di intervalli illimitati.

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1.1 Insiemi di numeri reali

3

Gli insiemi di numeri reali possono essere molto pi` u complicati di un semplice intervallo o anche di unioni di intervalli. Per esempio si considerino gli insiemi A = {x ∈ R | x = n1 ; n ∈ N∗ } oppure B = {x ∈ R | x irrazionale}: non sono certamente un intervallo. In ogni caso possiamo dare alcune definizioni che ci aiuteranno perlomeno a catalogarli. Definizione 1.1.3. Sia A ⊆ R un insieme di numeri reali; diciamo che A `e superiormente limitato se ∃ c ∈ R | ∀x ∈ A : x ≤ c. In questo caso c si dice maggiorante di A. Diciamo che A `e inferiormente limitato se ∃ c ∈ R | ∀x ∈ A : x ≥ c. In questo caso c si dice minorante di A. Diciamo che A `e limitato se lo `e superiormente e inferiormente. Un insieme che non sia limitato (superiormente, inferiormente) si dice illimitato (superiormente, inferiormente). E’ evidente che se esiste un maggiorante (minorante) di A allora ne esistono infiniti. Esempio 1.1.4. Sia A = [−1, 1[; A ` e certamente limitato; infatti −1 ` e un minorante e 1 ` e un maggiorante.

Dall’esempio notiamo che i maggioranti (minoranti) non necessariamente appartengono all’insieme. Esempio 1.1.5. B = {x ∈ R | x ∈ N} = {0, 1, 2, · · · }; ` e limitato inferiormente con 0 minorante; non ` e limitato superiormente1 . 1 1 1 1 : n ∈ N∗ } = {1, , , · · · , , · · · }; ` e limitato superiormente con 1 maggiorante; ` e n 2 3 n limitato inferiormente perch` e l’insieme contiene solo numeri positivi e quindi un qualsiasi numero negativo ` e minorante; ma 1 anche 0 ` e minorante perch` e certamente 0 < n ∀n ∈ N∗ . Possiamo osservare che 0 ` e il pi` u grande fra i minoranti. Esempio 1.1.6. A = {x ∈ R | x =

L’esercizio precedente ci suggerisce che se un maggiorante appartiene all’insieme allora altri non vi possono appartenere perch`e non sarebbero pi` u maggioranti; analogamente per i minoranti. Abbiamo perci` o la definizione: Definizione 1.1.4. Sia A ⊆ R un insieme di numeri reali; se A `e superiormente limitato e c ∈ A `e un maggiorante allora c `e unico e si dice il massimo di A. Se A `e inferiormente limitato e c ∈ A `e un minorante allora c `e unico e si dice il minimo di A. L’esempio 1.1.6 mostra che l’insieme A ha massimo 1 ma non ha minimo: questo perch`e il pi` u grande fra i minoranti, 0, non appartiene all’insieme. Come dire: l’insieme A non ha un primo elemento ma ha un ultimo elemento (1). Esempio 1.1.7. A = [−1, 2]

minimo = −1

massimo = 2

C =] − 1, 2]

minimo 6 ∃

massimo = 2

C =] − 1, 2[ D =] − 1, +∞[

minimo 6 ∃

massimo 6 ∃

minimo = −1

massimo 6 ∃

L’esempio 1.1.7 mostra che l’intervallo aperto non ha ne massimo ne minimo per`o i numeri −1 e 2 che sono rispettivamente il pi` u grande minorante e il pi` u piccolo maggiorante, sono una specie di surrogato di minimo e massimo. Diamo perci` o la definizione: Definizione 1.1.5. Sia A ⊆ R un insieme di numeri reali; se esiste c ∈ R che sia il massimo fra i minoranti questo si dice l’estremo inferiore di A e si indica con inf A. Se esiste c ∈ R che sia il minimo fra i maggioranti questo si dice l’estremo superiore di A e si indica con sup A. Esempio 1.1.8. A = [−2, 5[; ` e limitato inferiormente con minorante −2 che appartiene all’insieme e quindi ne ` e il minimo. E’ limitato superiormente perch` e 5` e un maggiorante. Non ` e il massimo perch` e non appartiene all’insieme. Dimostriamo che 5 ` e l’estremo superiore: [5, +∞[ ` e l’insieme di tutti i possibili maggioranti; osserviamo che ha minimo 5 che quindi ` e il minimo fra i maggioranti. 1 Lo

studente ` e in grado di fornirne una dimostrazione?

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1.1 Insiemi di numeri reali

4

Purtroppo non `e sempre cos`ı semplice dimostrare che un certo numero `e l’estremo superiore (o inferiore) di un insieme. Riprendiamo in considerazione una semplice variante l’esempio 1.1.6: 1 1 1 1 : n ∈ N∗ } = {1 + 1, 1 + , 1 + , · · · , 1 + , · · · } Banalmente 2 ` e il massimo. n 2 3 n Invece il minimo non esiste per` o1` e un buon candidato per essere estremo inferiore. E’ un minorante perch` e tutti i numeri 1 del tipo 1 + n sono maggiori2 di 1 per` o non ` e immediato percepire che sia anche il massimo fra i minoranti e questo perch` e il nostro insieme, stavolta, non ` e un intervallo. In effetti non tutti i numeri maggiori di 1 appartengono all’insieme e quindi si potrebbe dubitare del fatto che 1 sia proprio il pi` u grande fra i minoranti. In ogni caso se dimostriamo che i numeri maggiori di 1 non sono minoranti siamo a posto. Per assurdo supponiamo che esista un numero 1 +  > 1 che sia maggiorante di A; 1 1 , da cui  > n ∀n ∈ N∗ e quindi n > 1 ∀n ∈ N∗; ma quest’ultima questo implica che 1 +  > x, ∀x ∈ A, cio` e 1+> 1+ n disuguaglianza ha molte soluzioni e quindi il nostro 1 +  non pu` o essere maggiorante e abbiamo un assurdo. Esempio 1.1.9. A = {x ∈ R | x = 1 +

Come si vede la dimostrazione che un numero `e estremo inferiore (o superiore) non `e immediata e come l’esempio illustra, la tecnica usata per la dimostrazione non `e il richiamo alla definizione di estremo inferiore (o superiore) ma una applicazione del teorema seguente (la cui dimostrazione lasciamo per esercizio): Teorema 1.1.1. L’estremo superiore di un insieme di numeri reali A `e l’unico numero c, se esiste, che ha le seguenti propriet` a: 1. c `e un maggiorante 2. qualunque sia  > 0, c −  non `e maggiorante di A Analogamente si ha Teorema 1.1.2. L’estremo inferiore di un insieme di numeri reali A `e l’unico numero c, se esiste, che ha le seguenti propriet` a: 1. c `e un minorante 2. qualunque sia  > 0, c +  non `e minorante di A A questo punto `e lecito porsi la domanda: ma quali sono le condizioni perch`e inf A e sup A esistano? A questa domanda risponderemo in dettaglio nel paragrafo 1.3 ma riassumiamo qu`ı le propriet`a sinora esposte. Riassumendo: Sia A un insieme di numeri reali; se A `e limitato superiormente allora ammette sup A che `e unico; se sup A ∈ A allora `e anche massimo. Se A `e limitato inferiormente allora ammette inf A che `e unico; se inf A ∈ A allora `e anche minimo. Esercizi Esercizio 1.1.1. Determinare (se esistono) l’estremo superiore, l’estremo inferiore, il minimo, e il massimo dei seguenti insiemi: 2n + 5 , n ∈ N∗ } 5n n−1 2. A − 2 = {x ∈ R | x = , n ∈ N∗ } n+1 1. A1 = {x ∈ R | x =

3. A3 = {x ∈ R | x = (−1)n

n−1 , n ∈ N∗ } n

4. A4 = {x ∈ R | x = 1 − 3n , n ∈ N∗ } x 5. A − 5 = {z ∈ R | z = x, y ∈]1, 2]} y 2 Facile

dimostrazione.

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1.2 Intorni

1.2

5

Intorni

Quando possiamo dire che due numeri (punti) reali sono vicini o lontani ? Questo `e certamente un concetto relativo: per esempio i numeri 3, 14 e 3, 15 sono vicini se sono misure in metri (la differenza `e 0, 01 cio`e 1 cm) di qualche grandezza ma sono lontani se sono misure in anni-luce (quanto sar`a la differenza in m?). Risulta che la nozione importante `e quella di pi` u vicino o meno vicino piuttosto che la reale consistenza numerica della vicinanza. A questo proposito `e fondamentale la definizione seguente: Definizione 1.2.1. Si dice intorno di un numero (punto) x ∈ R un qualsiasi sottoinsieme U ⊆ R che contenga un intervallo aperto contenente x. In sostanza vogliamo che sia : x ∈]a, b[⊆ U ⊆ R. La richiesta di questa doppia inclusione sembra inutilmente complicata; in realt` a la definizione consente di avere come intorni di un punto anche insiemi molto complicati: la cosa non `e importante, basta che contenga un intervallo aperto con dentro il punto. Esempio 1.2.1. Sia x = 1 allora i seguenti sono tutti intorni di x: 1. U1 =]0, 2[ 2. U2 =]0.2, 1.3[ 3. U3 = [0, 3] 4. U4 = [−1, +∞[ mentre i seguenti non sono intorni di x: 1. U5 =]1, 2[ 2. U6 =]0.2, 1[ 3. U7 = [0, 1] 4. U8 = [−1, 0]∪]2, +∞[ 5. U9 =] − 1, 0] ∪ {1} L’insieme U9 non ` e intorno di 1 nonostante 1 ∈ U9 perch` e, in qualche modo, quest’ultimo ` e isolato.

La nozione di intorno ci permette di avvicinarci ad un numero sempre pi` u: basta considerare una successione di intorni del numero via via pi` u piccoli: per il numero 1, per esempio, possiamo considerare gli intorni del tipo ]a, b[ con 0 < a < 1 e 1 < b < 2. A volte torna utile definire anche intorni parziali di un numero: Definizione 1.2.2. Si dice intorno destro di un numero (punto) x ∈ R un qualsiasi sottoinsieme U ⊆ R che contenga un intervallo aperto a destra che abbia x come estremo inferiore. Si dice intorno sinistro di un numero (punto) x ∈ R un qualsiasi sottoinsieme U ⊆ R che contenga un intervallo aperto a sinistra che abbia x come estremo superiore. Esempio 1.2.2. Sia x = 1 allora [−2, 1] ` e intorno sinistro e ]1, 5[ ` e intorno destro di 1.

Risulter` a utile il seguente: Teorema 1.2.1. L’unione e l’intersezione di due intorni (o di un numero finito d’intorni) di un numero `e anch’essa intorno del numero. Lasciamo la dimostrazione allo studente pignolo. Saranno molto usate anche le seguenti: Definizione 1.2.3. Si dice intorno di pi` u infinito un qualsiasi sottoinsieme U ⊆ R che contenga un intervallo illimitato a destra (]a, +∞[). Si indica usualmente con U+∞ . Si dice intorno di meno infinito un qualsiasi sottoinsieme U ⊆ R che contenga un intervallo illimitato a sinistra (] − ∞, b[).Si indica usualmente con U−∞ . Si dice intorno di infinito un qualsiasi sottoinsieme U ⊆ R che contenga un intervallo illimitato a sinistra (] − ∞, b[) e un intervallo illimitato a destra (]a, +∞[). Si indica usualmente con U∞ . ` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

1.2 Intorni

6

Consideriamo il seguente problema: l’intervallo U =]0, 1[, come sottoinsieme di numeri reali, `e intorno di tutti i propri punti? La risposta `e certamente s`ı; infatti se c ∈]0, 1[ abbiamo la catena di inclusioni c ∈]0, 1[⊆]0, 1[ e quindi, per definizione, U `e intorno di c. Invece, se consideriamo l’insieme U1 =]0, 1] ⊆ R non possiamo dire altrettanto: il problema `e che l’insieme U1 `e solamente intorno sinistro del numero 1 e quindi non possiamo affermare che `e intorno di tutti i propri punti. Questa osservazione porta alla seguente, importante, definizione: Definizione 1.2.4. L’insieme A ⊆ R di numeri reali si dir`a aperto se `e intorno di tutti i suoi punti. L’insieme B ⊆ R di numeri reali si dir` a chiuso se il suo complementare in R 3 `e aperto. La nozione di insieme aperto/chiuso risulta essere molto importante nello studio dell’analisi ma questo fatto non pu` o essere reso esplicito ora; lo sar`a pi` u avanti quando si saranno studiate ulteriori propriet` a delle funzioni. Valgono i seguenti teoremi (che lasciamo da dimostrare al solito studente volenteroso): Teorema 1.2.2. L’intersezione di un numero finito e l’unione di un numero qualsiasi di insiemi aperti `e un insieme aperto. Teorema 1.2.3. L’intersezione di un numero qualsiasi e l’unione di un numero finito di insiemi chiusi `e un insieme chiuso. L’ultima nozione importante per lo studio dell’analisi riguarda i numeri che risultano infinitamente vicini ad un certo insieme. Questo ci consente di avvicinarci quanto vogliamo al numero in questione sempre rimanendo dentro l’insieme. Vediamo la definizione: Definizione 1.2.5. Sia A ⊆ R e c ∈ R. Si dice che c `e un punto di accumulazione per A se in ogni intorno di c cadono infiniti punti di A. Non `e necessario che c ∈ A. Esempio 1.2.3. Sia A =]1, 2[, allora 1 ` e punto di accumulazione per A. Infatti, se U ` e intorno qualsiasi di 1, conterr` a un intervallo ]a, b[ tale che a < 1 < b e quindi in questo intervallo cadono tutti i numeri compresi fra 1 e b se b < 2 altrimenti tutti i numeri compresi fra 1 e 2: in ogni caso infiniti numeri di A. Per la stessa ragione anche 2 ` e punto di accumulazione per A. Osserviamo che 1 e 2 non appartengono ad A. Osserviamo anche che ogni altro punto di A ` e banalmente di accumulazione per A.

Non sempre le cose sono cos`ı semplici. 1 1 1 , n ∈ N∗ } = {1, , · · · , , · · · }. Facciamo vedere che 0 ` e di accumulazione per n 2 n A. Se U ` e un qualsiasi intorno di 0 allora contiene un intervallo aperto che contiene 0 e quindi sar` a del tipo ]a, b[ con a < 0 e b > 0. E’ evidente che nell’intervallo ]0, b[ cadono infiniti numeri di A: infatti baster` a vedere per quali valori di n 1 1 1 ` e soddisfatta la < b; risolvendo si ha: n > e quindi sono infiniti. Intutivamente la cosa ` e del tutto chiara: i numeri n n b positivi diventando sempre pi` u piccoli si avvicinano a 0 sempre di pi` u. Osserviamo che l’insieme A, contrariamente al caso dell’esercizio precedente, non ha altri punti di accumulazione. 1 Dimostriamo, ad esempio, che non ` e di accumulazione: ricordiamo che la definizione di punto di accumulazione prescrive 3 che in ogni intorno del numero cadano infiniti punti di A; se noi troviamo anche un solo intorno che non soddisfa la propriet` a 1 allora il punto non ` e di accumulazione. Sia U intorno di , e supponiamo che U contenga l’intervallo aperto ]0.3, 0.4[ ` e 3 1 subito evidente che in questo intervallo cade un solo il numero di : quindi il numero non ` e di accumulazione. Con analoga 3 dimostrazione si procede per gli altri. Esempio 1.2.4. Sia A = {x ∈ R | x =

Osservazione importante Spesso si deve considerare quello che accade per numeri infinitamente grandi (positivi, negativi o entrambi) e quindi diventa comodo supporre che questi infiniti siano punti e siano di accumulazione per un insieme A. Si tratta di una pura convenzione di linguaggio poich`e gli infinti 3 Come noto dal biennio, il complementare di un insieme A contenuto in un insieme B ` e l’insieme dei punti di B tolti i punti di A.

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1.2 Intorni

7

non sono numeri. In effetti se un insieme `e, ad esempio, superiormente illimitato contiene numeri che sono arbitrariamente grandi, senza alcun limite: `e quindi possibile avvicinarsi all’infinito quanto si vuole sempre rimanendo all’interno dell’insieme; in questo caso `e comodo dire che l’infinito `e di accumulazione per l’insieme. In generale, quando diciamo che c `e un’accumulazione intendiamo che pu`o essere un numero qualsiasi o un infinito. Esercizi Esercizio 1.2.1. Studiare i seguenti insiemi (limitati superiormente, inferiormente, estremo superioreinferiore, massimo-minimo, punti di accumulazione): 1. A = {x ∈ R | x =

2n + 5 , n ∈ N∗ } 5n

2. B = {x ∈ R | x =

n2 − 1 , n ∈ N∗ } n2

3. C = {x ∈ R | x = 1 − 3n , n ∈ N∗ } 4. D = {z ∈ R | z =

x y

x, y ∈]1, 2]}

5. E =] − 1, 0[∪]0, 1] 6. F =]1, +∞[ 7. G = [1, 3[∪{4}

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1.3 Completezza

1.3

8

Completezza

In questo paragrafo riprendiamo brevemente la discussione sui numeri reali iniziata nel volume Matematica 3. Nel capitolo Numeri abbiamo discusso le 12 propriet`a fondamentali dei numeri che consentono lo sviluppo dell’algebra. Per affrontare i temi dell’Analisi Matematica, compito di questo volume, abbiamo bisogno, come gi` a anticipato, di una ulteriore propriet`a (assioma) che permette di distinguere decisamente fra numeri razionali (frazioni) e numeri reali. Riportiamo per comodit`a le prime 12 propriet`a enunciate dei numeri: Siano a, b, c numeri qualsiasi e P l’insieme dei numeri positivi. a + (b + c) = (a + b) + c a+0=0+a=a

Associativa della somma

(P.1)

Elemento neutro della somma

(P.2)

Esistenza opposto

(P.3)

Commutativa della somma

(P.4)

a + (−a) = (−a) + a = 0 a+b=b+a a(bc) = (ab)c a1 = 1a

Associativa del prodotto

(P.5)

Elemento neutro del prodotto

(P.6)

Esistenza inverso

(P.7)

Commutativa del prodotto

(P.8)

Distributiva

(P.9)

aa−1 = a−1 a = 1 ab = ba a(b + c) = ab + ac Dove e a 6= 0 nel caso P.7. Legge di tricotomia

(P10)

Per ogni numero a, vale una sola delle seguenti: a=0

(i)

a∈P

(ii)

−a ∈ P

(iii)

Se a ∈ P e b ∈ P, allora a + b ∈ P

Chiusura per la somma

(P11)

Se a ∈ P e b ∈ P, allora ab ∈ P

Chiusura per il prodotto

(P12)

Come a osservato, queste propriet`a non permettono di distinguere fra razionali e reali. Per esem√ gi` a un pio, la 2 e tutte le radici di numeri che non sono quadrati non `e razionale e questo sarebbe gi` motivo sufficiente per la loro introduzione; ma lo studio dell’analisi matematica ci pone un problema altrettanto spinoso: se un insieme di numeri `e limitato superiormente allora esiste l’estremo superiore? e analogamente, se un insieme di numeri `e limitato inferiormente allora esiste l’estremo inferiore? Esistenza dell’estremo superiore Se A ⊆ R, A 6= ∅, e A `e limitato superiormente, allora A ha un estremo superiore.

(P.13)

L’esistenza dell’estremo superiore va postulata, non `e dimostrabile. Con questo assioma distinguiamo definitivamente i numeri razionali dai reali nel senso che per i razionali questo assioma non vale. Per esempio l’insieme dei razionali che soddisfano la disequazione x2 < 2 `e certamente superiomente limitato perch`e, per esempio, 3 `e un maggiorante, ma non esiste il minimo fra i maggioranti perch`e dovrebbe essere proprio la radice di 2 che non `e razionale. L’esistenza dell’estremo inferiore per gli insiemi inferiormente limitati non occorre sia postulata, si pu` o dimostrare a partire da P.13. ` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

1.3 Completezza

9

Teorema 1.3.1. Sia A ⊆ R, A 6= ∅ limitato inferiormente. Sia B l’insieme di tutti i minoranti di A. Allora B 6= ∅, B `e limitato superiormente e l’estremo superiore di B `e l’estremo inferiore di A. Dimostrazione. Lasciata per esercizio. Vale, ovviamente, anche il seguente Teorema 1.3.2. Se un insieme ha un estremo superiore (inferiore), questi `e unico. Dimostrazione. Per assurdo, se A ammette due estremi superiori, diciamo x e y allora si avrebbe x ≤ y perch`e y `e un maggiorante e x `e il pi` u piccolo maggiorante; ma si avrebbe anche y ≤ x perch`e x `e un maggiorante e y `e il pi` u piccolo maggiorante; perci`o x = y. Analogamente per l’estremo inferiore.

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Capitolo 2

Successioni numeriche reali 2.1

Successioni numeriche reali

Definizione 2.1.1. Diremo successione una funzione definita in N. Definizione 2.1.2. Diremo successione numerica reale una funzione definita da N in R. Con le consuete notazioni relative alle funzioni scriveremo: s:N→R n 7−→ an Si conviene di definire termine generale della successione l’immagine an in cui n viene chiamato indice; inoltre spesso si indentifica la successione con l’insieme delle sue immagini, cio`e a0 , a1 , a2 , ..., an , ... o, sinteticamente, {an }n∈N Definizione 2.1.3. Diremo che la successione numerica reale {an }n∈N converge (oppure `e convergente) a l∈ R se ∀  > 0, ∃ n ∈ N|∀ n > n ⇒ |an − l| <  In pratica, tutti i termini della successione da un certo punto in poi ( proprio da n in avanti) risultano compresi fra l −  e l +  perch`e la loro distanza da l `e inferiore ad . Per ogni scelta di  positivo `e sempre possibile trovare un n opportuno e la definizione risulta tanto pi` u interessante quanto pi` u  `e piccolo poich`e in quel caso si rende ancor pi` u evidente la ‘vicinanza’ degli an (da n in poi) ad l. In tal caso scriveremo lim an = l n→+∞

Definizione 2.1.4. Diremo che la successione numerica reale {an }n∈N diverge (oppure `e divergente) se ∀ M > 0, ∃ n ∈ N|∀ n > n ⇒ |an | > M ; diremo che diverge (oppure ` e divergente) positivamente se ∀ M > 0, ∃ n ∈ N|∀ n > n ⇒ an > M ; diremo che diverge (oppure `e divergente) negativamente se ∀ M > 0, ∃ n ∈ N|∀ n > n ⇒ an < −M ` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

2.1 Successioni numeriche reali

11

In pratica, tutti i termini della successione da un certo punto in poi ( proprio da n in avanti) risultano maggiori di M oppure minori di −M perch`e diventano in valore assoluto grandi a piacere. Per ogni scelta di M positivo `e sempre possibile trovare un n opportuno e la definizione risulta tanto pi` u interessante quanto pi` u M `e grande poich`e in quel caso si rende ancor pi` u evidente l’ ‘aumentare’ degli an (da n in poi). In tali casi scriveremo, rispettivamente, lim an = ∞

n→+∞

lim an = +∞

n→+∞

lim an = −∞

n→+∞

Altrimenti, diremo che la successione numerica reale {an }n∈N `e indeterminata . Esempio 2.1.1. Discutere il carattere (cio`e dire se `e convergente, divergente o indeterminata) della successione di termine generale 1 . n Calcoliamo il valore dei primi termini della successione (osserviamo che il minimo valore di n ` e 1): an =

a1 = 1, a2 =

1 1 1 1 , a3 = , a4 = , a5 = , ... 2 3 4 5

la successione converge a 0 poich` e ∀  > 0, ∃ n ∈ N|∀ n > n ⇒ |

1 − 0| <  n

infatti la disequazione 1  ` e evidentemente verificata, per ogni scelta di , da tutti i naturali maggiori di n che per primo supera n>

y 4

3

2

1

0

1

2

3

4

5

x

Esempio 2.1.2. Discutere il carattere della successione di termine generale an =

n+1 . n+2

Calcoliamo il valore dei primi termini della successione (osserviamo che il minimo valore di n ` e 0): a0 =

1 2 3 4 5 , a1 = , a2 = , a3 = , a4 = , ... 2 3 4 5 6

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1 . 

2.1 Successioni numeriche reali

12

osserviamo che possiamo riscrivere il termine generale an =

n+1 (n + 2) − 1 1 = =1− n+2 n+2 n+2

ed i primi termini 1 1 1 1 1 , a1 = 1 − , a2 = 1 − , a3 = 1 − , a4 = 1 − , ... 2 3 4 5 6

a0 = 1 − la successione converge a 1 poich` e

∀  > 0, ∃ n ∈ N|∀ n > n ⇒ |1 −

1 − 1| <  n+2

infatti la disequazione 1  ` e evidentemente verificata, per ogni scelta di , da tutti i naturali maggiori di n che per primo supera n+2>

1 

− 2.

Esempio 2.1.3. Discutere il carattere della successione di termine generale 1

an = e n . Calcoliamo il valore dei primi termini della successione (osserviamo che il minimo valore di n ` e 1): √ √ √ √ 1 1 1 1 a1 = e, a2 = e 2 = e, a3 = e 3 = 3 e, a4 = e 4 = 4 e, a5 = e 5 = 5 e, ... la successione converge a 1 poich` e 1 ∀  > 0, ∃ n ∈ N|∀ n > n ⇒ |e n − 1| <  infatti la disequazione 1 1 −  < en < 1 +  ` e equivalente a 1 < ln(1 + ) ln(1 − ) < n ove non ` e restrittivo porre 1 −  > 0 (essendo  piccolo a piacere) e si osserva che essendo ln(1 − ) < 0 la prima parte della disequazione ` e sempre soddisfatta; per risolvere la seconda parte della stessa passiamo ai reciproci cambiando verso e otteniamo 1 n> ln(1 + ) la quale ` e evidentemente verificata, per ogni scelta di , da tutti i naturali maggiori di n che per primo supera

1 . ln(1+)

Esempio 2.1.4. Discutere il carattere della successione di termine generale n2 − 4 . n+2 Calcoliamo il valore dei primi termini della successione (osserviamo che il minimo valore di n ` e 0) e riscriviamo il termine generale n2 − 4 (n + 2)(n − 2) an = = =n−2 n+2 n+2 ed i primi termini a0 = −2, a1 = −1, a2 = 0, a3 = 1, a4 = 2, ... la successione diverge a +∞ poich` e an =

∀ M > 0, ∃ n ∈ N|∀ n > n ⇒ n − 2 > M infatti la disequazione n−2>M ` e evidentemente verificata, per ogni scelta di M , da tutti i naturali maggiori di n che per primo supera M + 2. Esempio 2.1.5. Discutere il carattere della successione di termine generale an = ln n. Calcoliamo il valore dei primi termini della successione (osserviamo che il minimo valore di n ` e 1): a1 = 0, a2 = ln 2, a3 = ln 3, a4 = ln 4, a5 = ln 5, ... la successione diverge a +∞ poich` e ∀ M > 0, ∃ n ∈ N|∀ n > n ⇒ ln n > M infatti la disequazione ln n > M ` e evidentemente verificata, per ogni scelta di M , da tutti i naturali maggiori di n che per primo supera eM .

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2.1 Successioni numeriche reali

13

Esempio 2.1.6. Discutere il carattere (cio` e dire se ` e convergente, divergente o indeterminata) della successione di termine generale an = cos nπ. Calcoliamo il valore dei primi termini della successione (osserviamo che il minimo valore di n ` e 0): a0 = 1, a1 = −1, a2 = 1, a3 = −1, a4 = 1, ... la successione ` e indeterminata poich` e risulta an = (−1)n che per n pari vale 1 e per n dispari vale -1. Esempio 2.1.7. Discutere il carattere della successione di termine generale n

an = 2(−1)

n

.

Calcoliamo il valore dei primi termini della successione (osserviamo che il minimo valore di n ` e 0): a0 = 1, a1 =

1 1 , a2 = 4, a3 = , a4 = 16, ... 2 8

la successione ` e indeterminata poich` e risulta an = 2n per n pari e an =

1 2n

per n dispari.

Studiare il carattere delle seguenti successioni numeriche reali di cui `e dato il termine generale:

1. an =

3n − 2 2n − 3 [convergente a 32 ]

2. an = e−n

2

[convergente a 0] 3. an = ln(5n + 7) [divergente positivamente] 4. an = sin(n π2 ) [indeterminata] 5. an = (−1)n tan n1 [convergente a 0]

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Capitolo 3

Limiti e funzioni continue 3.1

Generalit` a

Introduciamo il capitolo con l’esempio storicamente significativo del calcolo della lunghezza della circonferenza. Affrontiamo il problema costruendo i poligoni regolari inscritti e circoscritti alla circonferenza osservando che: • il perimetro di qualunque poligono inscritto `e minore del perimetro di qualunque poligono circoscritto; • aumentando il numero dei lati dei poligoni, diminuisce la differenza fra i perimetri dei poligoni con lo stesso numero di lati, rispettivamente inscritto e circoscritto; Dalle osservazioni fatte ne consegue che i 2 insiemi dei perimetri dei poligoni, rispettivamente inscritti e circoscritti, costituiscono 2 classi di grandezze contigue che ammettono quindi un unico elemento di separazione: proprio la lunghezza della circonferenza. Dal punto di vista dell’Analisi il problema potrebbe essere affrontato mediante la costruzione di 2 successioni, rispettivamente i perimetri dei poligoni regolari inscritti e circoscritti: s3 , s4 , s5 , ... S3 , S4 , S5 , ... si pu` o dimostarare, con l’uso della trigonometria, che tali successioni sono convergenti verso lo stesso valore L che quindi si assume come lunghezza della circonferenza. Ci`o significa che ∀  > 0, ∃ n ∈ N|∀ n > n ⇒ |sn − L| <  e, analogamente, che ∀  > 0, ∃ n ∈ N|∀ n > n ⇒ |Sn − L| <  cio`e, come abbiamo gi` a visto, si scrive anche lim sn = L

n→+∞

e, analogamente, lim Sn = L.

n→+∞

Cercheremo nel seguito di generalizzare il procedimento suesposto ad una qualunque funzione reale di variabile reale. ` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

3.1 Generalit` a

15

Definizione 3.1.1. Sia y = f (x) una funzione reale di variabile reale di dominio D e sia c un’accumulazione per D; diremo che lim f (x) = l x→c

se ∀ Vl , ∃ Uc |∀ x ∈ Uc ∩ D − {c} ⇒ f (x) ∈ Vl cio`e, fissato comunque un intorno del limite, deve esistere un intorno dell’accumulazione tale che, preso un qualunque punto x appartenente a tale intorno e al dominio, esclusa al pi` u l’accumulazione stessa, accade che la sua immagine appartiene all’intorno del limite inizialmente considerato La definizione generale appena data si traduce nei casi particolari come segue: • limite finito per una funzione in un punto cio`e l, c ∈ R: lim f (x) = l

x→c

se ∀  > 0, ∃ Uc |∀ x ∈ Uc ∩ D − {c} ⇒ |f (x) − l| <  • limite finito per una funzione all’infinito cio`e l ∈ R, c = ∞: lim f (x) = l

x→∞

se ∀  > 0, ∃ U∞ |∀ x ∈ U∞ ∩ D ⇒ |f (x) − l| <  • limite infinito per una funzione in un punto cio`e c ∈ R, l = ∞: lim f (x) = ∞

x→c

se ∀ M > 0, ∃ Uc |∀ x ∈ Uc ∩ D − {c} ⇒ |f (x)| > M • limite infinito per una funzione all’infinito cio`e l, c = ∞: lim f (x) = ∞

x→∞

se ∀ M > 0, ∃ U∞ |∀ x ∈ U∞ ∩ D ⇒ |f (x)| > M Osservazione. Di particolare utilit` a risultano, in taluni casi, le definizioni di limite destro e sinistro in un punto c: diremo che lim+ f (x) = l x→c

se ∀ Vl , ∃ Uc |∀ x ∈ Uc ∩ D ∩ {x ∈ R|x > c} ⇒ f (x) ∈ Vl e lo chiameremo limite destro della funzione in c. Analogamente si definisce il limite sinistro di f (x) in c. Esempio 3.1.1. Usando la definizione di limite, verificare che lim

x→2

x2 − 5x + 6 = −1 x−2

2 ∀  > 0, ∃ U2 |∀ x ∈ U2 ∩ R∗ − {2} ⇒ x −5x+6 + 1 <  x−2 2 (x−2)(x−3) Risolviamo la disequazione x −5x+6 + 1 <  ottenendo + 1 <  da cui |(x − 3) + 1| <  ed infine x−2 x−2 |x − 2| <  che rappresenta l’intorno di 2 cercato.

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3.2 Teoremi sui limiti

16

Esempio 3.1.2. Usando la definizione di limite, verificare che lim

x→∞

1 =0 x2 + 2

∀  > 0, ∃ U∞ |∀ x ∈ U∞ ∩ R ⇒ x21+2 <  1 Risolviamo la disequazione x2 +2 <  ottenendo x2 + 2 > 1 da cui x2 > r r 1 1 − 2, x > −2 x 0, ∃ U−5 |∀ x ∈ U−5 ∩ R − {−5} ⇒ ln(x + 5)2 < −M √ √ Risolviamo la disequazione ln(x + 5)2 < −M ottenendo (x + 5)2 < e−M da cui − e−M < x + 5 < e−M ed infine √ √ −5 − e−M < x < −5 + e−M che rappresenta l’intorno di −5 cercato. Esempio 3.1.4. Usando la definizione di limite, verificare che √ lim 1 − x = +∞ x→−∞



∀ M > 0, ∃ U−∞ |∀ x ∈ U−∞ ∩] −√∞, 1] ⇒ 1 − x > M Risolviamo la disequazione 1 − x > M ottenendo 1 − x > M 2 da cui −x > M 2 − 1 ed infine x < 1 − M2 che rappresenta l’intorno di −∞ cercato.

3.2

Teoremi sui limiti

Teorema 3.2.1 (Teorema di unicit` a del limite). Il limite di una funzione f (x), reale di variabile reale, per x che tende ad una accumulazione c per il suo dominio D, se esiste, `e unico. Dimostrazione. Supponiamo, per assurdo, che il limite non sia unico. Nel caso finito, si avrebbe l1 6= l2 ossia, per esempio, l1 < l2 ; per definizione di limite si ha ∀  > 0, ∃ Uc1 |∀ x ∈ Uc1 ∩ D − {c} ⇒ |f (x) − l1 | <  ∀  > 0, ∃ Uc2 |∀ x ∈ Uc2 ∩ D − {c} ⇒ |f (x) − l2 | <  cio`e ∀  > 0, ∃ Uc1 |∀ x ∈ Uc1 ∩ D − {c} ⇒ l1 −  < f (x) < l1 +  ∀  > 0, ∃ Uc2 |∀ x ∈ Uc2 ∩ D − {c} ⇒ l2 −  < f (x) < l2 +  in particolare in Uc1 ∩ Uc2 ∩ D risulta che l2 −  < f (x) < l1 +  cio`e anche l2 −  < l1 +  ovvero l2 − l1 < 2 che contraddice l’ipotesi che  sia positivo piccolo a piacere. In maniera del tutto analoga si lavora nel caso infinito. ` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

3.2 Teoremi sui limiti

17

Teorema 3.2.2 (Teorema della permanenza del segno). Se una funzione f (x), reale di variabile reale, per x che tende ad una accumulazione c per il suo dominio, ha limite non nullo allora esiste un intorno di c in cui la funzione assume lo stesso segno del suo limite. Dimostrazione. Supponiamo che il limite esista finito e positivo. Per definizione di limite si ha ∀  > 0, ∃ Uc |∀ x ∈ Uc ∩ D − {c} ⇒ |f (x) − l| <  cio`e ∀  > 0, ∃ Uc |∀ x ∈ Uc ∩ D − {c} ⇒ l −  < f (x) < l +  in particolare per  =

l 2

risulta che l−

l < f (x) 2

ovvero

l >0 2 Analogamente si lavora nel caso finito e negativo e nei casi infiniti. f (x) >

Teorema 3.2.3 (Teorema del confronto o dei 2 carabinieri). Siano f (x), g(x), h(x) tre funzioni reali di variabile reale definite in un intorno di una comune acculmulazione c ove risulti f (x) ≤ g(x) ≤ h(x) e sia inoltre lim f (x) = l = lim h(x) x→c

x→c

allora anche lim g(x) = l

x→c

Dimostrazione. Per definizione di limite si ha ∀  > 0, ∃ Uc |∀ x ∈ Uc ∩ D − {c} ⇒ |f (x) − l| <  ∀  > 0, ∃ Uc |∀ x ∈ Uc ∩ D − {c} ⇒ |h(x) − l| <  cio`e ∀  > 0, ∃ Uc |∀ x ∈ Uc ∩ D − {c} ⇒ l −  < f (x) < l +  ∀  > 0, ∃ Uc |∀ x ∈ Uc ∩ D − {c} ⇒ l −  < h(x) < l +  in particolare risulta che l −  < f (x) ≤ g(x) ≤ h(x) < l +  cio`e l −  < g(x) < l +  che equivale ad affermare che lim g(x) = l

x→c

Analogamente si procede nei casi infiniti.

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3.3 Operazioni sui limiti

3.3

18

Operazioni sui limiti

1. Casi finiti: siano lim f1 (x) = l1 e lim f2 (x) = l2 con l1 , l2 ∈ R allora x→c

x→c

lim [f1 (x) + f2 (x)] = l1 + l2

x→c

lim [f1 (x) − f2 (x)] = l1 − l2

x→c

lim f1 (x) · f2 (x) = l1 · l2

x→c

f1 (x) l1 = l2 6= 0 x→c f2 (x) l2 lim |f1 (x)| = |l1 | lim

x→c

lim f1 (x)f2 (x) = l1l2

x→c

l1 > 0

2. Addizioni con i limiti (almeno un caso infinito): siano lim f1 (x) = l e lim f2 (x) = ∞ con l ∈ R allora lim [f1 (x) + f2 (x)] = ∞ x→c

x→c

x→c

siano lim f1 (x) = +∞ e lim f2 (x) = +∞ allora lim [f1 (x) + f2 (x)] = +∞ x→c

x→c

x→c

siano lim f1 (x) = −∞ e lim f2 (x) = −∞ allora lim [f1 (x) + f2 (x)] = −∞ x→c

x→c

x→c

Osservazione. Se invece lim f1 (x) = +∞ e lim f2 (x) = −∞ allora nulla si pu`o dire! In tal caso x→c x→c parleremo di forma indeterminata del tipo +∞ − ∞. 3. Moltiplicazioni con i limiti (almeno un caso infinito): siano lim f1 (x) = l e lim f2 (x) = ∞ con l ∈ R∗ allora lim f1 (x) · f2 (x) = ∞ x→c

x→c

x→c

siano lim f1 (x) = ∞ e lim f2 (x) = ∞ allora lim f1 (x) · f2 (x) = ∞ x→c

x→c

x→c

Osservazione. Se invece lim f1 (x) = 0 e lim f2 (x) = ∞ allora nulla si pu`o dire! In tal caso parleremo x→c x→c di forma indeterminata del tipo 0 · ∞. Osservazione. Per la determinazione del segno di ∞ valgono le solite regole dei segni. 4. Divisioni con i limiti (almeno un caso infinito o nullo): f1 (x) x→c f2 (x)

=∞

f1 (x) x→c f2 (x)

=0

f1 (x) x→c f2 (x)

=∞

siano lim f1 (x) = l e lim f2 (x) = 0 con l ∈ R∗ allora lim x→c

x→c

siano lim f1 (x) = l e lim f2 (x) = ∞ con l ∈ R allora lim x→c

x→c

siano lim f1 (x) = ∞ e lim f2 (x) = l con l ∈ R allora lim x→c

x→c

Osservazione. Se invece lim f1 (x) = 0 e lim f2 (x) = 0 allora nulla si pu`o dire! In tal caso parleremo x→c x→c 0 di forma indeterminata del tipo . 0 ` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

3.4 Continuit` a delle funzioni reali di variabile reale

19

Osservazione. Se invece lim f1 (x) = ∞ e lim f2 (x) = ∞ allora nulla si pu`o dire! In tal caso x→c x→c ∞ parleremo di forma indeterminata del tipo . ∞ Osservazione. Per la determinazione del segno di ∞ valgono le solite regole dei segni. 5. Potenze con i limiti (almeno un caso infinito o nullo): In tal caso `e opportuno osservare che f1 (x)f2 (x) = ef2 (x) ln f1 (x) e quindi il calcolo del limite della potenza `e ricondotto al calcolo del limite di un prodotto. Poich`e l’unica forma indeterminata per il prodotto `e 0 · ∞ ne consegue che se f2 (x) → 0 e ln f1 (x) → ∞ allora f1 (x) → +∞ oppure f1 (x) → 0+ ; se invece f2 (x) → ∞ e ln f1 (x) → 0 allora f1 (x) → 1. Da ci`o si deduce che risultano forme indeterminate anche quelle del tipo +∞0 , 00 e 1∞ .

3.4

Continuit` a delle funzioni reali di variabile reale

Diamo di seguito una delle fondamentali definizioni di tutta l’Analisi matematica. Definizione 3.4.1. Sia y = f (x) una funzione reale di variabile reale e sia c un punto di accumulazione per il suo dominio; diremo che la funzione `e continua in c se lim f (x) = f (c)

x→c

Se invece c `e un punto isolato per il dominio allora diremo che la funzione `e continua in c. Osservazione. I teoremi e le operazioni visti sopra sono banalmente estendibili al caso di funzioni continue in c con l’ovvia sostituzione di l1 e l2 con f1 (c) e f2 (c).

3.5

Continuit` a delle funzioni elementari

Teorema 3.5.1. La funzione costante f (x) = k `e continua su tutto l’asse reale. Dimostrazione. Preso c ∈ R esso risulta di accumulazione per il dominio della funzione; si ha lim k = k

x→c

cio`e la funzione `e continua su tutto l’asse reale, essendo ∀  > 0, ∃ Uc |∀ x ∈ Uc ⇒ |f (x) − l| <  nel nostro caso |k − k| = 0 <  verificata per ogni valore reale di x. Teorema 3.5.2. La funzione identit` a f (x) = x `e continua su tutto l’asse reale. Dimostrazione. Preso c ∈ R esso risulta di accumulazione per il dominio della funzione; si ha lim x = c

x→c

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3.5 Continuit` a delle funzioni elementari

20

cio`e la funzione `e continua su tutto l’asse reale, essendo ∀  > 0, ∃ Uc |∀ x ∈ Uc ⇒ |f (x) − l| <  nel nostro caso |x − c| <  che rappresenta l’intorno Uc cercato. Osservazione. Conseguenza immediata dei primi due teoremi sulla continuit`a e dei precedenti sui limiti, `e la continuit` a delle funzioni polinomiali e razionali fratte (naturalmente nei loro domini). Teorema 3.5.3. La funzione esponenziale elementare f (x) = ax `e continua su tutto l’asse reale. Dimostrazione. Preso c ∈ R esso risulta di accumulazione per il dominio della funzione; si ha lim ax = ac

x→c

cio`e la funzione `e continua su tutto l’asse reale, essendo ∀  > 0, ∃ Uc |∀ x ∈ Uc ⇒ |f (x) − l| <  nel nostro caso |ax − ac | <  cio`e ac −  < ax < ac +  a > 1 ⇒ loga (ac − ) < x < loga (ac + ) 0 < a < 1 ⇒ loga (ac + ) < x < loga (ac − ) che rappresentano nei rispettivi casi l’intorno di c cercato. Teorema 3.5.4. La funzione logaritmica elementare f (x) = loga x `e continua nel suo dominio (per x > 0). Dimostrazione. Preso c > 0 esso risulta di accumulazione per il dominio della funzione; si ha lim loga x = loga c

x→c

cio`e la funzione `e continua nel suo dominio, essendo ∀  > 0, ∃ Uc |∀ x ∈ Uc ⇒ |f (x) − l| <  nel nostro caso |loga x − loga c| <  cio`e loga c −  < loga x < loga c +  a > 1 ⇒ aloga c− < x < aloga c+ 0 < a < 1 ⇒ aloga c+ < x < aloga c− che rappresentano nei rispettivi casi l’intorno di c cercato. Teorema 3.5.5. La funzione sinusoidale elementare f (x) = sin x `e continua su tutto l’asse reale.

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3.5 Continuit` a delle funzioni elementari

21

Dimostrazione. Preso c ∈ R esso risulta di accumulazione per il dominio della funzione; si ha lim sin x = sin c

x→c

cio`e la funzione `e continua su tutto l’asse reale, essendo ∀  > 0, ∃ Uc |∀ x ∈ Uc ⇒ |f (x) − l| <  nel nostro caso |sin x − sin c| <  cio`e sin c −  < sin x < sin c +  arcsin(sin c − ) + 2kπ < x < arcsin(sin c + ) + 2kπ intervalli tra i quali si trova l’intorno di c cercato. Teorema 3.5.6. La funzione cosinusoidale elementare f (x) = cos x `e continua su tutto l’asse reale. Dimostrazione. Preso c ∈ R esso risulta di accumulazione per il dominio della funzione; si ha lim cos x = cos c

x→c

cio`e la funzione `e continua su tutto l’asse reale, essendo ∀  > 0, ∃ Uc |∀ x ∈ Uc ⇒ |f (x) − l| <  nel nostro caso |cos x − cos c| <  cio`e cos c −  < cos x < cos c +  arccos(cos c − ) + 2kπ < x < arccos(cos c + ) + 2kπ intervalli tra i quali si trova l’intorno di c cercato. Osservazione. Conseguenza immediata dei teoremi sulla continuit`a e dei precedenti sui limiti, `e la continuit` a delle funzioni tangente, cotangente e ottenute mediante operazioni elementari su funzioni continue (naturalmente nei loro domini). Osservazione. In maniera analoga si pu`o dimostrare che composte di fuzioni continue sono continue (naturalmente nei loro domini) e che inverse di funzioni continue sono continue (naturalmente nei loro domini). Osservazione. Si pu` o dimostrare che per una fuzione f (x) continua e monotona crescente su un intervallo reale I di estremi a, b con a < b(anche infiniti) si ha lim f (x) = inf {f (x)}x∈I

x→a+

lim f (x) = sup {f (x)}x∈I

x→a−

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3.5 Continuit` a delle funzioni elementari

22

Analogamente se si fosse trattato di una funzione monotona decrescente. In particolare osserviamo che lim ex = 0

x→−∞

lim ex = +∞

x→+∞

lim ln x = −∞

x→0+

lim ln x = +∞

x→+∞

Diamo di seguito gli enunciati di tre teoremi riguardanti le funzioni continue definite su un intervallo chiuso e limitato, anteponendo alcune definizioni di cui ci serviremo. Definizione 3.5.1. Diremo massimo assoluto per una funzione reale definita in un dominio reale il massimo, se esiste, dell’insieme delle immagini. Definizione 3.5.2. Diremo minimo assoluto per una funzione reale definita in un dominio reale il minimo, se esiste, dell’insieme delle immagini. Teorema 3.5.7 (Teorema di Weierstrass). Una funzione continua definita su un intervallo chiuso e limitato ammette minimo e massimo assoluti. Teorema 3.5.8 (Teorema dei valori intermedi). Una funzione continua definita su un intervallo chiuso e limitato assume tutti i valori compresi fra il minimo e il massimo assoluti. Teorema 3.5.9 (Teorema degli zeri). Una funzione continua definita su un intervallo chiuso e limitato che assume valori discordi agli estremi, si annulla almeno una volta all’interno dell’intervallo. Facendo uso della continuit` a delle funzioni elementari e dei teoremi sui limiti, calcolare i seguenti limiti. Esempio 3.5.1. lim (x2 − 3x + 2) x→1

trattandosi di una fuzione continua, ` e sufficiente sostituire ad x il valore 1; si ottiene

cos`ı lim (x2 − 3x + 2) = 0

x→1

Esempio 3.5.2. lim

x→2

1 x−2

la fuzione non ` e continua in 2 ma ` e sufficiente usare le operazioni sui limiti nei casi infiniti;

si ottiene cos`ı

1 =∞ x−2

lim

x→2

Osservazione. La notazione usata riassume i 2 casi lim

1 = +∞ x−2

lim

1 = −∞ x−2

x→2+

x→2−

e in tal caso ammetteremo che il limite dato esiste. 1

Esempio 3.5.3. lim e x−3 x→3

la fuzione non ` e continua in 3 ma ` e sufficiente usare le operazioni sui limiti nei casi infiniti

disinguendo per` o il caso destro dal sinistro; si ottiene cos`ı 1

lim e x−3 = +∞

x→3+

1

lim e x−3 = 0

x→3−

Osservazione. Per il teorema dell’unicit` a del limite, diremo che il limite dato non esiste.

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3.5 Continuit` a delle funzioni elementari

Esempio 3.5.4. lim sin x→0

1 x

non esiste poich` e, per x che tende a 0,

23

1 x

tende all’infinito e, dato che la funzione sinusoidale

` e periodica, essa assume tutti i valori compresi fra -1 e 1 infinite volte in ogni intorno di infinito; viene, quindi, a mancare l’unicit` a del limite.  la fuzione non ` e continua in 2 ma ` e sufficiente usare le operazioni sui limiti nei casi Esempio 3.5.5. lim ln 1 + x1 x→∞

infiniti; si ottiene cos`ı   1 lim ln 1 + =0 x→∞ x

Osservazione. La notazione usata riassume i 2 casi   1 lim ln 1 + =0 x→+∞ x   1 lim ln 1 + =0 x→−∞ x 2x2 − 5x + 2 numeratore e denominatore sono funzioni continue e i loro limiti si calcolano per x2 − 4 sostituzione; si ottiene per` o la forma indeterminata 00 che suggerisce la scomposizione in fattori dei polinomi: (2x − 1)(x − 2) 2x − 1 lim = lim la funzione razionale fratta ottenuta ` e ora continua in 2, perci` o` e sufficiente sostituire e x→2 (x + 2)(x − 2) x→2 x + 2 si ottiene cos`ı 2x2 − 5x + 2 3 lim = x→2 x2 − 4 4 √ x + 5 + 2x numeratore e denominatore sono funzioni continue e i loro limiti si calcolano per Esempio 3.5.7. lim x→−1 x+1 sostituzione; si ottiene per` o la forma indeterminata 00 che elimineremo moltiplicando sia il numeratore che il denominatore per una√stessa quantit` √a: ( x + 5 + 2x)( x + 5 − 2x) x + 5 − 4x2 4x2 − x − 5 √ √ √ lim = lim = lim − = x→−1 x→−1 (x + 1)(( x + 5 − 2x)) x→−1 (x + 1)(( x + 5 − 2x)) (x + 1)(( x + 5 − 2x)) (x + 1)(4x − 5) 4x − 5 √ = lim − = lim − √ la funzione ottenuta ` e ora continua in -1, perci` o ` e sufficiente x→−1 x→−1 (x + 1)(( x + 5 − 2x)) x + 5 − 2x sostituire e si ottiene cos`ı √ 9 x + 5 + 2x = lim x→−1 x+1 4 Esempio 3.5.6. lim

x→2

2x3 − 4x + 1 numeratore e denominatore sono funzioni continue e i loro limiti risultano infiniti; x→∞ 5x3 + 2x2 che elimineremo raccogliendo sia a numeratore che a denominatore la potenza si ottiene perci` o la forma indeterminata ∞ ∞ di grado massimo: x3 (2 − x42 + x13 ) 2 − x42 + x13 2 lim = lim = poich` e ciascuna delle frazioni tende a 0. 2 3 x→∞ x→∞ 5 x (5 + x ) 5 + x2 Esempio 3.5.8.

lim

2x3 + 5x2 − 2 numeratore e denominatore sono funzioni continue e i loro limiti risultano infiniti; −x2 + 2x + 3 si ottiene perci` o la forma indeterminata ∞ che elimineremo raccogliendo sia a numeratore che a denominatore la potenza ∞ di grado massimo: 2 + x5 − x23 x3 (2 + x5 − x23 ) lim = lim x · = ∞ poich` e, come nell’esercizio precedente, la frazione tende a −2 e x→∞ x2 (−1 + 2 + 3 ) x→∞ −1 + x2 + x32 x x2 tendendo x all’infinito, in base ai teoremi visti, il limite del prodotto risulta infinito. Esempio 3.5.9.

lim

x→∞

x4 − x2 + 3x − 4 numeratore e denominatore sono funzioni continue e i loro limiti risultano 6x5 − 2x4 + x − 1 infiniti; si ottiene perci` o la forma indeterminata ∞ che elimineremo raccogliendo sia a numeratore che a denominatore la ∞ potenza di grado massimo: 1 3 4 x4 (1 − x12 + x33 − x44 ) 1 1 − x2 + x3 − x4 lim = lim · = 0 poich` e, come nell’esercizio precedente, la frazione tende a 2 1 2 1 1 1 x→∞ x5 (6 − x→∞ x + x4 − x5 ) 6 − x + x4 − x5 x 1 e tendendo x all’infinito, in base ai teoremi visti, il limite del prodotto risulta zero. 6 Esempio 3.5.10.

lim

x→∞

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3.5 Continuit` a delle funzioni elementari

24

Osservazione. Dagli ultimi tre esempi si deduce facilmente la regola generale per il calcolo del limite di un rapporto di polinomi quando x tende all’infinito: a0 b0 a0 xn + a1 xn−1 + ... + an = x→∞ b0 xm + b1 xm−1 + ... + bm lim



se n = m se n > m

0

se n < m

Procediamo ora fornendo due definizioni che permettono il confronto fra funzioni tendenti all’infinito. Definizione 3.5.3. Diremo che una funzione f (x) `e un infinito per x che tende a c se lim f (x) = ∞

x→c

Definizione 3.5.4. Date due funzioni f (x) e g(x) infinite per x che tende a c, se k ∈ R∗

f (x) lim = x→c g(x)

∞ 0

allora diremo che f (x) e g(x) sono infiniti dello stesso ordine

allora diremo che f (x) `e un infinito di ordine superiore rispetto a g(x) allora diremo che f (x) `e un infinito di ordine inferiore rispetto a g(x)

non esiste

allora diremo che f (x) e g(x) sono infiniti non confrontabili

Osservazione. Nel caso in cui addirittura lim

x→c

f (x) =1 g(x)

diremo che f (x) e g(x) sono infiniti equivalenti e si usa la notazione f (x) ∼ g(x) Osservazione. Dagli esercizi visti sopra si deduce facilmente che, per x che tende all’infinito, un polinomio `e equivalente al suo termine di grado massimo; inoltre, lo studio delle funzioni trascendenti aveva gi`a messo in luce che, per x che tende a +∞ la funzione logaritmica crescente `e un infinito di ordine inferiore a qualsiasi potenza positiva di x, che a sua volta `e un infinito di ordine inferiore rispetto alla funzione esponenziale crescente. Per esprimere quest’ultima relazione, che potr`a essere provata solo in seguito, si usa la notazione: per x → +∞ loga x 0, a 6= 1) ci riconduciamo al II limite fondamentale con la posizione z = ax − 1 x da cui x = loga (1 + z) con z tendente a 0: 1 z limz→0 = = ln a avendo usato l’esercizio precedente. loga (1 + z) loga e

Esempio 3.6.18. lim

x→0

Osservazione. Dagli esempi svolti sopra e dalle definizioni date, segue immediatamente che, per x che tende a 0, sono infinitesimi equivalenti le seguenti funzioni: x ∼ ln(1 + x) x ∼ ex − 1 (1 + x)α − 1 riscriviamo in modo opportuno x→0 x α ln(1+x) α·ln(1+x) αx e −1 e −1 e −1 αx l’espressione a numeratore lim = lim = lim = lim = α essendo, per x che x→0 x→0 x→0 x→0 x x x x tende a 0, ln(1 + x) equivalente a x, eαx − 1 equivalente a αx. Esempio 3.6.19. Dato il numero reale non nullo α, calcoliamo lim

Osservazione. Dall’esempio svolto sopra e dalle definizioni date, segue immediatamente che, per x che tende a 0, sono infinitesimi equivalenti le seguenti funzioni: αx ∼ (1 + x)α − 1 con α numero reale non nullo. 1

Esempio 3.6.20. lim (1 + arcsin x) sin x = e essendo, per x che tende a 0, arcsin x equivalente a x, sin x equivalente a x. x→0

1

1

Esempio 3.6.21. lim (cos x) x2 = lim (cos x − 1 + 1) x2 = lim (− x→0

x→0

x→0

1 1 x2 1 + 1) x2 = e− 2 = √ essendo, per x che tende a 0, 2 e

x2 (cos x − 1) equivalente a − . 2 e2x − ex e2x − 1 + 1 − ex 2x − x x = lim = lim = lim = 1 essendo, per x che tende a 0, (e2x −1) x→0 x→0 x→0 x x x x equivalente a 2x e (1 − ex ) equivalente a −x.

Esempio 3.6.22. lim

x→0

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3.7 Punti di discontinuit` a

x · cos

31

1 x

1 = lim cos non esiste poich` e, per x che tende a 0, x→0 x x e x non sono confrontabili.

Esempio 3.6.23. lim

x→0

infinitesimi x · cos

1 x

1 x

tende all’infinito; pertanto gli

Procediamo ora fornendo due definizioni che permettono il confronto fra funzioni tendenti all’infinito. Definizione 3.6.3. Diremo che una funzione f (x) `e un infinito per x che tende a c se lim f (x) = ∞

x→c

Definizione 3.6.4. Date due funzioni f (x) e g(x) infinite per x che tende a c, se k ∈ R∗

f (x) = lim x→c g(x)

∞ 0

allora diremo che f (x) e g(x) sono infiniti dello stesso ordine

allora diremo che f (x) `e un infinito di ordine superiore rispetto a g(x) allora diremo che f (x) `e un infinito di ordine inferiore rispetto a g(x)

non esiste

allora diremo che f (x) e g(x) sono infiniti non confrontabili

Osservazione. Nel caso in cui addirittura lim

x→c

f (x) =1 g(x)

diremo che f (x) e g(x) sono infiniti equivalenti e si usa la notazione f (x) ∼ g(x) Osservazione. Dagli esercizi visti sopra si deduce facilmente che, per x che tende all’infinito, un polinomio `e equivalente al suo termine di grado massimo; inoltre, lo studio delle funzioni trascendenti aveva gi`a messo in luce che, per x che tende a +∞ la funzione logaritmica `e un infinito di ordine inferiore a qualsiasi potenza positiva di x, che a sua volta `e un infinito di ordine inferiore rispetto alla funzione esponenziale. Per esprimere quest’ultima relazione, che potr`a essere provata solo in seguito, si usa la notazione: x → +∞ ln x 0, a 6= 1) risulta ax0 +h − ax0 lim = ax0 · ln a h→0 h  ln

x0 + h x0 h



  h ln 1 + x0 = lim = h→0 h

f (x0 + h) − f (x0 ) ln(x0 + h) − ln x0 Esempio 4.2.5. f (x) = ln x limh→0 = lim = lim h→0 h→0 h h   h ln 1 + 1 1 x0 · lim = si pu` o osservare che la derivata cos`ı calcolata rappresenta il coefficiente angolare della retta h h→0 x0 x0 x0 tangente alla funzione data in ogni suo punto; rispetto agli esempi precedenti, si nota che esso varia al variare dell’ascissa del punto considerato.

Osservazione. Dal precedente esempio e da un limite calcolato, segue che con f (x) = loga x (a > 0, a 6= 1) risulta 1 loga (x0 + h) − loga x0 = lim · loga e h→0 h x0 f (x0 + h) − f (x0 ) sin(x0 + h) − sin x0 = lim = h→0 h h sin x0 · cos h + cos x0 · sin h − sin x0 sin x0 (cos h − 1) + cos x0 · sin h = limh→0 = lim = h→0 h h   cos h − 1 sin h = limh→0 sin x0 + cos x0 = cos x0 si pu` o osservare che la derivata cos`ı calcolata rappresenta il coefficiente h h angolare della retta tangente alla funzione data in ogni suo punto; rispetto agli esempi precedenti, si nota che esso varia al variare dell’ascissa del punto considerato. Esempio 4.2.6. f (x) = sin x

limh→0

f (x0 + h) − f (x0 ) cos(x0 + h) − cos x0 = lim = − sin x0 (la dimostrazione ` e h→0 h h del tutto analoga al caso precedente); si pu` o osservare che la derivata cos`ı calcolata rappresenta il coefficiente angolare della retta tangente alla funzione data in ogni suo punto; rispetto agli esempi precedenti, si nota che esso varia al variare dell’ascissa del punto considerato. Esempio 4.2.7. f (x) = cos x

limh→0

Teorema 4.2.1 (Linearit` a dell’operatore di derivazione). Date le funzioni reali di variabile reale f1 (x) e f2 (x) derivabili in un punto x0 e le costanti reali α1 e α2 si ha (α1 · f1 + α2 · f2 )0 (x0 ) = α1 · f10 (x0 ) + α2 · f20 (x0 ) Dimostrazione. La dimostrazione discende immediatamente dalla definizione di derivata e dalla linearit` a dell’operatore di limite.

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4.2 Calcolo e regole di derivazione

40

Esempio 4.2.8. Calcolare la derivata della funzione di equazione y = 3 sin x + 5x4 ; si ha y 0 = 3 · cos x + 5 · 4x3 = 3 cos x + 20x3 1 √ 4 Esempio 4.2.9. Calcolare la derivata della funzione di equazione y = 2 3 x − = 2 · x 3 − 4 · x−1 ; si ha x

y0 = 2 ·

2 1 1 −1 1 2 4 x3 − 4 · (−1)x−1−1 = 2 · x− 3 + 4 · x−2 = √ + 2 3 3 3 x 3 x2

Teorema 4.2.2 (Derivata di un prodotto). Date le funzioni reali di variabile reale f1 (x) e f2 (x) derivabili in un punto x0 si ha (f1 · f2 )0 (x0 ) = f10 (x0 ) · f2 (x0 ) + f1 (x0 ) · f20 (x0 ) Dimostrazione. Applicando la definizione di derivata alla funzione prodotto otteniamo (f1 · f2 )0 (x0 ) = lim

h→0

f1 (x0 + h) · f2 (x0 + h) − f1 (x0 ) · f2 (x0 ) h

aggiungendo e togliendo a numeratore la quantit`a f1 (x0 ) · f2 (x0 + h), si ha lim

h→0

f1 (x0 + h) · f2 (x0 + h) − f1 (x0 ) · f2 (x0 + h) + f1 (x0 ) · f2 (x0 + h) − f1 (x0 ) · f2 (x0 ) = h f2 (x0 + h) · (f1 (x0 + h) − f1 (x0 )) + f1 (x0 ) · (f2 (x0 + h) − f2 (x0 )) = h   f2 (x0 + h) − f2 (x0 ) f1 (x0 + h) − f1 (x0 ) + f1 (x0 ) · = lim f2 (x0 + h) · = h→0 h h

= lim

h→0

= f10 (x0 ) · f2 (x0 ) + f1 (x0 ) · f20 (x0 ) Esempio 4.2.10. Calcolare la derivata della funzione di equazione y = (2x − 5) · ex ; si ha y 0 = 2 · ex + (2x − 5) · ex = (2x − 3)ex

Teorema 4.2.3 (Derivata di un quoziente). Date le funzioni reali di variabile reale f1 (x) e f2 (x) derivabili in un punto x0 si ha  0 f1 f 0 (x0 ) · f2 (x0 ) − f1 (x0 ) · f20 (x0 ) (x0 ) = 1 f2 (f2 (x0 ))2 Dimostrazione. Applicando la definizione di derivata alla funzione quoziente otteniamo 

f1 f2

0

f1 (x0 + h) f1 (x0 ) − f (x + h) f2 (x0 ) (x0 ) = lim 2 0 = h→0 h

aggiungendo e togliendo a numeratore la quantit`a f1 (x0 ) · f2 (x0 ), si ha lim

h→0

= lim

h→0

f1 (x0 + h) · f2 (x0 ) − f1 (x0 ) · f2 (x0 + h) = h (f2 (x0 + h) · f2 (x0 ))

f1 (x0 + h) · f2 (x0 ) − f1 (x0 ) · f2 (x0 ) + f1 (x0 ) · f2 (x0 ) − f1 (x0 ) · f2 (x0 + h) = h (f2 (x0 + h) · f2 (x0 )) f2 (x0 ) · (f1 (x0 + h) − f1 (x0 )) − f1 (x0 )(f2 (x0 + h) − f2 (x0 )) = h→0 h (f2 (x0 + h) · f2 (x0 ))

= lim

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4.2 Calcolo e regole di derivazione

41

  f1 (x0 + h) − f1 (x0 ) f2 (x0 + h) − f2 (x0 ) f2 (x0 + h) · − f1 (x0 ) · h h = limh→0 = f2 (x0 + h) · f2 (x0 =

f10 (x0 ) · f2 (x0 ) − f1 (x0 ) · f20 (x0 ) (f2 (x0 ))2

Esempio 4.2.11. Calcolare la derivata della funzione di equazione y = y0 =

3x − 1 ; si ha 5−x

3 · (5 − x) − (3x − 1) · (−1) 15 − 3x + 3x − 1 14 = = (5 − x)2 (5 − x)2 (5 − x)2

Esempio 4.2.12. Calcolare la derivata della funzione di equazione y = tan x = y0 =

sin x ; si ha cos x

cos x · cos x − sin x · (− sin x) cos2 x + sin2 x 1 = = = 1 + tan2 x (cos x)2 (cos x)2 cos2 x

Teorema 4.2.4 (Derivata di una funzione di funzione). Date le funzioni reali di variabile reale f (x) e g(x) derivabili rispettivamente in x0 e f (x0 ) e nell’ipotesi che esista g ◦ f si ha 0

(g ◦ f ) (x0 ) = g 0 (f (x0 )) · f 0 (x0 ) Omettiamo la dimostrazione; chiariamo, invece, con una serie di esempi l’applicazione della regola enunciata. Esempio 4.2.13. Calcolare la derivata della funzione di equazione y = x2 + 1 2 2 y 0 = 3 · x2 + 1 · 2x = 6x x2 + 1

3

; si ha

Esempio 4.2.14. Calcolare la derivata della funzione di equazione y = ln(3x − 5); si ha y0 =

3 1 ·3= 3x − 5 3x − 5 2

Esempio 4.2.15. Calcolare la derivata della funzione di equazione y = ex ; si ha 2

y 0 = ex · (2x) = 2xex

2

Esempio 4.2.16. Calcolare la derivata della funzione di equazione y = sin3 x = (sin x)3 ; si ha y 0 = 3 · (sin x)2 · cos x = 3 sin2 x cos x p Esempio 4.2.17. Calcolare la derivata della funzione di equazione y = 1 + ln2 x; si ha   1 1 ln x 2 ln x p y0 = p · 2 ln x · = p = 2 2 x 2 1 + ln x 2x 1 + ln x x 1 + ln2 x Esempio 4.2.18. Calcolare la derivata della funzione di equazione y = ln |x|; si ha ln x

se x > 0

y= ln(−x)

se x < 0

e, quindi

0

1 x

se x > 0

y = 1 1 · (−1) = −x x

se x < 0

da cui

1 , ∀ x 6= 0 x il che equivale ad affermare che la derivata del logaritmo del modulo di x pu` o essere calcolata come se il modulo non ci fosse! y0 =

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4.2 Calcolo e regole di derivazione

42

Osservazione. Data la funzione reale di variabile reale f (x) con f (x) 6= 0 risulta che ln f (x)

se f (x) > 0

y = ln |f (x)| = ln(−f (x))

se f (x) < 0

e, quindi 1 · f 0 (x) se f (x) > 0 f (x) 1 1 · (−f 0 (x)) = se f (x) < 0 −f (x) f (x)

y0 =

da cui y0 =

f 0 (x) , f (x)

∀ f (x) 6= 0

il che equivale ad affermare che la derivata del logaritmo del modulo di f (x) pu`o essere calcolata come se il modulo non ci fosse! Esempio 4.2.19. Calcolare la derivata della funzione di equazione y = ln x2 − 3x + 2 ; si ha y0 =

2x − 3 x2 − 3x + 2

Osservazione. Date le funzioni reali di variabile reale f (x) e g(x) con f (x) > 0 risulta che g(x)

y = [f (x)] quindi `e

g(x)

= eln[f (x)]

= eg(x)·ln[f (x)]

  f 0 (x) y 0 = eg(x)·ln[f (x)] · g 0 (x) · ln[f (x)] + g(x) · f (x)

cio`e, in definitiva: g(x)

0

y = [f (x)]

  f 0 (x) 0 g (x) ln[f (x)] + g(x) f (x)

Esempio 4.2.20. Calcolare la derivata della funzione di equazione y = xx = ex·ln x ; si ha y 0 = ex·ln x · (1 · ln x + x ·

1 ) = xx (ln x + 1) x

Teorema 4.2.5 (Derivata della funzione inversa). Data la funzione reale di variabile reale f −1 inversa della funzione reale di variabile reale f si ha 0 f −1 (x0 ) =

1 f 0 (y0 )

essendo y0 = f (x0 ) e f 0 (y0 ) 6= 0. Omettiamo la dimostrazione; chiariamo, invece, con alcuni esempi l’applicazione della regola enunciata. Esempio 4.2.21. Calcolare la derivata della funzione di equazione y = arcsin x; ` e, evidentemente, x = sin y; si ha y0 =

1 1 1 = p = √ cos y 1 − x2 1 − sin2 y

avendo tenuto conto che, nell’intervallo di invertibilit` a della funzione sinusoidale, cos y =

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p

1 − sin2 y con segno positivo.

4.2 Calcolo e regole di derivazione

43

Esempio 4.2.22. Calcolare la derivata della funzione di equazione y = arctan x; ` e, evidentemente, x = tan y; si ha y0 =

1 1 = 1 + tan2 y 1 + x2

avendo utilizzato la seconda forma della derivata della funzione tangente. Esempio 4.2.23. Calcolare la derivata della funzione di equazione y = ln x; ` e, evidentemente, x = ey ; si ha y0 =

1 1 = ey x

avendo ritrovata la derivata della funzione logaritmica gi` a calcolata per via diretta.

A conclusione di questa sezione, forniamo la seguente tabella riassuntiva. funzione k

derivata 0



αxα−1

sin x

cos x

cos x

− sin x 1 = 1 + tan2 x cos2 x 1 − 2 = −(1 + cot2 x) sin x

tan x cot x ex

ex

ax

ax ln a 1 x 1 loga e x 1 √ 1 − x2

ln x loga x arcsin x

1 1 − x2

arccos x

−√

arctan x

1 1 + x2

arccot x



αf (x) + βg(x)

αf 0 (x) + βg 0 (x)

f (x)g(x)

f 0 (x)g(x) + f (x)g 0 (x)

f (x) g(x)

f 0 (x)g(x) − f (x)g 0 (x) g 2 (x)   f 0 (x) g(x) 0 [f (x)] g (x) ln[f (x)] + g(x) f (x)

g(x)

[f (x)]

1 1 + x2

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4.3 Regola di De L’Hospital

44

Completiamo con la definizione di derivata n-esima. Definizione 4.2.1. Diremo derivata n-esima o derivata di ordine n di una funzione reale di variabile reale in x0 la derivata della derivata (n-1)-esima e scriveremo 0  f (n) (x0 ) = f (n−1) (x0 ), n ∈ N∗ Osservazione. Per indicare laderivata n-esima di una funzione f possiamo utilizzare anche i seguenti  n d f (x) n . Inoltre osserviamo che la prima scrittura necessita della parentesi simboli: (D f )(x0 ), dxn x=x0 tonda se l’ordine della derivata `e espresso in cifre arabe mentre pu`o essere omessa se `e espresso in numero romano. Esempio 4.2.24. Calcolare la derivata seconda della funzione di equazione y = e3x ; si ha y 0 = 3e3x e quindi y 00 = y (2) = 9e3x Esempio 4.2.25. Calcolare la derivata n-esima della funzione di equazione y = ln(1 + x); si ha y0 =

1 1+x

1 (1 + x)2 2 y 000 = y (3) = (1 + x)3 2·3 y IV = y (4) = − (1 + x)4 2·3·4 y V = y (5) = (1 + x)5 y 00 = y (2) = −

e quindi y (n) = (−1)n+1

(n − 1)! (1 + x)n

Esempio 4.2.26. Calcolare la derivata n-esima della funzione di equazione y = sin x; si ha y 0 = cos x y 00 = y (2) = − sin x y 000 = y (3) = − cos x y IV = y (4) = sin x e quindi y

4.3

(n)

(−1)k sin x

se n = 2k

(−1)k cos x

se n = 2k + 1

=

Regola di De L’Hospital

Enunciamo ora, senza dimostrarlo, un importante teorema da cui discende una regola pratica che permette di risolvere alcune forme indeterminate del tipo 0 0 oppure

∞ ∞ ` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

4.3 Regola di De L’Hospital

45

Teorema 4.3.1. Date le funzioni f (x) e g(x) entrambe infinitesime (o entrambe infinite) per x → c, se esiste il f 0 (x) lim 0 x→c g (x) allora risulta

f (x) f 0 (x) = lim 0 x→c g(x) x→c g (x) lim

x x→+∞ ex +∞ Osserviamo che si tratta della forma indeterminata e applichiamo la regola appena enunciata +∞ Esempio 4.3.1. Calcolare lim

lim

x→+∞

x H 1 = lim x = 0 x→+∞ e ex

avendo segnalato l’uso della regola di De L’Hospital in modo opportuno. ln x x +∞ Osserviamo che si tratta della forma indeterminata e applichiamo la regola appena enunciata +∞

Esempio 4.3.2. Calcolare lim

x→+∞

1 ln x H = lim x = 0 x→+∞ 1 x→+∞ x

lim

avendo segnalato l’uso della regola di De L’Hospital in modo opportuno. ex − 5x +∞ e applichiamo la regola appena enunciata Osserviamo che si tratta della forma indeterminata +∞ Esempio 4.3.3. Calcolare lim

x→+∞ x2

ex ex H ex H = lim = lim = +∞ x→+∞ x2 − 5x x→+∞ 2x − 5 x→+∞ 2 lim

avendo segnalato l’uso della regola di De L’Hospital in modo opportuno. Osservazione. L’ultimo esempio, generalizzato a rapporti fra polinomi di grado qualunque e funzioni esponenziali o funzioni logaritmiche, iterando l’applicazione della regola tante volte quante necessarie per eliminare l’indeterminazione, dimostra ci`o che gi`a era stato anticipato sull’ordine di infinito delle funzioni polinomiali, esponenziali e logaritmiche. Ricordiamo la notazione usata: per x → +∞ loga x 1

da cui lim f 0 (x) = −1

x→1−

lim f 0 (x) = 1

x→1+

pertanto si tratta di un punto angoloso con tangenti, rispettivamente al ramo sinistro e destro del grafico, aventi equazioni t1 : y = −x + 1 e t2 : y = x − 1

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4.4 Continuit` a e derivabilit` a

48

y

y = | ln x| y = −x + 1

y =x−1

x

Definizione 4.4.2. Data una funzione reale di variabile reale f (x) continua in un punto x0 di accumulazione per il suo dominio, diremo che essa ammette in x0 una cuspide se lim+

f (x0 + h) − f (x0 ) = +∞ h

lim

f (x0 + h) − f (x0 ) = −∞ h

h→0+

lim

f (x0 + h) − f (x0 ) = −∞ h

lim−

f (x0 + h) − f (x0 ) = +∞ h

h→0

h→0−

oppure

h→0

cio`e, dal punto di vista geometrico, il grafico della funzione ha in x0 una doppia tangente verticale. p Esempio 4.4.2. Discutere gli eventuali punti di non derivabilit` a della funzione f (x) = |x|. p La funzione f (x) = |x| risulta banalmente continua su tutto l’asse reale e quindi anche in 0; invece la sua derivata in 0 non esiste, essendo √ −x se x < 0 f (x) = √

x

se x ≥ 0

e, quindi 1 − √ 2 −x

se x < 0

f 0 (x) = 1 √ 2 x

se x > 0

da cui lim f 0 (x) = −∞

x→0−

lim f 0 (x) = +∞

x→0+

pertanto si tratta di una cuspide con doppia tangente verticale di equazione t:x=0

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4.4 Continuit` a e derivabilit` a

49

y

y=

p |x|

x

Definizione 4.4.3. Data una funzione reale di variabile reale f (x) continua in un punto x0 di accumulazione per il suo dominio, diremo che essa ammette in x0 un flesso a tangente verticale se lim+

f (x0 + h) − f (x0 ) = +∞ h

lim

f (x0 + h) − f (x0 ) = +∞ h

h→0+

lim

f (x0 + h) − f (x0 ) = −∞ h

lim−

f (x0 + h) − f (x0 ) = −∞ h

h→0

h→0−

oppure

h→0

cio`e, dal punto di vista geometrico, il grafico della funzione ha in x0 un’unica tangente verticale. √ Esempio 4.4.3. Discutere gli eventuali punti di non derivabilit` a della funzione f (x) = 3 x. √ 3 La funzione f (x) = x risulta banalmente continua su tutto l’asse reale e quindi anche in 0; invece la sua derivata in 0 non esiste, essendo 1 ∀ x 6= 0 f 0 (x) = √ 3 3 x2 da cui lim f 0 (x) = +∞ x→0−

lim f 0 (x) = +∞

x→0+

pertanto si tratta di un punto di flesso (che, in questo caso, viene anche detto flesso ascendente) a tangente verticale di equazione t:x=0

` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

4.5 Teoremi del calcolo differenziale

50

y

y=

√ 3

x

x

4.5

Teoremi del calcolo differenziale

Enunciamo ora e dimostriamo alcuni teoremi sulle funzioni derivabili. Teorema 4.5.1 (di Rolle). Data una funzione reale di variabile reale f (x) continua in [a, b], derivabile in ]a, b[ con f (a) = f (b) allora esiste almeno un punto c ∈]a, b[ tale che f 0 (c) = 0. Dimostrazione. Se la funzione `e costante allora la sua derivata `e sempre nulla, come precedentemente dimostrato, ed il teorema risulta banalmente verificato. Supponiamo, quindi, che la funzione non sia costante; per il Teorema di Weierstrass essa ammette minimo e massimo assoluti in [a, b]: almeno uno dei due deve essere assunto in ]a, b[ (altrimenti la funzione sarebbe costante!), supponiamo, per esempio, che sia il massimo, cio`e M = f (x0 ) essendo M il valor massimo della funzione e x0 in ]a, b[. Pertanto si ha: f (x0 + h) ≤ f (x0 )

(1)

f (x0 − h) ≤ f (x0 )

(2)

essendo h un incremento positivo della variabile indipendente tale che risulti x0 ± h ∈ [a, b]; dividiamo le disuguaglianze (1) e (2) rispettivamente per h e −h: f (x0 + h) − f (x0 ) ≤0 h f (x0 − h) − f (x0 ) ≥0 h passiamo ora al limite per h che tende a 0: lim h → 0+

(1) (2)

f (x0 + h) − f (x0 ) 0 = f+ (x0 ) ≤ 0 h

(1)

f (x0 − h) − f (x0 ) 0 = f− (x0 ) ≥ 0 (2) h poich`e, per ipotesi, la funzione `e derivabile in ]a, b[, quindi anche in x0 , deve essere lim h → 0−

0 0 f+ (x0 ) = f− (x0 ) = 0

ed x0 `e il punto c che cercavamo. ` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

4.5 Teoremi del calcolo differenziale

51

Dal punto di vista geometrico, osserviamo che il grafico della funzione ha, nel punto di ascissa c, tangente orizzontale, ossia parallela alla retta passante per gli estremi. DISEGNO Teorema 4.5.2 (di Cauchy). Date due funzioni reali di variabile reale f (x) e g(x), continue in [a, b], f 0 (c) f (b) − f (a) = . derivabili in ]a, b[ con g 0 (x) 6= 0 allora esiste almeno un punto c ∈]a, b[ tale che 0 g (c) g(b) − g(a) Dimostrazione. Osserviamo che l’ipotesi g 0 (x) 6= 0 garantisce che il denominatore g(b)−g(a) sia anch’esso diverso da zero (se, infatti, fosse g(b) = g(a), per il Teorema di Rolle si avrebbe g 0 (c) = 0 per un qualche c ∈]a, b[. Consideriamo la funzione h(x) = [f (b) − f (a)] · g(x) − [g(b) − g(a)] · f (x) e verifichiamo per essa le ipotesi del Teorema di Rolle: h(x) `e, banalmente, continua in [a, b] e derivabile in ]a, b[; inoltre h(b) = −f (a) · g(b) + g(a) · f (b) = h(a) pertanto esiste almeno un punto c in ]a, b[ tale che h0 (c) = 0 cio`e h0 (c) = [f (b) − f (a)] · g 0 (c) − [g(b) − g(a)] · f 0 (c) = 0 da cui [g(b) − g(a)] · f 0 (c) = [f (b) − f (a)] · g 0 (c) e quindi

f (b) − f (a) f 0 (c) = g 0 (c) g(b) − g(a)

Teorema 4.5.3 (di Lagrange o del valor medio). Data una funzione reale di variabile reale f (x) continua f (b) − f (a) in [a, b], derivabile in ]a, b[ allora esiste almeno un punto c ∈]a, b[ tale che f 0 (c) = . b−a Dimostrazione. Si tratta del Teorema di Cauchy con g(x) = x. Dal punto di vista geometrico, osserviamo che il grafico della funzione ha, nel punto di ascissa c, tangente parallela alla retta passante per gli estremi. Osserviamo anche che il Teorema di Rolle `e un caso particolare del Teorema di Lagrange. DISEGNO Vediamo ora due importanti conseguenze del Teorema di Lagrange che saranno particolarmente utili nello studio di funzione. Teorema 4.5.4 (prima conseguenza). Data una funzione reale di variabile reale f (x) continua in [a, b], derivabile in ]a, b[ con f 0 (x) = 0, ∀ x ∈]a, b[ allora f (x) = k, ∀ x ∈ [a, b] con k costante reale. Dimostrazione. Presi x1 , x2 tali che a ≤ x1 < x2 ≤ b, applichiamo il Teorema di Lagrange all’intervallo [x1 , x2 ]: f (x2 ) − f (x1 ) f 0 (c) = =0 x2 − x1 essendo c opportuno in ]x1 , x2 [; da cui f (x2 ) = f (x1 ) e la funzione risulta quindi costante in [x1 , x2 ]. Data l’arbitrariet`a di x1 , x2 si ha la tesi.

` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

4.5 Teoremi del calcolo differenziale

52

Teorema 4.5.5 (seconda conseguenza). Data una funzione reale di variabile reale f (x) continua in [a, b], derivabile in ]a, b[ con f 0 (x) > 0, ∀ x ∈]a, b[ allora f (x) `e crescente ∀ x ∈ [x1 , x2 ]. Data l’arbitrariet` a di x1 , x2 si ha la tesi. Dimostrazione. Presi x1 , x2 tali che a ≤ x1 < x2 ≤ b, applichiamo il Teorema di Lagrange all’intervallo [x1 , x2 ]: f (x2 ) − f (x1 ) f 0 (c) = >0 x2 − x1 essendo c opportuno in ]x1 , x2 [; da cui f (x2 ) > f (x1 ) e la funzione risulta quindi crescente in [a, b]. Del tutto analogo `e il caso in cui la derivata `e negativa e la funzione decrescente. p Esempio 4.5.1. Data la funzione di equazione y = |x| siano, rispettivamente, O, A, B, C i punti del suo grafico di ascisse 0, 1, -1, 4. Trovare l’equazione delle tangenti al grafico nei punti dati, dire se ` e applicabile il Teorema di Rolle in [−1, 1], Lagrange in [0, 4] e in caso affermativo determinare gli eventuali punti c relativi. Calcoliamo le coordinate dei punti dati: O(0, 0), A(1, 1), B(−1, 1), C(4, 2); inoltre calcoliamo anche la derivata prima della funzione in quanto essa rappresenta il coefficiente angolare della retta tangente alla curva nel punto considerato. 1 − √ 2 −x

se x < 0

0

f (x) = 1 √ 2 x

se x > 0

considerando dapprima il punto O, si ha: lim f 0 (x) = −∞

x→0−

lim f 0 (x) = +∞

x→0+

pertanto O(0, 0) ` e una cuspide con doppia tangente verticale di equazione tO : x = 0 Considerando il punto A, si ha: f 0 (1) = l’equazione della retta tangente alla curva in A ` e y−1=

1 (x − 1) cio` e 2

tA : y = oppure ` e del tipo y =

1 2

1 1 x+ 2 2

1 1 x + q ed imponendo il passaggio per A si ottiene q = da cui, nuovamente 2 2 tA : y =

1 1 x+ 2 2

Considerando il punto B, si ha: f 0 (−1) = −

1 2

1 l’equazione della retta tangente alla curva in B ` e y − 1 = − (x + 1) cio` e 2 1 1 tB : y = − x + 2 2 1 1 oppure ` e del tipo y = − x + q ed imponendo il passaggio per B si ottiene q = da cui, nuovamente 2 2 1 1 tB : y = − x + 2 2

` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

4.5 Teoremi del calcolo differenziale

53

Considerando il punto C, si ha: f 0 (4) = l’equazione della retta tangente alla curva in C ` e y−2=

1 (x − 4) cio` e 4

tC : y = oppure ` e del tipo y =

1 4

1 x+1 4

1 x + q ed imponendo il passaggio per C si ottiene q = 1 da cui, nuovamente 4 tC : y =

1 x+1 4

Non ` e applicabile il Teorema di Rolle in [−1, 1] perch` e la funzione non ` e derivabile in O; ` e applicabile, invece, il teorema 1 di Lagrange in [0, 4] e il punto del grafico in cui la tangente ` e parallela alla retta passante per gli estremi O e C (y = x) 2 ` e proprio il punto A, come evidente dai calcoli precedenti; d’altra parte ` e ricavabile ponendo f 0 (c) =

f (4) − f (0) 4−0

1 1 √ = 2 c 2 da cui c = 1.

4.5.1

Esercizi riassuntivi proposti

Calcolare la derivata prima delle seguenti funzioni reali di variabile reale:

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4.5 Teoremi del calcolo differenziale

54

1)

f (x) = (2x + 1)2

[f 0 (x) = 4(2x + 1)]

2)

f (x) = x3 + 2x2 − 3

[f 0 (x) = 3x2 + 4x]

3)

f (x) = (x − 3)(x2 + 3x + 2)

[f 0 (x) = 3x2 − 7 ]

4)

f (x) =

2x2 x2 + 1

[f 0 (x) =

4x ] (x2 + 1)2

5)

f (x) =

x3 − 1 x3 + 1

[f 0 (x) =

6x2 ] (x3 + 1)2

6)

f (x) =

x2 + 2x + 4 2x

[f 0 (x) =

x2 − 4 ] 2x2

7)

f (x) =

√ 3

√ 4

x2

2 ] [f 0 (x) = √ 33x

1 x− √ 4 x

√ 1+ x √ ] [f (x) = 4x 4 x 0

8)

f (x) =

9)

√ x− x √ f (x) = x+ x

√ x √ [f (x) = ] (x + x)2

10)

f (x) = 3 + x + sin x

[f 0 (x) = 1 + cos x]

11)

f (x) = 5 sin x cos x

[f 0 (x) = 5 cos 2x]

12)

f (x) = sin2 x

[f 0 (x) = sin 2x ]

13)

f (x) =

1 + cos x cos x

[f 0 (x) =

14)

f (x) =

sin x 1 + tan2 x

[f 0 (x) = cos x(3 cos2 x − 2)]

15)

f (x) = tan2 x −

16)

f (x) = x3 ln x

0

1 cos x

[f 0 (x) =

sin x ] cos2 x

sin x(2 − cos x) ] cos3 x

[f 0 (x) = x2 (ln x3 + 1)]

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4.5 Teoremi del calcolo differenziale



55 √ 0

x ln x

[f (x) =

√ x (ln x + 1)] x

17)

f (x) =

18)

f (x) =

19)

f (x) = (x2 + 1)ex

[f 0 (x) = (x + 1)2 ex ]

20)

f (x) = (sin x + cos x)ex

[f 0 (x) = 2ex cos x]

21)

f (x) =

22)

f (x) = (x2 + 1) arctan x

[f 0 (x) = 2x arctan x + 1]

23)

f (x) = (1 − x2 ) arcsin x

[f 0 (x) =

24)

f (x) = arctan x2

[f 0 (x) =

25)

f (x) = arcsin x1

1 [f 0 (x) = − √ ] x x− 1

26)

f (x) = arcsin e−x

[f 0 (x) = − √

27)

f (x) = arctan x + arctan x1

[f 0 (x) = 0]

28)

f (x) = x

29)

f (x) = (cos x)sin x

30)

f (x) = x ln x

[f 0 (x) = 0]

31)

√ √ f (x) = ln( 1 + ex − 1) − ln( 1 + ex + 1)

[f 0 (x) = √

32)

f (x) = ln cos arctan

33)

f (x) =

1 x ln x

[f 0 (x) = −

ex − e−x ex + e−x

[f 0 (x) =

√ x

4 ] (ex + e−x )2



1 − x2 − 2x arcsin x]

2 ] 4 + x2

[f 0 (x) = x



e−x ] 1 − e−2x

x− 12

 1+

 1 ln x ] 2

[f 0 (x) = (cos x)sin x (cos x ln sin x − sin x tan x)]

1



1 + ln x ] x2 ln2 x

ex − e−x 2

a2 − x2 + a arcsin xa

1 ] 1 + ex

ex − e−x ] ex + e−x r a−x 0 [f (x) = ] a+x [f 0 (x) =

Problemi: 1. Trovare le equazioni delle rette tangenti alla parabola di equazione y = x2 − 2x + 3 nei suoi punti di ordinata 6. [y = −4x + 2; y = 4x − 6]

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4.5 Teoremi del calcolo differenziale

56

2. Trovare le equazioni delle rette tangenti alla curva di equazione y = interseca l’asse x ele equazioni delle rette tangenti parallele all’asse x.

x2 − 3 nei punti in cui essa x3

√ √ [2x − 3y − 2 3 = 0; 2x − 3y + 2 3 = 0; y = ± 29 ] 3. Trovare le equazioni delle rette tangenti alla funzione omografica di equazione y = alle rette di equazione 5x + 8y = 0; 5x + 2y = 0

2x + 4 parallele x−3

[5x + 8y + 9 = 0; 5x + 8y − 71 = 0; 5x + 2y + 1 = 0; , 5x + 2y − 39 = 0] Discutere continuit` a e derivabilit` a delle seguenti funzioni reali di variabile reale: 1)

f (x) = |x2 − 9|

2)

f (x) =

3)

f (x) =

4)

f (x) =

5)

f (x) =

[continua ∀x ∈ R; (−3, 0) punto angoloso con tangenti y = 6x + 18 e y = −6x − 18, (3, 0) punto angoloso con tangenti y = −6x + 18 e y = 6x − 18 ]

p |x + 2| √ 5

[continua ∀x ∈ R; (−2, 0) cuspide con tangente verticale x = −2]

1−x

[continua ∀x ∈ R; (1, 0) flesso a tangente verticale x = 1 ]

1 − x2 x2 − 5x + 4   sin x, x < 0  √

[continua ∀x ∈ R − {1, 4};derivabile in ∀x ∈ R − {1, 4}]

[continua ∀x ∈ R; (0, 0) punto angoloso con tangenti y = x e x = 0]

x, x ≥ 0

Facendo uso della regola di De L’Hospital, provare che: 1

1. lim (1 + x) x = 1 x→0

1

2. lim+ xe x = +∞ x→0

sin x − x 1 =− 3 x→0 x 6

3. lim 4.

ex = +∞, n ∈ N x→+∞ xn lim

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Capitolo 5

Studio del grafico di una funzione reale Tutti gli strumenti fin qui forniti vengono utilizzati per lo studio di una funzione reale di variabile reale, nel quale essi trovano la loro pi` u completa applicazione. Diamo di seguito uno schema generale che permette di ottenere le informazioni necessarie per la costruzione del grafico.

5.1

Campo di esistenza

Le abilit` a acquisite nei primi tre anni di Scuola Secondaria di II grado riguardo le propriet`a delle funzioni algebriche e trascendenti, ci consentono ora di esplicitare le condizioni necessarie affinch`e una funzione reale di variabile reale possa esistere. Si tratta, in generale, di risolvere un sistema di disequazioni del tipo:  ogni    ogni C.E. : ogni    ogni

denominatore deve essere diverso da zero radicando con indice di radice pari deve essere maggiore o uguale a zero argomento di logaritmo deve essere maggiore di zero argomento di arcoseno o arcocoseno deve essere compreso fra -1 e 1, estremi inclusi

Esempio 5.1.1. Studiare il campo di esistenza della funzione y = f (x) = x3 − 3x + 2 Trattandosi di una funzione razionale intera si ha C.E. : ∀ x ∈ R Esempio 5.1.2. Studiare il campo di esistenza della funzione y = f (x) =

x2 x−1

Trattandosi di una funzione razionale fratta si ha C.E. : ∀ x 6= 1 Esempio 5.1.3. Studiare il campo di esistenza della funzione p 3 y = f (x) = x3 − x2 ` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

5.1 Campo di esistenza

58

Trattandosi di una funzione irrazionale con radicando intero e indice di radice dispari si ha C.E. : ∀ x ∈ R Esempio 5.1.4. Studiare il campo di esistenza della funzione y = f (x) = (x2 − 4)e−x Trattandosi del prodotto tra una funzione razionale intera e una esponenziale si ha C.E. : ∀ x ∈ R Esempio 5.1.5. Studiare il campo di esistenza della funzione y = f (x) = ln 1 − x2 Trattandosi di una funzione logaritmica si ha C.E. : ∀ x 6= ±1 Esempio 5.1.6. Studiare il campo di esistenza della funzione y = f (x) = 2 sin x + cos 2x Trattandosi di una funzione goniometrica intera si ha C.E. : ∀ x ∈ R Esempio 5.1.7. Studiare il campo di esistenza della funzione y = f (x) = arcsin

1 − x2 1 + x2

Trattandosi di una funzione inversa di una goniometrica si ha 1 − x2 1 + x2 ≤ 1 ossia −1 ≤

1 − x2 ≤1 1 + x2

−1 − x2 ≤ 1 − x2 ≤ 1 + x2  1 − x2 ≥ −1 − x2 1 − x2 ≤ 1 + x2  2≥0 x2 + 2 ≤ 0 da cui C.E. : ∀ x ∈ R

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5.2 Simmetrie e periodicit` a

5.2

59

Simmetrie e periodicit` a

A questo punto va controllato se la funzione data gode di simmetrie elemetari e/o di periodicit`a mediante l’utilizzo delle relative definizioni. Ricordiamo la definizione di funzione pari, ossia con grafico simmetrico rispetto all’asse delle ordinate: f (−x) = f (x),

∀ x ∈ C.E.

e di funzione dispari, ossia con grafico simmetrico rispetto all’origine: f (−x) = −f (x),

∀ x ∈ C.E.

Naturalmente, qualora il C.E. della funzione non sia un insieme simmetrico rispetto allo 0, non ha alcun senso controllare se la funzione `e pari o dispari. In questa sede non consideriamo simmetrie diverse da quelle elemenatri viste sopra perch`e di trattazione meno immediata. Ricordiamo la definizione di funzione periodica di periodo T: f (x + kT ) = f (x),

∀ x ∈ C.E.,

∀k ∈ Z

Qualora la funzione risulti periodica `e sufficiente studiarla e disegnarne il grafico all’interno di un periodo opportunamente scelto. Esempio 5.2.1. Studiare le eventuali simmetrie e/o periodicit`a della funzione y = f (x) = x3 − 3x + 2 Essendo f (−x) = −x3 + 3x + 2 diverso sia da f (x) che da −f (x), la funzione non `e n`e pari n`e dispari; non pu` o, evidentemente, essere periodica. Esempio 5.2.2. Studiare le eventuali simmetrie e/o periodicit`a della funzione y = f (x) =

x2 x−1

x2 diverso sia da f (x) che da −f (x), la funzione non `e n`e pari n`e dispari; non −x − 1 pu` o, evidentemente, essere periodica.

Essendo f (−x) =

Esempio 5.2.3. Studiare le eventuali simmetrie e/o periodicit`a della funzione p 3 y = f (x) = x3 − x2 √ Essendo f (−x) = 3 −x3 − x2 diverso sia da f (x) che da −f (x), la funzione non `e n`e pari n`e dispari; non pu` o, evidentemente, essere periodica. Esempio 5.2.4. Studiare le eventuali simmetrie e/o periodicit`a della funzione y = f (x) = (x2 − 4)e−x Essendo f (−x) = (x2 − 4)ex diverso sia da f (x) che da −f (x), la funzione non `e n`e pari n`e dispari; non pu` o, evidentemente, essere periodica. Esempio 5.2.5. Studiare le eventuali simmetrie e/o periodicit`a della funzione y = f (x) = ln 1 − x2 Essendo f (−x) = ln 1 − x2 = f (x), la funzione `e pari; non pu`o, evidentemente, essere periodica. ` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

5.3 Segno della funzione

60

Esempio 5.2.6. Studiare le eventuali simmetrie e/o periodicit`a della funzione y = f (x) = 2 sin x + cos 2x Essendo f (−x) = −2 sin x + cos 2x diverso sia da f (x) che da −f (x), la funzione non `e n`e pari n`e dispari; essendo f (x + 2π) = 2 sin(x + 2π) + cos 2(x + 2π) = f (x), evidentemente, `e periodica di periodo T = 2π. Perci` o `e sufficiente studiare la funzione e rappresentarne il grafico nel solo intervallo [0, 2π]. Esempio 5.2.7. Studiare le eventuali simmetrie e/o periodicit`a della funzione y = f (x) = arcsin Essendo f (−x) = arcsin

5.3

1 − x2 1 + x2

1 − x2 = f (x), la funzione `e pari; non pu`o, evidentemente, essere periodica. 1 + x2

Segno della funzione

Studiare il segno della funzione data significa ricavare dove risulta f (x) > 0 f (x) = 0 f (x) < 0 e a tale scopo `e sufficiente, per il principio di esclusione, risolvere, per esempio, la sola disequazione f (x) ≥ 0 Vengono cos`ı determinati gli eventuali punti di intersezione del grafico della funzione data con l’asse delle ascisse e le regioni del piano nelle quali esso deve trovarsi. A questo livello `e interessante cercare anche l’eventuale punto di intersezione del grafico della funzione data con l’asse delle ordinate. Esempio 5.3.1. Studiare il segno della funzione y = f (x) = x3 − 3x + 2 Essendo f (x) = (x − 1)2 (x + 2) (scomposizione effettuata tramite la regola di Ruffini) si deve risolvere la disequazione (x − 1)2 (x + 2) ≥ 0 cio`e, graficamente -2

1

x

da cui risulta x ≥ −2

(si annulla per x = −2, 1)

Indichiamo con A(−2, 0) e B(1, 0) le intersezioni del grafico con l’asse delle ascisse e con C(0, 2) l’intersezione con l’asse delle ordinate.

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5.3 Segno della funzione

61

Esempio 5.3.2. Studiare il segno della funzione y = f (x) =

x2 x−1

Si deve risolvere la disequazione x2 ≥0 x−1 cio`e, graficamente 0

1

x

da cui risulta x > 1, x = 0

(si annulla per x = 0 e non esiste per x = 1)

Indichiamo con O(0, 0) l’intersezione del grafico con entrambi gli assi coordinati. Esempio 5.3.3. Studiare il segno della funzione y = f (x) =

p 3 x3 − x2

Si deve risolvere la disequazione p 3 x3 − x2 ≥ 0 cio`e, graficamente 0

1

x

da cui risulta x ≥ 1, x = 0

(si annulla per x = 0, 1)

Indichiamo con O(0, 0) l’intersezione del grafico con entrambi gli assi coordinati e con A(1, 0) l’ulteriore intersezione del grafico con l’asse delle ascisse. Esempio 5.3.4. Studiare il segno della funzione y = f (x) = (x2 − 4)e−x Si deve risolvere la disequazione (x2 − 4)e−x ≥ 0 cio`e, graficamente -2

2

x

da cui risulta x ≤ −2, x ≥ 2

(si annulla per x = ±2)

Indichiamo con A(−2, 0) e B(2, 0) le intersezioni del grafico con l’asse delle ascisse e con C(0, −4) l’intersezione con l’asse delle ordinate.

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5.3 Segno della funzione

62

Esempio 5.3.5. Studiare il segno della funzione y = f (x) = ln 1 − x2 Si deve risolvere la disequazione ln 1 − x2 ≥ 0 ossia 1 − x2 ≥ 1 1 − x2 ≤ −1 ; 1 − x2 ≥ 1 x2 ≥ 2 ; x2 ≤ 0 cio`e, graficamente √ − 2

√ -1

0

1

2

x

da cui risulta √ √ √ x ≤ − 2, x ≥ 2, x = 0 (si annulla per x = ± 2, 0 e non esiste per x = ±1) √ √ Indichiamo con A(− 2, 0) e B( 2, 0) le intersezioni del grafico con l’asse delle ascisse e con O(0, 0) l’intersezione con entrambi gli assi. Esempio 5.3.6. Studiare il segno della funzione y = f (x) = 2 sin x + cos 2x Si deve risolvere la disequazione 2 sin x + cos 2x ≥ 0 ossia 2 sin x + 1 − 2 sin2 x ≥ 0 da cui 2 sin2 x − 2 sin x − 1 ≤ 0 ovvero

√ √ 1+ 3 1− 3 ≤ sin x ≤ 2 2

cio`e, graficamente y B

A0 π+α

A O √

1− 3 2

x

−α

B0

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5.4 Limiti e asintoti

63

da cui risulta 0 ≤ x ≤ π + α; 2π − α ≤ x ≤ 2π

(si annulla per x = 2π − α, π + α) √ 3−1 ( essendo α = arcsin ) 2 Indichiamo con A(π + α, 0) e B(2π − α, 0) le intersezioni del grafico con l’asse delle ascisse, con C(0, 1) l’intersezione con l’asse delle ordinate e con D(2π, 1) l’ulteriore punto calcolato nell’estremo destro dell’intervallo di studio. Esempio 5.3.7. Studiare il segno della funzione y = f (x) = arcsin

1 − x2 1 + x2

Si deve risolvere la disequazione arcsin ossia

1 − x2 ≥0 1 + x2

1 − x2 ≥0 1 + x2

cio`e, graficamente −1

1

x

da cui risulta −1 ≤ x ≤ 1

(si annulla per x = ±1)

 π Indichiamo con A(−1, 0) e B(1, 0) le intersezioni del grafico con l’asse delle ascisse e con C 0, 2 l’intersezione con l’asse delle ordinate.

5.4

Limiti e asintoti

Vanno calcolati i limiti negli eventuali punti di discontinuit`a e, se necessario, sulla frontiera del C.E.. Si possono presentare alcuni casi notevoli: 1. se risulta lim f (x) = ∞,

x→c

c∈R

allora la funzione ha un asintoto verticale di equazione A.V. : x = c 2. se risulta lim f (x) = k,

x→∞

k∈R

allora la funzione ha un asintoto orizzontale di equazione A.Or. : y = k

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5.4 Limiti e asintoti

64

3. se risulta lim f (x) = ∞

x→∞

allora la funzione potrebbe avere un asintoto obliquo di equazione A.Ob. : y = mx + q se m = lim

x→∞

f (x) , x

m ∈ R∗

e q = lim [f (x) − mx], x→∞

q∈R

A questo livello pu` o essere interessante cercare le eventuali intersezioni del grafico con gli asintoti orizzontali e obliqui. Esempio 5.4.1. Calcolare i limiti della funzione y = f (x) = x3 − 3x + 2 Basta calcolare lim f (x) cio`e x→∞

lim

x→±∞

 x3 − 3x + 2 = ±∞

perci` o la funzione potrebbe avere asintoti obliqui; pertanto va calcolato il seguente x3 − 3x + 2 = +∞ x→±∞ x lim

da cui deduciamo che non vi `e alcun asintoto obliquo (n`e di altro tipo!) Esempio 5.4.2. Calcolare i limiti della funzione y = f (x) =

x2 x−1

Bisogna calcolare sia lim f (x) cio`e x→c

x2 = ±∞ x→1 x − 1 da cui deduciamo che la funzione ha un asintoto verticale di equazione lim±

A.V. : x = 1 ed anche lim f (x) cio`e x→∞

x2 = ±∞ x→±∞ x − 1 perci` o la funzione potrebbe avere asintoti obliqui di equazione y = mx + q; pertanto vanno calcolati i seguenti x2 lim x − 1 = 1 = m x→±∞ x e  2  x lim −x =1=q x→±∞ x − 1 lim

da cui deduciamo che la funzione ha un asintoto obliquo di equazione A.Ob. : y = x + 1

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5.4 Limiti e asintoti

65

Esempio 5.4.3. Calcolare i limiti della funzione y = f (x) =

p 3 x3 − x2

Basta calcolare lim f (x) cio`e x→∞

p 3

lim

x→±∞

x3 − x2 = ±∞

perci` o la funzione potrebbe avere asintoti obliqui di equazione y = mx + q; pertanto vanno calcolati i seguenti √ 3 x3 − x2 lim =1=m x→±∞ x √ essendo 3 x3 − x2 ∼ x; inoltre p  1 3 lim x3 − x2 − x = − = q x→±∞ 3 p √ √ 3 3 − x2 − x)( 3 (x3 − x2 )2 + x 3 x3 − x2 + x2 ) √ ( x −x2 3 p √ √ = p ∼ essendo x3 − x2 −x = 3 3 3 (x3 − x2 )2 + x x3 − x2 + x2 (x3 − x2 )2 + x 3 x3 − x2 + x2 −x2 da cui deduciamo che la funzione ha un asintoto obliquo di equazione 3x2 A.Ob. : y = x −

1 3

Esempio 5.4.4. Calcolare i limiti della funzione y = f (x) = (x2 − 4)e−x Basta calcolare lim f (x) cio`e, distinguendo x→∞

lim (x2 − 4)e−x = +∞

x→−∞

perci` o la funzione potrebbe avere un asintoto obliquo di equazione y = mx + q; pertanto va calcolato il seguente (x2 − 4)e−x lim = −∞ x→−∞ x da cui si deduce che non c’`e asintoto obliquo a −∞; ed inoltre x2 − 4 =0 x→+∞ ex

lim (x2 − 4)e−x = lim

x→+∞

da cui si deduce che la funzione ha un asintoto orizzontale a +∞ di equazione A.Or. : y = 0 Esempio 5.4.5. Calcolare i limiti della funzione y = f (x) = ln 1 − x2 Bisogna calcolare sia lim f (x) cio`e x→c

lim± ln 1 − x2 = −∞

x→1

da cui deduciamo che la funzione ha un asintoto verticale di equazione A.V. : x = 1 ` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

5.5 Derivata prima e segno relativo

66

(e, vista la simmetria, anche un ansintoto verticale di equazione A.V. : x = −1 ) ed anche lim f (x) cio`e x→+∞

lim ln 1 − x2 = +∞

x→+∞

perci` o la funzione potrebbe avere un asintoto obliquo di equazione y = mx + q; pertanto va calcolato il seguente ln 1 − x2 lim =0 x→+∞ x da cui si deduce che non c’`e asintoto obliquo a +∞ (e, vista la simmetria, neppure a −∞). Esempio 5.4.6. Calcolare i limiti della funzione y = f (x) = 2 sin x + cos 2x non risulta necessario in quanto la funzione `e continua su tutto l’asse reale e periodica. Esempio 5.4.7. Calcolare i limiti della funzione y = f (x) = arcsin

1 − x2 1 + x2

Basta calcolare lim f (x) cio`e x→+∞

1 − x2 π =− 2 x→+∞ 1+x 2 da cui si deduce che la funzione ha un asintoto orizzontale di equazione lim arcsin

A.Or. : y = −

π 2

(vista la simmetria, sia a +∞ che a −∞).

5.5

Derivata prima e segno relativo

Va calcolata la derivata prima f 0 (x) della funzione data e di questa va studiato il segno; studiare il segno della derivata prima significa ricavare dove risulta f 0 (x) > 0 f 0 (x) = 0 f 0 (x) < 0 e a tale scopo `e sufficiente, per il principio di esclusione, risolvere, per esempio, la sola disequazione f 0 (x) ≥ 0 Vengono cos`ı determinati, come dimostrato nella seconda conseguenza del Teorema di Lagrange, gli intervalli in cui la funzione `e crescente (f 0 (x) > 0), decrescente (f 0 (x) < 0) e i punti a tangente orizzontale (f 0 (x) = 0). Detta c l’ascissa di uno di tali punti, quindi f 0 (c) = 0, e supposto che la funzione data sia continua in un intorno di c, con riferimento a tale intorno si possono presentare le seguenti situazioni: 1. se f cresce in un intorno sinistro di c e decresce in un intorno destro di c allora f ammette in c un punto di massimo relativo M (c, f (c)); ` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

5.5 Derivata prima e segno relativo

67

2. se f decresce in un intorno sinistro di c e cresce in un intorno destro di c allora f ammette in c un punto di minimo relativo N (c, f (c)); 3. se f cresce in un intorno sinistro di c e cresce in un intorno destro di c allora f ammette in c un punto di flesso ascendente F (c, f (c)) a tangente orizzontale; 4. se f decresce in un intorno sinistro di c e decresce in un intorno destro di c allora f ammette in c un punto di flesso discendente F (c, f (c)) a tangente orizzontale. Pi` u in generale, diremo che la funzione f ammette in c un punto di massimo relativo (o locale) se esiste un intorno di c in cui risulta f (x) ≤ f (c); ci`o implica che vi possono essere punti di massimo relativo a tangente non orizzontale, addirittura di non derivabilit`a. Analogamente per il minimo relativo. Nell’ipotesi in cui la funzione abbia in c un punto di continuit`a ma dubbia derivabilit`a, `e necessario calcolare il lim f 0 (x) x→c

per ottenere informazioni sul comportamento della funzione in prossimit`a di c attraverso la pendenza delle tangenti. Esempio 5.5.1. Calcolare la derivata prima e studiarne il segno, relativamente alla funzione y = f (x) = x3 − 3x + 2 Si ha y 0 = 3x2 − 3 = 3(x + 1)(x − 1) si deve risolvere la disequazione 3(x + 1)(x − 1) ≥ 0 cio`e, graficamente -1

%

1

x

&

%

(avendo segnalato gli intervalli di crescenza e decrescenza con le frecce); da cui risulta x ≤ −1, x ≥ 1

(si annulla per x = ±1)

Indichiamo con M (−1, 4) il massimo relativo e con N ≡ B(1, 0) il minimo relativo. Esempio 5.5.2. Calcolare la derivata prima e studiarne il segno, relativamente alla funzione y = f (x) = Si ha y0 =

x2 x−1

2x(x − 1) − x2 x(x − 2) = (x − 1)2 (x − 1)2

si deve risolvere la disequazione x(x − 2) ≥0 (x − 1)2 cio`e, graficamente

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5.5 Derivata prima e segno relativo

68

0

%

1

&

2

&

x

%

(avendo segnalato gli intervalli di crescenza e decrescenza con le frecce); da cui risulta x ≤ 0, x ≥ 2

(si annulla per x = 0, 2 e non esiste per x = 1)

Indichiamo con M ≡ O(0, 0) il massimo relativo e con N (2, 4) il minimo relativo. Esempio 5.5.3. Calcolare la derivata prima e studiarne il segno, relativamente alla funzione p 3 y = f (x) = x3 − x2 Si ha y0 =

3x2 − 2x 2

3(x3 − x2 ) 3

x(3x − 2) = p 3 3 (x3 − x2 )2

si deve risolvere la disequazione x(3x − 2) p ≥0 3 3 (x3 − x2 )2 cio`e, graficamente 2/3

0

%

&

1

%

x

%

(avendo segnalato gli intervalli di crescenza e decrescenza con le frecce); da cui risulta 2 2 , x 6= 1 (si annulla per x = e non esiste per x = 0, 1) 3 3 ! √ 3 2 4 Indichiamo con N ,− il minimo relativo. 3 3 In 0 c’`e un punto di continuit` a ma non derivabilit`a, poich`e dal calcolo del lim f 0 (x) risulta x < 0, x ≥

x→c

3x − 2 x(3x − 2) lim p = lim p = ∓∞ 3 3 ± 3 2 2 x→0 3 3 (x − x ) x(x − 1)2

x→0

O(0, 0) `e pertanto una cuspide ed anche un massimo relativo (ma non a tangente orizzontale!) per la funzione. In 1 c’`e un punto di continuit` a ma non derivabilit`a, poich`e dal calcolo del lim f 0 (x) risulta x→c

x(3x − 2) lim p = +∞ 3 x→1 3 (x3 − x2 )2 A(1, 0) `e pertanto un flesso ascendente a tangente verticale per la funzione. Esempio 5.5.4. Calcolare la derivata prima e studiarne il segno, relativamente alla funzione y = f (x) = (x2 − 4)e−x ` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

5.5 Derivata prima e segno relativo

69

Si ha y 0 = (2x − x2 + 4)e−x si deve risolvere la disequazione (−x2 + 2x + 4)e−x ≥ 0 cio`e, graficamente √

1−

5

1+

&

%



5

x

&

(avendo segnalato gli intervalli di crescenza e decrescenza con le frecce); da cui risulta √ √ √ 1 − 5 ≤ x ≤ 1 + 5 (si annulla per x = 1 ± 5) √ √ √ √ Indichiamo con N (1 − 5, f (1 − 5)) il minimo relativo e con M (1 + 5, f (1 + 5)) il massimo relativo. Esempio 5.5.5. Calcolare la derivata prima e studiarne il segno, relativamente alla funzione y = f (x) = ln 1 − x2 Si ha

1 2x (−2x) = 2 1 − x2 x −1

y0 = si deve risolvere la disequazione

2x ≥0 x2 − 1 cio`e, graficamente -1

&

0

%

1

&

x

%

(avendo segnalato gli intervalli di crescenza e decrescenza con le frecce); da cui risulta −1 < x ≤ 0, x > 1

(si annulla per x = 0, e non esiste per x = ±1)

Indichiamo con O(0, 0) il massimo relativo. Osservazione. La derivata di una funzione pari (dispari) `e dispari (pari). Esempio 5.5.6. Calcolare la derivata prima e studiarne il segno, relativamente alla funzione y = f (x) = 2 sin x + cos 2x Si ha y 0 = 2 cos x + 2(− sin 2x) = 2 cos x − 4 sin x cos x = 2 cos x(1 − 2 sin x) si deve risolvere la disequazione 2 cos x(1 − 2 sin x) ≥ 0 cio`e, graficamente

` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

5.5 Derivata prima e segno relativo

70

y cresce

decresce

B decresce 1 2

5π 6 0

π 6

A

A O

cresce x

cresce

decresce B0

(avendo segnalato gli intervalli di crescenza e decrescenza); da cui risulta π π 5π 3π π π 5π 3π , ≤x≤ , ≤ x ≤ 2π (si annulla per x = , , , ) 6 2 6 2 6 2 6 2       π  5π 3 3π π 3 , e M2 , i massimi relativi, con N1 , 1 e N2 , −3 i minimi Indichiamo con M1 6 2 6 2 2 2 relativi. 0≤x≤

Esempio 5.5.7. Calcolare la derivata prima e studiarne il segno, relativamente alla funzione y = f (x) = arcsin Si ha 1

y0 = s

 1−

 · 2 2

1−x 1 + x2

1 − x2 1 + x2

−2x −2x(1 + x2 ) − (1 − x2 )2x =√ 2 2 2 (1 + x ) x (1 + x2 )

si deve risolvere la disequazione √

−2x x2 (1 + x2 )

≥0

cio`e, graficamente 0

x

%

&

(avendo segnalato gli intervalli di crescenza e decrescenza con le frecce); da cui risulta x 0 f 00 (x) = 0 f 00 (x) < 0 e a tale scopo `e sufficiente, per il principio di esclusione, risolvere, per esempio, la sola disequazione f 00 (x) ≥ 0 Vengono cos`ı determinati, come `e senz’altro possibile dimostrare ma esula dagli obiettivi di questo testo, gli intervalli in cui la funzione volge la concavit`a verso l’alto (corrispondenti alle zone in cui risulta f 00 (x) > 0), volge la concavit` a verso il basso (corrispondenti alle zone in cui risulta f 00 (x) < 0) e i punti in cui la derivata seconda si annulla. Detta c l’ascissa di uno di tali punti, quindi f 00 (c) = 0, e supposto che la funzione data sia continua in un intorno di c, con riferimento a tale intorno si possono verificare le seguenti situazioni: 1. se f volge la concavit` a verso l’alto in un intorno sinistro di c e volge la concavit`a verso il basso in un intorno destro di c allora f ammette in c un punto di flesso F (c, f (c)) o di cambio di concavit` a. 2. se f volge la concavit` a verso il basso in un intorno sinistro di c e volge la concavit`a verso l’alto in un intorno destro di c allora f ammette in c un punto di flesso F (c, f (c)) o di cambio di concavit` a. Se invece nell’intorno di c, ove risulti sempre f 00 (c) = 0, non c’`e cambio di concavit`a, allora significa che in c la funzione ha un punto di massimo o di minimo relativo; in questo caso esso deve essere stato gi` a scoperto con lo studio della derivata prima. Ricordiamo che la funzione pu` o avere un punto di flesso anche se non ammette in esso derivate prima e seconda (come gi` a visto nel caso di flessi a tangente verticale). Infine, pu` o essere richiesto di calcolare l’equazione della retta tangente al grafico della funzione in un punto di flesso; essa, come gi` a visto in precedenza, `e data da tF : y − f (c) = f 0 (c)(x − c) Esempio 5.6.1. Calcolare la derivata seconda e studiarne il segno, relativamente alla funzione y = f (x) = x3 − 3x + 2 Si ha y 00 = 6x si deve risolvere la disequazione 6x ≥ 0 cio`e, graficamente 0 _

x ^

` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

5.6 Derivata seconda e segno relativo

72

(avendo segnalato opportunamente gli intervalli di concavit`a verso l’alto o verso il basso); da cui risulta x≥0

(si annulla per x = 0)

Indichiamo con F ≡ C(0, 2) il flesso. Esempio 5.6.2. Calcolare la derivata seconda e studiarne il segno, relativamente alla funzione y = f (x) = Si ha y 00 =

x2 x−1

2 (2x − 2)(x − 1)2 − (x2 − 2x)2(x − 1) = (x − 1)4 (x − 1)3

si deve risolvere la disequazione 2 ≥0 (x − 1)3 cio`e, graficamente 1 _

x ^

(avendo segnalato opportunamente gli intervalli di concavit`a verso l’alto o verso il basso); da cui risulta x > 1 ( non si annulla mai, non esiste per x = 1) Non ci sono flessi perch`e il cambio di concavit`a avviene in corrispondenza di un punto di non continuit` a. Esempio 5.6.3. Calcolare la derivata seconda e studiarne il segno, relativamente alla funzione p 3 y = f (x) = x3 − x2 2

Da y 0 = 31 (x3 − x2 )− 3 (3x2 − 2x) si ha y 00 =

5 2 1 2 3 2 1 p [− (x − x2 )− 3 (3x2 − 2x)2 + (x3 − x2 )− 3 (6x − 2)] = − 3 3 9 (x − 1) 3 (x3 − x2 )2

si deve risolvere la disequazione −

2 1 p ≥0 3 9 (x − 1) (x3 − x2 )2

cio`e, graficamente 0 ^

1 ^

x _

(avendo segnalato opportunamente gli intervalli di concavit`a verso l’alto o verso il basso); da cui risulta x < 1, x 6= 0 (non si annulla mai, non esiste per x = 0, 1) Indichiamo con F ≡ A(1, 0) il flesso a tangente verticale.

` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

5.6 Derivata seconda e segno relativo

73

Esempio 5.6.4. Calcolare la derivata seconda e studiarne il segno, relativamente alla funzione y = f (x) = (x2 − 4)e−x Si ha y 00 = (x2 − 4x − 2)e−x si deve risolvere la disequazione (x2 − 4x − 2)e−x ≥ 0 cio`e, graficamente 2−



6

2+

^

_



6

x

^

(avendo segnalato opportunamente gli intervalli di concavit`a verso l’alto o verso il basso); da cui risulta √ √ √ x ≤ 2 − 6, x ≥ 2 + 6 ( si annulla per x = 2 ± 6) √ √ √ √ Indichiamo con F1 (2 − 6, f (2 − 6)) e F2 (2 + 6, f (2 + 6)) i flessi. Esempio 5.6.5. Calcolare la derivata seconda e studiarne il segno, relativamente alla funzione y = f (x) = ln 1 − x2 Si ha y 00 =

2x2 − 2 − 4x2 x2 + 1 = −2 (x2 − 1)2 (x2 − 1)2

si deve risolvere la disequazione −2

x2 + 1 ≥0 (x2 − 1)2

cio`e, graficamente -1 _

1 _

x _

(avendo segnalato opportunamente gli intervalli di concavit`a verso l’alto o verso il basso); da cui risulta @ x ∈ R (non si annulla mai, non esiste per x = ±1) Non ci sono flessi. Esempio 5.6.6. Calcolare la derivata seconda e studiarne il segno, relativamente alla funzione y = f (x) = 2 sin x + cos 2x Si ha y 00 = −2 sin x + 2(−2 cos 2x) = −2(sin x + 2 − 4 sin2 x) = 2(4 sin2 x − sin x − 2) si deve risolvere la disequazione 2(4 sin2 x − sin x − 2) ≥ 0 ossia sin x ≤

1−

√ 8

33

, sin x ≥

1+



33

8

cio`e, graficamente ` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

5.6 Derivata seconda e segno relativo

74

alto

y

alto B

π−β

β

√ 1+ 33 2

basso

basso

A0

A O

x



1− 33 2

basso π+γ

basso −γ

B0 alto

alto

(avendo segnalato gli intervalli di concavit`a verso l’alto e il basso); da cui risulta β ≤ x ≤ π − β, π + γ ≤ x ≤ 2π − γ

(si annulla per x = β, π − β, π + γ, 2π − γ) √ √ 1 + 33 33 − 1 ( essendo β = arcsin ), γ = arcsin ) 8 8 Indichiamo con F1 (β, f (β)), F2 (π − β, f (π − β)), F3 (π + γ, f (π + γ)) e F4 (2π − γ, f (2π − γ)) i flessi. Esempio 5.6.7. Calcolare la derivata seconda e studiarne il segno, relativamente alla funzione y = f (x) = arcsin Si ha, lavorando per x > 0, y 0 = −

1 − x2 1 + x2

2 da cui 1 + x2 y 00 =

4x (1 + x2 )2

si deve risolvere la disequazione 4x ≥0 (1 + x2 )2 e, ricordando che la derivata di una funzione dispari `e pari, si ha, graficamente 0 ^

x ^

(avendo segnalato opportunamente gli intervalli di concavit`a verso l’alto o verso il basso); da cui risulta ∀x 6= 0

( non si annulla mai , non esiste per x = 0)

GRAFICI FUNZIONI

` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

5.6 Derivata seconda e segno relativo

75

y 4

y = x3 − 3x + 2

−4

−3

−2

2

−1 0

1

2

4 x

3

−2

y

4

y=

−6

−4

x2 x−1

−2

2

0

2

4

−2

−4

` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

6 x

5.6 Derivata seconda e segno relativo

76

y 4

y=

−4

√ 3

2 x3 − x2

−2

0

2

4

x

−2

y 12

8

−6

−4

−2

4

y=

0

2

x2 − 4 ex

4

−4 −8

` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

6 x

5.6 Derivata seconda e segno relativo

77

y 4 y = ln |1 − x2 | 2

−4

−2

0

2

x

4

−2

y 4 y = 2 sin x + cos 2x 2

−2

0

2

4

6

8

−2

` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

x

5.6 Derivata seconda e segno relativo

78

y 4 y = arcsin

1 − x2 1 + x2

2

−4

−2

0

2

4

−2

` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

x

5.6 Derivata seconda e segno relativo

` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

79

5.6 Derivata seconda e segno relativo

5.6.1

80

Esercizi riassuntivi proposti

1)

f (x) = (x − 1)2 (x + 3)

[C.E.:R; max x = − 53 , min x = 1; flesso x = − 13 ]

2)

f (x) = x3 + 2x2 − 3

[C.E.:R; max x = − 34 , min x = 0; flesso x = − 23 ]

3)

f (x) = 6x − x3

[ C.E.:R; max x =

4)

f (x) = (x − 3)(x2 + 3x + 2)

q q [C.E.:R; max x = − 73 , min x = 73 ; flesso x = 0 ]

5)

f (x) = 2x(x + 4)3

[ C.E.:R; no max, min x = −1; flesso x = −4 ]

6)

f (x) =

x−2 x2 − 1

7)

f (x) =

x2 − 1 x2 + 2x

8)

f (x) =

x3 x2 − 1

9)

f (x) =

1 2x − |x2 − 3|

10)

f (x) =

x2 (x − 2)2

11)

√ f (x) = x 1 − x

12)

f (x) = x +

13)

√ 3 f (x) = (x − 1) x2

14)

f (x) = √



x2 − 2x

15)

x x+1 p f (x) = 3 x2 (x + 3)

16)

f (x) = x ln2 x

17)

f (x) =

18)

f (x) = ln(2 − x2 )

19)

f (x) = ln

20)

f (x) = ln2 x − ln x2

x ln x

x 2x + 1



√ 3, min x = − 3; flesso x = 0]

√ [C.E.:∀x√ ∈ R−{±1}; asintoti: y = 0, x = ±1 ; max x = 2+ 3, min x = 2 − 3; no flessi] [C.E.:∀x ∈ R − {−2, 0}; asintoti: y = 1, x = −2, x = 0 ; no max, no min; flesso x = − 21 ] √ [C.E.:∀x √ ∈ R − {±1}; asintoti: y = x, x = ±1 ; max x = − 3, min x = 3; flesso x = 0 ] [C.E.:∀x ∈ R − {1, 3}; √ asintoti:y = 0, x = 1, x = 3 ; max x = −1, min (cuspidi) x = ± 3 ; no flessi ] [C.E.:∀x ∈ R − {2}; asintoti: y = 1, x = 2 ; no max, min x = 0; flesso x = −1 ] [C.E.:x ≤ 1; max x = 32 , no min; flesso x = 0] [C.E.:x ≤ 0, x ≥ 2; asintoti: y = 1, y = 2x − 1; no max, no min; no flesso] [C.E.:R; max (cuspide) x = 0, min x = 52 ; flesso x = − 15 ] [C.E.:x > −1; asintoto: x = −1; no max, no min; no flesso] [C.E.:R; asintoti: y = x + 1; max x = −2, min (cuspide) x = 0; flesso x = −3 ] [C.E.:x > 0; max x = e−2 , min x = 1; flesso x = e−1 ] [C.E.:x > 0, x 6= 1; asintoto: x = 1; no max, min x = e; flesso x = e2 ] [C.E.:|x| <



√ 2; asintoti: x = ± 2; max x = 0, no min; no flessi]

[C.E.:x < − 12 , x > 0; asintoti:y = − ln 2, x = − 12 , x = 0; no max, no min; no flessi] [09/10.1] - ITIS> V.Volterra San x Don Piave [C.E.:x 0; asintoto: =a`0;dino max, min

x = e; flesso x = e2 ]

5.6 Derivata seconda e segno relativo

81

21)

f (x) = (x + 1)e−x

[C.E.:R; asintoto: y = 0; max x = 0, no min; flesso x = 1]

22)

f (x) = xe|x−2|

[C.E.:R; max x = 1, min (punto angoloso) x = 2; no flesso]

23)

f (x) = |x − 1|e−x

[C.E.:R; max x = 2, min (punto angoloso) x = 1; flesso x = 3 ]

24)

f (x) = e x

25)

f (x) =

26)

f (x) = 2 sin x − 2 sin2 x

27)

f (x) = sin x +

28)

f (x) = sin |x| + sin x

[C.E.:R studio in [−π, π]; max x =

29)

f (x) = sin2 x(1 − cos x)

[C.E.:R studio in [−π, π]; 2 max, min x = −π, 0, π; 4 flessi ]

30)

f (x) = √

1

[C.E.:∀x ∈ R − {0}; asintoto: y = 1, x = 0; no max, no min; flesso x = − 21 ]

ex 2ex − 1 √

3 cos x

cos x 1 − sin x

[C.E.:∀x ∈ R − {ln 2}; asintoti: y = 0, y = 12 , x = − ln 2; no max no min; no flessi] π 3π [C.E.:R studio in [0, 2π]; max x = π6 , 5π 6 , min x = 2 , 2 ; 4 flessi] [C.E.:R studio in [0, 2π]; max x =

π 6 , min π 2 , no

x=

7π 6 ; flessi

x=

2π 5π 3 , 3 ]

min; no flessi ]

 [C.E.:∀x ∈ R− π2 + 2kπ studio in [0, 2π]; discontinuit`a di I specie in x = π2 ; no max, no min; flesso x = 3π 2 ]

` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

Capitolo 6

Integrazione

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Parte II

Contributi

` di Piave [09/10.1] - ITIS V.Volterra San Dona

Contributi e licenza Erica Boatto Beniamino Bortelli Roberto Carrer Morena De Poli Piero Fantuzzi Caterina Fregonese Carmen Granzotto Franca Gressini Beatrice Hitthaler Lucia Perissinotto Pietro Sinico

Algebra I - Algebra II - Insiemi Grafici Numeri - Funzioni - Coordinatore progetto Matematica 5 Laboratorio matematica Algebra I - Algebra II - Insiemi Analisi (Integrazione) - Esercizi Funzioni - Analisi (Integrazione) Funzioni Funzioni trascendenti - Geometria analitica Numeri complessi - Analisi - Matematica 5 Funzioni trascendenti - Geometria analitica Numeri complessi - Analisi - Matematica 5 Geometria I - Geometria II

La presente opera `e distribuita secondo le attribuzioni della Creative Commons. . La versione corrente `e la In particolare chi vuole redistribuire in qualsiasi modo l’opera, deve garantire la presenza della prima di copertina e della intera Parte Contributi composta dai paragrafi: Contributi e licenza.

Settembre 2009

Dipartimento di Matematica ITIS V.Volterra San Don`a di Piave

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